Alfred E. Van Vogt NON - A 3 : EPILOGO (Null-A 3, 1984)
Traduzione di Giovanni Pilo ISBN 88-8183-254-2 NON-A 3 Nel Sis...
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Alfred E. Van Vogt NON - A 3 : EPILOGO (Null-A 3, 1984)
Traduzione di Giovanni Pilo ISBN 88-8183-254-2 NON-A 3 Nel Sistema Solare l'Istituto di Semantica Generale ha creato il sistema del Non-A (Non Aristotelico) che è al contempo una filosofia e un modo di vivere che consentono a coloro che lo praticano un notevole vantaggio sui loro simili. Queste solo le premesse di un altro dei rutilanti romanzi di Van Vogt dove spaziano Imperi extra-galattici, razze aliene, e veri e propri superuomini come il Cosseyn protagonista del libro che ha addirittura a sua disposizione tutta una serie di corpi clonati di varie età, un cervello supplementare in grado di farlo spostare istantaneamente nello spazio, eccetera...
Alfred Elton Van Vogt è nato a Winnipeg, nel Canada, nel 1912. È
solo del 1939 la sua prima apparizione nel campo della Fantascienza con l'episodio iniziale del romanzo Crociera nell'Infinito (pubblicato in questa stessa collana). Da quel lontano 1939, i successi conseguiti da Van Vogt non si contano più: basti pensare che, oltre a diventare uno dei più apprezzati autori del genere, viene unanimemente considerato il padre della Fantascienza d'Avventura. In questa collana saranno proposti i suoi testi più famosi, giusto omaggio a uno degli autori più popolari e benvoluti nel campo della Science Fiction.
Introduzione Che cosa resta nella memoria di un lettore di un romanzo letto 10, 20, 30 o 40 anni prima? Il mio primo romanzo sulla Semantica Generale, Il Mondo del Non-A, fu pubblicato per la prima volta su Astounding Stories (ora chiamata Analog) nel 1945, in tre puntate. A quell'epoca i Direttori delle riviste che pubblicavano romanzi a puntate avevano una bassa opinione, o un 'opinione distorta circa la capacità della maggioranza dei lettori di ricordare le puntate precedenti. Di conseguenza, io — in qualità di autore — fui tenuto a fornire un riassunto della Prima Parte come introduzione alla Seconda Parte, e i riassunti delle Parti Prima e Seconda quando la Terza Parte fu pubblicata.
Qui dì seguito ho unito le parti «migliori» di quei riassunti delle prime due puntate, e poi ho aggiunto una presentazione della Terza Parte. Nell'anno 2560 d.C, la Filosofia Semantica del Non-A dominava l'esistenza umana. Ogni anno, nei Giochi della Macchina, centinaia di migliaia di giovani uomini e donne competevano durante il mese senza Polizia e cercavano di diventare «Degni di Venere». I vincitori minori venivano ricompensati con tutti gli incarichi migliori sulla Terra. I massimi vincitori venivano mandati sul pianeta Venere per diventare cittadini di una civiltà Non-A. Gilbert Gosseyn subisce il primo trauma alla vigilia del primo giorno dei Giochi. Viene escluso dal gruppo di difesa reciproca dell'albergo in cui soggiorna, perché un rivelatore di menzogne afferma che egli non è Gilbert Gosseyn. Le Forze di Sicurezza dell'albergo lo espellono immediatamente dalla sua stanza. Fuori, durante la notte, salva una ragazza da una banda di predatori. Ben presto sospetta che non sia, come ha affermato, una povera ragazza che lavora, perché lei fa balenare davanti ai suoi occhi un portasigarette incastonato di gioielli, del valore di circa venticinquemila dollari. Lui comincia a capire di essere stato coinvolto in un tremendo intrigo quando scopre che la ragazza è
Patricia Hardie, figlia di Michael Hardie, Presidente della Terra. Anche la Macchina dei Giochi gli dice, quando egli arriva per la prima prova, che non è Gilbert Gosseyn. Ma lo informa che gli sarà permesso di gareggiare sotto il nome di Gilbert Gosseyn per quindici giorni, termine entro il quale deve scoprire la propria vera identità. Quella notte Gosseyn viene rapito e portato nella residenza del Presidente Hardie. Viene interrogato da Hardie, da uno storpio con una forte personalità il cui nome è «X», e da un sardonico gigante che si chiama Thorson. Viene a sapere che il Presidente della Terra è coinvolto in un complotto per distruggere il Non-A, onde prendere il controllo del Sistema Solare. I tre cospiratori si eccitano molto quando scoprono qualcosa in una fotografia del cervello dì Gosseyn. E, quando, dopo essere stato torturato fino alla follia, Gosseyn riesce a scappare da una stanza dalle pareti d'acciaio, viene inseguito e falciato dalle pallottole di una mitragliatrice e da dei lanciafiamme. Così muore Gilbert Gosseyn I. Gosseyn si sveglia in un ospedale di montagna su
Venere. Ricorda perfettamente di essere stato ucciso, e capisce che in qualche modo la sua personalità è stata conservata in un altro corpo che ha esattamente lo stesso aspetto del primo. Presto scopre di trovarsi illegalmente su Venere e, di conseguenza, di essere condannato automaticamente a morte. Sopraffà John e Amelia Prescott, i medici che dirigono l'ospedale, quasi li convince dell'esistenza di un complotto per rovesciare il Non-A, e poi parte per le regioni selvagge di Venere onde sfuggire agli investigatori che la coppia ha in precedenza chiamato per arrestarlo. Venere si rivela una terra fantastica con alberi alti tremila metri e dal diametro di centinaia. Abbonda di frutta e di vegetali naturali, e il clima è estremamente e meravigliosamente mite. È un paese di sogno, il Paradiso del Sistema Solare. Il sedicesimo giorno, un agente roboaereo della Macchina dei Giochi lo salva, lo informa che non ha nessuna possibilità di sfuggire alla cattura, e gli consiglia di arrendersi agli investigatori che lo inseguono e di raccontare loro una storia attentamente preparata. Gli
dice che una buona metà degli investigatori di Venere sono agenti della banda, e che lo porterà nella foresta da uno degli investigatori di cui si può fidare. All'ultimo momento, mentre Gosseyn scende dal roboaereo, la macchina gli spiega che esiste un fattore di cui non sa niente, un fattore alieno. Ma che qualsiasi prova sia disponibile, lui la troverà lì. Gosseyn trova la casa albero ammobiliata ma vuota. Quindi scopre uno strano tunnel sul retro dell'appartamento. Il tunnel conduce nelle profondità dell'albero e, dopo strani sogni su esseri e navi arrivati da remoti spazi interstellari, decide controvoglia di esplorarlo. Ma questo si rivela lunghissimo, intrecciato alle radici del colossale albero, per cui Gosseyn ritorna alla casa albero per mangiare. Viene catturato e riportato sulla Terra. Qui vede il corpo di Gosseyn I, e capisce di essere in un secondo corpo duplicato. Viene invitato a unirsi alla banda, ed ha appena rifiutato, quando John Prescott, il venusiano, uccide il Presidente Hardie ed «X», e droga gli altri uomini che sono nella stanza. Gosseyn e Prescott scappano, e Gosseyn chiede l'aiuto di uno psicologo per scoprire che cosa c'è nel suo cervello che lo ha messo al centro di un intrigo, e che
ostacola il piano della banda di invadere Venere. Lo psicologo, il Dr. Kair, esamina il suo extra-cervello, e per la prima volta apprende le difficoltà che sussistono nell'educare quella parte della sua mente. Nel corso dell'indagine, si scopre che Prescott è in realtà un agente del gruppo più segreto della banda, che ha ucciso Hardie ed «X» con il duplice scopo di convincere Gosseyn della propria buona fede, e che usa la caccia agli assassini come mezzo per mettere la Terra contro la Macchina dei Giochi e Venere. Kair e Gosseyn scappano con un aereo, dopo aver saputo da Prescott che il Distorsore si trova nella parete della camera da letto di Patricia Hardie. Kair progetta di portare Gosseyn in una capanna sul lago di sua proprietà ma, quando lo psicologo si addormenta, Gosseyn capisce che non c'è tempo da perdere. Perciò, con attenzione, sorvola in aereo la città, e con un paracadute antigravità salta sul balcone del palazzo che porta all'appartamento di Patricia Hardie. Viene catturato da Eldred Crang, l'investigatore venusiano, e poi viene liberato. Dopo quello che Prescott ha sentito della scoperta di Kair a proposito del cervello di Gosseyn, essi non lo temono più. In effetti, la banda
capisce che ci si aspetta che uccidano Gosseyn. Ma rifiutano di farlo. Una volta libero, Gosseyn non sa che cosa fare di se stesso. Si reca alla Macchina dei Giochi, e questa gli dice che Crang aveva ragione. È servito al suo scopo. E stato usato, prima per spaventare i capi della banda, poi per mostrare loro che il nascondiglio segreto su Venere era noto. È stato tutto parte di un 'immensa manovra politica, e ormai tocca a lui fare strada a Gosseyn Terzo, il cui extracervello è già educato. La Macchina gli dice che Venere è stata invasa e tutte le città conquistate, e che perciò non deve perdere tempo ad uccidersi. Gosseyn rifiuta di farlo, ma più tardi, dopo essere coraggiosamente entrato nel Palazzo e aver mandato il distorsore alla Macchina dei Giochi, capisce di non avere alternative. Prende una stanza in un albergo, si droga con una droga ipnotica, e mette in funzione un fonografo che ripete continuamente che deve uccidersi; giace in uno stato di semi-incoscienza, quando sente una violenta sparatoria. Si trascina giù dal letto e accende la radio; sente la Macchina dei Giochi dirgli di non uccidersi perché il corpo di Gilbert Gosseyn Terzo è stato accidentalmente distrutto, e perciò tocca a lui scappare ed educare il suo
extra-cervello. Vagamente, Gosseyn sente l'annunciatore dire infine che la Macchina dei Giochi è stata distrutta. Ritorna a letto, e lentamente dimentica quello che gli ha detto la Macchina. C'è solo la voce lamentosa del disco che ripete: «Ucciditi, ucciditi!». Questa volta viene salvato da Don Lyttle, il portiere dell'albergo. Nella terza e ultima parte de Il Mondo del Non-A, il cervello «doppio» di Gosseyn viene educato, ma egli scopre che controlla flussi di energia a livello ventidecimale, trascendendo così il fenomeno spaziotemporale. I cospiratori vengono affrontati nell'Istituto di Semantica della Terra, e subiscono il destino che meritano. Nell'ultimo capitolo Gosseyn, ancora alla ricerca della propria vera identità, si ritrova a guardare un corpo morto di recente, la faccia del quale è un duplicato della sua. Mentre la sua mente sonda le poche cellule ancora vive del cervello duplicato, trapelano vaghi indizi. Ma capisce di essere arrivato troppo tardi. Ha vinto la battaglia; ma ancora non sa chi è... Gli Anni '40 furono gli anni più importanti della mia carriera di scrittore; perciò, quando fu chiaro che Il Mondo
del Non-A aveva colpito la maggior parte dei lettori di Astounding Stories (a quell'epoca chiamata Astounding Science Fiction), scrissi un seguito ancora più lungo: 1 Giocatori del Non-A. I Giocatori fu pubblicato sui numeri di ottobre, novembre e dicembre del 1948 e gennaio del 1949 di Astounding, ed
ebbe riassunti delle puntate precedenti, a partire dal numero di novembre. I Giocatori del Non-A si apre con l'introduzione di un
nuovo e sinistro personaggio, un essere-ombra chiamato il Persecutore; subito dopo emerge una strana storia a proposito degli esseri umani nella Via Lattea, e racconta in che modo vi siano arrivati. Due milioni di anni prima, in un 'altra lontana galassia, la razza umana scopre che una nube vasta e letale di gas avvolge tutti i pianeti. Nessuno può sfuggire, ma decine di migliaia di piccole astronavi vengono inviate, con potenziali sopravvissuti a bordo di ciascuna navicella, in uno stato di animazione sospesa. Dopo un viaggio di più dì un milione di anni, le navicelle raggiungono la nostra Galassia e cominciano ad atterrare a caso su pianeti abitabili distanti migliaia di anniluce. Gilbert Gosseyn, un discendente clonato di uno dei sopravvissuti, ha finalmente scoperto (in Il Mondo del
Non-A) indizi a proposito della propria origine e delle
proprie speciali capacità. Qui, sulla Terra del 2560 d.C. ha ricevuto un'educazione Non-A; e, di conseguenza, è abilitato a vivere sulla Non-A Venere. Sulle prime, non sa che la sua recente scoperta lo ha fatto diventare il bersaglio delle macchinazioni del Persecutore, un essere ombra che è arrivato sulla Terra da un lontano sistema solare dell'Impero Massimo, una vasta civiltà interstellare. Lo scopo del Persecutore è quello di impedire a Gosseyn di lasciare il Sistema Solare. Questo significa che, prima di tutto, vuole impedirgli di andare su Venere, dove si trova — nascosto sotto terra — un sistema di distorsione interstellare spazio-temporale che serve a trasmettere enormi astronavi istantaneamente ad anni-luce dì distanza. La ragione principale per cercare di ritardare Gosseyn è che, se questi raggiunge in tempo Venere, potrebbe accompagnare la sorella di Enro, Capo dell'Impero Massimo ed Eldred Crang, investigatore NonA e suo compagno di viaggio, sul Pianeta Capitale dell'Impero. L'azione ritardante è portata con successo a termine da un agente umano del Persecutore, Janasen. E quando Gosseyn più tardi affronta Janasen, quest'ultimo esibisce un oggetto piatto, carico di energia, che ha l'aspetto di un biglietto da visita incandescente. Quando Gosseyn infine,
deliberatamente, prende il biglietto, viene istantaneamente trasportato nella cella di una prigione del Pianeta degli Indovini, una razza di individui che sanno predire il futuro. Qui incontra tra gli altri una bella ragazza, Leej, alla cui presenza — e con il cui aiuto — affronta per la prima volta il Persecutore. Gosseyn è scappato dalla cella della prigione servendosi delle proprie speciali abilità; e il Persecutore l'ha osservato scappare con l'intenzione di apprendere i suoi metodi. In conseguenza di quest'osservazione, l'essere ombra decide che Gosseyn è pericoloso, e gli offre un patto di alleanza, lo scopo del quale, in apparenza, è togliere l'Impero Massimo ad Enro e a sua sorella Reesha (sulla Terra la ragazzina si serviva del nome «Patricia»). Gosseyn ha il doloroso compito di rivelare al cospiratore che il popolo Non-A non desidera conquistare nessuno tranne che con la ragione. Dopodiché, il Persecutore cerca di distruggerlo. La battaglia che segue tra i due ci rivela molte cose a proposito delle speciali abilità di entrambi. Sembra che siano pari; non resta loro che la fuga. In seguito Gosseyn, con l'aiuto di Leej, riesce ad arrivare
al Pianeta Capitale, dove scopriamo che Reesha e Crang stanno cercando di influenzare Enro in favore della pace; e che il Persecutore, che si rivela essere il Capo Consigliere di Enro quando è in forma umana, sta spingendo Enro a distruggere la Non-Aristotelica Venere. Enro è spaventato dalle particolari abilità di Gosseyn e, dopo un confronto, lascia che il Persecutore lo convinca a distruggere il Sistema Solare. Gosseyn, con l'aiuto di Leej, Reesha e Crang, aiutato dalle speciali difese Non-A di Venere, sconfigge le grandi flotte che vengono lanciale contro la Terra e Venere. Ma Leej, e perfino lo scellerato Enro — si scopre — sono anch'essi discendenti dei sopravvissuti della lontana galassia; e le loro speciali abilità saranno utili come parte di uno sforzo collettivo che ha lo scopo di farli tornare alla loro galassia di origine per scoprire che cosa vi sia successo. I Giocatori finisce con la distruzione del Persecutore.
E così, ora che il lettore è a conoscenza di quanto è avvenuto nelle «puntate precedenti» (Il Mondo del Non-A e I Giocatori del Non-A) è pronta la scena per Non-A 3 1.
Gilbert Gosseyn aprì gli occhi nel più profondo buio.
...Cosa, cosa, cosa — pensò. Era stato così subitaneo. Il suo pensiero immediato fu che non era dove avrebbe dovuto essere. Durante quei rapidi momenti c'erano state in lui varie consapevolezze, naturalmente: era disteso supino su qualcosa comoda quanto un letto. Era nudo; ma un panno leggerissimo lo ricopriva. Aveva sensazioni su tutto il corpo, sulle braccia e sulle gambe, come se all'estremità di ogni sensazione fosse attaccato un apparecchio per la suzione. Era la sopraffacente consapevolezza di quei numerosi attacchi che ritardava l'impulso di alzarsi a sedere. Era quello il momento del Pensiero Speciale che solo qualcuno con la sua istruzione era in grado di fare:
...Beh, sarò... Ecco! Questa è esattamente la situazione della vita in relazione alla realtà fondamentale... Un essere umano era una testa e un corpo circondati da... cosa, nessuno lo sapeva per certo. Nessuno l'aveva mai scoperto. C'erano cinque principali sistemi percettivi che registravano l'ambiente circostante; e almeno tre di loro gli avevano fornito piccole informazioni. Ma anche questo era
basato sulle informazioni e sulla memoria presenti nel suo cervello. Conosceva sulla base di un precedente indottrinamento. Essenzialmente l'io è sempre avvolto nel buio, e i messaggi gli arrivano principalmente attraverso la vista, l'udito e il tatto che, come le antenne della televisione o della radio, sono programmati e registrati su specifiche bande d'onda. Era un vecchio concetto della Semantica Generale. Ma era incredibilmente adatto alla sua situazione attuale. Quello che lo rendeva perplesso era che non aveva alcun ricordo di essere andato a letto la sera prima in un simile ambiente. Ma, visto che non avvertiva alcun senso di minaccia, l'assenza di ricordi non lo turbava. Perché... che parallelo fantastico era.
...lo, pensò Gosseyn, in quanto Io, sono nel più profondo buio. Quasi immediatamente sono cominciate le percezioni. Ma non mi hanno detto ancora niente che abbia una connessione diretta con l'universo, con qualsivoglia realtà sia... al di fuori. Era una consapevolezza tipicamente umana e passeggera.
Perché, proprio mentre faceva questi pensieri, un altro processo di ragionamento al suo interno notava che la sua situazione non si confaceva alla normale realtà del risveglio di una persona viva e intelligente. Era più che una curiosità semplice e disinteressata. Era il bisogno di conoscere, a causa della sensazione che qualcosa non andava. Cosciente dei numerosi apparecchi per la suzione che aveva sentito attaccati al proprio corpo, Gosseyn sollevò lentamente le braccia. Poi fece scivolare verso il basso il sottile lenzuolo, liberando la parte superiore del corpo. Sembrava trattarsi di quello che aveva sentito al tatto: solo un lenzuolo. Si spostò facilmente; perciò, dopo qualche momento, le braccia e le mani erano libere di compiere l'azione successiva. Con attenzione cominciò a tastare il letto. E subito scopri di toccare dei tubi di gomma. Decine di tubi. Erano attaccati agli apparecchi per la suzione applicati al suo corpo. Sentirli lo spaventò. Si immobilizzò. Perché... era ridicolo! Perché ancora non aveva alcun ricordo di come mai gli stesse accadendo qualcosa del genere. Coscientemente, si fece forza. Appoggiò con fermezza le braccia e le mani sulla superficie morbida che avvertiva al
di sotto del corpo. E con il loro aiuto si alzò a sedere. O piuttosto, cercò di alzarsi a sedere. La testa colpì qualcosa di imbottito a pochi centimetri al di sopra. Si distese, spaventato. Ma, poco dopo, esplorava la superficie sovrastante con le dita. Il «soffitto» del suo letto lungo e stretto era fatto di un materiale liscio e simile alla stoffa. Ed era a meno di trenta centimetri al di sopra di lui. Anche le pareti sui fianchi, ai piedi e alla testa, erano imbottite, e ad una trentina di centimetri da lui. La situazione non era più semplicemente ridicola. O strana. Era priva di qualsiasi rapporto con tutto quello che lui aveva mai conosciuto. Comprese che, in qualche modo, aveva fino a quel momento dato per scontato di essere Gilbert Gosseyn che si svegliava dopo una notte di sonno. Effettuò coscientemente la pausa cortico-talamica della Semantica Generale. La teoria era che la parte ragionante — corticale del cervello poteva gestire una situazione pericolosa meglio della parte automatica, emotiva — talamica, che si limitava a reagire.
Okay, pensò stancamente. E allora? Immediatamente comprese qualcosa di nuovo... Naturale!
Quando mi sono svegliato, sapevo chi ero. E questa nozione — di essere Gilbert Gosseyn — l'aveva data così per scontata che si era allontanata dalla linea superficiale della sua mente. Ma non era una nozione da poco. Svegliarsi e sapere chi si è: indubbiamente succede ogni mattina a tutti gli esseri umani. Solo che, in questo caso, era successo a qualcuno che non era affatto un normale essere umano. L'individuo che si era svegliato era un essere umano con un extra-cervello. Si era svegliato con la coscienza di se stesso. Un ricordo casuale di ciò che aveva fatto: le vaste distanze della galassia che aveva attraversato con le abilità speciali del suo extracervello. Gli eventi colossali ai quali aveva partecipato, inclusa la distruzione del Persecutore, e, ancora più importante, la salvezza di Venere NonAristotelica dalle forze interstellari di Enro il Rosso. ...L'amicizia con persone come Eldred e Patricia Crang, Leej, la donna indovina... Pausa! Allontanamento di questi ricordi! O, piuttosto, comprensione che non c'era alcun collegamento evidente
tra tutti quegli importanti avvenimenti e quel buio profondo.
Come sono arrivato qui? Non era un pensiero angosciante, ma era una domanda valida... Ovviamente non c'era alcun bisogno di essere angosciati o impauriti. Dopotutto, in ogni momento poteva visualizzare una delle sue numerose aree memorizzate: la superficie di un pianeta, o il pavimento di una stanza, o un vano di un'astronave. E poteva andarsene da quel lettino, e da quel posto piccolo e limitato. Il problema era che, se fosse andato via, non avrebbe mai saputo che cosa stava facendo in quel luogo, e dove si trovava. Perciò si ripresentò il problema in un'altra forma: esaminare il ridicolo ambiente circostante. Con quell'idea, Gosseyn sollevò ancora una volta mani e braccia. Questa volta, quando si trovò a spingere verso l'alto, contro quel soffitto imbottito — così vicino — si fece forza. E spinse forte. Una rapida scoperta. La parte imbottita era spessa circa quattro centimetri. Ed era morbida, ed elastica. Ma, aldilà dell'imbottitura, sentì qualcosa di duro quanto il metallo. Vi si appoggiò contro, per pochi istanti, con tutta la sua
forza. Ma non era elastica. Dopo aver premuto le pareti e le imbottiture alla testa e ai piedi altrettanto inutilmente, Gosseyn si convinse. Non ancora spaventato, si distese. Ma l'idea gli era già venuta: che cos'altro c'era da fare in un posto del genere? Sembrava una vergogna andarsene senza saperlo. Eppure, le informazioni disponibili sembravano così limitate che, in effetti, pareva gli restasse da fare solo un'altra esplorazione.
...Tutti questi tubi di gomma a cui è attaccato il mio corpo: che cosa sto prendendo da essi? Più importante ancora: che cosa sarebbe successo se l'extracervello l'avesse trasportato istantaneamente, alla velocità della similarità venti-decimale? Sembrava una preoccupazione reale: che cosa sarebbe successo alla sostanza che quei tubi trasmettevano al suo corpo? Oppure — pensiero lievemente tardivo — che toglievano al suo corpo... Che cosa sarebbe accaduto? Gosseyn lasciò passare alcune decine di secondi, e nel frattempo considerò le implicazioni. Tutto sommato, sembravano irrilevanti. Perché, fuori, lui non aveva bisogno di alcun attacco. Ogni area memorizzata con il metodo ventidecimale, con il quale percorreva vaste distanze se necessario, si trovava in luoghi relativamente sicuri per lui, in quanto forma di vita respirante ossigeno.
Stanco e disteso, ebbe l'impressione che quell'analisi, in se stessa, fosse quasi l'equivalente della decisione di andarsene. Quasi... ma non del tutto!
...Perché qualcosa mi ha condotto qui, in questa prigione. Questo qualcosa doveva essere dotato di un potere quasi magico per poter catturare Gilbert Gosseyn, l'uomo con l'extra-cervello... Sì, catturarlo! E — peggio! — il prigioniero non era nemmeno consapevole di quando o come ciò era avvenuto... Avrebbe dovuto aspettare. E scoprire chi, o che cosa, avesse quel potere magico. Perché, se l'aveva potuto fare una volta, una seconda volta avrebbe potuto decidere di non correre rischi, chiunque o qualsiasi cosa fosse. Per un attimo, quando Gosseyn si rilassò e lasciò che il corpo si limitasse a giacere, senza opporre resistenza, gli parve vero che avrebbe dovuto aspettare. Ma gli venne un'altra idea. Ovviamente doveva esserci un meccanismo che apriva la prigione in cui si trovava. Si trovava in un luogo ristretto che, sotto certi aspetti, assomigliava a una bara. Ma non realmente.
Non si facevano bare dure come il metallo, e resistenti come la superficie che aveva sentito attraverso le imbottiture. Era vero che una persona sepolta sotto terra non sarebbe stata in grado di forzare e aprire il coperchio della propria bara; la terra stessa avrebbe opposto resistenza. Ma non sarebbe stata una resistenza simile a quella dell'acciaio. I coperchi delle bare sono "elastici", fino ad un certo punto. Un coperchio avrebbe ceduto leggermente all'interno della cassa in cui erano sistemate le bare; soprattutto bare lussuose come quella. Quella catena di pensieri ebbe breve vita nella sua mente. Perché, se quella fosse stata una bara, non ci sarebbe stato alcun problema per lui. Solo un metro e mezzo o due di terra compressa al di sopra di una bara, e la cassa non era un ostacolo per la similarità venti-decimale. Gosseyn scosse il capo, in segno di rimprovero. Non era da lui formulare un pensiero così assurdo. Le persone che sono nelle bare non hanno tubicini attaccati in decine di punti del corpo. Stava per ridistendersi, quando gli venne in mente un pensiero che non aveva rapporto con niente. Il pensiero era:
«Sono Gilbert Gosseyn. Devo essere svenuto. Che cosa è successo?»
In qualche modo, risposero parecchie voci. La loro particolarità era che, sebbene i pensieri sembrassero derivare da altre persone, gli arrivavano alla mente come se fossero suoi propri pensieri. Il significato era: «Anche
Leej sembra che abbia avuto una brutta reazione.» L'impressione era che parlasse Eldred Crang. Un altro significato: «La mia impressione è che sia accaduto qualcosa di grande, ma non so che cosa». E l'impressione di quei pensiero era che le parole venissero da John Prescott. E Crang che diceva: «Patricia, cara, fa'
entrare i medici. Per fortuna, sono venuti a soccorrerci.» «Sì...» Era di nuovo la prima voce. «... fa' entrare i medici.
Ma ora, prima che ci sfuggano le nostre impressioni, lasciatemi dire che in questo momento ho la sensazione che ci siano due Gilbert Gosseyn.» Pausa. «Qualcuno ha qualcosa da obiettare?» Un altro pensiero da parte di (impressione) Eldred Crang.
«Uh, Leej sta arrivando. Leej, Leej, qualche impressione? Qualche predizione?» Una voce remota rispondeva:
«Qualcosa è accaduto. Qualcosa di assolutamente colossale. Non abbiamo fallito completamente... Ne ho
una strana certezza. Ma... non è qualcosa che si possa predire. È già accaduta, qualsiasi cosa sia. Io, uh, non ci capisco niente». «Stenditi, cara.» Anche la voce di Patricia arrivava, in qualche modo, attraverso un'altra mente. «Fatti visitare dai medici.» Gilbert Gosseyn, disteso nel buio profondo di quella che avrebbe potuto essere una tomba ma che probabilmente non lo era, avvertì la strana sensazione di non stare mentalmente bene.
«Ora ricordo, pensò a disagio, stavamo per compiere il salto da questa galassia a quell'altra, ma...» Quando la sua mente arrivò alla vaghezza di quel «ma», la voce di un uomo gli disse direttamente in un orecchio: «C'è solo una distorsione nel profilo del suo cervello. Ma non è possibile connettersi ad essa. Perciò non possiamo prevedere in che modo possa servirsene contro di noi. Che facciamo ora?» Era una domanda che si confaceva sia a Gosseyn che alla persona che parlava. Era arrivato chiaramente il momento di un'altra pausa cortico-talamica.
Notò che questa volta era più speranzoso. Era vero che c'era di nuovo silenzio, e che il buio restava fitto come sempre. Inoltre, era disteso sul letto; e la sensazione del corpo nudo, con i suoi numerosi attacchi, era ancora lì, esattamente la stessa. Ma quando Gosseyn ripetè mentalmente le parole che aveva sentito, il loro significato fu che si trovava sotto stretta sorveglianza di qualcuno che parlava l'inglese della Terra. Visualizzò la condizione esterna nella sua forma più grezza, prendendo in considerazione quello che era stato detto:...
Suppongo di essere all'interno di una cassa metallica, che ha più o meno la forma di una bara. La cassa è appoggiata su un solido tavolo in un laboratorio. E apparecchi elettronici mi scrutano alla maniera di macchinari per raggi X o di certi tipi di acceleratori di particelle. Chiunque sia l'osservatore, non sa che sono Gilbert Gosseyn, perché quella breve analisi era impersonale; e, sebbene dimostrasse una raffinatezza eccezionale di comprensione — ed evidentemente ha notato l'extra-cervello all'interno della mia testa — l'osservatore non ha mostrato di essere a conoscenza della mia identità...
Di conseguenza, doveva essere uno straniero, e non era collegato in alcun modo conoscibile a quello che Gilbert Gosseyn stava facendo nell'universo esterno. Presumibilmente, ben presto sarebbero state fatte altre osservazioni. E la cosa migliore per il prigioniero era di aspettare ancora un po' nella speranza di ottenere un qualche genere di informazione significativa. Doveva veramente sapere che cosa era accaduto, e che cosa stesse accadendo. Non dovette aspettare a lungo. Una voce alquanto più bassa, più profonda, più baritonale, disse, anch'essa in inglese: «Riferitemi le circostanze esatte nelle quali avete preso a bordo questa persona». «Signore», fu la risposta, «abbiamo scorto una capsula galleggiare nello spazio. I nostri raggi spia hanno osservato che all'interno c'era un maschio umano, che sembrava dormire o trovarsi in uno stato di incoscienza. Comunque, ora che lo abbiamo a bordo, un'osservazione più ravvicinata ha stabilito che si trovava in uno stato di animazione sospesa, nel quale il cervello era ricettivo ad una varietà di segnali in entrata. Che cosa siano quei segnali non ci è del tutto chiaro. Ma sembra ricevere tutti i pensieri di un Alter-Ego che stia attivamente perseguendo una situazione vitale in uno stato di attività normale, a molti anni-luce di distanza.»
Un'altra pausa. Poi la seconda voce disse: «Forse ha bisogno di essere sottoposto a tensione. Perciò lasciamolo isolato, così com'è ora, e lasciamo che si renda conto». «Di che cosa?» «Consulteremo il Dipartimento di Biologia.» Una voce nuova, tranquilla, decisa, con un tono di maggiore autorità, intervenne. «Ho seguito l'esperimento sul monitor. E non possiamo prendere una decisione su basi così fragili. Il nostro problema è grave. Non sappiamo dove siamo, e non sappiamo come ci siamo arrivati. Facciamolo uscire da questa capsula. Forse è equipaggiata in modo tale da operare in suo favore in un momento di crisi. Perciò, allontaniamolo dalla sua unica area possibile di assistenza.» Per quanto riguardava Gilbert Gosseyn, quella era una stima falsata dai fatti. Sicuramente, l'unica cosa di cui aveva bisogno, sopra ogni altra, era di uscire fuori da quella prigione piccola e stretta. Presumibilmente, poi, avrebbe potuto vedere chi erano i suoi catturatori; e forse avrebbe anche potuto scoprire dove si trovasse. C'erano altri vaghi pensieri che operavano nel fondo della sua mente: tra essi, l'inizio di un'analisi delle parole che gli
avevano fornito un'immagine di dove quelle persone l'avevano trovato: in una capsula che galleggiava nello spazio. II che rispondeva a molte domande, e ne sollevava molte altre; ma non era il momento di pensarci. Perché avvertiva la sensazione di un movimento. Il movimento sembrava essere nella direzione in cui puntava la sua testa. Gosseyn allungò le mani per verificare la sua impressione. Dopo qualche istante toccò la roba imbottita che lo sovrastava. Non c'erano dubbi: il «soffitto» si muoveva verso i suoi piedi... si muoveva molto lentamente. La duplice coscienza gli suggerì l'immagine mentale di un contenitore con un letto scorrevole al suo interno. Era interessante e logico che persone in grado di «vedere» all'interno di un cervello umano, fossero capaci con i loro strumenti di osservare il meccanismo secondo il quale la capsula era costruita, e la stessero aprendo. Gosseyn si aspettava che, da un momento all'altro, l'estremità anteriore della capsula si aprisse, o scattasse, e la luce della stanza gli abbagliasse gli occhi. In qualche modo, allora, si preparò al trauma della luce. Cosa accadde veramente? Il movimento sotto di lui cessò. Un'improvvisa freschezza gli sfiorò le guance. Era un altro livello di percezione, o forse parecchi livelli. Più aria intorno a lui, e un lieve cambiamento di temperatura: più fredda.
Il che gli suggerì che la testa e il corpo dovevano essere emersi in una stanza che era buia quanto la sua prigione. ...Veramente non volevano correre nessun rischio! La cosa più interessante era che, tranne che per gli apparecchi flessibili di gomma attaccati al suo corpo, presumibilmente poteva alzarsi. Ma non lo fece. Il ricordo di ciò che aveva sentito lo trattenne dal fare un qualsiasi movimento rapido. Il ricordo del passato di Gilbert Gosseyn — così gli sembrava — era pertinente all'immagine evocata del corpo di un uomo trovato a galleggiare all'interno di una capsula. Sembrava significare che ora si trovava in un'astronave. L'equipaggio della navicella spaziale aveva raccolto la capsula, e l'aveva presa a bordo. L'implicazione fantastica era:... Devo essere un altro corpo
di Gilbert Gosseyn, che in qualche modo si è svegliato prima che il precedente morisse. Secondo quanto ricordava, Gosseyn Primo era arrivato nella città della Macchina dei Giochi, sulla Terra, con un falso ricordo del luogo di provenienza. Poi, dopo essere stato ucciso da un agente delle forze d'invasione interstellari sulla Terra, si era trovato improvvisamente su Venere, ritenendo di essere lo stesso Gosseyn. Quel secondo Gosseyn aveva proceduto a sconfiggere le forze di invasione e, in seguito, era andato a Gorgzid, il pianeta
originario degli invasori. Quel Gosseyn Numero Due era ancora fuori, in un remoto spazio, ed era, in effetti, l'Alter Ego cui si riferiva la terza voce. E in quel preciso momento — se poteva esistere un momento simile in un luogo così remoto — il Numero Due si stava riavendo da un tentativo di "saltare" in un'altra galassia, dalla quale (si credeva) la razza umana era arrivata decine di migliaia o di milioni di anni prima. Gosseyn Terzo, disteso nel buio profondo a bordo di un'astronave, interruppe i suoi ricordi a proposito della storia passata dei corpi di Gilbert Gosseyn e, rivolgendosi a quel remoto Alter Ego Gosseyn, disse mentalmente:
«Ho capito bene, Gosseyn Secondo?» La risposta — doveva essere stata una risposta, e non solo un suo pensiero, a causa di ciò che disse — arrivò istantaneamente.
«Possiamo discutere sul numero. Io credevo che il gruppo successivo di corpi di Gosseyn avesse diciotto anni. Tu sembri appartenere alla mia generazione. Il che li rende il Numero Due di coloro che sono emersi dal loro stato di animazione sospesa e sono divenuti coscienti.» «Va bene, io sono il Numero Tre e tu sei il Numero Due.
Allora, Due, la mia domanda è questa: pensi che io possa gestire questa situazione, anche se mi sono appena svegliato?» «Hai tutto quello che ho io», arrivò la remota risposta, «e naturalmente io seguo quello che accade.» «Ho l'impressione che tu sia molto lontano, e che possa essere molto utile.» «Appena puoi, procurati l'immagine mentale venti decimale di un luogo; e in caso di emergenza... chi può saperlo?» «Pensi che sarebbe prudente che entrambi fossimo in un posto dove potremmo essere uccisi?» «Non sarebbe molto prudente.» «Secondo te, perché mi tengono in una situazione nella quale non vedo niente?» La remota risposta arrivò subito.
«Ci sono due possibilità. La prima è che siano solo prudenti. La seconda è che la loro organizzazione sia autocratica. In una situazione simile tutte le persone di grado inferiore
devono proteggersi da successive critiche mostrando di non correre rischi. La terza voce sembrava forte, ma forse anche quella persona desidera in seguito sottolineare di aver proceduto un passo alla volta. Secondo questo ragionamento, tra poco sentirai la voce Numero Quattro, con un autorità ancora più grande, prendere le proprie precauzioni.» «Tu che cosa hai intenzione di fare?» «Intendiamo organizzare un secondo salto dopo il fallimento del primo. Ma quello che è accaduto a te ha creato confusione. E adesso intendiamo aspettare finché la tua situazione non si chiarisce.» Gosseyn Terzo, disteso al buio, restò in silenzio, seguendo i propri fuggevoli pensieri.
«Naturalmente», disse, «la soluzione più semplice per me potrebbe essere raggiungerti e cercare di aiutarti...» Il suo pensiero si interruppe. Perché aveva ricevuto una risposta negativa.
«Okay», riconobbe, «capisco il ragionamento. Qualcuno cosciente deve stare qui. Non sappiamo quanti Gosseyn addormentati restano della nostra generazione, e non si
può essere completamente certi che esista un gruppo dell'età di diciotto anni.» Si interruppe.
«Ad ogni modo, la cosa migliore è che mi concentri su questa situazione. Ha un aspetto interessante.» «Certamente», arrivò il pensiero di quel lontano, lontanissimo Gosseyn, Secondo. «Buona fortuna!» 2. E così ora si trovava — almeno, questa era la sua impressione — in una stanza; non più all'interno della capsula. Dal punto di vista emotivo, si sentiva più sicuro. Gli attacchi di gomma avevano avuto una spiegazione: molto tempo prima, un certo numero di corpi di Gosseyn erano stati messi in vari luoghi segreti. E ciascuno, evidentemente, aveva il suo turno di risveglio, in seguito alla morte del Gosseyn il cui turno era arrivato prima. Solo che, a quanto sembrava, lui — Gosseyn Terzo — si era svegliato mentre Gosseyn Secondo era ancora vivo. Il che spiegava perché i tubi di gomma fossero ancora attaccati. Essi probabilmente costituivano un intricato sistema per provvedere al sostentamento e all'eliminazione dei residui organici, ed erano destinati a tenere in vita i
corpi che si trovavano in uno stato di animazione sospesa. Ma, naturalmente, non servivano più. Non ora che lui non era più nella capsula e, per quanto poteva stabilire, si trovava in una grande stanza.
... Qui, su questo letto a rotelle, il mio corpo è ancora attaccato a tutti quei raccordi di gomma. Ma i raccordi stessi devono essersi staccati dai contenitori e dalle macchine cui erano assicurati all'interno della capsula. Si devono essere staccati in qualche modo automatico quando sono uscito fuori dalla capsula... E in qualche modo, in quel frattempo, aveva respirato senza tubi.
...Allora, perché non disinserire queste cianfrusaglie, e vedere se posso alzarmi? Vale a dire, tra molte altre realtà, un corpo che non era mai stato mosso né fatto esercitare durante tutta la sua esistenza, poteva funzionare dal punto di vista muscolare? Ma, pensandoci bene, aveva mosso le braccia. Aveva spinto il soffitto. Aveva allungato le mani dovunque gli fosse possibile nella sua piccola casa. Di sicuro però, disinserire i tubi l'avrebbe messo in una posizione migliore per agire. Era inutile stare disteso. Era arrivato il momento di forzare la situazione, e scoprire come avrebbero risposto i suoi catturatori.
Era finalmente uno scopo attivo. Con decisione Gosseyn abbassò entrambe le mani verso lo stesso luogo: lo stomaco. Il tubo più grande era lì. Con le dita di una mano afferrò la carne nel punto in cui era attaccato il tubo. Con l'altra mano, afferrò il tubo. E stava per tirare, con determinazione, quando si accesero le luci. Simultaneamente, due paia di mani lo afferrarono. «Penso che noi avremmo dovuto disinserire i sistemi di sopravvivenza.» Era la voce che lui aveva soprannominato Voce Numero Due. L'identificazione della persona che aveva parlato occupava la parte posteriore della mente di Gosseyn. La parte anteriore del suo cervello era impegnata nell'improvviso flusso di illuminazione. La luce fu subito troppo abbagliante per i centri visivi di Gosseyn. Ciononostante, ricevette una quantità di impressioni fuggevoli. La stanza sembrava scintillare. I due uomini erano due individui di statura media, vestiti di bianco, o almeno così gli parve in quei momenti di abbagliamento totale. Le pareti sembravano più buie, ma rilucevano, in qualche modo; comunque, sembravano lontane. Vagamente, in tutta quella confusione, si accorse che dall'area del suo stomaco era stato staccato il raccordo di gomma.
I suoi catturatori dovevano considerarla una vittoria ai loro fini, qualunque essi fossero. Perché indietreggiarono e si allontanarono da lui. Gosseyn avvertiva vagamente la loro presenza e i loro occhi fissi su di sé. Gosseyn restò dov'era, spostando gli occhi verso la luce. E comprese immediatamente che c'era una fonte di intensa luminosità direttamente sopra di lui. Il che aveva senza dubbio causato la maggior parte delle sue iniziali difficoltà visive. Qualche momento dopo questa scoperta, visto che non pareva esserci alcuna utilità nel fingere, girò la testa. Guardò direttamente i due uomini, e disse: «Non costituisco alcun pericolo per voi, signori. Allora, ditemi! Qual è il vostro problema?». Era il suo primo tentativo di ottenere informazioni. Il che era, gli pareva, l'unico scopo che poteva avere in quella fase, nella sua condizione. Non ci fu risposta. Ma il risultato non fu un nulla totale. Il solo osservarli gli diede l'opportunità di avere altre informazioni, e di fare un'ulteriore analisi della sua situazione. Disteso sul letto, con la testa girata, vide una grande stanza luminosa contenente dei macchinari e, direttamente di fronte a lui, una parete con file e file di strumentazioni a
muro: erano le strumentazioni a scintillare. Era interessante, in termini di informazioni, anche il fatto che i due uomini fossero bianchi come lui. Ma il loro volto, in maniera indefinibile, non era quello europeo o occidentale-americano, così come lo ricordava Gosseyn. E i loro abiti erano assolutamente ridicoli: una camicia attillata, dall'aspetto metallico, si stringeva intorno al collo. Pantaloni bianchi a sbuffo, arrivavano alle ginocchia, e, al di sotto calze bianche aderivano ai polpacci che sembravano leggermente tozzi. In aggiunta, entrambi gli uomini indossavano un berretto sui capelli giallo oro. Era un copricapo voluminoso. Contribuiva a rendere enorme quel berretto un complicato strumento che era montato sulla sua sommità. Oppure si trovava al suo interno; la stoffa e il metallo sembravano intrecciati. Le braccia di entrambi gli uomini sembravano di lunghezza e forma normali; ma anch'esse erano coperte dalla stessa stoffa delle calze. Le maniche bianche terminavano ai polsi. Le mani e le dita erano scoperte, ed evidentemente pronte a manipolare qualsiasi cosa fosse necessario. Proprio mentre valutava, in modo da poter parlare, i due esseri umani che, per necessità di una migliore identificazione, aveva silenziosamente chiamato Voce Uno e Voce Due, Gosseyn si trovò a pensare a quello che la Voce Tre aveva detto a proposito di non sapere «dove
siamo o come ci siamo arrivati». Allora parlò di nuovo. «Forse posso aiutarvi a scoprire quello che volete sapere.» Silenzio. Nemmeno un tentativo di risposta. I due uomini restarono immobili a fissarlo. Gosseyn si sorprese a pensare all'analisi che il suo Alter Ego aveva fatto di quella gente: che non dovevano essere cittadini di una democrazia. L'implicazione immediata era: quei poveri lacche aspettavano ordini da un superiore. Forse da Voce Tre, o da qualcuno ancora più in alto. In un certo senso, l'analisi si rivelò corretta. Da un punto del soffitto, una voce completamente diversa parlò severamente. «Il prigioniero è il nostro solo contatto con quello che ci è accaduto. Perciò spingetelo a dire ciò che sa. E non siate gentili, ne lenti!» Gosseyn ebbe il tempo di chiamarla Voce Quattro. In quel momento Voce Due si mosse, e disse cortesemente: «Signore, stacchiamo il prigioniero dal suo sistema di alimentazione?». La risposta fu assolutamente e meravigliosamente ambigua.
Voce Quattro disse: «Naturalmente. Ma non fate nessun errore». Queste parole distrassero l'attenzione di Gosseyn. Perché il loro significato sembrava una totale conferma della valutazione che il suo alter ego aveva fatto del sistema politico di quegli individui. In qualche modo, nonostante lo stupefacente significato di quelle parole, Gosseyn riuscì a notare un fenomeno: nel parlare, la bocca di Voce Due si era aperta, ed aveva senza dubbio detto qualcosa. Ma le parole inglesi non erano state pronunciate dalla sua bocca. Le parole inglesi erano arrivate dallo strumento che si trovava sul cappello dell'uomo. Gosseyn avrebbe potuto tentare una valutazione della natura di una scienza che aveva estratto una lingua dal suo cervello... o che la estraeva momento per momento. Ma ebbe solo il tempo di prendere coscienza dell'esistenza di un tale sistema e della sua realtà. La sua rapida analisi gli disse che c'era una spiegazione a livello di computer per quel fenomeno che, in un universo di milioni di lingue, gli aveva fatto credere per un attimo di trovarsi davanti a delle persone particolari. Poi non ci fu più tempo per un'analisi del funzionamento di una macchina del genere. Perché, proprio mentre quella realtà molto più
semplice dell'esistenza di un metodo meccanico per parlare un'altra lingua penetrava nella sua mente, Gosseyn vide che Voce Uno gli si avvicinava. Sul volto quadrato dell'uomo apparve un lieve sorriso. Era il tipo di sorriso che il suo ricordo delle esperienze di Gosseyn Primo e Secondo sulla Terra, definiva sarcastico. Quando l'uomo si fermò e abbassò lo sguardo su Gosseyn, i suoi occhi, visti da vicino, erano grigio scuro. E il sorriso dava loro quella che sulla Terra sarebbe stata considerata un'espressione astuta, furba. Le sue maniere non sembravano minacciose. E, in realtà, per un uomo disteso supino, sembrava non esserci alcun intento abbastanza rapido e significativo. Poteva solo aspettare la prima mossa dell'altro uomo. La "mossa", come si rivelò, fu quella di parlare. L'altoparlante del berretto di Voce Uno disse: «Come avete sentito, le nostre istruzioni sono di rimuovere tutto questo!» Una mano e un braccio si alzarono: la mano e un dito indicarono le tubature di gomma. Quindi Voce Uno concluse: «E abbiamo anche ricevuto istruzioni di rimuoverlo rapidamente, come avete sentito».
Sembrava che non ci fosse bisogno di risposte, a nessun livello. Ma Gosseyn tutto ad un tratto si sentì vagamente infelice. La voce dell'uomo aveva un tono trionfante.
...Mi sta sfuggendo qualcosa? O meglio — Gosseyn si corresse silenziosamente — mi è sfuggita? Voce Uno stava continuando con lo stesso lieve sorriso furbo. «Vorrei rassicurarvi che la velocità alla quale questi apparecchi verranno rimossi non vi infastidirà in nessun modo, perché», il tono era trionfante, «si sono tutti staccati automaticamente ad un livello inferiore quando siete stato tolto dalla capsula.» La reazione sembrava eccessiva; e — venne in mente a Gosseyn — non era necessariamente una verità assoluta. Alcuni dei tubi di gomma potevano essere collegati attraverso la pelle ad organi interni, a vasi sanguigni o a nervi; e non avrebbero dovuto essere rimossi. Cionondimeno restò immobile, mentre le mani e le dita di Voce Uno gli toccavano la pelle. E premevano. E tiravano. E si dimenavano. L'oggetto dell'azione era sempre uno dei tubi: man mano venivano tolti, uno ad uno. Non avvertì alcun dolore, il che era interessante, e confortante; ma Gosseyn riuscì anche a pensare alla propria situazione. Il risultato: un doppio scopo.
Di conseguenza, poco dopo, mentre Voce Uno ancora con il sorriso astuto sulle labbra indietreggiava, Gosseyn si alzò a sedere. Si stiracchiò. Fece penzolare i piedi oltre il bordo del letto. E restò lì, ancora nudo, a guardare i suoi catturatori. In funzione di quanto si proponeva, non c'era nemmeno un momento di tempo per conversare, se riusciva ad impedirlo. Perciò, proprio mentre poggiava i piedi a terra e si alzava, si girò leggermente. E guardò. Quello che i suoi occhi cercarono, poi, fu una visione della capsula da cui il suo «letto» era stato espulso. Che cosa si aspettasse da questa azione di guardare, non era chiaro al suo cervello. Di conseguenza, passarono parecchi secondi prima che l'enorme cosa che gli stava davanti fosse registrata. La sua prima impressione fu di guardare una parete particolare con una porta insolita che pareva aprirsi su una zona buia. E ci vollero parecchi secondi perché la sua mente si adattasse alla realtà che la zona buia era l'interno della capsula. ... Un lungo oggetto rettangolare e grande con — notò Gosseyn — un rivestimento di metallo. Nel vedere i sei metri di altezza, e — questa fu la sua stima — i dodici metri di lunghezza del contenitore, si sentì immediatamente
rassicurato. Perché uno dei suoi ostacoli mentali era stato: anche se c'era l'apparecchiatura per il trattamento degli escrementi di un essere vivente, dov'era lo spazio per conservare tutto il liquido che sarebbe stato necessario per un corpo umano? In un certo senso, non sembrava ancora grande abbastanza. Ma forse — analizzò — era il meglio che la Macchina dei Giochi aveva potuto fare sulla Terra prima di essere distrutta. Quando si girò di nuovo a guardare gli uomini che erano nel laboratorio, gli sembrò che la seconda parte del suo proposito non potesse essere rimandata. E perciò, ricordando che Gosseyn Secondo... lì fuori... aveva offerto aiuto in caso di emergenza, il terzo Gosseyn decise di prendere le precauzioni che avrebbero reso quell'aiuto possibile. Perciò abbassò lo sguardo verso il pavimento, lateralmente, dove c'era uno spazio libero, e mentalmente lo «fotografò» nel modo venti decimale. Senza fermarsi a vedere che cosa stessero facendo i suoi catturatori, si girò verso la sezione «letto». La guardò. E nello stesso modo formò nella propria mente l'immagine
particolareggiata che costituiva una duplicazione venti decimale. Visto che tutte le sue azioni si erano svolte nello spazio di un minuto, fu evidente a Gosseyn che ciò che aveva fatto non era stato preso in considerazione. Ma la realtà — così sembrava — era che quella capsula e i suoi accessori fossero il suo territorio. E poteva darsi che contenessero delle cose che in seguito avrebbero potuto essere utili, perfino vitali, per la sua sopravvivenza. Una volta completate le sue azioni difensive, Gosseyn spostò finalmente lo sguardo su Voce Uno e, oltre, su Voce Due. Mentre lo faceva, ci fu un'interruzione. «Vostra Eccellenza...», era Voce Tre che parlava dal soffitto, «posso dire qualcosa di urgente?» Ci fu una pausa. Poi, sempre dal soffitto: «A che scopo?», chiese Voce Quattro in tono calmo. «Signore, il cervello del prigioniero ha manifestato un'insolita configurazione di flussi d'energia, secondo i
nostri strumenti.» «Intendete dire... proprio in questo momento?» «Sì, Eccellenza.» Vi fu una pausa. «Ebbene, prigioniero, che cosa avete fatto?», domandò Voce Quattro in tono interrogativo ed aspro. Per Gosseyn fu uno di quei momenti particolari in cui la scienza della Semantica Generale era necessaria nella sua maniera più mercenaria. Di conseguenza, disse: «Signora, quando sono sceso dal letto sul quale, come sapete, ho dormito per un tempo indeterminato, e al quale sono rimasto attaccato finché non sono stato liberato poco tempo fa, il mio primo interesse è stato per la navicella che, secondo le parole profferite dai vostri aiutanti nei numerosi minuti passati, è servita da mezzo di trasporto per il mio corpo. Io non avevo, e non ho, alcun ricordo di aver visto questa navicella che le parole che ho sentito descrivono come una capsula trovata a galleggiare nello spazio. Di conseguenza l'ho guardata con genuina curiosità. Poi ho rivolto la mia attenzione al letto. E questo è tutto, Signore. In entrambi i casi, ero estremamente interessato. Forse tutto questo i vostri quadranti lo hanno registrato in modo eccessivo». Proprio mentre pronunciava quella spiegazione elaborata ed esclusiva, Gosseyn si sentì progressivamente infelice
per la necessità di farlo. Sebbene quella spiegazione prolissa facesse parte, seppure in modo negativo, della struttura della Semantica Generale, e costituisse una precisa tecnica, una realtà più basilare del sistema nervoso umano era che la menzogna o l'evasività non erano cose buone. Peggio: Gosseyn aveva la spiacevole sensazione di essere solo al principio di un periodo in cui le risposte evasive sarebbero state necessarie alla sua sopravvivenza. Ci fu un certo silenzio dopo che ebbe parlato. Vide che Voce Uno e Voce Due restavano in silenzio. E gli parve consigliabile imitarli mentre «Sua Eccellenza» considerava la logorroica risposta che gli aveva dato il «prigioniero». Non era troppo difficile immaginare che cosa fosse accaduto. Evidentemente i loro strumenti avevano reagito in qualche modo al processo cerebrale con il quale lui aveva compiuto le due azioni di fotografare mentalmente, con precisione venti decimale, i due punti nella stanza che aveva reputato i più necessari, nel caso ci fossero stati ulteriori sviluppi in un'epoca futura. E quell'atto di «fotografare» non era un fenomeno che desiderava descrivere ai suoi catturatori. Era più di questo. Comprese di essere sorpreso in modo complesso dal fatto che fossero stati, per ben due volte ormai, in grado di scoprire il suo extracervello in azione: la
prima era stata quando aveva comunicato con Gosseyn Secondo. La sensazione di sconcerto si intrecciava con un sentimento di profanazione... visto che la sua grandezza era stata osservata con degli strumenti. In qualche modo, l'interconnessione dell'extra-cervello con una realtà basilare dell'universo sembrava improvvisamente essere un fenomeno banalissimo... se aveva potuto essere esaminato. In pratica, quello che Gosseyn era in grado di fare trascendeva le vastità intergalattiche note; ma, ovviamente, vi erano coinvolti flussi di energia. Quello che ancora gli sfuggiva era la natura di quei flussi...
Uno di questi giorni — pensò... Era il vago principio di uno scopo: scoprire le dinamiche che ne erano alla base. Ma, proprio mentre faceva quella minuscola considerazione iniziale, arrivò l'interruzione attesa. Improvvisamente, Voce Quattro parlò col tono di un Comandante che dà un ordine. «Allontanate questa persona da questa stanza, e da ogni contatto con quest'area. Non riportatelo qui per nessun motivo senza il consenso dell'autorità superiore!» L'allontanamento che seguì ebbe un solo ritardo. Voce Due allungò la mano verso una parete, e afferrò quella che
sembrava un'uniforme grigia. La giacca fu lanciata a Gosseyn e, mentre lui la prendeva, i due uomini balzarono in avanti, e gli infilarono i polpacci nelle gambe di un pigiama. Quando comprese che gli stavano fornendo un abito, e che Voce Quattro esigeva una velocità super, Gosseyn indossò in fretta la «giacca» e poi, letteralmente, scivolò nelle gambe dei «pantaloni». Mentre se li sistemava in vita, i due uomini gli strinsero qualcosa sopra e intorno ai piedi, un uomo per ciascun piede. Gosseyn non ebbe il tempo di esaminare l'aspetto delle «scarpe», né di guardarle. Ma sembrava che fossero fatte di una gomma sottile ed elastica; e aderirono automaticamente al piede ed al calcagno, e, in un certo senso, si legarono. Mentre Gosseyn stava analizzando quelle sensazioni, veniva portato rapidamente — e senza fare resistenza — verso una porta in un angolo e, attraverso la porta, in uno stretto corridoio. Era chiaro che la scena dei futuri avvenimenti si trovava da qualche parte davanti a lui.
3. I corridoi — si disse Gosseyn — non vanno avanti per sempre. E, visto che credeva ancora di trovarsi su una navicella spaziale, si sentiva in diritto di prevedere che lui e le sue due guardie sarebbero arrivati presto in un'altra stanza. Ipotizzò, inoltre, che non sarebbe stata semplicemente una stanza del tipo che si trovava su un pianeta, dove la gente viveva in appartamenti e case. Visto che si trovava all'interno di un'astronave — in particolare, come aveva motivo di credere, un'astronave da guerra — si aspettava che sarebbe stato un altro posto dove si tenevano dei macchinari. Il primo segnale che forse il viaggio attraverso i corridoi metallici, dalla fioca illuminazione, stava per terminare, fu che Voce Uno e Voce Due rallentarono il loro passo veloce. E anche la stretta delle dita sulle sue braccia rallentò. Naturalmente, egli si adeguò subito al nuovo ritmo più lento. Dopo qualche momento, quando si fermarono davanti a una barriera, non si sorprese quando una mano lo oltrepassò e toccò qualcosa nella parete. Si sentì uno scatto metallico. Poi la parete si mosse, e diventò una porta scorrevole. Aldilà... c'era luce. Gosseyn
non aveva bisogno di essere spronato. Proprio mentre lo spingevano, egli avanzò spontaneamente. Davanti a lui si apriva una stanza. Era una stanza grande, con pareti e soffitto di una sostanza vetrosa. Il vetro era opaco, le pareti azzurre, e il soffitto era di una sfumatura più scura. Il pavimento, che si allungava per una trentina di metri davanti a Gosseyn, sembrava diverso. Una trentina di metri in lunghezza, e una ventina circa in larghezza, di vuoto. Non era visibile alcun macchinario. Nessun tavolo. Nessuna sedia. Nessuna apparecchiatura. Il pavimento sembrava fatto di un materiale non vetroso, ma era vagamente bluastro, ed era decorato con un disegno insolitamente intricato e ripetitivo. Le condizioni del luogo in cui era stato portato evocarono in lui un sentimento di sorpresa. Ma non sembrava esserci nient'altro da fare che aspettare ulteriori comunicazioni. Ancora una volta Gosseyn si mise in attesa. I suoi catturatori gli avevano tolto le mani di dosso. Perciò, provò a fare lentamente qualche passo avanti entrando così nella stanza. Non venne fatto alcun tentativo di fermarlo. Era conscio del fatto che Voce Uno e Voce Due l'avevano seguito, ed erano ancora al suo fianco, vicini come prima.
Fu Gosseyn che, dopo essere avanzato per un paio di metri, si fermò. E gli parve di non poter avere nessuno scopo in quella situazione tranne che una sorta di riaffermazione di uno scopo futuro: scoprire, se possibile, che cosa fosse quella grande astronave e da dove venisse. Fornire meno informazioni possibili su di sé. Non fare nulla di drammatico o rivelare alcunché, tranne che in caso di emergenza. Ma in quel momento non sapeva che cosa significasse per lui un caso d'emergenza. Con queste limitazioni in mente, aprì la bocca, con l'intenzione di verificare se esistessero altoparlanti nel materiale vetroso delle pareti o del soffitto. Ebbe in realtà solo il tempo di dire: «La mia impressione è che vengo trattato male senza alcuna buona ragione. Io non dovrei essere considerato un pri...». Arrivò fino a questo punto. Dal soffitto vetroso, Voce Quattro lo interruppe, freddamente. «Presto riceverete il trattamento che meritate. Nella nostra situazione difficile, abbiamo il diritto di essere molto sospettosi quando, dopo essere precipitati in un'area sconosciuta dello spazio, troviamo una capsula in questa zona nuova con voi dentro. E il fatto che, appena vi siete svegliato, siete immediatamente entrato in comunicazione con un lontano alter ego, vi rende veramente sospetto. Di conseguenza...»
Una pausa, poi: «Di conseguenza, vi abbiamo portato in questa stanza, che normalmente usiamo per le conferenze, per essere interrogato alla presenza dei nostri migliori specialisti, i quali determineranno il vostro destino in pochi minuti». Senza fare quasi nessuna pausa, Quattro aggiunse in tono di comando a quelli che erano evidentemente dei subordinati. «Portatelo sul podio!» Quest'ultima parte — così almeno sembrò a Gosseyn — era poco, o per niente, reale. Mentre veniva condotto — si muoveva di buon grado, come prima — sul pavimento dal disegno intricato di quella «sala per conferenze» totalmente deserta, non era visibile alcun podio. Solo che, quando lui e le sue guardie furono a metà del cammino dentro la stanza, il pavimento improvvisamente si mosse. Si alzò. Si sollevò silenziosamente di circa sessanta centimetri. Simultaneamente, un complesso di movimenti cominciò sulla parte sollevata. Parti del pavimento del «podio» si piegarono verso l'alto, e cominciarono a prendere forma un tavolo e delle sedie dietro di esso.
Numerosi movimenti più piccoli tra la piattaforma e il pavimento produssero una serie di piccoli gradini. Dopo qualche momento, le guardie e lui arrivarono agli scalini. E, dal momento che sembrava quella la loro destinazione, Gosseyn li salì senza dire una parola. Poi immaginò quale dovesse essere la sua mossa successiva: senza guardarsi indietro, o aspettare istruzioni, camminò intorno al tavolo, e si sedette nella sedia centrale. ...Appena in tempo per vedere i trenta metri di pavimento, che aveva appena percorso con la sua scorta... cominciare a muoversi. Verso l'alto. Non fu del tutto una sorpresa. Mentre guardava interessato, l'intricato disegno del pavimento fornì una silenziosa spiegazione. Ciascuna di quelle decorazioni ripetitive, come fu ben presto chiaro, era una sedia piegata. Che ora si apriva verso l'alto. E, con uno scatto metallico, si metteva a posto. Dopo un minuto, parecchie centinaia di sedie, tipiche di innumerevoli auditorium, teatri e sale per conferenze, aspettavano di fronte a lui che... Clic! Clic! Clic! In tre punti separati — dietro, al centro e davanti — entrambe le pareti laterali, una sezione di muro arretrò.
Attraverso le sei porte, create così rapidamente, sfilarono lunghe file di uomini. Erano indubbiamente tutti maschi, ma abbigliati in maniera diversa da Voce Uno e Voce Due. Nel viso e nel corpo somigliavano alle sue due guardie. Ma i loro vestiti non erano a sbuffo: erano più aerodinamici, e uniformemente grigi. E questo, naturalmente, era un indizio chiaro: quegli abiti erano uniformi. Coloro che li indossavano dovevano essere dei militari. Gosseyn, tristemente, restò seduto sulla sua sedia, mentre le lunghe file dei «migliori specialisti» — ricordò la definizione data da Voce Quattro — entravano attraverso le sei porte. Sembravano sapere dove dovessero sedersi. E, dopo qualche minuto, sedevano tutti ai propri posti. E lo fissavano. ... Essere in una sala per conferenze, seduto dietro un tavolo su un podio, di fronte ad un pubblico: era uno stereotipo terrestre per professori ed altri simili conferenzieri. Perciò Gosseyn fu costretto a fare uno sforzo mentale cosciente per allontanare quelle associazioni automatiche della memoria. I ricordi dello stereotipo non occupavano tutta la sua coscienza, ma si intromettevano e interferivano
quel tanto che bastava a distrarre la sua attenzione da quella che, ad un altro livello di coscienza, credeva fosse l'ora decisiva. Voce Quattro aveva fatto il grande passo. In questo modo, con una sola azione, l'uomo stava allontanando da sé la responsabilità di tutto quello che poteva accadere, o poteva essere fatto. In un'autocrazia, quello che aveva fatto Voce Quattro doveva essere vicino all'estrema autodifesa.
...Posso avere un approccio significativo con quello che sta per accadere? Fu la domanda che Gosseyn si pose silenziosamente. Prima di poter analizzare quale potesse essere un simile approccio, alla sua destra si sentì il rumore di una sedia che veniva mossa. Quando Gosseyn si girò a guardare, vide un uomo grosso, anch'esso in uniforme grigia, che si stava sedendo. In quel momento — a quella prima occhiata — non c'era nessuna indicazione del luogo da cui fosse venuto il nuovo arrivato. Senza dubbio, da un'altra porta scorrevole. L'uomo aveva una faccia quadrata, e una grossa testa cespugliosa di capelli castani che spuntavano da sotto il complicato copricapo che indossava. Doveva essersi accorto dello sguardo di Gosseyn, ma non voltò la testa per ammetterlo.
... Assicurandosi in questo modo, pensò Gosseyn, di nuovo cinico, che nessuno, in seguito, potesse accusarlo in alcun modo di trattare il prigioniero come un essere umano. Il nuovo venuto era chiaramente un personaggio-chiave. Infatti, alzò rigidamente la mano e il braccio destro davanti a sé. Laggiù tra il pubblico si sentivano sorprendentemente pochi rumori e fruscii. Ma, se ci fossero stati, quel braccio alzato con autorità aveva chiaramente il compito di zittirli. Dopo aver aspettato qualche attimo, evidentemente per assicurarsi di avere attirato l'attenzione di tutti, l'uomo aprì la bocca, e disse in inglese: «In nome di Sua Maestà Divina, richiamo all'ordine questa assemblea». Per Gosseyn fu un breve periodo di confusione. Perché era inglese parlato direttamente. Improvvisamente, la sua precedente analisi della fonte della lingua inglese parlata (la sua convinzione che provenisse dal copricapo, come traduzione) era stata invalidata. Questa fu solo la sua prima reazione e la sua prima coscienza. La seconda seguì alla velocità del pensiero. Perché, ogni parola che il suo vicino di sedia aveva detto, era stata pronunciata ad alta voce, rivolta evidentemente a tutto il pubblico. Ma la voce che aveva pronunciato le parole era quella di Voce Quattro.
Perciò... nessun problema; l'analisi era marginale al suo pensiero: Voce Quattro aveva un certo potere in quel regime autocratico. Ma, naturalmente, la rivelazione più grande furono le parole: «... Nel nome di Sua Maestà Divina...». Era finalmente apparsa l'autorità massima in quella situazione fantastica il cui terzo Gilbert Gosseyn vivente si era svegliato. E, visto che tutti erano così prudenti, era evidente che «Sua Maestà» doveva operare nelle regioni spietate della legge e delle punizioni autocratiche... Lo scompiglio dei pensieri nel cervello di Gosseyn si fermò. Perché, improvvisamente, stava accadendo qualcos'altro: nella platea aveva luogo un'azione ritmica. Tutto il pubblico balzò — letteralmente balzò — in piedi. Salutò. E si risedette. Poi ci fu un silenzio assoluto. La velocità di tutta la sequenza, dal momento in cui le parole rivelatrici erano state pronunciate in tono vibrante, al silenzio finale, lasciò essenzialmente indifferente l'unico ascoltatore neutrale.
Ma non era completamente indifferente, naturalmente. Il significato di «Maestà Divina» continuava a smuovere delle associazioni di pensiero. E restava comunque il fatto fantastico che l'inglese veniva parlato e compreso da tutti. Ma era ormai evidente che, a quel punto, qualsiasi pensiero potesse fare su quanto era accaduto, sarebbe stata una congettura. E — così sembrava a Gosseyn — ne aveva già fatte abbastanza. Era quindi giunto il momento di rivolgersi verbalmente a queste persone... Le prime parole che disse, dopo aver formulato questo pensiero decisivo, furono facili. Perché, quando si è in dubbio, bisogna scaricare sull'altra parte la responsabilità di... qualsiasi cosa sia (in questo caso, delle risposte). Disse: «Non capisco quale sia la vostra situazione. Prima ho sentito affermare che non sapete dove siete. Ma la domanda da fare è: in relazione a che cosa? Da dove venite? E chi siete?». Una pausa. Nel parlare, si era girato a guardare l'uomo grosso, presumendo che, poiché tutti e due erano sul podio, tutte le serie di domande e risposte si sarebbero svolte tra lui e Voce Quattro. Ci fu una pausa. Un paio di occhi arancio-giallastri guardarono i suoi... che erano di un colore ignoto; a meno che tutti gli occhi dei Gosseyn non fossero uguali, nel qual caso Voce Quattro vedeva un paio d'occhi grigio acciaio.
Fu lo sguardo arancio-giallastro a stringersi improvvisamente. Dopodiché, la voce dura e abituata a comandare disse: «Siamo noi a fare le domande. Come vi chiamate?». «Mi chiamo Gilbert Gosseyn», risposte. «Da dove venite?» «Sostanzialmente», disse Gosseyn, «sono un essere umano proveniente da un sole chiamato Sole, e da un pianeta, la Terra, che fa parte di quel Sistema Solare.» Non sembrava esserci alcuna utilità nel dire spontaneamente che Gosseyn Primo e Gosseyn Secondo credevano che il Genere Umano della Terra fosse arrivato millenni prima da un'altra galassia. «Che cosa stavate facendo in stato di animazione sospesa in una capsula spaziale?» Gosseyn inspirò profondamente. Senza dubbio, questa era la domanda fondamentale. Ma, dal momento che avevano già degli altri dati significativi, Gosseyn disse con la stessa voce calma: «Sono un corpo duplicato, programmato per risvegliarsi nel caso il mio alter ego venga ucciso».
«È stato ucciso?» Gosseyn non ebbe esitazioni. «Come dovreste sapere fin troppo bene, sono stato svegliato dall'apparecchiatura della vostra astronave. Perciò ora siamo in due; ma siamo lontanissimi.» «È una tecnica comune per la sopravvivenza della personalità tra gli esseri umani che abitano sul pianeta Terra?» «No, è unica per me e per i miei predecessori.» «Avete una spiegazione per la vostra situazione particolare?» «Non del tutto. Qualche ipotesi da parte del mio predecessore, ma occorrerebbe qualche ora per spiegarla.» «Benissimo.» La faccia che lo fissava divenne improvvisamente truce. «Come spieghereste la coincidenza per cui centosettantottomila astronavi, da guerra dell'Impero di Dzan si sono trovate d'improvviso, senza preavvertimento, in una zona sconosciuta dello spazio, e in quello spazio si trovava una capsula con voi all'interno, e in quello stato di animazione sospesa?» Dopo un periodo di vuoto mentale, Gosseyn effettuò la pausa cortico-talamica. Stava pensando: Io l'ho chiesto.
Era l'informazione che volevo... E il problema era che aveva ottenuto più di quanto aveva voluto. Era conscio di una vaga funzione analitica nella sua mente che addizionava cifre, tra le altre cose, inclusa la possibilità che su ognuna di quelle astronavi da guerra ci fossero migliaia di guerrieri. Era un avvenimento nello spazio-tempo così colossale che, infine, gli parve che solo la Semantica Generale potesse offrire una risposta ipotetica. Con quel pensiero in mente, disse facendo molta attenzione: «È possibile che alla base dell'universo ci sia una sembianza, non un essere; e che se, in un modo qualsiasi, questa sembianza viene messa in azione, il nulla si affermi momentaneamente. Durante questa frazione di secondo, la distanza non ha alcun significato». Non sembrava consigliabile rivelare che quella era la struttura all'interno della quale — così egli credeva — l'extracervello del Gilbert Gosseyn operava nel corso di un viaggio di similarità ventidecimale. Proprio mentre Gosseyn prendeva in considerazione questa cauta risposta, i suoi occhi guardavano la faccia di Quattro, mentre quella faccia rifletteva la reazione dell'uomo. In quella faccia Gosseyn poté quasi vedere l'uomo valutare il fantastico significato. Considerare ogni
dato. Arrivare, infine, all'enigma. «Sì...», il tono era polemico sebbene non adirato, «ma quale sarebbe il fattore di connessione fra quel punto nello spazio nel quale eravamo impegnati in una grande battaglia con la flotta del nostro nemico mortale, e quest'area dello spazio in cui voi galleggiavate in quella capsula?»
Non c 'era alcun dubbio — pensò Gosseyn dopo una pausa... — Sto ricevendo più informazioni di quelle che avevo
chiesto. Una battaglia di 178.000 astronavi da guerra contro un nemico "mortale". Il significato era "grande" ad un livello aldilà della comprensione della mente umana. Era un evento nello spazio-tempo che oscurava perfino la grande Battaglia del Sesto Decani tra le forze colossali di Enro il Rosso e la Lega, che Gosseyn Secondo era riuscito a frenare sconfiggendo il Persecutore. Le implicazioni di tutto ciò provocarono un pensiero dal significato altrettanto vasto; e le parole arrivarono quasi automaticamente. «Che cosa pensate sia successo al vostro nemico in quel momento? È possibile che siate stati tanto fortunati da lasciare lui e la sua flotta... laggiù?»
«Il vostro concetto di fortuna», arrivò immediatamente la gelida risposta, «non coincide con il nostro. La nostra scomparsa da quella battaglia significa che la nostra grande civiltà... laggiù.. ora si trova alla mercé di una cultura ostile, non-umana. E noi crediamo che siate in qualche modo responsabile di questo disastro. Perciò...» Mentre Voce Quattro faceva una pausa minacciosa, ci fu un'interruzione. La voce alta e acuta di un bambino strillò da un punto nel soffitto: «Portatelo quassù! Voglio vederlo! Scoprirò che cosa è accaduto! Mi occuperò io di lui!». La sorpresa era completa. E fu stupefacente quello che accadde allora. Nella platea tutti si alzarono. E restarono in piedi. Accanto a Gosseyn, Voce Quattro, sottovoce, disse in fretta: «Sì, Vostra Maestà! Subito, Vostra Maestà!». Che sviluppo inatteso!... Un Re bambino con un potere assoluto... Ma Gosseyn pensò: Che genere di potere?
4. Era una stanza d'oro. Questa fu la prima impressione di Gosseyn: la decorazione metteva in risalto il colore giallo oro.
Pavimenti rivestiti di felpa dorata, e drappeggi color oro alle pareti. Le pareti stesse, dove qui e lì erano visibili, sembravano grigio argento. Ebbe la vaga consapevolezza che ci fossero altri colori, usati per creare un contrasto. Ma non ci fu il tempo di notare simili particolari secondari. Perché, nel momento in cui fu introdotto nella stanza, vide che a un'estremità c'era un piccolo palco, e su di esso era posta una grande sedia color oro. Su quella sedia era seduto l'Imperatore-bambino. Parecchie decine di uomini vestiti di abiti scintillanti si tenevano da una parte. Gosseyn si trovò in difficoltà, perché la porta che aveva attraversato si trovava direttamente di fronte a quel gruppo di... cortigiani? Cosicché li notò per primi. Dopodiché, fu costretto a girare la testa a destra per vedere il ragazzino vestito d'argento scintillante che sedeva sul trono d'oro. Era evidente che il bambino aveva già visto lui e la sua scorta. Perché, mentre Gosseyn si accorgeva di lui, la mano e il braccio del bambino erano già alzati. Dopo qualche istante, parlò con la stessa voce fanciullesca che Gosseyn aveva sentito, e con lo stesso tono arrabbiato. «Stavamo aspettando!», disse la voce acuta e stridula. «Che cosa vi ha trattenuto? Dove siete stato?»
Quattro si era fermato rispettosamente. La sua faccia, vista lateralmente, era tesa per la consapevolezza dell'irragionevole impazienza che era contenuta nella domanda, e per l'impossibilità di spiegare a un ragazzino che occorreva del tempo per coprire le distanze. «Abbiamo corso per tutto il cammino, Vostra Maestà», disse Quattro. Poi aggiunse rapidamente: «Dopo che siamo riusciti a far camminare il prigioniero, cioè. Ha fatto resistenza.» A Gosseyn occorsero parecchi istanti per comprendere la perfezione di quell'accusa. Dicendo quelle ultime parole, Quattro si era abilmente discolpato. E aveva simultaneamente scaricato la colpa sull'unica persona che probabilmente non poteva difendersi dalla menzogna. Ma ancora più importante era il fatto che, poiché era già un prigioniero, non correva più pericoli di prima, in ogni caso. La verità era che, nella sala delle conferenze, quando Quattro gli aveva afferrato il braccio, Gosseyn aveva capito immediatamente che non dovevano esserci indugi. Perciò, quando era stato sospinto attraverso la porta sul retro del podio, aveva iniziato a correre spontaneamente. Il breve riandare con la mente a quegli avvenimenti, fu interrotto. «Portatelo quassù, di fronte a me!», ordinò la voce dispotica.
«Gliela farò vedere!» Questa volta si limitarono a camminare. Ma nel cervello di Gosseyn era nata un'altra consapevolezza. Il suo extracervello era in uno stato di stimolazione. Stava ricevendo un flusso di energia. Diverso. Nessuna sensazione simile era stata mai percepita dai precedenti Gosseyn con i quali aveva in comune i ricordi. Cambiò il suo programma. Aveva deciso di essere neutrale e di attendere gli avvenimenti. Di sospendere il giudizio e rimandare ogni decisione circa qualsiasi azione finché non avesse scoperto che cosa rendeva quel ragazzo pericoloso per gli adulti. Dopotutto, la storia umana sulla Terra annoverava numerosi casi di ragazzi divenuti eredi al trono, e di adulti che trattavano con abilità tutti i problemi conseguenti. Ma questo caso era diverso. E, poiché non sapeva esattamente quale fosse la differenza, Gosseyn mise in azione il meccanismo dell'extra-cervello per avere una conoscenza del corpo dell'Imperatore bambino. Era una completa fotografia mentale di ogni molecola, atomo, elettrone e particella. Il bambino stava parlando. «Vi estorceremo tutti i vostri segreti. Ogni più piccola
informazione. Che cosa avete fatto alla nostra astronave. Perciò cominciate a parlare. E solo per farvi sapere che cosa intendo dire, vi brucerò un pochino.» Perfino in seguito, Gosseyn non fu del tutto sicuro di quello che accadde allora. Ebbe la fuggevole consapevolezza che sul trono, al di sopra della testa del bambino, l'energia si condensava in un'asta metallica, e che l'energia proveniva dal bambino. Ciò che si verificò fu troppo rapido per un'analisi. E la sua risposta, visto che era stata premeditata, fu ad una velocità troppo grande per la coscienza visiva, uditiva o analitica. In quella frazione di secondo il suo extra-cervello similarizzò il corpo dell'Imperatore bambino sul letto della capsula sul quale, in precedenza, era stato coricato il suo corpo. Era una delle due aree dell'astronave che aveva «fotografato» in previsione di future fughe con la similarizzazione. E la scelse per il bambino perché era un cuscino, o un materasso. E sarebbe stato più comodo arrivare su quel letto piuttosto che a terra. Durante i momenti successivi, all'interno della stanza del
trono ebbe luogo tutta una serie di avvenimenti. L'asta energicizzata, che era al di sopra del trono, si accese, e ne uscì una fiammella. La fiamma colpì il soffitto con un crepitìo. Accanto a Gosseyn, Quattro boccheggiò. E, alla sua sinistra e alle sue spalle, si udì un'esclamazione collettiva che poteva provenire solo dai cortigiani. Di fronte a tutti loro, il trono era visibilmente vuoto. Il bambino Imperatore era scomparso. Passarono almeno una decina di secondi. Fu un periodo di tempo ben distinto. Ogni istante che passava sembrava quasi palpabile perché non c'era, letteralmente, alcun rumore o movimento. Eppure Gosseyn sapeva, naturalmente, che c'erano altre persone nella stanza. E, sebbene il termine non avesse alcun significato in senso esteso, la sensazione che Gosseyn percepiva sotto la pelle dei vassalli e dei seguaci del giovane Imperatore, era correlata ad una variazione di... pausa temibile! Il silenzio finì improvvisamente. Parecchie persone ansimarono. Per Gosseyn erano stati dei secondi preziosi. Durante quella pausa ebbe il tempo di comprendere che doveva
pensare a come portare quelle persone alla coscienza di ciò che era accaduto, senza esserne incolpato. Era un progetto, ma senza la minima idea, ancora, di quale sarebbe stata la sua spiegazione. Al momento, aveva a disposizione solo un ricordo limitato di ciò che era accaduto. Ebbe il tempo di cercare di ricordare a tutti i particolari. Il suo extra-cervello aveva scoperto un flusso di particelle in quelle frazioni di secondo in cui era cominciato il flusso... prima che acquistasse la forza piena che avrebbe avuto qualche milionesimo di secondo dopo. Era stato inaspettato, in realtà. Ma, fortunatamente, Gosseyn aveva preordinato una similarità 20-decimale, quando aveva capito quanto fosse pericoloso il bambino imperiale. Tutte quelle particelle erano state deviate nell'asta di energia che si trovava dietro al bambino, lì la subitanea fiamma di energia risultante aveva prodotto uno scoppiettio, un sibilo. La realtà incredibile, inaspettata, era che nel bambino c'era qualcosa dello stesso ordine di grandezza dell'extracervello di Gilbert Gosseyn. Il giovane Imperatore aveva all'interno della testa la struttura equivalente a una porzione
aggiuntiva di materia cerebrale. Una massa speciale di cellule che i normali esseri umani non possedevano. Purtroppo, non era solo un meccanismo difensivo. Operava mediante il controllo diretto dell'energia, che poteva essere guidata contro un bersaglio. L'intenzione del bambino era stata quella di «bruciare» Gosseyn «un pochino». La limitazione implicava un qualche genere di considerazione morale. Il che suggeriva inoltre che c'era stato un tentativo nel corso dell'educazione del bambino di introdurre delle restrizioni. Era chiaro che quel bambino non uccideva automaticamente coloro che l'offendevano. Si limitava a danneggiarli e, in questo modo, a spaventarli. A suo modo era onnipotente; ma non completamente folle come era sembrato, tanto per cominciare. Il che significava che si poteva ancora fare qualcosa. Fu una valutazione ad alta velocità... che si completò quando Gosseyn si rese conto che gli altri si stavano riprendendo dal loro shock... Accanto a lui, Quattro si stava drizzando e girando. E Gosseyn, sollevato, si girò con lui. In tempo per vedere Quattro voltarsi in direzione dei cortigiani, alcuni dei quali — Gosseyn osservò in ritardo — erano in uniforme.
«Draydart! Duart», disse Quattro, «prendete voi il controllo?» Ci fu una pausa. Evidentemente tutti, tranne Gosseyn, sapevano a chi si stava rivolgendo. Infatti, quando qualcuno si mosse, fu uno degli uomini in uniforme che uscì dal gruppo e camminò verso il luogo dove Quattro e Gosseyn aspettavano. Gli altri cortigiani restarono dove si trovavano al momento dell'ingresso di Gosseyn. L'uomo che venne avanti indossava un'uniforme rossastra. La parte superiore dell'uniforme brillava di luccicanti forme metalliche che, sulla Terra, Gosseyn avrebbe dato per scontato fossero decorazioni. Sulla stessa Terra, l'uomo che indossava l'uniforme avrebbe avuto una quarantina d'anni. E, poiché Quattro gli si rivolgeva con rispetto, evidentemente occupava un'alta carica. Gosseyn si aspettava vagamente che l'ufficiale e Quattro avessero una discussione. Ma, quando il militare si fu avvicinato, fu a Gosseyn che si rivolse. La sua voce aveva un inatteso tono di supplica, quando disse: «È ancora vivo?». Essere interpellato direttamente, essere ritenuto
responsabile — automaticamente —, dava a Gosseyn l'opportunità di esplicare il pensiero auto-protettivo che aveva formulato. Gosseyn rispose: «Questa sembra essere un'area speciale dello spazio con la quale voi avete una forte affinità. Ho avuto la fuggevole impressione, quando l'Imperatore è scomparso, che qualcosa all'interno della capsula nella quale sono stato trovato è stata, in qualche modo, messa in azione dallo speciale controllo cerebrale di energia dell'Imperatore. Di conseguenza, ora», continuò con la sua menzogna, quando cominciò ad ampliare la spiegazione, «possiamo avere un primo indizio in relazione al modo in cui siete arrivati qui dal vostro luogo d'origine. È possibile che Sua Maestà fosse impegnata in qualche azione punitiva l'istante prima che avvenisse la Grande Transizione?». Quindi concluse: «Penso che fareste bene a mandare una Guardia d'Onore al laboratorio in cui avete messo la capsula spaziale. Il mio sospetto è che il bambino... uh... Sua Maestà sia al suo interno». «M...m...ma», balbettò l'ufficiale, «noi pensavamo che fosse pericoloso tenerla a bordo. Quindi...», la sua faccia era grigia, «l'abbiamo lanciata nel momento in cui avete lasciato il
laboratorio.» Fu il secondo grande shock. Quanto velocemente può reagire la gente? Due volte? Osservazioni per mezzo della Semantica Generale hanno stabilito che una risposta talamica potrebbe virtualmente essere istantanea...I muscoli si ritraggono da una minaccia. Il corpo si dimena e pulsa. La voce può perfino pronunciare suoni o parole... Quanto sensate erano risposte simili? Questo, naturalmente, dipendeva da quanta attività corticale era incorporata in quelle prime risposte. Per quanto poteva stabilire Gosseyn, solo una piccola parte della corteccia era coinvolta in quello che osservò durante quei primi momenti, dopo che il militare fece la sua affermazione. Una decina di voci strillarono quasi simultaneamente. Si sentirono rumori di persone che giravano qua e là. Parecchie persone oltrepassarono di corsa Gosseyn. Sembravano avere un unico scopo: correre verso il trono. Ma, in realtà, quei movimenti particolari cessarono prima che la gente arrivasse al trono. Smisero di correre, e cominciarono anche loro a girare in tondo. Il tubo aveva un aspetto talamico. Ma un'altra possibilità
era venuta in mente a Gosseyn. Quelle persone erano leccapiedi con una grande esperienza. Erano così abituati ad essere ipocriti che, evidentemente, provavano solo sollievo all'idea che il bambino Imperatore fosse completamente e per sempre fuori dai piedi. Eppure... Altrettanto evidente era che, se l'Imperatore era ancora recuperabile, allora ciascuno doveva mostrare a beneficio degli spettatori di aver provato un dispiacere sincero. Di uguale importanza per il futuro di quei cortigiani, comunque si fosse sviluppato, era il fatto che ci sarebbe stato un erede al trono, che in seguito avrebbe giudicato il comportamento di questi intimi dell'Imperatore. E i soliti pettegoli sarebbero stati occupati a parlare degli imprudenti. A Gosseyn, che aveva i suoi problemi, le reazioni particolari delle singole persone non interessavano. Gli pareva chiaro che il suo futuro sarebbe stato più sicuro se il bambino era ancora vivo. Perciò seguì una semplice regola: l'osservazione dei Gosseyn precedenti era che in una crisi i militari prendono il sopravvento. Quindi — molto semplicemente — dedicò la sua attenzione all'ufficiale che lo aveva interrogato. Draydart Duart, il cui grado era sicuramente qualche variante di Comandante Supremo. Come aveva previsto, il Draydart si riprese rapidamente dallo shock iniziale. Dopodiché si girò di scatto, e si diresse verso una sezione della parete che era vicina al trono. Arrivato a destinazione, spinse da un lato il
drappeggio. Toccò qualcosa che era sulla parete stessa. E cominciò a parlare. Quella reazione doveva essere stata notata dagli altri. Perché, progressivamente, il silenzio scese nella stanza. I gentiluomini elegantemente vestiti smisero di girare in tondo e di sfogarsi l'uno con l'altro. Di conseguenza, la voce del Draydart improvvisamente fu percettibile, mentre lui, evidentemente, concludeva gli ordini che aveva emanato. «Agite subito! E siate molto attenti!» Con quelle ammonizioni finali, l'ufficiale lasciò ricadere i tendaggi. Poi si girò; e quel corpo e quel viso scarni, da quarantenne, si diressero verso il luogo dove Gosseyn e Quattro erano in attesa. Una volta che si fu avvicinato, sembrò rivolgersi ad entrambi quando disse: «Naturalmente, i nostri strumenti hanno seguito i movimenti della capsula. È stata ormai localizzata, e sta per essere riportata a bordo». Poi aggiunse: «Una squadra speciale di scienziati l'aprirà, e scorterà l'Imperatore dovunque sarà più opportuno per lui». Infine concluse, rivolgendosi solo a Gosseyn: «Non sono sicuro se dobbiamo farvi restare qui quando
l'Imperatore ritorna». Per Gosseyn era interessante che il Draydart parlasse come se si preoccupasse per il bambino: Era interessante anche sapere che dove sarebbe stato portato l'Imperatore, quando fosse stato salvato, era il posto «più opportuno per lui». Ma nel commento finale si dava per scontato che la destinazione era il ritorno automatico nella sala del trono. Presumibilmente, tutto ciò si sarebbe risolto al momento del recupero della capsula. Ma in realtà c'era una soluzione semplice per la situazione di Gosseyn. «Quando sarà il momento», disse, «perché non chiedete a Sua Maestà se vuole che sia presente?» Ci fu una pausa. Gosseyn guardava la faccia dell'ufficiale, su cui era visibile un cambiamento di idee. Nel prendere il controllo, come aveva fatto, il Draydart aveva manifestato una assoluta ascendenza di tipo militare sui civili. Automaticamente questo atteggiamento aveva messo il bambino, mentalmente, nella categoria delle vittime, per essere mosso e manovrato per il proprio bene, secondo il giudizio del Draydart. Così come all'Imperatore non sarebbe stato chiesto se desiderava essere salvato, così nei primi momenti dopo la salvezza, sarebbe stato trattato nell'ambito delle leggi e dei regolamenti. La pausa finì.
«Naturalmente», riconobbe il super-comandante. Occorse un certo tempo; circa venti minuti. In quel frattempo, tutti restarono, stranamente silenziosi, in attesa. La gente sembrava fissare un punto al di fuori della stanza, invece che guardarsi l'un l'altra. Improvvisamente si udì di nuovo la voce fanciullesca da un altro altoparlante nascosto nel soffitto. «Sì, voglio che quel tipo sia presente. Non fatelo andar via!» Gosseyn decise di supporre che «quel tipo» fosse riferito a lui. Gli parve che il tono dell'Imperatore nel pronunciare quelle parole non suonasse molto favorevole. Mentre formulava quel pensiero, la voce di un uomo disse dal soffitto. «Draydart Duart, controlla...» La parola che seguì era ignota a Gosseyn: somigliava a... «rotula». Allora l'ufficiale allungò la mano verso una delle decorazioni che erano sulla spalla sinistra della sua uniforme. L'oggettino scintillante che afferrò era attaccato all'orecchio sinistro. E sembrò mettersi in ascolto. Dopo qualche secondo rimise a posto la piccola decorazione argentata. Poi si rivolse al gruppo di cortigiani, e disse:
«Ci sposteremo nella...». Di nuovo una parola ignota a Gosseyn. Questa somigliava a «treccia». Ma il significato era ovvio. La successiva conversazione avrebbe avuto luogo in un'altra stanza. Presumibilmente era un locale dove il prigioniero — Gilbert Gosseyn — si sarebbe scontrato con maggiori sistemi difensivi. Gosseyn, ricordando che l'attività del suo extra-cervello era già stata registrata due volte dai loro strumenti, ebbe la sgradevole sensazione che le nuove apparecchiature difensive sarebbero state in grado di difendere l'Imperatore da qualsiasi cosa egli potesse fare in quell'area. Visto che, in tutto ciò, il suo scopo principale era difendersi e, presumibilmente, ottenere altre informazioni, sembrava evidente che si stava avvicinando il momento in cui avrebbe dovuto prendere una decisione definitiva.
5. Considerato che non aveva ulteriori scopi riguardo a «Sua Maestà», Gosseyn decise che non c'era alcuna utilità nel fare una fotografia mentale venti-decimale di una qualsiasi porzione della sala del trono. La verità era che, se per una ragione qualsiasi fosse mai
tornato in una stanza di tale importanza, ciò sarebbe parso sospetto a tutti; e, in seguito, i seguaci del giovane Imperatore non avrebbero accettato nessuna scusa. Per il momento, pensavano che potesse essere loro utile per scoprire che cosa aveva fatto spostare la loro flotta in una zona ignota dello spazio: ignota a loro e, in realtà, ignota anche a lui. Perciò aveva anche delle cose da apprendere. Le informazioni immediatamente disponibili erano minori. Ma, cionondimeno, Gosseyn prestò attenzione mentre veniva condotto dalla sala del trono, lungo un corridoio, verso una zona di ascensori, dove c'era una mezza dozzina di ascensori in fila. Uno di questi lo portò — questa fu la sua stima — a un'altezza equivalente ad otto piani. Poi fu condotto lungo un altro corridoio. Lungo quest'ultimo si allineavano guardie in uniforme grigia, ciascuna delle quali si ergeva rigidamente, e faceva un movimento con la mano, quando il Draydart l'oltrepassava. Il movimento della mano consisteva nel mettere il palmo della mano destra nel mezzo del petto. Presumibilmente, era il saluto del grado militare inferiore. La stanza alla quale ben presto arrivarono, sembrava essere una zona dedicata ai rapporti sociali. C'erano divani, grandi sedie e tavoli; e il folto gruppo di cortigiani, che si era affollato negli ascensori vicini e aveva seguito Gosseyn e le sue due guide — Quattro e il Comandante — prese posizione accanto all'uno o all'altro dei divani.
Sembrava che ci fossero altre entrate nella grande stanza. Dal punto in cui si era fermato, accanto al Draydart, Gosseyn vide, in fondo ad una delle pareti laterali, parte di una nicchia che, senza dubbio, portava in qualche luogo. E c'erano tre porte ornate di drappi, una su ogni parete, in aggiunta a quella attraverso la quale era entrato. Gosseyn restò in piedi, come gli altri... in attesa. Non sentì alcun bisogno particolare di pianificare le proprie risposte per il secondo interrogatorio. Ma si sentì vagamente infelice perché... che perdita di tempo! Tutti quegli uomini e lui, coinvolti, ciascuno a suo modo, in un evento colossale, ma in attesa di un Imperatore bambino che poteva solo causare altri problemi. Qualche istante dopo che Gosseyn aveva avuto questa reazione negativa, il bambino entrò a passo rapido attraverso la nicchia. Sorprendentemente, qualche momento dopo l'ingresso, l'Imperatore bambino si fermò barcollando. E poi, come se fosse una decisione presa all'ultimo momento, si avvicinò fino a un paio di metri da Gosseyn. A modo suo, tenuto conto di ciò che era avvenuto, era un'azione coraggiosa. E i suoi occhi vivaci erano altrettanto coraggiosi nel guardare il prigioniero. Improvvisamente, fece una smorfia:
«Che cosa avete fatto? Che cosa mi avete fatto?». Era un attacco. La voce era stridula, offesa, coraggiosa. E la prima reazione di Gosseyn fu: va bene, ci risiamo! Ma., dopo un momento, avvertì un diverso livello di coraggio: ad un tratto, la situazione gli parve meno minacciosa di... prima... quando era nella sala del trono. Come se il breve soggiorno dell'Imperatore bambino nelle tenebre della capsula avesse, per la prima volta in anni, innescato in lui la... prudenza. «Vostra Maestà», disse Gosseyn con calma, «il mio suggerimento è che, finché i vostri scienziati non scopriranno in che modo il vostro speciale controllo di energia operi in quest'area dello spazio, di usare la parte extra del vostro cervello solo quando è strettamente necessario.» Sorprendentemente, il bambino restò in silenzio. Significava che stava pensando razionalmente? La risposta a questa domanda, comprese Gosseyn, era composta da parecchi aspetti negativi. La corteccia umana, dove si riteneva risiedesse la capacità di ragionare — e Gosseyn accettava quest'ipotesi — si sviluppava completamente, dal punto di vista fisico, solo a
diciotto anni e mezzo di età terrestre. Ahimé, il bambino imperiale aveva palesemente 12 o 13 anni. Cinque o più lunghi anni terrestri sarebbero dovuti trascorrere prima che l'Imperatore avesse la necessaria struttura cerebrale. Ma, sebbene i ragazzini di 12 anni fossero impulsivi, erano in grado di imparare. Erano in grado di affermare le idee. Erano in grado di imparare, in particolare, a porsi dei limiti. Forse proprio in quel momento il bambino stava ricevendo la sua prima vera lezione di autocontrollo. Gosseyn sospirò internamente, vagamente speranzoso, mentre quei pensieri gli attraversavano la mente. Perché, ricordando i cortigiani spaventati, i militari servili, e, in realtà, tutti quelli che aveva incontrato fino a quel momento, era ormai l'ora. Durante questi momenti di riflessione di Gosseyn, il bambino continuò a restare immobile. La sua faccia mostrava ancora una lieve smorfia. E non c'erano dubbi: qualcosa stava per accadere. Gilbert Gosseyn Terzo poteva fare qualcosa per incanalare in maniera accettabile la strana combinazione di coraggio e di capacità cerebrale incompleta che gli stava davanti nella persona di quel giovane che, per diritto ereditario,
aveva il potere su quelle 178.000 astronavi da guerra? Gosseyn allora comprese quale fosse la vera causa della sua incertezza: non aveva alcuna esperienza personale di vita che lo aiutasse a stabilire il comportamento di un bambino di dodici anni. Sia lui sia i precedenti Gosseyn, non avevano nessun ricordo di essere mai stati bambini. Ma quei predecessori, poiché erano stati entrambi sulla Terra, e su altri pianeti abitati da esseri umani, avevano incontrato bambini in varie circostanze; e quei ricordi erano ora nella mente di Gosseyn Terzo. Sembrava però che i due predecessori avessero osservato principalmente bambini che giocavano. Bambini che gareggiavano in giochi sportivi. Quella era la conoscenza fondamentale. Competizione nell'ambito di giochi di ogni genere. Questa era la soluzione. Benissimo! A suo modo era stata una valutazione rapida e illuminante della situazione. Quindi, improvvisamente, senza aspettare che quel cervello incompleto arrivasse a una conclusione sbagliata e, di fatto, mettendo da parte la cortesia dovuta a quel superbambino, Gosseyn parlò senza aspettare il permesso. Disse: «Scommetto che riesco a trattenere il fiato più a
lungo di te». Nella stanza cadde un pesante silenzio. Gosseyn Terzo ebbe il tempo di notare i sudditi adulti in uniforme o in altre divise irrigidirsi, e assumere un'espressione — sì — di sorpresa. «Scommetto che non ci riesci», rispose l'Imperatore bambino. Dopodiché, senza aspettare, inspirò profondamente. I polmoni gli si allargarono. Le guance, si gonfiarono. E, Gosseyn Terzo, reagendo immediatamente, fece la stessa cosa. Restarono così. E sulle prime l'uomo pensò:
«Beh, ho guadagnato più o meno un minuto prima di che?». Presumibilmente, per circa sessanta secondi, aveva stornato una contesa dalle implicazioni più serie: l'extracervello di Gosseyn contro un equivalente potere cerebrale, posseduto solo da poche persone nel luogo da cui proveniva quella gente; uno dei possessori del quale era quel bambino. A ogni secondo che passava, Gosseyn diventava sempre più cosciente di quanto dovesse sembrare idiota quella
piccola contesa agli spettatori. Eppure, naturalmente, visto che era coinvolto l'Imperatore, nessuno osava reagire sfavorevolmente. Tutti restarono immobili, raggelati, come i due contendenti. Della trentina di uomini, senza contare le guardie sullo sfondo, solo tre — sebbene anche loro non si muovessero — sembravano afferrare la situazione in tutti i suoi risvolti. Gosseyn vedeva il Draydart, Quattro, e un terzo uomo che stava di lato. Sulla faccia di tutti e tre si rifletteva il lavorio interiore. Quando si accorsero che li guardava, spostarono gli occhi. Poi il terzo uomo si girò e, deliberatamente, cercò di incontrare lo sguardo di Gosseyn, quindi mosse le labbra, e sillabò le parole: «Fate vincere l'imperatore». Questo era un problema che Gosseyn aveva già cominciato a considerare. Che cosa sarebbe stato meglio per trattare con il ragazzo? Un rapido sguardo al giovane Imperatore gli mostrò che gli occhi gli sporgevano dalle orbite, e la faccia appariva tesa nello sforzo. Era il momento di decidere. Con un singulto, Gosseyn liberò il fiato trattenuto. E pochi istanti dopo il bambino fece la stessa cosa. Ma subito strillò felice: «Ho vinto! Ho vinto!».
Gosseyn, visto che aveva una corteccia pienamente sviluppata — almeno così aveva motivo di credere — aveva già pensato al seguito. Di conseguenza, prese qualche boccata d'aria, sorrise per mostrare di avere accettato la sconfitta, e disse: «È il vantaggio di essere giovani. Ma scommetto che ci sono giochi in cui ti batto». La faccia soddisfatta del bambino aveva bisogno di qualche altro respiro veloce. Ma si stava già illuminando. «Scommetto che non riesci a battermi a Scroob», disse infine il dodicenne. «Mia madre non vuole più giocare con me, perché sono troppo bravo per lei.» Gosseyn disse: «Vorrei sapere di che gioco si tratta prima di discutere con te. Ma forse potremmo tentare di fare una partita, dopo che mi sarà stata assegnata una stanza e avrò mangiato qualcosa». Quindi: «Dopotutto, è arrivato il momento di decidere di trattarmi come un ospite, e non come un prigioniero; visto che vi assicuro di voler aiutare i vostri scienziati fin dove mi è possibile». Era l'unico modo che aveva escogitato per posporre una sfida immediata. E, ovviamente, se riusciva ad ottenere la tregua che aveva chiesto, era il massimo ottenibile. Fu felice, poi, di vedere che tutti sembrarono sollevati, quando il bambino disse: «Va bene, giocheremo dopo». Dopodiché, il giovane Imperatore si rivolse all'uomo che
aveva suggerito a Gosseyn di far «vincere l'Imperatore», e disse con la sua voce fanciullesca ma ferma: «Breemeg, trovagli un alloggio nella...». Era un'altra parola nuova; somigliava a «...palomar». «E poi», continuò il ragazzo, «dopo che avrà mangiato, portatelo al... Posto.» Così sembrò pronunciata l'ultima parola: Il Posto. Il cortigiano Breemeg si stava inchinando. «Benissimo, Vostra Maestà, sarà fatto immediatamente.» Il giovane Imperatore si era già girato. «È lì che sarò io.» Gosseyn restò con gli altri, mentre il bambino scompariva nella nicchia.
6. Il viaggio per... Palomar... cominciò di corsa. Come se la sua guida, il garbato cortigiano Breemeg, comprendesse — come avevano fatto le altre guide prima di lui — che quell'intervallo doveva essere breve. Mentre si affrettava lungo un altro interminabile corridoio al suo passo più rapido, quasi di corsa, Gosseyn ebbe
comunque il tempo di gettare un'occhiata al suo compagno. Il profilo di Breemeg, serio, concentrato, aveva lo stesso naso a punta, leggermente lungo, che aveva già notato negli altri. Il colore della pelle era dello stesso bianco degli uomini bianchi della Terra, ma c'era qualcosa di lievemente diverso; forse era troppo bianco, quasi esangue. La zazzera di capelli biondo oro sembrava una qualità fisica comune a uno dei tipi umani di quel popolo, l'altro tipo era quello con i capelli scuri, come Quattro. In quel momento il viso di Breemeg aveva le mascelle serrate e gli occhi socchiusi, come se un pensiero sgradevole gli attraversasse la mente. Poiché Gosseyn non poteva sapere quali fossero questi pensieri finché non fossero stati espressi, passò il resto del viaggio a correre. E non fu sorpreso quando, poco dopo, Breemeg e lui attraversarono una porta ed entrarono... doveva essere... Palomar! La sua prima impressione fu di un giardino al coperto. Piccoli alberi. Cespugli. Un equivalente dell'erba. Presumibilmente — quello fu il primo pensiero — doveva trattarsi di — una grande serra a bordo di quell'enorme astronave.
Ebbe altre visioni di sfuggita: soffitti più alti, porte seminascoste, a decine, in parte visibili attraverso i cespugli. Le porte erano all'estremità del giardino. Alla sua sinistra scorse per un attimo un luccichio d'acqua. Un laghetto? Non poteva esserne certo. Perché, esattamente nello stesso momento in cui lui e la sua guida oltrepassavano la soglia della porta a doppio battente che Breemeg aveva aperto e si avviavano lungo il vialetto del giardino, l'uomo disse: «Beh, Mr. Gosseyn, ora sapete quale sia il problema degli adulti a bordo della Nave Ammiraglia della Flotta Dzan. Dobbiamo passare le nostre ore di veglia in un servilismo nauseante, miserabile e oltraggioso, verso un bambino pazzo che ha uno speciale controllo cerebrale dell'energia vitale». Osservazione inattesa, sì. Ma, in un certo senso, non totalmente. I precedenti Gosseyn avevano incontrato e osservato dei leccapiedi. Perciò, a quel punto, silenziosamente, mentre ascoltava quelle parole amare, Gosseyn scosse tristemente la testa. Il suo pensiero... sto
per assistere a un tentativo di coinvolgermi nella politica segreta di un gruppo di resistenza. E naturalmente la risposta al tentativo secondo la Semantica Generale doveva essere... quale? Ovviamente, qualcosa connessa alla sopravvivenza.
Pensò... Sono ancora su quest'astronave e ho deciso di
restare, non perché intendo parteggiare per qualcuno o fare delle amicizie speciali, ma per scoprire che cosa ha fatto arrivare questa gente nelle vicinanze della capsula spaziale, nella quale io aspettavo in un particolarissimo stato di animazione sospesa... Questo doveva continuare ad essere per lui più importante di qualsiasi problema che la nobiltà minore Dzan avesse con la propria monarchia. Solo che... Era bene ricordare che al prigioniero — Gilbert Gosseyn — era stata rivelata un'informazione segreta: qualcuno o qualche gruppo odiava il potere imperiale con tanta violenza che, presumibilmente, stava rivelando quell'odio con l'intenzione di usare il nuovo arrivato contro il giovane Imperatore. E se si scopriva che lui non aveva l'intenzione di venire coscientemente coinvolto, allora che cosa avrebbero fatto i cospiratori? Avrebbero pensato di doverlo mettere a tacere per sempre? Era probabile, ma poco. Perché, se fossero stati capaci di uccidere, allora sarebbe stato più semplice uccidere il
bambino e gettare la colpa su quello strano e misterioso individuo che era stato portato a bordo contro il parere dei... uh, cospiratori. Questo poteva essere il piano. Gosseyn si accorse di sogghignare. Il fatto era, pensò, che non sarebbe passato molto tempo perché la situazione si sviluppasse. Quindi la sua prima risposta doveva essere... fare domande. La prima domanda che fece sembrava lontana dal suo scopo fondamentale nella sequenza interrogativa. Ma aveva il suo significato. Chiese: «Il padre del giovane Imperatore... che cosa gli è accaduto?». Erano quasi arrivati ad una delle porte mentre Gosseyn pronunciava questa frase destinata a deviare il discorso. Le parole parvero fare grande impressione, perché Breemeg si fermò. Simultaneamente, allungò una mano e la pose sul braccio di Gosseyn. Gosseyn interpretò il gesto come un invito a fermarsi, e perciò si fermò. Lentamente, poi, girò il viso verso l'altro uomo. E aggiunse a quanto aveva già detto: «Immagino che il bambino abbia ereditato il suo incarico da un genitore morto».
Mentre parlava, fissava la faccia di Breemeg. E fu così che vide le sue labbra sottili stringersi, e diventare più sottili, se pure ciò era possibile. E poi quel movimento delle labbra si invertì. La faccia si contorse in un ringhio, con le labbra tirate all'indietro, mentre Breemeg diceva con voce rauca: «Quel bastardo!». Era una risposta che non dava adito a dubbi: da quel momento in poi doveva occuparsi dell'inattesa rivelazione dei sentimenti di quell'uomo. Gosseyn restò in silenzio, in attesa di parole chiarificatrici che spiegassero i sentimenti violenti contro il padre scomparso dell'Imperatore. Senza tali informazioni aggiuntive, non era facile colmare l'abisso tra quell'individuo pieno di odio e il garbato, attento cortigiano, che aveva avuto il buon senso di spingere Gosseyn a far vincere l'Imperatore nella gara di apnea. E, naturalmente, sarebbe stato altrettanto difficile definire quale approccio, derivato dalla Semantica Generale, dovesse essere usato per trattare il problema. Le soluzioni esigevano che la persona che doveva risolvere il problema comprendesse la situazione. I momenti passavano; ma Breemeg restava immobile a guardare. Quindi parve a Gosseyn che fosse arrivata l'ora di uno scopo pratico, dal momento che non aveva nulla a che fare con la realtà emotiva che irrigidiva l'altro uomo.
La frase che pronunciò conteneva una sua semplicissima realtà. «Quanto tempo ho a disposizione prima di dovermi recare al Posto?» «Uhhh!», disse Breemeg. Se era possibile, la faccia dell'uomo sembrò diventare ancora più bianca. Era come se stesse risalendo da un enorme abisso interiore, e stesse ritornando nel mondo circostante. Improvvisamente, le sue dita intorno al polso di Gosseyn si strinsero. E tirarono. Lo tirava nella direzione della porta che era di fronte. Poi, tutto ad un tratto, la cortesia tornò. Fu il cortigiano che disse con tranquillità: «Sarebbe meglio se entrassimo, e che voi mangiaste. A Sua Maestà non piace aspettare, come ormai dovreste sapere». Era di nuovo uno spunto che avrebbe portato ad altre informazioni. Dopo qualche momento, la porta venne aperta dal braccio e dalla mano libera di Breemeg che si allungarono verso l'equivalente di un saliscendi o di una serratura a scatto. La porta si aprì verso l'interno. Mentre si socchiudeva,
Gosseyn ebbe una rapida visione di un pavimento coperto da un tappeto, di un divano verde e di una grande sedia verde, con alcuni tavoli messi su di un lato. E poi, da quella zona — dov'erano i tavoli — la voce di Due disse: «Entrate, entrate, Mr. Gosseyn: abbiamo preparato tutto per voi». In un certo senso fu una sorpresa udire quella voce familiare, sebbene non fosse una brutta sorpresa. Ma, mentre Gosseyn superava la soglia ed entrava nella stanza, assaporò l'uso che Voce Due aveva fatto della parola «noi». Di conseguenza, quando per primo vide Voce Due, e poi attraverso una porta che conduceva in un'altra stanza più piccola, Voce Uno, dedusse che veniva tenuto a contatto di un ristretto numero di persone, per la maggior parte individui che già conoscevano i suoi antecedenti. Disse allora «Salve!» a Due, e agitò vagamente la mano in direzione di Uno. Durante il breve scambio di saluti, era cosciente della presenza di Breemeg alle sue spalle. Non fu quindi una sorpresa quando il cortigiano disse nel tono di un superiore che parli ad un subordinato: «Mr. Onda, che cosa avete preparato per il nostro ospite?».
... E così stava per apprendere i nomi. O meglio — come si rivelò — solo un nome. Ma anche uno solo era il benvenuto. Voce Due — Onda — disse in un tono che accettava la posizione di inferiorità: «Signore, abbiamo sottoposto ad analisi chimiche i liquidi che venivano usati nella capsula per nutrire il nostro... ospite. E abbiamo preparato una zuppa mista combinando alcuni degli alimenti che abbiamo trovato». Era il più grosso tra i due, tranne che per la testa, che era lunga, mentre Voce Uno aveva una faccia dalla struttura quadrata. Onda era il più anziano. Proseguì in tono di scusa: «Occorrerà qualche ora per preparare un pasto più solido». Breemeg accettò la spiegazione con un breve cenno del capo che sembrò comunicare un'accettazione imperiosa. Dopodiché, prese Gosseyn per un braccio. «Lasciate che vi mostri il vostro appartamento», disse. Era la prima vera conferma verbale che era realmente arrivato alla prima delle sue destinazioni. E che lì, presumibilmente, avrebbe soggiornato mentre rimaneva a bordo dell'astronave. Gosseyn decise di non pensare in
quel momento quanto sarebbe rimasto a bordo. Quella decisione doveva essere discussa con il suo lontano alter ego. Seguì un breve giro: videro prima una camera da letto, con annesso un bagno, poi una piccola combinazione di studio e camera da pranzo. Almeno questa fu la sua silenziosa descrizione del posto: ciò che lo rendeva uno studio erano una specie di schermo televisivo e altre apparecchiature elettroniche su una parete, o sporgenti da essa, una sedia e una scrivania, e ad un'estremità c'era poi un tavolo di vetro che avrebbe potuto essere un tavolo da pranzo. Un certo numero di sedie erano distribuite nella stanza. Immaginò fosse normale che le sue identificazioni riflettessero le idee terrestri in campi similari; ma del resto anche l'appartamento le rifletteva, con la sua somiglianza agli alloggi diffusi in tutto il sistema solare come abitazioni umane. La somiglianza si estendeva alla quarta stanza, che aveva l'aspetto di una cucina, completa di qualcosa che somigliava a un fornello, e un tavolino con una sedia davanti, dove Voce Uno aveva già sistemato una scodella fumante piena di una zuppa marrone-verdastra. C'erano altri mobili, compresi cassetti e scaffalature. Ma lo scopo della zuppa era così ovvio che, quando Onda gli fece segno di sedersi sulla sedia di fronte alla scodella, Gosseyn lo fece automaticamente, senza aspettarsi
sorprese sgradevoli. Perciò le parole pronunciate subito dopo furono un vero shock. «Forse, Mr. Breemeg, prima di procedere, non potreste fare un commento a proposito del difetto di cui abbiamo parlato prima, in relazione a Mr. Gosseyn?» Il cortigiano, che si era mantenuto in disparte, avanzò. «La connessione rotta?», chiese. «Sì, Signore.» Pausa. «Semantica Generale», pensò Gosseyn, con irruenza, «dove sei quando ho bisogno di te?» La sua sensazione... quell'astronave e i suoi occupanti continuavano a mettergli davanti situazioni inaspettate... Difetto! Connessione rotta! C'erano implicazioni vaghe e sgradevoli; e nient'altro da fare che aspettare e scoprire di che cosa si trattasse. Vide che Breemeg aveva raggiunto il lato opposto del tavolo e lo guardava. Poi disse: «Secondo voi, siete in buona salute?
Avvertite una sensazione di debolezza, o di qualcosa che vi manca? Come reagite fisicamente a tanta attività dopo anni passati in uno stato di animazione sospesa?». A prima vista sembrava una domanda ragionevole, e Gosseyn si rilassò.
Ragionevole — pensò — tranne che per il significato negativo di «difetto» e «connessione rotta». Pensando a questo, rispose: «Mi pare di essere in buone condizioni fisiche. Perché me lo chiedete?». Breemeg fece un cenno verso Onda. «Diteglielo voi.» Il più grosso dei due scienziati — Gosseyn supponeva che fosse questa la loro carica — annuì con la lunga testa e disse: «Una delle connessioni del vostro sistema di mantenimento in vita all'interno della capsula era rotta. L'esame delle due estremità rotte, una delle quali era attaccata alla terminazione di un nervo del vostro collo, indicherebbe che il distacco è avvenuto molto tempo fa». «Perciò...», si strinse nelle spalle, «qualcosa che qualcuno riteneva necessaria per mantenervi in buone condizioni in quell'area limitata, è mancata per anni.»
Si interruppe. «Non avete notato niente?» Gosseyn aveva già fatto una rapida revisione mentale delle azioni compiute dal momento del risveglio: perciò la Semantica Generale fece qualcosa per lui, ora, quando fu posta la domanda diretta. Non ebbe bisogno di riesaminare quello che era stato già valutato. Si limitò a scuotere il capo. «Mi sento sveglio e forte.» «Bene», disse Onda, in tono dubbioso, «è difficile credere che i costruttori di un apparecchio simile abbiano incluso qualcosa che non fosse indispensabile ai processi vitali. Perciò...», drizzò il corpo robusto, «vi consigliamo di riferire subito qualsiasi cosa osserviate, e forse potremmo ancora fare qualcosa per ripristinare l'elemento mancante.» Gosseyn annuì. «È mio interesse farlo.» «È coinvolto un elemento elettrico.» Voce Uno parlò per la prima volta dalla soglia della porta. «Uno stimolante nervoso di un qualche tipo.» Gosseyn notò che Breemeg stava diventando inquieto; e
poiché aveva già notato che accanto alla scodella c'era una cannuccia di plastica larga un centimetro e lunga dieci, la prese. Il liquido che cominciò a succhiare attraverso la cannuccia aveva il sapore di quella che i Gosseyn precedenti avrebbero chiamato risciacquatura di piatti, e un vago gusto dolce, somigliante al succo d'arancia, più l'impressione di una sostanza grassa in piccola quantità. Scoprì che il suo stomaco era in grado di trattenere tutto il miscuglio liquido. A quel punto, quando ebbe svuotato la scodella, alzò gli occhi e vide che Breemeg gli faceva dei cenni. L'uomo disse: «Molto bene, Mr. Gosseyn, andiamo!...». Il Posto era un altro giardino su cui si apriva una porta molto più decorata. Ma l'Imperatore stesso rispose al campanello, o a qualsiasi altro segnale fu messo in azione quando Breemeg toccò qualcosa di Iato alla porta. Gosseyn si accorse che il cortigiano deglutiva, letteralmente, e che la sua gola si muoveva. Ma, prima che l'uomo potesse riprendere il proprio aplomb ufficiale, il bambino disse, facendogli cenno di andarsene: «Voi potete andare, Breemeg. Mi prenderò io cura del nostro ospite, grazie».
Dopodiché invitò Gosseyn ad entrare con un gesto della mano. Qualche momento dopo, era tutto finito. Breemeg con la porta chiusa in faccia, presumibilmente, stava ribollendo di rabbia oppure era sollevato all'idea di potersi allontanare...
7. Doverosamente — in almeno uno dei significati della parola — Gosseyn seguì l'Imperatore bambino attraverso una grande stanza decorata con gusto. Ma notò che anche lì, come nel suo appartamento di Palomar, l'eleganza, che qui era maggiore, era nondimeno modificata dalle esigenze del volo spaziale. I divani, le sedie e i tavoli erano fissati al pavimento; tutto era assicurato al proprio posto. E, attraverso il tappeto che stava sotto i suoi piedi, avvertiva il rigido pavimento metallico. Fu sorpreso del fatto che il bambino sembrava solo. Non erano visibili servitori, non c'era nessun segno della madre, e nessuna guardia. C'erano parecchie porte chiuse; ma nemmeno un rumore si sentiva provenire dalle stanze cui presumibilmente conducevano. ...Lui e l'Imperatore si diressero verso quella che sembrava
una parete decorata. Non fu troppo sorpreso quando la decorazione si rivelò essere il campo di gioco dello scroob.
Che cosa faccio qui? si chiese con irruenza. Ma, naturalmente, lo sapeva. Si era salvato da uno scontro con un bambino pazzo introducendo l'elemento del gioco. E così, ora, quello stesso bambino era ansioso di fargli vedere la superficie scintillante sulla quale, quando si premeva una piccola decorazione, quella parte della superficie cambiava colore. Erano perlopiù colori che lui conosceva; e l'idea era che se si riusciva per primi ad allineare un colore per tutta la lunghezza della superficie, in verticale o in orizzontale, allora si vinceva. Quando una partita era vinta, allora veniva ricostituito lo schema per una nuova partita premendo una decorazione che era posta di lato: un bottone di controllo tramite il quale un computer ristabiliva immediatamente una nuova linea vincente nascosta e un nuovo colore vincente. C'erano degli indizi, come spiegò il giovane Imperatore, nella sequenza di colori che si accendeva ogniqualvolta una decorazione cambiava colore. Se si era intelligenti, si potevano capire gli indizi, e decidere quale colore sarebbe stato il successivo colore vincente, e quale direzione
avrebbe vinto. Gosseyn era intelligente e, dopo aver perso tre partite con grande delizia del vincitore più giovane, capì come poteva vincere la quarta partita. Dopo un'esitazione momentanea, decise di vincerla. La reazione del bambino alla vittoria dell'avversario fu... che si girò su se stesso. Corse verso il centro della stanza, schivando tavoli e sedie. Dopo qualche momento, cominciò a battere i pugni contro una bella porta blu che era in un angolo, e a strillare: «Mamma, mamma, mi ha battuto a scroob!». Ci fu una pausa. Poi la porta si aprì e ne uscì una giovane donna. O, almeno, Gosseyn suppose che l'individuo biondo che indossava un'uniforme da uomo, con pantaloni, ma con solo una camicia colorata sulla parte superiore del corpo, senza giacca.. che quell'individuo dal bel viso fosse, in realtà, la madre, chiamata con tanta urgenza qualche momento prima. E, in realtà, quando parlò, la sua voce era quella musicale di una donna. Disse: «Signore, Enin mi ha parlato di voi. Non ricorda bene il vostro nome». Gosseyn lo ripetè per lei, e aggiunse:
«Penso di poter mostrare all'Imperatore quali sono gli indizi che fanno vincere». Continuò: «L'Imperatore ne conosce qualcuno, ma c'è qualche segnale speciale». Mentre dava la sua spiegazione, notò la figura snella di lei e il volto bello, dai lineamenti regolari. Il suo giudizio fu che la madre dell'Imperatore sarebbe stata una vera bellezza, se si fosse vestita di seta, o, in generale, con abiti femminili. Notò anche il nome con cui aveva chiamato il figlio: Enin...
Sto ottenendo velocemente informazioni su questa grande astronave, e dalle persone che occupano le cariche più alte... Forse il suo scopo doveva continuare ad essere: apprendere, scoprire, ottenere particolari. La donna stava parlando di nuovo. «Niente più partite ora, Enin. È l'ora delle lezioni. Vai, caro.» Si chinò a baciarlo sulla guancia destra. «Lascia qui Mr. Gosseyn. Vorrei parlargli.»
«Va bene, mamma.» La voce del ragazzo sembrava sottomessa. Dopodiché si rivolse a Gosseyn, e disse in tono quasi supplichevole: «Non creerete nessun problema, vero, Mr. Gosseyn?». Gosseyn scosse il capo, con un sorriso: «Sarò vostro amico e compagno di giochi da oggi in avanti». Il faccino si illuminò. «Oh, Ci divertiremo un mondo!» Si rivolse felice alla donna, e disse: «Trattalo bene, mamma». La donna annuì. «Lo tratterò proprio come trattavo tuo padre.» «Oh, accidenti!» Il bambino tremò. Gli occhi blu si spalancarono. «Vuoi dire... che tu e Mr. Gosseyn andrete nella tua camera da letto, chiuderete a chiave la porta, e non uscirete per un'ora, proprio come avevate l'abitudine di fare tu e papà?» Prima che lei potesse rispondere, il bambino si rivolse a Gosseyn. «Signore, se vi porta nella sua stanza, dopo mi riferirete tutta la conversazione?» «Solo con il permesso di vostra madre», replicò Gosseyn,
«non rivelerei mai niente a proposito di una conversazione privata.» «Oh, dannazione!» «Questo principio si applica anche a qualsiasi cosa voi e io ci diciamo in privato. Per esempio, non dirò a nessuno che vi ho battuto in una partita di scroob... senza il vostro permesso.» «Oh!» Fece una pausa. Sul volto gli apparve un'espressione di accettazione. Poi: «Immagino che abbia un senso». La madre prese il figlio per una mano. «Va bene, caro, vai ora.» Dopodiché, lo accompagnò ad una porta marrone che era all'estrema destra, l'aprì, e si rivolse a voce alta a qualcuno che era evidentemente lì: «Il vostro alunno è arrivato. È l'ora delle lezioni». Era difficile per Gosseyn immaginare la reazione dell'insegnante a queste parole. Chiunque fosse, non poteva essere più felice del suo alunno di quanto lo fossero, per esempio, Breemeg e gli altri cortigiani. A meno che... Era possibile che lì, nel Posto, il bambino Imperatore vivesse una normale vita familiare? Lì, con sua madre come guida accettata e adorata.
Ma per quanto riguardava lui e i suoi progressi verso qualcosa di importante, non vedeva ancora niente... passava da una situazione di poco conto all'altra. Essenzialmente, quella era una situazione di stallo. Restando lì, non riusciva nemmeno ad immaginare che cosa potesse fare. Lui, un duplicato di Gilbert Gosseyn, era stato svegliato prematuramente. Sembrava ancora verosimile che dovesse esserci una ragione importante perché fosse stato scoperto dagli Dzan. Ma era anche probabile che Gosseyn Secondo riuscisse a svolgere tutte le indagini necessarie relative all'arrivo di quel popolo in quella zona dello spazio. Purtroppo, ora che era cosciente, l'idea di uno spontaneo ritorno alla capsula spaziale — che era certamente una delle possibilità — era qualcosa che preferiva non considerare. Era un Gosseyn superfluo, che presumibilmente — se riusciva — sarebbe stato in giro per qualche tempo. Ma avrebbe fatto bene a lasciare le faccende serie al suo predecessore.
«... Che cosa ne pensi, Gosseyn Secondo?...» La risposta, che arrivò nella sua mente, sembrava essere accompagnata da un sorriso.
«Mio altro io, sei al centro dei più grandi eventi nello
spazio-tempo di questa galassia; e io sono qui fuori, con qualche amico importante, a guardare da lontano. Devo dirti che Enro sembra il più preoccupato di quello che è avvenuto, e vorrebbe usare il nostro metodo di trasporto, di persona, per venire Ti a parlare con quel popolo. Finora mi sono opposto all'idea: ma perfino Crang vorrebbe visitare con lei l'Astronave Ammiraglia. Forse, ora che siete in rapporti amichevoli sia con l'Imperatore che con sua madre, si potrebbe organizzare qualcosa.» Gosseyn Terzo rispose mentalmente.
«Per quanto ne sappia, sono interessati ad avere visitatori. Ma forse non ora.» La risposta di Gosseyn Secondo fu immediata.
«Non abbiamo ancora deciso che questa sia una buona idea. Ne discuteremo più tardi.» Gosseyn Terzo non proseguì la conversazione. Era stato un veloce colloquio mentale. Ma, benché fosse stato rapido, la donna aveva avuto il tempo di chiudere la porta dell'aula, si era voltata, e si era avviata nella sua direzione. Sembrava un momento perfettamente normale nel tempo e
nello spazio. Quando Gosseyn la guardò venire verso di lui, fece un pensiero semplice e non sofisticato. Perciò disse, in tono di scusa: «Madame, immagino che ora qualcuno mi debba riaccompagnare all'appartamento che mi è stato assegnato, finché vostro figlio non abbia di nuovo bisogno di me». La giovane donna si era fermata mentre lui stava ancora parlando. E cominciò a fissarlo con una strana espressione sul volto. L'espressione includeva un accenno di sorriso. «Finirà tra poco più di un'ora», disse. E aggiunse: «La lezione, intendo dire». Lei era la Prima Donna di quel regno; perciò quell'intervallo di tempo non si riferiva a Gosseyn: non c'era nessun rapporto personale. Lo colpì ancora una volta l'uso perfetto dell'inglese. Ma anche di quel mistero non aveva intenzione di discutere con lei. Era un argomento da trattare con gli scienziati. Più tardi. Considerato tutto quello che aveva sentito, dedusse che il padre del bambino doveva essere morto intorno alla trentina.
Quell'età, naturalmente, era basata su canoni terrestri. Ma, presumibilmente, le vedove imperiali di Dzan non succedevano ai loro mariti nel potere e nella carica. E anche quel pensiero percorse il proprio rapido e inaspettato cammino. Il... fatto inaspettato... accadde qualche istante dopo, quando la giovane donna disse, con desiderio: «Siete il primo uomo con cui Enin si comporta come un bambino dovrebbe fare con il proprio padre. E mi sto chiedendo, ora che vi ho visto, se vorreste sposarmi, e cercare di fare per lui quello che evidentemente nessun altro è in grado di fare». Un pensiero remoto galleggiò nella mente di Gosseyn. Era un pensiero che aveva già avuto prima, ma in quel momento lo colpì con una forza speciale.
«In questo momento, sono completamente sorpreso. Sento di essere stato colto di sorpresa in un modo in cui nessuno educato alla Semantica Generale dovrebbe essere». La realtà era che non era preparato ad una proposta simile. ...Un rifiuto o perfino un'esitazione nel rispondere sarebbero stati considerati un insulto mortale? C'era,
naturalmente, un tipo d'uomo che avrebbe all'istante accettato tutte le opportunità della situazione. Ma un uomo educato alla Semantica Generale non era un tipo simile. Ad alta voce, oppose il suo primo ostacolo. «Vostra Maestà, l'onore che mi fate potrebbe non essere un'azione prudente da parte vostra. Dovremmo discutere quali possano essere le ripercussioni di un matrimonio simile su voi e su vostro figlio.» La giovane donna sorrise. Non dava segno di avere capito di essere stata, in effetti, rifiutata. Disse: «È un'osservazione molto giudiziosa. Ma non tiene conto del fatto che sono ormai due anni che mio marito è stato ucciso. Perciò, prima di discutere della situazione a lungo termine, vorrei che veniste nella mia camera da letto, che, come sapete...», fece un cenno col capo verso la porta blu che era alla sua sinistra, «è adiacente a questo soggiorno». Continuò con passione: «Ho grande bisogno di essere amata dal primo uomo che, dopo la sua morte, ha istantaneamente e automaticamente svegliato in me sensazioni di desiderio. Venite!».
Si era fermata ad un paio di metri da lui. Poi si avvicinò e gli mise una mano sul braccio. Mentre Gosseyn, senza fare resistenza, si lasciava condurre nella direzione indicata, pensò di sfuggita a molte cose: ... Il problema dei rapporti uomo-donna non era ovviamente argomento di discussione della Semantica Generale. Gli uomini, da tempo immemorabile, sulla Terra, avevano una forte necessità di rilassarsi attraverso il sesso. Presumibilmente, questo bisogno poteva essere soddisfatto, e in taluni casi lo era, da molte donne. Ma il maschio per lo più veniva attratto particolarmente da una femmina della sua età, o più giovane, che, a detta delle teorie psicologiche, gli ricordava nelle profondità del suo essere, sua madre. Perciò, essenzialmente, una giovane donna che gli suscitava una reazione d'amore, creava quasi una fissazione in lui. lì lei doveva fare numerose cose non materne prima che la sensazione di bisogno diminuisse. C'erano, naturalmente, molti casi in cui, in seguito, incontrava altre donne che gli ricordavano ancora più intensamente la madre. Di conseguenza, a tempo debito, il primo rapporto finiva. I corpi di Gosseyn non avevano mai avuto una madre in quella galassia. Senza dubbio, un milione o più di anni prima, in un'epoca precedente alla Grande Migrazione, un bambino era nato nel modo tradizionale. E poteva anche essere che quell'antichissimo rapporto del bambino con quella remotissima madre ancora permeasse i suoi ricordi
subconsci. Ma sarebbe stato un po' difficile stabilire quali dei suoi sentimenti dipendessero da quell'antica madre, e quali fossero prodotti dalla sua accettazione del fatto che un uomo avrebbe, prima o poi, dovuto avere una relazione con una donna. Incredibilmente, la sua prima opportunità di avere una relazione simile già gli si stringeva il braccio. E, mentre camminava al suo fianco, notò di nuovo che aveva dei lineamenti insolitamente belli, e uno splendido corpo femminile. Proprio nello stesso istante in cui notava ciò — di nuovo — lei fece un'affermazione notevole. Disse: «Mi ricordi mio padre. Perciò sono perfettamente convinta di aver trovato l'uomo più adatto, non solo per Enin, ma per me». Dopo qualche momento attraversarono la porta blu; e lei la chiuse alle proprie spalle. Gosseyn sentì lo scatto della serratura che si chiudeva.
8. Certamente non era — pensò Gosseyn Terzo dolorosamente
— uno dei grandi momenti storici. ... Un superuomo — in un certo senso era la descrizione più appropriata di Gilbert Gosseyn in quell'universo — era spinto da un essere umano di sesso femminile a partecipare ad un normale atto sessuale. Il superuomo rifiutava quell'opportunità; eppure era un uomo solo, non legato a nessun'altra donna. Era altrettanto significativo che nessuno dei suoi predecessori, che non avevano nemmeno loro avuto legami con donne, — secondo la memoria collettiva dei Gosseyn — avesse mai avuto una relazione intima con una donna. Solo due donne viventi avevano avuto l'opportunità di partecipare a una relazione del genere con un Gosseyn: Leej, e Patricia Hardie. Allora, forse, quest'ultima avrebbe potuto spiegare perché non era accaduto niente la notte che lei aveva trascorso nella stessa camera da letto con Gilbert Gosseyn Primo. Con queste numerose e frammentarie considerazioni in mente, mentre la porta della camera da letto si chiudeva alle sue spalle, Gilbert Gosseyn Terzo parlò mentalmente al suo Alter Ego, che si trovava lontanissimo nello spazio.
«Puoi chiedere una spiegazione alla signora, Gosseyn Secondo?»
Comprese di avere la speranza di ottenere qualche informazione che l'aiutasse a comportarsi in quella situazione. E aveva già una seconda consapevolezza: qualsiasi cosa di intimo facesse con qualcuno, sarebbe stata automaticamente registrata nella mente di Gosseyn Secondo. Questo sembrava un nuovo ostacolo ad azioni particolari che richiedevano un accordo del tipo... Guarderò dall'altra parte se vuoi... Era consapevole che, mentre faceva queste nuove considerazioni, Gosseyn Secondo stava interrogando Patricia Hardie. Ci fu una pausa. Poi la «voce» della giovane donna parlò attraverso il cervello di quel lontanissimo Gosseyn Secondo. Il «tono» sembrava lievemente divertito, come se quello fosse un argomento sul quale non avesse mai riflettuto: ma, se l'avesse fatto, sarebbero state riflessioni buffe. Disse: «Se consulterai la memoria collettiva dei Gosseyn, troverai che ci trovavamo in una situazione di tensione; e che io ero, segretamente, la sorella di Enro, con tutte le limitazioni automatiche che ciò imponeva al mio comportamento. Inoltre, avevo già incontrato Eldred; e il
fascino che esercitava su di me la filosofia della Semantica Generale lo rendeva una persona speciale ai miei occhi. Per di più, dovrei dire che Gilbert Gosseyn Primo mi sembrava un tipo molto protettivo, qualcuno su cui potevo contare. Ora che Gosseyn Secondo e Gosseyn Terzo sono entrambi vivi contemporaneamente, possiamo comprendere che il primo Gosseyn era, in realtà, un essere umano diverso; e che i seguenti corpi duplicati di Gosseyn, poiché condividono i suoi ricordi, sono certamente interessanti, e perfino affascinanti. Ma puoi dedurre, presi in considerazione tutti i fattori che ho citato, che quella notte trascorsa insieme non eravamo nelle condizioni di iniziare una relazione intima». Sembrava che stesse sorridendo di nuovo, quando concluse: «In qualche modo, non riesco a sentirmi molto addolorata per te in questa situazione imbarazzante. Ma penso che se la ragione di Gosseyn Primo per non cercare di sfruttare la situazione aveva a che fare con la Semantica Generale, allora abbiamo un'altra considerazione morale degna di stima che opera nel mondo. Come sai, ci sono molti uomini buoni nell'universo, che hanno la loro morale che li trattiene dal commettere azioni criminali e scorrette; e io sono contenta che sia cosi».
L'analisi fatta da Patricia Hardie era alquanto lunga, ma essenzialmente convincente, o perlomeno così sembrava a Gosseyn Terzo. Altrettanto importante era che il tempo che le era occorso per esprimerla sembrava esattamente lo stesso di cui lui avrebbe avuto bisogno per fare una sua propria considerazione morale.
«Naturalmente», pensò poi, «e che altro?» Sembrava che fosse arrivato ad una decisione corticale. Perciò si fermò vicino all'ingresso di una camera da letto che, perfino ad un primo e fuggevole sguardo, era innegabilmente lussuosa. Si fermò e scosse lievemente il capo verso la donna, che si era girata a guardarlo. «La mia filosofia, e anche il mio istinto di protezione verso di voi...», quelle furono le sue parole per respingerla, «non mi permettono di approfittare dei vostri buoni sentimenti nei miei confronti.» In un certo senso, era troppo tardi. La donna si era già tolta la strana camicia maschile, scoprendo della biancheria trasparente e le metà superiori di un seno nudo. La cosa divenne ancora più evidente, e più intima, quando, appena lui ebbe parlato, lei si girò completamente e gli si pose di fronte. Era difficile decidere dalla sua espressione e dalla posizione del corpo leggermente chino in avanti, se fosse
in stato di shock. «La vostra filosofia?», fece eco, infine. «Volete dire... una religione?» «Semantica Generale, si chiama», disse Gosseyn, con quanta più gentilezza gli fu possibile. «E...», si raddrizzò, «proibisce il sesso tra uomini e donne al di fuori del matrimonio?» Poiché la Semantica Generale non proibiva espressamente il sesso in nessuna situazione, Gosseyn Terzo avvertì la sgradevole sensazione che il suo ragionamento sarebbe stato confuso velocemente. Ma restò calmo. Disse: «Un Semantista Generale, signora, è educato a prendere in considerazione più clementi di una situazione di quanti ne prenda in considerazione una persona senza un'educazione simile». Continuò: «Devo ammettere di non avere dentro di me, in questo momento, un quadro chiaro di tutti i fattori che una donna Semantista Generale potrebbe prendere in considerazione nell'occuparsi del proprio comportamento istintuale, in quanto madre devota ed ex-Imperatrice che, inoltre, è anche vedova. Ma, fortunatamente, abbiamo ragioni più evidenti per non agire frettolosamente in questa
situazione». La donna lo fissò, mentre lui esponeva la sua analisi. Poi scosse il capo con aria di rimprovero. «Questo era», chiese, «un esempio prolisso e tipico della vostra conversazione quotidiana come...», esitò, «Semantista Generale?» Gosseyn riconsiderò mentalmente la propria analisi; e sicuramente era l'affermazione più intricata che fosse stata di recente pronunciata da uno dei Gosseyn. Cionondimeno, si fece forza, e disse: «Signora, voglio illustrarvi la situazione che esiste qui. Poco tempo fa, uno straniero — io — è stato portato a bordo di questa nave. Più o meno un'ora dopo che è stato svegliato dagli scienziati dell'astronave, la madre dell'Imperatore annuncia che sposerà questo straniero. Esternamente potrebbe sembrare che... che mi sono servito di un malvagio potere mentale per influenzare la madre dell'Imperatore. Una volta che un pensiero simile nascesse nella mente degli ufficiali di questa grande nave, essi si precipiterebbero in vostra difesa. Niente li potrebbe dissuadere dall'intraprendere qualsiasi provvedimento ritenessero necessario». Era cosciente del fatto che, mentre parlava, sul volto della donna aveva luogo un progressivo cambiamento di espressione; sembrava che accettasse il ragionamento.
Infatti, dopo qualche momento cominciò ad annuire. Poi disse: «Capisco che un matrimonio veloce sarebbe imprudente. Ma un legame intimo, con il patto che il suo risultato finale sia il matrimonio, dovrebbe soddisfare sicuramente i vostri scrupoli religiosi». Gosseyn si sorprese a sorridere; perché quello era... sicuramente... un argomento che la Semantica Generale non aveva mai trattato. Ma si sentiva sicuro. «Non la Semantica Generale», disse fiduciosamente. Durante il dialogo, per quanto fosse stato breve, la donna doveva aver avuto i. tempo di farsi una sua propria idea. Perché d'un tratto sorrise. «Mio caro amico», disse con una voce addolcita dal sarcasmo, «una di queste volte dovete spiegarmi la Semantica Generale e parlarmi del suo Dio; e dirmi come sia riuscito a porre dei freni alle passioni delle creature più testarde e più sensuali dell'universo: gli uomini!» Si interruppe: «In questo momento sono riluttante ad accettare che, per qualche ragione, non riusciate ad adattarvi alla semplice realtà dei rapporti tra gli uomini e le donne. E
forse dovrò rivedere la prima reazione che ho avuto verso di voi. Ma anche questo può aspettare. E...», ancora più dolcemente, «poiché accetto che ora non accadrà niente, e ormai questa conversazione oltraggiosa mi ha già raffreddato, perché non ritornate nell'altra stanza? Vi raggiungerò subito». «Grazie, Signora», disse Gosseyn. Dopodiché, si girò, aprì la porta, ed entrò nel salotto o soggiorno. Si vergognava vagamente di se stesso. Ma si sentiva anche sollevato perché era meglio non avere nessun... legame finché tutta quella situazione non si fosse chiarita in una maniera ragionevole... «Giusto, Gosseyn
Secondo?...» La risposta arrivò subito; ma aveva lo stesso tono dubbioso che era in fondo alla sua mente.
«Abbiamo bisogno di altre informazioni; ma Patricia, qui, scuote la testa e ride di te.» «Di' alla signora», continuò Gosseyn Terzo, «che le donne respingono gli uomini da tempo immemorabile, e si sentono giustificate. E non c'è bisogno di ridere.» Dovette dargli ragione, perché non ci fu nessuna risposta.
9.
E ora? Si era seduto su una di quelle comode sedie. Seduto, aspettava che la donna apparisse da un momento all'altro. Ma, anche se lei si fosse fatta vedere, il problema restava.
Che facciamo? Gosseyn Terzo era cosciente dell'ansimare del suo stesso respiro; e parecchie volte in quei primi minuti di inquietudine, si sentì lo strofinio dei suoi abiti contro la morbida tappezzeria di lusso sulla quale era seduto. Tra queste due percezioni vi era un silenzio mortale. Il salotto continuava ad offrirgli la bellezza senza tempo e inestimabile di un appartamento che era stato decorato e ammobiliato per soddisfare le esigenze di persone abituate a una ricchezza senza limiti. Ma, in qualche modo, tutto quel lusso accentuava la sua sensazione di essere un intruso, senza alcuna reale conoscenza dell'ambiente circostante.
... È ridicolo. Pensò. Incredibilmente, uno dei più potenti eventi nella storia delle due galassie aveva portato quella gigantesca astronave da guerra in quell'area della galassia della Via Lattea da un'altra isola dell'universo. E doveva evidentemente aver compiuto il passaggio alla velocità della similarità venti-
decimale. Le implicazioni non erano analizzabili immediatamente. Ma sicuramente quello che vedeva non era tutto. Il significato colossale di un simile evento nello spazio tempo aveva bisogno di essere scientificamente studiato e compreso. ... E con almeno altrettanta certezza, uomini come Breemeg e il Draydart, che rappresentava il potere militare, stavano agendo in qualche modo, e non si limitavano ad aspettare. Qualcosa, tra breve, sarebbe accaduta in qualche punto di quella grande nave. A dir poco, in quel momento, le menti più acute dovevano chiedersi che cosa stesse accadendo tra uno straniero chiamato Gilbert Gosseyn, da una parte, e l'Imperatore e sua madre, dall'altra. Non sarebbe passato molto tempo, e qualcuno sarebbe andato ad indagare. Con quel pensiero — di un gruppo di investigatori già in cammino — venne alla mente di Gosseyn che la restrizione che si era imposto nella sala del trono non si applicava anche a quella stanza...
L'offerta personale che la donna mi ha fatto rende imperativo che, in caso di problemi, io possa arrivare qui e aiutare lei e il ragazzo...
Allora si alzò in fretta. Poi, rapidamente, localizzò un punto del pavimento in un angolo, dietro le tende tirate. E compì con l'extra-cervello il processo mentale di fotografia che lo avrebbe messo in grado all'ultimo momento di arrivare istantaneamente in quella stanza, per mezzo del metodo di similarità ventidecimale. Dopo qualche momento, quando si sedette, si accorse che il suo Alter Ego stava manifestando una certa attività mentale.
«Ho detto agli altri che cosa hai appena fatto...» la comunicazione che gli arrivava da Gosseyn Secondo, era come se fosse il suo proprio pensiero, «e loro pensano
che dovrebbero raggiungerti, lasciandomi qui a seguire gli avvenimenti da lontano.» Nel pensiero trasmesso, la parte inespressa del significato «che cosa hai appena fatto», era il tipo di processo che le menti svolgono automaticamente. Si riferiva alla sua azione di aver «fotografato» con il suo extra-cervello una parte del pavimento.
«Vuoi dire... ora?...» fece eco il pensiero di Gosseyn Terzo.
«In modo...», il cervello di Gosseyn Secondo stava continuando, «da vedere se, fra di noi, possiamo usare la tua localizzazione della stanza in cui sei in questo momento, e trasmetterli lì, come tu hai trasmesso il corpo del giovane Imperatore nella capsula spaziale. Primo, Eldred Crang...» L'allusione alla trasmissione del corpo del bambino gli riportò alla mente ricordi di altre lontane aree fotografate...
Ancora utilizzabili?, si chiese. Ci fu un rumore alla sua sinistra e dietro di lui. Poi, il pensiero: «Seconda, Leej.» Gosseyn Terzo si era girato. E allora vide, e subito riconobbe con la sua memoria duplicata, Eldred Crang che in fretta usciva da dietro le tende. Mentre questi si allontanava, Leej apparve dal nulla. Anche lei si spostò rapidamente da una parte, mentre Enro, e poi i Prescott, e infine Patricia Hardie Crang comparivano, l'uno dopo l'altro, nella stanza.
«Ma...», obiettò mentalmente in ritardo, Gosseyn Terzo, «non pensi che dovremmo prima?...» Si fermò. In lui era nato un pensiero, la consapevolezza dell'inizio di una differenza tra lui e Gosseyn Secondo.
Ovviamente, visto che lui e il suo Alter Ego erano in luoghi diversi, avevano problemi diversi. Le preoccupazioni in un luogo non comunicavano tutta la loro urgenza al Gosseyn che si trovava nell'altro luogo. Era un pensiero dalle implicazioni importanti... In termini di esperienza, i due Gosseyn stavano andando in direzioni diverse, un attimo dopo l'altro. Ben presto, non sarebbero più stati il duplicato l'uno dell'altro... Ma non c'era il tempo di pensare a questo problema. C'erano troppe cose da fare. In fretta, Gosseyn si rivolse ai nuovi arrivati. «La madre dell'Imperatore sarà qui da un momento all'altro. Per favore, andate lì dentro...» Indicò una nicchia in cui si apriva una porta; ma non aveva idea di dove conducesse. «Datemi il tempo di spiegare alla signora che cosa...» Furono veloci. Perfino il potente Enro, dominatore del Massimo Impero, dopo un paio di parole che la sorella gli disse nella sua lingua, si limitò a sorridere cinicamente, e poi seguì gli altri fuori dal campo visivo di Gosseyn. Se pure passarono molti momenti dopo la loro scomparsa, il passaggio del tempo non fu registrato dalla coscienza di Gosseyn Terzo. Sembrava che i nuovi arrivati fossero
ancora in procinto di allontanarsi quando, dietro di lui, si sentì uno scatto metallico. Quando si voltò, la porta della camera da letto si stava aprendo, e ne uscì la madre dell'Imperatore. D'un tratto fu chiaro perché aveva ritardato la sua comparsa. Aveva indossato un vestito trasparente; e l'effetto generale era una morbidezza azzurra. Prima che Gosseyn Terzo potesse esaminare bene il nuovo abbigliamento, la donna disse: «Ho chiamato Breemeg. Vi riaccompagnerà alla vostra Palomar». Sembrava il momento di una rapida — non verità — ma preparazione alla verità. Gosseyn rispose: «Signora, come senza dubbio vi è stato riferito, al risveglio mi sono trovato in comunicazione mentale con qualcuno che è identico a me, e che in questo momento si trova approssimativamente a diciottomila anni-luce da qui...». La donna annuì. Le sue maniere e l'espressione del volto erano serie, quando disse, con la fronte leggermente aggrottata: «Tutto quello che è accaduto, compreso il modo in cui siete arrivato, è molto strano». Gosseyn continuò in fretta.
«È una lunga storia. Ma non c'è nessuna minaccia personale nei riguardi di nessuno. Comunque, la comunicazione con il mio Alter Ego è avvenuta in un momento in cui con lui c'erano molte persone importanti... importanti in quest'area dello spazio; e a queste persone farebbe piacere venire qui a parlare con voi e con il vostro personale militare e scientifico.» La donna disse: «Sono sicura che ciò sia possibile. Siamo qui, in una condizione di isolamento. Centosettantottomila astronavi, con gli equipaggi, un bambino e una donna». Aggiunse ansiosamente: «Può essere che a qualcuno degli spiriti più audaci a bordo di queste navi da guerra venga in mente che in questa situazione nuova non si applicano più le vecchie regole e le vecchie fedeltà». Poi si interruppe: «Ditemi, in caso di emergenza, che cosa potrebbero fare esattamente questi vostri alleati?». Gli sembrò che quello fosse il momento giusto. L'uomo si fece forza, e disse: «Il vostro permesso è stato mentalmente ascoltato, la vostra autorità accettata... e loro sono qui». Detto ciò, fece un gesto verso la nicchia. E, sebbene quello che aveva detto fosse una menzogna, era sicuramente meglio, ora che lei era stata avvertita. Ma anche così, i suoi occhi si spalancarono. Fece un
passo indietro. Dopodiché, in qualche modo, le sue assicurazioni dovettero darle coraggio. Perché si fermò in silenzio, mentre le due donne e i quattro uomini entravano nella stanza. Ciononostante, la sorpresa fu grande. «Diciottomila anni-luce», sussurrò. «Istantaneamente.» Gosseyn disse. «Come pensate che le vostre astronavi siano arrivate qui? Da una distanza ancora maggiore. Ed anch'esse istantaneamente.» Nel frattempo aveva notato che il vestito merlettato era precisamente quello che la donna avrebbe dovuto indossare per un uomo i cui ricordi sembravano derivati dalla Terra. Allora le sussurrò sotto-voce. «Siete bellissima.»
10. Gosseyn Terzo guardava il gruppo. E loro gli restituivano lo sguardo. Su un certo piano, Gosseyn pensava di guardare un insolito assortimento di esseri umani, tranne che per Enro. Cinque di quegli individui erano uomini e donne di tipo normale, di cui ci si poteva fidare che rispettassero la legge. Non avrebbero mai causato problemi di propria
spontanea volontà. ... Ma insieme a loro, alto, grosso, e cinico perfino nella maniera di muoversi, c'era Enro. Enro, il Re-Imperatore del Massimo Impero, che si era ridotto a niente. Lui aveva una flotta nel remoto spazio, una flotta con tante astronavi quante erano quelle grandi navi da guerra Dzan. Che cosa faceva lì Enro, con quei fiammeggianti capelli rossi e quella fiammeggiante anima assassina, in compagnia della sua meravigliosa sorella e dei suoi pacifici amici? Enro l'assassino, lo sfrenato dominatore... Buon Dio! Le immagini che attraversarono la mente di Gosseyn, mentre consultava la memoria duplicata — triplicata — dei Gosseyn, erano così numerose e orrende che... Con uno sforzo quasi fisico, Gosseyn Terzo interruppe quell'inutile catena di pensieri. Perché d'improvviso apparve chiaro da quello che passava per la mente del suo lontano alter ego, che nemmeno Gosseyn Secondo conosceva le motivazioni del Grande Uomo.
... Si è messo improvvisamente in contatto con la sorella — arrivò il messaggio mentale da Gosseyn Secondo — e,
visto che voleva venire da solo, tutti ad un tratto hanno
voluto... Enro era stato l'unico a desiderare di essere trasmesso sulla nave Dzan. Un mistero! E ora era lì, alto, sardonico, somigliante a sua sorella. Ma, diversamente da lei, era una persona strana e pericolosa. Non era possibile fare nessuna deduzione, sulla base dei dati disponibili, riguardo allo scopo della sua venuta, tranne che... Stare in guardia! Peggio ancora, non c'era veramente tempo di riflettere, o di interrogare Enro. Breemeg stava arrivando, portando con sé tutta quella follia. Gosseyn si girò verso la madre dell'Imperatore, e chiese: «Signora, c'è un posto dove nascondere queste persone finché non decidiamo che cosa fare, e con chi essi dovranno parlare?». Il bel viso si rilassò in un sorriso. «Aldilà di quella nicchia.» Indicò il luogo dove Gosseyn li aveva nascosti. «Lì c'è una porta che conduce a un appartamento piuttosto grande, con molte camere da letto.» Spiegò: «Lo usiamo quando ci vengono a trovare i parenti.»
Certamente sembrava la soluzione temporanea ideale. Tutto il problema veniva momentaneamente risolto da un'altra serie di stanze, dove i sei avrebbero potuto aspettare finché non fossero stati ultimati i preparativi preliminari.
... Andrò con loro, farò una «fotografia» del pavimento, e li raggiungerò lì nel caso ci fosse un pericolo... Che cosa ne dici, Gosseyn Secondo? Il lontano alter ego rispose mentalmente:
Mi pare una buona idea. Credevo che, visto che li avevo trasmessi lì, avrei potuto anche riportarli qui... La voce nella sua mente, proveniente da quell'enorme distanza, d'improvviso cambiò argomento: «... Ma farei meglio ad
avvertirti.come hai senza dubbio registrato, quando io venti-decimalizzavo avanti e indietro nel tentativo di occuparmi di Secoli il Persecutore e di Enro il Rosso, l'extracervello progressivamente estese la sua capacità a seguire per periodi sempre più lunghi i cambiamenti nelle varie aree "fotografate" in cui potevo trasmettermi. Possiamo avere una connessione altrettanto estesa con qualche area in quell'altra galassia; e dal momento che, così per dire, la palla è stata rimandata a te, ti suggerisco di osservare il processo venti decimale che opera nella tua testa. Se esiste un processo automatico, rivolgi subito la tua attenzione su qualche luogo vicino "fotografato ".
Se lo fai ogni volta, potrebbe essere che presto la connessione con l'area remota sia sotto controllo.» Gosseyn Terzo annuì gravemente.
«Ho afferrato l'idea. È meglio similarizzare una delle mie localizzazioni su quest'astronave, o anche una delle tue, laggiù nella nostra galassia, piuttosto che restare coinvolto nelle complessità di distanze ancora più enormi.» «Esatto», fu la risposta. Poi, con quello che sembrava un sorriso: «Per favore, osserva che io e te ci stiamo separando mentalmente. Non si può più parlare di "alter ego" ma di "mio" e "tuo". Sarà interessante vedere che cosa ne verrà fuori. Forse presto diventeremo due persone diverse». II dialogo mentale si era svolto alla velocità del pensiero; nel frattempo, Gosseyn era entrato con i nuovi arrivati nel nuovo appartamento. Allora si fermò, come per caso, mentre gli altri avanzavano nel grande soggiorno. Gosseyn Terzo scattò la sua «fotografia» extra-cerebrale all'ingresso nella stanza. Si accorse che cinque dei nuovi arrivati avevano immediatamente cominciato ad esplorare il posto, e gli mostravano le spalle. Venivano aperte le porte delle
camere da letto. Quello che accadde dopo sarebbe probabilmente avvenuto prima o poi. Gosseyn stava per andarsene, quando John Prescott disse qualcosa a sua moglie Amelia. Questa immagine produsse un pensiero; Gosseyn si avvicinò al punto dove si erano fermati i Prescott, e disse con un lieve cipiglio: «Un attimo. Il mio ultimo ricordo chiaro di Mrs. Prescott è che giaceva morta, sulla Terra, nella Città della Macchina dei Giochi. Scopriste che era morta quando le iniettaste una sostanza chimica rianimante e le sue labbra restarono bianche invece che diventare bluastre». Prescott era un uomo robusto, dai capelli biondi e folti, e sua moglie era una snella brunetta. L'uomo si limitò a sorridere, e lanciò uno sguardo interrogativo alla moglie. Anche la donna snella sorrise. «Mr. Gosseyn Terzo», disse, «la moglie di un venusiano Non-A, che giochi una partita tra le file del nemico, spesso deve fare appello a tutte le proprie forze. Mi avete ricordato un'esperienza molto sgradevole; ma ricordate che un'affermazione come "se le sue labbra non diventano blu allora è morta' ', è solo interessante, in termini di Semantica Generale. Il solo dirla non la rende vera.»
Sorrise di nuovo, e concluse: «Se consulterete la memoria collettiva dei Gosseyn, scoprirete che abbiamo avuto una conversazione molto più breve su quest'argomento con Gosseyn Secondo». Dopo solo qualche momento, quel ricordo era nella sua mente. In qualche luogo, durante la lotta frenetica per salvare Venere, la strada dei Prescott si era più volte incrociata con quella dell'incredibilmente attivo Gosseyn Secondo, che saltava da una localizzazione venti-decimale all'altra a quell'epoca, combat tendo ogni volta che si fermava. Perciò, quando la coppia era di recente ricomparsa in compagnia di Eldred e Patricia Crang, non era stata né richiesta né data alcuna spiegazione aggiuntiva. «Oh!», disse Gosseyn Terzo, ricordando. «Sì.» Poi aggiunse: «Ne sono felice». La coppia si girò, e così fece anche Gosseyn. Ma, dopo qualche secondo, quando si guardò indietro, vide che erano scomparsi in una delle camere da letto, lasciando in vista solo Leej, la Donna Indovina. Lei si era fermata, e ora lo guardava. C'era un debole sorriso sul suo volto bello e regolare.
Leej, la Donna Indovina del pianeta Yalerta; Leej dai capelli scuri, che poteva dirgli una parte di quello che riservava il futuro. Proprio mentre pensava a questo, la donna aprì la bocca, e disse: «C'è un periodo di circa dodici minuti dopo che andrai via di qui,» disse, «poi userai di nuovo il tuo extra-cervello. Il che interrompe la mia visione del tuo futuro esattamente a quel punto». La brevità dell'intervallo di tempo lo sorprese. «Dodici minuti!», fece eco. D'un tratto era affascinato. Era la sua prima esperienza con un indovino: e lei gli aveva fornito un'informazione spontaneamente e amichevolmente. Chiese: «Puoi darmi qualche indicazione a proposito del motivo che mi spingerà all'azione?». «Avrai lasciato l'appartamento imperiale», rispose lei, «con quell'uomo.» Esitò, poi compì l'identificazione. «Breemeg.» Concluse: «Camminerai. E, improvvisamente, ti accorgerai di qualcosa. E questo è tutto. Dopodiché, per la mia speciale abilità, non c'è che il vuoto». Gosseyn restò dov'era; e la Donna Indovina doveva
esserselo aspettato, perché nemmeno lei si mosse. Gosseyn, disse: «Ho pensato un'altra cosa». La donna sorrise. «Lo so. Ma dimmela: i pensieri non sono chiari come le parole, quando si deve indovinare.» Gosseyn annuì. «Quale è stato il tuo ruolo, in qualità di Indovina, insieme a Gosseyn Secondo e agli altri, quando avete preparato il grande balzo?» Di nuovo, la risposta fu pronta. «Decisi — decidemmo — che avrei cercato di predire esattamente quale sarebbe stata l'esatta configurazione atomica-molecolare di qualche area abitabile in quell'altra galassia. Avevamo ipotizzato e accettato che il nulla separava i due universi. Sulla base di questa predizione, Gosseyn Secondo fece una "fotografia" extra-cerebrale di tutto il mio cervello, compresa la predizione, e cercò di similarizzarci tutti lassù, in un solo balzo. In un certo senso, deve aver funzionato.» Gosseyn Terzo era pensieroso. «Avevo tutti questi ricordi nella mente, naturalmente. Ma sembravano così complessi che non riuscivo ad afferrare il quadro generale. In altre parole», disse con un sorriso, «la Semantica Generale, basandosi solo sul mio ricordo
dell'avvenimento, non riesce a darmi un immagine complessiva dell'avvenimento. Le parole hanno il loro valore.» «Cosa pensi che sia andato male?», concluse. «Tu.» Era il suo turno di sorridere. «Immaginati in quella capsula a ricevere tutti quei pensieri senza che nessuno si accorgesse dì te. Poi si è scoperto che tu eri la parte più ricettiva di tutto il processo.» «Ma al rovescio», osservò. Non ci fu risposta: la donna restò in silenzio. «Grazie», disse Gosseyn. Poi ritornò alla porta, l'attraversò, e arrivò alla nicchia accanto alla quale la madre dell'Imperatore parlava con uno strano ometto, dall'aria eccitata. Non volendo intromettersi, Gosseyn si fermò. In quel momento sentì che la donna stava parlando. «Ma non capisco. Che cosa state dicendo? Enin che cosa?» Mentre Gosseyn rimaneva nascosto nella nicchia attraverso la quale erano passati gli altri, l'ometto disse con voce tremante:
«È scomparso! Sotto il mio naso!». Poi continuò balbettando: «Sapete come si comporta quando faccio lezione. Sta tranquillo per un po' di tempo, poi diventa inquieto. Risponde. Saltella. Beve. Non ha nessuna buona maniera. Ma impara. Questa volta era seduto. E, puf! è scomparso!». Ci volle un minuto perché il significato si facesse strada attraverso quei balbettii. Ma, infine, l'immagine presentata verbalmente da quell'individuo turbato era innegabile. L'ometto era l'insegnante del giovane Imperatore. E affermava che durante la lezione l'alunno era letteralmente svanito nella non-esistenza, sotto i suoi occhi. A Gosseyn Terzo, mentre ascoltava il racconto, venne in mente che il momento dello stupefacente avvenimento poteva aver coinciso con quello dell'arrivo di Eldred Crang e degli altri. Di conseguenza, Gosseyn Terzo comunicò al suo alter ego:
«Pensi che ci sia stata una sovrapposizione, per cui Enin è stato trasmesso automaticamente altro ve?» «Mi pare di ricordare», arrivò la risposta, «che, al
momento della trasmissione, mi stavi richiamando alla
memoria parecchie localizzazioni venti-decimali del passaggio di Gossein Primo e del mio. Non hai pensato al bambino mentre lo facevi. È questo che non riesco a ricordare.» Non era il momento adatto per cercare di ricordare quei particolari. Perché vide che la donna si era accorta della sua presenza, si stava girando verso di lui, ed ERA MOLTO SCOSSA.
«E' possibile», chiese con voce incerta, «tutto quello che è accaduto?...» Gosseyn si era perso. «Somiglia a quello che gli è accaduto... prima. Vedrò che cosa posso fare. Io...» Entrambi ignorarono l'insegnante dell'Imperatore, quasi come se non esistesse. E se ci fosse stata una possibilità che Gosseyn notasse infine l'ometto, questa svanì perché, quando l'insegnante pronunciò le prime parole di un'altra frase, si sentì un ronzìo. «Oh, mio Dio!», esclamò la donna. «C'è Breemeg: è venuto a prendervi!» Gosseyn si stava riprendendo. «Non preoccupatevi», disse. «Fatemi andare. Prometto di tornare tra pochi minuti; ma prima dovrei sapere — dovremmo scoprire — che cosa accade sul resto dell'astronave.»
Ma anche Gosseyn Terzo si sentiva confuso quando, pochi minuti dopo, se ne andò tranquillamente con il cortigiano. Prima di perdersi nell'intrico del giardino, si guardò indietro una volta. La madre dell'Imperatore stava accanto alla porta e lo guardava con occhi ansiosi. Tenuto conto di che persona capace e autoritaria fosse normalmente, Gosseyn non pensò che avesse una reazione talamica. Era un'emozione autentica. Anche Gosseyn era inquieto. Era possibile che fosse lui il responsabile della scomparsa del giovane Imperatore?
11. Accanto a lui, Breemeg ruppe il silenzio iniziale. «Deduco», disse, «che non avete fatto cenno della nostra conversazione privata all'Imperatore o a sua madre.» Erano usciti dal giardino reale, ed erano arrivati a un lungo corridoio, nella cui solitudine il cortigiano di mezza età, dal corpo scarno, si sentiva evidentemente libero di parlare. «È vero», disse Gosseyn. In quelle circostanze, sembrava un argomento di importanza minore; quindi pensò che dovevano essere già passati due o tre minuti dalla predizione di Leej. Perciò,
dopo circa nove minuti, sarebbe accaduto qualcosa che lo avrebbe costretto ad usare l'extra-cervello. A loro modo, nove minuti erano un lungo intervallo di tempo. Nessuna utilità, perciò, ad indugiare sull'argomento... per qualche tempo. «Lo deduco», continuò Breemeg, «perché altrimenti non sarei stato chiamato dalla Regina Madre Strala per venirvi a prendere, se voi aveste fatto anche il minimo accenno alle mie parole.» Questa volta Gosseyn pensò due cose tra sé e sé. La prima fu una semplice reazione personale... Mi ha invitato nella sua camera da letto senza dirmi il suo nome. E ora in questa frase casuale c'era il suo nome. «Strala!» Disse il nome ad alta voce, e aggiunse. «Mi piace il suo suono.» Breemeg parve non aver udito il commento. Continuarono a camminare: Gosseyn pensava che il nome di lei fosse bello e femminile. Il secondo pensiero consisteva in una serie di ricordi fuggevoli che innescarono un'improvvisa durezza. I ricordi erano di Gosseyn Secondo in azione sul Pianeta degli Indovini, e sul Pianeta Gorgzid, Capitale del Massimo
Impero di Enro. Quella consapevolezza produsse un inizio di determinazione che era nuova nel suo corpo. C'erano delle cose da fare. Dov'era il bambino? Doveva essere salvato e presto. Le successive parole di Breemeg interruppero quella catena di pensieri-sensazioni. «Ovviamente», disse l'uomo, «il nostro compito più importante è ancora scoprire dove siamo nello spazio, e che cosa ci ha portati qui.» Ascoltando quelle parole, per la prima volta Gosseyn provò una sensazione di sollievo relativamente a quell'uomo. Qualcuno di buon senso doveva aver parlato con Breemeg nei precedenti quarantacinque minuti. Il corridoio deserto continuava ad allungarsi in lontananza davanti a loro, mentre Breemeg ampliava l'argomento. «Naturalmente, se c'è una possibilità di tornare a raggiungere la Flotta, allora le mie affermazioni a proposito di una ribellione non avrebbero significato. Questa, ovviamente, sarebbe la soluzione migliore, dal momento che ci riporterebbe alle nostre famiglie.»
Non era — ammise silenziosamente Gosseyn tra sé e sé — un grande momento per la Semantica Generale, in relazione alla sua persona. Il problema di un simile ritorno, secondo i dati che aveva, era complicato aldilà di ogni possibilità. Quindi il fatto di dover proseguire di pari passo con la situazione in cui si trovava era un'altra menzogna. Ma poiché la verità avrebbe probabilmente suscitato azioni veloci e violente in quelle persone, ancora una volta la sopravvivenza di tutti — inclusi i farabutti — sembrava dipendere dal fatto che egli non rivelasse quello che sapeva. L'alternativa era riferire i fatti e, se ci fossero state ripercussioni, cercare di contrastarle. Ovviamente, questo doveva accadere dopo, se possibile. «D'altra parte», disse Breemeg, mentre Gosseyn arrivava a quella decisione, «se da ora in poi dobbiamo restare in quest'area dello spazio, allora, quanto prima troviamo un pianeta abitabile in cui possiamo andare, tanto meglio è. In questo caso», continuò con espressione truce, «la nostra famigliola imperiale subirà un'azione severa. Il bambino», si strinse nelle spalle magre mentre camminava, «forse possiamo affidarlo alle vostre cure.» Sorrise, mostrando i denti.
«Ottocento partite di scroob al giorno, forse.» Si strinse di nuovo nelle spalle e il sorriso svanì. «Qualsiasi cosa... pur di tenerlo fuori dai piedi. Per quanto riguarda sua madre...» Si fermò. E il suo corpo si irrigidì d'improvviso. La sua reazione fece tornare in Gosseyn la determinazione ad agire. Breemeg disse avidamente: «Capite, che è l'unica donna su centosettantottomila astronavi. Perciò», sul volto gli apparve improvvisamente un sorriso contorto, «ci saranno parecchie decine di Comandanti che decideranno di dividersi le sue grazie femminili». L'uomo concluse: «Capirete che ho riflettuto, e che i miei pensieri sono alquanto più realistici dei miei discorsi di prima». Allora ci sarebbe stata una lotta, dopotutto. Gosseyn era curioso. «Ci sono degli ufficiali coinvolti nel piano di dividersi la donna?» Ci fu una lunga pausa. Breemeg rallentò il passo, e simultaneamente girò la testa per guardare Gosseyn.
Improvvisamente si fermò. E Gosseyn, dopo aver proseguito per qualche passo, fece la stessa cosa e si girò. Il cortigiano di Sua Maestà Imperiale, disse: «Questa è la domanda più maledetta che abbia udito di recente. Sottintende che avete pensato per conto vostro, che forse avete un piano per arruolare questi...». Si interruppe. Sembrò chiamare a raccolta tutte le proprie forze, e disse con aria truce: «No, questa faccenda non è stata riferita ai membri dell'Esercito. Perché lo chiedete?». A Gosseyn sembrava che fosse l'informazione di cui aveva bisogno. Perciò disse: «Mi pare che voi e i vostri alleati stiate facendo i vostri piani troppo in fretta. Suggerirei a voi e ai vostri amici di astenervi da piani privati per un paio di settimane. Intendo dire: non compite atti irrevocabili a cui qualcun altro, non ancora pronto a questo passo, possa reagire». L'impressione di Breemeg cambiava mano a mano che il significato delle parole di Gosseyn poneva evidentemente fine alla sua ansia. Divenne improvvisamente tollerante. «Il fatto è», disse, «che dobbiamo prendere in considerazione i prigionieri alieni che abbiamo a bordo. La
situazione politica a bordo di quest'astronave non permette molta libertà di movimento. Dobbiamo agire, altrimenti qualcun altro agirà prima di noi.» Parve essersi ripreso dal suo shock momentaneo, perché riprese a camminare. Quasi automaticamente, Gosseyn fece la stessa cosa. Ma stava pensando: «Alieni!» Dopo un lungo momento, disse: «Un momento!». Bloccò quella reazione con uno sforzo di volontà, e parlò mentalmente al suo alter ego. «Avverto improvvisamente
la sensazione che sia arrivato il momento di fare una ricapitolazione secondo la Semantica Generale. Mi pare di essere il ricettore finale di troppe generalizzazioni. E sto cominciando a pensare di presumere molte cose che non sono così. ..» La risposta del lontano Gosseyn Secondo fu favorevole.
«Pare che stiamo dando troppe cose per scontate. Il riferimento a prigionieri alieni sembra indicare che il nemico dei Dzan nella Galassia Numero Due sia vulnerabile come chiunque altro, e che tra di loro ci sono individui che si arrendono e che si rimettono alla volontà dei loro nemici, come tutti i soldati fanno da tempo immemorabile.» Mentre aveva luogo questo scambio di battute con il Gosseyn duplicato, lui aveva continuato a camminare a fianco dell'uomo magro. Poi Gosseyn lanciò un'occhiata al
cortigiano, e si chiese se avesse notato il silenzio. Non c'era alcun segno sul lungo volto di Breemeg che egli fosse preoccupato. Allora, forse, c'era ancora abbastanza tempo per fare una ricapitolazione. Gosseyn disse: «Ho la forte impressione che questa sia un'astronave da guerra». Passarono alcuni momenti prima che questa frase provocasse una reazione. Di nuovo l'uomo rallentò il passo e, girata la testa, lo guardò con un'espressione stupita. «Che cosa?», disse. «Avete strane idee.» Gosseyn insisté. «L'esistenza stessa di navi così grandi, e la vostra allusione a prigionieri alieni, sottintende che da dovunque veniate — chiamiamo Galassia Numero Due il vostro luogo di origine — avete un nemico potente.» L'altro parve essersi ripreso dalla sorpresa nel sentire la semplicità delle domande. Aveva ripreso a camminare ad un passo normale; annuì, e disse:
«È una razza bipede, con due braccia, e semi-umana. Questi esseri sono pericolosi per noi sia dal punto di vista tecnico che fisico. Per esempio, è rischioso per un essere umano senza una protezione elettronica trovarsi nelle vicinanze di un Troog. E abbiamo dovuto sviluppare una tecnologia elaborata per difenderci da computer che possono amplificare i loro metodi di controllo mentale per impadronirsi della mente del personale di un'astronave Dzan, durante una battaglia.» «Deduco che fosse in atto una battaglia del genere quando le vostre astronavi si sono trovate improvvisamente in quest'area dello spazio». «È vero», fu la risposta. Gosseyn per un momento cercò di immaginarsi la scena di quella battaglia in un universo lontano un milione di anni luce dalla galassia della Via Lattea. Esseri umani vi lottavano come gli uomini hanno sempre lottato nella nostra galassia fin dalle origini della storia. Scosse tristemente la testa. Il concetto era tipico della Semantica Generale, secondo il quale nessun essere umano è identico ad un altro: Gilbert Gosseyn non era Breemeg, non era Eldred Crang, non era Prescott, non era Enro, mentre conteneva una verità limitata in termini di identità e aspetto individuale, non sembrava comprendere
il carattere della razza in generale. Sospirò. E continuò con la ricapitolazione: «Immagino che l'assenza delle vostre astronavi sia un vantaggio per il nemico». Silenzio. Avanzarono di qualche passo, e la fine del corridoio apparve a poche decine di metri. «Probabilmente occorrerà del tempo», disse Breemeg, «prima che qualcuno si accorga che siamo spariti. Quindi la nostra può non essere un'assenza pericolosa.» «La vostra descrizione del nemico», disse Gosseyn, che aveva riflettuto su quello che l'altro gli aveva detto, «suggerisce che per la prima volta gli uomini hanno incontrato una forma di vita superiore. Con questo voglio dire...» Si fermò, incredulo. Il pavimento tremava. Tremava! Era una vibrazione visibile. Letteralmente, sotto di lui, il pavimento oscillava. Gosseyn vide quell'oscillazione correre come un'onda che si muovesse obliquamente attraverso il corridoio. Passò
dall'altra parte dell'astronave. E scomparve dal punto in cui si trovavano. A pochi metri da loro, una campana appesa al soffitto suonò. Poi, la voce stridula di un uomo disse con urgenza: «Tutto il personale ai propri posti. Una super-astronave del nemico è appena entrata nella nostra area di spazio...». A causa dell'intensità del tono, occorse un momento per identificare in quella la voce di Draydart Duart. All'interno del suo cervello, sentiva il suo alter ego borbottare. «Terzo», arrivò quel remoto pensiero, «penso che sia
stato tu. Hai pensato alla dislocazione della battaglia in quell'altra galassia; e ho l'orribile sensazione che sia di nuovo accaduto qualcosa di grosso.» Gosseyn Terzo non ebbe tempo per i sensi di colpa. Infatti, in quel preciso momento, avvertì una strana sensazione nella testa. Occorsero parecchie frazioni di secondo per analizzare la memoria derivata da Gosseyn Secondo e Gosseyn Primo, perché lui personalmente non aveva nessun movimento fisico associato, per identificare la sensazione. Poi:... Buon Dio! Qualcosa stava cercando di prendere il
controllo della sua mente... I dodici minuti della predizione di Leej dovevano essere passati. Questa fu solo una delle numerose impressioni fuggevoli. Pensare a Leej gli fece istantaneamente ricordare i Crang, i Prescott, Enro e Strala... tutti loro, in quel momento, dovevano combattere i tentativi di controllare le loro menti. Perciò Gilbert Gosseyn avrebbe fatto meglio a tornare nell'appartamento imperiale.
Peccato perché — questo fu un altro dei pensieri fuggevoli — dovrei veramente trovare quel bambino...
12. Un vento gelido investì il volto di Gosseyn. Fin dove l'occhio arrivava, vedeva cime innevate. E, al di sotto del costone roccioso su cui si trovavano, scorreva un torrente dalle rive ghiacciate. Vide che il bambino guardava la scena con gli occhi spalancati. Un afflusso di sangue gli colorava le guance bianche per il freddo. Forse il gelo di quel vento attraversava tutta la follia e si faceva sentire ad un nuovo
livello di realtà. Ci fu una lunga pausa, poi: «Ehi, è veramente bello, non è vero?». La voce del bambino era eccitata. Proprio mentre venivano pronunciate quelle parole, il vento soffiò più forte, più ghiacciato. Gosseyn sorrise truce, e disse: «Sì, è veramente... bello». Sua Maestà Imperiale Enin, sembrò non udire e non sentire. La sua voce si alzò eccitata. «Ehi, che cosa l'ai in un posto del genere?» Non era troppo difficile credere che quel bambino fosse stato protetto tutta la vita dalle intemperie. Perciò, la sensazione di Gosseyn fu che forse una piccola spiegazione era d'obbligo. Di conseguenza, disse: «A causa della battaglia che sta arrivando... laggiù», agitò vagamente la mano in direzione dell'astronave Dzan, lontana anni-luce, «resteremo qui per qualche tempo. Dovrei spiegarti che stai guardando la stagione invernale di questo pianeta, e la sua regione selvaggia. Nemmeno
un segno di civiltà è visibile da qui». «C'è qualcosa laggiù», disse il bambino. Indicò, e aggiunse. «Sono qui da venti minuti prima di te: allora c'era più luce, e sembrava che ci fosse qualcosa, quando il sole era alto.» Lo sguardo di Gosseyn seguì il dito del bambino, e vide che era puntato nella direzione in cui scorreva il torrente. La distanza era più di un chilometro. Lì, nel punto in cui il fiume e la valle si curvavano a sinistra e scomparivano alla vista, c'era una zona scura nella neve, sulla riva del torrente che scompariva. Era la prima costruzione di un centro abitato che si trovava al di là dell'ansa? Ci sarebbe voluto del tempo per arrivarci, e scoprirlo. E non c'erano dubbi: se restavano in quel luogo, quella era la direzione in cui dovevano andare. Ad alta voce disse: «Speriamo che sia così. Dobbiamo trovare un posto dove stare al caldo, quando scende la notte». Indeciso, alzò gli occhi sulla nuvola che nascondeva il sole. E vide che faceva parte di una massa scura che presto
avrebbe coperto la maggior parte del cielo. Peccato! Sarebbe stato interessante vedere che tipo di sole era. Già l'aria sembrava più gelida che al momento del suo arrivo. Era tempo di mettersi in cammino. Mentre l'uomo e il bambino scendevano, in parte arrampicandosi e in parte scivolando lungo il pendio ghiacciato, Gosseyn Terzo conduceva un dibattito silenzioso con se stesso. Presumibilmente, dove lui — e il ragazzo prima di lui — era arrivato, c'era un'area «fotografata» con il metodo ventidecimale da Gosseyn Primo o Gosseyn Secondo; una localizzazione esatta che uno dei due aveva usato nel passato per qualche scopo. Il problema era che i suoi ricordi dei viaggi dei precedenti Gosseyn non sembravano contenere nessuna area montagnosa e ghiacciata. La memoria comune che egli divideva con i primi due Gosseyn non includeva l'immagine mentale di una scena simile, utilizzata per una ragione qualsiasi. Era solo un mistero, naturalmente, e non un disastro. In qualsiasi momento poteva scegliere di usare il suo extracervello... e qualcosa sarebbe accaduto; ma non si poteva più prevedere che cosa esattamente sarebbe accaduto.
...Dopotutto, la mia intenzione era ritornare nell'appartamento imperiale sull'astronave per aiutare Strala e gli ospiti, che erano stati trasmessi a bordo da Gosseyn Secondo... E invece, all'ultimo momento, aveva pensato di sfuggita ad Enin; e, in qualche modo, il suo extra-cervello difettoso aveva elaborato quei particolari intricati, e l'aveva portato su quel pianeta gelato, dove si trovava il bambino. Naturalmente, poteva anche essere la Terra. Mentre scendeva, stringendo la mano del bambino, Gosseyn — con quel pensiero in mente — girò lo sguardo intorno, con una speranza improvvisa. Respirò profondamente per saggiare l'aria. Sebbene gelata, corrispondeva a quella della Terra, secondo la sua memoria collettiva. Le cime innevate, il torrente incastonato nel ghiaccio, erano sicuramente una variazione di migliaia di scene simili in una delle centinaia di zone montagnose della Terra. La speranza restò in lui per almeno un altro centinaio di metri di discesa. Nel frattempo, aveva cominciato a mettere una mano alla volta sotto il largo indumento in cui l'avevano infilato Voce Uno e Due. Il corpo sotto il vestito era ancora caldo; e, con un contatto ripetuto, riuscì a tenere le mani, una alla volta, abbastanza calde. Ma, più tempo passava — e intanto scendevano ancora il pendio — meno dubbi gli restavano in mente: non
era vestito per quel clima. Dopo qualche minuto, gli parve fosse arrivato il momento di un'azione decisiva, quando il bambino ad un tratto piagnucolò... «Non posso... non posso... fa troppo freddo. Sono gelato.» Erano arrivati su un'ampia cornice rocciosa. Vi si fermarono. E restarono sul ghiaccio, schiaffeggiandosi per cercare di far circolare il sangue nelle dita e nelle mani, come si fa quando le estremità si ghiacciano. La vista restava magnifica. Purtroppo, il fatto che vedessero ancora ghiaccio e neve in una miriade di bellissime formazioni in lontananza e in tutte le direzioni, significava che avevano ancora molta strada da fare. Gosseyn stimò di trovarsi a quattrocento metri al di sopra del livello del torrente. Fermo sulla neve, non del tutto sicuro di che cosa sarebbe accaduto, ricordò — era un ricordo di Gosseyn Secondo — quando il gruppo si preparava al Grande Viaggio: aveva fatto tre prove preliminari. Per la prima volta, Leej aveva predetto un luogo sulla Terra:
dopodiché Gosseyn Secondo aveva fatto la «fotografia» mentale di quello che il suo extra-cervello «vedeva» a livello delle particelle nelle cellule coinvolte del cervello di Leej. Le altre due prove erano state su un pianeta sconosciuto — l'esistenza del quale lei aveva predetto — e uno sul suo pianeta di origine, Yalerta. E solo quando queste prove preliminari erano state giudicate soddisfacenti, Leej aveva diretto la sua predizione su una dislocazione nell'altra galassia.
... questo pianeta, dove io ed Enin siamo atterrati così automaticamente, potrebbe essere uno di quelli localizzati durante le prove preliminari, su cui mai nessuno è andato realmente. È la Terra? È Yalerta? È il pianeta sconosciuto? Ovviamente non sarebbe stato possibile scoprirlo immediatamente. Ma se era la Terra... allora? Sembravano esserci parecchie possibilità, tutte vaghe. Continuò a sbattere i piedi a terra, e a strofinarsi le mani. Era riluttante ad ammettere che, se lui e il ragazzo erano già così gelati, non c'era nessuna possibilità che percorressero il chilometro che li separava dall'area scura,
dove il fiume curvava. Perfino arrivare alla riva del fiume sembrava troppo per i loro corpi ghiacciati. Ma si sentiva meglio riguardo alla trasmissione sbagliata che lo aveva portato in quel luogo... Doveva imparare a controllarla, naturalmente; incidenti simili dovevano essere analizzati, e bisognava fare qualcosa di positivo, ma... Il marmocchio era in quel mondo ghiacciato da almeno venti minuti più di lui. Due cose evidentemente lo avevano salvato fino a quel momento. Durante quei primi minuti il sole era libero dalle nuvole. Inoltre, la migliore circolazione sanguigna e la temperatura generalmente più calda di un corpo giovane, avevano contribuito al risultato. Purtroppo, quei particolari vantaggi si erano annullati con il passare del tempo. Perciò — per tutti e due — era arrivato il momento di mettere in pratica una di quelle vaghe possibilità. Gosseyn allungò il braccio, afferrò la fredda mano destra del bambino, e la strinse. Tenendo saldamente la mano, e attirata l'attenzione dell'altro, parlò con urgenza. «Ascolta, Enin: tu ed io abbiamo abilità speciali. E la cosa migliore per noi, in questo momento, è trovare il modo di mettere in azione una di quelle cariche elettriche, come sai fare tu.» Tetramente il bambino scosse la testa.
«Ma devono venire da una fonte di energia che già esiste. Una nuvola con i fulmini, o un filo elettrico.» Gosseyn annuì. «Quel gruppo di nuvole lassù...», indicò con il pollice, «e quell'albero sulla destra, brucialo!» L'albero che indicò era una cosa contorta, alta circa sei metri, spogliata dall'inverno. Con i suoi rami tesi e senza foglie, sporgeva dal bordo del dirupo, e pendeva verso il basso. Il bambino guardò l'albero; poi alzò gli occhi alla nuvola. «Ci sono i fulmini in inverno?», chiese Enin dubbioso. «Oh!», disse Gosseyn. Era un problema che — fu costretto ad ammetterlo — non era mai venuto in mente né a lui né agli altri Gosseyn. Poi, con tristezza, pensò che i fulmini sulla Terra sono legati ai temporali estivi. «Temo che tu abbia ragione», convenne. Ma un'altra possibilità gli ridiede coraggio. Indicò con la mano libera. «Se quella macchia scura è veramente una costruzione, e contiene dei fili elettrici, che cosa sei in grado di fare, a questa distanza?» Silenziosamente, il bambino guardò nella direzione indicata.
Ci fu una pausa non troppo lunga. Dopo qualche minuto, si stavano ancora riscaldando quanto più vicini potevano alle fiamme. L'albero bruciava con un'intensità soddisfacente; e perfino quando divenne un tizzone nero, cedeva ancora calore. Ma scaldarsi cessò di essere la loro preoccupazione principale. Gosseyn si accorse che il suo compagno guardava da un lato, con un'espressione turbata sul volto. «Guarda!», indicò il bambino, e aggiunse: «Temevo che succedesse.» Quando il suo sguardo seguì il dito puntato, Gosseyn vide una colonna di fumo ad un chilometro di distanza, nel punto in cui c'era la macchia scura che si era rivelata veramente un'abitazione. «L'elettricità che ho portato quassù», disse Enin, «ha incendiato la casa quando ho estratto le cariche elettriche dai fili.» Sembrava preoccupato; e venne in mente a Gosseyn che il bambino Imperatore sembrava aver acquisito — oppure era automatico, ora che era lontano dal proprio ambiente quotidiano — le qualità morali di un dodicenne ben educato in grado di distinguere il bene dal male.
Questi erano i suoi pensieri, quando il bambino parlò di nuovo. «Così, se andiamo fin lì, può essere che non troviamo nessun posto dove stare.» Gosseyn guardò in silenzio la cappa di fumo nero che si innalzava verso il cielo, e pensò tristemente:... Beh, forse non sono qualità così morali, dopotutto. Ad alta voce disse: «Spero che nessuno si sia fatto male». Il visibile danno che era stato procurato a quella lontana costruzione, gli ripropose improvvisamente la domanda: che pianeta era? Che genere di persone erano lì fuori, davanti all'edificio in fiamme? Qual era il loro livello tecnologico? ... Ovviamente non era possibile scoprirlo immediatamente. Gosseyn allontanò volutamente quel pensiero. E vide che il bambino era sceso al di sotto dell'albero fumante e camminava inquieto lungo il cornicione sottostante, guardando al di là del costone. Improvvisamente, Enin gridò. «Penso che da qui si scenda meglio.» Indicò un punto in cui il pendio innevato sembrava meno
scosceso. «Ti raggiungerò subito», rispose a voce alta Gosseyn. Prima di tutto, aveva bisogno di verificare la sua mossa successiva. Con cautela, allungò una mano e afferrò il più spesso dei rami anneriti dell'albero. Cedeva. Poi lo lasciò andare immediatamente. Era rovente. Occorse qualche minuto. Gettò della neve sulle parti che voleva prendere per raffreddarle; il che avvenne abbastanza in fretta. Non appena riuscì ad afferrare il ramo senza scottarsi, usò i piedi come leva, e lo strappò per intero dall'albero. Con il ramo in mano, raggiunse il bambino. Dopo qualche momento, ripresero la discesa del pendio. Ma ora avevano con loro qualcosa che, finché manteneva il proprio calore, sarebbe stato l'equivalente di una stufa portatile. La discesa ebbe i suoi lati negativi. Sia lui che il bambino si annerirono a furia di toccare le parti calde del ramo. Inoltre entrambi, numerose volte, salirono sulle parti più robuste e più calde del ramo per scaldarsi i piedi. Ben presto nella neve alle loro spalle si formò una lunga traccia di ceneri nere. E le loro calzature mostravano le conseguenti macchie nere.
Gosseyn cercò di evitare di sporcare il largo indumento che indossava; ma tutte le volte che scivolavano lungo i ripidi terrapieni, l'inevitabile accadeva. Presto arrivarono alla riva del fiume ed era incoraggiante sentire che il ramo dell'albero emanava ancora calore. Gosseyn improvvisamente sperò che, camminando velocemente su quel terreno relativamente piano, sarebbero riusciti a raggiungere la zona abitata che era ad un chilometro di distanza. Fu Enin a far osservare quanto era costata la discesa. «Abbiamo di sicuro l'aspetto di due sporchi vagabondi», disse. «Hai delle macchie nere sul mento e sulla guancia destra, e anch'io mi sento quella roba addosso.» «Ce l'hai sulla fronte e sul collo», disse Gosseyn e aggiunse: «E, naturalmente, le nostre mani sono condannate finché non troviamo dell'acqua calda». «Andiamo avanti!», disse il bambino. Gosseyn non ne era ancora sicuro. Ma andarono avanti, mentre lui continuava a pensarci. Neve e ghiaccio fino all'orizzonte, da tutte le parti, tranne che per la zona scura, più vicina ormai... Il fuoco era sotto controllo perché non si vedeva fumo.
Gosseyn ne fu sollevato, ma avvertiva una riluttanza crescente a sostare in quel luogo, sulla riva di quel fiume, e a camminare a fatica sul terreno ghiacciato, trascinando il ramo di un albero che ormai era a malapena tiepido. Per tutto il tempo che aveva camminato, i pensieri del suo alter ego erano stati un'interferenza costante nella sua coscienza personale. Nello spazio remoto, Gosseyn Secondo era in movimento. Già aveva fatto il balzo sull'astronave dei Dzan, e le immagini mentali, trasmesse dopo il suo arrivo, riferivano che il computer che era sull'enorme nave, aveva creato automaticamente uno schermo di energia, che isolava le forze robotiche per il controllo mentale dell'astronave nemica. Da quell'ambiente più sicuro, Gosseyn Secondo ebbe il tempo di notare il turbamento di Terzo, e di dare un consiglio.
«Hai salvato il bambino. Il fatto che ciò sia avvenuto in conseguenza di un problema che hai con il tuo extracervello è interessante per le informazioni che ci fornisce; ma non dovrebbe renderti così pessimista nei tuoi confronti.» Secondo continuò ad ammonirlo.
«Ricorda che gli esseri umani tendono ad essere attratti
dai misteri. E la tua situazione, sia pure in minimo grado, è un mistero. Dove sei? Che cos'è quello strano edificio davanti a te? Perché non riprendi a camminare, e chiarisci questo mistero?» A Gosseyn Terzo sembrava che il fatto più importante fosse che, se quella era la Terra...
«Dovrei andare nella Capitale e scoprire che cosa vi sta accadendo.» «Alla fin fine,» fu la risposta, «è una buona mossa. Soprattutto, visto che non dovresti ritornare qui finché non me ne vado io. Io e te non dovremo avere nessun incontro ravvicinato finché non abbiamo analizzato che cosa potrebbe succedere ad una coppia di duplicati come noi se si incontrano. Ma dagli avvenimenti deduco che non resterò a bordo di quest'astronave molto a lungo...» Anche la ragione di ciò era passata da una mente all'altra automaticamente: era il motivo per cui Enro aveva voluto essere uno dei delegati dell'altra galassia sull'astronave. Pareva che avesse portato con sé un apparecchio segnalatore, attraverso il quale unità della sua Flotta potevano balzare sul pianeta più vicino con un Distorsore, e poi balzare di nuovo, a breve distanza dall'apparecchio segnalatore. In tutto lo spazio circostante, stavano
comparendo le navi da guerra del Massimo Impero; e prendevano posizione. La conseguenza di questo nuovo arrivo fu che i nemici alieni ebbero un ripensamento. Cessarono infatti ogni attacco, e cominciarono a comunicare preoccupazione e confusione: il personale a bordo evidentemente non sapeva dove si trovasse. Uno strano messaggio arrivò dal nemico. «Trattiamo!» Era una concessione del nemico mai udita prima, e perciò sospetta. Ma Gosseyn Secondo era a favore della negoziazione.
«Perciò», fu il suo pensiero diretto, «salva te stesso e il bambino. Ho già parlato con la Regina Madre Strala, e devi credermi se ti dico che si è mostrata sollevata all'idea che tu sei con suo figlio.» Gosseyn Terzo, mentre camminava, slittava, e maneggiava il grande ramo dell'albero in modo che non colpisse accidentalmente il bambino... rifletteva sulle implicazioni della gratitudine della giovane madre, senza sapere esattamente che cosa avrebbe dovuto provare lui stesso. Ma pensò qualcosa.
«A quanto pare, Mr. alter ego, sarò il primo Gosseyn ad entrare in una camera da letto insieme a una donna per
uno scopo diverso dal dormire». La risposta a quest'affermazione fu filosofica. Gosseyn Secondo rispose con la silenziosa trasmissione del pensiero.
«La mia metà non è ancora comparsa nella mia vita. Come ben sai, sia Leej sia Patricia avevano, e hanno, altri impegni.» Il suo pensiero continuò nella stessa vena meditativa.
«Mentre questa situazione si risolve, tutti possiamo avere una coscienza più chiara del nostro destino ultimo. Nel tuo caso, salva il figlio... e avrai la madre.» Mentre camminava lungo la riva ghiacciata di un mondo che poteva essere la Terra, Gosseyn Terzo disse:
«Lasciamo perdere il lontano futuro. Sono in una situazione da cui voglio uscire soprattutto perché ho i piedi gelati e sono ghiacciato fino alle ossa». Il suo pensiero, ancora diretto all'altro Gosseyn, continuò: «La mia analisi della situazione del mio extra-cervello mi dice che, se mi concentro e non penso a nessun 'altra dislocazione al momento della connessione, andrò dove voglio andare». La risposta a quest'affermazione fu un cambiamento di
argomento.
«Può sorgere un problema», disse Gosseyn Secondo. «A quanto pare, Enro ha notato la Regina Madre, e visto che, naturalmente, non è riuscito a far sposare sua sorella Patricia, ha affermato che un matrimonio tra due Famiglie super Imperiali potrebbe essere molto utile alle relazioni intergalattiche.» In quell'universo congelato, Gosseyn Terzo non sapeva esattamente se dovesse sentirsi sollevato o turbato. Infine, arrivò ad una tranquilla indifferenza.
«Lady Strala è stata informata dell'interesse che ha per lei il Grande Uomo?» «Credo», fu la risposta, «che abbia capito. Ma la mia sensazione è che...» Sorprendentemente, la comunicazione mentale fu vaga, ci fu quasi una pausa. «Si?» disse Gosseyn Terzo. La risposta conteneva una parte speculativa.
«Penso che mentre questa situazione si risolve, possiamo avere tutti una coscienza più chiara del nostro destino ultimo.
Nel tuo caso, salva il figlio... e avrai la madre... questa è la mia opinione». Gosseyn Terzo formulò un altro pensiero.
«Dobbiamo», disse, «fare del nostro meglio per dedurre in che modo Enro, il Dominatore Galattico, riesca ad utilizzare questo contatto a suo vantaggio. E poiché è capace di compiere assassini di massa nel senso militare del termine, dobbiamo cercare di assicurarci che non abbia nessun vantaggio.» «Sono sicuro che sarai d'accordo che non dobbiamo permettere alla Flotta di Enro di ottenere l'accesso a quell'altra galassia. Di conseguenza, non deve sposarsi con la madre dell'Imperatore, se riesco ad impedirlo.» Infine concluse: «Ma di questo ci occuperemo in seguito.
Ora...». La sua ferma decisione doveva aver attraversato anni-luce: perché il lontanissimo pensiero del suo alter ego disse semplicemente:
«Buona fortuna, Terzo». Per proteggersi da ogni possibile attrazione, Gosseyn, in quel mondo gelato, localizzò una parte del suolo
ghiacciato, e ne scattò una fotografia extracerebrale. In questo modo, ogniqualvolta l'avesse desiderato in futuro, poteva tornare in quel luogo e riprendere la marcia a piedi. Naturalmente, se mai fosse accaduto, si sarebbe assicurato di indossare abiti più pesanti. Il suo commento mentale finale al remoto alter ego fu:
«Penso che riuscirò a vivere nonostante il mistero di quello che potrebbe essere quella costruzione. E immagino che riuscirò anche a vivere con il rimpianto dì non aver mai avuto la possibilità di interagire con uno dei prigionieri alieni che erano a bordo dell'astronave Dzan; i primi non-umani di cui abbiamo sentito parlare in tutti i viaggi dei Gosseyn. Sebbene Breemeg non abbia chiamato gli alieni semi-umani: non è vero? Ma anche questo è un avvenimento unico. Cionondimeno, dovrò vivere con entrambi i misteri perché fa sempre più freddo ad ogni minuto che passa; e presto sarà buio: Perciò...». 13. Terra! Erano sul retro di una piccola casa. La costruzione era su un pendio cosicché, in parte visibile al di sotto di loro, c'era una città. Fin dove poteva vedere, Gosseyn notò
soprattutto tetti di case e il verde che circondava ogni edificio visibile. Era cosciente di un calore sia esterno — l'aria era estiva — sia interno. Quella gradevole sensazione interna sembrava così naturale che trascorse un certo tempo prima che la identificasse:
E' come se fossi tornato a casa... Occorsero altri momenti, poi, per discutere tranquillamente con se stesso sul fatto che, in realtà, un corpo che era stato trovato in una capsula a galleggiare nello spazio, non poteva dimostrare, tranne che con una considerevole estensione logica, di appartenere ad un pianeta specifico. Presumibilmente, quella disputa interiore sarebbe potuta continuare ma, in quel preciso momento, Enin si mosse accanto a lui, e disse: «In che posto miserabile siamo finiti? Dove siamo?». Era un punto di vista notevolmente diverso. E, quando abbassò gli occhi verso il bambino, Gosseyn vide che l'Imperatore dei Dzan non stava guardando il panorama della città sottostante, ma il giardino e il retro della casa. Per la prima volta dal momento del loro arrivo, questo ricordò a Gosseyn la sua precedente — lontana anni-luce
— ansia riguardo al luogo dove sarebbero finiti: la destinazione prescelta, o altrove? «... Ce l'ho fatta! Il metodo dì concentrarsi, e mettere da
parte i pensieri secondari, funziona... Ehi, Gosseyn Secondo, hai capito? Posso controllare quel difetto...» Non ci fu risposta dal suo lontano alter ego e, in effetti, nessuna consapevolezza particolare dei pensieri dell'altro.
Allora, a più tardi! Poi abbassò gli occhi sul bambino, e disse in tono di rimprovero: «Siamo dove fa caldo. Oppure preferiresti tornare sul ghiaccio?». Enin non mostrò nessuna gratitudine per il cambio. «Come siamo arrivati in un posto simile?», chiese in tono di disgusto. Gosseyn sorrise. «Beh, è un posto uguale ad un altro, Enin. È tutto quello che so fare nell'operare questi spostamenti nello spazio: una mia abilità speciale, come dovresti sapere...» La faccia del dodicenne, alzata verso la sua, non mostrava nessun segno di rimprovero per il modo in cui quello che Gosseyn «sapeva fare» aveva una volta colpito l'Imperatore dei Dzan sotto gli occhi dei suoi cortigiani. La bocca si schiuse, e il bambino disse. «Sì! Allora...»
Gosseyn spiegò: «È meglio avere dei posti in cui arrivare dove nessuno può vedere l'arrivo. Ora, questa casetta è l'abitazione di un amico, ed ha una posizione ottima per quello che ho appena detto. Nessuno nel vicinato può vedere facilmente come arrivo. Hai capito?». Presumibilmente, il bambino aveva già notato, nel suo primo esame critico, quei particolari utili. Ma fu spinto a dare un'altra occhiata. E, evidentemente, l'analisi di Gosseyn ebbe un senso per lui. «Eh, sì», annuì, «hai ragione.» «E», Gosseyn continuò, «se alzi gli occhi, vedrai che è ancora mattina. Perciò abbiamo un'intera giornata davanti a noi.» Aveva già capito che era mattina dalla posizione del sole nel cielo. Ma dicendolo ad alta voce si era reso conto di una sensazione automatica... talamica?... che era dentro di lui. La sensazione era un senso di appartenenza, non necessariamente a quel giardinetto, ma lì, dovunque su quel pianeta. Vide gli occhi vivaci socchiusi.
«Che cosa faremo qui?» Non era un problema. La sua parte della giornata gli aveva sollecitato un ricordo: secondo le ultime notizie, Dan Lyttle, il proprietario della villetta, era ancora portiere di notte in un albergo. E ciò poteva significare che, a quell'ora mattutina, non era ancora andato a lavorare. Pieno di speranze, Gosseyn avanzò e bussò alla porta del retro. Si accorse che Enin gli si era affiancato. La voce del bambino era sorpresa. «Bussi per farti aprire? Perché non entriamo semplicemente?» In un certo senso, in quel caso non era impossibile una cosa del genere. Se Dan Lyttle era ancora il proprietario, probabilmente non gli avrebbe dato fastidio, se era fuori, poteva tornare e scoprire chi era entrato. Ma non era questo il significato delle parole di Sua Maestà Imperiale. Scuotendo la testa, Gosseyn si girò verso il bambino. «Ascolta», disse in tono fermo, «non siamo su uno dei tuoi pianeti. Qui, dobbiamo comportarci secondo le regole locali.» Fissò quegli occhi giovani e sfrontati mentre completava la
sua ammonizione con la stessa voce ferma: «Non ci si intrufola nelle proprietà degli altri senza permesso. Capito?». Fortunatamente, Enin non ebbe il tempo di rispondere. Perché, in quel preciso momento, si sentì un rumore. E la porta si aprì. La figura magra, familiare, che si stagliò sulla soglia, disse. «Oh, mio Dio, sei tu!» Era una frase che avrebbe potuto dire anche Gosseyn. Ma il suo tono sarebbe stato di sollievo, perché la persona che aveva pronunciato l'esclamazione fu identificata dalla memoria di Gosseyn: era il proprietario della villetta, Dan Lyttle in persona. Il portiere d'albergo che era entrato nella camera d'albergo di Gosseyn Secondo, e gli aveva salvato la vita. Il suo volto era magro come sempre. Sembrava più maturo di quanto ricordasse Gosseyn. Ma era una differenza lieve. La cosa più importante era che Lyttle era felice di ospitarli nella sua piccola casa. «Siete arrivati al momento giusto. È il mio giorno libero. O meglio», disse con un sorriso, «la mia notte libera così,
forse, posso aiutarvi. Ad ogni modo, ora avete bisogno di un bagno e di una dormita. Tu e il marmocchio dormirete in camera da letto, mentre io userò il divano che è nel soggiorno.» Gosseyn Terzo non discusse. Il «marmocchio» sembrò esitare, ma poi entrò con Gosseyn, in silenzio, nella stanza indicata. Una volta dentro però, con la porta chiusa, Enin disse: «Resteremo veramente qui?». Gosseyn indicò il lato opposto del grande letto matrimoniale. «Tu farai prima il bagno e poi ti coricherai lì. E quando io avrò fatto la doccia, mi stenderò da questa parte. Decideremo poi che cosa fare qui.» A quel punto, Dan Lyttle entrò con una lunga camicia per Enin e un pigiama per Gosseyn. Presto si addormentarono. ... Gosseyn si svegliò e restò per un minuto con gli occhi ancora chiusi. Formulò uno strano pensiero: era il primo sonno normale di quel corpo di Gosseyn. Questa consapevolezza trattenne solo per poco la sua attenzione. Per qualche ragione, quando si era disteso su quel letto prima, era sembrato così naturale, così...
normale... che l'unicità di quell'azione nella sua esistenza non gli era venuta in mente. Qualche momento dopo il risveglio, si accorse di sorridere. Perché quella era ovviamente una realtà minore in un universo di umani che dormivano. Poi aprì gli occhi, girò la testa, guardò l'altra parte del letto... e si alzò a sedere, accigliato. Il bambino non c'era. Quando poggiò i piedi a terra e cominciò ad infilarsi le pantofole che gli erano servite da scarpe per tutte quelle ore, si sentì lievemente divertito. Ma c'era — notò — una piccola reazione talamica. Vide che le scarpe erano pulite. E che il suo vestito, steso ordinatamente su una sedia, era stato lavato mentre lui dormiva. Occorsero pochi minuti, in seguito. Prima di tutto, andò nel bagno, ed effettuò la sua prima orinazione. Poi si avvicinò al lavandino, prese la spazzola che lo guardava invitante, e si pettinò. Quindi si lavò la faccia e le mani, e usò una tovaglietta per gli ospiti, che era appesa ad un gancio. (La sera prima c'era solo l'asciugamano di Lyttle per entrambi.)
Quando ebbe terminato le abluzioni, diresse la propria attenzione verso l'altro Gosseyn... lì fuori. Immediatamente, arrivarono i vaghi ricordi dei movimenti e delle azioni di Gosseyn Secondo, durante il tempo trascorso. E poi — improvvisamente — il contatto diretto! Furono veloci. Secondo disse:
«So dove sei. Perciò non sono troppo preoccupato... per ora.» Gosseyn Terzo replicò. «Riesco finalmente a vedere la tua situazione. Noto che la solitaria astronave nemica parla ancora di trattati di pace, ma nessun alieno è ancora salito a bordo. E quello che può accadere sull'astronave Dzan con tutti quegli uomini adirati non è ancora chiaro. E gli scopi di Enro possono influire sul risultato generale. Ma occorrerà del tempo perché i problemi si sviluppino». Il lontano alter ego ribatté:
«Allora concentriamoci su di te. Stavo parlando con Enro, e non ho preso nota di quale fosse il tuo scopo andando sulla Terra.» Gosseyn Terzo disse tristemente: «In un certo senso è stato solo un caso. Ma, credo, un
buon caso.» Continuò la sua discussione: «Dopotutto, i Gosseyn hanno parecchie faccende in sospeso sulla Terra. Abbiamo bisogno di sapere che cosa è accaduto qui dopo la tua partenza. Chi regge il Governo, dopo l'assassinio del Presidente Hardie? Qual è la situazione dei Non-A? Potrei andare avanti», concluse. «Mi pare di ricordare che le forze della Polizia e del Governo ripristinarono l'ordine, ma...» Era un grande «ma». Ciononostante, dalle lontananze interstellari, la sua analisi provocò un'approvazione riluttante.
«Immagino», fu la risposta, «che dovremmo scoprire qualche cosa, e fare quello che deve essere fatto.» L'alter ego continuò: «Ma, se ci pensi bene, recarsi nella città che un tempo ospitava la Macchina dei Giochi, presenterà dei problemi. Per esempio, né tu né l'Imperatore avete soldi. Presumo che potrete restare per il momento a casa di Dan Lyttle. Ma non puoi aspettarti che il salario di un portiere d'albergo possa mantenere a lungo tre persone». Gosseyn Terzo sorrise quando un suo pensiero arrivò in immediata risposta mentale alle obiezioni dell'altro.
«Hai afferrato la risposta?», chiese.
«Beh...», ci fu l'impressione di un sorriso di risposta, «credo che i Gosseyn possano reclamare all'istituto di Semantica Generale la loro proprietà o servitù, sulla base del fatto che "X" era un Gosseyn segreto. Ma non ricordo che fosse un posto dove c'era molto cibo a portata di mano.» Gosseyn Terzo rispose: «Il vecchio viveva lì; quindi potrei
trovare una provvista di cibo. Naturalmente, ci sarà un guardiano delle proprietà. Domanda: chi gli paga il salario?». «Che cosa vorresti fare? Occupare il posto con la forza?» «Beh...» Pausa. Gosseyn Terzo si accorse di avere sulle labbra un sorriso più truce. «Per me è difficile accettare quest'obiezione da un Gosseyn che non esitò a costringere, o ingannare, i servi perché gli dessero da mangiare su Yalerta, e che ha sempre mangiato bene dovunque sia andato nell'universo; e in nessuno di questi casi, per quanto ricordi, era disponibile il denaro locale.» La risposta di Gosseyn Secondo aveva un tono leggermente rassegnato.
«Vedo che hai ormai deciso di restare.» Parve che sospirasse.
Poi: « Va bene, saluta Dan Lyttle da parte mia».
«Penso che sarà un po’ difficile. Dan pensa che io sia con te». «Naturalmente», fu la risposta. «Devo ammettere che è una realtà difficile da tenere a mente: che ora ci siano due Gosseyn. Dubito che "X" abbia avuto mai l'intenzione di far coesistere due Gosseyn della stessa generazione.» Il riferimento a «X» fece nascere un pensiero. Gosseyn Terzo disse:
«In tutte queste ore ho avuto la vaga coscienza che questa persona sia stata una specie di antenato. Ma non è un fatto ben chiaro nella tua mente. La descrizione di come sia accaduto è vaga. Dimmi di più». «Be... e... eeh!» La risposta mentale suonò incerta. «C'è ragione di credere che "X" fosse in una delle originarie astronavi che emigrarono da quell'altra galassia. Solo che — è solo un'impressione — quella piccola astronave fece un atterraggio di fortuna, danneggiando il corpo maschile che in seguito abbiamo chiamato "X". Fu danneggiato anche il computer che conteneva i dati scientifici. Ad ogni modo, l'altro uomo lasciò l'astronave con le due donne perché, non appena uscirono, l'astronave danneggiata fu lanciata dal suo computer
danneggiato in un'altra zona della Terra. "X" si riprese al punto che periodicamente riuscì ad entrare nella navicella e a ritornare in uno stato di animazione sospesa per centinaia, perfino migliaia, di anni alla volta.» Il racconto dell'alter ego continuò.
«Naturalmente, cominciò ben presto a notare i discendenti del suo compagno maschio e delle due donne. C'era stato un ritorno alla barbarie, che evidentemente comprendeva anche accoppiamenti con le scimmie maschi e femmine.» La voce mentale aggiunse.
«Come hai potuto osservare sulla Terra dei nostri giorni, il tutto ha funzionato ragionevolmente bene. Ma era "X" ad avere l'antica memoria e, usando il proprio sperma, creò infine i corpi dei Gosseyn. Il nostro compito è assicurare che il sistema di clonazione che egli sviluppò venga portato avanti anche nel futuro. Questo dovrebbe essere uno dei nostri scopi, senza tener conto di quali altre azioni intraprendiamo in termini personali.» Gosseyn Secondo concluse:
«Suggerirei di perquisire con attenzione l'appartamento di "X" alla ricerca di stanze segrete, o di magazzini segreti,
dove egli potesse tenere le carte e le apparecchiature necessarie a fare quello che fece». Gosseyn Terzo rispose:
«Darò, senza dubbio, un 'occhiata. E continuerò a consultarti nei momenti dì crisi.» «Teoricamente», fu la risposta di quella lontana unità mente-corpo duplicata, «siamo la stessa persona. Le tue opinioni saranno probabilmente identiche alle mie.» Era vero. Eppure, dentro di sé, si sentiva un individuo completamente separato. Due uomini adulti, la stessa persona ma, in qualche modo, diversa. Ancora una volta arrivò il pensiero: «Sarà
interessante vedere come funzionerà la similarità». «Funzionerà sicuramente.» La risposta di Gosseyn Secondo fu nella sua mente quasi come fosse stato un suo proprio pensiero. Ma non completamente. Ed era lui, li, che si lavava la faccia e si pettinava; non Gosseyn Secondo. Azioni e movimenti che non aveva cessato di compiere durante tutta quella velocissima conversazione mentale.
Essenzialmente, gli parve di avere un'unica ragione per preoccuparsi: la Terra era pericolosa per un Gosseyn. Almeno, la parte della Terra in cui era arrivato, era
pericolosa. C'erano persone che avrebbero riconosciuto la faccia di Gosseyn. E sarebbe bastata solo la scarica di un'arma ad uccidere quel particolare corpo di Gosseyn. Se ciò fosse accaduto, il fatto che la memoria dell'esperienza sarebbe continuata nella mente di Gosseyn Secondo, non era molto soddisfacente. Gli antenati di Gosseyn, avevano senza dubbio lasciato in eredità una personalità notevole nei discendenti duplicati. Ma per un individuo particolare di quella lunga stirpe, la realtà era che l'essenza dell'io e l'identità continuavano a risiedere in un solo corpo vivente.
14. Mentre adoperava ogni oggetto, e compiva i vari atti di pulizia, si sorprese a ricordare che simili comodità erano state a disposizione dell'altro Gosseyn in quell'altra occasione. Non era un genere di fantasia che poteva interessarlo a lungo. Perché ritornò col pensiero ad Enin... lì fuori. Con questo pensiero, rimise in fretta al suo posto il rasoio elettrico.
Poi... Poi doveva solo infilarsi di nuovo le aderenti pantofole. Ma pensò che avrebbe dovuto procurarsi abiti migliori, in qualche modo. E scarpe più robuste. Dopo qualche momento uscì dal bagno. Quando tirò la porta che portava dalla camera da letto nel resto della casa, sentì che Enin diceva: «Sì, Mr. Lyttle, ma che cos'è un'assunto?». Gosseyn rallentò l'apertura della porta, e restò dov'era. Quando poi sentì la voce di Dan Lyttle spiegare la definizione che la Semantica Generale dava dell'assunzione, ebbe paura... Naturalmente, pensava, quel tentativo andava fatto. Come avrebbe agito su un cervello non ancora pienamente sviluppato, e con nessuna ricompensa da offrire — visto che Enin aveva già tutto — non era chiaro. Ma si tirò indietro e si nascose. Spinse la porta finché non restò aperto che uno spiraglio. E si mise in ascolto. «Volete dire, perché agisco come agisco?» La voce infantile mostrava uno sbigottimento costante.
«Sì.» Era la voce di Dan Lyttle. «Un po' di tempo fa sei venuto qui e mi hai ordinato di prepararti la colazione. E io l'ho fatto, non è vero?» «E allora?» «Beh», il tono di Lyttle era lievemente insistente, «tu sei ospite nella mia casa, e mi tratti come un servo. È questo che voglio dire: qual è l'assunto che ne sta alla base?» Ci fu una pausa momentanea. «Io sono l'Imperatore. Tutti fanno quello che dico.» «Da dove vieni?...» «Dzan. L'universo di Dzan.» Era la voce di Enin. «Allora», continuò Dan Lyttle, «uno dei tuoi assunti è che qui, sulla Terra, dovresti essere trattato nello stesso modo in cui vieni trattato in patria?» «Io sono l'Imperatore dovunque vado.» L'affermazione fu pronunciata con insolenza. Gosseyn Terzo sorrise. Un sorriso ironico. «E», continuò la voce dell'uomo nel soggiorno, «deduco che tu abbia un certo numero di assunti fondamentali, in
base ai quali credi di essere migliore degli altri?» «Io sono migliore degli altri. Io sono nato Imperatore.» «Il tuo assunto, allora, è che, grazie a un caso, tu hai il diritto di dominare tutti gli altri esseri umani?» «Beh... non ci ho pensato molto prima che mio padre morisse. Ma, quando sono diventato Imperatore, ho cominciato a trattare le persone nello stesso modo in cui le trattava mio padre. E lo faccio da quando sono salito al trono. Che cosa c'è di sbagliato in questo?» «Beh», rispose Little in tono divertito, «a noi Semantisti Generali interessa che genere di pensiero spinge la gente a fare cose irrazionali. Per esempio, come è morto tuo padre?» «È caduto da una finestra», rispose il ragazzo in tono bellicoso. «Volete insinuare che i suoi assunti abbiano qualcosa a che fare con questo?» «È possibile... se conoscessimo i particolari riguardo al perché si sia avvicinato tanto a quella finestra aperta. Ci sono stati testimoni?» «Era una riunione dei vertici del Governo.» «E lui era così occupato a pensare, o a parlare, mentre si avvicinava alla finestra, da non accorgersene e cadere?
Questo hanno riferito i testimoni?» «Mia madre dice che è accaduto così.» Pausa. «Non le ho mai chiesto chi glielo ha detto.» «Possiamo allora presumere che tutti coloro che erano con lui nella stanza hanno confermato che è avvenuto così?» «Ehi, questo è quella che chiamate un assunto? Non l'avete visto con i vostri occhi. Di conseguenza dovete presumere che la gente che l'ha visto accadere vi stia dicendo la verità?» «Questa è una parte del concetto. Gli assunti a cui dovresti interessarti veramente sono quelli che hanno radici profonde, quelli che non sai che esistono. Ma che nelle situazioni di vita quotidiana influenzano il tuo comportamento, come se fossero veri. «Io sono l'Imperatore. Questo è vero.» «Come tratti gli altri?» «Dico cosa devono fare. Ed è meglio che lo facciano.» «Il tuo assunto, allora, è che un Imperatore si può comportare da prepotente con tutti coloro di cui è l'Imperatore, e magari può anche essere meschino e cattivo.»
«Li tratto come li trattava mio padre. E immagino che questi fossero i suoi... come li chiamate?... Assunti.» «Stai dicendo che non ti sei mai chiesto quali fossero i suoi assunti? Saresti solo un pappagallo?» «Beh...», vi fu una pausa. «Forse,» disse Enin, «dovrei darti un saggio del mio potere...» Il tono della voce del bambino, nel pronunciare quelle ultime parole, fecero decidere a Gosseyn che, forse, la prima lezione di Enin sulla Semantica Generale era andata troppo oltre. Improvvisamente, con questo pensiero, spalancò la porta della camera da letto, ed entrò nel soggiorno. E si fermò incerto. Perché, in un istante, vide alla sua sinistra con la coda dell'occhio... Sei uomini seduti in fila lungo la parete sinistra, e quattro di loro indossavano un'uniforme. Quando Gosseyn si girò nella loro direzione, già si era accorto che i quattro in uniforme stringevano una pistola fra le mani. Erano armi atomiche, ma di un tipo non identificabile a quella distanza; e, sebbene non fossero puntate su di lui in modo preciso, erano — come si diceva un tempo — «pronte a fare fuoco».
Non era una situazione ideale da affrontare... subito. La reazione di Gosseyn fu complicata da un'apparente contraddizione: Dan Lyttle stava dando ad Enin una lezione di Semantica Generale, alla presenza di intrusi armati. L'altra complicazione era che, a giudicare dall'interesse e dalle reazioni, il bambino si era comportato come se lui e il suo insegnante fossero soli nella stanza. E, perfino nel fare la minaccia finale a Lyttle, non aveva prestato alcuna attenzione agli spettatori. Occorse qualche momento per ricordare che Sua Maestà Imperiale aveva alle spalle almeno due anni di abitudine ad ignorare gli spettatori, e a credere sempre decisivo il suo speciale controllo mentale dell'energia. Quando concluse questo ragionamento, inspirò profondamente. E cercò di comportarsi il più normale possibile, date le circostanze. La normalità tornò appena in tempo. In quel preciso momento, Enin gli corse incontro, e gli afferrò un braccio. «Sono felice che ti sia finalmente svegliato.» Aveva apparentemente dimenticato la sua minaccia contro il loro ospite; e ignorò totalmente gli intrusi. I suoi occhi vivaci scrutarono Gosseyn. «Dormi sempre tanto?»
«Beh!» Gosseyn si sforzò di sorridere: era il suo primo sonno normale, per cui rispose: «Penso che sia stato il freddo glaciale... laggiù... e il mio abbigliamento leggero. Io...». Non riuscì a dire altro. Alla sua destra, la voce di Dan Lyttle l'interruppe. «A quanto pare, questa casa è sempre stata piena di microfoni», disse. «Mentre voi due dormivate, sono andato all'albergo, e ho preso in prestito un videogame per il tuo giovane amico. Quando sono tornato, questi uomini erano seduti proprio dove li vedi.» Mentre la voce di Dan Lyttle forniva quella spiegazione, uno dei due uomini in abiti civili fece la prima mossa da parte degli intrusi: si alzò. Era una persona di media statura, alquanto robusta. Aveva un sorriso contorto sulla faccia piena, mentre aspettava educatamente che Dan Lyttle concludesse la sua breve dichiarazione. Poi parlò a voce bassa: «Mr. Gosseyn, non appena avrete finito di fare colazione, vi legheremo. Il capo vuol venire a darvi un'occhiata». Non era il momento di fare nessun movimento inconsulto. E perfino Sua Maestà Imperiale dovette capirlo; perché la sua voce si alzò stridula ma controllata:
«Glielo faccio?». Occorreva una risposta.. «No, Enin!» Gosseyn aveva riflettuto sull'informazione che gli aveva fornito il portavoce degli intrusi. Spiegò: «Deduco che incontreremo alcune delle persone che volevo vedere qui. Quindi va tutto bene». Poi aggiunse: «Possiamo decidere dopo che cosa fare. Va bene?» «Va bene.» Durante il breve dialogo, Dan Lyttle non si era mosso. In quel momento disse: «Prima di preparare la colazione, vorrei assicurarmi che il tuo giovane amico non si annoi mentre tu mangi». Detto questo, si avvicinò alla parete accanto alla porta d'ingresso, e tolse il telo che copriva una macchina scintillante che non era lì la sera prima. Fu facile intuire che era il videogame preso in prestito dall'albergo dove Lyttle lavorava come portiere di notte. Sia i due amici che gli intrusi guardarono Enin avvicinarsi
allo strumento. Il bambino scrutò i trasparenti meccanismi interni. Poi esaminò i tasti del computer. E infine, con cautela, allungò una mano e girò un interruttore. Ci fu un flusso di luce all'interno. Apparve una città subacquea, la cui popolazione era minacciata da giganteschi mostri marini. Si capiva subito che il compito del giocatore era quello di decimare gli attaccanti con i sistemi di armi controllati dal computer. Mentre Gosseyn guardava sorridendo, l'Imperatore dei Dzan cominciò a fare fuoco. Dopodiché, non restò che cercare di attutire l'effetto dei gridolini di gioia di Enin e, nello stesso tempo, porre domande a Dan Lyttle. E ascoltarne le risposte mentre mangiava uova, pancetta, e una focaccia. Le domande avevano a che fare con la situazione del Governo in quella parte del pianeta. Le risposte furono scoraggianti. A quanto pareva, i seguaci del defunto presidente Hardie erano riusciti in qualche modo ad ereditare il suo potere. E, palesemente, non si rendevano conto che Hardie non era stato responsabile degli eccessi del suo regime, ma era stato solo una pedina in una lotta interstellare che non aveva mai veramente capito. Era evidente che i suoi
successori erano per lo più uomini venali del tipo noto sulla Terra da tempi immemorabili. Lyttle non fece nomi; era una prudenza ovvia. Gli individui di cui si parlava avevano la tendenza a vendicarsi, al livello nel quale operavano.
Le altre informazioni erano che i Venusiani non avevano più dato notizie dopo l'attacco delle forze di Enro, avvenuto qualche mese prima. Su questo argomento, Gosseyn aveva le proprie idee, che non aveva nessuna intenzione di dividere con gli altri. Il fatto era che i milioni di Venusiani non-aristotelici, da qualche tempo, avevano cominciato ad emigrare. Gruppi di Venusiani venivano portati sui pianeti abitati, soprattutto, della Lega Interstellare. Lì veniva loro assegnato il compito di portare la filosofia e i metodi della Semantica Generale a tutte le popolazioni di quei pianeti. Sarebbe occorso del tempo. Altrettanto silenziosamente, Gosseyn dubitò che la Terra fosse stata completamente abbandonata dai Venusiani. Senza dubbio, dovevano essere arrivate delle persone da Venere, e ora stavano valutando il problema di occuparsi delle conseguenze della precedente presa del potere, operata segretamente dai seguaci di Enro. In pratica, ciò significava occuparsi dei Terrestri che avevano avuto motivo di unirsi agli invasori, e che non erano legati a posizioni di potere. La silenziosa opinione di Gosseyn Terzo era che, nel compito di occuparsi dei tipi venali, lui poteva essere di notevole aiuto.
Con quella riconferma mentale del proprio scopo, stava per poggiare la forchetta, quando si accorse che Dan Lyttle era alle sue spalle e gli offriva un fazzolettino inumidito. «Pulisciti... la bocca.» Quando Gosseyn prese il fazzoletto, vide che una delle dita della mano di Lyttle era stranamente allungata. Indicava qualcosa che era sulla tovaglia da tavola. Mentre prendeva il fazzolettino e cominciava a strofinarsi, guardò il punto indicato dal dito. Sulla tovaglia vide una piccola lastra bianca su cui erano stampati migliaia di chip di computer. Come fosse arrivata sul tavolo, e come Lyttle fosse riuscito a includerla di nascosto tra i piatti della colazione, lo si poteva spiegare con il fatto che, per quanto lo riguardava, era stato occupato dai suoi pensieri. E gli intrusi erano stati probabilmente ingannati dalla normalità della vista di un uomo che mangiava. Lyttle si chinò di nuovo, e questa volta sussurrò:
«Quella è la Macchina dei Giochi! La sua identità!». «Ehi!», urlò il portavoce degli intrusi. Ma Gosseyn e Lyttle furono veloci. Gosseyn disse: «Altre uova, hai detto?».
Detto questo, si pulì la bocca, come se il sussurro avesse a che fare con il suo atto di pulizia. Appoggiò il fazzoletto sulla lastra bianca, si alzò e si girò. «Grazie per avermi permesso di mangiare. Ma è ora che mi leghiate, e chiamiate il vostro — come lo avete chiamato — capo?», disse. Mentre camminava verso gli intrusi, si accorse che Dan Lyttle, alle sue spalle, era impegnato a pulire i piatti della colazione. Le sue azioni, senza dubbio, avrebbero incluso un'abile rimozione della lastra che rappresentava l'identità della macchina più importante che fosse mai esistita sulla Terra. Gli legarono le gambe con una fune, le caviglie e le ginocchia. Le mani e le braccia gli furono ammanettate dietro la schiena. Poi fu steso sul divano, e appoggiato alla parete lungo la quale gli intrusi ripresero i propri posti. «Fermo!», ordinò l'uomo dalla faccia grossa. «Mr. Blayney sta per arrivare.» «Blayney!», mormorò Gosseyn Terzo. Ma non lo disse a voce alta. Dopo che ebbe udito quel nome, non ci fu più alcun dubbio.
Sarebbe veramente rimasto «fermo».
15. «Siete arrivato lontano, Mr. Blayney, dall'ultima volta che ci siamo incontrati. Capo del Governo e Comandante in Capo delle Forze Armate», disse Gosseyn. Non ci fu nessuna risposta. L'uomo che lo fissava dall'alto aveva un'espressione truce sulla faccia liscia, insieme ad una sfumatura di stupore. Blayney sembrava più vecchio di quanto lo ricordasse la memoria dei Gosseyn. E il suo corpo robusto, era ora più snello. Come se avesse saltato molti pasti, o fosse un avvenimento interno, chimico, verificatosi dopo un periodo di tensione. I vestiti che l'uomo indossava erano, se possibile, ancora più eleganti dell'ultima volta. Continuò a non esserci nessuna risposta alla sua osservazione di prima. Gosseyn giacque disteso durante il silenzio prolungato, e ricordò tristemente che l'ultima volta che Blayney aveva guardato dall'alto il corpo legato di un Gosseyn, ad un tratto, senza alcuna motivazione apparente, si era chinato e aveva cominciato a colpirlo con violenza. Sembrava il momento giusto per fare un altro commento
conciliatorio. «Devo dedurre», disse, «dal vostro grande successo, che la mia analisi di allora della vostra personalità era sbagliata.» Al che l'espressione truce si trasformò nell'ombra di un sorriso. E lo spiacevole silenzio finì. «Ho seguito il vostro consiglio», disse Blayney. «Ho fatto uno studio elementare della Semantica Generale, ed ho corretto i difetti, diciamo... devianti della mia personalità, che voi avevate messo in evidenza.» Gosseyn ricordò tristemente che il difetto della personalità, criticato dal precedente Gosseyn, aveva a che fare con l'eccessiva preoccupazione di Blayney per le possibilità future. All'epoca, l'avvertimento dato dal potente Thorson era stato che, un uomo che si aspettava il peggio, prima o poi — di solito, prima — avrebbe intrapreso delle inutili azioni preventive, a un livello paranoico. Sarebbe stata una sfortuna se fosse rimasto qualche residuo di quel difetto; perché, in qualsiasi momento della crisi attuale, avrebbe potuto provocare una reazione insolitamente violenta. E, in quella situazione, la vittima, naturalmente, sarebbe
stato Gilbert Gosseyn Terzo. Doveva fare uno sforzo per tentare di stornare un simile risultato. «Se», disse Gosseyn, «uno studio elementare è riuscito così rapidamente a farvi arrivare ad occupare la posizione di Capo del Governo, varrebbe la pena che faceste uno studio non-aristotelico più avanzato, e vi liberaste dei residui elementi... devianti», ripetè il termine della Semantica Generale dopo una breve pausa, e finì, «che possono derivare da precedenti condizionamenti.» L'ombra di sorriso svanì da quella faccia liscia, e tornò l'espressione truce. Blayney scosse la testa. «Il gioco della politica», disse, «è strettamente aristotelico. Non dà spazio agli idealisti.» Al di sopra di lui, il volto duro stava cambiando di nuovo espressione. Lo stupore tornò quando Blayney si chinò e, con la mano destra, toccò le funi che legavano le ginocchia di Gosseyn. «Sto cercando di capire,» disse l'uomo nella sua caratteristica voce bassa, «perché avete permesso che accadesse di nuovo.»
La domanda sembrava sottintendere che Blayney avesse sentito parlare delle abilità venti-decimali del cervello di Gosseyn. Naturalmente, era solo una possibilità, e non doveva essere data per scontata. Perciò Gosseyn eluse la domanda. «Non sono più sveglio dell'ultima volta», aggiunse. «Chi avrebbe mai sospettato che vi prendeste la pena di tenere questa casa sotto sorveglianza?» Osservò la faccia liscia mentre pronunciava quelle parole, con il loro implicito elogio. E si sentì compiaciuto quando scorse un'espressione di sciocca vanità sul volto dell'altro. Ma Blayney non disse niente, non offrì nessuna spiegazione della sua preveggenza. In un certo senso, naturalmente, il suo commento non aveva bisogno di una risposta. Prima di tutto, c'era da dubitare di poter ottenere una risposta onesta da un individuo simile. Era stato coinvolto un gruppetto di uomini di potere, segretamente appoggiati dalle potenti armate di Enro, comandate da Thorson. Di quel gruppetto, il Presidente Hardie era morto, e Thorson era morto. Non era sorprendente che Blayney, che era stato alleato sia dell'uno sia dell'altro, avesse
approfittato dell'occasione. E, ovviamente, quando le Elezioni erano state truccate, quelli che avevano operato il broglio — o i loro principali complici — avevano cercato di ottenere dei vantaggi. Ma era difficile credere che gli abitanti dell'emisfero occidentale della Terra fossero caduti così in basso nel XXVI Secolo dopo Cristo. Era una dimostrazione di che cosa poteva fare un intervento segreto da parte di forze interstellari agli ignari abitanti di un pianeta. Per fortuna, tranne che per ulteriori azioni che Enro poteva intraprendere a bordo dell'astronave dei Dzan, quella cospirazione era stata essenzialmente sconfitta. ... E tranne che, naturalmente, per i rimasugli — come Blayney — che ancora dovevano essere spazzati via dalla Terra. C'erano buone possibilità che quell'uomo non sapesse niente dei retroscena di quello che era accaduto. Inoltre, era possibile che la domanda posta da Gilbert Gosseyn Terzo avesse stornato una violenta reazione del nuovo Capo del Governo da quella zona del pianeta. A parte questo, la situazione difficile di Gosseyn restava la stessa. Fino a quel momento, non era avvenuto nulla di
fondamentale. Con questi pensieri, e ancora disteso sul divano, Gosseyn Terzo si abbandonò ad una parziale presa di coscienza sulla base della Semantica Generale. Naturalmente, la prima impressione fu di nuovo quella prodotta dall'interno della casa. E la seconda fu il pensiero che probabilmente era significativo il fatto che Blayney non avesse ancora indicato il suo scopo nel recarsi in un posto del genere... lasciare il lusso del Palazzo Presidenziale per quella villetta. Ma il fatto che ci fosse andato, indicava che una decisione sarebbe stata presa presto. Di conseguenza, la minaccia più grande dipendeva dalla presenza in quella stanza di un tipo particolarissimo di esseri umani normali vecchio stile: vale a dire che, la maggior parte degli individui che si erano introdotti nella piccola casa di Dan Lyttle, probabilmente non avrebbero fatto niente di ostile finché non avessero ricevuto un ordine diretto. Gosseyn, che aveva già preso la precauzione, in precedenza, di fotografare mentalmente i quattro uomini armati con il suo extra- cervello, decise che in caso estremo avrebbe potuto loro offrire una via d'uscita. Poiché
era presente una persona che aveva il «diritto» di dare loro qualsiasi ordine incluso «Sparategli!» — e loro l'avrebbero fatto — il momento di un'offerta simile doveva essere immediato, e non quando avessero già ricevuto l'ordine. Era uno scopo a livello intermedio; perciò voltò la testa, e parlò ai quattro uomini: «Apprezzerei molto che voi tutti metteste da parte i fucili». Poi aggiunse: «non ce n'è bisogno, ora che sono ammanettato e legato». Fu interessante, allora, vedere che tre degli uomini restarono immobili, come se non avessero sentito. L'ultimo uomo — seduto all'estremità del quartetto — lanciò un'occhiata al suo, presumibile, sergente, o un equivalente — il civile che fino a quel momento aveva parlato a nome del gruppo — e disse: «Che cosa ne pensi, Al?». L'uomo interrogato rispose immediatamente con la sua voce bassa. «Il Gran Capo è qui», indicò l'individuo elegantemente
vestito che era al fianco di Gosseyn, «e sarà lui a dare gli ordini quando avrà voglia di farlo.» L'uomo armato che aveva parlato, guardò Gosseyn e si strinse nelle spalle. Dopodiché, ripiombò nel silenzio, il fucile ancora stretto in mano. Gosseyn distolse lo sguardo dagli uomini, e rivolse un sorriso truce a Blayney. «A quanto pare, non c'è alcun futuro venusiano nel vostro gruppo,» disse. L'uomo che era divenuto il pari di un re, guardò accigliato il prigioniero. «Era un tentativo di far rivoltare degli uomini che hanno giurato di compiere il loro dovere ogniqualvolta siano chiamati a farlo dal loro comandante?» Gosseyn alzò gli occhi sulla faccia robusta e accigliata dell'altro, e scosse la testa. «A un certo livello», disse, «la Semantica Generale riconosce il ruolo della legge in una società arretrata. Quello che è accaduto qui sembra trascendere le normali regole legali o criminali.» Si interruppe: «Devo dedurre di essere stato legato in questo modo, senza che nessuna accusa sia stata fatta contro di me?».
Blayney si accarezzò la mascella. «Siete in una situazione speciale. E sono io che ho dato l'ordine.» Le sue labbra si contorsero in un sorriso. «E questi uomini hanno obbedito, come era loro dovere.» «È per questo che mi sono rivolto a loro. Partecipano a una prevaricazione: il loro ruolo è quello di automi. Sono venuti qui in qualità di schiavi e non con l'intenzione di scoprire la verità. Più tardi, quando torneranno alle loro case, se qualcuno chiederà loro cosa hanno fatto oggi, che cosa potranno rispondere?» Il sorriso di Blayney si tese, mostrando i denti. «Sono legati dal giuramento di non rivelare a nessuna persona non autorizzata tutto quello che succede durante il servizio.» «In altre parole», replicò Gosseyn, «se voi doveste ordinare loro di spararmi, lo farebbero senza conoscerne le ragioni?» «Esattamente.» Le maniere di Blayney improvvisamente rivelarono impazienza. «Il governo basato sull'autorità continuerà sulla Terra ancora per qualche tempo. Perciò veniamo al sodo. Cosa siete venuto a fare qui?» Ma Gosseyn aveva rivolto di nuovo la sua attenzione ai quattro uomini armati.
«Come individui», chiese, «ciascuno di voi, separatamente, desidera essere legato alla condizione di schiavo, in questa situazione specifica?» Il secondo uomo alla sinistra di Gosseyn si mosse e chiese a Blayney: «Avete ordini speciali, Signor Presidente?». Blayney scosse la testa in silenzio. Allora c'era ancora tempo di ottenere altri dati. Gosseyn si girò e disse a voce alta: «Lyttle!». Era una cosa del tutto inaspettata. Lyttle, sebbene avesse terminato le faccende in cucina, e avesse le mani libere, stava lì. E aspettava. Sembrò una buona idea aspettare che l'uomo si riprendesse. Si riprese dopo circa cinque secondi, quando rispose: «Sì, Gosseyn?». Prima che Gosseyn potesse replicare, vi fu un'altra interruzione. Enin, che era stato a guardare, disse:
«Continuerete a parlare?», chiese. «Oppure», rivolto solo a Gosseyn, «hai bisogno di aiuto?» Gosseyn sorrise. «Non ancora, Enin. Se ne avrò bisogno, te lo farò sapere. Ora, se vuoi, puoi tornare al tuo gioco.» «Va bene.» Dopo qualche istante, ricominciarono i gridolini di gioia. Gosseyn disse: «Lyttle, che cosa vorresti che accadesse sulla Terra?». La risposta arrivò immediatamente. «Spero che tu resti per aiutare a ripristinare sulla Terra la Semantica Generale, compresa la riabilitazione completa della Macchina dei Giochi.» «I Semantisti concordano generalmente sul fatto che la Macchina del Giochi si è rivelata inaspettatamente vulnerabile alle interferenze sulle sue attività.» «Dobbiamo ricordare», fu la risposta, «che la Macchina è fondamentalmente un computer e che l'aggiunta di qualche migliaio di chip, ognuno con il suo programma protettivo, le sarebbe di grande aiuto nel futuro. Ma naturalmente nessuna macchina dovrebbe mai trascendere il controllo umano.» D'un tratto, con quella risposta, Dan Lyttle divenne un
elemento del tutto speciale. Occorse un po' di tempo per effettuare una valutazione. Perfino per un Gilbert Gosseyn le situazioni che si formavano esigevano più di un esame superficiale. Quella che era parsa una coincidenza... nel passato... sia con Gosseyn Primo sia con Gosseyn Secondo, improvvisamente... che cosa? Improvvisamente, il portiere d'albergo — Dan Lyttle — che era salito nella stanza di un Gilbert Gosseyn e gli aveva salvato la vita, sembrava essere connesso a... a tutto quello che era accaduto... Ma come spiegare che un Gosseyn aveva preso una camera nell'albergo in cui quel Portiere Molto Importante faceva il turno di notte? Sembrava un lavoro così normale, un ragazzo così normale, con la sua villetta che per caso — o almeno così sembrava — si trovava tra quelle colline, al di sopra del luogo dove la Macchina dei Giochi parlava ogni giorno durante i Giochi alle migliaia di persone che arrivavano periodicamente, con la speranza che le loro conoscenze di Semantica Generale avrebbero fatto loro vincere il diritto di emigrare su Venere. E
ogni persona si sottoponeva da sola alle prove, in uno delle migliaia di cubicoli appartati... C'era sempre stato qualcosa di particolare nel modo in cui Lyttle si muoveva, e muoveva il corpo e la testa. Era vero che la conoscenza e l'uso quotidiano della Semantica Generale formavano qualcosa di simile nella maggior parte della gente. Ma davanti a lui c'era l'uomo a cui la Macchina dei Giochi, nell'agonia della morte, aveva affidato la parte del gigantesco computer che rappresentava... la sua identità! E ora quello stesso individuo aveva fatto un'affermazione che conteneva uno scopo fondamentale correlato. La spiegazione del mistero di Dan Lyttle avrebbe dovuto aspettare. In quel momento era sufficiente riconoscere che gli scopi di quell'uomo erano simili ai suoi. Di conseguenza, quello era, per Gosseyn Terzo, il momento della decisione. In silenzio, diede quattro segnali, uno dopo l'altro — rapidamente — al suo extra-cervello. Poi si rilassò sul divano, con gli occhi fissi sul soffitto. Si sentì un rumore sordo alla sua sinistra. Era la voce di un uomo che emetteva un prolungato «Uhhhhh!».
E poi: «Eh!». Quell'urlo finale fu emesso dal portavoce, che nel frattempo si era sempre mantenuto da parte. Gosseyn fu in grado di fare quell'identificazione perché aveva di nuovo voltato la testa in quella direzione. Vide i due uomini in abiti civili. Entrambi erano in piedi e guardavano. Lanciavano occhiate di sbieco alle quattro sedie che, qualche momento prima, erano occupate dai quattro uomini armati e in uniforme. Erano scomparsi tutti e quattro. Non era ancora una situazione ottimale. Una precauzione, sì. Ma, nonostante, il suo successo nel liberarsi della minaccia rappresentata dai quattro uomini armati, era ancora lontano dal trovarsi in una condizione normale per un essere umano. Aveva le gambe legate come prima; le manette che gli circondavano i polsi erano di metallo. Ed era responsabile di ciò che era accaduto dopo il suo arrivo. Sebbene non fosse il Gosseyn originale, ciononostante, aveva preso la decisione di tornare sulla Terra. Di conseguenza, Dan Lyttle e la sua casetta erano in pericolo. Perciò Enin e lui non potevano semplicemente andarsene con il metodo ventidecimale.
Non era proprio il momento ideale — comprese tristemente — per affermare uno scopo fondamentale. Cionondimeno, quando alzò gli occhi su Blayney, pronunciò le parole cruciali: «Perché non facciamo ritornare», chiese, «un governo onesto nella città della Macchina dei Giochi?».
16. Silenzio! Blayney restò immobile a guardare l'uomo che aveva fino a quel momento evidentemente considerato un prigioniero. Gosseyn, enunciata la sua linea di fondo, uno scopo così fondamentale che, secondo lui, qualsiasi altra cosa in quel momento — parole o azioni — avrebbe solo confuso la questione, si rilassò coscientemente e restò tranquillo. Fu il secondo dei due aiutanti a rompere quel silenzio. Parlò dall'altra parte della stanza, dove prima erano i quattro uomini armati, e disse con una profonda voce baritonale: «Signore, possiamo allontanarci dall'area del Distorsore?».
L'espressione di Blayney, che era essenzialmente quella di una persona sconcertata, si fece grave. «Penso che abbiamo bisogno di una soluzione più radicale.» «Indicò Gosseyn. «Avvicinatevi e portate fuori quest'uomo.» Quando abbassò lo sguardo su Gosseyn, socchiuse gli occhi. «Qualche obiezione?», chiese. Nonostante la posizione supina, Gosseyn si strinse le spalle. «Non ne vedo l'utilità», disse, e aggiunse: «Volevo semplicemente porvi quella domanda senza correre il pericolo di provocare una reazione violenta». Si strinse di nuovo nelle spalle. «Che cosa ne dite?» Ancora una volta fu il Numero Due a parlare per primo. «Che cosa ne è», l'uomo agitò una mano in direzione delle sedie vuote, «dei nostri uomini? Non dovrebbe... tirarli fuori?» Blayney, che si era girato verso l'aiutante, riportò lo sguardo su Gosseyn. «Che cosa ne è di loro?», chiese.
«Non sono morti. Ma», Gosseyn rispose, «non sono più su questo pianeta.» «Sto cercando di capire», disse Blayney, «dove potrebbe trovarsi il Distorsore che li ha spazzati via. Perché», l'uomo parve sia sconcertato che impressionato, «deve avere una messa a fuoco perfetta per aver lasciato qui le sedie.» Per Gosseyn fu una rivelazione interessante: era ormai evidente che Blayney non sapeva niente dell'abilità del suo extra-cervello, e si limitava a credere che una macchina nascosta avesse compiuto la nefanda azione. Gli sembrò importante incoraggiare quell'opinione. Perciò commentò con voce inespressiva. «Come probabilmente sapete, i contatti interstellari hanno portato molte raffinatezze scientifiche sul nostro pianeta, insieme ai pericoli e alle minacce.» Il Capo del Governo di quelli che un tempo erano gli Stati Uniti D'America, annuì. «Credo sia un ottimo modo di porre la faccenda.» Ma apparentemente accettò la spiegazione. Perché, quando parlò di nuovo, fu più personale. «Per quanto riguarda la vostra domanda, lasciatemi
ripetere qualcosa che ho già detto.» Il sorriso divenne ironico. «Avete mai sentito parlare dei partiti politici?» «In che senso?» «Beh, il gruppo dominante di un partito è un insieme di alcuni suoi membri. Essi occupano tutte le posizioni chiave. Sono circa ottocento e, prima di un'Elezione, si incontrano in quella famosa sala piena di fumo, di cui tutti abbiamo sentito parlare, dove il linguaggio è a base di parolacce. Ciascuno di loro ha la sua propria stanza piena di fumo, con circa duecento adepti che anche loro fanno il proprio lavoro. Il gruppo dominante è composto da questi alter ego del Presidente, e se lui fa qualcosa che a loro non piace, cominciano a strillare.» «Datemi i nomi del gruppo dominante; e io andrò a parlare con loro», disse Gosseyn. Nessuno aveva mai avuto un'espressione più stupita sul volto. «Parlare con loro!», disse Blayney, «Siete pazzo?» «Beh, non veramente parlare.» Gosseyn esibì il suo sorriso tollerante. «Il mio vero interesse è cominciare a ripristinare la Macchina dei Giochi. Forse potreste presentarla come una sorta di istituzione educativa, o un museo, o meglio ancora, un modo di prendere i voti di quegli originali dei Semantisti Generali, potete chiamarli così, a meno che non
abbiate una parolaccia migliore che suonerà più conveniente alle orecchie dei vostri adepti.» «Ma perché volete andare a trovare qualcuna di queste persone?» Gosseyn spiegò. «Il mio interesse riguarda solo le persone che si oppongono al ripristino dell'Istituto di Semantica Generale, e, poi, alla Macchina dei Giochi.» «Ma che cosa vorreste fare loro?» Il tono era insistente. «Ammazzarli?» «No, mi libererò di loro, come ho fatto con i vostri uomini armati.» Ci fu una lunga pausa. Infine, Blayney disse con riluttanza. «Beh, devo ammettere che avete a disposizione un buon apparecchio per sparizioni.» Si interruppe: «Dove li mandereste?». «Ho un posto in mente. Ma penso che sia meglio che non sappiate dove si trovi.» Blayney fece un cenno di assenso. Il Civile Numero Uno si avvicinò, slegò le gambe di Gosseyn, e gli aprì le manette.
Gosseyn se le tolse da solo, e gliele porse. Quando l'aiutante si fece indietro, si rivolse al suo «capo». «Signore, posso fare una domanda a quel tipo?» Indicò Dan Lyttle. «Perché no?» Blayney si strinse nelle spalle. Allora l'aiutante disse a Lyttle: «Quella faccenda dell'assunto di cui parlavate al marmocchio... vale anche per gli adulti?». Sulla faccia magra dell'impiegato d'albergo apparve un lieve sorriso. «Vale per tutti. Perché?» «Mentre vi ascoltavo», fu la risposta, «ho cominciato a pensare, forse ho degli assunti di cui potrei fare a meno.» «Seguite un corso di Semantica Generale elementare, come ha fatto il vostro capo. Guardate dove l'ha fatto arrivare», disse Lyttle. Non ci fu risposta. Ma una remota espressione negli occhi dell'uomo indicava che nella sua mente era nato un pensiero, e vi era rimasto. Dopo qualche momento, aprì gentilmente la porta per far uscire il Presidente Blayney.
... Quando lui ed Enin girarono l'angolo, Gosseyn guardò per la prima volta con i propri occhi l'Istituto di Semantica Generale, o meglio, quello che ne era rimasto. Vide una costruzione con una facciata rettangolare che, fatta eccezione per l'aspetto malandato, poteva essere ciò che era rimasto di una banca in stile antico. Quando si avvicinò, Gosseyn vide che l'aspetto decadente non era dovuto alla vecchiaia, ma ad una deliberata distruzione. Visto che sapeva che la facciata decorativa era stata divelta, fu evidente — ad un secondo sguardo — che anche il cemento, che era dietro la facciata, era stato danneggiato di proposito. Enin e lui attraversarono la strada, e presto si trovarono davanti all'ingresso principale. Gosseyn pigiò un bottone al di sopra del quale c'era scritto: CUSTODE. Accanto al bottone c'era una porta piccola, normale. Passarono almeno due minuti. Poi la porta più piccola si aprì, e comparve un uomo di mezza età. Né gli occhi né la maniera dell'uomo esprimevano il benvenuto. Comunque, dopo aver letto con riluttanza l'autorizzazione di Blayney, si fece da parte e indicò il corridoio principale, illuminato fiocamente e rivestito di marmo rovinato. «C'è una porta in fondo, sulla quale è scritto ' 'privato".» La
sua voce assunse un tono infelice, quando concluse: «Credo che sia quella la stanza che cercate». «Abbiamo bisogno anche di due chiavi per questa porta, in modo da non disturbarvi quando vorremo tornare», disse Gosseyn. Indicò l'ingresso principale. Gli tornò in mente un altro ricordo. «Mi pare di ricordare che c'è un ingresso secondario. Probabilmente dovremmo avere anche la chiave di quell'altra porta.» «Sì, va bene», fu la tetra risposta. Ed evidentemente un pensiero si formò infine nella mente del custode, «sta per succedere qualcosa?», chiese. «Un mucchio di cose», rispose Gosseyn. Ma il custode borbottò tra i denti il commento finale, quando Gosseyn e Enin si avviarono lungo l'ampio corridoio. Dopo che ebbero camminato per una trentina di metri, Enin disse: «C'è qualcosa di buffo in quella persona». Gosseyn rifletté in silenzio sul fatto che il custode fosse stato stranamente riluttante. Forse — si disse — il suo lavoro era una sinecura; mentre un'attività maggiore lo
avrebbe costretto a guadagnarsi il salario. Quell'uomo sarebbe stato messo sotto controllo... sebbene non fosse molto chiaro quali azioni ostili potesse intraprendere una persona simile... a meno che non fossero coinvolte altre persone. Gosseyn si accorse di stare sorridendo ironicamente. Era possibile che esistessero nemici della Semantica Generale, nello sfondo. Ma quello non era un vero problema. Alla maggior parte della popolazione della Terra non importava niente. Per loro, Venere — dove ognuno era autosufficiente — non aveva alcuna attrattiva. «Non si lavora lì! Buon Dio, come fanno a far funzionare tutto?» Le masse immemorabili della Terra, che il passare dei secoli non aveva intaccato... Solo che, con lo sviluppo della tecnologia, ora i Terrestri premevano bottoni che azionavano quotidianamente i macchinari delle loro case e dei loro mezzi di trasporto ad un livello di complessità che l'individuo normale non cercava nemmeno di comprendere. Di conseguenza — fu la conclusione temporanea di Gosseyn, quando lui ed Enin arrivarono alla porta con la scritta
«privato» — se ci fosse stato motivo di spiare il custode, sarebbe stato per una ragione che, in quel momento, era oscura. E non analizzabile in anticipo.
17. Quando aprirono la porta su cui era scritto «privato», Enin disse: «Sembra che non incontriamo nient'altro che gente miserabile, e non andiamo altro che in posti miserabili». Il pensiero che quel commento evocò nella mente di Gosseyn Terzo, gli provocò un sorriso. Poi, dopo una breve pausa, citò il famoso concetto della Semantica Generale. «Enin, la mappa non è necessariamente il territorio e, inoltre, le tue mappe si sono un po' confuse. Dopotutto, abbiamo appena avuto un incontro con il Presidente di questo continente.» Ci fu una pausa. Poi: «Ah, quello!». Un'altra pausa, seguita da un aggrottarsi della fronte, e dalle parole: «Che cosa intendi per mappa?». «Poi», disse Gosseyn, «te lo spiegherò.» Ma anche in lui, con o senza l'aiuto dei concetti della Semantica Generale, l'appartamento che stava guardando non fece nascere un amore a prima vista.
L'appartamento, in cui si trovavano, era grande abbastanza per il loro immediato scopo; ma non era stato ben tenuto. Ed era stato visibilmente spogliato di alcuni mobili. C'era solo un posto nel soggiorno dove potersi sedere: un divano. Non si vedevano sedie, e c'era solo un tavolino e un apparecchio telefonico. Nella cucina c'era un forno incassato, e un frigorifero incassato. Dagli scaffali a muro, che circondavano la cucina, mancavano tre quarti dei piatti che dovevano esservi un tempo. C'erano due camere da letto, una con un Ietto matrimoniale e l'altra con due letti gemelli; ma nessun altro mobile. Armadi a muro erano disponibili in entrambe le camere; almeno Enin e Gosseyn avrebbero avuto un posto dove conservare gli abiti che avrebbero acquistato. Si accorse che Enin si dirigeva verso la camera da letto più piccola. Perciò Gosseyn si diresse in cucina. Quando all'inizio aveva frugato nei cassetti, aveva notato un blocchetto di fogli e una penna. Perciò ora si sedette e cominciò a fare una lista. Era il primo momento di tranquillità dal loro arrivo. Seduto in cucina, si accorse di sentire una strana sensazione nel corpo e nella mente. Si fermò, posò la penna, si accigliò...
Che cos'era? Che cosa?... La voce di Enin arrivò da dietro la porta. «Pensi che intenda farlo? Pensi che lo farà veramente?» «Fare che cosa?» La coscienza di quella strana sensazione interna si attutì quando gridò la domanda, e la fece subito seguire da un'altra. «A chi ti riferisci?» «A Blayney! Pensi che ricostruirà veramente questo posto?» Gosseyn finì di scrivere la parola «latte», poi posò la penna. Si alzò, ed entrò nel soggiorno. Mentre camminava, si accorse di avere un complesso di pensieri e consapevolezze. ... Consapevolezza che quella strana sensazione persisteva da minuti, forse da ore, smorzata dalla presenza esigente di Enin; pensieri riguardo alla risposta da dare alla domanda del bambino; vaga coscienza del suo alter ego, e di tutte quelle realtà...
Trovò Enin disteso sul pavimento del soggiorno in quella che si poteva essenzialmente definire una posizione contorta. Ma il marmocchio sembrava a proprio agio. Gosseyn si avvicinò, si fermò a guardare dall'alto l'Imperatore di tutti i Dzan, e parlò di nuovo servendosi della fraseologia della Semantica Generale: «La migliore risposta che posso darti è basata su una mappa generalizzata in relazione al modo in cui funzionano i governi, secondo il mio punto di vista». «Ma tu hai detto che la mappa non è il territorio.» Gli occhi del bambino erano sfavillanti. L'uomo si accorse di sorridere. «Volevo dire che una mappa non è necessariamente il territorio. E questo concetto è vero soprattutto quando ci occupiamo di mappe che descrivono com'è il mondo e come sono le persone in generale. Qui sulla Terra, il Presidente Blayney ha un mucchio di soldi a disposizione per la spesa pubblica. Una o più imprese si occuperanno della ricostruzione dell'Istituto; e riceveranno un aiuto governativo per farlo. Il fatto più importante in questa faccenda è che i costruttori saranno dalla nostra parte. Perciò...» In quel momento suonò il telefono. Gosseyn si avvicinò, sollevò il ricevitore, e disse:
«Pronto! Chi parla?». Una voce maschile si fece udire. «È l'Impresa di Costruzioni Daynbar. Sappiamo che siete stati autorizzati a ricostruire l'Istituto; e vorremmo mandare una squadra a discutere del restauro.» Gosseyn ebbe un momento di paura, anche se aveva appena predetto che sarebbe accaduta qualcosa del genere. La sua deduzione immediata fu che un alleato di Blayney si era messo in contatto con un costruttore che, presumibilmente in seguito, avrebbe pagato l'informatore per l'informazione. Poiché per lui quello era uno sviluppo positivo, la sua risposta seguì le regole della cortesia in uso tra uomini d'affari. «Quando possono venire qui i vostri dipendenti?» Si decise che la «squadra» si sarebbe fatta vedere alle otto del mattino dopo... Tutto molto normale, pensò Gosseyn. Ma, in qualche modo, non abbastanza veloce per la sensazione di urgenza che gli arrivava... da qualche parte. Quando ebbe posato il ricevitore, si accorse che Enin era in piedi sulla soglia della cucina, e lo fissava. Ma il
bambino non disse niente. Gosseyn commentò: «Spero che tutto questo non sia troppo noioso per te». Ci fu una pausa, poi un sogghigno distorse quel volto infantile. «Immagino», disse il bambino, «che tu abbia formulato l'assunto che voglio tornare su quella stupida nave con quei leccapiedi.» «Più probabilmente, forse vuoi tornare da tua madre», rispose Gosseyn. Ma, mentre parlava, si adattò all'analisi di Enin. Quelle lamentele infantili, dopotutto, non erano sbagliate; ma doveva ammettere che aveva pensato, aveva creduto, che a Sua Maestà Imperiale un posto come la Terra, dove nessuno gli si prostrava davanti, sembrasse, beh, miserabile. E miserabile, in almeno uno dei suoi significati, sottintendeva che, chiunque usasse il termine, non volesse restare dov'era. Quando Gosseyn completò questo pensiero, Enin parlò di nuovo. «Intorno a te succedono un mucchio di cose», disse, «e tu non sei una donnicciola. Pensa solo a quando eri legato su quel divano e ti sei liberato di quegli uomini armati...» Gli occhi del bambino si spalancarono. «Ehi, ho dimenticato di
chiederlo. Dove hai mandato quei tipi?» Gosseyn sorrise. «Su quel mondo di ghiaccio, dov'eravamo noi.» «Gente! Non pensi che congeleranno?» «Indossano abiti adatti, e devono camminare solo un chilometro per raggiungere quella costruzione; perciò non sono preoccupato.» Pensò per un momento. «È il prezzo che devono pagare per non essere stati coscienti degli assunti in base ai quali operavano. Ricordi, ho dato loro tutte le possibilità di pensarci, e nessuno di loro se ne è presa la pena.» Sul volto di Enin apparve, se ciò era possibile per un bambino di dodici anni, un'espressione pensosa. «Sì», disse poi, «sì. È difficile immaginare che resteremo qui, mentre si ricostruisce questo palazzo. Non possiamo andare in nessun altro posto?» Era un'ottima domanda. La sensazione di Gosseyn che qualcuno gli scandagliasse la mente, si era fatta più forte. Era giunta l'ora di determinare che cosa gli provocasse una sensazione così strana nella testa, sempreché ci fosse
qualcosa. Il telefono suonò di nuovo. La voce di Enin arrivò da lontano. «Sembra che un'altra impresa voglia il lavoro.» Gosseyn, che si stava dirigendo verso il telefono, non rispose verbalmente. Ma rispose mentalmente che, a quel livello governativo, probabilmente non ci sarebbe stata nessuna gara d'appalto per specifici progetti di costruzione. Un'altra telefonata che avesse a che fare con la ricostruzione, sarebbe stata relativa ad un altro aspetto del lavoro. E, naturalmente, la verità era che gli aspetti sarebbero stati molti. Comunque, dopo qualche momento, quando pronunciò la stessa domanda di prima nel ricevitore, la risposta fu di gran lunga diversa. La voce maschile all'altro capo del filo era rauca. «Voglio che abbiate ben chiaro in mente che, se non lasciate quell'edificio entro oggi, vi farete male. Quell'istituto di stupidità non sarà ricostruito!» Gosseyn, che aveva automaticamente notato che il messaggio e la voce venivano registrati —
automaticamente — dall'apparecchio telefonico, si riprese da quella inaspettata minaccia in tempo per dire: «Badate a vestirvi pesante da questo momento in poi!». Ci fu una pausa dall'altro capo del filo. Poi la stessa voce, ma con un tono perplesso invece che minaccioso, disse: «Che assurdità è questa?». Bang! Dall'altro capo, il ricevitore fu abbassato. «...A proposito di questa telefonata», analizzò Gosseyn qualche momento dopo, «sono incline a credere che sia il risultato dell'avvertimento che il custode ha fatto a qualcuno che lo pagherà per l'informazione.» Enin si accigliò. «Non capisco l'assunto», disse. Gosseyn non poté trattenere un sorriso all'uso del termine della Semantica Generale, che non era del tutto appropriato. Ma disse solo: «Penso che un gruppo, o alcuni individui, contrari alla
rieducazione della massa, avrebbero una fonte di informazioni molto economica riguardo a tutti i progetti intorno a questo edificio, se corrompessero il custode». «È vero!» Il bambino assentì distrattamente. Restò con le labbra serrate, come se fosse immerso in profondi pensieri. Poi annuì e disse: «Ora che cosa facciamo?». Non era una domanda a cui Gosseyn fosse in grado di rispondere subito. La sua testa, in senso figurato, roteava. Di conseguenza, non ci furono risposte. L'evento più importante della sua vita, in quel momento, era quella sensazione che qualcosa stesse scandagliando il suo sistema nervoso.
18. Quando, qualche momento dopo, riuscì ad attirare l'attenzione del suo alter ego, Gosseyn Secondo disse mentalmente, superando quelle enormi distanze: «Sono
cosciente delle tue sensazioni, e sono simili a quelle che avevamo quando le nostre difese sono state momentaneamente penetrate dall'astronave aliena. Il tuo problema è che sei lì fuori, non protetto». Vista l'enorme barriera interstellare tra lui e il nemico, era un'analisi sorprendente. Ma era sicuramente l'eventualità più probabile. I tentativi dell'astronave aliena di effettuare
un controllo mentale non potevano superare le difese elettroniche delle navi Dzan o delle navi da guerra di Enro. Ma, in qualche modo, quegli strumenti incredibilmente accurati avevano mantenuto i contatti con Gosseyn Terzo. E, sebbene probabilmente non ne fossero consapevoli, lui era, per loro, l'essere umano più importante: la persona che, inavvertitamente, aveva trasmesso le astronavi, con tutto il personale, dalla loro galassia a questa. Ma dovevano sospettare qualcosa. Perché, sebbene si trovasse a milioni di anni-luce lontano da loro, essi lo seguivano elettronicamente e, con i loro raffinati strumenti, stavano in qualche modo tentando di afferrarlo. Il pensiero immediato che si formò nella sua mente mentre considerava la faccenda, fu: perché non concederglielo? Sottopose la domanda a Gosseyn Secondo.
«... Che cosa farei, se andassi a bordo della loro nave?» «Beh» , il pensiero lontano di Gosseyn Secondo era accompagnato da un sorriso, «la prima cosa sarebbe che la ricostruzione dell'Istituto di Semantica Generale sulla Terra verrebbe rimandata». C'era almeno una risposta a quest'obiezione. Gosseyn la comunicò mentalmente.
«Quando Dan Lyttle a mezzanotte finirà il suo turno all'albergo, verrà a dormire qui. Penso di poter lasciare a lui l'incarico, se vado a bordo dell'astronave aliena, e penso che questa sia una cosa che dovrei fare, purché mi liberi prima di una potenziale fonte di guai qui sulla Terra.» La risposta esprimeva un'accettazione rassegnata.
«Sei più coraggioso di me. Che cosa farà il bambino?» Gosseyn era concentrato sul dialogo con l'alter ego. Allora si guardò intorno. Fu lievemente sorpreso nel constatare che Enin era scomparso... Quella strana espressione sul volto; stava certamente combinando qualcosa... Mentalmente disse:
«Penso dì poterlo lasciare qui con Dan, per il momento. Ho i miei dubbi che debba tornare a bordo proprio ora». Sorrise.
«La sua rieducazione secondo i principi della Semantica Generale non è ancora completa. Ma ora farei bene a chiudere la trasmissione, e andare a vedere dove è andato...» ... Un uomo robusto in maniche di camicia. Quella era la fonte della voce minacciosa.
... La veloce ricerca di Enin aveva portato Gosseyn lungo il sudicio salone fino all'appartamento del custode. Quel miserabile era disteso a terra e balbettava informazioni al bambino che lo aveva «bruciato» parecchie volte prima che l'uomo comprendesse che solo una confessione l'avrebbe salvato dalla speciale abilità di quel marmocchio demoniaco... Il nome che finalmente svelò — Gorrold — corrispondeva ad una persona della lista dei duecento sostenitori di Blayney. Gosseyn, che subito dopo era andato direttamente nell'ufficio dell'uomo, ora guardava con espressione perplessa il corpo ben piantato di Gorrold e la sua faccia insolente. Perché sarebbe stato sbagliato ventidecimalizzare una persona, vestita così leggera, in quel mondo di ghiaccio... Mentre pensava ad altre possibilità, Gosseyn disse con disinvoltura: «Il Presidente Blayney mi ha chiesto di parlarvi. Forse, potremmo andare da qualche parte a pranzare o a bere?». Uscire a prendere qualcosa avrebbe costretto Gorrold ad indossare almeno una giacca. Ma gli occhi grigi e colmi di ira repressa si limitarono a
fissarlo da quella faccia pesante e truce.. «Ho da bere qui.» Ma l'uomo non diede nessun segno di voler prendere «da bere». Restò seduto dietro la scrivania scintillante, in maniche di camicia, a sorridere sarcastico. Era una camicia dall'aria costosa, ma non calda abbastanza per un clima glaciale. «Spero», continuò Gosseyn, «che capiate se vi dico che questa deve rimanere una conversazione privata; da non tenere in un ufficio, dove qualcuno la potrebbe origliare.» «Se», replicò Gorrold, «il Presidente vuole darmi delle istruzioni speciali, non ha da fare altro che prendere il telefono, come ha fatto un centinaio di volte; e quando riconoscerò la sua voce, dirò: «Sì, Signor Presidente, considerate già fatto il lavoro». Detto ciò, la sua faccia perse ogni apparenza di sorriso. «Perciò non accetto questo suo messaggio privato, visto che il messaggero è una persona che non ho mai visto prima.» Lo sguardo scrutatore di Gosseyn aveva improvvisamente scorto la giacca dell'uomo... almeno era dello stesso colore dei pantaloni che indossava. La giacca era appoggiata al tavolo bar dell'ufficio, situato nell'angolo opposto.
Una volta fatta quella scoperta, si sentì meglio, e si alzò. «Evidentemente non prendete nel giusto valore quanto ho appena detto: le conversazioni possono essere ascoltate. Allora riferirò al Presidente che avete preferito non sentire la sua comunicazione privata. Va bene?» Gorrold lo accompagnò alla porta, l'aprì, e chiamò la segretaria. «Miss Drees, accompagnate alla porta questo signore.» Il modo in cui Gosseyn attraversò la soglia costrinse Gorrold a indietreggiare e a nascondersi in parte dietro la porta. In quel preciso istante Gosseyn lo trasmise nel mondo di ghiaccio. Gosseyn afferrò con forza la maniglia, e disse come se parlasse a Gorrold: «A presto, signore». Quasi simultaneamente, il suo sguardo saettò sulla giacca appoggiata al tavolo bar. Con il suo extra-cervello ne fece una speciale copia fotografica mentale. Dopo qualche momento trasmise anche la giacca su quel lontano mondo di ghiaccio. Dopodiché, chiuse piano la porta alle proprie spalle e, dopo qualche momento, oltrepassò la segretaria e uscì attraverso la porta d'ingresso. Mentre si dirigeva verso la lontana uscita, pensava
imprudentemente a qualcosa cui non avrebbe dovuto dedicare nemmeno un momento di attenzione: era la vaga speranza che Gorrold avesse dipendenti addestrati in modo tale che Miss Drees non sarebbe mai entrata nell'ufficio del capo senza essere chiamata. La sua vaga sensazione era che sarebbe stato meglio per la ricostruzione dell'Istituto di Semantica Generale, se non si fosse sospettato alcun collegamento tra la visita di Gilbert Gosseyn e la scomparsa di Gorrold. Era un'imprudenza. In quel preciso istante la sensazione nella sua testa divenne un buio vorticoso.
19. Gosseyn aprì gli occhi nel più profondo buio. Ricordò che cosa era accaduto — quella sensazione vorticosa — e restò immobile. Occorse almeno una decina di secondi prima di formulare il pensiero che... Poteva essere, era mai possibile?... Aveva improvvisamente pensato che quello era il modo esatto in cui il corpo di Gosseyn Terzo si era svegliato, dopo che la capsula spaziale era stata presa a bordo dell'astronave da guerra dei Dzan.
... Sono disteso completamente nudo (questa era la sensazione), coperto da un sottile lenzuolo...
Mosse lievemente mani e braccia. E non ci furono dubbi: era un lenzuolo, era di stoffa, e non era pesante; e, fatta eccezione per questo, non sembrava coperto da alcun abito. Le sue dita toccarono della pelle tiepida. Lentamente, con attenzione, tirò il lenzuolo e scoprì la parte superiore del corpo. Poi, altrettanto lentamente, alzò in alto le mani per tastare. Toccò una superficie piatta. Era a meno di trenta centimetri al di sopra del torace, stimò. Quando raccolse tutte le forze e spinse la superficie, questa si rivelò liscia, solida e non elastica.
... Era tutto come quando aveva preso coscienza nella capsula... solo un paio di giorni prima, contando il periodo di coscienza vissuto da allora. Si rilassò, e si chiese: ... le mie azioni sono controllate?
... Oppure sono isolato dall'esterno? Con quell'improvvisa sensazione di incertezza, era arrivato il momento di fare una prova.
«Alter!» Era una chiamata mentale diretta. «Hai idea di che cosa mi sia successo? È stata», esitò, scosso dalla possibilità,
«un'altra morte del nostro gruppo?» Ci fu una pausa. Un senso di vuoto... lì fuori. E poi, improvvisamente, il contatto, quasi come se si fosse aperta una porta.
«In tutti questi secondi appena trascorsi», arrivò il pensiero di Gosseyn Secondo, «ho avuto solo una vaga coscienza di te. Anche il tuo pensiero è vago. Forse qualcuno ha permesso questa comunicazione. Tutto è improvvisamente più chiaro.» Non sembrava il momento di analizzare chi potesse essere quel qualcuno. E, nelle sue «parole» successive, l'alter ego parve avere lo stesso pensiero; era una risposta alla domanda di Terzo.
«Non penso», disse quella remota voce mentale, «che tu, Gosseyn Terzo, sia stato ucciso. Di conseguenza, questo non è il risveglio di un altro corpo di Gosseyn». L'affermazione aveva un aspetto rassicurante, ma anche un lato inquietante. Perché, quello che era accaduto e stava accadendo, implicava che qualcuno, che stava compiendo quei notevoli miracoli tecnologici, sapeva del risveglio precedente.
Perché Gosseyn Terzo si trovava in una capsula simile. Il che fece nascere un improvviso pensiero aggiuntivo:
Quella prima volta... tutti quei connettori? Non avvertiva nessuna delle sensazioni fisiche provocate da tubi di gomma o aghi penetranti, delle quali aveva rapidamente preso coscienza al suo primo risveglio. E, quando con cautela allungò mani e dita fino alle estremità inferiori, trovò solo pelle nuda. Si rivolse mentalmente a Gosseyn Secondo.
«Sembra che tu abbia ragione. Non sono Gosseyn Quarto che prende coscienza. Come hai analizzato correttamente, ho tutta l'aria di essere Gosseyn Terzo prigioniero». Per qualche ragione, si sentì sollevato. Trascorsero alcuni momenti prima di capire che la consapevolezza di essere in realtà il corpo di Gosseyn Terzo prigioniero, non era comunque una ragione, per lui, di sentirsi meglio. Di nuovo infelice, riprese la comunicazione mentale con il Gosseyn al sicuro... lì fuori.
«Sembrerebbe che quegli alieni siano riusciti a superare decine di migliaia di anni-luce, ad afferrarmi e a portarmi da qualche parte.»
«Be...e... e.., eh!» Si sentiva riluttanza nella risposta del remoto alter ego, con una sfumatura di tristezza più che disaccordo. «Ricorda che hanno posto un controllo
elettronico su di te, prima che lasciassi l'astronave dei Dzan. E evidentemente, alla fine, hanno superato il problema del controllo a distanza, e sono passati all'azione.» Disteso nel buio, Gosseyn Terzo convenne che era veramente evidentissimo.
«Dopotutto», concluse Gosseyn Secondo, «dobbiamo ricordare che l'extracervello di Gosseyn ha provato che, ad un certo livello di realtà, la distanza non ha nessun significato.» Era vero. Ma non era molto piacevole capire che qualcun altro aveva usato un metodo simile per catturare un corpo di Gosseyn. Visto che l'astronave controllata dagli alieni non aveva esitato ad attaccare le navi da guerra Dzan, la domanda era: perché non avevano semplicemente ucciso Gosseyn Terzo? La risposta di Gosseyn Secondo arrivò a quel punto con un insolito tono di realismo.
«Penso che possiamo finalmente analizzare la situazione.
Gli alieni ti stanno probabilmente studiando. Vorrebbero ricostruire che cosa è accaduto. Sono in un 'altra galassia; e ora hanno catturato la canaglia responsabile del disastro. Perciò aspettati da un momento all'altro di essere processato per il crimine di trasporto illegale di alieni.» In qualche modo, non era un commento rassicurante. Gosseyn Terzo ricordò che, quando era ancora sulla Terra, aveva espresso il desiderio di andare sulla nave degli alieni per affrontare i semi-umani. Presumibilmente, un confronto simile avrebbe avuto luogo ora in circostanze meno favorevoli: essi conoscevano la sua identità, ma lui non era sicuro di dove fossero, né loro né lui. La cosa che lo infastidiva di più — capì mentre continuava a stare disteso al buio — era che sarebbe dovuto andare via. E smettere di aspettare lì nella speranza di scoprire che cosa volevano fare di lui. ... Questo pensiero intimo, con il suo scopo implicito, fu trasmesso a Gosseyn Secondo; la mente dell'alter ego manifestò i pensieri pertinenti:
«...Qualsiasi cosa farai dovrà essere attentamente considerata. Come ho detto, i tuoi catturatori forse ti stanno studiando, e questo significa studiare le potenzialità dell'extracervello di Gosseyn. E visto che, come hai appena ricordato, stavi cercando di trovare il modo di salire a bordo della loro astronave, non liquidare troppo in fretta le possibilità che ti sono offerte». «Presumi che io sia a bordo dell'astronave aliena?» «Non è l'unica possibilità, ma, considerato quello che è accaduto finora, è più probabile.» «È vero», riconobbe Gosseyn Terzo dalle tenebre. «Allora qual è il tuo consiglio?» «Aspetta!» ... L'attesa divenne lunga. La sua sensazione finale fu: forse quelli che lo stavano osservando si chiedevano che cosa avrebbe fatto lui. Gli venne in mente che una delle cose che avrebbe potuto fare era tornare sull'astronave dei Dzan. Tornare sull'astronave lo avrebbe posto all'interno degli schermi protettivi. Allora sarebbe stato importante determinare se i suoi catturatori fossero preparati a lasciarlo scappare in un luogo nel quale non potevano più controllarlo.
Quando arrivò a questo punto dell'analisi, capì che l'altro Gosseyn stava scuotendo la testa mentalmente.
«È un'ottima idea venire qui», comunicò telepaticamente Gosseyn Secondo, «purché tu trasferisca prima Enin nell'appartamento di sua madre. La donna pensa che il bambino sia con te; perciò, faresti meglio a non venire qui da solo.» «Va bene. Questo mi dice dove dovrei andare per prima cosa.» Poteva essere il momento decisivo. Gosseyn raccolse tutte le forze; il suo extracervello stava operando quella speciale messa a fuoco necessaria alla trasmissione per similarità ventidecimale, quando... In quel momento una voce disse: «Fatelo uscire, e il... (parola senza senso) parlerà con lui!». Una pausa; poi, dal lontano Gosseyn Secondo arrivò un ammonimento.
«Attento, Terzo! È chiaro che ti hanno fatto sentire intenzionalmente la frase. Perciò, sebbene il concetto di parlare in genere sia rassicurante, ti ricordo che non ci sono amici, visto il loro attacco istantaneo appena sono arrivati, e ti consiglio di essere pronto a balzare, se è solo
un trucco.» Sotto il corpo sentì un movimento improvviso. Come in quella prima occasione, due lunghi giorni prima, il movimento era nella direzione in cui puntava la sua testa. Gosseyn sospirò dentro di sé. Ma, dopo qualche momento, notò che aveva espresso talamicamente non una sensazione di sollievo, ma una di tensione. Che si intensificò, mentre quel movimento costante lo avvicinava a... che cosa? Nella mente gli tornarono ricordi fuggevoli del modo in cui — l'ultima volta — era stato portato fuori dalla capsula nella totale oscurità del laboratorio dei Dzan. Forse i Troog avrebbero fatto un analogo tentativo di nascondersi a lui mentre lo esaminavano con i loro strumenti. L'avrebbero permesso? Dopo un momento, comprese dolorosamente che la domanda era: avrebbe potuto fermarli? Ricordò che... sull'astronave dei Dzan... aveva avvertito una frescura improvvisa perché una maggiore quantità di aria o una temperatura lievemente inferiore nel laboratorio, avevano colpito le terminazioni nervose del suo corpo nudo. Lo faccio?
Non lo faccio? Pensò a dove dovesse tentare di andare per primo, e fece quanto era necessario per «mettere a punto» il suo extracervello per il balzo con la similarità ventidecimale. Ma l'indecisione, comprese, era dovuta ad un'incertezza fondamentale, basilare, irrisolta, che era pertinente solo alla condizione di Gosseyn. Accadevano delle cose, e sarebbero continuate ad accadere, al duo dei Gilbert Gosseyn che era vivo in quel periodo. E a quel livello, il livello nel quale i due operavano come gruppo, per cui non importava se un corpo veniva ucciso finché ce n'era un altro a continuare, con memoria e abilità duplicate... a quel livello, poteva essere una buona idea affrontare quella gente, prima dì capire realmente che cosa potessero o non potessero fare.
... D'altra parte, se questo corpo viene ucciso, sono io a scomparire per sempre. Arrivò il senso di colpa...
Siamo i corpi di Gosseyn, con il grande fenomeno della similarità nella testa, grazie al quale la memoria rende uguali le identità, e i corpi simili continuano sempre più avanti... Quel gruppo di diciottenni stava ancora
aspettando lì fuori, da qualche parte... Nonostante quella realtà, io sono l'unico — forse il primo — a cominciare a pensare a se stesso come a una persona separata. In termini di Semantica Generale, naturalmente, lui era un essere separato: un intricato complesso di particelle e di flussi di energia cui era stata data la forma di un essere umano, diverso da tutte le altre forme simili nell'universo, inclusi Gosseyn Primo e Secondo. Qualcuna delle implicazioni di quel rapido ragionamento in quella situazione di tensione, doveva aver raggiunto il lontano alter ego. Perché, all'improvviso, arrivò il pensiero.
«Ehi, Terzo, aspetta un attimo! Parliamone!» La mente di quell'altro Gosseyn lo raggiunse mentre la porta si apriva in quello stesso istante, rivelandogli una stanza piena di luce, in cui vide parecchi esseri bipedi, dall'aspetto deforme, che lo fissavano con occhi rotondi, privi di palpebre e neri... fu un momento di confusione. Sufficiente a scatenare una reazione.
20.
Arrivò nudo, ancora supino, e con il viso rivolto vero l'alto. Gosseyn Terzo giacque immobile, orientandosi verso una stanza illuminata dal sole. Non era facile; perché c'era la confusione di quelle immagini che aveva visto all'ultimo momento. E c'era la preoccupazione per gli alieni, e per quello che potevano fare; e, simultaneamente, un veloce tentativo di recuperare la consapevolezza delle proprie sensazioni corporee: ...Avvertiva qualche sensazione che indicava che gli alieni erano ancora in contatto con lui?... Trascorsero i numerosi secondi necessari perché capisse di trovarsi sul pavimento rivestito di moquette della camera da letto dell'Istituto di Semantica Generale. Si sentì sollevato quando vide che la porta era chiusa, e che era solo. E poi, finalmente... Si accorse di una sensazione vaga, vorticosa. Profonda. Sebbene se lo aspettasse, era deluso.
«Va bene, va bene», pensò depresso, mentre si alzava faticosamente in piedi. «Almeno ora so che cosa sia e a che cosa può portare.» Dopo parecchi secondi di adattamento alla posizione
eretta, si sentì, ad un tratto, pieno di speranze: forse lo avrebbero osservato per qualche tempo. Avrebbero visto che cosa faceva. Avrebbero scoperto com'era arrivato lì. E, naturalmente, c'erano necessità primarie per gli esseri umani. Blayney aveva mandato più di mezza dozzina di abiti da uomo, con tutti gli accessori necessari, e cinque vestiti — Gosseyn scoprì con sollievo — erano ancora nell'armadio. Mentre si infilava, prima di tutto, le mutande, e poi un paio di pantaloni beige scuro, una camicia marrone, calzini e scarpe, si sorprese a chiedersi che fine avesse fatto il vestito che indossava nel momento in cui era stato trasportato nella capsula duplicata, a bordo dell'astronave aliena. Nel corridoio su cui si affacciava l'ufficio dell'uomo d'affari, Gorrold, c'erano una giacca maltrattata, un paio di pantaloni, mutande, camicia, cravatta, calzini e scarpe? Era la possibilità più probabile. Difficile da credere che la sensazione vorticosa che aveva preceduto il momento della trasmissione, avesse coinvolto qualcos'altro oltre il suo corpo.
Nel suo trasporto extra-cerebrale per mezzo della similarità venti-decimale, gli abiti lo accompagnavano solo se egli coscientemente ne scattava la speciale fotografia mentale... I suoi pensieri sull'argomento cessarono d'improvviso, quando si accorse dell'ambiente circostante, e del fatto che, durante quegli ultimi momenti, aveva sentito Gosseyn Secondo manifestarsi... lì fuori. Infatti, alzò gli occhi e disse silenziosamente: «Okay, alter ego, qualche suggerimento?» La risposta fu tranquilla.
«No. Sei l'unico ad essere lì. A quanto pare, io resto al di fuori di tutta l'esperienza. Immagino che tu voglia fare qualcosa per Enin, prima che succeda qualcos'altro.» Era vero. Sebbene, ora che era tornato sulla scena, lo scopo non gli sembrasse urgente come prima. Aveva capito che l'osservazione di Secondo a proposito del fatto di non essere coinvolto, aveva provocato una nuova serie di pensieri.
«Significa», chiese «che stiamo diventando così diversi che tu non provi nessuna sensazione vorticosa dentro di te?» «A quanto pare», fu la risposta, «sono riusciti a differenziarci. Oppure usano un apparecchio focalizzante,
e lo tengono puntato su di te». Il secondo pensiero sembrò istantaneamente il più probabile. Perciò Gosseyn Terzo trasmise telepaticamente:
«Se questa è la verità, allora, se necessario, tu puoi venire a prendere Enin oppure trasmetterlo per mezzo della fotografia mentale nel mio extra-cervello». «Abbiamo qualche bel ragionamento da fare», arrivò la risposta, «e forse anche qualche prova. Ma in qualsiasi cosa riguardi te ed Enin, dobbiamo includere nella nostra logica l'effetto sulla Regina Madre Strala di qualsiasi azione tu compia». Un debole sorriso sembrò accompagnare il pensiero conclusivo: «Se sarai il primo Gosseyn a fare l'amore con una donna, faresti meglio a non sbagliare i preliminari emotivi più di quanto tu non abbia già fatto.» Gosseyn Terzo non discusse l'analisi. Finì di mettersi le scarpe. Poi si alzò e aprì la porta. Vide subito che Enin era nel soggiorno con Dan Lyttle. Il bambino lo vide, e disse: «Beh, sono felice che tu sia tornato. Questo tipo è peggio di...». Pronunciò un nome
sconosciuto. Fu uno di quei processi uditivi ritardati; ma poco dopo gli parve che il nome udito fosse «Traada!». E, fatto, altrettanto importante, gli venne in mente che quello doveva essere il nome dell'insegnante dell'Imperatore sull'astronave dei Dzan. Il movimento di disgusto fatto con la mano sembrava significare che Dan Lyttle era peggio di Traada. La situazione esigeva una domanda. «Qual è l'argomento?», chiese Gosseyn. «I nomi!» «Oh!», disse Gosseyn. «Dice che una sedia non è una sedia.» Malgrado tutto, Gosseyn si sorprese a sorridere. Era evidente che Dan Lyttle aveva continuato l'istruzione in Semantica Generale del bambino. E quella era l'ultima lezione. Lo infastidiva la sensazione di non avere veramente tempo per cose del genere. La sua logica diceva che i Troog, visto che non avevano un orientamento semantico, si sarebbero spazientiti in fretta, se lui si lasciava coinvolgere dai dettagli casalinghi della vita umana. Ciononostante, c'erano delle cose che doveva sapere.
Subito. Si rivolse all'uomo. «C'è stato qualche problema mentre io ero...» A quel punto esitò; pensò che Dan ed Enin credevano che lui fosse andato a trovare gli uomini d'affari che erano contrari alla Semantica Generale. Non c'erano parole adatte che descrivessero la spaventosa realtà di quello che gli era accaduto, perciò completò il pensiero con uno stereotipo, «fuori?». Il telefono suonò. Dopodiché, Dan Lyttle sorrise. «Penso che abbiamo la risposta alla tua domanda. Questa è la quarta telefonata da quando sono arrivato. Le prime tre erano di uomini d'affari offesi. Rispondo io a questa?» «No. Lascia fare a me.» Mentre Gosseyn si affrettava verso l'estremità del divano, vi si sedeva, e prendeva il ricevitore, Enin intervenne. «E ci sono state due telefonate mentre ero solo.» Gosseyn disse «Pronto», con la sua migliore voce baritonale.
Ci fu una lunga pausa all'altro capo del telefono. Poi il rumore di un uomo che inspirava con forza... Infine, una voce familiare rispose: «Sono Gorrold. Nel caso non ricordiate il mio nome, forse vi aiuterà sapere che vi chiamo da un osservatorio sulle Ande. E ci sono quattro guardie del Presidente Blayney qui. Saremo di ritorno questa sera: tre di noi hanno dei progetti su di voi».
Allora era la Terra. Gosseyn fu cosciente di molte sensazioni mentre quella realtà penetrava la sua mente. Presumibilmente, avrebbe dovuto sentirsi sollevato visto che non aveva mai avuto l'intenzione di far male a nessuno di quegli uomini. Inoltre, gli sembrava logico che il suo extra-cervello, in quei momenti di confusione, avesse separato le località note da quelle ignote. Erano state coinvolte interazioni di una frazione di secondo. E, a quella velocità, il familiare si era sincronizzato automaticamente più in fretta. Furono pensieri istantanei, fuggevoli; e, mentre li formulava, prese la sua decisione. «Ho la sensazione», disse nel microfono, «che dovremmo
avere un colloquio a quattr'occhi. Ora che avete provato la fondamentale nullità dell'universo, forse è il momento giusto.» La voce all'altro capo del filo emise un suono. Sembrava un'espressione di stupore. La parola pronunciata, se poteva definirsi parola, era una combinazione di h, n, e di una vocale, o due, tre vocali. Era qualcosa del tipo: «Huhnnnuhhn?». Il tono sottintendeva una domanda. Gosseyn non tentò una traduzione esatta. Nei momenti che seguirono la sua emissione egli, prima di tutto, fece una fotografia extra-cerebrale di un punto del pavimento distante un paio di metri; simultaneamente, richiamò alla mente la fotografia mentale di Gorrold. Quando l'ebbe fatto, si sentì un rumore e un ansito. Provenivano dall'uomo d'affari che egli aveva visto per così breve tempo — era stato il giorno prima? — L'uomo era disteso a terra, dall'altra parte della stanza. Gosseyn mise a posto il ricevitore, e disse col suo tono di voce più calmo. «Le difficoltà che incontriamo nel trattare con gli altri nascono dal fatto che essi hanno un'idea generale
semplicistica a proposito delle cose. Per simili persone il mondo è una serie di immagini mentali fisse. Guardano quella che chiamiamo una sedia, e pensano che sia esattamente una sedia, e niente di più e niente di meno.» Il suo autocontrollo era contagioso. Enin, dopo uno sguardo meravigliato al corpo che si contorceva a terra, parve riprendersi. Disse in tono di sfida: «Beh, non è così? Le sedie sono fatte per sedersi». Il bambino si strinse nelle spalle. «Comincio a credere che forse sono dalla loro parte.» «Ogni sedia è diversa dalle altre sedie», spiegò Gosseyn. «Perfino in una fabbrica, dove si produce un unico tipo di sedia in migliaia di esemplari, la grana del legno è diversa in ognuna. Ma questo è un aspetto superficiale della questione in Semantica Generale. Quello che è importante per la mente è che dovremmo in ogni momento essere coscienti che ogni oggetto è una struttura complessa in termini fisici e chimici. In questo caso, abbiamo dato alla struttura il nome "sedia' ', e in generale la usiamo per quello che dici tu. Ma io l'ho vista anche usare per tenere aperta una porta. La definizione del nome è giusta. Ma dovremmo anche essere coscienti delle particelle, degli atomi, delle molecole, dei flussi di energia che ne sono alla base.» Sorrise.
«Afferrata l'idea?» Sua Maestà Imperiale dei Dzan non rispose subito. Gosseyn si accorse che anche Dan Lyttle mostrava un lieve sorriso. L'uomo più giovane gli lanciò un'occhiata e poi, senza una parola, si avvicinò a Gorrold, che si stava alzando in piedi. Il robusto uomo d'affari sembrava incerto. «Dove diavolo è la mia giacca?», chiese in tono offeso. Per Gosseyn fu una sorpresa. Non aveva notato che l'uomo era arrivato senza giacca. Quella consapevolezza era vaga, nel fondo della sua mente. Ma aveva tante altre cose da guardare con il lato osservativo del suo cervello che, in realtà, la verità automatica registrata dall'extra-cervello non aveva trasmesso il suo significato. In ritardo, ricordò che aveva prima trasmesso Gorrold sulle montagne ghiacciate, e poi aveva trasmesso la giacca nello stesso luogo, per un atto di gentilezza, perché non desiderava che l'uomo soffrisse più freddo di quanto fosse necessario. Presumibilmente, la giacca era a terra, accanto al telefono, in quell'osservatorio in Sud America. Date le circostanze, per l'extra-cervello non era più difficile
trasferire la giacca che l'uomo. Perciò, qualche momento dopo, Gosseyn oltrepassò Gorrold e Dan. Si chinò, raccolse la giacca, e la porse al proprietario. Nessuno parlò mentre l'uomo robusto indossava la giacca. La sua faccia di cinquantenne rifletteva un'intera serie di reazioni. Poi, quando ebbe completato l'azione di vestirsi... «Devo ammettere...», cominciò Gorrold.
... Inizio che fa sperare bene, pensò Gosseyn. «... che», continuò l'uomo, «qualsiasi sia la spiegazione di quello che mi sta accadendo...» Le parole sembravano indicare che la cautela faceva da sfondo all'offesa e alla rabbia. «... forse farei meglio a pensarci, prima di intraprendere un'altra azione!» Con queste parole, il super-uomo d'affari completò il suo pensiero. Per Gosseyn fu senza dubbio il migliore risultato che potesse sperare, visto il momento. Vide che Dan Lyttle si era mosso, e che stava aprendo la porta del corridoio. Poi attese che l'uomo più anziano si avvicinasse attraverso la soglia e, voltandosi, scomparisse alla vista.
Gosseyn era preparato all'idea che l'uomo avrebbe lasciato l'edificio il più in fretta possibile; ma Enin si avvicinò di corsa alla porta, e si guardò intorno. Il bambino dopo poco riferì: «Si sta dirigendo verso l'ingresso principale». Poi: «Se ne è andato». Durante i trenta secondi trascorsi, Gosseyn aveva chiuso gli occhi, e aveva trasmesso le quattro guardie del Presidente Blayney, una alla volta, in un punto di una strada che il primo Gosseyn aveva usato una volta. Enin stava tornando nella stanza. «Farai qualcosa a proposito di quegli altri tipi che hanno chiamato?», chiese. Gosseyn inspirò profondamente. «No», disse. Gli era nato uno strano pensiero: strano per lui. Era ora di fare una sosta; questa era la sensazione. Ci doveva essere una pausa in quella esistenza in incessante movimento in cui era stato coinvolto con quel corpo di Gosseyn, fin dal primo momento del risveglio all'interno della capsula a bordo dell'astronave da guerra dei Dzan. Era vero, aveva dormito nella casetta di Dan Lyttle. Ma benché un sonno per riposarsi avesse una sua collocazione e la sua necessità, non era di quello che
aveva bisogno. Una sosta. «Senti, Enin! Senti, Dan! Il Presidente Blayney ha messo un portafogli pieno di soldi in ognuno degli abiti che mi ha mandato. Perciò usciamo subito, e andiamo nel più vicino ristorante a mangiare. E a parlare.» Disse. ... Il ristorante all'interno era illuminato da luci soffuse, ma c'era una sala di videogame, dalla quale Enin dovette essere recuperato due volte; entrambe le volte arrivò obbedientemente quando Gosseyn gli andò a dire che i piatti erano a tavola. Ogni volta mangiò la sua porzione, e poi se ne andò a grande velocità. Nel frattempo, mentre Gosseyn e Dan Lyttle mangiavano un panino e un'insalata, il soggetto della conversazione era lo stesso Dan Lyttle. La prima domanda di Gosseyn fu: «Perché, dopo che il tuo livello in Semantica Generale fu ritenuto adeguato dalla Macchina dei Giochi, non andasti su Venere?». La risposta dell'uomo più giovane, visto l'argomento, suonò sincera. «Come sai, sono portiere di notte in un albergo.
Nonostante il livello avanzato della tecnologia dei computer, per lavori simili hanno ancora bisogno di esseri umani; e io ho ottenuto il lavoro in un'epoca in cui il lavoro era momentaneamente scarso. Scoprii immediatamente che mi toglieva dalla normale condizione di un essere umano. Lavorare tutta la notte, e dormire otto ore durante il giorno successivo, fece velocemente finire le poche amicizie che mi ero formato quando ero arrivato dalla Costa Orientale nella Città della Macchina dei Giochi. Ci pensai e, dopo essere uscito con due diverse donne durante i miei giorni liberi — separatamente, è naturale — decisi che non potevo sottoporre una donna normale ad un matrimonio con me. Ora, la Semantica Generale, come sai, e come scoprii in seguito, fornisce una guida per sopravvivere all'interno dello schema di ogni situazione. Prima ancora che cominciassi il mio studio della SM, c'era una donna che mi aveva conosciuto una notte, quando ero andato a trovare un amico che si era fermato al mio albergo. Naturalmente, lo scoprii solo in seguito. Ma ecco che cosa accadde: una sera si fermò nel mio albergo, mi chiamò alle tre del mattino, e mi chiese di salire nella sua stanza per fare l'amore con lei. Beh, ero giovane; ancora non avevo
preso decisioni in questo campo. Scoprii che suo marito era morto; e che lei aveva deciso di restare sua moglie per sempre, e di non risposarsi. Ma mi vide, mi chiamò, e io salii. E, da quel momento in poi, una volta al mese, pregava che il marito la perdonasse, si fermava in albergo e mi chiamava. Come ho detto, cominciai quel rapporto prima di intraprendere la mia istruzione in Semantica Generale. E quando in seguito parlai di questa relazione con la Macchina dei Giochi, fu evidente che l'attività sessuale umana era una cosa che non sapeva valutare. Che tu lo creda o no, quando scoprì che restavo sveglio tutta la notte, la Macchina dei Giochi ogni tanto mi telefonava alle ore piccole, e mi parlava.» Gosseyn aspettava. Era un argomento di minore importanza, ma interessante: implicava che la Macchina era occupata a pensare anche durante le ore di riposo. Dan Lyttle continuò. «Forse telefonava anche ad altri portieri di notte; ma non penso. Perché, dopo che ti presentasti ai Giochi, e che la Macchina cominciò a valutare la tua situazione e il significato delle grandi armate che stavano arrivando in vicinanza della Terra, mi usò come suo alleato esterno, in caso di emergenza. E
così un giorno la Macchina mi diede il duplicato che aveva fatto di se stessa.» «Era la piccola lastra con i chip che mi hai mostrato?», chiese Gosseyn. «Sì. Credici o no, finché tu non arrivasti con il tuo corpo duplicato, non aveva mai pensato alla possibilità di duplicarsi.» «Beh», Gosseyn era pensieroso, «questo non spiega ancora completamente perché non andasti su Venere.» «Divenni il suo agente speciale.» Gli occhi, che erano dall'altra parte del tavolo, lo guardavano con ansia. «Ammetterai che era una condizione onorevole. Per quanto riguarda la donna, dopo che fui educato alla Semantica Generale, la spinsi a istruirsi nella stessa direzione. Lo fece, e, dopo qualche tempo, scoprii che si stava interamente adattando alla morte del marito; e che un conoscente l'aveva improvvisamente notata, e l'aveva invitata a cena. Non molto tempo dopo, smise di vedermi. Ma era cambiata. Si comportava in modo diverso.» Gosseyn non aveva domande, o commenti da fare. Quello che aveva sentito gli aveva dato una nuova immagine della defunta e grande Macchina dei Giochi. Per quanto riguardava la donna, e la sua relazione con un portiere di notte, c'era sempre stato un problema umano da risolvere
in quel campo. Si era osservato che gli uomini normalmente preferivano le donne che rivelavano forza interiore. Era interessante, forse, che la forza interiore fosse l'unico fattore necessario. Si fermò. Perché... dentro di lui... era improvvisamente cominciata la strana sensazione di essere trascinato. Si alzò in fretta. «Riaccompagna Enin all'istituto», disse. Mentre completava la frase, aveva preso rapidamente il portafoglio di Blayney da una tasca e l'aveva gettato sul tavolo. «Prendi da questo i soldi per pagare la cena.» Pensava: questa volta non provo la sensazione di roteare
ma... Si chiese vagamente... Veniva trascinato... dove?...
21. Su un pianeta di un sistema solare della Via Lattea, un uomo di nome Neffen fissava una macchina: una piccola navicella spaziale a forma di sigaro. La navicella spaziale era al di sotto di lui, in una valletta naturale che era per metà giardino e per metà ricoperta di marmo levigato. Erano un marmo levigato dall'uomo e un giardino fatto dall'uomo, che davano entrambi uno sfondo
decorativo alla piccola macchina. L'uomo pensava con dispiacere:
«Tutti questi anni, questi millenni, questa navicella è stata qui, e noi non abbiamo capito che cosa fosse». E ora era arrivato un messaggio da un certo Gilbert Gosseyn dalla lontana Terra. Era un messaggio autorizzato dalla Lega Galattica, in cui si affermava che era possibile trovare molte navicelle simili, almeno una su ognuno di decine di migliaia di pianeti. Il messaggio descriveva esattamente qual era il loro aspetto. Le fotografie che l'accompagnavano mostravano l'interno della nave, con i suoi quattro contenitori. Due di essi erano grandi abbastanza da contenere, ciascuno, un maschio adulto umano. Gli altri due erano leggermente più piccoli, e ognuno era destinato a contenere una donna. I particolari erano stati descritti nel messaggio di Gosseyn, che concludeva: «Avvisate subito se avete trovato una navicella simile sul vostro pianeta, e comunicate dove si trova ora!». E così lui aveva mandato l'informazione richiesta... e ora era arrivato, in carne ed ossa, l'uomo mostrato in una delle fotografie. Stava salendo i gradini di marmo verso Neffen. Gosseyn Terzo, più o meno un minuto dopo, mentre stava
accanto a Neffen e guardava le fotografie, era infastidito da una sensazione di scoramento. E, ad ogni istante che passava, diventava più forte la sua convinzione: avrebbe dovuto avere un suo proprio scopo. Ma quale? Naturalmente, c'era sempre un fine ovvio in ogni situazione: restare vivo! Comunque, questo non portava veramente da nessuna parte nei termini della situazione specifica in cui si trovava. La cosa che lo infastidiva di più era la precisione e la consapevolezza che i Troog stavano dimostrando. In qualche modo, erano venuti a conoscenza di come il genere umano fosse arrivato originariamente, forse un milione di anni prima, da quell'altra galassia. E avevano usato l'autorizzazione della Lega e il suo nome, nel tentativo di localizzare una di quelle navicelle a quattro passeggeri. E, quando era arrivata una risposta, avevano immediatamente usato il loro metodo venti-decimale per trasportare Gilbert Gosseyn Terzo in un luogo dove né lui né nessun altro Gosseyn era mai stato. L'avevano trasportato a una velocità venti-decimale da un ristorante vicino all'Istituto di Semantica Generale sulla Terra. E il fatto che fosse arrivato completamente vestito, indicava che avevano preso nota di quello che Gosseyn
aveva fatto con la giacca di Gorrold, l'uomo d'affari, con una precisione che non derivava solo dalla mente di Gosseyn. Perché questi non aveva ancora scattato la fotografia extra-cerebrale del suo nuovo completo. Quando aveva raggiunto l'uomo abbigliato in una toga in stile romano, che stava sulla cima delle scale, Gosseyn aveva pensato:
«Forse il solo notare quanto siano intelligenti, è l'unico scopo di cui ho bisogno ora». Tutti i particolari potevano alla fine dirgli qualcosa. Neffen disse in inglese: «Che cosa sperate di ottenere dalla scoperta di macchine del genere?» Quando sentì quella lingua familiare, Gosseyn si accorse di un minuscolo progetto che gli si stava formando nella mente. Per dopo. Incredibilmente — di nuovo — quei Troog dovevano ormai sapere in che modo loro avevano appreso l'inglese, perché in questo caso avevano utilizzato un metodo per trasmetterlo a qualcun altro. Durante un successivo confronto avrebbe scoperto in che modo i Dzan avessero parlato automaticamente inglese, la lingua del Gosseyn che dormiva nella capsula che essi
avevano trovato nello spazio... dopo che i Dzan e le loro astronavi erano stati misteriosamente trasportati via ad una velocità ventidecimale dalla loro galassia, distante un milione di anni luce.
... Dovrei andarmene? Dovrei tornare a prendere Enin? E dirigersi verso l'astronave dei Dzan, e verso la protezione che poteva offrirgli?
«Che cosa ne pensi, Alter?...» Era una domanda spontanea, senza secondi fini; voleva solo sapere se avesse un consiglio da dargli. Lo stupì, allora, il fatto che non ci fosse risposta; e, peggio ancora, nessuna sensazione che ci fosse la mente di quell'altro Gosseyn... lì fuori. Non era chiaro perché i Troog si dessero la pena di mantenere mentalmente staccati i due Gosseyn in quella situazione. Se era un altro tentativo di dimostrare la loro capacità, questo era già stato stabilito prima; anche se — pensò — non per un periodo di tempo così lungo. Il suo rapido ragionamento fu interrotto. Udì un rumore di passi. Si voltò insieme a Neffen. E vide che una donna, anch'essa vestita con una sorta di toga, si stava avvicinando da un lungo edificio piatto, visibile attraverso i
folti cespugli che erano in quella direzione. In termini di età terrestre sembrava intorno alla quarantina, che era anche l'età apparente dell'uomo. La donna si fermò a circa tre metri, qualche gradino più in alto di loro, e disse qualcosa come: «...N'ya dru hara tai, Neffen?». La voce sembrava turbata, e aveva un tono interrogativo. La voce dell'uomo si alzò. «Buon Dio!», disse. «Rubri, che diavolo farfugli?» Le onde d'urto di quello scambio di parole si riverberarono anche contro Gosseyn. Occorsero parecchi momenti per venire a patti con la sensazione istantanea di essere in qualche modo responsabile di quello che era stato fatto a quelle persone. Rivoltosi a Neffen, chiese: «Vostra moglie?». L'uomo annuì, ma sulla faccia aveva ancora un'espressione critica». «Che cosa le è successo?» Gosseyn si stava riprendendo dallo sgomento. Indicò le fotografie e il messaggio che le accompagnava.
«Accompagnamola al vostro computer», disse. «Se ha accettato un messaggio da me prima che... uh... apprendessi la vostra lingua, allora può tradurre quello che dice vostra moglie. In effetti», aggiunse in fretta, «mi è stato detto che tutti questi sistemi di comunicazione interstellare traducono automaticamente centomila lingue.» «M... ma... ma...» «È una lunga storia», disse Gosseyn, «e in questo momento non so come si possa rimediare. Ma facciamo presto! Prima che succeda qualcos'altro.» L'urgenza nella sua voce nasceva da un'improvvisa sensazione interna: era tornata la sensazione di essere trascinato. Era conscio di un vago pensiero: che in qualche modo loro potessero dare un'occhiata ad una delle piccole navicelle che milioni di anni prima avevano trasportato due uomini e due donne dalla loro galassia a questa. In quel passato lontanissimo, centinaia di migliaia di quelle minuscole astronavi avevano attraversato le distanze colossali dello spazio intergalattico. Ed evidentemente i Troog ne avevano voluto vedere una... Un luogo piccolissimo dell'universo, un ristorante, fu il luogo
successivo in cui venne trasmesso. Ma fu solo quando uscì dal piccolo ingresso nel quale era arrivato, che Gosseyn vide di essere, in effetti, in un ristorante elegante di tipo terrestre. E il suo sguardo, per modo di dire, assorbito dal maitre elegantemente vestito, fu distratto dal... ricordo di aver portato Enin e Dan in un ristorante. Quale poteva essere lo scopo dei Troog nel duplicare una situazione simile? I ricordi lo distrassero durante il minuto successivo, quando il maitre si fece avanti, e disse in inglese: «Da questa parte, Mr. Gosseyn. La stanno aspettando». «Questa parte» conduceva alla porta di una piccola sala da pranzo privata. E fu solo quando ebbe attraversato la soglia che vide una dozzina di persone già sedute intorno ad un lungo tavolo. In quel gruppo, in quella stanza dalle luci soffuse, una testa di capelli rossi attirò la sua attenzione; e quindi, la prima persona che Gosseyn riconobbe, fu, con un vero shock, Enro il Rosso, Re del pianeta Gorgzid e conquistatore del colossale Impero che Gorgzid controllava. Il Presidente Blayney sedeva accanto ad Enro, e fu il secondo ad essere identificato. Poi rapidamente le facce, in senso figurato, gli balzarono contro: i Prescott, Eldred e Patricia Crang, Leej, Breemeg, il Draydart
— in uniforme — e altri tre uomini che, visto che erano i più lontani, Gosseyn impiegò più tempo ad identificare. Erano i tre scienziati cui aveva dato i nomi di Voce Uno, Due e Tre. Erano quelli che l'avevano fatto uscire dalla capsula. Il fatto che tutte quelle persone fossero state a bordo dell'astronave Dzan era sicuramente significativo. Erano tutte persone con cui era stato in contatto verbale a bordo della grande nave e, in più, c'era il Presidente Blayney della Terra... Mancava Strala. Mancavano Enin e Dan Lyttle e — omissione veramente significativa — mancava Gosseyn Secondo. Formulò un rapidissimo pensiero: gli alieni non erano ancora pronti ad occuparsi di tutti e due i Gosseyn nello stesso momento... Gosseyn Terzo ebbe l'impressione che l'assemblea fosse stata impegnata in una conversazione insignificante poco prima del suo arrivo.
... Senza dubbio, ognuno di loro è stupito dalle implicazioni di quello che è accaduto... quale maestria tecnica deve essere stata necessaria per portarli qui; e, inoltre, anche il fatto che siano vivi e che non siano stati
uccisi immediatamente, ha il suo significato. Aveva già notato che all'estremità opposta del tavolo c'era una sedia libera e un coperto davanti ad essa. Non fu sorpreso quando il maitre lo accompagnò proprio a quella sedia. Durante il mezzo minuto che gli occorse per arrivare al posto libero, cadde il silenzio tra le persone che erano già sedute. Gosseyn non si sedette. Aspettò che il maitre se ne andasse, e nel frattempo guardò gli invitati e vide che gli restituivano lo sguardo, con aria d'attesa, forse anche con speranza. Era evidente che si aspettavano che sarebbe emerso uno scopo per loro. In qualche modo, la presenza di ciascuno in quella stanza sarebbe stata spiegata con l'arrivo di Gosseyn. Quella doveva essere la speranza. Gosseyn si sentì sprofondare. Perché nemmeno lui aveva uno scopo. La sua sensazione era che aveva bisogno di altre informazioni. E, poiché credeva che con i Troog, il tempo —
per lui — era limitato, parlò... e fece una domanda. «Qualcuno dei presenti ha un pensiero significativo da esprimere in relazione alla possibilità che gli alieni vi abbiano portati qui?» Fu Enro che alzò la mano, e disse in inglese: «Credo probabilmente sappiano che, se mi fanno del male, la mia Flotta distruggerà la loro astronave. In questo momento, l'Ammiraglio Paleol è in contatto diretto con me». Gosseyn si chiese se Enro avesse notato che, al suo arrivo a bordo della nave da guerra Dzan, aveva avuto bisogno che sua sorella traducesse la lingua di Gorgzid in inglese, e che ora invece non solo aveva capito la domanda di Gosseyn, ma gli aveva risposto. Perciò sorrise quando gli pose un'ovvia domanda. «In lingua inglese?», chiese. Vi fu una pausa poi, con un sorriso truce, il super-capo commentò: «Nelle linee di comunicazione interstellare funziona la traduzione automatica; e le principali lingue della Terra sono state aggiunte dopo che la mia cara sorella», si fermò e lanciò un'occhiata a Patricia Crang, «è venuta qui e... ha trovato marito».
La ragazza alzò le sopracciglia, ma non disse niente. E Gosseyn non era incline a fare commenti su faccende personali. Ma nella sua testa, questo aspetto — Enro e la sua situazione speciale — improvvisamente assunsero un significato speciale, urgente...
«Dovrei fare qualcosa subito per prevenirlo, nel caso che...» Fu un momento di decisione provvisoria. Con la sua abilità speciale, fece una precisa fotografia extra-cerebrale di Enro, notando nel frattempo che un oggettino, attaccato agli abiti dell'uomo, aveva una qualità speciale.
«...porta con sé un minuscolo distorsore», riferì Gosseyn al suo alter ego, «ed è in questo modo che si tiene in contatto con la sua flotta, e la sua flotta con lui.» «... sono sicuro che tu abbia ragione,» fu la risposta. Immediatamente, Gosseyn Terzo fece una seconda fotografia di quel notevole apparecchi etto. Era una precauzione per il futuro. Ormai era completata e poteva essere utilizzata in un momento chiave. In piedi dietro al tavolo, continuò la sua parte di
intermediario. «Ci avete fatto notare che almeno a voi non verrà fatto del male.» Si guardò intorno. «C'è qualcos'altro che ci può far sentire più sicuri?» Eldred Crang alzò una mano. «La mia affermazione forse può non essere rassicurante, ma ho notato che anche tu presumi che la causa prima di questa situazione siano i Troog.» Gosseyn annuì. «Credo che i Troog abbiano usato le conoscenze ricavate dal mio extracervello per portarvi qui. Quindi sembrerebbe», usò una frase restrittiva della Semantica Generale, «che abbiano un piano.» Dopodiché descrisse quello che gli era successo quando si era trovato improvvisamente di nuovo nella capsula, solo che questa volta si trovava a bordo dell'astronave aliena. Concluse il suo racconto. «Forse sarei dovuto restare per l'interrogatorio, ma ho preferito andarmene.» Nessuno disse niente. Le facce intorno al tavolo sembravano più serie, ma questo era tutto. Fatta eccezione per Leej. Qualcosa nel modo in cui si comportava dava da pensare.
Gosseyn, che aveva la sensazione di doversi affrettare, si era accorto che Leej, la Donna Indovina, sedeva in un angolo. Improvvisamente, aveva cercato di guardarlo direttamente. Ma per lui era arrivato il momento di usare la particolare abilità di Leej. Le lanciò un'occhiata, e disse: «Leej, quanto tempo abbiamo a disposizione?». «La tua domanda», disse lei, «sottintende che tu stesso non hai altro in mente oltre quello che hai fatto un minuto fa.» E così Leej se n'era accorta: non era sorprendente, ma Gosseyn: non aveva pensato a lei era stato troppo concentrato. «È vero», disse poi. «Circa quattro minuti», disse la donna, dopo una pausa, «e poi c'è il vuoto.» Avrebbe potuto essere un momento speciale. Ma, pochi istanti dopo che la donna aveva parlato, una porta di servizio della sala da pranzo si aprì, ed entrarono tre aiutocamerieri con acqua da bere. Impiegarono circa un minuto a riempire tutti i bicchieri. Quando uscirono, quello che
doveva essere il capo si girò e chiese: «Volete che entrino i camerieri?». «Dopo», disse Gosseyn. Il Presidente Blayney parlò per la prima volta, con voce ferma. «Vi chiameremo.» L'aiuto-cameriere uscì, e Gosseyn restò in piedi. Era un momento particolare. Il fatto che tutti i presenti, inclusi i due capi di governo, Enro e Blayney, guardassero lui, evocò in Gosseyn una visualizzazione di quello che vedevano. Lui, in piedi! Fisico muscoloso, viso magro e abbronzato, altezza media — poco meno di un metro e ottanta — un uomo deciso che dava l'impressione di essere calmo e capace, e che lo mostrava in tutto quello che faceva. Il modo in cui teneva la testa, ogni movimento che faceva, riflettevano il potere del suo extra-cervello e della... Semantica Generale. Poteva solo ipotizzare da dove provenisse l'abbronzatura. Ma immaginava che una sorgente di deboli radiazioni all'interno della capsula facesse parte del sistema di mantenimento in vita che suppliva a tutti i suoi bisogni. Durante quei secondi di auto-coscienza, gli parve che non ci fosse nessuna utilità nel fare altro, oltre a quello che già
stava facendo. Perciò disse solo: «Altri commenti?». Prescott, che appariva sulla quarantina e perciò era insieme a Blayney il più anziano nella stanza, indicò con le dita, e disse: «Quale pensate che sia lo scopo fondamentale di quelle creature?». «Credo», rispose Gosseyn, «che vogliano ritornare nella loro galassia; e credo che mi stiano studiando per vedere che parte abbia avuto nel portarli qui.» Prescott fece un piccolo gesto con la mano, indicando gli altri. «Se sono tanto abili tecnologicamente da averci portati tutti qui, perché non dovrebbero essere capaci di raggiungere questo fine fondamentale?» Gosseyn parlò delle terminazioni nervose danneggiate nella sua testa. «Mi studieranno attentamente in relazione a questo difetto», disse. «La mia paura è che, quando saranno pronti a partire, uccideranno tutti quelli che possono raggiungere — il che probabilmente include tutti noi — a meno che non possiamo fare in modo che la Flotta di Enro
li colpisca prima che se ne vadano.» In quella piccola sala da pranzo privata cadde il silenzio. Poi, dopo una breve pausa, Gosseyn continuò. «Probabilmente abbiamo bisogno dell'opinione di ciascuno di noi. Perciò, farò il giro del tavolo e, quando dirò il vostro nome, o vi indicherò, fate il vostro commento, o date il vostro suggerimento, a proposito di questa situazione.» C'era una persona che doveva essere per forza la prima nell'elenco degli intervistati: e Gosseyn, brontolando dentro di sé per la perdita di tempo, lo chiamò per nome: «Presidente Blayney?», disse. Il Presidente Eletto del Continente Nord Americano si alzò: «Io mi trovavo, per fortuna, solo nel mio ufficio, quando ho avvertito una sensazione particolare. E l'istante successivo ero nell'ingresso di questo ristorante, senza le mie guardie. Non appena ho mosso qualche passo, è arrivato quel maitre, evidentemente già preparato, che ha detto: "Da questa parte, Signor Presidente"». Blayney aggiunse: «Naturalmente gli ho chiesto di avvisare il mio ufficio: di conseguenza, è probabile che tra breve arrivi una piccola armata, nel caso ci sia bisogno di aiuto. Farò scoprire ai miei uomini chi ha organizzato questo pranzo».
Gosseyn disse gentilmente: «Grazie, Signor Presidente». E, poiché si avvicinava sempre di più la scadenza dei quattro minuti, il suo sguardo si spostò in fretta lungo il tavolo. «Patricia.» La ragazza, che era sorella di Enro e moglie di Eldred Crang, parve colta di sorpresa. Ma, dopo una pausa, disse: «Credo si potrebbe dire che sono coinvolta in questa faccenda fin dall'inizio. Ma devo ammettere che l'arrivo dei Troog mi ha lasciata interdetta». Quando finì di parlare, si riappoggiò allo schienale della sedia, e si strinse nelle spalle. Poiché Crang aveva già parlato, Gosseyn indicò Mrs. Prescott, che sedeva accanto a Patricia. La donna sospirò. «Sono già stata uccisa una volta in quest'incubo, quindi so che la morte è un blackout; e credo di essere in grado di accettarla, se devo, con la speranza che non ci siano dolori
preliminari.» Pronunciò con calma queste parole, che tuttavia comunicavano una tristezza che sconvolse Gosseyn. Si fece forza, inspirò profondamente, deglutì, alzò una mano e indicò lo scienziato, che veniva dopo Mr. Prescott: Voce Tre. Lo scienziato parlò a sua volta. «Penso che non dovreste perdere nemmeno un attimo di tempo. Ritornate sotto la protezione dello schermo di energia della nostra astronave, e fate venire qui l'altro Gosseyn a salvarci. Io...» Se l'uomo pronunciò altre parole dopo questa, Gosseyn non le sentì. Si sentì trascinare...
22. «Probabilmente ti stanno studiando...» Sembrava più vero che mai, mentre si guardava intorno, nella nuova dislocazione. Questa volta si trovava in una strada che, in base alla memoria dei Gosseyn, non somigliava a nessuna strada che un Gosseyn avesse mai visto. Era in una strada. E guardava di traverso il volto di una donna proteso verso di lui. Era una completa estranea.
Presumibilmente, gli alieni volevano osservare la sua reazione a lei. Quale poteva essere? La ragazza disse esitando in inglese: «Ho ricevuto una vostra fotografia». Aveva un bel volto, ben proporzionato, capelli castani e occhi castani. Non era un volto terrestre... in qualche modo. Stimò che fosse alta un metro e sessanta. Il suo vestito sembrava consistere in un panno beige chiaro drappeggiato intorno al corpo dalla testa ai piedi, simile ad una serie di sciarpe. Ai piedi portava un paio di sandali marroni, e intorno al collo aveva una sottile collana che sembrava di pelle. Il corpo era piuttosto snello e femminile; ma lei non era una bellezza, secondo i canoni terrestri. E Gosseyn non aveva modo di capire dal suo aspetto che cosa avessero in mente gli alieni per quell'incontro. Di fronte a lui c'era una donna attraente, di circa ventidue o ventitré anni, in termini di età terrestre. Dietro di lei, si vedeva una strada. Presumeva che fosse una strada, perché era solida, grigia, larga circa trenta metri, e si allungava diritta per parecchi chilometri, fino ai margini di una città composta di masse concrete, giallo-marroni: edifici ipotizzò.
Su entrambi i lati di quella strada solida e grigia, si ergevano alti alberi. E una cortina di cespugli che rendeva difficile vedere le basse strutture che sembravano case d'abitazione. Tutto sembrava... diverso. Non era la Terra, né Venere, né Gorgzid, né altre scene familiari. Gosseyn decise che si trattava dì un altro pianeta abitato da esseri umani, in qualche punto della galassia della Via Lattea. Contemporaneamente cercava di ricordare: in quegli ultimi momenti nella sala da pranzo, mentre avvertiva la sensazione di essere trascinato, aveva deciso rapidamente di permettere che i Troog lo trasmettessero ancora una volta. Aveva permesso che accadesse, nonostante la sua ragione avesse immediatamente convenuto che Voce Tre gli stava dando un ottimo consiglio a proposito di tornare sull'astronave dei Dzan. Purtroppo, quello che aveva permesso che accadesse sembrava un incontro minore, insignificante. E, sfortunatamente, la persona coinvolta era stata danneggiata in modo tale che non poteva più comunicare nella propria lingua madre. Gosseyn sospirò. Poi si accorse che questa volta si era lasciato prendere dai propri pensieri. Era passato almeno un minuto dal suo arrivo. In ritardo, ricordò poi quello che la donna aveva detto all'inizio di quel minuto. E ripetè una
delle sue parole: «Fotografia?». «Sì.» Infilò una mano in una piega di quell'insolito abito, e ne tirò fuori una piccola fotografia. Gliela porse quasi con ansia. Era una sua fotografia, presa sullo sfondo di un muro. A Gosseyn parve che fosse stata fatta nel ristorante dov'era stato fino ad un paio di minuti prima, in termini di tempo assoluto trascorso. Che cosa avevano in mente i Troog nel fare incontrare Gilbert Gosseyn con una ragazza di un altro pianeta? Dalla sua perplessità nacque un'altra domanda. Questa fu pronunciata a voce alta. «A quanto pare, eravate preparata a ricevere una fotografia simile. Perché?» «Ho deciso molto presto, non appena ho sentito di tutti quegli altri pianeti lì fuori», indicò vagamente verso il cielo, «che non volevo passare la vita su Meerd. E», la voce le divenne tesa, «il messaggio diceva che vi sareste interessato a me.» Finì in tono ansioso: «Sono iscritta da più di due anni, ma non si è fatto vedere mai nessuno».
E anche quelle parole sembravano non avere senso, oppure — l'idea lo colse all'improvviso — la ragazza forse apparteneva a un club matrimoniale interstellare. La ragazza lo guardava con uno sguardo di supplica. «Dovrei dirvi il mio nome», disse, «e poi tutto andrà bene tra noi. Dicono che voi vi interessate al significato delle parole, e che il mio nome ha un significato speciale per voi.» «Parole?», fece eco Gosseyn. Si sentì sprofondare nell'abisso della visione analitica dei Troog. Era possibile che quegli alieni fossero meravigliati del suo interesse per la Semantica Generale? E quell'incontro su quel pianeta era destinato a sfruttare una sua supposta debolezza? Si accorse di sentirsi teso. Allargò le gambe come per mantenersi meglio in equilibrio e avere una presa più salda sul terreno. Ebbe la sensazione di potere restare in quel posto più a lungo di quanto fosse restato altrove, durante il periodo in cui i Troog avevano controllato i suoi movimenti. Ma si limitò solo a porre la domanda:
«Va bene: qual è il vostro nome?». «Strella?», disse lei. Ci avrebbe dovuto già pensare. Perché erano coinvolte le parole, e un concetto fondamentale della Semantica Generale. Strella e Strala erano nomi simili: aveva commentato, tempo prima, che gli piaceva il nome Strala. E forse per gli alieni la parola era la cosa; il che era l'esatto opposto del concetto della Semantica Generale: «La parola non è la cosa». In questo caso, non era la donna. La sua mente tornò al pensiero che quella ragazza forse sarebbe rimasta danneggiata permanentemente in relazione al suo pianeta d'origine. E fu ripreso dalla vaga meraviglia che i Troog credevano che ogni donna con un nome simile sarebbe stata ugualmente attraente per lui. Dopodiché, Gosseyn agì in modo semplice e diretto. Fece una fotografia extracerebrale istantanea di Strella, e la trasmise immediatamente nel punto dell'Istituto di Semantica Generale sulla Terra dove aveva portato Gorrold, l'uomo d'affari, dalle Ande del Sud America. Era un posto dove, almeno, sarebbe stata in grado di farsi capire, fino ad un certo punto. Quando ebbe completato la migliore azione che aveva
potuto pensare per la ragazza... qualcosa si mosse nel suo cervello. Era l'improvvisa coscienza, dopo tutti quei minuti, della presenza di Gosseyn Secondo... lì fuori. Fu sicuramente una presa di coscienza simultanea; perché il suo alter ego gli inviò un urgente messaggio mentale.
«Ho cattive notizie. Nel momento in cui hai lasciato il ristorante, tutti gli altri sono stati portati a bordo dell'astronave dei Troog.» Il rimorso in Gosseyn Terzo si attenuò rapidamente. La verità era che, anche se fosse restato ad aiutarli, gli alieni sarebbero riusciti a catturarne la maggioranza; visto che lui avrebbe potuto operare un solo trasporto venti-decimale alla volta. Il suo pensiero-scopo immediato doveva essere raggiungerli. Perché Gosseyn Secondo disse con una voce mentale rassegnata, attraversando anni-luce:
«La verità è che tu sei l'unico che vogliono veramente. Se qualcuno può aiutarli a ritornare nella loro galassia...11 metodo probabilmente è disponibile da qualche parte nell'intrico dei nervi, nella tua testa». Quindi concluse:
«Buona fortuna, fratello. Credo che siamo proprio questo: fratelli gemelli». ... non completamente gemelli, pensò Gosseyn Terzo. Non si fermò a ragionare sui particolari della differenza, ma si trasmise immediatamente nel laboratorio che si trovava a bordo dell'astronave dei Troog.
23. La lotta finale stava per cominciare. Questa fu l'impressione di Gosseyn quando capì di essere disteso a terra. A faccia in giù, non in piedi. Allora, in qualche modo, in quelle frazioni di secondo trascorse prima che avvenisse la trasmissione, i Troog erano riusciti, con la loro potente scienza, a modificare un aspetto del metodo di trasporto venti-decimale, per il quale egli, nel passato, era sempre arrivato nella posizione che aveva al momento della partenza. Su Meerd era in piedi. Lì... Gosseyn restò dov'era. Non girò nemmeno la testa.
«... Potrei essere ucciso mentre sono disteso a terra», fu il suo pensiero. Ma si accorse di credere che gli alieni avessero ancora bisogno di lui. E lo avevano provato in tre
diverse azioni in cui lo avevano in loro potere. In ogni occasione avrebbero potuto ammazzarlo, ma non l'avevano fatto. Ora era disteso a terra, a faccia in giù. Il naso era premuto contro un pavimento morbido, liscio. Gli occhi fissarono direttamente il pavimento grigiastro, leggermente scintillante. Si accorse di presumere ancora che si trattasse del pavimento del laboratorio verso il quale si era diretto da quel remoto sistema solare, che la ragazza, Strella, aveva chiamato Meerd. ... Era ora di mostrare di essere cosciente, e di muoversi con cautela. Si alzò sulle ginocchia. E vide che, sebbene l'avesse visto solo di sfuggita mentre usciva dalla capsula, si trovava veramente nel laboratorio dei Troog. Per qualche ragione, l'identificazione — il riconoscimento — gli provocarono una forte reazione di sollievo.
«... sono dove volevo essere...» Contemporaneamente a questo pensiero, si sollevava in piedi con la stessa lentezza; il suo assunto era ancora che
un qualsiasi movimento rapido avrebbe potuto provocare una reazione sgradevole. Una volta in piedi, si guardò intorno. Era una stanza grande e luminosa. Erano visibili numerose macchine scintillanti e quadri di strumenti che sporgevano da terra e dalle pareti. Ma non c'era nessun segno della capsula spaziale all'interno della quale era stato il suo corpo quando era avvenuto il suo risveglio originale, quello sull'astronave dei Dzan. Non che si fosse aspettato di trovarla ancora lì. Era evidente che era stata portata a bordo attraverso un'apertura nelle pareti. La parete più probabile era quella con meno strumentazioni incassate, e con un lungo taglio scuro, a metà tra il soffitto e il pavimento. In quel punto la parete doveva dividersi e scivolare all'indietro. Era attraverso un'apertura simile che oggetti di grandi dimensioni potevano essere portati nel laboratorio. Era un peccato sprecare tutto quel tempo. Lì c'era l'uomo con tutte le risposte ai problemi di ognuno.
... Certamente, sanno che sono qui. Gli parve che ci fosse qualcosa da fare mentre aspettava la loro reazione... la verità era che, quanto più scopriva ora, tanto più al sicuro si sarebbe sentito quando sarebbe arrivato il momento della crisi.
Forse un contatto con Gosseyn Secondo? Fu un impulso passeggero. Il fatto era che aveva già notato il silenzio dell'etere. Non aveva nessuna coscienza della presenza del suo alter ego. Era un caso di isolamento completo. Di nuovo. Forse avrebbe dovuto tentare di decidere che cosa avevano in mente i Troog per gli altri prigionieri? Questo scopo esigeva che lui lasciasse la stanza, con l'intenzione di cercare e localizzare Crang, Patricia, i Prescott, Enro... Guardava qualcosa che somigliava a una porta, alla sua estrema destra, ed era stato proprio quello a provocargli quel pensiero. Senza esitare, si diresse verso di essa. Qualsiasi cosa fosse, la superficie piatta che somigliava ad una porta aveva parecchi accessori metallici che senza dubbio avevano qualche scopo. Gosseyn tirò, premette, girò ciascun pezzo. Due oggetti emisero uno scatto quando vennero toccati; ma la porta non si mosse, se era una porta. Arretrò, d'improvviso più deciso... Bene, forse se operava una connessione venti-decimale tra l'energia che alimentava uno dei quadri degli strumenti e il meccanismo della porta... Il fatto che i Troog non prendessero atto della sua presenza cominciava ad essere irritante. Una perdita di tempo.
Sopra ogni cosa, aveva bisogno di un pubblico che ascoltasse in silenzio quello che lui aveva da dire. Aveva ancora quel pensiero ironico in mente, ed era ancora lì quando, qualche momento dopo, una voce di tenore disse in inglese, dal soffitto. «Gilbert Gosseyn, vi abbiamo completamente sotto controllo. Qui non potete nemmeno usare il vostro extracervello per scappare.» Sebbene le parole comunicassero una possibilità che era già venuta in mente a Gosseyn, udire quella frase gli fece nascere un pensiero.
«... Questo hanno imparato durante quei tre viaggi che mi hanno fatto fare...» Quindi non sembrava esserci alcun dubbio: tutta quella follia stava per entrare nella fase decisiva. Nonostante la sua speranza momentanea, un minuto dopo stava ancora aspettando che il nemico testé rivelatosi gli desse l'opportunità di agire. Durante quel minuto, l'ambiente circostante restò la stessa stanza di metallo scintillante con lo stesso pavimento grigiastro, e tutti quegli strumenti che si alzavano da terra o sporgevano dalle pareti..
Aveva presunto che i Troog gli leggessero il pensiero, fino ad un certo livello. Ma poiché avevano equivocato un aspetto decisivo delle sue teorie di Semantica Generale, forse potevano studiare solo il cervello, con alcuni pensieri disponibili in determinate situazioni. Passarono almeno altri quindici secondi. Loro aspettano, e
io aspetto. Che cosa? Dopo parecchi minuti di riflessione, si avvicinò di nuovo alla porta e tentò di aprirla. Questa volta, quando risuonarono i due scatti, la porta si spalancò. Gosseyn non perse tempo. Senza nemmeno lanciare un'occhiata alle spalle, attraversò la soglia ed entrò in un ampio corridoio dal soffitto alto. Per un attimo, allora, tornò la sensazione di tristezza:
«... va bene», pensò, «io ragiono in maniera umana, e loro hanno il loro approccio Troog alla logica...». La logica Troog sembrava prevedere che, dopo una conversazione, amichevole oppure ostile, se un essere umano aveva già provato una volta ad aprire una porta, avrebbe riprovato, senza aspettare istruzioni. La logica umana — almeno la versione Gosseyn —
prevedeva di aspettare ulteriori istruzioni, una volta che fosse stato stabilito un concetto. Aveva inteso avere un approccio gentile. La conclusione era: il nemico si aspettava automaticamente un comportamento aggressivo o, almeno, un'azione decisa. Proprio mentre formulava questi pensieri, Gosseyn girò a destra, e si avviò lungo l'ampio corridoio, illuminato fiocamente. Vide una barriera a circa quaranta metri; presumibilmente, quello sarebbe stato il momento della verità. Si trattava di una porta che non si apriva. Seguendo ancora la propria teoria, Gosseyn si girò e camminò nella direzione opposta. La barriera da quella parte si trovava a circa centocinquanta metri di distanza. E c'era un'altra porta, sì. Con il meccanismo dell'aspetto familiare. Due accessori scattarono, uno dopo l'altro, e la porta si spalancò. Allora vide un altro corridoio perpendicolare a quello che aveva appena percorso. Un'altra decisione da prendere: decise di svoltare di nuovo a destra. Ancora una volta, fu una scelta sbagliata. Ma poiché, quando si avviò nella direzione opposta, quella porta si aprì su un altro corridoio perpendicolare, ebbe l'opportunità di girare a sinistra alla prima svolta. Andò da quella parte, e questa volta era la
direzione sbagliata. Percorse così più di una decina di corridoi silenziosi. Alla fine di ogni corridoio si apriva una porta oppure non si apriva. Era, a suo modo, un buon test per scoprire quanta abilità avesse nel dono particolare di Leej. La sua conclusione: ne aveva molto poca. La sua scelta fu giusta solo quattro volte; undici volte fu sbagliata. E undici volte fu costretto a ritornare sui propri passi per poi entrare in un altro corridoio vuoto, silenzioso tranne che per il lieve rumore dei suoi passi sulla morbida superficie del pavimento. Nemmeno una volta vide un Troog. Sembrava un'astronave vuota, abbandonata, silenziosa ed enorme; e solidamente chiusa agli intrusi, fatta eccezione per le porte che si aprivano, e presumibilmente lo guidavano verso il luogo dove qualcuno voleva farlo andare. C'erano alcune diversioni. Lungo ciascun lato di ogni corridoio, ad intervalli irregolari, nelle pareti erano incassate delle forme che — egli presunse — erano porte che conducevano a stanze come il laboratorio dal quale aveva cominciato quel giro spossante. Sulle prime le oltrepassò, ma ben presto si fermò davanti ad ognuna e provò a far scattare il meccanismo. Erano tutte chiuse a chiave, e chiuse restarono.
Dopo un certo intervallo di tempo, formulò un pensiero:
«... Credo che questo potrebbe essere un modo di stancarmi fisicamente...». Eppure non riusciva a persuadersi a fare la prova se poteva o non poteva scappare con il metodo ventidecimale. Il continuo sforzo provocò un'altra reazione inaspettata: si sentiva meno disposto ad aiutare. A mano a mano che passavano i minuti e i chilometri, cominciò una reazione talamica. Aveva cominciato a percorrere quel primo corridoio, accettando che quando infine avrebbe incontrato i suoi catturatori, avrebbe fatto del proprio meglio per aiutarli a ritornare alla loro galassia. Ora gli tornò alla mente il ricordo che la Semantica Generale rifiutava le accettazioni troppo automatiche. Era vero che gli alieni avevano il diritto di tornare da dov'erano venuti. Ma non era necessariamente vero. Era interessante il fatto che, per colpa della stanchezza e dell'irritazione, fosse arrivato alla conclusione che forse avrebbe fatto meglio a riesaminare la sua decisione automatica. Per fortuna, aveva riconosciuto quei ragionamenti negativi per quello che erano; e così la sua irritazione non si
trasformò mai nella rabbia enorme che sarebbe nata in un uomo all'antica. La fine di quel tormento arrivò all'improvviso. Mentre guardava un altro corridoio senza senso, vide una luce ad un'ottantina di metri sulla sinistra. Sembrava una porta... aperta, non chiusa. E, in effetti, dopo aver camminato rapidamente verso la luce, e poi aver rallentato camminando lungo il muro ed essersi fermato a guardare cautamente nella stanza, vide un duplicato della precedente sala da pranzo privata, solo che, invece di esseri umani noti, intorno al tavolo di quella stanza dalle luci soffuse sedeva una decina di Troog. Occorsero solo pochi secondi, ma ben presto Gosseyn capì che si erano accorti della sua presenza. La sua esitazione finì. E, ricordando che si aspettavano aggressività, entrò. A quel primo sguardo, aveva già notato che c'era un posto libero a tavola. Era all'estremità opposta del tavolo. Passò alle spalle di una mezza dozzina di Troog, e raggiunse il posto vuoto. A differenza della precedente riunione, invece di restare in piedi, come se fosse la persona più importante, si sedette, in un certo senso, con maggiore rispetto verso gli altri. Ma il suo pensiero era: Quanto sei vicino alla fine?... E
che riunione fantastica sarebbe stata! 24. Formula pensieri positivi!, si ammonì Gosseyn. Nonostante le sensazioni negative che gli derivavano dalla lunga camminata attraverso i corridoi vuoti, la verità era che lui si trovava lì per risolvere il problema di tutti... se glielo avessero permesso. Nessuno disse niente; ma la stanza era assai buia, alla maniera tipica di molti ristoranti, in modo da isolare un commensale dall'altro. Di conseguenza, ebbe la possibilità di guardare gli strani esseri che erano stati così impegnati a provocare problemi fin dal loro attivo. L'approccio positivo subì un'attenuazione immediata. Erano brutti. Era la stessa reazione che aveva avuto nel guardarli la prima volta in quel laboratorio. Gosseyn fece una battaglia silenziosa contro l'automatica tendenza umana ad applicare canoni umani all'aspetto esteriore. La bellezza — ricordò l'antico adagio — è negli occhi di chi guarda. Dopotutto, avevano qualcosa di umano. Fatta eccezione per le facce che erano quasi rotonde e color porpora. E
fatta eccezione per il collo, che era scheletrico. Ma, al di sotto, i corpi sembravano abbastanza grandi. Erano rivestiti di uniformi scintillanti, che sembravano fatte di pezzetti di metallo. La testa, come la faccia, era rotonda. E quasi calva. C'era qualcosa di orrendo che somigliava ai capelli: un cespuglio di setole che sporgeva dal cocuzzolo. Ma quella faccia! Una bocca piccola, quasi senza labbra, un naso strano e piccolo e, al di sopra, dominanti su tutto, c'erano due grandi occhi rotondi, con pupille nere, ma senza sopracciglia. Al di sotto e al di sopra degli occhi, la pelle formava delle pieghe. L'impressione che ne ricavò era che quegli occhi potevano essere chiusi. Prima che potesse osservare meglio, una porta alla sua destra si aprì, e cinque Troog e un essere umano entrarono con dei piatti da portata. L'essere umano — un ragazzo — girò intorno a Gosseyn, e posò davanti a lui qualcosa di simile ad un'omelette, mentre i camerieri Troog servirono a tutti e undici gli altri commensali una brodaglia scura. Quando i camerieri cominciarono ad uscire, per un attimo lo sguardo di Gosseyn incontrò gli occhi del giovane umano. Vide un'espressione agghiacciante: un'anima sola e senza speranze. Uscirono tutti e sei, ma il ricordo restò.
Tutti, compreso Gosseyn, mangiarono. Si sentiva lo stridio della sua forchetta, e degli utensili lievemente diversi, sottili come coltelli, dei suoi ospiti... Per quelle bocche più piccole. Dal momento che a bordo avevano un essere umano, presumibilmente potevano avere anche uova genuine. E l'omelette aveva sapore di uova: il prodotto di una vera gallina terrestre. Restò stupito dal fatto di avere fame. Forse il suo corpo aveva vissuto più tempo di quanto sembrasse? Era un argomento su cui riflettere in seguito. Gosseyn Terzo posò nel piatto la forchetta, e si appoggiò allo schienale della sedia. Si accorse che i suoi compagni stavano terminando la loro brodaglia. Poi, anche loro si appoggiarono agli schienali. E restarono tutti e dodici immobili, in quel fuoco duplicato di un ristorante terrestre. E i suoi pensieri tornarono al fatto che i Troog si erano sforzati di procurargli cibo terrestre. In qualche modo, le azioni di milioni di galline... laggiù... lì fuori... erano state osservate: azioni che ancora perduravano uguali, sebbene la maggior parte delle uova fosse stata loro sottratta, giorno dopo giorno, da tempi immemorabili.
...Se andassi su un pianeta dei Troog, mi darei la pena di notare da dove ottengono la brodaglia, che hanno mangiato oggi? Guardandosi indietro, non riusciva a ricordare se Gosseyn Primo e Gosseyn Secondo avessero mai prestato attenzione all'origine del cibo sui pianeti dov'erano stati: visto che altri esseri umani mangiavano quella roba, la mangiavano anche loro. Il suo esame era stato veloce, ma lungo abbastanza. Perciò si sentì sollevato quando, di fronte a lui, uno degli individui più robusti si alzò. Per un lungo momento, l'individuo — presumibilmente un capo — fissò Gosseyn con quegli occhi neri e rotondi. Poi, la minuscola bocca sotto il naso minuscolo e tagliato disse con una voce di tenore, sorprendentemente normale: «Come senza dubbio sapete, è accaduta una disgrazia. Un'intera astronave, piena del popolo che conta, è arrivata in questa galassia. Nel corso del processo ha perso la capacità di parlare la propria lingua, e invece ha acquisito una capacità equivalente di parlare in inglese, una delle molte lingue del pianeta Terra: ma è — e questo è molto significativo — la vostra lingua».
Fu solo una frase in quel discorso introduttivo a fornire a Gosseyn un'informazione nuova:
...Il Popolo che Conta... Era una accettazione automatica del fatto di essere migliori. In tutta la storia umana di quel pianeta importantissimo del sistema solare, gruppi o individui si erano dati simili definizioni auto-elogiative, che sottintendevano un solo concetto: in qualche modo, loro erano superiori. Era strano che, con tutti quei cervelli, i Troog si fossero dati tanta pena di ottenere l'aiuto dell'unica persona che possedeva, in qualche punto della testa, la capacità di aiutarli nel loro scopo fondamentale. Non appena possibile, avrebbe loro detto che era pronto e disposto. Ma, proprio mentre ripeteva dentro di sé questo pensiero, gli venne in mente che l'approccio positivo avrebbe creato dei problemi. Difficile sapere quali? Ma quella gente avrebbe trovato il modo di negare quello che un membro di un'altra razza avrebbe tentato di fare. Per fortuna, c'erano ancora delle verità. La stanza, il tavolo, i piatti, e le persone che avevano
mangiato — compreso lui — restavano dov'erano. La fonte nascosta di luce continuava a diffondere la stessa illuminazione fioca. L'oratore era ancora in piedi; il che sembrava promettere che sarebbero state pronunciate altre parole. In effetti, proprio mentre Gosseyn formulava questo pensiero, l'alieno umanoide continuò. «Molti di questi sviluppi sono nuovi, e non sono mai stati osservati prima. La conseguenza è che la nostra teoria sulla natura dell'universo ha bisogno di essere riesaminata, e noi cercheremo di formulare una nuova teoria che comprenda i nuovi dati. Il nostro studio», continuò, «di quella sezione speciale del vostro cervello, non ha ancora svelato tutte le informazioni di cui avevamo bisogno. Per fortuna, voi stesso avete alla fine capito che non ci potevate sfuggire; e così siete venuto qui, presumibilmente con uno di quei programmi perversi, che abbiamo notato sono un comportamento comune per i membri della vostra razza in questa galassia, che noi abbiamo osservato nelle loro attività quotidiane. Devo avvertirvi, perciò, che non ci facciamo ingannare facilmente, e devo spingervi a cooperare senza riserve mentali, o di altro tipo.» Detto questo, compì un'impresa fisica che a Gosseyn parve rischiosa.Con solo il sottile collo a sostenere il
movimento, annuì con la grande testa verso l'ospiteprigioniero, poi raddrizzò di nuovo la testa finché questa non fu di nuovo in equilibrio al di sopra del corpo; e si risedette. Gosseyn restò dov'era. Si sentiva leggermente intimidito. Erano state pronunciate così tante parole che dentro di sé sentì nascere il bisogno di reagire, di difendere, di rettificare, e, tra altre realtà, di chiedere ragione del comportamento aggressivo dei Troog, e di porre altre domande. Occorse un lungo momento, per resistere a quei numerosi piccoli impulsi. Ma infine riuscì ad esercitare il controllo necessario, e a dire, semplicemente: «Signori, potete contare sulla mia piena collaborazione». Il silenzio che accolse le sue parole fu infine rotto da vari rumori: la vecchia abitudine umana di cambiare posizione ai piedi, e strascicarli a terra nel processo. Poi... l'oratore si sporse in avanti. Non si alzò ma, quando parlò, il suo tono era di accusa. «Non pensate nemmeno per un attimo di poterci ingannare con una falsa collaborazione. Noi siamo perfettamente coscienti che voi non sapete che cosa fare per il danno che ha subito quella parte speciale del vostro cervello, per cui è avvenuto quella specie di rovesciamento... che ci ha portati
qui.» La prima reazione di Gosseyn fu che decisamente non si trattava di una benigna accettazione della sua offerta. Gli sembrava anche di non poter essere completamente d'accordo con l'analisi negativa della situazione. Sicuramente, in quegli istanti in cui era stato extra-attento, era riuscito a controllare le tendenze devianti delle terminazioni nervose danneggiate; per esempio, era arrivato sano e salvo a bordo di quell'astronave, la sua meta prevista, e l'aveva fatto senza deviazioni. Quel punto, naturalmente, poteva essere spiegato. Ma quello che lo turbava maggiormente nelle parole del Troog era la sensazione che il discorso fosse solo in parte diretto a lui.
«... Per qualche ragione, vuole che i presenti credano che lui abbia la situazione in mano, che sta trattando uno di questi astuti terrestri — ossia me — in una maniera sensata: prego guardate tutti...» Fu un momento di particolare tensione. E, seduto a quel tavolo, Gosseyn cedette all'impulso di cambiare posizione prima di parlare di nuovo. «Sono sicuro che ci deve essere un modo per convincerci gli uni con gli altri che abbiamo bisogno veramente di collaborare per il bene reciproco», disse. «Perché non
stendiamo un programma punto per punto? Così, mano a mano che raggiungeremo i vari punti, acquisteremo progressivamente la convinzione che tutto andrà bene.» Nessuno parlò. L'oratore lo guardò. I suoi occhi enormi avevano un'espressione strana, perplessa. Gosseyn formulò un pensiero insolito: era possibile che quell'individuo non fosse l'autorità massima? In qualche modo, aveva dato per scontato che le massime autorità avrebbero parlato con lui. Forse qualcuno più in alto stava seguendo su un monitor quella riunione? Forse i servi seduti a tavola aspettavano un'espressione di approvazione, o una decisione che autorizzasse un'azione successiva? Il silenzio continuò, e Gosseyn aspettò con loro. Aspettò con una sensazione di infelicità, perché la sua situazione sembrava peggiorata, non migliorata. Formulò un pensiero.
«... Forse finché non trovo il modo di distruggere queste barriere, questa situazione andrà avanti...» Poi si fece strada un altro pensiero, un ricordo collegato alla Semantica Generale.
«... Quella faccenda di credere che mi sarei interessato a una donna di nome Strella solo perché mi piaceva un
nome simile, Strala...» Era una direzione vaga da prendere. Ma certamente era meglio che stare seduto in quella stanza buia con il «popolo che contava». Con quell'improvvisa motivazione, si raddrizzò, strascicò un poco i piedi e, rivolgendosi all'oratore, disse: «Avete un nome che vi distingue da questi», fece un gesto vago verso gli altri Troog seduti al tavolo, e completò la domanda, «da questi vostri amici?». I grandi occhi lo fissarono. La piccola bocca disse: «Tutti noi abbiamo un nome». Ma l'oratore non disse spontaneamente il proprio nome. Continuò a restare seduto, una versione mostruosa di un essere umano. «Ho l'impressione», disse Gosseyn, «che i vostri amici non siano vostri pari.» «Siamo Troog.» Il tono della voce aveva acquistato improvvisamente una sfumatura autoritaria. L'espressione di potere personale fece nascere in Gosseyn la domanda successiva. «Siete», esitò, «l'Imperatore?» Ci fu una lunga pausa. La faccia e gli occhi continuavano
ad essere fissi su Gosseyn. Infine, con riluttanza, l'alieno disse: «Noi Troog non abbiamo Imperatori». Un'altra pausa. Poi: «Io sono il capo di questa astronave». «Chi vi ha nominato capo di quest'astronave?», chiese Gosseyn. Se era possibile, gli occhi diventarono ancora più rotondi. «Mi sono nominato da solo, naturalmente.» L'irritazione improvvisa provocò altre parole: «Sentite: il nostro sistema gerarchico non è una faccenda che vi riguardi». Gosseyn respinse il concetto con un lieve scuotimento del capo. «Signore», disse educatamente, «voi avete fatto diventare tutta questa situazione una faccenda che mi riguarda, con la vostra instancabile persecuzione e con il tentativo di controllarmi. Dovrei perciò commentare che trovo significativo il vostro sistema di governo. State dicendo, in effetti, che nessun altro era motivato a nominare se stesso Comandante in Capo?» Pausa. Poi: «Parecchi». I grandi occhi fissarono i suoi.
«Che cosa è accaduto delle loro nomine?» Davanti a lui, la piccola bocca si contorse lievemente. «Gli altri non hanno mai raggiunto la fase della nomina. Quando hanno parlato delle loro ambizioni, nessuno li ha ascoltati. Così hanno capito il messaggio.» «Deduco che, in qualche modo, vi siete imposto?», disse Gosseyn in tono interrogativo. La voce del capo esprimeva ancora alti pensieri. «Mr. Gosseyn», disse, «voi stesso manifestate molte delle qualità di un comandante. Sono certo che, tra gli esseri umani che abbiamo a bordo, non ce ne sia nessuno, considerata la particolare situazione difficile in cui si trovano, che non accetterebbe i vostri ordini. Automaticamente.»
La particolare situazione difficile! Era una affermazione che rientrava nello schema di ragionamento della Semantica Generale. Le parole, che erano state pronunciate così casualmente, avevano un significato rivelatore aggiuntivo:... altri esseri umani a bordo...
Escluso, naturalmente, quel povero giovane che gli aveva servito l'omelette, era certo che il riferimento fosse riferito ai Crang, ai Prescott, a Leej ed Enro, e agli altri. Erano ancora vivi. Prigionieri, ma salvi. Ad un tratto si sentì triste. Capì che si autonominavano. Quel popolo dall'aspetto semi-umano aveva sviluppato uno stile di vita che in origine era dettato dai casi d'emergenza. In qualche modo, nonostante la loro deformità fisica, avevano raggiunto un alto livello scientifico. Un governo auto-nominatosi poteva funzionare. Alla base di quel sistema c'era un pragmatismo che, nella maggior parte delle situazioni, aveva la possibilità di ottenere un successo sensazionale. Il capo autonominatosi se arrivava in un cul-de-sac nel corso della sua iniziativa, del suo piano, del suo scopo o della sua ricerca, non offriva nessuna resistenza quando un suo vice affermava la propria supremazia affermando che il suo comando avrebbe funzionato. In un'idea simile c'era una certezza parziale che nessun processo si sarebbe mai rallentato, perché un singolo individuo non poteva mai imbrogliare a lungo i colleghi. Il progetto a cui stava lavorando, o andava avanti, o no. Un sistema simile poteva funzionare meglio nel campo della fisica e della chimica. I risultati erano sempre visibili;
e se il capo della ricerca restava indietro, c'era una schiera di avidi usurpatori che aspettavano il minimo segno di decadenza creativa. In effetti, il sistema gerarchico dei Troog spiegava la superiorità della loro scienza da una parte, e il suo cattivo uso, dall'altra. Perché, ovviamente, la psicologia e le cosiddette scienze sociali, così come le idee umanitarie, non potevano mai dimostrare verità assolute. In quei campi dovevano esistere, come sulla Terra, delle «scuole» con le solite varianti di pensiero. Era in queste aree di studio che la Semantica Generale offriva all'individuo un metodo per evitare il bisogno di una certezza. Ma fra i Troog non doveva esserci niente del genere: era la sua sensazione e il suo pensiero. Era cosciente che altri pensieri simili sgorgavano in abbondanza da una sorgente interiore di idee. Ma, prima che potessero prendere forma, le due porte alla sua destra si aprirono di nuovo. I cinque camerieri Troog e il giovane umano entrarono. I Troog portavano alti bicchieri trasparenti che contenevano un liquido, mentre il giovane stringeva tra le mani una tazza, un piattino, e una brocchetta per la panna. Caffè? Si chiese Gosseyn.
Era caffè. Poggiato davanti a lui da un paio di mani che, poi, si allungarono a prendere il piatto vuoto dell'omelette. Presumibilmente, gli stessi Troog raccoglievano i piatti che avevano portato prima. Fu interessante, poi, il fatto che il ragazzo umano, quando si ritirò insieme ai compagni alieni, non guardasse Gosseyn. Ma la sua difficile situazione aveva fatto impressione a Gosseyn, che lo seguì con lo sguardo e, prima che il povero ragazzino uscisse, gli scattò una fotografia mentale ventidecimale. Il suo pensiero fu:
«Non appena avrò chiarito tutta questa situazione, in modo da essere sicuro, lo spedirò in qualche punto della Terra...». 25. Era un Gosseyn lievemente sbalordito quello che si versò una piccola porzione di panna, la girò, e bevve il primo sorso di un ottimo caffè. Nell'alzare la tazza, vide che c'erano una mezza dozzina di zollette di zucchero ai bordi del piattino; ma i corpi di Gosseyn non usavano lo zucchero nel caffè; cosicché le zollette restarono dov'erano.
Era evidentemente un altro esempio di un Troog che, autonominatosi allo scopo, studiava i bisogni umani e se ne veniva fuori con il caffé. Era il genere di perfezione che rendeva certo che nessun altro Troog sottoposto avrebbe mai usurpato il suo posto. Era probabilmente per questo che avevano portato a bordo il giovane umano. Per avere un aiuto fin nei minimi particolari. In simili questioni materiali e in relazione alle scienze, quel sistema aveva i suoi vantaggi. Ma altrimenti... Posò la tazzina, e guardò il capo che stava sorseggiando del liquido da un bicchiere che gli era stato portato. Gosseyn scosse la testa in direzione dell'alieno. «Trovo difficile»,disse, «visualizzare un simile sistema gerarchico in relazione a questioni importanti. A quanto pare, nella vostra galassia, il super-capo automaticamente mantiene uno stato di guerra continua contro gli umani Dzan.» Un'altra di quelle pause. Tutti gli altri Troog guardarono con aria di attesa il loro capo. Gosseyn aspettò. Una spalla del grande corpo fece un movimento che poteva definirsi un'alzata di spalle. La piccola bocca disse:
«Il nostro Grande», disse il capo dell'astronave, «ha ordinato alla razza inferiore di sottomettersi ai suoi comandi». Pausa. Silenzio. «Quando è stato dato l'ultimatum?», chiese Gosseyn. Gli enormi occhi lo guardarono; e c'era una sfumatura di sorpresa nella voce che uscì da quella piccola bocca. «Nessuno ha mai fatto una domanda del genere prima d'ora.» Quella risposta aveva tante implicazioni che Gosseyn fu costretto a controllare, quasi letteralmente, la violenza con cui i suoi pensieri balzavano in ogni direzione. Infine, chiese in un solo fiato. «L'ultimatum era già stato dato quando voi siete nato?» «S... sì!» L'esitazione questa volta fu seguita da esclamazioni degli altri Troog. Stava ottenendo delle risposte, perciò Gosseyn non perse tempo.
«Noi, qui, nella galassia della Via Lattea, siamo stati sorpresi nello scoprire, quando siamo usciti nello spazio, che esseri umani di varie combinazioni di colore, abitavano la maggior parte dei pianeti abitabili, dovunque! Di recente», continuò, «abbiamo appreso che siamo i discendenti di antichi emigranti della vostra galassia. La storia narra che un campo maligno di energia si avvicinava a quella galassia. A quell'epoca, furono costruite milioni di navicelle. Ciascuna conteneva due uomini in uno stato di animazione sospesa e con sistemi di mantenimento in vita per il lungo viaggio dalla vostra galassia a questa». Ora, con l'arrivo dell'astronave dei Dzan e della vostra, abbiamo dedotto che le persone che restarono, dato che non c'erano abbastanza navicelle per trasportare tutti, ripeto, le persone che restarono, non furono distrutte, come si credeva.» Inspirò profondamente e concluse: «Avete qualche spiegazione per il fatto che, a quanto pare, due razze umane — i Troog e quelli che sono come noi — sopravvissero alla prevista catastrofe?». Silenzio. Tutti guardavano.
Non era il momento di fermarsi. Gosseyn continuò implacabile. «Quando guardo voi, Signor Capo, e i vostri colleghi che sono seduti in questa stanza, vedo una forma umana modificata rispetto allo standard umano originale. Voi siete mutanti. Sembrerebbe, allora, che siano stati i vostri antenati ad essere colpiti da quella nube di energie maligne. E, naturalmente», finì, «per un meccanismo di difesa ben noto in psicologia, avete in seguito concluso che quello che era accaduto vi aveva reso superiori, e perciò vi siete dato il nome di "popolo che conta".» Il capo aveva lo sguardo rivolto verso l'alto, verso la parete che era alle spalle di Gosseyn. E gli altri Troog guardavano lui. Poi, ad un tratto... un Troog, il cui corpo era il più robusto tra quelli seduti intorno al tavolo si alzò, quasi balzò su (la sua sedia strisciò rumorosamente sul pavimento) e disse a voce molto alta: «Veen, non sei più qualificato ad essere il Capo. Perciò, io, Yona, mi nomino Capo al tuo posto!». L'alieno che era stato chiamato per nome, non disse niente.
Sembrò sprofondare nella sua sedia e, particolare più incredibile, non contestò la valutazione fatta dal suo compagno. A quanto pareva, era imprudente, in quella società super competitiva, farsi sorprendere o essere colti alla sprovvista. E così Gilbert Gosseyn era diventato uno strumento per detronizzare un Capo Troog. Ci sarebbero state delle ripercussioni e, in una società così logica, sarebbe stato interessante vedere quali sarebbero state.
26. Gosseyn fu colto improvvisamente dalla speranza. Si rivolse immediatamente al nuovo Capo, mentre l'alieno era ancora in piedi, nel suo momento di trionfo. «Immagino», disse Gosseyn, «che tutta la cena, e quello che è successo qui, sia stato trasmesso all'equipaggiamento e agli ufficiali della vostra astronave. E così tutti ora sanno che... Yona è il nuovo Capo di questa nave da guerra.» Se era possibile, la piccola bocca dell'enorme uomo si strinse in quello che, in un essere umano, sarebbe stato un indurimento bellicoso della mascella.
«È vero.» Il tono dell'alieno era di sfida, come se provocasse chiunque a criticare. Gosseyn si riappoggiò allo schienale. Questa volta non era un'azione di rilassamento. Le conseguenze provocate dalla conferma del nuovo Capo erano troppo grandi. In quell'istante — quello fu l'improvviso pensiero — tutti i capi subordinati e i loro aiutanti stavano pensando a che cosa avrebbero dovuto fare loro, individualmente, per adattarsi alla nuova situazione. Il fatto più stupefacente fu che era così impegnato ad analizzare che cosa potesse accadere che non penetrò nessun pensiero estraneo finché, all'improvviso, arrivò un messaggio diretto, urlato mentalmente:
«Gosseyn Terzo», era la voce mentale di Gosseyn Secondo,
«mi arrivano i tuoi pensieri da almeno trenta secondi ormai; e tu sei ancora così concentrato sulla tua situazione che non hai ricevuto i miei... Svegliati! Siamo di nuovo collegati!» In quella buia sala di stile terrestre, Gosseyn Terzo si drizzò sulla sedia. Era cosciente di sentirsi sollevato ma, nello
stesso tempo, non perse nemmeno un momento di quello che accadeva davanti a lui. Diresse un solo e rapido messaggio mentale al suo alter ego.
«Abbi un po' di pazienza con me, fratello!» A Yona, che era ancora in piedi, disse: «Spero che accetterete la mia offerta di collaborazione totale». L'uomo robusto lo guardò con severità. «Abbiamo la vostra promessa che farete tutto il possibile per aiutarci a tornare nella nostra galassia?» «Una collaborazione al cento per cento», disse Gosseyn. «Avete una spiegazione», era ancora un tono d'accusa, «per tutto quello che è successo?» Era palese, dall'aggressività della domanda, che il nuovo Capo Troog stava cercando di mantenere il controllo della situazione. Bisognava lasciarlo fare! Non c'era niente da guadagnare opponendosi a lui. Gosseyn disse prudentemente: «Signore, qualsiasi cosa mi è possibile... date voi gli ordini».
«... Sto veramente leccando i piedi», pensò. Ma credeva di aver attaccato quanto bastava il Capo Veen; e ora aveva bisogno di ricavare dei vantaggi dal trasferimento di potere al capo autonominatosi, Yona. In un angolo della mente, si chiese anche se fosse già stato fatto qualcosa in suo favore da qualche parte della gerarchia dei Troog: presunse che i risultati non sarebbero stati visibili subito. Yona parve irrigidirsi. Il suo tono era ancora più severo, quando disse: «Ovviamente, la collaborazione si basa sulla fiducia reciproca. Di conseguenza che cosa vi aspettate di guadagnare voi da questa situazione?» Gosseyn ebbe la fastidiosa impressione che la domanda fosse stata fatta solo per prendere tempo; come se il nuovo capo non sapesse esattamente che cosa fare dopo. Come rispondere. Quale programma proporre. E il sistema gerarchico dei Troog non permetteva indugi o manchevolezze. Yona aveva bisogno di aiuto, e subito! «A lungo termine», disse con tranquillità Gosseyn, «spero di ottenere la libertà personale, se voi lo volete, e di continuare la comunicazione.»
Si interruppe. «Ma in questo momento vorrei che voi organizzaste un'assemblea speciale nella quale io possa parlare. Dal momento che voglio spiegare esattamente la situazione, come voi mi avete richiesto qualche minuto fa, il pubblico dovrà comprendere i vostri ufficiali e i migliori scienziati. E vorrei anche che fossero presenti i miei alleati umani, che — credo — sono a bordo di quest'astronave. Naturalmente, durante questa riunione, dovrete approntare tutte le misure di sicurezza, in modo tale che nessuno venga messo in pericolo. E», concluse in tono speranzoso, «sono convinto che, dopo le mie spiegazioni, saremo nella posizione di procedere nel prendere le decisioni finali, e intraprendere le azioni decisive.» Quando, ancora una volta, si riappoggiò allo schienale della sedia, aveva la sensazione che, per il momento almeno, avesse salvato tutta la situazione: per Yona, per se stesso, per gli esseri umani prigionieri, e per tutta la gerarchia di sotto-capi. Era possibile che un Semantista Generale riuscisse a sopravvivere nella società Troog, incredibilmente
competitiva?
27. Era la più strana conferenza a cui avesse mai partecipato un terrestre: diciotto spettatori, otto dei quali erano Troog. E gli altri dieci, oltre Gosseyn stesso, erano esseri umani che avevano avuto un ruolo chiave in tutta quella faccenda di trasporto intergalattico: Enro, Leej, i Crang, i Prescott, più Breemeg e i tre scienziati dell'astronave da guerra Dzan. Era interessante che anche i presenti i quali conoscevano tutti la Semantica Generale, ritenevano di stare per ascoltare nuovi dati sulla base della Semantica Generale: informazioni o analisi che trascendevano quella che loro avrebbero considerato una conoscenza adeguata del soggetto. Quello che stupì Gosseyn Terzo, mentre stava sulla pedana del piccolo auditorium di fronte a quell'assemblea unica, fu la convinzione che le loro aspettative erano corrette. Lui non aveva precisamente dei nuovi dati, una nuova consapevolezza... Aprì la bocca per cominciare la propria esposizione dei fatti, quando una mano e un braccio si alzarono nella seconda fila. Era Enro il Rosso. I capelli dell'uomo, come al solito, erano spettinati, e la faccia era contorta nell'ormai familiare
sorriso cinico. Gosseyn ebbe la sensazione che la Semantica Generale non sarebbe stato un fattore di cui l'altro avrebbe parlato; ma sorprendentemente lo era. Enro cominciò. «Ho ricevuto informazioni di seconda mano su questo sistema di pensiero; perciò vediamo se insieme possiamo risolvere il problema di chi sposerà la madre dell'Imperatore dei Dzan, ragionando della questione in termini di Semantica Generale. Mi pare che questo metodo di ragionamento», continuò Enro, prima che Gosseyn potesse dire qualcosa, «esiga dall'individuo di avere una visione più ampia, vale a dire, di includere tutti i fattori possibili.» «A quanto pare», disse Gosseyn, «avete sentito almeno una parte del sistema.» «Per esempio», disse Enro, «di recente ho condannato un ex Aiutante a venti anni di carcere per essersi occupato troppo dei propri affari invece di fare il suo lavoro. Ora sono sicuro che, se avesse preso in considerazione che cosa significasse stare in carcere per vent'anni, lui senza dubbio oggi non sarebbe lì. Similmente, credo che se voi prendeste in considerazione
tutti gli aspetti del nostro rapporto futuro, capireste che la madre dell'Imperatore dovrebbe sposare me.» Si fermò, forse per prendere fiato; e Gosseyn intervenne educatamente. «Punto primo: l'argomento andrebbe discusso privatamente. Punto secondo: ho la sensazione che la signora probabilmente abbia una propria visione della situazione; e, punto terzo: ho la sensazione che non abbiate preso in considerazione alcuni fattori che sto per descrivervi.» La faccia cinica lo fissò... cinicamente. «Ascolto», disse il Grande Uomo. «Grazie», rispose Gosseyn educatamente. Ma, in qualche modo, non era più la stessa riunione. La gente si scambiava occhiate. Perfino i Troog sembravano meno rilassati. Le «realtà» che sono alla base dell'esistenza e della nonesistenza, non sono una questione di cui si occupa la Semantica Generale (disse Gosseyn nella sua conferenza). «La Semantica Generale parte dall'accettazione di ciò che
è percettibile, e opera entro i confini di quello che ogni normale essere umano o animale, o insetto, può percepire per mezzo del sistema percettivo. Ma l'extra-cervello sembra funzionare al "livello" del nulla che è alla base. Per l'extra-cervello, operando con una similarità venti-decimale, non esiste la distanza, non esiste il tempo, non esiste l'universo... nell'assenza di tempo in cui l'extra-cervello si manifesta. È accertato (disse Gosseyn) che l'universo non può in alcun modo esistere. Non c'è nessuna spiegazione per l'universo. Semplicemente, non può essere. Eppure, c'è, intorno a noi, attraverso noi, e si estende... dicono gli scienziati... per una distanza enorme ma finita, in ogni direzione. Dovrebbe essere percettibile il punto in cui questa "distanza finita" "finisce". La definizione del "nulla" (disse Gosseyn) non si riferisce a una condizione di vuoto. Insomma, non significa uno spazio vuoto, grande o piccolo. Non consiste nemmeno in un punto, matematico o no. Il nulla è... il niente.
È l'inesistenza, il non essere, senza tempo né spazio... niente. Si è stimato (continuò Gosseyn) che esistano tremila lingue parlate solo sulla Terra. All'interno di tutte le teste visibili — osservabili al livello della coscienza, dove opera la percezione — c'è una struttura nervosa fatta in modo tale che ciascun individuo potrebbe, se fosse educato, esprimere tutte le possibili sfumature descrittive e filosofiche, disponibili per la propria lingua. Una normale azione di similarizzazione di Gosseyn si limita a spostare un individuo da un posto ad un altro. Una simile trasmissione venti-decimale normalmente lo prende e lo sposta così com'è. Non avviene nessuna trasformazione strutturale interna. Comunque, l'astronave Dzan, e tutto il suo personale, non erano stati semplicemente spostati da un posto, memorizzato dall'extra- cervello di Gosseyn, ad un altro posto memorizzato. Erano arrivati direttamente da Gosseyn, come se lui fosse il posto dove arrivare. E il motivo per cui non c'era stata collisione tra l'enorme nave e la piccola capsula (che conteneva il corpo di Gosseyn) era che la grande
astronave aveva barriere e schermi d'energia automatici che le impedivano di colpire oggetti nello spazio. Cionondimeno, il processo fondamentale di similarizzazione non era stato cancellato. L'extra-cervello di Gosseyn, che operava all'interno del nulla nell'universo, era stato, naturalmente, la forza attivante, e perciò non aveva partecipato alla similarizzazione nervosa di una parte del resto del cervello di Gosseyn. Di conseguenza, il cervello di ogni Dzaniano che arrivava era stato trasformato ai vari livelli che erano i più strettamente connessi all'extra-cervello. Questi includevano tutte le strutture nervose attinenti alla lingua, perché ricevevano attivamente messaggi da Gosseyn Secondo. Ma i messaggi stessi erano stati immagazzinati in una parte diversa del cervello normale. ... Quindi i Dzaniani — e in seguito i Troog — avevano subito un'alterazione istantanea delle strutture nervose del linguaggio. La struttura nervosa originaria della lingua Dzaniana — e Troogana — si era trasformata nell'equivalente inglese. Ad una velocità venti-decimale: istantaneamente... Non erano state coinvolte né la possibilità, né la cultura, né le informazioni.
La lingua inglese di Gilbert Gosseyn Terzo... era! E ora (Gosseyn concluse la conferenza) ci sono domande?» ...Enro alzò subito la mano, e sua sorella tradusse le sue parole. «Ho osservato che le donne hanno una mente ancora più raffinata di quella degli uomini; e in riferimento a ciò ho fornito alla madre dell'Imperatore materiale visivo che le mostrerà i miei palazzi di Gorgzid...» Arrivò il lontano pensiero di Gosseyn Secondo.
«Penso che dovresti scoprire in che cosa consistono questi materiali visivi, oltre che in immagini dei palazzi...» «Forse un altro distorsore?», replicò Gosseyn Terzo. «Come minimo», disse il suo alter ego. «In queste circostanze», disse Gosseyn Terzo, «credo...» Dopo una pausa, e un attento sforzo di concentrazione in modo che non vi fossero errori, egli venti-decimalizzò Enro nella capsula nella quale i Troog avevano portato il corpo di Gosseyn Terzo, dopo un certo numero di esperimenti preliminari.
Sarebbe stato un problema interessante da considerare per Enro; così sembrava a Gosseyn Terzo; e non ci fu alcuna obiezione dallo spazio remoto...
28. Di nuovo sulla Terra del XXVI Secolo; tutti gli esseri umani, tranne Enro... Gosseyn, che aveva fatto la trasmissione venti-decimale di ciascuno, fu l'ultimo ad arrivare. Quando si riprese dalla posizione d'arrivo, vide che gli altri lo stavano aspettando: le donne erano già sedute sulle sedie e sul divano, e gli uomini erano in piedi. Avevano tutti ricevuto istruzione di lasciare rapidamente il luogo d'arrivo, e l'avevano ovviamente fatto. Si accorse che il Presidente Blayney era al telefono, e in quel momento diceva: «... E venite subito!». Quando Blayney posò il ricevitore qualche istante dopo, vide Gosseyn. «È mezzogiorno e un quarto», disse. «Manco da tre giorni.» Quindi aggiunse: «I miei agenti del Servizio di Sicurezza saranno qui tra pochi minuti». Gosseyn replicò: «È un'informazione interessante, Signore».
Si chiese quanti giorni fossero passati dall'arrivo suo e di Enin. Ma non era importante. In silenzio e rapidamente, andò a dare un'occhiata alla camera da letto che aveva diviso con il giovane Imperatore. Era vuota, ma il letto era sfatto. Qualche istante dopo vide che anche l'altra camera da letto era vuota. In fretta, si avvicinò alla porta d'ingresso e l'aprì. Rivoltosi a Eldred Crang, che era accanto a sua moglie — l'ex Patricia Hardie era seduta sulla sedia più vicina alla porta — Gosseyn disse: «Vado all'ingresso principale a parlare con il custode. Torno subito». Crang parve comprendere la sua preoccupazione. «Credo che vada tutto bene», disse. «Non ci sono segni di violenza qui intorno. Penso che fondamentalmente ce l'abbiano con te.» Gosseyn rispose: «Grazie». E uscì nell'ampio corridoio di quel guscio vuoto che era stato l'Istituto di Semantica Generale. Un minuto più tardi, dopo aver bussato più volte il campanello della porta del custode, quella faccia rugosa e
quegli occhi infidi lo fissarono, e mostrarono di comprendere la domanda. «Sono andati a mangiare.» La faccia del custode si contorse. «Quel vostro amico deve aver portato una donna qui, perché è con lei che sono usciti lui e il bambino.» Quindi finì in tono di disapprovazione: «Veste in maniera strana quella donna, se proprio volete saperlo». Gosseyn, ricordando la giovane Strella del Club Matrimoniale Interstellare e il suo abito drappeggiato, ma già sollevato alla notizia, disse: «Probabilmente è una nuova moda». Poi lo avvertì: «Farete bene ad organizzarvi. La Guardia Personale del Presidente sarà qui tra breve». «Oh!» Durante i secondi che occorsero al custode per assorbire lo shock, gli occhi di Gosseyn si spostarono lievemente, e localizzarono un punto del pavimento, a circa tre metri dall'angolo più vicino. Fece una fotografia mentale extra-cerebrale del pavimento all'interno della nicchia, senza prestare attenzione alla stanza che era oltre, ma vagamente, cosciente che doveva essere con tutta probabilità il soggiorno dell'appartamento
del custode. Poi disse educatamente: «Grazie». Uscì e la porta si chiuse con uno scatto. Gosseyn, si girò e si avviò, per il caso che fosse spiato dal buco della serratura. Contò fino a trenta dato che sarebbe occorso più o meno un minuto al vecchio per raggiungere il telefono. Fece una fotografia mentale del pavimento del corridoio in quel punto, poi fece il suo balzo venti-decimale nella nicchia. Quando riprese coscienza, sentì la voce del custode dire: «Dite a Mr. Gorrold che... quel tipo, Gosseyn, è tornato». Sembrò restare in ascolto di una risposta perché, dopo qualche momento, la sua voce assentì: «Bene, bene». A quel punto, Gosseyn ritornò con un balzo nel corridoio, e si avviò verso il suo appartamento. Quando entrò, Blayney stava stringendo la mano agli uomini, e inchinandosi alle donne. Dava la schiena a Gosseyn quando disse: «Per tutto quello di cui avete bisogno, mi terrò in contatto con Mr. Gosseyn».
Quando finì di parlare, si voltò e vide Gosseyn: gli si avvicinò, e disse: «Potete raggiungermi in ogni momento. E suggerisco», qui il suo tono si fece improvvisamente severo, «di restare in contatto e sul chi vive, finché quella gente non esce da questa galassia». Gosseyn rispose: «Signore, Mr. Crang ed io vi accompagneremo all'ingresso principale». Fuori, nel corridoio, fece il suo solo commento all'ammonizione di Blayney. «Sono sicuro che in questo momento nessuno può garantire come andrà a finire tutta questa faccenda. Ma ognuno è preoccupato soprattutto, e con determinazione assoluta, della propria situazione personale.» Detto questo, mentre camminava, pose una domanda alla quale Gosseyn Secondo, lì fuori sull'astronave Dzan, voleva una risposta. Blayney era divertito. «Abbiamo raccolto e conservato tutte le gemme e i metalli preziosi», disse. «Abbiamo lasciato solo questo pavimento sconnesso e le pareti disadorne.»
«Spero ancora che possa essere ricostruito; e sebbene io, personalmente, non abbia mai visto nessun oggetto di valore, deduco da quello che avete detto che sono stati conservati; non sono mai stati venduti ad un'asta, o a collezionisti individuali», disse Gosseyn. «Sono in un edificio sicuro del Governo.» Gosseyn continuò: «Mio fratello, lì fuori nello spazio, vorrebbe riaverli a disposizione. Pensa che dovrebbero ritornare al loro proprietario legale: l'Istituto ricostruito». La faccia forte di Blayney sì rilassò in un debole sorriso. «È una questione molto complicata», disse. «Penserò a che cosa è meglio, dal mio punta di vista.» Quando un minuto dopo Crang aprì la porta principale, un roboplano stava atterrando a centocinquanta metri di distanza. Quando toccò la superficie, uno sportello si aprì, e una decina di uomini in uniforme balzarono a terra. Corsero verso la porta e presero posizione. Secondo un'abitudine secolare, ciascun uomo sbatté i calcagni, e alzò di scatto la mano in segno di saluto. Un sorridente Blayney fece un cenno di risposta; poi restò con Gosseyn e Crang per altri quattro minuti prima che
quattro limousine sfavillanti scendessero lungo la strada e attraversassero il cancello dell'Istituto. Altri uomini ne balzarono fuori. Evidentemente, l'ora era arrivata. Blayney si girò verso Gosseyn. «Volete che faccia venire da voi il Dr. Kair?» Con tanti spettatori presenti, Gosseyn diede una risposta formale. «No, Signor Presidente, sono sicuro che dovrei andare io nel suo ufficio. Lì, sempre che esistano, si troveranno le precedenti fotografie mentali, e l'attrezzatura per risolvere tutta la situazione.» «Molto bene. Ma non perdete tempo.» «Capisco, Signore. Non vogliamo altri incidenti, o tre giorni di assenza.» «Esattamente.» Qualche momento dopo, mentre guardava allontanarsi le belle auto, Gosseyn fu infastidito da un pensiero: tutto sembrava troppo facile. Tutta quella gente violenta, che era lì fuori, veniva tenuta ferma, per così dire, dall'equivalente di una trappola psicologica. C'era Enro, l'unico essere umano lasciato a
bordo della nave da guerra dei Troog perché, se fosse stato libero, avrebbe potuto lanciare la sua enorme flotta contro tutti. Di conseguenza, era apparentemente un prigioniero, ma in realtà era in contatto con il suo Ammiraglio che, se al prigioniero fosse stato fatto del male, l'avrebbe saputo istantaneamente. Si presumeva che, in un caso simile, la grande flotta spaziale avrebbe immediatamente attaccato e distrutto il vascello alieno. Perciò i Troog, che erano in rapporto di uno a mille con gli uomini di Enro, si sarebbero astenuti — così si credeva — dal fargli del male; in effetti, quello era il patto. Lì sulla Terra, sembrava che lui e gli altri avessero l'appoggio del Presidente Blayney e dei suoi uomini. Era difficile credere che i grandi Uomini d'affari, contrari alla ricostruzione dell'Istituto e della Macchina dei Giochi, avrebbero agito in maniera violenta durante le successive due ore. «...Allora posso andare a trovare il Dr. Kair...» A questo Yona aveva acconsentito; e, dal momento che nessun Troog aveva obiettato abbastanza da tentare un'autonomina al comando, evidentemente tutta la gerarchia dei Troog era d'accordo che qualcosa doveva essere fatta.
Naturalmente, lì sulla Terra c'erano Breemeg e il trio di scienziati dell'astronave Dzan, ciascuno concentrato sui propri problemi personali, ma costretto ad aspettare. Mentre con Crang tornava verso l'appartamento, Gosseyn riferì all'investigatore venusiano le parole che aveva sentito dire al telefono dal custode e qualcuno che lavorava nell'ufficio di Gorrold. Concluse tristemente. «Mi sembra proprio che quando Gorrold ci ha pensato — come ha detto che avrebbe fatto — abbia infine deciso di interessarsi di nuovo alla faccenda.»
29. Durante i minuti trascorsi a camminare lungo il corridoio, Gosseyn era stato cosciente del suo alter ego... lì fuori, nello spazio remoto, a bordo dell'astronave Dzan. E, a causa di quello che stava accadendo, si rivolse all'altro Gosseyn:
«Finora non ho ucciso nessuno.» «Sei stato fortunato!», fu la risposta. «Non hai dovuto respingere l'attacco di Enro a Venere.» Quando gli fu ricordato Enro, Gosseyn Terzo commentò:
«E'
lassù ora, sulla nave da guerra dei Troog». La risposta aveva una sfumatura sarcastica.
«Ho la sensazione che quando Enro ti parlava della sua comprensione della Semantica Generale, a proposito del fatto di tener conto di tutte le possibilità, lui credeva di saperlo fare meglio di chiunque. Ma deduco che avesse dimenticato la tua abilità. Una bella liberazione!» La lontana comunicazione concluse: «Ricorda che, come stanno le cose, la madre dell'Imperatore è tutta tua: non hai più rivali ormai». «È interessante il fatto», disse Gosseyn Terzo, «che non ha detto una parola quando ha scoperto di dover restare in ostaggio.» La risposta fu l'equivalente di una stretta nelle spalle.
«Non me ne potrebbe importare di meno. E, mentre sono ancora sull'astronave, vedrò se riesco a impossessarmi di quei materiali visivi che Enro ha dato alla tua futura sposa.» Era ovviamente una buona intenzione. Il materiale doveva essere esaminato molto attentamente. Ma Gosseyn Terzo stava ricordando qualcos'altro.
«Dubito», disse, «che possiamo liberarci di Enro così facilmente. Ricorda che tu e gli altri vi siete serviti delle
sue capacità extrasensoriali, quando avete tentato il grande salto. Avremo bisogno di nuovo di lui per questo.» «Ce ne preoccuperemo dopo», fu la risposta. «Percome la vedo io, è vantaggioso per Enro partecipare. Possiamo essere sicuri che continuerà a tremare.» Gosseyn Terzo, che si era fermato a fare una fotografia extracerebrale dell'attacco elettrico, e poi si era affrettato per raggiungere Crang, disse mentalmente a Gosseyn Secondo:
«Sei sicuro che sia prudente il modo in cui ci siamo liberati di lui? È un tipo astuto, e immagino che aspetti il momento giusto per colpire qualcuno. Dobbiamo escogitare un modo di addolcirlo». Avvertì un sorriso cattivo da parte dell'altro Gosseyn. Il messaggio era: «Dì a Eldred di stare in guardia quando
Enro verrà liberato. Sono sicuro che Enro stia ancora progettando di far sposare nella tradizione reale di Gorgzid la sorella, che noi conoscevamo sotto il nome di Patricia Hardie, e che ora è Mrs. Crang». Fu il turno di Gosseyn Terzo di sorridere.
«Quest'analisi sottintende che tu speri che le cose qui
funzioneranno. Pensi che sarò in grado di fare quello che tutti sperano?» La risposta fu franca. «Tutti noi confidiamo che la soluzione sia sepolta in qualcuna delle terminazioni nervose danneggiate del tuo extracervello. Speriamo che il Dr. Kair possa usare gli schemi in suo possesso del mio cervello, in modo da aggiustare i tuoi. O, almeno, che possa dirti quale sia precisamente il problema. Affronteremo le conseguenze quando ci arriveremo.» A quel punto del suo silenzioso dialogo con Gosseyn Secondo, ci fu un'interruzione. Accanto a lui, Crang disse: «Un tipo, appena ci ha visti, si è nascosto». Gosseyn sospirò. «Peccato. Sembra proprio che stia arrivando una crisi, e che il tipo sia prezzolato da qualcuno.» Crang disse cupamente: «E per giunta, un uomo, una donna, e un bambino, sono appena usciti da una costruzione che si trova due porte dopo l'edificio a due piani, e stanno venendo da questa parte». Gosseyn non aggiunse nessun commento, né lanciò alcuno
sguardo nella direzione indicata. La sua attenzione era puntata sul tetto della struttura a due piani, dove un uomo era accucciato dietro il muretto che si affacciava sulla strada; chiunque egli fosse, scrutava su e giù, lungo la strada. Poiché teneva la testa in vista, presumeva evidentemente che nessuno avrebbe sospettato di lui; e naturalmente, visto che era ancora possibile che le sue azioni sospette non presagissero nulla in realtà, non si poteva fare niente contro di lui, finché non avesse fatto una mossa significativa. Accanto a Gosseyn, Crang disse: «Forse ti può interessare sapere che il nome del ristorante rappresenta l'idea che ha il proprietario della Semantica Generale. Parole semplici; pane al pane e vino al vino». Era uno di quei commenti che le persone fanno nei momenti di tensione. Quindi non fu un problema stare in guardia, e simultaneamente rispondere: «Casa per mangiare?». Gosseyn disse il nome con un lieve sorriso, ma nemmeno per un istante cessò di guardare l'uomo sul tetto. «Era il proprietario», continuò la voce di Crang dal suo fianco, «dell'unico ristorante vicino al famoso Istituto di Semantica Generale. Aveva a che fare con il significato del
significato: perciò ci ha pensato e ripensato, ed è venuto fuori con un'altra semplificazione.» Avevano attraversato il parco mentre quelle parole venivano pronunciate, e stavano arrivando ad un negozio con l'insegna: COMPRA QUI I SOUVENIR SEMANTICI. Più avanti lungo la strada, Enin li aveva visti, perché fece un cenno con la mano. Gosseyn disse: «Pensavo che il cibo qui fosse buono». Sul tetto apparve la mano dell'uomo. La mano stringeva un oggetto metallico e rotondo, Alzò la sfera al di sopra della testa. Gosseyn fece una fotografia extra-cerebrale dell'oggetto di metallo e, nel farlo, pensò:
«Progetta di gettarlo quando saremo vicini». Ma non poteva prendere nessuna contromisura finché l'atto di lanciare non avesse avuto luogo. «E qui», disse Crang al suo fianco, «c'è un negozio che offre videogames che insegnano la Semantica Generale.» «Mi chiedevo che cosa ne fosse accaduto. Dovremmo comprare tutti quelli disponibili per portarli sull'astronave Dzan per Enin, e ogni altro videogame educativo che possiamo trovare, perché...», rispose Gosseyn.
... Sul tetto, la mano si muoveva in avanti nell'atto di lanciare: non si poteva più aspettare. Mentre agiva, la sensazione di rimorso provata da Gosseyn fu forte. Perché l'elettricità in movimento era fin troppo visibile. Quel movimento particolare proveniva dalla presa di corrente che si trovava a una cinquantina di metri, sotto forma di un fulmine; e non c'era modo di modificare il suo impatto. I particolari di quello che accadde non furono chiari nemmeno a Gosseyn, sebbene egli ne fosse l'unico testimone e guardasse da vicino. La sfera di metallo — mentre lui osservava la scena — era già in movimento quando il fulmine la colpì. La sfera esplose a non più di un metro e mezzo dalla mano che l'aveva lanciata dal tetto; ma era evidentemente troppo vicina. L'uomo urlò, cadde, e scomparve alla vista. Fu uno di quei brevi intervalli di tempo in cui accadono parecchie cose quasi simultaneamente. Enin arrivò correndo, e afferrò Gosseyn per la vita, strillando: «Ehi, come sono felice di vederti». Dan Lyttle teneva gli occhi alzati sul tetto dell'edificio a due piani. «Che cosa è successo?», chiese in tono sorpreso. Anche la ragazza, Strella, parlò a Gosseyn.
«Grazie per avermi inviato qui.» Strinse il braccio di Dan Lyttle in modo possessivo. «Funzionerà bene.» Crang sperò che l'ambulanza arrivasse presto. Tra le altre fuggevoli percezioni, aveva già notato che era un gigantesco negozio di abiti e scarpe da uomo. Poi vide l'insegna che era accanto all'entrata: KORZYBSKI: ABITI E CALZATURE DA UOMO ... Presumibilmente, raffigurava semanticamente vestiti, scarpe, camicie, cravatte, pigiami, calzini, pantofole, e biancheria... Era tutto un po' ridicolo. Ma si adattava, ahimé, alla natura della vita umana ovunque essa fosse. A bordo dell'astronave Dzan c'era in preparazione una ribellione contro un Imperatore bambino, che dava per scontato di doversi comportare come il padre; in un'età nella quale non pensava assolutamente alla possibilità che il padre fosse stato ucciso proprio a causa del comportamento che ora il figlio imitava... A bordo dell'astronave Troog, c'era quella situazione di tensione, nella quale i Capi si autonomina vano... E, qui sulla Terra, due diversi aspetti: da una parte, i Grandi Uomini d'Affari che reagivano offesi contro una
filosofia che aveva alzato i costi privandoli del lavoro malpagato; e, dall'altra parte, individui come i commercianti di quella strada, che cercavano di sfruttare i vari aspetti commerciali della Semantica. Erano coinvolti problemi della vita, c c'era più di una soluzione. Tra queste ultime c'era sicuramente: sta' attento in ogni momento! Una di quelle percezioni arrivò in quel preciso istante. Il lontano Gosseyn Secondo disse:
«Ho appena ispezionato il reparto cinematografico dell'astronave. Gli addetti avevano naturalmente ricevuto il materiale visivo di Enro dalla mia futura cognata, perché — ovviamente — lei non si occupa con le sue mani di cose simili. E, come sospettavamo, c'era un minuscolo distorsore nel doppio fondo del contenitore; me ne sono liberato. Le cose cominciano a mettersi a punto». Ed era proprio vero.
30. Nell'appartamento dell'Istituto tutto era come al solito.
Crang telefonò al Dr. Kair, lo trovò in casa e disposto a cancellare tutti gli altri appuntamenti immediatamente... «Venite subito!» Si accordarono in seguito, che Prescott e Crang sarebbero andati con lui. Mentre aspettavano l'arrivo di un'auto inviata dall'ufficio del Presidente Blayney, Gosseyn si accorse che Dan Lyttle gli faceva cenno di avvicinarsi. I due uomini andarono nella camera da letto principale e Lyttle chiuse la porta. La faccia magra di Lyttle sorrideva imbarazzata, quando disse: «Ho pensato che dovevo dirtelo. Di quella donna, Strella...». Il suo racconto fu, in un certo senso stupefacente. Durante tutti quegli anni, Dan Lyttle aveva esitato a far diventare una ragazza terrestre la moglie di un portiere d'albergo che lavorava nel turno di notte. Ma quando aveva valutato la situazione difficile di Strella, si era accorto improvvisamente che c'erano altre possibilità. Perché — osservò Lyttle — la ragazza di Meerd era in trappola. Parlando solo in inglese, non poteva più vivere nella società dei suoi ex amici, sul suo pianeta d'origine. Nessuno l'avrebbe capita. Era anche possibile che sarebbe stata considerata mentalmente squilibrata.
Visto che era una straniera sulla Terra senza nessuna possibilità di tornare — a meno che non lo richiedesse specificamente — avrebbe automaticamente sopportato di essere una moglie solo di giorno. Era possibile che, col passare del tempo, lei avrebbe lentamente capito che il suo era un matrimonio speciale. «Sarà cosi», concluse Dan, «a meno che non trovo un lavoro di mattina, cosa che ora devo prendere in considerazione. Ma occorrerà un po' di tempo.» ... Mentre ascoltava questo discorso, Gosseyn Terzo condusse una delle sue conversazioni silenziose con Gosseyn Secondo.
«A quanto pare», analizzò, «la gente si aspetta ancora automaticamente che i poveri sopportino automaticamente condizioni di vita più gravose dei ricchi...» Il lontano alter ego era calmo.
«Mio caro e idealistico fratello, non verrà mai — speriamo — il tempo in cui tutti reagiranno allo stesso modo. Potrà arrivare il tempo in cui ci libereremo del comportamento criminale; ma gli esseri umani probabilmente continueranno ad avere differenti esperienze di vita,
basate sui luoghi diversi di nascita. E tenderanno a scegliere amici e lavoro congeniali alle decine di migliaia di piccoli ricordi personali; ricordi che la Semantica Generale non ha intenzione di eliminare, anche se, in un'epoca futura, la scienza potrà cancellare la memoria.» Il lontano Gosseyn Secondo concluse:
«Non appena ti sarai occupato di gente come Gorrold, e avrai scoperto perché quell'impresa "Gung-ho" che ha chiamato il primo giorno non è venuta a fare un preventivo per la ricostruzione dell'Istituto, ti suggerisco di nominare Dan responsabile della ricostruzione dell'Istituto e, naturalmente, della Macchina dei Giochi. Tu non vuoi occuparti di questi dettagli; ma lui ora può essere motivato ad accettare un lavoro mattutino». «Credo», replicò mentalmente Gosseyn Terzo, «che il proprietario di un albergo locale dovrà ben presto cercarsi un nuovo portiere di notte.» Concluse sorridendo la sua comunicazione: «Ci vediamo presto, credo, dopo che il Dr. Kair mi avrà visitato». La risposta arrivò accompagnata da presentimenti.
«Immagino che finalmente stia per accadere. Tu ed io ci incontreremo faccia a faccia...»
Gosseyn Terzo replicò.
«Devo andarmene tra pochi minuti.» ... Quando si sedette sul sedile posteriore della limousine insieme a Crang e a Prescott, Gosseyn Terzo affrontò silenziosamente la realtà di ciò che stava per accadere.
«... Farò tutto quello che ci si aspetta da me?...» Era decisamente una domanda fondamentale. Ma, secondo la Semantica Generale, c'era una considerazione ancora più fondamentale. Se riandava con il ricordo al suo comportamento, gli sembrava che, in qualche modo, si era sentito automaticamente impegnato ad aiutare i Dzan e i Troog a ritornare alla loro galassia d'origine. Ma perché? Sembrava una domanda ragionevole. Con le loro strumentazioni, e le loro grandi astronavi, probabilmente sarebbero stati ottimi colonizzatori di un certo numero di pianeti. E i colonizzatori sentono di rado il bisogno di tornare nei loro paesi d'origine. Le persone che avevano colonizzato il Nord America nei tempi antichi, per lo più non erano mai tornati, individualmente, in Europa. Alcuni dei loro discendenti avevano ogni tanto desiderato visitare la terra da cui erano venuti i loro antenati. Ma la loro era solo curiosità da turista, senza forti sentimenti, e certamente
senza nostalgia.
«... Se restassero, io me la potrei prendere con più calma, e smettere di essere un bersaglio per lanciatori di bombe...» Forse avrebbe potuto trasferirsi nel centro del Nord America, comprare una piccola fattoria, e andarvi a vivere con Enin e la Regina Madre Strala? Gosseyn si sorprese a sorridere, quando immaginò quell'improbabile finale della storia in cui era coinvolto. Non era facile da capire che Gosseyn Primo fosse arrivato la prima volta nella Città della Macchina dei Giochi con la convinzione, immessa ipnoticamente, di essere un agricoltore che viveva alla periferia di una cittadina chiamata Crest City, e di essere sposato con Patricia Hardie. Che confusione c'era stata, per qualche tempo. La catena di pensieri lo portò ad un'altra comunicazione con il suo alter ego. «Aspetta che Enin ritorni. È l'unica
cosa che ha in mente. Penso che sia ancora innamorata di te.» All'improvviso non ci fu più tempo per considerare la notizia. La bella auto si stava fermando accanto al marciapiede davanti ad una grande villetta bianca,
dall'aspetto familiare. ... Il Dr. Lester Kair si allontanò dall'apparecchio, si avvicinò ad una sedia e si sedette. I suoi occhi grigi e penetranti erano spalancati, e sembravano fissare la parete opposta. Cadde il silenzio, ma tutti loro lo guardavano con aria d'attesa. Benché irradiasse una particolare eccitazione interna, sembrava immutato da come lo ricordava la memoria collettiva dei Gosseyn: un corpo lungo, dalla struttura robusta, la faccia ancora liscia, l'impressione generale di un uomo intelligente, sulla cinquantina. Improvvisamente il suo volto diede segno di ricordarsi della presenza degli altri. Allora deglutì, e parlò. «Quel complesso di nervi danneggiati sembra sia stato disinserito solo in parte, perciò ha ricevuto un minimo sostentamento dalla fonte di energia alla quale, naturalmente, avrebbe dovuto essere saldamente attaccato. Il risultato di questa connessione parziale è fantastico.» «Che cosa intendete dire? «Eldred Crang sembrava perplesso. «Una terminazione nervosa danneggiata, come la vedo io, è solo una minuscola estensione grigia; che solo un esperto sarebbe in grado di definire anormale; ma la parola "fantastico" è troppo drammatica.»
Dopo una lunga pausa, l'uomo alto con il camice bianco così comune nei laboratori, si alzò. «Signori», disse, «rifiuto di scusarmi per la mia reazione. Pensavo di aver imparato ad accettare filosoficamente l'extracervello di Gosseyn; ma quello che ho visto mi ha fatto capire che abbiamo qui una interconnessione nervosa con qualcosa di fondamentale nell'universo. E, in qualche modo, il gruppo di nervi danneggiato si trova in uno stato di sovraeccitazione.» Deglutì, e poi concluse il pensiero: «È come se ci fosse luce lì dentro. Se gli aprissimo la testa, ne uscirebbe una forte luminosità». Fece un cenno di invito a Crang. «Venite a dare un'occhiata.» Gosseyn era ancora saldamente legato alla sedia speciale; e la testa era avvolta dalla macchina, quando Crang si avvicinò e scomparve dalla sua visuale. Ipotizzò che l'investigatore venusiano stesse guardando nel mirino della macchina. Silenzio. Poi si sentì un rumore, e si avvertì la sensazione come di qualcuno che indietreggiasse con cautela. Da un angolo, il Dr. Kair disse:
«Mr. Prescott, volete dare anche voi un'occhiata?». La risposta di Prescott fu nel suo tono più gentile. «Non ho nozioni mediche; perciò credo che basti uno di noi come testimone alla vostra affermazione.» Crang rientrò nella visuale di Gosseyn. «Beh, Dottore», disse, «come dobbiamo occuparci di questa situazione?» Lo psichiatra, che al loro arrivo era stato messo al corrente di tutto, disse: «Penso che dovremmo far venire qui le altre persone speciali, e poi Gosseyn Secondo». Mentre Crang telefonava a Leej, e Prescott usciva per mandare la limousine a prenderla, Gosseyn disse al Dr. Kair: «Deduco che per persone speciali voi intendiate le persone che hanno partecipato al tentativo collettivo di raggiungere l'altra galassia. Di conseguenza, dovrei portare qui Enro». «Sì.» Poiché si erano accordati su quel punto con Yona, il Capo dei Troog, Gosseyn fece una fotografia extra-cerebrale di una zona del pavimento, in un angolo dello studio del
medico, e operò il trasferimento. Dopo qualche istante, una figura enorme era stesa in quel punto. Enro il Rosso si alzò, si guardò intorno, e non disse niente; ma fu subito messo al corrente di che cosa stava per accadere. «Manderete quei Troog a casa?» Nonostante la precedente discussione con se stesso, Gosseyn Terzo disse: «Sono sicuro che converrete sia la soluzione migliore: portarli fuori dalla galassia della Via Lattea non appena è possibile». «È vero. Allora cosa facciamo adesso?» Gosseyn gli disse dell'incontro che avrebbe avuto luogo tra i due corpi di Gosseyn, come fase preliminare al finale. La faccia del Signore della Guerra si accigliò. «Siete sicuri che non salterà tutto per aria?» Gosseyn Terzo replicò: «Siamo già diversi, sotto molti aspetti». «Ma siete ancora collegati mentalmente?» «Sì. Attraverso il pensiero. Ma credo che se esistesse la telepatia tra gli individui normali dell'universo, questa dipenderebbe unicamente da una parte scientificamente similarizzata del cervello che l'individuo potrebbe attivare volontariamente.» L'uomo robusto si strinse nelle spalle. «Penso che preferirò stare nella stanza accanto.»
Gosseyn notò con interesse che anche gli altri si erano ritirati nell'altra stanza. Quando se ne furono andati, Gosseyn Terzo non perse tempo, ma si rivolse immediatamente a Gosseyn Secondo:
«Beh, alter ego, a quanto pare, è arrivato il nostro grande momento». «Sì, è arrivato», fu la risposta. «Hai bisogno di aiuto?» «No, penso di avere registrato nel cervello il punto esatto in cui Enro è arrivato. Sta' fermo! Mantieni neutrali i tuoi pensieri!» Stare fermo significava annullare momentaneamente il suo extra-cervello. Qualche istante dopo era ancora concentrato su quest'operazione, quando sentì un lieve rumore. Gosseyn Terzo, che aveva gli occhi chiusi, si accorse che la porta si apriva: poi arrivò Leej dalla soglia della porta. «Va tutto bene», disse. «Non vedo nessun problema durante i prossimi quindici minuti almeno.» Gosseyn aprì gli occhi, e vide che l'uomo che era arrivato gli mostrava la schiena. Era vestito completamente e, quando si girò lentamente, mostrò un volto magro e
abbronzato, il corpo forte di un uomo sulla trentina. Vide se stesso vestito in un altro modo. Il Dr. Kair entrò, e senza una parola, liberò Gosseyn Terzo dalle cinghie della sedia. Questi restò seduto, con l'idea che anche una posizione diversa poteva avere un certo valore. E così erano insieme: si guardavano l'un l'altro; uno in piedi, l'altro seduto. Due esseri umani, duplicati. Gemelli? No. Tra i gemelli, naturalmente, esisteva una certa similarità. Ma la diversità cominciava immediatamente dopo il concepimento; e la verità delle esperienze dopo la nascita, creava rapidamente innumerevoli differenze, sulle prime, solo ad un livello insignificante, ma poi i due gemelli avevano alla fine solo un aspetto somigliante, con le personalità distinte. Le similarità tra Gilbert Gosseyn Secondo e Gilbert Gosseyn Terzo, mentre si guardavano l'un l'altro nello studio del Dr. Lester Kair, includevano un'intera serie di flussi di energia interreagenti. Da cervello a cervello, da corpo a corpo. Non erano gemelli nel senso normale del termine. Erano la stessa persona sotto diecimila aspetti.
Gosseyn Terzo si accorse che inconsciamente resisteva ad un flusso che tendeva a trascinarlo dalla sedia, verso l'altro corpo. Gosseyn Secondo sembrava fare una lotta simile; e, in realtà, fece parecchi passi verso Terzo, prima di costringersi d'improvviso, a fermarsi. Un lieve sorriso illuminò i tratti forti e regolari del suo volto. Aveva l'aspetto di un uomo con il pieno controllo di sé, quando disse: «Sembra che andrà tutto bene, e che potremmo collaborare da vicino, o in un altro modo». Gosseyn si accorse di avvertire un forte impulso ad alzarsi, e che sulla sua faccia c'era lo stesso lieve sorriso. Si chiese se Secondo stesse lottando contro l'impulso di sedersi. E, sebbene non l'avesse detto a voce alta, l'altro disse: «Sì, resisto all'impulso; e deduco che se, per qualche ragione, dovessimo restare insieme per un lungo periodo di tempo, dovremmo escogitare un sistema». Fu un lungo discorso, e Gosseyn Terzo si rassegnò a! fatto che, sebbene dalla sua bocca non uscisse un suono, le labbra si muovevano e dicevano le stesse parole, ma sottovoce. Pensò: «... È veramente un caso di memorie duplicate...».
... Lo stesso pensiero, la stessa sensazione riguardo a quel pensiero, la stessa esperienza. Il ricorso completo di aver camminato lungo una strada, o sulla superficie di pianeta... la sensazione muscolare ricordata da entrambe le menti... esattamente. Poteva anche essere che, durante tutti gli anni in cui le immagini mentali di Gosseyn Primo e Gosseyn Secondo venivano registrate nel cervello addormentato di Gosseyn Terzo, tutte le reazioni nervose e i meccanismi muscolari avessero operato all'unisono, in modo limitato; forse sotto forma di contrazioni. Perciò era accaduto che, in quel lungo momento in cui gli occhi del terzo Gosseyn avevano ammiccato e si erano aperti, l'impressione di essere il secondo Gosseyn era stata quella di un dormiente che si sveglia la mattina dopo, con la coscienza di essere lui ad avere avuto tutte quelle esperienze, lui ad essersi svegliato dopo una notte di sonno ristoratore.
31. Su richiesta del Dr. Kair, Gosseyn prese di nuovo posto su quella sedia speciale, con tutte le strumentazioni attaccate. Questa volta non c'erano cinghie; egli acconsentì a
mantenere il corretto stato di immobilità nel momento cruciale. Si accorse che il mirino dell'apparecchio veniva diretto verso un lato della sua testa. Non si mosse, né diede segno di accorgersene, quando la bruna Leej gli passò accanto e si sistemò in modo da potersi chinare a guardare attraverso il mirino i nervi danneggiati che erano all'interno della sua testa. All'estrema destra di Gosseyn Terzo sedeva Enro su una sedia imbottita, e fissava la parete opposta. Presumibilmente, era pronto a contribuire con la sua speciale abilità di vedere a distanza. Gosseyn Secondo sedette dietro la scrivania del Dr. Kair. Il suo compito era quello di avere tutte le aree memorizzate da Gosseyn Terzo, attentamente catalogate nel suo extracervello, pronte a fare la loro parte. Fu Gosseyn Secondo a rompere il silenzio. Disse a voce bassa: «Quando tutto è tornato indietro, e abbiamo effettuato il rovesciamento per cui le astronavi Dzan sono state trasmesse qui da un'altra galassia, abbiamo fatto in questo modo: Leej ha predetto una dislocazione in quell'altra galassia. Di conseguenza, adesso, quando guarderà nel mirino, predirà di nuovo dove si trova la dislocazione, e che cosa è.
Enro», continuò Gosseyn nello stesso tono basso, «useremo la sua abilità speciale per percepire la dislocazione predetta da Leej. Quando l'avrà fatto, io opererò per mio fratello con il metodo più sicuro per lui». «Devo ammettere», concluse, «che non mi è chiaro che cosa accadrà in questa stanza nel momento in cui Enro percepirà l'area predetta da Leej in quell'altra galassia.» Quando Gosseyn Secondo ebbe completato questo riassunto, Enro alzò una delle sue forti mani, e mosse le dita per richiamare l'attenzione. «Forse dovrei riferire», disse, «che cosa accade quando ho le mie percezioni a distanza: mi pare di vedere i luoghi su uno schermo di fronte a me, oppure, se si tratta di una persona, la vedo in piedi sul pavimento. Fino al momento chiave avevo sempre pensato che questo metodo non fosse altro che un'illusione, qualcosa che accadeva solo all'interno della mia testa. Ma se c'è un elemento di realtà, in questa circostanza veramente unica, allora suggerisco che nessuno cammini tra me, il pavimento e la zona della parete che sto guardando.» Gosseyn Terzo si accorse che quella spiegazione fatta all'ultimo momento gli provocava una sensazione di sollievo; come se qualcosa che era solo vaga e mancava di realtà concreta, fosse stata improvvisamente messa a fuoco.
... Era interessante notare che il terribile Enro, di solito poco comunicativo, fosse stato spinto dalla tensione crescente a rivelare un aspetto, fino a quel momento insospettato della sua abilità speciale. Ritornò la voce di Gosseyn Secondo. «Altri commenti, o informazioni?», chiese. Silenzio. «Allora», disse Gosseyn Secondo, «Leej, fa' del tuo meglio.» Silenzio. Poi un debole sibilo. E una luminosità. Era sul pavimento, accanto alla parete che Enro fissava. Mentre Gosseyn Terzo continuava a restare immobile, vide che l'area luminosa non era né perfettamente ovale, né perfettamente rotonda, o quadrata; ma un miscuglio delle tre forme. Il suo extra-cervello reagì ad essa; e la sua valutazione immediata fu: qualcosa... connessa... quella forma irregolare, lunga un metro e mezzo, con uno spazio equivalente e un obiettivo aldilà della distanza immensa che separava le due galassie. Connessa in una maniera che mancava, a livello infinitesimale, di similarità. La voce di Gosseyn Secondo si intromise in quei pensieri.
«Terzo tocca a te.» Si era chinato in avanti e aveva parlato in un microfono. Le sue parole furono: «E, Yona dei Troog: fa' la tua parte!». ... Era disteso supino, al buio. Nonostante sapesse che questa volta era arrivato di proposito, e che, con l'aiuto dei Troog, era arrivato nella posizione corretta, Gosseyn si accorse di una lieve reazione talamica. Dopo essersi ripreso dall'ansia momentanea, fece gli stessi controlli che, al primo risveglio... erano stati così sorprendenti, e al secondo risveglio, quando la capsula era a bordo dell'astronave dei Troog, l'avevano lasciato perplesso. Questa volta il suo scopo era assicurarsi di essere, in effetti, all'interno della capsula. Sembrava così. Perché, quando alzò le mani, sentì l'atteso soffitto duro, d'acciaio, a circa trenta centimetri; e gli bastava di essere disteso sullo stesso tipo di materiale imbottito che ricordava. C'erano parecchie differenze, naturalmente, tra quelle altre occasioni e quella attuale: questa volta era vestito, invece che nudo; e questa volta niente era collegato al suo corpo. Non c'erano morbidi fili attaccati alla sua testa, e nessun tubo di gomma infilato nel suo corpo. Una volta verificate le proprie condizioni il meglio possibile,
si concesse un altro flusso di pensieri; se lo concesse, perché i pensieri estranei dovevano essere eliminati, e non intromettersi nel momento cruciale. ... In quella capsula c'era l'uomo che poteva fare il salto per tutti loro. Lì, nella testa di Gilbert Gosseyn Terzo, c'era l'abilità decisiva che, si sperava, avrebbe risolto un enigma antico due milioni d'anni. Aldilà di uno spazio infinito, degli esseri umani erano fuggiti da una galassia condannata. Ma, a causa della natura della condanna, essi avevano progettato di tornare se avessero scoperto come rovesciare quella condanna: un punto qui e uno lì. Un'indovina e un extra-cervello, una persona che "vedeva" luoghi lontani; un sistema logico che li tratteneva dal distruggersi gli uni con gli altri. Forse c'erano gruppi simili sparsi su migliaia di pianeti, che inconsciamente cercavano di riunirsi; e poi, quando ciascuno aveva adempiuto alla propria funzione, l'insieme diventava un'unità capace di agire. Gosseyn Terzo pensò: La realtà fondamentale era che il nulla doveva riaffermarsi. La materia e la massa non avevano nessun «diritto» di esistere, ma erano tenuti insieme, e continuavano ad esserlo, dalla coscienza. La Mente dominava la Materia. La ragione per cui loro dovevano tornare nella seconda
galassia era che il niente vi si stava riaffermando a causa di un'idea esternamente sbagliata: l'incredibile sistema gerarchico dei Troog. A casa del quale nessuno aveva mai pensato di finire la guerra: quindi i Troog attaccavano costantemente, e gli esseri umani costantemente si difendevano. ... Da due milioni di anni! Yona, al proprio ritorno, avrebbe affermato la propria supremazia, dichiarando la fine della guerra. E l'usurpazione del nulla sarebbe stata rovesciata. Sarebbe occorso del tempo; ma quello era l'inizio. Rassicurato dai propri pensieri, Gosseyn pronunciò le parole di avvio: «Sono pronto, per quanto mi sia possibile». La risposta arrivò subito. Una voce disse direttamente nel suo orecchio: «La capsula è nello spazio: galleggia lungo un fianco della nostra astronave Troog. La prossima mossa tocca a voi». Gosseyn respirò profondamente. «La mia prima azione sarà trasferire questa capsula, con me stesso all'interno, nella vostra galassia.» Detto questo, con gli occhi chiusi, ricordò la macchina luminosa, lunga un metro e mezzo, che Leej ed Enro, con
l'aiuto delle terminazioni nervose danneggiate della sua testa — con le loro connessioni — avevano messo a fuoco. Quando mise in funzione l'extra-cervello, si disse: Deve
funzionare! Per prima partì l'astronave Troog. Poi, quando l'astronave Dzan si fu avvicinata alla capsula, anch'essa fu restituita istantaneamente al luogo da cui era venuta. A due milioni di anni luce, in un'altra galassia. E così, le distanze tra centomila milioni di milioni di stelle erano state vinte; quel metodo in futuro si poteva usare in qualsiasi momento.
32. «Veramente non lo so», disse la Regina Madre Strala. «Tutta questa faccenda dei corpi di Gosseyn è troppo strana per me.» Erano seduti in una stanza dai mobili favolosi nel Palazzo Imperiale del Pianeta Zeo dei Dzan, nella prima Galassia. Era giorno fuori; e lui era arrivato dopo aver completato tutte le sue azioni, solo che non aveva tolto ai Dzaniani la capacità di parlare in inglese, quando aveva restituito loro la conoscenza del Dzaniano.
Seduto in quella stanza, di fronte alla bella Strala, Gosseyn Terzo riconobbe con calma che la sua affermazione era esatta. Era veramente strana. Lei era seduta su una sedia dorata, di fronte al divano imbottito sul quale l'aveva invitato a sedersi. I suoi occhi avevano un'espressione remota e, infine, a testimonianza del fatto che aveva riflettuto, lo guardò di nuovo, e disse: «Da quanto ho capito, il tuo alter ego resterà nella Galassia della Via Lattea; e tu resterai qui». Ad un tratto gli sembrò turbata: «Sei ancora,... collegato con il tuo alter ego?». «In ogni momento sono cosciente della sua presenza lì fuori, e posso seguire i suoi pensieri o le sue azioni, se mi concentro su di lui.» «A due milioni di anni-luce di distanza.» «La distanza non ha nessun significato nel nulla dell'universo.» Lei disse: «Si occuperà delle faccende del tuo universo d'origine?». Era una frase infelice. Evocò una reazione talamica. Era come se avesse lasciato la sua città natia e il suo paese natio; e che non li avrebbe mai più rivisti. Occorsero solo pochi momenti per riprendersi. La verità
era che — ricordò a se stesso — lui non era un uomo che avesse mai avuto un paese d'origine. Era diventato adulto all'interno di una capsula spaziale, e non aveva un proprio pianeta, e nessun parente nel senso tradizionale del termine. Gosseyn deglutì, e si riprese, mentre la donna, che guardava da un'altra parte, diceva: «Devo pensare a tutta questa faccenda». Gosseyn la guardò con un'espressione di pena. Non era qualificato a valutare le donne, ma il fatto che lei una volta gli avesse offerto un'intimità totale, gli dava il controllo della situazione — così gli sembrava — tenuto conto delle altre informazioni che aveva. Disse con gentilezza: «Mia cara, non c'è via di scampo per te. Tu sei la mia donna da ora in poi; la mia futura moglie, con tutto ciò che questo implica. Sei destinata a stare con me per tutto il resto della mia vita». Gli occhi in quel volto perfetto lo fissavano. «Immagino», disse lei, con freddezza, «che ci debba essere una spiegazione per questo approccio positivo. La mia idea è che tu abbia avuto la tua possibilità e l'abbia rifiutata, per sempre.» Terminò il suo pensiero.
«Rifiutata in un modo che non dimenticherò mai.» Gosseyn respirò profondamente. «Devo farti osservare che sei una madre.» «La madre di Enin», lei annuì. Sembrava stupita. «Sa che sono qui?» «No.» «Chiamalo.» Una pausa. Gli occhi di lei lo valutarono. Ad un tratto si alzò ih piedi e si avvicinò ad una porta dalla quale si erano sentiti lievi e significativi rumori durante la loro conversazione. Lei si fermò sulla soglia, e chiamò. «Enin, puoi venire qui un attimo?» La voce di Enin risuonò soffocata, ma abbastanza chiara. «Ah, sì, mamma, fammi sparare quest'altro colpo...
colpito!» Un urlo di gioia. Poi: «Va bene, ora posso venire per un minuto».
La donna si diresse verso la propria sedia, e si sedette senza dire una parola. Sembrava improvvisamente tesa, e non si guardò intorno. Poi, sebbene anche Gosseyn avesse distolto gli occhi, ci fu dapprima un rumore di passi, e quindi un grido infantile di gioia assoluta. Fortunatamente si girò in tempo. Perché, pochi istanti più tardi, aveva un bambino di dodici anni in grembo. Le sue braccia si tendevano e gli afferravano il collo. Disse molte parole, tra le quali: «Mr. Gosseyn, Mr. Gosseyn, dove sei stato? Oh, mamma, mamma, è Mr. Gosseyn!». Ci volle un po' di tempo. Gosseyn abbassò uno sguardo benevolo sul bambino eccitato. «Qualche problema», chiese, «con i... leccapiedi?» «Assolutamente no. Ho convocato una riunione quando sono tornato a bordo dell'astronave, e ne ho convocato un'altra qui, su questo pianeta, dove ha sede il Governo; e ho riferito loro quello di cui avevamo discusso io e te.» «... Se ci sono problemi, un Comitato li analizzerà uno per uno... qualche discussione?», chiese Gosseyn. «Sì.» La faccia infantile fece una smorfia. «Non sono io che prendo le decisioni, come faceva mio padre, e che
brucio quelli a cui non piacciono.» «... Se», pensò Gosseyn, mentre sentiva pronunciare queste parole dalla persona che aveva ereditato il più grande Impero mai esistito ovunque, «esistono i grandi momenti nella storia, questo è uno di quelli...» Il centro di un sistema di potere assoluto modificato fino ad includere procedure democratiche. Di nuovo, impulsivamente, Enin allungò le braccia e lo strinse. Disse: «È proprio bello averti qui intorno. Resterai per sempre ora, non è vero?». «Questa decisione spetta a tua madre», rispose Gosseyn. Si girò verso la bellezza dall'espressione rigida che sedeva di fronte a loro. «Resterò?», chiese con il suo tono più innocente. Dopo qualche attimo, una voce piuttosto rassegnata disse: «Vai a giocare, caro, mentre io e Mr. Gosseyn discutiamo del suo futuro». «Spero che tu faccia anche i giochi della Semantica Generale», aggiunse Gosseyn. Una pausa, una smorfia, e poi:
«Esiste una buona possibilità che io faccia quei giochi tanto spesso quanto, io credo, tu approveresti, dal momento che tu sei tu ed io sono io». Gosseyn si raddrizzò. «Beh, figliolo», disse, «tua madre ed io abbiamo qualcosa da discutere; perciò noi due ci vedremo più tardi.» «Oh, ci puoi scommettere.» Restò a guardare il bambino correre via; poi, si girò, si incamminò e si fermò davanti alla donna. «Naturalmente», disse, «sono al corrente del fatto che tu hai ricevuto un'altra offerta.» «Sì?» Aveva distolto lo sguardo. «Tu hai i tuoi interessi a cui pensare», continuò lui. «Una donna non deve restare solo una madre per tutta la vita.» Aspettò, senza guardarla direttamente. Ci fu una pausa. «Ho ascoltato le tue conversazioni con Enin, e...» Un'altra pausa. «Sì?», disse Gosseyn. «Hanno senso», disse la donna. «La tua filosofia», esitò, «la Semantica Generale. Ho visto che Enin è diventato una
persona più stabile, più normale, grazie ai tuoi insegnamenti. Per quanto riguarda me, finalmente ho analizzato la mia posizione in quanto donna in un ambiente regale, con i numerosi individui che lottano per il potere e una posizione, e gli altri, molto onesti, sinceri, e protettivi; e capisco che in un simile ambiente la tua valutazione della mia proposta era corretta.» Aveva ancora lo sguardo rivolto da un'altra parte. «C'è un altro aspetto che dobbiamo prendere in considerazione. Molti degli uomini più in vista sono al corrente del ruolo che hai avuto nel riportarci nella nostra galassia. Ti rispettano.» A un tratto sorrise, come se il suo ragionamento l'avesse improvvisamente rilassata. «Di conseguenza, penso che le condizioni siano cambiate. Che cosa ne pensi?» Gosseyn disse semplicemente: «Spero che tu comprenda che sono l'unico padre che lui accetterà mai». Detto questo, senza una parola, la bella donna coperta di seta si alzò, e senza una parola, si avvicinò, e, esattamente come avrebbe fatto una madre, fosse o non fosse educata alla Semantica Generale, lo circondò con le braccia. Il bacio che lui le diede fu accettato adeguatamente.
Quando si ritrasse, lei disse: «Penso che dovremmo andare nella mia camera da letto e chiudere a chiave la porta. Non penso che dobbiamo aspettare il giorno del matrimonio». Era il trionfo di un livello di realtà sull'altro dedusse Gosseyn, mentre la seguiva attraverso la bellissima stanza in una camera da letto fantastica. Inviò un pensiero al suo alter ego.
«Mr. Gosseyn Secondo, dirigi la tua attenzione da qualche altra parte!» La risposta, su un livello di realtà, arrivò da una distanza di due milioni di anni-luce. Ma, in rapporto alla realtà cui si riferiva il suo extra-cervello, fu dentro la sua testa. Il senso era: «Abbiate tutti e due i miei migliori auguri...
fratello!». FINE
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