PHILIP PULLMAN L'OMBRA NEL NORD (The Shadow In The Nord, 1986) ARCANI MISTERI DEL MARE Nella primavera del 1878, in una ...
20 downloads
895 Views
778KB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
PHILIP PULLMAN L'OMBRA NEL NORD (The Shadow In The Nord, 1986) ARCANI MISTERI DEL MARE Nella primavera del 1878, in una bella mattina di sole, il piroscafo Ingrid Linde, fiore all'occhiello della società di navigazione Anglo-Baltic, scomparve nel mar Baltico. In rotta verso Riga, era salpato da Amburgo con un carico di parti meccaniche e un pugno di passeggeri. La traversata si era svolta senza incidenti: il tempo era mite e buono, e la Ingrid Linde solida e ben attrezzata. A un giorno di navigazione da Amburgo, incrociando una goletta che puntava in direzione opposta, aveva scambiato i segnali prescritti; se avesse mantenuto la rotta, due ore dopo sarebbe stata avvistata da un brigantino. A quel punto, però, del piroscafo non c'era più traccia. Una sparizione così totale e improvvisa accese la fantasia dei giornalisti, convinti di aver messo le mani su un bocconcino prelibato, come il continente perduto di Atlantide o l'Olandese Volante. Una volta scoperto che a bordo c'era il presidente della Anglo-Baltic, con moglie e figlia, scrissero pagine e pagine raccontando che si trattava del primo viaggio per mare della ragazza; che costei non era una bimbetta, ma una giovane donna di diciott'anni affetta da un morbo misterioso; che sulla Ingrid Linde gravava una maledizione, scagliata da un ex marinaio; che il carico consisteva di una miscela letale di alcool ed esplosivi; che nella cabina del capitano c'era un feticcio, sottratto a una tribù africana; che in quel tratto di mare si apriva all'improvviso un gigantesco vortice, capace di risucchiare le navi in un'immensa cavità al centro della Terra... e chi più ne ha, più ne metta. La storia diventò alquanto famosa, e fu ripresa poi da qualche scrittore specializzato in opere come Gli enigmi degli abissi. Ma senza fatti, si sa, alla fine anche il giornalista più immaginoso depone le armi, e qui di fatti ce n'erano ben pochi: una nave scomparsa all'improvviso, il sole, e il mare deserto. Qualche mese più tardi, in una fredda mattina d'autunno, un'anziana signora bussò alla porta di un ufficio nel cuore della City londinese, su cui era dipinta l'iscrizione
S. LOCKHART, CONSULENTE FINANZIARIO Un attimo dopo, una voce - una voce di donna - esclamò: «Avanti!» e la signora entrò nella stanza. S. Lockhart - S. era l'iniziale di Sally - stava in piedi dietro una scrivania ingombra di carte. Era una ragazza di circa ventidue anni, una bellezza fuori dal comune, con i capelli biondi e gli occhi castano scuro. La signora fece un passo avanti, ma subito si fermò: davanti al camino c'era il cane più grosso che avesse mai visto, nero come la pece e, a giudicare dall'aspetto, un incrocio fra un segugio, un danese e un lupo mannaro. «A cuccia, Chaka» intimò Sally, e il bestione si accovacciò tranquillo. Il muso, però, le arrivava ancora all'altezza della vita. «Miss Walsh, vero? Come va?» «Non troppo bene» rispose la visitatrice, stringendo la mano offertale. «Oh, mi dispiace» replicò Sally. «Si accomodi, la prego». Liberò una sedia dai fascicoli, e raggiunse la signorina accanto al fuoco. Il cane si sdraiò, appoggiando il muso sulle zampe. «Se ben ricordo (adesso prendo la sua pratica) l'anno scorso le ho proposto alcuni investimenti» cominciò Sally. «Lei aveva tremila sterline, se non erro, e io le ho suggerito di puntare sulle compagnie di navigazione». «Non l'avesse mai fatto» disse Miss Walsh. «Dietro suo consiglio, forse ricorda, ho acquistato azioni di una certa Anglo-Baltic». Sally spalancò gli occhi. La sua interlocutrice, che prima di andare in pensione aveva insegnato geografia a centinaia di ragazze ed era un giudice perspicace, conosceva bene quello sguardo: apparteneva a qualcuno che sa di aver commesso un grave errore, e non ha intenzione di sfuggire alle proprie responsabilità. «La Ingrid Linde? Ma certo... E non è affondato anche un piroscafo? Ricordo di averlo letto sul Times. Oh, santo cielo!» Si alzò e prese una grossa cartella piena di ritagli dallo scaffale alle sue spalle. Mentre Sally scartabellava, Miss Walsh appoggiò le mani in grembo e si guardò intorno. La stanza era pulita e accogliente, nonostante il mobilio consunto e il tappeto logoro. Nel camino ardeva un allegro focherello, e accanto sibilava un bollitore; i libri e le pratiche sugli scaffali e la cartina dell'Europa affissa al muro esprimevano efficienza e determinazione. La giovane, invece, era scura in volto. Sistemandosi una ciocca bionda dietro l'orecchio, si sedette con il fascicolo in grembo.
«La Anglo-Baltic è fallita» osservò. «Perché non mi sono accorta... Cos'è accaduto?» «Lei ha accennato alla Ingrid Linde. È sparita anche un'altra nave: una goletta, non un piroscafo. E un'altra ancora è stata confiscata dalle autorità sovietiche a San Pietroburgo. Non so perché, ma per svincolarla c'è voluta un'ammenda astronomica... Insomma, un mucchio di incidenti. Quando mi ha parlato di quelle azioni l'azienda era fiorente, e io ho apprezzato molto il suo consiglio. Adesso, a distanza di un anno, non valgono più nulla». «La società ha cambiato proprietario, vedo. Lo leggo ora per la prima volta; conservo sempre i ritagli interessanti, ma a volte non ho il tempo di guardarli. Non erano assicurati contro la perdita delle navi?» «Ci sono state complicazioni. Il Lloyd si è rifiutato di pagare l'indennizzo... non ho afferrato bene i particolari. Tanta sfortuna, e così all'improvviso... Quasi quasi comincio a credere alle maledizioni. A un destino maligno». L'anziana signorina fissava il fuoco, perfettamente eretta nella vecchia poltrona; ma a un tratto si volse nuovamente verso Sally. «Sono tutte sciocchezze, lo so» riprese in tono più vivace. «Se oggi vengo colpita da un fulmine, non significa che domani non mi accadrà di nuovo; conosco bene le leggi della statistica. Solo che è difficile restare razionali quando si vede sparire il proprio denaro senza sapere perché, e senza poter far nulla per impedirlo. Ormai mi rimane solo un misero vitalizio. In quelle tremila sterline, c'erano l'eredità di mio fratello e i risparmi di una vita». Sally aprì la bocca per parlare, ma Miss Walsh la prevenne con un gesto della mano: «Ora, la prego di credere, Miss Lockhart, che non la ritengo affatto responsabile dell'accaduto. Se decido di speculare con il mio denaro, devo affrontare il rischio di perderlo; allora, d'altronde, la Anglo-Baltic era un ottimo investimento. Sono venuta qui, seguendo il consiglio dell'avvocato Temple, della Lincoln's Inn, prima di tutto perché sono sempre stata favorevole all'emancipazione della donna, e niente mi rende più felice che vedere una ragazza come lei guadagnarsi da vivere in modo così intraprendente; poi per chiederle un parere: c'è modo di recuperare i miei soldi? Perché, vede, ho il forte sospetto che si tratti non di sfortuna, ma di frode». Sally posò sul pavimento il fascicolo dei ritagli, e prese carta e penna. «Mi dica tutto quello che sa sull'azienda» ribatté. Miss Walsh cominciò a raccontare. Aveva una mente limpida, ed esponeva i fatti in bell'ordine. Non che sapesse molto, del resto; vivendo a Cro-
ydon, e non avendo rapporti con il mondo degli affari, si basava esclusivamente su quel che aveva appreso dai giornali. La Anglo-Baltic era stata fondata vent'anni prima, ricordò a Sally, per trarre profitto dal commercio del legname; poi, grazie a un lento ma costante sviluppo, aveva cominciato a trasportare anche pellicce e minerale di ferro dai porti del Baltico, e macchine utensili e altri prodotti industriali dalla Gran Bretagna. Due anni prima, in seguito a una controversia, uno dei soci fondatori aveva preso le redini dell'azienda (rilevandola in blocco? Chissà!), e da allora l'attività aveva fatto un gran balzo in avanti, un po' come una locomotiva priva di freni: erano arrivati altre navi, nuovi contratti e relazioni commerciali con l'area del Nord Atlantico. Il cambio di gestione aveva accresciuto grandemente i profitti, persuadendo Miss Walsh, e con lei altre centinaia di persone, a investire. E poi, si era abbattuto sulla società il primo degli incidenti, apparentemente non collegati fra loro, che l'avrebbero portata in breve tempo al fallimento. La signorina li conosceva tutti nei particolari, e Sally rimase nuovamente colpita dalla sua padronanza dei fatti, e di sé, poiché era chiaro che, dopo aver sperato di trascorrere gli anni della pensione in una discreta agiatezza, ora si trovava sull'orlo dell'indigenza. Quando, alla fine, saltò fuori il nome di Axel Bellman, la ragazza alzò gli occhi. «Bellman?» chiese. «Quello dei fiammiferi?» «Non so cos'altro faccia» rispose Miss Walsh. «Non credo c'entrasse molto, con la società; mi sono imbattuta nel suo nome leggendo un articolo. Penso fosse il proprietario del carico che la Ingrid Linde trasportava al momento del naufragio. Parti meccaniche, o roba del genere. Perché me lo domanda? Conosce questo Bellman? Chi è?» «L'uomo più ricco d'Europa» rispose Sally. L'altra rimase assorta per un attimo. «Ma certo!» esclamò. «Gli zolfanelli al fosforo». «Esatto. Ha fatto fortuna con il commercio dei fiammiferi, credo. Anche se... c'è stato uno scandalo, ora che ci penso; avevo sentito delle voci un anno fa, quando è arrivato a Londra. Il governo svedese, infatti, l'aveva costretto a chiudere le sue fabbriche per via delle condizioni di lavoro pericolose...» «Le ragazze con la mandibola necrotizzata» intervenne Miss Walsh. «Ho letto qualcosa in proposito. Poverette! Che modo barbaro per arric-
chirsi... È lì che sono finiti i miei soldi, allora?» «Per quel che ne so, è un po' che Bellman non si occupa più di fiammiferi, e, comunque, non sappiamo nulla dei suoi rapporti con la Anglo-Baltic. Bene, signorina, le sono molto grata. Non ho parole per dirle quanto mi dispiaccia; le farò riavere quel denaro...» «Non dica così» replicò l'altra, con lo stesso tono che doveva aver usato con le scolare convinte di poter superare gli esami senza studiare. «Non voglio promesse, ma informazioni. Dubito molto che rivedrò i miei soldi, ma sono curiosa di sapere che fine hanno fatto. Vorrei che lei mi aiutasse a scoprirlo». Un atteggiamento così brusco avrebbe fatto tremare la maggior parte delle ragazze; non Sally, però, che, essendo fatta di un'altra pasta - e proprio per questo Miss Walsh si era rivolta a lei - ribatté in tono vibrato: «Quando un cliente mi chiede consiglio, non ammetto che debba perdere denaro per causa mia. Questa storia, signorina, è una disgrazia per me, oltre che per lei. Sono in gioco non solo i suoi soldi, ma il mio nome, la mia reputazione, la mia stessa indipendenza. Intendo indagare negli affari della Anglo-Baltic, scoprire cos'è successo, e, se è umanamente possibile, recuperare il suo denaro. E dubito molto che rifiuterebbe di riprenderselo». Miss Walsh si chiuse in un silenzio glaciale, con uno sguardo che minacciava tempesta, ma Sally lo sostenne risolutamente, finché, dopo qualche istante, gli occhi della donna non ebbero un guizzo. «E ha proprio ragione» disse infine l'anziana signorina, unendo le punte delle dita. Sorrisero entrambe. La tensione svanì, e Sally si alzò per mettere via gli appunti. «Le andrebbe del caffè?» propose. «È un po' primitivo, farlo sul fuoco, ma ha un buon sapore». «Con molto piacere. Ai tempi della scuola, preparavamo sempre il caffè sul fuoco... non mi capita più da molti, molti anni. Vuole una mano?» Nel giro di cinque minuti, chiacchieravano piacevolmente, come vecchie amiche. Versato il caffè e messo da parte il cane, tra Sally e la sua compagna si stabilì quel tipo di solidarietà possibile solo fra donne che hanno dovuto lottare per farsi un'istruzione. Miss Walsh aveva insegnato alle superiori, ma non aveva mai preso la laurea, e neanche Sally, del resto, per quanto avesse studiato a Cambridge e superato brillantemente l'esame. Al loro sesso l'università non concedeva nient'altro, perché la laurea era riservata agli uomini.
Un giorno, però, si dissero, le cose sarebbero cambiate... anche se era difficile prevedere quando. La signorina, infine, si avviò alla porta, e Sally notò i guanti accuratamente rammendati, l'orlo sfilacciato del cappotto e i vecchi stivali tirati a lucido, dalla suola consunta. Miss Walsh non aveva perso solo del denaro, ma anche la possibilità di vivere in una discreta agiatezza e senza preoccupazioni, dopo un'intera esistenza spesa al servizio degli altri. Nonostante l'età e i problemi, però, aveva un portamento fiero che a Sally venne spontaneo imitare. Si strinsero la mano e Miss Walsh indicò il cane, che, sentendo alzarsi la padrona, si era drizzato speranzoso sulle zampe. «Che bestia magnifica» osservò. «Sbaglio, o l'ha chiamato Chaka?» «Chaka era un generale Zulu» spiegò la ragazza. «Un nome che gli va a pennello. Me l'hanno regalato; non è vero, vecchio mio? È nato in un circo, credo». Lo accarezzò affettuosamente dietro le orecchie, e il bestione le leccò la mano, avviluppandola nella grossa lingua; con un luccichio di adorazione negli occhi scuri. Miss Walsh sorrise. «Le farò avere presto tutti i documenti in mio possesso. Le sono davvero riconoscente, Miss Lockhart». «Io non ho ancora fatto niente, eccetto che farle perdere il suo denaro. E può darsi che non salti fuori niente di nuovo, come spesso accade. Ma vedrò comunque di scoprire qualcosa». Sally aveva alle spalle una storia insolita, anche per una persona che, come lei, conduceva un'esistenza fuori dal comune. Non aveva mai conosciuto sua madre, e suo padre, un militare, le aveva insegnato molto sulle armi da fuoco e la finanza, e molto poco su tutto il resto. E quando era stato assassinato, Sally, che aveva sedici anni, si era trovata invischiata in una ragnatela di pericoli e misteri, salvandosi solo grazie alla propria abilità nel maneggiare la pistola e... a un incontro fortuito con un giovane fotografo di nome Frederick Garland. Frederick si occupava, insieme alla sorella, dell'azienda fotografica dello zio, ma, per quanto abile fosse con l'obiettivo, era totalmente incapace di gestire il lato finanziario della cosa. Si trovava ormai sull'orlo della rovina quando era comparsa Sally, sola al mondo e in pericolo di vita: e lei lo aveva salvato dalla bancarotta. Ora che gli affari andavano a gonfie vele e che l'azienda impiegava una
mezza dozzina di dipendenti, Frederick era libero di dedicarsi alla sua vocazione di investigatore privato. Una passione condivisa da un altro vecchio amico di Sally, Jim Taylor, di due o tre anni più giovane di lei, che aveva lavorato come fattorino per il capitano Lockhart. Jim amava i romanzacci gialli più raccapriccianti e usava il linguaggio più scurrile di tutta la City; durante la loro prima avventura, lui e Frederick avevano affrontato, uccidendolo, il criminale più pericoloso di Londra. Ci avevano quasi lasciato la pelle, ma erano pronti ad aiutarsi l'un l'altro a costo della vita. I tre amici avevano molto in comune, ma c'era dell'altro: Frederick amava Sally, l'amava da sempre, e voleva sposarla. I sentimenti di lei erano più complessi. A volte sentiva di adorarlo, non c'era uomo più affascinante, geniale, coraggioso e divertente al mondo, e a volte era furiosa con lui, perché sprecava i suoi talenti gingillandosi con strani congegni, aggirandosi travestito per le strade di Londra insieme a Jim, e comportandosi come un ragazzino che non sa cosa fare del proprio tempo. Amarlo, però... se amava qualcuno, questo era lo zio di Fred, Webster Garland, ufficialmente suo socio nell'azienda, un genio dolce e caotico in grado di ricavare da luci, ombre ed espressioni del volto, effetti di straordinaria poesia. Webster Garland e Chaka: sì, amava quei due. E il suo lavoro. Quanto a Fred... be', se avesse voluto sposarsi, non avrebbe scelto nessun altro. Ma non ne aveva la benché minima intenzione; almeno non fino a quando fosse stata approvata la legge sul patrimonio delle donne sposate. Non che non si fidasse di lui, gliel'aveva ripetuto centinaia di volte: era una questione di principio. Lei era indipendente, socia di un'azienda, con beni e denaro di sua proprietà, ma sarebbe bastato che un sacerdote li unisse in matrimonio perché tutto quel che possedeva diventasse di suo marito, per legge. E questo non poteva accettarlo. Era inutile che Frederick protestasse e si dichiarasse pronto a giurare, nero su bianco, di non toccare mai i suoi averi. Sally era irremovibile. In realtà, nel 1870 era stata approvata una legge sul patrimonio che aveva rimediato a questa grave ingiustizia, anche se solo in parte; ma Frederick era del tutto ignorante di diritto, e quindi non sapeva che, a certe condizioni, Sally avrebbe potuto conservare legalmente i suoi beni. Lei, d'altronde, non era sicura dei suoi sentimenti e, oltre a servirsi della vecchia legge come pretesto per rimandare il matrimonio, aveva perfino paura che ne promulgassero una nuova (dopo di che avrebbe dovuto prendere per forza una decisione). Ultimamente la cosa aveva provocato un litigio e una certa freddezza nei
loro rapporti, tanto che da settimane non si parlavano né si vedevano. Sally si stupiva di quanto Fred le mancasse. Sarebbe stata la persona ideale per parlare della faccenda della Anglo-Baltic... Mise a posto le tazzine da caffè, facendole tintinnare nervosamente l'una contro l'altra e ripensando alla sua allegria, ai suoi scherzi, ai suoi capelli biondo paglia. Toccava a lui fare il primo passo; lei aveva cose più serie a cui pensare. E con ciò, si sedette alla scrivania con le cartelle dei ritagli e cominciò a leggere di Axel Bellman. IL MAGO DEL NORD Jim Taylor impiegava gran parte del suo tempo (quando non coltivava le sue amicizie criminali, non scommetteva sui cavalli e non amoreggiava con ballerine e cameriere) a scrivere melodrammi. Aveva, infatti, la passione del teatro. La sorella di Frederick, Rosa (ora moglie di un irreprensibile sacerdote, ma attrice ai tempi del loro primo incontro) aveva reso più vivo un interesse già alimentato dalla assidua lettura di dispense illustrate come Racconti del brivido per ragazzi e L'inafferrabile Jack, il terrore di Londra. Da allora aveva scritto diversi drammi raccapriccianti, e, per non sprecare il suo genio con compagnie di second'ordine, li aveva mandati nientemeno che al Lyceum Theatre, all'attenzione del grande attore Henry Irving. Finora, però, aveva avuto in risposta solo garbate circolari di rifiuto. Jim trascorreva le serate al varietà, non fra il pubblico, ma là dove l'atmosfera era più eccitante: dietro le quinte, in mezzo ai carpentieri, ai macchinisti e ai tecnici delle luci, per non parlare degli attori e delle ballerine di fila. Aveva lavorato in parecchi teatri, accumulando una notevole esperienza; la sera in cui Miss Walsh si recò da Sally, stava dandosi da fare nel retroscena del Britannia Music Hall di Pentonville, quando si imbatté nel suo mistero personale. Uno degli artisti in cartellone era un prestigiatore di nome Alistair Mackinnon, un giovane balzato prepotentemente alla ribalta nel breve periodo in cui aveva calcato i palcoscenici di Londra. Jim aveva, fra gli altri, il compito di chiamare gli attori poco prima dell'entrata in scena, e quando bussò alla porta annunciando: «Cinque minuti, Mr Mackinnon» fu sorpreso di non ottenere risposta. Bussò di nuovo, più forte. Ancora niente. Sapendo che nessun artista avrebbe ignorato la chiamata se gli fosse stato
umanamente possibile evitarlo, aprì la porta per controllare se Mackinnon era in camerino. Il mago era lì, davanti allo specchio, in marsina, il viso sbiancato dal trucco, e stringeva convulsamente i braccioli di una seggiola di legno. Accanto a lui c'erano due uomini, anche loro in frac: uno mingherlino e con gli occhiali, dall'aria inoffensiva, e l'altro, invece, di corporatura massiccia, che cercò di nascondere dietro la schiena un manganello, una corta mazza con l'anima di piombo, cosa del tutto inutile, perché se ne vedeva l'immagine nitidamente riflessa nello specchio. «Cinque minuti, Mr Mackinnon» ripeté Jim, con la mente in fermento. «Temevo non avesse sentito». «Va bene, Jim» rispose il prestigiatore. «Lasciaci soli, ora». Lanciando un'occhiata indifferente agli altri due, il ragazzo annuì e uscì dalla stanza. 'E adesso cosa faccio?' si chiese. Dietro le quinte, un gruppo di macchinisti aspettava in silenzio la fine del numero per cambiare la scena. Più su, sui ballatoi, i tecnici delle luci erano in attesa di un segnale per sostituire i filtri di gelatina colorati davanti ai becchi a gas fiammeggianti. Solcando con cautela buio e penombra, Jim si sistemò accanto a una grossa ruota di ferro, vicino al sipario, mentre il soprano attaccava il ritornello finale della canzone. I biondi capelli scostati nervosamente dalla fronte e un'espressione corrucciata negli occhi verdi, tamburellava con le dita sulla ruota, quando, all'improvviso, dall'oscurità venne un sussurro. «Jim» bisbigliava Mackinnon, «puoi aiutarmi?» Voltandosi, il ragazzo scorse il profilo del mago avvolto nell'ombra; solo gli occhi scuri erano ben visibili nel pallore indistinto del viso. «Quelli...» continuò Mackinnon, indicando un palco sopra il proscenio, dove Jim riuscì a distinguere due sagome che prendevano posto e il baluginio di un paio di occhiali, «quelli vogliono uccidermi. Per l'amor di Dio, aiutami a fuggire appena cala il sipario. Io non so come fare...» «Sss!» intimò lui. «E stia indietro. Guardano di qua». Risuonò l'ultima nota della canzone, il flauto trillò di rimando, e il pubblico applaudì fragorosamente. Il ragazzo strinse le mani sulla ruota. «Va bene. Le darò una mano. Attento a dove mette i piedi...» Spinse la ruota, e il sipario iniziò a calare.
«Esca da questa parte» disse, cercando di sovrastare il clamore degli applausi e il frastuono delle pulegge, «non da quella. Vuole niente dal camerino?» Mackinnon scosse la testa. Non appena il sipario toccò terra, sparirono i filtri di gelatina, e la scena venne inondata di luce bianca; il fondale raffigurante un salotto alla moda si riavvolse, e dietro le quinte, gli operai entrarono fulmineamente in azione, issando in palcoscenico un tavolino, che, piccolo com'era, sembrava stranamente pesante, srotolando un ampio tappeto orientale e aprendo un grande paravento di velluto. Jim si precipitò subito a reggerlo, mentre un altro attrezzista regolava il sostegno. Tutta l'operazione richiese non più di quindici secondi. A un cenno del direttore di scena, i tecnici fecero scivolare nelle intelaiature metalliche nuovi filtri di gelatina e la luce si attenuò, assumendo una misteriosa luminescenza rosata. Jim schizzò accanto alla ruota e il mago prese posto dietro le quinte, proprio mentre il presentatore annunciava il suo numero e il direttore d'orchestra alzava la bacchetta. Un arpeggio, uno scroscio di applausi, e Jim tirò con forza la ruota, per alzare il sipario. Mackinnon entrò in scena e il pubblico cadde in un religioso silenzio. Il ragazzo si fermò a guardare per qualche istante, meravigliandosi ancora una volta di come questo personaggio, così fragile e guardingo nella vita di tutti i giorni, riuscisse a trasformarsi una volta in scena. La voce, gli occhi, ogni singolo movimento esprimevano autorità e mistero; si poteva quasi credere che avesse ai suoi ordini legioni di spiriti invisibili, e che i suoi trucchi e metamorfosi fossero opera del demonio. Jim si staccò a malincuore dallo spettacolo, infilandosi sotto il palcoscenico. Era questa, infatti, la via più rapida per attraversare la scena. Evitando silenziosamente travi, funi, un trabocchetto e tubi di ogni genere, il ragazzo sbucò dalla parte opposta, mentre dal pubblico si levava uno scroscio di applausi. Si spolverò gli abiti e oltrepassò due porticine che davano in platea e sulle scale; arrivato in cima, però, si ritrasse nell'ombra: all'ingresso del palco in cui avevano preso posto gli inseguitori di Mackinnon c'era un terzo uomo, un colosso dall'aria feroce che evidentemente aveva il compito di fare la guardia. Jim rifletté per un attimo, poi entrò risolutamente nel corridoio illuminato a gas, pretenzioso ma misero, e fece segno al 'palo' di piegarsi in avanti. Aggrottando le sopracciglia, l'uomo obbedì e chinò la testa
per cogliere il mormorio del ragazzo. «Abbiamo scoperto che Mackinnon ha degli amici, qui» gli disse questi. «Cercheranno di farlo fuggire dall'ingresso principale. Con uno dei suoi trucchi scomparirà sotto il palcoscenico; poi sbucherà dietro il pubblico e i suoi amici lo imbarcheranno su una carrozza. Tu vai giù in strada, che io scappo dentro a dirlo al capo». Incredibile, quel che si riesce a ottenere con un po' di faccia tosta, pensò Jim, vedendo l'omaccione annuire e allontanarsi goffamente. Si avvicinò alla porta. Il suo era un piano rischioso: poteva arrivare qualcuno da un momento all'altro, ma era la sua unica possibilità. Tirò fuori un fil di ferro dalla tasca, si accovacciò davanti alla serratura e lo infilò dentro, facendolo ruotare finché non sentì un lieve scatto; poi lo estrasse e, protetto dal fragore degli applausi, chiuse l'uscio del palco. Si rialzò appena in tempo, proprio nell'attimo in cui spuntava nel corridoio il direttore di sala. «E tu cosa ci fai qui, Taylor?» «Messaggio per i signori di questo palco. Non si preoccupi, dietro le quinte ho finito». «Non è compito tuo portare i messaggi». «Sì, se Mr Mackinnon mi chiede di farlo, non trova?» Dopo di che, Jim ritornò sui suoi passi. Le scale, la cortina di velluto... A che punto era Mackinnon? Dovevano mancare cinque minuti alla fine del numero, calcolò; giusto il tempo di dare un'occhiata fuori. Ignorando le imprecazioni e le esortazioni a stare attento a dove cavolo metteva i piedi, si fece largo a spintoni attraverso la calca di attori e operai, fino all'ingresso degli artisti, che si apriva su un vicolo dietro al teatro. Il muro di fronte era il retro di un magazzino di mobili, e c'era un'unica via d'uscita. Appoggiati al muro, Jim vide due uomini che, sentendo aprire la porta, alzarono gli occhi e subito lo raggiunsero sul marciapiede. «Salve» li salutò amichevolmente. «Fa un caldo boia, lì dentro. Siete qui per Miss Hopkirk, eh?» Miss Hopkirk era il soprano, e spesso gli ammiratori la aspettavano a quell'ingresso con fiori o proposte di matrimonio, o entrambe le cose. «Quand'è che finisce lo spettacolo?» chiese uno dei due. «Da un momento all'altro. Anzi, sarà meglio che rientri. 'Sera» disse Jim, e ritornò in teatro. Si accarezzò il mento, pensieroso. Se il retro era bloccato e l'ingresso principale troppo rischioso, rimaneva una sola via d'uscita. Anche quella
era rischiosa; forse, però, ci sarebbe stato da divertirsi. Fece il giro dei retroscena, finché non trovò quattro operai seduti in un cerchio di luce che giocavano a carte su una cassa da tè rovesciata. «Ehi, Harold!» esclamò. «Mi presti la scaletta a libro?» «A cosa ti serve?» replicò il più anziano, senza levare lo sguardo dalle carte. «Per andare a caccia di nidi». «Eh?» L'uomo alzò gli occhi. «Ricordati di restituirla, dopo!» «Ah, a proposito, dimmi un po', quant'è che hai vinto con quella soffiata che ti ho passato la settimana scorsa?» Borbottando, il vecchio depose le carte e si alzò. «Dove hai intenzione di portarla? Mi serve tra dieci minuti, appena finisce lo spettacolo». «Su, sui ballatoi» rispose Jim, tirandolo in disparte e spiegandogli cosa voleva. Allungò il collo: il numero di Mackinnon stava per finire. Mentre l'operaio, l'aria perplessa, si arrampicava nel buio con la scaletta in spalla, Jim si precipitò, appena in tempo, alla sua ruota. Un arpeggio, uno scroscio di applausi, un inchino, e il sipario calò. Lasciando sul palcoscenico l'accozzaglia di oggetti materializzata durante il numero (una sfinge, una vasca di pesci rossi e decine di mazzi di fiori) Mackinnon balzò dietro le quinte, dove Jim lo afferrò per un braccio, spingendolo verso la scala. «Salga, coraggio!» lo esortò. «Gli ingressi sono sorvegliati, ma da questa parte non ci prenderanno. Su, forza!» Il mago era cambiato un'altra volta; lontano dalle luci della scena, era ridiventato sfuggente, e il trucco candido gli dava un'aria bizzarra e malaticcia. «Non posso» mormorò. «Non può cosa?» «Salire lì sopra. L'altezza...» Si guardò intorno tremante. Jim lo scaraventò verso la scala. «Salga e la smetta di far storie, per l'amor del cielo. Gli operai vanno su e giù di qua centinaia di volte al giorno. Oppure vuole uscire e vedersela con quel bel paio di tagliagole là nel vicolo?» Il mago scosse debolmente la testa e obbedì. Jim riparò entrambi con un angolo del telone laterale, per evitare che qualche macchinista ignaro rivelasse la fuga; poi si arrampicò dietro Mackinnon, finché non giunsero a una stretta piattaforma, cinta da una ringhiera, che andava da un lato all'altro del palcoscenico e brulicava di tecnici indaffaratissimi a spegnere i
becchi e a estrarre i filtri di gelatina. Il puzzo del metallo rovente era così intenso che, unito al sudore degli operai e alla colla dei fondali di tela, faceva pizzicare il naso e lacrimare gli occhi. Ma non c'era tempo da perdere. Un'altra breve scala conduceva a una passerella di ferro, sospesa nel vuoto e ingombra di funi e pulegge, il cui pavimento a grata lasciava intravedere, lontano, il palcoscenico e i carpentieri intenti a montare fondali e quinte per il melodramma del giorno dopo. Era buio pesto, lassù, perché tutte le luci erano rivolte verso il basso, e faceva un caldo opprimente. Le funi, tese oppure molli e penzolanti, le spesse travi di legno su cui poggiava lo scenario, la teoria infinita di piattaforme, volte e gallerie digradanti nell'oscurità, e gli abissi spalancati ai loro piedi, dove sagome fuligginose maneggiavano il fuoco, ricordavano a Jim una rappresentazione dell'inferno vista una volta in un negozio di stampe. Mackinnon ondeggiava, aggrappato alla ringhiera con entrambe le mani. «Non posso farcela!» gemeva. «Buon Dio, fatemi scendere!» Aveva abbandonato la sua solita pronuncia affettata e parlava con un accento marcatamente scozzese. «Non faccia lo stupido. Non cadrà, gliel'assicuro io. Su, forza, ancora un pezzettino...» Il mago arrancava alla cieca, seguendo le sue indicazioni; Harold, che aspettava con la scaletta alla fine della passerella, gli tese la mano, e lui vi si aggrappò con entrambe le sue, stringendola forte. «Bene, signore, la tengo. Adesso afferri questa...» gli fece l'operaio, guidandogli le mani verso la scaletta. «No! Basta salire! Non posso... non posso proprio...» «Zitti!» intimò Jim, che aveva sentito un trapestio venire dal basso. Si affacciò oltre la ringhiera, ma vide solo le funi e i teloni oscillanti. «Ascoltate...» Udirono un vocio, troppo confuso, però, per distinguere le parole. «Abbiamo circa due minuti, prima che scoprano come arrivare fin qui. Tu non mollarlo, Harold». Il ragazzo andò su per primo, spalancando una finestrella sepolta nel buio, in cima al polveroso muro di mattoni, e ridiscese, spingendo Mackinnon verso la scaletta. Il piano, a dire il vero, era alquanto rischioso: la scaletta faceva da ponte fra l'estremità della piattaforma e il muro, e per trovare la finestra bisognava lasciare la presa e brancicare nel buio con entrambe le mani. E una caduta da quell'altezza... Da sotto venne uno scalpiccio. Qualcuno stava salendo la prima scala.
«Forza! Non stia lì a farsela sotto. Salga e si cacci dentro quella finestra. Subito!» Mackinnon, che aveva sentito il rumore, mise il piede sul primo gradino. «Grazie, Harold. Vuoi un'altra soffiata? Belle Carnival per il Gran Premio». «Belle Carnival, eh? Spero mi diano una quota migliore dell'ultima volta» bofonchiò quello, tenendo ferma la scaletta, mentre Jim appoggiava le mani sui lati, quasi a cingere il corpo tremante del mago. «Avanti! Salga, per l'amor di Dio!» Mackinnon arrancava, gradino dopo gradino; Jim lo seguiva, spronandolo in continuazione, e quando, una volta in cima, sentì che stava per abbandonarsi, stremato, gli sibilò: «Arrivano! Saranno qui fra poco! Cinque energumeni con coltello e bastone! Ora alzi le braccia e proceda a tastoni finché non trova una finestra; poi si issi dall'altra parte. C'è un salto di un metro fino al tetto dell'edificio accanto. Tutte e due le mani, ecco, così... vada, ora!» Il mago abbandonò la scala, scalciando all'impazzata nel vuoto, e per un pelo non spedì Jim al Creatore; pochi attimi di annaspamenti frenetici e le gambe sparirono, inghiottite dalla finestra. Ce l'aveva fatta. «Tutto bene, Harold?» chiamò sommessamente il ragazzo. «Vado su io, adesso». «Sbrigati, allora» gli rispose un bisbiglio roco. Appoggiandosi al muro, Jim cercò l'apertura a tentoni, e, trovato il davanzale, si tirò su con forza. In men che non si dica era già a mezza strada; un attimo dopo ruzzolava all'aperto, sulla lamiera fredda e bagnata. Accanto a lui, Mackinnon vomitava. Il ragazzo si alzò guardingo, allontanandosi di qualche passo. Si trovavano in uno stretto passaggio fra la parete del teatro, che si innalzava per altri due metri, e il tetto della vicina fabbrica di sottaceti, lungo circa duecento, e scomposto in numerose sezioni triangolari. Davanti a loro, una distesa di profili aguzzi, simili alle onde del mare disegnate da un bambino, scintillava di pioggia contro il lucido sfondo del cielo. «Va meglio, ora?» chiese Jim. «Sì. L'altezza, mi...» «Cos'è questa storia? Chi sono quei tizi?» «Il mingherlino si chiama Windlesham. È una faccenda complicata... C'è di mezzo un assassinio». Con il volto e lo sparato candidi, e gli occhi, le labbra e il mantello neri,
il mago aveva un che di soprannaturale. Il ragazzo lo fissò. «Un assassinio? E chi sarebbe la vittima?» «Non si può scendere di qui?» replicò Mackinnon, guardandosi intorno. Jim si accarezzò il mento. «C'è una scala di sicurezza dall'altra parte del tetto. Faccia piano, però. All'interno, c'è un vecchietto di guardia ai sottaceti». Si arrampicò sul primo spiovente, lasciandosi cadere silenziosamente dall'altra parte. Le falde erano alte circa due metri e scivolose a causa della pioggia recente; Mackinnon perse l'equilibrio due volte prima di arrivare alla scala. Perché faccio tutto questo? si chiese Jim, aiutandolo a salire e meravigliandosi di quanto fosse gracile. Era leggero come un bambino. Riguardo all'assassinio, certamente, era sincero. Pareva terrorizzato, e non solo dall'altezza. La loro meta era una stretta scala di ferro che correva lungo il fianco della fabbrica. Il cortile su cui sfociava per fortuna era buio e dava sul lato più tranquillo dell'edificio. Il mago, tremante, madido di sudore e mortalmente pallido, si avvicinò, centimetro per centimetro, all'orlo del tetto, trovò il primo gradino, e si lasciò scivolare sul sedere, gli occhi serrati. Il ragazzo, giunto a terra prima di lui, lo prese sottobraccio. «Brandy» mormorava Mackinnon. «Non dica sciocchezze» replicò Jim. «Non può entrare in un pub vestito così; non durerebbe neanche cinque minuti. Dove abita?» «A Chelsea. Oakley Street». «Ha denaro con sé?» «Neanche un penny. Oh, mio Dio...» «Va bene, venga con me. La porterò in un posto dove potrà cambiarsi... bere qualcosa e raccontarmi l'intera faccenda. Un omicidio! Questa sì che è bella!» Mackinnon, ormai svuotato, oltre che di qualsiasi volontà, anche della capacità di sorprendersi, non batté ciglio quando il giovane attrezzista dagli occhi verdi e gli abiti dimessi lo condusse in strada, fermò una carrozza e, in tono quanto mai perentorio, diede un indirizzo di Bloomsbury. I FOTOGRAFI Jim pagò la carrozza in Burton Street, una viuzza tranquilla di case e botteghe a tre piani, non lontana dal British Museum, e, mentre Mackinnon gettava occhiate nervose all'intorno, aprì la porta di un fabbricato elegante
a doppia facciata, sulla cui vetrina campeggiava l'iscrizione GARLAND & LOCKHART FOTOGRAFIE D'ARTE Il negozio era immerso nell'ombra, ma il retrobottega, dove Jim condusse il mago, era caldo e ben illuminato. La stanza era uno strano incrocio fra un laboratorio, una cucina e un salotto sgangherato, ma confortevole. C'erano un bancone appoggiato a una parete, ingombro di preparati chimici, un acquaio in un angolo, e un divano e una poltrona sfondati, ai lati di un caminetto di lucida grafite. Nell'aria aleggiava un odore pungente. Il puzzo veniva dalla corta pipa di terracotta fumata da uno dei due uomini che erano nella stanza, un tipo alto e robusto, sulla sessantina, capelli ispidi e grigi e barba dello stesso colore, che, sentendo entrare Jim, alzò gli occhi. «Salve, Mr Webster» esclamò il ragazzo. «Ciao, Fred». Il secondo uomo era molto più giovane, sui venticinque anni, più o meno coetaneo di Mackinnon. Smilzo, col naso rotto, i capelli biondi scompigliati all'inverosimile, lo sguardo ironico e un'espressione che era una miscela esplosiva di umorismo, di calma e razionalità, possedeva, proprio come il mago, qualcosa che calamitava l'attenzione. «Salve, balordo» replicò. «Oh, chiedo scusa, non l'avevo vista» aggiunse rivolto a Mackinnon, che aspettava come uno spettro nel vano della porta. Jim si volse verso quest'ultimo. «Mr Webster Garland e Mr Fred Garland, fotografi d'arte» li presentò. «E questo è Mr Mackinnon, il Mago del Nord». I due si alzarono per stringergli la mano. «L'ho vista la settimana scorsa» gli disse Webster con calore. «All'Alhambra. Un numero stupendo! Posso offrirle un bicchiere di whisky?» Mackinnon si sedette in poltrona, e Jim, appollaiatosi su uno sgabello accanto al bancone, iniziò a raccontare, mentre Webster versava il liquore: «Siamo dovuti scappare dal tetto. Il nostro mago, qui, aveva fretta di andarsene, e ha lasciato in camerino i vestiti normali, per non parlare del denaro e armi e bagagli vari. Quelli li recupero io domani mattina, ma lui, a quanto sembra, è inguaiato mica male. Pensavo che forse potevamo dargli una mano». Vedendo lo sguardo dubbioso del prestigiatore, Frederick intervenne:
«Per sua informazione, Mr Mackinnon, questa è l'agenzia di investigazioni Garland, specializzata praticamente in tutto. Qual è il suo problema?» «Non sono sicuro di...» cominciò lui. «Non so se il mio è un caso da detective. È tutto molto vago, molto... nebuloso. Io non so proprio...» «Tentar non nuoce» ribatté Jim. «Se decidiamo di non occuparcene, non ci darà un centesimo; non ci perde niente a raccontarci tutto». Sentendolo parlare con tanta freddezza, Webster inarcò leggermente le sopracciglia; ma il ragazzo provava un'irritazione crescente per Mackinnon, per il suo modo di fare ambiguo e sfuggente, per quel suo sgradevole impasto di impotenza e scaltrezza. «Jim ha ragione» ribadì Fred. «Niente incarico, niente onorario. E può contare sulla nostra discrezione. Qualunque cosa ci dirà, rimarrà fra noi». Mackinnon spostò ripetutamente lo sguardo da lui a Webster, e infine si decise. «D'accordo» assentì. «Vi dirò tutto, ma non sono sicuro che fare delle indagini sia la cosa migliore. Forse è meglio lasciar perdere. Vedremo». Vuotò il bicchiere. Webster glielo riempì di nuovo. «Lei ha accennato a un omicidio» lo imbeccò Jim. «Un attimo di pazienza. Voi, signori, cosa sapete di spiritismo?» Frederick inarcò le sopracciglia. «Spiritismo? Che strana coincidenza. Proprio oggi un tizio mi ha chiesto di occuparmi di una faccenda del genere. Tutto un imbroglio, temo». «Ci sono molti impostori, è vero» replicò il mago. «Ma alcuni hanno autentiche doti paranormali, e io sono uno di quelli. E nella mia professione, ci crediate o no, la cosa è tutt'altro che un vantaggio. Personalmente, cerco di tenere separati i due campi; quello che faccio sul palcoscenico può sembrare magia, ma è solo abilità tecnica. Potrebbe riuscirci chiunque, è solo questione di esercizio. L'altra parte di me, invece, quella telepatica... be', quella è un dono di natura. Io ho doti psicometriche. Sapete di cosa si tratta?» «Sì, ne ho sentito parlare» rispose Frederick. «Uno tocca un oggetto, e ne ricava subito un mucchio di informazioni... giusto?» «Vi darò una dimostrazione. Avete niente per farmi provare?» Frederick, seduto sul bancone, allungò il braccio verso un piccolo aggeggio rotondo di ottone, simile a un pesante orologio da taschino, privo del quadrante. Mackinnon lo prese, si spinse sull'orlo della poltrona, e lo strinse fra le mani, gli occhi chiusi e la fronte corrugata. «Vedo... dei draghi. Draghi rossi, intagliati nel legno. E una donna... una
cinese. È immobile, maestosa, e osserva, osserva e basta. C'è un uomo su un letto, una specie di divano... Dorme... Si muove, sta sognando. Geme... Arriva qualcuno. Un servitore, un cinese, con un... una pipa. Si inginocchia... ha un bastoncino acceso... Accende la pipa. C'è un odore dolciastro, nauseabondo... Oppio. Basta, è svanito...» Aprì gli occhi, alzando lo sguardo. «C'è di mezzo l'oppio, o sbaglio?» Frederick, muto per lo stupore, si passò le mani fra i capelli. Lo zio si abbandonò ridendo contro lo schienale, e persino Jim rimase impressionato, oltre che dalle parole del mago, dalla sua assoluta concentrazione e dall'atmosfera greve e arcana che aveva suscitato. «Ha fatto centro» commentò infine Fred, recuperando I l'oggetto dalle mani di Mackinnon. «Sa cos'è questo?» «Non ne ho idea» rispose il mago. Il ragazzo girò una chiavetta laterale, premendo un pulsante. Dall'interno uscì una striscia lunga e sottile di metallo biancastro, che si avvolse a spirale sul bancone. «È un illuminatore al magnesio» rivelò. «Si accende il nastro, e la molla lo spinge fuori man mano che si consuma, cosicché la luce rimane costante. L'ultima volta che l'ho usato, è stato in una fumeria d'oppio di Limehouse, per fotografare i poveri diavoli che usano quella roba... Così, sarebbe questa la psicometria, eh? Sono sbalordito. E mi dica, come funziona? Ha delle visioni, o che altro?» «Qualcosa del genere» spiegò il mago. «È come sognare da svegli. Sfugge al mio controllo... Mi capita nei momenti più impensati. E qui sta il punto: ho visto un assassinio, e l'assassino lo sa, ma io non so come si chiama lui». «Bell'inizio» osservò Fred. «Molto incoraggiante. Farà meglio a raccontarci tutto. Altro whisky?» Riempì il bicchiere di Mackinnon, e si mise comodo ad ascoltare. «Sei mesi fa» cominciò questi, «mi è stato chiesto di esibirmi a casa di un nobile. Di tanto in tanto lo faccio; più come ospite, capite, che come artista retribuito». «Vuol dire che non la pagano?» intervenne Jim, sempre più infastidito dall'atteggiamento condiscendente del mago e dal suo accento scozzese, affettato e lievemente stridulo. «Be', c'è un premio d'ingaggio, naturalmente» ribatté Mackinnon gelido. «Chi era il nobile?» chiese Frederick. «Preferirei non dirlo. Un personaggio molto in vista sulla scena politica.
Non c'è motivo di rivelarne il nome.» «Come vuole» lo assecondò il giovane. «Continui, la prego». «La sera dell'esibizione sono stato invitato a cena. Questa, infatti, è la mia prassi: per tutti, io sono un ospite. Alla fine, le signore si sono ritirate, i signori sono rimasti in sala da pranzo, e io mi sono appartato in sala musica per preparare il mio numero. «Vedendo un portasigari dimenticato sul coperchio del piano, l'ho preso per spostarlo, quando, tutt'a un tratto, ho provato una delle impressioni psicometriche più forti che mi siano mai capitate. «C'era un fiume in una foresta - una foresta del Nord, piena di neve e pini scuri - e un cielo grigio, fosco, coperto di nuvole. Lungo la riva camminavano due uomini, discutendo animatamente. Non potevo sentirli, ma li vedevo con la stessa chiarezza con cui vedo voi adesso. Improvvisamente, uno di loro ha afferrato il bastone, ne ha estratto una spada, e ha trafitto l'altro ripetutamente... così, a tradimento, tre, quattro, cinque, sei volte. Il sangue tingeva la neve di rosso cupo. «E quando quello è scivolato a terra, morto, l'assassino ha preso una zolla di muschio, ha pulito la spada, e l'ha trascinato per i piedi fino all'acqua. Cominciava a nevicare. Ho sentito il tonfo del corpo che cadeva nel fiume». Il mago si interruppe, e bevve un sorso di whisky. 'O è tutto vero' pensò Jim, 'o costui recita meglio di quanto pensassi'. Mackinnon, infatti, sudava freddo e i suoi occhi erano carichi d'angoscia. D'altra parte, però, era un virtuoso del palcoscenico, un artista della finzione... «Pochi attimi dopo, tornando in me» continuò, «mi sono ritrovato con l'oggetto in mano; stavo per posarlo da qualche parte, quando si è aperta la porta, ed è entrato l'assassino della visione. Era uno degli ospiti, un tipo robusto, massiccio, con i capelli biondi e lisci. Mentre veniva verso di me, per riprendersi il portasigari, ha incrociato lo sguardo con il mio: lui sapeva quel che avevo visto. «Non ha aperto bocca, perché in quel preciso momento è arrivato un domestico; lui ha detto: 'L'ho trovato, grazie' e, lanciandomi un'ultima occhiata, è uscito dalla stanza. Ma sapeva, ne sono certo. «Mentre eseguivo il mio numero, quella sera, dovunque volgessi lo sguardo mi sembrava di vedere quelle stilettate improvvise e brutali, e il sangue cupo che zampillava sulla neve. Il suo viso intenso, perfettamente liscio, mi fissava in continuazione. Naturalmente, però, non ho deluso il
mio anfitrione; l'esibizione è stata un grosso successo, e tutti hanno applaudito generosamente. Qualcuno, addirittura, è stato tanto gentile da dichiarare che neanche il grande Maskelyne in persona aveva mai fatto di meglio. Alla fine, però, ho raccolto le mie cose e me ne sono andato subito, invece di mescolarmi educatamente agli ospiti, com'è mia abitudine. Cominciavo ad aver paura di quell'uomo. «Da allora, vivo nel timore di incontrarlo ancora. E poi quel mingherlino con gli occhiali, Windlesham, è venuto da me e mi ha detto che il suo principale voleva vedermi. So di chi si tratta, anche se lui si è rifiutato di far nomi. E stasera è tornato, con i rinforzi; be', tu li hai visti, Jim. Mi ha detto che doveva portarmi dal capo, per 'definire una questione che sta a cuore a entrambi'. Vogliono uccidermi, ne sono certo. Che posso fare, Mr Garland? Che mai posso fare?» Frederick si grattò la testa. «Non sa come si chiama quell'uomo?» chiese. «C'erano un mucchio di ospiti, quella sera. Me l'avranno anche detto, ma non mi ricordo. E Windlesham non ha voluto far nomi». «Cosa le fa pensare che vogliano ucciderla?» «Stasera mi ha detto che, se non avessi acconsentito a seguirli dopo lo spettacolo, sarei andato incontro a conseguenze estremamente spiacevoli. Se fossi una persona qualunque, mi darei alla macchia. Cambierei nome, magari. Ma io sono un artista! Per vivere, devo mostrarmi in pubblico. Come posso nascondermi? Mi conosce mezza Londra!» «Questa, semmai, è una garanzia» osservò Webster Garland. «Chiunque sia, non oserà farle del male se ha tanti occhi puntati addosso». «Non conosce quest'uomo. Non ho mai visto un viso così spietato. E poi è ricco e ha amici influenti, mentre io sono soltanto un umile prestigiatore. Oh, che posso fare?» Soffocando il consiglio che gli era salito alle labbra, Jim si alzò e uscì a prendere una boccata d'aria. Faceva sempre più fatica a dominare l'irritazione nei confronti del mago: non sapeva esattamente perché, ma di rado aveva incontrato qualcuno che gli andasse meno a genio. Si sedette nel cortile dietro il negozio, tirando sassolini dentro il telaio della finestra del nuovo studio in costruzione, finché non sentì una carrozza che si fermava davanti all'ingresso principale. Sicuro che Mackinnon se ne fosse andato, rientrò, e trovò Webster che si accendeva la pipa davanti al caminetto, e Frederick che riavvolgeva il nastro di magnesio nell'illuminatore tascabile.
«Bel mistero, eh, Jim?» gli disse questi alzando lo sguardo. «Perché sei uscito?» Il ragazzo si lasciò cadere pesantemente sulla poltrona. «Quel tipo cominciava a darmi sui nervi. E non chiedermi come mai, tanto non lo so. Vorrei averlo abbandonato al suo destino, invece di rischiare l'osso del collo tirandomelo dietro per i tetti. 'Oh, soffro di vertigini! Voglio scendere, voglio scendere!' E quel suo dannato snobismo... 'Naturalmente, mi considerano più che altro un ospite...' E bravo, il nostro citrullo fifone! Non l'hai accettato, vero, Fred? Come cliente, intendo...» «Non era quello che voleva, non esattamente, almeno. Più che un investigatore, gli interessa una scorta. Comunque ho il suo indirizzo, e ho promesso che avremmo tenuto gli occhi aperti per lui; francamente, a questo punto, non so cos'altro potremmo fare». «Buttarlo fuori, tanto per cominciare. Dirgli di andare a farsi friggere». «E perché mai? Se dice la verità, la cosa è interessante, e se mente, lo è ancor di più». «Ma certo che mente. Mai sentito in vita mia un tal concentrato di fandonie». «Alludi alla psicometria?» chiese Webster, rimettendosi sul divano. «E che mi dici della dimostrazione? A me, ha fatto molta impressione». «Siete due polli» ribatté Jim. «Spero che non vi capiti di inciampare nel gioco delle tre carte. È un prestigiatore, no? Di apparecchietti ingegnosi ne sa più di noi, persino più del vecchio Fred. Sapeva cos'era quell'affare, e ha visto quella foto lì sopra di cui andate tanto orgogliosi. Gli è bastato fare due più due, per lasciarvi a bocca aperta come due allocchi». Webster guardò il caminetto, su cui Frederick aveva attaccato una delle immagini scattate nella fumeria d'oppio, poi scoppiò a ridere e tirò un cuscino addosso a Jim, che lo prese al volo, sistemandoselo dietro la testa. «D'accordo» ammise Frederick. «Un punto per te. Ma dell'altra storia, quella dell'omicidio nella foresta, che ne pensi?» «Povero gonzo! Non ci avrai mica creduto? Mi deludi, Fred. Pensavo che avessi un po' di sale in zucca. Ma, visto che sei cieco all'evidenza, dovrò aiutarti io. Il mago ha in mano qualcosa contro quel tizio, l'ospite alla cena; lo ricatta, insomma. Logicamente, l'altro vuole toglierlo di mezzo, e non gli do torto. Oppure, se non sei convinto, senti questa: si spupazzava sua moglie, e quello l'ha scoperto». «Ecco ciò che più ammiro del cervello di Jim, ammesso che così si possa chiamare» fece Frederick a Webster. «Va dritto all'essenziale. Niente
fronzoli inutili, niente moventi elevati...» «Ma allora gli credi!» lo canzonò l'altro. «Tu ti stai rimbecillendo, vecchio mio, lascia che te lo dica. Sally non si farebbe mai infinocchiare da una storia del genere; lei sì che ha la testa sulle spalle». Frederick si rabbuiò in volto. «Non parlarmi di quella pazza bisbetica». «Pazza bisbetica! Questa è buona! Com'è che l'hai chiamata, l'ultima volta? Una fissata meschina e calcolatrice! E lei, un esaltato facilone e irresponsabile, e tu...» «Basta, dannazione! Non voglio avere più niente a che fare con lei. Piuttosto, dimmi di...» «Scommetto che vai a trovarla prima che finisca la settimana!» «Accetto. Mezza ghinea che vinco io». Suggellarono il patto con una stretta di mano. «Credi davvero a Mackinnon, Fred?» gli chiese lo zio. «Che gli creda o no, il caso mi incuriosisce. Come ho detto un attimo fa, anche se Jim fa finta di non aver sentito, se mente, la faccenda è ancora più appassionante. A ogni modo stavo giusto interessandomi di spiritismo, e quando salta fuori questo tipo di coincidenze, vuol dire che c'è sotto qualcosa». «Povero vecchio Fred» lo schernì Jim. «Un così bel cervello...» «Che mi dici dello spiritismo, allora?» domandò Webster. «C'è niente di significativo?» «Oh, parecchie cose» rispose Frederick, riempiendosi il bicchiere. «C'è inganno, ingenuità, paura, solitudine, vanità, speranza, e poi, in mezzo a tante emozioni, forse c'è anche un briciolo di verità». «Figurati!» esclamò Jim. «Sono tutte sciocchezze». «Be', se vuoi verificare di persona, domani sera c'è una riunione del Circolo Spiritico di Streatham e provincia...» «Un branco di idioti!» «... che potrebbe interessare la tua mente aperta, tollerante e prodigiosamente ricettiva. Tanto più che, mi dicono, succedono cose strane. Vuoi venire a dare un'occhiata?» NELLIE BUDD Lo spiritismo era uno degli argomenti che appassionavano maggiormente i contemporanei di Fred. Dai tinelli più umili, ai salotti più eleganti, ai laboratori universitari, era tutto un risuonare di battiti e colpi prodotti da
spiriti che, in mancanza di più degne occupazioni, cercavano di comunicare con i vivi; per non parlare di fenomeni come voci spettrali, squilli di tromba venuti dal nulla, e medium che emanavano una misteriosa sostanza chiamata ectoplasma... Era una questione capitale. C'era una vita dopo la morte? Fantasmi e apparizioni esistevano realmente? L'umanità era davvero sull'orlo della più grande scoperta della storia? Molti adepti zelanti prendevano la cosa parecchio sul serio, e nessuno era in verità più zelante del Circolo Spiritico di Streatham e provincia che si sarebbe riunito quella sera in casa di Mrs Jamieson Wilcox, vedova di un integerrimo droghiere. Frederick era stato invitato da uno dei soci, un impiegato della City rimasto turbato da quanto aveva udito nel corso delle sedute. Aveva insistito perché il giovane si nascondesse sotto una falsa identità; l'idea di spiare i suoi amici lo imbarazzava, ma, d'altronde, c'erano in gioco affari importanti e implicazioni finanziarie tali che non osava metterci una pietra sopra. Frederick aveva acconsentito di buon grado, trasformandosi, per quella sera, in uno scienziato, accompagnato dal suo assistente Jim. «Non devi far altro che ascoltare» raccomandò all'amico. «Cerca di ricordare ogni parola e lascia perdere le mani fantasma e i tamburelli volanti. In posti simili ce ne sono quanti ne vuoi. Piuttosto concentrati su quel che dice la medium». Fred aveva i capelli impomatati e un paio di lenti dottorali che gli traballavano sul naso rotto. Jim, interessato suo malgrado, reggeva una cassetta rifinita in ottone e un portabatterie, e continuò a lamentarsi del peso per tutta la durata del viaggio. Alle sette, il tinello di Mrs Jamieson Wilcox ospitava una dozzina di persone, pigiate come sardine. Per l'occasione, erano stati portati fuori i mobili più piccoli, ma rimanevano un grosso tavolo, un pianoforte, tre poltrone, una scansia stipata all'inverosimile e una credenza, sulla quale un maestoso ananasso teneva compagnia al ritratto, contornato di neri drappeggi, del compianto Mr Jamieson Wilcox. Il caldo era intenso, per non dire opprimente. I becchi a gas erano regolati sul massimo e nel camino ardeva un fuoco vivace. Gli spiritisti, poi, emanavano un forte calore animale, alimentato dalla robusta cena assaporata poco prima, e nell'aria aleggiavano pesanti effluvi di salmone in scatola, lingua salmistrata, pasticcio di gamberetti, barbabietola e biancomangiare. Chi si asciugava la fronte, chi si sventagliava a più non posso... ma nessuno avrebbe preso in seria considerazione l'ipotesi di togliersi la giac-
ca o di allentarsi la cravatta. La riunione vera e propria era fissata per le sette e mezzo, e, allo scadere dell'ora, un signore corpulento dall'aspetto autorevole aprì l'orologio e tossì rumorosamente per richiamare l'attenzione dei presenti. Era Mr Freeman Humphries, commerciante di stoffe in pensione, ora presidente del Circolo. «Signore e signori!» esordì. «Amici e compagni sul sentiero della verità! Mi sia consentito esprimere in primo luogo i più vivi ringraziamenti a Mrs Jamieson Wilcox, per averci tanto generosamente e deliziosamente rifocillato» mormorii di approvazione. «Poi, vorrei dare il benvenuto a Mrs Budd, la famosa chiaroveggente e medium, i cui messaggi dall'aldilà ci hanno tanto colpito e confortato in occasione della sua ultima visita». Si volse, con un leggero inchino, verso una donna bruna e prosperosa, dallo sguardo malizioso, che gli regalò un sorriso birichino. L'uomo tossì un'altra volta, scartabellando nervosamente fra gli appunti. «E, infine, ho l'onore di presentarvi il dottor Herbert Semple, e collega, della Royal Institution; pregherei ora il dottore di esporre lo scopo della riunione di stasera, e di parlarci delle sue ricerche». A quelle parole, Frederick si alzò, facendo vagare lo sguardo per la stanza affollata, sui commercianti, sugli impiegati e le loro mogli, sul giovane pallido dall'aria altezzosa e la giovane pallida con la collana di giaietto, sulla medium, Mrs Budd (che squadrava ammirata la sua figura avvolta nella redingote), su Mrs Jamieson Wilcox, sull'ananasso. «Grazie, Mr Humphries» cominciò. «Ottima cena, Mrs Wilcox. Veramente di prim'ordine. Signore e signori, vi sono estremamente grato di quest'invito. Il mio assistente e io ci dedichiamo da tempo allo studio dello stato di trance, con particolare riferimento alla conduttività elettrica dell'epidermide. Questa cassetta» Jim la issò sul tavolo, e Frederick la aprì rivelando una bobina di rame, una matassa di filo metallico, alcuni morsetti d'ottone e un grosso quadrante di vetro, «è la versione perfezionata dell'elettrodermografo, uno strumento inventato dal professor Schneider di Boston». Passò un pezzo di filo a Jim perché lo collegasse alle batterie, e ne svolse poi altri quattro, terminanti in altrettanti tondini di ottone, che furono allacciati alla bobina di rame. «Fisseremo i fili alle caviglie e ai polsi della medium» spiegò, «e il quadrante indicherà la resistenza. Mrs Budd, possiamo collegarla?» «Puoi collegarmi al tuo aggeggio quando vuoi, dolcezza» rispose lei in tono vivace.
Frederick tossì. «Ehm... Bene. Qualcuna delle signore vorrebbe essere tanto gentile da assicurare i fili alle caviglie della Mrs Budd? È un'operazione delicata, lo so...» Ma la medium della delicatezza se ne infischiava altamente. «Oh, no!» replicò. «Fallo tu, caro, così non prendo la scossa. E poi, tu possiedi il dono, no? Me ne sono accorta subito, tesoro... da te si sprigiona un'aura di spiritualità». «Oh, be', in tal caso...» acconsentì Fred, cogliendo un ghigno beffardo sul volto di Jim. Tirandosi appresso un intrico di fili, sgusciò sotto la tovaglia, mentre le signore e i signori del Circolo, aspramente combattuti fra la sconvenienza del fatto che un giovane toccasse un paio di caviglie femminili, e l'evidente spiritualità di entrambi gli interessati, tossicchiavano, parlottavano, e distoglievano discretamente lo sguardo. Dopo qualche attimo, il ragazzo riemerse, annunciando la fine dell'operazione. «E che tocco leggero!» commentò Mrs Budd. «Non ho sentito quasi niente. Mani di velluto!» «Allora» disse Frederick, assestando un calcione alla caviglia di Jim, «vogliamo provare l'apparecchio?» Azionò un interruttore, e l'ago balzò dallo zero, oscillando, al centro del quadrante. «Ma pensa un po'» osservò Mrs Budd. «Non pizzica nemmeno». «Oh, non c'è nessun pericolo, stia tranquilla; la corrente è molto leggera. Ora, signore e signori, vogliamo prendere posto?» Spiritisti e ospiti si incunearono alla bell'e meglio sulle rispettive sedie; Frederick, mettendosi davanti l'elettrodermografo, si piazzò accanto a Mrs Budd, mentre Jim non fece a tempo a svignarsela, che sentì una mano robusta e inanellata installarlo di prepotenza dall'altro lato della medium. «Le luci, per favore, Mrs Wilcox» esclamò Mr Freeman Humphries, e la padrona di casa abbassò le lampade a una a una, prima di sedersi al tavolo. Solo un debole chiarore, ora, illuminava la stanza. Il chiacchiericcio si spense. «Riesce a vedere il suo apparecchio, dottor Semple?» chiese una voce spettrale. «Perfettamente, grazie. L'ago è fosforescente. Quando vuole, io sono pronto, Mrs Budd». «Grazie, dolcezza» ribatté lei placida. «Signore e signori, formiamo la catena».
Le mani si allacciarono nel buio, in cerchio, lungo il bordo del tavolo. Frederick teneva d'occhio la cassetta, la destra stretta alla palma calda e madida della medium, la sinistra intrecciata alle dita ossute della ragazza pallida. Cadde il silenzio. Dopo circa un minuto, dalla bocca di Mrs Budd uscì un lungo, raggelante gemito. Il capo reclinato sul petto, la donna pareva addormentata; d'un tratto, però, si riscosse e cominciò a parlare, con voce maschile. «Ella» si udì. «Ella, amore mio». Era una voce sonora, pastosa, e più di uno fra gli astanti sentì drizzarglisi i capelli sulla nuca. Mrs Jamieson Wilcox trasalì, e domandò fievolmente: «Oh, Charles! Charles, sei tu?» «In persona, mia cara» rispose la voce, una voce maschile, una voce che nessuna donna avrebbe potuto imitare, una voce carica di sessantasette anni di porto, uva passa e formaggio. «Ella, tesoro mio, anche se il velo ci divide, non lasciamo che il nostro amore si raffreddi...» «Oh, no, Charles! Mai, te lo prometto!» «Io ti sono accanto, giorno e notte, mio amato bene. Di' a Filkins di stare bene attento al formaggio, giù in negozio». «Stare attento al formaggio... sì...» «E tieni d'occhio Victor, nostro figlio. Ho paura che frequenti cattive compagnie». «Oh, Charles, caro! Cosa posso...» «Non temere, Ella. Il sacro fulgore risplende... il regno della luce mi chiama... devo andare, ora. Ricordati il formaggio, cara. Filkins non sta abbastanza attento con i tovaglioli. Addio, Ella, addio...» «Oh, Charles! Addio, amore, addio!» Un sospiro, e lo spinto del droghiere si eclissò. Mrs Budd scosse la testa come per svuotarla, Mrs Jamieson Wilcox pianse discretamente in un fazzoletto orlato di nero, e la catena fu ricostituita. Frederick si guardò intorno. Anche se non riusciva, nell'oscurità, a distinguere le espressioni dei volti, sentiva che l'atmosfera era mutata: tutti erano eccitati, carichi di aspettative, e propensi a credere. La donna era un'artista. Lui, però, era sicuro che fingesse, e, comunque, non era di certo venuto fin lì per sentire lo spirito di un droghiere che parlava di formaggio. E poi, all'improvviso, tutto cambiò. Mrs Budd ebbe un fremito convulso, e cominciò a parlare con voce sommessa; la sua, stavolta, ma intrisa d'orrore e d'angoscia: «La scintilla...
c'è un filo, e il contatore gira... centouno, centodue, cento... no, no, no... Bella, bella ma... Una nave così bella, ma la ragazza è morta... Non è Hopkinson, ma non devono saperlo. No. È un segreto. La spada nella foresta... il sangue sulla neve, e il ghiaccio... è ancora lì, in una cassa di vetro... Il Regolatore. Trecento libbre, quattrocento... la Stella del Nord! C'è un'ombra sul nord... una nube infuocata... vapore e morte... e tubi, tanti tubi... tubi di vapore... sotto la Stella del Nord... è spaventoso...» La voce, carica di tristezza infinita, si affievolì a poco a poco fino a spegnersi. 'Questo, volevo sentire' si disse Frederick, che, pur non capendo il messaggio, si era ritrovato con la pelle d'oca. La donna sembrava prigioniera di un terribile incubo. Gli spiritisti aspettavano con riverente attenzione. Nessuno si mosse. Poco dopo, però, con un sospiro, la medium tornò in sé, e riprese il controllo della situazione. Nel buio echeggiò un accordo squillante; tutti trasalirono, e le tre cornicette d'argento appoggiate sul pianoforte vibrarono all'unisono. Dal centro del tavolo venne una pioggia di colpi; le mani sobbalzarono dalla sorpresa, e subito una forza misteriosa le fece levitare verso un pallido chiarore tremolante che andava disegnandosi sul soffitto. Mrs Budd, gli occhi serrati, sembrava al centro di un'invisibile tempesta, e Frederick, pur sapendo che era lei a pilotare ogni cosa, rimase nondimeno colpito: le tende ondeggiavano, le corde del piano stridevano all'impazzata, e, d'un tratto, il pesante tavolo, sotto la tovaglia di damasco, cominciò a dondolare, fluttuando nell'aria come una nave in balia delle onde. Sul caminetto, un tamburello tintinnò e cadde con uno schianto nel focolare. «Una manifestazione fisica!» esclamò Mr Humphries. «Fermi tutti! Osserviamo i fenomeni! Gli spiriti non ci faranno alcun male...» Ma gli spiriti, evidentemente, avevano altre intenzioni nei confronti dell'elettrodermografo, che emise un lampo accecante, accompagnato da un forte botto e da un intenso puzzo di bruciato. Mrs Budd strillò spaventata, e Frederick balzò precipitosamente in piedi. «Luce! Luce, per favore, Mrs Wilcox!» E mentre la padrona di casa, nel marasma generale, accendeva la lampada più vicina, il ragazzo si chinò sulla medium, per scioglierle i fili dai polsi. «Un successo insperato! Mrs Budd, lei ha superato ogni mia aspettativa! Mai visto nulla di simile... non ha sentito dolore, vero? No, certo che no.
La macchina si è rotta, ma non importa. Troppo forte per segnare il valore... l'ago schizzato fuori dal quadrante! Stupendo!» Con un sorriso di trionfo, fece un cenno agli spiritisti che, sbalorditi, battevano gli occhi abbacinati. Jim staccò il filo dalle batterie, mentre la donna si massaggiava i polsi. «Sono davvero spiacente, Mrs Wilcox» continuò Frederick, «non intendevo interrompere la seduta, ma, vede, adesso avete una prova scientifica! Quando pubblicherò il mio articolo, questa riunione del Circolo Spiritico di Streatham diventerà una pietra miliare nella storia della parapsicologia. No, non mi stupirei affatto se così dovesse accadere. Uno splendido risultato!» Gratificato da queste parole, il gruppo si sciolse, e Mrs Jamieson Wilcox, il cui pensiero, nei momenti cruciali, volava automaticamente alle cibarie, propose una bella tazza di tè per tutti. Mrs Budd fu circondata da un capannello di ammiratori, e Frederick e Mr Humphries si lanciarono in una dotta discussione accanto al fuoco, mentre Jim, aiutato dalla ragazza più carina della compagnia, metteva a posto l'elettrodermografo. Poco dopo, alcuni ospiti si avviarono alla porta, e Fred con loro. Prima di uscire, strinse la mano a tutti, strappò Jim alla sua ragazza, e colmò Mrs Budd di elogi particolarmente fervidi. Contemporaneamente, senza dare nell'occhio, se ne andò anche un ometto di mezz'età, esile, dall'aria nervosa, che li accompagnò verso la stazione. Oltrepassato il primo angolo, Frederick si fermò, togliendosi gli occhiali. «Così va meglio» osservò, strofinandosi gli occhi. «Allora, Mr Price. È questo che si aspettava? Fa sempre così?» L'uomo annuì. «Mi spiace per la sua macchina» si scusò. Dava l'impressione di scusarsi sempre, per tutto. «Non c'è motivo di rammaricarsi. Cosa sa lei, mi dica, di elettricità?» «Assolutamente nulla, devo ammettere...» «Si consoli, è in buona compagnia. Potrei collegare quest'affare a un cetriolo e dire che c'è dentro l'anima dello zio Albert; uno spostamento dell'ago, e ci cascherebbero tutti come pere cotte. No, questa è soltanto una macchina fotografica». «Oh! Pensavo ci volessero sostanze chimiche, e un sacco di...» «Una volta, con le vecchie lastre al collodio. Bisognava spalmarglielo sopra tutte le volte. Questa qui è caricata con una lastra alla gelatina. È una nuova invenzione: molto più pratica». «Ah...»
«E il lampo era intenzionale, ovviamente. Non viene fuori nulla, al buio. Non vedo l'ora di sviluppare la lastra, e cogliere Mrs Budd con le mani nel sacco. Quella roba sulle scintille, le ombre e la Stella del Nord, però... quella era diversa». «Può ben dirlo, Mr Garland. È questo che mi preoccupa. Sono quattro volte che assisto alle sue sedute, e ogni volta è caduta in una trance così, diversa da tutto il resto, tirando fuori particolari su certi affari della City operazioni finanziarie, cose del genere - alcuni dei quali assolutamente riservati. È un bel mistero». «Il messaggio di stasera le dice niente? Chi è questo Hopkinson, per esempio?» «Non ne ho idea, Mr Garland. Stavolta è stata particolarmente sibillina. Solo... 'bella ma'... e la Stella del Nord...» «Ebbene?» «Ha detto: 'Bella, bella ma...' se ricorda. Be', il mio principale si chiama Bellman. Axel Bellman, il finanziere svedese. E 'Stella del Nord' è il nome di una società che ha appena costituito. La mia paura, vede, è che trapeli qualcosa, e che si sospetti del sottoscritto... Un impiegato può contare solo sul suo buon nome. Mia moglie non sta molto bene, e se dovesse accadermi qualcosa, non oso pensare...» «Certo, capisco». «Temo che quella poveraccia, Mrs Budd, intendo, sia posseduta da un'entità disincarnata» concluse l'uomo, battendo le palpebre alla luce del lampione, velata da una pioggerellina leggera. «È molto probabile» ribatté Frederick. «Bene, Mr Price, la cosa è davvero interessante. Adesso, lasci fare a noi, e la smetta di tormentarsi». «Va bene, va bene» disse Jim sul treno, dieci minuti dopo. «Ho cambiato idea. C'è sotto qualcosa». Fred, con la macchina fotografica in equilibrio sulle ginocchia, aveva appena letto le frasi pronunciate da Nellie Budd nella sua strana trance. Anche Jim era un mago, ma con le parole: ricordava l'intero messaggio, e l'aveva riprodotto fedelmente. Non solo... qualcosa gli suonava stranamente familiare. «Ma certo!» esclamò rileggendolo. «È la storia di Mackinnon, tale e quale!» «Non dire sciocchezze» replicò l'amico. «Ma sì, ti dico. Ascolta. 'La spada nella foresta... il sangue sulla neve, e
il ghiaccio... è ancora lì, in una cassa di vetro...'» Frederick lo guardava dubbioso. «Può darsi. Ma la cassa di vetro cosa c'entra? Non è la Bella Addormentata nel Bosco, quella? Il sangue sulla neve... Aspetta... è Biancaneve, o Barbablù, o vattelappesca. Tutte favole, comunque. E poi, non avevi detto che non gli credevi, al mago?» «Non c'è bisogno di credergli, per vedere un nesso, non trovi? Quello c'è immischiato, in un modo o nell'altro. Scommetto dieci scellini». «Ah, no, guarda. Su Mackinnon non accetto scommesse. È il classico tipo che ha le mani in pasta dappertutto. Senti, voglio sviluppare questa lastra. Tu porta le batterie al negozio, che io monto su una carrozza, e vado da Charlie a Piccadilly». UNA CONSULTAZIONE FINANZIARIA Quella notte, mentre la City era ormai avvolta dal buio e dal silenzio, il consulente finanziario S. Lockhart lavorava nel suo ufficio. Nel camino ardeva un focherello stentato e il tappeto era cosparso di fogli, appallottolati e gettati disordinatamente in direzione del cestino, o impilati, secondo qualche arcano criterio, in mucchietti traballanti. Sally sedeva alla scrivania, colla e forbici da una parte, una catasta di giornali, lettere, certificati e pratiche dall'altra, e una carta dei paesi baltici sul tampone della carta assorbente. Chaka dormiva di fronte al fuoco, il muso abbandonato su un fianco, accompagnando di tanto in tanto i sogni con una contrazione delle zampe anteriori. Sally lottava con i capelli che le ricadevano sulla fronte, obbligandola a scostarli in continuazione con un gesto impaziente; gli occhi, poi, le bruciavano dalla stanchezza. Guardò la lampada a gas per la ventesima volta, chiedendosi se valesse la pena di raccogliere le carte dal pavimento per avvicinare la scrivania alla luce; no, decise infine, ritornando alla cartina con una lente d'ingrandimento. D'un tratto, il cane si tirò su, ringhiando. «Cosa c'è, Chaka?» mormorò lei, tendendo l'orecchio; un attimo dopo, sentendo bussare al portone, si alzò, accese una candela sulla lampada e la infilò in una lanternetta, per proteggerla dall'aria. «Vieni, vecchio mio» disse, prendendo una chiave dal tavolo. «Andiamo a vedere chi è». Il bestione si drizzò sulle zampe, sbadigliò rivelando le fauci scarlatte, si
stiracchiò e le trotterellò dietro lungo le due rampe di scale che conducevano in strada. Attorno al piccolo cerchio di luce, l'edificio incombeva scuro e silenzioso, ma Sally avanzava tranquilla: era di casa, lì, e sapeva che nessun pericolo si celava nell'ombra. Aperto il portone, guardò freddamente la sagoma che le stava di fronte. «Be'?» fece. «Posso entrare, o mi tieni qui fuori?» replicò nel buio Frederick. Senza una parola, lei si scostò. Trattenne per il collare Chaka, che ringhiava, mentre il ragazzo la precedeva su per le scale. Nessuno dei due aprì bocca. Su in ufficio, Fred mollò a terra cappotto e cappello, posò con cura la macchina fotografica, e accostò una sedia al camino. Il cane ricominciò a ringhiare. «Di' alla belva che sono un amico» borbottò. Sally accarezzò Chaka sulla testa, e lui si accucciò al suo fianco, all'erta. Lei rimase in piedi. «Ho da fare. Cosa vuoi?» «Cosa sai di spiritismo?» «Oh, andiamo, Fred» scattò esasperata. «Non ho tempo per i tuoi giochetti. Ho del lavoro da sbrigare». «E di un uomo di nome Mackinnon? Un prestigiatore?» «Mai sentito nominare». «Va bene. Proviamo con quest'altro. Bellman. E la Stella del Nord». Sally spalancò gli occhi. Cercò la sua sedia, lasciandovisi cadere lentamente. «Sì, lo conosco. Cos'è questa storia?» Il giovane le raccontò brevemente della seduta di Streatham, allungandole il foglietto su cui Jim aveva riportato il messaggio. Lei sbatté le palpebre, strizzando gli occhi. «È la grafia di Jim, questa? Di solito riesco a decifrarla, ma...» «L'ha scritto in treno. E comunque, sarebbe ora che tu mettessi delle luci decenti in questa baracca. Da' un po' qua, faccio io». Finito di leggere, Fred alzò lo sguardo, e vide apparire sul volto di lei un guizzo di curiosità. «Be'?» le chiese. «Cosa sai di Axel Bellman?» «Praticamente nulla. È un finanziere, e il mio cliente lavora per lui. Nient'altro». «E tu saresti un detective?»
Sally parlava in tono sprezzante, ma non malevolo; d'un tratto si curvò a terra per cercare alcune carte, e dovette scuotere nervosamente il capo per liberare la fronte dai capelli. Vedendola così, con il viso infiammato e gli occhi lucenti, Fred fu invaso dal consueto, irrefrenabile slancio d'amore nei suoi confronti, seguito dall'altrettanto consueto moto di irosa rassegnazione. Com'era possibile che questa disordinatissima e instabile devota dell'alta finanza avesse un tale potere su di lui? Sospirò, e si accorse che lei gli tendeva un foglio, coperto dalla sua scrittura rapida e regolare: Axel Bellman - nato in Svezia (?) nel 1835 (?) prime attività: commercio del legname baltico - fabbriche di fiammiferi a Goteborg e Stoccolma, stabilimento di Vilno chiuso per ordine del governo in seguito a un incendio che causa la morte di trentacinque operai - trasporti marittimi: compagnia di navigazione a vapore Anglo-Baltic - industria estrattiva e siderurgica: compra a basso prezzo società sull'orlo del fallimento liquidandone il patrimonio - primo sbarco in Inghilterra nel 1865 - misterioso scandalo connesso alle ferrovie messicane - scompare - probabilmente detenuto in Messico, 1868-1869 - rispunta in Russia con il socio Arne Nordenfels, altro intrigo legato alle ferrovie (?) - nessuna traccia di Nordenfels prima o dopo l'affare russo - arriva a Londra nel 1873, con mezzi apparentemente illimitati - soprannominato dalla stampa 'Il re del vapore' - fonda nuove società, soprattutto chimiche e minerarie - interessi finanziari nelle macchine a vapore, le ferrovie, ecc. - Stella del Nord? - celibe - indirizzi: 47 Hyde Park Gate; Baltic House, Threadneedle Street. «Un tipino un po' losco, eh?» osservò, restituendoglielo. «Perché ti interessa tanto?» «Una mia cliente ha perso il denaro investito nella Anglo-Baltic. Tutti i suoi risparmi... una cosa terribile. Ed è colpa mia, Fred. Le ho consigliato io quelle azioni, e dopo qualche mese la società è fallita. Un fulmine a ciel sereno. Ho studiato la faccenda... credo che Bellman l'abbia fatto apposta. Liquidata in quattro e quattr'otto, e migliaia di persone ci hanno rimesso. Oh, un bel lavoretto, non c'è che dire... non sospetteresti mai che... Più indago, però, e più sento puzza di bruciato. Nulla di definito, ma... c'è qualcosa che non mi convince. Questo Nordenfels, per esempio...»
«Il socio della Russia? Quello di cui non si hanno più notizie?» «Sì. Oggi ho scoperto una cosa; devo aggiungerla alla scheda. Nordenfels progettava macchine a vapore. Aveva disegnato il motore della Ingrid Linde, il piroscafo della Anglo-Baltic scomparso in mezzo al mare. La nave non era assicurata, per la società è stato il colpo di grazia. E lui, dopo la Russia... puff! svanito nel nulla». Grattandosi la testa, Fred si appoggiò alla spalliera e allungò le gambe, attento, però, a non urtare Chaka. «E perché dopo 'Stella del Nord' c'è un punto interrogativo?» «Semplicemente perché non so di cosa si tratta. Per questo il tuo messaggio è così interessante. Fa' vedere, un attimo soltanto...» Gli prese il foglio, aguzzando gli occhi. «'Non è Hopkinson, ma non devono saperlo'... E poi... 'Il regolatore'. È stupefacente, Fred. Nessuno, neanche la stampa, sa cosa sia questa società - la Stella del Nord - o perché sia sorta. Sono riuscita a scoprire soltanto che sembra legata a una macchina, un procedimento, un qualcosa, insomma, che si chiama Regolatore Automatico di Hopkinson». «Le macchine a vapore sono dotate di regolatori» ribatté Frederick. «E questo Bellman, lo chiamano 'il re del vapore', no?» «Una volta. Penso avesse un galoppino, un giornalista probabilmente, che scriveva pezzi su di lui... non vere e proprie notizie, ma trafiletti per farlo apparire stimabile e importante, per dipingerlo come qualcuno cui valesse la pena di affidare i soldi. Lo chiamavano così quando è arrivato in Inghilterra, cinque o sei anni fa, e ha fondato le prime società. Ma adesso è un po' che non usano quel soprannome; di lui si parla poco, anche perché non c'è molto da dire; pare sepolto vivo. Ma è l'uomo più ricco d'Europa, ed è malvagio, Fred. Un distruttore. Quanti, oltre alla mia cliente, hanno investito denaro nella sua impresa, per vederla spazzar via a quel modo? Ah, ma lo sistemerò io. Gliela farò pagare». Sally, gli occhi fiammeggianti, teneva le mani strette a pugno sulle ginocchia. Chaka, al suo fianco, ringhiava sommessamente. «E la seduta spiritica?» chiese Frederick dopo un attimo. «Questa medium, Mrs Budd, attinge veramente le notizie dall'etere, oppure recita? Non riesco a capire». «Non so niente di lei» replicò Sally. «Ma conoscevo gente a Cambridge - scienziati - che studiava il fenomeno. Qualcosa c'è, sicuramente. Forse leggeva nel pensiero del tuo cliente. Lui conoscerà i fatti a menadito». «È possibile... anche se non aveva idea di cosa fosse la scintilla. O le
trecento libbre. Un bel ciccione, questo Bellman». «Forse non si tratta di peso». «Ah, no? E di cosa, allora?» «Le macchine a vapore...» «Ah! Pressione! Trecento libbre per pollice quadrato... impossibile. Forse è a questo che serve il Regolatore Automatico. A impedire alla pressione di salire così tanto. Ma, a quello, ci pensano già le valvole... Molto interessante, Lockhart. Proprio ieri mi è capitato un cliente... be', non proprio un cliente, un tizio che Jim ha portato da teatro... un prestigiatore. Ha delle visioni, o roba del genere - psicometria, la chiama lui -, ed è convinto di aver assistito a un assassinio. Non so cosa si aspetti da me, per la verità...» «Uhm...» Sally sembrava assorta in tutt'altri pensieri. «Hai intenzione di occuparti di questa storia della seduta?» «Di accettare il caso, cioè? Già fatto. Appena sviluppata la foto, vado da Nellie Budd e sento cos'ha da dire. Perché?» «Niente. Non mettermi i bastoni fra le ruote, ecco tutto». Fred si drizzò sulla sedia, furente. «Questa è bella! Potrei dirti lo stesso, brutta strega presuntuosa, se non fossi un gentiluomo! Non mettermi i bastoni fra le ruote, sentila!» Lei sorrise. «Va bene, va bene. Pace, adesso». Il sorriso lasciò il posto a un'espressione stanca. «Ma ti prego, Fred, stai attento. Devo recuperare quel denaro. E se scopri qualcosa di interessante... be', fammelo sapere, d'accordo?» «Lavoriamo insieme, allora. Perché no?» «No. Otterremo di più, ognuno per conto proprio. Dico sul serio». Inutile insistere, Fred lo sapeva bene; qualche minuto dopo, fece per andarsene. Sally lo accompagnò in strada, mentre il bestione nero li precedeva trotterellando giù per le scale buie. Arrivato al portone, il ragazzo si volse, tendendole la mano, e lei, dopo un attimo di esitazione, la prese. «Ci scambieremo le informazioni» concluse. «Ma niente di più. Oh, a proposito...» «Cosa?» «Ho visto Jim, stamattina. Gli devi mezza ghinea». LADY MARY Frederick scoppiò a ridere. «Be', che c'è?» gli chiese Webster da dietro il bancone. Era la mattina
successiva alla seduta e il ragazzo, pagato il suo debito a un Jim trionfante, stava sviluppando la fotografia di Nellie Budd. «Ha quattro mani!» esclamò. «E la luce non è niente male». «Già, e se quella roba ti pianta in asso?» ribatté lo zio. «Dammi retta, solo il magnesio è sicuro». Si asciugò le mani, alzandosi per esaminare la copia che Fred gli tendeva. «Accipicchia! Il trucco c'è... e si vede!» L'immagine parlava chiaro: con una mano la medium sollevava il bordo del tavolo, e con l'altra tirava un filo o uno spago fissato alle tende, mentre quello che Jim stringeva, nella sua mano destra, aveva tutta l'aria di un guanto imbottito. «Lo so che sembra stupido, ora» osservò Frederick, «ma a me pareva proprio di tenere una mano. Guarda la faccia di Jim...» Sul volto vivace era stampata un'espressione a metà fra il timore reverenziale e l'allarme di chi sta per perdere i pantaloni. Webster rise. «Questa ti ripaga della tua mezza ghinea, Fred. E adesso, che ci fai con la foto? Mandi in pensione la tua amica?» «Oh, no» rispose lui. «Mi è troppo simpatica. Se quelli del Circolo Spiritico di Streatham sono tanto gonzi da cascarci, buona fortuna a lei. Credo che ne stamperò un po' per il negozio. Una bella serie intitolata. 'Il panico: ovvero Jim e gli spiriti'. No, a pensarci bene, la userò come biglietto da visita per quando vado a trovarla». Frederick aveva intenzione di andarvi il giorno stesso, ma a metà mattina accadde qualcosa che lo costrinse a rimandare: Mackinnon si infilò nel negozio. Per non farsi riconoscere, si era infagottato in un lungo mantello e portava un cappello a tesa larga; sennonché, così paludato, attirava l'attenzione più che se fosse stato accompagnato da un reggimento di cavalleggeri. Poiché Webster era impegnato nello studio e Jim era fuori, Fred lo ricevette da solo nel retrobottega. «Ho bisogno del suo aiuto» esclamò il mago, concitato, non appena si furono seduti. «Stasera ho un incarico privato, e vorrei che lei mi accompagnasse. Caso mai quell'uomo...» «Un incarico privato?» «Uno spettacolo di beneficenza da Lady Harborough. Circa cento persone. Cinque ghinee a testa, per un ente ospedaliero. Io, naturalmente, offro gratis i miei servigi, salvo una cifra simbolica per le spese...» «Be', e io che dovrei fare? Gliel'ho detto che non mi occupo di protezio-
ne; se vuole una guardia del corpo...» «No, no, non una guardia del corpo. Mi sentirei più sicuro con qualcuno che lo tenesse d'occhio, ecco tutto. Se tentasse di avvicinarsi a me, lei potrebbe attaccar discorso, cercare di distrarlo... capisce?» «Se non so nemmeno che faccia ha! Lei, Mr Mackinnon, è stato maledettamente vago riguardo all'intera faccenda. Crede che quell'uomo, di cui non sa il nome, le stia alle calcagna perché ha intuito che lei l'ha visto uccidere qualcuno in una visione; ma non sa né dove sarebbe avvenuto il fattaccio, né quando, né chi è questo qualcuno, né...» «È per questo che mi sono rivolto a lei. Perché lo scopra» ribatté il mago. «E se non è in grado di farlo, le sarei grato se mi indicasse un detective più abile di lei». Aveva un'aria grave e autoritaria, ma anche lievemente ridicola, con quel mantello e quel cappello bohémien. Frederick scoppiò a ridere. «D'accordo. Visto che la mette su questo piano, l'accontenterò. Ma, intendiamoci, non le farò da guardia del corpo. Se questo tizio cerca di infilarle una spada nel costato, io mi limiterò a fischiettare, e a guardar fuori dalla finestra. Di risse, in vita mia, ne ho già avute abbastanza.» Si accarezzò il naso, rotto sei anni prima in una zuffa su un solitario molo di Wapping, nella quale, per poco, non aveva lasciato la pelle. «Verrà, allora?» «Sì. Ma lei dovrà dirmi cosa fare. Devo farle da aiutante sulla scena, o che altro?» L'espressione del mago rivelava chiaramente la sua opinione in proposito; ma lui si astenne dal tradurla in parole, e tirò fuori un biglietto d'invito. «Mostri questo all'ingresso, paghi le sue cinque ghinee e potrà entrare come ospite. Abito da sera, naturalmente. E... si guardi intorno. Osservi gli altri. Troverò il modo di indicarle quell'uomo, ammesso che ci sia. Non so se verrà. E poi, scopra di chi si tratta... faccia il suo mestiere, insomma». «Un gioco da ragazzi» osservò Frederick. «C'è un unico particolare... le cinque ghinee... usciranno dalle sue tasche, non dalle mie». «Certo, certo» rispose Mackinnon con tono insofferente. «È sottinteso. L'aspetto, allora. Conto su di lei». I clienti che si recavano in Burton Street per farsi fare il ritratto incappavano spesso in un fotografo bruno, dalla corporatura massiccia, di nome Charles Bertram, che Webster Garland teneva in grande considerazione. Era capace ed estroso, e le sue immagini palpitavano di espressività e di
vita. Proprio come Sally, Charles aveva tutte le ragioni di apprezzare lo spirito democratico, anticonformista e bohémien dei Garland: suo padre, infatti, era baronetto, e l'origine nobile l'avrebbe condannato al rango di aristocratico dilettante, se Webster non l'avesse introdotto nel mondo dei tecnici e degli artisti, dove era solo l'abilità a contare. E lui, che di abilità ne aveva da vendere, si era aggregato alla combriccola composta da Jim il macchinista, Fred il detective e Webster il genio, cui si univa, di tanto in tanto, Sally, la consulente finanziaria. Naturalmente non era l'unica attività di Bertram, scattare ritratti a due scellini e mezzo l'uno. Lui e Webster lavoravano a un progetto molto più ambizioso: nientemeno che la cattura del movimento stesso su una lastra fotografica. Grazie ai soldi investiti nell'azienda dal giovanotto, avevano iniziato la costruzione di un nuovo studio, più ampio, nel cortile sul retro, prevedendo che gli esperimenti avrebbero richiesto più spazio. Nel frattempo, Charles aiutava in negozio ed eseguiva vari lavoretti: quella mattina, per esempio, stava montando un obiettivo nuovo sulla fotocamera più sofisticata dello studio. Frederick era in cucina, a buttar giù le sue riflessioni su Mackinnon, Nellie Budd e i possibili legami fra i due, quando Bertram si affacciò alla porta, chiamandolo. «Ciao, Charlie» lo salutò il ragazzo. «Cosa ne sai, di spiritismo?» «Niente di niente, grazie al cielo. Senti, mi daresti una mano con la nuova Voigtländer? Mi serve qualcuno che posi, e...» «Sicuro. E poi, dovresti farmelo tu, un piacere» rispose Frederick, seguendolo nella stanza caotica, ammantata di pesanti tendoni, che usavano come studio. Quando ebbero finito, il ragazzo gli parlò dell'incarico affidatogli da Mackinnon. «Non sembra un tipo molto raccomandabile» osservò Charles. «L'ho visto un paio di settimane fa, al Britannia; me l'aveva consigliato Jim. Come prestigiatore, è un fenomeno... E c'è qualcuno che gli dà la caccia, dici?» «Così dice lui». «È Mefistofele. Ha venduto la sua anima al diavolo, e quello è venuto a riprendersela». «Oh, non mi sorprenderebbe affatto. Ma senti, Charlie, tu li conosci, tutti questi tizi, Lord qui, la Contessa là... Non potresti venire con me, e farmi un po' di nomi? Datemi una corsa di cavalli, o una fumeria d'oppio, e io mi sento a casa, ma l'alta società inglese è un libro chiuso, per me. Hai da fa-
re, stasera?» «No, no. Ti accompagno volentieri. Pensi che ci sarà una rissa? Devo portare la pistola?» Frederick rise. «Caro mio, lo sai tu come si comportano i tuoi pari. Se così si usa agli spettacoli di beneficenza, farai meglio ad attrezzarti. Però, come ho detto a Mackinnon, se cominciano a volare oggetti, io me la svigno, e in fretta». Quando arrivarono, la residenza di Lady Harborough, in Berkeley Square, era già stipata di gente. Mostrarono l'invito a un valletto, pagarono il dovuto, e furono condotti in un salone surriscaldato, dove la luce di lumi e lampadari si rifletteva sfavillante sui gioielli delle signore e i bottoncini delle camicie degli uomini. Una porta a due battenti si apriva su una sala da ballo, dove una piccola orchestra, nascosta dietro una macchia di palme, suonava valzer garbati, quasi impercettibili nello stridio di tante voci aristocratiche. Frederick e Charles si appostarono accanto alla porta, con in mano una coppa di champagne. «Chi è Lady Harborough?» chiese il ragazzo. «Presumo che dovrei conoscere la nostra ospite». «La vecchia megera con l'occhialino» rispose Charles. «Quella laggiù, vicino al caminetto, che chiacchiera con Lady Wytham. Chissà se c'è anche la figlia: è uno schianto, quella ragazza». «La figlia di chi?» «Di Wytham. Il tipo che parla con Sir Ashley Hayward... quello dei cavalli». «Ah, sì. Hayward lo conosco; di vista, naturalmente. L'anno scorso il suo Grandee mi ha fatto vincere un deca. E così, quello è Lord Wytham, il ministro...» Lord Wytham era un uomo alto e brizzolato, dall'aria stranamente nervosa; gli occhi gli guizzavano di qua e di là, si mordicchiava il labbro, e, di tanto in tanto, si portava una mano alla bocca, rosicchiandosi un dito come un cane affamato. Vicino a Lady Harborough, sedeva, quieta e taciturna, una ragazza, che l'amico gli rivelò essere Lady Mary Wytham. Ogni tanto, sorrideva educatamente alle battute di qualche giovanotto che, nel gruppo di ospiti accanto a lei, parlava rumorosamente, ma, per lo più, se ne stava sulle sue, gli occhi bassi e le mani in grembo. Come aveva anticipato Charles, era bella,
anche se, pensò Frederick sentendo il respiro fermarglisi in gola non appena la vide, 'bella' non era la parola più appropriata. Lady Mary era incantevole, con una grazia, una ritrosia e una carnagione rosea che avrebbe voluto immortalare all'istante, salvo che niente e nessuno, ne era sicuro, avrebbero potuto catturare la freschezza di quelle gote, o la tensione sensuale della curva del collo e delle spalle. Be', forse Webster ne sarebbe stato capace. O lo stesso Charles. Strana famiglia, comunque, con padre e figlia accomunati da tanta soffocata disperazione. Anche Lady Wytham pareva tormentata: era di una bellezza delicata, meno appariscente di quella della ragazza, ma lo sguardo colmo del medesimo cupo sconforto. «Dimmi di Wytham» chiese Frederick a Charles. «Allora, vediamo... settimo conte, residenza da qualche parte sul confine scozzese, ministro del commercio o, almeno, lo era, perché adesso mi pare che Disraeli l'abbia sbattuto fuori dal governo. Lady Mary è la sua unica figlia; della famiglia della moglie non so molto. Anzi, di lui non so altro. Non è l'unico politico presente stasera: guarda, là c'è Harrington...» Charles tirò fuori un'altra mezza dozzina di nomi, ognuno dei quali, pensò Frederick, sarebbe potuto appartenere all'inseguitore di Mackinnon. Ma, per il momento, non riusciva a staccare gli occhi dalla snella figura, avvolta in un lungo abito bianco, di Lady Mary Wytham, che se ne stava silenziosa sul divano accanto al fuoco. Un'altra coppa di champagne, e fu annunciato il clou della serata. La porta che dava sulla sala da ballo lasciava intravedere diverse file di sedie, disposte a semicerchio intorno a un piccolo palco, chiuso sul retro da un sipario di velluto, e bordato sul davanti di felci e piccole palme. L'orchestra era sparita, e ora, in piedi accanto allo strumento sotto il palco, un pianista aspettava il via; nel giro di cinque minuti, il pubblico prese posto, e Frederick scelse per sé e per l'amico una posizione da cui il mago potesse vederli chiaramente, e fosse possibile, all'occorrenza, guadagnare rapidamente l'uscita. Charles, a sentire di queste precauzioni, scoppiò a ridere. «Sembra uno dei racconti polizieschi di Jim. Adesso, da un momento all'altro, spunteranno l'inafferrabile Jack, o Dick il Reietto, pistola in pugno, e faranno man bassa. No, seriamente, cosa ti aspetti che succeda?» «Non ne ho la minima idea. E neanche Mackinnon, del resto. Questo è uno dei problemi. Guarda... ecco la padrona di casa». Lady Harborough era salita sul palco per illustrare con un breve discorso
la preziosa opera assistenziale svolta dal suo ente: consisteva, in pratica, nello strappare le ragazze madri all'indigenza, per poi ridurle in schiavitù e costringerle, inoltre, ad ascoltare ogni giorno le prediche di pastori evangelici. La nobildonna non si dilungò eccessivamente; poco dopo, il pianista si sedette, aprì lo spartito e suonò un'inquietante serie di arpeggi nei toni bassi. Infine, si tirò il sipario, e Mackinnon apparve sulla scena. Era trasformato. Jim aveva preparato Fred, ma questi, che non gli aveva veramente creduto, sbatté le palpebre stupefatto, nel vedere quell'uomo guardingo e sfuggente diventato così maestoso e autorevole. Il mago portava il suo trucco candido: bizzarro, a prima vista, ma, in realtà, un tocco da maestro, perché gli permetteva di essere, a piacimento, sinistro, comico, toccante, teschio, clown, oppure Pierrot. L'aspetto giocava un ruolo importante nell'effetto complessivo. Mackinnon non era un semplice illusionista: come gli altri prestigiatori, trasformava fiori in vasche di pesci rossi, materializzava carte da gioco dal nulla, e faceva sparire candelieri d'argento massiccio, ma, nei suoi spettacoli, i trucchi erano mezzi rivolti a un fine: la creazione di un mondo nuovo. Un mondo in cui niente era fisso e tutto era mutevole e in cui le identità si confondevano fino a dissolversi, e concetti quali duro e molle, su e giù e dolore e gioia si tramutavano nei loro opposti in un batter d'occhio, perdendo qualsivoglia significato. Un mondo in cui l'unica guida affidabile era il sospetto, l'unico tema costante la diffidenza. Un mondo, si disse Frederick, con un che di demoniaco; non c'era allegria nelle esibizioni di Mackinnon, nessun'apparenza di gioco innocente. Un pensiero, subito respinto con sdegno (oddio, diventava anche superstizioso, adesso!) gli si riaffacciò alla mente con insistenza: il mago evocava le ombre, ed esse erano lì, palpabili, per quanto spavaldamente schernite alla luce del giorno. «E adesso, pregherei uno degli spettatori di prestarmi il suo orologio» esclamò Mackinnon, guardando fisso Frederick con un lampo negli occhi scuri; lui, capendo al volo, si slacciò la catena dal panciotto e gliela tese. Altre braccia si levarono fra il pubblico, ma il mago, scendendo elegantemente dal palco, si portò accanto al ragazzo. «Grazie, signore» risuonò la sua voce. «Ecco un uomo che confida nella benevolenza del mondo incantato! Può lui sapere quali terribili trasformazioni si abbatteranno sul suo orologio? No! Diventerà forse un crisantemo? O un'aringa affumicata? O un ammasso inestricabile di molle e ingranag-
gi? Cose ben più strane sono accadute!» E poi, prima di poter far mente locale, Frederick udì un sussurro: «Vicino alla porta. Appena entrato». Un attimo dopo, Mackinnon era di nuovo sul palco, e avviluppava l'orologio nelle pieghe di un fazzoletto di seta, con solenni declamazioni e pomposi ghirigori verbali; ma... era solo un'impressione, o la voce aveva una sfumatura isterica, adesso? La parlata sembrava più rapida, i gesti più enfatici, meno controllati... Non appena poté, il ragazzo si volse, con noncuranza, verso il punto indicatogli. Presso la doppia porta, sedeva un tipo massiccio e corpulento, con i capelli biondi e lisci e gli occhi molto distanti fra loro, un braccio appoggiato sulla spalliera della sedia accanto, vuota. Osservava la scena impassibile, esprimendo, con tutto il suo essere, concentrazione e dominio. Nonostante l'abito impeccabile, c'era qualcosa di selvaggio, in lui, osservò Frederick; eppure, no... si corresse, perché selvaggio era pur sempre umano. Quest'uomo, invece, era una macchina. Chissà cos'era, a farglielo pensare... Si scoprì a fissarlo, e riportò l'attenzione sul palco. Mackinnon stava eseguendo una qualche complicata manovra con l'orologio, ma la sua mente era, evidentemente, altrove; la mano gli tremava mentre passava il fazzoletto avanti e indietro sul tavolino, e gli occhi gli correvano incessantemente alla porta. Frederick si sistemò lateralmente sulla sedia, accavallando le gambe, come per mettersi più comodo; in questo modo, sia il mago che l'uomo rientravano nel suo campo visivo. D'un tratto, questi, con un cenno discreto, invitò un domestico ad avvicinarglisi e gli bisbigliò qualcosa, levando lo sguardo verso Mackinnon. Il valletto annuì, e uscì dalla stanza. Il mago vacillò per un attimo. Aveva visto tutto. Ora, tre persone soltanto contavano, nella stanza affollata: l'uomo biondo, Mackinnon, e Frederick, testimone del loro strano conflitto di volontà. Il pubblico, ormai, si era accorto che qualcosa non andava. Il mago, pallido come uno spettro, aveva cessato il suo parlottio; il fazzoletto gli penzolava, abbandonato, dalla mano, e un attimo dopo gli cadde per terra, mentre lui indietreggiava a passi barcollanti. La musica si spense. Il pianista sollevò gli occhi, perplesso. Mackinnon, reggendosi al sipario, riuscì ad annunciare, nel silenzio carico di tensione: «Chiedo scusa... non mi sento bene... devo interrompere lo spettacolo» e lasciò il palco. Gli ospiti erano troppo beneducati per reagire in modo scomposto, ma si
levò comunque un brulichio di commenti. Il pianista, di sua iniziativa, attaccò un valzer incolore, e Lady Harborough si alzò dalla prima fila, per mettersi a confabulare con un ometto anziano, probabilmente il marito. Frederick tamburellò con le dita sul bracciolo della sedia, pensieroso, e infine si decise. «Charlie» mormorò, «quel tipo vicino alla porta... capelli biondi, robusto. Vedi di scoprire chi è. Nome, titolo, indirizzo, tutto quel che puoi». L'amico annuì. «E tu cosa...» «Io vado a investigare». Raggiunse Lady Harborough, che, in piedi vicino al piano, accanto all'ometto, pareva sul punto di chiamare un domestico. Gli invitati - la maggior parte, almeno - guardavano educatamente da un'altra parte, chiacchierando come se niente fosse. «Milady?» chiese Frederick. «Mi scusi se la disturbo, ma sono medico, e se Mr Mackinnon non si sente bene, forse potrei essergli d'aiuto». «Oh! Un medico, che sollievo! Stavo giusto per mandarne a chiamare uno. Segua pure il domestico, dottor...» «Garland». Un valletto impettito, con i capelli brizzolati e i polpacci stretti nelle calze bianche, annuì impassibile, con un leggero inchino. Uscendo con lui dalla sala da ballo, Frederick sentì Lady Harborough dare ordine di far rientrare l'orchestra, e vide Charles Bertram conversare con qualcuno della fila dietro. Il domestico lo condusse in un corridoio, oltre l'atrio, fermandosi davanti a una porta adiacente alla biblioteca. «Mr Mackinnon usava questa stanza come camerino, signore» gli spiegò. Bussò alla porta, ma non ottenne risposta. Frederick gli passò davanti, e girò la maniglia. Del mago nessuna traccia. «Nell'atrio, non c'era un valletto?» chiese. «Sì, signore». «Potrebbe andare a chiedergli se ha visto Mr Mackinnon uscire dalla sala da ballo?» «Certamente, signore. Ma, se mi permette, non credo che sia passato di lì. Uscendo da dietro il palco, è più probabile che sia passato dal salotto». «Sì, capisco. Ma se fosse voluto andare a prendere una boccata d'aria, avrebbe dovuto attraversare l'atrio, no?»
«Suppongo di sì, signore. Devo chiedere, allora?» «Sì, per favore». Allontanatosi il domestico, Frederick ispezionò rapidamente la stanza, una specie di tinello. Presso il camino ardeva una lampada; abbandonati sullo schienale di una poltrona, giacevano il mantello e il cappello del mago. Accanto al tavolo c'era una valigetta di vimini, aperta, e, vicino a uno specchietto, un vasetto di cerone; di Mackinnon, però, neanche l'ombra. Dopo circa un minuto, l'uomo bussò alla porta. «Aveva ragione, signore. Mr Mackinnon è uscito in gran fretta dall'ingresso principale». «Tornerà quando starà meglio» ribatté Frederick. «Be', visto che la mia presenza qui è inutile, ormai, potrebbe riportarmi in sala?» Nella sala da ballo, i domestici toglievano le sedie, mentre l'orchestra riprendeva posto sul palco, e valletti passavano fra gli ospiti con altro champagne. Era come se il tempo fosse tornato indietro di un'ora, e Mackinnon non avesse ancora cominciato il suo numero. Il ragazzo si guardò intorno, in cerca dell'uomo biondo, ma questi era scomparso. Come anche Charles, del resto. Davvero incoraggiante. Afferrò una coppa, e gironzolò per la stanza, studiando gli ospiti. 'Che gente insulsa' osservò. 'Melensi, insignificanti e boriosi...' Si chiese che ore fossero, ricordandosi d'un tratto che il mago aveva ancora il suo orologio; sempre che a quest'ora, si disse cupo, non si fosse già trasformato in un coniglio, oppure in una mazza da cricket. Poi, il suo sguardo si posò su Lady Mary Wytham. Sedeva non lontana dal piano, accanto alla madre; entrambe sorridevano educatamente a qualcuno di cui non riusciva a scorgere il volto, coperto da una palma. Spostandosi leggermente di lato, guardò di nuovo, con noncuranza: il loro interlocutore era l'uomo biondo. Seduto di fronte alle due donne, chiacchierava con disinvoltura; Frederick non udiva bene, ma non volle avvicinarsi: si sentiva già abbastanza esposto. Con la scusa di muovere il capo al ritmo della musica, scrutò attentamente Lady Mary. Negli occhi, aveva lo stesso velo di disperazione che tanto l'aveva colpito, e non apriva mai bocca; ogni volta che c'era da rispondere, era la madre a farlo. Lei ascoltava, ma per dovere, e ogni tanto il suo sguardo abbracciava la stanza. Si chiese quanti anni potesse avere; in certi momenti, non ne dimostrava più di quindici. Infine, l'uomo si alzò. Fece un inchino alle signore, prese la mano che
Lady Mary gli porgeva esitante, e la baciò. Lei arrossì, senza tralasciare, però, il solito sorriso cortese. Mentre il biondo gli passava accanto, diretto all'uscita, Fred gli lanciò un'occhiata indifferente scorgendo di sfuggita i capelli chiari e gli occhi sporgenti, grigio-azzurri. Lo assalì, prepotente, l'impressione di un'immane forza fisica, di una potenza uniformemente distruttiva, come quella di un'enorme massa d'acqua che rotoli giù per uno scivolo. Pensò di seguirlo, ma scartò subito l'idea; sicuramente aveva una carrozza, e prima che lui trovasse una vettura, sarebbe scomparso nella notte. In quel momento, poi, spuntò Charles Bertram. «Hai trovato Mackinnon?» chiese al ragazzo. «No. È un'autentica anguilla, quello. Oh, be', verrà, prima o poi... E gli conviene sbrigarsi, dannazione! Rivoglio il mio orologio, io. Che mi dici del biondo? L'ho visto flirtare con Lady Mary Wytham». «Ah, davvero? Interessante. Ho appena sentito certe voci su Wytham... sembra che sia sull'orlo della bancarotta. Intendiamoci, non so fino a che punto sia vero. Il tuo biondo è un finanziere. Un pezzo grosso... ferrovie, miniere e fiammiferi. Svedese. Si chiama Bellman». UNA STRANA PROPOSTA Il mattino dopo, prima che Frederick potesse dirle dei legami fra Mackinnon e il suo caso, Sally si recò nel suo ufficio, dove trovò ad attenderla quello che, di primo acchito, le parve un normale cliente. L'uomo, un individuo minuto dagli occhiali cerchiati d'oro e i modi cortesi, si presentò come Mr Windlesham, e aspettò, molto educatamente, che sistemasse Chaka e si togliesse cappotto e cappello. Poi, sganciò la sua bomba. «Io rappresento Mr Axel Bellman» esordì. «Il nome, credo, non le è nuovo». Sally si lasciò cadere lentamente sulla sedia. Cosa significava tutto questo? «È giunto all'orecchio di Mr Bellman» riprese l'uomo, «che lei si ostina a svolgere indagini poco amichevoli sul suo conto. Egli è un uomo molto impegnato, con tanti e importanti interessi e responsabilità, e voci gratuite e infondate come quelle che lei cerca di diffondere, per quanto assolutamente futili, non possono che arrecargli notevole irritazione e fastidio. Al fine di evitarle l'imbarazzo di un'intimazione ufficiale, e il dispiacere di
un'azione legale, Mr Bellman mi ha incaricato di comunicarle di persona il suo disappunto, nella speranza che ne prenda seriamente atto e comprenda l'inopportunità di perseverare nello sterile sentiero da lei imboccato». Intrecciò le dita, sorridendo amabilmente. Sally, il cui cuore batteva all'impazzata, non riuscì a ribattere, lì per lì, che un'unica cosa: «L'ha imparato a memoria? O se l'è inventato man mano?» Il sorriso svanì. «Temo che non abbia capito bene, signorina. Le ho detto che Mr Bellman...» «Ho capito benissimo. Mr Bellman ha paura, e vuole farne a me. Be', io non mi lascerò spaventare, Mr Windlesham. Ho un motivo particolare per svolgere le mie indagini, e non smetterò finché non avrò raggiunto il mio scopo. E quale sarebbe, poi, questa fantomatica azione legale?» Altro sorriso. «Lei è troppo intelligente per pensare che possa rivelarglielo adesso. Mr Bellman deciderà se usare o no quest'arma quando gli riferirò la sua risposta». «E mi dica...» domandò Sally, «che posizione ricopre lei, esattamente, nell'azienda di Mr Bellman?» Negli occhi dell'uomo passò un lampo d'interesse. «Sono il suo segretario personale. Perché me lo chiede?» «Semplice curiosità. Bene, Mr Windlesham, lei mi è stato di grande aiuto. Adesso so di essere sulla buona strada. Chissà cosa inquieta tanto il suo principale... Non sarà la Ingrid Linde, per caso?» azzardò Sally. Aveva colpito nel segno. Mr Windlesham ebbe un sussulto, e la fronte gli si increspò in un dottorale cipiglio. «Le consiglio di fare molta attenzione, signorina. È facile, per coloro che sono privi di esperienza, cadere in grossolani errori, quando cercano di interpretare fatti assolutamente innocenti. Se fossi in lei, mi limiterei a fare il consulente. È un consiglio da amico. Mi permetta di dirle» si alzò, prendendo cappello e bastone, «quanto, personalmente, io ammiri la sua intraprendenza. Ho sempre guardato con favore all'emancipazione delle donne. Si concentri sul suo lavoro, Miss Lockhart. Le auguro tanta fortuna. Ma non si lasci trasportare dall'immaginazione». Sollevò il bastone a mo' di saluto, ma Chaka, fraintendendo le sue intenzioni, si drizzò sulle zampe, ringhiando. L'ometto non batté ciglio, e uscì dalla stanza. 'Però' si disse Sally, 'ha del fegato, quello. E adesso cosa faccio?'
Quel che fece, appena si ritrovò sola, fu prendere cappotto e cappello e recarsi a spron battuto dal suo vecchio amico, l'avvocato Temple. Mr Temple era un signore anziano, dall'aria ironica, perpetuamente circondato da una debole fragranza di tabacco, torta al cumino e carta stampata. Era stato l'avvocato di suo padre e le aveva dato una mano quando, sei anni prima, il capitano Lockhart era stato assassinato; profondamente impressionato dalla preparazione di Sally in campo finanziario e dalla sua conoscenza della Borsa, aveva vinto i propri antiquati pregiudizi, aiutandola a impiantare prima la società con Webster Garland, e successivamente il suo studio privato. Inquadrato brevemente il caso, lei gli descrisse la visita di Mr Windlesham. «Sally» lo sentì esclamare quando ebbe finito, «fai attenzione, mi raccomando». «Questo è quel che ha detto lui. Da lei, mi aspettavo qualcosa di più originale!» L'avvocato sorrise, mettendosi a tamburellare con le dita sulla tabacchiera. «La forza del diritto» ribatté, «sta nel fatto che ben pochi dei suoi concetti sono originali; grazie al cielo, devo aggiungere. Dimmi della Stella del Nord». Sally gli espose rapidamente quel che sapeva; poco, per la verità. Tralasciò, tuttavia, di parlargli di Nellie Budd: Mr Temple, pensò, non si faceva certo impressionare da ultraterreni. Lei stessa aveva i suoi dubbi al riguardo. «Non so se si tratti di una società industriale, mineraria, o che altro» concluse. «Ha un qualche legame con un'azienda chimica; è tutto ciò che sono riuscita a scoprire. Perché vogliono tenere segreta l'attività dell'impresa?» «Sostanze chimiche...» replicò lui con aria meditabonda. «Robaccia puzzolente che inquina l'acqua, e... Produce ancora fiammiferi, questo Bellman?» «No. In Svezia c'è stata un'indagine governativa, dopo di che la sua fabbrica è stata chiusa; ma, alla fine, è risultato che lui non c'entrava niente, perché l'aveva venduta l'anno prima». «Ascolta me, adesso. Giorni fa, ho sentito il nome Stella del Nord in un altro contesto. Al club, un tizio parlava di cooperative, sindacati e cose del
genere, e ha accennato a una nuova ditta su nel Lancashire, impostata su strani criteri. Non ricordo bene, anzi, per la verità, non stavo molto attento... ma il succo della faccenda era che questa azienda si propone di organizzare la vita dei dipendenti fin nei minimi particolari. Controllo assoluto, in sostanza; una cosa spaventosa, secondo me. Ma il punto è che la società, apri bene le orecchie, si chiamava Stella del Nord». Sally sobbalzò sulla sedia, sorridendo. «Era ora!» esclamò. «Scusa?» «Un indizio, finalmente. Che fa, quest'azienda?» «Ah, quel tizio non lo sapeva esattamente. C'erano di mezzo le ferrovie, gli pareva. Ti andrebbe un bicchiere di sherry?» Lei accettò e, mentre lui versava il liquore, si mise a osservare i granellini di polvere fluttuanti nel raggio di sole che penetrava obliquo dalla finestra scalcinata. Mr Temple era un vecchio amico, aveva cenato da lui molte volte, eppure ancora non si sentiva del tutto a suo agio quando non discutevano di affari. Tutto ciò che le altre ragazze facevano con disinvoltura - parlare del più e del meno, danzare con grazia, flirtare con sconosciuti a cena, scegliendo con mano infallibile forchetta e coltello giusti - le riusciva ancora difficile e imbarazzante, e il ricordo di penosi insuccessi lo rendeva ancor più problematico. Lontano da pratiche e bilanci, Sally si sentiva veramente a casa, veramente se stessa, solo nell'allegra baraonda dei Garland. Sorseggiò senza fiatare il nettare bruno, mentre l'avvocato esaminava le carte che gli aveva portato. «Nordenfels...» osservò infine questi. «Chi è? È citato più di una volta». «Ah, era socio di Bellman. Un progettista, un ingegnere. Proprio ieri mi sono imbattuta in un articolo, nel Giornale della Reale Associazione Ingegneri, in cui si faceva il suo nome. A quanto pare, ha inventato un nuovo tipo di valvola di sicurezza, in grado di funzionare a temperature, o pressioni, o diosacosa, maggiori del consueto. Devo approfondire. E poi, è scomparso... tre, quattro anni fa. Può darsi che lui e Bellman abbiano semplicemente preso strade diverse, ma ho la sensazione...» «Uhm... Se fossi in te, lascerei perdere le sensazioni. Concentrati su fatti e cifre. Con questa faccenda dell'Anglo-Baltic, hai messo le mani su qualcosa... questo è certo. Hai controllato l'assicurazione della Ingrid Linde?» «Lì, sul foglietto giallo. È tutto a posto. Niente frode ai danni dell'assicurazione». Dopo un minuto, Sally continuò: «Questo Windlesham ha parlato di un'azione legale. Potrebbe intendere un'ingiunzione?» «Ne dubito molto. Bellman dovrebbe dimostrare al tribunale: primo, che
l'attività contestata è di per se stessa illecita, cosa cui tu ti opporresti; secondo, che la controversia non si potrebbe adeguatamente dirimere con il pagamento di un indennizzo». «Allora è tutto un bluff?» «Credo di sì. Ma ci sono altri modi per nuocerti, oltre che trascinarti in tribunale. Perciò ti ripeto: stai attenta». «D'accordo. Ma non smetterò le mie indagini. Quell'uomo trama qualcosa di criminale, Mr Temple, ne sono certa». «Probabilmente hai ragione. E ora senti, non voglio trattenerti, ma c'è qui un certo O'Connor cui hanno lasciato mille sterline; vuoi occupartene tu, e dirgli come far aumentare il suo gruzzoletto?» Contemporaneamente, nel cuore della City, l'ex ministro Lord Wytham aspettava in corridoio, fuori da un lussuoso ufficio, tamburellando incessantemente con le dita sul cilindro e balzando in piedi ogni volta che un impiegato sbucava da una porta o da dietro un angolo. Era un bell'uomo, con quella bellezza distinta, dagli occhi da cerbiatto, che a volte dà un'idea di debolezza. La sera prima, Frederick aveva avuto l'impressione che fosse in preda a un'ansia tormentosa, e, se l'avesse visto in quel momento, ne sarebbe stato certo. Aveva le unghie rosicchiate fino alla carne viva, i grandi occhi scuri cerchiati da pesanti occhiaie, e i baffi grigi sfilacciati a furia di mordicchiamenti. Non riusciva a star fermo per più di un minuto; se nel corridoio non spuntava nessuno, si alzava lo stesso, guardando le stampe sul muro, oppure fuori dalla finestra affacciata su Threadneedle Street, o giù per la scalinata di marmo, con occhi che non vedevano. Infine, si aprì una porta, e apparve un commesso. «Mr Bellman l'attende, milord» annunciò. Lord Wytham afferrò il cilindro dalla sedia, prese il bastone e lo seguì in un'anticamera, e di lì in un ampio ufficio, arredato a nuovo. Axel Bellman si alzò da dietro la scrivania, per stringergli la mano. «È stato gentile a venire, Wytham» cominciò, invitandolo ad accomodarsi in poltrona. «Strana serata, quella di ieri, non trova?» Aveva una voce profonda e quasi priva d'accento, il volto senza rughe, capelli biondi folti e lisci. Poteva avere dai trenta ai sessant'anni. Come l'ufficio, sembrava fresco di fabbrica, un manufatto massiccio e levigato, ma la sua era la levigatezza dell'acciaio molato, più che della pelle ben curata. Aveva uno sguardo fisso, sconcertante; gli occhi sporgenti non rive-
lavano nulla del suo stato d'animo ma non erano spenti: al contrario, sprizzavano elettricità. Lord Wytham distolse involontariamente lo sguardo, gingillandosi con l'orlo del cilindro, prima di allungarlo al commesso, che si era offerto di riporlo. Bellman lo osservò mentre l'appendeva all'attaccapanni, poi si rivolse nuovamente al suo ospite. «Serata interessante, da Lady Harborough» ripeté, «non le pare?» «Ah, be'... Quel tipo, sparire così, all'improvviso... sì, certo». «Le piacciono gli spettacoli di magia, Wytham?» «Non posso dire di avere una grande esperienza...» «Davvero? Io mi incanto, a osservare... Forse avrebbe fatto meglio a osservare più attentamente». Se questo, come modo di esprimersi, era alquanto curioso, Lord Wytham non ci fece caso. I suoi occhi cerchiati, iniettati di sangue, vagavano nervosamente per la stanza, quasi volesse evitare di guardare Bellman in faccia. «Dunque» riprese lo svedese, dopo pochi attimi di silenzio, «si starà chiedendo perché l'ho fatta venire da me, stamattina. Mi risulta che lei è stato estromesso dal Governo». Lord Wytham si rabbuiò in volto. «Il Primo ministro, ehm, ha voluto ridistribuire i portafogli fra...» balbettò. «Appunto. Lei è stato estromesso. Il che significa che adesso è libero di esercitare un ruolo attivo nel mondo degli affari». «Scusi?» «Non c'è nulla che le impedisca di diventare consigliere di un'azienda...» «No, certo. Tranne... no, niente. Non la capisco, Bellman». «È evidente. Mi spiego meglio. Sono perfettamente al corrente della sua situazione finanziaria, Wytham. Investimenti sbagliati, una pessima amministrazione e consulenti incompetenti le hanno fatto accumulare debiti per quasi quattrocentomila sterline, che lei non ha alcuna possibilità di rifondere, specialmente ora che, non facendo più parte del governo, è disoccupato. Non le resta che il fallimento, cosa che arrecherebbe grave disonore a lei e alla sua famiglia. Quanto alle sue proprietà, la residenza di Londra e la tenuta in Scozia, se non erro, sono entrambe ipotecate». Lord Wytham annuì. Come faceva quest'uomo a sapere tante cose? Comunque, era troppo avvilito per ribattere. «E poi, c'è la proprietà di sua figlia» proseguì Bellman. «Mi risulta che
possiede terreni nel Cumberland». «Eh? Ah, sì, esatto. Io non posso toccarli, però. Ci ho già provato. Lascito inalienabile da parte della famiglia della madre, o qualcosa del genere. Sono vincolati, insomma. Sono ricchi di giacimenti». «Grafite». «Ah, davvero? So che la usano per le matite...» «Quei giacimenti sono gli unici a contenere una certa qualità di grafite, particolarmente pura». «Può darsi. Non so, ci fanno le matite... Se ne occupa il mio agente di Carlisle. Da anni, ormai. Comunque, in quella direzione, non c'è nulla da fare». «Capisco» fece Bellman. «Bene... è inutile che le chieda come intende salvare la situazione, perché è ovvio che non ne ha la minima idea». Lord Wytham fece per protestare, ma lui lo prevenne con un gesto della mano. «Il che ci porta al motivo del mio invito. Sono disposto a nominarla consigliere di una società che ho appena costituito. Lei non fa più parte del Governo, ma le sue amicizie potranno essermi assai utili. Non la pagherò per la sua abilità finanziaria, che è inesistente; lo stipendio le sarà corrisposto unicamente in virtù delle sue conoscenze nella pubblica amministrazione». «Le mie conoscenze?» ribatté debolmente Lord Wytham. «Al ministero del Commercio e degli Esteri. Settore esportazioni, per la precisione. Lei, senz'altro, conoscerà i funzionari preposti alla concessione delle licenze...» «Oh, sì. Naturalmente. Sottosegretari, e così via. Ma...» «Non le chiedo di esercitare pressioni; non ne sarebbe capace. Deve solo farmi i nomi; del resto, mi occuperò io. E con ciò, abbiamo risolto la questione del pane quotidiano. Rimane il problema dei debiti, e questi, mi spiace doverglielo dire, non riuscirà a pagarli con lo stipendio da consigliere. Però, una soluzione c'è. Voglio sposare sua figlia». L'annuncio era talmente sbalorditivo che l'altro pensò di aver capito male, e si limitò a sbattere le palpebre. «Da tempo, ormai, accarezzo l'idea di prendere moglie. Ho visto sua figlia, e la giudico di mio gradimento. Quanti anni ha?» Lord Wytham inghiottì. Era assurdo. Una vera follia. Maledetto! Come osava? Poi, si ricordò della catastrofe che, come un'onda maligna, stava per travolgerlo, e si accasciò, vinto, sulla poltrona. «Diciassette. Io... Mr Bellman, lei conosce la mia situazione... Io...» «Bene quanto lei; anzi, oserei dire meglio, perché, in fatto di denaro, lei
è assolutamente incompetente, e io no. Ha un mese per raggranellare trecentonovantamila sterline. Non ci riuscirà. Non vedo a che porta potrebbe bussare, ormai. Nessuno le concederà più il minimo prestito». «Io... Mary è... la prego, Mr Bellman. Se lei potesse...» Si interruppe, non avendo la più pallida idea di come proseguire. Bellman aspettava in silenzio, fissandolo con i grandi occhi magnetici. «La cosa è chiarissima» riprese infine. «Sua figlia fa esattamente al caso mio. Una volta che saremo sposati, io le verserò quattrocentomila sterline. Trecentonovantamila per saldare i suoi debiti, e diecimila in considerazione delle spese sostenute per la cerimonia di nozze. Penso di essermi spiegato». Lord Wytham era rimasto senza fiato. Non si sentiva così frastornato da quando, una volta, durante una battuta di caccia, era caduto da cavallo, perdendo conoscenza; adesso, provava la stessa sensazione... quella di aver improvvisamente urtato contro qualcosa di molto più grande e potente di lui. Avvertiva quasi un dolore fisico. «Io... non avrebbe potuto essere più convincente, Mr Bellman. La sua proposta è molto interessante. Naturalmente, dovrò parlarne con il mio avvocato...» «Con il suo avvocato? E perché?» «Be', è una questione di famiglia, lei capisce... l'avvocato deve esserne informato». Il suo cervello si era rimesso in moto. Proprio come in una caduta: passato il primo stordimento, ci si rialza in piedi. Se quest'uomo era disposto a tirar fuori quattrocentomila sterline, poteva anche sborsarne di più. «Capisco benissimo» replicò lo svedese. «Vuole guadagnarci qualcosa di più, e ritiene il suo avvocato più adatto di lei a raggiungere lo scopo. In questo, ha perfettamente ragione. A che cifra pensava?» Altra caduta. Bellman era troppo forte, troppo svelto; non era giusto, accidenti... L'aveva incastrato. Far marcia indietro? Ci avrebbe fatto la figura del debole. E quanto chiedere, allora? Troppo poco, e avrebbe perso una fortuna; troppo, e avrebbe perso tutto. La mente gli galoppava affannosamente in un labirinto di zeri. «Io devo... cautelarmi» azzardò. «La tenuta... la residenza di Cavendish Square... costano. Senza capitale, capisce, io...» Bellman taceva. Non gli sarebbe andato incontro. Lord Wytham tirò un respiro profondo. «Duecentocinquantamila sterline» disse infine. Era la metà di quel che
avrebbe voluto domandare. «D'accordo» ribatté l'altro. «Mi sta bene. Il valore di sua figlia rimane fissato in seicentocinquantamila sterline. All'annuncio del fidanzamento, le consegnerò una caparra di cinquantamila, che servirà a tamponare i debiti più urgenti; il resto, e cioè trecentocinquantamila sterline, le sarà versato la mattina delle nozze. La cifra aggiuntiva, invece, le verrà pagata il mattino successivo, sempre che io sia soddisfatto di Lady Mary. Tutto chiaro, o devo spiegarmi meglio?» Questa era la caduta peggiore di tutte; stavolta, il cavallo l'aveva calpestato, infossandolo nel terreno. Bellman stava dicendo che se Lady Mary non fosse stata di suo gradimento non avrebbe sganciato una sterlina di più. Lord Wytham si sentiva male. Era una cosa troppo crudele... ignobile, insopportabile... non ci si comportava così... Spossato, frastornato, era talmente confuso che quasi non riusciva a pensare. «Vorrà parlare con mia figlia» osservò debolmente. «Naturalmente». «Se... Se dovesse...» «Se dovesse rifiutare?» chiese Bellman. Lui annuì. Non riusciva a dirlo. «Se sua figlia dovesse rifiutare la mia proposta di matrimonio, ebbene, in tal caso, rispetterei il suo desiderio. Deve essere una sua libera scelta, non crede anche lei?» «Oh, sì, certamente» rispose Lord Wytham con un filo di voce. Sapeva cosa significavano quelle parole. «Allora, con il suo permesso, verrò in Cavendish Square venerdì mattina, a chiedere la mano di Lady Mary. Oggi è martedì. Mancano tre giorni». Lord Wytham inghiottì. Gli occhi dalle lunghe ciglia erano velati di lacrime. «Sì» replicò con voce roca. «Naturalmente». «Intesi, allora. E adesso, parliamo d'affari. Nei prossimi giorni, redigeremo il contratto d'incarico, ma, intanto, voglio dirle qualcosa della società di cui farà parte. Credo che troverà tutto molto interessante. Si chiama Stella del Nord». Bellman si chinò per prendere alcuni fascicoli da un cassetto, e Lord Wytham ne approfittò per asciugarsi gli occhi con il dorso della mano. Perdere la carica al Governo era stato penoso, ma i venti minuti trascorsi con Bellman l'avevano portato al di là del dolore, in un mondo neanche lontanamente immaginato, in cui dignità, lealtà e onestà non erano che foglie spazzate dal vento. Come avrebbe potuto prevedere che, entro la fine
della mattinata, avrebbe venduto sua figlia, e (pensiero amaro come un boccone avvelenato) per una cifra tanto inferiore a quella che avrebbe potuto ottenere? E se avesse chiesto un milione di sterline? No, Bellman non avrebbe acconsentito. Quell'uomo sapeva tutto, non l'avrebbe mai avuta vinta, con lui. Bellman spiegò alcune carte sul tavolo. Lui atteggiò il viso bello e arrendevole a un'espressione di interesse e si sporse in avanti, sforzandosi di ascoltare. DICHIARAZIONE DI GUERRA L'ultimo melodramma di Jim, Il vampiro di Limehouse, era tornato indietro dal Lyceum Theatre con una nota del direttore, un certo Bram Stoker. 1 «Lei che dice, Mr Webster? Gli piace o pensa che sia una fesseria?» Webster Garland prese la lettera, e recitò ad alta voce: «'Egregio Mr Taylor, la ringrazio di aver sottoposto alla mia attenzione la sua farsa Il vampiro di Limehouse. Mi duole comunicarle, tuttavia, che non potrà essere rappresentata, in quanto il carnet della compagnia è completo per i prossimi due anni. Il suo lavoro possiede un'innegabile carica espressiva, anche se, personalmente, ritengo i vampiri un soggetto alquanto superato. Distinti saluti' ecc.» «Non saprei, Jim. Almeno si è dato la briga di scrivere». «Forse dovrei andare a leggergliela io. Scommetto che non ha capito i pezzi migliori». «È quella con il magazziniere succhiasangue e la chiatta piena di cadaveri?» chiese Frederick. «Già. Farsa, l'ha chiamata. È una tragedia, altro che». «Puoi ben dirlo, che è una tragedia. Gronda sangue dal principio alla fine. Quello non è un dramma... è un sanguinaccio». «Ridi, ridi, amico» ribatté Jim in tono profetico. «Un giorno diventerò famoso. Il mio nome sarà scritto a lettere luminose». «E scarlatte... a giudicare da quella roba». Era mercoledì mattina, e il negozio era pieno di gente. Il direttore, il 1
Autore del celebre Dracula il vampiro e segretario dell'attore Henry Irving, sul quale è modellato il protagonista del romanzo. (N.d.T.)
compassato Mr Blaine, e la commessa, Wilfred, servivano i clienti che chiedevano macchine fotografiche, treppiedi o prodotti chimici, mentre la sofisticata Miss Renshaw, a un altro banco, si occupava degli appuntamenti per i ritratti e degli altri incarichi. Il personale comprendeva anche Arthur Potts - un ometto allegro di mezz'età che caricava gli apparecchi, preparava lo studio, portava l'attrezzatura durante le uscite, sviluppava, stampava, e aiutava Frederick a costruire quel che non si trovava in commercio - e Herbert, un ragazzo dell'età di Jim, che, assunto come tuttofare, si era rivelato un vero disastro: lento, smemorato e maldestro. Ma era l'anima più buona del mondo, e né Frederick, né Sally, né Webster avevano il coraggio di mandarlo via. Osservando il negozio elegante, ben avviato, dall'aria prospera, con il suo staff indaffarato e la sua atmosfera di efficienza e di ottimismo, Frederick ripensava al giorno in cui era comparsa Sally, timida, nervosa e in grave pericolo. Lui si trovava nel bel mezzo di una lite furibonda con la sorella; il locale era scalcinato, gli scaffali semivuoti, e la bancarotta si avvicinava a grandi passi. Ma una serie di stereografie umoristiche, andate a ruba, li aveva mantenuti a galla, e quando Sally aveva iniziato a contribuire finanziariamente, l'azienda era decollata. Stereografie non ne facevano più, perché gli acquirenti scarseggiavano; adesso, l'ultimo grido erano le cartes de visite, piccoli ritratti da usare come biglietti da visita. Il problema, però, era lo spazio. Presto avrebbero dovuto ampliare la sede, o addirittura aprire una filiale. Frederick fece per prendere l'orologio, imprecò ricordandosi che ce l'aveva Mackinnon, e consultò la sveglia sul bancone. Sperava quasi in una visita di Sally; aveva la sensazione che stesse tramando qualcosa di misterioso, ed era preoccupato. Raggiunse il direttore, che, seduto al banco, stava compilando un ordinativo di carta fotografica. «Mi scusi, Mr Blaine» lo interrogò. «Non si è vista Miss Lockhart stamattina, eh?» «Purtroppo no, Mr Garland» gli rispose quello in tono lugubre. «Volevo interpellarla circa l'opportunità di assumere un impiegato. Il nostro Herbert, temo, non è particolarmente dotato per i lavori d'ufficio, e gli altri sono già tanto occupati. Qual è la sua opinione in merito?» «Buona idea. Ma dove lo mettiamo quel poveraccio? In archivio si sta talmente stretti che protesterebbe pure una sardina. E poi, ci vorrà una scrivania. E una macchina per scrivere... oggigiorno, le usano tutti».
«Sì... può darsi, Mr Garland, che si renda necessario ampliare la sede...» «To', guarda. Pensavo lo stesso proprio un attimo fa. Adesso, però, devo uscire. Se viene Miss Lockhart, gliene parli. E me la saluti tanto». Si infilò il cappotto, e prese il treno per Streatham. Quando arrivò da lei, Nellie Budd stava dando da mangiare ai suoi gatti, ognuno dei quali, gli spiegò, era la reincarnazione di un faraone egiziano. La donna, invece, era quanto di più terreno si potesse immaginare: il seno prosperoso e gli occhi sfavillanti, gli lanciava occhiate di sincera ammirazione. Decise di venire subito al punto. «Mrs Budd» esordì, quando furono seduti su un comodo divano in tinello, «l'altra sera ho assistito a una sua seduta, e le ho scattato una fotografia. Quel che lei combina al buio non è affar mio, e se i suoi amici sono tanto ingenui da cascarci, fatti loro. È una bella foto, però: c'è una mano finta sul tavolo, un filo legato al tamburello, e quanto alla sua gamba destra... be', lasciamo perdere. Per farla breve, signora, questo è un ricatto». Lei gli fece un sorriso birichino. «Oh, andiamo!» Aveva un vago accento settentrionale: Lancashire o Yorkshire, non si capiva bene, perché la voce era molto limata, e un po' teatrale. «Un bel giovanotto come te non ha bisogno di ricattarmi. Gli basta chiedere con garbo. Cosa c'è, dolcezza?» «Oh, bene. Tanto, non l'avrei fatto comunque. Mi interessa quel che ha detto durante la trance, quella vera. Se lo ricorda?» La donna rimase in silenzio per un attimo. Negli occhi le passò un'ombra di inquietudine, ma subito tornarono a brillare. «Dio mio!» esclamò. «E chi lo sa? È stato uno dei miei attacchi, no? Sono anni che mi vengono... è questo che mi ha fatto entrare nel giro... e Josiah, anche, mio marito, pace all'anima sua. Era un prestigiatore, lui. Mi ha insegnato certi trucchi... Modestamente, per far tintinnare tamburelli e stringere mani nel buio, Nellie Budd non ha rivali». «Splendido. E non solo, Mrs Budd, lei è brava anche a evitare le domande. Allora, cosa le succede, durante questi attacchi?» «Francamente, tesoro, non ne ho la minima idea. Mi prendono le vertigini, mi sento sprofondare, e qualche minuto dopo torno in me, ma non mi ricordo più niente. Perché?» Frederick la trovava simpatica. Decise di scoprire qualcuna delle sue carte. «Conosce un certo Bellman?» le chiese. Lei scosse la testa.
«Mai sentito». «E una società di nome Stella del Nord?» «No, mi spiace, dolcezza». «Senta... ecco ciò che ha detto». Tirò fuori dalla tasca il foglietto scritto da Jim e lo lesse ad alta voce, senza interruzioni. Infine la guardò. «Le dice niente?» Nellie pareva divertita. «Quella roba uscita dalla mia bocca? Che cumulo di sciocchezze!» «Non ha veramente idea di dove provengano queste cose?» «Sarà... come diavolo si dice... telepatia. Probabilmente leggo nel pensiero a qualcuno. Dio mio, non lo so proprio. Casse di vetro e scintille... è arabo, per me. Perché ti importa tanto?» «Uno dei membri dei Circolo Spiritico lavora per un'azienda della City, ed è preoccupato per certe cose che lei ha spiattellato. Sembra che si tratti di informazioni riservate. Ha paura che trapelino, e che si dia la colpa a lui». «Che mi venga un accidente! Storie di affari, allora?» «Solo in parte. Per il resto... non sappiamo bene» rispose Frederick; poi, colpito da un'idea improvvisa, le fece: «Lei non conosce un certo Mackinnon, per caso?» Nellie spalancò gli occhi, sorpresa, e si appoggiò allo schienale del divano. «Alistair Mackinnon?» chiese debolmente. «Quello che chiamano il Mago del Nord?» «Proprio lui. Questo Bellman di cui le ho detto... Pare che ce l'abbia con Mackinnon, per un motivo o per l'altro. Non sa niente di lui? Di Mackinnon, intendo». Lei scosse la testa. «Io... io l'ho visto in teatro. Un mostro di bravura. Ma poco affidabile come persona, direi. Non come il mio Josiah, anche se lui, in confronto, non valeva una cicca come prestigiatore. Ma il nome Bellman non mi dice niente». «E...» Frederick ripensava alla serata trascorsa da Lady Harborough. «Un certo Wytham, lo conosce?» Stavolta, Nellie rimase stupefatta. Sussultò, si portò una mano al petto e impallidì sotto il trucco. «Wytham? Johnny Wytham?» «Conosce qualcuno che si chiama così?»
«Johnny Wytham. Lord Wytham, è diventato. Quando ci frequentavamo, era Johnny Kenneth... quando recitavo in teatro. Mi aveva chiesto di sposarlo, e poi... Ah, il mio Josiah era un brav'uomo; ma Johnny Wytham allora era... elegante, divertente, e tanto bello. Dio mio, com'era bello. Un vero damerino». Doveva essere una ragazza eccezionale, pensò Frederick; non proprio bella, ma traboccante di vitalità e di spirito. «Guarda qui» gli disse, aprendo il cassetto di un tavolino, e tirando fuori una fotografia dalla cornice d'argento, una piccola negativa da vedere su fondo scuro, di quelle che si usavano venti o trent'anni prima. Raffigurava due ragazze paffute e sorridenti, sui vent'anni, con un abitino succinto che ne metteva in risalto le gambe ben fatte. Erano gemelle. La didascalia sotto il ritratto diceva: 'Miss Nellie e Miss Jessie Saxon'. «Io sono quella di sinistra. Jessie recita ancora, su al Nord. Eravamo una bella coppia, no?» «Ah, non c'è dubbio. Anche sua sorella conosceva Lord Wytham?» «Sì, ma lui aveva un debole per me... Chissà... Se le cose fossero andate diversamente, oggi potrei essere Lady Wytham». «Quando l'ha visto per l'ultima volta?» «Ma guarda che domanda...» Si alzò, avvicinandosi alla finestra, come se fosse imbarazzata. Il gatto Ramsete, dal pelo rossiccio, balzò sul divano, accoccolandosi al suo posto. Lei fissava la strada silenziosa, giocherellando distrattamente con una nappa della tenda. «Allora?» la incoraggiò Frederick. «L'estate scorsa. Su in Scozia. A... alle corse. Ci siamo solo... incrociati e salutati... Lui non poteva fermarsi per via della sua famiglia. Tutto qua». «Ha qualche legame con Bellman? O con Mackinnon? Le ho parlato di lui solo perché l'altra sera li ho visti tutti e tre nello stesso posto». «No... non che io sappia. Non ho la più pallida idea di chi possa essere questo Bellman». Guardava sempre fuori dalla finestra. Frederick aspettò in silenzio, per un po', e infine concluse: «Bene, Mrs Budd, la ringrazio. Se le viene qualche idea, la prego di avvisarmi. Ecco il mio indirizzo...» Mise un biglietto da visita sul tavolo, alzandosi. Lei si voltò per stringergli la mano. Aveva perso tutta la sua effervescenza, tutto il suo brio; sembrava quasi una vecchia, ora, incipriata, imbellettata, e piena di paura. «Aspetta. Io ho risposto a tutte le tue domande, e tu non mi hai detto niente. Chi sei? Cosa cerchi?»
«Sono un investigatore privato. Attualmente, ho per le mani due casi... e alcune strane coincidenze. Me lo dirà, vero, se si ricorda qualcosa?» Lei annuì. «Vedrò cosa posso fare. Se mi viene in mente qualcosa ti scrivo un biglietto, va bene, caro?» Lo accompagnò alla porta, salutandolo con un sorriso radioso, palesemente artefatto. Sally, intanto, stava andando da Axel Bellman. Non ci perdeva niente, aveva pensato, a prendere l'iniziativa; anzi, forse sarebbe riuscita a disorientarlo per un po'. Era una tattica che le aveva insegnato suo padre; la usava giocando a scacchi con Webster, e qualche volta funzionava. Arrivò a Baltic House alle dieci, accompagnata da Chaka. Fuori dall'edificio, c'era un usciere massiccio che la salutò tutto allegro, senza accennare minimamente a fermarla. Sembrava il ritratto della stupidità; evidentemente non l'avevano scelto per il cervello, ma per la taglia. Il portinaio, all'interno, era più svelto di comprendonio. «Mi dispiace, signorina, è impossibile» le annunciò. «Nessuno può vedere Mr Bellman senza che io abbia un appuntamento segnato sul mio libretto». Scosse la testa, e fece per sbarrarle la strada. «Chaka...» disse Sally, mollando il guinzaglio. Il bestione ringhiò, avventandoglisi contro. «Va bene, va bene! Lo faccia smettere! Vedrò di...» Sally lo trattenne, e l'uomo schizzò in cerca di qualche funzionario. Un attimo dopo, comparve un giovane coi baffi, dall'aria melliflua, che allargò le braccia, sorridendo. «Miss Lockhart, vero? Sono davvero spiacente, ma Mr Bellman in questo momento è molto impegnato...» «Non importa» rispose Sally, «posso aspettare cinque minuti». «Perbacco! Che bestia magnifica! È un levriero irlandese, no?» ribatté l'uomo, rivolgendole un altro sorriso, accattivante, amabile e del tutto falso, e allungando una mano curata verso il muso del cane. «Purtroppo, non si tratta solo di cinque minuti... Mio Dio! Aiuto! Lasciami, lasciami! Ahi...!» Chaka, quatto quatto, gli aveva azzannato la mano, e la rosicchiava come un osso. «Oh, non si preoccupi» lo rassicurò Sally. «Smetterà subito. Gli piace solo la carne genuina».
Al suono della sua voce calma, il cane mollò la presa, e si accovacciò soddisfatto, guardandola con occhi che sprizzavano felicità. Il giovane si abbandonò, barcollante, su una sedia, premendosi la mano. «Guardi qua! Sanguina!» «Ma no! Non posso crederci... Forse Mr Bellman non è più tanto occupato, adesso. Potrebbe dirgli che desidero vederlo, e subito?» Quello obbedì in gran fretta, sbigottito e tremante. Il portinaio rimase in corridoio, gettando occhiate furtive nella stanza. Passarono due minuti. Sally cercò nella borsetta il bigliettino, datole da Frederick, con l'indirizzo di Nellie Budd; forse, più tardi, sarebbe andata a trovarla. Sentì avvicinarsi dei passi, e se lo infilò nel guanto. La porta si aprì ed entrò un uomo robusto, di mezz'età. Lei capì subito, dal modo di fare, che si trattava di un personaggio autorevole, e non di una nullità ben vestita come il primo. Chaka le stava accanto, immobile. 'Stavolta, niente minacce' pensò. 'Meglio cambiare tattica'. Gli tese la mano sorridendo, e quello, lievemente perplesso, la prese. «Mi è stato riferito che desidera vedere Mr Bellman» esordì. «Posso fissarle un appuntamento. Se mi dice di cosa si tratta, io...» «L'unico appuntamento che mi interessa è quello che mi farà essere nel suo ufficio nel giro di tre minuti. Altrimenti, andrò alla Pall Mall Gazette e racconterò per filo e per segno come Mr Bellman è implicato nella liquidazione della Società Svedese Fiammiferi. Tre minuti, ha capito bene? Dico sul serio». «Io...» L'uomo boccheggiò, si tirò giù nervosamente i bordi delle maniche, e sparì. In realtà, Sally non sapeva nulla con certezza; c'erano state voci su presunte irregolarità, ma niente di preciso. Comunque, aveva funzionato. Due minuti e mezzo dopo, fu ammessa alla presenza di Axel Bellman. «Allora?» le fece questi, senza alzarsi dalla scrivania. «L'avevo avvertita, Miss Lockhart». «Mi aveva avvertita di cosa, esattamente? Parliamoci chiaro, Mr Bellman. Cos'è che, esattamente, devo smettere di fare, e cosa, esattamente, farà lei se non le do retta?» Si sedette con calma, anche se il cuore le batteva all'impazzata. Quell'uomo dall'aspetto imponente la faceva pensare a un'enorme dinamo, che ruoti così in fretta da sembrare immobile. Lui la guardò duramente. «Deve smetterla di occuparsi di cose che non è in grado di capire» le ri-
spose dopo pochi attimi. «E se non mi dà retta, farò sapere a tutti coloro i quali possono offrirle aiuto o lavoro che lei è una donna immorale, che vive di guadagni illeciti». «Come ha detto, scusi?» L'espressione dei suoi occhi cambiò spiacevolmente; sorrideva, adesso. Infilò la mano in un cassetto, tirandone fuori una cartella color cuoio. «Qui sono registrate tutte le visite compiute nel suo studio di North Street da uomini soli. Nell'ultimo mese, ne risultano ben ventiquattro; non più tardi dell'altra notte, per esempio, all'una e mezzo precise, lei ha fatto entrare un giovane che si è trattenuto per quasi un'ora. Ieri, inoltre, quando è venuto nel suo cosiddetto ufficio, Mr Windlesham, il mio segretario, ha notato la presenza di un ampio divano. E, come se ciò non bastasse, è risaputo che lei frequenta Webster Garland, un fotografo la cui specialità sono... come posso dire... i nudi». Sally si morse la lingua. 'Attenta' si disse, 'stai attenta'. «Si sbaglia di grosso» replicò, con quanta più calma poté. «Mr Garland è specializzato in ritratti. Quanto alle altre assurdità che mi ha detto... se non ha altre frecce al suo arco, tanto vale che rinunci alla battaglia». Bellman inarcò le sopracciglia. «Com'è ingenua, Miss Lockhart. Scoprirà molto presto che danno possono fare insinuazioni del genere. Una giovane che vive e si mantiene da sola... che ha amicizie equivoche...» Sorrise di nuovo. Lei si sentì gelare: aveva perfettamente ragione. Non esisteva difesa contro simili calunnie. 'Ignoralo' pensò. 'Va' avanti'. «Io non ho tempo da perdere, Mr Bellman. Un'altra volta, farà meglio a ricevermi subito. E adesso, veniamo al punto: le sue manovre con la compagnia di navigazione Anglo-Baltic sono costate i risparmi di una vita a una mia cliente, Miss Susan Walsh. Un'insegnante. Una donna di valore, che ha dedicato la sua esistenza all'educazione delle ragazze. Non ha mai fatto male a nessuno, e ora che è in pensione ha il diritto di vivere del denaro messo da parte. Io le avevo consigliato di investire nella AngloBaltic. Capisce, ora, perché sono qui? Lei, con i suoi intrighi, ha deliberatamente rovinato la compagnia, gettando al vento il denaro di tante persone. Tutte meritano di essere risarcite; non tutte, però, sono mie clienti. Voglio un assegno di tremiladuecentosettanta sterline, emesso a favore di Miss Susan Walsh. Qui c'è la specifica dell'importo». Lasciò cadere sulla scrivania un foglietto piegato. Bellman non si mosse.
«Adesso» intimò lei. Chaka, accucciato ai suoi piedi, ringhiava. Improvvisamente, l'uomo allungò il braccio, spiegò il foglio, lo lesse, e, d'un sol gesto, lo strappò in due e lo gettò nel cestino, scuro in volto. «Se ne vada». «Senza assegno? Presumo che me lo spedirà, allora. Sa dove trovarmi». «Non le spedirò un bel niente». «Benissimo». Sally schioccò le dita, e il cane si drizzò sulle zampe. «Non intendo giocare agli indovinelli con lei; sarebbe una perdita di tempo. Ormai ne so abbastanza per dare alle stampe un articolo molto interessante: sulla Stella del Nord, per esempio, e Nordenfels. Ma, quel che più importa, so dove cercare, e non appena scoprirò quel che sta combinando, farò pubblicare tutto. Recupererò quel denaro, Mr Bellman, non dubiti». «Io non dubito mai». «Be', forse è arrivato il momento di cominciare». L'uomo non rispose. Nessuno cercò di fermarla mentre usciva dall'edificio. Le ci vollero mezz'ora in una sala da tè, una focaccina al ribes e una teiera piena, per riuscire a smettere di tremare. Dopo di che, finì per chiedersi, con profondo fastidio, se, dopo tutto, non era lei ad aver ragione di dubitare. Non appena rimase solo, Bellman si alzò per raccogliere dal tappeto il bigliettino caduto dal guanto di Sally, e lesse: 'Mrs Budd, 147, Toolbooth Road, Streatham'. Tamburellò con le dita sulla scrivania per qualche attimo, poi mandò a chiamare Mr Windlesham. PROFUMO DI LAVANDA Jim Taylor aveva finito con il considerare Mackinnon alla stregua di un investimento le cui sorti andavano seguite con attenzione, e, nonostante l'insofferenza che provava nei suoi confronti, non aveva nascosto la propria irritazione quando Fred se l'era lasciato scappare sotto il naso. Invano il giovane fotografo aveva protestato che era impossibile trattenere un uomo in grado di trasformarsi in fumo e uscire dal buco della serratura; si stava rimbambendo, ecco tutto, visto che non riusciva neanche a tenersi l'orologio. Avanti di questo passo, avrebbe perso i pantaloni. Mackinnon l'avrebbe cercato lui, decise. Batté tutte le case di Oakley Street, la via dove il mago aveva detto di abitare, ma senza risultato; andò
dal direttore del Britannia, e si sentì rispondere che nessuno sapeva il suo indirizzo; tentò in altri teatri, e anche lì fece cilecca. Ma non si arrese. Nel corso della sua breve e disordinata esistenza, aveva conosciuto una incredibile quantità di persone: criminali, quasi criminali, sportivi, attori e perfino, in un paio di casi, gente rispettabile che gli doveva una quantità di favori: soffiate sui cavalli, prestiti di mezza corona, segnalazioni di sbirri in rapido avvicinamento, e così via. Non c'era molto che, volendo, non avrebbe potuto scoprire. E fu così che, la sera in cui Sally si presentò da Axel Bellman, Jim si ritrovò in un pub di Deptford, davanti a un boccale di birra scadente, gomito a gomito con un tipo dall'aria equivoca, avvolto in uno sciarpone bianco. Gli diede un colpetto sulla spalla, facendolo sobbalzare. «Ehilà, Dippy! Come va, amico?» «Eh? Oh, sei tu, Jim. Salve». Dippy Lumsden si guardò intorno circospetto; d'altronde, per un borsaiolo come lui, la circospezione era un ferro del mestiere. «Dippy, ascolta. Sto cercando un tizio. Un certo Mackinnon, un prestigiatore. Scozzese. Sulle scene da un paio d'anni. L'hai mica visto?» Dippy annuì. «Sì, che l'ho visto. E so anche dove sta». «Eh? Dove, dimmi?» L'altro strofinò pollice e indice l'uno contro l'altro, con aria astuta. «Quanto?» chiese. «Già, e Felspar?» ribatté Jim. «Non me l'hai ancora pagata, quella, no?» Felspar era un cavallo che aveva vinto venti a uno, facendo piovere nelle tasche di entrambi una discreta sommetta. Jim aveva passato a Lumsden la soffiata, avuta da un amico fantino. Dippy assentì con filosofia. «E va bene. Sta a Lambeth, in un lurido buco che si chiama Allen's Yard. Da una befana irlandese vecchia e grassa che si chiama Mrs Mooney. Era lì ieri sera; l'ho riconosciuto perché una volta l'avevo visto al Gatti. Cosa lo cerchi a fare?» «Ha sgraffignato un orologio. Ma non preoccuparti per la concorrenza, Dippy. Non è alla tua altezza». «Oh. D'accordo, allora. Ma tu non mi hai visto, stasera, ricordati. E io non ho mai visto quello là. Devo proteggermi, io». «Ma certo, amico. Un'altra birra?» Dippy scosse la testa. Non poteva stare troppo tempo nello stesso pub, spiegò, per motivi professionali. Finì il suo boccale e uscì; e Jim, dopo a-
ver flirtato per qualche minuto con la cameriera, fece altrettanto. La casa di Mrs Mooney era un rudere fetido, decrepito e pericolante, tenuto in piedi solo dal fatto che non ci sarebbe stato spazio a sufficienza, nell'Allen's Yard, per accoglierne le macerie. La scarsa luce che penetrava dall'esterno e dalle finestre della casa, illuminate da un chiarore fioco, rivelava il cortile per quel che era: poco più di una fogna, anche se ciò non sembrava disturbare la bambina dai capelli rossi che, seduta a piedi nudi sulla soglia, insegnava l'educazione alla sua bambola a suon di ceffoni, e affumicava un pezzo d'aringa su una lanterna fumante. «C'è Mrs Mooney?» la interrogò Jim. La piccola alzò lo sguardo, con un sorriso di scherno. Jim fu tentato di sperimentare su di lei i suoi metodi pedagogici. «Ehi, tu, testa di cavolo, hai sentito?» Parve subito più interessata. «Hai perso l'organetto?» chiese. «E la giacchetta rossa e il barattolo, dove li hai messi?» Il ragazzo si dominò a stento. «Senti, pidocchio, chiamamela, o ti mollo una sventola che ti stende fino a Natale». Il demonietto sputò un pezzo di pesce e strillò: «Zia Mary!» e se lo rimise in bocca, guardando con aria sprezzante Jim che saltellava di qua e di là, alla disperata ricerca di un posto asciutto. «Divertente, eh, il balletto?» gli fece. Lui ringhiò, e stava per rifilarle uno scapaccione, quando nel vano della porta apparve una specie di balena, oscurando quasi del tutto la poca luce che proveniva dall'interno. Emanava un forte puzzo di gin. «Chi è?» chiese. «Cerco Mr Mackinnon» rispose Jim. «Mai sentito». «Un tipo magro con gli occhi scuri. Scozzese. È qui da un paio di giorni, m'hanno detto. Fa il prestigiatore». «Che vuoi da lui?» «C'è o non c'è?» La donna rimase assorta per un attimo, la mente ottenebrata dall'alcool. «Non c'è. E, comunque, non vuole visite». «Be', quando torna gli dica che è venuto Jim Taylor. Capito?» «Te l'ho detto, non c'è». «No, certo che no. Mai pensato il contrario. Ma, se per caso un giorno o l'altro si facesse vivo, gli dica che l'ho cercato. D'accordo?»
Quella meditò ancora un po', e si allontanò senza dire una parola. «Vecchia ubriacona» osservò la bambina. «Impara l'educazione, tu» le fece Jim. «Non si parla così dei parenti e delle persone anziane». Lei si tolse di nuovo il pesce dalla bocca, lo guardò fisso per un momento, poi diede il via a un diluvio degli epiteti più osceni che lui avesse mai sentito. Per due minuti e mezzo, senza mai ripetersi, paragonò, sfavorevolmente, lui, la sua faccia, i suoi antenati, i suoi vestiti e il suo cervello a parti del corpo sue, di altri e di animali, al puzzo del pesce marcio, ai foruncoli, al gas intestinale e a decine e decine di altre sconcezze. Jim rimase di stucco, cosa che, a onor del vero, succedeva raramente. Si frugò in tasca. «Tieni» le disse, porgendole mezzo scellino. «Sei una virtuosa, piccola. Mai visto un talento del genere». La bimba prese la moneta, al che lui le diede una pacca in testa, mandandola a gambe all'aria. «Devi essere un po' più svelta con quelle gambette, però. Ciaooo!» Lei gliene urlò dietro di cotte e di crude e poi aggiunse: «E te lo sei lasciato scappare. È appena uscito. Quella là gli ha detto che eri qui. Chi è che è lento, adesso?» E con un risolino da streghetta sparì dietro un angolo, sgocciolando grasso d'aringa. Jim imprecò, precipitandosi dentro la casa; afferrò l'unica luce che c'era, una candela appoggiata su un tavolo traballante, e, riparando la fiamma, divorò le strette scale. Il tanfo che lo investì, nemmeno la ragazzetta sarebbe riuscita a descriverlo; chissà come faceva a sopportarlo Mackinnon, schizzinoso com'era. Quel posto, poi, era un labirinto. Volti che lo scrutavano dall'oscurità, grinzosi come vecchi ratti, sporchi, disumani; porte scardinate, quando c'erano; pezzi di tela di sacco che si scostavano, rivelando intere famiglie di sei, sette, otto o più persone... Chi dormiva, chi mangiava, chi lo fissava inerte, in preda all'apatia, o forse morto... ma del mago, nessuna traccia. Il donnone, stringendosi al petto una bottiglia di gin, come una bimba che culla la sua bambola, sedeva sul pianerottolo, incapace di muoversi. Jim la urtò, entrando nell'ultima stanza, vuota. Lei scoppiò in una risata affannosa. «Dov'è andato?» chiese il ragazzo. «Fuori» rispose quella, ansimando ancor più forte. Avrebbe voluto appiopparle un calcio. Senza una parola, la spinse da parte, e uscì. Il cortile era immerso nel buio, più intenso di prima, poiché aveva spen-
to la candela. Nessun rumore veniva dalla casa, e la ragazzina era scomparsa. Jim rabbrividì. C'era qualcuno. Ne era sicuro, anche se non si vedeva e non si sentiva anima viva. Stette immobile, tutti i sensi all'erta, maledicendo la sua stupidità e cercando furtivamente nella tasca il tirapugni che portava sempre con sé. D'un tratto, una mano leggera gli si posò sul braccio, e una voce di donna bisbigliò: «Aspetti...» Si irrigidì. Il cuore gli batteva all'impazzata. Non vedeva altro che, fuori dal cortile, il debole luccicore di un muro di mattoni, bagnato dalla pioggia; dentro, era l'oscurità più completa. «Lei è un amico» continuò la voce. «Lui ha fatto il suo nome. Venga con me». Sembrava un sogno. Una figura avvolta in scialle e mantello gli scivolò silenziosamente accanto, facendogli cenno di seguirla, e lui, disorientato, proprio come in sogno, obbedì. In una linda stanzetta poco lontano, la donna prese un fiammifero e accese una candela. Mentre si chinava, lo scialle le cadde sul volto, e Jim la udì sussurrare: «La prego...» Attese, perplesso, che lo scostasse; poi, capì. Una voglia enorme, color rosso cupo, le copriva metà del viso. Negli occhi, caldi e belli, lesse quale doveva essere la sua espressione, e se ne vergognò. «Mi scusi» le disse. «Chi è lei?» «Si accomodi, la prego. L'ho sentita parlare di lui a Mrs Mooney, e non ho potuto fare a meno di...» Jim si sedette al tavolo, coperto da una tovaglia di lino finemente ricamata. Tutto, nella stanza, aveva una bellezza discreta, di sapore un po' antico, e nell'aria aleggiava un tenue profumo di lavanda. Anche lei era delicata; non aveva l'accento cockney, ma piuttosto, pareva, del Tyneside Newcastle? Durham? - e parlava con voce dolce e musicale. Si sistemò dall'altra parte del tavolo, gli occhi bassi. «Io lo amo, Mr Taylor» mormorò. «Oh! Adesso capisco». «Mi chiamo Isabel Meredith» proseguì. «Quando è venuto... quando ha interrotto lo spettacolo da Lady Harborough, l'altra sera, si rendeva a malapena conto di quel che faceva... è venuto da me perché un tempo noi... una volta, l'avevo aiutato. Gli ho dato un po' di denaro. Come vede, pos-
siedo molto poco. Faccio la cucitrice. Che si debba nascondere così, un uomo del suo talento... Ma è in grave pericolo, Mr Taylor, in pericolo di vita. Lui... che altro può fare?» «Può dire la stramaledettissima verità, ecco cosa. Può venire in Burton Street, lui sa dove, e parlare con me e il mio amico Fred Garland. Se è in pericolo, ecco cosa deve fare. E raccontarci tutto, una buona volta». Lei tracciava arabeschi sulla tovaglia con l'unghia. «È un uomo molto ansioso, capisce, molto immaginoso» replicò dopo un attimo. «Essendo un artista, ha una sensibilità maggiore degli altri. Più acuta...» Jim non fece commenti. L'unico artista che conosceva bene, Webster Garland, era forte come una roccia, e si distingueva per la sua determinazione e il suo meraviglioso senso estetico, non perché dava corpo alle ombre. «Insomma, senta» osservò alla fine. «Fosse chiunque altro, me ne infischierei. Ma stiamo cercando di scoprire qualcosa... non su Mackinnon, su un'altra faccenda, e lui si trova ai margini di quest'isola oscura... Ci sono di mezzo frodi, truffe finanziarie, ciarlatanerie spiritiche, imbrogli di ogni sorta... e forse anche peggio. Cos'è che ha combinato, insomma? E lei, poi, com'è entrata nella sua vita?» «L'ho conosciuto a Newcastle» rispose Isabel. «Era gentile con me. Allora era appena agli inizi. Diceva che sulle scene non poteva usare il suo vero nome - non si chiama veramente Mackinnon - perché suo padre l'avrebbe scoperto e l'avrebbe fatto uccidere». «Eh?» «Così diceva». «E chi sarebbe questo padre?» «Non me l'ha mai rivelato. Qualcuno d'importante. C'era un'eredità... un patrimonio di famiglia, o roba del genere, e lui ci aveva rinunciato per coltivare la sua arte. Ma suo padre temeva che avrebbe disonorato la famiglia». «Uhm» ribatté Jim, profondamente scettico. «E questo Bellman, allora? Cosa c'entra lui?» Lei distolse lo sguardo. «Credo...» disse con un sussurro, «che ci sia di mezzo un assassinio». «Continui, la prego». «Non me l'ha mai detto direttamente... solo qualche accenno, qua e là... Ecco, guardi questo».
Aprì un cassetto, e tirò fuori un portafogli, da cui estrasse un ritaglio ingiallito, privo di data. Sensazionale omicidio Cadavere conservato nel ghiaccio Una scoperta sensazionale è stata fatta il mese scorso nelle foreste della Siberia. Un cacciatore ha trovato il cadavere di un uomo, conservatosi perfettamente nelle acque di un fiume ghiacciato. L'ipotesi di un annegamento è stata smentita da un successivo esame, il quale ha rivelato che la vittima è stata trafitta più volte alla gola e al petto. L'identità dell'uomo rimane misteriosa; se non fosse stato casualmente rinvenuto dal cacciatore, il corpo sarebbe stato sicuramente trascinato a nord dalle piene di primavera, scomparendo nel mare Artico. Il caso ha suscitato vivo interesse in Russia, dove la scomparsa... Lì, il ritaglio si interrompeva. Jim la guardò esasperato. «Non c'era una data, su questa roba?» «Non lo so. L'ho trovato quando... Gli era caduto dalla tasca della giacca. Vedendomelo in mano, è impallidito, dicendo che gli aveva procurato una strana visione... Perché, Mr Taylor? Per lei ha qualche significato?» Jim risentì la voce di Nellie Budd risuonare nell'oscurità: È ancora lì, in una cassa di vetro... 'È tutto collegato' pensò. 'Il cadavere nel ghiaccio, il litigio della visione, il sangue sulla neve...' «Conosce una certa Nellie Budd?» «No» rispose lei, sconcertata. «Chi è?» «È una... come si chiama, una medium. Non ha niente a che fare con Mackinnon, solo che questo ritaglio mi ricorda qualcosa che ha detto. Posso tenerlo?» Isabel tentennò. Evidentemente non voleva che qualcosa appartenente a Mackinnon sfuggisse al suo controllo. «Va bene, non importa» continuò Jim. «Lo copierò e basta. Non le ha confidato nient'altro, Mackinnon, a questo proposito?» Lei scosse la testa; poi, mentre lui scriveva sul suo taccuino, soggiunse: «Io non so proprio cosa fare, Mr Taylor. Lo amo moltissimo. Farei qua-
lunque cosa per aiutarlo... qualunque! Tutto ciò che lo riguarda è così prezioso per me! Vorrei poter guadagnare abbastanza da mantenerlo! Pensare che vive in quel posto orribile, senza potersi esibire... un artista, un grande artista come lui! Oh, mi dispiace. Le sembrerò ridicola... una donna con... Non potrei mai aspettarmi che lui... Mi dispiace. Non avrei dovuto lasciarmi andare. Ma non parlo mai con nessuno, e mi sento tanto sola». Jim finì di copiare il ritaglio, felice di non doverla guardare in faccia. Non sapeva cosa dire; era talmente scoperta, e indifesa. Passò lentamente le dita sul ricamo, spremendosi le meningi. «L'ha fatto lei, questo?» le chiese. Isabel annuì. «Cose così, posso fargliele vendere a buon prezzo. Non è obbligata a vivere in un buco, e a cavarsi gli occhi per quattro soldi. Lo so cosa pensa... lo fa per nascondersi, non è vero? Scommetto che esce solo di notte». «Sì, ma...» «Ascolti, Miss Meredith. Quel che mi ha mostrato stasera mi è stato di grande aiuto. Non so se lui tornerà mai qui. Personalmente, penso che se la sia filata da quella fogna, e che ci vorrà del bello e del buono perché si rifaccia vivo con lei. No» la prevenne, bloccando le sue rimostranze, «non ho finito. Le darò uno dei nostri biglietti, e ci scriverò dietro un altro indirizzo, quello di Miss Lockhart. È una della ditta, ragazza a posto. Se ha bisogno di qualcuno, si rivolga a lei. E se rivede Mackinnon, gli dica di farsi vivo. Va bene? O mi avvisi lei stessa. È per il suo bene, dopotutto, testa di cav... testone. Se riusciamo a risolvere questa faccenda, lui potrà tornare in teatro a fare i suoi trucchi, e noi ricominceremo a respirare». Allontanandosi da Lambeth, Jim si mise a fischiettare, felice dei progressi compiuti; ma, di colpo, si interruppe, pensando alla strana vita di Isabel, che si consumava nella solitudine e nella passione. La malvagità non gli era nuova, e persino l'omicidio gli pareva chiaro e comprensibile. L'amore, invece, rimaneva un mistero. Arrivato in Burton Street, si fermò nel negozio buio, sentendo schiamazzare in cucina. C'era Sally, e, a quanto sembrava, non era molto contenta di Fred. Girò la maniglia ed entrò. Webster sedeva tranquillo accanto al fuoco, i piedi sul paracenere, la pipa accesa, un bicchiere di whisky sul bracciolo della poltrona, assorto in un romanzo poliziesco. Chaka, ai suoi piedi, demoliva un osso di prosciutto, occupando mezzo pavimento, mentre Frede-
rick e Sally, in piedi l'uno di fronte all'altra, ai lati opposti del tavolo, discutevano in tono acceso. Erano sul punto di perdere le staffe. «'Sera» disse lui. Nessuno gli badò. Prese una bottiglia di birra dalla dispensa, sedendosi di fronte a Webster. «Ho trovato Mackinnon» cominciò, versandosi da bere. «So cos'ha in mente. E ho scoperto cosa intendeva Nellie Budd. Scommetto che è più di quel che avete fatto voi zucconi. Sto parlando da solo, eh? Nessuno mi ascolta. Oh, be'». Mandò giù un gran sorso, e guardò la copertina del fascicolo in mano a Webster. «La refurtiva è sotto la Roccia dello Scheletro» annunciò, facendogli alzare lo sguardo. «La Banda dei Clancy ce l'ha messa dopo aver fatto saltare la banca. Dick il Reietto si traveste da fuorilegge e si unisce a loro. Ned il Pagliaccio - quello nuovo - in realtà è lui, sotto mentite spoglie». Webster buttò giù la rivista, esasperato. «Perché me l'hai detto? Hai rovinato tutto». «Dovevo scuotervi, in un modo o nell'altro. Che combinano quei due?» L'uomo guardò Frederick e Sally con aria distratta. «Non lo so» rispose. «Non stavo ascoltando. Ero tutto preso da Dick il Reietto. Che fanno, litigano?» Fred sbatteva il pugno sul tavolo. «Se avessi avuto un po' di buon senso...» diceva. «Senti chi parla» gli sibilava Sally. «Ti avevo detto di non mettermi i bastoni fra le ruote, no? Se vuoi che lavoriamo insieme...» «Chiudete il becco, tutti e due!» esclamò Jim. «Mai sentito un baccano del genere. Se volete notizie fresche, sedetevi e ascoltate». Rimasero immobili per un attimo, allacciati da una corrente di ostilità; poi, Frederick spinse una sedia verso Sally, appollaiandosi su uno sgabello. Lei si sedette. «Allora?» chiese. Jim raccontò loro di Isabel Meredith, leggendo le parole del ritaglio. «Secondo me» concluse, «Mackinnon ricatta Bellman. Ha pescato quest'articolo chissà dove, e l'ha messo insieme con la storia della trance, per farlo sganciare; e naturalmente, quello non ne vuole sapere. Semplice. Voi cosa ne dite?» «E che legame c'è fra il mago e Nellie Budd?» domandò Fred. «Non lo so, dannazione! Forse appartengono entrambi al Club del Dimmi-cosa-vedi-nella-sfera-di-cristallo. Forse lei è l'amichetta di Bellman». «E questa faccenda dell'eredità?» intervenne Sally. «Suo padre era qualcuno d'importante, non ha detto così?»
«Già». «Magari è vero. Magari è l'erede di qualcosa che Bellman vuole per sé». «Ma... io ho i miei dubbi» obiettò Frederick. «Comunque, almeno abbiamo fatto un passo avanti. Questa Miss Meredith ti è sembrata sincera?» «Oh, sì. Dopotutto, mi ha cercato lei. Nessuno la obbligava, se voleva tener nascosto qualcosa. C'è un'unica cosa che le sta a cuore, e cioè proteggere Mackinnon... Sono sicuro che mentirebbe per questo, se fosse necessario, ma con me era sincera. Ci metto la mano sul fuoco». «Uhm» ribatté Frederick, accarezzandosi la guancia. «Pace, Lockhart?» «E va bene» acconsentì lei a denti stretti. «Ma un'altra volta, dimmelo subito quando scopri qualcosa. Se avessi saputo che era Bellman a tallonare Mackinnon, quel mattino avrei avuto in mano un'altra carta». «Ah, bella cretinata anche quella» si scaldò lui. «Correre là come una furia e...» «Sì, ma chi ha chiesto il tuo parere!» sbottò Sally. «Hai già...» «Basta!» intimò Jim. «Chi vuole sottaceti e formaggio? Mr Webster? Come va il tuo osso, Chakki?» Chaka si lasciò accarezzare dietro le orecchie, battendo la coda sul pavimento. Frederick prese pane e formaggio, Sally fece un po' d'ordine, e, nel giro di cinque minuti, si misero a tavola; finito di mangiare, appoggiarono i piatti sul bancone, Jim tirò fuori le carte, e giocarono a whist, Sally e Fred in coppia contro lui e Webster. Pochi attimi, e ridevano come ai vecchi tempi, quando la società era appena nata, Sally non era ancora andata a Cambridge e loro ancora non litigavano. A vederli in quel momento, chiunque li avrebbe detti innamorati, e non come la povera Isabel Meredith, in balia di un'ossessione senza futuro e senza speranza. Il loro era l'amore così come sarebbe dovuto essere: giocoso, appassionato e frizzante, temerario, quasi, e illuminato dall'intelligenza. Quei due erano fatti della stessa pasta: due tigri, a dir poco. Insieme, avrebbero potuto fare qualunque cosa. Perché dovevano rovinare tutto? IL GIARDINO D'INVERNO Lunedì mattina, Charles Bertram arrivò in negozio con una notizia. Un amico che lavorava da Elliot & Fry (lo studio più chic di Londra, specializzato nel ritrarre ricconi in scenari eleganti) gli aveva riferito dell'incarico appena ricevuto: la fotografia di fidanzamento di Axel Bellman e Lady Mary Wytham.
Frederick fischiò. «Quando?» chiese. «Oggi pomeriggio, nella residenza di Wytham in Cavendish Square. Pensavo che potesse interessarti. È una cosa in grande stile... sai come sono quelli. Ci sarà un aiuto reggi-lampada, un sostituto pulisci-obiettivi, un vice regola-treppiede...» «Chi è il tuo amico? Non sarà il giovane Protherough, per caso?» «Proprio lui. Lo conosci?» «Sì, e mi deve anche un favore. Bravo, Charlie. E così Bellman si sposa, eh? E con quella bambola... Per tutti i diavoli!» Prese cappotto e cappello e uscì in gran fretta. Sally dedicava una mattina alla settimana alla Garland & Lockhart, per tenere d'occhio la contabilità e discutere con Webster e Mr Blaine dei progetti per il futuro. Quel lunedì, pensava di trovarvi anche Frederick, perché il direttore le aveva parlato della necessità di ampliare la sede e della sua speranza che il ragazzo perorasse la causa. «Capisce, Miss Lockhart» esordì Mr Blaine, appoggiato al bancone, «sono convinto che sia necessario assumere un impiegato, ma, come vede, qui non si saprebbe dove metterlo. Magari, in un angolo del nuovo studio...» «Non se ne parla neanche» replicò Webster deciso. «Anzi, comincio a domandarmi se lo studio sarà grande abbastanza per le nostre esigenze». «Come vanno i lavori?» si informò Sally. «Andiamo a dare un'occhiata. Charles, hai da fare o vieni anche tu?» Charles Bertram li raggiunse nel cortile dietro il negozio. La costruzione era quasi ultimata: il tetto aveva già le tegole, e due stuccatori stavano intonacando i muri; mancavano ancora, però, i vetri alle finestre. Si fecero strada fra assi, scalette e carriole, fermandosi sul pavimento appena posato, in una chiazza di pallida luce invernale. «Mi chiedo» riprese Webster, «se ci sarà abbastanza spazio per l'impianto mobile. Ci starà solo se disporremo le guide a ferro di cavallo, nel qual caso, però, potremo dire addio all'illuminazione uniforme. A meno di non oscurare l'intero locale, usando la luce artificiale; ma, allora, l'emulsione non sarà abbastanza sensibile, alla velocità cui lavoreremo...» Charles, vedendo l'espressione di Sally, si affrettò subito a ribattere: «Una soluzione c'è. Quest'edificio è molto versatile... non dobbiamo usarlo a tutti i costi per lo zootropio. In negozio, attualmente, non c'è abbastanza
spazio per tutto, e Miss Renshaw potrebbe accettare il doppio degli incarichi se lo studio non fosse tanto piccolo. Perché non mettiamo una parete qui - basterebbe un sottile divisorio - ricavando uno studio migliore e l'ufficio di cui parla Mr Blaine? Webster ha perfettamente ragione: l'impianto mobile non ci sta, e siamo stati stupidi a illuderci del contrario». «Ma avreste dovuto saperlo fin dall'inizio» obiettò lei. «Perché l'avete fatto costruire, se è troppo piccolo?» I due uomini si guardarono imbarazzati. «Be', non lo era, ai tempi del primo progetto» spiegò Webster. «Ma allora non avevamo ancora pensato all'impianto mobile; avevamo in mente una macchina fissa con un dispositivo per la sostituzione rapida delle lastre, e quella ci sarebbe stata. D'altronde, è questa la via del futuro, un apparecchio unico; i soldi non sono buttati via». «Già, e la prossima volta vi salterà in mente di comprare un terreno» replicò Sally. «Due matti, come Fred. Dov'è finito, a proposito?» «È andato da Elliot & Fry» rispose Charles. «Il tuo Bellman si sposa, e stanno facendo le foto di fidanzamento». «Si sposa?» ripeté lei, stupefatta. L'idea del matrimonio le sembrava così incompatibile con l'uomo conosciuto la settimana prima a Baltic House, che stentava a crederci. «Quest'idea del terreno...» cominciò Webster, cui non importava nulla di Bellman. «Cosa ne dici, Charles? Potremmo costruire un muro, lungo quanto vogliamo, e allinearvi perfettamente le guide, sul lato esposto a sud. E potremmo anche coprirlo con una tettoia di vetro, magari, per ripararlo dal maltempo...» «Ah, no» saltò su Sally. «Non ci sono abbastanza soldi in cassa. Prima finite questo, fatelo rendere, e poi vedremo. Ha visto, Mr Blaine? Ecco trovato l'ufficio per il suo impiegato; ne vuole uno tutto il giorno, o solo al mattino le basta?» L'impianto mobile era un'invenzione di Webster, ispirata all'idea di un fotografo di nome Muybridge, che, per il momento, esisteva solo sulla carta, perché era sempre mancato lo spazio per realizzarla. Consisteva in una serie di apparecchi montati su ingranaggi e fatti scorrere su guide oltre un determinato punto, con tempi di posa successivi, in modo da ritrarre le varie fasi dello spostamento di un oggetto. L'idea di fotografare il movimento era nell'aria, a quell'epoca; fervevano gli esperimenti, ma la soluzione era di là da venire. Webster pensava di essere sulla buona strada con il suo impianto; Charles Bertram, invece, lavorava alla preparazione di emulsioni
più sensibili, che avrebbero consentito di ridurre i tempi di posa. Se fossero riusciti a fissare i negativi su carta anziché su vetro, avrebbero potuto montare un rullo sensibile dietro a un unico obiettivo, e usare quello al posto dell'impianto mobile, sempre che il meccanismo fosse abbastanza preciso da far avanzare la carta senza strapparla. In tal caso, il nuovo studio sarebbe andato bene per lo zootropio, come lo chiamava Charles. Comunque, c'era ancora molto da fare. Sally e Mr Blaine li lasciarono alle loro interminabili discussioni, e tornarono in negozio per definire la questione dell'impiegato. Quel pomeriggio, Lady Mary, la figlia di Lord Wytham, sedeva nel giardino d'inverno della residenza di Cavendish Square. Troppo ampia per essere definita una serra, la costruzione in ferro e vetro racchiudeva palme, felci rare, orchidee, e uno stagno in cui nuotavano lentamente dei pesci scuri. La ragazza, con un abito di seta a collo alto, e un filo di perle, era tutta vestita di bianco, come una vittima sacrificale. Su una seggiola di bambù, all'ombra di una grossa felce, aspettava; in mano aveva un libro, ma non leggeva. La giornata era fredda e asciutta, con una luminosità lattiginosa che il vetro e le fronde trasformavano in un chiarore vagamente sottomarino. Lady Mary, al centro del giardino, nulla vedeva fuorché piante, e nulla udiva fuorché il gocciolio dell'acqua nello stagno, e i rari gorgoglii del vapore che scorreva nei tubi lungo la parete. La sua non era una bellezza di quelle in voga; il favore dell'epoca andava alle donne fatte come divani, dall'aria solida, robusta e casalinga, mentre lei assomigliava più a un uccello selvatico, o a un cucciolo: snella e delicata, con la carnagione vivida della madre e gli occhi grandi e grigi del padre, era un misto di fragilità e di fuoco interiore, e aveva già scoperto che la sua bellezza era una croce. Ispirava soggezione. I rubacuori più incalliti, i giovanotti più mondani, in sua presenza si sentivano a disagio, e diventavano goffi e taciturni. Fin dalla prima adolescenza, Lady Mary aveva intuito che, troppo bella, invece di attrarre a sé l'amore, avrebbe potuto inesorabilmente respingerlo. I suoi occhi color delle nubi erano velati d'angoscia, e non solo a causa del recente fidanzamento. Dopo aver aspettato, immobile, per qualche tempo, sentì delle voci in biblioteca, dietro la porta di vetro. Rabbrividì e il libro le cadde di mano, sul pavimento a grata.
La porta si aprì, e un valletto annunciò: «Mr Bellman, milady». Axel Bellman, in marsina grigia, entrò nella stanza, con un leggero inchino. Lady Mary sorrise al domestico. «Grazie, Edward». Quello si ritirò, e la porta si chiuse con un fruscio. Lei sedeva immobile ai bordi dello stagno, le mani in grembo, silenziosa come le bianche ninfee che l'attorniavano. Bellman diede un colpetto di tosse; fra le palme del giardino d'inverno, sembrò il ruggito sommesso del leopardo che sta per avventarsi su una fragile gazzella. Le si avvicinò. «Posso augurarti buon pomeriggio?» «Non ho motivo di proibirglielo». Lui sorrise debolmente. Stava a qualche metro da lei, con le mani dietro la schiena, e un pallido raggio di sole gli indorava un lato del volto biondo e intenso. «Sei incantevole». Lei non rispose; alzò il braccio, strappò un pezzo della foglia lucida sopra la sua testa, e lo fece a brandelli con le unghie, meticolosamente. «Grazie» bisbigliò infine, con un filo di voce. Bellman prese una sedia, e le si mise accanto. «Ti interesserà sapere, spero, che progetti ho per la nostra vita matrimoniale» continuò. «Per il momento abiteremo ad Hyde Park Gate, anche se, naturalmente, ci occorrerà una casa di campagna. Ti piace il mare? Ti piace andare in barca?» «Non lo so. Non ci sono mai stata». «Ti piacerà, vedrai. Sto facendo costruire uno yacht a vapore; sarà pronto in tempo per le nozze. Potremmo trascorrervi la luna di miele. Perché non mi aiuti a scegliergli un nome? Spero che sarai tu a vararlo». La ragazza taceva. Le mani immobili, i frammenti di foglia ancora in grembo, guardava per terra con occhi che non vedevano. «Guardami» le intimò lui. Il tono era imperioso, ma calmo. Lei alzò lo sguardo verso colui che aveva accettato di sposare, sforzandosi di mantenere un'espressione neutra. «I fotografi stanno per arrivare. Voglio un ritratto che esprima gioia e compiacimento per la nostra unione. Come mia fidanzata, mia moglie, signora della mia casa, non dovrai mai esprimere insoddisfazione in pubblico, quali che siano i tuoi sentimenti in privato. Ovviamente, spero che non sarai scontenta comunque. Ci siamo capiti?» Lady Mary tremava.
«Sì, Mr Bellman» riuscì a balbettare. «Oh, no, niente più Mr Bellman. Il mio nome è Axel, ed è così che mi chiamerai. Fammi sentire come lo dici». «Sì, Axel». «Brava. E ora, parliamo un po' di queste piante. Non so quasi nulla delle piante. Come si chiama questa?» Alle due e mezzo, in perfetto orario, Mr Protherough della Elliot & Fry si presentò da Lord Wytham; i suoi tre assistenti, convinti con cinque scellini a tener la bocca chiusa, usufruivano di un'inaspettata ora di libertà, e al loro posto c'erano Frederick, Jim, e Charles Bertram. Jim aveva il vestito della festa e i capelli impomatati, mentre Fred, con le sopracciglia scurite e le guance imbottite per sembrare più paffuto, era quasi irriconoscibile. Mr Protherough, un giovane occhialuto dai capelli fulvi, era entrato nello spirito del gioco, ma Frederick sapeva che rischiava di perdere il posto, se fosse andato storto qualcosa. Il valletto che aprì non voleva saperne di farli entrare. «Dall'ingresso di servizio» disse arricciando il naso, e fece per chiudere la porta. Sua Eccellenza Charles, impeccabile, ribatté: «Un momento, buon uomo. Sai tu chi respingi dalla casa del tuo padrone?» Quello scostò l'uscio di un paio di centimetri. «Sì» rispose. «Fotografi. Bottegai. L'ingresso di servizio è dietro l'angolo». «E dimmi» continuò Charles, «quando Sir Frederick Leighton veniva a dipingere il ritratto di Lady Wytham, lo facevi entrare dall'ingresso di servizio?» Il valletto cominciava a innervosirsi. «No» replicò guardingo. «Ecco il mio biglietto» concluse Charles, tirandolo fuori con aria annoiata. «Abbi la compiacenza di informare il tuo padrone che i fotografi d'arte sono arrivati. Puntuali, alle due e mezzo, anche se ora sono in ritardo di» consultò il suo orologio d'oro «quasi cinque minuti». L'uomo guardò il biglietto e inghiottì, ritraendosi di una spanna almeno. «Oh! Ah! Le chiedo scusa, signore, perdoni. Entri, la prego. Informerò Sua Signoria del suo tempestivo arrivo, signore. Da questa parte, signore...» Jim assunse un'espressione altezzosa (impresa tutt'altro che facile, con Charles che ammiccava maliziosamente) e aiutò Frederick a portare l'at-
trezzatura. Furono introdotti nel giardino d'inverno. Mentre Mr Protherough predisponeva lo scenario e verificava la luce, i due ragazzi montavano il treppiede e preparavano le lastre. Avrebbero usato il collodio; per le fotografie ufficiali di grosso formato, gli studi preferivano il vecchio procedimento che, per quanto scomodo, garantiva buoni risultati. Charles, nel frattempo, chiacchierava con Lord Wytham. Nel giardino faceva caldo; il sole era pallido, ma il vapore che scorreva nei tubi rendeva l'aria umida e afosa. Sistemando il sostegno del treppiede, la mente sgombra da pensieri, Jim si asciugava la fronte, quando, sentendo arrivare Bellman e fidanzata da dietro l'angolo del sentiero, alzò lo sguardo... e gli parve che gli avessero fracassato il cuore con un martello. Lady Mary. Era così perfetta che per poco non cadde a terra, fulminato. Bella, però, non rendeva l'idea e neanche leggiadra... Come una foglia travolta nel turbinio di un uragano, si era improvvisamente, totalmente e perdutamente innamorato. Che scossa, aveva preso! Gli tremavano le ginocchia, e gli mancava il respiro. Si chiese (con quella parte del suo cervello che non era stordita, e ancora riusciva a pensare) come facesse Bellman a starsene lì tranquillo a parlare, con la mano di lei poggiata sul braccio. Come se niente fosse! L'abito bianco, la chioma scura e lucente, le gote luminose, i grandi occhi color della nebbia... Per poco non gli sfuggì un gemito. Come in sogno, si mise nel punto indicato da Mr Protherough, passò una lastra a Frederick, spostò il ramo di una palma, avvicinò allo stagno la sedia di bambù di Lady Mary, e sistemò un telone candido appena fuori dall'inquadratura per riflettere più luce sul lato in ombra del suo viso. Nel contempo, le rivolgeva mentalmente parole appassionate, ascoltando con riverente beatitudine le sue risposte immaginarie. Bellman non aveva alcuna importanza. Era irrilevante. Lei, sposare quello lì? Impossibile. Assurdo. Guarda come stava distaccata, orgogliosa e sognante... Come le belle dita affusolate raccoglievano pigramente un pezzetto di muschio dalla gonna, sospingendolo nell'acqua... la curva sensuale del collo, sotto l'orecchio roseo, là dove i capelli si inanellavano... Era stregato, e per sempre. Il lavoro, intanto, procedeva regolarmente. Mr Protherough si infilava sotto la tenda, scattava, riemergeva; Frederick prendeva le lastre impressionate e gli passava le nuove. Lord Wytham, dopo aver gironzolato un po' nei dintorni, li lasciò soli. Charles osservava la scena con la disinvolta sufficienza del proprietario terriero che sovrintende all'operato dei guardacac-
cia. Fecero in tutto una dozzina di fotografie, compresa una di Lady Mary da sola, per cui Jim ringraziò il cielo in cuor suo. Quando ebbero quasi finito, Frederick si chinò su di lui, bisbigliandogli: «Attento, Jim. La stai fissando». «Oh, Dio» gemette lui, e si girò dall'altra parte, per porgere a Mr Protherough l'ultima lastra. L'idea era quella di ritrarre la coppia in piedi vicino a una dea dell'antichità, ma Charles suggerì di far sedere Lady Mary. Così, osservò, il quadro sarebbe stato più armonioso. Mr Protherough assentì. «La sedia, per favore, Mr Sanders» fece Charles a Frederick, mentre Jim aiutava il fotografo a spostare il treppiede. Il ragazzo prese la sedia di bambù accanto allo stagno, per portarla presso la statua. D'un tratto, Jim avvertì un silenzio innaturale. Alzò lo sguardo. Bellman stringeva Frederick per un braccio, scrutandolo attentamente; l'altro lo fissava, a sua volta, con aria stupita e innocente. 'Oh, tieni duro, Fred' pregò Jim con fervore. 'Ti ha beccato...' «Dica un po'» lo aggredì Bellman (tutti, compreso Mr Protherough, erano ammutoliti), «lei era da Lady Harborough, la settimana scorsa?» «Io, signore?» domandò lui con studiata noncuranza. «No davvero, signore». «A far la parte dell'ospite?» insistette quello, con voce tagliente. «Io, ospite di Lady Harborough? Oh, no, signore, è impossibile. La sedia la vuole qui, o lì, signore?» «La settimana scorsa» continuò l'uomo, più forte, «da Lady Harborough, la sera del concerto di beneficenza, qualcuno che se non era lei era il suo sosia spiava e sorvegliava gli altri ospiti in modo francamente sospetto. Glielo chiedo per l'ultima volta: era lei?» Ma prima che Frederick potesse rispondere, intervenne Lady Mary. «Dimentichi una cosa» fece notare a Bellman, «c'ero anch'io, quella sera, e ho visto la persona di cui parli. Non è lui». «Se mi permette un'ipotesi» suggerì timidamente il giovane, «può darsi che fosse mio cugino Frederick. È un detective professionista, e diversi signore e signori ricorrono ai suoi servigi per tutelare se stessi e i propri beni». Batté candidamente le palpebre. «Uhm» replicò Bellman. «Molto bene. Ma la rassomiglianza è straordinaria». Si scostò per fargli posare la sedia. Jim sentì Mr Protherough rilassarsi: se Frederick fosse stato scoperto, avrebbe perso il posto da Elliot & Fry. Tutti rischiavano grosso, in quella
faccenda, e per che cosa, poi? Era una vera follia. Ma se non fossero venuti, non l'avrebbe incontrata. Sembrava tanto giovane; non poteva avere più di sedici anni... Che diavolo era successo per costringerla a sposare un tipo del genere? Guardò più attentamente Bellman che, in piedi accanto alla sedia, fissava la ragazza. Quel viso intenso esprimeva pericolo... ma per chi? Lady Mary, sovrastata dalla sua figura possente, giocherellava con il fazzoletto, con una sorta di malumore annoiato; ma, richiamata all'ordine da un colpetto sulla spalla, sospirò, e, obbediente, si ricompose, guardando dritto nell'obiettivo con i meravigliosi occhi grigi. Scattata la foto, riposta la lastra, cominciarono a metter via l'armamentario. Charles, passeggiando sul sentiero, chiacchierava disinvolto con Bellman, quando, finalmente, arrivò il momento che Jim aspettava da venti minuti... o da tutta una vita. Lei, assorta nei propri pensieri, era rimasta vicino alla statua, mentre Frederick aiutava Mr Protherough a sistemare macchina fotografica e treppiede. Una mano appoggiata allo schienale della sedia, con l'altra si attorcigliava un ricciolo intorno al dito; quando, d'un tratto, alzando lo sguardo, vide Jim. Le brillavano gli occhi. Il ragazzo le si avvicinò, spinto da un impulso irresistibile. Lei diede un rapido sguardo all'intorno. Erano soli. Accostò il viso al suo. Jim si sentì mancare. Allungò una mano, e... «È lui, vero?» bisbigliò lei ansiosa. «L'uomo che era da Lady Harborough?» «Sì» rispose Jim con voce roca. «Milady, io...» «Fa davvero il detective?» «Sì. Qualcosa non va, vero? Può parlare?» «Per favore...» mormorò la ragazza. «Per favore, mi aiuti. Non so a chi altri chiedere. Sono completamente sola, qui, e devo andarmene. Non posso sposarlo...» «Ascolti» ribatté lui col cuore in gola, «riesce a ricordarsi questo? Sono Jim Taylor, della Garland & Lockhart, di Burton Street. Stiamo indagando su Bellman. C'è qualcosa di losco... L'aiuteremo, glielo prometto. Si metta in contatto, appena può, e noi...» «La sedia, per favore, Taylor!» esclamò in quel momento Mr Protherough. Jim si avviò, sorridendole. Un timido sorriso le si affacciò in risposta sulle labbra, e subito passò, come un soffio di vento in un campo di grano.
Lui non raccontò niente agli altri, mentre tornavano a casa. Non avrebbe saputo cosa dire; già stentava a credere di essere sveglio... o vivo. Si sarebbe messo volentieri a cantare, se solo non avesse avuto voglia di ridere, e piangere lacrime amare, tutto in una volta. Più tardi, quello stesso pomeriggio, un giovane basso e tarchiato martellò all'uscio di una dignitosa pensione di Lambeth, accompagnato da uno scagnozzo, un pugile, a giudicare dal naso schiacciato e dalle orecchie a cavolfiore. Jim li avrebbe riconosciuti: erano quelli dalle cui grinfie aveva salvato Mackinnon al Britannia Music Hall. Quando la porta fu aperta (da una signora anziana con un lindo grembiule), entrarono con uno spintone e, senza una parola, se la sbatterono alle spalle. «Spalanchi bene le orecchie» disse il giovane alla donna, tenendole puntata sotto il mento l'impugnatura di un grosso bastone. «La ragazza con la voglia sul viso... dov'è?» «Oh, misericordia! Chi siete? Cosa volete?» boccheggiò l'affittacamere. «Il mio polso! Che intenzioni avete?» Il pugile la teneva da dietro. «Vogliamo la ragazza» rispose il giovane. «Ci porti da lei. Subito. E niente strilli, altrimenti il mio amico le romperà il braccio». «Oh! Oh, la prego, non mi faccia del male! Mi lasci, la prego...» A un cenno dell'altro, il pugile la mollò, e la donna ruzzolò contro la balaustra del piccolo atrio. «Di sopra» balbettò. «Secondo piano». «Su, allora» fece l'uomo con il bastone, e lei li precedette barcollando su per le scale. Mr Harris (così si chiamava) la spronava con il bastone. «Più svelta! Come si chiama, a proposito?» «Mrs Elphick» rispose lei ansimando. «Per favore... ho il cuore debole...» «Oh, poveri noi!» esclamò Mr Harris. «Gliel'ha spezzato Mackinnon, non è vero?» Erano sul pianerottolo del primo piano. Lei si appoggiò pesantemente al muro, premendosi la mano al petto. «Non so di cosa stia parlando» ribatté debolmente. «La smetta di ciondolare e si sbrighi. Ci serve la guida retta e pura di una donna, non è vero, Sackville?» Il pugile assentì con un grugnito scimmiesco, spronandola a muoversi.
Salirono la rampa successiva, fermandosi davanti alla porta della prima stanza. «Bene, Sackville» osservò Mr Harris, «è giunta l'ora di mettere a frutto i tuoi talenti. Mrs Elphick, sta per assistere a una scena che potrebbe turbarla non poco. Quanto mi rincresce». «Oh, no, vi prego» li supplicò la signora, mentre il pugile, presa la rincorsa, sferrava un calcione con la suola, proprio accanto alla serratura. La porta si sfondò, spalancandosi con uno schianto. Dall'interno, risuonò un grido di allarme. Sackville scostò la porta rotta, e la tenne aperta per Mr Harris, che avanzò lentamente, picchiettandosi il palmo con il bastone e guardandosi intorno curioso. Isabel Meredith, il viso per metà pallido come la morte, e per metà rosso come il fuoco, era in piedi vicino al tavolo, e stringeva fra le mani un elaborato ricamo. «Chi siete?» mormorò. «Cosa volete?» «Mackinnon, vogliamo. Lo sa, la padrona, che ti prendi cura di lui?» chiese Mr Harris malignamente. «Lo sa lei, mia cara signora, che la sua inquilina tiene un uomo in camera? Presumo che lo sia, almeno; perché non fa altro che darsela a gambe, e gli uomini, quelli veri, non si comportano così. È qui, in questo momento, Miss Voglia?» Isabel trasalì. Non sarebbe stata graziosa neanche senza lo sfregio sul viso: mancava di vitalità. Non abituata alla crudeltà senza mezzi termini, non sapeva come reagire. «Ho detto» ripeté lui: «'È qui, in questo momento?' Sotto il letto, per esempio? Da' un'occhiata, Sackville». Il pugile sollevò l'armatura di ferro, ribaltandola sul pavimento. Sotto non c'era niente, tranne un vaso da notte di porcellana sbiadita. Isabel si nascose il volto fra le mani. «Guarda, guarda, Sackville» commentò Mr Harris, «un cesso portatile fine fine. Controlla un po' se è lì dentro, per caso». Quello lo colpì con un calcio, frantumandolo in mille pezzi. «Vi prego» scongiurò Isabel. «Non c'è... Qui non c'è, ve lo assicuro...» «E dov'è, allora?» «Non lo so! Non lo vedo da giorni! Per favore...» «Ah, però è vero che l'hai aiutato, birichina. E non dire che non eri tu; un musetto così, è inconfondibile». «Cosa volete?» gemette lei. «Vi prego, lasciatemi in pace. Non lo so, dov'è... lo giuro...»
«Bene, bene. Che peccato». Mr Harris si guardò intorno. «Io, però, sono un tipo scettico. Non ho alcuna fiducia nella natura umana... e penso che tu stia mentendo. Così, dirò al mio amico Sackville di strapparti e bruciarti sotto agli occhi tutto il tuo lavoro; potrebbe anche darti una ripassatina, ma sei già così brutta, che non se ne accorgerebbe nessuno. Comincia pure, Sackville, vecchio mio». «No, no, vi prego! È la mia vita! Tutto ma non quello! Come farò... vi supplico...» Il pugile prese la tovaglia, facendola a brandelli. Lei, in ginocchio, tirava intanto Mr Harris per la giacca, piangendo. Invano. «Da' un'occhiata in giro, bello. Ci saranno vestiti, camicie da notte, sottane... Straccia, amico, straccia. Non lasciarti mettere in imbarazzo dalle signore; se strillano, è solo perché fai scrupolosamente il tuo dovere». Così, nonostante le due donne avessero cercato di fermarlo (Mrs Elphick finì contro il muro, e Isabel sul pavimento, quasi priva di sensi), nel giro di cinque minuti Sackville distrusse sistematicamente ogni esemplare. Vestiti, camicie da notte, squisiti abitini da battesimo di batista da cucire con pazienti e fini rammendi; capi confezionati per i clienti abituali: guanti di pizzo raffinati, scialli, fazzoletti delicati, camicette ricamate, cuffiette pieghettate, sottovesti di mussola velate; tutto fu tolto dalla carta velina e ridotto a brandelli. Miss Meredith si accasciò su una sedia, scossa dai singhiozzi. Mrs Elphick, tremante, vide l'uomo gettare nel camino la bianca catasta. Poi, Mr Harris spalancò l'ultima anta, e tirò fuori una scatoletta di latta laccata. Era leggera; la scosse, ma non ne uscì alcun suono. La ragazza scattò in piedi. «No!» esclamò. «La lasci stare, quella. Le... le dirò dove trovarlo. Ma me la ridia, la prego». «Ah! È il tuo piccolo tesoro, eh?» Tirò il coperchio, ma non venne via. «D'accordo, allora. Tu mi dici dov'è il tuo amico, e io te la ridò. Altrimenti, il vecchio Sackville sa già che cosa farne». Isabel allungò le mani per prenderla, ma Harris la allontanò da lei, che, incapace di distoglierne lo sguardo, e livida e tremante per il passo cui si accingeva, disse con voce rotta: «Domani sera, al Royal Music Hall di High Holborn. Non gli farete del male, vero?» Mr Harris le porse la scatola. Lei se la strinse al petto. «Fargli del male? Be', la cosa non è più di mia competenza, ormai. Non
posso influenzare il corso del destino. Il Royal di High Holborn... sì, so dov'è. Tieni, Sackville». Allungò al pugile una scatola di fiammiferi. «Ora, bella mia, tu penserai, appena usciti noi, di correre gambe in spalla ad avvisarlo. Io, se fossi in te, non lo farei. Non gli direi una sillaba. Per adesso, tengo Sackville al guinzaglio, ma non oso pensare a cosa potrebbe accadere, se lo lasciassi libero. Acqua in bocca: è un consiglio da amico». «Ma... perché? Perché lo cerca? Cosa le ha fatto?» «Oh, a me, personalmente, proprio niente. Ma il mio principale desidera parlargli con una certa urgenza di una questione di famiglia. Io, forse ho dimenticato di dirlo, sono avvocato. O una specie di avvocato, insomma. Ora, ti suggerirei di stare indietro, perché mi sa che fra un attimo il caminetto prende fuoco. Siccome può essere pericoloso, io e lui adesso ce ne andiamo; ma spero che ci sarai grata dell'avvertimento. Non vorresti ripagare il mio tempo e lo sforzo di Sackville? Gli ho dato una sovrana per questo lavoretto; l'ha scucita il mio padrone, d'accordo, ma pensa come sarà contento se gli rimborsano quella piccola spesa». «È tutto quel che ho» mormorò lei tirando fuori la moneta. «E non ho niente da mangiare. Vi prego...» «Già» replicò Mr Harris meditabondo, «anch'io non mangio da stamattina. Una bella braciola m'andrebbe giù a meraviglia. Cosa ne dici, Sackville? Ma non pretendo che paghi tu» aggiunse rivolto a lei. «Un vero uomo si procura da solo il pane». «Cosa farò adesso?» chiese la ragazza, affranta. «Non ne ho la minima idea, devo ammetterlo. È difficile rispondere. Su, Sackville, accendi questo fiammifero». «No!» gridò Mrs Elphick, ma si ritrasse quando Mr Harris agitò il dito in segno di rimprovero, e ammutolì, vedendo Sackville incendiare la catasta dei vestiti impilati nel camino. Il fuoco divampò con un rombo. IL TRABOCCHETTO Il mattino dopo, prima dell'alba, una mano infilò un biglietto nella cassetta delle lettere del 45 di Burton Street, e una sagoma velata si allontanò nel chiarore cinereo dell'aurora. Fu Jim a trovarlo. Non aveva dormito bene, quella notte; immagini di Lady Mary gli si affollavano nella mente, e più di una volta si era lasciato sfuggire un gemito, al pensiero delle gote luminose color del corallo, degli
occhi perlacei, di quel mormorio colmo d'ansia... Alla fine, rassegnato, fra imprecazioni, sbadigli e stiracchiamenti vari, si trascinò giù in cucina, per farsi una tazza di tè. E poi, dopo aver acceso il fuoco, mentre metteva il bricco sul camino, sentì lo scatto della cassetta, e finì di svegliarsi. Guardò l'orologio sulla mensola: non erano ancora le sei. Alzando il colletto della vestaglia per ripararsi dagli spifferi, andò in negozio, dove vide, nitido nell'oscurità, il pezzetto di carta bianca. Arrotolò la tenda, e lesse: Per Mr Taylor: Mr Mackinnon è in grave pericolo. Due uomini stasera gli tenderanno un'imboscata, al Royal Music Hall di High Holborn. Uno si chiama Sackville. La prego, faccia il possibile. Io non posso aiutarlo, e non so a chi altri chiedere. I.M. I.M.? Ma certo, Isabel Meredith! Jim strappò la chiave dal gancio, spalancò la porta, e schizzò in strada, guardandosi affannosamente intorno. I lampioni erano ancora accesi, circondati da un alone di bruma, il cielo andava rischiarandosi, ma anche se udì, vicino, il lento scalpiccio degli zoccoli e il cigolio delle ruote di un carro diretto al mercato, non vide anima viva, e nulla che potesse indicare da che parte era andata. Sally non aveva dimenticato la minaccia di Axel Bellman. Ogni volta che andava al lavoro, ricordava che molti impiegati del palazzo la vedevano entrare e uscire; poi, c'erano il ragioniere capo del padrone di casa, cui pagava l'affitto, e una piccola agenzia di importazioni (che faceva arrivare datteri, uva sultanina e tabacco dalla Turchia) nello studio accanto al suo, con la quale divideva le provviste di carbone... Insomma, la conoscevano in tanti, e tutti avrebbero potuto lavorare per quell'uomo. Per un breve attimo, aveva contemplato l'ipotesi di prendere con sé una ragazza notoriamente virtuosa, come marchio di rispettabilità; ma avrebbe dovuto trovarle qualcosa da fare, insegnarle a farlo, e pagarle uno stipendio al di là delle sue possibilità. Alla fine, aveva deciso di ignorare le intimidazioni di Bellman, e di tirare avanti normalmente; però, ogni volta che, aprendo la porta, si trovava davanti una donna invece di un uomo, era sollevata, anche se subito malediceva la propria debolezza.
Quella mattina, il suo primo cliente fu proprio una donna, una ragazza del Lancashire spontanea e vivace, che era venuta a Londra per studiare da insegnante, e voleva consigli su come amministrare la piccola somma lasciatale dal nonno. Quando ebbero scelto la più conveniente fra le varie possibilità esposte da Sally, osservò: «Sono rimasta di stucco, quando ho visto che S. Lockhart era una donna; anche compiaciuta, però, certo. Come diavolo ha fatto a trovarsi un lavoro del genere?» Sally glielo spiegò, e poi le chiese: «Da dove viene, Miss Lewis?» «Da Barrow-in-Furness» rispose la ragazza. «Ma non intendo starmene rintanata per tutta la vita in un angolino del Lancashire. Voglio andare all'estero, in Canada, in Sudamerica, in Australia... È per questo che faccio il corso, per avere un mestiere cui appoggiarmi». «Barrow...» riprese Sally. «Cantieri navali, vero?» «Sì, e poi il porto, e le ferrovie. I miei fratelli sono tutti e due impiegati al porto. Ci sono rimasti di sasso, quando il nonno ha lasciato a me il suo gruzzoletto; pensavano che spettasse loro di diritto, perché erano uomini. Ma ero io quella che ascoltava le sue storie... Faceva il marinaio, e mi parlava talmente tanto delle cascate del Niagara, del Rio delle Amazzoni, della barriera corallina, e di tutto il resto, che sognavo soltanto di vederli con i miei occhi. Guardavamo le immagini nel vecchio stereoscopio, e lui mi raccontava tutto. Era molto caro». Sally sorrise. Poi, d'un tratto, ebbe un'idea. «Non ha mai sentito il nome Stella del Nord, per caso?» «Stella del Nord... sì, è una ditta di Barrow. Fonderie Stella del Nord. C'entra qualcosa con le ferrovie, mi pare. Ci sono state delle agitazioni sindacali... O forse mi sbaglio... Senta, conosco una signora che può aiutarla. Abita a Muswell Hill - è a Londra, no? Le do l'indirizzo, comunque. Era mia insegnante alla scuola domenicale, prima di sposarsi e di venir qui. Suo fratello lavorava per la Stella del Nord, o per l'azienda che c'era prima, insomma. Lei potrà dirle qualcosa di più. Ecco qua. Mrs Seddon, 27 Cromwell Gardens, Muswell Hill. Me la saluti, la prego, e le dica che andrò a trovarla, non appena mi sarò sistemata al college...» 'Finalmente un po' di fortuna' pensò Sally. «Mi faccia sapere, se ha ancora bisogno» congedò la ragazza, «e in bocca al lupo per la scuola». Chiuso l'ufficio, alla fine della giornata, si fermò in strada, chiedendosi se andare subito a Muswell Hill, o se, invece, mandare prima una lettera.
Stava ancora pensando, quando arrivò Jim. «Ehi, Sal! Hai voglia di farti quattro risate? Non stavi andando a casa, vero?» «Be'... che genere di risate?» «Vieni con noi in teatro. Mackinnon è nei guai, e Fred e io andiamo a tener d'occhio la situazione». Mentre fendevano insieme la calca del tardo pomeriggio (impiegati in bombetta, fattorini, strilloni, spazzini), lui le raccontò del biglietto di Isabel. In piedi davanti a una rosticceria, aspettavano di poter attraversare, quando, nell'aria luminosa satura di aromi, Sally intravide per un attimo il Jim di sei anni prima, un ragazzetto arruffato e sporco d'inchiostro, vivace, combattivo, e furbo come una volpe. Rise di gioia. «Voglia di farmi quattro risate, hai detto? Ci puoi scommettere, amico! Andiamo!» Chaka, contagiato dalla sua allegria, li seguì scodinzolando felice. Sally tornò a casa, si cambiò, e alle sette e mezzo raggiunse i due che facevano la fila davanti al Royal Music Hall. Frederick, in marsina e bastone, rimase stupefatto quando lei lo baciò. «Il miglior numero della serata» le disse. «Che c'è in programma, Jim?» Jim era andato a studiare la locandina; riprendendo il suo posto in coda, sussurrò: «Penso che Mackinnon si faccia chiamare il Grande Mefisto. Non sarà certo una delle Velocipediste Ungheresi di Madame Tarocszy, o il Señor Ambrosio Chavez, il Contorsionista Prodigio...» «Chissà cos'è una velocipedista...» ribatté Fred. «Platea o loggione? Secondo me, è meglio mettersi vicino al palcoscenico, caso mai ci sia da saltarci su. Voi che ne dite?» «Qui, dal loggione, non si scende in fretta. Ci conviene sederci il più avanti possibile; il problema è che, da lì, il pubblico non si vede, e non potremo cercare quel Sackville». Si aprì il portone, e i tre avanzarono nello sfarzoso foyer, dove la luce sfolgorava intensa sull'oro, sul mogano e sul cristallo. Pagarono uno scellino e mezzo a testa per tre poltrone in prima fila e si accomodarono nell'aria satura di fumo, mentre i suonatori prendevano posto e accordavano gli strumenti. Jim, di tanto in tanto, abbracciava gli spettatori con lo sguardo. «Il fatto è» bofonchiò, «che non sappiamo neanche cosa cercare. Mica avranno appeso al collo il cartello con su il nome». «E i tipi che volevano acciuffarlo al Britannia?» chiese Frederick.
«Be', Fred, onestamente, con tutta questa gente... E potrebbero anche essere dietro le quinte... anche se non credo, perché il portiere sul retro è molto efficiente. No, se attaccano, dovranno farlo dal davanti». Sally, guardandosi intorno, posò lo sguardo sui palchi della parete opposta. Erano sei; quattro erano in ombra, ma in uno degli altri scorse tre uomini, uno dei quali la scrutava con il binocolo. Accortosi di essere osservato, questi posò il binocolo, sorrise, e fece un leggero inchino. Uno scintillio illuminò le lenti cerchiate d'oro. «Mr Windlesham!» esclamò lei involontariamente, e subito distolse lo sguardo. «Eh?» fece Frederick. «Il segretario di Bellman. È in quel palco là, il secondo, e mi ha vista. Cosa facciamo adesso?» «Be', stiamo giocando la stessa partita, questo è poco ma sicuro» commentò lui, alzando gli occhi a sua volta. «È inutile nascondersi, adesso, ormai sa che siamo insieme. Jim, senti, c'è un altro tizio con lui, anzi, altri due. Riesci a distinguerli?» Il ragazzo allungò il collo, poi scosse la testa. «No» rispose. «Sono troppo indietro. Il più basso potrebbe essere quello che ho visto nel camerino di Mackinnon, ma non ci giurerei. Una bella grana, comunque. Io andrei anche a chiuderli dentro, come quella sera, ma mi vedrebbero certamente arrivare». L'orchestra stava per cominciare. Frederick, prima di girarsi, fece un cenno di saluto in direzione del palco, poi disse: «Loro possono vederci, ma noi siamo più vicini al palcoscenico. Se vogliono menar le mani, io e te, Jim, cerchiamo di tenerli a bada, mentre Sally pensa al mago. Ce l'hai il tirapugni?» Jim annuì. «Quella porta là, dietro il podio del presentatore, porta dritto nel retroscena» osservò. «Hanno scelto il posto meno adatto, per un agguato. È l'unico vantaggio che abbiamo». «Sempre che non ce ne siano altri dietro le quinte» replicò Sally. E lì finì la conversazione, perché, in quel momento, l'orchestra attaccò con un fragor di piatti e un rullo di grancassa, che, per chi sedeva in quella posizione, coprivano qualunque altro suono. Jim, in fondo alla fila, lanciava continue occhiate al palco; Frederick, invece, era deciso a godersi lo spettacolo. Sfilarono le Velocipediste Ungheresi di Madame Tarocszy, Miss Ellali-
ne Bagwell (il soprano), il Mago della Matita, e Mr Jackson Sinnot (canzoni comiche e patriottiche), ma ancora i tre non si muovevano. Dietro il solito baluginio delle lenti, Sally intercettò lo sguardo curioso e mellifluo di Mr Windlesham, puntato su di lei, che le procurò una sgradevole sensazione di nudità. Si girò, cercando di ignorarlo. Infine, il presentatore annunciò il Grande Mefisto. Rullarono i tamburi; dal piano rimbombò un accordo cupo, dagli archi echeggiò un misterioso vibrato, finché, con un tintinnio di piatti, il sipario si alzò. Frederick e Sally aguzzarono gli occhi. In mezzo alla scena, troneggiava una figura snella, in marsina e cravatta bianca, il volto coperto da una maschera candida. Sally, che pure non aveva mai visto Mackinnon, lo riconobbe all'istante, e non solo perché Jim, fattosi improvvisamente attento, le sussurrò: «Eccolo là, il verme». Frederick, accanto a lei, era calmo come un papa, il viso illuminato da un godimento puro e fanciullesco. Sally gli sorrise, complice, lui le strizzò l'occhio, e il numero ebbe inizio. Per quanto ambiguo come persona, Mackinnon era un vero artista sul palcoscenico. La maschera, ben più che una protezione da occhi indiscreti, era parte integrante della sua esibizione, come il trucco cereo degli altri spettacoli. Senza aprir bocca, egli tesseva intorno a sé un'atmosfera sinistra, esasperata dal grande apparire di coltelli e spade, che trapassavano, laceravano, mozzavano. I movimenti, la mimica, e, soprattutto, quella maschera, ammaliante e spettrale, suscitavano un clima di paura e di orrore. Gli spettatori, fino a quel momento allegri e chiassosi, ammutolirono. Non per disapprovazione: per timore reverenziale. Erano sbalorditi, e Sally con loro. Quell'uomo era un maestro. Guardavano, ipnotizzati, da qualche minuto, quando Jim lanciò una rapida occhiata in su... e la tirò per un braccio. «Sono spariti!» bisbigliò. Sally levò lo sguardo, allarmata: il palco era vuoto. Jim imprecò, e Frederick commentò sottovoce: «Ci hanno giocato, maledizione. Devono essere dietro le quinte. Appena finisce il numero, Jim, filiamo...» Ma anche il mago, a quanto pareva, aveva in serbo una sorpresa. La musica cessò bruscamente; Mackinnon, in mezzo alla scena, scrollò lentamente le mani alzate. Due brillanti foulard scarlatti gli avvolsero le braccia, ricadendo a terra in ampie volute, simili a cascate di sangue. La sala piombò nell'oscurità, eccetto che per un unico, piccolo cerchio di luce, puntato su di lui. Avanzò verso il proscenio, in un silenzio di morte.
«Signore e signori» furono le sue prime parole. La voce era dolce e melodiosa ma, da dietro quella maschera, misteriosa come quella di un dio che profetizzi in un tempio antico. L'orchestra tacque. Nessuno si mosse. Era come se, di comune accordo, l'intero teatro trattenesse il respiro. «Sotto questi foulard di seta» proseguì, «custodisco due doni straordinari. In una mano, ho un gioiello, uno smeraldo antichissimo, di inestimabile valore; nell'altra... un coltello». Un brivido silenzioso serpeggiò per la sala. «La vita» continuò, in tono lento, suggestivo, «e la morte. Lo smeraldo garantirà al suo proprietario, se deciderà di venderlo, lusso e ricchezza; il pugnale, invece, per mano mia, gli trafiggerà il cuore, e lo condurrà alla morte. Uno di questi doni, ma uno soltanto, sarà di colui che avrà il coraggio di rispondere a una semplice domanda. La risposta giusta, gli varrà lo smeraldo; quella sbagliata, il coltello. Ma prima, vediamoli». Scrollò la sinistra. Il foulard cadde a terra con un fruscio, e dalle sue spire di sangue spuntò un verde bagliore, uno smeraldo grosso come un uovo, sfolgorante di riflessi color del mare. Il pubblico fremette. Il mago posò il gioiello, delicatamente, sul velluto nero del tavolino accanto. Poi, scrollò la destra. Stavolta, il foulard rivelò la lama scintillante di un pugnale d'acciaio, lungo quindici centimetri. Mackinnon lo tese in avanti, disponendo il filo orizzontalmente. Nell'altra mano, si materializzò, dal nulla, un fazzoletto di candida seta. «Così affilata è questa lama» riprese, «che lo taglierà in due, senz'altro aiuto che il suo peso». Il fazzoletto scese, lentamente, sulla lama, la quale, senza la minima pausa, senza il minimo intoppo, lo trapassò di netto, tranciandolo a metà. Dal pubblico venne un altro sospiro strozzato, più simile a un gemito, stavolta, velato di paura. Sally stava cedendo all'incantesimo. Scosse vigorosamente la testa, piantandosi le unghie nelle palme. Dov'erano gli uomini del palco? In agguato dietro le quinte? «La morte per mano di questo coltello» diceva sommessamente Mackinnon, «è rapida e dolce come il taglio della seta. Il dolore della malattia, il tormento della vecchiaia, l'angoscia della povertà... in un attimo, banditi per sempre! Questo dono è prezioso quanto l'altro. Forse, ancor di più». Poggiò il coltello vicino allo smeraldo, e fece un passo indietro. «Eseguirò la sentenza all'istante, su questo palcoscenico, davanti a seicento testimoni. E, di conseguenza, verrò impiccato. Lo so. Sono pronto.
Poiché si tratta di una decisione cruciale, non pretendo una risposta immediata. Lascerò passare due minuti esatti, scanditi da quest'orologio». Nell'oscurità alle sue spalle, si stagliò un quadrante luminoso, con le lancette sulle dodici meno due. «Lo farò partire, e aspetterò. Se, quando batterà, nessuno avrà dato una risposta, prenderò i miei doni e me ne andrò. Domani, ripeterò l'offerta, e continuerò finché non verrà accettata. Vediamo se c'è qualcuno, qui fra voi, che oserà farsi avanti stasera. E ora, la domanda. È semplice: qual è il mio nome?» Il mago tacque. Tranne che per il sibilo costante dei becchi a gas, il teatro era immerso nel più profondo silenzio, e il primo ticchettio echeggiò distintamente in ogni angolo della sala. Passavano i secondi. Nessuno si muoveva. Mackinnon aspettava, impalato come una statua, rigido come la maschera che gli copriva il volto. La sala, l'orchestra, il retroscena, tutto taceva. L'orologio ticchettava. Gli uomini del palco, probabilmente, erano in agguato dietro le quinte, momentaneamente trattenuti dalla sorpresa del mago; ma, alla fine, sarebbero usciti, ed era già passato un minuto. Era inutile indugiare oltre, decise Sally. Guardò Jim e Frederick. «Dobbiamo farlo» sussurrò, e Fred annuì. Aprì la borsetta, afferrò una matita, e scribacchiò in fretta un biglietto. Le tremava la mano; sentiva, alle sue spalle, l'ansia degli spettatori, pressoché convinti che lo smeraldo fosse vero, che Mackinnon avrebbe realmente usato il coltello, che la sfida si sarebbe conclusa con la vita o con la morte. La lancetta era quasi sulle dodici. Dal pubblico, si levò il fremito palpitante di centinaia di respiri mozzati. Lei lanciò un'occhiata ai due ragazzi, vide che erano pronti, e si alzò. «So la risposta» annunciò. Un secondo dopo, l'orologio batté, ma nessuno lo udì, nel baccano che seguì al crollo della tensione. Tutti gli occhi si girarono verso Sally, che scorse nell'oscurità una moltitudine di fessure bianche. «Buon per te!» risuonò un grido, cui fece eco una salve di acclamazioni stridenti. Si avviò lentamente verso il presentatore, in piedi sotto al palcoscenico. Intravide Fred e Jim, che, nel parapiglia generale, si intrufolavano nel retroscena; ma non poteva pensare a loro, doveva concentrarsi su Mackinnon. Il presentatore le porse la mano, aiutandola a salire. Gli applausi si smorzarono, e calò un silenzio ancora più profondo di quello di prima.
Sally avanzò (nascosto nell'ombra, pensava, c'è anche Windlesham, e lui mi conosce...). «Bene» esclamò il mago, quando infine si fermò, a un paio di metri da lui. «Stasera, ragazza, si decide il tuo destino. E ora dimmi: qual è il mio nome?» Gli occhi neri si stagliavano lucenti nel candore della maschera. Lei, invece di rispondere, gli tese il biglietto. Mackinnon rimase lievemente sconcertato, ma nessuno si accorse di nulla. Sicuro, come se provasse quella mossa da settimane, stese il braccio con esasperante lentezza, prese il foglio, e si volse verso il pubblico. Sally ne avvertiva la presenza, intensa, fremente. Tutti, in teatro, trattenevano il respiro, lei compresa. Il mago aprì il biglietto, imponendo il silenzio con gli occhi. Abbassò lo sguardo, e lesse: Attento! Gli uomini di Bellman sono in agguato dietro le quinte. Io sono un'amica. Sally non aveva avuto il tempo di scrivere altro. Lui non batté ciglio. «Questa giovane coraggiosa ha scritto un nome» esordì, «un nome che ognuno di voi, qui presenti, ogni uomo e donna del Regno, riconoscerebbe. Un nome che mi fa molto onore, ma che non è il mio». Gli spettatori trasalirono. Mackinnon stracciò il biglietto in mille pezzi, che si lasciò scivolare fra le dita. Sally era impietrita, come un animaletto ipnotizzato da un serpente; tutta la sua determinazione era svanita. Un minuto prima, l'aveva avuto in suo potere; adesso, era lei alla sua mercé. Non riuscendo a guardare gli occhi, la maschera, la bocca rossa, contemplò le mani che strappavano il foglio. Mani belle, forti. Il coltello era vero? L'avrebbe...? No, certo che no. Ma allora, cosa...? Sapeva solo che, in quel momento, sicuramente si scervellava, in cerca di una soluzione. Purché la trovasse, e presto... Il mago non poteva tardare oltre. Prese il coltello, lo fissò intensamente, lo sollevò, glielo tenne sospeso sul capo, freddo e immobile come un ghiacciolo d'acciaio... E poi, successe il finimondo. Dal retroscena risuonò un grido lacerante, e qualcosa cadde a terra con uno schianto: era scoppiata una lotta furibonda, che faceva oscillare violentemente i sipari laterali. Accanto al mago, con un botto, si spalancò un trabocchetto, da cui emer-
se una pedana quadrata. Una donna, in sala, strillò, e poi un'altra, e un'altra ancora... L'orchestra attaccò un'interpretazione frenetica, in due tonalità insieme, del Faust. E infine, Mackinnon afferrò Sally, trascinandola verso il trabocchetto. Il braccio che la cingeva, pensò lei, era sorprendentemente forte. Il teatro piombò in una luminescenza rosseggiante, tremula, infernale, e la pedana cominciò a scendere piano. Fra il pubblico esplose il putiferio urla, schiamazzi, gemiti -, ma sopra tutto echeggiò la risata satanica di Mackinnon, che si dileguò nel buio con Sally. Un altro botto, e il trabocchetto si chiuse. Il baccano cessò all'istante, e il mago crollò. Appoggiato a lei, tremava come una foglia. «Oh, mi aiuti» mormorava. In un attimo, si era trasformato. Nel debole chiarore (una reticella incandescente, seminascosta nell'accozzaglia di travi, funi e leve, era l'unica fonte di luce), Sally si accorse che stava perdendo la maschera, e gliela strappò. «Svelto! Mi dica» gli intimò, «perché Bellman le dà la caccia? Devo saperlo!» «No... no! La prego! Mi ucciderà! Devo nascondermi...» Parlava con accento scozzese, adesso, in tono stridulo, carico di terrore. Batteva convulsamente le palme una contro l'altra, come un bimbo spaurito. «Risponda!» sbottò lei. «Altrimenti, la abbandono al suo destino. Io sono dell'agenzia Garland; sto dalla sua parte, capisce? Fred Garland e Jim Taylor stanno trattenendo quei criminali, ma se non mi dice la verità, ce ne laviamo le mani! Allora, perché Bellman le sta addosso?» «Va bene, va bene!» Si guardò intorno come un animale in trappola. Erano ancora sulla pedana di legno, fra le guide di ferro che servivano a issarla; si trattava di un trabocchetto di quelli usati nelle pantomime, per portare in scena il Re dei Demoni. Da qualche parte, pensò Sally, ci sarebbe dovuto essere un operaio, per girare la manovella; ma non vide nessuno. D'un tratto, risuonò un rumor di ferraglia. Lì sotto, fra catene e pulegge, non c'era anima viva; ma Mackinnon si spaventò e balzò giù, zigzagando. «Non da quella parte!» intimò lei, a bassa voce. Funzionò. Il mago si fermò, dando a Sally, fasciata in un vestito che la impacciava, il tempo di raggiungerlo e di afferrarlo per un braccio.
«No! Mi lasci...» «Senta, stupido» sibilò lei. «O mi risponde, o giuro che la consegno a Bellman». «Va bene... ma non qui...» Si guardò intorno, smarrito. Sally lo teneva fermo. Lì accanto, un becco sfrigolante emanava un chiarore livido, dandogli un'aria isterica, stralunata. Un impeto d'ira sopraffece la ragazza. «Ascolti» gli disse, scuotendolo. «Lei non significa nulla per me. La pianterei in asso, ma ho bisogno di sapere. In questa storia, ci sono di mezzo frodi, navi che colano a picco, omicidi; e lei c'è immischiato, in un modo o nell'altro. Per l'ultima volta: perché Bellman le sta alle calcagna?» Mackinnon cercò di fuggire, invano; poi, scoppiò in lacrime. Sally, stupefatta, e lievemente disgustata, lo scosse di nuovo, più forte. «Risponda!» gli intimò, con voce carica di rabbia. «Va bene! Va bene! Ma non è Bellman... è mio padre». «Suo padre? E chi è suo padre?» «Lord Wytham». Sally ammutolì, la mente in fermento. «Voglio le prove» replicò infine. «Lo chieda a mia madre. Glielo confermerà». «E chi sarebbe?» «Si chiama Nellie Budd. Ma non so dove abita. E non so neanche chi è lei, del resto. Io cerco solo di guadagnarmi il pane, di perfezionare la mia arte. Sono innocente, non ho fatto niente di male, glielo assicuro. Sono un artista, io, e ho bisogno di tranquillità... di essere lasciato in pace, non braccato, spaventato e perseguitato senza tregua...» Nellie Budd... «Già, ma non mi ha ancora detto perché le sta addosso. E Bellman, poi, cosa c'entra? E non mi dica che non c'entra. Stasera c'era qui il suo segretario, un certo Windlesham. Che parte ha, quello?» Ma, prima che il mago potesse rispondere, si aprì fragorosamente una botola, e lui si divincolò, sgattaiolando nell'ombra, svelto come un topo. Sally fece un passo nella sua direzione, ma subito rinunciò; ormai non ce l'avrebbe più fatta, a raggiungerlo. Si aspettava una gran confusione, di sopra, e il pubblico ancora in subbuglio per la loro scomparsa; invece, trovò il direttore di scena tutto contri-
to, il palcoscenico coperto di ballerine, e gli spettatori allegri come pasque. A quanto capì, sotto ci sarebbe dovuto essere un macchinista, per riportarla al suo posto. Il trabocchetto, la pedana e la luce infernale erano un trucco escogitato da Mackinnon per chiudere il numero in bellezza. Era la prima volta che lo metteva in scena, e il direttore era entusiasta del risultato. Se non c'era nessuno ad aspettarla, le spiegò, era perché tutti gli uomini disponibili erano impegnati dietro le quinte, dove era scoppiata una rissa. Quattro tizi, sbucati dal nulla, si stavano scannando, e, dopo una lotta furiosa, erano stati buttati fuori. Probabilmente, si trattava del solito marito geloso. «Marito geloso?» «Be', vede, Mr Mackinnon ci sa fare con le donne. Se ne sarà accorta anche lei, no? Le attira come mosche al miele. Non capisco perché, ma è così. Non sarebbe la prima volta che si pestano per colpa sua. Bene, signorina, la faccio riaccompagnare. Era in prima fila, vero?» «Grazie, ma non importa» ribatté Sally. «Per stasera, mi sono già divertita abbastanza. Dov'è l'uscita?» Appena fuori dal teatro, si precipitò all'ingresso degli artisti, con il cuore in gola. Fred, seduto sulla soglia, roteava delicatamente il bastone, mentre Jim passeggiava su e giù scrutando il selciato. Per il resto, il vicolo era deserto. Li raggiunse in fretta, accovacciandosi a terra accanto a Frederick. «Stai bene? Cos'è successo?» Lui alzò gli occhi, sorridendo. Aveva un taglio sulla guancia. Sally lo accarezzò affettuosamente. «Ahi! Hanno fatto fagotto. Si stava un po' stretti, là, il sipario dava fastidio; ma quando ci hanno sbattuto fuori e ho potuto darmi da fare con il bastone, è andata meglio. Brutta coppia, quei due. Comunque, io ho dato una spolveratina a Sackville, e Jim ha appiattito il naso a quell'altro. Tutto sommato, non ce la siamo cavata male. Io, almeno. Trovato, o no?» disse poi, rivolto all'amico. Jim bofonchiò qualcosa. Lei si alzò, volgendogli il viso verso la luce. Aveva il labbro spaccato; appena aprì la bocca, poi, saltò fuori che gli mancava un dente davanti. Sally sentì una fitta di rimorso: loro si erano fatti male, e lei si era lasciata sfuggire Mackinnon... «Scoperto niente?» le chiese Frederick, tirandosi su. «Sì. Sentite, montiamo in carrozza e andiamo a casa... meglio mettere
qualcosa su quel taglio. E fra poco Jim vedrà le stelle, con quella bocca...» «Peccato che ci abbiano sbattuto fuori, però» osservò Fred. «Volevo vedere il Señor Chavez, il Contorsionista Prodigio». «Ah, io l'ho già visto...» borbottò Jim. «Non vale la pena. Si mette a testa in giù e si ficca un piede nell'orecchio. Tutto qui. Cos'è che hai scoperto, Sal?» Poco lontano, in una vettura a quattro ruote, Mr Windlesham dava una solenne lavata di capo a Harris e Sackville, i quali, però, non ascoltavano con la dovuta attenzione: il primo, colpito in testa dal bastone di Fred, era ancora più imbambolato del solito, e il secondo, con il naso schiacciato dal tirapugni di Jim, era tutto intento a dirottare il flusso di sangue dalla camicia a un fazzoletto fradicio. Mr Windlesham li guardò con aria di disgusto, e bussò sul tettuccio. La carrozza rallentò. «Non siamo ancora arrivati» farfugliò Sackville. «Acuta osservazione» replicò Mr Windlesham. «Tuttavia, è una bellissima serata, e una camminatina vi farà bene. Voi due, mi sa, avete più stoffa per terrorizzare le donne che per picchiare gli uomini. In tal caso, forse ho un altro lavoretto per voi, o forse no; dipende da quanto sarete puntuali domani mattina. Alle sette e mezzo nel mio ufficio, non un minuto più tardi. Per favore, Mr Harris, niente sangue sulla maniglia; lo asciughi, se non le dispiace. No, non con il fazzoletto; con le code della giacca, piuttosto. Buonanotte». Fra borbottii, recriminazioni e mugugni vari, i due delinquenti si avviarono per Drury Lane. Mr Windlesham, dal canto suo, si fece portare in Hyde Park Gate: il suo principale, pensava, avrebbe ascoltato con vivo interesse il resoconto della serata. I FANTASMI DEI VIVENTI «Allora, vediamo un po'...» cominciò Frederick, attaccando la marmellata d'arance. Era il mattino successivo alla spedizione a teatro, e i tre stavano facendo colazione al Tavistock Hotel di Covent Garden. «Mackinnon sostiene di essere figlio di Nellie Budd e Lord Wytham. Be', potrebbe anche essere». «È la stessa storia che ha raccontato a Miss Meredith» osservò Jim. «Cioè, non ha fatto nomi, ma il succo era quello. Anche se questo non
spiega perché Bellman gli stia alle calcagna; a meno che non voglia disfarsi di un cognato del genere; nel qual caso, non lo biasimo». «L'eredità» intervenne Sally. «Non c'era in ballo una faccenda del genere? Se è illegittimo, però... Cosa potrebbe ereditare da Wytham?» «Ben poco, direi. Wytham è fallito, o quasi» ribatté Frederick. «Ipotecato fino al midollo. E ora, per di più, l'hanno sbattuto fuori dal Governo... Non lo so. Mi puzza, quel tipo. Preferisco Nellie Budd. Sfido io, che è rimasta sorpresa, quando ho fatto il nome di Mackinnon». «E la Stella del Nord?» chiese Jim. «Fonderie Stella del Nord» rispose Sally. «Lavorazione del ferro e dell'acciaio, suppongo. Nel listino di Borsa non c'è. Domani parlerò con Mrs Seddon, a Muswell Hill, ma stamattina vado da un certo Mr Gurney, per chiedergli della psicometria. E, tra parentesi, io avrei anche i miei affari cui badare...» «Bene, io, invece, faccio una capatina al palazzo del Governo» disse Frederick. «Vediamo cosa riesco a scoprire su Wytham. E poi, credo che farò un'altra visitina a Nellie Budd. A proposito di affari, sarebbe anche ora che mettessi in tasca qualche soldo. Con questo caso, non ho ancora guadagnato un centesimo; anzi, ci ho rimesso addirittura l'orologio». «Fai presto a parlare, tu» replicò Jim amaramente, toccandosi la bocca contusa. «Puoi sempre comprarne un altro per trenta scellini. I denti, invece, non si trovano mica per strada. E come si possa essere così crudeli da divorare aringhe e pane tostato sotto il naso di un poveraccio che può permettersi solo uova strapazzate e zuppetta, proprio non capisco. L'unica consolazione è che, per un po', anche quel tizio avrà i suoi guai, con il naso». Mr Gurney era uno studioso che Sally aveva conosciuto a Cambridge, presentatole da Mr Sidwick, un filosofo che, oltre a battersi in favore dell'educazione delle donne, si interessava di parapsicologia. Anche Gurney conduceva ricerche in quel campo, e, poiché abitava ad Hampstead, non troppo lontano, Sally aveva pensato di consultarlo. Lo trovò nello studio della sua bella villa; c'erano spartiti sulla tavola, e un violino in una custodia aperta. Era un uomo di circa trent'anni, dai grandi occhi penetranti, con il volto incorniciato da una barba serica. «Spiacente di interrompere la sua musica» si scusò Sally, «ma dovrei controllare una cosa, e non so a chi altri chiedere». «La mia musica? Io non sarò mai un musicista, Miss Lockhart. Questa
sonatina è il culmine delle mie aspirazioni, e anche del mio talento, temo. Adesso, seguo un corso di medicina; è quella la mia strada. Ma, mi dica, cosa posso fare per lei?» Mr Gurney era un dilettante facoltoso, che, oltre alla musica, aveva studiato lettere classiche e diritto, e Sally dubitava che con la medicina avrebbe dimostrato maggior perseveranza; ma possedeva un'intelligenza acuta e una vasta conoscenza di argomenti legati alla psicologia e alla filosofia, e quando lei, dopo qualche premessa, gli riferì della seduta di Nellie Budd, fremette d'interesse. «Telepatia» decretò. «O così parrebbe». «Tele... è una parola greca. Come telegrafo. Che cosa significa?» «E il fenomeno per cui una persona riceve comunicazioni dal cervello di un'altra. Percezioni, emozioni, sensazioni... nulla di rigoroso quanto il pensiero cosciente. Non ancora, perlomeno...» «Ma esiste veramente una facoltà del genere? Ce l'abbiamo tutti?» «L'effetto è reale. Ci sono centinaia di casi accertati. Ma ciò non significa che esista una facoltà specifica. Tanto per chiarire, se un uomo fosse investito da una carrozza, non diremmo che possiede la facoltà di essere investito. Potrebbe trattarsi di qualcosa che accade spontaneamente, indipendentemente dalla nostra volontà». «Certo... Può darsi che lei capti informazioni senza rendersene conto. E la trasmissione è intenzionale, invece? Oppure anche chi trasmette lo fa involontariamente?» «L'agente, si chiama. Non saprei, Miss Lockhart. In questo campo, regole precise non ce ne sono. L'unica generalizzazione che mi sento di fare, è che di solito la cosa si verifica fra persone unite da legami emotivi». «Capisco... E poi, c'è un altro mistero, Mr Gurney, che ha un nesso con la seduta, anche se, ancora, non so quale». Gli raccontò della visione del duello nella foresta, e di come, a detta di Mackinnon, fosse stata suscitata da un portasigari preso in mano. «Sì» osservò lui, «è un fenomeno ben documentato. Che tipo è il percipiente? L'uomo che ha avuto la visione, cioè?» «Per nulla affidabile. È un prestigiatore, un professionista del varietà - e anche molto bravo -, e non so se è per questo, ma sembra impossibile stabilire se dice la verità oppure no. E un'altra cosa: ammesso che... questo fatto... accada veramente, succede solo quando il ricevente tocca un oggetto appartenente all'altra persona? O basta qualcosa che abbia una pur lontana attinenza?»
«Per esempio?» «Be', un articolo di giornale. Un pezzo di una storia che, pur non contenendo nomi, potrebbe essere in rapporto con la visione. Sarebbe sufficiente a scatenare una percezione psicometrica? O ancora: supponiamo che il percipiente abbia la visione, e poi si imbatta in un ritaglio di giornale che non si riferisce esplicitamente a essa, ma che vi allude soltanto. Sarebbe in grado di dire se le due cose sono collegate?» Lui balzò in piedi, tutto eccitato, e prese una grossa cartella di appunti e ritagli dallo scaffale sopra il tavolo. «Straordinario!» esclamò. «È esattamente quel che è accaduto nel caso di Blackburn del 1871. Se si tratta di una replica, è una grande notizia. Ecco, guardi qui...» Sally lesse i ritagli, tutti datati e commentati con precisione scientifica. La dinamica pareva del tutto simile, anche se la visione dell'uomo di Blackburn non riguardava nulla di più sensazionale del fatto che il fratello fosse scampato a un incidente ferroviario. «Quanti casi ha registrati qui, Mr Gurney?» «Migliaia. Per classificarli e analizzarli tutti, ci vorrebbe una vita». «Forse dovrebbe dedicarsi a questo, anziché alla medicina. Ma c'è una cosa che devo dirle: questa storia, di qualunque cosa si tratti, sembra accadere ai margini di un disegno criminoso. Per pubblicare il suo articolo - so che vorrà scriverne uno - potrebbe aspettare il cessato pericolo?» Mr Gurney spalancò gli occhi. «Un disegno criminoso?» Sally gli fece un rapido quadro della situazione, mentre lui ascoltava stupefatto. «Ecco cosa sfornano a Cambridge, adesso» concluse. «Investigatrici private. Non era esattamente quel che avevano in mente i pionieri dell'istruzione universitaria per le donne... Comunque, l'accontenterò, anche se nelle nostre relazioni figurano solo pseudonimi. Però, accidenti! Frodi... Omicidi... Dopotutto, forse farei meglio a dedicarmi alla musica». Era ormai pomeriggio quando Frederick partì alla volta di Streatham. Aveva scoperto un paio di cosette interessanti nel modo più semplice, chiedendo a quelli che, con maggior probabilità, sapevano: fattorini, commessi e simili. Correva voce che Lord Wytham, la cui carriera politica era ormai al tramonto, fosse pronto per spiccare il balzo nel mondo degli affari, essendosi assicurato un posto nel consiglio di amministrazione di una
società molto promettente, la Stella Vattelappesca. Inoltre, ronzava sempre intorno al sottosegretario al ministero degli Esteri... Non male, si disse il ragazzo; valeva la pena di dedicarvi l'intera mattinata, e di ingurgitare innumerevoli tazze di caffè leggero. L'aria era fredda e grigia, e velata da una pioggerellina sottile. Aveva voglia di rivedere Nellie Budd, pensò, imboccando la stradina tranquilla in cui abitava. Quel pomeriggio, però, era tutt'altro che tranquilla. Davanti alla sua porta si accalcava una ressa di curiosi, e accanto al cancello aspettava un'ambulanza, mentre un sergente di polizia e due agenti cercavano di sgombrare il passaggio fino all'ingresso. D'un tratto, la folla fece ala a due uomini che, sbucati dalla casa con una barella, la infilarono nella carrozza. Frederick si incamminò verso l'entrata. Dal vano della porta gli venne incontro un ispettore in uniforme, dall'aria severa ed efficiente. Tutti si volsero verso di loro. «Prego, signore» si sentì dire il giovane, arrivato al cancello, «cerca qualcuno?» «Sono venuto a far visita a una signora che abita qui» rispose. «Una certa Mrs Budd». L'ispettore lanciò un'occhiata all'ambulanza, facendo cenno di chiudere la portiera e andare. «Le dispiacerebbe venir dentro un momento?» gli chiese poi. Frederick lo seguì nel piccolo atrio, e un agente chiuse la porta. Dal salotto, risuonante degli acuti singulti di una ragazza, uscì un uomo che aveva tutto l'aspetto di un medico. «Posso interrogarla?» domandò l'ispettore. «Sì, se si sbriga» replicò il dottore. «Le ho dato una pozione calmante, e fra poco le verrà sonno. Meglio metterla a letto». Quello annuì. Aprendo la porta, fece segno a Frederick di entrare. Seduta sul divano di Mrs Budd, stava una domestica di circa sedici anni, con gli occhi rossi e il petto squassato dai singhiozzi. «Allora, Sarah» le disse, «smetti subito di piangere e guardami. La tua padrona sta andando all'ospedale; là avranno cura di lei. Ascolta bene, adesso: hai mai visto quest'uomo?» La ragazza, tremando e inghiottendo le lacrime, diede uno sguardo a Frederick, e scosse il capo. «No, signore» mormorò. «Non è uno di quelli che sono venuti oggi?» «No, signore».
«Davvero, Sarah? Sei al sicuro, adesso. Guarda bene». «Non l'ho mai visto. Lo giuro!» Ricominciò a piangere. L'ispettore aprì la porta, e chiamò l'agente. «Ehi, Davis, portala di sopra. Dalle qualcosa... che so, un bicchier d'acqua». Il poliziotto la condusse fuori. L ispettore prese blocchetto e matita. «Il suo nome, prego, signore». «Frederick Garland, 45 Burton Street. Fotografo. Ora, le dispiacerebbe dirmi perché mi si fa identificare, così, senza uno straccio di spiegazione? Per quel che ne so, è assolutamente illegale! Cosa diavolo succede? E cos'è accaduto a Nellie Budd?» «Stamattina è stata aggredita da due uomini. Li ha fatti entrare la cameriera. Ha detto che avevano... dei segni in faccia. Occhi neri, naso gonfio... roba del genere. E lei, signore, se mi permette, ha un bel livido». «Oh, adesso capisco. Be', me l'ha fatto un idiota che mi ha aperto lo sportello del treno sul muso. Dove l'hanno portata? E come sta?» «Al Guy's Hospital. L'hanno picchiata di santa ragione. Ha perso conoscenza, ma credo che sopravviverà. Speriamo, o quei due finiranno sulla forca». «Li prenderà?» «Oh, certo che li prenderò» ribatté l'ispettore, «com'è vero che mi chiamo Conway. Non la passeranno liscia; non sono disposto a tollerare cose del genere. E ora, signore, potrebbe dirmi che rapporto ha lei con Nellie Budd? Perché è venuto a trovarla?» Frederick gli spiegò che, poiché stava fotografando una serie di medium famosi per un'associazione di spiritisti, era passato a chiederle di farsi fare il ritratto. L'altro annuì. «Benissimo, signore» replicò. «Quest'aggressione... in casa non manca niente, a quanto dice la ragazza. Non si è trattato di rapina. Lei non ha alcuna idea del perché sia avvenuta?» «Assolutamente no» rispose Frederick. E questa, pensò qualche minuto dopo, prendendo l'omnibus per Southwark e il Guy's Hospital, era la pura verità. Rimpianse di non aver picchiato più forte il bastone sul cranio di Sackville, la sera prima. Strinse i pugni: era ovvio, chi erano quei due. Ma quanto al motivo... be', Bellman lo sapeva di sicuro. E lo sapeva anche l'ometto con gli occhiali, Windlesham. Buon per loro; l'avrebbero pagata.
Da ore e ore una donna velata, con una scatoletta di latta sotto il braccio, esitava fuori da un ufficio della City. Si avvicinava al portone, alzava la mano, si guardava intorno, e se ne andava, sopraffatta dall'ansia. Era Isabel Meredith, e l'ufficio era quello di Sally. La sua innata timidezza (perché timida lo sarebbe stata anche senza la voglia sul viso) e il tormento delle ultime quarantott'ore l'avevano privata della forza di volontà necessaria per salire le scale e bussare. Alla fine, però, con il coraggio della disperazione, si buttò... e non ottenne risposta; Sally, infatti, era fuori. Si allontanò, con il morale ancora più a terra. Non era abituata ai colpi di fortuna, così, quando si scontrò, a testa bassa, con una figuretta avvolta in un caldo cappotto di tweed, si limitò a mormorare: «Scusi tanto» facendosi da parte; e quale non fu la sua sorpresa nel sentirsi chiamare per nome. «Miss Meredith?» chiese Sally. «Oh! Sì... sì. Perché? Io, veramente...» «Cercava Miss Lockhart?» «Sì, ma non c'è». «Sono io Miss Lockhart. Ero in giro per indagini; ma l'aspettavo. Vogliamo entrare?» Per poco, Isabel non svenne. L'altra, vedendola mancare, l'afferrò per un braccio. «Oh... mi dispiace tanto. Ma non posso...» Sally intuì la sua angoscia; l'atmosfera fredda dell'ufficio non era certo l'ideale. Dall'altra parte della strada, c'era un posteggio di vetture; pochi minuti, e solcavano le vie affollate, dirette al suo appartamento. Si sedettero davanti a un bel focherello, su comode poltrone, con bricco, teiera, burro e focaccine a portata di mano, e un cane grosso come una tigre e nero come il carbone, beatamente abbandonato sul tappetino colorato ai loro piedi. Isabel si era tolta il velo. Guardò Sally dritta in faccia, senza neanche tentare di nascondere le lacrime, finché, vinta dalla fame, cominciò a mangiare, mentre la sua compagna faceva tostare le focaccine sul camino. Nessuna delle due aprì bocca. Alla fine, si appoggiò allo schienale, con gli occhi chiusi. «Sono così addolorata» sussurrò. «E perché mai?»
«L'ho tradito. Oh, come mi vergogno...» «È riuscito a fuggire. È sano e salvo, grazie al suo biglietto. Sta parlando di Mr Mackinnon, non è vero?» «Sì. Io... io non la conosco, Miss Lockhart, ma mi fidavo del suo amico, Jim... Mr Taylor. Pensavo che fosse più vecchia, però. E un consulente finanziario, poi... ma lui mi ha detto che sarebbe stata interessata. Per questo sono venuta». Era un misto di orgoglio, timidezza, paura, imbarazzo e rabbia, pensò Sally. «E ha fatto bene» replicò. «Sono un consulente finanziario, è vero, ma il mio lavoro contempla parecchie altre cose. Specialmente adesso. E sì, Mr Mackinnon mi interessa. Mi dica tutto quel che sa, la prego». Isabel annuì, si soffiò il naso e si mise diritta, come se avesse preso una decisione solenne. «L'ho conosciuto a Newcastle» cominciò. «Diciotto mesi fa. Lavoravo per un costumista teatrale, in una piccola compagnia. Non ero... esposta. Non dovevo affrontare sconosciuti dal mattino alla sera, e gli attori e le attrici non sono crudeli come la gente comune: anche se pensano qualcosa di cattivo, sono più bravi a nasconderlo. E poi sono vanitosi, sa, come bambini, e non sempre si accorgono degli altri. Ero felice, lì. E poi, lui si è rivolto al mio principale, per ordinare un costume speciale: gli abiti dei prestigiatori hanno un mucchio di tasche in più, nascoste sotto le code e nei posti più strani. Appena l'ho visto, io... lei è mai stata innamorata, Miss Lockhart?» «Io, veramente... si è innamorata di lui?» «Perdutamente. Per sempre. Ho... ho cercato di resistere. Cosa potevo sperare? Ma, vede, lui mi ha incoraggiata... Ci siamo visti diverse volte. Mi ha detto che ero l'unica con cui potesse parlare; era già in pericolo. Doveva cambiare spesso indirizzo; i nemici lo perseguitavano senza sosta. Non poteva mai fermarsi nello stesso posto...» «Chi erano questi nemici?» «Non me l'ha mai detto. Non voleva mettermi in pericolo. Credo che sentisse qualcosa per me. Mi scriveva tutte le settimane; ho conservato le lettere. Le ho qui con me...» Indicò la scatola di latta, posata sul pavimento. «Non ha mai nominato un certo Bellman? O Lord Wytham?» «Credo di no... No, no». «Secondo lei, qual era il suo problema?»
«Accennava, qualche volta, a un'eredità... pensavo che fosse l'erede legittimo di un grosso patrimonio, defraudato di quel che gli spettava... Ma a lui importa solo della sua arte. Perché è un artista. Un artista eccezionale... L'ha visto in teatro? Non crede anche lei che sia un grande artista?» Sally annuì. «Sì, sì, certo. Non le ha mai parlato dei suoi genitori, della sua infanzia...?» «No, mai. Era come se avesse seppellito definitivamente quel capitolo della sua esistenza. L'arte era tutta la sua vita; all'arte consacrava ogni momento, ogni pensiero. Sapevo... Sapevo che non avrei mai potuto essere... essere sua...» Sopraffatta dall'imbarazzo, guardava per terra, torcendosi le mani. «Ma sono sicura che nessun'altra mai lo sarà. È un puro genio, Miss Lockhart. Se potrò essergli del benché minimo aiuto, io... io morirò felice. Ma l'ho tradito...» E, improvvisamente, proruppe in un uragano di lacrime, si accasciò sulla poltrona e singhiozzò angosciata, nascondendosi il viso fra le mani. Chaka sollevò la testa, perplesso, mugolando lamentosamente, finché Sally, con una rapida carezza, non riuscì a calmarlo. Poi, si inginocchiò accanto a Isabel, cingendole le spalle con il braccio. «Mi dica perché l'ha tradito» le mormorò. «La prego. Dobbiamo sapere tutto per poterlo aiutare. E sono sicura che non ne aveva l'intenzione... Qualcuno l'ha costretta, con l'inganno o con la forza, non è vero?» A poco a poco, fra un singhiozzo e l'altro, venne fuori la storia di Harris e Sackville, e di come avevano fatto a brandelli tutto il suo lavoro. Sally sentì un brivido d'orrore: immaginava fin troppo bene cosa dovesse significare assistere alla distruzione totale della propria attività. «Non avevo detto niente. Davvero. Potevano anche torturarmi, io non avrei parlato. Ma stavano per... le mie lettere...» Si portò la scatoletta al petto, cullandola disperata, come una madre che stringa fra le braccia il figlio morente. La scena straziava il cuore a Sally che, per tutto il tempo, udì una vocina sussurrarle gelida all'orecchio: 'E tu, hai mai amato così?' La mise a tacere, e abbracciò Isabel, scuotendola dolcemente. «Senta» le disse. «Quegli uomini, credo di sapere chi li ha mandati. È stato un certo Windlesham, il segretario personale di Axel Bellman, un finanziere. Windlesham era al Royal Music Hall con quei due; Jim e un altro mio amico, Mr Garland, li hanno cacciati. Io ho parlato con Mr Mackinnon, ma non ha voluto dirmi molto. Lei sa dove abita adesso?»
La ragazza scosse la testa. «È riuscito a fuggire? Sta bene?» «È sano e salvo». «Oh, Dio sia lodato. Ma perché fanno così, Miss Lockhart? Che intenzioni hanno?» «Vorrei saperlo anch'io. Mi ascolti bene, ora. Lei non può andare a casa. Non ha più niente, là. Perché non...» «La padrona mi ha mandato via, comunque» le confidò. «E non posso darle torto. Non so dove andare, Miss Lockhart; stanotte ho dormito all'addiaccio. Non penso di...» Chiuse gli occhi, chinando il capo. «Qui c'è posto anche per lei. Mrs Molloy le preparerà un letto nella stanza accanto. E niente 'ma'» continuò Sally. «Ho bisogno del suo aiuto; non è beneficenza, la mia. Abbiamo più o meno la stessa taglia; vedremo di trovare qualcosa che le vada bene. E Mrs Molloy cucina divinamente. No, non c'è motivo di ringraziarmi. Io ho una casa, e un lavoro...» 'E per quanto tempo, ancora?' non poté fare a meno di chiedersi. La minaccia di Bellman l'aveva turbata più di quanto fosse disposta ad ammettere, e aleggiava nell'ombra della notte. E poi, c'era Isabel: la prova vivente che non avrebbe esitato a metterla in atto. Mentre si davano da fare con piatti e tazze, camicie da notte e carbone per il camino, il pensiero sfumò, ma ritornò, in tutta la sua virulenza, quando arrivò Frederick con le notizie su Nellie Budd. Isabel, per fortuna, dormiva. Lui, seduto accanto al camino con una tazza di caffè in mano, le raccontò che la donna era ancora priva di conoscenza; l'avevano colpita alla testa, e i medici non sapevano con certezza se avesse il cranio fratturato. La curavano bene, ma era troppo presto per dire se sarebbe guarita; le aveva lasciato dei fiori accanto al letto, dando il suo nome all'ospedale in mancanza di familiari, poiché non aveva idea di dove vivesse la sorella (come si chiamava? Miss Jessie Saxon?). Quando Sally gli riferì dell'incursione dei due uomini nella stanza di Isabel, si limitò ad annuire, come se se lo fosse aspettato. La nota dei debiti di Harris e Sackville si allungava; non vedeva l'ora di chiamarli alla resa dei conti. Rimase in silenzio per un po', fissando il fuoco, imbronciato e spostando di tanto in tanto i tizzoni con il bastone. «Sally» sbottò infine, «vieni a stare in Burton Street?» Lei si rizzò sulla poltrona.
«Ne abbiamo già parlato, Fred. La risposta è no. E a ogni modo...» «Non intendevo questo. Ho smesso da un pezzo di chiederti di sposarmi; quella è acqua passata, ormai. Pensavo a Nellie Budd; se quei due vanno in giro ad accoppare donne a forza di botte, preferisco averti vicino, ecco tutto. In Burton Street, saresti molto più sicura, e io...» «Sto benissimo dove sono, grazie» lo interruppe Sally. «Ho Chaka e la mia pistola, e non ho bisogno di essere rinchiusa in una fortezza e guardata a vista». Si odiò per quel tono, permaloso e saccente. Le sfuggiva irrefrenabile dalla bocca, senza che potesse far nulla per impedirlo. «Non dire sciocchezze» ribatté Frederick, mettendosi dritto a sua volta. «Non ho nessuna intenzione di confinarti in una torre, come una dannata principessa delle favole. Voglio solo tenerti in vita. Potrai lavorare e girare normalmente; certo che hai il cane, e lo sappiamo tutti che riusciresti a colpire una sigaretta in bocca a una mosca con le mani legate dietro la schiena...» «Risparmiami il tuo sarcasmo, per favore. Se non hai niente di meglio da dire...» «E va bene, ascolta la voce del buonsenso, allora. Quelli hanno quasi ammazzato Nellie Budd, anzi, per quel che ne so, l'hanno proprio fatta secca. Hanno distrutto il lavoro di Miss come-si-chiama. Pensi forse che si farebbero il minimo scrupolo, specialmente dopo la batosta che hanno preso, pensi forse che esiterebbero un solo attimo a sistemare anche te? Buon Dio, non starebbero più nella pelle. E Bellman ha già minacciato di...» «So difendermi da sola. E non ho bisogno del tuo permesso per andare in giro, come vorresti farmi credere...» «Non l'ho affatto messa in questi termini. Non lo penso, e non l'ho detto. Se tu fai finta di non capire...» «E piantala! So benissimo quel che intendevi...» «No, o non diresti queste idiozie!» Le grida avevano svegliato Chaka, che, messosi sulla pancia, fissava Frederick, ringhiando sommessamente. Sally allungò meccanicamente il braccio, accarezzandolo sulla testa. «Forse non ti rendi conto di come mi tratti, quando parli così...» continuò a bassa voce, fissando il fuoco per evitare il suo sguardo, e sentendosi avviluppare in un guscio di pietra, «... come se avessi bisogno di protezione e di coccole. Io sono diversa. E se non riesci a capirlo, non mi conosci neanche un po'».
«Per te, io sono solo uno stupido» ribatté lui, la voce gonfia di odio genuino. «Nel profondo del cuore, tu mi disprezzi, come tutti gli altri uomini... no, anzi, non solo gli uomini. Uomini e donne, tutti. Tu, sul trono, e il resto del mondo, nella polvere...» «Non è vero!» «Sì, che è vero». «Solo perché prendo sul serio il mio lavoro, e non passo la giornata a chiacchierare, significa che ti guardo dall'alto in basso?» «Sempre. Sempre. Ma lo sai quanto sei sgradevole, Sally? Nei momenti migliori, sei fantastica, e mi hai fatto innamorare; in quelli peggiori, sei solo una strega ipocrita, saccente e boriosa». «Boriosa, io?» «Dovresti sentirti. Ti offro aiuto, da pari a pari, per premura, per riguardo, e, perché no, per affetto nei tuoi confronti, e tu me lo getti in faccia. E se non è superbia, questa...» «Quella non sono io, ma qualche stupida fantasia che ti sei messo in testa. Vedi di crescere, Fred». Di colpo, il suo sguardo cambiò. Negli occhi gli balenò un'espressione indecifrabile, e subito sparì, come un fuoco d'artificio. Qualcosa era morto, pensò Sally, morto per sempre; allungò una mano, ma era troppo tardi. «Concludiamo questo caso» disse lui tranquillo, alzandosi e prendendo il bastone. «E poi, ognuno per la sua strada». E, nonostante lei fosse balzata in piedi per raggiungerlo, uscì, senza guardarla e senza dirle una parola. Quella sera, mentre Sally, seduta accanto al fuoco morente, cominciava una lettera dopo l'altra, scopriva che scrivere non era meno difficile che parlare, desisteva, appoggiava il capo sulle ginocchia e piangeva; mentre Frederick riempiva pagine e pagine di ipotesi e congetture, le stracciava, armeggiava intorno alla nuova macchina americana, perdeva la pazienza, e la gettava in un angolo; mentre Webster Garland e Charles Bertram fumavano, bevevano whisky, e parlavano di luci e ombre, gelatina, collodio, talbotipie, otturatori e negativi su carta; mentre Jim, fra fitte di dolore e pene d'amore, ignorava gli ordini, tirava le funi sbagliate, si lasciava sfuggire le scalette e ascoltava arrendevole, lo sguardo perso, il direttore di scena coprirlo d'insulti; mentre Nellie Budd giaceva, priva di conoscenza, in un letto d'ospedale, con accanto i fiori di Frederick; mentre Lady Mary partecipava, impeccabile, muta e infelice, a una cena interminabile; mentre Chaka sognava Sally e la caccia, Sally e i conigli, e poi Sally e ancora
Sally... un uomo bussò a una porta di Soho. Era un giovane aitante, arzillo e brioso. Sembrava reduce da un pranzo ufficiale, o dall'opera: indossava un abito da sera di foggia tradizionale, e aveva con sé un bastone con l'impugnatura d'argento, che batteva sulla soglia al ritmo di una canzone in voga. La porta si aprì. «Ah» esclamò Mr Windlesham. «Entri, entri». Si scostò per farlo passare. Usava quell'ufficio per gli incarichi che non voleva fossero associati a Baltic House. Chiuse la porta guardingo, e seguì l'ospite in una stanza calda e ben illuminata, dove, pochi attimi prima, stava leggendo un romanzo. «Cappotto e cappello, Mr Brown?» Lui glieli diede e si sedette, lanciando un'occhiata indifferente al volume aperto. Mr Windlesham intercettò il suo sguardo. «The Way We Live Now» osservò. «Di Anthony Trollope. Un libro divertente su uno speculatore di Borsa. Le piacciono i romanzi, Mr Brown?» «No, la lettura non mi attira» replicò quello. Aveva una strana voce, con un accento che Mr Windlesham non riusciva a identificare, poiché non era tipico di nessuna classe sociale, e di nessuna regione a lui nota. Se mai, apparteneva al futuro: di lì a cent'anni, voci come quella sarebbero state estremamente comuni, anche se lui, ovviamente, non poteva saperlo. «Non ho molto tempo per i libri» continuò. «La mia passione è il varietà». «Ah, certo, il varietà. Ma veniamo agli affari. Lei mi è stato vivamente raccomandato, non ultimo per la sua discrezione. Ma spero che fra noi potremo parlare con franchezza. Mi risulta che faccia il sicario». «L'informazione è corretta, Mr Windlesham». «Mi dica, è più difficile uccidere una donna che un uomo?» «No. Una donna, per forza di cose, è meno agile e meno forte di un uomo, no?» «Non era esattamente quel che intendevo. Non importa. Quante persone ha ucciso, Mr Brown?» «Perché?» «Per definire le sue credenziali». L'uomo alzò le spalle. «Ventuno» rispose. «Un vero esperto. E che metodo usa, di solito?» «A seconda. Dipende dalle circostanze. Potendo scegliere, preferisco il coltello. Ci vuole abilità, con un coltello». «Ed è importante, per lei, lavorare con abilità?»
«Come tutti i professionisti, voglio esser fiero di quel che faccio». «Sono pienamente d'accordo. Attualmente, mi servo di due uomini che sono, ahimè, molto meno professionali. Non potrei mai affidar loro una missione del genere. E mi dica, che progetti ha per il futuro?» «Be', vede, Mr Windlesham, io sono molto ambizioso. A Londra e sul continente, la domanda è costante, ma limitata. Il mio avvenire è sull'altra sponda dell'oceano. Ci sono già stato un paio di volte; ammiro molto gli americani. Mi piace la gente, e mi piace come vive. Sarebbe l'ideale, per me. Ho già un po' di soldi da parte; ancora qualche incarico, e potrò andare. Perché me lo chiede? Ritiene che la sua... ehm... ditta avrà bisogno dei miei servigi nel prossimo futuro?» «Oh, direi di sì. Direi proprio di sì» rispose Mr Windlesham, con un lampo nelle lenti cerchiate d'oro. «Chi è il cliente?» domandò Mr Brown, prendendo blocchetto e matita. «Una giovane donna. Con un grosso cane». UN'OPERA RIVOLUZIONARIA PER IL BENE DELL'UMANITÀ Sally si svegliò infelice e prostrata. Il mattino, manco a farlo apposta, era più primaverile che autunnale: limpido, mite e luminoso, con uno sconfinato cielo blu punteggiato di nubi fioccose. Fece colazione insieme a Isabel, le affidò Chaka, e partì alla volta di Muswell Hill. Mrs Seddon di Cromwell Gardens, una signora affabile di circa quarant'anni, la accolse nel piccolo tinello, entusiasta di sentire che la sua vecchia allieva Miss Lewis si trovava a Londra. «Una ragazzina così sveglia! Spero tanto che venga a trovarmi... Bene, Miss Lockhart, cosa posso fare per lei?» Sally si accomodò. Era una fortuna che non avesse portato Chaka con sé: non ci sarebbe stato. Poiché, anzi, non potevano stare in due nemmeno sul divano, ingombro com'era di cuscini all'uncinetto, Mrs Seddon si sedette al tavolino del bovindo, sotto una grossa aspidistra. Tutte le superfici erano ornate: c'erano tre coprischienali ricamati sul divano, due tovaglie sul tavolino, centrini sul davanzale, una frangia a nappine intorno alla mensola del camino; e persino un volant sotto la gabbia dell'uccellino. Appeso al muro, un quadretto a mezzo punto recitava: Casa mia, casa mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri una badia. Sally posò la borsetta per terra, e cominciò.
«Cerco informazioni su una ditta di nome Stella del Nord. Un mio conoscente ha perso i soldi investiti in una società che, penso, ha a che fare con essa, e io sto tentando di vederci chiaro. Mi risulta che suo fratello lavorava lì». Mrs Seddon aggrottò le sopracciglia. «Be', in un certo senso... Mi scusi, Miss Lockhart, ma... la manda un avvocato? Voglio dire, lei agisce in proprio, o... rappresenta qualcuno?» «Rappresento il mio cliente» rispose Sally, un po' sorpresa da tanta diffidenza. «Ho uno studio di consulenza finanziaria». Mrs Seddon pareva perplessa. «Io... non saprei. Non ho mai sentito parlare di...» Distolse lo sguardo confusa, lasciando la frase in sospeso. «Di un consulente finanziario donna? Non è la sola. Ma le assicuro che è vero. Anzi, è proprio tramite il mio lavoro che ho conosciuto la sua allieva, Miss Lewis. E il cliente che ha perso il denaro era pure una donna, un'insegnante come lei. Se mi dirà quel che sa delle Fonderie Stella del Nord, forse riuscirò a recuperarlo. Secondo lei, c'è sotto qualcosa di strano?» «Be'... non so da che parte cominciare. Qualcosa di strano? Sì, direi proprio di sì. Mio fratello Sidney, Mr Paton, è finito sul lastrico... è tuttora disoccupato. Senta, Miss Lockhart, è una faccenda complicata; non sono sicura di averla ben chiara in testa. Se comincio a divagare, mi fermi, va bene?» «Mi dica tutto quel che le viene in mente, senza preoccuparsi della logica». «D'accordo. Mio fratello - questo è importante - è un sindacalista. Un socialista. Un brav'uomo, intendiamoci, e lo pensa anche l'altro mio fratello, che ha sempre votato conservatore. Lui, però, ha quelle idee lì, e forse questo ha pesato sulle sue decisioni. Non so. «Fa l'operaio specializzato, il calderaio. O almeno, lo faceva. Per la fabbrica di locomotive Walker & Figli. Ma gli affari andavano male; niente ordinazioni, niente investimenti. Questo andava... due o tre anni fa. Comunque, in quel periodo, i proprietari l'hanno venduta a un'altra ditta, ed è subentrato un nuovo direttore, svedese o olandese, non ricordo, che ha cominciato a licenziare a raffica. Una cosa stranissima. Non cercavano altri ordini; pensavano solo a evadere quelli vecchi, per poi lasciare a casa gli uomini». «Suo fratello ha perso il posto?» «Non subito. Era bravo, uno dei migliori. Uno dei pochi che hanno tenu-
to fino alla fine. Ma quella storia non gli piaceva neanche un po'. Il bello è che... questo giovane direttore si era portato dietro gente di Londra, e stranieri anche, che prendevano appunti su tutto. Quale operaio faceva questo, e come mai lo faceva, e cosa faceva dopo, e quanto tempo ci metteva... E non solo domande sul lavoro. Anche sulla vita privata: dove abitavano, di che confessione religiosa erano, a che club o associazioni appartenevano, che situazione familiare avevano... cose così». «Naturalmente ai sindacati una cosa del genere non andava giù, ma, se le ordinazioni non c'erano, non potevano farci niente. Certo, però, che la faccenda era un po' misteriosa, con il direttore e i suoi amici stranieri che tutti i giorni venivano, prendevano appunti, discutevano, ispezionavano, misuravano, facevano schizzi... Dietro, evidentemente, c'era un mucchio di soldi, ma gli uomini non vedevano un centesimo». «E poi, lo scorso maggio, c'è stata una riunione, cui sono stati invitati invitati, badi, non convocati - gli operai rimasti. Quelli, lo tenga presente, che erano stati studiati più attentamente; non c'era dettaglio della loro vita, compreso quanto pagavano d'affitto o quanti figli avevano, che non fosse finito su quei blocchetti». «Così, gli ultimi, un centinaio accuratamente selezionato, si sono ritrovati tutti insieme nel salone prenotato dalla ditta. Mica una cosa informale, in piedi, in cortile... no, no: un incontro ufficiale, con tanto di rinfresco ai tavoli, si figuri. Non avevano mai visto niente di simile. Ma se lo immagina? Mio fratello non credeva ai suoi occhi, sembrava un sogno. «Comunque, a un certo punto sono arrivati il direttore e i suoi amici, e hanno iniziato a parlare, e a dire che la ditta era sull'orlo della svolta più rivoluzionaria ed entusiasmante di tutta la sua storia. Una cosa impressionante... Non mi ricordo bene i particolari, solo che, mi ha raccontato Sydney, tutti erano pieni di euforia, e c'era un'atmosfera quasi religiosa; il che è strano, detto da lui, dopo le spiego perché. Alla fine, non c'era un operaio che non si sarebbe venduto l'anima pur di poter lavorare per loro». Mrs Seddon fece una pausa. Fissava il fuoco, corrucciata. «Ma che intendevano fare?» chiese Sally. «Certo, non costruire locomotive, dopo un discorso del genere. Non li hanno informati dei loro progetti?» «No, non subito. Solo tiritere su un futuro luminoso, di pace e prosperità, su una grande opera per il bene dell'umanità, e via dicendo. Se avessero accettato, avrebbero garantito loro un lavoro sicuro, e una pensione, si figuri, e case nuove. Ah, sì... in cambio di tutto questo (e non solo: offrivano
anche un'assicurazione sanitaria) avrebbero dovuto lasciare il sindacato e impegnarsi a non scioperare. «Be', quasi tutti hanno firmato subito, per cogliere la palla al balzo. C'era anche un vincolo di segretezza. Non so fino a che punto fosse legale, ma il loro avvocato ha imbastito una spiegazione, e solo più tardi Sidney si è reso conto che la cosa era curiosa. «Alcuni, però, fra cui anche lui, non volevano essere precipitosi, e hanno chiesto un paio di giorni per pensarci. 'Ma certo' ha risposto il direttore, 'non vogliamo costringere nessuno. Assoluta libertà di scelta. Prendetevi pure una settimana; ma sappiate che siete i migliori, e ci dispiacerebbe molto perdervi'. Lusinghe, capisce, Miss Lockhart. «Mio fratello è andato a casa, e ne ha parlato con la moglie. Gli altri sei o sette che avevano esitato, hanno firmato quasi tutti il giorno dopo. Il sindacato aveva tentato di dissuaderli, ma, di fronte a un'offerta così allettante, poteva fare ben poco. E poi, un amico dell'Istituto Letterario e Filosofico dei Lavoratori ha riferito a Sidney di alcune voci. La direzione, si mormorava, aveva messo gli occhi su un'azienda vicina, la Fonderie Furness, e intendeva riunire le due società in una. E questa sarebbe stata la grande iniziativa per il bene dell'umanità, che avrebbe portato pace e prosperità al mondo intero. «Solo che, vede Miss Lockhart, mio fratello è un pacifista. È contro ogni genere di violenza e di lotta. E deve sapere che 'Fonderie Furness' può sembrare un nome innocente, ma la fabbrica produceva pezzi d'artiglieria. Cannoni. Armi, insomma. «Così Sidney ha detto che no, grazie, non gli interessava, e così l'hanno liquidato. Da allora, è disoccupato. Ogni tanto, quando posso, gli mando un po' di soldi. Direi che è tutto! Ah, sì... le due ditte si sono unite, e al posto della Fonderie Furness e della Walker & Figli, c'è un'unica società che si chiama Stella del Nord. Basta, non so altro». Sally avrebbe voluto battere le mani. Finalmente, un indizio concreto di quel che faceva Bellman: armi, cannoni... «Lei mi è stata di grande aiuto!» esclamò. «Non ho parole per dirle quanto. Un'altra cosa: suo fratello ha mai accennato, per caso, a un certo Regolatore Automatico di Hopkinson?» «Per quel che mi ricordo, no» rispose la donna, perplessa. «Non parlavamo molto di macchine... Di cosa si tratta?» «Non lo so. È una delle cose che sto cercando di scoprire. Senta... crede che potrei parlare con lui? Dove abita?»
«Le darò l'indirizzo. Ma... Miss Lockhart, forse non avrei dovuto raccontarle questa storia; dopotutto, non sono affari miei...» «A lei, non hanno fatto firmare nessun impegno di segretezza, Mrs Seddon. E se anche l'avessero fatto, dubito che la cosa sarebbe stata legale. Solo chi deve coprire qualcosa di losco ricorre a manovre del genere. Credo che suo fratello abbia reagito nel modo più giusto, e vorrei approfondire la questione con lui». La donna sollevò la ribalta di un piccolo scrittoio, intinse la penna nell'inchiostro e scrisse nome e indirizzo su un biglietto. «Vive in ristrettezze, adesso» disse, esitante. «Io, in confronto, sono ricca. Mr Seddon è capufficio alla Howson & Tomkins, i commercianti di legname, e non ci manca niente. Mio fratello, ormai, è piuttosto anziano... Io volevo dire che... io vengo dallo stesso ambiente, e non l'ho dimenticato. Eravamo poveri, ma in casa c'erano sempre libri e riviste... avevamo rispetto per la cultura, ne eravamo fieri. È per questo che insegnavo alla scuola domenicale; e Sidney, non so proprio cosa farebbe, senza l'Istituto. Ma santo cielo, quanto chiacchiero... A essere onesti, Miss Lockhart, questa storia non mi piace. C'è qualcosa che non quadra... qualcosa di poco chiaro. Ecco l'indirizzo...» Le porse il biglietto. «Stia attenta, mi raccomando. Ma lei conosce il fatto suo, si vede. Scriverò a Sidney per avvertirlo. Oh, sono preoccupata, non posso negarlo. Non lo metterà nei pasticci, vero, signorina?» Sally promise solennemente, e si avviò verso Burton Street. Aveva un po' di paura, a entrare, ma si fece subito coraggio. C'era un gran trambusto, perché gli stuccatori avevano finito, i vetrai ancora non si vedevano, e Webster discuteva animatamente con il capo-decoratore. Frederick usciva dallo studio con in mano alcune lastre impressionate. «Ciao» la salutò con voce neutra. «Sono stata da Mrs Seddon» replicò lei con lo stesso tono. «Ho scoperto di cosa si occupa la Stella del Nord. Hai tanto da fare?» «Porto un attimo queste a Mr Potts. Jim è in cucina». Sally attraversò il negozio, e lo trovò che, seduto al bancone, guardava torvo un mucchietto disordinato di fogli e una boccetta d'inchiostro. Sentendola, il ragazzo li spinse in un angolo, e si girò verso di lei. «Che succede, Sal?» «Lo saprai fra un minuto, appena arriva Fred... Come va il dente?»
Lui fece una smorfia. «Ah, che peccato, vero? Un bel ragazzo come me... Devo ammettere che un'altra ripassatina al naso, a quello là, gliela darei volentieri». «Allora, che c'è di nuovo?» chiese Frederick, tirandosi dietro la porta. Sally riferì del suo colloquio con Mrs Seddon. Jim fischiò. «Ecco, che cos'ha in mente quello! Cannoni su vagoni ferroviari!» «Non saprei» ribatté lei. «La Walker & Figli faceva locomotive, non vagoni. E questo Regolatore Automatico di Hopkinson ha a che fare con il vapore. Uno di noi dovrà andare da Mr Paton a farsi spiegare; ho qui l'indirizzo. Tu non potresti...» aggiunse rivolta a Frederick. «Sì» rispose lui, dopo un attimo di silenzio. «Ma perché io? Meglio che vada tu, visto che hai preso l'iniziativa... Senza contare che di armi ne sai molto più di me». Sally arrossì. «Io non sono brava come te, a stare con la gente. Bisognerà... be', indagare. Parlare e cercare di scoprire il più possibile». Lui annuì, consultando l'orologio sulla parete. «Le dieci e mezza» osservò. «Jim, mi passi l'orario ferroviario, per favore?» Il volume lo informò che il primo treno utile sarebbe partito da King's Cross, di lì a poco meno di mezz'ora. Mentre Jim cercava una carrozza, e lui gettava quattro cose in una borsa, Sally scrisse un breve riassunto di quel che le aveva detto Mrs Seddon, e l'indirizzo di Mr Paton. Poi, la matita a mezz'aria, si fermò, ma, prima che potesse aggiungere altro, Frederick tornò con mantello e bastone. Lei piegò il foglio e glielo diede. «Che giorno è oggi? Martedì? Già che ci sono, darò un'occhiatina in giro, per vedere cos'altro bolle in pentola. Starò via fino a sabato, credo. Arrivederci» disse lui. E con questo, partì. «Mr Blaine sta impazzendo, là dentro» annunciò Jim poco dopo. «L'aiuterò con quegli ordini; tanto, non ho niente da fare. Più tardi, faccio una capatina da Nellie Budd, per vedere se ha ripreso conoscenza, poveretta; vuoi venire?» «Io vado all'Archivio Brevetti» replicò Sally. «Non so come ho fatto a non pensarci prima; qualunque cosa sia il Regolatore di Hopkinson, ci deve essere il relativo brevetto». «Credi davvero che c'entri con la Stella del Nord? Be', certo, se l'ha detto la medium... Ehi, che idea! Miss Meredith... lo so che fa la cucitrice, ma se la caverebbe benissimo con il lavoro d'ufficio. E scommetto che si crede
un peso morto, si accusa continuamente, non vuole dar fastidio a nessuno, e rende la vita impossibile a tutti. Va bene, va bene, come non detto, ma potrebbe dare una mano a Mr Blaine, no? Prenderemmo due piccioni con una fava. Il nostro amico ritroverebbe la bussola, e lei si sentirebbe utile. Che ne dici?» Per tutta risposta, Sally lo baciò. «Mm... meglio di uno sconquassone sulle ganasce». «Meglio di che?» «Di un pugno sul grugno. D'accordo, allora? Passo da lei prima di andare in ospedale. Così, la smetterà di pensare sempre a Mackinnon... forse». IL CANNONE A VAPORE Il servizio ferroviario era eccellente; poco dopo le sei, Frederick prenotò una stanza all'albergo della stazione di Barrow, e, non molto più tardi, trovò l'indirizzo indicatogli da Sally. Bussò alla porta della piccola schiera, dando un'occhiata alla strada. Era difficile dire che aspetto potesse avere, alla luce del giorno; sembrava un'isoletta di decoro in un oceano di povertà. I battenti brillavano, alla luce dei lampioni; le soglie splendevano immacolate, davanti agli usci; ma, nella via vicina, il liquame si riversava nella fogna a cielo aperto. Venne ad aprire una donna sulla cinquantina, dall'aria inquieta. «Mrs Paton?» chiese Frederick, togliendosi il cappello. «C'è Mr Paton... Mr Sidney Paton?» «Sì...» rispose lei. «Non... non la manda il padrone di casa, vero?» «No, no» la tranquillizzò lui. «Mi chiamo Garland. Sua cognata, Mrs Seddon, parlando con una mia collega, ha fatto il nome di Mr Paton. Vorrei incontrarmi con lui, se è possibile». Lei, sempre preoccupata, lo lasciò entrare e lo introdusse nella cucinetta. Il marito, intento a risuolare un paio di stivali, si alzò per stringergli la mano; era esile, minuto, con folti baffi e la stessa apprensione negli occhi. «L'inviterei nel tinello, Mr Garland» gli disse, «ma il fuoco è spento. E comunque, se ne sono andati quasi tutti i mobili... alcuni li avevamo dal giorno del matrimonio. Cosa posso fare per lei?» «Non voglio menare il can per l'aia, Mr Paton» replicò Frederick. «Ho bisogno del suo aiuto, e intendo pagarlo. Ecco cinque sterline, per cominciare». Mrs Paton si sedette, con un gridolino soffocato. Il marito prese, stupito,
la banconota che il giovane gli tendeva, mettendola sul tavolo. «Cinque sterline, non lo nego, sarebbero un dono del cielo» osservò pacatamente. «Prima di accettarle, però, devo sapere che genere di aiuto vuole da me, Mr Garland. Ma si accomodi, la prego». La donna, riavutasi dalla sorpresa, si alzò per farsi dare cappotto e cappello, e Fred si sedette sulla poltrona offertagli da Mr Paton, vicino al caminetto. Si guardò intorno: piatti e tazzine, sulla credenza, scintillavano al caldo lume della lampada, una sfilza di strofinacci umidi pendeva da un filo, un grosso gatto rosso sonnecchiava sul focolare, e un paio di occhiali spiccava su una copia di Emma, accanto alla forma con lo stivale. Mr Paton intercettò il suo sguardo. «Ho tanto tempo per leggere, adesso» spiegò, sedendosi di fronte a lui. «Ho già dato fondo a Dickens, Thackeray e Walter Scott. Ora, mi dedico a Jane Austen; e parola mia, quella li batte tutti. Bene, Mr Garland, cosa desiderava da me?» Frederick, che lo trovava simpatico, decise di dirgli tutto. Mrs Paton, intanto, preparò del tè, e portò dei biscotti. «Quel che mi interessa, insomma» concluse, «è cosa succede alle Fonderie Stella del Nord. Ora, se lei pensa di non potermelo dire, o si ritiene moralmente vincolato da quel famoso impegno di segretezza, capirò. Ma ora che conosce ogni cosa, è in grado di capire perché voglio saperlo, e cosa c'è in gioco». Mr Paton annuì. «Lei è stato molto corretto. Certo che una storia simile, devo ammetterlo, non l'avevo mai sentita... Tu che ne pensi, cara?» La moglie, seduta al tavolo, aveva ascoltato stupefatta il racconto di Fred. «Diglielo» rispose. «Digli tutto quel che vuoi. Non devi niente, a quella gente...» «Bene» ribatté lui. «Anch'io la penso così. Dunque, Mr Garland...» Nei venti minuti che seguirono, Frederick seppe finalmente cos'era successo alla fabbrica di locomotive da quando Bellman ne aveva assunto la gestione. Attualmente, si chiamava Sezione Trasporti delle Fonderie Stella del Nord, mentre l'altra metà, l'ex Fonderie Furness, andava sotto il nome di Sezione Ricerche. Mr Paton espresse tranquillamente il suo sdegno. «Quelli, chiunque essi siano, sono furbi come demoni» commentò, mettendosi comodo sulla seggiola di legno, e accettando le effusioni del gatto, che gli era saltato in grembo. «Sezione Ricerche! Sembra del tutto innocu-
o, eh? Be', mi sa che la parola 'ricerca' significa una cosa per lei e per me, e tutt'altra per la Stella del Nord. Sezione massacri, dovrebbero chiamarla. Certo che non starebbe altrettanto bene, sui cancelli della fabbrica...» «Perché proprio queste due società, però?» chiese Frederick. «Cos'hanno in comune?» «Le dirò cosa si mormora in giro, Mr Garland. Dovrebbe essere un segreto, ma la gente chiacchiera... Sento parecchie voci, all'Istituto. Non potrei permettermi la quota di associazione, ma mia sorella mi aiuta molto...» «Comunque, si dice che la Stella del Nord stia mettendo a punto un nuovo tipo di cannone. Naturalmente, lo chiamano con un eufemismo, l'Autoregolatore di Hopkinson, o qualcosa del genere, ma il nome che tutti sussurrano è il 'cannone a vapore'». Frederick drizzò le orecchie, tirando fuori il portafogli, da cui estrasse il biglietto su cui Jim aveva trascritto le parole pronunciate da Nellie Budd durante la trance. Lo aprì, e lo porse a Mr Paton, il quale, infilatosi gli occhiali, lo avvicinò alla lampada. «'Non è Hopkinson, ma non devono saperlo... Il Regolatore... La Stella del Nord... una nube infuocata... vapore e morte, dappertutto... e tubi, tanti tubi... tubi di vapore... sotto la Stella del Nord'» lesse ad alta voce. Posò il foglio. «Giuro che è la cosa più strana che abbia mai sentito... Senta, Mr Garland, io di cannoni, grazie al cielo, non so niente di niente. E quanto a quest'aggeggio di Hopkinson... be', io non posso aiutarla, ma conosco qualcuno che potrebbe farlo. Che poi lo faccia davvero, non posso prometterglielo... ma Henry Waterman è una brava persona, e so per certo che ha degli scrupoli. È uno di quelli che ha esitato a lungo, prima di accettare; e penso che sia pentito della sua decisione. È un uomo di coscienza». Venti minuti dopo, Mr Paton condusse Frederick in un edificio austero, con un'insegna che lo identificava come l'Istituto Filosofico e Letterario dei Lavoratori. «Abbiamo una bella biblioteca, sa, Mr Garland. Teniamo dibattiti, il secondo martedì del mese, e cicli di conferenze, quando racimoliamo abbastanza quote di iscrizione... Ecco là Henry Waterman. Venga, che la presento». Entrarono nella biblioteca, una stanzetta arredata semplicemente, con un tavolo e una mezza dozzina di sedie, e le pareti tappezzate di libri su una quantità di temi sociali e filosofici. Mr Waterman, accanto a un lume a pe-
trolio, leggeva; era un tipo robusto, sulla cinquantina, dall'aria grave. «Henry, ti presento Mr Garland, di Londra. Un investigatore privato» esordì Mr Paton. L'uomo si alzò per stringergli la mano, e Frederick raccontò di nuovo la storia, accorciandola un po', stavolta. Mr Waterman ascoltò attentamente, e, alla fine, annuì, come se avesse appena risolto un problema che lo tormentava da tempo. «Mr Garland, lei mi ha spinto a una decisione» osservò. «Ora infrangerò una promessa, una promessa che, tuttavia, non avevano il diritto di chiedermi. Le dirò del cannone a vapore. «È un'arma basata su un principio completamente nuovo, nuova meccanicamente, strategicamente, da qualunque punto di vista. Io faccio il calderaio e non so niente di cannoni, ma posso assicurarle che si tratta di una cosa terribile. Ho lavorato a un sistema di tubature per convogliarvi vapore ad alta pressione, l'impianto più complicato che avessi mai visto; bei disegni, però, bel progetto, veramente geniale. Non mi ero mai reso conto, Mr Garland, che una macchina potesse essere bella e malefica al tempo stesso. «È installato su un vagone ferroviario, del tutto normale in apparenza, con rinforzi e molleggi speciali. Caldaia e focolare stanno nel retro; sono relativamente piccoli, dopo tutto non devono trainare il treno, ma molto potenti. Quattrocento libbre per pollice quadrato, ci sono tutte; più altre cento di riserva, direi. E siccome va a carbone, non fa neanche un filo di fumo, e non c'è niente che indichi se è in funzione oppure no. «Ora, sentendo la parola 'cannone' lei penserà, appunto, a una lunga canna che viene in avanti. Ebbene, non è affatto così. Sembra un comunissimo vagone merci, eccetto che per i fori. Minuscoli, seimila per lato. Trenta file, duecento per fila. E da ciascuno escono cinque proiettili al secondo... Ecco a cosa serve il vapore. Ha idea di cosa significhi, scatenare dodicimila mitragliatrici in una volta? Quelle quattrocento libbre ci vogliono tutte, Mr Garland. «E non è finita. Io non me ne intendo molto, di congegni balistici - il mio compito è far circolare il vapore nei tubi - ma da quel che ho sentito c'è una specie di meccanismo che permette di scegliere la modalità di tiro. Li avrà visti anche lei... quei cartoncini punteggiati che usano nei telai, per i tessuti operati. Con questo sistema il mitragliere può far sparare le file, una per volta, oppure le colonne, a rotazione, oppure certi settori e non altri, o tutti i fori contemporaneamente, a raffica; insomma, far quel che gli gira. Solo che, nel Regolatore, non ci sono cartoncini. Il principio è lo stes-
so, ma loro usano collegamenti elettrici: linee tracciate su un rotolo di carta paraffinata con un tipo di grafite particolarmente compatto. Mi creda, Mr Garland, chiunque abbia progettato una cosa simile, è praticamente un genio; è la macchina più stupefacente che io abbia mai visto. «Ed è diabolica. Mostruosa. Se lo immagina, che effetto avrebbe su un assembramento di persone? Ogni singolo centimetro nel raggio di cinquecento, mille metri invaso da un proiettile incandescente... Altro che devastazione... Sarebbe una scena da Apocalisse. «Questo, dunque, è il cannone a vapore. Ne hanno già mandato uno all'estero, non so dove, e ce n'è un altro quasi finito... fra un paio di settimane, sarà pronto per il collaudo. Adesso, capisce, Mr Garland, la ragione dei miei scrupoli. Sidney ha riflettuto più seriamente di me, su questa faccenda; vorrei aver avuto anch'io il coraggio di dire di no fin dall'inizio. L'idea che la mia abilità, la mia professionalità, di cui vado fiero, debbano essere utilizzate per uno scopo così ignobile, l'idea che i miei compatrioti contribuiscano a diffondere nel mondo uno strumento infernale, mi creda, mi addolora profondamente». Si interruppe, passandosi le mani fra i corti capelli grigio ferro, prima di posarle sul tavolo, ai lati del libro. A Sally sarebbe piaciuto, quest'uomo, pensò Frederick. «Mr Waterman, le sono immensamente grato. Ha risolto molti dei miei interrogativi. Ma, mi dica, sa qualcosa del direttore dell'azienda? Il nome Bellman le dice niente?» «Bellman?» ripeté lui, scuotendo la testa. «No, non l'ho mai sentito. Ma è risaputo che, dietro questa storia, c'è del capitale straniero. È straniero, no, questo Bellman?» «Svedese. Ma c'è anche una pista russa». «Russa! Davvero interessante. Si ricorda che ho accennato al progettista? Definendolo un genio? Be', si chiama Hopkinson; almeno, così ci hanno detto; nessuno l'ha mai visto. I disegni su cui lavoriamo sono contrassegnati con la sigla HOP, che, però, ha un aspetto strano, come se la quarta lettera, la K, fosse stata cancellata. E una volta, in un angolino, pressoché invisibile, ho notato questo. Aspetti, che glielo scrivo». Prese la penna di Frederick, e riportò: HOPA «Ora, l'ultima lettera non è una K, è una D. Lei sa l'alfabeto cirillico, Mr
Garland? Io, che mi interesso di lingue straniere, l'ho riconosciuta subito; e allora, ho cominciato a vedere anche gli altri caratteri in modo diverso. È russo, capisce? Tradotto nel nostro alfabeto, risulterebbe così». NORD «Nordenfels!» esclamò Frederick. «In nome del cielo, Mr Waterman, lei ci ha imbroccato in pieno!» «Nordenfels?» «Un ingegnere svedese. Scomparso in Russia; assassinato, con tutta probabilità. Che mi venga un accidente... È meraviglioso! E diceva che faranno il collaudo fra un paio di settimane?» «Esatto. Hanno già provato i singoli impianti, la caldaia, naturalmente, e poi il caricatore e il generatore elettrico, ma fra poco, appena sarà finito, lo porteranno a Thurbly per il collaudo definitivo. Là, talvolta, provano l'artiglieria navale su bersagli galleggianti. E questo è tutto, Mr Garland. Ma ora, se permette, vorrei farle io qualche domanda. Che interesse ha lei, a queste informazioni? E cosa ha intenzione di farne?» Frederick annuì. «Più che giusto. Io, Mr Waterman, sono un detective, e mi interessa colui che tiene le fila di questa faccenda. I cannoni a vapore, a quanto mi risulta, non sono illegali, ma ora che comincio a capire cos'ha in mente, cercherò di incastrarlo con qualunque mezzo. Quanto al cannone, poi, avrei un'unica intenzione: farlo sparire dalla faccia della terra». «Senti, senti...» intervenne Mr Paton. «Be', potrei mostrarle...» cominciò Mr Waterman, ma in quel momento si aprì la porta, ed entrò un uomo con un paio di libri in mano. «Oh, scusa tanto, Henry» borbottò. «Fa' come se non ci fossi. Salve, Sidney». I suoi compagni ammutolirono, presi in contropiede, ma Frederick chiese, pronto: «E quali altri servizi offre l'Istituto, Mr Waterman?» «Ah... sì, Mr Garland. Be', vede, è stato istituito dalla Cooperativa; il nucleo originario era proprio questa biblioteca... Alcuni volumi sono stati donati dalla Corresponding Society di Rochdale...» L'uomo, chiaramente, non aveva nessuna voglia di andarsene; anzi, si unì a loro, per raccontare la storia della fondazione. Ben presto, Frederick si accorse di due cose: primo, che tutti erano, giustamente, molto orgogliosi di quel che erano riusciti a mettere in piedi; e secondo, che la sua sete
aumentava di minuto in minuto. Declinato l'invito a vedere il resto dell'edificio, e a esaminare le scritture contabili della Cooperativa (piacere che, disse, avrebbe rinviato alla prossima visita), salutò Henry Waterman e uscì, quando il suo sguardo si fissò, apparentemente senza ragione, sul cartellone affisso al muro della casa di fronte. Erano quasi le otto, l'aria era buia, spazzata da un vento gelido, e solcata da rare gocce di pioggia. La luce dei lampioni tremolava, colpita dalle raffiche. Le finestre erano illuminate; dall'ingresso di una taverna veniva un morbido chiarore. Il viavai degli uomini che arrancavano, stanchi, verso casa, delle donne che si affrettavano alle loro cucine, con in mano un sanguinaccio o un paio d'aringhe, rendeva la strada animata, palpitante di vita; qualcosa, però, aveva attratto l'attenzione di Fred, al di là del cavallo zoppo, della bella ragazza, o dei due monelli che si accapigliavano per un berretto. Uno dei nomi sul cartellone gli era balzato agli occhi, per poi ritirarsi, timidamente, nell'ombra. Il Paramount Music Hall, questa settimana, proponeva: Il Grande Goldini e le sue colombe ammaestrate; Mr David Fickling, il comico del Lancashire; il Professor Laar, l'ipnotizzatore portentoso; Miss Jessie Saxon, la cantante esplosiva; Mr Graham Chainey, il mago delle barzellette... Jessie Saxon. La vecchia fotografia... la sorella di Nellie Budd! «Che succede, Mr Garland?» chiese il suo compagno, vedendolo fermarsi, battere le palpebre, fissare il manifesto, grattarsi la testa, e, infine, rimettersi il cappello schioccando le dita. «Sete di cultura, Mr Paton. Quando mi prende, devo assecondarla. Vuole accompagnarmi? Dov'è il Paramount Music Hall?» Mr Paton declinò l'invito, e Frederick, ringraziatolo dell'aiuto, si avviò da solo. Il teatro era accogliente, familiare, ma con un'aria dimessa e decadente; e, nonostante la prima parte dello spettacolo volgesse ormai al termine, l'atmosfera era opaca e priva di brio. Jessie Saxon stava a metà della seconda, fra un comico e un giocoliere. Vedendola entrare in scena, il ragazzo ebbe un fremito di sorpresa: assomigliava moltissimo alla sorella, non solo nell'aspetto, ma anche nel modo di fare, esuberante, arguto, un po' rozzo. Sapeva come prendere il pubblico, e il pubblico si divertiva; ma il suo numero, di esplosivo non aveva
proprio nulla: qualche canzone sentimentale, due o tre battute, robetta senza pretese. Sicuramente, era una vecchia beniamina di quelle contrade, che al Sud non era riuscita a sfondare, anche ammesso che ci avesse provato. Frederick le inviò in camerino i suoi omaggi, insieme all'offerta di una bottiglia di champagne, che lei accettò prontamente. Appena lo vide, poi, batté le palpebre, ostentando un grande stupore. «Ma guarda!» esclamò. «Un giovanotto! Ultimamente, i miei ammiratori vanno per i sessanta. Ma vieni dentro, tesoro, siediti. E dimmi un po', bello, come devo chiamarti? Johnny, Charlie, o che so io...» Era incredibile: la stessa donna, ma come offuscata; la stessa verve, la stessa allegra civetteria, ma come forzate. I costumi erano dimessi e rattoppati; chiaramente, attraversava un brutto periodo. «A dire la verità» cominciò lui, «sono venuto per via di sua sorella, Nellie Budd». Jessie spalancò gli occhi, sussultando. «Cos'è successo?» gridò. «È successo qualcosa, vero? Lo sapevo, lo sapevo...» Si sedette. Frederick le si mise accanto. «Mi dispiace... è all'ospedale. Ieri, due uomini l'hanno aggredita, riducendola in fin di vita». Lei annuì, impallidendo sotto il trucco. «Lo sapevo. Me lo sentivo. C'era questo legame fra noi... ci leggevamo nel cuore. E ieri... ieri ho avvertito uno shock tremendo, non so come descriverlo, mi sembrava di sprofondare... Sapevo che era successo qualcosa... È stato al mattino, vero? Intorno alle undici?» «Sì, a quanto mi risulta. Senta, sono stato uno sciocco a ordinare champagne. Vorrebbe del brandy, piuttosto?» «Io non dico mai di no allo champagne... eccetto che ai funerali. E non penso che...» «Oh, no, tiene duro. È al Guy's Hospital; la curano bene. Può darsi che a quest'ora abbia ripreso conoscenza». «Ma insomma, tu chi sei?» obiettò d'un tratto Jessie. «Non per essere scortese, ma sei un poliziotto... o cosa?» Frederick aprì la bottiglia, e cominciò a raccontare. Sentendolo nominare le trance della sorella, lei annuì. «Mi ricordo» commentò. «Mi è sempre sembrata ridicola, questa faccenda dello spiritismo. Non ero affatto d'accordo... ed è anche per questo che ci siamo perse di vista. Ultimamente, non eravamo molto vicine... Ma chi mai può averle fatto una cosa del genere?» «Chi, credo di saperlo; è il perché, che mi sfugge. Ascolti, questo è il
mio biglietto da visita; se le viene in mente qualcosa, me lo faccia sapere, d'accordo?» «Puoi contarci. Domani sera, lavoro; ma poi, vengo subito a trovarla... devo farlo. Litigi o non litigi, una sorella è sempre una sorella». Infilò il biglietto nella borsa. «A proposito» disse Frederick, «conosce mica un certo Alistair Mackinnon, per caso?» «Quello?» scattò Jessie, con una gelida risata di scherno. «Quel pidocchietto strisciante! Se lo conosco? Ci puoi scommettere! E se fosse qui, gli staccherei la testa... Lurido verme... Ugh! C'è di mezzo anche lui?» «Sì... ma non so come. Certo che suscita reazioni violente... È svanito nel nulla; penso che dovrebbe sapere di sua madre». «Sua madre?» «Sua sorella. Mrs Budd». «Cosa?» La donna rimase di stucco. Balzò in piedi e lo guardò dritto in faccia, tremante d'indignazione. «Sua madre, hai detto? Faresti meglio a spiegarti, ragazzo mio. Non mi si propinano a tradimento notizie del genere». Frederick, sorpreso quanto lei, si passò le dita fra i capelli prima di riuscire a rispondere. «Mi spiace moltissimo» balbettò infine. «Ero convinto che fosse suo figlio. D'altronde, è stato lui stesso a dirlo». «Davvero? Quel demonio! Dove si sarà cacciato? Dio mio, lo farei a fette, se potessi! Come osa! Come osa!» Si rimise seduta, livida di collera. Frederick le versò dello champagne. «Tenga. Lo beva, prima che se ne vadano le bollicine. Che legame c'è allora fra sua sorella e Mackinnon?» «Non riesce a immaginarselo?» chiese lei amaramente. Lui scosse la testa. «Tipico di un uomo. Erano amanti, naturalmente. Amanti! E io...» scoppiò improvvisamente in lacrime, «anch'io ero innamorata di lui. Come una scema». Frederick si sedette, stupefatto. Lei si soffiò il naso, si premette il fazzoletto sugli occhi, bevve a piccoli sorsi convulsi, tossì, si strozzò, e proruppe in sonori lamenti. Lui la cinse con le braccia; gli sembrava l'unica cosa sensata da fare. Mentre le accarezzava i capelli, sostenendo il corpo scosso dai singhiozzi, lasciò vagare lo sguardo per il camerino, angusto e scalci-
nato, con lo specchio rotto e le tende sbiadite, il vasetto del trucco sulla toeletta, la lampada a petrolio fumante... Avrebbe potuto essere accogliente, ad avere qualcuno con cui dividerlo; elettrizzante, per un artista all'inizio della carriera; ma per Jessie Saxon, doveva essere terribilmente triste. Tenendola stretta, la baciò delicatamente sulla fronte. Riprendendosi, lei lo allontanò dolcemente da sé, e si riasciugò gli occhi, con piccoli tocchi rabbiosi. Fece una breve risata, carica di amarezza. «Quarantaquattro anni, e giù a piangere come una ragazzina... E abbiamo pure litigato, per quello lì, ci crederesti? Mi sento così umiliata... Oh, be', quando c'è di mezzo l'amore, diventiamo tutti sciocchi; altrimenti, non saremmo più uomini, ma... macchine, o cavalli, o che so io. Che mi avevi chiesto, dolcezza?» «Di Mackinnon, in genere. Lui è... un mio cliente». Si tirò a sedere sul divanetto duro, chinandosi verso di lei per versarle altro champagne. «Sostiene pure che Lord Wytham è suo padre. È una bugia anche questa?» «Il vecchio Johnny Wytham?» Jessie rise più schiettamente. «Che faccia tosta! Intendiamoci... potrebbe anche essere. Lui... Oh santo cielo, sono ancora così confusa». Fece una smorfia allo specchio, rimettendosi a posto i capelli. Frederick l'incoraggiò gentilmente. «Lord Wytham?» ripeté. «Ah, già. Penserai che sono una stupida, a far tutte queste scene... Vuoi veramente sapere di Alistair? Be', me ne ha raccontate, di frottole, ma su una cosa non ha mai cambiato versione: era figlio illegittimo di un lord. Così, per quel che vale, potrebbe anche esser vero». «E lei conosceva Lord Wytham, no?» «Ai vecchi tempi... Aveva una relazione con Nellie, ma sono certa che lei non ha avuto un figlio. Maledizione, lo saprei, no? Eravamo così in confidenza... Adesso è in politica, mi sembra. C'è immischiato anche lui?» «Sì, ma non so in che modo. E neppure sua sorella». «Io non ne sarei troppo sicuro» ribatté Jessie, versandosi un altro bicchiere. «Che intende dire?» «Che su a Carlisle, probabilmente scopriresti qualcosa. È là che l'ho vista per l'ultima volta, e che abbiamo litigato... L'anno scorso. Non più tardi dell'anno scorso». «E che ci faceva?» «Oh, le solite baggianate spiritiche. Ce l'aveva invitata uno di quei circo-
li, di quelle associazioni di idioti; io recitavo poco lontano, e quel verme di Mackinnon lavorava in un paese vicino a Dumfries. E lei... lei lo manteneva! Figurarsi! Non aveva ancora perfezionato la sua arte - arte, la chiamava - e continuava a saltar serate; ma gli impresari, logicamente, non sapevano che farsene, di uno così. E, visto che era al verde, Nellie aveva pensato bene di intervenire e... niente, tutto qui. Un posticino appena oltre il confine... Netherbrigg». «È vicino alla tenuta di Wytham?» «Sì, non è lontano. Ma lui non lo vedevo da anni, e nemmeno Nellie. Si era sposato, e non bazzicava più i teatri. Come si chiamava, la moglie... Lady Louisa... boh. Grossi proprietari terrieri. Miniere di grafite». «Grafite?» ripeté Frederick, drizzando le orecchie. «Qualcosa del genere. A proposito, cos'è la grafite?» «Ci fanno le matite...» 'E i cannoni a vapore' pensò, ma se lo tenne per sé. Invece, la lasciò parlare; era un tipo ciarliero e, evidentemente, era felice della compagnia. Relativamente alle sue indagini, non gli disse quasi nulla di nuovo; in compenso, però, raccontò un sacco di episodi della sua vita, in modo così piccante, espressivo e vivace, che lui non poté fare a meno di esclamare, appena si riprese dal gran ridere: «Oh, Jessie, dovrebbe scrivere le sue memorie». «È un'idea» replicò lei, pronta. «Ma, mi dica un po', le pubblicherebbero?» Convennero che la cosa era alquanto improbabile, e si lasciarono da buoni amici. Quella notte, prima di infilarsi nel suo freddo letto d'albergo, Frederick prese una cartina, cercando Dumfries e Carlisle, e Thurlby, dove c'era il poligono di tiro. Non distavano molto. Una mattinata di treno, a occhio e croce. E la tenuta di Wytham, dov'era? Non era segnata. Da quelle parti, comunque. La grafite... La famiglia di Lady Wytham... Bellman... Povera vecchia Nellie. E povera Jessie. Tutte e due innamorate di Mackinnon. Ma cosa diavolo aveva, quello, da stregare le donne a quel modo? Mistero. Un vero mistero. Sally, però, non c'era cascata. Era sveglia, lei. Thurlby... ci sarebbe andato l'indomani. LA LEGGE SCOZZESE Sally passò il resto del giovedì in ufficio, presa dai suoi affari, ma il venerdì, per prima cosa, si recò subito all'Archivio Brevetti. Si trovava nell'Ufficio Brevetti della Corona, a poca distanza da Chan-
cery Lane; un edificio imponente, simile a un museo, con un alto tetto a vetri, e contornato da porticati di ghisa. Ci era già stata una volta, per dissuadere un cliente dall'investire tutto il suo denaro in un'invenzione per fabbricare un nuovo tipo di scatoletta per sardine; mostrandogli che l'idea non era poi così originale, l'aveva convinto a puntare sui titoli di Stato. Cominciò cercando nell'Indice Alfabetico dei Titolari i brevetti registrati sotto il nome Hopkinson, a partire dal 1870; prima, pensava, non avrebbe trovato nulla di significativo. Il primo volume era privo di indicazioni utili, ma in quello relativo al 1871 figurava un brevetto per macchine a vapore a nome di J. Hopkinson. Possibile che fosse quello giusto? Così presto? Dopotutto, il nome Hopkinson era piuttosto comune, e di brevetti che riguardavano macchine a vapore ce n'erano su tutte le pagine dell'indice, come poté constatare dandogli una rapida scorsa. Comunque, prese un appunto, passando al volume successivo. Sotto il 1872 non trovò niente, ma nel 1873 e nel 1874 risultavano altri due brevetti per caldaie a vapore registrati a nome di J. o J.A. Hopkinson. Poi, più nulla. Per curiosità, cercò sotto Nordenfels, ma invano. Al banco, compilò il modulo di richiesta dei fascicoli; mentre aspettava, controllò se c'era Garland, nell'indice del 1873, e, puntualmente, trovò: 'Garland, F.D.W., 1358, 20 maggio, obiettivo fotografico'. Gliel'aveva fatto brevettare quando aveva preso in mano le redini dell'azienda; non aveva ancora fruttato un centesimo, ma sarebbe stato valido per altri nove anni: abbastanza per metterlo in produzione, a patto di trovare qualcuno propenso a tentare l'avventura. Era ansiosa di tornare a quella vita, alle trattative con uomini d'affari, industriali, investitori; qualcosa di tangibile, concreto, limpido e onesto, dopo tanti intrighi e tanta crudeltà! Fred si sarebbe occupato del lato tecnico, il suo forte, e lei di quello finanziario, della pianificazione, della vendita... Ma lui, forse, non ne avrebbe voluto sapere. 'Finiamo questo caso, e poi, ognuno per la sua strada'. Si riferiva alla loro amicizia, ma anche a qualcosa di più profondo; gliel'aveva letto negli occhi. Sarebbe stato disposto a imbarcarsi in un'altra collaborazione? Chissà perché, era molto scettica, al riguardo. Guardò gli uomini che le stavano intorno. Presumibilmente, per la maggior parte, impiegati di avvocati, più un paio di inventori, indaffaratissimi a scartabellare libroni, o a scribacchiare con i pennini d'acciaio, chini ai tavolini; era l'unica donna nella stanza, ma alle occhiate curiose, ormai, ave-
va fatto l'abitudine. Erano uomini diligenti, competenti e affidabili, della cui abilità ed efficienza non dubitava affatto; ma Frederick li eclissava tutti, come un astro di prima grandezza. Non c'era confronto, come non ce n'era con quella larva di Mackinnon. Fred era unico. Ormai, ne era certa: l'amava. E l'avrebbe sempre amato. E lui le aveva dato della strega... «Miss Lockhart?» la chiamò l'addetto. «I fascicoli da lei richiesti sono pronti, signorina». Prese le cartellette, sedendosi a un tavolino. Ciascuna conteneva una serie di disegni e la descrizione dell'invenzione; la prima recava il titolo: BREVETTO intestato a John Addy Hopkinson di Huddersfield, contea di York, ingegnere, per l'invenzione: PERFEZIONAMENTI ALLE CALDAIE A VAPORE E IMPIANTI CONNESSI, rilasciato in data 24 dicembre 1873 e registrato in data 5 giugno 1874. Cominciò a leggere; ma era evidente che non era questa la macchina fabbricata da Bellman alla Stella del Nord. E non lo erano nemmeno le altre: un nuovo tipo di griglia mobile per convogliare il combustibile al focolare di una locomotiva, un nuovo modello di caldaia... tutta roba innocua. Non era l'Hopkinson che cercava. Riportò i fascicoli al banco, e chiese: «Esiste un indice per argomenti? Sarebbe possibile, per esempio, individuare tutti i brevetti relativi alla fabbricazione di armi da fuoco?» «Sì, signorina, l'indice per argomenti c'è. Ma i volumi stampati di quegli anni sono dal rilegatore; dovrà consultare le singole schede. Cercava qualcosa in particolare?» «Sì, ma...» Le venne un'idea. «Qui tenete pure brevetti stranieri, vero?» «Certo, signorina». «Anche russi?» «Senz'altro. In quel reparto là, sotto il porticato». «C'è un servizio di traduzione, per caso?» «Vado a vedere se Mr Tolhausen è libero. Un attimo, prego». Sparì nell'ufficio alle sue spalle; mentre aspettava, lei rifletté a cosa sperava di scoprire, esattamente. Se Nordenfels aveva brevettato una macchina in Russia, sarebbe risultato dagli schedari. Ma nulla impediva di sfruttare in Inghilterra un'invenzione straniera non protetta da brevetto inglese;
così facendo, Bellman non avrebbe violato nessuna legge. D'altro canto, se fosse riuscita a dimostrare che aveva rubato l'idea... «Mr Tolhausen, Miss Lockhart». Il traduttore era un ometto compito, sulla quarantina, che non tradì la benché minima sorpresa nel vedere una giovane donna occuparsi di questioni tecniche. Sally lo prese subito in simpatia. Gli illustrò le sue esigenze. «Cominceremo dall'indice alfabetico» rispose lui, dopo aver ascoltato con attenzione. «Nordenfels... Arne Nordenfels. Qui c'è un brevetto, concesso nel 1872, per una valvola di sicurezza da utilizzare nelle caldaie a vapore; un altro, sempre dello stesso anno, per perfezionamenti ai sistemi di circolazione del vapore ad alta pressione... Nel 1873...» Si interruppe, voltando il foglio avanti e indietro, con aria accigliata. «Manca una pagina» notò. «Guardi. Un lavoretto ben fatto...» Sally sentì il cuore accelerare i battiti. «È quella che riguarda Nordenfels?» Non capiva nulla di quei caratteri misteriosi, ma scorgeva il margine, quasi invisibile, del foglio tagliato. «Potrebbe guardare sotto l'anno seguente?» chiese. Lui l'accontentò; di nuovo, mancava una pagina esattamente nel punto in cui sarebbe dovuto figurare Nordenfels. Mr Tolhausen manifestò tutto lo sdegno compatibile con la sua compostezza. «Denuncerò immediatamente la cosa. Mai vista una tale infrazione ai regolamenti. È incredibile...» «Prima, potrebbe controllare i due anni successivi, per favore? E l'indice per argomenti?» L'esame di quest'ultimo, alle sezioni 'macchine a vapore' e 'armi' richiese qualche tempo, poiché entrambe comprendevano una sfilza di punti; nella prima, trovarono sette brevetti a nome di Nordenfels, ma nella seconda mancavano altre pagine, relative agli anni 1872 e 1873. «Sì, sono quelle che riguardano Nordenfels» osservò Mr Tolhausen. «Ma l'indice è provvisto di rimandi. Un attimo solo...» Tornò alla voce 'macchine a vapore' e annuì. «Ah! Ah!» esclamò. «Qui c'è un brevetto per l'applicazione della forza vapore alle mitragliatrici. E un altro per un cannone a vapore da montare su vagoni ferroviari. Ma i numeri sono registrati alla voce 'armi', e lì mancano le pagine... È inaudito... Assolutamente inammissibile. Devo farle le mie scuse per la mancata sorveglianza... è evidente che qualcuno è riuscito a tagliarle di soppiatto. La rin-
grazio, Miss Lockhart, per aver richiamato la mia attenzione sul fatto...» Sally, a sua volta, lo ringraziò dell'aiuto, annotò data e numero dei brevetti documentati, e fece per andarsene; improvvisamente, però, le venne un'idea. Prese di nuovo l'indice alfabetico dei brevetti rilasciati in Inghilterra; se Bellman aveva intenzione di far fruttare l'invenzione, non avrebbe dovuto farla registrare a suo nome? E difatti. Il volume del 1876 recitava: 'Bellman, A., 4524, Cannone a vapore installato su vagone ferroviario'. L'uovo di Colombo! Lo chiuse, soddisfatta come non si sentiva da mesi. 'Cara Miss Walsh' pensava 'riavrà il suo denaro...' Mentre lasciava l'edificio, diretta verso Chancery Lane, sorrideva. Non vide il giovane in bombetta, seduto al tavolino vicino alla porta, che, quando lei uscì, raccolse tranquillamente le sue carte. Non lo vide alzarsi e andarle dietro; pedinarla con aria indifferente, lungo Fleet Street, fino allo Strand; tallonarla nella sala da tè all'angolo di Villiers Street, in cui era entrata per il pranzo; sedersi accanto alla finestra, protetto dal giornale, con davanti una tazza e una focaccina; e seguirla infine fuori dal locale. Lui c'era stato ben attento, a non farsi vedere. Era vestito in modo da non dare nell'occhio, e conosceva il suo mestiere. Le bombette, si sa, si assomigliano tutte, senza contare che lei, comunque, in quel momento stava pensando a Frederick. A quell'ora, Frederick era a Thurlby, la zona del poligono di tiro: un luogo piatto, desolato, sinistro, con null'altro che uno squallido villaggio e una linea ferroviaria che correva per chilometri lungo la costa, prima di scomparire dietro a un'alta palizzata e a un cancello sbarrato. Qua e là, cartelli segnalavano un estremo pericolo; il vento si levava dalle dune carico di sabbia salata. Non c'era niente di interessante, lì. Decise di proseguire fino a Netherbrigg, la cittadina appena oltre il confine scozzese in cui, secondo Jessie Saxon, aveva soggiornato Mackinnon. La tenuta di Lord Wytham era a pochi chilometri di distanza, in territorio inglese, ma lì, temeva, ci sarebbe stato ben poco da scoprire. Prese una stanza al King's Head, nella via principale, chiedendo al padrone dove alloggiavano di solito gli artisti di fuori; stavano forse nel suo albergo? «Ah, no» ribatté quello in tono risoluto. «Non li voglio, i loro soldi. Pagliacci senzadio».
Comunque, gli diede un elenco di pensioni, e lui, dopo pranzo, si mise in pista. Il paese, illuminato dal sole nonostante il vento gelido, era la tipica cittadina di mercato. Il teatro, per il momento, era chiuso; d'altronde, era già tanto che ne esistesse uno. Una dozzina d'indirizzi, e niente cartina, volevano dire un bel po' di strada a piedi, anche in un piccolo centro; era ormai tardo pomeriggio quando, al nono tentativo, Frederick trovò quel che cercava in Dornock Street, una viuzza scalcinata divisa in due da una cappella tetra e grigia. La padrona della locanda si chiamava Mrs Geary, e sì, affittava stanze. «Anche a gente di teatro, Mrs Geary?» «Qualche volta, sì. Non faccio storie, io». «Ricorda un uomo di nome Alistair Mackinnon?» Un lampo di memoria negli occhi, un sorriso. Non era antipatica. «Sì» rispose. «Il mago». «Proprio lui. Io sono suo amico, vede, e... non potrei venir dentro un attimo?» Lei si scostò, lasciandolo entrare nell'atrio, una stanza accogliente, con attaccate alle pareti cinque o sei fotografie di artisti del varietà. L'aria odorava di pulito. «Molto gentile. Si tratta di una faccenda delicata... Mackinnon è nei pasticci, e io sono venuto fin qua per vedere di aiutarlo». «Non mi sorprende» osservò lei seccamente. «Ah, davvero? Ha già avuto dei guai?» «Se così si può dire». «E che genere di guai?» «Ah, be', non faccio la spia». Frederick respirò profondamente. «Mrs Geary, Mackinnon è in pericolo. Io sono un investigatore; devo scoprire cosa lo minaccia, per poterlo aiutare, e chiederglielo direttamente non posso, perché è svanito nel nulla. Procediamo con ordine. Conosce una certa Mrs Budd?» La donna strinse leggermente gli occhi. «Sì» replicò. «Ha mai alloggiato qui?» Annuì. «Con Mackinnon?» «Sì». «Erano... mi scusi, ma devo saperlo... erano amanti?» Un guizzo beffardo le passò sul viso.
«Non in questa casa» disse risoluta. «E un certo Axel Bellman? Mai sentito questo nome?» Scosse la testa. «E Lord Wytham? Sa se ha un qualche legame con il mago?» «Ah» commentò. «È quella storia là, allora». «Cosa? Ma allora sa qualcosa. Mrs Geary, la questione è seria. L'altro giorno, Nellie Budd è stata picchiata fino a perdere conoscenza, e potrebbe esserci di mezzo un omicidio. Deve dirmi tutto. Che rapporto c'è fra Alistair Mackinnon e Lord Wytham? È suo figlio, come sostiene di essere?» Lei sorrise. «Suo figlio? È un'idea. E va bene, Signor Mistero, l'accontenterò. Venga in tinello». Lo condusse in una graziosa stanzetta, con altri ritratti alle pareti e un grande pianoforte. Nonostante i modi bruschi, la padrona doveva essere piuttosto popolare, a giudicare dalla sfilza di dediche affettuose apposte alle foto. Mentre lei preparava del tè, Frederick le guardò con comodo; ne cercò anche una di Mackinnon, ma invano. «Allora...» cominciò la donna, accostando la porta col tacco. «Sapevo che presto o tardi sarebbe saltato fuori; ma un omicidio, addirittura... questo è un brutto colpo. Un po' di tè?» «Grazie» rispose lui. Voleva raccontarla a modo suo; tanto valeva lasciarla parlare. E poi, lei lo colse alla sprovvista. «Lo sa di quell'altro, no?» gli chiese. «Quale altro?» «Quello che è venuto qualche tempo fa... parecchio tempo fa. Faceva le stesse domande. Un mingherlino con gli occhiali cerchiati d'oro». «Windlesham!» «Esatto». L'uomo di Bellman... allora, forse, era per via di qualcosa che aveva scoperto lì che dava la caccia al mago. «E lei gli ha risposto?» «Non ho l'abitudine di nascondere la verità» ribatté lei grave, porgendogli una tazza di tè. «Se non gliel'ho detto prima, è perché non me l'ha chiesto. Neanche metto in piazza i segreti, però». «No, certo che no. Non volevo insinuare nulla del genere...» l'assecondò Frederick, cercando di mantenere la calma. «Ma costui sta con quelli che inseguono Mackinnon, e che hanno aggredito Nellie Budd. Devo scoprire cosa c'è sotto». «Dunque... è cominciato tutto con la povera Nellie Budd. Spero che non
stia troppo male». «E invece, è proprio conciata per le feste; forse, ha il cranio fratturato. Per favore, Mrs Geary, cos'è successo?» «Nellie mi ha chiesto di dare una stanza a Mackinnon, e di firmare una dichiarazione per l'avvocato, con su scritto in che giorno era arrivato, e che aveva passato tutte le notti qui alla pensione. Lei gli pagava l'affitto, vede; lui non aveva lavoro. Tre settimane, è rimasto, senza sgarrare. Ventun giorni, uno dopo l'altro. Così dice la legge». La donna, chiaramente, si divertiva un mondo; Frederick, molto meno. «Ventun giorni?» chiese, con quanta pazienza gli era rimasta. «Ventun giorni di permanenza documentata in Scozia. Una volta, non ce n'era bisogno, ma vent'anni fa, hanno cambiato la legge. Però, non posso lamentarmi... gli alberghi sul confine fanno affari d'oro, adesso». «La prego, Mrs Geary... di che cosa sta parlando? Perché avrebbe dovuto dimostrare di aver soggiornato in Scozia per ventun giorni?» «Ah, semplicissimo... Perché, allora, avrebbe potuto sposarsi per semplice consenso, davanti a due testimoni. E così ha fatto». «Ancora non capisco... Chi ha sposato? Nellie Budd?» «Non dica sciocchezze. La figlia di Wytham, ecco chi. Lady Mary. È lei che ha sposato». PROFESSIONALITÀ Mr Brown, il professionista in bombetta, era abituato ad aspettare. Aveva aspettato per tutto il giovedì e il venerdì mattina, e avrebbe aspettato per l'intera settimana, se ce ne fosse stato bisogno. Pedinare Sally all'Archivio Brevetti gli era stato utilissimo, perché gli aveva rivelato che, qualche volta, usciva anche senza belva. I marciapiedi affollati di Fleet Street o dello Strand, tuttavia, offrivano scarse opportunità all'esercizio della sua maestria. Spiando la ragazza da dietro il giornale, nella piccola sala da tè di Villiers Street, si era chiesto se il momento propizio sarebbe arrivato quand'era sola, o se, invece, avrebbe dovuto sistemare anche il cane. Era bella. Di una bellezza insolita: mezza inglese - i capelli biondi, la figura snella, gli abiti pratici e svelti - e mezza no: i grandi occhi castani e l'aria decisa, coraggiosa e intelligente. Ragazze così ce n'erano tante in America; in Inghilterra, non erano una razza comune. Una ragione di più per ucciderla, e guadagnarsi i soldi. Peccato, però.
Per il resto della giornata non la perse di vista, prendendo una carrozza per seguire l'omnibus che la portò a Islington, aspettando finché non la vide uscire con il cane, tallonandola nei suoi vagabondaggi a distanza di sicurezza. Appena poteva, si infilava in qualche portone, per sostituire la bombetta con il berretto floscio che portava nella borsa di cuoio, o per rivoltare il mantello di tweed, cambiandogli colore. Precauzioni inutili. La ragazza girovagava senza meta, e il bestione le trotterellava accanto, tranquillo e soddisfatto. Arrivarono al nuovo Embankment, dove Sally si fermò a osservare i lavori di innalzamento di quel ridicolo obelisco arrivato dall'Egitto. Lei calcolava, entusiasta, angoli, altezze, limiti di rottura, ammirando l'efficienza e l'abilità degli operai; lui guardava il cane. Poi, di nuovo Chancery Lane, e mezz'ora in una sala da tè, troppo piccola, stavolta, perché Mr Brown potesse entrare senza esser visto. Facendo avanti e indietro sul marciapiede, spiava l'immagine riflessa nelle vetrine. Una cameriera portò una tazza per lei, e un piattino d'acqua per il cane; scriveva... una lettera, forse. In realtà, Sally elencava tutte le possibili conseguenze e implicazioni del fatto che Bellman avesse fatto brevettare un'invenzione non sua; avrebbe voluto consultare Mr Temple, e parlare anche con Frederick... Uscendo, non notò la figura anonima avvolta nel tweed grigio, pur passandole a non più di mezzo metro di distanza. E la figura la seguì... per Holborn e Bloomsbury, oltre il British Museum, fino alla stradina dove lei indugiò per qualche minuto di fronte a un negozio di fotografo sul marciapiede opposto, per guardare la vetrina, forse. Infine, al calar del buio, ancora Islington, e le viuzze tranquille del quartiere in cui Sally abitava. Il cane. Ne aveva paura, inutile negarlo. Una belva enorme, con una bocca in grado di inghiottirti la testa, e una lingua fatta apposta per lapparti le viscere... Per un professionista come lui, la paura era un avvertimento, che lo spingeva a un esame ancor più lucido della situazione. In questo caso, aveva concluso, velocità e precisione non erano sufficienti; ci sarebbe voluto un incantesimo che lo rendesse invulnerabile... Quanto alla maestria, era sprecata sugli animali; il coltello per la ragazza, ma per la bestia, una pistola. Non ne aveva una con sé, ma sapeva dove procurarsela in fretta; un'ora dopo il ritorno di Sally, era appostato nell'ombra, nel giardinetto di platani
in mezzo alla piazza. Sapeva che più tardi sarebbe uscita di nuovo: prima di andare a nanna, i cani devono fare quella che i padroni chiamano la loro 'passeggiatina'. Sarebbe stato interessante, dal punto di vista tecnico, adoperare pistola e coltello in rapida successione; un'abilità che, in America, non avrebbe fatto fatica a sfruttare... Restò in attesa. Alle undici e mezzo, il suono di una porta che si apriva ruppe il silenzio della notte. La pioggerellina leggera era cessata, lasciando l'atmosfera umida, fredda, come sospesa. Nel giallo intenso dell'ingresso, avvolto dal nero cupo della facciata, si stagliarono la sagoma della ragazza e del cane, accompagnate, per un attimo, da un'altra figura femminile. Poi, la porta si richiuse, e lei avanzò sul marciapiede a passi leggeri. Come previsto si avviò verso il giardinetto, ma, nonostante il cancello fosse aperto, giunta al recinto si allontanò e prese a fare il giro della piazza. In quel momento arrivò una carrozza, fermandosi lentamente davanti a una casa sul lato opposto; Mr Brown non si mosse, l'occhio puntato sulla ragazza, l'orecchio teso alla discussione fra vetturino e passeggero, in disaccordo sulla tariffa. La giovane e il cane procedevano lentamente; lei, assorta nei suoi pensieri, lui, fiutando qua e là, sollevando la testa, e scuotendola così forte da far tintinnare il guinzaglio. Infine, bestemmiando, il cocchiere riprese le redini, e il cavallo partì. Il ritmico un-due-tre-quattro degli zoccoli e lo sferragliamento delle ruote durarono a lungo, prima di confondersi nel tramestio indistinto delle strade al di là della piazza. La ragazza camminava, camminava... Aveva quasi finito il giro. Prima, senza dare nell'occhio, Mr Brown aveva ispezionato gli edifici lungo il perimetro della piazza, e le vie che vi sboccavano, per esser sicuro di poter fuggire. Sapeva che in quel momento, davanti a lei, fra due alte case di mattoni dalla bellezza austera, si apriva una stradina stretta, quasi un budello. La vide gettarvi un'occhiata, e scendere dal marciapiede. Non era possibile che entrasse lì dentro... era perfetto, meglio dell'ombra del giardino... Ma, dopo un attimo di esitazione, lei vi si infilò, lasciandosi precedere dal cane. Mr Brown, finalmente, si mosse.
La pistola nella sinistra e il coltello nella destra, nascose le mani sotto lo spesso mantello; uscì quatto quatto, e attraversò la strada. Senza nemmeno guardarsi intorno, si addentrò nel vicolo, l'orecchio teso. Silenzio. Non l'avevano sentito. Li scorgeva distintamente, contro il chiarore di fondo. Una viuzza angusta, il cane davanti: benissimo. 'Prima il coltello'. Scostò il lembo del mantello, liberando entrambe le armi. Poi, il pollice sulla lama, si scagliò su di loro, prima che avessero il tempo di voltarsi. All'ultimo momento, la ragazza si scostò, ma il colpo andò a segno. Lei ansimò come se tutta l'aria le fosse stata risucchiata dai polmoni, e stramazzò a terra. 'Cambia mano, svelto! Il coltello è incastrato!' Infilatasi la pistola nella destra, con la sinistra tirava il coltello quando... il cane! Un fragor di ringhi, un digrignar di denti, un vorticar di membra... Gli si avventò contro, mentre premeva il grilletto. Caddero insieme. Lui gli cacciò la canna nel fianco, nero, caldo, e tirò di nuovo; nel budello, gli spari risuonarono come colpi di cannone. La bestia, azzannatogli il braccio sinistro, sgretolava le ossa, lacerava la carne... sparò altre due volte, ma non aveva previsto questo peso immane, il modo in cui l'avrebbe immobilizzato contro il muro, scuotendolo come un topo... altri due colpi, dritti al cuore. Udì il braccio rompersi, vinto da questa forza spaventosa, capace di uccidere un cavallo, un toro... Mollò la pistola, strappando il coltello dalla sinistra, ormai flaccida. Ma com'era messo, per l'amor del cielo? A testa in giù? Il cane lo sbatacchiava di qua e di là, come un uragano... gli aveva sparato, ancora e ancora... eppure resisteva. Lo trafisse una, due, tre, quattro volte... il coltello strideva sulle ossa, si tuffava nel sangue, e lui neanche se ne accorgeva: i denti non mollavano, sembravano trapassargli il braccio da parte a parte. Che sofferenza, che paura! L'infilzò di nuovo, conficcando, crivellando... nessuna maestria, nei suoi gesti, solo panico, ormai. Ringhi e scossoni aumentarono d'intensità; si sentiva mancare dalla debolezza, ma vibrava colpi all'impazzata... in gola, nel ventre, sul dorso, in testa, finché, d'un tratto, la belva lasciò la presa. Sangue... un mare di sangue. Il braccio, trafitto da atroci dolori, gli penzolava inerte lungo il fianco. E poi, come un'onda imponente che si erge improvvisa, il cane gli saltò alla gola, dilaniandola.
Uno zampillo. L'erompere di una cascata. Il ringhio si spense in un gemito. La mascella cascante, il cane tremava; si allontanò di un poco e si scrollò, come sorpreso. Grosse gocce schizzarono in giro. Si afflosciò sulle zampe e poi stramazzò in avanti, con un tonfo. Mr Brown mollò il coltello, portandosi alla gola il mantello intriso di sangue. Giaceva contro il muro, le gambe schiacciate da quella montagna, e la vita lo abbandonava a grandi fiotti. Ce l'aveva fatta, però. Forse non sarebbe sopravvissuto alla belva, ma la ragazza era morta. Allungò la mano alla cieca, e incontrò i capelli bagnati, sparsi sul selciato. E poi, dal fondo del vicolo venne una voce. «Chaka?» chiamava. Si divincolò, alzandosi sulle ginocchia in un ultimo spasimo di sgomento. Una giovane, con una lanterna. A capo scoperto. Bionda. Quel viso, quel bel viso scomposto dal terrore. Quegli occhi! Non era possibile... Guardò per terra, scostando il mantello che nascondeva il volto della morta. Una voglia enorme, dalla mandibola alla fronte. La ragazza sbagliata... la sua professionalità... Chinò il capo, precipitando in un orrore senza fine. Sally arrivò di corsa, e le si precipitò accanto, posando la lanterna sui ciottoli. «Isabel» sussurrò «Isabel...» Le accarezzò la guancia intatta; vide gli occhi sbattere, e poi aprirsi del tutto. Aveva l'aria stravolta di chi si sveglia da un incubo. «Sally» mormorò. «Ti ha...» «Mi ha colpita, ma non... il coltello si è impigliato nel corsetto. Che assurdità... Sono svenuta. Ma Chaka...» A Sally parve che un dio malefico l'avesse pugnalata al cuore. Raccolse la lanterna. Il bagliore tremolante guizzò sul cadavere dell'uomo, sui rivoli di sangue che solcavano il selciato, illuminò la testa nera e gli occhi velati del cane. «Chaka» disse, con voce alta e rotta, gonfia d'amore.
E lui, a un passo dalla morte, la udì, levò il muso verso di lei e batté la coda a terra, una, due, tre volte, prima che la sua forza immensa si dileguasse. Lei gli si accasciò addosso, gli accarezzò la testa e la coprì di baci, chiamandolo per nome fra i singhiozzi, diluendo il sangue con le lacrime. Chaka cercò di rispondere, ma la gola non gli obbedì. Buio, buio ovunque. Ma Sally era lì con lui. Era al sicuro, adesso. Morì. LA DITTA DI TRASPORTI Il normale fluire del tempo si interruppe, lasciando il posto a un fantasmagorico teatro delle ombre popolato da poliziotti, curiosi, un medico per Isabel (ferita alla schiena), e un uomo con un carretto, che si accingeva borbottando a portare via il cane. Sally, però, non ne volle sapere: lo pagò perché mettesse il corpo nel giardino di casa, e gli diede mezza corona per un'incerata, con cui lo coprì. Chaka sarebbe stato sepolto dove voleva lei. Isabel tremante, stordita e dolorante andò a letto appena il dottore ebbe finito. Sally rispose alle domande. Sì, il cane era suo; no, non sapeva perché Miss Meredith fosse stata assalita; no, non conosceva quell'uomo; sì, Miss Meredith abitava lì; sì, di solito a quell'ora portava fuori il cane; no, né lei né Miss Meredith erano mai state minacciate... Alla fine, gli agenti accolsero la tesi dell'aggressione non premeditata di un rapinatore, pur fra molti dubbi: per essere uno scippatore, era armato fin troppo bene, e puntare su qualcuno accompagnato da un cane del genere, quando c'erano tanti altri bersagli ben più comodi... be', era strano. Se ne andarono scuotendo la testa. Quando Sally si infilò nel letto, erano le tre passate, e, per quante coperte si gettasse addosso, non riusciva a smettere di rabbrividire. Il mattino seguente, appena alzata, si recò in ufficio... e lo trovò vuoto. Svaligiato. Le pratiche, la corrispondenza ordinatamente archiviata, i fascicoli di tutti i clienti, i dati sui risparmi e le quote azionarie... tutto sparito. Gli scaffali erano vuoti, i cassetti dell'armadietto aperti. Si guardò intorno stranita, smarrita; era entrata nell'ufficio sbagliato? Ma lì c'era la scrivania con le sedie, là il divano floscio... Corse giù dal ragioniere capo, cui pagava l'affitto. «Dove sono le mie pratiche? Cos'è successo?» Per un attimo, l'uomo rimase sbigottito, quasi avesse visto un fantasma;
ma subito si trincerò dietro una gelida maschera di reticenza. «Temo di non saperlo. E devo farle notare che ho ricevuto informazioni estremamente spiacevoli sull'uso che lei fa di questo locale. Quando stamattina è arrivata la polizia...» «La polizia? Chi l'ha chiamata? Cosa voleva?» «Non ho ritenuto opportuno indagare. Gli agenti hanno preso certi documenti, e...» «E lei ha lasciato portar via la mia roba dal mio ufficio? Si è fatto dare una ricevuta?» «Non è mia abitudine oppormi all'operato della polizia. E non usi quel tono con me, signorinella». «Avevano un mandato? E con quale autorità sono entrati nel mio ufficio?» «L'autorità della Corona!» «In tal caso, avranno avuto un mandato. Lei l'ha visto?» «No, naturalmente. Non erano affari miei». «Da che stazione venivano?» «Non ne ho idea. E poi...» «E lei ha consentito a degli agenti di polizia di portare via la mia proprietà senza mandato, senza ricevuta... siamo in Inghilterra, l'ha dimenticato? Ha mai sentito parlare di mandati di perquisizione? Come fa a sapere che si trattava veramente di poliziotti?» L'uomo sbatté il pugno sulla scrivania e balzò in piedi, urlando: «Non permetto a una nota prostituta di parlarmi così!» La parola rimase sospesa nel silenzio improvviso. Lui, troppo imbarazzato per guardarla in faccia, fissava la parete alle sue spalle. Sally lo squadrò da cima a fondo, dai pomelli accesi sulle guance scavate, alle nocche incartapecorite che stringevano il tavolo. «Mi vergogno di lei» replicò. «Pensavo che fosse un uomo d'affari. Capace di giudicare con intelligenza, e di agire con correttezza. Un tempo, avrei provato rabbia; oggi, sento solo vergogna». E uscì, senza che lui aprisse bocca. Il brigadiere in servizio al posto di polizia più vicino era un tipo anziano, paterno, che aggrottò le sopracciglia e schioccò la lingua in segno di disapprovazione quando Sally cominciò il suo racconto. «Il suo ufficio? Lei ha un ufficio, signorina? Però...» Lei lo scrutò, guardinga, ma sembrava che fosse disposto ad ascoltarla.
«Gli agenti venivano da questa stazione?» continuò. «Non saprei, signorina. Ce ne sono talmente tanti». «Ma saprà di cosa si tratta, no? Hanno preso dei documenti. Devono averli portati qui. Non è tornato nessuno con pratiche, fascicoli o lettere prelevati da un ufficio di King Street?» «Ah, be', difficile rispondere. Qui entrano ed escono un sacco di carte. Meglio che mi dia i particolari». Leccò la matita, e poi Sally lo vide far l'occhiolino all'agente della scrivania accanto, che si voltò per nascondere un risolino. «A pensarci bene» ribatté, «non importa». Allungò la mano verso Chaka, cercando il calore della sua bontà e del suo amore, ma incontrò solo il vuoto. Uscì, con il viso inondato di lacrime. Arrivò in Burton Street solo dieci minuti dopo il ritorno dal Nord di Frederick, che, avendo passato la notte su un accelerato, era esausto, stravolto e con la barba lunga. Per quanto non mangiasse da un'intera giornata, però, il giovane allontanò da sé panino e caffè, ascoltò con attenzione il suo resoconto, e chiamò Jim. «Lavoretto per la Turner & Luckett» commentò. «Finisci tu il mio caffè, Sally». Un'ora dopo, un furgone trainato da un cavallo magro e grigio si fermò all'ingresso di Baltic House. Ne scesero due uomini con un grembiule di tela verde, che legarono una musetta al collo dell'animale ed entrarono, oltrepassando il massiccio usciere. «Un mucchio di carte» fece il più alto (un tipo lugubre con folti baffi) al portiere. «Sono arrivate prima. Dobbiamo portarle a Hyde Park Gate». «Ah, è lì che è andato Mr Bellman, allora» rispose quello. «Non so dove le hanno messe. Meglio chiedere al capufficio... se ne stava occupando lui». Un fattorino partì in ricognizione, e cinque minuti più tardi i due impiegati portarono giù il primo carico, sistemandolo in fondo al furgone. Poi, mentre si avviavano a prendere il secondo, il portinaio domandò: «Avete una lettera, no? Vorrei darci un'occhiata. E dovrete darmi una ricevuta». «Ah, sì... ecco qua» replicò il primo. «Tu va' su, intanto, Bert... piglia il resto». L'ometto dai baffi più radi obbedì, mentre il portiere esaminava la lettera di autorizzazione al trasferimento. Quando i fascicoli furono tutti sul fur-
gone, il primo scrisse una ricevuta sulla carta intestata della ditta e la diede al portinaio, prima di salire a cassetta. Il più giovane tolse la musetta al cavallo. L'usciere, vedendoli partire, salutò. Dietro il primo angolo, fuori dal campo visivo di Baltic House, il giovane parlò per la prima volta. «Okay, Fred» disse. «Okay, Jim» ribadì l'altro. Jim cercò di staccarsi i baffi, sobbalzando perché la gomma arabica non voleva saperne di venir via. «Niente tiratine timide» gli consigliò l'amico. «Un bello strattone virile, ci vuole». Allungò la mano e glieli strappò di colpo, con uno schiocco fulmineo. Jim proruppe in un diluvio di bestemmie, sufficiente, osservò Fred, a far arrossire il cavallo. «Sta' a sentire» gli disse, quando la tempesta si fu calmata, «io adesso svolto e tu salti giù a girare la targa. E togliamoci il grembiule... caso mai qualcuno si svegli e gli venga in mente di cercarci». Due minuti dopo, con in testa una bombetta al posto del berretto floscio, e sul furgone una targa che recitava ALIMENTARI ALL'INGROSSO F.LLI WILSON, avanzavano alla volta di Burton Street. «Oh, Fred! Non posso crederci!» Sally, nel cortile dietro al negozio, guardava dentro il furgone. Accarezzò la prima pila di cartelle, si volse, e gettò le braccia al collo di Frederick. Lui rispose con ardore, e solo uno scroscio d'applausi che venne, improvviso, dall'alto li fece sciogliere dall'abbraccio. I vetrai, intenti a montare le finestre del nuovo studio, li guardavano sogghignando. «Be', che diavolo c'è da ridere?» ruggì Frederick. Ma poi, vedendo il lato buffo della situazione, sorrise insieme a Sally. Andarono in cucina. «Non vuoi controllare?» le chiese. «Vedere se c'è tutto?» «Fra un attimo... Oh, Fred, grazie, grazie!» Allargò le braccia, sopraffatta dall'emozione, e si accasciò piangendo su una sedia. Jim aprì una bottiglia di birra, e ne versò per entrambi; Frederick bevve avidamente. «Come diamine hai fatto?» esclamò lei. «È meraviglioso... ero convinta di aver perso tutto». «Ho scritto una lettera sulla carta intestata della ditta - non la nostra, la Turner & Luckett - con cui si autorizzava il trasferimento di certi incartamenti al n. 47 di Hyde Park Gate. Tutto qua».
La Turner & Luckett non esisteva. Frederick aveva fatto stampare un assortimento di carta da lettera con quel nome, che si era rivelato provvidenziale in diverse occasioni. Sally annuì, cominciando a sorridere. «Immaginavo che fossero a Baltic House» continuò lui. «Certo non erano alla polizia; gli uomini di Bellman saranno anche stati in uniforme per impressionare il ragioniere, o, chissà, magari erano poliziotti veri. Con gli agganci che ha, è anche possibile ma, sicuramente, lui è l'unico cui interessano. Così, abbiamo aspettato che uscisse, e siamo entrati. Sapevo che non avrebbero fatto storie, vedendoli portare a casa del padrone». «E mica è la prima volta, sai» intervenne Jim. «È incredibile, eh, Fred? Un pezzo di carta in mano, e si spalancano le porte». «Oh, se avessi perso i miei fascicoli...» Sally rabbrividì al solo pensiero. Senza pratiche, non avrebbe potuto seguire gli investimenti dei clienti... e se la Borsa si fosse mossa nella direzione sbagliata, sarebbe stata la rovina. Aveva fatto qualche bel colpo, ma altre volte se l'era cavata per il rotto della cuffia; avere tutte le informazioni a portata di mano era indispensabile, per poter agire in fretta. Brr... che rischio aveva corso! «Fred, me li porteresti da Mr Temple, per favore? Qui non c'è abbastanza spazio, e ora che sanno dove abito, neanche a casa mia sono al sicuro». «Adesso faccio il bagno» ribatté lui, «pranzo, e poi te li porto anche a casa del diavolo. E intanto, vi racconto cosa ho scoperto su al Nord. Una cosa è certa, però, Jim: dobbiamo scovare Mackinnon». Sally era cambiata, pensò, mentre si faceva la barba. La morte di Chaka non l'aveva soltanto scossa: l'aveva mutata in profondità. C'era un'espressione nuova in lei, adesso... negli occhi, o nella bocca, non sapeva bene, ma ne era commosso fino alle lacrime. Quando era arrivata, gli occhi cerchiati, pallida come un cencio... non l'aveva mai vista così spaventata e indifesa, così bisognosa del suo aiuto. E quell'abbraccio impetuoso... Cominciava una nuova era. Durante il pranzo, riferì di Henry Waterman e del cannone a vapore, e Sally li informò di quel che aveva scoperto all'Archivio Brevetti. Webster arrivò dallo studio, e, sentito l'argomento della conversazione, rimase ad ascoltare. «Cos'è successo, allora, secondo voi?» chiese. «Bellman e Nordenfels vanno in Russia» cominciò Sally. «Nordenfels progetta il cannone e lo brevetta; lì, però, non lo si può realizzare, perché mancano sia le industrie che le tecniche di produzione. Ci vuole un paese con una lunga tradizione nella costruzione di locomotive».
«Poi, hanno uno scontro» continuò Frederick. «Litigano per qualche ragione: quale, non ha molta importanza. Bellman uccide Nordenfels, ruba i disegni del cannone e viene in Inghilterra, inventandosi un ingegnere di nome Hopkinson». «E brevettando l'invenzione a suo nome» aggiunse Sally. «Inoltre, deve avere in mano soldi russi». «Perché?» domandò Webster. «Perché, perse le fabbriche di fiammiferi, rimane in camicia; ma quando arriva qui, nel '73, ha denaro a palate. Mi sbaglierò, ma c'è lo zampino del governo russo, che vuole far produrre il cannone, e lo finanzia. Tutte le altre attività, le compagnie di navigazione, l'acquisto e la liquidazione di società, sono secondarie; ciò che conta, è il cannone a vapore... L'unico problema è che non so proprio a chi potrebbe interessare, un'arma del genere». «Be', qualsiasi generale farebbe a botte per averla» commentò Webster. Lei scosse la testa, e Frederick sorrise. «Innanzitutto, si può usare solo in presenza di una linea ferroviaria» spiegò Sally. «E il nemico non aspetta certo che i tuoi operai ne costruiscano una al posto giusto. E poi, spara solo lateralmente, no?» «Così mi pare di aver capito» rispose Frederick. «E quindi, la linea dovrebbe passare in mezzo alle fila nemiche, o corrervi parallela, anche se, in tal caso, metà dei proiettili finirebbe contro le tue stesse truppe». «Capisco» osservò Webster. «Ma è ridicolo...» «Solo se lo si usa come arma da combattimento. Ma forse il suo scopo è un altro». «Ma, se non a combattere battaglie, a cosa diavolo serve, allora?» obiettò Frederick. «Be'...» riprese Sally, «immagina di essere a capo di un paese, e di diffidare del tuo popolo. Temi che scoppi una rivoluzione. Se hai linee ferroviarie che arrivano fino alle città e ai porti principali, e un numero adeguato di questi cannoni, non corri alcun rischio. È l'arma ideale, per prevenire insurrezioni. Non è fatta per sparare contro i nemici, ma contro la popolazione; è veramente diabolica». Per un po', nessuno aprì bocca. «Credo che tu abbia fatto centro, Sal» disse infine Jim. «Ma senti... ci vieni o no a stare da noi? Intanto, sanno che sei viva; e poi, appena si accorgono che ci siamo ripresi le tue carte, quelli danno i numeri. Lo farei anch'io, al posto loro. E la tua amica, Miss Meredith... fa' venire pure lei; c'è spazio per tutti, qui».
«Sì» mormorò lei, evitando lo sguardo di Frederick. «Penso anch'io che sia meglio». «Cos'è che dicevi di Mackinnon, Fred?» chiese Jim. «Hai scoperto perché Bellman gli dà la caccia, alla fin fine?» Lui raccontò la storia. Man mano che il racconto si dipanava, Jim arrossiva sempre più; finché si girò dall'altra parte, tracciando complicati arabeschi con l'unghia sul legno lucido del tavolo. «Ed ecco spiegato il mistero» concluse Frederick. «La legge scozzese consente di sposarsi a sedici anni, anche senza l'assenso dei genitori. Avrei dovuto scoprirlo prima di arrivare a Netherbrigg; c'è Gretna Green, appena oltre il confine. Credo che Nellie Budd li abbia aiutati per una specie di solidarietà romantica; non è possibile che fosse innamorata di lui: Jessie l'avrà detto per gelosia. Ma che fine farà Wytham, adesso? E che fine farà la ragazza, per l'amor del cielo? Bellman lo saprà sicuramente, visto che Windlesham ha parlato tempo fa con Mrs Geary. Ovviamente, Mackinnon è in pericolo, ma...» «È in pericolo finché nessuno sa del matrimonio» fece notare Webster. «Ma se la cosa diventasse di dominio pubblico, sarebbe in una botte di ferro: nemmeno Bellman oserebbe più farlo fuori. A proposito, pensi che il padre di lei sia al corrente?» «Mrs Geary dice di sì. A quanto pare, è andato là per comprare il suo silenzio, e lei gli ha dato una strigliata. Mi piace, quella donna. Asciutta come un osso, ma non priva di umorismo. E assolutamente corretta, poi; ha una regola d'oro: la verità, sempre, ma mai una parola in più o in meno di quel che le chiedono». «E così, Wytham sapeva tutto, e intanto annunciava il fidanzamento sul Times e faceva fare le foto» esclamò Webster. «È in un bel guaio, eh?» Sally non rispose. Pensava a Isabel. Jim balzò in piedi. «Vado a prendere una boccata d'aria» borbottò, e uscì. «Ma che ha?» domandò Webster. Frederick gemette. «È innamorato. E io me n'ero completamente dimenticato. Allora, Sally... Io porto la tua roba da Mr Temple, intanto che tu vai a Islington a prendere Miss Meredith e quel che ti serve. Dopo di che, recupero Jim, e vediamo di trovare Mackinnon». HYDE PARK
Era un pomeriggio asciutto e mite, con un sottile velo di nubi squarciato da sporadici sprazzi di sole. Jim, le mani in tasca strette a pugno e un fiero cipiglio sul volto, puntava risoluto verso Hyde Park, e fortunato fu Alistair Mackinnon a non trovarsi in quel momento sul suo cammino. Quando giunse alla meta, però, si era già calmato. Arrivato alla strada panoramica, si sedette sul prato, sotto un albero, giocherellando con le foglie secche e osservando il viavai delle carrozze. In realtà, era il periodo sbagliato per venire in carrozza; la stagione ideale era l'estate, quando il viale era così affollato che il traffico si muoveva a stento, ma poco contava, perché l'importante era sfoggiare servitori, victorie e landau, sauri e bai, farsi salutare da Lady Qua, snobbare Miss Là. D'inverno, l'intreccio dei rapporti sociali si spostava al chiuso, e il viale diventava monopolio dei pochi che volevano respirare un po' d'aria fresca e portar fuori i cavalli. Jim, però, era venuto per Lady Mary. Dal giorno incantato in cui l'aveva incontrata nel giardino d'inverno, ne era attratto, inesorabilmente, come l'ago della bussola è attratto dal nord. Si aggirava intorno a Cavendish Square, la guardava entrare e uscire, la spiava dalla finestra del salotto... Ammetteva di esserne infatuato. Ragazze, ne conosceva a decine, cameriere, domestiche e ballerine, timide e audaci, ritrose e provocanti; con loro parlava e flirtava, le portava al fiume o a teatro. Non aveva mai avuto problemi a richiamarne l'attenzione; non era un adone, ma andava maturando una sorta di bellezza rude, fatta anche di baldanza e di spirito. E con loro era disinvolto, ne amava la compagnia e i baci; frettolosi sui portoni, più lunghi dietro le quinte, oppure nei recessi ombrosi del Cremorne, prima che lo chiudessero. Ma questa, era tutt'altra cosa. E non per via dell'abisso sociale che li divideva; non per via del fatto che lei era figlia di un conte, e lui di una lavandaia: anche se avesse potuto frequentarla da pari a pari, l'avrebbe trattata diversamente dalle altre, perché lei era unica. Ogni più piccolo gesto, ogni ricciolo della chioma folta, ogni sfumatura della carnagione luminosa, il soffio dell'alito profumato contro il suo viso, quel sussurro così vicino, gli erano infinitamente preziosi. Ma che diamine poteva fare, lui? Nulla, proprio nulla. Solo osservare. Così, aveva scoperto che il pomeriggio usciva; diretta al parco, supponeva. Era la meta più ovvia. E aveva ragione: alzando gli occhi dalla foglia che stava strappando, al rumore di una carrozza in arrivo,
incontrò il volto di lei. Passava a bordo di una victoria, piccola ma elegante. Il cocchiere in cilindro guardava dritto davanti a sé, manovrando la frusta con imperiosa abilità; lei, appoggiata al sedile, fissava il vuoto con aria assente. Vedendolo, tuttavia, si rianimò, allungò una mano e fece per parlare; ma la carrozza sfrecciò oltre, e lei sparì dietro il mantice. Jim schizzò in piedi, correndole dietro senza speranza; ma, all'improvviso, vide il cocchiere inclinare il capo all'indietro, come per udire meglio, e la victoria rallentare, a trenta metri di distanza. Chiuse gli occhi. Lo scalpiccio degli zoccoli cessò; la voce di lei mormorò qualche parola, e la carrozza ripartì. Lo aspettava sotto gli alberi. Aveva un cappotto e un manicotto di astrakan; un cappello ornato di un nastro verde scuro le troneggiava sul capo. Era perfetta. Senza sapere né come né perché, le andò incontro, tendendole le mani; lei, d'impulso, lo imitò, finché, come emergendo dalle nebbie di un sogno, entrambi ritornarono bruscamente alla realtà, divisi da un imbarazzato silenzio. Jim si tolse il cappello. Era così che ci si comportava con le signore. «Ho detto che volevo fare una passeggiata» cominciò Lady Mary, nervosa quanto lui. «Bella carrozza» osservò Jim. Lei annuì. «Ha una ferita alla bocca». Distolse lo sguardo, arrossendo improvvisamente. Come per un tacito accordo, presero a camminare lentamente sotto gli alberi. «Esce sempre da sola?» le domandò lui. «Vuol dire senza dama di compagnia? Avevo una governante, una volta, ma è stata licenziata. Mio padre non ha molti soldi. O non ne aveva. Oh, non so cosa fare...» Sembrava una bambina, timida, combattuta fra diffidenza e fiducia, e anche la sua straordinaria bellezza aveva qualcosa di incompiuto: come se non la sentisse sua, come se fosse appena venuta al mondo. «Quanti anni ha?» «Diciassette». «Ascolti...» disse Jim dolcemente, «sappiamo di Mackinnon». Lei si fermò, e chiuse gli occhi. «Lui lo sa?» sussurrò.
«Bellman? Sì. Lo vuol prendere. L'altra sera c'è quasi riuscito... è per quello che ho perso il dente. Non avrà davvero sperato di tenerlo nascosto, dopo tutto. Suo padre è al corrente, non è vero?» Lady Mary annuì. Proseguirono lentamente. «Che posso fare?» esclamò lei. «Mi sento in trappola. Come un condannato a... a morte, quasi. E non posso fuggire... È un incubo...» «Mi dica di Mackinnon...» «L'ho conosciuto in occasione di uno spettacolo di beneficenza che ha tenuto in casa nostra... quella vicino a Netherbrigg. Ci siamo dati appuntamento e... be', me ne sono innamorata. È stato tutto così improvviso... Dovevamo sposarci e andare in America. Una certa Mrs Budd ci ha aiutati, ha pensato all'avvocato e a tutto il resto; ma quando si è trattato di partire, Alistair non riusciva a decidersi... io non potevo toccare i miei soldi... non avevamo niente. Mio padre ha cercato di far annullare il matrimonio; ma non c'è riuscito perché avevamo... avevamo passato la notte insieme alla pensione, per cui era del tutto valido. E lo è ancora, credo. Solo che adesso...» La voce le si incrinò, e cominciò a piangere sommessamente. Lui, vinto da un impulso irresistibile, l'abbracciò, premendole dolcemente il viso contro la spalla. Così minuta... i capelli così soffici, tiepidi, vaporosi... era un momento irreale, di fiaba. Come in sogno, la baciò. Null'altro. Il momento passò, lei si scostò leggermente. Erano di nuovo divisi. «Ma suo padre» cominciò Jim esitante. «Se sa tutto...» «È per i soldi» ribatté lei. «Mr Bellman gliene darà un mucchio, quando ci sposeremo. Non sa che l'ho capito, ma è ovvio; è talmente indebitato che non ha osato rifiutare. Anche lui cerca Alistair, adesso. E se non lo trovano in fretta...» La voce le si alterò di nuovo. Vibrava d'angoscia. Lui fece per cingerla con il braccio, ma lei si divincolò dolcemente, scuotendo la testa. «Se sposo Mr Bellman, commetterò un reato» continuò. «Bigamia, o come si chiama. E se non lo faccio, mio padre andrà in prigione. Non posso parlarne con nessuno. E se trovano Alistair, d'altronde, gli faranno qualcosa di orribile, ne sono certa...» Ripresero a camminare. Lontano, un uccello cantava. La luce chiara dell'inverno, battendole sul viso, sottolineava la rosea luminosità delle gote, la delicatezza degli zigomi e delle tempie. Jim si sentiva debole, stordito, come reduce da una grave malattia; sapeva che quell'attimo stava per
finire: presto la victoria, terminato il giro, li avrebbe raggiunti. «Qui è come nel giardino d'inverno» notò lei. «Si è isolati dal resto del mondo. Siamo in due, e mi sembra di esser sola. Vorrei che ci fossero ancora i vecchi parchi dei divertimenti, come Vauxhall, o Cremorne; potrei andarci travestita, a guardare le luci fra gli alberi, i fuochi d'artificio, i balletti...» «Cremorne non le sarebbe piaciuto. Alla fine, prima che lo chiudessero, era sporco e dozzinale; era bello solo di notte, quando il luridume non si vedeva. A lei non piace fare, vero? Solo guardare. Non è così?» Lady Mary annuì. «Sì. Ha perfettamente ragione. Non credo di aver mai combinato nulla di buono». Era una semplice constatazione, non un tentativo di autocommiserazione. «Ha fermato la carrozza, però». «Sì. E ne sono contenta. Non so cosa dirà il cocchiere. Probabilmente, lo riferirà a mio padre... anzi, lo farà sicuramente. Be'... inventerò che avevo voglia di una passeggiata». Dopo qualche tempo, osservò: «Per lei è diverso, no? Lei fa l'investigatore... e il fotografo». «Non proprio il fotografo. Io... io scrivo drammi per il teatro». «Davvero?» «Sì. Un sacco. Ma nessuno è stato ancora rappresentato». «E farà fortuna?» «Per forza». «E diventerà famoso? Come Shakespeare?» «Naturale». «Di cosa parlano?» «Di assassinii. Come quelli di Shakespeare». 'Finti, però' pensò fra sé. Non aveva mai scritto di una persona vera, uccisa per davvero, e dello shock raggelante che si prova in simili occasioni; sarebbe stato troppo orrendo, di gran lunga peggio dei vampiri. Vagabondarono ancora un po'. Non si era mai sentito tanto felice, e tanto inquieto insieme. «Sa...» aggiunse. «Lei è... bellissima. Meravigliosa. Io... non trovo le parole... ma non ho mai visto nessuno così. Mai. Da nessuna parte. Lei è la ragazza più... perfetta che...» Con sua grande sorpresa, gli occhi le si riempirono improvvisamente di lacrime.
«Come vorrei...» balbettò, tirando su col naso. «Come vorrei che ci fosse qualcos'altro da dire. Nascondermi dietro una maschera. Non si parla mai d'altro che della mia bellezza». Pronunciò la parola come se si trattasse di qualcosa di disgustoso. «Lei è l'esatto contrario di una persona che ho conosciuto l'altro giorno» ribatté Jim. «Be'... non è brutta, ma ha una voglia che le copre metà del viso, e non tollera che nessuno la veda. È innamorata di...» 'di suo marito' pensò, «di uno, e sa che lui non potrà mai amarla, ma è tutto ciò che ha». «Oh, poveretta. Come si chiama?» «Isabel. Ma, ascolti, dobbiamo fermare Bellman. Lo sa che cos'ha in mente? Lo sa che cosa costruiscono, nelle sue fabbriche di Barrow? Non può sposare un mostro del genere. Qualunque avvocato appena decente riuscirebbe a dimostrare che è stata costretta. Non l'incolperanno di bigamia, stia tranquilla. La cosa migliore in assoluto sarebbe rivelare tutto, strombazzarlo ai quattro venti. Al diavolo i debiti di suo padre; si è ficcato nei pasticci, e adesso per tirarsene fuori le fa subire quest'inferno. Ma finché il matrimonio non sarà di dominio pubblico, nessuno sarà al sicuro, e Mackinnon meno di tutti». «Io non lo tradirò». «Cosa?» «Non dirò loro dove sta. Oh...» Guardava oltre la sua spalla. La disperazione offuscò i bei lineamenti, come una nube che getti la sua ombra su un giardino pieno di sole. Jim si volse: la victoria era di ritorno. Il cocchiere non li aveva ancora visti. «Vuol dire che sa dov'è?» le chiese concitato. «Mackinnon, intendo». «Sì, ma...» «Me lo dica! Presto, prima che arrivi la carrozza! Dobbiamo saperlo, non lo capisce?» Lei si morse il labbro, e annuì nervosamente. «Hampstead» rispose. «Al 15 di Kenton Gardens. Sotto... sotto il nome di Stone. Mr Stone». Jim si portò la mano di lei alla bocca, e la baciò. Stava finendo tutto così in fretta... «Può tornare?» Lei scosse la testa, impotente. «Mi scriva, allora» replicò lui, cercandosi freneticamente in tasca uno dei biglietti di Fred. «Jim Taylor. A quest'indirizzo. Me lo prometta». «Promesso». Con un'occhiata sconsolata, gli afferrò la mano, e continuò
a stringerla, scostandosi a poco a poco; finché anche l'ultimo contatto sfumò, e lei uscì dal boschetto. Lui rimase immobile, quando il cocchiere fermò la piccola carrozza; la vide gettare un timido, rapido, sguardo all'indietro, e poi più nulla: gli occhi non gli obbedivano più. Se li asciugò rabbiosamente con il dorso della mano, mentre la victoria si allontanava, scomparendo nel traffico di Hyde Park Corner. Isabel aveva ascoltato senza fiatare la notizia del matrimonio di Mackinnon, limitandosi ad annuire e a seguire Sally in silenzio quando si era trattato di montare in vettura. Sedutasi accanto a lei, si coprì il viso con il velo. «Come va la ferita?» le domandò l'amica, appena furono uscite dalla piazza. «Ti fa molto male?» «Non la sento neanche» rispose. «Non è niente». 'In confronto a quel che mi hai appena detto' intendeva, Sally lo sapeva bene. Si stringeva al seno la scatoletta di latta come se neanche la morte avesse potuto strappargliela. Gettato in fretta e furia qualche vestito in una grossa sacca da viaggio, erano partite subito per Burton Street; ci sarebbe stato molto da fare per sistemare le stanze, e Sally non vedeva l'ora di metterla all'opera, per distrarla dal pensiero di Mackinnon. All'arrivo, trovarono il cortile immerso nella confusione, fra i vetrai che, terminato il lavoro, stavano lasciando lo studio, e i decoratori che portavano dentro il materiale per iniziare tempestivamente il lunedì mattina. Le due squadre di operai passavano avanti e indietro, intralciandosi a vicenda, e Webster cominciava a perdere la pazienza. Sally mostrò a Isabel la sua camera: una stanzetta accogliente all'ultimo piano, con un abbaino affacciato sulla strada. Sempre stringendo la scatola, la ragazza si sedette sul letto, e disse: «Sally?» «Che c'è?» rispose l'altra, mettendosi accanto a lei. «Non posso star qui. No... senti... devi lasciarmi andar via. Io porto sfortuna...» Sally rise, ma Isabel scosse la testa con veemenza, afferrandola per un braccio. «No! Non ridere! Guarda cos'ho combinato... alla mia padrona di casa, a te... al tuo cane... è colpa mia, Sally, te lo assicuro! Sono una iettatrice. Sono nata sotto una cattiva stella. Devo andarmene, stare per conto mio. Troverò un posticino in campagna... lavorerò la terra... ma non posso rimanere con te e i tuoi amici. Vi porterei solo disgrazia...» «Non dire assurdità. Senti... minimo minimo, sei una benedizione per il
negozio: giù da basso hanno un disperato bisogno di un impiegato; lo so che non è la tua specialità, ma se potessi aiutarci per un po', faresti la nostra fortuna, altro che. Davvero, Isabel, non mi sto inventando qualcosa per pietà; il lavoro va fatto. Lo so che sapere del matrimonio di Mr Mackinnon ti ha addolorato; ma passerà, e intanto ci puoi dare una mano». E Isabel s'arrese; non avrebbe comunque avuto la forza di opporsi. Si fece mostrare ciò che doveva fare, e si mise all'opera, pallida e muta come un prigioniero in gabbia. Sally era preoccupata; ma non poté parlarne con Frederick, come avrebbe voluto, perché appena questi ritornò dall'ufficio di Mr Temple, arrivò Jim con la sua grande notizia. «Ho trovato Mackinnon» annunciò. «È ad Hampstead. Andiamo a prenderlo, Fred. Portati dietro il bastone...» Il numero 15 di Kenton Gardens era una graziosa villetta in un viale alberato. Aprì la porta una donna di mezz'età, presumibilmente la padrona di casa, che parve sorpresa di vederli. «Non saprei...» disse. «Sì, Mr Stone c'è, ma gli altri signori non vogliono essere disturbati...» «Gli altri signori?» domandò Frederick. «Due. Sono arrivati un quarto d'ora fa. Forse è meglio che vada a chiedere...» «Si tratta di una cosa molto urgente. Se potessimo vedere Mr Stone, e spiegare di persona...» «Be'...» Li fece entrare, accompagnandoli al salottino del primo piano; la lasciarono scendere, prima di avvicinarsi quatti quatti alla porta, le orecchie tese. Dall'interno, venne una voce; la voce nasale di chi fa fatica a respirare. «Ah, ma noi non ci fidiamo mica, di una canaglietta come te» diceva. «Mi sa che dovremo spaccarti un dito...» Frederick si accostò all'uscio. «Provateci, e mi metterò a urlare. Arriverà la polizia, vi avverto...» ribatté pronto Mackinnon. «Oh, sei tu che ci avverti, adesso? Interessante. Ero convinto che fossimo noi ad avvertire te. Riguardo alle urla, però, non hai tutti i torti; sei proprio tipo da fare una cosa del genere. Ma noi, per farti star buono, ti ficcheremo questa salvietta nella strozza. Buona idea, no? Forza, Sackville, spingi bene in fondo...»
I due ragazzi si guardarono, gli occhi sfavillanti. Sullo sfondo del tramestio e dei mugolii che giungevano dalla stanza, Frederick osservò: «Sackville e Harris! È il nostro giorno fortunato, Jim. Ce l'hai il tirapugni?» Jim annuì giulivo. Aspettava da tempo questo momento. «Andiamo» disse. Frederick girò silenziosamente la maniglia, ed entrarono. Mackinnon stava su una sedia di giunco, le mani legate alla spalliera, la bocca imbottita con una salvietta, gli occhi fuori dalle orbite. Chinato su di lui, c'era Sackville, con un'espressione perplessa sul volto sfregiato. Harris, il cui viso sembrava calpestato da un cavallo, spalancò la bocca e inghiottì, facendo un passo indietro. Frederick chiuse la porta. «Ma che ingordi!» esclamò. «Non ne avete prese abbastanza? Eppure, guarda un po' quel naso! Pensavo che aveste imparato la lezione! E lei, Mackinnon» continuò, «non si muova di lì. Vorrei scambiare due paroline sul mio orologio». D'un tratto, Harris avanzò d'un passo, brandendo un manganello di gomma. Frederick si scostò, bastonandolo sul polso, e Jim gli saltò addosso come una tigre, tempestandolo di colpi: tirapugni, ginocchia, testa, piedi, gomiti... tutto faceva brodo. Sackville spinse da parte la sedia del mago, che andò a sbattere contro il lavabo con un grido soffocato, per poi ritrovarsi faccia al muro, sempre legato e imbavagliato; il pugile prese un'altra seggiola, roteandola contro Frederick, ma questi gli conficcò il bastone nelle costole, facendogli perdere l'equilibrio. Cominciarono a picchiarsi sul serio, a mani nude. Sackville era grande e grosso, ma lui era agile e in forma; e aveva il vantaggio che, non essendo un boxeur, non esitava a usare i piedi o a sferrare colpi bassi. Quanto a Jim... be', lui era del parere che tutto è lecito, in una lotta, perché quel che non fai tu, lo fa sicuramente il tuo avversario, per cui tanto vale prevenirlo; identificato nel naso di Harris il bersaglio più adatto, glielo ammaccò con la testa a mo' di ariete, prima che quello riuscisse a liberare le gambe e ad assestargli una pedata nelle costole. La camera non era grande; il letto, la toeletta, il lavabo, il cassettone, le due sedie e l'armadio occupavano gran parte della superficie. Ben presto, la maggior parte dei mobili finì frantumata sul pavimento, fracassata contro i muri, o fatta a pezzi da spalle, braccia, teste, schiene. Mackinnon, che era riuscito a tirarsi fuori la salvietta dalla bocca, ma era ancora legato alla sedia, squittiva e si dimenava inorridito; quando Sa-
ckville gli cadde addosso, dandogli un calcio alla gamba, strillò; ma ammutolì di colpo, vedendo Jim accasciarsi, travolto da una botta di Harris, e cercare affannosamente di defilarsi per evitare il resto. Frederick era crollato a terra, sopraffatto da un pugno di Sackville; ma mentre si rialzava, stordito, si era trovato a portata di mano la gamba di una sedia: gliel'aveva appena abbattuta sulla testa, facendolo stramazzare, quando sentì calare sulla stanza un silenzio innaturale. Scosse il capo, voltandosi. Jim stava in piedi a gambe larghe, all'erta, la mano sulla guancia; il sangue gli zampillava fra le dita. Di fronte a lui c'era Harris... con in mano un coltello. «Tienilo d'occhio, Fred» gli disse calmo l'amico. Harris spinse da parte con una pedata i resti dell'armadio, per farsi spazio, e si slanciò in avanti, mirando allo stomaco. Frederick cercò di saltargli addosso, ma per rifilare un calcio a Sackville, che gli teneva immobilizzata una gamba, cadde, perdendo di vista Jim. Sferrò un cazzotto al pugile, si girò disperato... e quale non fu la sua sorpresa nel vedere Mackinnon, liberatosi dai lacci, alzare il braccio per afferrare la mano con cui Harris impugnava il coltello. Questi si divincolò ringhiando, e il mago gridò, ma Jim colse la palla al balzo e, mentre Harris si volgeva indietro, gli assestò un pugno in pieno viso. Era il colpo più forte che avesse mai mollato in vita sua. L'uomo si afflosciò come un sacco di patate. «Ottimo lavoro, amico» fece Jim a Mackinnon, e trasalì, sentendo il sangue sgorgargli dalla guancia. Harris aveva puntato agli occhi, sbagliando di un centimetro. «Lègali prima che rinvengano» suggerì Fred. «Mackinnon» aggiunse poi rivolto al mago, «ha denaro con sé? Dia un deca alla padrona, per i mobili, e ci aiuti a portare da basso questi scimmioni». E mentre Mackinnon si precipitava giù dalla donna terrorizzata, i ragazzi usarono bretelle, cinture e lacci delle scarpe di Harris e Sackville per farli su come salami. Non fu facile, perché, anche se quelli erano troppo istupiditi per ribellarsi, Frederick era stordito dai colpi presi in testa, e Jim aveva le mani gonfie. Ma finalmente, riuscirono a trascinarli giù e a infilarli nella carrozza; Fred si fece prestare un pezzo di corda dal cocchiere, stringendoli anche con quello per maggior sicurezza. L'uomo osservò interessato. «Dove si va, capo?» gli chiese. «A Smithfield?»
Smithfield era il più grosso mercato delle carni di Londra. Fred rise, con le costole che gli dolevano. «Al commissariato di Streatham» ribatté. «Ispettore Conway». Prese un biglietto da visita, ci scribacchiò sopra: 'Mrs Nellie Budd: a saldo' e l'appuntò sulla giacca di Sackville, prima di chiudere la portiera. Jim guardò allontanarsi la vettura, soddisfatto. «Se quel bastardo vuole usare ancora il naso» commentò, «dovrà tirarselo fuori con le pinze». «Ha rimborsato la padrona per la nostra festicciola?» domandò Frederick a Mackinnon. «Si prepari una borsa. Viene a stare da noi per il weekend; e niente 'ma'. Oh... e non si dimentichi l'orologio». L'ASSEDIO Erano ormai le tre e mezzo, quando arrivarono in Burton Street. Sally chiamò un medico per il taglio sulla guancia di Jim, nella cui stanza sistemò una brandina per il mago, fece sedere Frederick con un bicchiere di brandy in mano, e andò in negozio ad annunciare a Isabel che Mackinnon era lì. Lei impallidì, annuì e si rimise al lavoro. Le cure del dottore nulla poterono per l'umore di Jim, il quale, non appena la ferita fu medicata, si diresse rabbioso verso il nuovo studio per gratificare i pittori, che pensava di conoscere già, di epiteti poco edificanti. Mackinnon si accomodò, terreo, in cucina, mentre Frederick frugava nella scatola dei biscotti. «Le hanno fatto male?» gli chiese. «Solo qualche graffio, grazie. Nulla di grave». «Ha fatto bene ad afferrargli il polso a quel modo; altrimenti, avrebbe accoltellato Jim...» La porta sul retro si aprì, e ritornò il suddetto, non meno imbronciato di quando era uscito. Prese un biscotto, spaparanzandosi sul divano. «I pittori sono cambiati» riferì. «Questi qua pensano solo a lavorare; non gli si cava una parola di bocca. Vi ricordate quegli altri, quando abbiamo fatto tinteggiare il negozio? Un giorno hanno mandato Herbert a farsi prestare un cacciavite per mancini, e quando non l'ha trovato gli han detto: 'Oh, quanto ci dispiace, ma ci serve assolutamente un sacchetto di forellini' dandogli due penny per comprarli giù da Murphy. Povero tontolone. Be', e adesso che facciamo?» «Chiudiamo il negozio» replicò Sally, entrando nella stanza. «Ho detto a
Mr Blaine e agli altri di staccare presto. E ci beviamo una tazza di tè. Immaginavo che Jim avrebbe finito i biscotti, e ho fatto rifornimento di focaccine; spero che le piacciano, Mr Mackinnon. Sono ancora lì i pittori?» Molto più tardi, quella sera (dopo che tutti erano andati a letto, Isabel infilandosi dritta nella sua stanza per evitare Mackinnon, Jim stanco e dolorante, e Webster e il mago senza particolari problemi), Frederick e Sally si ritrovarono soli in cucina. Lei era accoccolata in un angolo del vecchio divano, lui mollemente adagiato sulla poltrona, dall'altro lato del caminetto, con i piedi sul secchio del carbone. La lampada a petrolio sul tavolo illuminava di un chiarore morbido la tovaglia a quadretti, le carte usate dal mago per i suoi giochi, il whisky dorato nella boccia, e i biondi capelli di Sally. Frederick si chinò per posare il bicchiere sul pavimento. «Ci crederesti, che si è dato da fare anche lui?» le disse. «Mackinnon, intendo. Ha afferrato il coltello con cui Harris stava per infilzare Jim. E adesso, Lockhart, vediamo un po' che strada prendere. Prima di tutto, credo che dovremmo dare il matrimonio in pasto alla stampa». «Hai ragione» ribatté lei. «Domani mattina andremo alla Pall Mall Gazette. Dopo di che... be', chiederò consiglio a Mr Temple per la storia dei brevetti. Bellman è accerchiato, ma non proprio incastrato, temo. Le pagine strappate... quella è una prova indiziaria, non incriminante. Dobbiamo scoprire...» «Dobbiamo scoprire fin dove arriva la sua influenza. I poliziotti che ti hanno svaligiato l'ufficio erano agenti veri? Perché se è così, significa che ha forti agganci; e in tal caso, ovviamente, dovremo procedere con i piedi di piombo. Essere tempisti». «Aspettare il momento giusto... Chi erano i funzionari che Lord Wytham corteggiava al ministero degli Esteri?» «Oh, be', è presto detto. Girano un sacco di chiacchiere, al palazzo del Governo. Lunedì faccio un salto a vedere cosa bolle in pentola». «Sai...» riprese Sally dopo qualche attimo. «Non so ancora come farò a recuperare i soldi della mia cliente. A meno che non ci sia una ricompensa... Anzi, ora che ci penso, c'è: per informazioni sulla sparizione della Ingrid Linde; l'unica cosa su cui non abbiamo indagato...» Si sporse in avanti per attizzare il fuoco. Dalla griglia si staccò una nuvola di cenere, e una piccola raffica di scintille si levò scoppiettando verso l'alto.
«Fred?» azzardò. «Eh?» «Vorrei chiederti scusa per l'altra sera. Mi sono comportata in modo odioso, e da allora mi sento così infelice; perché, in realtà, lavorare con te mi piace moltissimo, e, insieme, noi due siamo irresistibili. Se vuoi ancora...» Si interruppe, sopraffatta dall'emozione. Frederick si mise diritto e allungò la mano, per volgerle il viso contro il suo. E poi, all'improvviso, suonò il campanello del negozio. Il ragazzo imprecò, abbandonandosi sulla poltrona. «Chi diavolo può essere?» borbottò. Si guardarono in faccia. L'orologio segnava le dieci e mezzo. «Vado io» aggiunse, alzandosi. «Torno subito». «Stai attento, Fred» gli raccomandò lei. Attraversò il negozio buio, aprendo la porta d'ingresso, e si trovò davanti una figura minuta in bombetta e soprabito, che batteva leggermente le palpebre sotto la pioggerellina leggera. «Mr Garland, suppongo?» Era l'uomo seduto nel palco, quella sera a teatro... il segretario di Bellman. Di fronte a tanto ardire, Frederick scoppiò a ridere. «Buonasera» replicò. «Mr Windlesham, vero? Ma entri, la prego». Si scostò per farlo passare, prendendogli intanto cappotto e cappello. «Sally» disse, entrando in cucina, «credo che tu conosca il nostro ospite». Lei sobbalzò, sbattendo gli occhi dalla sorpresa. «Scusate l'ora tarda» esordì l'ometto. «Noi due, Miss Lockhart, ci siamo già incontrati in circostanze alquanto spiacevoli. Stasera sono venuto nella speranza che lei e Mr Garland mi facciate l'onore di ascoltare una proposta che vorrei sottoporre alla vostra attenzione». Sally spostava lo sguardo dall'uno all'altro, sbigottita. «Vorrei precisare che parlo a titolo strettamente personale» continuò. «Mr Bellman non sa che sono qui». I due uomini erano rimasti in piedi. Nel silenzio che seguì all'ultima affermazione, Fred scostò una sedia dal tavolo, invitandolo ad accomodarsi. Sally si alzò dal divano per raggiungerli, intensificando la luce e riponendo le carte da gioco. «Comprendo perfettamente la vostra esitazione» osservò Windlesham. «Posso esporre subito il motivo della mia visita?» «Ma certo» rispose Frederick. «Parliamoci chiaro, però. Lei non lavora
per Bellman?» «Tecnicamente parlando, sono ancora alle sue dipendenze. Ritengo tuttavia che arrecherei il maggior vantaggio al maggior numero di persone mutando, per così dire, bandiera. Non posso approvare l'obiettivo che Mr Bellman persegue tramite la Stella del Nord; per quanto mi sforzi, proprio non ci riesco, Miss Lockhart. A mio parere, il Regolatore Automatico di Hopkinson è un'arma spaventosa, la cui diffusione andrebbe impedita con ogni mezzo. Sono venuto qui perché, spinto da crescente ammirazione per l'attività sua e di Mr Garland, ho deciso di mettere a vostra disposizione le mie informazioni». Si tolse gli occhiali, appannati dal calore. «Parto dal presupposto che abbiate scoperto del Regolatore Automatico... non ho prove al riguardo, ma sarei stupito che...» «Il cannone a vapore» lo interruppe Frederick. «Sì, ne siamo a conoscenza. E sappiamo pure di Hopkinson». «Altrimenti detto Nordenfels, eh?» Mr Windlesham si rimise gli occhiali, con un sorriso largo e amabile. «Cosa vuole in cambio?» intervenne Sally, ancora stordita dalla sorpresa, e niente affatto propensa a credergli. «Voi mi servite semplicemente da... come dire... misura cautelativa. Quando, fra poco, la società di Mr Bellman fallirà, voglio che ci sia qualcuno pronto a confermare che io, invece di lavorare per lui, in un certo qual senso, lo spiavo. Speravo che voi avreste potuto offrire tale garanzia». «Perché non va alla polizia?» domandò Frederick. «I tempi non sono ancora maturi. L'influenza di Mr Bellman si estende fino alle alte sfere della polizia, per non parlare della magistratura, e qualunque tentativo del genere andrebbe a vuoto. Credetemi, so quel che dico. Ci troveremmo invischiati in una sfilza di cause per diffamazione e calunnia, che perderemmo, con l'unico risultato di avvertire i responsabili. No, alle forze dell'ordine bisognerà rivolgersi non adesso, ma quando l'organizzazione starà per crollare». «E perché dovrebbe, secondo lei?» chiese ancora il ragazzo. «Perché ha fatto il passo più lungo della gamba. Vi farò avere i particolari di prestiti, emissioni azionarie, dividendi, e così via, ma il succo è che tutti i fondi vanno a finire nel Regolatore Automatico, il quale, tuttavia, non viene prodotto sufficientemente in fretta. Ci sono carenze impreviste di materie prime, difficoltà di collaudo... come sapete, si tratta di una macchina incredibilmente complessa. Dispongo di tutte le informazioni in proposito. Secondo i miei calcoli, non più di tre settimane dividono Mr Bel-
lman dalla rovina. Certo, è possibile che tale termine slitti: un rifornimento di grafite, per esempio, arrecherebbe un momentaneo sollievo; ma la fine è tutt'altro che lontana». «Chi è il committente?» esclamò Sally. «Chi compra questi cannoni a vapore, o Regolatori Automatici che dir si voglia?» «La Russia. Lo zar prova crescente preoccupazione per il diffondersi di movimenti anarchici fra la sua gente. E con l'acquisizione dei territori siberiani - avete sentito del progetto per la nuova ferrovia? - l'arma si rivelerebbe estremamente utile. Ma la Stella del Nord è alla continua ricerca di nuovi acquirenti; la Prussia è interessata, e il Messico ha inviato un osservatore su al poligono di tiro. L'azienda, insomma, si trova in un momento cruciale, in bilico fra sopravvivenza e fallimento; se riusciamo a far pendere la bilancia dalla nostra parte...» «Ci dica della Ingrid Linde» lo esortò Sally. «Ah! La nave scomparsa! Quell'episodio appartiene a una fase della carriera di Mr Bellman in cui io non mi trovavo al suo fianco. Tuttavia, credo che fra i passeggeri vi fosse qualcuno che aveva assistito alla lite fra il mio principale e Arne Nordenfels. Senza contare che, naturalmente, il tracollo della Anglo-Baltic ha tolto ogni ostacolo all'espansione della sua attività di trasporti marittimi». «Prove scritte della sua responsabilità ce ne sono?» chiese lei. «Sarà difficile trovarne... Svolgerò le opportune ricerche; dovrò procedere con la massima discrezione, ma farò del mio meglio». «Lei ha parlato di influenza» riprese Frederick. «Fin dove arriva, a livello del Governo? E della pubblica amministrazione?» «Oh, piuttosto in alto. Il denaro di Mr Bellman è già servito a comprare una certa flessibilità nella concessione delle licenze e nell'interpretazione delle norme relative alle esportazioni di armi. Le vostre indagini, permettetemi di dirlo, sono state estremamente astute; presto avrebbero messo in imbarazzo non pochi funzionari al vertice». «E chi, di grazia?» sbottò il ragazzo. «Lei non ci ha detto niente che già non sapessimo. I nomi, Mr Windlesham, vogliamo i nomi». «Sir James Nash, Ispettore generale per l'artiglieria al ministero della Guerra; Sir William Halloway-Clark, Sottosegretario al ministero degli Esteri; il nostro ambasciatore in Russia; e diverse altre persone che rivestono cariche meno elevate». «La questione è stata discussa al Governo?» domandò Sally. «La fabbricazione e la vendita del cannone rispondono a direttive governative?»
«Oh, no. Assolutamente no. I funzionari che ho nominato agiscono in via del tutto illecita. Se venisse a galla qualcosa, scoppierebbe uno scandalo terribile». «E Lord Wytham, che combina?» disse Frederick. «Ah!» Mr Windlesham ammiccò. «Il padre della sposa! Molto romantica, l'avventura scozzese, non vi pare? E avete per caso avuto maggior fortuna dei nostri incaricati nella ricerca di quell'inafferrabile giovanotto?» «Visto che ce lo chiede, sì» rivelò il ragazzo. «È al sicuro, qui a Londra, affidato alle cure di un mio caro amico. Non si muoverà di lì... e voi non lo troverete. Che farà Lord Wytham, adesso?» «Ah, sì» replicò lui mestamente. «Si trova in una posizione delicata. Gli era stato offerto un seggio nel consiglio di amministrazione, in virtù dei suoi numerosi agganci in ambiente governativo, che avrebbero potuto rivelarsi utili; ma il... ehm... l'episodio scozzese presto diventerà di dominio pubblico. Mr Bellman è conscio del fatto che non resterà nell'ombra ancora per molto; è una delle difficoltà che gli pendono sul capo. Naturalmente, per Lord Wytham la difficoltà è ancora più grave... se non fatale». «Temo di non capire...» obiettò Frederick. «No, non importa; si risparmi le spiegazioni. Mi dica, piuttosto, è stato lei a ingaggiare Sackville e Harris e l'uomo che ieri sera ha aggredito Miss Lockhart?» «Quanto a ciò» ribatté gravemente, Mr Windlesham «mi dichiaro colpevole. Credetemi, ho compiuto quel passo con somma riluttanza, con vergogna e rammarico, e, da quel momento, sono stato divorato dalla preoccupazione e dai rimorsi. Non mi sono mai sentito tanto sollevato come stamattina, quando ho saputo che la signorina era viva. Riguardo a Mrs Budd... be', ho provveduto che il conto dell'ospedale venga saldato per intero; a titolo personale, con i miei soldi... naturalmente, non potrei addebitarlo alla società senza dar adito a sospetti». «Ma perché aggredirla?» chiese il ragazzo. «Come avvertimento per Miss Lockhart» rispose lui placido. «Se ne avessimo conosciuto meglio le qualità, avremmo adottato una diversa linea di condotta. Io ho manifestato il mio dissenso fin dall'inizio: la violenza mi ripugna; ma Mr Bellman ha deciso altrimenti». Frederick guardò Sally. Il volto di lei era impassibile. «Bene, Mr Windlesham, tutto ciò è di estremo interesse» osservò. «Grazie della visita. C'è un posteggio di vetture in fondo alla via». «Ehm... e la mia proposta? Vi renderete conto che, venendo qui, ho corso un certo rischio...»
«Sì» intervenne Sally. «È vero. Dovremo pensarci. Dove possiamo contattarla?» Lui tirò fuori un biglietto dalla tasca del panciotto. «Ecco il mio recapito. Non vi sono sempre presente, ma una lettera spedita a quest'indirizzo mi arriverà in ventiquattr'ore. Miss Lockhart, Mr Garland... posso sollecitare un'indicazione, per quanto vaga, delle vostre intenzioni? Perché, capirete, io comincio ad avere paura...» Gli occhiali brillavano nel volto infiammato. «Capisco perfettamente» tagliò corto Frederick. «Be', se succede qualcosa, faccia pure un salto qui; noi, almeno, non le spareremo. Nel frattempo, è meglio che rimanga dov'è, non trova?» «Oh, grazie, Mr Garland. Grazie, Miss Lockhart. Io ho un assoluto terrore della violenza, di qualunque tipo essa sia. Mr Bellman è un uomo aggressivo... irruente... dalle passioni incontrollate...» «Già. Qui ci sono cappotto e cappello» concluse il giovane, facendogli strada nel negozio buio. «Le scriveremo, non dubiti. Buonanotte». Chiuse la porta e ritornò in cucina. «Che ne pensi?» domandò a Sally. «Non credo neanche a una parola» rispose lei. «Bene. Neanch'io. Assoluto terrore della violenza? Ma se è il tipo più imperturbabile che abbia mai visto. Ordinare un omicidio o un piatto di pesce, per quello è lo stesso». «Hai ragione, Fred! Ora che mi ricordo... quando è venuto da me e Chaka gli ha ringhiato contro, non ha fatto neanche una piega. Mente... per forza. Chissà cosa vuole...» «Non saprei. Guadagnare tempo? Ma se è così, significa che siamo sulla buona strada, no?» Si sedette di fronte a lei, spostando la lampada per illuminarla in volto. Gli occhi castani lo fissavano, solenni. «Sì. Fred... Quando è arrivato...» «Stavo per dirti una cosa. E cioè che i miei discorsi dell'altro giorno, che non mi piacevi e che volevo troncare i rapporti... be', insomma, erano tutte sciocchezze. Non potrei mai rinunciare a te, Sally. Noi due siamo fatti l'uno per l'altra, e destinati a stare insieme, per tutta la vita. E sono felice che sia così». E lei sorrise... un sorriso così candido, limpido, gioioso, che il cuore gli balzò in petto. «Sally...» cominciò.
«Non dire niente» lo interruppe lei, alzandosi, gli occhi scintillanti. Si chinò a spegnere la lampada; per un attimo rimasero immobili, nel fioco chiarore delle fiamme, finché Sally fece un piccolo movimento involontario verso di lui, e si ritrovarono avvinghiati. I volti si cercarono nel buio, avidi e impacciati. «Sally...» ripeté Frederick. «Ssst!» sussurrò lei. «Per favore, no. C'è un perché». Così, lui la baciò, invece, e quando cercò ancora di parlare, lei gli premette la mano sulla bocca. «No, ti prego!» gli mormorò all'orecchio, in tono appassionato. «Se dici un'altra parola, io... io non... Oh, Fred, Fred...» Lo tirò per un braccio, e aprì l'uscio che dava sulle scale, portandolo in camera sua. Il fuoco si era spento, ma la brace ardeva ancora, e la stanza era calda. Lui chiuse delicatamente la porta, e la baciò di nuovo. Mr Windlesham non andò al posteggio in fondo alla strada. Dietro l'angolo lo attendeva una carrozza, che però non partì subito; il cocchiere aspettò mentre lui, accesa una lampada, scriveva qualche pagina di appunti su un blocchetto. Ma anche quando ebbe finito, non si mossero. Dopo un paio di minuti, un uomo vestito da operaio uscì dal vicolo alle spalle di Burton Street, e bussò al finestrino. Il cavallo, fiutando una strana esalazione venire dai suoi abiti - vernice? acquaragia? -, agitò la testa fra le stanghe. Mr Windlesham abbassò il vetro, e guardò fuori. «Tutto a posto, capo» fece l'uomo. Mr Windlesham allora si frugò in tasca, porgendogli una sovrana. «Benissimo. Grazie tante. E buonanotte». Quello portò la mano al cappello, e si allontanò. Il cocchiere mollò il freno e schioccò la frusta, e la carrozza si avviò verso ovest. La carrozza di Mr Windlesham accostò al 47 di Hyde Park Gate per lasciarlo scendere, e si infilò sferragliando nella stalla sul retro. Lui porse cappotto e cappello a un valletto, e, un minuto dopo, fu introdotto in un ampio studio. «Allora?» chiese Axel Bellman, da dietro la scrivania. «È là. C'erano delle carte sul tavolo della cucina; certo, è possibile che stessero facendo una partita, ma erano disposte come se fossero state usate per dei giochi di prestigio. Appena sono entrato, la ragazza le ha messe via, e quando ho nominato la Scozia, lui ha guardato involontariamente ver-
so le scale». «E per il resto, è tutto pronto?» «Tutto a posto, Mr Bellman». Il volto intenso del finanziere si animò leggermente, e vi apparve l'ombra di un sorriso. «Benissimo, Windlesham. Posso offrirle del brandy?» «Molto gentile, Mr Bellman». Si sedette con il bicchiere in mano, sistemando accuratamente le code della giacca. «Hanno creduto alla sua proposta?» «Oh, no. Neppure per un istante. Ma è servita a distrarli per il tempo necessario». Sorseggiò il brandy. «Sa, Mr Bellman» continuò, «quei due mi hanno fatto un'ottima impressione. È un vero peccato che non ci si possa mettere d'accordo». «Oh, è troppo tardi, ormai, Windlesham» replicò lo svedese, sorridendo. «Decisamente troppo tardi». INSONNIA Jim non riusciva a dormire. Il leggero russare di Mackinnon, dalla brandina accanto alla porta, lo esasperava; aveva voglia di tirargli addosso uno stivale. Che faccia tosta! D'accordo, aveva fatto il suo dovere durante la rissa, ma non c'era bisogno di russarci sopra. Si rigirò nel letto, imprecando. A tormentarlo, in parte, era il pensiero di Lady Mary. Quel bacio... e la consapevolezza che un momento simile, così strano e fuori dal tempo, non si sarebbe mai ripetuto. Si struggeva d'amore per lei. Come aveva potuto sposare... Oh, inutile piangere sul latte versato. In parte, era il dolore alla guancia. Cosa il medico avesse messo sulla ferita, era un mistero, ma il bruciore e le fitte erano tali da fargli venire le lacrime agli occhi; anche se per quello, almeno, una consolazione l'aveva... il ricordo del colpo con cui aveva steso Harris. E poi, c'era dell'altro. Qualcosa che non andava. Per tutta la sera, l'aveva roso un tarlo, e finalmente aveva capito qual era il problema. I pittori. Non perché non li conosceva, ma perché, per una ragione o per l'altra, non lo convincevano; avevano gli arnesi e i vestiti giusti, ma passavano tutto il tempo a spostar roba qua e là, aspettando che uscisse. No, decisamente, c'era qualcosa di storto.
E comunque, questo caso era partito con il piede sbagliato. Chi li avrebbe pagati? Chi li avrebbe ringraziati per aver messo a posto le cose? Forse che il Governo, colmo di gratitudine, sarebbe corso loro dietro con i soldi in mano? Ma che andassero tutti in malora, Wytham, Bellman, Mackinnon... al diavolo l'intera stramaledettissima combriccola. Era più sveglio che mai. E con i nervi a fior di pelle, come se avesse saputo che nella stanza c'era una bomba con la miccia accesa, e non riuscisse a trovarla. Aveva i sensi tesi allo spasimo: il respiro faticoso del mago gli straziava le orecchie, le coperte erano troppo pesanti, il cuscino troppo duro per la sua guancia... niente da fare. Non c'era verso di chiudere occhio. Buttò le gambe giù dal letto, cercando le pantofole. Sarebbe sceso in cucina, avrebbe scritto qualche lettera, bevuto una tazza di tè. Vedendo Mackinnon agitarsi nel sonno, mentre scavalcava la brandina, gli spiegò sottovoce cosa pensava di lui, dei prestigiatori, e degli scozzesi in genere. Dopo di che, staccò la vestaglia dal gancio sulla porta e uscì sul pianerottolo. Si chiuse delicatamente l'uscio alle spalle... e annusò l'aria. C'era qualcosa che non andava. Corse alla finestra, scostando la tendina. Il cortile era in fiamme. Si fregò gli occhi, incredulo. Il nuovo studio era scomparso; al suo posto, si levava maestosa una parete di fuoco, rombante; e tutti gli oggetti di legno, assi, carriole, scale, ardevano come torce. Allungando il collo, sgomento, vide schiantarsi la porta sul retro e grosse lingue di fuoco sprigionarsi dall'interno della casa. Con tre salti, arrivò alla porta di Frederick, che spalancò, urlando: «Al fuoco! Al fuoco!» La stanza era vuota. «Al fuoco! Svegliatevi! Al fuoco!» gridò, rivolto agli occupanti dell'ultimo piano. Poi corse giù, da Webster e Sally. Al primo avvertimento, Frederick si tirò a sedere sul lettino. Sally, sdraiata accanto a lui, si svegliò di soprassalto. «Che succede?» esclamò. «È Jim...» ribatté lui, infilandosi camicia e pantaloni. «Si direbbe un incendio... Alzati, amore, svelta». Uscì. Jim, che veniva giù dalle scale come un bolide, batté le palpebre dalla sorpresa, vedendolo sbucare dalla camera di Sally, ma non si fermò. «Brutto affare» commentò, mentre martellava alla porta di Webster, strillando: «Al fuoco, Mr Webster! Presto, si alzi! Il nuovo studio è in
fiamme, e pure la cucina, credo...» «Bene» replicò Frederick. «Fila di sopra e fai scendere subito Ellie e la cuoca... oh, e anche Miss Meredith. È sveglio Mackinnon? Portali tutti sul pianerottolo». C'era un'unica scala che conduceva al piano terra, su cui, protetta da una porta, si apriva la cucina. Frederick guardò giù; poi, girandosi, vide Sally, ritta sulla soglia, arruffata, assonnata... bellissima. L'attirò a sé, stringendola forte, ma non avevano che pochi secondi... «Porta le tue lenzuola nell'altra stanza» le disse. «Io corro a vedere se si può uscire dal negozio». Ma quando arrivò in fondo alle scale, brancicando nel buio in cerca dell'ingresso, si rese conto che la via era bloccata. Dalla cucina veniva un violento fragore, e il calore era infernale, nonostante lo schermo della porta. Per essere sicuro, l'aprì. Non l'avesse mai fatto! Il fuoco gli si avventò contro come una belva, ricacciandolo indietro e avviluppandolo in una morsa; scivolò, ruzzolò dentro la stanza, e stramazzò sul pavimento, mentre qualcosa gli cadeva pesantemente sul collo, frantumandosi a terra. Cercò la porta a tentoni, si rimise in piedi, e uscì barcollando, sbattendosela alle spalle. Ardeva, come una torcia umana; la camicia era sparita, divorata dalle fiamme, i capelli crepitavano. Dandosi grosse pacche su tutto il corpo nel tentativo di soffocare il fuoco, si strappò le maniche roventi, e si trascinò barcollante sul pianerottolo. «Fred! Stai bene?» Era Jim, con Ellie, la domestica, e Mrs Griffiths, la vecchia cuoca, sbigottite e tremanti. Non lo sapeva, se stava bene. Cercò di parlare, ma c'era qualcosa che glielo impediva, come se avesse inghiottito del fumo. Sally emerse dalla camera di Webster, precipitandoglisi al fianco con un grido di paura; ma lui l'allontanò da sé dolcemente, facendo il gesto di annodare le lenzuola. «Sì... già fatto» ribatté Sally, e vedendolo spingere Ellie, e poi la cuoca, verso di lei, capì subito, grazie al cielo, e prese in pugno la situazione. La stanza di Webster, che si trovava sopra il vecchio studio, si affacciava sulla strada. Frederick non sapeva se il fuoco l'avesse già raggiunta, ma la camera di Sally, che era sopra la cucina, non gli pareva altrettanto sicura. Quando arrivò Mackinnon, atterrito, lo scaraventò insieme agli altri, boccheggiando. «Aiuti le donne a uscire... dalla finestra... le scale... non si possono... usare...»
«Dalla finestra no! Soffro di vertigini, io!» «Bruci, allora!» gli sibilò Jim. «Butti giù il suo materasso» aggiunse rivolto a Webster, «e lo cacci fuori. Fred, ascolta» fece poi all'amico, tirandolo in disparte. «Vai di sopra. Miss come-si-chiama. Si è chiusa dentro. Dice che vuole rimanere, e che, per piacere, la lascino in pace. Ehi, tutto a posto?» Frederick annuì. «Solo un capogiro...» rispose con voce roca. «Dove sei stato?» «Al piano terra. Il fumo... non si passa. Su, andiamo. Dobbiamo ringraziare Bellman per questo, immagino». «I pittori...» osservò Jim, mentre divoravano la prima rampa di scale. «Mi puzzavano, fin dall'inizio. Avrei dovuto alzarmi subito... sapevo che c'era qualcosa che non andava. Ehi, amico... lo sai che hai uno squarcio sul collo?» «M'è caduto addosso qualcosa» bofonchiò lui. E poi, dal basso vennero un urlo, e uno schianto lacerante: il pavimento della stanza di Sally era crollato, franando dentro la cucina. «Aspetta qui» borbottò Jim, e schizzò giù. Mackinnon era sceso, e Mrs Griffiths si era calata coraggiosamente lungo le fragili lenzuola, ma c'erano problemi con Ellie, la domestica, che, uscita per metà dalla finestra, si era bloccata. «Coraggio, stupida!» la esortava Sally; ma la ragazza, terrorizzata, stava abbarbicata al cordone, boccheggiando e battendo le palpebre. «Dovrai accompagnarla, Jim» suggerì Sally. «E va bene. Ma scendi tu, prima; mostrale come si fa». Issò dentro Ellie, che si accasciò a terra, in lacrime, e aiutò l'amica a uscire. «Dia una voce a Fred... gli dica di andare avanti» esclamò poi, rivolto a Webster. Lui obbedì. Gli rispose un grido d'assenso. «Spero che ce la faccia» commentò. «La casa non ne ha ancora per molto. Vado a dargli una mano...» «No, rimanga qui» intimò Jim. «Io porto giù Ellie, e lo raggiungo. Lei stia attento che non si slaccino i nodi». Webster annuì, e il ragazzo balzò sul davanzale, con l'agilità di una scimmia. «Tutto bene, Sal?» chiamò.
La facciata di fronte, punteggiata di finestre illuminate, ricordava lo scenario di un teatro; e già cominciavano a formarsi capannelli di curiosi. Sally replicò che era sana e salva. «Allora» disse Jim a Ellie, «tocca a noi, ora». Lei gli si arrampicò frettolosamente al fianco. «E adesso, afferra il lenzuolo... ecco, così... scendo un pochino, per farti posto... è biancheria di lusso, questa; non si spezzerà... l'ho sgraffignata in un bell'albergo... perfetto... ci siamo... bravissima...» La voce si affievolì. Webster, in alto, aspettava il suo turno. Ai piedi dell'ultima rampa, Frederick dovette fermarsi, perché il pavimento traballava. O almeno, così gli pareva. L'edificio scricchiolava come una nave flagellata dalle onde. Dallo studio giunse il rumore attutito di un'esplosione. 'Le sostanze chimiche...' pensò lui. 'Sally... speriamo che sia fuori...' E poi si trascinò su per la stretta scala, sepolta nel calore e nel buio. Anche quella oscillava. O era lui, ad avere le vertigini? Un sogno... era solo un sogno. In cima, c'era molto più silenzio, come se l'incendio fosse distante centinaia di chilometri. Faceva fatica a respirare. Le forze lo abbandonavano di minuto in minuto, le sentiva sgorgar via da sé, come sangue. O forse, era davvero il sangue, che lo lasciava a grandi fiotti. Alzò il braccio, e bussò alla porta di Isabel. «No!» rispose una voce soffocata. «Vi prego, lasciatemi in pace!» «Apri la porta, almeno. Sono ferito». La sentì girare la chiave nella serratura, e tirare via una sedia. Il chiarore soffuso della candela, e la figura della ragazza, in camicia da notte, con i capelli sciolti, lo portarono indietro nel tempo, ancor più lontano dalla realtà. «Oh! Sei... cos'hai fatto?» gridò lei, scostandosi per lasciarlo entrare. «Isabel... vieni... non abbiamo molto tempo». «Lo so... manca poco, ormai. Non voglio andarmene. A che scopo? Qui siete stati così gentili con me...» Si sedette sul letto, attorniata da una corona di fogli, venti o forse più... lettere, pareva, coperte da una grafia ferma e decisa. «Sì...» disse, intercettando il suo sguardo. «Le sue lettere... Leggerle... mi ha reso più felice di qualunque altra cosa. Dovessi vivere fino a cent'anni, non avrò mai nulla di meglio. E se sopravvivo... cosa mi aspetta? Solitudine, amarezza e rimpianti... No, no, vai, ti prego. Lasciami sola. Per
favore. Tu devi metterti in salvo... Per Sally...» I suoi occhi scintillavano, nel volto infiammato da una strana luce. La testa gli girava a tal punto, che dovette aggrapparsi al cassettone per reggersi in piedi; sentiva le parole lontane, ma nitide, come in un ipotetico dagherrotipo sonoro. «Isabel, non fare la cretina, vieni giù e aiuta me ad uscire, se non t'importa niente di te stessa» riuscì a farfugliare. «Tutti gli altri sono già fuori e la casa può crollare da un momento all'altro... lo sai che non mi muovo di qui finché tu non...» «Oh, sei così testardo... che follia... lui se n'è andato?» «Sì. Te l'ho detto, sono usciti tutti. Sbrigati, per l'amor del cielo!» Sembrava così eccitata... come una ragazza al suo primo ballo, giovane, bella, con le gote accese; o come una sposa... Temeva quasi di essere già morto, e che l'intera scena non fosse che una proiezione onirica dell'anima. Lei parlava, e non riusciva a sentirla; un boato gli inondava le orecchie, simile al rombo del fuoco... be', forse era il fuoco. Il pavimento stava per cedere. Strappò via la tenda, e aprì la finestra. Si affacciava sulla strada, come l'altra. Certo, era più in alto... ma saltando, magari... Volse lo sguardo al letto. Isabel vi giaceva supina, le braccia spalancate. I capelli, ricadendole morbidi sul viso, lasciavano scoperti solo gli occhi e la parte intatta della fronte; ma si capiva che sorrideva. Sembrava trasfigurata da una mistica felicità. In un impeto di rabbia per tanto stupido spreco, Frederick le si avvicinò barcollante, per trascinarla alla finestra; ma lei si aggrappò al letto, e dovette tirare anche quello, finché, sfinito e dolorante, le si accasciò addosso. Sarebbe stato così facile lasciarsi andare... Dio mio, che spreco. Il calore si era fatto opprimente. La porta era contornata dalle fiamme, e il pavimento s'inarcava e scricchiolava come una nave squassata dalle onde. L'aria era piena di suoni... le lingue di fuoco ruggivano, sibilavano, schioccavano come fruste... e poi, musica, persino... campane... Isabel si mosse. Gli prese la mano, stringendola forte. «Sally?» mormorò lui. Sarebbe potuta essere lei. Erano stati insieme, fianco a fianco... Sally era forte e coraggiosa, incantevole, unica... Lady Mary era bella, ma lei la offuscava, come il sole le stelle... Dov'era, adesso? Che strano, gli pareva di annegare. Un guscio di dolore immenso lo av-
volgeva, ma senza toccarlo; vi stava dentro, rannicchiato, ansimante, e l'aria gli entrava come acqua nei polmoni straziati. Stava per morire, dunque. Volse il capo verso Sally per darle l'ultimo bacio, e la sentì piagnucolare. No, impossibile. Sally non avrebbe mai fatto una cosa simile. Quella non era Sally... Doveva portarla fuori e... Allungò la mano verso la finestra, e il pavimento crollò. INCONTRO AL NEMICO Quando portarono fuori il corpo, era ancora buio. Mentre i vigili del fuoco lottavano contro le fiamme, Sally aspettava con gli altri, seduta nel negozio di fronte, muta, avvolta in un mantello preso a prestito, aggrappata alla mano di Webster. Seguivano con attenzione ogni minimo movimento. Nelle prime ore del mattino, alle pompe si era affiancata la pioggia; l'incendio, d'altronde, era divampato così violento, e su un'area così estesa, da estinguersi rapidamente per mancanza di combustibile, e presto i pompieri poterono entrare fra le macerie, bagnate e sfrigolanti, in cerca di Frederick e di Isabel. Si udì un grido. Uno degli uomini volse lo sguardo verso l'alto, e poi, rapidamente, sul negozio di fronte, e altri si arrampicarono in mezzo alle rovine per dargli una mano. Sally si alzò, lisciandosi il mantello. «Sei sicura...?» le chiese Webster. «Sì» rispose lei. Ritirò dolcemente la mano, si strinse nel mantello e uscì in strada, incontro alla pioggia, al freddo, al puzzo di cenere. Lo portavano giù con tanta cautela che, per un attimo, pensò che fosse vivo; sennonché, non c'era premura, nei loro movimenti. Lo adagiarono su una barella, alla luce tremula di una lanterna, e, vedendola, si fecero da parte. Un pompiere si tolse il casco. Gli si inginocchiò accanto. Sembrava dormisse. Appoggiò la guancia alla sua; era tiepida. Gli posò la mano sul petto, dove poche ore prima aveva sentito i battiti del suo cuore; era muto, adesso. Dov'era andato? Era un mistero... lui era caldo, lei fredda come la pietra. Lei sembrava morta, e lui vivo. Lo baciò sulla bocca, rialzandosi. L'uomo che si era tolto il casco lo coprì con una coperta.
«Grazie» mormorò Sally, girandosi dall'altra parte. Sentì una mano sul braccio: era Webster. «Devo andare» gli disse. Pareva invecchiato di colpo. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma non poteva restare, o sarebbe crollata. E aveva una missione da compiere. Si sciolse delicatamente dalla stretta, e si allontanò, scuotendo la testa. Nei due giorni che seguirono, Sally si mosse come in trance, posseduta da un'unica idea, che pareva non lasciar spazio a nient'altro... tranne che in un paio di occasioni, quando l'emozione trapassò la sua corazza, e quasi la travolse. Ma, per l'appunto, aveva una missione da compiere. Per Fred. Ed era naturale che assorbisse ogni atomo della sua energia. Non ricordava nulla del tragitto verso nord, ma doveva essere passata da casa, perché aveva con sé una borsa e indossava abiti nuovi. Quando arrivò a Barrow, domenica notte, era sufficientemente consapevole del mondo circostante da notare lo sguardo di disapprovazione che le lanciò l'albergatore - una giovane donna che viaggiava da sola! - ma non abbastanza da farsene turbare. Andò subito a letto. Dormì male, svegliandosi in continuazione, sul cuscino inzuppato di lacrime, confusa, come se nel sonno avesse avvertito realtà cui era incapace di dare un nome. Fece colazione presto, pagò il conto, e, mentre il sole penetrava a fatica fra le nubi gonfie di pioggia, indorando le squallide vie della città, si avviò alla sua meta. Non conoscendo la strada, dovette fermarsi a chiedere, e più di una volta, poiché non riusciva a tenere a mente le indicazioni; passo dopo passo, tuttavia, giunse in periferia, e finalmente, dietro a un angolo, si spalancò ai suoi piedi il regno di Axel Bellman, la culla del cannone a vapore: lo stabilimento della Stella del Nord. Era una stretta valle, traboccante di fuoco e di acciaio, sfavillante del bagliore dei binari, colpiti dalla luce sempre più intensa, satura di vortici di vapore, risuonante del fragore di pesanti martelli. Una linea ferroviaria la attraversava da sud a nord, e fra i fabbricati s'intersecavano una dozzina di raccordi, solcati da locomotive da manovra alla testa di file di carri merci, destinati allo scarico di ferro e carbone, o al trasporto di macchinari. Le costruzioni erano, per lo più, strutture leggere, di vetro, con l'intelaiatura in ferro, piacevoli alla vista, e, nonostante la presenza di locomotive e ciminiere, il complesso dava un'impressione di pulizia, splendore e modernità. Pareva esso stesso una macchina possente: una macchina intelligente, dotata di ragione e volontà, e gli operai che vi si aggiravano (e gli altri cen-
to, o più, di cui indovinava l'esistenza) sembrarono a Sally non persone, ma molle, ingranaggi, bielle di questo immane congegno, la cui mente ordinatrice si trovava nell'edificio a tre piani nel cuore della valle. Era un incrocio fra una villa comoda e moderna e una stazione ferroviaria privata. L'ingresso principale, con tanto di portico gotico, si apriva direttamente su una banchina, accanto a un raccordo, e dominava la valle. Il marciapiede era bordato da aiuole, spoglie, data la stagione, ma accuratamente scerbate e rastrellate. Dall'altra parte della casa, un viale si snodava fino a un'altra entrata, simile ma più piccola, per poi sfociare, dietro l'angolo, in una stalla, che un ragazzo ripuliva dalla ghiaia. Sul tetto troneggiava un pennone, privo della bandiera. Contemplando quest'alveare prospero, fiorente, laborioso, Sally provò una strana sensazione: che irradiasse onde di pura malvagità, scintillanti come lame di pugnali. Laggiù, si costruiva l'arma più diabolica che fosse mai stata concepita, per ordine di un potere che si era insinuato nella sua vita, strappandone la parte più cara e uccidendogliela sotto agli occhi, solo perché aveva osato mettere in discussione i suoi piani di morte. Un potere così malvagio che, per un attimo, Sally si perse d'animo. Era terrorizzata, come mai prima di allora, di un terrore più che fisico. Ma era venuta apposta per affrontarlo. Chiuse gli occhi, tirò un respiro profondo, e si sentì subito meglio. Si trovava su una scarpata erbosa, prospiciente la valle. A poco a poco, si lasciò scivolare fino a una vicina macchia di alberi, e seduta su un tronco poté osservare con maggiore attenzione. Col passare del tempo, man mano che il suo quadro mentale si arricchiva di particolari, cominciò a intravedere qualche filo conduttore. Nessuna delle locomotive da manovra, o delle ciminiere sui fabbricati, emanava fumo; probabilmente, il combustibile era il coke, il che spiegava perché la valle era tanto pulita. Le tre gru che sollevavano tubi d'acciaio o lamiere nere dai carri merci, tuttavia, sembravano avere un altro tipo di motore: idraulico, se non, addirittura, elettrico. Ed era sicuramente l'elettricità ad azionare il misterioso impianto dell'edificio più isolato, collegato tramite fili a una vicina casupola di mattoni. Ogni volta che arrivava una locomotiva con i suoi carri merci, non vi si fermava accanto, come negli altri casi, ma in un binario di deposito poco lontano, dove essi venivano agganciati da un veicolo del tutto diverso, alimentato, in apparenza, da un cavo aereo. Quando, a un certo punto, quella strana macchina si guastò, i pianali furono trainati a destinazione da cavalli.
Era chiaro che quell'edificio, separato dal resto, in cui non doveva entrare fuoco vivo, conteneva esplosivi. Sally scrutava ogni cosa, immobile, impassibile, quasi fosse un unico, grande occhio. Nel tardo pomeriggio, la villa con il pennone cominciò ad animarsi. Le finestre del piano di sopra si spalancarono, sfavillando al sole, e rivelando la presenza di una cameriera, intenta a spolverare o a riassettare. Arrivò la carretta di un negoziante, da cui emersero varie mercanzie; due dei comignoli cominciarono a fumare; un'altra cameriera, o forse la stessa, uscì a lucidare gli ottoni dell'ingresso principale. Infine, verso il tramonto, giunse il momento che Sally aspettava: a sud, accanto alla linea ferroviaria principale, un segnale cambiò, il fischio di un treno echeggiò nella valle, e apparve una locomotiva alla testa di un solo vagone, che, districandosi nel labirinto dei raccordi, puntò verso la palazzina. La locomotiva apparteneva alla Compagnia ferroviaria settentrionale, ma la vettura, dipinta di un bel blu, con una stella sullo sportello, era evidentemente privata. Non appena si fermò accanto alla banchina, dalla casa sbucò un domestico, un maggiordomo, pareva, che aprì la carrozza. Un attimo dopo, ne uscì Axel Bellman. La corporatura massiccia, la lucentezza metallica dei capelli biondi sotto il cilindro erano inconfondibili anche da lontano. Entrò in casa, mentre un valletto e un altro servitore si affrettavano a scaricare i bagagli. La locomotiva, nel frattempo, si sganciò e ripartì con uno sbuffo di vapore. Qualche minuto più tardi, da una porta laterale spuntò una cameriera con scopa, paletta e straccio, che si infilò nella carrozza, e poco dopo sul pennone venne issata una bandiera con il simbolo dipinto sullo sportello, ora nettamente visibile nel chiarore del tramonto: un'unica stella d'argento. I bagagli, i domestici, la casa... aveva intenzione di fermarsi, allora. Bene. Quindi era più semplice di quanto avesse immaginato. Aveva fame, sete, e i muscoli indolenziti. Le prime due esigenze, fra poco, non avrebbero più avuto importanza; ma di essere intorpidita, proprio non poteva permetterselo. Si alzò e gironzolò sotto gli alberi, guardando le ombre allungarsi, la luce delle finestre diventare più vivida, lo scenario delle attività mutare. Quando la valle fu immersa nel buio, risuonò il fischio di una sirena, e pochi minuti dopo si riversò dai cancelli un fiume di uomini, diretti verso casa. Nei padiglioni adibiti alla lavorazione a ciclo continuo arrivarono nuove squadre di operai, ma gli altri furono chiusi e affidati alla sorveglianza di un guardiano notturno. L'area adiacente al fab-
bricato degli esplosivi era illuminata come un palcoscenico, forse elettricamente; le luci scintillavano sulla ghiaia candida, e lo spettacolo aveva un che di irreale, come l'immagine proiettata da una lanterna magica. L'umidità si faceva sentire. L'erba era già intrisa di rugiada. Sally raccolse la borsa e, d'impulso, se la strinse forte al petto, singhiozzando. Rivide il suo viso immobile sotto la pioggia, in mezzo alla cenere... Per poco non crollò, sentendo che la sua corazza veniva infranta da un'onda di dolore e di nostalgia, d'amore e di desiderio; e gridò il suo nome a gran voce, quasi travolta dalla disperazione. Ma come il marinaio sul punto di annegare si aggrappa all'albero maestro, lei si appigliò all'idea che l'aveva portata fin lì, e l'onda, dopo esser giunta al culmine, si ritrasse. Doveva sbrigarsi. Procedette con cautela fra gli alberi, concentrandosi sui movimenti da compiere: un-due, attenta a sinistra a quelle radici, su bene la gonna per scansare quei rovi... finché non si ritrovò sulla strada, un po' più padrona di sé. Si spolverò la gonna, si sistemò il mantello e si avventurò nella valle, incontro al nemico. Come previsto, c'era un uomo di guardia; ma non aveva immaginato quanto le sarebbe sembrato grande il complesso, da vicino; imponente la cancellata di ferro; massiccia la palizzata a punte; abbagliante la luce che batteva sulla ghiaia. L'uniforme del custode, con il simbolo della Stella del Nord stampato sul petto e sul berretto, i suoi modi arroganti, quell'incedere flemmatico verso di lei, quel roteare ostentatamente il bastone, quello scrutarla malignamente di sottecchi furono una vera doccia fredda, anche per il suo cuore intorpidito. «Voglio parlare con Mr Bellman» spiegò attraverso le sbarre. «Dovrà aspettare finché non mi verrà dato ordine di farla passare» ribatté quello. «Potrebbe, per favore, informarlo che Miss Lockhart è qui e intende vederlo?» «Non sono autorizzato a lasciare il mio posto, e non mi è stato preannunciato l'arrivo di nessuno». «Mandi un messaggio, allora». «Non mi insegni il mio mestiere...» «Sarebbe ora che qualcuno lo facesse. Mandi subito un messaggio a Mr Bellman, o lui la farà pentire». «E se non ci fosse?» «L'ho visto entrare. Miss Lockhart è qui e vuole parlargli. Lo avvisi. Su-
bito». Sostenne risoluta il suo sguardo e il guardiano, dopo pochi secondi, si volse, tornando alla sua baracca. Un campanello risuonò in lontananza, e, presto, dalla casa si staccò una luce, che divenne un domestico con una lanterna in mano. L'uomo si spinse fino al cancello, osservandola curioso, prima di andare a confabulare con il custode. Un minuto ancora, ed emersero entrambi. Il guardiano aprì la cancellata, e Sally entrò. «Devo parlare con Mr Bellman» disse al domestico. «Potrebbe portarmi da lui, per favore?» «Venga con me, signorina. Vedo se il padrone è disposto a riceverla». Il custode richiuse la cancellata. Sally s'incamminò sul viale d'accesso, che si snodava fra un intrico di officine e rotaie. La ghiaia le scricchiolava sotto i piedi. Dopo un po', dai capannoni alla sua sinistra venne un fragore violento, come il rullio di giganteschi tamburi di ferro; poco lontano, rimbombava un battito ritmico, simile al polso di un gigante, intervallato da raffiche di martellate e dallo stridio lacerante del metallo sulla pietra; e, da un fabbricato distante dal sentiero, con le porte - enormi lamiere scorrevoli - aperte, si sprigionava il bagliore infernale di miriadi di scintille, liberate dalle colate di acciaio incandescente. I rumori la ferivano e la spaventavano. Le parevano mostruosi e disumani, frutto di diabolici strumenti di tortura. Più penetrava in questo mondo di fuoco, di metallo e di morte, più si sentiva piccola e fragile, più avvertiva fame, sete e stanchezza; più si rendeva conto di quanto la testa le dolesse; di quanto fradici avesse i piedi; e di quanto debole, dimessa, insignificante dovesse sembrare. Una volta, in Svizzera, ai piedi delle cascate di Sciaffusa, si era sentita sopraffatta dalla loro immane potenza; se vi fosse caduta dentro, sarebbe stata spazzata via in un attimo, come un fuscello. Adesso, provava la stessa sensazione. Quest'impresa ciclopica, forte di milioni di sterline, di un'intricata ragnatela di strutture, acquisizioni, contatti, della complicità segreta di grandi Stati, e che coinvolgeva centinaia, se non migliaia, di vite, era animata da una potenza infinitamente maggiore di qualunque iniziativa lei avesse potuto opporvi. Ma non importava. Per la prima volta, lasciò che i suoi pensieri indugiassero su Fred. Cosa avrebbe fatto lui, di fronte a un nemico tanto imponente? Non c'era dubbio: avrebbe valutato freddamente le proprie possibilità, e se pure fossero
risultate irrisorie, ebbene, non avrebbe esitato; avrebbe riso e attaccato lo stesso. Oh, come amava quell'animo entusiasta! E tuttavia non era temerarietà, la sua: lui era sempre consapevole; lui sapeva, più di chiunque altro. Per questo, il tentativo nella casa in fiamme doveva avergli richiesto tanto coraggio... Inciampò e cadde sul sentiero buio, squassata da singhiozzi irrefrenabili, che le mozzavano il respiro, stringendosi al petto la borsa, mentre il domestico, con la lanterna in mano, l'aspettava poco lontano. Dopo un minuto (due, tre?) riuscì a dominarsi, si asciugò gli occhi con il fazzoletto sbrindellato, e gli fece segno di proseguire. Sì, ripeté a se stessa, lui avrebbe fatto così; avrebbe soppesato le sue probabilità, e attaccato comunque, e col sorriso sulle labbra. E lei... lei avrebbe fatto altrettanto, perché l'amava. Per esser degna di lui, avrebbe affrontato Bellman nonostante la paura che la divorava; serenamente, anche se, ora che il nemico era vicino, l'angoscia le rodeva le viscere. Riusciva a malapena a mettere un piede dietro l'altro. Ma non si arrese. E, a testa alta, le guance ancora rigate di lacrime, salì i gradini d'ingresso ed entrò in casa di Axel Bellman. Domenica mattina, sul tardi, Jim si svegliò con l'emicrania e un dolore lancinante alla gamba, che, come scoprì non appena si sollevò, era ingessata fino al ginocchio. Non riconobbe la stanza; per un po', anzi, gli parve di aver perso interamente la memoria. Poi, gli tornò in mente qualche immagine, e, sollevato, chiuse gli occhi, abbandonandosi sui morbidi cuscini. Il sollievo, però, durò solo un attimo; ricordava di aver visto Frederick arrancare su per le scale, per raggiungere quella pazza di Isabel Meredith; di essersi divincolato da Webster o da Mackinnon, per correre ad aiutarlo, ma nient'altro. Si drizzò di nuovo a sedere. Si trovava in una stanza comoda, quasi lussuosa, del tutto sconosciuta. Il rumore del traffico... un albero, fuori dalla finestra... ma dove diavolo era? «Ehi!» gridò. Trovato il cordone di un campanello, lo tirò con forza; cercò anche di buttar giù le gambe dal letto, ma il dolore glielo impedì. «Ehi! Fred! Mr Webster!» urlò di nuovo. Si aprì la porta, e comparve una figura solenne, vestita di nero, in cui Jim riconobbe Lucas, il cameriere personale di Charles Bertram. «Buongiorno, Mr Taylor» lo salutò questi.
«Lucas!» esclamò il ragazzo. «Ma, allora... questa è la casa di Mr Bertram!» «Precisamente, signore». «Che ore sono? Da quanto tempo sono qui?» «Quasi le undici, Mr Taylor. L'hanno portata verso le cinque del mattino, privo di conoscenza, mi è stato riferito. Come vede, il dottore le ha ingessato la gamba». «C'è Mr Bertram? O Mr Garland? E Mr Mackinnon... dov'è Mr Mackinnon?» «Mr Bertram sta aiutando in Burton Street, signore. Non saprei dirle dove si trovi Mr Mackinnon». «E Miss Lockhart? E Frederick? Mr Garland giovane, cioè. Sta bene?» Sul volto austero dell'uomo passò un guizzo di compassione, e Jim sentì una gelida mano d'acciaio stringergli il cuore in una morsa. «Sono davvero spiacente, Mr Taylor. Mr Frederick Garland è morto nel tentativo eroico di sottrarre una giovane all'incendio...» Un velo di lacrime sfumò i contorni della stanza. Jim si accasciò sul letto, udì Lucas uscire chiudendosi delicatamente la porta alle spalle, e scoppiò in un pianto convulso, come non gli capitava dai giorni della sua infanzia: singhiozzi di dolore, grida di rabbia e di rifiuto: rifiuto per il fatto che lui, Jim, stesse piangendo, che Fred fosse morto, e che Bellman potesse farla franca. Perché era ovvio, che era stato lui. Quell'uomo aveva ucciso Frederick esattamente come se gli avesse piantato un coltello nel cuore. E l'avrebbe pagata, perdio. Ma Fred... com'era possibile che non ci fosse più... le risse cui erano sopravvissuti insieme... le beffe, gli scherzi, le risate... Un'altra pioggia di lacrime. Gli uomini non piangevano, nelle storie che Jim scriveva e leggeva, ma nella vita reale sì. Eccome, se lo facevano. Suo padre aveva pianto quando la tisi gli aveva portato via la moglie, sua madre, quando lui aveva soltanto dieci anni; e il vicino, Mr Solomons, aveva pianto quando il padrone di casa l'aveva sfrattato, gettandolo con tutta la famiglia in mezzo alla strada... pianto e bestemmiato come un turco; e Dick Mayhew, il campione dei pesi leggeri, aveva pianto quando Battling Bob Gorman gli aveva strappato il titolo... non era un disonore, ma un atto di onestà. Si lasciò sommergere dalla disperazione, e, quando si fu un po' calmato, si drizzò nuovamente a sedere, tirando il campanello. Ignorando il dolore alla gamba, scese dal letto, appoggiando i piedi per terra. Un attimo dopo,
entrò Lucas con un vassoio. «Miss Lockhart» domandò Jim. «Dov'è? Lo sai?» Il domestico posò il vassoio sul comodino, spostando quest'ultimo di fronte a Jim, che si accorse solo in quel momento di avere indosso una camicia da notte di Charles. «Mi pare di aver sentito Mr Bertram affermare di averla vista lasciare Burton Street poco dopo che i pompieri hanno estratto il corpo di Mr Garland, ma non saprei dirle dove sia andata, signore». «E Mackinnon? Scusa se te l'ho già chiesto, Lucas, ma sono proprio inebetito. Cosa sai di quel che è successo?» E così, mentre Jim beveva tè e imburrava crostini, il domestico riferì ciò che gli era stato raccontato. Alle cinque, Webster aveva inviato a Charles una richiesta d'aiuto, e questi era corso in Burton Street, dove aveva trovato lo stesso Jim, che, caduto dalle lenzuola annodate nel tentativo di raggiungere Frederick, aveva urgente bisogno di cure mediche. L'aveva mandato subito a casa sua, insieme a un dottore, ma era rimasto in Burton Street, e vi si sarebbe trattenuto per qualche tempo. Sally e Mackinnon erano scomparsi. Il ragazzo chiuse gli occhi. «Devo trovarlo» esclamò. «Mr Bertram ti ha detto niente di questa faccenda, Lucas?» «No, signore. Anche se, per la verità, mi è parso di captare qualcosa di strano. È mio dovere avvertirla, Mr Taylor, che il dottore che le ha ingessato la gamba ha insistito particolarmente sulla necessità di un periodo di riposo. Mr Bertram ha dato disposizione di prepararle la stanza e di attrezzarla in modo che lei possa rimanervi comodo, a lungo. Le consiglierei vivamente di...» «Mr Bertram è stato molto gentile, e non mancherò di ringraziarlo. Ma non posso starmene con le mani in mano... la questione è urgente. Mi troveresti una carrozza? E dei vestiti... i miei saranno bruciati, immagino. Oh, maledizione! Ora ricordo, ero in camicia da notte... C'è niente che possa mettermi?» Un quarto d'ora dopo, con indosso un completo di tweed della taglia sbagliata, di proprietà di Charles, Jim solcava le strade alla volta di Islington. Giunto a casa di Sally, pregò il cocchiere di aspettarlo fuori e, con l'aiuto di un bastone prestato da Lucas, arrancò su per i gradini d'ingresso. Suonò il campanello. Un attimo dopo, Mr Molloy, il padrone, aprì la porta. Era un vecchio amico: parecchio tempo addietro, ancor prima che arrivasse
Sally, aveva lavorato per Frederick, e li conosceva tutti molto bene. Aveva l'aria preoccupata. «È qui Sally?» chiese Jim. «No, è andata via presto» rispose lui. «È arrivata che saranno state... vediamo... le cinque, si è cambiata ed è ripartita. Sembrava stravolta. Che succede, Jim? Cos'hai fatto alla gamba?» «Ascolti, vecchio mio: in Burton Street c'è stato un incendio. E... mi spiace dirglielo, così, a tradimento, ma Fred è morto. Adesso, devo trovare Sally, perché sicuramente si sta cacciando nei guai. Non lo sa dove andava?» L'ometto era impallidito. Scosse la testa, smarrito. «Mr Fred...» mormorò. «Non posso crederci». «Mi dispiace, amico, ma è vero. È in casa la sua signora?» «Sì, ma...» «Le dica di non muoversi, caso mai Sally ritorni. E se vuol rendersi utile, faccia una scappata in Burton Street: con il guaio che è capitato, più siete, e meglio è. Oh...» Colpito da un'idea improvvisa, abbracciò con lo sguardo l'atrio. «Ha niente di Sally? Ecco, questo è perfetto». Mr Molloy alzò gli occhi, stupito, mentre Jim staccava dall'attaccapanni vicino alla porta una cuffia che la ragazza era solita indossare. «Ma dove stai andando?» gli domandò. «Che succede, Jim?» «Devo trovarla» ribatté questi, zoppicando giù per i gradini. «Vada ad aiutare Mr Webster, che ne ha bisogno». Montò in carrozza, stringendo i denti per il dolore. «Hampstead, amico» disse al cocchiere. «Kenton Gardens... numero quindici». La padrona di casa di Mackinnon si ritrasse spaventata, riconoscendo in Jim uno dei ragazzi del giorno prima. «Non si preoccupi, signora» esordì lui. «Niente guai, oggi. C'è Mr Mackinnon?» Lei annuì. «Ma...» «Benissimo. Allora, se permette, vado di sopra. Aspetti lì» gridò al vetturino, e si trascinò dentro. Sudando in un accesso di dolore, si sedette sulle scale, per salire facendo forza sulle braccia. La donna lo guardava allibita. Davanti alla stanza del mago si rialzò e bussò forte. «Mackinnon!» chiamò. «Mi faccia entrare, la prego!» Silenzio. Bussò di nuovo. «Forza, apra la porta! Per l'amor di Dio, Mackinnon, sono Jim Taylor... non voglio farle del male! Ho bisogno del suo aiuto...»
Un tramestìo, lo scatto della chiave nella serratura, e Mackinnon mise fuori la testa, pallido, assonnato e guardingo. Jim sentì il sangue ribollirgli nelle vene: con tutto quel che c'era da fare, questo miserabile verme se n'era tornato quatto quatto a dormire! Si dominò a stento. «Mi fa entrare, o no? Devo sedermi...» Si abbandonò su una sedia. La padrona non aveva perso tempo, nel sostituire i mobili: la stanza portava ancora i segni della rissa, ma il letto e l'armadio, almeno, erano nuovi di zecca. «Sally» cominciò Jim. «Dov'è andata? Lo sa, per caso?» «No» rispose lui. «Be', dobbiamo trovarla. Quel suo trucco... come si chiama... cioè, non un trucco... quella roba magica... Io... ho letto qualcosa, e penso che lei sia un vero sensitivo, quando vuole, almeno. Tenga questa». Porse la cuffia di Sally a Mackinnon che, lasciandosi cadere sul letto, l'appoggiò accanto a sé. «Ho letto che, concentrandosi su qualcosa che appartiene a una persona, si può intuire dove questa si trova. Lei riesce a farlo?» «Sì» assentì il mago, leccandosi le labbra secche. «Qualche volta, ma...» «Forza, allora. Quella è sua. La indossava spesso. Dobbiamo scoprire dov'è. Anzi, lo scoprirà lei. E subito. Su, avanti... non la interromperò. Anche se... se mi desse un goccio di brandy, non ci sputerei sopra...» Con uno sguardo alla gamba ingessata, Mackinnon tirò fuori dal comodino una fiaschetta d'argento. Jim mandò giù un gran sorso del liquore infuocato, che gli mozzò il respiro. Il mago prese la cuffia. «D'accordo» replicò. «Ma nessuna garanzia, intendiamoci. Se non vedo niente, amen. E questo non è certo il momento adatto per... Va bene, va bene, come non detto. Mi lasci concentrare». Si sedette sul letto, la cuffia fra le mani, gli occhi chiusi. Jim aveva l'emicrania, e un male cane alla gamba. Si riempì nuovamente la bocca di brandy, inghiottendolo lentamente, stavolta, e chiuse gli occhi come il mago. Un ultimo sorso, e riavvitò il tappo sulla fiaschetta, mettendosela in tasca. «Nord» decretò Mackinnon, dopo un minuto. «Sta andando verso nord. È in treno, credo. Mi pare di vedere... un simbolo d'argento. Una stella, forse. Sì, proprio una stella. La sua meta, probabilmente». «La Stella del Nord!» esclamò Jim. «Sì, ha senso. E sta andando verso nord, dice?»
«Non c'è dubbio». «Dove?» «Be', è ancora in viaggio. Questa non è propriamente una scienza esatta». «Lo so bene. Ma non è in grado di riconoscere se è nordest o nordovest? O fin dove è arrivata?» «La visione sta svanendo. Non bisogna far troppe domande» ribatté severamente il mago. «Basta, è scomparsa del tutto». Lasciò cadere la cuffia sul letto, alzandosi. Jim si drizzò in piedi con l'aiuto del bastone. «D'accordo» disse. «Si vesta, coraggio. Non so quando lei abbia fatto fagotto. Forse non sa che Fred è morto. Era il mio miglior amico, e non ne troverò mai un altro così. E adesso Sally si sta mettendo nei pasticci, e dobbiamo rintracciarla. Non so cosa farei se anche lei mi lasciasse, perché le voglio bene, lo capisce, questo, Mackinnon? Lo sa, cosa significa, voler bene? Le voglio bene come ne volevo a Fred, da amico. Dovunque si sia cacciata, io devo seguirla, e lei verrà con me, perché è per colpa sua se sono finiti in questo guaio. Si metta addosso qualcosa, e mi passi quell'orario ferroviario». Senza una parola, Mackinnon gli porse il volume, e cominciò a vestirsi, mentre Jim, con mano tremante, scartabellava alla ricerca dei treni festivi per il Nord. POTERI E IDEALI In casa di Bellman faceva un caldo opprimente, e l'arredamento era ricco, per non dire ridondante. Il domestico pregò Sally di aspettare nell'atrio, offrendole una sedia, ma era troppo vicina a un calorifero, e lei declinò l'offerta; preferiva stare accanto alla finestra, per non sciogliere il ghiaccio dentro di sé. Dopo un paio di minuti, l'uomo ritornò. «Mr Bellman l'attende, Miss Lockhart» le riferì. «Mi segua, la prego». Un orologio batté le nove; come volava il tempo! Le mani scosse da un tremito convulso, la testa in fiamme, si sentiva sempre più staccata dal mondo. Il domestico la condusse per un corridoio coperto da una passatoia. Bussò a una porta. «Miss Lockhart, signore» annunciò, scostandosi per farla passare.
Axel Bellman era in frac. Sembrava reduce da una cena solitaria, poiché sulla scrivania, fra un mucchio di carte e una boccia di brandy, spiccava un solo bicchiere. Si alzò per andarle incontro, tendendole la mano. Sally sentì chiudersi la porta, ma il suono giunse ovattato alle sue orecchie, invase da un boato. La borsa le cadde sul tappeto sfarzoso, con un tonfo. Lui si chinò, pronto, a raccoglierla. La fece accomodare in poltrona. Sally arrossì della propria stupidità. Pensare che aveva sognato di schiaffeggiarlo! E a cosa mai sarebbe servito? «Posso offrirle del brandy, Miss Lockhart?» propose lui premuroso. Lei scosse la testa. «Qualcosa di caldo, allora? Avrà preso freddo, fuori. Un po' di caffè?» «No, grazie» riuscì a balbettare. Le si sedette di fronte, accavallando le gambe. Lei distolse gli occhi. Quella camera era ancora più calda dell'atrio, poiché al grosso radiatore di ferro sotto la finestra si aggiungeva il fuoco vivace del caminetto... un fuoco di coke, osservò. Il mobilio era nuovo di zecca. Stampe sui muri: scene di caccia e di battute alla volpe; trofei sulla cappa e tra le finestre: corna e una testa di cervo, un muso di volpe; un'intera parete tappezzata di libri, tutti, pareva, intonsi; la stanza sembrava uscire pari pari da un catalogo, completa di tutti gli accessori appropriati allo studio di un ricco gentleman che avesse voluto risparmiarsi il disturbo di scegliere l'arredamento. E poi, riportando l'attenzione su Bellman, Sally vide i suoi occhi. Brillavano di compassione. Si sentì precipitare, nuda, in una tempesta di neve. Sussultò, distolse lo sguardo. Invano. No, non si era sbagliata: se era pur minimamente capace di leggere le espressioni del volto, quel viso vibrava di compassione, sensibilità e tenerezza. E di forza, una forza quale non incontrava dai giorni della sua infanzia, quando, al risveglio da un incubo, trovava gli occhi del padre, colmi d'affetto, a rassicurarla, a dirle che tutto era a posto, che non c'era nulla da temere. «Lei ha ucciso Frederick Garland» gemette piano. «Lo amava?» ribatté Bellman. Lei annuì con un cenno del capo. Non si fidava della sua voce. «Allora, doveva esser degno del suo amore. Ho capito subito, la prima volta che è venuta da me, che lei era una persona fuori dal comune. Questa sua visita me lo conferma. Oggi, Miss Lockhart, saprà la verità. Tutta, se lo desidera. Mi chieda pure ciò che vuole; le risponderò sinceramente, glielo prometto».
«Ha assassinato lei Nordenfels?» gli domandò. Era la prima cosa che le era venuta in mente. «Sì». «Perché?» «Dissentivamo sul futuro del Regolatore Automatico. Lui aveva finito col ritenerlo un'arma diabolica, e voleva distruggerne tutti i disegni, per impedirne la fabbricazione; io lo reputavo la chiave per il bene dell'umanità. Da gentiluomini, ci siamo battuti in duello, e lui ha perso». La voce tranquilla, il tono franco e schietto cozzavano contro il senso delle parole. Sally non riusciva a credere alle sue orecchie. «Il bene dell'umanità?» ripeté. «Vuole che le spieghi?» Lei annuì nuovamente. «Il Regolatore Automatico è troppo spaventoso per essere usato. Una volta che ce ne saranno abbastanza in circolazione, le guerre avranno fine, e la civiltà potrà svilupparsi in pace e in armonia per la prima volta dall'inizio della storia». Sally si sforzava di capire. «È stato lei a far sparire la Ingrid Linde?» «Il piroscafo? Sì. Vuole sapere come?» Altro cenno di assenso. Non riusciva a parlare. «Come quasi tutti i vapori, comprendeva nella sala macchine un impianto di gassificazione, marca Capitaine, per la precisione, che bruciava il carbone per ricavare il gas destinato all'accensione e alla propulsione, il quale veniva poi immagazzinato in un grosso serbatoio metallico a espansione. Estremamente sicuro, come meccanismo. Sempre nella sala macchine, sull'albero principale di rotazione dell'elica, c'era un contatore automatico che scattava di un'unità a ogni giro, indicando al motorista quand'era ora di lubrificare i cuscinetti. Ebbene, all'interno di quel contatore io ho saldato una serie di piedini di metallo che a un certo punto si sarebbero allineati, chiudendo un circuito elettrico e facendo scoccare una scintilla da una candela che avevo messo nel serbatoio del gas. Naturalmente, non ho potuto constatarlo di persona, ma, a giudicare dal risultato, deve aver funzionato, non trova?» «Ma perché l'ha fatto?» domandò Sally, nauseata. «In primo luogo, per affrettare il tracollo della Anglo-Baltic, che mi serviva per motivi finanziari. E questo, astutamente, lei l'aveva già capito quando è venuta a Baltic House. Ma non poteva conoscere la seconda ra-
gione, e cioè che a bordo della nave c'era un rappresentante del governo messicano diretto a Mosca, con documenti che avrebbero indotto i miei sostenitori russi a ritirare il loro appoggio. Per me, sarebbe stata la rovina. Oggi come oggi, invece, con il governo messicano sto per firmare un contratto, e tutti hanno tratto vantaggio dalla mia iniziativa: gli operai e le loro famiglie, intere comunità sia in questo paese che in Messico. Ci sono bambini poveri, qui a Barrow, che potranno mangiare e frequentare la scuola grazie a ciò che ho fatto. Ci sono famiglie, in Messico, che avranno medicinali, acqua potabile, mezzi di trasporto per i prodotti dei loro campi, tranquillità economica, possibilità di istruzione, solo perché ho distrutto la Ingrid Linde. È stato un atto altamente umanitario, e, all'occorrenza, lo ripeterei senza la minima esitazione». «E degli innocenti che hanno perso la vita, non le importa proprio nulla?» «Non posso fingere di rammaricarmi per la morte di estranei. Nessuno vi riesce, in realtà; e chiunque sostenga il contrario è un ipocrita. Frottole, direste voi. No, le ho promesso la verità, e la verità avrà: non provo rimorso per la fine di quelle persone; se non avessi affondato la nave, ne sarebbero scomparse molte di più, per fame, povertà, ignoranza, guerre. Lo ripeto, è stato soltanto un gesto di carità suprema». Nonostante fosse seduta, Sally aveva le vertigini. Chiuse gli occhi e cercò di dominare la nausea, di rievocare l'immagine di Fred, di ricordare lo scopo della sua visita. «E i suoi agganci con il Governo?» chiese infine. «Sabato sera, in Burton Street, Mr Windlesham ci ha fatto i nomi di alcuni funzionari che lei tiene in pugno. A cosa le servono questi appoggi? E perché il suo segretario è venuto da noi? La storia del fallimento imminente era chiaramente falsa. Penso che sia stato lei a mandarlo». «E ha ragione. L'ho mandato a spiare. E quanto alla prima domanda... be', la questione è molto interessante, e molto delicata, anche. Lei saprà sicuramente che la vera attività del Governo ha luogo, per così dire, dietro le quinte; ma forse ignora che gran parte di essa si svolge all'insaputa dei ministri stessi, talvolta persino di quelli a capo dei dicasteri più direttamente interessati. Il fenomeno avviene in tutti gli Stati, ma, per una ragione o per l'altra, è particolarmente accentuato in Gran Bretagna. Grazie ai contatti procuratimi da Lord Wytham (il quale, tuttavia, era assolutamente ignaro dei miei scopi), oggi io controllo le vere leve del potere di questo paese. E mi creda, Miss Lockhart, nel novecentonovantanove per mille dei casi,
questa forza occulta, quest'autorità invisibile che nessuno ha eletto, opera a fin di bene. A vantaggio della gente comune, la quale, per una fitta rete di meccanismi che non sarebbe in grado di comprendere, vive meglio grazie a quest'occhio benevolo, a questa mano paterna che guida e protegge. I veri potenti - non necessariamente quelli che il mondo giudica tali - sono legati da una sorta di solidarietà, di dedizione alla causa, di fraternità massonica, oserei dire. In che condizioni sono, ora, i dipendenti della Stella del Nord? Stanno meglio di quando fabbricavano locomotive? Ma certo. Guardi le loro case. Le scuole. L'ospedale appena costruito. Una partita di calcio nel nuovo campo sportivo. Hanno salute, denaro, felicità. Loro non sanno perché, ma io e lei sì. Nemmeno quando le guerre cesseranno per sempre, quando sul mondo regnerà la pace, sapranno perché. Ringrazieranno la diffusione della cultura, l'evoluzione del cervello umano, i progressi dell'economia. Noi conosceremo la verità. Noi sapremo che la vera ragione è quell'arma troppo temibile per essere usata. Loro no. Ma che rimangano pure all'oscuro; l'importante è che godano dei vantaggi». Sally sedeva in silenzio, a capo chino. Faticava sempre più a concentrarsi. «Che cosa vuole?» domandò. «Oh, è semplice. Il potere. Il potere mi affascina. E sa perché? Perché è infinitamente mutevole. Con il denaro, potere finanziario, si assumono uomini, potere muscolare, che edificano fabbriche, in cui si brucia carbone, potere termico, e si muta l'acqua in vapore, la cui forza, convogliata nei cilindri di un motore, diventa potere meccanico, con il quale si producono altre macchine, che, vendute, si ritrasformano in potere finanziario. Oppure, le si usa per costruire dighe, che trattengono enormi masse d'acqua, e tubi e valvole per incanalarne l'impeto e far ruotare dinamo, e il potere del denaro diviene potere idraulico, e poi elettrico... innumerevoli sono, appunto, le manifestazioni del potere. Naturalmente, lo si potrebbe anche chiamare energia. Un poeta inglese - così mi dice Windlesham, io non ho il tempo di leggere poesie - ha scritto che 'L'energia è un incanto senza fine'. Non avrei potuto esprimermi meglio. Forse è per questo che esistono i poeti, per darci le parole». Proprio quelle che Sally non trovava. Sapeva, in un recesso della sua mente, che quell'uomo si sbagliava, si sbagliava di grosso, che c'erano argomenti in grado di confutare ogni sua affermazione, ma sapeva anche che, date le circostanze, non sarebbe mai riuscita a ricordarli. Lui era così forte, e lei così stanca. Ondeggiò, ma subito si riscosse, costringendosi ad
alzare la testa e a guardarlo negli occhi. «Lei s'inganna» ribatté con un filo di voce. «Sulla gente. So come la pensano, i suoi dipendenti. Odiano il cannone a vapore. Sanno a cosa serve, e lo detestano. Lo tiene segreto perché teme le reazioni della gente. Unicamente per questo. Sa che il popolo della Gran Bretagna non acconsentirebbe mai alla sua fabbricazione, se lo vedesse chiaramente per quel che è: un'arma da tiranni, un'arma da vigliacchi. Lei ci fa torto, Mr Bellman. Fa torto a me e ai suoi operai». «Oh, no, io non le faccio torto. L'ho sempre ammirata. Lei è coraggiosa, ma ingenua. I suoi connazionali, di cui parla tanto... vuole la verità? Se sapessero, rimarrebbero indifferenti. Non si farebbero scrupolo di costruire l'arma più micidiale che sia stata mai concepita, non ci penserebbero su due volte. Si godrebbero lo stipendio e i campi sportivi, sarebbero fieri dei loro pargoli e perfino del cannone; anzi, ne vorrebbero uno con la bandiera britannica, e ci canterebbero su le canzoncine al varietà. Glielo concedo, esiste un pugno di idealisti e di pacifisti. Del tutto inoffensivi. C'è posto anche per loro. Ma la maggioranza è come dico io, non come dice lei. La realtà è dalla mia parte. Le ho promesso la verità: eccola, la verità». E aveva ragione, pensò Sally. Volse nuovamente lo sguardo verso di lui. Sedeva tranquillo, rilassato, potente, le gambe accavallate, le mani appoggiate sui braccioli della poltrona. I capelli brillavano come oro alla luce della lampada; il viso era liscio, notò, e soffuso di una strana luminosa saggezza, increspata, però, da un soffio di ironia, come per dire: 'Dolore, sofferenza e tristezza esistono, sì, ma non sono tutto, e passano. Il mondo è meraviglioso, come i giochi del sole sull'acqua. L'energia è un incanto senza fine...' «Sa» riprese lui, dopo un silenzio durato quasi un minuto, «ho sbagliato a chiedere la mano di Lady Mary Wytham. È molto bella, e mi avrebbe procurato agganci assai utili, ma è stato comunque un errore. Mi ha invischiato nell'assurdo inseguimento di quel ridicolo scozzese, quel Mackinnon... be', insomma, conosce la storia. Ormai, tanto, è acqua passata... il fidanzamento è rotto. Wytham soffrirà le conseguenze peggiori, ma se l'è voluta. Mi chiedo... mi è venuta un'idea, Miss Lockhart. Potrà sembrarle un capriccio, ma le assicuro che non è così. È lei il tipo di donna che dovrei sposare. È forte, coraggiosa, intelligente, intraprendente. La bellezza di Lady Mary è destinata a svanire. La sua non è altrettanto appariscente, ma, poiché nasce dalla mente e dall'animo, crescerà, col tempo. È lei la mia compagna ideale. E viceversa. Ci siamo affrontati da nemici. Cono-
sciamo le reciproche risorse. Posso farle una domanda? So che mi risponderà sinceramente. Dopo tanta ostilità, non prova oggi anche rispetto per me?» «Sì» mormorò lei, soggiogata. Non osava muoversi. «Abbiamo opinioni profondamente diverse» continuò lui. «E questo è un bene. Lei ha un carattere indipendente: su certi argomenti, forse mi farà cambiare idea; e su certi altri, forse, sarò io a convincerla della validità del mio punto di vista. Una cosa è indubbia: non sarà una presenza passiva e puramente ornamentale. Lady Mary avrebbe avuto questa pecca, e non credo che sarebbe stata contenta, se anche fosse potuta diventare mia moglie. Per lei, Miss Lockhart, mi pare di intuire, l'appagamento romantico ha un ruolo secondario; ciò che più le sta a cuore, è adoperarsi per uno scopo. Con me, non le mancherà occasione. Capisce cosa le sto proponendo? Il matrimonio, e qualcosa di più: un patto di collaborazione. Noi due saremmo una splendida coppia... e chissà? Nei rari momenti di pausa, quando, fra tante e cruciali attività, avrà modo di tirare il respiro, forse avvertirà una sensazione difficile da definire, finché non vi riconoscerà quel particolare frutto del lavoro, chiamato felicità. Miss Lockhart» si spinse sull'orlo della poltrona, prendendole le mani, «vuole sposarmi?» Sally era paralizzata. Si era aspettata rabbia, disprezzo, violenza, e per questi era preparata; ma parole così la lasciavano senza fiato. Le orecchie le rombavano. Lasciò le mani fra le sue. Il contatto fisico le faceva sentire più che mai la possanza di quell'uomo. La personalità era ammaliante, la pelle carica di elettricità, lo sguardo pietrificante, il flusso delle parole irresistibile. Per riuscire a rispondere, dovette chiamare a raccolta tutte le sue energie. «Io...» si strappò infine di bocca, ma fu subito interrotta da una pioggia di colpi sulla porta. Bellman le lasciò le mani, guardandosi intorno. «Sì?» esclamò. «Che c'è?» Il domestico andò ad aprire, e comparve sulla soglia Alistair Mackinnon. Sally si accasciò improvvisamente sulla poltrona, semisvenuta. Il mago, bagnato fradicio - fuori, evidentemente, pioveva a dirotto - era visibilmente terrorizzato. La mano che reggeva il cappello era scossa da un tremito violento. Spostò gli occhi da Sally a Bellman, ripetutamente, prima di posarli, colmi di paura, sul finanziere. «Sono qui per... Miss Lockhart» sussurrò. Bellman non si mosse.
«Non capisco» disse. «Miss Lockhart» riprese Mackinnon, strappando lo sguardo dallo svedese e rivolgendosi a lei direttamente. «Jim Taylor e io siamo venuti per... riportarla a casa. Jim è... ferito. Ha una gamba rotta. Non è riuscito ad arrivare fin qui; ci aspetta al cancello. Noi temevamo...» Diede un'altra fuggevole occhiata a Bellman. «Può venire, adesso» concluse. E Sally, intuendo quanto coraggio gli fosse occorso per entrare in casa dell'uomo che aveva ordinato di ucciderlo, trovò la forza di parlare. «È troppo tardi, Mr Mackinnon» replicò, costringendosi a sedere diritta come Miss Walsh nel suo ufficio, e, dominando la voce con uno sforzo che, per poco, non la fece svenire di nuovo, aggiunse: «Mr Bellman mi ha appena chiesto di sposarlo. Sto per decidere se accettare o no la sua proposta». Vide l'incredulità dipingersi sul volto del mago. Evitando gli occhi dello svedese, proseguì: «Il punto è se potrà permetterselo. La mia mano gli costerà tremiladuecentosettanta sterline, la somma che tempo fa ho cercato, invano, di farmi restituire. Allora, non avevo nulla da offrirgli; ma adesso che pare interessato a sposarmi, può darsi che le cose stiano diversamente». Mackinnon era ammutolito. Sembrava disorientato, di fronte alla corrente di elettricità che univa quei due. Riportò lo sguardo su Bellman, ma subito sobbalzò all'indietro, sentendolo prorompere in una solenne risata: «Ah! Ah! Avevo ragione! Sei la donna giusta per me! Ma certo che ti darò quei soldi. Li vuoi in oro? Subito?» Sally annuì. Lui schizzò in piedi, staccando dalla catena dell'orologio una chiave con cui aprì una piccola cassaforte; ne estrasse tre sacchettini sigillati, buttandoli sulla scrivania, e ne dissuggellò un altro, rovesciando una pioggia di monete scintillanti sul tampone della carta assorbente. Contò rapidamente duecentosettanta sterline, che rimise dentro, e spinse tutti e quattro i sacchetti verso Sally. «Ecco qua» esclamò. «Fino all'ultimo penny». Lei si alzò. Il dado era tratto; non poteva più tornare indietro. Raccolse i sacchetti, porgendoli a Mackinnon, le cui mani tremavano ancor più delle sue. «Mi faccia un favore» lo pregò. «Porti questo denaro a Miss Susan Walsh, al numero 3 di Benfleet Avenue, Croydon. Riesce a ricordarselo?» Il mago ripeté nome e indirizzo. «Ma... Jim...» azzardò, esitante. «Mi ha mandato... non posso...»
«Ssst!» ribatté lei. «È tutto finito. Sposerò Mr Bellman. Vada, ora. Dica a Jim... no, niente. Vada pure». Pareva un bimbo smarrito. Lanciando un'ultima occhiata allo svedese, annuì debolmente e uscì. Sentendo chiudere la porta, Sally si riabbandonò sulla poltrona. Bellman balzò in piedi, e le si inginocchiò accanto, prendendole le mani. Fu come se si fosse rotta una diga. Sembrava il compimento di tutte le trasformazioni e le metamorfosi di cui aveva parlato, l'incarnazione dell'energia elettrica e meccanica, della forza del vapore e del denaro. I baci di cui le copriva le mani erano intrisi, per qualche strana alchimia, del crepitio sulfureo che aveva udito provenire dai fili, presso i binari, attraversando la valle. Mancava poco, ormai. L'ultimo atto si avvicinava. «Sono sfinita» gli disse. «Ho bisogno di dormire. Ma prima, può mostrarmi il cannone? Sono venuta fin qui... sarebbe un peccato non vederlo». «Ma certo» rispose lui, alzandosi per suonare il campanello. «È il momento ideale, questo. Mi piace lo stabilimento di notte; l'illuminazione elettrica fa passi da gigante. Cosa sai di artiglieria, mia cara?» Sally si alzò, raccogliendo da terra la sua pesante borsetta. In fondo, non era difficile... bastava non tremare, e mantener ferma la voce. «A dir la verità, parecchio» replicò. «Ma non mi stanco mai d'imparare». Lui rise, felice, mentre si avviavano al portone. Il guardiano fece uscire Mackinnon sotto la pioggia sferzante, chiudendogli la cancellata alle spalle. Mezzo di corsa, mezzo barcollante, il denaro stretto al petto, il mago raggiunse la vettura, dove Jim, fuori di sé dal dolore, lo aspettava centellinando la fiaschetta del brandy. Il ragazzo non credeva alle sue orecchie. Mackinnon dovette ripetergli la storia due volte, e scuotere i sacchetti perché sentisse il tintinnio delle monete. «Sposarlo?» farfugliò Jim. «Ha detto così?» «Sì... Una specie di contratto... si è venduta in cambio dell'oro! E mi ha fatto promettere di portarlo a una signora di Croydon...» «La sua cliente» osservò Jim. «Quella che ci ha rimesso i soldi... con la ditta di Bellman... Oh, pezzo di cretino, perché gliel'hai lasciato fare?» «Io? Io non ho potuto... era impossibile fermarla, Jim, lo sai quant'è decisa...» «No, amico, non intendevo questo. Lei ha avuto fegato, a entrare là den-
tro. Siamo pari e patta, adesso. Ce l'ho con me stesso, perché... Oh, Gesù, straparlo, con questa gamba. Sono preoccupato, Mackinnon. Mi sa che vuole... Se solo avessi un bastone...» Gemette, contorcendosi in preda alla sofferenza. Con mano tremante, si portò la fiaschetta alle labbra, lasciandola poi cadere sul fondo della carrozza; il cavallo, per quanto paziente, scosse i finimenti. Fuori, diluviava più che mai. Il mago gli asciugò con la manica il sudore dalla fronte, ma lui neanche se ne accorse. «Mi aiuti a scendere» borbottò. «Quella ha in mente qualcosa... questa faccenda non mi piace. Su, amico, dacci una mano...» Bellman riparò premurosamente Sally con il proprio impermeabile mentre, protetti da un ombrello, si affrettavano lungo il sentiero di ghiaia verso il fabbricato del cannone a vapore, rischiarato a giorno. Aveva dato ordine di illuminare l'intero complesso, e, una dopo l'altra, le lampade si accesero di un bagliore giallo, sbocciando come fiori contro il manto umido dei goccioloni. La loro meta era l'Officina Numero Uno; come Sally aveva visto dall'alto, era isolata dal resto dello stabilimento, e dovettero attraversare un tratto di ghiaia bagnata, sotto la pioggia scrosciante, prima di giungere al riparo del muro. Un guardiano, avvertito del loro arrivo, aprì la grossa porta scorrevole, e li investì una vampata di luce e calore. «Dica agli uomini di staccare per mezz'ora» intimò Bellman al caposquadra che venne loro incontro. «Che facciano pure una pausa in mensa; penserò io alla caldaia. Voglio l'edificio tutto per me e per la mia ospite». Sally vide gli operai, una dozzina circa, posare gli attrezzi e uscire. Qualcuno le lanciò un'occhiata curiosa, ma gli altri se ne andarono senza guardare né lei né Bellman. C'era, nel loro atteggiamento verso di lui, un che di ovattato, di represso, che non riusciva a identificare, finché non vi riconobbe il timore. Quando l'ultimo uomo si fu allontanato, chiudendo la porta dietro di sé, lo svedese l'aiutò a salire su una piattaforma che dominava la scena, e volgendosi verso di lei esclamò: «Il mio regno, Sally». Pareva una rimessa ferroviaria. C'erano tre file di binari, ognuna delle quali occupata, in apparenza, da un grosso carro merci in costruzione. Il più lontano era appena abbozzato, ma si vedeva chiaramente la massiccia ossatura di ferro che avrebbe ospitato la caldaia, il focolare e, presumeva, il meccanismo di sparo. Quello di mezzo, quasi finito, privo solo del rive-
stimento esterno, era un intrico di tubature incredibilmente complesso, impenetrabile alla vista, sovrastato da una gru a ponte da cui pendeva un pezzo di caldaia. Il terzo, inondato di luce, era pronto. All'interno, ardeva un fuoco appena visibile attraverso la finestrella sul retro, del tutto analoga a quelle dei normali carri di servizio. Sembrava un comunissimo vagone merci: chiuso, di legno, con il tetto di metallo, al centro del quale si levava un tozzo fumaiolo. L'unica stranezza era la moltitudine di forellini sul fianco, disposti come Henry Waterman aveva spiegato a Frederick: file e file di minuscoli puntini neri, simili, visti dalla piattaforma, a capocchie di chiodi. «Vuoi vederlo più da vicino?» propose Bellman. «Se ti piacciono le armi, di questa ti innamorerai. Dobbiamo stare attenti alla pressione, o il caposquadra si arrabbierà. Stasera collaudano la griglia automatica...» Si portarono dietro al carro. Lui si arrampicò fino allo sportello, lo spalancò, e si chinò a issarla nel piccolo scompartimento. Sembrava la versione miniaturizzata di una normale locomotiva, eccetto che il focolare, incandescente, era posto di lato. Anche i comandi erano leggermente diversi: il vapore, invece di spingere i pistoni nei cilindri, veniva convogliato in varie sezioni del vagone, denominate Camere di Sinistra e di Destra, e contrassegnate con i numeri da uno a venti. Nel punto in cui, in una comune motrice, si sarebbe trovata la caldaia, si apriva un corridoietto, rischiarato elettricamente, che conduceva nel cuore della carrozza. «Dov'è la caldaia?» chiese Sally. «Ah! La caldaia è la chiave di tutto» rispose Bellman. «Un capolavoro della tecnica. Niente a che vedere con quelle tradizionali. Molto più piccola e piatta, per fare posto alle munizioni. Solo noi, avremmo potuto costruire un simile gioiello». «E il mitragliere sta qui?» domandò ancora lei, meravigliandosi di quanto fosse salda la sua voce. «Oh, no. Proprio nel centro. Seguimi...» Muovendosi con grazia, nonostante la mole massiccia, lo svedese avanzò lentamente di traverso lungo il cunicolo. Quattro o cinque passi, e arrivarono in un secondo scompartimento, grande abbastanza per una persona sola, con una sedia girevole e un groviglio di leve e di interruttori su un lucido piano di mogano, illuminato da un'altra lampada elettrica. Su entrambe le pareti laterali, si estendevano, nel buio, rastrelliere di metallo, in cui Sally riuscì a distinguere file su file, grappoli su grappoli, di bossoli scin-
tillanti. Il calore era insopportabile. «Come fa il mitragliere a vedere all'esterno?» chiese. L'uomo alzò il braccio, tirando una maniglia che lei non aveva notato. Dal cielo della carrozza scese silenziosamente un largo tubo, con un oculare coperto da un pezzo di stoffa. «Un sistema di specchi permette di vedere fuori dal finto fumaiolo sul tetto. Ruotando il tubo, si ottiene una visione perfetta, a trecentosessanta gradi. È una mia invenzione». «È pronto per l'uso, allora?» «Oh, sì. Domattina lo collauderemo sul poligono davanti a un osservatore prussiano. Puoi venire anche tu, se vuoi. Ti prometto uno spettacolo straordinario. Vorrei mostrarti le condutture, Sally... Tutt'intorno alla cabina corrono nove chilometri di tubi! Il mitragliere comunica con il macchinista via telegrafo, e determina la modalità di tiro con queste leve... vedi? Ai condotti di sparo è annesso un meccanismo Jacquard che gli permette di scegliere fra trentasei configurazioni diverse, selezionando quella desiderata da questo schema, in base alle istruzioni fornite dal telegrafo elettrico. Credimi, Sally, è l'arma più strabiliante di tutti i tempi... la macchina più formidabile mai ideata dal cervello dell'uomo...» Lei rimase impietrita per un attimo; la testa le girava dal gran caldo. «E le cartucce sono cariche?» mormorò infine. «Sì. È pronto per sparare!» In piedi nell'unico angolino libero dello scompartimento, la mano appoggiata allo schienale della sedia, la guardava con aria di trionfo. Sally, all'imbocco del corridoio, si sentì invadere da un'ondata di lucidità estrema, da un senso di libertà e di sollievo. Era arrivato il momento. Frugò nella borsetta, estrasse la piccola rivoltella belga dalla custodia di incerata, e alzò il cane con il pollice. Bellman, udendo lo scatto, lanciò un'occhiata alla pistola, prima di incontrare lo sguardo di lei, fermo e risoluto. Il volto di Fred sotto la pioggia; le braccia nude al lume della lampada; i suoi occhi verdi e ridenti... «Lei ha ucciso Frederick Garland» disse, per la seconda volta. Lui aprì la bocca, ma Sally lo prevenne, sollevando di un poco la rivoltella: «E io lo amavo. Come ha potuto pensare di prendere il suo posto? Niente, mai, potrà ripagare la mia perdita. Era buono e coraggioso, e aveva fiducia negli uomini; e capiva valori che lei, Mr Bellman, non riesce nemmeno a concepire; valori come onestà, democrazia, giustizia, verità. Prima,
nel suo studio, ero spaventata, nauseata, raggelata, perché ho creduto, per un attimo, che lei avesse ragione... sul mondo, sulla gente. Ma si sbaglia, invece. Nonostante la sua forza, la sua astuzia, la sua influenza; nonostante la sua sicurezza sul modo in cui vanno le cose, lei ha torto, perché non è in grado di comprendere lealtà e amore, e persone come Frederick Garland...» E sebbene lui la fulminasse con lo sguardo, fece appello alle sue ultime energie, e continuò, fissandolo dritto negli occhi: «E se pure fosse tanto potente da regnare sull'intero pianeta, e desse a tutti le scuole, gli ospedali e i campi sportivi di cui, secondo lei, avrebbero bisogno, se pure tutti fossero ricchi e sani e ci fosse una sua statua in ogni città, avrebbe sempre e comunque torto, perché il mondo da lei creato poggerebbe sul timore e sull'inganno, sull'assassinio e sulla menzogna...» Bellman le si avvicinò, alzando la grossa mano a pugno, ma lei tenne duro, sollevando la pistola. «Indietro!» gli intimò. La voce le tremava di nuovo, e dovette tener ferma la rivoltella con la sinistra. «Sono venuta a recuperare il denaro della mia cliente; gliel'avevo detto, che ci sarei riuscita. Sposarla? Figuriamoci! Come ha osato pensare di valere tanto? Un solo uomo avrei voluto sposare, e lei l'ha ucciso...» Un violento singhiozzo la soffocò, mentre la riassalivano i ricordi. Bellman svanì in un'esplosione di lacrime. Sentendo la presenza di Frederick al suo fianco, lei gli bisbigliò con voce rotta: «Ho parlato bene, Fred? Sei contento di me? Vengo da te, adesso, amore mio...» Poi, puntando la pistola sulle munizioni, premette il grilletto. Quando risuonò il primo scoppio, Jim, aggrappato con una mano alla palizzata e con l'altra alla spalla del mago, costeggiava il recinto insieme a quest'ultimo, dato che il guardiano si era rifiutato di uscire dalla baracca per farli entrare. Le gocce sferzavano il terreno come migliaia di minuscole fruste. Udirono, dapprima, un brontolio soffocato, simile a un tuono, seguito, a distanza di pochi secondi, da un altro rombo, più intenso. Aguzzando gli occhi per penetrare la cortina di pioggia, videro una vampata accendersi improvvisa sulla sinistra, e una lingua di fuoco sprigionarsi dalla porta, deformata dal calore, di un edificio isolato. Si scatenarono i campanelli d'allarme. Dal fabbricato illuminato più vicino si riversò un drappello di operai, subito risospinti sui propri passi da una nuova raffica di botti.
«L'ha fatto!» esclamò Jim. «Ha fatto esplodere tutto! Lo sapevo, lo sapevo che aveva in mente una pazzia... Oh, Sally, Sally...» L'officina che ospitava il cannone era inclinata su se stessa, semidistrutta. Ne scorgevano i contorni alla luce delle lanterne degli uomini, avventuratisi nuovamente all'esterno, e del bagliore delle fiamme che fuoriuscivano guizzanti dal perimetro della porta. Dalle grida concitate, dall'atmosfera di panico, Jim capì che si temevano altre esplosioni. Scosse Mackinnon per la spalla. «Andiamo! Guardi, stanno aprendo il cancello... dobbiamo trovarla, tirarla fuori di lì...» Tornò indietro zoppicando, piccolo demonio claudicante. Il mago ondeggiò, gemendo di paura, ma, chiamando a raccolta tutte le sue energie, si accodò al ragazzo. Seguirono tre ore di ricerche frenetiche. Tre ore in cui, accanitamente, si scostarono travi e ci si aprì un varco fra rottami di metallo attorcigliati, mattoni frantumati, schegge di legno. I vigili del fuoco, chiamati immediatamente, ben presto avevano arginato l'incendio principale, con l'aiuto della squadra di soccorso dello stabilimento. Mackinnon, contagiato dalla diabolica energia di Jim, si era tuffato anima e corpo nelle ricerche, e continuava a setacciare nonostante il dolore, la fatica e i pericoli. Più di una volta, il ragazzo, che, accanto a lui, lavorava a denti stretti, gli aveva fatto un cenno di approvazione, come se, superata una prova, fosse ora suo pari. Trovarono Sally semisepolta da un angolo del tetto, mentre la pioggia accennava finalmente a calmarsi. Uno degli operai della Stella del Nord cacciò un grido. Chinato a terra, agitava il braccio, indicando una parte dell'officina non ancora esplorata. Nel giro di pochi secondi, altri uomini accorsero per sollevare la grossa trave di legno che aveva impedito al muro di schiacciare la ragazza, togliendo, a poco a poco, a uno a uno, i pezzi di cemento e di metallo che la opprimevano. Jim si accovacciò accanto a Sally, cercandole la mano. I biondi capelli, sparsi sul pavimento, erano intrisi di polvere e di sporcizia. Il corpo era immobile. E poi, d'un tratto, la vide battere le palpebre, e nello stesso momento trovò il polso, forte e sicuro.
«Sally!» esclamò, scostandole i capelli dalla fronte e accostando il viso al suo. «Sally» ripeté piano, «coraggio, ragazza mia, è tutto a posto adesso... ti tireremo fuori... c'è un sacco di lavoro da fare, a casa...» «Jim?» sussurrò lei. Aprì gli occhi, e subito li richiuse, accecata dalla luce, ma l'aveva visto e sentito, e gli strinse la mano in risposta. «Pazza scriteriata» sussurrò lui di rimando. E svenne. IL FRUTTETO Sally si era salvata unicamente perché si trovava all'imbocco del corridoio, e Bellman aveva lasciato aperto lo sportello posteriore: il primo scoppio l'aveva sospinta fuori dalla carrozza e quando, come previsto, la caldaia era esplosa, era ormai al riparo dalle conseguenze peggiori. Lo svedese era morto sul colpo; trovarono i suoi resti il mattino dopo. Lei era sotto shock, ma, a parte qualche livido e una distorsione al polso, illesa. Alistair Mackinnon telegrafò a Charles Bertram, il quale arrivò in giornata, prendendo in mano la situazione: spedì Jim dal suo medico perché gli ingessasse nuovamente la gamba, trovò un dottore per Sally e si occupò delle indagini sul disastro. La versione dell'incidente fu universalmente accettata. I giornali scrissero che mentre Mr Bellman, il proprietario, stava mostrando lo stabilimento a un visitatore, un'improvvisa avaria a una valvola di sicurezza aveva provocato un fatale aumento di pressione in una delle caldaie. Nessun accenno alla presenza di esplosivi; nessun accenno a quello che la fabbrica, in realtà, produceva. Un incidente come tanti; tragico, certo, perché vi era perito il noto industriale filantropo, per il quale sarebbe stato officiato un servizio funebre nella chiesa parrocchiale. Sally rientrò a Londra. E, a poco a poco, tornò a vivere. Il primo problema, e il più urgente, erano gli affari. Le sue pratiche erano al sicuro dall'avvocato Temple, ma la Garland & Lockhart, quella creatura viva, tanto amata, cresciuta sotto i suoi occhi, aveva subito un fiero colpo. Poiché aveva rinnovato l'assicurazione pochi mesi prima, sostituire l'attrezzatura non sarebbe stato troppo difficile, anche se, come lei ben sapeva, un'azienda era molto di più del suo patrimonio materiale. Trovò uno studio scalcinato ad Hammersmith e mise all'opera i dipendenti, integrando le buste paga di tasca propria finché le entrate non furono tali da garantire veri stipendi. Pubblicò annunci su tutti i giornali, promettendo che si sa-
rebbero messi in pari con commissioni e incarichi entro una settimana; comprò una macchina fotografica da studio, stampò altra carta da lettera, procurò nuove ordinazioni. Ricorse a prestiti, pressioni, ricatti, noleggiò apparecchiature e tiranneggiò gli impiegati, finché, nel giro di un mese, la barca non ricominciò a galleggiare. Sperava solo che il vento in poppa durasse: il suo gruzzoletto personale si assottigliava a vista d'occhio. Ma il colpo peggiore l'aveva preso Webster. Tutte le sue conquiste, tutte le splendide e irripetibili immagini immortalate su carta e su vetro, il lavoro di tutta una vita, erano spariti in un batter d'occhio. Era come se fosse arrivato a sessant'anni senza combinar nulla. Sally, impotente, lo guardava lavorare come un automa, e cercare conforto nel whisky, la sera. Aveva le spalle larghe, d'accordo, ma aveva amato Frederick come un figlio, e quanto alla perdita delle fotografie, be'... si poteva solo intuire quale dolore gli procurasse. La difficoltà maggiore era quella dei locali. Lo studio di Hammersmith era talmente piccolo da consentire solo i ritratti più semplici, e non era in una buona posizione; la sede più vicina che era riuscita a scovare per il negozio era uno squallido buco a tre strade di distanza, e questa scomoda separazione delle attività non faceva che aumentare il carico di lavoro. D'altro canto, il periodo dedicato alla ricerca di una sistemazione migliore e a un eventuale trasloco sarebbe stato finanziariamente improduttivo, e questo non potevano permetterselo. Di giorno, cercava di ignorare il problema, ma di notte, la riassaliva la preoccupazione. Al buio, diventava un'altra: tormentata e con le emozioni a fior di pelle, non chiudeva mai occhio e parlava con un fantasma. Un mattino, appena poté, prese il treno per Croydon e si recò da Miss Susan Walsh. L'anziana signora aveva un'allieva a ripetizione, ma rimase così impressionata dall'aspetto di Sally che rinviò la lezione a più tardi e la fece sedere accanto al fuoco con un bicchiere di sherry. Lei, stanca, infreddolita e riconoscente, le porse un assegno per l'importo recuperato da Bellman... e, con sua grande stizza, scoppiò in lacrime. «Benedetta ragazza!» esclamò Miss Walsh. «Che diamine ha combinato?» Un'ora dopo, era al corrente di tutto. Scosse la testa, sbalordita; poi, prese l'assegno, posandoglielo sulle ginocchia. «Voglio investire questo denaro nella sua azienda» spiegò. «Ma...» Un'occhiata gelida bloccò le rimostranze di Sally.
«Il suo ultimo consiglio, deve ammetterlo» riprese alquanto seccamente la signorina, «non era un granché. Stavolta, Miss Lockhart, farò a modo mio. Personalmente, ritengo la Garland & Lockhart, come investimento, molto più sicuro di qualunque compagnia di navigazione». E non volle sentir ragioni. Se l'emancipazione femminile significava qualcosa, aggiunse, era diritto di una donna di sostenere il lavoro di un'altra, nel modo che più reputava opportuno. Punto e basta. Così, divisero minestra e formaggio, parlarono di Cambridge, e si separarono da ottime amiche. Jim rimase tre settimane a letto. La gamba aveva subito lesioni gravi durante la spedizione alla ricerca di Sally, e il dottore temeva che avrebbe zoppicato per il resto dei suoi giorni. Rintanato nella camera degli ospiti della casa di Trembler Molloy a Islington, trascorse il tempo leggendo romanzacci, irritandosi per l'inconsistenza delle trame, buttando giù racconti e stracciandoli in un accesso di rabbia, ritagliando e incollando con cura i pezzi di un teatro giocattolo che si era fatto comprare da Sally, imbastendo storie con le figurine di cartone, stancandosene subito, scrivendo sei lettere a Lady Mary e gettandole nel cestino, una dopo l'altra, e attingendo alle più riposte risorse del suo vocabolario per stramaledire tutto e tutti con un linguaggio che avrebbe fatto impallidire uno scaricatore di porto. Una lettera a Lady Mary, però, l'avrebbe anche spedita, se, due settimane dopo il ritorno a Londra, non ne avesse ricevuta una da Mackinnon. Il mago aveva deciso di andare con la moglie in America, dove avrebbe potuto perfezionare la sua arte in un contesto più moderno e stimolante del varietà inglese, e adempiere alle sue responsabilità di uomo sposato senza quegli ostacoli che gliel'avevano sino ad allora impedito. Così, almeno, la girò lui. Jim mostrò la lettera a Sally. «Mi chiedo quanto potrà durare» commentò amaramente. «Intendiamoci, alla fine si è riscattato, il nostro amico. Si è rimboccato le maniche per tirarti fuori, e non se l'è filata con l'oro... un tempo l'avrebbe fatto. Oh be', gli auguro buona fortuna. Ma deve trattarla bene, altrimenti, parola mia...» E in cuor suo si chiedeva come fosse riuscito a persuadere quella creatura bella, sognante e malinconica a condividere l'esistenza di un illusionista da teatro, e come avesse reagito il padre di lei alla notizia della sua partenza. Nel mondo della finanza, la morte di Bellman fece scalpore. Nonostante
l'inchiesta l'avesse giudicata accidentale, circolarono voci che imparentavano la 'sciagura' della Stella del Nord, come fu definita, con certe irregolarità, venute nel frattempo alla luce, commesse da altre sue imprese. Il prezzo delle azioni crollò. Si diffuse la notizia che un certo Mr Windlesham collaborava con le autorità nelle indagini; intanto, per una curiosa coincidenza, parecchi funzionari governativi rassegnarono le dimissioni, o furono discretamente sollevati dall'incarico. Il tutto, però, ebbe scarsa risonanza sui giornali. Poco dopo, la società subì il tracollo definitivo; il fallimento di Lord Wytham seguì a ruota. Date le circostanze, andare in America con Mackinnon era la mossa più intelligente che Lady Mary potesse fare, riconobbe Jim; le augurava ogni bene. Tecnici e progettisti della Stella del Nord si impiegarono in altre ditte. Alcuni vennero assunti dalla Armstrong-Vickers, la famosa fabbrica di armi, ma non portarono con sé i disegni del Regolatore Automatico di Hopkinson; si mormorava che qualcuno si fosse intrufolato nel cantiere, distruggendoli in blocco. Lo stabilimento riaprì come cooperativa per la produzione di biciclette, ma l'iniziativa fallì, poiché gli operai non disponevano del capitale necessario; rivenduto, fu riadibito alla costruzione di locomotive, con ottimi risultati. Non appena poté alzarsi, Jim uscì appoggiandosi al bastone, prese l'omnibus per Streatham e andò a trovare Nellie Budd. Con l'aiuto di Jessie si era ripresa dall'aggressione, ma era molto dimagrita e aveva perso gran parte della sua verve. Nel vederla, il ragazzo si compiacque di ogni singolo colpo rifilato a Sackville e Harris. Lei e Jessie si erano riconciliate; la sorella era tornata al Nord, e lei presto avrebbe venduto baracca e burattini per raggiungerla. I trucchetti spiritici cominciavano ad annoiarla, e non appena fosse stata un po' più in forze, avrebbero imbastito insieme un numero di pseudotelepatia, da portare sulle scene. Jim promise che non se lo sarebbe lasciato sfuggire. Il tempo passava. E, a poco a poco, Sally cominciò a rendersi conto delle trame sottili che governavano il mondo; di come ogni cosa, lungi dall'essere semplice e chiara, fosse al contrario intessuta di ironia. Isabel Meredith, innanzitutto. Chaka e Frederick, le due creature che Sally aveva amato senza riserve, avevano entrambi dato la vita per lei. Avrebbe avuto ragione di pensare a lei con astio: invece provava solo pietà.
Poi, le fotografie. Nel corso degli anni, Frederick ne aveva scattate diverse a Jim, ancor di più a lei; ma ritratti suoi, non ce n'erano. Webster non ricordava di avergliene fatti. Era vissuto in mezzo a macchine fotografiche, obiettivi, lastre, emulsioni, e nessuno aveva mai immortalato il suo volto ridente e vivace. Non c'era neanche un disegno. E infine, lei stessa, cui l'ironia della vita aveva giocato il tiro più grosso. Non sapeva come parlarne; eppure, presto avrebbe dovuto farlo. Alla fine di aprile, una bella domenica frizzante ma piena di sole Charles Bertram annunciò che aveva una sorpresa, e li portò in calesse fino a Twickenham, mantenendo il più stretto riserbo sulla loro meta. «Aspetta e vedrai». Non gli si cavava altro di bocca. Si trovarono davanti una casa disabitata, circondata da una specie di giungla. L'intonaco era tutto scrostato, ma le finestre erano intatte, e le dimensioni allettanti. Aveva settant'anni, disse Charles, era pulita, asciutta... e infestata dagli spiriti. «Il proprietario è un ricco birraio» riferì, aprendo il cancello. «E non riesce ad affittarla, a nessun prezzo. A quanto pare, c'è una Dama Bianca che si aggira per i corridoi al piano di sopra; del tutto inoffensiva, poveraccia, ma la gente si spaventa. Ora, se volete seguirmi...» Spalancò la doppia porta, rivelando una stanza luminosa affacciata sul giardino... e una tavola imbandita, con fagiano freddo, insalata, vino e frutta. «Diavolo, Charlie!» esclamò Jim. «Bel colpo, amico! Ottimo lavoro!» «Eccellente, Charles» ribadì Webster. «Mi sono fatto precedere dal mio cameriere» spiegò lui. «Prego, Sally» aggiunse, scostandole la sedia. Lei si sedette. «È davvero infestata?» «Così dice il padrone. Ne parla francamente... credo che abbia perso le speranze di affittarla. Ma avete visto che ampiezza!» osservò, stappando il vino. Webster fissava ipnotizzato il giardino. «Sbaglio, o è un frutteto, quello?» chiese. «E c'è abbastanza spazio sul prato per... Forse...» «Le guide» riprese Charles. «Parallele a quel muro là, vedi?» Webster seguì il suo dito. «Sì... un impianto coi fiocchi. Lunghe quanto ci pare, disposte come ci pare... e la luce è perfetta...» «E una tettoia di vetro, per ripararle dal maltempo...» continuò Charles.
«E dietro la stalla c'è uno spiazzo enorme... dopo pranzo vi faccio vedere. Ci sta uno studio decente... e anche un laboratorio. Intendiamoci, bisognerà ingaggiare un falegname a tempo pieno». «E l'affitto è basso, dici?» intervenne Sally. «Ho qui le cifre. Capirai, con un fantasma in circolazione...» Dopo mangiato, Charles mormorò: «Sally... ho qualcosa per te. Probabilmente, non è il momento adatto, ma...» Prese una busta dalla tasca della giacca. «L'ho scattata tre o quattro mesi fa» proseguì. «Stavo provando l'obiettivo nuovo sulla Voigtlànder, non c'era nessun altro in giro, e ho chiesto a lui...» Sally aprì la busta... e lo vide. Era un ritratto a grandezza naturale, meravigliosamente nitido, traboccante di espressività e di vita, quale solo Charles, oltre a Webster, avrebbe potuto ottenere. Frederick era lì... presente, animato, ridente... un vero miracolo. Sally non riusciva a parlare, soffocata dalle lacrime, ma gettò le braccia al collo di Charles e lo baciò. «Grazie...» balbettò infine, «è il regalo più bello che...» Be', non proprio il più bello, pensò fra sé e sé più tardi, passeggiando nel frutteto. Il più bello sarebbe stato impossibile. I morti non tornavano indietro, checché ne dicessero gli spiritisti. E tuttavia... benedetta ironia! Neanche questo era esatto. «Andiamo...» bisbigliò al ritratto, «è arrivato il momento». Li trovò seduti al tavolo, immersi in una discussione sulla casa, il canone d'affitto, il numero delle stanze, la possibilità di ampliamenti. Fecero posto alla loro socia. Sally si sedette. «Prendiamola» esordì. «È perfetta, Charles. Volevo dire anche un'altra cosa. Aspetto un figlio da Fred. Se fosse vivo, a quest'ora saremmo sposati. Vi ho scioccato? No, certo che no. Ecco, l'ho detto. Aspetto un bambino da Fred. Questo, volevo dire». Era arrossita. Appoggiò il ritratto sul tavolo, contro la bottiglia del vino. E poi, alzò gli occhi e li vide... Jim, Charles, Webster. Tre volti illuminati da un identico sorriso di trionfo. Come se loro avessero fatto chissà quale prodezza... Ma guarda un po' che tipi! FINE