Sven Hassel
Gli sporchi dannati di Cassino L'operazione segreta «Colletto da prete» nella battaglia di Cassino traduzio...
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Sven Hassel
Gli sporchi dannati di Cassino L'operazione segreta «Colletto da prete» nella battaglia di Cassino traduzione di maria marini Titolo originale dell'opera: MONTE CASSINO
Questo periodo di vita, militare generalizzata dimostra che non è assolutamente una questione di merito o di colpa, e neppure di carattere, se un uomo porta un'uniforme piuttosto che un'altra o se si trova dalla parte del carnefice piuttosto che della vittima. ROLF HOCHNUTH
Questo libro è dedicato ai morti della abbazia e della fortezza di Montecassino
2 Come pioveva!... a catinelle. Un vero diluvio. Eravamo seduti sotto gli alberi. Avevamo abbottonato dei teli da tenda gli uni agli altri per formare un ricovero. Erano teli da SS, di qualità superiore ai nostri. Sventolavano continuamente. Ma stavamo quasi all'asciutto, sotto la nostra tenda. Fratellino aveva aperto ugualmente l'ombrello. Avevamo finito con l'accendere il fuoco nella cucina economica trovata nella villa; ci si preparava a fare una spanciata. Quaranta merli arrostivano su degli spiedi. Porta confezionava palline di midollo; avevamo grattato per due ore di seguito il midollo dei due buoi che erano morti. Anche del prezzemolo fresco, avevamo. Gregor Martin sapeva fare il ketchup con i pomodori, e rimestava la sua salsa in un elmetto americano. Sono ben comodi gli elmetti; si poteva utilizzarli per un mucchio di cose... tranne proprio quella a cui erano destinati. A un tratto siamo scoppiati a ridere. Per Fratellino. Aveva fatto una citazione classica senza neanche accorgersene. Poi Porta sollevò il suo cilindro giallo, promettendo di lasciarcelo per testamento. E furono altre risate. Heide pisciò nella direzione sbagliata, controvento. Ci torcevamo dal ridere. Stavamo ancora male per aver riso troppo, mentre correvamo con i piatti, in mezzo a una salva di granate. Un giorno ho sentito un cappellano chiedere a un ufficiale superiore: « Come possono ridere così? » Era il giorno in cui ci sbellicavamo perché Fratellino portava le mutande di Luisa la Triste attorno al collo. Mi aveva fatto andare una patata di traverso, e gli altri avevano dovuto picchiarmi nella schiena con una bomba a mano. Poteva essere pericoloso scherzare! « Se non ridessero di tutto e di niente », rispose l'ufficiale, « non potrebbero resistere. * Porta era un gran cuoco in fatto di palline di midollo. Ne faceva cuocere soltanto dieci alla volta, altrimenti ci avrebbero dato la nausea. Inghiottiva le sue, man mano. In nove abbiamo
3 mangiato più di seicento palline. Era molto, c'è voluta tutta la notte. Perdio, come pioveva!
I MARINES SBARCANO Si sentiva il rombo dei cannoni fino a Roma, a duecentocinquanta chilometri. Non potevamo vedere le grandi navi da battaglia, ma ogni vplta che tiravano una salva il mare si trasformava in un braciere. Prima uno scoppio accecante, poi un rimbombo di tuono. Riducevano in poltiglia i nostri granatieri. In poche ore i reggimenti corazzati, poco armati, furono annientati. Da Palinuro a Torre del Greco la costa non era che una fornace. In pochi secondi interi villaggi furono rasi al suolo. Un po' a nord di Sorrento un bunker, un mastodonte di parecchie centinaia di tonnellate, fu proiettato in aria e con lui tutta una batteria costiera e le compagnie addette ai suoi pezzi. Da sud e da occidente sorsero degli sciami di Jabo. 1 Volavano a bassa quota, martellando le strade e i sentieri, distruggendo tutto sul loro passaggio. La Nazionale 19 fu sfondata per centocinquanta chilometri. In venti secondi la città di Agropoli scomparve dalla faccia della terra. Dei carri d'assalto di protezione erano mascherati diabolicamente fra le rocce. Dei granatieri del 16° erano di copertura con noi, sotto i carri pesanti. Saremmo stati i loro biscottini della festa, per i giovanotti dall'altra parte, quando fossero spuntati sulla spiaggia. Migliaia di granate rivoltavano letteralmente la terra esplodendo e trasformando in notte nera il pieno giorno. 1
Jagdbomber. cacciabombardiere.
4 Un fante salì per la costa di corsa, senza armi, gesticolando come un pazzo, ubriaco di paura. Noi lo guardavamo, indifferenti: un numero fra gli altri. Avevo provato anch'io, all'alba, quell'angoscia paralizzante che vi prende alle budella e vi fa stringere le natiche. Ci si irrigidisce, il sangue gelato, la faccia livida, gli occhi fissi, un cadavere ambulante! Appena i camerati se ne accorgono, si mettono a picchiare sul « malato ». Se non bastano i pugni, avanti a calci e a colpi coi fucili. Allora si crolla, singhiozzando, e gli altri continuano a pestare... La cura è brutale, ma quasi sempre riesce. Avevo ancora la faccia gonfia, perché Porta mi aveva tartassato forte. Gliene ero grato. Se non avesse pestato tanto duro, sarei stato pronto per la camicia di forza. Guardavo il Vecchio Unno, sdraiato fra i cingoli del carro armato. Sorrise e fece un gesto di incoraggiamento. Porta, Fratellino e Heide giocavano ai dadi. Essi rotolavano sul tappeto verde; Porta l'aveva rubato al casino, da Ida la Pallidina. Una compagnia di fanteria scendeva dalla montagna e andò a sbattere in pieno nella salva di artiglieria pesante di una corazzata. Una mano gigantesca li spazzò via. Centosettantacinque uomini e i loro muli, e piazza pulita! « Loro » arrivarono quando il sole scendeva all'orizzonte, a occidente, e ci abbagliava: ondate di mezzi da sbarco che vomitavano sulla spiaggia dei fucilieri di marina. Vecchi marines allenati, soldati di mestiere, e anche giovani reclute spaventate, richiamate due mesi prima. Una fortuna per le loro madri, non poterli vedere in quel momento. L'inferno di Dante era un parco di divertimenti in confronto alle delizie che li aspettavano. Le nostre batterie costiere sono state liquidate, ma dietro ogni sasso, in ogni buca scavata dalle bombe si nascondono dei granatieri, dei cacciatori alpini, dei paracadutisti, pronti a
5 scatenare il fuoco delle loro armi automatiche. Mitragliatrici pesanti e leggere, mortai, granate anticarro, lanciafiamme, cannoni, carabine a ripetizione, mine, bottiglie Molotov, bombe alla benzina, granate al fosforo... Parole... parole... parole, ma che torture senza nome per i marines all'attacco ! Coperti dall'artiglieria navale, « essi » fissano delle corde alle rocce, si arrampicano come scimmie, e ricadono turbinando. Gruppi interi corrono in cerchio sulla spiaggia mentre il fosforo li divora. La spiaggia è in fiamme. La sabbia si trasforma in lava. Noi osserviamo in silenzio: proibizione di far fuoco fino a nuovo ordine. La prima ondata dello sbarco è annientata. « Essi » non hanno fatto duecento metri. Che spettacolo per gli uomini della seconda ondata, che subito li seguono! Anch'essi vengono trasformati in torce. Ma già arriva la terza ondata. Con le armi sopra la testa, i marines corrono attraversando gli scogli a fior d'acqua, si gettano ventre a terra sulla spiaggia e incominciano a far sentire le loro armi automatiche. Ma non avanzano di un metro. Poi vengono i cacciabombardieri che gettano del fosforo e della nafta. Fiamme gigantesche, giallastre, si alzano verso il cielo. Il sole tramonta. Le stelle si accendono. Il Tirreno scherza indifferente con i cadaveri calcinati e li culla dolcemente. Sbarca la quarta ondata di marines. I proiettili traccianti salgono verso il cielo. Anche questi uomini muoiono in pochi minuti. Subito dopo il levar del sole una armada di zatteroni d'assalto si avventa sulla costa. Sono soldati di mestiere, le compagnie di marines più preparati, che dovevano prendere saldamente il terreno dopo che gli altri avevano aperto delle brecce. Tutto il lavoro è ancora da fare. Il loro obiettivo numero uno: occupare la strada 18. I loro carri restano sulla
6 riva trasformati in torce. Tenaci, i fucilieri avanzano. Sono i veterani del Pacifico. Uccidono tutto quel che trovano sul loro passaggio e tirano persino sui cadaveri. Sulle loro carabine d'assalto sono fissate delle corte baionette. Molti portano, sospesa al cinturone, una sciabola da samurai. « I marines americani », brontola Heide, « impareranno a conoscerli, i nostri granatieri. Da centocinquant'anni quelli là non hanno mai perso una battaglia. Ognuno di loro vale una compagnia. Il comandante Mike sarà contento di rivedere i suoi vecchi compagni del Far West. » E il nostro primo incontro con i marines. Sono vestiti ognuno a modo suo. Un soldato corre sulla sabbia, con un ombrello rosso vivo aperto, fissato al suo sacco. Dietro di lui viene un gran sergente che porta sopra l'elmetto un cappello cinese. Alla testa di una compagnia corre un piccolo ufficiale con una paglietta alla Maurice Chevalier. Una rosa dondola allegramente all'estremità del nastro azzurro cielo. Si gettano avanti senza preoccuparsi per niente del tiro mortale dei nostri granatieri. Un fante tedesco tenta di scappare. La sciabola di un samurai gli separa netta la testa dal corpo. Un soldato americano grida qualcosa ai suoi camerati, brandisce la sciabola sinistra sopra la testa e bacia la lama insanguinata. Un grappolo di bombardieri Heinkel si precipita su di loro. L'intera spiaggia si solleva verso il cielo chiaro. Sulla sabbia annerita dal fumo il soldato armato da samurai si torce in una pozza di sangue. Il tenente Frick, il nostro comandante, ci si avvicina strisciando. « Spostatevi alla spicciolata. Si ripiega fino al punto Y. » I marines hanno preso le nostre posizioni. Nuovi barconi arrivano sulla spiaggia. Dei carri anfibi prendono terra con fracasso. Nel cielo estivo caccia e bombardieri si combattono
7 in una lotta senza quartiere. Un settore di granatieri si arrende. Viene falciato selvaggiamente. Qualche fuciliere rapina i cadaveri, intasca distintivi e decorazioni. Porta scherza: « C'è della gente che ha bisogno dei segni esteriori della virilità! » « Bene, adesso sappiamo come fanno. Bisognava vedere per crederlo », constata il piccolo legionario. Ci siamo ritirati a qualche chilometro a sud di Avellino. I capi tedeschi pensavano che avrebbero avuto ragione delle forze d'invasione fin dal loro sbarco. Ci si immaginava una specie di battaglia di Canne 1, ma non si erano fatti i conti con l'enorme superiorità materiale degli Alleati. Il maresciallo Alexander e il generale Clark speravano in una testa di ponte... Si offriva loro un vero fronte. Le nostre posizioni cadevano una dopo l'altra, ma tuttavia non eravamo ancora impegnati. Avevamo pochi morti e feriti nel reggimento. Abbiamo ripiegato a nord di Capua. Abbiamo trovato il tempo, durante la marcia, di vuotare una cantina a Benevento e, a Caserta, di dare una mano per sotterrare centinaia di cadaveri. Il reggimento scavò delle trincee con le zappe, là dove l'Appia si separa dalla Casilina. Il nostro mezzo corazzato era sotterrato a metà. Sul motore avevamo un barile di vino. Un cantiniere italiano ci aveva aiutato a collocare la cannella. Alla torretta pendeva una porchetta arrostita allo spiedo. Sdraiati bocconi, si facevano correre i dadi sul tappeto verde di Ida la Pallidina. « Se si ammazzasse il papa e si mettesse fuoco a questa merda del Vaticano? Che cosa ne direste? » chiese Barcellona nel bel mezzo di una raffica. « Noi obbediamo agli ordini », rispose Porta, laconico. « 1
Dove Annibale vinse i romani.
8 Ma perché vuoi che si ammazzi Sua Santità? Ci vorrebbe un motivo. » « Ma è appunto questo! » esclamò Barcellona, fiero di sapere un segreto. « L'altro giorno, quando ero a rapporto per il Guercio, ho letto dall'ufficiale della sicurezza, al corpo d'armata, una nota del reparto politico. In Prinz Albrecht Strasse in questo momento si lavora forte perché il papa prenda posizione apertamente in difesa dei giudei. Abbiamo i nostri piccoli provocatori, al Vaticano. Appena il sant'uomo cadrà nella trappola, si darà fuoco alla sua baracca, a Roma. Tutti i pretoni dovranno passarci. Posso persino dirvi che alla parola d'ordine "Rabat", un reggimento corazzato di disciplina sarà mandato con uomini del genio e il fior fiore delle SS e saranno appoggiati da unità speciali di rinforzo. La ripulitura sarà fatta dalla formazione delle SS Dirlewanger! E già pronta a prendere l'aereo da qualche parte a est della Polonia. L'azione verrà attribuita ai comunisti. I cattolici delle unità che avranno preso parte all'attacco saranno liquidati. » Barcellona alzò un sopracciglio. « Conoscete degli altri reggimenti di disciplina, oltre il nostro, nel Sud? Un buon consiglio a tutti quelli che sono iscritti come cattolici: dichiarare che hanno perduto la fede religiosa e sono diventati dei liberi pensatori. » « Ma non possono ammazzare il papa! » esclamò Heide stupefatto. « Possono fare ben altro », affermò Rudolph Kleber, il trombettiere, già delle SS. « Sei mesi fa un mio amico che è alla sezione della ricerca biblica mi ha raccontato che hanno una gran voglia di liquidare in blocco tutti i preti. Stanno mettendo un mucchio di trappole per farvi cadere il Santo Padre. Per Prinz Albrecht Strasse il papa è il nemico peggiore di Adolfo... » « Di tutto questo ce ne freghiamo », tagliò corto Barcellona. « Andreste a prendere il papa, se ve lo ordinano? »
9 Noi eravamo esitanti. Barcellona era un gran rompiscatole con la sua mania di fare delle domande idiote. Fratellino, due metri di altezza, l'analfabeta di Amburgo, il più cinico uccisore di tutti i tempi, alzò l'indice come uno scolaro. « Ascoltate un po', invece di fantasticare! Chi è cattolico qui? Nessuno. Chi crede in Dio? Nessuno. » «Piano, piano, mio caro!» lo prevenne il piccolo legionario, alzando la mano. Ma è impossibile fermare Fratellino, una volta che ha preso il via. « Lo so bene che tu sei per Allah, e io dico come Gesù, figlio di Saul », Fratellino confondeva sempre le sue rare nozioni di storia sacra, « dammi quel che mi appartiene, e passa qualche cosetta all'imperatore. Vorrei proprio sapere se questo Pio non so quanto a Roma, di cui in questi giorni avete la bocca piena, è semplicemente il capo di tutti i curati, una specie di generale della Chiesa, o se è davvero il rappresentante sulla terra del gran signore dei cieli, come diceva lei, la ragazzina che m'incollava della pomata all'occhio malato l'altro giorno. » Porta alzò le spalle. Heide distolse gli occhi, giocando con i dadi. Barcellona, perduto nei suoi pensieri, accese una sigaretta. Io cambiavo l'innesco di un razzo. Il Vecchio Unno fece scivolare le dita lungo il cannone. « Suppongo che sia davvero il rappresentante del cielo », mormorò soprappensiero. Fratellino tamburellava con le dita sui denti. « A quanto sembra nessuno ne è proprio certo. Siete su un terreno poco sicuro. Io, caporalmaggiore Wolfgang Ewald Creutzfeldt, sono un duro. Un morto di più o di meno, me ne infischio! Non mi importa su chi sparo! Fantaccino o generale, puttana o regina. Ma queste storie di padreterni, non mi piace metterci le mani. Se il principale del Vaticano ha un
10 filo diretto con Dio, ammettendo naturalmente che Dio esista, non c'è bisogno di molto cervello per indovinare in che bel modo ci troveremmo incastrati se mai facessimo fuori tutta la sua compagnia. La vecchia scusa "esecuzione di un ordine" non avrà molto peso davanti a Pietro-delle-granchiavi, quando faremo ticchettare le nostre ossa davanti alla porta del paradiso. Davvero, non voglio andarci alla leggera con la mia eterna vita. » « Dio esiste », affermò il piccolo legionario. « Se toccate un musulmano, toccate Dio. Il papa è grande, più grande di chiunque altro. Ma aspettiamo di ricevere gli ordini, prima di romperci la testa per sapere che cosa faremo. Ci sarà sempre una soluzione. Potremo se occorre voltare i nostri cannoni e dipingere un paio di chiavi sulla torretta. » «Sentilo! » lo canzonò Porta. « Manderanno contro di noi qualche compagnia di SS e in un momento, addio la nostra pelle ! » « L'idea del piccolo legionario non è così cattiva », riprese il Vecchio Unno, pensieroso. « Al Vaticano hanno la loro radio trasmittente. Immaginate che si venga a sapere che un reggimento corazzato tedesco difende il Vaticano da un attacco tedesco. La cosa farebbe rumore nel mondo, e non l'apprezzerebbero molto, là a Berlino. » « Hai proprio perso un po' la testa », constatò Heide, sarcastico. «Ti hanno detto che ci sono degli agenti provocatori al Vaticano. Credi che andranno a nascondersi in cantina quando si incomincerà a sparare. Oplà, saranno alla stazione radio e annunceranno alla terra intera che il Santo Padre ha chiesto la protezione dei tedeschi. E dopo una visitina in Prinz Albrecht Strasse, il papa ballerà secondo la musica della SS Heini. Anche per un papa, l'acido nei polmoni non è un biscottino. Noi, se si riceve un ordine lo si eseguisce, perché siamo dei soldati. Ci infileremo una cartuccia nel buco del culo per andare nella luna, se ce ne danno l'ordine. Si potrà
11 anche chiudersi nei cessi, farsela addosso come dei merdosi e discutere del viaggio, ma lo faremo! » « Dite delle fesserie », intervenne Porta. « Per il momento noi siamo qui a aspettare una banda di yankee feroci. Metto quarantacinque sigarette all'oppio, cinquanta marijuana e trenta grifa 1 per chi fa tre volte sei, perché sono in uno dei miei giorni di bontà. Voi ne mettete il doppio per aver diritto a sei colpi di dadi. » Per questi sei colpi ai dadi abbiamo dimenticato il papa. Sei dadi d'oro massiccio incrostati di brillanti, che Porta aveva « preso a prestito » in una bisca francese. Quella sera aveva la sua pistola mitragliatrice e la faccia nascosta sotto una calza da donna. La polizia militare ha lavorato un anno intero per ritrovare il colpevole, che era più vicino di quanto non credesse. Ricorrevamo a ogni genere di trovate per mettere la fortuna dalla nostra parte. Barcellona fece quattro volte il giro del cannone, sospeso per le braccia e con i dadi in bocca, ma non ottenne che cinque sei e un cinque e dovette uscire al primo giro. Fratellino non solo perse tutto il suo Schnuff, ma anche la Nagan 2. Un gruppo di fanteria sorpassò in tromba la nostra posizione. « Che fretta hanno », fece notare Porta. « Parola mia, devono aver visto un fantasma! » Un nuovo gruppo correva come avesse il diavolo alle calcagna. « Forse hanno firmato la pace e se ne tornano a casa », disse Fratellino sognante, con calma. Il Vecchio Unno salì sul carro, regolò il binocolo e scrutò a 1 2
Sigarette a base di stupefacenti. Pistola russa.
12 sud. « Ho l'impressione che tutto quel macello sia in decomposizione. Dopo Kiev, non ho mai visto uno scompiglio simile. » « Puliamogli il naso con un paio di granate », propose Heide feroce. « Disertano, quei porci... » « Tagliamo la corda, piuttosto », gridò giovialmente Porta, « e seguiamo la compagnia in testa, direzione Berlino. L'esperienza mi ha insegnato a nuotare secondo la corrente, mai contro. » Il Guercio, con il tenente Frick alle calcagna, arrivò di volo: « Beier! » gridò tutto eccitato al Vecchio Unno. « Presente, Guercio », rispose il Vecchio Unno, perché il generale Mercedes voleva che lo si chiamasse così durante la battaglia. « Tu tieni la posizione. Porta, dammi un sorso di grappa. » Porta gli tese l'enorme borraccia presa in Francia. Una borraccia che aveva fatto la guerra del 1870. Il grosso generale bevve e si asciugò la bocca con il dorso della mano. « E slivowitz », mormorò, da conoscitore. « Non meravigliatevi se tutto a un tratto vi trovate davanti dei giapponesi. Il Centesimo battaglione è costituito da giapponesi naturalizzati americani. Non lasciateli avvicinare. Sparategli stando al sicuro. Hanno delle sciabole da samurai e si battono fanaticamente come i loro compatrioti nel Pacifico. Ci sono anche dei marocchini. Bruciategli le cervella. Vedrete anche dei gurka e loro vi taglieranno le orecchie soltanto per il piacere di vantarsene sulla piazza del paese. Mettetevi bene in testa che qui si fa una sporca guerra. Per il momento voi siete il solo punto di resistenza dell'armata del Sud. Tutti gli altri se la squagliano. » « Guercio », gracchiò Fratellino, con un tono che si fingeva inquieto e alzando, come il solito, il mignolo, « è vero che
13 quei diavoli neri tagliano le orecchie? » Il generale Mercedes fece di sì con la testa. «Tanto meglio!» proclamò Fratellino. «D'ora in poi consiglio seriamente a tutti quelli del settore postale in faccia di tenersi ben avviluppate le orecchie! Anch'io faccio collezione di foglie di cavolo. » « Per me, preferisco i denti d'oro », dichiarò Porta. « I boccaporti, quelli non hanno un valore commerciale. » « Tra poco vedrete comparire la masnada al completo », continuò il generale. « E Dio vi aiuti se mai vi venisse in mente di andarvene. » « Conosciamo la lezione, Guercio », borbottò Porta. « Fino all'ultimo uomo e all'ultimo colpo! » Il Guercio fece segno di sì e continuò: « Che brutta sorpresa per loro quando andranno a sbattere sui nostri Panzer. Finora hanno fatto conoscenza soltanto dei nostri P-III e dei nostri P-IV. Questi li hanno fatti ridere. Una divisione di SS sta per arrivare. Vi daranno il cambio... se ne restano. Attenti ai cacciabombardieri. Fanno il vuoto sulle strade. Hanno già paracadutato mezzo milione di uomini. Per due terzi non valgono niente, dei pivellini, dei soldati di mollica di pane. Ma l'altro terzo! Dei veterani del Pacifico e che sanno chi siete, anche se non sanno di che materiale disponete. Dunque state attenti. Non cantate vittoria perché ne vedete diecimila darsela a gambe. Uno solo dei duri vale cinquecento degli altri, e li avrete addosso in un batter d'occhio, quando sapranno dove siete nascosti. Vi taglieranno i coglioni se gliene offrirete la minima occasione. Ancora un goccio, Porta! » « Me ne deve un litro, Guercio », precisò seccamente Porta, tendendo la borraccia per la seconda volta al generale. Poi il grosso generale scomparve dietro un argine di terra: il tenente Frick gli tenne dietro. Porta piegò il tappeto verde di Ida, lisciò il cappello a tubo
14 sotto la manica e s'introdusse nel portello. Io presi il mio posto dietro il periscopio. Fratellino mise al loro posto le granate. Tutta l'installazione elettrica fu controllata. Porta scatenò i cavalli-vapore, facendo avanzare e retrocedere un poco il carro; poi lo mise in folle. Un gruppo di granatieri ci sorpassò in velocità. La maggior parte era senza armi e senza elmetti. Porta dichiarò, canzonando: « Decisamente, gli eroi sono stanchi! E io che ho sempre creduto a quel che diceva Adolfo ». Imitò alla perfezione la voce di Hitler: « Tedeschi, tedeschi, i nostri barbari nemici, i selvaggi delle paludi russe, i banditi americani, i ruffiani sifilitici francesi, i nobili omosessuali inglesi sostengono che il nostro esercito si ritira; ma il soldato tedesco, là dove si trova rimane... » Porta si mise a ridere. « Se non ho della merda sugli occhi, il soldato tedesco sta cercando di battersela. Ah! adesso capisco. Si tratta di quella che Goebbels chiama la "difesa elastica", ma dove diavolo andremo una volta ritornati a Berlino? » « Boh ! » ribatté Fratellino senza preoccuparsi, « continueremo a correre in tondo. » Soffiando come una locomotiva, un maresciallo di fanteria si fermò: « Fate in fretta », gridò. E appoggiandosi, stanco, contro ii davanti del carro: « Non avreste un goccio d'acqua? Hanno fatto a pezzi tutto il mio settore, morti tutti come topi nei loro buchi. Hanno migliaia di carri. Non abbiamo nessuna possibilità di resistere ». Bevve avidamente alla borraccia di Heide. «Andiamo, andiamo!» disse il Vecchio Unno con calma. « Sono sicuro che hai delle visioni. Raccontaci che cosa è successo. » « Raccontare! » rise il maresciallo con amarezza. « Tutt'a un tratto, erano dietro di noi, davanti a noi, sopra di noi, carri armati e cacciabombardieri a mucchi. In dieci minuti la
15 mia divisione è stata schiacciata, gli uomini in poltiglia nelle loro buche, sotto i cingoli. Non fanno prigionieri e ammazzano i feriti. Ho visto un gruppo arrendersi, dei prigionieri della mia divisione. Li hanno ricevuti con i lanciafiamme. Non sono pazzo. Erano dei giapponesi. Il mio comandante di compagnia ha avuto il cranio spaccato da una di quelle sciabole giapponesi. Ho dato una coltellata a quello che aveva fatto il colpo e era proprio così, degli occhi obliqui e alto come tre piccoli stronzi. » « A che divisione appartieni? » chiese il Vecchio Unno sempre con calma. « Sedicesima divisione di Panzer, Quarantaseiesimo granatieri. » « E dove sono adesso quelli del tuo Quarantaseiesimo? » « All'inferno, bruciati dai lanciafiamme e dal napalm. Voi non vi immaginate che cos'hanno nel loro armamentario, questi fottuti americani. E si gettano sui nostri nidi di mitragliatrici come se si tirasse con lo zucchero in polvere. Ci schiacciano, prima che si sia avuto il tempo di voltarsi. Il Secondo Panzer non ha neanche avuto il tempo di far uscire i suoi P-IV dalle posizioni. Ci hanno rovesciato addosso dei mucchi di affari in fiamme. Ne ho il culo pieno. Me la batto. » « L'autobus diretto per Berlino ti aspetta laggiù », rise cinicamente Porta. « Può darsi che trovi un posto sulla piattaforma di dietro, se ti spicci. Ho sentito dire che al volante c'è Adolfo in persona... » « Ti passerà la voglia di scherzare », sibilò il maresciallo rabbioso, « quando vedrai i diavoli gialli e gli yankee. Te la farai addosso, come i tuoi compagni. Fra tre giorni non ci sarà più in Italia un solo soldato tedesco vivo. Ve lo garantisco io. E tutti i Badoglio che ci sparano dai tetti. Persino le buone donne ci tiravano dietro della roba. » « Andiamo, andiamo... » disse il Vecchio Unno, con-
16 ciliante. « Tagliate la corda e scappate ! » consigliò il maresciallo. « Non possiamo », sorrise Porta, desolato. « Non avete benzina? » « Non è questo che ci manca, ma Adolfo ha detto che bisognava resistere. E noi siamo dei ragazzini obbedienti. Facciamo quel che ci dicono. » « Merda allora! » urlò il maresciallo con convinzione, senza precisare se l'insulto fosse indirizzato a Porta o a Hitler. « Se aveste visto i nostri marinai d'acqua dolce che avrebbero dovuto resistere sulle fortificazioni costiere! Sono stati arrostiti al napalm dai primi caccia. I nostri granatieri hanno dondolato i loro fucili per mandarli a fare il solletico sotto i piedi agli angeli. Gli yankee non hanno il tempo di fare dei prigionieri. Li stendono secchi secchi orizzontali. » « Il tuo ribaltabile tiene bene la merda, sì? Quante volte te la sei fatta addosso da quando hai visto il tuo primo ubriacone di coca-cola? » chiese Porta ironico. Il tenente Frick si avvicinava. Ebbe un sorrisetto a fior di labbra nel vedere il maresciallo eccitato. Aveva sentito la frase di Porta. « Quanti carri hai visto, maresciallo, e di che tipo? » chiese con calma. Prese una carta dello stato maggiore e la distese sulla parte anteriore del carro. « Fammi vedere dove hai visto i tuoi camerati l'ultima volta. » Il maresciallo si chinò sulla carta, guardò nervosamente verso sud. Doveva rimpiangere amaramente la sua sosta presso di noi. Adesso era arpionato. « Eravamo in posizione a nord di Bellona. Hanno attraversato il Volturno prima ancora che ce ne rendessimo conto. » « Ma non si può attraversare il fiume a guado ! » protestò Frick.
17 « Signor tenente, forse lei non mi crederà, ma l'hanno attraversato davvero. » Frick accese una sigaretta soprappensiero. « Hai visto i carri attraversare il fiume? » « Sì, signor tenente, e degli autocarri. » « Autocarri comuni? » « Sì, grossi, e so che il fiume è profondo. » • « I partigiani », pensò Frick a alta voce. « Dei ponti subacquei. Che porcheria! » Esaminò il maresciallo. « E quando l'hanno attraversato siete scappati? » « È successo tutto così in fretta, signor tenente. Ammazzano tutti... niente prigionieri! » « Quanti carri avevano? » « Parecchie centinaia, signor tenente. » Porta scoppiò a ridere. « Miseria! Devi confondere i carri con i rospi! » « Tu, aspetta soltanto che vengano a prenderti il tuo tubino da cornuto. Sono stato a Stalingrado, io, ma non ho mai visto una guerra come questa! » Frick gli offrì una sigaretta, sorridendo: « Calmati, mio caro, e rifletti bene. Dove si trovano queste centinaia di carri? » « A Alvignano. » Frick esaminava la carta. « Riuniti nella piazza del paese? » chiese Porta dolcemente. « In piazza San Pietro, certo! Ma forse si ammassavano a strati, gli uni sopra gli altri! Quanti carri armati vedi qui? Mille? Sei sicuro che non vieni da Roma e che non hai sbagliato strada? » « Piantala! » urlò il maresciallo fuor di sé. «Ce n'erano talmente tanti che non si potevano contare. Ne avevo almeno dieci alle calcagna. » Avevamo capito. La fanteria vede sempre doppio quando viene sgominata dai carri. Secondo ogni probabilità il mare-
18 sciallo aveva visto venticinque carri e non uno di più. Con gli occhi sbarrati, spiegò al tenente Frick come i carri erano avanzati a zig-zag fra le case, schiacciando tutto sul loro passaggio. Che fosse passato attraverso un inferno, di questo non c'era dubbio. Non è un divertimento trovarsi presi in un attacco di fronte di carri d'assalto! « Vieni, Beier! Andremo a vedere che cosa succede. E tu, maresciallo, tu ci insegnerai la strada », ordinò il tenente. L'altro tentò inutilmente di liberarsi. « Ma, signor tenente, gli americani sono in paese! » « Andremo a vedere », fu la sola risposta del tenente Frick. « Signor tenente, ci sono anche dei giapponesi con dei samurai! » Il tenente rise a bassa voce. Con un gesto tolse della polvere immaginaria dalla croce di ferro che gli pendeva dal collo. Era l'ufficiale più maniaco di tutta la divisione. La sua uniforme nera era sempre impeccabile. I suoi stivali alti brillavano come specchi. La manica sinistra era vuota. Aveva lasciato il braccio a Kiev, stritolato sotto il boccaporto di una torretta quando il suo carro fu colpito da una granata da 100. Si voltò verso di noi: « Due volontari con me! » Il piccolo legionario e io ci siamo fatti avanti. Bisognava pure! Toccava a noi: ci offrivamo volontari a turno. Feci volteggiare sulla mia spalla il fucile mitragliatore. Camminavamo nel fossato, il tenente Frick in testa.
19 Eravamo a Milano per cercare del nuovo materiale. Noi perquisivamo i caffè mentre altri si facevano il lavoro. Abbiamo fatto gli spavaldi al Biffi e al Grande Italia; abbiamo litigato con ufficiali di diverse nazionalità. Non ci volevano bene. C'era puzzo di giudeo e vi si parlava volgarmente, a voce alta. Ma siamo diventati amici di Radi, il cameriere del caffè. Ci aveva composto la nostra lista delle vivande. Era al Biffi, di fianco alla Scala. Sotto la Galleria, davanti ai caffè, abbiamo bevuto freisa dal buon aroma di fragola. Io mi sono innamorato. Sono cose che succedono quando si beve del freisa ai tavolini della Galleria. Lei aveva vent'anni. Io non ne avevo di più. Suo padre ci ha buttato fuori quando ci ha sorpresi nel suo letto coniugale. Ma alla vista della mia uniforme si è raddolcito, per paura, non per amore dell'uniforme tedesca. Era così in quasi tuttq l'Europa, a quei tempi. In ogni caso, nessuno parlava male di noi quando era possibile che sentissimo. Avevo deciso di disertare. Disgraziatamente, mi sono ubriacato, con del freisa, appunto. Mi sono confidato a Porta. Da allora non ho più avuto il diritto di uscire da solo. Disertare! Era una cosa che non si faceva, semplicemente. Abbiamo giocato un incontro di calcio contro una squadra di soldati di fanteria italiani. La partita è finita alla pari! I giocatori e il pubblico si sono picchiati. Quando ci facevano uscire dal Biffi, facevamo l'amore dietro le colonne dei portici, poi ci ubriacavamo con i ragazzi della difesa antiaerea sui tetti. Si diceva che ci fosse del torbido a Milano. Non ce ne siamo mai accorti. Forse perché bevevamo chianti e freisa con i partigiani? Quando il Biffi chiudeva, andavamo volentieri in casa di Radi, con i suoi colleghi. Aveva la sua cuccia in una cantina dai muri coperti di muffa. Le molle uscivano dalle poltrone marce. Radi si toglieva le scarpe di vernice e inaffiava i piedi piatti
20 con l'acqua minerale. Gli faceva bene, diceva.
21
I PANZER ATTACCANO A sud-ovest le cose peggioravano. Si sentivano gli scoppi secchi e feroci dei cannoni dei carri armati, mescolati al crepitio incessante delle mitragliatrici, Dietro gli alberi fiammeggiavano i lampi. Il tenente Frick portava il fucile mitragliatore con la cinghia accorciata, per non sporcarsi l'uniforme. Si poteva sentire il rimbombo sinistro dei cingoli. Un carro anfibio arrivava a zig-zag sul viale. Frenò così bruscamente che slittò per parecchi metri prima di fermarsi del tutto. Ne balzò fuori un colonnello, con le bande rosse da ufficiale dello stato maggiore. Era completamente coperto di fango. Sulla bustina portava l'edelweiss dei cacciatori alpini. « Che cosa diavolo fate qui? » urlò furibondo. « Siete del 16°? » « Pattuglia da ricognizione, signor colonnello », rispose il tenente Frick. « Seconda sezione, Quinta compagnia, battaglione speciale di Panzer. » « I Pantera », esclamò soddisfatto il colonnello. « Finalmente! Dove sono i vostri monopattini? » « Nel bosco, signor colonnello. » « Perfetto, tenente. Fateli avanzare in pieno fuoco contro i gangster. Avanti, spicciatevi, signori. Bisogna togliere dai guai la divisione. » Il tenente Frick batté i tacchi. « Spiacente, signor colonnello, ma non è così semplice. Io devo prima di tutto vedere che cosa succede, poi riferire sulla situazione al mio comandante di compagnia. Un carro da combattimento, signor colonnello, non può attaccare alla cieca. Chiedo scusa, signor colonnello, non sto cercando di farle la lezione. » « Lo spero bene, mio caro, altrimenti sentirebbe le sue. »
22 La voce del colonnello era squillante. Era una voce fatta per impartire ordini. Persino un generale gli avrebbe obbedito. Dal suo largo cinturone pendeva una pesante pistola d'ordinanza. Non c'era dubbio che l'avrebbe sfoderata al minimo rifiuto di obbedire e che avrebbe fatto fuoco con piacere sul recalcitrante. Aveva tutto del bruto. Il tenente Frick esaminò la carta. « C'è un ponte, signor colonnello, ma sopporterà i nostri Pantera che pesano quarantacinque tonnellate? » « Facilmente », tagliò corto il colonnello, sicuro di sé. « I miei carri d'assalto l'hanno passato parecchie volte. » « Permetta che le faccia osservare, signor colonnello, che vi è una grande differenza fra carri d'assalto e Pantera. I nostri carri pesano quasi due volte più dei vostri e i nostri cingoli sono tre volte più larghi. » Il tono del colonnello si fece dolciastro. « Le dirò una bella cosa, tenente dei miei stivali. Se non va a cercare i suoi carri in un tempo da record per ripulire questo paese dai gangster americani, vedrà di che stoffa sono fatto io. Sono un buon tiratore. Vuole far uscire i suoi carri, sì o no? » « Spiacente, signor colonnello, il mio comandante di battaglione mi ha dato l'ordine di fare una ricognizione. Io devo eseguire gli ordini del mio comandante, non i suoi. » « È impazzito? » urlò il colonnello con una voce rauca da fumatore. « Il suo libretto personale! » « Impossibile presentarglielo, signor colonnello. Niente prova che lei sia dei nostri. Mi chiamo Frick, tenente capo sezione alla Quinta compagnia del reggimento speciale di Panzer... E il nostro reggimento, signor colonnello, dipende direttamente dal comando supremo del Sud. » « Per il momento, lei si trova sotto il mio comando! Sono il capo di stato maggiore divisionale di questa regione. Io le ordino di andare immediatamente a cercare la sua sporca
23 compagnia. Il suo rifiuto puzza di vigliaccheria. » « Signor colonnello, è impossibile eseguire il suo ordine. » « Arrestate quest'uomo! » abbaiò il colonnello pazzo di rabbia. Poiché nessuno si mosse, egli si rivolse ài piccolo legionario. « Non ha sentito? No! Arresti quest'uomo! » Il piccolo legionario batté i tacchi con un movimento stanco e rispose in francese: « Non ho capito, signor colonnello. » Il viso rosso e brutale dell'ufficiale prese una espressione bovina. « Sacramento! » E rivolgendosi a me: « Si impadronisca del tenente! » Quando gli parlai in danese, mentre lo guardavo con aria idiota, il suo stupore fu completo. Uscì dai gangheri, diede un gran calcio a una pietra e si rivolse di nuovo a Frick. Non urlava più, ma farfugliava con voce sibilante. «Tenente, ordini ai suoi banditi di arrestarla! Per tutti i fulmini di un casino, faccia qualche cosa! Altrimenti vedrà. » Bestemmiava, furibondo, minacciava. A un tratto il tenente Frick ne ebbe abbastanza. Rimettendosi il fucile mitragliatore sotto il braccio, comandò: « Gruppo da ricognizione, in colonna per uno, dietro di me! » Con un movimento brusco il colonnello brandì la pistola. Urlò: « Fermatevi o sparo ! » Il suo grido avrebbe potuto fermare una divisione in fuga. Ci siamo fermati per un secondo. Poi abbiamo continuato senza voltarci. Il colonnello vuotava il suo caricatore. « E’ tocco », commentò il piccolo legionario, mentre le pallottole ci fischiavano alle orecchie.
24 Dietro di noi il colonnello sbraitava come un selvaggio. Nuova serie di proiettili. Gettai un'occhiata sopra la spalla. L'ufficiale era diventato completamente pazzo. Dava calci contro le ruote del carro anfibio, poi vi saltò dentro, cercò di metterlo in moto, ma senza successo. Ne uscì di nuovo con un mitra in mano. « Attenzione », ho gridato gettandomi nel fossato. Nello stesso istante il tenente Frick e il piccolo legionario erano ai miei fianchi. Soltanto il maresciallo estraneo alla nostra compagnia non ebbe il tempo di proteggersi. Ricevette tutta la scarica sulla schiena. Il sangue gli colava a fiotti dalla bocca, cadde e il suo elmetto rotolò sulla strada. « Non ho mai visto un animale simile », bestemmiò il piccolo legionario. « Ammazzalo, Sven. » Imbracciai il mitra. « No », mormorò il tenente Frick. « E un assassinio. » « Chiuda gli occhi, tenente », suggerì il piccolo legionario, « o dia l'estrema consolazione al nostro camerata che sta morendo. » Appoggiai il calcio alla spalla, regolai l'alzo, introdussi il caricatore. Il colonnello aveva ricaricato il mitra. Una raffica di proiettili venne a cadere attorno a noi. La figura gigantesca si trovava proprio sotto la mia mira. « Punto di mira perfetto », dissi ridendo al piccolo legionario. Ho tirato troppo corto, i proiettili sono caduti sulla strada a qualche metro dall'ufficiale. Ha lanciato un urlo ed è balzato dietro il carro per mettersi al riparo. « Ammutinamento », sbraitò. Un fischio acuto ci lacerò i timpani. Un'ombra passo sopra di noi. Ci siamo gettati nel fossato. Un aereo scendeva dritto in picchiata. I cannoni crepitaro-
25 no. Due razzi caddero in pieno sul carro del colonnello; egli ne fu proiettato fuori in forma di torcia, a più di cento metri, in un boschetto di alberi in fiamme. Del colonnello ben presto non restò più che una mummia calcinata. Il tenente Frick si rialzò. « Dietro di me », comandò. Ho rotto in due la piastrina del maresciallo morto e ne ho portato via la metà. Arrivammo al paese, in tempo per vedere i nostri fanti e i nostri artiglieri che correvano in disordine, inseguiti dagli americani vittoriosi. Un capitano dei granatieri corazzati ci cadde letteralmente fra le braccia. « Finito », singhiozzava. « Il reggimento è massacrato. Hanno preso tutti i nostri carri. All'ultimo momento sono riuscito a saltare dalla finestra dell'ufficio dove mi trovavo con il mio aiutante. Le bombe ci ronzavano alle orecchie. Io sono l'unico che si è salvato. Tutto il personale è stato ucciso sul colpo. » « Non avevate provveduto a una copertura? » chiese meravigliato il tenente Frick. L'ufficiale si tolse il berretto. « Ci eravamo creduti al sicuro. Ieri sera erano a centocinquanta chilometri. Due dei loro reggimenti erano stati respinti. Avevamo fatto prigionieri degli americani del 142° fanteria di marina e non valevano molto. Eravamo pronti a festeggiare la vittoria. Avevo collocato soltanto il numero regolamentare di sentinelle. I nostri cannoni di protezione si trovavano dietro le case con le loro imboccature coperte. Le granate erano ammassate sugli autocarri. » « E le sentinelle? » insistette il tenente Frick. « Avrebbero dovuto vederli? » « Gli americani le hanno strangolate con delle corde. I nostri ragazzi non hanno avuto il tempo di dare l'allarme. Sono
26 corso verso qualcuno credendo che fosse uno dei miei uomini: i cappotti verdi degli americani assomigliano ai nostri. Portava una mantellina tedesca sulle spalle e in testa uno dei nostri elmetti. Se avesse soltanto aspettato due secondi di più prima di tirare, mi avrebbe preso. » « Lei non ha fatto la Russia », constatò il tenente Frick. Il capitano crollò, sfinito, in mezzo a noi. Era un vecchio, dai capelli bianchi, che fino a quel momento aveva creduto nell'invincibilità delle truppe tedesche. Era un uomo istruito, un professore all'università di Friburgo in Brisgovia. Uno di quegli eruditi, che considerano tutti quelli di meno di trent'anni come tanti bambini. Dei soldati americani di vent'anni gli avevano dimostrato che aveva torto. In meno di mezz'ora aveva visto quattromila uomini scomparire in fumo. E ora era seduto dietro un muro, a rispondere alle domande di altri giovani di vent'anni. Un ragazzino in uniforme nera dei Panzer, con una medaglia al collo, gli dava dei consigli. « Non bisogna mai credersi al sicuro », sorrideva il tenente Frick. « Quando vado a dormire la sera, spesso mi tengo il fucile mitragliatore sotto il braccio. Quello che lei ha vissuto ora, noi l'abbiamo visto spesso in Russia. La guerra è così. » L'ufficiale dei granatieri contemplò la sua croce di ferro della prima guerra mondiale. «Nel '14-'18, era un'altra cosa. Io ero ulano, al comando del conte Hòtzendorf 1. Sono stato richiamato soltanto da tre mesi. E una sporca guerra questa! » Il tenente Frick assentì. « E credo che la perderemo », mormorò il capitano. Frick, invece di rispondere, osservò lo spettacolo che gli si spiegava davanti agli occhi. Lasciò ricadere il binocolo. « Capitano, che cosa è successo? Sia breve, la prego, il tempo stringe. » 1
Comandante supremo dell'esercito austro ungarico nel '14-'18.
27 Il piccolo legionario accese una sigaretta che mise fra le labbra del tenente Frick. Il capitano aprì la bocca. Mai aveva visto dei soldati simili. Un sottufficiale, spaventosamente sfregiato, che metteva la propria sigaretta bavosa nella bocca del suo ufficiale! Che cosa stava succedendo all'esercito tedesco? Mentre fuggiva dal villaggio, raggomitolato un momento in un cespuglio, aveva sentito anche un soldato semplice americano chiamare il suo comandante di battaglione con il nome di battesimo e lo aveva visto dividere con lui il contenuto della sua borraccia. Ai bei tempi dell'imperatore, le cose non andavano così. Le classi inferiori stavano al loro posto. Altrimenti non mancavano i mezzi per insegnar loro a rispettare le distanze. « Capitano, che cosa è successo? » « Tutto a un tratto, sono comparsi. » Frick si mise a ridere. « Abbiamo capito. » Il capitano gli gettò un'occhiata di disapprovazione. Spiegò, disegnando sulla sabbia con un bastone: « Penso che siano entrati di qui ». Il tenente Frick scosse la testa. « È certo. Anch'io sarei entrato di lì. Poi si sono interessati ai vostri carri d'assalto, sempre secondo il programma, signor professore. » « Senza dubbio. » Si nascose il viso nelle mani guantate. « Non capisco come ho fatto a salvarmi. Il mio aiutante era sdraiato su un tavolo, con la schiena squarciata. Era un giovane universitario ricco di promesse. Kant non aveva segreti per lui. » Il riso del tenente Frick diventò sarcastico. « Sarebbe stato meglio che si intendesse di cannoni e di manovre di copertura sui fianchi. Oggi è di soldati che abbiamo bisogno, non di filosofi. »
28 Il capitano alzò gli occhi. « Verrà un tempo, giovanotto... » « Non ne dubito! Ma lei non lo vedrà certo più del suo aiutante. » « Ha intenzione di denunciarmi per negligenza nel servizio? » chiese nervosamente il capitano. « Non ci penso neanche », rispose Frick con indifferenza. « Se sapesse che me ne frega di lei e del suo aiutante, il filosofo! Può proporsi per la croce di ferro di prima classe, se riesce a tornare a casa! La sola cosa che mi interessa per il momento, è come fermare l'offensiva in faccia a noi, e qui lei può aiutarmi. Sono tenente di una compagnia di carri armati e il mio mestiere è di seminare la confusione fra gli americani e di impedire l'avanzata delle loro granate. Il resto mi è indifferente. Quando ci avrà raccontato quel che sa, potrà anche gettar via i panni di Adolfo e tagliare la corda, se le fa piacere. Questo non ci riguarda. Quanti carri ci sono laggiù, secondo lei? » « Almeno un'unità. » « Uhm! » Il tenente Frick torse il naso. « Inverosimile ma mi fido di lei. Si rende conto del posto che tiene un'unità di carri armati? Da ottanta a cento mezzi, più tutto l'armamentario. Un imbottigliamento che farebbe rizzare i capelli sulla testa al vigile parigino più esperto. » « Ce n'erano molti », disse con un singhiozzo il capitano. « Hanno distrutto venti carri d'assalto con una sola salva. » « Questo non vuol dire niente », tagliò corto Frick. « E questione di abilità. A noi è accaduto più di una volta. » « Una squadra lo può fare », intervenne il piccolo legionario con orgoglio. « Basta che ci sia un buon tiratore nella torretta e un conducente che abbia del fegato. » « Era un macello », si difese il capitano. « Ho visto il mio attendente farsi schiacciare sotto uno Sherman. Era uno stu-
29 dente di diritto, di una buona famiglia di Vienna. Nel mio reparto avevo molti ragazzi veramente promettenti: la gioventù studiosa... tutti morti. Formavamo una specie di facoltà. Il nostro comandante era professore di università anche lui. Noi conservavamo lo spirito universitario... » « Non spetta a me giudicare », osservò seccamente il tenente Frick. « Ma a mio parere, sarebbe stato più opportuno avere lo spirito militare. Avreste potuto salvare la metà del vostro reparto. » Tolse una volta ancora della polvere immaginaria dalla sua scintillante croce di ferro. « Non è filosofando che si respinge il nemico. » « Lei è un militare, tenente, la sua decorazione testimonia il suo coraggio. Tuttavia, lei è molto giovane. » « Sì, sono un soldato, da quando mi hanno messo fuori dalla scuola. Ai suoi occhi io non sono altro che un ragazzino, ma questo ragazzino adesso toglierà le castagne dal fuoco per lei e i suoi simili. Dietro di me, là, c'è un soldato di trent'anni. Ha imparato il suo mestiere, e bene, dai francesi, sotto la bandiera della Legione straniera. E il ragazzo con il mitra è uno di quelli che lei disprezza; è stato raccolto nel fango. Né lui né il piccolo legionario hanno sentito parlare di Kant e di Schopenhauer, ma conoscono la dura legge di Marte. Voi, gli universitari e gli aristocratici, voi dimenticate questi soldati, nati nei giorni felici della pace. Voi fate delle tirate erudite sui legionari di Cesare, e che cosa ne sapete di loro? Sproloqui senza senso! Voi non immaginate neppure che cosa fossero quegli uomini che si battevano per la gloria di Roma. Voi ridevate della guardia russa. Voi avete sorriso dei racconti di soldati di Rudyard Kipling. Se nominate il soldato coraggioso della Legione, che si fa arrostire volontariamente nel deserto, è per dargli la qualifica di criminale in fuga. Ma, signor proiessore, un criminale non diventa mai un buon soldato. Vi sono mille motivi che spingono un ragazzo a arruolarsi: la fame, la miseria, il patriottismo, le convinzioni politi-
30 che o il gusto dell'avventura. Un criminale che si nasconde nell'esercito, diserta al primo attacco. Noi militari, ci facciamo ammazzare senza protestare. E che cosa fate voi e i vostri colleghi dell'università? Ci imbottite la testa di una filosofia che è inutile nella lotta per la vita. Lei forse credeva che noi uccidessimo quelli di là per piacere? No, ma noi abbiamo imparato a eseguire un ordine, qualunque sia. » Il capitano fissò il giovane tenente. Un lieve sorriso gli apparve all'angolo della bocca: « Lei ucciderebbe sua madre se il suo comandante gliene desse l'ordine? » « Senza dubbio... Come passerei sul suo corpo se si mettesse davanti al mio carro. » «Povero mondo!» mormorò l'universitario in uniforme da ufficiale, che immaginava che si potesse fare la guerra discutendo di Kant. « Lei, tenente, non è che un bambino diventato adulto troppo presto. » Si alzò, gettò la pistola e il berretto nel fossato e se ne andò diritto davanti a sé, solitario. Il piccolo legionario lo seguì con gli occhi e accese un'altra sigaretta a quella che aveva ancora in bocca. « Con quel dolce idiota ingenuo scompare una generazione. » Il tenente Frick sistemò la sua decorazione, ricevuta per aver distrutto un'unità di carri d'assalto russi. « Creda quel che vuole. Che crepi con le sue illusioni. Al ritorno noi faremo un bel rapporto, dicendo che lo abbiamo trovato, solo sopravvissuto al suo reparto, dietro un cannone. È troppo duro per i padri scoprire che i figli valgono più di loro. La pace sia con lui! » « Allah sa quel che fa! » disse il piccolo legionario. Siamo ritornati per il sentiero, in basso, passando per il letto asciutto di un torrente. Il comandante Michael Braun, detto Mike, il nostro nuovo capo, che prima della guerra aveva prestato servizio nella
31 fanteria di marina americana, ascoltò in silenzio il nostro rapporto. Si rivolse ridendo a Barcellona, il radiofonista, e con la sua grossa voce da bevitore di birra, ordinò: « Chiama il reggimento, chiedi la parola d'ordine per lo scatenamento del macello generale ». Sputò un pezzo di cicca su una lucertola, che presa in piena coda corse subito a nascondersi dietro un sasso. Barcellona chiamò per radio: « Qui Rinoceronte, Rinoceronte chiama Scrofa. Chiudo ». « Qui Scrofa. Parla, Rinoceronte, ti sento. Chiudo. » Toccava a Barcellona. Avevamo tutti abbassato la testa per ascoltare meglio la conversazione. Del giavanese, per i non iniziati. « Qui Rinoceronte che trasmette a Scrofa. Punto 12 AZ l'acqua 4/1. Una figliata di cuccioli annegati. Quattro mamme. Indeciso se di più. Cinghiali diffusi. Chiediamo parola d'ordine. Mike. Chiudo. A voi. » « Qui Scrofa, avanti decisi, Rinoceronte. Mike responsabile parola e azione. Niente cinghiali supplementari. Buon vento! Chiudo. » « Che novità! » sogghignò Mike. « Il comandante d'unità è responsabile! Da cento anni che sono nel mestiere, non ho ancora mai sentito che il capo sia responsabile! » Sedette nella parte davanti del 523, il nostro carro. « Da questa parte i capicarro. » Infilò fra le labbra uno dei suoi sigari giganteschi. I capicarro arrivavano senza affrettarsi. I loro fazzoletti di seta brillavano di tutti i colori dell'arcobaleno. Ogni equipaggio aveva il suo. Mike dondolava i suoi grossi piedi. Portava il quarantotto e aveva i piedi piatti come quelli di un'anatra. Ci sorvolò con lo sguardo. « Culo a terra e aprite le orecchie. Non c'è tempo di ripetere. E se c'è in mezzo a voi un figlio di buona donna che non
32 capisce al primo colpo, gli prometto che la pagherà. I miei vecchi amici, gli yankee, hanno arrostito qualcuno dei nostri reggimenti. Stanno mettendogli il marchio al culo con le loro baionette. Credono già di poter indossare il sejrsskorte 1. Hanno incominciato a scrivere delle cartoline postali raccontando le loro vittorie. Gli ha dato alla testa, questo successo rapido. Gli faremo perdere la loro bella sicurezza. » Balzò a terra. « Tirate fuori le carte. Dobbiamo piombargli addosso come il fulmine. C'è un buco qui », indicava sulla carta. « Entreremo di qui. Tre chilometri dall'altra parte del bosco da fare... bestiali, allo scoperto così; ma dobbiamo passare, a qualsiasi costo. E nessuno verrà a aiutarci. Siamo soli. Niente granatieri corazzati, niente artiglieria. I cow-boys hanno demolito tutto. » Si avvolse in nuvole di fumo azzurro. « Ecco cosa faremo. » Il sigaro andava da destra a sinistra. « Quattro Panzer scendono in quarta e piombano nel paese. Prenderemo i boys in pieno spuntino. » Si tolse il sigaro di bocca e lo alzò minaccioso. « Quello che è necessario, è che gli yankee non dubitino della nostra esistenza prima che gli siamo addosso e stiamo già somministrandogli la medicina. » Mike alzò uno dei grossi sopraccigli neri. « Niente fuoco, mettete la sicura dappertutto. E non bisogna neanche che gli yankee possano tirare. » « Forse sarebbe meglio mandargli una cartolina? » suggerì, senza rispetto, Porta che era nell'ultima fila. « Fermo e ascolta. I due primi carri attraverseranno il macello e chiuderanno l'uscita dall'altra parte del buco. Vedete sulla carta che non c'è via d'uscita. In seguito faranno un mezzo giro: cannoni puntati in direzione opposta. Il capo sezione tirerà un proiettile tracciante rosso dopo aver chiuso 1
Russo: tunica della vittoria.
33 l'uscita. Seguiranno altri quattro carri. Con otto Pantera si dovrebbe ripulire facilmente questo nido. Herbert », egli si voltò verso il tenente nuovo venuto, che ci avevano dato quattro giorni prima, « tu resti qui ai margini del bosco con gli ultimi otto Pantera. Ci seguirai soltanto, ascolta bene quel che ti dico, quando vedrai una stella gialla. » Afferrò il giovane tenente per il collo. « E se tu dovessi muoverti prima di aver visto la stella gialla brillare nel cielo del buon Dio, verrò io in persona a toglierti la ruggine, e quando avrò finito, sarai scardassato a dovere! » Il tenente Herbert, che aveva soltanto diciannove anni e discendeva da una delle famiglie più nobili della Germania, arrossì fino alle orecchie. Non gli avevano mai parlato così alla scuola di guerra di Potsdam. Ma erano tante le cose che non avevano mai detto agli allievi di Potsdam! Nessuno degli istruttori aveva conosciuto un comandante Mike o un generale Guercio. Nessuno di loro aveva visto un marine americano sbarcare con un parasole rosso né un soldato tedesco carrista portare in testa una tuba gialla. Il comandante Mike sputò l'ultimo pezzo del sigaro e si tolse di tasca una scatola di metallo, leggermente arrugginita. Tirò forte col naso, scatarrò, sputò, aprì la scatola, ne tolse una lunga cicca e, scostando le labbra, la morse, poi la passò al Vecchio Unno. « Prendine un pezzo, Beier. » Erano i soli fra noi a masticare tabacco. Il comandante metteva sempre la sua prugna secca fra il labbro di sotto e i denti. Il Vecchio Unno preferiva incollarla contro la guancia destra. Sembrava un enorme ascesso. « È straordinaria », si rallegrò il Vecchio Unno. « L'ho lasciata macerare nel sugo di prugne per due settimane », spiegò il comandante Mike, mentre arrotolava la cicca come una lumaca. La rimise nella scatola arrugginita. « In principio bisogna abituarsi. Agli inizi dà le vertigini e si
34 hanno gli occhi che lacrimano, ma la cicca macerata nel sugo di prugne è superlativa contro la tosse e contro le formiche nelle gambe. È stato un vecchio pescatore di sardine, a San Pedro, che me l'ha insegnato. » Il tenente Herbert scosse la testa. Ecco là un comandante, un ufficiale tedesco, che divideva la sua cicca con un maresciallo, una volgare canaglia dei quartieri bassi di Berlino! Ci si poteva aspettare di tutto allora. Se l'avesse raccontato a suo padre, si sarebbe rifiutato di crederlo. Con la mano pelosa da gorilla Mike si levò il berretto e gli occhiali da carrista e se li gettò ai piedi. Si grattò coscienziosamente i capelli neri, terminò la pulizia personale nettandosi il naso con le dita, raccolse il berretto e scacciò qualche vespa. « Come vi ho spiegato, si arriva al paese il più presto possibile e appena i due primi carri danno il segnale rosso, si ripulisce il casino. Si spara su tutto quel che si muove. » Si pulì l'orecchio col dito. « Qualche cosa mi dice che i cow-boys hanno dato segnale verde alla loro divisione, e se qualcuno di voi fa uno sbaglio, passeranno immediatamente al rosso. Brandt, tu prenderai posizione con la vettura radio nel letto asciutto del torrente. Ti metti dietro al quarto Pantera. Vi mimetizzate immediatamente. Tiri fuori l'antenna. Ascolti, fino a che non ti caschino le orecchie. E metti via le tue fotografie pornografiche per non distrarti. Se dovrò aspettare anche solamente un secondo, anche tu mi sentirai. Potrai dire addio ai tuoi amici. » Una volta ancora, Mike lanciò uno sputo lungo e vigoroso di cicca che ricadde su una roccia, più lontano. « Quattro carri nel paese. I due primi lo attraversano. Sbarrare l'uscita. Tirare su tutto quel che si muove. Segnale rosso: si entra in ballo. Stella gialla: attaccare su tutta la line-
35 a. Otto carri di riserva. Non occorre un segnale di ripiegamento. O si liquidano i cow--boys, o si è liquidati da loro. Qualche domanda? » Porta fece un passo in avanti. Il comandante corrugò la fronte. « Joseph Porta, ti ammazzo seduta stante se mi prendi in giro. » Porta faceva il timido, si asciugava le mani nei calzoni. « Vorrei sapere, signor comandante, se una malattia di cuore dispensa dal picnic? » « Fuori dei piedi! Né una malattia di cuore né i coglioni al cartoccio. Altre domande? » Dall'ultima fila, Fratellino alzò un dito. Ci aspettavamo quasi di sentirlo chiedere: Signore, posso uscire? « Merda, che cosa c'è ancora? » grugnì Mike. « In ogni caso tu non capisci niente. » « Signor comandante, secondo il regolamento del 1925, quello del generale Blomberg, ogni soldato che abbia prestato servizio più di sette anni può essere dispensato dal partecipare al combattimento. Signor comandante, io ho prestato servizio per nove anni. Chiedo il permesso di svignarmela per la porta di servizio. » Fratellino stava per far vedere il suo libretto militare come pezza d'appoggio. Mike lo fermò con un gesto. « Anche se tu avessi fatto il militare per centonove anni, adesso vai a mettere il tuo grosso sedere sul sedile del tiratore-caricatore, nel 523, e il regolamento del generale Blomberg, puoi adoperarlo per pulirtelo. Se ci sono altre domande, tenetele per Natale. » « Amen », mormorò Porta levando gli occhi al cielo. Mike rimise in testa il berretto unto e ordinò brevemente: « Ai vostri posti. Accendete i motori! » Scavalcando la tanca di riserva, Fratellino gridò: « Porta, andiamo di nuovo alla guerra! Quando penso che
36 sono volontario! Dovevo aver la testa malata quel giorno! » Si chinò sul suo deposito di bombe a mano, nell'interno della torretta, nascose la giubba nera da carrista dietro la batteria, si levò la camicia che fece la stessa strada. Poi si annodò attorno al collo la sottoveste rosa pallido che gli aveva dato Luisa la Triste alla nostra ultima bordata da Ida la Pallidina. Acchiappò due pulci sul petto peloso e le schiacciò sul periscopio. « E la guerra, Porta, è pericolosa. Si può farsi ammazzare in un modo abominevole, ma si può anche airicchircisi favolosamente. Hai le tue pinze da dentista, Porta? » « Ci sto », rise Porta, tirando fuori lo strumento dalla scatola. Poi si chinò sui suoi apparecchi, verificò l'indicatore della benzina e dell'olio, controllò la frizione, esaminò i freni e fece girare in circolo il carro pesante. Fratellino sogghignò. « Ti ricordi il cinese con i suoi quattordici denti d'oro? E il commissario Ivan che ce li ha portati via? » « Che a quel figlio di una mignotta gli venga la sifilide fino al midollo! » imprecò Porta. « Non si deve serbar rancore », disse generosamente Fratellino. « Quello là, era come noi. Un tipo intelligente che pensava all'avvenire, eh? » Mike si arrampicò sul carro di comando. Restò un momento sulla torretta, le gambe ben aperte, solido come una roccia. Lanciò la cicca contro il cannone. Con nostra grande meraviglia lo raggiunse proprio sulla bocca. Uno sputo da campione, che nessuno poteva imitare. Mise gli occhiali protettivi e si infilò nel portello. Lo sentivamo discutere con l'equipaggio. La sua testa riapparve. La mano destra spazzò l'aria: il segnale della partenza. Gridò ancora al Vecchio Unno: « Beier, attaccati dietro di me. Il piccolo legionario e Barcellona seguono. Gli altri in diagonale. Pa-an-zer, avanti ! »
37 Porta spinse a fondo l'acceleratore e intonò: Wozu sind die Strassen da? Zu marschieren, zu marschieren. I settecento cavalli-vapore nitrivano. La terra tremava. Tutta la foresta fremeva sotto il terribile rimbombo. Uno dopo l'altro, i carri si misero in posizione. Un albero si trovava in mezzo alla strada. Cadde, schiacciato. Il comandante ci incoraggiò dalla sua torretta. Prese un'altra cicca. Il piccolo legionario rispose dalla propria torretta, accese una sigaretta e si annodò attorno al collo un fazzoletto bianco rosso e blu. Barcellona passò dalla tasca destra alla tasca sinistra la vecchia arancia secca di Valencia. Perché dunque ci sono le strade? Per marciare, per marciare. Porta si chinò, sputò sull'acceleratore e disegnò col dito due croci nella polvere del quadro di comando. Quanto a me, annodai una giarrettiera sul periscopio. Fratellino fissò il suo feticcio, un rossetto per le labbra, al fanale per le segnalazioni. Heide esaminò il filo d'alimentazione del lanciafiamme per vedere se funzionava bene. Mise la sicura al fucile, rettificò la cartucciera, poi si appese al collo un piccolo elefante di stoffa azzurra. Si provarono tutte le radio. Era molto importante: dovevano funzionare alla perfezione. Dalle radio dipendevano mille cose. Aggrappati al cannone con le braccia, i tiratori toglievano i coperchi alle bocche. « Pronto », annunciava ognuno dei car-
38 ri, uno dopo l'altro. *« Rinoceronte pronto per il combattimento », tuonò la voce di Mike nella radio. Allora siamo usciti dalla foresta, che fino a quel momento ci aveva protetto. Il campo era libero sino agli americani, che, con tre carri, proteggevano l'uscita del paese verso nord. In quarta, allo scoperto, ci siamo gettati su di loro. Porta cantava, spensierato: Eine kleine Reise im Frühling mit dir, sag'mir, bitte, leise, was gibst du dafür... Un piccolo viaggio in primavera con te, dimmi, dimmi sottovoce, che cosa mi dai per questo... In piedi premeva sull'acceleratore. Ci aspettavamo da un momento all'altro che scoppiasse. Nessuno riusciva a seguirci. Per radio, si sentì Barcellona bestemmiare spaventosamente. « Caramba, Scheisserei, Puta di Madona! Come fa a farlo correre così? » « Soltanto Allah lo sa », rispose il piccolo legionario, maledicendo in cuor suo il proprio conducente. Adesso era semplicemente questione di rapidità. Al primo round i tre Sherman, all'entrata del paese, non ebbero nessuna reazione. Dio sa che cosa hanno pensato. Mancavano di esperienza: non un colpo. In meno di due secondi eravamo al centro del paese, quelli del primo carro, seguiti da vicino dal comandante Mike. Il piccolo legionario, cento metri dietro di noi, si accorse che le torrette degli Sherman si mettevano a girare. Si fermò. Con
39 la velocità di un lampo il suo cannone fece un giro: dieci secondi più tardi i tre Sherman erano in fiamme. « Si continua », fischiò il piccolo legionario. Accese un'altra sigaretta, una grifa. Sentiva il bisogno di ridere. In seguito tutto si è svolto molto rapidamente. Abbiamo percorso le strade tortuose del paese; tutto quel che aveva un distintivo o una stella bianca era fatto fuori. Tiravamo a bruciapelo. Impossibile mancare il bersaglio. Sboccando da un vicolo cieco, sputando fuoco a parecchi metri, un carro lanciafiamme, un M-5 1, si gettò su di noi. Una bomba a mano vi si avvitò. Esplose in mille pezzi. Dall'aranceto uscì dondolandosi un T-14 2 di quarantadue tonnellate. La torretta dondolava da una parte all'altra. Non sapevano più dove dirigersi. « Fuoco, in nome di Dio! » urlò il Vecchio Unno. Premetti sul grilletto. Subito il carro nemico prese fuoco. Ne uscì un fumo spesso, nero, nauseante. Le fiamme rosse tiravano la lingua dal portello del conducente. Un tenente cercava disperatamente di uscire dalla torretta il cui coperchio si abbatté in avanti. Egli vi restò agganciato. Le fiamme saltellavano sulla sua uniforme, gli prendevano i capelli. Si alzò a metà, lanciando un grido atroce. Con le mani nude cercava di spegnere il fuoco. Nuovi getti di fiamme sprizzarono dal foro. Si mise le mani davanti al viso, che si consumava lentamente. Poi scomparve nell'inferno del carro. Un odore soffocante di carne bruciata ci saliva alle narici. Qualcuno brandiva una bomba a mano. Non ebbe il tempo di lanciarla contro di noi. Il momento dopo era stritolato sotto i cingoli. Un gruppo di soldati di fanteria si incollava contro un muro 1
Carro leggero americano, normalmente usato come ricognitore, da quindici tonnellate. 2 Carro d'assalto americano.
40 nell'ingenua speranza di non essere notato. Heide rise con cattiveria. La sua mitragliatrice abbaiò. I soldati caddero in un mucchio, col ventre bucato. Un cuoco correva sulla piazza, cercando di ripararsi dietro uno degli Sherman che finiva di consumarsi. Una raffica della mitragliatrice in torretta e l'uomo si fermò di colpo, come se avesse urtato contro un muro, si toccò la testa e lanciò un grido penetrante. Il suo elmetto rotolò nella polvere. Girò su se stesso poi si afflosciò; le gambe si muovevano debolmente. Uno Sherman uscì con fracasso da un cespuglio e gli strappò un braccio, che restò attaccato ai cingoli. Si aveva l'impressione che facesse dei cenni di addio al cadavere. Delle granate da 88 raggiunsero lo Sherman, che esplose. La torretta, proiettata in aria, ricadde con un urlo stridente. Il lungo cannone si infisse nel terreno. Apparve un altro Sherman. Un colpo in centro gli strappò la torretta spedendola dritto dentro una casa. Si vedeva l'interno del carro. Del suo capo non c'era più che la parte inferiore del corpo. Era stato tagliato di netto, nel mezzo. Attaccati fra il pavimento e il deposito delle bombe a mano pendevano i resti del tiratore. Alcune budella circondavano quello che, due minuti prima, era stato il periscopio. Il carro di Mike, che aveva due lanciafiamme pesanti, montati sulla torretta, bruciò un distaccamento di fanteria. Alcuni alzavano le mani in segno di resa. Sono morti sotto i cingoli. I carri non possono fare prigionieri. Non si discute con queste macchine di guerra. Si distruggono o si viene distrutti da loro. Le teste da morto che ghignano sui risvolti delle nostre divise simboleggiano perfettamente la nostra arma. Poi tutto terminò, tutto fu finito. « Essi » non avevano avuto il tempo di tirare un solo colpo e neppure uno dei loro si era salvato. Gli eravamo piombati addosso all'improvviso, così come avevano sorpreso la nostra fanteria qualche ora prima. Ci eravamo vendicati.
41 Siamo usciti dai carri. Rialzando sulla fronte gli occhiali protettivi, abbiamo bevuto come cavalli assetati alla fontana sulla piazza e abbiamo cercato di liberarci la faccia dall'olio e dalla polvere. Avevamo gli occhi iniettati di sangue per l'aria acre all'interno dei carri. Respiravamo con difficoltà. La gola e i polmoni ci facevano male. Qualche sopravvissuto usciva non so di dove. Ci guardavano spaventati. Uno di loro sapeva qualche parola di tedesco e si rivolse a noi, gridando: « Nicht schiessen, Kamerad. Wir nicht Juden, nicht Japs. Wir von Texas. Wir OK. » 1 E due minuti dopo eravamo impegnati in una conversazione animata. Ci mostravamo delle fotografie; incominciavamo a ridere insieme, a scambiarci dei ricordi. Da parte nostra avevamo perduto un uomo solo, il tiratore del cannone del carro di Herbert. Si era chiuso ermeticamente e nessuno aveva notato che c'era un corto circuito nel ventilatore. Era morto soffocato. Avevamo anche due feriti. Uno era il capo del carro 531, il maresciallo Schmidt. Aveva il braccio destro maciullato. Si era chinato per raccogliere una carta sul pavimento della torretta proprio nel momento in cui il cannone aveva rinculato. Il braccio di Schmidt era ridotto a una specie di pappa. Gli ossi appuntiti gli uscivano dalla spalla. Un prigioniero, un infermiere americano, gli ha fatto sul posto una trasfusione di sangue, vicino alla fontana. Facevamo cerchio attorno a loro molto interessati. In fondo il maresciallo Schmidt era fortunato. Per lui la guerra era finita. Ciò non toglie che se l'americano non fosse stato là con la sua banca del sangue portabile, Schmidt sarebbe morto, svuotato. 1
« Non tirate, camerati. Noi non ebrei, non giapponesi. Noi del Texas. Noi OK. »
42 L'altro ferito era un sergente, da noi da poco tempo. Era stato colpito da un colpo di fucile mitragliatore nei polmoni. Il capocarro, maresciallo Brett, aveva voluto ricaricare il suo fucile mitragliatore. Ne era partito un colpo che aveva raggiunto il sergente. Questa storia avrebbe fatto la sua buona strada fino alla corte marziale. Tre mesi dopo, abbiamo saputo che Brett era stato condannato a morte. Un po' più tardi fu giustiziato a Torgau. Il sergente è morto due settimane più tardi all'ospedale di Roma. Le voci dicevano che era stato un colpo scambiato. Ma la polizia militare ha indagato per molto tempo, senza mai trovare prove sufficienti. In ogni caso il risultato sarebbe Stato lo stesso per Brett. Non si poteva fare niente contro il sergente. È morto solo nel suo buco. L'infermiere americano, un caporale di Lubbock, che aveva praticato la trasfusione di sangue a Schmidt, lo abbiamo nascosto quando c'è stato l'appello dei prigionieri. Quattro giorni più tardi lo avevamo portato nel nostro carro perché potesse raggiungere le linee americane. Gli abbiamo fatto un occhio nero e gli abbiamo tolto un dente: un dente d'oro di cui, cosa abbastanza curiosa, non hanno voluto saperne né Porta né Fratellino. Poi lo abbiamo picchiato a colpi di cinturone sulle tibie, che si sono enormemente gonfiate. Era un mezzo ebreo. Aggiustato a questo modo sarebbe stato rimandato negli Stati Uniti e non sarebbe mai più ritornato al fronte. Aveva avuto una buona idea chiedendo che lo si picchiasse. Bisogna essere idiota per andare volontariamente al fronte. Ma è vero che ce n'erano da tutt'e due le parti, di volontari. Non posso dire che li disprezzassimo. Eravamo stati noi stessi dei volontari di quelli duri, che non indietreggiavano davanti a niente e che sapevano assumersi la piena responsabilità delle proprie azioni.
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Molti accarezzavano l'idea di un Heimatschuss. I.a cosa migliore era che un soldato nemico vi colpisse al posto giusto. Cosa facile per un tiratore scelto, armato di un fucile con cannocchiale. Se il proiettile si conficcava in un osso, l'affare era fatto. Ma prima di tutto era necessario un buon angolo di tiro perché nessuno potesse sospettare l'inganno. Si raccontava spesso di come un ferito fosse uscito dal suo letto d'ospedale, fosse stato messo al muro e giustiziato per autolesionismo. Un giorno il nostro gruppo era stato scelto per un'esecuzione capitale di questo genere. Si trattava di un sottufficiale. Si era servito di una bomba a mano, ma aveva calcolato male la distanza. Avevano dovuto amputargli tutt'e due le gambe, all'altezza dell'anca. L'hanno attaccato a una barella, che hanno appoggiato contro un muro. Una porcheria quella fucilazione. Tutte le fucilazioni sono una porcheria, ma quella era un schifezza coi fiocchi! come diceva Porta, quando siamo andati a ricevere la nostra razione di supplemento, una bottiglia di acquavite a testa, era come aver dato un calcio a un cane moribondo che piange per un pezzo di pane. Il Vecchio Unno ne stava male, ma gli succedeva spesso. Non sarebbe mai stato un vero soldato. Invece, quello che ci aveva lasciato di stucco era che un duro come Julius Heide piantasse una grana, lui che di solito eseguiva qualsiasi ordine senza mai fare questioni. «Tirare su un ferito, che sporco lavoro!» aveva esclamato, tirando un calcio a una marmitta. « Si doveva farlo guarire e dopo fucilarlo. Questa è la regola. Era lui stesso un sottufficiale e sapeva che quello l'aveva fatto apposta, e che si meritava la sua sorte. Un buon soldato non si comporta così. Vigliacchi come quelli, si mandano alla ghigliottina, ma è assolutamente disgustoso farlo prima che siano usciti dall'o1
Proiettile che permette di ritornare a casa; ferita intelligente.
44 spedale. Vi pare, portare al patibolo un uomo attaccato a una barella! Avrebbero dovuto aspettare qualche mese. L'avrebbero trasportato su una carrozzella. Allora l'avrei fucilato con piacere. Porco di un disertore! Come se fosse peggio per lui che per noi! » In un certo senso Heide aveva ragione. Ma Barcellona difendeva il tipo della bomba a mano. « Non bisogna mai giudicare tanto in fretta. La gente ha sempre delle scuse quando fa delle fesserie. La legge è un conto approssimativo. Un moccioso di quattro anni ruba nella credenza perché ha fame e la maggior parte degli assassinii sono commessi dai disperati. Un disertore agisce in un modo idiota perché è preso a un tratto dalla paura o dalla depressione. Lo Stato è un po' sbrigativo con le esecuzioni capitali. » Le corti marziali dell'esercito tedesco non cercavano mai di scusare un uomo. I giudici non conoscevano che i paragrafi più severi del codice. Facevano dei concorsi fra di loro: vinceva quello che aveva ottenuto più teste. Un giorno, al ristorante, ho sentito quattro giudici militari che si vantavano del numero di pene di morte che avevano pronunciato. Nessun altro esercito, in tutto il mondo, aveva tante corti marziali come quello di Hitler. Erano delle vere officine. Ma finita la guerra i nostri avversari hanno dimostrato di aver imparato bene la lezione dai giudici del Fuhrer. Abbiamo disteso i feriti sulla strada. Per radio abbiamo dato l'allarme a dei carri anfibi e degli SPW.1 Li abbiamo stipati di uomini sanguinanti e gementi. Porta e io abbiamo sollevato un tiratore di carro. Il polmone gli usciva dalla schiena attraverso un gran buco. Fratellino è arrivato tenendo un caporale fra le braccia. 1
Schùtzenpanzerwagen: carri semicingolati, corazzati per trasporto truppe.
45 Metà del cranio era scoppiata: si vedeva il cervello. Dietro un mucchio di letame abbiamo trovato un ufficiale, il viso strappato dallo scoppio di una granata. Il peggio erano le bruciature. Quando si toccavano, la carne si staccava dalle ossa sbriciolandosi. Molti dei feriti morivano fra le nostre mani. Certi ci ringraziavano. Altri ci maledivano. Un negro ha tentato di uccidere Fratellino con un coltello. Dei morti, abbiamo fatto due gran mucchi. Certi non erano più che mummie carbonizzate. Migliaia di mosche ronzavano attorno ai cadaveri. Non abbiamo scavato molto profonda la fossa comune. Si trattava soltanto di ricoprire di terra i cadaveri. Il loro odore dolciastro ci dava la nausea. Un sergente prigioniero, era seduto sulla parte anteriore del carro del comandante Mike. Gli avevamo offerto dell'acquavite e era un po' sbronzo. Si è messo a chiacchierare. Il reggimento aveva libera uscita perché si era giudicato che la regione fosse stata ripulita. I suoi compagni lo guardavano con disgusto. Poi egli lesse il disprezzo nei nostri occhi, si rese conto che quello che aveva spiattellato era abominevole. Con un balzo afferrò la pistola di Barcellona, se la cacciò in bocca e premette il grilletto. Il suo cervello schizzò fino al cannone. Si sarebbe potuto benissimo trattenerlo, ma nessuno si era mosso. Con disprezzo, il comandante Mike toccò il cadavere con la punta degli stivali. « E dire che era un vecchio soldato ! » « Come, era un anziano? » chiese il tenente Frick meravigliato. Mike spedì un lungo sputo di tabacco giallo sulla faccia del morto. « I distintivi che questo porco ha sulla manica indicano venticinque anni di servizio. Almeno fosse rimasto a marcire
46 a Barrack Fields. Ha condannato a morte i suoi compagni! » « È disgustosa la guerra », borbottò il Vecchio Unno. Il comandante scribacchiò un rapporto per il sottufficiale alla radio. « Rinoceronte a Scrofa. Il capo. Trentasei carri da combattimento, dieci autocarri, diciassette vetture liquidati. Numero dei morti e dei feriti imprecisato. Perdite nostre: un morto e due feriti, un maresciallo e un sergente. Attendiamo incontro con reggimento corazzato nemico. Continua sotto propria responsabilità. Togli il contatto. Chiudo. » Noi sorridevamo, avevamo capito. Mike voleva liquidare da solo il reggimento nemico. Il comandante venuto dalla gavetta voleva brillare davanti a quei signori. Voleva far vedere a quelli delle bande rosse dello stato maggiore, che non erano i soli a saperci fare. Era una bella astuzia interrompere il contatto radio: nessuno avrebbe potuto raggiungerci per le prossime tre o quattro ore. Giocava.grosso, Mike. Se fosse riuscito, si sarebbe coperto di gloria, altrimenti, e a condizione di ritornarne vivo, sarebbe finito a Torgau. Era la dura legge della guerra. Come diceva spesso il piccolo legionario: « Tenta la fortuna, mio bravo. Vedrai allora se sei un eroe o un criminale. Non capita tutti i giorni di ottenere una medaglia in un combattimento deciso dai nostri signori. Spesso è frutto di un impulso, in cui si punta tutto su una carta sola. L'essenziale, vedi, è di rimettersi a Allah ». Era un tipo curioso il piccolo legionario. Era il più credente di noi eppure era il più crudele. Una volta ha fatto a pezzi lo stomaco di un SD 1, molto lentamente, con l'aiuto del suo lungo coltello arabo. Tutto questo perché aveva tirato su un vecchio crocifisso al margine di una strada. Finito il suo macello, il piccolo legiona* 1
SD: membro del Servizio si sicurezza delle SS (Sicherheits Dienst).
47 43 rio si accaniva a prendere a calci i coglioni della sua vittima, mormorando: « Le cose sacre non si toccano... non si toccano ». « Al posto », comandò Mike. « Pa-anzer, avanti... marsc! » Sporgendoci a metà dagli sportelli aperti, correvamo in mezzo a piccoli cespugli, poi nel ietto di un fiume pieno di acqua stagnante e di fango puzzolente. Dalle mucche morte emanava un odore infetto. Il carro del tenente Herbert si arenò. Il comandante Mike incominciò a bestemmiare come un turco. Uscì dal suo carro. Nel fango fino ai ginocchi, diede un calcio a un topo morto e squadrò con collera il tenente nella sua torretta. « Che cos'è questo casino? Che cosa mi combina? » « Incidente fortuito », mormorò il tenente. « Da me non esiste, questo genere di incidente», urlò Mike fuori di sé. « Non sta passeggiando in Kur-fiirstendamm. È in guerra ed è responsabile di un carro che vale un milione di marchi. Del milione me ne frego, ma ho bisogno della cassa. Chi è quel disgraziato imbecille che ha fatto di lei un tenente? Fallo uscire di là, Beier! » Fratellino e il tiratore del disgraziato carro attaccarono dei cavi da rimorchio. « Fissa l'affare diritto e proprio in centro », rise Fratellino. I grossi cavi d'acciaio cantavano, tendendosi come corde di violino. Rischiavano di spezzarsi da un momento all'altro, e se avessero colpito qualcuno lo avrebbero ucciso sul colpo. Era già accaduto. L'uomo incaricato del rimorchio si innervosiva. Abbandonò il posto e corse a mettersi al riparo dietro il carro. Fratellino, in mancanza di meglio, gli gettò in faccia un pugno di fango. « Aspetta un momento che mi occupi di te, animale! » Sa-
48 lendo sul cavo, lo tenne sul gancio di rimorchio con tutto il suo peso. « Se i cavi partono, è finito », mormorò il Vecchio Unno. « Un buon soldato », approvò il piccolo legionario. « Ma stupido come il buco del culo di una vacca », rise Porta. « È vero di tutti i soldati coraggiosi ed è quel che gli impedisce di aver la cognizione del pericolo. » « Attenzione », minacciò Heide. « Non vorrai pretendere che io sia stupido? Da vent'anni non si era mai visto un sottufficiale con dei voti buoni come i miei. Chi può battermi di voi, sulla tattica? » « Ma tu sei coraggioso, aspirante generale? » Heide batté sulla grande croce d'oro appesa al petto. « Immagini forse che questo l'abbia sganciato al casino, eh? » La croce d'oro tedesca era l'orgoglio di Heide. Non la toglieva mai, neanche per fare il bagno! « Sì, sì », intervenne il Vecchio Unno. « Ma il tuo coraggio non è quello di Fratellino. Tu ti batti perché ti piace. Ti diverte ammazzare. Fratellino non capisce quel che fa. Ammazza senza pensarci. Se fossi il Padreterno, a Fratellino farei un posticino nel mio paradiso e te, ti butterei fuori. Adesso ti fa piacere ammazzare quelli che chiamiamo i nostri nemici. Quando la guerra sarà finita e potrai fare l'imbecille nel cortile di una caserma, troverai modo di far morire a fuoco lento i coscritti, se ti danno sui nervi o hanno una faccia che non ti piace. Sei un assassino sadico, ma non si può fare niente contro di te. La legge ti protegge. Ce ne sono pochi che abbiano noie migliori delle lue nell'esercito. Sei un sottufficiale straordinario, un soldato perfetto, corretto fino alla punta delle unghie. Quando avremo finito di batterci, sarai l'orgoglio della divisione, un esempio per i nuovi. Ma sacramento, che tipo disgustoso sei! »
49 « Amen e alla vostra salute'. » esclamò Porta, alzando il bicchiere. « Il pastore Beier ha finito. » Julius Heide aveva il viso scarlatto. Soltanto il Vecchio Unno poteva permettersi di parlargli così. Chiunque altro l'avrebbe pagata con una coltellata nella schiena, alla prima occasione. « Andiamo, andiamo, spicciamoci! » gridò il comandante Mike, agitando le braccia. Lentamente incominciavamo a far uscire il carro dal fango. Fratellino si sdraiò ventre a terra sui cavi d'acciaio. Il comandante lo aiutò a tenerli sui ganci. Bestemmiava come un carrettiere, dando tutti i nomi possibili al tenente Herbert, che impotente ci guardava fare dalla sua torretta. Appena il carro fu rimesso a posto, Herbert fu costretto a lasciare la torretta, dove lo sostituì Lehnert, un sottufficiale. Ma nessuno si prese gioco del povero ragazzo. Avevamo visto un capitano silurato e sostituito alla testa della sua compagnia da un maresciallo, in pieno attacco. Durante la battaglia di Bielgorod, un colonnello era stato privato del comando del suo reggimento. Per tutta la durata del combattimento era rimasto sdraiato fra le gambe del radiotelegrafista. Un giovane comandante aveva preso il suo posto nella torretta. Era finito male, quel colonnello. Rimandato in Germania, condannato a fare cinque anni a Torgau. Quando i russi presero la città, fu ucciso per errore da uno dei suoi compagni di prigionia. Abbiamo preso posizione dietro una lunga diga e subito abbiamo incominciato a mimetizzare i carri. Dopo aver cancellato le larghe tracce dei cingoli con dei piccoli rastrelli, abbiamo piantato delle zolle di erba, ricoperte a loro volta di rami... per gli aerei. I russi ci avevano insegnato l'arte di mimetizzarsi. Tre cacciabombardieri scesero dalle nuvole in picchiata. Porta e io eravamo proprio sul terreno a controllare i dispositivi. Ci siamo appiattiti a terra. Poi vennero dei
50 colpi d'arma da fuoco. Ordigni invisibili sorvolavano il campo. Si formarono centinaia di piccoli crateri. Eravamo fortunati, lanciavano bombe esplosive, non incendiarie. Uno di loro ce l'aveva proprio con noi. Salì diritto nel cielo, poi scese non meno diritto in picchiata su di noi. Le sue armi sputarono selvaggiamente. « Rimani dove sei! » mi avvertì Porta. Il caccia scatenato descrisse un cerchio. Ci sorvolò a volo radente. Abbiamo creduto che avrebbe urtato col ventre dell'apparecchio; ma riprese quota e scomparve dietro la montagna, con i suoi compagni. « Un Julius Heide canadese », commentò Porta con cattiveria. « Fra qualche minuto si vanterà alla mensa di aver ammazzato due tedeschi dei Panzer. » « Credi che abbia corso un rischio simile soltanto per questo? » « Perdio! Voleva del sangue tedesco sul suo aereo. Se lo incontrassi una volta al caffè! Gli era facile infischiarsi di noi prima di scomparire. Ma se il Padreterno è con noi, saremo vendicati. Se liquidiamo i carri che devono passare di qui e se i padroni di quel signore si accorgono che ha sorvolato le nostre posizioni... » Non ho potuto fare a meno di ridere, nonostante la paura. « Si, hai ragione. Si vanterà certo di aver fatto fuori due tipi dei Panzer. » « E poi il comandante della divisione farà i conti », rise Porta, « e Julot il Canadese si farà schiaffare in prigione, perlomeno. » Il comandante Mike chiamava gli equipaggi. Ci siamo accoccolati attorno a lui, fra i cespugli. « Davanti a noi ci sono tre chilometri di strada scoperta », incominciò. « Quando gli americani spunteranno, il primo carro avanzerà fino alla curva, là dove la strada entra nel bosco. Sarà il tuo carro, Beier. Tu resti sul fianco sinistro. Frick,
51 tu sei sulla destra. Tu ti occupi dell'ultimo carro della colonna, nel momento in cui sbocca dalla curva dietro la collina. Ma vi prevengo, non fate i bravacci. Se uno di voi si sogna di sparare troppo presto, lo ammazzo io in persona. » Per poco non inghiottì il suo grosso sigaro, e continuò gioviale: « I sedici cannoni tireranno contemporaneamente. Ogni proiettile diritto sul bersaglio. Dopo la prima salva il terreno sarà diviso in zone. Ogni carro ripulirà quello che si trova di fronte a lui ». Lanciò un lungo sputo in direzione di un uccello che stava beccando, lo raggiunse e fece un largo sorriso. « Preso! » disse con orgoglio. Morse la cicca e la passò al Vecchio Unno come d'abitudine. « Il tiratore che fa partire una granata, potrebbe prendere la stessa strada se gli metto le mani addosso. Conservate la testa a posto, figlioli, lasciate che siano gli americani a incominciare il grande pellegrinaggio del Monte dei Rimpianti. Essi non sospettano la nostra presenza e non possono scoprirci. Prova: i tre caccia di un momento fa. Noi restiamo nascosti qui. » Si guardò in giro con diffidenza e chiese, mellifluo: « Spero che non ci siano dei coscritti fra i tiratori. Altrimenti, sostituiteli immediatamente con dei tipi esperti. Lo stesso vale per i giovani capicarro. Qui non si fa questione di grado, ma di esperienza. Non me ne importa chi si arrampica sulla torrétta, purché sia un vecchio scimmione. Uno solo che si confonde, e i cow-boys ci spelleranno vivi ». Si alzò e comandò brevemente: « Ai vostri posti, posizione di combattimento! » Siamo scivolati ai nostri posti. Abbiamo provato la radio, controllato il dispositivo elettrico di tiro. Heide conversò a bassa voce con gli addetti alle radio degli altri carri. Il caporale Slavek si era sposato per procura. Gli abbiamo fatto i nostri rallegramenti. Ha dovuto raccontare quel che aveva fatto con la sua fidanzata, che aveva conosciuto in quindici
52 giorni. L'aveva incontrata durante il suo primo permesso. Era una cosa saggia sposarsi, per un soldato di mestiere. La maggior parte dei vecchi soldati semplici si sposava. La loro moglie allora riscuoteva la pensione completa, altrimenti questa andava al soccorso invernale. Non avevamo molta stima di questa istituzione, dopo la nostra esperienza sul fronte orientale. Per ammazzare il tempo giocavamo ai dadi. A un tratto Fratellino chiese con aria sorniona: « Di' un po'. Porta, chi è il tuo erede? Se tu fossi ucciso? Io lascio tutto a te, sai », si affrettò a aggiungere. « L'oro che tengo nel sacchetto verde, al collo, è per te se un giorno metto le scarpe al sole ». Porta ebbe un sorriso storto e fece rotolare i dadi, scuotendo il bussolotto sopra la testa. « Furbacchione, va' ! Avrò il tuo oro? So bene che cosa pensi. Ci sei proprio arrivato da solo, di' un po'? » « Tu non puoi sapere quel che penso ! » protestò Fratellino indignato. « Parola d'onore, avrai il mio oro. Ho fatto il mio testamento, come la donna del libro che abbiamo letto l'altro giorno. » « Grazie », rise Porta. « Non stare a preoccuparti per me. In Romania un tipo in gamba, guardiano di cavalli di giorno e ladro di ricchi di notte, mi ha predetto l'avvenire. Una sera che stavamo bevendo del caffè allungato con lo slivowitz, mi ha proposto di leggerlo nel fondo del caffè. Era persino una cosa inquietante. Tutto a un tratto, dopo aver guardato per dieci buoni minuti nel suo fondo, mentre io pensavo a una piccola che mi ero riservato per me solo a Bucarest, eccolo che incomincia a sbraitare: « "Porta, vedo qui la tua faccia raggiante, aureolata di gloria! Pardon, mi sono sbagliato, è del neon. Straordinario! Il tuo nome per tutta Berlino. Sarai un grande uomo d'affari. Non farai del male alle donne. Darai alla padrona del bor-
53 dello tutto quel che le devi. Ruberai senza farti pizzicare. Passerai attraverso una guerra spaventosa. I tuoi amici come i tuoi nemici vogliono la tua pelle, ma tu te la caverai. Sopravvivrai a tutta la banda, assisterai a numerosi funerali, ma il tuo è così lontano nel futuro, che non riesco neanche a vederlo nel fondo di caffè. Diventerai centenario. Non vedo la morte" ». « Credi che dovrei farmi fare le carte? » chiese Fratellino interessato, accarezzando teneramente il suo sacchetto verde. « Non fa mai male », confermò Porta. « Se cercano di farti bere delle coglionerie, gliene dai una scarica. Se sono delle storie che ti piacciono, gli si dà la moneta e si crede fermamente alle loro ciarlatanerie. Via un consiglio, Fratellino ! Diffida dei testamenti. È pericoloso, soprattutto se i tuoi eredi sospettano le tue ricchezze. » Fratellino corrugò la fronte. Era così assorto nei suoi pensieri, che dimenticava i dadi e quando glieli ricordarono non servì a niente. Guardava per aria, facendo macchinalmente scivolare il pollice lungo la lampadina di controllo, sopra il caricatore. Finalmente esplose: « Brutto animale, stronzo, sporcaccione, uccideresti un amico per un po' di oro? » Porta alzò le spalle. « Io sono soltanto un uomo e il diavolo è tanto maligno! Può spingere a fare delle strane cose. Ma come ti ho appena detto: i testamenti non valgono un cavolo. » Fratellino fece ballare i dadi, tirò un calcio a una bomba a mano e con gran forza gridò fuori di sé: « Non farmi fesso. Ho capito. Ve la farò vedere a tutti, credi a me ». Mise la mano su una granata. « Ho chiesto a uno della fureria di farmi una carta per cui ti lasciavo in eredità tutto il mio bazar, se eredito da te quando
54 tu muori, naturalmente. Altrimenti non avrai niente. » « Mi sembra una cosa un po' complicata », ghignò Porta. « L'essenziale, quando si fa un testamento, è di assicurarsi contro i diavoli delle tenebre. Tu mi dici che sono il tuo erede. Io sono un uomo d'affari e quella gente là, nonostante il loro colletto bianco e le loro unghie lucide, sono dei tristi tipi. Se uno di loro ti dà un sigaro, è per la speranza che tu gliene rifilerai una cassa intera. Gli uomini d'affari hanno tutti un filo diretto con Satana. È indispensabile per via della concorrenza. È la legge della giungla. Mettitelo bene in testa, caporalmaggiore Wolfgang Creutzfeldt, soltanto i forti se la cavano. Sono in molti a essercisi provati, ma non sono molti gli eletti! I concorrenti ti spiano, nascosti nei cespugli, pronti a strapparti la tua ultima camicia. Ma se sai sbrigartela, la grana verrà da sola nelle tue tasche. E.tutti i cari amici, benché ti detestino, ti faranno la corte. Più sarai grande e odiato, più si inchineranno davanti a te. Sputa sul tappeto in casa del tuo nemico. Lo troverà divertente. Puoi telefonare alle due della mattina a un presidente di tribunale per rimproverarlo, ti daranno ragione. Sventagliagli sotto il naso un mazzo di biglietti di banca, li avrai tutti ai tuoi piedi. Ma non bisogna lesinare nei mezzi da usare. Bisogna avere degli uomini abili, capaci di combinare un piccolo incidente. Di segare l'asse davanti nella Jaguar del tuo rivale; anche quella non è una cattiva idea. » « Ma persone così sono dei gangster! » protestò Fratellino. « Se si vuole essere uomini d'affari, è così. Bisogna anche avere un mucchio di spie; le infili nel letto dei tuoi nemici. Sul cuscino tutto si racconta. Queste mignotte, sono come gli esploratori nell'esercito, ti tengono informato. » Il viso di Fratellino si distese. « Si tratta di organizzare le cose come i militari? » « Esattamente. È per questo che sto molto attento ai corsi di tattica. I tuoi direttori per la vendita, sono le truppe coraz-
55 zate, i tuoi uomini di fiducia segreti, i commando d'assalto. » « E la mia fanteria? » chiese Fratellino con molto interesse. « Tutti i poveri idioti che lavorano per un magro salario, i piscia-inchiostro degli uffici. Quando una mignotta ti avrà reso un gran servizio, tu le offrirai un cappotto di astracan. » « Non so che cosa sia », esclamò Fratellino. « Com'è, una cosa del genere? » « Nero a ricciolini. » « Ah! Il Guercio va in giro con un affare così. » « Che salame », grugnì Porta con disprezzo. « Quello che ha lui, sono avanzi tarlati di pelli di cape, che una specie di ebreo gli ha spacciato per astracan. » « Ecco ecco, ci sono », disse Fratellino ridacchiando sottovoce. « All'angolo della Reeperbahn c'era un piccolo ebreo furbo. E il denaro che aveva! Ci si sceglievano delle pellicce nei negozi e poi si andavano a cercare quando i commessi se ne erano andati. Era divertente quando le borghesi venivano a mascherarsi con delle pelli di volpe e d'orso. Prima il vecchio Rosen-stein spiava i suoi clienti attraverso un buco nella porta. Svelto come un demonio aveva calcolato quanto ne poteva spremere, il vecchio Samuel Rosenstein. E non erano degli spiccioli che dovevano mollare, le puttane ariane. Samuel e i suoi due figli, Joseph e Nathan, si erano fatti raddrizzare il naso da un vecchio professore famoso. Furbo come un diavolo, papà Samuel. Aveva influenza su Sommer, un pezzo grosso delle SS che una volta era stato un suo fattorino. E tutto quel che sono riuscito a sapere, era gekados. 1 Dunque erano cose che risalivano a prima che Adolfo incominciasse a reclutare i fattorini per farne dei capi delle SS e altri Gauleìter. « Un giorno questo Sommer è arrivato, in alta tenuta. Ma ha perso le sue arie, quando Samuel l'ha salutato: 1
Geheime Kommandosache. faccenda segreta.
56 "Ma guarda, sei tu, il nostro Ferdinando. Sei vestito come un asso di picche!" « Poi sono entrati insieme nel retrobottega. Hanno chiacchierato un buon quarto d'ora e hanno vuotato qualche bicchierino. Quando la SS Sommer se ne è andato, aveva l'aria di un pallone sgonfiato. Non sono mai venuti a cercare Samuel, non hanno mai incollato dei manifesti alle sue vetrine. Anche i suoi figli non hanno mai avuto delle seccature. « Proprio prima della guerra si sono inbarcati per gli Stati Uniti e il signor Sommer li ha accompagnati fino alla nave. E stringendo la mano al vecchio, ha mormorato: « "Non ti dimenticherò mai, Samuel". « "Anch'io non ti dimenticherò, mio caro Ferdinando", ha promesso Samuel. « Ero là a sorvegliare che tutto andasse bene. Eravamo tutta una delegazione di teppisti della Reeperbahn. Nathan, il figlio maggiore di Samuel, era il mio miglior amico. Mi ha fatto vedere delle fotografie delle SS Heinrich 1 e di Goebbels e mi ha detto: « "Questi due banditi avranno il posto d'onore nella nostra sartoria, negli Stati Uniti. Quando sentiremo la nostalgia di Amburgo, ci basterà guardarli!" « Porta, se tu avessi conosciuto Nathan! Come sapeva presentare un cappotto di pelliccia a una donna, con dei gesti raffinati, mentre nascondeva con la mano i punti tarmati. Strizzando l'occhio sussurrava in un tono di confidenza: « "Cara signora, le faccio un prezzo speciale, ma non lo dica a papà. Si porti via presto il cappotto. Diecimila marchi, è un regalo per questa meraviglia." « La signora era commossa. Le proteste del suo Jules venivano ignorate, soffocate sotto le chiacchiere di Nathan. « Fantastico Nathan », disse sognante Fratellino. « In venti 1
Himmler.
57 minuti aveva venduto del coniglio tinto per volpe argentata. Attirava certe di quelle buone donne in disparte e le accarezzava in modo da dar loro i brividi. Nathan ci sapeva fare! Quando la donna se ne era andata con il cappotto, andava a trovare il vecchio Samuel, e gli diceva: « "Le ho fatto un prezzo speciale, papà. Ha comperato una pelliccia, una di quelle che Filippo, di Vienna, ci aveva rifilato mandandoci delle partite di seconda scelta." « "Che il buon Dio gli mandi la peste", mormorava Sam. E quel che diceva quando gli si parlava di un collega intelligente. "Spero che tu non l'abbia venduta per meno di sei, mio caro Nathan." « "Ne ho presi dieci, papà, e la signora era molto contenta." Samuel si grattava il suo bel naso nuovo.. « "E senza garanzia, spero?" « "Naturalmente, papà. Nemmeno una fattura." « Un giorno come quello la direttrice è dovuta andare a comperare una bottiglia di kirsch al negozio all'angolo. Samuel aveva il dieci per cento di riduzione da quel bottegaio. Aveva riduzioni dappertutto. Persino in Maria Klein Strasse, al casino dove era cliente tutti i 25 del mese, purché non capitasse il sabato. Samuel osservava rigorosamente il sabato. Il sabato non veniva mai in negozio, ma ci gridava gli ordini dal cortile. « Come gli volevano bene al vecchio Sam. Eppure com'era brutto! I suoi capelli assomigliavano al sedere di una cagna su cui fosse passato un reggimento di tiratori. Aveva perso un occhio in una rissa, a Berlino. Con tutto questo, alto uno stronzo. Molti credevano che Sam non sapesse battersi. Ma la più bella pestata della mia vita, la devo a lui. Avevo detto delle idiozie di Meier, l'ebreo della Paula Platz. Dopo avermi dato questa bella batosta, Sam mi ha detto: « "Wolfgang, questo Meier, è l'ultimo degli idioti e meriterebbe che gli tagliassero il zizi. Ma non si deve ridere di lui
58 per il suo naso, lui non se l'è scelto. Tu puoi prendere in giro un ragazzo o una ragazza per il loro modo di vestirsi o di comportarsi, ma nessuno sceglie la propria pelle né le proprie ossa." » La radio ronza. « Carri nemici. Ognuno ai suo posto. Togliete il contatto radio con l'esterno. » Prendo il mio posto dietro il periscopio. Porta mette in moto la dinamo. Fratellino controlla la sicura delle armi. Mette una granata anticarro nella culatta. « Carica effettuata », annuncia macchinalmente, con un'altra granata fra le mani. I depositi delle munizioni sono aperti. Le lunghe granate brillano ben allineate. Hanno un'aria innocente, ma fra qualche minuto spargeranno il terrore e la morte, sputeranno fuoco, faranno urlare di dolore degli uomini atterriti. I portelli rimasti aperti ci permettono di seguire con gli occhi i numerosi carri nemici che vanno in formazione serrata sulla strada asfaltata dove batte il sole. Appoggio leggermente sul pedale. Il motore elettrico vibra. La torretta gira silenziosamente. Il mio punto di mira sarà esattamente fra i due alberi, quando scatenerò il tiro. Il comandante Mike spia a filo della torretta. Ha davanti a sé i suoi occhiali, mascherati da un ciuffo d'erba. Quando sarà il momento di far fuoco agiterà l'elmetto. Era un intero reggimento di carri. Il sogno di ogni comandante di truppe corazzate. Ce lo servivano su un piatto d'argento. « E incredibile », mormorò il Vecchio Unno. « Se non ci vedono, per loro in due minuti sarà finita. » Un'allodola lancia i suoi trilli nel cielo azzurro. Al margine del bosco una mandria di mucche guarda con curiosità tutti quei carri. Due contadini, seduti su una carretta di letame, bevono vino. Si riposano un momento, ignorando quel che si
59 trova dietro la diga. Fra qualche secondo saranno presi nel mezzo di un combattimento fra due colossi. Sorridendo fanno dei segni agli americani, che rispondono allegramente. Siamo così tesi che nessuno osa parlare. I miei occhi sono incollati alla gomma attorno al periscopio. Un cane corre nel campo. Uno dei contadini gli getta un bastone. Delle api ronzano attorno ai fiori che mascherano il cannone. Una lucertola trotterella sulla torretta. Una cornacchia becca una lumacone. Adesso cantano, laggiù. Quello che conduce ha una bella voce di baritono. Ecco il primo carro nel mio campo visivo. A parte il conducente, tutto l'equipaggio si offre come bersaglio. Mike agita il casco. « Fuoco! » comanda il Vecchio Unno. I sedici cannoni pesanti sputano tutti insieme. Lo spostamento d'aria fa sì che i cespugli si pieghino orizzontalmente. Le sedici granate fanno centro. Degli uomini vengono proiettati nello spazio. Dappertutto si alzano fiamme gigantesche. La salva seguente incendia altri carri. Faccio girare la torretta. Fratellino spinge la carica con la fronte. Il torso nudo è madido di sudore. Tiriamo granata su granata. I cavalli del carretto si imbizzariscono; uno dei contadini vi è restato aggrappato. Le mucche forzano il recinto e si precipitano diritto nel fuoco. Tre carri si consumano sulla strada. « Granate esplosive, fuoco! » ordina Mike. Le granate esplodono in mezzo a uomini che urlano, pazzi di dolore. Perfino i morti rimbalzano e vengono ancor più straziati. Per mettere il punto finale, mandiamo delle granate
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S. La strada ora è un oceano in fiamme. « Fate girare i motori », comanda Mike. « Panzer, avanti... marsc! » È la volta delle mitragliatrici e dei lanciafiamme. Avanziamo lungo questo inferno bruciante. Le torrette girano, le mitragliatrici abbaiano. I feriti e i morti vengono lacerati dai proiettili. Un soldato, impazzito, si alza da un mucchio di cadaveri, le mani protese in avanti, la bocca spalancata, gli occhi fissi. Un lanciafiamme lo lecca con la sua lingua di fuoco giallo. Si carbonizza in una fumata nera. Mike fa segno di fermarci. « In colonna di marcia! Direzione: reggimento! » Si frega le mani. Si stabiliscono i contatti radio. Si ride. Gli yankee hanno tirato un colpo solo. Neppure un graffio ai nostri carri e abbiamo sterminato un reggimento, grazie a un vecchio sergente americano troppo chiacchierone. Il comandante Mike chiamò lo stato maggiore del reggimento. Nella sua voce si indovinava dell'entusiasmo e dell'orgoglio. « Rinoceronte chiama Scrofa. A voi. » « Qui Scrofa, parla Rinoceronte. » « Rinoceronte, capo. Reggimento di carri armati nemici liquidato. Nessun prigioniero. Nessuna perdita da parte nostra. Costo: millecinquecento granate perforanti, ottocento granate esplosive, trecento granate S. Per osservazione aerea: carta n. 3, strada 6, punto A2. Chiudo. A voi. » « Scrofa a Rinoceronte. Felicitazioni. A rapporto. Il comandante. Chiudo. »
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Spreuggranate: granata dirompente esplosiva.
61 « Preferisco andare indietro che avanti », dichiarò Barcellona. Eccoci qui a centellinare del vino. Se domani avanziamo, bisognerà cacciare il muso dentro pozze d'acqua disgustose. Non ci fanno dei regali quando avanziamo. E poi ne ho abbastanza delle ragazze di Ida. Sono diventate dei camerati al fronte. Conosco ogni pelo del loro deretano. Sono due mesi che Ida ce ne promette delle nuove: mente come respira.
62 « Che sonno ho », grugnì Porta. Siamo arrivati barcollanti davanti al nostro carro. Erano quattro giorni che non si chiudeva occhio. « Mi addormenterò per strada », minacciò Pòrta. Mike urlava, gli occhi iniettati per la stanchezza. x Farò saltare in aria tutta una colonna, se mi addormento », disse Porta. « La regina non vorrà saperne di te, se hai così sonno! » disse Heide. » Me ne infischio della regina », borbottò Porta. * Voglio dormire. » « Lei non sarà contenta », continuò Heide che aveva voglia di litigare. Correvamo. Due carri si rovesciarono nel burrone: i piloti si erano addormentati.
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IL COMANDANTE MICHAEL BRAUN I cacciabombardieri comparvero a centinaia, spazzando tutto. Un carro passava allo scoperto, e due apparecchi scendevano in picchiata. I caccia avevano seminato lo scompiglio nel 2° battaglione. L'attacco era durato due ore. La nostra compagnia aveva perso tutti i Pantera e metà degli uomini. Porta aveva dovuto rotolarsi sul pendio per spegnere la sua uniforme che aveva preso fuoco. Ci eravamo acquartierati nelle montagne in attesa di rinforzi. I due carri erano già là, dei Tigre II da sessantotto tonnellate con i loro cannoni molto efficaci da 88 millimetri. I nuovi non arrivavano come d'abitudine in formazione serrata. Non c'erano novellini fra di loro, erano tutte vecchie volpi esperte. Molti portavano ancora l'uniforme del fronte orientale. L'aiutante maggiore Hoffmann, il più gran porco di tutti i marescialli maggiori, li accoglieva. Adorava la propria voce e ogni occasione era buona per fare lo sbruffone. Quando voleva essere gentile, interpellava i suoi sottoposti con dei nomi biblici. Quando era di cattivo umore, tutti i termini scatologici venivano adoperati. Quando era normale, cioè la metà di una vacca, utilizzava misteriosi appellativi: toro di letamaio, teschio di coniglio, topo d'ombrello, porco del mio sedere, eccetera. Hoffmann aveva due attendenti, mentre non avrebbe avuto diritto a neanche uno. Uno degli uomini assolveva le mansioni di un cameriere. Prima che un triste destino lo avesse fatto naufragare al servizio del maresciallo maggiore, era maggiordomo in uno dei più grandi palazzi di Berlino. L'al-
64 tro era un uomo a tutto fare e addetto ai vini, incaricato anche del servizio di tavola quando Hoffmann pranzava da solo. Un giorno che Fratellino aveva fumato mentre era in fila, Hoffmann lo fece arrampicare ventiquattro volte fino in cima a una quercia. Ógni volta, quando raggiungeva la cima, Hoffmann gli ordinava di gracchiare. Hoffmann aveva il suo favorito: il Verro 1, l'ex maresciallo maggiore del carcere militare di Amburgo-Altona, retrocesso a furiere capo della compagnia. Avevamo cercato di metterlo in cattiva luce con Frick e Mike. Niente da fare. Il Verro restava là, come una chiocciola nel suo guscio, e ci sfidava. Una notte gli abbiamo fatto un brutto scherzo. Lo abbiamo preso mentre dormiva. In meno di due minuti lo abbiamo legato a un albero, con gli occhi bendati. Pqi abbiamo puntato su di lui un mitra italiano. La mattina, quando lo hanno liberato, il Verro non era più che uno straccio. Hoffmann trovò la storia molto divertente, trattò i suoi autori da tipi ameni. Ma il giorno in cui fu lanciata davanti a lui sulla tavola una bomba a mano senza spillo, i tipi ameni diventarono di punto in bianco altrettanti assassini, sabotatori comunisti e così via. Avvertì la polizia segreta, che delegò un commissario della polizia criminale, il quale non smise di essere ubriaco per tre giorni, grazie alla cantina di Hoffmann, poi se ne andò senza aver risolto niente. Non dimenticò però di portarsi via quattro stecche di Carnei, due prosciutti d'agnello affumicato, e promise a Hoffmann di ritornare presto a continuare l'inchiesta. Hoffmann rispose con una serie di grugniti. Si lamentò presso il reggimento, dove per tutta consolazione gli fecero notare che era stato lui a rivolgersi alla polizia segreta. Giurò 1
Vedi Gestapo
65 che da allora in poi avrebbe seguito il consiglio della gente saggia: non svegliate mai le autorità, lasciatele dormire! È difficile farle poi addormentare di nuovo. Eravamo davanti al posto di comando e avevamo freddo. L'aiutante si faceva aspettare, come tutte le mattine. Soltanto per farci diventare un po' nervosi. I vecchi portavano una tuta sopra l'uniforme; così, eravamo sicuri di essere scelti per il servizio tecnico, il solo dove nessuno potesse controllarci. Porta aveva in mano una pinza e quattro chiavi; una scatola di candele usciva in modo evidente da una delle sue tasche. Fratellino stringeva sotto il braccio una pompa per la benzina. Erano quindici giorni che la portava in giro e Hoffmann non aveva ancora fiutato niente. I nuovi erano allineati a sinistra, con i loro zaini davanti a sé. Avevano i cappotti, le maschere antigas nuove che battevano loro sulla spalla e l'elmetto appeso al cinturone. Porta nascondeva nella mano una sigaretta accesa. Se Hoffmann la vedeva, gli veniva un colpo. Egli uscì dal posto di comando con il Verro alle calcagna, che portava l'ordine di servizio del giorno e le sei matite colorate. Si teneva esattamente a tre passi dall'aiutante maggiore, fermandosi e avanzando con la stessa cadenza di lui. Hoffmann si piantò a gambe larghe di fronte alla compagnia. Aprì la gran bocca dalla quale uscì una specie di muggito selvaggio: « Compagnia, attenti! » Aspettò qualche secondo per vedere se qualcuno avesse osato muoversi e sogghignò soddisfatto. « Riposo! » comandò. « Allora, specie di zebre rosa, immaginate che vi possa riuscire tutti i giorni l'imboscata dei servizi tecnici? Oggi è l'ultima volta, banda di fetenti. Autieri, fuori ! » I due terzi degli uomini uscirono dalle file. Gli altri resta-
66 rono, con gli occhi sperduti nel vuoto. Sempre seguito dal Verro, Hoffmann si diresse verso di loro. « Tu, laggiù », gridò additando un caporalmaggiore. « Quella pistola che hai sul didietro, dove l'hai presa? » Il caporalmaggiore dovette consegnare la pistola. L'aiutante era felice. Prendere la pistola a un militare, è come strappargli l'anima. Fece fare tre volte gli esercizi agli uomini attraverso le paludi con il pretesto del cattivo contegno, di comportamento indisciplinato. In realtà voleva ostentare il suo potere assoluto. Quando gli uomini, sporchi di fango e erba delle paludi, si rimisero sull'attenti davanti a lui, era trionfante. « Allora, piattole, spero che sappiate dove vi trovate, in una vera compagnia prussiana, dove regnano l'ordine e la disciplina. Adesso capite », aggiunse sicuro di sé, « che siete meno di niente. Qui sono io che comando, e io soltanto. Se ho voglia di appiattirvi la testa, ve la ridurrò in marmellata. Ma se qualcuno di voi, cosa che mi meraviglierebbe, dà prova di avere un po' di fegato, io ne farò un sottufficiale. » Non si rendeva conto di minimizzare l'importanza dei sottufficiali, dichiarando che bastava avere un po' di fegato per prendere i galloni. I tipi come Porta avevano capito da un pezzo e non brigavano per avere quel grado: gli idioti vogliono l'avanzamento, i furbi se ne stanno tranquilli, ripeteva volentieri. Tre dei nuovi furono destinati alla nostra sezione, fra i quali uno era un caporalmaggiore con otto anni di servizio. Il suo zaino era pieno di oggetti rubati. Si avanzò verso il Vecchio Unno. « Sei tu il caposquadra? Io sono l'ex autista del comandante supremo di Venezia. Ho avuto la specializzazione per il servizio in retrovia... Non so niente del servizio al fronte...
67 del resto non desidero saperlo. Se mi chiedi di portarti l'uniforme del capo della divisione, non hai che da dirlo e te la porto adesso subito. Mi chiamo Gregor Martin. Sono caporalmaggiore. Prima di difendere il pezzo di terra che loro chiamano la patria, ero autista addetto ai traslochi. Ho viaggiato per tutta l'Europa. Sono entrato praticamente in tutte le case più eleganti a consegnare i miei mobili antichi, usciti freschi dalla fabbrica. Il mio padrone mi aveva insegnato a truccare la merce e sono capace di fare in modo che una sedia di legno ancora verde sembri aver servito al culo di Napoleone. » « Perché non sei restato col tuo generale a Venezia? », chiese Porta curioso. « Sempre la stessa storia: una puttana », spiegò Gregor Martin con dei singhiozzi nella voce. « Mi ha fatto segno attraverso il Canal Grande. Ho voluto vederla più da vicino, ho attraversato il ponte di Rialto. Avevo fretta e come forse sapete c'è una discreta circolazione su quel maledetto ponte. Ci si incontra tutti. Io mi sono trovato di fronte un imbecille di un tenente di vascello. Che i pescecani se lo mangino o i pesci rossi, quel porco ! Non ci siamo trovati d'accordo sul modo in cui un caporalmaggiore doveva salutarlo. Non sono stato capace di star zitto. » « Che cosa gli hai detto? » chiese Fratellino curioso, pulendosi il naso con le dita. « Non ricordo più bene, ma in ogni caso gli ho spiegato che non si doveva confondere il ponte di Rialto con il cortile di una caserma. Mi ha preso per il colletto e ha voluto condurmi via. Non so neanche bene come sia successo, ma l'ho buttato in terra con un destro. L'ho anche un po' strapazzato perché volevo andarmene. Questo mi ha insegnato che non si deve mai discutere su un ponte, perché tutto a un tratto sono comparsi i gendarmi a sbarrarmi le due uscite. » « Io mi sarei gettato in acqua », disse Porta.
68 «Provaci a Rialto! Hanno costruito una faccenda dalle due parti. Il marinaio d'acqua dolce minacciava di farmi fuori con la sua Walther, i gendarmi hanno dovuto trattenerlo. Dopo un momento erano loro che volevano sparare, perché nella confusione ho dato un colpo sulla testa a uno, e ho messo in testa agli altri due un vaso da fiori. Mi sono rifugiato in un caffè. Per scherzare un po', ho urlato sulla porta: Fronte rosso, abbasso Mussolini! « "E vero, i nazisti le hanno prese?" ha belato il barista con grida di gioia. « "Due minuti fa", ho risposto. Era vero, erano in terra sul ponte di Rialto in mezzo ai fiori. « Hanno incominciato immediatamente a festeggiare la vittoria. Il padrone ha offerto lo champagne. Avevano così fretta, che non avevano il tempo di aprire le bottiglie, le rompevano semplicemente sul banco. Hanno bruciato le fotografie di Hitler e di Mussolini in mezzo alla sala. Mentre tutti intonavano: Come si sta bene fra le braccia di una bionda... « Due disertori sono andati a cercare le loro uniformi e i loro fucili in cantina. Hanno sparato dalla finestra. Un poliziotto si è affrettato a gettare la sua divisa in un bidone per immondizie sotto un portone. Poi è venuto a aiutarci a festeggiare la vittoria. « Ci racconta che da un pezzo è in centatto con i partigiani. A un tratto ecco che si mette un bracciale bianco rosso e verde e che si autonomina capo della polizia di Venezia, con effetto immediato. Era deciso da un pezzo. Ha assegnato un posto a ciascuno. « Io ero accovacciato nel gabinetto alla turca, con i calzoni alle ginocchia, quando è scoppiata la gazzarra. Sento dei colpi di fucile, degli ordini che conosco bene. Vi sono di rado delle finestre in questi cessi in Italia. Ho cercato quindi di filarmela in silenzio, ma un figlio di mignotta mi ha visto. Mi hanno sbattuto in prigione a Mestre, poi a Chioggia. Ma il
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nostro Ia , un porco di colonnello, non ha voluto saperne di me. Non gli andavo a genio né io, né le Porsche, né il mio generale. » « Che cosa c'entrano le Porsche con tutto questo? » chiese Barcellona che non riusciva a raccapezzarsi. « Capisci, già quando il generale e io eravamo in Russia, vicino a Kerch avevo saputo che il vecchio aveva un debole per le auto sportive. Ho riflettuto bene e mi sono detto: Gregor il camionista, questa è la tua fortuna! Quando si è capaci di trasportar bauli con un camion da quindici tonnellate per dei passi di montagna e di trasformare una sedia nuova in una antica, si è anche capaci di occuparsi di vetture sportive. Ho cominciato a raccontare di una corsa automobilistica a cui avevo partecipato, in sogno, si capisce! Ho raccontato che conoscevo personalmente Sir Malcolm Campbell. Alla fine il vecchio non stava più in sé: mi ha fatto chiamare e mi ha invitato a prendere posto sul suo divano. « Il vecchio si interessava talmente alle mie descrizioni di auto che per poco non dimenticava di dover attraversare il distretto di Kerch con la divisione. « L'ho fatto diventare fanatico delle Porsche. Ha trovato modo di procurarsene due. Bisogna riconoscere che i generali conoscono certi trucchi che veramente non sono alla nostra portata. In breve, eccomi diventato il suo autista favorito. Che forza, quando filavamo su Graz e Innsbruck. Il vecchio dimenticava la sua divisione. La lasciava alle buone cure del nostro la, quel porco di colonnello. Avevo i miei quartieri speciali. Avevo tre uomini per aiutarmi a tenere in ordine le automobili. Quando mi sorprendevano a dormire in pieno giorno, non avevo che da dire: ordine del generale, devo riposarmi prima di guidare per lui. Avevo delle uniformi fatte su misura. Vedete, me ne resta una. Quelli erano bei tempi! 1
Ufficiale addetto alle operazioni.
70 Ero pieno di soldi. Vendevo la benzina al mercato nero. Quella puttana, aveva proprio bisogno di capitare vicino al ponte di Rialto! « Il colonnello mi ha fatto trasportare dal generale, al Lido. Ha incominciato con una lavata di testa da levarmi la pelle, ma ha cercato di togliermi dai guai. Si poteva accusarmi non importa di che cosa, il mio generale se ne infischiava. Voleva correre in fretta, su una Porsche, e sapeva che poteva contare su di me. Ma, ecco, c'era una camicia nera che mi aveva visto pisciare su Mussolini... voglio dire sulla sua fotografia. Ha talmente gridato, che il vecchio ha fatto segno alla nostra polizia militare di portarlo a fare una passeggiatala. Gli girava un po' la testa, quando l'hanno riportato qualche giorno dopo. Ero là e gli ho detto: « "Imparerai forse, pezzo d'idiota, a accusare gli uomini di fiducia della Wehrmacht". « Gli ho persino gettato un sasso mentre stava per girare l'angolo, pensando: non lo vedrai più, quell'imbecille. Ma non era vero. Quel figlio di puttana aveva un papà che a Roma conosceva un coglione che conosceva il feldmaresciallo Kesselring. Ho imparato che poca cosa siamo noi. Il mio generale non ricordava neanche più il mio nome. Mi ha lasciato cadere come uno stronzo. Poi ho continuato a. precipitare: mi hanno condotto in prigione, con le manette, fra due cavalli della gendarmeria italiana! Una cosa simile a un autista! Se mi avessero fatto correre a piedi dietro un'auto, non avrei detto niente. Ma dei cavalli! Ah, questo no! e adesso eccomi da voi! » Il Verro si avvicinava. « Ordine di adunata », mormorò. « E perché? » chiese Porta lentamente. « Il comandante vuole salutarvi e vedere i nuovi. E in vena, questa mattina. Ha fatto uscire cinque volte gli scribacchini. »
71 « E io, sai che cosa farò? » ghignò sottovoce Porta. « Un giorno ti porterò con me in prima linea e poi ti manderò dai gurka o dai maori con un dito o due a pezzetti in tasca. Com'è triste la vita! » 1 Il Verro si affrettò a scomparire. Rudolph Kleber, il nostro trombettiere ex SS, suonò le note della ritirata con la sua tromba. « Non invecchierà molto », rise il piccolo legionario. Eccoci partiti per l'adunata, non senza prima aver avuto cura di sporcarci un po' le mani con della morchia. Eravamo la squadra tecnica, e a Hoffmann poteva venir l'idea di esaminare le nostre mani. Il comandante Michael Braun era già là. Con le spalle appoggiate al muro faceva passare il sigaro da un angolo della bocca all'altro. Circolavano le voci più strane sul conto del comandante Mike. Certi pretendevano che non fosse tedesco, ma americano. Julius Heide, ben informato come il solito, aveva detto che era stato caporale nella fanteria di marina americana. Era nato a Berlino. Con i suoi nonni e i suoi sette fratelli e sorelle era emigrato negli Stati Uniti subito dopo la prima guerra mondiale. Sua madre aveva sposato in seconde nozze un uomo d'affari americano, che non si interessava che dei business e delle donne. Per lui gli Stati Uniti erano tutto l'universo. Chi non era di questo parere, era un porco di un negro. Quando Michael Braun ritornò dalla guarnigione delle Hawaii con la testa piena di nuove idee politiche, il suo patrigno lo mise immediatamente alla porta con queste parole di saluto: « Sei una macchia sull' onore degli Stati Uniti ». Michael visse per un certo tempo con il premio di sbarco. Poi fece il gigolò con un'attrice di Los Angeles, che aveva un 1
In italiano nel testo.
72 certo nome. Ma una sera, in allegra compagnia, in un negozio di Lincoln Road, Mike aveva parlato troppo. Ritornando dalla signora l'aveva trovata eccitatissima in seguito a nove bicchieri di whisky, due gin, tre ginepri e alla voce che l'aveva messa in guardia per telefono. Vi era stata una scenata violenta, tutti i mobili erano stati fatti a pezzi e Mike si era trovato sul lastrico. Assaggiò il mestiere del lustrascarpe, in fondo al molo. Disgraziatamente non aveva ancora imparato la prudenza. Dormiva con la moglie di un guardsman, una messicana dai capelli corvini alla quale piaceva molto godersela di tanto in tanto. Il guardsman, che era irlandese, non ci sapeva fare. Pagava due giapponesi di Yokohama perché si occupassero della piccola. Uno di loro aveva una lavanderia a Little Street. L'altro era aiuto panettiere presso un emigrato austriaco, che fabbricava « dolci viennesi » che nessun viennese avrebbe riconosciuto. Si imbarcò in un'orgia filmata da macchine da ripresa nascoste. La cosa terminò con uno scandalo. Michael non aveva fortuna: si ritrovò in prigione, accusato di aver fatto le fotografie. Comunque una certa fortuna l'ebbe. Avrebbe potuto prendere dieci anni; ne prese solo uno, perché il giudice aveva mangiato bene e era di buon umore. Aveva apprezzato le fotografie che erano le prove d'appoggio dell'accusa. Furono ripiodotte in parecchi esemplari per una distribuzione generale al giudice, all'accusatore, al difensore, agli altri funzionari della polizia criminale. Messo fuori, Michael Braun partì per New York, viaggiando clandestinamente su un treno merci. Andò a presentarsi all'ufficio di reclutamento dell'esercito, a Washington Road. Arrivò molto sicuro di sé. Non era forse un ex marine che aveva fatto le sue prove? Ma un fottuto sergente con un distintivo sul petto (era un veterano della Somme e ne era fiero) gli chiese un certificato di buona condotta. Michael cercò
73 di imbonirlo e di sorvolare sull'anno di prigione a Los Angeles. Benché si divertissero lo invitarono a passare nella sala posteriore. Là ricevette la prima grossa batosta della sua vita. Gli fecero « capire » che l'esercito non voleva dei criminali. Andò a Millwall Dock, si nascose a bordo del Brema, della linea Hapag. Lo scopersero a trecentosettantacinque miglia a est di Halifax. Come fu sorpreso di vedere il numero di piatti che un uomo può lavare in un giorno! Ogni volta che ne rompeva uno, aveva diritto a una bastonata da spaccare la testa. All'arrivo a Amburgo fu consegnato nelle mani della polizia di sicurezza. I colpi che aveva avuto dai tre sergenti dell'ufficio di reclutamento di New York erano carezze, in confronto di quelli che ricevette al numero 8 della Stadthausbrücke. Passò nove mesi a Fuhlsbüttel, affidato alle cure di Marabut, l'Obersturmbannfiührer delle SS 1 il più nauseante degli stivaloni. D'istinto, Michael capì che se voleva salvare la pelle doveva curvar la schiena e giurare fedeltà. Si consolò pensando che « il lutto si addice a Elettra ». Il suo vecchio istinto di soldato lo condusse verso uno spione 4el carcere. Lasciò cadere una parola qui, una là, a proposito della fanteria di marina , americana; del campo di Shuffield; del lavorò dei prigionieri nelle cave; delle inumane marce di disciplina sotto il sole bruciante. Fece qualche allusione alla nuova carabina semiautomatica MI e lasciò anche capire di conoscere il fucile 276 Garand di Pedersen. Marabut incominciò a interessarsi. Per due ore Mike rimase sull'attenti, come soltanto un marine è capace di fare. Marabut scuoteva la testa, soddisfatto. Lo misero alla prova. Mike disarmò con le sue sole mani tre SS, dei duri. Tutto questo si svolgeva nel cortile che dà sull'aeroporto, là dove hanno giustiziato André. 1
Tenente colonnello.
74 Marabut era meravigliato. Nascosto dietro una tenda al secondo piano, guardava la scena. Poi Mike dovette correre per tre chilometri, e questo dopo aver digiunato per sei giorni. Lo misero poi nella camera fredda e lo fecero uscire quando era mezzo congelato. Allora lo legarono a un radiatore e ogni quarto d'ora gli gettavano un secchio d'acqua gelata in faccia. Mike incominciava a sentir la nostalgia della prigione di Shuffield, dove c'era lo Sfregiato, il più porco di tutti i porci sergenti. Marabut sputò su Mike, ma nel cervello di Mike suonava il segnale della tromba di Shuffield. Marabut aveva commesso un errore. Aveva applicato a un vecchio soldato il trattamento riservato ai politici. Mike si mise sull'attenti come attraverso una nebbia e guardò negli occhi Marabut. Per quattro volte Marabut lo colpì in viso col frustino. Settantatré giorni più tardi Mike fu trasferito in un campo di lavoro, vicino a Eisenach. Seguendo vie molto complicate, strinse delle relazioni all'interno del partito. Un Gauleiter diventò suo amico. Avevano tutti e due il senso degli affari, loschi soprattutto. In un tempo record Mike diventò capo di compagnia in una Allgemeine SS-Kompanie. Un compare gli sussurrò che la polizia esaminava la cosa. In alto loco ci si era meravigliati che una buona parte delle derrate razionate fosse scomparsa da Eisenach senza lasciar tracce. Mike capì che era ora di cambiare alloggio. Con poche frasi magniloquenti fece capire che il suo dovere gli imponeva di mettersi a disposizione dell'esercito. Il suo superiore, il Gruppenfùhrer 1 delle SS Nichols, beveva beato queste tirate patriottiche. Un giorno di aprile freddo e piovoso Mike si presentò al 121° reggimento di frontiera, a Tibor Lager, ma il capo della seconda compagnia, il capitano Tilgner, non apprezzava molto questo curioso mezzo tedesco. Spedirono Mike in un buco 1
Generale di corpo d'armata.
75 lontano, Tapiau, nella Prussia orientale vicino alla frontiera polacca. Per sei mesi prestò servizio nel Trentunesimo battaglione mitraglieri. Là si fece notare per la precisione del tiro. Vinse il concorso di tiro con la mitragliatrice. Quando il comandante gli chiese quale fosse stato il suo grado presso i marines, l'ex caporale rispose franco: « Tenente, signor comandante! » Si scrisse a Berlino a proposito di Michael Braun. Otto giorni più tardi egli veniva nominato sergente con sulla spalla il distintivo di allievo ufficiale della riserva. Altri tre mesi, e era aspirante di seconda classe, e un anno dopo di prima classe, quando per caso fu avvertito che si aveva intenzione di mandarlo all'accademia militare di Potsdam. Là sarebbe stato esaminato a fondo e la sua impostura sarebbe venuta alla luce in poche ore. Per vie diverse diede l'allarme alle sue relazioni nel partito. Mike viaggiò di nuovo. Passò un certo tempo al Secondo battaglione zappatori, a Stettino. Imparò a far costruire pontoni e ogni volta che sentiva parlare dell'accademia militare si arrangiava per tagliar la corda. Nel 1939, alla dichiarazione della guerra, vi erano poche guarnigioni tedesche che non conoscesse. Terminò la campagna di Polonia a Lemberg, come tenente, comandante di una compagnia. Era molto apprezzato e veniva spesso invitato dall'altra parte delle linee di demarcazione, dove beveva gran bicchieri di vodka con gli ufficiali russi. Mike si urtò con il suo superiore, che si era messo in testa di mandarlo, volesse o no, all'accademia militare. Finì con l'essere allontanato dal 79° e il suo libretto si arricchì di una nota in cui si dichiarava: « Indisciplinato, spirito litigioso e indocile; si sconsiglia di affidargli un comando indipendente ». Un complimento del genere non facilita gli inizi in un nuovo reggimento. Per sei mesi Mike fece il giro del paese come
76 capo di una compagnia di autocarri delle ferrovie. Un bel giorno lo si rivide a Eisenach con i suoi autocarri, certo, e la metà del carico scomparso nei depositi del suo compare, il Gauleiter. Così finì il servizio del tenente Michael Braun in quest'arma. In un tempo record diventò capitano e cinque mesi più tardi comandante, e tutto grazie al suo amico Gauleiter. Il più straordinario era che il comandante Michael Braun non aveva mai sentito l'odore di una scuola ufficiali a meno di cento chilometri. In tutti i combattimenti gli toccavano i lavori più ardui, i problemi insolubili. Si arrangiava in un modo o nell'altro, ma l'onore del successo veniva rivendicato da qualcun altro. Poiché il suo ultimo colonnello aveva aggiunto un'altra nota spiacevole al suo libretto, Mike venne spedito in un reggimento di disciplina. La motivazione era grave: ubriaco, aveva gettato un boccale di birra in pieno contro un ritratto di Hitler, urlando: Alla tua! Il suo amico Gauleiter non poteva più fare niente per lui. Da due mesi spaccava pietre nel cantiere di una nuova autostrada. Il fatto stesso di conoscerlo era diventato pericoloso. Mike si affrettò a dimenticare il compare. Ecco il personaggio, il comandante Michael Braun, che voleva salutare i nuovi della compagnia. Era anche capace di bestemmiare per un'ora e mezzo senza mai ripetersi. « Banda di idioti », tuonò, « sono il vostro comandante. Non voglio porcherie qui dentro. Se uno di voi ha voglia di tirarmi un colpo alla nuca, incominci a fare testamento. Ho degli occhi dietro la testa e un radar nel deretano.»Puntò il dito su Fratellino: « Creutzfeldt, chi è il più duro di tutti i comandanti di compagnia che hai conosciuto? » « Sei tu, Mike! » Il comandante ebbe un gran sorriso. Indicò il piccolo legionario.
77 « Alla mia destra c'è il sergente Kalb. Ascoltate i suoi consigli e avrete la possibilità di salvare la vostra pelle. E stato in mezzo agli arabi e sa come si fa! Quel gran bandito con il fazzoletto giallo, a sinistra in prima fila, e che si permette di portare le stelline da maresciallo, è Marlow. Viene dai commando di paracadutisti del maresciallo Goring. Maneggiava troppo bene il coltello. E per questo che se ne sono sbarazzati. Vi insegnerà la tecnica della lotta a corpo a corpo. Il sergente Julius Heide vi insegnerà che cosa sono l'ordine e la disciplina. Il maresciallo Willie Beier, detto il Vecchio Unno, vi inizierà all'arte di guidare gli uomini, e anche all'umanesimo. Quest'ultimo punto non vi servirà a molto. Il caporalmaggiore Joseph Porta vi insegnerà a rubare. Se avete bisogno di buone parole per la serenità della vostra anima, rivolgetevi al nostro cappellano, padre Emmanuel. Non lasciatevi ingannare, è capace di abbattere un toro con un pugno della sinistra. » Il comandante brandì la sua pesante P. 38. « Come avete potuto constatare, io porto una pistola d'ordinanza per la truppa non una Walther, uno di quei giocattoli che preferisce la maggior parte degli ufficiali. Se in mezzo a voi c'è un figlio di mignotta che dia il minimo segno di vigliaccheria quando ci saranno gli americani, lo faccio fuori personalmente. Non crediate di essere qui per guadagnarvi una croce di ferro. Dalle SS si viene proposti due volte per una croce, prima di vedersela dare. Da noi sono sei volte. Voi siete i rifiuti dell'umanità, ma diventerete i migliori soldati del mondo. » Respirò profondamente e rimise nel fodero la sua pistola: « Prendete lezione dagli uomini di cui vi ho parlato ». Rivolgendosi al maresciallo maggiore Hoffmann, Mike ordinò: « Due ore di esercizio speciale al fiume. Quello che ammazzerà un compagno avrà tre settimane di permesso. Una cartuccia su dieci e una bomba a mano su venti sono cariche. Voglio almeno un braccio rotto. Altrimenti, quattro
78 ore supplementari di esercizio ». Incominciò allora una di quelle esercitazioni favorite di Mike, che ce lo facevano odiare. Ma erano queste che ci rendevano duri, inumani. Un buon soldato deve conoscere l'odio. Deve poter uccidere un uomo come schiaccerebbe una pulce. Abbiamo avuto tanti capi di compagnia e comandanti, ma il germano-americano, il comandante Michael Braun che non aveva mai messo piede in una scuola ufficiali, ci allenava come nessuno aveva mai fatto. Ci urlava il suo disprezzo e ci sputava in faccia alle undici; ci faceva uccidere a mezzogiorno; ma alle tredici beveva whisky e giocava alle carte con noi. Di individui venuti dal fango faceva dei supersoldati. Ci costringeva a marciare facendo il passo dell'oca nelle paludi dove eravamo nel fango fino al ginocchio. E musica in testa: dieci trombe, dieci flauti, dieci tamburi. Aveva ottenuto che i nostri suonatori portassero un orlo di pelliccia attorno all'elmetto. Un gran numero di cartucce erano state destinate alla sua nuca. Il che non toglie che Porta e il piccolo legionario già due volte lo avevano riportato ferito dalla terra di nessuno. Egli non li aveva neanche ringraziati. Se una missione era particolarmente difficile: infiltrarsi di sorpresa dietro le linee nemiche, far saltare un obiettivo speciale, coprire a gruppi la ritirata, disinnescare mine, nuotare sott'acqua con gli zappatori, mettere le mani su un generale nemico, Mike vi partecipava, quasi sempre come soldato semplice. Un giorno ha riportato sulla schiena tre feriti e la mattina dopo è ripartito per cercare il quarto che, colpito agli occhi, era rimasto impigliato nei reticolati. Né avremmo presto dimenticato la storia di Lukas. Lo avevamo cercato per tre giorni. Lo sentivamo che chiamava la mamma laggiù, nella terra di nessuno. Era coricato con la testa nell'erba, difficile quindi da trovare. Ci faceva diventar
79 pazzi con le sue grida. Lo cercavamo tutti, quelli in faccia così come noi. Gettavamo delle bombe a mano nella speranza di finirlo, perché ci lasciasse in pace. Mike si sbarazzò del suo equipaggiamento e superò il reticolato. Lo cercò per quattro ore. Noi lo coprivamo con otto mitragliatrici. Mike ricuperò il piccolo, se lo caricò sulle spalle e rientrò, in piedi. Tanto noi quanto quelli in faccia lo abbiamo acclamato. Dimenticavamo di essere nemici. Gridavamo evviva e buttavamo in aria gli elmetti. Mike saltò nella trincea, consegnò Lukas nelle mani del cappellano Emmanuel perché lo portasse al posto centrale di soccorso. Poi ci insultò con tutti i nomi possibili perché non avevamo tirato sugli americani che si erano scoperti. C'è stato anche il giorno in cui la nostra artiglieria tirava troppo corto. Mike si arrampicò fino al puntatore che era ferito, lo mise immediatamente agli arresti per negligenza e prese il suo posto. Per due ore diresse il fuoco dei cannoni diritto sul bersaglio, cosa che ci permise di prendere le posizioni nemiche, quasi senza perdite. Un altro giorno differì di dieci minuti un attacco ordinato dallo stato maggiore. L'attacco riuscì al di là di ogni speranza, grazie al comandante Mike. Era capacissimo di lasciarci in piedi nell'acqua fino al collo, in una notte fredda, dicendo che doveva abituarci a maneggiare le armi. Ma faceva sempre in modo che vi fosse della paglia asciutta quando ritornavamo dalla prima linea. E guai al cuciniere che non portava la sua cucina da campo fino ai combattenti di punta, anche se vi era un tiro di sbarramento per tre chilometri dietro il fronte! Mike era un porco, ma era onesto. Faceva quel che giudicava necessario senza imbrogli. E soprattutto si prodigava sempre. Mike è l'unico comandante che io abbia conosciuto, che non avesse attendente. Era capace in un momento di far diventare morbido come il burro un paio di stivali duri come
80 il ferro. Sapeva conquistare una trincea con qualche bomba a mano; conosceva il lancio corto che dà il massimo d'effetto a un lanciafiamme. Quando partivamo all'attacco con Mike in testa, ci sentivamo a metà salvi. Era come tutti noi un giovane gatto di grondaia, che in mancanza di meglio era finito in mezzo ai militari, in un reggimento la cui bandiera non aveva decorazioni. Quel che più gli piaceva era fare delle domande. « Quali sono i soldati migliori del mondo? » Noi sapevamo la risposta che voleva: i marines americani, ma ci divertivamo a farlo andare in bestia. Il piccolo legionario rispondeva sempre allo stesso modo: « La Legione straniera ». Il commento di Mike era sempre lo stesso: « Gli avanzi delle fogne d'Europa! » E ogni volta il piccolo legionario impallidiva. Se Mike interrogava Barcellona, la risposta non tardava: « Cuarto ingeniero del Ejercito Espanol, i migliori di tutti ». Il comandante sogghignava, soppesando Barcellona con gli occhi. « Ho sentito dire che sogni ancora gli aranceti! Come mai ti sei trovato nella guerra civile? » « Navigavo su uno di quei grandi battelli dove le donne dei ricchi si dorano al sole cercando di dimenticare i loro Jules impotenti. » « Te ne approfittavi, eh, di queste donne? » « È successo, signor comandante. Ero a Barcellona il giorno in cui il generale è sbarcato nel Sud. Da principio ci si divertiva. Si pensava che era un bello scherzo. Ma la cosa era seria. » Il comandante scuoteva la testa. « Ma come hai fatto a finire nell'esercito spagnolo, maresciallo? » « Dunque, ero a Barcellona e, prima che potessi fare uff mi
81 sono trovato su un autocarro con tutta una banda. Ci hanno mandato a Madrid, dopo averci fatto imparare a memoria un mucchio di faccende su Marx e Engels, ma non ci è servito molto una volta distesi nelle nostre trincee davanti a Madrid. Un giorno sono scappato con un amico. Era quando ci si batteva nella città universitaria. » « Sei stato sull'Ebro, maresciallo? Ah, se aveste avuto là uno solo dei nostri battaglioni di marines. Le cose avrebbero camminato più in fretta! » Barcellona non aveva voglia di protestare. Come poteva spiegare a un militare fanatico l'orrore di una guerra civile? Per Mike, Guadalajara non era che un nome. Egli non capiva fino a che punto fosse stato atroce, la mattina in cui le acque delFEbro si erano colorate di rosso. Il reggimento di Barcellona era in testa. Il giorno prima le camicie nere, dei ragazzi di vent'anni, avevano tentato un'offensiva. Volevano che la vittoria di Franco fosse dovuta a Mussolini. La cosa faceva ridere i generali spagnoli, ma lasciavano fare. I giovani italiani ignoravano che dall'altra parte del fiume si trovavano alcuni dei migliori soldati del mondo, dei politici fanatici, degli uomini che avevano sacrificato mogli e figli per la polvere rossa della Spagna. « Un venerdì le camicie nere tentarono di attraversare ma senza successo. I ragazzini scapparono a passo di corsa. Gettavano via persino le scarpe, per correre meglio... una disfatta completa. Gli spagnoli delle due parti se la ridevano. Il sabato sera, quando tramontò il sole, i legionari di Ceuta, con un generale spagnolo alla loro testa, attraversarono l'Ebro e si arroccarono sulla riva settentrionale. Si sgozzavano come lupi affamati. I soldati vittoriosi dell' Ebro non ricevettero nessuna medaglia. Per sentieri polverosi avanzavano verso nord, a grandi tappe, bagnando del loro sudore i fossati asciutti e con un'arancia rinsecchita per razione quotidiana. » « Che cos'è costata la guerra civile di Spagna? » chiese un
82 giorno il comandante. « Un milione di morti, signor comandante. » Mike non fece più domande. Un milione di morti è molto, anche se il paese è grande. Stava là, a gambe larghe, davanti alla compagnia. « Nessuno dei vostri reggimenti arriva anche soltanto alle ginocchia dei marines americani », sbraitò. Picchiò con orgoglio il suo petto muscoloso. « Io, il vostro capo, io sono fiero di aver appartenuto ai fucilieri di marina! » Un giorno, dopo una dichiarazione del comandante, il Vecchio Unno sogghignò, furioso: « Mike è un tipo pericoloso. Ha un solo dio: l'esercito. Lo si ammira quando attraversa un fuoco nutrito per andare a raccogliere un ferito. Non lo fa per il ferito ma per fare una bravata. È un megalomane, è la malattia professionale dei militari. Se ci si sbarazzasse di lui e dei suoi simili il mondo farebbe un gran passo in avanti verso la pace perpetua. Un solo Mike è più pericoloso di tutto un corpo d'armata di coscritti ». « È un tipo in gamba », disse Fratellino. « Sì, un tipo in gamba », approvò Olle Karlsson. « Vedete », esclamò il Vecchio Unno. « Questo dimostra che ho ragione. É un assassino patentato dallo Stato, gli piace ritornare dal fronte coperto di sangue. Non c'è dubbio che gli piacerebbe attaccare nella sua stanza gli scalpi dei suoi nemici. Spero sinceramente che sia ammazzato prima della fine di questa guerra. » « Ce ne saranno dieci come lui per sostituirlo », rise Porta. « Io trovo che è un tipo coraggioso. E non ti ho mai visto rifiutare quando ti offre una cicca. Bene! venite al cesso a fare una partita a tresette? » Andò verso la collina dove si trovavano, in cerchio, i nostri secchioni per la marmellata.
83 Ci siamo installati comodamente. Porta aveva una sorpresa per noi, un barile di fagioli rossi. Abbiamo tolto dagli stivali i nostri coltelli. Il barile di fagioli fu sistemato in modo che tutti potessero arrivarci. I fagioli erano freddi, ma non importava. Barcellona prese dalla tasca una sigaretta e la divise in tre, si tirava una boccata a turno. Porta distribuì le carte, « Dite, figlioli », sorrise il Vecchio Unno. « Non trovate che si sta bene qui, sulla collina, seduti sui secchioni, a giocare a carte davanti a un barile di fagioli e sapendo di essere praticamente al sicuro dalle bombe? » La pensavamo come lui. Se solamente avessimo potuto restare là seduti sulle nostre botticelle personali, la guerra avrebbe anche potuto durare cento anni. Per la maggior parte, non avevamo venticinque anni. Era da un pezzo ormai che avevamo dimenticato la vita borghése. Il nostro lusso più grande erano dei secchioni comodi, su una collina, sotto il cielo del buon Dio. Vi erano centinaia di modi di uccidere. Ce l'avevano insegnato nel cortile della caserma. Quando uccidevamo, era soprattutto per paura. Se vedevamo un russo, un americano o un inglese morto in un fossOj |non ci faceva nessun effetto. Non di più del resto, se si trattava di un tedesco o di un italiano. Un giorno siamo arrivati in un paesino non lontano da Cassino. I gendarmi della polizia militare (erano detestati) erano venuti a cercare tre prigionieri di guerra che erano scappati e si erano rifugiati in una casa. C'erano un inglese e due australiani. Hanno ucciso l'inglese col calcio dei fucili. Poi, dato che faceva troppo caldo, hanno semplicemente fucilato gli australiani. Per punire i contadini del paese di aver nascosto i prigionieri, i gendarmi hanno gettato in un pozzo inutilizzato tre vecchie e qualche bambino. Poi hanno obbligato i contadini a riempire il pozzo di terra.
84 Ci ha fatto qualche cosa tutto questo? Senza dubbio. Ma noi abbiamo fatto qualche cosa? No! Abbiamo fucilato con le occhiate, e con parole incendiarie, bisbigliate, questa polizia militare ripudiata da tutti. Vigliaccheria? Forse. Il Vecchio Unno diceva che era essere ragionevoli. Neppure i partigiani sulle montagne ci avrebbero aiutato se fossimo scappati. Avevamo già visto dei disertori raggiungere i partigiani.-Le formiche non ne hanno lasciato altro che i crani e qualche brandello di uniforme. Un giorno i partigiani hanno attaccato due cacciatori dei reparti corazzati su una ruota. Li hanno cosparsi di olio e di benzina, vi hanno dato fuoco e hanno spinto la ruota sul pendio fino alle posizioni tedesche. Un comando di SS si è vendicato atrocemente su un piccolo paese di montagna. Poi i partigiani hanno risposto alla prima occasione. Diventava ogni volta peggio. Come diceva il Vecchio Unno, il mondo era infestato di malvagità.
85 A via di Porta Labicana due squadre di carri armati erano di copertura. « Sbrigatevi, perbacco », gridarono nel buio delle voci roche. Dalle carrette saltavano delle persone spaventate. Era pieno di individui del servizio di sicurezza e dei loro colleghi fascisti. Cani rabbiosi abbaiavano. Dei bantr bini piangevano. Una bambina perse la sua bambola. Una vecchia incespicò. Scarponi chiodati distribuivano colpi. Le porte pesanti furono chiuse con catene di ferro. La locomotiva sputò vapore. « Porci », lanciò qualcuno. « Tanta gente così in ogni vagone. Non possono neppure sedersi. » « E se gettassimo qualche bomba a mano a questi sporcaccioni della polizia? » propose Fratellino entusiasta. « Non servirebbe a niente », mormorò il Vecchio Unno, furibondo. « Era ben peggio quando hanno preso gli ebrei di Varsavia », racconta Porta. « Qui non adoperano le fruste. Ci vanno a calci. » « Perché non cercano di scappare? » si meravigliò Barcellona. Arrivarono altri vagoni e furono riempiti di gente silenziosa. « Mi chiedo se li ammazzeranno tutti », chiese il musicista, ex SS. « E come! » rise Heide. « Direzione la Polonia, termi-nus la camera a gas! » « Degli uomini non possono fare una cosa simile a degli altri uomini », mormorò ingenuamente il Vecchio Unno. «Non lo sai», spiegò Porta ironicamente, «che il fiore della creazione si chiama uomo, questo porco? » Quella notte si deportavano gli ebrei di Roma. Due squadre di carri dell'esercito tedesco proteggevano il carico alla stazione principale. In pieno giorno avevano rastrellato gli ebrei fin sotto le finestre del Vaticano. Nel vicolo del Campanile vi era stato un breve e violento combattimento, quando avevano arrestato due donne e un vecchio. Una delle donne fu trascinata per i piedi fino al va-
86 gone merci che era fermo in via della Conciliazione. L'azione era stata eseguita sotto la supervisione del capo della Gestapo a Roma, l’'Obersturmbannfuhrer delle SS Kappler in persona. Si cercava di provocare una protesta ufficiale da parte del papa. Questo avrebbe dato via libera al vecchio sogno di Hitler, di Himmler e di Heydrich, dal giorno in cui avevano preso il potere: la liquidazione del papato. Se il Vaticano avesse protestato quel giorno, avrebbe firmato la propria condanna a morte. A Berlino, nell'ufficio centrale della polizia, le mani già si tendevano verso i telefoni e le labbra formavano la parola d'ordine « Rabat », che doveva dare inizio all'operazione.
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LA BISCA DI PORTA Godevamo qualche giornata di tranquillità, interrotta soltanto di notte per organizzare le posizioni e posare le mine. Certo, perdevamo degli uomini, qua o là. Ma tuttavia erano bei tempi. Il lavoro per noi non era terribile. Solamente una notte abbiamo avuto delle vere seccature; sorpresi da un nutrito fuoco di artiglieria, ci siamo ingannati e abbiamo varcato le nostre linee. Ci è costato quarantatre morti e il doppio di feriti. Ma noi, gli anziani, siamo ritornati sani e salvi. Abbiamo potuto persino ridere di Heide che era stato mezzo scotennato da una scheggia di granata. Tutto un lato della sua capigliatura nera e liscia che era il suo orgoglio, era stato strappato. Abbiamo dovuto adoperare due pacchetti di medicazione per ricoprire la pelle insanguinata. Era così furibondo che devono averlo sentito fino all'inferno. Per poco non sparò su Fratellino, quando si avanzò con un enorme specchio, rubato in un vicino castello. Ma dovevamo star attenti a non rompere lo specchio, ci sarebbe costato sette anni di disgrazie, come tutti sanno. La maledicevamo, questa dannata specchiera. Diventava un vero problema. L'offrivamo a tutti, nessuno la voleva. Alla fine l'abbiamo trasportata fino al casino, da Ida la Pallidina. Là siamo riusciti a fissarla al soffitto, in una delle camere. Allora abbiamo avuto l'impressione di esserci liberati dalla iettatura. Ida pensava anche lei che fosse un posto sicuro, i soffitti sono alti nel suo casino. Porta aveva trovato una casa, ben isolata in una pineta, al sicuro dagli sguardi curiosi. Vi aprì una bisca. Stalin, il gatto, vi troneggiava, collocato in una gabbia per uccelli sospesa sopra la testa di Porta. Il gatto dormiva su un cuscino rosso che in origine era servito al deretano di una delle ragazze di Ida. L'aveva portato
88 Fratellino, una sera che ci eravamo battuti con gli italiani del Settimo alpini. Aveva un odore insopportabile, non si sapeva bene il'perché. Porta aveva « trovato » un elegante tavolo da gioco. Fratellino si appostava su un secchio, appollaiato su una tavola. Di là sorvegliava i giocatori, nel caso che barassero, e baravano sempre. I dadi erano truccati, beninteso, ma con arte. Se si voleva, si poteva guardarli da vicino, ma era difficile che ne venisse la voglia a qualcuno, vedendo Fratellino installato, un fucile mitragliatore sulle ginocchia e uno sfollagente da poliziotto americano che gli pendeva negligentemente al polso. Quella sera il capo dell'autoreparto, il maresciallo maggiore Wolf, aveva la mano felice. Il mucchio di denaro davanti a lui non smetteva mai di crescere. Per la contentezza e l'orgoglio, canticchiava Drei Lilien. « Il signore ha fortuna », sorrise Porta. « Farò saltare il banco », rise Wolf senza prestare attenzione ai bisbigli di Fratellino a Porta. « Vuoi che mi occupi io di quell'idiota, quando se ne va? » Porta fece segno di no con la testa. Fratellino non capiva più niente. Eppure sarebbe stato tanto semplice dare una bastonata sulla testa a Wolf e alleggerirlo della sua vincita, quando fosse uscito dalla capanna. Ma quella sera Porta aveva un piano speciale. Wolf si alzò, spazzando via il suo denaro. Ne aveva le tasche piene. Si tolse dallo stivale una pistola e la fece volteggiare su un dito. « Suppongo che non ignoriate che questo giocattolo è una Colt 11. Per vostra norma vi avverto che so servirmene... Ho preso lezione con un tipo dell'autoreparto... un vecchio gangster che faceva i colpi a San Francisco. Uscito di prigione per via della guerra. Se c'è uno di voi che apre la porta meno di cinque minuti dopo che me ne sono andato, avrà un buco
89 di più oltre a quello del sedere. E parlo specialmente per te, Creutzfeldt. » Aveva un largo sorriso, con la pistola in pugno, e uscì all'indietro. Liberò i suoi due grossi cani lupo, attaccati a un albero. Due bestie feroci che lo seguivano sempre. Per poco non facevano a pezzi Fratellino, un giorno che aveva voluto rubare una jeep che Wolf aveva deciso di tenere per sé. Wolf era accorso trionfante, messo in allarme dalle urla di Fratellino. Per punizione quest'ultimo aveva dovuto lavorare all'autoreparto per tre settimane, e aveva giurato di vendicarsi. Ma non era facile, perché il maresciallo maggiore stava in guardia. Lo avevano sentito vuotare il caricatore del mitra attraverso la porta, prima di entrare nella sua camera. Avevamo ben cercato di avvelenare i cani, ma mangiavano solamente quel che gli dava il padrone. Oltre ai cani, Wolf aveva due soldati di Vlassov come guardie del corpo. Erano due cinesi che chiamavamo Wong e Tung, perché nessuno si dava la pena di pronunciare il loro nome esatto. Un sergente della Terza compagnia era stato sorpreso dai due cinesini mentre cercava di far fuori Wolf. Lo avevamo ritrovato legato a una pianta, con fil di ferro spinato. All'ospedale i dottori ne hanno avuto per sei settimane prima di rimetterlo a posto. Il sergente raccontava di essere stato malmenato dai partigiani, ma tutti sapevano che cosa pensarne. Il personale dell'autoreparto era costituito da una banda di gangster. Non si sapeva chi avesse autorizzato Wolf a servirsi di prigionieri di guerra. Ma si poteva constatare che il suo personale aumentava ogni volta che arrivavano dei prigionieri. E faceva la sua scelta prima dell'arrivo dell'ufficiale della polizia. I prescelti erano sempre dei tipi che avevano avuto guai con la legge nel proprio paese. Più la cosa era grave, più Wolf era soddisfatto. « Un uomo non è degno di questo nome che quando è stato in prigione », diceva, « proprio come una puttana che non
90 sia stata presa dalla squadra del buon costume non è una buona puttana. » Wolf aveva passato lui stesso due anni a Torgau e un anno a Glatz, prima della guerra. E per quanto se ne sapeva, era il solo a aver fatto il muro a Torgau. Non ne parlava mai; noi l'avevamo saputo dal Verro. Appena Wolf aveva saputo che il Verro era nella compagnia, aveva dimostrato un entusiasmo tale, da essere sospetto. Aveva « preso in prestito » il Verro dall'ufficio, lo aveva mandato sul tetto di un pollaio, con due motori arrugginiti e non lo aveva liberato finché non eran^p diventati brillanti come l'argento. C'erano volute quarantott'ore. Quando il Verro ebbe finito, Wolf gli disse, abbastanza misteriosamente: « Alla prossima volta, Stahlschmidt, non è che il principio. Ne abbiamo dei conti da regolare ». Il Verro aveva battuto rumorosamente i tacchi e aveva esclamato: « Ai suoi ordini, signor maresciallo maggiore! » Ci eravamo cucinati il Verro, ma non eravamo riusciti a tirarne niente. Neppure quando Fratellino lo aveva punzecchiato nel didietro con la baionetta. Si sentiva ridere Wolf fra l'abbaiare dei cani, mentre si allontanavano per il sentiero in mezzo ai pini. Fratellino saltò giù da dove stava appollaiato e si precipitò alla porta. L'aprì e si trovò a faccia a faccia con il viso giallo di Wong. «Tu non uscire. Pan 1 capo rimessa proibito. Net, net! » Fratellino indietreggiò davanti al mitra russo, la cui bocca era puntata proprio contro il suo stomaco. Un po' più lontano, in mezzo ai pini, si vedeva Tung. Fratellino sbatté rumorosamente la porta e ritornò al suo 1
Russo: signore.
91 secchio. « Che maledetto carattere, questo Wolf », esclamò indignato, « mandare degli assassini contro della gente per bene! Si faccia vedere al fronte anche soltanto un momento! » « Non lo farà mai », profetizzò Porta. « Signori, si gioca! » Fece suonare un campanellino d'argento. Fratellino fece dondolare con la sua mazza un ferro di cavallo che pendeva dal soffitto. Porta gettò i dadi. Erano truccati, come ho detto. Premendo a un certo punto, un peso si spostava, con il meraviglioso risultato che i dadi cadevano come voleva il croupier. « Posso giocare con voi? » chiese il Verro timidamente, dal suo angolo. Fratellino scese dal secchio e lo mise fuori combattimento con una mazzata. « Vuotagli le tasche », ordinò Porta. «Ha già giocato e ha perduto tutto. La cosa gli ha procurato uno choc. » « Questo guardaciurma ha due denti d'oro », constatò Fratellino esaminando il sottufficiale che non aveva ripreso coscienza. « Non per molto », decise Porta. « Qui! » Fratellino tolse i denti d'oro. « Che bisogno ha un tipo come lui di denti di riserva? » rise Porta, sfrontato. Fece scomparire i due denti d'oro nel sacchetto di tela dove si trovavano già gli altri. « Allora, quanti ne hai adesso? » chiese Heide curioso dando un'occhiata al sacchetto. « Che cosa te ne frega? Non è roba per te. » Sputò sul Verro, che incominciava a muoversi. « Guardate un po' questo animale. Tre mesi fa era un pezzo grosso. Maresciallo maggiore », disse con sarcasmo. « Mi prendeva a calci nel sedere e mi copriva di insulti. Se ne stava sulla porta della prigione gonfiando il petto e credendosi un generale prussiano, il porco! » Sollevò una delle mani del
92 Verro. « E si faceva fare le mani, questo maiale. Credeva che così sarebbe diventato un signore ! » « Spediamolo dagli americani con un mignolo tagliato in tasca », propose Marlow. « Che imbecille », esclamò il piccolo legionario. « Se soltanto non si fosse comportato così quando era lui che comandava in prigione. Merda, allora! » Il Verro sì alzò con difficoltà. Si asciugò la fronte ottusa e bestemmiando si tastò la nuca, là dove aveva un bernoccolo. « Tu mi hai picchiato! » urlò a Fratellino. « Sì, e con questo? » rise questi provocante. « Che cosa credevi? Hai cercato di derubarci, dopo aver perduto. » « Perduto », mormorò il Verro con voce soffocata e frugandosi le tasche, con un'espressione inebetita sul viso. «Voi mi avete derubato! Io non ho neanche giocato! » urlò. « Attento a quel che dici », lo avvertì Porta. « Non porti i galloni. » « Non ci capisco niente. Sono sicuro di non aver giocato. Mi hanno ripulito le tasche. Il mio orologio! » urlò il Verro fuori di sé. Le sue grida diventavano singhiozzi da spezzare il cuore: 84 « E il mio anello d'argento con l'aquila del Reich, quello che mi aveva regalato il Gauleiter Lemcke ! » Aprì la bocca. Negli occhi aveva l'espressione di uno che dopo una bella serata si svegli in una cella imbottita. Faceva girare in bocca la lingua impastata. « Non è possibile », mormorò, rifiutandosi di credere alla propria lingua. Febbrilmente si cacciò in bocca un dito sporco. Lentamente capì. Il suo orgoglio, i suoi due canini d'oro di cui era così fiero, erano scomparsi. « Merda! dove sono i miei denti d'oro? » abbaiò, gettando-
93 attorno a sé occhiate disperate. Soltanto delle risate trionfanti risposero alla sua domanda. « Non si possono strappare così i denti a una persona! » « Non ti senti bene, no? » chiese Porta freddamente. « Di che denti parli? » « Tu lo sai bene », piagnucola il Verro. « Avevo due denti d'oro, soltanto dieci minuti fa.»» Disperando ormai, si rivolse a Marlow e a Barcellona. « Voi siete marescialli, tutti e due. Voi dovete proteggermi da questi banditi. È davvero la cosa più incredibile che mi sia mai successa! Vi denuncerò! » « Caramba », rise Barcellona, divertito. « Se vorrai sostenere che ti hanno rubato i denti, nessuno ti crederà. » Marlow si torceva dal ridere. Il Verro scosse la testa. Avrebbe ben avuto voglia di gridare, di far baccano, il metodo ben noto a cui ricorre un sottufficiale per cavarsela. Ma qualche cosa gli consigliava la prudenza. Non gli piaceva la faccia di quei tipi, in quel locale affumicato. Ah, i bei giorni della prigione nella guarnigione di Altona! Si sarebbe anche.accontentato di essere ancora a Neumùnster, al Quarantaseiesimo fanteria. La sua voce al comando era celebre, invidiata e ammirata. Appena si faceva vedere, i nuovi se la facevano addosso. Non se la sarebbe certo lasciata fare, laggiù! Strappare i denti d'oro di un maresciallo maggiore prussiano e membro del partito! No, no e poi no. Era troppo. Che cosa ne avrebbe detto il Führer? A pensarci il morale del Verro risaliva. Si vedeva già a trasportare tutta la Quinta compagnia a Neuengamme. « Fratellino, fa uscire questo signore », ordinò Porta. Fratellino posò la mazza e il mitra, lasciò il suo trono, aprì la porta, vi spinse il Verro davanti, arretrò e gli sferrò un calcio, che non avrebbe rinnegato un giocatore della squadra nazionale. Il Verro volò in mezzo ai pini. Ci rimettemmo a giocare.
94 Un quarto d'ora più tardi il maresciallo maggiore Hoffmann entrò, con l'aria energica. Poiché nessuno pensava a gridare: « attenti », lo fece lui stesso. Nessuno si mosse, beninteso. Hoffmann era stupefatto e non era stato abbastanza nella compagnia per sapere che doveva diffidare di Porta. « Non avete sentito che ho comandato di mettervi sull'attenti? » Poi, indicando Porta col dito: « Togliti quel cilindro giallo! » « Impossibile, signor maresciallo maggiore. Ho soltanto due mani. In una ho i dadi, nell'altra il bastone. Se li lascio andare, il gioco è fritto. » Hoffmann muggì: «Ammutinamento! Rifiuto di obbedienza!» Ci copri di insulti prima di concludere: « Vi proibisco i giochi d'azzardo ». Porta levò dalla tasca interna un enorme quaderno e dopo essersi inumidito il mignolo, lo sfogliò soprappensiero. Con un gesto comico si mise a posto il monocolo rotto. « Vediamo, vediamo... Falsificazione di documenti... Incesto. » Voltò le pagine. « Furto di beni dell'esercito, no, stupro... » Hoffmann apri e richiuse la bocca parecchie volte. Non capiva niente. Porta continuò pensieroso. «Truffa, falsa testimonianza, ricerca della paternità... L'intendente Meissner, che straccio è quello; finirà a Torgau. » Porta sfogliò rapidamente il suo quaderno nero. Fissò su Hoffmann uno sguardo rispettoso. « Signor maresciallo maggiore, il mio servizio informazioni mi ha comunicato che un certo colonnello Engel, che ammazza il; tempo nello stato maggiore di una divisione, ha guadagnato diecimila marchi otto giorni fa. Al quartier generale quéi signori giocavano a indovinare il numero di biglietti da cento marchi di un mazzo. Fra due scommesse decideva-
95 no dei nuovi attacchi che noi tutti aspettiamo. Confidenziale, signor maresciallo maggiore. Il colonnello Engel ha del talento. Guadagna tutte le scommesse. » Porta si tirò un orecchio e offrì a Hoffmann una cicca, dalla sua scatola d'argento. Questi rifiutò, furibondo. La sua faccia prendeva lentamente un colore violetto. « Incredibile che cosa non si viene a sapere », continuò .Porta giovialmente. « Questa mattina ho sentito parlare di un certo maresciallo maggiore del nostro reggimento, onorevole e disciplinato. Figuratevi che questo signore avrebbe mandato a sua moglie della seta da paracadute. La corte marziale definisce una cosa simile, semplicemente furto di materiale di proprietà dell'esercito. Conseguenze spiacevoli... degradazione, Torgau, fortezza di Germersheim o di Glatz... Grosse seccature. Rischiare tutto questo per un pezzo di seta da paracadute! Merda, allora! Ho concluso che le sole persone oneste nella Wehrmacht, sono i caporalmaggiori! » Porta si accarezzò i due galloni sulla manica. Richiuse il quaderno, lasciò cadere il monocolo e si mise in bocca un grosso sigaro. « Brasiliano », disse sorridendo. « Me l'hanno regalato alla mia ultima visita alle posizioni degli inglesi. Hanno delle relazioni, quei tipi là. Linea diretta con Rio. Questo mi fa pensare a un certo signor Balum. Di nome si chiamava Otto. Abitava... » A Hoffmann battevano i denti come a un asino con la febbre. Il suo colore passò dal violetto al giallo. Balbettò: « Cap... Cap... Caporalmaggiore Porta. Succede qualche cosa. Sì! questo non può durare... » Girò su se stesso e fuggì barcollando. L'ultimo commento che sentì fu quello di Porta che confidava al piccolo legionario: « Presto avremo un altro maresciallo maggiore ». « E perché? » si meravigliò il Vecchio Unno.
96 « Eh! » grugnì Porta. «Tu non sai ancora che si devono sempre tener gli occhi e le orecchie aperti. E indispensabile in un paese civile, se si tiene alla propria pelle si devono avere delle informazioni sugli altri. Tu, Vecchio Unno, tu pensi che tutto quel che fa Adolfo sia ben fatto? Tu pensi che sia un porco idiota, non è vero? » « Certamente », brontolò il Vecchio Unno. Porta rise, riprese il suo quadernetto nero e coscienziosamente ne prese nota. « Ecco una brutta macchia che sarà lavata soltanto dalla sconfìtta senza condizioni dell'esercito tedesco. Se fossi in te andrei dal capel-lano a pregare perché i ragazzi delle marina americana sfilino presto a Berlino. » Prese il suo flauto e tutti intonarono: Ce ne freghiamo di Hitler, e anche di G'óring. A noi piacciono i traditori, abbiamo orrore dei filibustieri. « Siete pazzi », rise Marlow. « Hoffmann si vendicherà. » Porta diede al gatto nella gabbia un pezzetto di salsiccia. « Se ritorna, sarà per giocare con noi. D'ora in poi luciderà i miei stivali se glielo chiedo. Sapete il suo cuscino verde, con dei cervi, di cui è così fiero? Domani sarà mio. » « E dire che non sei sergente! » si stupì Marlow. « Cretino! » disse Porta. « Non hai ancora capito che come caporalmaggiore io sono la colonna vertebrale dell'esercito? Sono io che decido se il mio superiore avrà male ai denti, una lombaggine o qualcos'altro. In Ucraina avevamo un certo capitano Meyer, 1 decorato con delle stelle, che si faceva passare per un maestro. Ne è morto. » « Che cosa gli è successo? » chiese Gregor Martin. 1
Vedi Maledetti da Dìo
97 « Ha messo il suo grosso deretano su una mina T », spiegò gentilmente Porta. « Aventi, signori! Si gioca! Uno contro mille il dollaro o la sterlina per il marco di Adolfo! » « Accetti anche il denaro di Churchill? » chiese Gregor Martin interessato. « Certo, purché esca dalla Banca d'Inghilterra. Per quel che mi riguarda potete portare degli yen, dei rubli, degli zloty e delle corone. Siamo io e la borsa di New York che decidiamo del loro corso. Ma attenti al marco, precipita di ora in ora. Le perle, gli ori e altri oggetti vengono valutati in dollari. Non c'è bisogno di certificato di proprietà. Quando avremo finito di giocare, sarà mio in ogni caso. » E i dadi rotolavano. Le ore passavano. Il sole tramontò. Le zanzare ronzavano, pungevano le braccia nude e i colli. Noi non le sentivamo, non vedevamo che i dadi. La stanza era piena di fumo. La fiamma della lampada vacillava: mancanza di ossigeno. Perle, anelli, quadri, biglietti dei due emisferi, pistole rare e armi bianche cambiavano di mano, in una bicocca crollante in Italia. Il maresciallo Marlow andò a fare un giro poco prima dell'alba. Ritornò con tre scampoli di seta. Un tenente italiano dei bersaglieri, un conte autentico, gettò davanti a Porta un mazzo di carte, il certificato di proprietà di un castello vicino a Venezia. « Ventimila dollari », mormorò. Porta passò le carte al piccolo legionario. Questi le esaminò attentamente parlando a bassa voce con Porta, che gettava al conte delle occhiate di traverso. « Perché lei è italiano, ne avrà diciassettemi-lacinquecento, se fosse stato un Graf prussiano con la croce di ferro e quella al merito al collo, ne avrebbe avuti soltanto dieci. » « Diciotto », lanciò il conte, con un tono di voce che voleva essere distaccato. « Diciassette », sorrise gentilmente Porta.
98 « Ma un momento fa erano diciassettemi-lacinquecento! » « Un momento fa, signor conte, le cose cambiano rapidamente. Domani il suo castello rischia di essere requisito dai mangiatori di polenta, e chi crede che possa riuscire a vendere un castello requisito? Neppure un ebreo assistito da dieci greci e da cinque catalani vi riuscirebbe. » Il conte inghiottì la saliva. In quel momento un caporale dei granatieri fece càmeron. Con gli occhi brillanti afferrò un grosso mazzo di biglietti. Il conte contemplava, come ipnotizzato, il cilindro giallo di Porta, poi il suo sguardo scivolò verso il gatto nella gabbia e finalmente sorprese il secondo colpo fortunato del granatiere. L'italiano non sospettava neppure che si trattasse di una tattica psicologica. Molto in fretta si persuase che il castello veneziano non era altro che una rovina. Con un grido inarticolato, girando fra le mani il suo cappello piumato, accettò l'offerta di Porta. Un colpo di dadi e egli non era più altro che l'ex proprietario di un castello nelle vicinanze di Venezia. Tuttavia ebbe il tempo di maledire certi individui prima di farsi svuotare da Fratellino. « Sono un tenente dell'esercito italiano »; urlò in faccia al sole che sorgeva. « Tanto meglio per te », fu la risposta di Fratellino prima di sbattere la porta dietro di lui. Profondamente ferito il conte se ne andò per il sentiero. Poco prima di arrivare alle tre querce, incontrò una pattuglia mista di gendarmeria, comandata da un centurione della milizia e da un tenente delle SS. Il conte aveva dimenticato nella bicocca il portafogli con tutte le sue carte. La questione fu regolata rapidamente. Si era appena proclamata la legge marziale, perché molti soldati se ne tornavano a casa. « Porco badogliano! » gridò il centurione vendicativo, costringendo il conte a mettersi in ginocchio. Fecero volare via il suo cappello piumato, gli strapparono
99 distintivi e spalline. Poco prima che lo fucilassero egli gridò qualcosa come « bisca clandestina » e « rapinatori ». « Che animale », sibilò il centurione fascista sputando sul cadavere. « Chiamare l'Italia di Mussolini una bisca. » In meno di un'ora il castello del conte così bruscamente deceduto cambiò quattro volte di proprietario. Otto giorni dopo Porta diede il documento in pagamento a un arrotino, che non credette neanche per un momento all'autenticità del documento. Egli si accosciò in un fosso e se ne pulì il deretano maledicendo la Wehrmacht. Dopo la guerra, finita l'occupazione americana, lo Stato italiano requisì il castello. Esso serve oggi di residenza a degli alti funzionari. Il ritratto del disgraziato conte è ancora appeso al muro: simbolo dell'eroe assassinato dalle orde fasciste. Il pomeriggio un aspirante della sanità, venuto a farci visita, perdette il suo ospedale militare. Generoso, Porta glielo prestò per il resto della guerra. Quando il sole tornò a tramontare, Porta ordinò una pausa di tre ore. Grandi grida di protesta del pubblico, ma con l'aiuto della sua mazza Fratellino fece capire la ragione a tutti quanti. Porta constatò con soddisfazione che la banca non aveva subito nessuna perdita... al contrario. Avevamo tutti voglia di festeggiare qualcosa. Si dichiarò quindi che era il compleanno di Stalin, il gatto. A tempo di record ci procurammo gli elementi base di ogni festa: bevande e donne. Fratellino e Porta avevano « trovato » un maiale bello grasso. Fu nominato tenente e membro d'onore del partito. Due uomini partirono per il magazzino. Una bottiglia di cognac e la minaccia di essere denunciato ai gendarmi o alla Gestapo convinsero il maresciallo a cedere loro la sua migliore uniforme. Il mantello stava molto bene al maiale... Soltanto, il collo era un po' piccolo, ma il maiale urlava, co-
100 stretto a portare la divisa tedesca. L'abbiamo legato a una seggiola, abbiamo fissato questa al muro e ecco il nostro maiale seduto, che assomigliava come un fratello a un ufficiale tedesco di tappa che avesse mangiato troppo. Il Vecchio Unno rideva talmente, che finì con lo slogarsi la mascella. Fratellino gliela rimise a posto con un pugno. Si dovette rinunciare a mettere gli stivali a quel dannato maiale e ci si dovette accontentare dei pantaloni, della caschetta e del mantello di divisa. Marlow gli mise al collo una scritta: Io, tenente Porco, sono il solo porco rispettabile fra tutti i porci della Wehrmacht. « Perdio! » bestemmiò Heide. « Vi faccio notare che io non c'entro per niente in questa storia. Può costarci la pelle. È più che una parodia, è una vera offesa all'esercito tedesco. » « Bah, va' fuori dei piedi, se ha! paura », propose Porta arrogante. « Nessuno ti trattiene. » « Idiota », brontolò Heide, urtato, « sai bene che non posso fare a meno di voi. » « Volete che gli dia un colpo sulla zucca? » chiese Fratellino, aggressivo, brandendo la mazza. Heide tolse dallo stivale una bomba a mano. « Colpisci, se ne hai il coraggio, specie di grosso bruto. » Fratellino incominciò a dondolare le braccia. La parola « coraggio » lo metteva sempre fuori di sé. Il dottore e il capo dell'autoreparto Wolf, assistito da Krabbe, il furiere, portavano una botte di birra. Era un rivale pericoloso per Porta. Da Krabbe si poteva comperare tutto, anche una corazzata, se uno ne aveva bisogno. Porta e lui nutrivano l'uno per l'altro un odio feroce, ma si parlavano sempre con gentilezza. « Perdinci! » esclamò Porta vedendo il barile di birra entrare dalla porta. « Krabbe, non avrai commesso un furto per caso? » Krabbe rizzò la testa.
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«Tu accusi un furiere, Obergefreiter Porta! Questa birra, sono le razioni che io ho economizzato per una grande occasione, e credo che questa sera sia una di esse. » « Krabbe, tu sei il nostro invitato, ma prima va' a cercare il Verro. Ho bisogno di un attendente. » «Non è diffìcile! » Fratellino interveniva nella conversazione. « L'ho fermato un momento fa. Usciva dall'ufficio del comandante del reggimento e si dondolava con un lungo rapporto in mano. L'ho attaccato laggiù, sul mucchio di letame... Si è messo a urlare in modo antipatico, quando l'ho avvisato che domattina faremo un falò di festa di lui. » « Portatelo qui », ordinò Porta. Il Verro fu portato. Aiutato dagli stivali di Fratellino, rotolò come una palla di cannone ai piedi di Porta. « Sull'attenti, pappamolla », gli ordinò questi. « Non sbattere gli occhi in quel modo da idiota. Questa notte tu sarai il mio attendente personale. Ma prima di tutto saluta il capo, là sulla sedia... e prendi posto Vicino a lui. » Il Verro dovette fare il saluto al maiale in uniforme. Prima cinque volte passando davanti a lui. Poi di faccia. A ogni grugnito del maiale il Verro doveva dire: « Ai suoi ordini, signor tenente! » Gli diedero un secchio pieno di birra e di acqua minerale; ogni quarto d'ora doveva dar da bere al maiale, poi inghiottire una sorsata dallo stesso recipiente. « Quello che vale per un porco vale per l'altro », rideva Porta contento. « Fra una bevuta e l'altra metti il tuo grosso deretano su una sedia, davanti al tenente, e fa' il saluto. » Il Verro protestò, ma Fratellino gli fece capire che era meglio mostrarsi ragionevole. « Mi fai pensare al curato di Pistolenstrasse. Voleva spor1
Caporalmaggiore.
102 gere querela contro il suo vescovo, Sua Eccellenza Niedermeyer », intervenne Porta. « Ha scritto per tre giorni... » « Piantala, Porta », gridò il Vecchio Unno. « Non oggi! » Porta scosse la testa e puntò il dito sul Verro. « Lo vedi, pezzo di miserabile, a che cosa servono i lamenti! La Storia se ne infischia! Se ti prendono per zimbello, consideralo un male inevitabile. Comportati bene, se la vita sarà più o meno penosa per te. Se protesti, ti consegno alla giustizia di Fratellino. Ti farà saltare come un razzo di capodanno, cinque minuti prima di mezzanotte. » Il Verro si mise al lavoro, livido ma rassegnato. Dopo il terzo boccale di birra Porta chiese a una delle ragazze perché portasse gli slip. Dopo il quarto Marlow reclamò una canzone. « Una canzone di guerra », urlava marziale, picchiando sulla sua croce di ferro. Tutti, abbiamo intonato: In Afrika rollen die Panzer. Ma cambiavamo un poco il testo: Uber die Schelde, den Maas und den Rhein, rollen die englischen Panzer herein. Vorwàrts, US-Marineinfanterie! Die Nutten warten in Berlin. Dopo il quinto boccale Krabbe propose un poker. La birra pura non ci diceva più niente. Non faceva abbastanza effetto. Il grosso barile, vuoto a metà, fu completato con tutto quello che avevamo: whisky, vino, vodka, ginepro. Per dare l'ultimo tocco al cocktail aggiungemmo un mezzo litro di salsa inglese. Così si faceva nella buona società, pretendeva Porta. Il Verro dovette far rotolare due volte il barile fino in cima
103 alla collina, con la scusa che la miscela doveva essere omogenea. Quando è sceso la seconda volta, era in lacrime. Abbiamo cantato: Es geht alles vor'ùber, es geht alles vorbei, den Schnaps vom Dezember kriegen wir in Mai. Zuerst fàllt der Führer und dann die Partei. Dopo qualche bicchiere della nostra mistura venne il momento dei discorsi. Porta fu il quarto a prendere la parola. Si alzò in piedi a fatica. Lo aiutarono a salire sulla tavola. Vi avevamo costruito una sedia fatta di alcune latte di benzina vuote. Porta aveva in testa un paio di slip rossi. Sopra la tuta mimetica portava un corsetto di pelle di capra. Un lembo di camicia celeste usciva dai calzoni sbottonati. « Camerati », incominciò come si fa in queste occasioni, « credo che voi tutti vi siate resi conto che siamo in una guerra maledettamente seria. Noi ci batteremo nel buco del culo della terra. Questa fottuta montagna a sud di Montecassino. I nostri nemici sono dei feroci cacciatori di teste, dei guardiani di struzzi, dei cannibali, dei pellirosse, dei cavalieri di canguri, dei ruffiani, dei gangster e altra brava gente. Vogliono ammazzarci. É regolare, perché anche noi vogliamo ammazzarli. Non è questo che mi preoccupa. Capitemi bene, camerati. » (Ebbe un singhiozzo, gettò una latta di benzina sulla testa del Verro che per un momento aveva smesso di fare il saluto.) « No, quel che mi dà il mal di pancia, è che non c'è più morale! Il senso di responsabilità scompare. Segno di mancanza di cameratismo. Il nostro Führer, che Dio lo protegga, si
104 metterebbe le cinque dita e il pollice nel culo, se sapesse quel che succede. Non darti delle arie, Marlow, sei fra i peggiori. E tu, Gregor Martin, avrebbero dovuto impiccarti da un pezzo. Dovunque io guardi, non vedo che facce da fessi. Non pensate che a far l'amore e a bere.Prendete il Verro, per esempio. » (Porta gli gettò in testa un'altra latta di benzina.) « Eccolo là sul grosso deretano, in faccia al signor tenente maiale. Che esista ancora un tipo simile, che non sia ritornato in polvere! Questo prova davvero che siete senza fegato. Se quando ero un novellino, un caporalmaggiore avesse semplicemente sussurrato: quell'individuo mi dà fastidio, quella schifezza sarebbe scomparsa dalla superficie della terra in due secondi. Dovrebbe bastarmi pensare che il suo respiro mi mette a disàgio, perché cessasse di respirare. E invece dappertutto mi imbatto in questo topo da prigione, e ingrassa tutti i giorni, di ora in ora. Bordello di un bordello, che delusione per me! » Fratellino si alzò, fece alzare il Verro e fece un nodo scorsoio a una corda. «Tutto deve finire », disse allegramente gettando il cappio attorno al collo del Verro. « Ecco una corda solida. Esci e dimostra che sei un uomo. Trova un buon albero e va a impiccarti. » Seguito da Fratellino il Verro trottò verso la porta. Lanciò un urlo quando un calcio lo spedì giù per il pendio. La corda volò dietro di lui. « Quando arriverai giù », sbraitò Fratellino, « troverai un buon albero a sinistra. » « Ecco un lavoro ben fatto », approvò Porta ridendo. « Fratellino ha il morale che manca a voi. » Tondo come un birillo, preso dal singhiozzo, il medico ubriaco faceva la corte al furiere, che scambiava per Greta Garbo. « Le vostre mutande sono di un tessuto grossolano, Miss
105 Garbo. » Krabbe lo picchiò sulle dita di piatto con la baionetta. « Giù le zampe, specialista in clisteri! » Il dottore scoppiò in singhiozzi. Poi la faccia gli si illuminò come dopo un funerale. Sputò per terra. « Vi faccio un certificato di morte. » Scrisse su una gonna: L'ex maresciallo maggiore Stahlschmidt è deceduto. Suicidio. Poi si buttò su Marlow, che beveva coricato. « Tu sei un cadavere », gridò cocciuto. « Non voglio vedere un cadavere ubriacarsi. Cadavere, va sull'erba, o ti farò ricercare dalla Feldgendarmerie ! » « Proibizione al tonsurato di dare la sua benedizione al Verro », belò Heide. « Ah! se ha la faccia tosta di ritornare vivo », minacciò Porta dall'alto della tavola. « Camerati, ringraziamo il buon Dio. » Heide balzò su per battere il tempo del cantico. Abbiamo cantato in piedi, tenendoci abbracciati. Fratellino piangeva commosso. Noi tutti ringraziamo il buon Dio con il cuore, la bocca e le mani; quel Dio che ci manda il superfluo. Che da quando eravamo nel seno di nostra madre e dall'infanzia si è preso cura di noi e ci ha dato così generosamente di tutto! Poi si passò al saluto rituale. I superiori salutano gli inferiori. Quando due uomini hanno lo stesso grado, il più decorato saluta l'altro. Incominciò Porta. Alzò il boccale verso il dottore che era aspirante, è vero, ma un vero aspirante.
106 « Ti sei introdotto nella nostra associazione, uscendo dall'università. Tu porti l'uniforme e non sai distinguere neppure un mitra da una fionda. Non sei capace di comandare a una banda di affamati di andare a mangiare la minestra. Ti saluto. » Il dottore si alzò vacillante, vuotò il boccale come lo prescrive il rito. Porta, che salutava, bagnò appena le labbra nel proprio. Poi Heide salutò il dottore. Poi Marlow. Quando venne il turno del Vecchio Unno, il dottore non ne poteva più. Crollò afflosciandosi come una marionetta. Lo portammo fuori al suono di un inno funebre e lo depositammo sul letamaio. Wolf, il capo dell'autoreparto, voleva salutare Porta, ma fu regalmente mandato a spasso. Porta si accarezzò orgogliosamente il petto costellato di medaglie. « Per chi mi prendi? Portami un ciuffo di peli di un marine, poi ne parleremo. Una volta ho rifiutato un generale di brigata; credeva, poveraccio, che la guerra fosse una questione di trasporti. Era così fiero delle bande rosse sui pantaloni che se le era dipinte sulle cosce per potersele ammirare quando andava a letto. Il giorno in cui da Ida ha preteso che le ragazze lo trattassero da "signor generale", hanno scoperto gli altarini. » « Allora scusami », singhiozzò Wolf. Cercò di fare un inchino ma perse l'equilibrio. Cadde davanti al maiale in uniforme che scambiò per una ragazza. « Cara signorina, lei è indecente », gridò, « lei batte il marciapiede senza mutande in un luogo pubblico. I.a condurrò in Prinz Albrecht Strasse. » Baciò il maiale sul grugno, rise scioccamente e gridò: « Le sue labbra sono fredde e irresistibili ». Poi diventò volgare. A un tratto si accorse delle medaglie sull'uniforme. Fece goffamente il saluto, con le dita allargate. « Signor tenente, ai suoi ordini. Signor tenente, lei è un
107 porco. » Notò allora Fratellino e decise di salutarlo. Fece due volte il saluto, poi si distese con un gran sospiro. Nuovo funerale. Lo abbiamo portato fino al letamaio e lo abbiamo messo a fianco del dottore, cantando: Immerso nei pensieri di questo mondo tu non ti accorgi di quanto la tua vita è prossima alla fine. Comparve padre Emmanuel. Restò un momento vicino alla porta a scuotere la testa. Marlow lo invitò a entrare. Fratellino gli tenne dietro, ma si afflosciò come un cencio sul letamaio. Preso dalla disperazione alla vista del corpo inerte del medico, Fratellino si scusò di averlo ucciso, giurando che non avrebbe più ricominciato. Vedendo poi il capo dell'autoreparto Wolf, il suo dolore non conobbe più limiti e si mise a singhiozzare. « Padre nostro che sei nei cieli, sono un assassino! » A un tratto ricordò tutto quel che Wolf gli aveva fatto passare e sputò sul presunto cadavere. Fu proprio quello il momento che egli scelse per rialzarsi. Fratellino lanciò un grido di orrore, afferrò la pistola e ne vuotò il caricatore, senza che nessuno degli otto colpi andasse a segno. « Perdio! » urlò Wolf, brandendo una bomba a mano. La lanciò contro Fratellino, ma per fortuna aveva dimenticato di togliere la sicura. Fratellino rientrò nella bicocca veloce come il vento. « C'è un cadavere che getta le bombe a mano! Io rientro. Ne ho abbastanza di questa guerra. » Wolf arrivò barcollando. Indicò Fratellino con un gesto accusatore: « Assassino ! » Fratellino brandì il suo fucile mitragliatore. Glielo strappa-
108 rono di mano, ma si calmò solo quando Wolf accettò di fargli il saluto. Porta gli spiegò perché eravamo in Italia. « Noi ci battiamo nel buco del culo della terra. Questo dimostra come sia un buco importante. Hai mai visto qualcuno che viva senza il buco del culo? È altrettanto importante della trachea. » In quel momento il dottore comparve sulla porta. Come specialista si sentì in dovere di approfondire questa interessante discussione. « La trachea », disse fra un singulto e l'altro, sputando per terra (indicava col dito Fratellino, come se la trachea fosse lui) « la trachea », ripetè cocciuto, « è il canale diretto verso i polmoni, che consistono in due sacchi, l'uno a fianco dell'altro, che esigono un apporto costante di ossigeno. » (Oscillando pericolosamente, levò l'indice. Barcellona lo rimise educatamente in equilibrio.) « Il tubo digerente si trova un po' più indietro. Nella parte inferiore del corpo si trova l'ano, la fogna dell'uomo, chiamato popolarmente, da certi esseri inferiori, buco del culo. » « Ammazzalo! » ordinò Porta, « che idiota! » Fratellino lo colpì due volte con il boccale, ma il dottore si ribellava. « Tu batti uno che è quasi un ufficiale », gridò dopo il primo colpo. « Sei un rifiuto di dottore », tuonò Porta. Poi continuò il suo dotto discorso sui nostri combattimenti a Cassino. «ISuccede di noi come dei marines. I borghesi ci riconoscono soltanto quando le cose vanno male in una buona guerra. E questo eroe nazista dell'aspirina, questo distributore di vasi da notte, questo ufficiale del mio deretano che ha ottenuto una laurea non si sa come, osa trattarci, noi, gli eroi, da esseri inferiori. Avanti, Fratellino, sulla testa. » « Il mio giuramento professionale di medico, io lo conosco
109 », esclamò senza motivo il dottore prima di affondare nell'incoscienza. L'ex paracadutista Marlow a un tratto sobbalzò, tendendo le orecchie. Una delle ragazze era coricata per terra, con le gambe largamente divaricate. Fratellino era su un'altra cercando di fare quel che credeva essere « la corte ». Uno spettatore obiettivo avrebbe parlato senza esitare di stupro. Porta spiegava al gatto un importante punto di strategia nel caso di un attacco di carri. Barcellona discuteva una questione di alto tradimento con un raccoglitore di arance italiano. « All'armi, i carri! » urlò Marlow. In un batter d'occhio l'ubriacatura era passata e avevamo afferrato le armi. Sentivamo tutti il rumore ben noto dell'acciaio che gelava il sangue nelle vene anche ai più coraggiosi e ai più abituati. « I marines », disse Porta con un largo sorriso, fissando quattro bombe a mano attorno a una bottiglia piena di benzina. « Perdiana, certo hanno saputo che si faceva la festa », rise il piccolo legionario. La porta si spalancò di colpo. Una sentinella con l'elmetto mise dentro la testa e esclamò: «Allora, anche voi! Tutta la compagnia è ubriaca fradicia. Mike dorme nel pollaio con una puttana. Ai vostri posti! Rumore di carri che salgono dalla valle! » Barcellona gli indirizzò un gesto sdegnoso. « Va bene, piccolo. Ce la sbroglieremo! » Fratellino era a quattro zampe sul letto a cercare una granata anticarro. Siamo usciti barcollando un poco. Ora si sentivano i motori. Il Vecchio Unno catnminava davanti, un grappolo di bombe in ogni mano. Dietro a lui veniva Marlow con una mina T. « Motori Maybach », constatò il maresciallo maggiore
110 Wolf. « Cingoli da Tigre », rispose Porta sicuro di sé. « Qualche cosa non funziona », riprese Wolf. « Non abbiamo carri in riparazione e siamo il solo battaglione di Tigre in questo settore del fronte. » Correvano attraverso la pineta. Erano almeno cinque o sei carri. Si sentivano delle voci bestemmiare in tedesco. « Cambia velocità, pezzo di maiale. » Gli ingranaggi stridevano nella scatola del cambio di velocità. I motori si imballavano. Porta e Wolf si guardarono. « Dilettanti », sussurrò Wolf. « Non hanno mai imparato a pilotare un Tigre », disse Fratellino. « Non sono dei nostri, lo giurerei. » « Impareranno come mi chiamo », tagliò corto Barcellona, brandendo una bottiglia Molotov. Heide si gettò dietro una vecchia pietra da mola che non aveva mai sognato di servire da appoggio a un lanciagranate. Sfondò il suo strumento attanagliandone il fondo. Così era più efficace, ma era proibito farlo. Poteva uccidere un uomo nel raggio di cinquanta metri, se il colpo falliva. Ma se riusciva il carro nemico veniva polverizzato. Una di quelle trovate pericolose che avevano avuto i soldati del fronte. Tutte le armi che ci davano avevano dei difetti, noi le miglioravamo a modo nostro. Molto pericoloso, ma efficace. Era in gioco la nostra vita: un colpo sbagliato poteva esserci fatale. Guardavamo Heide che attanagliava il fondo. Padre Emmanuel si era unito a noi; fece un segno di croce. Era il solo di tutta la compagnia a non essere sbronzo. « Dio ci protegga », mormorò. Nessuno si chiese perché Dio dovesse proteggerci. Porta, con le gambe divaricate, si piantò nel mezzo della strada. Si grattò il petto con una bomba a mano. Nella sinistra teneva una tazza di alcool di riso. Il rumore dei cingoli diventava infernale. Barcellona collo-
111 cò la sua mitragliatrice dietro un albero morto. Aveva cercato inutilmente di farsi aiutare. Conficcò i tre piedi dell'affusto nella terra, verificò la mira, corresse un po' il puntamento in altezza, poi posò tre bottiglie Molotov vicino a sé. Marlow e Wolf fissarono con dei fili elettrici una granata da 75 a un albero, attaccandovela. In pochi secondi era stata trasformata in una trappola estremamente pericolosa. Guai al povero diavolo che si fosse sfregato a uno di quei fili! Più alto sul pendio si trovava il piccolo legionario con due lanciafiamme attaccati insieme. Chi avesse voluto avanzare avrebbe incontrato una morte certa. Avrebbe dovuto attraversare un muro di fuoco. Il primo carro comparve nella curva a forcina. Si vide prima il lungo parafiamme del cannone. Poi la torretta. Era un Tigre II, il nostro ultimo modello. Dal portello aperto si vedeva una forma in uniforme nera. Ma avevano commesso un errore terribile mandando degli uomini dei commando. Il capocarro, nella torretta, portava un berretto basco, copricapo che nessun soldato dei reparti corazzati ha più portato dal 1942. Qualche volta se ne portava uno quando si andava in licenza, per darsi delle arie. Pesante, largo, enorme, il Tigre II saliva la collina dondolando. Ne seguiva un secondo, immediatamente dietro. Porta restò piantato in mezzo alla strada. Alzò la mano verso il mostro d'acciaio, si trovò di fronte alla bocca di un cannone da 88 e disse sorridendo al capocarro che si chinava dalla torretta: « Siate i benvenuti! » Il capocarro rispose gentilmente: « Buon giorno! Abbiamo faticato per trovarvi. Penso che siate la Quinta compagnia del Ventisettesimo. Sono l'aiutante maggiore Brandt del Secondo. Siamo i nuovi carri lanciafiamme. Siete informato? » Porta bevve un sorso di alcool di riso e baciò il gatto sulla
112 nuca. « É in gamba, eh, Stalin? Che numero ! Potrebbe farlo al circo! » Fratellino cominciava a maneggiare una bomba a mano. « Comportati bene », sussurrò Porta. I suoi occhi lampeggiavano. « Quell'animale di un sassone è mio », grugnì Fratellino giocando con l'anello di porcellana. 1 « Me ne voglio cavare la voglia. » Il Vecchio Unno respinse Porta e Fratellino. Camminando con calma si avvicinò al grosso carro. « Salute! La parola d'ordine? » « Scharnhorst », rispose il capo ridendo. Marlow diede una leggera gomitata a Heide. « Hai visto che quell'animale porta le teste da morto delle SS sui baveri? Se sono questi, i marines di Mike, mi fan venir voglia di vomitare. » « Che casino », mormorò il piccolo legionario. « Ne fanno di un po' troppo marchiane! » Il primo carro venne diretto verso lo sbarramento della strada, dove si trovavano le otto mine T. Ci arrampicammo sopra. Il capo diventò nervoso vedendo le nostre bottiglie Molotov. « Vuoi un sigaro? » propose Porta amabile, tendendogli una bomba a mano. L'anello di porcellana ballava pericolosamente nella capsula svitata. Il secondo carro, un Tigre I, si fermò proprio dietro il primo. Che tattica fasulla! Non credevamo ai nostri occhi quando vedemmo gli altri quattro fare lo stesso. « Avete delle ragazze? » chiese il capo del primo. « Abbiamo tutto quel che ci vuole », sorrise Porta. 1
Anello col quale si toglie la sicura.
113 « Venite da Roma? » chiese Marlow, lanciando in aria una bomba a mano come se fosse un giocoliere di professione. « Perché avete dei carri di tutte le religioni? » chiese Porta con un tono inquisitore. « Per noi, vi prevengo che sono tre mesi che non ci serviamo più dei Tigre I. Dove hai fatto il tuo tirocinio, amico? » « Al Secondo Panzer, a Eisenach. » Il Vecchio Unno mi fece andare avanti con una spinta. « Ecco uno dei tuoi compagni di reggimento. » Io sorridevo da compagno ! « Non mi ricordo più di te. In che compagnia eri? » « Nella Quarta. » « Bene, avevate come capo il capitano Krajewski. Chi era il comandante? » « Il maggiore von Strachwitz. » Era ben informato. Il conte era a capo della prima sezione. Il Vecchio Unno mi diede una gomitata. Non sapevo troppo bene che cosa volesse. In ogni caso gli chiesi: « Ti ricordi il nome dell'aiutante maggiore del reggimento? Dimentico sempre il suo nome. » « Tenente von Kleist », rispose l'aiutante. « Quando hai lasciato il Secondo? » « Subito dopo Ratibor. » « Sai dove si trovi il conte von Strachwitz, adesso? » gli chiesi. L'uomo non riusciva più a nascondere il suo nervosismo. « Ma che cosa vi prende? » gridò irritato. « Sgombrate la strada che si possa passare. Siamo in missione speciale. » Ci porse dei documenti, mostrando col dito un sigillo. « Vedete, veniamo dirèttamente dall'OKH. 1 Fate largo. » « Va bene, calmati », rise Porta. « Non c'è così premura. 1
Oberkommando Heer. il comando supremo dell'esercito.
114 Bisogna guardare dove si mettono i piedi. Uscite dai carri, ce ne occuperemo noi. Il comandante Mike preferisce vedere delle facce conosciute sulle torrette. » « È il comandante che è stato con i marines? » « Certo, amico. Shuffield Barracks, Hawaii. » Il capo straniero si rimangiò una bestemmia. Appeso con le braccia, Fratellino fece il giro del cannone. Pose una bomba a mano nella sua gola, e giocava con l'anello, come un bambino incosciente. « Ma che cosa andate pensando? » urlò l'aiutante maggiore. Disse all'equipaggio qualche cosa che non si capì. Si vide muovere un lanciafiamme. Il piccolo legionario, che si era seduto sulla parte posteriore, guardò con interesse nella torretta. « Gli tagliamo i coglioni! » Voltò il pollice in basso. Nello stesso istante il suo mitra partì. Il capo cadde in avanti, colpito. Le bottiglie Molotov volarono nei portelli aperti. Wolf alzò il braccio, con un lancio da campione collocò una mina T sotto la torretta del terzo Tigre. Una deflagrazione insopportabile. Quindici tonnellate d'acciaio volarono in pezzi. Un cannone da 88 a lunga portata volò fino alla pineta. I corpi dilaniati si sparpagliarono in tutte le direzioni. Zampilli di benzina in fiamme, un'esplosione dopo l'altra: era come l'eruzione di un vulcano. In mezzo a questo inferno il dottore vacillava, con in mano la sua borsa. Gridava parole incomprensibili. Aveva del sangue dappertutto e metà del naso in meno. Il calore ci colpiva come un pugno in pieno petto. L'olio in fiamme, la benzina e l'odore nauseante della carne bruciata. I sei carri si consumavano. « Traditori », mormorò il dottore, gettandosi al riparo a fianco di Porta. « Americani nati in Germania », corresse Porta. « In guerra
115 si prende quel che viene. Se questi dilettanti si fossero imbattuti in una compagnia che aveva dei carri in riparazione, e se non avessero scelto un reggimento di disciplina, il loro colpo sarebbe riuscito. » « Avrebbero dovuto avere delle teste da morto regolamentari sui baveri », brontolò Fratellino. « Tutti sanno che non ci sono delle SS corazzate nel buco del culo della terra. » Porta si alzò, osservando con indifferenza la falda dell'olio in fiamme. « Bene, io vado a donne! » annunciò. Abbiamo piantato, in mezzo ai pini, quarantadue croci con i nomi dei commando corazzati americani. A ciascuno il suo.
116 Montecassino, un nome, un monastero a metà dimenticato da qualche parte a sud di Roma? No, un inferno, così indescrivibile che neppure l'uomo più ricco di fantasia saprebbe dipingerne l'orrore. Un posto dove i morti muoiono cinque volte. Il paese della fame, della sete e della morte. Un cimitero per giovani dai venti ai trent'anni. I cadaveri si ammassano nelle trincee. Ce ne sono tanti, che abbiamo rinunciato a sbarazzarcene. Camminiamo su di loro, impossibile evitarli. Noi arretriamo, agghiacciati dalla paura, quando il morto lancia un « a-a-a-ah! » Poi un altro « a-a-ahl » Scusami, camerata, ti credevo morto! Il camerata è morto. Le-grida escono dalla sua bocca spalancata quando si mette il piede sul suo stomaco gonfio di gas. Che cos'è la cosa peggiore? il fuoco? la fame? la sete? le baionette luccicanti, l'olio bruciante dei lanciafiamme? O gli enormi topi, grossi come gatti? Non lo so. Ma quel che né io né gli altri combattenti di Montecassino dimenticheremo mai, è la puzza. L'odore dolciastro di cadavere e di cloro. All'ospedale restava attaccato ai feriti per mesi e mesi, dando la nausea ai medici e alle infermiere. Si bruciano le uniformi, ma la puzza sembrava essere penetrata fino alle ossa; la puzza di Montecassino. Nove colonne su dieci di rifornimenti restavano preda della morte. Si può mangiare la corteccia, le foglie, sì, persino la terra quando si ha fame, ma la sete! Ci battiamo come bestie feroci attorno alla buca di una granata riempita d'acqua. Un branco di topi beve golosamente. Lanciamo loro una bomba a mano per disperderli e, senza aspettare altro, ci precipitiamo e beviamo, beviamo! Nel pomeriggio le granate, esplodendo, hanno vuotato il buco. In fondo, qualche cadavere gonfio. Ci sono da un pezzo. Noi vomitiamo tanto, che lo stomaco vuole staccarsi. Ma il giorno dopo scopriamo un'altra buca e ci beviamo. Questo è Montecassino, la montagna sacra.
117
COMMANDO SEGRETO Le cime dei monti erano nascoste da una nebbia densa e azzurrognola. Avanzavamo attraverso banchi di nebbia. Uno stormo di corvi si abbatté su un cadavere dimenticato. Un grosso gabbiano li scacciò. Voleva gli occhi: una ghiottoneria per i gabbiani. I fucilieri di marina detestano i gabbiani. « Che gusto ci prende! » Porta guardava interessato il grosso gabbiano che tendeva il collo per inghiottire un occhio. « Porcherie da bestiola. Non posso sopportarli », dichiarò Gregor Martin disgustato, lanciando all'uccello una capsula vuota di bomba a mano. Eravamo di cattivo umore, stanchi dopo una notte di lavoro alle fortificazioni. Ci era costata dodici uomini. Uno era stato colpito in pieno negli occhi. Si era messo a correre in tondo; avevamo dovuto ucciderlo. Le sue grida avrebbero potuto dare l'allarme. Era un ragazzo di diciassette anni. Non dovrebbero mandare ragazzini così giovani in un reggimento speciale. Da qualche tempo ricevevamo anche dei bambini. Un assassinio! Duravano al massimo otto giorni. E ancora, questa volta avevamo avuto fortuna. L'ultima volta che avevamo lavorato alle fortificazioni avevamo perduto la metà della compagnia. Scendevano a precipizio le prime granate. Porcherie da 105. Picchiavano col rumore di una porta metallica che sbatte. Per fortuna non erano shrapnel, altrimenti la maggior parte di noi sarebbe stata ammazzata. Porta e io allungavamo un rotolo di filo spinato quando queste schifezze di granate hanno incominciato a piovere. Per due ore siamo restati in piena terra di nessuno. Attaccavano. Ondate di fanteria. Noi non avevamo portato armi pesanti, per via del lavoro. Abbiamo dovuto servirci dei rotoli di ferro spinato e dei pioli come armi. Un piolo d'acciaio ben
118 appuntito valeva una baionetta. Abbiamo avuto parecchie perdite. La nostra fanteria tirava corto: ci prendevano per inglesi. Mike ha fatto fuori il comandante della compagnia straniera. Quando siamo arrivati sulla loro posizione, il tenente Ludwig si è afflosciato davanti al loro comandante. Le budella gli uscivano da una piaga spalancata. Ludwig aveva soltanto diciotto anni. Era la sua prima azione. Il comandante straniero vomitava. I lavori di fortificazione contavano per le punizioni, un po' come montar la guardia di notte. A nessuno piacevano particolarmente, ma si doveva assegnarli. C'era sempre qualche morto. Il lavoro toccava alle sezioni a riposo. A nord si sentiva un fuoco nutrito di artiglieria. Poteva significare che il fronte era in movimento dalle parti di Fondi. Quando ci parlavano della distruzione di un'intera divisione, la cosa non ci commoveva. Non li conoscevamo. Eravamo diventati egoisti. La guerra ci aveva reso indifferenti al dolore degli altri. Quando siamo arrivati nel punto in cui era stato stabilito che gli autocarri dovessero aspettarci, non li abbiamo trovati. Furiosi, abbiamo gettato via gli elmetti maledicendoli dal fondo del cuore. Li detestavamo quei tipi... imboscati, come i cuochi. Il tenente Frick uscì dalla nebbia, affiancato da due ufficiali dell'aviazione. Lentamente passarono in rassegna la compagnia, facendo uscire alcuni uomini, con l'ordine di mettersi sull'attenti dall'altra parte della strada. Il Vecchio Unno scosse la testa. « Ancora qualche sporco lavoro da fare. Mi ha tutta l'aria di un commando speciale. » Ci passò quasi tutta la Seconda compagnia: diciassette uomini in totale. « Merda! » bestemmiò il piccolo legionario rabbrividendo
119 dal freddo, « è una curiosa colazione. » Il tenente Frick prese a parte il Vecchio Unno. Si parlarono a voce bassa. Poi Gregor Martin e Marlow furono mandati con noi. « Allora, non possono fare a meno di noi », scherzò Marlow mettendosi a fianco del piccolo legionario. Gli ufficiali aviatori ci ispezionavano accuratamente, uno dopo l'altro. Gli autocarri finalmente stavano arrivando. « Quinta compagnia, salite! Gli uomini scelti, mezzo giro a destra! » comandò Mike. I fortunati si arrampicarono, ben contenti, sugli autocarri. Con la mano ci salutavano. Abbiamo risposto sputando. Non era sufficiente per Fratellino, che non si accontentò di sputare ma lanciò verso di loro un grosso sasso. « In colonna per uno, dietro di me! Avanti, marsc! » comandò il tenente Frick. Ci condussero a Teano con gli autocarri dell'aviazione. Passammo tutta la giornata a aspettare, dietro la stazione. Un soldato passa la metà della vita a aspettare. Giocavamo ai dadi. Verso mezzogiorno abbiamo forzato un vagone di viveri su un binario morto. Due casse di cognac hanno risuscitato il nostro ottimismo. Porta si procurò quattro maialini da latte. Li abbiamo fatti arrostire allo spiedo. « Ti impiccheranno per questo », brontolò il Vecchio Unno. « Che me ne importa », replicò Porta. « Almeno creperò a pancia piena! » A mezzanotte ci hanno svegliato per condurci in un boschetto dove si trovavano quindici autocarri delle SS. Siamo rimasti di stucco. Tutti gli autocarri appartenevano alla Ventesima divisione granatieri SS, composta essenzialmente di uomini provenienti dai paesi baltici. Una sola volta avevamo incontrato questa divisione, in Bielorussia. Negli autocarri vi erano elmi e cappotti da SS.
120 « Perdiana! » brontolò il Vecchio Unno, perplesso. « Adesso vogliono farci entrare nelle SS. » Barcellona e Fratellino, entusiasti, si provavano già i cappotti. Fratellino aveva messo le mani su uno che portava i distintivi di Unterscharffùhrer. 1 Con tono di superiorità interpellò il Vecchio Unno che lo guardava a bocca aperta. « Si tenga diritto, pezzo d'antiquariato, quando passa un Unterscharffiihrer. Ha forse voglia di andare a fare un giretto in un campo di concentramento per imparare a vivere? Io sono un eroe e posso gloriarmi di aver baciato il deretano del Fuhrer. Se ne ricordi! » Apparve il tenente Frick. « Piantala, Creutzfeldt, e togliti quel cappotto! » « Bene, signor Untersturmführer, 2 l'Unterscharführer delle SS Creutzfeldt annuncia la propria partenza. » Gettò cappotto e elmetto nell'autocarro, ritornò davanti al tenente Frick, batté i talloni. « Signor tenente, caporalmaggiore Creutzfeldt, ai suoi ordini. » Il tenente Frick fece un gesto irritato. « Va' a nasconderti nell'angolo di un autocarro e fammi il favore di addormentarti. » Un po' prima dell'alba siamo arrivati sul piazzale davanti all'abbazia di Montecassino. C'era già un certo numero di autocarri pesanti della Luftwaffe. Alcuni giovani ufficiali della divisione corazzata Hermann Gòrìng accorrendo, ci hanno ordinato di mimetizzare gli autocarri e di metterci al riparo dagli aerei. Soldati aviotrasportati stavano già cancellando le tracce degli autocarri. 1 2
Caporalmaggiore. Sottotenente delle SS.
121 Fratellino non riusciva a star tranquillo. Aveva indossato di nuovo un cappotto e un elmetto delle SS. Un comandante dell'aviazione gli aveva fatto una lavata di testa, minacciandolo di tutti i mali possibili se avesse osato ancora una volta farsi vedere in quella tenuta. Abbiamo aspettato tutta la mattina senza che accadesse qualcosa, salvo che i bombardieri alleati solcavano il cielo. Avevamo previsto tutto ciò e avevamo portato con noi una parte dei viveri presi nel vagone. « Faremo saltare tutto il casino », annunciò Fratellino raggiante. «Merda, allora!» bestemmiò Porta. «Avrebbero potuto lasciarlo fare agli zappatori. Questa sera c'è festa grande da Ida. Ci saranno le pollastrelle di lusso, di quelle profumate all'acqua di rose* venute apposta da Roma, apposta per fare l'amore con noi. » Fratellino dava via libera alla propria fantasia. Ne aveva l'acquolina in bocca. « Ci sono delle suore là dentro! » Heide strizzò l'occhio. « Libertà di saccheggiare, ti piacerebbe, eh? » Fratellino inghiottì la saliva e si passò la lingua sulle labbra. « Non parlarmene! Mi scoppieranno i pantaloni! » « Vi ho raccontato di quando ero giardiniere dalle suore? » Ridevamo, stringendoci di più sotto l'autocarro, con l'astuccio della maschera antigas sotto la nuca per stare più comodi. « Era sulla Dubovila? » 1 chiese il Vecchio Unno. «No! era quando mi avevano prestato al Secondo reggimento Panzer! » « Non mi ricordo », disse il Vecchio Unno facendo l'occhiolino. 1
Vedi Maledetti da Dio
122 « La tua memoria non è mai stata straordinaria », tagliò corto Porta. « Dunque, il Secondo reggimento e io eravamo laggiù, fra i contadini del mar Nero. Un giorno passeggiavo da solo, in cerca di qualcosa di importante. » « Donne? » si informò Fratellino. « Non hai proprio altro nella capoccia? » disse Porta scuotendo la testa. « La sconfitta, ecco che cosa cercavo. Avevo appena sentito la radio dei tommies annunciare che la disfatta era vicina. I combattimenti della valle della Struma sarebbero stati decisivi. Esaminavo dunque attentamente ogni metro di terreno. Improvvisamente sento un grido di donna. Guarda, guarda, mi dico, ce ne sono che si arrendono già. Ma a giudicare dalle grida, erano le mutande e non la bandiera, che erano abbassate. Le grida venivano da un convento. Mi arrampico sul muro e arrischio un'occhiata. E che cosa vedo? Le nostre valorose truppe di rinforzo stavano soccorrendo le buone suore. Non ricordo più che cosa ho detto, ma le nostre valorose truppe di rinforzo se la sono data a gambe. Ho preso terra in un'aiuola di tulipani e mi hanno ricevuto come un re... » « Una storia come questa mi è capitata una volta in Bernhard Nocht Strasse, a fianco del ponte », lo interruppe Fratellino. « Ero con due amici. Una buona donna ha gridato. Erano in due su di lei. Li abbiamo buttati nell'Elba. Poi ci siamo presi la piccola nel cortile della scuola di navigazione. Ma non avrei mai dovuto immischiarmene. Perché uscendo di là ci siamo fatti prendere. Al posto di guardia di Davidstrasse ci hanno perquisiti. Sapete come succede. Non sempre si può spiegare il perché di qifel che si ha nelle tasche. Allora ci hanno spedito a Fuhlsbiittel nella cellulare, insieme con una puttana di cinquantotto anni. Volevo consolarla, ma eccola che si mette a gridare al soccorso. Il brigadiere Burg me ne ha date tante, che non potevo più farcela. Ma ha avuto quel che si meritava, la puttana. Una sera l'hanno sbattuta
123 fuori da un locale, gridando che era una vecchia sporcacciona che non andava più bene per nessuno. » « Allora ci siamo? Hai finito? » chiese Porta, sarcastico. « Tu permetti che continui? Sapete, a proposito, come ci si sbarazza di un nemico? » « Che cosa c'entra questo con il tuo giardinaggio dalle monache? » volle sapere il Vecchio Unno. « Hai ragione. Avevo dimenticato. Dunque, quelle buone donne non erano così sante come sembravano. Non erano delle vere suore, ma delle resistenti. Un giorno la gendarmeria militare ha vuotato tutto il bordello e... » L'interessante racconto di Porta venne interrotto dal tenente Frick. « Attenti! » gridò. Un tenente, che portava i distintivi bianchi della divisione corazzata Hermann Góring, ci esaminò. Un aereo passava e ripassava sopra l'abbazia. « Un ricognitore dell'artiglieria », disse Heide. « Se ci individua, sarà la nostra festa. » I monaci ci portarono tazze di tè caldo. Ne gettammo via la metà e lo sostituimmo, nelle gavette, con il rum. Continuavamo a non sapere perché fossimo là. Dall'interno dell'abbazia veniva un rumore di sega e di martello. Lontano, il tiro incessante dell'artiglieria. « Picchiano forte dietro le montagne », disse il Vecchio Unno pensieroso. « Vedrete, presto toccherà a noi, me lo sento fin nelle ossa. » Le predizioni del Vecchio Unno si realizzavano sempre. Aveva una lunga abitudine del fronte, sentiva venire i colpi duri. « Che diamine facciamo qui? » brontolò Heide, tremando di freddo. « Non ne ho la minima idea », rispose il Vecchio Unno pizzicandosi il naso. « Non mi piacciono tutti questi tipi con le
124 mostrine bianche... e queste uniformi da SS nelle auto. Puzza di bruciato. Cento volte ci hanno promesso tutti i mali del mondo se ci avvicinavamo all'abbazia e eccoci qui, armati fino ai denti. Se fosse il principio della caccia ai cattolici? » « Ah, grazie tante! » esclamò Barcellona. « Saremmo nel sangue fino al collo. » Il Vecchio Unno accese lentamente la pipa. « Vi ricordate le suore che abbiamo trovato, uccise con un colpo di pistola alla nuca? » « Eh sì... anche che erano state fatte fuori con dei 0.8, il piombo favorito di quelli della SD », sottolineò Porta. « Non mi piace questa faccenda. Credo che ci siano già dei commando speciali in azione », disse il Vecchio Unno inquieto. Quando la notte nascose le montagne, si fecero avanzare gli autocarri fino alla porta dell'abbazia. Proibizione assoluta di accendere. Un tenente di aviazione di una certa età ci ordinò di deporre le armi nelle cabine degli autocarri. Nessun uomo armato poteva varcare la porta. Abbiamo gettato le pistole nella cabina, protestando un po'. Senza armi, avevamo l'impressione di essere nudi. Fratellino cercò di barare: la sua P.38 gli usciva dalla fondina. Il tenente lo interpellò duramente. « Fare la guerra senza armi, è pazzia pura », non potè impedirsi di brontolare Fratellino. « Obergefreiter, la pianti, altrimenti sarà la corte marziale a giudicarla, e mi occuperò io di lei. Il piccolo legionario venne avanti mollemente, una sigaretta in bocca, prendendo apertamente in giro il tenente. Il grosso mitra russo gli dondolava, provocante, sul petto. « Corte marziale, signor tenente? Merda allora! Lei scherza. » « Che cosa le prende », gridò il tenente fuori di sé. « Sono io che glielo chiedo, signor tenente. Sarei curioso di
125 sapere che cosa direbbe una corte marziale se venisse a sapere quel che succede qui. » Il piccolo legionario accese tranquillamente un'altra sigaretta, soffiandone il fumo negli occhi dell'ufficiale d'aviazione. «Noi ci rifiutiamo di deporre le armi, signor tenente, e non facciamo del sabotaggio. Per quanto riguarda la corte marziale, lei e i suoi colleghi hanno certo più ragione di noi di temerla! » « Lei è pazzo », urlò l'ufficiale con voce malferma. « Che cosa vuole insinuare? » Il piccolo legionario, con un sorriso da lupo sulle labbra, si rivolse a noi che ascoltavamo interessati. « Questi ci rompono le scatole! » « L'ho sentito, animale! » Il tenente non riusciva più a dominare la collera. « Va' al diavolo! » rise il piccolo legionario. Il tenente esplose. Abbiamo creduto che volesse strangolare il piccolo legionario. Questi esaminava tranquillamente il caricatore della pistola. Eravamo a bocca aperta, senza capire niente. Il piccolo legionario era un vero soldato. Aveva faccia tosta, ma non passava mai il segno. Doveva dunque sapere qualche cosa. In un attimo avevamo ricuperato pistole e bombe a mano e facevamo cerchio attorno a lui. Il tenente scomparve per la scala. , « Si mette male », sussurrò Rudolph Kleber. « Mi ricorda l'ammutinamento del Florian Geyer. » 1 « Non succederà niente », affermò il piccolo legionario, sicuro di sé. « Se ci rompono troppo le scatole, li facciamo fuori. Con questo ci guadagneremo la croce al merito. » « Che cos'è che sai? » chiese Heide. « Racconta, perdio. Me la faccio addosso per la curiosità. » Brandì ferocemente 1
Celebre reggimento di cavalleria delle SS.
126 il mitra. Un Beretta italiano. Porta sollevò il contenitore del lanciafiamme e si fissò le cinghie alle spalle. « Bruciamogli il pelo dei coglioni! » « Piano » lo calmò il piccolo legionario. « Se dobbiamo sparare su questa banda di imbroglioni, voglio tirare io per il primo. » « Allora, questa spiegazione? » gridò Marlow irato. « È un casino. Sabotano un ordine personale di Adolfo e di Kaltenbrunner! » Un gruppo di ufficiali scese rapidamente le scale. Il nostro tenente Frick, con un sorrisetto a fior di labbra, si tenne a una certa distanza. Ci conosceva. Non voleva immischiarsi. Il piccolo tenente dell'aviazione chiocciava come una gallina che vuol covare. Un comandante dalle spalle larghe lo fece tacere. Nessuno di loro era armato e non avevano neppure i cinturoni. Qualcuno di noi si appostò dietro le colonne. Il piccolo legionario, provocante, si piantò vicino al pozzo, proprio in mezzo al cortile. Aveva un dito sul grilletto. Faceva pensare a un commissario russo che avesse Giuseppe Stalin proprio alle spalle. Il comandante dalle spalle larghe si avvicinò. Era alto due volte il piccolo legionario. La sua giacca era sbottonata. Non vi era dubbio, non era armato. Si scrutavano, in silenzio. Porta giocava distrattamente con il lanciafiamme. « Allora, signor comandante? Che cosa c'è di nuovo? La corte marziale? » « Vorrei parlarle da solo, caporale. » Il piccolo legionario ebbe un sorriso enigmatico. « No, signor comandante. Non ho nessuna voglia di essere abbattuto con un colpo alla nuca, in qualche scuro sotterraneo. Ho già sentito parlare di quel che chiamano il consiglio
127 degli ufficiali. Io non sono un ufficiale, ma un semplice caporalmaggiore, un uomo anonimo e oscuro della Legione straniera. » Porta canticchiò: « Soltanto un soldato, su cui tu puoi sputare... » « Coglioni di ufficiali! » sputò Marlow con disprezzo. Un capitano si avvicinava, il comandante lo fermò con un gesto. « Vi do la mia parola che non vi succederà niente. » « La parola di un ufficiale a un soldato semplice? » Il piccolo legionario alzò le spalle. Il comandante respirò profondamente. Il suo viso diventava rosso. Fratellino stava per metterci il suo grano di sale, ma con un calcio nella tibia Porta glielo impedì. Il piccolo legionario, molto calmo, accendeva un'altra sigaretta. « Dove vuole arrivare, caporale? Vuol veder annientare una civiltà millenaria perché un pazzo ne ha dato l'ordine? » « Un pazzo? Questa parola potrebbe costarle la testa, signor comandante. » Il comandante avanzò di un passo, pronto a mettere la mano sulla spalla del piccolo legionario. Questi evitò il gesto e respinse l'ufficiale con la canna del mitra. « Un inferiore deve restare a tre passi dal suo superiore, signor comandante. » Il capitano volle di nuovo intervenire. « Le ho già detto di star tranquillo », tuonò il comandante. « Caporale », riprese rivolgendosi al piccolo legionario, « sa lei che. cosa sia Montecassino? Sa che è uno dei più antichi centri della civiltà europea? Che è il primo monastero benedettino e che dietro queste mura si trovano le più preziose reliquie della cristianità? Vuole che una biblioteca di settan-
128 tamila volumi insostituibili sia data alle fiamme? Una collezione di opere che i benedettini hanno messo secoli a radunare? Per non parlare delle centinaia di quadri di maestri famosi, dei crocifissi antichi, delle opere di oreficeria secolari. In coscienza, lei potrebbe distruggere tutto questo? Lei è un soldato buono e coraggioso, caporale, lo so. Lei è fiero di aver servito sotto la bandiera francese, in una formazione celebre, famosa per il suo coraggio. Ma non dimentichi che precisamente l'esercito francese ha difeso per secoli la fede cristiana. Vuole lei, un soldato francese, perché lei è uno di loro, impedirci di trasportare tutti questi tesori in un luogo sicuro? Lei e i suoi camerati, possono uccidere tutti quelli che si trovano nel monastero... a cominciare da me e terminando con l'abate Diamare. Non solo non rischierete niente, ma lei sarà decorato per questa azione brillante. Soltanto, e questo glielo assicuro, l'esercito francese la rinnegherà. Lei non avrà più diritto di portare quel nastro rosso che le orna il petto. Io non temo la morte, caporale. Neppure i miei ufficiali. Noi sappiamo che è in gioco la nostra pelle, ma tuttavia siamo decisi a opporci all'annientamento di questi tesori. Siamo soltanto degli uomini. Noi possiamo essere sostituiti, ma quel che si trova qui, non un frammento, non un documento potrà essere ricostituito. San Benedetto si è installato qui nel 529. Fra poco questa montagna sarà al centro di combattimenti disperati. Le mura, le statue, la basilica, tutte queste opere meravigliose... » Alzò le braccia al cielo con un gesto di impotenza. Il vento giocava con il suo giubbotto e agitava i suoi capelli grigi. « Noi non possiamo salvare le pietre dalla mutilazione e dalla distruzione. Ma in qualche notte possiamo trasportare a Roma, dove saranno al sicuro, questi tesori insostituibili. » « E se ci facciamo prendere, signor comandante? » sorrise il piccolo legionario. « Noi siamo ben disposti a aiutarla, visto che ci tiene tanto, ma non vogliamo essere malmenati e
129 minacciati dai suoi ufficiali. Come ha detto lei, noi siamo dei soldati. E da tanto tempo, che non possiamo più fare altro, ammazzare, incendiare, saccheggiare, è diventato il nostro mestiere. Siamo nati sul letamaio militare e ci creperemo. Ma andare davanti a una corte marziale per aver sabotato un ordine del Fuhrer, è un altro paio di maniche. Non ci prenda per degli idioti. Ci state per mascherare da SS per poter fare con successo un trasporto illegale. Questo viaggio di piacere costerà qualche migliaio di litri di benzina, signor comandante. Di benzina, il nostro battaglione di Tigre non ne ha. Sciuparne anche soltanto qualche litro può costarci caro. E non abbiamo voglia di cadere nelle grinfie della Gestapo, in via Tasso a Roma. Ho sentito parlare del colonnello Kappler, che regna all'ex ministero della Cultura. Non ci só-gnamo di farci ammazzare per un mucchio di sacri ferrivecchi! Se ci date via libera sotto forma di un ordine regolare, siamo dei vostri. » « Bravo ! » tuonò la voce di Porta. «Se tutto va bene», filosofò Fratellino, «forse si potrà ricuperare una statua. Mi piacerebbe sistemarmi laggiù, ammirare la vista di questa valle felice. » « Potresti sistemarti sul campanile e prendere il posto del gallo », rise Porta. « Chiudete il becco! » sibilò il piccolo legionario. « Bene! Stenderò un ordine di missione. Voi appartenete secondo il regolamento alla mia divisione. Se vi sono grane, nessuno ve ne darà la responsabilità. » « Speriamolo », mormorò il piccolo legionario. « Non ne sono così sicuro. Per fortuna non siamo nati ieri. » Gli ufficiali scomparvero per la scala che conduceva alla basilica. Il piccolo legionario brandiva il mitra. Abbiamo trattenuto il respiro. Credevamo che stesse per sparargli. Invece scoppiò in una gran risata sardonica.
130 « Siamo dei veri idioti. Se li stendessimo tutti morti e raccontassimo la storia avremmo tutti qualche promozione. Potrebbe persino darsi che ci rimandassero nelle retrovie. Questa faccenda non mi piace. Ho incontrato un tipo travestito da monaco. Era una SD, membro di una banda di individui che, secondo il piano di Heydrich, hanno preso gli ordini per poterli minare dall'interno. Mi ha parlato di una missione segretissima. » « Come hai fatto a farlo parlare? » chiese meravigliato il Vecchio Unno. Il piccolo legionario rise maliziosamente e si tolse di tasca una tessera del partito. L'abbiamo riconosciuta l'aveva presa alla SS che per vigliaccheria era finita fra di noi e che avevamo precipitato dall'alto della montagna. 1 « Non è da molto che è qui. È venuto con alcuni profughi, ma è al corrente di tutto quel che succede. Ha per missione di sorvegliare che dal monastero non esca niente. Tutto deve essere bruciato, distrutto... ma da quelli dall'altra parte, si capisce. » Porta fischiò, per ammirazione. « Non è pensata male. I combattimenti decisivi saranno qui, sulla montagna sacra. Noi difendiamo il monastero contro i petardi dei nostri colleghi. E Goebbels certo ha già preparato una lunga tirata sulle atrocità commesse dai barbari venuti da oltremare a distruggere i tesori della civiltà europea! Noi avremmo ben voluto trasportare questi tesori e metterli al riparo, ma l'artiglieria di questi selvaggi ce l'ha impedito! E tutte le anime candide lo prenderanno per oro colato. Goebbels non dovrà che ripetere: forse che sono nostre le granate che hanno distrutto il monastero? No, Sir, sono quelle degli altri. Non mi meraviglierei neanche molto se, la prossima volta, si trattasse. del Vaticano... Ho come l'im1
Vedi Kamaraden
131 pressione che la montagna sacra serva a tastare il terreno. Se va, il papa è fritto. » « C'è del vero in quel che dici », intervenne Heide. « E la vecchia storia. » La sua faccia brillava per l'animazione. « Quando ero in un commando di caccia, prima di venire da voi, ci hanno detto, durante l'addestramento segreto, che appena si fosse finito con i giudei ci saremmo occupati dei reverendi. Vi dirò anche di più. Heydrich, il vero capo dei commando di caccia, odiava le sottane, il sant'uomo di Roma più che tutti gli ebrei del mondo messi insieme. Ci ha detto un giorno, durante l'insegnamento speciale in Admiral Schròder Strasse: gli ebrei, si sa sempre dove trovarli, mentre i preti si infilano dappertutto, sono i nostri nemici peggiori! Non si sa mai dove ci si può imbattere con i tipi dei commando di caccia. Si travestono con tutte le uniformi immaginabili. Dei camerati del nostro commando, che erano in missione in un monastero, sono stati colti in flagrante delitto dalla polizia. Siccome non si poteva soffocare la cosa, li hanno messi in prigione e hanno fatto il processo, per la forma. Avevano ammazzato qualche frate. La corte marziale era formata da ufficiali. Hanno condannato a morte tutta la banda. Il comandante della piazza, un generale di brigata, ha ratificato la condanna. Il giorno prima dell'esecuzione, ecco un distaccamento speciale che arriva da Torgau con l'ordine di portar via i condannati. Non sono mai arrivati a Torgau. Facevo parte io stesso del commando. Li hanno condotti a Mauthausen. Sono rimasti là al fresco per un po' di tempo, poi sono ricomparsi in un altro commando, tutti e dodici, e con la promozione. Il comandante della piazza e la corte marziale al gran completo, loro sì che sono davvero arrivati a Torgau. I monaci del monastero sono stati passati per le armi. Si era indagato sul loro passato; là si trova sempre qualche cosa, se ci si prende la pena di cercare. Sono stati giustiziati tutti quanti all'alba, nella cava dietro il piccolo canale. E
132 stato Larsen di Dachau a condurre l'operazione. Eravamo grandi amici a quell'epoca. » « Larsen di Dachau, l'ho conosciuto bene », intervenne Fratellino. « L'ho incontrato a Minsk. Eravamo tutti e due nella brigata di Dirlewanger. Larsen ! I partigiani lo hanno sotterrato con l'Hauptsturm 1 Lessner... in un formicaio. Si sapeva bene che sarebbero finiti così. Wanda, una della resistenza, che faceva le pulizie nell'ufficio del comandante, ce l'aveva detto. Andava a frugare nei cestini della carta straccia. » « Chi è stato a denunciare Wanda? » pensò Porta a alta voce. « Era un tipo mica male! E troppo idiota che l'abbiano ammazzata prima che si abbia avuto il tempo di andare a letto insieme. » « Si può benissimo fare l'amore anche con una morta », si lasciò sfuggire Fratellino. «La Kripo 2 aveva arrestato a Wannsee un becchino che lo faceva. Sono stato in prigione con lui a Moabit. Quando si è saputo che se la faceva con le morte, più nessuno ha voluto dormire vicino a lui... » « Va bene, abbiamo capito! » lo interruppe con violenza il Vecchio Unno nauseato. Il piccolo legionario si grattò il mento e riprese il discorso. « È maledettamente pericoloso. Non credo che questi ufficiali del mio deretano se ne rendano completamente conto! Pensano che nel peggiore dei casi ci sarà la corte marziale e saremo messi al muro. Ma non sarà così. Piangeremo per avere la morte. Li supplicheremo di finirci! Un uomo può durare un pezzo quando cade nelle mani di un artista. E Kaltenbrunner che ha immaginato questo colpo del monastero. E un mangiapreti ancor più affamato di Heydrich. I compari di via Tasso ci faranno morire a fuoco lento! » 1 2
Capitano delle SS. Kriminal Polizei: Polizia criminale.
133 « Un giorno ho visto un tenente al quale avevano fatto scoppiare lo stomaco iniettandogli dell'aria compressa, durante un interrogatorio. Certe volte si servono dell'acqua », precisò Fratellino. « Cambia disco, Fratellino », tagliò corto il Vecchio Unno. « Ecco che cosa propongo », continuò il piccolo legionario. « Fratellino e io metteremo a posto il tipo della SD. Aveva promesso di dare l'allarme alla SD a Roma, e ho l'appuntamento fra poco dietro il vecchio crocifisso. Fratellino si avvicinerà a lui da dietro e gli passerà una corda al collo. Poi lo metteremo sotto un autocarro. Sarà stato schiacciato stupidamente, poveretto! Nessuno sospetterà di niente. Poi sono del parere che ce ne andiamo di qui il più presto possibile. Non è il caso di contare su dei ringraziamenti. Gli ufficiali saranno complimentati; noi dimenticati. » « D'altra parte », disse Porta furbo, « trovo idiota lasciar distruggere degli oggetti preziosi. C'è della gente che farebbe pazzie per quelle vecchie carabattole. Se ne scomparisse qualcuna durante il trasporto? Capite quel che voglio dire? « Ci farebbe stare allegri che non ti dico, quando la guerra sarà finita », osservò seccamente il Vecchio Unno. « Avreste torto a credere che basterà la firma di qualche generale perché tutto sia finito, è allora che incomincerà a essere pericoloso. Tutti si affretteranno a dimostrarsi innocenti. E noi, i poveri diavoli, noi pagheremo per i piatti rotti! » « Hai ragione, sergente », disse il piccolo legionario. «Pulcini bagnati!» lanciò Gregor Martin, «io e il mio generale, quando visitavamo un museo ripartivamo sempre con uno dei pezzi migliori sotto il braccio. » « Bravo ! » gridarono insieme Marlow e Porta. Il piccolo legionario fece un segno a Fratellino. Questi fece schioccare con ferocia il suo laccio. Raggiunsero la porta e per il sentiero stretto scomparvero nel buio. « In che impiccio ci si può andare a cacciare, in guerra »,
134 disse Heide nervoso. Abbiamo incominciato a occuparci delle casse e a caricarle sugli autocarri. Le bottiglie di acquavite circolavano. Rudolph e Heide si sono regalati il lusso di berla in un calice. Il piccolo legionario e Fratellino sono ritornati. La corda usciva a metà dalla tasca di quest'ultimo. « Oh, mamma mia.che storia con questa SD », spiegò gesticolando. « Aveva capito già prima che avessi il tempo di sistemare la mia corda. Il piccolo legionario ha dovuto rompergli la testa. Abbiamo gettato quell'idiota giù per la montagna, non si fermerà che a Napoli. » « Non far tanto baccano », consigliò il piccolo legionario. Nervoso, percorreva con lo sguardo la cripta dove risuonava la voce di Fratellino.
135 Eravamo seduti per terra; i carri erano stati nascosti. Eravamo al riparo dagli sguardi del nemico. Di tanto in tanto cadeva una bomba. Passando sulla strada, sopra di noi, gli autocarri facevano turbinare la polvere; si incollava alle nostre uniformi che erano come infarinate. Ai piedi della montagna serpeggiava il fiume. L'acqua era azzurra come il cielo. Le nostre gavette erano piene di spaghetti. I più abili sapevano arrotolarli attorno alla forchetta. Heide per esempio, che era abile in tutto. Porta sollevava la forchetta dalla quale pendevano gli spaghetti e li inghiottiva rumorosamente. Fratellino, sprovvisto di posata, mangiava con le dita. Ogni volta che una bomba cadeva nel nostro angolo, ci gettavamo ventre a terra, con la gavetta fra le braccia. Poi, passato l'allarme, ridevamo di gusto contandoci. Porta indicò con la mano due cadaveri decomposti che galleggiavano sull'acqua. La puzza arrivava fino a noi. Barcellona rise. « Poco importa con chi si mangia, purché la roba sia buona! » Porta leccò un pezzetto di lardo, per liberarlo dalla salsa di pomodoro e dall'olio, poi se lo mise in tasca, come riserva. Porta pensava sempre all'avvenire. Nessuno di noi ricordava di aver malfatto un mestiere. È per questo^ che odiavamo la guerra. D'altra parte avevamo dimenticato che cosa fosse la vita di prima. Soltanto Porta pretendeva di ricordare delle cose, ma era un tale bugiardo, quel Porta. Avevamo una damigiana da acido piena di vino. Aveva, sì, conservato un po' del sapore, ma che cosa imporrava. Chiudendosi il naso si poteva bere quasi senza sentirlo. La corona di una granata frustò l'acqua; gli schizzi arrivarono fino a noi. Fratellino leccava le gavette. Così non dovevamo lavarle. Leccava sempre le grosse marmitte, non era mai sazio. Bisognava riconoscere che aveva una notevole carcassa da nutrire.
136 Avevamo passato laggiù tutta la mattina; era un buon nascondiglio. Certo ci cercavano già da parecchie ore. Ce ne infischiavamo nel modo più assoluto. Non eravamo noi che dovevamo vincere la guerra. Eravamo niente, noi.
137
UNTERSTURMFUHRER SS JULIUS HEIDE Fratellino, con un antico crocifisso sulle ginocchia, era sul primo autocarro con Porta. Discutevano apertamente di quanto avrebbe potuto rendere l'oggetto « venduto a un ricco collezionista ». Fra loro due era seduta una suora. Non capiva una parola dei loro scherzi volgari e rideva scioccamente vedendoli sbellicarsi. A Cassino ci hanno fermato per la prima volta. Era la polizia. Il fascio di luce delle loro torce si rifletteva sui distintivi delle SS delle nostre uniformi. « Desiderate? » sogghignò Porta, con piglio brutale sotto l'elmetto. « Commando speciale? » borbottò un poliziotto. « Precisamente », si affrettò a ribattere Porta. « Missione confidenziale agli ordini diretti del Reichsfùhrer delle SS. » 1 Heide risaliva la colonna a passo di corsa, vestito con un cappotto da Untersturmfiihrer. Sul petto gli dondolava il mitra. « Che accidenti di un casino! Chi è che osa fermarci? » tuonò. L'aiutante poliziotto, un po' nervoso, batté i tacchi e lanciò: « Ordine di esaminare tutti gli autocarri, Hen Untersturmfiihrer. » « Il vostro ordine! Me ne pulisco il... Potete metterlo dove penso », sbraitò Heide. « Ne conosco soltanto uno di ordine. Quello del Reichsfùhrer delle SS. » (Brandì il mitra). « Lasciate passare gli autocarri, perdio! Smettetela di fare l'idio1
Himmler.
138 ta, o potrà costarvi caro. E ricordatevi che il nostro carico è di carattere riservato. » « Bene, Herr Untersturmfiihrer », balbettò il poliziotto. « Quanto all'Herr potete fregarvene. E un bel po' che non lo si usa più nelle SS. » Heide alzò il braccio con un gesto arrogante e gridò nella notte: « Heil Hitler ». Lo sbarramento venne tolto, la colonna di autocarri si rimise in marcia. Il tenente Frick saltò sul nostro autocarro. « Julius è proprio pazzo. Non potrà andare tutte le volte », mormorò. Sulla strada per Roma siamo stati attaccati due volte dai cacciabombardieri. Abbiamo scaricato gli autocarri a Castel Sant'Angelo. O per essere più esatti, altri li hanno scaricati per noi, mentre ci riposavamo all'ombra, bevendo vino. Porta aveva messo le mani su un'enorme marmitta di cavoli. Qualche fessacchiotto ha cercato di averne la sua parte: ha avuto il conto saldato. Un caporale ha incominciato a dar noia: gli è costato due denti. Al tramonto siamo ripartiti per Cassino. È stato un capitano dei granatieri della divisione corazzata Hermann Goring che ha fissato il nostro ordine di marcia. Sulla strada dell'abbazia abbiamo spaccato una biella: un Bussing da dieci tonnellate nel mezzo di un tornante. Porta manovrò abilmente il suo autocarro e riuscì a spingere il Bussing nel precipizio. Esplose toccando il fondo. Il tenente Frick sudava freddo: avrebbe potuto farci prendere. Durante il secondo viaggio ci fermarono soltanto a Valmontone, a una quarantina di chilometri da Roma. Heide riuscì una volta ancora a sbrogliarsela recitando la parte di ufficiale delle SS; soltanto che era più difficile, perché c'era un tenente della polizia, con delle bombe a mano alla cintura. « Il vostro permesso di transito? » reclamò con modi arro-
139 ganti. Nel suo sguardo si poteva vedere una forca con una grossa corda. Heide, come ipnotizzato dalla propria uniforme da SS, non vedeva il pericolo. Molleggiandosi sulle ginocchia si avvicinò al poliziotto e spinse indietro la bustina con la testa da morto. « Che casino di un sacramento! Che cosa ti prende, pezzo di stronzo? E la seconda volta che mi fanno perdere tempo durante questa missione segreta! Il Reichsfiihrer ne sarà felice quando verrà a saperlo! » Ma il colosso non era di quelli che si lasciano impressionare da una sfuriata. « L'ordine di marcia, Untersturmfùhrer? Il Reichsfiihrer non sarà felice neanche se lascio passare senza controllo un convoglio come questo. » « Se vuole informazioni, tenente », urlò Heide, prendendo a testimonio le case oscurate di Valmontone, dove si indovinava più d'un viso attento dietro le persiane chiuse, « si rivolga alla Casa della Cultura di via Tasso. Là c'è della gente che le insegnerà a non sabotare gli ordini del Reichsführer. Le do dieci secondi per togliere lo sbarramento! Dopo di che spariamo e lei conterà i suoi caduti! » Il tenente si ammorbidì un po'. Fece un gesto nervoso che intendeva far passare per un saluto. Esplodendo si rivolse a un sottufficiale che si appoggiava con aria indifferente all'autocarro: «Togli lo sbarramento, idiota! Non startene lì! Hai forse voglia di sabotare gli ordini del Reichsführer? Hai la nostalgia della neve del fronte orientale? » Il sottufficiale si affrettò. A sua volta si mise a gridare con l'autista. Per meglio segnare il colpo, Heide bevve una sorsata di acquavite senza offrirne al tenente. Con le gambe ben divaricate, la bustina con la testa da
140 morto sulla nuca e il dito sul grilletto, stava là, piantato come un ceppo, a sorvegliare gli autocarri che sfilavano davanti al tenente e alla sua. pattuglia. Qua e là qualche breve fascio di luce delle lampadine tascabili brillava sugli elmetti bagnati. Noncurante, sprezzante verso l'ufficiale di polizia, si mise a fischiettare: Ja, wir sind die Garde, die SS-Standarte, die Adolf Hitler liebt. Il tenente guardava il distintivo sulla manica di Heide, un distintivo che quest'ultimo sbandierava di propria iniziativa: Reichssicherheitshauptamt. 1 Heide mise il braccio sotto il naso dell'ufficiale della polizia militare. « Non le piace il mio bracciale, tenente? » « Se mi avesse detto subito che veniva dal RSHA, vi avrei lasciato passare senza discussione, ma se ne vedono di ogni colore, qui, tipi forniti delle carte più incredibili, firmate da generali inesistenti. Ma gli uomini di Heinrich, è un'altra cosa! » Offrì un sigaro a Heide. « Dove andate, a proposito? » chiese con curiosità. « È per quegli sporcaccioni del Vaticano? Mi piacerebbe davvero partecipare all'operazione, a me. Dovremmo liquidare subito tutto questo mondezzaio, senza aspettare più. Ah! Stalin si è dimostrato più logico a Mosca. Sapeva quali erano i suoi veri nemici. » « Allora sta criticando il Reichsfuhrer delle SS? » chiese Heide in tono minaccioso. Il tenente, evidentemente a disagio, incominciava a agitarsi come una pollastrella malata. 1
RSHA: Ufficio centrale di sicurezza dei Reich.
141 « Per amor del cielo, lei mi ha capito male, camerata. » Heide chinò la testa. « Lo spero per lei. Tanta gente è morta, perché l'hanno capita male! » Un Krupp da dieci tonnellate li sorpassava lentamente. Il tenente Frick, con un elmetto da SS in testa, li guardava, sbalordito, dalla cabina dell'autista. Macchinalmente, fece il saluto. Senza la presenza di spirito di Heide, sarebbe stato l'errore fatale. « Dove crede di essere? Perdio! Ancora nell'esercito? Non si è accorto che da noi non si saluta con dei gesti da junker, no? » Con un gran sorriso si rivolse al tenente della polizia: «Un'eredità della Luftwaffe! Non so proprio che diavolo si farà con tutti questi impiastri! A Kharkov ci hanno appioppato diecimila babbei di questo genere. Li dobbiamo al generale Hausser. Non avrebbe mai dovuto avere un posto di comando da noi! Ah, no! Papà Eike o Sepp Dietrich, allora sì sarebbe stato gualche cosa! » « A che unità appartenete? » chiese l'ufficiale. « Prima divisione granatieri delle SS. » Il tenente fece un lungo fischio. « Deve certo succedere qualche cosa! Siete voi che vi occupate di tutti i trasporti di ebrei. Ho partecipato ad un convoglio per Auschwitz, sotto scorta di tipi della Prima. Non erano precisamente dei chierichetti, eppure ne ho viste un po' più della maggior parte della gente. Ero a Kiev il giorno in cui abbiamo fatto fuori qualche migliaio di persone in due ore ! » « Il Reichsfuhrer ci vuole molto bene », spiegò Heide con orgoglio. « Eseguiamo qualsiasi ordine in quattro e quattr'otto. » L'ufficiale si chinò confidenzialmente verso Heide. « Untersturmfùhrer, si è finalmente scoperto, il Pio? È arrivato il momento? Dicono che le rappresaglie contro gli e-
142 brei, qui, sono fatte soltanto per provocare la vecchia volpe e i suoi fottuti cardinali. » Heide scoppiò a ridere... di una risata che lasciava adito a tutte le interpretazioni. Il tenente scosse il capo, accarezzando la pistola. « Nelle riunioni segrete di partito, nel '34, ci avevano promesso che la peste della cristianità sarebbe stata sterminata. » « Lo so, non c'è posto sulla terra sia per loro sia per noi », brontolò Heide. « E non saremo noi a cedere. » « Ecco che cosa mi piace sentire », rise il tenente, fregandosi soddisfatto le grosse mani. « Lo spero bene! » disse Heide. « In caso contrario potrebbe venirmi in mente di portarvi con me. » Il tenente ebbe un risolino forzato. « Soprattutto, mi capisca bene, Untersturmfùhrer. So che il vostro convoglio è segretissimo, ma andate a Roma? » Heide si irrigidì. « Certo che andiamo a Roma. » Il tenente si accarezzò il mento quadrato, sembrò esitare, poi: « Lei sa che ci sono ancora due sbarramenti da passare? Li hanno sistemati da venti minuti. Ordine di via Tasso ». Heide si morse il labbro inferiore e strinse la fìbbia dell'elmetto. « Perdio! Farò in modo che quei tipi vengano puniti come meritano, se mi fanno perdere ancora del tempo ! Ho ancora nelle orecchie le ultime parole del Reichsfiihrer: "Usate la maniera forte, Untersturmfuhrer, se vi mettono i bastoni fra le ruote". Mi dia piuttosto la parola d'ordine, mio caro. » « Oh... Significa correre un grosso rischio. Untèrsturmführer. » (Il tipo era sempre più a disagio). « Anche il mio ordine di via Tasso è segreto. » Heide abbassò la canna del mitra, che ora era puntato al-
143 l'ombelico del tenente. « Reichsfùhrer mi ha ordinato di tirare se mi facevano tardare!» « Waterloo! » sussurrò il tenente, incapace di distogliere gli occhi dalla bocca minacciosa del mitra. Un gran sorriso di soddisfazione illuminò la faccia di Heide. « E la risposta? » « Blùcher. » Heide abbassò il mitra. « Grazie, camerata. Non mi piace sparare su un collega quando non è assolutamente indispensabile. » Il poliziotto sembrò essere preso a un tratto da una gran fretta. Si precipitò verso una piccola bicocca ai margini della strada. « Questi pezzi di cretini! » Diede uno spintone a un sottufficiale per arrivare al telefono. Girò come un pazzo la manovella dell'apparecchio, sibilò, bestemmiando e imprecando, una serie di parole in codice nel ricevitore. « Maresciallo », urlò al suo interlocutore dall'altra parte del filo, « se il convoglio che sta per arrivare non passa lo sbarramento con la velocità di un razzo, lei sarà impiccato! Ordine del Reichsfùhrer, pezzo di cretino! Non faccia domande idiote! Ha capito, sì. Stanco di vivere? Farò in modo che si ritrovi di colpo sul fronte orientale! » Riappese con una forza tale, che il ricevitore andò in pezzi. «Tutti cretini! Gli insegnerò io di che stoffa sono fatto. » Con tutte le luci spente, il piccolo veicolo anfibio di Heide aspettava ai margini della strada. « Seguitemi », urlò il tenente saltando nella sua camionetta, nascosta fra gli alberi. Con un rombo infernale, spruzzando tutto di fango, la pesante vettura si mise in moto e prese la strada di Roma. Heide ritornò al suo anfibio e con un sorriso furbo incorag-
144 giò Gregor. « Stagli alle calcagna, Gregor, fa' vedere che sei un ex autista di autocarri da trasloco. Non ci deve scappare. Se si mette a riflettere siamo fregati. Ti garantisco che in questo momento sta già premendosi la testa e facendosela addosso. Non trovi che sono perfetto come Untersturmführer? » « Sei completamente impazzito, sì », borbottò Gregor Martin premendo a fondo sull'acceleratore. « Dovrebbe aiutarci il diavolo per uscirne fuori. A proposito, hai visto i quadri che hanno messo nel terzo autocarro, che razza di roba? » « Eccome se li ho visti! » sogghignò Heide. « Non mi piacciono queste cose da sacrestia! Preferisco le scene di battaglia, in quelle almeno ci si capisce qualche cosa!» « Ma no, non capisci niente, testone! Quel che rappresentano, non me ne importa un fico. E al loro valore che penso! Ti rendi conto del poco posto che terranno, una volta tolte le cornici? » Heide fece un lungo fischio d'ammirazione. Il suo viso prese un'espressione pensierosa. « Vuoi dire che dovremmo far scomparire le croste? » (Heide succhiò il suo lungo sigaro). «La cosa non mi attira. Potrebbe nuocere alla mia carriera... Voglio essere un ufficiale nell'esercito che avremo dopo la guerra. Sono stato attento tutta la vita. Sono il solo soldato che abbia otto anni di servizio senza una sola cattiva nota. » « Non ti piacerebbe essere ricco? » chiese Gregor Martin stupefatto. « No », disse sorridendo Heide, « non mi interessa. Io sono un soldato. Pur che prenda la mia paga, sono contento. L'esercito è la mia casa, è una buona casa. » « Non capisco più niente. Perché allora fai con tanto entusiasmo questo trasporto, che potrebbe anche costarci la vita? Porta, Fratellino e io, siamo venuti perché speriamo di procurarci di che vivere da vecchi dopo la guerra, vale la pena di
145 rischiare. » « Ti credevo più furbo », sogghignò Heide con disprezzo. Mettendo l'indice sotto U naso di Gregor, spiegò: « Chi è che assicura un viaggio tranquillo a questo convoglio? Chi è che si muove quando incontriamo un posto di blocco? Un Untersturmfùhrer del RSHA! Sono in diversi a aver visto questo bracciale ed è il solo del suo genere in tutta l'Italia. Quando gli altri avranno vinto la guerra, vorranno ritrovare quello che, con la sua faccia tosta, ha portato in salvo questo trasporto. Lo ricercheranno, quell'ufficiale. E quando si accorgeranno che non è un ufficiale, ma un semplice sottufficiale, la mia fortuna sarà fatta. L'accademia militare mi sarà aperta. È da quando ero ancora un bambino che sogno le spalline d'oro. » « Se hai della grana, molta grana », filosofò Gregor Martin, « potrai trovare Ù modo di entrare in qualsiasi scuola di ufficiali. Grattiamo un po' di tutta questa roba invece di portarla a Castel Sant'Angelo. Una volta là sarà fatta scomparire ugualmente... dagli altri! Ancóra qualche settimana, e il vecchio monastero, lassù, sarà scomparso dalla faccia della terra, così come i frati e tutto il casino. Ho sentito padre Emmanuel chiacchierare con il sacrestano del convento. Tutti i religiosi resteranno nel loro buco, non credono al rischio. Fra poco tempo nessuno saprà più che cosa sia uscito esattamente dal convento. E nessuno potrà provare che si sia sottratto il minimo oggetto. Accuseranno i micini di Hermann Goring. Quando sarà finita la guerra, il solo fatto di aver militato in questa divisione sarà una macchia. » « Non voglio saperne niente », sputò Heide. « In fede mia! dimentichi che non sei tu il capo, ma il tenente Ffick. Da quando ti sei travestito con. quella bustina e quel cappotto tu vaneggi. Attento alla tua pelle, caro mio, potrebbero avere la buona idea di farti fuori! » « Provaci un po' », propose Heide giocando negli-
146 gentemente con il suo coltello a serramanico. « Tagliere la gola a tutti quelli che vorranno impedirmi di diventare un ufficiale. » « Sei proprio pazzo da legare, non vorresti diventare un ufficiale dei rossi, già che ci sei? » « Me ne frego di portare una croce o una stella sul petto... quel che voglio è essere ufficiale di un grande paese dove l'esercito sia importante, dove sia rispettato. » « Ci sono molti che sanno che tu non puoi soffrire gli ebrei, Julius. Potrebbe nuocere alla tua carriera », rise Gregor Martin, ironicamente. « E tu che sei stato l'autista di un generale, Gregor! Poveretto, dev'essere maledettamente contento di essersi sbarazzato di te. Citami un paese dove si abbia simpatia per i giudei! Non ho niente contro di loro, del resto, ma è sempre piuttosto pericoloso difenderli. Credi che li abbiano in simpatia dall'altra parte dell'Atlantico? Dicono che si battono per loro. Bene, ti dico che non c'è una parola di vero. Ti ricordi il mio amico, il commissario ebreo che abbiamo nascosto per tanto tempo? No, è vero, tu non eri con noi a quell'epoca. Era un tale che avevamo preso a Nova Bavaria, vicino a Kharkov, un duro, che aveva ammazzato la maggior parte degli uomini della sua unità quando si erano rifiutati di avanzare. Il nostro comandante di allora, papà Lindenau, non ha voluto ammazzarlo nonostante l'ordine speciale. L'ha cacciato nella nostra compagnia come ausiliario volontario. È rimasto con noi per quasi un anno. Poi abbiamo lasciato che raggiungesse i partigiani, un giorno che eravamo a Minsk per un raggruppamento. Bene, quell'uomo è diventato amico mio; ho il suo indirizzo di Mosca. Andrò a trovarlo, quando avremo finito questa maledetta guerra. Vedi! E ne ha raccontate di storie, fra l'altro mi ha parlato di un ebreo che si chiamava Vladimir Jabotinski. Un ebreo maledettamente coraggioso. Era lui che mandava al diavolo le nostre petro-
147 liere. Se i pezzi grossi di Washington e di Londra avessero sostenuto Vladimir, oggi non ci sarebbe nessun Hitler. Il mio amico commissario mi ha detto che fin dagli inizi del Terzo Reich Vladimir aveva proposto un blocco economico. Gli altri non ne hanno voluto sapere. L'unico che trovava buona l'idea di Vladimir era un tizio importante del Vaticano. Ma nessuno ha accettato di boicottare Adolfo per aiutare gli ebrei. Si può aiutarli, si può provare pietà di loro, soltanto non si deve dirlo troppo forte. Neanche in Russia hanno tanta simpatia per loro, i nasi a becco, Non li mandano ancora nelle camere a gas, come da noi, ma il mio amico commissario mi ha raccontato certi particolari abbastanza disgustosi. Guarda, prendi Mike! È più americano che tedesco. Basta che tu lo ascolti quando parla dei preti e degli ebrei. E non è da noi che ha arricchito il suo repertorio, è stato dai marines. L'hai sentito quando ha la luna per traverso e quando è in collera con qualcuno... » «Vuoi dire quando lo tratta da negro fottuto e da sporco ebreo... » « Esattamente », rise Heide. « Questo dimostra come la pensa Mike. Sparerebbe su qualsiasi negro o su qualsiasi ebreo con la stessa tranquillità con cui schiaccerebbe una pulce. » Gregor bestemmiò, frenò bruscamente e evitò per un capello la collisione con un autocarro fermo. La leggera vettura anfibia slittò lateralmente lungo la colonna, girò due volte su se stessa e finì in un campo. In mezzo a una salva di bestemmie i suoi occupanti uscirono incolumi dalla vettura, ridotta a un ferrovecchio. Il grosso tenente accorse, seguito da due gendarmi. Servilmente, si mise a ripulire l'uniforme di Heide. Egli lo respinse con irritazione. « Che cosa significa questo, tenente? Ha fatto fermare ancora il mio convoglio? » tuonò. « Farò rapporto al Gruppen-
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führer Muller, a Berlino. Sarà trattato secondo il suo grado ! » « Tutto in regola, Untersturmfuhrer, via libera per il vostro convoglio. Il responsabile di questa fermata, un moccioso di sottufficiale, l'avrà a che fare con me. » Il moccioso, che si trovava proprio dietro il tenente eccitato, balbettò alcune scuse. « Silenzio! » urlò il tenente fuori di sé. « Lei non è che un volgare sabotatore. Andrà a consumarsi i piedi sulle strade russe, questo le insegnerà a stare al mondo. Per il momento, mi si levi di torno. » Il sottufficiale emise un indistinto gorgoglio. Il tenente brandì la pistola. « Vuole chiuder bocca, sì o merdai Altrimenti le sparo per rifiuto di obbedienza. » Piantato nel mezzo della strada, con il mitra sul petto, Heide sorrideva soddisfatto. Lo stesso Himmler lo avrebbe scambiato per uno dei migliori ufficiali della sua guardia. Heide sembrava nato per quel posto... In un certo senso era uno di loro. « Perché non punirlo immediatamente, tenente? Non sappiamo che cosa farcene di questi zerbinotti di soldati, nelle nostre file. » Il sottufficiale scomparve a gran velocità nell'oscurità, maledicendo in cuor suo la cricca degli ufficiali delle SS. Era bastato qualche secondo per fare di un ammiratore un nemico del regime. « Che animale ! » mormorò uno dei subordinati. « Cambierà parere quando arriveranno gli americani, quel porco », brontolò il sottufficiale. « Mi offrirò come volontario nella nuova polizia militare che i nostri nemici di oggi, dopo la vittoria, investiranno del potere. E non farò altro che 1
Generale di corpo d'annata delle SS.
149 dare la caccia a questi porci di ufficiali delle SS. » L'autocarro anfibio bruciava. Il tenente offri generosamente a Heide di prendere la sua camionetta. Heide accettò con grazia e promise di lasciarla al posto di controllo, al suo ritorno. Il tenente Frick tremava dal nervosismo. Era stupefatto e spaventato nello stesso tempo di Heide. Le conseguenze, se il tenente della gendarmeria avesse avuto dei sospetti, sarebbero state inimmaginabili. Porta rise, spensieratamente. « In questo caso ci cercheranno nella prima divisione delle SS. » « E quando si accorgeranno che non si trova in Italia? » chiese Frick scuotendo la testa. « Andranno dai partigiani, sulle montagne, signor tenente », rispose Porta indifferente, sollevando una cassa pesante. « Non gli verrà mai in mente di andare a frugare nel Ventisettesimo di disciplina. Non dimentichi che siamo conosciuti soltanto da un piccolo numero di persone del comando generale del Sud. » « La nostra presenza in Italia è così segreta », sbraitò Fratellino, dal sotterraneo di Castel Sant'Angelo dove stava sistemando una cassa pesante, « che noi stessi non siamo sicuri che non si tratti di un sogno. » All'improvviso si ebbe una scena granguignolesca. Barcellona inciampò, lasciò cadere un'enorme cassa piena di reliquie, che rotolò per la scala schiacciando due dita a Fratellino; questi gettò un urlo selvaggio e tolse così in fretta la mano, che le sue dita restarono sotto la cassa. Con un balzo solo, salì la scala e saltò alla gola di Barcellona. Il sangue colava a fiotti dalla mano mutilata. « Pezzo di ruffiano spagnolo, l'hai fatto apposta! » Strappando dalle mani di Porta un crocifisso antico, lo brandì contro Barcellona, che scappava preso dal panico.
150 Padre Emmanuel, che si trovava con due religiosi sotto il portone, comprese rapidamente la situazione. Non si è mai saputo chi volesse salvare, se Barcellona o il crocifisso, fatto sta che fece lo sgambetto a Fratellino, il quale cadde lungo disteso, facendo una scivolata sul ventre. I frati misero subito le mani sul crocifisso. Rosso di collera Fratellino si alzò in piedi. Heide, che si pavoneggiava con le mani dietro la schiena nella sua falsa uniforme da SS, non ebbe i riflessi abbastanza rapidi. « Mi hai fatto uno sgambetto, animale », urlò Fratellino gettandosi su di lui come un tornado. Heide si diede alla fuga, ma raggiunto nel mezzo di ponte Sant'Angelo venne precipitato nel fiume, come una bomba di mortaio. Una furibonda nuotata lo riportò sulla riva. Risalì barcollando. Il tenente Frick cercò di aiutarlo, ma fu spazzato via brutalmente. Fratellino si era armato di un grosso palo. Noi applaudivamo entusiasti. Proprio quel che ci mancava: un vero combattimento da uomini. Il tenente Frick minacciò a tutti la corte marziale se non ritornavamo immediatamente al lavoro. Nessuno lo ascoltava. Una zuffa fra Fratellino e Heide era uno spettacolo che non si poteva perdere. « Fratellino », gridò Gregor provocante, « Julius ha detto che non riuscirai assolutamente mai a batterlo! » Fratellino ruggì come una belva e con la mano mutilata si impiastricciò di sangue la faccia. « Perderà tutto il sangue », mormorò preoccupato padre Emmanuel. « Non c'è pericolo », rise Porta. « Ne ha un mucchio. Prima che abbia perduto l'ultima goccia, Julius sarà stato strangolato. » « Cacciatore di giudei, ti farò la pelle ! »
151 « Brutto animale », ansimò Heide. « È la tua ultima ora. » Raccolse un pezzo di legno e lo gettò contro Fratellino. Questi si precipitò in avanti, servendosi del palo come di un ariete. Heide volò attraverso il portone. Ma Fratellino aveva preso troppo slancio per poter approfittare del vantaggio. Si sentì un fracasso spaventoso di vetri rotti e di legno spezzato: Fratellino aveva sfondato una persiana e una grande finestra. Si alzò immediatamente, afferrò la persiana e la fece volteggiare sopra la testa, come una mazza gigantesca. Allora abbiamo creduto davvero che fosse arrivata l'ultima ora di Heide. Ma un attimo prima che l'asse ricadesse su di lui, disteso nel cortile, egli si rotolò su un fianco e afferrò il coltello, nello stivale. Fratellino ebbe appena il tempo di scomparire dietro una porta prima che il coltello vi si conficcasse. Poi afferrò Heide per le caviglie e lo fece roteare. Se non avesse avuto l'elmetto, la sua testa si sarebbe spaccata contro il muro. Fratellino gli saltò a piedi giunti sul ventre, dandogli calci sul viso con gli stivali. Pazzo di rabbia sanguinaria, ebbe un secondo di distrazione. Heide ne approfittò per sfuggirgli e mettersi al sicuro sotto uno degli autocarri. Là afferrò un estintore, lo sistemò e ne diresse il getto contro Fratellino, che in un batter d'occhio fu trasformato in un abominevole uomo delle nevi. Accecato, mezzo soffocato,- si mise a correre in tondo e per sbaglio afferrò Gregor Martin. « Lasciami andare, Fratellino, sono Gregor. » Mezzo secondo, e i pugni di Heide li gettarono a terra tutti e due saldando il conto.
152 La morte, che cos'è? Colpisce in fretta. Noi siamo sempre pronti; è divenuta una compagna, un'abitudine. Nessuno di noi è credente. Non ne abbiamo avuto il tempo. Ci capita di parlarne; noi non sappiamo se dopo ci sia qualche cosa. Come potremmo saperlo? È meglio pensare alla morte come a un sonno eterno, senza sogni. Ci hanno minacciato tante volte la corte marziale e la condanna a morte, che non ci fa più nessuna impressione. Che cosa può importarci da chi saremo uccisi, quando sarà venuta la nostra ora; dove e come saremo sepolti? Che sia in un fosso, sotto un elmetto arrugginito, o in un bel cimitero, sotto una fiamma perpetua, anche di questo ce ne infischiamo. La sola cosa che ci importi è che la morte venga in fretta, senza dolore. Spesso il plotone d'esecuzione è preferibile all'atroce morte lenta in un carro in fiamme. La maggior parte dei nostri camerati sono scomparsi qui, davanti a Montecassino, verso il Natale del 1943. Ne restano soltanto trentatré dei cinquemila partiti insieme nel 1939. La maggior parte sono morti in mezzo alle fiamme! La fine classica del soldato dei carri armati. Alcuni si trascinano senza braccia e senza gambe; alcuni diventano ciechi. Ad alcuni di loro abbiamo fatto visita negli ospedali, passando. C'era Schròder, il sergente. Per la disperazione si era messo a inghiottire sabbia, quando aveva perso i due occhi, per un colpo di una di quelle granate che esplodono due volte. Non aveva più faccia. Nessuno di noi potrà mai dimenticare lo spettacolo che ci offrì all'ospedale. La stia testa non era più che una serie di buchi: buchi al posto degli occhi, un buco al posto del naso. La bocca era un buco senza labbra. Non voleva che lo vedessimo, l'elegante sergente Schròder. Ci gettò in faccia le bottiglie di medicine. Ci siamo seduti sulla scala davanti all'ospedale per mangiare il cioccolato e bere il vino rosso che gli avevamo, portato. Ci hanno cacciato di là, non era permesso sedere su quella scala, era riservata ai mutilati.
153 Quella sera Fratellino ha preso a schiaffi un medico dello stato maggiore. La cosa ci ha fatto bene.
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TRASPORTO DEL VATICANO Eravamo seduti sugli scalini di pietra del teatro romano. Sopra le nostre teste si alzava l'abbazia. Guardavamo verso Cassino, dove la gente era indaffarata e non pensava che la propria città sarebbe stata fra poco rasa al suolo. Davanti all'Excelsior vi era un gruppo di ufficiali italiani e tedeschi, che chiacchieravano attorno a una bottiglia di vino. « Sai, Porta, ho visto un bel pezzo », incominciò Gregor, dondolando le gambe. « Questa volta andremo in Vaticano. È l'occasione buona. Ricordati, la compagnia dei genieri della divisione corazzata Hermann Gòring fa la maggior parte dei trasporti e si accorgono appena della nostra esistenza. Come dice Fratellino, la nostra presenza è così segreta, che non siamo neppur sicuri che non si tratti di un sogno. » (Lanciò uno sputo verso una lucertola che attraversava la strada.) « Approfittiamone un po', di questa guerra. Potremo sempre nascondere la roba da Ida, fino a quando le cose si mettono calme. È una furba, quella! Nessuno dubiterà della ragazza di uno pieno di dollari! Ha nascosto due disertori delle SS e uno della Gestapo che aveva dovuto darsi alla macchia. Le hanno fabbricato un mucchio di documenti segreti, che provano che è stata obbligata a far funzionare il bordello. Adesso lei e quel tipo della Gestapo si occupano di aiutare i patrioti italiani. Al momento della liberazione riceveranno dei bracciali giganteschi, quando finalmente saranno liberati. Ida verrà messa alla destra del generale Clark e mangerà la porchetta arrosto. Credo che suo padre sia qualcuno. Dittatore, o come dicono loro? » « Vuoi dire senatore, penso », sghignazzò Porta. « Dittatore! Non pronunciare mai questa parola, è tabù. Dovrai dimenticarla addirittura quando saranno arrivati. Ma la tua Ida
155 la Pallidina, ci si può fidare di lei? A una ragazza che si mette così bene al coperto da tutte le parti, potrebbe venir voglia di giocarci e di tenersi lei tutto il guadagno. » « L'ho già pensato », rise Gregor, sicuro di sé. « Non sono nato ieri. Dimentichi che sono stato l'autista di un generale? Ida non si arrischierà a fare degli imbrogli. Potrebbe ritorcersi contro di lei. Non è stupida, quella! È la più grande ruffiana da questa parte dell'equatore. Non le piacerebbe che lo si sapesse negli Stati Uniti. Ma bisogna diffidare di Julius: ha l'idea fissa che questo trasporto segreto gli aprirà le porte di una scuola ufficiali. Lo tiene d'occhio come se si trattasse di una sua proprietà personale. Si crede uscito dalla gamba di Giove, da quando si è messo quel cappotto da SS. Questa mattina è stato una mezz'ora a girarsi davanti allo specchio. E tanto se non pretende che gli si faccia il saluto! E hai notato il suo modo di alzare la destra? Adolfo non lo farebbe meglio. Se continua a fare il babbeo, mando il mio autocarro contro un albero, per il gusto di liquidare Heide. Non posso digerire le persone che vogliono pisciare più alto del loro culo. Il mio generale, lui, non era così, eppure sapeva pisciare persino nelle cassette postali. » Arrivarono Barcellona e Fratellino. « Che cosa state Combinando? » gridò Fratellino con una voce che rintronò per la montagna. « Avete trovato il modo di far sparire quella roba? Io proporrei di prenderci addirittura un autocarro. Nei vicoli c'è un mucchio di gente che compera le anticaglie. Ho trovato certe casse zeppe di oro e di argento. » «Non urlare a questo modo, pezzo d'idiota!» lo rimproverò Gregor. Salivamo lentamente verso l'abbazia. A sud, si sentiva brontolare l'artiglieria. Uno squadrone della divisione corazzata Hermann Gòring entrò nel cortile a passo cadenzato; rapidamente caricarono qualche autocarro. Li osservavamo in
156 silenzio. Erano soldati che eseguivano rigorosamente gli ordini ricevuti. Le loro mostrine bianche brillavano. Lavoravano in un silenzio pesante; ben suddivisi a gruppi per sollevare, a gruppi per trasportare... Che cosa volevano da noi? Nutrivamo tristi pensieri. Un sergente, con gli occhi da nasello congelato e un'uniforme incredibilmente in ordine, avanzò verso di noi con passo autoritario. « Dite un po', credete di essere in visita? » chiese con voce rauca. « Entrate immediatamente! C'è del lavoro per voi! » Il piccolo legionario si fece avanti, una radio ricevente in mano. « Sta' zitto, camerata, e ascolta piuttosto quel che raccontano gli amici qui in faccia! » (Aumentò al massimo il volume.) « Qui emittente alleata in Italia Meridionale. Patrioti italiani, ripetiamo le nostre direttive precedenti: unitevi contro i banditi che mettono a sacco le vostre chiese e le vostre tombe. In questo stesso momento la divisione corazzata Hermann Gòring sta svuotando dei suoi tesori l'abbazia di Montecassino! Alle armi, patrioti! Ripetiamo: al comando di un ufficiale dello stato maggiore la divisione corazzata Hermann G'òring sta saccheggiando l'abbazia di Montecassino! Un convoglio è già partito con dei tesori inestimabili. Patrioti italiani, difendete i vostri beni! Non permettete di continuare a questi saccheggiatori! » Il piccolo legionario chiuse la radio. « Incomincia a scottare, amici! Non vorrei portare per niente al mondo le mostrine bianche, in questi giorni! » « Siamo qui per eseguire un ordine », protestò il sottufficiale; la sua arroganza era scomparsa. « Un ordine! » canzonò Porta. « Quello di Adolfo? » « Scommetto uno contro mille », gridò Gregor ironicamente, « che sta per arrivare almeno una compagnia di
157 gendarmi! » « Il nostro capo saprà come riceverli », gridò il sergente disperato. « Siete soltanto una banda di vigliacchi, non pensate che a svignarvela! » Una bomba a mano gli sfiorò il viso e almeno dieci mitra si puntarono contro di lui. « Animale, ripetilo ancora una volta e sei un uomo morto! » sibilò Porta. « Abbiamo più croci di ferro nella nostra banda, dei peli che hai tu sul culo. Se ci sono dei vigliacchi, siete voi, con le vostre mostrine bianche da finocchi. » « Ammazziamoli », propose Fratellino sanguinario. « Così potremo dire ai gendarmi: passavamo di qui per caso, bardati per l'occasione, e abbiamo salvato i vostri tesori. Può darsi che ci regalino una statua come ricompensa. Saremo degli eroi! » Il sergente girò sui tacchi è scomparve. I suoi soldati si guardavano in giro, a disagio. Non capivano bene che cosa dovessero fare. Un caporalmaggiore del genio chiese con prudenza: « Che cosa sta succedendo, camerati? Ho capito che sono cose segrete. » « Puoi ben dirlo », sogghignò Porta. « Talmente segrete che neanche Adolfo ne è al corrente. Ma pare che i colleglli al di là di Napoli stiano per farglielo sapere. La fiera divisione corazzata di Hermann si è trasformata in una banda di saccheggiatori. Vergogna! Domani vi accuseranno di aver violentato le suore. Camerata, togliti quelle mostrine bianche. Al loro posto ti venderò un paio di mostrine rosa. Noi, ci lasceranno andare, ma voi sarete impiccati! Neanche se mi facessero colonnello, non accetterei di entrare da voi. Avete la lebbra, la peste. Nessuna persona onesta vorrebbe essere dei vostri, oggi. » « Che cosa proponi, camerata? » borbottò il caporalmaggiore. « Per tutta la vita ho grattato il carbone sotto ter-
158 ra. Per non essere messo in un gruppo di minatori, sono entrato volontario alla divisione corazzata di Hermann. Detto fra di noi, del grosso Hermann me ne frego. Si immagina che noi si sia al suo servizio personale. » I suoi compagni approvavano scuotendo la testa, senza parlare. «Che fesseria essersi prestati per quest'affare! L'avevo detto agli altri che non era una cosa che mi piacesse. Una compagnia di motoristi che a un tratto deve partecipare a un trasporto! Non è il nostro lavoro; tocca ai genieri. Conosco bene i Pantera e i Tigre. Posso venire con voi? » Urlavano tutti insieme. Due di loro avevano già strappato le mostrine bianche e i distintivi blu sulle maniche. Ci offrivano delle somme favolose perché li accogliessimo da noi. Con un terribile stridere di freni, una camionetta seguita da vicino da cinque autocarri apparve davanti all'abbazia. Due squadroni di gendarmi, guidati da un tenente, irruppero dal portone. Le piastre a forma di mezzaluna brillavano. Comandi incomprensibili risuonavano fra le antiche mura. I cacciatori di teste ridevano soddisfatti. Adoravano questo genere di operazioni. « Allora, si sta saccheggiando, banda di porci! Ci rimetterete la pelle. I rifiuti come voi ci conoscono bene. Non vedrete tramontare il sole! » Ci siamo gettati ventre a terra dietro i rosai. « Spicciati », sibilò Porta, perché non riuscivo a sbloccare abbastanza in fretta la sicura della mitragliatrice. « A meno di un miracolo, saremo tutti morti fra un'ora! » Caricai, mi misi in posizione e gettai un'occhiata al Vecchio Unno, che stava disteso dietro un grosso sasso con la mitragliatrice pesante. « Tira, perdiana », bisbigliò Porta, togliendo l'anello di una bomba a mano. « Se dobbiamo andare in paradiso, ognuno di noi si porterà un gendarme per mano! Spazza il cortile da
159 sinistra a destra! » « Io non tiro senza l'ordine del Vecchio Unno », protestai. « Che imbecille sei », grugnì Porta dandomi un calcio nelle costole che mi fece lasciare la mitragliatrice. Prese la mira. Io non osavo respirare, dalla paura che avevo. A una distanza così breve, Porta poteva uccidere tutti, anche i soldati con le mostrine bianche. Il piccolo legionario, inginocchiato dietro un albero, stringeva contro di sé una bomba anticarro. Sembrava che avesse intenzione di scagliarla in mezzo a un gruppo di gendarmi militari. Dalle finestre del monastero delle suore e dei frati seguivano con apprensione il grottesco spettacolo. Arrivò un comandante dell'aviazione. « Che cosa succede? » chiese all'ufficiale della polizia. « Il vostro comportamento renderà nervosi i miei uomini. Ho dato l'ordine che stiano in guardia contro i partigiani. » « Signor comandante », l'ufficiale dei gendarmi bruciava di entusiasmo, « vengo per ordine diretto del comandante supremo del Sud. Abbiamo saputo dalla radio clandestina alleata che truppe tedesche si preparavano a saccheggiare il monastero. La mia missione è di verificare che cosa sta succedendo. Devo chiederle, signor comandante, di accompagnarmi fino al quartier generale. Constatando quel che sta avvenendo qui, devo ammettere che la radio nemica è molto ben informata. » «Disgraziatamente non ho il tempo di accompagnarla ». rispose con un sorriso il comandante. «L'abate Diamare può testimoniarle che non c'è nessun saccheggio qui. Se un soldato rubasse, anche soltanto una scheggia di legno, sarebbe giustiziato seduta stante! » Fratellino diede una gomitata a Porta. « Hai sentito! E dire che prestiamo servizio sotto un avaro simile! »
160 Porta sputò la cicca. « Hai osservato che ha detto: "scheggia di legno"? Non ci verrebbe mai in mente di rubare delle schegge di legno! » « Credo davvero che pensi anche ai quadri », disse Fratellino diffidente. « D'altra parte, ora che ci penso, Gregor ne ha nascosto uno sotto la ruota di scorta del 5. È una cosa che non mi piace. Non voglio rischiare la pelle per una vecchia crosta. » « Non riflettere troppo, Fratellino, non serve a niente. Lascia fare a Gregor », sorrise furbo Porta. « Siamo certi di prendere la nostra parte quando lo rivenderà. Soltanto che noi, noi non sappiamo niente finché tutto sarà stato messo a posto. » Fratellino ebbe un'esplosione di gioia. « Formidabile, questa è la guerra psicologica! Ho capito tutto. Terrò d'occhio il nostro Gregor. Non lo abbandonerò un momento. » Porta decisamente si divertiva. « L'ex autista dell'accidenti imparerà che cosa costa essere ricchi. » « Credo che lavori d'accordo con Ida la Pallidina. » « È facile », disse Porta scuotendo la testa. « Ida, non ce n'è un'altra più spilorcia. Venderebbe sua madre a un bordello arabo, se le offrissero un buon prezzo. » « Tenente », continuò il comandante, « può riferire al quartier generale che mi assumo la responsabilità del monastero. Fra qualche ora farò rapporto personalmente. Adesso vada, prima che gli aerei nemici incomincino a interessarsi a questo assembramento. » Il tenente e i gendarmi si ritirarono. Abbiamo sudato per ore e ore a trasportare le casse pesanti. Molto prima del crepuscolo il primo convoglio partì diretto al monastero della Vulgata, a San Gerolamo. Appena notte, fu la volta del convoglio diretto a San Paolo.
161 Un po' più tardi incominciò il ballo. L'aria risuonò del rombo dei primi cacciabombardieri che sorvolarono l'abbazia. Le bombe piovevano intorno a noi. Porta, che era seduto sotto un autocarro cercando di vuotare piano piano una bottiglia di alcool di riso, si è trovato a un tratto allo scoperto. Il grosso autocarro è stato sollevato, è partito in aria come una palla da tennis, per andarsi a schiantare nel burrone. Un paracadutista che dormiva nella cabina è stato catapultato dal tetto e trafitto dal fascio di fucili su cui è ricaduto. Si scatenò la seconda ondata. Dava l'impressione di salire dalla vallata, sfiorando il pendio. I proiettili traccianti uscivano dal muso degli apparecchi. Un sergente dei paracadutisti, che attraversava il cortile correndo, fu letteralmente tagliato in due. Spinto dallo slancio, il suo corpo senza busto mosse ancora qualche passo. Porta era restato seduto in mezzo al cortile, impugnando la bottiglia vuota sopra la testa. «Caro vecchio Charley, ti rivedo! » gridò agli aerei che scendevano in picchiata. « Abbiamo sentito la tua mancanza, amico mio! Ti vedevamo già morto per un'indigestione di spaghetti! » Le bombe dei caccia scendevano intorno a lui, senza colpirlo. Imperturbabile, intonò a gola spiegata: Ein Tiroler wollte jagen einen Gemsbock silbergrau... Rimase là da solo, mentre i proiettili traccianti davano alla notte fonda la luminosità del giorno. « E pazzo », mormorò un monaco al tenente Frick. « Lo faccia rientrare ! » Porta si alzò in piedi, con la mitragliatrice leggera fra le braccia. Maneggiò un po' goffamente il nastro delle cartucce,
162 poi posò con cura il suo tubino di fianco a sé e mise a posto il monocolo rotto. « Fuoco! » comandò. Vacillò sotto il violento rinculare della mitragliatrice. Questa sputò dell'acciaio bruciante contro gli aerei che scendevano in picchiata. « Charley, Charley, salute vecchio fratello! » Arricciava il naso. I suoi occhi ridevano. Era ubriaco, pazzo, o tutt'e due le cose insieme? Aveva sistemato un nuovo nastro di proiettili e si appoggiava ai resti di un autocarro. Una granata luminosa, lanciata da un Halifax, avvolse ogni cosa di una luce bianca. Era come un'aureola attorno alla montagna sacra. La località era crivellata dal fuoco delle armi dei Mustang. 1 « Porta », gridò il Vecchio Unno fuori di sé, « ti uccideranno. Non puoi cavartela. » « Andate arrendere quel pazzo », ordinò un ufficiale d'aviazione. « Tre giorni di permesso per chi va! » Un'altra granata luminosa brillò nel cielo nero. Un po' a nord sfavillò un cipresso. Porta bevve una sorsata di acquavite e accese una sigaretta. Poi allargò l'affusto della mitragliatrice, corresse l'alzo e scoppiò in una risata da ubriaco. « Salve, Charley! vieni? Ti aspetto. » Si sarebbe potuto credere che fosse in collegamento diretto con i piloti nemici. Il primo aereo si alzò con un rombo terribile. Una bomba esplose come un colpo di fulmine. L'apparecchio oscillò e descrisse una curva, sotto l'ala sinistra uscivano lunghe fiamme. « Buona notte, Charley, e grazie per il combattimento! » sbraitò Porta, che si abbandonò a una danza guerresca attorno agli avanzi dell'autocarro. 1
Aereo da caccia, monomotore, americano.
163 Due aerei arrivarono uno dopo l'altro. Le bombe esplodevano. Un mare di fuoco ci nascose Porta, ma lo si vide emergere da una nuvola di fumo, incolume, piegato in due dal ridere, sempre con la mitragliatrice. Girò in tondo saltellando. Due secondi dopo dirigeva la canna della sua arma contro il Mustang. Poi tirò sul tubo di scappamento. Un'esplosione spaventosa. Porta doveva aver colpito la bomba fissata sotto la carlinga. L'apparecchio ne fu polverizzato, ridotto letteralmente in briciole. « Buona notte, Charley », gridò di nuovo Porta. « Manderò una cartolina illustrata a tua madre! » « È fantastico », esclamò un ufficiale dei paracadutisti. « Chi è quel tipo? Un demonio? Un fantasma? » « Un soldato sconosciuto che ha bevuto troppa grappa e che crede che la guerra sia un gioco », rispose il Vecchio Unno. « Si farà ammazzare! » Un personaggio gigantesco uscì di fra i pini, trascinando un proiettore. Un lavoro per cui di solito si adopera una gru. Due uomini restati in ombra posavano cavi. Fratellino andò a aiutarli; senza curarsi delle bombe che esplodevano attorno a loro, si salutarono, poi si strinsero la mano sollevando il berretto. « Adesso ti facciamo la festa, Charley. Contatto! » urlò Fratellino agli uomini fra i pini. « Non possono farcela da soli », gridò Heide. « Ci vado. Gesù, Giuseppe e Maria, aiutatemi! » Piegato in due, attraversò a zig-zag la zona illuminata da una luce bianca inumana. Si distese sotto il proiettore, vera piattaforma girevole umana. I fasci luminosi spazzarono il cielo con una luce che avrebbe bruciato gli occhi dei piloti. «Ti ho preso, animale! » gridò trionfante Fratellino. « Charley, stai per rendere l'anima! »
164 Il primo pilota morì in un mare di benzina in fiamme. Spensero il proiettore. Per l'entusiasmo Fratellino batteva i pugni per terra. « Sono io che l'ho preso, sono io che l'ho preso ! » I suoi capelli presero fuoco. Heide spense l'incendio con il suo cappotto. Il proiettore incendiò di nuovo il cielo. Un Mustang, dai denti di pescecane dipinti sulla fusoliera, scese in picchiata. « Ce l’ho. Gli brucerò la sua brutta faccia. » Il pescecane volante scéndeva a vite, cercando di sfuggire ai raggi mortali. Fratellino spense il proiettore, ascoltò il rumore del motore. Caso o calcolo diabolico di un cervello che non sapeva niente di matemàtica? Ma nel preciso momento in cui riaccese il proiettore colse l'aereo che cercava di riprendere quota e accecò il pilota per il resto dei suoi giorni. Heide, sdraiato a quattro zampe sotto l'affusto del proiettore, spingendo con le spalle da una parte all'altra, seguiva gli sforzi di un altro pilota che cercava di sfuggirgli. Poi lo si vide schiantarsi al suolo a cinquecento chilometri l'ora. E tre! Due Halifax e quattro Mustang attaccavano con un rombo di tuono. Una serie di bombe infiammò la montagna sacra. Il ruggito dei motori si spense nella notte. Avevano mollato tutto il carico, i massacratori della California. Finite le munizioni: benzina, soltanto l'indispensabile per ritornare alla loro base. Poco prima della partenza della colonna di autocarri si sentirono dei colpi di zappa sul ripiano, ai piedi dell'abbazia, nella località in cui la divisione polacca del generale Anders avrebbe trovato il suo riposo qualche mese più tardi. Erano Porta, Fratellino e Heide che scavavano una tomba per gli scheletri calcinati deiCharley. Quando la fossa fu pronta e li ebbero distesi accuratamente l'uno a fianco dell'altro nella terra umida, ognuna con una
165 bustina americana fra quelle che erano state delle mani, noi della seconda squadra, padre Emmanuel in testa, siamo andati a raggiungerli. Il Vecchio Unno gettò la prima palata di terra pronunciando delle parole che abbiamo giudicato stupide: « Per le vostre madri e per Dio ». La seconda palata fu gettata dal tenente Frick. L'ultima dal cappellano Emmanuel. Ha parlato di Dio e di un sacco di cose che nessuno capiva. Abbiamo cantato un'Ave Maria. La tomba é stata presto colmata. Cinque minuti dopo partivamo. È stato il più pesante dei due trasporti. Eravamo in due ogni cabina di guida, con una mitragliatrice antiaerea. Sciami di cacciabombardieri attaccavano da dietro. Si sarebbe detto che un tappeto di proiettili traccianti fosse stato steso lungo tutta la via Appia. In senso inverso venivano dei convogli lunghi parecchi chilometri: artiglieria, carri armati, materiale del genio pontieri, scorte di munizioni e ambulanze. Le bombe cadevano sugli autocarri carichi di munizioni e facevano esplodere il loro carico in tutte le direzioni. Una grossa Mercedes, con davanti l'insegna di un generale, si faceva strada fra i veicoli più pesanti, seguita da gendarmi motorizzati. « Tenete la destra! » urlò un ufficiale della gendarmeria. Erano di quei tipi che sparano su tutto quel che trovano sulla loro strada. Nello stesso momento quattro caccia attaccarono. Fratellino li scoperse nel momento in cui, uscendo dalle nuvole, scendevano su di noi in picchiata. Per aver un miglior punto d'appoggio, saltai sul tetto. Fratellino mi teneva perché il rinculo non mi facesse precipitare a terra. Heide fu il primo a fare fuoco. Era alla mitragliatrice sull'autocarro che ci seguiva.
166 « Tirati in là, idiota! » urlò Porta dalla cabina. « Non vedo niente! » Si sentì un grido e un rumore di ferramenta: un ufficiale e la sua motocicletta si erano fatti schiacciare dalle ruote doppie. «Che vada all'inferno!» sogghignò Fratellino. « Manderemo un biglietto di ringraziamento a Char-ley. » Il fuoco si alzava dal veicolo del generale. Una figura impellicciata si alzò, tentò di uscire, ma ricadde tra le fiamme. La macchina ondeggiò, girò su se stessa e esplose. Un'ambulanza tamponò un autocarro del Ventottesimo. Il suo portello posteriore si aprì. Otto barelle rotolarono sulla strada. Un ferito, amputato a tutte e due le braccia, si trascinava, cercando di mettersi al riparo. Le sue fasce si impigliarono all'autocarro di Gregor Martin. Uno zampillo di sangue sgorgò dal moncherino. Le bende arrossate sventolarono come una bandiera sul paraurti. Un sergente ferito cercava di rotolarsi da una parte, per evitare le ruote pesanti dell'autocarro. Sotto la tuta tutta infangata, il ventre era ricoperto da una larga medicazione. Aveva un piede solo. I cingoli di un trattore gli passarono sulla testa. Un gendarme voleva far fermare il convoglio. Cadde sotto la raffica della mitragliatrice di un aereo in picchiata. Tutta la via Appia era bagnata da una luce crudele. Un bombardiere Halifax sputava bengala con paracadute. « Attenzione », gridò Porta. « Lascio la strada. » Detto fatto, il pesante autocarro si gettò di fianco, schiacciando nella sua corsa una vettura anfibia. Un tenente di fanteria sparò contro di noi, prima di scomparire nel getto di fuoco di una bomba esplosiva. I quattro autocarri della nostra squadra seguirono quello di Porta. I due monaci che accompagnavano ogni autocarro pregavano, in ginocchio sulla piattaforma. Abbiamo attraver-
167 sato un cimitero, rovesciando le pietre tombali, arando le tombe scavate di fresco. Una piccola cappella fu sfondata: un crocifisso restò attaccato al paraurti. L'autocarro di Barcellona si bloccò. Il primo cavo d'acciaio si ruppe come fosse cotone. Il secondo resistè soltanto qualche minuto. Non è facile far uscire da un cimitero fangoso un autocarro da venti tonnellate. Fuor di sé, Porta balzò fuori della cabina, gettò un elmetto a Marlow e reclamò un altro cavo. Ben presto il cavo fu teso e Gregor lo prese fra le mani. Porta andò fuor di sé, quando vide che portava un paio di guanti da lavoro. « No, che cosa gli prende? Quel pezzo di ruffiano! Levati quei cosi! » Gregor protestò e minacciò Porta con il cavo d'acciaio rotto. Un momento dopo stavamo azzuffandoci tra le tombe. Un bengala si accese. Un aereo da caccia comparve nel cielo. Un paracadutista correva in circolo; la sua testa era scomparsa. Un altro cadde dall'autocarro, con il petto crivellato di buchi dai quali zampillava il sangue. Un monaco si piegò in due come un coltello tascabile. Il telone di un autocarro era in fiamme. Un monaco cercava di spegnere il fuoco con gli estintori a schiuma. Il tenente Frick urlava nel megafono, minacciandoci la corte marziale, Torgau, il plotone d'esecuzione. Sputai due denti sulle ginocchia di Heide. Un lembo di pelle insanguinata copriva l'occhio sinistro di Porta. Heide aveva avuto una coltellata grave in una natica. Fratellino aveva la bocca spaccata fino alle orecchie. Che trambusto ! Il caporale infermiere e padre Emmanuel ci misero due ore a rappezzarci. Il cappellano ci fece una predica. Si mise un cavo attorno all'autocarro guasto. Gregor e Por-
168 ta si medicavano a vicenda, poi condivisero il contenuto di una borraccia. « Parto », gridò Porta dalla sua cabina. « Allontanatevi dal cavo!» Lentamente, con una incredibile lentezza, l'autocarro si mosse. I bengala si erano spenti. Restavano cinque cadaveri mutilati. Nell'autocarro l'incendio era stato soffocato e il suo carico prezioso era intatto. Sulla via Appia era l'inferno. A quanto pareva tutto bruciava per almeno cento chilometri. Il Vecchio Unno e il tenente Frick erano in testa, nella camionetta, chini sulla carta per trovare una scorciatoia. A San Cesareo un gruppo di partigiani ci attaccò. Abbiamo perso tre uomini, fra i quali l'infermiere Frey. Una bomba a mano gli mozzò le due gambe, provocando un'emorragia mortale. Il sole si mostrava all'orizzonte quando siamo entrati a Roma. Una casa isolata bruciava. Il cadavere di un bambino di dieci anni era steso in mezzo alla strada. Il primo autocarro lo evitò, ma il secondo vi passò sopra. Due uomini con lunghe cappe e armati di mitra apparvero come ombre dietro un'automobile ferma. Il piccolo legionario si mise a canticchiare: «Vieni o morte, vieni! » Appoggiò il mitra russo al telaio della portiera. Una lingua di fuoco squarciò l'alba grigia. Il sinistro crepitio rintronò fra le case. I due uomini caddero: un elmetto rotolò nel rigagnolo. Una pozza di sangue si mescolò a una pozza d'acqua piovana. « Che cos'è successo? » chiese un monaco. « Due cattivi che hanno voluto parlarci », rise Porta. Il monaco si fece il segno della croce. Sul lungotevere abbiamo incrociato una colonna di grana-
169 tieri delle SS, una compagnia della divisione musulmana. Portavano fez rossi, ornati di teste da morto argentate. Cantavano: Noi avanzeremo, sempre più lontano Oggi la Germania è nostra. Domani il mondo ci apparterrà. Una motocicletta ci si avvicinò. Un capitano delle SS, la croce di ferro al collo, era seduto nel carrozzino e il suo cappotto di pelle brillava sotto la pioggia. Si alzò a metà, la mano destra tesa nel saluto. «Heil Hitler, camerati! Provenienza? Direzione? Unità? » Porta stava per raccontare tutta la sua storia, ma Rudolph Kleber, l'ex musicista delle SS, lo prevenne. « Hauptsturmfùhrer, commando speciale, agli ordini diretti del Reichsfiihrer delle SS. Squadrone misto della Ottava divisione di cavalleria delle SS Florian Geyer. L'Hauptsturmfùhrer rialzò i suoi occhiali protettivi sul berretto spiegazzato. « Florian Geyer», mormorò. «Bizzarro! Che squadrone? » « Quarto, Hauptsturmfùhrer. » « Chi è il tuo capo? » « L'Hauptsturmfùhrer Gratwohl. » « Da quanto tempo sei al Geyer? » « Da quattro anni, Hauptsturmfùhrer. » « Si chiamava Ottava divisione di cavalleria quando ci sei arrivato? » « No. Ha preso questo nome nel 1941. Prima eravamo la divisione di cavalleria delle SS! » « Chi era il tuo primo comandante? » « Il Brigadenfuhrer delle SS Kramer. » « Dove si trova adesso la vostra guarnigione? » « A Cracovia, Hauptsturmfùhrer. »
170 Finalmente l'Hauptsturmführer parve soddisfatto. « Va bene, camerata. Volevo essere certo. Ci sono dei tipi che vanno in giro travestiti con le nostre uniformi e che si fanno passare per tipi baltici. Se li incontrate, tirate nel mucchio senz'altro! » Ci tese un lasciapassare; un lasciapassare a noi! « Buon viaggio. Buona fortuna! Heil Hitler! » « Heil Hitler, Hauptsturm », tuonarono in coro Porta e Rudolph. La robusta BMW scomparve nella pioggia. Porta sbagliò strada per la prima volta. Sboccammo in piazza Ragusa dove una pattuglia regolare dell'esercito ci fermò. Abbiamo scambiato sigarette e alcool. Un sergente di fanteria ci mise in guardia dai gruppi di partigiani in uniforme tedesca. Si diceva persino che portassero le uniformi della Feldgendarmerie ! « Sparate, se avete il minimo dubbio », ci consigliò. « Se sbagliate, e anche se dovesse costarci qualche gendarme, la cosa non è grave! » « Spareremo appena vedremo la piastra a mezzaluna », rise Porta. « Adoro far fuori i gendarmi! » « Diffidate dei mangiatori di spaghetti », aggiunse il sergente. « Incominciano a darci la caccia. Sparate su ogni Spaghetti che vi attraversi la strada. Stanno diventando sempre più audaci. L'altro giorno abbiamo dovuto liquidare un paese nel nord: avevano già incominciato a festeggiare la vittoria. » Abbiamo continuato per la nostra strada, lungo* la ferrovia. Poi Porta sbagliò di nuovo. Tutta la colonna lo seguì. Non sapevamo più dove fossimo e giravamo in tondo. Abbiamo chiesto la strada a due prostitute, che facevano il marciapiede all'angolo fra via La Spezia e via Taranto. Le abbiamo fatte salire nella nostra cabina. Ma in via Nazionale la polizia le ha fatte scendere.
171 Quando sbagliò strada per la terza volta, Porta si infuriò. Era vicino a piazza Barberini. « Avete delle puttane, qui? » chièse a un italiano che si trovava sul marciapiede. L'uomo scuoteva la testa senza, capire. Fratellino mise alla prova la sua autorità. « Mani in alto, porco! » disse in italiano. Il poveretto alzò le mani. « Mascalzonata! Dico sul serio. Circolare! » Non sapeva più a che santo votarsi e si mise a correre. Fratellino lo riacchiappò e lo ricondusse all'automobile. « Diamine! » urlò. « Puttane, battone, fornicare! fiki! fiki! » Barcellona cercò di aiutarlo con lo spagnolo: « Casa de putas, signor? » L'italiano finalmente aveva capito, fece un sorrisetto e si lanciò in una serie di spiegazioni abbondanti e accompagnate da grandi gesti. Porta incominciò a prendervi interesse anche lui e si fermò. I quattro grossi autocarri bloccarono completamente la circolazione! Il tenente Frick lanciava fulmini. Porta prendeva nota delle spiegazioni dell'individuo relative alla topografia di queste case importanti. « Ho capito », disse giubilante. « Le puttane di Roma hanno il loro quartier generale in via Mario de' Fiori e il qui presente signor Spaghetti dice che ce ne sono a bizzeffe! » La bava cominciava a colare sul mento di Fratellino. « Si vada subito a fare un giro da quelle parti! » Due enormi vigili urbani arrivavano al galoppo, gridando e gesticolando. Il rumore infernale dei clacson faceva vibrare i vetri delle case vicine. A un tratto risuonarono le sirene d'allarme. In un batter d'occhio tutti erano scomparsi come per incanto. Gli autobus erano vuoti, abbandonati. Un silenzio di morte scese sulla grande città, come se fosse stata colpita dalla peste. E questo
172 silenzio era così pesante, che istintivamente ci siamo messi a parlare sottovoce. Si sentì il passo di un cavallo stanco. Apparve il carretto di uno straccivendolo, tirato da un ronzino. Per lui non c'erano rifugi sotterranei. Il suo padrone, preso dal panico, era scappato quando aveva sentito le sirene. Il vecchio cavallo aveva guardato stupito e, con l'istinto sicuro degli animali, aveva fatto l'unica cosa ragionevole: ritornare a casa. Apprezzava evidentemente la calma delle strade di cui era rimasto unico padrone. Voltò l'angolo della via e scomparve. Lo avevamo seguito con gli occhi, senza parlare. Arrivarono un poliziotto militare italiano e uno tedesco. Una di quelle pattuglie miste ben conosciute durante la guerra in tutti i paesi occupati. Un cocktail detestato allo stesso modo dagli uni come dagli altri. « Chi è il capo della colonna? » chiese il tedesco, un sottufficiale che portava sul petto la medaglia di venticinque anni di servizio. « E che cosa te ne importa? » chiese Barcellona. « Bada a te », tuonò il poliziotto. Barcellona, appoggiato con noncuranza all'autocarro, scoppiò nella sua risata provocatrice. « Che cosa vuoi sapere ancora, animale? » « Nome e formazione? » urlò il poliziotto sicuro di sé. « È segnato qui », rispose Barcellona, indicandogli il suo grosso deretano. Il poliziotto diventava nervoso. Non sapeva come uscire dalla situazione. « Ho il diritto di sapere chi siete », tentò una volta ancora. « Se non tagli immediatamente la corda, avrai diritto a una bastonata », gridò senza rispetto Porta, dall'alto della cabina. Il tenente Frick e il Vecchio Unno stavano arrivando. Il poliziotto, vedendo le decorazioni, immediatamente batté i tacchi e salutò.
173 Il tenente andò in collera, coprì di invettive i due poliziotti e fece annotare il loro nome dal Vecchio Unno. « Ma che cosa abbiamo fatto, signor tenente? » protestò il poliziotto. « Lo saprete domani quando il mio rapporto arriverà al vostro capo », gridò il tenente Frick. « Scomparite, e che non vi veda più, o dimenticherò la mia proverbiale dolcezza! » « Squadra, ai vostri posti! » comandò. E voltandosi verso Porta: « Sei un pezzo di cretino ! Che cosa credi, che stiamo facendo del turismo? Perché non ti sei fermato, prima di cacciarti in questo buco? Adesso seguite la camionetta. Bandiera rossa su tutti gli autocarri! Così nessuno ci fermerà ». Diede il via. La pesante colonna si rimise in marcia. A un tratto ci siamo trovati in piazza San Pietro. Fratellino guardava, a bocca aperta. « Ah, ma guardate un po', se non è bello! È qui che sta il papa? » Nessuno rispose. « Tutto sommato, non mi piace », continuò soprappensiero. « E se vedesse tutto, come il padreterno? » « Ma tu non credi al padreterno », sorrise il piccolo legionario. « Non voglio parlare di queste cose, finché siamo da queste parti. » Abbiamo svoltato, scendendo per Borgo Vittorio fino a via di Porta Angelica. Si aprì un grande portone. A quanto pare ci aspettavano. Ci siamo infilati in una stradetta, attraverso un'altra porta. Due guardie svizzere ci indicavano la strada. Eravamo inquieti; tutto questo era nuovo. Persino Porta restava muto. Non si sentiva la minima bestemmia. Di solito, non potevamo dire tre parole senza bestemmiare. Succede così in guerra. Si levarono i teloni. Ordini brevi, e velocemente abbiamo
174 incominciato a scaricare. Abbiamo fatto colazione alla caserma delle guardie svizzere. Quando entrò una guardia con un'alabarda in mano, Fratellino e Porta sgranarono gli occhi. « É questa l'arma anticarro del papa? » rise Fratellino. Un ufficiale fece segno di tacere, ma loro gongolavano. « Ma siete soldati veri? » chiese Porta. Fratellino fu tutto felice quando gli permisero di tenere un'alabarda e di provare un elmo ornato di piume rosse. Aveva un'aria buffa, con quell'elmo in testa; non andava molto d'accordo con il suo armamentario moderno. Offri il suo mitra e il suo elmetto in cambio del cimiero, ma questo non era in vendita. Porta indicò col dito un'alabarda. « I marines, chissà come si meraviglierebbero se gli rompessi la testa con questo. » Ritornati nel cortile, Porta e Fratellino cercarono di nuovo di comperare un elmo e un'alabarda, ma le guardie scuotevano la testa. Porta tornò a attaccare: offrì una manciata di sigarette all'oppio, ma le guardie erano incorruttibili. Fratellino aggiunse tre denti d'oro e una scatola di Schnuff. Nessun individuo normale avrebbe potuto resistere ! I soldati del papa rifiutarono il baratto. Porta e Fratellino non se ne capacitavano. Tutti e due sarebbero stati disposti a vendersi per un prezzo simile. Fratellino mostrò loro i suoi stivali: stivali da aviatore americano. Il cuoio più morbido. Era il quinto a esserne il proprietario. I suoi quattro predecessori erano morti. Porta avrebbe dovuto ereditarli da lui: avevano steso un documento secondo le regole. Le guardie svizzere non si mostrarono minimamente interessate. Eravamo seduti sull'orlo di un marciapiede.
175 Un ufficiale della guardia nobile era venuto a cercare padre Emmanuel e il tenente Frick. Un quarto d'ora dopo era stata la volta del Vecchio Unno. Era passata ormai quasi un'ora. « Mi chiedo che cosa stanno facendo quei tre », borbottò Porta. « Se non ritornano fra dieci minuti, andiamo a cercarli. Le nostre munizioni sono nel numero 5. Non ci vorrà molto a sbarazzarci degli svizzeri. » « Hai picchiato la testa, dico? » protestò Marlow. « Se per caso Dio esiste, non ce lo perdonerà mai. » « Prenderò io il comando », decise Porta. « Così non sarai compromesso. » Marlow scosse la testa. « Se Dio esiste, sa anche che sono maresciallo e che nessun maresciallo normale accetta ordini da un moccioso di un caporalmaggiore! Hai capito bene?» « Fatti passare per matto ! » propose astutamente Fratellino. « Non servirà a niente con il padreterno. Quando mi guarderà negli occhi, mi dirà: Il tuo posto non è qui, Marlow. E mi precipiterà dal demonio, in mezzo alle fiamme. No, bisogna agire con diplomazia. Mandiamogli Fratellino a parlare ! » « Neanche per sogno », protestò Fratellino tirandosi indietro. «Sono disposto a prendere qualsiasi trincea americana da solo, se lo volete. Ma io non ci metto piede in questa baracca! Sono tipi pericolosi! » Passarono due ore. Avevamo tutti i nervi tesi all'estremo. Quasi tutti avevamo ripreso le nostre pistole e le avevamo nascoste negli stivali. Porta giocherellava con una bomba a mano. « Scappiamo! » propose Heide. « Non ti muovere, pezzo di nazista », grugnì Porta. « Non lasceremo qui il Vecchio Unno! »
176 «Per non parlare del nostro cappellano», aggiunse Barcellona, che aveva un immenso rispetto per tutto quel che era cattolico. La cosa risaliva alla guerra civile, ma non aveva mai voluto darci spiegazioni e rifiutava sempre di rispondere alle nostre domande. Finalmente il Vecchio Unno ritornò. Era stranamente calmo. « Sono stato dal papa. » « L'hai visto? » sussurrò Fratellino sbalordito. Il Vecchio Unno fece segno di sì, riempiendo la pipa. « E l'hai toccato? » chiese Barcellona, guardandolo con un rispetto tutto nuovo. « Non l'ho toccato, ma avrei potuto farlo, tanto eravamo vicino. » «Che uniforme portava?» chiese Porta. «Assomigliava a un cavaliere? » « Era magnifico », mormorò il Vecchio Unno, ancora sotto l'impressione di una grande avventura. « Che cosa ha detto? » chiese Heide, curioso. « Di portarvi i suoi saluti. Mi ha benedetto. » « Ma guarda », esclamò Julius Heide, « ti ha benedetto! » « Hai visto un vero cardinale, uno con il vestito rosso? » chiese Rudolph Kleber. Le domande piovevano sul Vecchio Unno. « Aveva sentito parlare di me? » chiese Fratellino. « Non particolarmente di te, ma conosceva il Secondo squadrone. Mi ha dato un anello. » « L'anello è per tutto il Secondo squadrone? » chiese Barcellona. « Sì, ho avuto l'anello come un generale riceve una medaglia. Lo porto per il Secondo squadrone. » « Posso provarlo? » chiese Heide con negli occhi un'espressione che avrebbe dovuto mettere in guardia il Vecchio Unno. Ma questi non era ancora ritornato alla realtà. Senza dif-
177 fidare tese l'anello a Heide. Heide ci lasciò ammirare l'anello al suo dito. Quando Fratellino volle toccarlo, ricevette un colpo di baionetta sulla mano. « Ridammi il mio anello », disse il Vecchio Unno. « Il tuo anello? E perché dovresti portarlo tu? » Il Vecchio Unno aprì e richiuse la bocca, assolutamente costernato. « Ma è il mio anello. Me l'ha dato il papa. » « L'ha dato al Secondo squadrone. Questo anello appartiene al Secondo squadrone. Tu non sei il Secondo squadrone. Io, Sven, Porta, le nostre pistole, i nostri 88, il numero 5, sono il Secondo squadrone. » Heide fece brillare l'anello alitandovi sopra e strofinandolo poi sulla manica. « Dopo aver visto questo regalo di Sua Santità Pio XII, non sono più sicuro di non credere in Dio. » « Dammi il mio anello », gridò il Vecchio Unno fuori di sé. « Giù le zampe », grugnì Heide. « Sono io che lo porterò per il Secondo squadrone. Se un giorno morirò, potrai portarlo tu. » «No, certo!» gridò Porta con avidità. «Quando metterai le scarpe al sole, l'anello sarà per me. Il Vecchio Unno ha visto il papa, questo gli deve bastare. » Barcellona prese il coltello dallo stivale e si mise a pulirsi le unghie. Non perché lo sporco gli desse noia, ma per sottolineare l'importanza di quel che stava per dire. « Sta' in guardia, Julius, rischi di morire giovane! » Heide lo guardò brutto, ma si cacciò in tasca la mano con l'anello. Il Vecchio Unno soffocava di rabbia. Cercò ancora di ordinare a Heide di restituirgli l'anello, ma lui se ne infischiò. Andò a farsi ammirare dalla guàrdia svizzera. Fu là che si fece attaccare per la prima volta. Una alabarda volò a qualche centimetro dalla sua testa. Nessuno vide da dove era ve-
178 nuta, ma si sospettò che fosse stato Fratellino. Heide si precipitò verso il numero 5, si mise due pistole cariche in tasca. L'anello benedetto ci aveva diviso. Era pericoloso portarlo, tuttavia tutti lo volevano. Il secondo attentato seguì venti minuti dopo. Heide era sdraiato in mezzo al cortile e ammirava l'anello in compagnia di due paracadutisti. Istintivamente voltò la testa. Un momento dopo un autocarro da venti tonnellate passava nel punto in cui si erano trovati Heide e i due paracadutisti. « Curioso, come un camion può mettersi a andare da solo! » osservò Porta pensieroso. Heide si asciugò la fronte e con le mani in tasca, la bustina sulla nuca, si avvicinò a noi: « Banda di assassini! Ma non avrete l'anello. Non è così facile ammazzarmi. » « Chi lo sa? » rise Barcellona. « Chi vivrà vedrà », disse seccamente il piccolo legionario. Quando abbiamo lasciato il Vaticano era quasi buio e per poco non siamo partiti senza Fratellino. Scese di corsa via del Pellegrino, con un grosso involto sotto il braccio. Il tenente Frick glielo strappò. Apparve un magnifico elmo da svizzero. « Me l'hanno regalato », si difese Fratellino. « Ha detto che era per ringraziarmi di tutto quel che avevo fatto in questi ultimi giorni. » Il tenente Frick corrugò la fronte. « Menti come respiri, Creutzfeldt. L'hai rubato! » « Io », scattò Fratellino, « non farei mai una cosa simile. Non si ruba in un luogo sacro, signor tenente! » « Questo è vero », sorrise il tenente. « E appunto per questo che andremo tutti e due a riportare quest'elmo là dove l'hai preso. » « Ma me l'hanno regalato », ripetè Fratellino. « Lo giuro, signor tenente, è un regalo. »
179 « Via, andiamo Creutzfeldt! » Scomparvero nell'oscurità e le proteste di Fratellino diventavano sempre più indistinte. Più tardi, mentre correvamo per le vie di Roma, ci confidò il suo disprezzo per gli ufficiali. « Obbligare uno a restituire quel che gli hanno regalato! » esclamò fremente di rabbia, «ma riuscirò ugualmente a averne uno, un elmo con le piume, dovessi anche strozzare qualcuno per averlo ! » Abbiamo perduto tre veicoli e sette uomini ritornando per la via Appia. Marlow fu ferito gravemente. Lo abbiamo messo in un'ambulanza di passaggio. La pelle aveva già l'aspetto della pergamena, aveva le labbra viola. Ebbe ancora la forza di protestare quando Barcellona gli prese la Nagan. « E’ mia, lasciamela! » « Te la restituiremo quando ritorni », promise il Vecchio Unno. « Dammi la mia Nagan. Ci starò attento. Non me la lascerò rubare. » Ma sapevamo che cosa pensare. Avevamo riconosciuto la pelle giallastra, i sintomi della morte li conoscevamo bene e non volevamo rischiare che un infermiere qualsiasi rubasse la Nagan prima ancora che Marlow fosse freddo. Marlow il duro piangeva. Fratellino ebbe un gesto balordo. Proprio prima che lo portassero via, gli prese il cappotto; un bel cappotto impermeabile, di quelli che hanno i paracadutisti. Ci si batteva per un indumento del genere e Marlow aveva la stessa statura di Fratellino. Marlow tentò di uscire dall'ambulanza. Ci tempestava di maledizioni. Un infermiere dell'ambulanza lo spinse indietro, sbatté l'uscio bestemmiando. Abbiamo seguito l'ambulanza con gli occhi. Si sentivano le grida e le imprecazioni del povero Marlow. «Voglio restare con voi! Non voglio morire! Restituiscimi
180 la mia Nagan! » « Non arriverà neanche all'ospedale », disse il Vecchio Unno a voce bassa. Scuotevamo la testa senza parlare. Sapevamo che il Vecchio Unno aveva ragione. Anche Marlow l'aveva capito. Venti minuti prima scherzava ancora con noi canzonando Fratellino! Porta mormorò, mettendo in moto il motore: « Sono contento che le due ultime volte ha vinto a poker ». Il piccolo legionario esaminava attentamente la Nagan che aveva già scambiato con Barcellona. Con un colpo la caricò e mise la grossa pistola nel suo magnifico fodero di cuoio giallo. Si alzò nella cabina dell'autocarro e batté sul fodero: « Va benissimo ». Si vedeva che apprezzava la pesante pistola. Gli dava un senso di sicurezza, come aveva fatto con Marlow. E molto importante per il soldato al fronte sentire la sua pistola, è un po' come la protezione di una mano amica. E la Nagan dà sempre questa impressione di sicurezza. Ci piaceva molto questa pistola. Le avevamo prese tutte ai russi, a prezzo della nostra vita. Al Secondo squadrone ne avevamo cinque e avevamo molta cura di non perderle. Quando un uomo stava pei morire, gli levavamo sempre la pistola. Una volta morto, i suoi beni passavano agli altri. Finché era vivo, lui e tutto quel che gli apparteneva era del Secondo squadrone. Quel che era penoso, era che il moribondo si accorgeva quasi sempre che gli levavano la pistola, quella pistola che garantiva della sua vita. Ma non ci si poteva permettere di fare del sentimento quando c'era di mezzo una Nagan. La mattina dopo lasciavamo l'abbazia, ma prima andammo tutti nella basilica. L'abate Gregorius Diamare era davanti all'altare. Con le braccia alzate intonava:
181 « Gloria in excelsis Deo ». In dieci minuti celebrò la più commovente delle messe; perfino noi, vecchi pagani, ne eravamo impressionati. Alla fine monaci, suore e orfanelli cantarono un salmo che risuonò fra le mura venerabili. Siamo partiti in silenzio, in formazione di marcia. Io e Barcellona ci guardavamo. Avevamo un segreto che gli altri non dovevano sapere: si sarebbero presi gioco di noi. Eravamo stati di sentinella insieme, proprio prima dell'alba, in fondo alla colonna degli autocarri. Le nuvole correvano nel cielo; la luna brillava di tanto in tanto. Avevamo messo le pistole sotto i cappotti per proteggerle dalla notte glaciale. Guardavamo in silenzio sopra il muro, con quell'impressione di sicurezza che dà la presenza di un vero camerata. Non ricordo chi dei due la vide per il primo. Uscì dal basso, dietro gli alberi. Era come un'ombra, una figura drappeggiata in un grande mantello. Una figura curva, che andava in fretta. « Un monaco? » chiese Barcellona. A un tratto la figura si fermò allo scoperto, nel punto in cui più tardi fu sotterrata la divisione polacca. La figura fece un gesto minaccioso contro l'abbazia. Portava qualcosa sulla spalla sotto il mantello. Per un secondo la luna uscì fra le nuvole in fuga. Allora abbiamo visto molto distintamente la figura e i nostri cuori hanno smesso di battere. Il vento aveva sollevato il mantello e abbiamo visto la Morte con la falce sulla spalla! Il sangue ci si gelò nelle vene. Poi salì verso di noi una risata, una lunga risata di trionfo. La visione svaporò nella nebbia. Le gambe non ci reggevano, quando siamo rientrati nella sala delle sentinelle. Dormivano tutti, il Vecchio Unno, Porta e gli altri. Ci battevano i denti. Io avevo perduto la pistola. « Bisogna che tu vada a cercarla », disse Barcellona.
182 Non era il caso di parlarne! Ho preferito rubare quella di un paracadutista addormentato. Quando è spuntato il giorno ci siamo messi alla ricerca della pistola: non l'abbiamo ritrovata. Gli altri capivano che qualcosa non andava, ma noi non osavamo raccontare la nostra avventura. Per un momento abbiamo pensato di andar a cercare il cappellano, ma alla fine abbiamo deciso che era meglio tacere. Come dice molto giustamente Barcellona: « In certi casi un uomo deve saper non parlare di quel che vede ». Abbiamo fatto finta di non pensarci più. Per farsi un'idea della sua prossima messe, la Morte aveva fatto visita alla montagna sacra. Per caso Barcellona e io l'avevamo vista e avevamo sentito la sua risata di trionfo
183 Joseph Grapa era ebreo. Lo avevamo incontrato una sera in cui eravamo andati da un gruppo di disertori. Era sotto i tetti, in una casa dietro la stazione Termini. Vi si arrivava da una botola, nascosta nel soffitto. Una delle ragazze di Ida aveva dovuto ritirarsi dalla circolazione. Vedendo Grapa, Heide non credeva ai propri occhi. «Allora, ci si nasconde, Schmaus? » 1 esclamò con tono provocante. « Otterrò un buon prezzo per te. Che cosa ne diresti di un biglietto di sola andata per via Tasso? » Porta si ripuliva le unghie col suo coltello da combattimento. Fratellino maneggiava rumorosamente la sua fionda. Heide si calmò un pò. Grapa e lui si accontentarono di lanciarsi in faccia reciprocamente le ingiurie. « Tutta la mia famiglia, tutti i miei amici sono stati deportati in Polonia », disse Grapa con calma. « Non piagnucolare, Schmaus », rise Heide. « Tutti gli ebrei che sopravvivranno avranno la loro vendetta. Diventerete delle vacche sacre, dei protetti. Non mi meraviglierebbe che ci proibissero di trattarvi da ebrei. Adolfo vi sta facendo un grande favore. Voi vi rifarete sui cattolici, perché li detestate, allo stesso modo come li detestano Heydrich e Hìmmler. Mi par di vedervi, accusare il papa di aver gasato gli ebrei! » « Nessun ebreo onesto farebbe una cosa simile », protestò Grapa. « Non ci sono ebrei onesti », sogghignò Heide, puntando su Grapa un dito accusatore. «- Esistono mucchi di documenti che si possono utilizzare contro il papa. Il Vaticano è nella posizione di una pulce fra due unghie. Capiscimi bene: non mi piacciono i preti; darei volentieri un colpo di mano per sbarazzarcene. » (Si fregò le mani a questo pensiero.) « Perché il Vaticano non protesta? » esclamò Grapa. « Farebbe smettere le deportazioni. Non oserebbero più continuare. » Heide si batté sulle cosce. 1
Soprannome dato agli ebrei.
184 « Osare? Come sei ingenuo! Ti immagini che abbiamo paura del papa e della sua cricca? Almeno protestassero! Potrebbe darsi che Stalin e Hitler ritornino amici! Sai chi avrebbe dovuto protestare? Il presidente degli Stati Uniti! Il re d'Inghilterra! Tutti quelli che hanno delle forze armate importanti. Ma che cosa hanno fatto, neanche un peto hanno fatto sentire, quando hanno saputo che vi si stava massacrando! Tutto il mondo sapeva quel che si faceva nel 1935, per non parlare del 1938. Il mondo intero si è chiuso occhi e orecchie! » « Tu credi che sarebbe stato possibile impedire il genocidio? » chiese Grapa. « Una sola protesta isolata, no. Ma un blocco economico, anche soltanto nel 1938, sarebbe stata una bella differenza. Ma né un papa, né un primo ministro gesticolante con un ombrello, fanno paura a Adolfo. E poi, d'altra parte, chi pretende che i nostri nemici deplorino che vi si metta nelle camere a gas? Non hanno neanche voluto riscattarvi per qualche autocarro. Non sarà il piccolo padre Stalin a rimpiangervi. Che cosa dica il papa, io non lo so, credo bene però che sia il solo a prendere le vostre parti. Ma le sue proteste di oggi non fanno più effetto di una colomba bianca che si metta a tubare davanti al palazzo ducale. Voi ebrei siete nella merda e ci sarete sempre. Potete aver la meglio per un certo tempo. Poi ci sono in mezzo a voi degli imbecilli che si montano la testa, e vi si ripiomba addosso. Avreste bisogno di uno Stato per voi, sarebbe meglio. » Porta sputò tutto il suo disprezzo sul pavimento. « L'animale più stupido sulla terra è proprio l'uomo! »
185
PAROLA D'ORDINE » RABAT « Berlino aveva avuto sentore degli avvenimenti che si erano svolti a Montecassino. Da mille piccoli canali la voce era arrivata a Prinz Albrecht Strasse 8. E un bel mattino di sole un bombardiere Heinkel si posò sull'aeroporto dell'Urbe, vicino a Roma. Con una borsa nera sotto il braccio il capo dell'ufficio del personale dell'esercito, il generale di fanteria Wilhelm Burgdorf, scese dall'aereo. Tolse qualche immaginario granello di polvere dalle sue mostrine scarlatte e sorrise, affabile come sempre. Il generale era un uomo che considerava il mondo intero una sola e immensa farsa. Nominava generale un colonnello o porgeva una fialetta di veleno a un feldmaresciallo sempre con lo stesso sorriso. Sorrise amabilmente al comandante dell'aeroporto stupefatto, si informò della sua salute... con il brillante risultato di farlo diventare verde. Il generale Burgdorf ebbe un largo sorriso. « Datemi un'auto, comandante, con un autista che sappia guidare. Poco importa che sia un prigioniero comune o un maresciallo. Devo raggiungere il comandante dell'esercito del Sud il più presto possibile. » Il comandante non si sentiva evidentemente a suo agio. Le visite impreviste di Burgdorf erano seguite generalmente da una serie di suicidi. « Signor generale », il comandante fece scattare due volte i tacchi, « abbiamo una sezione corazzata di disciplinari alla caserma di via Castro Pretorio. Potremo trovare là un autista di prim'ordine. » Andarono insieme nell'ufficio personale del comandante. Non si vedeva nessun ufficiale. Nessuno provava il bisogno di vedere il generale. C'era chi pensava, e non a torto, che fosse
186 l'uomo più potente dell'esercito. Una parola da parte sua, e un generale era degradato... Un tenente giovanissimo poteva, a tempo di record, scambiare le sue spalline d'argento con una treccia dorata. Una cosa era certa: nessun ufficiale veniva promosso a insaputa del generale Burgdorf. Il comandante dell'aeroporto diede alcuni ordini. Un tornado attraversò tutti gli edifici. Dieci telefoni si misero contemporaneamente a suonare nella caserma dei carri armati. Dieci uomini scribacchiarono lo stesso ordine. « Il generale Burgdorf », si sussurrava allarmati. Un tenente e un capitano si fecero spedalizzare seduta stante per disturbi gastrici acuti. Si incominciò a respirare quando si seppe che il temibile generale non voleva che un'automobile e un autista. Il maresciallo maggiore Hoffmann per poco non inghiottì di traverso una caramella, quando abbaiando nel suo solito modo volgare nell'apparecchio, si accorse che dall'altra parte del filo c'era il comandante della caserma in persona. Il suo abbaiare si trasformò in un timido miagolio. Pieno di apprensioni, prese nota dell'ordine imprevisto. Dopo aver riattaccato con dolcezza, restò per un momento muto davanti al telefono nero. Poi passò all'azione. « Brutti porci », urlò, « non avete ancora capito che il generale di fanteria Wilhelm Burgdorf ha appena preso terra e che vuole un'auto? Svegliatevi, perdio, o vi spedirò al fronte, a gran velocità! » In quel momento il comandante Mike e il tenente Frick entrarono nella stanza. Hoffmann urlò il suo rapporto. « Burgdorf, accidenti! » mormorò Mike. « Vuole un'auto? Bene, l'avrà. E un autista? Gliene daremo anche di più, a questo porco arrogante, perché dovrà attraversare una zona pericolosa, dove i piccoli Spaghetti potrebbero avere l'idea eccellente di farlo saltar per aria. » Con una risata sardonica
187 continuò, rivolgendosi al tenente Frick. « Che cosa ne pensi, Frick? Gli diamo la mia auto scop'erta? » Il tenente Frick rise maliziosamente. « Idea brillante, Mike. Avrà Porta come autista. » Il comandante Mike scuoteva la testa, molto soddisfatto. « E Fratellino farà da scorta. » Il maresciallo maggiore Hoffmann era livido. Due volte fece un numero sbagliato. La lingua non gli obbediva più. Mike e il tenente Frick si erano messi davanti alla sua scrivania e lo osservavano con gioia evidente. Finalmente riuscì a ottenere il numero dell'autoreparto. Dieci minuti più tardi era a letto con una violenta emicrania. Ma prima informò il caposcribacchino che non era responsabile della designazione degli uomini. Mike e il tenente Frick preferirono lasciarsi e darsi alla macchia fino a che ogni pericolo fosse scomparso. Cinquanta uomini si misero alla ricerca di Porta e Fratellino, che secondo il programma erano di servizio all'autoreparto. Per un caso misterioso, si erano fatti distaccare altrove. Si trovò Porta al magazzino delle armi nel preciso momento in cui stava arraffando un'enorme pentola, presa al sergente armaiolo, al furiere e al cappellano Emmanuel. Fratellino fu ritrovato nelle adiacenze dello spaccio in compagnia del cuoco e di due ragazze di cucina. Stava allora riabbottonandosi i calzoni. Lentamente si diresse all'autoreparto, con sulle spalle una cassa di munizioni. Vide Porta da lontano. « Accompagniamo un generale », gridò. « Andiamo a far visita al feldmaresciallo! » Non avevano precisamente l'aspetto di soldati da parata. Il comandante dell'aeroporto ebbe un colpo quando gli si presentarono.
188 Il generale Burgdorf si divertiva. Gli piaceva quel tipo di soldati. Diede a tutti e due una manciata di sigari e non degnò di uno sguardo il comandante. Attraversarono Roma a cento chilometri l'ora. L'ufficiale d'ordinanza di Burgdorf, un capitano, teneva gli occhi chiusi e avrebbe voluto poter scendere, mentre il generale apprezzava la velocità pazza. Aveva visto alla prima occhiata che Porta sapeva tenere il volante. Tuttavia sussultò quando sentì Porta confidare a Fratellino che, dato che l'asse davanti era ancora rotto, avrebbe fatto bene a sorvegliare da vicino la strada e a segnalargli le buche. Evitarono per un capello un tram e furono coperti di ingiurie e di maledizioni dal conducente e dai passeggeri. Un agente di polizia, schizzato di fango, dovette fare un salto da una parte per non farsi schiacciare e decise di passare ai partigiani la notte stessa. Il generale ascoltava con un sorriso interessato la conversazione fra Porta e Fratellino, sul sedile davanti. Dovette ammettere che si trattava dei soldati più duri che avesse mai visto. Non si poteva pretendere che fossero particolarmente impressionati all'idea di condurre un generale. Capì dai loro discorsi che avevano deciso di rubare un maiale. E per di più un maiale del quartier generale. Burgdorf se ne infischiava. Non era venuto in Italia per occuparsi di inezie. Porta spiegò minuziosamente a Fratellino come preferiva il sanguinaccio. Ogni tanto lasciava il volante con tutt'e due le mani e faceva grandi gesti per spiegare meglio il suo pensiero. «Bisogna riempire bene le budella», urlava fra il rumore del motore. « Ci vogliono le uvette secche senza semi. E quando sì rimescola il sangue bisogna farlo con movimenti regolari. Non bisogna metterci né troppa farina, né quelle altre porcherie che i contadini poveri hanno l'abitudine di
189 aggiungere. E poi lo si immerge nella melassa e lo si spolvera di zucchero scuro e di cannella. Ci sono dei barbari che lo mangiano con le mele cotte. È una cosa che sconsiglio. » « Preferisci il sanguinaccio caldo o tiepido? » chiese Fratellino leccandosi i baffi. « Io lo preferisco tiepido, così posso mangiare più in fretta. » «No, no!» esclamò Porta. «Bisogna che sia ben caldo. Basta soffiarci sopra e innaffiarlo con la birra fresca. » Fra lo stridere dei freni la vetturetta si fermò davanti al quartier generale, a Frascati. Un tenente dell'aviazione scese la scala, praticamente in discesa libera, aprì la portiera e aiutò il generale e il suo aiutante a uscirne. Il generale lanciò un'occhiata a Porta e a Fratellino che, ignorando la disciplina, erano rimasti seduti. Alzò le spalle con aria rassegnata e salì la scala. Quei due erano una selvaggina troppo minuta. Il tenente non capiva perché il generale ridesse. Quando Burgdorf arrivò dal comandante dell'esercito del Sud, era in corso una riunione dello stato maggiore. Tre ufficiali e due sottufficiali balzarono per aiutare il generale a sbarazzarsi del cappotto di pelle sporco. Burgdorf li fermò con un gesto. « Signor generale, desidera che faccia un rapporto sul contegno dei caporalmaggiori della vettura? » chiese servilmente un tenente. Il generale Burgdorf sorrise sardonicamente. « Tenente, se desidero fare un'osservazione, lo saprà a tempo debito. La tasca sinistra sul petto non è abbottonata, signore, e da quando in qua i tenenti di fanteria portano gli speroni? Forse che io, generale di fanteria, li porto? Vorrà far avere al mio ufficiale d'ordinanza, prima della mia partenza, una nota sulla sua tenuta non regolamentare. » Il tenente farfugliò qualche parola incomprensibile. Prima
190 della guerra era stato maestro in un paese sperduto, da qualche parte fra le montagne della Boemia, dov'era il terrore dei bambini. Burgdorf lo squadrava con aria altezzosa. « Ha una pistola? » chiese. « Sì, signor generale », abbaiò il tenente, facendo risuonare gli speroni non regolamentari. « Perfetto », sorrise Burgdorf. « Saprà certo servirsene. Arrivederci, tenente. » I presenti impallidirono ancor più. Burgdorf toccò con il suo bastone di comando la spalla di un capitano di cavalleria. « Vuole informare il comandante supremo che desidero parlare con lui da solo? » « Signor generale, sono spiacente di comunicarle rispettosamente che la cosa non è possibile, il feldmaresciallo è a una riunione segreta dello stato maggiore. Si stanno elaborando i piani per il prossimo attacco e quelli della difesa della Linea Gustav », aggiunse il capitano dopo un momento di riflessione. Il generale Wilhelm Burgdorf rise di cuore constatando che l'ufficiale sembrava .non sapesse che aveva di fronte a sé l'uomo più potente della Wehrmacht e si rivolse al suo aiutante maggiore. « Vada a cercarmi i miei due uomini, nella vettura. » « Bene, signor generale! » « A proposito », continuò Burgdorf, « che portino i mitra. » Tre minuti dopo Porta fece un ingresso rumoroso, seguito da vicino da Fratellino. Burgdorf ebbe un sorriso. « Voi due, banditi, voi sarete fino a nuovo ordine le mie guardie del corpo. Se getto i miei guanti, vuol dire che si deve sparare su tutto quel che si muove! » « L'abbiamo già fatto, signor generale. » Fratellino pensava che fosse bene fornire qualche particolare.
191 « Una volta abbiamo accompagnato un generale di corpo d'armata. Ci aveva detto la stessa cosa. Soltanto che gettava il berretto, non i guanti. » Burgdorf preferì ignorare il fiume di parole di Fratellino. Si voltò verso l'accompagnatore. « Capitano, ho premura. Penso che lei sappia che siamo in guerra. L'esercito italiano è soltanto un ingranaggio della nostra macchina. Vada a informare il suo comandante del mio arrivo. » Il capitano scomparve senza più farsi pregare. Burgdorf passeggiava avanti e indietro, le mani dietro la schiena. Il lungo mantello di pelle ondeggiava attorno a lui. Porta e Fratellino stavano come due pilastri di pietra ai due lati della grande porta a doppio battente, i mitra stretti sotto il braccio, le cartucciere aperte. Burgdorf si fermò, contemplò da vicino gli angeli dorati ridicolmente paffuti che sormontavano la porta. Se esistono gli angeli, pensò, non assomigliano certo a questi. Sul muro a sinistra vi era un grande ritratto a grandezza naturale di re Vittorio Emanuele. Il generale Burgdorf si piantò di fronte al ritratto, per esaminare il piccolo re, con in testa il suo berretto enorme e grottesco. « Soldato del cavolo », borbottò. « Verrà anche la tua volta. Non ci sarà posto per i re nel nostro nuovo mondo. » La porta si aprì bruscamente. Il feldmaresciallo Kesselring, grande, grosso, in uniforme grigio-azzurra da aviatore, riempiva lo spazio fra i due stipiti. « Mio caro Burgdorf, ecco una sorpresa! Beninteso, sono sempre libero per lei! » Il generale Burgdorf sorrideva, esaminando con attenzione l'estremità accesa della sigaretta. « Signor feldmaresciallo, la ringrazio della sua accoglienza. Questo faciliterà il mio compito. Desidero parlarle da solo. »
192 A un segno del feldmaresciallo gli ufficiali si affrettarono ad andarsene. Porta e Fratellino restarono. « Signor feldmaresciallo, a Berlino circolano le voci più strane sulle nostre truppe in Italia. Avete iniziato dei negoziati con gli americani? Sul ritiro delle truppe tedesche a Roma, ad esempio? Voglio dire, avete ceduto all'idea di fare di Roma una città aperta? Sappiamo che vi si trova un generale americano. » « Impossibile, Burgdorf, lo saprei anch'io. » « Impossibile no, signor feldmaresciallo. Ma non è questo il punto. Si tratta di sapere se lei è al corrente e se lei ha incontrato questo generale nemico. » « Le do la mia parola d'onore, Burgdorf, che non è così. » « Le credo, ma allora qualche negoziato segreto? » Il feldmaresciallo Kesselring scosse negativamenti la testa, ma il suo viso abbronzato aveva perduto i suoi bei colori. « É vero che le sacre reliquie di Montecassino sono state portate via? Lei deve sapere quel che fa il generale Conrad? La radio alleata ha informato tutto il mondo, qualche giorno fa, che la divisione corazzata Hermann Góring stava mettendo a sacco l'abbazia. Sembra in ogni caso che si tratti di un saccheggio di cui il comandante supremo ignora tutto? 1 I suoi ufficiali dei servizi informazione dormono, forse? Propongo di tenere un consiglio di guerra fra mezz'ora. A Berlino sappiamo che il tenente colonnello Schlegel, della divisione corazzata Hermann Góring ha avuto un colloquio con Conrad, che ha dato via libera al sabotaggio degli ordini del Führer. Quest'ultimo voleva che tutte le cianfrusaglie dell'abbazia venissero distrutte dai bombardamenti americani. Il 1
La verità è diversa: tutta l'operazione di sgombero del contenuto dell'abbazia di Montecassino è stata fotografata e filmata dalla PK (Compagnia di propaganda): le foto sono state pubblicate dai settimanali (ad esempio Signal) e il film è apparso nei cinegiornali.
193 generale Freyberg della Nuova Zelanda reclamava appunto dei bombardieri americani per demolire l'abbazia. Ma i colleghi di fronte non ne sono molto entusiasti. Si dà il caso che il nostro amico della Nuova Zelanda sia una dannata testa dura e che riuscirà certamente a convincerli. E il vostro maledetto generale di divisione e un cretino di tenente colonnello vengono a rovinarci tutto. Lei non capisce quel che cerchiamo? Immagini i titoli di tutti i giornali del mondo! I gàngster anglo-americani distruggono le preziose reliquie dell'Occidente cattolico. Abbiamo persino delle truppe di commando pronte a liquidare quel vecchio pazzo di Diamare. Finiranno bene col bombardare l'abbazia. Ma è particolarmente importante che tutti i tesori periscano nello stesso tempo. Si possono sempre sostituire i monaci e gli edifici, ma non gli oggetti! Freyberg è fermamente convinto che i nostri agenti dicano la verità, quando raccontano che noi stiamo trasformando l'abbazia in una fortezza imprendibile. E proprio prima che gli altri la mettano a sacco noi chiederemo ai monaci di attestare che nessun soldato tedesco ha mai messo piede nell'abbazia. Formidabile per la propaganda! Il solo vantaggio del trasporto di Schlegel è che la colonna degli autocarri è stata vista e fotografata dagli aerei da ricognizione degli alleati. E tutta acqua per il mulino di Freyberg. Adesso noi dobbiamo accertarci che ogni pezzo delle reliquie sia al sicuro. Il Fiihrer è furibondo. L'Obergruppenfuhrer 1 Muller si trova già a Roma. Lei è con un piede davanti alla corte marziale, signor feldmaresciallo. Dovrà fingere di essere stato perfettamente informato di questi dannati trasporti. Altrimenti il mondo intero ci accuserà di saccheggio. È un lusso che non possiamo permetterci in questo momento. » Il feldmaresciallo era livido. « Io non capisco, Burgdorf. » 1
Generale d'armata delle SS.
194 Questi sorrise minacciosamente. « Eppure credevo di essermi spiegato in modo molto chiaro. Vuole essere deferito alla corte marziale per alto tradimento, o vuole togliere lei stesso le castagne dal fuoco? Il generale Miiller si trova in via Tasso. Prenderebbe volentieri un feldmaresciallo nelle sue reti. » « Lei mi offende, generale, mi offende gravemente », gridò il feldmaresciallo fuori di sé. « La sua concezione dei nostri tempi è un po' confusa, temo. La Germania di oggi non è più quella del Kaiser. Noi siamo uno Stato nazionalsocialista. Tutti i mezzi sono buoni per il Reich, per raggiungere il suo scopo. « Il Führer vuole risolvere il problema ebraico. Personalmente non approvo tutte le idee politiche del Fiihrer. Ma io sono un soldato e ho giurato fedeltà, proprio come lei. » (Lasciò cadere il pugno chiuso sul tavolo veneziano.) « Se ricevo un ordine, lo eseguisco al cento per cento. Voglio bene ai bambini, soprattutto ai più piccoli, e tuttavia se fra un'ora mi ordinassero di ammazzare tutti i bambini d'Europa sotto i due anni, essi sarebbero ammazzati, non importa quali siano i miei sentimenti personali. E se uno dei miei ufficiali non obbedisce alla lettera i miei ordini, lo porterò davanti a una corte marziale. Conosciamo le sue convinzioni religiose! » « Lei non crede dunque in Dio, generale Burgdorf? » « Non si preoccupi di quel che credo. Io sono un soldato, dall'età di sedici anni. E il mestiere del soldato è la guerra; e in guerra si ammazza. Si direbbe che lei non l'abbia ancora capito. La metto in guardia. In questo momento abbiamo trentasei generali a Torgau. Domani mattina ne passeremo qualcuno per le armi. Come vede ho con me due caporalmaggiori. Sono stati messi ai miei ordini, per caso, un'ora e mezzo fa. Appartengono a un reggimento di Panzer speciale
195 della sua armata. Sono dei soldati che metterebbero in croce Gesù un'altra volta, se glielo ordinassero. » Burgdorf si avvicinò e brandì minaccioso il suo berretto davanti alla faccia livida del feldmaresciallo. « Non esiterebbero neppure a portare un feldmaresciallo, comandante supremo, dietro i bidoni delle immondizie e a tirargli una pallottola nella testa. » « Burgdorf, l'avviso a mia volta che informerò della sua condotta inverosimile il Reichsmarschall ! » Burgdorf si accontentò di ridere con disprezzo. « Lei non crederà che io sia venuto qui di mia iniziativa! Ho un ordine diretto del Fuhrer, e non sono solo. Per quanto riguarda il Reichsmarschall, non speri niente da lui. E caduto in disgrazia da un pezzo. Che questo resti fra noi, il Fuhrer non può soffrirlo. A dire le cose come stanno, l'aviazione in questo momento non è nelle sue buone grazie. Il Fuhrer pensa che l'aviazione sia un'accozzaglia di falliti. » « I miei cacciatori paracadutisti si battono come demoni qui in Italia. Se continua così non ci saranno superstiti. » « Questo non farà versare lacrime al Fuhrer », ribatté seccamente Burgdorf. « Posso ricondurla a Berlino e chiuderla a Torgau. Là lei passerà alla vita eterna, molto silenziosamente, una mattina all'alba, per non aver saputo impedire questa faccenda di Montecassi-no. Domani alle undici ho una riunione molto importante con due generali di divisione e alcuni comandanti di reggimento a proposito dell'operazione "Rabat". E se una sola parola arrivasse al Vaticano, ne terrò responsabile lei, signor feldmaresciallo. Al servizio di sicurezza il generale Miiller è in ebollizione. Abbiamo degli agenti in Vaticano che ci tengono informati di tutto. Noi vogliamo provocare Pio XII perché protesti contro le persecuzioni degli ebrei, e ci riusciremo! » «Si vuole arrestare il papa? Via è una pazzia! Si deve trattare di uno scherzo, generale! »
196 « Niente di più serio. Crede che io abbia il tempo di scherzare? » « È impossibile », ansimò il feldmaresciallo con voce strozzata, giocando nervosamente con la sua croce di ferro. « E possibilissimo », tagliò corto Burgdorf sprezzante. « Non sarà la prima volta nella storia che il papa vien fatto prigioniero. » « E che cosa si vuole ottenere? » « La stessa cosa di quando si bruciano le sinagoghe e gli ebrei. Il suo compito consiste nell'eseguire gli ordini che riceve da Berlino. » Burgdorf appoggiò le mani alla tavola veneziana. « Ucciderà il papa con una pallottola nella nuca, se glielo ordinano! » « É diabolico », sussurrò il feldmaresciallo. «Trasmetterò le sue parole al Fuhrer quando gli consegnerò il mio rapporto. Lei non sa che il Führer è al di sopra di ogni critica? Noi abbiamo parecchi uomini che possono sostituirla. In breve, rispetterà o no il suo giuramento? Lei è un credente, ha fatto il suo giuramento sulla Bibbia. » « Generale, io non rinnegherò il mio giuramento. » « Non ci aspettavamo meno da lei, signor feldmaresciallo. Berlino saprà giustificare la liquidazione del papato. Il cattolicesimo è il nostro avversario più pericoloso. » « Si potrebbe credere che lei venga da Stalin, generale. » Burgdorf diede un colpo col lungo frustino agli stivali luccicanti. Le bande rosse dei suoi calzoni brillavano come sangue. « La nostra non è una guerra nazionale. Se la perdiamo, sarà la fine della nostra posizione di grande potenza, forse della nostra stessa esistenza. È per questo che la facciamo con una durezza e una brutalità come non si è mai visto. Noi non arretriamo davanti a nessun mezzo per raggiungere la nostra mèta, gliel'ho detto. Quando Berlino le trasmetterà la parola
197 d'ordine "Rabat", il suo dovere di comandante supremo dell'esercito del Sud è di assicurarne l'esecuzione. (Burgdorf guardò pensosamente dalla finestra.) Il piano "Rabat" è assolutamente segreto, non esiste nessun documento che ne provi l'esistenza. » Sorrise e diede una gran frustata ai suoi stivali. « Il Cremlino e Prinz Albrecht Strasse hanno una buona cosa in comune: tutte e due contano sulla mancanza di fantasia del borghese medio. Un'operazione deve essere abbastanza colossale da sembrare assolutamente incredibile. Se qualche cervello lucido si persuade che è realmente avvenuta, poco importa, dal momento che la grande massa è troppo abbrutita e non sa concepirlo. Quando la verità storica incomincerà a farsi conoscere, la gente griderà che è una calunnia! » Il feldmaresciallo fissava gli occhi su Burgdorf con l'aria di pensare che il generale dovesse essere o pazzo o un emissario del demonio. « Se perdiamo la guerra », disse con voce rotta, « la verità storica ci giudicherà secondo i nostri meriti, in tutta la sua brutalità. » Burgdorf fece segno di no con la testa. « Berlino saprà agire in modo così efficace, che sorpasserà la più fertile fantasia. Da principio il mondo sarà sotto l'effetto della sorpresa. Poi verrà il dubbio e, prima di dieci anni, la borghesia rifiuterà puramente e semplicemente di riconoscere i fatti. Il papa teme Stalin e Hitler, e in questo non ha torto. Noi lo porteremo a Berlino. Motivo ufficiale: assicurarne la protezione. » « Dopo l'occupazione del Vaticano da parte delle truppe tedesche? » chiese incredulo il feldmaresciallo. « Nessuno ci crederà. » « Ma ci credete dunque così poco accorti a Berlino? » Burgdorf rideva sprezzante. « Le truppe tedesche occuperanno il Vaticano dopo che sarà stato attaccato da una banda
198 di partigiani, guidati da ebrei e comunisti. Perché credete che abbiamo fatto risalire un reggimento di disciplina a Roma? » « Ma non corriamo il rischio che questa gente ci denunci? » chiese il feldmaresciallo inquieto. « Nessuno di loro soprawiverà. Ci penserà il reggimento corazzato speciale. » « Soldati tedeschi tireranno su soldati tedeschi? » « Il reggimento corazzato non tirerà sui soldati tedeschi, ma sui banditi in uniforme italiana. » « Il mondo non accetterà mai uno sterminio dei cattolici », continuò il feldmaresciallo, ostinato. « Ci sarà una reazione violenta. » « Lo sterminio è già incominciato », rispose Burgdorf. « A Dachau abbiamo giustiziato milleduecento preti. A Plòtzensee ce ne sono molti che aspettano la loro fine vicina. Avete notizia che ci siano state proteste? Io no. » « Ma il concordato? Quello significava qualche cosa? » « Senza nessun valore », rispose Burgdorf. « Come le nostre promesse agli ebrei! Se si vuole evitare il panico fra gli animali da abbattere, bisogna calmarli prima di condurli al mattatoio. Il 12 giugno 1933 il Fiihrer ha detto: "Il concordato non mi interessa per niente, ma ci dà la tranquillità nella nostra lotta contro gli ebrei e più tardi ci servirà per altri progetti". » « Mi sembra impossibile che il Vaticano abbia firmato un concordato che rischia più tardi di ritorcersi contro di lui. » «Bah! Il Vaticano era obbligato a correre questo rischio », rispose Burgdorf irritato. « Era per impedire cose ben peggiori della morte di qualche milione di ebrei. In Germania ci sono trenta milioni di cattolici, e pensi ai loro correligionari negli altri paesi. Cose da niente per il Reichsfùhrer. Abbiamo dieci milioni di liberi pensatori fanatici, che taglieranno con piacere la gola di tutti i cattolici, se domani il Reichsfù-
199 hrer desse via libera. » « Io non capisco, Burgdorf, perché a Berlino si tenga tanto al fatto che il papa protesti contro la persecuzione degli ebrei. » Burgdorf sorrise con indulgenza. « E invece è chiaro, e ho anche paura che in Vaticano sospettino qualcosa. Se il papa alza una protesta oggi, che noi occupiamo l'Italia, trasgredirà le leggi sulla sicurezza dello Stato. Questo ci offrirà un eccellente pretesto per impadronirci della sua persona, perché avrà espresso ufficialmente il suo atteggiamento ostile. Una volta allontanato il papa da Roma, noi ci incaricheremo del resto. » « Questo significa una guerra contro quattrocento milioni di cattolici ferventi. E una mostruosità irrealizzabile! » « Nulla è irrealizzabile, a condizione di non fare dell'umanitarismo malinteso. Siamo ancora in uno stadio sperimentale, nella soppressione degli elementi indesiderabili. E questa liquidazione il maresciallo Stalin la vedrà con simpatia. Si sa, tanto a Berlino quanto a Mosca, che un mondo nuovo non può affermarsi senza lo sterminio totale della cristianità. » « Il mondo si rivolterà appena lo saprà », esclamò il feldmaresciallo, disperato. Burgdorf scosse la testa. « Le cifre sono già alte, e non scandalizzano più. L'uomo medio non riesce a crederci. A Kiev abbiamo soppresso in due giorni trentaquattromila ebrei e zingari. In Polonia mandiamo a morte tutti i giorni dalle quattro alle seimila persone. A Auschwitz ne abbiamo liquidato circa ottocentomila. Dal 1940 abbiamo ucciso due milioni di ebrei. Se ne avessimo avuto il tempo ne avremmo uccisi sei, dieci,venti milioni. Il mondo conosce già queste cifre incredibili. I giornalisti che le hanno rivelate si sono visti trattare da bugiardi dalla gente. Al contrario, se avessimo messo a morte otto-
200 cento bambini e non centotrentacinquemila, il mondo intero avrebbe alzato delle urla. Perché ottocento è una cifra che significa qualche cosa anche per qualsiasi cretino. » Burgdorf si mise il frustino sotto il braccio, abbottonò i guanti, si mise il berretto di traverso, « Signor feldmaresciallo », continuò, « se la coscienza le impedisce di mantenere il suo giuramento, ci scriva e sarà immediatamente liberato dal suo comando. È necessario che le ricordi le conseguenze che avrebbe un simile gesto? Un soldato non deve riflettere sugli ordini che gli vengono dati, ma soltanto eseguirli. Qualche volta il soldato deve fare un lavoro che puzza. Per noi, contano soltanto gli ordini del Fiihrer. La sua volontà è la nostra volontà. La sua fiducia nella vittoria è la nostra fiducia nella vittoria. » Burgdorf alzò il frustino, salutò brevemente e se ne andò. Immobile in mezzo alla stanza, il feldmaresciallo seguiva con gli occhi il focoso generale.
201 Porta tese la corda dell'arco. La lunga freccia partì. Affondò nel collo e uscì dalla nuca del grande e grosso capitano americano. Egli barcollò e cadde in avanti. La freccia si spezzò. Porta faceva lo spavaldo. « Sono un capo. Se continua così, mi farò chiamare Occhio di Falco, » Nel corso dei due giorni che seguirono ripetè otto volte l'operazione. Gli americani ci interpellarono. Volevano sapere chi fosse il tiratore d'arco. Un negro aveva disertato dalle loro file; credevano fosse lui e ci offrivano un sacco di cose se avessimo voluto restituirlo. « Non ci sono negri fra di noi », urlò Heide, « e neanche maledetti ebrei. » Facevamo segnali verso di loro, con stracci bianchi annodati in cima alle baionette. Porta uscì dalla trincea. «Allontanate i vostri ufficiali », urlò Heide. « Occhio di Falco tira soltanto agli ufficiali! » Porta agitava il suo cilindro giallo. I suoi capelli rossi brillavano al sole. « Salute a te, Viso Pallido », gridò. Gli americani gettarono in aria i loro elmetti in segno di gioia. Un sergente gigantesco apparve sopra la trincea americana. «Qui Orso Grigio, dell'Alaska. Quanti anni hai fatto, Occhio di Falco? » « Otto anni. » «Che bambino! Io ne ho fatto ventiquattro! Ho ammazzato quel porco di tuo papà a Verdun. » « Questa è una sporca menzogna », urlò Porta. « Il mio vecchio sconta il suo terzo anno a Moabit, cella 840, quartiere disciplinare, è un duro, un vero duro! » Il sergente mise una bustina sopra l'elmetto. « Imbecille di un Kraut, ti sei vantato di un nome da pellirossa. Io rappresento la mia tribù qui. Tira su questa bustina e noi ci inchineremo a te. Siamo in tre indiani nel nostro reggimento.
202 Se manchi la bustina, verremo a cercarti questa notte e ti taglieremo i coglioni. » Porta prese una freccia dalla faretra che portava sulla schiena. Tese la corda e prese con cura la mira. « Lascia perdere », consigliò il Vecchio Unno. « Se l'ammazzi, gli altri si vendicheranno. * « Che la Santa Vergine guidi la tua mano », mormorò padre Emmanuel facendosi il segno della croce. Centinaia di binocoli furono puntati sulla bustina che ornava l'elmetto del grande sergente indiano. In un silenzio di morte la freccia fischiò, colpì la bustina e la trascinò nella sua corsa. Grida di entusiasmo si alzarono dalle due trincee. Elmetti e carabine venivano lanciati in aria. Abbiamo portato in trionfo il nostro vincitore lungo la trincea. Il sergente alzò le mani sopra la testa per salutare Porta vincitore. In quel momento comparve il Guercio. « Che razza di un casino, vi hanno morsicato le scimmie rabbiose. Meritate di essere portati davanti alla corte marziale. » E la guerra continuava...
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LA GUERRA PERSONALE DEL COMANDANTE MIKE La pioggia mescolata alla neve ci inondava la faccia, colando dall'orlo dell'elmetto, impigliandosi nei peli della barba, scavando sulle nostre labbra una grondaia. « E questa la chiamano l'Italia piena di sóle », imprecò Porta. Marciavamo in colonna per due sul versante della montagna. Appollaiata in alto sopra le nostre teste si trovava l'abbazia. Ma non era il nostro obiettivo. Noi andavamo dall'altra parte, verso monte Cairo. Gli zappatori ci avevano segnalato dei nippo-americani in questa zona. «Stringete le file!» comandò Mike, » e non urlate tanto! » L'oscurità ci avviluppava come una coperta. L'artiglieria rombava a sud-est. Proiettili traccianti dai bei colori da coda di pavone si alzavano verso il cielo. Lo spettacolo era così meraviglioso che volentieri ci saremmo fermati a ammirarlo, se non fosse stato anche pericoloso. Eravamo in missione speciale. Niente di straordinario, ci eravamo abituati. Avevamo scavato tre grandi fosse comuni proprio prima di lasciare l'angoletto dove stavamo a riposo. La cosa non ci commoveva, perché nessuno di noi pensava di dovervi riposare. Porta aveva previsto un posto di dimensioni speciali, che destinava al Verro. Questi era appena stato licenziato dall'ufficio. Il maresciallo maggiore lo aveva decisamente sbattuto fuori. Il suo ritorno nelle file era stato salutato con una gran risata da Mike. « Sei così grasso, Stahlschmidt. Dovresti dimagrire. Farò di
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te il mio portaordini personale. » Porta e Fratellino incominciarono immediatamente ad istruire il Verro. « Non hai che da correre », spiegò Porta, « vai a zig-zag fra le schegge delle granate e stai attento a non metterti a portata dei fucili dei cecchini. » Il Verro ebbe appena il tempo di intravedere il portaordini che avrebbe dovuto sostituire. Il cervello gli usciva dal cranio. Viveva ancora, ma era spirato prima che noi partissimo. Il Verro prese la sua borsa. Una granata esplose molto vicino. In un attimo la compagnia si disperse! L'avevamo sentita arrivare. Mike per poco non inghiottì il suo grosso sigaro. « Hombre », imprecò Barcellona. « Queste maledette granate arrivano così all'improvviso! » Ci rimettemmo in marcia. Nessuno era ferito. Porta e Fratellino presero in mezzo il Verro, costringendolo così a integrarsi nel 2° gruppo. « Non hai fortuna, eh, Stahlschmidt? Granate, proiettili traccianti, baionette seghettate e orribili sciabole da samurai, che prendono di mira i tuoi coglioni. Lanciafiamme per raderti! Ah, mio Dio, si stava meglio nella tua gabbia, a Altona 2. In guerra è come al cinema, i posti migliori sono dietro. Davanti la luce ti acceca! Ma consolati, ti abbiamo tenuto un bel posticino, ben al calduccio, nella fossa comune! Siamo veri camerati, noi! » « Va' al diavolo », borbottò il Verro. « Ride bene chi ride ultimo! » « Qual è la durata massima per una staffetta di compagnia? » chiese Fratellino, guardandosi in giro. « Fra gli zappatori, si devono calcolare sette giorni », rise 1 2
Il lavoro più duro nella compagnia. Vedi Gestapo
205 Heide, satanico. « Nella fanteria, da cinque a dieci; ma da noi non resistono mai più di quarantott'ore. » Fratellino fece un segno di croce davanti alla faccia del Verro. « Sei cattolico? » gli chiese. « Che cosa te ne importa? » grugnì il Verro. « Penso che dovresti andare a cercare il cappellano e chiedergli di somministrarti l'estrema unzione, sulla tua sporca faccia, dato che sei sicuro di restarci! » Fratellino nitrì di gioia per la propria spiritosaggine. Un quarto d'ora dopo rideva ancora. « In fondo è un peccato che un graduato così promettente debba morire nel fiore degli anni », filosofò Barcellona. « E la dura legge della guerra », decretò Porta. Esaminò il Verro. « Forse hai la tremarella all'idea di dover mettere le scarpe al sole, Stahlschmidt? » Fratellino prese il Verro per il mento. « Non ancora », annunciò, « ma verrà. » Il Verro gli lanciò dei colpi furiosi con la borsa. « Sono militare da più di te, pitale di merda! » « Soldato del mio didietro », rise Fratellino. « Peccato che Walt Disney non ti abbia conosciuto. Gli avresti fatto da modello per il lupo mannaro! » Fratellino aveva visto per quattro volte una pellicola di Walt Disney e tutte quattro le volte si era rotolato a terra dal ridere. Apparteneva a quegli esseri felici che possono divertirsi all'infinito di una stessa cosa. Avevamo un vecchio apparecchio da proiezione. Una specie di enorme mostro, tuttavia ce lo trascinavamo dietro. Eravamo arrivati in una foresta dove tutti gli alberi erano stati tagliati dalle granate. Bisogna averlo visto per crederlo. Come accusatori, i cadaveri degli alberi si alzavano verso il cielo. Attraversandola scherzavamo. Il Verro era il nostro bersa-
206 glio preferito. Quando Gregor Martin scoprì il cadavere di un sergente furiere, trafitto da un tronco d'albero, tutto sporco di sangue, puzzolente, fu un delirio. « Vedi », gongolò Gregor, « ecco uno dei tuoi colleghi! E curioso come la maggior parte di loro crepi così. » « Io in ogni modo preferisco essere un furiere, che un maresciallo maggiore, ex guardaciurma degradato », gridò Porta dall'ultima fila, dove stava trattando per il baratto di dieci sigarette oppiate. « Se n'è visto qualcuno di questa razza lasciarci la pelle », aggiunse Barcellona in tono minaccioso. « Vi ricordate quel tipo di Minsk? » urlò allegramente Fratellino. « E morto con un pezzo di fil di ferro attorno al collo. » Indicando dietro col pollice, il Vecchio Unno diede una gomitata molto significativa al Verro. « La situazione non sembra molto brillante, Stahl-schmidt. Si direbbe che vogliono la tua pelle. » « Dopo gli anni grassi, gli anni magri », citò sentenziosamente Fratellino. Qualche granata cadde dietro di noi a breve distanza. « La faccenda non mi piace. Sta diventando brutta », mormorò il Vecchio Unno. Si sentiva fischiare, scoppiare, rombare. Ci avvicinavamo alla voragine della morte, il settore più temuto del fronte di Cassino, una zona stretta e scoperta. Era disseminata di centinaia di corpi gonfi di uomini e cavalli. Soltanto il cinque per cento degli squadroni riuscivano a attraversarla. Sparsi al suolo, sprecati, vi erano viveri abbastanza da nutrire cinque divisioni. « Rompete le file, rompete! » si sentiva. «Attenti alle sigarette. » Scoppiò una nuova salva. Incominciammo a correre. Ansimando come locomotive ci siamo appiattiti a terra e ci siamo
207 messi a strisciare. Qualcuno si liberò della sacca di bombe a mano: era Brandt il Poltrone. Il Vecchio Unno minacciò di ammazzarlo se non andava immediatamente a riprenderla. Una granata da 75 si conficcò nel terreno. Brandt cadde in ginocchio; il sangue zampillò come una fontana là dove due secondi prima era stata la sua testa. Egli crollò sulla sua sacca. Il Vecchio Unno e io lo abbiamo brutalmente spinto da una parte e abbiamo preso la sua sacca. Brandt era già dimenticato. Le granate cadevano come grandine. Gli uomini urlavano. Ognuno pensava soltanto a se stesso. Le gambe si muovevano macchinalmente. Avevamo una sola idea in testa: uscire dal vortice della morte! Mettersi al riparo! Non sentivamo più la mitragliatrice che batteva contro l'elmetto; dimenticavamo le cinghie che ci segavano le spalle; il carico pesante delle munizioni sembrava leggero. Avanti! Avanti! Non c'era bisogno di incoraggiarci. Un sergente che correva al mio fianco ebbe i piedi sfracellati. Corse ancora per qualche metro prima di afflosciarsi. Il sergente Schrank della Settima squadra si fermò, guardando meravigliato la mitragliatrice e le sue braccia strappate che giacevano per terra, davanti a lui. In mezzo al sentiero il soldato Lazio era seduto, e tentava di far rientrare le budella nell'addome lacerato. Il tenente Gehr correva in cerchio, urlando come un pazzo, i pugni stretti su quelli ch'erano stati i suoi occhi. Finalmente l'avevamo attraversata, la voragine della morte... Vi avevamo lasciato un quarto della compagnia. Il Verro non era il solo che se la fosse fatta addosso! Ci siamo riposati. Le nostre facce erano cambiate. Eravamo arrivati: appena dietro la linea del fronte. La signora dalla falce ci aveva toccato sulla spalla: non eravamo più gli
208 stessi. Non sapevamo spiegare che cosa ci fosse successo; ora eravamo pronti a uccidere, molto pericolosi. Ci si può proteggere da un granata, ma è difficile sfuggire a un soldato al fronte, che uccide perché ha paura di essere ucciso. Per l'ultima volta abbiamo verificato le nostre armi. Che cambiamento da quando eravamo sfilati nelle città della guarnigione, quando cantavamo: Ein Tiroler wollte jagen einen Gemsbock silbergrau... I cecchini si siedono sugli alberi con i loro fucili muniti di cannocchiale. Mirano sempre fra gli occhi. Poi si è morti... il sipario si abbassa. Qualche volta un proiettile qualunque o una scheggia di granata penetra nell'elmetto. Se si ha fortuna, ci si fa semplicemente scotennare. Ma se la scheggia di ferro penetra nella base del cranio, allora, camerata, ti porteranno via in barella. Hai ancora una possibilità, ma molto tenue. Se non sono troppo occupati, i medici ti salveranno, ma ne avrai per mesi e mesi di ospedale; dovranno « rieducarti ». Ma sì, avrai dimenticato tutto, parlare, camminare, tastare. Non sentirai più niente. Avrai dimenticato tutto, ti dico! Forse sarai diventato pazzo prima di aver imparato tutto di nuovo. Die blauen Dragoner sie reiten mit klingendem Spiel durch das Tor... Amico mio, sai che cosa vuol dire avere male ai denti. Pieno di apprensione sei andato dal dentista. È stato gentile; ti ha anestetizzato; ti ha dato due pastiglie da prendere a casa, se ti fa male. Ma tu non hai avuto né pastiglie né anestesia quando una granata ti ha fatto saltare tutti i denti e una buona parte della mascella. Meravigliato, tu guardi i tuoi denti
209 insanguinati, là nel fango, ai tuoi piedi. Quando ti avranno ricucito, neppure tua madre ti riconoscerà, e la tua amica, se non ha davvero la bocca buona, non vorrà più saperne di te. Non sono numerose le fagazze con un'anima, da suora di carità, e tu fai paura a tutti. Wenn die Soldaten durch die Stadt marschieren òffnen die Màdchen Fenster und die Tùren... Si può anche essere colpiti in pieno nella colonna vertebrale. In questo caso si resta paralizzati o si cade in delirio. Se ti succede, non sarai mai più come prima. Durante innumerevoli notti tu gemerai per il dolore e per te la guerra sarà eterna. Non ritornerai più a casa; se lascerai l'ospedale, morirai. Tu dici, in questo momento: piuttosto morire che vivere così. Ma vedrai, un giorno forse potresti preferire di « vivere cosi », piuttosto che morire. Ich bin ein freier Wildbretschùtz Und hab' ein weit' Revier... Qual è il soldato tedesco che non ha cantato l'allegra ballata del bracconiere che canzona il guardacaccia? Se un giorno sarai seduto nel fango, con le dita premute contro un'arteria aperta nella coscia, non la canterai questa canzone. Sarà la tua vita, che terrai sotto la mano. Tu chiamerai disperatamente il portaferiti, il buon samaritano, con il suo bracciale della Croce Rossa. Ma lui non viene; ha altro da fare; è occupatissimo a salvare quelli che non possono essere salvati. Tu, tu sei perduto. Tu non lo capisci ancora; la tua ferita non sembra troppo grave, ma non vi si può fare una legatura. Meravigliato, tu guardi il sangue che cola sotto la tua mano; nel giro di una mezz'ora tu muori, dolcemente, svuotato.
210 Auprès de ma blonde, qu'il fait bon dormir... Hai mai provato a versare una goccia di acido sulla mano? Fa male; pizzica e brucia. Ma si può mettere un po' di pomata, per alleviare il dolore. Immagina, camerata, che cosa può essere gemere da solo in una buca scavata da una granata, il basso ventre aperto dalla scheggia di un proiettile al fosforo, che lentamente rode le tue viscere. Ci vogliono tre, quattro ore prima di morire e ti assicuro che neppure per un istante avrai voglia di canticchiare: We've been working on the railroad ali the live long day, just to pass the timé away... Sei mai stato sul punto di affogare? E spaventoso. Immagina che cosa significa avere il naso e la bocca strappati, mentre la gola si riempie della polvere dei carri che passano. Pian piano la tua faccia diventa blu. Ti escono strani rantoli. Poi muori, soffocato dalla polvere della strada. Sonce nysenko wetschir bkysenko, spischu do tebe... Se ricevi una raffica di mitragliatrice nel ventre, cadi come un masso, indietro. Mai in avanti. Poi tu ti sollevi e resti seduto, le gambe divaricate, piegato in due da un dolore atroce, cocente. Sei divorato interiormente. Non ti rendi subito conto che stai per morire. Dopo tre ore soffri una sete spaventosa, ma non avrai niente da bere. I feriti al ventre non devono mai bere. Uno dei tuoi camerati ti medica; forse un infermiere ha abbastanza tempo per farti una trasfusione di
211 sangue, e prolungare così le tue sofferenze di qualche ora. Se nella tua compagnia hai un amico vero, appoggerà la pistola alla tua nuca e premerà il grilletto. Ma un amico così, è una cosa rara, e questo lo chiamano un assassinio. Es ist so schòn Soldat zu sein! Rosemarie... Potrei raccontarti ancora tante altre cose. Una scheggia di granata nella rotula del ginocchio; un occhio strappato, che pende a un brandello di nervo e ti frega contro la guancia; la faccia fatta scoppiare da un frammento di granata esplosiva. Gli organi genitali conficcati nel ventre; la metà della lama di un pugnale fra le costole; braccia e gambe strappate via' in un campo minato; la parte inferiore del corpo schiacciata sotto i cingoli di un carro; arrostire nell'olio in fiamme; un proiettile nei polmoni o nei reni. Tu mi chiedi perché ti racconto questi orrori che ti danno la nausea. E necessario. Tu devi sapere. E così meraviglioso essere un soldato! Rosemarie... Al fronte non ci sono né trombe né tamburi. Tu supplichi di volta in volta Dio e il demonio di aiutarti... senza risultato. Hanno tutti e due tante cose da fare in una guerra. Tu mi dirai: perché Dio lia permesso tutto questo? Glielo rimprovererai. Ma Dio non l'ha permesso. Dio ha dato agli uomini la libertà, compresa quella di fare la guerra. Un ladro e un assassino non possono rimproverare alla polizia il fatto di essere un ladro e un assassino. Così non puoi rimproverare a Dio la guerra. Abbiamo sostituito i paracadutisti. Erano sfiniti. Non ci hanno neanche salutato quando se ne sono andati, in formazione di marcia. Avevano un pensiero solo: andarsene. Un'ora dopo abbiamo subito il primo attacco. Erano dei nippo-americani. Ci rotolavamo per terra in forsennate, terribili lotte a corpo a corpo.
212 Il piccolo legionario e io siamo riusciti a montare una mitragliatrice. Abbiamo vuotato la carica lungo la trincea. Questo ha provocato perdite dalle due parti, ma che fare? Bisognava obbligare i gialli a uscire e ci siamo riusciti. Grazie al piccolo legionario. Levò la mitragliatrice dal supporto, la strinse contro il proprio fianco e tuonò il suo: « Allah-el-akbar! Vive la Legioni En avant, en avanti » Lo seguimmo come avevamo fatto tante volte in Russia, persino Mike. Fratellino afferrò una vanga da fanteria, acciuffò un nippoamericano per la caviglia e gli fracassò il cranio contro una roccia. Qualche minuto più tardi si ritiravano, in preda al panico. Abbiamo trovato Barcellona in un bunker, con una coltellata nel ventre. Il suo aggressore giaceva in un angolo, con il cranio spaccato. Barcellona fu spedito nelle retrovie con le salmerie. Ci è costato sei sigari, un orologio, tre sigarette oppiate e dodici fotografie francesi. Il prezzo era alto, ma Barcellona era un buon amico. Il medico gli diede una forte dose di morfina. Così c'era un uomo in meno nella squadra. Proprio prima di partire regalò al Vecchio Unno la vecchia arancia rinsecchita che aveva portato dalla Spagna. Aveva un'idea fissa: non avrebbe potuto succedergli niente finché l'arancia fosse rimasta alla Quinta compagnia. Il Vecchio Unno dovette giurare sul crocefisso, preso in prestito dal cappellano, che avrebbe tenuto l'arancia nella sua tasca destra fino al ritorno di Barcellona. Poi egli ci salutò, dalla sua barella di fortuna: un cappotto fra due fucili. Li abbiamo seguiti tutti con gli occhi finché ebbero superato la voragine della morte. E stata quella notte che abbiamo preso il bambino. Attraversava il fiume e cadde fra le mani di una pattuglia. Impossibile farlo parlare. Perquisito nel bunker dello stato maggiore, si trovarono nelle sue tasche delle sementi di varie specie;
213 niente altro. Interrogato, finì col dire di chiamarsi Gigi, un diminutivo comune a migliaia di bambini italiani di dieci anni. È venuto l'ufficiale del servizio informazioni della divisione in persona, ma neanche lui ha potuto cavarne qualcosa dal ragazzetto. Lo hanno spedito nelle retrovie con una pattuglia. La sera siamo venuti a sapere che lo avevano fucilato. Avevano scoperto il significato dei semi: il grano, erano dei carri; il granoturco, dei cannoni; i semi di girasole, delle mitragliatrici; i semi di mela, dei reggimenti. A dieci anni il piccolo era la migliore spia d'Italia. Aveva visto il padre e la madre uccisi in un vicolo di Roma. Il suo odio per i tedeschi era tale, che aveva tagliato lui stesso la gola a un gendarme. Due giorni dopo gli americani hanno chiesto notizie del bambino. Gli abbiamo detto quello che sapevamo. Ci hanno maledetto e per rappresaglia hanno ucciso cinque dei nostri. Nella voragine della morte da otto giorni una contadinella era impiccata a un albero. L'avevano sopresa mentre cercava di sotterrare delle mine. In riva al fiume erano seduti due soldati, schiena contro schiena, legati insieme col filo spinato. Erano stati presi lontano, dietro la linea del fronte. I cacciatori di teste li avevano portati fin là e gli avevano tirato un colpo nella nuca. Si sono gettati i cadaveri il più vicino possibile alla trincea degli americani, per impressionarli. Incominciavano già a imputridire, non avevamo il diritto di sotterrarli. Adesso non li vedevamo più; facevano parte del paesaggio, come il vecchio salice che stava per cadere nel fiume. Il nostro istinto ci metteva in guardia; il sicuro istinto del combattente al fronte. Senza che ce ne avessero dato l'ordine abbiamo incominciato a scavare delle buche individuali, la miglior protezione del fante contro i carri armati. I granatieri del 134° ridevano di noi. « Qui non verranno carri. Voi delle formazioni corazzate, ne vedete dappertutto! »
214 « Va' a farti friggere », brontolò il piccolo legionario. « Ne verranno. Vedrete! » E vennero. Nel momento in cui meno ce l'aspettavamo, subito dopo mezzanotte. Accesero i loro proiettori, mettendo in fuga i granatieri come tante lepri. Siamo corsi fuori delle trincee e siamo saltati nelle nostre buche individuali. Poi abbiamo falciato le prime ondate della fanteria e abbiamo messo fuori combattimento un carro dopo l'altro. Trentasei bracieri ardevano nella notte. Dieci carri poterono rientrare. Molto prima che l'attacco finisse, Porta e Fratellino erano andati a caccia di denti d'oro. Avevano sentito dire che i nippo-americani ne erano particolarmente ricchi. Sono rimasti crudelmente delusi: soltanto nove denti. Hanno deciso di tentare la sorte ancora all'alba. Nell'oscurità potevano averne dimenticati. Per la ventesima volta almeno, Mike li minacciò della corte marziale. La cosa non faceva loro né caldo né freddo. Niente poteva fermarli. Fratellino mi fece vedere con orgoglio un pezzo scelto, un enorme canino. Ci fecero avanzare fino alle nuove posizioni a quota 593. In faccia a noi si trovava la Trentaquattresima divisione del Texas. Potevamo vedere fino a Rocca Janula, dove piovevano le bombe. Mike passò ore intere con gli occhi incollati al binocolo. Cercava qualche vecchia conoscenza. Il Centotrentatreesimo fanteria americano era in posizione di fronte a noi, un po' a sinistra. Era con loro che Mike era andato a scuola. Sentivamo che Mike si preparava a macchinare un brutto tiro. Odiava quel reggimento. A un tratto riconobbe qualche faccia. Spingendo da parte l'osservatore di artiglieria afferrò il telefono e chiese del comandante dell'artiglieria. Il tenente Frick tentò di impedirglielo.
215 « Non lo fare, Mike. Ci schiacceranno! » Mike scoprì la sua dentatura da lupo e si mise in bocca uno dei suoi grossi sigari. « Non seccarmi! Questa è la mia guerra personale. Son anni che penso a questo momento. » Chiamò Porta, che andava gironzolando con un arco di due metri, che aveva trovato al fianco di un americano morto. Mike gli indicò un bersaglio: « Vedi quei tre cespugli di fianco allo roccia, laggiù? » Porta fece segno di sì. « Un po' a destra », continuò Mike, « trovi una apertura. La vedi? » Porta guardò con il binocolo. Fischiò. « Trovato. Un bunker d'osservazione. » Mike sghignazzò, masticando il sigaro. « Proprio no. È il loro bunker dello stato maggiore. C'è un porco là dentro, che era con me alla compagnia F. Saresti capace di mandare una freccia fin là, con un messaggio? » « La cosa non è impossibile », disse Porta. Mike strappò rapidamente un foglio da un taccuino e scribacchiò: « Joe Dunnawan, ti ricordi di Michael Braun? Eravamo insieme a Shuffield Barracks. Mi hai fatto la spia, Dunnawan. Per colpa tua mi hanno sbattuto fuori. Adesso io sono ufficiale. « Ci prepariamo a venire a tirarti la pelle del deretano fino alle orecchie. Abbiamo un conto da regolare noi due, Joe. Dio mi è testimonio che ti ritroverò, anche se ti nascondi al gran quartier generale del generale Clark! « Esattamente fra tre minuti manderò un rovescio di granate. Vatti a nascondere, Joe, o ne sarai stritolato. La cosa mi addolorerebbe: ti voglio vivo. Perdio, Joe, strillerai come strillavano tutti nella prigione della caserma, quando Una Gamba Sola, il comandante, ci somministrava la frusta. « A presto, Joe. »
216 MIKE BRAUN Comandante di compagnia Porta fissò la lettera sulla freccia, tese la corda e prese con cura la mira. La lunga freccia prese il volo. Mike mise in moto il suo cronometro, si precipitò al telefono e con un riso sardonico diede gli ordini alla batteria di obici pesanti. Poi chiamò la batteria lanciagranate 1. Porta aveva scoccato la sua freccia esattamente da tre minuti, quando incominciò a sentirsi un rombo, come se centinaia di locomotive corressero sopra le nostre teste. Automaticamente ci siamo messi in ginocchio. Un muro di fuoco, di terra e di pietre si è alzato sopra le trincee nemiche. Erano gli obici: dieci salve. Cinque secondi dopo entrava in azione la batteria lanciagranate. Gli obici erano terribili, ma erano un gioco a confronto delle granate da 300 mm. con le loro lunghe code di fiamma. Li avevamo già visti all'opera e ogni volta ci nascondevamo in fondo alla trincea. Sapevamo che la batteria aveva tre lanciagranate e che ognuna di esse aveva sei bocche. Tre volte sei di quelle temibili macchine, e tutto questo perché Mike ce l'aveva personalmente con un individuo. Mike era seduto in fondo alla trincea e sogghignava. Dopo l'attacco dell'artiglieria, un silenzio sinistro. « Attenzione », avvertì il tenente Frick. « Rispondono. » Per un quarto d'ora ci hanno lanciato granate di ogni calibro. Poi fu di nuovo il silenzio. Mike se ne stava nel suo bunker, a macchinare qualcos'altro. Appena scesa la notte furono chiesti dei volontari per una ricognizione. Una pattuglia d'assalto, dicevano. Ma tutti avevano sentito parlare della guerra personale di Mike. Nessuno si è fatto avanti. Mike ci trattò da pulcini bagnati, da rammolliti. Ce ne infischiavamo. 1
Nebelwerfer.
217 « Mi metto io alla testa della pattuglia! » assicurò Mike. Come se questo cambiasse qualche cosa! Mike non ci ispirava fiducia come capo di una pattuglia notturna. Non osava designarci d'ufficio. Se il colpo fosse andato male, la cosa avrebbe potuto avere conseguenze sgradevoli. Quelli di fronte non erano precisamente dei chierichetti. Non volevamo uscire in pattuglia quella notte. Eppure Mike arrivò a promettere sessanta sigarette oppiate e il permesso di cercare i denti d'oro a Porta e a Fratellino. Faceva tutto quel che poteva: promesse, minacce, ma niente da fare. La mattina dopo gli americani incominciarono a prendersi gioco di Mike. Ci lanciarono un vecchio stivale rotto che conteneva un topo morto. L'allusione era chiara. Poi hanno urlato nel loro microfono: « Non ti abbiamo dimenticato, Braun. Mai una peggiore canaglia ha portato l'uniforme americana. Sei davvero al tuo posto, con i kraut. Ti aspetto. Non aspettare troppo a venire. Mike Braun, comandante del mio sedere, noi promettiamo ventimila dollari e tante sigarette quante ne possono portare due uomini, agli uomini della tua compagnia disposti a accorciarti e a mandarci la tua testa. E se non lo fanno loro, ce ne incaricheremo noi! » I loro commando sono rimasti tutto il giorno in posizione e ci hanno ammazzato undici uomini. Un po' dopo mezzanotte hanno fatto fuori le nostre sentinelle. È soltanto grazie al piccolo legionario che non sono arrivati fino alle nostre trincee. Usciva dal bunker per soddisfare un bisogno naturale, quando intravide alcune ombre che correvano. Ha tirato immediatamente. Ci sono voluti dieci minuti di combattimento accanito prima che se ne andassero, e ci è costato ancora dieci uomini. Ne avevamo abbastanza; che regolassero le loro faccende con Mike da solo. Noi non c'entravamo per
218 niente. Avevano passato il segno. Mike si fregò le mani per il piacere quando il piccolo legionario gli disse che la pattuglia d'assalto era formata. Si voleva andare a cercare l'amico di Mike alle sette di sera, al momento del rancio. Sarebbero stati occupati a mangiare, e siccome era anche da noi l'ora di mangiare, si sarebbero creduti al sicuro per un bel po' di tempo. Era un'idea del piccolo legionario. Tuttavia c'erano delle difficoltà. Porta, soprattutto, che viveva soltanto per mangiare, protestava energicamente. Mike, non ne era entusiasta neanche lui. Ma il piccolo legionario la spuntò. Fratellino e Heide sforbiciarono il ferro spinato e veloci come il lampo siamo passati dall'altra parte. Ci siamo appiattiti nella buca di un obice proprio in faccia alle posizioni nemiche. Alle bombe a mano era stato tolto il coperchio del manico, ai mitra la sicura. Li sentivamo ridere. Con il cannocchiale a raggi infrarossi Mike individuò il suo amico. Con un mormorio diede a Fratellino l'ordine di aiutarlo a prendere Joe Dunnawan. Gli americani avevano l'aria di non pensare che a quello che mangiavano. Mike diede il segnale dell'attacco. Ci siamo lanciati in avanti. Una bomba a mano cadde su una gavetta che volò in aria. Gettavamo mine e bombe a mano nei loro rifugi e spazzavamo la trincea con i nostri mitra. La mischia si fece generale. Qualche minuto dopo siamo rientrati. Di passaggio avevamo potuto mettere fuori uso le loro mitragliatrici. Col fiato mozzo ci siamo gettati nelle nostre trincee. Mike era verde di rabbia. Fratellino aveva maneggiato troppo brutalrriente Dunnawan e lo aveva strozzato. Tutto quel che Mike poteva fare, era di caricare il cadavere di calci furibondi. La sua rabbia era al colmo, per l'impossibilità di punire Fratellino, perché era stata un'operazione assolutamente illegale.
219 I giorni successivi ci siamo divertiti a tirare al bersaglio, con l'arco e la cerbottana. Incominciava a piovere. Avevamo freddo nelle nostre divise mimetizzate. Guardavamo l'abbazia che sembrava un pugno minaccioso alzato sopra le nostre teste. Era una mattina molto presto. Improvvisamente, a sud-ovest, l'orizzonte si infiammò. Il cielo esplodeva. Si vedeva come una serie di alti forni. Le montagne vacillavano. Tutta la vallata tremava per la paura. Ottomila tonnellate d'acciaio precipitavano su di noi. Incominciò il più grande bombardamento d'artiglieria della storia; in un giorno solo caddero sulle nostre posizioni tante granate quante su Verdun durante tutta la battaglia, e questo senza sosta, un'ora dopo l'altra. I nostri rifugi crollavano continuamente. Con le nostre mani, coi piedi, coi denti, ci aprivamo una strada verso la luce. Ci eravamo trasformati in talpe. Ci stringevamo contro il muro della trincea, o piuttosto contro quel che ne restava. Un'artiglieria infernale, la più atroce che avessimo mai visto. Un carro da trentotto tonnellate fu proiettato in aria. Aveva appena preso terra sulla torretta, rovesciato, che la pressione dell'aria lo riportò alla posizione primitiva. Un'intera compagnia, che attraversava una trincea, fu sepolta viva in pochi secondi. Qua e là si vedeva spuntare la cima di un fucile. Era tutto. La notte scoppiarono i primi attacchi di pazzia. Li picchiavamo fino a quando avevano l'aria di capire. Non sempre riuscivamo a acchiapparli prima che si gettassero diritto nel fuoco. Era un inferno di acciaio bruciante. Il tenente Sorg perdeva sangue. Aveva avuto le gambe staccate. I nostri due infermieri erano stati uccisi. Uno fu schiacciato sotto una trave, l'altro tagliato in due da una granata esplosa davanti a lui. Stava appunto per andare a soccorrere il tenente Sorg. Fratellino ebbe il naso mezzo asportato. Il piccolo legionario e Heide lo hanno tenuto mentre
220 Porta lo ricuciva. La cosa avveniva in un angolo al riparo dietro un mucchio di cadaveri. E Continuato tutta la notte e tutto il giorno dopo. Le nostre batterie erano state distrutte da un pezzo; i nostri carri armati bruciarono, senza essere stati utilizzati. A un tratto fu finito, per riprendere dietro di noi. Tiro di sbarramento! Gli altri uscirono dai buchi e dai crateri degli obici: erano diavoli. Gridavano, urlavano. Sicuri della vittoria, si buttavano in avanti, convinti che non ci fossero sopravvissuti. Noi restavamo appiattiti nei crateri e dietro le rocce, con le mitragliatrici e i lanciafiamme. Ci hanno sorpassato di corsa. Facevamo i morti. Continuavano a arrivarne. Uno di essi diede un calcio al mio elmetto; la testa mi ronzava. Adesso vedrai, animale! Non ne uscirai vivo! Con la coda dell'occhio vedevo i loro piedi; lunghi stivaletti americani allacciati, ghette bianche francesi, mollettiere inglesi. C'erano tutti. C'era qualche negro, con il viso grigio per il terrore. Una voce rauca ordinò: « Avanti, avanti! » Una mitragliatrice si mise a sputare. Rotolai su me stesso, tirai fuori la mia dalla pozza di fango. Fratellino diresse il nastro. Caricare, fuoco! I proiettili penetravano nella schiena dei soldati in kaki. Li falciavamo. Cercarono di arrendersi; ma la morte faceva la sua mietitura. Li attaccammo alla baionetta e con le vanghe. Camminavamo sui cadaveri; scivolavamo sulle budella; strozzavamo i nostri simili con le nostre mani nude. Uccidi, soldato, uccidi per la patria e per la libertà., che non avrai mai! Con la vanga ho spaccato la faccia di un sergente negro. Il suo sangue mi schizzò. Mi gettai al riparo in un buco fangoso e profondo: qualche cosa vi si muoveva. Apparve un viso sotto un elmo piatto. Lanciai un grido di orrore, colpii con la
221 vanga, vuotai la pistola senza colpirlo. Egli si rialzò, gocciolante. Lo colpii al ventre. Si rialzò con una baionetta in mano. Feci un balzo, gli strappai la baionetta e calai più e più volte sulla sua faccia la mia vanga tagliente. Pro patria! Avanti, eroe, avanti con la tua baionetta e la tua vanga.
222 Abbiamo sistemato uno sbarramento in via del Cappuccino. L'idea era stata di Carl. Il vigile urbano ci ha dato una mano. Alle due estremità della strada abbiamo messo un mucchio di travi. Mario è andato a cercare le bocce; poi abbiamo giocato una partita. C'è stata, è vero, della gente che ha protestato, ma il vigile si è messo a gridare. Tutta la strada partecipava al nostro gioco. Ci divertivamo come bambini, a parte qualche baruffa con gli autisti dei tassì e i vetturini che non capivano perché la strada fosse sbarrata. Il silenzio era rotto soltanto dal rumore delle bocce. Tiravamo fn ginocchio; misuravamo e discutevamo accanitamente. La pioggia ci ha impedito di continuare. Non abbiamo levato lo sbarramento: avrebbe potuto servire il giorno dopo. Poi siamo partiti, diretti al bordello di via Mario de' Fiori, ma per strada abbiamo avuto una zuffa con un gruppo di bersaglieri. È stato davanti alla grande pasticceria di via del Corso. Abbiamo sfondato una delle grandi porte vetrate. Sono venuti i carabinieri; hanno preso soltanto i bersaglieri. Quanto a noi, ci eravamo rifugiati in un bordello. « Si sta bene qui a Roma », disse Carl.
223
IN PERMESSO A ROMA Parecchie volte l'autocarro rischiò di rovesciarsi nella buca di una granata. Sentivamo frusciare i permessi, nel taschino sul petto, sotto il tessuto ruvido della tuta mimetizzata. Erano pezzetti di carta che significavano quindici giorni di oblio, a Amburgo. Il maresciallo aveva parlato vagamente della possibilità di ottenere un permesso per l'estero. Il reggimento non ne concedeva. Se per caso fossi riuscito a farmene dare uno a Amburgo, sarei potuto andare a Copenaghen. Per fare che cosa? Continuare fino in Svezia, per farmi estradare dagli svede si? Perché erano diventati specialisti in materia. Tre giorni prima avevamo passato per le armi due aviatori che avevano disertato da Roma e erano arrivati in Svezia, fino a Stoccolma. Avevano fatto ritorno con le manette ai polsi, scortati fino a Hàlsinborg dalla polizia svedese, che li aveva consegnati alla gendarmeria militare. Noi li abbiamo giustiziati: un plotone del reggimento corazzato disciplinare. Uno di essi urlava maledizioni contro la Svezia. « Dove vai? » mi chiese un anziano signore caporalmaggiore con le spalline bianche della fanteria. Lo guardai senza rispondere. Non ne avevo voglia. « Ti ho chiesto, dove vai? » ripetè, da contadino ostinato. « Che cosa te ne frega, vecchio imbecille. Ti ho chiesto dove vai, tu? » « Ti meriti una buona punizione, figliolo. Potrei essere tuo padre ! » « Avanti, allora! Sono pronto. » Mi liberai del cinturone e lo avvolsi attorno alla mano. Egli esitò, non riuscendo a capire la mia collera. Dovevo prendermela con qualcuno. E lui veniva a proposito. Se solamente avesse voluto fare la prima mossa, lo avrei ammaz-
224 zato. Lo avrei fatto in mille pezzi; e tanto peggio per le conseguenze. Provavo il bisogno di fare dei gesti disperati: dopo sarebbe andata meglio. Sessantadue ore nella torretta di un carro puzzolente di olio, c'era da diventare pazzi. Ero circondato da salmerie. Ma proprio in fondo vidi due marinai con le uniformi scolorite e sporche. I bottoni della loro blusa erano color verderame. Uno aveva perduto il nastro del berretto e con la miglior volontà del mondo era impossibile leggere che cosa fosse scritto su quello del suo compagno. Dai distintivi vidi che appartenevano ai sommergibili. Mi sarebbe ben piaciuto discorrere con loro e sentivo che la cosa era reciproca. Ma, come me, avevano paura di fare il primo passo. Forse non avremmo mai scambiato neanche una parola, anche se dovevamo fare cento sessanta chilometri insieme su un autocarro traballante. In mancanza di meglio mi misi a tagliarmi le unghie con la baionetta. Una cosa che avrebbe fatto sussultare Porta. Un vero soldato di prima linea non si cura mai le unghie. Quando Porta faceva un bagno, stava ben attento a non bagnarsi le mani per non sciuparne la patina. Fratellino non aveva di questi problemi, lui non faceva mai il bagno per principio: si seguiva la sua pesta per un giro di cinque chilometri. E per le pulci era il campione della divisione. Un granatiere del 433° aveva tenuto il record per quasi tre mesi, trecentododici pulci in due ore. Fratellino lo aveva battuto con trecentoquarantasette pulci in un'ora e mezzo. Lui e Porta avevano cercato di allevare una razza nuova accoppiando le pulci con una croce sul dorso alle pulci a righe. Disgraziatamente le pulci a righe mangiavano le altre. Fratellino era anche il solo di noi che avesse le zecche. Ne era molto fiero. Gliele avrebbero anche comperate, ma ne voleva troppo, venticinque grammi d'oro il paio. La storia delle zecche era incominciata con gli americani. Mentre andavamo di pattuglia di notte li avevamo sentiti
225 parlare. Un caporale dei marines sosteneva che uno non era un vero combattente finché non avesse avuto le zecche. Quando qualche ora dopo abbiamo attaccato la loro trincea, Porta ha tagliato la gola a quel caporale. Frugando nelle tasche del morto, Fratellino trovò una scatola di latta piena di zecche. Doveva darci non poche noie, quel caporale dei marines ucciso. Nel 1916 aveva combattuto nella Legione straniera nelle Fiandre. Il piccolo legionario era furibondo. Andò a prendere il cadavere, lo sotterrò nell'orto, dietro l'abbazia. Lui e Barcellona fabbricarono una croce. Seguì poi una gran discussione per decidere che cosa si dovesse scrivere sulla croce. La maggioranza era del parere di scrivere: caporale dei marines Robert Kent. Ma il piccolo legionario si batté; voleva: legionario di prima classe Robert Kent. Voleva anche dipingere di verde i bracci della croce, con il colore della Legione. Noi le volevamo rosse e blu: i colori della fanteria di marina degli Stati Uniti. Abbiamo finito col metterci d'accordo; un monaco esperto incise sulla croce: « Qui giace il legionario di prima classe Robert Kent del Terzo reggimento straniero, morto nell'uniforme dei fucilieri di marina degli Stati Uniti. Il Secondo reggimento straniero ti saluta. Viva la Legione! » La collera del piccolo legionario, il giorno dopo, fu terribile, quando vide che, approfittando della notte, qualcuno aveva inciso l'aquila americana al centro della croce. Per tre giorni lui e Fratellino hanno cercato il colpevole, senza trovarlo. A Roma avevo appena il tempo di prendere l'espresso per il Nord. Ma dovevo fare una commissione per il Guercio, all'ospedale militare. Un pacchetto da consegnare a una dottoressa. Cosa incredibile, il nostro generale era innamorato. Ero ansioso di vedere la sua bella. Se era come lui, non do-
226 veva essere un piacere guardarla. Persino Wallace Beery, il peggiore di tutti gli attori brutti, era un dio a confronto del Guercio. Era bella, straordinariamente bella! Ho sostituito il Guercio nel letto della signora! Un affare! Avevo le tasche piene di lettere, da far passare di nascosto, senza che la censura vi mettesse il naso. C'era da far accusare per alto tradimento tutta la compagnia. La lettera più pericolosa era quella di Porta a un amico disertore che si nascondeva da cinque anni. Con l'aiuto di un agente della polizia, aveva organizzato una « rete » per aiutare le persone in grado di pagare. Ma guai al povero diavolo che fosse caduto nelle mani di questa banda senza essere in grado di pagare! Porta era con loro in rapporti d'affari; quanto a noi, non sapevamo di che genere di « affari » potesse trattarsi. Dopo la guerra l'amico di Porta è diventato commissario di polizia in una città importante della Germania. Per paura di un processo per diffamazione, preferisco non rivelare il nome della città. L'autocarro arrivò a Roma e si fermò nel cortile di una caserma: una immonda prigione dai muri scoloriti. Si vedeva che i primi abitatori non c'erano più. Si trovavano nelle sabbie dell'Africa, o marcivano nei campi di prigionieri della Libia. Un maresciallo si mise a urlare. « Non rompetemi le scatole! » rispose uno dei marinai, scendendo dall'autocarro. L'uno a fianco dell'altro, il sacco in spalla, i marinai uscirono dalla porta della caserma ancheggiando. Li raggiunsi, ignorando le grida del maresciallo. Puzzavano di olio e di acqua di mare. Abbiamo camminato per un pezzo, con una breve sosta sulla scalinata di piazza di Spagna. In via Mario de' Fiori siamo entrati in un bar, una specie di
227 corridoio stretto con un banco lungo. Due puttane, che non avevano l'aria di novelline, si appoggiavano al banco di zinco. Un agente della stradale, con gli occhiali protettivi al collo, stava urlando. Aveva un sigaro all'angolo della bocca. L'uniforme era schizzata di fango. Quando ci vide tacque. Il padrone, un omone in canottiera, un tovagliolo attorno al collo, lavava pigramente un bicchiere. Il poliziotto mormorò a bassa voce: « Attenzione! Dei porci di tedeschi! » Uno dei marinai, il più piccolo, si diresse verso il poliziotto, la mano destra sulla baionetta. « Camerata », disse, « tu sei romano. Noi tre siamo tedeschi. Siamo brava gente e non facciamo del male a nessuno, a meno che ci si dia noia! Credo che il padrone, dietro il banco, sia d'accordo. Chiede soltanto quel che gli dobbiamo. Queste due signore sono signore per bene, quando gli si dà quel che si deve dare. » Si interruppe, levò la spada dal fodero, si ripulì i denti con la punta e si chinò proprio addosso al poliziotto. Il suo collo si tese; apparve una pelle rossa e bruciata. Il genere di pèlle che hanno i sopravvissuti quando vengono tolti all'ultimo momento da una camera piena di vapore. « Vedi, poliziotto », continuò, « nessuno di noi è un porco! » Lasciò andare la baionetta, calò il palmo della mano sul banco. « Dateci della birra! Tre quarti e un quarto di slivowitz! E dopo, champagne povero! 1 » Il padrone rise, compiacente. Poi si asciugò il ventre con il tovagliolo. « Volete riempirvi in fretta, eh? » 1
Metà birra, metà champagne.
228 Si grattò il didietro, poi con i denti levò il tappo a una bottiglia. Noi guardavamo i quadri dietro il padrone, ragazze nude, punteggiate dalle mosche, il genere a cui badano soltanto i nuovi venuti. I clienti non li guardavano più da un pezzo. Non avevamo ancora scambiato una parola. Era una cosa che non si faceva, prima di aver bevuto il primo bicchiere. Ci sono dei riti che si devono rispettare. Che cosa ci si può dire, se prima non si è brindato? Il padrone ci mise un quarto d'ora a preparare la nostra mistura. Si dava un gran da fare. Abbiamo brindato prima di fare una bella bevuta. Uno dei marinai, lungo come una pertica, ha offerto delle sigarette, delle Carnei. Si grattava fra le cosce mentre esaminava le due puttane. « Dobbiamo fare un salto all'ospedale », spiegò « Cari si è rotto qualche cosa. Uno di quei dannati siluri gli è andato addosso. E poi abbiamo bisogno di ungerci. » Aprì la blusa per farmi vedere la carne bruciata. « Abbiamo preso un colpo in testa vicino a Cipro. Eravamo in immersione da quarantott'ore. Il comandante ha perso la pazienza. Non ha voluto ascoltare il secondo, voleva fare il galletto. Ventun anni. Il nostro secondo 1 ne aveva quarantasette e l'esperienza di un vecchio lupo di mare! Quando lo abbiamo tolto dalla torretta, la carne non stava più sulle ossa. Olio bollente. Non abbiamo ritrovato il comandante. Completamente fuso. » Il marinaio giocherellava con la sua croce di ferro. « Trentasette di noi ci sono restati, ma siamo riusciti a riportare la barca. Grazie al capo meccanico. » « Perché gli racconti queste cose », esclamò il piccolo, che si chiamava Carl. « Brindiamo! » 1
Kapitànleutnant: tenente di vascello.
229 Ognuno di noi offri a turno. Anche il padrone del bar. Persino il poliziotto trovò grazia ai nostri occhi. Abbiamo vuotato il fondo dei bicchieri nella scollatura delle ragazze. Entrò un'altra puttana. « Otto, perdiana », mormorò Carl dando una gomitata a quello lungo. « Voglio offrirmela. Quanto potrà costare? Le darò cinquecento per una notte. » Incominciò a discutere il prezzo con la ragazza. Si misero d'accordo per cinquecento marchi e dieci pacchetti di Lucky Strike. Abitava al terzo piano. Otto e io li abbiamo seguiti. Il padrone ci ha messo qualche bottiglia di birra sotto il braccio. « Passerò a vedervi fra mezz'ora, quando chiuderò il negozio », ci gridò. Siamo saliti per una scala stretta, la ragazza in testa. Vedevamo, sotto la sottana, le mutandine rosse orlate di pizzo nero. Carl grugnì sottovoce e le pose la mano sulle cosce. « Mi piaci maledettamente! » Ridacchiando, abbiamo seguito al buio un lungo corridoio, urtando contro oggetti di ogni genere. A turno accendevamo i fiammiferi. Di tanto in tanto ci fermavamo per fare una bevuta. Dietro una porta si sentiva gemere una donna. Un uomo ebbe una risata oscena; un letto scricchiolò. Qualcosa cadde a terra: una bottiglia, senza dubbio! Otto guardava dal buco della serratura. « Sbrigatevi! » brontolò la ragazza, impaziente. « Perché vi fermate? Se non venite, vado a cercarne degli altri. La notte è corta. Ho premura. » (Gettò indietro i capelli neri e lucenti). « Allora? Volete, sì o no? » « Arriviamo », brontolò Otto. « Il tempo di bere un sorso. Non hai mai notato, Carl, come hanno sempre premura tutte
230 le puttane? Più di tutti gli uomini d'affari del mondo. Ricordi quella grande e magra, a Salonicco, che prendeva i clienti a due per volta? » « Non trattarmi da puttana », gridò la ragazza, che capiva un po' di tedesco. « Per te, marinaio, io sono una ragazza, puoi chiamarmi con tutti i nomi, ma non da puttana. » . « Bene, bene... » concesse Otto. « Andiamo a verificare il compasso. Come ti chiami? » « Lolita. » « Lolita. » Otto apprezzò il nome. « Lolita. Di' un po', Carl, hai mai fatto l'amore con una Lolita? » « Non ricordo. Lolita, facci vedere la tua camera! » « Dov'è che abbiamo fatto l'amore l'ultima volta, Carl? » Carl si grattò un orecchio soprappensiero. « Non è stato quando abbiamo fatto il pieno a Bona, o forse a Brest? » Otto rise. « Ma no, era a Trondheim. Tu sei scivolato per la scala e io ero incastrato nel cesso. Che notte! » « Che chiacchieroni siete », gridò Lolita dal fondo del corridoio. « Su, venite, facciamola finita! » « Non c'è bisogno che mi strapazzi », la rimproverò Carl. « Ti ho pagato per la notte e il modo di passare il tempo riguarda soltanto me. Chi ti ha detto che ho voglia di far l'amore con te? E se volessi semplicemente cantarti la ninna nanna? » Una bottiglia di birra scivolò dalle braccia di Otto, rotolò per il corridoio e cadde dalle scale. Nel tentativo di riprenderla lasciò andare le altre, perse l'equilibrio e capitombolò per le scale con un baccano assordante. Carl e io ci siamo precipitati a aiutarlo. Alcune porte si aprivano. Uomini e donne gridavano tutti insieme, come soltanto gli italiani sanno gridare. Un ometto, al fianco di una donna enorme, ci promise di bastonarci, ma alla vista di Otto
231 si ritirò precipitosamente e si barricò dietro la porta con l'aiuto di un cassettone e di un bidet. In fondo alla gabbia delle scale apparve il padrone. Il suo corpo brillava di sudore. Aveva in mano un manganello. « Perbacco! Accidenti! Vi danno delle noie, ragazzi? Li metto a posto io ! » « No, no, ho soltanto perso la mia bottiglia », rispose Otto. « Si è rotta? » urlò il grosso padrone. « No, per fortuna no, ma che porcheria di una scala! Mi ricorda Nagasaki. Anche là c'era una porca scala. E stato la notte quando ho preso la sifilide con una giapponese che aveva soltanto tre dita al piede destro. » «Sifilide! » urlò Lolita. «Grazie, cosa da poco per me. » Scappò lungo il corridoio e si sentì sbattere una porta. « Che imbecille! » imprecò Carl. « Che bisogno avevi di parlare della tua sifilide? Non capisci, Otto, che queste sono cose strettamente confidenziali? Forse che io parlo dello scolo che mi hanno rifilato al Pireo? È colpa tua, Otto. Sei stato tu che hai voluto entrare in quel dannato bar. Se avessimo puntato sulle call-girls, come avevo proposto io, non sarebbe successo niente. » « Lo sai, tu, se son tutte pulite, le call-girls! » si difese Otto. « Se è un periodo che hai la iella, prenderai tutto quel che devi prendere, anche se vai a fornicare con una principessa in un castello. » Ci siamo seduti sugli strétti scalini per aprire qualche bottiglia, poi siamo risaliti lentamente, facendo una sosta a ogni pianerottolo per bere la birra. « Non vale più niente, la birra », brontolò Otto. « Ha sapore di birra, si chiama birra, costa come la birra, ma è acquetta. Quando la birra incomincia a diventare cattiva, è ora di far finire la guerra. Non si può fare la guerra senza la buona birra. » « Siete del servizio attivo? » chiesi.
232 « Certamente! » borbottò Carl. Sputò sul muro. « Siamo stati a scuola insieme, Òtto e io, e abbiamo preso insieme le bastonate. Nel 1924 ci siamo arruolati nella marina. Era il solo lavoro fisso che ci potessero offrire. Abbiamo firmato per dodici anni: perché dividere la vita a pezzettini? Ecco tutto. » « E siete soltanto marinai? » chiesi stupito. « Avremmo potuto diventare da un pezzo primo nostromo, se avessimo voluto », rise Otto. « Ci hanno degradato cinque volte. Troppe storie di sottane, troppa birra... e troppi ufficiali idioti. Ma fino a questa puttana di una guerra ci siamo ben divertiti. Adesso siamo i soli sopravvissuti dei trecentosettantacinque allievi della vecchia scuola sommergibilisti di Kiel. » « Che cosa farete, quando avremo perso la guerra e la marina sarà stata sciolta? » «Tu parli, parli, caro mio!» Carl scosse la testa. « Non si scioglie la manna. Voi sì, vi mandano al diavolo. Certo, ci leveranno i nostri sommergibili per un certo tempo. Dragheremo le mine. L'abbiamo già provato. Tutti ci vorranno bene. Berremo la birra gratis quando saremo in porto. Le grane saranno tutte per voi, quelli dei carri armati. Se vuoi un buon impiego, iscriviti a un corso di dragamine. Sarà molto utile dopo. Vivrai come un re. » Otto aveva trovato la porta di Lolita. La minacciò di sparare sulla serratura se non avesse aperto. Per farle capire come fosse seria la situazione, caricò rumorosamente la pistola. « Allontanati dalla porta, sparo », urlò. Due chiavistelli furono tirati e Lolita rovesciò un fiume di insulti. All'altra estremità del corridoio si aprì una porta e una ragazza accogliente ci propose di entrare. Otto rimise nel fodero la pistola. Lolita era dimenticata, non era mai esistita.
233 Ci presentammo e ci stringemmo la mano. Si chiamava Isabella. Aveva un'intera botte di birra vicino al suo lavabo; al soffitto erano appesi dei boccali. Otto si spogliò immediatamente. Aveva grossi buchi nei calzini e macchie di muffa sui pantaloni. Ci fece vedere gli stivali. « Impossibile asciugarli! Abbiamo dovuto fare a piedi gli ultimi metri. La barca dei viveri non poteva accostare. Che vita da cani! » Isabella si levò il vestito e apparve in un pagliaccetto nero. Le abbiamo espresso la nostra ammirazione. Carl e io ci siamo seduti sull'orlo del letto, ognuno con un boccale di birra in mano. Otto e Isabella si azzuffavano dolcemente. Non erano d'accordo su qualcosa. Ma finalmente lei capitolò. Dovemmo spingerci un po' da parte, io e Carl. Poi ci furono altre difficoltà. Era il preservativo che non le piaceva. Dovetti andare a cercarne uno nell'ultimo cassetto del cassettone. Cari fornì alcuni particolari sulla vita a bordo delle navideposito in cui si consegnavano i prigionieri. « E stato quando ero a bordo di una di queste navi, che mi sono preso la puttana più formidabile della mia vita. Una negra, che aveva davvero il fuoco in corpo. Un temperamento diabolico. E muoveva il ventre, caro mio, non ti dico altro! » Otto si rialzò, con l'aria soddisfatta. Fu la volta di Carl. Continuò il suo racconto mentre si toglieva i pantaloni. « E mentre la prendevo, mangiavo il caviale col cucchiaino. Ti darò cento marchi, se lo fai alla francese », disse rivolto a Isabella. « D'accordo, come vuoi. » « Ho tentato di portare la negra a bordo, ma il vecchio ci ha visto proprio mentre stavamo per infilarci dal controboccaporto. Mi è costato dodici giorni, ma far l'amore con quella
234 una volta sola valeva bene dieci volte dodici! Hai un bel corpo », sospirò pizzicando Isabella. Otto gettò il preservativo usato dalla finestra e mise a asciugare gli stivali vicino alla stufetta. « Di un po', Sven, se passassimo qualche giorno insieme? L'ospedale può anche aspettare! Sono del parere che dovremmo fare il giro di questo posto, dove viene in vacanza il gran mondo. Conoscere Roma fa parte di una buona educazione. » Dissi di sì, pronto a sacrificare qualche giorno prezioso del mio permesso. « Mi hanno parlato di un'osteria straordinaria. Ho l'indirizzo. » Bussarono rudemente alla porta. « Che cosa c'è? » urlò Isabella con voce irritata « Via di qua! » « Non urlare a questo modo, perdio! sono io, Mario », disse le voce roca del padrone del bar. Otto aprì. Mario entrò, con una cassa di birra sulla schiena. « Vi ho portato qualche bottiglia, per il caso che aveste sete », spiegò posando la cassa in mezzo alla stanza. (Diede una botta sul sedere di Isabella). « Hai del lavoro, eh? » rise. Gettando indietro la testa vuotò una bottiglia di birra fino in fondo. Cari aveva finito. Otto aveva voglia di ricominciare. Divaricò le grosse cosce della ragazza. « Ecco il riposo del guerriero ! » disse mettendosi sulle spalle le ginocchia della ragazza. « Non senza il preservativo », gridò Isabella. Dovetti tornare un'altra volta al cassetto. « Spero che le vostre carte siano in regola », disse Mario. « Fra un'ora passa la polizia militare! » « Non ho paura di niente », dissi spensierato. « Il tuo permesso è valido per Roma? »
235 « No, Amburgo. » « Allora ti imbarcheranno. Non devono trovarti qui. Bah! non importa. C'è tempo. C'è una vecchietta che abita nella cantina. È cieca, ma ha un orecchio straordinario. Appena li sentirà, spaccherà una bottiglia contro il muro del cortile. » Otto era stanco. Isabella era a cavalcioni sul bidet. Questo mise delle idee in testa a Mario. Non persero neppure tempo per andare fino al letto; si misero per terra. Nessuno se ne risentì. Perché? Isabella faceva il suo mestiere e noi eravamo i suoi clienti. Mario sudava. « Uff », ansimò. « Non sono più allenato. Bisogna che lo faccia più spesso! » « Puoi venire da me quando vuoi, se hai da pagare. Altrimenti, tutto chiuso », spiegò Isabella. « Ne vuoi anche' tu? » chiese Isabella rivolgendosi a me. « Vieni allora, intanto che sono in forma! » Dapprima cercai di sottrarmi. Gli altri lo presero per timidezza e mi diedero una mano. È meglio che non dica come, mi potrebbero applicare la legge contro la pornografia. In piena azione Carl ci interruppe: « Fa' vedere il tuo braccio! Non avrai un marchio spero? » Macchinalmente liberai l'avambraccio. Poi presi fuoco. « Porci! Che cosa ve ne frega? » Presi un vaso da notte pieno a metà e lo scagliai contro Carl. Questi si abbassò e il vaso colpì Mario in pieno viso. Fu l'inizio di una zuffa epica. Persino Isabella vi partecipava. Dal fondo del cortile salì il rumore di una bottiglia che veniva spezzata contro un muro. Passi rapidi per le scale. Scarponi chiodati che cercavano di non far rumore. Mario ebbe un balzo. « Eh! ragazzi, sono qui. La cieca li ha sentiti. Uscite sul cornicione. Sbrigatevi! » Ero già sotto il letto, ma ne fui subito tirato fuori per i pie-
236 di. « Cretino », sibilò Isabella. « È il primo posto dove guarderanno. » Mario ci spinse fuori dalla finestra. « Fuori, pezzi di imbecilli! Non fate storie! Chiuderanno il bar e tutto il bordello, se vi trovano. Maledetti tedeschi! Per quel che mi riguarda, potete cavarvela come volete, ma levatevi dai piedi, a noi romani! » Avevo la pistola fra i denti e due bombe a mano attorno al collo. Fui preso dalla vertigine quando guardai in basso. Carl era proprio dietro di me. Aveva dimenticato i calzoni e rideva stupidamente. I marinai gettarono i sacchi giù nel cortile. Non eravamo noi soli nella casa a aver noie. Eravamo rannicchiati sul cornicione come grappoli. « Non guardate in basso », ci consiglio Isabella. Come avevo paura! Ricercato dai miei. Sia maledetta la polizia di tutti i paesi. Perché la vita è così complicata? Che cosa avevamo fatto? Una notte di libertà; tutto qui. E ci davano la caccia come se fossimo assassini. « Le mie giberne e il mio berretto sono rimasti dentro », sussurrai agitato. « Idiota », sibilò Carl dando una pedata alla finestra. Apparve Mario. « Perdio, che banda di idioti siete voi tedeschi! » ci passò gli oggetti dimenticati. Due minuti dopo si sentirono quelli della polizia che sfondavano le porte. Ingiuriavano Isabella, picchiavano Viario, sputavano sull'Italia. I.a finestra fu fatta a pezzi. Ci siamo incollati al muro, trasformandoci in mattoni silenziosi. Se ci avessero trovato sarebbe stata la morte certa. Nessuna spiegazione ci avrebbe salvato.
237 Tolsi la sicura alla pistola. Carl aveva fra i denti il nastro d'una bomba a mano. Alla luce che veniva dalla camera vidi una faccia di granito sotto un elmetto lucente. Il fascio di luce di una lampadina tascabile spazzò il cortile. « Gesù caro, se ci sei, aiutaci, soltanto per una volta! Domani andremo a messa! » Oh, Dio mio, come ho pregato! I gendarmi urlavano. Qualcuno gridò. Colpi di randello sulla carne. Rintronò un colpo di pistola. Si ruppero dei vetri. Imprecazioni. « Piglialo, quel porco », ordinò una grossa voce. Gli scarponi chiodati scesero rumorosamente le scale. Avrebbero trovato quello che aveva sparato? Gli avrebbero rotto le ossa a una a una. Non si spara impunemente su uno della polizia. Si sentirono rombare i motori degli autocarri nella strada silenziosa. Se ne andarono; con la loro preda di quella notte. Un centimetro dopo l'altro procedevamo lungo il cornicione stretto. Poco prima di rientrare dalla finestra, Otto ci mise in guardia: « Attenzione, potrebbe essere una falsa partenza! » Ero senza fiato. Il mio cervello non funzionava più. Una delle mie unghie si ruppe. Il pezzetto non si era staccato del tutto e mi dava terribilmente fastidio quando muovevo le dita. Si aprì di nuovo una finestra. Si sporse un elmetto lucente. Si sentiva camminare sul tetto. Abbiamo smesso di respirare, tutti e tre. Poi Mario e Isabella apparvero alla finestra e ci aiutarono a rientrare. « Sarete la mia rovina, maledetti tedeschi » 1 imprecò Ma1
Quando andai a trovare Mario dopo la guerra, mi raccontò che
238 rio. « L'abbiamo scampata bella. » Era inondato di sudore. « Se mai mi capita di incontrare uno di quei tipi, lo strozzo con le mie mani. Domani andrò a messa; non perché ci creda, ma non si sa mai. » Si asciugò la fronte. « Rita, quella idiota, aveva un amico nascosto nell'armadio. Un inglese, scappato da un campo di prigionieri tre mesi fa. Lo avevo già sbattuto fuori una volta. Gli avevano procurato dei documenti italiani. Avrebbe potuto cavarsela, se soltanto non si fosse nascosto nell'armadio. Anche un bue sospetterebbe di un individuo nascosto in un armadio! » La stanza si riempì di gente che parlava; una vera torre di Babele. Eravamo accatastati sul grande letto. La maggior parte rideva per il sollievo. Ma in un angolo c'era una ragazza molto graziosa, con una faccia priva di ogni espressione. L'inglese era il suo amico. « Lo hanno trascinato per i piedi giù dalle scale », mormorò. « La testa batteva su ognuno degli scalini. » L'agente della stradale, che avevamo conosciuto precedentemente quella sera, le tese una bottiglia di acquavite; rifiutò mormorando parole indistinte. « Dove hanno trovato Heinz? » chiese un ometto dal naso a punta. « Sotto il lavabo », spiegò un donnone con gli occhi rossi. « Stavano andandosene, quando uno di loro si voltò e puntò la lampadina tascabile sotto il lavabo. Non era arrabbiato. Si è messo a ridere e ha detto a Heinz: 'Vieni, piccolo. Deve essere triste starsene da solo là sotto!' Heinz deve aver perso la testa. Ha preso la pistola e gli ha tirato un colpo nel braccio. Sono arrivati gli altri: hanno ammazzato Heinz col calcio dei fucili. Poi l'hanno fatto scendere a calci, come un pallone. » « Sei sicuro che Heinz è morto? » chiese Mario tra due sorpiù tardi aveva avuto le stesse noie con gli americani, come con i tedeschi. (N.d.A.)
239 si, La grassona fece segno di sì con la testa. « Detesto la polizia », disse Otto convinto. Stava per precisare il suo pensiero, ma fu interrotto da Carl. « Chi se ne infischia! Viva la guerra! La pace sarà lunga e terribile! Non hai donne, birra e buoni amici? La polizia se n'è andata! Che cosa vuoi di più? » Isabella mise un disco. Ballavamo quel che volevamo senza preoccuparci della musica. Una ragazza ne uscì con un occhio nero. Viario spaccò una bottiglia sulla testa del poliziotto. Pisciavamo dalle finestre. Per le ragazze non era tacile; si doveva tenerle perché non cadessero. Nessuno voleva andarsene dalla stanza, per paura che si facessero cose interessanti durante la sua assenza. Il poliziotto e una ragazza presero la grave decisione di lasciare questo mondo. Si prepararono al suicidio. Li aiutammo a riempire la vasca da bagno, poi tenemmo per un certo tempo le loro teste sotto l'acqua. Bruscamente cambiarono parere. Carl si arrabbiò e picchiò le loro teste uno contro l'altra, trattandoli da idioti, senza carattere. In terra e fin sulle scale erano sdraiate le coppie. Mario mise i suoi piedi sporchi sulle mie reni in movimento. Non perché volesse darci noia, a me e a Anna, ma perché non poteva metterli da nessun'altra parte. Con la testa sul grosso seno di Luisa, si mise a cantare: Du hast Gl'ùck bei den Frauen, Bel Ami, gar nicht elegant, gar nicht charmant... Era un urlare, piuttosto che un cantare. Durante le pause faceva una bevuta. La sua canottiera era risalita, e metteva a nudo un tratto di ventre peloso. Otto e una ragazza, che avevano passato un certo tempo
240 sotto il letto, ricomparvero. Con un piede nudo e non troppo pulito, Otto respinse la ragazza là dove era stata e sedette con la schiena contro il letto. Una ragazza gli accarezzò le spalle con le lunghe gambe nude. Egli l'attirò sulle ginocchia e intonò: Wir lagen vor Madagaskar, und hatteri die Pest an Bord... Due ragazze dell'aristocrazia con i loro amici vennero a mescolarsi alla compagnia. Erano stanche dei tappeti orientali e dei bicchieri di cristallo. Volevano vedere delle unghie nere, sentire delle parolacce. Una di esse raccontò che sua madre si era uccisa, avvelenata con il suo amante. « Anche mia madre era una puttana », disse Carl. « Vuoi fare l'amore con me'? » propose. Lei gli si gettò al collo e si misero all'opera nel corridoio. Otto arrivò vacillando, appoggiato a due ragazze in gamba. « Non ridatevi della gente del bel mondo », gridò puntando un dito accusatore su uno dei nuovi venuti. « Mentono come respirano. Non sono dei nostri. Sono dei comunisti! » La seconda delle ragazze eleganti si mise a ridere. Si aggrappò al mio collo. Otto volle aiutarmi a sfilare la chiusura lampo. Risultato: il vestito si spaccò da cima a fondo. Carl cantò: Die Neger in Ajrika sìe rujen alle laut: wir wollen heìm ins Reich! « Sei comunista? » tuonò Otto a un amico delle ragazze. Questi fece cenno di si. Alzando il pugno chiuso urlò qualcosa come: « Fronte rosso ». « Che ragazzino! » ringhiò Otto. Togliendosi di tasca una pistola P. 38, continuò: « Scendi in strada, prendi uno della
241 Gestapo o della polizia e ammazzalo con questa! Non avrai il coraggio di farlo, piccolo stronzo da salotto! Vi conosco! Bah! Un vecchio villanzone romano vale più di dieci di voi. » Tutti ascoltavano. Otto continuava a malmenare il giovane. Era il tipico marinaio di sommergibile, che detesta tutto quel che sa di grossa borghesia. Alla parola intellettuale vedeva rosso. Il giovane uscì, con la pistola in tasca. Una coppia cercò di trattenerlo. La ragazza di prima stava ritornando. « Togliti la divisa e vieni con me », mi propose. « Presto la guerra sarà finita. » L'accarezzai; si rovesciò sul letto. Mi gettai su di lei, mordendola. Otto continuava a brontolare. « Comunisti! Ah, no! Capitolano appena vedono un poliziotto della riserva con la croce uncinata sul sedere! » Dappertutto gocciolava la birra. Una delle ragazze vomitò. A un tratto scoppiò un litigio tra Mario e il poliziotto, che si accusavano reciprocamente di aver rubato una birra. Poi tutto si sistemò. Ero coricato sul letto con Elisabetta. Avevo la testa pesante; avrei voluto esser morto. Otto era inginocchiato davanti al lavabo. Carl e Rita discutevano, seduti nell'armadio. « Su, banda di ubriaconi », disse Viario impaziente. « Vestitevi. Si va a messa. Gli altri sono già andati. » La chiesa di Sant'Andrea era tresca. Ci siamo sistemati tutti insieme, su due banchi. Le facce avevano un'espressione di raccoglimento. Pian piano ci avvicinammo all'altare. Otto offrì un sorso di acquavite a Carl; non avevamo l'abitudine di andare a messa, evidentemente dovevamo farci coraggio. Ci siamo inginocchiati con gli altri. Ho alzato gli occhi al crocifisso e ho mormorato, quasi mio
242 malgrado: « Grazie, Gesù, per quel che avete fatto questa notte, quando è venuta la polizia! Aiutate quelli che hanno preso! » Un raggio di sole colpiva appunto il suo viso. Che aria stanca aveva! Sentii una mano sul braccio; era Mario, che puzzava di birra. « Vieni, Sven. Dormi? » « Vai fuori dei piedi », dissi. La sua stretta si fece più forte, quasi brutale. Otto si uni a lui e mi colpì sulla nuca col dorso della mano. « Non fare la commedia! Come se tu conoscessi Dio! » Mi trascinarono via. Carl voleva rubare un vassoio d'argento, ma Otto e Mario trovarono che esagerava. « Se l'avesse sotto il braccio un prete, potresti dargli un pugno e scappare col vassoio, ma prenderlo in una chiesa, questo davvero non si fa! » Carl si arrese ai nostri ragionamenti, ma era così deluso e furibondo che si prese a pugni con un suonatore ambulante. Qualche ora dopo eravamo a salutare Mario e le ragazze. Abbiamo incominciato il nostro giro della città, col sacco sulle spalle. Abbiamo visitato un gran numero di caffè. Siamo entrati anche in un casino. E a un certo punto siamo finiti in una mostra di pittura, ma è stato per errore. A Carl piacque un nudo di donna; quando seppe quanto costava se la prese con il comitato dell'esposizione. Ci minacciarono di chiamare la polizia. Quei tipi minacciano sempre di chiamare la polizia. Se ci avessero offerto un bicchiere di vino, avrebbero evitato la rottura di quattro grandi specchi. In un ristorante elegante di via Cavour abbiamo litigato con un direttore di sala e quattro camerieri. Per incominciare, si erano rifiutati di accettare i nostri sacchi al guardaroba: prime baruffe. La cosa peggiorò quando Otto volle cambiarsi i calzini nell'ingresso, ma quando arrivarono a rifiutarsi di servirci, fu il colmo. Carl si precipitò nelle cucine, travolgen-
243 do il personale come un tifone che devasta una foresta e si impadronì di un gran piatto di ravioli. Due poliziotti di una certa età ci presero in consegna e ci portarono in un altro ristorante, in una stra-detta, dove furono più accoglienti. Carl aveva ancora fra le braccia i ravioli: un regalo del ristorante elegante. Erano stati troppo contenti di sbarazzarsi di noi. Prima di entrare nell'altro locale, Carl mise in guardia i due agenti. « Voi, ammiragli da marciapiede, spero bene che vi sarete resi conto che vi abbiamo seguiti spontaneamente? » Davanti ai boccali di birra gli agenti ci assicurarono che se ne rendevano perfettamente conto. A notte tarda ci siamo ritrovati davanti a una fontana. Carl vi saltò dentro per dimostrarci come si adopera un salvagente durante una burrasca, lo e Otto facevamo le onde. Si aprì una finestra. Una voce piena di sonno ci accusò con espressioni volgari di far troppo rumóre. « Spaghetti della malora », urlò Cari dalla vasca. « Come ti permetti di disturbare un esercizio di salvataggio della marina da guerra della grande Germania? » Otto raccolse un sasso e lo scagliò in pieno viso al romano. Sarebbe saltato dalla finestra, se sua moglie non lo avesse trattenuto per il braccio. Abitavano al terzo piano. Otto gettò un altro sasso, ma questa volta colpì la finestra vicina. Tutta la strada si era svegliata. Ne seguì una zuffa fenomenale; veniva da pensare a una piccola rivoluzione. Ci siamo ritirati quando la mischia generale era al culmine. Nessuno sapeva più per che cosa fosse incominciata. la mattina dopo decidemmo di andare tutti e tre all'ospedale. Ma non sempre si può fare quel che si decide. Disgrazia volle che incontrassimo un marinaio italiano che andava a raggiungere la sua base a Genova. Era accompagnato da un
244 caporale dei bersaglieri che usciva dall'ospedale con una gamba di legno. Non gli piaceva, la sua protesi, gli faceva male. La portava sotto il braccio e camminava con l'aiuto di una stampella. In partenza gli avevano dato due stampelle, ma ne aveva venduta una a un pastore. Non che ne avesse bisogno, ma era un uomo previdente, questo pastore. « Non si sa mai quel che può succedere in guerra », aveva detto al bersagliere. « Qualche cosa mi dice che prima o poi avremo bisogno delle stampelle. » Quando si sono avvicinati a noi, eravamo seduti su una scala, in via Torino e mangiavamo sardine arrostite. Li abbiamo invitati a sedere e abbiamo offerto le sardine. Abbiamo chiacchierato un po'. A un tratto ci ha preso la smania della pulizia. Ci siamo precipitati nei bagni pubblici là vicino. Che casino, quando ci siamo infilati nella parte riservata alle donne! Nudi, con i nostri vestiti sotto il braccio e i nostri sacchi in spalla, siamo scappati da una finestra e ci siamo rivestiti dietro una palizzata. Al ponte Umberto le nostre strade si sono separate. Gli altri due non osavano restare ancora; erano in strada già da un mese. I loro documenti erano timbrati, ma con timbri falsi. « Eh, ragazzi, ci ritroviamo qui quando la guerra è finita, il 3 novembre », urlò il marinaio italiano da una stradetta. « Marinaio », gridò a sua volta Carl, « così non va, immagina che la guerra finisca il 4 novembre! Propongo che ci si dia appuntamento tre mesi dopo la fine della guerra, esattamente, e in questo posto. » « Vuoi dire lì dove siete voi, o qui dove siamo noi? » urlò il marinaio. Eravamo già così lontani, che ci capivamo appena. La gente si fermava intorno a noi, stupefatta. Carl aveva fatto un portavoce con le mani. « Ci ritroveremo in mezzo al ponte Umberto, dove ci siamo separati, e ognuno di noi porterà una cassa di birra! »
245 « Benissimo. A che ora? » gridarono gli italiani. « Alle undici e un quarto », rispose Cari. « Verrete in treno o per mare? » « Non fare domande idiote ! Forse che prendi il treno, se non ci sei obbligato? » « Ci sono gli autobus a ogni ora da Anzio a Roma », gridò ancora il marinaio. I.a mattina dopo presto eravamo all'ospedale di via Santo Stefano. Ci siamo arrivati in carrozza. Avevamo messo il vetturino sul sedile posteriore, nonostante le sue proteste, e avevamo guidato a turno. « Adesso si tratta di non sbagliare a infilare il canale », gridò Carl passando sotto la porta. « Viro a sinistra, penso che andrà bene », disse Otto. La sentinella ci guardava a bocca aperta. Non aveva mai assistito a un ingresso simile. Otto si fermò davanti alla scala. « Gettate l'ancora! » ordinò Cari. « Dove a.idate? » abbaiò la sentinella. « Ti chiediamo forse dove vai, noi? » replicò Carl. « Ti riguardano forse i nostri affari? » « Sono qui per chiedervelo, dove andate », disse la sentinella di rimando. « Bene, ecco fatto. Puoi chiudere la bocca! » tuonò Carl. La sentinella alzò le spalle e ritornò al suo posto. Una freccia indicava la strada per l'ufficio. Senza preoccuparci della scritta « Bussate e aspettate », siamo entrati. Un sergente del servizio sanitario, in un'uniforme fatta su misura, installato su una poltrona a dondolo con i due piedi sulla tavola, era occupatissimo a mettersi la brillantina sui capelli. Sul muro dietro di lui vi era un grande ritratto di Hitler. «Ci siamo!» disse Carl gettando per terra il suo sacco. Il sanitario profumatissimo non ci degnò di uno sguardo..
246 Carl attirò di nuovo la sua attenzione sulla nostra presenza. « Ehi, dico, ci sono dei clienti! » L'eroe dell'ospedale si mise a pulirsi i denti con un laringoscopio. Imperturbabile, guardò dalla finestra e lanciò: » Avete sbagliato strada! » « Perdiana. Non è l'ospedale questo? » « Esattamente! Vi trovate in questo momento nell'ospedale militare. Avete davanti a voi il responsabile dell'ufficio. Qui ci si mette sull'attenti e ci si presenta secondo il regolamento. » « Cavolo! » disse Otto. « Che cosa avevo detto? » urlò Carl. « Pigliamolo a calci. Un imbecille simile! » « Su camerata, sii ragionevole », tentò Otto. « Veniamo qui in riparazione. » « Non avete capito. Siete in un ospedale e non in un cantiere navale. » « Non parlargli più », gridò Carl. « Se vuole la mia mano sulla faccia, peggio per lui. » Otto insistè, una volta ancora: « Eh, come dite voi, abbiamo bisogno di riparazione, di controllo. » Il sanitario esaminò con molto interesse la sua capigliatura in uno specchio di fronte. Si rinfrescò la faccia con l'acqua di Colonia. « Vuoi dire che avete bisogno di essere spedalizzati? In questo caso suppongo che abbiate i documenti necessari, firmati dal vostro medico del reggimento? Siete feriti? » « Sì », disse Carl, « ma è un pezzo. Non è per questo che veniamo adesso. » « Ho dei disturbi dove voglio dire io », disse Otto. « Avete sbagliato; questo è un ospedale chirurgico », il sergente rise con disprezzo. « Non bisogna discutere con lui », gridò Carl esasperato. «
247 Dagli un calcio nei coglioni, spediscilo fuori della finestra, e andiamocene! » il sergente sembrava non sentire queste minacce. « Dovete presentarvi al centro per le malattie della pelle, che si trova alla clinica medica. E meglio che vi informiate alla Ortskommandantur. Per sapere dove si trova, chiedete alla Kommandantur della stazione, e per trovare la stazione rivolgetevi a un vigile. » « Che casino di un accidenti, perché non sai dove si trova questo maledetto ospedale del e...? » chiese Otto irritato. « Certo che lo so. E il mio dovere. » « E allora, sputa fuori, mostriciattolo! » « Marinaio, io sono responsabile dei ricoverati all'ospedale chirurgico, non sono un ufficio informazioni. » « Che diavolo fai quando non sei militare? » chiese Otto. « Non credo che la cosa ti riguardi », replicò altezzosamente il sergente. « In ogni caso, ci sono poche probabilità che ci si incontri in un salotto. Ma se la cosa ti interessa, per una volta farò un'eccezione alla regola. Sono un magistrato del tribunale di Berlino. » « Basta così », urlò Carl tirandosi su i calzoni. « Magistrato! Responsabile! Una pezza da piedi, ecco che cos'è. » Afferrò un calamaio e lo scagliò contro il muro dietro il sergente. Una grande libreria fu vuotata del suo contenuto in un tempo record. Carl e io siamo saltati sulla scrivania, afferrando « il responsabile » per i capelli, e gli abbiamo picchiato la testa sul tavolo. Otto aprì un vaso di marmellata di fragole e gli versò tutto il contenuto sulla testa. Abbiamo fatto a pezzi qualche cuscino; le piume volavano per la stanza. Il sergente ebbe diritto ancora a due vasi di marmellata sulla zucca. E poi lo abbiamo l'atto rotolare sulle piume. Aveva l'aspetto di una gallina malata. Un'infermiera socchiuse l'uscio e infilò la testa, ma lo ri-
248 chiuse precipitosamente quando volò contro di lei un grosso dizionario. Prima di andarsene, Carl mise un mucchio di documenti sulla faccia del sergente che urlava. Molto soddisfatti di noi, abbiamo lasciato l'ufficio sossopra. La sentinella ci lasciò passare senza fare difficoltà. « Saremo guariti prima di arrivare all'ospedale », gemette Otto. « Sono tre settimane che siamo in viaggio. » Più avanti, in via Claudia, una vetturetta scoperta si fermò di fianco a noi. Ne uscirono due poliziotti militari con l'elmetto. « Siete in arresto », gridò uno di loro. « Tu scherzi », rise Carl. La fibbia del suo cinturone raggiunse in piena faccia il primo che cadde a terra, accecato, urlando di dolore. In pochi secondi la strada fu deserta. Una carrozza occupata da due signore scomparve al galoppo. Il secondo poliziotto stava prendendo la pistola. Gli saltai sulla schiena e lo morsicai all'orecchio. Otto gli mandò con la destra un diretto sulla faccia. Saltai sulla vetturetta, misi in moto il motore e dopo averlo messo in seconda ne uscii velocemente, la vettura andò a fracassarsi contro una casa all'angolo della strada. Vicino al Colosseo, Carl ebbe una buona idea. Frugando nel suo sacco ne levò una bottiglia di rum. Siamo ritornati vicino ai due poliziotti svenuti. « Alla vostra salute! » disse Cari versandone una buona dose nelle loro gole. Poi abbiamo sparso sulle loro uniformi il resto della bottiglia e l'abbiamo messa sul sedile anteriore della vetturetta. « Il turacciolo », mormorò Cari. Otto si torceva dal ridere, ritornò vicino ai poliziotti e mise il tappo nella tasca di uno dei due. « E adesso bisogna telefonare », dichiarò Carl, com-
249 piaciuto. Abbiamo trovato una cabina e dopo molto parlamentare con una centralinista abbiamo ottenuto il numero della Ortskommandantur. Otto ha chiesto la comunicazione. Era lui quello che aveva la voce più persuasiva. « Signor generale, oh, va bene allora, signor tenente, non importa! Chi ha la faccia tosta? Credi di farmi impressione, di'? Ehi, ne ho già visti dei tipi come te! Chi è all'apparecchio? Credi che sia matto? Perché chiamo? Che cosa te ne importa? Pronto? Pronto? Che porco, ha riappeso. » Otto non riusciva a capire. « Che arie si danno, quelli là », brontolò Carl. « Lasciate fare a me. Hai il numero? Tu non sai come si tratta. Ti faccio vedere io. » « Passatemi il comandante », disse seccamente. « Il professor Brandt al telefono. Che cosa succede? Fino a un momento fa, credevo che la polizia militare tedesca fosse qui per mantenere l'ordine; adesso i vostri uomini prendono parte alle risse con i borghesi ubriachi? Così non può continuare, capitano! Due dei vostri gendarmi sono coricati in mezzo alla strada ubriachi come polacchi, all'angolo di via Marco Aurelio con via Claudia, dopo aver fatto a pezzi la loro auto! » Carl riappese con un gran sorriso. Abbiamo resistito alla tentazione di star a vedere il seguito. Abbiamo passato ancora ventiquattr'ore insieme, poi ci siamo separati davanti al centro dermosifilopatico, alla clinica medica, ricordandoci l'appuntamento sul ponte Umberto, tre mesi dopo la fine della guerra. Ho camminato all'indietro fino all'angolo della strada, per vederli ancora il più possibile. Salutavano agitando il berretto e cantavano gli addii dei marinai. Mi sono seduto in un parco. Il vento veniva da sud; si sentivano i cannoni di Montecassino tuonare incessantemente, minacciosi. Sono andato alla Kommandantur della stazione
250 per far modificare il mio permesso e raggiungere poi il campo d'aviazione alla ricerca di un aereo da trasporto. Un maresciallo maggiore mi ha esaminato con insistenza. « Non sai che cosa è successo ieri? » Indugiava, soppesando i miei documenti. Molto lentamente li stracciò. « Grande offensiva, i permessi sono sospesi per tutta l'armata del Sud. »
251 Il casino di Ida la Pallidina non era un bordello come gli altri. Ufficialmente non era affatto un bordello, benché fosse noto a tutti i soldati dalla Sicilia al Brennero. Fra le professioniste di Ida si nascondevano numerose signore « per bene », che avevano la Gestapo alle calcagna. Ida procurava loro dei falsi passaporti gialli. Le classificava secondo il loro fisico e il loro ambiente. Vi erano quattro categorie di ragazze da Ida: per soldati semplici, per sottufficiali, per ufficiali subalterni, per ufficiali superiori. Soltanto le donne molto belle erano ammesse in quest'ultima classe. E inoltre dovevano essere in grado di citare Schiller e Shakespeare. Ida aveva un debole per Schiller. Nel suo entusiasmo aveva dipinto sul muro del salotto di ricevimento: Und setzet Ihr nicht das Leben ein, nie wird Euch das Leben gewonnen sein! Porta e Fratellino avevano cambiato due parole nella citazione, perché si adattasse meglio al locale. Ida era americana. Poco prima della guerra aveva fatto il viaggio classico a Parigi. I tedeschi erano avanzati così in fretta che non aveva avuto il tempo di lasciare la Francia. Intuì che la guerra avrebbe però potuto essere lunga. E quando gli americani decisero di intervenire, non si meravigliò neppure di questo. Si servì di un tenente tedesco per arrivare fino al letto del comandante tedesco. Così Ida era al sicuro da tutte le parti. Al principio del 1942 lasciò Parigi per Roma, portando con sé sei prostitute francesi. Un buon inizio.
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PATTUGLIA DELLA MORTE Ci riempivamo la bocca di idiozie; ci davamo delle arie di fronte ai granatieri e ai paracadutisti. Andavamo come commando dietro le linee nemiche. Gli altri ci guardavano con una certa apprensione. Sapevano quali erano di solito i risultati di questi commando. « Siete dei volontari voi, voi gli speciali? » chiese un maresciallo dell'intendenza con la croce di ferro al collo. « Sì, per andare al cesso », rise Porta. Ci diedero delle tute mimetizzate per proteggere le nostre uniformi nere dei Panzer. Fratellino affilava il suo coltello da combattimento su una vecchia pietra. « Con questo posso tagliare i coglioni a un colonnello senza che se ne accorga », rise. Muovevamo braccia e gambe per ammorbidire le tute mimetizzate. I berretti sembravano maschere a cappuccio e si abbottonavano fino al collo. Si poteva abbassarli per coprirsene la faccia; c'erano due fessure per gli occhi. Per due giorni e due notti avevamo fatto baldoria da Ida la Pallidina. Avevamo avuto tre ragazze per uno, fra le quali delle pollastrelle da ufficiale. Il culmine della festa era stato una zuffa contro gli artiglieri. Porta e un italiano avevano fatto una gara a chi mangiava di più. Porta aveva vinto mangiandosi due oche e mezzo. L'italiano era stato tanto male che avevano dovuto fargli una lavanda gastrica. Porta se l'era cavata, ma era pallido. Se si vomitava, era finita. Porta sapeva il trucco: restare immobile, la bocca ben chiusa. Porta era un campione come mangiatore, la sua riputazione era grande dalle due parti del fronte. Tre volte gli americani lo avevano invitato a una gara. Due volte aveva rifiutato; la terza accettò. Con un gigantesco ca-
253 porale negro, hanno lavorato di mandibole nella buca di un obice, nella terra di nessuno, strettamente sorvegliati dalle due parti. Porta ha vinto. Il negro è morto. Nel rifugio di Mike stavamo chini sulle carte. Le avevamo stese per terra e le consultavamo distesi bocconi. Il Guercio era disteso fra il Vecchio Unno e me. « Vi nasconderete qui », spiegò il Guercio. « A mezzanotte e mezzo noi apriremo un tiro di diversione un chilometro più a nord..» « E il comandante dell'artiglieria? » chiese Heide. « Spero che non sia un guastafeste. » « Non ti preoccupare », lo calmò il Guercio. « Lo conosco. Ha fatto la sua pratica alla scuola di tiro di Leningrado. Sa il suo mestiere. In dieci minuti avrà rovesciato ottocento granate su di loro. I nostri amici qui in faccia, gli yankee, dormiranno tranquilli vedendo la nostra salva d'artiglieria diretta sui loro colleghi indiani. » Porta mise il cilindro giallo sopra il cappuccio. Il Guercio strizzò l'occhio. Quel cilindro aveva il dono di esasperarlo, ma da un pezzo aveva rinunciato a opporvisi. Quando vide Fratellino che si metteva in testa la sua bombetta grigio chiaro, non potè assolutamente trattenersi: « Siete matti! » disse. Fratellino cercava di tagliarsi le unghie con le cesoie per filo spinato. I pezzetti d'unghia volavano sopra la carta. « Già che ti piace tanto servirti delle forbici », continuò il Guercio con il suo vocione, « tu e la tua maledetta bombetta, passerete per i primi il filo spinato. Tu taglierai i due fili in basso! » « Non sono capace di contare », annunciò Fratellino, allegro. Il Guercio fece finta di non sentire. « Porta seguirà Fratellino », riprese, « esattamente tre mi-
254 nuti dopo. Farà giorno un po' prima delle cinque. Il nostro comandante di artiglieria verrà qui personalmente. Bisognerà che gli mandiamo il nostro solito saluto della mattina, altrimenti rischiamo di insospettirli. Dunque, mettetevi esattamente al vostro posto. Il comandante ha le vostre posizioni segnate sulla carta. Tireremo soltanto con dei 105. I pezzi della batteria sono già puntati. Il momento cruciale per voi dura dalle 6,30 alle 14. Ascoltatemi bene, anche tu Fratellino: è l'ultima volta. Uno sbaglio, e siete massacrati. Alle 5,32 tiro di diversione con dei 105. Il tiro cessa alle 5,48. Alle 12,45, tiro di mortai sul naso degli americani. Alle 12,59 tiro di copertura automatico. Durata: trenta secondi. Poi toccherà a voi. Levatevi le dita dal culo e avanti! Sven prenderà il nido di mitragliatrici avanzato tenuto da un uomo solo. Sarà sostituito alle 13. Cinque metri dietro c'è un rifugio; dentro ci sono sei uomini. Appena avrai liquidato l'uomo della mitragliatrice ti occuperai del rifugio con le bombe a mano. Heide prenderà le due ultime mitragliatrici. Sono montate tutt'e due, ma coperte con una vecchia tela in fondo alla trincea. Gli uomini si trovano in un rifugio a tre metri sulla destra delle mitragliatrici. Vi entrano da una piccola apertura a sinistra. Hanno costruito tré falsi rifugi, ma non potete sbagliare. Davanti all'entrata c'è un mucchio di scatole di marmellata vuote che non si sono presi la briga di togliere. Bastano due bombe a mano, una in fondo e l'altra a metà del buco. Appena Sven e Heide sono arrivati, gli altri incominciano a muoversi. Ci sono dieci metri da fare in due secondi e mezzo, non di più e non di meno. Tirerete sulla trincea, ma in ordine sparso. Prendete il tempo per rendervi conto di dove si trova ognuno di voi, per non uccidervi a vicenda. Sparate su tutto quel che non porta la vostra tuta mimetizzata, con i circoletti neri e verdi. Su tutta la terra siete in ventidue a portare questa divisa. Vedeste anche un maresciallo tedesco, prendetelo di mira. Non voglio sopravvissuti in questa trin-
255 cea, nessuno che racconti quel che è successo. Dovete spaventarli, dare l'impressione che sono attaccati da fantasmi. Questo metterà la paura addosso alle loro truppe di colore, in ogni caso. Barcellona, tu non ti muovi dalla buca di copertura, ci resti incollato, fai l'osservatore: gli altri ripuliscono la trincea. Palloncino luminoso verde, e voi filate come se aveste il fuoco al sedere ! » « È quel che facciamo sempre », rise Porta con insolenza. «Sta' zitto! » imprecò il generale, «e ascolta bene. Due secondi dopo il segnale verde, noi innaffieremo il tutto e tu, Barcellona, tu batterai il record mondiale di corsa a piedi per raggiungere gli altri. Il settore vicino al loro non capirà che cosa succede. Se le cose si svolgono come previsto, sarà un casino integrale. Avete cinque secondi per scendere dalla collina. La nostra artiglieria farà un fuoco di sbarramento. Sarete coperti fino ai fiume. Là i partigiani vi faranno traversare. Poi centoquarantacinque chilometri fino alla vostra destinazione. Dovrete sbrigarvela da soli. Ma dovete farcela!» Mostrò un punto sulla carta. « Esattamente qui, vi saranno mandate delle granate anticarro e delle mine. Se ci sono dei feriti dovrete aggiustarvi da soli; proibizione di portare con sé i feriti. Nascondeteli e guardate se ci sono ancora quando ritornate! Una cosa sola importa: riuscire, anche dovesse arrivarci uno solo di voi! Qui nel bosco si trova la baracca dello stato maggiore. E là, alla biforcazione, i carri mascherati. Ci sono al massimo quindici meccanici per i carri. Vivono nelle tende ». « Non ci sono altre misure di sicurezza? » si meravigliò il Vecchio Unno. « No, si credono fuori pericolo. Quando avrete messo i carri fuori combattimento, due di voi salteranno sulla baracca, mentre gli altri li prenderanno sotto il loro tiro da sud. Bisogna riportare un ufficiale vivo. Gli altri saranno uccisi. Nessuno deve dubitare di quel che è successo, altrimenti tutto va
256 al diavolo. E poi via verso il ponte! Ah! Dimenticavo, bisogna lasciare due uomini sul ponte. Sistemeranno le mine mentre voi vi occuperete della baracca e dei carri. I due faranno saltare il ponte appena l'ultimo sarà passato. Ma se il nemico vi insegue da vicino bisognerà sacrificare un gruppo di mitragliatrici per assicurare il passaggio dell'ufficiale dello stato maggiore. Continuate verso nord, finché arrivate al fiume. Poi lo seguite verso est. » Le sue grosse dita designarono un punto. « Qui vi è uno stato maggiore della divisione. Inglesi. Da liquidare. » Brandì alcune fotografie di uniformi alleate. « Ecco le divise dello stato maggiore generale. » «Speriamo che non siano in pigiama! » rise Heide. A meno che portino le mostrine sul sedere. » « Vedrete bene », tagliò corto seccamente il Guercio. Abbiamo regolato i nostri orologi e verificato le armi per l'ultima volta. Eravamo pronti. « Non dimenticate i distintivi e i libretti dei morti », ci prevenne il Guercio. « Altrimenti una SD un po' furba potrebbe sospettare qualche cosa. E poi ancora un consiglio, questo in particolare per Porta e Fratellino. Niente furti! Se vi fate cogliere con dei denti d'oro in tasca, sarete impiccati sull'istante! Non hanno simpatia per i cercatori d'oro. » « Ma lo fanno anche loro », si difese Porta. « Sì, ma nessuno lo sa. » Il Guercio afferrò Porta per il collo. « E anche qui, nessuno lo sa. Mi sono fajto capire, Porta? » «Perfettamente, signor generale. » « Oggi non sono il signor generale, sono il Guercio. Tre giorni di punizione, perché l'hai dimenticato. Ti presenterai a rapporto quando sarete ritornati. » « Pronti », mormorò il Vecchio Unno. Un minuto più tardi Fratellino scomparve sopra la trincea. Numerosi cannoni tuonavano a nord. Io seguivo le lancette fosforescenti del mio orologio: novanta secondi. Le mie mani
257 scivolarono sul mio equipaggiamento: sessanta secondi. Le mie gambe si piegarono: quarantacinque secondi. Tremavo come una foglia. Trenta secondi. Guardavo gli altri. Quelli che conoscevo da tanto tempo. Il piccolo legionario aveva come sempre il suo coltello arabo fra i denti. Mi strizzò l'occhio. Sapeva che avevo paura. Mancavano soltanto cinque secondi. Come era lenta quella lancetta... tre... due... Qualcuno mi batté sulla spalla, io balzai, presi'le forbici dove le avevano lasciate Porta e Fratellino e mi misi a tagliare. Il maledetto filo spinato mi lacerava la schiena. Poi rigettai le forbici. Mi ci volle un momento per riprendere fiato dopo quello sforzo violento. Guardai l'orologio; erano già passati due minuti. Il piccolo legionario si preparava a lanciarsi. Per fortuna era lì, la sua presenza era rassicurante. Mi misi a arrampicarmi verso le posizioni americane. Arrivai al cespuglio dove dovevo nascondermi fino al pomeriggio del giorno dopo. La mia mano scivolò su qualche cosa. Un odore dolciastro, nauseante, mi prese alla gola. Era un cadavere, gonfio. Vomitai. Poi collocai il binocolo davanti a me, nascondendolo con l'aiuto di foglie e di erba. Finché era buio, il binocolo non era pericoloso, ma sarebbe bastato che i raggi del sole lo colpissero, anche solamente per un secondo, perché gli altri mi vedessero. Avrebbero saputo che nella terra di nessuno vi era qualcuno che non avrebbe dovuto esserci. Una figura si avvicinava. Presi il coltello e tolsi la sicura alla pistola. « Meuh », disse una voce dietro a me. Per poco non urlai dalla paura. Poi al chiaro di luna scorsi una bombetta grigia. Due file di grossi denti da cavallo si scoprirono in un gran sorriso. Era Fratellino, quell'imbecille.
258 « Te la sei fatta addosso? » chiese a voce bassa. « Ti si vede a diversi chilometri di distanza, pezzo di coglione. » Poi svanì nell'oscurità. Incominciai a scavare una buca con la vanga corta. Un lavoro da talpe. Non si doveva fare rumore. A nord, il fuoco di artiglieria era cessato. Soltanto qualche colpo isolato di fucile e l'abbaiare breve di una mitragliatrice rompeva il silenzio della notte. Un proiettile luminoso attraversò il cielo nero. Erano quasi le tre. Presto ci sarebbe stato il cambio delle sentinelle. Eccolo. Un rumore di acciaio. Qualcuno ride. Una piccola fiamma brilla. Che banda di idioti, fumare in una posizione avanzata! Le dita mi prudevano letteralmente. Sapevo che gli altri del gruppo dovevano avere lo stesso desiderio che provavo io. Una simile pazzia furiosa doveva essere punita con la morte. Dovevano essere dei novellini, venuti al fronte per la prima volta. Non ci sarebbe voluto molto a sorprenderli. A est il cielo diventò rosso. Ogni minuto cambiava di tonalità. Il buco del culo del mondo, la sporca montagna, era quasi bella quella mattina. Avevo voglia di cantare un cantico: E ognuno parte liberamente! Se soltanto avessi potuto partire io e subito. Probabilmente non sarei potuto partire mai più liberamente. Avevo puntato sul nero, e il nero era uscito! Ognuno segue il suo destino. Il gioco è fatto. Bisognava che uccidessi l'individuo di fronte a me. Ora erano quasi le otto. Di nuovo il cambio della sentinella. Gli elmetti brillarono. Misi a fuoco il binocolo: eccoli. Era quello che si stava avvicinando, che dovevo uccidere. Gli avrebbero dato il cambio alle dieci e sarebbe ritornato a mezzogiorno. Aveva sul petto due nastri colorati. I suoi occhi e-
259 rano di uno strano azzurro. Quello a cui dava il cambio gli fece vedere qualche cosa. Fotografie francesi. Ho sentito il suo nome. Si chiamava Robert, ma lo chiamavano Bob, come me. Caso curioso. Ecco un Bob che doveva uccidere un altro Bob. Vorrei che ti rompessi una gamba, Bob, ritornando fra un momento. Andrai all'ospedale, e saprai che fortuna hai avuto. Mi scuso di doverti uccidere. Tu mi perdonerai, io spero, quando sarai in cielo. Sei un soldato, capirai. Cercavo di metterlo in guardia con la suggestione. Avevo letto in un libro che era una cosa possibile. Ma non funzionava. E un bugiardo, l'autore di quel libro. Perdio, Bob americano, tirati una pallottola in un piede! A venti metri da te una belva ti spia. Se non ti ferisci, fra poco suonerà la tua ultima ora. Non dava retta per niente ai miei suggerimenti. Spensierato, si appoggiava alla mitragliatrice, il fumo azzurro della sigaretta saliva nell'aria. Aveva spinto indietro sulla nuca l'elmetto. Improvvisamente il sangue mi si gelò nelle vene. Prese il binocolo che gli pendeva sul petto e lo diresse contro di me. Trattenni il respiro. Una mosca si posò sulla mia palpebra. La lasciai stare. Un uomo che ha una mosca sulla palpebra deve essere morto. Era meglio che smettessi i miei esperimenti di telepatia. Non volevo sacrificare la mia breve vita per il Bob americano. Non era nessuno per me. Io non avevo ancora avuto il tempo di vivere. L'altro laggiù forse era già andato in un grande ristorante con una bella ragazza, a bere champagne. Forse possedeva uno smoking bianco. Io volevo vivere e avere uno smoking bianco e un garofano rosso all’occhiello. Il sole incominciava a bruciarmi la nuca. Gli insetti mi facevano impazzire. Laggiù ecco il cambio della sentinella. A meno di un avvenimento imprevisto, il mio Bob sarebbe sta-
260 to di ritorno fra due ore. Mi chiedevo se a casa avesse una ragazza, in the States. Se almeno fossero passati all'attacco. Allora sarebbe finita con questo commando. Stavo impazzendo. Bisognava che mi muovessi. Ero immobile da dieci ore. Forse c'erano dei fachiri capaci di farlo, e poi non avevano la bocca di una mitragliatrice di un Bob americano di fronte a loro. Per fortuna il medico ci faceva un clistere prima dell'azione. Nelle ultime quarantotto ore non avevamo avuto da mangiare altro che un pezzo di cioccolato, come nutrimento. Cioccolato drogato. Disgustoso, questo cioccolato. Impossibile chiudere un occhio per otto giorni, anche se cadevamo dal sonno. Il nostro intestino, i nostri reni, tutto smetteva di funzionare. Questo cioccolato era « un'arma segreta ». Proibito parlarne, pena la morte. Fratellino ci aveva messo in un brutto guaio, portandone una scatola intera alle ragazze di Ida. Avevamo cercato inutilmente di impedire che lo mangiassero. Che musica quando siamo ritornati da Ida. I mobili sono stati ridotti in segatura. Qualche ragazzo ha dovuto essere portato all'ospedale. Le donne erano convinte che avessimo voluto fare un brutto scherzo. Volevano annegare Porta nella vasca da bagno; Fratellino era troppo forte perché se la prendessero con lui. Alla fine abbiamo dovuto confidare la verità a Ida. Ma da quel giorno nessuno al casino ha più accettato regali sotto forma di cioccolato. Guarda, degli elmetti! L'ultimo cambio. Ma che cosa succedeva? Erano più numerosi. C'era anche Bob, lo riconoscevo benissimo. Ah, capivo, ispezione del capo settore. Urlava, gesticolava, dava una lavata di testa al responsabile del gruppo. Conoscevo bene i capi del suo genere: sono animali, zerbinotti da caserma, incapaci, anche in prima linea, di lasciare in pace i loro uomini! Aspetta un po', porco! Non puoi scamparla. Ti restano esattamente cinquantasette minuti da respirare! Fratellino e
261 Heide si occuperanno del tuo rifugio. Eccolo che bollava i suoi uomini, che stavano per morire fra pochi minuti. Certo non lo sapeva, ma comunque! Era di quelli che hanno l'ambizione suprema di diventare First Sergeant; anche a costo di passare sul corpo dei propri uomini. Voleva i sei galloni con la stella. Bob stava sull'attenti. Un tafano ronzava attorno alla mia testa. Si posò sulla mano: avrei resistito, se mi avesse punto? Avevo sempre avuto paura dei tafani e delle api. Mi punse. Lo guardai immobile. Un dolore lancinante mi attraversò il braccio. Mi morsi le labbra a sangue. Che cos'era la puntura di un tafano a confronto di una spalla fracassata o di un ventre perforato? Bob si mise a fischiettare, molto forte, soltanto per sé. Doveva trovare lungo il tempo. Era ben lontano dal pensare che stava vivendo il suo ultimo quarto d'ora. My bonnie is over the ocean, my bonnie is over the sea, bring back, oh bring back my bonnie tu me... Fra dieci minuti i cannoni sarebbero entrati in ballo. Il comandante dell'artiglieria verificava già le tabelle. Otto minuti. Le bocche dei cannoni incominciavano a puntarsi verso l'alto. Osservavo Bob col binocolo. Eccolo, il Private First Class US 1, che accendeva la sua ultima Carnei. Approfittane, camerata! Ti restano soltanto sette minuti. Spero che spediranno la medaglia del Congresso a tua madre. La merita. Mandare un figlio in Italia a farsi ammazzare, a vent'anni, il fiore degli anni. E poi cala il sipario... non è che un soldato! 1
Soldato americano.
262 Niente altro che un soldato, quante volte avevo sentito queste parole! Con una nota di disprezzo. Ma siamo noi che paghiamo con la nostra vita le vostre fabbriche, la vostra industria. E quando sarà finita, tratterete i vostri affari dentro un bell'ufficio, vi scambierete contratti, manderete le ordinazioni a Krupp Armstrong e altri Schneider. Cantò sottovoce: Show me the way to go home... Roll out the barrel, we'll have a barrel of fun... Puntava ancora il suo binocolo su di me. Dio mio! non lasciare che mi scopra due minuti troppo presto ! Tornò a deporre il binocolo e riprese a cantare. Dietro di me si sentì un rombo. Il cielo si aprì. Le batterie di DO 1. Le granate caddero davanti alle posizioni americane. Un'esperienza che avrebbe ispirato a Liszt una rapsodia eroica. Esercitai i muscoli dentro gli stivali. Il sangue incominciava a circolare. Le formiche in una gamba, avrebbe potuto essere fatale. Allungai la gamba sinistra, piegata sotto di me. Era quella dove avevo più forza. Fra cinque secondi le batterie si sarebbero fermate. Il soldato Bob US non conosceva le regole del gioco. Per paura delle granate, si teneva nascosto in fondo alla sua trincea. Non aveva i nervi di un vecchio combattente del fronte, che può restare nel fuoco a guardare sopra il suo buco. Osservavo con la coda dell'occhio. Ecco quello spilungone di Porta. Il suo cilindro giallo saltava agli occhi in mezzo al campo di trifoglio verde. Presi il coltello. Il coltello che avevo rubato a un tiratore siberiano. Hop! Feci un balzo in avanti. 1
DO: lanciagranate multipli.
263 I proiettili delle armi automatiche ronzavano come sciami di tafani infuriati. Era il tiro di sbarramento della nostra artiglieria. Il soldato Bob US apparve all'orlo della sua trincea. Lo urtai nella corsa. Gettò un grido stridente e cercò di respingermi. Due pallottole di pistola passarono vicino alla mia testa, il mio coltello affondò nella gola di Bob. Si torse, convulsamente. Dalla sua bocca usciva del sangue bavoso. Rovesciai la mitragliatrice e gettai un'ultima occhiata al soldato Bob, le cui dita si aggrappavano ai margini della trincea. Show me the way to go home.., Con la testa rovesciata, gli occhi spalancati, egli mi osservava. Avevo voglia di gettarmi al suo fianco, per consolarlo, ma non ne avevo né il tempo né il diritto. Ero solo un soldato. Diedi un calcio al suo elmetto. Due uomini uscivano da un rifugio. Alzando il mitra sparai, appoggiandolo al fianco. Vidi Porta fare un gesto con la mano. Due bombe a mano volarono, un rumore sordo esplose all'interno del rifugio. Il cilindro giallo di Porta sporgeva sopra ia trincea. Quel cappello sfidava il destino. Due americani arrivarono correndo. Le esplosioni divampavano. Heide venne a fermarsi al mio fianco. Un sergente e tre soldati arrivarono proprio sotto il tiro dei nostri mitra. Abbiamo calpestato i loro cadaveri sotto i nostri stivali. Arrivammo al rifugio di cui il Guercio ci aveva detto di diffidare. Fiamme giallastre ne lambivano l'ingresso mascherato. Ebbi l'impressione che un'ombra balzasse su di me. Istintivamente mi abbassai e mi misi a rotolare su me stesso. Un corpo pesante si rovesciò al mio fianco. Gli mandai due raffiche del mitra. Sparavo, mentre rotolavo per terra. Non bastava. Si rialzò, come spinto da una molla. Due vol-
264 te i miei stivali scesero sulla sua faccia. Avevo perduto il mitra. Le sue dita si stringevano attorno al mio collo. Gli lanciai un calcio nel basso ventre. Per un momento là sua presa si allentò, quanto bastava per permettermi di togliere la sicura alla pistola. Vuotai il caricatore. Ero pazzo di paura. L'uomo era alto il doppio di me; di nuovo mi fu sopra. Ero coperto di sangue. La lama di un coltello affondava fra le mie costole. Ancora un colpo di reni e afferrai il coltello nel mio stivale. Colpii e colpii ancora. Egli allentò sempre più la presa: incominciavo a respirare. Vidi Fratellino afferrare un uomo per il petto, gettarlo a terra e calpestarlo. Raccolsi il mitra, lo caricai di nuovo e sparai in un rifugio. Qualcuno gridò. Un razzo luminoso verde salì verso il cielo: il segnale di Barcellona. La nostra fanteria avanzava. Coperti da loro noi dovevamo proseguire. Vidi gli altri uscire dalle trincee. Qui si alzava il cappello giallo di Porta, là emergeva la bombetta di Fratellino. Li seguii per quanto potevo. Era una corsa contro la morte; le granate della nostra artiglieria esplodevano proprio dietro di noi. Raggiunsi il Vecchio Unno che, ansimante, scendeva dal pendio. Mica male per la sua età. Finalmente raggiungemmo il fiume. Travestiti da contadini, due soldati italiani dei guastatori ci aspettavano. « Avanti, avanti », borbottò uno di loro. Raccolse il suo mitra, nascosto fra le canne. Partirono come i corridori di una maratona. Facevamo fatica a seguirli. Le granate esplodevano sempre più vicine. Poi gli italiani si fermarono, mostrandoci il fiume: « E qui che passate. Noi vi aspettiamo vicino al crocifisso, dall'altra parte ». Il piccolo legionario guardava l'acqua sporca. Voltandosi verso gli italiani disse: « Siete sicuri? Io non vedo niente ». Uno degli italiani bestemmiò furibondo e entrò nel fiume.
265 Aveva l'acqua fino al ventre. « L'abbiamo fatto noi questo ponte subacqueo, credi che possiamo sbagliare? » Abbiamo attraversato in fila indiana. Scariche di esplosivo frustavano l'acqua. Ci siamo nascosti fra le canne dell'altra riva. Il Vecchio Unno aveva una lunga ferita al braccio, Heide lo medicò. « E andata bene », rise Porta. « Trovi? » mormorò il Vecchio Unno. « Per me non sarà mai un piacere uccidere un uomo. » « Soldato di stoppa », gridò Fratellino con disprezzo. Il Vecchio Unno tolse la sicura dal suo mitra. « Ancora una parola, pezzo di assassino squilibrato, e ti ammazzo come un cane! » « Che cosa ti prende? » intervenne il piccolo legionario. « O tu ammazzi l'altro, o è lui che ammazza te. E la guerra! » « Ho ammazzato un sergente, un papà », singhiozzò il Vecchio Unno. « Ecco le sue carte. » Ci tese una fotografia ingiallita. Un uomo in uniforme da sergente ci guardò. Al suo fianco era seduta una donna; davanti a loro, seduti, tre bambine e un ragazzino sorridenti. Il bambino aveva dieci o dodici anni. Attraverso la fotografia avevano scritto: Goodluck, Daddy! Il Vecchio Unno era in piena crisi. Malediceva il mondo intero e noi in particolare. Lasciammo che si sfogasse. Era una cosa che capitava qualche volta, di sapere chi si era ucciso. C'era ben da averne i nervi scossi. Non si poteva far niente per il poveretto, se non sorvegliarlo perché non facesse qualche sciocchezza: disertare, uccidersi o altro. Idiozia che avrebbe avuto le peggiori conseguenze per la sua famiglia. Ventiquattr'ore più tardi siamo arrivati al ponte. Due fanti montavano la guardia, due canadesi. Fratellino e Barcellona li uccisero in un batter d'occhio. Abbiamo lasciato due dei nostri sul ponte. L'aereo, un Ju-52,
266 era arrivato puntuale, ma aveva appena spiato quel che stavamo facendo, quando sono apparsi due Mustang. Lo Ju precipitò in fiamme. Se ne staccò una figura, ma il paracadute non si aperse. « Amen », sospirò Heide. Ci imboscammo più lontano, oltre le colline. Un battaglione sfilò vicinissimo a noi: erano scozzesi che facevano esercitazioni. Non la smettevano di sparacchiare con le loro mitragliatrici. Fratellino se la prese con un sergente maggiore che aveva un paio di enormi baffi rossi. Maltrattava i suoi soldati, secondo Fratellino, ben deciso a farlo fuori. Dovemmo faticare ben bene per calmarlo. Il giorno dopo ci siamo spinti in avanti fino ai carri. Decidemmo di riposarci prima di passare all'attacco. Siamo entrati nel bosco. Là il Vecchio Unno si accorse che Porta e Fratellino avevano raccolto dei denti d'oro, nonostante la proibizione del Guercio. Cosa che ci condannava tutti a morte certa se fossimo stati presi. Dopo una buona litigata, abbiamo cercato di dimenticare con le bottiglie. Poi tutto è ricominciato quando il piccolo legionario ci ha trattato da soldati di stoppa, da rifiuti prussiani. « Cane sifilitico della Legione », urlò Porta a pieni polmoni, dimenticando che non dovevamo fare rumore. « Tu dici che ti hanno castrato a Fagen. Non ti crediamo, vecchio gufo senza coglioni. E stata la fanfara turca che te li ha mangiati! » « Mi fai perdere la pazienza! » gridò il piccolo legionario, lanciando il suo coltello che si piantò nel cilindro giallo di Porta. Questi andò fuori di sé. « Che Dio colpisca di sifilide tutte le puttane francesi », ur-
267 lò. Afferrando il mitra ne vuotò il caricatore ai piedi del piccolo legionario. Siamo balzati via a metterci al riparo dalle pallottole che rimbalzavano. Le nostre due sentinelle accorrevano spaventate. Porta sparò contro di loro, lanciando urla selvagge. Olle Karlsson per poco non si è fatto ammazzare. Poco dopo ritornò la calma. Avremmo ben voluto dormire, ma il cioccolato drogato ce lo impediva. Scorgemmo lontano una colonna di autocarri. « Ci andiamo? » propose Porta. « Sono soltanto salmerie. Poi scappiamo. » Ma il Vecchio Unno rifiutò. Come il solito, era l'artigiano ostinato, che non vedeva dove fosse il proprio interesse, che non conosceva aitro che gli ordini ricevuti. Sapevano quel che facevano quando nominavano comandanti dei solidi artigiani! Quanto a noi, non ci occupavamo di questi particolari. Più di una volta avevamo presentato dei rapporti truccati, che costavano qualche milione! Una cosa che ci faceva ridere di gusto. Scoppiò una nuova lite. « Sei il più vigliacco di tutti gli idioti della terra! » gridò Porta al Vecchio Unno. « Neanche una scimmia omosessuale vorrebbe saperne di te! Stimati fortunato che qui ti sopportano bene, ma ti avverto, la nostra pazienza ha un limite. Un giorno sarà la tua carcassa che riporteremo! » Gli autocarri passarono. Li guardavamo con occhi avidi. Come sempre il Vecchio Unno aveva avuto l'ultima parola. Hanno fatto centro il giorno in cui l'hanno nominato Feldwebel. Chiunque altro avrebbe fatto fagotto da un pezzo. E il Vecchio Unno non dubitava neppure di aver della dinamite nelle tasche. Quando il sole tramontò, ci mettemmo in cammino. Una compagnia sfilò così vicino a noi, che si sentiva l'odore delle loro Camel.
268 « Eh, questi soldatini si potrebbe farli fuori facilmente », mormorò Porta. « Se ne farebbero, dei denti d'oro! » sognò Fratellino. « Di', Vecchio Unno », cercarono di blandirlo, « di', possiamo? Al ritorno giureremo che li hai ammazzati tutti tu da solo! Ti daranno la croce di ferro di prima classe, sai! Pensa un po' a tua moglie; avrà una pensione avita! » Ma il Vecchio Unno non rispose neppure. Per poco non urtammo in pieno nelle tende, io e Porta che eravamo in testa. Ci nascondemmo in fretta dietro gli alberi e facemmo segno agli altri di fermarsi. Vi erano tre tende. Si sentivano gli uomini russare. A un segno di Barcellona abbiamo strappato i pioli. Quelli dentro rimanevano presi come in un sacco. In pochi minuti tutto fu finito. Soltanto qualche grido mezzo soffocato testimoniò la battaglia. Gli uomini morirono mentre dormivano ancora. In punta di piedi siamo andati fino ai carri. Le sentinelle sono state uccise con la fionda, i loro corpi gettati nei cespugli. Abbiamo esaminato i carri con interesse. Erano M4 e M36, 1 che sembravano vagoni delle ferrovie. Abbiamo incominciato a mettervi le cariche di esplosivo. Ce n'erano che sarebbero volati in pezzi se si fosse messo in moto il motore, altri se si fosse aperta una botola. Il piccolo legionario diede prova di un'ingegnosità diabolica. Il bossolo di una granata posato come per caso sulla piattaforma anteriore di un carro, avrebbe provocato una scarica esplosiva se fosse caduto o fosse stato tolto. Sotterrammo delle mine antiuomo. Fratellino, mentre cercava cadaveri che avessero denti d'oro, andò a finire sul loro deposito di benzina. Era nascosto 1
M4: carro Sherman da 33 tonnellate con un cannone da 75 mm. M36: carro Jackson da 28 tonnellate con un cannone da 90 mm.
269 così abilmente, che Fratellino ebbe qualche sospetto. Abbiamo sistemato le granate anticarro in un albero. Grazie a un gioco di cordicelle, sarebbero esplose nella benzina quando si fossero toccati i fusti. Al crocevia abbiamo messo altre tre granate. Porta piagnucolava a alta voce: « Non è una cosa democratica, tutto questo oro di cui nessuno profitterà. Che cosa ne pensi, Vecchio Unno? Se Fratellino e io restassimo qui, in modo da poterlo raccogliere? » « Smettila! » brontolò il Vecchio Unno. Abbiamo lasciato un elmetto francese sul posto, abbiamo nascosto una scatola di spaghetti e il portafogli di un soldato italiano dietro un cespuglio. Queste cose li avrebbero fatti pensare. Si sarebbero convinti che era stata l'opera di partigiani e di disertori italiani. Avremmo potuto finire il nostro lavoro in pace. Fu soltanto tardi nel pomeriggio che arrivammo al ponte. Eravamo contenti: niente valeva il piacere di far saltare un ponte. Volevamo tutti poter azionare il detonatore. Il Vecchio Unno ci sgridò. Barcellona urlò che era il suo lavoro, che era lui l'esperto in ponti. In Spagna era stato nel genio. Alla fine dovemmo ricorrere ai dadi. Un grosso autocarro arrivava lentamente sulla strada che conduceva al ponte. Un po' più lontano vedemmo una jeep. « Finitela con queste idiozie, sbrigatevi », ci sgridò il Vecchio Unno. Volle premere sul detonatore, ma Fratellino gli picchiò sulle dita con il mitra. « Giù le zampe! Il ponte non si muove finché i dadi non si sono pronunciati! » Julius Heide faceva i conti. Io ero il primo, ma feci soltanto sette. Porta ebbe più fortuna, fece diciotto. Fratellino saltò dalla gioia, quando fece ventotto. Nessuno si curò del Vecchio Unno che fece quattordici. Rudolph Kleber ottenne diciannove. Fratellino voleva ammazzare Heide, quando fece
270 ventotto. « Sadico, mangiatore di ebrei. Hai barato. Ho cercato due volte di denunciarti. Per avere la pelle di un ebreo cammineresti sul ventre di tua madre! » « Ah », fischiò Heide soprappensiero. « Sei tu dunque, che mi hai messo la Sipo 1 alle calcagna? » « Esattamente! » gridò Fratellino. « E non mi fermerò prima di averti visto impiccato a Torgau! » Continuarono a insultarsi, ma non ci preoccupavamo di ascoltarli. Ognuno pensava soltanto al proprio gioco. Ma nessuno superò il ventotto. Heide e Fratellino dovettero ricominciare. L'autocarro aveva superato la curva. Fratellino alzò il bussolotto sopra la testa. Non gli importava niente dell'autocarro. Fece tre volte il giro del detonatore, poi si fregò il naso contro il palo indicatore. Gli avrebbe portato fortuna, sosteneva. Agitò il bussolotto con un gesto rotondo da professionista e gettò i sei dadi sul tappeto verde di Porta. Sei volte sei. Incredibile, ma erano là. Fratellino ballava per la gioia. « Sei battuto, Julius! » « Non si sa », rise Heide raccogliendo i dadi. « Avete finito, sì? » gridò il Vecchio Unno. L'autocarro era quasi al ponte. Noi non lo ascoltavamo. Heide sputò sui dadi, agitò quattro volte a destra, due volte a sinistra. Tenendo il bussolotto sopra la testa, saltò attorno al tappeto verde, con le ginocchia piegate. Poi rovesciò il bussolotto sul tappeto. 1 dadi erano nascosti sotto il bussolotto. Sollevandolo, cercò di guardarvi sotto. « Se muovi il bussolotto, anche soltanto di un millimetro, hai perso », lo avvertì Fratellino. 1
Sicherheitspolizei: Servizio di sicurezza.
271 « Lo so », brontolò Heide di cattivo umore. « Ma ho il diritto di picchiarci su con un dito! » Fratellino acconsentì. L'autocarro e la jeep erano a cinquanta metri soltanto dal ponte. Ci mettemmo a scommettere sul risultato dei dadi. Heide aveva tutto il tempo. Batté per quattro volte sul bussolotto rovesciato, poi lo sollevò molto lentamente. Sei volte uno, il minimo! Fratellino si rotolò per terra. « Ho vinto, ho vinto », urlava. « Eh, ragazzi, che baccano sentirete! » Accarezzò il detonatore. L'autocarro entrò sul ponte. Fratellino si preparava ad agire. Eine Strassenbahn ist immer da! Il camion era quasi arrivato dall'altra parte. « Che aspetta, quel cretino », borbottò Barcellona. « Vuole anche la jeep », disse Rudolph Kleber. « E pazzo », brontolò il Vecchio Unno. « Dio santissimo, avete visto l'autocarro? Ha la bandiera rossa. Fermi! » gridò Heide atterrito. Si cercò, senza successo, di attirare l'attenzione di Fratellino. Ci rispose con segni di gioia. Era la catastrofe: un autocarro di quindici tonnellate carico di munizioni. Fratellino salutò col braccio l'autocarro e la jeep: « Salve, yankee, vi farò vedere dove Mosè comperava la birra! » Nella jeep due uomini si alzarono, guardando in direzione di Fratellino. Un grosso negro metteva la testa fuori della cabina dell'autocarro. « Fate il saluto! » urlò Fratellino premendo sul detonatore. Ci gettammo ventre a terra. Un'esplosione che devono aver sentito a centinaia di chilometri. La jeep fu proiettata in aria come un pallone. Una colonna di fuoco salì verso il cielo.
272 L'autocarro era semplicemente scomparso. Lo spostamento d'aria aveva proiettato Fratellino qualche centinaio di metri più lontano. Schegge d'acciaio brucianti piovevano su di noi. Una ruota dell'autocarro, partita dal ponte, risaliva la collina. Urtò contro una roccia e ridiscese a una velocità sempre più infernale. Barcellona fu a un pelo dalla morte quando gli passò vicino alla testa. Poi essa prese la direzione di Fratellino. Era seduto e stava asciugandosi la faccia insanguinata. Invece di fare un salto da una parte, si mise a scendere il pendio, con la ruota alle calcagna. Non avremmo mai creduto che un uomo potesse correre tanto in fretta. Incespicò e continuò a rotolare come una palla verso il ponte crollato, inseguito sempre dalla ruota. Una nuvola di polvere ce lo nascose. Si sentì un grande sciacquio quando cadde nel fiume insieme con la ruota. Bestemmiando e imprecando risalì sulla riva. « Banda di assassini », belò. « Avete voluto farmela. Avete fatto un trucco alla carica, il filo era troppo corto! E per questo che mi avete lasciato vincere, animali, porci di kraut! » Con un'energia straordinaria risalì il pendio, con in mano il lungo coltello. Si precipitò prima di tutto su Barcellona. « Hai fatto apposta a perdere! Volevi la mia pelle. » Barcellona correva per salvare la propria, gridando disperato: « Lasciami spiegare!... Ma lasciami dunque spiegare! » « Avrai tutto il tempo di spiegarti quando ti farò i coglioni a pezzettini! » Nella sua collera lanciò il coltello in direzione di Barcellona. Ci davamo tutti da fare per fermare Fratellino, prima che uccidesse Barcellona, come era ben deciso a fare. Il Vecchio Unno si prese la testa fra le mani. « Diventerò pazzo, questo non è più un commando, è un manicomio. » Fu il piccolo legionario che salvò Barcellona. Con una mossa di judo gettò a terra Fratellino e gli strinse la gola in una
273 morsa d'acciaio. Ma non si poteva farcela così facilmente con Fratellino. Abbiamo dovuto metterci in sei per calmarlo Barcellona voleva calpestargli la faccia, ma il Vecchio Unno glielo impedì. Il piccolo legionario cercò di spiegare a Fratellino che era stato vittima di uno spiacevole equivoco. « Vuoi dire che trasportavano munizioni? » Fratellino non poteva crederci. « Che animali, non avevano la bandiera! » « Ne avevano una, ma piccola piccola, mio caro », sorrise il piccolo legionario. Fratellino fu indignato quando capì che l'autocarro portava soltanto una banderuola. « Che faccia tosta », gridò indignato. « Avrei potuto ammazzarmi! È un assassinio vero e proprio. Credo che scriverò al generale Clark per protestare! » Il Vecchio Unno si impazientì, minacciandoci con il mitra. « Andiamo, in colonna dietro di me. E Sbrigatevi! » Imprecando, sudando, lo seguimmo. Bisognava arrampicarsi sulla montagna. Ogni volta che arrivavamo in cima a un pendio, credendo di essere arrivati, era soltanto per scoprirne subito un altro dietro. Finalmente, dopo il decimo o il ventesimo, non ricordo più bene, ci siamo lasciati cadere sull'erba, tutti sudati. Nessuno -notò lo splendido panorama. Come il solito ci azzuffammo per delle sciocchezze. Quando una lucertola gli corse sullo stivale, Gregor fu preso da un accesso di collera. Si gettò sull'animaletto, lo tagliò a pezzettini e lo schiacciò sotto i piedi, come un pazzo. A un tratto Heide e Barcellona si misero a battersi. Barcellona aveva insinuato che Julius aveva del sangue ebreo. Ci mettemmo dalla parte di Barcellona, scoprendo numerosi tratti che provavano che Heide doveva essere ebreo. « Ne sono persuaso », sbraitò Porta. « Capisco meglio il suo odio per i giudei. Da oggi ti chiamerai Isacco. Vieni, Isacco Heide, vieni a vedere papà! »
274 « E per il suo compleanno, gli offriremo il Talmud », disse divertito Rudolph. « Gli tatueremo la stella di Davide sulle natiche », urlò Fratellino. « E poi gli taglieremo i pantaloni perché possa mettere in vista i suoi colori! » Brandendo il coltello, Heide si mise a inseguire Fratellino. « Va' a passi più lunghi, mio piccolo Isacco », gridò Fratellino scoppiando dal ridere, « altrimenti consumerai le suole e papà Mosè si arrabbierà! » Heide gettò un sasso che, destinato a Fratellino, colpi Gregor. Egli barcollò, stordito. Il dolore lo fece impazzire. Riuscì a rimettersi in piedi, prese una bomba a mano e la lanciò contro Heide, colpendolo in pieno petto; la bomba ricadde in mezzo a noi. Per fortuna nella sua collera Gregor aveva dimenticato di contare. Come passeri ci siamo sparpagliati da tutte le parti, cercando un riparo. La bomba esplose con un rumore sordo. Fu un miracolo che nessuno fosse ucciso. « Ammazziamolo », gridò Fratellino. Venti pistole furono puntate. Gregor afferrò la sua, la caricò, pronto a sparare al minimo movimento. Heide gli si avvicinò da dietro. Caddero l'uno sull'altro, morsicando, grugnendo, graffiando. Gregor rotolò per il pendio, sempre più in fretta. Se avesse urtato contro una roccia, si sarebbe sfracellato. « Ben gli sta », sogghignò Barcellona. « Lo lasceremo laggiù con le ossa rotte », aggiunse Porta. « Così avrà tutto il tempo di pentirsi del suo carattere da porco, prima di morire bruciato vivo dal sole! » Ma Gregor riuscì a fermare la sua corsa pazza. Grondando sangue, si mise a risalire. Meditava un assassinio, seguiva ogni minimo movimento di Heide, perché voleva prenderlo da dietro. Heide si teneva pronto a colpirlo al viso. Due volte vi riu-
275 scì. Ostinato, Gregor arrivò in cima. La sua faccia era una pappa di sangue. Noi, ventre a terra, seguivamo con interesse per vedere come avrebbero regolato i conti. « Arrenditi », disse Heide vittorioso e sprezzante. « Neanche per sogno, schifoso! » urlò Gregor. Cambiò tattica, lanciò il coltello. La cosa riuscì. Heide rivolse la sua attenzione al coltello, mirando troppo tardi alla testa di Gregor. Questi riuscì a afferrare la caviglia di Heide. Tutti e due precipitarono dal pendio in una valanga di ghiaia e di sassi. Si rimisero in piedi, presero i coltelli, colpendosi selvaggiamente. Dopo aver ferito Gregor al basso ventre Heide stava per dargli il colpo di grazia. Ma Gregor, che aveva imparato il trucco dal piccolo legionario, fece un pericoloso salto indietro e poi in avanti. Heide ricevette in pieno sulla zucca i due stivali. Grugnì come un maiale quando lo sgozzano. Gregor lo prese per le orecchie e gli sbatté la testa contro la roccia. Heide cadde nell'incoscienza. Gregor vacillò per un momento, poi cadde a sua volta. Fratellino si fregò le mani. « Adesso gli do il colpo di grazia. » Si mise a armeggiare con le sue pinze da dentista. « Heide ne ha la bocca piena e Gregor ne ha due. E un pezzo che sono sulla mia lista. » Cominciò a scendere, ma non era che a metà strada quando gli altri ripresero conoscenza. Gregor vide per il primo Fratellino con le pinze. Ecco Heide e Gregor diventati alleati! Fratellino era deluso. « Disgraziati! Dammi i tuoi canini », urlò gettandosi su Heide che era il più vicino. Incominciò una nuova zuffa. Gli altri due erano più agili del gigante, ma non poterono niente contro la sua forza erculea. Gregor dovette dichiararsi vinto, ma Fratellino non lo lasciò prima di avergli ripreso tutto quel che aveva in tasca.
276 Heide cercò di scappare, correva come uno scoiattolo, ma Fratellino lo raggiunse. « Li voglio, non hai ancora capito? » Heide capitolò. Ottenne di conservare i denti, ma in compenso dovette sputare duecentosettantacinque dollari, l'anello del papa e il suo kalashnikov. 1 Era la cosa peggiore. Avevamo, soltanto due esemplari di quest'arma magnifica. Il piccolo legionario ne aveva uno e ora Fratellino possedeva l'altro. Avremmo fatto qualsiasi cosa per impadronirci di un kalashnikov e più d'uno aveva perso la vita nel tentarlo. Il suo felice possessore dormiva sull'arma, attaccata sotto il braccio. Nonostante questo, qualche volta il furto riusciva. Avevamo anche quattro mitra russi, modello 41. Uno solo di loro valeva quanto una batteria di obici pesanti. Ma come aveva detto Porta a un artigliere, che voleva appunto scambiare una batteria con un 41: « Come vuoi che mi porti dietro un obice? » Per cinque volte Heide tentò di riprendere il suo mitra e il suo anello. I.'ultima volta vi era quasi riuscito. Fu la notte in cui abbiamo lasciato Montecassino. Fratellino per poco non aveva ucciso Heide, che era stato salvato dall'arrivo del Guercio. Tre volte Heide assistè alla messa di padre Emmanuel, per assicurarsi l'aiuto di Dio nella sua lotta contro Fratellino. Via, a quanto sembrava. Dio rifiutava di occuparsi di questa faccenda. Facemmo fatica a trovare la baracca dello stato maggiore inglese. Le sentinelle erano mezze addormentate. Tagliammo loro la gola prima che avessero il tempo di dire uff. Circondammo la baracca. Avevamo mangiato tutto il nostro cioccolato drogato; non ci restava che dell'hascisc indiano per calmarci i nervi. Eravamo in missione da sei giorni e sei 1
Pistola mitragliatrice russa.
277 notti. Una luce bassa filtrava dalle imposte. « Bussiamo educatamente », propose Fratellino. « Se la faranno tutti addosso alla vista del mio kalashnikov comunista. » « Questa volta ci prenderemo un colonnello », decise Porta. « Non ne abbiamo mai avuti! » « Lo porterò via io », reclamò Fratellino. « Gli passeremo una corda al collo e sarà obbligato a correre dietro di me come una capra, quando la riportano alla stalla per mungerla. » « Un po' di calma », disse il Vecchio Unno, « dobbiamo fare in fretta », sussurrò. « Come tutto quel che facciamo », replicò Porta. Fratellino indicò la baracca. « Dite, ragazzi, avete visto? Hanno delle bottiglie! » Tacemmo tutti, stupefatti. Una donna in uniforme attraversò lo spiazzo, a grandi passi. « Ma guarda un po', hanno anche delle puttane! » sospirò Fratellino. « E una WAAC » 1, spiegò Heide. Fratellino lo guardò spalancando gli occhi. « Perché abbaiano? » « Cretino », sibilò Heide furibondo. La ragazza aprì la porta; alla luce si vide che era graziosa. Una ragazza graziosa in un'orribile uniforme. Barcellona aveva trovato i fili del telefono. « Li taglio », annunciò. Il Vecchio Unno si rallegrò con lui e ordinò: « Tre uomini stiano di sentinella intanto che gli facciamo 1
WAAC: Women's Army Auxiliary Corps, ossia Corpo ausiliario femminile dell'esercito. WAAF: Women's Auxiliary Air Force, ossia Corpo ausiliario femminile dell'aviazione
278 visita! » « Si bagnano i calzoni », rise Porta. « Bisognerà che la ragazza si lavi tutta quanta, prima che le facciamo l'amore », decise Fratellino. « Claro », nitrì Barcellona. « È il minimo che possa fare quando degli stranieri le fanno l'onore... » « Non dimenticatevi di prendere le scatole di corned beef quando li avrete fatti fuori », ricordò Porta. Si aprì una finestra. Un uomo guardò fuori. « Ecco il nostro uomo », sussurrò Heide. « Ci aspetta. » Una figura comparve nell'oscurità. Trasalimmo. Veniva verso di noi. Il piccolo legionario prese il coltello, dopo aver posato il mitra. Era un inglese gigantesco. L'uomo fece un brontolio familiare. « Fratellino! » esclamò Barcellona incredulo. « Sono io », rise Fratellino. Indossava un cappotto e un elmetto inglesi. « Mi sono imbattuto in una specie di guardia, giù là. L'ho ammazzato con la mia fionda. » Ci fece ammirare due denti d'oro. Il Vecchio Unno imprecò. « Prima o poi sarete tutti impiccati! » « Era buio », continuò Fratellino come spiegazione. Ci fece vedere un orecchio tagliato di netto. « Mi ha passato la loro parola d'ordine. Fra dieci minuti arriverà il suo collega. Mi basterà sospirare 'Wellington' prima di strozzarlo e di tagliargli un orecchio, se è buio anche allora. » « Siete pazzi », mormorò il Vecchio Unno. « Mi fa star male vedere queste orecchie. » « Perché? » chiese Porta sinceramente meravigliato. « I marocchini ci tagliano bene le orecchie. Non facciamo che restituire quel che riceviamo. » « Finirà male », disse il Vecchio Unno. « Nessuno ha una macchina fotografica? » chiese Fratelli-
279 no. « Mi sarebbe tanto piaciuto vedermi nei panni di Churchill. È buffo le cose che capita di pensare, da solo di notte. Mi sono chiesto se non sarebbe stata una buona idea ammazzarvi e poi dare l'allarme ai tommies. Con voi nella fossa comune, non ci sarebbe stato nessuno a sentirmi. Chissà che cosa potevo guadagnarci? Salvare tutto uno stato maggiore di Churchill, è un'occasione che non capita tutti i giorni. » « Ma guarda che idee », osservò Porta con uno sguardo bizzarro. « Non pensare troppo, Fratellino, rischia di finir male. Hai sentito quel che ha detto il Vecchio Unno. » « Mi chiedo che cosa vogliono fare dell'ufficiale », disse Heide. « Lo porteranno a dei PK » 1, spiegò Porta con l'aria di chi la sa lunga. « Che cosa direbbero se portassimo un caporale invece dell'ufficiale? » « Ci direbbero di consegnarlo », disse seccamente il Vecchio Unno. « E ora, vado a tagliare l'orecchio dell'altro », rise Fratellino spensierato. « Ho paura », mormorò il piccolo legionario. « Vado con lui. Ha certo già dimenticato la parola d'ordine 'Wellington'. » Per fortuna il piccolo legionario era previdente. Fratellino era immediatamente andato in collera quando l'inglese gli aveva gettato una bestemmia in dialetto londinese. Risultato, Fratellino dimenticò tutto e tuonò in tedesco: « Smettila, porco! Vuoi parlare in tedesco? » L'inglese arretrò istintivamente. Un momento dopo spirava fra le dita d'acciaio del piccolo legionario. Non c'era un secondo da perdere. Balzammo in avanti e sfondammo porta e finestre. 1 nostri mitra vomitarono la 1
Compagnia di propaganda.
280 morte. Porta e Heide si impadronirono di un ufficiale superiore, lo tramortirono a bastonate. Ammazzammo tutti gli altri. Fratellino arrivò di galoppo, sempre con l'uniforme inglese. « Togliti immediatamente quei vestiti! » minacciò il piccolo legionario. « Ho preso quattordici denti d'oro », gongolò Fratellino. Alcune armi automatiche spararono dietro di noi. Il piccolo legionario mi tirò contro di sé in un buco a fianco del sentiero. Porta e Heide trascinarono l'ufficiale svenuto. Apparve anche Olle Karlsson; gridò qualche parola incomprensibile, si voltò verso le armi che sparavano nel buio. Fece fuoco. Lanciò un grido acuto, si piegò e cadde. « Mille diavoli », sibilò il piccolo legionario. « Era evidente. » Apparvero tre dei nostri, per scomparire di nuovo nell'oscurità. Poi venne Rudolph Kleber. Si mise in ginocchio, sparando brevi raffiche. Improvvisamente lasciò cadere l'arma, si toccò la testa e cadde. Gli altri tre ritornarono, nel tentativo di portarlo con loro, lo volevo sparare. Il piccolo legionario fece segno dì no con la testa è si mise un dito sulle labbra. Uno dei tre cadde, tagliato praticamente in due da una raffica. Gli altri due vollero correre; improvvisamente uno di loro lanciò un grido spaventoso: « Sono cieco, cie-co... » Un inglese a testa nuda, in maniche di camicia, si fece avanti; aveva una mitragliatrice leggera sotto il braccio. Sette o otto inglesi lo seguivano. Uno di loro era armato di una carabina Mark 1 T, ultimo modello. Il piccolo legionario fece segno di sì. Il cieco era in ginocchio. Il grosso inglese gli appoggiò il mitra sulla nuca. Una serie di colpi martellarono. L'inglese rise.
281 « Damned Kraut! » Strinsi il calcio del mitragliatore contro la spalla. Un altro gruppo uscì dagli alberi. Ansimavano, gridando ingiurie. La parola Kraut ritornava continuamente. Rudolph gemeva. Un caporale alzò il mitra e ne vuotò il caricatore nel corpo che sussultava. Ho visto rosso. Avrebbero visto. Il piccolo legionario canticchiò: Viens, viens la mort! L'inglese sul sentiero si irrigidì. Dal profondo della gola del piccolo legionario usciva il grido di guerra marocchino: « Allah-el-akbar! » Contemporaneamente fece fuoco con il suo kalashnikov. Caddero come birilli. Ci rialzammo continuando a sparare su quelli che si muovevano ancora. Il piccolo legionario rideva selvaggiamente. Intingendo il dito in una pozza di sangue disegnò una croce sulla fronte di ognuno dei morti. Abbiamo raggiunto gli altri. L'ufficiale di stato maggiore, un tenente colonnello, si era svegliato. Gli abbiamo messo una corda attorno al collo e gli abbiamo spiegato che se si muoveva si sarebbe strangolato. « Chi è il vostro comandante? » chiese arrogante. « Non ti preoccupare .., ribatté Heide. « Chiudi la bocca piuttosto, se non vuoi avere guai! » « Oh, smettila », brontolò il Vecchio Unno spingendo via Heide. « Signor colonnello, maresciallo Willie Beier, capo di questo commando. » « Insegni ai suoi uomini come ci si rivolge a un ufficiale! » « Ci rompe le scatole », urlò Porta. L'ufficiale inglese non degnò Porta di uno sguardo « Dovrà mantenere la disciplina fra i suoi uomini, maresciallo, o dovrò lagnarmene con i suoi superiori. » Porta sollevò enfaticamente il cilindro giallo, si aggiustò il monocolo, prese la scatola delle cicche e se ne servi. Poi si
282 rivolse all'ufficiale strizzando l'occhio: « Sir Colonel, mi presento ». Continuò con la voce un po' nasale: « Ha davanti a lei il celebre caporalmaggiore per grazia di Dio Joseph Porta di Wedding. Posso esserle utile? Eventualmente con un calcio nel sedere? » Porta fece il giro del prigioniero, considerandolo con molto interesse. « Maresciallo Beier, dove ha preso questa sardina? Curioso esemplare! » L'ufficiale inglese perse il suo sangue freddo. Furibondo si rivolse al Vecchio Unno. « Non accetto di essere trattato così. » « Ho davvero paura che debba accettarlo », rise Barcellona. Porta si avvicinò ancora al prigioniero e contò ad alta voce: « Uno, due, tre ». L'ufficiale lo guardò a bocca aperta. « Quanti denti d'oro ha, Sir? Ne ho visti soltanto tre. » La voce del tenente colonnello si ruppe per la rabbia. Minacciò al Vecchio Unno ogni disgrazia. « Lascialo stare. Ci darà delle grane », disse il Vecchio Unno irritato. Nonostante le proteste di Fratellino, levammo la corda. Il piccolo legionario gli si piantò addosso. « Signor colonnello, una parola e le metto il mio coltello nel ventre. » Mostrò il suo coltello arabo con un sorriso minaccioso. Si sentì il fuoco dell'artiglieria che veniva dal fronte. Attorno a noi incominciarono a mettersi in movimento: lunghe colonne di autocarri e di fanteria in marcia. A un certo punto abbiamo camminato a fianco di un battaglione di marocchini, che ci credevano truppe speciali. Un balzo, e l'ufficiale inglese sarebbe stato al sicuro, ma la lama del coltello del piccolo legionario era puntata fra le sue co-
283 stole e nella schiena senti il mitra di Barcellona. Davanti a lui c'era l'enorme schiena di Fratellino. Fuggire sarebbe stata la morte certa. Ci mettemmo al riparo dietro le linee americane, aspettando la notte. Il fronte non era calmo. I proiettili traccianti salivano fin dove ci era possibile vedere. Poco dopo mezzanotte siamo passati, avanzando da una buca di granata a un'altra. Due indiani cercarono di fermarci e furono falciati immediatamente. Perdemmo tre uomini sotto il tiro della nostra stessa fanteria. Arrivammo estenuati al rifugio del comandante di battaglione. Il Guercio venne a vederci e strinse fra le braccia ognuno di noi. Mike ci offrì i suoi grossi sigari. Padre Emmanuel ci strinse a lungo la mano. Avevamo perduto la metà dei nostri uomini, fra i quali Rudolph e Olle Karlsson. Ci diedero cinque giorni di licenza, da passare nelle retrovie. Mentre ce ne andavamo, lungo la strada del fronte una grossa Mercedes grigia ci sorpassò. Sul sedile posteriore si trovava l'ufficiale inglese a fianco di un generale tedesco. La macchina di lusso ci schizzò di fango. Le abbiamo sputato sopra. Poi ci siamo messi a parlare di come ci saremmo divertiti al casino, da Ida la Pallidina. Dimenticammo tutto per le ragazze di Ida.
284 La montagna tremava come un animale che sta morendo. Sopra l'abbazia era sospesa una nuvola di polvere gialla, che lambita dalle lunghe fiamme lentamente diventava rossa. Sapovamo che e erano ancora dei monaci lassù. Ma quel che non sapevamo, era che proprio in quel momento si stava celebrando la messa nella basilica. « Devono essere polverizzati », mormorò Barcellona guardando le rovine. Il comandante Mike emerse da una pozza di fango in compagnia di padre Emmanuel. « Dei volontari per l'abbazia », ordinò Mike. Dalla trincea nemica gli americani ci facevano segno « Salve, Kraut », gridarono. « Fuori dai piedi, sporchi yankee », tuonò in inglese Mike di rimando. « Nascondete la faccia, o ve la stritoliamo. » Senza preoccuparsi dell'avvertimento, indicarono col dito l'abbazia in fiamme. « Go up and help the holy men, Kraut. » Intanto scaricammo i fucili. Essi issarono su la bandiera bianca. Abbiamo deposto i fucili. Le mitragliatrici tacevano. Siamo partiti di corsa. Americani, inglesi e francesi ci seguivano con gli occhi. Siamo saltati oltre le rovine del muro. Padre Emmanuel e il medico in testa. Ci siamo messi le maschere antigas, abbiamo fatto uscire e radunare i monaci in quello che era stato il cortile centrale. In silenzio, in fila, hanno lasciato l'abbazia. Il primo portava un grande crocifisso di legno. Li abbiamo accompagnati fino alla curva della strada. Intonarono un cantico. Il sole uscì dalle nuvole. Era come se Dio ci guardasse dall'alto del suo cielo. Seduti sull'orlo delle loro trincee, anche gli americani guardavano l'insolita processione. « Giù gli elmetti! » ordinò una voce. Era inglese o tedesca? Tutti si scoprirono e si inchinarono con rispetto...
285 L'ultima cosa che abbiamo visto è stata il crocifisso, che sembrava galleggiare nell'aria. Siamo balzati di nuovo nelle nostre trincee. La bocca delle mitragliatrici era di nuovo puntata in avanti. Al mio fianco il caporale Schenk cadde. Un distaccamento americano di lanciafiamme morì a duecento metri da noi. Un tenente francese si precipitò giù per il pendio: aveva perso la ragione. Eravamo stati uomini per un breve momento! Era tutto dimenticato. « Uccidi, camerata, uccidi! Muori, soldato! La morte per la patria è bella! Anche in una buca piena di fango sul fronte fetente di Montecassino. »
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LA MORTE DELL'ABBAZIA L'abbazia era un ammasso di rovine. Era sotto il fuoco incessante dell'artiglieria. Tutto era in fiamme. Uno per volta abbiamo attraversato di corsa lo spazio scoperto davanti alla porta. I paracadutisti, che stavano scavando le buche, risero vedendoci. « Avete venduto i vostri carri armati? » chiesero con disprezzo. Le fiamme lambirono la parola Pax incisa sopra la porta. Il cortile centrale con le sue statue non era più che un mucchio di rovine. Ci siamo messi a scavare. Duecento bombardieri pesanti passarono all'attacco. In poche ore scaricarono circa duemilacinquecento tonnellate di bombe. Le nostre buche furono demolite. Porta era al mio fianco. Un gran tratto di muro venne proiettato in aria. Lo seguivamo con gli occhi. « Salta! » urlò Porta. Siamo balzati via. Con un fracasso assordante il muro ricadde esattamente là dove eravamo qualche secondo prima, seppellendo un terzo dei nostri uomini. Non è stato possibile liberarli. Quando spuntò l'alba tirammo fuori le mitragliatrici dal fango e le verificammo con cura. Funzionavano. « Fra poco arriveranno », predisse Porta. Mike strisciò fino a noi. Aveva perso l'elmetto e un occhio era coperto da un lembo di pelle. « Come va? » chiese, aspirando dal grosso sigaro. « Siamo vivi », rispose Porta con un largo sorriso. « Non è ancora finita! » decretò Mike, pessimista. Si asciugò il sangue che gli gocciolava sul viso. Mike aveva ragione. Non era ancora finita. La montagna sacra era in preda alle convulsioni, come un toro da combat-
287 timento che sta per morire. Pietre monumentali volarono da tutte le parti. Non c'era angolo che non bruciasse. Abbiamo abbandonato le nostre posizioni per rifugiarci nei sotterranei dell'abbazia. Nessuna creatura vivente poteva restare fuori. Il nostro trombettiere, il caporale Brans, vaneggiava. Prese la tromba e si mise a suonare un'aria di jazz. Poi decise di farci saltare tutti. Fratellino riuscì a strappargli la bomba che aveva in mano e a gettarla nel cortile, dove la sua esplosione si perse fra il tuonare delle granate. Un paracadutista che aveva avuto le gambe fracassate dalle macerie di un muro, gemeva in una pozza di sangue: « Ammazzatemi, ammazzatemi! Fatemi morire! » Heide aveva già in mano la sua P.38, ma il Vecchio Unno gliela fece cascare con un colpo secco. Il caporale infermiere Glaser si chinò sul soldato che urlava e attraverso l'uniforme gli fece un'iniezione di morfina. « E tutto quel che posso fare per te, camerata. Se tu fossi stato un cavallo, ti avremmo dato il colpo di grazia, ma sei un uomo e hai diritto a tutto il bazar. Dio lo vuole. » Glàser sputò su un crocifisso. Il cappellano Emmanuel veniva avanti fra le macerie. Era bianco di calce. Si chinò sul ferito, avvicinò il crocifisso alle sue labbra e disse una preghiera. La sua faccia era ferita da una scheggia di granata. Glàser volle medicarlo, ma padre Emmanuel lo respinse con impazienza e si diresse verso un ferito grave, un capitano delle SS, che aveva un enorme buco al basso ventre, provocato da un proiettile al fosforo. «Va' fuori dai piedi, prete!» gemette l'ufficiale morente. « Il tuo Dio, me ne frego. » Padre Emmanuel non volle sentirlo. Chinò il crocifisso sul viso del capitano di cui si vedevano le budella. Il ferito urlava. Porta giocherellava con la pistola, Fratellino raccolse un randello. Se quell'individuo non si spicciava a
288 morire, lo avrebbe finito. Le sue urla ci davano sui nervi. Glaser era a corto di morfina. « Ammazzalo », gridò Porta esasperato. Padre Emmanuel si dirigeva verso altri agonizzanti. Erano molti. Appena avevano dato l'ultimo respiro, li gettavamo fuori. Quando i topi si attaccavano ai cadaveri, era una cosa infernale. Una bomba cadde sulla cripta. Eravamo imprigiona ti dietro l'altare. Altre bombe esplosero. Eravamo quasi soffocati dalla polvere. E continuava, un'ora dopo l'altra. Avevamo perso la nozione del tempo. Il cappellano era seduto per terra. La sua uniforme era strappata, il viso insanguinato. Cercando un punto da cui incominciare a liberarci, si attaccò a una grossa trave. Era forte come un leone. Sprezzanti lo osservavamo tirare la trave. Ci sarebbe voluto un trattore per smuoverla. « Sembra che l'uomo di Dio abbia molta fretta di lasciare la casa del suo padrone », rise Heide. « Siediti e aspetta tranquillamente di crepare, prete. Staremo tanto bene lassù dal buon Dio! Ma forse non ci credi neanche tu a tutte queste fesserie? » (Era un'idea fissa di Heide. Detestava tanto Dio quanto detestava gli ebrei.) Padre Emmanuel si voltò dalla parte di Heide. La bocca rideva, ma gli occhi lampeggiavano. Lentamente andò verso Heide che, un coltello in mano, si stringeva nervosamente all'altare. Con un calcio padre Emmanuel fece cadere il coltello. Poi afferrando Heide per il collo, gli batté la testa contro il muro, vicino al grande crocifisso. « Julius, se scherzi su Dio ancora una volta, ti schiaccio contro questo muro, te lo giuro! Non sarai tu il primo a cui spacco il cranio, anche se sono un prete. Se c'è qualcuno che
289 deve aver paura di trovarsi davanti a Dio, sei ben tu, Julius! » Lo spostamento d'aria di un'enorme bomba ci gettò gli uni sugli altri. Padre Emmanuel scosse la testa, sputando sangue. Il Vecchio Unno gli tese la borraccia, che egli accettò con gratitudine. Un grosso sasso volò a qualche centimetro dalla sua testa. Heide si preparava già a buttarne un altro. Il cappellano si rialzò. Fissò il crocifisso sul suo petto, riallacciandosi la giubba e avanzò verso Heide, con i movimenti lenti di un lottatore esperto. Heide tirò un calcio fra le gambe del cappellano e balzò da parte. Ma quello era fatto di un materiale resistente; si gettò su Heide e lo stese a terra, e ve lo tenne stringendolo alla gola. Dopo qualche istante Heide chiese grazia. Il cappellano si rimise al lavoro come niente fosse stato. Fratellino si sputò sulle mani e andò a aiutarlo. L'uomo di Dio e il carnefice collaboravano. L'incredibile avvenne, la trave si mosse. Risero orgogliosi, nessun altro ci sarebbe riuscito. Potemmo aprirci un passaggio e uscire. Un centinaio di topi, spaventati, correva per la basilica. Con grida acute cercarono di arrampicarsi su per le nostre gambe. Non avevano che un pensiero: lasciare quell'inferno in fiamme. Li abbiamo attaccati con le vanghe da fanteria. All'odore del sangue fresco si saltarono alla gola, uccidendosi fra di loro. Il fuoco si calmò per un momento, per riprendere poi più di prima. Si seppe che più di duemila fortezze volanti avevano partecipato ai bombardamenti. In ventiquattr'ore avevano lanciato più proiettili su quel punto di quanti ne avessero mai gettati su Berlino. Durante l'attacco aereo il generale Juin disse al generale Clark: « Non so che cosa sentano i tedeschi che sono nell'abbazia,
290 ma quanto a me, ho la pelle d'oca! » « Questa montagna è diventata un'altra Verdun che si deve conquistare. Non vogliamo tornare a vivere quel che abbiamo vissuto in Francia. Quando avremo gettato le nostre bombe, tutto sarà finito. Non ci saranno sopravvissuti lassù. » Il generale Juin non ne era tanto sicuro. « Generale », rise Clark, « quando le nostre fortezze volanti avranno finito, tremila cannoni pesanti ne prenderanno il posto. Sarà una battaglia di artiglieria, come il mondo non ne ha mai visto. Il generale Frey-berg ha voluto il bombardamento aereo. Gli diamo in più due milioni di granate. Attaccheremo senza sosta per quattro giorni e quattro notti. Dopo di che potremo riferire a Washington e a Londra: nessun superstite a Montecassino. » Il generale rise, sicuro di sé. Persino Dio sarebbe stato ucciso, se fosse stato fra le macerie. In quel momento padre Emmanuel alzava il suo crocifisso sulle nostre teste. Avevamo fabbricato un altare con l'aiuto di casse e di travi spezzate. La cosa aveva provocato qualche baruffa, ma non c'era stato niente da fare. Il cappellano voleva celebrare la messa. Ci siamo disposti attorno a lui. « Levatevi l'elmetto », comandò, « e in ginocchio adesso pregheremo. » Durante la preghiera qualcuno brontolava. Il padre si voltò. « Cani, non crediate che Dio abbia paura di voi. Voi piagnucolate all'idea di morire, ma quando si tratta di ammazzare gli altri, non avete scrupoli. In tre giorni la compagnia ha avuto ottantasei morti. E molto. Ce ne saranno ancora. E meglio che vi affidiate a Dio finché siete ancora in tempo. » Continuò su questo tono per un quarto d'ora. « Avrebbe dovuto essere generale di divisione », sussurrò Porta. « Che capo! »
291 Una salva di artiglieria si abbatté sull'abbazia. Il cappellano fu precipitato giù dal suo pulpito di fortuna. Il sangue gli colava da una ferita profonda al viso. Riprese il suo posto e brandì un mitra. « Non crediate soprattutto che sia questa l'arma più forte al mondo. Cani, non respingete Dio. La vita è soltanto un prestito. Le pistole non hanno nessuna importanza di fronte a Dio. Vi conosco. So quel che pensate. Non ridere, Porta. Non troverai neanche una parola da dire a Dio, neanche con la tua gran bocca da berlinese. Non credete a quel che sta scritto sulla fibbia del vostro cinturone. Dio non è con voi. Così come non è con gli altri. La guerra è il punto culminante della stupidità umana. L'opera del diavolo. Certi chiamano una crociata questa guerra. E una bestemmia. E la più grande carneficina che si sia mai vista. » Una spaventosa deflagrazione mise il punto finale alla sua predica. La basilica crollò. Cercammo di uscire dall'ambiente pieno di fumo. Il bombardamento ora aveva un altro suono. Non era più il sibilo snervante delle bombe. Ora le granate dominavano. Un tiro di artiglieria: più concentrato, molto diverso; un rumore regolare, più simpatico. Abbiamo scavato dei rifugi. L'abbazia era scomparsa. Come poteva permettere una cosa simile, Dio? Il sole tramontò. Il sole si alzò. Le rovine furono proiettate in aria migliaia di volte. Restavamo rintanati nelle nostre buche. Per quanto tempo ancora? Qualcuno corse lungo il piccolo sentiero. Con un salto magistrale prese terra da noi. Era il Verro, la nostra staffetta. Ansimava, sfinito per la corsa. Mike gli batté sulla spalla. « Che cosa succede? » « Il battaglione è liquidato, signor comandante », balbettò. « Impossibile », brontolò Mike. Facendo un segno a Porta:
292 « Sven e tu, andate a vedere che cosa succede ». Abbiamo preso i mitra, poi qualche bomba a mano nei nostri stivali e abbiamo afferrato il Verro. « Ci farai strada, amico! » « Non posso », gemette lasciandosi ricadere, sentendosi male dalla paura, in fondo alla buca. Porta lo prese a calci. « Alzati, grosso maiale. Non puoi, ma devi! » Il Verro era ridotto a un cencio. Lo abbiamo picchiato col calcio dei fucili. Non è servito a niente. Ma dove non erano riusciti i nostri colpi e le nostre minacce, riuscì la voce di Mike. « Stahlschmidt, avanti! E un ordine. » Il Verro balzò in piedi, si mise sull'attenti sotto la grandine delle bombe e urlò: « Bene, signor comandante ». Partì così in fretta, che Porta e io facevamo fatica a tenergli dietro. « Camerati, seguitemi », urlò. Credette vedere un americano e vuotò il caricatore, ma era soltanto un cadavere. Un fischio acuto ci fece sussultare. Ci tuffammo nel fango. Soltanto i nostri occhi uscivano dalla maschera di melma che ci copriva la faccia. Quella che era stata la posizione della Terza compagnia era ora soltanto un paesaggio lunare, dove qua e là un braccio usciva dalla terra. « Colpiti in pieno », spiegò il Verro. « Avevo appena lasciato il gruppo di commando quando è successo. Doveva essere un trecentocinque. » Porta scorse in una buca un enorme proiettile. « Hai visto, Sven? Ah, sai quanto ci si può guadagnare! Mi dai una mano? C'è almeno tanto da pagarsi tre notti da Ida! » Inghiottii la saliva. Non sarebbe restato neanche un bottone di noi tre se la carica fosse esplosa. Non osavo dire di no. Fra tutti e tre riuscimmo a metterlo dritto. Porta vi sputò ad-
293 dosso, fece un segno di croce e tre genuflessioni. Il Verro era livido, e certo lo ero anch'io. « Tenetelo bene o avrete bevuto l'ultimo bicchiere », consigliò Porta. Prese gli arnesi dal suo zaino e li dispose con cura vicino all'ordigno. Ci davano venticinque pfennig per ogni chilo di rame; e ce n'erano molti chili nell'ordigno. Porta soppesava pensieroso le tenaglie. Proprio mentre stava per metterle attorno al becco della granata, sentimmo un fischio sopra le nostre teste. Rapidamente ritornammo alla nostra buca. Sassi, terra e schegge d'acciaio ci piovevano addosso. Porta sputò e ordinò al Verro di sedersi a cavalcioni sulla granata. Egli pianse, implorò grazia. « E’ un assassinio », gemette. « Sì, se non ci resti », rispose seccamente Porta, e incominciò a disinnescare l'ordigno. Mi passò l'altra tenaglia perché la girassi in senso inverso. Porta premeva con tutto il suo peso. Il Verro si aggrappava disperatamente per tener ferma la gra? nata. Porta sudava a grosse gocce, non per la paura ma per la fatica. «Se incomincia a far rumore, dobbiamo correre! Altrimenti ci ritroveremo sulla luna. Va bene, Stahlschmidt? » Il Verro singhiozzava. « Maledetto il giorno in cui sono capitato nella vostra compagnia! » « Ci siamo », esultò Porta girando le tenaglie. Levò il cappuccio, si mise in ginocchio, guardò all'interno del proiettile, poi vi introdusse la mano. Mi aspettavo un'esplosione da un momento all'altro. Nessun essere normale, che tenesse alla propria vita, avrebbe disinnescato una granata a quel modo. Il Verro si mordeva le labbra a sangue, aveva gli occhi fuori dell'orbita. Aveva l'aspetto di un maiale colpito dal colera.
294 « Perdiana », urlò Porta, con il braccio dentro fino alla spalla. « Non capisco, è pieno di ruote. Ah, incomincia a fare tic-tac, sentite? » « E a scoppio ritardato », gridò il Verro fuori di sé. Porta accese l'accendisigari per vederci meglio. Mi venne la pelle d'oca dalla testa ai piedi. « Ma guarda », esclamò. « Che cosa hanno messo qui dentro, e tutto si muove. Si direbbe una sveglia! » Il Verro lanciò un grido rauco, lasciò il suo posto e fuggi a gran passi. Porta, troppo occupato da quella macchina così interessante, non se ne accorse. Ne tolse un tubo. Poi la granata fece un rumore stridente. Preso dal panico fuggii a mia volta e mi misi al riparo in una buca a venti metri di distanza. Vedevo il cilindro giallo di Porta alzarsi e abbassarsi a fianco della granata. Passarono circa cinque minuti. Poi mi fece segno. « Vieni a aiutarmi, pappamolla. Ho tirato fuori la sveglia! » Un po' vergognoso mi avvicinai. Il Verro era scomparso senza lasciar traccia. Viti e rotelle si erano ammucchiate davanti a Porta. « Che arnese curioso », si meravigliò Porta. « Non trovo la spoletta dell'ogiva. Dev'essere rimasta dentro. » « Credi che si corra il rischio che esploda? » chiesi, inquieto. « Non c'è dubbio », disse Porta. « Ma speriamo di avere il tempo di togliere il rame. » Ce n'era una quantità impressionante, quando finalmente Porta si dichiarò soddisfatto. All'ultimo momento, prima di partire, si coricò per sentire il rumore che veniva dall'interno del proiettile. « Ecco che ricomincia a far tic-tac. Se lo smontassimo completamente per vedere che cos'ha nella pancia? Nel caso che ci capiti di trovare un'altra cosa del genere. » « Ah! no, vieni via, basta così », gridai. Me ne andai senza
295 aspettarlo. Porta mi seguì lentamente, appesantito dal rame. Ma mi aveva appena raggiunto, che la terra si sollevò e noi fummo gettati giù. Il nostro giocattolo era esploso. A quattro zampe, Porta cercava il suo cilindro giallo. Lo trovò dietro alcuni cespugli calcinati, attraversato da una scheggia di granata, con il nastro strappato. Il Verro era coricato nella buca di una bomba e piangeva, completamente disorientato. Impazzì vedendoci e si mise a urlare.. Abbiamo dovuto picchiarlo sulla testa con le vanghe. Restavano soltanto quaranta uomini della Seconda compagnia. Un sergente, il secondo graduato sopravvissuto, li comandava. La Terza compagnia era stata annientata. Della Quarta rimanevano sette uomini, di cui quattro gravemente feriti. Il comandante di compagnia, un tenente di diciott'anni, era seduto in un angolo della trincea, con una fasciatura insanguinata attorno al ventre. « Come va, signor tenente? » chiese Porta. Il tenente accennò un sorriso. Accarezzò una mitragliatrice posata al suo fianco. « Siamo pronti a riceverli, quegli animali. Impareranno di che stoffa siamo fatti! » Dei settecento uomini del battaglione, ne restavano centodiciassette. Le truppe mandate alla riscossa si facevano decimare nel vortice della morte. I proiettili piovevano sull'abbazia. Battaglioni, reggimenti, scomparivano. Dei nuovi li sostituivano. Nessuno di noi era indenne, ma soltanto i feriti gravi venivano curati altrove. Il caporale Knuth si presentò al posto di soccorso con tre dita amputate, e fu respinto dall'ufficiale medico: bisognava che ci mancasse almeno un braccio, perché qualcuno si occupasse di noi. Poco dopo l'alba, tutto cessò. Una nuvola gialla avvelenata circondava la montagna sacra. Tendevamo l'orecchio. Si sen-
296 tiva un sibilo che non conoscevamo. Un nuovo tipo di proiettile? » Un ufficiale dei paracadutisti brandì la sua maschera antigas. « I g-a-a-s, i g-a-a-s! » Il grido si diffuse di rifugio in rifugio. I.e granate esplosero con uno strano rumore, sordo, liberando un vapore giallastro. Incominciavamo a tossire. Era una cosa che ci bruciava i polmoni. Ci faceva male alla gola; avevamo l'impressione di soffocare; gli occhi ci lacrimavano. Alcuni, impazziti, si gettarono nel baratro. Ci siamo strappati l'elmetto e ci siamo messi la maschera sulla faccia. Essa ci accecava. Sudavamo, l'angoscia ci torceva le budella. La notte sostituì il giorno. Eravamo spaventosi con le nostre maschere nere. Non si trattava di gas, ma di bombe nebbiogene. Era sufficiente. Molti morirono soffocati dal fumo « innocente ». Arrivavano. Sicuri della vittoria. Abbiamo riconosciuto il rumore dei carri con i cingoli, che annunciava la morte. In fitti sciami avanzavano dondolandosi nella nebbia. I loro musi si tuffavano nelle buche delle granate per risalire poi verticalmente. I cingoli ondeggianti schiacciavano i morti e i feriti. Arrivavano, con tutti i portelli aperti, in piedi nelle torrette, a cercare la loro preda attraverso il fumo giallastro. Fanti che urlavano, gettando le armi in segno di resa, furono schiacciati. I capicarro ridevano. « Go to hell, Kraut, here we are with the Shermans! » Tirarono una raffica, una tempesta di fuoco. Spazzarono la zona con le loro mitragliatrici. I lanciafiamme vomitarono su una compagnia di granatieri che si stringevano, paralizzati, contro una roccia. Ma avevano dimenticato i soldati dei carri che si battevano
297 con la fanteria. I loro cingoli non ci impressionavano. Sapevamo come affrontarli. Heide tirò fuori la mitragliatrice leggera, verificò la mira. Prendevamo le bombe a mano, strappandone la sicurezza con i denti. Erano vicinissimi, i mostri d'acciaio. Un odio feroce ci bruciava. Volevamo vendicarci delle loro migliaia di bombe. Fratellino si mise a correre, con le granate sotto ogni braccio. Nella destra aveva una mina T. 1 Si fermò davanti a uno Sherman e lanciò la mina, che passò vicinissima alla faccia del giovane comandante nella torretta. Un'esplosione assordante. Il comandante fu proiettato in aria. Il pesante veicolo si rovesciò. I cingoli continuavano a girare, nel vuoto. Fratellino era già passato a quello che seguiva. Porta era aggrappato al cannone di un altro. Infilò due bombe a mano nella gola dell'ordigno, poi si lasciò ricadere. Il carro armato gli passò sopra, ma Porta sapeva come distendersi contro terra. Si rialzò senza un graffio. Heide prese posizione fra i cingoli di un carro bruciato e ci coprì con la sua mitragliatrice. Gli americani si fermarono. Non capivano che cosa stesse succedendo. I loro carri si consumavano uno dopo l'altro. « Allah-el-akbar! » Il grido di guerra del piccolo legionario lacerò l'aria. « Vive la Legion! » Tirò fuori un capocarro dal portello della torretta e collocò le sue granate. Io mi impadronii di una mina T e mi gettai sullo Sherman più vicino. La mina restò impigliata nei cingoli. Lo spostamento d'aria mi proiettò su un carro in fiamme, dove c'erano due corpi calcinati. In piedi, a quello dopo! Nuova mina. Poi i combattimenti individuali. Un ammazzare selvaggio, carico di odio. 1
Mina Teller: piatto di forma circolare con manico.
298 Una torretta cadde in mezzo a noi; la metà del suo comandante era restata nella botola; il cannone girò! Altre briciole umane. Si fece avanti Mike, una pistola in una mano e una sciabola da samurai nell'altra. « Dietro di me, serrate », urlò. Paracadutisti, fanti, granatieri, artiglieri, infermieri e un cappellano seguivano un ufficiale che vociferava brandendo la sua sciabola da samurai sopra la testa. Il piccolo legionario, Porta e Fratellino si lanciarono. Il Verro è in mezzo a loro, a testa nuda. Ha perso l'elmetto e deve essere stato colpito da pazzia, perché si batte come un leone. Armato di uno dei nuovi mitra inglesi con una baionetta sulla cima, spara su tutto quel che incontra. Indiani con in testa il turbante si arrendono, le braccia in alto. Un secondo dopo sono trasformati in torce umane. Heide si è impadronito di un lanciafiamme e lancia grida selvagge. Allo stato maggiore della divisione regna la confusione. Un ufficiale d'ordinanza, coperto di sangue, è arrivato fino al Guercio e lo mette al corrente della situazione. « La maggior parte delle compagnie è distrutta, signor generale. Tutte le posizioni sono messe a sacco. Le batterie non funzionano più. Nessun collegamento, ma ci si batte dappertutto. » « Tutto è distrutto, ma ci si batte dappertutto? Chi si batte, in nome di Dio? » gridò il Guercio con voce delirante. « Come volete che io comandi una divisione che non esiste... » Suonò il telefono. Era l'osservatore di artiglieria dell'abbazia, ferito. « Signor generale, unità di carri armati attaccano da nordest e da sud. Non abbiamo armi contro i carri armati. Mandate rinforzi, per l'amor del cielo! » Singhiozzi da pazzo interruppero la comunicazione. I nervi dell'ufficiale si erano
299 spezzati. Il Guercio si avvicinò alla grande carta dello stato maggiore appesa al muro e vi sputò sopra. Niente da fare. Non vi era più che disordine e confusione. « Perdio! Voglio dei rinforzi, mi capite, degli uomini! I cuochi, gli infermieri! Vuotate gli ospedali, date agli uomini dei fucili invece delle stampelle! » urlò all'ufficiale d'ordinanza. Furono tolte le carte; non servivano più a niente ormai. Si recitava la danza macabra. Gli ufficiali d'ordinanza furono mandati all'abbazia. Il Guercio li minacciò di portarli davanti alla corte marziale se non fossero arrivati a destinazione. « Vi proibisco di cadere », gridò. Un tenente ferito a morte entrò incepiscando, poi si afflosciò a terra. Prima di spirare ebbe il tempo di balbettare: « Signor generale, la Quarta compagnia è annientata. I combattimenti continuano ». Il Guercio afferrò per il collo il tenente morto: « Rispondimi prima di morire! Chi si batte? » Ma la testa del tenente si rovesciò priva di vita. Il sangue schizzava sul Guercio, che lasciò cadere il cadavere del ragazzo di diciotto anni. « Dovrebbe essere proibito morire in queste condizioni », brontolò. Dappertutto regnava lo stesso disordine. Gli americani e i neozelandesi erano al comando del generale Freyberg, il più ostinato dei generali che abbiano mai portato l'uniforme kaki. Ai suoi ordini l'abbazia fu demolita fino all'ultima pietra. Voleva la sua Verdun, l'ebbe! Quando gli parlarono della resistenza che avevano incontrato i suoi carri e i suoi granatieri corazzati, gettò per terra l'elmetto. «Impossibile!» urlò. «Non c'è più niente lassù. Avete delle
300 allucinazioni, vedete dei fantasmi! » Ma i fantasmi erano armati di mitragliatrici e di lanciafiamme. Altri reggimenti vennero mandati all'assalto a morire davanti ai lembi delle mura dell'abbazia. Carri armati inglesi salivano dondolandosi. Fanti scozzesi erano appesi alle botole come grappoli d'uva. Il fuoco di una mitragliatrice li spazzò via. Il generale Freyberg giurò sulla Bibbia che avrebbe preso l'abbazia. A qualunque costo. Si formavano altre unità. Scozzesi, gallesi, texani, australiani, montanari marocchini, indiani, negri del Congo, nippoamericani. In testa marciava una divisione polacca. Piangevano, urlavano, imprecavano. Cadevano sotto il tiro delle mitragliatrici. Non esistevano posizioni, e tuttavia ci si batteva. I carri armati si impantanavano. Le loro fotografie aeree non servivano più a niente. La loro artiglieria aveva trasformato tutto. Eravamo rifugiati in una buca, Porta, Fratellino, il piccolo legionario e io. Apparve uno Sherman. Guardavamo con gli occhi fissi il suo naso aguzzo puntato sopra di noi. Tra un momento sarebbe ricaduto e noi saremmo stati schiacciati. Porta balzò in avanti e lanciò una mina T; una colonna di fuoco, il carro era un braciere. Un uomo gettò un grido d'agonia. Era il capocarro, imprigionato nella torretta, con le gambe che bruciavano. Un fante americano gli diede il colpo di grazia. Abbiamo cambiato posizione. Si unirono a noi due paracadutisti armati di granate anticarro. Il piccolo legionario era inginocchiato dietro il suo lanciafiamme: « Allah-el-akbar! Vive la France! » gridò stupidamente, come se non sapesse che ci battevamo contro un generale francese.
301 Poi il Guercio arrivò in mezzo a noi. Teneva in una mano una Nagan e nell'altra il bastone. « Seguitemi », comandò. Aveva perduto la benda nera sull'occhio. L'orbita vuota era sanguinante. Alla sua destra, Mike attaccò con un grosso sigaro in bocca. Alla sua sinistra Porta, con il cilindro giallo piantato sulla nuca. Un grasso generale con le sue guardie del corpo. Ci battevamo a corpo a corpo. Mordevamo, grugnivamo; ci battevamo col coltelo, con i piedi. Un ufficiale francese, seduto su una roccia, stava rimettendosi a posto le budella. Con le gambe prese e schiacciate dai cingoli di un carro, un sergente negro americano sparava raffiche dal mitra arroventato. Un colpo di scure gli spaccò il cranio. Mi trovai precipitato in fondo a un cratere con un GI. 1 Muti di paura ci guardavamo, chiedendoci chi avrebbe sparato per il primo. Poi egli gettò via bestemmiando il suo mitra e mi tese un pacchetto di Carnei. Io risi per il sollievo e a mia volta gli offri una Grifa. Sorrise. Scoppiammo a ridere buttandoci uno nelle braccia dell'altro. Ci scambiammo le borracce. Due soldati caddero a testa in avanti nel cratere. Erano Porta e Fratellino. Arretrarono vedendo il GI. Fratellino tolse la sicura al suo kalashnikov. Io gli tolsi l'arma dalle mani. Scendemmo ancor più in fondo alla buca. Scambiammo i nostri distintivi col GI. Si entusiasmò per la mia stella rossa da commissario. Abbiamo fatto una partita a dadi, abbiamo fumato le Grifa, le Carmel e abbiamo vuotato le borracce. Il GI ci mostrò il suo tatuaggio sul petto: Paperino. Contraendo i muscoli in un certo modo, apriva il becco. Era divertentissimo. Il fuoco era cessato. Abbiamo guardato con prudenza so1
Soldato americano: da Government Issue.
302 pra l'orlo: tre tedeschi e un americano. « Now l'm going home », disse il GI. Ci siamo salutati calorosamente. Poi è partito, coperto dalle nostre armi. « Quello che gli spara avrà da fare i conti con me », promise Fratellino. Lo vedemmo saltare in una buca, poi una mitragliatrice riprese ad abbaiare al nostro fianco. I combattimenti ricominciavano. Un paracadutista, in preda alla follia, si mise ad arrampicarsi su per la collina. Si arrampicava come una scimmia. Una prodezza che in tempi normali lo avrebbe messo sulla prima pagina di tutti i giornali del mondo. Qui nessuno vi badava. Gli Alleati attaccavano. In testa i polacchi, i cacciatori dei Carpazi. « Per Varsavia », gridavano. Ci siamo ritirati fino all'abbazia. Ci siamo nascosti nelle buche. I primi soldati in kaki apparvero e furono falciati. Cadaveri, cadaveri, montagne di cadaveri. Gli uomini morivano, mentre i generali ammiravano lo spettacolo fantastico. « Formidabile », mormorò Alexander. « Meraviglioso », gridò Freyberg. « Splendido », esultò Kesselring. Incidevano le parole che avrebbero riempito le pagine bianche delle loro memorie. Il sogno di ogni grande generale. Il punto finale della giornata di lavoro degli esperti in materia di guerra. Un tenente polacco, che sanguinava da parecchie ferite, si rialzò e urlò ai venti uomini che rimanevano del suo reggimento: « Avanti, soldati, viva la Polonia! » Aveva annodato attorno al collo la bandiera polacca. « Il mio cuore è con te », mormorò il piccolo legionario prendendolo di mira. « Tu sarai messo alla destra di Allah, bravo polacco. » Vuotò il caricatore nel ventre dell'ufficiale.
303 Poi vennero i gurka; morirono nel fuoco delle mitragliatrici. I marocchini tagliavano le orecchie dei loro nemici uccisi, per provare quanti ne avevano ammazzati, una volta ritornati a casa. Il piccolo legionario giubilò quando li vide e lanciò il suo grido di guerra. « Ammazzateli », urlò ridendo pazzamente. « Avanti, avanti! Vive la Legion! » Lo seguimmo, come l'avevamo seguito tanto spesso in passato. Il Guercio volle fermarci; era una pazzia. Sparavamo con l'arma all'altezza del fianco. Ricaricavamo correndo. I marocchini ci guardarono a bocca aperta. Eravamo già addosso a loro, colpivamo con le vanghe e i calci dei fucili. Fratellino ne gettò una dozzina giù dalle rocce. Marocchini e gurka corsero a mettersi al riparo. Quando fu buio, agli ordini del piccolo legionario, uscimmo in pattuglia. In silenzio tagliammo loro la gola. Heide aveva ricominciato con il suo vecchio gioco del tiro a segno. Si rallegrava rumorosamente ogni volta che aveva colpito giusto. Il tenente Frick, sempre più furibondo, tuonò: « Pezzo d'idiota! Se tiri ancora una volta, ti denuncio per rifiuto di obbedienza! » « Capito, signor tenente », schernì Heide. « Devo passare il suo ordine a quelli dell'altra parte, perché si organizzi invece una partita di calcio? » Il tenente Frick socchiuse gli occhi. « Sergente Heide, so che sei il soldato più regolamentare della Wehrmacht. So anche che hai certe relazioni nel partito. Sei il più grande assassino che io abbia mai visto. Questa sporca uniforme ti va perfettamente bene.» « Te lo farò vedere! » rise Heide. Il tenente Frick si abbassò, prese una gavetta piena di spa-
304 ghetti e ne lanciò il contenuto in faccia a Heide, che arretrò urlando preso di sorpresa. Senza dire una parola, il tenente rimise la gavetta vuota vicino a Porta. Poi si rivolse a Heide: « Ecco, sergente Heide, puoi fare il tuo rapporto. Il tuo superiore ti ha attaccato, ha pronunciato parole disfattiste. Credo ce ne sia abbastanza per farmi impiccare cinque o sei volte ». Detto questo, il tenente voltò le spalle e andò a raggiungere Mike, occupato a dar la caccia ai suoi pidocchi. « Voi siete testimoni! » urlò Heide asciugandosi. « Testimoni di che? » chiese Porta. « Non fare l'idiota! Avete sentito che ha detto che stiamo perdendo la guerra, e vi obbligherò a firmare il mio rapporto. Voglio vederlo impiccato. » « Ma di chi parli? » si meravigliò Barcellona. « È un pezzo che non vedo nessun tenente. Hai visto qualche tenente, tu, Fratellino? » « Io sì, ma tanto tempo fa », disse Fratellino dopo aver inghiottito un pezzo di salsiccia. « Di' un po' », Porta si alzò in piedi. « Come ti permetti di impiastricciarti con i miei spaghetti? Ti costerà caro, dovrai rimborsarmeli, c'era anche della salsa di pomodoro! Dammi delle grifa! » « I tuoi spaghetti, ci piscio sopra », proruppe Heide pallido di collera. « Gliela farò vedere, a quell'idiota di ufficiale. » Cercando attorno a sé testimoni più docili, scorse padre Emmanuel. « Padre, giurereste sulla santa croce di non averlo sentito bestemmiare il Führer? Vi metto in guardia. Finirà davanti alla corte marziale. » Il cappellano nitrì e prese un'espressione da perfetto cretino. « Se capisco bene, Heide, hai rubato gli spaghetti di Porta per impiastricciartene la faccia? » Heide tolse la sicura al mitra. « Padre, lei ha visto quel tenente dei miei coglioni che me li
305 ha gettati in faccia! » « Ma sei pazzo, Heide », disse padre Emmanuel fingendo di essere spaventato. « Quando mai un tenente getterebbe gli spaghetti in testa ai suoi inferiori? » Heide vide rosso. « Banda di traditori, vi porterò io personalmente a Torgau ! Ve ne pentirete ! » « Parla un po' meno, Julius », lo interruppe Porta puntandogli contro il ventre il suo lanciafiamme. « Passami le grifa. Imparerai forse un'altra volta a non rubare gli spaghetti della gente per bene. » « Stai fresco », disse Heide, sicuro di sé. « Se è così che la prendi », disse Porta lanciando una fiamma sopra la testa di Heide, così da vicino che abbiamo sentito l'odore del pelo bruciacchiato. « L'avete finita con le vostre idiozie? » tuonò Mike. Heide corse a mettersi al riparo dietro una roccia. Un'altra fiamma. Heide riapparve, affumicato e con lo sguardo angosciato. « Fermati, perdio, mi brucerai! » « Guarda! Ti sei svegliato? » sospirò Porta diabolicamente, preparandosi a lanciare un nuovo getto. Un pacchetto di sigarette oppiate volò nell'aria. Porta le raccolse, annusandole. « Bene, e poi ti muovi per trovarmi un'altra gavetta piena di spaghetti e di salsa di pomodoro. Non sarebbe male se ci fosse un po' di cipolla. Grazie. » Heide si allontanò bestemmiando furibondo. Porta gli gridava dei buoni consigli. «Signore!» esclamò padre Emmanuel, indicando il cielo. Alzammo la testa, rifiutando di credere ai nostri occhi, uno sciame di api gigantesche... ma le api erano bombardieri. Ci disputammo i binocoli. « Ce ne sono almeno mille », mormorò Barcellona, « fortezze volanti americane. Non mi piacerebbe trovarmi dove
306 lasceranno andare i loro stronzi. » Mike lasciò scappare un pidocchio e guardò il cielo. « Misericordia, da dove vengono? Arrivano dal Nord! » Non sapevamo che i bombardieri avevano decollato la mattina stessa dall'Inghilterra. Squadriglie di caccia li avevano protetti sopra la Francia. Avevano freddamente violato la neutralità della Svizzera. I Focke-Wulf li avevano attaccati, ma inutilmente. I giovani piloti ventenni masticavano chewing-gum. I loro visi erano coperti dalle maschere per l'ossigeno. I motori rombavano, un'ora dopo l'altra. Gli aerei attraversavano gli sbarramenti di artiglieria antiaerea, come fosse niente, un temporale. Strappandosi la maschera, bevvero a un termos. Il capo navigatore si mise in bocca cinque Carmel in una volta, le accese e le distribuì ai suoi compagni. Fumavano con gli occhi fissi sul cartello rosso: Smoking prohibited. Un Focke-Wulf attaccò il B-17 del giovane capitano Boye Smith. « Mandagli qualche nespola, a quel dannato Kraut! » gridò al mitragliere di coda. La prima raffica raggiunse il caccia Focke-Wulf che incominciò a scendere a vite, mentre dalla sua carlinga usciva un denso fumo nero. Si schiantò nel mezzo del villaggio di Puntoni, a ovest di Firenze. Due bambini e una giovane donna che stava facendo il bucato furono uccisi. Il pilota, il barone von Nierndorf, era stato ucciso in aria. « Go to the worms », rise il capitano Boye Smith sputando. Non sapeva che tre quarti d'ora più tardi sarebbe stato linciato da un gruppo di contadini, perché il giorno prima un cacciabombardiere aveva ammazzato due donne, un vecchio e cinque bambini. Quando l'aereo di Boye si era schiantato, il capitano, unico sopravvissuto del suo equipaggio, aveva cercato rifugio in questo villaggio. Lo legarono a un palo dietro la fattoria di
307 Bruno Garini, lo inaffiarono di benzina e gli diedero fuoco. Nel momento in cui le fiamme incominciavano a lambire le gambe di Boye Smith, una pattuglia della polizia militare entrava di corsa nel paese. Era comandata dal maresciallo Stein, un porco come ce ne sono pochi. « Eh, eh! » gridò. « A che cosa giocate? » Indicando il pilota circondato dalle fiamme: « Dobbiamo ridere di questo? » Con una certa allegria prese per il mento una vecchia, ma i suoi occhi restavano freddi. « O dobbiamo definirlo un assassinio? » « Sì, signor maggiore », disse lei sforzandosi di sorridere, senza aver capito una parola di quel che diceva. Una delle donne che erano state uccise il giorno prima era la sua figlia minore. Per il suo cervello lento di contadina, non c'era nessun dubbio che l'avesse uccisa il pilota che stavano per bruciare. Stein respinse la vecchia. Riflettendo, accese una sigaretta e si mise a posto l'elmetto. Il sole brillava. Un cane dormiva sotto un cipresso. Un gatto si leccava su una carriola. In una vecchia carrozzina con le ruote di legno un bambino tese le braccia grassottelle verso il capo dei cacciatori di teste. Egli gli diede un buffetto. « Bambino, bambino. » 1 La madre stava al suo fianco, inquieta. Egli prese la sua pistola. Una P.38. Controllò coscienziosamente il caricatore, poi con un colpo secco lo rimise al suo posto. Il maresciallo Stein rideva. Il pilota americano era in fiamme, si sentiva l'odore della carne bruciata. Il maresciallo gettò la sigaretta e fece un segno con la testa. « Fatemi fuori questa gente! Facciamola finita. » Otto P.38 fecero fuoco contro gli italiani che urlavano, cercando all'ultimo momento di scappare. 1
In italiano nel testo.
308 I civili caddero gli uni sugli altri, i vivi cercando di ripararsi sotto i morti. I poliziotti caricarono di nuovo e spararono un'altra raffica contro il mucchio di creature umane. Il maresciallo accese un'altra sigaretta. Il bambino nella carrozzina si mise a piangere, il maresciallo raccolse un bossolo vuoto e lo diede al piccolo. Il bambino rise, mostrando il suo unico dente. « Partenza », ordinò Stein. Le auto anfibie si mossero in una nuvola di polvere. Più tardi durante la giornata un pastore scoperse il bambino che giocava con il bossolo. La punta dello stormo dei bombardieri, cinquanta B-17, si trovava proprio sopra Montecassino. L'aria rimbombava, sollevata da una tempesta d'acciaio. « Accidenti! » gridò Mike che ci aveva appena fatto vedere un esemplare dei suoi pidocchi. Ci siamo raggomitolati sotto una roccia, aspettando la morte. Gli americani erano altrettanto sorpresi. « Damned, they are bombing », urlarono. Le prime bombe spazzarono la montagna. Alcune case, giù nella valle, furono proiettate lontano. Una batteria pesante, imboscata dietro la stazione di Cassino, fu schiacciata in un secondo. Altre bombe piombarono sull'abbazia. Tutto fu avvolto da una nebbia giallastra. La montagna sacra si trasformò in un uragano che vomitava fuoco e fiamme. Dopo i B-17, passarono all'attacco i bombardieri leggeri Mitchell. Durante la notte arrivò da noi il Guercio, seguito dal suo ufficiale d'ordinanza Hartwig. Il Guercio chiamò i capi della compagnia. « Questa notte ci sganceremo », spiegò. « Ma gli altri non devono rendersene conto. Partenza dei paracadutisti; poi del Primo battaglione; infine della Quinta compagnia. Quelli che
309 restano partono alle due e cinque precise. Lasceremo un gruppo. Due batterie apriranno un fuoco di diversione più su. » « E l'ultimo gruppo », gridò Porta, « sarà il Secondo! Eroi, non siete quasi stanchi? Rallegratevi, i bambini a scuola impareranno le nostre gesta. La mia tuba gialla e le mie pinze da dentista saranno esposte nella vetrina di un museo. » Il Guercio lo osservò soprappensiero. « Poiché sei tu stesso a proporlo, Porta, ebbene, sì, sarà il Secondo gruppo! » « Quando imparerai a tener chiusa la tua boccaccia! » brontolò Barcellona. All'ora stabilita le compagnie partirono. Lasciarono le trincee senza nessun rumore. « Buona fortuna! » mormorò il tenente Frick proprio prima di scomparire. Il comandante Mike si appoggiò sulla spalla del Vecchio Unno. « A presto, Beier. » Nervosi, ci siamo stretti dietro le mitragliatrici. « Se vengono a sapere che i nostri amici se ne sono andati », sussurrò Porta, « avremo certo da aspettarci delle carezze! » « Ho una paura blu », disse Barcellona. « Se vengono », continuò Porta a voce bassa, « io taglio la corda. Filo come una lepre. Salute, amici! Non ho voglia di andare al Texas a spaccar pietre. » Il Vecchio Unno guardò l'orologio. « Fra cinque minuti l'artiglieria farà fuoco », sussurrò. « Tenetevi pronti. Fratellino, tu prendi il lanciagranate. » « Sogni », protestò Fratellino. « Se ci tieni tanto a portar via questo vecchio tubo da stufa, portalo tu. Il piccolo legionario mi ha ordinato di portare la grapr pa. » « Qui sono io che comando. Tu prenderai il lanciagranate
310 », disse il Vecchio Unno, furibondo. « Della vostra grappa, me ne infischio. Capito? » « Non sono sordo », borbottò Fratellino. « Allora, ripeti. » « Ripetere che cosa? » disse Fratellino facendo il tonto. Uno dei suoi trucchi quando voleva sfuggire a una corvée. Il fuoco dell'artiglieria tuonò. Porta afferrò la mitragliatrice. Io presi il treppiede. Furono distribuiti i nastri di munizioni. Porta sulla punta delle dita mandò un bacio agli americani. « Good bye, Sammy, see you later! Non piangere quando troverai le nostre buche vuote. » « Come ci vogliamo bene », rise Barcellona. « Questo amore sarà là nostra rovina », disse Heide. Scendevamo la montagna senza fare rumore. Uno stridio ci fece sussultare. « Che cos'è », imprecò il Vecchio Unno. « Sono già sulle nostre piste? » Dal buio ci arrivò la risposta di Fratellino: « Scusami, vecchio, questo maledetto lanciagranate mi è scappato. Colpa tua, perché hai voluto che portassi lui e la grappa! » « Hai perso anche l'acquavite? » chiese Porta preoccupato. «No! Per santa Barbara, patrona degli artiglieri, neanche una goccia. So come si maneggiano le cose preziose. » « Tre volte idiota! » imprecò il Vecchio Unno. « Ci procurerai un altro lanciagranate! » « Vado a farmene prestare uno da Sam », rispose allegramente Fratellino. « Ne ha a sufficienza. » Sudando, riprendemmo la strada. « Non ne posso più », sospirai. « Butto via il treppiede. » « Non farlo, dammelo », disse Barcellona. In cambio mi passò il lanciafiamme, che era altrettanto pesante, ma più maneggevole.
311 Un razzo tracciante salì verso il cielo. Ci gettammo per terra. Il minimo movimento e sarebbe stata la fine per noi. La luce si spense con incredibile lentezza. A est tuonò l'artiglieria. Era a Castellona, quota 771. Noi non sapevamo che era l'inizio dello sfondamento degli americani. Il Centosessantottesimo reggimento fanteria schiacciò il nostro Centotrentaquattresimo. Contemporaneamente il Centoquarantaduesimo reggimento fanteria americano annientò il nostro Duecentesimo reggimento granatieri corazzati. « Prendete le vostre armi », comandò il Vecchio Unno, « e seguitemi. In fila per uno, dietro di me. » La compagnia aveva scavato le buche fra alcune case. Fratellino posò prudentemente la grossa gavetta. « Incominciamo il ballo? » chiese al piccolo legionario, che fece segno di sì con la testa. Porta prese posto su una cassa e mise davanti a sé una campanella da altare. Fratellino si mise dietro di lui con un lanciafiamme alla mano. Il nostro nuovo trombettiere alzò la tromba e suonò l'adunata. Le teste si alzarono incuriosite dalle varie buche. Mike arrivò di volata, un grosso sigaro in bocca. « Che cos'è questo casino? Anche gli americani capiscono la musica. Rischiamo che ci arrivino addosso! » « Non ho niente contro i clienti americani », sospirò Porta. « I dollari sono una valuta sicura. » « Non fare lo sbruffone », urlò Mike. « Non hai mai visto un biglietto verde in vita tua! » Senza dire una parola, Porta tolse da uno degli stivali due grossi fasci di dollari. Mike restò senza respiro. « Dove li hai presi? » « Da qualche uomo dei generali Ryder e Walker. Ci siamo incontrati per caso dietro l'abbazia. Li ho convinti che non avrebbero più avuto bisogno del loro denaro. »
312 « Sai che si deve consegnare la valuta straniera al proprio comandante di compagnia o all'ufficiale politico. » Porta si rimise i mazzi nello stivale con un sorriso malizioso. « Sì, signor comandante, lo so. Il politico è un mio buon amico. » Fece vedere un minuscolo apparecchio fotografico. « Grazie a questa scatoletta. Sono un fanatico della fotografia e non ricordo mai dove nascondo le pellicole. Qualche giorno fa, senza volerlo, ho fotografato il nostro politico, mentre stava seducendo un ragazzino italiano. Dopo abbiamo discusso un po' a proposito della pellicola. Ci siamo messi d'accordo per non spedirla in Prinz Albrecht Strasse! » Mike fischiò, fissando intensamente gli stivali di Porta. « Un giorno ti impiccheranno, Porta », disse con convinzione. « E lei anche, forse, signor comandante. Il mio piccolo apparecchio è un buon amico. Io sono un povero caporalmaggiore con un cappello giallo. Un amico del Texas, quello che mi ha regalato questa faccenda, mi ha detto che il mondo è infestato di canaglie. E che se non si hanno delle armi segrete per difendersi, si finisce male. » Accarezzò il proprio apparecchio fotografico. « Ad esempio, guardi, l'altro giorno, era una bellissima giornata, osservavo una farfalla mentre fotografavo così, un po' dappertutto. Si figuri la mia meraviglia quando ho visto la pellicola, avevo ripreso un ufficiale con un grosso sigaro in bocca, che stava frugando nelle tasche dei morti, amici e nemici. Sì, la cosa non mi ha particolarmente colpito. Un ufficiale, è certo un patriota. Avrà consegnato senza dubbio tutto quel che ha trovato all'ufficiale politico. » Mike inghiottì, fissando la punta del sigaro. « Dove l'hai questa pellicola, Porta? » chiese, sforzandosi di controllare la voce. « La pellicola? Aspetti! » Porta finse di riflettere. « Ah sì! è
313 il mio amico, l'ufficiale politico, che me la conserva. Quando sarà finita la guerra abbiamo intenzione di fare una mostra di fotografie. L'intitoleremo: 'Patrioti in guerra'. Sono certo che susciterà molto interesse, signor comandante. » Stanco, Mike si sedette sul fondo della trincea. Era seduto sull'elmetto del Verro, che questi molto gentilmente gli aveva spinto sotto il sedere. « Un bicchiere, signor comandante? » sorrise Porta con cortesia. Mike vuotò il bicchiere d'un fiato. Era acquavite di riso a ottantotto gradi. Poi il comandante si rialzò, si mise lentamente in bocca un altro sigaro che il Verro gli accese molto servilmente. Il comandante non lo degnò neppure di uno sguardo. Toccando la pistola si sforzò di ridere: « Porta, avresti dovuto essere capo di stato maggiore. L'avresti fatta a un feldmaresciallo ». « Ma no, signor comandante. Sono soltanto un soldato che ha imparato a mettersi al riparo da tutte le parti. II mio motto è: considera ognuno come un bandito, finché non hai avuto le prove del contrario. Ora, succede di raro avere queste prove. » Il comandante Mike respirò profondamente. Per poco non inghiottì il sigaro. « Ancora una volta, Porta, ti vedo molto bene appeso a una corda! » Porta alzò le spalle con indifferenza. Poi incominciò a suonare come un pazzo gridando: « Il quarto nella destra, il denaro nella sinistra! Pagamento anticipato ». Il prezzo variava, benché la razione fosse la stessa. Un Oberscharführer 1 delle SS dovette pagare di più di un mare1
Maresciallo.
314 sciallo dei Panzer. Al contrario, uno scribacchino dovette pagare due volte più dell'Oberscharführer. Tre volte Fratellino dovette intervenire per impedire le zuffe. Un colpo di lanciafiamme e la calma era ristabilita. Arrivarono nel bel mezzo della bevuta, i marocchini. Avevano tagliato la gola alle nostre sentinelle senza che ce ne accorgessimo. Scesero dalle rocce, aprendo il fuoco da tre parti. Un momento dopo eravamo impegnati in combattimenti individuali. Fratellino andò prima a mettere al sicuro l'acquavite, poi si lanciò con il lanciafiamme. Il piccolo legionario, seduto con la schiena contro un muro, si difendeva con un'accetta. Poi i cacciabombardieri scesero in picchiata, spazzando il campo di battaglia. I marocchini si erano spinti troppo in avanti; furono falciati dal fuoco mortale degli aerei americani. Le case erano in fiamme. Un vecchio contadino tentava disperatamente di lottare contro le fiamme con una casseruola, che andò in pezzi mentre l'ombra del caccia passava a volo radente sopra di lui. Tiro di artiglieria. Dei fanti. Ci siamo ritirati. Ci siamo, ossia i pochi individui che erano ancora capaci di trascinarsi. Vi erano delle ambulanze nascoste sotto la strada. Abbiamo messo il Vecchio Unno su una di esse, pagando il suo posto con le nostre grifa e con i dollari di Porta. A ogni respiro del Vecchio Unno, appariva uno dei polmoni. Gli abbiamo stretto la mano. Mike, con un braccio schiacciato, fu caricato su un autocarro con altri quaranta feriti gravi. Gli abbiamo messo al fianco la scatola di sigari. Ci ha sorriso con gratitudine. Abbiamo scavato una buca per seppellirvi il Verro. Una bomba a mano gli aveva tolto i piedi. La buca non era molto profonda e il Verro non ebbe né elmetto nella tomba né croce sopra.
315 « Brucia lentamente in inferno », imprecò Barcellona. Il tenente Frick, con la testa avvolta in una benda che lasciava vedere soltanto gli occhi e la bocca, si avvicinò a noi. « Tornate alle vostre armi! Andiamo avanti! I granatieri si sono ritirati. Bisogna tenere la posizione a ogni costo. » Prendemmo in spalla le mitragliatrici. Le bombe piovevano su di noi. Barcellona cadde. Due paracadutisti lo portarono via. Schegge al basso ventre. Heide rotolò per terra: la nuca e la schiena non erano più altro che un buco vuoto. Lo abbiamo rimandato con dei granatieri. Il tenente Frick ebbe la testa strappata via. Il sangue zampillava a fiotti dalla sua gola. Abbiamo preso posizione in una buca piena di fango, Porta, Fratellino, Gregor Martin e io. L'ultimo quadrato della Quinta compagnia. Gli altri erano all'ospedale o nella fossa comune. Io avevo i galloni ora: ero a capo di una compagnia, e la compagnia consisteva di quattro uomini. Qualche pugno di uomini, soldati sopravvissuti di compagnie e di battaglioni, si unirono a noi. Abbiamo resistito per cinque giorni. Poi alcuni autocarri sono venuti a cercarci. I paracadutisti ci hanno coperto. L'ultimo combattimento di Montecassino era finito. *
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Caro lettore, se in una bella giornata di vacanza passi per la città di Cassino, fermati un istante, arrivando alla strada che porta all'abbazia. Esci dall'automobile, china la testa in segno di rispetto per coloro che sono caduti qui, sulla montagna sacra. Ascolta con attenzione, forse sentirai ancora il rombo delle granate e le urla dei feriti.
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SOMMARIO
3 18 56 77 104 122 137 165 181 199 225 255
I marines sbarcano I Panzer attaccano Il comandante Michael Braun La bisca di Porta Commando segreto Untersturmfuhrer SS Julius Heide Trasporto del Vaticano Parola d'ordine «Rabat» La guerra personale del comandante Mike In permesso a Roma Pattuglia della morte La morte dell'abbazia