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STUART WOODS UN BRUTTO AFFARE (Dirty Work, 2003) Questo libro è per Charlton e Lydia Heston 1 Da Elaine, notte fonda. Molto affollato: un paio di registi, qualche star del cinema, una mezza dozzina di scrittori, un assortimento di giornalisti, capiservizio, reporter free lance, poliziotti, mafiosi, alcolizzati, clienti abituali, donne di ottima reputazione e donne di reputazione tutt'altro che ottima. E questo solamente ai tavoli: al bar, una giungla tutta diversa. Stone Barrington spinse il piatto da parte e si rilassò contro lo schienale. Gianni, il cameriere, sparecchiò in un attimo. «Andava bene?» domandò. «Ti sembra che sia rimasto qualcosa?» chiese di rimando Stone. Gianni sogghignò e portò il piatto in cucina. Elaine venne a sedersi al tavolo. «Allora?» Non si accese una sigaretta. Stone non smetteva di stupirsi: aveva davvero smesso, da tutto a niente. «Allora non molto», rispose Stone. «È quello che dici sempre», osservò Elaine. «Non sto scherzando. Non succede granché.» La porta del ristorante si aprì e Bill Eggers fece il suo ingresso. «Succede qualcosa adesso», commentò Elaine. «Eggers qui non viene mai, a meno che non cerchi te, e non cerca mai te a meno che non ci siano guai.» «Gli fai torto.» Stone fece segno a Eggers di avvicinarsi al tavolo, ma sapeva che Elaine aveva ragione. Per i lavori normali, Bill telefonava e basta; per situazioni più pressanti, si metteva a caccia di Stone, ed era da Elaine che, di solito, lo trovava. «Buonasera, Elaine... Stone», esordì Eggers. «Il tuo cellulare è spento.» «Stratagemma inutile, o sbaglio?» replicò Stone. «Ho un impegno urgente.» Elaine si alzò e si allontanò. Senza andare oltre il tavolo accanto. «Qualcosa da bere?» chiese Stone. Michael, il capocameriere, si materializzò vicino a loro.
«Johnnie Walker Black Label, con ghiaccio», scelse Eggers. «Mi sono fatto l'idea che avrò bisogno di un bourbon di quelli tosti. Portami un Wild Turkey», disse Stone a Michael. Michael tornò a smaterializzarsi. «Come butta?» chiese Eggers. «Dimmelo tu», replicò Stone. Eggers scrollò le spalle. «Tirando a indovinare», riprese Stone, «direi non proprio alla grande.» «Oh, non è poi così male», ribatté Eggers. «E allora cosa ti porta lontano dal focolare domestico, per sprofondare in questo antro di nequizie?» «Te lo ricordi quel grosso ex poliziotto irlandese, quello che ogni tanto faceva dei lavoretti per te?» «Teddy? È schiattato da P.J. Clarke tre mesi fa.» «Di che cosa?» «Di quante cose può schiattare un irlandese in un pub irlandese?» chiese Stone, retorico. «Cirrosi epatica», indovinò Eggers. «E a te per cosa servirebbe qualcuno come Teddy?» «Ti ricordi di avermi detto di quel trucco che Teddy faceva con la pistola ad acqua?» «Vuoi dire dopo aver sfondato la porta a calci, tenendo la macchina fotografica puntata, quando schizzava i tizi nudi nelle parti basse, in modo che quelli si afferrassero i gioielli di famiglia lasciando le facce scoperte, per poi essere immortalati a letto assieme?» Eggers ridacchiò. «Proprio quello. Non sai quanto io l'ammiri, quel genere d'inventiva.» Arrivarono i drink, che Stone ed Eggers sorseggiarono per un lungo, contemplativo momento. «Dunque è quel genere d'inventiva che ti serve?» chiese Stone alla fine. «Ti ricordi di quell'accordo prematrimoniale che ti ho passato l'anno scorso?» Bill Eggers era associato di Woodman & Weld, lo stesso prestigioso ufficio legale di New York di cui Stone era consulente esterno. Traduzione: in certe circostanze faceva lui il lavoro di cui quelli di Woodman & Weld non volevano occuparsi ufficialmente. «Elena Marks?» chiese Stone. «L'hai detto.» «Mi ricordo.»
Elena Marks era l'ereditiera di una catena di grandi magazzini, e aveva sposato uno dei membri fondatori del rinomato Club dei Fannulloni Squattrinati. «Ti ricordi anche di quella strana clausola scritta in piccolo che tu aggiungesti all'accordo?» domandò Eggers. «Vuoi dire quella secondo cui, se Larry fosse stato pescato con i calzoni calati in compagnia di una signora diversa da Elena, avrebbe dovuto rinunciare a tutti i possedimenti e a tutti i profitti della mogliettina?» Lawrence Fortescue era inglese, avvenente, istruito e con un perfetto galateo. Traduzione: non possedeva nemmeno un pitale in cui vuotarsi la vescica. «L'hai detto», confermò di nuovo Eggers. «Quindi Larry ha fatto il bambino cattivo?» «Lo ha fatto, e continuerà a farlo», rispose Eggers, sorseggiando lo scotch. «Capisco.» «Ora che Teddy è passato a miglior vita, chi è che impieghi per quel genere di lavoretti?» «È passato parecchio tempo dall'ultima volta che qualcuno mi ha chiesto quel genere di lavoretti», ribatté Stone, teso. «Non usare quel tono con me, ragazzo», replicò Eggers, fingendosi sdegnato. «È lavoro, e qualcuno deve farlo.» Stone sospirò. «Credo di poter trovare il tizio giusto.» Eggers gli scoccò un'occhiata penetrante. «Non starai pensando di occupartene di persona, vero? Voglio dire, è un'impresa da scalatori, e tu non sei più il giovincello di un tempo.» «Non sto neanche pensando di occuparmene di persona, ma puoi stare sicuro che sarei sufficientemente in forma per farlo io, se volessi», ribatté Stone. «Di che genere di scalata stiamo parlando?» «Del tetto di una palazzina di sei piani, dove si dovrà fotografare attraverso un lucernario piazzato proprio nel punto giusto.» «Non esiste, né mai esisterà, un lucernario piazzato proprio nel punto giusto, se sei tu a dover fare la scalata», obiettò Stone. «Ti servirà un tipo... atletico, termine difficilmente applicabile ai poliziotti e agli ex poliziotti che frequenti.» In quel preciso momento, quasi a sottolineare il concetto, Dino Bacchetti, il compagno di pattuglia di Stone all'epoca dei suoi trascorsi nel Dipartimento di polizia di New York, entrò nel ristorante, puntando al loro tavo-
lo. «Capisci quello che voglio dire, no?» osservò Eggers. Stone alzò una mano, fermando Dino a metà strada, poi, con l'indice, gli fece segno di deviare verso il bar. «D'accordo, Bill, messaggio ricevuto», dichiarò Stone. «Vedrò chi posso recuperare.» «Non c'è molto tempo», riprese Eggers. «La cosa è per le nove di domani sera.» «Quale cosa è per le nove di domani sera?» «L'incarico. Larry Fortescue ha un appuntamento con una massaggiatrice, la quale, da quello che capisco, gli massaggia abitualmente ben più della muscolatura del collo. Elena vorrebbe delle fotografie molto chiare mentre quello specifico servizio viene eseguito.» «Lasciami vedere che cosa posso fare.» Eggers ingollò ciò che restava nel bicchiere e mise sul tavolo un foglietto piegato. «Sapevo che avresti capito al volo.» Si alzò. «Lì c'è l'indirizzo dell'edificio. Stampe e negativi mi serviranno entro mezzogiorno di dopodomani.» «Perché tutta questa fretta?» «Elena Marks è abituata a soddisfazioni istantanee.» «Ma non da Larry.» «Capisci veramente al volo, Stone. 'Notte 'notte.» Dirigendosi alla porta, Eggers assestò a Dino una pacca sulla spalla. Dino si avvicinò al tavolo, leccandosi lo scotch che era straboccato sul dorso della mano per il colpo di Eggers. «Che bolle in pentola?» disse accennando alla schiena di Eggers che spariva oltre la porta. Stone sbuffò. «Lavoro sporco.» 2 Dino asciugò il resto dello scotch che gli era finito sulla mano con un tovagliolo di carta. «Ne esiste qualche altro tipo?» «Certo che esiste, e me ne passano in abbondanza», rispose Stone sulla difensiva. «Questo quanto è sporco?» «Appena un po' unticcio; comunque non devo uccidere nessuno.» «E a chi lo farai fare?» «Be', Teddy è morto, per cui dovrò chiamare Bob Cantor.» Stone riesu-
mò il cellulare e lo accese. «Bob è il tuo uomo», approvò Dino. «Oltre a essere tuo zio.» Stone compose un numero e gli rispose la segreteria telefonica. Lasciò un messaggio, poi chiamò Bob sul cellulare. Questa volta la risposta fu istantanea. «Parla!» La voce di Cantor gridò per coprire un sottofondo di voci chiassose e di percussioni. «Sono Stone. Dove diavolo sei?» «Saint Thomas, bello!» gridò Cantor. «Tipo la Saint Thomas delle isole Vergini?» «Non è certo della chiesa che sto parlando.» «Bob, mi serve aiuto. Sei sobrio?» «Figurarsi! Mi sono fatto abbastanza piñas coladas da riempirci la vasca di casa tua che fa le bolle gorgogliando a ritmo continuo.» «Non gorgoglia a ritmo continuo, è semplicemente una grossa vasca con dentro i tubi della Jacuzzi.» «Quello che è. Perché non vieni quaggiù anche tu, Stone? Le donne sono da non credere.» «Io ci crederei.» «Allora, cos'è che ti serve, visto che chiami interrompendo le mie bevute?» Stone si diede un'occhiata attorno, poi chiuse la mano a coppa sopra il microfono del cellulare. «Mi serve un uomo che non soffra di vertigini e che sia in gamba con la macchina fotografica.» «Cos'è, hai messo in piedi una bisca clandestina?» «Non esattamente. E le foto devono essere scattate da un tetto, per cui voglio qualcuno abbastanza in forma da non cadere di sotto facendo fare a tutti la figura degli idioti.» «Hai una matita?» Stone tirò fuori una penna. «Spara.» «Herbie Fisher.» «Chi è?» «Il figlio di mia sorella. È giovane, audace e agile, ed è anche un bravo fotografo.» «La luce potrebbe non essere delle migliori.» «In quelle situazioni non lo è mai, o sbaglio?» «Non sbagli.» Cantor diede il numero a Stone, che lo annotò su un tovagliolino di carta. «Di' a Herbie che ti mando io, e avvertilo di non mandare tutto a quel
paese.» «Perché, è sua abitudine mandare tutto a quel paese?» chiese Stone. Ma Cantor aveva già chiuso la comunicazione e fatto ritorno alle sue piñas coladas. «Fingerò di non aver sentito», disse Dino. «Ottimo.» Stone compose il numero che Cantor gli aveva dato. Squillò cinque volte prima che qualcuno si decidesse a rispondere. «Cosa?» Un giovane, la voce ansimante. «Herbie Fisher?» «Ma chi è? Gesù, non si può più nemmeno fare una scopata in pace?» «Sono Stone Barrington. È tuo zio Bob che mi ha detto di chiamarti.» «Dammi il tuo numero, io qui ho qualcosa da finire.» Stone lo fece e chiuse la comunicazione. «Mi sa che l'ho interrotto.» «Mentre era in monta?» «Così sembra.» «Questi ragazzi...» Dino ridacchiò. «Nessuno avrebbe mai beccato te o me nel mezzo di una cosa del genere.» «Nahhh», concordò Stone. Poi guardò verso la porta del ristorante e si bloccò. «Dino, guarda verso l'ingresso e dimmi se vedi anche tu quello che credo di vedere io.» Dino gettò uno sguardo al di sopra della spalla. «Carpenter!» Lei era là, con indosso un magnifico soprabito di cachemire che faceva risaltare i capelli castano scuro. Era là che si guardava attorno, con l'aria sperduta. Stone fermò al volo Michael, il capocameriere. «La signora vicino alla porta. Va' da lei e dille: 'Signorina Carpenter? Il signor Barrington la sta aspettando'. Poi portala qui.» Michael annuì ed entrò in azione. Stone osservò il viso di lei, nessun segno di sorpresa. Carpenter non rivelava mai molto. Michael la condusse fino al tavolo e Stone e Dino si alzarono. «Perché ci hai messo tanto?» Stone la abbracciò, baciandola sulla guancia. «Sono venuta il più presto possibile.» L'accento inglese di Carpenter era levigato, cremoso. «Dino, come stai?» Lo abbracciò. «Adesso meglio», rispose lui. Stone le prese il soprabito, andò ad appenderlo, la aiutò con la sedia e sedette a sua volta, facendo di nuovo cenno a Michael. «Che cosa ti andrebbe da bere, Carpenter?» Non conosceva il suo nome di battesimo. Neanche il suo cognome, se per quello. Carpenter era al tempo stesso un no-
me, un soprannome e un nome in codice. Si erano incontrati a Londra l'anno prima, quando Stone era andato a cacciarsi in un guaio da cui lo aveva tirato fuori il servizio segreto inglese. Anche Dino era stato della partita. «Bourbon, per favore, senza ghiaccio», disse Carpenter. «Preso nota, Michael?» Michael annuì e se ne andò. «Da quando una fanciulla inglese beve bourbon?» chiese Dino. «Da quando un certo Stone l'ha traviata dalla retta via della virtù», rispose lei. Le fu messo di fronte un bicchiere e Carpenter sorseggiò con espressione compiaciuta. «E che cosa ti porta a New York?» chiese Stone. «Oltre a me, intendo.» «Tu sei la ragione più importante, è naturale», rispose lei melliflua. «Ma c'è anche un certo lavoretto che devo fare con un'agenzia del tuo governo. Lavoretto che richiederà ogni momento libero che riuscirò a strappare alla tua presenza.» «Farò in modo che di momenti del genere non ce ne siano molti», replicò Stone. «Posso chiederti di quale agenzia del mio governo stiamo parlando?» «FBI», rispose Carpenter. «Oh, certo, loro sarebbero i tipi più o meno analoghi a quelli del tuo ufficio, non è così?» «Forse», disse Carpenter con distacco. «Andiamo, Stone, tanto non ti dirà nulla», intervenne Dino. Elaine tornò al tavolo, accostando una sedia. «Elaine Kaufman, permettimi di presentarti...» Stone aspettò che fosse Carpenter a colmare la lacuna. «Felicity.» Carpenter porse la destra a Elaine, lanciando a Stone uno sguardo divertito. «Sul serio?» chiese Stone. «A volte», replicò Carpenter. Il cellulare di Stone si mise a suonare. 3 Stone si alzò. «Scusami un momento», disse a Carpenter. Si diresse verso le cucine, svoltando nella sala vuota che Elaine usava per le feste e nei casi di grande affollamento. «Pronto?» «Herbie Fisher. Mi hai chiamato tu?»
«Esatto. Pochi minuti fa ho parlato con tuo zio Bob, e lui ha raccomandato te per un lavoro.» «Che genere di lavoro?» «Con una macchina fotografica.» «La fotografia mi piace», disse Herbie. «Dimmi di più.» «È per domani sera, per cui liberati dei tuoi impegni. Vieni al mio ufficio domattina alle dieci.» Stone gli fornì l'indirizzo. «È l'ingresso principale dell'edificio, livello inferiore.» «Quanto paghi?» «Ne parliamo domattina.» Stone chiuse la comunicazione e tornò a sedersi. Elaine si era nuovamente spostata a un altro tavolo. «Incontro galante?» chiese Carpenter. «Affari», precisò Stone. «Già, gli affari.» «Quanto ti fermi in città?» «Qualche giorno, a meno che non trovi un motivo per restare più a lungo.» Dino si alzò. «Vi lascio alla ricerca di quel motivo.» «Buonanotte, Dino», disse Carpenter. «Spero di rivederti durante il mio soggiorno a New York.» «Contaci», replicò Dino, poi si allontanò. «Che uomo delicato», commentò Carpenter. «Se lo dici tu. Felicity, quindi. Mi piace, come nome.» «Uno vale l'altro; non intendo cambiarlo.» «Hai cenato?» «Una cena di lavoro poco fa.» «Dove stai?» «Con amici.» «Con amici dove?» «Nel quartiere dietro le Nazioni Unite.» «Molto vicino a me. Vieni a casa mia per un ultimo drink?» «D'accordo.» Indossarono i soprabiti. Una volta fuori, Stone cercò di fermare un taxi al volo. «Lascia stare», gli disse Carpenter. «Ho la macchina, per gentile concessione del mio ufficio.» Accennò verso una Lincoln nera in attesa vicino al marciapiede. «Ottimo.» Stone le aprì la portiera. Diede all'autista l'indirizzo di casa
sua. «È a Turtle Bay», osservò Carpenter. «Conosci Turtle Bay?» «So leggere mappe e guide turistiche, e so tutto quello che c'è da sapere. La tua casa si affaccia sul giardino pubblico?» «Sì, è così.» «Forse domani me lo mostrerai, il giardino.» «Certamente», replicò Stone, ma non era del tutto sicuro di che cosa Carpenter intendesse dire. «Uno come fa a permettersi una casa di proprietà, considerati i prezzi degli immobili a New York di questi tempi?» «Semplice. Ha una zia che muore e che gli lascia la casa in eredità. Poi sempre quell'uno sgobba fino a spezzarsi la schiena per ristrutturarla.» «Sono ansiosa di vederla.» «Allora rilassati: ci siamo.» Stone aprì la portiera e Carpenter si spostò sul sedile, per poi tornare a protendersi nell'abitacolo. «Puoi andare», disse all'autista. Parole che a Stone piacquero parecchio. Precedette Carpenter su per le scale, fece scattare la serratura e appese i soprabiti nell'armadio dell'anticamera. «Non sapevo che avessi amicizie a New York.» «Amicizie di lavoro.» «Giusto. E immagino che nel loro armadio dell'anticamera ci sia una selezione di cappe e spade.» «Una selezione notevole, infatti», confermò Carpenter. Dal quadro principale nell'ingresso, Stone accese un po' di luci. Carpenter entrò nel soggiorno. «Molto elegante», commentò. «Hai scelto tu l'arredamento o hai lasciato fare a un architetto?» «La maggior parte dell'arredamento è arrivata con la casa. Ho fatto rifoderare tutto. Ho scelto i tessuti.» «Davvero? Mi era parso di notare un tocco femminile.» Stavano sfiorando una zona in cui Stone non voleva entrare. «Il mio studio è qui», disse, facendo strada. «Magnifiche le pannellature e le librerie.» «È stato mio padre a progettarle e a costruirle.» «Tuo padre il comunista?» «Ex comunista», corresse Stone. «Hai dato un'occhiata a un po' di dossier che mi riguardano, o sbaglio?»
«Qua e là. Madre, pittrice. Entrambi i genitori diseredati dai loro, di genitori, i quali erano magnati dell'industria tessile in Inghilterra. Perché è successo?» «Mio padre per le sue idee politiche. Mia madre per averlo sposato. L'unico componente della famiglia che non gli tolse la parola fu la mia prozia. Fu lei a comprare questa casa e ad assumere mio padre per rifare gran parte dell'interno. Impedì che i miei morissero di fame, nei primi tempi del loro matrimonio. Cos'altro hai scoperto di me?» «Che sei andato all'università di New York, e poi alla facoltà di legge. Dopo di che ti sei arruolato nel Dipartimento di polizia di New York, diciassette anni da poliziotto, compresi undici da detective. Ti sei dimesso per motivi di salute, ufficialmente. Una pallottola in un ginocchio, non è così?» «Sì, ma c'erano anche altri motivi, di natura più politica. Il dipartimento non è mai stato molto convinto del mio modo di agire.» «Quando avremo più tempo dovrai raccontarmi tutto», disse Carpenter. «Non abbiamo tempo adesso?» «Non proprio. Dov'è la camera da letto?» Stone la precedette su per una rampa di scale. «Eccola qui.» «Penso che sia meglio procedere.» Carpenter cominciò a slacciarsi la giacca del tailleur. «Ho un appuntamento domattina presto.» Stone rimase immobile, stupefatto, a bocca aperta. Carpenter sollevò una mano e gliela chiuse, poi lo baciò dolcemente. «Non devi credere a tutto quello che hai sentito dire riguardo alle ragazze inglesi», aggiunse, slacciandogli i bottoni. «Farò meglio a ricordarlo.» Stone l'aiutò nell'impresa. Stone si svegliò nella grigia luce dell'alba che filtrava dalle finestre sul giardino. Udì l'acqua scorrere nella doccia. Si alzò, trovò una vestaglia, si diede un colpo di spazzola ai capelli. Stava per andare da Carpenter quando lei uscì dal bagno, con indosso il suo accappatoio, viso lucente privo di trucco. «Buongiorno», esordì. «Sei stato piuttosto bravo questa notte.» «Lusinghiero da parte tua», replicò Stone. «Interessante il fatto di parlarmi mentre facevamo sesso», continuò lei. «Gli uomini inglesi non parlano mai.» «No?» «No, sembrano sempre avere una gran fretta. Tu, per contro, te la sei
presa comoda, e questo mi è piaciuto.» «Sei davvero una grossa sorpresa, Felicity.» «Oh, lo spero», replicò Carpenter. «Se non lo fossi stata, tutta la mia facciata professionale accuratamente costruita sarebbe compromessa.» Stone le circondò la vita con le braccia. «Te lo garantisco, non c'è pericolo. Come ho detto, sei davvero una grossa sorpresa.» «Credo che dovremo cimentarci di nuovo.» Carpenter prese l'orologio da polso dal piano della cassettiera. «Tu te la senti?» «Farò uno sforzo», sospirò Stone. 4 Stone rimase sulla soglia, le braccia attorno a Carpenter. «Non vuoi che ti chiami un taxi?» «È solo a un isolato da qui», rispose lei. «Che cosa?» «La... uhm... casa dei miei amici.» «Che cos'è, una palazzina unifamiliare? Un palazzo d'appartamenti?» «È molto confortevole», fu la risposta di Carpenter. «Anche se casa tua mi piace molto di più.» «E allora perché non vieni a stare qui finché rimani a New York?» «Che magnifica idea!» esclamò lei, baciandolo. «Lasciami vedere se posso sistemare la cosa.» «Cena questa sera?» «Splendido. Torno qui, diciamo, alle otto?» «Ci vediamo a quell'ora.» Stone rimase a osservarla mentre si allontanava lungo la strada a passi rapidi, scomparendo oltre l'angolo. Poi tornò dentro a prepararsi la colazione. Herbie Fisher si presentò all'appuntamento con quaranta minuti di ritardo. Piccolo di statura, faccia di furetto, vestito alla moda, irritante. «Ehi», disse, lasciandosi cadere sulla sedia di fronte alla scrivania di Stone. «Sei in ritardo», gli fece notare Stone. Herbie scrollò le spalle. «Traffico.» «Se deciderò di affidarti questo lavoro, dovrai essere puntuale.» Herbie scrollò di nuovo le spalle. «E allora affidalo a qualcun altro», ribatté, alzandosi. Stone sollevò il ricevitore e premette il pulsante di una linea che non esi-
steva. «Joan», disse nel microfono, «trovami il tizio che abbiamo usato il mese scorso per quel lavoro fotografico.» Riagganciò, fece finta di esaminare alcune carte, sollevò di nuovo lo sguardo. «Sei ancora qui?» «Okay, okay», cedette Herbie. «Messaggio ricevuto. Farò a modo tuo, puntualità e tutto il resto. Quanto ci guadagno?» «Cinquecento», rispose Stone. «Erano mille, ma la tariffa si è appena dimezzata. Vuoi puntare a due e cinquanta?» «Vanno bene i cinquecento», disse Herbie con aria afflitta. «Sentiamo il piano.» Stone gli diede un foglio di carta. «Presentati a questo indirizzo alle otto di stasera. Sai scassinare una serratura?» «Una serratura fatta come?» «Quella della porta d'ingresso di una palazzina con parecchi appartamenti.» «Nessun problema.» «Se non ci riesci, dovrai farti aprire da qualcuno, oppure aspettare che qualcun altro lasci l'edificio in modo che tu possa entrare. Se c'è un ascensore, lo prendi fino all'ultimo piano; se non c'è, sali a piedi.» «Portando cosa?» «Almeno due macchine fotografiche, un obiettivo grandangolare, diciamo da trentacinque millimetri, e un teleobiettivo medio, un cento, centotrenta millimetri, quell'ordine di grandezza. Pellicola rapida a colori, niente flash. Lavori esclusivamente con luce ambientale. Una volta raggiunto l'ultimo piano, trovi il modo di arrivare sul tetto. L'appartamento al quinto piano ha un lucernario. Attorno alle nove, in quell'appartamento ci saranno un uomo e una donna. Voglio fotografie esplicite di quello che faranno l'uno all'altra. È tutto chiaro?» «Chiaro come il gin.» «Fatto questo te ne vai e sviluppi la pellicola. Fallo tu di persona, niente laboratori esterni. Capito?» «Capito. Non preoccuparti, ho tutta l'attrezzatura. I due soggetti chi sono?» «Io non lo so, e tu non vuoi saperlo. Voglio i negativi e due serie di stampe da venti per venticinque qui, su questa scrivania, non più tardi delle dieci di domattina.» «Ricevuto», disse Herbie. «Voglio essere pagato adesso.» «Scordatelo. Cinquecento dollari, in contanti, alla consegna. Se farai un lavoro pulito, senza guai, e se il tuo lavoro mi piacerà, ti darò mille dollari.
Se c'è qualcosa che pensi di non essere in grado di affrontare, dimmelo subito: questa è la tua unica possibilità.» «Sono in grado di affrontare qualsiasi cosa», dichiarò Herbie. Stone gli ripeté il numero del suo cellulare. «Chiamami quando ti sarai sganciato dall'edificio senza problemi. Non scrivere il numero, memorizzalo e basta.» «Capito.» «Infine, Herbie, intendiamoci bene: tu manda tutto in malora, e io non so nemmeno chi sei. Non chiamarmi dalla stazione di polizia per chiedermi di tirarti fuori su cauzione, mi sono spiegato?» «Ti sei spiegato.» «Se ti fai arrestare, te ne stai in galera fino a quando tuo zio Bob non farà ritorno dalle isole Vergini.» «Bla, bla, bla. D'accordo, ho capito.» Herbie si alzò, prendendo uno dei biglietti da visita di Stone dal vassoio sulla scrivania. «Rimettilo dove l'hai preso», intimò Stone. «Tu e io non ci siamo mai incontrati, tu e io non siamo in nessun modo collegati.» «Gesù, sei proprio un culoduro.» Herbie rimise a posto il biglietto da visita. «Adesso lo hai capito, il messaggio», replicò Stone. «Ma, qualora ci fosse ancora qualche lacuna, lascia che te lo spieghi lettera per lettera: se ti fai beccare, l'accusa che ti arriva sul gozzo è quella di guardone, e forse di tentato furto con scasso; questo se va bene. Se va male, l'accusa è ricatto. Puoi finire dentro per un bel pezzo, e starai dentro senza ricevere visite settimanali e biscottini fatti in casa da parte mia. In breve: tu combina un casino, e saranno tutti cazzi tuoi.» Herbie alzò le mani in un gesto di difesa. «Te l'ho detto, ho capito. Sono un professionista. Conosco i rischi, e sono pronto a incassare duro, se le cose vanno male.» «Se non sarai qui con la merce entro le dieci di domattina, allora saprò che le cose sono andate male. A quel punto, me ne andrò per una settimana o due da tuo zio a Saint Thomas. E lui testimonierà che sono rimasto tutto il tempo lì.» «Tu pensi che lo zio Bobby mi farebbe una cosa del genere? A me?» «Me lo ha già assicurato. Neanche a lui piacciono quelli che combinano casini.» Annuendo furiosamente, Herbie si alzò e si dileguò. Stone pregò l'Onnipotente di aver lasciato il segno su quel ragazzo.
Chiamò la segretaria, Joan Robertson, sull'interfono. «Sì, Stone?» «Prenotami un tavolo per due al Café des Artistes alle otto e mezzo, per favore.» «Certo, e ti prometto di non dirlo a Elaine.» «Ottima mossa da parte tua. Se io sono morto, tu sei disoccupata.» «Afferro la logica.» «E se dovesse chiamare una donna di nome Carpenter, dalle il mio numero di cellulare. Non vorrei perdere la telefonata.» «Qualcuno di nuovo, Stone?» «Qualcuno di vecchio, ma non troppo.» 5 Carpenter si presentò a casa di Stone puntualissima, seguita da un autista in uniforme che portava due grosse valigie. Carpenter baciò leggermente Stone sulle labbra. «Accetto il tuo invito.» «Sei la benvenuta.» Poi disse all'autista: «Metta pure le valigie nell'ascensore. Me ne occupo io». Stone condusse Carpenter nella camera da letto e le mostrò dove poteva sistemare i suoi vestiti. «Non metterci troppo», la esortò. «Abbiamo un tavolo tra mezz'ora.» Consultò l'orologio da polso: a quel punto, Herbie Fisher doveva già essere nell'edificio. Stone utilizzava un'autorimessa con autista. Quando lui e Carpenter uscirono di casa, il solito uomo aveva già portato la sua Mercedes E55 davanti alla porta. «Molto elegante», rilevò Carpenter, sistemandosi sul sedile posteriore accanto a Stone. «E anche blindata», aggiunse lui. «Casomai qualcuno volesse farti del male.» «Stai scherzando.» «No. Quando decisi di comprare un'auto, qualche tempo fa, stavano portando questa nel salone. L'aveva ordinata un mafioso, ma l'avevano crivellato di colpi il giorno prima della consegna.» «Pessimo tempismo.» «Ottimo per me, però. Sparavano addosso anche a me, all'epoca, così la
comprai all'istante con un grosso sconto. La blindatura ferma solo proiettili di armi leggere, niente razzi o mine anticarro.» «E ce ne sono molti di razzi e di mine anticarro nelle strade di New York?» chiese Carpenter. «Non più come una volta. Il sindaco Giuliani ha scoraggiato quel genere di comportamento, e il suo successore Bloomberg sembra seguire la stessa linea.» Arrivarono al numero 1 di West 67th Street in orario per il loro tavolo al Café des Artistes, e furono fatti accomodare immediatamente. Stone ordinò due champagne fraise des bois. «Che cos'è?» chiese Carpenter. «Una coppa di champagne con uno spruzzo di liquore di fragole di bosco.» I cocktail arrivarono subito. «Mi piacciono, questi murali.» Carpenter osservò le ninfe nude dipinte sulle pareti, intente ad accogliere i conquistadores. «Una delle ragioni principali per cui mi piace questo ristorante. Guarda bene: anche se le facce sono diverse, le ninfe hanno tutte lo stesso corpo. Credo che l'artista, Howard Chandler Christy, avesse una modella favorita.» «Mi auguro che non siamo venuti qui esclusivamente per i nudi», disse Carpenter. «Niente paura, il cibo è eccellente.» Stone sbirciò l'orologio. Herbie ormai doveva aver raggiunto la sua postazione sul tetto. Stone ordinò per entrambi charcuterie e bourride, zuppa di pesce in una densa salsa all'aglio. «Mmm», approvò Carpenter dopo il primo assaggio. «Per fortuna mangiamo la stessa cosa, con tutto quest'aglio.» «Felicity, eh?» chiese Stone cambiando argomento. «Senza scherzi?» «Senza scherzi. Era il nome di mia nonna.» «E il tuo cognome qual è?» «Non sono sicura di conoscerti abbastanza per dirtelo.» «Dopo la scorsa notte, penso che tu mi conosca al punto di dirmi qualsiasi cosa», ribatté Stone. Carpenter rise. «D'accordo, è Devonshire.» «Come la contea dell'Inghilterra?» «Esattamente.» «Felicity Devonshire. Potrebbe essere il nome di un'attrice del Teatro
dei capolavori.» «Che cos'è il Teatro dei capolavori?» «Un programma della PBS che presenta lavori teatrali inglesi.» Stone consultò nuovamente l'orologio: le nove e mezzo. Herbie avrebbe chiamato da un momento all'altro. «Perché continui a guardare l'orologio?» volle sapere Carpenter. «Ti chiedo scusa, ma questa sera c'è qualcosa in ballo, e dovrei ricevere una telefonata di conferma che il ballo è andato a buon fine.» «Parli come un mio collega.» «Non esattamente», obiettò Stone. «Anche se è probabile che alcune delle tecniche siano le stesse.» «E la tecnica in questione sarebbe?» «Fotografare di nascosto», rispose Stone. «Roba da buco della serratura? Vorrai scherzare.» «In amore e in divorzio tutto è lecito.» «E io che pensavo che in quella partita fossimo noi inglesi ad avere tutti gli assi, assieme ai francesi.» «Nient'affatto. New York è uno Stato a codice colpa-zero.» «Colpa-zero? Che cosa significa? Sembra' un'assicurazione automobilistica.» «Significa che il divorzio è legalmente considerato non imputabile a nessuna delle due parti. In molti Stati è il contrario. In quello di New York è necessaria una ragione per divorziare, adulterio, in particolar modo, o qualche genere di abuso. La prima ragione tuttavia non è necessariamente una colpa. A volte i clienti mi chiedono di fornire le prove. Nel caso particolare di questa notte, la prova è più importante del divorzio stesso, dal momento che il marito ha firmato un accordo prematrimoniale secondo il quale - se dovesse fare lo stallone fuori della riserva - non avrebbe neanche un soldo della considerevole fortuna della moglie.» «Povero fessacchiotto.» «Avrei potuto domandartelo prima, ma... Perché non ti sei mai sposata?» «Il lavoro», rispose Carpenter. «La mia compagnia storce il naso di fronte ai matrimoni dei dipendenti, a meno che non siano tra colleghi. Sposare qualcuno al di fuori della professione è pressoché una garanzia di divorzio, spesso di quelli al veleno, e alla compagnia quel genere di pubblicità non piace affatto.» «E nessuno dei gentiluomini del mestiere ti ha mai interessato?» «Oh, uno c'è stato», disse Carpenter. «Un paio d'anni fa la cosa si fece
seria tra un collega e me, ma non seria quanto io pensavo che fosse. Quando gli venne offerto un incarico all'estero, lui accettò subito, con notevole contrarietà da parte mia. Ho immediatamente interrotto la relazione. Quanto a lui, aveva fatto la scelta sbagliata.» «Forse non era poi così sbagliata, considerando quanto poco ci ha messo a piantarti in asso.» «Sono completamente d'accordo», commentò Carpenter. «Comunque mi sono gettata la cosa alle spalle. Tu sei la mia prima, ehm... relazione da allora. Il che spiega perché ieri notte non vedevo l'ora di trascinarti a letto. Spero che tu non sia stato intimidito dalla mia determinazione.» «Ti sono parso intimidito?» Carpenter rise. «No, non direi affatto. Sei stato... molto interessante.» Finirono le portate principali e passarono al dolce. Quando venne servito il caffè, Stone si era completamente dimenticato di Herbie Fisher. Fu allora che il suo cellulare si mise a vibrare. Stone controllò l'ora: qualche minuto dopo le undici. «Vuoi scusarmi?» disse a Carpenter, prendendo il telefono. «Fai pure.» Stone aprì il cellulare. «Pronto?» «Non è stata colpa mia!» Ed eccolo, Herbie Fisher, molto, molto agitato. «Ma di che parli?» «Quello stramaledetto lucernario doveva essere vecchio, o chissà cosa.» «Che cosa accidenti è successo?» domandò Stone, compiendo uno sforzo per tenere bassa la voce. «Si è schiantato», berciò Herbie. «Sono caduto a picco sopra tutti e due.» «Sei caduto sopra...» Stone s'interruppe, girò lo sguardo attorno. «Dove ti trovi?» «Non è colpa mia se il tizio è morto», disse Herbie. «Il tizio è che cosa?» «Tu devi venire qui!» piagnucolò Herbie. «Qui dove?» «Ci sarà l'udienza al tribunale notturno.» «Stammi a sentire molto attentamente», sibilò Stone. «Non dire una parola a nessuno. Né alla polizia, né al viceprocuratore distrettuale, a nessuno. Mi hai capito?» «Certo che ho capito. Per chi mi prendi, per un cretino?» «Evita, Herbie. Sarò là nel giro di un'ora. E tu tieni la bocca chiusa.»
Stone richiuse il cellulare con un colpo secco. «Qualcuno si è ritrovato con un pollice ficcato nell'occhio mentre sbirciava dal buco della serratura?» chiese Carpenter. «Qualcosa del genere.» Stone fece cenno che gli portassero il conto. «Non hai una bella cera», commentò Carpenter. «Me lo immagino», replicò Stone. Aveva l'impressione di essere sul punto di vomitare la cena sul tavolo. «Un brutto affare, davvero brutto.» Firmò il conto, afferrò Carpenter e si precipitò verso la porta. «Dove stiamo andando?» chiese lei. «Io vado al tribunale notturno. Tu torni a casa.» «Non torno affatto a casa», protestò Carpenter. «Io voglio vederlo, questo tribunale notturno.» Stone la spinse nella Mercedes. «Potrebbe volerci un po'.» «Ho tutta la notte a disposizione», replicò Carpenter. «Un brutto affare, davvero brutto», ripeté Stone, parlando in parte a se stesso, mentre la macchina si metteva in moto. 6 Stone rimase seduto in uno dei piccoli locali riservati agli incontri fra gli avvocati e i loro clienti. Carpenter si era fermata nella grande aula al piano superiore, a godersi il concetto americano di giustizia. L'altra porta del cubicolo si aprì lasciando entrare Herbie Fisher. Il ragazzo aveva un aspetto orribile: niente cintura ai pantaloni, niente lacci delle scarpe, capelli arruffati, un'espressione di terrore sul volto ossuto. Sedette sullo sgabello di fronte a Stone e si afferrò alla griglia di metallo che li separava. «Devi tirarmi fuori di qui...» Aveva le lacrime agli occhi. «Datti una calmata, Herbie», sibilò Stone. «Nessuno sta cercando di ucciderti.» «È che non hai visto i tizi che sono in cella con me», ribatté Herbie. «Adesso tu devi farmi uscire.» «Herbie, hai presente la piccola chiacchierata che abbiamo fatto ieri? Quella in cui ti ho avvertito che, se combinavi un casino, erano tutti cavoli tuoi?» «Non è stata colpa mia!» ululò Herbie. «Abbassa la voce. Ora, voglio che tu mi dica esattamente quello che è successo.»
«Prima fammi uscire di qui», replicò Herbie. «Poi te lo dico.» «Herbie, o tu mi dici quello che è successo, e me lo dici adesso, o io mi alzo, me ne vado e ti lascio marcire in galera.» «Non puoi farlo! Devi farmi uscire! Io non posso starci, in galera!» «Herbie, stanimi a sentire con estrema attenzione. Fai qualche respiro profondo e calmati.» Herbie prese aria dalla bocca. «Ora ti dirò quello che sta per succedere.» Herbie sembrò calmarsi. «Stanotte, prima o poi, andrai davanti al giudice del tribunale notturno. Le accuse contro di te potranno comprendere omicidio colposo, violazione di domicilio e tentato furto. Hai capito?» «Ma io non ho ucciso nessuno!» tornò a ululare Herbie. «Tu devi tirarmi fuori di qui!» «E piantala. All'udienza, sarai rappresentato da un legale, e ti dichiarerai non colpevole di tutte le accuse. Poi verrà fissata una cauzione, sarà pagata e tu verrai rilasciato. Farai colazione a casa tua.» «Sarai tu a rappresentarmi?» chiese Herbie in tono implorante. «No, sarà un altro avvocato. Tu non dovrai fare il mio nome né a lui né a nessun altro. Hai capito?» «Ma sì, ma sì...» «Ora voglio che tu mi dica esattamente cos'è successo questa notte. Comincia dal momento in cui sei entrato nell'edificio.» Herbie prese fiato un paio di volte. «La porta al piano terra era aperta, tipo... accostata, mi segui? Tutto quello che ho dovuto fare è stato spingerla.» «Ottimo, questo aiuterà contro l'accusa di violazione di domicilio.» «Poi ho preso l'ascensore fino all'ultimo piano, come hai detto tu, e ho trovato la porta del tetto. Quando sono uscito sul tetto, la porta mi si è chiusa alle spalle, e questo mi ha spaventato, perché ero intrappolato là sopra. Sarei stato costretto a scendere lungo la grondaia o roba simile.» «Okay, sei sul tetto. A quel punto che succede?» «L'appartamento sotto il lucernario è rimasto al buio per alcuni minuti, poi, poco prima delle nove, una luce si è accesa e io ho potuto vedere dentro.» «Che cosa hai visto?» «C'era una ragazza nella stanza, stava sistemando uno di quei lettini da massaggio portatili... sai di che parlo?»
«Sì. Continua.» «Bene, la ragazza ha sistemato tutto, con grande attenzione per ogni particolare. Ha acceso e spento le luci parecchie volte, fino a quando non sono state proprio come le voleva lei. Poi ha messo sul lettino delle lenzuola e altre cose.» «Okay, va' avanti.» «Qualche minuto dopo le nove è arrivato questo tizio, e si è tolto i vestiti. In realtà, se li sono tolti tutti e due, i vestiti.» «Si sono baciati, abbracciati?» «Appena un bacetto sulla guancia e un colpetto sul didietro.» «Una foto almeno l'hai fatta?» «No, non ancora. Stavo preparando la macchina fotografica.» Stone riuscì a controllare la tentazione di urlargli in faccia. «Continua, dopo che cosa è successo?» «Il tizio si è steso sul lettino, a faccia in giù, così mi sono detto che fotografarlo non serviva a niente, tanto la faccia non si vedeva.» «Per cui non hai scattato fotografie nemmeno a questo punto?» «No, non ancora. Be', comunque la ragazza ha cominciato a massaggiarlo da tutte le parti, e lui si agitava parecchio. Poi si è girato sulla schiena e io l'ho visto in faccia.» «Così lo hai fotografato, giusto?» «No, non ancora.» «Herbie, almeno una dannata foto l'hai fatta sì o no?» «Sicuro, già, le ho fatte sì, le foto.» «Quando?» «Ci sto arrivando. Insomma, lei si mette a lavorargli l'affare, mi capisci, e lui si torce su e giù, ma l'angolazione non era tanto buona...» «Quale angolazione, quella del suo affare?» «No, quella per le foto. Così sono strisciato sul lucernario in modo da inquadrare meglio. Sembrava abbastanza robusto da reggermi.» «Così, quando hai trovato una buona posizione, finalmente hai cominciato a scattare, giusto?» «Giusto. Ho fatto un paio di foto con il grandangolo da trentacinque millimetri. Poi ho sentito... be', non proprio sentito, ecco, credo di... di aver percepito uno scricchiolio sotto di me, ci sei?» «Va' avanti, Herbie.» «Ho smesso di scattare e ho pensato che forse era meglio togliermi da quel lucernario.»
«Hai smesso di scattare?» «Be', insomma, il lucernario faceva dei rumori come se stesse per spaccarsi, per cui dovevo scendere dai vetri.» «E sei sceso dai vetri?» «Non esattamente.» «Che significa 'non esattamente'?» «Io - immagina la scena - sto arretrando, e il lucernario scricchiola di nuovo, e la ragazza di sotto guarda su e mi vede, mi guarda dritto in faccia.» «E la faccia della ragazza, quella almeno l'hai fotografata?» «Non sono sicuro», disse Herbie. «È successo tutto molto in fretta.» «Che cosa è successo molto in fretta?» «Il tizio stava sdraiato là, come se avesse finito e si fosse addormentato, come succede sempre, ci sei? E la ragazza ha cominciato ad allontanarsi dal lettino.» «D'accordo, e poi cos'è successo?» «Il lucernario è andato in pezzi e io sono caduto dentro la stanza.» «E poi?» «Non ricordo.» «Che cosa vuol dire 'non ricordo'?» «Be', devo essere svenuto per un po' e, quando mi sono svegliato, ero sdraiato sopra questo tizio, e il tizio era morto.» «Aspetta un momento», lo interruppe Stone. «Come fai a sapere che era morto?» «Perché se ne stava sdraiato là, con gli occhi sbarrati a fissare il vuoto. Non sbatteva le palpebre né niente.» «A quel punto cos'hai fatto?» «Mi sono rimesso in piedi, mi sono tolto di dosso i pezzi di vetro e tutto il resto e ho girato lì dentro per capire se non si era rotto niente. Di me, intendo.» «E tu stavi bene?» «Io sì, ma il tizio era morto. Penso di avergli spezzato una gamba, però.» «Quando sei caduto sopra di lui?» «Già, perché gli sono caduto sulle gambe.» «Questo non avrebbe dovuto ucciderlo.» «È proprio quello che sto cercando di dirti da un pezzo. Non l'ho ucciso io, il tizio... non è possibile.» «Poi cos'è successo?»
«Ho sentito questi altri tizi che arrivavano», rispose Herbie. «Sembrava che un intero reggimento corresse su per le scale.» «Non hanno usato l'ascensore?» «No.» «Continua.» «Ho immaginato che fossero poliziotti, così mi sono guardato attorno, alla ricerca di un posto in cui nascondere la macchina fotografica, e ho visto una cassa di legna vicino al caminetto. Così sono andato lì, l'ho aperta, ho tirato fuori un ciocco, ho messo dentro la macchina fotografica e ci ho rimesso sopra il ciocco. Cercavo un'altra strada per scappare fuori dalla stanza quando la porta si è aperta e tutti questi tizi sono entrati.» «Erano poliziotti?» «Credo di sì.» «Erano in uniforme?» «No. Sembravano detective, in abiti normali.» «E cos'hanno fatto?» «Due di loro mi hanno afferrato e sbattuto al muro, altri due hanno dato un'occhiata al tizio nudo sul lettino. Poi ho sentito uno dire che quello aveva una gamba rotta, l'altro che era morto.» «E a quel punto cos'è successo?» «Se ne sono andati.» «Se ne sono andati? Vuoi dire che sono usciti dall'appartamento e ti hanno lasciato là dentro da solo?» «Già. Uno di quelli ha detto: 'Mettiti calmo'. Così io mi sono messo calmo.» «E poi?» «Ho cercato un'altra via per andarmene dall'appartamento, una via che non fosse la porta, ma non l'ho trovata. Così mi sono seduto su una sedia e per un po' sono stato a guardare il tizio morto. Poi sono arrivati i poliziotti. Questa volta le divise le avevano. E anche le pistole. Mi hanno arrestato e mi hanno portato alla stazione di polizia, dove mi hanno cacciato in un furgone assieme a dei tipi davvero fetenti e mi hanno portato qua.» «Quindi i detective si sono semplicemente dileguati e pochi minuti dopo sono arrivati i poliziotti?» «Già, tranne che... be', non sono poi tanto sicuro che fossero proprio detective.» «Che cosa intendi dire?» «Quando parlavano tra loro, avevano un accento sballato.»
«Sballato come?» «Tipo quello che si sente alla tivù, quella serie... Mystery.» «Vuoi dire un accento inglese?» «Già, proprio come quell'accento lì. Dei poliziotti inglesi.» Stone era trasecolato. «Ora stammi a sentire bene, Herbie: ti troverò un avvocato e ti farò uscire su cauzione. Ma se l'avvocato ti domanda che rapporto hai con me, tu gli dirai soltanto che sono un amico di tuo zio Bob, il quale è fuori città, per cui, quando hai pensato che ti serviva un avvocato, hai chiamato me. Capito?» «Capito.» «E non dirai niente del nostro incontro di ieri. Se l'avvocato vuole sapere che cosa ci facevi su quel tetto, gli dirai che sei un fotografo free lance, e che stavi cercando di fare qualche foto da vendere ai fogliacci scandalistici. Gli dirai che non ti ha assunto nessuno. Capito?» «Capito.» «Una volta che la cauzione è fissata e tu sei uscito, vai a casa e cerchi di dormire. Mi occuperò io di questa faccenda, e quando avrò scoperto qualcosa te lo farò sapere.» «Okay.» «Herbie, sei mai stato arrestato?» «No, prima di questa notte.» «Mai? Guida in stato di ubriachezza? Furto con scasso? Schiamazzi in luogo pubblico? Qualche altra cosa? Lo verranno a sapere, e questo cambierà le cose.» «Mai. Sono pulito.» «Un lavoro ce l'hai?» «Sì, faccio andare la macchina che sviluppa le foto entro un'ora in un emporio di Brooklyn.» «Quanti anni hai?» «Ventidue.» «Vivi con qualcuno?» «Ho un posto mio vicino all'emporio.» «Tutto questo dillo all'avvocato.» «Come si chiama?» «Non l'ho ancora scelto. Sto andando adesso.» «E io quando esco di qui?» «Quando chiameranno il tuo caso. Potrebbe essere fra due, anche tre ore, non c'è modo di saperlo adesso. L'avvocato sarà in grado di scoprirlo.»
Stone premette il pulsante per chiamare il secondino. «Ora tornatene in cella e tieni la bocca chiusa. Non parlare con nessuno del motivo per cui ti trovi qui dentro, e non fare amicizia con nessuno dei tuoi compagni di cella. Uno qualsiasi di loro venderebbe la tua pelle per meno di un pacchetto di sigarette.» «Okay.» Il secondino venne a portare via Herbie, e Stone salì al piano superiore. All'aula del tribunale. 7 Stone entrò nell'aula, dandosi un'occhiata in giro. Vide Carpenter seduta in seconda fila, apparentemente assorta nell'osservazione dell'ambiente circostante. Stone continuò a esplorare lo spazio con lo sguardo fino a quando non ebbe trovato il suo uomo, vicino a un detenuto con indosso la tuta carceraria arancione, in attesa del suo turno davanti al giudice. Tony Levy era basso, tozzo e professionalmente preparato. Si guadagnava da vivere come avvocato stazionando fra un'aula e l'altra, agguantando casi al volo. Stone lo aveva incontrato al tribunale una mezza dozzina di volte e, per la situazione di quella notte, era perfetto. Protese una mano oltre il parapetto e toccò Levy sulla spalla. «Ehi, Stone.» Levy sorrise, offrendo la destra. «È un pezzo che non ti si vede da queste parti.» «Cerco di restarmene su in centro», ribatté Stone. «Ho un caso per te. Puoi parlare?» Levy si voltò verso il suo cliente, il quale era ingioiellato di catene d'acciaio ai polsi e alle caviglie. «Non andare da nessuna parte, torno tra qualche minuto», gli disse, poi fece cenno a Stone di dirigersi verso l'altro lato dell'aula, dove lo condusse oltre una porta, dentro una piccola sala riunioni. «Che succede?» domandò. «Il nipote di un mio amico. Conosci Bob Cantor?» «L'ex poliziotto? Certo, l'ho avuto sul banco dei testimoni un paio di volte.» «Suo nipote - il nome è Herbie Fisher - è al piano di sotto in attesa di comparire davanti al giudice. Le imputazioni: omicidio colposo, violazione di domicilio, tentato furto.» «Però!» commentò Levy. «Sembra che stesse cercando di scattare foto piccanti per un caso di di-
vorzio. Solo che è caduto dentro un lucernario, dritto su questo tizio che si stava facendo fare un massaggio molto approfondito da un'esperta signorina.» «Gesù!» «Difatti. Il guaio è che, quando Herbie ha ripreso i sensi, il tizio era morto.» «E sarebbe quello l'omicidio colposo?» «Esatto, ma suona come un'accusa assurda visto che Herbie gli è caduto sulle gambe. Sono arrivati i poliziotti e lo hanno portato via. Più tardi posso mettermi al lavoro per ridurre i capi di accusa, quello che voglio adesso è tirare fuori il ragazzo su cauzione. Farò una telefonata a Irving Newman per sistemare la faccenda soldi, in modo che il suo uomo qui al tribunale sia pronto per te.» «Okay.» «Herbie ha ventidue anni, nessun precedente, ha un lavoro e un appartamento. Per la cauzione, ipotizzerei venticinquemila dollari, ma sono pronto per una cifra più alta, se necessario.» «Okay, sembra tutto abbastanza lineare. Un testone e sono il tuo uomo.» «Ti mando i contanti via fattorino domani», disse Stone annuendo. «Senti, Tony, non voglio che il mio nome finisca su nessun giornale in relazione a questo caso. In realtà, non voglio esserci collegato in nessun modo. Mi capisci?» «Ti ricevo forte e chiaro, Stone. Immagino che i soci di Woodman & Weld non farebbero salti di gioia di fronte alle attività di Herbie.» «Preferiscono che io mi tenga lontano dal tribunale notturno, a meno che non si tratti di un loro cliente», precisò Stone. «Per cui io adesso sparisco. Chiamami sul cellulare se salta fuori qualche problema che non riesci a risolvere. Il ragazzo se la sta facendo sotto dalla paura, e ha proprio bisogno di dormire nel suo letto questa notte.» «Farò di tutto e di più», garantì Levy. «Tranne che rimboccargli le coperte.» Stone raggiunse il punto in cui era seduta Carpenter, la toccò sulla spalla e le fece cenno di seguirlo. «Ti stai divertendo?» le chiese una volta usciti dall'aula, quando furono nel corridoio. «È affascinante», commentò lei. «Il tuo caso quando arriva?» «Non è il mio caso. Sto solo facendo un favore a un amico. Sarà un altro avvocato a rappresentare il tizio.» Stone tirò fuori il cellulare e compose un
numero. «Scusami un attimo», disse a Carpenter. «Pronto?» La voce non era assonnata. Irving Newman, il garante di cauzioni preferito da Stone, era abituato a essere svegliato nel cuore della notte. «Irving, Stone Barrington.» «Stone, stai bene? Di che cosa ti hanno accusato?» «Ti ringrazio, Irving. Io sono a posto, e non c'entro», ridacchiò Stone. «Sono giù al tribunale notturno. Conosci Bob Cantor?» «L'ex poliziotto?» «Lui. Suo nipote, un certo Herbie Fisher, deve apparire stanotte, accusato di omicidio colposo, violazione di domicilio e tentato furto. M'immagino che la cauzione sarà sui venticinquemila dollari, ma teniamoci pronti per qualcosa di più, non si sa mai.» «Chiamo il mio uomo al tribunale», disse Irving. «Che cosa ti impegni, la casa?» Tipico senso dell'umorismo di Irving Newman. «Certo, Irving, e anche il giardino. Domattina chiama Joan, la mia segretaria. Ti farà avere per fattorino i venticinque bigliettoni, in contanti. A proposito, noi non ci siamo mai parlati.» «No, certo. Pronto, ma chi è che chiama?» Irving riappese. Stone richiuse il cellulare e lo rimise in tasca. Prese Carpenter per un braccio e la guidò fuori del tribunale, fino alla macchina in attesa. «Allora, che cosa sta succedendo e perché non hai voluto parlarmene mentre venivamo qui?» chiese Carpenter. «Roba strettamente riservata», rispose Stone. «Non dovrebbe essere molto diverso nel tuo lavoro, giusto?» «Be', conosco già il nome del tuo cliente e di che cosa è accusato, o no? E Irving sta preparando la cauzione.» «Herbie non è mio cliente. Sto solo facendo un favore a un amico.» «Per una qualche ragione, mi sono fatta l'idea che questo favore stia durando dall'inizio della serata», osservò Carpenter. «Non hai fatto altro che guardare l'orologio, e stavi chiaramente aspettando una telefonata, ma quello che hai sentito non ti è piaciuto affatto.» Stone si portò l'indice alle labbra, indicando l'autista. «D'accordo», fece Carpenter. «Quando saremo a casa. Ma non intendo venire a letto con te fino a quando non avrò saputo tutto.» Carpenter rimase immobile ai piedi del letto. La vestaglia lasciata aperta, invitante, rivelava un corpo snello, tonico. «Allora, sentiamo tutta la sto-
ria.» Stone la guardò fisso, ed era già più che pronto per lei. «Ah, vieni a letto e basta», mugugnò. Carpenter serrò la vestaglia con un nodo alla cintura. «Non fino a quando non avrò sentito tutto.» «Questo è ricatto.» «No, estorsione. Come avvocato, dovresti sapere la differenza.» «D'accordo», cedette Stone. «Ho mandato un fotografo a scattare foto sconce di un uomo sposato e di una signorina nubile in posizioni compromettenti. Il fotografo si è fatto prendere la mano ed è caduto attraverso un lucernario, atterrando sull'uomo il quale, stranamente, è morto. È arrivata la polizia e ha arrestato il fotografo.» Carpenter parve molto interessata. «Il morto chi è?» «Questo non hai bisogno di saperlo.» «Stone, sarà sui giornali di domani.» «E d'accordo di nuovo. È un tuo compatriota, un certo Lawrence Fortescue, sposato a una mia cliente occasionale.» Dal volto di Carpenter svanì qualunque espressione. «E come è morto?» «Non si sa», rispose Stone. «Herbie non è riuscito a capire: gli è caduto sulle gambe. Non avrebbe potuto ucciderlo. E poi c'è qualcosa d'altro di strano: una masnada di individui in borghese, che sembravano poliziotti ma che non lo erano, è apparsa in un battito di ciglia. Secondo Herbie, almeno uno di loro parlava con accento inglese. E Herbie ha imparato tutto quello che sa in proposito guardando serie poliziesche inglesi in tivù.» «Che cos'è successo alla donna coinvolta?» «Il bello è che non lo so. Herbie è rimasto per un momento privo di sensi. Si sarà allontanata dall'appartamento. Date le circostanze, è stata la mossa giusta.» «Devo usare il telefono nell'altra stanza», disse Carpenter. «E non osare ascoltare.» «Ma non vieni a letto?» «Tra un minuto», lo rassicurò lei, aprendo la porta. «Cerca di non addormentarti.» Stone osservò la spia rossa del telefono che si accendeva, e resistette alla tentazione di ascoltare dalla derivazione. Dieci minuti dopo, quando scivolò nel sonno, lei era ancora al telefono. 8
Fu la vescica piena a svegliare Stone molto presto la mattina seguente. Andò a vuotare l'impianto idraulico organico e si trascinò nuovamente a letto. A quel punto si rese conto di essere solo. Sollevò la testa dal cuscino. «Carpenter?» Nessuna risposta. Si costrinse di nuovo ad alzarsi, guardò nel bagno, poi nello studio. Niente Carpenter, in compenso le sue valigie erano ancora lì. Caracollò a letto per la terza volta ma, mentre rimaneva sdraiato, il suo inconscio cominciò a far tornare in superficie quello che aveva rimuginato durante la notte. Dopo pochi minuti di dialogo con la propria psiche, Stone si mise seduto sul letto e guardò la sveglia. Le nove e dieci. Aveva dormito come un sasso. Alzò il telefono e chiamò Dino in ufficio. «Bacchetti», abbaiò questi in risposta. «Stone.» «Non dire una sola parola. Vediamoci al Clarke's per il pranzo», replicò il tenente, e riattaccò. «Che diavolo?...» protestò Stone ad alta voce. Era del tutto sveglio adesso. Si fece una doccia, si rase, si vestì e discese nel suo ufficio al piano terra. Entrando dalla porta posteriore, poté udire il rapido martellare delle dita di Joan sulla tastiera del computer. Il martellare s'interruppe. «Ci sono», avvertì Stone. «Herbie Fisher ha chiamato tre volte negli ultimi venti 'minuti.» Joan apparve sulla soglia, posando sulla scrivania un post-it con il messaggio. Stone grugnì. «Richiamalo e passamelo. Vado a pranzo con Dino, per cui non prendermi nessun appuntamento prima delle tre del pomeriggio.» Joan uscì. La spia sul telefono òli Stone si accese e un momento dopo Joan trasferì la chiamata. Stone alzò il ricevitore. «Sta' zitto, Herbie», intimò, prima che il ragazzo potesse dire una sillaba. «In che razza di guaio mi hai cacciato?» ragliò Herbie. «Ti ho detto di stare zitto. Se non chiudi la bocca in questo preciso momento, io ti attacco il telefono in faccia e tu puoi sbatterteli da solo, i tuoi problemi legali.» Herbie rimase zitto. «Ora ascoltami molto attentamente, perché questa è l'ultima volta che tu e io ci parliamo, al telefono o di persona. Mi hai capito?»
«Ho capito», rispose Herbie, la voce contrita. «Mi darò da fare per ottenere una riduzione delle accuse a tuo carico e...» «Riduzione? Dovrò comunque andare in galera!» «Chiudi il becco, Herbie.» «Scusa.» «Mi darò da fare per ottenere una riduzione delle accuse a tuo carico e perché tu ottenga la libertà vigilata invece di restare dentro.» «Ma avrò la fedina penale sporca.» «Sta' zitto, Herbie.» «Scusa.» «Non sei mai stato né arrestato né condannato, hai un lavoro regolare, per cui probabilmente avrai la libertà vigilata senza obbligo di firma settimanale.» «Questa sarebbe una cosa carina.» «Questa sarebbe una cosa strafottutamente carina, visto che l'alternativa è dai cinque ai sette anni per omicidio colposo.» «Quand'è che vengo pagato?» «Pagato?!» L'urlo di Stone quasi mandò in pezzi il microfono. «Pagato per cosa?» «Be', il lavoro io l'ho fatto, tipo...» fece Herbie. «Ah, sì? E allora dove sono, tipo, le foto di due persone intente a fare cose sconce l'una all'altra?» «Be', la mia macchina fotografica è ancora nell'appartamento», spiegò Herbie. «Potrei tornare là e...» «Non osare nemmeno avvicinarti a quell'appartamento!» urlò Stone. «Per favore, puoi smetterla di urlarmi nell'orecchio?» Herbie sembrava ferito. «Non è molto gentile, ecco. E c'è anche da dire che la mia macchina fotografica è nuova di zecca, e che la garanzia è registrata a mio nome, e che se la polizia la trova possono risalire fino a me.» Per un momento, Stone fu colto alla sprovvista dalla comparsa di un pensiero razionale nella mente di Herbie Fisher. Fu un momento molto breve. «Herbie, è in quell'appartamento che la polizia ti ha arrestato. Che differenza vuoi che faccia se anche risalissero a te attraverso la macchina fotografica?» «Ah, già. Giusto», ammise Herbie. «La macchina fotografica lasciala a me», riprese Stone. «Dov'è che lavori?»
«Da Walgreens, a Brooklyn.» Herbie gli diede l'indirizzo e il numero di telefono dell'emporio. «Ascolta. Se riesco a recuperare la macchina fotografica, se le foto valgono qualcosa, e se tu non mi chiamerai più, mai più, per nessun motivo, allora verrai pagato.» «Immagino che sia giusto», commentò Herbie, come se percepisse che quello era il meglio che potesse strappare. «Tony Levy te lo ha dato il suo biglietto da visita?» «Tony chi?» «L'avvocato che ieri notte ti ha tirato fuori su cauzione.» «Ah, lui. Sì.» «Se hai altri problemi con la polizia, è Levy che devi chiamare, non me. Affronterà lui la situazione.» «Okay.» «Quanto era la cauzione?» «Duecentocinquantamila dollari.» «Che cosa?» «Così ha detto il giudice.» «Ah, merda», mugugnò Stone. «Herbie, tu provati a scappare e io vengo a darti la caccia in modo da chiudere la partita di persona. Mi hai capito?» «Ti ho capito.» «Levy ti ha spiegato i termini della cauzione?» «Be', sì.» «Fa' in modo di seguirli alla lettera.» «Va bene.» «Ora mettiti calmo e aspetta di sapere cosa succede con le accuse. Nel momento in cui saprò qualcosa, chiamerò Levy e poi Levy chiamerà te.» «Capito.» «E hai anche capito di non telefonarmi mai più?» «Va bene. Visto che non ti parlerò più, Stone, vorrei solo dire che è stato un vero piacere lavorare con te, e...» Stone sbatté giù il telefono, imprecando. Chiamò Joan sull'interfono. «Sì, capo?» «Joan, per favore, metti mano al contante che abbiamo in cassaforte. Consegna a mano venticinquemila dollari a Irving Newman e altri mille dollari a Tony Levy. Gli indirizzi di entrambi sono nella tua agenda.» «Adesso?» «Allunga la pausa pranzo e consegnali allora. E fa' in modo che li conti-
no, e che ti diano una ricevuta, tutti e due.» «Sarà fatto, ma questo ci lascerà praticamente a secco.» «Lo so, lo so.» Stone chiuse la comunicazione, ascoltando i contorcimenti del proprio stomaco. Non aveva fatto colazione, ed era troppo presto per il pranzo. Appoggiò la fronte sul fresco legno del piano della scrivania e cercò di vuotarsi la mente di tutto quanto. Joan tornò a farsi sentire. «Bill Eggers sulla uno.» Stone grugnì di nuovo e alzò il telefono. 9 Bill Eggers non era contento. «Hai visto il Daily News di questa mattina?» «No.» «Bene, chiunque altro su questo pianeta lo ha visto. Non so proprio perché tu invece no.» «Bill...» «Il nostro uomo ha ucciso Larry, lo sai?» «Bill...» «Elena Marks lo voleva secco, d'accordo, ma non secco a quel modo.» «Bill...» «Spiegami com'è potuto succedere.» «Un banale incidente?» propose Stone, speranzoso. «Incidente? Non è stato affatto un incidente! È stata pura stupidità, assoluta inettitudine. Lo sai o no che Elena Marks, senza dimenticare il suo patrimonio, è uno dei più grossi e più proficui clienti di questo studio legale? E io adesso dovrò mettermi a spiegare...» Stone premette il tasto di attesa e chiamò Joan. «Sì, capo?» «Per favore, va' a prendermi una copia del Daily News, immediatamente.» «Torno in un lampo.» Stone tornò a premere il tasto della linea uno. «...e anche a ogni socio dello studio. Tu e io abbiamo una riunione con Elena Marks alle tre di questo pomeriggio nel suo appartamento, e tu farai bene a prepararti a disinnescare questa bomba. E nel frattempo, nel caso la stampa dovesse subodorare che in questo indegno fiasco sei coinvolto tu, farai anche bene a cercare un nuovo lavoro, oppure un Paese straniero che
ti permetta di continuare a fare l'avvocato. E, quando ti presenterai a casa di Elena, non farti vedere senza quelle fotografie!» «Bill...» Troppo tardi, Eggers aveva già riagganciato. Stone chiamò nuovamente Joan. «Per favore, cerca Tony Levy. Prova sul cellulare.» Sedette immobile, fissando il muro, cercando di decidere che cosa fare. «Levy sulla uno», avvertì Joan. Stone prese il telefono e andò all'attacco. «Hai fatto uscire Herbie per duecentocinquanta bigliettoni?» «Stone, prenditela calma», disse Levy, conciliante. «Calma? Venticinquemila dollari è roba calma. Un quarto di milione di dollari è roba molto, molto agitata.» «Il giudice Simpson si è sentito male in aula, così la Kaplan è venuta a rimpiazzarlo. Tu lo sai com'è fatta quella donna: mi è già andata bene a esser riuscito a far uscire Herbie su cauzione. Siamo stati fortunati che lei non lo abbia fatto fucilare contro il muro del tribunale.» «È entrata in scena la Kaplan?» ripeté Stone. E capì che Tony aveva ragione. Quella donna non era semplicemente un giudice dal capestro facile: era un giudice dallo squartamento istantaneo. «Hai spiegato a Herbie quanto è fondamentale che lui aderisca alle condizioni della libertà su cauzione?» «Non preoccuparti, gliel'ho fatta fare sotto dalla paura», rispose Levy. «Herbie non scapperà, stanne certo.» «Se scappa, metà della cauzione la faccio pagare a te», lo avvertì Stone. «Tu sogni alla grande», ribatté Levy in tono deciso. «Ho fatto tutto il possibile per quel ragazzino. Nemmeno tu assieme all'intero collegio di difesa di O.J. Simpson avresti potuto ottenere di più dalla Kaplan. Dove sono i miei soldi?» «Saranno da te all'ora di pranzo», gli assicurò Stone. Joan mise davanti a lui, sulla scrivania, una copia del Daily News. «Vedo che hai fatto quattro chiacchiere con la stampa», rilevò Stone, passando dalla colonna in prima pagina alla continuazione dell'articolo nelle pagine interne. «Io però non vedo il tuo nome stampato da nessuna parte, o sbaglio?» ribatté Levy. «Lascia che mi goda il mio posto al sole finché dura, Stone. È tutto quello che un avvocaticchio da suburra come me può sperare. In fondo, non a tutti è concesso di fare il lavoro sporco per Woodman & Weld.»
«Quello che è accaduto non ha nulla a che vedere con lo studio legale», affermò Stone. «Te l'ho già detto, Tony, stavo facendo un favore a Bob Cantor.» «Certo, Stone, come no. E io sarò l'avvocato difensore delle buone figliolette del presidente Bush la prossima volta che verranno beccate a ordinare martini alla caffetteria del college. Non preoccuparti, amico, non ho intenzione né di comprometterti né di ricattarti. Ma farai bene a trovare altro lavoro per me molto presto, altrimenti la mia etica potrebbe indebolirsi.» Tony Levy riappese, ridendo come un demente. Stone entrò nel ristorante P.J. Clarke's, si aprì la strada nella ressa dell'ora di pranzo fino al banco del bar e trovò Dino seduto a un buon tavolo nella sala sul retro. «Buona giornata, tenente», esordì. «Seduto, e bocca chiusa», replicò Dino. «Ma che ti prende oggi?» chiese Stone. «Perché non mi è permesso parlare?» «Perché so già tutto quello che dirai.» Dino ingollò metà boccale di birra e fece cenno al cameriere. «Due hamburger con formaggio e pancetta, cottura media, due tazze di chili, e per il nostro Perry Mason una birra.» Il cameriere scomparve. «Riguardo a ieri notte...» cominciò Stone. «So già tutto di ieri notte», lo interruppe Dino. «Chiunque non sia analfabeta sa tutto di ieri notte.» Tamburellò con il dito sulla sua copia del Daily News, appoggiata sul tavolo. «Avrei qualche domanda», ritentò Stone. «Sarò io a darti le risposte. Uno: la ragazza dei massaggi è riuscita a seminare i miei uomini scappando dai tetti. Sembra sia dotata dell'agilità di un ladro acrobata, il che è ben più di quanto possa dire per il tuo garzone, Herbie Fisher. Due: i quattro tizi in borghese che hanno fatto irruzione per primi lavorano per un servizio segreto di un Paese straniero, il quale rimarrà anonimo. Tre: loro e i poliziotti sono arrivati sul posto così in fretta perché si trovavano sul pianerottolo del piano inferiore, in appostamento per una o entrambe le persone nell'appartamento. Quattro: no, non so dove si trovino le foto che Herbie ha scattato. Qualche altra domanda?» Stone scosse il capo. «Grazie al cielo Herbie ha tenuto il mio nome fuori da tutto questo.» «Davvero? E che cosa te lo fa pensare? Herbie ha cominciato a vomitare
di tutto e di più addirittura nell'autopattuglia. Ed è andato avanti a farlo senza soluzione di continuità dai gradini del distretto fino alla sala interrogatori. Parlava a tale velocità che nessuno riusciva a stargli dietro con gli appunti. E indovina un po' chi era la superstar delle sue storielle?» Dino spostò la mano aperta sul tavolo, e mancò poco che rovesciasse la birra. «Signore e signori: ecco a voi il nostro protagonista!» Il cameriere piazzò il cibo davanti a loro. «Adesso vomito», gorgogliò Stone. «Allora vomita nel tuo cappello, amico. Perché io adesso mangio.» «Non posso mangiarla, questa roba», mugugnò Stone, andando all'attacco del chili. «Non preoccuparti, il detective che si occupa del caso sa che noi due siamo amici. Lui terrà la bocca chiusa, e io ho già cancellato il nastro dell'interrogatorio.» «Ti ringrazio, Dino.» «È tutto quello che sai dire? Dovresti offrirmi il corpo sensuale di Carpenter su un piatto d'argento.» «A proposito: Carpenter è coinvolta, in qualche modo. Ho la sensazione che sappia benissimo quale sia il Paese straniero dei tizi in borghese di ieri notte. Dopo che le ho raccontato quello che era successo, ha cominciato a fare telefonate e, quando mi sono svegliato, ho capito che non aveva dormito da me.» «Oh, poverino.» «Non credo affatto che sia stata la caduta di Herbie a uccidere Larry Fortescue», dichiarò Stone. «Bene, nemmeno io lo credo, ma questo probabilmente non lo sapremo mai.» «Perché no? Il medico legale riuscirà a scoprirlo.» «Questa mattina il medico legale era pronto, bisturi in pugno, quando saltano fuori due tipi con un'ingiunzione della corte federale. Dopo di che si portano via il cadavere a bordo di un furgone.» «Cazzo. Cazzo!» «I miei stessi sentimenti, più o meno.» «L'intera faccenda è finita completamente fuori controllo», commentò Stone. «Be', è finita completamente fuori del nostro controllo», precisò Dino. «Ma qualcuno deve sapere quello che sta succedendo. Di sicuro, quel qualcuno non è nel Dipartimento di polizia di New York.»
Stone finì il chili. «Io però so qualcosa che tu non sai.» «Cioè che cosa?» «So dove si trovano le fotografie.» «Le voglio.» Dino allontanò la sedia dal tavolo. «Adesso.» «Solo un momento. A te una serie di stampe, a me i negativi e tutto il resto», negoziò Stone. «Affare fatto.» Dino si alzò. «E mi serve che siano stampate entro le due e mezzo, senza che nessuno faccia il furbo. Conosci qualcuno che possa starci?» «Puoi scommetterci quello che vuoi», garantì Dino. «Togliamoci da qui.» Stone gettò un po' di soldi sul tavolo, ingollò una sorsata di birra, afferrò il suo hamburger e corse dietro a Dino. 10 Stone s'infilò nel taxi dopo Dino, il quale continuò a fissarlo. «Lo dici tu all'autista dove andiamo?» disse Dino. Stone fornì l'indirizzo dell'edificio con il lucernario sfondato, poi staccò un morso gigantesco dall'hamburger. «Dunque la macchina fotografica è ancora là dentro?» chiese Dino. «Se abbiamo fortuna», rispose Stone, continuando a masticare hamburger al formaggio. «Nessuno del distretto è stato nell'edificio, oggi», proseguì Dino. «Ho verificato. Quelli dell'FBI sono scesi in pista. Prego il Signore che non l'abbiano trovata loro.» «Siamo in due a pregare», replicò Stone. Il taxi si fermò facendo stridere le gomme davanti all'edificio. Dino scese. «Paga tu», disse, senza fermarsi. Stone pagò il tassista e gli andò dietro, senza smettere di mangiare il suo hamburger. Dino era davanti alla porta d'ingresso e suonava a vari citofoni. Apparve il custode della palazzina, anche lui che masticava. «Che cosa volete?» Parlava con un marcato accento inglese. Dino gli fece vedere la patacca. «È chiuso l'appartamento al quinto piano?» «Poco ma sicuro», rispose l'uomo. «Il tizio dell'FBI mi ha dato precise istruzioni.»
«Dammi la chiave», disse Dino. «Non scherzo con l'FBI», replicò il tizio, trangugiando un boccone. «O mi dai la chiave adesso, o io ti arresto per intralcio alle indagini e ti risbatto nel Paese fetente da cui sei venuto.» L'uomo si cacciò una mano in tasca e diede a Dino una chiave. «Non dirlo a nessuno», disse, poi rientrò nel suo appartamento. Stone e Dino salirono in ascensore fino all'ultimo piano. «Quella è la porta del tetto», indicò Dino quando uscirono dalla cabina. Poi aprì la porta dell'appartamento incriminato. Dentro era buio. Stone premette un interruttore che accendeva una lampada in un angolo. Il lettino da massaggio, due gambe spezzate, era rovesciato al centro della stanza. «Ecco perché è buio.» Dino indicò verso l'alto. Il lucernario distrutto era stato chiuso con assi di compensato. «Niente male, come posto», aggiunse. «Sembra che sia stato affittato già ammobiliato», rilevò Stone. «Nessuno comprerebbe quadri indegni come questi, tranne il proprietario dell'immobile.» «Okay, la conferenza di belle arti è finita», disse Dino. «Dov'è la pellicola?» Stone si avvicinò al caminetto e aprì la cassa di legno accanto a esso. Era piena di ceppi artificiali fatti di segatura pressata. Ne sollevò uno ed estrasse una macchina fotografica da trentacinque millimetri con grandangolo. Stone riavvolse la pellicola, fece scattare lo sportello posteriore della macchina fotografica e si mise in tasca il rullino. Staccò l'obiettivo, lo fece scivolare nella tasca esterna del soprabito e mise la macchina nell'altra tasca. «Andiamocene», disse a quel punto. «Voglio vedere il tetto», dichiarò Dino, dirigendosi alla porta. La aprì e uscì all'esterno. Stone lo seguì. La porta si richiuse alle loro spalle. Stone diede un'occhiata attorno. «Non vedo proprio come la ragazza abbia potuto scendere di qui», osservò. «Bene, faremo meglio a capirlo alla svelta», replicò Dino. «Che fretta c'è?» «È probabile che l'FBI arrivi qui da un momento all'altro, e tu hai chiuso quella maledetta porta, intrappolandoci quassù.» Stone tentò di abbassare la maniglia. Niente. «Merda.» Dino si sporse oltre il bordo del tetto. «C'è una grondaia», osservò. «Vai giù prima tu. Voglio vedere se regge il peso.» Anche Stone si sporse oltre il parapetto. «Io non vado giù lungo quel co-
so», affermò. «Ho uno dei miei vestiti buoni. Vai tu, risali con l'ascensore e vieni ad aprire la porta.» «Lo sai, è proprio una magnifica idea», fece Dino. «Per quale motivo dovremmo andarci tutti e due giù per quella gronda?» Estrasse la pistola e la puntò contro Stone. «O scendi o ti sparo.» Stone scosse la testa. «Forza, spara. Sempre meglio che cadere dal quinto piano.» Erano ancora l'uno di fronte all'altro quando la porta si aprì e il custode apparve sul tetto. «L'FBI ha appena chiamato», annunciò. «Voialtri dovete andare via di qui, se no nei guai ci finisco io.» Dino mise via la pistola e rientrò nell'edificio. «È il tuo giorno fortunato. Stavo davvero per spararti.» «Non lo avresti fatto», ribatté Stone, entrando nell'ascensore. «Sì, invece», martellò Dino. «Figurati se mi mettevo a scendere per quella gronda.» «Figurati se lo facevo io», replicò Stone. «Ecco perché stavo per spararti.» In strada fermarono un altro taxi che li portò fino a un negozio di fotografia in 3rd Avenue. Dino entrò e raggiunse una delle macchine di sviluppo e stampa in un'ora, sventolando il distintivo. Stone consegnò il rullino all'addetto. «Voglio che questo venga sviluppato sotto i nostri occhi. Due serie da dodici per quindici», precisò Dino. «E non provarti a guardarle.» «Facciamo tre stampe», precisò Stone. «Sì, signore», disse il ragazzo dietro la macchina. Prese la pellicola e si mise al lavoro. «Quanto ci vorrà?» chiese Stone. Il ragazzo indicò il cartello FOTO IN UN'ORA. «Un'ora.» «Meglio che non sia così», intimò Dino. Dieci minuti più tardi, il ragazzo stava studiando la striscia di pellicola in controluce. «Solamente quattro pose sono esposte», rilevò. «Piantala di guardarle e stampale», intimò Dino. Altri dieci minuti ed ebbero le stampe. «Posso lasciarti da qualche parte?» chiese Stone, dopo aver dato al tassista l'indirizzo di Elena Marks. «Puoi scommetterci», rispose Dino. «Dammi le stampe.» Stone gliene diede una serie, se ne mise un'altra nella tasca dell'impermeabile, assieme ai negativi, ed esaminò la terza.
«Che razza di casino», esclamò Dino. «Per inchiodare qualcuno in una causa di divorzio non servirebbero a niente. In questa lui è sdraiato sul ventre. In queste altre tre, lui ha un braccio sopra la faccia e la testa di lei blocca la vista dei gioielli di famiglia. Per quello che si vede, sembra che la ragazza stia praticando al cliente un normale massaggio. Dov'è che ha imparato a fare le foto quel ragazzino, al riformatorio?» Stone continuò a osservare la quarta fotografia. La donna stava guardando in alto, verso il lucernario. Era l'unica immagine in cui si vedesse parte del suo viso. Aveva lunghi capelli scuri e, da quanto Stone riusciva a vedere, era attraente. «Niente male», commentò. «Certo», concordò Dino. «Per quello che si vede.» Il taxi si fermò all'incrocio indicato da Dino e lui smontò. «Che intendi fare con le fotografie?» gli chiese Stone dal finestrino. «Non ho ancora deciso.» «Non darle ai federali.» «Senza un'ingiunzione della corte e una pistola puntata alla testa io non do mai niente ai federali», ribatté Dino, allontanandosi. 11 Il taxi portò Stone al numero 1111 di 5th Avenue, vicino al Metropolitan Museum. Bill Eggers lo stava aspettando. «Grazie al cielo sei in orario. Ora ascolta bene: una volta che saremo su, lascia che sia io a parlare. Tu limitati a tenere la bocca chiusa e ad annuire molto.» «Tutto quello che vuoi», disse Stone, grato di non essere costretto a spiegare gli eventi della notte precedente. L'ascensore arrivava direttamente nell'ingresso dell'appartamento di Elena Marks. L'ingresso, rilevò Stone, era grande quasi quanto la sua camera da letto. Pavimenti in marmo, quadri costosi alle pareti. Una composizione floreale delle dimensioni di un televisore a schermo gigante era collocata su un tavolo Luigi XV. Apparve un uomo in giacca bianca. «Signor Eggers? Signor Barrington? Cortesemente, vogliate seguirmi.» Li guidò attraverso un soggiorno delle dimensioni di un campo da basket, quindi in una biblioteca dominata da soffitti immensi. Una scala a chiocciola in un angolo conduceva al livello superiore. Ogni libro in vista era rilegato in pelle, la medesima rilegatura per intere serie di volumi. Elena Marks non si vedeva da nessuna parte.
«Vi prego, accomodatevi», li invitò il maggiordomo. «La signora Fortescue vi raggiungerà tra breve. Vi posso servire un cordiale?» «No, grazie», rispose Eggers. Stone aveva voglia di una birra, quell'hamburger formaggio e pancetta si muoveva ancora nel suo stomaco. «È la prima volta che la sento definire 'signora Fortescue'», commentò. «Be', adesso è una vedova, o no?» Una sezione di scaffali lungo una parete si aprì all'improvviso ed Elena Marks Fortescue fece il suo ingresso nella biblioteca. La porta-scaffalatura tornò a richiudersi silenziosamente dietro di lei. Elena Marks era sottile come una lama di rasoio, aveva capelli biondo chiaro e indossava un abito a fiori di un vivido colore giallo. Il genere di abbigliamento che sarebbe stato perfetto su una fresca vedova dalle parti di Palm Beach, Florida, valutò Stone. «Buon pomeriggio, Elena», esordì Eggers. «Ti ringrazio per avere accettato d'incontrarci.» «Bill», rispose Elena, annuendo. Poi spostò lo sguardo algido su Stone. «Signor Barrington», disse attraverso denti serrati, perfettamente incapsulati. Stone cercò di sorridere. Non funzionò. «Buon pomeriggio, signora Mar... ehm, signora Fortescue.» Elena gli tenne gli occhi piantati addosso per qualche altro momento, come per punirlo, prima di rivolgere altrove la sua attenzione. Stone ebbe l'impressione di essere stato perforato da parte a parte con una fiamma ossidrica. «Seduti», disse Elena. «Parlate.» Sembrava tenere a stento il proprio furore sotto controllo, e rivolgersi a loro come se fossero due cani forse l'aiutava. «Elena», cominciò Eggers in tono cauto, «permettimi anzitutto di esprimerti le mie condoglianze, unitamente a quelle di tutti i soci di Woodman & Weld.» «Accettate.» L'espressione di Elena rimase di marmo. Stone si rese conto che la donna doveva essersi sottoposta a un tal numero di iniezioni di collagene da essere incapace di assumere qualsiasi espressione che non fosse un truce sogghigno. «Che cosa è successo», disse a Eggers, un ordine più che una domanda. «Un terribile incidente. Dalla nostra indagine è risultato che il lucernario dell'appartamento era fatalmente indebolito dalla corrosione.»
Indagine? si domandò Stone. Quale indagine? A lui nessuno aveva chiesto niente. «E quando l'inviato di Stone vi si è appena appoggiato, allo scopo di fotografare la scena sotto di lui, il lucernario è crollato.» «A chi facciamo causa?» chiese Elena. La domanda colse Eggers alla sprovvista. «Ah, bene, io, ecco... Stone, non vorresti dare tu una risposta?» Stone, cui era stato detto di tenere la bocca chiusa e di annuire molto, non era pronto a darla, una risposta. «No, fallo pure tu», disse, rilanciando la palla nella metà campo di Eggers. «Intendete dirmi», riprese Elena Marks, «che gli individui responsabili della morte di mio marito dovranno restare impuniti?» «Signora Fortescue», Stone aveva ritrovato la voce, «se posso esprimermi con franchezza, lei ha assunto un uomo, attraverso Bill e me, perché salisse sul tetto di un edificio e fotografasse suo marito in una situazione compromettente. Di conseguenza, gli avvocati del proprietario dell'edificio in questione tenterebbero in ogni modo di far cadere su di lei la responsabilità della morte di suo marito, e con una simile linea difensiva potrebbero addirittura vincere. Ma, anche nel caso in cui fosse lei a vincere, la pubblicità generata dal caso sarebbe devastante per la sua reputazione.» «Allora forse dovrei fare causa a voi per avere assunto un incompetente», rilanciò Elena. Eggers si lasciò sfuggire un suono strozzato. «Iniziativa che otterrebbe gli stessi risultati di cui sopra», ribatté Stone senza cedere di un millimetro. «Al momento, la storia che i giornali hanno divulgato parla di un ladro o di un guardone caduto dal lucernario. L'evento viene descritto come nulla più di un bizzarro incidente. Non c'è nessuna menzione della donna che si trovava con suo marito, né delle intenzioni dell'uomo caduto. Procedere oltre nell'approfondimento dei fatti non gioverebbe a nessuna delle persone coinvolte.» Elena tentò di corrugare la fronte e fece fiasco. «E che cosa mi dice del suo guardone? A me sembra che questo personaggio potrebbe intentare causa a lei e, in ultima analisi, anche a me.» «Posso garantirti che non accadrà», le assicurò Eggers. Stone sperò che avesse ragione. L'idea che Herbie Fisher gli facesse causa non gli era neppure passata per l'anticamera del cervello, e pregò Dio che non fosse passata nemmeno per l'anticamera del cervello di Herbie. «Ma sono io la parte danneggiata, qui», gridò Elena, picchiando un pu-
gno ossuto sul bracciolo del divano. «Qualcuno deve pagare per questo danno!» Eggers impallidì, ma non disse nulla. «Signora Fortescue», riprese Stone, «posso essere assolutamente franco con lei?» «Farà meglio a esserlo, perdio!» ringhiò Elena. La pelle marmorea aveva assunto una sfumatura rosata. «Questi eventi, pur essendo malaugurati per tutti, hanno incidentalmente materializzato qualcosa che non era possibile prevedere.» «E questo qualcosa sarebbe?» incalzò Elena. «A nessuno giova pescare nel torbido.» Stone sperò che quella frase fatta sortisse qualche effetto. Non sortì nessun effetto. «Che diavolo significa?» abbaiò Elena. Dal rosa, la sfumatura della sua faccia stava virando al violaceo. «Un intervento divino, per così dire, ha fatto sì che lei potesse sbarazzarsi di un marito che le era infedele, e del quale lei aveva già deciso di liberarsi. Il medesimo intervento divino ha anche ottenuto il risultato di sottrarla alla inevitabile, dannosa risonanza di un divorzio, in cui lei sarebbe stata costretta a far valere l'accordo prematrimoniale relativo all'adulterio.» Stone fece una pausa a effetto. «Per non parlare dei notevoli costi dell'intera procedura.» Seguì un lungo silenzio. Alla fine, fu Elena Marks Fortescue a romperlo. «Vedo la sua logica, avvocato Barrìngton.» Dopo di che si alzò e lasciò la stanza nello stesso modo in cui era entrata. Eggers, che aveva trattenuto il fiato, lo buttò fuori tutto d'un colpo. Di nuovo in strada, mentre cercavano un taxi, Eggers si rivolse a Stone: «Che mi dici delle fotografie?» Stone gli diede una serie di stampe. Eggers le guardò di sfuggita. «E i negativi?» Stone gli consegnò anche la busta contenente i quattro fotogrammi. «Secondo te siamo al cessato allarme con Elena?» «Non ci ha licenziato, o sbaglio?» fece Eggers, tutto allegro. Fermò un taxi e salì a bordo. «Perché non pranziamo assieme, una volta o l'altra?» E, detto questo, se ne andò. 12
Stone si sentiva leggero come l'aria. Tutto si sarebbe sistemato, tutto era stato messo a posto. L'unica cosa che gli rimaneva da fare era raggiungere un patteggiamento con l'ufficio del procuratore distrettuale per le accuse contro Herbie: fare in modo che l'accusa di omicidio colposo venisse lasciata cadere, spingere il ragazzo a dichiararsi colpevole di un'effrazione da niente e tirarlo fuori con la condizionale. Era una bella giornata, l'aria frizzante, e a Stone venne voglia di fare due passi. Si avviò lungo il lato ovest di 5th Avenue, gettando sguardi distratti a Central Park alla sua destra. Qualche isolato più a sud, svoltò a sinistra su East 57th Street, raggiungendo la boutique maschile Turnbull & Asser. Aveva deciso che si meritava un regalo. Esaminò i nuovi campionari di cotone piqué e ordinò una dozzina di camicie. Non aveva idea del prezzo, non voleva averla. Joan avrebbe pagato il conto quando il tutto fosse stato consegnato, e lui le aveva dato istruzioni di non fargli sapere niente: era meglio che certe cose rimanessero nell'ignoto. Scélse alcune cravatte e aspettò che gliele confezionassero; per le camicie ci sarebbero volute almeno otto settimane. Uscì dalla boutique e svoltò su Park Avenue, dirigendosi verso casa sua a Turtle Bay. All'altezza di 49th Street, quando si girò per attraversare Park Avenue, una limousine Bendey di dimensioni esagerate si fermò al semaforo rosso. Poi riprese a muoversi, ma non prima che Stone avesse visto, attraverso il lunotto, Elena Marks. Questa volta la marmorea ex signora Fortescue era addobbata nel perfetto stile newyorkese della vedova inconsolabile: Chanel, ovviamente. Ed era immersa in una conversazione con qualcuno che Stone conosceva bene. Stone mise mano al telefono, richiamò in memoria il numero di Bill Eggers a Woodman & Weld e premette il tasto di composizione rapida. «Che altro c'è, adesso, Stone?» Eggers sembrava andare di fretta. Era il suo metodo per comunicare che non aveva voglia di comunicare. «Bill, stavo attraversando Park Avenue un momento fa, e chi ti vedo? Elena Marks in macchina con Robert Teller, del premiato ufficio legale Teller & Sparks.» «Che cosa?» ululò Eggers. «Non sto scherzando.» «Quel bucaniere! Quel bastardo! Osa cacciare di frodo i miei clienti?» «Ho pensato che tu volessi esserne informato.» «E di che cosa stavano parlando?» «Non potevo sentirli, Bill. Li ho solo visti in quella Bentley modello Ti-
tanic di Elena, mentre parlavano.» «D'accordo, ho già messo i nostri consulenti fiscali al lavoro su qualcosa che potrebbe farle risparmiare svariate centinaia di migliaia di dollari. È proprio il genere di cose che piace a Elena.» «Allora diglielo alla svelta, Bill. Ciao ciao.» Stone interruppe la comunicazione. Pensò di telefonare alla boutique Turnbull & Asser e cancellare l'ordinazione delle camicie. Ma poi ci ripensò. Stone arrivò a casa e andò al piano di sopra a lasciare le cravatte nuove prima di rientrare in ufficio. Nell'avvicinarsi alla camera da letto, udì l'inconfondibile brontolio di una persona che russa. Aprì la porta e diede un'occhiata dentro. Carpenter giaceva supina, un seno scoperto, immersa in un sonno leggero. Stone attraversò la stanza in punta di piedi, diretto alla cabina armadio. Appese le cravatte e tornò in camera, sempre in punta di piedi. Carpenter lo stava aspettando, perfettamente sveglia, seduta sul letto, il lenzuolo serrato al petto con una mano. E impugnando con l'altra mano una piccola pistola semiautomatica nera. La bocca da fuoco era puntata dritta contro Stone. «Colto in flagrante ad appendere cravatte», dichiarò lui, alzando le mani in segno di resa. «Che cosa ci fai qui?» Carpenter sembrava confusa. «Io ci vivo qui, ricordi?» Stone indicò il letto. «E dormo lì. A proposito, è la mia Walther che mi stai puntando contro?» «No, è la mia. Il mio comando le ha distribuite a tutti gli impiegati a partire dal primo romanzo di James Bond.» «E perché continui a puntarmela addosso?» Carpenter abbassò l'arma. «Scusami.» Lasciò cadere anche il lenzuolo, ottenendo un ottimo effetto, e si passò le dita tra i capelli. «Non ho dormito affatto ieri notte.» «Lo so. Ero tutto raggomitolato nel letto, aspettando te. E, quando mi sono svegliato, tu non c'eri.» «Affari», spiegò Carpenter. Stone sedette sul letto, le tolse la pistola di mano e la posò sul comodino. «Affari che avevano a che fare con la trionfale notte di Herbie Fisher?» le chiese. «Perché me lo domandi?» Il tono di lei era cauto. «Be', nel momento stesso in cui ti ho detto quello che era accaduto, sei schizzata al telefono nell'altra stanza, e quella è l'ultima cosa che ricordo.»
«C'era qualcosa che dovevo chiederti...» Carpenter si grattò la testa. «Non sembri ancora del tutto sveglia.» «Colpa del jet lag, credo.» «Perché non ti rimetti a dormire? Torno a svegliarti all'ora di cena.» Con delicatezza, Stone la spinse di nuovo a sdraiarsi. Depose un piccolo bacio su ogni capezzolo, sollevò le coperte e le rimboccò. «Mmm, grazie», mormorò Carpenter, chiudendo gli occhi. Parve addormentarsi all'istante. Stone la lasciò e chiuse la porta dietro di sé. Si apprestava a scendere le scale quando Carpenter, completamente nuda, emerse di colpo dalla stanza da letto. «Le fotografie!» gridò, l'indice puntato contro Stone. «Quali fotografie?» «Quelle scattate da Herbie Fisher. Dove sono?» Stone la accompagnò di nuovo nella stanza e la fece sedere sul letto. «Perché vuoi saperlo?» «Affari», rispose di nuovo lei. «Una specie.» «Quegli individui che hanno fatto irruzione nell'appartamento dopo che Herbie è caduto dal cielo erano gente della tua squadra.» «Può darsi», disse Carpenter, guardinga. «Che cosa ci facevano là?» «Stone, devo avere quelle fotografie.» «Perché?» «Sono importanti per qualcosa cui sto lavorando.» «Non capisco. Com'è possibile che poche foto cochon per un caso di divorzio siano importanti per l'MI5, o qualunque sia il numero dello spionaggio inglese per cui lavori?» «Non posso risponderti e tu lo sai.» «D'accordo, allora ti propongo uno scambio.» «Che significa 'uno scambio'? Dove siamo, al calcio-mercato?» «Le fotografie in cambio di informazioni.» «Quali informazioni?» «Voglio sapere com'è morto Larry Fortescue.» «Quel tuo fotografo dal cervello di gallina gli è caduto addosso», rispose Carpenter. «Macché, non è stato quello a ucciderlo: Herbie è caduto sulle gambe di Larry. Larry era già morto, non è così?» «E questo come faresti a saperlo?» Carpenter guardava fuori dalla fine-
stra. «Lo so perché qualcuno, con il quale tu molto probabilmente sei in combutta, stamattina si è presentato all'obitorio con un'ingiunzione della corte federale e si è portato via il cadavere.» «Che cosa ti fa pensare che io abbia a che fare con questa storia?» «Okay.» Stone si alzò. «Niente fotografie.» «Aspetta!» Stone si fermò. «Non dovrai riferire a nessuno ciò che sto per dirti.» «Perché dovrei riferirlo a qualcuno?» «Fortescue è morto a causa di un qualche veleno che gli è stato iniettato alla base della colonna vertebrale. Non abbiamo ancora stabilito di che veleno si tratti.» «Avrò bisogno di una lettera per il procuratore distrettuale, firmata da qualcuno di autorevole, nella quale si precisa che Larry era già morto quando Herbie ha tentato di volare.» «Vedrò quello che posso fare. Potrebbe volerci qualche giorno.» «Il minor numero di giorni possibile, per cortesia.» Stone tirò fuori di tasca le quattro fotografie e gliele diede. Carpenter studiò la prima: Fortescue che giaceva sulla schiena, la donna chinata su di lui. «Ah, Lawrence...» mormorò. «Eh?» fece Stone. Lei osservò le altre tre foto e rimase a bocca aperta. «Gesù!» Si alzò, trovò la borsetta, ne estrasse un cellulare e compose un numero. «Sono Carpenter. Ho una foto della donna.» Gettò un rapido sguardo all'orologio sul comodino. «Mezz'ora», concluse, poi interruppe la comunicazione. «Che succede?» chiese Stone. «Esci di qui. Devo vestirmi.» Carpenter prese a frugare nell'armadio alla ricerca dei suoi vestiti. «Sarai libera per cena?» «Ti chiamo quando lo so.» Entrò nel bagno e chiuse la porta, portando le foto con sé. Stone aprì la porta di un centimetro. «Non è nemmeno granché, come fotografia.» «È l'unica che esiste», replicò lei, e gli chiuse la porta in faccia. 13
Stone rimase a casa per la prima parte della serata, aspettando che Carpenter chiamasse. Poi la fame prese il sopravvento. Che diavolo, il suo numero di cellulare lo aveva, no? Perché aspettare oltre? Arrivò da Elaine solo qualche momento prima che lei potesse assegnare il suo solito tavolo. Era una sera molto affollata, in attesa al bar c'erano perfino clienti abituali. I quali scoccarono a Stone sguardi omicidi quando si sedette. Elaine si avvicinò. «Lo sai quanto avrei potuto incassare per il tuo tavolo?» chiese, accennando verso il bar. «Lascia che si mangino... la torta», ribatté Stone. «Tanto pomperai il conto comunque.» «Potresti ritrovarti con una forchetta piantata nel petto a parlarmi in questo modo», minacciò Elaine. «Per adesso me ne basta una da tenere in mano, e anche qualcosa da mangiare.» Bloccò un cameriere. Ordinò insalata di spinaci e ossobuco. «Di' a Barry che voglio polenta invece della pasta. E ho anche bisogno di un bourbon Wild Turkey. Un gran bisogno.» «Brutta giornata?» chiese Elaine. «Ho dovuto affrontare Elena Marks.» «Vale a dire che hai dovuto spiegarle come hai ucciso suo marito?» «Non ho affatto ucciso suo marito, e non è stato nemmeno il tizio che ho mandato. Devo dedurre che hai parlato con Dino?» «Figurarsi se te lo dico.» «Giusto per tenerla fra te, me e il giornalista scandalistico al tavolo laggiù, Larry aveva già tirato le cuoia quando quel ragazzo gli si è schiantato addosso.» «La polizia non sembra saperlo, questo.» «Lo saprà molto presto», ribatté Stone. «Ho già provveduto.» «E allora dov'è Felicìty, la bambola inglese?» «Al lavoro. Speravo arrivasse in tempo per cena.» «Di che cosa si occupa?» «Anche se te lo dicessi, non mi crederesti.» «Fa' un tentativo.» «Se lo facessi, Felicity sarebbe costretta a uccidermi. E, puoi credermi sulla parola, non esiterebbe a farlo.» «Non credo che la cosa la divertirebbe», osservò Elaine. «Forse no, ma questo non le impedirebbe comunque di farlo. Mi ha già puntato addosso una pistola oggi.»
«Non avevo idea che a letto tu fossi un tale disastro.» Il cellulare di Stone si mise a vibrare. «Pronto?» «Sono io.» Io era Carpenter. «Chi parla?» «Evita di fare il furbo. Sto arrivando in macchina da Elaine; è là che ti trovi, giusto?» «Forse.» «Sarò lì tra poco.» Carpenter chiuse la conversazione. «Felicity?» chiese Elaine. «Carpenter», rispose Stone. «Di cognome fa Devonshire», disse Elaine. «Perché la chiami Carpenter?» «È così che si è presentata al nostro primo incontro.» «Non ci arrivo.» «Ha un socio di nome Mason e un altro di nome Kildare.» «Ma cos'è, una poliziotta inglese?» «Elaine, se ti dicessi di più, sarebbe costretta a uccidere anche te.» «Basta così.» Elaine alzò entrambe le mani. «Ed eccola qui...» aggiunse, guardando verso l'ingresso. Carpenter entrò e raggiunse il tavolo. «Dino sarà qui a momenti», annunciò, dando a Stone un lieve bacio sulla guancia. «E tu come fai a saperlo?» chiese lui. «Perché siamo venuti qui con la sua macchina.» Arrivò Dino, giornale sotto il braccio. Si sedette. «'Sera a tutti», salutò. Elaine allungò una mano e gli concesse un'affettuosa carezza sulla guancia. «Un momento», disse Stone. «Voi due che cosa ci facevate nella stessa macchina?» Carpenter sorrise. «Sei così carino quando diventi geloso.» «Non sono geloso.» «No?» Carpenter corrugò la fronte. Dopo l'incontro con Elena Marks, Stone fu ben lieto di vedere qualcuno che riusciva ancora a corrugare la fronte. «Sono semplicemente curioso.» «Glielo diciamo, Dino?» chiese lei. «Naah.» Dino si strinse nelle spalle. «Lasciamolo friggere.» «Non sto affatto friggendo», ribatté Stone. «Sì che stai friggendo», replicò Dino. «Sta friggendo», concordò Carpenter.
«E anche tanto», si associò Elaine. «Okay, non dirmelo», disse Stone a Carpenter. «Ti va un drink e qualcosa da mangiare?» «Sì, ti ringrazio. Comincerò anch'io con un bourbon.» Stone fece cenno a un cameriere. «Portale quello che ho ordinato io.» «E cosa hai ordinato?» domandò Carpenter. «Vitello da latte», rispose Stone. «In un ottimo sugo.» «Suona delizioso», commentò Carpenter. «Okay, Dino e io partecipavamo alla stessa riunione.» «Argomento?» chiese Stone, perplesso. «Se te lo dicessimo», rientrò Dino, «poi saremmo costretti a ucciderti.» Elaine scoppiò in una gran risata, poi si alzò e passò a un altro tavolo. «Sai», riprese Carpenter, «quel tuo ridicolo fotografo, Herbie Fisher, si è rivelato non del tutto inutile.» «Proprio così», confermò Dino, sfogliando distrattamente il New York Post. «Vuoi dire per merito di quelle poche fotografie che ha fatto?» «Riesci a immaginare un qualsiasi altro motivo per cui avrebbe potuto rivelarsi non del tutto inutile?» chiese Dino. «Adesso che mi ci fai pensare, no.» Stone si girò verso Carpenter. «Hai detto che la foto di quella donna è l'unica che esiste. Cosa intendevi dire?» «Intendevo dire che è l'unica che esiste.» «Grazie per la precisazione. Per quale motivo è l'unica che esiste?» «Perché la donna in questione ha sempre evitato scrupolosamente di farsi fotografare.» «Per tutta la vita?» «Da quando aveva dodici anni, a scuola.» «Perché?» «Perché non vuole che nessuno sappia che aspetto ha.» «D'accordo. Chi è?» «È una donna che va in giro ad assassinare gente», rispose Carpenter. «E il colpo più fortunato di tutta la tua vita, Stone, è che lei non sa che il responsabile dell'unica sua foto esistente al mondo sei tu.» «Questo io non lo direi.» Dino tese a Carpenter il New York Post, battendo l'indice su uno degli articoli a pagina sei. Carpenter lesse ad alta voce. «'Si dice in giro che la strana morte di Lawrence Fortescue (il caro marito di Elena Marks) - causata da un fotografo guardone che gli è caduto addosso da un lucernario mentre stava scattando
immagini del signore e di una certa signorina impegnati in atti osceni - sia stata organizzata da un certo leguleio di New York piuttosto laido, dal nome da "duro", che ha assunto il fotografo volante. Qualcuno ci arriva? Saremmo pronti a scommettere che proprio questa sera il leguleio in questione sta cenando da Elaine.'» Carpenter mise giù il giornale. «Ah, merda.» «E quanta, anche», convenne Dino. 14 Stone guardò Dino e Carpenter stringendo le palpebre. «Spero che questo sia una specie di scherzo.» «Temo proprio di no», replicò Carpenter in tono serio. «Quelli del mio gruppo sono molto interessati a trovare la donna della foto. Sono stati loro a chiedermi di stabilire un contatto con il Dipartimento di polizia di New York. Per questo Dino e io abbiamo partecipato alla stessa riunione. Dal momento che ci conoscevamo già, ho scelto lui come contatto.» «Ma chi diavolo è questa donna?» chiese Stone. «Ti dirò tutto quello che sappiamo di lei, e non ci metterò molto, credimi. Il nome di nascita è Marie-Thérèse du Bois. È nata a Zurigo, padre svizzero, madre egiziana. Ma quel nome lei non lo usa più da molto tempo. Se lo usasse, verrebbe presa.» «Forza, dimmi tutto.» «La piccola Marie-Thérèse è cresciuta in Svizzera e in Egitto, rivelandosi una specie di genio per le lingue straniere, in quanto circondata da un ambiente quadrilingue, le tre della Svizzera più l'arabo della madre. Oltre a queste quattro, ha anche imparato il farsi, l'urdu e un po' di hindi. Il padre importava in Svizzera prodotti mediorientali: tappeti, olio d'oliva, datteri, vasellame, qualsiasi cosa potesse generare profitto. Gli affari prosperarono e lui divenne un uomo molto ricco. Marie-Thérèse ha viaggiato spesso con lui attraverso il Mediterraneo, imparando anche lo spagnolo e il greco. Rimaneva nelle stanze d'albergo, guardando la televisione e coniugando verbi.» «Buon Dio, ma quante lingue parla?» «Nessuno lo sa, ma direi per lo meno una dozzina, con perfetto accento in svariati dialetti.» «Allora perché se ne va in giro ad ammazzare la gente?» «Quando Marie-Thérèse aveva vent'anni, la mia società e la CIA erano
impegnate al Cairo nella caccia ai membri di un'organizzazione terroristica che uccideva turisti stranieri. Ricevemmo una soffiata secondo la quale una mezza dozzina di membri del gruppo avrebbe viaggiato a bordo di un furgone Renault bianco lungo uno dei viali principali, diretti a compiere un attentato dinamitardo. Cooperando con lo spionaggio egiziano, allestimmo un'elaborata trappola su un grosso incrocio. Supponevamo che a quell'ora di notte non ci sarebbe quasi stato traffico. Sfortunatamente, MarieThérèse e i suoi genitori stavano tornando a casa molto tardi da un party, anche loro a bordo di un furgone bianco. Qualcuno aprì il fuoco con un lanciarazzi sul veicolo sbagliato. I genitori della ragazza rimasero uccisi all'istante. Marie-Thérèse, addormentata sul terzo sedile, venne sbalzata fuori dal furgone e se la cavò con qualche escoriazione. «Si isolò nella sua casa del Cairo diventando una sorta di eremita, ma dentro di lei il furore per la morte dei genitori continuava a crescere. Rifiutò di accettare qualsiasi forma di risarcimento da parte di tutti e tre i governi coinvolti, americano, inglese ed egiziano. Ormai era una donna molto ricca: aveva ereditato due grandi case e la considerevole fortuna del padre. «Aveva un fidanzato, un iraniano, la cui pratica politica sconfinava nella violenza estrema. Pensiamo che sia stato lui a reclutarla, mandandola poi in un campo di addestramento terroristi in Libia, dove Marie-Thérèse sviluppò contatti con gruppi terroristici irlandesi, tedeschi e Dio solo sa cos'altro. «Venne addestrata nell'uso delle armi da fuoco, degli esplosivi, delle armi chimiche, ma i suoi istruttori, nel momento in cui si resero conto della sua abilità con le lingue, pensarono che la ragazza fosse destinata a qualcosa di ancora più grande. Le insegnarono tecniche omicide, falsificazione di documenti e pressoché qualsiasi altra abilità in cui un terrorista in ascesa dovrebbe essere erudito. La tennero legata a loro dicendole che l'avrebbero aiutata a trovare i responsabili della morte dei suoi genitori, in modo che lei potesse ucciderli. Nel deserto, Marie-Thérèse raggiunse una prodigiosa forma fisica, e abbiamo appurato che si spinge sempre oltre il massimo, ovunque vada, qualsiasi cosa faccia. «Una volta completato l'addestramento in Libia, tornò al Cairo, poi a Zurigo. Vendette le due case e fece sparire il denaro in conti segreti sparsi ai quattro angoli del mondo. Secondo alcuni, Marie-Thérèse du Bois sarebbe in possesso di una fortuna che ammonta a decine di milioni di dollari. Dopo di che, fece ritorno al Cairo. Da quel momento in avanti ha vir-
tualmente cessato di esistere. Il poco che sappiamo di lei viene da voci vaghe e da un paio d'interrogatori di estrema durezza a individui che la conoscevano. «Sembra che abbia assassinato due uomini politici egiziani che si opponevano ai suoi amici terroristi. Al primo uomo ha sparato alla testa mentre era al volante della sua macchina, fermo a un semaforo rosso. Dopo di che, in tutta calma, è salita su un autobus e se n'è andata. Quella stessa sera ha disciolto del cianuro, o un veleno analogo, nel cocktail del secondo uomo, nel bel mezzo di un ristorante affollato. Si è dileguata dalla finestra del bagno delle donne mentre il bersaglio rantolava ancora agonizzante. Riteniamo che nei due anni successivi abbia eseguito un'altra mezza dozzina di lavori 'bagnati' del genere. I suoi istruttori hanno così avuto la conferma di avere per le mani un'operatrice al massimo livello. Hanno continuato a ingannarla dicendole che stavano facendo progressi nello scoprire nomi e indirizzi degli uomini che avevano ucciso per errore i suoi genitori. Mentivano, è ovvio. «Alla fine, Marie-Thérèse ha esaurito la pazienza. Ha sequestrato il capo della nostra base al Cairo e lo ha torturato fino a quando lui non le ha rivelato tutti i nomi dei componenti del commando», continuò Carpenter con calma. «Poi gli ha tagliato la gola ed è rimasta a guardare mentre lui annegava nel suo stesso sangue. Il cadavere, nudo e molto malridotto, è stato scaricato sui gradini dell'ambasciata inglese.» «Quindi si è messa a dare la caccia agli altri?» chiese Stone. «Esatto. Gli americani sono stati i primi e più facili bersagli. Erano marito e moglie. Lavoravano entrambi per l'ambasciata americana al Cairo. Marie-Thérèse ha distrutto il loro appartamento con una granata incendiaria al fosforo, uccidendoli nel sonno. «Per il contingente inglese, quattro elementi, c'è voluto più tempo. Ne ha strangolato uno con la garrota nel bagno degli uomini di una stazione ferroviaria di Bonn. Un altro lo ha infilzato con la punta di un ombrello intinta nel veleno mentre camminava lungo il Chelsea Bridge, a Londra.» Carpenter stava per continuare, ma s'interruppe, «Vai avanti», la esortò Stone. «Lawrence Fortescue lo ha assassinato due notti fa», disse lei quietamente. «Larry Fortescue era un vostro agente?» «Era l'uomo di cui ti ho parlato, l'uomo con il quale avevo avuto una relazione e che decise di lavorare all'estero. Arrivò a New York due anni fa,
sposò Elena Marks e diede le dimissioni.» «Quindi Marie-Thérèse li ha fatti fuori tutti», concluse Stone. «Uno dopo l'altro.» «No, non tutti», obiettò Carpenter. «Ho detto quattro elementi nel contingente inglese. Marie-Thérèse non ha ancora fatto fuori me.» «Tu?» «Era la mia prima missione all'estero. Il mio ruolo era semplicemente quello di osservatore.» Stone deglutì in modo rumoroso. «Marie-Thérèse sa che sei a New York?» «Non ne ho idea», rispose lei. «Comunque lascio casa tua questa notte stessa. Vado in un albergo.» «Ma perché? Con me sei al sicuro.» «Stone», Dino picchiò l'indice sul giornale aperto sul tavolo, «se la piccola Marie-Thérèse, o uno dei suoi amici, ha per caso letto il Post di oggi, saprà che la farsa delle fotografie dal lucernario è stata istigata da un certo leguleio dal nome da duro.» «Ma, andiamo, questo non basta di sicuro a identificarmi.» «E saprà pure che questa sera stai cenando qui», continuò Dino. Stone girò un lento sguardo sul ristorante. Vide almeno una mezza dozzina di donne che avrebbero potuto essere quella ritratta nella fotografia. «E tu pensi che questa Marie... com'è che fa di nome...? be', lei potrebbe...» Fu Carpenter a rispondere. «Si è guadagnata un soprannome a Parigi, dopo avere assassinato un membro del governo francese. L'Interpol la chiama La Biche, 'la cerbiatta'. E, sì, potrebbe essere qui, ora.» Stone spinse indietro la sedia. «Togliamoci dai piedi.» 15 L'autista di Dino li portò a casa di Stone, dove Carpenter fece le valigie. Poi vennero accompagnati al Lowell, un hotel piccolo ed elegante su East 63rd Street, dietro Madison Avenue. Vennero accolti sulla soglia dal portiere notturno, il quale, senza nemmeno disturbarsi a registrare Carpenter, li accompagnò direttamente fino a una suite all'ultimo piano. «Ti conoscono, qui?» chiese Stone una volta che il portiere se ne fu andato e il facchino ebbe depositato le valigie nella stanza da letto. «Conoscono il mio ufficio», rispose Carpenter. «Usiamo spesso questo
hotel. Abbiamo saltato la cena, vogliamo ordinare qualcosa?» Mangiarono nella suite, sogliola della Cornovaglia accompagnata da un ottimo Chardonnay della California, senza fare troppa conversazione. «Dunque, Dino, immagino tu abbia diramato un ordine di ricerca per questa donna», disse Stone dopo che il tavolo fu sgombrato. «Difficile diramare un ordine di ricerca senza una descrizióne», ribatté Dino, guardando il menu dei dessert. «Descrizione? Ma se abbiamo una fotografia!» «Sai com'è...» fece Dino. Carpenter frugò nella borsetta e tirò fuori un foglio di carta piegato. «Ecco quello che il laboratorio fotografico della CIA è riuscito a far saltare fuori», disse, porgendo il documento a Stone. Lui aprì il foglio. Mostrava un viso piuttosto anonimo, incorniciato da lunghi capelli scuri, con naso dritto e occhi grandi. «Nella foto scattata da Herbie lei guardava in alto, per cui erano visibili soltanto capelli, fronte, occhi e naso, niente mandibola. E i capelli erano una parrucca.» «Potrebbe essere chiunque», osservò Stone. «Esattamente. Il punto di forza professionale della Biche è proprio quello di apparire una qualunque. Negli aeroporti, è in grado di superare i controlli di sicurezza più rigorosi facendosi passare per una donna d'affari americana o per una disegnatrice di moda francese, una contessa italiana, una suora spagnola.» «Pensavo che, con tutti questi nuovi apparati elettronici, fosse diventato più difficile usare passaporti falsi», osservò Stone. «Ogni volta che presento il mio, viene passato in un lettore di codici a barre, e tutte le informazioni che mi riguardano appaiono su un monitor.» «Vero, ma nel corso degli anni si sono verificati, in ogni parte del mondo, numerosi furti di passaporti in bianco in ambasciate e consolati. Il che risolve il problema dell'autenticità della carta dei documenti. E se questi furti possono essere tenuti nascosti per giorni, o addirittura per settimane, i numeri di codice dei documenti stessi non risultano come rubati quando si passa il controllo immigrazione. È molto, molto difficile bloccare qualcuno di sospetto se sta usando un passaporto autentico.» «Posso immaginarlo», concordò Stone. Squillò il telefono e Carpenter andò a rispondere. «Pronto?... No, assolutamente no. Attirerebbe l'attenzione di chiunque sapesse cosa cercare. Stai cercando di disegnarmi un bersaglio sul petto?» Fece una pausa, rimanen-
do in ascolto. «Be', questo ha senso, credo, anche se l'idea non mi piace affatto... Oh, d'accordo, falli venire.» Riappese e fece ritorno al tavolo. «Cosa succede?» chiese Stone. «Per cominciare, volevano darmi una squadra di protezione, ma ho ritenuto fosse una cattiva idea. Anche se sono operatori in gamba, possono essere individuati.» «Ma su qualcosa sei stata d'accordo», rilevò Stone. «La CIA sta mandando qui qualcuno.» Aveva appena pronunciato la frase quando udirono suonare alla porta. «Però, hanno fatto in fretta», commentò Stone. «Troppo in fretta.» Dino spinse via la sedia dal tavolo. «Vai nella stanza da letto», disse Stone a Carpenter. Raggiunse la porta, mentre Dino prendeva posizione, pistola in pugno. Stone scrutò dallo spioncino. Vide una giovane donna, capelli castano chiaro, statura media, corporatura snella. «È una donna», riferì all'altro. «Pronto?» Dino annuì. Stone mise la catenella e aprì la porta. «Sì?» «Carpenter», rispose la donna nel corridoio. «Non so di cosa parla», replicò Stone. La donna mostrò una tessera di identificazione. «Affari speciali.» «È tutto a posto», intervenne Carpenter da dietro le spalle di Stone. «La conosco. Vieni dentro, Arlene.» Stone tolse la catenella e lasciò passare la donna, la quale portava una piccola valigia. Carpenter fece le presentazioni: «Stone, Dino, questa è Arlene». La donna annuì. «Andiamo nel bagno», disse a Carpenter. Stone e Dino guardarono la CNN mentre l'acqua scorreva e un asciugacapelli faceva rumore dietro la porta del bagno. Quarantacinque minuti più tardi, Arlene riapparve. «Posso presentarvi la mia amica Susan Kinsolving?» Carpenter uscì dal bagno, pressoché irriconoscibile. I capelli castani erano diventati di un nero molto scuro e, mentre di solito usava pochissimo make-up, adesso era una donna decisamente truccata. «Salve.» La voce di Carpenter aveva la cadenza strascicata del Midwest americano. «Atroce, quell'accento», dichiarò Stone. «Meglio che ti abitui, amico», ribatté lei.
«Adesso pensiamo ai documenti d'identità.» Arlene aprì la valigia. «Siediti.» Carpenter prese posto su una sedia. «Okay, ecco qui il tuo passaporto americano. È stato rilasciato tre anni fa e ha una dozzina di visti d'ingresso dall'Europa e dai Caraibi. Abbiamo già cambiato il colore dei capelli. Sei una dirigente del marketing di una società di computer di San Francisco. Ecco biglietti da visita e carta intestata. La società in questione conosce il tuo nome e, se qualcuno dovesse chiamare, hai una segretaria e una casella vocale. Sei nata a Shaker Heights, un sobborgo di Cleveland, Ohio, trentaquattro anni fa, hai frequentato le scuole pubbliche locali e il Mount Holyoke College, nel Massachusetts occidentale. Nel portafoglio, oltre alla patente della California e alle carte di credito - tutte valide -, hai la tessera dell'associazione ex alunni. Sei registrata in questo albergo sotto il nome di Kinsolving.» Arlene tirò fuori una dozzina di fogli di carta pinzati assieme. «Ecco la tua biografia. Imparala a memoria.» Carpenter diede una scorsa alle carte. «Molto particolareggiata.» Poi, scuotendo i capelli, si rivolse a Stone: «Che te ne pare?» «Magnifico, Susan. Posso invitarti a cena, una volta o l'altra?» Dino sedeva accanto a Stone sul sedile posteriore della sua macchina, che scivolava lungo Park Avenue. «Dino, posso chiederti un favore?» domandò Stone. «Che ti serve?» «Dal momento che è stato stabilito che nel caso di Larry Fortescue si è trattato di omicidio, sarebbe un problema per te farlo sapere all'ufficio del procuratore distrettuale? Vorrei che le accuse contro Herbie fossero lasciate cadere, far dichiarare lui colpevole solo di un'infrazione e rimetterlo in libertà sulla parola.» «Certo, me ne occuperò subito. Sai chi è l'assistente procuratore assegnato al caso?» «Chiama direttamente il viceprocuratore. Farai prima.» «D'accordo.» Raggiunsero l'isolato di Stone. «Rallenta», disse Dino all'autista, esplorando con lo sguardo entrambi i lati della strada. «Ferma qui.» L'auto si arrestò di fronte alla casa. Dino smontò e controEò di nuovo. «Okay», decise infine, facendo cenno a Stone di scendere.
«Andiamo, Dino, mi stai facendo venire freddo alla schiena.» Ma Dino rimase fermo vicino alla macchina, pistola in pugno, fino a quando Stone non fu entrato. 16 Florence Tyler uscì dalla casa a tre piani su West 10th Street e passeggiò lentamente per il Greenwich Village, lanciando occhiate nei bar e nei ristoranti e, di quando in quando, studiando i menu esposti a lato degli ingressi dei locali. Erano quasi le sei di sera. Florence indossava un tailleur professionale e portava una borsetta di Fendi. Alla fine, vide quello che stava cercando. Il bar si chiamava Lilith, e un rapido sguardo dalla vetrata le confermò che si trattava di un posto molto elegante. La clientela di fine giornata lavorativa stava aumentando, una clientela composta esclusivamente da donne. Florence entrò, sistemandosi su uno sgabello all'estremità del bancone. La barista, vestita e truccata per sembrare il più possibile un uomo, le si accostò. «Buonasera», disse con una levigata voce sui bassi. «Cosa posso servirle?» Un'altra donna, di corporatura massiccia, ma ugualmente attraente, scivolò sullo sgabello accanto a Florence. «Vorrei fare io», disse. «Grazie, ma preferirei occuparmene da sola», ribatté Florence, senza scortesia, incontrando lo sguardo della nuova arrivata. La donna esitò un momento, quindi abbandonò lo sgabello. «Come vuoi tu, dolcezza.» E se ne andò. «Dewar's», disse Florence alla barista. «Con ghiaccio.» Il drink arrivò. Florence ne aveva bevuto circa la metà quando individuò l'obiettivo. Una donna poco sotto la trentina era entrata nel bar, fermandosi appena oltre la soglia, guardandosi attorno con occhi esitanti. Era vestita in modo molto simile a Florence, tailleur scuro gessato, e portava una via di mezzo fra una borsetta e una valigetta professionale. Era all'incirca della stessa altezza e corporatura di Florence, con gli stessi capelli biondi con le mèdie. Attraversò il locale, sedette a tre sgabelli di distanza da Florence e ordinò un Cosmopolitan. «L'ho sempre trovato troppo dolce, quel cocktail», commentò Florence con un sorriso. «Lo è», convenne la giovane donna, rispondendo al sorriso. «Ma come
si fa a resistere?» «Lo metta sul mio conto», disse Florence alla barista. «Ti ringrazio», replicò la ragazza. «Perché non cambi posto e vieni qui vicino a me?» La ragazza armeggio un po' goffamente con la borsa e il drink ma alla fine riuscì ad accostarsi. «Sono Brett», si presentò Florence, porgendo la destra. «Ginger», rispose la ragazza. Brett trattenne per qualche istante la mano di lei. «Sei di New York?» le chiese, quando finalmente interruppe il contatto. «Sono originaria di Indianapolis, ma abito a New York da sei anni. Sono assistente legale in un ufficio dalle parti di Wall Street. Vivi a New York anche tu?» «No, San Francisco. Sono arrivata qualche giorno fa. Sono nel mercato dell'arte, e sono venuta in città a fare alcune offerte per conto di un cliente. C'è un'asta da Sotheby's dopodomani.» «Oh, adoro la pittura», disse Ginger, sorseggiando il drink. «Su che cosa farai le tue offerte?» «Principalmente paesaggisti del tardo XIX secolo, e anche una scultura. Non si tratta di lavori troppo costosi: si riesce a trovare buon materiale nell'area fra i trentacinquemila e i cinquantamila dollari.» «Be', è ben oltre la mia, di area», commentò Ginger. «Sei mai stata a un'asta di quadri?» chiese Brett. «No, ma non mi dispiacerebbe andarci, qualche volta.» «Se riesci a staccarti dal lavoro per un po', perché non vieni con me da Sotheby's dopodomani?» «Oh, mi piacerebbe davvero, ma ho a disposizione solo un'ora per il pranzo, e in questo periodo sono sotto pressione con il lavoro. Il mio capo è specializzato in cause di divorzio, clienti che chiedono molto.» «Facciamo un'altra volta?» «Sarebbe magnifico.» «Vivi da queste parti?» «No, nell'Upper East Side, 81st Street e Lexington Avenue. Tu dove stai?» «Al Carlyle, 76th Street e Lexington. Il tuo ristorante preferito qual è, Ginger?» «Oh, direi Orsay, 75th Street e Lexington, a pochi isolati da casa mia.» «Vorresti cenare con me, questa sera?» Brett estrasse un cellulare. «So-
no certa che non avremo difficoltà a trovare un tavolo se andiamo là presto.» «Be'... perché no?» Brett chiamò il ristorante e prenotò un tavolo. «Finisci il tuo drink e andiamo.» All'Orsay bevvero un altro cocktail e poi gustarono una cena di tre portate irrorata da una bottiglia di costoso vino francese. Mantennero un ottimo livello di conversazione, principalmente sulla famiglia di Ginger, sulla sua storia personale e sul genere di lavoro che faceva. «Tu non ci crederai», disse Ginger, «ma stiamo rappresentando una donna che chiede due milioni di dollari all'anno di alimenti, più mezzo milione di dollari per il mantenimento del figlio, più cinque milioni di dollari per un appartamento su 5th Avenue. E in più una limousine e guardie giurate.» «Senza dubbio per proteggerla dal marito», disse Brett ridendo. Fece cenno al cameriere per il conto. «Perché non facciamo a metà?» propose Ginger, allungando una mano verso la borsa. «No, no, ci penso io», replicò Brett. «Offre la mia galleria d'arte. Tu sei... Vediamo, ah, ecco: tu rappresenti un cliente che mette in vendita un ottimo Magritte.» «Oh, ti ringrazio. Posso offrirti un ultimo drink da me?» «Puoi scommetterci», disse Brett. Poi diede al cameriere una delle carte di credito a nome Florence Tyler. Ginger viveva in un appartamento sul retro al piano terra di una palazzina doppia, con un piccolo giardino interno. «Molto bello», commentò Brett quando Ginger accese le luci del giardino. «È solo un subaffitto della durata di un anno», spiegò Ginger. «Appartiene a un amico di famiglia che si trova in Europa.» «Che cos'è quell'oggetto basso simile a un capanno?» chiese Brett, indicando. «Oh, è una 'camera calda'. Una specie di pìccola serra, in cui si possono far crescere piante fuori stagione, per poi ripiantarle nel terreno quando torna a fare caldo. Per lo meno, questo è quanto ho visto in un programma di giardinaggio. Non ho quello che si definisce il 'pollice verde'.»
«Neppure io.» Brett accarezzò la guancia di Ginger con il dorso delle dita. Si protese per darle un lieve bacio, ottenendo una risposta quanto mai appassionata. Un momento dopo, si stavano reciprocamente slacciando i bottoni. In camera da letto, Brett rimase sdraiata sulla schiena e lasciò che Ginger facesse tutto quello che voleva. Brett non era una lesbica, non nel senso letterale del termine, ma la cosa le piacque. Dopo aver avuto un paio di orgasmi, fece rotolare Ginger a pancia in giù. «Ora viene il mio turno.» Brett allungò una mano e prese dal pavimento una sciarpa di Hermès che Ginger aveva lasciato cadere. Pochi rapidi movimenti, e legò i polsi della ragazza dietro la schiena. «Non avevo mai fatto questa cosa prima d'ora», confessò Ginger. «Lascia che mi occupi io di tutto, cara», replicò Brett. Fece di nuovo rotolare il corpo della ragazza sulla schiena. «Ora i piedi.» Afferrò una cintura dal mucchio di vestiti accanto al letto. «Che... che cosa vuoi farmi?» Ginger era ansiosa ed eccitata al tempo stesso. Dal comodino Brett prese matita e bloc-notes. «Bene, per prima cosa, mi darai il numero di telefono del tuo ufficio.» «Come?» «Il tuo numero d'ufficio. Sono sicura che hai una di quelle caselle per i messaggi vocali. Mi servirà anche l'interno del tuo capo.» «Non capisco», disse Ginger. Brett le premette un cuscino sulla faccia, quindi la pizzicò in modo doloroso in un punto molto delicato. Una volta che l'urlo fu cessato, Brett sollevò il cuscino. «Tu farai esattamente quello che io ti dirò, Ginger. Esattamente. Mi sono spiegata?» Ginger le disse il telefono e i numeri degli interni. Brett annotò tutto. Trovò la propria borsa e ne estrasse un rasoio da barbiere. Contorcendosi, Ginger stava cercando di scendere dal letto. Brett l'afferrò per i capelli, trascinandola indietro. Le tenne una mano sulla bocca e le fece scorrere il filo del rasoio sulla gola, tracciando un'esile linea di sangue. «Quando tolgo la mano, non urlare», intimò. «O ti farò male, molto male.» Tolse la mano. Ginger stava piangendo. «Ottimo», disse Brett. «Piangi pure. Ecco quello che facciamo adesso, Ginger: io comporrò il numero del tuo ufficio, selezionando l'interno del
tuo capo. Quando la sua voce risponderà, tu dirai quello che io ti suggerirò. Lui come si chiama?» «Signor Arnold», singhiozzò Ginger. «Dirai esattamente queste parole: 'Signor Arnold' - singhiozzi un po' 'sono Ginger. Sono spiacente, ma è morta una persona di famiglia e devo tornare in volo a Indianapolis questa notte stessa. Starò via per almeno una settimana, la chiamerò quando starò per tornare. Sono terribilmente dispiaciuta per dovermene andare così all'improvviso'.» Brett tornò a premerle il rasoio alla gola, provocando un parossismo di singhiozzi. «Hai capito bene, Ginger?» Brett cominciò a comporre il numero. «Non lo dirò, questo!» insorse Ginger, riprendendo il controllo all'improvviso. Brett riappese il telefono. «Tu farai quello che voglio io.» Portò la lama del rasoio a contatto del seno sinistro di Ginger. «Altrimenti io ti taglio i capezzoli, Ginger. Prima uno, poi l'altro.» Ginger riprese a singhiozzare, ma annuì. Brett compose di nuovo il numero, selezionò l'interno. Tenne premuto il telefono contro le labbra di Ginger e il rasoio contro il capezzolo. Quella di Ginger fu un'interpretazione ammirevole, valutò Brett. Brett attese un minuto abbondante dopo che il corpo di Ginger ebbe smesso di contorcersi prima di togliere il cuscino dalla faccia. Verificò il polso. Niente. Le appoggiò un orecchio sul torace alla ricerca di un battito cardiaco. Meno di niente. Slegò i polsi di Ginger e slacciò la cintura che le imprigionava le caviglie. Andò in cucina, dove trovò un paio di guanti di gomma, un bottiglia di detergente spray e uno straccio. Ripulì accuratamente il cadavere, rimuovendo ogni singola traccia di capelli, peli, impronte digitali, fluidi corporei. Nell'armadio delle lenzuola trovò un copriletto pulito, che impiegò per avvolgere il corpo di Ginger, lasciandolo poi da un lato del letto a due piazze. Si rimise le mutandine e indossò un paio di jeans di Ginger, una felpa e scarpe da tennis. Spense le luci del giardino e uscì all'esterno, dando un'occhiata in giro. Non vide nessuno dei vicini dietro le finestre circostanti. Aprì la camera calda, era vuota. Due sacchi di terriccio erano appoggiati allo steccato. Brett tornò dentro, si caricò in spalla il cadavere di Ginger, controllò di nuovo che il campo fosse sgombro, attraversò il giardino e scaricò il corpo nella camera calda. Svuotò sopra di esso entrambi i sacchi di terra, ricoprendolo completamente. Finì il
lavoro sistemando sul terriccio alcuni vasi di fiori che trovò presso lo steccato del giardino. Tutta quell'attività l'aveva fatta sudare, così, rientrata nell'appartamento, si sfilò i vestiti e fece una doccia bollente. Senza mai togliersi i guanti di gomma. Si asciugò il corpo e i capelli, poi recuperò capelli e peli dallo scarico della doccia e li infilò in una busta di plastica. Nuda, si aggirò per l'appartamento, scegliendo diverse cose. In uno dei cassetti della scrivania trovò il passaporto di Ginger - Ginger Harvey, era quello il nome completo - poi vuotò la borsa della morta sul letto, prelevò portafoglio e carte di credito e mise ogni cosa nella propria borsa. Una volta che tutto fu sistemato e in ordine, s'infilò a letto, la sveglia puntata per le cinque del mattino. Si addormentò immediatamente. Al risveglio, fece un pacchetto dei vestiti e degli effetti personali di Florence Tyler. Tolse dal letto lenzuola e coperta, le infilò nella lavatrice in cucina, aggiunse detersivo e una robusta dose di candeggina, e la avviò. Aspettò che il ciclo di lavaggio si concludesse facendo colazione a base di succo d'arancia, frutta, yogurt e caffè. Svuotò la lavatrice e mise tutto nell'asciugatrice. Mentre quella era in funzione, rifece il letto usando lenzuola e copriletto puliti. Poi indossò il tailleur più elegante di Ginger Harvey. Infine ripiegò le lenzuola lavate, e nascose tra le cose di Florence Tyler la busta di plastica con i residui del filtro dello scarico e i capelli che aveva recuperato dalla doccia. Fece un altro giro dell'appartamento con il detergente spray, cancellando ogni possibile traccia. Soddisfatta, si piazzò sottobraccio i vestiti di Florence Tyler, prese la borsa di Ginger, lasciò l'appartamento e l'edificio e cominciò a percorrere Lexington Avenue. Dopo un isolato, scaricò il pacco con le cose di Florence Tyler in un bidone dei rifiuti all'angolo della strada e saltò sul primo autobus in direzione sud. Quando ne discese, lei era Ginger Harvey. 17 La mattina dopo, Stone prese posto alla scrivania sorseggiando l'unica tazza di caffè che era solito concedersi dopo la prima colazione, un espresso di caffè tostato, reso molto forte dalla moka. Chiamò Joan sull'interfono. «Buongiorno. Per favore, chiamami Herbie Fisher al suo posto di lavoro, Walgreens, a Brooklyn. Hai i numeri, non è vero?» «Herbie me li ha dati tutti la prima volta che è venuto qui. Ti richiamo
quando ce l'ho in linea.» Stone lesse la prima pagina del New York Times, finendo per rovesciarle sopra il caffè. Joan richiamò. «Herbie non si è presentato al lavoro. Vuoi parlare con il suo capo?» «Sì.» Stone alzò il telefono. «Buongiorno, parlo con il supervisore di Herbie Fisher?» «Sì, sono il signor Wirtz, il gestore.» «Dunque Herbie non è venuto al lavoro questa mattina?» «Esatto.» «Lei sa perché?» «Proprio no. Nemmeno ieri è venuto.» «E questo è insolito?» «Be', certe volte arriva in ritardo, effetto della sbornia della sera prima, ma, quanto al fatto di venire, viene sempre.» «La ringrazio», concluse Stone. Chiamò nuovamente Joan. «Prova al numero di casa.» Joan si fece risentire un momento dopo. «È sua madre che ha risposto al telefono. Ce l'ho in attesa.» Stone premette il tasto. «Signora Fisher?» «Signora Bernstein», rispose la donna in tono secco. «Il signor Fisher si è dato alla macchia da un bel pezzo.» «Mi dispiace. Signora Bernstein, sono Stone Barrington, l'avvocato di Herbie, e devo assolutamente parlargli. Sa dove posso raggiungerlo?» «Lei sarebbe chi? Pensavo che il suo avvocato fosse il signor Levy.» «Il signor Levy lavora per me al caso di Herbie. È davvero molto importante che io parli con suo figlio, signora Bernstein.» «Lei è un poliziotto, giusto?» «No, signora, non lo sono. Può verificare sull'elenco telefonico, se vuole esserne sicura.» «Aspetti un momento.» La donna posò il ricevitore. Stone rimase in attesa, tamburellando le dita sul piano della scrivania. Perché ci metteva tanto? La donna parlò di nuovo. «Okay, d'accordo, l'ho trovata sull'elenco.» «Dove si trova Herbie, signora Bernstein?» «Su una barca da qualche parte.» «Una barca? E che parte è 'qualche parte'?» «Giù, in una qualche isola, no? C'è anche suo zio Bobby.»
Stone cominciava ad avere difficoltà a respirare. «A Saint Thomas?» «Un qualche santo, non lo so se è proprio quel santo lì.» «E ha detto quando sarebbe tornato?» «Ha detto che sarebbe tornato dopo che le acque si fossero calmate, e il giudice si fosse dimenticato di lui.» Adesso Stone aveva difficoltà anche a parlare. «E ha detto quando pensava che ciò si sarebbe verificato?» «Un anno, forse. Ha preso con sé un mucchio di vestiti.» «Signora Bernstein, non è che Herbie ha lasciato un numero di telefono, o magari il nome dell'albergo?» «Ha detto che mi mandava una cartolina.» E, con questo, la signora Bernstein gli appese la cornetta in faccia. Stone rimase immobile, telefono inerte in mano. Si domandò - giusto un pensiero fugace - quale fosse in quel momento la sua pressione cardiovascolare. Quando si fu ripreso abbastanza da riuscire a parlare di nuovo, chiamò Joan. «Un colpo di fortuna?» chiese lei. «Agli antipodi della medesima», rispose Stone. «Trovami Bob Cantor al suo cellulare.» «Okay.» Un'altra pausa prima che tornasse a farsi sentire. «Nastro registrato, il quale dice che l'utente non è raggiungibile perché fuori campo. E ora?» «Per prima cosa, se Irving Newman, il garante di cauzioni, si fa sentire o manda qui qualcuno, io sono all'estero, non posso essere raggiunto e tu non hai idea di quando tornerò. Intesi?» «Intesi.» «Adesso chiamami Tony Levy. Probabilmente sarà anche lui sul cellulare.» Levy fu subito rintracciato. «Allora?» «Tony, Stone Barrington.» «Ehi, Stone. Hai qualcos'altro per me?» «Tutto il contrario», rispose Stone. «Quando è fissata la prossima udienza di Herbie Fisher?» Levy fece una breve risata acida. «Se l'è squagliata, dico bene?» «Ci sono cose che è meglio tu non sappia, Tony. Allora, quand'è che deve presentarsi in aula?» «Dopodomani.» «Ah, merda. Il giudice Simpson è tornato?»
«No, sarà fuori gioco per almeno un'altra settimana. C'è sempre Kaplan sullo scranno.» Stone tentò d'immaginare uno scenario peggiore di quello. Non riuscì a trovarlo. «Tony, voglio che tu ottenga un rinvio dell'udienza.» «Per quale motivo e di quanto?» «Qualsiasi motivo credibile tu riesca a far saltare fuori dal cilindro fino a quando il giudice Simpson non sarà di nuovo in pista. E di ottimo umore.» «Vedrò quello che posso fare. Se non dovessi ottenere quel rinvio, c'è una qualche probabilità che Herbie si faccia vedere?» «Se non si fa vedere, sarà perché è morto.» «Come dici tu, Stone. Cosa dirai a Irving Newman?» «Io non gli dirò niente. E nemmeno tu gli dirai niente.» «Scoprirà del rinvio, questo lo sai. Ha uno dei suoi in tribunale ogni giorno.» «Scoprirà solo quello che tu dirai al giudice Kaplan, e sarà meglio che sia qualcosa di davvero efficace.» «Stone, tutto questo ti costerà.» «Quanto?» «Cinquemila dollari. La mia tariffa per raccontare balle a un giudice.» «Tony...» «Andiamo, Stone. Lo sappiamo tutti e due che è un affare.» «D'accordo. Joan ti manderà un assegno entro oggi.» «Contanti, Stone, come l'altra volta. Non ho voglia di spartire la torta con lo Zio Sam.» «Va bene, Tony. Potrai raggiungermi sul mio cellulare, se è assolutamente necessario.» Stone gli diede il numero. «Sempre un piacere fare affari con te, Stone.» Stone riappese e chiamò Dino. «Bacchetti.» «Dino, puoi prenderti qualche giorno di ferie?» «Il motivo?» «Passare un po' di tempo su un'isola dei tropici, per goderti le calde brezze sulla pelata.» «Io non ce l'ho, la pelata: sono italiano.» «Anche Rudy Giuliani è italiano. E lui la pelata ce l'ha.» «Chi mi paga il viaggio?» «Io, ma tu devi ottenere un mandato di estradizione senza registrarlo alla procura.»
«Estradiamo chi?» «Herbie Fisher. Quel giovane idiota se l'è squagliata, e adesso io mi ritrovo inguaiato con Irving Newman per duecentoventicinquemila dollari.» «Oh, accidenti. Il mandato non si può fare, nuove procedure.» «Allora procurami un modulo in bianco e basta. Penso io a riempirlo.» «Questo si può fare. Quando partiamo?» «Tu va' a casa a fare la valigia. Intanto pensa quale storiella raccontare a Mary Ann.» «Darò la colpa a te, lo faccio sempre.» «Ti richiamo non appena ho prenotato il volo.» Stone riappese e chiamò Joan. «Per favore, trova due posti, per Dino e me, sul primo volo per Saint Thomas. Mi servirà pure un biglietto aperto, solo ritorno, per Herbie Fisher. E trovaci anche un albergo decente.» «Due anni fa sono stata allo Harborview», disse Joan. «Credo che ti piacerà.» «Mi fido.» Joan tornò a farsi sentire pochi minuti più tardi. «Il volo parte tra un'ora e mezzo circa, scalo a San Juan. Sarete là per cena.» «Grazie, Joan.» Stone chiamò Dino sul cellulare. «Decolliamo tra un'ora a mezzo. Il tuo autista ci porta al Kennedy, a sirene spiegate.» «Spero tu abbia preso la prima classe», disse Dino. Stone gli diede il numero del volo. «Attaccati al telefono, mettiti in contatto con il capo della polizia aeroportuale e digli di non lasciar partire quel volo senza di noi. E, perdio, non dimenticarti il distintivo.» «Me lo porto anche al cesso, il distintivo.» 18 Erano nell'aereo in attesa all'estremità della pista di San Juan, i motori del DC-3 che ruggivano, il pilota che eseguiva l'ultimo controllo prima del decollo. Stone era in estasi. Non era più salito su un DC-3 da quand'era ragazzo. Adorava il rombo cupo dei possenti motori a stella. «Magnifico, non ti pare?» disse a Dino. Dino non rispose. Aveva le mani serrate attorno ai braccioli, le nocche sbiancate dalla tensione. «Magnifico, no?» Stone gli diede una gomitata. «Essere su un DC-3, voglio dire.»
«Ha le eliche», rilevò Dino. «È chiaro che ha le eliche.» «Non è un jet.» «Acuto spirito di osservazione.» «Perché la coda è a terra e il muso è in aria? Mai e poi mai riusciremo a sollevarci.» «È l'assetto di questo aereo», spiegò Stone. «Niente carrello anteriore, solo quello piccolo di coda. Tanti aerei funzionavano in questo modo, un tempo.» «E tanti aerei andavano a schiantarsi, un tempo.» Dino abbandonò la stretta a un bracciolo quanto bastava per afferrare il polso di una hostess intenta a percorrere il corto corridoio centrale. «Devo avere qualcosa da bere», le disse. «Sono spiacente, signore, ma è un volo troppo breve per offrire il servizio bar. Saremo a Saint Thomas entro mezz'ora.» «Sono un poliziotto. Questo fa una qualche differenza?» «Non ci sono liquori a bordo, signore. La prego, si rilassi, sarà un volo molto rapido.» Dino le lasciò andare il polso, tornando a serrare spasmodicamente il bracciolo. L'aereo rullò sulla pista e continuò a muoversi. Dino affrontò la sfida chiudendo gli occhi. Dopo un rullaggio interminabile, il DC-3 si sollevò e puntò verso il cielo. «Visto?» fece Stone. «Vola.» Superarono la linea costiera ed entrarono nelle nubi. L'aereo cominciò a ballare. La voce del pilota echeggiò dagli altoparlanti. «Signore e signori, parla il comandante. Ci scusiamo per lo sballottamento, ma temo che saremo costretti a evitare dei temporali sulla nostra rotta. Vi prego di tenere le cinture allacciate.» Dino abbandonò nuovamente la presa al bracciolo e diede alla cintura una stretta abbastanza forte da bloccare la circolazione alle gambe. «Sarà un volo fantastico», dichiarò Stone, mentre l'aereo tornava in assetto orizzontale. Dino gettò uno sguardo dall'oblò. «Siamo dannatamente bassi.» «È un volo breve, Dino. Non ha senso salire troppo di quota: saremo a destinazione tra una ventina di minuti.» Improvvisamente, il DC-3 andò giù di colpo di una sessantina di metri. «Gesuuuuù!» sibilò Dino a denti stretti. «Nulla di cui preoccuparsi.» Ma adesso nemmeno Stone era più tanto
convinto. Cominciava pure lui ad avere la nausea. L'aereo andò in una brusca scivolata d'ala destra, mantenne quella rotta per circa dieci minuti, poi passò in scivolata d'ala sinistra. Oggetti e borse piovevano dai vani portabagagli della carlinga. Poi, inaspettatamente, furono di nuovo a terra. In quel momento, una sferzante raffica di pioggia investì l'aereo. Fu una decelerazione piena di sbandate, ma alla fine arrivarono al terminal. «Voglio un drink», disse Dino. «Quando arriviamo all'albergo», replicò Stone. La pioggia continuò anche mentre salivano su un taxi. Il poco che riuscirono a vedere della città di Charlotte Amalie attraverso i finestrini velati di pioggia sembrò piuttosto tetro. Il taxi percorse una ripida salita per alcuni minuti e li scaricò di fronte a un piccolo albergo. Poco dopo, erano nelle loro camere comunicanti. «Lo vuoi quel drink, adesso?» chiese Stone attraverso la porta aperta. «Quello che voglio è una trasfusione di sangue», rispose Dino. «Lasciami perdere.» «Abbiamo il tavolo per la cena tra venti minuti», gridò Stone di rimando. «Cambiati, forza.» Venti minuti più tardi erano su un'ampia terrazza da cui si dominavano le luci ammiccanti della città. La pioggia era cessata, la notte era piena di stelle. Un paio di navi da crociera ancorate nel grande porto erano fantasmagorie di luci, e tutt'attorno ai grandi scafi ondeggiavano le luci degli yacht a vela. Stone e Dino trovarono un paio di sedie comode, ricevendo il menu da un cameriere. Stone ordinò due piñas coladas. «Ehi», si lamentò Dino. «Io volevo un doppio whisky.» «E piantala! Siamo ai tropici.» I cocktail erano ghiacciati, deliziosi. Stone accese il cellulare, in modo da verificare se c'era copertura di rete. C'era. Fece il numero di Bob Cantor, ottenendo di nuovo il messaggio di utente non raggiungibile. «O Bob sta su una barca da qualche parte, oppure ha il cellulare spento», commentò Stone. «Puoi dargli torto?» Dino ammirò il paesaggio. «Nei suoi panni, farei anch'io lo stesso.» Ascoltarono gli accordi del pianista mentre il ristorante si riempiva di clienti. «Hai chiamato l'ufficio del procuratore distrettuale, stamattina, per far
cadere le accuse contro Herbie?» chiese Stone. «E chi l'ha avuto, il tempo?» rispose Dino. «Mi hai trascinato via dall'ufficio prima che potessi fare qualunque cosa.» «Allora chiamalo domattina», insistette Stone. «Convincere Herbie a tornare a New York sarà più facile se l'accusa di omicidio colposo viene ritirata.» «Sì, okay», lo accontentò Dino. «Adesso però posso bermi questo ridicolo drink e godermi il paesaggio?» «Fa' pure.» «Grazie del permesso.» Il cameriere tornò a prendere le ordinazioni. «Ci vorranno circa venti minuti. Gradireste un'altra pina colada?» «Poco ma sicuro», concordò Dino. «Ma come, niente whisky?» «Siamo ai tropici, buffone.» Stone rise. «Mi dispiace che non abbiamo potuto portare con noi anche Mary Ann.» Dino lo guardò come se avesse di fronte un matto. «Voi scapoli non capite proprio niente. Soltanto le compere al duty free ti avrebbero fatto fuori.» «Fatto fuori me?» «Per l'appunto. Sei tu che paghi, o no?» «La linea di credito non copre il duty free. Niente macchine fotografiche, niente Rolex, ricordatelo. Inoltre non avrai il tempo di far compere. Dobbiamo trovare Herbie.» «E come pensi di riuscirci?» chiese Dino. «Se Bob Cantor continua a non rispondere al cellulare, non ne ho la minima idea.» Il flash di una macchina fotografica esplose in faccia a entrambi. «Signori, buonasera.» Il fotografo parlava con uno spiccato accento di New York. «Ecco qui il mio biglietto da visita. Posso stamparvi questo splendido ritratto? Solo venti dollari.» Gli occhi di Stone tornarono a vedere qualcosa. Quel qualcosa era la faccia sorridente di Herbie Fisher. 19 Il sorriso di Herbie andò in pezzi. «Io... Ah...» Poi non fu in grado di
continuare. Per un momento, anche Stone fu troppo stupefatto per parlare. «Come butta, Herbie?» riuscì a dire alla fine. Herbie roteò su se stesso e se la diede a gambe attraverso la terrazza come un coniglio terrorizzato, infilando una delle porte. «Muoviamoci!» urlò Stone. Lui e Dino si districarono dalle morbide poltroncine imbottite, aggirarono il tavolo e si catapultarono nella scia di Herbie. Stone lo intravide mentre scappava attraverso il parcheggio e fece uno scatto, perdendosi un mocassino proprio sul più bello. «Prendilo!» gridò a Dino, quindi tornò indietro a recuperare la scarpa. Quando tornò in pista, il compagno era immobile in mezzo alla strada, intento a guardarsi attorno. «Da che parte è andato?» chiese Dino. «E che ne so? Ho dovuto fermarmi per riprendere la scarpa.» «Sei davvero un bell'aiuto, Stone.» Da dietro un piccolo gruppo di palmizi a lato della strada udirono un'auto che si avviava, poi il raschiare dei pneumatici sulla ghiaia. Stone si precipitò in quella direzione. Una jeep gialla stava già svanendo oltre una curva. «Bene, almeno sappiamo che macchina guida.» «Una jeep?» Dino rise. «Non hai notato che metà dei turisti su quest'isola guida jeep a nolo?» «Era una jeep gialla», insistette Stone. «Non sono tutte gialle.» «A me intanto è venuta fame.» Dino aveva perso interesse. Tornarono all'albergo e uscirono di nuovo sulla terrazza. Le altre due piñas coladas che avevano ordinato si stavano squagliando nel calore notturno. «Signori, il vostro tavolo è pronto», annunciò il cameriere. «Da questa parte, prego.» Si sistemarono in un séparé vicino alla porta, da dove si riusciva a vedere parte del paesaggio, e accettarono un bicchiere di vino. «Adesso come diavolo facciamo a trovarlo?» chiese Dino, andando all'assalto della cena. «Chiamerà suo zio Bob al più presto, ma avrà anche lui il nostro stesso problema a mettersi in contatto. Non appena Bob sarà di nuovo raggiungibile su cellulare, posso spiegare la situazione a lui, e lui la spiegherà a Herbie.» «E secondo te quanto ci vorrà?» «Be', Bob Cantor è qui da almeno quattro giorni. Può darsi che stia per
tornare a casa.» «E se invece si è preso tre settimane di vacanza?» «Neanche a pensarlo.» «Quando deve presentarsi in aula Herbie?» «Dopodomani.» «Ah, fantastico.» «Ho chiamato Tony Levy e gli ho detto di ottenere un rinvio, a ogni costo.» «Chi è il giudice?» «Kaplan.» «Allora sei fottuto», asserì Dino, sghignazzando. «Sei nella fogna per un quarto di milione di dollari e, al tuo rientro a New York, la tua bella casetta avrà un nuovo proprietario: Irving Newman.» «Dino, mi stai rovinando l'appetito.» «Hai chiamato Irving?» «No. Continuo a sperare che non abbia saputo della fuga di Herbie. Come farebbe a saperlo?» «Be', se dopodomani Herbie non si fa vedere, e Tony Levy si ritrova impalato davanti al giudice Kaplan solo soletto, Irving sospetterà qualcosa. Ha uno dei suoi scagnozzi in ogni singola aula del tribunale, lo sai.» «Lo so, lo so. Ti spiacerebbe darci un taglio?» «E Irving non è esattamente il tipo che ti fa credito per un quarto di milione di dollari.» «Non un quarto di milione. Sono duecentoventicinquemila dollari.» «Sai che differenza fa.» «Dino, sul serio, mi stai mandando la cena di traverso.» «D'altra parte, qualcosa in banca ce l'hai. A Irving potresti dare un assegno.» «Sarei costretto a vendere delle azioni, e in questo momento il mio pacchetto è sotto le suole delle scarpe. Ho speranze che il mercato si rialzi, ma staccare adesso un assegno di quell'entità sarebbe un salasso.» «Ma la settimana scorsa non avevi anche un altro affare per le mani?» «Tu continua pure a fare questi discorsi, Dino. E io vado nella tua stanza, trovo la tua pistola e ti sparo in bocca.» «Non l'ho portata, la pistola.» «Allora cambiamo argomento e basta, d'accordo?» «Okay.» Dino sorseggiò il vino per qualche momento. «Carpenter lo sa che hai lasciato la città?»
Stone emise un mugugno. «Non ho avuto il tempo di chiamarla.» Tirò fuori il cellulare e chiamò il Lowell. «Sotto quale nome è registrata?» «Non me lo ricordo.» Dino assunse un'espressione pensosa. «Ha troppi nomi, quella ragazza.» L'albergo rispose. «Solo un momento», disse Stone, coprendo il microfono. «Andiamo, Dino, dammi una mano.» «Giuro, non riesco a ricordarlo.» «Nemmeno io ci riesco...» Stone si diede un colpo in fronte con il palmo della mano, esclamando: «Susan!» «Eccolo lì!» Stone scoprì il microfono. «Potrei parlare con Susan Kinsolving, per cortesia?» Il telefono nella stanza suonò e suonò, poi il centralinista riprese la comunicazione. «Mi dispiace, signore, nessuna risposta. Vuole lasciare un messaggio vocale?» «Sì, la ringrazio.» Stone ascoltò la voce registrata fino al bip. «Sono Stone. Sono dovuto andare fuori città per affari. Ti prego di richiamarmi al cellulare.» Ripeté il numero, in caso Carpenter lo avesse perso. «Sarò di ritorno in un paio di giorni.» Chiuse la comunicazione. Dino rise. «In un paio di giorni? Questa è buona.» «Potremmo avere un colpo di fortuna.» «Lo abbiamo già avuto, il colpo di fortuna, ma tu hai mandato tutto a farsi benedire.» «Io ho mandato tutto a farsi benedire?» «Di certo non sono stato io», ribatté Dino. «Tu eri molto più vicino a lui di me. Ti bastava afferrarlo.» «E chi riusciva a vedere qualcosa dopo il lampo del flash?» «Okay, nemmeno io vedevo niente.» Una donna seduta al tavolo vicino si protese verso di loro. «Chiedo scusa, ma voi due siete sposati?» «Sono davvero spiacente», disse Stone. «Sembrate proprio una coppia sposata», concluse la donna, poi tornò a dedicarsi alla propria cena. «Mi stai mettendo in imbarazzo», bisbigliò Stone. «Io sto mettendo in imbarazzo te?» Dino era stupefatto. «Ti avevo chiesto di cambiare argomento.» «E io l'ho cambiato», dichiarò Dino.
«Signori, per piacere», disse la donna al tavolo vicino. «Sono davvero spiacente», ripeté Stone. «L'ho cambiato, l'argomento», non mollò Dino. «E piantala», ringhiò Stone. 20 Carpenter sollevò il telefono e compose il numero di casa di Stone. Le rispose la segreteria telefonica, e lei riappese senza lasciare un messaggio. Provò al cellulare. Una voce registrata la informò che l'utente non era raggiungibile. Sedeva in un ufficio per i visitatori arredato in modo scarno nel quartier generale di New York condiviso da MI5 e MI6. Nessuno dei due servizi dello spionaggio inglese avrebbe dovuto avere una base a New York, ma l'avevano. Carpenter era stanca, confusa e affamata. Voleva che Stone la portasse a cena e lui non stava collaborando. Prese il soprabito, si registrò in uscita all'ingresso e lasciò l'edificio dopo aver superato le porte di sicurezza. Il ristorante P.J. Clarke si trovava soltanto a qualche isolato e Carpenter vi si diresse. Non considerò nemmeno l'ipotesi di essere seguita. Erano quasi le otto di sera e il posto era affollato. «Non avremo nessun tavolo disponibile per almeno quarantacinque minuti», le disse un cameriere. «Se ha davvero molta fame, può mangiare qualcosa al bar.» Carpenter fece ritorno al bancone e diede un'occhiata. A un'estremità c'erano due operai, elmetti di sicurezza ancora in testa, che non sembravano aver voglia di tornare a casa. Nel mezzo, un manipolo di tipi della pubblicità era al lavoro su quello che poteva essere il loro quarto cocktail. All'estremità opposta, una donna sola si stava togliendo la giacca. Carpenter sedette a un paio di sgabelli di distanza da lei e ordinò un Wild Turkey, ricordandosi di usare il suo accento americano. «Una bevitrice di bourbon?» chiese la donna sola accanto a lei. «Allora dev'essere del Sud.» Indossava un tailleur da ufficio, e vicino a lei, appoggiata sul bancone, c'era una borsa combinazione di borsetta e valigetta professionale. Stava leggendo la pagina sei del New York Post. «No, del Midwest.» Carpenter non era entusiasta che qualcuno stesse ficcando il naso nei suoi affari. «È a New York da molto?» «In realtà vivo a San Francisco. Sono qui solo in viaggio d'affari.» «Una delle mie città preferite», disse la donna.
«Una delle città preferite di tutti», replicò Carpenter, sorridendo. «Lei che cosa fa a New York?» «Sono avvocato.» «Quale studio?» «Ho lasciato il lavoro la settimana scorsa, sono appena agli inizi della ricerca del prossimo impiego.» «Fortuna?» «Oggi ho avuto due colloqui. Uno sembra abbastanza promettente. Conosce uno studio legale chiamato Woodman & Weld?» «Ne ho sentito parlare. Un mio amico svolge incarichi per loro.» Sorseggiando il bourbon, Carpenter chiese al barman il menu. «Mangia qualcosa con me?» disse alla donna. «Ceno qui al bar, visto che non ci sono tavoli disponibili.» «Certo.» Anche la donna esaminò il menu. «Penso che ordinerò la costata, non troppo cotta, con patatine fritte. Ho appetito.» «Anch'io», disse Carpenter. «Due costate, non troppo cotte, patate fritte», ordinò al barman. «E una bottiglia decente di Cabernet. Scelga lei.» «Mai avrei pensato di incontrare una californiana che dice al barman di sceglierle il vino.» La donna rise. «Tutti quelli della costa occidentale che conosco hanno in testa una sofisticata lista di vini che nessuno a ovest di Las Vegas ha mai neppure sentito nominare.» «In realtà non sono molto interessata al vino, mi basta berlo. Lascio che sia l'uomo a ordinare.» «Qual è il suo ristorante favorito a San Francisco?» chiese la donna. «Postrio», rispose Carpenter. «Ah, sì? Pensavo l'avessero chiuso.» «No. L'hanno ristrutturato, e hanno un nuovo chef. È straordinario.» Carpenter si fece un appunto mentale: verificare se quel ristorante era davvero chiuso. Non poteva andarsene in giro collezionando errori tanto ovvi, nemmeno alla sua prima uscita con quel nuovo background. «Dove sta a New York?» chiese ancora la donna. «Al Carlyle.» «Parecchio costoso per un viaggio d'affari, o sbaglio?» «Sono vicepresidente del consiglio di amministrazione, per cui mi spettano buoni alberghi e prima classe sugli aerei», rispose Carpenter. «Ottimo.» «Male non è.» Carpenter si domandò se non stesse esagerando con quel falso accento. «Lei in quale parte della città vive?»
«Upper East Side.» «Anche a me piace molto quella zona.» Le costate arrivarono. Sia Carpenter sia la donna si diedero da fare. «Tutt'altro che un cattivo vino», commentò la donna, ruotando la bottiglia per leggere l'etichetta. «Jordan Cabernet.» «Sì, è davvero buono.» «Forse chiedere al barman di scegliere non è una cattiva idea.» «Visto? Glielo avevo detto. Vive qui da molto?» «Quattro anni», rispose la donna. «E gli uomini? È facile incontrarne, qui?» La donna scosse la testa. «Niente che valga la pena.» «A San Francisco è lo stesso», concordò Carpenter. «Tutti quelli buoni sono o sposati o gay... o tutt'e due le cose.» La donna rise. «Amara verità anche da queste parti.» Finirono le costate. «Dessert?» propose il barman, ritirando i piatti. «Che cosa raccomanda?» chiese Carpenter. «Torta di mele alle noci, con gelato alla vaniglia.» «Affare fatto.» «Due», si associò la donna. «Anche se me ne pentirò domani, guardando la bilancia.» «Mai guardarla, la bilancia», suggerì Carpenter. Finite anche le torte di mele, Carpenter chiese il conto. Pagò con una delle carte di credito di Susan. «Faccio io», disse alla donna. «Molto gentile da parte sua. Lei come si chiama?» «Susan Kinsolving.» Carpenter porse la destra. «Ginger Harvey», si presentò a sua volta la donna. «Posso offrirle un caffè da qualche parte?» «La ringrazio, ma è stata una lunga giornata e sono davvero stanca. Forse ci rivedremo ancora.» Carpenter si congedò con un cenno di addio, uscì sulla strada e fermò un taxi. «Hotel Carlyle», disse all'autista. «76th Street e Madison.» «Certo», rispose il tassista. «Può farmi un favore? Dia uno sguardo allo specchietto, retrovisore. Controlli se c'è una donna che sale su un altro taxi dietro di noi.» «Che esce dal Clarke's?» chiese l'autista. «La vedo.» «Se la prenda calma lungo il tragitto», disse Carpenter. «Soprattutto ai semafori.» Estrasse il cellulare e compose un numero in memoria. «Parla
Carpenter. Credo di essere stata individuata, e credo si tratti della nostra amica. In questo momento mi trovo in un taxi, in direzione nord lungo 3rd Avenue, all'intersezione con 57th Street. Lei è proprio dietro di me. Vado all'hotel Carlyle. Chiamate il direttore e preparate il terreno, che venga registrata in fretta. Non penso che riusciate a mandare là una squadra entro dieci minuti, vero? No, infatti. No, niente polizia. Dovremo sistemare la cosa il meglio possibile. E sistemarla da noi.» Chiuse la comunicazione. «Lo sa, è buffo», disse il tassista. «Che cosa è buffo?» «Lei non parlava con accento inglese quando è salita sul taxi.» «Dimentichi di averlo notato.» Carpenter gli passò un biglietto da cinquanta dollari. «Mi lasci all'albergo, tenga il tassametro in funzione e non raccolga nessun altro passeggero per almeno altri venti isolati, siamo intesi?» L'autista fissò i cinquanta. «Sissignora!» Carpenter smontò dall'auto di fronte all'ingresso del Carlyle su 76th Street. Raggiunse la reception a passi rapidi. «Sono Carpenter. Posso avere la mia chiave, per favore?» L'uomo dietro il banco la guardò per un momento, poi aprì un cassetto e le porse una chiave. «Piano alto, suite interna, come richiesto.» «Se qualcuno chiede di me, chiami il numero di telefono che le è stato dato», disse Carpenter. «Arriverà qualcuno molto presto.» «Dorma bene», le augurò il concierge. Carpenter salì in ascensore prima di aver guardato il numero impresso sulla chiave. Diede al lift il numero del piano. Il suo cellulare cominciò a vibrare nel momento in cui la cabina si metteva in moto. «Sì?» «Ci vorranno almeno venti minuti prima che possiamo portare la squadra in posizione», disse la voce all'altro capo. «Così tanto?» «Siamo sparpagliati. Non aprire la porta a nessuno se prima non ricevi una nostra chiamata.» «Giusto.» Carpenter richiuse il cellulare con un gesto secco e uscì dall'ascensore. Trovò la stanza, entrò in una piccola suite, richiuse la porta e mise la catena di sicurezza. La finestra dava su un cavedio di ventilazione. Prima di accendere le luci, tirò le tende. Poi andò al telefono e compose un numero. «D'accordo, verifichiamo questo: Ginger Harvey, avvocato, indirizzo
nell'Upper West Side.» «Un momento.» Poté udire dita che martellavano sulla tastiera di un computer. «East 81st Street, vicino a Lexington Avenue.» «Mandate là qualcuno subito. Se non risponde nessuno, entrate e richiamatemi.» Carpenter riappese, si sbarazzò delle scarpe e prese a passeggiare avanti e indietro. Ginger Harvey esisteva, era vera. Ed era precisamente quello a preoccuparla. 21 Finirono di cenare in fretta, poi Stone andò al banco della reception. «Il fotografo che era qui prima... sa dove posso trovarlo?» chiese all'impiegata. «Perché?» domandò la donna. «L'ha infastidita? Ha cominciato a venire qui soltanto ieri sera. Gli ho detto di non importunare inutilmente i clienti.» «No, niente del genere. Voglio solo parlargli.» «Tutto quello che ho è un numero di telefono.» La donna frugò in un cassetto e tirò fuori un biglietto da visita stampato rozzamente. La scritta diceva: HERBIE L'OCCHIO - MAGNIFICI RITRATTI SUBITO. «Grazie», disse Stone. «Avete una macchina a noleggio disponibile?» «Ho una jeep.» La donna gli diede le chiavi. «La metterò sul suo conto, signor Barrington.» «Molte grazie.» Stone e Dino raggiunsero alla svelta il parcheggio, dove li aspettava una jeep rossa. «Il tuo compito è ricordare la strada per tornare qui», disse Stone, avviando il motore. «D'accordo. Andiamo a fare un giretto e basta?» «Andiamo a fare un giretto per gli alberghi», rispose Stone. «Herbie è riuscito a seminarci, ma non credo sia il tipo da rinunciare a qualche cucuzza. Tu che ne dici?» «Nemmeno io credo che sia il tipo.» Avanzarono nella calda notte tropicale, fermandosi in ogni hotel che trovarono ed esplorando i parcheggi. Trovarono due jeep gialle, ma nessuna traccia di Herbie. Stone fece un altro tentativo con il cellulare di Bob Can-
tor. «Allora?» disse Cantor. «Bob? Dove diavolo eri andato a cacciarti?» «Chi parla?» «Sono Stone. È da un pezzo che cerco di mettermi in contatto con te.» «Stavo in barca. Abbiamo attraccato a Red Hook giusto questa sera.» «Red Hook? Dov'è?» «All'estremità orientale dell'isola. Che succede, Stone? Perché mi cercavi?» «Hai notizie di Herbie Fisher?» «No, la tua è la prima telefonata che ricevo da che ho spento il cellulare. Per quale ragione dovrei avere notizie di Herbie?» «Ha violato la libertà su cauzione.» «Libertà su cauzione per cosa? Non dirmi che lo hai fatto arrestare, quel ragazzo. Mia sorella mi farà la pelle, quando torno a casa.» «Non l'ho fatto arrestare io: Herbie sì è fatto arrestare da solo. Io sto cercando di toglierlo dai guai. L'avevo tirato fuori di galera grazie a Irving Newman, ma poi Herbie s'è squagliato su una cauzione da un quarto di milione di dollari.» «Un quarto di milione! Ma che accidenti ha combinato?» «Te lo dico quando ti vedo», rispose Stone. «Dove sei alloggiato?» «Questa è la mia ultima notte sulla barca a nolo. Avevo deciso di tornare a casa domani.» «Come arrivo a Red Hook?» Cantor gli fornì le indicazioni e il nome della barca. «Ti ci vorranno fra i trenta e i quarantacinque minuti.» «D'accordo. Herbie ti chiamerà, puoi scommetterci. Quando lo farà, digli di venire a Red Hook, ma non di aver parlato con me. Credo che lui sia convinto che, se lo troverò, lo riporterò in galera.» «Ed è questo che vuoi fare?» «No! Quello che voglio fare è ridurre il capo d'accusa e metterlo in libertà sulla parola. Deve presentarsi in aula fra trentasei ore e, se non lo farà, sarò io a rimetterci una montagna di soldi.» «Okay, Stone, ci parlo io con il ragazzo.» «No, lascia che gli parli io. Se per caso Herbie arriva lì prima di me, tu fa' la parte di quello che cade dalle nuvole e prendi tempo.» «Come vuoi», disse Cantor. Stone riappese. «Andiamo a Red Hook.»
«Io voglio andare a dormire», protestò Dino. «È mezzanotte.» «Dopo.» Stone cominciò a cercare la strada per raggiungere Red Hook. Carpenter sussultò. Aveva colto un rumore al di là della porta. Prese la borsetta, impugnò la Walther a canna corta e avvitò il silenziatore alla bocca da fuoco. Il Carlyle non avrebbe gradito una sparatoria nei corridoi. Attraversò la stanza di corsa, a piedi nudi, e scrutò dallo spioncino. Non si vedeva nessuno. Si appiattì di schiena contro la parete, restando in attesa. Il campanello suonò e lei sussultò di nuovo. Non aprì la porta. «Carpenter!» gridò qualcuno dal corridoio. Scrutò nuovamente dallo spioncino. «Chi è?» «Mason», disse l'uomo. Non avrebbe detto il nome se fosse stato sotto la minaccia di una pistola. Carpenter tolse la catena di sicurezza e aprì la porta. Arretrò tenendo la pistola pronta, per ogni evenienza. Mason entrò. «È tutto a posto, sono solo.» «Perché diavolo sei da solo?» insorse Carpenter. «Lo sai o no con chi abbiamo a che fare?» «Ma certo che lo so con chi abbiamo a che fare», rispose Mason con la sua aria da primo della classe. «E allora perché prima di salire non hai chiamato? Avrei potuto spararti.» «Dovevo chiamare?» «Ah, lascia perdere. Dove sono gli altri?» «Ho mandato due uomini all'appartamento della Harvey. Ne abbiamo altri in allarme.» «La Biche è qui, in questo albergo, da qualche parte», dichiarò Carpenter. «Lo sento.» «Tu dammi una descrizione e io la faccio circolare.» «Poco sopra la trentina, un metro e sessantacinque, cinquantacinque chili, capelli castano chiaro lunghi fino alle spalle, occhi neri...» «Occhi neri? Nessuno ha gli occhi neri.» «D'accordo, castano molto scuro. Indossa abiti da ufficio, porta una borsa che sembra una valigetta professionale. Lo sa il cielo che cosa ci tiene dentro.» Mason tirò fuori un cellulare e fece un numero. «Perché non vuoi avvertire la polizia?» «Preferirei che fossimo noi a sistemare la faccenda», rispose Carpenter.
«A te non piacerebbe?» Mason scrollò le spalle. «Perché guastare la vittoria condividendola con i poliziotti di New York o l'FBI?» Il telefono della stanza si mise a suonare. Carpenter attese che Mason raggiungesse una derivazione prima di rispondere. Sollevarono il ricevitore simultaneamente. «Sì?» «Siamo nell'appartamento della Harvey», disse un uomo. «Pulito come il didietro di un neonato.» «C'era da aspettarselo, o sbaglio?» replicò Carpenter. «Rimani in linea, stiamo controllando il giardino.» Carpenter restò in attesa per un bel pezzo prima che l'uomo tornasse a farsi sentire. «Abbiamo trovato un cadavere: donna, forse trent'anni, statura e corporatura medie.» «Lo avete trovato dove?» «Nella camera calda in giardino.» «Una camera calda da giardinaggio?» «Esattamente.» «Morta da quanto?» «Niente rigor mortis, nessun fetore. Questo è tutto quello che posso dirti.» «Andate via da là, e cancellate le tracce. Dimmi che non avete forzato la serratura.» «Scassinata.» «Allora tenete il posto sotto sorveglianza in caso La Biche dovesse tornare. E fate molta, molta attenzione.» «D'accordo.» «Dimmi che non stai chiamando dal telefono di casa.» Ci fu un breve silenzio. «Noi adesso usciamo.» Carpenter riappese con rabbia. «Idioti! Hanno chiamato qui dal telefono della Harvey!» Mason mugugnò. «Adesso siamo costretti a parlare con il Dipartimento di polizia di New York. Controlleranno di sicuro i tabulati telefonici.» «Lascia che me ne occupi io», disse Carpenter. Sulla sua rubrica trovò il numero di Dino Bacchetti e lo chiamò. 22
La jeep si arrestò lamentosamente nel parcheggio di un porticciolo. «Da quella parte», indicò Stone a braccio teso. Dino sussultò. «Aspetta un po'. Mi suona il cellulare.» Si frugò nelle tasche. «A quest'ora di notte, qualcuno deve aver tirato le cuoia.» Aprì l'apparecchio. «Bacchetti.» «Dino? Sono Carpenter.» «Oh, salve.» Dino coprì il microfono con una mano. «È Carpenter.» «E perché diavolo chiama te?» Stone cercò di prendergli il telefono. Dino allontanò la mano. «Chiama me, quindi sono io che le parlo. Che succede, Carpenter?» «Ho un piccolo problema per te, Dino.» «Per me? Che genere di problema?» «Un paio dei miei sono incappati in un omicidio sul tuo territorio.» «Chi hanno ammazzato, Carpenter?» «Nessuno. Ci ha pensato La Biche.» «Chi ha fatto fuori? Uno dei tuoi?» «Una civile, una donna di nome Ginger Harvey. La Biche ha assunto la sua identità, almeno per il momento.» «Dimmi tutto.» Carpenter gli diede l'indirizzo. «È al piano terra, l'appartamento sul retro, con il giardino. Il corpo si trova nella camera calda del giardino.» «Camera calda? Cos'è?» «Attrezzatura da giardinaggio, come una piccola serra, solo priva di finestre.» «Mando là i miei uomini.» «Non troveranno granché, eccetto il corpo. Questa donna è molto abile, avrà eliminato qualsiasi traccia della sua presenza.» «Già, ma dobbiamo comunque seguire la procedura.» «Un favore, Dino: puoi aspettare fino a... diciamo... fino a domattina, prima di andare là? Sto facendo sorvegliare il posto nel caso La Biche ritorni, e lei fuggirà come il vento se dovesse notare qualcosa che assomiglia sia pure remotamente a un poliziotto.» «Okay. Aspetterò prima di dare l'allarme.» «Te ne sono grata, Dino. Lo so che non è la procedura corretta, ma così abbiamo almeno una possibilità d'inchiodarla.» «Non preoccuparti. Rimani in contatto.» «Lascia che ti dia il mio numero di cellulare.» Dino si mise in cerca di mia penna. «Spara.»
«Voglio parlare con lei», disse Stone. Dino annuì, prendendo nota del numero. «Aspetta un momento, Barrington vuole parlarti.» Stone prese il telefono. «Ciao. Stai bene?» «In questo momento sono in fuga. La Biche mi ha individuato e sto rintanata al Carlyle.» «Ah, merda. Come ha fatto a trovarti?» «Credo che, quando ha rapito il nostro uomo al Cairo, lui le abbia dato l'indirizzo della nostra sede di New York. Probabilmente oggi ha aspettato fuori sino a quando non mi ha visto uscire dall'edificio; dopo di che mi ha seguito fino al ristorante P.J. Clarke's, dove ci siamo fatte due piacevoli chiacchiere al bar.» «Rimani al Carlyle?» «No, me ne vado domattina. E non posso nemmeno tornare al Lowell.» «Vai a casa mia.» «Potrebbe sapere chi sei.» «Potrebbe non saperlo.» «Ci penserò su. Perché un po' più tardi non passi qui al Carlyle, una volta che ho sistemato la faccenda?» «C'è un piccolo problema. Sono a Saint Thomas.» «Una chiesa?» «Un'isola.» «E che diamine ci fai laggiù?» «Riporto indietro Herbie Fisher, il quale ha violato la libertà su cauzione scaricandomi sul gozzo un bubbone bello grosso.» «Quando torni a casa?» «Domani, spero.» «Dino ha il numero del mio cellulare. Chiamami quando rientri.» «E tu sta' attenta a dove metti i piedi.» «Vorrei che ci fossi qui tu a stare attento per me.» «Anch'io. Ti telefono domani.» Stone chiuse la comunicazione e restituì il telefono a Dino. «Troviamo questa barca. Si chiama Tenderly.» Percorsero lentamente il pontile principale dell'approdo, controllando i nomi delle barche fino a quando non ne raggiunsero una, a vela, a bordo della quale c'era una luce accesa. «Ci siamo.» Stone salì a bordo. Bussò leggermente al portello. «Bob?» «Vieni giù, Stone», rispose Cantor. Stone e Dino scesero a fatica gli scalini angusti. Bob sedeva al tavolo
della cabina. Herbie Fisher, seduto accanto a lui, aveva l'espressione di un animale paralizzato dal fascio di luce degli abbaglianti. «Bene, bene, salute a te, Herbie», esordì Stone. «Sei proprio un tipo difficile da trovare.» «Ha chiamato poco dopo di te, Stone», disse Cantor. «Ed è appena arrivato.» «Io indietro non ci torno», fece Herbie. «Sì che ci torni, invece», ribatté Stone, sedendosi sul panchetto dall'altra parte del tavolo. «E lascia che ti spieghi il perché.» «Ora fa' silenzio e ascolta bene, Herbie», aggiunse Cantor. «Quel tizio non lo hai ammazzato tu», cominciò Stone. «Non provarci nemmeno a vendermi questa stronzata», disse Herbie. «Ti credi che non lo so quando un tizio è morto? Sono di Brooklyn, io.» Stone lasciò correre il non sequitur. «Era già morto, Herbie, ma non sei stato tu a ucciderlo. C'è stata un'autopsia. Lo ha fatto fuori la ragazza, quella che lo massaggiava. Era già morto quando tu gli sei caduto sopra.» «Non ti credo», ribatté Herbie. «Allora lascia che ti presenti il tenente Dino Bacchetti, capo della squadra investigativa del diciannovesimo distretto. Fagli vedere il distintivo, Dino.» Dino eseguì un rapido movimento e mostrò la patacca a Herbie. «Dino», riprese Stone, «sto mentendo a Herbie?» «Assolutamente no», rispose Dino. «Il tizio è stato avvelenato.» Herbie passò lo sguardo dall'uno all'altro, avanti e indietro. «Non ti sta mentendo, Herbie», lo rassicurò Cantor. «Io indietro non ci torno lo stesso», tornò a ripetere Herbie, deciso a non cedere. «Come?» Stone non capiva. «Questo posto mi piace. Ho contatti con cinque alberghi. Sarà una bella torta.» «Herbie, tu devi presentarti davanti al giudice fra trentasei ore. Faremo cadere l'accusa di omicidio colposo, patteggeremo tutto il resto a una semplice infrazione e otterrai la libertà sulla parola senza obbligo di firma. Dopo di che puoi tornartene qui a scattare tutte le fotografie che vuoi.» «Ma avrò la fedina penale sporca», piagnucolò Herbie. «Herbie, se non ti presenti in aula, verrà spiccato un mandato di cattura contro di te e la polizia comincerà a cercarti. Da tutte le parti, compreso qui. Preferiresti questo alla libertà sulla parola?»
«Non lo so.» Bob Cantor passò un braccio dietro le spalle del nipote e gli assestò una sberla sulla nuca. «Fesso!» «Ahi!» Herbie strinse le palpebre. «Torna a casa con Stone e sistema questa cosa, se non vuoi che lo dica a tua madre», minacciò Cantor. «Okay», convenne Herbie impacciato. 23 Carpenter venne svegliata di soprassalto dalla porta che sbatteva. Istantaneamente la sua mano corse alla Walther. Era a letto, nuda, e sentiva qualcuno fischiettare nel salotto della suite al Carlyle. Era soltanto Mason. Carpenter scese dal letto, si lavò i denti usando lo spazzolino dell'albergo, indossò l'accappatoio appeso dietro la porta del bagno ed entrò nel salotto, ravviandosi i capelli con le mani. Non aveva la spazzola. «Buongiorno», esordì allegramente Mason. Aveva il colletto della camicia aperto. La sua giacca e la cravatta di Eton erano drappeggiate sullo schienale di una sedia. «Buongiorno», rispose Carpenter, anche se non pensava affatto che lo fosse. Non aveva mai visto Mason, mai, in nessuna occasione, senza la cravatta di Eton. Il collega accennò al carrello della colazione. «Abbiamo uova, salmone affumicato, salsicce, e anche quell'ottimo succo d'arancia che arriva dalla Florida.» Carpenter si sorprese nell'accorgersi di avere fame. Si sedette e cominciò a sollevare i coperchi dei piatti, appoggiandoli a terra. «Dormito bene?» domandò Mason. «Sì, ma non abbastanza. Tu?» «Come un sasso. Quel divano è molto comodo.» «Mason, anche una sola volta in tutta la tua vita, sei mai stato scomodo?» Ovunque andassero, Mason sembrava sempre portarsi dietro i mobili della casa di campagna di suo padre, o un sacco a pelo di piumino, o un bar portatile. «Non dopo l'esercito», rispose pensosamente Mason. Carpenter sapeva che era stato nel SAS, lo Special Air Service, la più dura unità commando delle forze armate inglesi. «Allora descrivimi quell'unica circostanza in cui l'esercito ti ha fatto stare scomodo.»
«Irlanda del Nord», affermò lui dopo averci riflettuto per un po'. «Ero a Londonderry, a tenere d'occhio una casa in cui pensavamo sarebbe apparso uno dei pezzi da novanta della Real IRA.Pioveva, il telone della mia Land Rover perdeva e la pioggia continuava a colarmi giù per il collo. Strano a dirsi, eppure mi sentii più comodo dopo l'esplosione della bomba. Ero a testa in giù, ma, essendoci il telone, era molto meglio esserci sdraiato sopra, con la macchina a ruote all'aria. Almeno la pioggia aveva smesso di gocciolare.» «Ah, ecco.» Carpenter ingollò un solido boccone di uova e salmone. «C'è qualche nuovo rapporto?» Mason fece una pausa, il suo atteggiamento diventò tetro. «Tinker è morto, e Thatcher è all'ospedale di Lenox Hill, a un paio di isolati da qui.» Carpenter inghiottì a forza e mise giù la forchetta. «La Biche li ha inchiodati entrambi?» «Be', Tinker lo ha inchiodato definitivamente. Thatcher solo in parte, mi segui? Lui è ancora vivo.» «Come ha fatto?» «Punteruolo da ghiaccio, a quanto risulta. Da queste parti li vendono ancora dal ferramenta. Lo sapevi?» «No, non lo sapevo.» Carpenter ringraziò il cielo di non essere lei la persona incaricata di scrivere le lettere di circostanza alle famiglie dei caduti in servizio. «Dunque La Biche è tornata davvero all'appartamento della Harvey?» «Così sembra.» Mason si sedette e cominciò a mangiare. «Non è curioso? A dispetto delle notizie sto morendo di fame.» «È una questione psicologica», spiegò Carpenter. «Il sollievo di essere ancora vivi mentre altri sono morti fa sentire meglio, e fa aumentare l'appetito. È per questo che si porta cibo alle famiglie dei trapassati. Anch'io ho una certa fame.» Riprese a mangiare. «Dal Lowell te ne sei andata», riprese Mason. «Dove vuoi che mandiamo la tua roba?» Carpenter gli diede l'indirizzo di Stone. «Pensi che sia una buona idea?» fece Mason, dubbioso. «Al momento non ne ho una migliore. Da qui come esco?» «Abbiamo messo le mani sul furgone di un commerciante di pesce. Arriverà nel garage dell'albergo tra...» Mason consultò l'orologio da polso, «cinquanta minuti. Il pesce scende, tu sali, poi il furgone raggiungerà il Waldorf-Astoria, per consegnare altro pesce. Smonterai là, salirai su un ta-
xi e te ne andrai... dovunque tu voglia andare.» «D'accordo.» «Mi auguro che l'odore del pesce non ti disturbi troppo.» «Riuscirò a reggere sino al Waldorf. Qualcuno ha parlato con Thatcher?» «Oh, certo. Ricorda ben poco, a parte il dolore. Non l'ha nemmeno vista arrivare. Diremo della Harvey ai nostri amici poliziotti?» «Gliel'ho già detto», rispose Carpenter. «Gli uomini del tenente Bacchetti caleranno sull'appartamento a metà mattina.» «Non troveranno un accidente di niente.» Mason infilzò una salsiccia. «A Dino ho detto anche questo, ma hanno una procedura da seguire. Non sarei troppo sorpresa se trovassero tracce del passaggio di Tinker e Thatcher. Chiaramente, non erano adatti a questa missione.» «Io non sarei troppo severo nei loro confronti», obiettò Mason. «Questa donna è a dire poco... straordinaria. Che impressione ti ha fatto quando l'hai incontrata al Clarke's?» «Te lo dirò, a patto che tu non ne parli con nessuno.» «Affare fatto.» «È in gamba... talmente in gamba da essere riuscita a ingannarmi fino a quando non mi ha invitato a bere un caffè da un'altra parte, che sarebbe stata l'appartamento della Harvey, immagino. Ma nemmeno allora sono stata certa che fosse lei. Poi l'ho vista salire su un altro taxi e seguirmi fin qui.» «Allora è davvero in gamba.» «Aveva un aspetto così ordinario.» «È proprio questo, di lei, a essere tanto straordinario», osservò Mason. «Essere in grado di eseguire una caccia all'uomo con una simile freddezza, continuando ad avere un aspetto ordinario. Pensi che disponga di qualche appoggio qui a New York?» «Scommetto che ha una o due identità di riserva in caso le serva qualcosa, o se le cose dovessero mettersi male. È troppo in gamba per non avere un piano di emergenza. Abbiamo passato l'allerta sul passaporto della Harvey?» Mason smise di masticare. «Non ne sono sicuro», disse in tono colpevole. «Vale a dire che non lo hai fatto.» «Ecco...» «Fallo ora.»
Mason si alzò e andò al telefono, il quale si mise a suonare prima che lui potesse sollevare il ricevitore. Ascoltò per un momento, poi tese l'apparecchio a Carpenter. «Per te.» Roteò gli occhi al cielo. Carpenter si alzò e prese la cornetta. «Sì?» «Parla l'Architetto.» Il capo, da Londra. «Sì, signore.» «Questa mattina è atterrato all'aeroporto di Heathrow un volo che aveva una certa Virginia Harvey sulla lista dei passeggeri. Immagino che la chiamino Ginger, è così?» «Sì, signore.» «È salita a bordo, ma non è scesa. O, per lo meno, non è mai arrivata al controllo passaporti. Il suo corpo è stato trovato nei servizi delle donne nel corridoio tra il gate di sbarco e il ritiro bagagli. Aveva il passaporto nella borsetta, ma le fotografie non erano corrispondenti al cadavere.» «Non potevano esserlo, dal momento che si tratta di un'altra donna.» «Certo che no, ma lei non afferra il concetto.» Carpenter aspirò a bocca aperta. «Credo di cominciare ad afferrarlo adesso, signore.» «Stiamo rintracciando altre due donne che viaggiavano da sole su quel volo», continuò l'Architetto. «Entrambe hanno superato dogana e controllo passaporti. Una è stata localizzata in un albergo di Londra, dell'altra nessuna traccia.» «Il che ha senso.» «Sembra che le abbiamo tolto La Biche dalle costole, almeno per ora.» «Così sembra. Sarò sul prossimo volo.» «Ritengo che sarebbe meglio se lei rimanesse a New York, al momento. Lei e Mason prendetevi qualche giorno. Sono dolente per ciò che è accaduto a Tinker. Quanto a Thatcher, immagino che si riprenderà entro pochi giorni.» «Sì, signore.» «Mi rimetterò in contatto se ci fossero novità.» L'Architetto chiuse la comunicazione. Carpenter riattaccò a sua volta. «Allora?» chiese Mason. «Sembra che, dopo aver assassinato Tinker e ferito Thatcher, La Biche se ne sia andata dritta all'aeroporto Kennedy, dove è salita su un volo per Londra. Una volta sbarcata, e prima di arrivare al recupero bagagli, ha ucciso un'altra donna e ha preso la sua borsetta, lasciando al suo posto i do-
cumenti di Ginger Harvey. Adesso è in giro per Londra.» «Mmm», rimuginò Mason. «Forse avrei davvero fatto meglio a dare l'allarme sul passaporto della Harvey questa notte.» «La Biche ha pensato che non ci saremmo mossi tanto in fretta», concluse Carpenter. «E aveva ragione.» 24 Stone, Dino, Bob Cantor e Herbie Fisher sbarcarono dal jet all'aeroporto Kennedy. Dino mostrò il distintivo alla dogana. Non appena ebbero superato il controllo, Stone sentì il bracciale delle manette serrarsi attorno al proprio polso. Abbassò lo sguardo. Vide l'altro bracciale chiudersi attorno al polso di Herbie. «Non intendo correre rischi», dichiarò Dino. «Io devo andare al cesso», protestò Herbie. «Ce n'è uno proprio lì», indicò Dino. «Divertitevi pure, bambini.» «Andiamo, Dino», fece Stone. «Togliamola, questa chincaglieria.» «Figurarsi!» ribatté Dino. «Ma forse preferisci che ammanetti Herbie dietro la schiena, in modo che tu debba aiutarlo al cesso. Andrebbe meglio così?» Stone andò al gabinetto attaccato a Herbie e attese con impazienza che il ragazzo finisse di usare l'orinatoio. Fuori dal terminal trovarono ad aspettarli l'auto di Dino. Salirono a bordo. Stone tirò fuori il cellulare. Dino fece lo stesso. Dino compose un numero. «Passami l'ufficio del viceprocuratore distrettuale.» Stone compose un altro numero. «Tony? Sei in aula? Dieci minuti? Herbie è con me, ma possiamo essere là solo tra venti minuti, mezz'ora. Puoi tenere in stallo il giudice Kaplan? Fa' del tuo meglio, dille che abbiamo trovato un intoppo nella metropolitana.» Stone chiuse. «George?» disse Dino. «Dino Bacchetti... Già, anche tu. Senti, voglio farti risparmiare un po' di tempo. Uno dei tuoi sta maneggiando il caso di un certo Herbert Fisher, accusato di omicidio colposo nel caso Larry Fortescue... Difatti, deve presentarsi in aula tra circa dieci minuti. Il fatto è questo: ho ricevuto informazioni attendibili che non è stata la caduta di Fisher attraverso il lucernario a causare la morte di Fortescue... No, è stato avvelenato, e da una professionista, per cui era già morto quando Fisher gli è caduto addosso... No, non ti sto prendendo in giro. Ho dato un'occhiata al
rapporto autoptico... La fonte è del controspionaggio. È una faccenda alla James Bond. C'è di più. Questi tipi mi dicono che Fisher gli ha addirittura fatto un favore: ha scattato una foto della donna che ha assassinato Fortescue... Andiamo, George, ti pare che m'inventerei una storia del genere?... Che cosa voglio? George, l'omicidio colposo non può reggere come accusa. Inoltre, visto l'aiuto che Fisher ha dato a questi tipi, se fossi in te lascerei cadere le altre accuse. Credo sia meglio mettere tutto quanto nel dimenticatoio... Che interesse ho nella questione? Il mio interesse è evitare di esser preso a uova marce in faccia, cosa che magari vorresti evitare anche tu... Okay, compare. Ci sentiamo dopo.» Dino chiuse e si rivolse a Stone, seduto sul sedile posteriore assieme a Herbie. «George parlerà con l'assistente procuratore che si occupa del caso. In questo momento sta andando anche lui in tribunale.» «Vuole dire che lascerete perdere tutto quanto?» chiese Herbie. «Tu sta' solo zitto, Herbie», intimò Dino. «Non sei ancora fuori dalla tagliola. Dobbiamo portarti in aula prima che Kaplan si renda conto che tu in aula non ci sei.» «Attacca la sirena, Dino», suggerì Stone. Dino attaccò la sirena. «Non che a quest'ora faccia una gran differenza.» Venti minuti più tardi, proprio mentre il cancelliere annunciava il caso «lo Stato di New York contro Herbert Fisher», Stone fece ingresso in aula con Herbie a rimorchio. Consegnò Herbie a Tony Levy. «Che succede?» bisbigliò Levy. «Tu tieni la bocca chiusa e lascia parlare l'assistente procuratore», disse Stone. «Avvocato Levy», esordì il giudice Kaplan, «suppongo che lei voglia un'estensione della cauzione.» Levy stava per replicare quando l'assistente procuratore, una donna bassa di statura e parecchio malvestita, lo precedette. «Vostro Onore, il nostro ufficio lascia cadere tutte le accuse nei confronti del signor Fisher.» Kaplan lanciò alla giovane donna un'occhiata obliqua. «Lasciate cadere un omicidio colposo? Che cosa sta succedendo qui?» «Il nostro ufficio ha appreso che la vittima era già morta per altre cause prima che il signor Fisher... ehm... irrompesse sulla scena del delitto.» «Bene, non avevo idea di tutto questo», disse Kaplan. «Non l'avevamo nemmeno noi, Vostro Onore», asserì l'assistente procuratore. «Ma abbiamo ricevuto nuove informazioni da fonte attendibile.»
«D'accordo», decise Kaplan. «Signor Fisher, lei è libero. La cauzione verrà rimborsata.» «La ringrazio, Vostro Onore», disse Tony Levy. Accompagnò Herbie verso il fondo dell'aula, dove Stone stava aspettando. «Come diavolo ci sei riuscito, Stone?» «Questo proprio non puoi saperlo, Tony.» Levy prese Stone da parte. «Credo che tu mi debba cinque bigliettoni.» «Sbagliato, cinque bigliettoni è la tua tariffa per raccontare balle a un giudice. Cosa che non hai dovuto fare. Mille dollari entro oggi e la chiudiamo qui.» Stone afferrò Herbie per un braccio e lo trascinò fuori dall'aula, lasciando Tony Levy ad arrovellarsi su che cosa con esattezza fosse appena successo là dentro. «Bene, adesso sono a posto», disse Herbie. «Certo che sei a posto», convenne Stone. «Ma se osi farti scappare anche una sola parola di quello che Dino ha detto al procuratore distrettuale, una sola parola con chiunque, compresa tua madre, ti ritroverai a razzo in quest'aula di tribunale.» «Cristo, quanto mi piace questa roba da cappa e spada!» esclamò Herbie. «E dai, dimmi cos'è successo in quell'appartamento...» «Herbie, se te lo dicessi, poi dovrei ucciderti.» «Pensi che avrai altro lavoro per me?» insistette Herbie. «Penso che non avrò più nessun lavoro per te, Herbie.» «Perché no? Questo qui è finito bene, giusto?» «No, Herbie, non è finito bene per niente. Per poco non andavi in galera, e per poco non mi sei costato un quarto di milione di dollari.» «Ma adesso è tutto sistemato. Nessuno si è fatto male.» «Non è questo il mio concetto di 'tutto sistemato'», obiettò Stone. «E non hai idea di quanto tu sia arrivato vicino al punto in cui io stavo per fare male a te.» «Senti, la settimana prossima ti faccio uno squillo e vediamo se hai qualcosa per me», fece Herbie speranzoso. «Herbie, tu prova solo a presentarti, prova solo a telefonarmi, e io faccio due chiacchiere con i tipi che hanno a che fare con quanto è successo in quell'appartamento. Dopo di che si occuperanno loro di evitare che tu faccia squilli a chiunque, da qui all'eternità.» Herbie deglutì a fatica. «Vuoi dire che...» Stone annuì in modo sinistro. «Se fossi in te, salterei sul prossimo volo
per Saint Thomas. E non rimetterei più piede a New York City. Mai più.» Annuendo, Herbie indietreggiò, poi si girò e scappò via. Stone poté solo sperare che riuscisse ad arrivare all'aeroporto senza il suo aiuto. 25 Marie-Thérèse fu svegliata alle tre del pomeriggio dalla donna delle pulizie. Era in una casa-rifugio di un servizio di spionaggio mediorientale a Hampstead, un sobborgo a nord di Londra. «Lui è qui», annunciò la donna. «Sarò di sotto tra cinque minuti», rispose Marie-Thérèse. Fece una rapida doccia, poi, con i capelli ancora bagnati e con indosso uno dei vestiti eleganti di Ginger Harvey, scese nella sala da pranzo trasformata in centrale operativa. L'uomo il cui nome in codice era Abdul era seduto alla scrivania, intento a leggere la posta elettronica su un portatile. C'erano altri tre computer nel locale, oltre a una radio ad alta frequenza e due telefoni satellitari. C'era anche un'apparecchiatura per la codificazione dei messaggi e uno speciale sistema di registrazione in grado di effettuare trasmissioni a impulso compresso, le quali potevano essere quindi decompresse da chiunque avesse il codice giusto e l'attrezzatura adatta. Abdul alzò lo sguardo dal portatile. «Devo intendere che te ne sei andata da New York in fretta e furia?» «Sono stata costretta a farlo prima che gli inglesi coinvolgessero le autorità locali. A quel punto sarebbero stati in troppi a cercarmi. Ho fatto in modo che sapessero che ho lasciato gli Stati Uniti.» «E adesso?» «Voglio rientrare, preferibilmente oggi stesso. Mi serve una copertura molto solida, e spero tu possa aiutarmi.» «È il tuo giorno fortunato. Ma non potrai ripartire prima di domani», replicò Abdul. «In che modo agirai?» «Stiamo infiltrando negli Stati Uniti una giovane coppia. Sono sposati e hanno una bambina piccola.» Abdul frugò in una valigetta professionale accanto a sé, estrasse due passaporti e ne tese uno a Marie-Thérèse. «Non ci assomigliamo affatto», commentò lei. «Metterò la tua foto sul suo passaporto. Lei viaggerà sul medesimo volo con un passaporto diverso. Tu porterai la bambina e siederai accanto al marito.»
«Mi piace.» Marie-Thérèse sorrise. «Non si aspetteranno che rientri così presto, specialmente non con una bambina.» «Sei certa di voler tornare ora?» Marie-Thérèse annuì. «Ho un conto da chiudere. E dal momento che sanno che ho lasciato il Paese non mi cercheranno.» «Sei decisamente temeraria.» «Certe volte la temerarietà è la strategia più efficace.» Abdul le consegnò un pacchetto. «Devi tingerti i capelli prima che io ti scatti le foto per il nuovo passaporto. Meglio che tu ti dia da fare. Ci sono degli abiti da donna in una cassapanca al piano di sopra. Trova qualcosa che ti vada bene.» «A che ora è il volo domani?» «Alle undici del mattino, British Airways. Con il cambio di fuso orario, arriverai a New York verso le due del pomeriggio. Che altro ti serve? Armi?» Marie-Thérèse scosse il capo. «Non potrei portarle sull'aereo, non di questi tempi.» «Il modo c'è», replicò Abdul. «Ma preferiamo tenerlo per occasioni molto speciali.» «A New York ho risorse sufficienti, tuttavia avere un altro paio di passaporti potrebbe tornarmi utile.» «D'accordo, ma dovremo farteli avere per valigia diplomatica presso la nostra rappresentanza permanente alle Nazioni Unite. Ti segnalerò un contatto.» «D'accordo.» «Quante persone hai ucciso a New York?» chiese Abdul. «Tre. Due erano agenti segreti inglesi. La terza si è semplicemente trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.» Mezz'ora più tardi Marie-Thérèse era di nuovo al piano terra, a farsi tingere i capelli dalla donna che si occupava della casa-rifugio. Poi fece le fotografie per i nuovi passaporti, due delle quali indossando una parrucca. «Ottimo lavoro», commentò osservando le polaroid. Abdul si mise al lavoro sul documento, rimuovendo con abilità la vecchia fotografia e sostituendola con quella di Marie-Thérèse. Quando fu soddisfatto del risultato le consegnò il passaporto e dei fogli di carta. «Questo è il background della donna», spiegò. «E tutto completamente legittimo. Nata al Cairo, studi di economia a Parigi e Londra. Non è mai sta-
ta sospettata di nessun coinvolgimento con noi.» «Quanto ti devo per tutto questo, Abdul?» chiese Marie-Thérèse. Lui sorrise. «Qualcuno della nostra rappresentanza alle Nazioni Unite sta passando informazioni alla CIA, accettando il loro denaro. Ci piacerebbe che fosse eliminato in modo eclatante, dopo di che scaricheremo la responsabilità del suo assassinio sulla CIA stessa. Ti forniremo un tipo di arma che userebbero loro.» «Nessun problema.» «Anche gli altri passaporti saranno pronti prima che tu parta», concluse Abdul. «E così saremo pari.» Stone rientrò a casa per la porta dell'ufficio. Joan era al lavoro alla sua scrivania. «Bentornato, capo», disse lei. «Che ne pensi dell'Harborview?» «Magnifico, per quel poco che ho visto. Non ho mai potuto dormire nel mio letto, visto come si sono messe le cose. L'unico pisolino che sono riuscito a farmi è stato su una piccola barca a vela, non molto comoda, peraltro.» «Hai riportato indietro Herbie?» «Sì. Herbie è fuori dai guai, e io anche. Fa' avere altri mille dollari a Tony Levy entro oggi, e manda una fattura a Bill Eggers per i miei servizi, che comprenda anche i venticinquemila dollari che ho anticipato a Irving Newman per la cauzione di Herbie.» «Senz'altro. A proposito, la tua amica Felicity è di sopra, comodamente sistemata nel tuo letto. È arrivata qui un paio d'ore fa, in compagnia: ci sono un uomo nel tuo ufficio e un altro in giardino, che fa finta di leggere un libro.» «Magnifico. Ho bisogno anch'io di farmi una dormita, per cui prendi tu le telefonate.» Stone salì con l'ascensore. Nell'uscire al primo piano sentì contro la nuca il freddo acciaio di una bocca da fuoco. «Sono Barrington.» «Documenti.» Stone mostrò la patente di guida. «Ti do io il cambio qui. Perché non ti metti comodo nella biblioteca al piano di sotto?» «D'accordo.» L'uomo si diresse verso le scale. Stone entrò nella camera da letto facendo meno rumore possibile. Carpenter giaceva sul ventre, il suo respiro era leggero. Stone si spogliò e si mise a letto accanto a lei. «Bentornato a casa, marinaio», lo salutò Carpenter con voce assonnata.
«Immagino tu voglia un'accoglienza da marinaio.» «Niente di troppo intenso.» Stone si mise sul fianco, mettendole una mano sulla natica. «Dopo tutto, sono appena tornato dai pericoli del mare.» Le fece scivolare le dita su e giù lungo il solco tra i glutei. Carpenter emise un gemito di piacere. Stone esplorò un po' più in profondità, scoprendo che lei era già bagnata. Carpenter scivolò a sua volta sul fianco, premendo il didietro contro il suo sesso, afferrandogli il membro con una mano. Un momento dopo, Stone era dentro di lei. Sentì le natiche di Carpenter premere contro il ventre, i loro corpi che si muovevano a ritmo. Allungò una mano davanti a lei, trovò il clitoride. Continuò a baciarle la schiena, il collo, spinse le dita a danzare dentro di lei. Carpenter cominciò a muoversi più rapidamente e un momento dopo venne, emettendo lievi gemiti, facendo esplodere anche lui. Giacquero senza muoversi per un minuto o due, poi Carpenter si girò e si rifugiò tra le sue braccia. «Un inglese non avrebbe mai cominciato a quel modo», sussurrò. «Sarebbe stata la posizione del missionario o niente... non che abbia qualcosa in contrario con il Vangelo, è chiaro. Com'è andato il tuo viaggio?» «Ne parliamo dopo.» Stone inspirò a fondo. «Non lo sai che le delizie del sesso sono il letargo della coscienza?» disse con un sospiro. Scivolò nel sonno anche prima di aver completato il respiro. 26 I suoi compagni di viaggio arrivarono alla casa-rifugio di Hampstead sei ore prima della partenza. Marie-Thérèse incontrò il marito e la bambina, ma non la moglie, che venne portata in un'altra stanza. Giocò con la piccola di nove mesi, il cui nome era Jasmine, parlandole in arabo, facendola sentire a proprio agio. A Marie-Thérèse i bambini erano sempre piaciuti, e andò subito d'accordo anche con la piccola. Ripassò la lezione con il giovane padre - che si chiamava, risvolto alquanto sfortunato, Saddam - discutendo i dettagli del background della moglie. Saddam parve molto lieto di trovarsi in sua compagnia. Tre ore prima del volo arrivò un taxi per portare all'aeroporto la madre della bambina. Pochi minuti più tardi arrivò un secondo taxi per MarieThérèse, Saddam e la piccola. Sarebbe occorso molto tempo per superare i numerosi controlli di sicurezza, ma loro volevano trovarsi in mezzo alla
folla, arrivando a Heathrow né troppo presto né troppo tardi, cose che avrebbero potuto attirare l'attenzione. Dopo aver fatto passare i bagagli al check-in, la «famiglia» si avvicinò al controllo passaporti in uscita. La madre era solo poche persone davanti a loro. Marie-Thérèse uscì dalla coda e portò la bambina al servizio delle donne per un non necessario cambio di pannolino. Quando tornò in fila, la madre aveva superato il controllo, a quanto sembrava senza nessun problema. Marie-Thérèse si accostò alla finestra del gabbiotto e presentò il passaporto preso a prestito, che conteneva pure i dati della bambina, e il passaporto di Saddam. Rivolse al poliziotto un sorriso accattivante, che non venne ricambiato, ma i documenti vennero comunque timbrati. Nell'area di attesa prima dell'imbarco la bambina si comportò bene, offrendo però l'occasione per un vero cambio di pannolino, cosa che MarieThérèse eseguì con destrezza. Dopo un'attesa interminabile, vennero condotti a bordo dell'aereo. Marie-Thérèse e Saddam superarono la madre della bambina, seduta alcune file davanti a loro. La donna li ignorò, esattamente come le era stato raccomandato di fare. Marie-Thérèse aveva temuto che potesse prestare troppa attenzione alla piccola. La tratta transatlantica si svolse in tutta normalità, se non per un tentativo da parte di Saddam di palpare la nuova moglie, iniziativa che gli fruttò un pizzicotto a unghie tese che per poco non lo fece sanguinare. Dopo di che si comportò da bravo paparino. Una volta sbarcati all'aeroporto Kennedy, si misero in coda per il controllo passaporti e la dogana. Marie-Thérèse e Saddam presentarono visti regolarmente rilasciati per una visita di famiglia della durata di trenta giorni a Dearborn, Michigan. L'ufficiale dell'immigrazione, una donna, fu distratto dalla gioiosa bambina e li fece passare dopo un controllo sommario dei documenti. Poi, quando stavano per lasciare la barriera doganale, vennero avvicinati da un uomo in abito scuro. «Volete cortesemente seguirmi?» Marie-Thérèse si guardò attorno, alla ricerca di vie di fuga dal terminal. Non ce n'era nessuna. L'uomo li condusse fino a un piccolo locale arredato con quattro sedie e un tavolo metallico e gli fece cenno di accomodarsi. Marie-Thérèse era preoccupata. Quell'uomo non era affatto una guardia giurata da quindici dollari l'ora. Era intelligente, efficiente e sapeva fare il suo mestiere. Recitando la parte della brava moglie musulmana, lasciò che a parlare fosse Saddam, il quale procedette a descrivere il background suo
e della consorte; cosa che riuscì a fare bene. Quindi l'uomo passò a MarieThérèse. «Luogo e data di nascita?» Marie-Thérèse rispose in maniera corretta, e continuò a rispondere a tutte le domande che riguardavano la sua vita. Fu perfetta, ma non troppo, e l'uomo non era del tutto soddisfatto. Il suo istinto gli diceva chiaramente che quella coppia stava nascondendo qualcosa. Poi la piccola Jasmine intervenne alla grande. Il funzionario arricciò il naso all'improvviso, spingendo la sedia lontano dal tavolo. «Che diavolo è questo odore?» chiese. Evidentemente non aveva figli. Marie-Thérèse s'imbarazzò, arrossì e cominciò a togliere il pannolino sporco. Mentre ripuliva la piccola e le cambiava il pannolino, l'uomo in abito scuro si mise contro il muro premendosi naso e bocca con una mano. «Di questo che cosa faccio?» chiese Marie-Thérèse, tenendo bene in vista il pannolino fetido. «Se lo porti via», rispose seccamente l'uomo. Poi indicò la porta e la famigliola uscì. C'era una lunga coda per i taxi, ma ancora una volta l'intervento di Jasmine fu provvidenziale, poiché la bimba si mise a piangere. Vennero fatti passare all'inizio della coda e salirono sul primo taxi disponibile. «Bene», commentò Saddam, parlando in inglese, «finalmente abbiamo superato la corsa a ostacoli dei controlli.» Marie-Thérèse gli assestò una dura gomitata nelle costole. «Tappati la bocca.» Si sistemarono in una stanza prenotata al Roger Smith Hotel, su Lexington Avenue, e attesero l'arrivo della vera madre. La donna bussò alla porta pochi minuti dopo. Le due «madri» si scambiarono gli abiti in silenzio. Marie-Thérèse augurò buona fortuna alla coppia e se ne andò. Prese due taxi dirigendosi verso la zona nord di Manhattan. Alla fine smontò a un incrocio e percorse a piedi un isolato raggiungendo un edificio di magazzini privati. Una volta dentro, certa di non essere stata seguita, impostò la combinazione della serratura del suo ripostiglio, accese la luce, entrò e si chiuse la porta alle spalle. Si cambiò di nuovo i vestiti, raccolse i capelli e indossò una parrucca bionda. Poi esaminò le armi a sua disposizione. Scelse una semiautomatica calibro 22 con silenziatore. Svitò il silenziatore e lo sistemò in uno dei compartimenti di una voluminosa borsa assieme a un caricatore di riserva. Nella borsa mise anche un punteruolo da
ghiaccio, aggiunse pochi capi di vestiario, chiuse il ripostiglio e se ne andò. Stone si svegliò prima di Carpenter, ma, quando rientrò nella camera da letto dopo aver fatto la doccia, la trovò sveglia e seduta sul letto, seni in bella vista. «Se l'idea è accendere il mio interesse, sta funzionando», disse Stone. «Odori di sapone, di pulito», fece lei. Stone partì all'assalto, Carpenter dribblò e volò verso la doccia. «Preparami qualcosa per colazione», gridò dal bagno. «Che cosa ti va?» «Frutta, yogurt e caffè.» «Tutta roba troppo salutare per la mia cucina», fece lui di rimando. «Che te ne pare di croissant freschi?» «Se proprio non c'è altro.» Carpenter chiuse il box della doccia. «Cosa devi fare nei prossimi giorni?» chiese Stone, sbocconcellando uno dei croissant. «Mi è stata concessa una breve vacanza.» «Ah, sì? Come mai?» Carpenter gli riferì gli eventi del giorno prima. «Per cui La Biche adesso è a Londra?» «Sembrerebbe», rispose Carpenter. «Ma non intendo correre rischi. Rimango nascosta.» «Penso di avere un posto migliore di questo.» «E che posto sarebbe?» «Ho un cottage nel Connecticut, in un delizioso villaggio coloniale chiamato Washington. Se te la senti di scaricare le tue guardie del corpo, posso portarti lassù.» «In campagna? Bene, questa sì che è un'idea fantastica.» «Ho un po' di cose di lavoro da sistemare, ma sarò pronto a partire a metà pomeriggio. Metti qualche vestito in una borsa.» «Agli ordini.» Erano quasi le quattro quando Stone fu libero dal lavoro. Le due guardie del corpo pattugliarono entrambi i lati della strada prima di chiamare Carpenter sul cellulare e dare il via libera. Carpenter e Stone erano pronti nella macchina di lui, aspettando il disco verde. Quando questo arrivò, Stone aprì la serranda del garage con il comando a distanza e si allontanò dalla ca-
sa, richiudendo poi la serranda alle sue spalle. Svoltarono su 3rd Avenue, poi a sinistra su 57th Street. Per poco non misero sotto una giovane donna, una bionda ben vestita. La Mercedes nera modello E55 con i cristalli oscurati non aveva nessun significato per Marie-Thérèse, al di là del fatto che era arrivata a un soffio dall'ucciderla. E nemmeno la giovane donna ben vestita aveva significato per Stone e Carpenter. Stone imboccò la West Side Highway in direzione nord, dirigendosi verso il Connecticut. «È un viaggio lungo?» chiese Carpenter. «Un'ora e quaranta minuti da questo punto», rispose Stone. «Posso preparare io la cena, questa sera?» «Pensavo di portarti fuori, ma se sai davvero cucinare, be', in tal caso...» «Ti toccherà vedere quello che succede, giusto?» 27 Marie-Thérèse presentò uno dei suoi vari passaporti all'ingresso della rappresentanza nell'Upper East Side e le fu permesso di entrare. Si avvicinò a uno sportello protetto da una barriera di spesso vetro corazzato. «Posso aiutarla?» La donna dietro la barriera parlò in arabo. «Vorrei parlare con il viceconsole al turismo», rispose Marie-Thérèse. La donna ammiccò, ed ebbe un momento di esitazione. «Non abbiamo un viceconsole al turismo.» «Per favore, gli dica che Abdul mi ha suggerito di parlare con lui.» Di nuovo, la donna disse: «Non abbiamo un viceconsole al turismo». «Mi sta aspettando», insistette Marie-Thérèse. «Un momento, per favore.» La donna si staccò dal vetro e andò a un telefono. Disse qualche parola, rimase ad ascoltare, tornò allo sportello, riempì un modulo di accesso e lo fece scivolare sotto la stretta fessura. «Prenda l'ascensore fino al quarto piano. Le verrà incontro qualcuno.» «La ringrazio.» Marie-Thérèse si voltò e si diresse all'ascensore, salendo al quarto piano. Due uomini in abiti civili la avvicinarono nel momento in cui uscì dalla cabina. «La sua borsa, per favore», disse il più basso dei due. Era di corporatura massiccia, con folti capelli neri. Per quanto rasato di fresco, un accenno di barba faceva capolino sotto la pelle. Marie-Thérèse consegnò la borsa, sollevando le braccia per la perquisi-
zione. L'uomo basso vuotò il contenuto della borsa su un piccolo tavolo nel corridoio. Non ci volle molto perché trovasse la pistola e il punteruolo da ghiaccio. Tenne i due oggetti in una mano, la borsa nell'altra. «Venga con me, per favore.» La condusse lungo il corridoio fino al retro dell'edificio, fermandosi di fronte a una porta d'acciaio. Impostò un codice numerico sulla tastiera a lato della porta, la aprì e fece cenno a Marie-Thérèse di seguirlo. Salì una rampa di scale, impostò un altro codice a un'altra porta di acciaio, quindi precedette l'ospite in un altro corridoio fino a un ufficio arredato con gusto. Un uomo di bell'aspetto sedeva alla scrivania, intento a prendere appunti su un blocco. L'uomo basso di statura collocò sulla scrivania le armi e la borsa di Marie-Thérèse e uscì. Senza alzare lo sguardo, l'uomo di bell'aspetto le fece cenno di sedersi. La lasciò ad aspettare mentre terminava di scrivere, poi richiuse la cartella che aveva davanti e la spinse da parte. «Sei venuta da noi prima di quanto ci aspettassimo», esordì. «Avevo un po' di tempo a disposizione», replicò Marie-Thérèse. L'uomo tirò fuori da un cassetto un paio di guanti di lattice, li infilò e sollevò la pistola di piccolo calibro. «Rozza ma efficace, nessun dubbio in merito», dichiarò. «Ottima per i lavori a distanza ravvicinata. Ma cercherei di non usarla su un bersaglio dall'altra parte della strada.» L'uomo si alzò, tolse di tasca un mazzo di chiavi e aprì un armadio d'acciaio. Tirò fuori una scatola di cartone scuro e la posò sul tavolo. «Mi dicono che sei abile con le armi da fuoco.» «Lo sono.» Diede anche a lei un paio di guanti di lattice, poi aprì la scatola, estrasse una pistola e la posò sulla scrivania. «Hai mai visto una di queste?» Marie-Thérèse infilò i guanti, sollevò la pistola e la esaminò. Era una semiautomatica calibro 22, dotata di una canna decisamente più spessa di quanto Marie-Thérèse non si sarebbe aspettata. Espulse il caricatore ed esaminò anche quello. «No, non ne avevo mai vista una. Non ha marchi di nessun genere.» «L'abbiamo sequestrata a un agente della CIA a Beirut, l'anno scorso», spiegò l'uomo. Prese un silenziatore dalla scatola e lo diede a MarieThérèse. Lei lo innestò con un secco mezzo giro. «Ottimo», commentò. «L'arma perfetta dell'assassino. Leggera, facile da celarsi e, non ho dubbi,
molto precisa, soprattutto con il silenziatore.» «È stata realizzata espressamente per la CIA. Stando all'uomo da cui l'abbiamo presa a Beirut, ne sono state fabbricate solo duecento. È vero, non ci sono codici di fabbricazione né marchi di identificazione in nessuna parte dell'arma, però abbiamo scoperto che le rigature della canna lasciano segni molto caratteristici sui proiettili sparati. Parte dell'interno della canna è un cilindro a libera rotazione, per cui, ogni volta che l'arma spara, i segni sul proiettile cambiano.» «Non avevo mai sentito di una tecnologia del genere.» Marie-Thérèse era ammirata. «Geniale.» «Abbiamo anche scoperto che, se un qualsiasi dipartimento di polizia degli Stati Uniti facesse analisi balistiche su uno dei proiettili, il programma di comparazione dell'FBI lo classificherebbe top secret.» «Vale a dire che, quando la polizia rimuoverà il proiettile dal vostro collega traditore, risulterà che è stato ucciso da un'arma della CIA?» «Esattamente. Ma, se tu dovessi sparare più di un proiettile, sembrerà che ogni colpo sia partito da un'arma diversa.» «E chi è il signore in questione? Hai una fotografia?» «È l'uomo che ti ha accompagnato in questo ufficio», le rispose lui. «Il più basso dei due che ti hanno accolto all'ascensore. Lo hai ben presente, o preferisci comunque avere una sua fotografia?» «Ce l'ho ben presente», affermò Marie-Thérèse. «Abita sei isolati a nord della rappresentanza», riprese l'uomo, «e torna sempre a casa dal lavoro a piedi, andandosene di qui intorno alle cinque e mezzo. Percorre il lato est di Park Avenue, dove il marciapiede è largo e poco affollato, persino nelle ore di punta.» «Agire oggi è abbastanza presto, per voi?» chiese Marie-Thérèse. «Benissimo. Che genere di appoggio ti serve?» «Un veicolo di fuga non rintracciable - preferibilmente una motocicletta - e qualcuno che lo guidi. Riuscite a provvedere nel tempo a disposizione?» «Possiamo provvedere.» Marie-Thérèse consultò l'orologio da polso. «Ho poco più di un'ora. Ti ricontatterò per telefono per comunicare il punto d'incontro.» L'uomo scrisse un numero su un foglietto e glielo mostrò. «Memorizzalo.» Marie-Thérèse lo fece, poi mise l'arma nella borsa e si alzò. «Se non c'è altro...»
L'uomo prese una busta dalla scrivania e gliela tese. «Una somma per le spese di rappresentanza, come direbbero gli americani.» «Presumo, dal momento che la balistica identificherà il proiettile come CIA, che non vi occorre che io mi liberi della pistola in modo che venga ritrovata.» «Puoi tenerla, è naturale, con le nostre congratulazioni.» L'uomo si alzò a sua volta. Si strinsero la mano, senza togliersi i guanti di lattice, quindi MarieThérèse lasciò l'ufficio. Tornata al piano terra, uscì su Park Avenue e si diresse verso la zona nord di Manhattan. Quattro isolati più in là trovò un cancello in ferro battuto rientrato rispetto alla linea dei palazzi. Il cancello conduceva nello stretto passaggio di accesso a un vasto edificio di appartamenti. Era il punto adatto. Marie-Thérèse fece la chiamata dal proprio cellulare. «Sì?» Diede l'indirizzo dell'edificio presso cui si trovava. «Fate cortesemente in modo che il veicolo della fuga segua il bersaglio a breve distanza. Nel momento in cui il pilota lo vedrà accasciarsi, si accosti al corpo. Io salirò a bordo e lui potrà scaricarmi a qualche isolato di distanza.» «Sarà fatto.» «Non aprirò il fuoco se non vedrò la motocicletta pronta. Se il pilota cercherà di abbandonarmi, abbatterò anche lui, per cui istruitelo nel modo più opportuno.» «Capisco.» «Addio.» «Puoi richiamare questo numero, per qualunque tipo di aiuto ti servisse. Il mio nome è Ali.» «Grazie.» Marie-Thérèse chiuse la comunicazione. Raggiunse Madison Avenue, passò mezz'ora a guardare le vetrine, poi tornò al punto dell'agguato. Rimase immobile nella rientranza del cancello metallico, la schiena contro la parete della struttura. Scrutò verso sud, la direzione dalla quale sarebbe arrivato il bersaglio. Passarono dieci minuti prima che lei lo individuasse, a un isolato di distanza. Non vide la motocicletta. «In perfetto orario», disse ad alta voce. «Speriamo che lo sia anche il resto.» Continuò a sorvegliare l'uomo in avvicinamento. Era a mezzo isolato di distanza, fermo al semaforo. Nel momento in cui scese dal marciapiede,
Marie-Thérèse individuò la motocicletta. Mise un ginocchio a terra accanto alla borsa e controllò l'arma. Si alzò, si sistemò la cinghia della borsa sulla spalla e infilò la mano all'interno. Scrutò di nuovo a sud, poi a nord. Il bersaglio camminava in fretta, il pedone più vicino era ad almeno mezzo isolato. La motocicletta si fermò all'angolo, il motore al minimo. Marie-Thérèse s'irrigidì contro il lato sud della rientranza, in modo da evitare che il bersaglio potesse vederla. Alla fine, l'uomo la raggiunse. La superò. Marie-Thérèse emerse dalla rientranza, si guardò attorno un'ultima volta ed estrasse la pistola dalla borsa. Sparò un unico colpo, dritto alla nuca del bersaglio, da meno di due metri di distanza. L'uomo cadde come un animale macellato. Marie-Thérèse si avvicinò al corpo, gli piantò altri due proiettili nel cranio poi, con tutta calma, rimise la pistola nella borsa. La motocicletta si arrestò a pochi passi da lei. Marie-Thérèse saltò sul sedile del passeggero. «Va' fino a 72nd Street e gira a sinistra», ordinò. Il pilota obbedì. «Ora dritto, entra nel parco.» L'uomo alla guida raggiunse Central Park. «Ferma qui», decise Marie-Thérèse. «E grazie.» La moto si arrestò e lei smontò. L'uomo ripartì senza dire una sola parola. Dalla sua corporatura, e a dispetto del casco, Marie-Thérèse pensò che si trattasse proprio di Ali, l'uomo di bell'aspetto che le aveva dato la pistola e il denaro. Passeggiò per Central Park, trovò una panchina e rimase in attesa, la mano nella borsa, stretta attorno alla pistola. Aspettò per vedere se qualcuno la stava inseguendo. Nessuno la pedinava. 28 Stone abbandonò l'Interstate a nord di Danbury e s'inoltrò lungo strette strade secondarie. «È bellissimo quassù», commentò Carpenter mentre percorrevano un ponte che attraversava un ampio lago. «Come l'Inghilterra, ma con molti più alberi.» «Non si chiama New England per niente», replicò Stone. «L'Inghilterra doveva essere così nel XVIII secolo, prima che annientassimo le nostre foreste.» Costeggiarono un torrente e superarono un vecchio mulino. «Ecco, questa è la mia idea del New England», riprese Carpenter. «Come lo mostrano
tante splendide cartoline.» Attraversarono Bridgewater. «Ancora venti minuti», la informò Stone. «Tutto il tempo che vuoi. Io mi sto godendo il paesaggio.» Raggiunsero Washington, Connecticut, Stone svoltò a sinistra, continuò per un breve tratto e svoltò di nuovo a sinistra. Dopo altri duecento metri imboccò il vialetto del suo cottage. «Oh, Stone, è splendido!» Scesero dall'auto e Stone prese i bagagli dal baule. «In origine era la casa del custode della grande villa qui a fianco», spiegò. «E là chi ci vive?» Carpenter osservò l'imponente costruzione in stile Shingle. «Uno scrittore, fino a qualche tempo fa, ma ora è tornato in città. L'ha comprata un produttore cinematografico che non si è ancora trasferito.» «Comunque sia, tra gli alberi e la siepe, di privacy ne hai molta.» Carpenter era ammirata. «Magnifica quella torretta.» Stone aprì la porta, impostò il codice di disattivazione dell'allarme e regolò il termostato. «Ti va qualcosa da bere?» «Uno dei tuoi bourbon sarà perfetto.» Carpenter si aggirò per la casa, entrando nella cucina nuova, osservando i pavimenti di mogano e l'arredamento confortevole. Scelse un divano e si accomodò. Stone arrivò con i drink e sedette accanto a lei. «Dovremo fare una scappata al supermercato. Chiude alle sei e mezzo.» Dino stava riordinando la scrivania, preparandosi a tornare a casa, ancora stanco per la notte passata in bianco, quando sul monitor del suo terminale apparve un messaggio attivato da una chiamata al 911. Sparatoria in Park Avenue? Roba che non succedeva praticamente mai. Oltre la parete di vetro del suo ufficio, vide due detective alzarsi dalle rispettive scrivanie. Erano di turno e avrebbero pensato loro a rispondere alla chiamata. Quanto a lui, avrebbe fatto una scappata sulla scena del delitto, giusto per vedere in che modo gli abitanti di Park Avenue regolavano i conti tra loro di quei tempi. E comunque era sulla strada di casa. L'isolato era stato chiuso, creando un immane ingorgo proprio al picco dell'ora di punta. Dino scese dall'auto, passò sotto il nastro giallo della polizia e fermò un agente in uniforme. «Cos'è successo?» L'agente indicò il corpo di un uomo che giaceva faccia in giù sul mar-
ciapiede, la testa in una pozza di sangue. Due tecnici del soccorso preospedaliero lo stavano rivoltando proprio in quel momento. «Constatato il decesso, ricoprite il corpo e riaprite la strada», disse Dino a un sergente, avvicinandosi alla vittima. «Che cosa abbiamo qui?» chiese a uno dei tecnici. «Direi due, forse tre colpi alla nuca.» «Lo dichiara omicidio?» Il tecnico annuì. «Okay.» Dino tornò a rivolgersi al sergente. «Sentiamo.» Anche i due detective erano arrivati, pronti a prendere appunti. «Il portiere del palazzo ha visto l'uomo cadere, ma non ha sentito nulla», riferì il sergente. «Una donna - bionda, statura media, corporatura media, sulla trentina - si è allontanata dal corpo, è saltata sul sedile posteriore di una moto e se l'è filata a nord, verso il parco. Questo è praticamente tutto.» «Due, forse tre colpi di pistola a distanza ravvicinata e il portiere non ha sentito nulla?» «Così ha detto.» «Questa è un'esecuzione», dichiarò Dino. «Per giunta con il silenziatore. La bionda era una professionista. Chi è il morto?» «Mohammed Salaam, impiegato presso una delle rappresentanze delle Nazioni Unite, circa quattro isolati a sud di qui, tra la Park e la Lexington. Aveva un passaporto diplomatico.» Il sergente lo mostrò a Dino. «Sembra roba politica.» Dino si girò verso i detective. «Dopo che la scena del crimine è stata analizzata sino in fondo fate rapporto all'FBI. Dite a quelli della scientifica di fare alla svelta, e togliete il cadavere dalla strada prima possibile. Abbiamo il traffico paralizzato fino a 42nd Street e gli accessi al parco non ci sono di aiuto con tutti quei ficcanaso. Non voglio avere rogne dal commissario capo, o peggio, dal sindaco. Mi sono spiegato?» «Sì, capo», confermò uno dei detective. Dino tornò alla sua auto. «Portami a casa», disse all'autista. «Attacca la sirena, se ci sei costretto.» Compose il numero del cellulare del capitano. «Grady», rispose l'ufficiale superiore. «Sono Bacchetti, capitano. Siamo incappati in quello che sembra un omicidio politico in Park Avenue, un diplomatico di una delle rappresentanze ONU. Un arabo.» «Ah, merda!» «La mia stessa opinione, letteralmente. Ho detto ai miei di avvertire
l'FBI dopo aver completato i rilievi sulla scena del crimine. Le sarei grato se potesse chiamare lei il perito del settore, in modo da avere l'autopsia fatta prima che i federali ci strappino il cadavere dalle mani.» «D'accordo. Le serve aiuto?» «Direi che abbiamo la situazione sotto controllo. Ho dato ordine di sgombrare la strada il più presto possibile. Il traffico ha appena ripreso a muoversi su Park Avenue, giusto in caso qualcuno glielo chieda.» «Bacchetti, ha in testa un'ipotesi?» «Potrebbe avere qualcosa a che fare con questa assassina che sta facendo diventare matti gli inglesi», rispose Dino. «Vedrò di capirne di più.» «Ottimo. Mi chiami qualsiasi cosa le serva.» «La ringrazio, capitano.» L'auto si fermò di fronte al palazzo dove abitava Dino e lui salì al proprio appartamento. Suo figlio Ben era sdraiato sulla pancia nello studio, davanti alla televisione, apparentemente intento a fare i compiti. «Che si dice, ragazzo?» Dino gli arruffò i capelli. «Che combini?» «Matematica.» «Va' a studiare in camera tua, okay? Devo fare qualche telefonata.» Mary Ann apparve indossando un grembiule chiazzato di sugo. Baciò Dino con decisione sulle labbra. «Tu a casa per cena? Santo cielo, la fine è vicina!» «Non bastonarmi.» Dino rispose al bacio. «Com'è andata a Saint Thomas?» «Da schifo. Ieri notte ho dovuto dormire su una stramaledetta barca, neanche due ore. Sono a pezzi.» «Fatti un drink. Aiuterà, vedrai. Si mangia tra un'ora.» Dino si versò un scotch di quelli tosti e sprofondò nella sua poltrona preferita. Sollevò il telefono e chiamò Stone. Trovò la segreteria telefonica. «Richiamami, bellimbusto», abbaiò dopo il bip. Riappese, tentò sul cellulare di Stone, ma trovò un messaggio registrato. «Ma che cazzo?» mugugnò. Aprì la rubrica e andò alla ricerca del numero della casa nel Connecticut. «Pronto?» E questo era Stone. «Che ci fai lassù?» «Tengo nascosta Carpenter.» «Quali sono le ultime sulla Biche?» «Ieri sera si è imbarcata su un volo per Londra, questa mattina ha assassinato un'altra donna e le ha preso i documenti. Gli inglesi l'hanno persa.»
«Per cui non è più a New York?» «E chi lo sa? Carpenter dice che non sarebbe sorpresa se fosse tornata indietro. Perché me lo chiedi?» «Perché un'ora fa un arabo è stato fatto fuori in Park Avenue», disse Dino. «Due, tre palle nel cranio, nessun rumore.» «Accidenti.» «Potrebbe trattarsi della nostra fanciulla-ombra.» «Non saltiamo subito a una conclusione del genere», ribatté Stone. «Potrebbe anche trattarsi di un israeliano sul piede di guerra. Da quelle parti continuano a spararsi allegramente in bocca.» «Non stiamo escludendo nessuna pista. Se Carpenter ha voglia di parlarne, dille di chiamarmi. Non mi dispiacerebbe sapere che cosa ne pensano i suoi amici 007.» «Okay. In questo momento sta preparando la cena, e puoi scommetterci il collo che non vado a disturbarla.» «Era anche ora che tu mangiassi a casa, una volta tanto», commentò Dino. «Nessuna obiezione in merito.» Stone riappese. Anche Dino chiuse la comunicazione, ingollò una dose massiccia di scotch, appoggiò la testa allo schienale e si addormentò come un sasso. 29 Stone rientrò in cucina, dove trovò Carpenter intenta a trafficare con il sugo. «L'odore è ottimo», disse lui, versando un altro drink per entrambi. «Che cos'è?» «Petto di pollo alla cacciatora.» «Vino rosso va bene?» «Perfetto. Chi era al telefono? Chi sa che sei qui?» Stone aprì l'armadio dei vini, scelse una bottiglia di Far Niente. «Dino mi cercava. Un diplomatico arabo è stato assassinato in Park Avenue. Sembrerebbe il lavoro di un killer professionista. Questo ti fa venire in mente qualcosa?» «Vuoi dire La Biche?» «È quello che si sta domandando Dino.» «Non mi stupirebbe se fosse già rientrata in città, ma perché sparare a qualcun altro quando sono io il suo bersaglio?»
«Non lo so, forse vuole tenersi in allenamento.» «Sai il nome del morto?» «No. Vuoi che richiami Dino?» «La cosa può aspettare fino a domani.» «Dino chiede che tu gli telefoni se pensi di avere qualcosa che possa essere di aiuto. Vuole sapere cos'hanno scoperto quelli del tuo gruppo.» «Come ho detto, può aspettare fino a domani.» Carpenter fece saltare due petti di pollo con l'osso nel burro bollente. Stone apprezzò sia lo sfrigolio sia l'aroma. «La Biche non si stancherà mai di cercarti, o sbaglio?» «No, credo proprio di no.» «Sai qualcosa di lei che non mi hai detto?» «Bene, vediamo. La sua tecnica di omicidio sfugge a qualsiasi classificazione. Ha usato pressoché ogni tipo di arma: pistola, punteruolo da ghiaccio, garrota. Uno dei suoi metodi preferiti per evitare l'arresto è fare esattamente quello che ha appena fatto a New York: abborda una ragazza, va a casa con lei, la uccide, le prende i documenti e i vestiti, poi scompare. L'anno scorso, a Parigi, lo ha fatto tre volte.» «Il che la rende maledettamente difficile da rintracciare, non è così?» «È così, certo. Non sappiamo chi cercare fino a quando il cadavere della vittima non spunta fuori, e possono volerci giorni. Ma, a quel punto, La Biche è già diventata un'altra.» «Adesso però tu e lei siete state faccia a faccia. Pensi di essere in grado di migliorare l'identikit della CIA?» «Temo di no.» Carpenter mescolò la salsa, lasciò cadere piselli verdi in una pentola di acqua bollente e aggiunse un po' di sale. «Lo schizzo è accurato quanto può esserlo, ma i lineamenti della Biche sono talmente ordinari che, con un po' di trucco e di tinta per i capelli, lei può diventare chiunque. Se avessimo delle foto segnaletiche attendibili, di fronte e di profilo, potrebbero aiutare, ma non di molto. Quella donna è un camaleonte.» «Pensi che sia una lesbica?» «Non lo so. Può anche essere che le odi.» «Preparo la tavola», disse Stone. Prese piatti, tovaglioli, posate e dispose il tutto. «È ora di accendere le candele?» «Perché no?» Carpenter passò i piselli nel colapasta e li mise in una teglia con burro e aglio. «In un minuto è pronto.» Stone trovò due bicchieri da vino stile Baccarat e accese le candele. So
fare le cose proprio per bene, disse a se stesso, ammirando la tavola. «Portami i piatti», gridò Carpenter dalla cucina. «Servo qui.» Stone le portò i piatti, notando con quale professionale rapidità e destrezza lei sapeva presentare le pietanze. Riportò i piatti nella sala da pranzo, li collocò sulla tavola, fece accomodare Carpenter e versò il vino. «Bon appétit», disse lei alzando il proprio bicchiere. «Ha un aspetto magnifico.» Stone assaggiò il pollo. «Ti autorizzo a prepararmi la cena tutte le volte che vorrai», aggiunse, continuando a mangiare di gusto. «Non contarci», replicò Carpenter, mettendosi in bocca il primo pezzo. «Che cosa ne pensi di questo delitto in Park Avenue?» «Mette freddo alla schiena anche a te?» «Forse dovremmo rimanere nel Connecticut», suggerì Stone. «La Biche non riuscirà mai a trovarci qui.» Marie-Thérèse entrò da Elaine, esplorando l'ambiente con lo sguardo. Di recente aveva letto articoli che ne parlavano, in particolare sulla pagina dei pettegolezzi del New York Post, e fu sorpresa di non trovarsi in un posto più paludato. Quello che si aprì davanti ai suoi occhi era un tipico ristorante di quartiere, la cui sala si estendeva fino al retro dell'edificio, con tovaglie a scacchi e un lungo bancone bar sulla sinistra. Il capocameriere la stava guardando, ma lei accennò in direzione del bar e andò a sedersi su uno sgabello all'estremità più lontana, volgendo le spalle alla vetrata che dava sulla strada. Indossava un raffinato abito da cocktail di Armani, e al collo portava un elegante giro di perle tolto a una delle sue vittime qualche tempo prima. Il barman si avvicinò. «Johnnie Walker Black Label, con ghiaccio», ordinò nel suo migliore accento americano. «Cena da noi?» le chiese il barman nel servirle il drink. «Vorrei mangiare qui al banco, se è possibile.» «Certo. Le porto il menu.» Marie-Thérèse sorseggiò il whisky, occhieggiando la clientela. Riconobbe due o tre facce viste sul grande schermo e sulle copertine delle riviste di attualità, di cui era una vorace lettrice. Decise che il locale le piaceva. Il barman le portò il menu e, dopo una rapida scorsa, Marie-Thérèse ordinò una Caesar salad e una bistecca. «Si faccia un drink», disse al barman. «Offro io.» Il barman si versò un bicchierino di whisky, lo sollevò in un brindisi e
bevve un sorso. Marie-Thérèse voleva che fosse ben disposto. Liquidò gli approcci di un paio di uomini soli seduti al banco e, quando la sua cena venne servita, si mise a mangiare ignorando i due. Dopo che ebbe finito, ordinò un cognac. Il barman glielo servì. «Non l'ho già vista da queste parti, vero?» «Assolutamente no. Sono di San Francisco. È la mia prima volta a New York.» «Forse avrebbe bisogno di qualcuno che la accompagnasse a vedere i posti migliori», suggerì il barman. «Forse.» Marie-Thérèse sorrise. «Mi dica una cosa.» «Tutto quello che vuole.» Marie-Thérèse frugò nella borsetta e tirò fuori un ritaglio di giornale. «Questo l'ho visto qualche giorno fa sul Post.» Gli passò il ritaglio. Il barman ridacchiò, restituendoglielo. «Già, Elaine guadagna gli onori della cronaca in questo modo ogni giorno.» «Dunque chi sarebbe questo avvocato dal nome da duro?» «Oh, quello è Stone», rispose il barman. «Stone Barrington.» «E chi è?» «Un tempo faceva il poliziotto, adesso è avvocato. Viene qui due, tre sere alla settimana.» «Ed è qui anche stasera?» Marie-Thérèse girò lo sguardo sulla sala. «No, stasera no», rispose il barman. «Lei vuole incontrarlo, è così?» «No davvero. Mi ha semplicemente incuriosito la storia di quel tizio caduto attraverso un lucernario.» Marie-Thérèse sorrise. «Preferisco essere accompagnata nei posti migliori.» Le piaceva quel barman: era carino. Stone giaceva immobile, del tutto sveglio. Lui e Carpenter avevano fatto l'amore mezz'ora prima. «Sei sveglio?» «Da non credere ma... sì.» «Ma come, le delizie del sesso non sono forse il letargo della coscienza?» «Di solito lo sono», rispose Stone. «Smettila di pensare alla Biche. La faremo fuori, alla fine.» «Prima che lei faccia fuori te?» Carpenter si girò, appoggiandogli la testa sulla spalla. «Tu non lasceresti che questo accadesse, non è così?»
«Certo che no.» Carpenter gli accarezzò il ventre. «Che ne dici di un altro tentativo di mandare in letargo la coscienza?» «Vai con il rock 'n' roll.» Stone si voltò verso di lei. 30 Dino aveva finito di cenare ed era di nuovo sulla sua poltrona preferita, con la televisione accesa, ma aveva notevoli difficoltà a restare sveglio. «Perché non vai a dormire?» gli chiese Mary Ann. «È troppo presto», rispose Dino. «Finisce che mi ritrovo sveglio e con gli occhi sbarrati alle quattro del mattino. Dammi qualche stimolo. Parlami.» Mary Ann si alzò dal divano, attraversò la stanza e sedette sulle sue ginocchia. «Tutti gli stimoli che vuoi.» Cominciò ad agitarsi sull'area pelvica di lui. Il telefono si mise a suonare. «Ignoralo», disse Mary Ann. «Lascia fare alla segreteria telefonica.» Lo baciò. Dino rispose al bacio. Sembrò di colpo più sveglio. La segreteria entrò in funzione. «Dino, sono Elaine. Devo parlarti adesso. Tira su il telefono.» «Che vada a quel paese», dichiarò Mary Ann. «Alla grande.» Dino le slacciò la camicetta e andò all'arrembaggio di un seno. Fu il cellulare a mettersi a suonare. «Questo deve essere il distretto», disse lui. «Me li tolgo subito dai piedi.» «Giusto.» Mary Ann gli fece correre la lingua attorno all'orecchio. Dino annaspò sotto Mary Ann, trovò il telefono e lo attivò. «Meglio che si tratti di roba grossa.» «Sono ancora Elaine. Vieni qui subito.» «Che cosa?» «Te la ricordi la conversazione riguardo a quella donna che avrebbe potuto risalire a Stone dall'articolo sul Post?» «E allora?» «Allora al bar c'è una tizia che ha ritagliato proprio quell'articolo. E chiede di Stone.» «Descrivimela.»
«Elegante, sulla trentina, tipo medio. In tutti i sensi.» «Tu fai tutto quello che puoi per tenerla lì. Io mi catapulto.» Chiuse la comunicazione e baciò in fretta Mary Ann. «Spiacente, piccola, ma questa è roba che scotta davvero.» «E scotta più di me?» Mary Ann lo spinse di nuovo sulla poltrona. «La donna in questione ha commesso quattro omicidi, e in questo preciso momento si trova da Elaine.» «Va bene, mi arrendo.» Mary Ann si alzò, abbottonandosi la camicetta. «Non scoperò mai più.» «Togliti questa ridicola idea dalla testa.» Dino agguantò la giacca e si diresse alla porta, cellulare in pugno. Prese un taxi al volo davanti al palazzo. «Incrocio fra 88th Street e 2nd Avenue», disse all'autista, componendo simultaneamente un numero. «Passami il comandante di turno», abbaiò al centralinista del distretto. «Parla Bacchetti. Abbiamo una soffiata riguardo a un sospetto per il 'tiro' di questo pomeriggio in Park Avenue. Si tratta di una donna. In questo momento è al ristorante Da Elaine, lato ovest di 2nd Avenue, tra 88th e 89th Street. È seduta al bar, schiena alla vetrata. Io sto andando là in questo momento. Voglio una squadra SWAT... No, lascia perdere, voglio otto uomini in borghese, niente armi visibili, niente sirene... Merda, possono arrivarci di corsa, tanto Da Elaine è vicino al distretto. Nessuno parcheggia fuori, nessuno entra eccetto me.» Il taxi si arrestò all'incrocio tra 2nd Avenue e 88th Street. Dino diede cinque dollari all'autista e scese senza smettere di parlare al telefono. «Entro nel ristorante adesso. Voglio due uomini su ogni lato dell'ingresso, non visibili dall'interno. Gli altri quattro dalla parte opposta della strada. Il sospetto è una donna bianca, circa trent'anni, altezza media, corporatura media, sola, probabilmente armata e molto, molto pericolosa. Domande?» «No, tenente», rispose il detective. «Chiamami al cellulare quando tutti quanti sono in posizione.» «Ricevuto.» Dino chiuse la comunicazione e chiamò il ristorante. Elaine venne al telefono. «Entro fra meno di sessanta secondi. Sono solo. C'è un tavolo vuoto vicino al bar?» «No, ma Sid Zion è al numero quattro assieme ad altri due tizi. Ci sono un paio di sedie vuote. Gli dico che stai arrivando.» «Ottimo. Non prestare nessuna attenzione alla donna al bar. Non guar-
darla nemmeno. Si è mossa?» «No.» «Entro ora.» Dino verificò la pistola, la rimise nella fondina ed entrò da Elaine. Di colpo, Marie-Thérèse ebbe la percezione di un pericolo imminente. Il barman aveva detto qualcosa alla proprietaria del ristorante, e lei aveva fatto una telefonata. Adesso era di nuovo al telefono, guardando nella direzione del bar. La porta d'ingresso si aprì ed entrò un uomo, non molto alto, dall'aspetto mediterraneo. Dino si diresse al tavolo numero quattro, dove era seduto Sid Zion, giornalista e scrittore. «Salve, Sid.» Dino gli strinse vigorosamente la mano. «Ti dispiace se mi sistemo qui con voi?» «Accomodati, Dino», rispose Zion. Dino si piazzò in modo da avere una prospettiva diretta sulla donna al bar, probabilmente la famosa e famigerata Marie-Thérèse du Bois. Quell'uomo dall'aspetto mediterraneo era un poliziotto, La Biche poteva percepirlo. «Dove sono i servizi?» chiese al barman. «Dietro, da quella parte, prima a destra, poi la seconda porta a sinistra.» Marie-Thérèse lasciò la giacca sulla spalliera dello sgabello del bar, prese la borsa e cominciò a muoversi verso il retro del ristorante. In fondo a un corridoio c'era una porta, ma due individui grandi e grossi erano seduti a un tavolo proprio lì davanti. Marie-Thérèse svoltò a destra, verso i servizi delle donne, gettando prima uno sguardo nelle cucine: nessuna visibile via d'uscita. Entrò nei bagni delle donne, non c'era nessuno. Tentò la finestra. Era piccola, ma sarebbe comunque riuscita a infilarsi. La aprì e si trovò davanti un'inferriata. Aprì la borsa e cominciò a vuotarla degli oggetti che conteneva. Rimosse il coperchio dello sciacquone, usò un asciugamano per ripulire la pistola della CIA e il punteruolo da ghiaccio, li lasciò cadere nell'acqua e rimise a posto il coperchio. Ridusse in pezzi il passaporto falso, li gettò nel gabinetto e fece scorrere l'acqua. Alla fine, tirò fuori il cellulare e compose un numero. Il cellulare di Dino si mise a vibrare. «Bacchetti.» «Tenente, tutti gli uomini sono in posizione.»
«Di' loro di tenersi pronti. Aspetteremo fino a quando non se ne andrà. Io la seguirò alla porta d'ingresso. A quel punto convergeremo.» «Ricevuto.» «Pronto?» «Ali?» «Sono io. Parla forse il mio appuntamento di questo pomeriggio?» «Esatto. Penso che stiano per arrestarmi, e mi servirà un avvocato difensore.» «Dove ti trovi?» «In un ristorante chiamato Da Elaine, su 2nd Avenue, tra 88th e 89th Street.» «Sei molto vicina al diciannovesimo distretto. È là che ti porteranno, a meno che non siano agenti federali.» «Direi che si tratta della polizia di New York.» «Il nome del tuo avvocato è Sol Kaminsky. Penso io ad avvertirlo, sarà là tra mezz'ora. Non dire niente alla polizia.» «Le dirò qualcosa, invece», ribatté Marie-Thérèse. «Farò la parte dell'innocente.» «Questo puoi deciderlo solamente tu. Hai addosso roba sporca?» «Me ne sono appena liberata. Il passaporto è in regola.» «Bene. Lo dirò a Kaminsky. Chiama il suo numero dalla stazione di polizia e lasciagli un messaggio sulla segreteria telefonica.» Ali scandì il numero. «Kaminsky... Mi stai mandando un avvocato ebreo?» «È il nostro avvocato ufficiale. È in gamba. Che nome userai?» «Marie-Thérèse du Bois.» «Il tuo vero nome?» «Fidati.» «Che indirizzo gli darai?» «Non lo so.» «Teniamo la stanza 1003 sempre riservata all'hotel Kirwan, Park Avenue South e 37th Street. Usa quello come indirizzo. Ti farò avere anche degli abiti da donna e una valigia.» «Ti ringrazio.» Marie-Thérèse chiuse il telefono, lo ripose nella borsetta, si controllò il trucco e uscì dal servizio delle donne. Forse era semplicemente paranoica. Sperava che fosse così. Tornò al bar. «Posso avere il conto, per favore?»
Il barman glielo portò. «Mi dice il suo nome? Così posso rimettermi in contatto con lei.» Marie-Thérèse prese dalla borsa una penna e un blocchetto, e scrisse il suo nome e il numero di cellulare. «Mi chiami domani.» Poi mise del contante sul banco, compresa una grossa mancia, indossò la giacca e si diresse alla porta. Con la coda dell'occhio vide il poliziotto alzarsi dal tavolo e afferrare la giacca. Marie-Thérèse uscì dal ristorante e si fermò sul marciapiede, sollevando una mano per fermare un taxi. Di colpo, l'uomo fu alle sue spalle. «Ferma dov'è! Polizia!» Dino livellò la pistola. Si tenne a una distanza di sicurezza di almeno due metri. Marie-Thérèse si voltò per metà, l'espressione sorpresa. «Cosa?» Le arrivarono addosso tutti assieme, la ammanettarono dietro la schiena e frugarono nella sua borsa. «Niente armi», disse uno dei detective. «Perquisite il gabinetto delle donne», ordinò Dino mentre caricavano Marie-Thérèse a bordo di una macchina della polizia. 31 Stone si svegliò di soprassalto da un sonno profondo. Il telefono stava suonando. Per un momento lui rimase disorientato. Scrutò la camera da letto immersa nell'oscurità, cercando di capire dove si trovasse. «Allora, hai intenzione di rispondere o no?» gli chiese Carpenter. Stone annaspò cercando di raggiungere il telefono. «Pronto?» «Ehi, spero proprio di non aver interrotto una bella scopata», disse Dino Bacchetti. «Dino, che succede? Che ora è?» «Non così tardi. Passami Carpenter,» «Sta dormendo.» «No, non sto dormendo.» Carpenter strappò il telefono di mano a Stone. «Dino, ci sei?» «Scusa se ti sveglio, ma ho pensato che volessi essere informata degli ultimi sviluppi.» «Cos'è successo?» «Questa sera, da Elaine, ho arrestato una giovane donna. Sulla trentina, altezza media, corporatura media.» «Vuoi dire che l'hai presa?» «Sembrerebbe di sì.»
«Come sei riuscito a identificarla?» «Ha un passaporto svizzero a nome Marie-Thérèse du Bois, e il soggetto combacia con la foto.» «Arrivo subito», dichiarò Carpenter. «E non osare rilasciarla.» «È chiusa in una sala interrogatori. Non va da nessuna parte.» «Sarò là tra un'ora e mezzo. Tempo che puoi mettere a frutto fotografandola da ogni angolazione e prendendole le impronte digitali. Prendi anche dei campioni del DNA.» «Ha chiamato un avvocato, ma non so in che modo potrà aiutarla. Sta arrivando anche il viceprocuratore distrettuale. Fa' in fretta!» Dino riappese. «Dino ha preso La Biche?» Stone era incredulo. Carpenter stava già togliendo i vestiti dalla borsa. «Non solo l'ha presa, ma lei ha ammesso di essere chi è. Io stessa stento a crederci! E vestiti anche tu, perdio!» Stone decise che non era il momento di discutere. Cominciò a infilarsi gli abiti. Dino percorse il corridoio fino alla sala interrogatori numero uno, e rimase fuori a osservare la donna attraverso il finto specchio. Era seduta rigidamente, l'espressione preoccupata, perplessa. «Certo, dolcezza», disse Dino a voce alta. «Sarei preoccupato anch'io: ti tengo per la gola!» Arrivò il capitano Grady, il suo comandante. «Okay, chi è questa donna?» «Il nome è Marie-Thérèse du Bois. È sospettata per l'assassinio del diplomatico arabo in Park Avenue.» «È tutto quello che sa di lei?» «Secondo i nostri amici dello spionaggio inglese, è uno dei migliori killer sulla piazza: avrebbe fatto fuori gente da un capo all'altro dell'Europa. E a New York ha liquidato almeno altre tre persone.» Dino diede a Grady il passaporto della donna. Lui lo sfogliò attentamente, poi si fermò. «Qui dice che è arrivata negli Stati Uniti dal Canada soltanto ieri», osservò, indicando un timbro. Anche Dino diede un'occhiata. «Dev'essere un falso.» «Passiamolo ai federali.» «Non ancora, capitano. Non li voglio nell'indagine. Un'agente dello spionaggio inglese sta venendo qui.» «Quando arriverà?»
«Viene in macchina dal Connecticut assieme a un mio amico. Forse sarà qui tra un'ora.» «E per caso questo suo amico sarebbe Stone Barrington?» «Ah, be', sì, capitano, è lui. Perché me lo chiede?» «Perché, tenente Bacchetti, su questa terra lei non ha nessun altro amico. Che cosa c'entra Barrington con questa faccenda?» «Be', lui e questa signora inglese sono una specie di coppia. Stone e io l'abbiamo conosciuta l'anno scorso, a Londra.» Grady accennò alla figura oltre il finto specchio. «Ha già parlato con questa donna?» «Stavo appunto per farlo quando è arrivato lei. Aspettavo anche il viceprocuratore distrettuale.» «Ed è riuscito a buttarlo giù dal letto?» Grady era sarcastico. «Questa proprio voglio vederla.» «La sta vedendo adesso, capitano», disse una voce alle loro spalle. Dino e Grady si voltarono. In piedi nel corridoio c'era George Mellon, viceprocuratore distrettuale. «Non ha l'aria pericolosa», commentò Mellon guardando al di là del vetro. «Vado dentro a saggiare il terreno», disse Dino. «Prima di porle anche una sola cazzuta domanda, leggile i suoi diritti e faglieli firmare», lo avvertì Mellon. Dino aprì la porta ed entrò nella sala interrogatori. Stone stava volando a duecento chilometri orari lungo il nastro d'asfalto deserto dell'Interstate 684. «Non può andare più veloce questo affare?» abbaiò Carpenter. «Certo che può. Sono io che non voglio andare più veloce. Non ho mai, dico mai, premuto l'acceleratore a questo modo.» «Cacasotto», mugugnò Carpenter. Stone pestò ulteriormente l'acceleratore, il tachimetro salì a duecentoventi. «Dimenticavo: due e venti è il massimo consentito dal limitatore elettronico.» «Merda», continuò a protestare Carpenter. «Perché non hai comprato qualcosa che andasse più in fretta?» Stone cominciò a pensare quale storiella raccontare agli agenti della stradale dello Stato di New York lanciati all'inseguimento, e iniziò a temere lo sbarramento di bulldozer che probabilmente li stava già aspettando da
qualche parte. Scrutò il cielo alla ricerca di elicotteri della polizia. «Buonasera», esordì Dino. «Sono il tenente Dino Bacchetti.» Marie-Thérèse gli offrì la destra senza alzarsi, come una vera signora. «Come sta, tenente?» «Molto bene, grazie.» Dino rispose alla stretta. «Vuole spiegarmi per quale folle motivo sono stata portata qui?» Il tono di Marie-Thérèse era per metà infuriato e per l'altra metà spaventato. «Prima di procedere oltre, signora du Bois, devo informarla dei diritti che le sono garantiti dalla Costituzione degli Stati Uniti.» Recitò il mantra del Miranda Warning. «Ha diritto a un avvocato difensore. Se non ha un suo avvocato di fiducia, un difensore d'ufficio verrà nominato per lei. Ha diritto di non rispondere. Non dovesse avvalersi del diritto di non rispondere, tutto ciò che dirà potrà essere usato, e verrà usato, contro di lei in un'aula di tribunale. Ha capito bene questi diritti?» «Ma certo che ho capito bene questi diritti. Cosa crede, che non la guardi anch'io, la televisione?» Dino le fece scivolare davanti il documento prestampato e una penna. «Allora cortesemente firmi questa dichiarazione.» Marie-Thérèse la lesse e firmò. Dino collocò il suo passaporto sul tavolo. «Lei è Marie-Thérèse du Bois, nata a Zurigo, Svizzera. È esatto?» «Sì, è esatto.» «Ora vorrei farle qualche domanda.» «A quale proposito?» «Quando è arrivata negli Stati Uniti?» «Può vederlo dal mio passaporto.» Il timbro d'ingresso lo aveva apposto lei personalmente. «E dove risiede?» «All'hotel Kirwan, Park Avenue e 37th Street, stanza uno-zero-zero-tre.» «Quando è scesa in quell'albergo?» «Oggi...» Marie-Thérèse gettò uno sguardo all'orologio da polso. «O meglio: ieri. Ho bisogno di un avvocato?» «Non saprei. Ritiene di averne bisogno?» «Sarò lieta di rispondere alle sue domande, ma vorrei che fosse presente un avvocato, per favore.» Dino sospirò. «Le procuro un telefono.» Uscì dalla sala interrogatori, trovò un telefono cordless e rientrò. «Desidera chiamare con riservatez-
za?» «Dubito molto che sia possibile ottenerla.» Marie-Thérèse fece un cenno verso il finto specchio. Compose un numero. «Pronto, qui parla MarieThérèse du Bois. Mi trovo in stato di fermo in una stazione di polizia a... Un momento.» Coprì il ricevitore con il palmo della mano. «Dove sono?» «Al diciannovesimo distretto.» «Al diciannovesimo distretto», ripeté La Biche nel microfono. «Richiedo immediata assistenza legale. La prego, venga qui al più presto, e chieda del tenente...» «Bacchetti.» «Del tenente Bacchetti. Grazie.» Restituì il telefono a Dino. «Ora, vuole dirmi per cortesia perché mi trovo qui?» «Lei è qui, signora du Bois, in quanto sospettata di aver commesso quattro omicidi nella città di New York.» Marie-Thérèse rise. «Buon Dio! E quand'è che li avrei commessi, questi omicidi?» «Nel corso degli ultimi due giorni.» «Gli ultimi due giorni li ho trascorsi venendo qui in auto dal Canada assieme a un amico.» «Come si chiama questo suo amico?» Dino tirò fuori il blocco per appunti. «Vorrei fare un accertamento.» «Si chiama Michel Robert. È canadese.» «E dove posso trovarlo?» «Francamente non lo so», rispose Marie-Thérèse. «Abbiamo avuto un... petit contretemps. Mi ha lasciato a New York e se n'è andato, non so dove. Posso chiederle, tenente, sulla base di che cosa mi state rivolgendo simili assurde accuse?» «Di questo parleremo dopo», rispose Dino. «Mi scusi un momento.» Si alzò e uscì per parlare con Mellon. «La domanda che lei ti ha fatto è valida, Dino», disse il viceprocuratore distrettuale. «Che prove hai per sospettarla di quattro omicidi?» «Un'agente dello spionaggio inglese sta venendo qui in questo preciso momento. Sarà lei a identificare questa donna e a parlarti dei suoi trascorsi.» «Aveva addosso una qualsiasi cosa che possiamo usare?» «Addosso no, ma prima che la arrestassi davanti al ristorante Da Elaine è andata nel bagno delle donne. Lo stiamo ancora perquisendo.» Apparvero due detective portando una grossa busta di plastica. Dentro
c'erano una pistola di metallo brunito, un silenziatore e un punteruolo da ghiaccio. «Mai stato così contento di veder spuntare le corna del diavolo», disse Dino. «Fate esaminare le impronte digitali e verificare la balistica. Confrontate il proiettile con quelli che hanno liquidato il tizio in Park Avenue. E fate in fretta.» Si rivolse nuovamente a Mellon. «Ti senti meglio, adesso?» «Un po'», ammise Mellon. «Sei in grado di collegarla al delitto?» «Mi hai appena sentito dire ai ragazzi cosa fare, o sbaglio?» «Le avete preso le impronte digitali?» «Non ancora. Possiamo farlo adesso.» Un ometto basso, grassoccio, fece irruzione nel corridoio. «Dov'è la mia cliente?» berciò. «Salve, Sol», fece Mellon. «Chi ti ha trascinato in questo caso?» «Lei.» L'ometto grassoccio accennò oltre il finto specchio. «Voglio parlarle ora. E voglio tutti voi fuori di qui mentre le parlo.» «Quanto tempo ti serve?» «Te lo farò sapere io quanto tempo mi serve, George. Adesso vattene fuori e lasciami fare il mio lavoro.» Il tenente Bacchetti, il capitano Grady e il viceprocuratore distrettuale Mellon lasciarono il corridoio e raggiunsero l'ufficio di Dino. «George, chi è questo tizio?» «Si chiama Sol Kaminsky, e come avvocato difensore è molto in gamba. Ma, se tu non sei in grado di collegare la donna con l'arma e l'arma con uno dei delitti, non ci sarà nemmeno bisogno che sia molto in gamba.» 32 Stone superò lo Harlem River Bridge, rallentando appena il tempo necessario per consentire al sistema di pedaggio di alzare la sbarra. Controllò l'orologio: non riusciva a credere di essere rientrato a Manhattan tanto in fretta. «Che altro intoppo c'è adesso?» protestò Carpenter. «Abbiamo appena abbassato il record mondiale sulla tratta Washington, Connecticut - Manhattan, New York», annunciò Stone. «Abbassato di mezz'ora.» Lei arricciò il naso. «Questo lo dici tu.»
Dino, Grady e Mellon avevano continuato a parlare nervosamente per quaranta minuti, mentre Sol Kaminsky conferiva con la sua cliente. I due detective entrarono nell'ufficio di Dino. Collocarono sulla scrivania la pistola, il silenziatore e il punteruolo da ghiaccio. «Allora?» chiese Dino. «Niente impronte su niente.» «Che mi dite dell'esame balistico?» «Due dei proiettili erano troppo deformati dall'impatto per poter essere confrontati», rispose uno dei detective. «Ma il terzo era intero.» «Dunque?» «Non è lui. Nemmeno ci si avvicina. Non è questa la pistola che ha ucciso il diplomatico arabo.» «Merda!» «Però è una pistola molto interessante.» «Vale a dire?» «Non ha codici di fabbricazione. Da nessuna parte. Abbiamo verificato l'esame balistico sull'archivio dell'FBI. Quest'arma è roba federale, tenente, probabilmente CIA o DIA, o qualcosa del genere.» Dino alzò lo sguardo. Vide Stone e Carpenter entrare nell'ufficio esterno. «Ecco la nostra spia inglese. Adesso sì che avremo qualcosa.» Dino li presentò al capitano Grady. «Salve, Stone.» George Mellon non porse la mano. «George.» In passato, Stone lo aveva sconfitto in aula in modo molto imbarazzante. «Dov'è lei?» chiese Carpenter. In quel momento, anche Sol Kaminsky fece ingresso nell'ufficio di Dino. «Adesso lei e io possiamo parlare alla mia cliente», disse al tenente. «Forza.» Tutti quanti tennero dietro a Kaminsky fino alla sala interrogatori. Dino entrò con l'avvocato, gli altri rimasero al di qua del finto specchio. Stone diede di gomito a Carpenter. «Bene, è lei o no? E La Biche?» «Dio.» Carpenter esitò. «Sembra così... diversa. Non sono sicura di poterlo giurare.» «Ah, l'utilità dei testimoni oculari», mugugnò il viceprocuratore distrettuale. «D'accordo, tenente Bacchetti», esordì Sol Kaminsky, «la mia cliente è
stata identificata attraverso un passaporto in regola e ha risposto a tutte le sue domande. Quali prove ha che la connettano a un qualsiasi reato?» Senza dire una parola, Dino piazzò sul tavolo la pistola, il silenziatore e il punteruolo da ghiaccio. Voleva studiare la reazione della donna. Marie-Thérèse spostò sul suo avvocato uno sguardo trasecolato. «Ma io... non capisco.» «Il tenente Bacchetti, mia cara, pensa che queste armi le appartengano», spiegò Kaminsky. «Non ho mai visto nessuno di questi oggetti», affermò Marie-Thérèse. «Non ho bisogno di armi di sorta.» Kaminsky si rivolse a Dino. «Che prove ha che queste armi appartengano alla mia cliente?» «La sua cliente le ha gettate nello sciacquone del bagno delle donne del ristorante Da Elaine.» Dino sentì lo stomaco scendergli nei calcagni. «E come fa a saperlo? Ha forse rilevato le impronte della mia cliente su una qualsiasi di queste armi?» Dino si limitò a deglutire. «Ha forse collegato una qualsiasi di queste armi a uno qualsiasi dei ben quattro omicidi di cui la mia cliente sta venendo accusata attraverso un'analisi balistica o un esame della scientifica?» «Non ancora», temporeggiò Dino. «Ha forse trovato testimoni oculari che hanno identificato la signora du Bois sulla scena di uno qualsiasi dei delitti?» «Torno fra un momento.» Dino si alzò e andò a unirsi al resto del gruppo, ammassato dall'altra parte del finto specchio. «Allora, Carpenter: è lei sì o no?» Carpenter contrasse la mandibola. «Non è in grado di identificarla con certezza», disse Stone. George Mellon parlò. «Mi hai tirato fuori dal letto per questa farsa, Dino?» «Un momento, aspetta solo un momento», insorse Dino. «Quella donna è un'assassina internazionale ben nota ai servizi segreti europei. Giusto o no, Carpenter? Io posso verificare il suo nome con l'archivio segnaletico dell'Interpol e trovare altre accuse a suo carico, non è forse così?» Carpenter abbassò lo sguardo. «No, non è così.» «No? E perché diavolo 'no'?» «La Biche è effettivamente in archivio, ma soltanto nel nostro. Non abbiamo mai condiviso i dati con nessun'altra agenzia. Speravamo di essere
noi a prenderla.» Mellon riprese la parola. «Fatemi capire: a carico di questa donna non esiste nessuna accusa formale in nessuna parte del mondo?» «Non che io sappia», rispose Carpenter. «Inoltre non ci sono impronte sulle armi, e l'esame balistico ha dato esito negativo.» «Purtroppo è così», ammise Dino. «D'accordo, allora arrestala per possesso illegale di armi fino a quando non avremo qualcosa di più concreto.» Nessuno fece osservazioni. Mellon fissò Dino. «Devo intendere che non sei in grado di collegare questa donna con nessuna delle armi sequestrate?» «È andata nel bagno delle donne al ristorante. Le armi le abbiamo trovate nello sciacquone subito dopo che lei era uscita», rispose Dino, sulla difensiva. «Ma non sei in grado di provare che sia stata effettivamente lei a metterle nello sciacquone», concluse Mellon. «Quel bagno sarà usato da cinquanta donne ogni sera, come minimo. Una qualsiasi di loro potrebbe aver gettato le armi nello sciacquone in un qualsiasi momento degli ultimi cinque mesi, o sbaglio?» «Non sbagli», fu di nuovo costretto ad ammettere Dino. Mellon passò lo sguardo da uno all'altro. «Uno qualsiasi di voi ha un'accusa che io possa scaricare su questa donna, o anche una qualsiasi ragione per prolungarne il fermo? Ha fatto resistenza all'arresto, forse? Ha aggredito gli agenti?» Di nuovo, nessuno disse niente. «E allora io adesso me ne vado.» Mellon s'infilò il soprabito. «Rilasciatela.» E lasciò la stanza. Carpenter si attaccò al cellulare. «Mason? La Biche sta per essere rilasciata dal diciannovesimo distretto. Metti qualcuno a seguirla immediatamente.» Dino si rivolse ai due detective. «Prendete tutti quelli che riuscite a trovare e appostatevi in strada. Nel momento in cui la donna esce, non perdetela. Tenetela sotto sorveglianza a vista fino a quando non arriva all'hotel, poi mettete due uomini nel corridoio fuori della sua stanza. Se lascia l'albergo, continuate a seguirla.» «Dino, mi dispiace...» tentò Carpenter.
Dino rientrò nella sala interrogatori. «Signor Kaminsky, la sua cliente è libera di andarsene non appena l'avremo fotografata e le avremo preso le impronte digitali.» «Non in questo film, tenente Bacchetti», replicò Kaminsky. «La mia cliente non è in stato di arresto, né esiste nessuna causa probante che induca a credere che abbia commesso un qualsiasi reato. Buonanotte.» Dino li precedette fuori dalla sala interrogatori. «Le mie scuse per l'inconveniente, signora du Bois.» «Non c'è problema, tenente.» Dino li osservò andarsene, poi portò Stone e Carpenter nel suo ufficio. «A questo punto, tutto quello che possiamo fare è seguirla... nella speranza che faccia la pelle a qualcun altro.» «Probabilmente a me», disse Carpenter. «Come ha fatto La Biche a trovarsi da Elaine nel momento preciso in cui c'eri anche tu?» chiese Stone. «Stava cercando te», rispose Dino. «Cosa?» «Non sto scherzando. È entrata, si è seduta al bar, ha ordinato la cena e ha tirato fuori un ritaglio del Post: l'articolo che parlava di Herbie Fisher caduto sul lucernario. Ha chiesto al barman chi fosse quel certo avvocato dal nome da duro.» «E lui gliel'ha detto?» «Questo non lo so. Io ero a casa, parecchio impegnato. A un certo punto Elaine mi telefona e mi dice che qualcuno ti sta cercando, così io do una bella delusione a mia moglie, che stava facendo la gattina, e a razzo porto là il mio culo. Ed eccola lì, La Biche, intenta a sorseggiare un cognac.» Un detective bussò alla porta. «Tenente, devo etichettare la pistola e il punteruolo da ghiaccio. Li ha lei?» «Sono sul tavolo della sala interrogatori numero uno», rispose Dino. «No, signore, là non ci sono.» «Merda. Merda!» Marie-Thérèse e Sol Kaminsky stavano percorrendo 2nd Avenue a bordo di un taxi. «Vuole che la accompagni al suo albergo?» propose Kaminsky. «No, signor Kaminsky, la ringrazio. Io scendo prima.» Il taxi si fermò a un semaforo. Marie-Thérèse gettò uno sguardo dal finestrino: accanto a loro era venuto ad arrestarsi un grosso camion.
«Signor Kaminsky, cortesemente, scenda dal taxi.» «Vuole dire...» l'avvocato la guardò, «qui, in mezzo alla strada?» «Qui, in mezzo alla strada, grazie.» Kaminsky aprì la portiera posteriore sinistra e smontò dal taxi. Mentre lo faceva, Marie-Thérèse passò all'autista un biglietto da venti dollari. «Tenga il tassametro in funzione fino a 34th Street, senza imbarcare nessuno.» Aprì la portiera di pochi centimetri, sgusciò fuori dal taxi e si mise a strisciare sull'asfalto, rotolando fin sotto il camion. Superò i monumentali pneumatici nell'attimo in cui il semaforo passava al verde. Il camion rombò in avanti e lei s'infilò sotto un'auto parcheggiata. Rimase in attesa. Un isolato dietro il taxi, uno dei detective si mise in contatto con il distretto. «Di' a Bacchetti che l'avvocato è sceso dal taxi all'altezza di 77th Street», disse nella radio. «Noi continuiamo a seguire la donna.» Il semaforo era diventato verde. Il poliziotto proseguì lungo 2nd Avenue. Marie-Thérèse aspettò per tutto il ciclo semaforico successivo prima di decidersi a riemergere da sotto la macchina parcheggiata. Si tolse la polvere della città dai vestiti e venne inghiottita dalla notte. 33 Stone fece salire Carpenter su un taxi. «Sono esausta.» «Lascia che i poliziotti facciano il loro lavoro. A casa mia potrai dormire un po'.» «È stata veramente un'esperienza umiliante», sospirò Carpenter mentre si dirigevano verso sud. «A Dino avresti anche potuto dirlo prima, del fatto che in Europa non c'erano accuse contro La Biche.» «Non volevamo che l'Interpol o altre agenzie di polizia interferissero.» «Quello che volevate era trovarla e quindi farla fuori in modo discreto, non è così?» Carpenter non rispose. «Se contro di lei non ci sono accuse formali, in che modo siete riusciti a mettere assieme tutte quelle informazioni: la gente che ha ucciso, i suoi metodi?» «Da persone che abbiamo... interrogato», rispose Carpenter. «E la testimonianza di queste persone non potrebbe essere usata per
formulare accuse valide, in modo che Dino possa procedere a un arresto?» «Queste persone... non sono più disponibili a testimoniare.» Stone espirò a fondo. «Ma guarda un po'.» Il detective che stava seguendo La Biche contattò di nuovo il diciannovesimo distretto. «Di' a Bacchetti che il taxi non è andato all'hotel. Sta continuando verso sud.» «Qui è Bacchetti. Dove si trova il taxi adesso?» «2nd Avenue e 34th Street, fermo al semaforo», rispose il detective. «Ehi, un momento... Il segno luminoso di taxi libero si è appena acceso. Vedo salire un tizio.» «Fermate quel taxi! Arrestate la donna per appropriazione illegale di prove! Si è fregata la pistola!» Il detective attivò la luce rossa e andò ad accostarsi al taxi. Il suo partner scese, puntò una torcia elettrica verso il sedile posteriore, poi risalì sulla macchina della polizia. «Tenente, la donna non c'è.» «Che cosa?» «Non è nel taxi. Abbiamo visto scendere l'avvocato, ma non la donna. Credevamo che fosse ancora a bordo... ma a bordo lei non c'è.» «Ah, magnifico. Davvero magnifico...» Dino chiuse la comunicazione e chiamò Stone a casa. «Pronto?» disse Stone. Carpenter sollevò la derivazione. «L'abbiamo persa.» «Che cosa?» «I miei uomini hanno visto Kaminsky scendere dal taxi all'altezza di 77th Street, ma non La Biche. Adesso però nel taxi lei non c'è più. E, quello che è peggio, si è ripresa la pistola e il punteruolo da ghiaccio. Se li è allegramente fregati dal tavolo della sala interrogatori mentre io andavo alla porta. Possibile che di voialtri dall'altra parte dello specchio nessuno abbia visto niente?» «Stavamo parlando tra di noi», rispose Stone. «La colpa non è tua, Dino», intervenne Carpenter. «La colpa è nostra.» «Mi dispiace proprio, bellezza», riprese Dino. «Posso diramare un ordine di ricerca su di lei per aver rubato la pistola, se vuoi.» «Sei in grado di provare che è stata lei a rubarla?» «Solo se la prendo con l'arma addosso.»
«E quante possibilità credi che ci siano?» Dino non rispose. «Buonanotte, Dino.» Carpenter riappese. Anche Stone chiuse la comunicazione. «E adesso?» Carpenter compose un altro numero. «Mason.» Fu Stone a sollevare la derivazione. «Qui Mason», rispose una voce d'uomo. «Dimmi che la state seguendo», disse Carpenter. «Temo di non poterlo fare», rispose Mason. «È stato impossibile arrivare al distretto prima che lei se ne andasse.» «Quello che temevo. La polizia di New York l'ha persa. Hanno seguito un taxi vuoto a partire da 77th Street.» «Perdio. Ma perché non l'hanno trattenuta?» «La colpa di questo è nostra, temo. Contro di lei non abbiamo mai formalizzato nessuna accusa, e la polizia non aveva nulla a suo carico. Hanno trovato una pistola nel bagno delle donne del ristorante, ma il confronto balistico sul delitto di Park Avenue ha dato esito negativo. E per uccidere gli altri La Biche non ha usato quell'arma.» «Sono davvero desolato», disse Mason. «E, giusto per andare di male in peggio, ha addirittura rubato la pistola alla polizia. Se ne è uscita tranquillamente dal distretto con l'arma nella borsa.» «Per cui siamo di nuovo al punto di partenza.» «Proprio così.» «L'Architetto non troverà la cosa divertente.» «Decisamente no. Cerca di dormire un po', Mason. Ne riparliamo domattina.» «Tu dove sei?» «A casa di Barrington.» «Ti mando degli uomini.» «Lascia perdere. Credo che per stanotte saremo al sicuro.» «Buonanotte, allora.» «Buonanotte.» Stone e Carpenter riappesero. «È proprio bella, la tua casa nel Connecticut», disse lei. Marie-Thérèse penetrò nell'edificio con i magazzini privati accessibili ventiquattr'ore su ventiquattro. Raggiunse il proprio ripostiglio, fece scatta-
re il lucchetto, entrò e richiuse la porta dietro di sé. Il locale era tre metri per quattro, fin troppo simile a una cella d'isolamento, pensò. La giovane donna si spogliò completamente, prese una pelliccia da una rastrelliera di vestiti e la dispiegò sul pavimento. Prese un soprabito, si avvolse all'interno di esso e si sdraiò sulla pelliccia. Aveva appena bruciato la sua risorsa più preziosa, più intima: la sua vera identità. Una risorsa che non sarebbe mai più stata in grado di usare. A meno che loro non fossero stati così stupidi da non avere inserito i dati nel computer trasmettendoli all'Interpol. Scivolò nel sonno pensando alla bambina che aveva tenuto tra le braccia per l'intera durata della trasvolata atlantica. 34 Cinque uomini e quattro donne sbarcarono dal Concorde all'aeroporto Kennedy e salirono su due furgoni in attesa. L'autista del primo veicolo passò un cellulare a uno degli uomini. «È sufficiente, signore, che lei prema il tasto numero uno.» L'uomo premette il tasto numero uno e si portò il telefono all'orecchio. «Unione commerciale», disse una voce di donna. «Lei sa chi le sta parlando?» «Sì, signore.» «Ci stiamo muovendo. Voglio una riunione tra un'ora, con tutti quanti. Sottolineo: tutti quanti.» «Ho capito, signore. Avevo già riservato la sala conferenze.» «Ben fatto.» L'uomo staccò la comunicazione e riconsegnò il telefono all'autista. «Quello rimane a lei, signore, per tutto il tempo che si tratterrà qui», disse l'autista. L'Architetto fece scivolare il telefono in tasca e dedicò la propria attenzione al New York Times. Il telefono nella camera da letto di Stone si mise a suonare. «Pronto?» rispose lui con voce assonnata, sbirciando la sveglia. «La signora Carpenter, per favore», disse una voce di donna. Stone scosse Carpenter, svegliandola. «Per te.» «Che ora è?» chiese lei mentre si girava per prendere la chiamata dalla derivazione.
«Le due del pomeriggio passate da poco. Abbiamo fatto una bella dormita.» «Pronto?» «L'Architetto è arrivato. C'è una riunione convocata qui per le tre», disse la donna. «Obbligo di presenza.» «Giusto.» Carpenter riappese. «Devo schizzare nella doccia. Il mio capo è arrivato da Londra.» Gettò le coperte di lato e si precipitò nel bagno. «Ce la facciamo a mangiare qualcosa?» Stone scese in cucina, preparò un paio di sandwich al prosciutto cotto e li portò di sopra. Carpenter uscì dalla doccia strofinandosi vigorosamente la punta dei capelli con un asciugamano. «Non male.» Addentò uno dei panini, staccandone un morso gigantesco. «Dunque», disse Stone, «qual è l'ordine del giorno di questa riunione?» «Tira a indovinare.» «Come diavolo farete a trovarla?» insistette Stone. «La troveremo», rispose Carpenter a bocca piena. «E la sistemeremo.» Tornò nel bagno portandosi dietro il sandwich. Stone prese il telefono e chiamò Dino. «Bacchetti.» «Hai pranzato?» «Pensavo di saltare», disse Dino. «Al P.J. Clarke's tra mezz'ora?» «Offri tu?» «Offro io.» «Allora al Four Seasons tra mezz'ora.» Dino riappese. Stone andò nel proprio bagno e fece la doccia. Venti minuti più tardi era sulla porta di casa assieme a Carpenter. «Cena?» le chiese. «Dovrò confermartelo», rispose lei dandogli un rapido bacio. Scese i gradini e svoltò su 3rd Avenue. Stone si diresse verso la Park. Gli ultimi ritardatari del pranzo insistevano a perdere tempo con il caffè nel grill-room del Four Seasons. Non fu difficile trovare un tavolo libero visto che metà degli avventori aveva già fatto ritorno in ufficio. Stone e Dino ordinarono omelette, insalata mista e vino rosso. «Allora, mi dici perché hai voluto vedermi per il pranzo?» chiese Dino. «Ho la sensazione che ti stia frullando qualcosa per il cranio.»
«Qualcosa bolle in pentola con i nostri amici inglesi», rispose Stone. «Qualcosa tipo cosa?» «Il pezzo da novanta è arrivato da Londra e ha convocato tutta la banda in una riunione.» «Perché dovrebbe fregarmene?» chiese Dino. «Perché io credo che la terra stia per cominciare a tremarti sotto i piedi.» «A tremare come?» «Pensaci su.» «Cos'è, devo tirare a indovinare, adesso?» «Ehi, è proprio quello che sto facendo anch'io. Ti ha telefonato qualcuno nel primo pomeriggio? Magari uno degli inglesi?» «No. Dovrei supporre che si faranno vivi?» «Non necessariamente», rispose Stone. «Andiamo, Stone, cos'è che ti ha detto Carpenter?» «Solo che c'è questa riunione.» «E quale pensi che sia l'argomento?» «Non fare il fesso, Dino.» «Okay, lo so qual è l'argomento. Che intenzioni hanno?» «Penso che le daranno la caccia e che la uccideranno», dichiarò Stone. «Proprio qui, a New York?» «Proprio qui. Forse vorrebbero solo catturarla e torturarla un po', ma credo che le probabilità che La Biche si faccia prendere viva siano pari a zero.» Dino ruminò la sua insalata, pensando alla situazione. «Okay», decise alla fine. «Cosa significa 'okay'?» «Significa che non è un mio problema se le danno la caccia e la fanno fuori. E non lo è nemmeno se la rapiscono e la torturano a morte.» «Gesù, Dino, tu sei un tenente della polizia di New York. Non dirmi che intendi lasciare che accada una cosa del genere!» «È proprio quello che ti dico», ribatté Dino, sorseggiando il vino. «Dino, stiamo parlando di omicidio premeditato. Sbaglio o il tuo compito è impedire che fatti simili si verifichino?» «Sei una tale signorina, Stone.» «No, invece. Mi oppongo semplicemente all'assassinio nelle strade della mia città.» «Ottimo», replicò Dino. «Sono certo che, nel momento in cui gli assassini scopriranno come la pensi, a New York il numero di omicidi avrà una
caduta verticale.» «Dino, tu devi fare qualcosa.» «E che cosa dovrei fare? Questi tipi non sono poliziotti in trasferta. Sono fottute spie. Le cose le fanno in segreto. Pensi davvero che m'informeranno dei loro piani?» «Ma forse io posso scoprire qualcosa.» «Non voglio saperlo», dichiarò Dino. «E, se vuoi continuare a rotolarti nel fieno con la delicata Miss Felicity Devonshire, è meglio che nemmeno tu voglia saperlo.» «Vuoi sapere perché in Europa non sono mai state formalizzate accuse contro La Biche?» insistette Stone. «No, ma qualcosa mi dice che me lo dirai lo stesso.» «Perché gli inglesi hanno ottenuto le dritte su di lei torturando e assassinando i suoi amici, quindi non c'è più nessuno ancora in vita per testimoniare contro di lei.» «Non volevo saperlo», protestò Dino, «È in questo modo che opera quella gente. Non arrestano i criminali e non li mettono sotto processo. Li sbattono dentro una cella e gli strappano le informazioni con la pinza, se basta. E, quando hanno finito, anche i loro prigionieri hanno finito. Sono al di fuori della legge, Dino. Sono al di sopra della legge.» «Be', se le cose stanno così, io non farei proprio arrabbiare Carpenter, se fossi in te.» «Quando tu e io eravamo poliziotti assieme, vedevamo la legge nello stesso modo», continuò Stone. «Credevamo nel fare le cose secondo le regole.» «Stone, noi due certe volte le abbiamo piegate, le regole», gli ricordò Dino. «E va bene, abbiamo sbatacchiato qualcuno e messo paura a qualcun altro, ma non abbiamo mai assassinato nessuno.» «Né io intendo cominciare adesso», confermò Dino. «Però intendi guardare dall'altra parte mentre gli 007 di Londra vanno avanti con il programma bagnato.» «Stone, in questo caso, guardare dall'altra parte è tutto quello che posso fare.» «Tu non vuoi vedere.» «Hai ragione: non voglio. Perché, a differenza di te, quello che vedo sono i due mondi diametralmente opposti che coesistono là fuori, proprio l'u-
no accanto all'altro. C'è il nostro mondo - quello tuo e mio - e poi c'è il loro mondo, dove una qualche donna demente vuole fargliela pagare e se ne va in giro facendoli fuori a destra e a sinistra, seminando anche un altro po' di cadaveri ogni volta che le gira. Come lo mettiamo in piedi un processo, Stone? Prove? Non ce ne sono mai. E supponiamo, ma sì, supponiamo pure che in qualche modo io sia in grado d'impedire che uccidano La Biche. Che cosa faccio di lei? Le do una pacca sulla spalla e la rispedisco in Europa a seminare un altro po' di cadaveri? Non abbiamo prove contro di lei, nessuna prova. Cristo, qualcuno deve fermarla! Ma quel qualcuno non voglio essere io.» «È proprio deprimente», disse Stone. «Non è deprimente», ribatté Dino. «Basta non pensarci.» 35 Carpenter si precipitò dentro l'edificio, raggiunse il suo ufficio temporaneo, lasciò il soprabito e raccolse gli appunti. Riuscì ad arrivare nella sala conferenze proprio nel momento in cui l'Architetto si sistemava a capotavola. Il suo vero nome, come chiunque lavorasse per lui sapeva, era Sir Edward Fieldstone, ma, quando era venuto il momento di scegliere un nome in codice, la sua passione per la falegnameria e le costruzioni aveva preso il sopravvento. Aveva un'officina colossale nella sua casa di campagna nel Berkshire, e le sue vaste proprietà erano disseminate di segherie, officine, case per gli operai e altre strutture che Sir Edward aveva costruito personalmente o di cui aveva supervisionato la costruzione. Era arrivato allo spionaggio seguendo la strada prima dell'esercito e poi del SAS, ed era noto che avesse delle preferenze per gli agenti che avevano servito nel celebre 22° reggimento, l'elite dei commando inglesi, specialmente nell'Irlanda del Nord, di cui Sir Edward era stato ufficiale comandante. Aveva una doppia reputazione all'epoca: non alzava mai la voce ed era senza alcuna pietà. A volte Carpenter si sentiva svantaggiata per non aver servito nelle forze armate. Le sue credenziali nel servizio erano ereditarie: sia suo nonno paterno sia suo padre erano stati agenti segreti; il primo durante la seconda guerra mondiale, quando era stato ripetutamente paracadutato in Francia per armare e addestrare la resistenza, il secondo nei turbinosi anni '60 e '70, nella sua qualità di specialista antiterrorismo contro le cellule dell'IRA
che operavano sul territorio nazionale inglese. Erano credenziali storiche nel servizio segreto, e Carpenter si era impegnata a fondo per onorarle. «Buongiorno», esordì l'Architetto in tono soave. Sulla sala calò un silenzio sepolcrale. L'uomo passò lo sguardo sugli astanti, due dozzine di facce, un terzo delle quali femminili. «Signore e signori», riprese. «L'argomento, l'unico argomento, di questa riunione è Marie-Thérèse du Bois, conosciuta anche come La Biche, un soprannome quanto mai appropriato, se mi consentite.» Lo spettro di un sorriso incurvò solamente un angolo della sua bocca. «Confido che tutti voi abbiate preso visione del dossier relativo a questa donna, un dossier di natura sconvolgente, soprattutto per quello che concerne i membri di questa unità. Non ritengo necessario sottolineare ulteriormente che la signora du Bois deve essere fermata.» Attorno al tavolo della sala conferenze ci fu un mormorio di assenso. «Carpenter», chiamò l'Architetto. Tutti gli sguardi si concentrarono su di lei. Carpenter sentì le orecchie diventarle simili a metallo fuso. «Sì, signore?» «Ci dia una rapida sintesi dell'attività degli ultimi giorni della signora du Bois nella città di New York.» Carpenter non aveva bisogno di appunti per procedere. «Ha assassinato un ex agente della nostra unità, Larry Fortescue, un agente in servizio, nome in codice Tinker, un diplomatico arabo che era anche un informatore della CIA e una civile innocente di nome Ginger Harvey. Ha anche ferito in modo grave un nostro agente in servizio, nome in codice Thatcher.» «E quali sono le condizioni di Thatcher?» chiese l'Architetto. «Ha riportato una paralisi parziale a entrambe le gambe a causa di una ferita da punteruolo da ghiaccio alla colonna vertebrale, ma è fuori pericolo, reagisce bene alla terapia e sta dando segni incoraggianti. La prognosi è di una ripresa completa o pressoché completa.» «Molto bene. È nelle mani adatte?» «Lo è, signore.» «Bene. Ora, Carpenter, mi fornisca cortesemente la sua analisi della situazione attuale concernente La Biche. In particolar modo vorrei essere reso edotto del suo arresto da parte della polizia di New York e del susseguente rilascio. In che modo questi due eventi contrastanti hanno potuto avere luogo?» «Sulla pagina dei pettegolezzi del New York Post è apparso un articolo riguardante un avvocato che aveva mandato qualcuno a fotografare Larry
Fortescue, coinvolto in una relazione extraconiugale con una donna in seguito identificata come La Biche. Nell'articolo veniva menzionato che l'avvocato in questione è un frequentatore abituale del ristorante Da Elaine, nell'Upper East Side. La Biche si è presentata al ristorante facendo domande riguardanti l'avvocato, il cui nome non era menzionato nell'articolo. La proprietaria, da cui il ristorante medesimo trae il nome, ha telefonato a un tenente di polizia di sua conoscenza per riferire quanto stava accadendo. Il tenente ha immediatamente allestito un appostamento che ha condotto all'arresto della Biche, la quale è stata quindi condotta al diciannovesimo distretto e interrogata.» «Questo definisce le circostanze del suo arresto», intervenne l'Architetto. «Veniamo al rilascio.» «La Biche aveva gettato due armi nel servizio delle donne del ristorante, questo dopo averle ripulite dalle impronte digitali. Ma, pur essendo state trovate le armi, l'assenza di qualsiasi impronta ha impedito che potessero essere collegate con la donna. In teoria, chiunque avrebbe potuto lasciarle in quel bagno. Una delle armi, una pistola, è stata sottoposta a un esame balistico nella speranza di poterla identificare come la pistola con cui è stato ucciso il diplomatico arabo. I risultali di tale esame sono stati negativi.» Carpenter trasse un profondo sospiro. «La polizia di New York è anche stata messa in difficoltà da un ulteriore problema: il fatto che il nostro ufficio abbia declinato di fare qualsiasi rapporto delle attività della Biche sia alle forze di polizia sia all'Interpol. Di conseguenza non esisteva nessuna accusa formale che potesse giustificarne l'arresto.» Nella sala, il silenzio continuava a essere di pietra. Tutti loro erano consapevoli di chi avesse preso la decisione di non divulgare nulla. «Capisco», disse l'Architetto con calma, senza tradire nessuna emozione. «Proceda, Carpenter.» «A tutti gli effetti, La Biche ha presentato un passaporto autentico con il suo vero nome, con valido visto d'ingresso negli Stati Uniti, o quanto meno un visto falsificato con tale perfezione da far sì che la polizia non sia stata in grado di rilevare il falso. È stata rappresentata da un avvocato di New York di nome Sol Kaminsky, un penalista di professione che in passato ha rappresentato in tribunale diversi terroristi arabi. Era uno dei principali avvocati difensori dello sceicco Rachman, riconosciuto colpevole e quindi condannato quale organizzatore del primo attentato al World Trade Center, nei primi anni '90.» «Sono al corrente della reputazione del signor Kaminsky», disse l'Archi-
tetto. «Chi ha preso la decisione di rilasciare La Biche?» «Il viceprocuratore distrettuale di New York era presente durante l'interrogatorio. Nel momento in cui nessuna causa probante è emersa per trattenerla, ne ha ordinato il rilascio. Questo senza che fosse stata fotografata, né che le fossero state prese le impronte digitali.» L'Architetto annuì. «Quindi qual è la sua prospettiva sulla situazione attuale, Carpenter?» «Non sappiamo né dove si trovi né chi la stia aiutando. Contro di lei non abbiamo nessuna prova credibile, per cui, anche se riuscissimo ad arrestarla di nuovo, non saremmo in grado di sottoporla a un processo. Anche se tentassimo, sarebbe assolta sia da una corte inglese sia da una americana. Sono anche costretta a sottolineare che - a causa dei continui mutamenti del suo aspetto e dell'assenza di qualsiasi impronta digitale - anche solo identificarla rimane per noi estremamente difficile. In breve, non l'abbiano nemmeno sfiorata. Ed è molto improbabile che ci riusciremo in futuro.» L'Architetto la fissò con occhi metallici. «Nel suo sforzo di realismo, Carpenter, lei si rivela eccessivamente pessimista. Abbiamo pianificato le nostre prossime mosse?» «Sappiamo che in passato ha frequentato bar di lesbiche, nei quali ha abbordato donne, procedendo poi ad assassinarle allo scopo di servirsi dei loro appartamenti e delle loro identità per brevi periodi. Il mio suggerimento, visto che abbiamo svariate donne quali parti integranti di questa unità, è di eseguire appostamenti nel maggior numero possibile di questi bar nella speranza d'individuarla. Ciascuna delle nostre agenti dovrebbe avere addosso una microspia ed essere sotto costante sorveglianza.» «Come noterà», replicò l'Architetto, «ho portato con me quattro agenti di sesso femminile precisamente a questo scopo. Qualche altra raccomandazione?» «Dovremmo collocare sotto intercettazione i telefoni dello studio legale e della residenza dell'avvocato Kaminsky, e tenere sotto sorveglianza anche lui. Per quanto ne sappiamo, è l'unica persona che La Biche ha contattato a New York.» La voce dell'Architetto si ammorbidì. «E questo è davvero tutto? Sono certo che ha altre raccomandazioni.» Carpenter sostenne il suo sguardo. Nel momento in cui l'inchiesta interna su quella vicenda fosse arrivata - perché alla fine sarebbe arrivata - lei voleva che fosse tutto a verbale. «Non ho nessun'altra raccomandazione, signore.» La prossima, di raccomandazione, sarà meglio che venga da te,
razza di viscido bastardo. Ma questo Carpenter non lo disse. «Lei mi delude, Carpenter.» «Sono dolente, signore.» «Per l'appunto.» L'Architetto girò un'altra occhiata sui presenti. «D'accordo, ecco come procederemo. Mason: a lei il compito degli appostamenti e della sorveglianza dei bar saffici. A proposito, in che modo riusciremo a trovarli?» Passò lo sguardo da una faccia all'altra, alla ricerca di una qualche proposta. Fu Carpenter a proporre. «Suggerirei di battere le zone del Greenwich Village e di Soho. Una volta che almeno alcuni di questi esercizi saranno stati individuati, le nostre agenti potranno scoprire la dislocazione degli altri attraverso i contatti con la clientela.» «Bene.» L'Architetto si concesse lo spettro di un altro sorriso. «Non posso nascondere un certo sollievo nel constatare che nessuno dei miei operatori ha familiarità con siffatti luoghi. Se ne occupi lei, Mason.» «Sì, signore», rispose Mason. «Sparks.» L'Architetto scelse un altro agente. «Lascio nelle sue mani la sorveglianza elettronica e ambientale relativa all'avvocato Kaminsky. Faccia in modo che la nostra presenza non venga in nessun modo palesata alle autorità locali.» «Sì, signore», disse l'uomo. «Dobbiamo ottenere il benestare dell'FBI?» «Non esattamente», rispose l'Architetto. «Ma questa sera cenerò con il direttore di quella medesima agenzia, il quale si trova a New York, e farò in modo che venga opportunamente informato delle nostre attività qui.» «La ringrazio, signore», disse Sparks. «Bene», concluse l'Architetto. «Direi che abbiamo finito.» «Mi scusi, signore», intervenne Carpenter. «Ha un incarico anche per me?» L'Architetto la scrutò. «Ovviamente, dal momento che La Biche e lei siete state a distanza molto ravvicinata, non possiamo certo mandarla in quei bar, tuttavia... per quanto forse lei desideri andare...» Le orecchie di Carpenter tornarono a incendiarsi. «Credo di capire che lei conosca personalmente questo avvocato... Barrington, Stone? Non è quello il suo nome?» Carpenter scoccò un'occhiata a Mason, il quale stava studiando con la massima attenzione alcuni documenti che aveva di fronte. «Sì, Barrington», continuò l'Architetto. «Considerando che La Biche ha un interesse nei suoi confronti, il suo incarico, Carpenter, sarà provvedere
a che l'irreparabile non accada. Se La Biche continuerà ad assassinare civili...» «Capisco, signore», disse Carpenter. «E inoltre, Carpenter, lei dovrà prendere tutte le misure necessarie per rimanere in vita. Da morta, non mi serve a niente.» «Chiedo scusa, signore», intervenne Mason. «Sì, Mason?» «Potremmo avere istruzioni su cosa fare della Biche una volta che l'avremo trovata?» Ben fatto, Mason, pensò Carpenter. Sbattilo a verbale. «Voi non dovrete - ripeto: non dovrete - detenerla», dichiarò l'Architetto. «Quella donna è troppo pericolosa. Non intendo perdere altro personale.» L'Architetto chiuse la valigetta professionale. «Occupatavi di lei», concluse. «Con qualsiasi mezzo disponibile.» «Signore», insistette Mason, «è probabile che simili opportunità si presenteranno in luoghi pubblici.» «Sono consapevole di questo, Mason», convenne l'Architetto. «Cercate di evitare danni collaterali.» Prese la valigetta e lasciò la sala. La riunione si sciolse. Carpenter affiancò Mason. «Sei pronto a obbedire a quell'ordine?» gli chiese a bassa voce. «Non sono pronto a non obbedire ai suoi ordini», rispose Mason. 36 Stone era sempre più affamato, e Carpenter continuava a non chiamare. Finalmente il telefono suonò. «Pronto?» «Sono io.» «Com'è andata la riunione?» «Ne parliamo dopo.» , «Quanto dopo?» «Temo di avere del lavoro da fare per tutta la serata. Perché non vai da Elaine e ci vediamo là?» «Ti senti al sicuro ad andare da Elaine?» chiese Stone. «La prima - e ultima - volta che La Biche si è presentata là, è stata arrestata», gli ricordò Carpenter. «Non credo che sia troppo ansiosa di ripetere l'esperienza, tu sì?» «No, direi di no», concordò Stone. «Hai idea di quando arriverai?»
«Quando lo saprò, ti chiamerò. Ciao.» Carpenter riappese. Stone raggiunse il ristorante in taxi, si sistemò al suo solito tavolo, ordinò da bere e chiese il menu. Elaine si avvicinò e si sedette. «E così ti sei perso tutto il cancan di ieri sera, eh?» «Già, Dino mi ha detto che sei stata tu ad avvertirlo. È stata un'ottima mossa.» Elaine scrollò le spalle. «Qualcuno dovrà pure pararti il culo.» «Ti ringrazio per averlo fatto. Forse è per questo che ce l'ho ancora intatto. Come sono andate le cose?» «La donna è entrata e si è seduta al bar. Uno dei barman, Bobby, ha attaccato bottone mentre lei mangiava qualcosa di cena. Si sono trovati subito. Lei gli ha addirittura dato il suo numero di telefono. Poi ha tirato fuori l'articolo del Post che parlava di te, così Bobby mi ha avvertito. La donna voleva sapere il tuo nome e lui glielo ha detto. Ma io mi sono ricordata di quella conversazione che avevamo avuto qui qualche giorno fa.» «Quindi lei ha dato a Bobby il suo numero di telefono?» «Difatti, ci stavano dando dentro alla grande. Bobby ci sa proprio fare con le signore.» «Scusami un attimo.» Stone si alzò e raggiunse il bar. «Ciao, Bobby.» «Ehi, salve, Stone. Come te la passi?» «A posto. Grazie per il tuo aiuto di ieri sera.» «Pensavo di stare aiutando me stesso.» «Elaine mi dice che la signora ti ha dato il suo numero.» «Esatto.» «Ce l'hai ancora, quel numero?» Bobby si accostò al registratore di cassa, premette un tasto e il cassetto si aprì. Frugò sotto il vassoio del contante e pescò un appunto. «Ecco qua. Non credo proprio che la chiamerò, dopo quello che ho sentito dire di lei.» Stone intascò l'appunto. «Grazie, Bobby. Fatti un drink, offro io.» «Grazie a te.» Stone tornò al tavolo e guardò l'appunto. «Il prefisso era 917, quello dei telefoni cellulari di New York.» Elaine gli lanciò un'occhiata. «Gesù, non dirmi che sei affamato a questo punto.» «Certo che no.» Stone mise il numero di telefono in tasca. «Felicity dov'è?» «Al lavoro. Arriverà più tardi.»
«E Dino?» «Ho pranzato con lui. Una volta al giorno basta.» «Stone, pensi di essere in pericolo a causa di questa donna?» «Spero di no, ma dopo quello che è accaduto ieri sera è improbabile che lei ritorni qui.» Stone alzò lo sguardo: una donna sola stava entrando proprio in quel momento. La donna si fermò poco oltre l'ingresso, guardandosi attorno. Statura media, corporatura media, capelli castani, abito elegante. Stone andò alla ricerca di qualche oggetto contundente da tirarle addosso, decidendo per l'indiano di legno che montava la guardia accanto al suo tavolo. Poi la donna sembrò individuare qualcuno verso il fondo del ristorante. Si diresse verso quel tavolo a passi rapidi, superando Stone, e abbracciò un uomo che si era alzato ad accoglierla. «Quella è la moglie», disse Elaine. «Farai meglio a buttare giù un altro drink.» Fece cenno a un cameriere e gli indicò Stone. «Buona idea.» «Questo lo offro io», disse Elaine al cameriere quando il drink venne servito. «Forse, Stone, dovresti andartene fuori città per qualche giorno. Perché non vai su nel Connecticut?» «Sono appena rientrato», rispose Stone. «Ma l'idea non è male.» Elaine si alzò per salutare qualcuno, lasciando Stone solo al tavolo. Lui ordinò la cena, poi tirò nuovamente fuori l'appunto con il numero di telefono. D'impulso, chiamò. La donna rispose subito. «Sì?» «Signora du Bois, qui parla Stone Barrington. La prego, non riattacchi», aggiunse in fretta Stone, «voglio solamente parlarle.» Breve silenzio. «D'accordo. Di che cosa vorrebbe parlarmi, avvocato Barrington?» Il suo accento americano era perfetto. «Prima di tutto, vorrei spiegarle per quale ragione avevo mandato qualcuno a scattare fotografie attraverso quel lucernario.» «Ecco qualcosa che m'interessa», replicò La Biche. «Si trattava di una questione matrimoniale: Lawrence Fortescue era sposato a una donna, mia cliente, la quale credeva che lui stesse avendo una relazione extraconiugale. Avevano firmato un accordo prematrimoniale secondo il quale Fortescue non avrebbe ricevuto alimenti di sorta qualora il suo adulterio fosse provato nella causa di divorzio. Non avevo idea di chi lei fosse.» «E adesso questa idea ce l'ha?»
«Ho anche un'idea migliore», disse Stone. «Evitare di essere sulla lista dei suoi nemici.» La Biche rise. «Congratulazioni, avvocato Barrington, lei ha sviluppato un ottimo spirito di autoconservazione, questo glielo devo riconoscere.» «Credo che un'altra buona idea sarebbe che lei e io ci incontrassimo.» «E pensare che era partito così bene, avvocato Barrington... Lei non si aspetta che questo possa realmente accadere, non è vero?» «Lei è a conoscenza del principio americano della riservatezza del rapporto tra avvocato e cliente?» «Direi di sì.» «Allora deve pure capire che, se lei e io dovessimo incontrarci per la richiesta da parte sua di una mia opinione legale, sia l'incontro stesso sia l'oggetto dell'incontro sarebbero riservati, per cui io non potrei riferire nulla alla polizia né dell'uno né dell'altro.» «Capisco, certo. E questa riservatezza del rapporto avvocato-cliente le impedisce anche di... diciamo... di invitare altri all'incontro?» «Me lo impedisce, infatti. Sotto un profilo deontologico, non sono autorizzato a informare nessun tipo di autorità costituita né dell'incontro né della nostra conversazione. A meno che non abbia la conoscenza specifica che lei è in procinto di commettere un crimine.» «Mi dica, avvocato Barrington, che cosa ne so io della sua deontologia?» «Niente, al di là del fatto che è condivisa da tutti gli avvocati americani. I quali non denunciano i loro clienti, a meno che le circostanze non siano quelle che le ho appena menzionato.» «Desumo che lei abbia sviluppato una certa curiosità nei miei confronti.» «È così, ma non è questa la ragione principale che mi spinge a volermi incontrare con lei.» «E quale sarebbe, questa ragione principale?» «Salvarle la vita, se possibile.» «Intende forse persuadermi a costituirmi? Soltanto ieri ero in stato di fermo presso la polizia di New York, che tuttavia non è sembrata troppo interessata a trattenermi.» «Io non rappresento la polizia di New York. E non rappresento nemmeno il servizio segreto inglese.» Altro silenzio. «Lei è un uomo molto interessante, avvocato Barrington, proprio in virtù di chi lei non rappresenta. Sono certa che ha un cellulare.
Mi lasci il suo numero, per cortesia.» Stone glielo disse. «Domani pomeriggio, alle sei, la pista di pattinaggio su ghiaccio al Rockefeller Center. Forse le offrirò da bere. Ma, la prego, non sia stolto al punto di chiedere anche ad altri di essere là.» La Biche chiuse la comunicazione. Stone stava per mettere via il cellulare quando questo cominciò a vibrargli in mano. «Pronto?» «Sono io.» Carpenter. «Ciao.» «Le cose vanno avanti con molta lentezza, mi ci vorranno ancora parecchie ore. Stanno ordinando cibo cinese e mangerò qui. Ci vediamo più tardi a casa tua.» «Mi dispiace che tu non ce la faccia.» «Anche a me. A dopo.» Stone mise via il cellulare. Ma non stava pensando a Carpenter. Stava pensando alla Biche. E a quello in cui stava andando a cacciarsi. 37 Marie-Thérèse si presentò all'appuntamento da Frédéric Fekkai, un salone di bellezza très à la page su East 57th Street in cui la conoscevano sotto altro nome. Fekkai in persona le riservò un caloroso benvenuto. «Signora King, come sta? Come vanno le cose a Dallas?» «Salute a te, dolcezza», rispose la signora King nel suo sbracato accento del Texas. «Le cose vanno semplicemente a meraviglia. Il prezzo del petrolio è alle stelle, così ho pensato di fare una scappata qui nella grande città e spendere un bel po' dei soldi del signor King.» «Siamo deliziati di rivederla. Vediamo, lei è in lista per un massaggio e un impacco di erbe, più un manicure e un appuntamento con uno dei nostri esperti di trucco. Finiremo con la messa in piega, se lei è d'accordo.» «Ma certo, bellezza.» «La signorina le farà portare il pranzo.» «Muoio di fame. Non è che avete anche del bourbon, vero?» «Vedremo quello che possiamo fare.» Marie-Thérèse si sottopose a una mezza giornata di cure estetiche, ritrovando Fekkai alla fine del trattamento.
«Dunque, come li sistemiamo, i capelli?» chiese lui. «Li voglio piuttosto corti.» Marie-Thérèse li ravviò all'indietro con le dita. «Di un bel biondo, con le mèche.» «Penso che le starà a meraviglia», approvò Fekkai. «Il coiffeur della tinta l'aspetta, poi mi occuperò io di lei.» Alle quattro del pomeriggio, quella che lasciò il salone era una donna ben diversa da quella che era entrata. Tutti i suoi documenti erano stati modificati per essere congruenti con il nuovo aspetto. Marie-Thérèse era passata da Bergdorf a comprare altri vestiti e si era anche procurata due nuove parrucche, pagando il tutto con una carta di credito American Express a nome della signora Darlene King. Il rimborso avrebbe avuto luogo automaticamente da un conto cifrato nelle isole Cayman. Alle sei del pomeriggio, Marie-Thérèse raggiunse l'angolo tra 5th Avenue e 57th Street. Prese il cellulare dalla borsetta e fece la telefonata. Stone era immobile, a osservare i pattinatori, una in particolare: una bionda carina in tenuta rossa, gonna molto corta, la più brava di tutti quelli intenti a volteggiare sul ghiaccio. Girò attorno lo sguardo, alla ricerca di una donna sola che potesse essere La Biche. Il suo cellulare si mise a vibrare. «Pronto?» «Buon pomeriggio», disse Marie-Thérèse. «Voglio che lei vada a piedi, non in taxi, fino al Bryant Park, dietro la biblioteca pubblica di New York. Dovrebbe arrivarci in una decina di minuti. Percorra il lato ovest di 5th Avenue fino a 44th Street, poi passi sul lato est fino a 42nd Street, quindi attraversi di nuovo. Ha capito?» «Ho capito.» «La chiamerò quando sarà là.» La Biche chiuse la comunicazione. Stone si mosse lungo 5th Avenue fino alla biblioteca.
La Biche si mosse lungo Madison Avenue, attraversò la strada, svoltò a sinistra ed entrò in un negozio di elettronica specializzato in apparecchiature di sorveglianza, in cui fece un rapido acquisto. Salì su un taxi e andò a sud, poi fece un'altra telefonata.
«Pronto?» disse Stone. «Mi ascolti molto attentamente. Voglio che lei vada verso ovest lungo il lato sud di 42nd Street, giri a sinistra al primo incrocio, vada a sud fino a 37th Street e giri di nuovo a sinistra. Sul lato sud della strada c'è un bar chiamato O'Coineen. Entri e prenda posto nell'ultimo séparé della fila di sinistra. Troverà il cartellino di prenotazione. Lo ignori. Se qualcuno le fa domande, dica che deve incontrare Maeve. Tutto chiaro?» «Tutto chiaro.» «Si trovi là fra dieci minuti.» Marie-Thérèse chiuse la comunicazione. «Svolti a destra qui e si fermi a metà dell'isolato», disse al tassista. La Biche smontò dal taxi, entrò nell'O'Coineen e andò nel bagno delle donne. Orinò, quindi frugò nella borsa degli acquisti. Tirò fuori una parrucca di un rosso intenso, capelli rigorosamente lisci, lunghe ciocche sulle orecchie. Controllò l'orologio da polso. Stone trovò il bar. Era affollato di clienti appena usciti dal lavoro, ma l'ultimo séparé era vuoto. Un cameriere si avvicinò. «Mi dispiace, ma è riservato.» «Devo incontrare Maeve», replicò Stone. «È tutto a posto, Sam», intervenne una voce di donna dal fascinoso accento irlandese. Stone si voltò. La rossa era alle sue spalle, capelli lisci rosso fiammante, magnificamente acconciati. Non era la stessa donna che aveva visto al diciannovesimo distretto. «Si alzi, avvocato Barrington.» Stone uscì dal séparé. «Buonasera.» «Allarghi le braccia rispetto ai fianchi.» Stone la accontentò. La Biche lo perquisì con destrezza professionale, senza omettere il mezzo delle gambe, poi tirò fuori un piccolo oggetto nero e glielo passò lungo tutto il corpo, dalla testa ai piedi. «Si sieda.» La Biche indicò il lato del séparé la cui spalliera era rivolta alla strada. «La ringrazio per essere venuta», disse Stone, accomodandosi. Lei si sistemò di fronte a lui, rivolta verso la strada, collocando la borsa di Bergdorf sul sedile accanto e piazzando sul tavolo una borsetta di medie dimensioni tenuta aperta verso di sé. Scrutò attentamente il bar e controllò le vetrine che davano sull'esterno. Alla fine, si rivolse a Stone.
«Che cosa beve?» «Una birra andrà bene.» «Due Harp», disse La Biche al cameriere. «D'accordo», rispose l'uomo, e si diresse verso il bancone. «Bene, non è magnifico tutto questo?» La Biche non aveva abbandonato l'accento irlandese. Stone non era certo di come rispondere. «Forza, avvocato Barrington, io sono qui. Che cosa vuole?» Stone stava per cominciare a parlare quando il cameriere tornò con le birre. Attese che se ne fosse andato. La Biche prese una bottiglia, versò la birra nel proprio bicchiere e lo fece tintinnare contro quello di lui. «Allora? Lei non è un tipo molto loquace, avvocato Barrington.» Stone bevve un piccolo sorso. «Penso che lei dovrebbe lasciare New York, immediatamente.» «Ah, sì? E per quale motivo dovrei farlo, se vuole essere così gentile da dirmelo?» «Non ritengo che il suo rilascio da parte della polizia dovrebbe farla sentire immune.» «Immune da cosa?» «Da... ulteriori azioni nei suoi confronti.» La Biche gettò uno sguardo alla porta del locale, poi si appoggiò contro lo schienale e bevve a sua volta un sorso di birra. «Al telefono lei mi ha detto di sapere qualcosa su di me», riprese. «Che cosa, esattamente?» «Ho appreso che quando lei era molto più giovane i suoi genitori sono rimasti uccisi per errore in un agguato il cui vero bersaglio era qualcun altro. A seguito di questo evento, lei si è sottoposta a un addestramento quanto mai specializzato, dopo di che ha cominciato ad assassinare varie persone, collocando in cima alla lista di eliminazione gli agenti che erano stati inavvertitamente responsabili della morte dei suoi genitori.» «Santo cielo, ma che avvocato bene informato è lei!» «Ho i miei momenti.» «'Inavvertitamente'? E questo che le hanno detto?» «Chi?» «Chiunque le abbia passato questo mucchio di spazzatura.» «A mio parere si tratta di informazioni piuttosto valide, per quanto non propriamente conformi alla sua visione delle cose.»
La Biche rise. «È vero, la mia visione delle cose differisce di parecchio. So per certo che il vero bersaglio era mia madre. Aver ucciso anche marito e figlia non ha mai rappresentato un problema per loro.» Stone rimase in silenzio. «Visto, avvocato? Ci sono sempre almeno due versioni per ogni storia.» «Forse», disse Stone. «Ma questo non cambia la realtà che loro continueranno a darle la caccia, e alla fine la uccideranno.» «Davvero?» La Biche sembrava divertita. «Bene, questa potrebbe essere un'operazione complessa, non crede?» «Non avendo nessuna base legale, saranno costretti a ricorrere ad altri mezzi.» «E lei come sa tutto questo?» «Voci», rispose Stone. La Biche affondò la mano nella borsa sul tavolo. Stone s'irrigidì contro la spalliera. La mano di lei emerse dalla borsa stringendo fra le dita una banconota da cento dollari. La Biche spinse il denaro verso Stone. «La metta in tasca.» Stone mise la banconota in tasca. «Ora, lei è un avvocato, giusto?» «Giusto.» «Ed è stato appena pagato per la sua consulenza legale, giusto?» «Giusto di nuovo.» «E questa nostra conversazione è riservata. Lei non può parlarne con nessuno.» «Giusto per la terza volta.» «Okay, avvocato Stone Barrington, allora: qual è il suo consiglio?» «Le consiglio di non passare neppure un'altra notte a New York. Le consiglio di non andarsene da qui in aereo, treno o autobus ma di partire in auto e, in caso voglia lasciare gli Stati Uniti, di farlo parimenti in auto, oppure a piedi. Le consiglio di non fare ritorno qui per molto, molto tempo.» «Che altro?» «Le consiglio di mettersi al sicuro, creandosi un'identità che lei possa mantenere in permanenza, e trovando un modo più produttivo per trascorrere i suoi giorni. Infine le consiglio di non usare più, mai più, l'identità di Marie-Thérèse du Bois.» «Bene, avvocato Barrington, tutti questi sono effettivamente dei consigli legali molto validi», disse La Biche. «Che valuterò con attenzione.»
«Non ci pensi troppo a lungo», le suggerì Stone. «E, dal momento che io negherò che questa nostra conversazione abbia mai avuto luogo, le sarò grato se anche lei vorrà fare lo stesso: io sto correndo un grave rischio a parlare con lei in qualsiasi tempo o modalità.» «Questo penso di poterglielo promettere.» La Biche prese la borsetta e la borsa delle compere. «Io ora la lascio, avvocato Barrington. Dubito che ci incontreremo di nuovo. Finisca la sua birra. Finisca anche la mia birra. E impieghi almeno quindici minuti per farlo.» Si alzò. «Addio, quindi.» «Addio a lei, avvocato Barrington.» Di colpo la sua voce era mutata, acquisendo un qualche accento europeo. «La ringrazio per la sua preoccupazione nei miei confronti. Sì, le sono molto grata.» La Biche si diresse verso il fondo del locale e sparì oltre la porta della cucina. Stone finì le birre di entrambi. Si era imbarcato in una classica impresa balorda. Tutto, nell'atteggiamento di quella donna, glielo confermava. La Biche sarebbe andata sino in fondo. A qualsiasi prezzo. 38 Stone e Carpenter s'incontrarono al Box Tree, un piccolo, romantico ristorante dalle parti di casa. Dopo che si furono sistemati al tavolo, Stone ordinò una bottiglia di Veuve Clicquot La Grande Dame, il suo champagne preferito. «Che cosa festeggiamo?» chiese Carpenter mentre facevano tintinnare i bicchieri e cominciavano a sorseggiare. «Un'intera serata per noi, solo noi due, lontani dalle ansie del lavoro. Quello che in America si chiama 'appuntamento romantico'.» Carpenter rise. «Quelli di prima invece cos'erano?» «Quello che in America si chiama 'una botta e via'.» «Non pensavo che gli uomini americani obiettassero a quel genere di relazione.» «Non è una relazione, è solo piacere carnale... non che io abbia delle remore al piacere carnale.» «Lo avevo notato.» Scorsero il menu e ordinarono. Il cameriere versò loro altro champagne. «Dimmi di te», riprese Stone. Carpenter rise di nuovo. «Questa non dovrebbe essere la mia, di battuta?
Come mai ci siamo scambiati le parti?» «Le parti sono intercambiabili, in certe circostanze.» «Quali circostanze?» «Quando l'interesse di un maschio per una femmina va al di là del piacere carnale.» Stone credette di notare un lieve arrossamento sulle guance di lei. «Dimmi di te», ripeté. «Quello che vuoi dire è: 'perché fai il lavoro che fai?' Non è forse così?» «Spesso il lavoro che le persone fanno è la cosa più importante di loro stesse.» «Il lavoro che io faccio non è la cosa più importante di me», dichiarò Carpenter. «E qual è invece?» «Chi sono io.» «E chi sei tu?» Carpenter osservò il tavolo, poi passò un lungo sguardo sul locale. «D'accordo, il lavoro che io faccio è la cosa più importante di me. Definisce chi sono.» «Supponi che, non per colpa tua, ti fosse impossibile continuare nella tua carriera. Chi saresti, a quel punto?» Carpenter bevve un consistente sorso di champagne. «Prospettiva impensabile.» «Ma di certo avrai visto gente venire espulsa dal tuo servizio, lasciata fuori al freddo.» «Occasionalmente.» «Pensi che loro fossero il loro lavoro e basta?» «Alcuni di loro sì, credo.» «E cos'hanno fatto nel momento in cui non hanno più potuto essere quello che volevano essere?» «Uno o due di loro... si sono suicidati.» «Tu faresti lo stesso?» «Certo che no», rispose in fretta Carpenter. «Quindi? Che cosa faresti? Chi diverresti?» «Potrei fare a te la stessa domanda.» «Puoi farmela, dopo che avrai risposto.» «Sarei un avvocato», disse Carpenter. «Ho studiato legge a Oxford, lo sapevi? Potrei acquisire molto facilmente i requisiti necessari.» «Quanti anni hai?» «Trentotto», disse Carpenter senza esitare.
«C'è lavoro a Londra per avvocati nuovi di zecca dell'età di trentotto anni?» «Dovrei scegliere una città più piccola, suppongo.» «E c'è lavoro nelle città più piccole per avvocati nuovi di zecca dell'età di trentotto anni?» Carpenter scrollò le spalle. «Non sono priva di conoscenze influenti.» «Il che aiuta sempre.» «Non capisco tutte queste domande, Stone. Dove stai realmente andando a parare?» «Credo che io mi stia domandando se noi due non possiamo avere una relazione più stabile...» «A New York?» «È ovvio.» «Perché è tanto ovvio? Perché non potresti trasferirti tu a Londra?» «Perché non mi sarebbe concesso lavorare come avvocato in nessuna città dell'Inghilterra, e dubito molto che a New Scodand Yard mi offrirebbero un posto. Avvocato e poliziotto: sono queste le uniche due cose che so fare. Ma quello che realmente voglio sapere, credo, è se tu riusciresti a sentirti bene in un'esistenza priva di segreti, priva di violenza cronica... priva di omicidi.» «È così che vedi la mia vita?» «Tu no? Tu non la vedi così? Ti sei mai soffermata a pensare che cosa ti sta facendo il tuo lavoro come essere umano?» «Nella mia famiglia c'è una lunga tradizione - che risale ad almeno cinque secoli addietro - di dedizione al servizio della patria.» «A dispetto di qualsiasi cosa la patria chieda di fare?» «Da parte mia, non ho mai deluso le aspettative.» «È proprio questo che mi preoccupa», commentò Stone. «Che io sia una lealista?» «Che tu, quando c'è di mezzo la patria, sia capace di qualsiasi cosa.» Carpenter strinse le palpebre. «Di che cosa stai parlando?» «I genitori di Marie-Thérèse du Bois non furono uccisi per errore, o sbaglio?» «Ti ho già detto di sì: fu un errore. Io c'ero.» «Il bersaglio era la madre. Non è forse così? I danni collaterali erano irrilevanti.» Carpenter posò il bicchiere. «Con chi hai parlato, Stone?» «Con qualcuno che era là.»
«Sono io l'unica persona ancora in vita a essere stata là.» «No», dichiarò Stone. «Non lo sei.» Carpenter rimase a fissarlo per un lungo momento, del tutto priva di espressione. «Nel nome del cielo...» fece poi sommessamente. Stone non replicò, si limitò a sostenere il suo sguardo. «Suggerisco che tu la smetta di mentirmi, Carpenter», disse alla fine. «Non è una buona cosa in una relazione.» «Come l'hai trovata?» «Sono un buon detective. Il Dipartimento di polizia di New York mi ha addestrato molto bene.» «Noi non riusciamo a trovarla, ma tu sì.» «La realtà sembra questa.» «L'hai incontrata faccia a faccia?» «Sì, ma non era la stessa faccia che avevo visto al diciannovesimo distretto. Non so in che modo riesca a mutare aspetto, ci riesce e basta.» «Hai idea di che razza di pericolo hai corso?» «Mi è parso molto più pericoloso non incontrarmi con lei. Sapeva chi ero, e sapeva che ero coinvolto...» «Sì, immagino che questo sia vero. Dove l'hai incontrata?» «In un bar. Ma temo di non poterti dire altro.» «Perché no?» «Perché, prima di parlarmi, ha insistito nel darmi un acconto. Io adesso sono il suo avvocato.» «Molto abile da parte sua. Puoi contattarla di nuovo?» «Forse.» «Non ne sei sicuro?» «No.» Carpenter spinse indietro la sedia. «Io devo andare.» «A fare rapporto ai tuoi superiori?» «Grazie per lo champagne.» Carpenter si alzò e se ne andò. 39 Il telefono di Stone suonò molto presto la mattina successiva. «Parla Carpenter.» «Buongiorno.» «Sei libero a pranzo?» «Sì.»
«Dodici e trenta, al Four Seasons. C'è qualcuno che vorrei tu incontrassi.» «Chi?» «Ci vediamo alle dodici e trenta.» Carpenter riappese. Stone fu puntuale. Trovò Carpenter e un altro uomo già seduti a un tavolo nel grill-room del Four Seasons. L'uomo si alzò per accogliere Stone. «Sir Edward Fieldstone», disse Carpenter. «Sir Edward, posso presentarle Stone Barrington?» L'uomo era sul metro e ottanta, snello, dall'aspetto piuttosto distinto, con folti capelli grigi che avevano bisogno di una regolata. Troppi peli gli spuntavano dalle narici e dalle orecchie. Indossava un abito di buon taglio, anche se un po' vecchio, che non veniva stirato da un pezzo. «Come sta, signor Barrington?» Una voce profonda, levigata, dall'accento molto aristocratico. «Perché non si accomoda? Gradisce qualcosa da bere?» Stone gettò un'occhiata alla bottiglia sul tavolo: Chateau Palmer, 1966. «Il vino andrà benissimo.» Sir Edward annuì. Un cameriere apparve a riempire il bicchiere di Stone. «La ringrazio moltissimo per avere accettato d'incontrarci con preavviso così ridotto», riprese Sir Edward. «Ordiniamo il pranzo, se siete d'accordo.» Scorsero il menu. Stone scelse una bistecca piccola, Carpenter e Sir Edward ordinarono sogliola di Dover, senza curarsi del fatto che poteva non essere l'accoppiamento migliore con quel vino. «Tempo splendido», osservò Sir Edward. «Non ci siamo abituati. Londra è sempre così grigia.» «Anche New York può essere grigia», replicò Stone, domandandosi chi fosse con esattezza Sir Edward. Sembrava sulla sessantina, tutt'altro che il tipo della spia. Parlarono del più e del meno fino a quando il cibo non venne servito. Stone continuava ad aspettare che qualcuno gli dicesse per quale motivo lui si trovava lì. «C'è qualcosa che desidererebbe sapere?» chiese Sir Edward. Sembrava un non sequitur. Stone guardò Carpenter, la quale tenne la bocca chiusa. «Forse lei potrebbe cominciare con il dirmi chi è», propose Stone. «Naturalmente, naturalmente», convenne Sir Edward, quasi in tono di
scusa. «Sono un funzionario dello Stato inglese... Forse è opportuno che non entri nei particolari.» «È il diretto superiore di Carpenter?» «Forse uno o due livelli più in alto.» «È il capo dell'unità di Carpenter?» «Diciamo di sì. Mi passereste il sale, per cortesia?» Carpenter gli passò il sale. «MI5 o MI6?» chiese Stone. «Oh, quelle linee di divisione sono così confuse, di questi tempi», rispose Sir Edward. «Evitiamo di essere tanto specifici.» «Forse, signore, potrei spiegare io», propose Carpenter. Sir Edward le rivolse un cenno quasi impercettibile. «È molto insolito che... che una persona della posizione di Sir Edward incontri in forma ufficiale qualcuno all'esterno del servizio. In realtà, sono ben pochi quelli all'esterno del servizio che sono consapevoli anche solo dell'esistenza di Sir Edward.» «Preferisce essere chiamato 'M', Sir Edward?» chiese Stone. Sir Edward si concesse un vago sogghigno, senza rispondere. «Quel genere di sigla è un po' fuori moda», riprese Carpenter. «Tu ti rendi conto, Stone, che questo incontro non sta avendo luogo?» «Ma certo», rispose Stone. «E forse voi potreste spiegarmi perché non sta avendo luogo.» «La ringrazio, Felicity», rientrò Sir Edward. «Ora procederò io.» Si rivolse a Stone. «Signor Barrington, ritengo che lei sia edotto dei fatti recenti che coinvolgono una giovane donna di nome Marie-Thérèse du Bois.» «Lo sono e non lo sono», rispose Stone. «E ritengo che lei sia parimenti edotto del fatto che abbiamo cercato di proteggere certi membri del nostro personale da certe azioni di questa donna.» «Intende dire che avete cercato d'impedire che vi faccia fuori tutti?» Sir Edward girò attorno lo sguardo, assicurandosi che nessun altro potesse udire. «È un modo in cui porre la questione, per quanto la scelta dei termini possa essere opinabile.» «Sir Edward, io sono americano, e la diplomazia non è uno dei nostri punti forti. Non lo è mai stata. A volte noi americani diciamo le cose a muso duro. Penso che la nostra conversazione potrebbe svolgersi molto meglio se lei tenesse presente questo aspetto.» «D'accordo», convenne Sir Edward. Sembrava perplesso.
«Che cosa vuole da me?» «Mi è sembrato di capire che lei rappresenta la donna di cui stiamo parlando per certe questioni.» «Mi ha dato un acconto per la mia consulenza legale.» «Quindi lei è in contatto con la donna medesima?» «Potrebbe essere possibile.» «Non mi dispiacerebbe incontrare la sua cliente.» Per poco a Stone il vino non andò di traverso. «Lei mi lascia sbalordito, Sir Edward, considerando la storia dei precedenti incontri tra questa donna e i membri della sua unità.» «Sono consapevole che la sua cliente nutre una certa ostilità nei nostri confronti.» «Quindi lei è pure consapevole che, con ogni probabilità, la mia cliente trarrebbe sommo piacere nello spararle a vista.» «Per l'appunto.» «Sir Edward, considerando lo stato attuale delle relazioni tra voi e la mia cliente, ritengo che la sua proposta sia inattuabile.» «Quello che io voglio discutere, signor Barrington, è proprio lo stato attuale di siffatte relazioni.» «Francamente, non riesco neppure a immaginare un contesto in cui un simile incontro potrebbe avere luogo, considerati i vostri due concetti di sicurezza. Concetti antitetici.» «Sono disponibile a incontrare la sua cliente da solo e in un luogo di sua scelta, a patto che si tratti di un luogo pubblico.» «Sir Edward, lei sta forse proponendo una sorta di tregua fra la sua unità e la mia cliente?» «Una sorta di tregua.» Stone scosse il capo. «Un simile incontro presuppone un livello di fiducia reciproca che a mio parere non esiste né da una parte né dall'altra.» «Ho già detto di essere disponibile a incontrarla da solo.» «Lei mi perdonerà, Sir Edward, se considero la sua proposta non credibile.» Sir Edward parve irritato. «E perché no?» «Penso che la mia cliente vedrebbe questo incontro come nient'altro che un'occasione data alla vostra unità per ucciderla.» «Sciocchezze. Sono pronto a dare la mia parola.» «Non sono sicuro che la sua parola, viste le passate esperienze della mia cliente con la vostra unità, avrebbe un qualsiasi valore.»
A giudicare dalla sua espressione, Sir Edward sembrava sul punto di affondare il coltello ancora sporco di sogliola nel petto di Stone. «Sono certo che lei comprende», aggiunse l'avvocato. «Parli con la sua cliente, signor Barrington.» «Per dirle che cosa, con esattezza?» «Che siamo disponibili a addivenire a un accordo.» «Faccia una proposta.» «Interrompere i tentativi di assassinarci a vicenda. Se sarà possibile accordarci in tal senso, allora sarà mia cura eliminare tutti i dati relativi alla sua cliente integrati nei nostri archivi informatici, nonché negli archivi degli altri servizi europei.» «In permanenza?» «Conserveremo una registrazione dei dati, isolata dal resto del sistema, in modo da tornare in condizione di diffonderla nuovamente qualora la sua cliente dovesse violare l'accordo.» «E nel caso foste voi a violare l'accordo?» «Questo, signor Barrington, non è realistico nemmeno pensarlo.» Sir Edward si agitò sulla sedia, il suo modo di fare divenne più conciliante. «La prego di rendersi conto che la mia unità non ha mai, mai prima di questo momento, negoziato in simili termini con... l'avversario. L'unica ragione per cui lo stiamo facendo qui e ora è solamente perché attraverso di lei, signor Barrington, noi ora abbiamo un improvviso filo diretto con la controparte. Lei può dire alla sua cliente che noi rispettiamo le sue motivazioni, ma a questo punto riteniamo che sia nell'interesse di entrambi porre fine a questa follia.» Stone annuì. «Vedrò quello che posso fare.» 40 Stone tornò a casa a piedi, profondamente immerso nei suoi pensieri. Non si fidava delle intenzioni di Sir Edward Fieldstone, e la parola di quell'uomo non era abbastanza. Vedeva immagini di un tiratore scelto con la testa di Marie-Thérèse al centro del mirino telescopico nel corso del negoziato con Sir Edward in un luogo pubblico. Stone tirò fuori il cellulare e fece il numero. La Biche rispose immediatamente. «Pronto?» «Sono Stone Barrington.» «Sia breve. Voglio evitare l'intercettazione sulle alte frequenze.»
«È necessario che io la incontri di nuovo. Ho delle notizie da darle.» Breve silenzio. «Torni al Rockefeller Center alle sei di questo pomeriggio. Mi metterò in contatto.» Riappese senza aspettare un'eventuale risposta. Stone premette il tasto di riselezione del numero. «Che altro?» «Sia molto prudente. Mi ha capito? Non so se sono seguito.» «Io sono sempre molto prudente.» La Biche chiuse la comunicazione. Questa volta Stone andò a fermarsi sul perimetro della pista di pattinaggio. Passarono dieci minuti prima che il cellulare si mettesse a suonare. «Pronto?» «È stato seguito?» «Non da qualcuno che io abbia notato.» «Quanto è bravo a individuare i pedinatori?» «Abbastanza.» «Vada a piedi fino a Central Park. Percorra 5th Avenue in direzione contraria a quella del traffico. Attraversi la strada almeno tre volte, verificando se è sottoposto a un pedinamento multiplo. Potrebbero essercene almeno quattro di loro. Una volta nel parco, si sieda su una delle panchine all'esterno del Children's Zoo.» La Biche chiuse. Stone camminò a passo svelto lungo 5th Avenue, fermandosi più volte a controllare alle proprie spalle usando le vetrine come superfici riflettenti. Attraversò la strada quattro volte, osservando se le facce attorno a lui rimanevano le stesse. Non notò nessuno. Passeggiò con calma nel parco fino al Children's Zoo, quindi sedette su una panchina. Il cellulare suonò in quel medesimo istante. «Sì?» «Vada alla pista di pattinaggio Wollman.» La Biche chiuse. Stone si diresse verso la pista, fermandosi spesso a guardare gli animali dello zoo, continuando a verificare se qualcuno lo stava seguendo. Continuò a non notare nessuno. Raggiunta la pista, il suo cellulare suonò di nuovo. «Sì?» «Vada alla giostra, compri il biglietto. Non salga su nessun cavalluccio, apparirebbe ridicolo. Si sieda su una panchina.» Stone seguì le istruzioni, mescolandosi ai bambini e alle loro baby-sitter. La giostra aveva percorso tre giri prima che La Biche venisse a sedersi ac-
canto a lui. I suoi capelli erano lunghi e scuri, indossava un formale abito di tweed e le sue labbra erano cariche di un rossetto intenso. «Buon pomeriggio, avvocato Barrington.» «Buon pomeriggio a lei. Devo intuire di non essere stato seguito.» «Solamente da me. Non c'era nessun altro alle sue spalle.» L'accento della Biche era americano, adesso. «Perché mi ha chiamato?» «Lei sa chi è un uomo di nome Sir Edward Fieldstone?» «L'Architetto? So chi è.» «Ho pranzato con lui oggi, su sua richiesta.» La Biche apparve sorpresa. «E com'è successo?» «Una mia amica lavora per lui. Le ho detto di avere parlato con lei.» «Immagino che questa non sia una violazione della riservatezza del rapporto tra avvocato e cliente.» «L'Architetto vuole incontrarsi con lei.» La Biche rise. «Ma certo che vuole incontrarsi con me.» «Ritengo che lei dovrebbe valutare la proposta con attenzione. L'Architetto dichiara di essere disposto a incontrarsi con lei da solo, in un luogo da lei scelto, a patto che si tratti di un luogo pubblico. Lo so, lo so: sta già pensando a un cecchino appostato su un qualche tetto.» «Lei è proprio un veggente, Stone. E che cosa vuole da me l'Architetto?» «Una tregua.» La Biche ammiccò svariate volte. «L'Architetto ha veramente detto questo?» «Nella misura in cui sia possibile indurre un inglese con la puzza sotto il naso a dire qualcosa, qualsiasi cosa, in termini espliciti, la risposta è: sì, l'Architetto ha veramente detto questo.» «I termini della tregua?» «Lei cesserà di uccidere i suoi uomini, i suoi uomini cesseranno di tentare di uccidere lei. L'Architetto farà rimuovere tutti gli elementi che la riguardano dagli archivi informatici dei servizi segreti inglesi ed europei, tenendo solo una registrazione dei dati, in caso lei rinneghi l'accordo.» «E se invece fosse lui a rinnegare l'accordo?» «Anch'io gli ho posto la stessa domanda, alla quale però non ho avuto una risposta diretta. Presumibilmente, lei potrebbe ricominciare ad assassinare i suoi agenti.» «Qualcosa mi sfugge. Per quale motivo l'Architetto dovrebbe smettere di tentare di uccidermi?» «Fino a oggi lei ha ucciso... quanti? Una mezza dozzina dei suoi? E lui
non è riuscito a uccidere lei nemmeno una volta. Sta perdendo la partita, e lo sa.» «Non è da lui allentare la stretta», commentò La Biche. «Nell'Irlanda del Nord aveva la reputazione di non fermarsi a nessun costo senza prima avere inchiodato il suo bersaglio. Uomo o donna che fosse.» «Forse si è reso conto che sta invecchiando. Deve essere oltre la sessantina. Forse i suoi bollenti spiriti si vanno raffreddando.» «Forse. Io però ne dubito.» «Marie-Thérèse, per quanto tempo ancora crede di poter andare avanti così prima di ritrovarsi nel mirino fatale?» «Tutto il tempo che vorrò.» «Non ha mai la tentazione di passare a una vita normale?» «Tipo? Marito? Figli?» «Qualunque cosa lei voglia. Essere in grado di vivere la sua vita senza essere costretta a cambiare identità ogni giorno. Sentirsi al sicuro, senza nessuno a darle la caccia.» «A volte penso a tutto questo, sì. Quello che lei non comprende, Stone, è quello con cui sarei costretta a fare i conti nel momento in cui decidessi di fermarmi. Ci sono persone che non apprezzerebbero affatto che io abbandonassi la mia linea professionale.» «Lo comprendo, invece. Ma queste persone non hanno a disposizione gli stessi mezzi degli apparati di spionaggio occidentali. È vero, possono contare su un grande, anche grandissimo numero di adepti, ma non hanno computer che analizzano ogni giorno tutte le facce che attraversano tutti i confini della terra. Lei potrebbe scomparire, Marie-Thérèse, potrebbe trovare un luogo remoto in cui condurre un'esistenza più normale, essere chiunque lei voglia diventare.» La Biche sospirò. «Sta mettendo le cose in modo molto attraente.» «Mi ascolti, le persone per cui lei lavora verranno sconfitte, alla fine. Anche a loro si sta dando la caccia, e quella caccia non si fermerà. Si stanno confrontando con un gruppo di grandi nazioni che hanno risorse virtualmente illimitate. Un giorno, saranno spazzate via. Perfino quei Paesi che le hanno sostenute stanno cominciando a gettare la spugna: le conseguenze sarebbero troppo gravi. Alla fine cominceranno ad accettare la realtà che mettersi in affari con le potenze occidentali è più semplice che non cercare di distruggerle. È inevitabile. E quando questo accadrà, che ne sarà di lei?» «Il suo ragionamento ha senso, Stone, ma quello di cui lei parla non ac-
cadrà domani. E nell'oggi io ho non poche soddisfazioni.» «No, Marie-Thérèse, non le credo. Credo invece che lei stia cominciando a essere stanca. E, quando si è stanchi, si commettono sbagli. Mentre lei, di sbagli, non può permettersene nemmeno uno.» «Accetto d'incontrarmi con Sir Edward, nelle circostanze adatte. Lei è autorizzato a negoziarle per me. Ma dica una cosa all'Architetto: se questo nostro incontro avrà effettivamente luogo, sarebbe un grave errore da parte sua giocare con le carte truccate.» «Glielo dirò.» «Mi chiami quando avrà qualcosa che assomiglia a un accordo, messo per iscritto.» «Accordi come questo non vengono messi per iscritto.» La Biche sospirò. «D'accordo, allora faccia del suo meglio, ma, mentre i negoziati sono in corso, voglio una tregua immediata.» «Gli dirò anche questo.» Marie-Thérèse si alzò, sorreggendosi alla sbarra che circondava la pista di pattinaggio. «È libero questa sera per cena?» chiese. «Né stasera, né mai. È pericoloso starle vicino.» «Bene, dovesse questo accordo riuscire a renderlo meno pericoloso, forse sarà per qualche altra volta.» «Forse», convenne Stone. Ma non ci credette nemmeno per un attimo. 41 Stone tornò a casa e chiamò Bob Cantor. «Ehi, Stone.» «Ehi, Bob. Dov'è quel disgraziato di tuo nipote?» «Di nuovo all'emporio di famiglia, a occuparsi di sviluppo e stampa.» «Dunque che fine ha fatto il suo progetto di andare a fare il paparazzo a Saint Thomas?» «Il ragazzo è - come dire? - volubile.» «L'eufemismo del secolo.» «Già. Che succede?» «Voglio che casa mia venga passata al setaccio alla ricerca di microspie, e questo ogni giorno, per un'intera settimana. Pensi di poterci riuscire?» «Ogni giorno? In che cosa sei andato a cacciarti?» «Lascia perdere. Semplicemente non voglio essere intercettato.»
«Sarebbe utile se io sapessi quale tipo d'intercettazione ti preoccupa.» «Telefoni, stanze, tutta la baracca.» «Chi sono gli avversari?» «Perché vuoi saperlo?» «Perché se si tratta di un qualche dilettante, è facile. Se invece è un professionista, o un gruppo di professionisti, sarà più difficile.» «È un gruppo di professionisti.» «Sarò da te entro un'ora.» Cantor cominciò con il controllare il sistema telefonico. Dopo un'ora venne da Stone nel suo ufficio e gli mostrò un qualche aggeggio elettronico. «Avevi i telefoni sotto rigido controllo», annunciò. «E questa è roba molto sofisticata.» «Sofisticata quanto?» «Non hanno un furgone parcheggiato qui fuori. Questo apparato ha una portata di almeno due chilometri, forse anche tre. Significa che possono lasciare acceso un registratore ad attivazione vocale e ascoltare le tue conversazioni quando gli gira. Questo non è un giocattolo che si compra al banco dei pegni, e nemmeno in qualche negozio di elettronica. È materiale progettato e costruito in laboratorio, non prodotto in serie. Chi lo ha messo assieme, ha a disposizione il meglio del meglio. Stone, chi è questa gente?» «Un servizio segreto.» «Non uno dei nostri, spero. Non voglio immischiarmi con quei tipi.» «Sono stranieri.» «Stranieri quanto? Non saranno mica arabi, vero?» «Parlano la nostra stessa lingua. E chiudiamola qui, Bob. I telefoni sono a posto, adesso?» «Sì... per lo meno fino a quando non me ne sarò andato. Ci sono altri modi per intercettare, lo sai, no? Soprattutto se loro riescono ad accedere ai cavi sotterranei della compagnia telefonica.» «Che cosa mi dici del resto della casa?» «Dammi cinque minuti.» Cantor rientrò dopo un po'. «Non ho trovato cìmici, il che non significa necessariamente che non ce ne siano. Questa gente potrebbe aver preso in affitto un appartamento davanti oppure dietro questo, e rilevare le vibrazioni trasmesse dai vetri delle tue finestre.» «Ho doppi vetri ovunque.»
«Questo ti aiuta. Pensi di avere conversazioni importanti mentre sei a casa?» «Potrebbe essere.» «Allora andiamo a cercare dei posti a prova d'intercettazione. Io questo ufficio non lo userei.» Bob Cantor indicò il giardino oltre la finestra. «Troppo facile per loro. Andiamo al piano di sopra.» Si aggirarono per la casa, esaminando le varie stanze. «La sala da pranzo rimane il posto migliore: nessuna finestra. Anche lo studio può funzionare, a patto di tenere chiuse quelle tende di velluto. Camera da letto e cucina invece non vanno bene.» «Okay, Bob, messaggio ricevuto. Mi serve un ulteriore aiuto.» «Di che genere?» «Voglio che tu metta assieme tre o quattro ex poliziotti con l'incarico di seguirmi.» «Hai paura di essere attaccato?» «No, ho paura di essere pedinato. Voglio che i tuoi uomini individuino se effettivamente vengo pedinato.» «Capito.» Cantor cominciò a sfogliare il suo taccuino. «Vuoi essere in contatto radio con la squadra?» «Non sarebbe affatto male.» «Quando vuoi cominciare?» «Più tardi ho un appuntamento qui. Direi subito dopo.» «Questo appuntamento a che ora è?» «Devo ancora chiarirlo, te lo farò sapere. Tu comincia a mettere assieme gli uomini.» «Il mio numero di cellulare ce l'hai. Chiamami.» «D'accordo.» Cantor se ne andò. Stone telefonò a Carpenter. «Voglio incontrarmi di nuovo con Sir Edward.» «Non sono sicura che ne abbia il tempo.» «Che cosa? Sta facendo il furbo con me, per caso?» «Sei in grado di organizzare l'incontro con La Biche?» «Ne parliamo con Sir Edward.» «Vedrò se ha il tempo.» «Se vuole che la cosa sia risolta, che lo trovi, il tempo. Ci vediamo a casa mia, il più presto possibile.»
«Vorrà essere lui a scegliere dove.» «Digli che può scegliere di andare a quel paese.» Stone riappese. Il telefono suonò dieci minuti più tardi. «Allora?» «Alle cinque», disse Carpenter. «A casa tua.» «Solamente lui.» «Vuole me.» «Anch'io voglio te, quando non te ne vai in giro a fare fuori la gente. Digli che intendo perquisirlo per vedere se ha microspie addosso... Intendo perquisire anche te.» «Non accetterà una cosa del genere.» «Si fa a modo mio o non si fa niente», replicò Stone. «Cosa decidi?» Carpenter coprì il telefono con una mano e parlò con qualcuno. Tornò sulla linea. «Ci vediamo alle cinque.» Stone riappese e chiamò Bob Cantor. «L'appuntamento qui è alle cinque.» «Sarà dura. Per quanto andrà avanti?» «Da mezz'ora a un'ora, immagino.» «Farò del mio meglio.» Stone andò nella sala da pranzo. Spostò tutte le sedie contro il muro, a eccezione di tre. Poi raggiunse la scrivania, frugò nei cassetti e trovò un piccolo rivelatore elettromagnetico. Inserì delle batterie nuove e se lo infilò in tasca, quindi si sedette e chiamò Marie-Thérèse al cellulare. «Sì?» «Mi chiami da una cabina pubblica», le disse Stone. «Ho fatto ripulire i miei telefoni. Erano controllati, ma adesso sono a posto.» «Dieci minuti.» La Biche chiuse la comunicazione. Stone rimase ad aspettare quanto più pazientemente possibile. Strappò il telefono dalla forcella nell'attimo stesso in cui si mise a suonare. «È lei?» «Sono io.» «Ho un appuntamento con il signore inglese alle cinque.» «Bene.» «Dobbiamo discutere delle sue richieste, in modo che io possa avere una base negoziale.» «Voglio quello che lui mi ha offerto, più qualsiasi altra cosa riesca a ottenere.» «Soldi, è questo che intende? Danni per la morte dei suoi genitori?» «Perché no?»
«Considerando il terremoto che lei ha causato nella sua organizzazione, dubito molto che questo sia un obiettivo realistico. Lei ha già totalizzato parecchi punti in più.» «D'accordo. Allora voglio scuse scritte per la morte dei miei genitori.» «Questo mi piace. È una buona mossa aprire con una richiesta che sappiamo in anticipo lui non soddisferà mai. Che altro?» «Francamente non m'importa nient'altro, al di là del fatto che avremo bisogno di qualcosa con cui 'sanzionarlo' in caso lui rinneghi l'accordo in futuro.» «Lasci che ci pensi un po' sopra. La richiamo quando l'incontro si sarà concluso.» «Incontro che si svolgerà dove?» «Ah, no, proprio no. Lei non torcerà un capello a nessuno mentre io mi occupo di questa faccenda, o farà meglio a procurarsi un altro avvocato da subito. Non ho nessuna intenzione di essere complice in un omicidio.» «Oh, va bene: vorrà dire che per un po' non assassinerò nessuno.» Lo disse come una bambina che stesse promettendo di fare la brava. «Okay, allora. A dopo.» Stone dettò alcune note a Joan, le lesse mentre uscivano dalla stampante e le rilesse poi un'ultima volta. Era pronto. Consultò l'orologio: era anche impaziente di procedere. 42 Sir Edward e Carpenter furono puntuali. Stone li fece accomodare nella sala da pranzo. «Qualcosa da bere?» esordì. «Dopo, forse», rispose Sir Edward. «Veniamo al dunque.» Stone si sedette. «Marie-Thérèse du Bois è disponibile a incontrarla in un luogo pubblico, che sarà lei a scegliere, sotto strette misure di sicurezza, che sarà sempre lei a definire.» «D'accordo», disse Sir Edward. «Previa mia approvazione del luogo in questione.» «Lei si è offerto d'incontrarla in un luogo di sua scelta. Non saprà qual è il posto fino a quando non ci sarà arrivato. E se nel mentre lei dovesse cominciare a preoccuparsi, potrà sempre abbandonare il campo.» «In che modo La Biche organizzerà l'incontro?» «Lei andrà in un luogo pubblico, Sir Edward, dove verrà contattato via
cellulare e indirizzato da un'altra parte, e poi da un'altra parte ancora, avanti così fino a quando Marie-Thérèse non sarà certa che lei non si è portato dietro compagnia. Allora, e solo allora, l'incontro avrà luogo.» «D'accordo», ripeté Sir Edward. «Marie-Thérèse richiederà da lei, da lei personalmente, scuse scritte, su carta intestata del suo ufficio, per la morte dei suoi genitori.» Sir Edward si gonfiò di almeno un'atmosfera. «Questo è del tutto fuori discussione.» «Più un risarcimento finanziario», aggiunse Stone. «E questo è patentemente ridicolo», disse Sir Edward. «Davvero? Ci pensi sopra un momento, Sir Edward. Su sue direttive, operatori della sua divisione hanno teso un'imboscata alla famiglia di Marie-Thérèse e hanno deliberatamente distrutto il loro veicolo su una strada di grande traffico, assassinando il padre e la madre. Questo è, con ogni evidenza, un atto criminale che comporta la pena dell'ergastolo in qualsiasi Paese del mondo che abbia un governo democraticamente eletto. Aspetto che però tralasceremo, mantenendoci sul civile.» «Di civile non ci trovo molto», commentò Sir Edward. «'Civile' in contrapposizione a 'penale'. Codici, mi spiego? MarieThérèse, come contropartita delle sue scuse e dell'ammissione di responsabilità per iscritto, nonché del risarcimento monetario, rinuncerà, parimenti per iscritto, al diritto di denunciarla penalmente, e rinuncerà anche a ulteriori azioni legali civili.» «I genitori di quella donna sono stati uccisi nel corso di una guerra», replicò Sir Edward. «Ah, sì? La Gran Bretagna ha quindi dichiarato guerra alla Svizzera e ai suoi cittadini?» «Ma certo che no.» «Quindi, secondo il diritto internazionale, lei parla di una guerra che non esiste.» Carpenter intervenne. «Stone, sono sicura che ti rendi conto che noi non possiamo darle nulla di scritto. Scuse, forse, ma non per iscritto. La Biche potrebbe farle pubblicare.» «È precisamente quella la sua intenzione, in caso voi rinnegaste l'accordo.» «Ridicolo», commentò Sir Edward. «Davvero? Avete la possibilità di rivalsa: potete inserire di nuovo nei network dei servizi segreti e dei dipartimenti di polizia delle varie nazioni
il dossier delle sue attività, e lei torna a essere ricercata. Per converso, anche Marie-Thérèse può fare ricorso, e la possibilità di pubblicare la sua lettera diventa quindi una valida ragione per indurvi a rispettare l'accordo.» «Che cos'altro vuole?» chiese Sir Edward. «Solo queste due cose.» «E quanto vuole in denaro?» «Due milioni di dollari: un milione per ciascun genitore deceduto.» «Neanche a parlarne.» «Mi faccia una controfferta.» Sir Edward confabulò brevemente con Carpenter. «Centomila dollari», disse Carpenter. «Se la state gettando in farsa», Stone cominciò a raccogliere le sue carte, «allora non abbiamo più nulla da dirci.» Altro confabulare. «E va bene», disse Carpenter. «Mezzo milione.» «Un milione», rilanciò Stone. «Tre quarti di milione... di euro», intervenne Sir Edward. «E questa è la mia ultima offerta.» «Ritengo di poter suggerire alla mia cliente di accettarla», convenne Stone. «Per quanto, dopo che si sarà incontrata con lei, la mia cliente si riserva il diritto di rifiutarla.» Sir Edward annuì. «Ho preparato una proposta di testo per la lettera di scuse.» Stone fece scivolare un documento sul piano del tavolo. Sir Edward la passò a Carpenter. «Me la legga.» Carpenter prese la lettera. «'A tutti gli interessati: in data (precisare la data) nella città del Cairo, Egitto, agenti del mio dipartimento, obbedendo a ordini da me impartiti, hanno assassinato due cittadini svizzeri, René e Fatima du Bois, i quali erano innocenti di qualsiasi crimine. Desidero quindi scusarmi in prima persona, e per conto del mio dipartimento, con la loro figlia, mademoiselle Marie-Thérèse du Bois, per questo atto esecrabile. A seguito delle mie azioni, il suddetto dipartimento pagherà la somma di (precisare l'ammontare) a mademoiselle du Bois quale risarcimento per la morte dei suoi genitori. Firma in calce.'» «Avvocato Barrington, vuole scusarci per qualche minuto?» chiese Sir Edward. «Certamente.» Stone si alzò e andò nel suo studio. Udì una conversazione bisbigliata, con Sir Edward che di tanto in tanto alzava la voce. Alla fine, Carpenter
entrò nello studio. «Va bene, vieni pure. E, Stone, non cederà di un solo altro millimetro su quanto stai per udire.» «Sentiamo.» Stone si alzò e tornò nella sala da pranzo. Sir Edward rimase seduto, mascella contratta, lo sguardo piantato addosso all'avvocato. «Ecco la nostra, di lettera», annunciò Carpenter. Quindi lesse un documento scritto a mano: «'A tutti gli interessati: qualche tempo fa, nel corso di un'operazione in Medio Oriente condotta da agenti del servizio segreto militare inglese, due cittadini svizzeri, René e Fatima du Bois, sono rimasti uccisi accidentalmente. Il suddetto dipartimento è rammaricato di tale luttuoso episodio ed estende solidarietà e condoglianze alla figlia delle vittime, mademoiselle Marie-Thérèse du Bois.' È tutto. Nel testo non verrà fatta menzione di risarcimenti di sorta. Sarà scritta su carta intestata del ministero della Difesa». «E non intendo cambiare una sola fottuta sillaba», aggiunse Sir Edward. «Come crede», disse Stone. «Presenti pure la lettera e l'offerta a MarieThérèse durante il vostro incontro.» «Che avverrà quando?» chiese Carpenter. «Ve lo farò sapere una volta che avrò parlato con la mia cliente.» Tutti si alzarono. Stone accompagnò Sir Edward e Carpenter alla porta. Carpenter si trattenne per qualche altro momento. «Stone, credimi sulla parola, da parte di Sir Edward questa è una concessione inaudita. Per favore, riferisci con estrema chiarezza alla tua cliente che il negoziato si conclude qui.» «Glielo dirò.» «Chiamami quando avrai definito l'ora dell'incontro.» Carpenter e Sir Edward si allontanarono dalla casa. Stone rientrò, chiamò Marie-Thérèse al cellulare e le chiese di richiamare da un telefono pubblico. Cosa che lei fece. Quindi le lesse il testo della lettera e le disse dell'offerta in denaro. «La lettera e l'offerta sono entrambe inadeguate», protestò La Biche. «Marie-Thérèse, mi ascolti. I termini sono questi, e non cambieranno. È più di quanto lei abbia mai potuto aspettarsi di ricavare. Nel modo più pressante le suggerisco di accettare.» Seguì una lunga pausa. «D'accordo, ma, quando lo incontrerò, Sir Edward dovrà scusarsi con me di persona.» «Questo potrà chiederglielo all'incontro, ma non si aspetti che lui lo fac-
cia.» «Va bene. Ora, in che modo impediamo a questa gente di farmi fuori?» «Ho alcune idee in merito.» Stone le spiegò quali. «Mi piacciono le sue idee», approvò Marie-Thérèse. «Dica a Sir Edward di trovarsi alla pista di pattinaggio del Rockefeller Center domani pomeriggio alle tre.» «Bingo.» Stone riappese. Poi chiamò Dino. 43 Stone aveva scolato metà del suo primo bourbon quando Dino arrivò da Elaine. Il tenente diede un bacio alla proprietaria e si sistemò al tavolo di fronte a Stone. «Laphroaig con ghiaccio», ordinò al cameriere. «Ti sei messo a bere puro malto, adesso?» chiese Stone. «Solo quando il conto lo paghi tu», rispose Dino. «Sempre meglio di quella tua specie di risciacquatura di granturco.» «Il bourbon di granturco ha dieci anni d'invecchiamento in botti di quercia», ribatté Stone. «Inoltre, è un classico della libagione americana.» «Magnifico, fatti dare la Medaglia d'Onore del Congresso. Che succede?» «Ho bisogno del tuo aiuto.» «Che novità!» «Impedirai un altro omicidio nelle strade di New York, per cui è come se stessi semplicemente facendo il tuo lavoro.» «Non sai quanto sono eccitato al solo pensiero di sentire quale sia la tua idea su quello che è il mio lavoro.» «Va bene, va bene, fa' attenzione: è roba complicata.» «Ce la metto tutta, basta che tu non vada oltre le due sillabe a parola.» «Effettivamente...» «E ne abbiamo già sei, di sillabe.» «Dino, tappati la bocca e ascolta.» «Mi porti un altro Laphroaig con ghiaccio?» disse Dino prendendo il cameriere al volo. «Ma se non hai nemmeno finito quello che stai bevendo», commentò Stone. «Giusto, ma tu andrai avanti a parlare per un pezzo, e non voglio interromperti nel bel mezzo della conclone.»
«Lo hai appena fatto.» «Dopo questa, vai tranquillo.» «Ho organizzato un incontro fra il capo della divisione di Carpenter e La Biche, per cui...» «Uò-uò-uò!» Dino per poco non urlò. «Non conosci né l'uno né l'altra... Come cazzo ci sei riuscito?» «Dall'ultima volta che ho visto te, ho conosciuto l'uno e l'altra.» «E, l'ultima volta che io ho visto te, eri tutto agitato per il fatto che loro fossero intenzionati a far fuori lei.» «Sono ancora tutto agitato, e sto cercando di evitare che accada. Per questo mi serve il tuo aiuto.» «Okay, aspetta un momento, c'è una cosa che voglio sapere.» «Cosa?» «Che cosa ci facevano quattro ex poliziotti appostati fuori in strada e seduti adesso qui dentro il bar?» «Fanno in modo che io non venga seguito.» «Stone, sei diventato paranoico tutto d'un colpo?» «Dino, se tu mi lasci parlare per cinque minuti senza interrompermi, tutte le tue domande avranno risposta, te lo prometto.» «Ti ascolto.» «No, invece, continui a fare domande.» «Sbagliato, sì che ti ascolto, guarda qui...» Dino appoggiò il mento al palmo della mano con espressione rapita. «Sono tutt'orecchi.» «D'accordo, dal principio: ho organizzato un incontro fra La Biche e Sir Edward Fieldstone...» «Ma gli inglesi dov'è che li trovano questi nomi balordi?» Dino scosse la testa. «Amico, adesso dacci un taglio e stammi a sentire.» Dino chiuse un'invisibile cerniera lampo sulle proprie labbra. «...il quale Fieldstone è il capo del servizio segreto di Carpenter. Ha proposto una tregua fra la sua banda e La Biche: in breve, la faranno finita di spararsi in bocca a vicenda.» Dino scosse il capo e sghignazzò. «Dino...» «Non ho detto una sola parola, trovo la cosa divertente.» «Le due controparti non la trovano divertente nemmeno un po'.» «Ops, ma pensa... A proposito, quanti sono i tizi di questo Fieldstone che La Biche ha depennato?»
«Troppi, per questo lui vuole una tregua. Così ho organizzato l'incontro fra loro.» «Ma si è bevuta il cervello, la squinzia? Nel momento stesso in cui si farà vedere, gli inglesi le pianteranno una palla nel cranio.» «Proprio quello che sto cercando d'impedire... con il tuo aiuto.» «Vuoi che le procuri un qualche giubbetto antiproiettile?» «Non è tra le idee peggiori che ti siano venute, ma, no, non credo che sarà necessario.» «Va bene, quanto a me, cercherò di trovarmi a un minimo di dieci isolati di distanza dal punto in cui questo incontro avrà luogo.» «Proprio dove non voglio che tu ti trovi.» «Traduzione?» «Voglio che tu sia nel punto esatto dell'incontro.» Un'espressione di totale incredulità apparve sul volto di Dino. «Cerca di ascoltarmi, Dino.» «Ascoltare cosa? Vuoi che il proiettile destinato alla squinzia me lo prenda io?» «No. E, se là ci sarai anche tu, nessuno prenderà nessun proiettile.» «Questo come facciamo a saperlo?» chiese Dino. «Sul serio, Stone, quello che vorrei sapere è in che modo la mia presenza impedirebbe agli 007 di staccare la spina alla Biche.» «Dino, tu sei un tenente del Dipartimento di polizia di New York. Non è nel loro interesse uccidere uno come te. Per questo non spareranno se vicino a lei ci sarai tu, e loro lo sanno.» «E questo incontro avrà luogo dove?» «Non lo so.» «Cosa?» «Non lo so ancora.» «Riavvolgiamo il nastro un momento», disse Dino. «Come hai fatto e metterti in contatto con La Biche?» «Il suo numero di cellulare me lo ha dato Bobby, il barman.» «Vuoi dire Bobby, quel barman lì?» indicò Dino. «Quel barman lì.» «Fammi capire bene: signore e signori, volete mettervi in contatto con una terrorista internazionale che colleziona cadaveri alla grande? Nessun problema: parlate con Bobby, il barman di Elaine!» «In questo caso, è andata proprio così. Vedi...» «Però! L'avevo davvero sottovalutato, il nostro Bobby. E io che pensavo
che versasse i margaritas e basta. Invece no: è il principale contatto tra spie e assassini.» «Hai presente la notte in cui l'hai arrestata qui fuori?» «Qualche vago ricordo...» «La Biche era seduta al bar, a chiacchierare con Bobby. Lui le ha chiesto il numero di telefono e lei glielo ha dato. Quello del suo cellulare.» «Cristo, vorrei averci pensato quando l'avevamo in stato di fermo. Nel momento in cui avesse ammazzato il prossimo sventurato, sarebbe stato molto più facile mettersi in contatto con lei.» «Dino, è andata veramente così. L'ho chiamata e l'ho incontrata...» «E perché diavolo hai fatto una cazzata del genere? Questo addirittura dopo quell'articolo cretino apparso sul Post...» «Perché era proprio di quell'articolo cretino che volevo parlare con lei. Per spiegarle che non avevo niente a che vedere con i tentativi di assassinarla. Non volevo averla alle costole.» «E lei ti ha creduto sulla parola? Non è affatto in gamba quanto pensavo.» «Invece è molto, molto in gamba, fidati. E, se tu decidi di starci, riuscirò a organizzare l'incontro e a evitare che la uccidano.» «Ma sì, ma sì, ci sto. Sono anni che non faccio più una cosa tanto folle.» «D'accordo», disse Stone. «Allora senti come ce la giochiamo.» Dino continuò ad ascoltare con espressione intenta. Una volta che Stone ebbe finito, scoppiò in una risata. «Gesù, fenomenale! E cosa facciamo quando la quarta guerra mondiale scoppia per le strade di Manhattan?» «Te lo garantisco, Dino: funzionerà.» «Preghiamo il Signore onnipotente che tu abbia ragione, perché se invece non funziona sarà la mia pelle che finirà appesa a seccare al sole.» «Assieme alla mia.» «Sai che mi frega della tua!» sbottò Dino. 44 Sir Edward Fieldstone era immobile nel centro del Rockefeller Center facendo finta di guardare i pattinatori. Non gli piaceva trovarsi in mezzo a tutti quegli... individui... quegli stranieri, quegli ex sudditi dell'impero britannico, quegli americani che parlavano con un accento che immaginò fosse la cadenza diffusa a Brooklyn. La sua idea riguardo agli agenti di New
York era stata plasmata dai grandi film sulla seconda guerra mondiale, specialmente film americani. Per lui, il classico newyorkese era il corpulento attore William Bendix. Rimase là in piedi, sempre più irritato, per almeno dodici minuti prima che il cellulare che teneva in mano si mettesse a vibrare. Lo aprì e se lo portò all'orecchio. «Sì?» «Buon pomeriggio, Sir Edward», esordì Marie-Thérèse du Bois. «Se lo dice lei, che è buono.» «Andiamo, andiamo, non deve affatto rivelarsi spiacevole.» L'irritazione, e lo spesso giubbetto antiproiettile che indossava sotto la giacca, avevano cominciato a farlo sudare. «Vogliamo cortesemente procedere?» «Ma certo. Cammini lungo West 50th Street in direzione ovest, alla sua destra. Quando arriverà in 6th Avenue, attraversi e giri a sinistra.» «Che cosa...» La comunicazione venne troncata. «Devo dirigermi a ovest lungo 50th Street, attraversare 6th Avenue, girare a sinistra.» Sir Edward chinò il capo, augurandosi che il microfono appuntato sul retro del bavero della giacca funzionasse. «Il nostro furgone-appoggio non sarà in grado di seguirla, signore», rispose Carpenter. «Il traffico su 6th Avenue scorre verso nord, mentre lei si dirigerà a sud. Non credo che possiamo correre il rischio di darle appoggio a piedi. Ma l'elicottero continuerà a tenerla d'occhio.» Sir Edward sollevò lo sguardo. «Non guardi in alto», intervenne Carpenter. «E cerchi di non abbassare la testa quando parla. Il microfono riesce ad assorbire la sua voce. Parli il meno possibile e, quando parla, cerchi di non muovere le labbra.» Dunque cosa doveva diventare adesso, un dannato ventriloquo? Detestava visceralmente l'idea di essersi fatto convincere da Carpenter a prestarsi a quella insana farsa. Per contro, si era trovato costretto ad ammettere che era la loro unica possibilità di eliminare La Biche. Cominciò a camminare. Raggiunta 6th Avenue, attraversò la grande arteria e si diresse con calma verso sud. Non gli piaceva, 6th Avenue: era piena di taxi, di gente sgradevole e di quegli orribili venditori ambulanti di cibo del Terzo mondo il cui lezzo ammorbava l'aria. Il suo cellulare vibrò di nuovo. «Sì?» «Al prossimo incrocio, attraversi di nuovo la strada e continui verso sud.» Sir Edward seguì le istruzioni della Biche, resistendo alla tentazione di
gettare uno sguardo alle proprie spalle. E, in ogni caso, non c'era nessuno alle sue spalle, a meno che La Biche non avesse dei complici. Il cellulare di Stone si mise a suonare. «Pronto?» «Sono Cantor. L'inglese ha attraversato 6th Avenue e sta andando a sud. Nessuno dei miei ragazzi è stato in grado di capire se sia seguito. Forse non ha dietro nessuno.» «Bene.» Stone interruppe la comunicazione. Sir Edward percorse quasi otto isolati senza ricevere altre istruzioni. Detestava andare a piedi, particolarmente a New York. Preferiva muoversi a bordo di una macchina con autista. Il suo cellulare vibrò. «Sì?» «Attraversi 42nd Street, poi giri a sinistra ed entri nel Bryant Park, dietro la biblioteca pubblica. Si fermi dopo dieci passi e rimanga ad aspettare la telefonata.» La Biche chiuse. «Mi sta dirigendo nel parco dietro la biblioteca», disse Sir Edward parlando al vuoto attorno a lui. «Quasi non riesco a credere a simile fortuna», replicò Carpenter. «A meno che il luogo finale dell'incontro non sia quello.» «Mi ha detto di fermarmi poco dopo aver fatto ingresso nel parco. Ritiene che La Biche aprirà il fuoco?» «No, signore, non ritengo che lo farà. Ora mi ascolti: una volta che La Biche si sarà esposta, il suo segnale di aprire il fuoco sarà togliersi il cappello, ravviarsi i capelli e rimettersi il cappello.» «Questo credo di ricordarlo», disse Sir Edward. «Quanto a lei, si accerti che il suo uomo non manchi il bersaglio.» «Userà un'arma dotata di stabilizzatore giroscopico», ribatté Carpenter. «Il movimento dell'elicottero non avrà nessun effetto.» Scoccò uno sguardo a Mason, in piedi accanto a lei nell'abitacolo dell'elicottero, assicurato da un'imbracatura di cinghie di nylon ad alta resistenza, cappello da baseball con la visiera ruotata sulla nuca. Carpenter pensava che avesse un aspetto ridicolo. «Voglia il cielo che lei abbia ragione.» Sir Edward attraversò 42nd Street, percorse qualche metro ancora, quindi svoltò nel Bryant Park. Contò dieci passi e si fermò. Il cellulare vibrò di nuovo. «Sì?» «Molto bene, Sir Edward. Vede quella fila di panchine alla sua destra, nel centro del parco?»
«La vedo.» «Vada a sedersi sulla quarta panchina, all'estremità verso 6th Avenue.» Sir Edward osservò le panchine: formavano una linea con spazi di circa un metro fra l'una e l'altra. Le contò e si sedette sulla panchina che gli era stata indicata. Girò uno sguardo attorno. «Che cosa succede?» disse Carpenter. «Mi ha detto di sedermi qui.» «Nient'altro?» «No.» «Aspettiamo di vedere che altro accade.» «Non vedo altra alternativa», replicò Sir Edward. «A meno che La Biche non mi abbia già nel mirino.» Qualcuno venne a sedersi sulla panchina, proprio accanto a lui. «Un momento, chi è quello?» chiese Carpenter. «Chi è quel tizio con il cappello?» «Buon pomeriggio, Sir Edward», disse il tizio con il cappello. «Barrington? Che ci fa lei qui? L'incontro deve svolgersi tra mademoiselle du Bois e me.» «Stone Barrington è lì con lei?» chiese Carpenter. «Sì», rispose Sir Edward. «'Sì' cosa?» domandò Stone. «Non è con lei che stavo parlando», ribatté Sir Edward. «E con chi stava parlando?» «Ah, tra me e me. Mademoiselle du Bois dov'è?» «Arriverà al momento opportuno», disse Stone. Sir Edward si guardò attorno di nuovo. Il parco era parecchio affollato di gente di tutti i tipi. Chi di loro poteva essere la donna? La derelitta che spingeva il carrello del supermercato pieno dei suoi miserabili averi? La donna in tailleur con la valigetta professionale? La ragazza con i pattini a rotelle? «Allora, dov'è?» «Si rilassi, Sir Edward», rispose Stone. Sul marciapiede dietro le panchine, un uomo in vestito intero e cappello stava spingendo una sedia a rotelle con sopra una vecchia, piegata in avanti, una grossa borsa in grembo. Sir Edward continuò a scrutare, cercando d'individuare La Biche. La sedia a rotelle venne a fermarsi tra la panchina di Sir Edward e la panchina successiva. L'uomo si chinò in avanti, parlando alla vecchia, che
poteva essere sua madre. «Ecco, cara, sei comoda qui?» «Molto comoda.» Era la voce di una vecchia. Dopo di che la medesima vecchia allungò una mano e tolse il piccolo auricolare dall'orecchio di Sir Edward. «Di nuovo buon pomeriggio, Sir Edward.» Adesso la sua voce non era più quella di una vecchia. E parlava con il medesimo accento inglese di Sir Edward Fieldstone. «Sono Marie-Thérèse du Bois. Posso presentarle il tenente Dino Bacchetti, del Dipartimento di polizia di New York?» «Come butta, Sir Edward?» disse Dino. Era sempre chinato sulla sedia a rotelle. La sua testa vicinissima a quella di Marie-Thérèse. 45 Sir Edward si guardò nuovamente attorno. «Sono circondato», sussurrò nel microfono al bavero, abbassando la testa. A Marie-Thérèse bastò un battito di ciglia per localizzare l'apparecchio e staccarlo dalla giacca. «Sir Edward è perfettamente al sicuro», disse nel microfono. «E voglio sottolineare che un attentato contro di me finirà con ogni probabilità per coinvolgere il tenente Bacchetti o l'avvocato Barrington, o entrambi. Se qualcosa del genere dovesse accadere, il New York Times avrà la storia ancor prima che le ambulanze arrivino sulla scena.» La Biche inserì nel proprio orecchio l'auricolare di Sir Edward. «Mi avete ricevuto forte e chiaro?» Sir Edward si tolse il cappello, si passò le dita tra i capelli e tornò a rimettersi il cappello. Carpenter, a bordo dell'elicottero, guardò Mason, il quale scosse il capo. «Niente da fare», disse lui. «Non penso che vogliamo fare un buco in testa a un poliziotto di New York, o sbaglio? Per non parlare del tuo ganzo.» «La ricevo forte e chiaro», disse Carpenter nel microfono. «E allora, cortesemente, andate a librarvi sull'East River», replicò MarieThérèse. «Continuerete a essere in grado di monitorare le nostre trasmissioni, ma non vorrete rendermi nervosa svolazzando qui sopra, o sbaglio?» Mason spense la propria cuffia radio. «In quanto tempo possiamo mandare gente in quel parco?» «Direi quattro minuti, se lo fanno di corsa.»
«Sembra proprio che siamo incastrati, non ti pare?» Carpenter riaccese la cuffia. «Pilota, dirigiti verso l'East River e resta stazionario sul fiume», disse, in modo che La Biche potesse udirla. Quindi passò sul canale due. «A tutte le unità: convergete sul Bryant Park, dietro la biblioteca pubblica. Il bersaglio è seduto accanto all'Architetto. Usate estrema cautela. Non aprite il fuoco a meno che non siate assolutamente certi di evitare danni collaterali.» «Molte grazie», rispose Marie-Thérèse. Osservò l'elicottero virare in direzione est, allontanandosi sopra 42nd Street. Si protese in avanti sulla sedia a rotelle, in modo da vedere Stone. «D'accordo, procediamo.» «Non ci vorrà molto prima che arrivi la cavalleria di Sir Edward», commentò Dino. «Sir Edward», riprese Stone, «ha portato la lettera?» Sir Edward infilò una mano nella tasca interna, tirò fuori una busta e la tese a Stone. Stone sfilò la lettera e lesse il testo, quindi passò il documento a MarieThérèse. «Come stabilito.» La Biche esaminò la lettera. «E il denaro?» Sir Edward tirò fuori una seconda busta. «Ecco la ricevuta di versamento presso la Bank of Manhattan Trust Company. Chiami il numero in cima alla pagina, usi la parola in codice 'struttura' e la banca le farà pervenire i fondi su qualsiasi conto in qualunque parte del mondo. Questa transazione è irrevocabile da parte mia.» «È di certo quanto mi auguro, Sir Edward, soprattutto per lei. Un qualsiasi problema, e lei avrà violato l'accordo.» «Ritengo di dover avere da lei una ricevuta firmata», disse Sir Edward. Marie-Thérèse gli diede una lettera. Sir Edward la guardò, quindi se la mise in tasca. «Soddisfacente», dichiarò. «D'accordo allora, andiamo», disse Marie-Thérèse. «Sir Edward, lei spingerà la sedia a rotelle.» «Che cosa? Io non intendo andare proprio da nessuna parte.» «Entriamo tutti nella biblioteca. È uno splendido edificio, le piacerà moltissimo.» «Ci vorranno solo un paio di minuti, Sir Edward», insistette Stone. «Per favore, non renda le cose più difficili.» Il quartetto si mise in movimento. Sir Edward che spingeva la sedia a rotelle, Stone e Dino ai lati di Marie-Thérèse. Entrarono nella biblioteca da
una porta laterale e salirono in ascensore al livello principale. «Fermi qui», disse Marie-Thérèse. «Sir Edward, lei accompagnerà questi signori all'ingresso principale della biblioteca, dopo di che sarà libero di andare dove vuole.» La Biche afferrò le ruote della sedia, dirigendosi verso la porta del bagno con l'insegna degli handicappati. «Andiamo.» Stone indicò la direzione a Sir Edward. Marie-Thérèse chiuse la porta alle proprie spalle. Dalla grossa borsa che aveva con sé estrasse degli abiti e una parrucca. Una rapida occhiata a se stessa nello specchio e uscì dal bagno, abbandonando la sedia a rotelle e gli altri vestiti. Tornò nel Bryant Park e si diresse verso 6th Avenue. Mentre arrivava sul marciapiede, una mezza dozzina di uomini la oltrepassò correndo in direzione opposta. Nessuno di loro la degnò di un'occhiata mentre alzava la mano per fermare un taxi. Stone si fermò in cima alla scalinata sul fronte della biblioteca. «La nostra transazione si conclude qui, Sir Edward.» «Vorrà dire la nostra fottuta transazione, Barrington», replicò Sir Edward. «Lei semplicemente non ha potuto giocare pulito, o sbaglio? Alla faccia della parola dei gentiluomini inglesi.» «Vada a farsi fottere, avvocaticchio.» Il sudore scorreva a fiumi sul volto di Sir Edward. «E lei vada a togliersi quel giubbetto antiproiettile, prima che le scoppino le coronarie», intervenne Dino. «Andiamo, Stone.» Fu il primo a scendere l'ampia scalinata, Stone sulla sua scia. Salirono a bordo della macchina di Dino, in attesa presso il marciapiede. «Dove si va?» «A casa, direi», rispose Stone. «E Marie-Thérèse? Dov'è adesso?» «Non lo so. E non voglio saperlo.» Marie-Thérèse aprì il cellulare e compose il numero stampato sulla ricevuta bancaria che le aveva dato Sir Edward. «Ufficio trasferimento fondi», rispose una voce di donna. Marie-Thérèse le lesse il numero del conto sul documento che aveva in mano.
«Il suo codice, prego?» «Struttura.» «Accettato. Le sue istruzioni, prego?» «Trasferite l'intera somma al seguente conto presso la Saint George Bank, isole Cayman.» La Biche recitò la sequenza numerica. La donna all'altro capo la ripeté per conferma. «I fondi saranno disponibili su questo conto domani mattina», dichiarò. «Perché non oggi?» «I trasferimenti devono essere richiesti entro le due del pomeriggio. Diversamente, l'operazione viene compiuta il giorno lavorativo seguente.» «Faccia un'eccezione», disse Marie-Thérèse. «Temo che questa sia una regola inderogabile di tutte le banche nazionali», replicò la donna. «Buona giornata.» Riappese. Marie-Thérèse compose il numero del cellulare di Stone. «Sì?» «La banca non trasferirà la somma fino a domani mattina.» «È normale. I trasferimenti vanno richiesti prima delle due.» «D'accordo», disse Marie-Thérèse. «Verificherò con la mia banca domani, e se i fondi non ci saranno...» «Oh, no, per favore, mi risparmi.» «Mi rimetterò in contatto con lei nel caso i fondi non ci siano.» «Preferirei che lei non si rimettesse mai più in contatto con me, MarieThérèse.» «E che mi dice della sua parcella?» «Consideri i miei servizi come pro bono», rispose Stone. «Ora, cortesemente, svanisca. E le auguro davvero buona fortuna.» «Dia un'occhiata nella tasca della sua giacca», concluse Marie-Thérèse. «La ringrazio per tutto il suo aiuto, Stone.» La Biche chiuse la comunicazione. Stone si tastò le tasche. C'era qualcosa in una di esse. Tirò fuori una busta. Conteneva un compatto fascio di banconote, tutte da cento dollari. «A occhio e croce direi che sono dieci bigliettoni», valutò Dino. «Non dimenticare di dichiararli al fisco. E indovina un po'? Stasera offri tu la cena.» 46 Stone e Dino si erano appeni seduti da Elaine quando Carpenter entrò
nel ristorante. Dino le fece cenno di accomodarsi. Stone ignorò il saluto che lei gli rivolse. «Prendo la stessa cosa che sta bevendo Dino», ordinò Carpenter al cameriere. «Un ottimo puro malto», precisò Dino. «Tanto paga Stone.» «Che giornata, eh?» disse Carpenter. Il cameriere le portò il drink, Carpenter sollevò il bicchiere. «A un lavoro ben fatto da parte dell'ufficio legale Barrington & Bacchetti.» Dino sollevò a sua volta il bicchiere. «Ci sto.» Stone lasciò il proprio bicchiere sul tavolo. «Ma che diavolo hai?» chiese Dino. «Carpenter era su quell'elicottero», gli rispose Stone. Si rivolse a Carpenter. «E chi era il grilletto? Mason?» «Qualche anno fa, Mason era il miglior tiratore del SAS», rispose Carpenter. «Cerca di tenersi in allenamento.» «Ma eri tu a dirigere la musica, o no?» «No, la dirigeva Sir Edward: nel momento in cui si è tolto il cappello. Io l'ho fermata, la musica.» «Ma non era questo che avresti fatto, se Dino non fosse stato là, o sbaglio?» «Se tu e Dino non foste stati là. Mossa molto abile da parte tua.» «Sapevo che era l'unico modo per tenere La Biche in vita.» «Difatti.» «Bene, ho anche imparato qualcosa da questa esperienza», disse Stone. «Vale a dire?» chiese Carpenter. «Mai fidarsi di un gentiluomo inglese. O di una gentildonna inglese, giusto per restare in argomento.» «Usando una di quelle vostre magnifiche espressioni mafiose», replicò Carpenter, «niente di personale, solo affari.» «Mi perdonerai se io invece la metto sul personale.» «Problema tuo.» «Stone e io non la vediamo allo stesso modo sulla faccenda», intervenne Dino. «Io capisco la tua posizione, Felicity. Provo addirittura una certa solidarietà.» «Ti ringrazio», disse lei. «Fa piacere sapere di avere la solidarietà almeno di qualcuno.» Stone diede un'occhiata al menu. «Mangiamo qualcosa?»
«Muoio di fame», rispose Carpenter. «Prendo quello che prende Dino.» «Ottima mossa», commentò il tenente. «Noi due proviamo l'ossobuco», disse al cameriere. «Lo proviamo in tre», aggiunse Stone. «E di' a Barry di farceli con la polenta, invece che con la pasta. Portaci anche una bottiglia di Amarone.» «Perché preferisci la polenta alla pasta?» chiese Carpenter. «È la mia cravatta a preferirla», rispose Stone. «Infilati il tovagliolo nel colletto, come fanno gli inglesi.» «È quello che intendo fare, anche con la polenta.» «Dunque», disse Dino, inserendosi nuovamente nella conversazione, «adesso che progetti hai, Felicity?» «Oh, potrei rimanere a New York per un po'. È tempo che torni a occuparmi del lavoro che dovevo svolgere qui, prima che La Biche lo interrompesse tanto rudemente.» «E che genere di lavoro è?» «Temo di non poterne parlare, Dino.» «Teme che il Dipartimento di polizia di New York possa interferire», spiegò Stone. «Nel corso degli ultimissimi giorni, Carpenter e la sua squadra hanno infranto più leggi di un'intera cosca mafiosa.» «Bene, basta che non le infrangano nella giurisdizione del diciannovesimo distretto e non spaventino i ragazzi delle autopattuglie.» Elaine venne a sedersi con loro. «Allora?» Stone scrollò le spalle. «Un vero peccato che tu non fossi qui solo un minuto fa», le disse Dino. «Ti sei persa una bella sparata di etica oltraggiata da parte del nostro Stone.» «Ah, sì? Non capita spesso da queste parti, tranne quando gli Yankees o i Knicks perdono il campionato.» La cena venne servita ed Elaine si spostò a un altro tavolo. «Davvero eccellente», commentò Carpenter. «Il meglio di New York», approvò Dino. «Anche meglio di quello che si mangia in Italia, ora che ci penso.» Stone mangiò soltanto metà della cena. «Che c'è ancora?» chiese Dino. «Non ti ho mai visto piantare lì un ossobuco.» «Continuo a pensare a questo pomeriggio, credo, la qual cosa non giova affatto al mio appetito.» Fece cenno a un cameriere. «Wild Turkey con ghiaccio.»
«Non hai ancora finito il vino», fece notare Carpenter. Stone versò il contenuto del proprio bicchiere in quello di lei. «Finiscilo tu. Questa sera il vino non è abbastanza forte.» Il bourbon arrivò, e Stone ne ingollò una dose massiccia. «Uh-oh», fece Dino. «Mi sa che questa sera lo faccio riportare a casa da un'autopattuglia.» «Succede spesso?» chiese Carpenter. «Un paio di volte all'anno, forse. Di solito a causa di una donna.» «Questa sera è a causa di una donna», sottolineò Stone. «Una che conosciamo?» chiese Dino. Per la prima volta quella sera Stone guardò Carpenter dritto negli occhi. «Diciamo che non si trova a cento miglia da questo tavolo.» «Oh, quanto adoro l'idea di essere in grado di spingere un uomo nel baratro dell'alcolismo», disse Carpenter. Stone fissò il fondo del bicchiere di bourbon. «Tu proprio non ci arrivi, o sbaglio?» insistette Carpenter. «No, io proprio non ci arrivo.» «Questa è una guerra, Stone, e noi vogliamo vincerla.» «Avete vinto la prima guerra mondiale lasciando sul campo un milione di uomini, un'intera generazione di comando. Avete vinto anche la seconda guerra mondiale, ritrovandovi con le vostre città e le vostre industrie ridotte a montagne di rovine, e perdendo il vostro impero. Questa volta cos'è che sperate di vincere?» Carpenter scrollò le spalle. «Una sorta di pace.» «A quale prezzo?» «Quello che sarà necessario pagare.» «Ammiro la vostra dedizione», disse Stone. «Ma non le vostre tattiche.» «In tutti i Paesi - Stati Uniti compresi - esistono persone, poche, molto poche, pronte a fare quanto è necessario per il bene di tutti. Al grande pubblico non importa e, mentre noi ripuliamo la morchia lasciata dalla politica estera, guarda dall'altra parte.» «Sia ringraziato il cielo per quelle poche, molto poche persone.» Stone sollevò il bicchiere. Mandò giù un'altra dose. «Quelle che mi fanno vomitare.» «Ehi, calma, non è che vomiti nella mia auto della polizia, vero?» intervenne Dino. «Vomito su questo tavolo se la conversazione va avanti.» «Dino, non vuoi provare a spiegarglielo tu?» disse Carpenter.
«Non capirebbe.» «Oh, ma io capisco, eccome», replicò Stone. «Ed è proprio quello che capisco a darmi la nausea.» Carpenter gettò il tovagliolo sul tavolo e vuotò il bicchiere di vino rosso. «Bene, non credo di aver molta voglia di farti vomitare.» Si alzò. «Hai anche solo una vaga idea di quello che accadrà domani?» chiese Stone. «Che cosa accadrà domani?» «Marie-Thérèse du Bois scoprirà che il denaro che Sir Edward le ha promesso non è sul suo conto. O almeno questo è l'odore che sento, dopo la mia esperienza di oggi con Sir Edward. E, se lui è effettivamente il bifronte che io penso che sia, nelle strade scorrerà il sangue: il tuo sangue, e quello di Sir Edward, e quello di Mason, e di chiunque altro nel vostro servizio sarà fesso al punto di mettere il naso fuori di casa.» «Per cui tu pensi che dovremmo lasciare tutti la città? Scappare?» «Penso che dovreste lasciare il pianeta, ammesso e non concesso che ci riusciate. Voi non avete ancora capito quanto è determinata questa donna, né di che cosa è capace. Con lei avete sgarrato una volta, e avete perso una mezza dozzina di uomini. Se avete sgarrato una seconda volta, bene, allora questa ecatombe finirà solo quando voi sarete tutti morti... oppure quando lei sarà morta.» «Felicity, domani quei soldi saranno nella banca della Biche, vero?» chiese Dino. Carpenter fissò Dino. «Ci saranno», affermò, girandosi verso Stone. «Ho effettuato io il trasferimento dei fondi. E adesso me ne vado da qui. Prima di essere io a vomitare per questa farsa di superiorità morale dell'avvocato Barrington.» «Di fronte a certa gente, è facile essere moralmente superiori», ribatté Stone. Carpenter prese la borsetta e se ne andò. Dino si rivolse a Stone. «Dice che hanno pagato. Forse finirà bene.» «Sta mentendo», replicò Stone. «Non fanno altro, questi soggetti: mentire e uccidere. Non finirà affatto bene, finirà in un disastro. Aspetta e vedrai.» «Il trionfo dell'ottimismo», commentò Dino. 47
Marjorie Harris raggiunse la sua scrivania alla Bank of Manhattan Trust Company con mezz'ora di anticipo, come faceva di solito. Accese il terminale del computer e lanciò il programma per il trasferimento di fondi. Marjorie aveva preparato un elenco delle transazioni richieste il giorno prima, ma arrivate troppo tardi per il termine ultimo delle due del pomeriggio. Tutto quello che doveva fare per eseguirle era verificare una seconda volta le istruzioni e premere il tasto di invio. A quel punto, decine di milioni di dollari sarebbero state trasferite automaticamente alle banche di tutto il mondo nel giro di pochi secondi. Marjorie rimase in attesa delle conferme. Una dopo l'altra, ogni singola transazione venne confermata come effettuata dal computer di un'altra banca. Non c'era nessun intervento umano, anche se in certi casi le istruzioni arrivavano via fax. Eseguito il suo primo compito della giornata, Marjorie aprì il sacchetto di carta del bar all'angolo e tirò fuori una pasta con ripieno al formaggio, una deroga alla dieta, e un caffè nero. Dopo di che si dedicò alle parole incrociate del New York Times. La sua giornata di lavoro semplicemente non poteva cominciare senza che lei finisse quel cruciverba. In quel preciso momento, alle isole Cayman, a sud di Cuba, Hattie Englander entrò nella Saint George Bank e raggiunse la propria scrivania all'ufficio trasferimento fondi. Posò sul tavolo la tazza di caffè e un sandwich uovo e prosciutto, andò alla macchina del fax e rimosse dal vassoio il fascio di messaggi arrivati nel corso della notte e la mattina presto. Udì il lieve suono ronzante nel momento in cui stava per allontanarsi. Hattie sorrise tra sé, quindi tornò a girarsi. «Eccola qui», disse Jamie Shields, passandole una mano calda sul didietro. «Radiosa come il sole del mattino.» Le sollevò la gonna e le abbassò le mutandine. «È bagnata, questa mattina?» le chiese. «Tu sai che lo è.» Hattie si agitò al tocco della mano di lui, poi al tocco di qualcosa di ancora più caldo. Jamie scivolò dentro di lei da dietro. «Che modo magnifico di iniziare la giornata», sussurrò, stabilendo il ritmo giusto. In poco tempo, Hattie fece quello che faceva due o tre volte la settimana: raggiunse l'orgasmo con una serie di brevi ansiti e grugniti soffocati, reggendosi alla macchina del fax per mantenere l'equilibrio. I documenti le caddero di mano, disperdendosi sul pavimento, mentre anche Jamie si associava al coro degli ansiti.
Cinque minuti dopo, all'arrivo degli altri impiegati della banca, Jamie era seduto alla sua scrivania in fondo al locale e Hattie era carponi presso la macchina del fax, intenta a raccogliere i messaggi che le erano sfuggiti di mano. «Che succede?» le chiese il suo capo in tono secco. «Niente, signor Peterson.» Hattie si rialzò. Senza notare un ultimo foglio scivolato sotto la macchina. «Ho lasciato cadere i fax del mattino.» «Se ne occupi immediatamente», disse Peterson, burbero. «Sì, signore», rispose Hattie, prendendo posto alla sua scrivania. Il caffè doveva aspettare. Riordinò i messaggi e li esaminò in fretta. Erano tutti copie dei trasferimenti di fondi effettuati quella mattina o nel corso della notte da altre banche sparse in ogni parte del mondo. Tutti tranne uno: una richiesta di conferma. Un'ora dopo l'orario di apertura, Hattie doveva inviare un fax a un numero in Svizzera, confermando di aver ricevuto un trasferimento di settecentocinquantamila euro dalla Bank of Manhattan Trust Company di New York. Nel caso in cui i fondi fossero stati depositati su un certo conto della Saint George Bank, Hattie avrebbe dovuto ritrasferirli immediatamente a un conto della Swiss Bank, trattenendo soltanto i cinquanta dollari del costo del servizio bancario. Se invece il trasferimento da New York non era arrivato, avrebbe dovuto notificare l'evento alla banca svizzera. Hattie esaminò nuovamente i fax. Il trasferimento da New York non era arrivato. Diede un'occhiata all'orologio: le nove meno venti. Tolse il coperchio di plastica alla tazza di caffè. C'era tutto il tempo di fare colazione prima di verificare di nuovo la macchina del fax alle nove. Hattie cominciò a sorseggiare il caffè e a consumare il sandwich. Alle nove, Hattie controllò di nuovo la macchina del fax. Erano arrivati parecchi altri avvisi di trasferimento, ma non quello della Manhattan Trust. Lanciò il programma fax dal computer e impostò un breve messaggio: Oggetto: trasferimento fondi, 750.000 euro, dalla Bank of Manhattan Trust Company, conferma non ricevuta. Cortesemente, informate il cliente. Hattie spostò il cursore sul comando INVIA FAX e cliccò. Tutto sarebbe stato molto più semplice se il capo avesse completato la procedura computerizzata per occuparsi di tutto quanto in modo automatico, ma i colletti bianchi aspettavano la fine dell'anno fiscale per spendere soldi sugli aggiornamenti. Cinque minuti più tardi, Hattie ricevette un'e-mail dalla Svizzera: Per cortesia, informateci della conferma o della mancata conferma del trasfe-
rimento da parte della Bank of Manhattan Trust Company entro le due del pomeriggio. Hattie passò l'intera mattinata registrando trasferimenti di fondi, il suo appetito che cresceva mentre passava l'una. Era soltanto alle due che avrebbe potuto andare a pranzo. Alle due, Hattie fece un'ulteriore verifica al fax, ma non trovò niente. Prese la borsetta e si diresse alla porta. Proprio sulla soglia le venne in mente qualcosa. Tornò alla sua scrivania, controllò ancora una volta i trasferimenti di fondi, poi scrisse un messaggio per la Svizzera. Trasferimento di 750.000 euro dalla Bank of Manhattan Trust Company non ricevuto in data odierna. Cortesemente, informate il cliente. Dopo di che, la solerte Hattie Englander andò a pranzo. Marie-Thérèse stava facendo colazione nella sua suite al Carlyle quando il cellulare si mise a suonare. «Sì?» «Buongiorno, parla il dottor von Enzberg, da Zurigo», disse una voce maschile sui bassi. «Buongiorno, dottor von Enzberg», rispose Marie-Thérèse. «Lieta di sentirla.» «La Saint George Bank ci ha informato che il trasferimento dalla Bank of Manhattan Trust Company non è stato ricevuto», disse von Enzberg. «Tuttavia, è pressoché certo che arriverà in tarda mattinata. Ho chiesto di venire contattato alle due del pomeriggio, ora locale, in modo da essere informato dell'arrivo dei fondi.» «La ringrazio, dottor von Enzberg. Aspetterò una sua telefonata.» Chiuse il cellulare e riprese a far colazione. Si fermò qualche momento dopo, in preda al nervosismo. Trovò il documento che Sir Edward le aveva dato e compose il numero sulla carta intestata. «Ufficio trasferimento fondi», rispose Marjorie Harris. «Ieri vi ho dato istruzioni per un trasferimento alla Saint George Bank, nelle isole Cayman.» Marie-Thérèse ripeté a Marjorie il numero del conto. «Oh, sì», confermò Marjorie, richiamando la procedura sul terminale del computer. «È stato effettuato questa mattina presto. Dovrebbe averlo già ricevuto.» «La ringrazio.» Marie-Thérèse chiuse la comunicazione, sentendosi meglio. Finì di fare colazione e s'immerse in un bagno caldo. Dove sarebbe andata, a quel punto? Aveva il mondo in tasca. Perfino le nazioni in cui pri-
ma era ricercata adesso non le erano più precluse, a patto di avere un buon passaporto europeo, cosa che poteva ottenere nel giro di ventiquattr'ore. Pensò all'Inghilterra: magari una di quelle graziose case di campagna stile Regina Anna, non troppo distante da Heathrow. Le Cotswold Hills erano perfette, e le piaceva l'idea di vivere nella stessa nazione di Sir Edward. Un pensiero che la fece ridere. Prima di lasciare New York si sarebbe rilassata con un po' di compere. Marie-Thérèse stava provando un vestito all'Emporio Armarti quando il suo cellulare finalmente suonò. Erano passate da poco le due. «Pronto?» «Parla il dottor von Enzberg. Mi è pervenuta la notifica dalla Saint George Bank: nessun trasferimento fondi è stato ricevuto da parte della Bank of Manhattan Trust Company.» «Ne è sicuro?» «Ho chiesto conferma e mi è stata data. Quali sono le sue istruzioni?» «Nessuna», rispose Marie-Thérèse. «Me ne occuperò personalmente.» Chiuse il telefono e si rivolse alla commessa. «Prendo questo vestito, e anche la giacca di tweed.» «Sono due capi perfetti per un viaggio», approvò la ragazza. «Oh, non sono in partenza, non ancora», ribatté Marie-Thérèse. «Prima di andarmene, ho alcune cosette da sistemare a New York nel week-end.» Evidentemente, il numero di telefono della Bank of Manhattan Trust Company era una frode dello spionaggio inglese. La Biche non si sarebbe fatta ingannare di nuovo. Poco prima dell'ora di chiusura, una donna delle pulizie entrò nell'ufficio trasferimento fondi della Saint George Bank per pulire i pavimenti. «Lei sta qui ancora per molto?» chiese alla giovane donna seduta alla scrivania. «Mi sgancio tra un momento», rispose Hattie Englander. La donna delle pulizie afferrò il carrello su cui era sistemata la macchina del fax e lo spinse lontano dalla parete. C'era un foglio di carta sotto il carrello. La donna lo raccolse e lo mostrò a Hattie. «È suo, questo qua?» Hattie diede un'occhiata al documento. «Sì, certo. Dov'è che lo ha trovato?» «Stava sotto la macchina del fax.» «E pensare che l'ho aspettato per tutta la mattina», disse Hattie ridendo.
Controllò l'orologio: in Svizzera gli uffici erano già chiusi. Inviò un messaggio confermando la ricezione dei settecentocinquantamila euro dalla Manhattan Trust e premette il comando di invio. In Svizzera era venerdì sera. Avrebbero trovato la sua e-mail il lunedì successivo. 48 Marie-Thérèse sbadigliò. Era noioso, quel genere di appostamento, ma era anche l'unico modo per tenere sotto controllo gli avversari. Aspettava da quasi due ore in uno dei veicoli più anonimi che circolassero a New York, una Lincoln berlina nera. «Quanto tempo ancora?» chiese l'autista, cortesemente fornito dall'amico di Marie-Thérèse alla rappresentanza. «Tutto il tempo necessario», rispose lei. «Leggi il giornale.» «L'ho già letto.» «Fa' le parole incrociate.» «In lingua inglese non mi vengono mai.» «Allora sta' zitto e basta.» L'autista rimase in silenzio. Erano parcheggiati lungo 3rd Avenue, in prossimità dell'edificio anonimo che ospitava gli individui cui La Biche dava la caccia. La prospettiva sull'ingresso principale, da cui lei distoglieva raramente lo sguardo, era buona. Alla fine qualcosa accadde. Tre grosse 4x4 nere con i cristalli oscurati superarono la Lincoln e andarono a fermarsi di fronte all'ingresso del palazzo. Un momento dopo, apparvero quattro uomini, gettando attorno occhiate guardinghe. «Ci siamo», disse Marie-Thérèse. «Aspetta che quelle tre auto si muovano, poi avvia il motore.» «D'accordo», rispose l'autista. Un uomo e una donna uscirono dall'edificio e salirono in fretta sulla 4x4 al centro. La piccola carovana si mise in movimento. «Muoviamoci», ordinò La Biche. «Resta il più possibile lontano da loro, ma senza perderli.» L'autista segui le istruzioni, e il tragitto fu breve. Le tre 4x4 raggiunsero Park Avenue, svoltarono una prima volta, svoltarono di nuovo su 52nd Street e si fermarono di fronte alla tettoia che sporgeva dall'ingresso del Seagram Building. Quattro uomini smontarono dal veicolo di testa e da quello di coda, guardandosi di nuovo attorno con attenzione. Uno di loro
diede il via libera. Le portiere della 4x4 al centro si aprirono. Tre uomini e una donna scesero ed entrarono nel palazzo. Le tre 4x4 ripartirono, chiaramente alla ricerca di un buon parcheggio. La Lincoln rimase in attesa, ferma lungo Park Avenue. «Lasciami davanti alla tettoia», disse Marie-Thérèse. «Poi gira attorno all'isolato e parcheggia in un punto da cui puoi vedere l'ingresso. Se la polizia ti dà noia, fai vedere il passaporto diplomatico, ma non muoverti da là fino a quando non mi vedrai riapparire.» La berlina andò ad arrestarsi davanti alla tettoia. Marie-Thérèse scese, lisciandosi il corto vestito aderente e tirando fuori un paio di guanti neri corti. Per l'occasione, i suoi capelli erano lunghi e scuri. Entrò nel palazzo e salì l'ampia scalinata. Raggiungendo il secondo piano, vide che il bersaglio si trovava solo pochi metri più avanti. Il suo gruppo, più due guardie del corpo, si stava inoltrando lungo un corridoio che portava alla sala della piscina del Four Seasons. Non era una cosa buona. Il corridoio largo forse tre metri era l'unica via per entrare o uscire da quella sala, eccetto forse la porta della cucina, cui Marie-Thérèse non poteva comunque accedere. Andò a sedersi sullo sgabello d'angolo del grosso banco bar, guardando in direzione est, con il corridoio alla sua sinistra. Dopo un paio di minuti, solo una delle guardie del corpo fece ritorno, verosimilmente dopo aver completato l'ispezione all'ampia sala da pranzo, mentre il suo compagno rimaneva di sorveglianza. Il gorilla andò a piazzarsi dalla parte opposta del bar rispetto a MarieThérèse, rivolto verso ovest, in modo da tenere d'occhio il corridoio. Ordinò un'acqua minerale e si mise a sorseggiarla con lentezza. Non era un inglese, decise Marie-Thérèse. Era vestito male e portava i capelli tagliati troppo corti. Aveva l'aspetto di un uomo d'affari molto giovane e troppo noioso. Marie-Thérèse mise sul banco una banconota da cinquanta dollari e diede un'occhiata all'orologio. «Sono in anticipo per la cena», disse al barman. «Un Tanqueray martini molto secco, per favore, liscio.» «Certo, signora», rispose il barman, dandosi da fare. Quanto tempo ci sarebbe voluto? Il bersaglio era oltre la sessantina, per cui non molto, probabilmente, prima che la cena gli fosse servita. Il giovane gorilla seduto all'altra estremità del bar si alzò, prese il proprio bicchiere e venne a sedersi accanto a lei. Adesso stava voltando le spalle al corridoio che avrebbe dovuto sorvegliare. «Buonasera», esordì. Difatti: un americano.
«Buonasera a lei», rispose Marie-Thérèse in tono distaccato. «Spero di non essere invadente», riprese il giovane gorilla, «ma penso che lei sia molto attraente. Posso offrirle qualcosa da bere?» «La ringrazio, ma ho già qualcosa da bere. Inoltre sto aspettando qualcuno. Sarà qui tra pochi minuti.» «Be', perché non facciamo comunque due chiacchiere?» «Perché no?» «Mi chiamo Burt Pence.» Il giovanotto offrì la destra. «Lei?» «Elvira Moore.» La Biche rispose alla sua stretta. Burt allontanò la banconota da cinquanta dollari, spingendola verso la borsa di Marie-Thérèse. «La prego, non c'è bisogno di questi. Offro io.» Marie-Thérèse prese la banconota e la fece sparire nella borsa, sistemata sullo sgabello alla sua sinistra. «La ringrazio, Burt. Dunque mi dica: lei di che cosa si occupa?» «Sono un agente dell'FBI.» «Non la più originale delle battute.» Burt mise una mano nella tasca interna della giacca, tirò fuori un portatessera, lo aprì e lo posò aperto sul banco. «Ma guarda. È proprio vero.» Marie-Thérèse prese il portatessera e lo esaminò da vicino. «E quale segretissima missione sta compiendo qui al Four Seasons? Mi auguro che abbia un conto spese.» «In realtà non sono qui per cenare», rispose Burt. «Sono in servizio.» «Sul serio?» Marie-Thérèse fece la parte della donna molto interessata. «Che genere di servizio?» Burt si guardò attorno con aria guardinga, come se temesse che qualcuno potesse udirlo. «Protezione del direttore dell'FBI e del capo del servizio segreto inglese.» Marie-Thérèse si guardò attorno a sua volta. «E dove sono, questi importanti personaggi?» «Nell'altra sala, in fondo al corridoio. Di guardia là c'è il mio collega.» «Da che cosa li state proteggendo?» «Oh, niente di speciale. Voglio dire, non c'è nessuna minaccia specifica in questo momento, ma il direttore ha sempre con sé una guardia del corpo.» «Capisco. E che cosa mi dice di quei due?» Marie-Thérèse accennò a una coppia che aveva appena raggiunto la cima delle scale e che stava venendo scortata lungo il corridoio. «Potrebbero essere una minaccia?» Burt guardò verso il corridoio, fissando i due da tergo. «Probabilmente
no, ma il mio collega li terrà d'occhio una volta che si saranno accomodati per la cena.» Si alzò di colpo. «Ops, deve scusarmi.» Marie-Thérèse guardò a sua volta verso il corridoio: Sir Edward Fieldstone si stava dirigendo verso di loro a passo deciso. «Quello è l'inglese», disse Burt parlando a labbra serrate. «Probabilmente sta andando in bagno.» «Bene, allora sarà meglio che lei vada a dargli... una mano», replicò Marie-Thérèse, ridendo. Sir Edward cominciò a scendere le scale, Burt gli tenne dietro. Marie-Thérèse tornò a mettere la banconota da cinquanta dollari sul banco del bar e saltò giù dallo sgabello. Discese le scale, fermandosi sul pianerottolo. Sir Edward era in attesa davanti alla porta del bagno, nessuna traccia di Burt. Quindi la guardia del corpo uscì dalla toilette e tenne aperta la porta per far accomodare Sir Edward, il quale scomparve all'interno. Burt si piazzò di guardia sul pianerottolo. Marie-Thérèse scese in fretta la seconda rampa di scale e andò a fermarsi di fronte a lui. «Non mi dica che se ne sta andando», disse l'agente. «Sono subito da lei.» «Il mio appuntamento è saltato», replicò La Biche. «Io smonto tra un paio d'ore», insistette Burt. «Incontriamoci da qualche altra parte.» Marie-Thérèse si guardò attorno. La ragazza del guardaroba era momentaneamente assente. «Lei porta la pistola, vero, Burt?» Lui sogghignò, aprendosi la giacca e mostrando una semiautomatica calibro 9. «Magnifico.» Marie-Thérèse gli affondò nelle costole la propria pistola con silenziatore e lo spinse spalle al muro. «Questa la prendo io, Burt.» Gli sfilò la calibro 9 dalla fondina al fianco. «Dentro. Muoviti.» Lo costrinse ad arretrare continuando a spingerlo con la pistola. «Ehi, che diavolo ti prende, bellezza?» Burt era sbalordito. Non ebbe altra scelta se non varcare la porta del bagno, entrando in un piccolo disimpegno. Marie-Thérèse gli pestò duro sul cranio con il calcio della sua stessa pistola, quindi gettò l'arma sul corpo inerte. «Senza rancore, Burt.» La Biche aprì la porta dei servizi. Sir Edward era in piedi davanti a uno dei lavandini, intento a lavarsi le mani. Un inserviente era in piedi a qualche passo, pronto con l'asciugamano. Marie-Thérèse sparò per primo al-
l'inserviente, giusto per attirare l'attenzione di Sir Edward. «No, no...» Sir Edward tese le mani bagnate avanti a sé. «Ho pagato! Ho pagato tutto!» «Bugiardo sino alla fine.» Marie-Thérèse gli piantò un proiettile nel petto. Sir Edward Fieldstone crollò a terra. Marie-Thérèse fece un passo avanti e sparò un altro proiettile, che lo mise definitivamente fuori gioco, alla testa. Fece scivolare la pistola con silenziatore nella borsa, uscì dai servizi e si fermò nel disimpegno, torreggiando sul corpo esanime di Burt. Il giovane agente stava cominciando a tornare in sé. Marie-Thérèse rifletté un momento, poi si chinò e afferrò la calibro 9. «Non te la prendere, Burt.» Gli pestò l'arma sul cranio una seconda volta. «È il tuo giorno fortunato.» La Biche sbirciò dalla porta del bagno. L'atrio era vuoto. Con tutta calma raggiunse l'uscita del palazzo e si fermò sul marciapiede, guardandosi attorno alla ricerca della Lincoln. La individuò parcheggiata all'incrocio, fece cenno e rimase in attesa. L'autista le si avvicinò anche troppo in fretta, frenando bruscamente. «Vacci piano, idiota», sibilò Marie-Thérèse salendo a bordo. «Guida e basta, molto tranquillo.» Gettò un'occhiata dietro di sé. Le tre 4x4 erano ancora parcheggiate lungo il marciapiede. Rimasero dove si trovavano. «È andata molto bene», annunciò Marie-Thérèse, togliendosi i guanti. «Lasciami all'incrocio tra Madison Avenue e 72nd Street.» Smontò dalla Lincoln e si diresse a piedi verso il Carlyle, guardando le vetrine. 49 Carpenter era seduta nella sala della piscina del Four Seasons assieme al direttore dell'FBI e al suo secondo in comando. La portata principale era stata servita, ma Sir Edward non era ancora tornato dalla toilette. «Meglio che vada a vedere», disse Carpenter al direttore dell'FBI. «Rimanga dov'è.» Il direttore fece cenno alla guardia del corpo. «Trova il bagno degli uomini e controlla che Sir Edward non abbia avuto dei problemi», ordinò. «Potrebbe non sentirsi bene.» «Sono sicura che non c'è nessun problema», disse Carpenter. «Avrà incontrato qualcuno che conosce. Direi di cominciare senza di lui.» Prese
forchetta e coltello e li immerse nel manicaretto a base di cacciagione che aveva nel piatto. «Da quanto tempo è nel servizio segreto, Felicity?» le chiese il direttore. «Dodici anni, signore. Ho studiato legge a Oxford, poi sono entrata nel servizio.» «Sir Edward mi dice che anche suo padre ne faceva parte.» «Esatto», confermò Carpenter. «E mio nonno prima di lui. Inoltre...» La sua attenzione venne attirata da un movimento verso il fondo della sala. La guardia del corpo del direttore stava tornando verso di loro, muovendosi molto, troppo in fretta. Quasi di corsa. L'agente raggiunse il tavolo. «Che cosa succede?» chiese il direttore. «Si tratta di Sir Edward?» «Sì, signore», rispose l'agente. «La prego, mi segua. Dobbiamo muoverci rapidamente.» Tutto il gruppo si alzò e seguì l'agente fuori dalla sala, accompagnato dagli sguardi degli altri clienti. Entrarono nella cucina e raggiunsero un'ampia porta con il cartello USCITA. «Ma cos'è successo?» insistette il direttore. «La prego, signore, aspetti un momento qui», disse l'agente. Uscì dalla porta e dopo qualche attimo riapparve. «La prego, si affretti. La macchina la sta aspettando.» Carpenter seguì i tre uomini a bordo di una delle 4x4. La grossa auto partì a tutta velocità. «Avanti, ora, mi dica che cosa è successo», martellò il direttore. Carpenter sapeva già cos'era successo. Impugnò nervosamente il cellulare. Stone e Dino stavano finendo di cenare da Elaine quando il cellulare di Dino cominciò a trillare. «Bacchetti», rispose Dino. Ascoltò per qualche momento. «Mi metto in moto. Chiami dal tuo cellulare? Non tornare dove stavi, va' da qualche altra parte. Verremo a prenderti.» Chiuse la comunicazione. «Che diavolo succede?» Stone fissò Dino. «Hai una faccia...» «Sembra che...» Il cellulare di Dino suonò di nuovo. «Bacchetti. Sì, signore... sono appena stato informato. Sto mandando i miei uomini sul posto... Sì, signore, mi rendo conto delle implicazioni. Sarò là anch'io tra dieci minuti... Sì, signore, capisco.» Riappese. «Muoviamoci», disse a Stone. Si diressero di corsa verso la porta.
Erano sul sedile posteriore della macchina di Dino, dirigendosi a sud a sirene spiegate, quando Dino riprese a parlare. «Non rallentare per nessun motivo», ordinò all'autista, poi mise nuovamente mano al cellulare. «Aspetta solo un momento, Dino», intervenne Stone. «Che succede?» «Succede che la tua cliente ha appena sparpagliato le cervella di Sir Edward Fieldstone sul soffitto del cesso degli uomini del Four Seasons, ecco che succede.» Dino compose un numero. «Qui è Bacchetti. Voglio quattro detective della omicidi, una squadra della scientifica e dodici agenti in uniforme al Four Seasons, East 52nd Street. E li voglio adesso. Chiudete l'intero isolato, non lasciate entrare nessuno nel ristorante, ma permettete ai clienti di uscire una volta che avranno finito la cena. Sbarrate i servizi degli uomini, non permettete l'accesso a nessuno, a nessuno, fino a quando non sarò là. Arrivo entro sei minuti.» «Oh, Cristo.» Stone si afflosciò contro lo schienale. «Difatti. E congratulazioni, Stone. Avevi proprio sistemato tutto, eh?» «Al Four Seasons...» gemette Stone. «Oh, merda.» «Esattamente quello che penso io», ringhiò Dino. «Prima, al telefono, era il commissario capo. Se mai dovesse saltar fuori che mi sono fatto coinvolgere in quel tuo grottesco affare al Bryant Park, finirò a pattugliare le latrine del Bronx sino alla fine dei miei giorni.» «Non riesco a crederci...» Stone scosse il capo. «Io avevo sistemato tutto!» «Certo, soprattutto le celle frigorifere dell'obitorio», ribatté Dino. «Chiama la tua cliente.» «Cosa?» «Chiamala! Il suo numero di cellulare ce l'hai, no?» «E che cosa le dico?» «Le chiedi quali sono le sue intenzioni.» «Che cosa pensi mi risponderà?» «Tu chiediglielo e basta. Forza, telefonale.» Dino passò a Stone il proprio cellulare. Stone compose il numero, un numero che a quel punto conosceva a memoria. Dino incollò l'orecchio al cellulare. «Sì?» Era lei, La Biche. «Parla Stone. Ma che cosa ha fatto?» «Non hanno mandato il denaro.» «Ma certo che l'hanno mandato! L'ho confermato di persona. Non l'ha
chiamata, la banca?» «Non era affatto una banca. Era chiaramente uno degli operatori di Sir Edward. Ci hanno mentito, Stone. A lei e a me. Ho chiesto conferma due volte: il denaro non è mai arrivato.» «Marie-Thérèse, lei deve fermarsi...» «Non ho la minima intenzione di fermarmi», ribatté La Biche. «Hanno violato gli accordi. Adesso ognuno di loro è un bersaglio.» La comunicazione s'interruppe. Dino agguantò il cellulare, premette il pulsante di riselezione quanto bastò per leggere il numero. «Ma che fai?» protestò Stone. «Quella era una conversazione tra avvocato e cliente.» «La tua cliente ha appena dichiarato di voler commettere altri crimini», replicò Dino. «E il tuo dovere è di denunciare la cosa alla polizia e di offrire tutta l'assistenza possibile, cosa che hai appena fatto.» Dino fece un altro numero. «Parla il tenente Dino Bacchetti, diciannovesimo distretto. Voglio mettere sotto stretta sorveglianza il seguente numero di cellulare.» Comunicò il numero. «Localizzatelo al volo e richiamatemi con le coordinate. Massima priorità. Non tentate, ripeto, non tentate di fermare il possessore del cellulare in questione.» Chiuse la comunicazione. «Io adesso la inchiodo, questa troia assassina.» «Che altro posso fare per aiutarti?» chiese Stone. «Pensa. Pensa in che modo trovarla. Sai dove dorme?» «No.» «Proprio nessuna idea? Albergo? Appartamento? Rifugio?» «No, nessuna idea. L'unica cosa che avevo era il numero di cellulare, che adesso hai anche tu.» «Preghiamo il cielo che basti», disse Dino. «A proposito, ti ho detto che, quando La Biche ha fatto fuori Sir Edward, lui e Carpenter erano a cena con il direttore dell'FBI?» «Merda!» «Difatti, amico.» L'auto superò un blocco stradale all'incrocio tra 52nd Street e Park Avenue e si fermò con stridore di gomme di fronte al Four Seasons. Stone e Dino smontarono. «Rimani con me», ordinò Dino. «E tieni la bocca chiusa.» «Che altro mi rimane da dire?» domandò Stone.
50 Stone e Dino entrarono nell'atrio del Four Seasons, trovando una falange di poliziotti in divisa a presidiare la porta del bagno degli uomini. «Ma non lo capite?» inveiva contro gli agenti un tizio in abito gessato. «Io al gabinetto devo andarci adesso!» Dino batté qualche colpetto sulla spalla del tizio, costringendolo a voltarsi di scatto. «Signore, vada al piano di sopra e chieda al capocameriere di accompagnarla agli altri servizi.» «Quali altri servizi? Non ci sono altri servizi.» «Mi creda, li troverà.» Dino fece cenno a uno degli agenti. «Tu. Accompagna questo signore di sopra.» L'agente prese l'uomo per un braccio e lo pilotò su per le scale. «Fate largo», intimò Dino. I poliziotti si aprirono come il mar Rosso davanti a Mosè. Dino indicò Stone con un secco cenno del pollice. «Lui è con me.» Dopo di che entrò per primo nel bagno degli uomini. Una squadra di tecnici del soccorso preospedaliero era al lavoro sui due corpi a terra, uno dei quali con indosso un abito scuro. «Sono morti?» chiese Dino. «Stecchiti», confermò un tecnico. «Tutti e due.» «Allora levatevi dalla mia scena del crimine.» I tecnici raccolsero l'equipaggiamento e uscirono. Dino si chinò su Sir Edward. «Una pallottola al torace, un'altra alla testa. Lavoro molto professionale.» Gettò uno sguardo all'inserviente del bagno. «Povero fesso: nel posto sbagliato al momento sbagliato.» Uno degli agenti in divisa sporse la testa dalla porta dei servizi. «Tenente, su al bar abbiamo uno dell'FBI. Unico testimone.» «Muoviamoci», disse Dino a Stone. Salirono le scale e raggiunsero il bar. Un tecnico del soccorso preospedaliero stava medicando la nuca a un giovanotto. Davanti a lui c'era un bicchiere pieno di liquido ambrato, niente ghiaccio. Il giovanotto ne mandò giù una sorsata robusta. «Quindi è così che voi duri dell'FBI vi riprendete da un bozzo in testa?» Dino gli tolse il bicchiere di mano e lo posò sul bancone. «Bacchetti, Dipartimento di polizia di New York. Cos'è successo? E cerca di dirla giusta la prima volta.» «Io me ne stavo seduto qui, tenendo d'occhio quelli che entravano per la cena. Il mio collega era in sala assieme al direttore, al suo vice e agli ospi-
ti.» «I quali ospiti erano...?» «Robert Kinney, vicedirettore, un certo Sir Edward qualcosa, il morto, e una donna che lavora... lavorava per lui.» «Va' avanti.» «Sir Edward è sceso alla ricerca del bagno. Io sono andato con lui, e a quel punto la donna...» «Un momento: quale donna?» «C'era una donna seduta vicino a me, qui al bar.» «Era seduta vicino a te... oppure eri tu a sedere vicino a lei?» «Be', ecco...» «Lieto di sentire che almeno questa l'abbiamo chiarita.» «In ogni caso, sono sceso assieme a Sir Edward e ho controllato il servizio degli uomini. Dentro c'era solo l'inserviente. Io stavo aspettando fuori dalla porta, in attesa che lui finisse, quando anche la donna è scesa.» «Descrivimela.» «Bianca, fra i trenta e i quaranta, un metro e sessantacinque, cinquantacinque chili, capelli scuri, vestito nero aderente, guanti neri.» Il federale fissò il fondo del bicchiere con aria sognante. «Una vera sventola.» «Ottima descrizione», disse Dino. «Qualcosa almeno l'hai imparato, all'accademia di Quantico. Poi che è successo?» «Mi ha chiesto se ero armato, così le ho fatto vedere la mia pistola. A quel punto lei ha tirato fuori dalla borsa una semiautomatica nera di piccolo calibro, munita di silenziatore. Mi ha costretto a entrare nel disimpegno dei servizi. Deve avermi colpito o con la sua pistola o con la mia. Ho perso i sensi. Mentre stavo rinvenendo, mi ha colpito di nuovo. Mi sono ripreso solo cinque minuti fa, e mi sono attaccato alla radio.» «E dov'era il resto della tua squadra?» «Stava arrivando.» Dino diede un'occhiata alla nuca dell'agente federale. «Portatelo in ospedale», disse al tecnico. «Gli servirà una bella sutura.» Il tecnico e un suo collega accompagnarono il giovanotto giù per le scale, Dino e Stone li seguirono. Poco dopo che lo ebbero caricato su un'ambulanza, una carovana di furgoni neri apparve davanti all'edificio. Uomini in mimetiche nere, elmi, giubbetti antiproiettile e fucili d'assalto dilagarono sulla strada. Avevano la scritta FBI impressa sulla schiena. «Bacchetti.» Dino si piazzò davanti all'ingresso, sventolando la patacca. «Polizia di New York. Chi è in comando?»
Un individuo in abito scuro smontò dal sedile del passeggero del furgone di testa, sventolando a sua volta una tessera. «Jim Torrelli, agente speciale dell'ufficio di New York dell'EBI», si presentò. «Lei sta intralciando i miei uomini.» «Sbagliato. Sono loro che stanno intralciando il traffico urbano. Cortesemente, li faccia allontanare.» «Abbiamo una scena del crimine da sistemare.» «È una scena del crimine del Dipartimento di polizia di New York, ed è già sistemata.» Dino non cedette un centimetro di terreno. «C'è uno dei nostri agenti ferito, là dentro.» «Sbagliato di nuovo. Lo stanno trasportando all'ospedale. E là dentro non c'è nessun altro agente federale, solamente le vittime di un duplice omicidio. E l'omicidio, mi permetta di rinfrescarle la memoria, non è un reato federale. Ora, se lei vuole rimanere qui a vedere quello che succede, può farlo su mio invito, ma non si metta di mezzo. E mi tolga dai piedi queste Sturmtruppen. Adesso!» Torrelli rifletté per un momento. «Tutti a bordo dei veicoli», decise infine. «Rientrate alla base e aspettate una mia chiamata.» Le Sturmtruppen risalirono sui furgoni neri e si dileguarono. «Dunque, agente Bacchetti...» «Tenente Bacchetti», corresse Dino, «comandante della squadra investigativa del diciannovesimo distretto.» «D'accordo, tenente. Può dirmi cos'è successo qui?» «Certo. Il direttore dell'FBI e il suo vice stavano offrendo la cena al capo dello spionaggio inglese e uno dei suoi colleghi, sotto la sorveglianza di due agenti dell'FBI. L'inglese è andato al bagno. Una giovane donna ha messo fuori combattimento uno degli agenti colpendolo alla testa, dopo di che ha proceduto a sparare all'inglese e all'inserviente dei servizi. Morti tutti e due. La donna si è dileguata. Al momento, questo è quanto. Ma, una volta che avremo finito, direi che l'FBI si sarà coperto di vergogna sufficiente per i prossimi dieci anni.» La mandibola di Torrelli cominciò a torcersi. Con grande sforzo, l'agente speciale riuscì ad articolare qualche parola. «E questa donna è stata arrestata?» «No, e dubito che lo sarà a tempi brevi.» «È stata identificata?» «Sì.» «E chi è?» «Al momento, non sono in condizioni di rivelarle questo elemento. Do-
po, forse.» «Tenente, dovessi anche andare dal commissario capo o addirittura dal sindaco, io arriverò a sapere tutto quello che c'è da sapere riguardo a questo caso.» «Le farò avere una copia del mio rapporto», ribatté Dino. «Perché non se ne va al bar a farsi un drink? Ora non abbiamo bisogno di lei.» «Posso vedere i corpi?» «Sono morti. Due pallottole all'inglese, una all'inserviente. Non le occorre sapere altro.» «Vorrei mettere a sua disposizione il laboratorio d'indagini forensi dell'FBI», propose Torrelli. «Da quanto ho sentito del laboratorio in questione, preferisco usare i miei mezzi», replicò Dino. Torrelli, molto più grosso di Dino, parve sul punto di saltargli addosso. «Sarò nella mia auto», si limitò a dire, tornando al furgone. Dino e Stone rientrarono nel ristorante. «Non aspettarti che sia finita qui», disse Stone a Dino. «E tu non preoccuparti di questo.» Dino tirò fuori il cellulare e premette il tasto di riselezione. Si portò il telefono aE'orecchio. «Signore, parla Bacchetti. La situazione è la seguente.» Fece un succinto rapporto verbale al commissario capo. «E l'FBI sta già tentando di sottrarci il caso. Le sarei grato se potesse darmi il suo aiuto così da tenermeli lontano, in modo che io possa completare le indagini e procedere a un arresto.» Rimase in ascolto per qualche momento. «La ringrazio molto, signore.» Chiuse la comunicazione e si rivolse a Stone. «Non credo sia il caso di preoccuparsi troppo dei federali.» «E adesso?» chiese Stone. Il cellulare di Dino si mise a suonare. «Bacchetti.» Dino sbarrò gli occhi. «Dove?» Chiuse il telefono di scatto. «Hanno localizzato il cellulare della Biche.» 51 Dino allungò una mano sul sedile anteriore e afferrò la radio. «Ricordami cosa c'è all'incrocio tra Madison Avenue e 73rd Street», disse a Stone. «Un sacco di negozi costosi.» «Statemi a sentire tutti», esordì Dino, rivolto ai quattro detective nella vettura dietro di loro. «Scendete all'incrocio tra Madison Avenue e 65th
Street e cominciate a muovervi in direzione nord, negozio per negozio. Io mi dirigerò a sud a partire da 76th Street. Cerchiamo una donna di razza bianca, attraente, probabilmente sola, fra i trenta e i quarant'anni, un metro e sessantacinque, cinquantacinque chili. Indossa un abito da sera nero e guanti neri. Potrebbe anche avere un soprabito o una giacca. Sono quasi le dieci, e a quest'ora è tutto chiuso, ma per un paio di minuti è stata vista ferma all'incrocio tra Madison Avenue e 73rd Street, per cui forse sta guardando le vetrine. Fermate e identificate qualsiasi donna che risponda a questa descrizione, sola o accompagnata che sia. Fino a quando non entrerete in azione, cercate di non avere l'aria dei poliziotti. E state attenti: la donna in questione è armata e molto pericolosa.» Dino rilasciò il tasto di comunicazione. «Non funzionerà mai...» «Perché no?» chiese Stone. «Potrebbe capitarci un colpo di fortuna.» «I colpi di fortuna capitano a te, non a me», obiettò Dino. «E comunque, se anche la trovassimo, riuscirà a far fuori almeno un poliziotto prima che qualcuno faccia fuori lei.» Battuta su cui Stone non fece commenti. «Ricordami anche un'altra cosa», continuò Dino. «Com'è che sono finito invischiato in questo casino?» «A causa di un omicidio nella tua zona.» «Ah, già. La prossima cosa che mi ricorderai sarà che l'avevo arrestata e l'ho lasciata andare.» «Non era quello che stavo per fare ma, visto che siamo in argomento, in effetti è andata così.» «Potrò considerarmi fortunato a venirne fuori con ancora il distintivo in tasca.» «Dino, tutto quello che devi fare è dare la colpa agli inglesi e all'FBI.» Il tenente divenne meno cupo. «Ma sì, giusto.» Diede un paio di colpetti sulla spalla dell'autista. «Va bene qui.» Dino e Stone smontarono dall'auto. «Tu sul lato est della strada, io sul lato ovest», decise Dino. «Sai armato?» «No.» «Tieni.» Dino passò a Stone una semiautomatica calibro 32. «Prendi la mia pistola di riserva.» «Grazie.» Cominciarono a camminare lentamente lungo Madison Avenue in direzione sud. Era sera inoltrata ma in strada c'era ancora un mucchio di gente. Stone studiò con attenzione ogni donna che incontravano, alla ricerca di
qualche elemento conosciuto. La Biche poteva già essersi cambiata d'abito, pensò, ma forse lui sarebbe stato comunque in grado di riconoscerla. Poi, mezzo isolato di distanza davanti a sé, la vide. Non portava guanti ma il vestito era nero, i capelli erano scuri e lunghi fino alle spalle. Il viso? Stone non poté esserne sicuro: ogni volta che l'aveva incontrata, MarieThérèse du Bois aveva avuto un aspetto sempre diverso. La destra di Stone si serrò attorno al calcio della pistola, all'interno della tasca. La donna si fermò, guardando una vetrina per qualche momento. Stone fissò Dino dall'altra parte della strada e annuì verso la donna. Dino attraversò temerariamente Madison Avenue, ignorando i semafori, guadando nel traffico intenso. «Chiedo scusa», esordì Stone accostandosi alla donna, «ma non ci siamo già incontrati da qualche parte?» «Come abbordaggio non è tra i più originali.» La donna si voltò verso di lui. «Ma di certo non ho obiezioni», aggiunse con un lieve sorriso. «Agenti di polizia.» Dino le arrivò alle spalle. «Cortesemente, rimanga ferma dov'è.» La donna sbirciò al di sopra della propria spalla. «Che succede, vuole organizzare un'orgia?» «Vediamo i documenti», intimò Dino. Stone le strappò la borsetta prima che la donna potesse metterci dentro la mano, poi, senza staccare gli occhi da quelli di lei, la consegnò al tenente. La donna sostenne il suo sguardo, non senza interesse. «Dunque è così che il Dipartimento di polizia di New York si diverte dopo il calar del sole?» «Solo quando fa bel tempo», rispose Stone. «Lei come si chiama?» chiese Dino esaminando la patente della donna. «Donna Howe Baldwin.» «Numero di previdenza sociale?» La donna lo snocciolò a memoria. «Ma non è sulla mia patente che lo troverà. In Florida non si usa.» «Perché ha una patente della Florida?» martellò Dino. «Perché vivo a Miami. L'indirizzo è sulla patente.» «E perché si trova a New York?» «Perché ho sentito parlare di quanto sono spiritosi i poliziotti del posto.» Stone scambiò un'occhiata con Dino, scosse il capo. «Non è lei MarieThérèse.» «Però potrei esserlo, se ci tenete tanto», disse la donna. «Abbiamo fini-
to?» «Sì.» Dino le riconsegnò la borsetta. «Dolenti di averla fermata. Di solito siamo più cordiali con chi viene da fuori città.» «Non è mai troppo tardi», replicò la donna. «Non ho obiezioni al ménage à trois. Chi li offre, i drink?» «Magari un'altra volta», concluse Stone. «Sono al Plaza per altri due giorni.» La donna gli passò un biglietto da visita. «Quando vuole, okay?» Occhieggiò Dino. «E non si dimentichi di portare anche il suo amico.» Riprese a muoversi verso nord. «Be', l'avevo detto io che i colpì di fortuna capitano a te», borbottò Dino. «Questa volta è capitato a tutti e due, o sbaglio?» Dino attraversò di nuovo la strada. Lui e Stone continuarono a dirigersi verso sud, controllando ogni donna che incontravano. Dino esibì il distintivo un'altra volta, imponendo a una donna di mostrargli i documenti. Effettuata l'identificazione, là donna continuò per la propria strada, apparentemente inferocita. All'altezza di 72nd Street incontrarono i quattro detective che stavano risalendo Madison Avenue. Arrivò anche la macchina di Dino. «Per quale motivo penso che La Biche si stia ancora dirigendo a nord?» chiese Dino. «Perché si stava allontanando dal Four Seasons», rispose Stone. «Che cosa c'è a nord di 73rd Street?» «Un paio di alberghi, il Westbury e il Carlyle.» «Vale la pena di tentare», decise Dino. «Voi quattro andate al Westbury. Trovate il direttore, fatevi consegnare l'elenco di tutte le donne sole che vi alloggiano, interrogate tutte quelle che hanno anche una remota attinenza con la descrizione. Stone, tu e io ci giochiamo il Carlyle.» Salirono sull'auto di Dino e si diressero a nord. «Non è l'idea peggiore che ti sia venuta», ammise Stone. «La Biche dovrà pur dormire da qualche parte, e il Carlyle è più o meno l'ultimo posto della terra in cui uno la cercherebbe.» «L'idea peggiore che mi sia venuta è stata prestarmi a quella tua farneticazione di ieri al Bryant Park», ribatté Dino. La macchina si fermò, Stone e Dino smontarono. «Conosci qualcuno qui?» chiese Dino mentre entravano nell'hotel dall'ingresso su Madison Avenue. «Il direttore», rispose Stone. «Non sarà qui a quest'ora, ma posso comunque sventolare il suo nome.»
«Lascia perdere», disse Dino mentre si avvicinavano al banco della reception. «Sventolerò la mia patacca.» Il cellulare di Stone si mise a vibrare. «Pronto?» «Sono Carpenter.» 52 Stone era molto felice di sentirla, fatto che lo sorprese parecchio. «Dove ti trovi?» «Con il direttore dell'FBI in un appartamento di proprietà del governo al Waldorf Towers.» «Rimani là. Da qualsiasi altra parte c'è pericolo.» «È quello che intendo fare, per il momento. Hai parlato con Dino?» «Sono con Dino.» «Sir Edward è morto? È confermato, questo? Qui non vogliono dirmi niente.» «È confermato.» «Ah, merda...» «Difatti», concordò Stone. «Chiedi a Dino dove potrò reclamare la salma.» «All'obitorio, ma solo dopo l'autopsia.» «Non c'è modo di evitarla? Vorrei riportarlo a casa.» «Chiedi al direttore. Lui probabilmente può chiamare qualcuno.» «In questo momento è molto irritato con l'amministrazione di New York, da Dino fino al sindaco.» «È perché Dino non gli ha permesso di cacciare nelle sue riserve. Dopo di che il commissario capo e, a quanto pare, anche il sindaco lo hanno spalleggiato.» «Qualcosa del genere. Sembra che abbia con sé tutti questi uomini in nero armati fino ai denti dei quali non sa che cosa fare.» «Irritazione federale garantita.» «Non verresti qui a trovarmi, Stone?» «Se ci provassi, è probabile che quelli dell'FBI mi sparerebbero a vista.» «Ho voglia di vederti. Ho bisogno di vederti.» «Non credi che ci sarebbe un po' troppo affollamento in quella suite con te, me e il direttore dell'FBI tutti assieme?» «Mi farò venire qualche idea.»
«Dimmi una cosa: c'era anche Mason quando i genitori di Marie-Thérèse sono stati uccisi?» Carpenter fece una pausa. «In un certo senso. Era in un furgone nelle vicinanze.» «Allora farai meglio a dirgli di stare attento a non mettere fuori il naso. Chi altri c'era che è ancora in vita?» «A questo punto, solo Mason e io.» «Se fossi in te, andrei a un aeroporto diverso dal Kennedy e lascerei il Paese al volo. La Biche sa dove sei sistemata a New York. A Londra sarai più al sicuro.» «Ci penserò. Lo sa che sono stata a casa tua?» «Per quanto ne so, no.» «Ti chiamo dopo, al cellulare.» «Promesso?» «Promesso, ma non so quando.» «Quando sarà. Tu chiama e basta.» Stone chiuse la comunicazione. «Carpenter è parecchio tesa», disse a Dino. «Ma va?» Il direttore di turno si presentò al banco. «Tenente Bacchetti, squadra investigativa.» Dino mostrò il distintivo. «Mi serve l'elenco di tutte le donne alloggiate nel vostro albergo che viaggiano da sole.» «Perché le serve?» «Perché una di loro potrebbe essere un'assassina. E non mi dispiacerebbe arrestarla prima che faccia fuori uno degli ospiti o qualcuno del personale.» «Solo un momento.» L'uomo si spostò al terminale del computer. «Ce ne sono tre.» «Le conosce personalmente?» «Conosco la signora King, di Dallas. È già stata da noi. Anche la signorina Shapiro, di San Francisco. La terza, la signora Applebaum, di Chicago, non la conosco.» Dino gli fornì la descrizione della Biche. «Sia la signora King sia la signorina Shapiro corrispondono a tale descrizione», dichiarò il direttore. «Voglio parlare con entrambe. Quello che non voglio è che sappiano che siamo della polizia», disse Dino. «E mi trovi qualcuno che conosce di vista questa signora Applebaum.»
«Solo un momento.» Il direttore si assentò brevemente, quindi tornò accompagnato da un altro uomo. «Questo signore è il concierge. Conosce la signora Applebaum: è sulla sessantina.» «D'accordo, ecco come procediamo», riprese Dino. «Lei inventa una qualche storia per attirare entrambe le donne fuori dalle loro stanze il tempo sufficiente perché noi possiamo dare un'occhiata.» «Potrei dire loro che c'è stato un principio d'incendio nella suite attigua, e chiedere che lascino la stanza per pochi minuti.» «Dove può spostarle?» Il direttore fece una verifica sul computer. «Ho stanze vuote disponibili.» «Ci procuri un paio di tute degli addetti alla manutenzione dell'hotel e una cassetta degli attrezzi», ordinò Dino. «Cominciamo con la signorina Shapiro.» Il direttore precedette Dino e Stone nel proprio ufficio e fece portare tute per entrambi, poi sollevò il telefono e chiamò la stanza in questione. «Signorina Shapiro, parla il direttore notturno. Sono dolente di disturbarla, ma si è verificato un corto circuito nella stanza sotto la sua. Sono costretto a spostarla temporaneamente in un'altra suite in fondo al corridoio mentre i nostri elettricisti verificano l'impianto... Sì, sono davvero molto spiacente. Posso farli salire?... La ringrazio.» Si rivolse a Dino. «Pronti?» Dino e Stone erano alle spalle del direttore quando questi suonò il campanello. Entrambi avevano la mano sulla pistola. La porta si aprì e una donna in abito formale li accolse. «La ringrazio di nuovo per la sua collaborazione», esordì il direttore. «Lieta di poter essere d'aiuto», replicò la donna. Aveva un naso grande e abbastanza ben modellato, notò Stone; quindi guardò Dino, scuotendo impercettibilmente la testa. Dino si portò all'orecchio il cellulare. «Sì? Ah, grazie.» Si rivolse al direttore. «Il problema è stato risolto. Non occorre disturbare oltre la signorina Shapiro.» «Questa sì che è una buona notizia», esclamò il direttore. «Di nuovo, sono davvero spiacente, signorina Shapiro.» La donna sorrise e richiuse la porta. Dino diede il cellulare al direttore. «Adesso la signora King.» Il direttore chiamò la reception e domandò che lo mettessero in contatto con la suite della signora King. «Nessuna risposta», disse poi. «Deve esse-
re fuori.» «Ha un passe-partout?» chiese Dino. «Ce l'ho, certo, ma lei si rende conto che si tratterebbe di una perquisizione illegale.» «Non se ho il suo permesso.» Il direttore gli consegnò la chiave universale. «Due piani più su: stanza uno-nove-uno-sette.» «Grazie», annuì Dino. «Gliela restituirò. Muoviamoci, Stone.» Al piano terra, al Café Carlyle, Marie-Thérèse era immersa in una conversazione con un uomo seduto al bancone del bar. All'altro capo della sala i musicisti raggiunsero i loro posti. Una voce echeggiò dagli amplificatori. «Signore e signori, il Café Carlyle ha l'onore di presentarvi, nella sua tredicesima stagione con noi... Bobby Short!» L'esecuzione musicale ebbe inizio. Marie-Thérèse e l'uomo che aveva appena conosciuto si voltarono verso il palco. 53 Carpenter compose il numero del cellulare di Mason. Lui rispose immediatamente. «Pronto?» «Sono Carpenter. Dove ti trovi?» «In un ristorante chiamato La Goulue, tra Madison Avenue e 65th Street.» «Sei solo?» «No.» «Ho delle notizie, fa' finta di niente.» «Vai.» «L'Architetto è morto.» «Sul serio?» fece Mason, strascicando il suo accento di Eton. «È coinvolto qualcuno che conosciamo?» «La Biche gli ha sparato nel bagno degli uomini del Four Seasons.» «Santo cielo. Chi è il prossimo della lista?» «Tu. E io. Non necessariamente in quest'ordine.» «Bene, ecco una cosa che non mi piacerebbe granché.» «Non ne dubitavo. Penso che La Biche lo abbia seguito dai nostri uffici di New York. Per cui non tornare là.» «Giusto. Qualche suggerimento?»
«Non tornare nemmeno al tuo albergo.» «Immagino che dovrò cercare rifugio altrove», sospirò Mason. «Buona idea.» «Un'altra buona idea sarebbe far venire a New York un aereo della RAF e sganciarci da qui. Mi sentirei molto meglio a casa.» «Davvero? Non sono sicura di essere d'accordo», obiettò Carpenter. «Dopo tutto la nostra, ehm, amichetta è qui, o sbaglio? Direi che per intercettarla avremmo più fortuna rimanendo nella Grande Mela.» «Intercettarla potrebbe non piacerti.» «Lascia che con lei me la veda io.» «Mi trovi al cellulare», disse Mason. «Teniamoci in contatto. Tu dove sei?» «Al Waldorf Towers, in un appartamento della società del direttore.» «Tra due guanciali.» «Evita le battute cretine. Rimani in contatto e basta.» «D'accordo.» Mason chiuse la comunicazione e guardò il giovane agente dell'FBI seduto di fronte a lui. «C'è stato un certo inconveniente. Il mio diretto superiore è deceduto.» «Be', vista l'età che aveva...» «Non sono state le coronarie a saltargli.» Il giovanotto tirò fuori un cellulare. «Oh, no, lascia perdere», lo fermò Mason. «Ti metteranno di nuovo al lavoro e basta. Se davvero hanno bisogno di te sanno come trovarti.» L'agente sorrise, intascando il cellulare. Mason si protese verso di lui. «Mi è stato suggerito di non tornare al mio albergo. Ti dispiace se mi sistemo da te per questa notte?» L'agente sorrise. «Ne sarò deliziato.» Carpenter rientrò nel soggiorno della suite, dove trovò il direttore dell'FBI e il suo secondo in comando che parlavano al telefono su due linee separate. «Quanto a cooperazione, ne sto ricevendo meno di zero sia dal Dipartimento di polizia di New York sia dall'amministrazione della città», stava dicendo il direttore. «Sarebbe molto utile, signore, se lei chiamasse il sindaco.» Nell'udire la risposta dall'altro capo allontanò la cornetta dall'orecchio. «Signore, ritengo che lei dovrebbe considerare come i media reagi-
ranno nell'apprendere che un alto ufficiale dello spionaggio inglese è stato assassinato mentre si trovava in compagnia di un alto ufficiale americano.... Sì, signore, so qual è il punto. I media non avranno mai neppure sentito parlare di Sir Edward Fieldstone, a meno che, è chiaro, il Dipartimento di polizia di New York non decida di rivelare la sua identità. Ritengo che, se lei telefonasse al sindaco, potremmo riuscire a far apparire l'incidente del Four Seasons come la morte di un cittadino straniero avvenuta in un ristorante, nulla di più... La ringrazio, signore.» Il direttore dell'FBI riagganciò con un sospiro. «Problemi, direttore?» «Mi chiami Jim, Felicity.» Diede qualche colpetto sulla seduta del divano accanto a sé. Carpenter preferì una delle sedie più vicine. «E Jim sia.» «Il segretario alla Giustizia non vuole farsi coinvolgere», spiegò il direttore. «Difficile dargli torto», commentò Carpenter. «Ma non credo lei debba preoccuparsi troppo del modo in cui la stampa affronterà questo incidente. Facciamo qualunque cosa per evitare che i nomi dei nostri operatori vengano resi di dominio pubblico. Inoltre, l'unico membro del Dipartimento di polizia di New York a sapere chi era Sir Edward è il tenente Dino Bacchetti, del diciannovesimo distretto. E non credo sia un tipo dalla bocca troppa larga.» «Bacchetti, sì. Ho sentito parlare di lui. Qualcuno mi ha raccomandato di assumerlo in una posizione amministrativa. Lei che cosa ne pensa?» «È un uomo capace.» «Questa potrebbe essere l'occasione buona per parlargliene.» «Francamente non saprei.» Il direttore si alzò, bicchiere vuoto in mano. «Posso offrirle uno scotch?» «No, signore, la ringrazio», rispose Carpenter. «Sono ancora in servizio.» «Londra che commenti ha su tutto questo?» «Ho chiamato il ministro degli Interni, ma non ho ancora avuto un suo riscontro. A Londra è il cuore della notte, e dubito che il suo ufficiale di servizio abbia avuto il coraggio di svegliarlo. In ogni caso, non c'è molto che lui possa fare. Quanto a me, preferirei avere libertà d'azione, senza ordini a rallentarmi.» «Ha qualcosa in mente, Felicity?» «Ho in mente di reagire, se ne avrò l'opportunità. Ma non so se questa si
presenterà.» «Bene, qui con me lei è al sicuro.» Il direttore si versò un altro scotch. «La ringrazio, signore. Questo è molto rassicurante.» «Conosceva bene Sir Edward?» «Lo conoscevo da sempre. Lui e mio padre erano commilitoni.» «Allora immagino di doverle fare le mie più sentite condoglianze.» «In realtà no, signore. Sir Edward era un autentico pezzo di merda. Di cui non sentirò affatto la mancanza.» Stone e Dino si fermarono davanti alla porta della suite 1917. «Pronto?» chiese Dino. «Quando vuoi.» Stone serrò la pistola in tasca. Dino suonò il campanello. Nessuna risposta. Suonò di nuovo. «All'inferno!» E infilò il passe-partout nella serratura. 54 Pistola in pugno, Stone seguì Dino nella suite numero 1917 del Carlyle. «Buonasera», disse Dino ad alta voce. «Manutenzione. C'è nessuno?» Raggiunse la porta della camera da letto a passi rapidi, si appiattì con la schiena contro il muro, quindi annuì a Stone. Stone spinse la porta con il piede, aprendola, e dopo un momento di esitazione varcò la soglia. «Manutenzione. C'è nessuno?» Dino gli piantò la suola della scarpa nel fondoschiena e lo scaraventò dentro. «Proprio come ai vecchi tempi», mugugnò Stone. «Sempre il primo a fare irruzione.» «Ricordi proprio male.» Dino lo seguì nella stanza. Si diedero un'occhiata attorno. Tutto appariva perfettamente normale. «Controlla l'armadio», disse Dino. «Pensi che si nasconda lì? Controllalo tu, l'armadio.» Dino aprì l'anta e automaticamente si accese la luce all'interno. C'era una mezza dozzina di abiti appesi. «Viaggia leggera, per una signora ricca.» Stone indicò lo scaffale superiore. Tre parrucche erano sistemate su supporti di plastica. «Ma non sono molte le signore ricche che viaggiano portandosi dietro tutti quei capelli.» «Okay, rivoltiamo questo posto», decise Dino. «Ma lasciamo tutto esattamente com'era.»
«Cos'è che cerchiamo?» «Prove. Tipo l'arma che sta usando.» «Mi sa che la tiene nascosta nel reggiseno.» «E noi guardiamo anche lì.» Si misero all'opera. Al piano terra, al Café Carlyle, l'esibizione di Bobby Short si concluse. L'applauso fu lungo e caloroso. «Bene», disse l'uomo seduto al bar a fianco di Marie-Thérèse. «Posso offrirti il bicchiere della staffa?» «Io alloggio in questo albergo», rispose La Biche. «Perché non te lo offro io il bicchiere della staffa, nella mia suite?» «Fantastico.» L'uomo offrì la destra. «Jeff Purdue.» «Darlene King. Da questa parte.» Si mescolarono con la folla che lasciava il locale. «Quindi non sei di New York», disse Jeff. «Texas, bellezza.» «Dallas?» «Ogni tanto.» «E che cosa fai da quelle parti?» «Io niente. Mio marito fa il petroliere.» «Hai un marito? Spero che sia rimasto a Dallas.» «Ci puoi scommettere. E, proprio in questo preciso momento, secondo me è a letto con la sua segretaria.» «Quello che ti serve», la mano di Jeff scese dalla vita di lei fino a palparle il fondoschiena, «è una piccola vendetta.» «Credimi», replicò La Biche, «se c'è qualcuno che apprezza il dolce sapore della vendetta, quel qualcuno sono io.» Stone smise di frugare. «Basta. Qui non c'è nient'altro.» «Nell'armadio c'è una cassaforte», disse Dino. «Chiamo il direttore e ce la facciamo aprire.» «Non c'è tempo», ribatté Stone. «Meglio non correre il rischio che lei rientri.» «Mi servono le prove.» «È chiaro che l'arma la tiene addosso.» «Non sappiamo nemmeno se questa King sia davvero lei», obiettò Dino. «È lei», dichiarò Stone.
«E tu come lo sai?» «Lo so perché quando l'ho incontrata per la prima volta portava quella parrucca rossa lì sullo scaffale dell'armadio.» Dino controllò l'orologio. «Togliamoci di qui e prepariamo l'appostamento.» Marie-Thérèse e il suo nuovo amichetto uscirono dal Café e raggiunsero la hall dell'albergo. Svoltarono un angolo e si diressero verso gli ascensori. Marie-Thérèse si fermò di colpo, quindi arretrò. Aveva appena visto Stone Barrington e quel suo amico tenente di polizia sbarcare da uno degli ascensori. Indossavano entrambi tute da operai. «Qualcosa non va?» chiese Jeff Purdue. «Mi è appena venuto in mente che la mia stanza è nel caos. Tu dove stai?» «Al Waldorf-Astoria. Cinque minuti di taxi da qui.» «Perché allora non andiamo da te?» propose La Biche. «Ci sto.» Marie-Thérèse lo precedette prima di nuovo nel Café e quindi oltre l'uscita su Madison Avenue. Un paio di taxi erano in attesa lungo il marciapiede. Poco dopo, i due si stavano allontanando dal Carlyle. Jeff si protese verso di lei e cominciò a baciarle il collo, palpandole anche un seno. Marie-Thérèse lo lasciò fare, limitandosi a guardare dritto davanti a sé, gli ingranaggi della mente in piena attività. Il taxi svoltò su 5th Avenue. Jeff le serrò duramente un capezzolo. «Cos'è che devo fare per avere la tua attenzione?» «Non farci caso.» Marie-Thérèse gli diede un paio di colpetti sul ginocchio. «Stavo pensando a tutt'altro, in questo momento. Tu di cosa ti occupi, Jeff?» «Lavoro per il dipartimento di Stato, delegazione americana presso le Nazioni Unite. Passo a New York due settimane al mese.» «Sembra molto stimolante.» Marie-Thérèse si voltò verso di lui con nuovo interesse. «E tua moglie resta a Washington?» «Di solito viene con me, tiene qui qualche vestito. Ma questa settimana aveva delle riunioni.» «Molto opportune.» Marie-Thérèse lo baciò. Lui le passò le dita tra i capelli, i quali gli rimasero in mano. «Be', questa sì che è una sorpresa.» Jeff tenne la parrucca in mano, os-
servando i biondi capelli corti di lei. «Io sono tutta una sorpresa, bellezza», replicò Marie-Thérèse, facendogli scivolare una mano lungo la coscia. 55 Stone e Dino erano nella macchina del tenente parcheggiata fuori del Carlyle. Il poliziotto fece una telefonata. «Signore, qui parla Bacchetti. Abbiamo scoperto dove sta la donna: in una suite al Carlyle... Sì, signore, ha buon gusto, questo è poco ma sicuro. Ho richiesto l'intervento di una squadra di sorveglianza. Tra breve avremo l'edificio sotto controllo e un paio dei nostri uomini muniti di apparati d'intercettazione sonora nella suite attigua... No, signore, non ci sarà confronto in strada e neppure nella hall dell'albergo. È sicuro che verrà fatto ricorso ad armi da fuoco, e voglio evitare una carneficina di civili. Voglio fare in modo che la donna rientri all'albergo e vada a dormire. Quando questo accadrà, noi lo sapremo. Poi, domattina, quando ordinerà la colazione o lascerà la suite, agiremo. Credo che riusciremo a prenderla senza spargimento di sangue... Sì, signore, mi rendo conto dell'importanza della situazione. La informerò nel momento stesso in cui dovessero esserci degli sviluppi.» Dino chiuse la comunicazione. «Il commissario capo non chiuderà occhio stanotte.» «Mi sa proprio di no», concordò Stone. L'autista di Dino tornò con un sacchetto di plastica contenente tre tazze di caffè. «Tanto vale mettersi comodi», si rassegnò Dino. «Ho appena pensato una cosa», disse Stone. «E se La Biche fosse al Café Carlyle, ad ascoltare Bobby Short?» Dino grugnì. «Non tutti hanno il tuo gusto musicale balordo, Stone.» Il tragitto in ascensore parve non finire mai. «Sto al Towers», spiegò Jeff Purdue. «Il governo affitta un intero piano quando a New York è presente la delegazione alle Nazioni Unite; ci sono appartamenti per i dignitari in visita, inclusa una suite presidenziale.» «Interessante», commentò Marie-Thérèse. «E quella al momento da chi è occupata?» «Della delegazione, sono io l'unico membro presente. La maggior parte degli altri arriverà domani, per l'apertura della sessione del Consiglio di si-
curezza. Però, prima, ho visto in ascensore il direttore dell'FBI, per cui immagino ci sia anche lui. Scommetto che gli hanno dato la suite presidenziale.» Marie-Thérèse rise. «Che c'è di tanto divertente?» «Non avrei mai pensato di ritrovarmi a distanza tanto ravvicinata con il direttore dell'FBI.» L'ascensore si fermò. Marie-Thérèse e Jeff Purdue uscirono dalla cabina. Un uomo in abito scuro con in mano un blocco per appunti li fermò. «Tutto a posto», lo rassicurò Purdue. «La signora è con me.» «Temo, signore, che sia comunque necessario che io veda i suoi documenti», obiettò l'uomo. «Non c'è problema.» Marie-Thérèse tirò fuori il portafoglio dalla borsetta e gli consegnò la sua patente del Texas. L'uomo annotò il nome e l'ora di arrivo, dopo di che le restituì il documento. «Chiedo scusa per l'inconveniente, signora.» «Da questa parte.» Purdue fece strada, prendendo Marie-Thérèse per il gomito. Dopo pochi passi entrarono nella sua suite. Purdue gettò la chiave su un tavolino nell'anticamera. «Molto elegante», commentò La Biche, guardandosi attorno. Uno spazio non vasto, ma certamente di ottimo gusto. «La camera da letto dov'è?» «Ecco una donna che sa quello che io voglio. Di qua.» La guidò dove lui voleva. Marie-Thérèse si aprì la cerniera lampo del vestito. «Dove posso appenderlo?» chiese. «Visto che lo indosserò domattina.» «L'armadio è lì.» Purdue indicò l'armadio a muro, poi si diresse al bagno. «Scusami solo un momento.» Marie-Thérèse aprì l'anta dell'armadio. Esaminò gli abiti femminili appesi all'interno. Ne prelevò uno e se lo appoggiò contro il corpo. «Niente male.» «Ehi, niente scherzi con le cose di mia moglie», l'avvertì Purdue uscendo dal bagno. «Se ne accorgerà, credimi.» «Non preoccuparti, bellezza.» Marie-Thérèse tornò ad appendere l'abito. «Non faccio pasticci. A proposito, devi alzarti presto domani mattina?» «Macché. La sessione avrà inizio solo dopo pranzo. Possiamo prendercela comoda restando a letto, se la cosa ti fa piacere.» «Ottimo.» Marie-Thérèse appese il vestito e scivolò fuori dall'intimo. «Sei pronto per me, bellezza?»
«Assolutamente sì!» Marie-Thérèse entrò nel letto. Non ci sarebbe voluto molto. E, dopo, Marie-Thérèse du Bois avrebbe potuto dormire alla grande. Il cellulare di Stone si mise a vibrare. «Pronto?» «Carpenter.» «Ehi, ciao.» «A quanto sembra ci troviamo nella suite presidenziale del Waldorf Towers, ma sono riuscita ad avere una stanza con una porta dotata di serratura che si apre nel corridoio. Perché non vieni qui anche tu?» «Per ora non posso, ma le notizie che ho da darti ti piaceranno.» «Vale a dire?» «La Biche sta al Carlyle. In questo momento, gli uomini di Dino stanno tenendo la sua suite sotto sorveglianza. Aspetteranno fino a quando non rientrerà e andrà a dormire. Domattina entreranno in azione.» «Mio Dio, questo sì che è un sollievo», esclamò Carpenter. «Sei proprio sicuro di non voler aspettare la fine della storia qui nella suite presidenziale?» «Sono sicuro di voler rimanere qui. Dormi bene, parliamo domattina.» Stone chiuse la comunicazione. «Carpenter è alla suite presidenziale del Waldorf Towers, assieme al direttore dell'FBI.» Dino rise. «Dice che la porta ha la serratura.» Carpenter chiamò Mason. «Pronto...» ansimò lui, dopo il quarto squillo. «Sembri senza fiato.» «Che succede, Carpenter? Sono molto occupato in questo momento.» «Il direttore ha convocato una riunione per domattina alle otto. Pensi di riuscire a farcela?» «Direi di sì. È tutto?» «Per allora dovrei essere riuscita a mettermi in contatto con il ministro degli Interni.» «Bella mossa. Buonanotte.» Mason chiuse la comunicazione e tornò a dedicarsi al giovane agente dell'FBI. Mattina successiva, ore otto. Carpenter prese posto al tavolo del salotto
della suite. Mason era stato puntuale, per quanto avesse l'aria piuttosto sbattuta e indossasse gli stessi vestiti del giorno prima. «Benissimo, possiamo cominciare», esordì il direttore. Il telefono di Carpenter si mise a suonare. «Chiedo scusa, signore.» Carpenter si allontanò dal tavolo e aprì il cellulare. «Pronto?» «Stone.» «Che succede?» «Non è rientrata.» «Ah. Farò rapporto in merito. Ti richiamo più tardi.» Carpenter chiuse il cellulare e tornò a sedersi. «Allora?» chiese il direttore. «Temo, signore, che ci siano cattive notizie. Come le avevo riferito, il Dipartimento di polizia di New York aveva localizzato la donna in una suite all'hotel Carlyle. Hanno organizzato l'appostamento, ma La Biche non è rientrata.» «Merda», sibilò il direttore. «Pensavo che l'avessimo in pugno.» «Lo pensavo anch'io, signore.» «Mi domando cosa stia facendo in questo momento...» 56 In quel momento, Marie-Thérèse stava osservando la sommità del cranio di uno dei membri della delegazione americana presso le Nazioni Unite. L'uomo aveva fornito la sua prestazione con entusiasmo e notevole abilità. Cosa che Marie-Thérèse non mancò di fargli sapere. Vennero interrotti dal campanello. Purdue indossò una vestaglia e firmò il conto della colazione in camera, dopo di che spinse dentro il carrello. «Spiacente per il contrattempo.» «Avresti dovuto dirgli che hai già mangiato.» Purdue rise, passandole il piatto con salsicce e uova strapazzate. «Quanto tempo ti tratterrai a New York?» «Perché?» «Visto che mia moglie non è con me in questo viaggio, avevo pensato che tu e io potremmo vederci ancora.» «Difficile dire quanto più di quello che abbiamo già visto potremmo vedere l'uno dell'altra», replicò ridendo Marie-Thérèse. «Ben detto», concordò Purdue. «Rimani per un altro po'? Io sarò qui tutta la settimana.»
«Dopo di che si torna dalla mogliettina.» «È un lavoro duro, ma qualcuno deve pur farlo.» «Duro?» «Non è facile guadagnarsi da vivere quando si è sposati con una donna ricca», spiegò Purdue. «E allora divorzia.» «Ho imparato ad amare il mio tenore di vita, peccato che sia difficile mantenerlo con lo stipendio del dipartimento di Stato.» «Per cui vuoi il tenore di vita ma non la moglie. Trova qualcuno che la faccia fuori.» «Voialtri del Texas...» disse Purdue ridendo. «Vorrei evitare di diventare l'oggetto di un film tv sull'ultimo omicidio eccellente.» Marie-Thérèse valutò che Washington DC avrebbe potuto rappresentare un ottimo cambiamento d'aria in quel momento. Poteva prendere un'auto a nolo e arrivarci in giornata. «La cosa si può sistemare in modo molto discreto», cominciò La Biche. «Infatti posso sistemarla io.» «Cosa?» «Tu sarai alla sessione del Consiglio di sicurezza dell'ONU, o in qualche altro posto pieno di testimoni. Tua moglie potrebbe rimanere vittima di una rapina finita male, o qualcosa del genere. Nessuno sarà mai in grado di risalire fino a te.» «Tu faresti questo?» «Sono una donna dalle mille risorse. Pensavo già di passare per Washington. Sarebbe per me un piacere aiutarti, Jeff.» «Sembra quasi che tu voglia occupartene di persona.» «Ho una certa esperienza in materia.» «Di quale 'certa esperienza' stai parlando?» «Ti ho mentito, Jeff. Non sono una ricca signora del Texas. Sono un'assassina di professione.» Purdue rise di gusto. «Dubito di potermi permettere i tuoi servizi.» «Le mie tariffe sono basse. Ascolta bene: tu mi lasci usare la tua suite per il week-end, e tua moglie sarà cadavere entro la metà della settimana prossima.» «Ma tu... Parli sul serio.» «E tu parli come qualcuno che è interessato.» Jeff Purdue smise di mangiare. «D'accordo, sono interessato», disse cautamente. «Spiegami perché non verremo presi.»
«Perché tu e io non abbiamo un passato comune che possa essere scoperto in seguito, e perché io non ho nessun movente per uccidere tua moglie. Inoltre, quando lascerò New York alla volta di Washington, avrò cessato di essere Darlene King. Sarò diventata un'altra donna, la quale, dopo che tua moglie sarà morta, svanirà nel nulla.» Purdue allontanò il piatto. «Ah, la materia di cui sono fatti i sogni...» disse in tono svagato. «Tu saresti un ottimo partito da vedovo: attraente, ben introdotto e infine... ricco.» «Questo è assolutamente vero. Ma, se tu sei davvero chi dici di essere, per quale motivo ti stai fidando di me? Potrei fare due passi fino alla suite presidenziale in fondo al corridoio e spifferare tutto al direttore dell'FBI. Penso che sarebbe interessato.» «Un vero peccato che tu questo non possa farlo, Jeff. Avresti troppe cose da spiegare. Non solo a lui, ma anche a tua moglie. E lei potrebbe prendersela a male. Tu potresti ritrovarti a tirare a campare solo sullo stipendio del dipartimento di Stato. No, io sono del tutto al sicuro fidandomi di te.» «Convincimi che sei davvero chi dici di essere», ribatté Purdue. Marie-Thérèse posò il piatto sul carrello del servizio in camera e scese dal letto. Raggiunse la borsetta posata su una sedia, ne estrasse la pistola di piccolo calibro munita di silenziatore, tornò fino al letto e puntò l'arma alla testa di Purdue. La faccia di lui si congelò. «Oh, rilassati, non intendo spararti», lo rassicurò La Biche. «Che pistola è quella?» Jeff Purdue era come ipnotizzato. «Un'arma per assassini. Costruita dalla tua stessa CIA.» «E tu come fai ad averla?» «È troppo complicato da spiegare.» «Se la usassi per uccidere mia moglie, quest'arma potrebbe essere collegata ad altri delitti?» «In nessun modo. Su questo, dovrai fidarti di me.» «Che io sia dannato...» «Tu pensaci, Jeff. Io vado a fare la doccia.» La Biche andò nel bagno, portandosi dietro borsetta e pistola. Carpenter chiuse il cellulare. «La polizia di New York ha rinunciato ad aspettare che La Biche faccia ritorno alla suite del Carlyle. Adesso si concentreranno sulla nostra base qui», disse ai presenti alla riunione, «nell'ipo-
tesi che lei venga ad appostarsi di nuovo. Stanno collocando tiratori scelti sui tetti circostanti.» «Non vedo che altro si possa fare», commentò il direttore dell'FBI. «I miei agenti tengono sotto sorveglianza gli aeroporti, le stazioni ferroviarie e quelle degli autobus. Abbiamo distribuito la descrizione della donna anche agli autonoleggi. Che identità usava al Carlyle?» «Signora Darlene King, di Dallas, Texas», rispose Carpenter. «A quanto risulta è stata altre volte ospite in quell'albergo sotto lo stesso nome.» «Dubito che commetterà l'errore di continuare a usarlo», osservò il direttore. «Ne dubito anch'io. Se ha abbandonato la suite al Carlyle, avrà anche abbandonato l'identità King per passare a un'altra.» Mason si protese verso Carpenter. «Senti, se non hai più bisogno di me, farei una scappata in ufficio a prendere altri vestiti.» «Va' pure», disse Carpenter. «Ma sta' attento.» Marie-Thérèse osservò la propria immagine riflessa. Era decisamente elegante nell'abito di Armani della signora Purdue, e con indosso anche la sua biancheria intima si sentiva pulita e fresca. Rientrò nel bagno, dove Jeff Purdue era intento a radersi. I loro sguardi s'incontrarono nello specchio. «Ehi, non puoi mettertelo, quello», protestò lui. «È di mia moglie.» «Ma adesso a lei non serve, o sbaglio?» «Facciamola finita con questi giochetti.» Purdue andò avanti a radersi. «Tu non sei affatto un'assassina, e mia moglie rimane dov'è. Adesso rimettiti i tuoi, di vestiti, e levati dai piedi. A scopare non sei male, ma tu e io la chiudiamo qui.» Il suo tono di voce irritò Marie-Thérèse, per non parlare del fatto che le stava parlando voltandole le spalle. «D'accordo, Jeff, io volevo farti un favore ma, visto che la metti così, penso proprio che il favore lo farò a tua moglie.» La Biche estrasse la pistola dalla borsetta e sparò alla nuca di Jeff Purdue, colpo singolo. Il proiettile a punta cava mandò brandelli della sua faccia a colare lungo lo specchio. Marie-Thérèse riappese ordinatamente il suo vestito nell'armadio, mescolandolo tra quelli della signora Purdue. Gettò la biancheria sporca nel cesto e uscì dalla suite, richiudendo con calma la porta alle proprie spalle. La guardia del turno di notte era ancora in servizio.
«Buongiorno», lo salutò soavemente Marie-Thérèse. «Buongiorno a lei, signora.» L'uomo premette per lei il pulsante di chiamata dell'ascensore. Un altro uomo apparve nel corridoio, fermandosi accanto a MarieThérèse ad attendere l'ascensore. Le porte si aprirono e tutti e due entrarono nella cabina. «Buongiorno», sbadigliò l'uomo. «Buongiorno.» Finalmente Marie-Thérèse lo guardò dritto in faccia. «Ma quale fortunata coincidenza. E proprio lui: il caro Mason!» MarieThérèse rise di gusto. «Lei come fa a sapere il mio nome?» Mason ammiccò. «Ci siamo già incontrati?» «No, ma la tua reputazione ti precede.» Marie-Thérèse frugò nella borsetta, come se stesse cercando il rossetto. Nel momento in cui le sue dita incontrarono la pistola, lei premette il pulsante di arresto di emergenza. Le porte si aprirono al successivo piano sottostante. «Ehi, ma che fai...?» L'espressione di Mason andò in pezzi: aveva capito chi aveva di fronte. «Io scendo qui.» La Biche estrasse la pistola dalla borsetta. «Tu invece continui sino in fondo.» Gli piantò due pallottole in corpo, uscì dalla cabina, allungò il braccio alla pulsantiera e fece ripartire l'ascensore. 57 L'agente dell'FBI entrò di corsa nella suite presidenziale mentre la riunione si stava sciogliendo. Bisbigliò qualcosa all'orecchio del direttore. «Ma cos'è, uno scherzo?» Le sopracciglia del direttore s'inarcarono. «Nessuno scherzo, signore», rispose l'agente. Il direttore si rivolse a Carpenter. «Il vostro uomo, Mason, è stato appena trovato morto nell'ascensore, due colpi di arma da fuoco.» Carpenter si alzò, senza sapere con precisione perché lo avesse fatto. Prima di riuscire a dire anche una sola parola, il suo cellulare si mise a suonare. Meccanicamente, lei rispose. «Pronto?» «Sono Stone. Dino e io siamo appena arrivati al Waldorf. Vorremmo incontrarci con te e con il direttore.» «Stone, è qui, nell'albergo!»
«Chi è nell'albergo?» «La Biche. Ha appena sparato a Mason in ascensore.» «Non lasciare la suite, e di' al direttore di non farlo nemmeno lui. Ti richiamo.» Stone chiuse. «Che succede?» chiese Dino mentre salivano le scale del garage sotterraneo, dirigendosi verso gli ascensori del Waldorf Towers. «Marie-Thérèse è nell'edificio», rispose Stone. «Ha appena ucciso Mason in uno degli ascensori.» Dino tornò di corsa alla macchina a prendere la radio. «Parla Bacchetti. La Biche si trova al Waldorf-Astoria. Togliete tutti quelli che sorvegliano la sede inglese e mandateli qui di corsa. Chiamate la sicurezza dell'albergo, e fate convergere sul Waldorf anche tutte la autopattuglie disponibili. Voglio che tutte le donne sole vengano fermate e identificate. Ci fosse anche solo un minimo sospetto, trattenetele.» Marie-Thérèse attese con impazienza che un ascensore si fermasse. Non accadde. Poi si rese conto della situazione: l'ascensore in cui aveva ucciso Mason era un «espresso», in collegamento diretto con la sommità del Towers. Si era fermato solamente perché lei aveva premuto il pulsante di arresto. L'ascensore che serviva quel piano invece non era un espresso, bensì faceva servizio a tutti i piani, e a quell'ora della giornata il traffico era molto intenso. L'idea di Marie-Thérèse era scendere nell'atrio approfittando della confusione causata dal ritrovamento del cadavere di Mason, prima che la caccia all'assassino cominciasse. Ma adesso, mentre aspettava il maledetto ascensore, il conto alla rovescia era partito. In quel preciso momento, la guardia al piano della suite presidenziale stava dando la sua descrizione. Marie-Thérèse si guardò attorno alla ricerca di una via d'uscita. La trovò: le scale. La porta che dava da quella parte recava un numero ben visibile: 16. Se avesse preso l'ascensore, era pressoché certo che avrebbe trovato qualcuno al piano terra ad aspettarla al varco. Quanto tempo le sarebbe occorso per scendere sedici piani a piedi? Guardò nell'altra direzione. Lungo il corridoio c'era una porta aperta, mostrando scaffali carichi di lenzuola e altro materiale di servizio. MarieThérèse vi si diresse correndo, entrò e si chiuse la porta dello sgabuzzino alle spalle. Sopra uno degli scaffali trovò un'uniforme da cameriera, lavata di fresco. La indossò rapidamente sopra il vestito e l'abbottonò fino al col-
lo. Quindi arrotolò le gambe dei pantaloni, in modo da farle sparire sotto la gonna dell'uniforme. Trovò la crestina e indossò anche quella. La chiave girò nella toppa, e la porta dello sgabuzzino si aprì. C'era una cameriera in piedi nel corridoio, accanto a un carrello delle pulizie. Marie-Thérèse parlò prima che fosse la donna a farlo. «Scusami, dov'è l'ascensore di servizio? Mi sono proprio persa.» «Là in fondo. Ma ti servirà la chiave...» In quel momento la cameriera capì che qualcosa non andava. «Che ci fai qui dentro? Io non ti ho mai visto.» Marie-Thérèse l'afferrò per un polso e la trascinò nello sgabuzzino. La colpì alla base del collo con il taglio della mano. La cameriera crollò senza un lamento. Marie-Thérèse la perquisì, riuscendo a trovare le chiavi in una delle tasche. Uscì dallo sgabuzzino, richiuse la porta e prese a spingere il carrello verso l'ascensore di servizio, nascondendo la borsetta nel cesto delle lenzuola sporche. Continuando a muoversi, si strofinò vigorosamente il viso con un asciugamano per togliersi il trucco. Stone richiamò Carpenter sul cellulare. «Sì?» «Dino e io siamo agli ascensori del Towers, la sicurezza dell'albergo li ha isolati. Se La Biche dovesse scendere in ascensore la prenderemo.» «Ottimo.» «Organizziamo una ricerca piano per piano tra te e il piano terra, aprendo tutte le porte e fermando tutte le donne che possano rispondere anche remotamente alla descrizione.» «L'FBI se ne sta già occupando.» «Dino ha suonato l'adunata ai suoi e li sta facendo convergere, ma se Marie-Thérèse ha già raggiunto il suolo arriveranno troppo tardi per fermarla. La nostra unica possibilità è che si trovi ancora a uno dei piani intermedi.» «Abbiamo una nuova descrizione», disse Carpenter. «Abito intero con pantaloni, colore incerto, capelli biondi corti e grossa borsetta.» «Ricevuto. Chiamami per qualsiasi cosa.» Stone chiuse la comunicazione. «Adesso La Biche ha i capelli biondi corti», riferì a Dino. «E indossa un abito intero con pantaloni.» Marie-Thérèse trovò la chiave dell'ascensore di servizio, la inserì nella serratura e la ruotò. La cabina, che si trovava tre piani sopra, cominciò a
scendere. Dopo un lungo momento, le porte si aprirono. Marie-Thérèse spinse il carrello all'interno. Osservò la pulsantiera: l'albergo aveva tre sottolivelli. La donna inserì la chiave e premette il pulsante del primo livello sotterraneo. Le porte si chiusero e la cabina cominciò a scendere. Solo per fermarsi quasi immediatamente. Allarmata, Marie-Thérèse non poté fare altro che osservare le porte che tornavano ad aprirsi. Un ragazzo in tuta spinse dentro un carrello delle pulizie. Il carrello di Marie-Thérèse bloccava la pulsantiera. «Ti dispiace premere il sottolivello uno, per favore?» disse il ragazzo. Marie-Thérèse inserì nuovamente la chiave e premette il pulsante. L'ascensore riprese a muoversi. «Accidenti, è proprio una giornata balorda.» C'era un marcato accento spagnolo nell'inglese del ragazzo. «Ne ho almeno una dozzina di questi carrelli da portare giù. e trovo gente che mi ferma ogni due per tre.» «E perché ti fermano?» chiese Marie-Thérèse, molto tesa. «Cercano qualcuno ai piani alti. Una donna, credo. È tutto quello che so. C'è gente della sicurezza da tutte le parti, e un sacco di altri tizi che non ho mai visto, tizi con dei vestiti scuri.» «Sono nuova, qui», disse Marie-Thérèse. «Che cosa c'è nei sottolivelli uno e due?» «La cucina all'uno, la lavanderia al due», rispose il ragazzo. «Ehi, che ne dici se dopo magari ti offro un caffè?» «Perché no?» disse sorridendo Marie-Thérèse. Sotto i due strati di vestiti stava cominciando a sudare. E cominciava anche ad avere paura. 58 Marie-Thérèse cambiò idea: premette il pulsante del sottolivello due. «Pensavo che volessi scendere nel primo sotterraneo», commentò il ragazzo delle pulizie. «Era alla lavanderia che volevo andare», rispose Marie-Thérèse. «Mi sono confusa.» «Già, ci vuole un po' per imparare com'è messo questo posto.» Il ragazzo scese al sottolivello uno. «Ci vediamo dopo.» «Certo, a dopo.» La porta dell'ascensore tornò ad aprirsi al sottolivello due. MarieThérèse uscì spingendo il carrello davanti a sé. E là, proprio di fronte, c'era
quello che lei stava cercando disperatamente: un cartello con la scritta USCITA, la freccia puntata verso sinistra. Marie-Thérèse spinse il carrello in quella direzione, quindi seguì un secondo cartello, imboccando un lungo corridoio. In fondo c'era un'altra porta con sopra un altro cartello USCITA, ma davanti alla porta c'era anche una guardia giurata con uniforme e pistola al fianco. Non doveva essere comunque troppo difficile sistemarla, si disse. Spinse il carrello fin quasi a ridosso della porta, si fermò e tolse la borsa dal cesto della biancheria sporca. «Temo che lei non possa uscire da questa parte, signora», la bloccò la guardia. «Ordini dall'alto.» «Oh, volevo solo farmi una sigaretta là fuori.» Marie-Thérèse riprodusse l'accento spagnolo del ragazzo delle pulizie. «A loro non piace se fumi dentro.» Si mise a frugare nella borsa, come se stesse cercando le sigarette. «A chi lo dice! Fumo anch'io, per cui so bene come butta. Ma non posso comunque lasciarla uscire da questa porta. Gliel'ho detto, ordini dall'alto.» L'uomo appoggiò distrattamente la mano sul calcio della pistola nella fondina. Marie-Thérèse cessò di frugare nella borsa. Se avesse tentato di sparargli, lui sarebbe partito in vantaggio. «Va be'. Allora è meglio che torni al lavoro. La sigaretta posso fumarmela dopo.» Fece ruotare il carrello e lo spinse nuovamente lungo il corridoio, andando alla ricerca di un'altra uscita. La trovò, un'altra uscita. E trovò pure un'altra guardia giurata a sorvegliarla. Un individuo dall'aria molto meno amichevole del primo. Alla fine, con tutte le strade sbarrate, La Biche non poté fare altro che tornare all'ascensore. Inserì la chiave di servizio e premette il pulsante. Avrebbe ritentato a un altro piano. Carpenter mostrò la tessera alla guardia ed entrò nell'ascensore espresso, per scendere nell'atrio. Stone e Dino le si avvicinarono nel momento stesso in cui uscì dalla cabina. «Da questa parte non è venuta», disse Stone. «Come procede la ricerca ai piani superiori?» «A rilento», rispose Carpenter. «Potrebbe aver bussato alla porta di una qualsiasi delle stanze ed essere entrata. E questo è un albergo davvero grande.» «Dino», riprese Stone, «se tu riuscissi a trovare uno o due poliziotti per
sorvegliare gli ascensori potremmo salire anche noi.» Dino si attaccò alla radio. Di lì a poco si presentarono due agenti in uniforme. Il tenente diede loro le istruzioni del caso, poi si rivolse a Carpenter. «Okay, saliamo.» «Non prendiamo questo ascensore», suggerì Carpenter. «Prendiamo l'altro e perlustriamo i piani bassi. Li controlliamo uno per uno, senza però bussare a nessuna porta. Quello lo lasciamo fare alle squadre di ricerca. Forse avremo un colpo di fortuna.» Stone e Dino la seguirono all'ascensore e salirono con lei di un piano. Uscirono e cominciarono a percorrere i corridoi. Marie-Thérèse scese al primo piano interrato, dove almeno era più vicina alla strada. Fu sorpresa dallo scoprire che quel livello ospitava gli uffici del personale dell'albergo. Una guardia giurata in fondo al corridoio la vide e cominciò a dirigersi verso di lei. La Biche rientrò rapidamente in ascensore, sperando che l'uomo non avesse anche lui una chiave di servizio. Il piano terra brulicava di poliziotti, questo era poco ma sicuro. MarieThérèse premette il pulsante del secondo piano. Non ci avrebbe comunque messo molto a scendere a piedi fino al livello strada. Carpenter, Stone e Dino completarono la perlustrazione al primo piano. Carpenter si diresse alle scale. «No, aspetta», la fermò Dino. «Se prendiamo le scale, non potremo accedere agli altri piani: le porte antincendio sono a senso ionico in uscita. Saremmo costretti a scendere di nuovo al piano terra. Dobbiamo prendere l'ascensore.» Premette il pulsante di chiamata. «Pensi davvero che La Biche sia ancora nell'albergo?» chiese Stone. «Non lo so», rispose Carpenter, «ma in questo momento è l'unico posto in cui possiamo cercarla. Se ce l'ha fatta a uscire, potrebbe essere già in capo al mondo.» «Continuiamo a cercare», disse Dino. «Si chiama 'lavoro di polizia', Stone, hai presente?» «Ho presente, ho presente...» Rientrarono nell'ascensore e premettero il pulsante del secondo piano. Marie-Thérèse sbarcò al secondo piano, spingendo il carrello davanti a sé, la borsa di nuovo nel cesto della biancheria. Sempre alla ricerca di un'uscita, svoltò un angolo pressoché nel medesimo istante in cui due uomi-
ni e una donna uscivano da uno degli ascensori. Il terzetto si mise a camminare verso di lei. La Biche li riconobbe istantaneamente. Si costrinse a non scappare. «Buongiorno», salutò con accento spagnolo, incrociandoli con calma. «Buongiorno», mugugnarono i tre. Avevano percorso una dozzina di passi quando Carpenter sollevò una mano, fermandoli. Improvvisamente aveva una pistola in pugno, e si portò la canna alle labbra. Sempre in silenzio, puntò l'arma verso la cameriera che stava sparendo in fondo al corridoio. Stone e Dino si girarono a loro volta, guardando la donna. Da sotto la gonna bianca dell'uniforme da cameriera, la gamba di un pantalone scuro scendeva verso la caviglia. «Pantaloni...» sibilò Carpenter. Stone e Dino estrassero le pistole. 59 Marie-Thérèse capì di essere stata individuata. Stringendo fra le dita la chiave di servizio, si accucciò dietro il carrello, strappò la borsa dal cesto della biancheria, aprì la porta della stanza più vicina a lei, scivolò dentro e richiuse la porta di schianto. Un uomo uscì dal bagno. Un uomo colossale: centotrenta chili per un metro e novantacinque di altezza. Indossava pantaloni e camicia bianca, e attorno al collo aveva appesa una cravatta cui non aveva ancora fatto il nodo. «Be'?» domandò il gigante. Marie-Thérèse frugò nella borsa ed estrasse la pistola. «Mettiti da quella parte», intimò. «Ehi, che cazzo succede?» Marie-Thérèse gettò la crestina da cameriera sul letto e cominciò a slacciarsi la divisa. «Tu hai l'aria di uno che giocava a football.» «E allora?» «L'hai mai avuta una lacerazione dei legamenti del ginocchio?» «L'ho avuta.» «Te lo ricordi il male che faceva?» «Lo ricordo.» La Biche puntò la pistola al suo ginocchio destro: «Questo farà molto,
molto più male». L'uomo sollevò entrambe la mani davanti a sé, palmi bene in vista, in segno di resa. «Okay, okay, tutto quello che vuoi.» Tenendolo sotto tiro, Marie-Thérèse si accostò a una finestra e guardò fuori. Si trovava a due soli piani dal livello stradale. Ci sarebbe potuta arrivare con una fune di lenzuola annodate. Non fosse stato che proprio lì sotto c'erano due auto della polizia, lampeggiatori in funzione. MarieThérèse tornò a girarsi verso il gigante. «Allora, che cosa vuoi?» domandò lui. «Che tu mi porti fuori di qui», rispose La Biche. Stone, Dino e Carpenter erano immobili nel corridoio, schiena alla parete, separati dalla porta della stanza. «Sfondala a calci», suggerì Carpenter. «Non è forse la specialità dei poliziotti?» «Questo tipo di porta non si sfonda a calci, a meno che uno non abbia voglia di spezzarsi una caviglia», ribatté Dino. Si portò alle labbra la radio. «Parla Bacchetti. Abbiamo la donna in una delle stanze al secondo piano. Voglio una squadra SWAT con ariete di sfondamento. E la voglio adesso!» «Tenente, qui è il sergente Rivera», rispose una voce. «Non abbiamo una SWAT sul posto... lei prima non l'aveva richiesta. Devo chiamarli, ci vorranno alcuni minuti.» «La Biche non va da nessuna parte», disse Stone. «D'accordo», concluse Dino nel microfono. «Digli di muovere il culo.» «E adesso che facciamo?» chiese Carpenter. «Lasciatemi provare a convincerla», propose Stone. «Accomodati pure», fece Dino. Stone si accostò alla porta e bussò due volte con decisione. «MarieThérèse, sono Stone Barrington.» «Ciao ciao, Stone», rispose una voce soffocata. «Qual buon vento ti porta da queste parti?» «Voglio cercare di farti uscire da questa situazione camminando con le tue gambe.» «Non male l'idea. Come facciamo a metterla in pratica?» «Semplice. Tu apri la porta, quindi butti la pistola ed esci con le mani intrecciate sulla testa. Ti garantisco che sarai al sicuro.» «Lì fuori con te c'è anche Carpenter, giusto?»
«Sì, c'è anche lei.» «Puoi garantirmi che sarò al sicuro da lei? Dopo la menzogna del trasferimento dei soldi, non mi fido di lei.» «Io li ho mandati, i maledetti soldi!» sibilò Carpenter. «Sono nel tuo conto!» Stone le fece cenno di tacere. «Carpenter non ti sparerà, ma sta arrivando una squadra SWAT e, a meno che tu non venga fuori di lì adesso, loro sfonderanno la porta con un ariete. E a quel punto potrà succedere di tutto.» «Santo cielo, noi non vogliamo certo che succeda di tutto, giusto o no? D'accordo, vengo fuori. Allontanatevi tutti quanti dalla porta.» Stone, Dino e Carpenter arretrarono sul lato opposto del corridoio e rimasero in attesa. «Ci siamo allontanati», la avvisò Stone. «Okay, ecco che arrivo.» La maniglia girò e la porta si spalancò verso l'interno. Stone strinse gli occhi a fessura. C'era una specie di colosso sulla soglia, talmente enorme da riempire l'intera cornice della porta. Aveva le dita delle mani intrecciate sul ventre, da sotto le sue braccia emergeva un coppia di piccoli piedi, chiusi in scarpe con il tacco alto. Marie-Thérèse fece capolino al di sopra della spalla del gigante, un braccio attorno al suo collo, la pistola premuta contro la sua tempia. «Si va», intimò La Biche. «Ma con calma.» Lentamente, il colosso superò la soglia. «Non voltare le spalle a questi tre», ordinò Marie-Thérèse. «Ehi, ma io ti conosco...» esclamò Dino rivolgendosi al gigante. «Non eri uno degli attaccanti di sfondamento dei New York Jets un po' di tempo fa?» «Già», fece il bestione. «Ma sì, Billy Franco, l'Incudine!» «E bravo. L'Incudine, difatti. Adesso magari puoi dirmi cosa intendi fare per togliere questa signorina prima dalla mia schiena e poi dalla mia vita.» «Spiacente d'interrompere la vostra affascinante conversazione sportiva», intervenne Marie-Thérèse. «Adesso faremo tutti un bel balletto. Una rotazione in senso antiorario fino a quando le nostre posizioni non si saranno invertite.» Il terzetto cominciò a muoversi. Franco si mosse a sua volta fino a che non ebbe la schiena rivolta alla parete, mentre Stone, Dino e Carpenter si
trovarono con la porta aperta alle spalle. «Molto bene», disse Marie-Thérèse. «Ora entrate nella stanza e chiudete la porta, in modo che io non debba spalmare le cervella del signor Incudine fino al soffitto.» «E poi che succede?» chiese Franco. «Poi continuo a cavalcarti finché non siamo usciti da questo albergo e abbiamo raggiunto la macchina più vicina.» «Io ho un'idea migliore», propose Franco. «Sarebbe?» L'Incudine arretrò come una valanga, pestò Marie-Thérèse di schiena contro la parete e si gettò a terra di lato. Marie-Thérèse emise un suono come di aria compressa che erompe da un pneumatico squarciato e atterrò sul pavimento in posizione seduta. In un ultimo sussulto di energia, sollevò la pistola, la puntò nella generica direzione di Stone, Dino e Carpenter, e premette il grilletto. Clic. Il percussore picchiò su una camera di sparo vuota. Per un attimo nessuno si mosse. Poi Carpenter aprì il fuoco e piantò due proiettili in corpo a Marie-Thérèse du Bois. Stone mulinò un braccio, scaraventando Carpenter nel corridoio a gambe levate. «E piantala!» le urlò contro. Franco, sdraiato faccia a terra, mani sulla testa, si girò a dare un'occhiata. «Che succede? Hanno sparato a qualcuno?» Stone premette due dita sulla gola di Marie-Thérèse. «Già.» Si raddrizzò. «Hanno sparato un colpo mortale.» 60 Stone rientrò a casa attorno a mezzogiorno. Sui gradini dell'ingresso trovò un pacco consegnato da un corriere. Lo raccolse e lo scaricò sul tavolo dell'anticamera. Era esausto e depresso, non dell'umore giusto per leggere qualunque cosa. Quello di cui aveva bisogno era dormire. Lasciò una scia di vestiti dall'ascensore fino alla stanza da letto, dove si sdraiò perdendo solamente il tempo di schiacciare il pulsante per silenziare la suoneria del telefono. Quando si svegliò, fuori era buio. La sveglia accanto al letto segnava qualche minuto dopo le otto. Si alzò e andò in bagno. Cinque minuti di doccia bollente riuscirono a farlo sentire di nuovo un essere umano. Tornò in camera da letto con in testa l'idea del cibo. Era dalla notte pri-
ma che non mangiava niente. Premette di nuovo il pulsante sul telefono, il quale si mise immediatamente a suonare. «Sono Dino. Muovi le chiappe e vieni subito da Elaine.» «Non so, Dino. Mi sono appena svegliato.» «Carpenter sta per partire. Ha cercato di chiamarti, ma immagino tu avessi staccato il telefono. Passerà qui prima di andare all'aeroporto.» «D'accordo, arrivo.» Stone riappese, si fece la barba e indossò abiti puliti. Continuava a sentirsi intontito. Nel momento in cui stava per uscire, il suo sguardo cadde sul pacco che aveva lasciato in anticamera. L'indirizzo del mittente era quello dell'hotel Carlyle. Stone aprì la scatola. Conteneva alcuni fogli di carta e una busta piuttosto spessa. Stone, ho la strana sensazione di avvicinarmi alla fine di un ciclo, forse di tutti i cicli. Vorrei essere in grado di fermarmi, ma non posso farlo, non fino a quando non avrò portato a termine ciò che devo. So che lei pensa che io sia pazza, e per un momento era anche riuscito a convincermi. Ma poi mi sono scontrata con la doppiezza degli individui contro cui combatto. Se tutto andrà bene, quando leggerà questa lettera io avrò già lasciato il Paese. Se invece tutto andrà male, e potrebbe andare male, qui ci sono le sue istruzioni. Ho accluso il nome del mio avvocato di Zurigo. Una volta che sarà stato informato, saprà lui che cosa fare. Voglio che il mio corpo sia cremato e che le mie ceneri gli vengano spedite. La ringrazio per quanto ha cercato di fare. Marie-Thérèse Stone esaminò il documento accluso, accuratamente stampato e autenticato. Lo autorizzava ad agire quale avvocato di Marie-Thérèse du Bois negli Stati Uniti, sia prima sia dopo la sua morte. Un secondo documento era una copia della lettera spedita all'avvocato di Zurigo, in cui lo informava del coinvolgimento di Stone. Lacerò la busta. Era piena di banconote da cento dollari, la stessa somma che La Biche gli aveva pagato la prima volta. Stone gettò il tutto sul tavolo, lasciò la casa e salì su un taxi. Dino era solo quando Stone arrivò da Elaine. Si sedette. Senza una parola, Dino fece scivolare verso di lui lungo il tavolo una copia del New York
Post, aperta a una pagina interna. FUNZIONARIO DEL DIPARTIMENTO DI STATO ASSASSINATO AL WALDORF-ASTORIA Jeffrey Purdue, membro della delegazione americana presso le Nazioni Unite, è stato rinvenuto cadavere questa mattina in una suite dell'hotel Waldorf-Astoria, ucciso a colpi d'arma da fuoco. Secondo fonti della polizia, la sera prima Purdue era stato avvicinato da Darlene King, una prostituta d'alto bordo, e l'aveva portata nella sua suite. Dopo avere passato la notte con lui, la donna lo avrebbe derubato e quindi assassinato. È stata una cameriera a scoprire il corpo questa mattina, dando l'allarme alla polizia e alla sicurezza dell'albergo. L'albergo stesso è stato quindi isolato e perquisito, evento che ha condotto a un confronto armato tra la polizia e la signora King. Nel momento in cui la donna ha minacciato gli agenti con una pistola, è stata uccisa dagli agenti stessi. «E questo sarebbe quanto?» Stone inarcò un sopracciglio «Di quello che è successo al Four Seasons e a Mason nemmeno una parola?» «È la versione purgata», rispose Dino. «Purdue è l'unico a essere assurto agli onori della cronaca nera.» Dino fece un gesto di resa. «Ehi, non prendertela con me. Le direttive vengono dal vertice della catena alimentare.» «Già. E rimanendo in tema di catena alimentare...» Stone prese il menu. Un cameriere gli piazzò davanti un Wild Turkey con ghiaccio. «Te la fai una fiorentina con me?» «Perché no?» disse Dino. «Non ho ancora mangiato. Mary Ann è andata a trovare suo padre.» «La fiorentina...» raccomandò Stone al cameriere, «poco cotta.» «Diciamo al sangue», lo corresse Dino. «Diciamo la sua metà al sangue», aggiunse Stone. Il cameriere si allontanò. Carpenter apparve all'improvviso, molto professionale in tailleur scuro. Si sedette. «Drink? Cena?» disse Dino. «Ne l'uno né l'altra. Mangerò in aereo.» «C'è un volo per Londra a quest'ora di notte?» chiese Stone.
«C'è un aereo della RAF all'aeroporto di Teterboro», precisò Carpenter. «Sai, riporto indietro con me due corpi come bagaglio a mano.» «Ah, sì, giusto.» «Cosa ne farete dei resti della Biche?» chiese Carpenter a Dino. «Tomba senza nome, immagino.» «Immagini male.» Stone disse loro del pacco che aveva ricevuto da Marie-Thérèse. «Vuole che le sue ceneri vengano spedite in Svizzera.» «Perché invece non le spedisci giù per la tazza del gabinetto?» propose Carpenter. «Dacci un taglio, Felicity», intimò Stone. «Lei ti piaceva, non è così?» insistette Carpenter. «No, non mi piaceva. Però ammiravo... alcune delle cose che lei era: determinata, forse anche con dei principi...» «Mentre io non ti piaccio più?» «Mi piaci», rispose Stone. «Ma non ti ammiro.» «Ho fatto quello che doveva essere fatto.» «No, hai fatto quello che tu dovevi fare; c'è una differenza.» «Per lo meno adesso so che non mi darà più la caccia. Adesso posso rilassarmi.» «Non sono sicuro che potrai mai rilassarti davvero», ribatté Stone. «Intendo dimettermi, lo sai?» «Sul serio?» «Ci sto pensando.» «Non pensarci, dimettiti e basta. Non potrai essere di nuovo umana fino a quando non lo avrai fatto.» «Vorrei che tu capissi.» Stone scrollò le spalle. «È una guerra, come tu stessa hai detto. Che cosa c'è da capire?» Carpenter si alzò. «Devo andare.» Abbracciò Dino in fretta, quindi si girò verso Stone. «Non credo di avere voglia di darti un bacio.» «E allora non farlo.» «Mi chiamerai se passi da Londra?» «Quando sarai andata in pensione.» Carpenter gli rivolse un breve cenno di saluto e se ne andò. Stone e Dino rimasero in silenzio per qualche momento, sorseggiando i rispettivi drink. Alla fine, fu Dino a parlare. «Sei stato troppo duro con lei.» «Tu dici?»
«Abbiamo tutti il nostro lavoro sporco da fare... Carpenter, io, anche tu.» Stone ingollò il resto del bourbon e fece cenno al cameriere di portargliene un altro. «Credo che farai meglio a chiedere un'auto della polizia per riportarmi a casa, stanotte.» Dino annuì. «È qui fuori che aspetta.» Mount Desert, Maine, 26 giugno 2002 RINGRAZIAMENTI Voglio esprimere la mia gratitudine a David Highfill, il mio editor alla Putnam, per il costante, abile lavoro che esegue sui miei manoscritti e per la cura che dedica ai miei libri nell'ambito della casa editrice. La mia gratitudine va anche a tutti coloro i quali, lavorando dietro le quinte alla Putnam, si adoperano per tramutare i miei libri in successi. Sono parimenti grato ai miei agenti letterari, Morton Janklow e Anne Sibbald, per aver seguito la mia carriera nel corso degli ultimi ventidue anni. Non hanno mai mancato di farmi sentire in buone mani. FINE