GILES BLUNT QUARANTA MODI PER DIRE DOLORE (Forty Words For Sorrow, 2000) alla memoria di Philip L. Blunt (1916-2000) 1 F...
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GILES BLUNT QUARANTA MODI PER DIRE DOLORE (Forty Words For Sorrow, 2000) alla memoria di Philip L. Blunt (1916-2000) 1 Fa buio presto, ad Algonquin Bay. Se vai all'aeroporto alle quattro di un pomeriggio di febbraio e torni indietro mezz'ora dopo, ti vedi scintillare davanti le strade della città come tante piste di decollo. Sarà anche vero che il quarantaseiesimo parallelo si trova a nord, ma non più di tanto; puoi proseguire spingendoti ancora più a nord, e resterai sempre nel territorio degli Stati Uniti. Persino Londra, Inghilterra, è più vicina al Polo Nord di alcuni gradi. Ma qui stiamo parlando della provincia dell'Ontario, in Canada, e Algonquin Bay in febbraio è la definizione stessa dell'inverno: Algonquin Bay è sepolta sotto la neve, Algonquin Bay è immersa nel silenzio, Algonquin Bay è molto, molto fredda. John Cardinal stava tornando a casa in macchina dall'aeroporto, dov'era andato ad accompagnare la figlia Kelly, in partenza per gli Stati Uniti con un volo che faceva scalo a Toronto. L'auto profumava ancora di lei, o almeno serbava una traccia del profumo che da qualche tempo era diventato il suo marchio di fabbrica: Rhapsody o Ecstasy, qualcosa del genere. Per Cardinal, adesso che la moglie non c'era e la figlia era partita, era l'odore della solitudine. La temperatura esterna era scesa di parecchi gradi sotto lo zero; l'inverno stringeva l'auto nella sua morsa. I finestrini della Camry erano coperti da un velo di ghiaccio su entrambi i lati, e lui era costretto a grattarlo via di continuo con una spatola di plastica, senza grandi risultati. Scendendo da Airport Hill si diresse a sud, svoltò a sinistra sullo svincolo, poi ancora a sinistra per immettersi su Trout Lake Road, e infine puntò di nuovo a nord, verso casa. Se quella si poteva ancora chiamare casa, ora che Catherine e Kelly se n'erano andate. Era una minuscola costruzione di legno che sorgeva in Madonna Road, la più piccola di una fila di villette disposte a mezzaluna come una spilla appuntata sulla riva settentrionale del Trout Lake. La casa di Cardinal era completamente coibentata per isolarla dal gelo invernale, o
meglio, così aveva assicurato loro l'agente immobiliare, ma il termine "coibentata" si era rivelato una definizione molto relativa: Kelly sosteneva che nella sua stanza si poteva tenere in fresco il gelato. Il vialetto era nascosto da mucchi di neve alti più di un metro, quindi Cardinal non vide la macchina che gli sbarrava la strada finché non fu sul punto di tamponarla. Era una delle auto prive di contrassegni che usavano sul lavoro, circondata da grandi sbuffi di vapore chiaro che uscivano dallo scappamento. Cardinal fece marcia indietro per parcheggiare lungo la strada. Lise Delorme, che da sola rappresentava tutto l'ufficio Indagini speciali del Dipartimento di polizia di Algonquin Bay, scese dall'auto per raggiungerlo, attraversando la nube di vapore. Nonostante i "grandi progressi compiuti verso le pari opportunità nel campo dell'occupazione", come amavano dire i burocrati, il Dipartimento era ancora una roccaforte del maschilismo e l'opinione generale era che Lise Delorme fosse troppo... be', troppo in tutti i sensi, per il lavoro che svolgeva. Se stai lavorando e cerchi di concentrarti, non hai bisogno di distrazioni. Non che Delorme avesse l'aspetto di una diva del cinema, questo no; ma c'era qualcosa nel modo in cui ti guardava, diceva sempre McLeod, e una volta tanto McLeod aveva ragione. Delorme aveva la fastidiosa tendenza a fissarti un po' troppo a lungo, appena una frazione di secondo in più, con quegli occhi castani, seri e profondi. Era come se ti infilasse la mano sotto la camicia. Insomma, Delorme era un incubo per un uomo sposato. E Cardinal aveva anche altri motivi per temerla. «Stavo per rinunciare» gli disse con quel suo accento franco-canadese, sempre imprevedibile: il più delle volte non si notava neppure, poi tutt'a un tratto le consonanti finali sparivano e nelle frasi spuntava un doppio soggetto. «Ho tentato di telefonarti, ma non rispondeva nessuno, e la tua segreteria telefonica non funziona.» «L'ho staccata. Ma che diavolo ci fai, qui?» «Dyson mi ha detto di venire a prenderti. Hanno trovato un cadavere.» «Io non c'entro. Non lavoro più per la Omicidi, ricordi?» Cardinal tentava di mantenere un tono distaccato, ma persino lui sentiva l'amarezza nella propria voce. «Ti dispiace lasciarmi passare, sergente?» Quel "sergente" serviva soltanto a punzecchiarla. Di solito due agenti investigativi di pari grado si chiamavano per nome, tranne che in pubblico o in presenza di qualche collega più giovane. Delorme gli sbarrava il passo, ferma fra la sua auto e il muretto di neve,
ma si fece da parte per lasciarlo proseguire verso il garage. «Credo che Dyson voglia richiamarti.» «Non m'importa. E ora, per piacere, dovresti fare marcia indietro per lasciarmi entrare in garage. Se Dyson è d'accordo, naturalmente. Perché ha mandato te, poi? Da quando lavori per la Omicidi?» «L'avrai saputo che ho lasciato le Indagini speciali.» «No, ho sentito dire che volevi lasciare le Indagini speciali.» «Ormai è ufficiale. Dyson dice che mi farai da istruttore, per i primi tempi.» «No, grazie, non m'interessa. E alle Indagini speciali chi ci andrà?». «Un tale di Toronto. Non è ancora arrivato.» «Bene» concluse Cardinal. «Ma non cambia nulla. Allora, che ne dici di andartene? Fa freddo, sono stanco, e vorrei tanto mangiare.» «Pensano che potrebbe essere Katie Pine.» Delorme gli tenne gli occhi addosso mentre Cardinal mandava giù la notizia, spiando la sua reazione con quei grandi occhi castani, seri e profondi. Cardinal distolse lo sguardo, fissando l'abisso nero del Trout Lake. In lontananza, i fari di due gatti delle nevi si muovevano in coppia nel buio. Katie Pine. Tredici anni. Scomparsa dal 12 settembre; non avrebbe mai dimenticato quella data. Katie Pine, una brava studentessa, bambina prodigio in matematica che proveniva dalla riserva dei chippewa e che lui non aveva mai conosciuto, ma che aveva desiderato ritrovare più di qualsiasi cosa. In casa squillò il telefono, e Delorme guardò l'orologio. «Questo è Dyson. Mi aveva concesso un'ora.» Cardinal entrò, senza invitarla. Sollevò il ricevitore al quarto squillo e sentì la voce chioccia del responsabile delle indagini, il sergente Don Dyson che lo apostrofava in tono gelido, come se si fossero separati nel corso di un'accesa discussione e la riprendessero soltanto adesso, a distanza di tre mesi. E in un certo senso era proprio così. «Non perdiamo tempo a rivangare il passato» disse Dyson. «Se vuole le mie scuse, le chiedo scusa. Ecco fatto. Abbiamo un cadavere, sulle isole Manitou, e McLeod è impegnato in tribunale, impelagato fino al collo nel processo Corriveau. Il caso è suo.» Cardinal si sentì bruciare nelle vene una collera antica. Sarò anche un cattivo poliziotto, si disse, ma non per le ragioni che crede Dyson. «Mi ha tolto dalla squadra Omicidi, ricorda? Secondo lei ero buono soltanto per furti e rapine, se non sbaglio.»
«Ho assegnato il suo caso a un altro, e questa è una delle prerogative di un responsabile delle indagini, se lo ricordi. Ormai è storia vecchia, Cardinal. Acqua passata. Ne parleremo dopo che avrà visto il corpo.» «"Katie Pine è solo una ragazzina scappata di casa" mi aveva detto. "Non è un caso di omicidio, è soltanto una fuga. Non è la prima volta."» «Cardinal, lei è stato reintegrato alla Omicidi, d'accordo? L'indagine è sua. Tutto questo schifo di circo è suo. Non è certo che sia per forza Katie Pine, naturalmente. Perfino lei, agente so-tutto-io, potrebbe lasciare aperta una possibilità, prima di identificare un cadavere che non ha ancora visto. Ma se vuole giocare a "glielo avevo detto", Cardinal, farà bene a venire nel mio ufficio domattina alle otto. La cosa migliore della mia posizione è che non devo uscire di notte, e queste chiamate arrivano sempre di notte.» «Quindi il caso è mio da subito... se vado.» «La decisione non spetta a me, Cardinal, e lo sa benissimo. Il lago Nipissing rientra nella giurisdizione dei nostri stimati colleghi della OPP, la Polizia provinciale dell'Ontario. Ma anche se la precedenza spetta a loro, ci vogliono sulla scena. Che sia Katie Pine o Billy LaBelle, sono stati rapiti tutti e due in città... nella nostra città, ammesso che siano stati davvero rapiti. Il caso è nostro comunque. "Se vado" dice lui!» «Se il caso non è mio da subito, preferisco continuare a occuparmi di ladri d'appartamento.» «Dica al coroner di gettare una monetina in aria» scattò Dyson, prima di attaccare. Cardinal chiamò Delorme, che era entrata in casa per ripararsi dal freddo e si era fermata timidamente appena oltre la soglia della cucina. «Su quale delle isole Manitou dobbiamo andare?» «Windigo, quella con la miniera e il pozzo d'accesso.» «Allora dobbiamo andarci con un mezzo pesante. Il ghiaccio reggerà il peso?» «Vuoi scherzare? In questo periodo il ghiaccio reggerebbe un treno merci.» Delorme puntò in direzione del lago Nipissing il pollice protetto dal guanto imbottito. «Mettiti qualcosa di pesante» gli raccomandò. «Su quel lago soffia un vento infernale.» 2 Dal molo della guardia costiera fino alle isole Manitou, circa dieci chilometri a ovest, si stendeva una pista simile a un nastro celeste disteso sul
lago; i motel che sorgevano sulle rive l'avevano liberata dallo strato di neve superficiale per attirare gli appassionati della pesca attraverso il ghiaccio, una delle principali fonti di reddito per gli abitanti del posto nei mesi invernali. In febbraio lo strato ghiacciato era abbastanza solido per essere percorso da automobili e persino camion, ma non sarebbe stato prudente superare la velocità massima di venti chilometri l'ora; così i quattro automezzi avanzavano al rallentatore, con i fari puntati sulle folate di neve che somigliavano a veli luminosi di un quadro cubista. Cardinal e Delorme viaggiavano in silenzio nel veicolo di testa. Di tanto in tanto, lei allungava la mano per grattare il parabrezza dalla parte di Cardinal. Il ghiaccio si staccava in trucioli che ricadevano sul cruscotto e sulle loro ginocchia. «È come se fossimo atterrati sulla luna.» La voce di Delorme si sentiva appena, sopra il rumore metallico degli ingranaggi e il sibilo del riscaldamento. Tutt'intorno, il manto di neve proiettava ombre che variavano dal bianco delle ossa calcinate al grigio antracite e, nelle pieghe dei banchi di neve, persino al viola. Cardinal guardò nello specchietto retrovisore il corteo di veicoli che li seguiva: l'auto del coroner e, ancora più indietro, i fari del furgone della Scientifica e poi la camionetta. Pochi minuti dopo, l'isola di Windigo apparve davanti a loro nel fascio di luce dei fari, scabra e frastagliata. Era minuscola, non più di trecento metri quadrati, e persino la sottile striscia di spiaggia, rammentava Cardinal dai tempi delle gite estive in barca a vela, era rocciosa. L'incastellatura di legno del pozzo della miniera s'innalzava al di sopra dei pini come la torretta di un sommergibile. La luna gettava ombre secche come rasoiate, che sussultarono al loro avvicinarsi. Uno alla volta, gli automezzi arrivarono e parcheggiarono in fila, formando con i fari un ampio fronte luminoso. Più in là, c'era solo il buio. Cardinal e gli altri si riunirono sul ghiaccio come un gruppo di astronauti appena sbarcati sulla luna, impacciati dagli stivali alti fino al polpaccio e dai giacconi imbottiti. Battevano i piedi, irrigiditi dal freddo. Erano in otto: Cardinal e Delorme, il dottor Barnhouse - il coroner -, Arsenault e Collingwood, gli uomini della Scientifica, Larry Burke e Ken Szelagy, due agenti di pattuglia riconoscibili dal parka blu, e infine, arrivato per ultimo a bordo di un'altra vettura senza contrassegni, Jerry Commanda dell'OPP. L'OPP aveva la responsabilità dei servizi di pattuglia sulle strade statali e copriva i centri urbani che non avevano un corpo di polizia municipale.
Anche i laghi e le riserve indiane ricadevano sotto la sua responsabilità, ma con Jerry non c'era bisogno di preoccuparsi per le controversie sulla giurisdizione. Tutti insieme formavano un cerchio irregolare, proiettando ombre lunghe nella luce dei fari. Il primo a prendere la parola fu Barnhouse. «Non dovrebbe portare un campanello appeso al collo?» disse rivolto a Cardinal, a titolo di saluto. «Ho sentito dire che era un lebbroso.» «In fase di remissione» ribatté Cardinal. Barnhouse era un ometto battagliero che sembrava un piccolo bulldog, con le spalle ampie e il baricentro basso come un lottatore; forse per compensare la bassa statura, amava tenere un atteggiamento altezzoso. Cardinal accennò con la testa all'uomo alto e magro che era rimasto all'esterno del circolo. «Conosce Jerry Commanda?» «Se lo conosco? Ne ho piene le tasche, di lui» ruggì Barnhouse. «Se non sbaglio, faceva parte del corpo di polizia cittadino, signor Commanda, prima di decidere che voleva tornare alle origini.» «Ora sono nell'OPP» replicò Jerry a bassa voce. «Un cadavere nel bel mezzo del lago. Immagino che vorrà disporre un'autopsia, non è vero, dottore?» «Non sarà certo lei a insegnarmi il mestiere. Dov'è il bravo piedipiatti che ha scoperto il corpo?» Ken Szelagy si fece avanti. «Non siamo stati noi a scoprirlo. Lo hanno trovato un paio di ragazzi intorno alle quattro. Io e Larry Burke, qui, abbiamo preso la chiamata. Appena l'abbiamo visto, abbiamo delimitato il perimetro e fatto rapporto alla centrale. McLeod era in tribunale, quindi abbiamo chiamato il responsabile delle indagini Dyson, e credo che lui si sia messo in contatto con l'agente investigativo Cardinal.» «Il talentuoso signor Cardinal» mormorò Barnhouse in tono ambiguo, poi aggiunse: «Per il momento procediamo con le torce. Meglio non creare scompiglio montando i riflettori e tutto il resto». Si avviò verso le rocce. Cardinal stava per aprire bocca, quando Jerry Commanda lo precedette, raccomandando: «Fate attenzione a camminare in fila indiana, ragazzi». «Io non sono un ragazzo» protestò Delorme, al riparo del cappuccio. «Ah, sì» ammise Jerry. «Ora come ora è un po' difficile vedere la differenza.» Barnhouse fece cenno a Burke e Szelagy di precederli, e nei minuti che
seguirono si sentì soltanto lo scricchiolio degli stivali sulla neve ghiacciata. Lame di gelo graffiavano il viso di Cardinal. Oltre le rocce, una fila di luci scintillava sul lungolago: la riserva dei chippewa, il territorio di Jerry Commanda. Szelagy e Burke attesero gli altri all'altezza del reticolato metallico che circondava l'imboccatura del pozzo. Delorme diede di gomito a Cardinal, indicandogli un piccolo oggetto a poco più di un metro dal cancello. Lui chiese: «Siete stati voi a forzare quel lucchetto?». «Quando siamo arrivati, era così» rispose Szelagy. «Secondo i ragazzi, era già spezzato.» Delorme estrasse di tasca un sacchetto di plastica per le prove, ma Arsenault, che era un uomo della Scientifica e, come tutti i suoi colleghi, sempre pronto per ogni evenienza, le porse un sacchetto di carta. «Usi questo. A contatto con la plastica, gli oggetti umidi si deteriorano.» Cardinal fu lieto che fosse accaduto subito e che fosse stato qualcun altro a fermarla. Delorme era un buon agente investigativo; doveva esserlo, se era entrata a far parte delle Indagini speciali. Aveva mandato in galera un ex sindaco e parecchi membri del consiglio scolastico grazie a un lavoro meticoloso compiuto tutto da sola, ma questo non significava che sapesse come comportarsi sulla scena di un delitto. D'ora in poi sarebbe stata più attenta, e Cardinal voleva che fosse così. Uno dopo l'altro, si abbassarono per passare sotto il nastro giallo teso tutt'intorno alla zona, seguendo Burke e Szelagy fino al bordo del pozzo. Szelagy puntò il dito per indicare le assi scostate. «Fate attenzione, entrando... C'è un dislivello di sessanta centimetri, e poi è tutto ghiaccio liscio come il vetro.» All'imboccatura della galleria, i raggi delle torce formarono un cerchio danzante di luce ai loro piedi. Il vento ululava tra le assi come l'effetto sonoro di una scena teatrale. «Cristo» mormorò Delorme. Come tutti gli altri, anche lei aveva visto vittime di incidenti stradali, suicidi e parecchi annegati, ma nulla avrebbe potuto prepararli allo spettacolo che li attendeva. Tremavano di freddo, ma si immobilizzarono in un silenzio profondo, come se stessero pregando; e senza dubbio qualcuno di loro pregava davvero. La mente di Cardinal cercò di estraniarsi da quella vista, rifugiandosi nel passato, nell'immagine di Katie Pine che sorrideva nella foto scolastica, e nel futuro, pensando a quello che avrebbe dovuto
dire alla madre. Il dottor Barnhouse cominciò a parlare in tono formale: «Abbiamo di fronte i resti congelati di un'adolescente... Accidenti». Batté un colpo secco sulla microcassetta con la mano protetta dal guanto. «Con il freddo fa sempre i capricci.» Si schiarì la voce prima di ricominciare, in tono meno retorico. «Abbiamo di fronte i resti di un essere umano adolescente. Lo stato di decomposizione e l'azione degli animali impediscono per il momento l'esatta determinazione del sesso. Il torso è nudo, la parte inferiore del corpo è parzialmente coperta da un paio di jeans. Il braccio destro manca, come pure il piede sinistro. I lineamenti del viso sono resi irriconoscibili dall'azione degli animali, la mandibola non c'è più. Cristo» aggiunse «è poco più che una bambina.» Cardinal ebbe l'impressione di sentire un tremito nella voce di Barnhouse; d'altronde, neanche lui si sarebbe fidato della sua. Non era tanto la decomposizione, perché tutti loro avevano visto di peggio; era il fatto che i resti erano preservati in un rettangolo perfetto di ghiaccio, spesso una ventina di centimetri. Le orbite vuote guardavano verso l'alto attraverso il ghiaccio, fisse sull'oscurità sopra la loro testa. Uno degli occhi era stato rimosso dall'orbita e si era congelato sulla spalla, mentre l'altro era scomparso del tutto. «I capelli, neri e lunghi fino alle spalle, sono staccati dal cranio, e la pelvi presenta striature nella parte anteriore, il che potrebbe indicare un soggetto di sesso femminile, ma è impossibile affermarlo senza ulteriori esami, preclusi al momento dalla posizione del corpo, incassato in un blocco di ghiaccio formatosi in seguito alle condizioni del luogo di ritrovamento.» Jerry Commanda puntò il raggio della torcia sulle assi di legno grezzo in alto, poi lo abbassò di nuovo sulla piattaforma di cemento infossato ai loro piedi. «Il tetto perde alla grande. Si vedono i ghiaccioli.» Altri puntarono in alto la torcia per guardare le strisce di ghiaccio fra un'asse e l'altra. Ombre balzarono e saettarono nelle orbite vuote. «Quei tre giorni di caldo in dicembre, quando si è sciolto tutto» proseguì Jerry. «Probabilmente il corpo si trovava al di sopra di una cavità per il deflusso delle acque e, quando il ghiaccio si è sciolto, l'incavo si è riempito d'acqua. Poi la temperatura è scesa di nuovo e si è congelato.» «È come se fosse incastonata nell'ambra» osservò Delorme. Barnhouse riprese a dettare al registratore. «Non si notano indumenti sopra i resti o nelle vicinanze, a parte i jeans di tela blu... Questo l'ho già detto, non è vero? Sì, sono certo di sì. Distruzione massiccia dei tessuti
nella regione addominale, con la scomparsa delle viscere e di tutti gli organi principali; impossibile dire se a causa di un trauma avvenuto al momento della morte o dell'attività degli animali post-mortem. Sono visibili porzioni dei polmoni, i lobi superiori da entrambe le parti.» «Katie Pine» disse Cardinal. Non aveva intenzione di parlare a voce alta. Sapeva che avrebbe provocato una reazione, che infatti arrivò puntuale e stizzita. «Spero non vorrà dirmi che riconosce quella povera ragazza in base alla fotografia dell'annuario scolastico! Finché non si potrà confrontare la mascella superiore con le impronte delle arcate dentarie, qualunque identificazione è esclusa.» «Tante grazie, dottore» mormorò Cardinal. «Non è il caso di fare del sarcasmo, agente. Remissione o no, io non tollero il sarcasmo.» Barnhouse rivolse ancora una volta uno sguardo cupo sul cadavere ai suoi piedi. «Le estremità, o quello che ne rimane, sono quasi scheletrite, ma mi sembra di vedere un'incrinatura, ormai saldata, nel radio dell'avambraccio sinistro.» Indietreggiando dall'orlo dell'avvallamento nel terreno, incrociò le braccia sul petto con aria bellicosa. «Signori... e signora, intendo ritirarmi da questa indagine, che evidentemente richiede l'intervento del Centro di medicina legale. Poiché il lago Nipissing ricade sotto la giurisdizione della Polizia provinciale dell'Ontario, affido ufficialmente le indagini a lei, signor Commanda.» Jerry replicò: «Se questa è Katie Pine, l'indagine spetta alla polizia di Algonquin Bay». «Ma Katie Pine non è una dei vostri? Della riserva?» «È stata rapita dal terreno della fiera presso i Memorial Gardens, il che significa che il caso compete alla polizia municipale... fin dal momento che è scomparsa. Il caso è di Cardinal.» «Ciò nonostante» insistette Barnhouse «in mancanza di un'identificazione certa, lo affido a lei.» «Va bene, dottore» disse Jerry. «John, puoi occupartene tu. So che è Katie.» «Non può saperlo. Guardi in che stato è ridotta!» Barnhouse indicò il corpo con il piccolo registratore. «Se non fosse per i vestiti, non sembrerebbe neppure un essere umano.» Cardinal replicò a bassa voce: «Katie Pine si era incrinata il radio del braccio sinistro andando sullo skateboard».
Erano in cinque, rannicchiati nel furgone della Scientifica. Barnhouse se n'era andato e i due agenti in divisa erano in attesa a bordo della camionetta con i picchetti. Cardinal doveva praticamente gridare per farsi sentire al di sopra del rumore dell'impianto di riscaldamento. «Ci serviranno parecchie corde: ora come ora, il nostro perimetro è tutta l'isola. All'imboccatura del pozzo non c'era sangue e non c'erano segni di lotta; probabilmente questa non è la scena del delitto ma soltanto il luogo in cui è stato scaricato il cadavere. Anche così, non voglio che qualche curioso in motoslitta venga a zigzagare in mezzo alle prove, quindi è meglio andare sul sicuro.» Delorme gli porse il cellulare. «C'è in linea il Centro di medicina legale. Len Weisman.» «Len, abbiamo qui un cadavere congelato in un blocco di ghiaccio. Adolescente, probabilmente vittima di un omicidio. Se riusciamo a tagliare il blocco di ghiaccio e a spedirtelo tutto intero in un camion frigorifero, puoi ricavarne qualcosa?» «Non ci sono problemi. Abbiamo un paio di refrigeratori a temperatura variabile che scendono ben al di sotto dello zero. Possiamo scongelarlo in modo controllato, preservando capelli e fibre.» Era surreale sentire una voce di Toronto in quel paesaggio lunare. «Magnifico, Len. Ti indicheremo un'ora di arrivo appena saremo pronti a muoverci.» Cardinal restituì il telefono a Delorme. «Arsenault, lei è l'esperto. Come facciamo a tirarla fuori di lì?» «Possiamo ritagliare senza grossi problemi il cubo di ghiaccio che contiene il cadavere. Il problema sarà separare il ghiaccio dal cemento sottostante.» «Fate venire qualcuno dalla città, dove tagliano il cemento di continuo. E poi potete anche cancellare tutti gli impegni che avete: dovremo setacciare la neve.» «Ma è stata uccisa mesi fa» obiettò Delorme. «La neve non ci dirà niente.» «Non possiamo esserne sicuri. Qualcuno di voi ha un buon contatto nelle forze armate?» Collingwood alzò una mano. «Li informi che ci occorre una tenda enorme, delle dimensioni di un tendone da circo, che copra tutta l'isola: l'ultima cosa che ci serve in questo momento è un altro strato di neve. E anche un paio di quei grandi ventilatori termici, di quelli che usano per riscaldare gli hangar. Scioglieremo la neve per vedere quello che c'è sotto.»
Collingwood annuì. Era il più vicino alla bocchetta del riscaldamento, e il suo guanto fumava. 3 Delimitare il perimetro e organizzare turni di guardia sull'isola ventiquattr'ore su ventiquattro richiese più tempo del previsto; tutto richiede più tempo del previsto, nel lavoro di polizia. Alla fine, Cardinal non riuscì a tornare a casa prima dell'una di notte, quando ormai era troppo teso per dormire. Si sedette in soggiorno con due dita di Black Velvet liscio, per prendere appunti su ciò che avrebbe dovuto fare. La casa era così fredda che neanche il whisky di segale riusciva a scaldarlo. A quell'ora, Kelly doveva essere già negli Stati Uniti. All'aeroporto, Cardinal aveva guardato la figlia sollevare una valigia per sistemarla sulla bilancia dei bagagli, e prima ancora che potesse sollevare quella successiva, un giovanotto che la seguiva nella fila l'aveva già preceduta, mettendola sulla bilancia per lei. Be', Kelly era una bella ragazza. Cardinal era parziale come tutti i padri, ed era convinto che chiunque fosse anche solo un minimo obiettivo dovesse trovare sua figlia adorabile, come faceva lui. Comunque, sapeva che avere un bel viso è come essere ricco o famoso: gli altri si offrono sempre di fare qualcosa per te. «Papà, non c'è bisogno che resti qui» gli aveva detto mentre scendevano le scale verso la zona di attesa. «Sono sicura che hai qualcosa di meglio da fare.» Cardinal non aveva niente di meglio da fare. L'aeroporto di Algonquin Bay poteva accogliere un'ottantina di viaggiatori alla volta, ma era raro che ce ne fossero così tanti. Una minuscola caffetteria, qualche distributore automatico per vendere The Algonquin Lode, i quotidiani di Toronto e nient'altro. Si erano seduti, e Cardinal aveva acquistato il Toronto Star, offrendone una sezione alla figlia, che aveva rifiutato. Questo gli aveva fatto passare la voglia di leggere: a che cosa serviva restare, se non poteva fare altro che leggere il giornale da solo? «Allora, hai tutte le indicazioni per le coincidenze?» le aveva chiesto. «Avrai il tempo per cambiare terminal?» «Eccome. Ho un'ora e mezzo di attesa a Toronto.» «Non è granché, con tutto il tempo che si perde per superare il controllo doganale degli Stati Uniti.» «Mi fanno sempre passare senza problemi. Sul serio, papà, potrei darmi
al contrabbando.» «Mi hai detto che l'ultima volta ti hanno trattenuta e hai rischiato di perdere la coincidenza.» «Quello è stato un caso. La funzionaria doganale era una vecchia strega che voleva rompere a tutti i costi.» Cardinal poteva immaginare la scena. Sotto certi aspetti, Kelly stava diventando una giovane donna di quel genere che lo infastidiva tanto: troppo sveglia, troppo colta, troppo sicura di sé. «Non so perché non hanno istituito un volo diretto da Toronto a New Haven.» «Non è esattamente il centro dell'universo, tesoro.» «No, però è uno dei college migliori del mondo.» E costava una fortuna. Quando Kelly aveva ottenuto il diploma di belle arti a York, il suo insegnante di pittura l'aveva incoraggiata a fare domanda per essere ammessa al corso di laurea a Yale. Kelly non avrebbe mai pensato di essere accettata, neppure quando aveva messo insieme una cartella di suoi lavori per presentarla a New Haven. Cardinal aveva pensato di negarle l'autorizzazione, ma non per molto. È la scuola d'arte per eccellenza, paparino. È laggiù che hanno studiato tutti i grossi nomi della pittura. Se non vai a Yale, tanto vale studiare ragioneria. Cardinal si era chiesto se fosse proprio vero. Per lui Yale significava un gruppo di snob indolenti in tenuta da tennis; significava George Bush. Ma la pittura? Aveva chiesto in giro. Verissimo, gli avevano assicurato quelli che se ne intendevano. Per chi voleva ottenere visibilità sulla scena artistica internazionale, che in realtà significava sulla scena artistica americana, una laurea in belle arti a Yale era indispensabile. «Sul serio, papà, perché non vai a casa? È inutile che resti.» «Va bene così, ho voglia di restare.» Il giovanotto che aveva aiutato Kelly con i bagagli si era seduto di fronte a loro. Se Cardinal se ne fosse andato, il ragazzo si sarebbe seduto subito vicino a sua figlia. Sono uno stronzo possessivo, si accusò, sempre soggetto a questi piccoli attacchi di panico per le donne della mia vita. Faceva così anche con sua moglie, Catherine. «È stato bello da parte tua venire a casa, Kelly, specie perché eri a metà del trimestre. Penso che per tua madre sia stato importante.» «Davvero? In questi giorni sembra fuori di testa.» «Io dico di sì.» «Povera mamma. E povero te, papà. Non so come fai a sopportarlo. Vo-
glio dire, io sono quasi sempre via, ma tu devi vivere in questa situazione.» «Be', è così che dev'essere. Nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia. Lo sai com'è.» «Ci sono tanti che non seguono più questi principi. So che tu li rispetti, naturalmente, ma a volte la mamma mi fa paura. Dev'essere difficile, per te.» Erano rimasti seduti in silenzio. Il ragazzo aveva tirato fuori un romanzo di Stephen King; Cardinal fingeva di leggere il Toronto Star, Kelly fissava la pista deserta dove fiocchi leggeri di neve volteggiavano sotto le luci. Cardinal aveva cominciato a sperare che il volo fosse cancellato e che la figlia fosse costretta a restare a casa ancora un paio di giorni, ma Kelly aveva perso ogni attaccamento per Algonquin Bay. Come fai a sopportare questa landa desolata, gli aveva chiesto più di una volta. Alla sua età Cardinal si era sentito come lei, ma poi dieci anni trascorsi nella polizia di Toronto lo avevano convinto che la landa desolata dov'era cresciuto aveva le sue virtù. Finalmente era arrivato l'aereo, un Dash 8 a elica, con trenta posti. Quindici minuti, e avrebbe dato gas, preparandosi al decollo. «Soldi ne hai abbastanza? E se resti bloccata a Toronto?» «Ti preoccupi troppo, papà.» Lo aveva abbracciato, e poi Cardinal l'aveva guardata mentre si tirava dietro il bagaglio a mano con le ruote superando il controllo di sicurezza (presidiato da due donne in divisa non molto più vecchie di lei) per dirigersi verso l'imbarco. Cardinal si era avvicinato alla vetrata per guardarla passare in mezzo alla neve sospinta dal vento. Il ragazzo era proprio dietro di lei, porca miseria. Ma una volta fuori, mentre spazzava via la neve dal parabrezza con il guanto, Cardinal si era detto che era schifosamente geloso, un padre asfissiante che non permetteva alla figlia di crescere. Era cattolico, sia pure caduto in peccato, e come tutti i cattolici, praticanti o no, aveva sviluppato la capacità di autoaccusarsi quasi con gusto di una qualche colpa, anche se non necessariamente di quella che aveva commesso davvero. Ora il bicchiere di whisky era rimasto sul tavolino, semivuoto, mentre Cardinal cominciava ad appisolarsi. Si alzò dalla poltrona tutto anchilosato per andare a letto. Nel buio lo assalirono le immagini: i fari sul lago, il corpo incastonato nel ghiaccio, il viso di Delorme. Ma poi pensò a Catherine. Anche se in quel momento la situazione della moglie era tutt'altro che felice, s'impose di immaginarla mentre rideva. Sì, sarebbero andati via in-
sieme, da qualche parte, lontano dalla polizia e dalle loro sofferenze private, e avrebbero riso. 4 Don (diminutivo di Adonis) Dyson era un cinquantenne giovanile, snello e agile, che aveva i movimenti scattanti di un ginnasta ed era capace di gesti improvvisi e pieni di grazia, ma, come gli uomini ai suoi ordini non si stancavano mai di sottolineare, non era un adone. L'unico aspetto che il sergente Don Dyson aveva in comune con le statue di Adone esposte nei musei era un cuore gelido come il marmo. Nessuno sapeva se fosse nato così, o se fossero stati i quindici anni trascorsi a Toronto nella squadra Omicidi a coprire di un velo di ghiaccio un'indole già fredda per natura. Non aveva un solo amico, nella polizia o fuori, e chi aveva conosciuto la signora Dyson sosteneva che, in confronto a lei, il marito era addirittura sdolcinato. Il sergente Dyson era cerimonioso, retorico, calvo e calcolatore. Aveva dita lunghe, dalle punte a spatola, di cui andava smisuratamente fiero. Quando brandiva il tagliacarte o giocherellava con una scatola di graffette, quelle dita assumevano un aspetto rapace e ragnesco. La testa calva, contornata ai lati e dietro da un semicerchio di capelli di precisione geometrica, era una sfera perfetta. Jerry Commanda lo detestava, ma d'altronde Jerry era intollerante nei confronti dell'autorità in genere, caratteristica che Cardinal attribuiva alle sue origini di nativo americano. Delorme sosteneva che avrebbe potuto usare la testa di Dyson come specchietto per sfoltirsi le sopracciglia con la pinzetta; non che lei si sfoltisse le sopracciglia. Ora quella stessa cupola a specchio era inclinata verso Cardinal, seduto su una sedia disposta con un angolo di quarantacinque gradi esatti rispetto alla scrivania di Dyson. Chissà dove, il sergente doveva aver letto da qualche parte che quell'angolazione serviva a rafforzare la sua leadership sul piano psicologico. Era un uomo preciso, che faceva ogni cosa con una ragione precisa. Sull'angolo della sua scrivania era posata una ciambella con la glassa al miele, in attesa che l'orologio suonasse le dieci e mezzo in punto - non un minuto prima, non un minuto dopo - ora in cui Dyson l'avrebbe consumata, insieme al decaffeinato contenuto nel thermos che le stava accanto. In quel momento Dyson teneva il tagliacarte sospeso fra il palmo delle mani tese in avanti, come se volesse usarlo per misurare la scrivania.
Quando parlò, fu come se si rivolgesse alla lama. «Non ho mai detto che avesse torto, lo sa. Non ho mai detto che quella bambina non fosse stata assassinata. Non in modo esplicito.» «No, signore, lo so.» Quando era irritato, Cardinal tendeva a diventare cortese in modo puntiglioso. Ora lottò contro quella tendenza. «Mi ha semplicemente rimandato alla sezione Furti come esercizio spirituale.» «Ricorda a che livello stavano arrivando le sue spese? Erano tempi, come oggi, di tagli al bilancio. Non possiamo pretendere di essere alla pari con le guardie a cavallo, non ce lo possiamo permettere, e lei aveva destinato tutte le nostre risorse investigative a quell'unico caso.» «Tre casi.» «Non tre, al massimo due.» Dyson li enumerò sulla punta delle dita piatte. «Katie Pine, glielo concedo. Billy LaBelle, forse. Margaret Fogle, neanche per sogno.» «Mi scusi, con tutto il rispetto, non si è tramutata in un ranocchio. Non si è dissolta nel nulla.» Ancora le dita, con un'esibizione di manicure perfetta, mentre Dyson enumerava le ragioni per cui Margaret Fogle non poteva essere morta. «Aveva diciassette anni... di gran lunga più adulta e smaliziata degli altri due. Era di Toronto, e non di qui. Aveva precedenti di fughe da casa. Cristo santo, la ragazza andava in giro a dire a chiunque fosse disposto ad ascoltarla che stavolta nessuno... nessuno... l'avrebbe trovata. E aveva un ragazzo da qualche parte, Vancouver o qualche altro dannato posto.» «Calgary, ma non ci è mai arrivata.» E l'ultima volta che è stata vista viva era nella nostra città, testa di rapa pelata. Dio, ti prego, fa' soltanto che mi assegni McLeod e mi lasci libero di mettermi al lavoro. «Perché insiste a contraddirmi su questo punto, Cardinal? Viviamo nel paese più grande del mondo, ora che l'Unione Sovietica si è gentilmente autodistrutta, e ci sono tre linee ferroviarie separate che attraversano in lungo e in largo questa pista di pattinaggio da un miliardo di ettari. Tutte queste linee s'incrociano qui, sul nostro piccolo litorale. Abbiamo un aeroporto e una stazione ferroviaria, e chiunque voglia spostarsi attraverso questo nostro gigantesco paese deve passare dal nostro cortile. Abbiamo più fuggiaschi di quanti possiamo accogliere. Fuggiaschi, non omicidi. Lei stava spendendo le risorse del Dipartimento per dare la caccia ai fantasmi.» «Devo andarmene? Credevo di essere tornato alla Omicidi» fece notare Cardinal con calma.
«Ed è vero. Non intendevo riesumare il passato, tanto non serve a niente, ma nel caso di Katie Pine, Cardinal...» e puntò una di quelle dita piatte «nel caso di Katie Pine non c'erano prove che si trattasse di un delitto, neanche il minimo indizio, almeno allora. Voglio dire, se non fosse stato per il fatto che era una bambina... ovviamente, c'era davvero qualcosa che non andava... non c'erano prove che si trattasse di omicidio.» «Forse non c'erano prove che si potessero esibire in tribunale.» «Lei veniva a chiedermi una disponibilità di forze sproporzionata, risorse sproporzionate, ore di straordinario del tutto ingiustificabili. Il solo costo degli straordinari aveva raggiunto livelli stratosferici. Non ero il solo a pensarla così: su questo punto il capo mi aveva dato pieno appoggio.» «Sergente, Algonquin Bay non è poi così grande. Nel caso di una bambina scomparsa si ricevono un milione di segnalazioni, perché tutti vogliono aiutare la polizia. Appena qualcuno tira fuori un coltello al cinema, devi controllare. Appena qualcuno vede un giovane autostoppista, devi controllare. Tutti in città pensano di aver visto Katie Pine da qualche parte: sulla spiaggia, in ospedale sotto un altro nome, su una canoa nell'Algonquin Park. Era necessario seguire tutte quelle piste.» «Così mi ha detto allora.» «Non era una pretesa ingiustificata, ormai dovrebbe essere evidente.» «Allora non lo era. Nessuno aveva visto Katie Pine in compagnia di uno sconosciuto, nessuno l'aveva vista salire in macchina con qualcuno. Un momento prima era alla fiera, e un attimo dopo era scomparsa.» «Lo so. Il terreno si è aperto.» «Il terreno si è aperto e l'ha inghiottita, e lei si è convinto, senza averne le prove, che fosse stata assassinata. Il tempo ha dimostrato che aveva ragione, ma avrebbe potuto dimostrare altrettanto facilmente che si sbagliava. L'unico fatto incontestabile era che la bambina era scomparsa. Un autentico mistero.» Già, pensò Cardinal, la scomparsa di Katie Pine era stata un mistero. Chiedo scusa, ma chissà perché avevo immaginato che di tanto in tanto i poliziotti fossero tenuti a risolverli, i misteri, anche ad Algonquin Bay. Certo, la piccola era indiana, e lo sappiamo tutti quanto possa essere irresponsabile, quella gente. «Guardiamo in faccia la realtà» riprese Dyson, infilando il tagliacarte in un piccolo fodero e disponendolo ordinatamente vicino a un righello, con gesti precisi. «La bambina era indiana. A me piacciono gli indiani, sul serio. Hanno una calma quasi soprannaturale. Sono sempre di buon umore e
sono straordinariamente affettuosi con i bambini, e io sono il primo ad affermare che Jerry Commanda è un agente di prim'ordine. Ma non ha senso fingere che siano come lei e me.» «Santo cielo, no» convenne Cardinal, e lo pensava davvero. «Sono completamente diversi.» «Con tutti quei parenti sparsi un po' dovunque la piccola poteva essere andata in qualunque posto, da Mattawa a Sault Sainte Marie. Non c'era motivo di andare a perquisire il pozzo di una miniera sbarrato con le assi nel bel mezzo di quel dannato lago.» C'erano tutti i motivi del mondo, ma Cardinal si astenne dal dirlo. Non avrebbe avuto senso, perché i problemi erano incastrati l'uno dentro l'altro. «Il fatto è che il pozzo della miniera di Windigo lo avevamo controllato. Lo abbiamo perquisito la settimana stessa che Katie Pine è scomparsa. Quattro giorni dopo, per l'esattezza.» «Mi sta dicendo che può essere rimasta nascosta per qualche tempo prima di essere uccisa? Tenuta prigioniera chissà dove?» «Proprio così.» Cardinal soffocò l'impulso di aggiungere dell'altro. Dyson cominciava a scaldarsi, ed era nel suo interesse lasciarglielo fare. Il tagliacarte riemerse dal fodero; una graffetta errante fu infilzata, sollevata e trasferita in un contenitore di ottone. «D'altra parte» osservò Dyson «può anche darsi che sia stata uccisa subito. L'assassino potrebbe avere conservato il corpo altrove, prima di trasferirlo in un luogo più sicuro.» «È possibile. La Scientifica potrebbe aiutarci a rintracciare il posto... stiamo per trasferire i resti a Toronto, non appena la madre sarà informata. Comunque, l'indagine si prospetta lunga. Avrò bisogno di McLeod.» «Impossibile. È impegnato in tribunale con Corriveau. Può avere Delorme.» «Mi serve McLeod. Delorme non ha esperienza.» «Lei ha dei pregiudizi nei suoi confronti perché è una donna, perché è francese e perché, a differenza di lei, ha trascorso quasi tutta la vita ad Algonquin Bay. Forse lei avrà al suo attivo dieci anni a Toronto, ma non vorrà dirmi che sei anni alle Indagini speciali non siano un'esperienza sufficiente.» «Non intendo affatto negarlo. Con il sindaco ha fatto un buon lavoro, e altrettanto si può dire per lo scandalo del consiglio scolastico. La lasci alle indagini di tipo burocratico, ai casi delicati. Voglio dire, chi si occuperà delle Indagini speciali?»
«E a lei che cosa importa? Alle Indagini speciali ci penso io. Delorme è un ottimo agente investigativo.» «Non ha esperienza di omicidi. Ieri sera, per poco non comprometteva un importante elemento di prova.» «Non ci credo. Di che diavolo sta parlando?» Cardinal gli riferì l'incidente del sacchetto di plastica. Sembrava fragile come pretesto, persino ai suoi occhi, ma voleva McLeod. Lui sapeva come mettere la gente sotto pressione e far decollare le indagini. Nella stanza scese il silenzio, mentre Dyson fissava la parete alle spalle di Cardinal, restando perfettamente immobile. Cardinal guardava i fiocchi di neve che turbinavano fuori della finestra. In seguito non avrebbe saputo dire se le parole di Dyson fossero state un'ispirazione improvvisa o una sorpresa ben programmata. «Non sarà preoccupato che Delorme possa indagare su di lei, vero?» «Nossignore.» «Bene, allora le suggerisco di rispolverare il suo francese.» Negli anni quaranta sull'isola di Windigo fu scoperta una miniera di nichel, e il giacimento fu sfruttato, a intervalli, per dodici anni. La miniera non si rivelò mai molto produttiva, tanto che nella fase di massima attività dava lavoro ad appena quaranta operai, e la sua posizione al centro del lago rendeva problematici i trasporti. Più di un camion sprofondò nel ghiaccio, e si diceva che la miniera fosse infestata dallo spirito tormentato di cui portava il nome. Molti investitori di Algonquin Bay persero il loro denaro in quell'impresa, che chiuse i battenti per sempre non appena si scoprirono filoni più accessibili a Sudbury, una città distante circa centoventi chilometri. Il pozzo era profondo poco più di centocinquanta metri e proseguiva lateralmente in una galleria lunga altri seicento metri. La divisione per le Indagini criminali tirò un sospiro di sollievo collettivo quando fu accertato che le tracce riguardavano soltanto l'imboccatura, e non il pozzo vero e proprio. Quando Cardinal e Delorme raggiunsero l'isola, non faceva freddo come la sera prima, anzi, la temperatura era appena inferiore allo zero. In lontananza, si scorgevano le motoslitte che si spostavano ronzando fra una capanna di pescatori e l'altra. Fiocchi di neve sparsi galleggiavano nell'aria, scendendo da uno strato sporco di nuvole. Il lavoro necessario per liberare il corpo era stato quasi completato.
«Alla fine non è stato necessario segare il ghiaccio» spiegò Arsenault. Nonostante la temperatura, aveva la fronte coperta da un velo di sudore. «È bastato scuoterlo un po' e il blocco è venuto via tutto intero. Sarà più dura sposarlo. Dovremo trasportarlo fino al camion con una motoslitta. Ho pensato che i cingoli faranno meno danni di uno slittino.» «Buona idea. Dove vi siete procurati il camion?» Un autocarro verde da cinque tonnellate, con il marchio coperto da rettangoli neri, si stava avvicinando a marcia indietro all'imboccatura del pozzo. Il dottor Barnhouse li aveva ammoniti senza mezzi termini che, per quanto avessero un disperato bisogno di un camion frigorifero, l'uso di un automezzo destinato alla distribuzione alimentare per trasportare un cadavere avrebbe rappresentato una violazione di tutti i regolamenti sanitari. «Alla Kastner Chemical. Lo usano per il trasporto dell'azoto. L'idea di coprire il marchio è stata loro. Volevano che avesse un'aria più rispettabile. Mi è sembrato un tocco di classe.» «Lo è. Mi ricordi di ringraziarli.» «Ehi, John! John!» Roger Gwynn lo chiamava, agitando il braccio, da una zona delimitata con le corde. La sagoma informe accanto a lui, con il viso nascosto da una Nikon, doveva essere Nick Stoltz. Cardinal alzò una mano coperta dal guanto per ricambiare il saluto. In realtà non era tanto intimo del giornalista dell'Algonquin Lode, anche se avevano frequentato l'High school locale negli stessi anni. Gwynn stava cercando di sabotare la concorrenza, esagerando l'importanza dei suoi contatti. Fare il poliziotto nella propria città natale ha i suoi vantaggi, ma a volte Cardinal provava una fitta di nostalgia per il relativo anonimato di cui aveva goduto a Toronto. Intorno a Stoltz c'era una piccola troupe televisiva che si preparava a girare, e dietro di loro una figura minuscola avvolta in un parka rosa con il cappuccio orlato di pelliccia bianca per formare un contrasto invitante. Quella doveva essere Grace Legault, del telegiornale delle sei. Algonquin Bay non aveva una propria stazione televisiva, e riceveva il notiziario locale da Sudbury, a centoventi chilometri di distanza. Cardinal aveva notato il furgone della CFCD parcheggiato sul ghiaccio vicino alla camionetta della polizia. «Andiamo, John! Concedimi tre secondi. Mi serve una dichiarazione!» Cardinal portò con sé Delorme, presentandola al giornalista. «Conosco già la signora Delorme» disse Gwynn. «Ci siamo incontrati quando ha arrestato il sindaco. Che cosa potete raccontarmi di questa faccenda?»
«Un adolescente morto da parecchi mesi, tutto qui.» «Oh, grazie, così raggiungeremo una tiratura fantastica. Quante probabilità ci sono che sia la ragazzina della riserva indiana?» «Non intendo sbilanciarmi finché non avremo notizie dal Centro di medicina legale di Toronto.» «Billy LaBelle?» «Non intendo formulare ipotesi.» «Forza, devi pure concedermi qualcosa. Mi sto congelando il culo, qui.» Gwynn era un uomo sciatto e molliccio, sgarbato nei modi e trasandato nell'aspetto, un veterano dell'Algonquin Lode. «È un omicidio, almeno? Questo puoi dirmelo?» Cardinal si rivolse alla troupe venuta da Sudbury. «Vuole avvicinarsi, signorina Legault? Non ho voglia di ripetere tutto due volte.» Riferì ai due giornalisti i fatti essenziali, senza accennare all'omicidio o a Katie Pine, e concluse assicurando loro che, non appena ne avesse saputo di più, li avrebbe informati. Come segno di buona volontà, porse a Grace Legault il suo biglietto da visita, ma non gli parve di scorgere neanche un fremito di gratitudine negli occhi scettici della giornalista televisiva. «Agente Cardinal» gli disse mentre lui stava per allontanarsi «lei conosce per caso la leggenda del Windigo? Che specie di creatura è?» «Una creatura mitica» rispose lui, sospirando dentro di sé. Ne farà un trionfo, pensò. Grace Legault era fatta di tutt'altra pasta rispetto a Gwynn; l'ambizione non le mancava di certo. «Avete finito, qui?» domandò a Collingwood, quando lui e Delorme si trovarono di nuovo all'imboccatura del pozzo. «Cinque rullini di foto. Arsenault dice di continuare a girare il video, però.» «Arsenault ha ragione.» Avevano già fatto scivolare sotto il ghiaccio alcune cinghie, e ora stavano sistemando un bozzello con un paranco collegato a un generatore Honda. Un'immagine da ricordare, pensò Cardinal, mentre l'intero blocco veniva sollevato a un metro circa di altezza dalla base sulla quale era posato, come una bara trasparente nella quale era intrappolata la figura umana decomposta e dilaniata. «Non pensi che dovremmo coprirla in qualche modo?» mormorò Delorme. «La cosa migliore che possiamo fare per questa ragazza» replicò Cardinal con calma «è fare in modo che tutto ciò che il Centro di medicina lega-
le troverà in quel ghiaccio ci fosse già prima che entrassimo in scena noi.» «Okay. Era un'idea stupida, vero?» «Un'idea stupida.» «Mi dispiace.» Un fiocco di neve le finì sulla fronte, dove si sciolse. «Era solo che... vederla in quel modo...» «Non pensarci.» Collingwood continuava a riprendere il blocco di ghiaccio sospeso nell'aria, spostandosi da un lato all'altro. Alzando la testa dalla videocamera Sony, disse soltanto una parola: «Foglia». Arsenault aguzzò gli occhi per scrutare il blocco di ghiaccio. «Una foglia d'acero, si direbbe. O almeno, una parte.» Le foreste del vicino Nord erano composte per lo più da pini, pioppi e larici. «C'è qualcuno di voi che naviga a vela da queste parti?» domandò Cardinal. «Mia moglie e io siamo stati qui per un picnic nell'agosto scorso» rispose Arsenault. «Possiamo fare un rapido controllo, per sicurezza, ma se non ricordo male su quest'isoletta c'erano soltanto pini di Banks e abeti. E una gran quantità di betulle.» «È quello che penso anch'io. Il che tenderebbe a confermare che l'omicidio è stato commesso altrove.» Delorme chiamò con il cellulare il Centro di medicina legale per informarli che potevano attendersi l'arrivo del corpo di lì a quattro ore circa. Poi trasferirono i resti, il ghiaccio e tutto, lungo il pendio innevato della spiaggetta, fino al camion frigorifero in attesa. Resti, pensò Cardinal. Non era il termine adeguato. 5 Il sergente Lise Delorme si preparava a sgomberare il campo dalle Indagini speciali ormai da tempo, per l'esattezza un paio di mesi. Non c'erano casi importanti in sospeso, ma aveva comunque migliaia di piccoli dettagli da sistemare, note finali da stendere, disposizioni da aggiornare, fascicoli da archiviare. Voleva che tutto fosse in ordine perfetto quando sarebbe arrivato il suo sostituto, cioè alla fine del mese, ma se n'era andata già tutta la mattina e non era riuscita a fare altro che liberare il disco fisso del computer dal materiale più delicato. Non vedeva l'ora di cominciare a lavorare al caso Pine, anche se era nella posizione quanto mai irregolare di dover indagare sul suo partner. Fino a
quel momento aveva l'impressione che Cardinal volesse tenerla a distanza, e non poteva certo biasimarlo per questo. Neppure lei, nei suoi panni, si sarebbe fidata di un collega delle Indagini speciali. Una telefonata nel cuore della notte, ecco in che modo era cominciato tutto. Sulle prime aveva pensato che fosse Paul, un ex che ogni sei mesi prendeva una sbornia e le telefonava alle due del mattino, in tono piagnucoloso e sentimentale. Invece era Dyson. «Riunione dal capo fra mezz'ora. A casa sua, non in ufficio. Si vesta e aspetti. Verrà a prenderla un agente della polizia a cavallo. Non voglio che qualcuno veda la sua auto davanti alla casa.» «Che cosa sta succedendo?» aveva risposto con la voce impastata dal sonno. «Presto lo saprà. Ho un biglietto pronto per lei.» «Mi dica che è per la Florida. Un bel posto caldo.» «È il suo biglietto per lasciare le Indagini speciali.» Si era vestita in tre minuti netti, e poi era rimasta seduta sull'orlo del divano ad aspettare, i nervi tesi come corde di violino. Erano sei anni che lavorava alle Indagini speciali, e in tutto quel tempo non era mai stata convocata in piena notte e non era mai stata a casa del capo. Il biglietto per lasciare le Indagini speciali? «Inutile chiederlo a me» le aveva detto la giovane agente delle Giubbe rosse, prima ancora che lei aprisse bocca. «Sono soltanto il fattorino delle consegne.» Era stato un tocco delicato, aveva pensato Delorme, mandare una donna. Delorme era cresciuta nella venerazione per la polizia a cavallo. L'uniforme scarlatta, e quei cavalli... be', erano fatti apposta per toccare il cuore a una bambina. Aveva un ricordo nitido della prima volta che li aveva visti eseguire la parata musicale a Ottawa, della bellezza pura di quell'esecuzione magistrale. E poi, alla High school, la storia gloriosa del corpo, la grande marcia verso il West. La North West Mounted Police - quello era il loro nome ufficiale - aveva percorso a cavallo migliaia di chilometri per tenere a bada l'ondata di violenza che affliggeva l'espansione degli Stati Uniti nei territori dell'Ovest. Aveva negoziato trattati con i nativi, respinto i razziatori americani inseguendoli fino al Montana o ai luoghi barbari dai quali erano strisciati fuori, e ristabilito la legge e l'ordine prima che i coloni avessero la possibilità di pensare a infrangerli. La polizia canadese a cavallo era diventata un'icona per i tutori della legge di tutto il mondo, il sogno di ogni agente di viaggi.
Delorme aveva accettato quell'immagine in blocco: dopo tutto, era a questo che servivano le immagini, no? Poi, negli anni dell'adolescenza, quando aveva visto la foto di una donna nell'uniforme di sargia rossa, aveva preso seriamente in considerazione l'idea di fare domanda per entrare nel corpo. Ma la realtà continuava a intromettersi nell'immagine, e non era una realtà altrettanto piacevole. Un agente aveva venduto dei segreti a Mosca, un altro era stato arrestato con l'accusa di traffico di droga, un altro ancora per aver scaraventato la moglie giù da un balcone all'ultimo piano. E poi c'era stato il fiasco del servizio di sicurezza della polizia a cavallo che, prima di cadere in disgrazia ed essere disciolto, era riuscito a far sembrare la CIA un consesso di geni. Lanciò un'occhiata alla giovane donna dal viso pulito seduta in macchina accanto a lei, con un piumino informe, i capelli biondi tirati indietro in una treccia ordinata. Quando si era fermata al semaforo all'angolo fra Edgewater e Trout Lake Road, le luci della strada avevano rivestito il suo viso di un chiarore argenteo. Persino in quella luce incerta, Delorme aveva riconosciuto se stessa dieci anni prima. Anche la ragazza era rimasta conquistata da quell'immagine di rigore morale, ed era decisa a far sì che si avverasse. Buon per lei, pensava Delorme. Forse qualche cowboy armato di brutalità e incompetenza può aver tradito gli ideali autentici del Grande Nord, ma questo non voleva dire che una giovane recluta fosse sciocca perché vi restava aggrappata. Si fermarono davanti a una costruzione imponente di Edgewater, con il tetto spiovente come uno chalet sulle Alpi svizzere. «Non suoni il campanello, entri e basta. Non vuole che i bambini si sveglino.» Delorme mostrò il distintivo a un agente della polizia a cavallo che era di guardia alla porta. «Al piano di sotto» le disse l'uomo. Delorme attraversò il seminterrato, odoroso di detersivi, superando una caldaia enorme prima di entrare in un grande locale di mattoni rossi e legno scuro di pino che aveva l'aspetto fumoso di un club maschile. Le pareti a stucco ricoperte di stampe con soggetti di caccia e vedute marine erano intersecate da false travi in stile Tudor. Nel caminetto tremolava una fiammella. Sopra la mensola, una testa di alce impagliata contemplava la testa di R.J. Kendall, il capo del Dipartimento di polizia di Algonquin Bay. Kendall aveva un atteggiamento aperto e cordiale, forse dovuto in parte al desiderio di compensare la bassa statura (Delorme lo superava di una te-
sta), e una risata profonda che usava di continuo, sottolineandola spesso con uno scatto all'indietro del capo. Secondo Delorme, rideva troppo; quell'abitudine lo faceva apparire nervoso, e forse lo era, ma lei lo aveva visto anche perdere da un momento all'altro tutta la sua giovialità. Quando andava in collera - e per fortuna non accadeva spesso - R.J. Kendall alzava la voce e cominciava a imprecare. Tutto il Dipartimento lo aveva sentito dare una lavata di capo memorabile a Adonis Dyson perché non aveva assegnato un numero sufficiente di uomini alle manifestazioni della fiera invernale della pelliccia, con il risultato che si era scatenata una baraonda tale da finire sulla prima pagina del Lode. Eppure Dyson parlava ancora bene di Kendall, come la maggior parte delle persone che continuavano a portare i segni delle cicatrici provocate da una delle sue esplosioni di collera. Una volta finita la sfuriata, era finita per davvero, e di solito il capo faceva un gesto destinato a calmare le acque. Nel caso di Dyson, era uscito dal suo solito riserbo, presentandosi in tv per riconoscere a Dyson il merito di aver ridotto la percentuale di rapine e aggressioni. Era ben più di quanto avesse mai fatto il suo predecessore. Nella stanza c'era anche Dyson, seduto su una delle poltrone di cuoio rosso e intento a parlare con una persona che Delorme non poteva vedere. L'uomo agitò una mano nella sua direzione con un gesto languido, come se per lui quelle riunioni notturne fossero abituali. Il capo si alzò di scatto per stringere la mano a Delorme. Pur avendo superato da un pezzo la cinquantina, conservava un'aria da ragazzo, come capita a certi uomini potenti. «Sergente Delorme, grazie per aver fatto così presto, e con un preavviso così breve, per giunta. Posso offrirle qualcosa da bere? Fuori orario, penso che possiamo rilassarci un po'.» «No, grazie, signore. A quest'ora di notte mi farebbe dormire.» «Allora verremo subito al punto. C'è una persona che vorrei farle conoscere, il caporale Malcolm Musgrave, della polizia a cavallo.» Osservare il caporale Musgrave che si alzava dalla poltrona di cuoio rosso fu come assistere all'emergere di una montagna dalla distesa delle pianure. Voltava le spalle a Delorme, quindi la prima cosa che lei vide fu il blocco di granito della testa, con i capelli chiari che formavano poco più di una peluria ispida color sabbia; poi fu la volta del bastione massiccio delle spalle, della parete immensa del torace, quando si girò verso di lei, e infine della formazione rocciosa della sua stretta di mano, secca e asciutta come scisto. «Ho sentito parlare di lei» disse a Delorme. «Ha fatto un buon lavoro con il sindaco.»
«Anch'io ho sentito parlare di lei» rispose Delorme, e Dyson le scoccò un'occhiata truce. Musgrave aveva ucciso due uomini in servizio. In entrambe le occasioni era stata aperta un'inchiesta per valutare un eventuale eccesso di difesa da parte sua, ma lui ne era sempre uscito pulito. Scegliamo bene i nostri uomini, pensò Delorme. «Il caporale Musgrave fa parte del distaccamento di Sudbury. È il numero due nel settore dei reati di natura finanziaria.» Delorme lo sapeva, naturalmente. La polizia a cavallo non aveva più un distaccamento sul posto, quindi Algonquin Bay rientrava nella giurisdizione di Sudbury. Essendo un corpo federale, la polizia a cavallo si occupava di tutti i reati di portata nazionale, dal traffico di droga alle contraffazioni e ai reati finanziari. Di tanto in tanto, la polizia di Algonquin Bay collaborava con loro in occasione di qualche retata di trafficanti di droga, ma, per quanto ne sapeva lei, Musgrave non si era mai fatto vedere in città. «Il caporale Musgrave ha una piccola favola da raccontarci» annunciò il capo. «Sono certo che non le piacerà.» «Ha sentito parlare di Kyle Corbett?» Gli occhi di Musgrave erano di un azzurro pallidissimo, quasi trasparente, i più chiari che lei avesse mai visto. Era come essere fissati da un cane husky. Sì, ne aveva sentito parlare. Tutti avevano sentito parlare di Kyle Corbett. «Un grosso trafficante di droga, no? Non è lui che controlla tutto il traffico a nord di Toronto?» «È evidente che le Indagini speciali la tengono lontana dalla strada. Kyle Corbett si è ritirato dagli affari tre anni fa, quando ha scoperto il settore della contraffazione. Sembra sorpresa. Quando Ottawa ha adottato le banconote colorate, lei ha pensato che l'avessimo fatta finita con i falsari, non è vero? Che tutti i cattivi si fossero dedicati a quelle banconote americane così noiose e così facili da copiare? Ha perfettamente ragione, è andata proprio così. Poi è stato inventato un piccolo aggeggio che si chiama fotocopiatrice a colori, più un altro apparecchietto chiamato scanner. E ora qualunque scemo del villaggio può andare in ufficio il sabato mattina e stamparsi una serie di biglietti da venti falsi. Un bel grattacapo per il ministero del Tesoro. E sa una cosa? Non potrebbe fregarmene di meno.» Quegli occhi glaciali la squadravano da capo a piedi, valutandola. Delorme alzò le spalle. «Non costano abbastanza ai contribuenti, forse?» «Brava» esclamò Musgrave, come se fosse la sua allieva. «Le banconote canadesi falsificate costano circa cinque milioni di dollari l'anno a imprese e singoli cittadini. Una bazzecola. E come ripeto, sono quasi tutti piccoli
falsari dilettanti.» «Allora perché tanta agitazione per Corbett? Se delle banconote false le importa così poco...» «Kyle Corbett non falsifica banconote, ma carte di credito. E allora non parliamo più di cinque milioni di dollari. Tutt'a un tratto, chissà come, stiamo parlando di cento milioni di dollari. E a restare colpiti non sono la pompa di benzina self-service di Bob, o il ristorante Kountry Kitchen della brava Ethel: parliamo di grandi banche e, creda a me, quando cominciano ad agitarsi la Bank of Montreal e la Toronto Dominion, sentiamo la loro voce forte e chiara. Ed ecco perché i nostri uomini e i vostri, per non parlare dell'OPP, stavano lavorando da tre anni a un'operazione congiunta nel tentativo di inchiodare Corbett.» Dyson si protese in avanti, evidentemente seccato di essere lasciato fuori dalla conversazione. «Un'operazione congiunta dal novembre del 1997.» «Novembre 1997. L'operazione includeva i nostri uomini, Jerry Commanda dell'OPP e i vostri McLeod e Cardinal. Sappiamo per certo che l'allegra brigata di Corbett ha una stampatrice, cinquemila fogli di carta filigranata e una costosissima riserva di ologrammi che si trovano nel suo club, dietro Airport Road. Ma quando le forze dell'ordine fanno irruzione, Corbett e soci non stanno facendo nulla di più compromettente che giocare a biliardo e bere Molson's.» Ora il capo stava ravvivando il fuoco con un attizzatoio, spargendo scintille dappertutto. «Le racconti l'episodio numero due.» «Agosto 1998. Informazioni fondate ci dicono che Corbett e la sua allegra brigata si trovano a West Ferris con la Perfect Circle. Lei non ha mai sentito nominare la Perfect Circle, quindi non faccia finta di conoscerla. La Perfect Circle gestisce la più grande fucina di falsi di Hong Kong ed è in società con Corbett. In altri termini, si scambiano numeri di conto rubati per usarli oltremare. Un tizio può acquistare una Honda nuova a Toronto con una carta di credito American Express uscita da Kowloon e, prima che qualcuno se ne accorga, se la fila in capo al mondo e ritorno. E viceversa. La Perfect Circle, come suggerisce il nome, produce anche ologrammi perfetti. Sono asiatici, no? Hanno l'alta tecnologia nel sangue. «Nel frattempo, i nostri due agenti della polizia a cavallo hanno seguito piste separate: uno si è dimesso per lavorare nel settore privato, mentre l'altro sta scontando una condanna a quindici anni per l'omicidio della moglie.» «Ah, sì, l'uomo del balcone.»
«Se avesse conosciuto la moglie, saprebbe perché lo ha fatto. Il vostro agente McLeod è stato impegnato con i delitti Corriveau, e l'OPP ha inviato Jerry Commanda a Ottawa per fargli seguire non so quale corso, senza dubbio di importanza vitale.» «Non diciamo malignità sui corsi di aggiornamento» intervenne il capo. «Il punto è che, a quanto pare, Cardinal è l'unico agente che abbia continuato a lavorare sul caso di Kyle Corbett.» «Esatto. Rullo di tamburi, prego.» Kendall si rivolse a Dyson. «Non è stato lei a dirmi che sul conto di Cardinal erano corse delle voci, quando lavorava a Toronto?» «Abbiamo verificato, capo. Non c'era niente di sostanziale.» Musgrave proseguì, in tono incalzante. «L'era della globalizzazione. La Perfect Circle sta per fare il grande balzo da Hong Kong alla Columbia Britannica per rafforzare i legami con Vancouver. Anche stavolta informazioni fondate dicono che sono diretti a Toronto, ma si fermeranno ad Algonquin Bay per una visita di cortesia. Secondo queste informazioni, Corbett e il Pericolo Giallo hanno un appuntamento al Pine Crest Hotel... Il Pine Crest! È come dire un pensionato per signore, o qualcosa del genere. Gli uomini della Perfect Circle arrivano in città in tempo. Arriva l'ora fissata per l'incontro, e le forze che devono partecipare all'operazione congiunta si appostano intorno all'albergo. No, non abbiamo eseguito la parata, e non eravamo neppure in alta uniforme. Era un'operazione rigorosamente in borghese. E indovini che succede?» Delorme non rispose. Il caporale Musgrave si stava godendo quella dimostrazione pedagogica, e non era il caso di interromperlo mentre era così lanciato. «Non succede niente. Di Corbett, neanche l'ombra. Della Perfect Circle, neppure. Nessun incontro. Ancora una volta le forze congiunte della polizia canadese a cavallo, dell'OPP e del Dipartimento di polizia di Algonquin Bay ne escono a mani vuote. Stupidi piedipiatti. Che idioti, non riescono a farne una giusta.» Il capo era in piedi vicino al caminetto, con l'attizzatoio in mano e il viso nell'ombra. Era raro trascorrere più di dieci minuti con R. J. e non sentire quella sua risata assurda, ma evidentemente la storia di Musgrave lo aveva depresso. Aggiunse a bassa voce: «Ed è sempre peggio». E, in effetti, era peggio. Altre informazioni fondate. Un'altra data e un altro orario. L'unica differenza era che Jerry Commanda era tornato a giocare all'ala sinistra per l'OPP. Un altro raid. Un altro fiasco. «Questa volta»
aggiunse Musgrave «Corbett presenta una denuncia per molestie.» «Me lo ricordo» disse Delorme. «Mi era sembrato piuttosto strano.» Dyson la fulminò con lo sguardo. Musgrave si dimenò sulla poltrona. Era come guardare un continente che cambiava forma. «Adesso ha tutti gli elementi, quindi le lascerò tirare le conclusioni da sola. Ha qualche domanda da fare?». «Una sola» rispose Delorme. «Che cosa intende esattamente per "informazioni fondate"?». Era stata l'unica volta che il capo era scoppiato a ridere, quella notte. Nessuno degli altri aveva sorriso. Ora, a due mesi di distanza, Delorme si liberava dei fascicoli riservati inserendoli nel tritadocumenti delle Indagini speciali, sperando senza eccessivo ottimismo che il suo nuovo partner finisse per avere fiducia in lei. Mentre portava all'inceneritore un cestino colmo di ritagli, vide Cardinal che indossava il cappotto. «Ti serve qualcosa?» «No. Abbiamo ottenuto un'identificazione sicura grazie all'impronta dell'arcata dentaria. Ora vado a informare Dorothy Pine.» «Sei sicuro di non volere che venga con te?» «No, grazie. Ci vediamo dopo.» Fantastico, brontolò Delorme fra sé, gettando i rifiuti. Non sa neppure che sto svolgendo un controllo sul suo conto, e già non mi vuole come partner. Un inizio in grande stile. 6 Per raggiungere la riserva chippewa si segue Main Street in direzione ovest, superando i binari della ferrovia, poi si svolta a sinistra subito dopo il convento di Saint Joseph, un tempo scuola femminile cattolica e ora casa di riposo per suore, all'incrocio con la Statale 17. Non ci sono segnali o cartelli che stiano a indicare la riserva chippewa: gli ojibwa hanno sofferto tanto per mano dell'uomo bianco, che chiudergli la porta in faccia proprio adesso sarebbe del tutto inutile. L'aspetto che colpisce di più chi entra nella riserva, pensava spesso Cardinal, è che non ci si accorge di entrare nella riserva. Una delle sue prime fidanzate aveva vissuto lì, e lui non aveva neanche notato, allora, che si trattava di un'enclave a parte. I bungalow prefabbricati, le auto un po' malandate parcheggiate lungo i viali, i cani randagi che s'inseguivano sui cumuli di neve potevano appartenere a un qualsiasi quartiere della bassa
middle-class canadese. Naturalmente la giurisdizione era diversa, perché quella regione era di competenza della polizia provinciale dell'Ontario, ma dall'esterno questo non si notava. L'unica differenza visibile rispetto a qualsiasi altra parte di Algonquin Bay era che il posto era pieno di indiani, persone che si muovevano nella società canadese - o meglio, a fianco di essa - silenziose e invisibili come fantasmi. Una nazione ombra, si disse Cardinal. Non ci accorgiamo neppure della loro esistenza. Aveva fermato la macchina un centinaio di metri dopo la deviazione e ora, visto che la giornata era serena e la temperatura appena inferiore allo zero, stava camminando sul ciglio della strada insieme a Jerry Commanda, diretto verso una casetta tutta bianca. Quando non era infagottato in un parka imbottito, Jerry era inagrissimo, quasi fragile a vedersi; ma il suo era un aspetto ingannevole, perché si dava il caso che fosse stato quattro volte campione provinciale di kickboxing. Non si riusciva neanche a vederlo, tanto era fulmineo, ma anche il delinquente più recalcitrante, in uno scontro con lui, si ritrovava all'improvviso in posizione orizzontale, lanciando gridolini arrendevoli. Cardinal non aveva mai lavorato in coppia con Jerry, ma McLeod sì, e McLeod sosteneva che, se fossero vissuti duecento anni prima, probabilmente lui si sarebbe ribellato alle sue origini e avrebbe combattuto allegramente a fianco di Jerry contro l'uomo bianco. Quando Commanda aveva lasciato il Dipartimento di polizia, i colleghi avevano organizzato una grande festa per lui, alla quale non aveva partecipato perché non amava i sentimentalismi. Trasferendosi all'OPP, avrebbe potuto ottenere la responsabilità di uno dei centri abitati controllati dal corpo provinciale, invece aveva preferito lavorare esclusivamente nelle riserve; riceveva lo stesso stipendio della polizia municipale, solo che era esentato dalle imposte sul reddito, e quello era un privilegio sul quale amava soffermarsi con esasperante loquacità. La sera prima, Jerry lo aveva irritato fingendo di non essere al corrente del suo esilio dalla squadra Omicidi. Non brillava per senso dell'umorismo e, forse per effetto delle interminabili ore trascorse a cercare di incastrare i sospetti sotto interrogatorio, aveva l'abitudine di cambiare argomento all'improvviso. Lo fece anche adesso, chiedendo notizie di Catherine. Catherine stava bene, gli rispose Cardinal, in un tono che suggeriva l'opportunità di passare ad altro. «E Delorme?» chiese Jerry. «Come ti trovi con lei? È una che punzecchia continuamente.»
Cardinal rispose che anche con lei andava tutto bene. «Ha un gran bel fisico, l'ho sempre pensato.» Anche Cardinal era dello stesso parere, benché l'idea lo mettesse a disagio. Non era un problema lavorare a fianco di una donna attraente che si occupava delle Indagini speciali, con un ufficio separato e casi separati, ma averla come partner era un altro discorso. «Lise è una donna in gamba» osservò Jerry. «E anche un buon investigatore. Ci è voluto del fegato per inchiodare il sindaco come ha fatto lei. Io avrei avuto paura. Sapevo che si era stancata di quel lavoro burocratico, però.» Salutò con la mano un uomo che portava a spasso un cane. «Certo, può anche darsi che stia indagando sul tuo conto.» «Grazie, era proprio quello che volevo sentirmi dire.» «Ora i lampioni stradali funzionano» osservò Jerry, puntando il dito. «Finalmente possiamo vedere come sta diventando accogliente questa zona.» «Anche le case sono state riverniciate, ho notato.» Jerry annuì. «Il mio progetto estivo. Tutti i ragazzi che sorprendevo a bere dovevano riverniciare una casa intera. Gliele ho fatte dipingere tutte di bianco, perché è più faticoso. Hai mai provato a dipingere una casa di bianco durante l'estate?» «No.» «Ti fa un male cane agli occhi. Ora quei ragazzi mi odiano, ma io me ne frego.» Non lo odiavano, naturalmente. Tre ragazzi dagli occhi scuri che portavano i pattini e i bastoni da hockey li seguivano da quando Jerry era uscito di casa. Uno di loro lanciò una palla di neve che colpì Cardinal al braccio. Lui pressò una manciata di neve fra le mani nude e rispose al colpo, mancando il bersaglio. Dovevano essere dieci anni che non lanciava altro che bordate di imprecazioni. Seguì una battaglia a palle di neve, in cui Jerry fu colpito al petto da un paio di proiettili che non scalfirono neppure la sua serenità. «Dieci contro uno che il piccoletto è un tuo parente» commentò Cardinal. «Abbiamo un tipino sveglio, qui.» «È mio nipote. Attraente come lo zio, per giunta.» In effetti Jerry Commanda, con i suoi sessantatré chili scarsi, era un bell'uomo. I ragazzi chiacchieravano fra loro nella lingua degli ojibwa, di cui Cardinal, che non era un poliglotta, non capiva una parola. «Che cosa dicono?»
«Dicono: "Cammina come un poliziotto ma tira come una ragazza. Forse è un finocchio".» «Che carini.» «Mio nipote dice: "Probabilmente arresterà Jerry per il furto di quella dannata vernice".» Jerry continuava a tradurre con voce monotona. "È quel poliziotto che era venuto qui l'autunno scorso, il bastardo che non è riuscito a trovare Katie Pine".» «Jerry, tu hai sbagliato mestiere. Avresti dovuto fare il diplomatico.» Solo più tardi gli venne in mente che forse Jerry non traduceva affatto; sarebbe stato un tiro degno di lui. Girarono intorno a un pickup nuovo e scintillante per avvicinarsi alla casa dei Pine. «Conosco abbastanza bene Dorothy Pine. Vuoi che ti accompagni?» Cardinal scosse la testa. «Però, potresti passare da lei più tardi.» «D'accordo, lo farò. Che razza di uomo può uccidere una bambina, John?». «Sono rari, grazie al cielo, ecco perché lo prenderemo. Sarà diverso dagli altri.» Cardinal avrebbe voluto esserne certo almeno quanto lo sembrava dal tono della sua voce. Chiedere a Dorothy Pine nel settembre precedente il nome del dentista di sua figlia, in modo da poter ottenere le impronte dentarie, era stata la cosa più difficile che Cardinal avesse mai fatto in vita sua. Il viso di Dorothy Pine, con i tratti marcati deturpati da un'acne feroce, non aveva lasciato minimamente trasparire il dolore, e del resto perché avrebbe dovuto farlo? Lui era bianco e rappresentava la legge. Fino a quel momento, le sue uniche esperienze con la legge erano legate agli sporadici arresti del marito, una gentile creatura che la picchiava senza pietà ogni volta che si ubriacava. Era andato a cercare lavoro a Toronto poco dopo il decimo compleanno di Katie, e invece aveva trovato la punta di un coltello a serramanico in una pensioncina di infimo ordine di Spadina Road. Il dito di Cardinal tremò leggermente nel suonare il campanello. Dorothy Pine, una donna minuscola che gli arrivava appena all'altezza della cintola, aprì la porta e capì subito perché era venuto, appena lo guardò in faccia. Non aveva altri figli: la ragione della sua visita poteva essere una sola. «Okay» rispose, quando le disse che avevano trovato il corpo di Katie.
Soltanto una parola, "Okay", poi fece per richiudere la porta. Caso archiviato. La sua unica figlia era morta. I poliziotti non potevano esserle di aiuto, in quel momento, tanto meno i poliziotti bianchi. «Signora Pine, mi chiedevo se può lasciarmi entrare per pochi minuti. Ho dovuto abbandonare il caso per un paio di mesi e ho bisogno di rinfrescarmi la memoria.» «A che scopo? Ormai l'avete trovata.» «Be', sì, ma ora vogliamo trovare chi l'ha uccisa.» Ebbe la sensazione che, se non ne avesse parlato lui, l'idea di rintracciare l'uomo che aveva ucciso sua figlia non sarebbe mai passata per la testa di Dorothy Pine. L'unica cosa che contasse, per lei, era la sua morte. Alzò le spalle in modo impercettibile, quasi per accontentarlo, lasciandolo entrare in casa. Nel corridoio aleggiava l'odore della pancetta fritta. Anche se era quasi mezzogiorno, le tende del salotto erano ancora chiuse. Le stufe elettriche avevano reso secca l'aria della casa, uccidendo le piante che pendevano avvizzite da un mensola. La stanza era buia come un mausoleo. La morte era entrata in quella casa quattro mesi prima, e non ne era più uscita. Dorothy Pine si sedette su uno sgabello rotondo davanti al televisore, dove Willy Coyote inseguiva rumorosamente Bip-Bip. Lasciò pendere le braccia in mezzo alle ginocchia, mentre le lacrime cadevano sul pavimento di linoleum. Per tutte le settimane in cui aveva tentato di ritrovare la bambina, interrogando centinaia di compagni di scuola, amici e insegnanti, facendo migliaia di telefonate, distribuendo volantini, Cardinal aveva sperato che Dorothy Pine finisse per avere fiducia in lui, ma non era mai successo. Durante le prime due settimane gli aveva telefonato identificandosi ogni volta, e spiegando per quale motivo chiamava. «Mi domandavo se avete trovato mia figlia, Katie Pine.» Come se lui potesse essersi dimenticato di cercarla. Poi aveva smesso di telefonare del tutto. Cardinal prese dalla tasca la fotografia di Katie tratta dall'annuario scolastico, quella che avevano usato per stampare tutti quei volantini distribuiti ai capolinea degli autobus e nel pronto soccorso degli ospedali, nei centri commerciali e nelle stazioni di rifornimento. "Avete visto questa ragazzina?" Ora l'assassino aveva risposto, oh, sì, certo che l'aveva vista, e Cardinal posò la foto sul televisore. «Le dispiace se do un'altra occhiata alla sua stanza?» Una scrollata della testa scura, un fremito nelle spalle, un'altra lacrima
sul pavimento di linoleum. Prima le avevano assassinato il marito, e ora anche la figlia. Si dice che gli eschimesi conoscano quaranta parole per indicare la neve. Chi se ne importa della neve, pensò Cardinal in quel momento; quello che serve davvero alla gente sono quaranta modi per dire dolore. Sofferenza. Crepacuore. Desolazione. Non erano sufficienti, non per quella madre rimasta senza figli in una casa vuota. Cardinal percorse un breve corridoio per raggiungere la camera da letto. La porta era aperta, e dal davanzale della finestra lo fissava un orsacchiotto giallo con un occhio solo. Sotto le zampe logore del peluche c'era un tappetino tessuto a mano con un disegno di cavalli. Dorothy Pine vendeva quei tappetini all'emporio Hudson Bay, sulla Lakeshore. Il negozio li faceva pagare centoventi dollari, ma lui dubitava che Dorothy Pine ne vedesse molti, di quei soldi. All'esterno si sentiva una sega circolare mordere il legno e, chissà dove, un corvo che gracidava. Sotto il davanzale c'era una cassapanca per giocattoli. Aprendola con il piede, Cardinal vide che conteneva ancora i libri di Katie. Black Beauty, Nancy Drew, le storie che anche sua figlia aveva amato, da piccola. Per quale motivo pensiamo che siano tanto diversi da noi? Aprì il cassettone, trovando le calze e la biancheria ripiegate in ordine. C'era un piccolo portagioie che si apriva al suono di un carillon. Conteneva un assortimento di anelli e orecchini di bigiotteria, più un paio di braccialetti, uno di pelle e uno di perline. Si rammentò che il giorno della sua scomparsa Katie portava un braccialetto portafortuna. Infilata nella cornice dello specchio della toilette, c'era una serie di quattro istantanee scattate in una cabina fotografica, in cui Katie e la sua migliore amica facevano smorfie orribili. Cardinal si pentì di aver lasciato Delorme nella stanza degli agenti per precipitarsi a chiedere i risultati dell'autopsia. Forse in quella stanza lei avrebbe visto qualcosa che a lui sfuggiva, qualcosa che soltanto una donna avrebbe potuto notare. In fondo all'armadio, a raccogliere polvere, c'erano alcune paia di scarpe, fra cui un paio di vernice con il cinturino: come si chiamavano, Mary Jane? Cardinal ne aveva comprato un paio identiche per Kelly, quando aveva sette o otto anni. Quelle di Katie Pine erano state acquistate dall'Esercito della salvezza; avevano ancora il prezzo scritto con il gesso sulla suola. Mancavano le scarpe da corsa, perché Katie aveva portato a scuola le Nike il giorno che era scomparsa, mettendole nello zainetto. Fissata con le puntine alla parete di fondo dell'armadio, vide una foto-
grafia della banda scolastica. Cardinal non ricordava che Katie suonasse nella banda. Era stata un prodigio della matematica; aveva rappresentato Algonquin Bay in una gara organizzata dalla provincia e si era classificata seconda. La targa appesa alla parete stava a dimostrarlo. Chiamò Dorothy Pine, che arrivò un attimo dopo, con gli occhi rossi, stringendo nel pugno un kleenex stropicciato. «Signora Pine, non è Katie quella in prima fila nella foto, vero? La ragazza con i capelli scuri?» «Quella è Sue Couchie. Katie si divertiva un po' con la mia fisarmonica, qualche volta, ma non faceva parte della banda. Sue era la sua migliore amica.» «Ora mi ricordo. L'ho interrogata a scuola. Mi ha detto che in pratica non facevano altro che guardare MuchMusic e registrare su videocassetta le loro canzoni preferite.» «Sue canta piuttosto bene. Katie avrebbe voluto essere come lei.» «Katie ha mai preso lezioni di musica?» «No. Ma le sarebbe piaciuto far parte della banda.» Avevano sotto gli occhi un'immagine delle sue speranze. Un'immagine di quel futuro che ormai sarebbe rimasto per sempre soltanto immaginario. 7 Uscito dalla riserva, Cardinal svoltò a sinistra per dirigersi a nord, verso l'ospedale. I progressi della medicina, combinati con i tagli alle spese sanitarie decisi dal governo, avevano svuotato interi reparti della clinica psichiatrica. Il suo obitorio fungeva anche da Centro di medicina legale per le attività del coroner; ma Cardinal non era lì per vedere Barnhouse. «Oggi sta molto meglio» gli disse la caposala. «Comincia a dormire di notte e prende i farmaci, quindi probabilmente è solo questione di tempo prima che le sue condizioni diventino stabili. O almeno, questo è il mio parere. Il dottor Singleton farà il suo giro fra un'ora circa, se vuole parlare con lui.» «No, va bene così. Dov'è?» «Nel solarium. Basta superare le doppie porte, e poi...» «Grazie, so dov'è.» Si aspettava di trovarla ancora in disordine, infagottata nella vestaglia di ciniglia troppo grande, invece Catherine Cardinal indossava i jeans e il maglione rosso che le aveva messo nella valigia. Era seduta su una poltro-
na vicino alla finestra, raggomitolata, il mento sorretto dalla mano e gli occhi fissi sul paesaggio coperto di neve, con il boschetto di betulle ai margini del parco. «Ciao, tesoro. Sono stato alla riserva e ho pensato di passare da te al ritorno.» Lei non alzò la testa per guardarlo. Quando stava male, il contatto degli sguardi era una sofferenza, per lei. «Non credo che tu sia venuto a portarmi via di qui.» «Non ancora, tesoro. Dovremo parlarne prima con il medico.» Avvicinandosi, notò che i contorni del rossetto erano incerti e l'eyeliner era più marcato su un occhio che sull'altro. Quando stava bene, Catherine Cardinal era una donna dolce e carina; con i capelli castano chiaro, grandi occhi dallo sguardo gentile e una risatina silenziosa che lui amava tanto provocare. Non la faccio ridere abbastanza, pensava a volte; dovrei portare più gioia nella vita di questa donna. Invece, nel periodo in cui era cominciata l'ultima crisi, lui lavorava nella sezione Furti e rapine ed era quasi sempre di malumore. Bell'aiuto, le aveva dato. «Sei molto graziosa, Catherine. Stavolta non credo che resterai qui a lungo.» La mano destra di Catherine si muoveva in modo incessante, tracciando cerchi minuscoli con l'indice sul bracciolo della poltrona. «Lo so che sono una strega e ti rendo la vita un inferno. Avrei dovuto farla finita da un pezzo, ma...» S'interruppe, continuando a guardare fuori della finestra. «Ma questo non significa che le mie idee siano folli. Non è che... Cazzo, ho perso il filo del discorso.» L'imprecazione, come del resto l'ossessivo movimento circolare della mano, era un brutto segno; quando stava bene, Catherine non diceva mai parolacce. «Che spettacolo penoso» continuò con amarezza. «Non riesco neanche a finire una frase.» Era l'effetto dei farmaci, che spezzettavano i suoi pensieri. Forse era per questo che funzionavano, alla fine, provocando un corto circuito nelle catene associative, nelle idee ossessive. Ciò nonostante, Cardinal sentiva il fiotto ardente di collera che sgorgava dall'intimo della personalità di sua moglie, offuscando ogni altra cosa come un'arteria recisa nell'acqua. Ora tutt'e due le mani descrivevano quei circoli ossessivi. «Kelly sta bene» le disse in tono vivace. «Sembra letteralmente innamorata dell'insegnante di pittura. Si è goduta il soggiorno.» Catherine abbassò gli occhi sul pavimento, scuotendo lentamente la te-
sta. Non accetto osservazioni positive, grazie. «Presto ti sentirai meglio» la confortò Cardinal in tono gentile. «Volevo soltanto vederti. È stato un impulso improvviso. Pensavo che potessimo scambiare due chiacchiere, ma non voglio turbarti.» Si rendeva conto che i pensieri di Catherine diventavano sempre più pesanti, e la testa si abbassava. Ora si copriva gli occhi con una mano, come se fosse una visiera. «Cath, tesoro, ascoltami. Ti sentirai meglio. Lo so che in questo momento sembra impossibile. Hai l'impressione che le cose non si aggiusteranno mai più, ma ci siamo già passati, e ne usciremo ancora, come le altre volte.» Di solito si immagina la depressione come uno stato affine alla tristezza, e forse lo è, almeno nelle manifestazioni più blande, ma non c'è una relazione evidente fra una separazione straziante, diciamo, e gli attacchi massicci e devastanti di cui soffriva Catherine. «È come se fossi invasa» gli aveva detto. «Mi invade come una nube nera di gas. Ogni speranza è annientata. Ogni gioia è massacrata.» Ogni gioia è massacrata. Cardinal non avrebbe mai dimenticato il modo in cui lo aveva detto. «Prenditela calma» le raccomandò a quel punto. «Catherine? Ti prego, tesoro. Prenditela calma, adesso.» Posandole una mano sul ginocchio, non ricevette neanche un fremito di risposta. Sapeva che i suoi pensieri dovevano essere un vortice, dominato dall'odio per se stessa. Glielo aveva anche detto. «Tutt'a un tratto» gli aveva spiegato «non riesco più a respirare. È come se tutta l'aria venisse risucchiata dalla stanza, e mi sento schiacciata. E il peggio è che so di renderti la vita un inferno. Sono legata a te come una pietra al collo, che ti trascina sempre più a fondo. Devi odiarmi. Io mi odio.» Ma in quel momento lei non diceva niente, limitandosi a restare immobile, con il collo piegato in avanti, in un'angolazione che doveva farla soffrire. Tre mesi prima, Catherine era vivace e allegra, del tutto normale; ma a poco a poco, come accadeva spesso d'inverno, l'allegria aveva cominciato ad assumere sfumature maniacali. Aveva cominciato a parlare di un viaggio a Ottawa, che era diventato il suo unico argomento di conversazione. All'improvviso, pareva che fosse essenziale per lei vedere il primo ministro: doveva indurre il parlamento a ragionare, doveva spiegare ai politici che cosa bisognava fare per salvare il paese, per salvare il Québec. Non c'era nulla che riuscisse a distoglierla da quell'ossessione. Cominciava ogni
mattina, a colazione, ed era l'ultimo argomento di cui parlava la sera, prima di andare a letto. Cardinal temeva di impazzire anche lui. Poi le idee di Catherine avevano assunto una portata interplanetaria. Aveva cominciato a parlare della NASA, dei primi esploratori, della colonizzazione dello spazio. Era rimasta sveglia per tre notti di seguito, scrivendo ossessivamente nel diario. Quando era arrivata la bolletta del telefono, indicava trecento dollari di telefonate a Ottawa e Houston. Infine, al quarto giorno, era precipitata a vite come un aereo con il motore in avaria. Era rimasta a letto per una settimana, con le imposte chiuse. Alle tre del mattino, Cardinal si era svegliato sentendosi chiamare e l'aveva trovata nel bagno, seduta sull'orlo della vasca. L'armadietto dei medicinali era aperto, con le file di pillole (nessuna delle quali, di per sé, particolarmente letale) in attesa. «Penso che dovrei andare in ospedale» gli aveva detto. In quel momento, Cardinal aveva pensato che fosse un buon segno; prima di allora lei non aveva mai chiesto aiuto. Ora stava seduto accanto alla moglie in quel solarium troppo caldo, avvilito dalla grandezza della sua desolazione. Tentò ancora per qualche minuto di indurla a parlare, ma lei rimase in silenzio. Allora l'abbracciò, e fu come abbracciare un pezzo di legno. Dai capelli di Catherine si sprigionava un lieve odore animale. Arrivò un'infermiera con una pillola e un bicchiere di plastica con del succo di frutta. Quando Catherine non rispose alle sue sollecitazioni, l'infermiera se ne andò, per tornare poco dopo con una siringa. Cinque minuti dopo, Catherine dormiva fra le braccia del marito. I primi tempi erano sempre i peggiori, si disse Cardinal in ascensore, mentre scendeva al pianterreno. Ancora qualche giorno, e i farmaci avrebbero placato i nervi di Catherine, consentendo all'odio ostinato che nutriva per se stessa di allentare la morsa. Quando accadrà, lei sarà... triste, e si vergognerà, immaginò. Si sentirà esausta e svuotata e piena di vergogna, ma almeno vivrà in questo mondo. Catherine era la sua California, era il sole, il vino e l'oceano azzurro... ma c'era una vena di follia che serpeggiava dentro di lei come una linea di faglia, e Cardinal viveva nel timore che un giorno avrebbe sconvolto la loro vita in modo irreparabile. 8 Fu soltanto sabato che Cardinal ebbe l'opportunità di rivedere il materiale precedente. Trascorse tutto il pomeriggio a casa, davanti a una pila di fa-
scicoli che recavano le etichette con i nomi "Pine", "LaBelle" e "Fogle". In una città che conta cinquantottomila abitanti, un ragazzo scomparso è un avvenimento importante, ma due sono un fatto sensazionale. A parte il capo R.J. o il consiglio del Dipartimento, a parte l'Algonguin Lode o il telegiornale, era la città intera che non ti lasciava requie. L'autunno scorso, Cardinal non poteva neanche andare a fare la spesa senza essere bersagliato di domande e consigli sul caso di Katie Pine e Billy LaBelle. Tutti avevano un'idea, tutti avevano un suggerimento da dargli. Naturalmente tutto questo aveva un lato positivo, e cioè che non mancavano i volontari. Nel caso LaBelle, i boy scout del posto avevano trascorso una settimana intera a perlustrare centimetro per centimetro i boschi intorno all'aeroporto. C'erano anche dei lati negativi, però. I telefoni del comando non smettevano mai di squillare, e il piccolo corpo di polizia cittadino era stato sommerso da false piste, che era stato necessario seguire tutte, prima o dopo. I fascicoli erano gonfi di rapporti supplementari - i "sup", come li chiamavano affettuosamente fra loro gli agenti - dedicati a seguire suggerimenti che finivano sempre in un vicolo cieco. Cardinal era seduto con i piedi rivolti verso il caminetto e una tazza di decaffeinato appena fatto, intento a spulciare i fascicoli, cercando di setacciare montagne di dati per ricavarne i fatti. Da quei fatti concreti, considerati con occhi nuovi, sperava di ottenere almeno un'idea valida, un frammento di teoria... perché finora non ne aveva. Le forze armate si erano degnate di concedere loro un tendone abbastanza grande da coprire tutta l'isola di Windigo, più due ventilatori ad aria calda usati in passato per riscaldare gli hangar della squadriglia locale di F18. In ginocchio come tanti archeologi, Cardinal e gli altri avevano setacciato la neve palmo a palmo. Quel lavoro aveva richiesto quasi tutta la giornata e soltanto dopo, aumentando gradualmente la temperatura dei ventilatori, avevano fatto sciogliere lentamente la neve per esaminare il tappeto fradicio di aghi di pino, sabbia e roccia che si stendeva al di sotto. Lattine di birra, mozziconi di sigarette, canne da pesca, sacchetti di plastica... Erano sprofondati nei rifiuti, nessuno dei quali legato al delitto. Sul lucchetto non c'erano impronte digitali. Quello, purtroppo, era il primo fatto concreto che Cardinal aveva in mano: la loro estenuante ricerca non aveva fruttato una sola pista. Katie Pine era scomparsa il 12 settembre. Quel giorno era andata a scuola, uscendo con due amiche subito dopo la campanella che segnalava la fi-
ne delle lezioni. C'era il rapporto iniziale sulla scomparsa - una telefonata di Dorothy Pine - e poi i rapporti supplementari: il colloquio di Cardinal con Sue Couchie e quello di McLeod con l'altra amica. Le tre ragazzine erano andate a vedere la fiera itinerante installata all'ingresso dei Memorial Gardens. Cardinal inserì anche questo tra i fatti assodati. Non si erano trattenute a lungo. L'ultima volta che le amiche avevano visto Katie, stava lanciando delle palle di pezza contro i birilli nel baraccone del tiro a segno, sperando di vincere un enorme panda di peluche che le piaceva. Era grosso quasi quanto lei, che aveva tredici anni ma ne dimostrava al massimo undici. Sue e l'altra ragazzina erano entrate in una piccola tenda buia per farsi predire il futuro da Madame Rosa. Quando erano tornate al tiro a segno, Katie non c'era più. L'avevano cercata in giro e, non trovandola, avevano deciso che se n'era andata senza di loro. Questo era avvenuto intorno alle sei del pomeriggio. Nei fascicoli c'era anche il colloquio di Cardinal con il giovanotto che lavorava al baraccone del tiro a segno. No, Katie non aveva vinto il panda, e lui non aveva notato nessuno vicino a lei, non l'aveva neanche vista allontanarsi. Nessuno l'aveva vista andar via. Il terreno si era aperto per inghiottirla, come aveva detto Dyson. Migliaia di colloqui e di volantini più tardi, Cardinal non aveva scoperto niente di più sulla sua scomparsa. Katie era già scappata di casa due volte, per raggiungere certi parenti a Mattawa, ma quelle fughe erano state provocate dalle scenate del padre ubriaco, ed erano cessate con la sua morte. Dyson non aveva voluto saperne. Cardinal si alzò per mettersi una vestaglia sopra i vestiti, attizzò il fuoco nella stufa a legna e tornò a sedersi. Erano appena le cinque, ma era già buio e dovette accendere la luce sul comodino. La catenella di metallo era gelida sotto le sue dita. Aprì il fascicolo di Billy LaBelle. William Alexander LaBelle: dodici anni, un metro e quarantadue di statura, trentasei chili di peso... un ragazzino gracile. L'indirizzo di Cedargrove faceva intendere che la famiglia apparteneva all'alta middle-class. Educazione cattolica, scuola parrocchiale. Parenti e genitori erano stati esclusi dalla rosa dei possibili sospetti. Aveva precedenti di fughe da casa, anche se nel suo caso si trattava di una sola volta. Non importava, a Dyson era bastato. «Senta, Billy LaBelle è il terzogenito di una famiglia in cui sono tutti fenomeni a scuola e nello sport. Lui non se la cava bene quanto gli altri fratelli, tutte stelle del foo-
tball, non è vero? E non prende neppure gli stessi voti delle sorelle, che sono geni. Ha tredici anni e l'autostima gli dev'essere finita sotto i piedi. Billy LaBelle ha dato forfait, chiaro? Il ragazzo è andato a farsi un giro.» Era meno chiaro dove il ragazzo avesse deciso di farsi un giro. Billy era scomparso il 14 ottobre, un mese dopo Katie Pine, mentre si trovata al centro commerciale Algonquin Mall, dove stava bighellonando con gli amici. Nel suo caso, i rapporti supplementari comprendevano colloqui con gli insegnanti e i tre ragazzi che erano con lui al momento della scomparsa. Un attimo prima stava giocando a Mortal Kombat nel Radio Shack (vedi i rapporti supplementari del commesso e della cassiera), un attimo dopo dice che vuole prendere l'autobus per tornare a casa. È il solo dei quattro che vive a Cedargrove, quindi viaggia da solo. Nessuno lo rivedrà mai più. Billy LaBelle, di anni dodici, esce dall'Algonquin Mall ed entra nei fascicoli della polizia. Dopo la sua scomparsa, per qualche settimana Dyson aveva lasciato la briglia sciolta a Cardinal, ma poi aveva richiuso le porte: non c'erano prove di un omicidio, mentre risultava una fuga precedente, e c'erano altri casi che meritavano maggiore attenzione. Cardinal aveva opposto resistenza, convinto che i due adolescenti fossero stati uccisi, e probabilmente dalla stessa persona. Dyson aveva commentato, a proposito di Billy LaBelle: «Cristo, ma pensi un po' ai problemi che aveva. Non c'era niente che funzionasse. La mia impressione è che si sia gettato in acqua da qualche parte. Tornerà a galla in primavera nel French River». Ma come mai non c'erano precedenti di tentato suicidio? Perché non c'erano segnali evidenti di depressione? Dyson si era tappato le orecchie per non sentire. Cardinal accantonò il fascicolo LaBelle e si versò un'altra tazza di decaffeinato prima di andare a mettere un altro ceppo di legna nella stufa. Le scintille sprizzarono in tutte le direzioni. Poi aprì il fascicolo Fogle, che conteneva poco più del primo foglio - i fatti che risultavano dal rapporto iniziale - per gentile concessione della polizia di Toronto. Avrei dovuto capire come sarebbe andata, si disse, e forse lo aveva capito. Dyson aveva ragione: lui aveva speso parecchio denaro e utilizzato molti uomini. Ma che cos'altro si deve fare, quando i bambini svaniscono nel nulla? Margaret Fogle, che in realtà non era più una bambina visto che aveva diciassette anni, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Una diciassettenne scappata di casa a Toronto? Non era un caso ad alta priorità,
grazie mille. Era stata vista per l'ultima volta ad Algonquin Bay, dalla zia. Il fascicolo conteneva il rapporto supplementare di McLeod, con i suoi caratteristici errori di ortografia ("a" senz'acca "i genitori separati"). La destinazione indicata dalla ragazza era Calgary, nella provincia di Alberta. «Il che significa mezzo continente di distanza e parecchie centinaia di corpi di polizia responsabili della sua ricerca» gli aveva fatto notare Dyson. «Mi sente, Cardinal? Lei non è il solo poliziotto del paese. Lasciamo che la polizia a cavallo faccia qualcosa per guadagnarsi lo stipendio.» E va bene, concediamogli Margaret Fogle. Eliminando quella variabile dall'equazione, la conclusione che c'era un assassino al lavoro appariva anche più evidente. «Perché continua a battere su questo punto?» era esploso Dyson, non più cordiale e paterno. «Pedofili? Pervertiti? Quelli vanno in cerca di ragazzi o di ragazze, ma quasi mai, o mai, di tutt'e due.» «Laurence Knapschaefer sì.» «Laurence Knapschaefer! Sapevo che lo avrebbe tirato in ballo. Per me è un'ipotesi troppo stiracchiata, Cardinal.» Laurence Knapschaefer aveva assassinato cinque adolescenti a Toronto, dieci anni prima: tre maschi e due femmine. Una ragazzina era riuscita a sfuggirgli, e così era stato finalmente catturato. «L'eccezione che conferma la regola, ecco che cos'è Laurence Knapschaefer. Non ci sono cadaveri, quindi non c'è un caso di omicidio. Lei non ha neanche uno straccio di prova.» «Ma la prova dell'omicidio potrebbe essere proprio questa.» «Come sarebbe a dire?» «La mancanza di prove non fa che confermare la mia teoria.» Negli occhi azzurri e gelidi di Dyson aveva visto le porte che si chiudevano sbattendo, i chiavistelli che scattavano; ma non poteva lasciar correre, non poteva tacere. «Un ragazzo in fuga viene visto da qualcuno... dai passeggeri dell'autobus, dai bigliettai, dai gestori dell'ostello, dagli spacciatori di droga. Un ragazzo in fuga viene notato. È per questo che li ritroviamo. Un ragazzo in fuga lascia tracce: un biglietto, vestiti in più o denaro in meno, messaggi agli amici. Invece, un ragazzo assassinato non lascia niente dietro di sé: né messaggi, né biglietti, niente. Katie Pine e Billy LaBelle non hanno lasciato niente.» «Mi spiace, Cardinal, ma il suo ragionamento sembra preso da Alice nel paese delle meraviglie.» Il giorno dopo, Cardinal aveva ordinato una ricerca a scacchiera, la terza
nel giro di sei settimane, che si era conclusa con un nulla di fatto. Quello stesso pomeriggio Dyson lo aveva esonerato dalle indagini sui casi Pine e LaBelle, allontanandolo del tutto dalla Omicidi, almeno per l'immediato futuro. «Metta dentro Arthur Wood, che sta derubando i cittadini a man salva.» «Non posso crederci. Due bambini scomparsi, e lei mi assegna alla Furti e rapine?» «Non posso permettermi le sue spese, Cardinal. Questa non è Toronto. Se ha tanta nostalgia dei bei tempi andati, perché non torna laggiù? Nel frattempo, può portarmi la testa di Arthur Wood.» Il fascicolo Fogle finì sopra gli altri. Cardinal scaldò nel forno un pasticcio di carne di maiale che aveva scongelato poco prima. Catherine era riuscita a farsi dare la ricetta da un'amica franco-canadese, ma McLeod, che lo aveva assaggiato una volta, sosteneva che l'avevano rubata a sua madre. Era la salvia a tradire il furto. Mangiò di fronte al televisore, guardando il telegiornale trasmesso da Sudbury. La notizia principale del giorno era la scoperta di un cadavere sull'isola di Windigo. Grace Legault aveva gettato all'indietro il cappuccio per farsi riprendere sullo sfondo dell'isola, con i fiocchi di neve che scintillavano come stelle sulla criniera di capelli ramati. In televisione sembrava molto più alta. «Secondo la leggenda degli ojibwa» cominciò «Windigo è lo spirito di un cacciatore che è uscito d'inverno per andare a caccia e si è perso nei boschi ghiacciati, dov'è stato costretto a cibarsi di carne umana. È facile credere a una leggenda del genere quando si mette piede su un'isola desolata come questa, dove ieri pomeriggio due persone in motoslitta hanno scoperto il corpo non identificato di un adolescente.» Grazie, Grace, disse Cardinal fra sé. Ora avremo l'"assassino di Windigo", o addirittura "Windigo" tout-court. Diventerà un circo. Il servizio passava alle immagini di repertorio dell'OPP che dragava il lago Nipissing in autunno, mentre Legault formulava ipotesi sulla possibilità che il corpo fosse quello di Billy LaBelle o di Katie Pine. Poi veniva inquadrato Cardinal sull'isola, mentre rilasciava impassibile una dichiarazione ufficiale, informando il pubblico che era necessario aspettare gli sviluppi. Sono davvero arrogante, si disse. Ho visto troppi film. Gli sarebbe piaciuto poter telefonare a Catherine, ma lei non sempre reagiva bene, e di rado lo chiamava dall'ospedale. Mi sento troppo imbarazzata e mi vergogno, gli aveva detto, e Cardinal era sconvolto al pensiero
che potesse provare quei sentimenti. Eppure, in mezzo a quel vortice di stati d'animo, riusciva a percepire una vena di collera repressa per il fatto che lei potesse abbandonarlo così. Sapeva che non era colpa di sua moglie, e cercava di non biasimarla, ma per natura non era un solitario, e c'erano momenti in cui non sopportava di essere lasciato solo per mesi. Poi, naturalmente, si rimproverava di essere egoista. Scrisse un breve biglietto per Kelly, accludendo un assegno di cinquecento dollari. Ora che lei e Catherine se n'erano andate, la casa sembrava troppo grande, le scrisse, poi accartocciò il biglietto e lo gettò nel cestino. Scarabocchiò su un foglio: "So che ti farà comodo" e chiuse la busta. Le figlie amano considerare il padre invulnerabile, e Kelly si ritraeva sempre di fronte a ogni minima espressione di affetto da parte sua. Che strano, pensò, sapere che una persona che amava tanto non dovesse sapere mai la verità su di lui, non dovesse capire come aveva fatto a procurarsi il denaro necessario per pagare i suoi studi. Era strano, e anche triste. Ripensò alle persone scomparse, ai bambini scomparsi. Dyson aveva ragione: per attraversare il paese bisognava passare da Algonquin Bay, ed era inevitabile che la percentuale di ragazzi scappati di casa fosse notevole. Cardinal aveva creato un fascicolo separato in cui raccoglieva le segnalazioni pervenute da altre giurisdizioni: casi da Ottawa, da Maritimes e persino da Vancouver, che erano stati segnalati via fax nel corso dell'anno precedente. Chiamò il sergente di turno, la brava Mary Flower, dal cuore buono e dal viso equino, per incaricarla di scovare alcuni dati statistici. Non era compito suo, ma Cardinal sapeva che Mary Flower aveva un debole per lui e lo avrebbe fatto. Lo richiamò proprio mentre si stava spogliando per fare una doccia. Nudo, con la pelle d'oca, tenne incastrato il ricevitore sulla spalla mentre si sforzava di infilare le braccia nelle maniche dell'accappatoio. «Gli ultimi dieci anni, ha detto?» Mary aveva una voce nasale così acuta e penetrante che poteva staccare la vernice dalle pareti. «È pronto?» Per qualche minuto continuò a scarabocchiare cifre su un taccuino. Poi attaccò e chiamò subito Delorme, che tardò parecchio a rispondere. «Ehi, Delorme» le disse quando finalmente lei sollevò il ricevitore. «Sei sveglia?» «Sono sveglia, John.» Bugia. Se lo fosse stata davvero, non lo avrebbe mai chiamato per nome. «Indovina un po' quante persone scomparse, adolescenti, abbiamo avuto
due anni fa.» «Compresi quelli che venivano da fuori? Non saprei. Sette? Otto?» «Dodici. Una dozzina esatta. E l'anno prima dieci. L'anno prima ancora, otto. L'anno precedente dieci. L'anno prima di quello ancora dieci. Cominci ad afferrare?» «Dieci l'anno, uno più, uno meno.» «Due più, due meno, per l'esattezza. Dieci l'anno.» All'improvviso, la voce di Delorme divenne più limpida e chiara. «Però mi hai chiamato per parlarmi dell'anno scorso, non è vero?» «L'anno scorso, il numero di adolescenti scomparsi, compresi, anche in questo caso, quelli venuti da fuori, è arrivato a quattordici.» Delorme si lasciò sfuggire un fischio sommesso. «Ecco come la vedo io. Un tale uccide una ragazzina, Katie Pine, e scopre che la cosa lo eccita. Prova l'emozione più grande della sua vita. Cattura un altro adolescente, Billy LaBelle, e lo rifà. Ormai è lanciato, ma adesso tutta la città è alla ricerca di quei ragazzi scomparsi. Allora si fa furbo e comincia a puntare ragazzi più grandi, venuti da fuori. Sa che per uno di diciassette o diciotto anni non faranno tante storie.» «Soprattutto se viene da fuori.» «Dovresti cercare i casi rimasti insoluti in tutto il paese. Quelli di Toronto sono tre, ma gli altri vengono chissà dove.» «Tu hai i fascicoli a casa? Vengo subito.» «No, no, possiamo incontrarci nella sala agenti.» Seguì una pausa quasi impercettibile. «Cristo, Cardinal, pensi che lavori ancora per le Indagini speciali? Pensi che stia indagando su di te? Dimmi la verità.» «Oh, no, niente del genere» replicò lui in tono soave, pensando fra sé: "Dio, quanto sono bugiardo". «È solo che sono sposato, Lise, e tu sei tanto attraente che non mi fido a restare solo con te.» Ci fu una lunga pausa. Poi Delorme riattaccò. 9 Avevano sparso i fascicoli su tre scrivanie e stavano facendo saltare i nervi a Ian McLeod, un poliziotto robusto e muscoloso, con i capelli rossi, che soffriva di una mania di persecuzione coltivata con cura. Stava cercando disperatamente di smaltire il lavoro arretrato prodotto dal caso Corriveau, un duplice omicidio avvenuto in un padiglione di caccia. Era un buon
investigatore, niente da dire, ma anche nei suoi giorni migliori irascibile e sboccato; il caso Corriveau, poi, lo aveva reso quasi insopportabile. «Ma voi due non potete abbassare un po' la voce? Vi sembra il caso di farvi sentire in tutto questo cazzo di edificio?» «Come sei sensibile, in questi giorni» replicò Cardinal. «Frequenti per caso uno di quei seminari sul "Nuovo maschio"?» «Sto cercando di rimettermi in pari con tutti i casi che non siano il delitto Corriveau, chiaro? Roba di ordinaria amministrazione. Che tu ci creda o no, avevo una vita personale, prima che i fratelli Corriveau decidessero di ammazzare quello schifoso del suocero e quell'altro schifoso del suo socio. E ho ancora una vita personale, solo che non ricordo quale sia, in questo momento, visto che passo tutte le mie giornate in questo piccolo e patetico buco di provincia che chiamano posto di polizia. E ci dormo anche, per giunta.» Cardinal rinunciò a stargli dietro. «Nessuno di questi casi è stato risolto» disse rivolto a Delorme. «Dividiamo la pila in due e scorriamo i fascicoli più in fretta che possiamo, come se fossero appena arrivati sulla nostra scrivania. Voglio dire, non mi sembra che sia stato fatto granché per risolverli.» «Ho sentito, sai?» gridò McLeod dall'altro capo della stanza. «Non c'è bisogno che i miei cosiddetti... commilitoni cerchino di farmi fesso. Provateci un po' voi a dare la caccia ai ragazzi scappati di casa, quando sua maestà il giudice Lucien "V come Verme" Thibeault ha preso la vostra vita nelle sue mani. Sembra che si consideri responsabile dei diritti legali della Corriveau & Teste-di-cazzo Inc.» «Non stavamo parlando di te, McLeod. La vecchiaia ti rende paranoico.» «L'agente investigativo John "Il non morto" Cardinal mi dice di non fare il paranoico? Allora sì che divento paranoico. Intanto, il giudice Lucien "R come Rottinculo" Thibeault mi perseguita in sogno ululando stronzate sulla catena delle prove e il frutto dell'albero avvelenato. Questi cazzo di mangiarane sono sempre solidali, fra loro.» «Bada a come parli, McLeod.» Delorme non aveva un fisico imponente, ma era capace di gelarti il sangue con un'occhiata. «Io dico quello che mi pare. Mia madre era francese come te. Solo che, a differenza di te, non era una separatista sotto mentite spoglie.» «Oh, insomma!» «Lascialo perdere» le suggerì Cardinal. «È inutile parlare di politica con lui.»
«Ho detto soltanto che gli abitanti del Québec hanno validi motivi di lagnanza. Di che diavolo sta parlando?» «Possiamo evitare l'argomento, per favore?» Mentre McLeod continuava a brontolare fra sé, esaminando i rapporti supplementari, Cardinal e Delorme chiarirono tre casi in meno di un'ora, confrontando semplicemente i rapporti iniziali con la denuncia della scomparsa e i fax successivi con la segnalazione che il soggetto non era più oggetto di ricerca. A quel punto, ridisposero gli altri casi in ordine di priorità: due denunce erano state diffuse a livello nazionale, il che significava che non c'era un motivo particolare per ritenere che i soggetti, uno originario di Terranova e l'altro dell'isola Prince Edward, avessero mai messo piede ad Algonquin Bay. «Questa sembra interessante» esclamò Delorme, sollevando una foto trasmessa via fax. «Ha diciotto anni, ma ne dimostra tredici. Alta appena un metro e cinquanta, quaranta chili di peso. È stata vista al capolinea degli autobus.» «Mettila da parte» disse Cardinal, rispondendo al telefono. «Indagini criminali, parla Cardinal.» «Len Weisman... Sì, sono all'obitorio di sabato sera, e sai perché? Perché una certa agente di sesso femminile stava rendendo la mia vita un inferno. Ma si rende conto che Toronto è una vera città? Lo sa quanti casi abbiamo? Ha idea delle pressioni alle quali siamo sottoposti?» «La vittima aveva tredici anni, Len. Era una bambina.» «E questa è la sola ragione per cui parlo con te, ma dì alla tua socia che la prossima volta aspetterà in fila come gli altri. La sezione Chimica ti ha chiamato?» «No. Per ora c'è soltanto il rapporto di Odontologia, lo abbiamo avuto l'altro giorno.» «Ebbene, forse la Chimica avrà qualcosa per voi... l'hanno trattenuta piuttosto a lungo.» «Che cosa puoi dirci, Len?» «Non c'era molto su cui lavorare, del resto il corpo lo hai visto anche tu, quindi sarò breve. Un dato riguarda gli arti: il polso e la caviglia rimasti mostrano tracce di legature, quindi è stata tenuta prigioniera. Anche la sezione Chimica potrebbe avere qualche elemento per te, riguardo a questo punto. Il vero scoop sai qual è? Avevamo una pupilla e parte dei lobi superiori dei polmoni. In entrambi, la dottoressa Gant ha riscontrato segni di emorragia petecchiale. Non avrebbe lasciato tracce, se il corpo non fosse
stato congelato. Non le avremmo mai viste.» «Potrebbe essere stata strangolata?» «Strangolata? No, il dottor Gant non dice questo: non è rimasto granché del collo, lo sai... quindi non ci sono segni di legatura e non è stato possibile esaminare l'osso ioide. Chiama pure il patologo, se vuoi, ma strangolata, no. Non credo che potremo fare passi avanti in quella particolare direzione. In un modo o nell'altro, però, questa ragazzina è stata soffocata.» «Qualche altro ritrovamento?» «Parla con Setevic, della sezione Chimica. Il suo rapporto parla di una sola fibra, rossa, trilobata. Niente sangue, niente peli o capelli, a parte quelli della bambina.» «Nient'altro a proposito di fibre?» «Parla con Setevic. Ah, qui c'è un appunto. Nella tasca dei jeans hanno trovato una specie di braccialetto.» «Il giorno della scomparsa, Katie portava un braccialetto portafortuna.» «Giusto, infatti qui dice che è un braccialetto portafortuna. Lo troverai insieme al resto degli effetti personali. L'agente Delorme è lì con te?» «Sì.» «Non l'ho mai incontrata, ma immagino che sia attraente. Richiamo sessuale da allarme rosso?» «Si potrebbe dire così.» In quel momento Delorme stava scrutando un fax con la fronte aggrottata, e Cardinal tentò invano di non trovare affascinante quell'espressione. «Vuoi un numero telefonico o qualcosa del genere, Len?» «Ti sembra che possa lasciarmela sfuggire? Ha il modo di fare di una donna abituata ad averla sempre vinta. Anzi, passamela subito e fammi parlare con lei.» Cardinal porse il ricevitore a Delorme, che chiuse gli occhi. A poco a poco, la pelle sugli zigomi si arrossì: era come vedere il mercurio che sale nel termometro. Un attimo dopo, lei posò delicatamente il ricevitore sulla forcella. Disse soltanto: «Okay, va bene così. Ci sono uomini che non reagiscono bene alle pressioni». Dall'altro capo della stanza, McLeod gridò: «Ti ho sentito, Delorme». 10 La partecipazione ai funerali di Katie Pine fu più ampia del previsto. Cinquecento persone affluirono a Saint Boniface, la minuscola chiesetta di
mattoni rossi in Sumner Street, per pregare sulla piccola bara sigillata. I media erano presenti in forze. Delorme riconobbe Roger Gwynn e Nick Stoltz del Lode. Nick Stoltz l'aveva messa nei guai, quando lei era appena un'adolescente, scattandole di soppiatto una foto mentre era allacciata al suo ragazzo su una panchina di quello che allora si chiamava Teacher's College Park. Per lui e per la maggior parte dei lettori del Lode era soltanto un'immagine dello splendore autunnale, ma per i genitori di Lise quella era la prova che la figlia non aveva trascorso la serata con le amiche del pensionato. Lei aveva dovuto scontare due settimane di segregazione, un periodo abbastanza lungo per consentire al cuore volubile del suo ragazzo di concepire un'attrazione irresistibile per la rivale di Lise. Da allora, nell'inferno personale di Delorme, i fotografi avevano occupato un posto solo un poco più confortevole di quello riservato agli stupratori. C'era la giornalista televisiva di Sudbury, accompagnata da un operatore di sesso femminile, notò Delorme, e da un tecnico del suono che doveva pesare come minimo centocinquanta chili. Davanti all'ingresso aveva visto un furgone della rete televisiva CBC, e due banchi più avanti riconobbe un cronista del Globe and Mail che aveva scritto un pezzo su di lei dopo che aveva mandato in galera l'ex sindaco di Algonquin Bay. Non capita tutti i giorni che una bambina venga ritrovata assassinata su un'isola desolata in mezzo a un lago ghiacciato, ma Delorme non aveva immaginato che fossero interessate anche le reti nazionali. Il giornalista del Globe puntò l'occhio avido del veterano su Dorothy Pine, che avanzava lentamente, prostrata dal dolore, mentre qualcuno l'aiutava a salire i gradini della chiesa. Il cronista si spostò in avanti, ma, chissà come, Jerry Commanda riuscì a mettersi fra lui e la madre prostrata, e quando la navata centrale fu libera, l'uomo si era accasciato sul banco, come in preda a un improvviso dolore addominale. La polizia non era lì soltanto per rendere omaggio alla piccola vittima, ma anche nella remota speranza che l'assassino potesse intervenire al funerale. Delorme era seduta nell'ultimo banco, un buon punto di osservazione per vedere se qualcuno curiosava ai margini della folla. Cardinal, invece, era in prima fila, piuttosto defilato, serio nel suo vestito nero e, dovette ammettere Delorme, piuttosto attraente, sia pure alla sua maniera stropicciata. Le occhiaie livide conferivano al suo viso un'espressione malinconica che una donna romantica - e Delorme non si considerava affatto tale avrebbe trovato affascinante. Appassionatamente fedele alla moglie, Cardinal, nonostante le crisi periodiche della malattia mentale che l'affligge-
vano, se quello che Delorme aveva sentito dire era vero. Nella sala agenti si accennava all'argomento solo di rado, e sottovoce. Come congedo dalle Indagini speciali, la collaborazione in un caso di omicidio proprio con il soggetto dell'indagine che le era stata affidata non era la scelta ideale. Non era certo un modo per farsi amici o accattivarsi la simpatia dei colleghi; ma del resto non era per diventare popolari che si entrava alle Indagini speciali. John Cardinal sembrava onesto almeno quanto gli altri poliziotti che Delorme conosceva; era difficile dare peso alle preoccupazioni espresse da Musgrave sul suo conto. Prima del funerale, lui aveva conversato in modo amabile con il vecchio prete, che secondo Delorme si attaccava alla bottiglia spesso e volentieri, senza farne troppo mistero. Non le era venuto in mente che Cardinal potesse frequentare la chiesa; non lo aveva mai visto a Saint Vincent, ma del resto era improbabile che lui frequentasse la parrocchia francese. La verità era che non lo conosceva bene. La natura del suo incarico la teneva in disparte dal resto del Dipartimento. E se c'era una lezione che s'imparava alle Indagini speciali, era che ognuno aveva una storia, e non era mai quella che ti aspettavi. Quindi relegò in un angolo della sua mente la storia della polizia a cavallo e di Kyle Corbett, e le voci che circolavano a Toronto, per concentrarsi sui cittadini di Algonquin Bay che avevano voluto presentarsi al funerale di una ragazzina assassinata. Fuori della chiesa c'erano Arsenault e Collingwood, che riprendevano con la videocamera i partecipanti e le targhe delle loro auto, un esercizio di pura speculazione mentale, dal momento che per ora non avevano né un sospetto né una targa. Immaginiamo che l'assassino si presenti, pensò Delorme. Supponiamo che si sieda proprio qui vicino a me, invece di questa signora dai capelli bianchi vestita di verde come un pappagallo. In che modo potrei riconoscerlo? Dall'odore? Dalle zanne e dalla lunga coda, oppure dagli zoccoli? Delorme non era molto esperta di omicidi, ma capiva che aspettarsi che un assassino avesse un aspetto diverso da Cardinal, o dal sindaco, o dal ragazzo della porta accanto, era pura fantasia. Avrebbe potuto essere quell'uomo tarchiato con la maglia dei Maple Leafs: che razza di cafone può indossare una maglia da hockey a un funerale? Oppure l'indiano in seconda fila, con la scritta IDRAULICA ALGONQUIN BAY sulla schiena: come mai non si era unito al gruppo che circondava la signora Pine? Delorme riconobbe almeno tre ex compagni delle scuole superiori: l'assassino poteva essere
uno di loro. Cercò di ricordare le foto pubblicate nei libri dedicati ai serial killer: Berkowitz, Bundy, Dahmer... tutti uomini insignificanti. No, no, l'assassino di Katie Pine doveva essere diverso, ma questo non voleva dire che apparisse diverso. Dovresti farmi lavorare di più, pensò fra sé, guardando Cardinal. Dovresti starmi alle calcagna giorno e notte, costringendomi a seguire anche i fili più esili dell'indagine. Dovremmo stare addosso agli esperti del Centro di medicina legale, per costringerli a sputare tutti gli elementi che hanno. Invece Cardinal aveva convinto chissà come Dyson ad assegnarle i suoi compiti meno interessanti. Una mossa del cavallo? Tenerla troppo occupata perché potesse controllare lui? D'altra parte, poteva anche trattarsi del solito sciovinismo che regnava nelle forze di polizia. Buon per loro che vado fiera del mio lavoro alle Indagini speciali. Sono single e sono ancora giovane - abbastanza, perlomeno - per cui, se voglio, posso dedicare tutto il mio tempo alle indagini. Tanto, che altro mi resta da fare, avrebbe potuto aggiungere in una giornata nera. Che emozione era stata, stringere il cerchio delle indagini intorno al sindaco, riuscire a inchiodare i suoi piccoli amici corrotti! E aveva fatto tutto da sola. Quanto a Dyson, Cardinal, McLeod e gli altri, a volte malediceva in blocco la loro testa dura da anglofoni. «Bisogna pagare lo scotto, Delorme» le aveva detto quella mattina Dyson con la sua voce chioccia. Lei era quasi tentata di prendere quella ciambella con la glassa al miele dalla sua scrivania per divorarla in un solo boccone, tanto per vedere la faccia che avrebbe fatto. «Tutti devono pagarlo. Non può entrare nella squadra e arrivare subito in cima, non è così che funziona.» «Sono stata sei anni alle Indagini speciali, ma immagino che questo non conti niente, vero? Non voglio lavorare alle rapine e ai furti con scasso.» «Tutti lavorano alle rapine, e lo farà anche lei, perché, primo» e qui aveva cominciato a enumerare gli argomenti con quelle sue strane dita a spatola che le facevano sempre venire i nervi, «Cardinal sta coordinando le indagini su un caso importante di omicidio e non ha tempo per occuparsi d'altro; secondo, perché lei è il partner più giovane della squadra; e terzo, perché è stato Cardinal a chiedermi di assegnarla a questo incarico. Fine del mistero e fine della discussione. E poi, le serve una scusa per tenersi lontana da lui, no? Per mantenere le distanze. Non può indagare su di lui se viaggiate sulla stessa auto tutto il giorno. In effetti, non sarebbe male se riuscisse a perquisire la sua casa, ammesso che si presenti l'opportunità di
farlo.» «Non posso frugare in casa sua senza un mandato.» «No di certo. Le faccio soltanto notare che lavorate in coppia, quindi passerete molto tempo insieme. Se dovesse trovarsi in casa sua... be', usi la fantasia. Non che io lo creda colpevole, badi bene.» «Non posso svolgere controlli su di lui, se devo occuparmi di chiudere i vecchi casi. E quando avrei il tempo di esaminare i fascicoli su Corbett?» «Sono un fervente sostenitore delle ore di straordinario, lo sa? Non sono un taccagno come mi dipingono McLeod e Cardinal.» «Con tutto il rispetto, sergente, per quale motivo dobbiamo occuparcene proprio adesso? Il caso Pine mi sembra più urgente.» «Kyle Corbett non è un semplice falsario ex trafficante di droga, ma anche uno spietato assassino, come presto sapranno tutti, se riusciremo a catturare quel bastardo. Se qualcuno gli fa delle soffiate, non è un reato da poco: si tratta di corruzione, favoreggiamento e complicità in omicidio, e voglio che il colpevole se ne vada dalla mia squadra - ammesso che ne faccia parte - e finisca in prigione come si merita.» «Per quanto mi riguarda, penso che dovremmo trovarci tutti e due a Toronto per assillare gli esperti di medicina legale.» «Gli esperti di medicina legale faranno meglio il loro lavoro senza sentirsi il vostro fiato sul collo. A proposito, qui c'è una sfilza di denunce per furto con scasso che mi aspetto di vedere risolte entro la fine della settimana. Sappiamo tutti chi è il colpevole, si tratta soltanto di inchiodare quel piccolo bastardo.» I fiocchi di neve ticchettavano sul vetro della finestra alle sue spalle, che si rifletteva come un rombo bianco perfetto sulla testa levigata di Dyson. Oh, come avrebbe voluto schioccargli un bacio su quella cupola sferica! Intanto, una graziosa solista indiana aveva appena completato l'esecuzione di Abide With Me, e il sacerdote salì sul pulpito. Parlò per qualche minuto delle promesse che la vita aveva riservato a Katie Pine, soffermandosi con calore sulla sua intelligenza e il suo senso dell'umorismo, e i singhiozzi nelle prime file s'intensificarono. Se non fosse stato per quella lieve esitazione prima di pronunciare il nome di Katie, Delorme avrebbe potuto pensare che la conoscesse davvero. Poi il prete spruzzò dell'acqua santa sulla bara, mentre si alzavano i vapori sprigionati dall'incenso. I presenti intonarono il salmo ventitreesimo, e poi la bara fu trasferita nel retro della chiesa, issata goffamente da quattro portatori sul carro funebre in attesa e trasportata verso il forno crematorio, dove tutto ciò che restava di Katie
Pine si sarebbe trasformato in fumo e cenere. Quello stesso pomeriggio, Delorme trasportò una scatola di cartone piena di oggetti personali dal suo vecchio ufficio alla nuova scrivania che avrebbe occupato d'ora in poi, alle spalle di quella di Cardinal. Osservò il tavolo da lavoro del collega senza il minimo senso di colpa. Le scrivanie della sala agenti erano disposte l'una accanto all'altra, con tutto quello che c'era sopra esposto agli occhi del pubblico. La scrivania di McLeod, per esempio, sembrava uno sbarramento di cartellette sul punto di cedere, una discarica di buste contenenti prove, dichiarazioni giurate, rapporti supplementari, un geyser di carte che spuntavano da faldoni gonfi e tesi come organetti. La scrivania di Cardinal, per contrasto, sembrava un campo lasciato a maggese. Il piano era trattato in modo da imitare, senza troppo realismo, una tavola di rovere ben levigato. Quello di Cardinal era quasi tutto sgombro, con le false spirali che riproducevano le venature del legno bene in vista. Sul tabellone di sughero alla parete era fissata con le puntine una copia dell'ultimo promemoria di Dyson. (La nuova Beretta automatica: tutti gli agenti dovevano aspettarsi di ricevere un esemplare scintillante della nuova arma per la fine di febbraio, e facciamo vedere alla concorrenza di che cosa siamo capaci nella gara annuale di tiro che la polizia a cavallo, maledetti! ha sempre vinto. Dyson non era del parere che quel risultato si potesse imputare a problemi di budget.) C'era una foto della figlia di Cardinal, una ragazza graziosa con lo stesso sorriso fiducioso e sicuro del padre, e vicino alla foto lo scontrino di un parcheggio. Delorme si protese in avanti senza toccare niente per leggere l'indirizzo sullo scontrino: 465 Fleming Street, in pieno centro, se aveva qualche valore. L'indirizzario Rolodex era aperto al numero di Dorothy Pine. Delorme lo fece girare all'indietro fino alla A, e nei venti minuti seguenti arrivò fino alla lettera F, senza un obiettivo preciso. Era pieno di nomi scarabocchiati in fretta che per lei non avevano alcun significato, insieme a quelli di vari avvocati, garanti per la libertà sulla parola e assistenti sociali che tutti i poliziotti tenevano a portata di mano. C'era anche Kyle Corbett, ma c'era da aspettarselo. Accanto al suo nome figuravano tre indirizzi diversi e parecchi numeri telefonici, che lei trascrisse nel suo taccuino. Sentendo un rumore all'ingresso, si voltò verso la sua scrivania. Voci basse, risate, un armadietto che sbatteva. Delorme sollevò il ricevitore
dell'apparecchio di Cardinal e premette il tasto per chiamare l'ultimo numero digitato. Mentre aspettava la comunicazione, fissò un'istantanea appuntata sul tabellone vicino al promemoria di Dyson. Doveva essere un delinquente: un omone gigantesco, con la testa piatta resa ancora più piatta dal taglio di capelli a spazzola. Era a bordo di un'auto, chiaramente a suo agio, con il peso che metteva a dura prova le sospensioni della vettura. Spesso gli agenti conservavano le foto dei loro arresti preferiti, degli uomini che li avevano colpiti, o cose del genere. Le riflessioni furono interrotte da una voce che riconobbe. «Centro di medicina legale.» «Oh, mi scusi, ho sbagliato numero.» Il primo cassetto della scrivania di Cardinal era aperto, e quella non le sembrava un'abitudine tipica di un uomo che ha qualcosa sulla coscienza; d'altra parte, poteva essere il gesto calcolato di un uomo colpevole, marcio fino al midollo. La porta si aprì con un tonfo e una voce esclamò: «Bene, bene. Immaginate che sorpresa, trovare qui l'ufficio delle Indagini speciali che compila il suo inventario». «Dacci un taglio, McLeod. Ora lavoro qui, ricordi?» «Soltanto la domenica, a quanto pare.» McLeod aveva fra le braccia una grossa scatola di cartone con la scritta CANADIAN TIRE. La squadrò sospettoso al di sopra della scatola, con gli occhi arrossati. «Credevo di essere l'unico bastardo pieno di zelo e dedizione in questo ufficio.» «E lo sei. Stavo soltanto trasferendo qui una parte della mia roba.» «Bene. Benvenuta, fa' come se fossi a casa tua.» McLeod lasciò cadere la scatola sul piano del suo tavolo, provocando un tintinnio metallico. «Fammi solo il piacere di stare lontana dalla mia scrivania.» 11 Cardinal chiamò Vlatko Setevic, al Centro di medicina legale, dov'erano stati prelevati capelli e fibre ricavati dal corpo scongelato di Katie Pine. «Di fibre ne abbiamo trovate ben poche. Un materiale per interni ed esterni, del tipo usato per le autovetture o nei seminterrati. Le fibre sono rosse, a sezione trilobata.» «Può restringere questa identificazione a una marca precisa? Ford, Chrysler?» «Impossibile. È molto comune, fatta eccezione per il colore.»
«Mi parli dei capelli.» «Per l'esattezza ne abbiamo trovato uno solo, a parte quelli della ragazza. Lungo sette centimetri e mezzo, castano, probabilmente caucasico.» Quando le riferì i risultati, Delorme reagì con un'espressione disgustata. «Non servono a niente» commentò «a meno che non troviamo un altro corpo. Perché ci mettono tanto, laggiù? Come mai stiamo ancora aspettando il rapporto del patologo?» Cardinal trascorse i due giorni seguenti al telefono, nel tentativo di rintracciare tutti i soggetti scomparsi che venivano da fuori città: telefonava ai Dipartimenti di polizia che avevano diramato la segnalazione della scomparsa, ai genitori o a coloro che avevano presentato la denuncia. In questo modo riuscirono a risolvere altri cinque casi. Ne rimasero due che potevano essere finiti ad Algonquin Bay; una ragazza di Saint John's che era stata vista al capolinea degli autobus e un sedicenne di Mississauga, vicino a Toronto. La scomparsa di Todd Curry era stata denunciata in dicembre. L'avviso era il solito fax standard che veniva inviato in quei casi a tutti i Dipartimenti di polizia; la foto non era molto nitida. C'era un dettaglio che gli saltò subito all'occhio: l'altezza del ragazzo era indicata in un metro e sessantadue centimetri, per un peso di quaranta chili. Agli occhi di un assassino che aveva un debole per i tipi gracili, Todd Curry doveva sembrare un bocconcino ghiotto. Cardinal chiamò la polizia regionale di Peel, scoprendo che nessuno dei parenti o degli amici del ragazzo aveva ricevuto sue notizie negli ultimi due mesi. L'ufficio Persone scomparse gli fornì il nome di un parente di Sudbury, Clark Curry. «Signor Curry, sono John Cardinal, della polizia di Algonquin Bay.» «Immagino che mi chiami a proposito di Todd.» «Che cosa glielo fa pensare, signore?» «Ricevo notizie dalla polizia soltanto quando Todd è nei guai. Senta, io sono soltanto lo zio. Ho fatto tutto il possibile. Questa volta non posso riprenderlo con me.» «Non lo abbiamo trovato. Stiamo ancora cercando di rintracciarlo.» «Un ragazzo di Mississauga ricercato dalla polizia di Algonquin Bay? Sta diventando un vero caso federale.» «Todd si è mai messo in contatto con lei, da dicembre? Dal 20 dicembre, per l'esattezza?»
«No. È rimasto lontano per tutte le feste di Natale. I genitori erano impazziti per l'ansia, come può immaginare. Lui mi aveva telefonato da Huntsville, il giorno che è sparito, per dire che era sul treno e chiedermi se poteva stare da me. Gli ho risposto di sì, ma lui non è mai arrivato e da allora non l'ho più sentito. Deve capirlo, è un ragazzo disturbato.» «In che senso, signore? Si tratta di droga?» «Todd ha cominciato a sniffare colla a dieci anni, e da allora non è stato più lo stesso. Ci sono ragazzi che possono pasticciare con le droghe, mentre ad altri basta sniffare una volta, e quella diventa la loro vocazione. L'unica gioia della vita di Todd è farsi, se quella si può chiamare gioia. Badi bene, Edna e Dave dicono che ormai è del tutto pulito, ma io ne dubito. Ne dubito molto.» «Vuole farmi un favore, signore? Mi chiami se avrà notizie di Todd.» Prima di attaccare, diede a Curry il suo numero telefonico. Non prendeva il treno da anni, anche se non passava mai dalla stazione senza ricordarsi del lungo viaggio verso l'Ovest che lui e Catherine avevano fatto durante la luna di miele, trascorrendo in pratica tutto il viaggio rinchiusi nella cabina angusta, sul lettino che sussultava a ogni scossa. Chiedendo informazioni alla compagnia delle linee ferroviarie canadesi CNR, scoprì che Huntsville era la penultima fermata del Northlander, prima di Algonquin Bay. Non c'era modo di sapere se Todd era sceso a South River o ad Algonquin Bay. Poteva essere rimasto a Huntsville, oppure aver proseguito verso nord fino a Temagami o addirittura Hearst. Cardinal fece un salto al centro di accoglienza, all'angolo fra Station e Sumner. Ad Algonquin Bay non esisteva un ostello della gioventù, e a volte i ragazzi scappati di casa finivano al centro, che si trovava ad appena due isolati dalla stazione ferroviaria. Quel posto era destinato ai casi d'emergenza domestici, per lo più mogli maltrattate; veniva gestito da un ex sacerdote allampanato che si chiamava Ned Fellowes, ed era risaputo che Fellowes offriva alloggio a qualche fuggiasco, se aveva spazio. Come la maggior parte delle case nel centro cittadino, il centro di accoglienza era una costruzione a due piani di mattoni rossi, con il tetto di tegole grigie a spiovente per rallentare l'accumulo della neve. Alcuni operai che stavano riparando il tetto della veranda avevano ricoperto la facciata della casa di ponteggi. Cardinal poteva sentirli imprecare in francese mentre suonava il campanello, tabarnac, ostie; attingevano al lessico della Chiesa, a differenza degli anglofoni che preferivano il solito gergo sessuale. Le bestemmie che pronunciamo si riferiscono a quello di cui abbiamo
paura, rifletté Cardinal, ma non era un'idea sulla quale gli piacesse soffermarsi. «Sì, mi ricordo di lui. Non è molto somigliante, però.» Ned Fellowes restituì il fax con la foto a Cardinal. «È rimasto da noi una sola notte, mi pare, verso Natale.» «Saprebbe dirmi esattamente di che notte si trattava?» Fellowes lo condusse in un piccolo ufficio sul davanti, che una volta doveva essere un soggiorno. Un caminetto di mattoni dipinti era pieno di libri di psicologia e bollettini dell'assistenza sociale. Fellowes consultò un grande registro marrone, facendo scorrere il dito lungo liste di nomi. «Todd Curry. Si è fermato da noi la notte del 20 dicembre, un venerdì. È partito sabato. Ricordo che sono rimasto sorpreso, perché aveva chiesto di restare fino al lunedì, invece poi è arrivato il sabato all'ora di pranzo dicendo che aveva trovato un bel posto dove stare, una casa abbandonata sulla Main West.» «Main West. C'è una specie di rudere, dove una volta c'era il Claire's. Sarebbe quello, il posto? Vicino al Castle Hotel?» «Non saprei. Di sicuro non ha lasciato un recapito. Ha semplicemente buttato giù un paio di panini e se n'è andato.» Su Main West c'era soltanto una casa abbandonata. Non era nella zona del centro, ma un paio di isolati più avanti, dove la strada assumeva un carattere residenziale. Il convento di Sainte Claire era stato demolito cinque anni prima, lasciando allo scoperto un muro di mattoni con i vaghi contorni di un cartellone pubblicitario che invitava a bere birra della Northern Ale, una fabbrica locale che aveva chiuso i battenti almeno da trent'anni. Dopo il convento, altre case erano cadute, una alla volta, facendo posto al parcheggio in continua espansione del Country Style. Circondata da erbacce e monconi di alberi morti da tempo, la casa sorgeva un po' sbilenca, come un dente guasto in attesa di essere estratto. Era una possibilità, rifletté Cardinal percorrendo la Macpherson in direzione del lago; la casa si trovava a un isolato appena dal D'Anunzio's, un ritrovo di giovani, e a breve distanza dalla high school. Un ragazzo scappato di casa non avrebbe potuto chiedere di meglio. Cardinal cominciò a sentire nelle vene un lieve fremito di eccitazione. Vedendo profilarsi sulla destra il Castle Hotel, parcheggiò davanti a uno steccato cadente e irregolare, seminascosto dai cespugli. Si avvicinò al cancello d'ingresso e, attraverso i rami nudi che sporgevano in fuori, fissò
il luogo in cui una volta sorgeva la casa. Poteva spaziare con lo sguardo oltre il lotto di terreno vuoto fino al D'Anunzio's, sull'Algonquin Avenue. L'odore acre del legno bruciato era ancora forte, anche se le rovine erano coperte di neve. Erano state sospinte di lato con il bulldozer, formando un cumulo di ruderi. Cardinal rimase fermo con le mani sui fianchi, valutando i danni. Una trave carbonizzata fuoriusciva dal sottile strato di neve, puntando verso il cielo nuvoloso un dito nero e accusatore. 12 Delorme si domandò se Cardinal stesse facendo progressi. Era davvero irritante tornare a quei casi da quattro soldi quando là fuori c'era un assassino. Dopo aver dedicato mezza mattinata a compilare scartoffie su Arthur "Woody" Wood, si era resa conto fino a che punto voleva inchiodare l'assassino di Katie Pine. Forse soltanto una donna poteva desiderare così intensamente di punire un assassino di bambini. A trentatré anni, lei aveva già dedicato molte ore a fantasticare sulla prospettiva di avere un figlio, anche a costo di allevarlo da sola. L'idea che qualcuno potesse spegnere una giovane vita la metteva in un tale stato di collera che le riusciva difficile tenerla a freno. Ma poteva forse uscire e darsi da fare per ritrovare quella creatura malata, disgustosa e crudele? No, lei doveva interrogare Arthur "Woody" Wood, l'immagine della criminalità spicciola. Lo aveva seguito lungo Oak Street a bordo di un'auto priva di contrassegni e, quando lui aveva accelerato per superare il semaforo, lo aveva fermato per "essere passato con il giallo", ma si era trovata di fronte a un amplificatore Macintosh d'annata, posato sul sedile vicino a lui. Gli aveva letto la descrizione dal taccuino, lì sulla strada, con tanto di numero di serie. «Okay» disse ora Woody, mentre lei lo faceva uscire dalla cella. «Supponiamo che, per uno strano scherzo della natura, lei riesca a incastrarmi per un reato di poco conto. Non penso proprio che mi metteranno dentro a vita, vero, agente Delorme? Lei dev'essere francese, credo. Alle medie hanno cercato di insegnarmi il francese, ma, non so come, non mi restava impresso. La signorina Bissonette... poveri noi, era una vera nazista, quella! A proposito, lei è sposata?» Delorme lo ignorò. «Spero che tu non abbia venduto il resto della refurtiva, Woody. Perché in tal caso, oltre a finire a Kingston per dieci anni, potresti essere costretto a restituire il maltolto, e allora come te la caveresti?
Restituire la roba sarebbe un bel gesto. Potrebbe facilitarti le cose.» I criminali accattivanti sono una rarità e i poliziotti, quando ne incontrano uno, tendono a mostrarsi molto riconoscenti alla sorte. Arthur "Woody" Wood era un giovanotto dal fascino irresistibile. Portava le basette lunghe, secondo uno stile ormai superato che gli dava l'aspetto di un cantante rockabilly degli anni cinquanta, e aveva un passo elastico e spalle solide che mettevano la gente a suo agio, specialmente le donne, come stava scoprendo Delorme. Proprio in quel momento, lei stava sostenendo una discussione con il proprio corpo: no, non devi reagire in questo modo all'attrazione fisica che provi per questo stupido ladruncolo. Non te lo permetto. Quando lo aveva guidato verso la stanza degli interrogatori, Woody aveva gridato un saluto al sergente Flower, con la quale aveva poi intrattenuto una vivace conversazione. Il sergente Flower smise di chiacchierare solo quando si accorse del cipiglio feroce di Delorme. Poi, appena entrato, Woody aveva dovuto salutare Larry Burke, che lo aveva fermato sei anni prima con un'autoradio in mano... doveva installarla, sosteneva Woody. «Stammi a sentire, Woody» disse Delorme, una volta entrata nella stanza degli interrogatori. Qualcuno aveva lasciato il Toronto Star su una delle sedie, e Woody lo raccolse. «Ehi, guarda i Leafs. Non posso crederci. È come se volessero autodistruggersi. Non resistono.» «Woody, stammi a sentire.» Delorme prese il giornale, con il titolo su due colonne: "Nessuna pista sull'assassino di Windigo". «Quella serie di furti lungo Water Road mi sta facendo venire l'orticaria, capito? Ti ho preso in castagna per il lavoretto di Willow Drive, ma so che anche gli altri sono opera tua. Quindi perché non ci risparmiamo un sacco di tempo e di energie? Confessane uno, così potremo dimenticarci degli altri.» «Ehi, un momento.» «Confessane uno, non ti chiedo altro, e vedrò quello che posso fare. So che sei responsabile anche degli altri.» «Aspetti, agente Delorme, ci vada piano. Non può sapere che sono stato io.» L'ampio sorriso di Woody era candido, senza la minima traccia di malizia, di sospetto o di malignità. Soltanto gli uomini onesti dovrebbero sorridere così. «Sta esagerando, ecco la pura e semplice verità. Se mi sospetta di qualche vecchio furto, be', posso anche capirlo. Dopo tutto, è risaputo che qualche volta mi sono portato dietro oggetti che non erano di mia proprietà. Ma sospettare non è sapere. Ci starebbe un camion intero, fra sospetto e certezza.»
«C'è un altro aspetto da considerare, Woody. Supponiamo che qualcuno ti abbia visto. Come la mettiamo? Supponiamo che qualcuno abbia visto un ChevyVan azzurro che si allontanava dal Nipissing Motor Court.» Per la verità, il proprietario del motel non lo aveva guardato bene, ma aveva notato qualcuno che si allontanava a bordo di un furgone come quello di Woody. Tremila dollari di televisori scomparsi. Niente gioielli. «Be', se quel tale mi ha visto, immagino che potreste mettermi in fila con gli altri per un riconoscimento. Agente Delorme, lei è single, vero?» «E se avessero visto il tuo furgone, Woody? Cosa mi risponderesti, se ti dicessi che abbiamo una targa?» «Be', se avete la targa, penso che vi convenga inchiodarmi per quello. Lei mi sembra single. Ha l'aria di una persona single. Agente Delorme, lei dovrebbe sposarsi. Non so come farei ad andare avanti, io, se non avessi Martha e Truckie. Famiglia? Figli? Dimezzano i dolori della vita e raddoppiano i piaceri. È la cosa più importante che ci sia, questa è la verità. E il lavoro di polizia comporta molte tensioni.» «Cerca di seguirmi, Woody. Un ChevyVan azzurro è stato visto allontanarsi dal luogo del furto in Water Road. Tu dici che eri in casa, ma gli altri testimoni affermano che il tuo furgone non era parcheggiato nel vialetto di casa tua. Aggiungi il testimone che ha visto il tuo furgone sul posto, e cosa ne ricavi? Dieci anni.» «Come può dirmi una cosa del genere? I testimoni oculari sono notoriamente inaffidabili. Per la miseria, lei sa bene quanto me che nessuno mi vede mai. A me piace lavorare indisturbato. Per amor del cielo, signora, non mi sono dedicato a questa attività per conoscere gente.» Il sergente Flower bussò alla porta. «C'è qui sua moglie, ha pagato la cauzione.» «Ho intenzione di inchiodarti per tutti quei colpi, Woody. Puoi chiedere il patteggiamento adesso, oppure costringermi a coglierti in flagrante, ma ti inchioderò per tutti.» «Se volessi incontrare gente, farei il rapinatore.» Una delle qualità di cui Delorme andava fiera era saper allontanare dalla mente tutto ciò che non era immediatamente essenziale. Quel pomeriggio, mentre percorreva in macchina la tortuosa diramazione sud di Peninsula Road, Arthur Wood era scomparso dall'orizzonte dei suoi pensieri e lei era immersa di nuovo nelle torbide acque dei sospetti del caporale Musgrave. La strada si restringeva sempre più, fino a che i rami degli alberi appe-
santiti dalla neve sfiorarono il tettuccio dell'auto. I boschi candidi le riportarono alla mente una corsa in slitta di tanto tempo prima. Lei e il tredicenne Ray Duroc si erano stretti alla massa di corpi giovani ammucchiati sulla slitta e si erano baciati a bocca chiusa fino ad avere le labbra livide. L'ultima volta che aveva sentito parlare di lui, Ray Duroc viveva agli antipodi, in Australia, o in Nuova Zelanda, o in qualche altro posto in capo al mondo, dove gli alberi erano verdi invece che bianchi e il sole emanava davvero un po' di calore. Controllò i nomi sulle cassette della posta, prima di una brusca svolta a sinistra, e per poco non superò l'imbocco del vialetto senza vederlo. Non c'era neanche un cartello con il nome inchiodato sull'albero. Parcheggiò la macchina e percorse il vialetto a piedi. In fondo c'era una grossa Mercedes marrone. Preferì non pensare a quanto costava. Dopo il caporale Musgrave, l'ex poliziotto Joe Burnside rappresentava una boccata di ossigeno puro. Burnside era biondo, alto un metro e novanta senza scarpe - ma la polizia a cavallo dove andava a scovarli, quegli esemplari, si chiese Delorme - e felice come una pasqua. «Lei lavora per le Indagini speciali? Ma io la conosco. Lei è quella che ha mandato dentro il sindaco Wells! Avanti, avanti.» Delorme si tolse gli stivali prima di seguirlo in cucina, dove lui le versò una tazza di caffè fumante. Dovette rivedere la stima della sua statura: un metro e novantacinque, come minimo. «Dia retta a me, dovrebbe lasciare il lavoro di polizia per fare quattrini» le stava dicendo dieci minuti dopo. Erano seduti su due poltrone imbottite disposte davanti a un panorama abbagliante della baia di Four Mile. «Con i suoi precedenti e i risultati al suo attivo? Sarebbe perfetta! Guardi me, ho lavorato otto anni in divisa come caporale nell'unità per i reati di natura finanziaria, e adesso ho un'attività tutta mia. Proprio io, Joe Burnside! Sono l'ultima persona al mondo che immaginavo potesse farlo, e invece le dirò che sono costretto a rifiutare le offerte. C'è più lavoro di quanto riusciamo a sbrigarne. E lo sa a chi era destinato? Era destinato alla polizia a cavallo. Mi scusi un secondo.» Si diresse verso un divano sul quale dormiva raggomitolato un vecchio collie tutto pelle e ossa. Burnside accostò la bocca alla sua testa e gridò, a voce così alta da far ronzare le orecchie a Delorme: «Scendi da lì, brutto cagnaccio pigro e buono a nulla!». Il cane aprì un occhio, vitreo di sonno, fissandolo con calma. «Sordo come una campana» borbottò lui, prendendo il cane per il collare, costringendolo a scendere per guidarlo come un pony verso il caminet-
to, dove il collie si stese di nuovo, riprendendo subito a inseguire i suoi sogni canini. «Mi dicono tutti che dovrei farlo sopprimere. O meglio, lo dicono quelli che non hanno un cane. Non ti costano un soldo per quindici anni, poi, appena si ammalano, la gente ti dice di ucciderli. Mi scusi, lei vuole parlare di affari. Il fatto è che la cosa mi sconvolge. La gente non è capace di lealtà. Da quanto tempo fa lavoro di ufficio?» «Sei anni.» «Lo vede che succede, con questi tagli al bilancio? Non so voi, ma le dirò una cosa, la polizia a cavallo è ridotta alla frutta. Alla frutta. Stanno togliendo dagli uffici tutti quelli che svolgono indagini finanziarie per metterli sulla strada, e sa perché? Perché il lavoro sulla strada è visibile e quello in ufficio no. Alla gente piace vedere come vengono spesi i dollari dei contribuenti. E se la polizia a cavallo non fa più certi lavori, questo significa che deve farli qualcun altro. Il buon vecchio spirito imprenditoriale. E cioè, sono lieto di dirlo, io. Un'indagine di due mesi su una violazione del copyright? Pirateria? Quarantamila verdoni. E la Corporate America è felice di pagarli. Sono quasi sempre le società americane a ingaggiarci. E il bello degli americani è che non si fidano di te se non chiedi un mucchio di soldi.» È rinato, pensò Delorme, come in uno di quei raduni religiosi. Dovrebbe fare il predicatore. Invece si limitò a dire: «Kyle Corbett». «Ohhh» sospirò Burnside, con un gemito teatrale. «Non mi costringa a ricordare Kyle Corbett. Quello mi fa davvero male.» «Avevate già ricostruito la situazione, avevate elementi solidi. Eravate insieme fin dall'inizio, lei e Jerry Commanda.» «Avevamo una fonte. E anche buona, per giunta. Un tale di nome Nicky Bell lavorava con Corbett da anni, ma si dava il caso che dovesse affrontare un'accusa per un reato informatico del quale Corbett era all'oscuro.» «E vi ha rivelato un'ora e un luogo.» «Un'ora? Un luogo? No, no, no. Nicky Bell era il "cantante" migliore che abbiamo mai avuto dopo Gordy Lightfoot. Ci ha fornito mesi interi di materiale. Fra me e Jerry lo abbiamo fatto cantare fino a perdere la voce. Ma il grande rendez-vous doveva avvenire alla discoteca Crystal, dietro Airport Road, e per quello ci serviva uno dei vostri. Ci è capitato John Cardinal, un tipo in gamba, ma sempre depresso, o almeno così mi è sembrato.» «E poi che cosa è successo?» I modi affabili scomparvero. Il viso di Burnside, prima luminoso e aper-
to come la baia di Four Mile, s'incupì all'improvviso, come in un'eclisse di sole. «Lo sa che cosa è successo, altrimenti non sarebbe qui.» «Siete entrati nella discoteca e siete usciti a mani vuote.» «Bingo.» «Che cosa è andato storto?» «Niente. È questo il punto: niente. È andato tutto liscio. Tutto è filato esattamente secondo il piano. Era come guardare il meccanismo di un orologio svizzero. Tranne il finale. Corbett ha ricevuto una soffiata. Lo sa lei e lo so io. Ma se si aspetta che le dica chi è stato secondo me, ha scelto la persona sbagliata. Non ci sono prove.» «Che cosa le ha detto la sua fonte?» «Nicky? Se crede che qualcuno rivedrà mai più Nicky, ha sbagliato mestiere. La moglie ha confermato che da casa mancava una valigia e alcuni vestiti, ma io credo che sia soltanto una copertura. Penso che Kyle Corbett lo abbia spedito in fondo al Trout Lake.» Il cane era tornato sul divano, ma non sembrava che Burnside se ne fosse accorto. Mentre Delorme s'infilava di nuovo gli stivali, la squadrò da capo a piedi. Le capitava spesso, ma lei pensò che una volta tanto in quell'esame non c'era nessun interesse sessuale. «Lei lavora anche a quell'indagine su Windigo, non è vero? Eh, lo so.» «Sì, è vero. Stanno per trasferirmi dalle Indagini speciali.» «È un caso rognoso, quello.» «Eh, già.» «Un caso davvero brutto, signorina Delorme. Ma indagare sul suo partner... be', un sacco di poliziotti, fra guardie a cavallo e OPP, scelga lei... un sacco di poliziotti le direbbero che indagare sul suo partner è molto peggio.» «Grazie del caffè, avevo proprio bisogno di scaldarmi.» Delorme fece scattare i ganci del giaccone e s'infilò i guanti. «Ma non le ho mai detto su chi sto indagando.» 13 Il D'Anunzio's calamitava ancora l'interesse dei giovani, come ai tempi in cui Cardinal era adolescente. In parte negozio di frutta, in parte rivendita di bibite, a prima vista era sempre stato un posto un po' bislacco, ma Joe D'Anunzio, con l'aria di un frate e la circonferenza di un cantante d'opera,
considerava suoi amici intimi tutti quelli che entravano. Si occupava del locale con l'esperienza di un barista d'altri tempi e trattava i giovani clienti come vecchie conoscenze, lasciandoli liberi di restare per ore nei séparé di legno sulla parete di fondo, davanti a una Coca e patatine fritte. Da ragazzo, Cardinal andava sempre lì insieme con gli altri chierichetti dopo la messa nella cattedrale, e in seguito, quando ormai avevano abbandonato la tonaca e la cotta, lui e gli amici venivano al D'Anunzio's invece di andare a messa, sostituendo il fumo delle Rothmans e delle Player's a quello dell'incenso, le barrette dolci e il gelato affogato al pane e al vino dell'eucarestia. Ora Cardinal beveva lentamente il caffè, guardando i ragazzini che giocavano con i videogame. Ai suoi tempi lì c'era un flipper, più concreto e meno virtuale: in cambio di una monetina ti assicurava scampanellii e scatti metallici a volontà, mentre il surrogato attuale, sotto le mani dei ragazzi ai comandi, emetteva una serie irritante di bip e bup. «Quando è bruciata quella casa, Joe?» «Quella su Main?» Joe stava servendo una Cherry Coke a due biondine con i capelli tagliati allo stesso modo: rasati da un lato, lunghi dall'altro. Ostentavano entrambe un brillantino al naso, che a Cardinal sembrava un foruncolo cromato. Ai suoi tempi, le ragazze portavano i capelli lunghi con la riga in mezzo, che conferivano loro, almeno ai suoi occhi nostalgici, un'espressione gentile e malinconica. Perché mai quelle ragazze si ricoprivano di cicatrici per seguire la moda? Joe tornò indietro lungo il banco, fino al registratore di cassa. «In novembre, mi pare. Ai primi di novembre. Devono essere arrivate cinque o sei autopompe.» «Sicuro che non sia successo dopo? Dopo Capodanno?» «Assolutamente no. È stato prima che mi operassi di ernia, il 10 novembre.» Joe si girò per versare dell'altro caffè nella tazza di Cardinal. «Come mai ti è sfuggito un incendio di quelle dimensioni?» La scomparsa di due ragazzi. E poi era stato a novembre che Catherine aveva cominciato a rotolare giù per la china. Lui aveva altri pensieri per la testa. Si portò il caffè fino all'altra estremità del bancone, vicino alla vetrata dell'ingresso. Sul lato occidentale della piazza si vedeva un corteo funebre che usciva dalla cattedrale, quattro uomini che portavano a spalla una bara. Dovevano essere intirizziti, visto che erano senza cappotto. Dalla parte opposta della piazza, nel lotto abbandonato, c'era un uomo che indossava un
parka verde e oro con un colbacco in tinta. Stava prendendo appunti, con il fiato che formava nuvolette bianche illuminate dal sole. Cardinal uscì dal locale, schivando il traffico dell'Algonquin Road. L'uomo era intento a compilare un modulo fissato a un portablocco a molla. Cardinal si presentò. «Tom Cooper, della Cooper Construction. Sto segnalando il mancato progresso nei lavori di demolizione. Gli uomini avrebbero dovuto sgomberare tutto per martedì, e oggi è venerdì. In questa città è difficile trovare dei professionisti. Professionisti seri, voglio dire.» «Signor Cooper, immagino che un impresario edile tenga d'occhio i lotti come questo. Non conosce per caso qualche altra casa abbandonata su Main West?» «Non su Main West. Ce n'è una sul MacPherson, e un'altra sul Trout Lake. Ma qui in città non restano vuote a lungo.» «È solo che ho sentito dire che c'era una casa abbandonata su Main West. Perlomeno, a dicembre era abbandonata. C'erano dei ragazzi, forse per una storia di droga. Ha sentito parlare di qualcosa di simile?» Cardinal si rendeva conto della nota trepidante nella sua voce. Era un filo così fragile, quella pista, che il minimo peso poteva spezzarlo. Cooper si mise sotto il braccio il portablocco, socchiudendo gli occhi per fissare la strada in direzione ovest, come se una casa abbandonata potesse apparirgli all'orizzonte. «Su Main non c'è niente, che io sappia. Oh, ma forse lei pensa a Timothy.» Si girò di scatto nella direzione opposta, come se piroettasse sui talloni. «In realtà non è un indirizzo di Main Street, ma sta proprio all'angolo.» «All'angolo fra Timothy e Main Street? Vicino ai binari della ferrovia?» Cooper annuì. «Proprio quella. Impossibile che ci stiano dei ragazzi, però. Quel posto è sigillato ermeticamente. Si tratta di una proprietà contesa in tribunale da oltre due anni. Una famiglia litigiosa, stando a quel che ho sentito.» «La ringrazio, signor Cooper. Mi è stato di grande aiuto.» «Non sarà collegato a quella storia di Windigo, per caso?» Come tutti gli abitanti di Algonquin Bay, anche Cooper si teneva al corrente del caso. C'era qualche sospetto? Era una faccenda strettamente locale? C'era qualche possibilità che intervenisse la polizia a cavallo? Non si poteva biasimare il pubblico perché era curioso. Prima di liberarsi, Cardinal dovette ascoltare una teoria che coinvolgeva un culto satanico. Percorse in macchina i pochi isolati che lo separavano da Timothy
Street, superando a bassa velocità il rialzo sul quale correvano i binari della ferrovia. La linea del Nord era percorsa per lo più da treni merci che trasportavano petrolio a Cochrane e Timmins. Il fischio sonoro del treno che attraversava Timothy Street aveva svegliato Cardinal ogni notte, quand'era bambino. Un suono che evocava un'idea di solitudine, ma nello stesso tempo era consolante, come il richiamo di una strolaga. La casa era un vecchio edificio in stile vittoriano, con una veranda che correva tutt'intorno. I mattoni rossi al di sopra delle finestre sbarrate con le assi erano anneriti da anni e anni di fuliggine prodotta dal traffico ferroviario, cosicché sembrava che l'edificio non soltanto fosse cieco, ma avesse gli occhi neri. Dagli angoli del tetto pendevano ghiaccioli simili ai doccioni di una chiesa gotica. Il cortile, che era piuttosto grande per gli standard di Algonquin Bay, era circondato da una siepe alta. Cardinal scese dalla macchina, fermandosi sulla neve nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi il vialetto. A parte i geroglifici sbiaditi disegnati dalle tracce degli uccelli, non c'era una sola impronta. I gradini della veranda erano ricoperti di neve ormai compatta. Aggrappandosi al corrimano, Cardinal riuscì a salire faticosamente per esaminare la porta d'ingresso, anch'essa chiusa con le assi. I sigilli del tribunale erano intatti e il lucchetto non era stato forzato. Controllò anche le finestre sprangate, poi fece lo stesso per le altre ai lati della casa. Il campanello del passaggio a livello cominciò a tintinnare e mentre lui controllava la porta di servizio passò sferragliando un lungo convoglio. Chi avesse voluto introdursi in casa probabilmente sarebbe passato dal retro, dove non c'era nient'altro che la siepe alta e i binari della ferrovia. E poi i ladri amavano le finestre del seminterrato. Il guaio era che queste erano sepolte sotto la neve. Usando i talloni degli scarponi, Cardinal scavò una piccola trincea lungo il muro posteriore della casa. «Merda!» Si era graffiato a una gamba con una crosta di ghiaccio spesso e tagliente. A poco più di un metro dall'angolo, scoprì la cornice superiore di una finestra e, dopo averla liberata dallo strato di ghiaccio, tolse con le mani il resto della neve. «Tombola» mormorò a voce bassa. Il tribunale della provincia di Algonquin Bay si trova in McGinty Street. È un edificio di mattoni semplice e moderno, senza pretese di solennità; potrebbe essere una scuola o una clinica. Forse per compensarne la semplicità, il cartello che annuncia la sede della corte provinciale del Distretto
di Nipissing ha le dimensioni di un cartellone pubblicitario sull'autostrada. L'addetta al ricevimento del pubblico gli aveva appena detto che il giudice Paul Gagnon sarebbe rimasto in aula fino all'una, ora in cui aveva già un impegno per un pranzo di lavoro. «Veda se le riesce di inserirmi nella sua agenda, la prego. Si tratta del caso di Katie Pine.» Sapeva che Gagnon non gli avrebbe mai concesso un mandato di perquisizione per cercare un ragazzino di Mississauga scappato di casa, che fra l'altro ormai doveva aver compiuto sedici anni. Compilò il modulo necessario e, mentre aspettava che la corte uscisse dall'aula, chiamò il comando. Delorme era uscita per seguire il caso Wood e il suo ritorno non era previsto prima di un'ora. Cardinal provò un lieve senso di colpa per averla lasciata fuori da quella storia; doveva essere furiosa, vedendosi costretta a smaltire i suoi arretrati di lavoro. Il giudice Gagnon era un uomo piccolo di statura, con i piedi minuscoli e un parrucchino molto più chiaro dei suoi capelli. Aveva qualche anno meno di Cardinal ed era una vecchia volpe, nonostante la toga troppo grande lo facesse sembrare un bambino. Aveva una voce acuta come un flauto di canna. «La sua tesi mi sembra un po' debole, agente.» Gagnon appese la toga a un attaccapanni prima di indossare una giacca sportiva di cammello. «Lei pensa che la persona che ha ucciso Katie Pine e rapito Billy LaBelle possa aver soggiornato in casa Cowart? E basa questa teoria su informazioni ricevute di seconda mano da Neil Fellowes al centro di accoglienza, informazioni che non si riferiscono neppure al killer, ma a un'altra persona scomparsa, questo "Todd Curry"?» Gagnon controllò allo specchio il nodo della cravatta. «Qualcuno si è introdotto in quella casa, vostro onore. Sono certo che le parti che impugnano il testamento vorrebbero vederci chiaro in ogni caso, ma se dovessi passare attraverso di loro, la procedura richiederebbe molto tempo e potrebbe turbare persone che sono già turbate a causa del testamento.» Lo sguardo scettico di Gagnon lo fissò dallo specchio. «Per quanto ne sa, potrebbe anche essere stato uno della famiglia a introdursi in casa, magari per portarsi via qualche mobile conteso, un'eredità di famiglia. Chi può saperlo?» «La finestra è alta appena venticinque centimetri e sarà larga settantacinque al massimo.» «Gioielli, allora. L'orologio da tasca del nonno. Il punto, è, agente, che
lei non ha validi motivi per sospettare che in quella casa sia entrato un assassino.» «È l'unico luogo in cui ho motivo di sospettare che l'assassino abbia messo piede, a parte l'imboccatura del pozzo della miniera sull'isola di Windigo. Forse ama gli edifici abbandonati. L'ultima volta che è stato visto vivo, Todd Curry ha detto che intendeva stabilirsi in una casa abbandonata di Main Street.» Gagnon sedette dietro una scrivania che lo faceva apparire ancora più piccolo ed esaminò il modulo di richiesta. «Questo è un indirizzo di Timothy.» «È all'angolo, e sembra che sorga su Main. Il ragazzo è di fuori, e probabilmente ha pensato che fosse Main Street.» Il giudice Gagnon controllò l'orologio. «Devo scappare. Ho un appuntamento a pranzo con Bob Greene.» Bob Greene era il membro locale del parlamento, un volubile frequentatore degli ultimi banchi dell'assemblea. «Firmi il mandato, la prego, vostro onore, e mi tolgo subito di mezzo. Non abbiamo un solo indizio su Billy LaBelle o su Katie Pine, questo è quanto. È l'unica traccia.» Katie Pine era la parola magica; Katie Pine e Billy LaBelle erano una combinazione che faceva scattare i cilindri nel minuscolo cuore di Gagnon. Cardinal sentiva gli ingranaggi mettersi in moto: caso famoso uguale opportunità, e opportunità uguale avanzamento. Avanzamento personale uguale giustizia. Il giudice aggrottò la fronte, calcolando i tempi di resistenza con il talento di un attore da strapazzo. «Se in questa casa vivesse qualcuno, non avrei mai firmato. Non mi sarei lasciato persuadere a violare la quiete di una casa per motivi così inconsistenti.» «Mi creda, vostro onore, so quanto siano inconsistenti, e vorrei avere qualcosa di sicuro da offrirle, ma purtroppo l'assassino ha preferito non lasciare nome e indirizzo vicino al corpo di Katie Pine.» «Spero che questa non sia una tirata moralistica. Non sta cercando di farmi la predica, vero?» «Dio, no. Se avessi voluto fare prediche, giudice, avrei scelto la carriera politica.» Il giudice Gagnon scomparve nel soprabito come in un banco di nebbia, prima di riemergere con aria risoluta dalle maniche e dal colletto. Afferrò la Bibbia posata sulla sua scrivania e la porse a Cardinal. «Giuri davanti a Dio che il contenuto della richiesta corrisponde al vero, e che Dio l'aiuti!»
Cinque minuti dopo, Cardinal era di nuovo a casa Cowart, intento a spalare la neve con le mani davanti alla finestra del seminterrato, le ginocchia intirizzite dal freddo. La neve era alternata a strati di polvere e ghiaccio. Tornò verso l'auto per prendere una pala dal bagagliaio. Alle due estremità dell'asse che teneva a posto la tavola di compensato c'erano i segni lasciati da un piede di porco, e i chiodi erano allentati. L'asse venne via facilmente, poi fu la volta del compensato. Dietro non c'era nessuna lastra di vetro. Cardinal si sfilò il piumino e l'aria gelida lo lasciò senza fiato. Inginocchiandosi, strisciò all'indietro attraverso l'apertura, calandosi all'interno. La neve gli entrò nella camicia e nei pantaloni, sciogliendosi a contatto della pelle. Sentì sotto i piedi una specie di piattaforma, forse un tavolo. Chiunque si fosse introdotto nella casa doveva averlo messo lì per facilitare l'uscita. Cardinal attirò a sé il piumino dall'interno, lottando con la chiusura lampo per infilarselo, poi rimase in piedi sul tavolo, dimenando le braccia e lanciando imprecazioni per il freddo. Quel po' di luce che filtrava dalla finestra serviva ben poco a dissipare le tenebre. Appena sceso dal tavolo - si accorse che era un tavolo da lavanderia accese la torcia elettrica, un pesante strumento da lavoro che richiedeva sei batterie e una volta gli era servito anche da manganello; aveva il vetro incrinato e un'ammaccatura sul proiettore. Proiettò un raggio bianco sulla caldaia silenziosa, sulla lavatrice fornita di asciugatrice e su un banco degli attrezzi che suscitò subito in lui un moto di invidia. C'era una sega elettrica che aveva visto esposta in vendita da Canadian Tire per quasi cinquecento dollari. Persino in quel gelo si sentivano gli odori della pietra e della polvere, del legno vecchio, mescolati alle esalazioni della lavatrice. Aprì uno sportello, spazzando via con la torcia una rete di ragnatele, e trovò scaffali carichi di conserve: di pesche, di prugne, e persino un barattolo di peperoni rossi che sembravano cuori ardenti. La scala era nuova, sgombra e non ancora completata. Il raggio della torcia non rivelava tracce di orme, ma Cardinal rimase dalla parte esterna, salendo i gradini due alla volta per non cancellare le tracce che potevano essergli sfuggite. La porta si apriva sulla cucina. Cardinal si fermò un attimo per assorbire l'atmosfera della casa. Fredda e buia, trasudava disperazione. Tenne a freno l'eccitazione della caccia, il presentimento che stesse per accadere qual-
cosa. Aveva imparato da tempo a diffidare di quelle sensazioni, quasi sempre sbagliate. Le tracce della presenza di intrusi non erano la prova che fosse passato di lì un assassino, o anche solo Todd Curry. La cucina sembrava intatta, con tutte le superfici coperte da un velo di polvere. Nell'angolo c'era una rampa stretta di scale, che permetteva di accedere alla dispensa sottostante. Cardinal sollevò la botola con la punta del piede, mettendo allo scoperto file ordinate di scatolette di cibo. Sulla parete al di sopra della dispensa, il calendario di un negozio locale di articoli sportivi mostrava un uomo in giacca a quadri che pescava, e un bambino che rideva al suo fianco. Un ricordo improvviso di Kelly, una vacanza estiva, un cottage; l'eccitazione della bambina nel catturare il pesce, la sua smorfia di repulsione al momento di infilzare l'esca sull'amo; il modo in cui i capelli chiari della figlia scintillavano sullo sfondo del cielo azzurro. Il calendario era aperto al mese di luglio di due anni prima, la data della morte del proprietario. Nel secchio di plastica della spazzatura non trovò altro che il cartone schiacciato di una confezione di ciambelle di Tim Hortons. La sala da pranzo era arredata con mobili vecchi e massicci, ma Cardinal, che non era un esperto, non aveva idea se fossero autentici pezzi di antiquariato o riproduzioni. Il quadro alla parete sembrava antico e aveva l'aria vagamente familiare di un dipinto famoso, ma Cardinal non era neppure un critico d'arte; un giorno, Kelly era inorridita scoprendo che lui non sapeva chi fossero gli artisti del Gruppo dei Sette, evidentemente stelle della storia dell'arte canadese. Le antine di vetro di una credenza lasciavano intravedere un bel servizio di bicchieri disposto con cura. Aprendo un armadietto, Cardinal trovò bottiglie di armagnac e Seagram's V.O. La sedia a capotavola era l'unica con i braccioli, e il tessuto del rivestimento era molto più logoro che nelle altre. Chissà se il vecchio aveva continuato a mangiare al posto d'onore anche dopo che la sua famiglia si era dispersa da tempo? Si era seduto lì, immaginando di avere ancora intorno la moglie e i figli? La torcia di Cardinal illuminò una porta scorrevole a due battenti, che doveva dare sul soggiorno, bloccata dal gelo. Tornò in cucina e salì le scale fino al primo piano. Di sopra, le camere da letto apparivano intatte. Si soffermò per un attimo nella stanza principale, l'ultima che era stata occupata. C'era un piccolo televisore, posato su un tavolino di antiquariato, che sarebbe stato facile rubare.
In bagno l'armadietto dei medicinali conteneva antistaminici, lassativi, Fixodent e un flacone gigantesco di Frosst 222. Cardinal ridiscese al pianterreno per entrare nello studio, che si apriva sulla facciata della casa. Gran parte dello spazio era occupato da un vecchio pianoforte, sul quale era disposta una coppia di candelabri d'argento, circondati da foto della famiglia Cowart. Un esame più attento del coperchio del pianoforte rivelò che i candelabri erano stati spostati: le basi esagonali avevano lasciato una traccia sulla polvere e i mozziconi di candela sembravano recenti. Quindi qualcuno si era seduto al piano a lume di candela. Forse Todd Curry. Il coperchio della tastiera era coperto di impronte digitali. Cardinal fu scosso da un brivido; il gelo gli faceva dolere le ossa. Il soggiorno sembrava un palcoscenico: due poltrone, una fioriera con una pianta ormai morta, il tappeto circolare davanti al camino di mattoni. Il camino era stato usato; sulla grata si vedevano ancora le ceneri di un fuoco di legna, coperto da una spolverata di neve bianca. Sì, un fuoco ci voleva. Senza riscaldamento e senza elettricità, chiunque intendesse stare lì nel mese di dicembre doveva almeno accendere subito un fuoco. Così avrebbe anche illuminato la stanza. Ma non avevano paura che qualcuno vedesse il fumo? Forse una persona normale ci avrebbe pensato, ma io non sto cercando una persona normale, si disse Cardinal; sto cercando un ragazzo drogato scappato di casa e un assassino di bambini, e Dio sa che altro. Puntò la torcia più in là, oltre la mensola del camino e un grosso televisore. Sopra il divano era appeso un vecchio dipinto dai colori scuri, il ritratto di un uomo; uno spagnolo, a giudicare dal pizzetto. Indossava una morbida cappa di velluto nero decorata con segni insoliti. Il divano al di sotto dava l'impressione che qualcuno avesse versato un barattolo di vernice sullo schienale, cancellando del tutto il disegno del tessuto. Poi Cardinal si chinò per guardare da vicino e vide che non era vernice, ma sangue. Un fiume di sangue. Puntando la torcia sulla parete, si accorse che i segni che aveva scambiato per il disegno della carta da parati erano in realtà goccioline di sangue... gocce schizzate verso l'alto, come se qualcuno avesse vibrato con forza dei colpi con uno strumento pesante. C'era sangue anche sul quadro, notò. I segni sul mantello dello spagnolo. Rimase in piedi davanti al divano, spostando lentamente la luce della torcia da un'estremità all'altra. Uno dei cuscini era privo del rivestimento: un ladro avrebbe potuto usare la fodera per trasportare fuori il bottino, ma l'assassino che cosa poteva farsene? Non si era curato neppure di rubare
quei candelabri d'argento, pensò Cardinal, o il piccolo televisore al primo piano. Non agisce per denaro. Cardinal tremava di freddo, o almeno pensava che fosse il freddo, cercando di immaginare dove poteva aver nascosto il corpo. Non lo aveva portato fuori, di questo era abbastanza sicuro, e il piano di sopra sembrava intatto. Scese nel seminterrato, rimpiangendo di non avere più luce. Si fermò davanti a una porta dall'aria fragile. Nelle vecchie case si trovavano spesso gli scivoli per il carbone sotto le scale, anche se nessuno usava più il carbone per il riscaldamento. Nella polvere erano visibili segni di trascinamento. Cardinal posò la torcia a terra e il raggio proiettò la sua ombra gobba su e giù lungo la parete mentre si chinava per aprire la porta dello scivolo, che cedette con un suono stridulo. Sapeva già che cosa avrebbe trovato là dentro. Anche se non riusciva a sentire l'odore, lo sapeva. Il freddo lo aveva privato dell'olfatto, ma voleva almeno vederlo, prima di filare via e tornare lì con una squadra. Raccogliendo la torcia, s'infilò in quello spazio minuscolo. Il foglio di polietilene avvolto intorno al cadavere si era aperto, conferendogli l'aspetto di un regalo scartato a metà, come un oggetto prezioso custodito in una scatola nera. Il corpo, perfettamente conservato dal freddo, era rannicchiato in posizione quasi fetale, con la testa stretta fra le ginocchia e avvolta in un tessuto irrigidito dal gelo e nero di sangue. Ma Cardinal riconobbe il tessuto; era la fodera del cuscino che mancava dal divano al pianterreno. Come mai gli aveva coperto la testa? I pantaloni, aggrovigliati intorno agli stinchi, erano jeans neri, le scarpe erano un paio di Converse nere da pallacanestro. Cardinal conosceva a memoria i particolari: "Maschio caucasico, l'ultima volta che è stato visto indossava...". Cardinal avvertì l'ondata di nausea che saliva dal suo stomaco, ma la ignorò. Nella mente gli sfilarono in un lampo i moduli, le telefonate che doveva fare: il coroner, Delorme, gli avvocati della proprietaria, il procuratore della Corona. Ma nello stesso tempo analizzava i dettagli fisici: l'orologio intorno al polso sottile, i genitali raggrinziti e martoriati. E il suo cuore si protese verso i genitori che avrebbero dovuto essere informati, che forse si aggrappavano ancora alla speranza che il figlio fosse vivo. Che l'aldilà esistesse o no, un morto ormai era oltre il dolore, la vergogna, l'insulto. Allora perché, in quel momento, lui provava lo stesso istinto che aveva criticato in Delorme... di coprire il ragazzo?
Cardinal si stava concedendo una pausa all'esterno, riconoscente al freddo e alla neve che riducevano la folla di curiosi a dimensioni controllabili. Fra il coroner, gli addetti all'identificazione e il servizio di rimozione del corpo, il seminterrato era così pieno di persone e attrezzature che riusciva quasi impossibile muoversi. Ormai era buio, e il cortile sul davanti era illuminato come la torre della televisione. C'erano auto in sosta in tutto l'isolato. Dentro di lui cominciava a serpeggiare un lieve nervosismo. Aveva fatto un ottimo lavoro; non un'impresa eccezionale, sostenuta da una tecnologia sofisticata, ma aveva lavorato bene e, se fosse stato un uomo migliore, si disse, e un poliziotto migliore, avrebbe potuto godersi quella breve soddisfazione. Rimpiangeva il poliziotto onesto che era stato anni prima, e avrebbe voluto disfare ciò che aveva fatto, se non altro perché sciupava quel momento. Se Delorme avesse indagato davvero su di lui, se fosse risalita abbastanza indietro, avrebbe potuto trovare qualcosa. Era improbabile, ma non impossibile; poteva succedere da un momento all'altro. Lasciami concludere questo lavoro, pregava, rivolto a quel Dio in cui a volte credeva; lasciami soltanto arrestare il bastardo che ha fatto questo a Todd Curry. Un capannello di rappresentanti dei media premeva contro il nastro giallo che delimitava il cortile. Stavolta non c'erano soltanto Gwynn e Stoltz del Lode, e le troupe televisive non si limitavano alla tv di Sudbury. Erano presentì anche i quotidiani di Toronto, c'era di nuovo la CBC, e ora anche la CTV. Volevano sapere tutti se era di nuovo il Windigo. Cardinal non aveva niente da dire, a parte i particolari essenziali, almeno finché non fossero stati informati i parenti prossimi. Il ronzio delle telecamere era sonoro. «Signorina Legault, possiamo parlare un secondo?» La guidò lontano dalla folla. «Il Windigo» le disse. «Deve andarne fiera, visto il modo in cui hanno adottato tutti questa definizione.» «Oh, andiamo! Con l'isola di Windigo di mezzo, era solo questione di tempo.» «Però è stata lei a coniarla. Non sia modesta.» «Due omicidi, e siamo soltanto a febbraio. Quasi il doppio della media di un anno intero, giusto?» «Non esattamente.» «Mi riferisco a delitti di questo tipo. È chiaro che non stiamo parlando di liti domestiche. Senta, che possibilità ci sono di ottenere una vera intervi-
sta? Senza registratore, a telecamere spente.» Con gli occhi gelidi della giornalista che lo valutavano, Cardinal aveva l'impressione di vedere un gatto che spiava un topo. «Che ci creda o no, le cose qui vanno a un ritmo frenetico. Non so proprio...» «Che ci creda o no, il telegiornale non si propone di battere il record della stupidità.» «Oh, no, non l'accuserei mai di provarci.» La signorina Legault continuò a incalzarlo. «Allora mi conceda una possibilità. Provi a educarmi.» Ora sembrava sincera, e Cardinal aveva un debole per le persone sincere. Catherine lo era, e forse anche lui. «Se lei chiama Windigo l'assassino di Katie Pine» le disse «è probabile che lo incoraggi a fare di peggio.» «Questo sarebbe un rifiuto?» Cardinal indicò la casa. «Mi scusi. Il dovere mi chiama.» Gli addetti alla rimozione dei cadaveri - due uomini che lavoravano per l'agenzia di pompe funebri quando non erano impegnati con il coroner uscirono dalla casa con il sacco di plastica che conteneva il corpo, collocandolo nel retro del carro funebre. Il più giovane dei due sembrava piuttosto scosso; sbatteva le palpebre come una talpa, sotto la luce intensa dei riflettori. Delorme uscì un attimo dopo. «Come sei stato gentile a invitarmi ad assistere, socio. Che collega! Un sostenitore convinto del lavoro di squadra.» «Ho chiamato, ma eri uscita.» «Se fossi stata un uomo, mi avresti aspettato. Se non dobbiamo lavorare in coppia, tanto vale che me ne torni alle Indagini speciali. Puoi spiegarlo tu a Dyson.» «Lo dici come se avessi già lasciato le Indagini speciali.» Lei lo squadrò da capo a piedi, facendo scorrere gli occhi su di lui come riflettori. «Mi sembra di sentire McLeod, sai? Se vuoi comportarti da paranoico, non posso impedirtelo, ma io non intendo farmi trascinare nella tua scia.» Seguì con gli occhi il carro funebre che si allontanava. «Vanno direttamente a Toronto?» Cardinal annuì. «Arthur maudit Wood! Potrei ammazzarlo, quel piccolo bastardo.» «Te la senti di guidare fino a Toronto?» «Stasera? Vuoi dire per andare al Centro di medicina legale?» L'eccitazione cambiò la sua voce all'istante. Sembrava una ragazzina.
«Il primo volo parte domattina, e non voglio aspettare.» Cardinal accennò con la testa alla sagoma tozza del dottor Barnhouse. Da mezzo isolato di distanza si sentiva la voce del coroner che strepitava per chissà quale offesa ricevuta. «Mi farò dare l'essenziale da Barnhouse e passo a prenderti fra mezz'ora. Potremo superare il carro funebre prima di Gravenhurst. Voglio essere presente, quando apriranno quel pacco dono.» 14 L'omicidio non è un evento comune, in Canada. Anzi, è così raro che gran parte delle dieci province del paese ha soltanto un Centro di medicina legale a testa, situato di solito nella città principale della provincia. È un sistema conveniente, e persino comodo, per chi indaga su un delitto avvenuto a Toronto o a Montreal. Cardinal e Delorme, invece dovettero percorrere in macchina più di trecento chilometri, gran parte dei quali in coda a un convoglio di autocarri carichi di legname. Quando arrivarono alla sede del coroner, in Greenville Street, un sikh in divisa blu con un turbante bianco citofonò all'obitorio per annunciare il loro arrivo. Len Weisman venne ad accoglierli all'ingresso, guidandoli in un ufficio angusto e sovraccarico di mobili. Era un uomo piccolo e compatto, con una massa di capelli neri e ispidi. Portava un paio di occhiali con una montatura scura, alla moda, un camice bianco e - dettaglio incongruo, in quell'ambiente asettico, tutto piastrelle bianche e linoleum - un paio di sandali di cuoio. Prima di passare a dirigere l'obitorio, aveva lavorato per dieci anni alla squadra Omicidi, e teneva ancora il distintivo e i galloni di sergente incorniciati sulla parete dietro la scrivania. Intorno c'erano alcune citazioni al merito, anche quelle in cornice, e una foto che lo ritraeva mentre stringeva la mano al sindaco di Toronto. «Accomodatevi» disse in tono cordiale. «Fate come se foste a casa vostra.» Come se fosse possibile sentirsi a casa propria in un obitorio, pensò Cardinal; poi si domandò se anche Delorme ci aveva pensato. Senza dubbio era più tranquilla e silenziosa del solito. Entrando, erano passati accanto al cadavere di una donna, appena ventenne, parcheggiato su una lettiga vicino agli ascensori come se fosse un carrello del mercato. La lampo del sacco che la conteneva era aperta fino alla gola e il volto pallido, circondato da un'aureola di capelli biondi, emergeva dalla plastica bianca come da
un bozzolo. Aveva capelli splendidi, di una tonalità insolita fra lo zafferano e l'oro; magari poche ore prima era intenta a spazzolarli, con quel misto di orgoglio e autocritica che è tipico delle donne graziose. «Qualcuno vuole un caffè, un tè?» Weisman dava l'impressione di rimbalzare da un angolo all'altro della stanza, tendendo la mano verso una porta al centro della parete, scattando in avanti per aprire un cassetto, prendendo un fascicolo da una scrivania. «Se no, c'è un distributore di Coca nel locale della mensa. Sprite? Pepsi?» Cardinal e Delorme declinarono l'invito. Weisman afferrò il ricevitore del telefono come se potesse sfuggirgli di mano. «Voglio soltanto controllare se il nostro patologo è pronto. Il paziente è arrivato appena venti minuti fa.» Cardinal aveva dimenticato che là dentro li chiamavano pazienti, come se i silenziosi occupanti di quei sacchi di plastica e di quei cassetti metallici potessero guarire. Si sentì bussare alla porta ed entrò il patologo. Era una donna alta, sulla trentina, con le spalle larghe e gli zigomi sporgenti, che conferivano al suo viso i tratti nitidi di una statua. «Dottoressa Gant, questi sono gli agenti Cardinal e Delorme, di Algonquin Bay. La dottoressa è il nostro patologo di turno. Potete andare con lei, se volete.» La seguirono nell'obitorio. La ragazza morta era stata portata via, e ora le piastrelle bianche e il linoleum avrebbero potuto appartenere a una clinica qualsiasi. Nella stanza non aleggiava odore di morte, semmai un lieve sentore di prodotti chimici. Si diressero verso la sala principale delle autopsie, da cui passarono in un locale adiacente riservato ai cadaveri che "puzzavano". La dottoressa consegnò a entrambi mascherine e guanti chirurgici, aspettando che li indossassero. Quando fu pronto anche il fotografo, Gant si mise i guanti da chirurgo e aprì la lampo del sacco. Delorme fu assalita da un conato di vomito. «È sporco» osservò la dottoressa Gant a bassa voce. «Dove lo avete trovato, in una carbonaia?» «Esatto. Una cantina per il carbone, in una vecchia casa rimasta sigillata per mesi. Immagino che stia cominciando a scongelarsi.» «Bene, passiamolo prima ai raggi x. La sala delle radiografie è qui vicino.» Respinse l'offerta di aiuto con la lettiga, spingendo da sola il "paziente" verso il locale delle radiografie, dov'era sempre pronta una macchina con
la forma di un'enorme U di acciaio. Era custodita da un ometto gracile con la camicia a scacchi e i jeans che lasciavano intravedere il solco fra le natiche ogni volta che si piegava in avanti. «Quel sacco, era già avvolto intorno alla testa in quel modo?» «È la fodera del cuscino di un divano, dottoressa. Non so bene per quale motivo l'assassino gli abbia coperto la testa. Mi sembra improbabile che sia il rimorso, e non credo neppure che sia schizzinoso.» «Prima di danneggiarlo troppo, faremo venire qui qualcuno della sezione Chimica. Cominciamo dal torace, Brian.» Parlò a voce bassa a un telefono fissato alla parete. La sua voce aveva un timbro accademico, ma fermo e risoluto; uno doveva essere estremamente impegnato o estremamente stupido per non obbedirle. «Non intende togliere prima l'involucro di plastica?» domandò Delorme. La dottoressa Gant scosse la testa. «Li sottoponiamo ai raggi x quando sono ancora vestiti, così possiamo individuare qualunque proiettile o frammento di lama si possa annidare tra gli indumenti.» Accennò al tavolo. «Il fatto che i pantaloni siano calati intorno alle caviglie farebbe pensare a un'attività sessuale prima dell'aggressione.» Il tecnico preparò la macchina e chiuse la porta, poi azionò un interruttore e la stanza si riempì di un lieve ronzio, simile a quello di una zanzara. Sullo schermo fluorescente si materializzarono le ossa dei piedi. Il raggio si spostava lungo il corpo, ma la dottoressa Gant rimase in silenzio finché sullo schermo non apparve la gabbia toracica. «Qui appare evidente un trauma di notevoli proporzioni: fratture alla settima, quinta e terza costola. Finora, nessun corpo estraneo.» «Quella macchia scura» disse Delorme, indicando una chiazza tondeggiante sullo schermo «non è un proiettile, vero?» «Probabilmente una medaglietta o un crocifisso.» L'immagine cambiò e cominciarono ad apparire le ossa di un braccio. «Ora esaminiamo le estremità» riprese la dottoressa Gant, indicando una lunga linea bianca spezzata in due come un'autostrada colpita da una scossa di terremoto. «Ferite difensive all'avambraccio sinistro, fratture all'ulna e alle ossa del polso. L'avambraccio destro mostra ferite simili all'ulna... La clavicola presenta una frattura netta.» La testa era ancora avvolta nell'involucro insanguinato, ma ora comparve sullo schermo la scatola cranica, anch'essa fratturata. «Bene» osservò a bassa voce la dottoressa Gant. «Sono evidenti traumi multipli.» Parlò all'interfono: «Brian, vedo una specie di linea bianca al centro. Puoi rego-
lare l'apparecchio?» «L'immagine è perfetta, dottoressa. Là dentro ci dev'essere qualcosa.» La dottoressa Gant si avvicinò allo schermo. «Potrebbe essere uno scalpello da ghiaccio. Forse anche un cacciavite. Dev'essere stato conficcato nella sommità del cranio, e poi l'impugnatura si è spezzata.» Parecchie ossa facciali erano state fratturate, e la dottoressa Gant le elencò in fretta: erano tutti traumi causati da un oggetto contundente smussato, forse un martello. La macchina fu spenta e il ronzio acuto svanì, lasciando nella stanza un'eco fantasma. Nell'aria aleggiava un'atmosfera di tristezza. Guardavano quel ragazzo fragile che aveva tentato invano di sottrarsi a colpi terribili, sferrati per uccidere. E la morte era stata lenta. Per quanto squallidi fossero stati i sedici anni di vita di Todd Curry, per quanto fosse stato inetto e dissoluto, non si era meritato di morire in quel modo. Li raggiunse Vlatko Setevic, della sezione Chimica. «Ecco i poliziotti del Grande Nord» osservò in tono ironico. «Vi capita mai qualche vittima che non sia congelata?» Setevic colpì la superfice del tavolo con un foglio di carta bianca da un rotolo, dopodiché sollevarono con precauzione il corpo, ancora avvolto nell'involucro, e lo sistemarono sul foglio. «Okay» disse Setevic «ora allentiamo l'involucro intorno alla testa. Poi io lo sfilerò e lo poserò su questo tavolo alle mie spalle. Devo farlo con delicatezza, quindi ci vorrà tempo.» Si dedicò a quel compito con infinita cautela, mentre la dottoressa Gant e un assistente rimuovevano dal torso il foglio di plastica, annerito dalla fuliggine e dal sangue. Un altro assistente scattava foto. La plastica era legata con una corda sottile, del tipo usato per le veneziane. L'interno del foglio era ricoperto da un impasto sottile di sangue coagulato, ormai venato da mille crepe. Il flash della macchina fotografica lampeggiava di continuo, come una luce stroboscopica. Il corpo rimase perfettamente immobile, raggomitolato in posizione fetale. «Ho prelevato alcuni capelli e fibre dall'esterno del rivestimento del cuscino» riferì Setevic. «Li porterò in laboratorio.» Delorme lanciò appena un'occhiata al viso, prima di distogliere lo sguardo. La dottoressa Gant girò intorno al corpo, ma senza toccarlo ancora. «La
regione parietale sinistra presenta tracce di un trauma violento, una frattura depressa causata da uno strumento pesante, forse la parte laterale di un martello. La regione parietale destra mostra una depressione circolare del diametro di circa due centimetri e mezzo, probabilmente causata da un martello, anche se è difficile dirlo. I tessuti sono parzialmente abrasi sullo zigomo sinistro, probabilmente in seguito a un trauma.» «Frenesia?» chiese Cardinal. «Mi sembra che siamo in presenza di un eccesso di colpi.» «Decisamente un attacco di frenesia, a giudicare dalla ferocia, eppure ci sono anche aspetti di controllo, se non m'inganno. Le ferite, noti bene, sono quasi simmetriche. I due zigomi, i lati della mascella, le tempie... Io non credo che questa simmetria sia accidentale. E poi c'è questo.» Puntò il dito verso la sommità della testa. «C'è un foro nella corona occipitale, del diametro approssimativo di dieci millimetri, un foro provocato da un oggetto appuntito, a giudicare dai margini della ferita. Dev'essere quello che abbiamo visto al fluoroscopio. Non si conficca un cacciavite nella testa di qualcuno in preda al parossismo.» «È vero.» «La causa della morte potrebbe essere una qualsiasi di queste ferite, ma non ne avremo la certezza finché non eseguiremo l'autopsia completa, e non potremo farlo finché non si sarà scongelato.» «Magnifico» esclamò Cardinal. «E quanto ci vorrà?» «Ventiquattr'ore, come minimo.» «Spero che stia scherzando, dottoressa Gant.» «Nient'affatto. Quanto tempo ci vuole per scongelare un tacchino da cinque chili?» «Non so, quattro o cinque ore.» «E questo paziente si trovava esposto a una temperatura di circa quaranta gradi sotto zero, non è vero? Gli organi interni impiegheranno almeno ventiquattr'ore a scongelarsi, forse anche di più.» «Qui dentro c'è qualcosa.» Delorme era ferma a fianco del tavolo, concentrata nel tentativo di scrutare l'interno del sacco. Cardinal si avvicinò per guardare a sua volta. Infilando un paio di guanti chirurgici, inserì tutt'e due le mani nel sacco, quasi fosse un ostetrico. Muovendosi lentamente e tenendolo per gli angoli con precauzione, riuscì a estrarre l'oggetto, incrinato, insanguinato e coperto di fuliggine. «Un'audiocassetta» esclamò Delorme. «Dev'essere rimasta incollata ai vestiti e si è staccata quando ha cominciato a scongelarsi.»
«Ora non eccitarti troppo. Probabilmente è ancora vergine» ammonì Cardinal, facendola cadere in un sacchetto di carta per la raccolta delle prove. «Speriamo che almeno ci siano delle impronte digitali.» 15 «Avrei voluto chiedere alla dottoressa Gant che cosa ci fa una bella ragazza come lei in un obitorio, ma poi ho pensato che non l'avrebbe presa troppo bene.» «Naturale» ribatté Delorme. «L'avrei presa male anch'io.» «Una donna giovane come lei dovrebbe fare l'internista, o la cardiologa, magari. Per quale motivo avrà deciso di trascorrere la sua vita in mezzo ai cadaveri?» «E allora tu, Cardinal, sempre in lotta con i cattivi? Io non ci vedo niente di strano.» Si trovavano nel Centro di medicina legale, alle spalle della sede del coroner. Avevano fatto rilevare le impronte digitali dalla cassetta, e ora salivano in ascensore alla sezione Chimica. Setevic, chino su un microscopio, non alzò neppure la testa. «Un solo capello, a parte quelli della vittima. Lungo circa sette centimetri e mezzo, castano medio, caucasico, probabilmente maschio.» «E la fibra?» «Rossa, a sezione trilobata.» «È il nostro uomo» esclamò Cardinal. «Non può ancora saperlo.» «La possibilità che esistano due assassini distinti - e per giunta tutt'e due con una moquette rossa - in un centro delle dimensioni di Algonquin Bay è praticamente inesistente.» Intervenne Delorme. «Todd Curry deve avere trascorso un certo tempo nello stesso posto in cui era prigioniera Katie Pine... questo almeno possiamo affermarlo con certezza. La stessa auto, giusto?» Setevic sorrise, scuotendo la testa. «Non riuscirete a inchiodarlo con questo. È una fibra molto usata nei rivestimenti per i seminterrati, il patio delle case, e chi più ne ha, più ne metta. Non è diffusa soltanto qui, ma anche negli Stati Uniti, ve l'ho già detto quando ne abbiamo trovata una sulla ragazza Pine. Concedetemi un minimo di credito in questo campo, okay? Cercate di non considerarmi un idiota. Avete qualcos'altro per me? Che cosa c'è lì dentro?»
«Dobbiamo ascoltare questa cassetta» disse Cardinal, porgendogli il sacchetto. Setevic sbirciò all'interno. «Avete già fatto rilevare le impronte?» «Gli esperti del laboratorio qui accanto ne hanno rilevata una parziale. I computer stanno ronzando a tutto spiano, ma non siamo troppo ottimisti. Per caso, avete un registratore a portata di mano?» «Non di buona qualità.» «Non importa. Ci serve soltanto sapere se qui sopra è registrato qualcosa.» Setevic li portò nell'ufficio angusto che divideva con altri due chimici. C'erano pile di riviste scientifiche accatastate su ogni superficie libera. «Scusate il disordine. Questo posto lo usiamo soltanto per scrivere i rapporti e fare qualche telefonata.» Frugando in un cassetto, tirò fuori un piccolo Aiwa tutto impolverato. Quando premette un pulsante, si sentì la voce di una donna di mezz'età che dettava un rapporto di biologia. "Il campione presentava una proliferazione di cellule bianche, indice di uno stato avanzato di..." La voce cominciò a ingarbugliarsi e poi cessò. «Mandy!» gridò Setevic in direzione della porta. «Mandy! Abbiamo per caso delle pile stilo?» Un'assistente entrò per consegnargli una confezione da quattro pile. Dopo averlo osservato mentre armeggiava goffamente per aprire il vano sul retro dell'apparecchio, allungò una mano dalla manicure perfetta e, con pochi gesti esperti, aprì l'alloggiamento, tolse le batterie vecchie e inserì quelle nuove. Poi premette un tasto e il rapporto di biologia riprese a velocità normale. «Grazie. Le forze della legge e dell'ordine ti ringraziano.» Appena Mandy ebbe richiuso la porta, lui accennò in quella direzione e, inarcando le sopracciglia, chiese a Delorme: «Allora, secondo lei come me la cavo?». «La odia.» «Lo so. Che volete farci, è il mio fascino slavo.» Inserì la cassetta nel vano e premette il pulsante. «Avete idea di quello che potrebbe esserci?» «Nessuna. Molto probabilmente l'ultima incisione dal vivo degli Aerosmith.» Il nastro partì. Una serie di scatti. Qualcuno soffia nel microfono e ci picchietta sopra con un dito, per provare se funziona.
Delorme e Cardinal si scambiarono un'occhiata, distogliendo subito lo sguardo. Non eccitarti troppo, si raccomandò Cardinal. Potrebbe trattarsi di una registrazione qualsiasi. Potrebbe essere qualcosa che non c'entra niente. Si accorse di trattenere il fiato. Altri clic, un fruscio di tessuto. Poi la voce di un uomo, rabbiosa, lontana dal microfono, dice qualcosa di indistinto. Una ragazza, vicinissima, con la voce tremante: «Ora devo andare. Devo trovarmi in un posto alle otto. Mi ammazzeranno, se non ci vado». Passi pesanti. In sottofondo comincia la musica... la fine di un pezzo rock: «[Appena percettibile]... altrimenti mi arrabbio sul serio». «Non posso. Ora devo andare.» Una voce maschile, ora troppo distante perché il registratore possa captarla: «[Incomprensibile]... scatti». «Perché devo mettermi questa roba? Non posso respirare.» «[Confuso]... prima potrai andartene.» «Non voglio spogliarmi.» Passi pesanti si avvicinano al microfono. Alcuni ceffoni, secchi come colpi di pistola. Grida. Poi singhiozzi. Poi singhiozzi soffocati. «Bastardo» mormorò Cardinal. Delorme guardava fuori dalla finestra, come se il condominio di fronte, sul lato opposto di Grenville Street, fosse estremamente interessante. Ora la musica in sottofondo è un brano dei Rolling Stones. Una serie di scatti distanti. «Questa potrebbe essere la macchina fotografica» osservò Delorme, sempre guardando fuori. La ragazza: «La prego, mi lasci andare, adesso. Prometto che non lo dirò a nessuno. Si prenda le fotografie e mi lasci andare. Giuro su Dio che non lo dirò mai a nessuno». «... ripetermi...» «Perché non vuole ascoltarmi? Ho un appuntamento, devo andare alle prove della banda. È importante! Dobbiamo tenere un concerto a Ottawa e se non mi presento chiameranno la polizia, e saranno guai per tutti! Sto cercando di aiutarla!» [Impercettibile.] «Dove? Io vivo nella riserva. Chippewa. Ma mio padre è poliziotto. Fa parte dell'OPP. Volevo solo avvertirla che andrà su tutte le furie.» [Impercettibile.] «No, non voglio farlo. Non lo farò.»
Passi che si avvicinano. Un fruscio sonoro prodotto da un tessuto. Poi la ragazza, che grida in modo quasi incoerente: «La prego! La prego! Devo andare alle prove prima delle otto. Se non lo faccio...». Il suono di qualcosa che viene lacerato, forse nastro adesivo. La voce diventa un mugolio soffocato. Gli scatti continuano. La musica cambia, passando alla voce familiare di una cantante. Singhiozzi soffocati. Altri scatti. Altri scatti. Un fruscio. Un uomo tossisce, vicino al microfono. Altri fruscii. Novanta secondi di silenzio. Un clic finale, quando la registrazione s'interrompe. Il resto della cassetta era vuoto, come il lato B. Per sicurezza, ascoltarono il nastro fino alla fine, per mezz'ora. Cardinal, Delorme e Setevic erano immersi in un silenzio assoluto. Passò molto tempo, prima che qualcuno parlasse. Cardinal ebbe l'impressione che la sua voce fosse terribilmente sonora, quando riuscì a dire: «C'è qualcuno, qui, alla sezione Documenti, che possa dirci qualcosa di più su questo nastro?». «Be', no» rispose Setevic, ancora stordito. «Perché abbiamo appena ascoltato la registrazione dell'omicidio di un'adolescente, e voglio sapere tutto il possibile su questo nastro. Non avete nessuno, alla sezione Documenti?» «Documenti? Alla sezione Documenti si occupano soltanto di carta e scrittura. Roba da falsari. Invece io...» Setevic tossì, poi si schiarì la voce. Era un uomo grande e forte, capace di badare a se stesso, secondo la valutazione di Cardinal; ma non era ancora riuscito a farsi una ragione di quello che avevano sentito. «Vi darò un numero di telefono» disse infine. «C'è un tale a cui si rivolge sempre la polizia dell'Ontario.» La nuova sede della Canadian Broadcasting Corporation che sorgeva in Front Street era costata una somma scandalosa, e Cardinal poteva capire perché. L'atrio, immerso in una luce soffusa che proveniva dal lucernario, otto piani più in alto, sembrava una serra fitta di alberi. Sotto i loro piedi scintillava un pavimento di marmo. Ecco dove finivano i soldi dei contribuenti.
Cardinal e Delorme seguirono una segretaria fino all'ascensore, mentre uomini magri e pallidi scivolavano lungo i corridoi. La segretaria li guidò oltre una serie di studi fino in fondo a un corridoio, poi aprì una porta color cremisi, facendoli entrare in uno studio di registrazione immerso nella penombra. C'era un uomo in giacca pied-de-poule seduto davanti a una console elettronica, con una cuffia sulla testa e un papillon di un bel giallo vivo. La camicia bianca sembrava rigida, come appena uscita dalla confezione. Cardinal non aveva mai visto un uomo così impeccabile. La segretaria li annunciò a voce alta. «Brian, ci sono i tuoi amici della polizia.» «Grazie. Mettetevi pure comodi. Sarò da voi fra un minuto.» Non alzò la voce per parlare, come fanno quasi tutti quando lavorano indossando la cuffia. Cardinal e Delorme si sedettero alle sue spalle, su un paio di poltrone girevoli dallo schienale alto. «Oohh» fece Delorme, accarezzando il rivestimento della poltrona. «Abbiamo sbagliato lavoro.» Nello studio regnava un forte odore di moquette nuova; persino le pareti erano ricoperte di moquette, e l'atmosfera era piacevolmente ovattata. Nei cinque minuti seguenti, osservarono le mani pallide del tecnico svolazzare sui comandi, spostando appena un comando qua, girando una manopola là. Per tutta la lunghezza della console si susseguivano segnali e grafici luminosi. Il viso dell'uomo, atteggiato a un'espressione seria e assente, si rifletteva nel vetro sopra la console, aleggiando sopra di loro come un'intelligenza incorporea. Dagli altoparlanti uscivano i suoni monotoni di un'intervista, due uomini dalla voce roca che discutevano di federalismo. Delorme alzò gli occhi al cielo, roteando l'indice per la noia. Finalmente l'intervista si concluse e l'uomo si tolse la cuffia girandosi sulla sedia, con la mano protesa nel vuoto. «Brian Fortier» disse presentandosi. Aveva una voce "radiofonica", profonda e sonora. La mano restò sospesa nell'aria, come se fosse indipendente da lui, e Cardinal si accorse che era cieco. Gli strinse la mano, presentando se stesso e Delorme. Fortier accennò ai nastri, indicandoli con il pollice grassoccio. «Stavo cercando di ripulire del materiale d'archivio per ritrasmetterlo. Quelli erano John Diefenbaker e Norman DePoe. Gente così non ce n'è più, oggigiorno.»
«Diefenbaker? Quando ero bambino, ha trasformato la mia città in un arsenale nucleare.» «Allora lei viene da Algonquin Bay.» «È del Nord anche lei?» domandò Delorme. «No, no, io vengo dalla valle dell'Ottawa.» Aggiunse qualche frase in francese. Cardinal non riuscì a seguire, ma vide subito Delorme rilassarsi. Fortier aveva detto qualcosa che l'aveva fatta ridere. Cardinal aveva combattuto con il francese fino alla fine delle medie, ma a Toronto il francese non gli era servito granché, e quando era tornato ad Algonquin Bay lo aveva quasi dimenticato. Devo proprio seguire quel corso alla Northern University, si disse per la centesima volta; sono proprio pigro. «La polizia dell'Ontario mi dice che avete un nastro per me.» Cardinal estrasse la cassetta dal sacchetto. «Il contenuto del nastro non deve uscire dalla stanza, signor Fortier. È disposto ad accettare questa condizione?» «Indagini in corso. Conosco il ritornello.» «E dovrò pregarla di usare questi guanti in lattice ogni volta che lo maneggia. Il nastro è stato trovato in...» Una mano pallida si alzò di scatto per interromperlo. «Non mi dica niente... Vi sarò più utile se lo ascolterò senza preconcetti. Mi dia i guanti.» Dopo che li ebbe infilati, lo videro palpare la cassetta, girandola e rigirandola fra le dita, fermandosi ogni tanto a riflettere. «I fori di entrata sono coperti, per sicurezza. Qualunque cosa sia registrata qui sopra, chi lo ha fatto non voleva che fosse cancellata da un'altra registrazione sovrapposta. Dall'esterno le cassette sono tutte identiche, praticamente... Questa di che marca è?» «Denon. Trenta minuti. Biossido di cromo. Sappiamo che è un tipo comune, reperibile quasi ovunque.» «Be', forse non nelle cittadine più piccole, ma in un centro grande come Algonquin Bay certamente sì. Non è un prodotto a buon mercato, comunque. Costa cinque volte il prezzo del tipo più scadente, forse anche di più.» «Lo definirebbe un prodotto professionale?» «Un professionista della registrazione, un tecnico del suono, insomma, chiunque abbia la passione della qualità, non userebbe una cassetta: sceglierebbe un registratore a nastro per sfruttare la maggiore velocità e la flessibilità offerta da piste multiple, naturalmente a seconda del tipo di lavoro che deve fare. Suppergiù siamo lì: Ampex, Denon, certo. Ma, come ripeto, si possono trovare un po' ovunque.»
Delorme osservò: «Potrebbe averla rubata. Un taccheggiatore, per esempio?». «I negozianti, di solito, queste cassette la tengono dietro il banco, o almeno vicino al registratore di cassa.» Il viso grassoccio di Fortier si voltò di lato per un attimo, come se stesse fiutando un aroma perduto. «Che cosa c'è?» gli chiese Cardinal. «Non sembra troppo contento.» «Ho avuto un ripensamento. Ho detto che un professionista non userebbe una cassetta, ma intendevo riferirmi a un tecnico della registrazione. Invece i musicisti le usano di continuo. Per esempio, se volessi incidere su nastro una canzone di prova, userei una cassetta di alta qualità come questa. Esistono i cosiddetti studi portatili fatti apposta per le cassette... Tascam, Fostex. Il suono non è pulito, ma per la musica pop questo non è essenziale, giusto?» «E cosa mi dice dei comici da cabaret, e gente del genere, che vuole ottenere un'audizione?» «Gli intrattenitori mandano delle videocassette. Vogliono far vedere come si muovono sulla scena. Invece gli annunciatori della radio mi spediscono cassette in continuazione. Certo, anche un tipo del genere.» Fortier aprì uno scomparto nella console per inserire il nastro, poi Delorme e Cardinal rimasero a fissare la sua schiena, riascoltandolo ancora una volta dall'inizio alla fine. Con quell'attrezzatura professionale il suono diventava molto più nitido e, come un'immagine messa a fuoco, continuò a migliorare a mano a mano che Fortier regolava quadranti e manopole. Il cuoio della sua sedia scricchiolava ogni volta che lui si spostava, con le mani sospese nell'aria sopra la console come colibrì. «Ci sono danni materiali. È evidente che non è stata conservata in condizioni ottimali.» «Per usare un eufemismo.» Grazie alle abili manipolazioni di Fortier, il sibilo del nastro era quasi svanito. Pochi istanti ancora, e la voce di Katie Pine risuonò nitida come se fosse nella stanza con loro. Il suo terrore in quella situazione di pericolo, i tentativi di cavarsela con le parole, il tocco di fantasia del padre poliziotto... Cardinal represse l'impulso di gridare. Fortier inclinò la testa di lato come uno spaniel, cercando di identificare di volta in volta i suoni. «La voce della bambina: dodici o tredici anni. Con quell'accento, non può che essere indiana.» «È esatto. E l'uomo?» Fortier premette un pulsante per fare una pausa. «È troppo lontano dal
microfono per localizzarlo con certezza... Sicuramente non è francese, e neppure francofono. Anche la valle dell'Ottawa è esclusa. Invece l'Ontario meridionale rappresenta una possibilità. Non ha quelle spaventose vocali arrotondate che avete lassù al Nord. Comunque non c'è da ricavarne molto, temo. Resta troppo lontano dal microfono.» Quando il nastro finì, Fortier parlò in fretta, come se fermandosi a respirare potesse dimenticare qualcosa. «Prima cosa: questa registrazione è stata fatta con un ottimo apparecchio e un ottimo microfono.» «Sarebbe un altro indizio che si tratta di un professionista, allora.» Fortier scosse la testa, spazientito. «No, neanche per sogno. La posizione del microfono è sbagliata: ruba aria e produce molto rumore. Un professionista si avvicina il più possibile alla fonte.» «Può dirci qualcosa dell'ambiente?» «Lasciatemi risentire tutto daccapo. Prima l'ho regolato per esaltare le voci. Ora proviamo a mettere in primo piano lo sfondo.» Abbassò alcuni cursori sulla console e ne alzò altri, restando con l'indice sospeso sul pulsante di avvio. «Tanto per la cronaca, agente: questi sono i suoni più orribili che abbia mai sentito.» «Se non la pensasse così, comincerei a preoccuparmi.» Fortier fermò quasi subito il nastro. «C'è qualcosa che io posso sentire, ma forse voi no: è una stanza piccola, quasi spoglia. Il pavimento è di legno. Sento il riverbero dei passi dell'uomo. Il pavimento è di legno duro... le suole di cuoio... tacchi alti, forse da cowboy.» Ora persino la voce di Katie sembrava fioca e distante, mentre i passi, il fruscio della stoffa, gli schiaffi... tutti quei suoni risuonavano opprimenti nello studio semibuio. «Fuori non c'è molto traffico. Una sola automobile, un solo camion in tutta la durata della registrazione... quanto, quindici minuti? Non siamo vicino a una strada statale. È una vecchia casa, si sentono vibrare i vetri quando passa il camion.» «Io non li sento» disse Delorme. «Io sì. Sono cieco come una talpa, ma compenso con l'udito. Ora sta scattando le foto.» Premette il pulsante dell'arresto. «Un suggerimento veloce per voi: fate ricavare il grafico sonoro del meccanismo dell'otturatore e dell'avvolgimento. Così potrete confrontarlo con altri modelli di macchina fotografica finché non otterrete una coincidenza perfetta.» Delorme guardò Cardinal. «È una buona idea.» Fortier era ancora concentrato su quello che avevano sentito. «Per ovvi
motivi non sono un appassionato di fotografia, ma la tecnologia di quella macchina è vecchia: non ha il motorino elettrico, non ha l'avanzamento automatico e si sente che lo scatto è meccanico, non elettronico. Una tecnologia del genere può risalire al più tardi alla metà degli anni settanta. L'otturatore è lento, e questo mi fa pensare che si trovi in una situazione di luce scarsa. Ancora una volta tutto sembra puntare verso le ore della sera, giusto?» «Sono riflessioni interessanti, signor Fortier. Continui.» Lui fece partire di nuovo il nastro. «Qui azzardo un'ipotesi, ma direi che siamo al primo piano della casa. Si ha l'impressione che il suono dell'automobile e del camion provengano da una posizione leggermente più in basso.» «È davvero in grado di affermarlo?» «Imparare ad ascoltare e distinguere il suono dei motori a combustione interna è una delle prime cose che fanno i ciechi.» «E per quanto riguarda la musica? Conosciamo la data approssimativa. Se riuscissimo a scoprire quale stazione ha trasmesso quelle canzoni nello stesso ordine, sapremmo in che giorno e a che ora è stata uccisa Katie.» «Mi spiace deluderla, agente Delorme, ma non credo che quella musica provenisse da una radio.» «Ma erano tutti interpreti diversi.» «Sì, e posso anche indicarglieli: i Pearl Jam, i Rolling Stones e Anne Murray. Sono certo che conoscete l'album degli Stones, e posso indicarvi anche gli altri, se volete. Ma ho due osservazioni da fare: primo, è una strana selezione musicale. Forse i due pezzi iniziali si potrebbero anche trasmettere insieme, ma sarebbe molto strano mandare in onda Anne Murray subito dopo i Rolling Stones. Dubito che una radio lo farebbe. E, secondo, fra un pezzo e l'altro ci sono intervalli troppo lunghi. Nessuna stazione radio anche lassù al Nord, si può permettere tempi morti così lunghi.» «Eppure, non si sente il suono di un disco che viene cambiato. L'uomo cammina per la stanza, preme un pulsante e la musica comincia.» «Se volete la mia opinione, ma per la verità è più che un'opinione, si tratta di una registrazione casalinga.» «Intende dire che potrebbe avere preso in prestito il disco da una biblioteca, per esempio?» «È un CD. Nonostante il passaggio attraverso due registratori, riesco a sentire lo stesso quella patina elettronica che hanno i suoni... una specie di
vernice luccicante che copre tutto. Per non parlare della mancanza di scatti. Sì, c'è tanta gente che prende in prestito musica dalle biblioteche e poi la registra su nastro. Fanno impazzire quelli che si occupano di copyright.» «Ma se usa già un apparecchio per registrare quello che succede nella stanza...» «Già. Significa che deve avere due registratori.» 16 Il ristorante Sundial, sulla statale 400, appena fuori Orillia, ha una forma circolare come suggerisce il nome, che significa "meridiana". La sala da pranzo è allegra e luminosa, circondata da alte finestre ricurve, e le cameriere sono cordiali. Cardinal si fermava sempre lì, tornando a casa da Toronto. Delorme tornò dalla toilette, passando fra i séparé ricoperti di vinile rosa. Aveva un'espressione stravolta e, quando si sedette, mormorò che bisognava rimettersi in viaggio prima che la nevicata diventasse una vera tormenta. «Non ancora» ribatté Cardinal. «Ho appena ordinato la torta alla crema di cocco.» «In tal caso, prenderò un altro caffè.» «È una mia tradizione personale: fermarmi al Sundial e prendere la torta alla crema di cocco. È l'unico posto in cui la mangio.» Delorme annuì con aria vaga guardando oltre il vetro, chiaramente di cattivo umore. Cardinal si domandò se era il caso di chiederle perché; poi ci ripensò e si mise a osservare la tovaglietta di carta, decorata con il ritratto dei primi ministri canadesi. Mentre la cameriera serviva la torta con il caffè, tirò fuori i suoi appunti. «Non sono convinto che la pista delle stazioni radio sia soltanto un vicolo cieco, come pensa Fortier. Comunque, non è che abbiamo venti stazioni radio da controllare.» «Io mi occuperò della biblioteca, se vuoi.» «Mi sembri un po' depressa.» Delorme alzò le spalle. «La prima volta che abbiamo sentito il nastro ho pensato sul serio che questo tizio lo avremmo inchiodato presto... domani, alla fine della settimana, presto, insomma. Voglio dire, quando mai ti è capitato di sentire la registrazione di un delitto? Invece, lo portiamo a un esperto e cosa ne ricaviamo? Niente.»
«Non saltare a conclusioni affrettate, Delorme. È possibile che Fortier riesca a ricavarne qualcos'altro, quando avrà completato la pulizia digitale. Se riuscisse a rendere più nitida la voce dell'assassino...» «Ma ci ha già detto che non può farlo.» «Be', c'è sempre la pista della macchina fotografica da seguire.» «Ammetto che lì per lì mi sono entusiasmata. La storia delle impronte vocali sembra così scientifica! Ma pensaci bene: anche se potessimo affermare con certezza che quello è il suono di una Nikon del 1976, o chissà cosa, a che ci servirebbe? Forse sarebbe diverso se fosse un modello fabbricato l'anno scorso... potrebbe addirittura farci risalire a uno scontrino, a una carta di credito. Ma con una macchina di tanti anni fa? Una vecchia macchina fotografica può essere passata fra le mani di dieci proprietari diversi.» «Mio Dio, sei veramente depressa.» Delorme era girata per metà sul divanetto per guardare fuori, verso i minuscoli fiocchi di neve che cadevano a ritmo costante da quando avevano lasciato Toronto. Un autocarro del Pop Shoppe stava uscendo dal parcheggio con il tergicristalli in funzione. Qualche istante dopo, Delorme disse: «Sai, da piccola, ero convinta che questo locale somigliasse più a una navicella spaziale che a una meridiana». «Lo pensavo anch'io. Anzi, lo penso ancora.» Nello spazio in cui prima era parcheggiato il camion, un padre stava aiutando la figlioletta a chiudere la lampo del giaccone. La bambina portava un berretto di lana verde vivace, con un pompon che le ricadeva fino alla vita. Le nuvolette formate dal fiato dei due si unirono formando una nebbiolina, e Cardinal avvertì prepotente il richiamo di quel vano segreto del suo cuore in cui teneva chiusi a chiave paura e rammarico. Nel sentimento paterno che provava per la figlia correva un filo rosso di paura, rifletté; è per questo che siamo tanto protettivi. «Tu hai una figlia all'università, non è vero?» Anche il filo dei pensieri di Delorme sembrava snodarsi in direzione delle figlie. «Già. Si chiama Kelly.» «A quale anno è iscritta?» «Al secondo anno del corso di laurea in belle arti. E con il massimo dei voti, per giunta» non poté fare a meno di aggiungere. «Avresti potuto fare un salto a trovarla. Avevamo tempo in abbondanza.» «Kelly non è a Toronto. Studia negli Stati Uniti.» Come tu ben sai, agen-
te investigativo Delorme, anche se fai l'ingenua. Fa' pure la tua indagine su di me, ma non aspettarti il mio aiuto. «Come mai negli Stati Uniti? È di là che viene tua moglie?» «La madre di Kelly è americana, ma non è per questo che lei studia laggiù. Il fatto è che Yale è la migliore scuola d'arte che esista nel continente.» «È così famosa, questa università, e io non so nemmeno dove sia.» Era anche possibile che in quel momento Delorme non fingesse. Cardinal non poteva averne la certezza. «New Haven, Connecticut.» «Neanche questo so dove sia. New Haven, voglio dire.» «Si trova proprio sulla costa. Un posto orribile.» Avanti, Delorme, chiedimi come posso permettermi di mandarla a studiare laggiù. Chiedimi dove ho preso i soldi. Invece lei si limitò a scrollare la testa, in segno di meraviglia. «Yale. È fantastico. Che cosa hai detto che studia?» «Belle arti. Kelly ha sempre desiderato diventare una pittrice. Ha molto talento.» «Si direbbe una ragazza sveglia. Non vuole fare il poliziotto.» «Sì, è sveglia.» Quando ripresero il viaggio verso nord, in mezzo alla tormenta, l'atmosfera che regnava a bordo dell'auto era tesa. Una delle spazzole del tergicristalli squittiva ogni volta che passava sul parabrezza, tanto che Cardinal fu assalito dall'impulso di strapparla. Accese l'autoradio e ascoltò appena un verso di Both Sides Now interpretata da Joni Mitchell, prima di spegnerla di nuovo. Quando si avvicinarono a Gravenhurst, le prime rocce dello scudo precambriano svettarono ai lati della strada. Di solito Cardinal, raggiungendo quel taglio nella roccia viva, aveva la sensazione di tornare davvero a casa, ma in quel momento si sentiva soltanto avvilito. Quel giorno aveva telefonato a Dyson dal Centro di medicina legale, per aggiornarlo sulle ultime novità, ma prima che potesse dire una sola parola il sergente lo aveva interrotto: «Devo dirle due parole, Cardinal». «E quali?» «Margaret Fogle.» «Che cosa?» «In questo momento ho in mano, caldo di stampa, se così si può dire, un fax del Dipartimento di polizia di Vancouver. A quanto pare, la signorina Fogle non è rimasta vittima di un omicidio nella nostra amena città, come
qualcuno poteva pensare. Pare che sia viva e vegeta e stia per dare alla luce un figlio a Vancouver.» La gioia maligna nella voce di Dyson arrivava forte e chiara anche attraverso la linea telefonica. «Bene, mi fa piacere» aveva risposto. «Sapere che è viva mi fa davvero piacere.» «Non se la prenda troppo, Cardinal. Di errori ne commettiamo tutti.» Lui aveva lasciato correre, facendo rapporto nel modo più conciso possibile. Quando superarono Bracebridge, dove ormai gli svincoli erano poco più che sagome indistinte in mezzo a un turbine di neve, Delorme riprese l'argomento della musica e cominciarono a scambiarsi teorie, risollevandosi un po'. Cardinal si rese conto che per lui era importante sapere che la collega lo stimava. Dev'essere una questione legata a quei lineamenti ben disegnati, a quegli occhi seri. Non potevano esserci altri motivi, visto che non si conoscevano abbastanza. E va bene, pensò Cardinal, aprendo un dibattito interiore, tu hai la netta sensazione che la tua partner stia indagando su di te. Qual è il modo migliore di affrontare questa situazione sgradevole senza uscirne troppo male? Decise che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarla. Senza dare troppo nell'occhio, le avrebbe offerto ampie possibilità di curiosare, lasciandole controllare l'armadietto e la scrivania, sempre che non lo avesse già fatto. Che diamine, poteva anche lasciarle dare un'occhiata in casa sua. Yale era l'elemento più incriminante contro di lui, e Delorme ne era già al corrente. Era improbabile che trovasse qualcos'altro, almeno a questo punto. Quando superarono Huntsville, Cardinal cominciò ad avere la sensazione di trovarsi di nuovo in territorio familiare. Era sempre piacevole lavorare con gli esperti di Toronto; amava quell'atmosfera scattante, professionale. Ma amava anche il Nord, la purezza, le colline rocciose e le foreste, la luminosità profonda del cielo, e soprattutto amava la sensazione di lavorare per il luogo che lo aveva formato, di proteggere il paese che a sua volta lo aveva protetto da bambino. Toronto offriva la gamma più vasta di opportunità di carriera, per non parlare del danaro, ma non avrebbe mai potuto essere casa sua. Casa. A un tratto, Cardinal fu assalito dal desiderio che Catherine fosse lì accanto a lui. Non riusciva mai a prevedere quando lo avrebbe sorpreso, quel sentimento doloroso. Passavano ore senza che pensasse a nient'altro che al caso a cui stava lavorando, poi avvertiva una pressione al petto sempre più forte, una sensazione di sofferenza e una specie di fame. A-
vrebbe voluto che Catherine fosse con lui... anche pazza, anche smarrita nelle sue allucinazioni. Ormai il cielo cominciava a incupirsi e la neve fluttuava intorno alla macchina come una tenda di pizzo. Nevicava ancora il giorno dopo, mentre Cardinal e Delorme rimasero seduti nell'ufficio di Dyson, lo ascoltarono leggere il profilo del killer tratteggiato dagli esperti della polizia a cavallo. Come avesse fatto a ottenere così presto una risposta dal quartier generale di Ottawa, restava un mistero: le linee del fax dovevano essere incandescenti. Eppure, ora che aveva in mano quel documento che si era procurato con tanta fatica, il sergente se ne faceva beffe. Era così tipico di Dyson che sembrava quasi una parodia. «L'analisi delle fotografie dei siti è ostacolata dal fatto che soltanto uno dei due è stato anche il luogo del delitto. La miniera sull'isola non è che il luogo nel quale è stato scaricato il cadavere. Oh, ma davvero. È magnifico.» Dyson si rivolse al rapporto che aveva in mano. «Dimmi qualcos'altro che non so.» Senza alzare la testa, continuò a sfogliare un paio di pagine, cogliendo al volo una frase qui, una là. «Cause della morte diverse... asfissia... trauma prodotto da un oggetto smussato... Bla, bla e ancora bla. Il ragazzo è stato aggredito mentre era seduto... di fronte all'aggressore, il che significa che conosceva l'aggressore e in una certa misura se ne fidava... Be', tutto questo lo sappiamo già.» «Quello che non capisco» obiettò Cardinal «è come mai si è rivolto così presto agli esperti di profili di Ottawa. Io avrei aspettato di poter fornire loro qualcosa di più.» «E quando?» «Avrebbe dovuto tenermi informato. Lo sappiamo tutti che i loro agenti possono distruggere un caso più in fretta di quanto lei possa dire "parata a cavallo". Guardi Kyle Corbett, per esempio. Non voglio neppure immaginare come hanno fatto a mandare a monte quell'arresto, Dio me ne scampi. Ma i loro esperti di profili sono tutta un'altra faccenda, e Grace Legault tanto vale chiamarla Miss Opinione pubblica - mi ha telefonato ieri sera per sapere quando li avremmo fatti intervenire. Le ho risposto che per ora non avevamo bisogno di esperti della polizia a cavallo o della polizia dell'Ontario o di qualsiasi altro corpo, e ora farò la figura dell'idiota.» «Stia a sentire, è stata un'idea del capo, ed era buona. Dovrebbe ringraziare lui. Non ha mai sentito la parola giocare d'anticipo? Questo ci per-
metterà di respirare un po', tenendo a bada i media con questa storia di convocare i federali. Inoltre ci fa guadagnare punti nei confronti dei nostri fratelli e sorelle in rosso, e questo è sempre un bene.» «Ma in questo caso non c'è nessun aspetto che il Centro di medicina legale di Toronto non possa affrontare...» Dyson non aspettò di sentire le altre riflessioni di John Cardinal e riprese a leggere: «Ragazza allontanata da un posto affollato... nessun segno visibile di resistenza... anche in questo caso indice di una certa familiarità...». «I bambini, o anche gli adolescenti, si fidano di chiunque, se li si avvicina nel modo giusto» fece notare Delorme. «Vi ricordate quel pedofilo di qualche anno fa, che fingeva di essere un medico dell'ospedale e raccontava ai bambini che la madre era stata ricoverata al pronto soccorso?» «Mi sorprende che chiamino questo un rapporto» commentò Dyson, battendo con la mano sui fogli. «Un luogo dov'è stato scaricato un cadavere e trenta secondi davanti a qualche fotografia» osservò Cardinal. «Nessun esperto di profili può fare granché, in queste circostanze.» «Cos'è, tutt'a un tratto, questo grande amore per la polizia a cavallo? Quante scene del delitto avrà esaminato questo cosiddetto esperto, ecco che cosa vorrei sapere.» «È Joanna Prokop, che ha realizzato un profilo di Laurence Knapschaefer azzeccando persino la marca dell'auto che guidava. Ha più cervello lei che tutta la polizia dell'Ontario messa insieme.» Dyson sfogliò il rapporto fino all'ultima pagina, fissando con rabbia la sintesi finale. «Il fatto che i due siti siano posti in mezzo alla natura indica una persona solitaria... La conoscenza del pozzo della miniera indica un residente del posto... Ah, eccoci: Questo assassino mostra nello stesso tempo aspetti del tipo organizzato e del tipo disorganizzato. Non ha paura di affrontare a viso aperto le vittime prescelte. Possiede qualità sociali, sia pure superficiali, sufficienti per attirare una persona giovane in una situazione pericolosa. La casa abbandonata, il pozzo della miniera, la registrazione su nastro, tutto indica una programmazione attenta, e la programmazione attenta fa pensare che abbia un lavoro stabile. Potrebbe trattarsi di un individuo ossessionato dalla pulizia o soggetto a manie compulsive, un compilatore di liste. Forse svolge un lavoro che richiede un alto grado di organizzazione. Per la verità, Todd Curry non mi sembrava troppo pulito, ma senza dubbio noi abbiamo standard domestici diversi rispetto agli uomini della polizia a cavallo... o delle donne, chiedo scusa.
«D'altra parte» continuò a leggere «le tracce evidenti di frenesia nel delitto Curry denotano una personalità esplosiva... Il killer dev'essere una persona che si assenta sempre più spesso dal lavoro, perdendo progressivamente il controllo. Non so davvero che cosa dovremmo farcene di questo profilo. A sentir loro, pare che dobbiate cercare una specie di Dottor Jekyll e Mister Hyde. Tutto bene se è nello stato di Hyde, ma come si fa a sapere quando è Jekyll?» «Non restando seduti qui tutto il giorno.» Cardinal si alzò e uscì. Delorme lo avrebbe seguito, se Dyson non l'avesse trattenuta. «Aspetti un momento. È la mia immaginazione, oppure è un po' troppo suscettibile?» A Delorme non poteva sfuggire il cambiamento di tono. Ora non stavano parlando del caso Pine-Curry. «Credo che sia semplicemente seccato perché lei non lo ha tenuto al corrente.» «Già, probabilmente ha ragione. Come va finora la sua...» «Bene, finora niente.» «E l'indagine finanziaria?» «Ancora niente. Alle banche non piace troppo fornire informazioni. Ma la mia impressione è...» «Non voglio la sua impressione, Delorme, e neppure il capo. Abbiamo tutti l'impressione che il sergente John Cardinal sia un investigatore di prim'ordine. Abbiamo tutti l'impressione che sia pulito come un neonato. Quindi, grazie tante, non so che farmene delle sue impressioni. Quello che mi serve sono pochi fatti concreti, e non semplici voci, che possano spiegare come mai Kyle Corbett ci è potuto sfuggire di mano per ben tre volte. Cardinal vuole riversarne la colpa sul caporale Musgrave e sulla sua allegra brigata. Bene, ma come fa un piedipiatti di Algonquin Bay a permettersi una casa in Madonna Road? E come fa un piedipiatti di Algonquin Bay a mandare la figlia a Yale? Ha idea di quanto costano gli studi a Yale?» «Circa venticinquemila dollari canadesi, ho già controllato.» «Comprese le spese per l'alloggio?» «No, signore, soltanto per le tasse scolastiche. Con le spese per il vitto e l'alloggio, i libri e il materiale necessario saliamo a circa ottantamila dollari canadesi l'anno.» «Cristo.» 17
Un autobus della linea Gray Coach svoltò l'angolo rombando per entrare nella stazione, trascinandosi dietro una scia di neve. I passeggeri sbarcarono, piuttosto anchilosati, alcuni scambiando abbracci con i parenti in attesa, altri dirigendosi subito ai telefoni pubblici, altri ancora precipitandosi al posteggio dei taxi. Un capannello di persone si radunò intorno al ventre dell'autobus, da cui il conducente cominciò a estrarre i bagagli, come un veterinario alle prese con una nidiata di cuccioli. Intorno ai loro piedi aleggiavano i vapori del motore diesel. L'autista tirò fuori una chitarra protetta da una custodia rigida per consegnarla a un ragazzo magro, che rabbrividiva nel parka leggero. I capelli lunghi lo costringevano a scostarli di continuo dagli occhi, rotondi, con le sopracciglia alte e arcuate, come se la vita lo cogliesse sempre di sorpresa. Si mise in spalla uno zaino enorme, raccolse la chitarra e uscì per raggiungere la fila di armadietti del deposito bagagli. Per sistemare tutta la sua roba, ce ne vollero due. Poi, tenendo chiuso con una mano il parka intorno alla gola, il ragazzo uscì, diretto verso il posteggio dei taxi. Si chinò a parlare con un conducente, poi salì a bordo, con un ultimo scatto della testa per respingere i capelli indietro. Il taxi era l'ultimo della fila. Nel parcheggio della stazione degli autobus c'era soltanto un'altra vettura, una Pinto grigia in sosta vicino all'ingresso. Ormai tutti i passeggeri in arrivo da Toronto si erano allontanati, ma, mentre il taxi usciva dal posteggio, la Pinto grigia rimase ferma, con il motore acceso e i finestrini appannati, vicino al cartello VIETATO BLOCCARE L'ACCESSO, ronfando paziente. Il taxi percorse esattamente quattro isolati in direzione del centro, scaricando il ragazzo davanti al ristorante Alma's, e lui si avviò verso l'entrata, camminando in mezzo a mucchi di neve con l'andatura di un acrobata sul filo, mettendo un piede davanti all'altro con estrema attenzione. La neve gli entrava nelle scarpe, sciogliendosi, perché aveva lasciato gli stivali nello zaino, alla stazione. Era l'unico cliente del ristorante. Lo schermo di un piccolo televisore dietro il banco trasmetteva la partita di hockey fra i Chicago e i Canadiens. L'orso barbuto che prese l'ordinazione staccò a malapena gli occhi dalla partita. Quando lo servì, dal televisore si sprigionò una cascata di applausi e strombettate. «Spero che non sia per Chicago.» «Volevo uscire a bere una birra, o qualcosa del genere» gli disse il ra-
gazzo. «Mi sa dire dove vanno i giovani, da queste parti?» «Giovani quanto? Della mia età?» «Della mia.» «Prova al Saint Charles.» L'orso agitò una zampa come un vigile urbano. «Svolta a destra su Algonquin e prosegui per due isolati fino alla Main. Lo vedrai di fronte a te.» «Grazie.» La tavola calda era quello che ci si poteva aspettare dalla raccomandazione di un tassista: séparé di vinile, tavoli in formica, piante di plastica dappertutto e, malgrado il nome, neanche l'ombra di Alma. Il ragazzo si sedette al banco, guardando fuori la strada silenziosa. L'insegna rossa al neon tingeva di rosa la neve che cadeva. Le probabilità di vivere un'esperienza eccitante diventavano sempre più scarse. Ciò nonostante, dopo aver finito l'hamburger, il ragazzo uscì per andare in cerca del Saint Charles. Gli abitanti più anziani di Algonquin Bay ricordano ancora i tempi in cui il Saint Charles era uno dei migliori alberghi della città. Per decenni la sua posizione, all'incrocio fra Algonquin e Main, ha attirato visitatori che volevano alloggiare nel centro cittadino, oltre ai turisti desiderosi di accedere facilmente al lago Nipissing, appena due isolati a sud. La stazione ferroviaria si trovava a cinque minuti di strada, quindi, per i passeggeri in arrivo da Québec City o da Montreal, era il primo edificio ragguardevole che si trovavano davanti. In quella sua prima incarnazione, il Saint Charles si vantava di soddisfare tanto i turisti quanto gli uomini d'affari, grazie a una combinazione di fascino, convenienza e servizio di prim'ordine. Purtroppo, quei giorni sono tramontati. Non riuscendo a sostenere la concorrenza dei prezzi stracciati offerti da esercizi self-service, come il Castle Inn o il Birches Motel, il Saint Charles ha trasformato i piani superiori in appartamentini di forma irregolare, che oggi ospitano per lo più gente di passaggio e sfaticati. Dell'albergo originale resta soltanto il bar al pianterreno, il Saint Charles Saloon, che nulla ha conservato della sua eleganza di un tempo, e ormai è diventato il locale dove la gioventù di Algonquin Bay impara a bere. I gestori non sono troppo fiscali riguardo al controllo delle patenti di guida e servono la birra in boccali enormi. Il ragazzo, che si chiamava Keith London, si fermò al bar, fumando e guardandosi attorno con l'aria leggermente ansiosa del forestiero. In sostanza il Saint Charles Saloon era un magazzino diviso da due tavoli lunghi, dove comitive di giovani facevano un baccano spaventoso. Lungo le
pareti c'erano gruppi più piccoli di bevitori appollaiati intorno a minuscoli tavolini a forma di disco. Inciso sopra una porta vicino al banco c'era un avviso, l'unico ricordo di un'era più antica che diceva "Riservato alle signore accompagnate". Un juke-box sparava a tutto volume la musica di Bryan Adams. In alto, aleggiava una nube grigiastra formata dal fumo di centinaia di sigarette. Keith London finì la birra e si domandò se fosse il caso di ordinarne un'altra; quell'hamburger era l'unico cibo che aveva buttato giù dopo la partenza da Orillia. Aveva l'impressione che la clientela avesse superato il punto in cui il nuovo venuto poteva essere bene accetto. Alla sua sinistra, una coppia discuteva in termini poco lusinghieri di persone assenti. A destra, un uomo in stato di stupore autistico fissava lo schermo silenzioso che trasmetteva la partita di hockey. Keith ebbe l'impressione che il suo spirito di avventura avvizzisse come una pianta senz'acqua. Ordinò un'altra Sleeman. Se non fosse successo qualcosa di interessante prima di averla finita, sarebbe andato a dormire nel motel che gli aveva indicato il tassista. Era arrivato a metà del boccale, quando un uomo che indossava uno spolverino di pelle lungo fino al ginocchio si staccò dal juke-box per accostarsi al banco, inserendosi con una spallata fra Keith e la coppia vicino a lui. Quello spolverino sembrava fatto apposta per nascondere un fucile. «Che locale noioso» brontolò, indicando gli avventori con il boccale di Labatt's che aveva in mano. «Non so. Danno l'impressione di divertirsi.» Keith accennò al centro della sala, da cui provenivano scoppi di risa. «Gli idioti si divertono sempre.» L'uomo si portò il boccale alle labbra come fosse una tromba e lo vuotò a metà con un sorso solo. Keith si girò per metà dalla parte opposta, fingendo un interesse improvviso per il jukebox. «L'hockey. Se togli l'hockey, questo paese si accartoccia e muore.» «Non è male, come gioco» ribatté Keith. «Io non sono un fanatico, però.» «Lo sai perché i canadesi lo fanno alla pecorina?» L'uomo parlava senza guardare Keith. «No, perché?» «Per poter guardare tutti e due la partita di hockey.» Keith si allontanò dal bancone per andare alla toilette, ma quando fu davanti all'orinatoio sentì la porta basculante oscillare alle sue spalle, e poi
udì il lieve scricchiolio del cuoio. C'erano parecchi orinatoi disponibili, ma l'uomo si piazzò a quello vicino. Keith si affrettò a lavarsi le mani per tornare al bar; gli restava ancora più di metà della birra. L'uomo rientrò nella sala un momento dopo. Stavolta teneva le spalle rivolte alla folla dei clienti, e Keith ebbe l'impressione che guardasse la sua nuca riflessa nello specchio alle spalle del barista. «Credo di avere un cancro allo stomaco» osservò. «C'è qualcosa che non va.» «È un bel guaio» ribatté Keith. Sapeva che avrebbe dovuto provare simpatia per l'uomo, ma non ci riusciva. La musica cambiò, passando a una vecchissima canzone di Neil Young. L'uomo batteva il tempo sul bancone, con tanta forza da far sussultare il posacenere. «Lo so io che cosa potremmo fare» disse all'improvviso, stringendo il braccio a Keith. «Potremmo andare alla spiaggia.» «Ma là fuori ci saranno come minimo quindici gradi sotto zero.» «Sai che roba, quindici gradi. La spiaggia è uno sballo, d'inverno. Potremmo comprarci una confezione da sei lattine di birra.» «No, grazie. Preferisco restare al caldo.» «Stavo scherzando» disse l'uomo, ma aumentò la stretta sul braccio di Keith. «Potremmo fare un salto a Callander, però. Ho la macchina con il lettore di CD. Che genere di musica ti piace?» «Tanti generi.» Dalla nube di fumo si materializzò una donna che chiese a Keith se poteva offrirle una sigaretta. L'uomo lasciò subito il braccio di Keith, voltandole le spalle, come se si fosse rotto un incantesimo. Keith offrì alla donna le sue Player's Lights. Se non fosse stata lei a rivolgergli la parola, non le avrebbe mai prestato attenzione. Sembrava gonfia, ma con il petto piatto, e aveva qualcosa di sconcertante nel viso, coperto da una patina rigida e lucente per qualche malattia della pelle. Sembrava più una maschera che un volto umano. «Il mio ragazzo e io stavamo dicendo che hai un'aria interessante. Vieni da fuori?» «È tanto evidente?» «Abbiamo pensato che sembri un tipo interessante. Vieni a bere una birra con noi, stiamo morendo di noia.» Non è il caso di badare all'aspetto esteriore, si disse Keith. Questo è proprio il genere di esperienza che hai sempre desiderato di vivere senza riuscirci. Persone cordiali che s'interessano a te. Si pentì di aver criticato dentro di sé l'aspetto della donna.
Lei lo guidò oltre il juke-box, verso un tavolino nell'angolo, dove un uomo sulla trentina stava staccando l'etichetta dalla sua bottiglia di Molson con un'espressione accigliata, come se quella fosse l'attività più importante del mondo. Quando si avvicinarono alzò la testa, esclamando, prima ancora che si sedessero: «Allora, non avevo ragione io? È di Toronto?». «Voi due siete incredibili» rispose Keith. «Sono arrivato in città solo da un'ora, e vengo da Toronto.» «Non è poi tanto incredibile» replicò la donna, guardando il suo ragazzo versare la birra in tre bicchieri. «Sei troppo fico per essere uno che vive in questo letamaio.» Keith alzò le spalle. «Il posto non sembra male. Quel tipo al bar, però, era un po' strano.» «Sì, lo abbiamo notato» disse l'uomo a bassa voce. «Ho pensato che qualcuno doveva venirti in soccorso.» «Ehi, ma le sigarette le avete!» La donna spiegò: «È l'unico modo che mi è venuto in mente per attaccare discorso. Quando si tratta di parlare con gli estranei sono una frana». Il suo ragazzo, che si stava accendendo una Export "A", le offrì il pacchetto con un gesto rapido del polso. Era tutt'altro che bello. I capelli scuri, pettinati all'indietro, si drizzavano lungo la sommità della testa formando degli aculei unticci, come se fosse appena uscito da una fase punk. Aveva la pelle così pallida che lasciava trasparire vene azzurrine sotto gli occhi e alle tempie. Lo sguardo da furetto guastava un po' l'espressione del viso, ma aveva un atteggiamento raccolto, un modo intenso di muoversi - ora proteso in avanti per versare la birra, ora per offrire una sigaretta - che colpì l'attenzione di Keith. Dava l'impressione che avesse cose ben più importanti da fare, di lì a poco, ma intanto si preoccupava di versarti da bere o di offrirti da fumare. Era molto accattivante, e Keith si domandò che cosa ci trovasse in quella donna dalla faccia di fiberglass. «Credo che ti perdonerò» disse Keith tutto allegro, bevendo un sorso di birra. «A proposito, io mi chiamo Keith.» «Io Edie, e lui Eric.» «Edie ed Eric. Fantastico.» Dopo il secondo boccale di birra, Keith cominciò a parlare a ruota libera. Una debolezza di cui era consapevole, anche se non poteva farci niente. «Che chiacchierone» lo sgridava a volte la sua ragazza, in tono scherzoso. Ora stava raccontando a Edie ed Eric che aveva appena finito le scuole superiori e si era preso un anno di libertà per viaggiare da un capo all'altro
del paese prima di andare all'università. Era già stato sulla costa orientale, e adesso era diretto senza fretta verso Vancouver. Poi passò a parlare di politica e di economia. Espresse le sue opinioni sul Québec, poi passò a uno sproloquio sui Maritimes. Dio, sembro una macchinetta, pensò. Qualcuno mi fermi. «Terranova» sentì che diceva la sua voce. «Mio Dio, che zona disastrata. Mezza provincia è rimasta senza lavoro perché ci siamo mangiati tutto il pesce. Ve lo immaginate? Non c'è più un solo merluzzo! Se non fosse per l'olio, tutta l'isola resterebbe disoccupata.» Scrollò i capelli, gettandoli all'indietro per sottolineare il concetto. «Tutta l'isola.» La coppia non sembrava affatto stanca di ascoltarlo. Edie teneva il viso nell'ombra, probabilmente per nascondere quella strana pelle, ma gli rivolgeva una domanda dopo l'altra, a raffica. Anche Eric parlava ogni tanto, chiedendo questo o quello, e subito Keith partiva per la tangente, esprimendo un'altra opinione. Era come essere intervistato. «Che cosa ti porta ad Algonquin Bay, Keith?» gli chiese Edie. «Conosci qualcuno, qui? Hai dei parenti?» «No, la mia famiglia è tutta di Toronto, già da parecchie generazioni. Anglicani vecchio stampo, non so se mi spiego.» Edie annuì, anche se Keith ebbe l'impressione che non avesse capito affatto. Lei non faceva che portarsi una mano al viso o coprirsi la guancia con i capelli, come se fossero una tenda. «Non avevo un vero motivo per fermarmi qui» seguitò Keith «a parte il fatto che uno dei miei amici è passato da Algonquin Bay, un paio di anni fa, e mi ha detto che se l'era spassata un mondo.» «Non ti ha dato il nome di qualcuno da cui andare ad abitare? Non sei sceso in un motel, vero?» «Ho pensato che potevo andare al Birches, più tardi. Il tassista mi ha detto che è abbastanza decente, per quello che costa.» Gli fecero altre domande, su Toronto, sulla criminalità, su tutti i film che venivano girati laggiù. Quali erano i gruppi musicali di moda? Quali erano i locali da frequentare? Come faceva a sopportare la folla, il ritmo frenetico, e quelle metropolitane? Arrivarono in tavola boccali di birra e pacchetti di sigarette. Era proprio quel tipo di serata conviviale che Keith amava, quel genere di esperienza che rendeva tanto emozionanti i viaggi: tre persone che trovano subito un'intesa. Per tutto il tempo Edie continuò a pendere dalle labbra di Eric, e Keith riuscì a capire che cosa lui vedeva in lei: adorazione allo stato puro.
«Pensavamo di andare a Toronto, una volta o l'altra» disse Edie a un certo punto. «Ma costa troppo. È scandaloso il prezzo che chiedono gli alberghi, laggiù.» «Venite a stare da me» propose Keith. «Prevedo di tornare al più tardi per agosto. Potreste alloggiare a casa mia, così potrei mostrarvi la grande città. Pensate a quanto ci divertiremmo.» «Sei davvero gentile...» «Consideratelo fatto. Datemi un pezzo di carta che vi scrivo l'indirizzo.» Eric, che per tutto il tempo era rimasto praticamente immobile, tirò fuori un taccuino dalla tasca e glielo porse, insieme a una matita. Mentre Keith scriveva indirizzo, numero telefonico, e-mail e qualunque altra cosa gli veniva in mente, Edie ed Eric confabularono sottovoce. Lui strappò il foglietto dal taccuino e lo porse a Eric, che lo studiò con attenzione prima di infilarselo in tasca. Poi Edie disse in tono deciso: «Keith, noi abbiamo una stanza libera. Perché non vieni a stare da noi?». «Ehi, dico, non cercavo mica di procurarmi una stanza gratis.» «No, no, lo sappiamo benissimo.» «Siete così gentili che non so cosa dire. Non vorrei imporvi la mia presenza. Siete sicuri che vada bene? Non lo fate soltanto per cortesia?» «Noi non siamo cortesi» ribatté Eric, con lo sguardo fisso in fondo al suo bicchiere di birra. «Non siamo mai cortesi.» «Da queste parti è facile fossilizzarsi, Keith» spiegò Edie. «Per noi sarebbe un piacere averti in casa. Ci faresti un favore. È così interessante sentire le tue opinioni sul paese.» «Affascinante» convenne Eric. «Addirittura corroborante, direi.» «Sembra che tu abbia un intuito speciale nei confronti della gente, Keith, forse perché hai viaggiato tanto. Oppure sei nato così?» «No, nato no» rispose Keith, alzando un dito con un gesto quasi professorale. Ed ecco che, sotto l'effetto della birra, ricominciò a parlare. Partì in quarta, e del resto non poteva fare altrimenti, ricordando che razza di ignorante era una volta, e spiegando che non era tanto per i viaggi, quanto grazie alle esperienze fatte con le ragazze, con gli insegnanti, con i compagni delle superiori, che aveva imparato a capire tante cose di se stesso. Esperienza. E quando impari a conoscere te stesso, aggiunse, conosci tutti. Tutt'a un tratto, Eric si protese in avanti. Dopo quella lunga immobilità, sembrava un gesto teatrale, a effetto. «Hai l'aria di un artista» osservò. «Penso che tu sia un artista, in un modo o nell'altro.» «Ci sei andato molto vicino, Eric. Sono un musicista. Non ancora un
professionista, ma niente male.» «Musicista. Ma certo. E scommetto che suoni la chitarra.» Keith rimase immobile, con il bicchiere a mezz'aria. Lo posò di nuovo sul tavolo, lentamente, come se fosse un oggetto estremamente fragile. «Come fai a sapere che suono la chitarra?» Eric gli riempì nuovamente il bicchiere di birra. «Le unghie. Sono lunghe sulla mano destra e corte sulla sinistra.» «Cristo, Edie, sei sposata a Sherlock Holmes, qui.» Erano davvero sposati? Non riusciva a ricordare se glielo avevano detto. «Si dà il caso che abbia un'apparecchiatura per la registrazione» disse Eric a bassa voce. «Se hai talento, come credo, potremmo registrare un nastro. Niente di elaborato, solo una cassetta a quattro piste.» «Quattro piste? Quattro piste sarebbe fantastico. Non l'ho mai fatto.» «Possiamo mettere te e la chitarra su due piste, poi mixarle per ridurle a una sola, e così ne resterebbero altre tre per le tastiere, il basso, la batteria, quello che vuoi.» «Fantastico. Hai fatto molte registrazioni?» «Qualcuna. Non sono un professionista.» «Be', io neppure, ma mi piacerebbe provare. Non stai scherzando, vero?» «Scherzando?» Eric si rilassò, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Io non scherzo mai.» «È molto serio» confermò Edie. «Ha due apparecchi, uno a cassette e l'altro a bobine. Quando Eric fa una registrazione, è davvero qualcosa di speciale.» 18 «Se vuoi farli morire lentamente, sparagli alla pancia. Ficcagli un colpo nelle budella, in basso. In quel modo ci mettono ore a morire, e soffrono le pene dell'inferno. Quello sì che è uno spettacolo.» Edie impugnò la Luger nel modo che lui le aveva insegnato, con una mano stretta sul polso dell'altra, i piedi ben distanziati e le ginocchia leggermente piegate. Mi sento come una bambina che gioca a guardie e ladri. Ma quando parte il colpo, non c'è niente di più esaltante. «Il colpo alla pancia riservalo per le occasioni speciali, Edie. Per ora, immagina soltanto che lui salga da quella collina per venirti incontro. Non vuole parlare, non vuole arrestarti. Ha un solo obiettivo: la tua morte. Il tuo
compito? Fare fuori quel bastardo. È tuo diritto e tuo dovere ammazzare il bastardo.» Le sue mani che m'insegnano a tirare il grilletto. Lunghe ossa che fremono sotto la pelle. «Un colpo alla testa è sempre la prima scelta, capito, Edie?» «Un colpo alla testa è sempre la prima scelta.» «Prova sempre a colpire per prima la testa, a meno che la distanza non sia superiore ai venti metri. Allora prova a colpire il torace. Il torace è la seconda scelta. Ripeti.» «Il torace è la seconda scelta. La testa è la prima scelta, il torace la seconda.» «Bene. E vuota sempre il caricatore. Non sparare un solo colpo per startene poi ad aspettare di vedere com'è andata. Vuota il caricatore. Bum! Bum! Bum!» Ho fatto un salto di un chilometro, quando ha fatto così la prima volta. Ho gridato, ma lui non ha sentito, tanto s'infervora quando m'insegna qualcosa. Quei capelli ispidi gli si drizzano sulla testa, e gli occhi diventano neri neri. «Edie, piccola, dagli tutto quello che hai. Il giubbotto antiproiettile? Non conta. Tre di queste lo stendono, almeno temporaneamente, concedendoti il tempo di scappare.» «Le braccia mi fanno male da morire.» Lui mi ignora. È un marine. È un sergente istruttore. È un insegnante nato. E io sono la sua allieva nata. Sono debole, ma lui mi rende forte. «Prendi un bel respiro, Edie. Prendi un bel respiro forte e trattienilo, proprio un attimo prima di tirare il grilletto. Con calma.» Quando Edie indugiò troppo, Eric ripeté: «Con calma», poi aggiunse in tono irritato: «A quest'ora saresti già morta stecchita». Edie tirò il grilletto e lo scoppio fu più sonoro di quanto si aspettasse, come sempre. «Ha un rinculo così forte che mi fa formicolare le braccia.» «Non devi chiudere gli occhi, Edie. Così non colpirai mai niente.» Eric si allontanò, camminando a fatica nella neve per andare a esaminare il bersaglio. Tornò indietro con l'espressione che Edie chiamava "faccia di pietra", il viso ridotto a una lastra gelida e impenetrabile. «La fortuna del principiante. Un colpo dritto al cuore.» «L'ho ammazzato?» «Per puro caso. Ti avrebbe fatto saltare quel cazzo di testa un'ora fa, tanto sei lenta. Riprova. Mira al torace. E tieni gli occhi aperti, Cristo santo.»
Lei ci mise un po' di tempo a prepararsi, e lui ripeté l'osservazione di prima. «Certo, se vuoi farli morire lentamente, li colpisci alla pancia. Hai mai visto un verme infilzato sull'amo?» «Tanto tempo fa, quando ero piccola.» «È così che si dimenano. Uhhhh!» Eric si strinse le mani sull'addome e cadde in ginocchio, poi si lasciò andare all'indietro, disteso sulla schiena, contorcendosi in modo orribile e lasciandosi sfuggire conati a vuoto. «Fanno così» spiegò, restando steso sulla neve. «Si dimenano per ore, soffrendo le pene dell'inferno. Un'agonia terribile.» «Sono sicura che lo hai visto.» «Tu non sai niente di quello che ho visto.» La voce di Eric era diventata gelida e spenta. Si alzò, spazzolandosi i jeans con le mani. «Quello che ho visto non è affar tuo.» Edie premette il grilletto, mancando il bersaglio, mancando l'albero, ed Eric ridiventò subito allegro. Era stato di buonumore per tutta la mattina; era sempre così quando avevano un ospite. Avere un ospite in casa liberava qualcosa dentro di lui. L'aveva svegliata di buon'ora per proporle quella gita nei boschi, una lezione di tiro al bersaglio, e allora Edie aveva capito che sarebbe stata una bella giornata. Ora l'abbracciò da dietro, mettendo le mani sulle sue per farle prendere meglio la mira. «Non preoccuparti. Se fosse troppo facile, non sarebbe divertente.» «Perché non mi fai vedere tu? Lascia che ti guardi. Mi aiuterà a impugnare meglio.» «Vuoi vedere il maestro all'opera? Okay, baby. Sta' bene attenta.» Edie si mise in ascolto con l'intensità di un cucciolo, piegando la testa di lato mentre Eric le spiegava di nuovo l'importanza della posizione corretta, dandole una dimostrazione della presa, della posizione delle gambe, del modo corretto di prendere la mira. Lui era sempre al meglio quando le insegnava qualcosa, i trucchi del mestiere che aveva imparato a Toronto, a Kingston e a Montreal. Salvo una gita scolastica a Toronto, quando frequentava le superiori, Edie non aveva mai messo piede fuori da Algonquin Bay. A ventisette anni, non era mai vissuta da sola e non aveva mai conosciuto nessuno come Eric. Così totalmente autosufficiente e così bello. Il diario di Edie, sotto la data del 7 giugno dell'anno precedente: Non so come mai s'interessa a una creatura orribile come sono io, con la mia faccia spaventosa, e per giunta piatta come un asse da stiro. Non si rende conto di quanto è bello. Così snello, con i muscoli in rilievo, e poi il modo come cammina... con le ginocchia leggermente piegate, mi fa tremare le
ginocchia. Immaginava il suo viso dall'ossatura sottile, dai lineamenti ben disegnati, su uno schermo cinematografico grande dodici metri. Qualunque parte avesse recitato, sarebbe stato un successo. Come un artista, con quei cerchi scuri sotto gli occhi, tormentato dal genio. Mi pare di vederlo su una scogliera in riva al mare, con il vento fra i capelli e una sciarpa bianca che svolazza all'indietro. Si era presentato al banco della Pharma-City, dove lei lavorava, tenendo in mano un dopobarba e dei Kleenex, e le aveva chiesto una confezione di batterie a stilo e un flacone piccolo di PowerUp. Sono persa, aveva scritto nel suo diario il primo giorno che lo aveva visto al drugstore. Ho conosciuto l'uomo più forte dell'universo. Si chiama Eric Fraser, lavora al Troy Music Centre e ha un viso da dio. Che occhi! Di tanto in tanto rileggeva quel diario, per ricordarsi di com'era vuota la sua vita e di come era cambiata da quando aveva incontrato Eric Fraser. Persino il nome è bellissimo. «Hai mai provato questa roba?» le aveva chiesto. Il registratore di cassa si era incantato e loro due erano rimasti a guardarsi, mentre il gestore del drugstore armeggiava per ripararlo. «Sono una specie di eccitante, no? Pillole di caffeina?» «Oh, si può anche sostenere che è soltanto caffeina. Tutto quello che vuoi, ma devi credermi sulla parola, con il PowerUp puoi fare cose incredibili.» «Stare su tutta la notte, eh?» Lui le aveva rivolto un sorriso ironico, scrollando la testa come per commiserarla. «Cose incredibili.» Lei non avrebbe mai potuto immaginare fino a che punto. Era vestito tutto di nero, affilato come una lama di coltello; quando si metteva gli occhiali scuri, avresti giurato che faceva parte di qualche gruppo rock. Edie non riusciva ancora a capacitarsi che un uomo bello, elegante ed esperto come Eric Fraser potesse interessarsi a lei... a una nullità, a una perdente come Edie Soames. Appena tre giorni prima dell'annotazione nel diario che riguardava l'ingresso nella sua vita di Eric Fraser, aveva scritto: Io non sono niente. La mia vita non è niente. Sono uno zero assoluto. Eric andò a controllare il bersaglio, il fiato che si condensava formando una scia di nuvolette piumose. Sullo sfondo della neve spiccava in modo bizzarro, tutto vestito di nero, i capelli dritti e gli occhiali da sole. Tornò indietro con il bersaglio di carta, tenendolo sollevato come un trofeo. «Ot-
timo lavoro. Cominci a dimostrare una certa regolarità. Non è più questione di fortuna.» Riposero il bersaglio nel baule della Pinto arrugginita di Edie prima di scendere verso la statale, con Eric rilassato sul sedile come un pascià. Aveva la sua auto, una Windstar azzurra, vecchia di almeno dieci anni, che teneva in condizioni perfette, ma Eric Fraser non guidava mai se poteva farne a meno. Edie svoltò a sinistra vicino al vecchio drive-in, percorrendo la breve distanza che lo separava dal Trout Lake e parcheggiando sul molo, sotto un cartello che diceva: PARCHEGGIO RISERVATO AI PROPRIETARI DEI NATANTI. Il lago era liscio come uno specchio, di un bianco accecante alla luce del sole, fatta eccezione per i rifugi che servivano a riparare i pescatori. I bambini pattinavano sulla spiaggia pubblica, dove un riquadro di ghiaccio era stato sgomberato per trasformarlo in una pista. Attraversarono a piedi la statale, zigzagando fra le auto, per risalire il pendio della collina. Ogni tanto passava loro accanto sfrecciando uno slittino carico di bambini. Amava passeggiare, Eric, amava la vita all'aria aperta. A volte camminava per tre o quattro ore, fino a raggiungere Four Mile Bay e ritorno, oppure oltre l'aeroporto. Lei non lo avrebbe mai detto, perché le sembrava un tipo così... cittadino. Invece le lunghe camminate, le colline, la neve e il silenzio sembravano placare la sua irrequietezza. Era un onore dividere quei momenti con lui. Superarono un reticolato metallico che era stato praticamente abbattuto dalla neve e proseguirono sulla collina, oltre la nuova stazione di pompaggio. Edie cominciò a sbuffare e ansimare molto prima di raggiungere la sommità, dove si fermarono vicino al cerchio ghiacciato del bacino artificiale. Un piccolo aeroplano con gli sci al posto delle ruote volava in alto, ronzando e planando verso il Trout Lake. Rimasero in piedi, con le mani strette sul recinto sormontato da cartelli che vietavano di nuotare e pattinare sulle acque del bacino. Edie poteva vedere benissimo il punto in cui avevano seppellito Billy LaBelle, ma sapeva che non doveva parlarne, a meno che non lo facesse Eric. «Tu sai stare zitta, e questo mi piace» le aveva detto una volta Eric. Era rimasto immusonito tutto il giorno, quindi Edie era terrorizzata al pensiero che si fosse stancato e volesse farla finita con lei e la sua faccia da pesce. Invece l'aveva lodata. Era la prima volta che qualcuno la lodava, e lei custodiva quelle parole come pietre preziose. Adesso poteva andare avanti per ore senza dire una parola. Quando le venivano dei pensieri tristi, o sen-
tiva di nuovo il dolore cocente dell'odio per il proprio viso, non faceva che accantonare tutto e ricordare quelle frasi dolci. Poteva restare in piedi accanto a lui in un silenzio assoluto, fissando un circolo di ghiaccio, ed Eric sembrava contento così. «Ho fame» disse lui alla fine. «Forse andrò a prendere qualcosa da mangiare, prima di passare da te.» «Vuoi che venga per la cena?» «Cenerò da solo.» Non gli piaceva farsi vedere da lei mentre mangiava. Era una delle sue peculiarità. «E se il nostro ospite si sveglia?» Eric le aveva insegnato a non chiamare mai gli ospiti per nome. «Dopo quello che gli hai dato? Non credo proprio.» Edie voltò le spalle al bacino artificiale per guardare oltre le colline, verso il territorio che circondava il Trout Lake. Nell'aria aleggiava la fragranza dei pini e l'odore del fuoco di legna. «Vorrei che non fossimo costretti a lavorare per vivere» mormorò lei. «Vorrei che potessimo trascorrere tutto il tempo insieme, camminando, imparando.» «Uno spreco di tempo, ecco che cosa sono i lavori, per lo più. E la gente. Cristo, come li odio. Odio quei bastardi.» «Alan, vuoi dire.» Alan era il suo capo, e gli stava sempre addosso, ordinandogli di fare cose che aveva già fatto, spiegandogli cose che già sapeva. «Non solo Alan, ma anche Carl. Frocio spocchioso. Li odio tutti. Pensano di essere perfetti, cazzo. E per quei quattro soldi che mi pagano... sono costretto a vivere in un porcile.» Edie cominciava a sentire un gran freddo, stando ferma lassù, ma non disse niente. Quando lui cominciava a parlare delle persone che odiava, sapeva che cosa stava per accadere. Ci sarebbe stato un party: era così che lo chiamava Eric. Avevano già messo sotto custodia l'ospite d'onore. Edie sentì uno sfarfallio nel petto, e tutt'a un tratto provò un bisogno impellente di andare in bagno. Si morse le labbra, trattenendo il respiro. «Penso che dovremmo accelerare un tantino i tempi» riprese Eric con aria noncurante. «Organizzare il party un po' prima del previsto. Non vogliamo che il nostro ospite si annoi, vero?» Edie espirò, silenziosamente. Macchie liquide galleggiavano agli angoli della sua visuale. Ai piedi della pista per gli slittini echeggiarono le grida felici dei ragazzi, riverberandosi in alto sulle gelide colline bianche di ne-
ve. Bump, bump, bump. Edie avrebbe voluto urlare. Avevano finito di cenare appena mezz'ora prima: che diavolo poteva volere, adesso? Bump, bump, bump. Come se quel dannato bastone me lo battesse sulla testa. Mai un momento di pace. Lavorare tutto il giorno per quel posto da niente, in quell'emporio da niente, in un paese da niente, e poi tornare a casa per sentire cosa? Bump, bump, bump. «Edith! Edith, dove sei? Ho bisogno di te!» Edie voltò le spalle al lavello, con un piatto ancora umido in mano, per gridare in direzione delle scale: «Arrivo!». Poi, in tono normale, aggiunse: «Vecchia strega». L'albero nel cortile oscillava, grattando la finestra con un dito di ghiaccio. Come le era sembrato verde e benigno quello stesso albero, pochi mesi prima! Eric era entrato nella sua vita, ed era sbocciata l'estate più verde che Edie avesse mai visto. Bump, bump, bump. Ignorando i tonfi del bastone della nonna sul soffitto, cercava di imporre con la sua volontà al ramo ghiacciato di ridiventare verde. Tutta l'estate era stata ricca di colori, satura di un milione di sfumature diverse di verde e blu, pervasa dall'estasi di conoscere Eric. Dalla nullità e dalla noia, Eric aveva creato la passione. Dal vuoto, l'eccitazione. Dall'infelicità, l'emozione. Sono un paese conquistato, aveva scritto nel suo diario. Appartengo a Eric, e spetta a lui decidere come governare. Mi ha conquistato senza colpo ferire. Quelle parole le facevano pensare a un'altra tempesta, uno splendido vortice di vento e pioggia che aveva investito la distesa grigio ferro del lago Nipissing, nello scorso mese di settembre. Avevano ucciso la piccola indiana. O meglio, era stato Eric a ucciderla, tecnicamente parlando, ma lei aveva partecipato, lo aveva aiutato a prenderla, aveva ospitato la piccola in casa sua, lo aveva guardato mentre la uccideva. «Lo vedi quello sguardo nei suoi occhi?» le aveva detto. «Non c'è niente di simile allo sguardo di chi ha paura. È il solo sguardo di cui puoi fidarti.» La ragazzina era legata alla testiera d'ottone del letto, imbavagliata con le sue stesse mutandine, sopra le quali avevano legato un foulard. Non si vedeva altro che il nasetto minuscolo, gli occhi scuri, quasi neri, dilatati in modo incredibile. Pozze profonde di terrore da cui si poteva bere a sazietà. «Puoi fare anche così» aveva detto Eric, qualche sera prima. Stavano
parlando nel soggiorno, a lume di candela, con la nonna profondamente addormentata al piano di sopra. Eric amava venire di sera da lei, per starle seduto accanto a lume di candela, senza mangiare, senza bere, soltanto parlando o condividendo lunghi silenzi. Le aveva esposto le sue idee per settimane intere, dandole da leggere dei libri. Si era proteso in avanti verso il tavolino, con la luce della candela che scolpiva i suoi lineamenti angolosi, e aveva spento la fiamma tenendola fra il pollice e l'indice. Aveva fatto proprio così: con una lieve stretta delle narici, tra il pollice e l'indice, aveva soffocato quella vita. Non era stato per nulla violento, a parte il modo in cui la ragazzina si dibatteva. Edie si era sentita cedere le ginocchia e rivoltare lo stomaco, ma Eric l'aveva sorretta, poi le aveva preparato una tazza di tè e le aveva spiegato che ci voleva del tempo per abituarsi, ma alla fine non c'era niente di più eccitante. In questo aveva ragione. La virtù era solo un'invenzione, come il limite di velocità; una convenzione che si poteva rispettare oppure no, come si riteneva più opportuno. Eric le aveva fatto capire che non c'era bisogno di essere buoni, non c'era nulla che ti costringeva a essere buono. Una scoperta come quella era adrenalina pura nel circolo sanguigno. Era stata una giornata insolitamente calda per il mese di settembre: quando la ragazzina era morta, era stato come se la stanza all'improvviso si riempisse di uccelli che cantavano con una dolcezza incredibile. Il sole penetrava dalla finestra come una pioggia d'oro. Eric sistemò il corpo in una borsa di tela che si poteva portare a tracolla, poi salirono a bordo della Windstar per raggiungere Shepard's Bay, dove lui prese in affitto una barca. Noleggiò persino delle canne da pesca, giacché la precisione e la lungimiranza erano due delle qualità che Edie ammirava di più in lui. Eric non attraversava neppure la strada senza avere prima scritto un piano d'azione dettagliato. La barca era un piccolo scafo di alluminio lungo tre metri e mezzo, con un motore Evinrude da trenta cavalli. Una volta avviato il motore, Eric lasciò il timone a Edie, sedendosi a prua vicino alla borsa di tela, con il vento che gli arruffava gli aculei di capelli. Le folate trapassavano la sottile giacca di nylon di Edie come se fosse un velo, e l'aria divenne ancora più gelida quando virò per uscire dalla baia, addentrandosi sulla distesa grigia del lago Nipissing. Le nubi si fusero in una massa cupa, e ben presto fece buio come se fosse notte. Edie si teneva vicino alla riva, e poco dopo superarono Algonquin Bay, con la cattedrale
di pietra calcarea di un bianco abbagliante sullo sfondo del cielo antracite. Vista dal lago, la città sembrava minuscola, poco più che un villaggio, ma tutt'a un tratto Edie ebbe paura che qualcuno dalla riva intuisse qualcosa di insolito nella barca, capisse che c'era qualcosa di strano nella coppia che dirigeva dritta verso la tempesta. Allora una barca si sarebbe avvicinata a loro e la polizia avrebbe ordinato di aprire la borsa di tela. Edie impresse un movimento di torsione alla manetta, e le onde cominciarono a urtare lo scafo con maggiore violenza. Eric puntò il dito verso ovest. Edie virò, lasciandosi la città alle spalle. All'orizzonte non c'era neanche una barca, in tutto quel panorama di nuvole. Eric sorrise, rivolgendole un segnale di vittoria, come se lei fosse il secondo pilota a bordo di un bombardiere in missione. Ben presto apparve l'isola, con l'imboccatura del pozzo profilata contro il cielo come un mostro marino. Edie virò in quella direzione, riducendo la potenza. Eric fece un gesto circolare e lei cominciò a girare lentamente intorno a quell'isola minuscola. Non c'era nient'altro che il pozzo della miniera; non c'era posto per nient'altro. Scrutarono le acque del lago in cerca di altre barche, senza avvistarne nemmeno una. Edie aggirò un promontorio roccioso, puntando in avanti con la prua della barca. Le onde li sballottarono ed Eric, alzandosi, dovette aggrapparsi alla battagliola, rischiando di finire fuori bordo. Con un balzo raggiunse una roccia piatta, tenendo in mano la cima da ormeggio, poi trainò la barca sulla spiaggia di ciottoli che raschiavano il fondo dello scafo. «Non mi piacciono quelle nuvole» osservò. «Facciamo alla svelta.» La borsa di tela pesava una tonnellata. «Certo che la vecchia Katie è proprio un peso morto.» «Molto divertente» osservò Edie. «Ora puoi mollarla. L'ho presa.» «Non vuoi che ti aiuti a salire lassù?» «Resta nella barca. Non ci metterò molto.» Edie seguì con gli occhi Eric che saliva barcollando il pendio con la borsa di tela. Era un bene che nessuno li avesse visti: da quella distanza era evidente che la borsa conteneva un corpo umano. La spina dorsale della ragazzina formava una curva netta sotto la tela, con i piccoli rigonfiamenti sporgenti delle vertebre. Si vedevano persino due sporgenze, nel punto in cui i talloni tendevano il tessuto, e si notava una linea dura e diritta, il piede di porco che Eric aveva messo nella borsa per forzare il lucchetto della miniera.
Le prime gocce pesanti di pioggia che caddero sulla barca risuonarono come una manciata di ghiaia in un secchio. Edie si strinse addosso la giacca di nylon. Le nuvole in cielo correvano a velocità incredibile. Le onde spumeggiavano di creste bianche. Eric se n'era andato da una decina di minuti, quando all'estremità della punta apparve un piccolo fuoribordo. Un ragazzo si alzò in piedi, agitando la mano per salutare Edie, che rispose al saluto, digrignando i denti. Vattene, maledetto. Vattene. Invece la barca continuò ad avvicinarsi. Il ragazzo si aggrappò con le mani al bordo del parabrezza per gridare: «Va tutto bene?». «Sì, ho avuto soltanto una piccola noia al motore.» La peggiore risposta possibile, e infatti Edie se ne pentì subito. Il ragazzo avvicinò la barca, avanzando a motore spento fra le rocce. «Mi lasci dare un'occhiata.» «No, non è niente. L'ho semplicemente ingolfato, tutto qui. E ora sto aspettando che ritorni a posto. Va bene, è solo ingolfato.» «Resterò nei paraggi, per ogni evenienza.» «Non ce n'è bisogno, si bagnerà tutto.» «Non fa niente. Sono già bagnato.» E se Eric usciva dagli alberi con la borsa di tela ancora a tracolla? «Quanto tempo fa ha cercato di avviarlo?» «Non lo so» rispose Edie, angosciata. «Forse dieci minuti. Un quarto d'ora. Ma va tutto bene, sul serio.» «Mi lasci provare.» Il ragazzo accostò alla barca, aggrappandosi alla battagliola di alluminio con un gran sorriso. «Non posso abbandonare una damigella nei guai.» «No, per favore. Voglio aspettare ancora un po'. Questo motore s'ingolfa facilmente.» Alle spalle del ragazzo, apparve Eric, che, vedendo il visitatore, si ritirò fra gli alberi. Il ragazzo guardava Edie sorridendo. Era un adolescente goffo, tutto foruncoli e pomo d'Adamo. «Viene dalla città?» Edie annuì. «Forse ora posso riprovare» esclamò, girandosi di scatto. Diede uno strappo al cordino, e invece di avviarsi il motore tossicchiò, sputando una nuvoletta di fumo azzurro. Con la coda dell'occhio, vide Eric spostarsi fra gli alberi per scendere verso il promontorio. Ancora un minuto, e si sarebbe trovato proprio alle spalle del ragazzo. Fra le sue mani scintillava una lunga sbarra nera. Il pie-
de di porco, viscido di pioggia. «La pressione è buona? Meglio pompare carburante dal serbatoio.» «Cosa?» Edie diede uno strappo al cordino, poi un altro. «Vede quella levetta sopra il serbatoio? Probabilmente deve pompare carburante. Vuole che lo faccia io?» Edie afferrò la leva, azionandola con energia. Sentì aumentare la resistenza, che cominciava a farle male al pollice. Diede un altro strappo, e stavolta il motore si avviò con un rombo. Rivolse un gran sorriso al ragazzo. Eric era dietro di lui, seminascosto tra i pini, a meno di venti metri. Stava già sollevando il piede di porco al di sopra della spalla. «Se vuole, posso accompagnarla, per essere sicuro che riesca ad arrivare a casa sana e salva.» «No, grazie. Preferisco fare da sola.» Il ragazzo fece rombare il motore un paio di volte. «Non resti troppo a lungo da queste parti. La tempesta potrebbe peggiorare di brutto». Si sentì un lieve suono metallico quando ingranò la retromarcia, con le onde che spumeggiavano sotto la poppa. Dopo aver puntato la prua lontano dall'isola, le rivolse un saluto solenne e se ne andò rombando in mezzo alla tempesta. Edie lanciò un'occhiata a Eric, immobile fra gli alberi come un taglialegna con il piede di porco in spalla. «Cristo» esclamò. «Credevo che non saresti mai uscito di lì.» Eric attese finché il ragazzo divenne un puntolino bianco in lontananza prima di saltare a bordo. «Cristo, ripeté Edie. «Credevo di farmela sotto.» «Non ci sarebbe voluto niente a spaccargli la testa.» Eric mollò il piede di porco, che cadde sul fondo della barca con un tonfo sonoro. «Buon per lui che non ero dell'umore giusto.» Scoppiò un tuono, e all'orizzonte lampeggiarono fulmini. Bump, bump, bump. «E va bene, vengo, per l'amor di Dio!» Salì al primo piano. La vecchia era distesa fra i cuscini. L'aria nella stanza era calda e viziata. Il televisore era acceso, ma non si vedeva l'immagine. «Che cosa vuoi?» «Quell'aggeggio è sparito. Non si vede altro che neve.» «E mi hai chiamato solo per questo? Lo sai che è sempre sul tuo letto.»
«Non è sul letto. Ho cercato dappertutto.» Edie raccolse il telecomando dal pavimento, poi lo puntò verso il televisore, premendo il tasto finché apparve un'immagine. La nonna glielo strappò di mano. «Questo è francese! Non voglio il francese!» «Che te ne importa? Tanto non c'è l'audio.» «Che cosa?» «Tanto non c'è l'audio.» «Voglio un po' di compagnia, tutto qui. Qualcuno con cui potrei parlare, se lo incontrassi.» Come se Alex Trebek potesse fermarsi a prendere il tè da lei mentre andava allo studio. Edie aprì la finestra, riempì il bicchiere d'acqua, sprimacciò i cuscini, portò su due riviste che aveva prelevato dal negozio. Oh, Eric, salvami da tutto questo. «Edie, tesoro?» Quel tono supplichevole era nauseante. «Non ho tempo. Sta per venire Eric.» «Ti prego, dolcezza. Non vuoi farlo per la tua vecchia nonnina?» «Ma se ti ho fatto i capelli appena tre giorni fa! Non posso mollare tutto solo per farti i capelli. Non è che tu debba uscire per andare a ballare.» «Che cosa? Che cosa hai detto?» «Ho detto, non è che tu esci mai di casa!» «Ti prego, tesoro. Tutti ci tengono a essere in ordine.» «Per l'amor del cielo.» «Avanti, tesoro. Guarderemo insieme Jeopardy.» La nonna armeggiò con il telecomando finché il sonoro del televisore divenne assordante. Un giornalista si stava dilungando su Todd Curry, promettendo un servizio approfondito più tardi. Il Lode aveva pubblicato il giorno prima una sua foto dei tempi della scuola, dove sembrava molto più innocente di quanto fosse in realtà. Era un affare di droga finito male, oppure c'era un serial killer in azione? Guardate Pulse News, il notiziario delle sei. Edie andò a prendere la bacinella per lavare i capelli della nonna. Erano così radi che ci volevano pochi minuti, ma lei detestava quell'odore di cane bagnato. Le mise i bigodini mentre la nonna gridava risposte sbagliate al quiz in televisione. Edie vuotò la bacinella dell'acqua sporca, e quando fu sul pianerottolo il campanello della porta suonò, facendola trasalire con tanta violenza che lasciò cadere la bacinella. Era sicura che fosse la polizia, ma quando guardò fuori della tenda, il sangue le fremette nelle vene. Quando Eric si presenta
alla mia porta, l'abisso in cui vivo diventa improvvisamente un posto quasi tollerabile, e non il pozzo buio che immagino quando lui non c'è. Tutta l'oscurità sembra un parto della mia immaginazione. Allora torno a respirare, e rinasce la speranza. All'improvviso diventa un posto vivibile, il mio pozzo senza fondo, quando sorge la luce! 19 «Devo ammettere che è tutto molto affascinante» commentò la bibliotecaria. Era pallida e grassoccia, con gli occhi azzurri e scintillanti dietro un paio di lenti che non le donavano affatto. «Non per essere morbosa, ma non c'è niente come un buon delitto per stimolare l'intelletto e mettere in moto il cervello, non le sembra?» «Qualcuno ha parlato di un omicidio?» rispose Delorme a bassa voce. «Non ho mai detto che stavo indagando su un omicidio.» «Oh, andiamo, lei e quell'altro agente siete comparsi in televisione sul quarto canale, la notte che hanno trovato la piccola Pine. Che storia orribile. E poi, quando hanno trovato il ragazzo in quella casa. No, no, agente, una cosa del genere non si dimentica. Questa non è Toronto, sa? Avete davvero collegato quei due? Certo che dà i brividi.» «Signora, non posso parlare di un'indagine in corso.» «No, no, ovvio che no. Voi poliziotti dovete tenere per voi certi dettagli, altrimenti qualunque pazzo potrebbe confessare, e chi saprebbe mai la verità? Ma in un caso del genere quale potrebbe essere il movente? Voglio dire, il ragazzo aveva sedici anni - circa sedici, mi pare abbiano detto sul Lode - ma questo vuol dire che era ancora un bambino, e che razza di mostro può uccidere un bambino? Anzi, due bambini. Il killer di Windigo, lo chiama il National Post. Santo cielo, ti gela il sangue nelle vene. Lei dovrà pure avere una teoria sulla quale lavorare, no?» La bibliotecaria, circondata da pile di Agatha Christie e Dick Francis, abituata a vivere giorno dopo giorno fra torri di libri di Erle Stanley Gardner e P.D. James, sembrava convinta che Delorme fosse uscita dalle pagine di un romanzo al solo scopo di ravvivare la sua giornata. Aveva il labbro superiore coperto da un velo sottile di sudore. «Signora, non posso discutere con lei di questo caso. Le riesce di trovare qualcosa?» L'attacco della bibliotecaria alla tastiera somigliava a uno dei delitti descritti dai suoi autori preferiti... una serie di pugnalate. «Questo sistema
non è certo il più aggiornato che esista» sibilò frustrata. «Una vera carcassa, a dirla tutta. Oh, accidenti!» Delorme la lasciò intenta a infliggere ferite futili alla tastiera per andare in cerca dei contenitori di CD. Intorno a lei, i lettori si avvicinavano e si allontanavano dagli scaffali. Da adolescente Delorme aveva trascorso molto tempo in biblioteca, anche se era notoriamente sfornita di libri francesi. Aveva preferito fare lì i compiti, in mezzo agli odori della carta stampata e al fruscio silenzioso delle pagine, anziché a casa, con la partita di hockey trasmessa a tutto volume dal televisore e il padre che incitava a gran voce gli adorati Canadiens. Naturalmente, aveva anche fantasticato molto in quella biblioteca, sognando a occhi aperti. Non vedeva l'ora di andarsene al college, anche se poi era rimasta sorpresa quando la nostalgia di casa l'aveva assalita, durante l'ultimo anno all'università di Ottawa. A volte era strano fare il poliziotto nella propria città natale - più di una volta aveva dovuto arrestare qualche ex compagno di scuola - ma la metropoli non era fatta per lei. Aveva scoperto che la gente di Ottawa era molto più gelida di qualunque tormenta potesse riservarle Algonquin Bay. La collezione di CD della biblioteca non comprendeva né i Pearl Jam né i Rolling Stones, ma riuscì a trovare l'album di Anne Murray. La copertina di plastica era macchiata e coperta da mille ditate. Lei lo infilò in una busta e tornò al banco. «Mio Dio, vuole sequestrare qualcosa? Ha trovato delle prove?» «L'album di Anne Murray. Gli altri non li ho visti.» «Qui risulta che non abbiamo gli altri due. L'album dei Pearl Jam non l'abbiamo mai avuto, e questo non mi stupisce, mentre quello dei Rolling Stones c'era, ma era tanto popolare che è stato danneggiato, o logorato o non so cosa, per cui è stato ritirato dalla circolazione...» picchiò spietatamente sulla tastiera «...due anni fa. Ora mi dica, agente, è possibile che voi altri non sappiate in che modo è morta quella bambina?» «Signora...» «Lo so, lo so. Sono troppo curiosa, per il mio bene. Comunque le ho trovato quei nomi.» Aggiustandosi gli occhiali, scrutò un foglio di carta sul quale aveva annotato le informazioni. «L'album che ha fra le mani è stato preso in prestito da Leonard Neff, Edith Soames e Colin McGrath. Si dà il caso che mi ricordi bene del signor McGrath. Si è comportato in modo indegno. Abbiamo dovuto pregarlo di uscire dai locali della biblioteca.» «Indegno in che senso? Aveva bevuto?» «Oh, senza dubbio era ubriaco, ma non ci sono scuse per oscenità di
quel genere. Per poco non chiamavo qualcuno dei suoi colleghi... Avevo addirittura la mano sospesa sulla tastiera del telefono.» «E gli altri? La signorina Soames e il signor Neff? Di loro si ricorda qualcosa?» La bibliotecaria chiuse gli occhi come per pregare, poi rispose convinta: «Niente di niente». Delorme estrasse il taccuino. «Mi servono gli indirizzi di tutti e tre.» Delorme aveva ignorato i negozi di dischi di Algonquin Bay. Nessuno degli album era recente, erano tutti e tre molto popolari, e non c'era motivo di pensare che fossero stati acquistati in città. Alla fine Cardinal aveva scartato del tutto la pista musicale, a parte l'eventualità della radio. Se Delorme avesse scoperto che tutti e tre gli album erano in possesso della biblioteca e tutti e tre erano stati dati in prestito intorno al 12 settembre alla stessa persona, forse questo avrebbe potuto significare qualcosa; ma rintracciare un solo album in biblioteca non aveva alcun peso. Dopo sei anni alle Indagini speciali, Lise Delorme sapeva riconoscere un vicolo cieco. Eppure, rintracciare il CD in biblioteca le aveva fatto battere il cuore più in fretta. Il CD era un oggetto tangibile, che poteva tenere in mano; le dava l'illusione di avere finalmente una direzione, perché portava da qualche parte, ora, e non fra una settimana. E poi, il CD della biblioteca era l'unica pista che aveva. L'indirizzo del signor Leonard Neff era un moderno villino di mattoni in Cedarvale, un quartiere agiato fatto di piccole rimesse adattate ad abitazione, cortili e piazzette disposti con sterile precisione in cima a Rayne Street. C'era una rete da hockey montata nel viale d'accesso, dove un paio di ragazzini con la felpa dei Montreal Canadiens si scambiavano colpi secchi. La Taurus parcheggiata davanti all'ingresso aveva il portasci sul tettuccio. A quanto pareva, i Neff erano una famiglia sportiva. Le finestre della casa erano moderne, munite di vetri tripli che non vibravano certo al passaggio dei camion. In ogni caso, Cedar Crescent, Cedar Mews e Cedar Place (evidentemente il consiglio municipale non intendeva sprecare energia creativa nella scelta dei nomi per le strade) non attiravano molto traffico, tanto meno camion. La seconda fermata di Delorme fu la casa dell'indegno signor McGrath, che si rivelò una piccola palazzina presso lo svincolo di Airport Road. Scendendo dalla macchina, rimase per qualche istante in ascolto. Si udiva il rombo profondo di un aereo dell'Air Ontario in fase di atterraggio. La
statale 17 era distante meno di cinquanta metri e il sibilo del traffico era ininterrotto. Una donna carica di sacchetti della spesa salì traballando i gradini dell'ingresso, affannandosi a cercare le chiavi. Delorme si affrettò a tenerle aperta la porta ed entrò nell'edificio accompagnata dalla gratitudine della donna. L'appartamento del signor McGrath era al primo piano, all'altro capo dell'edificio. Lei rimase ferma in mezzo all'atrio, in ascolto. Non si sentiva il traffico, ma soltanto i suoni che provenivano dagli altri appartamenti: un aspirapolvere, il richiamo stridulo di un pappagallo, il chiacchierio di un quiz televisivo. L'ultimo nome della lista sembrava quello di una vecchietta: Edith Soames. E va bene, lo so che è un vicolo cieco, si disse Delorme, che non esiste una sola possibilità al mondo che Todd Curry o Katie Pine siano stati uccisi da una vecchietta, ma qualche volta bisogna arrangiarsi con quello che c'è, fare un tentativo e vedere che succede. L'indirizzo dei Soames si trovava appena due isolati a est della casa in cui era cresciuta, e lei per qualche istante si abbandonò alla nostalgia. Superò l'affioramento roccioso dove, all'età di sei anni, Larry Laframboise le aveva dato un bacio con le labbra aperte. All'angolo c'era la caffetteria North Star, dove aveva sentito Thérèse Lortie, che prima era sua amica, dire che a volte Lise Delorme poteva comportarsi da vera sgualdrina. Mezzo isolato più avanti, c'era la panchina dove Geoff Girard le aveva detto che non voleva sposarla. Si rammentò il fiotto improvviso di lacrime ardenti che le avevano rigato le guance. Passò davanti alla sua vecchia casa, decisa a non guardarla, ma all'ultimo momento non resistette e rallentò. Sembrava più fatiscente che mai. Lei e Geoff avevano l'abitudine di sedersi per ore sotto quel portico malandato, tenendosi stretti sotto una coperta. Una sera il padre era uscito e aveva rincorso Geoff fin quasi ad Algonquin Avenue, mentre la sedicenne Lise lo rincorreva gridando. Era stato sotto quel portico che aveva conosciuto il sesso per la prima volta... con un altro ragazzo, non con Geoff. Forse Thérèse Lortie non aveva tutti i torti. Ebbene, suo padre ormai se n'era andato da tempo, facendo perdere le sue tracce a Moose Jaw, o chissà dove, e sua madre era morta. Geoff Girard si era sposato e aveva almeno quattordici figli biondi come l'oro, laggiù a Shepard's Bay. La casa era stata divisa da tempo in appartamenti, come quasi tutte le vecchie case dei dintorni. Quella dei Soames era in rovina, come il resto dell'isolato. La facciata di falsi mattoni rossi era annerita dal tempo e si stava scrostando intorno alle
finestre, che erano pesanti, con i doppi vetri, come si usava una volta per difendersi dal freddo. Le tornò alla memoria in un lampo l'immagine del padre, arrampicato su una scala con uno di quei vetri enormi stretto fra le mani. Quando passava qualche automezzo, vibravano. La porta si aprì e una vecchietta uscì sul portico sorretta da una donna sulla ventina, forse una nipote o un'infermiera. Avanzavano a fatica, impacciate dai pesanti cappotti e dal terrore della vecchietta di scivolare sui gradini ghiacciati. La giovane donna la teneva per il gomito, sorvegliando quei passi incerti con aria corrucciata e spazientita. Delorme scese dalla macchina, aspettandole sul marciapiede. «Scusatemi» disse, mostrando il distintivo. «Sto lavorando su una serie di furti avvenuti in questo quartiere.» Era vero che Arthur Wood aveva rubato in parecchi appartamenti della zona, ma lei si guardò bene dal precisare che era avvenuto tre anni prima. «Che c'è?» gridò la vecchia. «Che cosa sta dicendo?» «Furti!» gridò di rimando la più giovane. Rivolta a Delorme, fece una smorfia di impotenza, una smorfia che voleva dire: "Vecchi... che cosa si può fare?". «Non abbiamo avuto problemi» rispose poi. «Ha visto qualcosa di insolito? Furgoni fermi nei paraggi? Estranei che sorvegliavano la strada?» «No, non ho notato niente di strano.» «Che c'è? Che cosa dice? Dimmi che cosa dice!» «Va tutto bene, nonna! Non è niente.» Delorme rivolse loro l'avvertimento di rito, invitandole a tenere chiuse porte e finestre, e la giovane donna promise che lo avrebbero fatto. Delorme provò una fitta di pietà: un terribile eczema, o chissà quale altra malattia della pelle, le aveva deturpato il viso. Aveva la pelle ruvida come quella di un elefante, costellata di chiazze rosse che sembravano di carne viva, come se l'avessero sfregata con una paglietta di ferro. Non era brutta, ma l'aria avvilita e gli occhi, che si rifiutavano di incontrare lo sguardo altrui, lasciavano intuire che era convinta di esserlo. Era improbabile che il mondo potesse offrirle altro che quella vita di sacrifici con la vecchia nonna, e lei lo sapeva. «Che cosa dice? Dimmi che cosa dice!» «Su, nonna! Il negozio chiuderà prima che riusciamo ad arrivarci.» «Dimmi che cosa c'è! Lo sai che mi piace sapere che succede, Edie!» Quindi era la più giovane che si chiamava Edith Soames. D'altronde, visto che erano nonna e nipote, potevano anche avere lo stesso nome; non
aveva importanza. Una giovane donna solitaria aveva preso in prestito una volta dalla biblioteca pubblica uno dei dischi più popolari del paese, un disco che migliaia di persone avevano acquistato, preso in prestito o riprodotto su nastro. Non significava niente. Delorme lasciò le due donne alla loro lenta e faticosa marcia verso MacPherson Street. Sarebbe stato bello riferire al suo sospettoso collega che aveva fatto progressi; invece svoltò all'angolo, sbandando appena sulla strada ghiacciata, sicura che i progressi di quel giorno fossero pari a zero. 20 Eric Fraser aprì lo sportellino laterale della videocamera Sony nuova di zecca appena caduta dal camion, inserì una cassetta vergine, estratta da una confezione da tre - omaggio del discount musicale Future Shop - e lo richiuse con uno scatto. Poi ordinò a Edie di comportarsi in modo naturale, fingendo che lui non ci fosse, ma questo non fece che renderla più nervosa. «Perché vuoi riprendermi mentre lavo i piatti?» protestò. «Non puoi aspettare che faccia qualcosa di più interessante?» Stava sfregando con energia il fondo di una casseruola. «Non mi sono neppure spazzolata i capelli!» Come se spazzolarsi i capelli potesse fare qualche differenza, per lei. Eric voleva provare la videocamera prima di utilizzarla sul campo. Sul set, per così dire. L'ultimo video era risultato di pessima qualità: la videocamera schifosa che era stato costretto a usare lo aveva quasi rovinato del tutto. Aprì l'obiettivo al massimo, inquadrando Edie, gli armadietti, persino la porta di servizio con il vetro incrinato e la vista di quell'albero rachitico carico di neve. Non si poteva negare che i giapponesi fossero imbattibili in fatto di videocamere; l'obiettivo era di prima classe. Anche il sonoro doveva essere buono, aveva letto Eric nel dépliant illustrativo. Edie strofinava un bicchiere con la spugnetta, producendo un risucchio esagerato che ispirò a Eric l'impulso di colpirla. A volte non so perché mi prendo tanto disturbo, disse a se stesso, giuro che non lo so. Era il commento ininterrotto che Eric Fraser si portava dietro da una vita. Eppure era difficile resistere all'adorazione che Edie provava per lui. Non aveva mai sperimentato niente di simile. E se anche non aveva l'aspetto che lui avrebbe voluto, ebbene, si disse, non devo nemmeno pensare a lei come a una donna. Devo considerarla come un animale domestico, una specie di rettile.
«Eric, ne abbiamo già parlato quando abbiamo ripreso... lo sai. Quando abbiamo ripreso...» «Todd Curry con il cervello spappolato. Sono soltanto parole, Edie. Puoi anche pronunciarle.» La detestava, quando diventava ipocrita. «Non possiamo filmare questa roba.» «Roba. Quale roba? Dillo, Edie. Dillo.» «Credevo che fossimo d'accordo che è un modo sicuro per farsi beccare. Ne abbiamo parlato. Credevo che fossimo d'accordo.» «Quale roba, Edie? Se puoi farlo, puoi anche dirlo. Quale roba? Pronuncia quelle parole. Se ti metti a fare l'ipocrita, non ti rivolgerò mai più la parola.» «Roba come Todd Curry che muore con il cervello spappolato. Roba come Katie Pine che viene soffocata. Come Billy LaBelle. Ecco, sei soddisfatto?» «Non abbiamo filmato Billy LaBelle, grazie a te che lo hai lasciato morire soffocato dal bavaglio.» «Non vedo perché dovrebbe essere colpa mia. Sei stato tu a legarlo.» Eric lasciò correre. Il viso di Edie, con quella strana pelle maculata, era diventato rosso come un pomodoro. Era così eccitante sentirla pronunciare quelle parole. Soffocata. Spappolato. Eric decise di crogiolarsi per qualche istante in quei suoni prima di riprendere a parlare. «Gli esseri umani vogliono vedere la violenza, Edie. Hanno bisogno di vedere la violenza, lo hanno sempre avuto. Proprio come hanno sempre avuto bisogno di infliggerla.» Infliggere. Fece roteare nella mente quel bel suono liquido. Infliggere. «Non possiamo continuare a usare la videocamera, Eric. E certamente non puoi mostrare la cassetta a nessuno. È una pazzia.» Infliggere. Infliggere. Era così bella e liquida sulla lingua, quella parola, che Eric non riusciva a smettere di ripeterla, dentro di sé. «Fino a quando potremo tenere i filmati di questa roba... di questi party? È troppo rischioso.» Ora Eric stava aprendo la videocamera per estrarre la cassetta. C'era l'attacco per inserire il microfono stereofonico, i suoi pensieri deviarono verso la musica. Quale poteva essere l'accompagnamento giusto? Heavy metal? Qualcosa di elettronico? La voce di Edie lo riscosse dalle sue fantasticherie. «Ieri è venuto qui un poliziotto. Una donna poliziotto.»
Eric alzò la testa. Si disse che non c'era bisogno di lasciarsi prendere dal panico, probabilmente non era niente. «Ha parcheggiato la macchina qui di fronte e ha detto che c'era stata una serie di furti.» Le varie possibilità saettarono nella mente di Eric. Avevano commesso qualche errore marchiano? Era possibile che i poliziotti sapessero qualche cosa di loro? No, non c'era motivo che sospettassero di niente. Lo spiegò a Edie con il suo tono più calmo e più razionale. Algonquin Bay... Quanto potevano essere intelligenti i poliziotti di un buco pieno di neve come Algonquin Bay? «Ho avuto paura, Eric. Non voglio andare in prigione.» «E non ci andrai.» Eric non era in vena di parlare, ma non voleva che Edie si tirasse indietro e si accorse che lei aveva bisogno di essere rassicurata. Era abbastanza facile. Edie era come il menu della segreteria telefonica: bastava premere il pulsante giusto. Per tranquillizzare i nervi tesi, premere 1. «Se i poliziotti ci stessero davvero sorvegliando» le disse in tono pacato «non ti avrebbe mai rivolto la parola. È chiaro che, se la donna poliziotto sospettasse di qualcosa, si guarderebbe bene dal fartelo capire. La spiegazione più logica è che stava controllando davvero quei furti, come ha detto. Non c'è motivo di preoccuparsi.» Eric non le faceva un discorso così lungo da tre settimane. Edie cominciava già a reagire. Stava ancora in piedi davanti al lavandino, di spalle, ma si vedeva che cominciava a rilassarsi. «Davvero, Eric? Lo pensi davvero?» «Non lo penso, lo so.» Vide i muscoli di Edie rilassarsi nel sentire il tono sicuro della sua voce. Era sicuro, no? L'arrivo di un poliziotto nel quartiere era... be', certo poteva essere un po' preoccupante, ma sarebbe servito a renderlo più prudente e più attento. Prima della scoperta del corpo di Katie Pine, i poliziotti erano stati per lui figure astratte, le sagome nere dell'incubo. Poi erano apparse alla televisione, assumendo forma umana. E con il ritrovamento di Todd Curry erano diventate addirittura familiari, almeno quell'agente investigativo, quello alto con la faccia triste. La televisione aveva contribuito a rendere familiare anche l'assassino di Windigo. Persino Eric aveva quasi finito per credere in quell'assassino mitico. Lo immaginava vagamente come una creatura anonima di mezza età, un portinaio, diciamo, o un funzionario di mezza tacca che si appostava nei parchi per rapire i bambini. Di certo non pensava a se stesso come l'assas-
sino di Windigo. Quelle erano soltanto chiacchiere per la televisione, giornalisti imbranati che raccontavano storie di fantasmi. Invece, i poliziotti erano diventati creature in carne e ossa. Carne e ossa che aspettavano fuori, sotto la neve. Aspettavano lui. Facessero pure. Questo lo avrebbe soltanto reso più forte. «Preferisco morire che andare in prigione» stava dicendo Edie. «Là dentro non resisterei neanche un giorno.» «Nessuno andrà in prigione» la rassicurò Eric. Questa donna poliziotto non c'entrava niente con loro. Puntò la camera su Edie, azionando lo zoom fin quando il naso e lo zigomo riempirono tutto il suo campo visivo. Cristo, che reginetta di bellezza. Ma è proprio questa la forza nascosta della mia Edie: è così disgustata da quello che vede nello specchio che questo la rende leale. Il controllo completo di un altro essere umano non era un risultato disprezzabile, anche se si trattava soltanto di Edie. Per ottenere una pavida acquiescenza, premere 2. «Non comincerai a diventare debole anche tu» le chiese in tono noncurante «come tutte quelle nullità là fuori? Credevo che tu fossi diversa, Edie, ma forse mi sbagliavo.» «Oh, non dire così, Eric. Lo sai che ti sarò sempre fedele. Resterò con te qualunque cosa accada.» «Credevo che avessi fegato, spina dorsale. Ma ora comincio ad avere dubbi.» «Ti prego, Eric, non perdere la fiducia in me. Non sono forte come te.» «Non ti comporti come se mi giudicassi forte. Credi che non possa essere diverso solo perché sono costretto a vivere in un immondezzaio? Io sono diverso, Edie. Sono straordinario, cazzo. E sarà bene che lo sia anche tu, francamente, perché non ho tempo da perdere con le nullità.» «Sarò forte, lo prometto. È solo che a volte dimentico quanto...» Rimasero immobili tutt'e due, tendendo l'orecchio. Si sentiva una serie di tonfi. La vecchia che picchiava con il bastone sul pavimento. Edie era impallidita. «Pensavo che fosse Keith» ammise. «Forse non è una grande idea, tenerlo qui. È pericoloso, non credi?» «Non chiamarlo per nome. Quante volte devo dirtelo?» «Il nostro ospite, allora. Non credi che sia pericoloso?» Eric era stanco di rassicurarla. Prese la videocamera e scese nel seminterrato, fino alla porta che si apriva vicino al locale della caldaia. Prendendo di tasca una chiave, tolse il lucchetto ed entrò in una stanzetta umida. Su un letto giaceva Keith London, immerso nel sonno. Era una stanza perfettamente quadrata, costruita da un precedente pro-
prietario della casa che l'aveva affittata agli studenti del college vicino. Keith London era steso supino, con la bocca aperta e una mano stretta sulla coperta per tenerla accostata al petto, mentre l'altra pendeva dalla sponda del letto, come se fosse un morto riverso nella vasca da bagno. Sulla parete, in alto, c'era una finestrella minuscola che Eric aveva sbarrato con assi di legno, lasciando filtrare soltanto qualche lama di luce. Le pareti erano ricoperte di pannelli di legno di qualità scadente. Accese le luci. La figura sul letto non si mosse. Eric controllò i bordi della finestra, lo stipite della porta, le possibili vie di fuga, anche se era evidente che il suo ospite non si era mai alzato dal letto. Anche senza contare il party, quel ragazzo si era rivelato un colpo fortunato. Nel portafoglio c'erano trecento dollari, e quando lo avevano portato alla stazione degli autobus aveva recuperato dall'armadietto dei bagagli una splendida chitarra Ovation. Eric guardò la stanza attraverso l'obiettivo senza aver inserito la cassetta. Fece zumare l'obiettivo al massimo, puntandolo sul viso dell'adolescente. Sul mento cominciava a spuntare un'ombra di barba irregolare. Nella cavità della bocca aperta brillava il piombo di un'otturazione, e sotto le palpebre gli occhi nascosti si muovevano a scatti, immersi in un sogno. Canticchiando fra sé, Eric si protese per tirare l'angolo della coperta che Keith teneva in mano. Gliel'abbassò fino alle ginocchia, guardando attraverso l'obiettivo il petto glabro, il ventre liscio e pallido, per concentrarsi poi sul pene, piccolo e floscio. Quando sentì Edie scendere i gradini della scala, risollevò la coperta fino al mento di Keith. «Ancora fuori combattimento» osservò Edie. «Quella roba è davvero forte.» Si chinò sul letto. «Ehi, genio! Alzati e sorridi! Sorgi e splendi!» Eric le porse la videocamera e lei regolò l'obiettivo, mettendo l'immagine a fuoco. «Ha un'aria così buffa» commentò. «Sembra così stupido.» Più tardi, Edie scrisse nel diario: Scommetto che è questo l'aspetto che abbiamo agli occhi degli angeli e dei demoni. Loro vedono tutto ciò che facciamo di male, vedono tutte le nostre debolezze. Noi siamo lì, del tutto inerti, immersi nei nostri dolci sogni, e per tutto il tempo questi esseri soprannaturali aleggiano sopra il letto, ridendo di noi, aspettando solo il momento giusto per sgonfiare il nostro palloncino. Lui non lo sa ancora, ma questo ragazzo voglio vederlo sudare sangue. 21
Forse perché era stato educato alla fede cattolica, l'idea di abitare in Madonna Road aveva sempre solleticato la fantasia di Cardinal. Era un nome che veniva spontaneo associare alla misericordia, alla purezza e all'amore. La Madonna era la madre sopravvissuta al dolore di vedere il figlio ucciso sotto i suoi occhi, la donna che era stata accolta fisicamente in cielo, la santa che intercedeva per i peccatori presso un Dio che, diciamolo francamente, poteva rivelarsi un osso duro. Ormai quelle associazioni di idee erano un po' sbiadite; era arrivata una pop star a sostituire la misericordia con il commercio, la purezza con la volgarità e l'amore con il desiderio carnale... Comunque, Madonna Road era ancora una via tranquilla, una strada stretta che descriveva una curva lungo la sponda occidentale del Trout Lake, dove le betulle crepitavano al gelo e la neve scivolava in silenzio dai rami. Cardinal aveva smesso da tempo di andare a messa, ma aveva conservato l'abitudine di farsi spesso l'esame di coscienza e di sentirsi in colpa. Del resto era abbastanza onesto da ammettere che quelle abitudini, per lo più, servivano soltanto a renderlo nevrotico, anziché buono. In quel momento aveva motivo di pensarlo: la minuscola casa di Madonna Road, ben lungi dall'essere comoda, era fredda come una ghiacciaia. "Cottage in riva al lago, coibentato" diceva l'annuncio. Ma quando la temperatura calava, l'unico modo per conservare un po' di calore in casa era accendere tanto il caminetto quanto la stufa a legna, facendoli andare al massimo. Cardinal indossava pantaloni di velluto a coste e camicia di flanella a quadri sopra i mutandoni lunghi di lana, ma aveva ancora freddo, tanto che dovette avvolgersi in un accappatoio di ciniglia e, per quanto sorseggiasse un caffè bollente, aveva le mani intirizzite. Aveva impiegato dieci minuti per riempire il bollitore, ora che i tubi erano gelati. In quel tratto tutt'altro che misericordioso di Madonna Road, il vento soffiava sferzante dal lago e batteva alle finestre, chiuse da tripli vetri costosissimi e del tutto inutili. La superficie del lago era così bianca che faceva lacrimare gli occhi. Cardinal chiuse le tende nel tentativo di creare una barriera isolante. Chissà dove, oltre il lago gelato, magari nel bel mezzo della città, il killer stava vivendo una giornata come tutte le altre. Forse anche luì si godeva una tazza di caffè, mentre Katie Pine era morta e sua madre era in lutto, mentre Billy LaBelle era sepolto chissà dove e Todd Curry era sul tavolo delle autopsie a Toronto. Forse il killer stava ascoltando un disco - Anne Murray, o chi altro? - o camminava in mezzo alla neve abbagliante con la macchina fotografica a tracolla. Cardinal prese un appunto mentale per ricordarsi di
controllare il circolo cittadino degli appassionati di fotografia, se esisteva. Se il killer aveva scattato le foto di Katie Pine, non poteva certo farle sviluppare al drugstore; avrebbe dovuto farlo da solo. Un individuo del genere poteva appartenere a un circolo di appassionati. La pista delle macchine fotografiche lo fece pensare a Catherine. Uno dei lati peggiori della sua malattia era che la privava di ogni energia creativa. Quando lei stava bene, la casa era sempre piena di fotografie in vari stadi di realizzazione e lei entrava e usciva, carica di apparecchi, eccitata per uno dei suoi tanti progetti. Poi arrivava la malattia, e le macchine fotografiche erano le prime a sparire, gettate come zavorra da una nave che affonda. Le aveva telefonato prima di colazione, e gli era sembrata di buon umore. Si era concesso perfino di pensare che presto sarebbe potuta tornare a casa. Ma ora il telefono lo aspettava, chiuso nel silenzio implacabile di un boia. Dopo una lunga notte insonne, aveva deciso di chiamare Kelly per dirle che a partire dal trimestre successivo doveva trovarsi un'altra università più economica; i giorni a Yale erano finiti. In fondo aveva preso il diploma del college a York; non c'era motivo per cui non potesse tornarci. Fin da quando aveva preso quel denaro, il senso di colpa aveva cominciato a tormentarlo. Non si trattava tanto della prospettiva di essere smascherato da Delorme, che gli sembrava molto improbabile, ma del fatto che l'acido della colpa aveva corroso gli strati di finzione, un mese dopo l'altro, un anno dopo l'altro, e lui non riusciva più a sopportarlo. La cosa peggiore era sapere di non essere il marito che Catherine amava, il padre che Kelly amava. Entrambe avevano in comune questa falsa idea su di lui: lo giudicavano buono. Anche se il reato che aveva commesso poteva non avere vittime - in prospettiva, chi avrebbe trovato da ridire se Cardinal, in un momento di debolezza, aveva alleggerito un criminale di una grossa somma? - ormai erano anni che lui era un'entità ignota per le persone che amava, un perfetto sconosciuto. Kelly rispettava il padre e il poliziotto che lui era stato un tempo. Il senso di solitudine che Cardinal provava a non essere conosciuto per quello che era gli stava diventando intollerabile. E così aveva deciso di chiamarla per spiegarle quello che aveva fatto, dicendole che non poteva permettersi di mantenerla a Yale. Cristo, la ragazza aveva un quoziente di intelligenza di 140: non poteva immaginarselo da sola? Come poteva un poliziotto di una piccola città canadese mandare la figlia a Yale? Si era bevuta davvero la storia che i soldi provenivano dalla
vendita della casa dei nonni? E Catherine? La capacità di credere alle proprie fantasie doveva essere una caratteristica di famiglia. E va bene, glielo avrebbe detto, le avrebbe lasciato completare il semestre e poi, dopo aver sistemato quella bazzecola di inchiodare l'assassino di Katie Pine, Billy LaBelle e Todd Curry, avrebbe reso piena confessione a Dyson e al capo. Avrebbe perso il lavoro, ma era improbabile che lo mandassero in carcere. Sollevò il telefono per chiamare Kelly negli Stati Uniti. Rispose una delle sue compagne di stanza - Cleo? Barbara? non riusciva a distinguerle che gridò a Kelly di venire a rispondere. «Ciao, paparino.» Quando ha cominciato a chiamarmi così? si chiese Cardinal. Erano passati attraverso una breve fase di "babbo" che lui mal sopportava, poi erano tornati al solito "papà" ma di recente era diventato «paparino». Doveva essere un'abitudine assimilata dagli americani, decise, come certi giri di frase o il modo di pronunciare alcune parole; ma almeno quello era un vezzo americano che gli piaceva. «Ciao, Kelly. Come vanno gli studi?» Così, piatto e banale. Perché non riesco a chiamarla principessa o zuccherino, come fanno i padri alla tv? Come mai non riesco a dirle che la casa è più fredda senza di lei, senza Catherine? Perché non dirle che questa casa minuscola tutt'a un tratto sembra immensa come un aeroporto? «Sto lavorando a un progetto fantastico per il corso di pittura, paparino. Dale mi ha fatto capire che lavoro meglio su grande scala, non su quelle piccole tele nelle quali mi sono sempre impantanata. È come una liberazione. Non so dirti che sensazione magnifica si prova. Il mio lavoro è migliorato cento volte.» «Si direbbe una bella notizia, Kelly. Sembra che tu stia bene.» Ecco che cosa le diceva, mentre quello che pensava era: "Dio, mi commuove tanto sentire che sei felice, sapere che cresci e che la tua vita è piena e positiva". Kelly continuò a chiacchierare, spiegandogli che finalmente stava imparando a dominare il colore, e in un altro momento Cardinal si sarebbe beato del suo entusiasmo. Durante quella lunga notte insonne si era alzato per raggiungere la soglia della camera da letto di Kelly e fissare il lettino stretto in cui aveva dormito per una settimana, raccogliere il tascabile che aveva letto, solo per toccare qualcosa che sua figlia aveva toccato prima di lui. Anche in quel momento era sulla soglia, con il cordless incastrato fra la spalla e il mento. La stanza era verniciata di un bel giallo chiaro, con un'ampia finestra che guardava sulle betulle, ma non era mai stata veramente la camera di Kelly. Catherine e lui si erano trasferiti in Madonna
Road dopo che lei era andata al college, e quella stanza era soltanto un posto dove abitava quando veniva a trovarli. Ora un padre da telefilm le avrebbe confidato che aveva preso in mano il suo libro solo per toccare qualcosa che era stato fra le sue mani, ma Cardinal non avrebbe mai potuto dire una cosa del genere. «C'è una cosa che devo dirti, però. Alcune di noi stanno progettando un viaggetto a New York per la settimana prossima. È l'ultima settimana della mostra di Francis Bacon, ed è una di quelle che dovrei vedere. Ma come sai non avevo messo in preventivo dei soldi per i viaggi, e questo costerebbe circa duecento dollari, calcolando i pasti, la benzina e tutto il resto.» «Dollari americani?» «Eh, sì. Duecento dollari americani. È troppo, non è vero?» «Be', non so. Fino a che punto è importante, Kelly?» «Se pensi che sia troppo, non ci andrò. Mi dispiace, non avrei dovuto parlartene.» «No, no, va tutto bene. Se è importante.» «Lo so che i miei studi ti costano un patrimonio. Cerco davvero di risparmiare, paparino, quando posso. Voglio dire, non puoi neanche immaginare a quante cose rinuncio.» «Lo so. D'accordo, ti manderò un vaglia con i soldi oggi stesso.» «Sei sicuro?» «Va tutto bene. Ma il prossimo anno dovremo cambiare sistema, Kelly.» «Oh, il prossimo anno sarà davvero diverso. Voglio dire, avrò finito tutti i corsi e dovrò soltanto realizzare il progetto finale: due o tre tele per la mostra collettiva, a seconda di quanto Dale pensa che debba fare. Il prossimo anno potrò cercarmi un lavoro part-time. Mi spiace che sia tutto così costoso, paparino. A volte mi domando come fai. Spero che tu sappia quanto ti sono riconoscente.» «Non pensarci.» «Spero che un giorno farò fortuna con i miei quadri, così potrò ripagarti, almeno in parte.» «Sul serio, Kelly, non devi neanche pensarci.» Il telefono scivolava fra le mani sudate di Cardinal, e il cuore gli martellava le costole. La gratitudine di Kelly lo aveva smontato. In fondo alla sua coscienza una porta si chiuse con un lieve scatto, un chiavistello la sprangò e sulla finestrella comparve un cartello in disuso da tempo: CHIUSO FINO A NUOVO ORDINE. «Sembri un po' teso, paparino. Il lavoro ti fa dannare?»
«Be', la stampa ci ha presi di mira. Ho la sensazione che non saranno contenti finché non faremo intervenire l'aviazione militare. Non sto facendo progressi come vorrei.» «Li farai.» Si salutarono scambiandosi notizie sul clima: quello di Kelly, caldo, assolato e misurato in gradi Fahrenheit, il suo, invece, luminoso, gelido e misurato in gradi centigradi sotto zero. Cardinal lanciò il telefono sul divano, restando immobile al centro del soggiorno come un uomo che ha appena ricevuto una notizia terribile. In quel momento, sentì un rumore all'esterno. Impiegò qualche istante per capire che cos'era, poi attraversò di colpo la cucina per spalancare la porta di servizio, gridando: «Fila via, piccolo roditore!». Vide i quarti posteriori grassocci del procione dimenarsi mentre scivolava nell'intercapedine sotto la casa. In quella stagione, normalmente, i procioni erano in letargo, ma il pavimento della casa di Cardinal lasciava filtrare il calore, un calore sufficiente per disorientare l'animale e fargli credere che non fosse inverno. La prima volta che Cardinal aveva visto quel muso dalla mascherina scura, il procione stava esaminando una mezza mela che teneva fra le zampette nere. Ora veniva fuori due o tre volte la settimana per rovesciare i bidoni dell'immondizia nel garage e frugare tra la spazzatura in cerca di rifiuti commestibili. Inferocito e tremante di freddo, Cardinal raccolse gli involucri di plastica, il contenitore di ciambelle ormai vuoto, l'osso di pollo ben spolpato, che erano sparsi sul pavimento del garage. Rientrò in casa appena in tempo per sentire lo squillo del telefono. Ci vollero tre squilli per fargli ricordare dove aveva lasciato l'apparecchio. Lo raccolse dai cuscini del divano proprio mentre Delorme stava per rinunciare. «Oh» gli disse «pensavo che fossi già uscito.» «Stavo per farlo. Che cosa c'è di nuovo?» «Quel tizio della CBC ci ha restituito il nastro, insieme con una versione digitale. La versione potenziata?» Il tono lievemente interrogativo delle finali franco-canadesi di Delorme non gli era mai sembrato tanto piacevole. «Lo hai già ascoltato?» «No, è arrivato proprio adesso.» «Vengo subito.» 22
Keith London si mise a sedere sul letto, stordito. La stanza nella quale si trovava non gli era familiare, e si domandò se fosse dovuto anche al fatto che sembrava girare lentamente su se stessa, come una giostra che sta per fermarsi. Quando si fermò davvero e lui riuscì a mettere a fuoco lo sguardo, vide quattro pareti coperte di pannelli di legno a buon mercato, deformati e macchiati dall'umidità. C'era una sedia sbilenca, in bilico su tre gambe, con i braccioli deturpati da bruciature di sigaretta. Sul pavimento, una piccola stufa elettrica ronzava a intermittenza come se dentro fosse rimasto intrappolato un insetto. In alto, una lampadina fioca pulsava dentro una plafoniera da poco prezzo, mentre su una parete era appeso un poster arricciato della soprelevata di Vancouver. La minuscola finestra era chiusa dall'esterno con assi di legno. L'aria era satura dell'odore di gasolio da riscaldamento, muffa e cemento umido. Poi cominciò a ricordare: era andato a ritirare i bagagli alla stazione dell'autobus mentre Edie ed Eric lo aspettavano fuori. Ricordava di essere salito a bordo di una piccola automobile insieme a loro e di aver bevuto una birra nella loro cucina, ma non riusciva a ricordare di essere andato a letto, o di essersi spogliato. Dopo la birra, niente. Si sentiva le membra gonfie ed esauste, come se avesse dormito troppo. Sfregandosi il viso con le mani, sentì la pelle gommosa e stranamente calda. L'orologio da polso, che evidentemente aveva dimenticato di togliersi nella fretta di spogliarsi, segnava le tre. Il bisogno di urinare era impellente. Per quanto la superficie della stanza non potesse misurare più di otto metri quadri, c'erano due porte. Sedendosi sulla sponda del letto, Keith posò i piedi sul pavimento gelido. Restò così a lungo, e si sarebbe addormentato di nuovo se il bisogno di andare in bagno non fosse stato così forte. S'impose di alzarsi in piedi, appoggiandosi alla parete per mantenere l'equilibrio. La prima porta che provò era chiusa a chiave, o comunque bloccata, mentre la seconda, per fortuna, si apriva sul bagno, con i sanitari quasi miniaturizzati per starci in quel vano minuscolo. Tornando a passi incerti verso il letto, scorse la custodia della chitarra appoggiata alla parete in un angolo. Ebbe appena il tempo di notare che la sua borsa di tela e i vestiti non si vedevano da nessuna parte, che precipitò a capofitto in un pozzo buio di incoscienza. Quando si svegliò - erano passate ore? giorni? - Eric Fraser era seduto sul letto, con un gran sorriso stampato in faccia. «Lazzaro risorge» osservò a bassa voce.
Keith si sollevò a fatica, appoggiando la schiena alla testiera del letto. Si rendeva conto che il suo corpo pencolava di lato, ma non aveva la forza di raddrizzarsi. Aveva la bocca e la gola inaridite; quando tentò di parlare, la sua voce era ridotta a un gracidio fioco. «Per quanto tempo ho dormito?» Eric sollevò due dita, tenendole così vicine al viso di Keith che lui non poté metterle a fuoco. Gli sembravano tre. «Due giorni interi?» Com'era possibile? Keith non ricordava di avere mai dormito così a lungo. Un paio di volte, nei primi anni dell'adolescenza, aveva dormito per sedici ore di seguito, e una volta, quando aveva la febbre alta, era rimasto incosciente per venti ore. Ma due giorni? Se ho dormito davvero due giorni, devo essere malato, molto malato. Le persone sane non dormono due giorni: questo si chiama coma. Keith stava per esprimere alcuni di quei timori, quando Eric glielo impedì, posandogli sulla fronte una mano gelida e assumendo un'espressione pensierosa. «Ieri avevi la febbre a trentanove e mezzo. Te l'ha misurata Edie, con il termometro sotto l'ascella.» «Dove sono i miei vestiti? Dovrei andare da un medico.» «Edie te li sta lavando. Hai vomitato.» «Davvero? Dev'essere stato orribile.» Keith si massaggiò la gola che bruciava. «C'è un po' d'acqua?» «In bagno» rispose Eric, indicando una porticina. «Ma è meglio che tu beva un sorso di questa.» Gli porse un boccale fumante. «È una tisana. Edie l'ha portata a casa dal drugstore. Non preoccuparti, Edie è una farmacista.» Dal boccale salivano aromi di miele e limone. Keith ne bevve un sorso, scottandosi la lingua. Era un rimedio per l'influenza, probabilmente niente di più che Tylenol e un antistaminico, ma era piacevole mandarlo giù. E dopo qualche sorso Keith si sentì meglio. La nebbia cominciava a diradarsi. Indicò la Polaroid appesa al collo di Eric. «E quella a che serve?» «Foto di prova. Edie e io siamo molto interessati alla produzione di filmati. È uno dei motivi per cui ti abbiamo notato. Speravamo che volessi comparire nei nostri film.» «Che genere di film?» «A budget ridotto. Sperimentali. Poetici. Te lo volevo chiedere l'altra sera, ma temevo che fosse... poco appropriato.» «Va benissimo, sarei felice di aiutarvi.» Keith scivolò di nuovo sotto le coperte, raggomitolandosi. Dormire gli sembrava di nuovo un'ottima idea. Eric tenne sollevato un quotidiano. «L'Algonquin Lode, noi lo chiamia-
mo Cazzate con Lode» spiegò, sfogliando rumorosamente le pagine. Si schiarì la gola e cominciò a leggere lentamente, scandendo bene le parole. «Qualche ora fa la polizia di Algonquin Bay è accorsa in forze all'angolo fra Timothy e Main Street, dove, nella carbonaia di una casa disabitata, è stato rinvenuto il corpo di un individuo non identificato, apparentemente assassinato. Gli investigatori non hanno escluso la possibilità che il delitto sia opera della stessa persona che nello scorso mese di settembre ha assassinato Katie Pine. «Secondo l'agente investigativo John Cardinal, la vittima è stata percossa selvaggiamente, riportando lesioni multiple al viso, e i genitali sono stati bersaglio di calci così violenti da rimanere praticamente staccati dal corpo.» «Cristo santo» mormorò Keith. «Ed è successo qui?» «È successo qui ad Algonquin Bay. Non lontano da questa stanza.» «Cristo» ripeté Keith. «Immagina essere picchiati a quel modo. Non sembra una delle solite risse da bar.» «Be', non affrettiamo troppo il giudizio. Qui non dice com'era la vittima. Forse è stato lui a cominciare. Forse il mondo senza di lui è un posto migliore. Io non sento la sua mancanza. E tu?» «Nessuno merita di morire in quel modo, qualunque cosa abbia fatto.» «Tu hai il cuore tenero. Edie sceglie sempre tipi così. La tua ragazza ne sarà felice. Come hai detto che si chiama?» «Karen. Be', non so. Karen sarebbe più felice se io avessi le idee un po' più chiare sul futuro. In questo momento ce l'ha con me.» «Parlami delle abitudini sessuali di Toronto... Mi risulta che il sesso orale va alla grande. Karen ne è una praticante devota?» «Cristo, Eric.» Keith stava scivolando tra i flutti del sonno, caldi come il sangue. Farò soltanto un pisolino, assicurò a se stesso, poi me ne andrò al più presto da qui. «Non ho potuto fare a meno di notare il tuo pene, quando ti abbiamo spogliato. Un bel paio di palle, anche. Karen è una ragazza fortunata.» Keith avrebbe voluto dirgli di piantarla, ma non riuscì a trasmettere il messaggio dal cervello alla lingua. Quella tisana al miele e limone lo aveva proprio steso. Eric posò la mano sul ginocchio di Keith, stringendolo con forza. «La gente non sa a quali spettacoli terribili ho assistito... lo stupro, l'abuso sessuale. Ho passato momenti difficili, Keith, e questo a volte mi rende un po'... irrequieto. Ti piacerebbe che ti accarezzassi i genitali?»
Keith tentò di mettere lo sguardo a fuoco. Dio, che cosa c'era in quella tisana? Il tempo passò. Cinque minuti, forse venti. Eric gli rimboccò le coperte sotto il mento. «Sono eccitato all'idea di questo film, Keith. E anche Edie. Sei proprio l'ideale per la parte. Hai detto che ti piace fare esperienze. Questo film sarà un'esperienza nuova.» Keith riuscì finalmente a usare la lingua. «Che cosa mi succede? Non posso muovermi.» Stava sprofondando, scivolando di nuovo nell'oblio, quindi non poteva essere certo di non averlo immaginato, ma Eric Fraser si chinò per baciarlo sulla fronte. Poi sussurrò: «Lo so». 23 «Dimmi che sono stata brava, Cardinal. C'è questo nastro, qui, e io non l'ho neanche toccato. Tu non avresti aspettato: a quest'ora lo avresti ascoltato già cinque volte.» «È un difetto del mio carattere» ammise lui, battendo gli scarponi sul pavimento per liberarli dalla neve. «Len Weisman non ha ancora chiamato?» «No. Avevo la sensazione che preferissi non assillarlo troppo.» «Sono già due giorni, però. Quanto tempo ci vuole per confrontare le impronte dentarie?» Delorme si strinse nelle spalle. Tutt'a un tratto Cardinal notò i suoi seni e si accorse di arrossire. Buon Dio, si rimproverò, Catherine è ricoverata in ospedale. Inoltre, l'agente Lise Delorme può anche avere una figura splendida e un bel viso, ma sta cercando di incastrarmi, e non intendo cedere all'attrazione per lei. Se fossi più forte, questo non succederebbe. Delorme gli consegnò un plico postale delle dimensioni di una scatola da scarpe. Dentro, avvolta in un foglio di plastica a bolle, c'era una cassetta nuova di zecca. Qualcuno aveva scritto con un pennarello blu sull'etichetta della CBC: "Potenziata in digitale". «Mi sono fatta prestare il walkman da Flower» aggiunse Delorme. «Ci sono due paia di cuffie.» Gliene porse una e inserirono entrambi lo spinotto per ascoltare il nastro. Cardinal sgomberò un angolo della scrivania di Delorme e si sedette, reggendo con la mano il filo che li teneva legati come due gemelli siamesi uniti per l'orecchio. Fece partire il nastro, guardando dalla finestra uno spazzaneve che sollevava un'ondata di neve soffice. Poi premette subito il
tasto di arresto. «Ora è molto più nitido. Prima quel jet non si sentiva affatto.» «Pensi che possa essere dalle parti di Airport Drive?» Quando Delorme era eccitata, il suo viso si animava in modo incredibile, e Cardinal riusciva a intravedere la bambina che era stata. Per un attimo fuggevole pensò che poteva sbagliarsi: forse lei aveva lasciato davvero le Indagini speciali e non stava indagando su di lui. Poi tornò alla realtà dell'orrore inciso su quel nastro. Il sibilo era scomparso. Quando i vetri della finestra vibravano, era come se potessi spostarti in quella stanza remota per andare a chiudere meglio la finestra. I passi del killer risuonavano secchi come colpi di pistola. E il terrore della bambina... ecco, quello era apparso evidente fin dalla prima versione. Ascoltarono Katie Pine piangere le sue ultime lacrime. I passi del killer si allontanarono dal microfono. Poi si udì un suono nuovo. Delorme si tolse di scatto la cuffia. «Cardinal! Lo hai sentito?» «Torna indietro.» Lei riavvolse il nastro. Ascoltarono di nuovo gli ultimi singhiozzi della ragazzina, poi i passi e infine, inconfondibile, appena una frazione di secondo prima che l'apparecchio fosse spento, il rintocco solenne di un orologio a pendolo. A metà del terzo rintocco il registratore era stato spento, e seguiva il silenzio. «È straordinario» esclamò Delorme. «Nell'originale non si sentiva affatto.» «Magnifico, Lise. Non dobbiamo fare altro che confrontarlo con l'orologio a pendolo del sospetto. L'unico inconveniente, naturalmente, è che non abbiamo un sospetto.» Cardinal approfittò del telefono di Delorme per chiamare la CBC. «Avete ricevuto il nastro, immagino.» La voce da annunciatore di Fortier gli giunse limpida e profonda, come se fosse migliorata anch'essa con la tecnica digitale. «Ha fatto un ottimo lavoro, signor Fortier. Mi preoccupa soltanto l'idea che lo abbia fatto troppo bene.» «Non ho aggiunto niente che non fosse già nell'originale, se è questo che intende. Con un equalizzatore analogico non si può fare altro che potenziare o sopprimere le frequenze, mentre con quello digitale si possono manipolare le singole fonti. Io ho isolato ognuna delle fonti trasferendola su una pista individuale: una per le finestre, una per l'orologio, una per la voce dell'uomo, una per quella della bambina. Quello che ha in mano è il
mixaggio finale, che non è ammissibile come prova in aula, ovviamente, ma può essere utile sotto altri aspetti.» «Può fare qualcosa per la voce dell'uomo? Continuo ad avere l'impressione che parli dentro un pozzo.» «Quello è un caso disperato, purtroppo. È troppo lontano dal microfono.» «Be', comunque ha fatto uno splendido lavoro.» «Qualunque tecnico avrebbe potuto farlo, ammesso che sentisse quell'orologio, naturalmente. Io ho il vantaggio di essere cieco, ma anche così non l'ho sentito se non al quarto o quinto passaggio.» «Mi sembra un orologio a pendolo.» «Niente affatto. Lo ascolti bene. Non ha una risonanza sufficiente per essere un orologio a pendolo. È un orologio da tavolo, e piuttosto vecchio, secondo me. Quello che vi serve adesso è un esperto di orologi, qualche gnomo svizzero, direi. Glielo fate sentire, e lui vi dice marca, modello e numero di serie.» Cardinal scoppiò a ridere. «Se mai potrò fare qualcosa per la CBC, mi chiami.» «Un aumento del budget sarebbe molto gradito. E mi saluti l'agente Delorme. Ha una voce molto attraente.» «L'avverto, Brian, che l'ho passata sul viva voce.» «Non è vero, agente. Bel tentativo, però.» «Ti è simpatico» osservò Delorme quando lui attaccò. «Non sono molte le persone che ti piacciono, ma lui è uno di quelli.» «Ha detto che hai una bella voce.» «Davvero? E dell'orologio che ti ha detto?» «Da tavolo, probabilmente vecchiotto. Mi ha consigliato di farlo ascoltare a un esperto.» «Qui ad Algonquin Bay? Che genere di esperto, quello dei grandi magazzini Wal-Mart?» «Ci deve pur essere una bottega dove si riparano gli orologi. Se non qui, a Toronto.» Squillò il telefono e Delorme rispose. Un attimo dopo, tese il ricevitore a Cardinal. «Weisman.» «Len, che diavolo succede? Dov'è il rapporto sulle impronte dentarie?» «Quel dentista è davvero incredibile. Non fa che rimandare, filtra le chiamate, non si presenta, eccetera. Alla fine prendo in mano la faccenda di persona e ci mettiamo al lavoro. Indovina perché la tirava in lungo? È
saltato fuori che caricava le parcelle in modo vergognoso.» «Che cosa vuoi dire, Len? Che cosa c'è sul grafico?» «È pieno di otturazioni che non ha mai fatto. Si direbbe che il ragazzo avesse otturazioni sufficienti a pavimentare il lago Ontario. Invece il paziente all'obitorio ne aveva solo cinque, e piccole, per giunta.» «Ma quelle cinque, Len, quelle cinque corrispondono?» «Per fortuna, il lavoro che lo stronzo aveva fatto davvero era contrassegnato con un colore diverso. Cinque piccole otturazioni contrassegnate con la penna rossa: una corrispondenza perfetta. Il nostro paziente è Todd William Curry.» 24 I genitori di Todd Curry abitavano in un appartamento con due camere da letto a Mississauga, un vasto sobborgo a ovest di Toronto che spazia da una distesa di centri commerciali poco invitanti e palazzi alti fino a una foresta rigogliosa, percorsa da fiumi e ruscelli. I Curry non vivevano nella zona degli alberi. Erano stati preavvertiti della visita di due agenti investigativi della polizia di Algonquin Bay, e avevano fatto grandi preparativi; nell'aria aleggiava un forte odore di detersivi. Non c'era un solo cuscino fuori posto. «Ci hanno detto che sareste venuti» li accolse la signora Curry sulla porta. «Mio marito ha preso un giorno di congedo dal lavoro.» «Spero che questo non infastidisca troppo il suo capo» disse Cardinal all'uomo che si alzò con energia da una poltrona imbottita. «Non ha importanza. Mi devono almeno un anno di ferie arretrate.» Strinse loro la mano con forza, come se volesse dimostrare che il dolore non era riuscito a fiaccare la sua tempra virile. Prima di ricadere sulla poltrona, riuscì persino a salutarli con un ampio sorriso, che tuttavia durò il tempo di un flash. Cardinal si rivolse alla madre. «Signora Curry, Todd aveva per caso dei parenti ad Algonquin Bay o nei dintorni?» «Be', c'è lo zio Clark, che vive a Thunder Bay, ma è lontano centinaia di chilometri.» «E qualche amico? Magari qualcuno conosciuto a scuola?» «Quanto a questo, non saprei. Ma di sicuro non aveva amici di nostra conoscenza ad Algonquin Bay.» Il padre si riscosse dalle sue riflessioni. «E quel giovanotto che è venuto
a stare da noi l'estate scorsa? Quello con le scarpe da ginnastica spaiate?» «Vuoi dire Steve? Ma Steve era di Stratford, caro.» «No, no, non lui. Sto parlando di un altro ragazzo.» «Be', quello con le scarpe spaiate era Steve, ed era di Stratford. Lo sai che la mia memoria è migliore della tua, lo è sempre stata.» «Credo di sì. Credo proprio che la tua memoria sia migliore della mia.» Una volta, ad Algonquin Bay, Cardinal era arrivato sul luogo di un'esplosione, dove una fuga di gas aveva fatto saltare l'intera facciata di una palazzina, abbattendone tre piani. Mariti e mogli erano usciti come anime del purgatorio da quella bolgia di fumo e ceneri. Anche i signori Curry, ora che la loro famiglia era stata investita dalla deflagrazione del dolore, cercavano di riconoscersi in mezzo al fumo e alle ceneri. «Todd aveva qualche altro motivo per fermarsi ad Algonquin Bay, che voi sappiate?» «No, nessuno, tranne la solita curiosità dei ragazzi. Forse qualcuno che ha conosciuto in treno. Todd è un ragazzo impulsivo. Era.» La signora Curry si portò di scatto la mano alla bocca, come per respingere quel verbo al passato. Il suo viso era l'immagine dello smarrimento. Il marito si sedette accanto a lei, passandole un braccio sulle spalle. «Su, su, ragazza mia» le disse a bassa voce. «Perché non vieni a sederti sul divano?» «Non posso sedermi. Non ho neanche offerto il tè. Volete una tazza di tè?» «No, grazie» rispose Delorme con gentilezza. «Signora Curry, sappiamo che Todd si era messo nei guai con la droga almeno una volta. Ricorda qualche particolare, magari un nome che è venuto alla luce durante l'udienza in tribunale, che possa averlo attirato ad Algonquin Bay?» «Todd aveva superato il problema della droga, e non ne faceva più uso. Ecco, l'ho detto. Aveva, faceva. Sono soltanto parole, no?» Accennò un sorriso spettrale. «Siete sicuri di non volere una tazza di tè? Non è un problema.» Per Delorme era un esercizio nuovo: estrarre schegge di fatti dal cuore messo a nudo di chi era stato appena colpito da un lutto. Rivolse lo sguardo a Cardinal, in cerca di aiuto, ma lui non disse una parola. Ti ci dovrai abituare, pensava fra sé. «Io non conoscevo affatto Todd, signora Curry, ma... ecco, mettiamola in un altro modo... il fatto è...» Delorme si morse il labbro, poi disse: «Sa una cosa? Una bella tazza di tè ci starebbe proprio bene. Posso aiutarla a
prepararlo?». Cardinal chiese al padre: «Le dispiace se intanto do un'occhiata alla stanza di Todd?». «Cosa? La stanza di Todd?» Il signor Curry si grattò la testa. In un altro contesto, quel gesto da personaggio di un cartone animato sarebbe apparso comico. Si lasciò sfuggire una risatina nervosa. «Mi spiace, è che non so in che modo reagire. La stanza di Todd, sì, ha un senso, mi pare. Lei deve conoscerlo meglio, sì, posso capirlo. Va bene, faccia pure, agente, faccia il suo lavoro. Non voglio esserle d'intralcio.» «È da questa parte?» «Oh, sì, mi scusi. La seconda a destra. Be', le faccio strada.» Precedette Cardinal lungo un breve corridoio. Sulla sinistra c'erano due stanze da letto, sulla destra gli armadi a muro, in fondo il bagno: l'appartamento era tutto lì. Il signor Curry aprì la porta e lo invitò a entrare con un gesto, restando in piedi, appoggiato allo stipite della porta, come se la stanza del figlio fosse situata su un pianeta eccelso nel quale lui non era degno di entrare. I suoi occhi saettavano nervosamente avanti e indietro, ora che la morte aveva infuso agli oggetti più prosaici - il pallone da basket sgonfio abbandonato in un angolo, uno skateboard rotto su una mensola - il potere di farlo crollare davanti a quell'intruso. «Signor Curry, lei non è tenuto ad assistere, se non vuole.» «Sto bene, agente. Faccia pure quello che deve fare.» Cardinal rimase immobile al centro della stanza senza parlare, limitandosi a un inventario dei vari oggetti. Sul cassettone c'era una grossa radio portatile con le casse, di quelle che si chiamavano boom box, e piccole pile di cassette. Le pareti erano tappezzate di poster dei più celebri rapper: Tupac, Ice T., Puff Daddy. C'era anche una piccola scrivania, con il piano che riproduceva una mappa del mondo. Sull'Africa era posato un piccolo computer Macintosh. Gli scaffali dei libri erano incassati ai lati della scrivania, con la quale combaciavano alla perfezione, e Cardinal pensò che doveva averli costruiti il signor Curry. «Bella scrivania» osservò, inginocchiandosi per esaminare la piccola biblioteca di Todd. «Sì, l'ho fatta io. È stato facile, per la verità. Comunque, sa, un progetto del genere richiede varie ore di lavoro. Todd la detestava, naturalmente.» «Ah, i ragazzi sono incontentabili.» «Todd e io non andavamo troppo d'accordo, questa è la verità. Non sapevo come prenderlo, credo. Ho cercato di essere indulgente, poi di mostrarmi severo, insomma, le ho provate tutte, ma sembrava che non andas-
se mai bene. E ora vorrei soltanto che fosse qui.» «Sono sicuro che prima o poi avreste trovato un'intesa» gli disse Cardinal. «Succede in quasi tutte le famiglie.» I libri sugli scaffali: L'isola del tesoro, Il giovane Holden, parecchi titoli degli Hardy Boys, tutti impolverati. Il resto della biblioteca di Todd consisteva di tascabili di fantascienza dalla copertina vistosa. Cardinal fu tentato di parlare al signor Curry della figlia, di come qualche anno prima non perdesse occasione di dire che lo odiava, mentre invece adesso andavano d'amore e d'accordo. Poi pensò che era una tattica sbagliata. «Ormai Todd e io non potremo più trovare un'intesa, ed è questa la cosa terribile.» D'un tratto il signor Curry avanzò di un passo nella stanza, sospinto dall'urgenza di quel pensiero. La sua mano strinse il braccio di Cardinal in una morsa ferrea. «Agente, qualunque cosa lei faccia al mondo, non metta la sua vita in secondo piano. C'è qualcosa di importante che lei continua a rinviare? Qualcosa per cui continua a dire a se stesso che sta solo aspettando il momento giusto per farla? Voglio dire, se c'è qualcosa di importante che ha intenzione di dire a una persona cara, o a chiunque altro... non rimandi, mi ascolta? Non metta la sua vita in secondo piano. Pronunci quelle parole, quali che siano. Faccia quello che ha intenzione di fare, qualunque cosa sia. Sa, tutto quello che si sente dire alla televisione, che si tratti di un tornado o dell'assassino di Windigo, qualunque disastro, abbiamo sempre l'impressione che non ci riguardi. Ma il fatto è che non si sa mai. Non si può mai sapere quando la gente si alza, esce da quella porta e non torna più. Non si sa, e basta. Mi scusi, sto facendo una figura terribile. Parlo a casaccio.» «Si sta comportando benissimo, signor Curry.» «No. Non ho molta esperienza in questo genere di cose» mormorò, poi aggiunse, quasi a titolo di giustificazione: «Lavoro nelle assicurazioni». «Mi dica, signor Curry, Todd lo usava molto?» gli chiese Cardinal, indicando il Macintosh. Sulla scrivania c'era una pila di manuali di software e videogiochi, e aveva notato il cavo che collegava il computer a una presa nella parete. «Todd non era un pirata informatico, se è questo che intende. In genere lo usava per i compiti, quando li faceva. Quest'affare è un mistero, per me. In ufficio usiamo Windows.» Cardinal aprì l'armadio per guardare i vestiti. C'erano un completo scuro, un blazer, due paia di pantaloni, tutti abiti che un ragazzo come Todd non doveva indossare abitualmente. Sul ripiano superiore c'erano scatole su
scatole di giochi da tavolo: Monopoli, Scarabeo, Trivial Pursuit. Nel cassettone, oltre al solito assortimento di jeans sdruciti e magliette strappate, Cardinal trovò una massa di braccialetti di rame e stagno, catene, collari di cuoio muniti di borchie e manette. Non voleva dire granché; ormai tanti ragazzi li portavano. «Mia moglie è a pezzi» disse il signor Curry, che si era ritirato di nuovo sulla soglia. «È questo il peggio. È dura veder soffrire tanto una persona che ami senza poter...» Aveva appena parlato di sofferenza, e subito, come un demone che sente pronunciare il suo nome, quella spezzò le catene che la tenevano a freno e spiccò un balzo, avventandosi su di lui. Il robusto signor Curry si tramutò in una figura pallida e rattrappita che si aggrappava allo stipite, piangendo. Cardinal non lo ignorò, ma non disse neppure una parola. Lo guardò per un attimo, prima di distogliere lo sguardo per fissare dalla finestra il palazzo di fronte. Dal parcheggio che li separava proveniva il richiamo isterico di un antifurto. Aprì uno alla volta i cassetti di Todd, tastandone il lato inferiore. «Mi scusi. Penserà di essere appena arrivato sul set di una soap opera.» «No, signor Curry, non lo penso affatto.» Cardinal sentì al tatto la rivista incastrata dietro l'ultimo cassetto e la tirò fuori, chiedendo scusa dentro di sé al ragazzo, perché sapeva che probabilmente era un segreto più intimo che sniffare colla o fumare marijuana. Si ricordava ancora la pila di Playboy che risaliva ai tempi della sua giovinezza, ma la rivista che si ritrovò fra le mani mostrava un uomo nudo. Il signor Curry restò senza fiato per alcuni secondi, e Cardinal se ne accorse. Allungando la mano dietro il cassetto, trovò ancora tre riviste. «Questo le dimostra quanto poco conoscevo mio figlio, immagino. Non avrei mai immaginato, neanche fra un milione di anni.» «Io non darei troppo peso a poche immagini. Mi sembra più che altro curiosità. Vede, ci sono anche Playboy e Penthouse.» «Non avrei mai, mai immaginato.» «Nessuno di noi è un libro aperto, signor Curry. Né lei né io...» «Preferirei che la madre non lo sapesse.» «Ma certo, non c'è bisogno di dirglielo, almeno per ora. Perché non si concede una pausa, signor Curry? Non c'è bisogno che resti a guardare.» «Edna è una donna molto forte, ma...» «Forse è meglio che vada a vedere come sta.» «Sì, grazie, farò così. Vado solo a vedere come sta Edna.» Cardinal fu
colto dall'idea che, da ragazzo, il padre di Todd doveva essere piuttosto mammone. Il Macintosh lo fissava dalla scrivania con il suo occhio freddo e cieco. Cardinal ne sapeva abbastanza da accenderlo e cercare la lista dei programmi. Impiegò due minuti appena, ma non riconobbe niente di speciale. Allora andò in soggiorno per chiamare Delorme, che era seduta sul divano vicino alla signora Curry, sfogliando un album di fotografie. Neppure Delorme era una specialista di informatica, ma proprio quella mattina Cardinal l'aveva vista resettare il Mac del sergente Flower. Questo lo faceva sentire vecchio: gli sembrava che chiunque avesse meno di trentacinque anni fosse in confidenza con il mondo dei computer, che invece frustrava invariabilmente tutti i suoi tentativi di penetrarvi. Delorme maneggiava il mouse come se fosse un'automobilina. «Possiamo vedere quali programmi usava più spesso?» «È quello che sto facendo. Ecco, Threader è un programma utile, si usa per visitare i siti preferiti. Li visita tutti ad altissima velocità, poi si disinserisce, in modo da risparmiare sul costo della connessione. Di solito lo usa soltanto chi naviga molto.» La schermata cambiò, mostrando una lista di newsgroup. Cardinal lesse i nomi a voce alta: «Email, HouseofRock, HouseofRap... Musica rap? Dev'essere insolito, per un ragazzo bianco». «Santo cielo, come sei all'antica.» «Okay, cos'è questo simbolo di connessione?» Batté con il dito sull'icona che mostrava una coppia intenta a baciarsi. «È un sito pornografico?» «Non è detto. Colleghiamoci e vediamo.» Delorme spostò il mouse per cliccare sull'icona. Si sentì prima la successione di segnali del numero telefonico, poi il suono raschiante prodotto dalla connessione. Lo schermo lampeggiò, cominciò a scorrere a velocità impressionante. «È come correre con un carrello per un supermercato alla velocità della luce» commentò Delorme. «Ora vediamo il risultato della pesca.» Con un altro clic del mouse, scorse i messaggi. C'erano molti messaggi dedicati a nuovi giochi per gli utenti del Mac, di cui nessuno indirizzato esplicitamente a Todd. Seguiva una discussione sull'acquisto dei biglietti per un concerto degli Aerosmith allo SkyDome. «Ah» mormorò Delorme. «Ecco la casella della posta. Oh, santo cielo, la posta gli piaceva calda.» «Cristo» si lasciò sfuggire Cardinal. Era contento di trovarsi alle spalle
di Delorme, perché non sarebbe riuscito a guardarla negli occhi. «Vedi? È tutto anonimo» osservò lei, indicando i messaggi. «In questo newsgroup si faceva chiamare Galahad.» «Be', questo se non altro spiega quei numeri di Blueboy. A quanto pare, qui aveva dieci corrispondenti diversi.» «Oh, guarda qui. Questo tizio conosce il suo vero nome.» Todd lesse Cardinal mi spiace che le cose tra noi non abbiano funzionato. Mi sembri un bravo ragazzo e ti auguro ogni bene, ma non credo che dovremmo rivederci. Probabilmente non dovremmo neanche parlarci, ma su questo punto sono disponibile ad ascoltare altre proposte. Jacob. «Guarda la data, John.» «Il 20 dicembre. La sera di quel giorno Todd Curry si presentò al centro di accoglienza. Ehi, qui potremmo trovare qualche pista da battere.» Delorme esaminò parecchie schermate, scorrendo le precedenti "lettere" di quello stesso Jacob. Il sesso era affrontato in modo esplicito e c'erano ripetuti inviti ad andare a trovarlo, trattenendosi per la notte. «Che piano perfetto» commentò Cardinal. «Per prendere all'amo le vittime basta un computer, e poi è possibile tirarle a riva anche da lontano.» Continuarono a leggere. Non tutti i messaggi contenevano esplicite fantasie sessuali: alcuni erano riflessioni più meditate sui problemi legati alla difficoltà di accettare la propria natura di gay. Questo è giusto, pensò Cardinal: mettere il ragazzo a proprio agio. Dopo l'alcol, la capacità di immedesimarsi nell'altro è probabilmente l'arma più efficace nell'arsenale della seduzione. «Esiste un sistema per ricavare da tutto questo il vero nome e l'indirizzo dell'uomo?» «Per quanto riguarda l'indirizzo, ne dubito. Il nome, forse sì. Sono un po' arrugginita, però. Può darsi che ci metta parecchio tempo.» Delorme riprese a muovere il mouse, mentre Cardinal s'inginocchiava sul pavimento per esaminare la collezione di videogiochi del ragazzo. Dieci minuti dopo, Delorme gli sfiorò la spalla. «Guarda qui.» Cardinal si alzò per guardare lo schermo restando alle sue spalle. «Questo è l'elenco del gruppo che parla di sesso, con questo Jacob. E il suo indirizzo di posta elettronica.» Lesse a voce alta: «"Dominazione, bodybuilding, orale, posta elettronica erotica"... Fin qui, tutto bene. In una delle discussioni nomina Louis Riel... ricordi la sua storia?» «Una piccola rivolta laggiù all'Ovest, no?» «Non tanto piccola. Comunque, immagino che sia un personaggio stori-
co, quindi posso cercare sul newsgroup di storia, giusto?» Delorme cliccò con il mouse e la schermata cambiò. «Prossima fermata: newsgroup, directory dei componenti. Lanciamo la ricerca dell'indirizzo e-mail di Jacob...» Parlando, continuava a digitare. «E guarda che cosa salta fuori: lo stesso indirizzo.» «È Jacob?» «È Jacob. Solo che in questo gruppo usa il suo vero nome.» Delorme batté sullo schermo con l'indice. Cardinal lesse: Jack Fehrenbach, 47 anni: e-mail (francese o inglese), Algonquin Bay. «Fehrenbach è un insegnante del liceo di Algonquin Bay. Siamo sicuri che questo è il suo vero nome?» chiese Cardinal. «Sicuri al cento per cento, no. Ma è probabile che sia il nome al quale è intestato il contratto.» «È stato anche l'insegnante di Kelly, per un anno. Potrebbe anche essere qualcuno che usa il suo nome, non ti pare? Magari uno studente che ce l'ha con lui.» «Può darsi. Comunque, il servizio di Internet viene accreditato sulla carta di credito, quindi, se è un falso, dev'essere ben fatto.» «Questo è un lavoretto di prim'ordine, Lise. Di prim'ordine.» Delorme sorrise. «Niente male, devo ammettere.» 25 La nausea finalmente si era placata. Per giorni e giorni era galleggiato sul letto come un banco di nebbia, tanto che ogni minimo spostamento gli faceva girare la testa e salire in gola un fiotto di bile. Bastavano pochi bocconi di cibo perché cominciasse a sentirsi come una barca in balia delle onde, che scivola a precipizio dalla cresta all'incavo. In altri momenti, di solito poco prima che Eric o Edie gli portassero il vassoio con il cibo, la nausea diminuiva leggermente e lui cominciava a pensare che presto sarebbe potuto uscire alla luce del sole e all'aria pura. Poi veniva travolto da strane fantasie: le colonnine del letto si dissolvevano in minareti, i piedi sotto le coperte diventavano dune lontane, lo sgocciolio del lavandino si tramutava in un rullo di tamburo. Immaginava di trovarsi in qualche luogo esotico, a Bahrein, o a Tangeri, dov'era stato contagiato da una malattia tropicale. Si sentiva gli occhi velati, i muscoli molli e inerti. La figura ai margini del suo campo visivo era indistinta e tremolante, per
quanto lui cercasse di metterla a fuoco. L'aroma del pane tostato e della marmellata erano irresistibili. Quando era stata l'ultima volta che era riuscito a tenere qualcosa nello stomaco? «Dio, che fame.» Parlò rivolto nella direzione in cui si trovava poco prima la figura, ma questa si era già spostata. «Tieni.» Eric gli mise il piatto sotto il naso. L'odore per poco non fece svenire Keith. Mangiò quattro fette di pane tostato. Cominciava a sentirsi di nuovo reale e concreto, come se potesse alzarsi e fare qualcosa. «Eric, ho bisogno del telefono. Devo fare una telefonata.» «Mi dispiace, ma Edie non ha il telefono in casa. Io sì, ma vivo all'altro capo della città.» «Lei non ha il telefono?» «No, te l'ho appena detto.» «Karen sarà in pensiero. Ci siamo messi d'accordo per chiamarci a intervalli regolari. Io sto male da quanto... tre giorni?» «Quattro.» Keith fece per alzarsi, con i muscoli doloranti per le lunghe ore trascorse a letto. «Stai troppo male per uscire, Keith. Perché non le scrivi una lettera?» «Lei vive a Guelph. Ci vorranno giorni perché le arrivi una lettera, e ormai sarà tanto in collera che probabilmente non vorrà neanche leggerla. Voi altri non avete la posta elettronica?» «No. Perché non mi dai il suo numero di telefono? La chiamerò io.» «Grazie, Eric, ma in ogni caso penso che dovrei farmi visitare da un medico. Non è normale dormire così tanto. Chiamerò Karen dall'ospedale.» «E va bene. Perché non ti alzi in piedi e ci provi?» Eric si alzò, sedendosi sulla sedia rotta. Keith fece un grande sforzo per posare i piedi sul pavimento, poi si raddrizzò lentamente, con gli occhi fissi ora sul calorifero, ora su Eric. Deglutì a fatica prima di spingere il piede destro in avanti, verso la porta, poi si arrese e ricadde sul letto con un gemito. «Ma perché sono tanto esausto?» «Con tutti quei viaggi, probabilmente ti sei beccato qualche strano virus, chissà dove.» «Ti prego, Eric, portami in ospedale.» «Mi spiace, ma non posso. Non so guidare.» «Oh, andiamo.» Keith cercò di assumere un tono severo, ma era difficile, dato che riusciva a stento a tenere gli occhi aperti. «Mi hai detto che a-
vevi un furgone, l'altra sera. Hai detto che avresti trasportato l'apparecchiatura per la registrazione a bordo del tuo furgone.» «La patente è scaduta. Me ne sono accorto stamattina. È scaduta sei mesi fa.» «Edie, allora. Fammi accompagnare da Edie. Dio, che sonno.» Il buio lo avviluppò di nuovo. Si ritrovò in un corridoio tappezzato di ragnatele, dove correva sui pattini verso una torre luminosa che si allontanava sempre più. O era la torre della televisione? Dal soffitto basso pendevano insetti grossi come gatti, e dalle loro mandibole sgorgava una schifosa schiuma bianca che gli colava addosso, scottandogli la pelle. Dormiva e si svegliava, dormiva e si svegliava. Poi finalmente si svegliò con la mente di nuovo limpida. Qualunque essere diabolico gli stesse risucchiando l'energia sembrava aver allentato la presa e, a parte i muscoli indolenziti, si sentiva quasi normale. Trovò accanto al letto carta e penna, più una busta già affrancata, e scrisse a Karen una lettera piena d'amore e di nostalgia. Ricordava con tenerezza il suo viso, il suo corpo. Gli tornarono alla mente i dettagli dei piaceri fisici che lui e Karen avevano condiviso, e li descrisse con immagini vivide. Dovette interrompersi un istante per riflettere. Stava cercando un'altra parola per esprimere il concetto di estasi. Incanto non era esatto, e aveva già usato due volte piacere. Beatitudine, pensò. Stava per scriverlo, quando un suono che proveniva dal pianterreno lo lasciò immobile, con la penna sospesa sopra il foglio di carta: era lo squillo soffocato ma inconfondibile di un telefono. 26 Edie aveva lo stomaco indolenzito dal gran ridere. «Sto male da una settimana» stava leggendo Eric. «Non so esattamente quanto tempo sia passato, ma non puoi neanche immaginare quanto sia noioso vomitare, dopo la decima volta.» «Vedi, Eric, Keith apprezza il mio cocktail all'ipecacuana, la mia pozione magica per far vomitare. Il segreto sta in quel pizzico di Valium che ci aggiungo: gli dà quel certo non so che.» Oh, come le piaceva sentire Eric che rideva! Perché non poteva essere sempre così? Così sciolto, così divertente. In quei momenti lei poteva quasi illudersi che fossero una coppia normale, una coppia qualsiasi che si faceva quattro risate. Era possibile dimenticare lo squallore dell'estate e il gelo interminabile. In quei momenti
poteva quasi dimenticare il proprio aspetto. Oh, sì, aveva visto Keith London che faceva scorrere gli occhi sul suo viso e sulla sua figura, come sapevano fare gli uomini, valutandola e scartandola, nonostante l'atteggiamento cordiale. L'avrebbe ignorata senz'altro. Ma non aveva importanza quando Eric era con lei, quando Eric era felice. «Sarebbe bene ridurre l'ipecacuana e continuare con il Valium» stava dicendo adesso. «Non possiamo farlo vomitare ogni volta che mangia. Senti questa.» In quel momento si sentì un sonoro bump, bump, bump dal piano di sopra. Dio, nonna, lasciami respirare. Sono in compagnia dell'uomo che amo e mi diverto, una volta tanto in vita mia. Non puoi lasciarci in pace? Eric reagì continuando a leggere, a voce più alta. «Sono ospite di una coppia di giovani. Sono molto strani, Karen, ma il fatto è che probabilmente senza di loro sarei morto.» «Sentito, Eric? Senza di noi probabilmente Keith sarebbe morto.» «La donna, Edie, lavora in un drugstore e si procura gratis medicine di ogni genere. O almeno, lei dice che sono gratis. La mia impressione è che le rubi al negozio.» «Piccolo verme schifoso» esclamò Edie. «Lo farò pentire di avere scritto quella lettera, Eric. Aspetta e vedrai. Lo farò urlare.» Un'altra serie di bump, bump, bump dal piano di sopra. «Sta' a sentire» riprese Eric. «Io penso a te, ti sogno, sento la tua mancanza. Mi manca il modo in cui facciamo l'amore... mi fai sentire così bene!» Seguivano descrizioni molto esplicite, che Eric lesse con una buffa voce in falsetto che li faceva piegare in due dal ridere, con le guance rigate di lacrime. «Eric mi ha detto che qui non c'è il telefono, eppure l'ho sentito squillare proprio adesso. È un fatto piuttosto sconcertante.» «Piuttosto sconcertante, eh, Keith? Trovi piuttosto sconcertante lo squillo del telefono?» «Te lo faremo vedere noi qualcosa di sconcertante, Keith. Ti faremo sconcertare le palle finché ti schizzeranno via da quella carcassa schifosa.» «Ti faremo sconcertare il cervello finché non ti scoppierà dalla testa, stronzetto. Che cosa c'è?» Eric era ammutolito improvvisamente. «Che cosa c'è, Eric?» Lui le mostrò la lettera, indicando una riga scarabocchiata in fondo: l'indirizzo di Edie. «Come fa a ricordarsi l'indirizzo? Era ubriaco fradicio.»
Ripiegò a lettera, infilandola nella busta che avevano aperto con il vapore. «La butterò via. Anzi, la getterò nel gabinetto e tirerò la...» «Che succede qui dentro? Perché non sei venuta quando ti ho chiamato?» La nonna di Edie si affacciò traballando alla porta, appoggiata al deambulatore. I suoi occhi orlati di rosso erano un atto d'accusa. «Scusami, nonna. Stavamo solo ascoltando un po' di musica.» «Non sento nessuna musica. Ho picchiato e picchiato con il bastone, Edie, e tu non sei venuta. E io battevo e battevo. Come mai Eric è ancora qui?» «Salve, nonnina» esclamò Eric con un sorriso dolce. «Vuoi che ti sfondi il cranio?» «Che cosa dice?» «Niente, nonna. Vieni, ti porto di sopra.» Ma la nonna non aveva ancora finito: quando attaccava con le accuse, non c'era verso di farla smettere. «Non capisco perché non puoi venire quando ti chiamo, Edie. Non ti chiedo di fare molto per me. C'è tanta gente che chiederebbe ben altro alla persona che ha allevato come se fosse figlia sua.» «È perché ti odia, nonnina. Non c'è da preoccuparsene. Ti odia a morte, questo è quanto.» «Lasciala stare, Eric. L'accompagno di sopra.» Edie aiutò la nonna a voltarsi, fulminandolo con lo sguardo al di sopra della spalla della vecchia. Quando uscirono, Eric andò nel bagno minuscolo sotto la scala, dove rimase a lungo immobile, fissando la lettera. Aveva intenzione di farla in tanti pezzetti minuscoli, ma i passi erotici avevano colpito la sua attenzione. Così abbassò il coperchio del water e si sedette per rileggerli. Quella Karen doveva essere un tipo interessante. Sarebbe stato un peccato non mandarle qualcosa. 27 Jack Fehrenbach sarebbe stato il soggetto ideale per la pubblicità degli scarponi da escursionista su qualche rivista di moda. Con una statura che sfiorava i due metri e quell'accenno di barba che gli ombreggiava la mascella, era il ritratto dell'uomo sportivo, da fotografare mentre montava una tenda o cuoceva su un fornello Coleman una trota appena pescata nel ruscello. Le spalle erano ampie e solide, e il resto del corpo sembrava scolpito nello stesso legno di quercia. L'effetto era appena mitigato da una cra-
vatta tradizionale e da un paio di lenti bifocali, che si tolse per guardare meglio Cardinal e Delorme, presentatisi davanti a casa sua senza farsi annunciare. «Spero che non si tratti di quelle multe per sosta vietata» esclamò quando Cardinal gli fece vedere il distintivo. «Gliel'ho detto cinque volte, gliel'ho detto fino a diventare paonazzo! Le ho pagate, quelle schifosissime multe. Ho il talloncino dell'assegno, per l'amor del cielo! Ho anche spedito la fotocopia. Come mai non riescono a risolvere queste faccende? A che cosa serve la tecnologia? Al municipio non hanno un computer? Dov'è la difficoltà?» «Non siamo qui per le multe, signor Fehrenbach.» L'altro scrutò il viso di Cardinal, come in cerca di difetti, e ne trovò non pochi. «Allora che cosa volete?» «Possiamo entrare, per favore?» L'uomo li lasciò entrare in casa, ma senza farli avanzare più di un metro dalla porta. Si ritrovarono tutti e tre in un piccolo atrio sovraccarico di soprabiti. «Si tratta di uno dei miei studenti? C'è qualcuno che è nei guai?» Cardinal tirò fuori una fotografia di Todd Curry. Era un buon ritratto, che Delorme si era fatta consegnare dalla madre del ragazzo, convincendola con dolcezza a separarsene. Nella foto, Todd sfoggiava un gran sorriso, ma gli occhi scuri sembravano preoccupati, come se non si fidassero della bocca. «Conosce questo ragazzo?» gli chiese Cardinal. Fehrenbach studiò con attenzione la foto. «Mi ricorda qualcuno che ho incontrato soltanto una volta. Per quale motivo volete saperlo?» «Signor Fehrenbach, dobbiamo proprio restare nell'ingresso? Siamo un po' appiccicati, non le sembra?» «Va bene, venite dentro, ma dovete togliervi le scarpe, perché ho appena finito di lucidare il pavimento e non voglio che lasciate impronte.» Cardinal parcheggiò fuori le galosce per seguire Fehrenbach in sala da pranzo, mentre Delorme li seguì un attimo dopo a piedi scalzi. La stanza era illuminata e ariosa, piena di piante. Il pavimento di legno massiccio scintillava e nell'aria aleggiava un piacevole odore di cera. Quattro scaffali massicci addossati a una parete sembravano curvi sotto il peso della storia: tomi voluminosi, allineati in file serrate e disposti ad angolazioni bizzarre. Sotto la libreria c'era un computer quasi sepolto dalle carte. «Non sprechiamo tempo, signor Fehrenbach.» Cardinal estrasse dalla tasca un foglio di carta e lesse ad alta voce le parole che aveva trascritto. «Un metro e sessanta? Cinquantaquattro chili? Nelle botti piccole c'è il
vino buono, Galahad, e tu sembri proprio il tipo di botte che mi farebbe piacere ricevere.» Cardinal fu sorpreso dalla reazione di Fehrenbach. Anziché choc, il suo viso rifletté un senso di delusione, quasi di tristezza. Continuò a leggere: «Anzi, sono addirittura disposto a pagare l'affrancatura, se tu volessi venire da me...». «Dove l'avete presa?» Fehrenbach gli tolse di mano il foglio per esaminarlo attraverso le lenti bifocali. Gli angoli della bocca erano diventati bianchi. Si tolse di nuovo gli occhiali, corrugando le sopracciglia sopra il naso aquilino. In aula doveva avere un aspetto severo. «Agente, questa è corrispondenza privata, e lei non ha il diritto di esaminarla. Ha mai sentito parlare di denunce presentate a seguito di perquisizioni e confische illegittime? Si dà il caso che in questo paese abbiamo ancora una costituzione.» «Galahad è morto, signor Fehrenbach.» «Morto» ripeté, come se Cardinal fosse uno studente che aveva dato una risposta sbagliata. «Come può essere morto?» Il labbro superiore si era coperto di un velo sottile di sudore. «Ci parli soltanto del suo incontro con lui.» Fehrenbach incrociò le braccia sul petto, mettendo in risalto i muscoli. Non è il caso di irritarlo, pensò Cardinal; quest'uomo potrebbe fare dei danni. «Sentite, non sapevo che era un ragazzo. Mi aveva detto di avere ventun anni. Venite pure dentro e ve lo farò vedere, ho ancora tutto sul disco fisso. Non posso credere che sia morto. Oh, mio Dio!» Si portò di scatto una mano alla bocca, con un gesto femminile incongruo in una figura di proporzioni così imponenti. «Non sarà lui quello che hanno trovato in quella casa, vero? Quello che è stato?...» «Che cosa glielo fa pensare, signor Fehrenbach?» «Be', il giornale diceva che il ragazzo veniva da fuori ed era morto da un paio di... Non so, me lo ha suggerito il vostro atteggiamento.» Nel suo modo di fare non c'era nulla che tradisse un senso di colpa, ma Cardinal sapeva che l'assassino di Katie Pine e Todd Curry poteva essere chiunque. Aveva programmato gli omicidi e ne aveva registrato almeno uno, e questo deponeva a favore di un notevole autocontrollo. Secondo il profilo degli esperti, il killer poteva essere qualcuno che svolgeva un normale lavoro, preferibilmente un impiego che gli permettesse di stare vicino ai ragazzi. «Senta, agente Cardinal, sono un insegnante, e Algonquin Bay è una piccola città. Se questa storia si viene a sapere, sono finito.»
«Se questa storia si viene a sapere?» intervenne Delorme «Se si viene a sapere che cosa, signor Fehrenbach?» «Che sono gay. Voglio dire, questo non è più un caso strettamente locale, ormai anche il Toronto Star parla del Windigo. E la posta elettronica, poi, potete immaginare che effetto farà sul quarto canale? C'è una cosa che dovete capire: dal punto di vista dei gay, la posta elettronica significa sesso sicuro. È infinitamente preferibile a setacciare i bar o...» «Ma lei non intendeva fermarsi alla posta elettronica» insistette Delorme. «Lei ha preso accordi perché Todd venisse qui da lei.» «Lo sa quali sono state le prime parole che gli ho detto quando l'ho visto sulla porta di casa? Oh, no. Giuro su Dio. L'ho guardato mentre stava lì, quel ragazzino gracile, quasi patetico, e gli ho detto: Oh, no. Neanche per idea. Sei troppo giovane. Non puoi restare qui.» La sera prima Cardinal aveva telefonato a Kelly, incaricando le sue compagne di stanza di cercarla e trascinarla fuori dallo studio dove lavorava fino a tardi. Il suo giudizio su Fehrenbach era stato questo: «Jack Fehrenbach è un insegnante stratosferico, paparino. Ti coinvolge, ti costringe a riflettere sulla storia... sì, ti fa anche imparare date e numeri, ma ti spinge a pensare alle cause e agli effetti. È pieno di entusiasmo, ma non cerca di mettersi sul tuo stesso piano, capisci che cosa intendo? In fondo restava sempre piuttosto distaccato». In risposta all'osservazione di Cardinal che l'uomo era gay: «Tutti gli studenti della scuola superiore di Algonquin sanno che il signor Fehrenbach è gay, e se ne infischiano. Questo dovrebbe farti capire qualcosa. Sai come potrebbero diventare spietati, se lui gliene offrisse il pretesto, invece non l'ha mai fatto. Non è il tipo di professore che viene preso a bersaglio dagli studenti». In breve, Jack Fehrenbach era uno dei tre insegnanti migliori che Kelly avesse mai avuto, e dire che la storia non le piaceva nemmeno. Cardinal non intendeva lasciar trapelare tutto questo al suo unico sospetto. «Lei si renderà conto, signor Fehrenbach, che avendo letto quello che abbiamo letto, ci riesce un po' difficile credere che abbia deciso di mandare via il ragazzo. Come mai, tutt'a un tratto, lei si preoccupava tanto di mantenere un comportamento corretto?» «Quello che credete voi non m'importa affatto! Chi credete di essere?» La mano si alzò nuovamente di scatto, chiudendo la bocca per un attimo. Poi l'insegnante disse: «Scusatemi, non intendevo dirlo. È che sono sconvolto. È chiaro che m'importa molto di quello che pensate. Ero stato io a invitare qui Todd, quindi mi sentivo in colpa. Gli ho preparato la cena e,
lasciate che ve lo confessi, la conversazione è stata piuttosto stentata. Non so voi, ma per quanto mi riguarda la mia conoscenza dell'opera completa di Puff Daddy è quanto meno sommaria. Figuratevi che la massima ambizione di questo ragazzo era diventare un dj, uno di quelli che graffiano i dischi per vivere. In ogni caso, non era affatto entusiasta quando gli ho detto che non poteva trattenersi qui per la notte. Mi è dispiaciuto per lui, ma ve lo figurate uno sconosciuto sedicenne che pernotta nell'appartamento di un gay? Di in insegnante del liceo? Non sono pazzo. L'ho accompagnato al Bayshore lasciandogli denaro sufficiente per una notte al motel, il biglietto di ritorno in autobus e la prima colazione. Perché mi guardate così? Vi farò vedere il suo messaggio di posta elettronica». Fehrenbach impiegò solo un paio di minuti per accendere il computer e cercare la corrispondenza. «Ecco, guardate. Qui siamo proprio agli inizi, è il nostro secondo scambio di messaggi privati. Io dico: Parlami di te. Che cosa fai, quanti anni hai?» Fece scorrere la schermata. «Ed ecco la sua risposta.» Delorme si protese al suo fianco per leggere: «Ho ventun anni e sono dotato come un toro. Che altro vuoi sapere, Jacob?». «Non mi è mai passato per la testa che fosse più giovane di quanto sosteneva. Vedete, quasi tutti quelli che comunicano online mentono in senso opposto. Persino io mi tolgo qualche anno. In ogni caso, all'inizio era tutto esplicitamente sessuale, ma poi, quando ha cominciato ad avere dubbi sull'incontro, mi sono reso conto che non era sicuro della sua sessualità. Allora è diventata più che altro un'amicizia. Non volevo far precipitare la situazione, e penso di avergli fatto un po' da mentore.» Delorme obiettò: «Mi scusi, ma la sua corrispondenza non mi è sembrata troppo intellettuale». «Intellettuale no, ma questo non significa che non fosse intelligente. State a sentire, forse oggi l'atmosfera è un po' più liberale di quanto fosse ai tempi in cui sono cresciuto io, ma resta il fatto che venire a patti con se stessi, accettare che la propria sessualità venga considerata deviante dalla maggioranza delle persone, è la prova di autoanalisi più difficile che la maggior parte degli uomini venga mai costretta a fare. Se esaminate questa corrispondenza con occhi obiettivi, noterete che il nostro scambio di idee diventa molto meno esplicito dopo i primi cinque o sei messaggi.» Fece scorrere un paio di e-mail. Quello che Fehrenbach diceva era vero: a poco a poco, il contenuto passava da fantasie sessuali dettagliate ed esplicite, a discussioni riguardanti la sessualità in generale. I suoi messaggi
erano proprio come sosteneva, quelli di un mentore a un ragazzo che si trovava ancora alle prese con un nemico che lui aveva già affrontato e sconfitto da tempo. Verso la fine c'era uno scambio di notizie specifiche sulla logistica del viaggio di "Galahad" da Toronto ad Algonquin Bay: se fosse meglio prendere l'autobus o il treno, e come trasmettere il denaro. «Prenderò l'autobus delle 11:45 di domattina. Dovrei essere ad Algonquin Bay alle quattro del pomeriggio. A presto!» Quel messaggio era datato 20 dicembre. Poi più niente. «Non è andato a prenderlo alla stazione dell'autobus?» «No, gli avevo già spedito un vaglia con i soldi dell'autobus e del taxi. Ormai temevo che non fosse adulto come sosteneva di essere, e non volevo certo farmi vedere in compagnia di un minorenne.» «Lei è estremamente prudente, signor Fehrenbach» osservò Delorme. «Si potrebbe anche dire che è stato prudente in modo sospetto.» «Ho un amico a Toronto, o almeno prima viveva a Toronto, che amava fare lunghe chiacchierate amichevoli con gli studenti nel suo studio. Conversazioni private, a porte chiuse. In base a questo, e alla testimonianza di un ragazzo che aveva bocciato, il mio amico è stato condannato a quattro anni di carcere. Quattro anni, agente. No, no. Sono prudente, ecco tutto. La mia porta resta sempre aperta, anzi, spalancata, e non incontro mai i miei studenti fuori della scuola.» «Secondo quel messaggio» disse Cardinal «e secondo quello che ci sta dicendo lei, il 20 dicembre Todd avrebbe dovuto trovarsi al Bayshore.» «Proprio così. L'ho accompagnato in macchina e l'ho visto entrare. Sono rimasto a bordo, ma l'ho visto con i miei occhi mentre entrava.» «Dev'essere stato difficile, per lei. Aveva scambiato con lui tutti quei messaggi eccitanti, si aspettava un weekend di passione, e poi ha dovuto troncare tutto sul nascere. Dev'essere stata dura.» «E invece no. Voi dite che aveva sedici anni, ma ne dimostrava quattordici. Quello per me è ancora un bambino. Io vado a letto con gli uomini, agente Cardinal, non con i bambini.» «Dobbiamo sapere dove ha trascorso il resto di quel weekend.» «Be', è facile. Ero rimasto a terra, perché mi ero lasciato il weekend libero, e ora non avevo nessun programma. Così ho accettato un'offerta precedente di un amico di Powassan e ho trascorso il weekend con lui. Il lunedì sono andato direttamente a Toronto per trascorrere il Natale con i miei genitori. Il mio amico se ne ricorderà. Gli ho detto esattamente quello che ho
detto a voi, e si è fatto una bella risata a mie spese.» «Ci servirà un nome. E tenga presente che, se chiama questa persona per concordare un alibi con lui, lo sapremo subito dai tabulati della società telefonica.» «Non ho bisogno di concordare nessun alibi, perché è vero, il mio amico ve lo confermerà.» Fehrenbach andò a prendere l'agenda per fornire i dati a Delorme, che mise tutto per iscritto. Lui non faceva che sbirciare di sopra la spalla, per controllare che non sbagliasse, come se dovesse correggere il suo compito a casa. Cardinal ricordava il rispetto che era affiorato nella voce di Kelly: "Quanti insegnanti conosci che convincano i ragazzi a discutere, a discutere di Henry Hudson e Samuel de Champlain? Quell'uomo è Mister Procedura Corretta, Mister Memorizza i Dati e Raccogli le Idee e Ricontrolla gli Appunti Perché Sarai Interrogato sull'Argomento". Cardinal gli tese la mano. «Signor Fehrenbach, lei ci è stato di grande aiuto.» L'insegnante esitò, poi gli strinse la mano. In macchina, Delorme rimase imbronciata. Cardinal sapeva che aveva un carattere irascibile, e si accorgeva dei suoi tentativi di tenerlo a freno. Quando svoltarono su Main Street, l'auto finì improvvisamente in testacoda su una lastra di ghiaccio e Cardinal colse l'occasione per fermarsi. «Stammi a sentire, Lise, quell'uomo ha una reputazione impeccabile, su questo siamo d'accordo, vero? Un insegnante di prim'ordine, non ci piove. Il suo atteggiamento è stato aperto, franco e onesto, molto più onesto di quanto sarei stato io nella sua situazione.» «Stiamo commettendo un errore. In questo momento Fehrenbach sarà seduto davanti al computer per cancellare ogni traccia dello scambio di posta elettronica con quel ragazzo.» «Non ne abbiamo bisogno. C'è già tutto nel computer di Todd. Controlleremo il suo alibi e lo faremo sorvegliare da alcuni agenti, ma niente di tutto questo ci porterà a qualche risultato.» Il portiere del Bayshore non riconobbe la fotografia di Todd Curry e il ragazzo non aveva mai firmato il registro. «Vedi?» gli disse Delorme. «Fehrenbach mentiva.» «Non mi aspettavo di trovare qui la firma del ragazzo. Fellowes, del centro d'accoglienza, mi ha già detto che Todd Curry è arrivato da loro il 20 dicembre. Deve aver bighellonato da queste parti, avrà sentito parlare del
centro e ha deciso di risparmiare i soldi che Fehrenbach gli aveva dato, pernottando lì. E a un certo punto, fra il centro di accoglienza e la casa di Main West, ha incontrato il killer.» 28 Delorme non aveva molti amici fra i colleghi. Il suo incarico alle Indagini speciali non era fatto per incoraggiare lo spirito di corpo, e lei, del resto, non era mai stata capace di farsi avanti e inserirsi in un gruppo. Per le amicizie si affidava alle vecchie compagne di scuola, e il più delle volte era un rapporto difficile. C'erano quelle che erano andate via per studiare al college ed erano tornate cambiate, o sposate; di solito entrambe le cose. Poi c'erano quelle che non erano andate al college, e il loro orizzonte non andava più in là del loro ragazzo del liceo e di un figlio all'età di diciotto anni. Ormai avevano quasi tutte figli, e questo significava che Delorme non condivideva con loro quello che era l'aspetto essenziale della vita. Anche quando incontrava le amiche di una volta, intuiva dal loro sguardo che la trovavano cambiata. Lavorare sempre in mezzo agli uomini, anzi, in mezzo ai poliziotti, l'aveva resa più dura, più diffidente e, in qualche modo che non riusciva bene a decifrare, meno paziente con le donne. Tutto questo faceva sì che passasse molto tempo da sola ed era per questo che, a differenza di ogni altro poliziotto, provava una sorta di placido terrore al pensiero della fine del turno. Così, quando Cardinal suggerì all'improvviso, nel bel mezzo di una maratona per la stesura dei rapporti supplementari, di vedersi quella sera a casa sua per una seduta di brainstorming, nel cuore di Delorme uno sciame di sensazioni confuse mise le ali, come uno stormo di rondini intorno a un granaio. «Non preoccuparti» le disse Cardinal, prima che lei potesse replicare. «Non intendo infliggerti la mia cucina. Possiamo ordinare una pizza.» Per prendere tempo, lei aveva risposto che non sapeva. Verso la fine della giornata sarebbe stata piuttosto stanca, e non avrebbe potuto contribuire granché al brainstorming. «L'alibi di Fehrenbach regge, no? Da quella parte non ricaveremo altro.» «Lo so. È solo che...» Cardinal l'aveva guardata, accigliandosi. «Se volessi provarci con te, Lise, non lo farei a casa mia.»
Così, ciascuno a bordo della sua auto, avevano raggiunto la piccola casa gelida di Cardinal in Madonna Road, e lui aveva acceso la stufa a legna. Delorme era rimasta colpita dal suo atteggiamento cordiale. Le aveva mostrato qualche lavoretto di falegnameria che aveva fatto in cucina, poi un enorme paesaggio dipinto dalla figlia quando aveva dodici anni, un panorama del Trout Lake con la base del NORAD sullo sfondo. «Il genio artistico l'ha preso tutto dalla madre. Catherine è una fotografa» le aveva spiegato, indicando una foto color seppia di una barca a remi isolata su una spiaggia. «Devi sentire la loro mancanza» aveva detto Delorme, pentendosi subito; ma Cardinal si era limitato ad alzare le spalle, prendendo il telefono per ordinare la pizza. Quando la pizza arrivò, avevano già cominciato a scambiarsi idee. Le regole di base del brainstorming impongono di non ridere di qualunque ipotesi suggerisca l'altro; è vietato pronunciare commenti che possano inibire. Era per questo che sembrava una buona idea farlo in un posto che non fosse il comando: così potevano uscirsene con le congetture più azzardate, senza sentirsi troppo idioti. Stavano appena cominciando a scaldarsi, quando squillò il telefono. Le prime parole che pronunciò Cardinal furono: «Oh, merda. Sarò lì fra dieci minuti». Poi gettò il telefono sul divano e cominciò a infilarsi il cappotto, battendo sulle tasche in cerca delle chiavi. «Che cosa c'è, che succede?» «Avevo dimenticato che abbiamo una conferenza stampa alle sei. È stato R.J. a organizzarla, per evitare che Grace Legault cominci a dare in smanie. Mi spiace. Sai, è una di quelle occasioni in cui raccontiamo qualcosa che in realtà non vorremmo far sapere ai giornalisti per evitare che loro dicano quello che non vogliamo fargli dire. O almeno, questa è l'idea.» «L'idea di chi?» «Di Dyson. Comunque, mi sono associato.» «Allora, penso che dovrei venire anch'io.» «No, no, per favore. Non lasciare che la pizza si raffreddi. Non dovrei metterci più di un'ora.» Delorme aveva protestato, Cardinal aveva insistito e alla fine lei era rimasta, sbocconcellando di malavoglia la pizza nel silenzio improvviso lasciato dall'uscita del padrone di casa. Le sembrava tutto così... qual era la parola giusta? Orchestrato. Invitarla a casa sua. "Dimenticare" la conferenza stampa. La pizza al momento giusto. Era come se volesse lasciare la ca-
sa a disposizione, almeno per un'ora: avanti, guarda... non ho niente da nascondere. Poteva essere un tentativo da parte di Cardinal di risparmiare a lei (o a Dyson, o al Dipartimento) l'imbarazzo di un mandato di perquisizione? Oppure era una mossa preventiva, destinata a sgonfiare le vele di Delorme? Un colpevole non le avrebbe mai dato libero accesso alla sua casa. D'altra parte, era una situazione analoga a quella del cassetto: un colpevole poteva benissimo lasciarlo spalancato proprio per farsi giudicare innocente. Delorme si ripulì le dita dall'unto della pizza per telefonare a Dyson. Quella storia della conferenza stampa era vera oppure no? Certo che era vera, le assicurò Dyson. R.J. ne era entusiasta e Cardinal avrebbe fatto bene ad arrivare lì toot swet (il suo francese la fece rabbrividire), altrimenti lui stesso avrebbe provveduto a trasferirlo alla sezione Traffico entro la fine della settimana. «È già in viaggio.» «Come fa a saperlo? È a casa sua? Che cosa ci fa, a casa sua?» «Sto per dargli un figlio. Ma non abbia paura, sono ancora in grado di giudicare in modo obiettivo.» «Il fatto è che le si offre proprio l'opportunità di cui abbiamo discusso.» «Quello che non riesco a capire è come mai ce la offra... a meno che non sia innocente.» «Non sarebbe carino?» Delorme si alzò in piedi, scrollandosi di dosso le briciole. Sopra il caminetto c'era una fotografia in bianco e nero di Cardinal, vestito con una vecchia camicia sportiva e un paio di jeans, mentre piallava un pezzo di legno, tutto proteso in avanti come un giocatore di biliardo. Aveva la barba lunga e i capelli pieni di segatura: per essere un poliziotto, aveva un'aria piuttosto sexy. Eppure, sexy o no, prima lasciava apèrto il cassetto della scrivania e ora le lasciava campo libero in casa. Secondo lei, questo significava andarsela a cercare. Il Dipartimento di polizia di Algonquin Bay non aveva regole per le perquisizioni clandestine, per un'ottima ragione, e cioè che non dovrebbero avvenire. Delorme non era mai ricorsa a metodi illeciti per la raccolta delle prove e non intendeva cominciare adesso. Ogni ricerca illecita era necessariamente una ricognizione, un'anteprima di quello che sarebbe stato a disposizione di chi veniva dopo di lei (munito di un mandato). L'unica cosa che s'insegna all'Accademia di polizia dell'Ontario, ad Aylmer, è che que-
ste perquisizioni sono illegali e i loro risultati inammissibili. Tutto ciò che Delorme sapeva di quell'arte così poco gradevole lo aveva imparato da sé. Aveva a disposizione un'ora, o meglio quaranta minuti, per andare sul sicuro. Era essenziale essere estremamente selettivi. Escluse subito tutti i posti in cui aveva visto frugare i poliziotti nei film: posti difficili da raggiungere come il piano superiore degli armadi o la soffitta, insomma qualunque collocazione che imponesse di salire su un tavolo o su una sedia. Andavano esclusi anche tutti i nascondigli che l'avrebbero costretta a spostare i mobili. Non poteva sollevare tappeti o controllare sotto i divani e le poltrone senza che Cardinal se ne accorgesse, e in ogni caso non credeva che lui, se avesse avuto qualcosa da nascondere, avrebbe usato posti del genere. Per lo stesso motivo non intendeva sollevare il coperchio dello sciacquone. No, entro pochi minuti dall'uscita di Cardinal, Lise Delorme aveva deciso di cercare soltanto nel posto più ovvio dove poteva trovare materiale incriminante, e cioè nell'archivio personale del suo collega, che lo teneva opportunamente etichettato uno schedario di metallo a due cassetti, pieno di ammaccature e privo di chiave. In men che non si dica venne a sapere quanto guadagnava esattamente (compresi gli straordinari, il totale era molto superiore a quello che si era aspettata) e apprese che quell'affascinante ma gelida casetta in riva al lago non era stata ancora pagata. Le rate mensili erano elevate ma compatibili con il reddito di Cardinal, a patto di non avere altre spese ingenti, come una figlia iscritta a una delle università dell'Ivy League. Delorme era più interessata alle entrate di Catherine Cardinal. Se lei aveva qualche fonte di reddito personale, forse lui era pulito. Tirò fuori le denunce dei redditi. La dichiarazione dell'anno prima, presentata in forma congiunta e redatta a mano con la calligrafia di Cardinal, rivelava che lui aveva denunciato all'ufficio delle imposte esattamente quello che guadagnava. Inoltre, indicava che la moglie guadagnava poco più che qualche spicciolo come insegnante di fotografia part-time all'Algonquin College. Ma c'era un secondo documento molto più interessante, una dichiarazione destinata all'ufficio delle imposte degli Stati Uniti. Era intestata a Catherine Cardinal, ma compilata con la calligrafia fitta e disordinata del marito. Preferisci non rivolgerti a un commercialista, vero? Sei troppo orgoglioso delle tue capacità. Il modulo indicava che Catherine Cardinal aveva ricavato undicimila dollari dall'affitto di un appartamento in un condominio di Miami che, a
quanto pareva, restava vuoto per la maggior parte dell'anno. «Data di acquisto» mormorò Delorme, scorrendo il modulo che non le era familiare. Su, avanti, data di acquisto. Sostieni che si è deprezzato, quindi da qualche parte devi pur dire quando hai comprato questo maledetto... Si accovacciò, con il modulo bianco e azzurro stretto in mano. Catherine Cardinal aveva acquistato l'appartamento in Florida tre anni prima, con un pagamento in contanti di quarantaseimila dollari americani... esattamente sei settimane dopo il primo fiasco con Corbett. Calma, adesso, l'ammonì la sua voce interiore. Non sai ancora niente. Continua a guardare e mantieni la mente vigile. Siamo qui per raccogliere elementi, non per giudicare. Cardinal aveva riportato come deduzione una parte della polizza di assicurazione stipulata sulla casa, e lei trovò il fascicolo contrassegnato dall'etichetta ASSICURAZIONE. L'ammontare della polizza sembrava esiguo, a prima vista, ma poi si rammentò che era la proprietà, non la casa, a essere costosa. Il fascicolo conteneva le ricevute relative agli acquisti più importanti - la Camry di Cardinal, un frigorifero nuovo, una sega da banco ma poi Delorme si imbatté in una ricevuta che le fece trattenere il fiato. Era stata rilasciata dalla Calloway Marina di Hollywood Beach, Florida, in cambio della somma di cinquantamila dollari per un cabinato Chris-Craft. Risaliva all'ottobre di due anni prima, vale a dire due mesi dopo il fallimento del secondo raid nei confronti di Corbett. Delorme si sforzò nuovamente di calmare i battiti affrettati del cuore, dicendosi che non era il caso di saltare alle conclusioni. Saltare alle conclusioni ti trasforma in un pericolo per tutti quelli che ti sono vicini. Comunque, quella somma, e in quella data... be', non c'era dubbio che fosse un brutto segno. Dal fondo del secondo cassetto estrasse un fascicolo con la scritta YALE. Ne scorse in fretta il contenuto: tutte comunicazioni inviate da Yale su una costosa carta da lettere intestata che confermarono quello che già sapeva: John Cardinal pagava una fortuna per mandare la figlia in una famosa università. Oltre venticinquemila dollari canadesi all'anno, senza contare le spese vive, e poi c'era il costo dei viaggi e delle forniture di materiale artistico. Cardinal aveva detto che Kelly era al secondo anno, quindi si avvicinava a un totale di settantacinquemila dollari, e non era ancora finita. Delorme rimise a posto i documenti e chiuse il cassetto. Smettila finché sei in tempo, si disse: la barca e l'appartamento sono più che sufficienti per procedere.
Ripose in frigorifero metà della pizza per Cardinal, poi lavò il piatto che aveva usato e indossò il cappotto. Spense la luce, chiedendosi per quale motivo il partner le avesse permesso di frugare in casa sua, se c'erano in giro tante prove incriminanti. Non aveva senso. Rientrando in città, chiamò sul cellulare Malcolm Musgrave. «Ho esaminato alcune ricevute molto interessanti, relative ad acquisti importanti compiuti dopo le operazioni relative a Corbett, ma non posso ancora dirle dove le ho trovate.» «È il suo partner, lo capisco, ma lei non conduce questa indagine da sola. Di quali somme stiamo parlando?» «Novantaseimila dollari americani, più gli studi della figlia a Yale.» «Probabilmente il nostro esimio capo della polizia guadagna tanto, ma io no, lei no e neanche il suo collega.» «La situazione sembra brutta, lo so, ma lui non vive in modo dispendioso. Non spende molto.» «Lei dimentica che oltre alla carota, in questo caso, c'è anche un bastone non trascurabile. Quando un tipo come Corbett affonda le unghie nelle tue carni, non puoi decidere che ti sei stancato del gioco. Fai quello che vuole lui, altrimenti viene a prenderti a casa. Forse potrebbe provare a interrogare sull'argomento Nicky Bell. Ah, già, è morto, che stupido sono.» Musgrave la pregò di aspettare un minuto. Mentre attendeva, lei vide John Cardinal passare in macchina diretto a casa. Staccò la mano dal volante per salutarlo, ma lui non la vide. All'improvviso, si pentì di aver telefonato a Musgrave. Poi sentì di nuovo la sua voce. «Senta, mi serve qualche altro elemento su queste ricevute. Qui non abbiamo tempo per le prime donne, sorella.» «Mi spiace, non credo di poterlo fare. Non ancora, almeno.» Musgrave insistette, adottando il tono di chi vuole farti capire che ora stai giocando in serie A. «Senta, sto facendo il mio lavoro, d'accordo? Sto indagando su di lui. Per il momento questo è tutto ciò che deve sapere.» Musgrave ricominciò, ma lei riattaccò. Quando arrivò a casa, restò seduta in macchina con il motore acceso, appoggiando la testa al volante. Cercava di non identificare le emozioni che scorrevano dentro di lei. Nel corso dei sei anni di lavoro alle Indagini speciali aveva conosciuto una quantità di uomini disonesti e si era imbattuta in una varietà di motivazioni che rivaleggiava con i boschi del Nord,
quanto a ricchezza. C'erano quelli che rubavano per cupidigia, ed erano semplici da inchiodare. Poi ce n'erano altri, più complessi, che rubavano per un impulso coatto. Altri ancora rubavano per paura, e Delorme pensava che fossero di gran lunga i più numerosi: basta pensare al manager di mezza età che vede avanzare lo spettro di una misera pensione. Non credeva che Cardinal fosse uno di loro, e quindi non si soffermava sul lussuoso cabinato, e neppure su quell'appartamento in Florida. Erano le lettere da Yale a essersi impresse nella sua mente. Le sembrava ancora di sentire la grana della carta intestata con il sigillo in rilievo, che testimoniava il costo enorme degli studi in un'università dell'Ivy League. Ci sono uomini, cominciava a capire, che rubano per amore. «John Cardinal» disse a voce alta, «sei un idiota.» 29 Eric gli aveva portato la minestra - da due giorni non gli davano altro da mangiare, nonostante le sue proteste - e si era seduto ai piedi del letto per controllare che la finisse. Non aveva detto una parola, limitandosi a restare seduto e a fissare Keith. Prima di uscire, gli aveva rivolto quel suo sorriso da furetto, come se avessero un segreto in comune. Keith andò subito in bagno per procurarsi il vomito. Non era più afflitto dalla nausea, ma era sicuro che lo stavano drogando con qualche sostanza che lo faceva dormire in continuazione, e ora voleva restare lucido, voleva sapere che cosa stava succedendo. Subito dopo, esausto e svuotato, si sedette sulla sponda del letto ascoltando le voci che provenivano dall'alto, monotone e incessanti. Dovevano essere proprio sopra di lui, ma non riusciva a distinguere le parole; sentiva soltanto le voci. Lo sforzo di vomitare gli aveva fatto lacrimare gli occhi. Se li asciugò con un lembo del lenzuolo, e allora si accorse che c'era stato un cambiamento nell'arredamento della stanza. Nell'angolo, dove prima c'era la macchina fotografica con il treppiede, si era materializzato un piccolo televisore con un videoregistratore. Cristo, per quanto tempo avevano intenzione di tenerlo lì? Era di vestiti che aveva bisogno, non di un televisore. Ma i suoi vestiti non erano sulla spalliera della sedia, e nemmeno sotto il letto o appesi nel bagno. E anche la borsa di tela era scomparsa. Provò ad aprire la porta, ma era chiusa dall'esterno. Per la prima volta, gli serpeggiò nelle vene un rivolo di paura. Avvolgendosi in una coperta,
restò seduto a lungo, riflettendo. A un certo punto, non sapeva esattamente quando, sentì Eric e Edie uscire, udì il rumore della macchina che si metteva in moto sul vialetto. Non aveva ancora la mente limpida, ma cercò di valutare la gravità della situazione. La porta era chiusa a chiave, i vestiti scomparsi: erano senza dubbio brutti segni, ma non riusciva proprio a valutare fino a che punto fossero gravi. Eric e Edie non sembravano poi tanto terrificanti. L'ipotesi peggiore, pensò, qual è l'ipotesi peggiore? Mi credono ricco e vogliono tenermi prigioniero per chiedere un riscatto. Prese una decisione. La prossima volta che avessero aperto la porta, si sarebbe catapultato fuori senza esitare. Può darsi che mi sbagli, può darsi che siano innocui, ma non importa. Voglio andarmene da qui. Sentì un ronzio provenire dall'alto. Aveva appena alzato la testa quando la lampadina cominciò a tremolare e si spense, fulminata. La stanza piombò nel buio. Schegge di luce, chiare e sottili, incorniciavano la finestra sbarrata dalle assi. Keith London non aveva mai avuto paura del buio, ma ora sì. Accese il televisore, perché in quell'oscurità anche il suo freddo riverbero era gradito. Purtroppo, senza antenna e senza cavo, la ricezione era pessima. Su uno dei canali lo spettro di un giornalista lo fissò con aria seria, ma la voce non riuscì a filtrare attraverso le scariche elettrostatiche. Premette il pulsante del videoregistratore per estrarre la cassetta. Sull'etichetta c'era il titolo scritto a mano: L'ANIMA DEL PARTY. Il film di Eric, si rammentò, oppure qualche filmato domestico. Inserì di nuovo la cassetta e premette il tasto di avvio. La scena era male illuminata, anzi illuminata in modo orribile. Al centro dello schermo si vedeva un cerchio di luce accecante, e tutt'intorno il buio. Nel cerchio di luce era seduto un ragazzo, un ragazzino magro con i capelli lunghi. Non aveva l'aria troppo sveglia mentre beveva da una lattina di birra, rivolgendo all'obiettivo un sorriso vacuo. Ruttò un paio di volte, esagerando a beneficio della videocamera. Poi entrò in scena una donna, Edie, che si sedette accanto a lui. Ci siamo, si disse Keith. Una videocassetta porno fatta in casa. Dio, certo che quassù al Nord i ragazzi crescono un po' strani. Le luci non facevano granché per attenuare i difetti della carnagione di Edie. La sua pelle sprigionava una luce opaca quando si protese in avanti, fra le gambe del ragazzo, cominciando a toccarlo. Il ragazzo rise. «Voi due siete troppo forti» mormorò, nervoso e imbarazzato.
In sottofondo si sentiva della musica, forse prodotta da una radio. La musica dei Pearl Jam distorta dalle casse scadenti. Edie continuava a sfregare l'inguine del ragazzo con un gesto meccanico; poi lui aprì la patta dei calzoni e lei infilò la mano dentro. A quel punto entrò in scena un altro personaggio, Eric, che interpretava il ruolo del marito oltraggiato e offeso, gridando frasi ridicole come: «E proprio tu mi fai questo? Dopo il modo in cui ti ho trattato?». Era ancora peggio di quanto Keith avesse immaginato. Eric spinse lontano la donna, continuando a gridare. Il ragazzo, da parte sua, recitava da cani, alzando le braccia al cielo con un gesto esagerato. Era ridicolo, con quei calzoni calati a metà. Poi Eric, in primo piano, assunse una posa teatrale, brandendo un martello. «Tu cerchi di scoparti mia moglie alle mie spalle? E io ti ammazzo!» «No, ti prego» implorò il ragazzo, senza smettere di ridere. «Ti prego, non uccidermi! Non volevo farlo! Mi farò perdonare!» Poi, del tutto fuori parte: «Scusatemi, ma non ce la faccio. È una tale idiozia, capite?». «Ti sembra un'idiozia?» Eric fece un passo avanti, sollevando il martello. «Te lo farò vedere io, se è un'idiozia.» Il martello calò sulla testa del ragazzo, cambiando tutto in un lampo. Nonostante la pessima qualità del sonoro, Keith capì subito che lo schianto dell'osso era reale, così com'era reale l'espressione che apparve all'improvviso sul volto del ragazzo... con la bocca aperta, gli occhi vuoti e attoniti. Eric vibrò un altro colpo. «Bastardo, feccia che non sei altro, chi credi di essere?» Il video durava ancora un minuto e mezzo. Guardando le immagini che gli scorrevano davanti, Keith rimase immobile fino alla fine in quella pozza di luce tremolante. Poi alzò la testa e ululò come un cane. 30 Fuori c'era un automobilista rimasto bloccato nella neve. L'inutile lamento delle gomme che giravano a vuoto riusciva a filtrare persino nella stanza degli interrogatori, dove Cardinal stava ascoltando una giovane donna triste che si chiamava Karen Steen. Nel complesso era stata una mattinata infelice. Prima di venire al lavoro era passato in ospedale, trovando Catherine imbronciata e poco disposta a comunicare, e aveva abbreviato la visita quando si era accorto di essere in collera con lei. La prima telefonata che aveva ricevuto appena sveglio era della madre di Billy La-
Belle, che piangeva, farfugliando con la voce impastata, sotto l'influenza di una dose eccessiva dei tranquillanti prescritti dal medico. Poi lo aveva chiamato il signor Curry (a nome della moglie, naturalmente), e Cardinal era stato costretto a rispondere che le ricerche del criminale che aveva picchiato a morte il suo unico figlio non avevano fatto progressi. Poi aveva chiamato Roger Gwynn del Lode, per chiedergli con il solito tono svogliato se c'era stato qualche passo avanti nelle indagini e, quando lui gli aveva risposto di no, si era lanciato in un'ode appassionata ai bei tempi del liceo, come se la nostalgia potesse rendere Cardinal più loquace. La telefonata di Gwynn era stata seguita a breve distanza da quelle del Globe and Mail, del Toronto Star e di Grace Legault del quarto canale. I giornali non erano un problema, ma Grace Legault era venuta a sapere, chissà come, la storia di Margaret Fogle. Era vero che avevano temuto che fosse anche lei una vittima dell'assassino di Windigo e invece era saltata fuori viva e vegeta nella Columbia Britannica? Cardinal riassunse in breve la situazione: a suo tempo i parenti avevano denunciato la scomparsa di Margaret Fogle, che, sotto certi aspetti, corrispondeva al profilo delle vittime del killer; ma, ora che l'avevano ritrovata, la polizia di Algonquin Bay non era più interessata a lei. Quella telefonata lo innervosì, perché significava che qualcuno parlava con Grace Legault senza tenerlo informato, e la sola idea di doverne discutere con Dyson lo faceva sentire molto, molto stanco. Avrebbe voluto dedicare il suo tempo al lavoro di indagine. Lui e Delorme si erano divisi le piste legate alla macchina fotografica e all'orologio. Avevano registrato di nuovo i suoni del nastro, realizzandone copie multiple da inviare agli esperti nella riparazione di macchine fotografiche e orologi a Toronto e a Montreal. A quest'ora Delorme doveva aver controllato almeno venti negozi di riparazione di macchine fotografiche, mentre Cardinal non aveva ancora combinato niente: era stato trattenuto, prima al telefono e ora di persona, da quella giovane donna dall'aria sincera che voleva parlargli del suo ragazzo scomparso. Cardinal era in collera con il sergente Flower perché aveva detto alla signorina Steen che lui l'avrebbe ricevuta, e si arrabbiò ancora di più quando venne a sapere che la ragazza veniva da Guelph, una grande comunità agraria che sorgeva circa cento chilometri a ovest di Toronto. «Se il suo ragazzo è di Toronto» le disse «dovrebbe parlarne alla polizia di Toronto.» Karen Steen era una donna schiva, anzi, piuttosto una ragazza, visto che aveva poco più di diciannove anni, e aveva la tendenza a fissare il pavi-
mento tra una frase e l'altra. «Ho deciso di non perdere tempo al telefono, agente Cardinal. Ho pensato che mi avrebbe prestato più attenzione se fossi venuta di persona. Sono convinta che Keith sia qui ad Algonquin Bay.» Tutte le ragazze lo facevano pensare a sua figlia ma, a parte l'età, la signorina Steen non aveva niente in comune con Kelly. La figlia era l'epitome dello stile casual, almeno ai suoi occhi, mentre la giovane donna seduta di fronte a lui nella stanza degli interrogatori aveva il classico aspetto della ragazza della porta accanto. Indossava un tailleur scuro che la invecchiava e portava un paio di occhiali con una sottile montatura in argento, che le conferiva l'aria di una studiosa. Una ragazza della porta accanto molto seria. La signorina Steen guardò di nuovo il pavimento e la piccola pozza di neve sciolta che si era formata ai suoi piedi. Per un attimo Cardinal pensò che volesse piangere, ma quando alzò la testa vide che aveva gli occhi asciutti. «I genitori di Keith si trovano in Turchia, per uno scavo - sono archeologi - ed è impossibile contattarli. Non potevo aspettare che fossero loro a dirmi che cosa fare. Ho letto degli omicidi che sono avvenuti quassù. Non erano soltanto omicidi; perché quelle persone erano scomparse già da qualche tempo quando sono state uccise, se non sbaglio.» «Questo non vuol dire che tutte le persone scomparse siano state rapite da questo maniaco. Inoltre il suo ragazzo sta viaggiando da un capo all'altro del Canada, e si tratta di un territorio molto vasto. Lei dice che era atteso nel Soo per martedì.» «Sì, e non è nel suo stile mancare agli appuntamenti. Una delle cose che amo in lui è che ha la massima considerazione nei confronti degli altri. È molto affidabile. Detesta causare fastidi al prossimo.» «Non è da lui, intende dire.» «Infatti. Non sono una donna isterica, signor Cardinal. Non sono venuta qui alla leggera. Ho le mie ragioni.» «Vada avanti, signorina Steen. Non intendevo questo, solo che... va bene, continui.» La giovane donna tirò un respiro profondo e rimase immobile per un minuto, con lo sguardo fermo in lontananza. Cardinal sospettava che fosse un atteggiamento abituale in lei, ed era accattivante. La signorina Steen sprigionava un gradevole senso di serietà. Non faticava a immaginare che un giovanotto potesse innamorarsi di lei. «Keith e io siamo diversi, sotto parecchi aspetti, ma anche molto uniti» riprese infine. «Dovevamo sposarci alla fine del liceo, ma poi abbiamo de-
ciso di rimandare di un anno. Io volevo continuare gli studi all'università, mentre Keith preferiva vedere il mondo, per così dire, prima di mettersi a studiare sul serio. In ogni caso, pensavamo che non ci avrebbe fatto male aspettare. Questo solo per farle capire che, quando Keith ha assicurato che mi avrebbe scritto, diceva sul serio: non era una promessa fatta alla leggera. Abbiamo anche concordato i tempi, per essere sicuri che le lettere non s'incrociassero.» «E lui le ha scritto come aveva promesso?» «Le lettere non sono arrivate esattamente puntuali, comunque sì... una lettera alla settimana, più una telefonata e qualche volta un'e-mail. Ogni settimana. Finora.» Cardinal annuì. La signorina Steen non era soltanto una ragazza seria, ma anche una persona buona, e questo non era un giudizio che gli capitasse di accordare con molta frequenza. Era stata allevata bene, probabilmente in modo rigido, educata a rispettare il prossimo e la verità. Aveva l'aria di un'olandese, con i capelli biondo grano tagliati corti come quelli di un ragazzo e gli occhi azzurro scuro come la tela dei jeans nuovi. «L'ultima volta che Keith mi ha telefonato era il 15, di domenica, una settimana e mezzo fa. Sembrava in forma. Era a Gravenhurst, in un alberghetto orribile e non si trovava troppo bene, ma Keith è una persona allegra, il tipo che fa amicizia facilmente. È un ottimo musicista... si trascina dietro la chitarra dappertutto. La gente tende ad approfittarsi di lui, e in parte è questo che mi preoccupa.» Com'era fortunato, Keith, pensò Cardinal, ad avere una persona come la signorina Steen che si preoccupava per lui. Lei tirò fuori dalla borsa una foto per mostrargliela. Ritraeva un ragazzo con i capelli castani, lunghi e ricci, seduto sulla panchina di un parco a suonare una chitarra acustica con la fronte aggrottata per la concentrazione. «È la persona più ingenua che esista al mondo» continuò lei. «Si lascia sempre abbindolare da ciarlatani e gente del genere, perché crede alle loro tirate. Capisce che cosa intendo dire?» Quegli occhi azzurro jeans, intensi e leggermente rivolti all'insù, lo imploravano di capire. «Questo non significa che sia stupido, tutt'altro. Ma, del resto, anche gli altri che sono scomparsi non erano stupidi, vero?» «Be', due di loro erano giovanissimi. Comunque no, nessuno di loro era stupido.» «Keith pensava di andare nel Soo lunedì, ma non era troppo ansioso di farlo. In realtà l'idea di andare a trovare i parenti non lo entusiasmava, pe-
rò...» Distolse lo sguardo, inspirò a fondo e trattenne il fiato. Keith, amico mio, pensò Cardinal, se ti lasci sfuggire questa ragazza sei davvero un idiota. «Che cosa c'è?» le chiese con dolcezza. «Ora mi sta nascondendo qualcosa.» Lei si lasciò sfuggire un lungo sospiro, fissandolo di nuovo con quegli occhi azzurri così seri. «Agente, mi sembra onesto dirle che Keith e io abbiamo avuto... una piccola lite. Un paio di settimane fa, quando mi ha chiamato. Forse mi sentivo sola e vulnerabile, fatto sta che abbiamo rivangato una quantità di discorsi sul modo in cui intendiamo vivere questo periodo. Lui si trascina quella chitarra da un capo all'altro del paese - se ho una rivale nel suo cuore, è proprio quella Ovation - ma io non sono intraprendente come lui, voglio soltanto proseguire gli studi. Non è stata una lite seria, la prego di credermi. Non ci siamo separati in collera o altro, comunque abbiamo litigato e non mi sembra giusto tacerlo.» «Ma non pensa che questo litigio sia il motivo del... dell'improvviso silenzio di Keith.» «Sono certa di no.» «La ringrazio di avermelo detto. Allora come vi siete lasciati, per l'esattezza?» «Keith ha detto che probabilmente avrebbe fatto una sosta ad Algonquin Bay... mi avrebbe telefonato appena arrivato.» «Signorina Steen, Keith non voleva andare nel Soo, non aveva voglia di fare visita ai parenti. Ora mi dice che non era in collera con lei, e io le credo, ma perché dovremmo pensare che è nei guai solo perché non si fa vivo in un posto nel quale ha detto chiaramente che non voleva andare?» «Di per sé, lo ammetto, non sarebbe un fatto allarmante. Ma senza scrivere? Senza una telefonata o almeno un'e-mail? Dopo che si è dimostrato così puntuale? E poi qui avete questi casi di rapimento ancora insoluti, non è vero?» Cardinal annuì. La signorina Steen tratteneva di nuovo il fiato, preparandosi a esporre un'altra riflessione, e lui attese che ci arrivasse. Lise Delorme si affacciò alla porta, ma Cardinal scosse la testa, invitandola ad allontanarsi. Alla fine la signorina Steen superò le esitazioni che l'avevano trattenuta fino a quel momento; quando parlò, la sua voce era più sonora. «Le ho detto che la settimana scorsa non mi era arrivata nessuna lettera, agente.» «Sì, è stata categorica in proposito.» «Ebbene, non è del tutto vero. Ed è proprio questo il motivo per cui sono
qui.» La signorina Steen frugò nella borsetta, da cui estrasse una busta di manila. «La lettera è qui... la busta, voglio dire, perché non è una lettera. L'indirizzo è scritto da Keith, ma dentro non c'era la lettera.» «È arrivata vuota?» Cardinal le prese di mano la busta di manila. «Non era vuota.» Stavolta non fissava il pavimento: i suoi occhi azzurri e seri lo fissavano apertamente. Cardinal strappò il primo foglio del grande blocco di carta che gli serviva da sottomano per rovesciare il contenuto della busta su un foglio nuovo e pulito. La busta più piccola che si trovava all'interno era stata affrancata tre giorni prima ad Algonquin Bay. Servendosi di un paio di pinzette, Cardinal sollevò il lembo, vide il contenuto secco e gialliccio e la richiuse subito. Poi ripiegò il foglio pulito intorno alla busta e infilò il tutto nella busta più grande. Nel breve silenzio che seguì, Cardinal si sentì sicuro di due cose almeno: quello che la giovane donna gli aveva detto era vero, dalla prima all'ultima parola, e a Keith London, se non era già morto, restava ben poco tempo da vivere. Formò il numero di Jerry Commanda, poi mise la mano sul microfono del ricevitore. «Quando è arrivata?» «Questa mattina.» «E lei è venuta subito qui?» «Sì. Non ho pensato neanche per un istante che fosse stato Keith a farlo, ma è stato lui a scrivere l'indirizzo sulla busta. Conosco la sua scrittura. Ho ragione a essere spaventata, non crede?» Ora Jerry Commanda era in linea. «Jerry, è importante. Mi serve un elicottero per trasportare qualcosa al Centro di medicina legale. Quali possibilità ci sono?» «Zero. Se è un caso disperato, forse potrei riuscire a strappare un favore alla scuola di volo. Di quale urgenza stiamo parlando?» «Estrema. Penso che il nostro amico ci abbia appena spedito per posta un campione del suo sperma.» 31 Nei pomeriggi d'inverno, la banchina di Algonquin Bay è un posto tranquillo e silenzioso. Si sente soltanto il ronzio, come sega elettrica, di una motoslitta che passa, oppure lo scricchiolio del ghiaccio quando le lastre enormi si scontrano, emettendo un sospiro ultraterreno, un cigolio al ral-
lentatore o anche, talvolta, un gemito terrificante. Edie Soames ed Eric Fraser stavano vicini, fianco a fianco, in un angolo della banchina riparato dal vento. Davanti a loro la superficie del lago Nipissing si perdeva nel grigiore di un tetro paesaggio nordico. Eric non parlava, ma Edie si godeva l'emozione di conoscere la mente di un altro così profondamente che le parole erano superflue. Sapeva bene che cosa stava per dire Eric; l'avrebbe detto da un momento all'altro. Era stato irrequieto e irritabile per tutta la mattina, e anche parte del pomeriggio. E ora, anche se scattare foto lo calmava un po', Edie sapeva dove sarebbero andati a parare, sebbene Eric non ne fosse consapevole. Ormai stava per dirlo. Invece Eric si allontanò per fermarsi ai piedi della Chippewa Princess, un battello turistico che era stato trasformato in ristorante, e durante l'inverno troneggiava sul ghiaccio come una balena bianca arenata sulla spiaggia. Regolò l'obiettivo, imprecando contro il freddo. Edie si aggiustò i capelli, cercando di farli ricadere su un occhio come faceva Drew Barrymore in uno dei film che aveva visto. Magari, pensò con amarezza; ma almeno le avrebbero nascosto una parte del viso. Guardando Eric, avvolto nel lungo cappotto nero, si sentì struggere dal desiderio di andare a letto con lui. Il problema era che lui non voleva. Quando lo toccava, tutto il suo corpo s'irrigidiva, e non di desiderio, ma di repulsione. Sulle prime Edie aveva pensato che quella repulsione fosse rivolta verso di lei, e fin lì non ci sarebbe stato niente di nuovo: invece Eric sembrava disgustato dal sesso in generale. Il sesso è per i deboli, le ripeteva sempre. Ebbene, lei poteva farne a meno, specialmente adesso che condividevano quest'altra fonte di eccitamento più profondo. Lui avrebbe pronunciato quella parola entro un'ora, ne era certa. «Spostati» le disse, indicando un punto alla sua sinistra. «Voglio inquadrare le isole.» Edie si girò a guardare. Laggiù, dove il cielo e il lago s'incontravano in una sinfonia di tonalità grigio cenere, sorgevano le isole. Quell'isola. Windigo. Chi avrebbe mai pensato che un'isola così minuscola potesse avere un nome? Edie ricordava la ragazzina morta, la curva della sua spina dorsale contro la tela della borsa di Eric. Com'era sembrato importante in quel momento, l'omicidio, e quanto pesava quella parola tetra. Ma era incredibile quanto poco contasse il fatto in sé, quando si veniva al dunque: una vita umana era stata spenta, ma dal cielo non erano scese colonne di fuoco e le porte dell'inferno non si erano spalancate. I poliziotti e i giornali si erano agitati un po', ma in sostanza il mondo continuava a girare esattamente
come prima, anche senza Katie Pine. Non mi ricorderei neppure il suo nome, pensò Edie, se non me lo avessero gridato nelle orecchie un giorno sì e uno no al telegiornale. Si mosse leggermente a sinistra, mentre il ghiaccio si spostava con un cigolio metallico. Si lasciò sfuggire un grido. «Eric, lo hai sentito?» «Il ghiaccio si è spostato. Ora fammi un sorriso.» «Non ho voglia di sorridere.» L'obiettivo fotografico non era clemente con Edie, senza contare che il rumore del ghiaccio l'aveva scossa; era stato come se l'isola avesse pronunciato il suo nome. «Allora fa' l'imbronciata, Edie. Non me ne importa.» Lei gli rivolse il suo più bel sorriso, tanto per fargli dispetto, ed Eric scattò. Un'altra foto da mettere agli atti. Avevano cominciato la spedizione fotografica dal Trout Lake, vicino al bacino artificiale. Eric aveva scattato una foto a Edie, stesa sulla neve nel punto esatto in cui avevano seppellito Billy LaBelle. Con tutta la neve che era caduta, non si notava nulla di insolito. La collina avrebbe fatto un'ottima figura su una cartolina, con la vista sul lago e il cielo di un azzurro intenso. Poi avevano raggiunto Main Street, per scattare qualche fotografia davanti alla casa dove avevano ucciso Todd Curry. Una a Edie, una a Eric e poi una insieme (per quella Eric aveva usato l'autoscatto). Li aveva visti un uomo che portava a spasso un grosso cane peloso, e per un attimo Edie aveva pensato che li guardasse con odio. Ma Eric l'aveva rassicurata: erano soltanto una giovane coppia che giocava con la macchina fotografica, quindi che cosa poteva trovarci da ridire, quel vecchio babbeo? Si spostarono sul lato sottovento del negozio che vendeva esche, in modo che Eric potesse accendersi una sigaretta, chiudendo le mani a coppa intorno al fiammifero. Si appoggiò alla parete di legno, guardandola con gli occhi socchiusi. Edie aveva l'impressione di sentire le sue parole prima ancora che le pronunciasse, come se avesse già sognato la scena, come se fosse stata lei a creare Eric, il molo e il gelo e il fumo, tutto nella sua mente. Provava la stessa cupa eccitazione che scorreva nelle vene di lui. Poteva sentirne l'odore, simile al sentore metallico del ghiaccio che aleggiava nel gelido vento invernale. Rivedere quella casa le aveva mandato i nervi in tilt, come vedere l'isola. Tremava di freddo, ma non disse niente perché non voleva sciupare quel momento. Risalirono a bordo del furgone, con il riscaldamento al massimo. Era una sensazione così bella che Edie scoppiò a ridere. Eric estrasse un libro
dal vano portaoggetti e glielo porse. Era un grosso volume in edizione economica, con un bollino adesivo che recava la scritta USATO. Lei lesse il titolo. «La stanza delle torture. Dove lo hai preso?» Le spiegò che lo aveva trovato l'ultima vola che era stato a Toronto. Era un documento storico che cercava da tempo, un catalogo di strumenti di tortura usati nel Medioevo. «Leggimi qualcosa a voce alta» le disse. «La pagina trentasette.» Edie sfogliò in fretta le pagine patinate, fitte di fotografie e disegni. Le foto mostravano la sedia, la frusta o lo strumento di contenzione, mentre i disegni illustravano l'uso del congegno. Uncini per estrarre le viscere, artigli di ferro per straziare le carni, seghe per tagliare in due un essere umano. Quest'ultima illustrazione mostrava un uomo appeso a testa in giù, mentre due aguzzini lo segavano in due dall'inguine all'ombelico. «Leggi la pagina trentasette» ripeté Eric. «A voce alta. Mi piace sentirti leggere. Tu leggi così bene.» Oh, sapeva bene quanto lei apprezzava quella lode: era come tornare a casa intirizziti e trovare un bel fuoco che scoppiettava. Edie arrivò alla pagina che lui le aveva indicato. La foto mostrava una specie di elmo fissato sopra una sbarra di legno. Al di sopra dell'elmo c'era una vite enorme. «Schiacciateste» lesse a voce alta. «Il mento dell'accusato viene appoggiato sulla sbarra inferiore. Girando la vite, la cupola di ferro viene sospinta verso il basso, serrando insieme i denti e sfondando a poco a poco la mascella inferiore, schiacciata contro quella superiore. A mano a mano che la pressione aumenta, gli occhi sporgono dalle orbite. Alla fine il cervello stesso fuoriesce dalle fessure del cranio fratturato.» «Sì, il cervello schizza fuori» mormorò Eric, ansimando. «Vai avanti. Leggi della ruota.» Teneva le mani affondate nelle tasche. Edie sapeva che sì stava toccando, ma lo conosceva troppo bene per parlarne. Fece scorrere le pagine, fitte di immagini di vecchi strumenti di ferro illustrati da piccole xilografie che mostravano espressioni di orrore da cartone animato. «Forza, Edie. Leggi la tortura della ruota. È verso la fine.» «A quanto pare, conosci bene questo libro. Dev'essere uno dei tuoi preferiti.» «Può darsi. Può darsi che sia per questo che voglio dividerlo con te.» Oh, lo so che cosa sta per arrivare, Eric. Lo so che cosa stai per dire. Trovando la pagina giusta, sentì qualcosa pulsare nel ventre, come un secondo cuore. «La ruota. La vittima, distesa nuda in posizione supina, veni-
va fissata per le braccia e per le gambe al bordo esterno della ruota. Sotto tutte le ossa e le articolazioni principali del corpo si disponevano dei blocchetti di legno. Il carnefice, munito di una sbarra di ferro, fracassava le braccia e le gambe, ricorrendo a tutta la sua abilità per non uccidere la vittima.» «Li riducevano letteralmente in poltiglia» commentò Eric «ma tenendoli in vita. Che emozione doveva essere, te lo immagini? Continua.» «Il racconto di un testimone oculare descrive come la vittima fosse trasformata in "una sorta di enorme fantoccio urlante che si dibatteva fra mille rivoletti di sangue, un fantoccio con quattro tentacoli, come un mostro marino, un ammasso di carne viva, molle e informe, da cui sporgevano le schegge delle ossa frantumate". Quando non c'era più nulla da spezzare, le membra venivano intrecciate ai raggi della ruota, che veniva poi issata in posizione orizzontale su un palo. I rapaci beccavano gli occhi della vittima, strappandole brandelli di carni. Probabilmente, la tortura della ruota è la forma più lenta e dolorosa di morte che mente umana abbia mai concepito.» «Leggi quello che viene dopo, in fondo alla pagina.» «La tortura della ruota era estremamente diffusa ed era considerata uno spettacolo ameno. Nell'arco di quattro secoli, incisioni, disegni e dipinti ritraggono folle di persone che ridono e conversano, godendo apertamente della vista di quelle terribili sofferenze inflitte a un altro essere umano.» «Alla gente piaceva quello spettacolo, Edie, e le piace ancora, solo che non vuole ammetterlo.» Edie lo sapeva già. Persino alla nonna piaceva assistere a un incontro di wrestling o a un match di pugilato. Be', sempre meglio che fissare quel desolato mare di ghiaccio. Scommetto che la nonna preferiva vedere un tale che si faceva riempire di botte. Perfettamente normale, secondo Eric. Solo che oggigiorno non era perfettamente legale, tutto qui. Era passato di moda. Ma poteva anche tornare in auge: bastava pensare agli Stati Uniti. Bastava pensare alla camera a gas, alla sedia elettrica. «Non puoi sostenere che alla gente non piace, Edie. Sarebbe tutto finito da secoli, se gli esseri umani non provassero una forte emozione nell'infliggere la morte. È l'emozione più grande che l'uomo conosca.» Ecco che arriva, pensò Edie. Mi pare di vedere le parole che si formano nella sua mente prima ancora che le pronunci. «Sono d'accordo» gli disse. «Bene.»
«No, no. Voglio dire che sono d'accordo con quello che stai per dire, non solo con quello che hai detto.» «Ah, davvero?» Eric le rivolse un sorriso ambiguo. «E che cosa stavo per dire? Su, avanti, Madame Rosa, leggimi nel pensiero.» «Posso farlo, Eric. So esattamente che cosa stavi per dire.» «Allora avanti, dimmelo.» «Stavi per dire: "Facciamolo stasera".» Eric si voltò, mostrandole solo il profilo. Il fumo salì a formare un filo sottile nel buio che si addensava. «Niente male» concesse poi, a bassa voce. «Niente male davvero. «Non so tu, Eric, ma io direi che è arrivata l'ora del party.» Eric abbassò il finestrino, gettando la sigaretta nella neve. «È l'ora del party.» 32 La casa era molto più piccola di quanto apparisse dall'esterno. Il piano superiore comprendeva soltanto due camere da letto - anche se Woody avrebbe giurato che dovevano essere tre - più un bagno minuscolo. Come aveva spiegato con tanta chiarezza all'attraente agente Delorme, Arthur "Woody" Wood non faceva il ladro per migliorare la propria vita sociale, anzi, come tutti i ladri professionisti faceva del suo meglio per evitare di incontrare qualcuno mentre era al lavoro. In altri momenti, invece, Woody era molto socievole. Aveva visto quel tale che sembrava una donnola uscire dal negozio di articoli musicali e lo aveva seguito dal centro commerciale fino a casa, dopo averlo visto caricare sul furgone una scatola della Sony dall'aria piuttosto appetitosa. Sapeva che la coppia era assente, in quel momento, perché era rimasto fuori a bordo del furgone almeno un'ora e mezzo. Non si correvano rischi a tenere d'occhio una casa in quel modo, perché nessuno bada a un furgone Chevy vecchio e malandato con la scritta COMSTOCK ELECTRIC INSTALLAZIONI E RIPARAZIONI; nessuno presta la minima attenzione. Comunque, per sicurezza, Woody cambiava la scritta ogni tre mesi. Così era rimasto seduto là fuori, ascoltando i Pretenders sul mangianastri (un Blaupunkt nel quale si era imbattuto mentre faceva un piccolo inventario a Cedarvale, l'inverno prima. Certo che i tedeschi se ne intendevano di elettronica!) e leggendo le pagine sportive del Lode. Pur compenetrandosi
nelle alterne fortune dei Maple Leafs, nel frattempo pensava alle spese da fare. Woody, oltre a essere un ladro industrioso, era anche un marito e un padre coscienzioso, ed era venuto il momento di cercare qualcosa per il suo figliolo ed erede, che lui aveva ribattezzato affettuosamente "Dumptruck". Il bambino aveva bisogno di un bel giocattolo. Una serie di blocchi da costruzione sarebbe andata bene; doveva guardare che cosa c'era in giro. Naturalmente, quella coppia non aveva figli - li aveva sorvegliati abbastanza a lungo da appurarlo - ma non si può mai sapere che cosa tiene la gente negli armadi. Un paio di settimane prima si era procurato un piccolo orso Yoghi di plastica che Truckie portava con sé dappertutto. La serratura della porta di servizio non presentava problemi: ventisette secondi, non certo un record, ma neanche troppo male. Woody salì subito al primo piano, come faceva sempre per scaramanzia: era convinto che in quel modo si assecondasse la natura, lasciandosi aiutare in discesa dalla forza di gravità. Camminando in assoluto silenzio con i piedi calzati nelle Reebok, si diresse verso la camera da letto sul retro. La ragione e lo spirito di osservazione gli dicevano che là dormiva la coppia felice. Lo attendeva una sorpresa. Quella era la stanza di una ragazza nubile, non di una coppia. Le pareti erano rosa, il letto bianco e il cassettone era coperto di vasetti di crema, per lo più medicinale. In origine la carta da parati, ormai vecchia e logora agli angoli, sollevati dall'intonaco sottostante, doveva essere stata giallo chiaro, con motivi di piccoli parasole. Una tigre di peluche sopra il cassettone attirò il suo interesse - chissà, forse a Dumptruck poteva piacere - ma un'ispezione più attenta rivelò che era una tigre rognosa, con le orecchie smangiucchiate, sulla quale qualcuno doveva avere sbavato, stringendola a sé durante chissà quante malattie. Non poteva certo portarla a casa. "Che cosa ti è saltato in mente?" gli avrebbe detto Martha. "È terribilmente antigienica." Woody si fermò un attimo, tendendo le orecchie per captare eventuali rumori. No, la vecchia non si muoveva. Probabilmente era anche sorda. Non la facevano uscire di casa da almeno tre giorni, poveretta. La testiera del letto aveva una caratteristica interessante, scaffali incassati per i libri, chiusi da piccoli pannelli scorrevoli: proprio il tipo di nascondiglio che la gente usa per i gioielli. Woody, che come tutti i suoi colleghi era un irriducibile ottimista, fece scorrere il piccolo pannello, pieno di aspettativa. E si trovò di fronte alla seconda sorpresa. Si era aspettato un paio di ro-
manzi di Danielle Steel (Martha ne leggeva in continuazione) oppure di Barbara Taylor Comesichiama. Quella invece era una piccola biblioteca piuttosto sinistra: Storia della tortura, Le atrocità giapponesi nella Seconda guerra mondiale, Justine e Juliette, questi ultimi opera del marchese de Sade. Persino lui lo aveva sentito nominare. In ogni lavoro Woody si concedeva sempre un momento di pausa, un'occasione per lasciare briglia sciolta alla fantasia e provare a immaginare quell'esistenza che aveva violato, tenendo fra le mani qualche oggetto prezioso o particolare. Adesso era uno di quei momenti. Prese il volume di Juliette. Il marchese de Sade non era forse quel tale che amava bardarsi di fruste, catene e cose del genere? Woody sfogliò il libro fino a raggiungere una pagina con l'angolo piegato per tenere il segno e lesse un passo che era stato segnato con un tratto di matita in margine: Afferro quei seni, li sollevo e li recido alla base; poi, appendendo quei lembi di carne a una cordicella... Sfogliò qualche altra pagina e vide che il seguito andava di male in peggio. Sul frontespizio campeggiava una dedica scritta con una penna a sfera da pochi soldi: "A Edie da Eric". «Cristo santo, Eric» mormorò Woody. «Questo non è un libro da regalare a una donna. Questo è un libro malato, e anche tu sei malato.» Dopodiché si ripromise di tenere un comportamento strettamente professionale fino alla fine del lavoro. Martha sarebbe inorridita di fronte alle condizioni del bagno: il lavandino era macchiato di ruggine, le piastrelle sudicie. Si sentiva l'odore degli asciugamani fin dal corridoio. L'armadietto dei medicinali traboccava di sonniferi e tranquillanti della Pharma-City, quel genere di scoperta casuale che può rallegrare la giornata di un uomo. Purtroppo, Woody non trattava né droghe né medicinali. Non li usava e non li vendeva, grazie a Martha. Ma pensò con malinconia che c'era stato un tempo... Un rumore dal piano di sotto. Voci. Rimase immobile davanti allo specchio incrinato, con la testa piegata di lato. No, era soltanto il televisore della vecchia. Che noia, guardare soap opera tutto il giorno. La nonna dormiva nella stanza sul davanti, lo sapeva grazie ai turni di sorveglianza che aveva fatto e lì dentro non c'era niente di valore da prendere, solo quel vecchio televisore orribile in bianco e nero, con l'immagine che faceva schifo. Scendendo al pianterreno, fece un rapido e deludente inventario della cucina. Quel magro assortimento di vecchi elettrodomestici non gli avrebbe reso niente. Anche il soggiorno piccolo e buio era un disastro, pieno di
divani e poltrone imbottiti che erano stati la cuccia di chissà quanti cani. Woody ignorò il vecchio e strano orologio sulla mensola del camino: non si occupava di antiquariato. Con suo grande disgusto, notò che non c'era neppure un videoregistratore; quella sì che era un'anomalia, data l'epoca e i tempi. Quel lavoro non gli aveva reso ancora niente, e aveva quasi finito il giro. Evidentemente aveva valutato male la situazione. Il tale del negozio non viveva neppure in quella casa. Eppure lavorava in un negozio di articoli musicali, Cristo: doveva avere attrezzature di prim'ordine, nascoste chissà dove. Proprio il giorno prima Woody lo aveva visto trasportare una scatola di cartone della Sony, scaricandola dal retro di quel vecchio Windstar che guidava. «Che cazzata» mormorò Woody. «Un tavolino per il televisore senza televisore.» L'impronta rimasta nella polvere dimostrava che in quel punto, fino a un paio di giorni prima, c'era un televisore, e la piccola pila di videocassette vicino al tavolino indicava la presenza di un videoregistratore. O erano tutti e due in riparazione, e quella sarebbe stata una coincidenza davvero sfortunata, oppure erano stati spostati in un'altra parte della casa, forse nella stanza della nonna. Be', non poteva disturbare la nonna, quindi non gli restava che il seminterrato. L'ottimismo non lo aveva ancora abbandonato, a volte le cantine fruttano dividendi inattesi - una cassa di attrezzi, un motore fuoribordo, una serie di mazze da golf, non si poteva mai sapere - ma in genere sono posti freddi e umidi che comunicano brividi molto simili a quelli della paura. Oltre tutto nei seminterrati non si sentono bene i suoni, e per questo motivo tanti suoi colleghi si erano fatti beccare; era una posizione vulnerabile. I seminterrati sono fatti per quel genere di furti che si possono definire anali; non privi di interesse, ma neanche la sua prima scelta, almeno in una bella giornata di sole. In fondo alle scale, Woody si soffermò un attimo fra galosce, pattini ammaccati e pale da neve arrugginite, aspettando che gli occhi si adattassero alla penombra. Il locale puzzava di panni sporchi e piscio di gatto stagionato. Fuori era buio; la luce si sarebbe vista dall'esterno. Le finestre, notò con un fremito di nervosismo, erano alte e non molto grandi, probabilmente non abbastanza per passarci, se per caso fosse stato costretto a cercare una via d'uscita. A poco a poco, presero forma vari oggetti: una vecchia lavatrice munita di asciugatrice, una caldaia sporca, un paio di sci rotti, uno slittino di allu-
minio tutto ammaccato, una bicicletta da donna senza ruota anteriore. Meditò per un attimo sulla bicicletta. Proprio quell'autunno era stata rubata la bici a dieci marce di Martha, che era andata su tutte le furie, specie quando lui aveva assunto l'atteggiamento distaccato del professionista. Quel relitto di bicicletta, comunque, era fuori questione. Ripararla sarebbe costato più lavoro di quanto valeva. Voltandosi, vide nella penombra una porta, una solida lastra di quercia che doveva aprirsi su... be', a quel punto Woody si fece prendere la mano dall'ottimismo. Doveva aprirsi su... ma sì, ecco, sullo studio. Quel tizio con l'aria sfuggente da donnola doveva avere uno studio nello scantinato della sua ragazza per tenerci le videocamere e i videoregistratori. Quella stanza, con la serratura Medeco e i tre chiavistelli solidi, doveva contenere senz'altro videocamere, treppiedi, apparecchi di registrazione, televisori e videoregistratori. Woody, amico mio, sei sulla soglia del paradiso. Naturalmente, se là dentro c'erano davvero quelle apparecchiature, voleva dire che i chiavistelli erano dalla parte sbagliata della porta: gente come Woody era bene tenerla fuori della stanza del tesoro, non invitarla a entrare. Ma per quanto lo sapesse meglio di chiunque altro, quella considerazione non servì a trattenerlo. I chiavistelli non erano un problema, mentre la Medeco, be', a tentare di aprire una Medeco si rischiava di diventare vecchi, così Woody usò uno strumento da fabbro per smontarla del tutto. Aprì la porta, e invece del tesoro si trovò davanti un ragazzo nudo seduto su una massiccia sedia di legno. Il primo pensiero di Woody fu: "Oh, cazzo, mi sono fregato". Ma poi, alla luce di un televisore senza immagine, si accorse che in realtà il ragazzo era legato alla sedia: la bocca tappata con il nastro adesivo, i polsi fissati alla sedia e nudo come un verme. Si dibatteva nel tentativo di liberarsi, tendendo il nastro che lo bloccava e lamentandosi, con uno sguardo allucinato. Quella era una situazione capace di gettare nel panico un ladro, sia pure un professionista incallito. Woody, che non riusciva ancora a riflettere con lucidità, cominciò ad avviarsi verso il televisore per staccare il cavetto del videoregistratore. Okay, il ragazzo è incappato in chissà quale disavventura di tipo sessuale, e non sono affari miei. Ma mentre avvolgeva il filo intorno al videoregistratore (Mitsubishi, stereo a quattro testine, un solo anno di vita), alcuni aspetti della situazione s'imposero all'attenzione di Woody: il ragazzo era nudo; in quella stanza non c'erano vestiti; nella bacinella sotto la sedia c'era dell'urina e, a giudicare dall'odore, anche merda. Non era
un gioco, non era uno scherzo di cattivo gusto. Woody si soffermò sulla soglia, con il videoregistratore sotto il braccio. «Ci sono» disse rivolto al ragazzo. «Un affare di droga andato male, giusto?» Il ragazzo tentò di liberarsi, dimenandosi freneticamente. Woody si protese in avanti per staccargli dalla bocca il nastro adesivo, e lui cominciò subito a gridare. Per lo più erano vaneggiamenti privi di senso, ma c'erano delle espressioni ricorrenti: «Maniaci, pervertiti, vogliono uccidermi». «Un momento, un momento. Ora devi piantarla di urlare, devi chiudere quella boccaccia, e subito. Non puoi gridare così!» Quelle ultime parole, Woody le gridò a sua volta. «Portami fuori di qui, bastardo!» Il ragazzo aveva il viso inondato di lacrime mentre farneticava di una videocassetta, di un omicidio. I dettagli erano assurdi, ma il terrore era reale. Woody aveva assistito a scene disgustose, nei periodi trascorsi in carcere a Kingston, ma non aveva mai visto un terrore così estremo, neppure nel detenuto più debole e più angariato. La sua era una reazione semplice: vedi un uomo legato, e lo sleghi. Entrò nel minuscolo bagno per cercare i vestiti del ragazzo, ma senza trovarli. «Dove diavolo sono i tuoi vestiti, amico? Là fuori ci sono venti gradi sotto zero, senza contare il vento.» Stava già per aprire il coltellino dell'esercito svizzero, quando sentì la macchina fermarsi davanti alla casa. Il ragazzo cominciò a urlare come una rock star: «Liberami, liberami, liberami». «Zitto, amico. Sono qui fuori.» «Non me ne frega un cazzo, tirami fuori da qui!» Woody gli tappò di nuovo la bocca con il nastro adesivo, controllando che aderisse bene. La porta di servizio della casa si stava già aprendo, e lui sentiva la coppia parlare. Dopo aver chiuso la porta, ringhiò all'indirizzo del ragazzo: «Prova a fare il minimo rumore, e ti giuro che sarò io a bucarti, capito?». Il ragazzo annuì freneticamente: capito. «Se ti fai sfuggire anche un solo gemito, siamo tutti e due nella merda fino al collo. C'è una sola porta per uscire di qui, e se perdiamo l'elemento sorpresa puoi dire addio a quell'uscita, e dico sul serio. Azzardati a fare un rumore qualsiasi, e ti faccio un buco nel fegato.» Il ragazzo annuì con la frenesia di un pazzo. Merda. Woody avrebbe potuto correre su per le scale del seminterrato e uscire dalla porta di servizio in un baleno, e invece... Oh, Cristo, si sentivano i passi proprio sopra la sua testa.
«Ecco che cosa facciamo» disse tagliando il nastro adesivo intorno alla caviglia del ragazzo. «Io ti libero, tu indossi il mio giaccone e ce ne andiamo dalla porta di servizio. Ho un ChevyVan parcheggiato qui di fronte.» Non c'era bisogno di dirgli che doveva correre. Liberò anche l'altro piede. Il ragazzo cercava già di alzarsi in piedi, pur essendo ancora legato alla sedia. «Un momento, Cristo, un momento!» Quelle voci, non erano più vicine? Un polso era libero, ma, prima che potesse finire con l'altro, il ragazzo si strappò il nastro adesivo dalla bocca e perse di nuovo il controllo, cominciando a urlare come un ossesso. Woody gli tappò la bocca con la mano, brandendo il coltello, ma ormai era troppo tardi: le voci al piano di sopra salirono di volume e i passi divennero veloci e pesanti. Woody attaccò l'ultimo tratto di nastro adesivo - al diavolo le urla del ragazzo - ma lui non lo lasciò finire e si alzò, ancora attaccato alla sedia per il polso, spingendolo da parte per passare con tutta la sedia. Spalancò la porta, e gli si parò davanti quel tale con l'aria sfuggente che impugnava una pistola. Il ragazzo proseguì la corsa, trascinandosi dietro la sedia per le scale. «Non puoi uscire» gli disse l'uomo, da sopra la spalla, ma senza staccare gli occhi da Woody. Il ragazzo era già in cima alla rampa di scale, a culo nudo, e cercava di sfondare la porta a spallate, ma Woody sapeva che non c'era porta al mondo che cedesse, come si vede nei film. «Sta' calmo» disse allora, rivolto all'uomo che sembrava una donnola. «Non c'è bisogno di ricorrere alla violenza.» L'altro lo squadrò da capo a piedi, senza fretta. «Chissà, forse a me piace la violenza.» «Ti propongo un patto: lascio qui il videoregistratore, e tu lasci andare il ragazzo. Non so che cosa ti ha fatto, magari hai tutte le ragioni per prenderlo a calci nel culo, ma non puoi tenere un ragazzo legato in cantina. Non è giusto.» Il ragazzo stava ancora cercando di sfondare la porta, continuando a urlare come un ossesso. «Sta' zitto» ordinò l'uomo, in direzione delle scale. «È proprio isterico.» «Già, è decisamente sconvolto. Senti, amico, io devo andare.» La donnola si allontanò dalla soglia per spostarsi ai piedi delle scale. «Keith» disse in tono brusco. «Scendi subito.» «Non se ne parla nemmeno! Io me ne vado di qui!» L'uomo salì sul primo gradino della rampa, puntò la pistola verso la
gamba del ragazzo, a una trentina di centimetri di distanza, e tirò il grilletto. Il ragazzo lanciò un urlo, cadendo per le scale con le mani strette sulla coscia. Stava rotolando sul pavimento di cemento, quando l'uomo gli assestò una pedata al mento, come se dovesse tirare un calcio di rigore, e il ragazzo si fermò di colpo, restando immobile. «Cristo, amico.» Woody non riusciva a dire altro, anzi, continuò a ripeterlo un paio di volte. «Non ce n'era bisogno.» «Siediti su quella sedia.» «Nossignore. Niente da fare. È chiaro che sei seccato, ma cerchiamo di essere realistici.» Non intendeva lasciarsi legare per niente al mondo. Quell'uomo era malato. «Siediti o ti sparo.» «Ha svegliato la nonna.» Quella frase surreale proveniva dall'alto delle scale, dov'era apparsa la donna, con la mano stretta sulla balaustra. «Con tutte quelle urla.» Scese un paio di gradini, guardando dall'alto il ragazzo. «Dovrei pisciarti sulla faccia.» «Si è introdotto in casa tua, Edie. Stava rubando il videoregistratore.» La donna guardò Woody. «Guarda caso, quel videoregistratore ha un grande valore per me. Un valore affettivo.» «D'accordo, ho capito. Io lavoro per vivere, capite cosa intendo?» «Al diavolo, Eric. Facciamolo fuori.» «Ehi, sentite, anch'io adoro i videoregistratori, sapete? Mia moglie e io noleggiamo ogni tanto una cassetta di Clint Eastwood. Be', a me piace Clint, mentre lei vuole vedere sempre storie di sorelle e amiche e cose del genere. In ogni modo... un bel film, un po' di popcorn, ed è una festa!» Fare un po' di conversazione, prenderli per il verso giusto, a volte con gli sbirri fa miracoli. «Sparagli, Eric» disse la donna con foga. «Sparagli nella pancia.» «Sentite, voi due. Edie, Eric. È chiaro che qui non sono il benvenuto, quindi me ne vado, d'accordo? Riprendo la mia strada. Mi dispiace di avervi disturbato e tante grazie. Vi chiedo scusa.» «Il furgone fuori, quello azzurro, è tuo?» «Il ChevyVan, sì. Il fatto è che ho parcheggiato in un brutto punto, Eric. In un posto destinato alla rimozione della neve. Se non lo sposto, lo porteranno via con il rimorchio.» L'uomo non reagì a quelle chiacchiere. Puntava la canna della pistola sul ventre di Woody.
«Eric?» La donna scese ancora un paio di gradini, fissandoli con attenzione, le labbra socchiuse. Aveva qualcosa che non andava nel viso. «Perché non gli rompi il naso?» Woody stava calcolando la distanza dalla pistola, ancora stretta nella mano dell'uomo, ancora puntata verso il suo stomaco. «Mi piacerebbe vedere l'effetto» proseguì la donna. «Sentire l'osso che si spezza e tutto il resto.» Il ragazzo si agitò, e l'uomo si voltò per sferrargli un calcio in testa. Adesso o mai più. Woody lo spinse con violenza da parte, strattonò la donna e salì in un lampo le scale, raggiungendo con la mano la maniglia della porta. Il battente si stava spalancando, quando un proiettile lo raggiunse alla schiena, in basso, vicino alle maniglie dell'amore, e Woody ricadde all'indietro, atterrando sopra il ragazzo e battendo la testa sul pavimento di cemento. Una volta un compagno di cella aveva raccontato a Woody che cosa si provava a essere colpiti da un proiettile: come un ferro da stiro arroventato che ti entra nel corpo, amico, quei piccoli stronzi sono incandescenti. E ora Woody scoprì che era vero. L'uomo troneggiava su di lui, imponente come King Kong. Ecco in che modo mi vede Dumptruck, pensò Woody, chiedendosi quanto tempo sarebbe passato prima che Martha cominciasse a preoccuparsi. L'uomo gli serrò le mani intorno al collo, bloccando la trachea con i pollici forti. «Fracassagli il naso» ripeté la donna. «Perché vuoi strangolarlo, quando puoi rompergli il naso?» E fu proprio quello che l'uomo fece, usando il calcio della pistola. 33 Seduta nella cucina in penombra, Delorme stava per finire la terza tazza di Nescafé. Davanti a lei c'era una pila di fascicoli che le aveva mandato Dyson. A lei piaceva lavorare in cucina, purché non si trattasse di fare da mangiare. Nel piatto giaceva dimenticato un avanzo della cena surgelata. Anche i fascicoli erano rimasti sul tavolo, quasi ignorati. Delorme stava pensando alle tre F. Se fosse riuscita a ricavare qualcosa dalla ricevuta della barca che aveva visto nel piccolo archivio privato di Cardinal, sarebbe stato grazie a quelle tre F, che stavano per febbraio, franco-canadesi e Florida. Come può testimoniare chiunque sia stato laggiù in quel particolare
mese dell'anno, in febbraio il golfo della Florida diventa il golfo di Québec e Miami diventa Montreal-sur-mer. Da un giorno all'altro i cubani diventano una minoranza linguistica e una targa su due proclama Je me souviens. Ai primi di febbraio, camerieri e fattorini della Florida rispolverano il loro assortimento stagionale di battute sui canadesi. Qual è la differenza fra un canadese e un bombardiere? Risposta: I bombardieri sganciano (la mancia), i canadesi no. Tre quarti d'ora e mezza dozzina di telefonate dopo, Delorme aveva parlato con due poliziotti franco-canadesi che avevano intenzione di trascorrere le vacanze in Florida. Purtroppo nessuno dei due sarebbe andato nelle vicinanze della Calloway Marina, così fece qualche altra telefonata per procurarsi il numero di Dollard Langois, che era stato suo compagno di classe all'Accademia di polizia. Erano anche usciti insieme un paio di volte, e in quel momento Delorme ringraziava di cuore la sorte che, da giovane, le aveva fatto decidere di non andare a letto con lui. Dollard Langois era stato un giovanotto goffo e allampanato, con le mani grandi e gentili e gli occhi dolci di un cane da caccia. Una volta, dopo una serata insieme al cinema di Aylmer, le aveva confessato di essere follemente innamorato di lei. Fino a quel momento era decisa ad andare a letto con lui, visto che Dollard Langois era un ragazzo molto attraente, ma non intendeva compromettere la sua carriera sul nascere abbandonandosi al romanticismo. Da allora si era chiesta spesso, nelle notti solitarie, come se la fosse cavata lui, e cosa sarebbe successo se... Be', mettiamola così, Dollard Langois era una strada che non aveva preso. Passarono qualche minuto a scambiarsi notizie sugli anni passati, parlando in inglese, forse perché era stata la lingua in uso all'Accademia di Aylmer. Sì, gli disse, era piuttosto soddisfatta della sua carriera. No, non era sposata. «Che peccato, Lise. È così bello essere sposati! Comunque non mi sorprende, e non lo dico in senso negativo.» «Avanti, Dollard, dillo pure: come essere umano sono un fallimento.» «No, no. Volevo solo dire che eri votata alla carriera, tutto qui. A senso unico. È una buona cosa.» «Basta così, ti prego. Parlami di te.» Adesso era il sergente Langois, e prestava servizio in un distaccamento della polizia della provincia del Québec, a circa trenta chilometri da Montreal. Due bambini, una moglie adorabile - un'infermiera, non una donna poliziotto - e ogni febbraio trascorreva una settimana in Florida, dove ave-
vano un appartamentino in multiproprietà. «Perché me lo chiedi?» volle sapere. «La stagione è già troppo avanzata per cercare una sistemazione.» «È una faccenda di lavoro, una pista che devo seguire.» Un sospiro pesante riecheggiò da Montreal attraverso la linea. «Ah, non mi sorprende.» «Non te lo chiederei se non fosse una cosa davvero seria, Dollard.» «Sono le mie vacanze, Lise. Sarò insieme alla mia famiglia.» «Non te lo chiederei se non fosse una cosa seria. Ti ricordi abbastanza bene di me per sapere che è così. Qui abbiamo un serial killer che uccide i bambini, Dollard. Non posso allontanarmi, neanche per un giorno.» Continuarono a discutere per qualche minuto, poi, più che altro per distrarlo, Delorme gli chiese in quale località sarebbe andato, esattamente. Purtroppo per lui, saltò fuori che doveva trascorrere le vacanze a Hollywood Beach, in un appartamento nello stesso isolato dove sorgeva la Calloway Marina. La sua sorte era segnata e Delorme, quando attaccò il telefono, era molto soddisfatta. Dedicò un'altra ora all'esame dei fascicoli, tutti casi sui quali Cardinal aveva indagato nei primi anni della sua carriera, senza trovare nulla di interessante. Secondo le carte, John Cardinal era esattamente quel che sembrava: un poliziotto dedito al lavoro, che svolgeva il suo compito in modo scrupoloso ed efficiente, senza concedersi deviazioni dalle regole. Quasi tutti i suoi arresti si erano conclusi con una condanna, tranne nel caso che aveva ora sotto gli occhi, relativo a un delinquente di nome Raymond Colacott, che in seguito si era suicidato. Il sospetto era stato preso in custodia insieme a quattro chili di cocaina, che Cardinal aveva motivo di credere fossero destinati alla vendita. Ma quando il caso era stato portato in tribunale, le prove erano scomparse, rubate dal deposito. Non luogo a procedere. Il procuratore della Corona aveva incaricato il suo investigatore di indagare (il fascicolo era incluso, per cortese omaggio di Dyson), senza ottenere alcun risultato. Cardinal non era in testa all'elenco dei sospetti; c'erano troppe persone che avevano accesso al deposito delle prove. Era stato redatto un rapporto finale ed erano state modificate le procedure. Sì, poteva essere stato Cardinal, ma per un poliziotto di Algonquin Bay mettersi a spacciare cocaina sarebbe stato troppo rischioso, e poi Raymond Colacott non era Kyle Corbett; non era in grado di mettere un poliziotto sul suo libro paga. Se l'indagine di allora non aveva dato risultati, di certo
non ne avrebbe ottenuti Delorme, ora che metà degli interessati erano stati trasferiti a Winnipeg, a Moose Jaw o Dio sa dove. Tolse gli avanzi dal piatto e lo mise nel lavello. Si era sempre ripromessa di dedicarsi alla cucina, e persino di seguire un corso al college, prima o poi, ma la mancanza di tempo e di entusiasmo l'avevano sempre fatta rinunciare. Sua madre, se fosse stata ancora viva, sarebbe inorridita. Passando nel soggiorno, aprì le tende. I cumuli di neve scintillavano sotto i lampioni. Rimase per qualche tempo alla finestra, con una tazza di caffè in mano, fissando quel riflesso spettrale. Dieci minuti dopo era in macchina e percorreva Algonquin Road senza avere in mente un'idea precisa, diretta verso la tangenziale. Arrivata sulla strada statale, svoltò a destra, sempre restando ben al di sotto del limite di velocità. Guidare senza meta era sempre stata una sua particolarità, e si sarebbe trovata in imbarazzo se qualcuno dei colleghi avesse scoperto quella sua abitudine notturna. Non era sicura se si trattasse di irrequietezza o semplicemente di un modo per fare delle sue fantasticherie a. occhi aperti un processo fisico, oltre che mentale. La tangenziale descriveva un arco armonioso, una curva aggraziata che stringeva in un tenero abbraccio la parte più alta dell'abitato. Era un grande piacere avvertire la forza centrifuga, lieve ma costante, mentre costeggiava tutta la città. A volte seguiva la tangenziale fino all'incrocio con Lakeshore, prima di tornare indietro lungo la baia. Altre volte, quando era agitata, faceva qualcosa di ancora più singolare: passava per i quartieri in cui abitavano amici e colleghi, senza passare a trovarli, ma limitandosi a guardare le luci accese, le auto parcheggiate nel vialetto. Sapeva che era un rituale nevrotico, ma le infondeva lo stesso un gran senso di pace. Svoltò a sinistra su Trout Lake Road, proseguendo fino all'incrocio con la statale 63. D'inverno era possibile vedere attraverso gli alberi le case di Madonna Road. Lanciando un'occhiata, vide le luci accese in casa di Cardinal, e scorse persino una sagoma scura alla finestra sul retro. O stava lavando i piatti, o si preparava la cena in ritardo. Una volta arrivata alla Chinook Tavern, fece un'inversione a U per tornare in città passando dal college. Ora il traffico era rado e in basso era tutto uno sfavillio di luci. Nella sua mente turbinavano riflessioni sul caso Pine-Curry, che lei non cercava di orientare in qualche direzione. Voleva solo fare un giro, lasciando che intanto ogni pezzo trovasse il suo posto. Qualche minuto dopo passava davanti a una bella casa a stucco di due piani in un quartiere non esattamente lussuoso, ma riparato, all'ombra dell'o-
spedale Saint Francis. La macchina di Dyson era parcheggiata nel vialetto. Si fermò lungo il marciapiede opposto, incerta se andare a trovarlo. Una ragazzina graziosa, sui dodici anni, tornava verso casa risalendo il pendio, insieme a un ragazzo della stessa età o di poco più grande. Lei si stringeva al petto una quantità di libri, come fanno le ragazze, e camminava a testa bassa, fissando con attenzione il marciapiede. Il ragazzo doveva aver detto qualcosa di spiritoso, perché lei guardò in alto di scatto, ridendo e lasciando scoperti i denti chiusi nella macchinetta. Poi, da una porta di servizio, apparve sua madre, una figura ossuta e minacciosa, che richiamò la figlia con una voce priva di qualsiasi affetto. Le immagini rimasero impresse nella mente di Delorme per tutta la strada fino a Edgewater Road, ma chissà dove, nel tragitto fra Rayne Street e la tangenziale, nella sua mente si era delineato un piano d'azione. Imboccò il vialetto dello chalet in stile svizzero e suonò il campanello. Aveva avuto tempo di preparare il suo discorsetto, poi dimenticò ogni cosa quando venne ad aprirle il capo della polizia R.J. in carne e ossa. «Sarà bene che sia una buona ragione» le disse subito. Lei lo seguì nel seminterrato, quello stesso locale simile a un circolo maschile dove tutto era cominciato. Dal piano che lei aveva scambiato per un tavolo da biliardo era stata rimossa la copertura: minuscoli soldatini in uniforme rossa e blu combattevano lungo il ripido pendio che formava la sponda di un fiume di cartapesta. Delorme aveva interrotto il capo mentre si dedicava alla sua passione, ricostruendo battaglie famose con dovizia di dettagli maniacali, e lui non intendeva rinunciarvi solo per una visita inattesa. «Le pianure di Abraham?» chiese Delorme, cercando di calarsi nell'atmosfera. «Si rassegni, agente. Non può fare più niente per il generale Montcalm.» «Signore, ho setacciato i fascicoli in cerca di qualche elemento contro Cardinal, esaminando i suoi vecchi casi, gli appunti e tutto il resto.» «Immagino che abbia scoperto qualcosa di sensazionale in quei fascicoli, altrimenti non violerebbe tutte le norme del protocollo, senza parlare delle più elementari regole di cortesia, presentandosi a casa mia senza preavviso.» «No, signore. Il fatto è che quei fascicoli non ci porteranno da nessuna parte. Non faccio che girare in tondo, e questo ostacola anche le indagini sul caso Pine-Curry.» «Guardi questo.» Il capo tese una mano liscia, con il palmo rivolto in su.
Al centro del palmo c'era un cannone minuscolo. «In scala perfetta. Ce ne sono dodici, che devo montare su altrettanti affusti, quasi invisibili a occhio nudo.» «Incredibile» rispose Delorme con tutto l'entusiasmo che le riuscì di dimostrare, per quanto si rendesse conto della sua inadeguatezza. «I fascicoli sono importanti. La giuria si aspetta una certa strategia di comportamento.» «Signore, ci vorranno secoli, e saranno tutti casi vecchi, impossibili da risolvere.» «Lei ha l'appartamento in Florida, ha la ricevuta della barca.» «Dyson l'ha già informata?» «Sì, ho chiesto di essere aggiornato in tempo reale.» «La ricevuta non porta il nome di Cardinal, signore.» Stava per parlargli del sergente Langois, ma no, meglio aspettare e vedere che cosa poteva riuscire a scovare laggiù in Florida. «Mi sono già messa in contatto con la sua banca americana, ma non sono proprio entusiasti di collaborare. Ci serve qualche argomento assolutamente convincente. Qualcosa che sia attuale, qualcosa di chiaro e semplice.» «Ma certo. Se vuole chiedere al suo partner una confessione firmata, faccia pure. Non credo che otterrà grandi successi.» Si girò verso di lei con un minuscolo tubetto di colla in mano. «Oppure intendeva interrogare Kyle Corbett sull'argomento? "Mi scusi, signor Corbett, per caso qualcuno dei nostri investigatori le fornisce informazioni riservate?" "Oh, no, agente, ho troppo rispetto per la legge."» Il capo non era per natura un uomo sarcastico. Delorme si fece forza e si lanciò. «Signore, mi è venuta un'idea.» «La prego, mi illumini.» «E se facessimo giungere a Cardinal informazioni che sappiamo con certezza passerà a Corbett... ammesso che lavori per lui, naturalmente? Qualcosa che debba fargli sapere per forza. Gli uomini di Musgrave gli metteranno il telefono sotto controllo e terranno lui sotto sorveglianza.» Kendall le lanciò un'occhiata gelida prima di tornare a dedicarsi al modellino, un soldatino di piombo che teneva stretto fra il pollice e l'indice. «Devo ammettere una cosa, agente: lei ha una gran faccia tosta.» «Signore, penso che questo potrebbe chiarire notevolmente la situazione...» Il capo la interruppe con un gesto brusco. «Mi sorprende il fatto che lei dica sul serio... perché dice sul serio, non è vero? Sì, me ne rendo conto da
solo... proponendo di mettere sotto controllo il telefono del suo partner.» «Con tutto il rispetto, signore, è stato lei a incaricarmi di indagare su di lui. O meglio, lei e Dyson. Se vuole che smetta, sarò felice di farlo in qualsiasi momento.» «La vede questa?» Kendall le indicò una piccola fregata ferma nelle acque blu notte del Saint Lawrence. «L'alberatura, con l'albero maestro e gli stralli? Soltanto questa parte del progetto ha richiesto una settimana.» «Incredibile.» «A volte rendere qualcosa convincente richiede un po' di tempo, sergente Delorme. Un pizzico di pazienza. Spero che lei non manchi del tutto di questa qualità.» «Il mio piano è preferibile all'alternativa di sfogliare fascicoli interminabili, signore. Se vorrà considerarlo in modo obiettivo, penso che lo riconoscerà anche lei.» «E infatti lo riconosco. Mi dia quel tubetto argento, per favore. Grazie.» Con la punta di un pennellino, il capo applicò una traccia infinitesimale di colla su una palla di cannone grande quanto un occhio di mosca, disponendola su una pila minuscola. «Lei è sempre decisa a lasciare le Indagini speciali, immagino. Detesto rinunciare a un elemento con il suo stato di servizio.» «Non mi perderà, capo. Mi trasferisco soltanto alle Indagini criminali..» «Lo so, lo so. Ma le Indagini speciali... si potrebbe quasi sostenere che sono la parte più importante del corpo di polizia. Senza le Indagini speciali, il cervello c'è, ovviamente, visto che tutte le funzioni motorie sono intatte, ma quello che resta è un cervello privo di coscienza. E questa, mia giovane amica, è una situazione pericolosa.» Delorme accantonò quel giovane per riesaminarlo in seguito. «Signore, se gli diamo qualche elemento del quale nessun altro è a conoscenza, anche ammesso di non mettere il telefono sotto controllo, sapremo che è lui il nostro uomo.» «Ho una sola domanda da farle.» Il capo stava piegando gli arti di un soldatino in posizione di scalata. Applicò la colla su ciascuna delle mani e delle ginocchia in miniatura e sistemò la figura al suo posto, addossata a una parete di roccia. Poi si girò a guardare Delorme, e il suo sguardo assunse all'improvviso un'intensità quasi sessuale. «Per quale motivo è venuta da me a sottopormi questa idea? Perché non l'ha esposta a Dyson?» «Io lavoro a stretto contatto con Dyson, signore, ma, perché questo piano possa reggere in un processo, è necessario che nessun altro possa rice-
vere le stesse informazioni truccate che daremo a Cardinal. Lei e io dovremo essere gli unici a sapere.» «Allora deve procedere così, non c'è dubbio. Prima è, meglio è. Il caporale Musgrave sarà dei nostri?» «Più che mai, signore. Non vede l'ora.» «Bene. Parli con J.P. e si faccia dare l'approvazione.» «L'abbiamo già, signore. È stato Musgrave a ottenerla.» Kendall proruppe in una delle sue risate leggendarie. Quando finì, Delorme accolse con sollievo la variazione della pressione sui timpani. Poi il capo le rivolse ancora una volta quello sguardo prensile. «Mi stia a sentire, giovane Delorme. Io sono più vecchio e più saggio di lei... forse queste sono le uniche ragioni per cui sono il suo capo, ma sono ragioni valide, quindi mi dia ascolto: mi sono documentato sul conto del caporale Musgrave, e il caporale Musgrave è una testa calda, il caporale Musgrave ama stare al centro dell'attenzione, il caporale Musgrave detesta il, nostro imperscrutabile Cardinal. Se il suddetto Musgrave fosse ai miei ordini, cosa che non è, non sarebbe stato assegnato a questo caso. Quindi sia prudente. Non voglio dire che sia il tipo da fabbricare prove, ma è senz'altro capace di far saltare l'operazione per eccesso di zelo. Quindi faccia attenzione a tenere la testa... A proposito, come lo vede in questo momento?» «Prego?» «Come vede il caso, Delorme? Che ne pensa, a questo punto, del suo Cardinal?» «Devo proprio rispondere, capo?» «Assolutamente.» Delorme guardò in alto, fissando le travi scoperte del soffitto. «Sto aspettando.» «In tutta franchezza, signore, non lo so. So per certo, però, che non esistono prove concrete contro di lui. Non c'è niente che possa reggere alle argomentazioni di un buon avvocato difensore. Quindi, per quanto mi riguarda, lo considero innocente finché non sarà dimostrata la sua colpevolezza.» «Ora si dimostra legalista. È per spirito di lealtà? Si sente troppo vicina a Cardinal per essere obiettiva? Può parlare sinceramente.» «Non lo so, capo. Non sono molto portata all'introspezione.» Kendall scoppiò di nuovo a ridere, con uno scroscio sonoro, come se Delorme avesse fatto una battuta molto spiritosa, poi smise con la stessa repentinità con la quale aveva cominciato, e il silenzio che seguì fu pro-
fondo, come la quiete che si crea quando tace la sirena dell'antifurto di un auto. «Lo prenda, mi capisce? Se si è venduto a qualche criminale senza Dio, voglio che sia eliminato dal corpo, subito. In caso contrario, prima chiude le indagini e meglio è. Neppure io sono portato all'introspezione, agente Delorme. Ciò significa che, se non ho in mano dei fatti concreti, tendo ad annoiarmi e irritarmi. E lei non vuole vedermi annoiato e irritato, vero?» «No, signore.» «Allora, faccia il suo piccolo esperimento. E che Dio l'aiuti.» 34 Howard Bass, un guardafili della società elettrica Ontario Hydro, stava riparando un trasformatore sulla statale 63, circa cinque pali a nord del molo sul Trout Lake. Bisognava sostituire un commutatore a traversa, e Howard rimase quasi tutta la mattina a gelarsi il culo sul piccolo carroponte. A sei metri da terra, soffriva per il riverbero accecante del sole sulla neve, nonostante gli occhiali scuri. Nel giro di un paio d'ore, però, il sole si spostò nel cielo, descrivendo un arco e proiettando sulla neve l'ombra nitida di Howard e del carro-ponte. Stanley Betts, che quel giorno gli faceva da autista, se n'era andato al molo a comprare ciambelle e Coca-Cola per tutt'e due. Tornò indietro fischiettando un motivetto salace, Good Morning, Little Schoolgirl, che gli era stato ispirato dalla ragazzina con gli occhi da gatta dietro il banco dell'emporio. Quel tratto della statale 63 era sempre trafficato. C'erano gli automezzi che scendevano dalla base del NORAD, più quelli che arrivavano da Temagami, oltre al traffico residenziale diretto verso Four Mile Bay e Peninsula Road. Stan rimase bloccato dalla parte opposta della strada per qualche minuto, aspettando che il traffico si diradasse. «Sto proprio diventando un vecchio sporcaccione!» esclamò rivolto a Howie. «Dovresti vedere quella bambina giù all'emporio!» Howie non si girò neppure, perché il rombo di un autocarro di passaggio soffocò la voce del collega. «Te lo giuro, Howie» ripeté Stan, quando riuscì finalmente ad attraversare la strada. «Sto diventando proprio un vecchio sporcaccione!» Benché gelida, la giornata era limpidissima. Il braccio giallo del carroponte sembrava scintillare sullo sfondo azzurro del cielo. Appollaiato las-
sù, Howie faceva uno strano effetto, con il fiato che formava delle minuscole nuvolette bianche. Si teneva aggrappato al bordo della cabina, in un atteggiamento curioso, fissando qualcosa dall'alto. «Che diavolo guardi?» Stan seguì la direzione dello sguardo di Howie, ma la parete di neve alta un metro e ottanta che si era formata sul ciglio della strada gli ostacolava la visuale. Allora si arrampicò in cima a quell'argine, riparandosi gli occhi con la mano. Quando infine vide quello che osservava Howie, una delle bottigliette di Coca-Cola gli cadde di mano e si ruppe sulla punta rinforzata in acciaio degli stivali, esplodendo sulla neve come un minuscolo geyser marrone. 35 «Non può affermare che l'assassino sia lo stesso» disse Dyson, allargando le dita a spatola come un ventaglio per enumerare le ragioni. «Primo, la vittima è sulla trentina, mentre le altre erano adolescenti, o comunque più giovani. Secondo, il modus operandi è del tutto diverso. Le altre vittime sono state percosse o strangolate. Terzo, il cadavere è stato scaricato in un posto dov'era facile ritrovarlo.» «Non tanto facile, direi. Se gli operai dell'Hydro non avessero dovuto lavorare a quel particolare trasformatore, sarebbero passati mesi prima che qualcuno lo vedesse. Al primo passaggio degli spazzaneve sulla statale 63, sarebbe stato del tutto ricoperto dalla neve.» «Arthur Wood era un noto delinquente. Doveva avere un'infinità di nemici.» «Woody non aveva un solo nemico al mondo. Non c'era uomo più simpatico e garbato di lui, a patto di tenere gli occhi puntati sull'argenteria.» «Potrebbe trattarsi di qualche vecchio rancore nato in carcere. Parli con i suoi vecchi compagni di cella, con i secondini del suo braccio. Non sempre sappiamo tutto dei nostri clienti.» «Woody si dava da fare come ladro. Questa volta dev'essere entrato nella casa sbagliata. Quando troveremo quella casa, avremo trovato il killer.» Stava per assegnare il caso a McLeod; Cardinal poteva quasi vedere la decisione che prendeva forma nella cupola praticamente trasparente della testa di Dyson. Il tagliacarte scavò un solco nella ciotola delle graffette. «Senta» disse Dyson «lei ha già abbastanza da fare.» «È vero, ma se si tratta dello stesso uomo, faremo solo...»
«Mi lasci finire, per favore.» La voce era sommessa, ancora riflessiva. «Lei ha già abbastanza da fare, come ripeto, ma perché non procediamo così? Per il momento lei si prende il caso di Woody, e resterà suo finché non salterà fuori qualcosa che lo dissoci dal nostro maniaco. Nell'attimo stesso in cui succede, e intendo dire all'istante, il caso passa a McLeod. Intesi?» «Intesi. Grazie, Don» rispose Cardinal, con il viso leggermente arrossato. Rivolgendosi al sergente, non usava mai il suo nome di battesimo: era soltanto l'eccitazione del momento. Prima di aprire la porta, si girò per dire: «La tv di Sudbury è venuta a sapere la storia di Margaret Fogle». «Lo so. È colpa mia, e le chiedo scusa.» Dyson che si scusava... incredibile. «Non è stato certo un fatto positivo. Non capisco come mai sia saltata fuori.» «Grace Legault non è Roger Gwynn. Quella donna non resterà a lungo al canale quattro di Sudbury: quella puttana è destinata a dare la scalata a Toronto, glielo dico io. Conosce il suo mestiere. Non so come, ha avuto sentore di quelle ricerche sulle persone scomparse e... be', non importa. Insomma, mi ha colto alla sprovvista. Comunque, avrei dovuto metterla al corrente. L'errore è mio. Ora penso che abbiamo finito, no?» Uscendo dall'ufficio di Dyson, Cardinal andò a sbattere contro Lise Delorme. «Ti ho cercato dappertutto» gli disse. «La moglie di Woody è qui per denunciare la sua scomparsa. Dovremo portarla all'obitorio per farle identificare il corpo.» «Non affrettiamo i tempi, Lise. Non voglio dirglielo subito.» Delorme parve scioccata. «Ma devi dirglielo. Suo marito è morto, santo cielo. Non puoi tenerglielo nascosto.» «Ma così non avremo più nessuna informazione da lei, perché sarà troppo sconvolta. Sto solo dicendo che non la informeremo subito.» Martha Wood appese il cappotto all'attaccapanni nell'atrio, insieme con il minuscolo piumino del figlio. Indossava una maglietta e un paio di jeans, un insieme che sulla sua figura alta e snella sembrava un completo uscito dalle pagine di Vogue. Si sedette nella stanza degli interrogatori, dove i due agenti avevano interrogato tante volte il marito nel corso degli anni. Il suo bambino piccolo, con i capelli e gli occhi scuri come la madre, stava seduto in silenzio sulla sedia accanto alla sua, strizzando un piccolo orso Yoghi di plastica che ogni tanto emetteva un lamento nasale. Parlando, Martha continuava a rigirarsi intorno al dito la fede nuziale.
«Quando è uscito di casa, Woody portava un maglione azzurro con il collo a V, un paio di Levi's 505 e stivali da cowboy. Sono neri, in pelle di lucertola.» «D'accordo. Sabato faceva freddo. Che genere di soprabito indossava?» Il corpo era stato ritrovato nudo, con nove ferite d'arma da fuoco. I vestiti di Woody potevano saltare fuori altrove. «Un piumino blu. Non dovrei compilare un modulo o qualcosa del genere? Una denuncia di scomparsa?» «Stiamo prendendo nota di tutto» le assicurò Cardinal. «Vi servono la statura e il peso, no?» «Questi dati li abbiamo già» le rammentò Delorme. «Ah, sì, mi ero dimenticata della schedatura per gli arresti precedenti. È strano, per tutto questo tempo ho considerato i poliziotti come nemici. Ora che Woody è scomparso, le cose mi sembrano diverse.» «Anche per noi» le disse Cardinal. «Woody guidava quel vecchio ChevyVan, non è vero?» Avevano già trasmesso un avviso di ricerca per il furgone, con la targa e tutto. «Sì, dovrei darvi il numero di targa» fece Martha Wood, tendendo la mano verso la borsa per prendere le chiavi. «Abbiamo anche quello» le disse Delorme. «Il furgone è sempre azzurro?» «Sempre azzurro, sì.» La signora Wood esitò, con la mano sulla borsa. «Ma ogni volta gli piaceva cambiare le targhe, quando andava al lavoro. Non so se questa volta lo ha fatto o no. L'insegna è nuova: sulla fiancata c'è scritto COMSTOCK ELECTRIC INSTALLAZIONI E RIPARAZIONI.» «Lei sapeva che andava a fare un lavoretto?» «Senta, Woody si occupa delle riparazioni di apparecchiature elettroniche. Questo è quanto mi ha detto, okay? Ho imparato da tempo a non fare domande. È un padre affettuoso e un marito affidabile, ma non cambierà mai attività... né per voi, né per me, né per chiunque altro.» «D'accordo. Lei sa per caso in quale zona della città andava a... lavorare?» «Di questo non parla mai con me. Sentite, in questo caso la parola chiave è "affidabile". Woody mi ha detto che sarebbe tornato alle sei. Ormai è passato un giorno e mezzo, e io sono terribilmente spaventata.» «Potrebbe esserci utile per ritrovarlo» le disse Cardinal in tono gentile «se lei avesse qualche informazione sulla zona della città in cui dovremmo
cercare.» Ignorò lo sguardo duro di Delorme. «Non lo so. L'altro giorno, per la verità, ha accennato alla vecchia stazione della CN. Si era appena accorto che l'avevano chiusa con le assi. Può darsi che sia andato da quelle parti, ma non lo so.» Tutt'a un tratto si alzò, rovesciando sul pavimento la borsetta aperta. «Si trova in qualche guaio, ve lo dico io. Solo perché ruba non è detto che sia cattivo, sapete? Questa è la prima volta che non torna a casa senza prima avvertirmi con una telefonata. Succede solo quando viene arrestato, ma se è lei a trattenerlo farà bene a dirmelo, altrimenti Dio mi è testimone che le sguinzaglierò dietro Bob Brackett finché non la cacceranno dal corpo di polizia.» Bob Brackett era il miglior avvocato difensore di Algonquin Bay. Non c'era agente di polizia che non avesse umiliato. «Signora Wood, si sieda, per favore.» «No. Se non avete arrestato mio marito, voglio sapere perché non fate niente per trovarlo!» Il bambino smise di strizzare l'orso Yoghi, guardando la madre con aria preoccupata. «John, vuoi lasciarmi un minuto da sola con la signora Wood?» Delorme lo colse di sorpresa: quello non era previsto dal copione, e non gli piaceva. «Perché?» volle sapere Martha Wood. «Per quale motivo vuole parlarmi da sola?» «John, per favore.» Cardinal si allontanò lungo il corridoio per entrare nella sala di controllo. Inserì alcune monete nel distributore di Coca prima di accorgersi che la Diet era finita. Allora ne prese una normale e si sedette al tavolo per guardare il monitor, acceso ma senza l'audio. Dalla sua posizione nell'angolo in alto, la videocamera a circuito chiuso era puntata senza pietà su Martha Wood. Tanto lei quanto Delorme erano assolutamente immobili. La signora Wood era sempre in piedi, con le mani leggermente staccate dal corpo, e cercava di assorbire il colpo: non sentiva ancora il dolore, e il suo viso aveva un'espressione interrogativa. Le labbra piene si unirono come per parlare, ma non disse una parola. Delorme tese la mano per sfiorarle il braccio, ma la donna rimase in piedi, vacillando. Una mano si abbassò lentamente a sfiorare il tavolo per mantenere l'equilibrio. Poi, pian piano, sì lasciò cadere sulla sedia, coprendosi il viso con le mani e piegandosi in avanti. Il bambino cominciò a pungolarle la spalla con l'orso Yoghi.
36 «Come mai nessuno ha visto quel dannato furgone?» Mentre parlava, McLeod scaricava la Beretta, disponendo sul tavolo da riunione nove proiettili in fila ordinata, con la punta in avanti. A Cardinal, così abituato alle sei colpi, pareva un'esagerazione. «Ho controllato di persona quel ChevyVan; probabilmente lo abbiamo fatto tutti, una volta o l'altra. Mi sembra incredibile che non sia stato ancora individuato.» «Se le cose sono andate come pensiamo, e cioè Woody ha commesso l'errore di introdursi in casa del maniaco, probabilmente il killer lo avrà nascosto chissà dove. Non deve fare altro che parcheggiarlo al chiuso, dopodiché, chi lo trova più?» Intervenne Dyson: «Allora si restringe un po' il campo, se possiamo presumere che questo tale abbia un garage». «Non credo che possiamo ancora darlo per scontato. Woody è morto da ventiquattr'ore appena. Abbiamo diramato un avviso di ricerca in collaborazione con la polizia dell'Ontario. Lo troveremo, quel furgone.» Il telefono cominciò a squillare e rispose Cardinal, come avevano già concordato. «D'accordo, Len, la passo sul viva voce. Ci siamo io e Delorme. E poi il sergente Dyson e anche Ian McLeod.» Erano riuniti nella sala delle conferenze, per la prima volta, a quanto poteva ricordare Cardinal. In genere la sala delle conferenze era riservata alle riunioni delle commissioni, alle visite del sindaco, in breve, agli incontri ufficiali. Ma quella era l'indagine più impegnativa che il Dipartimento di polizia di Algonquin Bay avesse mai condotto, e ora tutti gli otto agenti in forza al Dipartimento si occupavano dell'uno o dell'altro aspetto del caso. «Bene, ecco la situazione» attaccò Len Weisman. «Nel corpo ci sono nove ferite di pallottola. È evidente che non sono state inflitte in preda alla rabbia, perché sono disposte con estrema simmetria. È stato colpito alle tibie, alle cosce, alla parte superiore e all'avambraccio di tutt'e due le braccia. Questo significa che è stato colpito in ognuna delle ossa principali del corpo umano, e ritengo che il killer intendesse fratturarle tutte. Nel caso delle tibie c'è riuscito. Fra l'altro sono tutte ferite a bruciapelo, inferte appoggiando la canna sulla pelle, con calma, mentre la vittima era del tutto inerme.» «Ho contato otto pallottole, Len, non nove.» «Osservazione acuta! Il primo colpo lo ha preso alla schiena, ed è il solo
che non sia stato inferto a bruciapelo. È stato sparato da circa tre metri di distanza, con una traiettoria dal basso verso l'alto. La dottoressa Gant suggerisce che potrebbe trattarsi di una scala, immaginando che il killer sparasse dal basso. Oh, a proposito, ci sono residui lasciati da un nastro adesivo intorno alla bocca.» «Cristo.» «Aveva addosso del sangue che non era suo, ma io non sono in grado di stabilire se corrisponde allo sperma che era contenuto nella busta. Non sapremo se si tratta dello stesso individuo finché non arriveranno i risultati del test sul DNA, che richiederanno un'altra settimana.» «Una settimana! Quassù abbiamo ragazzi che vengono assassinati, Len.» «Ci vogliono dieci giorni, la realtà è questa. Ora, per quanto riguarda la ferita al viso, in un primo tempo abbiamo pensato che fosse conseguenza di una caduta. Capite, il tizio viene colpito, cade a faccia in avanti e si rompe il naso. Invece abbiamo trovato nella ferita tracce di olio usato per pulire una pistola.» «È stato colpito con una pistola?» «Esatto. Quello che ha dell'incredibile è che quest'uomo aveva nove pallottole in corpo, ma a ucciderlo è stato il naso rotto. Con la bocca tappata dal nastro non poteva respirare: nel tentativo di farlo ha aspirato litri e litri di sangue.» «Che cosa avete ottenuto dalla sezione balistica? È una Beretta, una Glock? Dovrebbe essere un'arma a nove colpi, giusto?» «La microstampa è nel mio fax. Ha usato una regolare Colt calibro 38.» «Non può essere, Len. La Colt ha soltanto sei colpi.» «Come ripeto, non abbiamo a che fare con un esaltato. Quel bastardo si è concesso il tempo di ricaricare, in modo da divertirsi un po' di più.» «È una belva» mormorò McLeod. «Le mutilazioni ai genitali sono state inflitte dopo la morte. La dottoressa Gant è del parere che abbia cercato letteralmente di staccargli le palle a furia di calci.» «Questo aspetto lo collega al delitto di Todd Curry, capo.» Dyson annuì con aria saputa, come se lo avesse previsto da tempo. Weisman aggiunse: «Ho detto agli esperti della balistica di chiamarvi direttamente non appena avranno altri elementi sui proiettili». «D'accordo. Grazie, Len.» «Non ho ancora finito.» «Scusami. Continua pure.»
«La sezione impronte digitali ha rilevato impronte parziali di entrambi i pollici.» «Impossibile. Il corpo è stato ritrovato nudo: addosso non aveva neanche una cintura da cui rilevare le impronte.» «Le hanno rilevate sul corpo stesso.» «Vuoi prendermi in giro? I nostri uomini non ne hanno ricavato niente.» «Questo è un trucchetto che abbiamo imparato al congresso di medicina legale che si è tenuto a Tokyo l'anno scorso: le radiografie dei tessuti molli. Abbiamo sottoposto ai raggi x i tessuti sottocutanei del collo. Se lo fai entro le prime dodici ore, puoi ottenere un'impronta decente. Pare che abbia tentato di strangolarlo, forse prima di decidere di lasciarlo all'aperto. È sul fax anche questo.» «Fantastico, Len. Riferisci che abbiamo detto: "Grazie, ragazzi".» «Meglio di no. Si dà il caso che i ragazzi siano donne.» Delorme abbassò la testa per nascondere un sorrisetto «Qui c'è qualcosa che puzza» disse McLeod, rivolto a tutti i presenti riuniti intorno al tavolo. «Ed è il fatto che qui siamo sommersi di piste. Stiamo praticamente annegando fra le prove. Cristo, quel tizio ci consegna una cassetta con la sua voce registrata, e non sappiamo che farcene. Si spara lo sperma in una busta per noi, e non sappiamo che farcene. Ora ci lascia addirittura le impronte dei pollici. È come se stessimo aspettando il suo biglietto da visita o qualcosa del genere. Sta giocando con noi, e non riusciamo a cavare un ragno dal buco.» «No, stiamo facendo progressi» lo contraddisse Cardinal, sforzandosi di crederci. «Dobbiamo fare il classico lavoro di gambe. Non abbiamo ancora trovato l'anello di collegamento, tutto qui. Ci vuole qualcosa che riesca a mettere insieme tutti questi dati.» «È bene che accada presto» disse Dyson. «Se ricevo un'altra telefonata che mi suggerisce di coinvolgere la polizia dell'Ontario o la polizia a cavallo...» «La polizia a cavallo?» McLeod sembrava prenderla sul piano personale. «Ma non hanno la giurisdizione.» «Lo so io e lo sai tu. Ci tieni a informare l'opinione pubblica su questo punto?» «In ogni modo, la prima cosa che fanno gli agenti della polizia a cavallo è mandare a monte l'operazione, o rubare qualche prova, o vendere droga al giudice sbagliato. Inoltre, non si sa mai se quello che dicono di fare è quello che fanno davvero. Ve lo dico io qual è il problema degli uomini
della polizia a cavallo.» Ora McLeod cominciava a scaldarsi. Di solito Cardinal si divertiva a sentire McLeod che sbraitava, ma quel giorno no, per favore. «Il problema è che sono al verde. Il blocco degli stipendi per cinque anni li ha lasciati sul lastrico. Sono tutti al verde, si inventano di tutto per rimediare. Li preferivo quando guadagnavano di più. Di una giubba rossa con i soldi ti puoi fidare, ma ora che in pratica sono diventati senzatetto, sono solo buoni per...» L'interfono crepitò, sprigionando la voce di Mary Flower. «Cardinal, c'è la polizia dell'Ontario in linea. L'unità di pattuglia sulla statale 11 ha una segnalazione per il furgone di Woody. Che cosa vuoi fare?» «Dove sono, esattamente?» «Vicino a Chippewa Falls, in direzione della città.» «Passami la chiamata, Mary. Parlerò da qui.» Tutti i poliziotti riuniti intorno al tavolo avevano cambiato posizione; l'atmosfera nella stanza era carica di tensione. «Don, abbiamo bisogno della "santabarbara". Fucili, giubbotti antiproiettile, tutto quanto.» «È tutto vostro. Al diavolo la polizia a cavallo.» Il telefono squillò e Cardinal si affrettò a rispondere. «Agente investigativo Cardinal, delle Indagini criminali. Con chi sto parlando?» «Unità di pattuglia quattordici dell'OPP... sono George Boissenault, e la mia partner è Carol Wilde.» «Siete sicuri che è il nostro uomo?» «Abbiamo un furgone azzurro ChevyVan dell'89, targa dell'Ontario 7698128, rubato. La scritta dice COMSTOCK ELECTRIC non so cosa.» «È mio, colleghi. Il vostro conducente è il sospetto numero uno nel caso Pine-Curry. Il mio, capito?» «Ricevuto. Ci hanno fornito i dati durante la riunione di stamani.» «Bene. Voglio che lo seguiate, ma senza fermarlo.» «Forse dovremo farlo. Sta filando davvero veloce.» «Non dovete assolutamente. Ha un ostaggio, e non vogliamo che questo ragazzo muoia. Chiamate via radio la base e organizzate il blocco della strada, ma fate in modo che restino fuori vista, mi seguite? Fate chiudere le rampe d'accesso.» «D'accordo.» «Siete una regolare unità di pattuglia, immagino.» «Una pattuglia regolare, esatto. Fra poco ci vedrà per forza.» «Tenetevi a distanza, ma non perdetelo di vista. Lei ha figli, Wilde?»
«Sì, signore. Uno ha otto anni e l'altro tre.» «Il nostro ostaggio si è appena diplomato alle superiori. Voglio che pensi a lui come se fosse figlio suo, capito? Possiamo salvarlo, il ragazzo, se giochiamo bene questa partita.» «Pare che voglia imboccare Algonquin Road. No, mi sbaglio, prosegue sulla tangenziale.» «Stategli addosso. Il sergente Dyson è qui con me, e fra cinque minuti avrete più rinforzi di quanti ne abbiate mai visti. Se tenta la fuga, tallonatelo. Non devo certo dirvi che quel tizio è armato e pericoloso.» «Gli staremo addosso. Possiamo stabilire una frequenza, se volete coordinare l'operazione dal comando.» «Mi ha letto nel pensiero. Mettetevi d'accordo con Flower. Stiamo arrivando.» 37 La "santabarbara" era uno stanzino che poteva contenere al massimo quattro agenti alla volta. Delorme e McLeod ne uscirono per primi, indossando un giubbotto di Kevlar e imbracciando due fucili identici. Quando uscì Cardinal, Szelagy lo chiamò dalla sala agenti: «Ho in linea quell'insegnante, Fehrenbach. Dice che il giovane Curry potrebbe avergli rubato la carta di credito». «Gliela faremo riavere» rispose Cardinal stringendo le cinghie del giubbotto. «Inserisci una nota nel fascicolo.» Il telefono nel corridoio squillò: era Flower, che aveva Jerry Commanda in linea. Era già in volo. «Jerry, dov'è che puoi posarti con l'elicottero per prendermi a bordo?» La voce di Jerry Commanda gli arrivò al di sopra del fragore delle pale. «Il molo della guardia costiera è più vicino, ma dovrete sgomberarlo dai curiosi.» «Dov'è il nostro amico?» «Ha appena superato Shepard's Bay.» «Bene. Se la prende comoda. Al molo fra cinque minuti.» Mentre uscivano dal parcheggio, Cardinal afferrò il microfono. «Avremmo dovuto chiedere via radio un'ambulanza al Saint Francis.» «Già fatto. A quest'ora sono diretti a sud sulla 11.» «Delorme, sto per darti un bacio.» «Non in servizio. E neanche fuori servizio.»
«Un bel bacione schioccante, Delorme, appena riusciremo a catturare questo bastardo.» Delorme inserì la sirena, terrorizzando il conducente della Toyota che sbarrava loro la strada. Cardinal la superò con una brusca sterzata per imboccare la Sumner. Quattro minuti e tre semafori rossi più tardi, scesero dalla macchina per correre verso il molo, dove l'elicottero si era posato come una libellula, con le pale che sollevavano un turbine di neve. Dietro l'apparecchio, il lago e il cielo formavano una tela grigio chiaro. Cardinal non amava troppo volare. Il suo stomaco era ancora sul molo quando superarono Shepard's Bay, costellata di rifugi per chi pescava attraverso il ghiaccio. La scena ricordava ancora quella di un biglietto di auguri natalizio, a parte il cane che saltellava sul ghiaccio vicino al padrone, in marcia con le racchette da neve verso il suo rifugio e una cassetta di birra sotto il braccio. «Guardali, sono tutti indietreggiati su Water Road. Significa che hanno già bloccato le rampe d'uscita.» Jerry disse al microfono: «Boissenault, il posto di comando è in volo. Qual è la vostra posizione?». «Ottocento metri a nord dello svincolo di Powassan. Quel tipo non ha la mano troppo ferma, al volante, ve lo posso assicurare.» Delorme puntò il dito. «Eccoli.» Il ChevyVan era una scheggia azzurra che correva lungo una curva di pini stentati. L'auto dell'OPP lo seguiva a duecento metri di distanza. Jerry gridò al pilota: «Resta nel suo angolo cieco. Non vogliamo che ci avvisti». Cardinal parlò al microfono. «Boissenault, qualcuno è riuscito a vederlo?» «Una squadra che veniva in direzione opposta dice che abbiamo un maschio caucasico solo, sulla trentina, capelli castani, giacca nera. Nessun passeggero visibile.» «Non sappiamo che cosa ci sia nel retro, però. Potrebbe tenere il ragazzo là dentro.» «Pensa che lo porterebbe in giro a bordo di un automezzo rubato?» «Non sa che lo stiamo cercando. E anche se lo sapesse, non sappiamo che grado di autocontrollo possa mantenere. Quattordici, lasciate un paio di vetture fra voi e lui, altrimenti vi avvisterà.» «Ricevuto.» Jerry Commanda disse: «È soltanto un'autopattuglia, non una squadra di sorveglianza». «Non c'è bisogno che gli stiano addosso, con noi quassù. Restate indie-
tro, quattordici. Lasciate passare avanti la Camaro.» Una Camaro rosso fuoco e con il retrotreno rialzato si spostò sulla corsia esterna, superando l'unità di pattuglia. «Santo cielo» osservò Cardinal «i cittadini sono molto disinvolti nei confronti delle pattuglie della stradale.» «Oh, resteresti sorpreso» ribatté Jerry Commanda. Il pilota puntò il dito a sudest. «Il sole.» Uno squarcio nella coltre grigia del cielo lasciò filtrare il sole, e un'ombra a forma di elicottero sfarfallò sulle colline e sugli affioramenti rocciosi che sorgevano una ventina di metri più avanti del furgone, ma non appena il pilota rimase indietro, l'ombra si allontanò dal furgone. Quattrocento metri più indietro rispetto alla prima unità di pattuglia, un corteo di mezzi della polizia - vetture prive di contrassegni, autopattuglie e vetture dell'OPP -, al quale ora si erano uniti anche un'autopompa dei vigili del fuoco e due ambulanze, serpeggiava lungo le curve e le pendici delle colline come un circo viaggiante. «Dannazione» disse Jerry «spero che questo bastardo non sia diretto a Toronto per il weekend.» «Se è così, non andremo con lui.» Il pilota picchiettò con il dito il quadrante del serbatoio. «Possiamo arrivare al massimo a Orillia.» «Che cosa fanno, laggiù?» Cardinal indicò una vettura dell'OPP parcheggiata sul ciglio della strada con i lampeggiatori accesi. «Dev'essere rimasta isolata per qualche motivo dal traffico radio. Segnalerò che devono toglierla di lì.» Jerry gli tolse di mano il microfono. «Qui centrale, abbiamo un'unità ferma sulla statale 11, nella corsia diretta a sud. Fatela sparire, subito. E intendo subito.» «Ricevuto, centrale.» «Ormai è troppo tardi. L'ha avvistata.» Il furgone rallentò sussultando, poi accelerò di nuovo. «Posto di comando, lo stiamo perdendo. Volete che lo fermiamo?» «Restategli dietro. Non fermatelo. Dobbiamo sapere dove sta andando.» «Cardinal, non puoi dirigere un inseguimento da un elicottero. È la loro vita, la loro missione.» «Quattordici, avete due auto sulla corsia in direzione nord, poi la via è libera.» E rivolto a Jerry: «Come sono finite sulla strada?». «Qui c'è una quantità di piccoli svincoli. Non abbiamo avuto il tempo di chiuderli tutti. Guarda.» Il furgone azzurro prese una curva troppo larga e finì sulla corsia sbagliata, destinato allo scontro frontale con una Toyota bianca. «Spostati» pregò Delorme. «Spostati.»
All'ultimo istante la Toyota sterzò verso la banchina stradale, finì in testacoda e infine riuscì a rimettersi in carreggiata. Sotto il giubbotto antiproiettile, Cardinal sudava a profusione. Per un soffio non aveva ucciso gli occupanti di quell'auto. Aveva la mano tanto sudata che riusciva a stento a tenere il microfono. «Okay, quattordici, ora tagliategli la strada. Spingetelo fuori.» «Ricevuto. Lo chiudiamo.» «A tutte le unità, lampeggianti e sirene. Lo blocchiamo.» Poi, rivolto a Jerry: «Abbiamo l'agente K-9, nel caso che finisca fra i cespugli?». Jerry puntò il dito. «Greg Villeneuve. Quel pickup grigio davanti all'autopompa.» La pattuglia di testa accelerò, azionando i lampeggianti. Al di sopra del frastuono del motore udirono il lamento sottile e acuto delle sirene. Il furgone sterzò di nuovo a destra, uscendo di strada per salire sulla banchina, poi tornò sulla carreggiata. Quando la pattuglia quattordici si accostò sulla sinistra, il conducente cercò di tagliargli la strada. «Cristo» gridò Jerry. «Stavolta ci è mancato poco.» L'unità quattordici si affiancò al furgone. «Quattordici, quattordici, state indietro. C'è uno spazzaneve oltre la prossima curva, ripeto, uno spazzaneve rivolto a sud sulla vostra corsia, ed è fermo.» L'unità quattordici non rispose. I due automezzi affrontarono la curva appaiati, come se fossero uniti per il paraurti. Ancora pochi secondi, e il furgone avrebbe urtato con violenza contro lo spazzaneve. «Cristo, su quel furgone ci potrebbe essere il ragazzo. Perché non si tirano indietro?» «Vogliono superarlo, per essere sulla stessa corsia.» Delorme, seduta vicino al finestrino, non aveva la forza di guardare. All'ultimo istante l'unità quattordici riuscì a superare il furgone, lasciando libera la corsia di sinistra. Il furgone sterzò per evitare lo spazzaneve, finì su una lastra di ghiaccio e attraversò a tutta velocità due corsie prima di finire sullo spartitraffico. Per un centinaio di metri proseguì sullo spartitraffico, e l'unità quattordici rallentò per restare alla stessa altezza. Il furgone sprofondò ancora di più nella neve della fascia centrale. Le ruote finirono in un canale di scolo, urtandolo una, due, tre volte, poi il ChevyVan sbandò sul fianco, descrisse un arco elegante e spazzò le corsie in direzione opposta, facendo sprizzare una pioggia di scintille.
«Fortuna che abbiamo chiuso la strada» osservò Delorme. Il furgone finì per urtare il guardrail, con le ruote in avanti, si ribaltò e ricadde su un affioramento roccioso, dove esplose, circondato dalle fiamme. «Scendiamo a terra. A tutte le unità: voglio che la zona sia isolata completamente con un cordone. Fate spegnere l'incendio dai vigili del fuoco e tirate fuori l'ostaggio. Ripeto, potrebbe esserci un ostaggio nel retro. Tiratelo fuori.» Il pilota atterrò in una segheria, dopo avere disperso gli operai con l'altoparlante. Mentre i poliziotti si stipavano a bordo di un'autopattuglia in attesa, gli operai lanciarono insulti contro di loro, riparandosi dietro cataste di tavole e assi da costruzione. Quando Cardinal raggiunse il relitto, il fuoco era già spento e il furgone annerito era coperto di schiuma. Un vigile del fuoco saltò a terra dallo sportello laterale aperto, scrollando la testa. «Nessun passeggero?» «Neanche il conducente. Non c'è nessuno.» «No, c'è, lo hanno preso.» Jerry Commanda indicava lo spartitraffico. Quattrocento metri più indietro, c'era un'autopattuglia parcheggiata sulla fascia mediana, con le luci lampeggianti. Due agenti puntavano le armi su una figura scura e immobile distesa sulla neve: venti secondi dopo, quella figura era il centro di un semicerchio di fucili, tutti pronti a sparare. La figura restava distesa, con le braccia spalancate come la vittima di un annegamento, distesa su un affioramento irregolare di scisto. D'improvviso emise un gemito, alzando leggermente la testa. Larry Burke scese slittando l'argine della strada per ammanettare l'uomo, poi lo fece voltare in posizione supina per poterlo perquisire. «Niente armi, sergente.» «Identità?» Burke esaminò rapidamente il portafoglio, estraendo la patente. «Frederick Paul Lefebvre, 234 Wassi Road. La foto corrisponde.» «Ma è Fast Freddie!» esclamò Delorme. «Da quanto tempo è uscito di prigione, due settimane?» Due medici si affrettarono a raggiungere il ciglio della strada, cominciando a tastare e tirare, bersagliando di domande quell'esemplare confuso di umanità. «Oh, povero me» ripeté più volte Fast Freddie. «Oh, povero me.» Uno dei medici gli ripulì la fronte dal sangue con una manciata di neve. Fu allora che Fast Freddie vide per la prima volta i fucili e fu assalito dal sin-
ghiozzo. «Oh, merda» mormorò, soffocando un rutto. «Mai una sbronza, eh?» 38 Per Cardinal, l'inseguimento al furgone di Woody si risolse in una valanga di carte. Soltanto il rapporto supplementare stava raggiungendo la mole di Moby Dick e, come in ogni operazione che coinvolgesse un altro corpo di polizia, quale per esempio l'OPP, le scartoffie non facevano che moltiplicarsi. Persino l'uso della santabarbara richiedeva un resoconto dettagliato delle attrezzature utilizzate, del personale coinvolto, dei colpi sparati e così via. Avrebbe voluto interrogare Freddie Lefebvre, ma Fast Freddie, ricaduto nell'incoscienza pochi istanti dopo aver confessato il suo stato d'ubriachezza, smaltiva la sbornia in un letto d'ospedale ben sorvegliato. Sul telefono di Cardinal lampeggiava la spia rossa che indicava la presenza di messaggi. Era Karen Steen, che chiedeva se c'erano progressi e lo pregava di richiamarla appena possibile. Lui si rammentò di quegli occhi azzurro jeans, del candore assoluto del suo viso: avrebbe voluto poterle dire qualcosa, qualche parola d'incoraggiamento, ma non c'era niente. I ragazzi della Scientifica, Arsenault e Collingwood, erano rinchiusi nel garage con il furgone di Woody. Non aveva senso assillarli per ottenere le impronte prima che passasse qualche ora. Cardinal raccolse una pila di carte dalla casella della posta in arrivo. C'erano parecchi plichi voluminosi inviati dalla procura, più i soliti avvisi, moduli e richieste di informazioni. Poi c'era una busta della posta interna, con un promemoria di Dyson che raccomandava per la centesima volta a tutti di non fare la figura degli idioti in aula. La parola contemporaneo ricorreva più volte, sottolineata. Nella busta c'era un altro foglietto, unito al promemoria - apparentemente per caso - da tracce di una sostanza che somigliava molto a una glassa al miele. Era una nota inviata dall'ufficio del sergente A. Dyson e indirizzata a Paul Arsenault, per comunicargli che doveva tenersi a disposizione degli esperti di documenti della polizia a cavallo per il weekend successivo. Quella combinazione fra polizia a cavallo ed esperti di documenti poteva riferirsi soltanto al caso Kyle Corbett, e il fine settimana faceva pensare a un'operazione importante, qualcosa di grosso che bolliva in pentola. «Cristo, perché dovrei testimoniare di nuovo? Comincio a sentirmi una
specie di bambolina vudu. Tutti quanti vogliono ficcarmi in corpo degli spilli!» McLeod gridava al telefono, cercando qualcosa che era sepolto sotto lo strato di cianfrusaglie che copriva la sua scrivania. Riattaccò imprecando. «Al diavolo il procuratore. Sembra quasi che voglia farmi venire un attacco di cuore.» «Forse è proprio così» commentò Cardinal in tono blando. «Giovedì c'è il saggio di pianoforte di mio figlio. Per colpa dei fratelli Corriveau ho già perso il suo compleanno. Se salto anche questo, mia moglie - pardon, la mia ex moglie, Lady Macbeth - mi taglierà fuori del tutto. Ha già il tribunale della famiglia in palmo di mano, ci giurerei. Per conto loro, io sono un incrocio fra Attila e Charles Manson. Quanto a Corriveau, che senso ha congedare un testimone, se poi lo richiami ogni cinque minuti?» Di colpo, Cardinal si trovò a pensare a Catherine. Lo sfogo paranoico di McLeod scivolò in sottofondo, e lui ricordò il viso scavato di Catherine, il modo in cui alzava gli occhi dal libro che stava leggendo per guardarlo al di sopra degli occhiali. In quei momenti il suo sguardo era così intenso come se temesse che un alieno fosse scivolato nel letto accanto a lei, assumendo l'aspetto del marito. «Stai bene?» gli domandava, e il ricordo di quelle due semplici parole era dolce in modo insopportabile. «Ehi, tu, dove stai andando?» gli gridò McLeod. «Non ho ancora finito, anzi, non ho neanche cominciato.» Catherine Cardinal percorse il corridoio per andare incontro al marito a braccia tese, con i capelli ancora umidi per la doccia. Lo abbracciò stretto, e Cardinal aspirò il profumo del suo shampoo. «Come sta la mia ragazza?» le chiese a bassa voce. Si sedettero di nuovo sul divano del solarium. Catherine stava meglio, tanto che Cardinal provò un fremito di speranza. Lo guardava negli occhi, e la sua mano compiva solo movimenti intermittenti dovuti al nervosismo, senza descrivere ossessivamente dei cerchi come qualche giorno prima. Aprì la bocca per dirgli qualcosa, ma non ne uscì neanche un suono, poi distolse lo sguardo, e lui attese mentre la moglie piangeva, tenendole la mano posata sul ginocchio con delicatezza. Alla fine Catherine riprese fiato e riuscì a dire: «Pensavo che ormai fossi già in tribunale per la causa di divorzio». Cardinal scosse la testa sorridendo. «Non riuscirai a liberarti di me tanto facilmente.»
«Oh, sì. Se non questa volta, la prossima o quella dopo. Il peggio è che nessuno al mondo potrebbe fartene una colpa.» «Io non vado da nessuna parte, Catherine. Di questo non devi preoccuparti.» «Kelly ormai può badare a se stessa, e non ti biasimerebbe, se tu mi lasciassi. Lo sai bene. Neppure io potrei biasimarti.» «Vuoi smetterla? Ti ho detto che non me ne vado.» «Be', forse potresti avere una storia con qualcuna. Con il lavoro che fai, sono certa che incontrerai una quantità di giovani donne disponibili. Puoi anche avere una storia, ma non parlarmene, d'accordo? Non voglio saperlo. Una delle tue colleghe, magari. Solo, non innamorarti di lei.» Cardinal pensò a Lise Delorme, la realistica Delorme con i piedi ben piantati a terra, Delorme che forse indagava su di lui e forse no, Delorme che aveva una gran bella silhouette, come aveva notato Jerry Commanda. «Non voglio avere una storia» ripeté alla moglie. «È te che voglio.» «Dio, tu non fai mai niente di sbagliato, vero? Non perdi mai la calma, non t'arrabbi mai. Come puoi sperare di capire una persona incasinata come me? Non so perché ti ostini a provarci. Voglio dire, sei praticamente un santo.» «Dài, tesoro. È la prima volta che mi accusi di santità.» Certo, Catherine non sapeva niente del denaro. Cardinal lo aveva preso durante il suo primo ricovero in clinica per depressione, anni prima, quando lei era rimasta per diciotto mesi alla deriva in un oceano di anime perdute. Allora i genitori di Catherine ci avevano aggiunto il loro carico, telefonando un giorno sì e un giorno no dagli Stati Uniti, facendolo sentire un marito inetto, e lui aveva ceduto. Per qualche tempo si era detto che lo aveva fatto per quello, che era stata la follia della moglie a farlo cedere; ma il cattolico che era in lui, per non parlare del poliziotto, non avrebbe mai potuto accettare quella giustificazione. Non si concedeva attenuanti. «I mariti lasciano in continuazione le mogli» stava dicendo Catherine. «Nessun altro sopporterebbe quello che hai sopportato tu.» «C'è gente che affronta situazioni molto peggiori.» Dovrei parlarle dei soldi, dimostrarle che è migliore di me: lei perde la testa una volta ogni tanto, ma non fa mai niente di sbagliato. Lo trattenne il pensiero del modo in cui lo avrebbe guardato. «Ti ho portato un regalo. Puoi metterlo il primo giorno che uscirai di qui.» Catherine aprì l'involucro di carta velina con straordinaria delicatezza, come se dovesse pulire una ferita. Il basco era color borgogna chiaro, un
colore che lei amava. Se lo provò, inclinandolo su un orecchio in modo sbarazzino. «Come mi sta? Non ti sembro una guida degli scout?» «Mi sembri la donna che vorrei sposare.» Quella risposta la fece piangere di nuovo. «Vado a prenderti una Coca» disse Cardinal, allontanandosi lungo il corridoio per raggiungere il distributore. Era un vecchio modello che mescolava sciroppo e acqua seltz in un bicchiere di carta: da quelle parti non si lasciavano in giro oggetti metallici. Rimase per qualche istante in piedi nel corridoio a guardare i pendii bianchi del parco, i pini con i rami incurvati dal peso della neve. Vicino all'ufficio del coroner un paio di portantini facevano una pausa, fumando una sigaretta sulla soglia di un androne e battendo i piedi sul terreno per scaldarsi. Quando lui rientrò nel solarium, Catherine si era rannicchiata all'estremità del divano, con il viso contratto in un'espressione corrucciata. Non volle bere la Coca: il bicchiere rimase intatto sul tavolo. Cardinal si trattenne ancora un quarto d'ora, ma lei rimase insensibile come una statua di legno. Niente di quello che le diceva suscitava una reazione. Quando infine se ne andò, lei era ancora nella stessa posizione, fissando il pavimento con una concentrazione feroce. Dyson invitò Delorme a entrare nel suo ufficio, dopodiché continuò scrupolosamente a ignorarla, rispondendo a una telefonata, cercando un fascicolo, brutalizzando Mary Flower all'interfono. Finalmente si girò verso di lei, prese il tagliacarte e lo tenne in equilibrio fra le mani. Per un attimo, Delorme pensò che volesse stringerlo fra i denti. «Un aggiornamento. A che punto siamo con Cardinal, Lise?» Lei detestava sentirsi chiamare con il nome di battesimo; in quei momenti Dyson le sembrava un produttore cinematografico di mezza tacca. «Finora i fascicoli non hanno prodotto granché. Non c'è niente che possa interessare alla procura.» Dyson tenne il tagliacarte inclinato, facendolo scintillare al sole pomeridiano come un'Excalibur in miniatura. Fuori della finestra un ghiacciolo scintillava, gocciolando. «Be', forse sarebbe ora di mettere sotto controllo il suo telefono.» «È proprio quello che intende fare Musgrave. Ma non subito.» «Ah, sì?» ribatté lui, abbassando il tagliacarte con un gesto irritato. «E perché?» «Hanno in progetto di beccare Corbett il 24.»
«Il 24? Cristo, ma che cos'ha nella testa, questa gente? Non riesce a fare una cosa per volta? Devono sempre fare tutto insieme e tutto male? Voglio dire, per quale motivo, in nome di Dio, devono agire prima che lei concluda le indagini? Qual è il motivo di questa urgenza improvvisa?» «Il fatto che Corbett progetta di far fuori un tale che dirige una banda di Black Diamond Riders, giù al Sud.» «E così compromettono un'indagine in corso per salvare la vita a qualche motociclista, probabilmente un assassino! Certo che le vie della polizia a cavallo sono misteriose. Chi è la loro fonte?» «Non me lo hanno detto. E questo non mi sorprende, date le circostanze.» «No» ammise Dyson con un gran sospiro. «No, davvero.» Lei non sapeva se tirare fuori quello che le premeva davvero, ma poi, vedendo Dyson di umore stranamente pensieroso, cercò di approfittarne. «Forse, per il momento non è una cattiva idea lasciare in pace Cardinal, sergente. Ha pensato alle ripercussioni che avrà sul caso Pine-Curry, se lo arrestiamo proprio adesso?» «Sì, ci ho pensato, e sarà molto peggio se viene a galla in seguito.» Più tardi, mentre lei era intenta a compilare rapporti supplementari alla sua scrivania, Cardinal rientrò in ufficio portandosi dietro sbuffi di aria gelida, come se tornasse dall'aldilà. Le rughe sul suo viso erano più profonde, e Delorme capì che era andato a trovare sua moglie. 39 Malcolm Musgrave e la sua squadra si erano accampati al Pinegrove Motel, in una stanza arredata in falso stile coloniale, con le tende di uno sgargiante color arancione. Il servizio in camera doveva essere stato soppresso. In mezzo a registratori, monitor e radio della polizia, un mucchio di scatole per la pizza e contenitori di cibo cinese aveva assunto le dimensioni di una precaria piramide di cartone. La stanza puzzava di sudore e hamburger stantii. Delorme fu sorpresa di scoprire che Musgrave partecipava di persona all'appostamento. «E avrei dovuto perdermi tutto questo?» Lui agitò un braccio massiccio per indicare l'ambiente, facendo scricchiolare la fondina ascellare. «Certo, potevo restarne fuori, anzi, è risaputo che il mio atteggiamento rissoso turba gli elementi più sensibili, ma vuole sapere una cosa? Me ne sbatto. Mi
chiami pure vendicativo, se crede, ma questo ragazzo mi ha fottuto l'operazione alla grande, e voglio inchiodarlo con le mie mani. E con il suo aiuto, naturalmente» aggiunse con falsa cortesia. Scostò da un letto una brutta sedia per offrirla a Delorme. Lui si sedette sulla sponda del letto, facendola sprofondare fin quasi a terra e, rivolto a un uomo con la cuffia e la faccia grigia, che finora non aveva prestato la minima attenzione a loro due, gridò: «Fa' sentire il nostro pezzo forte al sergente Delorme, Larry. È l'ora dello spettacolo». Larry inserì un altro nastro nel registratore a bobine che aveva di fronte. Lo riavvolse così in fretta che Delorme ebbe l'impressione di vedere sprigionarsi nell'aria tracce di fumo, poi premette un pulsante, regolò un paio di manopole e tolse lo spinotto della cuffia, in modo che potessero sentire tutti. «Lo abbiamo registrato un paio d'ore fa» disse Musgrave. «Lei non risponde alle chiamate?» «Lavoravo con Cardinal e non potevo venire via. Stiamo cercando di catturare un assassino, in questi giorni, nel caso non lo abbia saputo.» «Non cerchi di rimettermi al mio posto, signorina Delorme. È al di sopra del suo.» Musgrave rivolse un cenno al suo collaboratore, e il nastro partì dalla fine di una conversazione. «...perché è così che concludiamo gli affari, noi, ecco perché. Dì a Snyder di riordinare le idee. Fottuto rottinculo.» «Questo è Corbett» disse Musgrave. «Sempre cortese e compito.» «Quante volte dovremo subire queste stronzate? Tu diglielo, una volta ancora, e si ritroverà...» «Ho capito, Kyle. Ti sento.» «Peter Fyfe. Collaboratore di Corbett da lunga data. Ha fatto anche il poliziotto, una volta, per due settimane soltanto, ai tempi di Windsor. L'unica macchia sulla sua fedina penale è una condanna per aggressione e lesioni, nel 1989. Da allora è pulito come un chierichetto, proprio come Corbett.» «Si pentirà di aver mai sentito pronunciare il mio nome, diglielo.» «Glielo dirò, Kyle.» «Stavolta faccio sul serio. L'unico motivo per cui l'ho tollerato così a lungo è Sheila. E non gli basterà più per pararsi il culo.» «Gli passerò il messaggio.» «Ecco, bravo.» Si sentì un clic quando Corbett e Fyfe attaccarono. Dato che il registratore era attivato dal suono della voce, la conversazione seguente cominciò
esattamente dieci secondi dopo. «Sì.» «Kyle, non c'è modo di liberarsi dell'impegno con Fat Boy?» «Fat Boy ha un mucchio di grana, Pete. Non posso scaricarlo.» «Sappiamo chi è Fat Boy» disse Musgrave. «Gary Grundy, dirige la banda dei Lobos giù ad Aylmer e pesa centocinquanta chili, grammo più, grammo meno.» «Be', ho sentito il nostro piedipiatti preferito, tutto qui. Ha qualcosa di bollente per le mani, ma non vuole parlare al telefono.» «Bene. Digli di venire al Crystal.» «Come se fosse possibile. Lui ha suggerito la Library.» «Che idea brillante! Nessuno mi noterà, se vado alla biblioteca pubblica.» «Non alla Public Library, Kyle, ma alla Library Tavern, quella che sta sopra il Birches Motel. Il bar più noioso che tu abbia mai visto. Ascolta, non vuole neppure che te ne parli al telefono. Dice che probabilmente la polizia a cavallo sorveglia i nostri telefoni.» «Non è vero. Per quale motivo credi che paghi un patrimonio al mio hacker di fiducia? Siamo puliti.» «Comunque, lui dice che ci sorvegliano e si raccomanda di non dire niente al telefono. Ma che mi prenda un colpo se devo venire fin lì da Sudbury per fare il fattorino dei messaggi.» «Digli al New York, alle due del mattino. Mi troverà al bar.» «Alle due del mattino. Glielo dirò.» «Non stanotte, Cristo santo. Te l'ho detto che devo vedermi con Fat Boy.» «Okay, okay, ho capito.» «Domani notte, alle due. E digli che voglio tutto. Non lo sento da secoli, cazzo.» «Inutile dire che l'hacker consultato da Corbett è uno dei nostri. Molto abile con il mouse, devo ammettere.» «Ottimo lavoro.» E lo era davvero. Del resto, Delorme sapeva che in realtà le giubbe rosse lavoravano bene il più delle volte; purtroppo, non era quello il motivo per cui finivano sui giornali. «Domani, alle due del mattino» ripeté. «Ce la facciamo a sistemare nel ristorante l'unità per la registrazione con un preavviso così breve?» Quando Musgrave si alzò dal letto, fu come vedere una ripresa rallentata e continua della crescita di un pino di Douglas. «Che fine ha fatto la sua
fede, sorella Delorme? Mentre noi parliamo, i nostri confratelli si stanno già organizzando.» 40 Edie Soames tenne gli occhi fissi sulle lancette dell'orologio, che avanzavano a passo di lumaca, finché arrivò finalmente l'ora della pausa, poi disse a Quereshi che andava a pranzo e si trasferì al Pizza Patio, dalla parte opposta del centro commerciale. Mangiava sempre da sola: Eric non consumava mai i pasti in compagnia. In quel momento, il bisogno che aveva di stare con lui era particolarmente imperioso. Ormai era tanto tempo che tenevano in casa il ragazzo, e l'ansia di Edie rischiava di trasformarsi in paura. Eric non faceva che rinviare il party, godendosi quel periodo di attesa. A lui piaceva avere un prigioniero, perché gli dava la sensazione di avere di nuovo uno scopo, mentre Edie si sentiva nervosa e irrequieta. Al tavolo vicino, la sua ex amica Margo stava seduta con le spalle rivolte all'ingresso, ridacchiando insieme con altre due commesse del PharmaCity. Edie non si sedeva più vicino a lei, perché non era una persona seria. L'anno precedente, prima che entrasse in scena Eric, aveva confidato al suo diario: Margo sa divertirsi, cosa che io non ho mai imparato a fare. Forse sono innamorata di lei. Ieri sera è venuta a sistemarmi i capelli, e siamo state bene insieme. Ma poi era arrivato Eric, e quei due si erano detestati a prima vista. Un giorno, Margo, che non aveva ancora capito quanto lui contasse per Edie, aveva commentato distrattamente che Eric sembrava un furetto. Da allora Edie non le aveva più rivolto la parola se non quando era inevitabile, sul lavoro. Edie ordinò una Diet Coke e due tranci di pizza. Era a metà del secondo quando sentì pronunciare il suo nome. Era stata Margo, strillando, ma non per chiamarla: stavano discutendo di lei. «Oh, mio Dio» diceva Margo. «Che orrore. Quella faccia potrebbe fermare un camion. E poi deve mettersi addosso almeno un litro di Obsession. Quella ragazza avrebbe bisogno di un bel ritocco.» «E come» convenne Sally Royce. «Un ritocco alla personalità.» Le voci si abbassarono per un attimo, poi si udì uno scoppio di risa. Edie lasciò da parte il resto della pizza e uscì. Quelle puttanelle avrebbero dovuto leggere i giornali, fare conoscenza con Windigo. Non avrebbero riso tanto, se avessero saputo di che cosa era capace. Se fosse stata in vena, avrebbe potuto spaventarle a morte, costringendole a implorare pietà come
quella stupida mocciosa indiana. Avrebbe potuto uccidere lei stessa Billy LaBelle, se quel ragazzino non le fosse morto tra le mani. Una sola volta le era venuto meno il coraggio: aveva dovuto coprire la testa di Todd Curry con la fodera del cuscino, prima di aiutare Eric a spostare il corpo. Comunque, si sentiva sempre più forte. Che diamine, meno di ventiquattrore prima aveva trasportato un cadavere fino al Trout Lake. Eric era incredibile. Così freddo, così calmo. Lo aveva ucciso come se niente fosse, neanche fosse stato un uccellino. E poi lo abbiamo scaricato come un sacco della spazzatura. Spazzatura, ecco che cos'era, abbandonata sul ciglio della strada. Ma il tocco davvero geniale - e tutta farina del sacco di Eric, naturalmente - era stato lasciare il furgone davanti alla Chinook Tavern. "Qualcuno lo ruberà prima che tu abbia il tempo di dire ba" aveva detto. E aveva perfettamente ragione, come al solito. L'Algonquin Mall può vantare un incredibile assortimento di ristoranti e tavole calde da una parte e un supermercato Kmart altrettanto gigantesco dall'altra. Tra questi due estremi, il centro commerciale forma un'enorme L fluorescente. Questo significa che la città dispone di una vera e propria arteria dove l'inverno non esiste. Raffiche di vento, tormente di neve, fattore di riscaldamento da vento: chi ci pensa più? Volendo, ci si può spostare da un negozio all'altro, guardando le vetrine per tutto il pomeriggio senza congelarsi fino al midollo. Edie trovava molto piacevole il fatto che all'interno del centro commerciale fossero presenti delle aree con alberi e grandi piante ornamentali nelle quali erano sistemate alcune panchine. Ci si poteva sedere per guardare la vetrina piena di scarpette da corsa di Foot Locker, oppure osservare il negozio Record on Wheels, dall'altra parte. Edie poteva anche sedersi sulla panchina vicino al Troy Music Centre aspettando che Eric staccasse dal lavoro. Passò davanti al Tot Shoppe, con la vetrina piena di minuscoli parka come se fosse imminente l'invasione di un esercito di eschimesi nani. Alla Northern Lighting avevano esposto un lampadario tecnologico, fatto di tubi di rame e coni di alluminio, che assomigliava alle corna di un alce rivisitato in chiave futuristica. Si fermò al Troy Music Centre, ma Eric era nel retro a fare l'inventario. Meglio così, del resto, perché le aveva proibito di andare a trovarlo al lavoro. Il capo di Eric, il signor Troy, stava dietro il banco, accordando una chitarra per un ragazzo dall'aria allucinata. Edie scorse qualche spartito, leggendo le parole di una canzone di Whitney Huston e poi di Celine Dion.
Certo che erano famose: bastava guardarle, con quei denti perfetti e le tette altrettanto perfette. Ma se avessero avuto l'eczema, dove sarebbero adesso? La fama era una lotteria genetica, proprio come l'amore, e lei non aveva ereditato né l'una né l'altro dallo sconosciuto che l'aveva generata, o dalla madre, che sei anni dopo aveva lasciato Algonquin Bay per non tornare mai più. Era stata allevata dalla nonna, quella vecchia strega che l'aveva fatta sempre sentire brutta e stupida. Per un solo momento, breve e straordinario, aveva immaginato di poter essere attraente, quando Eric aveva cominciato a rivolgerle delle attenzioni. Per qualche tempo aveva persino coltivato fantasie sessuali sul suo conto; ma anche in questo, come per tanti altri aspetti, aveva assimilato quasi per osmosi l'atteggiamento di Eric. «Edie» le diceva «tu sei fatta per qualcosa di più importante del sesso, come me. Tu e io siamo fatti per spingerci oltre i limiti degli esseri umani.» Edie attraversò di corsa il parcheggio ghiacciato per raggiungere la rivendita di Tim Hortons, dove ordinò due ciambelle al cioccolato e un caffè doppio. Algonquin Bay poteva vantare ben diciassette rivendite di ciambelle: Edie lo sapeva, perché in una giornata particolarmente vuota le aveva contate tutte, compiendo l'intero giro della città. Le ciambelle fecero effetto, e quando tornò al drugstore si sentiva molto più calma. Margo entrò a precipizio pochi minuti dopo, senza fiato, sistemando la borsa e il cappotto sotto il banco fra i due registratori di cassa. Edie non la guardò neppure. C'erano giorni in cui, durante l'orario di lavoro, riusciva a scivolare in una specie di trance che faceva scorrere il tempo più in fretta. Alzava gli occhi, ed erano già le sette, tanto che si chiedeva dov'era finito il pomeriggio. Oggi, invece, il tempo non passava mai. Non faceva che ricordare quello che aveva detto di lei Margo, e quella risata nauseante; non pensava quasi più al ragazzo legato nello scantinato di casa sua, o alla ferita che aveva alla gamba. Ma quando Quereshi le chiese di tenere d'occhio la farmacia mentre andava alla toilette, Edie ficcò cinquanta compresse di Diazepam in un flacone di plastica che teneva in tasca. Quando Quereshi tornò, gli chiese: «Che cosa somministrerebbe a qualcuno, se volesse farlo restare sveglio ma assolutamente tranquillo, immobile?». Il viso liscio e bruno del signor Quereshi diventò grinzoso come un guscio di noce. «Intende dire per facilitare un'operazione chirurgica e così via?»
«Esatto. In modo che non si muova qualunque cosa gli facciano.» «Esistono sostanze del genere, va da sé, ma non nel nostro assortimento. Perché, signorina Soames, medita di operare qualche povero diavolo?» «Mi piace sapere queste cose, tutto qui. Forse, un giorno mi iscriverò alla facoltà di farmacia. Sto mettendo da parte i soldi.» «Io mi sono laureato in medicina a Calcutta, ma in questo paese la mia laurea non è stata riconosciuta, così sono stato costretto a studiare farmacia. Mi hanno riconosciuto tre esami. Sette anni di studi ridotti a tre esami! È uno spreco enorme. Sarei stato un ottimo chirurgo, ma in questo mondo regna l'ingiustizia.» «Io ho l'impressione che un giorno potrei fare qualcosa di speciale, signor Quereshi.» Molto speciale. La sera prima aveva scritto nel diario: Presto sarò pronta a uccidere da sola. Quel ragazzino nel seminterrato non sarebbe un problema, ma forse lo lascerò a Eric. Credo che preferirei cominciare con una donna. Ho già pensato a una candidata. «Sarebbe saggio da parte sua dedicarsi a un corso di studi, signorina Soames. Non le capiteranno tante opportunità. Il mondo non discrimina soltanto le persone di colore, ma anche le donne come lei.» Le donne come lei. Sapeva bene che cosa intendeva dire quel merdoso pakistano. Le donne insignificanti come te, le donne con la faccia deturpata come la tua. Non c'era bisogno che lo dicesse a chiare note; traspariva dal suo tono di superiorità. Non lascerei operare neanche un cane da un tale bastardo, pensò Edie, figuriamoci un essere umano. Quereshi le porse un flacone di pillole, che lei mise in un sacchetto destinato alla fragile vecchietta davanti al banco. «Ventinove e cinquanta.» «Ventinove e cinquanta! Il mese scorso costavano solo venti dollari.» La donna vacillò, come se il prezzo avesse minato il suo senso dell'equilibrio. «Non mi posso permettere ventinove dollari e cinquanta. Prendo soltanto la pensione. Non mi resterà abbastanza per comprare il cibo per gatto.» «Allora, forse, non dovrebbe comprarle.» Oppure dovrebbe strangolare il gatto, per quel che me ne importa. «Ne ho bisogno. Sono per il cuore e non ne posso fare a meno. Non ho scelta, le pare?» «Non lo so. Sta a lei decidere.» «No, non dipende da me, è questo che sto dicendo. Quanto ha detto?» «Ventinove e cinquanta.» «Significa un aumento del venti per cento, e anche di più. Com'è possibile che poche pillole possano aumentare del venti per cento in un mese,
ecco che quello che vorrei sapere.» «Non lo so, signora. Sono aumentate.» La donna le porse tre banconote da dieci che sapevano di talco, e lei le diede il resto. «Grazie per avere scelto il Pharma-City. Ora non si faccia investire da una macchina.» «Che cosa ha detto?» «Le ho detto di fare attenzione alle auto nel parcheggio. Oggi c'è molto traffico, là fuori.» Quereshi stava per dire qualcosa, lo sentiva. Si dirigeva verso di lei, scaldando i motori per farle la predica. Non che fossero affari suoi; lui stava lì soltanto per contare pillole. La politica aziendale non lo riguardava affatto. «Signorina Soames, mi dica una cosa.» Ecco, ci siamo. Edie cominciò a riordinare i contanti nel cassetto, girando tutte le banconote a faccia in su. «Signorina Soames, vorrei solo farle una domanda. Lei ha un hobby, o qualche obiettivo particolare? La musica, magari. La filatelia, o qualcosa del genere.» «Sì, un hobby ce l'ho.» Uccidere, era tentata di dire, solo per vedere l'espressione su quella faccia scura e stupida. «Mi piace fare cose speciali.» «Me ne rallegro, signorina Soames, perché lei non avrà mai successo nel trattare con il pubblico. Le manca la capacità di immedesimarsi nel prossimo e suscitare simpatia.» «Chi se ne frega. La simpatia è per i deboli.» «Per i deboli? Lei deve aver letto le opere di qualche filosofo terribile, scommetto. Quella povera signora non ha un soldo, e quando i prezzi salgono si sente ferita. Non riesce a trovare neanche una parola gentile per lei?» «Non ho voglia di parlarne.» «Che cosa le costa dire: "Sì, è una vergogna", o qualcosa del genere? Non ci rimette niente.» Furono interrotti da una donna con i capelli scuri che comprò sei confezioni di tintura all'henné. Era l'inizio della ressa finale. Qualcun altro acquistò una riserva di Mylanta Gas sufficiente almeno per un anno. Un giorno fanno incetta di Kaopectate, il giorno dopo di Exlax, pensò Edie. Si vendono come il pane. Una ragazza comprò tre diversi rimedi per il raffreddore, più shampoo, balsamo, smalto per le unghie. Una donna con i capelli ricci comprò una lozione per stirarli, mentre una ragazza con i ca-
pelli lisci, che Edie le invidiava, comprò un prodotto per farsi i ricci. Lei stessa aveva provato tutti i rimedi che esistevano sotto il sole: come dipendente del Pharma-City aveva diritto allo sconto del dieci per cento, ma nessuno degli unguenti e delle creme e degli steroidi aveva prodotto il minimo cambiamento su quella pelle terribile, coperta da una patina lucente che sembrava artificiale. «Ehi, Edie» ricordava di aver sentito gridare da una delle sue ex compagne di scuola. «Hai ficcato di nuovo la testa nel forno? La prossima volta non usare il microonde!» Custodiva quel ricordo nella memoria come un vecchio proiettile rimasto incastrato nella gabbia toracica. Un ragazzo comprò da lei una dozzina di Sheik. I preservativi venivano custoditi dietro il banco e i ragazzi non li compravano mai da Margo, perché si sentivano più tranquilli con una donna brutta. Margo lavorava al registratore di cassa, felice come una pasqua; era così scervellata che quello stupido lavoro le piaceva davvero. Da quando Edie aveva smesso di parlarle, non sapeva che fare nei momenti di fiacca; allora tirava fuori un numero di People e sfogliava le solite vecchie storie, un mese dopo l'altro, masticando la gomma. Edie si stava infilando il parka quando un uomo in giacca blu le disse: «Signorina Soames, vuole venire con me, per favore?». Era un agente del servizio di sicurezza della società, incaricato di fermare i taccheggiatori e svergognarli davanti a tutto il negozio. Struk, si chiamava. Edie lo seguì nel piccolo ufficio al primo piano, dove una donna grassa che faceva parte del servizio di sicurezza era seduta di fronte a un monitor della sorveglianza. Struk indicò la sua borsetta. «Signorina Soames, le dispiace aprirla?» «Perché? Non ho preso niente.» «La società Pharma-City si riserva il diritto di svolgere un controllo a campione sui dipendenti. Lei ha firmato la liberatoria al momento dell'assunzione.» Edie aprì la borsetta. Struk frugò con abilità professionale fra i Kleenex, l'agendina degli indirizzi e la gomma da masticare. Controllò persino il portafoglio. Chissà, forse pensava che dentro ci nascondesse i preservativi. «Può rovesciare le tasche, per favore?» «Perché?» «Lo faccia e basta, altrimenti dovrò farla perquisire da Franny. Facciamola finita.» Due minuti dopo era di nuovo fuori e rimetteva in ordine la borsetta.
Margo scherzò con Struk mentre la guidava verso l'ufficio. Lasciarono la porta aperta, così Edie sentì Struk ripetere la solita formula stereotipata. «Si accomodi, guardi pure» rispose Margo. «Non c'è altro che il portatrucco e il chewing-gum.» «Ah.» Seguì una pausa. «E scommetto che per queste avrà la ricetta.» «Che cosa sono quelle pillole? Non ce le ho messe io. Non sono mie, lo giuro. Non so come siano finite là dentro.» «Non si affanni a mentire. Questo è motivo sufficiente per il licenziamento. Qui dentro ci devono essere almeno cinquanta Diazepam. Come sono finite nella sua borsetta?» «Non lo so! Le giuro che non lo so! Non le ho prese io, mi deve credere! Qualcuno deve averle messe nella mia borsa!» «E per quale motivo lo avrebbe fatto?» Ormai Margo era scoppiata in lacrime. Edie non si trattenne per sentire il resto. Scese in fretta le scale per uscire nella galleria del centro commerciale. Tutt'a un tratto, si sentiva tanto di buon umore che andò direttamente al Kmart a comprarsi un paio di scarpe. 41 Appena rientrata a casa dal centro commerciale, Edie si sfilò con un calcio gli stivali da neve infradiciati dalla poltiglia fangosa e, con le calze ancora umide, salì al primo piano per controllare la nonna. La vecchia russava sonoramente, con la bocca spalancata come la porta di un garage. Non aveva neanche fatto domande sugli spari di qualche giorno prima, mentre si era preoccupata di più per le grida. Era tempo di controllare il prigioniero. I tre chiavistelli erano ancora al loro posto. Edie origliò alla porta, aspettando un minuto intero prima di aprire. Eric le aveva raccomandato di non parlare al prigioniero se non in sua presenza, ma era lì da tanto tempo che lei non poteva più resistere. A che scopo tenere prigioniero qualcuno, se non puoi fargli vedere chi comanda? Il ragazzo era seduto sulla sedia, con i polsi e le caviglie saldamente fissati dal nastro adesivo. La coperta gli era scivolata di dosso, lasciandolo scoperto, con la pelle nuda accapponata dal freddo. Vedendola entrare, alzò la testa. Al di sopra del bavaglio, gli occhi arrossati erano supplichevoli. Edie annusò l'aria. «Non potevi aspettare, vero? Maiale!» Erano almeno
ventiquattr'ore che non gli davano da bere o da mangiare, quindi usare la bacinella che avevano messo sotto il foro della sedia sembrava una provocazione deliberata. Controllò la ferita alla gamba. Era soltanto un piccolo foro con qualche traccia di bruciatura intorno, niente di serio. Il prigioniero tentava di dire qualcosa, grugniti e gemiti che sfuggivano dal bavaglio di nastro adesivo. Edie sedette sul letto per osservarlo. «Scusa tanto, prigioniero, ma non riesco a sentirti.» Gli occhi arrossati si dilatarono, i gemiti divennero più forti. «Che cosa c'è, prigioniero? Alza la voce.» Qualunque cosa tentasse di comunicare, era evidente che gridava, perché dal nastro filtrava una specie di rombo sotterraneo. «Piantala con questo chiasso, altrimenti prendo un cacciavite e te lo ficco nella ferita. Ti piacerebbe?» Il prigioniero scosse la testa in modo esagerato, quasi comico. Edie si accovacciò di fronte a lui. «Lo sai per quale motivo sei ancora vivo?» gli chiese a bassa voce. «Te lo dirò io. L'unico motivo per cui sei ancora vivo, prigioniero, è che stiamo cercando un posto dove nessuno possa sentirti gridare.» D'un tratto una lacrima ardente cadde sul polso di Edie, che si tirò indietro di scatto, fissandolo. «Bastardo» gli disse, sputandogli in piena faccia. Il prigioniero abbassò la testa per ripararsi. Edie dovette accovacciarsi di nuovo per centrarlo. Gli sputò ancora in faccia, con calma, senza passione, e poco dopo il prigioniero rinunciò persino al tentativo di evitare gli sputi, mentre lei continuò finché il viso del ragazzo non scintillò di saliva. Non smise di sputare finché non rimase con la bocca secca. 42 Cardinal riportò in cella Fast Freddie. «Non ho avuto niente a che fare con i delitti, e lei lo sa. Non ha uno straccio di prova.» Cardinal gli ripeté per la decima volta che nessuno lo sospettava di aver commesso un delitto, ma Fast Freddie era un ubriacone e un drogato di provincia - quando non era in carcere viveva in periferia, oltre Corbeil - e l'accusa di omicidio doveva essere l'unico avvenimento interessante della sua vita. «Ho un alibi, figlio di puttana. Posso dimostrare dov'ero, e lei lo sa. Affiderò il caso a Bob Brackett, amico. Farà bene a proteggersi il culo.»
Certo che poteva dimostrare dov'era: circa ventisette detenuti del carcere distrettuale, per non parlare dei secondini, potevano testimoniare che Fast Freddie era rimasto sottochiave per due anni, fino al giorno prima, e Cardinal ne aveva avuto la conferma meno di dieci minuti dopo la sua bravata sulla statale 11. Richiuse la porta della cella. «Può accusarmi di omicidio di primo grado, colposo, preterintenzionale, o qualunque altra cosa le salti per la testa, ma non riuscirà a inchiodarmi, Cardinal. Io non ho ucciso nessuno.» «Freddie, lo so che sarà una grossa delusione, per te, ma il fatto è che sei accusato soltanto di furto d'auto e guida in stato di ubriachezza.» Nonostante la solare inutilità della sua innocenza, Fast Freddie aveva le idee confuse sull'unico elemento che rivestiva qualche interesse agli occhi della polizia: aveva visto qualcuno lasciare il furgone nel parcheggio della Chinook Tavern? Cardinal aveva sguinzagliato gli agenti con l'incarico di rintracciare i clienti, il personale del locale, e chiunque altro potesse aver visto il furgone entrare nel parcheggio. Purtroppo, la memoria di Fast Freddie era inaffidabile riguardo a tutto ciò che accadeva dopo il secondo boccale di Labatt Ice. Cinque minuti dopo Cardinal lo riferì a Delorme, mentre erano diretti verso il garage del comando. «Come?» esclamò lei brusca. «È tutto qui quello che sei riuscito a cavargli di bocca?» «Appena si ubriaca, viene assalito dall'impulso irresistibile di andare a Toronto, punto e basta.» Era un paio di giorni che Delorme appariva tesa, e Cardinal avrebbe voluto chiedergliene il motivo. Forse lei aveva già ottenuto le prove del suo reato; poteva darsi che aspettasse di far scattare la trappola da un momento all'altro. «Sei pronto?» Delorme si fermò, con la mano sospesa sulla maniglia della porta. «Pronto per che cosa?» L'odore assalì Cardinal con la violenza di un colpo di maglio. «Mio Dio, ma voi altri non credete nell'importanza dell'ossigeno?» Arsenault e Collingwood erano intenti a lavorare sul furgone di Woody. Nessuno ama il proprio lavoro come gli esperti di impronte digitali, pensò Cardinal. I due erano rinchiusi in quel fetido garage da dieci ore filate, per affumicare con i vapori di colla quel relitto semicarbonizzato. Arsenault agitò in segno di saluto la mano guantata, che sembrava una zampa bianca. «Qui abbiamo quasi finito. Hai mai visto tante impronte?
Devono essere quattro miliardi, o giù di lì.» Ridacchiò. «Tutte di Woody, giusto?» «Di tutto Woody.» Arsenault guardò il giovane Collingwood, e i due si abbandonarono a un'ilarità irrefrenabile. «Voi due siete strafatti» commentò benevolo Cardinal. «È meglio fare una pausa.» Il furgone di Woody era stato rinchiuso in un involucro di plexiglas per il trattamento di affumicatura, ma ora che il plexiglas era stato rimosso, i vapori di colla erano asfissianti. «Venite» disse Cardinal. «Andiamo fuori.» Si ritrovarono in quattro all'aperto, sotto il sole accecante, respirando a pieni polmoni. Era la giornata più calda che si ricordasse, almeno da dicembre in poi. A volte, in febbraio, c'erano strani periodi di tepore, abbastanza lunghi da trarre in inganno e dare l'illusione che la primavera fosse vicina. La neve ai bordi del parcheggio era color cenere e i tratti in cui si era sciolta fumavano ai raggi del sole. «Mi spiace» si scusò Arsenault. «Avete mai sentito parlare di ventilazione? Voi due siete vivi per miracolo.» «Penso che ormai abbiamo acquistato un grado di tolleranza molto elevato, non è vero, Bob?» Collingwood annuì con aria solenne, stringendosi le braccia intorno al corpo per difendersi dal freddo. «Quasi tutte le impronte sono di Woody, perlomeno quelle che non sono confuse. Quelle che è stato possibile rilevare sul volante appartengono quasi tutte a Fast Freddie. Il cruscotto e lo sportello presentano unicamente tracce confuse. Qualcuno ha ripulito quel furgone, almeno all'interno.» «Cristo, Arsenault, allora non ne avete ricavato niente?» L'altro parve offeso. «Abbiamo tonnellate di materiale. Abbiamo rilevato due impronte complete dallo specchietto retrovisore, prima ancora di cominciare ad affumicarlo. Quegli idioti si scordano sempre di pulirlo.» «E allora?» Cardinal spostò lo sguardo da Arsenault a Collingwood e viceversa. «Ora le stiamo confrontando con gli archivi a livello nazionale. Se c'è una registrazione, dovremmo saperlo entro breve tempo. Un paio d'ore al massimo.» «Non posso crederci! Ma come, non avete confrontato le impronte sul furgone con quelle che gli esperti di medicina legale hanno rilevato sul collo di Woody? C'è un fax affisso sul tabellone del vostro ufficio! Ma sie-
te fuori di testa?» «Oh, quelle. Sì, certo, abbiamo l'impronta di un pollice che corrisponde perfettamente.» «E quando pensavate di dirmelo?» «Stavamo aspettando il confronto del computer. Volevamo farti una sorpresa, no?» Delorme scosse la testa, sbalordita. «Voi siete completamente suonati.» Collingwood e Arsenault strusciarono i piedi sul terreno, con aria imbarazzata. Cardinal si soffermò sulla porta del garage, osservando il furgone smontato. I vapori della colla avevano formato depositi bianchi in tutti i punti in cui la superficie era stata toccata da mani umane, creando un disegno a pois. «Una volta abbiamo trattato così un Cessna intero» osservò Arsenault. «Non era molto più grande di questo, però.» «Andiamo, Paul, il Cessna era molto più grande, specie considerando le ali.» Cardinal, Delorme e Arsenault si girarono di scatto a guardare Collingwood. Era la prima volta che uno di loro ricordava di averlo sentito parlare senza essere interpellato. Se ne stava lì in piedi a guardare il furgone, con un sorriso sghembo sulla faccia e il sole che scintillava sulle sue orecchie arrossate. Dopo pranzo, Cardinal e Delorme andarono a casa di Woody, un minuscolo bungalow imbiancato a calce nella zona di Ferris. Si sedettero in cucina, dove Martha Wood si concentrò con intensità quasi disperata sul compito di dare da mangiare al figlioletto, come se anche una sola occhiata rivolta altrove, mentre parlava del marito morto, potesse farla sciogliere in singhiozzi disperati. «A Woody piacevano gli stereo, le radio portatili, i registratori, tutta roba facile da trasportare e facile da vendere. E i computer portatili, quando riusciva a metterci le mani sopra. Aspettava di avere merce sufficiente per riempire il furgone, poi andava a Toronto. Di solito rientrava il giorno stesso. Avanti, Truckie, mangiane ancora un po'.» Accostò alla bocca del bambino un altro cucchiaino di uovo in camicia e il piccolo inghiottì, battendo le palpebre e cercando di raggiungere il cucchiaio per averne ancora. «Ti piace, vero? Sì, lo so.» La sofferenza si manifesta in modo diverso a seconda delle persone. Dall'estremità opposta del tavolo da cucina, Cardinal osservava che Martha
Wood era diventata lenta e cauta, come dimostrava la delicatezza con la quale raccoglieva il tuorlo d'uovo con il cucchiaino. Doveva compiere uno sforzo sovrumano per affrontare la routine del pasto del bambino, per affrontare i poliziotti. Tutti i suoi movimenti erano lenti e misurati, come se avesse riportato ustioni. Sotto quel dolore evidente, Cardinal avvertiva la collera, ma era un'emozione difficile da captare, perché tutte le sue risposte erano rivolte a Delorme. «Che carino» osservò Lise, allungando la mano per sfiorare la soffice peluria scura sulla testa del bambino. «Come lo chiama, Chuckie?» «Truckie. Veramente si chiama Dennis, come il padre di Woody, ma lui lo ha sempre chiamato Dumptruck.» Ripulì il viso del bambino da uno schizzo d'uovo, prendendo un'altra porzione microscopica con la punta del cucchiaio. Le piccole dita grassocce del bambino afferrarono il cucchiaio per dirigerlo verso la bocca avida. «Quando ero incinta, Woody diceva sempre: "Ma non ci serve un bambino! Ci serve una radio, ci serve una lampada, ci serve un Dumptruck, un furgone per i traslochi! Perché non lo chiamiamo così?". Così scherzavamo sempre chiamandolo Lampada e Dumptruck, e purtroppo...» La cucina era satura degli odori del bambino: talco, lenzuola bagnate, candeggina. Cardinal pensò che non aveva mai visto uno spettacolo più triste di quella donna graziosa, con il bambino e quel viso dai lineamenti perfetti. «Ciao, Truckie» disse Delorme, accarezzando i soffici capelli del piccolo. «Come va?» La signora Wood fissò per la prima volta Cardinal. «Vorrei che se ne andasse, per favore.» «Io? Vuole che me ne vada?» Lo aveva colto alla sprovvista. In quel momento credeva di essere l'ultimo dei pensieri di Martha Wood. «Ieri lei sapeva fin dall'inizio che mio marito era morto, e continuava a farmi domande come se niente fosse. Come se non avesse importanza. Come crede che mi sia sentita?» Era una donna forte, ma in quel momento le tremava la voce. «Mi dispiace, signora Wood. Volevo ottenere le informazioni al più presto.» «Mi ha fatto sentire una merda, e io non la voglio in casa mia.» Cardinal si alzò in piedi. «Ho sbagliato» ammise. «Ero sotto pressione e ho commesso un errore di giudizio. Mi dispiace.» Uscì dalla porta di servizio e si sedette in macchina a prendere appunti.
Cristo, sono un poliziotto corrotto, si disse. La gente non ha idea di quanto sono marcio. Uno stupido errore di giudizio gli era costato l'opportunità di dare un'occhiata in casa di Woody. Ora non avrebbe mai potuto sapere quanto ne avrebbe risentito l'indagine. Se il quarto canale fosse venuto a conoscenza di quella storia, sarebbe stata una giornata campale. Delorme lo raggiunse un'ora dopo. «Povera donna» mormorò, scivolando al posto di guida. «Ti ha lasciato dare un'occhiata in giro?» «Sì. Non c'era molto da vedere, ma ho trovato queste.» Gli consegnò una busta. Cardinal tirò fuori un fascio di Polaroid, alcune delle quali incollate insieme. Ritraevano tutte i centri commerciali della città: Algonquin Mall, Airport Hill Shopping Centre e Gateway Mall, ripresi sempre dal retro. «Ho dato solo un'occhiata» aggiunse Delorme «ma si direbbe che tenesse d'occhio i centri commerciali.» «Non è nello stile di Woody.» «Lui faceva soltanto lavori nelle case, per quanto ne so. Non lo abbiamo mai inchiodato per qualche altro motivo.» «Del Gateway c'è una sola foto, mentre degli altri due ce ne sono di più.» «Ci sono molti parcheggi, qui. Forse stava seguendo una particolare auto?» «Non c'era bisogno di scattare delle foto. Ma può darsi che abbia fotografato i negozi nei quali voleva introdursi. Qualcuno potrebbe averlo visto, e potrebbe aver visto qualcuno insieme a lui.» 43 Eric Fraser finì di lucidare la D-35 prima di appenderla alla rastrelliera dietro il banco. Rientrava nei suoi compiti lucidare le chitarre una volta la settimana, e lui preferiva fare quel lavoro anziché stare alla cassa o togliere gli amplificatori dagli involucri. Fare pulizia gli piaceva; era un compito piacevolmente rilassante, che consentiva ai suoi pensieri di vagare dovunque volesse lasciarli liberi di andare... verso l'isola, verso la casa abbandonata, verso il ragazzo nello scantinato di Edie. «Quanto costa la Martin?» volle sapere un ragazzo grasso, con il labbro superiore imperlato di sudore. «Tremilaseicento.»
«E la Gibson laggiù?» «Quella costa milleduecento.» Eric intuì che il ragazzo avrebbe voluto provarle, ma non glielo propose. Alan non gradiva che i clienti provassero quelle chitarre costose, a meno che non facessero sul serio. Il ragazzo si mise a sfogliare i libri di musica, ed Eric cominciò a lucidare la Gibson. Quanto a lui, non suonava mai. Carl e Alan erano veri musicisti, e detestava rivelare la sua mancanza di talento davanti a loro. La chitarra di Keith London, un'Ovation in condizioni eccellenti, era a casa sua, sotto il letto. Aveva provato a suonarla, ma era fuori esercizio al punto che gli si erano indolenzite le dita. Entrò una ragazzina, che cominciò a studiare degli spartiti musicali, cercando di imparare a memoria una canzone di Whitney Houston. Sui dodici anni, aveva i capelli lunghi e lisci. Era magnifico poterla guardare senza desiderio; avere un prigioniero lo rendeva indifferente. Katie Pine non era stata altrettanto fortunata. In realtà Eric stava pensando a Billy LaBelle, quando Katie Pine era passata di lì per caso, guardando gli strumenti musicali, ma senza fare acquisti. Eppure, non appena era entrata, Eric aveva sentito la mano del destino: sarebbe stata sua, e nessuno poteva farci niente. Per il ragazzo LaBelle era stato diverso: Billy LaBelle veniva regolarmente a prendere lezioni, ed Eric lo teneva d'occhio da qualche settimana. Arrivava sempre da solo e dopo la lezione tornava sempre a casa da solo, trasportando la chitarra. Lui aveva grandi progetti per Billy, e invece gli era morto fra le mani. Ebbene, Edie e lui avevano imparato la lezione; non sarebbe accaduto mai più. No, no, per quel prigioniero aveva grandi progetti. Ora pensava di continuo a lui, immaginando ogni sorta di cose a cui sottoporlo. La foto di Keith London era dappertutto: era stata affissa nel centro commerciale proprio all'entrata del Troy Music Centre, per le strade, alle fermate degli autobus... ma lui era rimasto in città soltanto due ore, prima di sparire. Nessuno lo avrebbe mai trovato, di sicuro non i poliziotti che aveva visto in tv. Se solo fosse riuscito a trovare il posto giusto, isolato ma facile da attrezzare, un posto in cui potesse sentirsi veramente libero. Un posto dove sistemare la videocamera e le luci. Non era facile. Le case abbandonate non si trovano tanto spesso. «Puoi finire domani, Eric. Ora dovresti occuparti della cassa per un po',
se non ti dispiace.» «D'accordo, Alan. Hai detto che c'era anche l'inventario da fare.» «A quello potrai pensare domani. Ora bada alla cassa.» La ragione per cui devo badare alla cassa, pensò lui, è che devi recitare la parte del vecchio esperto, non è vero? Per insegnare a questi stronzetti come si suonano un paio di accordi? Ora Alan stava accordando una Dobro per un tale con i capelli lunghi fino alle ginocchia. Per certi versi Alan, con i suoi modi fermi e gentili, gli ricordava l'ultimo padre adottivo che aveva avuto. Finalmente, la ragazzina rinunciò al tentativo di imparare a memoria la canzone lì nel negozio e decise di acquistare il disco di Whitney Houston. «Suoni il piano?» Quello sfoggio di cordialità era a beneficio di Alan, naturalmente. «Sì, il piano, ma solo un po'.» «Okay. Questi accordi riescono molto bene al piano, mentre non sono adatti alla chitarra. Troppi bemolle.» Era facile parlare così, quando si sentiva tanto libero. Avere un prigioniero a disposizione gli consentiva di chiacchierare con la gente proprio come facevano Alan e Carl. Eric strappò lo scontrino, fissandolo al sacchetto con il nastro adesivo. «Allora buona fortuna. Facci sapere se c'è dell'altra musica che stai cercando.» «Oh, grazie, fantastico.» Una spruzzata di acne, l'apparecchio ai denti. Incredibile. Appena una settimana fa sarei stato troppo sconvolto per parlarle, quasi attanagliato dall'emozione. Il cuore avrebbe martellato nel mio petto come un tuono e immagini terribili avrebbero cancellato ai miei occhi il registratore di cassa. Ora, invece, Eric poteva guardarla mentre scuoteva i lunghi capelli lisci senza avvertire la minima traccia di tensione. Questo sì che era controllo. Jane, la sorella adottiva, aveva i capelli lunghi e lisci come quelli, solo che erano biondi. Lo avevano affascinato. Per giunta lei non faceva che giocherellarci, per esempio attorcigliandone una ciocca mentre guardava la televisione, oppure osservandoli con intensa concentrazione alla ricerca di doppie punte. A volte Eric li accarezzava senza che lei lo sapesse. Se era seduta sul sedile anteriore della macchina, poniamo, mentre lui viaggiava dietro, poteva toccare quella massa dorata e profumata senza che lei se ne rendesse conto. Per qualche minuto si abbandonò ai sogni a occhi aperti, immaginando tutto quello che avrebbe fatto a Jane, se ne avesse avuto la possibilità. Alla fine, Alan Troy gli disse che quel giorno gli affari andavano piuttosto a ri-
lento, quindi poteva prendersi il resto della serata. «Ne sei sicuro, Alan? Posso restare ancora un po', se vuoi.» «No, va bene così. Ci penserà Carl a chiudere.» Eric si mise il soprabito, e stava per uscire quando, d'impulso, domandò: «Quanto pensi che possa valere un'Ovation di seconda mano?». Alan non alzò gli occhi dal registratore, dove stava contando l'incasso. «Perché, Eric? Ne avresti una da vendere?» «L'altro giorno un tale ha cercato di vendermene una. Voleva trecento dollari.» «Be', dipende dal modello, naturalmente. Ma un'Ovation nuova non puoi averla per meno di ottocento, quindi si direbbe un buon affare... a seconda delle condizioni, certo.» «Sembrava in buono stato, ma io non sono esattamente un esperto.» «Perché non la porti qui, allora, se questo tale acconsente? La controllerò io. Per darti un parere tecnico, per così dire.» «Forse lo farò. Penso che il tizio abbia lasciato la città, comunque. 'Notte, Alan.» «Buona notte, Eric.» «Sii prudente, tornando a casa. Qua fuori c'è un mare di fanghiglia.» Alan gli rivolse un'occhiata divertita e scrutatrice. «Ultimamente sei di buon umore.» «Davvero?» Eric ci rifletté. «Già, penso di sì. Ho ricevuto buone notizie da casa. Mia sorella si è appena laureata in farmacia.» «Ehi, è fantastico. Buon per lei.» «Sì, Jane è una ragazza in gamba.» In realtà, Eric non aveva notizie della sorella adottiva da oltre quattordici anni. Aveva sempre pensato che lo avrebbero cacciato via di casa per aver dato fuoco al giardino dei vicini, invece per quello non lo avevano mai ritenuto responsabile. Altrettanto dicasi per quello che aveva fatto con il cane e il gatto, che erano misteriosamente scomparsi. Alla fine, lo avevano beccato per una sciocchezza, per una cosa da niente. La causa di tutto era stata la tredicenne Jane. Se non fosse stata così piena di sé, le cose sarebbero filate più lisce, e lui si sarebbe inserito meglio nell'ambiente, avrebbe potuto rilassarsi. Invece lei non faceva che provocarlo, per il modo in cui gli scuoteva i capelli in faccia, per il modo in cui lo ignorava. Quando le aveva rapito il cane, aveva fatto una scoperta inat-
tesa: si sentiva libero dal desiderio struggente che provava per lei. Poteva parlarle, poteva addirittura consolarla quando piangeva per l'amico perduto. Ma a meno di una settimana di distanza dalla morte del cane, Eric si era sentito assalire di nuovo da un dolore lancinante al petto. Jane aveva ricominciato a ignorarlo, trattandolo come se fosse un grumo di terra rimasto appiccicato sotto le sue scarpe. Lui aveva sopportato finché gli era stato possibile, poi aveva deciso che, almeno per una notte, Jane avrebbe dovuto prestargli attenzione. A parte quello, in realtà non sapeva che cosa avrebbe fatto. Pensava di affidarsi all'ispirazione. Una sera rimase sveglio finché il suono stentoreo del padre adottivo che russava cominciò a far vibrare le pareti della casa. Poi s'infilò i jeans e una maglietta, e persino le calze, prima di percorrere in punta di piedi il corridoio fino alla porta di Jane. Era senza serratura, lo sapeva; nessuna delle camere da letto aveva la serratura. A volte Jane restava sveglia fino a tardi a leggere o ascoltare la radio di plastica rosa, ma in quel momento non si vedeva la luce filtrare sotto la porta. Eric non esitò neppure. Girò la maniglia, entrò nella stanza e chiuse la porta. I suoi occhi si erano già adattati al buio e vedeva chiaramente la linea dell'anca di Jane, sotto le coperte. Era raggomitolata sul fianco, con il viso rivolto verso la parete, nascosto dietro una cortina di capelli biondi. La stanza sapeva di scarpe da corsa e olio per bambini. Eric rimase immobile a lungo, guardando la gabbia toracica di Jane alzarsi e abbassarsi, ascoltando il suono quasi impercettibile del suo respiro. Dorme profondamente, pensò. Posso fare tutto quello che voglio. Tenne le mani sospese sul contorno del suo corpo, come se fosse un radiatore di cui poteva assorbire il calore. Poi le accarezzò i capelli, avvolgendo intorno all'indice una ciocca dorata e aspirando la fragranza dello shampoo Halo. Il respiro di Jane s'interruppe per un attimo, ed Eric rimase paralizzato. È solo un sogno, stava per dire ad alta voce. È solo un sogno e non c'è bisogno di svegliarsi. Invece, lei si svegliò. Aprì gli occhi e, prima che lui potesse impedirglielo, si sedette sul letto e cominciò a urlare. Eric le tappò la bocca, ma Jane gli morse la mano e gridò: «Mamma, papà! Eric è nella mia stanza! Eric è nella mia stanza!». Seguì una lunga notte, una notte interminabile di lacrime e discussioni animate, e alla fine nessuno volle credere alla giustificazione di Eric, che sosteneva di essere sonnambulo.
E così, con suo grande stupore, Eric Fraser era stato messo al bando dalla sua quarta e ultima famiglia adottiva non per aver rapito e torturato a morte il cane, né per aver rapito e torturato a morte il gatto, o per aver appiccato il fuoco al giardino dei vicini: era stato esiliato per aver messo piede nella camera da letto della figlia. Quella era stata la fine delle famiglie adottive. Da allora Eric era stato trasferito da un istituto all'altro, mentre il suo comportamento peggiorava rapidamente: erano diventati sempre più numerosi gli animali che sparivano e gli incendi che scoppiavano. Un ragazzo più piccolo che prendeva in giro Eric perché bagnava il letto era stato legato e frustato con un filo elettrico. Quell'ultimo reato aveva fatto finire Eric davanti al tribunale minorile 311 di Jarvis, per la terza e ultima volta. Era stato giudicato colpevole e affidato alla scuola professionale Saint Bartholomew di Deep River, dov'era rimasto sotto la guida dei Christian Brothers fino all'età di diciotto anni. L'unica cosa positiva che gli fosse accaduta a Deep River era che Tony, un altro ragazzo dell'istituto, gli aveva insegnato a suonare la chitarra. Appena usciti dal Saint Bartholomew si erano trasferiti a Toronto, formando un complesso grunge, ma gli altri membri del gruppo avevano più talento di lui, e nel giro di poche settimane lo avevano cacciato. Dopo una serie di lavori sempre meno interessanti e una serie di stanze sempre più piccole, aveva cominciato a pensare che se restava a Toronto sarebbe lentamente annegato. Oh, quella sensazione di soffocamento, come se avesse i polmoni intasati! Non aveva amici e trascorreva le serate da solo, sfogliando riviste che gli arrivavano per posta dentro plichi anonimi, mentre le sue fantasie diventavano sempre più tenebrose. Toronto lo stava uccidendo, aveva deciso alla fine. Doveva trasferirsi in un posto dove avrebbe potuto respirare aria pura, dove non avrebbe avuto l'impressione che le pareti lo soffocassero. Metodico come sempre, aveva compilato liste di città di provincia con le loro attrattive, prima di restringere la scelta a Peterborough e Algonquin Bay. Aveva pensato di visitarle entrambe, ma appena arrivato ad Algonquin Bay aveva visto il cartello con l'offerta di lavoro al Troy Music Centre, e questo lo aveva fatto decidere. Quando poi aveva conosciuto Edie nel drugstore, una settimana dopo, una parte di lui si era sentita improvvisamente più forte. Quei primi palpiti di profonda devozione negli occhi di Edie lo avevano convinto che quella era una persona con la quale poteva dividere il suo destino. Qualunque fosse. Comunque Eric Fraser non amava pensare al passato. Quegli anni terri-
bili e soffocanti a Toronto, l'ostilità al Saint Bartholomew... era come se ci fosse stato un errore burocratico, come se gli avessero assegnato una vita miserabile destinata a qualcun altro. La sua vita, la sua vera vita, gli era stata rubata. E tutto questo si sarebbe potuto evitare, pensò mentre passava accanto alla vecchia stazione della CN per andare da Edie. Tutto quel disastro non sarebbe mai accaduto, se solo lui fosse stato abbastanza sveglio da tappare la bocca di Jane con il nastro adesivo. 44 Lise Delorme non aveva una grande esperienza in fatto di appostamenti, e la sera del mercoledì scoprì che aspettare non era il suo forte, soprattutto nel cuore della notte e in un magazzino privo di riscaldamento adiacente al New York Restaurant. Per fortuna lo spuntino caldo, insieme a una buona stufa elettrica, rendeva l'attesa sopportabile. A memoria d'uomo, il New York Restaurant è sempre stato il ritrovo preferito della malavita di Algonquin Bay, ben prima dei tempi del sergente Delorme. Nessuno sa bene perché, ma non è certo per merito della cucina, capace di creare qualche imbarazzo persino agli ex detenuti più incalliti. McLeod sosteneva che le bistecche erano suole di scarpe di ordinanza riciclate dall'Accademia di polizia di Aylmer. Forse è il nome della metropoli a conferire al locale un certo prestigio, almeno agli occhi dei malviventi di provincia. C'è da dubitare che qualche rappresentante della criminalità piuttosto raccogliticcia di Algonquin Bay si sia mai avvicinato a New York; in fondo, le città con un tasso di criminalità così elevato non li attirano più di quanto possano attirare i cittadini onesti. Musgrave era convinto che fosse per via delle due entrate. Il New York è l'unico ristorante di Algonquin Bay dove si possa entrare dall'ingresso sfolgorante di luci di Main Street e uscire nell'oscurità di Oak Street, dalla parte opposta. Secondo Delorme, invece, il merito era della parete ricoperta da giganteschi specchi molto pacchiani che facevano sembrare il locale grande il doppio, o delle panche di vinile rosso decorato con uno strato di foglia d'oro, che dovevano risalire agli anni cinquanta. Delorme aveva una sua teoria personale, secondo la quale i delinquenti assomigliano per molti aspetti ai bambini e hanno in comune con loro il gusto per i colori vivaci e gli oggetti luccicanti, per cui il New York Restaurant era il posto ideale per un criminale, con i menu guarniti da una nappina dorata e i lampadari pol-
verosi. E poi, naturalmente, il New York è aperto ventiquattr'ore su ventiquattro, ed è l'unico ristorante di Algonquin Bay che possa fare suo il motto: THE NEW YORK NEVER SLEEPS, che lampeggia invitante sull'insegna rossa al neon. Qualunque sia la ragione della sua popolarità, è ovvio che il New York sia molto interessante anche per i vari tutori della legge. Gli agenti di polizia vengono incoraggiati a consumarvi i pasti, e infatti lo fanno spesso, mescolandosi alle persone che hanno mandato in carcere. A volte chiacchierano con loro, altre volte si limitano a salutarli con un cenno, o addirittura fulminarli con un'occhiata gelida. Non c'è dubbio che si tratta di un locale in cui un poliziotto sveglio può raccogliere informazioni utili. «Non poteva scegliere un posto migliore» osservò Musgrave. «Se qualcuno ti riconosce, è facile spiegare come mai sei in compagnia di un bastardo come Corbett. Ammesso che qualcuno possa vederti alle due del mattino di un mercoledì gelido.» Il negozio di biancheria per la casa che prima si trovava a fianco del New York Restaurant era sfitto da sei mesi e il proprietario, una banca, aveva fornito una chiave alla polizia a cavallo. Per coprire le proprie attività, gli agenti avevano chiuso la vetrina con assi di legno e il cartello PROSSIMA APERTURA. Le uniche fonti di luce nel locale erano le lampade accese al di sopra dei monitor di sorveglianza. Delorme attendeva nell'ombra, insieme a Musgrave e due agenti della polizia a cavallo che indossavano tute da operaio e, probabilmente per ordini superiori, non le avevano neanche rivolto la parola. Gli "operai" erano lì da mezzogiorno, mentre Delorme era arrivata alle nove di sera, passando da un ingresso sul retro che dava accesso anche a un negozio di candele. Nell'aria aleggiavano fragranze piacevoli di segatura e pimento. Un monitor in bianco e nero mostrava un'ampia inquadratura che riprendeva gran parte del bar. Delorme indicò lo schermo, chiedendo: «La camera è mobile?». «Corbett ha detto che si sarebbe fatto trovare al bar. Sarebbe molto difficile per Cardinal spiegare come mai è seduto a tavola proprio di fronte al falsario numero uno del Canada. Restare al banco è un po' diverso: non puoi controllare chi ti sta vicino.» «Sì, ma se...» «La telecamera è montata su un braccio mobile che possiamo controllare da qui con un joystick. Lo abbiamo fatto altre volte, sa?»
Bastardo suscettibile, stava per dirgli Delorme. Invece si diresse verso la vetrina sbarrata dalle assi di legno, osservando la strada attraverso un forellino praticato con cura nel punto sopra la prima "i" della scritta sul cartello. Sapeva che lui, ammesso che venisse, sarebbe passato dal retro, dall'ingresso di Oak Street, ma voleva guardare qualcosa che non fosse il bar deserto o la schiena di colleghi così poco cordiali. Quanto a vista, però, l'apertura non offriva granché. Main Street era ricoperta da uno strato di neve e fanghiglia che arrivava all'altezza della caviglia, mentre i marciapiedi, grazie al riscaldamento installato dai commercianti per favorire i clienti, erano asciutti. Sul marciapiede di fronte, una galleria d'arte che in passato era stata un cinema esibiva il manifesto di una mostra intitolata Il vero Nord, una scelta di acquerelli di giovani artisti canadesi. Un altro manifesto pubblicizzava una serata mozartiana offerta dall'orchestra sinfonica di Algonquin Bay. Invece della nevicata prevista, cadeva una pioggerella sottile. Non c'erano pedoni. Ma perché avrebbero dovuto esserci, alle due meno un quarto del mattino? Non venire, pensava Delorme. Cambia idea, resta a casa. Il sergente Langois le aveva telefonato dalla Florida meno di tre ore prima, confermando i suoi peggiori sospetti. Da quel momento in poi, i suoi sentimenti erano molto confusi. Un conto era parlare di mettere le manette a un uomo che aveva venduto il Dipartimento e i contribuenti a un criminale, un altro era distruggere la vita di un collega a fianco del quale lavori tutti i giorni, una persona in carne e ossa, non una preda astratta. Del resto, era passata attraverso la stessa altalena di sentimenti anche quando aveva incastrato il sindaco, e dire che si trattava di un uomo il quale aveva tradito la città e c'erano tutte le ragioni di aspettarsi una condanna al carcere. Al momento di far scattare la trappola, lei non aveva potuto fare a meno di pensare alle vittime non previste del suo intervento, la moglie e la figlia del sindaco. Danni collaterali, aveva pensato. È come se fossi un pilota in missione, che esegue gli ordini a qualunque costo; avrei dovuto arruolarmi nell'aviazione militare; avrei dovuto essere americana. Nel suo campo visivo apparve un'Eldorado bianca e rossa, che si fermò davanti al ristorante sbandando leggermente sulla neve sciolta. Fari luminosi, carrozzeria scintillante, come un'automobilina in miniatura da appendere sopra la culla di un neonato. Ci siamo, pensò Delorme, ormai è troppo tardi per i rimpianti. Probabilmente, è soltanto la paura del palcoscenico. L'auto si era fermata troppo avanti perché lei potesse vedere chi era sceso. Una radio crepitò e una voce maschile disse: «È arrivato Elvis». Mu-
sgrave ne prese atto, impassibile. Delorme non si era neppure accorta che ci fossero uomini di guardia altrove. Si augurava che fossero al coperto. Raggiunse Musgrave davanti al monitor. Sullo schermo, Kyle Corbett stava porgendo il soprabito a qualcuno che non si vedeva. Poi si sedette al banco del bar, al centro dell'inquadratura. Sembrava un uomo sui quarantacinque anni, ma aveva adottato lo stile di un uomo molto più giovane, forse una rock star. Portava i capelli lunghi, tagliati tutti della stessa lunghezza e pettinati all'indietro, in modo da lasciare scoperta la fronte bitorzoluta, e sfoggiava un pizzetto da artista. La giacca sportiva dai risvolti ampi era di renna, e sotto portava un golf a collo alto. Si sporse in avanti per sistemarsi i capelli e lisciare i baffi guardandosi allo specchio, poi si girò sullo sgabello per salutare il barman, rivolgendogli un gran sorriso. «Salve, Rollie.» «Come va, signor Corbett?» «E come deve andare?» Corbett alzò gli occhi verso il soffitto, come per riflettere intensamente. «Prospero. Già, penso che si possa dire che prospero.» «Una Pilsner?» «Troppo freddo. Dammi un Irish coffee. Decaffeinato. Voglio riuscire a dormire ancora una volta, in questo secolo.» «Irish coffee decaffeinato. Arriva subito.» «Ecco, bravo.» Delorme stava cercando di capire che cosa ci fosse nei modi di Corbett che gli appariva familiare: il largo sorriso, l'apparente attenzione dedicata a questioni banali. Poi capì di che si trattava: Kyle Corbett, ex trafficante di droga e ora falsario, aveva adottato il tono di gentile condiscendenza dei personaggi famosi. Una volta lei aveva visto Eric Clapton all'aeroporto di Toronto, circondato dai fan e intento a firmare autografi; chiacchierava con loro nella stessa maniera cordiale ma distante che Corbett aveva adottato per sé. Ora aveva voltato le spalle alla telecamera, allargando le braccia sul banco, come se il locale fosse suo. «Non sembra tanto pericoloso» osservò Delorme. «Lo vada a raccontare a Nicky Bell» ribatté Musgrave. «Che riposi in pace.» Poi rivolse agli uomini un cenno di approvazione. «Nitido, tanto il suono quanto l'immagine. Un bel lavoretto.» La radio crepitò di nuovo. «Taxi sulla Oak.» Musgrave parlò alla radio: «Ditemi che è il nostro uomo».
«Sta scendendo adesso.» Ci fu una pausa. «Non riesco a vederlo in faccia. Piove, e lui porta il cappuccio alzato. Viene dalla vostra parte, però.» Si sentì un tintinnio di bicchieri, e i due uomini seduti alla console si raddrizzarono di colpo. «Cristo» esclamò Musgrave. «Lo schermo è bianco.» «Ci hanno messo qualcosa davanti. Pile di bicchieri per il bar.» Le mani si spostarono frenetiche sui tasti. «Sono quegli enormi vassoi che tirano fuori dalla lavastoviglie.» «Cristo, muovi il joystick. Non riesci ad aggirarlo?» «Ci sto provando, ci sto provando.» «Shhh!» disse Delorme. «Sentiamo almeno che cosa succede.» Corbett stava salutando qualcuno in modo espansivo e chiassoso, facendo sfoggio della sua familiarità alla buona e lasciando intendere, a beneficio del personale del ristorante, che quell'incontro fra poliziotto e criminale era del tutto casuale. «Vuole unirsi a me per un drink? Ho sempre desiderato conoscere qualcun altro che soffre di insonnia, anche se ha giocato per la squadra sbagliata.» La risposta fu incomprensibile. L'interlocutore era al di fuori della portata del microfono, probabilmente ancora intento ad appendere il cappotto. «Voi altri vi vestite sempre come Nanuk l'eschimese quando siete fuori servizio?» «Larry» disse Musgrave in tono glaciale «sistema quella dannata telecamera. Ci stiamo perdendo l'evento principale.» Cristo, pregò Delorme. Facciamola finita. «Che cosa prendi?» Era Dyson che parlava. «Uno Shirley Temple? O qualcos'altro?» Musgrave si girò di scatto verso Delorme. «Ma questo chi è? Non è Adonis Dyson? Credevo che avessi fornito l'informazione a Cardinal.» Lei alzò le spalle, mentre le scorreva nelle vene, come per un'endovenosa, un misto di sollievo e di rammarico. «Ho dato un appuntamento a Cardinal e un altro a Dyson.» «Hai qualcosa per me?» stava dicendo Dyson sullo schermo oscurato. Si sentì un fruscio di carta. «Investili saggiamente. Personalmente, prediligo i fondi indicizzati.» «C'è un taxi che mi aspetta, quindi verrò subito al punto.» «Di che cosa hai paura? Non hai sentito che di questi giorni sono intoccabile? È incredibile l'effetto che può fare l'ordinanza di una corte. Devo ammettere che la legge, quando funziona, incute davvero rispetto.»
«È tardi, e c'è un taxi che mi aspetta.» «Siediti. Non farmi fretta. Ti ho detto che voglio un resoconto completo. Non ti pago per avere solo notizie spicciole.» «La polizia a cavallo ha in programma di beccarti il 24. È tutto quello che devi sapere.» "Questa è la pillola avvelenata" osservò in silenzio Delorme. «Il 24. Dyson è l'unico a cui ho indicato questa data.» «Però non sparire» continuò Dyson. «Lasciagli trovare qualcosa, e magari fagli eliminare un paio di persone. Mi rendo conto che hai nove vite, ma ora ti stai giocando la decima, come me, del resto, e se inchiodano me, andremo a fondo tutti.» Musgrave disse alla radio: «Entriamo in gioco. Chiudete le uscite». Poi, rivolto a Delorme: «Andiamo a prenderlo, sorella». Musgrave entrò dalla porta anteriore, Delorme dal retro, ciascuno accompagnato da due agenti della polizia a cavallo. Musgrave arrestò Corbett, mentre lei si occupava di Dyson. «In realtà» riferì in seguito «è filato tutto liscio, come in una transazione di affari. Corbett non ha opposto resistenza, limitandosi a lanciare qualche imprecazione.» Forse Dyson si era aspettato fin dall'inizio quella conclusione. Incrociò le braccia e appoggiò la testa sul banco nella classica posa della sbronza malinconica, nascondendo il viso. «Sergente, le dispiacerebbe mettere le mani dietro la schiena?» Delorme non ebbe bisogno di estrarre la pistola; a questo provvedevano gli agenti della polizia a cavallo dietro di lei. «Sergente Dyson» disse a voce più alta «devo chiederle di mettere le mani dietro la schiena perché possa ammanettarla.» Dyson si raddrizzò, con il viso pallido come un foglio di carta, e mise le mani dietro la schiena. «Se conta qualcosa, Lise, mi dispiace.» «La dichiaro in arresto per abbandono ingiustificato del servizio, per aver ostacolato la giustizia e per essersi lasciato corrompere. Dispiace anche a me. La procura mi informa che probabilmente saranno pronunciate altre accuse.» Sembrava il classico ritratto della poliziotta moderna, efficiente e ben addestrata, ma in realtà non pensava né alla procura né alle accuse, e neanche al comandante Dyson. Mentre eseguiva un arresto da manuale nei confronti del suo superiore, Lise Delorme non faceva che pensare a quella bambina goffa che aveva visto davanti alla casa di Dyson e alla figura minacciosa che l'aveva richiamata in casa.
45 Erano le tre e mezzo del mattino, e Cardinal guardava le fotografie appoggiate alla parete su una mensola sopra lo stereo, che diffondeva una suite di Bach. Lui non era un appassionato di musica classica, ma Catherine sì, e Bach era il suo mito. Ascoltare la musica preferita della moglie gli faceva sembrare la casa meno vuota, come se potesse, entrando in soggiorno, trovare Catherine raggomitolata sul divano intenta a leggere uno dei suoi romanzi polizieschi. Katie Pine, Billy LaBelle e Todd Curry ricambiavano il suo sguardo dalla parte opposta della stanza, come i componenti di una giovanissima giuria che lo avesse dichiarato colpevole. Keith London, che forse era ancora vivo, si asteneva dal voto, ma Cardinal aveva quasi l'impressione di sentire il suo grido di aiuto, l'accusa di incompetenza. Eppure, un nesso fra quelle quattro vittime doveva esserci: Cardinal non poteva credere che un killer scegliesse la preda in modo del tutto casuale. Doveva esistere un filo, per quanto esile, che univa le vittime; qualcosa che in seguito gli sarebbe apparso ovvio, che lo avrebbe spinto a inveire contro se stesso per non averlo visto prima. Doveva trovarsi da qualche parte: nei fascicoli, nelle fotografie scattate sul posto, nei rapporti del medico legale, forse in una parola o in una frase isolata il cui valore sul momento era andato perduto. Una macchina imboccò Madonna Road, con il suono del motore attutito dai mucchi di neve. Un attimo dopo, sentì i passi all'ingresso. «Che cosa ci fai qui?» Sulla porta di casa c'era Lise Delorme, con i capelli scintillanti di gocce di pioggia e le guance colorite. Era eccitata. «È un'ora assurda, lo ammetto, ma sono passata di qui per tornare a casa e ho visto la luce accesa. Devo raccontarti quello che è appena successo.» «Sei passata di qui per andare a casa?» Madonna Road era fuori strada di almeno cinque chilometri. Le aprì la porta. «Cardinal, non ci crederai. Ti ricordi il caso Corbett?» Delorme era seduta sull'orlo del divano e gesticolava con vivacità raccontando tutto, dalla prima entrata in scena di Musgrave fino al momento in cui Dyson aveva posato la testa sul banco come un uomo pronto per la ghigliottina.
Cardinal era seduto vicino alla stufa a legna, percorso da correnti contrastanti di terrore e sollievo. Rimase ad ascoltarla mentre tratteggiava i sospetti di Musgrave, l'ambivalenza di Dyson, i suoi stessi momenti di dubbio, quando era venuta a sapere dell'appartamento in Florida e della ricevuta della barca. «Hai perquisito la casa senza un mandato» la interruppe Cardinal senza alcuna inflessione. Lei lo ignorò, muovendo eccitata le mani, con l'accento ancora più marcato del solito. «Per me il momento peggiore...» mano sul cuore, i seni piccoli e rotondi momentaneamente in rilievo «... il momento peggiore in assoluto è stato quando ho trovato la ricevuta della barca.» «Quale ricevuta?» Cardinal le rivolse quella domanda con una freddezza che non provava e lei, sfacciata come una ladra professionista, si diresse subito verso il classificatore. Inginocchiandosi a metà per aprire il cassetto, cominciò a sfogliare i documenti con le dita pallide. Cardinal era un cittadino abbastanza cosciente dei suoi diritti per risentirsi di quell'invasione, ma anche abbastanza poliziotto per provare ammirazione, e abbastanza uomo, notò seccato, per trovare la situazione leggermente erotica. Delorme estrasse la ricevuta: un cabinato Chris-Craft, cinquantamila dollari. «Quando ho visto quella data, il cuore mi è sprofondato come il Titanic. Bum, dritto sul fondo.» «Risale a poco tempo dopo l'operazione per arrestare Corbett.» Cardinal accostò il documento alla luce del fuoco, cercando... non sapeva neanche lui che cosa. «Non è mia.» «Lo sai che cosa ti ha salvato? Ti hanno salvato le tre F.» Passò a spiegare come la Florida, i franco-canadesi e quella peculiare combinazione le avessero consentito di dirigere la caccia a quel cabinato restando milleseicento chilometri più a nord. «Trasmetto via fax al sergente Langois il numero della ricevuta, lui va laggiù, e... insomma, è molto attraente, no? Quella povera ragazza che lavora in Florida nell'ufficio della contabilità farebbe qualunque cosa per lui. L'accento, il resto, tutto in lui è affascinante.» La volenterosa ragazza della Florida, a quanto pareva, aveva scavato negli archivi delle vendite e aveva scoperto che, poiché la barca doveva essere consegnata in un altro stato (tanto per evitare le tasse sulla vendita quanto per altri motivi), era stato richiesto un documento di riconoscimento con la foto. «Il sergente Langois mi ha inviato il fax questo pomeriggio - non al comando, naturalmente - ed era un fax con la foto del sergente investi-
gativo Adonis Dyson.» «Quindi fino a questo pomeriggio credevi che io lavorassi per Kyle Corbett.» «No, John. Non sapevo che cosa pensare. Questa messinscena è stata organizzata proprio perché volevo escluderti dalla rosa dei sospetti. Non sapevo che nella trappola sarebbe caduto Dyson. Quando l'ho organizzata non avevo quel fax.» «Eppure lui doveva sapere che saremmo riusciti a risalire all'origine della ricevuta. Che cosa credeva?» «Non c'era il nome sopra, e lui non sapeva che avevano fotocopiato il suo documento per allegarlo agli atti. Comunque, è chiaro che nelle ultime due settimane non era in grado di riflettere. È in trappola fra Kyle Corbett e Malcolm Musgrave, e ha paura. Probabilmente si è lasciato prendere dal panico.» «Ma tu stai dicendo che ha inserito quella ricevuta nel mio archivio personale, in casa mia. Non posso credere che abbia cercato di incastrarmi. Certo, non eravamo amici, ma anche così... E per l'appartamento? Anche quello dev'essere sembrato un fatto negativo.» «Ho cercato di non saltare a conclusioni affrettate. So che tua moglie è americana, e i suoi genitori devono essere nell'età della pensione. Possedere un appartamento in Florida non è affatto strano. Ho fatto controllare anche quello dal mio amico in vacanza. A proposito, naturalmente conosco il nome da nubile di tua moglie. Se lei riceve un appartamento dai genitori, non vedo come questo possa fare di te un criminale.» Cardinal non sapeva da dove cominciare per sbrogliare la matassa delle sue emozioni. «Allora, questo significa che avete finito di indagare su di me?» «Sì, è finita. Io mi sono lasciata alle spalle le Indagini speciali e tu sei stato scagionato.» Lui non era ancora disposto a crederci e c'erano altre cose che voleva sapere. «Ma perché lo ha fatto? Voglio dire, Corbett è stato un disastro dal principio alla fine, un disastro assoluto. Era evidente che qualcuno gli passava delle soffiate, ma ho sempre pensato che fosse uno degli uomini di Musgrave. Quando ho esposto i miei sospetti a Dyson, lui si è limitato a rispondere: "Se vuoi cominciare a indagare sulla polizia a cavallo, fallo nel tempo libero". Poi Katie Pine è scomparsa, e Corbett è uscito dal mio orizzonte. Perché mai lo avrà fatto? Non che mi sia simpatico, ma non lo avrei mai creduto capace di tanto.»
«Qualche anno fa, Dyson ha cominciato a pensare che il suo fondo pensione non sarebbe stato sufficiente. Così ne ha ritirato una parte per investirla in azioni minerarie. Uno dei miei insegnanti di economia diceva sempre: "Una miniera è un buco nel terreno che appartiene a un bugiardo". In questo caso, aveva ragione.» «Dyson ha perso tutto il suo denaro con la Bre-X?» «Come molti altri, John. Solo che per gli altri non era tanto.» «Cristo.» Dopo una brevissima pausa, aggiunse: «Tu hai perquisito la mia casa, Lise. Non ero sicuro che lo avresti fatto davvero». «Mi spiace, John, ma devi capire in che posizione mi trovavo: o perquisivo la tua casa o mi procuravo un mandato. Quando mi hai detto di restare, quella sera che dovevi tornare in ufficio, l'ho interpretato come un permesso da parte tua. Se mi sono sbagliata, ti chiedo scusa.» Quegli occhi castani, accesi dal riflesso del fuoco, lo scrutarono attentamente. «Mi sono sbagliata?» Cardinal attese a lungo prima di rispondere. Erano già passate le quattro, e d'improvviso la stanchezza gli pesò sulle spalle come una cappa di piombo. Delorme era ancora eccitata per il trionfo ottenuto; sarebbe rimasta sull'onda di quella eccitazione ancora per ore. Lui alla fine rispose: «Forse era davvero un permesso. Non ne sono del tutto sicuro. Ma questo non significa che tu dovessi approfittarne». «D'accordo, lo ammetto, non è stato simpatico. Di tanto in tanto mi rammento che un buon poliziotto, come un buon avvocato o un buon medico, non deve necessariamente essere una persona simpatica o una compagnia piacevole. Quindi non è detto che dobbiamo lavorare insieme, se tu non vuoi. Puoi allontanarmi dal caso Pine-Curry e io capirò. Ma per quanto mi riguarda, penso che dovremmo risolvere questo caso insieme.» L'accento francese era più forte che mai, e Cardinal era così stanco che gli venne spontaneo sorridere. «Che c'è?» gli domandò lei. «Perché sorridi?» Cardinal si alzò, un po' irrigidito, per porgerle il soprabito, e lei fece scattare i ganci, continuando a fissarlo. «Vedo che non hai intenzione di dirmelo, vero?» «Sii prudente, tornando a casa» le raccomandò. «Quella poltiglia può ghiacciare di nuovo da un momento all'altro.» 46 Eric cominciava a dare sui nervi a Edie. Per giorni di fila era stato sere-
no, persino allegro, ma ora non faceva che tiranneggiarla tutto il tempo. Prima di tutto, voleva che lei gli cucinasse la cena. Da quando gli era venuta questa idea? Di solito non poteva sopportare che lei lo vedesse mangiare. Invece, tutt'a un tratto voleva salsicce e purè, e lei doveva attraversare un mare di fanghiglia per andare al supermercato, infradiciandosi i piedi. Poi Eric cenava in soggiorno da solo, mentre lei e la nonna mangiavano in cucina. Due giorni prima, aveva scritto nel diario: Amo Eric con una passione profonda, ma non mi piace. È meschino, egoista e crudele, e per giunta è un tiranno. E io lo amo. Ora si trovavano nel seminterrato, dove Keith era legato a quella sedia con il foro al centro e il vaso da notte sotto. La prima cosa che le toccava fare era vuotare quel dannato vaso. Detestava scendere là sotto, ormai: era come cambiare la lettiera al gatto. Eric non voleva saperne; si limitava a lamentarsi finché non provvedeva Edie. E lei si sentiva un mostro, tanto per cominciare, completamente svuotata di ogni energia, come sempre quando l'eczema tornava ad aggredirla. Le invadeva la faccia, risalendo dalla mascella verso l'alto. Aveva la pelle rossa, screpolata, che trasudava umori. Quando era uscita dal supermercato, dei balordi che passavano in macchina avevano abbassato il finestrino per abbaiarle dietro. Uscendo dal minuscolo bagno, trovò Eric che spiegava a Keith la sua logica. Sembrava che provasse piacere nel parlare così davanti al prigioniero, mentre lei s'innervosiva. «Vedi, prigioniero, non vogliamo più preoccuparci per le macchie di sangue. Quando arrivi a un certo punto, cominci a pensare che non sia più necessario ripulire quello che ti lasci dietro per non lasciare tracce, non so se capisci che cosa intendo.» Il prigioniero, ridotto all'immobilità e al silenzio dal nastro adesivo, non reagì; aveva rinunciato persino a guardarli con occhi supplichevoli. «Ho trovato il posto ideale per ucciderti, prigioniero. È una vecchia stazione di pompaggio abbandonata, che nessuno più utilizza. Quante volte credi che ci vada qualcuno, lassù? Una, forse due volte ogni cinque anni?» Eric accostò il viso a quello del prigioniero, come se volesse baciarlo. «Parlo con te, tesoro.» Gli occhi orlati di rosso sfuggirono al suo sguardo, ed Eric lo afferrò per il mento, costringendolo a fissarlo. Edie sollevò il taccuino. «Volevi fare la lista, Eric.» E intanto pensava, lo ucciderà qui su due piedi, se non riesco a farlo tornare presto al piano di sopra.
«Stavamo pensando di tornare alla miniera, non è vero, Edie? Non si aspetterebbero mai di vederci tornare alla miniera.» «Non mi convincerai mai a passare su quel ghiaccio» ribatté Edie. «Sono tre giorni di fila che la temperatura sale sopra lo zero.» Indicò il taccuino. «Che ne dici di una vasca, per contenere il sangue?» «Non ho intenzione di trasportare lassù una vasca, Edie. Lo scopo di andare in quella stazione di pompaggio è che non dovremo preoccuparci di sporcare. Una tavola ci farebbe comodo, però. Qualcosa che abbia un'altezza giusta. Capito, prigioniero? Bene. Il prigioniero numero zero-zerozero è d'accordo.» Eric aprì l'Algonquin Lode e lo distese sul letto, dove il prigioniero non poteva fare a meno di vedere stampata la foto che gli avevano scattato il giorno del diploma, con il titolo: Le ricerche del giovane di Toronto a un punto morto. «Magari un sacco di calce» suggerì Edie. «Per cancellare i suoi lineamenti dopo che lo avremo ucciso. O forse prima di ucciderlo.» «Edie, tu hai sempre una visione così interessante delle cose. Non ti piace questo aspetto in lei, prigioniero? Il giovane di Toronto è d'accordo, Edie: hai sempre un punto di vista interessante.» 47 Cera di candele, cera per i mobili e incenso stantio. Gli odori della cattedrale non cambiavano mai. Cardinal si sedette in un banco sul fondo, lasciandosi sommergere dai ricordi: quello era l'altare presso il quale aveva servito la messa da ragazzo in cotta e tunica; quelli erano i confessionali dove aveva raccontato le sue prime avventure sessuali, ma non certo tutte; quella era la balaustra dove la madre era stata esposta nella bara; quello era il fonte battesimale dove era stata battezzata Kelly, una neonata che con le sue urla laceranti aveva innervosito tutti i presenti, e specialmente il giovane sacerdote che l'aveva unta con l'olio del battesimo. Cardinal aveva perso la fede poco dopo i vent'anni e non l'aveva più ritrovata. Quando Kelly era piccola, era andato regolarmente a messa per andare incontro ai desideri di Catherine; e a differenza di McLeod, per esempio, che provava soltanto disprezzo per Roma e tutto il suo operato, Cardinal non provava sentimenti intensi contro la Chiesa, né in suo favore. Per questo non sapeva bene come mai fosse passato dalla cattedrale quel giovedì pomeriggio. Poco prima era stato da D'Anunzio's a mangiare un sandwich con prosciutto e formaggio, e un minuto dopo si era ritrovato
nell'ultimo banco in fondo alla chiesa. Gratitudine? Certo, era contento che l'indagine di Delorme fosse finita. Quanto a Dyson, provava una tristezza terribile, una specie di crepacuore. Per tutta la mattina McLeod aveva gridato il suo disprezzo per il capo caduto in disgrazia. «Ben gli sta» aveva blaterato nella sala agenti a chiunque fosse disposto ad ascoltarlo. «Non gli bastava essere uno stronzo arrogante, doveva anche essere disonesto! Certa gente non capisce quando arriva il momento di fermarsi.» Ma Cardinal non provava un senso di superiorità morale; al suo posto avrebbe potuto esserci lui, trascinato in manette verso la prigione del distretto. Sopra l'altare era appeso un gigantesco medaglione incorniciato d'oro con l'effigie di Maria assunta in cielo. Da ragazzo, Cardinal l'aveva pregata spesso di aiutarlo a diventare uno studente migliore, un giocatore di hockey migliore, una persona migliore, ma ora non pregava. Stare seduto nella navata della cattedrale odorosa di incenso gli bastava per evocare quel senso di integrità che aveva conosciuto da ragazzo e da giovane. Sapeva esattamente quando aveva perso quell'integrità: il solo fatto che Delorme avesse smesso di indagare su di lui non significava che la sua coscienza intendesse concedergli una tregua. «Chiedo scusa.» Un uomo massiccio passò davanti a Cardinal per entrare nel banco: una bella seccatura, visto che la chiesa era tutta vuota. Ma ognuno aveva il suo banco preferito, e Cardinal, dopo tutto, era un visitatore occasionale, non un ospite regolare. «Che bella chiesetta avete, qui.» L'uomo vicino a Cardinal aveva una sagoma quasi perfettamente quadrata, come un cubo di carne, una massa solida priva di collo, vita o fianchi. Puntò il dito verso il medaglione dell'Assunta. «Bello, quello. A me piacciono le chiese, e a lei?» Rivolgendosi a Cardinal sorrise, se si poteva definire sorriso quella specie di esibizione di denti senza alcuna allegria. Scintillarono per un attimo due incisivi d'oro, che scomparvero subito dopo. Il viso dell'uomo, piatto e rotondo come quello di un eschimese, era solcato da quattro cicatrici simmetriche, quattro solchi di un bianco lucente sulla fronte e sul mento, oltre che sulle due guance. Il naso aveva l'aspetto informe di un peperone. L'uomo doveva girare la testa di novanta gradi per guardare Cardinal, perché aveva l'occhio destro coperto da una benda di cuoio nero sulla quale qualche spiritoso aveva scritto la parola "Chiuso". Era qualcuno che Cardinal aveva arrestato? Eppure avrebbe dovuto ri-
cordarsi di una creatura come quella, plasmata con l'argilla del delinquente puro. «Fa caldo, per essere febbraio.» L'uomo si tolse dalla testa un berretto nero con la visiera, scoprendo il cranio perfettamente rasato. Poi, con sorprendente delicatezza, si sfilò prima un guanto di pelle e poi l'altro, posando le mani sulle ginocchia. Sulle nocche di una mano era tatuata la parola fuck, su quelle dell'altra, you. «Kiki» disse Cardinal. Gli incisivi d'oro balenarono di nuovo. «Pensavo che non si sarebbe ricordato di me. È tanto tempo che non ci vediamo, vero?» «Mi spiace di non essere venuto a trovarti a Kingston, ma lo sai come vanno le cose. C'è tanto da fare...» «Dieci anni, è vero. Ho avuto da fare anch'io.» «Lo vedo. Ti sei dedicato alla decorazione. Mi piace quello che hai fatto con la benda sull'occhio.» «No, mi sono tenuto in esercizio. Ora posso sollevare centocinquanta chili. E lei?» «Non so. Circa ottanta, l'ultima volta che ho provato.» In realtà si avvicinava di più a settanta, ma stava parlando con un barbaro, e non era richiesta l'onestà assoluta. «Questo non la rende un po' nervoso?» «Perché mai? A meno che tu non voglia minacciarmi... e spero di no, visto che sei in libertà sulla parola.» Gli incisivi d'oro scintillarono. Kiki Baldassaro, meglio noto agli intimi come Kiki B. o Kiki Babe. Suo padre era un mafioso di mezza tacca che per decenni aveva protetto l'industria edilizia di Toronto dai problemi sindacali. Uno dei suoi metodi preferiti era iscrivere quel figlio romboidale nel libro paga di una società come "saldatore". E il lavoro di saldatore rendeva molto bene, specie considerando che Kiki B. non era tenuto a presentarsi sul posto di lavoro, Dio ce ne scampi. Nonostante il reddito garantito, Kiki B. non era tipo da restarsene a casa in ozio. Gli piaceva il lavoro manuale e, quando il debitore aveva bisogno di incoraggiamento, o il distratto aveva bisogno di una rinfrescatina alla memoria, lui era felice di rendersi utile esercitando una piccola pressione nei punti giusti. In effetti, Cardinal si rammentò che era proprio così che Kiki B. aveva conosciuto il suo capo e consigliere spirituale, Rick Bouchard. Durante una missione di routine per conto di Baldassaro padre, aveva mandato in trazione uno scagnozzo di Bouchard. Bouchard si era pre-
sentato alla porta di Kiki per spiegargli la sua posizione con un piede di porco. Da allora erano diventati amici. «Devono aver usato una gru per sistemare quell'affare là sopra.» Kiki aveva riportato la sua attenzione sulla Madonna, che li guardava dall'alto del medaglione. «Ma come, non lo sai?» Cardinal si slacciò il cappotto. Forse era la paura o forse il sistema di riscaldamento della chiesa, ma si sentiva scorrere il sudore lungo le costole in rivoletti gelidi. «La sera prima del giorno previsto per installarla al suo posto, l'operatore della gru sbanda sulla statale giù a Burk's Falls e si rompe un braccio. Questo succede la vigilia di Pasqua di trent'anni fa, o poco più. Tutti sono disperati, perché il giorno dopo è Pasqua e deve arrivare il vescovo dal Soo per dire messa. È una grande occasione, e ormai sembra proprio che la Madonna dovrà assistere da una cassa di legno. Allora si precipitano a cercare un operatore per la gru - quassù non crescono sugli alberi come a Toronto - e finalmente ne trovano uno che accetta di venire alle cinque del mattino per montare il medaglione.» «Lo credo bene. Alle cinque del mattino la tariffa è tripla.» «Il punto, Kiki, è che non ha mai fatto quel lavoro.» «Come mai? Un altro incidente?» «No, nessun incidente. Il giorno dopo entra in chiesa alle cinque del mattino e il resto della squadra è già qui. Li trova tutti inginocchiati nella prima fila di banchi, e devi pensare che non sono cattolici, o almeno non tutti. Ma sono tutti inginocchiati in prima fila a bocca aperta. E allora il nuovo operatore della gru alza la testa e vede per quale motivo sono tutti così scossi.» Cardinal puntò il dito verso l'alto. «Era già lassù.» Cardinal annuì. «Era già lassù. Come? Quando? Nessuno lo sa. Certo, sono state violate parecchie leggi della natura. La forza di gravità, tanto per cominciare.» «Vuol dire che qualcuno è venuto qui di notte per mettercela.» «Già, è quello che pensarono tutti, ma non sono mai riusciti a stabilire chi sia stato. La chiesa era chiusa, e la gru era in sosta fuori, senza le chiavi. Le aveva il caposquadra. Era una storia inquietante. La tennero segreta, ma... forse non dovrei dirtelo...» «Dirmi cosa? Su, avanti. Non può cominciare una storia e poi interromperla a metà.» «Ormai è passato tanto tempo che penso di poterlo dire: il Vaticano mandò qui uno dei suoi investigatori, un prete che era anche uno scienzia-
to. L'unico motivo per cui lo so è che dovettero informarci. Fu una cortesia professionale.» «Il Vaticano. E trovarono qualcosa?» «No, rimane un mistero. La chiamano Nostra Signora dei Misteri.» «È vero, me n'ero dimenticato. È una buona storia, Cardinal. Penso che l'abbia inventata lei, però.» «E per quale motivo dovrei fare una cosa del genere? Sono in chiesa, non intendo essere blasfemo. Chissà che cosa potrebbe succedere!» «Potrebbe raccontarlo a Peter Gzowski. Quello sì che è un buon ascoltatore. È questo che l'ha messo nei guai.» «Ormai non si usa più, Kiki. Cose come queste ti sfuggono, quando sei in prigione. Sei al corrente di quale sia la definizione legale di minaccia?» «Mi ferisce il pensiero che possa anche soltanto pensare una cosa del genere. Non la minaccerei mai. Ho sempre provato simpatia per lei. L'ho sempre provata, finché non mi ha messo le manette. Voglio dire soltanto che io mi sentirei nervoso, stando seduto vicino a un uomo che potrebbe staccarmi le braccia e le gambe e metterle in fila davanti a me.» «Dimentichi che tu sei molto più stupido di me, Kiki.» L'aria sibilò nelle narici schiacciate. La palpebra del suo unico occhio calò a mezz'asta. «Rick Bouchard si è beccato quindici anni per colpa sua. Dieci di quegli anni sono passati. Ormai potrebbe uscire da un momento all'altro.» «Davvero? Non ce lo vedo Rick che colleziona punti per buona condotta.» «Ormai potrebbe uscire da un momento all'altro. Ma il punto è che, quando esce, vorrà il suo denaro. Insomma, provi a considerare la questione dal suo punto di vista. Sta scontando quindici anni per qualche chilo e cinquecento bigliettoni. Perde quindici anni di vita, i chili e i cinquecento bigliettoni. E non se la prende ancora.» «Già, l'ho sentito dire, Bouchard è un tipo molto tranquillo.» «Sul serio, non è per questo. Lei faceva soltanto il suo lavoro. Ma il punto, dice Rick, è che lui aveva settecento bigliettoni: non cinquecento, settecento. Quindi non rivuole altro che i suoi duecentomila. È molto ragionevole. Rick, pensa che prendere quei soldi non faceva parte del suo lavoro.» «Rick dice, Rick pensa... è questo che ammiro in te, Kiki, il tuo spirito indipendente. Vai sempre dritto per la tua strada. Un vero individualista.» L'unico occhio, orlato di rosso, lo fissò. Con aria triste? Difficile a dirsi, visto che era più arduo decifrare l'espressione di un occhio che di due. Kiki
si grattò il naso con la F di Fuck e tirò su con il naso. «Lei mi ha raccontato una bella storia. Ora gliene racconto una io.» «Riguarda il modo in cui hai perso l'occhio?» «No, riguarda un tizio. C'era questo tale nel mio blocco. Non quello di Rick, il mio, capisce? Avevano dovuto spostarlo dal blocco di Rick perché... be', si potrebbe dire perché era uno spirito indipendente. Un vero individualista. «Comunque sia, arriva nel mio blocco. E immagino che si senta a casa sua, perché, come dire, comincia subito a fare comunella con i pezzi grossi. Così non si fa. La scala gerarchica si sale a poco a poco. Vede, sarebbe potuto venire da me a chiedermi consiglio su come aggiustare le cose con Rick. Avrei potuto aiutarlo. Non c'erano tanti soldi in ballo, non come nel suo caso. Ma lui le somigliava, era uno spirito indipendente, così non è venuto da me. E invece di fare amicizia con Rick, invece di scontare la sua pena con calma e senza perdere la testa, indovini dov'è finito?» «Non lo so, Kiki. A Banff?» «Banff? E come le viene in mente, Banff?» «Chiedo scusa. Dimmelo tu: dov'è finito?» «Immagino che dopo qualche tempo la coscienza lo abbia tormentato, perché una sera è andato a letto ed è morto per combustione spontanea.» Quell'unico occhio orlato di rosso squadrò Cardinal dalla testa ai piedi. Era come sentirsi esaminare da un'ostrica. «Glielo assicuro, non ho mai sentito strilli come quelli. C'è parecchio metallo in prigione, lo sa? L'acustica non è fatta per il massimo comfort. Ma anche così, mi sono spaventato, sentendolo gridare a quel modo. E poi l'odore della carne umana che brucia... be', non è molto simpatico. È un mistero assoluto anche questo, come quello della Madonna. Forse un miracolo. Con un fenomeno del genere, non hanno mai capito cos'è successo.» Cardinal lanciò un'occhiata alla Madonna e, senza riflettere, recitò una piccola preghiera. Aiutami a fare quello che è giusto. «Allora, vuole starsene lì seduto senza dire niente? Che c'è? Non le è piaciuta la mia storia?» «No, no, non è questo.» Cardinal si protese verso il viso piatto e rotondo, con l'unico occhio arrossato. «È solo che mi sembra strano, Kiki. Prima d'ora non avevo mai parlato con un vero Ciclope.» «Ah.» Kiki spostò il suo peso, facendo cigolare il banco. Cardinal lo lasciò intento a contemplarsi le nocche delle mani, prima Fuck e poi you. Era già arrivato al fonte battesimale quando Kiki gli gridò
dietro: «È divertente, Cardinal. Ne riderò a lungo. Diciamo per un paio d'anni? Allora lei sarà morto, e sarò io a ridere. Lei è uno spirito davvero indipendente». Cardinal spinse il massiccio battente di quercia, socchiudendo gli occhi per difendersi dalla luce acquosa del sole invernale. 48 Delorme posò sopra il computer un sacchetto di plastica per le prove che conteneva qualcosa di metallico, da cui si sprigionava un bagliore opaco. Cardinal lo guardò. «Che cos'è?» «Il braccialetto di Katie Pine che ci è stato restituito insieme con i vestiti dal Centro di medicina legale. Alla ricerca delle impronte è risultato negativo: ci sono soltanto le sue. Vuoi che lo mettiamo nel Museo?» Il Museo dei Crimini insoluti era la definizione personale usata da Delorme per la sala riunioni, che ormai era completamente occupata dal materiale relativo al caso. Il braccialetto si sarebbe unito alla cassetta, alle impronte digitali, al capello e al campione di fibre, ai rapporti della Balistica e medicolegali, insomma a quell'assortimento sempre più numeroso di piste che non portavano da nessuna parte. «Concedimi qualche minuto» rispose Cardinal. «Ora devo finire questo.» «Credevo che tu scrivessi tutti i rapporti supplementari di notte.» «Non è un rapporto supplementare.» Dal punto in cui si trovava, Delorme poteva vedere lo schermo del computer, ma Cardinal era abbastanza sicuro che non poteva leggerlo. Se quella nei suoi occhi era un'ombra di sospetto, bene, se lo chiedesse pure. Delorme uscì a malincuore, e lui rilesse l'ultima parte della dichiarazione che aveva scritto. Mi sono reso conto che, a causa del mio passato, la mia partecipazione alle indagini sul caso Pine-Curry potrebbe compromettere l'esito di un eventuale processo. Pertanto devo... Pertanto devo rinunciare a questo e a tutti gli altri casi, perché le prove addotte da un ladro reo confesso non possono avere grande rilevanza. Io sono l'anello debole della catena; prima me ne vado, meglio è. Per la centesima volta, quel giorno, si domandò come avrebbe fatto a dirlo a Catherine, per la centesima volta immaginò l'espressione del suo viso, contratto dal dolore non per sé, ma per lui. Aveva messo agli atti i dati essenziali relativi alla colpa commessa. Era
accaduto durante l'ultimo anno in cui aveva prestato servizio a Toronto. Avevano compiuto un'irruzione in casa di un trafficante - il centro di distribuzione di Rick Bouchard per l'Ontario settentrionale - e mentre gli altri membri della squadra leggevano i diritti a gente come Kiki B. e Bouchard, lui aveva trovato i contanti in uno scomparto segreto dell'armadio in camera da letto. A sua eterna vergogna, era uscito di lì con quasi duecentomila dollari in tasca, mentre gli altri cinquecentomila erano stati presentati in aula come elemento di prova. I sospetti, aveva aggiunto, erano stati condannati per tutti i capi di accusa. A mia difesa posso invocare soltanto il fatto... Ma non esistevano difese, almeno per lui. Prese il sacchetto di plastica posato sul computer. Non ci sono difese, si disse, facendo scorrere i ciondoli del braccialetto fra il pollice e l'indice come grani di un rosario: una tromba in miniatura, un'arpa, un basso. A mia difesa, posso invocare soltanto il fatto che la malattia di mia moglie mi aveva sconvolto al punto che... No, non intendeva nascondersi dietro le sofferenze della persona alla quale aveva inflitto il torto più grave. Cancellò quella frase per sostituirla con le parole: Non ho scuse. Cristo, si disse, neanche una sola attenuante? Niente che potesse riscattare, almeno in parte, quell'immagine di criminale in uniforme? Il denaro non era per me digitò sui tasti, per cancellarlo subito dopo. Era accaduto durante il primo ricovero in ospedale di Catherine. Allora Cardinal era ancora un giovane agente investigativo della Narcotici di Toronto e viveva l'incubo di vedere la moglie trasformata dalla malattia mentale in una persona irriconoscibile: spenta, inerte, depressa al punto di sprofondare nel mutismo. Era rimasto terrorizzato, soprattutto perché sapeva di non essere abbastanza forte per vivere con quello zombi estenuato che aveva preso il posto della donna vivace e brillante che lui amava. Terrorizzato perché allora non sapeva niente di quella malattia, per non parlare della difficoltà di allevare da solo una bambina di dieci anni. Attraverso la plastica del sacchetto le sue dita seguirono la forma della minuscola chitarra. Catherine aveva trascorso due mesi al Clark Institute, due mesi in compagnia di persone tanto confuse da non riuscire a scrivere il proprio nome. Due mesi in cui i medici avevano tentato varie combinazioni di farmaci che sembravano soltanto peggiorare le cose. Due mesi nei quali lei riconosceva il marito solo a tratti. Dopo un periodo di angoscioso conflitto interiore, Cardinal aveva portato Kelly a trovare la madre, e quello era stato un
errore per tutti. Catherine non sopportava neppure di guardare la figlia, e la bambina aveva impiegato molto tempo per superare quel rifiuto. Poi erano arrivati dal Minnesota i genitori di Catherine, rimasti inorriditi dalla creatura dolente, con gli occhi da panda, che avevano visto avanzare verso di loro trascinando i piedi, nel corridoio dell'ospedale. Anche se con lui non erano mai stati meno che cortesi, Cardinal sentiva il loro sguardo trapassargli la schiena: in un modo o nell'altro era stato lui a causare il crollo della moglie. Avevano cominciato a parlare dell'assistenza medica in America ("La migliore del mondo." "Trattamenti all'avanguardia." "Psichiatri brillanti." "Chi credi che scriva tutti quei libri?"), e il messaggio era chiaro: se amava davvero Catherine, doveva farla curare oltre frontiera. E lui aveva ceduto. Quello che gli bruciava ancora, a dieci anni di stanza, era la consapevolezza che la terapia negli Stati Uniti non sarebbe stata migliore. Sapeva che ricorrevano alle stesse medicine, che provavano lo stesso entusiasmo per l'elettrochoc, che avrebbero riportato gli stessi insuccessi. Eppure aveva ceduto. Non poteva sopportare l'idea che i genitori di Catherine pensassero che non faceva del suo meglio per lei. ("Non preoccuparti, sappiamo che i costi saranno piuttosto elevati. Contribuiremo anche noi.") Invece non avevano potuto contribuire granché, e i conti della Tamarind Clinic di Chicago erano saliti rapidamente a migliaia e, con il trascorrere dei mesi, a decine di migliaia di dollari. Nel giro di poche settimane, Cardinal aveva capito che non sarebbe mai riuscito a pagare i conti; lui e Catherine non avrebbero mai avuto una casa, non avrebbero mai pagato i debiti. E così, quando si era presentata l'occasione, aveva preso i soldi. Aveva pagato i conti, ed era rimasto quasi a sufficienza per pagare i costosi studi di Kelly. Il guaio era che, una volta superata quella linea etica, aveva scoperto che la sua vera identità era rimasta dall'altra parte. Non ho scuse, scrisse di nuovo. Ogni centesimo di quel denaro è stato usato a mio beneficio, per salvare le apparenze agli occhi dei miei parenti acquisiti, per comprare l'amore e il rispetto della figlia che ho viziato. Per ora, la cosa più importante è che si possa perseguire il caso Pine-Curry senza correre il rischio che la credibilità del Dipartimento sia compromessa. Scrisse di essere dispiaciuto, poi tentò di limare quella dichiarazione, ma scoprì di non riuscirci. Allora stampò la lettera, la rilesse e la firmò. Dopo aver indirizzato la busta al capo della polizia Kendall, aggiunse la dicitura Personale e affidò il tutto alla posta interna.
Aveva intenzione di raggiungere Delorme nella sala riunioni, ma invece, esausto, sprofondò nella sedia con un gran sospiro. Dal suo bozzolo di plastica, il braccialetto di Katie Pine emanava un bagliore opaco. Katie Pine, Katie Pine... come avrebbe voluto ottenere giustizia per lei prima di lasciare il Dipartimento! Quei minuscoli strumenti musicali d'oro non gli sembravano in carattere con lei o almeno con l'idea che aveva di lei, la bambina prodigio della matematica. Quel minuscolo basso d'oro, il trombone, il tamburo e la chitarra sarebbero stati più in carattere con Keith London. La signorina Steen aveva detto che lui si portava sempre dietro la chitarra, e Billy LaBelle aveva preso lezioni al Troy Music Centre, del quale Cardinal non si sarebbe ricordato affatto, se non fosse stato perché era l'ultimo posto in cui Billy LaBelle era stato visto vivo. «E Todd Curry?» disse Cardinal a voce alta, senza averne l'intenzione. «Stai parlando con me?» Al di sopra di un altro computer apparve la testa di Szelagy, ma Cardinal non rispose, tutto preso a tirare verso di sé il fascicolo penosamente scarno. «Billy LaBelle, Keith London e Katie Pine erano tutti appassionati di musica. E Todd Curry?» Ricordava molto bene la stanza del ragazzo in quella casa nei sobborghi, il padre distrutto aggrappato allo stipite della porta. Ricordava i videogiochi nell'armadio, la carta geografica sul piano della scrivania... ma la musica? Quali tracce aveva notato di un'eventuale passione per la musica? Sì, ecco la nota nel rapporto supplementare sul colloquio con i genitori: Todd Curry aveva partecipato a newsgroup di carattere musicale. Alt.hardrock e Alt.rapforum. È vero, gli era sembrato strano che un ragazzo bianco fosse tanto appassionato di musica rap. Poi dal fascicolo cadde qualcos'altro, un biglietto scarabocchiato a mano che gli fece battere il cuore all'impazzata. Qualcuno, non sapeva chi, aveva ricevuto una telefonata dall'insegnante, Jack Fehrenbach, che denunciava il furto di una carta di credito. «Szelagy, è la tua scrittura?» Cardinal sventolò il biglietto sotto il suo naso. «Hai ricevuto tu una telefonata da Jack Fehrenbach?» Szelagy guardò il biglietto. «Sì, te ne ho parlato, non ricordi?» «Cristo, Szelagy, non ti rendi conto di quanto possa essere importante?» «Ma se te ne ho parlato! Non so che cos'altro vuoi che...» Ma Cardinal non lo ascoltava più: stava fissando il biglietto che aveva in mano. Lo aveva messo in allarme un addebito insolito sulla carta di Fehrenbach. Il 21 dicembre, la sera dopo che Todd Curry era andato a trovar-
lo, qualcuno aveva speso duecentocinquanta dollari al Troy Music Centre, in apparenza per un sofisticato giradischi. Correndo lungo il corridoio, raggiunse la sala riunioni, dove trovò Delorme al telefono, intenta a scarabocchiare appunti su un blocco di carta gialla a righe formato protocollo. «È la musica!» esclamò, fece schioccare le dita verso di lei. «Todd Curry era un appassionato di musica rap, rammenti? Voleva diventare un dj, ci ha detto Fehrenbach.» «Che succede, Cardinal? Hai un'espressione strana.» Cardinal sollevò il sacchetto di plastica in cui il braccialetto di Katie Pine fluttuava come un embrione. «Questo piccolo oggetto è la chiave che risolverà il caso.» 49 «McLeod, dov'è il tuo rapporto supplementare sul Troy Music Centre? Non li avevi interrogati tu, quando lavoravi al caso LaBelle?» «Perché me lo chiedi? Sarà da qualche parte nel fascicolo.» «Non è nel fascicolo. Lo sto guardando, e non c'è. Ti ricordi chi lavora in quel negozio?» «Sono in due: Alan Troy, che è il proprietario, e un altro tizio, un chitarrista che sta lì da sempre. Era lui che dava lezioni a Billy LaBelle.» «Ti ricordi il nome?» «Cazzo, no.» «McLeod, qui stiamo cercando di inchiodare un killer.» «Io no. Io dovevo soltanto ricostruire i movimenti di Billy LaBelle, Cristo. Allora non era considerato un caso di omicidio. Stavamo lavorando a un normale caso di scomparsa, quindi non venire a farmi paternali sull'omissione di atti d'ufficio, d'accordo? Penso che questo sia appannaggio esclusivo del non rimpianto sergente Testadicazzo Dyson. Carl Sutherland, ecco come si chiama quel tale. Carl Sutherland.» «C'è anche un'iniziale in mezzo, per caso?» «C, come che cazzo ne so. Prova a cercare nel fascicolo, Cardinal.» McLeod abbandonò la sala riunioni, imprecando sottovoce. Cardinal sprecò altri dieci minuti preziosi sfogliando fascicoli dell'anno precedente. «Delorme, perché non inserisci i dati di Troy nel computer e vedi che cosa ne salta fuori?» «L'ho già fatto. Stiamo aspettando.»
McLeod rientrò. «Carl A. Sutherland» disse, ficcando in mano a Cardinal un rapporto. «Qualche testa di cazzo lo aveva ficcato per sbaglio nel fascicolo del caso Corriveau. Se la gente la piantasse di giudicare il mio lavoro con il senno di poi, tanto per cambiare - nonché di mettere le mani nella mia roba per cinque minuti - forse potrei anche combinare qualcosa di buono, qui.» Delorme prese il rapporto per digitare le informazioni da inserire nel computer, poi estrasse un foglio dalla stampante. «Negativo su Alan Troy. Nessuna segnalazione, né a livello locale né nazionale.» Cardinal stava leggendo il rapporto redatto sei mesi prima da McLeod sulla visita al negozio di articoli musicali: era una sola pagina, scritta a spazio singolo. Il primo paragrafo indicava la posizione dei due uomini, Troy come proprietario e Sutherland come direttore, e gli anni di attività. Troy gestiva quel negozio, in varie sedi cittadine, da almeno vent'anni, e Sutherland collaborava con luì da circa dieci; era arrivato poco prima che si trasferisse nel centro commerciale. Il secondo paragrafo trattava di Billy LaBelle. Entrambi gli uomini lo conoscevano ed erano preoccupati (preocchupati, aveva scritto McLeod) per la sua scomparsa. Era stato Sutherland, in particolare, a dargli lezioni di chitarra. Il ragazzo era arrivato per la solita lezione del mercoledì pomeriggio e se n'era andato senza problemi. La sera stessa, Billy LaBelle era scomparso dal parcheggio del centro commerciale. Cardinal guardò fuori dalla finestra della sala riunioni, osservando la sudicia meringa di neve fradicia nel parcheggio del comando. I mucchi di neve sembravano cumuli di scorie vulcaniche e le pozzanghere nere scintillavano alla luce del sole. E Katie Pine? Troy e Sutherland non erano stati interrogati sul conto di Katie Pine, perché allora i due casi non erano considerati collegati. Delorme si fermò davanti a lui con una stampata di computer in mano. «Non so tu, ma Carl Sutherland è balzato all'improvviso al numero uno della mia hit parade.» Cardinal le tolse di mano il foglio. Carl Sutherland era stato arrestato due anni prima a Toronto per atti contrari alla pubblica decenza. Leggendo quell'informazione, Cardinal ebbe all'improvviso la sensazione di muoversi al rallentatore, come in sogno. Leggendo quell'informazione, seppe, anche se nessuno glielo aveva detto e lui non poteva provarlo, seppe che anche Katie Pine era stata al Troy Music Centre e aveva conosciuto Carl Sutherland. Poi il terreno si era aperto per inghiottirla.
Leggendogli nel pensiero, Delorme disse: «Dobbiamo chiudere il cerchio. Dobbiamo collocare anche lei al Troy Music». Sempre muovendosi come in sogno, Cardinal tese la mano verso il telefono. Delorme lo guardava come se fosse coinvolta anche lei in quel sogno, mordendosi il labbro. «Signora Pine, sono John Cardinal.» Aveva sempre sperato che la prossima conversazione con Dorothy Pine fosse per dirle che l'assassino della figlia era in carcere. «Ricorda di avermi detto che Katie voleva far parte della banda scolastica?» La voce atona e impersonale della donna si udiva appena. «Sì. Non so perché ci tenesse tanto.» Poi Dorothy Pine divenne tanto silenziosa, che Cardinal pensò fosse caduta la linea. «È sempre lì?» «Sì.» «Signora Pine, Katie ha mai preso lezioni di musica, di qualunque genere?» «No.» Glielo aveva già detto, e lo aveva detto anche a McLeod; ma non era tipo da protestare. «Non ha mai imparato a suonare il piano o la chitarra? Mai preso lezioni?» «No.» «Eppure voleva far parte della banda, mi ha detto. Teneva una foto della banda scolastica fissata alla porta dell'armadio, anche se non era una di loro.» «È così.» «Signora Pine, non capisco come mai Katie amasse tanto la musica, se non l'aveva studiata. Era ossessionata dalla banda, e aveva un braccialetto portafortuna con tanti ciondoli che rappresentavano strumenti musicali.» «Lo so. Lo aveva trovato in un negozio di strumenti musicali, non so dove.» Ed ecco che il sogno prendeva di nuovo il controllo della rotta. Era un sogno su Cardinal e la signora Pine, ed era come se lui sognasse le parole che lei stava per dire. Le sentì viaggiare lungo la linea telefonica prima ancora che le rivolgesse la domanda: «Quale negozio, signora Pine? Potrebbe ricordare il nome? È molto importante». «No.» Le parole sarebbero arrivate. Le avrebbe pronunciate Dorothy Pine. Stava per dirgli il nome del negozio, e sarebbe stato Troy Music Centre, e a-
vrebbero avuto in pugno il loro uomo. Cardinal sentì una lieve brezza sprigionarsi dal telefono, come il vento prodotto dal treno prima di entrare nella stazione. «Non conosco il nome del negozio» gli disse Dorothy Pine «ma è quello del centro commerciale.» «Quale centro commerciale, signora Pine?» «È l'unico posto dove trovava i ciondoli. Ci tornava ogni mese, più o meno, a comprarne uno nuovo. L'ultima volta ha comprato una tuba, appena due giorni prima di andarsene. Prima di... oh...» «Quale centro commerciale, signora Pine?» Dimmelo adesso, pensò. Devi dirmi quelle parole. Lo stesso sogno che accomuna me e Delorme tocca anche te, e ti toglie le parole di bocca. Avrebbe voluto gridare: "Quale centro commerciale, signora Pine? Quale?". «Quello grande di Lakeshore, quello con il Kmart e il Pharma-City.» «L'Algonquin Mall, vuole dire?» «Sì.» «Signora Pine, la ringrazio.» Delorme gli gettò il soprabito. Il suo lo aveva già indossato. «Prendi Collingwood. Voglio che venga con noi uno della Scientifica.» Anche un centro delle dimensioni di Algonquin Bay ha un'ora di punta, e fiumi di poltiglia acquosa creata dal disgelo rendevano il traffico ancora più lento del solito. Non erano ancora le sei, ma dovettero ricorrere alla sirena sulla soprelevata e poi ancora a Lakeshore. Collingwood, seduto dietro, fischiettava piano. Cardinal tentò di mostrarsi indifferente mentre attraversavano il centro commerciale, ma anche lì era l'ora di punta, e fu costretto a spintonare i passanti davanti al Pharma-City per raggiungere il negozio di musica. «Signor Troy, c'è Carl Sutherland?» «In questo momento ha una lezione. Posso esserle utile io?» Cardinal si diresse verso una serie di porte che si trovavano oltre il banco, oltre gli scaffali delle chitarre. «In che stanza?» «Aspetti un momento, che modi sono questi?» «Collingwood, resta qui con il signor Troy.» La prima porta dava in un ripostiglio. Nella seconda stanza, una donna alzò la testa sorpresa dal piano, dove stava contando qualcosa al metronomo. Nella terza, Carl Sutherland stava piegando le piccole dita di un bambino di dieci anni sulle corde di una chitarra. Alzò la testa di scatto.
«Lei è Carl Sutherland?» «Sì.» «Polizia. Vuole venire con noi, per favore?» «Che cosa intende dire? Sto facendo lezione.» «Vuoi scusarci, per favore?» disse Delorme rivolta al bambino. «Dobbiamo discutere una faccenda con il signor Sutherland.» Appena uscito il bambino, Cardinal chiuse la porta. «Lei dava lezioni di chitarra a Billy LaBelle, non è vero?» «Sì, ho già parlato con la polizia di...» «E conosceva anche Katie Pine, non è così?» «Katie Pine? La bambina che è stata assassinata? Assolutamente no. Ho visto la foto sui giornali, ma a parte questo non l'ho mai vista in vita mia.» «A noi risulta che le cose non stanno così» intervenne Delorme. «A noi risulta che Katie Pine è stata qui due giorni prima della sua scomparsa.» «Se è così, io non l'ho vista. Perché venite da me? Questo è un grande centro commerciale. Di qui passa tutta la città.» «Sì, ma non tutta la città viene arrestata per atti contrari alla pubblica decenza, signor Sutherland.» «Oh, mio Dio.» «Non tutti nel centro commerciale vengono arrestati per esibizionismo nella sala di un cinema porno.» «Oddio.» Sutherland vacillò sulla sedia, con il viso sbiancato. «Credevo che fosse finita.» «Vuole venire al comando a parlarne con noi? O dobbiamo chiedere informazioni a sua moglie?» «Non potete comportarvi in questo modo. Sono stato prosciolto da quell'accusa.» Sutherland parlava in tono aspro, indignato, ma era ancora pallidissimo. «Non sono fiero di quello che è accaduto, ma non vedo nemmeno perché dovrei lasciarmi umiliare per questo. Una sala buia come la pece non è un luogo pubblico. Non è un luogo pubblico, e il giudice lo ha riconosciuto. A parte questo, la questione riguardava due adulti perfettamente consenzienti, e non sono affari vostri.» «Billy LaBelle è affare nostro, invece. Lei è stato una delle ultime persone a vederlo vivo.» «Ma che cosa c'entra questo con Billy LaBelle?» «Perché non ce lo spiega lei?» ribatté Delorme. «Era il suo insegnante.» «Sì, ero l'insegnante di chitarra di Billy LaBelle. Ne ho già parlato. Billy è uscito dal negozio un mercoledì sera, come ogni altro mercoledì sera, e
non l'ho rivisto mai più. È una storia molto triste. Billy era un bambino davvero simpatico. Ma io non gli ho mai fatto niente, lo giuro.» «Vuole sostenere che non conosce questo ragazzo?» Cardinal tirò fuori la foto di Keith London che suonava la chitarra. «No. Non conosco tutti i ragazzi che suonano la chitarra.» Sutherland non era rimasto affatto impressionato dalla foto. Era spaventato, sì, era scosso, ma il ritratto di Keith London non gli sembrava una minaccia. La certezza di Cardinal cominciò a vacillare. Tirò fuori la foto di Katie Pine. «Questa è la bambina uccisa, la riconosco dalle foto sui giornali. A parte questo, non credo di averla mai vista.» «È stata qui due giorni prima di sparire. Ha comprato un ciondolo a forma di strumento musicale da appendere al braccialetto. Li vendete qui in negozio.» «Potrebbe averlo preso altrove.» «Lo ha comprato qui.» «Io non l'ho mai vista, le ripeto. Controlli l'inventario e vedrà.» «L'inventario?» «Da anni, ormai, abbiamo adottato un inventario computerizzato. Le potrà indicare chi è stato a venderle il ciondolo. Non è che ne vendiamo a milioni: tre o quattro al mese, direi.» Quando uscirono dalla stanza delle lezioni, Alan Troy esclamò: «Che cosa c'è, Carl? Che succede?». Ma Sutherland lo ignorò, guidando Cardinal e Delorme in un ufficio angusto sul retro. Quasi sepolto fra pile di fatture, c'era un computer acceso, con lo schermo affollato da colonne di cifre. Sutherland si sedette a digitare un paio di comandi e lo schermo si oscurò, a parte il cursore che lampeggiava nell'angolo in alto a sinistra. «Conoscete la data?» domandò senza guardarli. «La data in cui è scomparsa la bambina?» «Il 12 settembre dell'anno scorso. Ha acquistato il ciondolo due giorni prima.» «Bene. Ora mi serve il numero di inventario.» Consultò un fascio di tabulati spesso quanto un elenco telefonico, scorrendo in fretta le pagine doppie prima di trovare quello che voleva, poi digitò i numeri. «Questo dovrebbe dirci quanti ne abbiamo venduti l'anno scorso.» Nell'attesa, tamburellò con le dita sulla scrivania. «Sette. Okay...» Digitò un altro comando per ottenere il resoconto mensile. «Il 10 settembre» esclamò Delorme, indicando lo schermo. «Due giorni
prima.» Sutherland spostò il mouse prima di cliccare, dopodiché sullo schermo apparve una copia della ricevuta. Lui batté con l'unghia lunga della mano destra sull'angolo in alto a destra. «Lo vedete quel numero tre? È il commesso. L'uno è Alan, il due sono io e il tre è Eric.» «Eric chi?» «Il nostro collaboratore part-time, Eric Fraser. Per lo più lavora in magazzino, ma quando c'è molto da fare - all'intervallo dei pasti, o nell'ora di punta dopo la chiusura delle scuole - aiuta anche alla cassa. Se guardate qui in alto a sinistra, potete vedere l'ora della transazione: le quattro e mezza del pomeriggio. Se controllate l'agenda, vi mostrerà che a quell'ora stavo facendo lezione. Penso che vorrete parlare con Eric Fraser.» «Signor Sutherland, c'è qualcosa, qui in giro, che il signor Fraser abbia toccato di recente? Qualche oggetto che nessun altro ha toccato?» Sutherland rifletté un istante. «Seguitemi.» Alan Troy aggirò Collingwood con un dito sollevato in un gesto imperioso, esigendo di sapere che cosa succedeva. Sutherland lo interruppe. «Alan, Eric ha lucidato la Martins, ieri?» «Chiamerò il capo della polizia per chiedere spiegazioni. Non si trattano così i miei dipendenti. Queste persone devono...» «Cristo, Alan, diglielo e falla finita. Eric ha lucidato la Martins, ieri?» «La Martins?» Troy socchiuse gli occhi, fissando prima Sutherland, poi Delorme e Cardinal e infine di nuovo Sutherland. «Vuoi sapere se Eric ha lucidato la Martins? Tutt'a un tratto la questione urgente del giorno è se Eric Fraser ha lucidato la Martins? E va bene, allora, sì, Eric ha lucidato la Martins.» Cardinal volle sapere se qualcun altro aveva toccato le chitarre. No, gli affari battevano la fiacca, le Martins erano costose e nessuno le aveva toccate. Cardinal, che portava ancora i guanti, tese le mani verso la chitarra appesa alla parete. «Per metterla lassù doveva tenerla per il fondo, giusto?» Il signor Troy, che stava passando dalla collera alla curiosità, assentì, e Cardinal porse la chitarra a Collingwood. Taciturno come sempre, l'agente sparse una piccola quantità di polvere sulla superficie della cassa, poi la soffiò via. Presero forma due impronte perfette del pollice. Poi estrasse la scheda della Scientifica, con le impronte rilevate sulla gola di Arthur Wood. «Una corrispondenza perfetta» decretò. «Chiara come il sole.»
50 Quella del nastro adesivo da pacchi era stata una buona idea. Era ancora più efficace dei farmaci, e richiedeva meno lavoro per Edie ed Eric. Per quanto si sforzasse, Keith London non riusciva ad allentare il nastro neanche di un millimetro. I polsi e le caviglie erano saldamente legati. L'unico nastro che era riuscito ad allentare era quello che gli faceva da bavaglio; umettandolo con la saliva, era riuscito a poco a poco ad allentarlo, tanto che ora poteva addirittura pronunciare dei suoni percettibili. D'altra parte, la sedia di legno alla quale era legato gli concedeva un certo margine di gioco. Oscillando da una parte all'altra, sentiva allentarsi gli incastri. Ogni volta che Edie ed Eric uscivano di casa, come in quel momento, Keith cominciava a oscillare da una parte all'altra, e ormai sentiva i giunti allentarsi, le viti intaccare il legno. Da un paio di giorni non gli davano più niente da mangiare, e quegli sforzi lo sfinivano. Doveva fermarsi a intervalli di pochi minuti per riprendere fiato. Fra poco Edie ed Eric lo avrebbero trasferito. Gli avrebbero iniettato un sedativo per trasportarlo in qualche posto isolato e poi... Tentò di cancellare dalla mente il ricordo della videocassetta. Quella mattina era già un'ora che oscillava da una parte all'altra, da quando si era svegliato: aveva i polsi e le caviglie spellati a sangue e la gamba ferita lo tormentava, ma si era accorto di aver fatto progressi. Sentiva che la sedia cominciava a cedere. Quando lui spostava il peso del corpo, s'inclinava di una ventina di gradi da una parte e dall'altra. S'interruppe per tendere le orecchie. I passi risuonarono sul soffitto, poi si udì il suono delle sedie spostate. Edie ed Eric erano proprio sopra di lui. Keith ricominciò a dondolarsi, nonostante il terrore che potessero sentirlo. No, si ripeté, la sedia poggia sul cemento, il rumore non si propaga, non potranno sentirmi. Ricominciò a muoversi, facendo dondolare la sedia e tendendo il nastro adesivo. Una volta, due, tre. Sì, lo schienale della sedia si era decisamente allentato. Ora poteva provare a torcerlo un po'. Se fosse riuscito a esercitare una certa spinta nella giusta direzione, a spostare il peso nel punto giusto, a orientare la pressione verso la linea che univa lo schienale al sedile, forse sarebbe riuscito a sfondarlo.
Al piano di sopra, Eric aprì la borsa di tela - la borsa di tela di Keith per vuotarla sul pavimento. Non aveva la sensazione di violare l'intimità di un altro essere umano, frugando fra quegli effetti personali. Le calze ripiegate ordinatamente, le mutande lunghe di lana leggermente macchiate. C'erano occhiali da sole e filtri solari - Cristo, pensava forse di andare a sciare? -, la guida Frommer's dell'Ontario e una copia in edizione economica del Gioco delle perle di vetro, piena di orecchie. Eric si alzò, spazzolandosi le mani sui jeans. «Io leggo la lista, tu metti la roba nella borsa.» Prese la lista dalla tasca posteriore dei calzoni e la spiegò. «Nastro adesivo.» Edie lo prese dal cassetto vicino al frigo, mettendolo nella borsa. «Nastro adesivo.» «Corda.» Edie raccolse il rotolo ben confezionato di filo per il bucato che aveva acquistato a Toronto e lo mise nella sacca. «Cacciavite a testa piatta...» «Cacciavite a testa piatta.» «Cacciavite Phillips...» «Dio, Eric. Chi altri farebbe una lista di cacciaviti? Intere categorie di cacciaviti!» Eric le lanciò un'occhiata gelida. «Qualcun altro si farebbe arrestare. Pinze...» «Pinze.» «Fiamma ossidrica...» «È meglio provarla, prima, per vedere se funziona.» Edie prese dal cassetto una scatola di fiammiferi da cucina. Eric girò una vite di ottone sulla fiamma ossidrica e il beccuccio cominciò a sibilare. Lei accese il fiammifero e, non appena lo accostò al beccuccio, la torcia si accese con uno schiocco. Edie girò la vite per regolarne la lunghezza, la fiamma azzurra e allungata per poco non lambì la manica di Eric. «Oh, sarà fantastico.» Richiuse la vite, e la fiammella rientrò nel beccuccio come una lingua. «Piede di porco...» «Non lo abbiamo.» «L'ho lasciato qui dopo la gita all'isola. È nel seminterrato, vicino alle scale.» Edie si allontanò dal tavolo per scendere nel seminterrato. «Già che ci sei, controlla il prigioniero.» Eric prese dallo zaino un coltello da macellaio. Lo tolse dal fodero per
saggiare la lama con il pollice, poi, rivolto al seminterrato, gridò: «Porta anche una pietra per affilare, se ne hai!». Tolse l'involucro di plastica da una confezione di Power-Up, disponendo sei pillole sul bordo del tavolo. Andò a cercare un bicchiere nell'armadietto e fece scorrere l'acqua del lavandino finché non fu fredda e limpida, poi si sedette al tavolo e inghiottì le compresse una alla volta, rovesciando la testa all'indietro per mandarle giù. Si sentì correre un brivido lungo la spina dorsale. «Edie!» gridò, ancora sempre rivolto alla porta. «Prendi la pietra per affilare!» Rimase in ascolto per un attimo, con un orecchio rivolto verso il seminterrato. Poi posò sul tavolo il bicchiere d'acqua, con estrema precauzione, senza fare rumore. Rinfoderò il coltello prima di infilarlo nella tasca anteriore, poi si diresse verso la sommità delle scale. Stavolta parlò a bassa voce. «Edie?» «Vieni a prenderla, lurido stronzo.» Eric scese pian piano le scale. Poteva superare quella situazione, poteva farcela. Tutto dipendeva dal controllo delle emozioni. Arrivato in fondo alle scale, raccolse il piede di porco, agganciandolo alla cintura dietro la schiena. Era pesante e dondolava in modo precario, ma non sarebbe stato visibile per chi gli stava di fronte, a meno che non cadesse dalla cintura. Eric tirò un respiro profondo fino a entrare nella stanza minuscola, che puzzava di merda e di paura. La sedia era un groviglio di nastro adesivo e pezzi di legno. Il prigioniero stringeva Edie alle spalle, puntandole contro la gola una scheggia di legno ricavata dalla sedia. «Stenditi sul pavimento.» «No, lasciala andare.» «Stenditi sul pavimento, o le spezzo l'osso del collo.» Non ucciderà nessuno, pensò Eric. Se fosse abbastanza forte per ucciderla, l'avrebbe costretta a salire le scale. Edie aveva un aspetto orribile, spaventata com'era, con la pelle lucente nei punti in cui l'eczema trasudava, i mugolii soffocati dal nastro adesivo. La scheggia di legno le premeva contro la gola e lei aveva il viso paonazzo. «Stenditi sul pavimento! L'ammazzo, bastardo, non ci penso due volte.» Sta' calmo, si disse Eric. Il prigioniero è mezzo morto di fame, è terrorizzato ed è ancora ferito: che forza può avere? Se dovessimo batterci, vincerò io. Sta' calmo. Rifletti. «Il problema, Keith, è che, se mi stenderò a terra, non ci sarà niente che ti impedisca di ucciderci.» «La ucciderò subito, se non obbedisci.»
«Calmati, Keith. La stai soffocando.» «L'hai detto.» Le parole erano aspre, ma il viso del prigioniero era rigato di lacrime. Singhiozzava in modo così violento che a stento poteva parlare. Che strana reazione, pensò Eric. Era nervosismo o autocommiserazione? Qualunque fosse lo stato emotivo del prigioniero, la scheggia di legno penetrava crudelmente nella gola di Edie. Oh, prigioniero, che errore stai commettendo! Pagherai con una morte ancora più atroce. «Hai un coltello nella tasca anteriore. Vedo l'impugnatura. Tiralo fuori lentamente e lancialo da questa parte.» Eric obbedì, tirando fuori il coltello con tutto il fodero e lanciandolo alle spalle del prigioniero, dove lui non poteva raggiungerlo. «E ora giù, sul pavimento.» Eric esitò e il prigioniero cominciò a strillare: «Stenditi!», ripetendo l'ordine finché lui non cominciò ad abbassarsi. Il piede di porco gli pendeva dalla cintura dietro la schiena, ma il problema era che non poteva colpire il prigioniero senza travolgere Edie. «Mi sto abbassando, Keith. Non fare del male a nessuno, d'accordo? Mi sto abbassando.» Si inginocchiò lentamente. Quello che accadde dopo, si svolse tutto in un baleno. Eric allungò la mano all'indietro per impugnare il piede di porco. Keith gridò qualcosa a squarciagola e strattonò all'indietro la gola di Edie, tentando di farsi scudo del suo corpo, ma Eric non tentò di colpire lui: mirava a Edie. La sbarra di ferro la colpì in pieno alla tempia. Le ginocchia cedettero e lei scivolò a terra. Il prigioniero barcollò e perse la presa. Si lanciò verso la porta, ma intanto Eric aveva impugnato il piede di porco dalla parte giusta. Il prigioniero non era arrivato neanche a metà strada dalla porta quando la sbarra lo centrò - un colpo terribile sulla nuca, alla base del cranio - e lui si accasciò come un bovino al mattatoio. 51 L'indirizzo, secondo i dati dell'archivio di Troy, era 675 Pratt Street East, ed era là che si stavano dirigendo, senza usare la sirena. La radio aveva previsto una tormenta di neve, invece la zona di aria calda aveva resistito e sul tetto della macchina tamburellava la pioggia. Il tergicristallo squittiva sul parabrezza. Cardinal aveva già chiesto rinforzi in abiti civili, ma quando raggiunsero l'angolo tra Pratt e MacPherson non si vedeva ancora nessuna macchina. «Non credevo ci fosse qualcosa oltre il numero cinquecento» disse De-
lorme. Alla fine dell'isolato cinquecento c'erano i binari della linea ONR che attraversavano Pratt Street. A partire da quel punto, la strada non era neanche asfaltata: le case piccole e squallide che sorgevano dalla parte opposta erano nascoste dietro un affioramento di roccia. La radio cominciò a crepitare, e nell'auto risuonò la voce di Mary Flower. «I rinforzi potrebbero tardare. Un trattore con il rimorchio ha bloccato la soprelevata provocando una coda di tre chilometri.» «Ricevuto» rispose Cardinal al microfono. «Che dice il computer sul conto di Eric Fraser?» «Nada. A livello locale non risulta niente a carico di Eric Fraser.» «Non mi sorprende» osservò Cardinal. «Troy dice che non può avere più di ventisette, ventotto anni.» «Niente anche a livello nazionale» disse Flower. «Pulito come un bimbo.» «E per quanto riguarda il tribunale dei minorenni? È là che lo troveremo, se ha dei precedenti.» «Aspettate un momento, i dati dei minorenni stanno per arrivare.» Sentirono Flower gridare a qualcuno di portarle la stampata prima di Natale, possibilmente. «Tombola. Siete pronti?» «Atti di crudeltà nei confronti di animali» disse Cardinal a Delorme. «Quanto ci scommetti? Avanti, Mary, comincia pure.» «A tredici anni, violazione di proprietà privata con effrazione. A quattordici anni, violazione di proprietà privata con effrazione. A quindici anni, atti di crudeltà nei confronti di animali.» «È il nostro uomo» disse Delorme. Cardinal avvertiva una lieve elettricità sulla punta delle dita. Se doveva rassegnare le dimissioni, quello era il modo migliore per andarsene, fermando un serial killer in piena attività. Non avrebbe potuto desiderare un congedo migliore. McLeod si fermò all'angolo di MacPherson, con i tergicristalli in funzione. Cardinal aveva avvertito tutti di stare lontani dalla casa finché non fosse arrivato lui. Quando McLeod li vide, scese dalla macchina e attraversò di corsa l'incrocio, tenendo sollevato il cappuccio con la mano per ripararsi dalla pioggia. Salì dietro a fianco di Collingwood, imprecando. «Che razza di febbraio, mi domando. Chi ha mai sentito parlare di un monsone a febbraio? È tutta colpa dell'inquinamento provocato da Sudbury. Tutta la città si sta squagliando.» Flower aggiunse: «Fraser ha scontato anche un periodo alla scuola pro-
fessionale Saint Bartholomew. Due anni meno un giorno». «Per aggressione, scommetto» disse Cardinal al microfono. Dalla radio gli risposero: «Aggressione e lesioni aggravate. Ha avuto un diverbio con l'insegnante di tecnica riguardo alla sistemazione di alcune attrezzature». «E gli ha fatto qualche taglio, giusto?» «No. Lo ha aggredito in aula con la fiamma ossidrica.» 52 Keith London sognava di nuotare in una pozza d'acqua verde nel cuore della giungla, dove le scimmie stavano sedute in fila su un ramo basso, bevendo avidamente dal cavo delle mani. A parte le increspature provocate dalle mani delle scimmie, la superficie era liscia come una lastra di giada. L'odore dell'acqua era intenso. Aprì gli occhi. L'odore dell'acqua era forse quello della pioggia? Sentiva il rumore della pioggia che tamburellava sul legno. Gli sembrava di avere la testa spaccata in due. Il dolore gli provocava la nausea: appena si voltò leggermente, rischiò di vomitare. Dovunque si trovasse, era un posto molto buio, umido e freddo. Adesso era vestito, anche se non ricordava di aver indossato quel maglione lacero e i jeans, che non erano sufficienti a proteggerlo dal freddo. Di lato, c'era una stufa elettrica che emanava un bagliore scarlatto, ma il calore non arrivava fino a lui. Eric Fraser era a circa tre metri di distanza, intento a piazzare la videocamera sul treppiede. Sono disteso su un tavolo. Mi hanno disteso su un tavolo in un seminterrato, chissà dove. Quell'odore di umidità. Sono vicino a un lago. L'odore di umidità domina ogni altra cosa. E questa, sì, è pioggia... pioggia che batte sulle finestre sbarrate con le assi. In alto correvano tubi enormi che s'incrociavano sotto il soffitto, scomparendo nel buio. Ma certo, la stazione di pompaggio. Tentò di muoversi, ma aveva le braccia saldamente legate lungo i fianchi e assicurate al tavolo. L'unica parte del corpo che poteva muovere era la testa. Eric era tutto preso dal compito di sistemare la videocamera, chinandosi a regolare prima una gamba del treppiede e poi l'altra. Doveva tentare di ragionare con lui, di fare breccia nella sua mente prima che entrasse in uno stadio di frenesia come gli era successo in quella videocassetta. «Sta' a sentire, Eric» gli disse piano. «Ormai la mia ragazza avrà denun-
ciato la mia scomparsa. Le ho detto dov'ero, di chi ero ospite. È tutto nella lettera che le ho scritto.» Tutto inutile. Eric Fraser sistemò l'altra gamba del treppiede, canticchiando, poi, apparentemente soddisfatto, cominciò a tirare fuori degli oggetti da una sacca di tela - la borsa di Keith - per disporli su un banco di legno. Keith tentò di non guardare, concentrandosi sulla necessità di controllare la voce. «Eric, potrei procurarti parecchi soldi. Non sono ricco, ma potrei procurartene. La mia famiglia è agiata, e anche quella della mia ragazza. Ti darebbero qualcosa, ne sono sicuro.» Era come se Eric Fraser non sentisse una parola. Prese dalla borsa qualcosa, un paio di pinze dalla punta sottile, poi si avvicinò a Keith per guardarlo dall'alto con quegli occhi scintillanti da furetto, aprendo e richiudendo con uno scatto le pinze proprio sopra il suo naso. «Potremmo predisporre i pagamenti in modo che nessuno sappia chi sei. Dovrebbe essere possibile. Non è detto che debba essere un pagamento unico. Non c'è motivo per cui non possa andare avanti per qualche tempo. Ti prego, Eric. Vuoi ascoltarmi? Potresti guadagnare trenta o quarantamila dollari. Forse anche cinquanta. Pensa a quello che potresti comprarti, con il tempo. Perché non mi permetti di chiamarli, Eric?» Eric Fraser tirò fuori dalla borsa un sacchetto di carta, scartando un sandwich. Nell'aria si diffuse all'improvviso un odore di tonno. Lui si sedette in penombra, oscurando il bagliore emesso dalla stufa elettrica. A ogni boccone, un ossicino della mascella produceva una specie di scatto. Qualche minuto dopo, disse: «Vorrei che Edie arrivasse con le luci». Batté con la punta dello stivale contro una grande batteria posata sul pavimento. «Così, qui dentro l'illuminazione sarà migliore. Non sopporto quando non si vede quello che succede.» «Pensaci bene, Eric. Potresti diventare ricco. Non dovresti più andare a lavorare. Potresti comprarti qualcosa, viaggiare. Potresti andare dove vuoi e fare quello che vuoi. A che ti serve uccidermi? Non ti porterà da nessuna parte. Prima o poi ti prenderanno. Perché non cerchi almeno di ricavarne un po' di denaro? Non sarebbe meglio che uccidermi e basta?» Eric finì il sandwich, gettando sul pavimento l'incarto. «Vorrei che Edie arrivasse con le luci» ripeté. «Eric, ti supplico, va bene? Se vuoi che mi metta in ginocchio, lo farò. Dimmi soltanto quello che devo fare. Eric? Eric, mi ascolti? Ti sto pregando di risparmiarmi. Farò tutto quello che vuoi, qualunque cosa, ma lascia-
mi vivere.» Non ottenne nessuna risposta. «Eric, ti procurerò dell'altro. Lo prometto. Ruberò. Rapinerò un negozio. Farò qualunque cosa, Eric, ma lasciami andare.» Eric scese dallo sgabello e scelse un paio di forbici. Proteso verso Keith, aprì e richiuse più volte le forbici, poi, afferrando i capelli di Keith poco più su dell'orecchio, ne tagliò una piccola ciocca, che tenne sollevata per guardarla a uno dei fiochi raggi di luce che penetravano nel locale. «Vorrei che Edie arrivasse con le luci.» 53 Oltre i binari della ferrovia, la vecchia casa sbilenca resisteva alla tempesta. Un pezzo della grondaia pendeva dal portico, appesantita dai ghiaccioli che si stavano sciogliendo. All'angolo del tetto, un pezzo di carta catramata svolazzava come un uccello ferito. In lontananza, si sentivano i colpi di clacson del traffico sulla soprelevata. McLeod ricordava quel posto dai giorni in cui prestava servizio in uniforme. «Dovevamo sfondare la porta praticamente ogni sabato. Il vecchio Stanley Markham - dovresti ricordartelo, Cardinal - andava a farsi un cicchetto e poi, quando tornava a casa, faceva il finimondo. Era anche forte, quel figlio di puttana. Mi ha spezzato il braccio in due punti. Quel giochetto gli è costato tre anni. Finalmente, qualche anno fa il fegato lo ha ucciso. Eppure, ragazzi, ci credereste che mi manca? Quella dannata casa puzzava sempre di piscio di gatto.» «Adesso chi ci abita?» chiese Cardinal. Tenevano d'occhio la casa, oltre i tergicristalli in funzione, quasi che da un momento all'altro potesse staccarsi dalle fondamenta come una tenda sbrindellata e prendere il volo sotto la pioggia gelida. «Adesso chi ci abita? Ci abita la dolce Celeste, fedele vedova di Stanley e una dei pochi esseri umani che siano trogloditi per natura. Centocinquanta chili di peso, una voce capace di staccare l'intonaco dalle pareti e dura come quel bastardo di suo marito, per giunta. Se avesse un quoziente di intelligenza più basso, bisognerebbe annaffiarla.» «Fraser guida un furgone Ford Windstar» disse piano Delorme «ma non lo vedo nel vialetto.» «Ha anche un ostaggio. Non intendo aspettare per vedere se è in casa o no.»
«Ehi, un momento. Che ne dite di aspettare un po' di rinforzi, prima di fare irruzione là dentro?» protestò McLeod. «Non siamo esattamente una squadra SWAT.» Non lo disse, ma il sottinteso era: "Abbiamo la zavorra di una donna e di un tecnico della Scientifica. Questo significa proprio andarsela a cercare". Dietro di loro, un furgone marrone dell'UPS si stava fermando allo stop, con i freni che stridevano. «Aspettate un momento» disse Cardinal. Appena scese dalla macchina, si sentì punzecchiare il viso da schegge di pioggia. Mostrando il distintivo, salì a bordo del camion dalla parte del passeggero. Il conducente era un indiano di nome Clyde. Sotto il berretto marrone con la visiera a punta, gli zigomi larghi lo facevano sembrare un guerriero mongolo. «Clyde, mi serve il suo aiuto per una operazione di polizia. Ho bisogno di prendere in prestito la sua uniforme.» Clyde continuò a guardare in avanti, come se parlasse con la pioggia e i cumuli di neve sciolta. «Vuole una copertura?» «Solo per una decina di minuti. Così ci eviteremo di usare le armi. Non voglio una sparatoria in una strada residenziale, e per giunta in pieno giorno.» «Che ne dice di uno scambio? Lei si prende l'uniforme e mi dà il distintivo.» Sempre parlando alla pioggia. «Non è così che funziona, Clyde.» L'autista si voltò per sorridergli, scoprendo i denti più perfetti che Cardinal avesse mai visto. «Può prendersi la mia uniforme quando vuole. Comunque la detesto.» Cardinal si tolse il soprabito, infilando a fatica la giacca marrone di Clyde. Gli stava stretta di spalle, ma poteva andare. «Che pistola è?» «Una Beretta.» «La usa spesso?» «Mai. Nuova di zecca. Come sto?» «Sembra uno sbirro con la divisa dell'UPS. Prenda un paio di pacchetti, potrebbero servirle come scusa per entrare dalla porta.» «Buona idea, Clyde. Lei dovrebbe fare il poliziotto.» «Non li posso soffrire i poliziotti» ribatté Clyde, parlando di nuovo alla pioggia. «È pronto? Io ho delle consegne da rispettare.» «Mi serve anche il furgone, Clyde. Non può aspettare da qualche altra parte? Due uomini a bordo di un furgone dell'UPS colpiscono l'attenzione.
Voi altri non lavorate in coppia.» «Questo è vero.» Clyde afferrò un pacchetto di sigarette dal cruscotto. «Mi troverà da Toby, quel locale all'angolo.» L'indiano scese dal furgone. «La seconda è un po' dura. Bisogna andare su di giri e ingranare direttamente la terza. Sicuro di non preferire che guidi io?» «Grazie, me la caverò lo stesso.» Per poco non restò bloccato proprio sui binari della ferrovia - oh, bella mossa, pensò, farsi spappolare da un treno merci prima ancora che arrivino i rinforzi -, poi, seguendo il suggerimento di Clyde, tirò al massimo e ingranò la terza. Il camion sussultò, poi ripartì, attraversando un acquitrino di fanghiglia prima di raggiungere la macchina priva di contrassegni. Delorme abbassò il finestrino. «Voglio arrivare proprio davanti alla porta d'ingresso con questo» spiegò Cardinal. «Concedetemi esattamente tre minuti a partire da quando aprirà la porta. Appena sarò dentro, McLeod si occuperà di lei e voi seguirete me. Tutto chiaro?» «Tu entri. McLeod la blocca. Io ti seguo.» «Collingwood fila direttamente in cantina.» McLeod si protese in avanti dal sedile posteriore. «Fa' attenzione a Celeste. Ha un atteggiamento negativo nei confronti dei tutori della legge.» Cardinal guidò il camion fino all'ingresso della casa, poi scelse un pacchetto di media grandezza che fosse in grado di coprire la Beretta. Rimpiangeva la sua vecchia calibro 38. Avrei dovuto passare un po' di tempo al poligono di tiro, si rimproverò. Non era abituato a quell'arma, che gli sembrava lunga e ingombrante. Celeste Markham venne ad aprire, e Cardinal, investito da un'ondata corrosiva di puzza di gatto, soffocò a stento la nausea. Gli occhi della donna, due bottoncini neri quasi invisibili fra le pieghe del viso, emettevano raggi gemelli di fastidio e ostilità. Le pendeva di dosso una vestaglia sudicia stampata a fiori, semiaperta sui seni massicci e cadenti. Sul labbro superiore scintillava una sottile peluria bionda. «Ha sbagliato indirizzo» disse in tono imbronciato. «Non ho ordinato niente.» «Signora Markham, sono un agente di polizia e mi occupo di Eric Fraser.» Scale a destra, soggiorno a sinistra. La porta della cantina doveva essere sotto la scala. «Non è in casa. Non potete entrare.» Fece per chiudere la porta, ma Cardinal la tenne bloccata con un piede. Quando Delorme e McLeod furono sui gradini del portico, lui spinse da parte la. donna, affondando il gomito nelle pieghe umide del suo ventre.
Mentre saliva la scala due gradini per volta, la sentì imprecare contro McLeod. Superò di corsa una camera da letto dove un televisore trasmetteva a tutto volume un programma a quiz. Nella stanza gli sembrò di intravedere una dozzina di gatti, intorno a una bottiglia da due litri di Dr Pepper e a una ciotola immensa di Cheetos. C'era un bagno immerso nell'oscurità e, in fondo al corridoio, una porta chiusa che sembrava nuova. «Polizia!» La porta era chiusa a chiave. Cardinal la prese a calci, mentre Celeste Markham gridava dal pianterreno: «Fate attenzione a non rompere niente!». La porta era di qualità scadente, il battente cedette con facilità. Cardinal infilò la mano per aprirla dall'interno, poi entrò con la Beretta in pugno, seguito da Delorme. Dopo la sporcizia e il fetore di quella casa, quella stanza era pulita in modo impressionante. Anziché di piscio di gatto, odorava leggermente di sapone. Il letto era rifatto alla perfezione, con le coperte ben rimboccate come in ospedale. La finestra, per quanto vecchia, offriva una vista nitida della sopraelevata; qualcuno l'aveva pulita con cura, e Cardinal non sospettava certo di Celeste Markham. Le auto apparivano deformate attraverso i vetri vecchi. Saltava all'occhio quell'atteggiamento che a Cardinal era capitato spesso di riscontrare negli uomini che avevano scontato una condanna, anche da minorenni: tenevano il loro alloggio in un ordine perfetto quasi maniacale, come marines. Nell'armadio c'erano quattro completi, stirati alla perfezione e appesi alle grucce, e due paia di pantaloni, anche quelli stirati e ordinatamente appesi. Più un paio di stivaletti con i tacchi affusolati, logori ma lucidati a specchio. Il piano della scrivania era sgombro. Il piccolo cassetto conteneva una penna a sfera e un blocco di carta gialla per appunti, senza scritte. Sotto la scrivania trovarono una cassetta che conteneva una trentina di libri disposti in bell'ordine. «Com'è vuota» disse Delorme, dando voce al pensiero di Cardinal. «È come se qui non ci abitasse nessuno.» Collingwood apparve sulla soglia dietro di loro. «Nel seminterrato non c'è niente. Big Mama dice che Eric Fraser usa soltanto questa stanza, non ha diritto all'uso del resto della casa.» «Ma dove mangia?» si domandò Cardinal guardandosi intorno. «Si direbbe che non sia un essere umano.» «Qui sotto c'è qualcosa.» La voce di Delorme era soffocata; in ginoc-
chio, stava controllando sotto il letto, da cui estrasse la custodia di una chitarra. Aprì i ganci, facendo attenzione a non cancellare le impronte. Era una chitarra Ovation, in buone condizioni. «Keith London suona la chitarra. Sono quasi certo che la signorina Steen abbia parlato di un'Ovation. Sigilleremo questa stanza e in seguito la faremo esaminare da Arsenault.» La perquisizione proseguì in silenzio per qualche minuto. La chitarra era un elemento concreto, che poteva collegare con certezza Fraser a Keith London, ma non forniva nessuna traccia immediata. Cardinal si sentiva sempre più frustrato dall'ordine che regnava in quell'ambiente. Prese dall'armadio un piccolo schedario: nient'altro che ricevute archiviate con ordine. Tolse il coperchio a una vecchia scatola di latta che aveva contenuto dei dolci: solo graffette ed elastici. Poi aprì una scatola da scarpe, legata con un nastro di velluto blu come se contenesse ricordi preziosi. Cardinal si aspettava delle foto, forse un diario; ma quello che trovò era anche peggio che trovare il corpo di Todd Curry. «Questo mi sembra un ospedale» stava dicendo Delorme. «Dovrei assumere questo tizio per farmi pulire la casa.» «No, non credo che tu lo voglia sul serio.» A Cardinal riusciva difficile parlare. Stava fissando tre oggetti disposti in ordine nella scatola da scarpe, tre oggetti che all'improvviso lo fecero sentire privo di forze. Delorme gettò un'occhiata e, trattenendo il fiato, fece eco alle sue sensazioni. La scatola da scarpe conteneva tre ciocche di capelli, ciascuna di un colore e di un tipo diverso, ciascuna fissata ordinatamente all'estremità con un lembo di nastro adesivo. Una ciocca era liscia e nera come l'ebano; doveva essere di Katie Pine. Un'altra, quasi certamente di Todd Curry, era castano scuro, di capelli ricci e più fini. Quella bionda doveva essere di Billy LaBelle. Non c'era nessuna ciocca per Woody, che era stato ucciso quasi per caso, senza premeditazione, e neppure per Keith London, che aveva i capelli lunghi e lisci, di colore castano chiaro. Al pianterreno, Celeste Markham e McLeod si scambiavano insulti: se il poliziotto non si fosse tolto di mezzo, la donna aveva tutte le intenzioni di fratturargli l'altro braccio. McLeod le suggeriva di ripeterlo davanti a un giudice. «Collingwood» disse infine Cardinal «dì a McLeod di abbassare la voce, così possiamo riflettere. Se vogliono, possono continuare la discussione in macchina.» Cardinal aprì i cassetti uno dopo l'altro. Calzini ordinatamente impilati,
T-shirt disposte in quadrati perfetti, maglioni che sembravano mai indossati. Era una vera fortuna che quel tale fosse un maniaco dell'ordine. Perfino il cestino della carta straccia era vuoto. Cardinal riprese in mano il blocco giallo, facendo scorrere le pagine. Non c'era nulla che cadesse fuori. Tenne sollevata la prima pagina contro la finestra e vide apparire delle tracce leggere: una specie di lista. «Che cosa pensate che voglia dire "P.H."?» domandò nel silenzio benedetto che ora regnava in casa. Chissà dove, si sentiva miagolare un gatto. «P.H. Forse qualche vittima di cui non sappiamo niente?» «No, dice: "Trout Lake P.H". Sappiamo che questo tale ama spostarsi: pensate al pozzo della miniera e alla casa abbandonata. E sappiamo che la zona del Trout Lake gli è familiare, perché Woody è stato trovato vicino alla banchina. E pensate un po' a quello che vuole portarsi dietro: nastro adesivo, pinze...» «Mi pare che la voce successiva sia "piede di porco". Che altro dice?» Delorme si stava praticamente arrampicando sulla sua spalla. Lui sentiva il suo alito sul collo. «Più in basso c'è "batteria".» «Ma che significa P.H. sul Trout Lake? Che cosa c'è sul lago che abbia le iniziali P.H.?» «Public Housing! C'è quel complesso di case popolari in costruzione oltre Saint Alexander's. Ci siamo, John. Un'altra casa abbandonata... non finita!» «Solo che qui non si tratta di case popolari. Potrebbe essere Port Huron? No, non c'è nessun Port Huron da queste parti.» «P.H. sul Trout Lake...» Delorme gli sfiorò la manica. «Possiamo controllare l'elenco telefonico della città per vedere chi ha queste iniziali, da quelle parti.» «Ci vuole troppo tempo. Dev'essere qualcosa di semplice. Continuo a pensare a "Public Beach", ma sarebbe P.B. Che altro c'è, laggiù? Il bacino idrico, la banchina, e che altro?» «Be', c'è il lago artificiale, che è piuttosto grande e isolato.» Nei giorni seguenti si sarebbe discusso a non finire, nel Dipartimento, per stabilire chi lo avesse detto per primo. Secondo alcuni era stata Delorme, secondo altri Cardinal. Lo stesso Collingwood cambiò idea parecchie volte, e dire che era presente. Ma Cardinal avrebbe ricordato sempre i grandi occhi castani di Delorme che lo guardavano, e la bellezza che scaturiva dalla certezza. In fondo, non aveva importanza chi fosse stato a pronunciare per primo la parola "Pump House". Cardinal scartò subito l'idea, e
in seguito se ne sarebbe vergognato. «No, non può essere la stazione di pompaggio. Non si trova sul Trout Lake.» «No» ribatté Delorme. «Ma un tempo era lì.» 54 Prima di muoversi, Cardinal dovette fare due telefonate. Prima di tutto chiamò il comando, per far inviare un'autopattuglia presso la vecchia stazione di pompaggio. In condizioni normali, la telefonata successiva sarebbe stata per Dyson, ma, visto che ora lui era fuori gioco, telefonò a casa del capo. «Sappiamo dove progetta di uccidere il giovane London. Forse è già sul posto.» «Ha con sé il ragazzo?» «Riteniamo di sì. Secondo noi è ancora vivo. Mi servono otto uomini, fucili e giubbotti antiproiettile.» «Vuole anche l'intervento dell'OPP?» «Non c'è tempo, capo.» «Vada, allora. Prenda tutto quello che le serve.» Delorme tornò verso di lui dall'auto, con i capelli imperlati di gocce d'acqua scintillanti. «Flower dice che l'autopattuglia è passata vicino alla stazione di pompaggio. Il Windstar di Fraser è parcheggiato fuori.» «Se sono passati tanto vicino da vederlo, speriamo che non l'abbiano messo sull'avviso.» «Flower dice di no. Gli uomini sono rimasti nei paraggi, nell'eventualità che esca di lì.» «Ce l'abbiamo in pugno, Lise. Ce l'abbiamo in pugno, e lui non lo sa.» Una volta in macchina, Delorme gli disse: «Ho chiesto l'intervento del camion. Spero che vada bene». «Va bene. È una buona idea. Ma la prossima volta chiedimelo prima.» «Tu eri al telefono.» «Avresti dovuto chiederlo. Avrei potuto volere soltanto le auto, avrei potuto volere l'intervento dell'OPP. Sei pronta?» «Sono pronta.» Con le sirene impiegarono meno di sette minuti a raggiungere il punto di incontro, la banchina sul Trout Lake. Altre auto arrivarono qualche istante dopo. C'erano McLeod, Collingwood, Burke e Szelagy, più altri agenti in uniforme. La pioggia era cessata, ma le nubi grevi erano di un grigio inten-
so, quasi violaceo ai bordi. Erano le tre del pomeriggio, ma l'aria era così cupa che sembravano le sette. «Allora, Trout Lake Road e Mathiesson forniscono l'unica via d'accesso a Pump House Drive. Tu e tu» ordinò Cardinal, indicando due agenti in divisa «voglio che quei punti siano bloccati. Non deve uscire di lì. E nessuno deve entrare.» «E il lago?» «Nessuno si azzarderà a passare sul lago, con quel ghiaccio. Burke e Szelagy, voi restate all'inizio del viale per tenere lontano i curiosi, e bloccate l'uomo se esce dalla stazione di pompaggio. McLeod, Collingwood e Delorme verranno con me. È tutto chiaro?» Era tutto chiaro. «Eric Fraser è armato, è pericoloso e merita di morire.» «Vuoi scherzare» mormorò qualcuno, probabilmente Szelagy. «Ma ha anche un ostaggio, un ragazzo di diciotto anni, e non vogliamo che quel ragazzo resti ucciso. Se la vita di qualcuno viene minacciata, abbattete Fraser, ma soltanto allora. È chiaro?» Era chiaro. «Allora d'accordo.» Cardinal aprì lo sportello della macchina. «Facciamola finita.» Raggiunse l'autopattuglia già appostata in cima a Pump House Drive. Niente di nuovo. Nessun movimento. Stringendo il volante fra le mani, si accorse di tremare. Sembrava paura, invece era adrenalina pura. Respirò a fondo per calmarsi. Non voleva che gli tremasse la mano, quando avrebbe estratto la Beretta; era ancora pentito di non aver dedicato qualche ora alle esercitazioni di tiro. Le due auto di testa avanzarono nella fanghiglia fino alla deviazione, poi proseguirono sobbalzando lungo la strada che portava alla stazione di pompaggio. Secondo gli ordini, Larry Burke e Ken Szelagy rimasero di guardia all'imbocco della strada. Burke e Szelagy erano stati i primi agenti a vedere il corpo di Katie Pine nel pozzo della miniera dell'isola di Windigo e, da allora, Burke aveva trovato frustrante osservare da lontano Delorme e Cardinal senza partecipare all'azione. Voleva diventare anche lui un agente investigativo, prima o poi. Un'auto rallentò e dal finestrino si sporse un uomo sulla cinquantina, secondo Burke un dirigente d'azienda. «Che succede? Perché ci sono tutti questi poliziotti?»
Larry Burke gli fece segno di procedere. «Prosegua, signore, dobbiamo tenere sgombra questa zona.» «Ma che cosa sta succedendo?» «La prego di proseguire, signore.» Si rivolse all'uomo con un tono di fredda autorità, offrendo un saggio di prim'ordine dell'addestramento ricevuto ad Aylmer, e come al solito il trucco funzionò. L'uomo ripartì. Cardinal aveva convocato lui e Szelagy per la fase finale, e Burke lo apprezzava. Per quanto riguardava Algonquin Bay, il caso Pine-Curry era l'evento del secolo. La responsabilità di scegliere gli agenti toccava a Cardinal, e lui aveva scelto Burke e Szelagy. Larry Burke ne era fiero. Si avvicinò un'altra macchina. Alla guida c'era una donna, tutt'altro che attraente, decise Burke. «Deve proseguire, signora.» La donna non lo guardò neppure, tenendo gli occhi fissi sul tratto in discesa che portava alla stazione di pompaggio. «Che succede? Che cosa ci fanno, qui, tutte queste auto?» «È un'operazione di polizia, signora. Devo pregarla di proseguire.» Con grande irritazione di Burke, la donna non si allontanò, ma accostò la vettura al ciglio della strada, continuando a fissare la zona ai piedi del pendio come se Cristo in persona stesse per emergere dagli abissi gelidi del Trout Lake. Burke si avvicinò, bussò al finestrino e, con un dito della mano guantata, le indicò il fondo della strada. Un gesto silenzioso, purché sufficientemente autoritario, suggeriva il manuale di addestramento dell'accademia, ha lo stesso effetto di un ordine esplicito. In quel caso non fu così. «Si allontani» ordinò Burke, stavolta alzando la voce. «La strada dev'essere libera.» Sebbene la pioggia fosse cessata da tempo, i tergicristalli dell'auto erano ancora in funzione; o meglio, funzionava l'unico rimasto, visto che mancava la spazzola dalla parte del passeggero. La donna aveva una specie di strato di scaglie sul viso, più una grossa fasciatura sopra un orecchio. Era davvero inaccettabile il modo in cui guardava ai piedi della collina, ignorandolo del tutto. Burke non intendeva lasciar correre. Non poteva ammettere un incidente proprio adesso, per quanto insignificante fosse il suo ruolo nell'operazione. «Ehi, signora» disse a quel punto, ormai gridando. «È sorda, per caso?» Batté il palmo della mano sul tettuccio dell'auto. La donna alzò di scatto la testa, e Burke lesse per un attimo il terrore nei suoi occhi. Poi lei rimise in moto e l'auto si allontanò sussultando. «Ma l'hai vista?» commentò, ri-
volto a Szelagy. «Spero che a quest'ora abbiano già bloccato la statale.» «C'è gente» ribatté Szelagy «che muore dalla voglia di ficcare il naso negli affari altrui, non lo sai? Devono sempre immischiarsi.» Burke seguì con lo sguardo l'auto che proseguiva, sbuffando nuvole di fumo nero. Il Trout Lake e i sobborghi circostanti erano una zona residenziale di gran lusso. Avrebbe pensato che quella puttana sorda potesse permettersi una macchina migliore di quella Pinto che sembrava un rottame. 55 La stazione di pompaggio era in disuso da cinque anni, e si vedeva. Era un edificio di pietra grigia, basso, tozzo e sgraziato, con le finestre sbarrate dalle assi e il tetto coperto dalla neve di tutto un inverno; novanta centimetri, nonostante il disgelo degli ultimi giorni. Dagli angoli pendevano gocciolanti stalattiti di ghiaccio grandi come canne d'organo. Il suo pregio, dal punto di vista di un assassino, era l'isolamento. Tutt'intorno non c'erano altre case per un raggio di almeno ottocento metri e il terreno circostante era coperto da un fitto groviglio di vegetazione. Cardinal fece una rapida ricognizione, accertando che non c'erano altre porte sul lato del lago. Una rampa di scalini di pietra saliva dal lago verso la porta di servizio, formando un declivio perfettamente liscio sotto lo strato di neve e ghiaccio. Il furgone Windstar di Fraser era parcheggiato in riva al lago. Si notavano orme e segni di trascinamento che salivano verso l'edificio, mentre un contorno arrugginito segnava il punto in cui era stato appeso un lucchetto. Senza fare rumore, Cardinal si avvicinò alla porta per afferrare la maniglia, girandola con la massima delicatezza possibile. Non cedette. Allora scosse la testa per segnalare la situazione agli altri. McLeod aprì il bagagliaio per tirare fuori l'"ariete", trenta chili di ferro massiccio. Lui e Delorme afferrarono un'impugnatura per ciascuno, preparandosi a sfondare la porta. Il primo a entrare sarebbe stato Cardinal, con la pistola in pugno: su questo furono tutti d'accordo senza bisogno di discutere. Quello che accadde poi divenne un momento cruciale nella storia del Dipartimento, narrato per anni e anni. Delorme e McLeod erano indietreggiati, preparandosi a correre verso la porta, mentre Cardinal teneva la mano sollevata per contare fino a tre. Aveva appena finito "uno" e stava alzando la mano per indicare "due" quando Eric Fraser uscì dall'edificio.
Rimase immobile, battendo le palpebre per adattarsi alla luce. In seguito, sarebbero state formulate molte teorie sul motivo che lo aveva indotto a uscire proprio in quel momento. Alcuni ritenevano che lo avesse fatto per prendere delle provviste, altri sostenevano che aveva obbedito al richiamo della natura. Comunque, non aveva importanza: l'effetto fu lo stesso. Fraser uscì dall'edificio in maniche di camicia, con i capelli neri sferzati dalla brezza, i jeans neri e la camicia nera ben visibili sullo sfondo della neve, e rimase lì immobile come un uomo con la coscienza a posto, battendo le palpebre. Tutti ebbero l'impressione che passasse una decina di secondi, ma probabilmente fu meno di uno. Come disse in seguito Delorme: «Quel tizio pallido e magrolino, con le braccia gracili e ossute, non lo avrei mai definito un killer, neanche fra un milione di anni. Sembrava un ragazzo». Eric Fraser, che aveva ucciso almeno quattro persone, per quanto se ne sapeva, rimase perfettamente immobile, con le mani un po' scostate dai fianchi. Cardinal gli rivolse la parola, con un tono che risuonò metallico alle sue stesse orecchie. «Lei è Eric Fraser?» L'altro si girò di scatto. Cardinal impugnava già la Beretta, ma Fraser rientrò dalla porta prima che lui potesse sollevarla. Ian McLeod fu il primo a varcare la soglia dopo di lui, un atto di coraggio che lo avrebbe costretto a camminare sulle grucce per i tre mesi successivi. La porta di servizio si apriva su una ripida rampa di scalini d'acciaio che scendevano verso la sala delle pompe. McLeod sdrucciolò fino in fondo alla rampa, con tutto il peso caricato sulle caviglie. Keith London gridò dal buio: «Qui dentro! Qui dentro! Lui ha una...». Qualcuno lo ridusse al silenzio. Cardinal e Delorme si fermarono in cima alla rampa di scale, ascoltando i gemiti di McLeod. Ai loro piedi, la stazione di pompaggio sembrava un ammasso di tubi e valvole rosse, come un cuore gigantesco. C'era una passerella sulla destra. Delorme s'incamminò da quella parte, mentre Cardinal scendeva gli scalini. «Mi riprenderò» disse McLeod per rassicurarli. «Cercate di beccare quel bastardo.» Il chiarore grigiastro che filtrava dalla porta socchiusa rischiarava appena le tenebre. Cardinal scorse un'altra passerella al di sopra della pompa e, al di sotto, un'altra serie di scale d'acciaio che procedevano a zigzag, come in un incubo. Stava per correre verso quella rampa di scale, quando la por-
ta che dava sulla passerella si aprì e dal buio si sprigionò un lampo bianco e azzurro, intenso come un flash. Delorme fu colpita. Barcollò all'indietro, senza produrre altro rumore che il clangore metallico della Beretta caduta sulla passerella. Finché poté, avanzò verso la porta che dava all'esterno, riuscendo persino ad aprirla ancora un po', ma poi scivolò lentamente in ginocchio, aggrappandosi alla porta e sbiancando in volto. Cardinal salì i gradini tre alla volta, aspettandosi da un momento un altro lampo e un proiettile da nove millimetri che gli apriva un buco nel cranio. Aprì con un calcio la porta. Schiacciato contro la parete, Cardinal puntava la Beretta verso l'alto, con la canna rivolta in su come in preghiera. Poi girò su se stesso, si accovacciò con la pistola tesa davanti a lui. Non si notava nessun movimento. All'estremità opposta del locale c'era una porta. Lui si trovava in una specie di cucina in disuso, dove il ragazzo giaceva legato su un tavolo, con una ferita alla testa che perdeva sangue. Si protese per tastare il collo del giovane London. Il polso era lento e lui respirava in modo irregolare. Un suono di passi sul metallo. Cardinal attraversò la stanza per raggiungere l'altra porta. Ne uscì appena in tempo per vedere Fraser - poco più che una sagoma scura - mentre correva verso la porta da cui erano entrati loro. Prese la mira e sparò. Il proiettile mancò il bersaglio, rimbalzando sui tubi con un suono lacerante. Cardinal proseguì lungo la passerella, scavalcando Delorme, ancora immobile, e raggiunse Fraser proprio mentre avviava il motore, spalancando lo sportello del passeggero nell'istante in cui il furgone cominciava la discesa verso il lago. Fraser gli puntò la pistola in faccia. Il furgone urtò contro una roccia, e il colpo finì contro il tettuccio. Cardinal si lasciò cadere sul sedile del passeggero, aggrappandosi all'arma di Fraser mentre il furgone sussultava procedendo sul ghiaccio. Costrinse Fraser a puntare il braccio verso il fondo del furgone e, quando l'altro tirò il grilletto, la fiammata gli ustionò la gamba. Fraser continuò a sparare all'impazzata, cosicché gli eventi successivi si svolsero in una successione frenetica di lampi. Cardinal serrò con la mano destra la gola di Fraser, continuando a stringere con la sinistra la mano che impugnava la pistola. Fraser schiacciò l'acceleratore e, appena le ruote fecero presa, si sentirono proiettare all'indietro, ma Cardinal riuscì a inginocchiarsi sulla mano che impugnava la pistola, gravando con tutta la sua forza sul polso dell'altro. Con il destro colpì l'assassino allo zigomo, sentendo il dolore ripercuotersi lungo il
braccio. E poi regnò un silenzio terribile. Il furgone si era fermato sussultando. All'improvviso s'inclinò in avanti, sbalzando i due uomini contro il cruscotto. Nella mente di Cardinal si fece strada una realtà lampante: la ruota anteriore destra aveva sfondato il ghiaccio. «Il ghiaccio sta cedendo» gridò. «Finiremo sotto.» I movimenti frenetici di Fraser divennero ancora più folli quando il furgone s'inclinò in avanti, lasciando filtrare l'acqua nera fino all'altezza del parabrezza largo e piatto. Un breve dondolio, poi il muso scivolò più in basso e l'acqua penetrò all'interno attraverso le prese dell'aria, ferendo la pelle nei punti in cui la sfiorava, come un pugnale. Un'altra scossa in avanti. Furono inghiottiti dal buio. Mollando la presa su Fraser, Cardinal scavalcò la spalliera del sedile. Il furgone scivolava ancora in avanti, mentre lui cercava a tentoni la maniglia. Acqua nera. Spuma bianca glaciale. Cardinal riuscì a forzare lo sportello per uscire, arrampicandosi sul fianco del furgone che si stava inclinando quasi con grazia sul lato sinistro. Fraser gridava. Cardinal riuscì a tenersi in equilibrio sul fianco del veicolo che affondava lentamente. Dalla riva lo accolsero delle grida. Allora spiccò un balzo, tenendo le braccia allargate mentre le gambe sprofondavano nel ghiaccio. Il gelo gli risucchiò il respiro dai polmoni. Poi vide la faccia di Fraser attraverso lo sportello del furgone, con la bocca ridotta a una O nera mentre l'ultima ruota sprofondava nel ghiaccio, l'acqua scrosciava tutt'intorno a lui e il resto del furgone scivolava nel buio. 56 Il Dipartimento di polizia di Algonquin Bay non aveva mai goduto di tanta pubblicità. L'arresto di Dyson era ancora sulle prime pagine del Lode, che ora pubblicava una foto del foro frastagliato attraverso il quale il furgone era piombato nel ghiaccio, insieme con la notizia della morte dell'assassino di Windigo. La sera prima Cardinal, Delorme e McLeod erano finiti tutti al pronto soccorso. Quello che stava peggio era McLeod, ricoverato al secondo pia-
no dell'ospedale municipale con tutt'e due i piedi in trazione, una caviglia rotta e l'altra malamente lussata. Il giubbotto antiproiettile di Kevlar aveva salvato tanto Delorme quanto Cardinal. «Con quelle temperature» aveva detto il medico a Cardinal «in condizioni normali lei sarebbe morto. È una fortuna che il giubbotto l'abbia aiutata a trattenere il calore corporeo.» Delorme se l'era cavata con un brutto taglio al braccio sinistro. La perdita di sangue l'aveva lasciata debole e stordita, ma era sembrato superfluo praticarle una trasfusione, e così l'avevano rimandata a casa. Cardinal aveva preso un paio di Valium ed era stato trattenuto in osservazione per tutta la notte. Avrebbe voluto chiamare Catherine per raccontarle tutte le novità, ma il Valium aveva fatto effetto e aveva dormito per sedici ore di fila, svegliandosi in gran forma, a parte una sete incredibile. Ora si trovava nella sala d'attesa dell'unità di terapia intensiva, aspettando l'autorizzazione per avvicinare Keith London. Visitatori in abito invernale camminavano avanti e indietro nei corridoi insieme con i pazienti dall'aria mesta, in pigiama e vestaglia. Fuori i tetti erano bianchi di neve sotto il sole accecante, ma dal modo in cui i camini sbuffavano fumo bianco, Cardinal capì che la temperatura era scesa di nuovo sotto lo zero. Cominciò il notiziario, e apprese che Grace Legault sarebbe passata a una stazione televisiva di Toronto, senza dubbio grazie agli ottimi servizi sul caso Windigo. Il servizio continuava presentando la storia (altre immagini della stazione di pompaggio e del buco nero nel ghiaccio). Poi Cardinal restò sbalordito nel vedere una nuova cronista ferma davanti alla sua casa di Madonna Road. «Oggi l'agente investigativo John Cardinal non è in casa» esordì. «È ricoverato nell'ospedale della città per riprendersi dallo scampato annegamento nel furgone che ha trascinato con sé l'assassino Eric Fraser...» Magnifico. Ora tutti i delinquenti che ho messo in gattabuia si presenteranno alla mia porta, compreso Kiki B. Ma questo non glielo insegnano alla scuola di giornalismo, o dovunque possano reclutare questa gente? Seguiva una breve intervista con il capo Kendall di fronte al municipio, in cui R.J. spiegava che tutti gli investigatori impegnati nel caso Windigo erano in cima alla sua lista. Forse cambierai idea leggendo la mia lettera, pensò Cardinal, ma si risparmiò ulteriori riflessioni su quell'argomento quando la porta dell'unità di terapia intensiva si aprì e il medico, una donna dai capelli rossi che aveva molta fretta, riassunse in breve la situazione a suo beneficio. Sì, Keith
London era ancora privo di sensi; no, non era più in condizioni critiche. Sì, aveva subito un grave trauma cranico; no, era impossibile dire se ci fossero danni permanenti. Sì, era possibile che gli rimanessero per sempre problemi nel parlare; no, era troppo presto per fornire dati definitivi. E infine sì, Cardinal poteva entrare per qualche minuto e parlare con la sua ragazza. Nell'unità di terapia intensiva la luce era tenue. Quella mezza dozzina di letti, con i pazienti immobili e le macchine che ne consentivano la sopravvivenza, sembrava galleggiare in un perenne crepuscolo. Keith London si trovava all'estremità opposta della stanza, sotto gli occhi vigili di Karen Steen. «Agente Cardinal» gli disse «è molto gentile a farci visita.» «Per la verità speravo di fare qualche domanda a Keith, ma non si preoccupi, il medico mi ha già avvertito che è impossibile.» «Purtroppo Keith non ha detto ancora una parola, ma sono sicura che lo farà. Voglio che si riprenda e cominci a parlare prima dell'arrivo dei genitori. Sono riuscita finalmente a rintracciarli in Turchia e dovrebbero essere qui dopodomani.» «Ha un'aria molto migliore dell'ultima volta che l'ho visto.» Keith London aveva la testa bendata e il tubo dell'ossigeno fissato alle narici, ma nonostante questo il colorito sembrava buono e il respiro era forte. Una mano sottile era posata sulle coperte, e Karen Steen la teneva stretta fra le sue mentre parlava. «Il dottore sembra convinto che si rimetterà» le disse Cardinal. «Sì, grazie a lei. Non sarebbe vivo se lei non lo avesse trovato. Vorrei poterla ringraziare, agente Cardinal, ma non ci sono parole sufficienti per farlo.» «Vorrei solo che l'avessimo trovato prima.» Quegli occhi azzurri e ardenti lo fissarono. Così erano stati gli occhi di Catherine quando erano fidanzati, seri e appassionati; e lo erano ancora, quando parlava delle cose che contavano per lei, quando era davvero se stessa. «Lei è molto buono» aggiunse la ragazza. «Sì, ne sono convinta.» Cardinal si accorse di arrossire. Non gli era mai riuscito facile accettare i complimenti. «È offensivo il modo in cui ti schermisci» gli aveva detto Catherine più di una volta. «È come dire al prossimo che, se fosse più intelligente, vedrebbe le cose in modo diverso. È scortese, John, e anche molto infantile.» Karen Steen abbassò gli occhi sulla mano esile del suo ragazzo e se la
portò alle labbra in un gesto impulsivo, facendo attenzione a non spostare il tubicino collegato all'avambraccio pallido. «Io non sono più religiosa agente, ma, se lo fossi, la ricorderei nelle mie preghiere.» «Lo sa che cosa penso, signorina Steen?» Ancora una volta quegli occhi azzurri e franchi lo fissarono. «Penso che Keith London sia un giovanotto molto fortunato.» La temperatura era scesa a livelli pazzeschi. Tornando a casa, Cardinal fu costretto a ripulire in continuazione il parabrezza e il finestrino laterale. Pregustava con impazienza la dose generosa di Black Velvet che intendeva versarsi prima di andare a letto. Il battesimo del ghiaccio in cui era incappato lo aveva avvicinato a un'ispirata poetica del calore. Fermandosi a un semaforo rosso, indugiò in una visione estremamente dettagliata del fuoco che presto avrebbe acceso nella stufa a legna, della bistecca con patate fritte che avrebbe preparato per cena e soprattutto del whisky doppio che intendeva portarsi a letto. 57 Recuperare un oggetto pesante di grandi dimensioni che si trova nell'acqua a circa centoventi metri di profondità è difficile anche nelle condizioni migliori. Se poi la temperatura si aggira intorno ai venti gradi sotto zero e la superficie dell'acqua si è ghiacciata, sciolta e poi ghiacciata di nuovo, l'operazione diventa ancora più complicata. Quando il ghiaccio ritornò abbastanza solido, la guardia forestale installò un ponteggio in riva al lago, utilizzando un autocarro da dodici tonnellate munito sul retro di un rullo con alcuni chilometri di cavo d'acciaio. Poi stesero sul ghiaccio centinaia di metri di cavo, assicurandolo a un bozzello che era stato montato sopra un foro del diametro di quattro metri e mezzo. Sopra le colline lontane, il sole appariva freddo e slavato come una luna. Venti gradi sotto zero non sono una temperatura eccezionale per Algonquin Bay, ma da quando era stato esposto all'acqua gelida Cardinal era diventato ipersensibile alle basse temperature. Se ne stava immobile su una piccola banchina al di sotto della stazione di pompaggio, tremando da capo a piedi. Davanti a lui c'erano Delorme, con il braccio al collo, e Jerry Commanda, con le mani in tasca, e il loro respiro formava pennacchi bianchi sotto la brezza rigida che soffiava dal lago. Per quanto portasse mutandoni lunghi di lana sotto i vestiti e avesse addosso un piumino, Cardinal si
sentiva completamente esposto al freddo. La squadra della forestale era riunita intorno al buco nel ghiaccio. I sommozzatori, chiusi nella tuta pressurizzata, sembravano personaggi di un libro di Verne, astronauti dell'era vittoriana. Le lampade applicate sul loro casco emanavano un fioco bagliore nel riverbero della luce pomeridiana. Gli uomini misero alla prova il cavo con un paio di strattoni bruschi, poi s'immersero attraverso il buco nel ghiaccio e l'acqua nera si chiuse sopra di loro come inchiostro. «Meglio loro che io» borbottò Cardinal. «Sei stato davvero gentile a provare prima la temperatura dell'acqua, però» gli disse Jerry Commanda. «Tanti altri non lo avrebbero fatto.» Dalla collina si diffuse nell'aria un aroma di caffè e ciambelle, e tutti e tre si voltarono come cani che sentono smuovere la ciotola del cibo. Un uomo della forestale gridò loro di venire a servirsi, e non se lo fecero ripetere due volte. Cardinal divorò una ciambella al cioccolato, scottandosi la lingua con il caffè, ma non ci badò neppure. Quel calore gli trasmise un brivido di emozione. Tre quarti d'ora dopo, il cielo cominciò a incupirsi e le colline a diventare indistinte. Si udì un grido, e dal lago emerse la parte posteriore del furgone di Fraser. Lentamente comparve anche il resto del veicolo, mentre l'acqua e il fango scorrevano dalle giunture degli sportelli e dei finestrini. La squadra raddrizzò l'automezzo, tendendo gli altri cavi applicati dai sommozzatori, mentre il rullo sul retro dell'autocarro cominciava a girare. Ora le lampade sul casco dei sommozzatori splendevano come fari e qualcuno gridò loro di spegnerle. La squadra lavorava alla luce dei riflettori montati su piccoli treppiedi traballanti. D'un tratto il furgone s'inclinò di lato e il corpo di Eric Fraser scivolò per metà fuori dello sportello aperto, con l'acqua che scorreva giù da una manica nera. «Merda» disse Jerry Commanda. «Per poco non lo facevano ripiombare nel lago.» A poco a poco, con il rullo che cigolava a ogni giro, il furgone fu trainato all'indietro sul ghiaccio. Cardinal rammentava quella prima sera, quando Delorme era andata a prenderlo e avevano viaggiato sul ghiaccio come esploratori per esaminare i resti congelati di quella che un tempo era una bambina. È cominciata sul ghiaccio, pensò Cardinal, e sul ghiaccio finisce. Il corpo fu estratto dal furgone e disteso sulla banchina come un pesce. La pelle era grigia, salvo che nei punti in cui sporgevano le ossa della fronte, della mascella e del naso, che erano di un pallore incredibile. Lo esami-
nò il coroner, questa volta non il dottor Barnhouse, ma un giovanotto con il quale Cardinal non aveva mai lavorato prima di allora. Si dedicò al suo compito in modo calmo e accurato, senza le sfuriate di Barnhouse. Cardinal aveva sempre pensato che avrebbe avuto qualche osservazione significativa da fare sul cadavere di Eric Fraser, perché era un'immagine che aveva evocato più di una volta con la fantasia. Invece, guardando quel corpo fragile e ormai sconfitto, scoprì di non avere niente da dire. Sapeva che cosa avrebbe dovuto sentire: avrebbe dovuto pensare che quel mostro se l'era cavata a buon mercato, avrebbe dovuto desiderare che fosse ancora vivo, perché non potesse sfuggire alla punizione terrena. Ma tutto in quel corpo, dalla pelle chiara ai polsi sottili, diceva che era stato un essere umano, non un mostro, quindi i suoi sentimenti erano un misto di orrore e di pietà. Per qualche minuto nessuno parlò, poi fu Lise Delorme a esprimere il pensiero di tutti. «Mio Dio» disse con un filo di voce. «Mio Dio, com'è esile.» Poi il coroner diede ordine di ricoprirlo. Voltandosi, Cardinal scorse i primi fari delle auto che doppiavano la baia. Fra poco sarebbe stata l'ora di punta. Grazie a Dio erano riusciti a completare l'operazione senza troppi spettatori. Per quanto si facesse, però, ce n'era sempre qualcuno, quindi non restò sorpreso quando, voltate le spalle al corpo di Eric Fraser per risalire il pendio verso la sua auto, vide una figura solitaria - una donna insignificante di bassa statura - ferma sul ciglio della strada per guardare quello che accadeva in fondo alla discesa, stringendo un fazzoletto nella mano guantata, come per asciugarsi le lacrime. 58 Cardinal era stato così preso dal caso Pine-Curry che ora non riusciva a pensare ad altro. Le ore trascorrevano a fatica e il pensiero del futuro lo rendeva depresso e ansioso. Una parte di lui avrebbe voluto parlare con Catherine, mentre un'altra temeva quel momento, almeno finché non fosse tornata a casa dall'ospedale. Nell'arco di un solo pomeriggio aveva sostituito un vetro rotto, sbrinato il frigo, fatto il bucato e riparato il tubo dell'acqua calda. Ora si trovava in garage, per tappare il buco che permetteva ai procioni di frugare nella spazzatura. Aveva tagliato un pezzo di compensato della misura giusta, e ora doveva sostituire quello vecchio ormai marcio.
Era tormentato dall'ansia. Il capo era a Toronto per una riunione, ma senza dubbio lo avrebbe chiamato presto. Cardinal capì che si stava dedicando a quei lavori manuali soprattutto per tenere a bada il panico. Si sentiva sull'orlo del precipizio, e il futuro gli sembrava una pista che si perde all'improvviso nei boschi. E il resto del denaro, appena sufficiente per l'ultimo semestre di Kelly? Che farne, adesso? Restituirlo a Rick Bouchard? Era stato condannato soltanto per traffico di droga, ma la lista delle sue attività era lunga e comprendeva aggressioni, violenza sessuale, rapina aggravata e almeno un tentato omicidio. «Rick Bouchard» ripeteva spesso il suo tenente a Toronto «è un depravato semianalfabeta. All'inferno dovranno costruire un reparto speciale per ospitarlo.» Mentre era intento a installare la nuova tavola di compensato, Cardinal scoprì che non se la sentiva di chiudere fuori i procioni. Se quella era la loro unica fonte di cibo e di calore, tappando il buco li avrebbe condannati a morte. Aprì invece uno sportellino nel pannello che stava montando e vi applicò dei cardini, costruendo una porta per consentire l'accesso ai procioni. Buona idea, Cardinal. Questa sì che è una bella trovata. Se fosse stato ancora lì in estate, avrebbe chiuso quel foro. Se fosse stato ancora lì. Sembrava sempre meno probabile. Aveva lavorato dieci anni al Dipartimento di polizia di Algonquin Bay. Qualunque impiego avesse trovato, ammesso che ci riuscisse, e ammesso che fosse a piede libero per poter lavorare, difficilmente gli avrebbe permesso di pagare l'ipoteca, per non parlare del riscaldamento. Rientrò in casa per prepararsi una tazza di decaffeinato. Era venuto il momento di distrarsi dai suoi problemi per dedicarsi a placare l'angoscia dei genitori di Billy LaBelle. Ora che Fraser era morto, le probabilità di trovare i resti del figlio sembravano molto remote. I LaBelle avevano scritto una lettera al Lode protestando perché la polizia aveva ucciso l'assassino invece di catturarlo. Come avrebbero fatto a trovare pace? Delorme e Cardinal si erano divisi la cassa di libri e documenti che avevano trovato nella stanza di Fraser. Cercavano appunti, cartine, qualunque cosa potesse fornire un indizio sul punto in cui era stato sepolto il corpo di Billy LaBelle. C'erano libri pornografici di argomento sadomasochista in edizione economica, dalle copertine vistose, insieme a parecchie opere del marchese de Sade, fitte di sottolineature. Cardinal sfogliò un'enciclopedia di strumenti di tortura, poi un volume sui martiri e sui loro tormenti. Il contenuto di quei libri lo disgustava, senza che riuscisse a trovare niente di
utile. Esaminò l'ultima pila che restava. In mezzo alle edizioni economiche ce n'era una rilegata dei Racconti di Canterbury di Chaucer. A Cardinal sembrava di ricordare che alcune di quelle storie fossero piuttosto salaci, ma anche così Chaucer sembrava lontano anni luce dagli interessi di Eric Fraser. Il telefono squillò e, dopo aver cercato l'apparecchio come al solito, Cardinal sentì la voce di Lise Delorme che gridava ad Arsenault di stare zitto. «Sembra che laggiù regni il caos» le disse. «Sai com'è, quando non c'è nessuno che comanda. Non vedo l'ora che torni R.J. per riportare l'ordine.» «Sto cercando di immaginare dove può aver seppellito Billy LaBelle. Perché non vieni qui ed esaminiamo questa roba insieme, scambiandoci qualche parere?» «Mi sembra una buona idea. Qualunque cosa, pur di allontanarmi da Arsenault. Quell'uomo non sta più nella pelle per l'entusiasmo.» «Perché? Che cosa succede?» «John, non ci crederai. Sei seduto?» «Che cosa sta succedendo, Lise?» «Hanno trovato un'altra serie di impronte nel furgone di Fraser. Dappertutto. Dalla parte del passeggero, sul volante, nel retro. Sono di qualcuno che è stato spesso in quel furgone. E senti questa, John. Hanno trovato l'arma del delitto. Siamo sicuri al novanta per cento che si tratta del martello che ha ucciso Todd Curry, e anche qui c'è una seconda serie di impronte.» «Oh, mio Dio, quel figlio di puttana aveva un aiutante.» «Erano in due, John. In due.» Mentre lui assimilava l'informazione, la linea restò silenziosa. Sentiva persino il respiro di Delorme. Infine le chiese: «Che cosa hanno risposto dall'archivio?». «Niente. Finora non abbiamo nessun indizio sull'identità di quest'altro individuo. Potrebbe essere chiunque. Ho già chiamato Troy e Sutherland. Non hanno mai visto Fraser in compagnia di qualcuno.» «Be', allora perché non vieni qui a controllare questo materiale con me? Forse troveremo qualche indizio.» Delorme promise di mettersi in viaggio di lì a qualche minuto. In due, pensò Cardinal. Come mai non ci aveva pensato prima? Ma perché avrebbe dovuto pensarci, del resto? Chi poteva aspettarsi che ci fosse-
ro due assassini a piede libero ad Algonquin Bay nello stesso momento? Ecco perché il profilo degli esperti era così confuso: perché descriveva l'operato di due menti, non di una sola. Prese il volume di Chaucer dalla pila dei libri di Fraser. In due. Riepilogò dentro di sé tutto il materiale relativo al caso, cercando di ricordare se c'era stato qualche altro indizio. Non avevano trovato altre impronte sulla scena del delitto, né altri capelli. Il libro di Chaucer gli sembrava stranamente leggero. Sfogliò le pagine e scoprì che qualcuno, non molto abile, aveva usato un rasoio per ricavare un vano rettangolare all'interno del libro, un rettangolo che misurava all'incirca diciotto centimetri per dieci. All'interno di quel rettangolo, imbottito di carta velina per renderlo più stabile, qualcuno aveva nascosto una videocassetta senza etichetta. Tenendola con cura per gli angoli, Cardinal inserì la cassetta nel videoregistratore e lo schermo s'illuminò di neve elettronica. Forse non era niente, si disse. Poteva essere anche vuota, oppure una cassetta pornografica ordinata per posta. Ma in tal caso perché nasconderla con tanta cura? Cardinal afferrò il telecomando e si fermò al centro del soggiorno, in piedi, con le braccia incrociate sul petto, in attesa che lo schermo si liberasse. Con un bagliore, diventò nero. Per un attimo pensò che il nastro si fosse interrotto, ma poi prese forma un'immagine confusa: un divano, e alle spalle del divano un dipinto scuro appeso alla parete. Cardinal riconobbe il quadro. Stava guardando il salotto di casa Cowart, dove era stato assassinato Todd Curry. Come per rispondere al suo invito, Todd Curry comparve sullo schermo, entrando in scena di lato e sedendosi sul divano. «Mi state già riprendendo?» domandò a qualcuno che era fuori dell'inquadratura. Il sonoro era ancora peggio delle luci. Una voce gli rispose, ma senza che si sentissero le parole. Si accesero le luci, e Todd Curry socchiuse gli occhi sotto un riverbero abbagliante, bevendo nervosamente da una bottiglia di Heineken. «Todd Curry» disse Cardinal a voce alta. Bloccò l'immagine con il telecomando proprio mentre il ragazzo sollevava la bottiglia per brindare. In quella luce cruda sembrava un coniglio sorpreso dai fari di una macchina, circondato dalle tenebre. «Todd Curry» ripeté Cardinal. «Povero piccolo idiota.» Si rammentò dei resti rannicchiati in quella carbonaia, con i jeans calati intorno alle ginocchia. Se solo avesse potuto premere il pulsante dello stop e impedire che la sorte di quel ragazzo si compisse... Invece avviò nuovamente il nastro e il ragazzo bevve la birra.
La voce parlò di nuovo dallo sfondo, con un suono metallico dovuto alla distanza. «Dì qualcosa» gli ordinò. Il ragazzo ruttò, con aria imbarazzata. «Per esempio?» Cardinal tentò di aumentare il volume, invece per errore azzerò l'audio. In quel momento gli giunse dall'esterno il rumore di uno schianto terribile, lo stridio del metallo che si accartocciava e un clacson che suonava, azionato da qualcuno che aveva battuto la testa contro il volante. Dalla finestra sul davanti vide che una piccola auto si era schiantata contro le betulle, poco più avanti del vialetto di accesso di casa sua. Il danno non sembrava neanche lontanamente grave come aveva creduto dal rumore. Non si curò neppure di mettere il cappotto. Scese a precipizio i gradini dell'ingresso e, quando raggiunse la macchina, una donna era già uscita barcollando dal posto di guida e farfugliava in modo incoerente. «Degli uomini. Aiutatemi. La prego, mi aiuti.» «Si sente bene? È sicura di poter camminare?» La donna si portò una mano alla testa, voltandosi di qua e di là, in preda a una terribile confusione. «Degli uomini. Erano in tre. Mi hanno violentata. Hanno detto che mi avrebbero ucciso.» Cardinal le passò un braccio sulle spalle, aiutandola a raggiungere la casa. «Venga dentro.» L'aria gelida penetrava attraverso il maglione come una lama d'acciaio. La donna lo seguì incespicando, a testa bassa, ormai in lacrime. «Mi hanno costretta, mi hanno costretta. Oh, mio Dio. Chiami la polizia, per favore.» «Va tutto bene, sono un poliziotto.» La fece entrare in casa e la guidò con delicatezza verso una poltrona vicino alla stufa. Poi prese il telefono e chiamò il 911. Ci misero un'eternità a rispondere. Mentre aspettava, Cardinal notò altri dettagli della donna: il piumino verde, lo squarcio sul lato della testa, una brutta forma di eczema. La ferita alla testa aveva un aspetto orribile; il livido si era formato terribilmente in fretta, e lui si domandò se non fosse in atto un'emorragia interna. Finalmente il 911 rispose. «Sì, parla l'agente investigativo John Cardinal. È la polizia di Algonquin Bay? Mi serve un'ambulanza qui al numero 425 di Madonna Road. Una donna, fra i venti e i trent'anni... stupro, trauma cranico, non so che altro.» L'operatore gli disse di attendere. «Lei è l'eroe, non è vero? Quello del caso Windigo? L'ho vista in tv.» La donna era curva in avanti, come se fosse ferita allo stomaco, e lo guardava in modo strano. Alle sue spalle, il televisore era tornato alla vita, ma senza
il sonoro. In primo piano si muoveva una sagoma scura. «Può ripetere l'indirizzo?» «Numero 425, Madonna Road. Imboccate la Trout Lake Road fino a Pinehaven, è la seconda a destra dopo Four Mile Road. Non potete sbagliare, c'è un'auto finita per metà fuori strada proprio qui davanti.» Cardinal coprì il microfono con la mano per parlare con la donna. «Quella che guida è una Pinto, vero? La sua macchina?» «Cosa? Sì, una Pinto.» «Una Pinto grigia» ripeté Cardinal al telefono. «Non vi può sfuggire.» «Io l'ho vista in tv» ripeté la donna, oscillando leggermente sulla poltrona come se fosse ubriaca, anche se Cardinal non aveva sentito odore di alcol. Dietro di lei, sullo schermo televisivo, qualcuno si era seduto vicino a Todd Curry. Era una donna, e la luce impietosa faceva scintillare la sua pelle rovinata. Ora la donna di fronte a lui alzò la mano per toccarsi delicatamente il viso, sfiorando con le dita la superficie irregolare e screpolata della guancia. Cardinal tentò di mantenere un'espressione neutra. Non sa che io so, si disse. Si è ubriacata per poter venire qui a minacciarmi, ma non sa ancora che io so. «E ora chi vuole chiamare?» domandò bruscamente la donna. «Il comando. Voglio che venga qualcuno a prendere la sua deposizione. Non si preoccupi, abbiamo una specialista per i casi di stupro, una donna.» Può capirlo dalla mia voce? Può intuire che so? Cardinal cominciò a comporre il numero, ma la donna estrasse una pistola dalle pieghe del piumino e gliela puntò in faccia, dicendo: «Non credo che la sua intenzione sia questa». Lui abbassò il telefono, alzando subito dopo le mani. «D'accordo, non sono armato, vede? Ora stia calma.» Sullo schermo del televisore, entrò in scena Fraser, allontanando bruscamente la donna da Todd Curry che alzò le mani, fingendosi sorpreso. «Seguivate un copione?» le domandò Cardinal. «Le mosse erano prestabilite?» La donna si girò, seguendo la direzione del suo sguardo. «Quello è Eric» disse a bassa voce. «Il mio Eric.» Cardinal avanzò in modo quasi impercettibile verso l'armadio, verso lo sportello socchiuso dove teneva la Beretta nella fondina appesa. «Non si muova.» «Si rilassi, non mi muovo, non vado da nessuna parte.» Cardinal usava il
tono più gentile e meno minaccioso che poteva. Sullo schermo, Fraser afferrò un martello che doveva essere posato sullo schienale del divano, pronto per l'uso. Brandì il martello, gridando qualcosa a Todd Curry. Calò il martello, e il ragazzo spalancò la bocca, mentre tutti i muscoli facciali si allentavano. Fraser lo colpì ancora e poi ancora. La donna si era spostata dietro il divano, alle spalle del ragazzo, e gli ravviava all'indietro i capelli insanguinati. Lo tirava indietro per i capelli, in modo da esporlo meglio ai colpi, mentre Fraser lo uccideva. «Non era niente» disse la donna a Cardinal. «Soltanto un rifiuto raccolto dalla strada.» Prese il telecomando dal sedile della poltrona e riavvolse il nastro. Sullo schermo l'azione si svolse a ritroso. Fraser allontanò lo stivale dalle costole di Todd Curry e il ragazzo si rialzò sul divano. La forza gli affluì di nuovo alle membra molli. La donna lasciò andare i capelli e tornò a sedersi vicino a lui. Ora il martello cancellava l'effetto dei suoi colpi, risucchiando il delitto. Il sangue veniva riassorbito dal naso del ragazzo; le lacrime scarlatte rientravano negli occhi. Todd abbassò le braccia, che tornarono intatte. Il terrore cedette il posto allo stupore e, con un ultimo guizzo di comicità, il martello cancellò ogni dolore e choc dal viso di Todd Curry, che si raddrizzò sul divano scoppiando a ridere. Cardinal si avvicinava all'armadio spostandosi impercettibilmente all'indietro. «Perché non mi spiega com'è andata? Eric l'ha costretta ad aiutarlo? È andata così?» La donna si alzò. «Eric non mi ha mai fatto fare niente che non volessi. Eric mi amava. Riesce a capirlo questo? Mi amava. Il nostro era un amore speciale, migliore di quelli che si leggono nei libri. Ed era reale, trascendeva il tempo e lo spazio, ammesso che lei sia in grado di capirlo... Ma no, non credo.» «Me ne parli, allora. Mi aiuti a capire.» Era nella posizione giusta, con le gambe leggermente piegate, la mano sinistra stretta sul polso della destra. Prese la mira. Cardinal stava per raggiungere l'armadio. Cominciò ad alzare le mani, per mostrarle che erano vuote. La donna abbassò l'arma con un'espressione stravolta, come se non vedesse Cardinal, o la scena che aveva davanti agli occhi, ma qualche altro luogo distante che ricordava. Poi gli occhi tornarono limpidi, e gli sparò. Il proiettile penetrò nell'addome di Cardinal, poco più giù dell'ombelico.
Lui cadde con un ginocchio a terra, come se volesse genuflettersi. Un istante di tregua, e poi fu come se le sue viscere fossero in fiamme. Cadendo, si raggomitolò sul fianco. La donna avanzò in fretta di due passi, guardandolo dall'alto. Il suo viso rimase inespressivo, senza un sorriso o una smorfia. «Che cosa si prova?» gli chiese con calma. La porta dell'armadio era distante tre passi, ma era come se fossero venti. La donna sovrastava Cardinal, sempre con la rivoltella in pugno, tenendosi alla larga dalle mani e dai piedi dell'uomo. L'unico pensiero di Cardinal era l'armadio, ma non riusciva neanche ad alzarsi sulle ginocchia. «Che cosa si prova?» gli chiese di nuovo lei. «È una bella sensazione? Mi dica quello che sente.» Cardinal sentiva se stesso piangere. Non capita spesso di sentire un uomo adulto piangere così. Si ricordava un incidente stradale sulla soprelevata, un uomo con un pezzo di alluminio conficcato nel ventre che lo inchiodava al sedile. Anche lui aveva pianto così. Il sangue gli scorreva ardente sulla mano. Lui tentò di tenere insieme le viscere, mentre si sforzava di raddrizzarsi sulle ginocchia. La donna indietreggiò. Due passi fino all'armadio. Due passi, poi un balzo e avrebbe impugnato la Beretta. Tentò di strisciare in avanti, ma il braccio non lo sorreggeva. La donna si avvicinò. Gli appariva rovesciata, un effetto ottico che il suo cervello, mezzo accecato dal dolore, non riusciva a decifrare. «È un colpo al ventre» gli disse. «Ci vogliono secoli per morire, con un colpo così. Che gliene pare?» Stava prendendo di nuovo la mira, puntando di nuovo al ventre. Cardinal disse: «Oh, cazzo» o qualcosa del genere, e alzò una mano per fermarla, con un gesto patetico. Stavolta non sentì lo sparo. Il proiettile gli attraversò la mano prima di colpirlo al ventre. La stanza divenne bianca, poi a poco a poco tornò a fuoco, come una foto nella bacinella dello sviluppo. Cardinal non riusciva a ricordare dove fosse quello che aveva cercato di raggiungere. Che cos'era che stava cercando? Perché era tanto importante? La donna parlava, ma lui non riusciva a distinguere le parole a causa del dolore. Ancora quattro? Era questo che diceva? Ne ho altre quattro per te? Le parole si allineavano nella sua testa senza acquistare un senso compiuto. Altre quattro da dove sono venute quelle, ecco che cosa dice. Che ha altre quattro pallottole nella pistola da dove sono partite quelle.
La pistola ondeggiava sopra di lui. Cardinal si rannicchiò sul fianco, come se potesse deviare la pallottola successiva con una costola. Poi si sentì come un boato, e qualcosa di pesante colpì la gamba di Cardinal. La pistola era caduta dalle mani della donna. Lui aprì gli occhi. Il petto della donna era coperto di sangue. Lei aveva alzato di scatto la testa, come se avesse sentito qualcuno chiamarla da lontano. Una mano salì fino alla ferita sul petto, sfiorandola, e il viso della donna si contrasse in un'espressione irritata, come se prevedesse di pagare un conto salato per la tintoria. È morta, pensò Cardinal. È morta e non lo sa ancora. La donna si accasciò sopra di lui, con i seni schiacciati sul suo fianco. Poi Lise Delorme s'inginocchiò su di lui, parlando con il tono consolante che lui stesso aveva usato con le vittime di tanti terribili incidenti. Andrà tutto bene, tieni duro, non mollare proprio adesso. Quanto mai vano. Ma Delorme aveva in mano qualcosa di bianco - la federa di un cuscino, o la fascia che le tratteneva il braccio ferito? - e lo stava lacerando con molta efficienza per ricavarne strisce. 59 L'unità di terapia intensiva dell'ospedale Saint Francis è molto più severa di quella dell'ospedale municipale, dov'era confinato Keith London. Al Saint Francis vige una regola severa: niente visite, se non quelle dei parenti stretti. Ma allora come mai, si chiedeva Cardinal - per quanto istupidito dagli analgesici -, come mai erano entrati nella sua stanza Arsenault e Collingwood? Sì, Arsenault e Collingwood, e poi si era presentata anche Delorme, di nuovo con il braccio appeso al collo. Cardinal avrebbe dovuto rimproverarla per non aver usato la posizione corretta, per non aver impugnato la pistola come si deve. Lei gli aveva mostrato una busta sigillata, con aria molto seria e grande sfoggio di segretezza. Cardinal sapeva che era un gesto molto significativo, ma era in balia di un'altalena che gli impediva di collegare i pezzi fra loro. La scrittura sulla busta era senz'altro la sua, ma perché aveva scritto al capo? E come diavolo aveva fatto McLeod a venire lì? Non era in trazione? Era entrato nella stanza saltellando e si era avvicinato al letto, camminando con le grucce, per mostrargli la calza sudicia che copriva l'ingessatura, o
comunque si chiamasse quell'arnese di plastica che si usava invece dell'ingessatura. McLeod aveva turbato gli altri visitatori con il suo linguaggio, ed era stata chiamata la caposala, che non era affatto soddisfatta. Era venuta anche Karen Steen, la gentile, adorabile Karen Steen, portando con sé ringraziamenti e sollecitudine che avevano agito su di lui come un balsamo. Gli aveva regalato un orsacchiotto con il berretto da agente di polizia, ancora impregnato del suo profumo. Dalla visita della signorina Steen lui aveva appreso che Keith London era uscito dalla terapia intensiva e i medici dell'ospedale municipale sostenevano che era in via di guarigione. Ormai era cosciente e parlava, sia pure lentamente, aveva detto la signorina Steen; ma non ricordava niente dei fatti relativi alla sua ferita, e lei sperava che non recuperasse mai la memoria. Oppure era stata Delorme a portare l'orsacchiotto? A volte, sotto l'effetto del Demerol, aveva l'impressione che l'orso gli parlasse, ma sapeva che non era vero. No, no, era stata la signorina Steen a portare l'orsacchiotto. Delorme era analitica, non amava i sentimentalismi. «Lei deve provenire da una famiglia numerosa, signor Cardinal.» Glielo aveva detto la giovane infermiera venuta a praticargli un'iniezione. Era una scioccherella, con un vuoto fra i denti e un'infinità di lentiggini. «La mia famiglia? La mia famiglia non è tanto... Ahi!» «Mi dispiace. Ecco fatto. Se resta girato sul fianco per un minuto, sistemo tutto.» Stava rassettando il letto, agitando le lenzuola come bandiere. «Certo che quel tizio con i capelli rossi è davvero sboccato» aggiunse. «Fortuna che ha mandato dei fiori alla caposala. Forse potrà persino tornare.» Rigirò Cardinal dall'altra parte, poi lo sollevò e lo mise a sedere, il tutto con la forza disinvolta di una professionista, facendogli soffrire le pene dell'inferno. «Non le somiglia molto, però, con quei capelli rossi. Non avrei mai pensato che foste fratelli.» I farmaci assorbivano il dolore come se fosse inchiostro. Scivolò in un sonno denso di sogni e si svegliò allegro. Al di sotto di quella patina superficiale percepiva un'ansia sempre in agguato, un'ombra che assumeva consistenza nella nebbia. Scivolò di nuovo nel sonno. Sognò che Catherine era uscita dal suo ospedale per venire a trovarlo. Vegliava su di lui come un angelo custode, ma quando si svegliò nel cuore della notte non trovò nessuno, soltanto il bip delle macchine e la pulsazione nel suo ventre e, in fondo alla corsia, qualcuno che ridacchiava. «Non mi sarei mai aspettata che fosse una donna» diceva Delorme. «È vero, lo sappiamo tutti che un giorno o l'altro ci si può trovare costretti a
sparare a qualcuno. Che si può essere costretti a sparare per salvare una vita. Ma quanti sono i poliziotti che uccidono una donna, John? Continuo a ripetermi che era un'assassina, ma sto male lo stesso. Non riesco a dormire, non riesco a mangiare.» Delorme continuò su quel tono per qualche minuto, e lui la lasciò dire; era contento che fosse venuta. Gli spiegò chi era la donna e dove viveva, aggiungendo che avevano trovato la nonna quasi morta di fame nella stanza al piano di sopra. Gli spiegò che allora si era accorta di aver già visto Edith Soames, quando seguiva quella pista del CD dato in prestito dalla biblioteca. Sull'orlo delle lacrime, si lamentò del fatto che, se solo fosse stata un po' più sveglia, avrebbe portato Edith Soames alla centrale per interrogarla. Nonostante l'effetto dei medicinali, Cardinal si rammentava che quella pista era inconsistente come un'ostia, ma Delorme non voleva saperne di farsi consolare: avrebbero potuto salvare la vita di Woody, padre di un bambino. Cardinal si informò sulla perquisizione in casa Soames. «Hanno ucciso Katie Pine mentre la nonna era nella sua stanza al piano di sopra. È in quella casa che hanno registrato la cassetta. Lo sai la prima cosa che ho sentito quando siamo entrati? Il rintocco di un orologio sulla mensola del camino, proprio come quello sul nastro.» «Sul serio? Avrei voluto esserci anch'io.» Gli disse che cosa avevano trovato: una pistola, una lista e il diario di Edie Soames. «Un diario? Dovrò dargli un'occhiata.» «È strano» osservò Delorme. «Voglio dire, è strano quanto sia normale. Potrebbe essere il diario di una ragazza qualsiasi, pieno di trucchi, pettinature e dichiarazioni d'amore al suo ragazzo. Ma nel diario parla anche di Billy LaBelle. Hanno ucciso anche lui.» «Dice che cosa ne hanno fatto del corpo?» «No, ma abbiamo trovato qualcos'altro: una macchina fotografica, con alcune foto scattate davanti alla casa dove Todd Curry è stato ucciso. E un'altra con l'isola di Windigo sullo sfondo. E poi questa, vicino al lago artificiale.» La tirò fuori per fargliela vedere: un'immagine di Edie Soames che faceva l'angelo sulla neve. Cardinal non riusciva a metterla bene a fuoco. «È vicino al punto in cui hanno trovato il corpo di Woody, a circa ottocento metri. Ed è anche vicino alla stazione di pompaggio.»
«Come puoi dirlo? Potrebbe essere un posto qualsiasi.» «Lo pensavo anch'io, ma guarda il pilone della Hydro nell'angolo.» «È un numero quello lì sopra? Si vede appena.» «Sì, è un numero. L'Hydro ci ha indicato la posizione esatta.» Gli strinse la spalla. «Penso che sia lì che hanno sepolto Billy LaBelle.» «Dovremmo mandare subito una squadra per scavare.» «Sono già lì. È la mia prossima tappa.» «È vero, avevo dimenticato quanto sei in gamba» disse Cardinal, lottando contro il sonno. Voltandosi sul fianco, vide l'orsacchiotto con il berretto da agente. «Grazie per l'orso, Lise.» «Non sono stata io a regalartelo.» Delorme tornò più tardi. Forse era lo stesso giorno, forse il successivo, lui non ne era sicuro. Lise aveva un'aria pallida e stanca; era appena tornata dalla visita fatta ai genitori di Billy LaBelle per informarli che il corpo del figlio era stato ritrovato. «È stato orribile» gli confidò. «Non so se sono tagliata per la Omicidi, dopo tutto.» «Sì che lo sei. Un altro poliziotto forse non avrebbe trovato il corpo. E ora i LaBelle sarebbero costretti a domandarsi per tutta la vita che cosa ne è stato del figlio. Per quanto orribile sia, almeno adesso potranno mettersi l'anima in pace.» Delorme tacque per alcuni secondi, poi si alzò per andare alla porta e controllò il corridoio prima di tornare vicino al letto. Estrasse una busta dalla borsetta. «L'altra volta non hai capito. Eri troppo stordito.» «La mia lettera per R.J. Cristo, Delorme, come facevi a saperlo?» «Ho cercato nel tuo computer. Mi spiace, ma quel giorno che hai avuto quell'intuizione riguardo al braccialetto di Katie Pine ho sbirciato quello che stavi scrivendo. O meglio, ho visto che era una lettera indirizzata al capo. Lui non l'ha mai vista, John. Si è trasferito temporaneamente nell'ufficio di Dyson e la sua posta... be', sono arrivata prima io. Verrà a trovarti più tardi. È preoccupato per te.» «Non avresti dovuto farlo, Lise. Se al processo qualcosa dovesse trapelare...» «Non ci sarà nessun processo. Sono morti entrambi, non ricordi?» «Lise, stai rischiando la carriera.» «Non voglio che un buon poliziotto perda il lavoro. È stata una situazione particolare, e poi eri sottoposto a una pressione incredibile. Non è che tu facessi parte di una squadra di agenti corrotti che seminavano il terrore
nelle strade. Ci ho riflettuto, John. Condannarti farebbe più male che bene, questa è la semplice verità. E poi, Toronto non è nella mia giurisdizione, ricordi? Nessuno mi ha chiesto di indagare su Toronto.» «Ma ora dovrò ricominciare daccapo.» «No, non devi. Non devi pensarci mai più.» Ma lui sapeva che lo avrebbe fatto, appena fosse svanito l'effetto dei farmaci, appena fosse tornato a casa, appena si fosse svegliato nel cuore della notte. Non appena fosse riuscito a pensare a qualcosa di diverso dal foro alla mano e dai buchi nelle viscere, avrebbe dovuto affrontare il rimorso di quel crimine lontano. Non si sarebbe mai dileguato come per magia. Era quella la sagoma che si profilava nella nebbia. E poi, R.J. non era il solo a cui aveva scritto. La mattina dopo, Cardinal si svegliò in una stanza diversa di una corsia diversa. Dalle finestre entrava il sole, lo sentì prima ancora di aprire gli occhi. La luce, intensificata dai vetri, gli scaldava il braccio. Era una sensazione piacevole, che sapeva di salute. Se ne stava lì disteso a crogiolarsi in quella sensazione, come un gatto. Cominciò a stirarsi, ma i punti al ventre gli fecero cambiare idea. Subito dopo si accorse che qualcuno lo teneva per la mano. Era una mano piccola, calda e vellutata. «Come sta il mio dormiglione?» «Catherine?» «Temo proprio di sì, tesoro. Mi hanno dimessa.» Catherine era seduta sulla sponda del letto, per nulla simile a un angelo custode. I suoi occhi non erano pozze serene di certezza; ma schivi e ansiosi. Lui notò il leggero rilassamento della palpebra sinistra, dove i farmaci si rifiutavano di mollare la presa. Ma almeno l'agitazione si era placata, non c'erano movimenti irrequieti e la mano che stringeva la sua era tranquilla. «No, non sono più mentalmente disturbata. Ora viaggio a litio, come la navicella spaziale Enterprise. Mi dispiace. Non trovi che abbia un sapore intergalattico?» Portava il basco che le aveva regalato lui. Era un gesto così insignificante, eppure non riusciva a trovare le parole per dire quanto lo commuovesse. «Hai un aspetto magnifico» fu tutto quello che riuscì a dire. «Anche tu non stai troppo male, soprattutto se penso che hai rischiato di annegare e ti hanno sparato due volte.» Seguì una pausa di silenzio, mentre si tenevano per mano, tentando di
trovare parole che li aiutassero a riprendere insieme la strada per imparare di nuovo a conoscersi. «Hanno mandato a casa una gran quantità di fiori, e anche biglietti.» «Sì, sono stati tutti straordinari.» «C'è stata anche una consegna a domicilio. Era un tale con una benda nera su un occhio, un tipo massiccio, che sembrava molto preoccupato per te. Ho portato con me il biglietto.» Dalla borsa a tracolla tirò fuori un grosso biglietto floreale di Hallmark. Sotto la sdolcinata frase di auguri c'era scritto: "A presto, Rick". «Un tipo molto premuroso, Rick.» Dopo una pausa, Cardinal aggiunse: «Vedo che non hai ricevuto la mia lettera». «Sì che l'ho ricevuta, e anche Kelly. Ma non è il caso di parlarne proprio adesso.» «E Kelly come l'ha presa?» «Puoi chiederglielo tu stesso. Sta tornando a casa.» «È in collera, vero?» «Per il momento è soprattutto preoccupata per te, ma credo che sarà anche in collera, sì.» «L'ho fatto veramente, Catherine. Mi dispiace tanto.» «Anche a me. Sì, certo.» Distolse lo sguardo, riflettendo sul modo migliore di esprimersi. Fuori, i passeri si sparpagliarono come una manciata di semi lanciati nel cielo azzurro. «Sono triste per il fatto che hai commesso un'azione sbagliata, John. Non che pensi male di te, naturalmente. E sono triste per la sofferenza che deve causarti. Ma una parte di me... So che può sembrarti strano, John... John! È meraviglioso poter pronunciare di nuovo il tuo nome e sapere che non è solo nella mia testa, e starti vicino! Ma a parte questo, una parte di me è felice anche per un altro motivo. Felice che tu abbia fatto qualcosa di sbagliato.» «Catherine, non dirai sul serio. Di che cosa parli?» «Non hai mai capito, vero? Quello che non capisci - e come potresti? quello che non puoi capire è che, per quanto sia pesante per te occuparti di me, dovermi sorvegliare come una bambina, doverti preoccupare di ospedali e incidenti e dove sarà finita questa volta... per quanto tutto questo possa essere gravoso, penso che lo sia di gran lunga di più essere la persona che viene sempre assistita. Essere quella che rappresenta un fardello. Sapere di essere una perdita secca, per così dire.» «Oh, Catherine...» «Quindi, vedi, il fatto che tu abbia commesso un'azione sbagliata, molto
grave, che tu abbia messo a repentaglio tutta la nostra vita, è... be', sto facendo un lungo giro di parole solo per dirti che è piacevole sentirsi necessaria. Avere la possibilità di essere la più forte, tanto per cambiare.» Il medico entrò facendo un gran chiasso, distribuendo con voce stentorea saluti e domande. «No, no, può restare» disse rivolto a Catherine, che stava per andarsene. Proiettò un raggio di luce nelle pupille di Cardinal, gli chiese di mettersi a sedere e lo costrinse persino a camminare per alcuni passi, aggrappato alle sbarre del letto come un vecchietto, in preda a dolori atroci. «Al diavolo, dottore, io me ne torno a letto.» Il medico stava scarabocchiando qualcosa sulla cartella. «In realtà non ce n'era bisogno. Volevo solo vedere se le faceva male come pensavo. Va benissimo così, ma ci vorranno dalle quattro alle sei settimane per far rimarginare le ferite. I proiettili hanno rimbalzato letteralmente di qua e di là nelle sue viscere.» «Sei settimane!» «Le farà bene.» A beneficio di Catherine, il medico drizzò di scatto il pollice esclamando: «Che eroe, non è vero?». Poi lasciò ricadere la cartella sul fondo del letto e se ne andò chiassosamente, così come era entrato. «Con il senso dell'umorismo che si ritrova potrebbe fare il poliziotto» mormorò Cardinal, con la fronte coperta di sudore. «È meglio che vada» mormorò Catherine. «Sei più bianco del lenzuolo.» «Non andartene, ti prego.» E così Catherine rimase, vegliandolo come aveva fatto nel sogno. Cardinal chiuse gli occhi. Avrebbe voluto chiederle se era disposta a restare con lui, nonostante quello che aveva fatto, se poteva ancora vivere con lui ed essere felice. Ma i farmaci formavano un cuscino soffice nella sua testa: sentì il sonno posarsi leggero sulle braccia, sulle gambe e sulla fronte. Aprendo gli occhi, vide Catherine al suo fianco, con gli occhiali, intenta a leggere un libro che si era portata per passare il tempo. Velate dalla cortina delle palpebre, le pareti verde chiaro si tramutarono in alberi verde chiaro. Le voci nel corridoio divennero versi di animali nascosti, e la porta si spalancò su un fiume dalla corrente impetuosa. Cardinal sognò che erano in viaggio. Sognò che lui e Catherine navigavano su un fiume, un fiume del Sud, circondato dalla vegetazione, che lui non aveva mai visto prima d'allora. Catherine, a prua della canoa, pagaiava, mentre lui reggeva a fatica il timone. Il sole era quello giallo e luminoso dei disegni dei bambini. La canoa era verde bottiglia, e ridevano.
Ringraziamenti Desidero esprimere la mia riconoscenza a tutti coloro che hanno letto le versioni iniziali del romanzo, suggerendomi numerosi tagli e miglioramenti, oppure mi hanno aiutato in qualche altro modo: Bill Booth; Anne Collins, la mia editor alla Random House Canada; mia moglie, Joanna Eggebeen; il mio agente, Helen Heller; Linda Sandler; il sergente Rick Sapinski, del Dipartimento di polizia di North Bay; e la mia editor alla Putnam, Marian Wood. Sono grato a tutti loro. FINE