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Kuì Eiç mhòv EK'ttO"Tat· O'tÉpouç EV ÉVt (2,16a), 01 <XIl
13 Cfr Robinson, "A Fonnal Analysis of Colossians 1,15-20", 250-252; Marcheselli Casale, "La struttura letteraria di Col 1,(I4b) 15-20a.b 1.2", 508-512; Wright, "Poetry and Theology", 446-448, che a mio parere esagera nel voler spezzare in due il v. 18a, i n modo da fornire una struttura chiastica di tutto l'inno (cfr p. 449). Comunque, non è i I solo che vorrebbe trovare chiasmi in questo testo, basta cfr Marcheselli Casale, "La struttura letteraria di Col 1,( 14b) 15-20a.b 1.2", 514, che vede in Col 1,15-20 un "chiasmo a spirale concentrica" e, mutando la posizione degli elementi, un "chiasmo a parallelismo polare"; e ancora più vistosamente Giavini, "La struttura letteraria", 317-320. 14 Elemento rilevato anche da Schnackenburg, "Die Aufnahme des Christus-hymnus", 33-50. 15 Benoit, "L'hymne christologique", 228; Marcheselli Casale, "La struttura letteraria di Col 1,(14b) 15-20a.bI.2", 508, anche se ritiene che l'elemento sintattico da mettere in evidenza sia solo il pronome aù,6ç, mentre è più rilevante proprio la costruzione coordinata e parallela Kaì aù,6ç f(HIV di I, 17a e I, 18a, che in tal modo fa da cornice all'elemento centrale di questa suddivisione, cioè I, I 7b. 16 Aletti, Colossiens 1,15-20, 35-42, attraverso una complessa analisi del testo, esclude la possibilità di una divisione tripartita. A mio parere, la sua analisi usa un metodo troppo rigido, che non tiene conto a sufficienza di tutte le asimmetrie che l'inno mostra. Inoltre, egli tende a piegare la sintassi ai suoi scopi, trascurando il carattere mctabatico di I, 17-18a e la fonnulazione para tattica del brano rispetto a quella ipotattica di ciò che precedc e di ciò che seguc.
Capitolo II
42 B. Il primato di Cristo
1) v. 17a: KClÌ a{ytoç Ècr'Ctv 1tpÒ 1tCXV'CON 2) v. 17b: Kaì 'C<Ì 1tCxv'Ca Èv a{mp cruvÉcrTT1KEv , 3) v. 18a: Kaì aù'Coç Ècr'ttv " KEaAlÌ 'C. crIDllawç 'CTlç ÈKKÀ1ì criaç-
A'. Cristo, inizio e primogenito di tra i morti 1) v. 18b: Duplice caratterizzazione del Figlio
oç È
o'tt Èv aùH!> EùMK1ìcrEv 1t
1) L'unità della pericope la si può stabilire facilmente attraverso alcuni suoi elementi letterari formali e di contenuto: a) Attraverso la struttura parallela e inclusiva di Col 1,15-16 e l, l8b20, che dal punto di vista formale è determinata dalla ripetizione dello schema oç Ècr'ttv ... o'tt Èv aùnp, mentre dal punto di vista contenutistico il relativo oç, pur ricevendo una duplice caratterizzazione come EìKroV wù 9eoù wù àopa'Cou in 1,15a e come àpX1l in 1,18b, è sempre un 1tpO>'COWKOç (1, 15b; 1, 18c), che deve essere primo in tutto (1, 18d). b) Attraverso l'inclusione in forma chiastica di 1,16b e 1,20d I7 : Èv wlç oùpavolç Kaì Èm 'CTlç YTlç Et 'CE 'C<Ì Èm 'CTlç YTlç d'CE 'C<Ì Èv wlç oùpavolç. c) Attraverso il continuo ripetersi del pronome anaforico aù'CoçI8, variato contenutisticamente lungo tutto il corso della pericope: aù'Coç 17 Dello stesso avviso sembra essere Benoit, "L'hymne christologique", 259; Karris, A Symphony, 67. 18 Cfr anche Benoit, "L'hymne christologique", 227.
Col 1,15-20
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(l,17a.18a.d), au'tOù (l,20b), Èv au-up (1,16a.17b.19), Ùl' au'tOù (1,16f. 20a.c), Eìç au-'t'ov (1, 16f.20a), ma sempre riferentesi allo stesso personaggio di cui si celebra la lode. d) Attraverso la costante ripetizione dell'aggettivo-pronome totalizzante no:ç, no:O'a, no:v nelle sue varie forme l9 : no:v (1,19), naO'llç (1, 15b), 'tà nana (l,16a.f.17b.20a), npò nanrov (l,17a), Èv no:mv (1,18d), ripetizione che sottolinea il ruolo cosmico-salvifico del personaggio celebrato nell'inno. e) Attraverso il parallelismo inclusivo tra l, 16f e 1,20a: 'tà nav'ta Ùl' au'tOù !wì. EÌç au'tòv EKnO''tat Kaì. Ùl' au'tOù ànoKawÀÀal;at 'tà nana EÌç au'tov, per mezzo del quale i due concetti del "creare" e del "riconciliare" si fondono in una sintesi nuova: quella soteriologica della "nuova creazione" redenta attraverso il sangue della croce di Cristo" (1,20). f) Attraverso il ripetersi dei termini indicanti un "primato" del personaggio descritto: npro'to'toKOç (l, 15b.18c), lÌ KE<j>aÀi} (l, 18a), àpxi! (l,18b), npò nav'Lrov (l,17a), '{va yÉvllWt ... npro'tt:urov (l,18d). 2) Anche la suddivisione della pericope non è difficile a stabilirsi ed è basata su elementi formali e contenutistici: a) Lo schema oç È
Cfr anche Karris, A Symphol1y, 66.
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il legame formale-contenutistico stabilito dall'espressione 1tacrllç Kncreroç; 4°) l'inclusione letteraria in forma chiastica tra l, l6a e l, l6f: Èv aù't0 ÈK'ticr91l 'tà 1tav'ta 'tà 1t<Xv'ta Ot' aù'tOu Kat etç aù'tòv EK'ttcr't<Xt20 • c) Col 1,17-l8a formano anch'essi un'unità stabilita attraverso il triplice ripetersi del Kai coordinante, che spezza il ritmo subordinato della prima parte, e attraverso l'inclusione letteraria formale Kat aÙ'toç Ècr'ttv, che pone i contenuti di 1,17a e 1,18a come cornice all'asserto centrale di 1,17b. In tal senso, il contenuto di 1,17 -18a è progressivo e metabatiC0 21 , in quanto la progressione del pensiero parte dall'idea cosmologica del primato temporale del personaggio celebrato (l, l7a), continua con l'affermazione del suo primato esistenziale su tutte le cose (l, l7b), infine introduce il primato ecclesiologico-soteriologico (1,18a) che sarà sviluppato nella seconda parte dell'inno. d) Col l, l8b-20, da un punto di vista strutturale, presenta delle anomalie evidenti22 : l°) l'introduzione della finale di 1,18d che spezza il parallelismo dello schema oç Ècr'ttv ... o'tt Èv aù't0, già precedentemente sottolineato; 2°) l'esplicativo Ot' aù'tou di l,20c che appesantisce di molto il ritmo della frase, tanto che parte della tradizione manoscritta ha cercato di eliminarlo; 3°) il1tpro'to'tOKoç ÈK 'trov veKprov di 1,18c dovrebbe avere la stessa funzione prolettica di 1,15b rispetto a 1,19-20, ma la frase nella sua formulazione brachilogica risulta immediatamente poco adatta ad esprimere il ruolo soteriologico della riconciliazione operata dal personaggio celebrato. Così, da un punto di vista strutturale formale l'unico elemento di connessione rimane l' o'tt causale di 1,19, che motiva quanto affermato in l, 18b; mentre da un punto di vista contenutistico si potrebbe vedere un'inclusione tra l'espressione totalizzante: 'tà 1tav'ta di 1,20a e quella esplicativa coordinata: ii 'te 'tà È1tt 'tfìç yfìç et 'te 'tà Èv 'tOlç oùpavolç di 1,20d. In base a tutto ciò, ritengo che la terza parte delKarris, A Symphony, 67. Forse tale parallelismo inclusivo potrebbe spiegare la variante di p46 che inserisce un causale, per rendere meglio formalmente tale parallelismo inclusivo. Cfr anche Aletti, Colossiens 1,15-20, 20, il quale mi sembra che vada troppo oltre le intenzioni del p46 volendo legare Col 1,16f con 1,17-18b. Tali versetti, come già si è detto, hanno una struttura di frase molto differente da ciò che precede. 21 Benoit, "L'hymne christologique", 228, dove mostra di aver intuito il carattere metabatico di queste versetti. 22 Cfr anche Benoit, "L'hymne christologique", 229 e 248-250, anche se non condivido la sua opinione che l'inno sia contemporaneo o leggennente posteriore alla composizione della lettera ai Colossesi.
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on
Co/l,15-20
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l'inno sia meno bilanciata rispetto alle altre due parti, in quanto si nota una prevalenza del contenuto sulla forma letteraria. Analisi esegetica
v. 15: oç Écrnv ebcrov 'toù geoù 'toù aopu'tou: "Egli che è l'immagine del Dio invisibile"23. È la prima affermazione dell'inno sul "Figlio dell'amore" del Padre di 1,13; in base a ciò, come già in Fil 2,6, il relativo greco oç può essere interpretato, in base al contesto, in diversi modi: 1°) come semplice relativo ("il quale"): si aggancia al nome che precede e ne offre una descrizione; 2°) come relativo pregnante: cioè include in sé un pronome dimostrativo o personale: "Egli che"; stabilisce, quindi, una piccola cesura con ciò che precede e dona alla frase una certa enfasi; 3°) come dimostrativo: "questi" e più liberamente: "Egli". lo credo che in italiano l'equivalente enfatico: "Egli che"24 sia il migliore, in quanto da una parte si aggancia all'espressione "Figlio dell' amore" di 1,13 e dall'altra introduce con enfasi questa "professione di fede" in Cristo, sapienza creatrice e soteriologica del Padre. In questo "Figlio" si è realizzato per noi "la redenzione, la remissione dei peccati" (1,14); per questo l'inno non vede il "Figlio" nella sua gloria eterna, ma nella realizzazione della storia della salvezza. Il termine greco El. lCcOV2S, "i mmagine", assume diversi sensi: figura, immagine materiale e ideale, manifestazione concreta di una realtà invisibile; proprio per questo, l' immagine per il pensiero greco partecipa della realtà della cosa riprodotta, in essa si manifesta l'essenza stessa della cosa. In tal senso, anche in Gen 1,26; 5,1-3; 9,6 il linguaggio biblic026 usa il termine "immagine" per dimostrare che l'uomo partecipa alla natura di Dio e la manifesta all'interno della creazione (Sap 2,33; 7,25-26). In Paolo, il termine ricorre nove volte: Cristo, il Figlio, è l'immagine di Dio (2Cor 4,4) invisibile (Col 1,15); l'uomo è immagine e gloria di Dio (lCor 11,7), creato a sua 23 Vanni, "Immagine di Dio invisibile", 97-113; Cantalamessa, "Cristo immagine di Dio", 269-287.
24 BDR, 293,3bc. In italiano, però, è meglio adottare la traduzione libera: "Egli". 25 Von Rad - Kleinknecht - Kittel, dKc.OV, 160-164; Feuillet, Le Christ Sagesse de Dieu, 166-175; cfr anche le pp. 152-158; Flender, dKc.OV, 839-840; Vanni, "Immagine di Dio invisibile", 99-101; Spicq, dKc.OV, 202-210; Kuhli, EiKc.OV, 388-391 (con molta bibliografia). 26 Nella LXX il termine EiKc.OV ricorre 43 volte e il suo senso è quello classico e qualche volta diviene sinonimo di "idolo"; cfr Vanni, "Immagine di Dio invisibile", 99-101, che sottolinea il carattere funzionale del tennine all'interno del linguaggio biblico.
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immagine (Col 3, l O); e anche se ha mutato la gloria dell'incorruttibile Dio in rassomiglianza di immagine di uomo corruttibile (Rom 1,23), egli è stato predestinato ad essere confoffile all'immagine del Figlio suo (Rom 8,29), in modo che, trasformati nella sua immagine (2Cor 3,18), come abbiamo portato l'immagine dell'(Adamo) terrestre porteremo anche quella dell'(Adamo) celeste (lCor 15,49). To'Ù 9eo'Ù 'w'Ù <xop
82-87.
175-185; Vanni, "Immagine di Dio invisibile", 105-111; Spicq, 1tPOOtOtOl(Oç, 771-773; Bartels, 1tPOOtOtOKOç, 1432-1435; Langkammer. 1tpOOtOtOlCOç, 189-191; Aletti, Colossiens 1,1520, 63-70. 30 Per il senso cfr Bonnard, Cristo Sapienza di Dio, 13-20; Feuillet, Le Christ Sagesse de Dieu, 185-194; Conti, "Natura della Sapienza", 43-66. 31 Smyth, Greek Grammar, 1313 e 1315, p. 316; Thayer, Lexicon, ad vocem 1tPOOtOtOKOç b; Turner, Syntax, 210. 32 Dunn, Christology in the Making, 188-189, a motivo di una sua particolare idea del
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riore ad esse. Il termine K'ttOlç, di per sé, è un sostantivo di azione, e quindi indica "l'atto del creare", ma in questo contesto tale significato non si adatta bene. Spesso, però, K'tlOlç indica l'effetto del "creare", cioè la "creazione", costituita da elementi animati ed inanimati33 • In base a 1,16b-e, questo senso è il migliore nel nostro contesto. Pertanto, Cristo è prima di ogni cosa34 e superiore ad ogni cosa creata35 • v. 16: o'tt èv almp èK'tlcrell 'tà. mlv'ta: "poiché in lui furono create tutte le cose". "O'tt motiva l'affermazione precedente; èv almp: l'espressione preposizionale èv + dativo può essere interpretata in due sensi: a) con senso causale-strumentale o di causa agente ministeriale: "per opera di lui" e tale senso andrebbe molto d'accordo con 1,16f e con l'ambientazione sapienziale che normalmente si dà all'inno36 ; b) con senso locale-sociativo: "in lui", cioè in stretta unione con lui, principio di coesione di ogni realtà creata: tutto è stato pensato e voluto nel Cristo37 • 'EK'tlcrell: è un passivo teologico; è Dio che ha creato tutto per ope"monoteismo giudaico", ritiene che l'espressione 1tPOl'tO'tOlCOç 1t<xO"llç lCnO"EOJç, pur facendo riferimento alla Sapienza dei libri veterotestamentari, esprima solo la superiorità del Cristo esaltato. In ogni caso, il punto di partenza nell'interpretare Paolo non credo che possa essere il "monoteismo giudaico", dato che Col 1,15-20 è legato strettamente all'espressione "il Figlio del suo amore" di Col 1,13, come riconosce lo stesso Dunn, nella sua opera più recente: The Teolog)! oj Paul /he Apos/le, 205 e 268. Ciò significa, a mio parere, che Paolo non sta usando una possibile categoria giudaica di "monoteismo", ma quella proprio del cristianesimo, che sin dall'inizio, anche nella sua fase giudeocristiana, pur ammettendo l'unicità dell'unico Dio, può parlare di un Padre, di un Figlio e di uno Spirito. 33 Oltre ai dizionari e ai commentari, cfr la buona sintesi critica di Rossi, La creazione, 70-78. 34 L'espressione greca 1t<XO"llç lCnO"EOlç ha senso distributivo e quindi non può essere interpretata come "di tutta la creazione", in quanto si dovrebbe avere in greco 1ta.O"l1ç 'tijç lC'tIO"EOJç (cfr Zerwick, Graeci/as, 188). Su questo punto notare l'imbarazzo ideologico di Feuillet, Le Chris/ Sagesse de Diel/, 200-202. 35 Feuillet, Le Chris/ Sagesse de Dieu, 200. 36 Forse potrebbe ipotizzarsi anche una causa motiva: "a causa di", "per amore di", come suggerisce una bella interpretazione di Rashi nel suo commento a Gen 1,1: "This verse calls aloud for explanation in the manner that our Rabbis explained it: God crea/ed the world for the sake of the Torah which is called (Prov VIII,22) 'The beginning (rn.:il\') of His (God's) way', and for the sake of Israel who are called (Jer Il,3) 'The beginning (n'i.:il\') of His (God's) increase'" (Rosenbaum - Silbennann, Penta/el/ch with Targllm Onkelos, 2). 37 Cfr Aletti, Colossiens 1,15-20, 52-56. Egli riferisce anche del tentativo di interpretare "in lui" in senso locale metaforico, basandosi sull'esemplarismo platonico delle idee: Cristo sarebbe la causa esemplare in cui tutte le cose sono state create (cfr a riguardo anche la lunga discussione di Feuillet, Le Chris/ Sagesse de Dieu, 202-210, ma mi sembra che non approdi ad un risultato molto soddisfacente). Tale significato sembra
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ra di Cristo e nel Cristo Tà 1tana: in base a l, 15b e a l, 16b-e, "tutte e singole le cose". 'Ev Wt~ oùpavOtç Kat È1tt Tfìç Yi1~: precisa l'espressione "tutte le cose" e le conferisce senso cosmologico. "Cielo e terra" infatti indicano la totalità del cosmo: tutti gli esseri, in esso compresi, sono stati creati per mezzo del e nel Cristo. Tà òpa'tà Kat 'tà àopa'ta: all'interno del cosmo nessun essere è escluso. Le "visibili": le cose materiali, che l'uomo vede e tocca; le "invisibili": le cose che sfuggono all'esperienza immediata dell'uomo, ma che la mente umana può concepirecome esistenti e che la rivelazione manifesta come esistenti. Tra questi le potenze angeliche: "sia Troni sia Dominazioni, sia Principati sia Potestà" (d'te 8povOt ehe KUptO'tTl'te~ ehe àpXat ehe ÈçoucriatJ8, perché Cristo è il Signore di ogni forza e potenza (cfr Col 2, 10.15). Tà 1tav'ta Òt' aùwu Kat et~ aù'tòv EK'ttcr'tat: "tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui". La prima parte di 1,16f è una ripresa enfatica di 1,16a. ~t'aù'tou: in linea con il pensiero biblicosapienziale ribadisce il ruolo di mediatore di Cristo, quindi non si tratta di una causa strumentale passiva, ma della causa agente efficiente, per opera della quale tutte le cose sono state create39 • Etç aù'tov: et~ + accusativo con senso di finalità o scopo "in vista di lui": Cristo è la causa finale verso cui va tutta la creazione40 • Probabilmente esprime una concezione in linea con il pensiero giudaico espresso in Sahn 98b e attribuito a R. Johanan (morto nel 279 d. C.): "tutto il mondo è stato creato in vida doversi escludere. Dunn, Christology in the Making, 189-191, continuando la sua esegesi basata sul presupposto del "monoteismo giudaico" (la stessa preoccupazione la si può risc.ontrare anche nel suo commentario: The Epistle to the Colossians and to Philemon, 88-89), arriva qui a sacrificare persin.o la sintassi del test.o (verbo e preposizioni). E ciò in maniera cosciente, dato che a p. 193 può scrivere: "In both case (Col 1,15-20 e il racc.onto della cena del Signore) the sequence .of prepositions would be used not because the user wished to press every preposition or to give a precisi.on of meaning to every prep.ositi.on, but because this was the accepted termin.ol.ogy for the subject at hand, and to omit a regularly used preposition c.ould arouse suspicion that the statement was n.ot sufficient1y c.omprehensive". Cred.o che questo n.on sia un buon principio esegeti CD e proprio per questo egli non sol.o sacrifica il sens.o precis.o del test.o di Col 1,15-20 ad un pretes.o m.on.olitic.o "monoteism.o giudaico", ma anche l'interpretazi.one giudeo-cristiana dei testi veter.otestamentari sulla Sapienza. La stessa cosa si può dire anche per l'interpretazione di I C.or 8,6 (Dunn, Christology in the Making, 179183; in c.ontrari.o cfr la buona interpretazione, basata sull'us.o delle preposizioni, offerta da Thiels, Paulus als Weisheitslehrer, 393-394). 38 Cfr ICor 15,24; Rom 8,38; Ef 1,21; 3,10; 6,12, d.ove Pa.olo adotta il linguaggi.o della comune angelologia giudaica. 39 Feuillet, Le Christ Sagesse de Dieu, 210-211. 40 Feuillet, Le Christ Sagesse de Dieu, 211-213.
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sta del Messia". In tal senso, non solo l'origine della creazione dipende dalla Signoria di Cristo, ma anche la sua destinazione finale è orientata al suo dominio eterno e parteciperà al "regno del Figlio" (Coll, 13). v. 17-18a: la seconda parte dell'inno precisa in che senso Cristo ha il primato su ogni creatura e lo fa con tre affermazioni coordinate e in progressione climatica tra loro. Kaì alYroç Ècrnv n:pò n:avHùv: "ed egli è prima di tutte le cose"41: afferma la priorità temporale del Cristo su ogni creatura. Essendo generato dall'eternità, egli è prima che tutte le cose fossero create e per questo tutte furono create in lui. Kaì -rà n:av-ra Èv almp crUVÉcr-rllKEV: "e tutte le cose in lui sussistono": afferma il ruolo determinante del Cristo nella vita di ogni essere: solo in lui il cosmo ha origine e consistenza42 . Il termine greco crUVicr-rll~l ha diversi sensi: a) quello proprio: "mettere insieme", "comporre", "costituire"; b) quello traslato, derivato da costituire: "esistere", "essere"; c) quello traslato, ma derivato da mettere insieme e comporre: "rendere consistente"43. Col l, 17b, pertanto, non riafferma per la terza volta l' esistenza44 delle cose "nel Cristo", ma che in lui esse trovano il punto di forza e di coesione nella loro esistenza45 . Proprio per questo la terza affermazione di l, 18a può dichiarare solennemente: Kaì aù-roç Ècrn v 11 KE<j>aÀ1Ì wl) crro~awç -rfìç ÈKKÀllcriaç: "ed egli è il capo del corpo, cioè la Chiesa". Anche se il versetto potrebbe ricevere diverse interpretazioni (cosmologiche, ecclesiologi che)46, il suo senso è chiaro: Cristo non solo è all' origine e dà consistenza al cosmo, ma soprattutto egli è colui che lo domina, lo determina e lo dirige47 . Il termine greco KE<j>aÀrl, infatti, designa il punto più elevato di una persona, di un animale, di un monte; ma può 41 Feuillet, Le Christ Sagesse de Diell, 213, scguendo l'opinione di S. Basilio, Lightfoot c Lohmcycr, pensa che l'aù,oç fan v sia uguale ad Eyro Eif.l\ di Gv 8,58, mettendo in risalto l' csscre eterno del Cristo rispetto al divenire delle creature. 42 Cfr Ic buonc osscrvazioni di Feuillet, Le Christ Sagesse de Diel/, 214-216. 43 Cfr Rocci, Vocabolario greco, ad vocem 5; BAGD, Lexicoll, ad vocem 3; Thayer, Lexicoll, ad vocem 4. 44 Cfr per csempio Kasch, auV\aTTlf.l1, 263-266. 45 Cfr anche Sir 43,24-25: "Nclla sua parola tuttc le cose sussistono"; ma anche per Filonc il À6yoç divino è il legamc uniticantc chc tutto ticnc unito e mantiene nell'unità (cfr Lohse, Colossesi, 117). 46 Cfr pcr escmpio Lohsc, CohiS.\·esi, 117-121; Bcnoit, "Corps, Tètc ct Pléròme", 5-44 (= Exégèse et Théologie, Il,107-153); Fcuillet, Le Christ Sagesse de Dieu, 217-225; Dacquino, "Cristo capo dcI corpo", 131-175. 47 Cfr Schlier, KE!»a.À~, 363-364; Benoit, "Corps, Tètc et Pléro111c", 128-138; Gonzalez Ruiz, "Senti do soteriologico dc KE!»a.Àrl', 185-224; Tromp, "Caput intluit sensum et motum", 353-366; Fcuillet. Le Christ Sagesse de Diell, 225-228.
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anche indicare il punto di inizio o di partenza, come anche la parte estrema o il fine di una determinata realtà. Così, in senso traslato, esso denota l'elemento predominante, superiore e determinante. Tou crro/la'toç: nel greco il termine crro/la assume un senso antropologico: il corpo dell'uomo, e un senso cosmologico: il cosmo, un corpo che riassume in sé tutte le cose create48 • In base al contesto precedente, Col 1,15-17, il "corpo" è certamente il "cosmo", che trova nel Cristo il suo principio: "creato per mezzo di lui", la sua guida superiore e determinante: "tutto sussiste in lui", il suo fine: "tutto è stato creato in vista di lui". In base a ciò, 'tou crro/la'toç, più che un genitivo possessivo, sembra essere un genitivo oggettivo: Cristo appartiene al "corpo" a motivo della sua incarnazione, ma il "corpo" ha origine per mezzo suo, è determinato da lui, e si orienta a lui. Tfìç ÈKKÀllcriaç: non si sa se questo genitivo appartenesse all'inno primitivo o sia stato aggiunto da qualche redattore49 • In ogni caso, tale precisazione è divenuta essenziale se si vuoI comprendere in pieno la terza parte dell'inno, Col 1, 18b-20. Si tratta di un genitivo epesegetico: "cioè la Chiesa". In tal senso, all'interpretazione cosmologica necessariamente fa seguito 1'interpretazione ecc1esiologicaSO , molto consona d'altronde al pensiero di Paolo (lCor 12,12; Rom 12,4-5; Ef 1,2223; 4,12.15-16; Col 2,10.19) e che trova il suo seguito normale in Col 1,18b-20. In senso ecc1esiologico, Cristo è "capo" della Chiesa, perchè essa ha la sua origine in lui che l 'ha costituita nella santità, la sua consistenza e crescita rimanendo unita a lui, il suo fine ultimo quale orientamento escatologico definitivo si . v. 18b: oç Ècr'tlV àpXr1, 1tpOHO'tOKOç ÈK 'trov VfKproV: "Egli è principio, primogenito di tra i morti". "Oç: è ripresa del relativo pregnante anaforico: "Egli che" (cfr 1,15). 'APXr1: questo nuovo titolo è attribuito a Cristo, in quanto egli è "capo" (Col l, 18a)S2; per questo il termine àpXr1, che attribuisce a Cristo la stessa prerogativa della Sapienza (Prov Schweizer - Baumgartel, arol-W, 609-790. Che potrebbe essere anche Paolo, se l'inno appartiene alla comunità primitiva, o un discepolo di Paolo, se la lettera non è paolina. so Cfr anche Deichgraber, Gotteshymnus und Christushymnus, 148. 51 Cfr Schlier, ICEaÀTl, 382-384; Dacquino, "Cristo capo del corpo", 131-175 (con bibliografia). 52 Non è il caso di riferirsi ancora a Col 1,15 e interpretare apXrl in senso cosmologico (cfr per esempio Delling, àpXTl, 1286): l°) perché Col I, 18b-20 è uno sviluppo di I, 18a in chiave ecclesiologica ed escatologica insieme; 2°) non lo pennette il titolo seguente "primogenito tra i morti" (cfr anche Lohse, Colossesi, 122-123). 48
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8,23)53, indica che egli è l'origine e il fondamento della Chiesa e del tempo della Chiesa. In tal senso, egli è il1tpurro'WKoç ÈK 'trov vEKproV, in quanto egli è "primizia di quanti si sono addormentati" (l Cor 15,20), "primo della resurrezione dei morti" (At 26,23); non solo perché egli è risuscitato per primo, ma perché egli è il fondamento della nostra resurrezione: "in Cristo tutti saranno vivificati .... Primizia è Cristo, poi quelli di Cristo al momento della sua Parusia" (lCor 15,22-23)54. Cristo, pertanto, è primo nel piano cosmologico, primo nel piano ecclesiologico, primo nel tempo escatologico della salvezza. "Iv <X yÉvT]'tm Èv 1t&mv <Xù'tòç 1tpOHEUroV: "affinché sia sempre primo in tutte le cose". Anche se grammaticalmente il participio 1tpro'tEUrov può essere interpretato come predicato nominale, a me sembra che sia meglio intenderlo come unito strettamente all'ausiliare yÉvT]'tm e in tal modo forma una coniugazione perifrastica55 , che intende rimarcare la durata (presente) e la continuità dell'azione: "sia sempre primo"; Èv 1tàmv: più che le singole creature, qui il neutro indica in maniera globale il primato cosmologico (1,15-16), il primato ecclesiologico (l, 18a) e il primato escatologico (l, 18b-20). v. 19: O'tl Èv <Xù't
L'accostamento a Prov 8,23, e quindi alla Sapienza creatrice, non implica necessariamente che Paolo continui a svolgere l'idea cosmologica. A mio avviso, il Cristo è "primo" non solo perché egli è inizio e fondamento della "creazione di tutte le cose", ma anche è inizio e fondamento della "nuova creazione", del "corpo, che è la Chiesa" (Benoit, "L 'hymne christologique", 242-243). 54 Michaelis, 1tp<ÙTO'COKOç, 690-693; Alctti, Colossiel/s 1.15-20, 71-72. 55 Regard, La phrase nominale, 218; Tumer, S)'ntax, 158 (cfr anche 87-89). 56 Cfr in questo senso Percy, Dic Prohleme, 75-78; Lohse, Colossesi, 123-126, facendo leva su un'ambientazione gnostico-cristiana; Bernini, "La pienezza di Cristo", 207-219, basandosi su paralleli dell'AT considerando Eìp'lv01tOl~craç (maschile) come una construclio ad scnsl/m; Ghini, Colossesi, 55-65; Nobile, Premesse, 108 nota 132. 57 Molti esegeti (etr Lohse, Colosscsi, 123 nota 175: Lightfoot, Haupt, Lohllleyer, Sehrenk, Delling, Mussner, Feuillct. Le Christ Sagcsse de Diel/, 228-229), tra cui Panilllolle, "L'inabitazione del Plèroilla nel Cristo", 177-205, che difende tra l'altro il senso causativo di K(HOI KÉ<ù (tàr abitare). 5,
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entrambe le ipotesi, io credo che la seconda possibilità sia la migliore: l°) perché in base a Col 1,13-14 è Dio che stabilisce il piano della salvezza e lo compie "nel Figlio del suo amore"; 2°) perché in base a Col 2,9 il termine "pleroma"58 non ha il senso cosmologico di "cosmo", ma quello teologico di "pienezza della divinità"; 3°) perché il verbo Ka'tOtKÉro, non solo può avere senso causativo, ma trova buona corrispondenza nella letteratura profetica (cfr Is 6,3; Ger 23,24) e biblicosapienziale (cfr Sir 42,16; Sap 1,7)59; 4°) perché il verbo EÙOOKÉro indica la compiacenza di Dio riguardo al "Figlio del suo amore" (cfr Mt 3,17; 12,18; 17,5; Mc 1,11; Lc 3,22): indica pertanto lo speciale rapporto tra il Padre e il Figlio, speciale rapporto che determina nel Figlio l'abitazione della "pienezza della divinità"60 e all'interno della storia della salvezza la "riconciliazione" di tutte le cose che vengono "pacificate per mezzo del suo sangue61 ; 5°) perché il participio congiunto modale E1PllV01tOtrl(mç trova migliore spiegazione grammaticale e si accorda molto bene con il soggetto logico di tutto il brano; 6°) perché in Col 1,20 l'azione della "riconciliazione" è di Dio, che la attua "per mezzo di Cristo". In definitiva, Cristo è "l'inizio e il primogenito di tra i morti" a motivo del suo speciale rapporto con Dio. v. 20: Kaì Ot' aù'tou a1tOKa'taÀÀasat 'tà mxv'ta Elç aù'tov: "e per opera di lui riconciliare tutte le cose a sé o in vista di lui". L'affermazione sottolinea che Cristo non è stato soltanto mediatore (Ot' aù'tau) nella creazione, ma lo è anche nell'opera della riconciliazione62 . 'A1tOKa'taÀÀasm: è un termine paolin0 63 con cui viene espressa l'opera della redenzione, giustificazione e santificazione che Dio ha operato attraverso l'a58 Il tennine indica l'effetto del riempire, quindi ciò che riempie, il contenuto; per estensione poi "pienezza, completezza, totalità". A volte può indicare anche "l'atto del riempire", ma è chiaro che nel nostro testo il senso è quello passivo: "pienezza, completezza, totalità" (Delling, 1tÀT\ProIlU, 674-696; Gewiess, "Die Begriffe 1tÀT1poÙV und 1tÀT\prollu ", in Vom Vort des Lebens, Festschrift fiir M. Meinertz, Miinster 1951; Virgulin, "L'origine del concetto di 1tÀT\ProIlU in Ef 1,23", 39-43; Feuillet, "Pléròme", 18-40 (con bibliografia); Aletti, Colossiens /, /5-20, 76-82 (con bibliografia). 59 Cfr Cignelli - Bottini, "La diatesi del verbo nel greco biblico l'', 121-123; Feuillet, Le Christ Sagesse de Dieu, 236-238. 60 Cfr Spicq, nJOOK€ro, 310-311. 61 Cfr anche Panimolle, "L'inabitazione del Plèròma nel Cristo", 186-187. 62 Sacchi, "La riconciliazione universale", 221-245. 63 Lo si trova sotto la fonna di à1tOKatuÀÀacrcrro in Ef 2,16; Col 1,20.22; e sotto quella di KatUÀÀ
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zione del Cristo; Etç a\l'tov: l'interpretazione di questa espressione preposizionale può essere duplice: l°) equivale al dativo di termine: "a sé", e allora avremmo la normale teologia di Paolo: "per mezzo di Cristo Dio riconcilia a sé tutte le cose"; 2°) Etç + accusativo ha senso finale: "i n vista di lui" (cfr 1,161), e il verbo "riconciliare" assume il senso assoluto di "salvare, giustificare, santificare"; in base a ciò, Dio "riconcilia" per opera di Cristo (causa agente ministeriale) e in vista di lui (causa finaIe). In altri termini, Dio riconcilia tutte le cose per opera di Cristo e in vista di Cristo. Nel primo caso, tutte le cose sono rappacificate con Dio attraverso la mediazione giustificante di Cristo; nel secondo caso, Dio riconcilia tutte le cose (tra loro?) attraverso la mediazione di Cristo e in vista della loro sottomissione a Crist064 . EtPllV01tOlTlO'<Xç òtà 'toù at/lawç wù O''taupoù auwù, [Ùt' auwùl: "facendo pace per mezzo del sangue della sua croce, per opera di lui". Etpllvo1tOt TlO'<Xç è un participio congiunto di valore modale che aderisce ed esplica il senso di "riconciliare": l'opera della riconciliazione si compie nella pacificazione universale del Cristo, che ha stabilito tutte le cose nella concordia e nella pace65 . ~tà wù di/lawç wù O''taupoù auwù: 'toù O''taupoù au'toù è da interpretare come un genitivo oggettivo indiretto: "versato sulla croce"66; quindi si tratta del sacrificio cruento di Cristo sulla croce. La riconciliazione, pertanto, è avvenuta attraverso il sacrificio di Cristo, meglio: [òt' auwùl, che versando il suo sangue ha stabilito nella pace tutte le cose, "quelle della terra come quelle del cielo" (Col l ,20c). La riconciliazione, quindi, non è una realtà salvifica del futuro, ma una realtà escatologica che opera nella Chiesa e nel cosmo (et 'tE 'tà É1tl 'tf1ç yf1ç et 'tE 'tà Év w'ìç oupavo'ìç), quando essi si lasciano investire da tale pace (cfr Col 1,23). Analisi tematica 1) Sapienza e Inno cristologico di Coll, 15-20 I tentativi di stabilire uno sfondo letterario per Col 1,15-20 sono molti. Certi autori, a motivo di alcuni termini comuni all'inno e allo gnosticismo (1tpffi'tOWKOç, 1tÀTlpffi/la, EtKcOV), optano per uno sfondo gnostico; altri, invece, pensano ad uno sfondo giudaico: biblico in generale, sa64
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Cfr in questo senso Aletti, Colossiens 1.15-20, 87-93. Cfr Foerster, eipllV01tOIÉCù, 243-244; Spieq, €ÌP~Vll, fÌPllV01tOlÉCù, 215-230. Cfr Thayer, Lexicol1, ad voeem 2b.
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pienziale in particolare o biblico secondo una rilettura rabbinica67 • Nessuna di queste ipotesi va esclusa per principio, anche se a motivo della formazione paolina lo sfondo giudaico sembra essere il più ovvio. a) Coll, 15-20 alla luce del pensiero gnostico Molti commentatori di Col 1,15-20, come si è visto in esegesi, fanno spesso riferimento alla dottrina gnostica a motivo dei suoi risvolti cosmologici e per il riferimento alle potenze angeliche. In ogni caso, mi sembra che sia da escludere una dipendenza letteraria stretta dallo gnosticismo: i pochi termini gnostici che si possano riscontrare nell'inno e nella lettera in genere possono avere anche una spiegazione non gnostica. E' possibile, però, che Paolo, combattendo un errore gnosticizzante, si sia servito di una terminologia vicina alla gnosi 68 • Ciò può essere confermato dal fatto che Paolo dice di combattere una certa "filosofia" che serpeggiava all'interno della comunità ecclesiale di Colossi69 • In base a Col 2, tale "filosofia" sembra riguardare un culto latreutico alle potenze angeliche che non solo dirigono il cosmo, ma anche lo dominano. Così configurato, l'errore della comunità non è necessariamete un errore gnostico, tranne a voler prestare a Paolo e ai suoi fedeli colossesi del I sec. d. C. una cosmologia e un'angelologia propria dello gnosticismo del II sec. d. c.. Infatti, sappiamo benissimo che Paolo in Gal 4,3.9 parla degli (J'tmxe'ìa 'tO\) KOcrl!OU (gli elementi del mondo) senza far alcun riferimento ad alcuna dottrina gnostica; tutt'al più fa riferimento al giudaismo apocalittico che abbondava in riferimenti ad esseri celesti che presiedevano agli astri e a certi fenomeni del cosmo. La stessa terminologia dell'inno non va necessariamente interpretata alla luce della dottrina gnostica, ma come sembra più probabile alla luce della sapienza giudaico-biblica. Così, è possibile che termini come 1tpOrco'tOKoç, 1tÀrlPffil!a, EtKroV ecc. possano evocare concetti gnostici, ma in ogni caso in maniera ridotta e approssimativa. Anzi, si può vedere nel Cristo, "primogenito di ogni creatura" l'immagine dell' Urmensch, dell' Uomo Archetipo 70, capo di tutto il cosmo, che, disceso dal cielo, riassume in sé Burney, "Christ as the ARCH of creation", 160-177; Manns, "Col 1,15-20", 100110; Davies, Paul and Rabbinic Judaism, 147-176. 68 Kiisemann, "Begriindet der neutestamentliche Kanon", 219; Wright, "Poetry and Theology", 451-452. 69 Cfr Grech, "L'inno cristologico di Col l'', 87-89; inoltre, Lohse, Colossesi, 237244. 70 In verità, l'esegesi antica, dominata totalmente dal pensiero greco, interpreta i n 67
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tutto il cosmo, lo pacifica riconciliando gli eoni e la terra e risalendo al 1tArlProllCX ristabilisce l'unità essenziale del cosmo stesso 71. b) Coll, 15-20 alla luce della tradizione giudaico-biblica A prima vista, neppure la tradizione giudaico-biblica (Proverbi, Siracide, Sapienza; Baruch) ed extra biblica (Filone, Pseudo-Aristea) di stampo ellenistico, è lontana da una simile idea: in essa l'Uomo Archetipo viene identificato ora con la Sapienza ora con il LogoS72. Ma la tradizione giudaica in generale e biblica in particolare non si fermano solo ad una tale evocazione, ma offrono dei paralleli formali e contenutistici al nostro inno che vanno approfonditi per capirne meglio il sens0 73 . l°) Il rapporto cosmo - storia della salvezza 74 • Tale rapporto è presente in tutta la Bibbia: dalla prima pagina del Genesi 75 all'ultima pagina dell' Apocalisse. Dio crea il mondo e nella potenza del suo amore lo fa "buono"; Dio ricrea "cielo e terra" e nella forza del suo amore redentore li riconcilia a sé e li rende "giusti"76. Quindi, la rivelazione biblica legge il rapporto cosmo - storia della salvezza in maniera globale: il creato ha un senso nel piano divino, è opera dell'amore del Dio creatore diversi modi questa figura dell'Uomo Archetipo. Così, Origene e altri pensano che le "idee" di tutte le cose si trovano in Cristo come nella loro causa esemplare; altri, facendo appello alla distinzione tra mondo intelligibile e mondo sensibile, sostengono che Cristo è l'Archetipo universale, nel quale erano contenute le idee di tutte le cose che vengono all'esistenza; altri, richiamandosi al Logos filoniano, ritengono che il Cristo sarebbe da concepire come l'Anima del mondo; infine, facendo riferimento alla concezione gnostica, altri lo identificano con la figura del "Redentore redento" (Sanders, The New Testament Christological Hymns, 79-80). 71 Cfr anche Grech, "L'inno cristologico di Col l", 90; Sanders, The New Testament Christological Hymns, 75-79. 72 Cfr anche Grech, "L'inno cristologico di Col 1",90-91. 73 Su questo punto confrontare le buone osservazioni critiche di Sanders, The New Testament Christological Hymns, 79-87; Wright, "Poetry and Theology", 452-458, anche se attribuisce eccessiva importanza alla ricerca dci Bumey. Di particolare interesse mi sembra la seguente osservazione: nell'esaminare lo sfondo giudaico, non bisogna considerare solo una corrente di tale tradizione, ma vederla possibilmente nelle sue varie sfaccettature (p. 453). In tal senso va pcr esempio G. Schimanowski, Weisheit IInd Messias, Tiibingen 1985. 74 Feuillet, "La création de r Univers 'dans le Christ''' 1-9; Barbour, "Salvation and Cosmology", 257-271; Marangon, "Rapporti tra cosmo e storia della salvezza", 13-35; Montagnini, "Linee di convergenza", 37-56. 75 Cfr Manns, "Col 1,15-20", I 00-11 O lo ritiene un "midrash cristiano" su Gen l, l . Cfr anche Pollard, "Colossians 1,12-20", 195-203. 76 Cfr le buone osservazioni di Marangon, "Rapporti tra cosmo e storia della salvezza", 24.
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e salvatore, esso partecipa alla sinfonia di lode e di gloria della manifestazione dei figli di Dio. Esso non è isolato, ma tende all'unità essenziale di tutta la creazione. Ma ciò non avviene per una forza intrinseca al creato, ma per la potenza creatrice e salvatrice della Parola di Dio che lo chiama dal caos della inesistenza all'ordine della esistenza. Incontriamo, così, nell'espressione "Parola di Dio" la prima forma di mediazione 77 , che più tardi assumerà, all'interno del giudaismo biblico di stampo ellenistico, il carattere personificato del "Logos creatore" o della "Sapienza creatrice". In ogni caso, il rapporto cosmo - storia della salvezza non si delucida portando una serie di testi più o meno probanti da mettere a confronto poi con Col 1,15-20, ma rilevando lo spirito evocatore che essi vogliono suscitare nel lettore attento. In tal senso, la Parola creatrice, il Logos creatore o la Sapienza creatrice, l'Uomo Archetipo, esprimono tutti la stessa idea: la ricerca del principio unificatore di tutte le realtà create: dagli esseri inanimati all'uomo; del principio unificatore della creazione del cosmo e della sua storia: una sola storia di salvezza. Tale riflessione biblico-sapienziale è determinante per la comprensione profonda di Col 1,15-20, dove il Cristo è presentato come il "primogenito della creazione" (aspetto cosmologico) e come "l'inizio, il primogenito di tra i morti" (aspetto storico-salyifico). In tal senso, Cristo è il principio personale unificatore che crea e fa sussistere il cosmo, che salva e riconcilia il cosmo con se stesso e con Dio78 • Risulta chiaro allora, anche da un punto di vista strutturale, che l'elemento decisivo di tutto l'inno è il rapporto, continuamente sottolineato tra a:tl1oç e 'tà 1tUv'ta., tra il cosmo e Cristo, che lo crea, lo fa sussistere, lo riconcilia con Di0 79 • 2°) Testi sapienziali e Col 1,15-20. La maggioranza degli studiosi di Col 1,15-20 ammette uno stretto rapporto tra l'inno e alcuni testi sapienziali veterotestamentari, quali Prov 8,22-31, Sir 24,3-12, Sap 7,228,18°. L'importante, comunque, non è tanto il trovare qua e là, all'interno dell' AT, dei paralleli formali, quanto di entrare nello spirito che anima sia i testi dell'AT citati sia il testo dell'inno. Si impone, così, un esame attento dei vari testi e del loro contesto e del milieu culturale che li Marangon, "Rapporti tra cosmo e storia della salvezza", 24-33. Cfr in tal senso anche Niccacci, La casa della sapienza, 137-176. 79 Montagnini, "Linee di convergenza", 40-44. 80 Per questi testi e altri di matrice sapienziale riferentisi al problema cfr Schimanowski, Weisheit und Messias, 17-85; Edwards, Jesus the Wisdom oJ God, 19-68. 77
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ha prodotti. Prov 8,22-31 81 : questa autopresentazione della Sapienza82 mette in evidenza alcuni elementi importanti di confronto con l'inno: - La Sapienza è personificata: parla, presenta se stessa come inizio dell'operare divino, è concepita, generata e costituita da Dio8~, è al suo fianco quale architetto 84 di tutta l'opera di Dio, è lieta e si diletta dinanzi alla sua opera e soprattutto di stare con i figli dell'uomo. - La Sapienza è preesistente: dal v. 22 al v. 26 è un martellare continuo quest'idea di preesistenza e di eternità della Sapienza 85 , mentre dal v. 27 al 31 essa è a fianco di Dio per ordinare, quale esperto architetto, tutto il cosmo voluto da lui86 . - La Sapienza è inizio 87 delle opere di Dio: inizio eterno del disegno
81 Per Prov 8,22-31 cfr Vischer, "L'hymne de la Sagesse", 175-194; Aletti, "Pr 8,2231",25-37; Bartina, "La Sabiduria in Pr 8,22-36", 5-31; Gilbert, "Le discours de la Sagesse en Pr 8", 202-218; Conti, "Natura della Sapienza", 43-66; Schimanowski, Weisheit und Messias, 26-38; Niccacci, La casa della sapienza, 144-147. 82 Prov 8,22-31 si inserisce in una più vasta autopresentazione della Sapienza, precisamente nel contesto di 8,1-9,6: a) 8, I-II: la Sapienza invita gli uomini ad ascoltare la sua voce, ad accogliere la sua istruzione, per divenire prudenti e da inesperti assennati; b) 8,12-21: le virtù della Sapienza i suoi molteplici benefici: essa possiede prudenza, intelligenza, consiglio, buon senso, potenza, giustizia, equità e timore del Signore; assicura successo nella vita, capacità di governo nella giustizia e nella rettitudine, riempie di beni quanti la amano; c) 8,22-31: la Sapienza creatrice del cosmo, che si diletta dell'opera di Dio e di stare con i figli dell'uomo; d) 8,32-36: la Sapienza, maestra e dispensatrice di vita; 9,1-6: invito conclusivo della Sapienza a mangiare il suo pane, a bere il suo vino, ad abbandonare la stoltezza, ad andare diritti per la via dell'intelligenza. Per una struttura simile cfr Conti, "Natura della Sapienza", 44. 83 Sul vocabolario genetico di Prov 8,22-31 cfr Conti, "Natura della Sapienza", 45-47. 84 Il tennine iii.lt;li ('tExvi 'tT]ç, artifex, architetto) deve essere preso nel senso di una persona capace di preparare progetti e di attuarli praticamente (cfr Conti, "Natura della Sapienza", 51-53). 85 Conti, "Natura della Sapienza", 49-50, che fa coincidere preesistenza ed eternità. lo credo che i due concetti vanno tenuti separati, ponendo l'accento non tanto sull"'atemporalità" della Sapienza, quanto sulla sua preesistenza presso Dio. 86 Il concetto di cosmo, a mio parere, va precisato, sia all'interno dell'inno di Prov 8,22-23 sia in Col 1,15-20. Esso, infatti, non riguarda la creatura inanimata, ma anche gli esseri animati e in particolar modo "i figli di Dio", gli uomini (v. 31). 87 Sul senso del tennine l'n:!1 cfr le buone osservazioni di Conti, "Natura della Sapienza", 47-49. Certamente, il tennine è preso senza alcuna detenninazione e quindi può avere diversi sensi: inizio, primizia, punto di partenza e, in senso genetico, primogenito. Questo senso è molto interessante nel confronto con Col 1,15-20, ma, essendo un predicativo dell'oggetto, forse è meglio mantenere il suo senso proprio: "inizio", che poi l'esegesi può esplicitare.
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di Dio e in quanto tale sua "primogenita"88 (v. 22), inizio temporale dei tempi di realizzazione (vv. 23-26), inizio esecutivo di ciascuna opera all'interno dell'ordine del cosmo (vv. 27-30). - La Sapienza è il principio unificatore del cosmo in tutte le sue dimensioni: inanimata, animata e personale. Tutto ha inizio da lei e tutto in lei riceve forma, ordine, consistenza e finalità. Sir 24,3-21 89 . Si tratta di un autoelogio della Sapienza sotto forma innica, che da una parte conclude la prima parte del libro del Siracide e dall'altra introduce la seconda parte di esso. In tal modo, rappresenta il punto centrale90 del pensiero sapienziale di Ben-Sira: tutto trova unità, coesione e guida per la vita nella Sapienza-Tora. Alcuni elementi di questo autoelogio della Sapienza91 possono essere utili per un confronto con l'inno di Col 1,15-20: - La Sapienza è personificata: essa appartiene a Dio, procede da lui 92 , ma è distinta da lui, è la sua Parola93 , il suo "alito"94 che ricopre la terra. - La Sapienza è la Parola creatrice preesistente: essa era presso Dio, fu creata all'inizio, prima del tempo (Sir 24,9), aveva la sua dimora stabile nelle altezze del ciel095 e il suo tron0 96 in una colonna di nubi 97 , 88 Conti, "Natura della Sapienza", 47-49. 89 Su Sir 24,3-21 cfr Virgulin, "Elogio della Sapienza", 465; Minissale, Siracide, 124125; Schimanowski, Weisheit und Messias, 44-61; Schnabel, Law and Wisdom, Tiibingen 1985; Conti, "Origine divina della Sapienza", 9-42; Niccacci, La casa della sapienza, 149-151. 90 Cfr in questo senso Minissale, Siracide, 124; Conti, "Origine divina della Sapienza", IO. 91 Sir 24,3-21 si inserisce nella seguente cornice letteraria: a) Sir 24,1-2: introduzione all'autoelogio; b) Sir 24,3-4: la Sapienza presso Dio; c) Sir 24,5-6: la dimora della Sapienza nel cosmo; d) Sir 24,7-11: la dimora della Sapienza in Israele; e) Sir 24,12-17: grandezza e splendore della Sapienza; f) Sir 24,18-21: invito della Sapienza. 92 Per l'espressione "uscire dalla bocca dell' Altissimo" cfr Conti, "Origine divina della Sapienza", 11- 13. 93 Minissale, Siracide, 125; Conti, "Origine divina della Sapienza", 14. 94 Il termine OlltXÀll può indicare la "nebbia", il "vapore", la "nube", l'''alito''. Nel nostro testo, dato che la Sapienza "esce dalla bocca di Dio", il senso migliore è quello di "alito". In tal senso, la Sapienza, in quanto Parola, è il segno concreto della presenza creatrice di Dio (cfr anche Sap 7,25-26; inoltre, Conti, "Origine divina della Sapienza", 13-14 ). 95 Cfr l'analisi di Conti, "Origine divina della Sapienza", 15-16. 96 La Sapienza, proprio perché procede da Dio, è assisa su un trono presso Dio (Sap 9,4.10-17) e partecipa della sua regalità (cfr anche Conti, "Origine divina della Sapienza", 16-17). 97 La "colonna di nube" indica la presenza potente di Dio (Es 14,21-22; Sap 10,17-18) e quindi il fondamento stabile su cui poggia il trono della Sapienza. Leggermente diversa
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entrambi segno della presenza e della potenza divina della Sapienza. - La Sapienza ha il dominio sul cosmo: esso si estende nel cielo, negli abissi, sul mare e sulla terra; essa domina sulle realtà cosmiche come sui popoli e le nazioni98 • - La Sapienza pone la sua tenda tra il popolo di Dio, in' Israele: in esso mette radici, cresce, stende i suoi rami, produce i suoi frutti 99 ; in esso esercita l'ufficio profetico (24,8-9), l'ufficio sacerdotale (24,10), l'ufficio regale (24, Il), per mostrare al popolo di Dio, quale albero della vita, tutta la sua magnificenza e la sua vitalità, per spandere in esso la sua soavità e la sua fragranza lOo , per rivolgere a coloro che la amano il suo invito a saziarsi dei suoi frutti di gloria, di grazia e di ricchezza e a seguirla per il cammino della giustizia. Sap 7,22-8,1 101 . La pericope fa parte del lungo discorso (Sap 7,18,21) con cui Salomone tesse l'elogio della Sapienza divina 102. In essa viene descritta soprattutto la natura divina della Sapienza e la sua attività cosmical03• Alcuni elementi sono certamente interessanti per il nostro confronto con l'inno di Col 1,15-20 e si possono così enucleare: - La Sapienza è personificata: è uno spirito, emanazione della potenza di Dio, effluvio della sua gloria, irradiazione della sua luce eterna, l'interpretazione di Conti, "Origine divina della Sapienza", 16-18. Anche qui, il tennine "cosmo" non deve essere inteso solo in senso restrittivo, ma in senso pieno, cioè come comprendente le "realtà cosmiche" e l'uomo, verso cui Dio ha una speciale predilezione; inoltre, il testo parla di "ogni popolo e nazione", cioè dell'uomo nelle sue detenninazioni concrete di razza, di lingua e di costumi. 99 Notare il climax di Sir 24,11-17 con cui l'autore esprime la grande vitalità della Sapienza (Conti, "Origine divina della Sapienza", 31-32). 100 Molti profumi, di cui si paria in Sir 24,15, erano usati nel culto (cfr Es 30,23.34-38) e, pertanto, sottolineano l'ufficio sacerdotale della Sapienza, la quale soprattutto diffonde il suo profumo "come vapore d'incenso nel santuario'" (cfr Minissale, Siracide, 127; Conti, "Origine divina della Sapienza'", 32). 101 Conti, Sapienza, 116-122; Schimanowski, Weisheit und Messias, 74-79; Niccacci, La casa della sapienza, 154-157. 102 La cornice letteraria di 7,22-8, I si configura nel seguente modo: 6,22-25: introduzione al discorso sulla Sapienza; 7,1-6: la natura umana di Salomone, paradigma per ogni uomo; 7,7-12: Salomone chiede la Sapienza come il tesoro inesaurabile, incalcolabile e imperituro; 7,13-21: proposito di Salomone di comunicare a tutti la Sapienza; 7,22-8,1: natura divina della Sapienza e sua attività cosmica; 8,2-21: la Sapienza, fonte di vita e consigliera di virtù; 9,1-18: preghiera di Salomone per avere la Sapienza (Conti, Sapienza, 109 e 111). 103 La struttura di 7,22-8,1 è abbastanza semplice: 7,22-24: attributi e funzioni della Sapienza; 7,25-26: origine e natura divina della Sapienza; 7,27-8,1: l'attività uniticatrice della Sapienza (cfr anche Conti, Sapienza, 116).
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specchio tersissimo della sua attività, immagine della sua bontà; per questo ad essa vengono attribuiti una serie di 21 attributi, che indicano la sua eminente perfezione e sottolineano la sua intimità con Dio (7,23. 25.27), la sua collaborazione nell'opera creatrice (7,22; cfr 7,12: "madre di tutte le cose"; 7,21: "artefice di tutto"; 7,26; 8,4.6), la sua attività è benefica, rinnovatrice, santificatrice a favore degli amici di Dio (7,23. 27-28; cfr 7,14). _ La Sapienza è eterna: essa è infatti "irradiazione della luce eterna" (7,26), per questo è anche uno "spirito immutabile e fermo" (7,23) e inoltre, "pur essendo unica, può tutto, restando in se stessa, rinnova ogni cosa" (7,27). _ La Sapienza è principio di coesione di tutte cose: essa, infatti, è "unica" (7,22.27), ma nello stesso tempo "molteplice" (7,22), per questo penetra tutti gli spiriti (7,23), pervade, penetra e rinnova ogni cosa (7,24.26), entrando nelle anime prepara gli amici di Dio e i profeti (7,27.28). _ La Sapienza domina il cosmo: essa si estende da un confine all 'altro dell'universo e lo governa con rettitudine. In conclusione, dai testi analizzati mi sembra che risulti evidente che lo sfondo letterario di ColI, 15-20, più che quello gnostico, sia quello dei testi della Sapienza veterotestamentaria. Tali testi sono riletti da Paolo alla luce di Cristo e rappresentano la struttura portante del suo pensiero. Da essi egli ricava una figura molto ricca e variegata della Sapienza divina, personificata, increata, creatrice, reggitrice del cosmo e degli uomini, principio unificatore di tutte le cose, che da essa hanno inizio e per mezzo di esse sussistono e operano l04 • 104 Secondo Dunn, Christology in the Making, 168-176, tale conclusione non sarebbe possibile per tre motivi: l°) a causa dello stretto monoteismo giudaico; 2°) a motivo di alcuni testi sapienziali che affermano chiaramente che è Dio che crea tutte le cose e quindi la sapienza non è altro che un modo poetico di esprimere la sapienza ordinatrice di Dio stesso; 3°) perché, se attribuiamo una qualche entità personale alla "sapienza", dobbiamo farlo anche per altre espressioni con cui si indica la potenza di Dio: per esempio: "il braccio di Dio", "la mano destra di Dio". Credo che il concetto di "monoteismo", di cui si serve Dunn, non sia quello biblico veterotestamentario, neppure nella sua conformazione giudaico-sapienziale (cfr Bonsirven, "Judaisme", 1149-1163; Schimanowski, Weisheit und Messias, 17-205; Nobile, Premesse, 47-62), ma probabilmente si serve del concetto giudaico-rabbinico che si determinò alla luce della polemica giudaicocristiana (comunque, a tal riguardo cfr anche Philipson, "Monotheism", 659-661; Urbach, The Sages, 19-65; Schimanowski, Weisheit und Messias, 207-303). Infatti, il concetto biblico di "monoteismo" non è un dogma astratto, ma una confessione di fede
Co/I,15-20
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2) La cristologia di Col J, J5-20
Sia l'esegesi che la ricerca dello sfondo culturale hanno mostrato la grande ricchezza cristologica di Col 1,15-20. L'analisi esegetica, mi sembra, ci permette di scoprire tre direttive cristologiche fondamentali su cui si muove l'inno della Lettera ai Colossesi: precisamente, i titoli attribuiti a Cristo, il ruolo che egli riveste all'interno del piano cosmicosalvi fico di Dio e in conseguenza il primato assoluto che Cristo assume all'interno di tutta la creazione e della storia universale dell'uomo. Tre direttive che, coniugandosi dinamicamente tra loro, offrono una visione unitaria del mistero di Cristo: egli è il principio personale di incontro tra realtà cosmica e realtà umana, principio di coesione, di dinamismo e di unità di tutta l'opera di Dio, principio di amore e per questo di vita, di riconciliazione e di salvezza. Proprio per questo, la migliore lettura della cristologia di Col 1,15-20 non può venire dal mondo ellenistico o gnostico, anche se a volte molto vicino nell'espressione termino logica, ma dal mondo biblico-sapienziale che gli fa da sfondo e che ci permette una lettura sintetica molto ricca e profonda del mistero di Cristo e del suo primato universale. Di più: seguendo lo stile dei testi sapienziali, l'autore di Col 1,15-20 non ha trovato un modo migliore di presentare tale mistero se non nella forma innica, poesia e canto a Cristo, sapienza che salvaguarda il fedele dal cadere nel politeismo pagano. Esso, quindi, non riguarda la vita intima di Dio, ma l'agire di Dio nei nostri confronti. Pertanto, riconoscendolo come "unico", professiamo che egli è il nostro creatore, il nostro aiuto, il nostro liberatore, ecc. Proprio a motivo di un tale "monoteismo funzionale", il giudaismo ha potuto ammettere non solo degli esseri intermedi e angelici, ma anche delle vere e proprie "realtà preesistenti" alla creazione del mondo e al concreto effettuarsi della storia della salvezza a favore dell'uomo: la parola di Dio, lo spirito, la gloria, la shekina, la legge e, tra di esse, anche la sapienza, che manifestàno l'unico Dio e la potenza e sapienza del suo agire (cfr anche il punto di vista giudaico di Wyschogrod, "A Jewish Perspective on Incarnation", 195-209). Così, mi sembra strano affermare che, perché vi sono dei testi che attribuiscono la creazione del mondo direttamente a Dio, essi annullano quelli che parlano della "sapienza creatrice" che opera accanto a Dio. Infine, non credo che la "sapienza", cosÌ come viene descritta dai libri sapienziali, sia da mettere in paragone con certe espressioni metonimiche come il "dito di Dio", il "braccio potente di Dio" ecc. La metonimia antropologica di tali espressioni non ha nulla da fare con la personificazione della sapienza creatrice e ordinatrice di Dio: essa è generata da Dio, opera accanto a lui, agisce da "architetto di Dio". Non si tratta di una "prosopopea", un modo poetico per indicare un intervento diretto di Dio. La sapienza non è Dio stesso, ma realizza ciò che Dio vuole, lo ordina e lo porta al pieno compimento. Comunque, lo stesso Dunn, The The%gy o[ Pau/, 267-277, dopo le tante reazione suscitate, sembra essere più prudente nell'esprimersi; almeno più prudente di qualcuno che lo segue troppo da vicino: cfr per esempio, McGrath, "Change in Christology", 39-50.
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Capitolo II
di Dio, mediatore universale di riconciliazione, capo trovano esistenza, consistenza e vita.
10 CUI
tutto e tutti
a) I titoli di Cristo Ed è proprio dello stile innico accumulare dei titoli per esaltare il personaggio che 1'inno celebra. In tal senso, Col 1,15-20, non è solo una riflessione teologica o cristologica, ma preghiera di lode e di ringraziamento a Dio e al Figlio del suo amore (Col 1,12-13), canto di esaltazione del ruolo cosmico-salvifico di Cristo, lode a lui quale capo in cui abita la pienezza della divinità (Col 1,19; 2,9), a lui che tutto compone in unità, tutto conduce a salvezza, tutto pacifica per mezzo del sangue della sua croce (Col l,20). Lode, preghiera, riflessione, pertanto, si intrecciano tra loro, per esaltare Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di ogni creatura venuta all'esistenza e alla salvezza, capo della realtà creata e soprattutto riconciliata con Dio. 1°) Cristo, immagine del Dio invisibile Il primo titolo, o la prima lode, che l'inno attribuisce a Cristo è condensato nell'espressione: "immagine del Dio invisibile". Senza negare tutte le implicazioni "ontologiche" che esso comporta, bisogna riconoscere che in base al contesto esso assume in primo luogo una chiara dimensione funzionale: Cristo è "immagine del Dio invisibile", perché ci fa conoscere Dio che crea il cosmo, stabilisce per esso un piano di salvezza, ci rivela il suo amore nella creazione, nella redenzione, nella remissione dei peccati (Coll, 13), nella riconciliazione (Coll,20) e nella partecipazione al regno del Figlio del suo amore (l, 13). Pertanto, mi sembra che il titolo "immagine del Dio invisibile" non va solo letto all'interno dell'inno, ma anche e soprattutto all'interno del suo contesto immediato e più precisamente alla luce di Col 1,12-14, a cui esso fa diretto riferimento. In base a ciò, il titolo "immagine del Dio invisibile" è attribuito al "Figlio del suo amore" di cui si parla in l, 13 e a cui il relativo di 1,15 fa diretto riferimento. L "'immagine del Dio invisibile" è, pertanto, in collegamento con "il Diletto" (Ef 1,6), con il "il Figlio diletto" (Mc 9,7; Mt 17,5), nel quale il Padre si è compiaciuto (Mc l, Il; Mt 3,17; Lc 3,22) di far abitare la pienezza della sua divinità (Col 1,19; 2,9) e nel quale viene rivelato tutto il suo amore per il creato e per gli uomini. "L'immagine di Dio" è il "Figlio", che manifesta il Padre e il suo a-
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more. Ciò va sottolineato, non tanto per dare man forte a questa o a quella scuola teologica (tomista o scotista)I05, ma per concretizzare meglio l'identità del personaggio di cui si parla nell'inno. Egli è una persona unica, non divisibile tra M'Yoç acra.pKoç e M'Yoç EVcra.pKOç, tra "Figlio preesistente" e "Figlio incarnato": di tali distinzioni non c'è alcuna traccia nell'inno. Il "Figlio" è uno ed agisce nella sua preesistenza per attuare l'opera di amore del Padre e nella sua incarnazione per riconciliare gli uomini al suo amore. Visto, poi, alla luce dello sfondo sapienziale anticotestamentario, il "Figlio" assume in sé non solo tutti i contorni della Sapienza creatrice: personificazione, preesistenza, origine divina, dominio universale su tutte le cose, principio di unità e di coesione di tutta la realtà creata materiale e spirituale, ma assume anche quelli propri dell' azione soteriologica del Padre (1,12-14). Egli è il "capo del corpo" (l,18a) in quanto ha il primato su tutte le cose (l, 17a.18d), in lui abita la pienezza della divinità (2,9), in lui si attua la riconciliazione e la pacificazione universale delle cose tra loro e con Dio (1,20; Ef 2,14-18), egli è il capo della Chiesa (1,18a), l'inizio dei risuscitati alla nuova vita (l, l8c), del popolo di Dio. Cristo infatti, in quanto "Figlio, immagine del Dio invisibile", partecipa al potere creatore del Padre e al suo potere soteriologico e nello stesso tempo lo rivela a noi. Così, nel "Figlio" possiamo conoscere il Padre e il mistero del suo amore per noi e per tutta la sua creazione. Egli è "immagine" di Dio in tutto l'insieme del eéÀTU.ta. divino, nella creazione e nella redenzione. Egli è generato dal Padre quale suo "primogenito" prima della creazione di ogni cosa e prima della redenzione di tutte le cose; egli agisce nella creazione, gli dà consistenza e finalità; egli opera nel popolo di Dio, lo riconcilia e lo pacifica con Dio, gF dà unità e coesione con tutta la creazione. In una parola, egli è l'immagine dell'amore del Padre, perché nella sua funzione mediatrice ce lo rivela e ce ne rende partecipi. 2°) Primogenito di ogni creatura Così106, il "Figlio" ci manifesta in primo luogo l'amore del Padre 105 Cfr in questo senso Feuillet, Le Christ Sagesse de Dieu, 200-202, che si attarda a discutere se hanno ragione i tomisti o gli scotisti, anche se riconosce che il testo non dà appoggio né agli uni né agli altri. 106 Con Vanni, "Immagine del Dio invisibile", 111-112: il collegamento asindetico dei due titoli: "immagine del Dio invisibile" e "primogenito di ogni creatura", considera i
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verso tutte le cose create, verso la "creazione". E il termine KTIO'U; non va preso solo nella sua connotazione passiva di creatura quale "effetto de Il 'atto del creare", ma anche nella sua connotazione attiva quale azione amorosa di Dio l07 che crea tutto per mezzo del Figlio e in vista del Figlio (1,16)108. In tal senso, il secondo titolo, attribuito al "Figlio": "primogenito di ogni creatura", assume un senso pregnante. Egli, infatti, è stato "generato prima" dell'azione creatrice del Padre e in lui e per mezzo di lui Dio ha creato tutto il cosmo, le cose del cielo e della terra, le visibili e le invisibili, i troni e le dominazioni, i principati e le potestà, in una parola "tutte le creature" di Dio, effetto della sua azione d'amore (1,15-16). Nel Figlio, inoltre, l'amore creatore del Padre si manifesta come azione provvidente e finalizzante, perché "tutte le creature di Dio" trovano nel Figlio esistenza, consistenza e coesione: "Egli è prima di tutte le cose, e tutto in lui ha consistenza, egli è il capo del corpo" (l, 17-l8a). Ma non solo il termine "creazione" ha un senso pregnante, ma anche e soprattutto il termine "primogenito". E ciò perché il termine "primogenito" in relazione al Padre indica la preesistenza, la generazione eterna e l'origine divina del Figlio: egli appartiene al Padre da sempre, è il Diletto in cui il Padre si è compiaciuto, in cui ha riversato la pienezza del suo amore divino e nel quale ha stabilito il suo piano eterno d'amore; in relazione alle creature, poi, "primogenito" indica la mediazione creatrice del Figlio rispetto a tutte le creature del cosmo e in particolare degli uomini: egli è l'inizio della creazione, il principio di unione e di coesione di tutte le creature, il fine ultimo verso cui tutto il cosmo tende e trova pace e unità con Dio. 3°) Primogenito di tra i morti Tale mediazione del Cristo non si manifesta solo a livello del cosmo, ma soprattutto a livello ecclesiale 109 • Formalmente lo si può stabilire in base a due elementi letterari del testo: l°) in base al genitivo epesegetico "della Chiesa" aggiunto all'espressione "Egli è il capo del corpo" due titoli come uniti tra loro e rappresentanti "un unico campo semantico delimitato progressivamente da due linee convergenti". 107 In Col 1,16 l'aoristo ÈKttcr91l e il perfetto €Kncr'W.l sono passivi teologici, che si richiamano all'azione creatrice di Dio: è Dio che crea per mezzo e in vista di Cristo. 108 Allo stesso modo anche Vanni, "Immagine del Dio invisibile", 109. 109 Per un collegamento tra i titoli di Col 1,15 e di Col l, 18b cfr anche Vanni, "Immagine del Dio invisibile", 112, anche se con diversa argomentazione.
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(l,18a), stabilendo così uno stretto rapporto tra cosmologia ed eéclesiologia: la creazione tende verso la sua determinazione ultima divenendo il "corpo ecclesiale" di Cristo; ciò si precisa meglio 2°) in base alla permanenza del termine "primogenito", che mantiene tutta la sua ampiezza semantica: il "Figlio" è "primogenito" in rapporto al Padre, perché egli è l'inizio della nuova vita nella resurrezione (1,18b), della Eùoolcia del Padre, che nel Figlio ha stabilito sin dall'eternità la nostra liberazione dal potere delle tenebre (1,13), la riconciliazione rappacificando con sé tutte le creature per mezzo del sangue del suo Figlio (1,20), la nostra partecipazione alla sorte dei santi nella luce (l,12) e al regno del Figlio del suo amore (1,13). Contemporaneamente, il Figlio è "primogenito" in rapporto "(a coloro che sono risuscitati) di tra i morti", divenendo per loro capo (l,18b), riconciliazione (1,19), pacificazione (1,19; 2,14), partecipazione all'eredità dei santi (1,12) e al suo regno (1,13). Il termine "primogenito", comunque, non ha più qui un senso generazionale, ma una dimensione soteriologica ed ecclesiologica insieme: il Figlio è "primogenito" perché "inizio" (ùpxi!) di tutta l'opera salvifica del Padre, perché "capo" (KElj>aAi!) della Chiesa formata da tutti coloro che in lui sono risuscitati a vita nuova, riconciliati, rappacificati e santificati dall'amore di Cristo e del Padre. 4°) Capo del cosmo e della Chiesa
Derivato dai precedenti titoli, quale loro corollario formale e contenutistico, l'ultimo titolo, che l'inno attribuisce a Cristo, è quello di "capo del cosmo e della Chiesa". Formalmente, esso scaturisce dal senso metaforico di eccellenza e superiorità che assumono i termini "primogenito", "inizio", "capo" all'interno dell'inno: il Figlio, perché "immagine del Dio invisibile", non ha solo una priorità temporale (l, 17a) rispetto alla creazione e al cosmo redento, ma soprattutto una priorità di eccellenza e di superiorità (1,17-20), che lo rende origine, fondamento, capo di tutte le realtà create e redente. Contenutisticamente, il titolo di "capo" si rifà alla Sapienza che, in quanto reshit (inizio, primogenita, capo), domina, dà fondamento e guida uomini e cose nella giustizia e santità. In tal senso, i tre termini precedenti esprimono tre aspetti differenti della superiorità del Figlio nel piano cosmico-salvifico di Dio: primogenito, infatti, sottolinea la relazione intima che intercorre tra il Padre e "i l Figlio del suo amore", relazione che lo rende "immagine del Dio invi-
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sibile", perché manifesta a noi il mistero creatore e redentore dell' amore del Padre; inizio rimarca la superiorità del Figlio nel piano d'amore di Dio, in quanto egli è la causa agente efficiente da cui tutto ha origine, unità e coesione (l, 16-17): la creazione e la redenzione, egli è l'origine e il fondamento della Chiesa e del tempo della Chiesa; capo mette in rilievo la superiorità regale del Figlio (l,B) rispetto al cosmo e alla Chiesa 110: Cristo non solo è all'origine e dà consistenza al cosmo e alla Chiesa, ma soprattutto egli è colui che domina, determina, dirige e dà vita a tutta la realtà creata e redenta. Ma egli è soprattutto capo, perché ci rende partecipi del suo regno, in cui godiamo della libertà dal potere delle tenebre, del bene della riconciliazione con il Padre e della remissione dei peccati, dell' eredità dei santi nella luce, della pace universale con cui Cristo ci rende fratelli tra noi e figli dell 'unico Padre. Egli è il primo e ha il primato su tutte le cose.
b) Il ruolo cosmico-salvifico di Cristo Da tutte le considerazioni esposte, mi sembra che il ruolo di Cristo in Col 1,15-20 vada descritto sotto due angolazioni differenti, anche se complementari: il ruolo cosmico-salvi fico di Cristo nella creazione e il ruolo cosmico-salvi fico di Cristo nella riconciliazione. Non si tratta di due ruoli, ma di un unico ruolo cosmico-salvifico: Cristo, "immagine del Dio invisibile", mostra ai credenti I I I il piano misterioso d'amore di Dio, che si manifesta nella creazione e ancor di più nella riconciliazione. l°) Il ruolo cosmico-salvifico di Cristo nella creazione La prima parte de Il 'inno si sofferma a descrivere il ruolo di Cristo nella creazione con delle espressioni preposizionali molto pregnanti: in lui sono state create tutte le cose (1,16), tutte le cose sono state create per mezzo di lui (1,16), tutte le cose sono state create in vista di lui (1,16), tutte le cose sussistono in lui (l, 17b). Attraverso questo alternarsi di preposizioni, l'inno ci presenta diverse sfumature del ruolo di Cristo nel IlO Mi sembra giusto sottolineare con Feuillet, Le Christ sagesse de Dieu, 225, che questo titolo è stato posto nell 'inno per colpire la particolare dottrina colossese sugl i angeli: essi, per quanto creature superiori al creato e agli uomini, sono sottomesse a Cristo, che è a capo di tutte le cose che sono in cielo e sulla terra, "visibili e invisibili, sia troni che dominazioni, sia principati che potestà" (Col 1,16). 111 Come risulta dal contesto di Col 1,9-14 e 1,23, il mistero dell'amore creatore e salvi fico di Dio è proposto alla contemplazione dei cristiani n, in maniera più larga, ai credenti.
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piano della creazione di Dio, Ciascuna di esse, pertanto, è un tassello per comprendere meglio e in profondità la ricchezza dell'azione cosmicosalvifica di Cristo, a) Tutto è stato creato nel Cristo Gesù Come si è visto sopra in esegesi, l'espressione Èv umql e una form ula pregnante di senso, cioè potrebbe assumere: a) senso causale-strumentale o ministeriale: "per mezzo/per opera di lui" e tale senso si accorderebbe molto bene con l'ambientazione sapienziale che normalmente si dà all'inno, ma allora Col 1,16f sarebbe una ripetizione inclusiva quasi inutile; b) con senso locale-sociativo: "in lui", cioè in stretta unione con lui, principio di coesione di ogni realtà creata: tutto è stato pensato e voluto nel Cristo ll2 . Nessuno dei due sensi deve essere sacrificato, perché ciascuno di essi rappresenta una parte della grande ricchezza contenutistica della formula più ricorrente in tutto l'epistolario paolino: "nel Cristo Gesù". Tutto avviene in lui, tutto si svolge in lui, tutto trova il suo orientamento in lui. Non fa meraviglia, quindi, che anche la creazione, quale atto d'amore di Dio, e le creature, quale effetto concreto del suo amore, hanno la loro origine "nel Cristo". E' possibile che la formula unita al verbo "creare" assuma principalmente il senso locale-sociativo: Dio crea il cosmo "nel Cristo", cioè in stretta unione con lui lo pensa, lo vuole, lo attua. Cristo, in tal senso, diviene il luogo privilegiato in cui il Padre manifesta il suo 8ÉÀll/lu, la sua volontà di creare il cosmo; nello stesso tempo, il Cristo è anche la causa esemplare, in base alla quale il Padre dà vita a tutte le cose, e la causa ministeriale, per opera del quale il Padre manda ad effetto il suo progetto d'amore. In altre parole, il Cristo è il principio di unità e di coesione di tutte le cose llJ : tutte le cose sono state stabilite in lui, tutte hanno la loro forma e il loro fondamento in lui, tutte sono state create per opera (e per amore) di lui. Con ciò il ruolo di Cristo assume quello dei testi sapienziali di Prov 8,26-30, nel quale Dio crea e stabilisce tutte le cose in intima unione con 112 E accettando anche l'esegesi di Rashi a Gen l, l: tutto è stato pensato e voluto a motivo c per amore di Cristo. Sarebbe un' ottima base esegetica per la visione scoti sta del primato di Cristo. Comunque, per la storia dell'interpretazione cfr Feuillet, Le Christ sagesse de Dieu, 202-210. 1L' Cfr in questo senso anche Feuillet, Le Christ sagesse de Dieu, 206, anche se tenta di restringere il senso a questa sola interpretazione di "in lui".
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la Sapienza e avendola come suo "architetto" per dare forma e fondamento· a tutte le cose; di Sir 24,5, in cui la Sapienza, che procede dalla bocca di Dio, ricopre tutte le cose come una nube, cioè, fuori metafora, quale presenza di Dio che "nella sapienza e per mezzo di essa" dà a tutte le cose fondamento sicuro e stabile; ma soprattutto di Sap 7,23-30, in cui la Sapienza è uno spirito che pervade ogni cosa, penetra in esse rinnovando le e dandole forma e guidandole verso la pienezza della loro esistenza. In Cristo, vera Sapienza di Dio, tutto trova vita, fondamento, sicurezza, pace e stabilità nella giustizia e santità (cfr Prov 8,12-21; Sir 24,16.21; Sap 7,27). ii) Tutto è stato creato per opera di Cristo Anche questa seconda affermazione dell'inno circa il ruolo cosmicosalvi fico di Cristo è fatta attraverso un' altra espressione preposizionale: tutto è stato creato Ot'(xù'tou (Col 1,16f). La preposizione oui + genitivo, trattandosi di una persona e non di uno strumento inanimato, deve essere intesa della causa agente efficiente ministeriale che agisce come intermediario nell'azione del creare: è Dio che crea, ma crea per opera del Figlio. Pertanto, in Col l, l6f viene ripreso ed esplicitato con chiarezza il ruolo mediatore del Cristo, componente essenziale dell'espressione pregnante "tutto è stato creato in lui" di 1,16a. Tale ruolo è, in primo luogo, permanente, come suggerisce la variazione tra l'aoristo fK'ttcr91l (fu creato) e il perfetto EK'ttcr'tat (è stato creato): Cristo è mediatore non solo nel momento in cui Dio formava tutte le cose "nel Figlio", ma egli rimane tale per chiunque contempla l'opera creatrice di Dio 114. Inoltre, essendo Cristo causa agente efficiente ministeriale, egli è unito strettamente al Padre: egli opera insieme al Padre e la creazione è opera del Padre e del Figlio. Per questo, il ruolo di Cristo è dinamico: attua il piano del Padre e lo porta al suo compimento e alla sua perfezione. La mediazione di Cristo, in tal modo, è riletta alla luce dei testi yeterotestamentari della Sapienza creatrice, per mezzo della quale tutto è stato creato. Anche se qualcuno esprime dei dubbi sul termine "architetto" di Proy 8,30, è chiaro che la Sapienza gioca un ruolo molto dinamico nell'opera della creazione, come fanno fede Proy 3,19-20: "Il Signore ha fondato la terra con la Sapienza"; Sap 7,21: "essa è artefice di tutte le cose" (cfr anche 8,6); Sap 8,26: "(La sapienza) è uno spec114
Per il valore del perfetto in Col 1,16 cfr Fanning, Verbal Aspect, 153-154; 293-295.
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chio senza macchia dell'attività di Dio"; Sap 9,1-2: "Dio dei padri e Signore di misericordia, che tutto hai creato con la tua parola, che con la tua sapienza hai formato l'uomo". Tale ruolo dinamico della Sapienza non è visto come subordinato: essa appartiene a Dio, procede dalla sua bocca (Sir 24,3), è emanazione della sua potenza, effluvio genuino della sua gloria, riflesso della sua luce perenne, specchio della sua attività, immagine della sua bontà (Sap 8,26-27). Essa è eterna come colui che l'ha generata (Prov 8,23-24), sempre presente (Sir 24,9), presso di lui, nell 'attuazione delle sue opere (Prov 8,26-30). La rilettura sapienziale dell'inno è molto attenta e vuoI mettere in evidenza non solo la mediazione di Cristo nella creazione di tutti gli esseri del cielo e della terra, ma anche che tutti gli esseri trovano in lui, come nella Sapienza divina, la loro origine, la loro unità, la loro coesione. La mediazione divina, dinamica ed eterna di Cristo è il fondamento della nostra esistenza e del nostro destino ultimo. iii) Tutto è stato creato in vista di Cristo Proprio per questo Paolo coniuga la mediazione di Cristo con l' 0rientazione di tutte le creature verso Cristo. Egli è la causa finale verso cui tutto tende. In ciò vi è certamente un superamento del ruolo della Sapienza. Lo stesso Paolo pone spesso come fine ultimo di tutte le cose Dio: "Poiché da lui, grazie a lui e per lui (eiç aù'tov) sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli" (Rom Il,36); "Per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui (eìç aù'tov), e un solo Signore Gesù Cristo, per opera del quale tutto esiste e noi per opera sua". Ma qui, in Coll,16f, il Cristo diviene la causa finale di tutto. L'idea probabilmente è motivata, come si è visto dalle speculazioni rabbiniche sul Messia: "tutto il mondo è stato creato in vista del Messia" (R. Johannan). Ciò, a mio parere, significa che la creazione, in quanto deve la sua origine alla mediazione di Cristo e ha in lui la sua forma e il suo principio di consistenza, è orientata alla sua Signoria, destinata al suo regno (Col 1,13). In tal senso, si avrebbe una coincidenza con lCor 15,25-28: "Bisogna che egli regni e tutto gli sia sottomesso, allora egli consegnerà il regno al Padre, affinché Dio sia tutto in tutti". Allora, abbiamo questo senso: tutto è orientato a Cristo come Cristo è orientato al Padre; tutto trova unità in Cristo e in lui con il Padre.
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2°) Il ruolo cosmico salvifico di Cristo nella riconciliazione La seconda angolazione, con cui l'inno presenta il ruolo cosmicosalvifico di Cristo, è quella della "riconciliazione", intesa nel suo senso più ampio di tutta l'opera storico-salvifica di Cristo. Proprio per questo, in essa va incluso tutto il mistero di Cristo: dall'incarnazione alla morte e resurrezione. In base a ciò il mistero personale di Cristo è visto in maniera funzionale, in quanto non ci parla tanto dell' incarnazione, della morte o della resurrezione, ma di ciò che essi hanno prodotto nel piano d'amore del Padre, che vuole riconciliare a sé tutte le cose, sia quelle della terra che quelle del cielo (l,20), ci vuoI rendere partecipe dell' eredità dei santi (1,l2) e del Regno del Figlio del suo amore (l,13). i) "In lui si compiacque di far abitare tutta la pienezza" Al di là di tutte le divergenze di costruzione che la frase comporta, mi sembra che il senso esegetico e anche quello teologico trovano un punto fermo ancora una volta nell' espressione preposizionale "in lui". Il suo senso mi sembra che in 1,19 sia solo quello locale: Cristo è il luogo in cui "la pienezza di Dio (= Dio)" si è compiaciuta di manifestarsi all'uomo e a tutte le creature del cielo e della terra; oppure, se si preferisce Dio come soggetto della frase: Cristo è il luogo in cui Dio si è compiaciuto di far abitare la sua "pienezza", cioè, in base a Col 2,9, la pienezza della sua divinità. Nell'uno e nell'altro caso, il riferimento è all'incarnazione del Figlio, quale manifestazione concreta del piano di salvezza di Dio per il mondo. Ciò ha un parallelo molto significativo con la Sapienza che trova la sua delizia tra i figli dell 'uomo e pone la sua tenda in Israele, tra il popolo di Dio. I! Cristo incarnato, in base a tale parallelo, è la presenza concreta di Dio in mezzo alla creazione e in mezzo al suo popolo. I! nesso causale (o'n) tra 1,19 e l, 18b, allora, si arricchisce di un nuovo senso. I! Cristo è "inizio" e "primogenito di tra i morti", perché con la sua incarnazione dà inizio al piano salvi fico del Padre e attraverso essa veniamo generati alla nuova vita. Così, il Cristo non è solo l'inizio della creazione, ma anche e soprattutto della nuova creazione, che trova nell 'incarnazione del Figlio la prima manifestazione concreta della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Siamo in presenza di un 'intuizione teologica formidabile, che conferisce all 'incarnazione il suo giusto ruolo cosmico-salvi fico. Una tale prospettiva la si può leggere, fatte le dovute differenze di prospettiva, anche in Gal 4,4-5, in cui l' incarnazio-
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ne nella pienezza del tempo si coniuga perfettamente con la soterio10gia, divenendo il principio dinamico della nostra liberazione e del nostro essere partecipi alla figliolanza divina. Così, è proprio l'incarnazione l'inizio del nostro divenire "conformi all'immagine del Figlio", affinché Cristo sia "il primogenito tra molti fratelli" (Rom 8,29). "In lui", nella sua incarnazione, l'uomo non solo gode della presenza gioiosa e feconda del suo Dio, ma esperimenta anche tutta la ricchezza del suo amore misericordioso che lo libera dal potere delle tenebre, lo redime dal peccato, lo fa partecipe della sorte dei santi e lo introduce nella luce e nel regno del suo Figlio diletto (Col 1,12-14). L'incarnazione, pertanto è l'inizio del piano d'amore del Padre e il Cristo è l'inizio della nostra nuova vita di figli e di comunione con Dio. ii) La riconciliazione per opera e in vista di Cristo Il ruolo di Cristo, se ha inizio nell'incarnazione, ha però il suo centro portante nell'opera della "riconciliazione". Il verbo U1tOKu"CuAMlaaroè un termine paolino (Ef 2,16), intensivo del più comune KU"CaAAUaaro (Rom 5,10-11; Il,15; 2Cor 5,18-20); entrambi indicano l'opera della redenzione, giustificazione e santificazione che Dio ha operato per opera del Cristo. In tal modo viene riconfermato il ruolo cosmico-salvifico di Cristo: egli è la causa agente efficiente ministeriale per opera del quale il Padre opera la "riconciliazione". Questa, in base al testo e al suo contesto, è da riferirsi alla liberazione dal potere delle tenebre, alla redenzione e remissione dei peccati (Col 1,13-14). Di più: è l'azione con cui il Padre, liberandoci dal potere oscuro del peccato, ci redime e ci rende partecipi della figliolanza divina nel Cristo e per opera di lui partecipi della sorte dei santi e del regno del suo Figlio diletto (Coll, 1213). In altre parole, l'espressione preposizionale "per opera del Cristo" indica il ruolo redentore del Cristo e, in base a 1,20b, più precisamente il suo sacrificio redentore. N ormalmente nei testi paolini succitati Cristo riconcilia gli uomini con Dio, per questo alcuni esegeti interpretano Eiç uù'tov di 1,20 come equivalente di un dativo di termine: Dio riconcilia a sé tutte le cose attraverso l'opera mediatrice e redentrice di Cristo. Altri interpreti, stabilendo un parallelismo con l, 16f, danno ad Eiç uù'tov un senso finale: "i n vista di lui": Dio non solo realizza la riconciliazione per opera di Cristo, ma anche in vista di Cristo. Egli, infatti, nel piano salvifico di Dio non è solo la causa agente ministeriale, ma anche la causa finale verso cui tutto
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si orienta, trova forma e santità. In tal senso, Cristo, in quanto "inizio" e "primogenito dei morti", inaugura il tempo ultimo della nuova creazione riconciliata per mezzo del sangue di Cristo e pacificata secondo la cuBorla divina. Egli, quindi, è l'inizio e il fine a cui tutta l'opera di Dio tende incessantemente in una ricerca continua di pace e di armonia con se stessa e con Dio. In lui, per lui e in vista di lui tutte le creature trovano la pace, perché egli è la nostra pace (Ef 2,14). 3°) Il primato di Cristo Da quanto detto fin qui, mi sembra che dall'inno scaturisca un'ultima tematica: il primato di Cristo. Esso rappresenta il culmine e la sintesi di tutto il pensiero cristologico di Col 1,15-20. In esso Cristo ha un triplice primato: un primato assoluto, un primato di eccellenza, un primato universale 115. Cristo è il primo, perché egli è prima di tutte le cose (1,17), della terra e del cielo, delle visibili e delle invisibili (1,16). Egli, infatti, è il Figlio diletto (1,13), immagine eterna del Dio invisibile (1,15), che era presso il Padre e per mezzo del quale tutto ha ricevuto esistenza e vita (1,16.17). Per questo egli è il "primogenito di ogni creatura" (1,15), perché inizio della creazione di Dio (1,16-17), il "primogenito di tra i morti" (1, l8c), perché inizio della nuova vita secondo la resurrezione e la redenzione da lui operata (1,19-20). Egli è il capo del corpo (1,18a), perché tutto in lui trova consistenza, unità e coesione (1,17), ma soprattutto è capo della Chiesa (1, 18a), perché in lui e in vista di lui, inizio e primogenito della resurrezione e della nuova creazione (1, 18bc), Dio si è compiaciuto di far abitare nell'incarnazione la pienezza della sua divinità (1,19; 2,9), manifestando (immagine) a tutti gli uomini la bontà del suo piano d'amore; si è compiaciuto di riconciliare tutti gli esseri a sé (1,20a), quelli della terra e quelli del cielo (1 ,20c), pacificandoli (1 ,20b), ricostituendo nel Cristo la loro unità perduta a causa del peccato (1,14) e rendendo l i degni dell'eredità e del regno (1,12.13). Cristo è capo (1,18), perché egli è l'inizio (1, 18b), il primogenito (1,15 .18b) e colui che presiede a tutte le cose (l, 17a.18c). In lui e per 115 Per un approccio simile, ma articolato diversamente, cfr Aletti, Colossiens /./5-20, 93-94; Karris, A Symphony, 78-80, che vi trovano sei modi di esprimere il "primato di çristo": di eminenza, di universalità, di unicità, di totalità, di priorità, di compimento. E chiaro che è un modo, a volte molto sottile, di esprimere gli stessi concetti che qui ho sintetizzato in tre momenti.
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opera di lui tutte le cose hanno origine (1,16), consistenza (l, 17b) e fine (l,16f.20a). Egli ha il primato, perché Dio in lui ha fatto abitare la pienezza (1,19) della sua divinità (2,9) e per opera di lui e in vista di lui ha stabilito la nostra redenzione (1,14), riconciliandoci e rappacificandoci (l,20) nel suo amore infinito e misericordioso. Nel mistero totale di Cristo - incarnazione (1,19), morte (l ,20b) e resurrezione (l, 18b) - tutte le creature formano il suo corpo (1, 18a) e insieme a lui partecipano all'unica Chiesa (l,18a), che canta l'inno di lode a Dio e a Cristo (1,1520), Figlio del suo amore (1,13). Cristo è Re dell'universo, perché possiede un regno d'amore (1,13) e di luce (1,12), a cui tutte le creature prendono parte (1,13), perché in lui abbiamo ricevuto la redenzione, la remissione dei peccati (1,14), la liberazione dal potere delle tenebre (1,13), perché il Padre ci ha resi degni di avere parte a questa eredità dei santi (1,12). Ma non solo gli uomini sono chiamati a far parte della Signoria di Cristo, ma tutte le creature visibili e invisibili, troni e dominazioni, principati e potenze (1, 16.20c), sono state create per opera di lui e in vista di lui (l, 16af) e tutte sono state riconciliate e rappacificate per opera di lui e in vista di lui (1,20), in modo che egli abbia il primato assoluto e universale su tutte le cose (l,18c)116. 3) La teologia di Col 1,15-20
Col 1,15-20 ha un carattere certamente cristologico. Ciò non significa, però, che nell 'inno non vi siano anche degli aspetti teologici molto rilevanti, che da una parte danno la giusta dimensione della cristologia e dall'altra ci permettono di rilevare il quadro teologico globale in cui la cristologia dell'inno si inserisce ll7 • Tale quadro teologico globale ha due momenti forti: a) Dio creatore del cosmo. E' un aspetto che risalta in maniera evidente dall'analisi di Col 1,16, che in maniera inclusiva pone l'atto della creazione del cosmo tra due passivi teologici: ÈK'tlcr811 - EKncr't<Xt (l, 16a; 1,16f). La causa agente originante di tutto il cosmo, di ogni creatura del cielo e della terra, delle creature visibili e invisibili, come delle potenze 116 A tale proposito cfr le buone applicazioni pratico-pastorali di Edwards, JeslIs the Wisdom 01 Cod, 69-171; Karris, A Sympholly, 83-89. 117 Di diverso avviso sembra Aletti, Colossiells /./5-20, 45, per il quale "Dieu - nella nostra pericope - est passé sous silence" e si sforza di minimizzare qualsiasi dato teologico presente nella pericope. Ma la sua interpretazione mi sembra non solo esagerata, ma anche non tiene eonto del contesto in eui l'inno di Col 1,15-20 è stato inserito.
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angeliche (l, 16b-d), è il Padre. Da lui scaturisce la vita, sia come progetto d'amore sia come attuazione attraverso l'opera del Figlio. Il Padre e il Figlio sono uniti intimamente nell'atto della creazione, tanto che il Figlio non è altro che "l'immagine del Dio invisibile" (l, 15), cioè colui che manifesta nella creazione l'atto d'amore (1,12-13) del Padre che progetta la creazione e la mette in atto, la concretizza per opera del Figlio e la orienta verso il Figlio (1, 16af), perché "nel Figlio" (1,16) trovi il suo scopo (1, 16f), la sua unità (l, 17a.18a), la sua coesione (1, 17b) e il suo fondamento stabile (1, 16a). Tutte le creature e tutti gli esseri hanno, così, la loro origine dal 8ÉÀl1J.1a divino, dalla volontà cosmico-salvifica del Padre. b) Dio salvatore del cosmo. Il secondo momento forte de Il 'inno è da ricercare nella eùooKia divina (1,19), che intende riconciliare tutti gli esseri a sé (1,20). Nonostante la dimensione cosmica che l'inno offre in Col 1,20c, mi sembra che Col 1,15-20 mantenga la normale teologia paolina della riconciliazione: il soggetto del riconciliare è il Padre (1,1920) e la riconciliazione ha luogo tra Dio e gli uomini in primo luogo e in senso subordinato anche con tutti gli esseri della terra e del cielo (1,20; cfr Rom 8,18-26), mediatore della riconciliazione è il Cristo (1 ,20abc). Ma anche il contenuto interno della riconciliazione è paolino, come dimostrano sia il testo di Coll, 19-20 come il contesto di Col 1,1214. In base ad essi, infatti, la riconciliazione ha il suo punto di origine nell'azione del Padre (1,19), che nel Cristo (1,19a), per opera di Cristo (l,20) e in vista di Cristo (1,20a) ci libera (l,13), ci redime (1,14), ci offre la remissione dei peccati (1,14), ci dona la sua pace (1,20b), ci rende degni della sorte dei santi (l, 12) e ci fa partecipe del regno del suo Figlio diletto (1,13). Inoltre, come si è detto, la riconciliazione ha il suo punto forte nel mistero di Cristo: incarnazione (1,19), morte (l ,20b) e resurrezione (l, 18b). Nella totalità del suo mistero, pertanto, il Cristo diviene per volontà del Padre (1,19) il primogenito dei risuscitati da morte (l, 18b) per introdurli nella vita nuova, inizio (1, 18b) della pacificazione universale (1 ,20b) per ristabilire l'unità di tutti gli esseri, capo del corpo che è la Chiesa (l, 18a), punto culmine della comunione di Dio con gli uomini, stabilito per mezzo della mediazione universale di Cristo.
CAPITOLO III EF 1,3-14 IL DISEGNO SAL VIFICO DI DIO NEL CRISTO GESÙ Benedetto (è) il Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo, poiché ci ha scelto in lui prima della fondazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nell 'amore, predestinandoci alla figliolanza adottiva per opera di Gesù Cristo in vista di luilper sé, secondo il beneplacito della sua volontà, a lode gloriosa (lett. di gloria) della sua grazia con la quale ci ha gratificato nel Diletto. In lui abbiamo la redenzione per mezzo del suo sangue, la remissione dei peccati, secondo la ricchezza della sua grazia, che egli ha fatto abbondare per noi con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà secondo il suo beneplacito, che prestabilì in lui in vista dell 'amministrazione della pienezza dei tempi, di ricapitolare/raccogliere sotto un capo tutte le cose nel Cristo, quelle nei cieli e quelle sulla terra. In lui, nel quale anche siamo stati scelti/messi a parte predestinandoci (o essendo stati predestinati) secondo il disegno di colui che opera potentemente secondo la decisione della sua volontà, affinché noi, che abbiamo sperato prima nel Cristo, fossimo a lode della sua gloria. In lui anche voi, avendo ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza, in lui, avendo anche creduto, foste segnati con lo Spirito salIto della promessa, che è caparra della nostra eredità in vista della redenzione della (sua) acquisizione a lode della sua gloria. Analisi letteraria l) Contesto
L'inno di Ef 1,3-14 segue immediatamente il praescriptum (1,12) della Lettera agli Efesini, occupando il posto che di norma Paolo riserva al ringraziamento (Rom 1,8; lCor 1,4-8; 2Cor 1,3-7; Fil 1,3-
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lO; Col 1,3~8; 1Tess 1,2-5; 2Tess 1,3-10; Fm 4-7)1. Questo risulta come un prolungamento della lode che Paolo rivolge a Dio per l'azione di grazia che opera in mezzo agli Efesini, divenendo insieme alla benedizione un'introduzione alla prima parte della lettera (2,1-3,19), che a sua volta si conclude inclusivamente con una dossologia a Dio che opera nel Cristo e nella Chiesa (3,20-21). 2) Delimitazione della pericope
L'inno inizia in 1,3 con una formula di benedizione e si prolunga in una serie ininterrotta di participi (1,3b; 1,5; 1,9), di proposizioni relative (1,7; 1,8; 1,11; 1,13; 1,14), causali (l,4) e infinitive finali (1,4b; 1,12), che determinano l'unità formale dell'inn02 • A causa di ciò, l'unica vera cesura si ha con il òtà 't01)'to di 1,15, dove inoltre si passa dalla benedizione al ringraziamento ("non cesso di ringraziare") introdotto con il soggetto al singolare (eyro). Anche il contenuto di 1,3-14 è unico: la lode al Padre per il suo piano salvifico ("il beneplacito della sua volontà", cfr 1,5; 1,9; 1,11), che porta a compimento nella redenzione (1,7; 1,14) nel e per opera di Cristo (1,3.4. 5.6.7.9.10 11.12.13) e per mezzo dello Spirito promesso (1,3; 1,1314) a lode della sua gloria (1,6; 1,12; 1,14). 3) Genere letterario
Ef 1,3-14, dal punto di vista della forma, è lina eulogia a Dio, una proclamazione di lode per il piano di salvezza stabilito dalla benevolenza del Padre, realizzato per la mediazione del Cristo e portato a compimento dall'azione teleologica dello Spirito. Sia per la forma che per il contenuto si ispira a delle forme inniche dell' AT che hanno inizio con baruk 'elohe Jahwé (cfr SI 31,22; 144,1; Tob 13,1 ecc.) o del giudaismo (cfr 1QM XIII,2; Shema; Shemone 'esre)3. Anzi, la eulogia cristiana ha la sua origine proprio dalla berakah giu-
A causa di ciò, Penna, Efesini, 82, lo ritiene "come blocco a sé stante i n funzione di proemio". 2 Cfr anche l'analisi di Schlier, Efesini, 48-49; Grelot, "La structure", 194-195. Norden, Agnostos Theos, 253 nota I, ha scritto esagerando alquanto: "E' il più mostruoso conglomerato di frasi che io abbia incontrato nella lingua greca". Tale giudizio sembra essere troppo pesante e in qualche modo è stato ridimensionato da Robbins, "The Composition of Eph 1:3-14",677-687. Inoltre, la letteratura paolina conosce altri periodi molti lunghi e complicati alla maniera di quello di Ef 1,314, basta cfr Rom 1,1-7; 12,4-8.9-13; 2Cor 10,3-6; 11,24-29; ecc. In ogni caso, l'inno di Ef 1,3-14 ha un suo fascino, che non deriva tanto dalla fonna, ma dai suoi contenuti, espressi in fonna ritmica (cfr anche Penna, Efesini, 83). 3 Schlier, Efesini, 52-55; Cambier, "La bénédiction", 60-61; Deichgraber, Gotteshymnus und Christushymnus, 40-43; Montagnini, "Christological Features", 530; Grelot, "La structure", 200; Fabris, "Il piano divino", 511-523.
EI1,3-14
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daica4 • Nel NT, solo due inni incominciano con la fonnula "Benedetto Dio": precisamente il Benedictus5 e il nostro inno di Ef 1,3146 • Nonostante questi riferimenti fonnali, bisogna riconoscere che Ef 1,3-14 non ha la fonna propria di un salmo7, a cui invece si rifà certamente il Benedictus, ma quella delle composizioni di "prosa ritmata" che si incontrano nell'epistolario paolino (Fil 2,6-11; Col 1,15-20; Ef 2,14-18; Rom 8,31-39) e nel Prologo di Gv 1,1-18. In Ef 1,3-14, infatti, si riscontrano gli stessi fenomeni già registrati negli "inni paolini": il ritmo incalzante delle frasi, un vocabolario alquanto ricercato e fonnato di parole perispomene8 , il parallelismo dei membri di frase, le assonanze verbali, poco uso delle particelle di connessione, molto uso dei participi per creare collegamenti (1 ,3b.5. 9.11.13), ripetizioni di fonnule come "secondo il beneplacito della sua volontà" (1,5.7.9) o "a lode della sua gloria" (1,6.12.14)9 e il ripetersi martellante, anche se variato nelle fonne pronominali: "i n lui", "nel quale", della fonnula molto cara a Paolo: "in Cristo" (1,3.4.5.6.7.9.10-11.12.13)1°. L'importanza di tale fonnula, nell'insieme dell'inno, fa sì che Ef 1,3-14, nonostante la sua dimensione trinitaria ll , deve essere considerato come un inno cristologico l2 • Infatti, l'elemento cristologico è il cuore o la base portante della benedizione del Padre e dell'azione santificatrice dello Spirito. Tutto avviene "nel Cristo" e "per mezzo del Cristo": "in lui", il Diletto (1,6), il Padre rivela il suo disegno benevolo (1,6; 1,9; 1, Il) di salvare tutti gli uomini, renderli santi e Cfr Lyonnet, "La bénédiction", 341-352; Penna, Efesini, 106. Cosi Schlier, Efesini, 53; contrario Cambier, "La bénédiction", 60. Comunque, fonnule eulogiche, simili a quella di Ef 1,3 e poste all'inizio delle rispettive lettere, si trovano anche in 2Cor 1,3 e I Pt 1,3, ma non fanno parte di inni, anche se 2Cor continua con una certa prosa ritmata. 7 Cambier, "La bénédiction", 60; Fabris, "II piano divino", 513, ammette invece che l'autore "si è ispirato liberamente alle composizioni bibliche dei salmi e degli inni dell'ambiente giudaico". 8 Cioè con accento circontlesso alla tine; se ne contano ben 35 e anch 'esse determinano un certo ritmo, specialmente in tinale di frase (cfr Innitzer, "Der Hymnus i n Eh 1,3-14",612-621; Penna, Efesini, 83). 9 Cambier, "La bénédiction", 98; Montagnini, "Christological Features", 537538, la ritengono una "formula-ritornello", avente tùnzione strutturante. IO Cfr Montagnini, "Christological Features", 535-537, che lo ritiene elemento strutturante del brano; di diverso avviso è Schlier, Efesini, 49-50 nota 4: incerto Cambier, "La bénédiction", 66-67 e 98-99. Il Cfr anche Coutts, "Ephesians 1.3-14", 117-118; Barth, Ephesians /-3, 101. 12 Schlier, Efesini, 56-57; Cambier, "La bénédiction", 66-67; Montagnini. "Christological Features", 538-539. In contrario, Deichgriiber, GotteshYl1lll/ls /Ind Christushymnus, 65-76, seguendo Conzelmann, lo ritiene: "eine Meditation liber das Thcma 'Gott in Christus"'; Lincoln, Ephesians, 43: 'The theocentric perspectivc rcmains dominant".
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figli (l,4-5), e li ha segnati con il sigillo dello Spirito (1,13) in vista di divenire sua speciale proprietà (1,14); "per mezzo di Cristo" otteniamo la redenzione (1,7.14), la remissione dei peccati (1,7), la ricchezza della grazia divina (l, 7), la conoscenza del mistero (l,8-9). In tal senso, la formula "in Cristo" conserva la sua pregnanza semantica ed esprime tutta la ricchezza dell'opera redentrice e salvifica del Cristo: non solo il suo ruolo di mediatore l3 nel piano divino del Padre, ma anche il centro portante di tutta l'opera salvi fica di Dio l4 • È difficile dire quale sia l'ambiente proprio dell' inno, anche se quello liturgico sembra il più probabile, stando anche a ciò che si legge in Ef 5,19-20 e Col 3,16-17 15 • Ma, a causa di questi testi, risulta arduo voler attribuire quest'inno (e anche gli altri inni paolini) alla liturgia battesimale o alla catechesi pre-battesimale I6 • Quest'ultima ipotesi potrebbe essere verosimile, dato che Paolo si serve degli inni o all'inizio di una parenesi (Ef 1,3-14.15-2,lO) o all'interno di essa (Fil 2,1-18; Col 2,9-29). In ogni caso, essa serviva per dare fondamento alla dottrina che si stava esponendo. 4) La struttura letteraria A. Ef 1,3: Introduzione della eulogia l°) v. 3a: Dio oggetto della nostra benedizione EÙÀoyrrtòç Ò 8EÒç Kat n:a'tllP 'COD Kupiou 1lj.Hl)V 'IllO'OD XplO''tOD,
2°) v. 3b: Dio soggetto della nostra benedizione Ò EÙÀoYrlO'aç 1l)l<Xç Èv n:cXO'l] EÙÀoyi<;x 1tVEUllanKlJ
Èv 'tOtç Èn:oupaVtOlç Èv XptO''teP,
B. Ef 1,4-6: Eletti per essere santi e figli 1) v. 4a: il motivo della eulogia: l'elezione Ka8Òlç È;EÀ.é;<X'tO 1lIlUç Èv aù'teP n:pò Ka'tapoÀl1ç KOO'Il0U
2) vv. 4b-5: scelti per la santità e la figliolanza
cl Val 1lIlUç ayiouç Kat cXllcOllOUç K<X'tEVc01ttOV aù'toD Èv
àYcXn:l],
Per questa interpretazione cfr Cambier, "La bénédiction", 66-67. Sch1ier, Efesini, 57. 15 Cambier, "La bénédiction", 66-67; Barth, Ephesians 1-3, 98; Montagnini, "Christological Features", 530-531; Penna, E(esini, 107. 16 Secondo Schlier, Efesini, 96-99, Ef 1,3-14 allude certamente al battesimo e alla liturgia battesimale, anche se l'inno in se stesso non è un "inno liturgico", ma un "brano omogeneo, composto (J{! hoc, di genere innico, in ritmica prosa d'arte" (p. 51); cfr anche Coutts, "Ephesians 1.3-14", 124-127; Grelot, "La structure", 203206; Montagnini, E(esini, 73-74. 13 14
EI1,3-14
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rrpooptO"aç T)JlUç Eiç Ut08EO"taV cStà 'IllO"OU XptO"'tau Eiç alYCov, K<X'!à 'tT]V EÙOOKtaV 'tau 8EÀiJJl<X'!oç aù'tou,
3) v. 6: il fine ultimo dell'elezione Eiç E1tatvov 06~l1ç 'tf1ç Xapt 'toç aù'tou ~ç ÈXapl 'troO"EV T)JlUç Èv 't4'> T)Y<X1tllJlÉvql.
C. Ef 1,7-10: I benefici apportati da Cristo l) VV. 7-8: la redenzione 'Ev
iP fxOJlEV
'tT]v arroÀu'tproO"tv cStà 'tou a'iJla'taç aù'tau, 'tT]V a<»EO"t v 'trov rraparr'troJla'trov, Ka'tà 'tò rrÀou'taç 'tf1ç Xapt 'toç aù'tau ~ç ÈrrEplO"O"EuO"Ev Eiç T)JlUç, Èv rraO"1] O"o<»t<x Kaì <»poviJO"Et,
2) vv. 9-lO: la conoscenza del mistero yvroptO"aç T)JlLV 'tò JluO"'tiJptOV 'tou 8EÀiJJla'taç aù'tau, K<X'!à 'tT]v EÙOOKtaV aù'tau llv rrpoÉ9no Èv aù't4'> dç OiKOVOJltav 1:0U rrÀllPWJla1:0ç 1:rov KatproV, avaKE<»aÀatwO"a0"9at 1:à rrana Èv 1:4'> XptO"1:4'>, 1:à bit 'taLç oùpavotç Kaì 'tà Èrrì 1:f1ç yf1ç Èv aù't4'>.
D. Ef 1,11-14: giudei e pagani segnati con lo Spirito di salvezza l) vv. 11-12: i giudei scelti per primi 'Ev
iP Kaì ÈKÀllPw811JlEV rrpoopt0"9ÉV1:Eç Ka'tà rrpo8EO"tv 'tau 1:à rrav't<X Èvepyouv'taç K<X'!à 1:T]v ~ouÀT]v 'tau 9EÀiJJla'taç aù'tau eìç 1:Ò dvat T)IlUç eìç Errat vov 06~l1ç aù'tau 'taùç rrpollÀrtt K<)'];aç Èv 1:4'> XptO"1:4'>.
2) v. 13: i pagani segnati con lo Spirito della promessa 'Ev
iP Kaì uJldç 1:ÒV Myov 1:f1ç aÀ118etaç, 1:Ò eùayyÉÀtOv 1:f1ç O"ro1:11ptaç uJlrov,
Èv
iP Kaì rttO"'teuO"av'teç ÈO"<»payt0"8111:E 1:4'> rrveulla'tt 'tf1ç ÈrrayyeÀtaç 1:4'> àyt{fl,
3) v. 14: Conclusione: lo Spirito, caparra della nostra eredità
oÈO"'tt v àppa~ò)V 1:f1ç KÀllPovoJllaç T)Jlrov, dçàrroÀu'tproO"tv 'tf1çrreptrrot iJO"eroç, Eiç ErratVOV 'tf1ç M~l1ç all'Wl).
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Capitolo III
Osservazioni suDa struttura l7
1) L'unità della pericope non è difficile a dimostrarsi: a) La pericope Ef 1,3-14 infatti, nonostante che sia stata divisa dagli editori con punti e virgole, è da un punto di vista grammaticale un solo periodo; quindi la punteggiatura rispecchia solo il punto di vista esegetico dell'editore che l'ha adottata l8 • Così, solo per rilevare gli attacchi principali l9 : l°) il KaOcbç causale di 1,4 è in stretto collegamento con 1,3, in quanto offre la motivazione della nostra eulogia a Dio; 2°) l'infinito finale di 1,4b: etvat TtJ..la.ç e il participio congiunto: 1tpoOptcr<Xçdi 1,5 sono entrambi da collegare strettamente con È~EAi~a'to di l,4a; 3°) il pronome relativo Èv cP di 1,7 si aggancia strettamente a Èv 'tcj) Ttya1tllJ..lÉvep di 1,6; quindi, più che un punto nel testo, ci saremmo aspettati una virgola; 4°) dato che la proposizione relativa è secondaria nel discorso, il participio congiunto yvroptcr<Xç di 1,9 può avere un duplice collegamento con ciò che precede: o con il verbo ÈltEPtcrcrEucrEvdella frase relativa secondaria di 1,8 o forse anche con l'è~EAi~a'to di l,4a; 5°) i pronomi relativi Èv cP di 1,11 e di 17 Per altri schemi di struttura cfr Cambier, "La bénédiction", 103; Penna, Efesini, 85; lovino, "La «conoscenza del mistero»", 332-346; Fabris, "II piano divino", 514-515. Molto originale è la struttura proposta da Grelot, "La structure", 201-209: secondo l'Autore Ef 1,3a sarebbe un "refrain" da dover ripetere, almeno mentalmente, in alcuni punti chiave dell'inno, in particolare dinanzi ai tre participi aoristi: ò E'ÌlÀ.OYTlaaçdi I ,3b, 7tpooptaaç di 1,5, yvroptaaç di 1,9, che introducono delle strofe riguardanti una lode a Dio, e dinanzi alle tre relative EV ciJ di 1,7.1 1.13, che introducono delle strofe riguardanti l'opera di Cristo nel piano di Dio. L'ipotesi, che somiglia in parte a quella di Coutts, "Ephesians 1.3- \4", 115-127, è molto industriosa ed è difficile negarla come anche ammettarla, dato che non sappiamo se realmente questo "inno" o "prosa ritrnata" sia mai stata utilizzata per il canto ecclesiale. Inoltre, staccare Ef I ,3a da 1,3b è un'operazione di convenienza, dato che il participio attributivo Ò E'ÌlÀ.OYTlaaç di 1,3b è strettamente unito a ò E>EÒç Kal 1t<X-nlP, come riconosce lo stesso Grelot (cfr anche Coutts, "Ephesians 1.3-14", 116); d'altra parte, i I ltpooptaaç di 1,5, e forse anche il yvroptaaç di 1,9, va legato grammaticalmente ad EçE~a'to TÌlliiç di 1,4 e solo contenutisticamente a 1,3a. Infine, l'ondeggiare del "refrain" - ora applicato a Dio ora a Cristo - è certamente un po' problematico, in quanto l'inno si rivolge sempre direttamente a Dio che agisce nella storia della salvezza per mezzo del Cristo. Per una visione d'insieme delle varie proposte cfr Lincoln, Ephesians, 13-15; Montagnini, Efesini, 71-82. 18 Ho qui adottato il testo del K. Aland, senza però attribuire gran peso alla punteggiatura da lui proposta. Inoltre, nel v. 14 ho adottato la lettura con il neutro o piuttosto che quella con il maschile oç, perché ritengo, non solo che è meglio testimoniata, ma perché sembra essere, in base al p46 e da alcuni codici dell 'it (b d), la lettura più antica che conosciamo. Barth, Ephesians /-3, 95-96; Lincoln, Ephesians, 9-10, accettano invece quella con il maschile oc;, perché sembra essere "Iectio difficilior". Comunque, se si esclude la testimonianza di a, gli altri codici (D 'l' e !In) operano spesso cambiamenti sintattici anche per motivi non strettamente letterari, per cui la loro lettura non è del tutto certa. 19 Per un 'analisi più dettagliata del brano cfr Lincoln, Ephesians, 11-12.
Ef 1,3-14
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1,13, anche se nelle edizioni vengono staccati dal loro termine reggente con dei punti, sono di fatto da collegare rispettivamente con Èv a{ne!) di 1,1 O e con Èv 'te!) Xptcr'te!) di 1,12. b) Altro elemento determinante per l'unità del brano è la presenza del "Cristo Gesù"20: Dio è presentato come ilrra'tilp 'tou K'Opio'O 1l/lIDV 'Illcrou Xptcr'tOu (l,3a), che ci ha benedetti Èv Xptcr'te!) (l,3b), ci ha scelti Èv aù'te!) (l,4), ci ha predestinati ad essere figli 8tà 'Illcrou Xptcr'tOu (l,5), ci colmò di grazia Èv 'te!) lÌyaJtll/lÉVCP (l,6), Èv q, (1,7) abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati 8tà 'tou cii/la'tOç aù'tOu (1,7), ci svelò il mistero della sua volontà benevola che aveva stabilito Èv aù'te!) (l,9): ricapitolare tutte le cose Èv 'te!) Xptcr'te!) (l, IOa), quelle del cielo e quelle della terra Èv aù'te!) (l, l Ob); Èv q, (l, Il) sono stati scelti i giudei che per primi hanno sperato Èv 'te!) Xptcr'te!) (1,12); Èv q, (1,13), dopo aver ascoltato e creduto nella parola della verità, anche i pagani sono stati segnati con lo Spirito santo della promessa. c) Un terzo elemento di unità della pericope è il pronome personale plurale 1l/lE1ç: lo si trova come soggetto sottinteso in 1,7.11 e come soggetto delle infiniti ve finali di 1,4b.12; come genitivo possessivo nelle espressioni 'tou K'OptO'O 1l/lIDV di 1,3a e Tf\ç KÀllPOVO/ltaç 1l/lIDV di 1,14; come accusativo lo si ritrova: in ò EÙÀOYrlcraç 1l/laç di 1,3b, in Èç,EÀÉç,a'tO 1l/l<Xç di 1,4a, in rrpooptcraç 1l/laç di 1,5 e in ÈXapi 't(OOEV 1l/laç di 1,6; come dativo di termine o vantaggio in yvO)picraç 1l/l1V di 1,9; e come complemento di favore nell'espressione ~ç ÈrrEptcrcrE'OcrEv Eiç 1l/laç di 1,8. d) Un quarto elemento di unità della pericope sono le tre espressioni: Ka'tà 'tilv EÙOOKtaV 'tOu 8EÀrl/la'tOç aù'tOu di 1,5; Ka'tà 'tilv EÙOOKtaV aù'tOu di 1,9; Ka'tà 'tilv ~o'OÀilv 'tOu 8EÀrl/la'tOç aù'tOu di l, Il, che sottolineano la costante dinamicità del piano di Dio nell' economia della storia della salvezza stabilita a nostro favore. e) Un quinto elemento lo si riscontra anche nella triplice espressione Etç Errat vov 'tfìç ò6ç,llç aù'tou di 1,12 e 1,14 e, leggermente variata: Etç Errat vov 06ç,llç 'tfìç Xapt 'tOç aù'tOu di 1,6; esse rimarcano che tutta la storia della salvezza ha un fine unico: la gloria di Dio Padre. f) Un ultimo elemento degno di nota, sempre da un punto di vista dell 'unità, è la pleroforia delle due espressioni simili21 : Etç Errat vov 20 Tale elemento è messo in rilievo soprattutto da Kramer, "Zur spraehlichen Fonn", 34-46, tanto da ritenere che la fonnula Èv XPlcrtC!> sia l'elemento strutturante principale di tutto il brano. 21 Mi limito a citare solo queste due pleroforie, in quanto hanno elementi di confronto; del resto la pericope è piena di espressioni pleroforichc. cfr per es. quella di I, I b: ò EÙÀoy~crU(; ~J.liiç Èv mXcr\1 EÙÀoyi~ 7tV€uJ.latl Kì] Èv tòìç É1wupaviol<; Èv XPlcrt
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80çllç 'tfìç Xapt 'tOç aù'tOu ~ç èxapi 'trocr€V 1llldç èv 't4) TÌya1tllllÉvep di 1,6 e Ka't<Ì 'tò 1tÀ.ou'tOç 'tfìç Xapt 'tOç aù'tOu ~ç è1t€picrcr€ucr€V dç 1llldç, èv 1tCxcrl] cro
15-16; Montagnini, Efesini, 95 elIO. 24 Lincoln, Ephesians, 17-18, pur ritenendo che ogni parte dell'eu/ogia finisca con una frase preposizionale con Èv, lascia questa parte iniziale senza questa caratteristica generale del brano. Pur non condividendo del tutto l'ipotesi del Lincoln, credo che, lasciando unito il v. 3, esso funzioni meglio. 25 Cfr Cambier, "La bénédiction", 62, anche se non mi sembra esatto dire che l'antanak/asis, introdotta dal participio attributivo, risulta come una prima motivazione della eu/ogia.
EI1,3-14
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non è solo il "benedetto", ma anche "colui che ci ha benedetti"26; 2°) perché il Kaecbç di 1,4 fa passare dalla formula eulogica alla motivazione di essa, creando un leggero stacco nel test0 27 e facendolo avanzare nel contenuto. Proprio per tali motivi, credo che Ef 1,3 nel suo insieme sia da considerare come l'introduzione generale dell' inn0 28 . b) Il Kaecbç causale di 1,4 introduce la motivazione29 di tutta l'eulogia: noi benediciamo Dio, perché egli ci ha scelto nel Cristo prima della creazione del mondo. Si noti come formalmente tale motivazione è in progresso rispetto alla eulogia. Essa, infatti, da una parte riprende sia il soggetto agente: ò eùÀ.oyT!craç, sia i destinatari della benedizione divina: TJ,..u'iç, sia il ruolo determinante di Cristo nel piano di Dio: Ev Xptcr'tep, dall'altra esplica con l'aoristo èçeì..éça'to in che cosa consista la "benedizione divina" e che 1'''elezione divina" ha avuto luogo "prima della costituzione del mondo", nel disegno eterno di Dio. Tale aoristo indicativo, poi, trova la sua continuazione temporale nel participio congiunto 1tpoopicraç, qualunque valore esso abbia: modale temporale o causale, e trova il suo compimento nell'èXapi'tcooev TJlléiçdi 1,630 , dato che in 1,7 non solo troviamo il presente indicativo: exollev, ma anche il cambio del soggetto. Per questi motivi formali, credo che Ef 1,4-6 forma il primo blocco unitario, tutto centrato sul tema della elezione. A sua volta, esso può essere suddiviso in tre parti: l°) v. 4a: la motivazione della eulogia: la nostra elezione; 2°) w. 4b-5: scelti per la santità e la figliolanza: questa leggera cesura si fonda sull'infinitiva finale di 1,4b3 \ e sulla participiale con26
Con Penna, Efesini, 84; meno preciso mi sembra Montagnini, Efesini, 82, che ritiene il participio attributivo descrittivo ò EUÀoY~O<xç come una motivazione. 27 Cfr anche Penna, Efesini, 84. 28 Allo stesso modo anche Cambier, "La bénédiction", 62-67 e 103; Barth, Ephesians /-3, 99; Penna, Efesini, 84. 29 Per il senso causale di K<x6roç nel nostro contesto cfr BAGD, Lexicon, ad vocem 3; BDR 453,2; per un senso più sfumato cfr Thayer, Lexicon, ad vocem 3, che lo definisce più che causale come "corresponsive"; Cambier, "La bénédiction", 67-68; Lincoln, Ephesians, 16-17; Montagnini, Efesini, 84 nota 46: "come è verQ che"; ma forse va molto bene la congiunzione causale italiana: "siccome" (con Penna, Efesini, 88). 30 L'esclusione dell'intinito presente tinale eìv<XI di Ef l,4b dall'attuale discussione non pone problema, in quanto esso non indica temporalità, ma solo valore aspettuale: Dio ha scelto il cristiano, perché egli sia sempre santo e immacolato dinanzi a lui nell'amore. 3\ L'intinitiva tinale di I Ab è certamente una proposizione dipendente da eçEÀi:ç<X"tO, ma rimane sempre una proposizione distinta dalla sua principale; quindi può stabilire una leggera cesura strutturale, che mette in rilievo il progredire del pensiero generale dci testo.
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giunta di valore probabilmente modale 32 e sul primo richiamo alla euoOldav 'tou 8eÀrllla'toç au'tou di 1,5; 3°) v. 6: il fine ultimo del! 'elezione: la gloria di Dio, ed esso viene espresso attraverso la pleroforia33 di valore finale: eiç E1tatVOV OOçllç 'tfìç Xapt 'tOç au'tou ~ç éXapi 'tcooev "Il
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fino ad Ef 1,1037 . Infatti, l'Ev cìl KCXt EKÀ.TlProerUlev di l,Il, pur riproponendo lo stesso soggetto fonnale di Ef 1,7, ritorna all'aoristo e in qualche modo al soggetto logico di Ef 1,4-6 (cfr il passivo)38. In verità, né tale soggetto logico né l'aoristo sono scomparsi da Ef 1,7lO, perché essi si trovano presenti in tutte quelle frasi subordinate che fanno riferimento al progetto salvi fico di Dio. Così, li ritroviamo nella frase pleroforica: KCX'tà. 'tò 1tÀ.ou'toç 'tfìç Xapt 'toç CX\>'tou ~ç E1tepicrcreucrev eiç lil. Ulç, EV 1tacru crocpi~ KCXt cppovtlcret di 1,8; nella frase participiale congiunta: yvropicrcxç lilltv 'tò llucr'ttlPtOV 'tou eeÀ.tlllcx'toç cxù'tou di 1,9a; nella frase pleroforica: KCX'tà. 'tilv eùooKtcxv cxù'tou iiv 1tpoéee'to EV cxù't di l ,9b39 . Tutto ciò pennette, a mio parere, due conclusioni riguardo alla suddivisione di Ef 1,7-10: l°) la fonnula EV cìl KCXt EKÀ.TlProeTllleV di 1,11, pur mantenendo lo stesso soggetto di 1,7, fa ritorno all'aoristo detenninando un passaggio verso un nuovo sviluppo della eulogia. Tale cambiamento è sottolineato anche dalla ripresa tematica dell'elezione (1,4) attraverso il verbo EKÀ.Tlpro9T)llev (1,11) e dall'introduzione di un nuovo tema: l'essere segnati per mezzo dello Spirito, caparra della nostra eredità (1,13-14). 2°) Ef 1,7-10, pur svolgendo un pensiero unico e pur essendo delimitata dall'inclusione letteraria: EV cìl / ev CXÙ't40, a motivo del movimento temporale delle sue proposizioni, è suddivisibile in due parti: 1,7-8 parla della redenzione e della remissione dei peccati secondo la ricchezza della grazia divina; 1,9-10, invece, mostra tale evento storico come già inserito nel più vasto progetto eterno di Dio, in quel "mistero" che ci è stato rivelato: la ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. Fonnalmente tale suddivisione trova il suo punto di appoggio, più che nell'indicativo aoristo E1tepicrcreucrevdella frase relativa secondaria di 1,8, nel participio aoristo congiunto yvropicrcxç di 1,9, in 37 Montagnini, Efesini, 95-96, ritiene che la pericope si prolunghi fino a 1,12. Ciò, a mio parere, è impossibile, dato che I, Il, pur mantenendo lo stesso soggetto grammaticale: "noi", introduce un cambio di tempo: dal presente di 1,7 ali' aoristo di I, Il. Inoltre, anche se il soggetto grammaticale in I, Il è "noi", bisogna sottolineare due elementi importanti per l'interpretazione del testo: l°) in I, Il il "noi" è soggetto grammaticale della frase, ma il soggetto logico è Dio, come dimostrano i I passivo di EKÀ'lproeTlIu::V e quello del participio congiunto 1tpooptaeÉVtEç; 2°) il "noi" di 1,7 riguarda certamente tutti i credenti che sono stati redenti dal sangue di Cristo, mentre il "noi" di I, Il riguarda solo "coloro che hanno sperato per primi nel Cristo", come si può ricavare dal parallelismo tra EV <Ì> Kaì ÉKÀ'lproe'lJ.lEV di I, Il e EV <Ì> Kaì uJ.lElç di 1,13. Pertanto, io credo che la suddivisione più probabile sia 1,7-10. 38 Cfr anche Penna, Efesini, 84. 39 Non è da includere in queste ricorrenze l'infinito aoristo medio <xvaKEcpaÀatCÒCJaaeat di Ef I, I O, in quanto non esprime temporalità, \1Ia solo l'aspetto puntale di un 'azione etlèttiva complessiva. 40 In verità l'inclusione è stabilita prima con l'Év t Xptat che chiude l'infinitiva di 1,10 e poi dall'Èv aut della frase pleroforica conclusiva di 1,10.
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quanto esso - sia che abbia valore modale, temporale o causale determina non solo un passaggio della temporalità: dal presente all'aoristo, ma soprattutto l'inserimento dell'evento della redenzione nel vasto quadro della "rivelazione del mistero di Dio". d) L'ultima parte dell'inno, come già si è visto, è introdotta formalmente dalla proposizione relativa év q) Kaì éKÀ:llPro8rU1Ev di 1,11, che da una parte si aggancia ad év a\YCe!> di l, lO, ma dall' altra, ritornando rispetto a l, lO al soggetto plurale 1Ì~EtC;, lo fa progredire verso un nuovo sviluppo concettuale. La ripresa di 1Ì~EtC; in l, Il, a mio avviso, è solo formale, perché da un punto di vista contenutistico tale 1Ì~dc; si riferisce non più a tutti i credenti, ma ad una parte di essi, precisamente a "quelli che hanno sperato per primi nel Cristo": cioè i giudeo-cristiani. L'insistenza formale, in 1,11-12, sui composti con il preverbio temporale 1tpO- non è casuale, ma voluta e sottolineata. Così, i giudeo-cristiani41, secondo la decisione sovrana e insondabile del piano prestabilito (1tpo81low) da Dio, sono stati predestinati per primi (1tpOOptO"Sév'tEc;)a manifestare e ad essere gloria di Dio, essi che per primi hanno posto la loro speranza (1tpOllÀ1ttKo'tac;) in Cristo. Ciò è rafforzato ulteriormente dal parallelismo dell'espressione: év q) Kaì u~dC; di 1,13, che certamente si rivolge ad un gruppo diverso da quello indicato con 1'1Ì~dC; di 1,li-12: cioè, i pagani, che, dopo aver ascoltato la parola e aver creduto, sono stati segnati (da Dio) per mezzo dello Spirito santo della promessa. Fin qui, cioè in 1,11-l3, ha dominato l'aoristo, mentre in 1,14 inaspettatamente appare di nuovo il presente indicativo e di nuovo 1'1Ì~dc;42, per giunta riferito a tutti i cristiani: lo Spirito, infatti, è una realtà del presente per tutti i credenti; è la caparra dell'eredità promessa a tutti i figli di Dio (cfr 1,5) in vista della redenzione definitiva e della gloria di Dio. Se tale ricostruzione è vera, l'ultima parte dell'inno è suddivisibile in tre parti: l°) 1,11-12: i giudei scelti per primi. In essa sono interessanti alcuni fenomeni letterari: l'uso marcato di parole composte con il preverbio 1tpO-; l'inclusione letteraria tra év q) di l, Il e év 'te!> XptO"'te!> di 1,12; l'altra inclusione formale tra il participio congiunto 1tpOOpt0"8éV'tEC; di l, Il e quello predicativo del soggetto dell 'infinitiva 1tpOCfr anche Penna, Efesini, lO 1-102; in contrario Montagnini, Efesilli, 110, ma il suo ragionamento non mi sembra molto convincente, dato che bisogna far leva nell'interpretazione non tanto sull'aspetto "polemico", ma sul "fatto storico": nessuno può contestare che i primi cristiani provenivano dal giudaismo e quindi la loro "pre-elezione" è un dato che risulta sia dagli Atti degli Apostoli che dali' epistolario paolino, in particolare dalla Lettera ai Romani. 42 Penna, Efesilli, 104, il quale però registra solo il ritorno del "noi", ma non dà alcun peso al ritorno del presente indicativo. 41
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11ÀmKo,t<Xçdi 1,12; infine la posizione centrale dell'espressione pleroforica Ka'tà 't1Ìv pouÀ1Ìv 'tou geÀr1lla'toç au'tou di l,Il. 2°) 1,13: i pagani segnati con lo Spirito della promessa: anche qui la costruzione è molto ricercata: si noti in primo luogo l'inclusione iperbatica che è stabilita tra ullelç, posto all'inizio di 1,l3, e il suo predicato verbale ÈO"payt0"911'te,posto quasi alla fine43 ; al centro poi di tale inclusione sono stati posti i due participi congiunti:
Analisi esegetica EUÀOY11'tÒç Ò geòç Kat 7ta't1Ìp 'tou KUptOU 1Ìlloov 'I11O"oU XptO"'tou: "Benedetto (è) il Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo". EUÀoY11'toç: in italiano abbiamo la forma del participio passivo: "benedetto", mentre il testo greco riporta l'aggettivo verbale eUÀoY11'toç,
4~
Barth, Ephesians /-3,94-95, ipotizza delle clissi in 1,13, da dover supplire con l'introduzione di qualche fonna dci verbo Ei~i. Personalmente, non credo che vi sia né un anacoluto né alcuna dissi (come pensa Lincoln, Ephesians, 38), ma solo un iperhato tra il soggetto Ù~E'ìç e il suo predicato verbale ÈO'$payl0'9'1tE. 44 Tale elemento è ritenuto conclusivo anche da Lincoln, Ephesians, 16.
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che si addice di più ad una formula45 , dato che l'aggettivo verbale ha la doppia funzione di caratterizzare (aggettivo: Dio è degno di benedizione) e di esprimere l'idea dell'azione (verbo: l'uomo deve sempre benedire Dio). EÙÀ.o/,Elv: il suo senso è quello di "benedire", "lodare", "glorificare", "onorare"46. Nessuno di questi sensi è da escludere, perché il "benedire" di Ef 1,3 include in sé la lode, la gloria, l'onore da dover rendere a Di047 . Anzi, proprio perché si tratta di una "benedizione comunitaria", l' eulogia racchiude in sé anche il concetto solenne di "confessare", "proclamare", "esaltare" e "magnificare" Dio per i prodigi del suo amore48 . Più che il congiuntivo desiderativo: "sia", è da inserire l'indicativo presente " è "49, dato che non si tratta di un augurio, ma di una proclamazione di lode nei riguardi di Dio. 'O eEÒç Kuì rtu'tilp 'tou Kupiou ru.ui'>v 'Ill(}"Ou Xp\'o'tOu: è una formula abbreviata50 che esprime l'intimo rapporto che intercorre tra "Dio Padre", il "Signore Gesù Cristo" e "noi". Così, la formula mette in luce la relazione intima che esiste tra "Dio Padre" e "Gesù Cristo": questi è "il Diletto" (1,6) che il Padre ha stabilito come "Signore". Proprio per questo, la formula indica lo speciale rapporto di appartenenza di "noi" a "Gesù Cristo", dato che egli è il "nostro Signore", e di intimità con il Padre, dato che "nel Cristo", non solo siamo redenti, ma "siamo figli" del "Padre del Signore Gesù Cristo". La formula, pertanto, ha un forte senso cristologic051 : l°) perché è formula di rivelazione dell 'intimo rapporto tra il Padre e Gesù Cristo, cioè Gesù di Nazareth quale 45 NeJ1a LXX si trova anche il participio passivo in Gb 1,21; SI 71,17; I Re 10,9, che traduce la fonna passiva baruk. Comunque, per l'equivalenza tra EÙÀoyrrtOç e EÙÀOYOU!lEVOç cfr Cignelli, "La Grecità biblica", 206. 46 Per il concetto di "benedire" nel mondo biblico cfr Beyer, EÙÀOYElv, EÙÀOyia, 1149-1180; Murtonen, "The Use and Meaning", 158-177; Scharbert, "Di e Geschichte", 1-28; Patsch, EÙÀOyÉro, 77-78; Mateos, "Amilis", 5-25. Di per sé EÙÀOYElV etimologicamente ha il senso neutro di "bene - dire", cioè di "parlare bene" di una persona. Ma, in base a ciò, il concetto si è evoluto semanticamente verso la lode e la celebrazione di una persona, per magnificarne le gesta e le virtù. A maggior ragione ciò è avvenuto nel culto, in cui Dio è "benedetto", cioè lodato, glorificato, celebrato per le meraviglie del suo amore salvi fico. 47 Cfr Beyer, EÙÀoyElv, 1151-1152. 48 Schlier, Efesini, 54-55; Penna, Efesini, 85. 49 Sia l'ottativo iiT] che il presente Écr'ttv sono grammaticalmente possibili (cfr Rom 1,25), anche se il presente sembra più idoneo al contesto del1a benedizioneproclamazione (cfr BDR, 128,8; Schlier, Efesini, 54; Cambier, "La bénédiction", 62-63). 50 Cfr soprattutto Schlier, Efesini, 55; Cambier, "La bénédiction", 63. 51 Ciò è detenninante nel risolvere il problema del1a classificazione dell'inno: esso, più che un inno rivolto a Dio, è una benedizione rivolta al "Padre del Signore nostro Gesù Cristo". Si tratta, quindi, di una caratterizzazione cristologica del1 'inno di Ef 1,3-14.
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inviato del Padre, il Messia, per la nostra salvezza; 2°) perché 1ll essa percepiamo un'altra grande rivelazione del NT: "nel Cristo Gesù" abbiamo ricevuto il grande dono di "essere figli di Dio"; 3°) perché il Cristo Gesù è il "centro", il fondamento e il mediatore di tale rapporto filiale del Padre con noi e di noi con il Padre: "in lui" noi incontriamo la salvezza del Padre e riceviamo i benefici con cui il Padre ci ha benedett052 . In tal modo, la benedizione di Dio da parte della comunità diviene proclamazione, riconoscimento e lode della paternità di Dio, che "ne Il 'amore" e "nel Diletto" ci ha redenti, ricolmati dei doni della sua grazia e soprattutto resi suoi figli. Ma è anche proclamazione e lode di Gesù, che quale mediatore tra noi e il Padre ci rende degni di innalzare a lui la nostra "benedizione". 'O EùÀ.oyi]craç TUHXç Év mxcrD EÙÀ.Oyt~ 1tvEU/-la'n K1J Év 'tOtç É1wupavtotçÉv Xptcr't0: "Che ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo". Ò EùÀ.oyi]craç T]/-l&ç: il participio aoristo EùÀ.oyi]craç è in funzione attributiva a "Dio" e, in quanto tale, introduce un'efficace figura retorica: l' antanaklasis, che consiste nella ripetizione di uno stesso termine, ma in senso differente53 , qui uno passivo e uno attivo: il Padre non solo è benedetto (oggetto della benedizione), ma anche è "colui che benedice" (soggetto della benedizione)54. Ma, mentre nel primo caso, il termine è equivalente a "lodare, celebrare, magnificare", ora esso assume il senso di "concedere abbondanza di doni", "fare benevolenza" e concretamente nel nostro testo "elargire il dono della salvezza". Ciò è avvenuto, come indica l'aoristo, in un momento precis0 55 : nel sacrificio cruento di Cristo (l, l O) per mezzo del quale abbiamo avuto parte alla sorte dei santi (1,7.11), nella fede (1,13: "avendo ascoltato e creduto") con cui abbiamo avuto parte alla "parola della verità", al "vangelo della salvezza" (1,13) e nel battesimo quando siamo stati segnati con lo Spirito (1,13-14) per ricevere la redenzione (1,7.14), la remissione dei peccati (1,7), l'adozione a figli (1,5.14) e l'abbondanza della grazia (1,7-8). Non si tratta di tre momenti distinti, ma di 52 SchIier, Efesini, 55; Cambier, "La bénédiction", 63; Penna, Efesini, 86; Fabris, "Il piano divino", 516.
53 Per questa figura retorica cfr Rocci, Vocabolario, ad vocem b; Lausberg, Handbuch, 663, p. 335; Marchesi, Dizionario, 23; Cambier, "La bénédiction", 62; Barth, Ephesians 1-3, 77. 54 Schlier, Efesini, 55; Cambier, "La bénédiction", 62. 55 Cfr Fanning, Verbal Aspect, 415-416. Schlier, Efesini, 56, pensa che l'aoristo €ùÀoYTlcraç si riferisca al battesimo; Cambier, "La bénédiction", 63, ritiene che esso in primo luogo richiama la "morte di Cristo" e poi (in senso logico, non cronologico) l'''inizio della vita cristiana". lo credo che bisogna anche aggiungere il momento in cui attraverso la fede il cristiano si unisce a Cristo e partecipa alla sua morte e resurrezione.
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tre aspetti differenti dell 'unica benedizione divina: la morte cruenta di Cristo è l'aspetto oggettivo della benedizione che il Padre opera a nostro favore; la fede è l'aspetto esperienziale-individuale con cui il fedele si unisce a Cristo e riceve la benedizione del Padre; il battesimo è l'aspetto esperienziale-ecclesiale con cui il cristiano esperimenta, segnato dallo Spirito, i benefici della benedizione del Padre e quindi può benedirlo, ringraziarlo con la lode e celebrare il mistero del suo amore. In base a ciò, è evidente che il "noi" si riferisce a tutti i cristiani, che nella fede e nel battesimo sono divenuti oggetto della sua benedizione, cioè della benevolenza della volontà del Padre (1,5.7.9.11). Tale benedizione ora viene precisata attraverso tre espressioni preposizionali: Èv 1t<Xcr1:t EÙÀ.Oyt~ 1tVEUIlU'ttKD Èv 'tolç È1tOupuviotç Èv XptO''tQ). Ognuna di esse aggiunge una sfumatura al benedire divino del Padre. Così, in primo luogo siamo stati benedetti: "con ogni benedizione spirituale". L'espressione ha senso distributivo e quindi indica la totalità dei doni, nessuno escluso, con cui il Padre lungo il corso della storia della salvezza ci ha benedetto56 . Tale benedizione è "spirituale"57, perché appartiene a Dio e ha origine da lui e ce la comunica per mezzo del suo Santo Spirito, che la rende efficace per noi nell'azione redentrice del Cristo (1,4-10) e nella sua azione teleologica a nostro favore (1,13-14)58. "Nei cieli"59: l'espressione è propria della Lettera agli Efesini60 . In 1,20 indica il luogo dove Cri56 Con Barth, Ephesians 1-3, 78. In greco abbiamo l'aggettivo ltVE'Ulla'ttKiJ che appartiene agli aggettivi in tKOS, che indicano appartenenza: "relativo al pneuma", "della natura del pneuma" (cfr BDR, 113,2,2; Howard, A Grammar, II, 377-379). Per il senso teologico cfr Barth, Ephesians 1-3, 101-102, che giustamente insiste nel dire che tale benedizione non è fuori del tempo né fuori del nostro mondo, ma essa produce storia e ed è storia di salvezza che Dio ci comunica nella sua eudokia. 58 Cfr Schlier, Efesini, 56; ; Cambier, "La bénédiction", 64; Barth, Ephesians 1-3, 78-79 e 102-103; Penna, Efesini, 87; Lincoln, Ephesians, 19-20. 59 Per il senso dell'aggettivo sostantivato ,à é1tO'Upt'»Jw cfr Schlier, Efesini, 5763, per il quale, in base a certe elucubrazioni gnostiche, il termine "indica la trascendenza quale dimensione di una Potenza avvolgente, varia, la quale, in quanto cielo della terrena esistenza, allarga ed innalza (od abbassa), prega ed esige e pone in conflitto questa stessa esistenza. In essa, ma anche in un luogo superiore e in una superiore signoria si vive quando si è 'in Cristo'. Ci si trova dunque, avvolti dallo spazio temporale di Dio nel corpo di Cristo, la Chiesa, esposti a tutte le altre Potenze, che ora appunto mettono in opera tutti i loro cieli contro questa sicurezza" (p. 63). In maniera più accessibile, e anche meno filosofica, cfr Cambier, "La bénédiction", 65-66: "év ,O\S btO'Upavlot<; a bien le sens spatial, mais en le comprenant au sens biblique, suivant une signification spatio-temporelle: avec l'événement salvifique du Christ, nous sommes transportés dans un autre monde et en un autrc temps; de cela nous bénisson le Père de notre Seigneur Jésus-Christ" (p. 66). 60 Lincoln, "A Re-Examination", 468-483; e inoltre Lincoln, Ephesians, 20-21.
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Ef 1,3-14
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sto è stato assiso, quando Dio lo risuscitò dai morti; in 2,6 è ancora il luogo dove Dio, ricco di misericordia, fa sedere tutti coloro che sono stati salvati e risuscitati con Cristo; in 3, lO è il luogo dove Dio manifesta a tutti, compresi i Principati e le Potenze, le insondabili ricchezze di Cristo, il mistero nascosto da secoli nella mente di Dio e la sua multiforme sapienza; in 6,12 è il luogo dove abitano le potenze del male61 , contro le quali il cristiano deve lottare e avere fiducia di vincere nella potenza del Signore risorto e glorioso. In base a tutti gli esempi riportati, l'espressione "nei cieli" indica non solo il luogo da dove proviene la benedizione divina, ma soprattutto il luogo dove Cristo con la sua vittoriosa resurrezione ci ha reso partecipi della benedizione del Padre. Per questo, viene aggiunta un'altra determinazione preposizionale: "nel Cristo"62. Essa non va intesa solo in senso 10cale63 , come la precedente determinazione, ma con la stessa ampiezza della formula paolina: "per opera di Cristo", che attraverso la sua mediazione (senso causale efficiente ministeriale) ci ha resi partecipi della redenzione e della filiazione divina, e "i n Cristo", cioè uniti a lui (senso locale-sociativo), abbiamo sperimentato ed esperimentiamo tutto l'amore del Padre e della sua benevolenza salvifica 64 • Secondo gli antichi (pagani, apocalittici, gnostici), le "potenze celesti" abitavano nei cieli e di lì guidavano gli astri. Essi abitavano una zona intennedia tra il "cielo di Dio", il suo soggiorno, e il mondo, soggiorno degli uomini. Questi, proprio perché abitavano sotto i loro cieli, subivano l'influenza degli astri e delle "potenze" che li guidavano. Anche se Ef 6,12 non calza bene con il resto degli esempi, esso però è molto indicativo, in quanto indica sempre un luogo superiore, dove abitano gli esseri che trascendono la natura umana. 62 Per l'uso della fonnula "in Cristo" cfr Allan, 'The 'In Chrisf Fonnula", 54-62; e la critica molto pertinente di Lincoln, Ephesians, 21-22. 63 Così, per esempio, Schlier, Efesini, 63: "Cristo è rl nostro luogo trascendentale"; mentre Cambier, "La bénédiction", 66-67, pensa che abbia solo senso strumentale; Fabris, "Il piano divino", 516-517, oscilla tra la causa strumentale ministeriale: la mediazione di Cristo e quello locale: "la radice o fonte pennanente nella quale sono vitalmente innestati i credenti"; mentre Barth, Ephesians 1-3, 78, basandosi su Gen 18,18, vorrebbe attribuire alla fonnula "in Cristo" un valore simile a quello di Gal 3,8 (e 14?): come Abramo, Cristo sarebbe il beneficiario, l'inizio, il modello e lo strumento della nostra benedizione. Tale interpretazione mi sembra già abbastanza discutibile per Gal 3,8.14, a maggior ragione mi sembra che lo sia qui. La fonnula, a mio parere, mantiene il suo duplice senso: causale strumentale e locale sociativo, a cui forse si potrebbe aggiungere, dato il contesto, anche quello di causa esemplare. 64 Con Penna, Efesini, 88, che, rifacendosi al participio aoristo EÙÀoYTlO"CXI; pensa che "ne risulta una prospettiva storico-salvifica al passato". In verità, il participio in se stesso esprime qui l'aspetto ingressivo dell'azione del Padre e quindi l'inizio della sua benedizione. In base al contesto, poi, tale benedizione divina investe tutta resistenza del cristiano e, pertanto, la prospettiva è quella generale della storia della salvezza: passato, presente e futuro sono investiti della benedizione divina 61
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Kaecòç èSEÀ.éSa'tO 1l1.UXç èv aù't
EI1,3-14
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"per essere santi e immacolati al suo cospetto nell'amore". Tale proposizione infinitiva finale indica lo SCOp071 che Dio si prefiggeva nello sceglierei. "Essere santi": già nell' AT Dio chiedeva al suo popolo di "essere santo come egli è santo" (Lev 19,2). Nella santità, infatti, l'uomo si avvicina a Dio e diviene sua proprietà particolare, "segregato per lui", offerta integra dinanzi a lui72 • La santità cristiana è un culto reso a Dio. Per questo Paolo aggiunge spesso un altro aggettivo, tratto anch'esso dal mondo cultuale: "immacolati" (Fil 1,15; Col 1,22), che specifica e completa il senso dell'essere santF3. Dinanzi a Dio bisogna essere integri e senza macchia, come tutte le vittime sacrificate a Dio. In questo senso, lo scopo dell'elezione divina indica il vivere cristian074 come impegno ad essere santi e offerta gradita a Dio (Ef 5,1-2; Rom 12,1-2). Tale culto spirituale deve essere prestato "al suo cospetto": tutta la vita del cristiano nel periodo escatologico deve svolgersi dinanzi a Di0 75 , per piacere a lui (Rom 12,1) e da lui essere riconosciuti come figli (Gal 4,9); inoltre, deve "essere ... nell' amore"76: come l'elezione di Dio avviene "nel Cri71 L'infinito dvm è un infinito di scopo dipendente da un verbo indicante un'intenzione (Viteau, Étude, I, 263). Tale costruzione è comune sia nella LXX: I Re 8,16; ICron 28,4-5; IMacc 7,37; che nel NT: At 15,7.22.25. L'infinito presente, poi, indica che tale finalità è duratura continua: è la vocazione ad essere sempre santi e immacolati. 72 Schlier, Efesini, 68; Cambier, "La bénédiction", 71-72. 73 Probabilmente siamo in presenza di un'endiade, come sostengono Schlier, Efesini, 68; Cambier, "La bénédiction", 71-72. 74 Cfr anche Barth, Ephesians 1-3, 80; Lincoln, Ephesians, 24. 75 L'espressione "al suo cospetto" non si riferisce affatto al "giudizio futuro dinanzi al cospetto di Dio", ma all'atteggiamento escatologico del cristiano, che pennane saldo nella fede, nella speranza e nell'amore (cfr Col 1,22) "secondo la volontà di Dio" (cfr Barth, Ephesians 1-3,80, che riporta l'opinione di E. Speiser e di M. Dahood, secondo i quali lCatEvromov U1JTOÙ equivale a "hy his will"). Quindi, mi sembra del tutto ambigua la distinzione di Schlier, Efesini, 68, che vuoi distinguere tra "presenza escatologica" (= futura?) e "continua presenza agli occhi di Dio". 76 Schlier, Efesini, 70; Cambier, "La bénédiction", 72-74, e altri con loro, pensano che l'espressione "nell'amore" vada unita, più che ai due verbi precedenti: "ha scelto", "essere", al participio seguente in Ef 1,5: "predestinadoci". Nonostante la possibilità suggerita da Lyonnet, "La bénédiction", 348, di unire Èv àyCX1tl] con ÈçEÀkçatO in base al parallelo dello shema: "Benedetto sei tu, Signore, che hai eletto il tuo popolo nell'amore" (cfr anche Drago, "La nostra adozione", 206-209), io credo che in Ef 1,4 l'espressione Èv àyét1tl] va riferita grammaticalmente al verbo più vicino: "per essere santi". Ciò non mi sembra neppure invalidato da quanto sostiene Schlier, Efesini, 70 nota 39: "il fatto che in 4a non si parla di una condotta santa, ma di un'essenza santa". Tale distinzione non annulla affatto la dipendenza grammaticale di Èv àyét1tl] dall' infinito di scopo El vm, sia che suggerisca di "comportarsi i n maniera santa" sia che affenni "la santità essenziale del cristiano" (cfr anche Barth, Ephesians 1-3, 79-80; Penna, Efesini, 90-91; Fabris, "Il piano divino", 518). D'altra parte, non mi sembra che debba suscitare molta meraviglia l'accumulo di affennazioni preposizionali (cfr la meraviglia di Cambier, "La bénédiction", 73-
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sto, il Diletto" (1,4.6), così anche la santità del cristiano ha il suo ambiente .vitale "nell' amore", condizione essenziale della santità cristiana (lCor 13). Così, in Ef 3,17-19, è l'amore che permette al cristiano di penetrare nella conoscenza profonda dell'amore di Cristo, "per pervenire all'intera pienezza di Dio"; in 4,2 il cristiano deve realizzare la sua vocazione alla santità "nell'amore", che è umiltà e mitezza, magnanimità e tolleranza (cfr Gal 5,22); mentre, in 4,1516, egli deve "crescere proiettato verso Cristo facendo la verità ed edificando nell'amore"; infine, in 5,2, la santità del cristiano è imitazione dell'amore sacrificale di Cristo, che per noi si è offerto "quale oblazione e vittima a Dio in odore di soavità" (cfr Rom 12,1-2). In definitiva, è nell'amore, quale partecipazione all'amore di Cristo e di Dio, che realizziamo il progetto di santità, a cui Dio ci ha chiamati. I1poopt<Jaç T)!J.
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cristiana alla santità: essa coincide con il nostro "essere figli" e si realizza nella nostra condotta da figli7 8 • All'interno del "beneplacito della volontà divina", infatti, non vi è successione temporale né progressione logica, ma solo il progetto eterno della nostra santità e figliolanza, per questo il 1tpOOpiçEtv di 1,5 coincide contenutisticamente con l'ÈSEÀésmo ... 1tpÒ KampoÀfìç 'Wl> KocrllOU di 1,4 ed entrambi si rifanno alla "decisione (1,11) benevola (1,5.9) della volontà divina (1,5.9.11)". Eiç ul08Ecriav:"all'adozione". È il fine a cui mira la predestinazione divina. Il termine ul08Ema, raro nel greco profano e assente dalla LXX, è nel NT esclusivo della letteratura paolina79 • In Rom 9,4 Paolo afferma, in linea con la teologia dell 'Esodo e dei profeti, che l'adozione a figli è uno dei privilegi dell 'Israele di Dio. Tale privilegio, però, è divenuto una realtà piena e definitiva solo nel periodo escatologico, "nella pienezza dei tempi" (Gal 4,4), quando Dio mandò il suo Figlio per liberarci dalla schiavitù della legge e donarci l'adozione a figli (Gal 4,4-5)80 e per mezzo di lui portare a compimento tale nostra predestinazione (Ef 1,5)81. Di più: per garantire questa nostra figliolanza e renderla stabile, "Dio mandò lo Spirito del Figlio suo per gridare nel nostro cuore: Abba! Padre!" (Gal 4,6). Egli non comunica uno spirito di schiavitù, ma uno spirito di figliolanza, per mezzo del quale veniamo abilitati a chiamare Dio: Abba! Padre! (Rom 8,15), a comprendere profondamente il senso di "essere figli di Dio" (Rom 8,16) e attendere insieme a tutte le creature del cosmo la manifestazione gloriosa della nostra figliolanza (Rom 8,23)82. In base a tutti questi testi paolini, la ul08Emaè l'attuale condizione esistenziale dei cristiani, a cui Dio ci ha predestinati dall' eternità, che ci è stata comunicata per mezzo di Cristo e che sperimentiamo nella nostra vita attraverso l'azione teleologiça dello Spirito che ci spinge ad essere e a vivere da figli di Dio. La frase viene completata anche qui con varie espressioni preposizionali: otà '!llcrOl> Sul concetto di predestinazione cfr Dion, "La prédestination chez S. Paul", 5-43. Per il concetto di uio9EO'lacfr von Martitz - Schweizer, Ut09Ema,268-274; Feigin, "Some cases of Adoption", 186-200; Schoenberg, "Huiothesia", I 15-123; Lyall, SIa ves, Citizens, Sons, 67-99; Scott, Adoption as Sons oj God, Tiibingen 1992. Nel greco profano è presente dal 11 sec. a. C. ed è un termine giuridico per indicare l'adozione a figlio, mentre nel NT assume una chiara valenza teologica, come testimoniano Rom 8,15.23; 9,4; Gal 4,5. 80 Buscemi, "Libertà e Huiothesia", 130-135. 81 Flowers, "Adoption and Redemption", 16-21; Theron, "Adoption in Pauli ne Corpus", 6-14; Schoenberg, "St. Paul's Notion", 51-75; Drago, "La nostra adozione", 203-219; Lyall, "Roman Law", 458-466; Byrne, 'Sons ojGod', 126-127. 82 De la Calle, "La 'Huiothesia' de Rom 8,23", 77-98; Rossi, La creazione tra il gemito e la gloria, 127-128. 78 79
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XptO""CO'0: indica la causa agente ministeri aIe e quindi sottolinea la mediazione di Cristo nella nostra predestinazione a figli 83 • Eiç a:tytov: Eiç + accusativo con senso di finalità o scopo "in vista di lui/per sé". Più difficile è dire se a{l'tov indichi Cristo come causa esemplare ultima (cfr Col l, 16f.20) verso cui si indirizza la nostra figliolanza per avere la sua pienezza di gloria (cfr Rom 8,29; Fil 3,21; Ef 4,13-16), o il Padre che ci ha resi figli per sé, per la lode gloriosa (Ef 1,6.12. 14) che a lui noi tutti dobbiamo. Quest'ultima opinione mi sembra più probabile, dato che nel contesto il soggetto è Dio e tutto il piano della salvezza si compie "a lode della sua gloria"84. Ka'tà Tilv fÙÒOKtaV "CO'0 efÀrllla'tOç aù"CO'0: "secondo il beneplacito della sua volontà": tale costruzione è rarissima nell'epistolario paolin0 85 e nel resto del NT86, ma è abbastanza documentata nella letteratura veterotestamentaria, specialmente in quella del cosiddetto "giudaismo biblico"87. Ka't<X + ace. sottolinea fortemente la corrispondenza88 tra la predestinazione a figli mediante l'opera di Cristo con il piano salvi fico del Padre. Tutto ciò dipende dalla "benevolenza" del Padre 89 , o più precisamente, interpretando il genitivo seguente come di provenienza: "dalla benevolenza che emana dalla volontà salvifica del Padre"; oppure, ipotizzando un genitivo di qualità: "dalla benevola volontà del Padre"90. Pertanto, il termine eéÀll-
Cfr anche Gal 4,4-5, ma sottolineando una differenza prospetti ca: mentre Ef 1,5 sottolinea la mediazione nel progettare la nostra predestinazione, Gal 4,4-5 pone l'accento sulla mediazione di Cristo nella realizzazione concreta della nostra figliolanza divina all'interno della storia umana o, per dirla con Paolo, "nella pienezza dei tempi" (cfr anche Drago, "La nostra adozione", 212-213). 84 Con Cambier, "La bénédiction", 75-76; Penna, Efesini, 91-92; ma anche Schlier, Efesini, 72 nota 42, nonostante che egli sceglie la prima interpretazione. 85 La si trova solo qui e con leggere variazioni in Ef 1,9: Ka'tà 't'Ìjv EÙOOKtaV aù'toi); l, Il: Ka'tà 'tl1v ~01JÀ.l1v wi) 9EÀ.T1Ila1:0ç aù'toi) (e poco prima 1,11: Ka'tà 1tp09EOW 'toi) 'tà mXv'ta ÈVEpyoi)V'toç, che certamente è sulla stessa linea di pensiero) e in Gal 1,4: Ka'tà 'tò 90" lllw 'toi) 9EOi) Kat 1tmpòç TUHOV. 86 Fuori dell'epistolario paolino si trova in IPt 4,19; IGv 5,14 (cfr anche Ebr 2,4: Ka'tà 'tl1V aùwi) 9ÉÀ.ll<J\V); nella letteratura patristica: Ignazio, Ad Smyrnaeos, l, l; Giustino, Dia!. Tryph., 116. 87 Cfr IEsd (LXX) 8,16; Sir 8,15; 32 (35),17; Dan Il,16.36 (nel TM anche in 4,32; 8,4; Il,3); nella letteratura rabbinica lo si trova all'inizio del Qaddish: "Magnificato e santificato sia il suo grande Nome nel mondo che Egli ha creato secondo il suo volere (T1m:lì::J)". Un esempio lo si può trovare anche nella letteratura profana in POxy VI,924,8, ma è tardivo (IV sec. d.C.) (cfT Moulton - Milligan, Vocabulary, ad vocem 9ÉÀ.lllla; Schrenk, 9ÉÀ.lllla, 295 nota 16). 88 Buscemi, Preposizioni, 76. 89 Per il concetto di EùooKla cfr Schrenk, EÙÒoKta, I 131-1 132; Bietenhard, EÙOOKÉW, 1285-1288; Spicq, EÙÒOKÉW, 307-315; Mahoncy, EùooKla, 75-76. 90 Per il genitivo di qualità cfr BDR, 165; mentre per l'accumulo dei genitivi di diversa valenza grammaticale cfr BDR, 168,2,2.
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/la indica la volontà divina salvifica91 , che, nel suo beneplacito (1,1,5.9) e nell'abbondanza della sua grazia (1,7), ci svela nella pienezza dei tempi (1,10) il mistero della nostra salvezza (l,Il): il vangelo (1,13) della predestinazione alla santità (1,4-5.11), della redenzione che ci fa proprietà speciale di Dio (1,7.l4), partecipi della sorte dei santi (Col l, Il) e inseriti nel Cristo in cui tutti gli esseri del cielo e della terra sono ricapitolati/raccolti in unità (l, lO). La volontà salvi fica del Padre è, pertanto, all'origine di tutta l'opera della salvezza, ne guida la realizzazione nel Cristo e la conduce al suo fine mediante l'opera santificatrice dello Spirito. La volontà divina del Padre diviene la ragione di fondo, la norma suprema, la fonte unica nella quale tutto è ricapitolato, la ragione pretemporale, benigna e amorosa da cui tutto scaturisce92 • Eiç; E1tatVOV ò6Sllç; 'tfìç; Xapt wç; aù'toù: "A lode gloriosa della sua grazia". È l'ultima aggiunta preposizionale, legata al tema della "predestinazione" in Ef 1,5-6, che indica il fine ultimo non solo della predestinazione e dell' elezione divina, ma di tutto l' inn0 93 : la 10de94 e la gloria del Padre. Si tratta di una breve dossologia 95 che inneggia a Dio per il conferimento della sua "grazia", intendendo questo termine come la sintesi di tutta l'opera divina, dono gratuito del Padre ai suoi figli. Fedele al suo stile evocativo e pleroforico, la frase viene ulteriormente ampliata attraverso una relativa paranomasica (Xaptç; - ÈXapi 'tfficrEVJ6: ~ç; ÈXapi 'tfficrEV T]/laç; Èv 'tei'> 1Ìya1tll/lÉvql, Sul concetto di eÉÀru.la CIT Schrenk, eÉÀT]IHX, 263-311; Miiller, "Volontà/eÉÀ.
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che da una parte conclude il tema della predestinazione e dall'altra annuncia proletticamente il tema della redenzione97 , opera della grazia divina che ci è stata donata gratuitamente98 da Dio nel Dilett099 • In tal modo, da un punto di vista formale che contenutistico, non solo la nostra elezione ad essere santi (1,4), ma anche la nostra predestinazione ad essere figli viene progettata da Dio nel Cristo e nell'amore. Così, tutto sorge dall'amore del Padre per il Diletto e in lui per noi. 'Ev q) EXollev 1:'f)v cX1toÀ{Ytproffiv Otà 'tOD a'illa'toç alJ'toD, 'tÌlv a<»effiv 'trov 1tapa1t'troll<X'troV: "In lui abbiamo la redenzione per mezzo del suo sangue, la remissione dei peccati". Il v. 7 incomincia con il relativo EV q), che si riferisce al "Diletto". Esso può essere interpretato in senso dimostrativo: "in costui", "in lui "100. Pertanto, "nel Diletto" abbiamo la redenzione. Con tale affermazione si passa dal "progetto divino" all'esecuzione di tale progetto, come indica molto bene il passaggio dall'aoristo ("ci ha scelti", "avendoci predestinato", "ci ha fatto grazia") al presente indicativo "abbiamo", che esprime l'idea di una realtà concreta e duratura continua nella vita cristiana lol • TÌlv cX1toÀu'tproow: il termine cX1tOÀU'tproffiç, se si eccettua Lc 21,28, lo si trova esclusivamente nell'epistolario paolino l02 • stabilisce il testo, mi sembra che l'accusativo sia la migliore soluzione (con Schlier, Efesini, 76 nota 49). 97 A causa di ciò, alcuni autori (Schlier, Penna) vorrebbero porre qui una cesura: avremmo il passaggio dal piano dell'intenzione al piano della realizzazione. Sia la paronomasia che la prolessi fanno pensare che la frase è strettamente legata a ciò che precede e solo con il v. 7 si ha un vero passaggio ad un'altra tematica. 98 Il verbo denominativo fattivo Xapnoro (BDR, 108, I, I) di per sé significa: "fare grazia", ma anche "mi mostro benevolo, pietoso, grazioso" (cfr Rocci, Vocabolario, ad vocem). Da qui la possibilità di tradurlo in diversi modi. Comunque, l'espressione paronomasica sottolinea l'abbondanza e la gratuità del dono divino (cfr Barth, Ephesians J-3, 82). 99 "Il Diletto" è una trasposizione messianico-cristologica. Il titolo, infatti, nell'A T è attribuito ad Israele, quale popolo amato da Dio (Dt 32,15; 33,5.12; Is 5, I .7; 44,2; Ger 11,15; 12,7 ecc). Nel NT, attraverso la mediazione di Gen 22,2; Is 42,1, è il titolo, riservato prima a Cristo, il Diletto (Mt 3,17; 17,5; Mc I, II; 9,8; Le 3,22), e in lui anche ai cristiani, "gli eletti di Dio, santi e amati" (Col 3,12; I Tess 1,4) (cfr Schlier, Efesini, 76-77; Cambier, "La bénédiction", 79-80; Barth, Ephesians J-3, 82-83). 100 BDR, 293, I c. 101 Cfr anche Penna, Efesini, 94. Barth, Ephesians J-3, 83 e 115-119, insistendo troppo sull'idea del "possesso", finisce per dare troppo rilievo ad un concetto escatologico, che nel brano è solo tra le righe. Inoltre, non mi sembra che ci sia alcuna contraddizione tra Ef 1,7 e 1,14; entrambi hanno il presente indicativo: in 1,7 indica che la redenzione e la remissione dei peccati sono una realtà concreta che opera già nel cristiano, mentre in 1,14 tale realtà è presentata come un anticipo i n vista della redenzione che ci farà divenire "possesso pieno e definitivo di Dio". 102 Cfr Buchsel, <X1toì.{rtpro
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Esso appartiene al linguaggio giuridico del riscatto degli schiavi, la "manumissio sacra", e significa: la liberazione ottenuta attraverso il pagamento di un riscatto. Nel NT, come già nel linguaggio giuridico religioso dell' AT, il nostro riscatto avviene senza alcun pagamento concreto e senza indicare alcuna persona a cui viene versato il prezzo del riscatto. Pertanto, esso indica la liberazione in generale, la redenzione operata da Cristo "mediante il suo sangue"103, espressione che da una parte richiama espressamente il sacrificio redentore di Cristo sulla Croce (cfr Ef 2,16; ma anche Rom 3,24; 5,9-10; lCor 1,30; Col 1,4) e dall'altra in maniera alquanto vaga "il prezzo" (cfr l Cor 6,20; 7,23) che tale sacrificio ha comportato. Vista nel suo insieme, l'espressione "la redenzione mediante il suo sangue" indica il sacrificio espiatorio e propiziatorio di Cristo per liberarci dalla schiavitù del peccato. Per questo, esso è "remissione dei peccati" ('tr,v a
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teriore secondo la ricchezza della sua gloria. Tutto il mistero della nostra salvezza: elezione, redenzione, remissione dei peccati, figliolanzadivina, partecipazione all'eredità, tutto scaturisce dall'inesauribile pienezza della grazia di Dio. Essa è talmente traboccante che l'autore sente il bisogno di aggiungere un'altra relativa pleroforica: ~ç È1tEplcrcrEU
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il mistero della sua volontà". Più liberamente: Dio ci ha scelto, ci ha predestinato, ci ha redento, ci ha manifestato il suo mistero; in una parola nella sua elezione ha fatto abbondare per noi la sua grazia, che è intelligenza o conoscenza profonda del mistero della sua volontà salvifica e sapienza per divenire partecipi di tale mistero. In base a ciò, yvcopi.çco è un verbo di rivelazione e per questo' viene connesso con il termine "mistero"110, più precisamente con l'espressione: "il mistero della sua volontà" etÒ J..luO''trlPwv 'tou geÀrlJ..la'tOç aù'tOu). Tale sfumatura semantica è importante: non si tratta di un mistero qualsiasi, ma di quello proprio della volontà di Dio (gen. possessivo), il mistero che Dio stesso ha stabilito secondo la sua benevolenza (gen. soggettivo; cfr 1,9b: !«X'tà 'tllv eùò01ciav aù'tOu f\v 1tpoÉge'tO Èv aù'tcp) o che concerne la volontà divina (genitivo oggettivo). In altre parole, il mistero è connesso con tutto il piano salvi fico di Dio (1,9a)lll, mostra tutta la ricchezza della sua grazia (1,8), è secondo il beneplacito che egli ha stabilito nel Cristo (1 ,9b: Ka'tà 'tllv eùòoK1.av aù'tou; cfr anche 1,5.11), è orientato all'amministrazione e all'ordinamento l12 della pienezza dei tempi: etç OtKovoJ..liav 'tOu 1tÀllproJ..la'toç 'trov KatproV (1, l 0)113. In base a tutte queste caratterizzazioni e al senso proprio del termine, "mistero" indica qui l'intenzione divina, rimasta nascosta agli uomini e alle potenze, ma ora manifestata nello Spirito (cfr l Cor 2,6-7), di portare a compimento nel periodo escatologico il suo progetto di amore e di grazia, mistero che si compie nel Cristo e in lui riceve ordinamento e unità 114. 110 Per il concetto di "mistero" cfr Bomkamm, /J'llcr,i]ptOV, 645-715; Schlier, Efesini, 83-85, in particolare la nota 65; Barth, Ephesians 1-3, 85 e 123-127; Caragounis, The Ephesians Mysterion, Lund 1977; Penna, Il «mysterion» paolino, Brescia 1978; Harvey, "The Use of Mystery Language", 320-336; lovino, "La «conoscenza del mistero»", 327-367. . 111 Anche se il suo pensiero è un po' contorto, cfr Barth, Ephesians 1-3, 85-86, che in definitiva arriva ad una simile conclusione. 112 11 tennine OiKOVO/J(CX, nel greco classico indica la direzione, l'amministrazione o l'ordinamento della casa o della vita pubblica (cfr Rocci, Vocabolario, ad vocem). Quindi il tennine ha il senso attivo, non tanto di realizzare la pienezza dei tempi, ma di amministrarli e dar loro un ordinamento nel Cristo (cfr Reumann, "Oikonomia = "Covenant", 282-292; Idem, "Oikonomia-Tenns in Paul", 164; Barth, Ephesians 1-3, 86-88; Penna, Efesini, 97). 113 L'espressione ,ò 7tÀi]pw/Jcx 1:(OV KatproV si avvicina a quella di Gal 4,4: ,ò 7tÀi]pw/Jcx WÙ XPOVO'll, in quanto vuoi indicare il tempo escatologico, ma differisce da essa sia per il tennine KatpOç, che indica il tempo favorevole, sia per il plurale di questi "tempi"; pertanto, l'espressione indica sì il tempo escatologico, ma come ordinamento della totalità dei tempi stabiliti da Dio (cfr Barth, Ephesians 1-3, 128; 3u; Penna, Efesini, 97). :.J In base a tale caratterizzazione, mi sembra eccessivo, da parte di Barth, Ephesfans /-3, 85 e 123-127, a non voler usare il tennine "mistero". Se Paolo (o chi per lui) non ha avuto paura ad usare un simile tennine, che poteva generare qualche con-
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Capitolo III
àVUKE<j>UÀatooucr8at 'tà miv'tu èv 't4) Xptcr't4): "Ricapitolare / raccogliere sotto un capo tutte le cose nel Cristo". La proposizione infiniti va è esplicativa e in quanto tale oggetto diretto di )'VropiçroI15 : mostra concretamente qual' è il contenuto del mistero della volontà di Dio, che egli ora manifesta a noi. Il composto àvUKE<j>UÀatOro 116 può derivare dal preverbio àvà = su + KE<j>aÀUtOV = "punto principale", "parte essenziale e rilevante", "ciò che ricapitola tutto", "somma", allora in senso temporale-intensivo ll7 : "ricapitolare". L'idea teologica sarebbe: ricapitolare tutto, le cose del cielo e della terra, in Cristo. Egli è il principio unificatore di tutto il cosmo e di tutto il piano salvifico di Dio. E' una lettura possibile" 8 , ma non esclude un'altra lettura filologica di àvUKE<j>aÀatOro, che può derivare anche dal preverbio àva = su + KE<j>UÀ1'\ = "punto più elevato, iniziale, finale o determinante", "testa", "capo", quindi in senso perfettivo-risultativo: "riportare tutto sotto un capo", "raccogliere sotto un capo""9. L'idea teologica: Dio raduna tutto il cosmo in unità e gli dà in Cristo un capo che lo ordina e gli conferisce unità. Inoltre, bisogna osservare che il verbo àVUKE<j>UÀatooucr8at è un aoristo medio dinamico l2O : Dio si impegna attivamente a realizzare la Signoria di Cristo, in modo che tutto il cosmo tenda verso di lui e in lui trovi unità, fondamento e pienezza di senso. Inoltre, in tale qualità di capo del cosmol 21 , Cristo è stato dato alla chiesa, suo corpo e pienezza di fusione con i "misteri" delle religioni pagane, non si vede il motivo per cambiarlo nelle nostre lingue con il tennine meno evocativo: "segreto" (cfr anche Lincoln, Ephesians, 30-31). D'altra parte, il tennine "segreto" potrebbe adattarsi all 'intenzione divina, finché era rimasta nascosta; il tennine "mistero", invece, evoca una dimensione escatologica: esso è stato manifestato nell'evento-Cristo, ma nello stesso tempo siamo condotti dallo Spirito a comprenderlo meglio e soprattutto a divenirne partecipi. 115 Viteau, Étude, I, 355, p. 151, e 267, p. 161; BDR, 394. 116 Per il tennine <XVu,lCE<j)u,À,moro cfr Schlier, <xvU,lCE<j)u,À,moollm, 386-390; Merklein, <Xvu,w)>u.À,moro, 82-83; Schlier, Efesini, 89-91; Barth, Ephesians /-3, 89-92; Penna, Efesini, 98-100, anche se la sua traduzione estremamente letterale è poco convincente; inoltre, l'azione non parte dal basso, ma parte da Dio che muove tutto il cosmo a trovare la sua unità e il suo capo in Cristo. 117 Buscemi, Preposizioni, 23. 118 Anzi, a partire da S. Ireneo è stata la lettura esegetica più comune (cfr Lincoln, Ephesians, 32-34). 119 Tale senso, però, non si registra nel greco classico. Anzi, si può essere certi che il tennine <xvu,n:cI>u,À,moro deriva da lCEcI>UÀ,U,\OV e non da lCEcI>U,À,Tl. Dato che Cristo veni va denominato lCEcI>U,À,Tl (Col 1,18), è possibile che in base ad esso venne data una sfumatura semantica diversa al verbo <xvu,n:cI>u,À,moro (cfr Schlier, <XVu,lCEcilu,À,moollm, 390). Barth, Ephesians /-3, 91 nota 92, fa risalire tale interpretazione fino al Crisostomo. 120 Cfr Thayer, Lexicon, ad vocem <xvu,n:cI>u,À,moro; per il medio dinamico cfr Cignelli - Bottini, "Le diatesi del verbo II", 237-244. 121 In Ef 1,22 non c'è dubbio che lCEcilu,À,Tlv è un predicativo dell'oggetto (u'ln:ov). Più
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lui che tutto riempie in ogni sua parte (Ef 1,22-23). "Tutte le cose": come specifica l, 10b, si tratta di "tutte le realtà che sono nel cielo e nella terra" ('tà È7tì 'to'ìç oupavo'ìç Kaì 'tà È7tì 'tfìç yfìç Èv au'te!'», quindi, decodificando il binomio "cielo-terra", tutto il cosmo. 'Ev Q) Kaì ÈKÀT\proerUleV: "In lui, nel quale anche siamo stati scelti/messi a parte". 'Ev Q): il pronome relativo ha valore pregnante, per questo è bene renderlo con l'enfatico "in lui, nel quale", che anche se risulta sovrabbondante, è però consono allo stile dell' inno: indica il Cristo, signore di tutte le cose e della Chiesa. Kai: è additivo e può rafforzare sia ciò che precede: "proprio in l u i "122, sia ciò che segue: "anche siamo messi a parte"l23. Nel primo caso l'accento cade sul ruolo di Cristo, nel secondo sull'essere "messi a parte". Forse, il fatto di essere posto a centro dell'espressione è una finezza retorica per attribuirlo ad entrambi i membri della frase: "Proprio in lui anche (noi) siamo messi a parte". KÀT\poùcreai 24 : è un verbo denominativo fattivo: "stabilisco, scelgo mediante la sorte" e in senso intensivo-perfettivo: "scegliere", "mettere a parte", "destinare". In base al contesto, "siamo scelti e destinati" a ricevere come nostra "parte" "lo Spirito della promessa"125 e l'eredità (Ef 1,13-14). A chi si riferisce la prima persona plurale ÈKÀT\ProeT\lleV? ancora a tutti i cristiani oppure ai soli giudei, dato che in 1,13 il "voi" si riferisce ai destinatari della lettera, per lo più di origine pagana? Questa seconda ipotesi, stando anche a 2,14-18 e altri brani, sembra la più probabile. Con essa si spiega meglio anche l'uso del participio attributivo wùç 7tpOT\ÀID KOWç, che indica persone che hanno sperato per prime o prima di altre, e forse anche di 7tpooplcreév'teç, che allora prenderebbe il senso di "essere destinati prima o per primi". L'espressione Èv au'te!'> ÈKÀT\ProeT\IlEV sembra riferirsi all'azione storica di Dio in Cristo e pertanto non si riferisce tanto alla predestinazione pretemporale, ma discutibile è l'attribuzione di \mÈp 1tavta a KEa).,~v. In base al contesto immediato esso è possibile e forse anche il miglior senso (cfr SchIier, Efesini, 128-129, che lo assimila al tà 1tana di Ebr 2,8; Penna, Efesini, 119). In ogni caso, però, non è escluso che esso possa avere un valore avverbiale: Dio sottopose tutte le cose sotto i suoi piedi e lui diede quale capo soprattutto alla chiesa, detenninando un passaggio simile a quello di Col 1,18-19. 122 Cambier, "La bénédiction", 91. 123 Schlier, Efesini, 92 nota 75. 124 Per l'uso di K).,T1pococfr Foerster, K).,T1Poco,601-604; Eichler, KÀiìpoç, 569-575; Barth, Ephesians 1-3, 92-94. 125 Schlier, Efesini, 93, pensa che in Cristo noi abbiamo ottenuto "la terra promessa", ma in tutto il testo non c'è alcun accenno a ciò, tranne che non si vogliono accettare tutte le speculazioni gnostiche sull'espressione "nei cieli". A mio parere, il verbo KÀT1poucr9<Xt è apparentato con il tema della K).,T1povo~la e con quello della promessa (cfr anche Gal 3,14.29; 4,1-7).
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Capitolo III
al fatto che i giudei siano stati scelti per primi a ricevere i benefici della salvezza 126 • npooptcreév'teç Kcl'tà 1tpOeecrtv wu 'tà miv'ta évepyouv'toç Ka'tà 't1Ìv ~OUA1Ìv 'tOu eeArllla'toç aù'tou: "predestinandoci (o essendo stati predestinati) secondo il proposito di colui che opera potentemente secondo la decisione della sua volontà". npooptcreév'teç: è un participio congiunto di valore causale: "dato che/poiché siamo stati predestinati"; oppure, di valore modale di azione concomitante a quella principale: "predestinandoci" o più liberamente: "siamo stati messi a parte e destinati per primi". Il senso del verbo 1tpoopi,çetv 127 è certamente mutato rispetto a quello registrato in 1,5: ha assunto il senso etimologico di essere "destinato per primo o prima di altri". Infatti, esso non si riferisce più al disegno eterno di Dio, ma al realizzarsi concreto e storico di quel disegno nel Cristo l28 . Quindi, la "p re-destinazione" dei giudei si inserisce nello svolgimento storico del disegno salvi fico di Dio. Ka'tà 1tpOeecrtv: il termine 1tpOeecrtç 129, allora, non coincide con il "disegno di Dio" (eéATUW), ma indica il modo concreto che Dio ha prestabilito per realizzare il suo disegno l3O • Ciò è confermato dal fatto che subito dopo viene inserita un'ulteriore precisazione: Ka'tà 't1Ìv ~OUA1ÌV 'tou eeArllla'toç aù'tOu, che richiama le espressioni simili di 1,5: "secondo il beneplacito della sua volontà" e di 1,9: "secondo il suo beneplacito, che egli prestabilì in lui". Unica differenza, ma molto indicativa, è l'uso del termine ~OUArl. Esso indica la "decisione", la "determinazione"; quindi, indica qualcosa di concreto, tanto che può anche significare il "decreto stabilito dalla decisione presa dall' assemblea"131. Allora, i giudei sono stati scelti per primi secondo la decisione di Dio, che ha stabilito l'adempiersi storico della salvezza nel Cristo. Eiç 'tò elVat 1Ìllaç eiç E1tatVOV ò6Sllç aù'tOu 'tOùç 1tpollAmKo'taç év 't<\) Xptcr't<\): "affinché noi, che abbiamo sperato prima nel Cristo, fossimo a lode della sua gloria". L'eiç + accusativo dell'infinito indica finalità o scopo. "noi": a motivo dell'aggiunta participiale at126
Schlier, Efesini, 92; Barth, Ephesians 1-3, 92-94 e 130-133; Penna, Efesini, IO 1-102; Fabris, "11 piano divino", 521; in contrario Lincoln, Ephesians, 37; Montagnini, Efesini, IlO (cfr sopra p. IO nota 45). 127 Per l'uso di npoopiçElv cfr Schmidt, npoopiçnv, 1278-1280. 128 Cfr Penna, Efesini, 101; Fabris, "11 piano divino", 521-522. 129 Per ii senso di np09Ecr\(; cfr Maurer, npo9E(J\(;, I 159-1266; Jaeobs - Krienke, npoTi9TUlt, 1470-1471; Balz, npo9Ecrtç, 157-158. 130 Il testo lo indica come "colui che opera tutto potentemente", secondo una definizione molto cara a Paolo (cfr ICor 12,6.11; Gal 3,5; Fil 2,13). 131 Per l'uso di ~o'\JÀ1l cfr Rocci, Vocabolario, ad vocem; Schrenk, ~o'\JÀ1l, 311-319; Schlier, Efesini, 94.
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tributiva: "che abbiamo sperato prima/per primi nel Cristo", non si riferisce più ai giudei in generale, ma ai giudeo-cristiani che hanno posto la loro fiducia nel Cristo per ottenere la salvezza. Così, la scelta di Dio di "scegliere per primi" i giudei riguardava tutto l'Israele storico, di fatto però tale scelta ha conseguito il suo effetto solo per coloro "che hanno sperato in Cristo", hanno posto la loro totale fiducia non più nella legge, ma nell' azione mediatrice di Cristo e sono uniti a lui nel battesimo. In tal modo, questi giudeo-cristiani - non la loro decisione, ma essi stessi in quanto hanno sperato e continuano a sperare in Cristo l32 - sono divenuti una "lode per Dio", una proclamazione permanente della sua gloria, una testimonianza vivente della sua bontà e del suo amore salvifico. 'Ev cI> lmì U/lEtç (h:oucraV'tEç 'tòv Myov 'tfìç àÀ1l8Eiaç, 'tò EuanÉÀlOV 'tfìç croHllpiaç ullmv: "in lui anche voi, avendo ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra sal vezza". L'espressione "a nche voi", in base all'interpretazione precedente del "noi" di 1,1112, indica i cristiani destinatari della Lettera (cfr Ef 1,2.15) e provenienti dal paganesimo. L'additivo Kai suggerisce che non solo i giudei sono stati chiamati alla grazia e segnati con il "sigillo dello Spirito", ma "anche" i pagani che hanno ascoltato la parola della verità e hanno creduto. 'AKoucraV'tEç: è un participio congiunto di valore temporale-causale di azione anteriore a quella della principale reggente: "dopo aver/poiché avete ascoltato". Si riferisce, quindi, ad una circostanza anteriore a quella del credere e dell'essere segnati. L'ascolto produce la fede (cfr anche Gal 3,2.5; Rom 10,14) e questa permette di ricevere il "sigillo dello Spirito". Tòv Myov 'tfìç àÀll8daç: il genitivo 'tfìç cXÀ1l8daç è oggettivo, quindi è la parola che annuncia, proclama e stabilisce la verità m. Essendo questa ben determinata dall'articolo, si tratta della verità di Dio e in base all'apposizione seguente si identifica con "la verità del Vangelo" di Gal 2,5.14. Tò EùanÉÀtoV 'tfìç croHllpiaç ullmv: è un'apposizione esplicativa, in base alla quale "la parola della verità" è "la buona notizia" che ci viene da Dio e che annuncia e opera per noi la sua salvezza (genitivo oggettivo). 'Ev cI> Kat mcr'tEucraV'tEç: l'enfatico Èv cI>D4 Kal probabilmente deve 132 Il participio perfetto non indica solo il momento dell'adesione dei giudeocristiani a Cristo, ma anche l"effetto del perdurare della loro tiducia nell'azione salvifica di Cristo (cfr anche Schlier, Efesini, 95; Lincoln, Ephesians, 37), tanto che il participio perfetto potrebbe essere tradotto con il senso durativo continuo del participio presente: ""noi, che speriamo nel Cristo". Ed è proprio il perdurare di questa "speranza" che li rende testimoni della gloria di Dio. 111 Tale espressione la si trova anche in 2Cor 6,7; Coll,S. 1.14 Questo secondo relativo preposizionale Év 4> può avere nel testo una doppia di-
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essere riferito sia all'atto di fede sia all'azione dell'essere segnati. TItcr'tEucraV'ttç: altro participio congiunto di valore temporale/causale di azione anteriore a quella della principale: "dopo aver/poiché avete creduto". Si tratta di un atto necessario, come insinua l'additivo "anche": non basta aver ascoltato la "parola del Vangelo", ma bisogna renderla operante nella fede. Solo la fede ci permette di ricevere il battesimo e di "essere segnati con lo Spirito santo". 'Emj>payicr81l'tE 'tQ) 1tVEUllan Tfìç É1taYYEÀtaç 'tQ) <xytcp: "Foste segnati con lo Spirito santo della promessa". È il culmine della climax che Paolo stabilisce: ascolto, fede, recezione del sigillo dello Spirito. Il verbo mj>payiçffi significa: "porre il sigillo" e da qui due diversi sensi: a) chiudere con sigillo", "sigillare"; b) "segnare con il sigillo", "contrassegnare"135. Questo secondo senso è da collegare sia con l'immagine profana del padrone che pone il sigillo sulle persone e cose che gli appartengono, sia con quella religiosa di una persona che, segnata con il sigillo della divinità, passa in suo possesso e sotto la sua protezione. Su questa linea troviamo che nell' AT la circoncisione è il sigillo de Il 'alleanza di Dio con Abramo (Gen 17,116), in Is 44,5 ed Ez 9,4-7 sugli eletti viene posto il sigillo escatologico del tau: entrambi indicano che Israele è divenuto proprietà speciale di Dio e gode della sua protezione l36 . Allo stesso modo il cristiano, dopo aver ascoltato la parola della salvezza e aver creduto in essa, riceve il segno della sua totale appartenenza a Dio: lo Spirito santo promesso e che realizza la promessa 137 • Con esso il Padre nel battesimo l38 lo ha segnato in vista della liberazione totale che lo renpendenza sintattica: l°) può riferirsi direttamente all' espressione che lo precede: 'tò EùayyÉÀtov 'tiìç
Ef 1,3-14
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derà sua proprietà speciale e partecipe dell' eredità. "O È
La ricchezza tematica di Ef 1,3-14 risulta abbastanza evidente dall' analisi esegetica, che da un punto di vista contenutistico svilup-
nel nostro testo è che attraverso lo Spirito diveniamo appartenenti a Dio e partecipi dell'eredità. Comunque, cfr Schlier, E(esini, 99-102; Penna, E(esini, 103. Barth, Ephesians 1-3, 135-143, che, pur non escludendo il riferimento al battesimo, lo riferisce ad una "eschatological preservation". Ma io credo che il cristiano nel battesimo viene proprio segnato per godere tale "eschatological preservation", i n quanto diviene possesso di Dio. 139 Per il concetto cfr Behm, àppa~wv, 1263-1266; Becker, àppa~wv, 517-518; Sand, àppa~wv, 157- I 58. 140 Pcr l'uso del tcrmine cfi- Foerster, KÀl]povoflia, 6 I 1-664. 141 nfpl1toil]cnç è un tcnnine di azione, divenuto nella lingua greca un temline tecnico della vita commerciale. Applicato a Dio, indica ratto con cui egli acquista per sé il suo popolo (cfi- Kruse, "II signiticato di «peripoiesis» in Ef 1,14", 465-493; Beyreuther, 1tfPI1tOlfOflat, 1336-1337; Spieq, 1tfPI1tO\ÉOflat, 687-(89).
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pa alcune traiettorie dottrinale di grande rilievo e di importanza capitale per la vita del cristiano: la benedizione a Dio, il disegno salvifico di Dio, Cristo capo del cosmo e della Chiesa, l'esistenza cristiana nel Cristo e nello Spirito. In base ad esse, Ef 1,3-14 si presenta come una grande sinfonia liturgica, in cui teologia, cristologia, pneumatologia, antropologia si intrecciano tra loro per innalzare a Dio un inno grandioso "a lode gloriosa della sua grazia", con la quale nel Cristo e nello Spirito ci ha predestinati, redenti, acquistati come sua proprietà speciale, resi figli, eredi della sua promessa, santi e immacolati al suo cospetto. 1) La benedizione a Dio Proprio per questo, l'inno di Ef 1,3-14 si riallaccia a un modello ben collaudato: l'eulogia. Alla epifania di Dio quale salvatore, alla rivelazione del mistero che racchiude il suo disegno di salvezza, l'uomo risponde benedicendo o ringraziando, ma mentre il "ringraziamento" mostra la gratitudine di chi ha ricevuto il dono divino della grazia, la "benedizione" diviene contemplazione e lode di Dio e del suo progetto di amore verso l'uomo. In tal senso, la eulogia di Ef 1,3-14 sgorga dalla "conoscenza del mistero" (Ef 1,9), dall'epifania della volontà salvifica divina (Ef 1,5.9.1 D che rivela il suo disegno di grazia (Ef 1,6-7) nella nostra predestinazione, redenzione, remissione dei peccati, figliolanza divina e partecipazione all' eredità nel Cristo e per mezzo dello Spirito. Così, l' eulogia nel nostro inno assume delle caratteristiche precise: una chiara connotazione teologica, in quanto rivolta al Padre, che tutto attua secondo il beneplacito della sua volontà salvifica e a cui tutto è orientato, a lode gloriosa della sua grazia (Ef 1,6.12.14); segue una predominante connotazione cristologica: la nostra eulogia, infatti, avviene "nel Cristo", come dimostra il continuo riferimento a lui, alla sua mediazione (Ef 1,5.7) e al nostro essere redenti (Ef 1,7.14), santi (l,4), figli (Ef 1,5), ricapitolati "nel Cristo" (Ef l, IO); ad esse si aggiunge una connotazione pneumatologica, che qualifica sia la nostra eulogia al Padre come "spirituale" (l,3) sia il nostro essere cristiani mediante lo Spirito (Ef 1,13-14) a lode della sua gloria (Ef 1,14); infine, una conseguente connotazione antropologica, in quanto il cristiano, destinatario della rivelazione del mistero, nel Cristo e guidato dallo Spirito, risponde a Dio con la fede (Ef 1,13), la speranza (Ef 1,12) e l'amore (Ef 1,4.5.14), in cui si attua il nostro culto spirituale in onore e gloria del Padre. Anzi, vista dal basso, l'eulogia è in primo luogo contemplazione, che si approfondisce nell' obbedienza allo Spirito, si trasforma in vita di unione con Cristo
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e "in lui" diviene lode all'amore del Padre che tutto ha stabilito, previsto e attuato nella sua benevolenza verso gli uomini, suoi figli. 2) Il disegno di Dio La teologia di Ef 1,3-14, rispetto a quella degli inni di Fil 2,6-11 e di Col 1,15-20, non solo è molto sviluppata, ma fa anche parte di un disegno trinitario molto ben delineato, tanto che qualche autore l'ha ritenuto come l'elemento più importante per la struttura dell'inno: il Padre è l'autore della salvezza, che ci ha eletti e predestinati, ci ha fatto grazia e ci ha manifestato il suo mistero, egli è anche il fine di tutta la storia della salvezza; il Figlio è il mediatore universale, nel quale riceviamo la redenzione e la figliolanza, nel quale Dio nell'amministrazione della pienezza dei tempi fa tutto convergere in unità, perché egli sia il capo del popolo santo di Dio; lo Spirito è il segno della nostra totale appartenenza a Dio, del nostro cammino verso la santità e dell' eredità che ci attende nei cieli per proclamare la lode gloriosa di Dio. L'azione del Padre, in Ef 1,3-14, è descritta attraverso una serie di verbi all'aoristo: "ci ha benedetto" (1,3), "ci ha scelto" (1,4), "ci ha predestinati" (1,5), "ci ha fatto grazie" (1,8), "ci ha rivelato il mistero del suo disegno di amore" (1,9), aoristi che si richiamano tutti al "beneplacito della volontà del Padre" (1,5.9), alla ricchezza della sua grazia (1,7), al mistero del suo disegno (1,9), alla decisione della sua volontà (1, Il). In base a ciò, la nostra salvezza ha origine in primo luogo dalla EÙÒOKta del Padre, da un atto del suo amore infinito per tutte le creature, uomini e cosmo; tale amore, poi, si concretizza nel 9ÉÀ:rllla del Padre, che come indica il termine greco è l'effetto del suo volere di amore, ciò che egli vuole per amore dell'uomo o in termini più concreti: il suo progetto, il suo disegno. Volontà e amore sono talmente connessi che il testo di Ef 1,3-14 li coniuga continuamente tra loro, in espressioni talmente cariche di senso che a volte risulta difficile esprimerne tutta la ricchezza. Così, in 1,5 siamo predestinati "secondo il beneplacito della sua volontà", dove il genitivo può essere soggettivo e oggettivo insieme. Dio, infatti, attraverso il suo amore manifesta il suo disegno salvi fico e la sua volontà salvi fica manifesta il suo infinito amore. E tutto ciò si rivela a noi nel fatto che egli ci ha predestinati ad essere santi e immacolati come lui dall'eternità, da prima della creazione del mondo. Tutto ciò, in 1,7, manifesta la ricchezza della grazia del Padre, cioè della salvezza intesa come dono divino che ci è stato concesso gratuitamente, con la gratuità dell 'amore che tutto redime, eleva, santifica e unifica. E' il mistero dell 'amore di Dio, che nel Figlio diletto (1,6.
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lO) porta tutto all'unità, secondo quel progetto che egli aveva stabilito nella sua benevolenza: "ricapitolare/raccogliere sotto un capo tutte le cose nel Cristo" (1,10). Inseriti in lui, infatti, siamo scelti per aver parte all'eredità secondo la decisione amorosa del Padre (1, Il) per i suoi figli (1,5). Concretamente, l'inno definisce questo agire amoroso di Dio come una eulogia di Dio a favore degli uomini. Il senso non è più quello passivo di ricevere una lode o un ringraziamento, ma quello attivo di concedere un bene, un favore: è il A.Oyoç 'tou eeou che annuncia e opera il bene a favore delle sue creature e in particolare dell'uomo. Nell' AT la benedizione si coniuga col tema dell'alleanza. Così, in Abramo e nella sua discendenza tutte le genti ricevono la benedizione (Gen 12,3; 18,18; 22,18; cfr Gal 3,14) e in Ez 34,23-31 e 36,22-32 la nuova alleanza di Dio con il suo popolo (cfr anche Ger 31,31-33) è stabilita attraverso la benedizione. In base a questi testi, è proprio la benedizione che costituisce il popolo santo di Dio e gli concede un cuore nuovo e soprattutto uno Spirito nuovo che lo rende fecondo di ogni bene e lo introduce nell'eredità. Così, il tema della eulogia costituisce il perno dell'iniziativa divina, del suo disegno eterno di amore: tutto scaturisce da questa benedizione, espressione piena della volontà amorosa del Padre verso il suo popolo e verso tutti i suoi figli. Tale pienezza di benedizione è un dono che viene dall'alto: ha origine in Dio, ci è dispensata nel Cristo in cui tutte le promesse trovano il loro compimento (1,4-10), agisce interiormente in noi nell'azione santificatrice dello Spirito (1,13-14). a) Eletti per essere santi Da questa pienezza di grazia (1,7) scaturisce l'elezione (1,4), quale prima manifestazione concreta del A.Oyoç 'tou eeou a favore del suo popolol42, che in base a Ef 1,11-14 è costituito ormai da tutti coloro, giudei prima e pagani dopo (cfr il "noi - voi" di 1,11.13), che hanno "sperato nel Cristo" (1,12), hanno ascoltato "la parola della verità" (1,13), hanno creduto nel "vangelo della salvezza" (1,13), sono stati scelti (1,4) e segnati nel Cristo (1,13) con il segno dell'alleanza: lo Spirito di Dio, posto nel nostro cuore (cfr Gal 4,6; Rom 8,15-16) quale "caparra" (1,14) della nostra figliolanza (1,5), della nostra appartenenza al popolo di Dio (1,14) e alla partecipazione all'eredità (1,14). Tale elezione, stando ad Ef 1,4, assume tre ca142 Notare come entrambi i tennini eÙ-À,oyiae h::-À.Éyro derivano da una radice comune: À.Éyro. In tal modo, il dire del Padre non si limita solo ad augurare il bene, ma soprattutto a realizzare il bene per le sue creature e ciò avviene mediante il suo rivolgersi alle creature scegliedole e chiamandole nel suo amore.
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ratteristiche fondamentali: una teologica, una cristologica, una escatologica. In primo luogo, ha una connotazione teologica: essa è stata stabilita da Dio "prima della fondazione del mondo", cioè dall'eternità, perché essa, come già si è detto, procede dall'amore infinito di Dio (l,4) e dal suo disegno salvifico in favore dell'uomo; inoltre, essa trova il suo compimento "dinanzi a lui" (l,4), che nell'amore tutto stabilisce e realizza. L'elezione, poi, non trova il suo compimento in un "amore" astratto, ma "nel Diletto" (1,6), "nel Cristo", in cui tutto è ricapitolato e tutto tende verso l'unità (1,10): è la dimensione cristologica dell'elezione. Essa è voluta e stabilita nel Cristo, cioè in colui in cui il Padre trova la sua compiacenza e nel quale ci fa partecipi della ricchezza della sua grazia. Infine, l' elezione ha un carattere escatologico, perché essa è orientata "all' essere santi e immacolati" (l,4), in una parola alla santificazione, che è insieme partecipazione alla santità di Dio (cfr 1,14) e offerta santa e a lui gradita di tutto noi stessi (cfr 1,12). b) Predestinati ad essere figli Legato intimamente al tema della nostra santità, quello della predestinazione alla figliolanza è vista da Ef 1,5 come uno sviluppo contenutistico-progressivo. Infatti, il participio congiunto, probabilmente di valore modale di azione concomitante, vuoI sottolineare che l'elezione alla santità Dio l 'ha concepita come un rapporto familiare tra Padre e figli, più precisamente come un nostro partecipare al rapporto che intercorre tra il Padre e il Diletto. Tutto ciò ha una valenza teologica molto rilevante. La santità in Ef 1,4-6 non è astrazione, né progetto platonico-idealistico, ma un disegno d'amore che si concretizza in maniera dinamica e progressiva all'interno del SÉÀ.lllHX divino. Non che in Dio vi sia progressione di pensiero o di volere: il suo amore è sempre presente, sempre attuale, ma, proprio perché è amore, esso è da sempre dinamico e progressivo. In tal senso, il progetto d'amore di Dio a nostro favore è eterno "nel Diletto": in lui siamo predestinati all'amore; in lui che è il Figlio in cui il Padre si compiace, noi siamo predestinati ad essere figli in cui risplende la santità a gloria della sua grazia (1,6). La predestinazione, allora, da una parte coincide con la nostra elezione alla santità, dall'altra la fa progredire verso una direzione particolare: la nostra adozione a figli. Così, elezione e predestinazione sono due aspetti dell'unico disegno d'amore del Padre. Il prefisso di "pre-destinare" (1,5) non si riferisce all'azione divina di "eleggere", ma all'espressione "prima della fondazione del mondo" (1,4). In altre parole, non siamo predestinati prima dell'elezione, pri-
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ma che l'amore del Padre ci scegliesse, ma siamo scelti e destinati a realizzare la santità come figli, a stabilire lo stesso rapporto d'amore che intercorre tra il Diletto e il Padre; di più: siamo scelti nel Cristo (1,4) per partecipare da figli alla santità del Padre, secondo quella benedizione spirituale che proviene a noi dall'alto per mezzo dello Spirito (1,3). In tal modo (cfr il senso modale del participio), viene indicato al cristiano l'orientamento concreto che deve assumere la sua santità. Essa consiste nell' essere e operare da figli. A motivo di ciò, Ef 1,5 afferma che siamo destinati "per lui/in vista di lui", cioè del Padre. Tutta la vita del cristiano è orientata, destinata nell'amore (1,4) e avendo come modello l'amore stesso di Cristo (1,5; cfr Rom 3,29; Fil 3,21): far risplendere nella propria esistenza la gloria del Padre (1,6), la ricchezza della sua grazia (1,7), la grandezza del suo amore infinito per i suoi figli (1,5.11). Nessuno, però, può realizzare tale progetto divino con le proprie forze: l'autogiustificazione è fuori dallo schema teologico paolino. Per questo la nostra adozione a figli, nel progetto divino, avviene "per mezzo di Cristo" (1,5). Attraverso la sua mediazione noi abbiamo accesso alla santità del Padre (1,4) e per mezzo di lui noi siamo segnati con il "sigillo dello Spirito promesso" (1,13), redenti per essere partecipi della santità del popolo di Dio (1,7.14). Predestinazione, mediazione del Cristo, orientamento della vita di santità del cristiano sono "conformi al volere amoroso del Padre" (1,5). Non si tratta di una ripetizione, ma di una sottolineatura: la nostra predestinazione, come già l'elezione, sgorga dall'amore benevolo del Padre, dal suo progetto d'amore nel Cristo e ha il suo compimento nell'amore verso di lui. Sono i tre momenti essenziali della santità/figliolanza cristiana. Essa, in primo luogo, è riconoscimento che tutto procede dalla Eùo01aa del Padre. Con questo termine, come indica già il suo senso etimologico e i testi neotestamentari, siamo come immersi nel mistero profondo dell'amore di Dio, dell'amore del Padre verso il Diletto e in lui verso tutte le creature sia della terra che del cielo. Da questo amore infinito e insondabile sgorga, come da sorgente pura e ricca di grazia, la nostra elezione ad essere santi, la predestinazione ad essere figli, la redenzione come remissione dei peccati, la rivelazione del mistero nascosto dai secoli, la recezione dello Spirito promesso e che ci fa partecipi della promessa, la piena liberazione che ci rende popolo santo di Dio a gloria della sua grazia. Ma ciò non basta, perché l'amore del Padre si manifesta a noi "nel Diletto", cioè "per mezzo di lui" e "in unione a lui". I due aspetti non sono da distinguere, anche se cristologicamente l'uno indica la mediazione di Cristo e l'altro il
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nostro vivere in Cristo e di lui in noi (cfr Gal 2,20), ma da mantenere sempre uniti. Proprio per questo in Ef 1,3-14 i due aspetti si intrecciano e si complementano a vicenda: tutto il disegno del Padre è pensato, voluto e attuato per mezzo di Cristo e nel Cristo, sia nella sua dimensione pretemporale che in quella storica. L'essere e operare del cristiano ha senso solo nel Cristo e per mezzo di Cristo. Ma chi vive nel Cristo ne assume anche l'orientamento escatologico: la gloria del Padre (1,6). La vita del cristiano deve realizzare tale progetto d'amore di Gesù verso il Padre. Per questo si è eletti per essere santi al suo cospetto nell'amore verso il Padre (1,4), si è predestinati ad essere figli per far risplendere la gloria della sua grazia (1,6), abbiamo la redenzione dai peccati per proclamare a tutti la ricchezza e abbondanza della sua grazia (1,7-8), ci è svelato il mistero dell'economia divina per lodare la sua benevolenza (l, IO), siamo resi partecipi dell'eredità per mezzo dello Spirito della promessa per essere a gloria del Padre (l, 11-12), infine nella fede riceviamo il segno della nostra appartenenza al popolo santo di Dio per innalzare a lui la lode della sua gloria (1,14). c) Redenti per appartenere totalmente a Dio Tale appartenenza a Dio viene espressa da Ef 1,7.14 attraverso un altro termine molto comune nella letteratura paolina: à1toÀu-rpromç (cfr Rom 3,24; 8,23; 1Cor 1,30; Ef 1,7.14; 4,30; Col 1,14)143. Il termine, presente nella letteratura greca l4 4, indica la liberazione definitiva di uno schiavo mediante un pagamento l45 • Le due letterature, però, differiscono nel modo di concepire tale liberazione: mentre il mondo greco-romano fa riferimento all'istituto giuridico-religioso della manumissio sacra l46 , la LXX riprende l'idea giuridico della ge 'ulla veterotestamentaria l47 • Secondo tale istituzione giuridica, il go 'et, il parente più prossimo: fratelli, cugini, zii ecc, è tenuto a riscattare il familiare che per un motivo o per un altro è caduto in 143 Per il concetto di "redenzione" cfr Buchsel, cX7toM'tpro<Jlç 949-962; Lyonnet, De Peccato et de Redemptione, 25-48. 144 Nella LXX solo in Dan 4,34 c con il senso generale di liberazione da un male. 145 Il tennine cX7toÀ:o'tpoxnç è un sostantivo intensivo di azione fomlato sul termine ;':o'tpov, che di per sé indica il "mezzo" con cui si opera un riscatto e quindi venne a signiticare il "prezzo" del riscatto. Ma ben presto il senso etimologico si andò aftievolendo, per cui cX7toÀu'tpoxnç può indicare in generale la liberazione senza alcuna idea di prezzo da pagare a qualcuno. Inoltre, il prefisso CX7tO è intensivo e sottoI i nea la "liberazione definitiva" (cfr BuchseI, ÀU'tpov, 916-921). 146 Ctr Deissmann, Light Fom the Anciel1t East; 318-331, Swallow, "Redemption in St. Paul", 2 I -27; Guemes Villanueva, La /ibertad en San Pab/o, 83-87; 126 n. 37; Spicq, cXyopaçro, 34-37. 147 Lyonnet, De peccato el Redemptione, Il, 49-69; Pax, "Der Loskauf', 259-269.
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schiavitù o aiutarlo a riacquistare i beni del patrimonio familiare alienati a motivo dell'indigenza. Ben presto tale "idea giuridica" fu applicata ai rapporti familiari tra Dio e il popolo di Israele: Dio è il go 'el di Israele, che lo riscatta dalla schiavitù del peccato e del male e lo riammette alla pienezza della libertà e all'intimità con sé. Quindi, la "redenzione" ha un duplice movimento teologico, molto bene espresso già nell'evento dell'Esodo I48 : uscire dall'Egitto, terra di schiavitù e di lontananza da Dio, per entrare nella Terra promessa, luogo di libertà e di intimità con Dio. Tale movimento lo si ritrova spesso nell'epistolario paolino, ma viene espresso non solo con il termine "redenzione", ma anche con altri termini greci: Èç,ayopaçro, Èç,atpÉOllat, che indicano pur essi la liberazione che Cristo ha compiuto per tutti noi l49 • Il nostro inno riproduce perfettamente tale teologia paolina, distinguendo efficacemente i due momenti della nostra redenzione: "liberazione da" e "liberazione per". Così, in 1,7, abbiamo l'espressione parallelistica: "abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati". Essa, proprio a causa del parallelismo sintetico, va interpretata nel senso della "liberazione da": la redenzione che produce in noi la remissione dei peccati. Come indica il presente tale redenzione è già una realtà permanente nel cristiano: egli per la ricchezza di grazia di Dio la possiede "nel Diletto". Tale affermazione, teologicamente, è molto ricca: l°) essa afferma che è Dio colui che opera il nostro riscatto e la nostra liberazione dal peccato non è frutto delle nostre possibilità auto giustificanti, ma è dono che proviene dall'abbondanza della ricchezza della sua grazia l50 ; 2°) la nostra liberazione dai peccati è stata operata mediante il Cristo, il nostro go 'el familiare, che "mediante il suo sangue" l'ha resa una realtà all'interno della nostra storia umana; 3°) la libertà dal peccato, il cristiano la vive ed esperimenta costantemente "nel Cristo", in unione intima con lui. Tale dinamicità del concetto di "redenzione" introduce anche il secondo momento: la "liberazione per". La remissione dei peccati non è lo scopo finale del progetto divino. Dio ci ha eletti per essere santi, per essere figli, per essere suo popolo speciale che lo serve nell'amore e nella santità. Per questo, in Ef 1,14, al termine redenzione Buscemi, "EXAIREOMAI", 298-304. Buscemi, "EXAIREOMAI", 311-314; Spicq, è;atpÉo!-lat, 276-279. 150 Sul ruolo del Padre nell'opera della redenzione cfr Prat, La Thé%gie de Saint Pau/, II, 91-130; Lyonnet, "La Sotériologie paulinienne", 841-858; Romaniuk, L 'amour du Père et du Fils, 153-235; Sabourin, Rédemption sacrifìcielle, 200-20 I; Alonso Schiikel, "La Rédemption", 449-472; Schulte, "L'opera salvifica del Padre in Cristo", 69-116; Marchel, Abba, Père!, 214-222. 148 149
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viene aggiunto un genitivo oggettivo: la redenzione è l'atto con cui Dio acquista il suo popolo, lo rende sua proprietà. Il cristiano, segnato dallo "Spirito della promessa", non appartiene più al peccato, e neppure a se stesso, ma a Dio che lo ha segnato con il suo sigillo. La redenzione raggiunge così il suo culmine: essa è vita di intimità con Dio che si manifesta nel servizio d'amore a lui. Tale servizio si esplica in un legame profondamente religioso, in cui l'esistenza quotidiana del cristiano diviene culto a Dio, offerta gradita a lui. Tutto ha origine dall'amore e tutto va verso l'amore in una donazione reciproca tra Dio e l'uomo santificato e trasformato per mezzo di Cristo, il Diletto. In lui, l'amore diviene risposta di fede e attesa, carica di speranza, del nostro ritorno alla casa del Padre, di unione con colui che ci ha predestinato per sé dalla fondazione del mondo. d) La rivelazione del mistero Con ciò raggiungiamo il vertice teologico dell'inno di Ef 1,3-14: la rivelazione del mistero. Nella Lettera agli Efesini si parla spesso di tale "mistero": in 1,9 è definito come il "mistero della volontà di Dio", che in base al genitivo soggettivo corrisponde a ciò che Dio ha stabilito per noi; per questo esso può essere chiamato in 6,19 anche "il mistero del vangelo", in quanto annuncia la buona novella della salvezza (genitivo oggettivo). Esso si compie "nel Cristo" e "mediante Cristo" e per questo in 3,4 riceve un'altra definizione "il mistero di Cristo": esso riguarda Cristo, è stato stabilito nel Cristo e ci è stato rivelato per mezzo di Cristo. Proprio perché orientato a lui, è un mistero che è rimasto nascosto alle generazioni passate (3,5; cfr anche lCor 2,7), ma ora, nell'amministrazione della pienezza dei tempi, è stato svelato a noi nello Spirito per mezzo del ministero degli apostoli e dei profeti (3,5). Le definizioni di tale "mistero" sono diverse, a seconda dell' angolazione da dove si guarda, ma "il mistero" rimane uno solo: è il mistero di Dio (cfr l Cor 2, l), della sua volontà salvi fica, che nel suo amore (1,7) ha stabilito per noi il suo disegno di salvezza nel Cristo e nella potenza del suo Spirito. L'iniziativa è del Padre, che nel suo amore (EùÒOKta) ha concepito (OÉÀ:rUla) tale mistero, l'ha stabilito (1tp60Emç) e tutto ha orientato verso la sua manifestazione e rivelazione. Molto significativa a riguardo è l'espressione "in vista dell'amministrazione della pienezza dei tempi". In essa il termine greco OiKOVO/lta indica l'attività divina che guida i "tempi della grazia" fino al raggiungimento della pienezza del tempo (Gal 4,4), quando Dio manifesta all'uomo il suo disegno d'amore nel Cristo. Anzi, nel disegno di Dio, Cristo è la pienezza dei tempi, perché porta a compimento ciò che essi hanno
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annunciato nel mistero, ed è anche il contenuto stesso del mistero, che quei tempi annunciavano. Proprio per questo, al termine <XvaKEaÀ<Xtoro bisogna attribuire tutta la sua ricchezza semantica. Così, Dio ricapitola e fa convergere tutti i "tempi della salvezza" nel Cristo e verso Cristo, il quale porta a compimento la benedizione ad Abramo e alla sua discendenza (Gen 12,3; 18,18; 22,18), in cui si manifesta la salvezza divina per tutte le genti, la benedizione annunciata per mezzo dei profeti in cui è stabilita la nuova alleanza di Dio con il suo popolo (Ez 34; 36; Ger 31,31-33), la liberazione dell'Esodo in cui il popolo di Dio è liberato dalla schiavitù e fatto partecipe dell'intimità con il suo Signore. Tutta la storia della salvezza converge verso Cristo; tutto il cosmo tende verso di lui per trovare in lui la sua unità essenziale; tutti gli esseri del cielo e della terra dipendono da lui che è il capo voluto da Dio per dare al suo popolo unità e salvezza. In lui giudei e gentili sono divenuti figli, partecipi della figliolanza divina e dell'eredità, sono segnati con lo Spirito promesso, che realizza in noi la promessa divina e la redenzione che ci rende proprietà di Dio a lode gloriosa della sua grazia.
3) Cristo, centro del disegno di Dio Il pensiero cristologico di Ef 1,3-14 lo si rileva dall 'uso continuo delle espressioni preposizionali: "in Cristo" (1.,3.4.6.7.9.10.11.12. 13), "per opera di Cristo" (1,5.7), che nella loro pregnanza contenutistica indicano ora la mediazione salvifica del Cristo, ora il "l u 0go" privilegiato in cui si manifesta concretamente l'amore salvi fico del Padre e in cui tutto l'agire divino trova la sua realizzazione piena e definitiva. Tutto è "ricapitolato nel Cristo" (1, l O), perché Cristo è l'inizio del pensiero del Padre, il centro del disegno dell'amore divino verso cui tutto converge e trova la sua unità di salvezza, il fine verso cui tutto si dirige per divenire espressione di lode al Padre. a) Il disegno di Dio "in Cristo" Se si eccettua Ef 1,8.14, tutti gli altri versetti dell'inno fanno riferimento a Cristo attraverso le formule paoline "nel Cristo", "per opera di Cristo". Così, l'accentuazione cristologica dell'inno mostra l'importanza di Cristo e il suo ruolo nel disegno di Dio. Due momenti cristologici essenziali per comprendere tutta la struttura formale e contenutistica di questo incomparabile inno a Cristo. l°) I titoli cristologici La formula "in Cristo" è certamente importante, ma essa si precisa meglio se la leggiamo alla luce di Ef 1,3, dove Dio viene indi-
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cato come il "Padre del Signore nostro Gesù Cristo" (cfr Rom 15,6; 2Cor 1,2; Il,31; Col 1,3). In base a ciò, la formula si arricchisce di una splendida luce teandrico-messianica. Infatti, essa si riallaccia al titolo messianico-cristologico Kuptou 'Ill<mu XplO"WV 51 • Tale formula è comune nell'epistolario paolino e anche nella Lettera agli Efesini, dove compare in 1,3.17; 3,11; 5,20; 5,23.24. Essa ci immette nella comprensione profonda del mistero di Cristo: egli è il "Signore Gesù Cristo". Gesù fa riferimento al Gesù storico l52 , al quale sono attribuiti i due titoli cristologici di "Cristo" e di "Signore": Cristo l53 sottolinea la messianicità di Gesù: egli è l'inviato di Dio che deve portare a compimento il disegno salvifico di Dio, la santificazione (1,4), l'adozione a figli (1,5), la redenzione totale dell'uomo (1,7.14), la rivelazione del mistero (1,9-10), la partecipazione al popolo santo di Dio e all'eredità (1,13-14). Signore l54 è evidente trasposizione cristologica dell'attributo divino che l'AT riservava solo a Jahvé e sottolinea che per Paolo Gesù non era un semplice "inviato di Dio", ma insieme al Padre l'autore stesso della nostra salvezza: in lui Dio stesso opera concretamente la liberazione all'interno della storia umana secondo il suo eterno disegno di amore. Ma con ciò non si esaurisce ancora la ricchezza cristologica della formula di Ef 1,3, in quanto il titolo cristologico: "Signore Gesù Cristo" specifica il titolo divino: "Padre" sottolinenando il rapporto di intimità che esiste tra Dio e Cristo. Egli è "il Diletto" (Ef 1,6) del Padre o, come dice in maniera stupenda ed efficace Col l, l3, "il Figlio del suo amore". In lui, origine, centro e termine dell'amore divino, il Padre ci ha scelti, ci ha redenti, ci ha segnati con il suo Spirito, ci ha resi figli e ci fa trovare il punto di unità e di incontro con sé. Così, "nel Cristo" anche noi abbiamo un rapporto speciale con il Padre l55 • La 151 In tal senso cfr Romaniuk, L 'amollr dll Père et du Fils, 55; Hengel, Between Jesus and Paul, 65-67. 152 Cosi per esempio Cerfaux, Le Christ, 375; Foerster, KuptOç, 1470; e in maniera più estesa in "llO"o'Ùç, 917-934. 153 Per questo titolo cristologico cfr Cerfaux, Le Christ, 361-381; Kramer, "Christ, Lord, Son of God", 19-64; Vermès, Jesl/s the Jew, 129-159; Hengel, Between Jesus and Paul, 65-77. 154 La letteratura è molto vasta. Qui basterà citare Certàux, "Le titre Kyrios", 3-188; Le Christ, 345-359; Cullmann, Cristologia, 301-358; "Kyrios", 200-228; Vennès, Jesus the Jew, 103-128; Hurtado, "New Testament Christology", 306-317 (con bibliografia recente); Foerster, KuptOç, 1450-1488; Spicq, KuptOç, 415-428. 155 Cfr Penna, E(esini, 86, anche se tende a ridimensionarne il valore per il fatto che cssa si trova più spesso nei fonnulari protocollari (Rom 1,7; ICor 1,3; 2Cor 1,2; Gal 1,3.4; Ef 1,2; Fil 1,2; Col 1,2; 2Tess I, I; Fm 3) che nei "corpus" delle lettere paoline (Fil 4,20; ITcs 1,3; 3,11.13; 2Tess 2,16). Ma per quanto stereotipata, la fOn1lUla indica un profondo convincimento di Paolo: noi siamo figli di Dio (Rom 8,9.14; 9,26; Gal 3,26; 4,5-7; Ef 1,4) e tàmiliari di Dio (Ef 2,19).
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formula, in tal senso, risulta un'efficace prolessi della nostra predestinazione a figli. 2°) Il carattere cristologico del disegno divino Con ciò non fa meraviglia che il disegno di Dio assuma un'evidente caratterizzazione cristologica: sia il eD"ru.w. eterno del Padre, sia l'attuazione storica della salvezza, sia il suo compimento escatologico, tutto porta l'impronta del Cristo. Tutto dipende dal rapporto di figliolanza stabilito inizialmente in Ef 1,3, che ci fa comprendere l'unità essenziale del volere tra il Padre e il Figlio, la concordanza eterna di reciproco amore tra il Padre e il Diletto (1,6). Da questa unità di essere e di volere scaturisce il "disegno divino" ed esso non può essere concepito che "nel Diletto": il Padre mostra il suo amore verso di noi, la sua benevolenza, la sua grazia nel Figlio del suo amore (Col 1,13). Da questo amore reciproco scaturiscono tutte le fasi del "mistero", un mistero d'amore che si svela a noi per gradi, "nei tempi di grazia" della storia della salvezza, ma sempre alla luce di Cristo. Diviene, così, benedizione ad Abramo e alla sua discendenza, che è Cristo (cfr Gal 3,16); una benedizione che segna la vita dei patriarchi, di Israele, dei profeti, una benedizione dall'alto (1,3) che comunica "lo Spirito della promessa" (1,13-14; cfr Gal 3,14), che ci rende nel Cristo partecipi della figliolanzà divina e dell' eredità dei santi (1,11.14; cfr Col 1,12). Tale benedizione ha i suoi momenti forti nel Cristo: l'elezione ad essere santi (1,4), la predestinazione ad essere figli (1,5), la redenzione dalla schiavitù del peccato (1,7), la conoscenza del mistero di Dio (1,9-10), l'essere segnati con lo Spirito (1,13), la partecipazione all'eredità (1,1l.l4). Tutta la nostra esistenza cristiana, in tal modo, è segnata da questo volere divino che tutto pensa, tutto opera e tutto porta a compimento nel Cristo. Così, nel Cristo, prima della creazione del mondo (1,4.5), siamo stati scelti per essere santi (1,4) e destinati ad essere figli (1,5); nel Cristo, in questo tempo presente della grazia, dopo aver ascoltato la parola della verità e creduto nel vangelo della salvezza, siamo stati redenti dai nostri peccati, resi degni di conoscere il mistero della volontà salvi fica di Dio, segnati con lo Spirito promesso, acquistati al popolo santo di Dio per essere partecipi dell'eredità. Tutto si compie "nel Cristo", perché Dio in lui ha riversato per noi tutta la benevolenza, la ricchezza e la sovrabbondanza del suo amore eterno ed infinito. Tutto si compie "nel Cristo", perché in lui tutti noi abbiamo accesso, quali figli, ali 'amore del Padre e a tutte le manifestazioni della sua grazia. Cristo è il punto d'incontro di Dio con l'uomo e dell'uomo con Dio. Anzi, Dio, nel-
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l'amministrazione dei tempi della salvezza, tutto ha fatto convergere verso di lui, perché egli sia il capo del cosmo e della Chiesa. Tutto si compie "nel Cristo", ma anche tutto si compie "per mezzo del Cristo". La mediazione del Cristo, certamente è espressa in Ef 1,5, dove la nostra "predestinazione a figli" non è stata stabiita solo "nel Cristo", ma anche "per mezzo di Cristo". Abbiamo, così, una duplice caratterizzazione cristologica: l'essere "predestinati nel Cristo" indica che il progetto del Padre è stato pensato e voluto "nel Figlio diletto", mentre l'essere stati "predestinati per mezzo di Cristo" indica che l'attuazione del progetto divino della nostra adozione a figli è avvenuta attraverso la mediazione del Cristo. Nel primo caso, Cristo è causa agente efficiente insieme con il Padre, nel secondo caso Cristo è la causa agente ministeriale per mezzo della quale Dio porta a compimento il suo progetto di Padre nei nostri confronti. Tale mediazione del Cristo ha avuto luogo nel suo sacrificio cruento sulla Croce: siamo stati redenti ed abbiamo sperimentato la ricchezza della grazia amorosa del Padre "per mezzo del sangue di Cristo" (1,7). Per mezzo di questo sangue versato per noi abbiamo ricevuto la remissione dei peccati, siamo stati purificati e resi santi, siamo divenuti figli di Dio e acquistati quale suo popolo santo per la lode gloriosa della sua grazia. b) Cristo, capo del cosmo Tutto ciò sfocia nell'idea centrale dell'inno di Ef 1,3-14 e precisamente nella "rivelazione del mistero" di 1,9-lO. Infatti, tutta l' azione del Padre è orientata a tale rivelazione, come sottolinea in maniera efficace l'espressione "l'amministrazione della pienezza dei tempi". La salvezza è azione dinamica di Dio che si svela "nei tempi" e questi "tempi" sono amministrati da Dio, che li porta avanti e li guida verso la loro pienezza, perché raggiungano lo scopo per cui sono stati stabiliti. Sono tappe di grazia e di benedizione, segnate dalla benevolenza divina, che portano a compimento ultimo e definitivo il piano di salvezza voluto da Dio a nostro favore. Il tempo scorre, ma è nelle mani di Dio, che lo guida per le sue vie e lo porta al suo compimento attraverso i momenti della sua grazia e questi raggiungono nel tempo stabilito "la pienezza del tempo" (cfr Gal 4,4). In questo scorrere del tempo e attraverso i tempi, il disegno di Dio si realizza incessantemente fino a raggiungere lo scopo per cui è stato stabilito, fino alla manifestazione piena del "mistero di Dio", che per secoli era rimasto nascosto a causa dei "tempi dell 'ignoranza", ma ora nel compimento dei tempi è svelato nel Cristo e per mezzo di Cristo. Egli è la rivelazione della volontà salvifica di Dio per noi.
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Certamente non è facile stabilire, come si è visto, il senso preciso del termine greco ùvaKe<\>aÀmoro. In ogni caso, è meglio mantenere tutta la sua ampiezza semantica, in modo da poter esprimere teologicamente tutta la ricchezza pregnante dell'espressione paolina. In primo luogo, però, bisogna rilevare la dinamicità del verbo: usato nella forma del medio, esso esprime tutta la forza dell'intenzione del Padre e del suo impegno nell'amministrazione dei "tempi della salvezza". Essi sono tali, momenti di grazia, proprio perché portano a compimento il disegno divino di far convergere tutto verso Cristo. Ecco, il mistero! L'uomo, infatti, non può mai con le sue sole forze di scienza, di intelligenza e di sapienza penetrare nel disegno di Dio. Solo nel Cristo, la conoscenza umana, la gnosi, la sofia di questo mondo, è illuminata e riceve la rivelazione del mistero nascosto dai secoli. Egli solo ci fa conoscere l'insondabile ricchezza dell'economia dinamico-salvi fica di Dio. In lui, attraverso "i tempi", tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra, sono, perché egli è il principio unificatore di tutti i tempi, di tutto il cosmo, di tutto il piano salvi fico di Dio. Così, tutto il cosmo, radunato in unità nel Cristo, ha un capo che lo ordina e lo porta alla pienezza della salvezza. Tutto è orientato a Cristo e tutto nel Cristo, capo e guida del cosmo e della Chiesa, diviene lode a Dio, ben~dizione per i benefici del suo amore (1,4.5.9). Lode a Dio per l'abbondanza di grazia di cui ci ha fatto dono nel Diletto (1,6). Lode al Padre per la benevolenza mostrataci nell'elezione ad essere santi, nell'averci predestinato ad essere figli e nell'averci redenti purificandoci dai nostri peccati (1,47). Lode a Dio, perché, predestinandoci ad essere santi e figli, ci ha resi nel Cristo lode perenne della sua gloria (1,11-12). Infine, lode a Dio, perché avendoci segnati con il suo Spirito ci ha inseriti nella promessa, ci ha acquistato come suo popolo e ci dà accesso all' eredità dei santi, per essere lode della sua gloria (1,14). Nel Cristo la nostra eulogia raggiunge il suo culmine e la sua pienezza: tutto è orientato a Cristo e tutto in lui diviene benedizione al Padre.
CAPITOLO IV
EF 2,14-18 CRISTO NOSTRA PACE
Egli, infatti, è la nostra pace, colui che ha fatto di ambedue una cosa sola, che ha abbattuto il muro divisorio del recinto, l'inimicizia nella sua carne, annullando/poiché annullò la legge dei precetti per mezzo rli ordinamenti, allo scopo di creare in se stesso i due come un unico uomo nuovo, facendo la pace, e riconciliare a Dio l'uno e l'altro in un solo corpo mediante la croce avendo ucciso/uccidendo l'inimicizia in se stesso. Ed essendo venuto, annunziò pace a voi lontani e pace ai vicini, poiché per lui abbiamo accesso entrambi in un unico Spirito al Padre. Analisi letteraria
1) Contesto L'inno di Ef 2,14-18\ è inserito nella lunga catechesi ecc1esiologica di Ef 1,15-3,21, le cui articolazioni mostrano un approfondimento sapienziale progressivo del mistero di Cristo e della Chiesa. Così, in Ef 1,15-23, ci viene mostrato il progetto di Dio, che tutto ha sottomesso al Cristo, costituendolo capo del coSmo e della Chiesa, principio della speranza a cui siamo stati chiamati, della ricchezza dell'eredità divina tra i santi e della straordinaria grandezza della potenza salvifica di Dio verso tutti i credenti. Tale potenza si è manifestata a favore dei gentili che a causa dei loro peccati erano figli della disobbedienza e a favore dei giudei che adempiendo i voleri della carne erano divenuti figli dell'ira (Ef 2,1-10). Ma Dio, nel suo grande amore, ha convivificati con Cristo tutti i credenti, noi una volta morti a causa dei peccati, ma ora conrisuscitati con Cristo e salvati Per Ef 2, 14-18 cfr Merklein, "Zur Tradition", 79-102; GonzaIez Lamadrid, Ipse est pax nostra, Madrid 1973; Zerwick, Cristo nostra pace, Torino 1974; Ramaroson, "«Le Christ, notre Paix»", 373-382; Penna, "«L'Evangile de la paix»", 175199; Karris, A Symphony, 92-111, che restringe l'inno a Ef 2,14-16.
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per grazia mediante la fede. Di più: in Cristo la salvezza è riconciliazione universale tra giudei e gentili, tra i credenti e Dio. Cristo, infatti, è la nostra pace, colui che per mezzo del suo sangue ha distrutto il muro di divisione della legge e con ciò ha proclamato il buon annuncio della pace e ci ha costituito dimora di Dio nello Spirito (Ef 2,11-22)2. Questo è il mistero di Cristo e della Chiesa, che Paolo, ministro del Vangelo per i gentili, annuncia a tutti, perché comprendano da una parte l'insondabile ricchezza di Cristo e del suo amore e dall'altra la straordinaria missione della Chiesa di rendere nota la multiforme sapienza di Dio, che nel Cristo ci ha dato accesso alla sua grande misericordia (Ef 3,1-19). A lui la gloria nella Chiesa e nel Cristo Gesù per tutte le generazioni e per tutti i secoli (Ef 3,20-21). Ef 2,14-18, quindi, rappresenta il culmine dell'argomentazione paolina: Cristo è la nostra pace, perché egli ha annullato l'antica condizione di lontananza dei gentili da Dio (Ef 2, 11-l3), abolendo la legge dei precetti che creava l'inimicizia, ha riconciliato gli uomini tra loro e con Dio (2,14-18), ma soprattutto ha stabilito una nuova situazione ecclesiale, dove tutti sono cittadini dei santi e familiari di Dio, fondati su Cristo e sugli apostoli, per crescere e divenire dimora di Dio nello Spirito (Ef 2,19-22)3. 2) Delimitazione della pericope
L'inizio dell'inno è stabilito dall'introduzione enfatica del pronome personale Utl'tOç; , che crea uno stacco molto forte con il pronome UIlElç; che in Ef 2,11-13 caratterizza i cristiani provenienti dal paganesimo. Inoltre, con 2,14 ha inizio un fraseggiare più solenne e ritmato che dura fino al v. 184, mentre in 2,19 si riprende il normale Cfr anche Lincoln, Ephesians, 131-134; pur condividendo lo stesso contesto di Ef 2,14-18, cioè Ef 2,11-22, Karris, A Symphony, 95-97, offre una diversa ricostruzione del contesto, che va a mio parere oltre i limiti del suddetto contesto. 3 Cfr Gonzalez Lamadrid, Ipse est pax nostra, 9-55; Barth, Ephesians 1-3, 275276; Lincoln, Ephesians, 131-133; Idem, "The Church and Israel in Ephesians 2", 607-609. Con Barth, Ephesians 1-3,260-261. Per un'opinione diversa cfr Lincoln, Ephesians, 128-129, che si basa non tanto su elementi di stile, ma sulla possibilità che Ef 2,17 possa usare il testo di Is 57,19 mettendolo così in connessione con Ef 2,13. Per quanto significativa possa essere tale motivazione da un punto di vista redazionaie, non credo che essa possa cancellare il ritmo impresso ad Ef 2,17-18. Tale osservazione è valida anche per Sanders, The New Testament Christological Hymns, 14-15, dove offre anche un 'improbabile, quanto curiosa ricostruzione dell'inno. Così, secondo lui, il termine EX9pa. di 2,14d sarebbe un 'interpolazione interpretativa dell'autore della Lettera agli Efesini, in quanto troppo connesso con il tema dell 'inno, allo stesso modo di 1tOlWV dpllvf\v di 2,15c; lo stesso dicasi di 2,15a, perché crea un certo disturbo nel parallelismus membrorum dell'inno che consta solo di due membri; infine anche lilà ,OU (Ha.UpOU di 2, 16a non è altro che un
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stile dell'argomentazione con l'espressione conclusiva: "ora dunq u e"5 e si registra di nuovo il cambio del soggetto: ritorno del "voi ''6, cioè i cristiani della gentilità, rispetto al soggetto di Ef 2,1417: "Cristo", che in Ef 2,18 diviene il soggetto logico della frase, mentre il soggetto grammaticale è "noi", cioè tutti i cristiani che per mezzo del Cristo e nello Spirito hanno accesso al Padre. Così; il nostro brano risulta molto unitario per il ritmo e per l'inclusione letteraria tra 2,14 e 2,18, stabilita dalla ripetizione del termine pace e dell'aggettivo pronomina1e Ot à,.Hj>
La discussione sul genere letterario di Ef 2,14-18 è una questione aperta. Così, c'è chi considera il brano una normale prosa e, facendo leva sul yap e su u~'iv w'iç ~(XJ(pàv J(Xt eìPrlVT]V 'toìç Èyyuç, vi vede una normale continuazione del pensiero svolto da Paolo in 2,11-227; altri, pur accettando la possibilità che si possa parlare di "inno", lo limitano solo ad Ef 2,14-16 8; altri ancora, e sono la maggioranza, tenendo conto dello stile del brano e della sua composizione, ritengono che Ef 2,14-18 ha tutte le caratteristiche degli altri "inni paolini". In effetti, non si tratta di un vero e proprio "inno", ma di una "prosa ritmata" che presenta, rispetto al brano in cui è inserito (Ef 2,11-22), delle peculiarità che la distinguono sia da ciò che precede (2,11-13) che da ciò che segue (2,19-22). Tra queste peculiarità possiamo enumerare9 : l'apertura enfatica lO paolinismo aggiunto dopo. 5 Deichgraber, Gotteshymnus und Christushymnus, 166. Deichgraber, Gotteshymnus llnd Christushymnus, 166. Così, per esempio, Deichgraber, Gotteshymnus umi ChriStushymnus, 165-167, che cita anche il parere di Conzelmann e di Dibelius - Greeven; Penna, Efesini, 140, lo considera un "excursus cristologico"; Montagnini, Efesini, 174-175, si mostra alquanto scettico sul carattere "innico" del brano (cfr comunque p. 176, dove parla di "genere innico"). 8 Così, per esempio, Testa, "Gesù pacificatore universale", 18-22; Sanders, The New Testament Christological Hymns, 14-15; Lincoln, Ephesians, 128; Karris, A Symphony, 92-95. 9 Lincoln, Ephesians, 127. Barth, Ephesians 1-3,261, enumera più fenomeni di quanti se ne trovano nell'inno. Non si trovano, infatti, né relative né sinonimi; inoltre, il carattere cristologico o il carattere trinitario riguarda il contenuto non i I genere letterario innico. In quanto alle possibili o probabili interpolazione, bisogna ripetere che, anche ad ammetterne la possibilità, l'inno onnai va esaminato nella sua struttura definitiva. lO Senza negare la possibilità che il yo.p possa avere valore causale (Deichgraber, Gotteshymnus und Christushymnus, 166), credo che ciò non sia strettamente necessario, per cui lo si può ritenere come "esplicativo: infatti" o meglio ancora come "inferenziale: certamente".
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dell'inno con at')'to~, che introduce un soggetto diverso da quello di Ef 2,11-13 11 e inneggia a Cristo attribuendogli il titolo: "nostra pace", il vocabolario particolare del brano con diversi hapax-legomena, la cOstruzione parallelistica delle frasi, l'uso abbondante e variato dei participi, diverse costruzioni sintattiche alquanto fuori del normale (cfr per esempio 2,14d) per dare enfasi a qualche elemento dell'inno, una certa pleroforia nel fraseggiare per creare parallelismi e ritmo. Tutto ciò fa pensare ad un "inno di lode", un encomio che acclama Cristo come "Colui che è la pace" della comunità cristiana ("nostra pace"). 4) Struttura letteraria/ 2
A. Ef 2,14-15a: presentazione di Cristo nostra pace A u'tò~ yap ÈO"nv " EtPllVll "J.leOv, Ò 1tot1l0"a~ 'tà
B. vv. 15b-16: lo scopo dall'azione di Cristo
'i va 'toù~ ODO K'ttO"1] Èv au'tql EÌç Eva Kat vòv èiv9pro1toV 1tOteOvEÌPllvllV 1ca't <X1toKa'taUal;1] 'toùç <XJ.lG>o'tÉpouç EV Év't oolJ.lan 'te!> efe!> ò. 't. o'taupou,
A'. vv. 17-18: Cristo proclama la pace a tutti gli uomini Kaì ÈÀ.9ÒlV EU1lYYEÀ.tO"a'tO (EÌPllv llv ) EtPllVllV uJ.llV 'tOl~ J.laKpàv Kaì EtPllVllV 'tol~ ÈyyD~' (ht Ot' au'tou EX0J.lEV 'tilv 1tpoO"ayroYilv Ol
Il La presenza di ul-llv in 2,17 non credo affatto che incida, come pensa Lincoln, Ephesians, 128, sul carattere innico di Ef 2,17-18, in quanto il soggetto rimane ancora o.U1:0ç, cioè Cristo; inoltre, come si vedrà nella struttura, anch'essa presenta una costruzione ritmata e parallela. D'altra parte, non credo che l'uso dei pronomi "noi" o "voi" detenni nano lo stile del nostro brano, come pensa Barth, Ephesians 1-3, 261, ma solo i limiti del brano in questione. 12 Per altre possibilità di strutturazione del testo cfr Schlier, Efesini , 188: divisione in tre parti; Penna, Efesini, 139-140: divisione quatripartita. Per altre possibilità cfr H. Merklein, "Zur Tradition", 79-102, che discute le proposte strutturali di G. Schille, J. T. Sanders e J. Gnilka; Wilhelmi, "Der Vers6hncr-Hymnus", 145-152.
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Osservazioni sulla struttura l) Ef 2,14-18 è un blocco unitario per diversi motivi: a) per la terminologia particolare che viene usata e che separa il nostro testo da ciò che precede e da ciò che segue. Così: - EtPy!Vll, il termine-chiave della nostra pericope, si trova 4 volte nel brano (2,14a.15b.17a.17b) e cosa molto significativa è il fatto che tale blocco di ricorrenze è preceduto da un solo caso: precisamente dall'espressione stereotipata di Ef 1,2: XaPlç UlllV K(Ù dpy!Vll, ed è seguito da altre ricorrenze molto lontane dal contesto: in Ef 4,3; 6,15.23; - l'aggettivo sostantivato 01 <XIl
Elemento rilevato anche da Wilhelmi, "Der Versohner-Hymnus", 146. Cfr Wilhelmi, "Der Versohner-Hymnus", 151. 15 Cfr anche Wi1helmi, "Der Versohner-Hymnus", 145. 16 Tale inclusione è notata anche da Montagnini, Efesini, 174. 13
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parecchi elementi letterari, che permettono un sviluppo logico ed equilibrato dell'inno: a) Ef 2,14-15 a: presenta il Cristo e la sua azione pacificatrice a favore di tutti gli uomini. Il brano si snoda in tre momenti: a) una proposizione affermativa che proclama Cristo nostra pace; b) due proposizioni participiali sostantivate appositive, poste in inclusione tra loro (6 1totr1craç ... À:Ucraç)I\ trattano dell'opera salvifico-pacificatrice di Cristo; c) una proposizione participiale congiunta, probabilmente di valore causale l8 , che offre la motivazione della caduta del "muro di divisione" e dell "'inimicizia" e conseguentemente della nuova unità stabilita da Cristo. La posizione dell'espressione 'tllv ex8pav Èv 't'l] crapKÌ aù'tou di 1, 14d pone qualche problema dal punto di vista sintattico, ma nell'insieme della prima suddivisione rappresenta un momento interpretativo essenziale, dato che si trova al centro dell' immagine del "muro divisorio" di l, 14c e la decodificazione di essa: "la legge dei precetti" (l, 15a). b) Ef 2,15b-16: si sofferma sullo scopo dell'azione salvi ficopacificatrice di Cristo. Dal punto di vista sintattico essa è legata a ciò che precede, dato che si tratta di una proposizione finale dipendente da 2,14a o da tutto l'insieme di 2,14-15a. Ma la sua composizione letterario retorica credo che permetta una suddivisione che si basa: l°) sul parallelismo tra 2,15bc e 2, 16ab, che segue uno schema del tipo: aba'b'19: '{va wùç ÒUO K'tlcrl) Èv aù'tq) elç Eva KatVÒV èiv8pol1tov 1totcOveìPr1VllV Kal (i1tOKa'taÀ.Àci~1J 'to'Ùç; àll
np 9E O.
't. O"'taupoù,
U1tOK'tetVaç 'tllv ex8pav Èv aÙ'tq), 2°) sull'inclusione letteraria determinata da Èv aù'tq) di 2,15a e 2,16b; 3°) sul parallelismo chiastico tra 2, 15b e 2,16a: 'toùç 8Uo K'ttcrl) ... U1tOKa'tanUSl) 'toùç ull
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piali congiunte di 2,15c e 2,16b, c) Ef 2, l 7-18: conclude con la proclamazione del "vangelo della pace" ai vicini e ai lontani. Il participio congiunto di valore modale EÀ8rov, unito alla congiunzione Kat, crea un passaggio ad una nuova fase dell'inno. Formalmente la suddivisione è composta da un'affermazione sul "vangelo della pace" annunciato da Cristo 'e da una motivazione (Ò'n) che riguarda l'azione di Cristo a favore di tutti gli uomini (cfr EXOl-UòV). Letterariamente essa si articola in quattro momenti secondo lo schema aba'b': a) venuta di Cristo e annuncio della pace; b) i destinatari del "vangelo della pace", indicati attraverso il parallelismo di due frasi ellittiche complementari, esprimenti la totalità dei membri della comunità cristiana; c) l'effetto della proclamazione del "vangelo della pace": l'accesso al Padre; d) i destinatari della nuova possibilità di accedere unanimi al Padre. Analisi esegetica A1'rròç yap EO''tlV 11 fÌPtlVll 11f.lrov: "Egli, infatti, è la nostra pace". L'inno si aggancia a ciò che precede nel v. l3 con un "infatti" (yap) esplicativ02 ! o inferenziale: "certamente": i gentilo-cristiani sono divenuti vicini mediante il sacrificio cruento di Cristo, infatti! certamente egli è la nostra pace. A{rroç: si riallaccia alle due formule cristologiche del v. 13: "nel Cristo Gesù", "per mezzo del sangue di Cristo". Il pronome personale quindi, posto in enfasi, indica che Cristo è il soggetto di tutto ciò che si dice in Ef 2,14-18. Proprio per questo, il pronome aù'toç lo si ritroverà in quasi tutti i versetti dell'inno: aÙ'toç (2,14), aù'toù (2,14), EV aù't
166).
2i Cfr anche L. Ramaroson, "«Le Christ, nòtre Paix»", 373-374.
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probabile 23 che faccia riferimento o ad Is 9,52\ dove al futuro Messia sono attribuiti diversi titoli dell'intronizzazione regale: "Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace", o a Mi 5,4 dove con qualche incertezza testuale si afferma che il Messia "è pace". Ma l'affermazione di Ef 2,14 non indica soltanto che il Messia porterà la pace (gen. oggettivo) a tutti, ma afferma con chiarezza che egli è la pace in persona25 • Per questo, il testo non insiste solo sulla mediazione di Cristo ("per mezzo di Cristo") per ottenerci la pace, ma soprattutto pone l'accento sul fatto che tale pace l'abbiamo "nel Cristo", perché egli è il luogo dove Dio si manifesta a noi come pace26 e ci concede la pace. Nel contesto di Ef 2,11-22, il concetto di pace27 assume un senso particolare, sia per l'articolo determinativ0 28 che per le due aggiunte participiali appositive: Cristo è la nostra pace, colui che ha stabilito l'unità della comunità cristiana e che ha fatto cadere il muro di divisione tra questi membri della comunità (Ef 2,14b). In altre parole, Cristo è la nostra pace, perché ha fatto di noi una cosa sola (2, 14b), un solo uomo nuovo (2, 15b), un solo corpo (2,16) e riconciliandoci con Dio ci ha dato accesso al Padre in un solo spirito (2,18). 'O 7tol-rlcraç 1:à all
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"Cristo è la nostra pace". L'aoristo è effettivo e, in base al contesto immediato, fa riferimento al sacrificio della Croce di Cristo (2,14b. 16)29. Più difficile a determinarsi è il senso dell'aggettivo pronominaIe neutro "C<X à./lo"CEpa. Probabilmente viene usato il neutro 30 , perché non si parla dei cristiani in se stessi, ma delle due situazioni (paganesimo e giudaismo; cfr Ef 2,11-12; Gal 5,6; 6,15) in cui essi si trovavano prima che Cristo li radunasse in "una nuova realta", precisamente quella ecclesiale. Quindi, Cristo è nostra pace, perché egli è il principio costitutivo e fondante dell 'unità della Chiesa, suo unico corpo (cfr Ef 2,16), in cui entrambi giudei e pagani sono stati inseriti mediante il sacrificio di Cristo. Kaì "Cò /lEO'o"COtXOv "Cou paY/lou À:oO'ac;: "e il muro divisorio del recinto ha abbattuto". A causa della congiunzione (Kai)31 anche il secondo participio ÀUO'ac; è un participio sostantivato appositivo, che precisa ancora il senso dell' affermazione di Ef 2, 14a: Cristo è nostra pace, perché è colui che ha abbattuto il muro divisorio del recinto 32 . Il verbo À,Uffi di per sé significa "sciogliere", ma anche "disciogliere" e in senso intensivo-negativo e idiomatico: "rompere" e" abbattere". Cristo, perché nostra pace, ha fatto cadere "Cò /lEO'o"COtxov,il "muro divisorio", il "recinto" ("COu paY/lou: gen. appositivo) che determinava la "separazione"33 (gen. oggettivo o di contenuto) e 29
Mateos, El aspecto, 380-381, pp. 119-120; Fanning, Verbal Aspect, 414-415.
30 Smyth, Greek Grammar, 1024; BDR, 138, l; Pax, "Stilistische Beobachtungen", 336-337. 344-345); Barth, Ephesians 1-3, 262-263; Gonzalez Lamadrid, lpse est pax nostra, 20-21; Lincoln, Ephesians, 140, anche se ritiene che il neutro "tà àJ.lljlo"tcpa sia un resto di materiale tradizionale riferentesi al cielo e alla terra. Tale ipotesi è accettata da quegli autori che si basano su speculazioni giudiaco-gnostiche o giudaico-apocalittiche: cfr Testa, "Gesù pacificatore universale", 18; Schlier, Efesini, 190-204, ma mi sembra che la forza dei testi addotti non sia molto probante. In ogni caso, a mio parere, più che di "zone" si tratta di "situazioni vitali" (cfr Ef 2,11-12; ma anche Gal 5,6; 6,15) che hanno detenninato la vita dei cristiani prima di aver creduto in Cristo (Ef 1,11-13). D'altra parte, mi sembrano un po' strane anche le spiegazioni di Penna, Efesini, 141, e di Montagnini, Efesini, 177. 31 Gonzalez Lamadrid, lpse est pax nostra, 21, lo considera come epesegetico; Montagnini, Efesini, 177, un ICal consecutivo; tali interpretazioni non mi sembrano fìlologicamente necessarie, anche perché il testo già stabilisce attraverso l'inclusione uno stretto rapporto tra i due participi. 32 Il valore aspettuale è effettivo di azione anteriore a quella della principale di 2,14a (Mateos, El aspecto, 380-381, pp. 119-120; Fanning, Verbal Aspect, 413). 33 Di per sé il tennine IjlpaYJ.loç indica un luogo chiuso, una chiusura e da qui uno "steccato", una "siepe" o un qualche cosa che separa e chiude. Pertanto, in base al contesto di Ef 2, 14b-15, si rifà all'idea della "legge" che "separa" (= cinge come una siepe) per proteggere. Questa è la posizione più nonnale del giudaismo ellenistico e rabbinico. I testi certamente più significativi sono quelli dello Ps. -Aristea 139: "(Mosè) ci ha circondati con una trincea invalicabile e con mura di ferro, perché non ci mescolassimo minimamente con gli altri popoli"; e in 142: "(Mosè) ci ha circondati con misure di purezza"; e quello di I QH 1,3: "E tu hai fatto una siepe intorno
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soprattutto era una "separazione" (gen. epesegetico )34, una barriera tra giudei e pagani. Quale sia tale "muro divisorio" che creava "separazione" ed era "separazione" Paolo non lo dice espressamente, ma in base a Ef 2,15a sembra che sia "la legge dei precetti", dato che Cristo, abbattendola, è divenuto la nostra pace35 • Tilv Exepav Èv 'tl) crapKÌ aù'toD: "l'inimicizia nella sua carne". Così, come sta in Ef 2,14c, l'espressione può essere appositiva dell'espressione 'tò llecrO't01XOV 'tOD <»paYlloD di Ef 2,14b oppure è prolettica rispetto al suo verbo reggente: "avendo abbattuto"36. Entrambe le soluzioni sono problematiche: la prima a motivo dell 'inclusione letteraria stabilita attraverso i due verbi: ò 1t0l rlcraç ... À:ucraç, che stabilisce un duro hyperbaton tra l'espressione reggente di 2,14b e l'apposizione di 2,14c; la seconda, interpretando l'espressione 'tòv VOIlOV 'trov ÈV'tOArov Èv oÙ'Yllacrtv come apposizione, diminuisce la forza dell'argomentazione paolina, che parla di "annullamento della legge". In conclusione, anche se lo stile risulta un po' duro, è meglio accettare la prima soluzione e l'hyperbaton d'altra parte ha una certa forza espressivo-poetica37 . In tal senso, l'espressione indica che il "muro di divisione", stabilito dalla legge mosaica, è sorgente
a me e mi proteggi da tutte le insidie della perdizione" (cfr Schlier, Efesini, 196). Di fatto, dice spesso Paolo, tale"siepe" è divenuta "una prigione" (Gal 3,22-23), una "barriera" tra i popoli, che ha creato diffidenza e inimicizia. 34 Per il valore del genitivo cfr Schlier, Efesini, 190: gen. epesegetico; Gonzalez Lamadrid, lpse est pax nostra, 21: gen. epesegetico; Ramaroson, "«Le Christ, notre Paix»", 375: gen. epesegetico o di contenuto; BDR, 167: gen. di contenuto; Montagnini, Efesini, 177. 35 Con Ramaroson, "«Le Christ, notre Paix»", 375-376; Penna, Efesini, 142-143. Altri (Abbott, Mitton; Montagnini, Efesini, 178-179), a motivo dell'insistenza sul termine "recinto" hanno pensato alla "balaustra di pietra" che, secondo la notizia di Flavio Giuseppe, Bel.Jud 5,193-194 e Ant.Jud 15,417, separava il "cortile degli Israeliti", dal "cortile dei Gentili" ed era un confine invalicabile da parte dei Gentili, pena la loro morte. Paolo l'ha intesa come un "simbolo" o un "segno" di separazione e di inimicizia. Schlier, Efesini, 190-203, basandosi su un 'abbondante letteratura giudaico-gnostica e giudaico-apocalittica, lo intende come la "barriera cosmica" che separa il pleroma celeste dal mondo terreno e crea inimicizia tra potenze celesti e gli uomini, impedendo ad essi per mezzo della legge dei precetti di raggiungere la pace e la salvezza. Allo stesso modo Testa, "Gesù pacificatore universale", 18-22, lo definisce: "il diaframma orizzontale che separava idealmente la zona celestiale del Pleroma da quella terrestre del Kenoma". Infine, Barth, Ephesians /-3, 283-287, che enumera cinque possibili interpretazioni, delle quali nessuna lo soddisfa, alla fine ritiene che non è la legge che è stata abolita, ma la "funzione divisiva" della legge riguardo alla separazione dei giudei dai gentili (cfr pp. 291 e 306-307). 36 Cfr Penna, Efesini, 142 nota 220, che opta per la seconda possibilità. 37 Per queste possibilità sintattiche di costruzione della frase cfr anche Gonzalez Lamadrid, lpse est pax nostra, 24; Barth, Ephesians /-3, 264, e la strana soluzionc che egli propone: quella di accettare un'interpolazione poco sostenuta dai codici.
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di divisione e di inimicizia tra il popolo giudaico e gli altri popoli38 . Cristo, abbattendo tale "muro di divisione" e facendo cadere il "recinto di separazione" tra i popoli, ha distrutto "nella sua carne" l'inimicizia tra giudei e pagani. L'espressione Èv 't1J O'apKÌ mhou, in base a Ef 2,13: "siete divenuti vicini mediante il sangue di Cristo", ed Ef 2,16: "riconciliare entrambi mediante la Croce", non 'è un riferimento generale alla persona di Cristo 39 , alla sua incarnazione40 , al suo ministero terreno 41, ma al suo sacrificio sulla Croce42 . 'tòv VOIlOV 'trov Èv'tOÀrov Èv 06Yllamv Ka'tapy"O'aç' "avendo annullato/ annullando la legge dei precetti per mezzo di ordinamenti". Ka'tapy"O'aç è un participio congiunto 43 che può avere un duplice valore: l°) modale strumentale di azione concomitante a quella dei due participi attributivi reggenti: "annullando la legge"44, cioè l'abbattimento dell'inimicizia tra i popoli e il loro essere divenuti una cosa sola si è determinato con l'annullamento della legge; 2°) causale di azione anteriore a quella dei due participi attributivi: "dato che/poiché Cristo annullò la legge", cioè Ef 2,16a offre la motivazione della caduta del "muro di divisione" e dell '''inimicizia" e conseguentemente della nuova unità stabilita da Cristo. La seconda possibilità45 mi sembra migliore, dato che il testo afferma che l'inimicizia è stata distrutta attraverso il sacrificio di Cristo sulla Croce. Allora, l'annullamento della legge ha determinato negativamente la caduta del "muro divisorio di separazione" e l'inimicizia che esso produceva e positivamente l'unità di giudei e pagani in una
38 Per i sentimenti che i giudei nutrivano verso gli altri popoli cfr Bonsirven, 11 giudaismo palestinese, 47-52; Alexander, "'The Parting ofthe Ways', 1-25; mentre per i sentimenti che gli altri popoli nutrivano verso i giudei cjT Stern, Greek and Latin Authors on Jews and Judaism, Jerusalem 1974-1984. 39 Barth, Ephesians /-3, 264 e 297-298, dove aggiunge anche un 'interpretazione sacramentale che mi sembra poco probabile nel contesto di Ef 2,14-18. 40 Schlier, Efesini, 191. 41 L'ipotesi è ammessa come possibile da Penna, Efesini, 143. 4:! Cfr Schlier, Efesini, 191; Gonzalez Lamadrid, Ipse est pax nostra, 26; Penna, Efesini, 143; Ramaroson, "«Le Christ, n6tre Paix»", 377-378, suggerisce un senso pregnante: "l'inimicizia è stata annullata mediante il sacrificio della Croce e la nostra unione a Cristo, con il quale siamo stati crocifissi"; Montagnini, Efesini, 179. 43 Con Schlier, Efesini, 191, che lo ritiene "subordinato al precedente o precedenti participi", anche se non precisa di che tipo di subordinazione si tratti, ma data la traduzione che offre sembra trattarsi di un participio congiunto di valore causale: "in quanto ha distrutto l'inimicizia". 44 Cosi, per esempio, Mateos, El aspecto, 381 (2), pp. 119-120; ma ciò è solo una possibilità, in quanto l'aspetto del participio aoristo può assumere il valore di un'azione anteriore a quella della principale reggente (Fanning, Verbal Aspect, 413). 45 Cfr anche Gonzalez Lamadrid, Ipse est pax nostra, 26.
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sola realtà. Il tennine Ka:mpyÉro è molto usato da Paol046 e il suo senso oscilla tra "rendere inoperoso, rendere inefficace", "mettere fuori uso", e in senso intensivo-negativo: "annullare", "annientare". Il verbo esprime un'idea paolina molto forte: la legge è stata resa inefficace, annientata, abolita (Ef 2,15; Rom 7,2). Ma con ciò ancora non viene espressa tutta la radicalità del pensiero di Paolo, il quale affenna che Cristo è la fme della legge (Rom 10,4) e noi "siamo morti alla legge per vivere per Dio" (Gal 2,19)47. "La legge dei precetti48 (che si esplica) per mezzo di ordinamenti49": l'espressione è alquanto brachilogica, ma interessante dal punto di vista del pensieroSO. Il cristiano non è "un senza-legge", anche se per lui la legge, la sua precettistica e i suoi correlativi ordinamenti, non ha più senso. Ciò che conta è la legge dell'amore (cfr Rom 13,8-10; Gal 5,14); meglio: è "la fede agente per mezzo della carità" (Gal 5,6). "Iva 'toùç ouo Kncr1J Év au'tQ) ciç Eva KatvÒV &veproltOv: "allo scopo di fonnare in se stesso i due come un unico uomo nuovo". "Iva + congiuntivo aoristo indica lo scopo che si è proposto Cristo nell'abolire la legge; il congiuntivo aoristo ha aspetto ingressivo di azione posteriore a quella della principale reggenteSI e sottolinea bene la dimensione escatologica della "creazione dell 'uomo nuoSu 27 ricorrenze nel NT 24 si trovano in Paolo; fuori dell'epistolario paolina, in Le 13,7; 2Tim l,IO; Ebr 2,14. Per il senso del verbo cfr Delling, 1«X't(XpyÉro, 1207-1212; Buscemi, Preposizioni, 78. Per lo più è usato con il senso traslato e i n rapporto a realtà positive (Rom 3,3: la fede; Rom 3,31: la legge, in quanto volontà di Dio; Rom 4,14; Gal 3,17: la promessa; ICor 13,8: la profezia; ICor 13,10: la conoscenza; 2Cor 3,7.11.13: la gloria sul volto di Mosè; Gal 5,4: essere decaduti da Cristo; Gal 5, Il: è decaduto lo scandalo della Croce?) e negative (Rom 6,6: il corpo del peccato; Rom 7,2: la legge del legame maritale; Rom 7,6; Ef 2,15: la legge, quale regime di schiavitù; I Cor 1,28: le cose che contano per il mondo; I Cor 2,6; 15,24: i principi di questo mondo; I Cor 6,13: i cibi; I Cor 13, Il: "le cose di fanciulli"; ICor 15,26: la morte; 2Cor 3,14: il velo sul volto di Israele; 2Tess 2,8: l'iniquo annullato per mezzo dello spirito della bocca di Gesù). 47 In base a ciò, mi sembra strano quanto afferma Penna, Efesini, 143: "un'affermazione, che riflette già uno stadio storico avanzato nel rapporto tra il movimento cristiano e il giudaismo"; Montagnini, Efesini, 180, pensa che l'espressione di Ef 2, 15a si riferisca solo alla "somma delle prescrizioni", alla "parcellizzazione della legge", e non alla legge in quanto tale. A me sembra che Ef 2, 15a rifletta i I normale pensiero di Paolo sulla legge, quello di sempre (cfr anche Lincoln, Ephesians, 142-143). 48 Schlier, Efesini, 192, sembra leggerlo come un gen. di contenuto, ma forse si tratta o di un gen. di qualità: "la legge precettistica", oppure un gen. oggettivo: "la legge che ordina di osservare i suoi precetti". 49 L'espressione "per mezzo dei suoi ordinamenti" accentua l'aspetto impositivo della "legge dei precetti" (cfr Penna, Efesini, 143). 50 Cfr anche Roetzel, "Jewish Christian - Gentile Christian Relations", 81-89. 51 Mateos. El aspecto, 274-275, p. 116. È chiaro che la proposizione finale è retta non solo da l«xwPYT1O"(Xç, ma da tutto l'insieme di 2,14-15a. 46
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VO"52. 'Ev almi'>: l'elemento cristologico è ribadito, in modo che risulti evidente che come la prima creazione è avvenuta "nel Cristo" (cfr Col 1,16; Ef 2, lO), così anche la "nuova creazione" avviene "in l u i "53. Ma l'espressione preposizionale di Ef 2,15b, usando il pronome riflessivo al posto del pronome personale, attribuisce direttamente a Cristo la "creazione dell'uomo nuovo". Anche se ciò non trova riscontro nel resto dell'epistolario pao1ino, la stessa idea forse la si può trovare ancora in Ef 4,24: "e rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità", dove l'aggiunta "secondo Dio" fa pensare che a creare "l'uomo nuovo" sia Cristo. Ciò, a mio parere, non deve meravigliare, in quanto la "nuova creazione" è la conseguenza dell 'azione storico-sa1vifica di Cristo54, il quale dà inizio al "tempo nuovo" e alI "'uomo nuovo" creato secondo Dio (Ef 4,24), cioè secondo il disegno salvifico di Dio nel Cristo Gesù (Ef 1,3). Toùç <>Do: giudei e pagani, sono l'oggetto diretto della "nuova creazione". Eiç Eva KCXlVÒV av8pomov: Etç + accusativo è una normale costruzione del greco biblico della LXX e del NT55 per esprimere il predicato dell' oggetto diretto. Pertanto risulta come una reminiscenza letteraria dell'espressione di Gen 2,24 (cfr Mt 19,5; Ef 5,31). "Eva KCXlVÒV av8pffi1tOV: l'epressione può risultare alquanto sorprendente: dall'unione di due popoli diversi ci saremmo aspettati "un unico popolo nuovo". Nonostante ciò, mi sembra che il pensiero di Ef 2,15b sia più profondo e in linea con il pensiero paolino espresso in 2Cor 5,17: "Chi è in Cristo, questi è una nuova creatura". Infatti, "non conta più né la circoncisione né l' incirconcisione, ma solo la nuova creazione" (Gal 6,15). Anzi, "non c'è più né giudeo né greco, ma tutti siete uno nel Cristo Gesù" (Gal 3,28) e questo "uno" è "l'unico uomo Cristo Gesù" (Rom 5,15-17), il nuovo Adamo escatologico, nel quale per noi ha sovrabbondato il dono della grazia di Dio (Rom 5,15). L'uomo nuovo, quindi, è 52 Cfr Gonzalez Lamadrid, Ipse est pax nostra, 29. 53 Probabilmente, tale idea sta alla base della variante testuale Èv U\J1:<1>, che i codici FG pc latt hanno cambiato in Èv Éu\Yt<1>. Tale variante è una facilitazione del testo e di per sé non può essere accettata. Ma, se si tiene conto che il soggetto della frase è sempre Cristo, allora il senso del pronome è proprio quello del riflessivo. D'altra parte, può essere anche che l'autore abbia usato la forma Èv U\J1:<1> per esprimere contemporaneamente le due idee teologiche: la prima creazione e la nuova creazione sono avvenute "nel Cristo"; la nuova creazione, poi, ha come causa efficiente originante Cristo stesso. Comunque, cfr anche la proposta e l'interpretazione di Montagnini, Efesini, 183. 54 Cfr in questo senso anche Foerster, Knçw, 1327; Barth, Ephesians 1-3, 266. 55 Cfr BDR, 157,5, anche se purtroppo non registra tale costruzione con KTiçw, ma la registra per ltOlÉW che certamente è un equivalente (cfr Cignelli, "La grecità biblica", 207); Montagnini, Efesini, 181, trova la costruzione involuta e inconsueta.
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Crist056 , in cui tutti noi siamo riconciliati con Dio mediante la sua croce e formiamo un solo corpo (Ef 2,16), per avere in un solo spirito accesso al Padre (Ef 2,18). In lui, non sono annullate le differenze, ma valorizzate in vista della "nuova creazione" dell "'uomo nuovo"57. ITOtrov EipTlvllv: "facendo la pace": è un'aggiunta in linea con lo stile pleroforico sia dell' inno che della Lettera agli Efesini. Si tratta di un participio congiunto probabilmente58 di valore causale: "perché la pace sia stabile". In tal modo, il senso dell'espressione è alquanto idiomatico: "stabilire la pace" e più liberamente: "essere stabili nella pace". Tale stabilità della pace è continua e duratura, come sottolinea l'aspetto del presente59 . In conclusione, Cristo ha fatto in se stesso dei giudei e dei pagani un solo uomo nuovo, perché in lui la pace sia stabile (Ef 4,3; Col 3,15), anzi egli stesso è per sempre la loro pace (2,14a). Kuì (X1tOKU'taÀ.À.cXç1] 'tOùç àll
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Ef 5,25), e èv évì. crc.Ollc:xn, che assume nel testo una duplice dimensione: cristologica ed ecclesiologica. In base ad Ef 5, 15b, la nostra riconciliazione è avvenuta nel Cristo, nel quale siamo divenuti un solo uomo nuovo e per mezzo di lui un solo corpo, la Chiesa60 • In tal modo, teologia, cristologia ed ecclesiologia si coniugano perfettamente tra di loro, ma il centro portante di essi è proprio la Cristologia. Nel Cristo, la pace riacquista la sua dimensione orizzontale ecclesiologica: gli uomini divengono una cosa sola tra loro, un solo corpo, un solo uomo nuovo; nello stesso tempo, riacquista anche la sua dimensione verticale ecclesiologica: i credenti, costituiti in un solo corpo, sono riconciliati con Dio per mezzo di Cristo e vivono da figli di Dio in attesa della pienezza della loro intimità con il Padre61 • ,A1tOK'tet vc:xç 't1Ìv ex6pc:xv èv C:Xù't
60 61
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Dio. Tale parallelismo centrale deve essere inteso in senso progressivo in tutti i suoi elementi: a) "creare" e "riconciliare": la nuova creazione ha la sua pienezza nella riconciliazione con Dio; b) nella nuova creazione "i due" divengono "entrambi": si passa dalla divisione all'unità; c) tale unità forma "l'unico uomo nuovo" che diviene "un solo corpo": il senso cristologico genera quello ecc1esiologico; d) nella Chiesa, corpo di Cristo, regna la pace, perché non c'è più spazio per l'inimicizia tra i credenti nel Cristo Gesù. Kaì eÀ8rov EùllYYEÀtcra'tO: "ed essendo venuto annunciò": l'ultima parte dell 'inno (vv. 17-18) si apre con un participio congiunto di valore temporale di azione antecedente a quella della principale reggente: "dopo essere venuto", oppure di valore modale: "venendo, annunciò" e più liberamente: "venne e annunciò". La seconda possibilità sintattica mi sembra la migliore e la frase trova un ottimo parallelo di sfondo nella profezia di Zac 9,9-10: "Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme. Ecco, a te viene il tuo re ... annunzierà la pace alle genti", ma anche in quella di Is 57,19, che, in base al contesto, parla di preparare la via al Messia (Is 57,14), al quale Dio ha posto sulle labbra: "Pace, pace ai lontani e ai vicini" e di Na 2,1: "Ecco sui monti i passi di un messaggero, un araldo di pace"62. A causa di ciò, credo che il participio eÀ8rov indichi in generale la venuta del Messia (Zac 9,9), quale portatore del "vangelo di pace" (Is 52,7; Is 57,19; Zac 9,10) ai lontani e ai vicini (Is 57,19; Zac 9,10)63. EÙllYYEÀtcra'tO EtPrlVllV UJllV 'tolç JlaKpàv Kaì dprlVllV 'tolç eyyùç: "annunziò pace a voi lontani e pace ai vicini". Formalmente l' espressione è una fusione e rilettura messianica dei due testi del TritoIsaia e di quello di Zaccaria, ma con una differenza significativa: mentre nei tre testi si parla dell' annuncio di pace come un evento futuro che si deve realizzare alla venuta del Messia, in Ef 2,17 è presentato come un evento già compiuto, come dimostra l'aoristo complessivo: EùllYYEÀtcra'tO. In base ad esso, la pace non è stata solo annunciata, ma è ormai il contenuto centrale dell' evangelo predicato dai credenti, come afferma Ef 6,15: "avendo calzato i piedi con la prontezza per il Vangelo della pace", dove il genitivo è oggettivo: "il Vangelo che annuncia la pace", essendo una rilettura di Is 57,2, 62 Cfr anche Lincoln, Ephesians, 147, che parla di "creative combination" dei testi di Is 57,19 e 52,7, ma a mio avviso anche di altri testi veterotestamentari. 63 Con Penna, "«L'Evangile de la paix»", 188-189, anche se si sforza non solo di includere tutte le fasi della vita terrena di Gesù, ma soprattutto il suo sacrificio sulla Croce. Per le varie opinioni esegetiche cfr Ramaroson, "«Le Christ, n6tre Paix»", 380-381.
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di Zac 9,10; Na 2,1: "Quanto sono belli i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace". Tale "evangelo della pace" è per tutti i credenti, per i pagani ('tolç llaKpav) e per i giudei ('tOlç Eyyuç)64: è una ripresa immediata del contesto dell'inno, precisamente di Ef 2,13 e in parte di Ef 2,19, che mostra che l'antica profezia è divenuta una realtà per tutti i credenti in Cristo. "On Ot' a1:n:où exollEv 'tr,v npocrayO)yr,v oi à,1l<)'[EPOt EV Évì 1tVEUllan npòç 'tòv na'tÉpa: "poiché65 mediante lui abbiamo accesso entrambi in un unico spirito al Padre". Ef 2,18 è una motivazione dell'affermazione di 2,17 e per suo mezzo anche dei contenuti di tutto l'inno. Questi sono riletti in maniera originale attraverso l'idea dell "'accesso al Padre". La nostra (exollEv - oi à,1l()'[EPot) liberazione dalla legge "per opera di Cristo", l'essere riconciliati con Dio mediante il suo sangue e l'essere divenuti una nuova creazione "nel Cristo" sono una realtà che possediamo stabilmente (cfr il presente indicativo: exollEv) per mezzo del Cristo e che ci introduce nell'intimità con il Padre. In base ad Ef 1,5.14, ma anche ad Ef 2,19, l'espressione "avere accesso al Padre" fa riferimento alla nostra partecipazione al popolo santo di Dio e soprattutto alla nostra figliolanza, che ci fa partecipi della sua gloriosa eredità. Tale intimità la possediamo per opera di Cristo EV Évì 1tVe\)lla'tt. In base a tutti i riferimenti del testo all'unità: "ha fatto di entrambi una cosa sola" (2, 14b), "creare i due in un solo uomo nuovo" (2,15a), "riconciliare entrambi in un solo corpo" (2,16), è possibile che anche quest' espressione debba essere intesa in senso ecclesiologico: i credenti hanno accesso al Padre perché riuniti in un solo spirito dal sacrificio mediatore del Crist066 . Essi, in quanto "corpo di Cristo", hanno "in lui" accesso al Padre (cfr Ef 3,12). Comunque, in base .ad Ef 1,14, non è da escludere un senso pneumatologico: essendo lo Spirito "la caLe due espressioni 'tolç WXKpav e 'tOtç fyyUç sono ellittiche e presuppongono l'integrazione del participio presente oumv, che sintatticamente è un participio attributivo di UlllV. 65 Montagnini, Efesini, 186, ritiene l'on di 2,18 come asseverativo e su questo argomento abbastanza debole (la punteggiatura del testo è molto tardiva e per lo più mostra l'interpretazione dell'editore che la adotta) esclude il v. 18 dall'inno. Infatti, se il v. 17 stabilisce un 'inclusione con 2,14a attraverso il tenni ne EiPTlVll, il v. 18 b stabilisce un 'inclusione con 2,14b, come dimostrano le due espressioni: 'tà eXllcjlo·tI:pa EV di 2, 14b e 01 eXllcjlO'tEPOt Èv Év( di 2,18b. 66 Cfr le argomentazioni di Penna, Efesini, 145-147; mentre Schlier, Efesini, 214215, è per un senso pneumatologico e trinitario del testo; anche Ramaroson, "«Le Christ, notre Paix»", 381, si pronuncia per il senso trinitario di Ef 2,18. A me sembra che non si debba sforzare il testo, ma neppure diminuirne la portata teologica. Pertanto, mi sembra che sia giusto mettere in primo piano l'elemento ecclesiologico e come elemento integrante quello pneumatologico. 64
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parra" della nostra figliolanza e della nostra partecipazione al "p 0polo santo di Dio". In tal modo, l'ecclesiologia si coniuga non solo con la cristologia e con la teologia, ma anche con la pneumatologia. D'altra parte, "l'esSere un solo spirito" dei credenti può avere luogo solo nell'unico Spirito (cfr Ef 4,4) che nella sua azione teleologica ci conduce verso il Padre e ci fa realizzare il suo disegno salvifico (Ef 1,3-14) nella pace (Gal 5,22)67. Analisi tema tic a
1) Lo sfondo del concetto di pace
Per comprendere meglio il pensiero di Paolo in Ef 2,14-18, è necessario determinare in primo luogo lo sfondo letterario in cui si colloca il "Vangelo della pace" che Paolo annunzia a tutti i credenti in Crist068 • L'espressione formale "Vangelo della pace", anche se sembra motivata da Is 52,7, è paolina e la si trova in Ef 6,15 e quindi ha uno sfondo letterario a cui Paolo fa riferimento. Oggi c'è una certa unanimità nell'attribuire ad essa uno sfondo biblico, ma nel passato la si è voluta leggere alla luce del pensiero ellenistico grecoromano del I sec. a. C. - I sec. d. C. o dei sistemi gnostico-giudaici o apocalittico-giudaici, poco posteriori alla Lettera agli Efesini, basta dare in tal senso uno sguardo al commentario esegetico-teologico di Schlier o di Gnilka. Tutto ciò, mi sembra che ci imponga un'attenta valutazione del termine "pace" all'interno di questi sistemi di lettura dei testi biblici e un confronto di essi con il pensiero di Paolo. a) La pace nel mondo ellenistico greco-romano Si sa che il Pantheon greco-romano possedeva una divinità chiamata "Pace" o "Eirene", figlia di Zeus e di Themis. Essa veniva raffigurata insieme con il piccolo Plutos, la cornucopia e le spighe di gran069 • Veniva invocata come "colei che distribuisce la ricchezza", "la nutrice delle città", "colei che rende felice". Ad essa Augusto alla fine del I sec. d. C. innalzò a Roma un meraviglioso altare: l'ara pacis 70 e in quell'occasione i poeti latini ne cantarono le 10dFI. Così, 67
Barth, Ephesians /-3, 268; Lincoln, Ephesians, 149-150; Montagnini, Efesini, 186-187. 68 Cfr Foerster - von Rad, eipTtvT1, 191-244; Rader, The Church and Racial Hostility, Tiibingen 1978; Beck, PaceleipTtvT1, 1129-1133; Liberti (a cura), La Pace secondo la Bibbia, L'Aquila 1993; Alganza Rodan, "Eiréne", 123-152. 69 Cfr Toutain, "Pax", 362-363; Foerster, eipTtvT1, 193; Spicq, eipTtVT1, 215-217. 70 Stando alla testimonianza di Pausania, 1,8,2, anche nel mercato di Atene c'era una statua della dea EipTtvT1: "Dopo le statue degli 'eponimoi' [eroi delle IO tribù di Clistene], ci sono i simulacri (ayaì.,wx'ta) degli dei Anfiarao [indovino e re di Argo]
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Ovidio: "Ipsum nos carmen deduxit Pacis ad aram, / haec erit a mensis fine secunda dies. / Frondibus Actiacis comptos redimita capillos / Pax ades et toto mitis in orbe mane! / Dum desint hostes, desit quoque causa triumphi: / tu ducibus bello gloria maior eris"72; Tibullo: "Interea Pax arva colat. Pax candida primum / duxit araturos sub iuga curva boves, / Pax aluit vites et sercos condidit" uvae, / funderet ut nato testa paterna merum, / Pace bidens vomerque nitet: at tristia duri / militis in tenebris occupat arma situs/ ... At nobis, Pax alma, veni spicamque teneto l perfluat et pomis candidus ante sin u m "73. A prima vista, tutto ciò potrebbe sembrare un buon parallelo al nostro testo, ma non è così. La Eirene, di cui si parla in questi testi, non è una persona che stabilisce la pace, ma l'esaltazione o personificazione di una condizione o di uno stato di pace74, un'esaltazione della Pax Romana imposta con la guerra e spesso anche con il sorpruso. Non è una pace che viene dall'alto né da un rapporto personale 7S, ma esprime soltanto lo stato di non-belligeranza e la conseguente condizione di felicità e di benessere 76 . Tale prospettiva, è chiaro, è insufficiente per spiegare il nostro testo, in cui la pace non nasce dalle potenzialità dell'uomo, ma procede da Cristo e viene instaurata attraverso un profondo rapporto religioso di fede in lui. b) La pace nel pensiero gnostico Tale idea viene messa meglio in evidenza da un'altra corrente interpretativa del nostro brano: quella gnostica77 o gnostico-giudaica78 . e Eirene che porta il piccolo Pluto"; tale statua, secondo Pausania, IX,16,2, era opera di Cefisodoto. 71 Più tardi, prima Vespasiano e dopo Domiziano gli consacrarono un tempio nel Foro, da essi costruito e che chiamarono "Foro della Pace" ~cfr Richardson, "Pax, Templum", 286-287; "Pax Augusta, Ara", 287-289; ; Staccioli, Roma Antica, 123126; Grimal, Enciclopedia dei miti, 468; Munoz, "La Pax Romana", 201-204). 72 Ovidio, Fasti, I, 709-714 (il discorso sulla pace continua fino al v. 720). 73 Albio Tibullo, Elegia l, 10,45-50.69-70. 74 Cfr Virgilio, Egloga IV, 15-17: "I11e deum vitam accipiet divisque videbit I permixtos heroas et ipse videbitur illis, I pacatumque reget patriis virtutibus orbem"; inoltre, Spicq, EÌp~VT], 216-217; Munoz, "La Pax Romana", 204-228. 75 Basta confrontare in tal senso Virgilio: "Tu regere imperio populos, Romane, memento I haec ti bi erunt artes - pacisque imponere morem, parcere subjectos et debellare superbos" (Eneide, VI, 851-853). Si tratta di una "pace imposta", tanto che Epitteto invita il suo interlocutore ad andare in piazza e a gridare: "O Cesare, i n questa pace che tu hai stabilito, quanto io debbo soffrire; agiamo per procura" (Epitteto, Diss. 111,22,54-55). 76 Cfr Beck, Eip~vT], 1129. 77 In tal senso si può confrontare la posizione di Conzelmann, Schweizer e altri. Essi, in verità, non sostengono un influsso diretto dello gnosticismo, ma, non ritenendo autentica la Lettera agli Efesini, pensano che essa vada collocata verso la fine del primo secolo e quindi risente della problematica gnostica a motivo della lotta
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Essa, facendo leva su alcuni elementi problematici del testo, tende a risolverli invocando uno sfondo letterario gnostico-giudaico. Così, il neutro 'tà <X1l
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"un solo uomo nuovo" riconciliato con il cosmo e con Dio. Senza voler togliere validità a tale ricerca, mi sembra che gli elementi, che l'inno offre per un'interpretazione "gnostico-giudaica", siano pochi e anche molto discutibili. Comunque, essa ha messo in evidenza che lo sfondo letterario-teologico di Ef 2,14-18 è da ricercare nell'ambiente "giudaico, più precisamente in quello "giudeocristiano". Ciò non significa necessariamente che bisogna far ricorso ad un "giudeo-cristianesimo" influenzato da uno "gnosticismo emergente". D'altra parte, la composizione della Lettera agli Efesini, sia che la si ritiene autentica o non autentica, credo che la si possa porre tra il 63-80 84 e l'inno, essendo una citazione, vada posto prima di questa datazione. Se ciò è vero, mi sembra difficile poter dimostrare influssi gnostico-giudaici o giudeo-cristiano gnosticizzanti, a causa della carenza di documentazione relativa a questo periodo. In ogni caso, come avviene per altri inni paolini, a me sembra che lo sfondo letterario sia quello giudaico veterotestamentario, riletto alla luce dell'evento di Cristo. c) La pace nell'Antico Testamento Più precisamente, lo sfondo più adeguato mi sembra quello veterotestamentario dello shalom 85 Il termine ha un'ampiezza semantica molto più ampia di quella del termine greco EtPllVll e di quello latino "pax", tanto da poter indicare sia il benessere personale che quello collettivo, il rapporto sociale tra due persone o tra due popoli che viene stabilito attraverso un accordo o un'alleanza. Ma la differenza più importante sta nel fatto che lo shalom non è in primo luogo una condizione o uno stato di benessere, ma la disposizione essenziale di persone che stabiliscono tra loro un rapporto vicendevole di fiducia, di collaborazione, di progresso e di benessere. Così, non fa meraviglia che la pace si manifesta sia come un rapporto sociale tra persone o popoli sia come un rapporto religioso tra Dio e il suo popolo. Anzi, sotto l'aspetto religioso, il concetto di pace assume un' altro Su questa problematica cfr Buscemi, Paolo, 12-14 e 250-252. Per un quadro sintetico delle varie opinioni cfr Rader, The Church and Racial Hoslility, 186-196, che prende anche in considerazione le interpretazioni veterotestamentarie di Qumran. L'autore, inoltre, offre un'interesante panoramica sugli studi di Ef2,11-22 in chiave sociologica (pp 201-212), che mettono in chiaro la rilevanza del nostro inno, non solo per l'unità spirituale dei cristiani, ma anche per la loro dimensione sociale nel mondo. Inoltre, cfr la sintesi teologica di Gonzalez Lamadrid, Ipse est pax nostra, 57-131; Ravasi, "Shalom e Eirene, i due vocabol i della pace", 93-96; Cano, "Paz en cl Antiguo Testamento", 29-61; Pcrez, "Shalom", 63-122. 84
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senso: la pace è un dono che viene da Dio. E' lui, infatti, che facendo alleanza con il suo popolo lo stabilisce nella pace. Così, si può leggere in Ez 37,26; 34,25: "lo concluderò con essi un'alleanza di pace e sarà un'alleanza eterna. Li stabilirò e li moltiplicherò e porrò il mio santuario in mezzo a loro per sempre". Tale pace non è affatto assenza di guerra, ma il trionfo del rapporto personale che si instaura tra Dio e il suo popolo: "lo sarò il loro Dio ed essi il mio popolo", il trionfo dell'amore di Dio verso i suoi figli: "Anche se i montisi spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio amore, né vacillerebbe la mia alleanza di pace" (ls 54,10). Se ciò è vero, bisogna dire che la pace nell'AT è un concetto essenzialmente religioso che ha riflessi nella vita sociale del popolo di Dio, che da lui viene stabilito nello shalom, nella prosperità e nel benessere. Lo dimostra la bellissima espressione di Gdc 6,24: "Allora Gedeone costruì in quel luogo un altare al Signore e lo chiamò Signore-Pace". L'espressione, in base a tutto ciò che abbiamo detto, significa che Dio è la pace del suo popolo, il garante di pace da cui proviene sicurezza, giustizia, benessere, prosperità e ogni altro bene. Egli infatti, dice il Sal 85, "annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli ... La sua salvezza è vicina a chi lo teme e la sua gloria abiterà la nostra terra; misericordia e verità si i1.lcontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo. Quando il Signore elargirà il suo bene, la nostra terra darà il suo frutto. Davanti a lui camminerà la giustizia e sulla via dei suoi passi la salvezza (= lo shalom)" (SI 85,9-14). Per questo, Dio è pace e ha "disegni di pace e non di sventura, per concedervi (= al suo popolo) un futuro pieno di speranza" (Ger 29,11; SI 35,27). In tal modo, la pace non è solo un dono di Dio, ma il dono escatologico per eccellenza in cui viene riassunto tutto il progetto di salvezza di Dio per il suo popolo. Tale dimensione escatologica della pace è essenziale, tanto che il Messia che deve portare lo shalom di Dio riceve il titolo di "Principe della pace" (ls 9,5) ed "egli sarà pace" (Mi 5,4)86. Egli, infatti, è "colui che annunzierà la pace alle genti" (Zac 9,9-10), "l'araldo della pace" (Na 2,1) sulle cui labbra Dio ha posto il "lieto annunzio" (Is 52,7; Is 57,19; Zac 9,10): "«Pace, pace ai lontani e ai vicini" (Is 57,19). In tal modo, il termine "pace" non acquista solo una 86 Sull'interpretazione di questo versetto cfr Cathcart, "Notes on Micah 5,4-5", 511-514, dove traduce: "And He will be the One of Peace"; Idem, "Micah 5,4-5 and Semitic Incantantions", 38-48, cambiando parere, traduce: "And this will be protection from the Assyrian"; Vuilleumier - Keller, Michée, 63; Hillers, Micah, 64-67; Achtemeier, Minor Prophets I , 342-343.
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dimensione futura, ma anche una dimensione salvi fico-universale: tutti i popoli riceveranno l'annunzio della pace e saranno investiti dall'azione salvi fica del Messia (Is Il,1-9) che li radunerà e li renderà partecipi del banchetto escatologico che Dio ha preparato sul suo santo monte: "Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti. Eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto; la condizione disonorevole del suo popolo farà scomparire da tutto il paese, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse; questi è il Signore in cui abbiamo sperato, rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza" (Is 25,6-10). Anzi, non solo sul Messia si poserà lo Spirito del Signore (Is Il,2), ma anche su tutti coloro che hanno creduto e sperato nel Signore: "Infine, in noi sarà infuso uno spirito dall'alto; allora il deserto diventerà un giardino e il giardino sarà considerato una selva. Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino. Effetto della giustizia sarà la pace, frutto del diritto una perenne sicurezza. Il mio popolo abiterà in una dimora di pace" (Is 32,15-18), in cui "il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la panterà si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà" (ls Il,6-8). Tali espressioni non vogliono presentare una visione poetica e utopica della realtà futura, ma una realtà salvi fica che Dio stabilisce per l'uomo, se questi si lascia investire dal suo progetto di pace. La visione profetica, pertanto, mette ancor meglio in luce il concetto di "pace": essa non deriva dall'uomo, ma è un dono di Dio; essa è una condizione, uno stato di benessere, che scaturisce dal rapporto d'amore tra Dio e il suo popolo; essa si concretizza come giustizia che salva e come salvezza che investe tutto l'uomo, donandogli sicurezza e benessere, giustizia e concordia con i fratelli. Tale pace deriva dallo Spirito di Dio (Is 32,15), che opera nel cuore dell 'uomo e vi instaura la pace, quale effetto diretto dell'intimità di amore con Dio. 2) Il "Vangelo paolina della pace"
Se tale ricostruzione biblico-teologica del concetto di pace nell'AT risulta vera, allora mi sembra che il testo di Ef 2,18: "mediante lui abbiamo accesso entrambi in un unico Spirito al Padre" assuma uno spessore teologico molto rilevante e risulta una rilettura molto pregnante del messaggio veterotestamentario sulla "pace". Infàtti,
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in esso troviamo gli elementi essenziali. La pace viene da Dio come dono di salvezza integrale dell'uomo: egli è "il Dio della pace" (Rom 15,33; 16,20; 2Cor 13,11; Fil 4,9; lTess 5,23; 2Tess 3,16); il Messia, l'inviato di Dio per proclamare il lieto annunzio della pace, non solo proclama la pace a tutti gli uomini, ma egli stesso è "p a c e " e fondamento universale della pace: "Cristo è la nostra pace" (Ef 2,14); tale pace Cristo ce la comunica attraverso lo Spirito, che produce in noi il frutto della pace, quale espressione dell'amore a Dio e ai fratelli: "il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace" (Gal 5,22). In tal modo, il concetto di pace nell'epistolario paolino assume un carattere marcatamente trinitario e conserva la connotazione di relazioni interpersonali d'amore tra Dio e l'uomo, tra Cristo e l'uomo, tra lo Spirito e l'uomo, tra uomo e uomo. a) "Il Dio della pace" La dimensione teologica del concetto di pace risulta evidente da una formulazione originale di Paolo: "il Dio della pace", che grammaticalmente può avere una doppia interpretazione a seconda come si intende il genitivo "della pace". Se lo si prende con senso oggettivo, allora l'espressione assume il senso: Dio è colui che promuove la pace, che dà la pace, che garantisce la pace; se invece il genitivo va preso in senso epesegetico, la frase assume un senso molto più forte e si avvicina all'affermazione di Gedeone in Gdc 6,24: "Dio è pace". Entrambi i sensi sono possibili, non solo grammaticalmente, ma anche concettualmente. Infatti, il secondo è la base portante del primo: nulla si può dare e garantire, se non lo si possiede in pienezza. Dio è pace e per questo da lui scaturisce come da sorgente pura e ricca la pace per l'uomo. Dio è pace e la promuove con amore a favore dei suoi figli. Dio è pace e in quanto tale garante assoluto e fedele della nostra pace, che è salvezza e benessere integrale a cui ciascuno di noi aspira nella fede e nella speranza. Raggiungiamo, in tal modo, un'altra certezza di fede di Paolo espressa in 1Cor 14,33: "Dio non è un Dio di disordine, ma di pace". In questo testo, il termine "disordine" non ha solo il senso etico di una disarmonia che turba il buon ordinamento della comunità cristiana nell' espletamento delle "agapi" (lCor 12-14), ma quello teologico-religioso ben più profondo: Dio non può essere sorgente di un disordine che compromette l'amore fraterno all' interno delle comunità, perché egli è il "Dio dell'amore e della pace" (2Cor 13,11). Proprio per questo Dio è "colui che chiama alla pace" (1 Cor 7,15; Col 3,15b). L'affermazione paolina è di una ricchezza unica, in quanto coniuga il tema della pace con quello della vocazione
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cristiana alla santìtà. Ciò significa, in primo luogo, che non vi può essere santità che non partecipi alla vita stessa del Dio della pace, al mistero insondabile del "Dio dell'amore e della pace". Per questo, per Paolo, la pace può divenire una realtà nel cristiano solo quando Dio, per mezzo di Cristo, lo riconcilia con sé (2Cor 5,18-20). E la riconciliazione non è solo remissione dei peccati (Rom 5,8-10; Ef 1,7), ma soprattutto giustificazione (Rom 5,1-11; 1Cor 1,30), santificazione (lCor 1,30; 2Cor 5,17-20), adozione a figli (Rom 8,15-16; Gal 4,5; Ef 1,5), partecipazione al popolo santo di Dio (Ef 1,14), essere concittadini dei santi e familiari con Dio (Ef 2,19). La pace viene da Dio ed è intimità con Dio. Per questo Paolo augura ai cristiani che "il Dio della pace sia con voi" (Rom 15,33; 2Cor 13,11; Fil 4,9), perché da questa comunione intima con Dio sorge la garanzia assoluta che "il Dio della pace" schiaccerà potentemente Satana (Rom 16,20), santificherà il cristiano totalmente (lTess 5,23) e lo ricolmerà della pace in ogni tempo e in tutte le forme (2Tess 3,16). Dio, infatti, è la sorgente della pace e la pace è dono d'amore di Dio per tutti coloro che credono in lui e sperano in lui. In tal senso va la formula protocollaria dell'inizio di tutte le lettere paoline: "grazia e pace da parte di Dio e del Signore nostro Gesù Cristo". Per quanto stereotipata possa essere, tale formula di saluto contiene tre elementi essenziali che contraddistinguono la pace cristiana da ogni altro tipo di pace: essa è "grazia", cioè un dono gratuito d'amore di Dio all 'uomo in vista della realizzazione della sua volontà salvi fica (Gal 1,3-4); essa è un dono che proviene da Dio che comunica alla sua creatura la sua "grazia", che è amore che salva, giustifica e santifica; essa, infine, è un dono che ci è comunicato per mezzo di Cristo che ci giustifica dandoci accesso al Padre (Rom 5,1; Ef 2,18), riconciliandoci con lui (Rom 5,10) e con i fratelli (Ef 2,16) e immettendoci come un solo uomo nuovo nella vita stessa di Dio (Ef 2,16), in cui è la nostra pace87 • b) "Cristo, nostra pace" L'inserimento cristologico: "e del Signore nostro Gesù Cristo", nella formula "grazia e pace da parte di Dio", suggerisce qualcosa di più che la semplice mediazione di Cristo nel dono che Dio ci fa
Gonzalez Lamadrid, Ipse est pax /lostra, 67-69, facendo riferimento ad alcuni testi dell'AT e di Qumran, in cui si ritrova la terminologia dell'''avvicinarsi a Dio", sostiene anche un senso cultuale dell'idea teologica del nostro "accesso al Padre", Tale proposta, pur non essendo in primo piano nel nostro testo, non credo che sia totalmente da escludere, dato che per Ef 2,21-22 i cristiani debbono crescere i n "tempio santo di Dio", in "dimora di Dio nello Spirito", 87
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della sua pace. Infatti, il testo afferma chiaramente che tale "d o n o della pace" proviene da Dio e da Cristo, entrambi visti come sorgente da cui promana tale dono, tanto che Paolo può caratterizzarla indistintamente come "la pace di Dio" (Fil 4,7) o come "la pace di Cristo" (Col 3,15). Inoltre, tutto il testo di Ef 2,14-18 attribuisce a Cristo tutta una serie di azioni che stabiliscono la pace per il credente e tra i credenti. Così, Cristo abbatte il muro di divisione che determinava l'inimicizia tra giudei e pagani (2,14), annulla la legge dei precetti (2,15), riunisce giudei e pagani in una sola realtà (2,14.5.16) e li crea in se stesso come un solo uomo nuovo (2,15), li riconcilia in un solo corpo con il Padre uccidendo in se stesso l'inimicizia (2,16) e venendo nel mondo annuncia la pace ai vicini e ai lontani (2,17), tanto che per mezzo di lui ritroviamo l'accesso al Padre (2,18). Ciò è importante sottolinearlo, in quanto porta a compimento tutto ciò che l'AT dice sul Messia, il quale è "Principe della pace" (ls 9,5) e, anche se con qualche incertezza letteraria, "è la pace" (Mi 5,4). In tal modo l'affermazione paolina di Ef 2,14 non appare né isolata né senza un fondamento sicuro nella tradizione biblica. Essa è una rilettura cristologica di Paolo di carattere tipologico: ciò che viene detto nell' AT del Messia non solo si adempie nel Cristo, ma raggiunge chiarezza, perfezione, tanto da caratterizzare la nuova economia della salvezza come "alleanza di pace nel Cristo". In lui, la pace di Dio viene a noi e si manifesta come relazione personale di riconciliazione nell'amore. Cristo è la nostra pace. Tale solenne affermazione non è isolata nel testo, ma viene tematizzata e spiegata. Così, in Ef 2,17 troviamo un'altra potente affermazione, che sviluppa il tema di "Cristo, nostra pace": "Egli venne ed annunciò la pace ai vicini e ai lontani". Sullo sfondo dell' adempimento della profezia di Is 57,19, l'espressione paolina coniuga il "venire", che fa riferimento all'incarnazione, e "il lieto annuncio della pace", che fa riferimento a tutta l'opera salvifica di Cristo a nostro favore. Così, tutto il mistero personale di Cristo, dall'incarnazione alla predicazione e alla sua morte sacrificale per noi, è orientato all'annuncio della pace e allo stabilimento in noi e fra noi "della pace di Dio", che è amore salvifico per tutti gli uomini. Nel Cristo la pace non è solo condizione socio-religiosa di tranquillità o di benessere, ma è soprattutto un rapporto interpersonale di amore, che elimina ogni inimicizia, ci immette nel Cristo, l'uomo nuovo, che ci apre alla riconciliazione con il Padre, raggiungendo così il vertice più alto della nostra pace. Proprio perché solo inseriti nel Cristo, nel suo mistero personale di totale disponibilità per tutti gli uomini, noi possiamo avere pace tra noi e con Dio, egli è la nostra pace, colui
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che non solo ha eliminato ogni inimicizia tra "i lontani" (i pagani) e "i vicini" (i giudei), ma li ha resi entrambi un solo uomo nuovo (2,15), ha dato loro accesso al Padre (2,18) rendendoli concittadini dei santi e familiari di Dio (2,19). Ma l'evento, che più di ogni altro ci fa comprendere in profondità l'affermazione paolina: "Cristo è la nostra pace", è certamente la sua oblazione personale (2,14: "nella sua carne") sulla croce (2,16). Per mezzo di essa, Cristo ha eliminato il muro di divisione (2,14b), la legge dei precetti (2,15), sorgente di inimicizia tra i popoli (l,14c), facendo di essi una sola realtà (1,14a), un solo corpo (2,16), un solo uomo nuovo (2,15). In altre parole, attraverso il suo sacrificio personale (2,14) Cristo è divenuto il principio costitutivo e fondante dell'unità della Chiesa, suo unico corpo (2,16), in cui ogni popolo, giudaico o pagano, è stabilito nella pace. Ma nel Cristo, inseriti in lui, gli uomini non solo trovano la pace reciproca, ma soprattutto sono riconciliati con Dio (2,16) ritrovando l'intimità con lui (2,18), l' adozione filiale (1,5; Gal 4,5) e la partecipazione alla redenzione dell'acquisizione (1,14) per essere e rimanere popolo santo di Dio (2,19), stabilito permanentemente nella pace (2,15c) che proviene dall'amore del Padre e di Cristo. Tre sono, dunque, i motivi per cui essenzialmente la comunità innalza il suo canto di lode a "Cristo, nostra pace": l'abolizione della legge, la riconciliazione con Dio, la costituzione dell 'uomo nuovo. Certamente l'affermazione "Cristo ha abolito la legge" è molto ardita, dato che "la legge dei precetti" è la legge mosaica, la legge che Dio stesso ha dato a Mosè come espressione della sua volontà e come dono per la vita (Lev 18,5; cfr anche Gal 3,12). Ma non è una novità nell'epistolario paolino, basta pensare a Rom 10,4: "Cristo è la fine della legge" o Gal 2,19: "Per mezzo della legge sono morto alla legge per vivere per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo". Ed è proprio la morte di Cristo che ci offre la chiave di soluzione del problema. Sulla croce Cristo ha assunto su di sé tutta la maledizione che la legge comminava contro di noi: "Maledetto chiunque non osserva tutti i precetti della legge" (Gal 3,10) ed è divenuto per noi maledizione: "Maledetto colui che pende dal legno" (Gal 3,13). In questa oblazione totale, Cristo ha compiuto una volta per tutte l' obbedienza al Padre, centro portante di tutta la legge ed espressione dell'amore incondizionato al Padre. Egli non ha abolito la legge profonda dell'amore che si abbandona nella fede alle esigenze della volontà del Padre. Cristo ha abolito "la legge dei precetti", quella legge esteriore che si nutre di casistica e di formalità esteriore, ma non sa penetrare nella volontà del Padre e non sa rispondere con
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amore all'amore. Cristo ci ha liberato da questa maledizione e ci ha reinseriti nella pace, che è comunione d'amore con Dio, obbedienza totale e radicale da figli, gioia di vivere in unità con il Padre e con i fratelli. Per Paolo non c'è pace senza "riconciliazione con Dio", basta cfr Rom 5,1-11, dove il tema della pace è coniugato con quello della giustificazione e della riconciliazione. Rispetto a tale testo, però, Ef 2,16 rappresenta un approfondimento molto interessante che si articola in due momenti essenziali: l°) l'autore della nostra riconciliazione è Cristo, nel quale non solo siamo divenuti "un solo uomo nuovo", ma anche siamo stati riconciliati con Dio, avendo egli eliminato attraverso la sua mediazione onerosa e amorosa l'inimicizia che ci divideva tra noi e ci allontanava dall'intimità con il Padre; 2°) la riconciliazione, pertanto, non è un fatto individuale tra me e Dio, ma è un fatto ecclesiale: la riconciliazione non avviene tra me e Dio, ma tra tutti i credenti, che nel Cristo sono divenuti un solo uomo nuovo, e Dio; in altre parole, non vi può essere riconciliazione con Dio, se prima non si è eliminata la divisione e l'inimicizia tra noi. In tal modo, teologia, cristologia ed ecclesiologia si coniugano perfettamente tra di loro, ma il centro portante di essi è proprio la cristologia. Nel Cristo, la pace riacquista la sua dimensione o:t:izzontale ecclesiologica: gli uomini divengono una cosa sola tra loro, un solo corpo, un solo uomo nuovo; nello stesso tempo, riacquista la sua dimensione verticale: i credenti, costituiti in un solo corpo, sono riconciliati con Dio per opera di Cristo e vivono da figli di Dio in attesa della pienezza della loro intimità con il Padre. Raggiungiamo così il vertice cristologico più alto dell'inno: la costituzione dell'uomo nuovo. Il tema percorre tutto l'inno: la pace di cui parla Paolo è proprio l'unificazione di pagani e giudei nel Cristo e per mezzo del Cristo in vista di formare un solo corpo ed entrambi essere inseriti nell'uomo nuovo. Ma al di là di questa problematica contingente di natura inerreligiosa, credo che l'inno sottolinea una dimensione fondamentale della vita cristiana: quella ecclesiale del nostro essere uno nel Cristo Gesù. Così, in Ef 2,14 Cristo è nostra pace perché è "colui che ha fatto di ambedue una cosa sola". Egli, infatti, ha determinato all'inizio della storia della Chiesa il crollo delle antiche istituzioni umane: giudaismo e paganesimo, facendo cadere il muro della divisione e dell'inimicizia: la legge dei precetti, e stabilendo nella fede una realtà nuova attraverso il suo sacrificio sulla Croce. Una "nuova creazione" si è determinata per coloro che credono: "Chi è in Cristo, questi è una nuova creatura" (2Cor 5,17). Nasce "l'uomo nuovo" (Ef 2,15): "non conta più né la circonci-
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sione né l'incirconcisione, ma solo la nuova creazione" (Gal 6,15), che si instaura attraverso "una fede agente per mezzo dell'amore" (Gal 5,6). Anzi, "non c'è più né giudeo né greco, ma tutti siete uno nel Cristo Gesù" e questo "uno" è "l'unico uomo Cristo Gesù" (Rom 5,15-17), il nuovo Adamo escatologic088 , nel quale per noi ha sovrabbondato il dono della grazia di Dio (Rom 5,15). Il cristiano, liberato dalla legge, è totalmente rinnovato nel battesimo, si è rivestito di Cristo e vive in lui un'esistenza nuova, riconciliata con Dio e stabilita nella pace che è amore a Dio e ai fratelli. Non vi sono più "lontani" e "vicini" (Ef 2,17), ma tutti portiamo impressa in noi l'immagine di Cristo nostra pace, che ci guida all'unità del pensare, del sentire e dell'operare nella forza dell'unico Spirito che ci rende fecondi di amore per l'utilità e l'edificazione dell'unico "corpo di Cristo" (Ef 2,16.18). c) La pace, "frutto dello Spirito" In base a ciò, il concetto cristiano di pace assume anche una dimensione pneumatologica. Essa viene dall'alto: da Dio, è entrata nella nostra storia per opera di Cristo, agisce in noi per mezzo dello Spirito: essa è frutto dello Spirito (Gal 5,22)89. In tal senso, la pace è una forza dinamica che rende stabile il nostro rapporto di amore con Cristo e con il Padre. Lo Spirito è sempre in opera: grida nel nostro cuore ricordandoci che siamo figli di Dio, fratelli di Cristo (Gal 4,67), ci spinge ad essere operatori di pace (Mt 5,9), produce in noi il frutto dell'amore (Gal 5,22) che rende stabile la pace in noi (Ef 2,15c) e tra noi per edificare la Chiesa, corpo di Cristo. Nello Spirito l'affermazione paolina: "Cristo è la nostra pace" raggiunge il massimo della sua forza salvi fica e diviene operante in noi: "Il desiderio dello Spirito, infatti, è vita e pace" (Rom 8,6). Il cristiano, che si lascia guidare dallo Spirito, non solo non è più sotto la legge (Gal 5,18), ma Cristo vive in lui ed egli nel Cristo che lo ha amato e ha dato se stesso per lui (Gal 2,20; Ef 5,2). Così lo Spirito, facendoci vivere nel Cristo, ci dà la forza di vincere tutte le sollecitazioni del nostro egoismo che ci porta alla divisione e all' inimicizia (Gal 5, 1621), ci fa agire da figli di Dio per essere sempre nella pace e comunicare la pace, ci perfeziona continuamente (Gal 3,3) per avere acSull'Adamo escatologico, come principio unificatore della nuova umanità, cfr le interessanti osservazioni di Gonzalez Lamadrid, Ipse est pax lIostra, 96-98, basate su testi della tradizione rabbinica (M. Sallh 4,5; T.b Sallh 38-a-b; Pirke R. Eliezer, XI,76-77) e patristica (Agostino, 111 Johallllis Evallgelill/1/, IX,14). 89 Per tale affermazione paolina e il suo contesto, oltre ai commentari, cfr Buscemi, Leltera ai Galati /1/ , 28-60. 88
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cesso al Padre (Ef 2,18) ed essere partecipi della sua eredità tra i santi (Ef 2,19; Gal 4,7; Col 1,12). Così, lo Spirito è la nostra forza interiore, il coraggio divino, che ci spinge a vivere nella pace con Dio e con i fratelli, a costruire la pace per l'edificazione della Chiesa di Cristo e a beneficio di tutti gli uomini che Dio ha amato e per i quali Cristo ha dato se stesso sulla Croce.
CONCLUSIONE Volendo riassumere i dati essenziali di questa mia ricerca sugli inni, credo che si possano ricapitolare sotto due aspetti diversi: uno storicoambientale e l'altro teologico. Sotto il punto di vista storico, ho cercato soprattutto di indagare sulle origini degli inni paolini esulI' etichetta di "prepaolini" spesso attribuita ad essi. Gli inni paolini sorgono in un periodo molto antico della Chiesa primitiva, tra il 30-50 d. C., un periodo poco documetato dalla letteratura cristiana e quindi scarso di elementi di confronto con i nostri inni. Essi sono sorti certamente all'interno delle comunità delle origini e in vista dell' animazione liturgica di tali comunità. Più difficile è precisare se essi siano stati prodotti dalla comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme o dalle comunità giudeo-ellenistiche della diaspora cristiana. Da un 'analisi attenta del comportamento ecclesiale e liturgico delle comunità di Gerusalemme e dintorni, essenzialmente legate alla liturgia e alla salmodia del tempio, e soprattutto degli schemi teologici soggiacenti agli inni, mi sembra che l'ipotesi più probabile sia quella di attribuirli alle comunità giudeo-ellenistiche. Erano esse che avevano bisogno di una "liturgia nuova" e che rileggevano la persona del Cristo alla luce della "sapienza creatrice e preesistente" o del "Kyrios esaltato". Elementi questi che potevano far presa sull'animo fortemente ellenizzato dei membri delle comunità di Antiochia e di quelle delle missioni paoline. Se ciò è vero, mi sembra quasi impossibile parlare di "prepaolinismo", in quanto Paolo ha operato all'interno della comunità mista di Antiochia e ha plasmato con la sua predicazione le comunità da lui fondate. AI limite, se non si vuoi attribuire direttamente a Paolo il merito di tali composizioni, si deve parlare di "paolinismo" degli inni delle lettere paoline, in quanto il pensiero di Paolo ha influito su tali composizioni ecclesiali. In ogni caso, Paolo si è servito di tali inni e li ha inseriti come parte integrante della sua catechesi o della sua parenesl. In quanto al contenuto teologico, bisogna distinguere negli inni di Paolo lo schema teologico generale e l'accentuazione cristologica. Infatti, la teologia non esclude affatto la cristologia, ma la prima include in sé, come momento essenziale e centrale, la cristologia. Anzi, per comprendere bene la cristologia paolina, bisogna prima studiare lo schema teologico in cui essa è inserita.
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Conclusione
a) Lo schema teologico generale Se si escludono i due frammenti di Ef 5,14 e di l Tim 3,16, tratti probabilmente da inni cristologici più ampi, gli altri inni (Fil 2,6-11; Col 1,15-20; Ef 1,3-14; 2,14-18) mostrano una struttura teologica molto consistente, che può essere definita come "sintesi della storia della salvezza" o, per usare un termine caro a Paolo, come "economia del mistero" (Ef 3,9), nascosto agli uomini lungo i secoli, ma ora svelato da Dio ai suoi santi apostoli e profeti (Ef 3,5-7), per far conoscere a tutti "le insondabili ricchezze di Cristo" (Fil 3,8). Tale piano ha la sua origine nella volontà salvi fica del Padre, la sua attuazione concreta alI' interno della storia umana nell' azione redentrice di Gesù Cristo-Figlio di Dio, ed è portata al suo compimento ultimo e definitivo nell'azione perfettiva dello Spirito Santo. Il Padre, origine della salvezza. Purtroppo non si insiste molto su questo dato fondamentale della teologia paolina. Eppure, basterebbe rileggere l'inno di Ef 1,3-14, per rilevare il ruolo determinante del Padre nell"'economia del mistero", tanto che si può anche discutere se in quest'inno si parli più del Cristo o del Padre. Ma tale verità non risulta solo da Ef 1,3-14, ma anche dagli altri inni paolini: Fil 2,9-11; Col 1,12-14.19; Ef 2,16-18. Per Paolo, il Padre è la causa agente originante dell'''economia del mistero della salvezza". È lui che "ci ha prescelti prima della fondazione del mondo, perché fossimo santi e immacolati al suo cospetto nell 'amore" (Ef 1,4), "ci ha predestinati alla figliolanza adottiva (Ef 1,5) e all'eredità (Ef 1,11) dei santi nella luce (Col 1,12) per mezzo di Gesù Cristo, secondo il beneplacito del suo volere" (Ef 1,5.11), ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà: di "ricapitolare tutte le cose in Cristo, sia quelle celesti, sia quelle terrestri" (Ef 1,9-10), ci ha gratificati nel suo Diletto, donandoci la redenzione e la remissione dei peccati (Ef 1,6-7; cfr Col 1,13-14). È il Padre che ha sovraesaltato Gesù e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome (Fil 2,9): in lui ci ha benedetti con ogni benedizione (Ef 1,3), ci ha liberati dalla potestà delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore (Col 1,13), lui che è immagine del Dio invisibile (Col 1,15) e Signore a gloria di Dio Padre (Fil 2,11). Di più, l'azione di Cristo ha un fine ultimo ben preciso: "riconciliarci a Dio in un solo corpo" (Ef 2,16), "divenire abitazione di Dio" (Ef 2,22), avere "accesso al Padre ed essere cosÌ concittadini dei santi e familiari di Dio" (Ef 2,18-19). Per questo ogni cristiano deve "crescere nella conoscenza di Dio" (Col l, l O), ringraziarlo (Col 1,12) e benedirlo: "Benedetto sia Iddio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nei cieli ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale in Cristo" (Ef 1,3).
Lo schema teologico generale
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Il Figlio, autore della salvezza. Se il piano della nostra salvezza ha origine dal beneplacito del Padre, esso però è divenuto una realtà storica "nel Figlio", cioè per mezzo di Gesù Cristo e in Gesù Cristo. Per gli inni paolini, il Figlio preesistente, incarnato, morto, risuscitato ed esaltato, è la causa agente efficiente della nostra salvezza. "In lui" siamo stati prescelti prima della fondazione del mondo (Ef 1,4), predestinati alla figliolanza adottiva (Ef 1,5): siamo figli nel Figlio. "In lui e in vista di lui" sono state create tutte le cose e tutte hanno consistenza (Col 1,16-17); "in lui" abbiamo conosciuto il mistero della volontà di Dio (Ef 1,9) e abbiamo ricevuto la benedizione (Ef 1,3), la redenzione, la remissione dei peccati e l'abbondanza della grazia mediante il suo sangue (Ef 1,6-7); "in lui" abbiamo ricevuto la Parola della Verità, il Vangelo di salvezza, e siamo stati contrassegnati con lo Spirito promesso per il raggiungi mento della redenzione (Ef 1,13), abbiamo avuto accesso al Padre e siamo divenuti tempio santo di Dio e suoi familiari (Ef 2,19-21), è stato abbattuto il muro di separazione, la legge, che divideva giudei e pagani, e ha fatto di tutti noi "un solo uomo nuovo" (Ef 2,14-16); "in lui", mediante il Sangue della sua Croce, tutte le cose sono riconciliate e rappacificate tra di loro e con Dio (Col 1,20): egli è la nostra pace. E lo è, perché egli è il Figlio (Ef 1,3), l'immagine di Dio (Col 1,15), il diletto (Ef 1,6), il primogenito di ogni creatura (Col 1,15), il servo obbediente (Fil 2,6-8), il redentore (Ef 1,7), il riconciliatore (Ef 2,16; Col 1,20); egli è il capo della Chiesa (Col 1,18), il Signore nostro Gesù Cristo (Ef 1,3; Fil 2,9-11), morto, risuscitato ed esaltato per noi, in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 1,19; 2,9) e in cui sono riposte tutte le ricchezze della grazia divina (Ef 3,8). Lo Spirito, il perfezionatore nell'opera della salvezza. Accanto al Padre e al Figlio, negli inni appare, anche se con frequenza molto limitata, lo Spirito Santo, come causa agente teleologica. La pneumatologia degli inni è molto ridotta, ma teologicamente consistente: lo Spirito Santo è il segno e il pegno della nostra redenzione: "siamo stati contrassegnati con lo Spirito della promessa", lo Spirito Santo, il quale è pegno della nostra eredità per il raggiungimento della redenzione che ci ha acquistati a Dio, a lode della sua gloria (Ef 1,13), e il segno e il pegno della nostra giustificazione in quanto in lui diveniamo "uno in Cristo", "il quale fu manifestato nella carne, fu giustificato nello Spirito" (l Tim 3,16); infine, è segno e pegno del nostro accesso al Padre (Ef 2, 18) e della sua abitazione in noi: "in lui anche voi, insieme con gli altri, venite costruiti per diventare abitazione di Dio in virtù dello Spirito" (Ef 2,21).
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Conclusione
In vista della lode eterna a Dio Padre. La teologia degli inni è marcata fortemente dalla tensione escatologica. E non può essere differentemente, dato che il "mistero di Dio" trova la sua piena realizzazione solo "nella pienezza dei tempi", nel mistero di Cristo. È Gesù, infatti, che porta tutto a compimento nel mondo, nella storia e nell 'uomo. Tutta la sua vita - incarnazione, morte e resurrezione - è l'evento escatologico per eccellenza, che determina la vittoria di Dio sulla morte, sul peccato e sulle potenze del male. "In Cristo Gesù", morto, risorto ed ora esaltato come Signore, si è già realizzato l' eschaton nella storia degli uomini e del mondo e si continua a realizzare nella vita della Chiesa, in cui si stabilisce proletticamente per la presenza dello Spirito il Regno futuro di Dio. Gli inni paolini hanno espresso tale dimensione essenziale della vita di Cristo e della Chiesa con espressioni cariche di ardente attesa escatologica. Dio infatti leggiamo in Ef 1,9-10 - "ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà in vista dell'economia della pienezza dei tempi: cioè il proposito di ricapitolare tutte le cose in Cristo, sia quelle celesti, sia quelle terrestri". A tale scopo, "Dio ha sovraesaltato Gesù e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio degli esseri celesti, terrestri e sotterranei, e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è Signore, a gloria di Dio Padre" (Fil 2,9-11). Proprio per questo è stato costituito "primogenito di ogni creatura", "Capo del corpo, che è la Chiesa, lui che è il principio, il primogenito di tra i morti, per ottenere il primato su tutte le cose" (Col 1,18). Il cristiano conosce tale piano di Dio e sa che in tale piano, per il benepll;lcito divino (Ef 1,5), egli è stato predestinato ad essere santo e immacolato al suo cospetto (Ef 1,4), ad essere partecipe della figliolanza adottiva (Ef 1,5) e a trasformare la sua vita in una lode perenne a Dio (Ef 1,3), in vista della sua gloria (Fil 2, Il; Ef 1,3.6.12.14). Tutto ciò è possibile, perché ha ricevuto lo Spirito "pegno della nostra eredità in vista del raggiungi mento della redenzione che ci ha acquistati a Dio a lode della sua gloria" (Ef 1,14). b) L'accentuazione cristologica In base a quanto si è detto, penso che a nessuno sfugga che la cristologia negli inni paolini riveste una posizione centrale. Così, pur continuando a leggere gli inni entro lo schema teologico generale, dobbiamo parlare in essi di accentuazione cristologica, che si manifesta
L'accentuazione cristologica
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soprattutto nella concentrazione dei modelli cristologici! adottati e nella moltiplicazione dei titoli attribuiti a Cristo. Ho parlato di "concentrazione dei modelli cristologici", perché non credo che negli inni troviamo un modello unico di cristologia, ma troviamo mescolati insieme, in una sintesi per lo più ben riuscita, diversi livelli della cristologia della comunità primitiva: la cristologia kerygmatica, quella soteriologica, quella protologica. La cristologia kerygmatica. La cristologia, cioè, basata sul kerygma fondamentale della fede. Gli inni sono per la comunità cristiana primitiva non solo rievocazione, ma soprattutto annuncio e proclamazione della morte e resurrezione di Cristo, composti non sotto forma di predicazione, ma di lode rivolta a Dio per il dono della salvezza operata per mezzo di Cristo e che possiamo vivere nel Cristo. Al centro di tale schema stanno, e in ciò gli inni riflettono perfettamente il pensiero paolino, la morte in croce (Fil 2,8; Col 1,20; Ef 1,7; 2,16) e la resurrezione di Cristo (Fil 2,9-11; Col l, 18b). Nella morte e resurrezione di Cristo ha fatto irruzione nella vita del mondo e nella storia degli uomini la salvezza di Dio, la redenzione, la remissione dei peccati, la riconciliazione. La salvezza, però, non è concepita come futura, ma come già presente e perfezionantesi fino alla parusia del Cristo. La cristologia assume una forte coloritura escatologica: l'uomo e il mondo sono introdotti nel futuro di Dio, una nuova vita si apre e si lascia plasmare dallo Spirito di Cristo. La cristologia soteriologica. Negli inni tale riflessione su Cristo, la si nota appena. Viene sviluppata, invece, in antitesi con certo giudeocristianesimo e con correnti gnosticizzanti, la cristologia soteriologica: con la morte e resurrezione di Cristo entra nel mondo un principio religioso nuovo, si è determinata una nuova creazione, una nuova economia di salvezza, opposta all 'antica economia della legge: il muro di divisione tra le genti - giudei o pagani - è stato distrutto mediante il sangue di Cristo (Ef 2,15). Egli è la nostra pace (Ef 2,14) e la salvezza viene all 'uomo mediante la fede, professata nel battesimo, nel Signore morto, risorto ed esaltato e nella partecipazione alla sua nuova condizione esistenziale per la forza del suo Spirito (Ef 2,12-14). Il cristianesimo si configura così come accettazione dell'efficacia salvifica di Cristo, sempre presente in mezzo ai suoi, e come vita da figli di Dio in lui. Anzi, Cristo è la vita del cristiano e della chiesa, corpo di Cristo, formato da tutte le membra che sono divenuti "uno in lui". Pcr qucsti modclli cristologici cfr Segali a, "L'inno cristologico di Col 1,15-20", 375-377; inoltrc, "Cristologia dci Nuovo Testamento", 112-123.
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Conclusione
La cristologia protologica. Tutto ciò ha determinato negli inni un 'ulteriore sviluppo cristologico: il centro dell "'economia del mistero di Dio" si è spostato dall'opera redentrice di Cristo alla persona di Cristo. Anzi, Cristo stesso è il "mistero di Dio" (Ef 3,4; Col 4,3), "nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza" (Col 2,3). Tale mistero "nelle passate generazioni non fu fatto conoscere ai figli degli uomini, al presente invece è stato rivelato in virtù dello Spirito ai suoi santi Apostoli e Profeti" (Ef 3,5). La riflessione sulla persona di Cristo così si impone. Con l'aiuto dell' apocalittica veterotestamentaria e giudaica in generale e delle correnti sapienziali dell' AT, la cristologia protologica si sofferma particolarmente sul primato di Cristo, riflettendo sulla sua preesistenza, sul suo ruolo nella creazione: tutto è stato fatto in lui e in vista di lui, sulla sua kenosis nell 'incarnazione, sulla sua esaltazione nella resurrezione, divenendo principio di salvezza e di riconciliazione per tutti gli esseri celesti e terrestri e per tutta la creazione: egli è il Signore che detiene il primato su tutto. In lui il Padre, nella pienezza dei tempi, ricapitolerà tutte le cose (Ef 1,9-10). Una tale prospettiva cristologica, come già si è detto, ha determinato il moltiplicarsi dei titoli attribuiti a Cristo: essi vogliono sottolineare l'importanza e la centralità di Cristo nell '''economia del mistero di Dio". Rileggerli oggi diviene per noi, come per i nostri fratelli che ci hanno preceduti e ce li hanno trasmessi nel canto, una potente professione di fede ecclesiale. Essi si possono ragruppare sotto due formule molto care a Paolo: Il Signore nostro Gesù Cristo. La formula contiene due titoli molto antichi, attribuiti dalla comunità primitiva a Gesù. Il nome Gesù fa riferimento al Gesù storico: non un personaggio mitico, ma un uomo, "nato da donna, nato sotto la legge" (Gal 4,4), "della stirpe di Davide" (Rom 1,3), "che diede la sua magnifica testimonianza davanti a Ponzio Pilato" (l Tim 6,13), morto, risorto e innalzato alla destra di Dio. Questo Gesù è il Cristo: l'inviato di Dio che, avendo preso forma di servo (Fil 2,6-7), ha portato agli uomini la redenzione (Ef 1,7.14), la remissione dei peccati (Ef 1,7), la riconciliazione (Ef 2,15-16; Col 1,20), la pace degli uomini tra loro e con Dio (Ef 2,15-16; Col 1,20), la benedizione (Ef 1,3) l'adozione a figli (Ef 1,5) e l'eredità (Ef l,Il). In lui siamo stati prescelti e predestinati a lode della gloria di Dio e in lui tutte le cose sono state create (Col 1,16), sussistono (Col 1,17) e sono ricapitolate (Ef l, lO), per essere il primogenito di tutte le creature (Col 1,15), il principio e il capo della chiesa (Col 1,18). Proprio per questo Gesù, il Cristo, è il Signore: tale titolo è un evidente trasposizione
L'accentuazione cristologica
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cristologica dell'attributo divino che l' AT riservava solo a Jahwé e sottolinea che per gli inni paolini Gesù non era un semplice "inviato di Dio", ma che tale inviato è di natura divina e, in quanto tale, ha ricevuto "un nome che al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio ... e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" (Fil 2,9-11). Gesù è il Figlio di Dio. In verità, tale formula di fede non appare negli inni paolini, ma in essi Gesù viene chiamato: il Figlio del suo amore (Col 1,13), stupenda definizione cristologica, che non dice semplicemente la filiazione divina di Gesù, ma che Gesù in quanto Figlio è il termine dell'amore del Padre. Nell'amore il Padre partecipa al suo Figlio la natura divina e lo fa centro di incontro e di attuazione dei suoi disegni di redenzione, di riconciliazione e di amore verso gli uomini. L'immagine del Dio invisibile (Col 1,15): richiamandosi alle affermazioni bibliche e giudaiche sul ruolo cosmico-teologico della "sapienza divina, immagine della bontà di Dio" (Sap 7,26), l'espressione afferma non solo l'identità esistente tra Gesù-Figlio di Dio e il Padre: egli era "nella forma di Dio" e "uguale a Dio" (Fil 2,6), ma anche l'identità della volontà salvifica: egli rivela agli uomini l'amore creatore e salvifico del Dio invisibile, facendolo presente nella loro vita e nella loro condotta: "vi siete spogliati dell 'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore" (Col 3,10); in tal modo egli è partecipe della creazione di tutte le cose e del loro rinnovamento nella redenzione. Il primogenito di ogni creatura: l'espressione, nella sua sinteticità, potrebbe esssere equivoca: Cristo non è il primo delle creature, ma egli è il primogenito da cui tutte le creature hanno origine, perché in lui e per lui tutte le cose sono state create; pertanto l'espressione sottolinea da una parte lo speciale rapporto esistente tra il Padre e Gesù: egli è stato generato non creato, è l'unigenito, che, essendo eterno, è anteriore a tutti gli essseri creati, e in tal senso è anche primogenito; dall'altra, l'espressione rimarca il ruolo di Cristo nella creazione: egli, sapienza increata del Padre, è il principio-origine della creazione e della nuova creazione. c) Cristo. centro e senso della storia
Egli ha il primato su tutte le cose (Col 1,18), perché in lui Dio Padre si è compiaciuto di far abitare la pienezza della divinità (Col 1,19) con tutte le sue prerogative, in particolare quello della "creazione" e quello della "santificazione". Tale primato di Cristo ha senso a livello personale: egli è l'inizio della nostra esistenza naturale e l'inizio della nostra esistenza spirituale; egli è la nostra vita (Gal 2,20; Fil 1,21). E la
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Conclusione
nostra vita ha consistenza (Col 1,17) solo se rimaniamo a lui uniti per mezzo della fede e dell'amore: egli vive in me e io in lui (Gal 2,20). E ha senso, solo se è orientata a lui: tutto è stato creato in vista di lui (Col 1,16). A livello ecclesiale: egli è la nostra resurrezione, la nostra riconciliazione con Dio e con i fratelli, la nostra pace (Ef 2,14); Egli è il capo della chiesa, radunata e santificata dalla sua morte e resurrezione e riunita attorno a lui che è il Signore: in lui diveniamo "uno" (Gal 3,28) e siamo un solo corpo (lCor 12,12.27; Rom 12,5). "Tutto, infatti, Dio ha posto sotto i suoi piedi e l 'ha costituito, sopra tutte le cose, capo della chiesa, la sua pienezza riempie di ogni bene tutte le cose" (Ef 1,22). Infine, a livello cosmico, perché in lui, centro dell 'universo, Dio ha stabilito di ricapitolare tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra; in lui, senso della storia, tutte le cose partecipano alla redenzione, divenendo nuova creazione; in lui, fine ultimo di tutte le cose create nell'amore, la creazione attende bramosamente la rivelazione dei figli di Dio e la liberazione dalla corruzione per entrare insieme a tutti noi nella gloria dei figli di Dio (Rom 8,19-23) ed essere così tutti, riuniti attorno a Cristo, una lode eterna a gloria di Dio Padre
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14,21-22: 58 30,34-38: 59
2,1-2: 8 31,22: 76 35,27: 142 71,17: 88 85,9-14: 142 144,1: 76
7,7-12: 596068 7,12-21: 5960 7,22-24: 5960 7,22-8,1: 31 59 7,23.25.27: 60 7,23-30: 68 7,25-26: 58 59 60 7,26: 157 7,27-8,1: 596068 8,2-21: 59 8,6: 68 8,26: 68 8,26-27: 69 8,26-30: 69 9,1-2: 69 9,1-18: 31 59 10,17-18: 58
Proverbi
Siracide
8,16: 93 10,9: 88
3.19-20: 68 8,1-9,6: 57 8,1-11: 57 8,12-21: 5768 8,22-23: 57 8,22-31: 3157 8,23-24: 69 8,26-30: 67 8,32-36: 57 9,1-6: 57
ICronache
Sapienza
28,4-5: 93
5,4: 36 6,22-25: 59 7,1-6: 59 7,1-8,21: 59
8,15: 96 24,1-2: 58 24,3-4: 58 69 24,3-21: 58 24,5-6: 58 68 24,7-11: 58 24,8-9: 59 24,9: 58 69 24,10: 59 24,11: 59 24,11-17: 59 24,12-17: 58 24,15: 59 24,16-21: 68 24,18-21: 58 32 (35),17: 96
Genesi
Tobia
1,1: 67 2,24: 133 12,3: 110 116 17,1-16: 106 18,18: 110 116 22,2: 98 22,18: 110116
13,1: 76
Levitico 18,5: 147 19,2: 93 Deuteronomio 32,15: 98 33,5.12: 98 Giudici 6,24: 128 142 144 IRe
Esdra 8,16: 96
IMaccabei 7,37: 93 Giobbe 1,21: 88
176
Isaia
Michea
Atti
5,1.7: 98 9,5: 128 142 146 Il,1-9: 143 11,6-8: 143 25,6-10: 143 32,15-18: 143 42,1: 98 44,2: 98 44,5: 106 45,23: 35 52,7: 128 136 138 142 52,13: 30 52-13-53,12: 13 282930 53,2-9: 29 53,4: 29 53,11:29 53,12: 29 30 54,10: 142 57,2: 136 57,14: 136 57,19: 122 128 136142 146
5,4: 128 142 146
1,14:679 1,15: 68 1,24-25: 7 2,42-48: 79 2,46: 7 3,1: 7 4,23-31: 89 4,24-30: 7 4,30: 8 9 4,32-35: 7 4,42-48: 8 5,12b: 8 5,12-16: 7 5,40-42: 8 5,41: 8 8,1-4: lO 8,14-17: 9 9,14: 9 9,26-30: lO 10,24-48: 9 Il,1-18: Il 11,19-21: lO Il,19b-22: lO 11,19-26: lO Il,19-30: lO 12,12: 7 13,1-3; lO 13,2-3: 8 9 lO 13,15-43: 5 14,23: Il 15,1.5: Il 15,7.22.25: 93 16,5.40: 7 16,25: 89 20,17.28: Il 20,20: 7 21,17,25: Il
Geremia 1,5: 92 Il,15: 98 12,7: 98 29,11: 142 31,31-33: 110116
Ezechiele 9,4-7: 106 34: 116 34,23-31: 110 34,25: 142 36: 116 36,22-32: 110 37,26: 142
Nahum 2,1: 136137 142
Zaccaria 9,9: 136 9,9-10: 136 137 142 9,10: 137 142
Daniele 4,32: 96 4,34: 113 7,13-14: 28 8,4: 96 Il,3: 96 11,16.36: 96
Matteo 3,17: 62 98 5,9: 149 17,5: 98 19,5: 133 23,12: 30
Marco 1,11: 6298 9,8: 98
Luca 1,14-30: 5 3,22: 6298 13,7: 132 14,11: 30 21,28: 98
Romani Giovanni 1,1-18: 77
1,1-7: 7694 1,3: 156
177 1,4: 35 1,7: 118 1,8: 75 1,28: 92 2,4: 99 3,3: 132 3,24: 99 113 3,29: 112 3,31: 132 4,14: 132 5,1: 145 5,1-11: 145 148 5,6-11: 134 5,7: 92 5,8-10: 145 5,9-10: 99 145 5,10-11: 71134 5,15-17: 133 149 5,15.20: 100 6,6: 132 7,2: 132 7,6: 132 8,6: 149 8,9. 14: 118 8,15: 95 145 8,16: 95 145 8,18-26: 74 8,19-23: 158 8,23: 95 8,28-31: 92 8,29: 71 9496 8,30: 94 8,31-39: 77 9,4: 95 9,23: 99 9,26: 118 10,4: 132 147 10,12: 99 10,14: 105 Il, I 5: 71 134 l 1,33: 99 Il,36: 69
12,1-2: 93 94 12,4-8.9-13: 76 12,5: 158 13,8-10: 132 15,6: 117 15,33: 144145 16,5: 7 16,20: 144 145 lCorinti 1,3: 118 1,4-8: 75 1,6: 92 1,28: 132 1,30: 99 127 145 2,6-7: 100132 2,7: 94 115 6,13: 132 6,20: 99 7,15: 144 7,23: 99 11,17-34: 7 11-14: 9 12,6.11: 104 12,12.27: 158 12-14: 144 13:94 13,8: 132 13,10: 132 13,11: 132 14,26: 3 4 6 9 Il 14,33: 144 15,20-28: 69 15,24: 132 15,26: 132 15,33: 128 15,49: 31 16,19:79 16,20: 128 2Corinti 1,2:117118
1,3: 77 1,3-7: 75 3,7.11.13: 132 3,14: 132 4,15: 100 5,17: 133 145 148 5,18-20: 71 134 145 6,7: 105 8,9: 3032 9,8: 100 10,3-6: 76 Il,24-29: 76 11,31: 117 13,11: 128 144 Galati 1,3.4: 118 145 1,4: 31 96 1,15: 92 1,18-20: 9 1,21-24: lO 2,5.14: 105 2,7-9: 11 2,11-14a: 11 2,19: 132 147 2,20: 113 134 149 157 158 3,2.5: 105 3,3: 106 149 3,5: 104 3,8: 91 3,12: 147 3,14.29: 103 110 3,17: 132 3,22-23: 130 3,26: 118 3,28: 133 158 4,1-7: 103 4,4: 101 115 120 156
178 4,4-5: 70 95 96 134145 4,4-5.7: 31 32 4,5-7: 118 149 149 4,6: 95 4,9: 93 5,4:132 5,6: 129 132 149 5,11: 132 5,14: 132 5,16-21: 149 5,18: 149 5,22: 94 138 144 149 6,15: 129133 148 Efesini
1,1-2: 75 118 125 1,2.15: 105 1,3: 34 133 153 154 156 1,3-14: 1 2 13 14 15 16 75-120 138 152 1,3-14.15-2,10: 78 1,3.17: 117152 1,4: 34 118 152 153 154 1,5: 34 145 152 153 154 156 1,5.14: 137 1,6: 62 154 1,6-7: 34 152 153 1,6.12.14: 16 1,7: 145 155 156 1,9-10: 34 152 153 154 156 1,10: 156 1,J 1: 34 152 156 1,12: 127 154
1,13: 127 153 1,14: 137 145 154 156 1,15-23: 76 121 1,15-3,21: 121 1,18: 99 1,20: 90 1,22: 158 1,22-23: 103 2,1-3,19: 76 2,1-10: 121 2,4-7: 99 2,6: 91 2,10: 133 2,11-12: 129 2,11-13: 122 123 124 2,11-22: 122 123 128 2,12-14: 155 2,13: 122 131 2.14: 14 16 72 155 158 2,14-16: 2 153 2,14-18: 2 14 15 77 103 121 152 2,15: 155 2,16: 16 34 71 99 152 155 2,15-16: 156 2,16-18: 152 2,18: 16 153 2,18-19: 34 152 2,19-22: 122 123 137 145 147 149153 2,21: 153 2,22: 34 152 3,1-19: 122 3,4: 156 3,5: 115 156
3,5-7: 152 3,9: 152 3.10: 91 3,11: 117 3,12: 137 3,16: 99 3,17-19: 94 3,19: 3 3,20-21: 76 122 4,2: 94 4,3: 125 134 4,4: 138 4,13-16: 96 4,15-16: 94 4,24: 133 4,30: 113 5,1-2: 9394 149 5,14: 2152 5,19: 8911 5,19-20: 3678 5,20: 4117 5,23.24: 117 5,25: 135 5,31: 133 6,12: 91 6,15: 138 6,15.23: 125 136 6,19: 115 Filippesi
1,3-10: 75-76 1,7: 92 1,15: 93 1,21: 35 127 157 1,27-2,18: 15 17 1,27-30: 17 1835 2,1-4: 171835 2,1-18: 78 2,5: 15 2,5-11: 2 18 19 2,6: 14157 2,6-7: 156
INDICE DEGLI AUTORI Achtemeier E.: 142 165 Aland B.: 159 Aland K.: 80 159 Aletti J.-N.: 37 39 40 41 4446 47 51 52 53 57 72 73 162 165 Alexander Ph. S.: 131 165 Alganza Rodan: 138 165 Allan A: 91 163 Allen L. C.: 94 165 Alonso Schoekel L.: 34 114 165 Arndt W. F.: 24 25 2627 28 49 83 159 Bailey J. L.: 14 165 Balchin J. F.: 40 162 Balz H.: 3 4 104 165 Barbaglio G.: 3 165 Barbour R. S.: 55 165 Bartels K.H.: 46 165 Barth M.: 77 78 80 83 87 89 90 91 93 94 98 100 101 102 103 104 107 122 123 124 128 129 130 131 133 134 138 165 Bartina S.: 57 166 Battaglia V.: 167 Bauer W.: 24 25 26 27 28 49 83 159 Baugh S. M.: 39 162 Baumgiirtel F.: 50 Beck H.: 138 l39 166 Becker O.: 107 166 Behm J.: 22 107 166 Benoit P.: 394041 42444950 51 162 166 Berger K.: 2 160
Bernini G.: 51 162 Bertram G.: 26 166 Beyer H. W.: 88 166 Beyreuther E.: 107 166 Bietenhard H.: 96 166 Blashki A: 172 Blass F.: 21 26 27 45 83 88 90 92 97 98 100 102 129 130 l33159 Bonnard P.: 46 166 Bonsirven J.: 61 l31 166 Bornkamm G.: 101 166 Bottini G. c.: 52 102 159 Bradshaw P.: 1 160 Brandt Th.: 100 166 Bruce F. F.: 39 162 Biichsel F.: 99 113 166 Bultmann R.: 99 166 Burini C.: 169 Burney C. F.: 5455 162 Buscemi A M.: 2 6 lO Il 22 25 26 28 34 95 96 102 114 132141 149159 161 166 Byrne B.: 95 166 Calzecchi R.: 174 Cambier J.: 76 77 78 80 82 83 88 89 90 91 92 93 9496 97 98 100 103 106 163 Cano M. J.: 142 166 Cantalamessa R.: 45 162 Caragounis C. c.: 101 167 Castellino G.: 97 163 Cathcart K. J.: 142 167 Cerfaux L.: 117 161 167 Charlesworth J. H.: 5 9 167 Cignelli L.: 5288 102 l33 159 Coenen L.: 94 167
182 Conti M.: 4657585960 167 Conzelmann H.: 26 40 77 123 139167 Cordié C.: 169 Coutts J.: 77 78 80 164 Cullmann O.: 30 117 167 Dacquino P.: 4950 162 Danker F.: 24 25 26 27 28 49 83 159 Daremberg Ch.: 173 Davies W. D.: 54167 Debrunner A: 21 26 27 45 83 88 90929798 100 102 129 130 133 159 Deichgraber R: 1 3 15 38 40 507677 123 127 160 Deissmann A: 113 167 De la Calle F.: 95 167 DellingG.: 235152132167 De Lorenzi L.: 164 Dion H. M.: 95 167 Dodd Ch. H.: 29167 Drago P. A: 95 96 164 Dreyfus F.: 97 164 Dunn J. D. G.: 47486061 159 168 Dupont J.: 29 30 168 Edwards D.: 5773 168 Eichler J.: 103 168 Eltester F.-W.: 40 168 Fabris R.: 2 38 39 76 77 80 89 91 92 93 100 104 162 164 168 Fairc10ugh H. R: 174 Fanning B. M.: 22 24 68 89 129131159 Feigin S.: 95 168 Feuillet A.: 17 29 45 46 47 48 49 52 55 63 66 67 68 160 161 162 168 170 Fitzer G.: 106168 Flender O.: 45 168
Flowers H. J.: 95 168 Foerster W.: 53 103 107 117 133 138 168 Frazer J. G.: 171 Gabaluther H. J.: 39 162 George A: 97 168 Gewiess J.: 52 168 Ghini E.: 51 168 Giavini G.: 41 162 Gilbert M.: 57 169 Gingrich F. W.: 2425 2627 28 4983 159 Gnilka J.: 2635 124 169 Gonza1ez Lamadrid A: 121 122 128 129 130 131 132 133 134 135 141 145 149 164 Gonzalez Ruiz J. M.: 50 169 Grech P.: 54 55 162 Grelot P.: 7678 80 81 164 Grimal P.: 139 169 Guemes Villanueva A: 114 169 Harris M. J.: 4 169 Harvey A E.: 101 169 Hauck F.: 7 92 100 169 Hawthome G. F.: 160 Hengel M.: 1 2 3 4 5 6 8 9 Il 13 15 117 160 169 Heriban J.: 17 22 26 27 28 29 161 Hillers D. R: 142 169 Hofius O.: 92 164 169 Hoover R W.: 22 161 Howard W. F.: 24252690 159 Hugedé N.: 39 169 Humbert J.: 222528 159 Hurtado L. W.: 117 169 Innitzer T.: 77 lovino P.: 80 lO l 164 Jacobs P.: 104 169 Jeremias J.: 19 161
183 Jones W. H. s.: 168 JosephL.: 172 Karavidopoulos J.: 159 Karris R J.: 40 42 43 44 72 73 121 122 123 169 Kasch W.: 49169 Kasemann E.: 17 54 140 161 169 Keller C.-A: 142 168 Kertelge K.: 99 169 Kittel G.: 45 167 Kleinknecht H.: 45 167 Kramer W.: 117 169 Kramer H.: 81 164 Krienke H.: 104 169 Kruse c.: 107 164 Kuhli H.: 45 169 Langkammer H.: 46 170 Lausberg H.: 89 159 Leroy H.: 99 170 Liberti v.: 138 170 Lightfoot J. B.: 2249 52 170 Lincoln A T.: 3 4 77 80 81 83 87 90 91 92 93 99 100 102 104 105 122 123 124 128 129 132 134 136 138 164 170 Lohmeyer E.: 1949 Lohse E.: 449515254170 Lyall F.: 95 170 Lyonnet S.: 34 77 93 99 113 114 164 170 Mahoney R: 96 170 170 Manns F.: 19 30 40 54 56 161 162 Marangon A: 55 56 170 Marchel W.: 114 170 Marcheselli Casale C.: 29 40 41 161 162 Marchesi A: 89 170 Martin R. P.: 1 256 14 15 17 160
Martini C. M.: 159 Metzger B. M.: 159 Masson C.: 39 170 Mateos J.: 22 24 88 129 131 132159170 Maurer C.: 104 170 McGrath J. F.: 61 170 Merklein H.: 102 121 124 140 170170 Messing G. M.: 160 Michaelis W.: 46 51 170 Milligan G.: 96 159 Minissale A: 58 59 170 Molina Rueda B.: 165 166 171 Montagnini F.: 55 56 76 77 78 80 81 83 84 85 86 104 123 125 126 129 130 131 132 133 134 137 138 163 164 170 Moulton J. H.: 2496 159 Miiller D.: 97 170 Mundle W.: 99 171 Munoz F. A: 139.165 166 171 Murphy O'ConnorJ.: 29161 Murtonen A: 88 171 Namia G.: 159 Neusner J.: 162 Niccacci A: 56575859171 Nobile M.: 51 61 171 NordenE.: 76171 Oepke A: 23 171 Panimolle S. A: 52 163 Patsch H.: 88 171 Pax E. W.: 114129171 171 Penna R: 3 4 76 77 78 80 83 84 85 8688 8990 91 92 93 94969798 99 100 101 102 103 104 107 118 121 123 124 128 129 130 131 132 136137 164 171 Percy E.: 51 171 Pérez Fernandez M.: 141 171
184 Philipson D.: 61 171 P6h1mann W.: 39 163 Pollard T.: 56 163 Prat F.: 114 171 Preisker H.: 97 171 Rader W.: 138 140 141 171 Rah1fs A: 160 Ramaroson L.: 121 127 130 131135 136137 164 Ravasi G.: 141 Regard P. F.: 51160 Rehkopf F.: 21 2627 45 83 88 90 92 97 98 100 102 129 130133 159 Reid D. G.: 160 Reumann J.: 101 172 Richardson L.: 139 172 Rigaux B.: 13 14 172 Robert A: 170 Rocci L.: 22 25 49 89 92 98 100 101 104 160 Robbins Ch. J.: 76 164 Robinson J. M.: 394041 163 Roetze1 C. J.: 132 165 Romaniuk K.: 34 97 114 117 172' Rosenbaum M.: 47 172 Rossi B.: 47 95 172 Rutenfranz M.: 4 172 Sabourin L.: 114 172 Sacchi A: 52 162 163 164 Saglio E.: 173 Sa1as A: 40 163 Sand A: 107 172 Sanders J. T.: 1 39 40 55 122 123 124 139 161 Scharbert J.: 88 172 Schille G.: 1 124 161 Schimanowski G.: 55 57 58 59 61 172 Schippers R: 106 172
Sch1ier H.: 3 4 50 76 77 78 88 89 90 91 92 93 96 97 98 100 101 102 103 104 105 106 107 124 127 128 129 130131132137140172 Schmidt K. L.: 94 104 172 Schnabe1 E. J.: 58 172 Schnackenburg R.: 30 41 163 172 Schneider G.: 100 172 Schneider J.: 24 172 Schoenberg M. W.: 95 173 Schramm T.: 106173 Schrenk G.: 52 96 97 104 173 Schu1te R: 114173 Schweizer E.: 50 95 139 163 167 Scott J. M.: 95 173 Segalla G.: 155 173 Silbermann A. M.: 47 172 Smyth W. H.: 22 24 25 27 28 46 129 160 Spicq C.: 2223 45 5253 9699 107114117138139173 Staccio1i R: 139 173 Stern M.: 131 173 Strachan L. R. M.: 167 Swallow F. R: 113 173 Testa E.: 123 129130 140 165 Thayer J. H.: 22 27 46 49 53 83 102 160 Theron D. J.: 95 173 Thie1s J.: 48 174 Toutain J.: 138 174 Trench R C.: 2224 174 Trisoglio F.: 171 Tromp S.: 50 163 TurnerN.:4651159 Urbach E. E.: 61 174 Vander Broek L. D.: 14 165 Vanni U.: 45 6465 163 Vattioni F.: 171
185 Vawter B.: 40 Vermès G.: 117 174 Virgulin S.: 5258 174 Vischer W.: 57 174 Viteau J.: 93 102160 Von Martitz W.: 95 174 Von Rad G.: 45 138 174 VorHinder H.: 99 174 Vuilleumier R.: 142 174 Vawter B.: 40 163 Wengst K.: 2 161 Wilhelmi G.: 124125 126 165 Wright N. T.: 404154 163 Wyschogrod M.: 61 174 Zerwick M.: 22 24 38 47 121 160 165 Zimmerli W.: 161 Zorell F.: 22 160
INDICE GENERALE
Prefazione Sigle e Abbreviazioni
V
VII
Introduzione
Aspetti storici degli inni del NT
2
Gli inni cristologici
2
l) Testimonianze bibliche e storiche 2) All'origine degli inni: una comunità orante 3) Inni prepaolini o paolini? Forma e funzione degli inni della tradizione paolina l) Inni o prosa ritmata 2) Funzione ecclesiale degli inni Piano e metodo
3 5 6
13 13 15 16
Capitolo I: Fil 2,6-11. Umiliazione ed esaltazione di Cristo
Analisi letteraria di Fil 2,6-11 l) 2) 3) 4)
Contesto Delimitazione della pericope Genere letterario Struttura letteraria
17 17 18 19 19
Analisi esegetica
21
Analisi tematica
28
l) Lo schema biblico-teologico dell' abbassamento-esaltazione 28 2) Cristologia funzionale di Fil 2,6-11 a) La preesistenza di Cristo
3O 31
187 b) L'incarnazione di Cristo c) Il sacrificio volontario di Cristo d) La Signoria universale di Cristo 3) Teologia di Fil 2,6-11 a) Il ruolo di Dio Padre b) "A gloria di Dio Padre" 4) Il senso della parenesi di Fil 2,6-11
32 32 33 33 34 35 35
Capitolo II: Col 1,15-20. Cristo, immagine del Dio invisibile Analisi letteraria di Col 1,15-20 l) 2) 3) 4)
Contesto Delimitazione della pericope Genere letterario Struttura letteraria
37 37 38 39 39
Analisi esegetica
45
Analisi tematica
53
1) Sapienza e Inno cristologico di Col 1,15-20 a) Col 1,15-20 alla luce del pensiero gnostico b) Col 1,15-20 alla luce della tradizione giudaico-biblica 2) La cristologia di Col 1,15-20 a) I titoli di Cristo l°) 2°) 3°) 4°)
Cristo, immagine del Dio invisibile Primogenito di ogni creatura Primogenito di tra i morti Capo del cosmo e della Chiesa
b) Il ruolo cosmico-salvifico di Cristo l li) Ruolo cosmico-salvi fico di Cristo nella creazione i) Tutto è stato creato nel Cristo Gesù ii) Tutto è stato creato per opera di Cristo iii) Tutto è stato creato in vista di Cristo
53 54 55 61 62 62 63 64 65 66 66 67 68 69
2°) Ruolo cosmico-salvifico di Cristo nella riconciliazione 70 i) In lui si compiacque di far abitare tutta la pienezza
70
188 ii) La riconciliazione per opera e in vista di Cristo 3°) Il primato di Cristo
71 72
3) La teologia di Col 1,15-20
73
a) Dio creatore del cosmo b) Dio salvatore del cosmo
73 74
Capitolo III: Ef 1,3-14. Il disegno salvifico di Dio nel Cristo Gesù Analisi letteraria 1) 2) 3) 4)
Contesto Delimitazione della pericope Genere letterario Struttura letteraria
75 75
76 76 78
Analisi esegetica
87
Analisi tematica
107
1) la benedizione a Dio
108
2) Il disegno di Dio
109
a) Eletti per essere santi b) Predestinati ad essere figli c) Redenti per appartenere totalmente a Dio d) La rivelazione del mistero
110
111 113 115
3) Cristo centro del disegno di Dio
116
a) Il disegno di Dio "in Cristo"
116
l°) I titoli cristologici 2°) Il carattere cristologico del disegno divino b) Cristo capo del cosmo
116 118 119
Capitolo IV: Ef 2,14-18. Cristo nostra pace Analisi letteraria l) 2) 3) 4)
Contesto Delimitazione della pericope Genere letterario Struttura letteraria
121 121 122
123 124
189 Analisi esegetica
127
Analisi tematica
138
1) Lo sfondo del concetto di pace a) La pace nel mondo ellenistico greco-romano b) La pace nel pensiero gnostico c) La pace nell'Antico Testamento 2) Il "Vangelo della pace" a) "Il Dio della pace" b) "Cristo, nostra pace" c) La pace, "frutto dello Spirito"
138 138 139 141 143 144 145 149
Conclusione
1) Lo schema teologico generale 2) L'accentuazione cristologica 3) Cristo, centro e senso della storia
152 154 157
Bibliografia
159
Indice dei testi biblici
175
Indice degli autori moderni
181
Indice generale
187