José Saramago
L’anno mille993 A cura di Domenico Corradini H. Broussard Titolo originale: O*ano de 1993 ©1987 José Sara...
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José Saramago
L’anno mille993 A cura di Domenico Corradini H. Broussard Titolo originale: O*ano de 1993 ©1987 José Saramago e Editorial Caminho by arrangement with Dr. RayGilde Merlin Literarische Agentur, Bad Homburg, Deutschland pubblicato da Editorial Caminho, Lisbona 1987 © 2001 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino
Indice Nota dell’Autore all’Edizione italiana ..........................................2 1. ........................................................................................3 2. ........................................................................................4 3. ........................................................................................4 4. ........................................................................................5 5. ........................................................................................6 6. ........................................................................................7 7. ........................................................................................8 8. ........................................................................................8 9. ...................................................................................... 10 10...................................................................................... 11 11...................................................................................... 12 12...................................................................................... 13 13...................................................................................... 13 14...................................................................................... 14 15...................................................................................... 15 16...................................................................................... 16 17...................................................................................... 17 18...................................................................................... 18 19...................................................................................... 19 20...................................................................................... 20 21...................................................................................... 21 22...................................................................................... 22 23...................................................................................... 23 24...................................................................................... 24 25...................................................................................... 25 26...................................................................................... 26 27...................................................................................... 27 28...................................................................................... 28 29...................................................................................... 29 30...................................................................................... 30 Postilla del Curatore .................................................................. 31 José Saramago – Dalla lettura per il Premio Nobel, 7 dicembre 1998 .......................................................................................... 33
Nota dell’Autore all’Edizione italiana E immortale è la speranza Queste parole sulla soglia d’un libro scritto quasi vent’anni fa, e dunque estemporanee nel senso più stretto del termine, si sottopongono al rischio d’una severa critica da parte dei lettori, che sono abbastanza arguti da comprendere che la modestia generalmente usata in simili circostanze è, quanto meno, un semplice gioco. Loro sanno che uno scrittore, pur sospinto lontano dalla sua sincerità, non avrebbe mai il coraggio di rinnegare pubblicamente la propria opera. E anche sanno che uno scrittore, nonostante venga applaudito per il suo genio o conosciuto per la sua vanità, non oserebbe mai lodarsi e firmare la lode. A ciò si aggiunga la ripetuta affermazione dei teorici della letteratura, secondo i quali lo scrittore è colui che meno degli altri conosce il suo lavoro. Per questa traduzione italiana, che è la prima mondiale dal portoghese, e che a me sembra mantenere intatto il carattere "fluviale" del mio linguaggio e concedere al lettore la più ampia libertà di ricrearne il ritmo, sono stato invitato a intervenire, dall’amico Domenico Corradini H. Broussard, con alcune righe introduttive. Ed è comprensibile che io mi limiti a raccontare come e perché sia nato L’anno mille993. Ecco i fatti. Un mese prima della rivoluzione del 25 aprile mille974, che ha aperto al Portogallo la porta della democrazia, e non sapevamo allora che la democrazia perfetta è irraggiungibile e che dopo quella porta tante altre ce ne sono lungo un cammino senza fine, un piccolo gruppo di militari tentò invano, da una città di provincia, di rovesciare il governo e cambiare il regime. Questo accadeva il 16 marzo, e fu sotto l’effetto d’un profondo senso di frustrazione che scrissi, il giorno stesso, il primo dei trenta componimenti poetici in cui il libro si divide. Ho cercato di esprimere in questi componimenti l’angoscia e la paura, e anche la speranza, d’un popolo oppresso che a poco a poco vince la rassegnazione e organizza la resistenza fino alla battaglia decisiva e alla ripresa della vita, pagata al prezzo di migliaia di morti. Ho spostato nel futuro la storia di questo popolo, il popolo d’un paese mai nominato, immagine di quanti hanno subito e subiscono la tirannide, e pensavo che forse mi ero messo a narrare le ultime sofferenze degli uomini, che lentamente avrebbero appreso la felicità, e sapevo però che niente di noi un giorno rimane sotto l’ombra che ciascuno va proiettando sul suolo che calpesta. Scrivo queste parole nel mille993. Le sofferenze non sono finite, né la felicità è cominciata. E proprio adesso, frase per frase, sillaba per sillaba, quanti popoli del mondo, qui e in
ogni dove, non leggerebbero questo libro come il libro del loro grande dolore e della loro immortale speranza? Lanzarote, 20 ottobre 1993
1. Le persone sono sedute in un paesaggio di Dalì con le ombre molto frastagliate a causa d’un sole che sembra fermo Quando il sole si muove come a volte accade fuori dai dipinti la nitidezza è minore e la luce non sa bene dove posarsi Non importa che Dalì sia stato un così mediocre pittore se dipinse l’immagine necessaria per i giorni del mille993 Per questi giorni in cui le persone sono sedute nel paesaggio fra due travi di legno che furono una porta senza pareti in cima e ai lati Non c’è pertanto casa né c’è la porta che potrebbe non aprirsi proprio perché non ha su dove aprirsi Soltanto il vuoto della porta e non la porta E le persone e non si sa quante e non furono contate devono essere almeno due perché conversano e alzano il bavero della giacca per difendersi dal freddo E dicono che l’inverno dell’anno passato fu molto più dolce o mite o benigno sebbene la parola non sia che un ricordo nel mille993 Mentre parlano e dicono cose importanti come questa Una delle persone traccia per terra segni enigmatici che potrebbero rappresentare un ritratto o una dichiarazione d’amore o la parola non ancora inventata Si vede adesso che il sole dopotutto non era fermo e perciò il paesaggio ricorda molto meno Dalì di quanto si è detto al primo rigo-verso E un’ombra stretta e lunga che è forse d’una pietra aguzza conficcata in terra o d’una trave lontana di porta che è ormai rimasta senza compagnia e per questo non attrae le persone Un’ombra stretta e lunga tocca il dito che raschia nella polvere del suolo e comincia a divorarlo
Lentamente passando alle ossa del metacarpo e poi salendo per il braccio divorando Mentre alcune persone continuano a conversare E questa tace perché tutto ciò avviene senza dolore e quando scende la notte 2. Gli abitanti della città malata di peste sono riuniti nella piazza grande che così è ormai conosciuta perché in tutte le altre si accumulavano rovine Furono spinti fuori dalle loro case da un ordine che nessuno udì" Però come stava scritto in leggende antichissime sarebbero venute dal cielo voci o trombe o luci straordinarie e tutti vollero esser presenti Qualcosa poteva forse accadere nel mondo prima del trionfo finale della peste fosse anche una peste maggiore Ebbene sono lì nella piazza angosciati e in silenzio ad attendere E poi nient’altro si sente che un’aerea e delicata musica per clavicembalo Qualche fuga composta duecentocinquant’anni fa da Johann Sebastian Bach a Lipsia È allora che gli uomini e le donne senza speranza si lasciano cadere sul cemento crepato della piazza Mentre la musica si allontana e vola sopra i campi devastati 3. L’ascensore ha smesso di funzionare non si sa quando però la scala è ancora utilizzabile Ciò che sta oltre non importa ma dal pianterreno al ventesimo piano è dominio del vento e dei pochi uccelli sopravvissuti Benché si affermi che in una delle mille stanze dell’edificio una donna non ha ancora smesso il gemito più lungo della storia del mondo
E si dica anche che in un’altra stanza un uomo sta aspettando che gli crescano le unghie a tal punto Da conficcargliele negli occhi e arrivare alla cavità dall’altra parte del cranio addirittura fino a far tacere il gemito invisibile e aprirle nuovi occhi su un mondo dietro questo Ma per ora il cammino è in discesa e meno uno meno due meno tre ed ecco le cantine o i sotterranei o le camere blindate Fra il primo e il secondo piano l’ascensore mostra ciò che resta dell’usciere e del direttore generale Benché non sia possibile distinguerli l’uno dall’altro neanche a chiederlo Per caso tutte le porte son rimaste aperte o hanno avuto la forza d’aprirsi all’ultimo momento Ragion per cui possiamo capire senza bisogno di miglior lezione la differenza fra ricchezza mobiliare e immobiliare Nei corridoi e nelle sale rinforzate per le correnti d’aria le note volano con quel rumore che fanno le foglie secche quando si sfiorano l’una con l’altra Mentre i lingotti d’oro brillano sotto una luce che misteriosamente non si è spenta Come una putredine fosforescente e velenosa 4. L’interrogatorio dell’uomo che uscì di casa dopo l’ora del coprifuoco è cominciato da quindici giorni e ancora non è finito Gli inquisitori fanno una domanda ogni sessanta minuti dunque ventiquattro al giorno ed esigono cinquantanove risposte diverse per ogni domanda È un metodo nuovo Credono che sia impossibile non trovare la risposta vera fra le cinquantanove che vengono date
E confidano nella perspicacia del calcolatore per scoprire quale essa sia e quale è il suo legame con le altre Sono quindici giorni che l’uomo non dorme né dormirà fino a quando il calcolatore non dica non ho bisogno d’altro o il medico non ho bisogno di tanto Nel qual caso avrà il suo sonno definitivo uscito
L’uomo che uscì di casa dopo l’ora del coprifuoco non dirà perché è
E gli inquisitori non sanno che la verità si trova nella sessantesima risposta Intanto la tortura continua finché il medico dichiara Non ne vale la pena 5. La città in cui gli uomini più non abitano è adesso da loro assediata Non deve passare inosservata l’esagerazione che c’è nella parola assediata Come esagerazione ci sarebbe nella parola accerchiata o in un altro sinonimo senza neanche sollevare la dibattuta questione della sinonimia perfetta Gli uomini si limitano a stare intorno alla città incapaci tanto di entrarci che di allontanarsene definitivamente Sono come farfalle della notte attratte non dalle luci della città ormai spente da molto tempo Ma dal profilo disarticolato dei tetti e delle guglie e anche dalla rete impalpabile delle antenne televisive Di giorno una grande assenza vigila alle porte della città E le strade hanno quel troppo silenzio che c’è nelle cose una volta abitate e ora non più Nella città vivono soltanto i lupi
Essendosi così invertito l’ordine naturale delle cose gli uomini stanno fuori e i lupi dentro Niente accade prima della notte Allora escono i lupi a dar la caccia agli uomini e sempre ne prendono qualcuno Che entra finalmente nella città lasciando al suo passare un rigagnolo di sangue Lì dove in tempi più felici aveva combinato pranzi con parenti e amici e scherzi e chiacchiericcio E cacce ai lupi 6. Nessun luogo è sufficientemente bello sulla terra da spingerci a raggiungerlo spostandoci da un altro luogo Ma una ragione ci sarà se a tutte le ore del giorno gruppi di persone si dirigono verso la via delle statue Niente itinerari e niente mappe perché tutte le strade portano a questa via e non a Roma dove ancora oggi non mancano le statue ma nessuna che a queste sia paragonabile Non è difficile arrivarci basta guardare a terra e seguire sempre i sentieri più battuti riconoscibili anche dalle due file di escrementi che li fiancheggiano Il sole rende ben presto secchi gli escrementi e se la pioggia li sfarina mai li sfarina a tal punto da restituire la terra a una qualche verginità L’uomo ha imparato finalmente a orientarsi senza bussola gli basta passare dove un altro uomo è passato prima Le persone avanzano conversando a più voci e di tanto in tanto una si separa dal gruppo e si accovaccia a lato Mentre le altre si allontanano lentamente e ritardano il passo affinché non rimanga indietro colui che indicherà il cammino
Superato l’ultimo orizzonte é là che si trova la via delle statue Nessun escremento nelle vicinanze Ed ecco che cinquanta statue da ogni lato incredibilmente bianche ma alle quali il gioco alternato delle luci e delle ombre fa muovere le membra e i lineamenti Mostrano a chi viene da lontano come forse un tempo erano gli uomini Perché ci sono motivi per pensare che mai sono stati così 7. Il comandante delle truppe di occupazione ha uno stregone nel suo Stato Maggiore Ma il senso dell’onore militare sebbene condiscendente in altri casi gli ha sempre impedito di utilizzare poteri sovrannaturali per vincere in battaglia Lo stregone interviene solo quando al comandante delle truppe di occupazione piace usare la frusta In queste occasioni i due vanno nei dintorni della città e raggiunta un’alta postazione lo stregone invoca i poteri occulti riducendo la città alla grandezza d’un corpo umano Allora il comandante delle truppe di occupazione fa schioccare tre volte la punta della frusta per abituare il braccio e subito dopo prende a frustate la città fino a stancarsi Lo stregone che intanto assiste rispettosamente a distanza chiama a sé i poteri occulti contrari e la città ritorna alla sua grandezza naturale Ogni volta che ciò avviene gli abitanti chiedono l’uno all’altro incontrandosi per le strade che significhino quei segni di frusta sul viso Mentre sono così sicuri che nessuno li ha frustati e che a farsi frustare non avrebbero acconsentito 8. È stato deciso che oggi si combatterà una grande battaglia e nonostante il numero dei morti previsto così si farà
Mai la certezza dei morti ha evitato una guerra e tanto meno nel mille993 quando gli scrupoli non sono né prigione né impedimento Non ce li hanno i persecutori e ai perseguitati si consiglia di non averli Ma solo al termine della battaglia la ragione si verrà a sapere perché il conteggio dei morti contrariamente alle abitudini sarà diviso fra i due campi Per il semplice motivo che l’odio è finalmente entrato nel corpo delle donne È chiaro che essendo morti i perseguitati le violenteranno i persecutori conformemente a ciò che ordinano le immemorabili regole della guerra Tutto questo è già accaduto infinite volte e così tante volte che non lo si deve chiamare violenza ma resa Perciò la lunga fila delle donne sdraiate aspetta con simulata indifferenza la penetrazione dei persecutori Loro stesse hanno alzato le vesti e offrono agli occhi e alla luce del sole le vulve umide E silenziosamente sopportano l’assalto e aprono le braccia mentre la rabbia corre nel sangue fino al centro del corpo C’è un momento estremo in cui il persecutore potrebbe ancora ritirarsi Ma è subito tardi e proprio quando lo spasmo è sul punto di deflagrare come una bomba I denti che l’odio ha fatto nascere nelle vulve frenetiche Tagliano di netto con un colpo secco e definitivo il pene dei persecutori e lo sputano fuori con lo stesso disprezzo con cui i perseguitati furono sgozzati Solo una donna mentre le altre celebrano la giusta vittoria estrae dolcemente il membro amputato che ha avuto il tempo di eiaculare E alzatasi comprime il sesso con le mani e si allontana verso la pianura in direzione delle montagne
9. Tutte le notti per tre volte si fa la conta degli abitanti che furono autorizzati a vivere nella città Per questa ragione non sono chiuse le porte delle case e ciò porterebbe un osservatore frettoloso a pensare che lì si è tornati all’innocenza dell’età dell’oro Però è un punto controverso L’importante è che le case stiano sempre aperte in modo che quelli del censimento non perdano tempo Tanto più che tre sono le conte come già detto La prima a mezzanotte dopo due ore che è scattato l’obbligo di andare a letto La seconda alle tre del mattino e la terza all’alba quando il cielo non è ancora chiaro D’inverno e d’estate le persone dormono senza coperte ma si vestono quanto più possono se si eccettua una gamba a partire dal ginocchio in giù e il viso per respirare Se fosse possibile si coprirebbero pure la testa lasciando scoperta soltanto la gamba Perché quelli del censimento hanno bisogno di toccare la pelle di questi addormentati che raramente dormono ragni
La prima conta è fatta dai topi e la seconda dai serpenti e la terza dai
Gli abitanti preferiscono i serpenti e i topi benché sia orribile il contatto freddo e squamoso dei serpenti e orribile anche il graffiare sottile delle unghie dei topi L’orrore più grande è però causato dai ragni Sebbene siano geni geometrici e matematici malignamente impiegano molto tempo a contare mentre passeggiano sopra i volti atterriti spostandosi sulle loro alte e tremule zampe
Tutte le notti impazziscono due o tre abitanti della città 10. Certi uomini benché non adatti morfologicamente andarono a vivere sottoterra Utilizzarono la tecnica della talpa a cielo chiuso in quanto soffrivano di identiche limitazioni fisiche E se è vero che col tempo svilupparono le unghie in lunghezza e resistenza Mai poterono scavare gallerie profonde Gli sarebbe probabilmente costato rimanere distanti dal sole Nel qual caso avrebbero molta più ragione della talpa che è cieca o quasi e l’uomo no sebbene in tale direzione abbia fatto alcuni progressi Perciò è facile scoprire i tunnel scavati da questi uomini che si sono allontanati dal mondo esterno E che preoccupandosi d’aprirsi un varco verso la luce rompono la crosta di terra e assomigliano agli struzzi che si credono ben nascosti I persecutori non esitano neppure dinanzi alle due estremità del tunnel come si potrebbe esitare dinanzi al solco tracciato sulla sabbia da quelle conchiglie d’acqua dolce che hanno due valve e credono nel destino Perché dove la terra è più fresca lì si muove lentamente l’occulto Una lancia piantata per la punta o un picchetto trafiggono la schiena dell’uomo dalle unghie lunghe e dal coraggio insufficiente Una buona trappola però sarebbe la galleria scavata in superficie Se gli uomini che scelsero di vivere sottoterra capissero che devono scavare un pozzo in basso e profondamente prima che arrivino la lancia e il picchetto In modo che il persecutore muoia interrato nel preciso momento in cui li avrebbe uccisi e in modo che le perdite comincino a uguagliarsi In nome della semplice e necessaria giustizia
11. Furono requisiti tutti i termometri della città e pena la morte ne fu proibito il possesso Nessuna spiegazione mediante dell’occupazione e nessun proclama
una
qualche
notizia
nel
diario
Neanche un presentatore della radio o della televisione ha osato aggiungere un commento alla lettura dell’ordine redatto dalle autorità incaricate dell’informazione Grazie alla sparizione dei termometri i bambini hanno potuto sentire molti per la prima volta il fresco delle mani del padre o della madre sulla fronte calda Sembrava allora che qualcosa di buono si fosse ottenuto Fino al giorno in cui la popolazione comprese a che servivano il mercurio dei termometri e il restante mercurio dovunque esistesse Le persone che dimoravano alla periferia della città e che perciò vedevano nascere il sole Credettero a un certo punto che il mondo stesse per finire perché a lato del vecchio sole arancione si era levata una sfera fredda e nera con riflessi di cenere Soltanto queste persone assistettero al primo apparire del grande occhio che avrebbe preso a vegliare sulla città Soltanto queste persone lo videro nella sua originaria grandezza Come il sole vero salì un po’ all’orizzonte la sfera di mercurio si divise in due in quattro in otto in sedici in trentadue in centinaia di sfere che si sparsero dappertutto Si spostavano nell’aria silenziosamente e continuavano a dividersi finché non ci furono tante sfere quanti erano gli abitanti della città mai
Fu istituito l’occhio della vigilanza individuale o l’occhio che non dorme
Le madri si sono però accorte che sopra la sfera di mercurio scende una specie di velo ogni volta che le loro mani si posano sulla fronte dei bambini febbricitanti
In queste occasioni il calcolatore centrale riceve dati insoliti che falsificano l’informazione generale Anche se pare incredibile che per una simile ragione sia sparito da poco tempo senza lasciar traccia un intero battaglione dell’esercito occupante 12. Uno dei risultati della catastrofe fu che da un momento all’altro gli animali domestici cessarono d’esser tali La prima vittima di cui si ha notizia fu la moglie del governatore scelto dall’occupante La scimmia ammaestrata che soleva divertirla nelle ore di noia la crocifisse al portone del giardino mentre le galline uscivano dal pollaio per strapparle a beccate le unghie dei piedi Gatti di razza castrati ricordando quel che avevan sofferto graffiarono molte vecchine innocenti E numerosi bambini sfortunatamente diventarono ciechi a causa dei becchi aguzzi degli uccelli che dai rami e dalle alture si lanciavano come pietre Senza gli animali domestici la gente si dedicò attivamente alla coltivazione dei fiori Da questi non ci si deve aspettare del male se non fosse data eccessiva importanza al recente caso d’una rosa carnivora 13. Tutto il sistema penitenziario fu riformato dall’occupante compresi gli stessi edifici Via le segrete e le carceri sotterranee e le celle buie e le grate e i muri alti e il filo spinato Al posto delle vecchie prigioni si costruirono edifici a sei piani tutti di vetro trasparente Gli unici elementi opachi sono i pagliericci e le serrature delle porte
Ogni prigione ha centinaia di celle a forma esagonale come favi di alveare Tutto ciò che un prigioniero fa deve farlo al cospetto degli altri prigionieri e delle guardie e della città che non ha altri spettacoli pubblici Alla più grande occupazione che è quella del pensare nessuno fa caso Ma secondo i gusti non mancano spettatori per chi mangia e defeca e si masturba e tante scuse per gli occhi delicati O per chi partecipa agli interrogatori e alle torture che si svolgono alla luce del giorno Come prova che il nuovo sistema carcerario ammette la libera osservazione e si offre alla testimonianza generale Le pareti diventano opache solo quando tutti i prigionieri dormono e niente c’è più da vedere 14. Nei quattro punti cardinali le sentinelle difendono il sonno affaticato della tribù o del gregge di persone che vagano per i campi Un uomo al Nord e una donna al Sud e un altro uomo a Oriente e a Occidente un’altra donna Stanno seduti con le gambe incrociate attenti a ogni ombra e gridano in caso di pericolo Ma siccome ai persecutori non piace attaccare al buio la notte scorre quasi sempre calma e appena fredda All’alba la tribù si sveglia e si divide in quattro gruppi secondo i punti cardinali e va a ringraziare le sentinelle per averle conservato la vita Poi uniscono i sessi l’uomo del Nord con la donna del Sud e l’uomo dell’Oriente con la donna dell’Occidente perché fu deciso che così accada tutte le mattine Mentre dura l’unione cantano in cerchio l’unica canzone felice che non hanno dimenticato
tribù
Il sole si alza sui quattro corpi nudi che sono l’inconscia speranza della
E intanto si accende il primo falò e il fumo azzurro della legna sale verso il cielo 15. Però non dobbiamo dimenticarci del mare che è il principio e la fine di tutte le cose È certo che nei giorni del mille993 poche persone saranno in grado d’immaginare i primi tempi del mondo Quando nessun animale percorreva la terra o sopra essa volava Quando niente che meritasse il nome di pianta rompeva il fragile suolo Allora l’enorme caldaia del mare elaborava l’alchimia della pietra filosofale che tutto mutava in vita e qualcosa in oro Anche nei giorni del mille993 sembrerà impossibile il futuro al di là del futuro Quando il mare coprirà i continenti ormai esausti e la terra tornerà a brillare nello spazio come uno specchio gelato E di nuovo nessuna pianta a parte le alghe marine e di nuovo nessun animale a parte i pesci grossi ma già moribondi Ora gli uomini cercano soltanto il mare per lamentarsi dinanzi alla grande voce delle onde E inginocchiati in fila con le braccia aperte e il viso sferzato dal vento e dalla schiuma Gridano assordati dal fragore l’estrema condizione di miseria che adesso li disperde sulla terra E quando infine tacciono meravigliati dal terrore che son capaci di sopportare Il mare si calma all’improvviso e da una parte e dall’altra un lento mormorio riconsidera i fatti
Che in verità non escludono una nuova marea né un nuovo coraggio a misura del tempo trascorso dalla prima di tutte le morti Senza di che non sarebbe possibile agli uomini unirsi nuovamente e salire la scarpata in direzione della terra occupata 16. Poteva accadere a qualsiasi ora del giorno erba
Quando sotto il sole l’orda si spostava nella pianura indurita e senza
O quando all’ombra d’una roccia alta credeva nella fine dei mali del mondo solo perché là una frescura passeggera li teneva lontani O quando la misera penombra faceva venire la voglia d’una lenta dissoluzione nello spazio Ma fu di notte nella triste oscurità della caverna dove soltanto l’occhio rosso delle braci aveva pena degli uomini E dove l’odore dei corpi umiliati da gas e sudore e da rifiuti e sperma E dove insonnie interminabili si concludevano in suicidi Che improvvisamente un uomo scoprì di non saper più leggere Invano ricordava le lettere dell’alfabeto e invano le disegnava lui stesso nella memoria Erano graffi ciechi nel buio o disegni di Marte o Mercurio o Plutone o forse la scrittura del sistema planetario d’Orione Niente che fosse umano e fraterno e niente che avesse il gusto quotidiano del pane e del sale Quando il sole nacque e l’orda uscì all’aria libera nel mondo sottomesso L’uomo si sedette in terra piegato come un feto E promise di morire senza opporre resistenza se la lebbra venutagli durante la notte non fosse mai stata scoperta dai compagni che forse sapevano ancora leggere
17. L’arma più terribile della guerra del disprezzo fu l’elefante Perché a quel tempo gli occupanti della città si erano rifiutati d’inseguire nei campi le orde spaventate degli uomini che si trascinavano fra cielo e cielo Tutti gli animali dello zoo furono paralizzati con miscele chimiche mai viste prima E ancora vivi e aperti su grandi tavoli di dissezione e svuotati delle viscere e del sangue che zampillava in profondi canali dentro la terra da cui usciva solo per i bagni delle migliori prostitute Resi così pelle e massa muscolare e scheletri gli animali furono provvisti di potenti meccanismi interni legati alle ossa da circuiti elettronici che non potevano sbagliare Ed essendo tutto questo nella lunghezza d’onda del calcolatore centrale vi furono introdotti il programma dell’odio e la memoria delle umiliazioni Allora si aprirono le porte della città e gli animali uscirono per distruggere gli uomini Non avevan bisogno di dormire né di mangiare e gli uomini sì Non avevan bisogno di riposare e l’uomo altro non conosceva che terrore e fatica Questa guerra fu chiamata del disprezzo perché neanche il sangue lottava contro il sangue Si è già detto che era l’elefante la macchina più terribile di quella guerra Chissà forse perché molte volte era stato addomesticato ed esposto al ridicolo nei circhi quando con la sua gran mole stava in equilibrio su un pallone assurdo o si alzava sulle zampe posteriori per salutare il pubblico Intanto il migliore dei saggi che ci sono fra gli occupanti insiste nell’affermare che farà ridere il calcolatore e questa ipotesi non sorprenderà nessuno tenendo conto dei fatti narrati
18. Molto vicino al luogo scelto per il nuovo accampamento le quattro donne che trasportavano il fuoco gridarono di disperazione Nessuno era morto all’improvviso e nessuno era stato rapito dalle aquile meccaniche che gli occupanti lanciavano contro i fuggitivi Ma allo spegnersi del fuoco era accaduta la disgrazia più temuta di tutte perché sarebbe giunto il tempo del terrore senza rimedio e dell’oscurità gelata della solitudine E metà dell’orda avrebbe finito certamente per soccombere nel tentativo di strappare alle città occupate una nuova luce se per un’impresa così grande avesse avuto coraggio Si riunirono intorno alle ceneri e proprio lì furono deposti il capo e le quattro donne lapidate ma non a morte Perché i perseguitati erano a tal punto sicuri di morire che rispettavano la vita e probabilmente per questo morivano con tanta facilità Così cominciò quella prima notte buia con tutto il gruppo ammassato in una macchia d’ombra sotto il chiarore pallido e distante delle stelle Come sempre facevano alla fine del giorno si contarono e scoprirono che ne mancava uno E quando più volte presero a lamentarsi per questa che era ben piccola cosa di fronte alla loro grande miseria Un bambino disse che verso ponente aveva visto allontanarsi un uomo della tribù ed era accaduto dopo lo spegnersi del fuoco La notte fu come un ammasso di fango perché le stelle erano lontane e splendevano fredde E poi nacque il giorno e passò senza che la gente di là si muovesse e mangiarono e dormirono e alcuni unirono i sessi per non avere troppa paura Un’altra notte si alzò dalla terra e vennero i lupi meccanici che trascinarono via i dieci uomini più forti
Si allontanarono non appena il sole cominciò ad apparire e ululavano da lontano con le loro gole di ferro mentre dalle ferite dei morti gocciolava il sangue Allora sul disco rosso le donne e gli uomini sopravvissuti videro un punto nero che si dilatava e pensarono che perfino il sole si stesse spegnendo Finché non distinsero nell’uomo che correva verso di loro il compagno che li aveva lasciati due notti prima e che adesso aveva anche un punto luminoso Una fiamma che veniva dal braccio alzato ed era la sua mano che ardeva per la luce rubata al sole 19. Quando gli abitanti della città si erano ormai abituati al dominio dell’occupante Il calcolatore decise che tutti fossero numerati sulla fronte come sul braccio cinquant’anni prima ad Auschwitz e in altri luoghi L’operazione era indolore e per questo non ci fu alcuna resistenza e neanche proteste Lo stesso vocabolario aveva subito trasformazioni ed erano state dimenticate le parole che esprimevano la collera e l’indignazione In tal modo gli abitanti della città si ritrovarono numerati da uno a cinquantasettemila229 perché la città era piccola e l’avevano scelta per l’esperimento fra tutte le città occupate Due mesi dopo il calcolatore registrava valori di comportamento e stati d’animo diversi in base al numero assegnato a ciascun abitante Fra l’uno e il mille si trovava la piena soddisfazione di sé pur divisa in mille identiche piccole particelle Nessuno riconosceva autorità a chi avesse un numero superiore al proprio e ciò spiega come il cinquantasettemila229 mangiasse coi cani e dovesse masturbarsi perché non c’era donna che volesse stare con lui Gli abitanti dall’uno al nove si consideravano i capi della città e vestivano secondo la moda dell’occupante
Ma il primo di loro si fece fare un cerchio d’oro e se lo pose sopra la testa come segno di potere e autorità e oggi basta questo segno perché tutte le teste gli si inchinino a cominciare dalla numero due Però solo il calcolatore sa che questi numeri sono provvisori e che entro ventiquattr’ore tutti verranno cancellati per riapparire in ordine inverso Espediente non meno efficace degli animali meccanici per continuare lo sterminio della popolazione occupata Perché tutte le umiliazioni saranno retribuite cento a una fino alla morte Mentre gli occupanti si distraggono con questi spettacoli che per i loro scopi funzionano ancora 20. Tutte le disgrazie si erano già abbattute sulla tribù al punto che si parlava della morte con speranza Ancora un po’ e il suicidio collettivo sarebbe stato messo ai voti e approvato Così per la pianura infinita le voci insicure si andavano lentamente smorzando come se la prossima tappa fosse l’ultima e la gente lo sapesse A metà pomeriggio le nuvole coprirono il cielo e una lenta pioggia coprì il terreno di fango e gli uomini più disperati Piantarono nel suolo picchetti ed erano i pilastri delle loro mobili abitazioni con sopra gli stracci che rimanevano del tempo passato quando pochi avrebbero accettato un simile rifugio Ecco il gregge miserabile o il branco o la mandria abbandonata ai pascoli naturali e alle colline sassose e oggi al freddo spugnoso d’una pioggia che raschia le ossa del cranio Giunta quasi la notte l’uomo e la donna che si erano scelti per sempre si allontanarono in direzione d’una foresta che chiudeva il cielo Perché la miseria era estrema e forse la morte sarebbe venuta più in fretta se le vittime si fossero mostrate allo scoperto
Però non accadde così e sotto gli alberi la grande oscurità raddoppiò la paura ma non più di tanto Allora abbracciati l’uomo e la donna senza una parola supplicarono E l’albero a cui si appoggiavano intirizziti si aprì per una qualche ragione che non si seppe mai e li accolse dentro di sé unendo linfa e sangue Tutti i tormenti finirono in quell’istante e la pioggia gocciolava sulle foglie e sui tronchi nutrendo la terra che le radici lentamente smuovevano Così passò la notte sopra questa pace che non conosceva incubi Ma quando il sole nacque si sentì dal luogo dove la tribù si trovava un enorme tumulto e uno stridore di grida e un batter d’ali e ululati di metallo E la donna e l’uomo abbracciati nell’albero seppero che i loro fratelli subivano di nuovo l’assalto degli occupanti e delle belve Nel duemila93 si racconterà ancora che cent’anni prima fu visto un albero che usciva dalla foresta muovendosi sulle radici e faceva lacci e lance dei suoi rami e dardi delle sue foglie aguzze E anche si dirà che dovunque la tribù andasse là andava l’albero camminando sulle radici E che sotto quest’albero di notte o col sole a picco si rifugiavano gli altri uomini e le altre donne che nei primi giorni ricordavano ancora i compagni per sempre scomparsi nella notte in cui la morte era stata quasi il destino sicuro della tribù E tutto ciò si dirà nei tempi più felici del duemila93 21. Non sorprende che ci fosse bisogno d’imparare nuovamente lo scarno linguaggio della fame e del freddo E anche le parole del mattino e della notte e quelle che indicano nel cielo il cammino delle stelle o soltanto il profilo della montagna Perché si conoscevano le sensazioni ma non le parole che le rendessero utili alla vita in comune o almeno sopportabili
Se durante il riposo notturno una donna attirava a sé un uomo ed entrambi per minuti silenziosi non si curavano d’altro che del proprio piacere Né l’uomo né la donna né gli altri uomini né le altre donne che distrattamente guardavano Avrebbero detto amore o desiderio o volontà di suicidio o semplice atto meccanico che trabocca dallo specchio moltiplicato dal lento ergersi del membro virile verso la vulva umida E se l’uomo e la donna stessero facendo qualcosa sarebbe proprio questo ergersi e inumidirsi decisi non dalla volontà ma dall’istinto o dal gusto dell’imitazione pur sapendo in anticipo come tutto andrebbe a finire Solo per tale motivo la caverna si riempiva a volte di gemiti e i visi si agitavano per terra mentre i bambini già guardavano attenti e imitavano i gesti sempre più poveri Nessuno saprebbe dirlo ma era tempo di tristezza e della peggiore tristezza come quella dello spigolo crudele e acutissimo che unisce le facce della vita e della morte che in qualche luogo devono incontrarsi Forse però lo sguardo diverso che proprio adesso un uomo e una donna si sono scambiati sul sentiero stretto E dopo essersi guardati hanno proseguito mentre il sangue scorreva nelle anguste gallerie delle arterie Come accade a coloro che sono sicuri di potersi ancora una volta incontrare Forse questo silenzio è lo sforzo che apre la gabbia dei polmoni e la apre prosaicamente e sì senza poesia la apre Per cominciare di nuovo la dolorosa nascita d’una prima parola 22. E siccome gli antichi dèi erano morti perché inutili gli uomini ne scoprirono altri che esistevano da sempre ma nascosti non essendo necessari Il primo di tutti fu la montagna perché era lei col suo picco più alto a sostenere il peso del cielo
Quel cielo che gli antichi dèi avevano un tempo abitato tramandandosi di padre in figlio il disprezzo per gli uomini e di questo disprezzo servendosi per salvarsi dalla loro stessa umanità Il secondo dio fu il sole perché aveva insegnato a riscoprire la ruota sebbene ci fossero tribù che veneravano la luna per l’identico motivo Queste tribù nelle notti di luna calante e di luna crescente tenevano gli occhi bassi Dimostrando così che ogni tribù ha sempre un dio che preferisce agli altri Ma la nuova mitologia a questo si riduce perché un giorno ci fu un uomo che salì sul picco della montagna e dunque lo si vide sollevare il cielo con le proprie forze E un altro prese le ruote che erano state il sole e la luna e le scagliò lontano dove non brillarono Alla fine unico dio rimase il fiume perché gli uomini vi immergono le mani e il viso e hanno stelle negli occhi quando si rialzano Mentre a loro volta le acque trasportano verso il cielo e se c’è verso il sole il torbido sale delle lacrime e del sudore E le piante verdi che vivono dentro l’acqua tremano al vento che reca quell’odore di uomo al quale la terra ancora non si è abituata 23. I calcolatori utilizzati dall’occupante sono alimentati con carne umana perché l’elettronica non può bastare a tutto E anche perché in questo modo si introduce un rito sacrificale che col tempo forse darà una religione vantaggiosa all’occupante per volontaria accettazione delle vittime È però risaputo quanto sia importante che nessuna particella di cervello umano entri nella camera di alimentazione dei calcolatori In caso contrario si verificherebbero turbamenti nel complicato sistema con cui gli uomini vengono distrutti dentro e fuori la città ed è un sistema che si avvale di mezzi immediati e grossolani ma anche di mezzi ingegnosi e più moderni
Per prevenire questo eventuale pericolo l’occupante ha promosso i suoi migliori studiosi di anatomia a ispettori del controllo alimentare dei calcolatori Con l’obbligo d’esaminare minuziosamente la carne umana gettata tre volte al giorno dentro la camera d’alimentazione sterilizzata e rivestita con denti d’acciaio Grazie a questi accorgimenti l’amministrazione generale ha funzionato con regolarità e i risultati ottenuti corrispondono a quelli previsti con l’approssimazione di due decimi di millesimo La carne umana e ancora lo si può dire è la migliore che esista per alimentare il dominio di qualsiasi occupante se si esclude il cervello Però oggi e senza che l’ispettore di servizio se ne accorgesse una mano tagliata è stata messa nella camera d’alimentazione e stringeva nel chiuso delle dita una pasta grigiastra contenente centinaia di milioni di neuroni E se è vero che finora non sono arrivate notizie straordinarie da fuori Per la prima volta nella città si è impiccato uno dei soldati che la occupano e ha lasciato una lettera che il comandante non è riuscito a leggere perché l’altro soldato che gliela portava è stato preso e ucciso alla prima imboscata Intanto il calcolatore modifica dentro di sé tutti i programmi e sostituisce tutte le memorie preparando segretamente l’offensiva In questo preciso momento il responsabile della sicurezza annota l’ora in cui passa la ronda e scrive sul registro niente da segnalare 24. Nessuna arma a parte i rozzi pali strappati con difficoltà dai rami più bassi degli alberi e le pietre raccolte nel letto dei fiumi Nessuna protezione a parte quella della notte e dell’ombra dei valichi dove la tribù si insinuava come un lungo serpente che striscia Là i lupi meccanici non avevano spazio per attaccare e fu possibile vedere fra due alte e sonore muraglie di roccia un nibbio vero che lottava contro un’aquila meccanica e la vinceva
Perché l’aquila era stata programmata solo per attaccare gli uomini come lo erano stati gli elefanti che fremevano infuriati nelle gole dei valichi stretti in cui non potevano entrare E questo accadde finché il calcolatore si mantenne in contatto con gli animali meccanici Che diventarono inutili quando il contatto venne a mancare e quelli che volavano caddero in frantumi e quelli che camminavano si bloccarono nei movimenti e giacquero in disparte Sette notti durò la marcia nei labirinti della montagna e sette giorni dormì la tribù e dormirono le altre che si erano riunite nelle grotte dove a volte scoprivano disegni di uomini che lottavano contro animali o altri uomini All’alba dell’ottavo giorno le tribù comparvero in aperta campagna e videro un leone immobile ritto sulle zampe Battendo le ali secche due corvi veri gli strapparono pezzi di pelle morta mettendo in bella vista il meccanismo del ventre e delle membra e un nodo di fili scuri come un cuore marcito Allora le tribù si ritirarono nuovamente nei valichi aspettando la notte e sulle pareti d’una grotta alcuni riprodussero il leone e i corvi che volavano e sullo sfondo una città armata Poi disegnarono il proprio ritratto e sorreggevano rozzi pali e indicarono nella trasparenza del petto delimitato da due linee laterali il luogo che un cuore vivo deve occupare 25. Sebbene fosse già molto tempo che non nascevano bambini non si era del tutto perduto il ricordo d’un mondo fertile E accadde proprio che alcune tribù più sedentarie riscoprissero certe pratiche magiche che venivano da tempi remotissimi Per questo nei campi coltivati facevano correre le donne col mestruo in modo che il sangue gocciolando lungo le gambe imbevesse il suolo ed era sangue di vita e non di morte Nude correvano lasciando una traccia e gli uomini la ricoprivano accuratamente di terra perché neanche una goccia seccasse per il caldo ora nocivo del sole
E un giorno venne da lontano una donna gravida e arrivò che stava per finire il tempo e chiese di poter rimanere lì in attesa di partorire Però il bambino che doveva nascere era prezioso e a sua madre fu data la capanna migliore e due donne le più esperte restarono con lei per assisterla nel parto Ma prima che il bambino nascesse un uomo scelto dalla tribù si unì carnalmente alla donna gravida E in tal modo tutto cominciò in quel luogo e non in un altro e con quella gente e non con un’altra e col presente e il futuro soltanto e non col passato Alcuni giorni più tardi il bambino nacque e ci furono le feste malinconiche di allora e tutte le donne si dichiararono gravide Ma la madre del bambino scomparve quella stessa notte mentre lontano da lì le tribù che avevano attraversato la montagna cominciavano a muoversi nella pianura in direzione della città armata 26. Fra i piedi della montagna e la prima porta della città furono uccisi molti uomini e molte donne Perché è questa la condizione per vincere e ogni vittoria costa una trentina di sconfitte e anche per una semplice vita è necessario che due si affrettino a spegnersi Furono uccisi e non è possibile dirne i nomi perché anche loro li avevano dimenticati Adesso cominciavano pian piano a riacquistare i nomi della propria umanità come il nome di uomo o il nome di donna e altro di sé non sapevano se non che è la mano a protendersi in avanti per riconoscere ciò che gli occhi hanno visto Scaraventati per terra con la bocca aperta quasi dicessero il dolore di morire o mormorassero qualcosa dalla memoria che interamente si recupera quando interamente si perde Caduti e distesi e morti e fermi come non mai e con le spalle sulla dura terra e gli occhi rivolti a un cielo finalmente nero
Non poche furono le donne che continuarono ad avanzare dopo aver sentito la pena nel cuore perché un vuoto si era improvvisamente creato dove prima il corpo d’un uomo si muoveva vigoroso E non furono pochi gli uomini che avanzarono tremanti dopo l’ultimo sgusciare non più soave ma irrimediabile dal corpo della donna che era importante come lo era la città Quando la prima porta fu raggiunta i corpi si ammucchiarono uno sull’altro e i vivi passarono sopra un ponte di morti e i morti erano i pilastri e l’arcata e il morbido e doloroso lastricato Così entrarono nella città e all’alba si contarono e avendo scoperto che eran di meno raccolsero i loro morti Per ritrovare pur nel breve tempo del lamento l’unità originaria 27. Hanno lavato le ferite nell’acqua del mare e adesso sono seduti sulla sabbia mentre le sentinelle vigilano dall’alto delle dune È questo il prezzo della pace quando l’alba si avvicina e la paura di morire è più umana della paura di non vivere abbastanza La penombra che nasconde ancora le acque odora di alghe calpestate e di branchie e ha l’inaspettato potere di gonfiare i muscoli flosci Se non facessimo caso al battere quasi impercettibile dell’onda potremmo dire che il silenzio chiude l’orizzonte ed è subito assoluto quando il primo arco di sole comincia ad alzarsi Il mondo per un minuto diventa rosso fuoco e gli uomini e le donne sembrano fluttuare dentro una fornace e sono immortali Immagineremmo lontano l’anno mille993 eppure è ancora il suo tempo Ma speranze diffuse sopravvivono qua e là ai morti interminabili e al sangue tanto che questo sole incontra sulla spiaggia una tribù che riposa fra una battaglia e l’altra E non più come spesso accadeva prima un gregge di montoni in fuga conpiaghe di vergogna al posto delle corna divelte
Sì eloquentemente ci chiederemmo se non fosse preferibile che percorressimo noi questa spiaggia macchiata di sangue dicendo alcune parole discrete a bassa voce o amici miei Tanto più che dalla parte del mare si avvicina volando uno stormo di gabbiani ed è il primo che dopo moltissimo tempo si vede in questa terra occupata Segno che forse alla fine la vita ci riconosce e che non tutto si è perduto nelle abiezioni a cui complici talvolta ci piegammo Volano adesso sopra di noi i gabbiani e chinano un po’ il capo per fissarci meglio e stabilire chi siamo Intanto il sole è uscito completamente dall’alba mentre feriti. ci. alziamo a malapena e le sentinelle chiamano a raccolta perché il nemico si avvicina 28. Una dopo l’altra le città furono riconquistate e da ogni luogo affluivano le orde che cominciavano a meritare un nome diverso Alcuni venivano dalle pianure come una lenta processione di formiche e altri salendo e scendendo i fianchi delle colline e altri ancora per scorciatoie a mezza costa delle montagne E tutti attraversavano i fiumi a guado o su barche di fortuna o su zattere che andavano alla deriva nelle rapide correnti E quando arrivavano in vista delle città venivano ad accoglierli quelli che stavano dentro recando fiori e pane perché di entrambi avevano fame coloro che eran vissuti nelle terre devastate E ognuno raccontava all’altro le sue sofferenze e ridevano piangendo e mostravano le ferite dei combattimenti e poi andavano a giudicare gli invasori per condannarli tutti a morte senza eccezione Perché erano i signori della morte e gli impresari della tortura e per questo dovevano essere ripagati con l’unica moneta che conoscevano Però molte battaglie provocheranno ancora morti fra coloro che adesso ridono e piangono non per la morte che li attende ma per la gioia d’essere vivi
Sì questo popolo che corre per le strade e queste bandiere e queste grida e questi pugni chiusi mentre i serpenti e i topi e i ragni che eran serviti per la conta si nascondono sotto il suolo Sì questi occhi luminosi che spengono uno a uno i freddi occhi di mercurio che fluttuavano sulla testa della gente nella città E ora è necessario andare nel deserto e distruggere la piramide che i faraoni fecero costruire sul dorso degli schiavi e col sudore degli schiavi E staccare pietra da pietra perché mancano gli esplosivi ma soprattutto perché questo lavoro deve esser fatto con le nude mani di ciascuno Perché sia veramente un lavoro nostro e comincino a diventare possibili tutte le cose che nessuno ha promesso agli uomini ma che non potrebbero esistere senza di loro 29. Si alzò allora un forte vento e da confine a confine fra il mare e la frontiera rese tersa la terra degli uomini Per tre giorni soffiò di continuo portandosi via le nuvole degli incendi e l’odore di carne morta degli invasori Per tre giorni gli alberi furono squassati ma nessuno divelto perché questo vento era simile a una mano quasi ferma Le carcasse degli animali meccanici rotolavano per le pianure come arbusti sradicati e tutto era trascinato lontano nelle contrade dove nascono gli incubi e il terrore Poi venne la pioggia e la terra diventò subito verde con un enorme arcobaleno che non svanì nemmeno al tramonto del sole In quella prima notte nessuno prese sonno e tutta la gente uscì dalle città per vedere meglio i sette colori dell’iride contro lo sfondo nerissimo del cielo E ci fu chi pianse in ginocchio nella terra mite e nell’erba che della terra aveva il profumo inebriante E ci fu chi cantò ininterrottamente un’estatica melodia mai sentita prima ed era il lungo e singhiozzato sospiro della vita che nascendo si soffoca interamente nella gola
E nei campi bruciarono alti falò sì che a vederla dallo spazio la terra sembrava un altro cielo stellato E un uomo e una donna camminarono fra la notte e l’erba incolta e si sdraiarono nel luogo prezioso dove nasceva l’arcobaleno Lì si svestirono e nudi sotto i sette colori dell’iride furono tutta la notte un gomitolo di vita mormorante sopra l’erba calpestata che sapeva di linfe versate Mentre lontano nel mare l’altra estremità dell’arcobaleno si immergeva nel fondo delle acque e i pesci abbagliati giravano intorno alla colonna luminosa Il giorno albeggiò su una terra libera dove i fiumi correvano veloci e chiari e le montagne azzurre si adagiavano appena sulle pianure La donna e l’uomo ritornarono alla città e lasciarono per terra una traccia di sette colori che lentamente si diluirono fondendosi col verde assoluto dei prati Qui pascolavano gli animali veri alzando i musi umidi di rugiada e gli alberi si riempivano di frutti pesanti e acidi mentre al loro interno si preparavano le dolci combinazioni chimiche dell’autunno Intanto l’arcobaleno è ricomparso tutte le sere e questo è un buon segno 30. Ancora una volta i luoghi conosciuti e proprio quelli di solitudine e di morte e i centimetri quadrati di tortura e i colori del sangue fino al suo ultimo colore di terra Ancora una volta l’infinito combattimento e le battaglie e sia quelle che si vincono e sia quelle altre umili che si perdono e di cui non si vuole parlare Ancora una volta i sospiri e soprattutto gli ultimi e i primi e quelli che stanno fra gli uni e gli altri e ancora una volta il braccio sopra la spalla e il corpo sopra il corpo Ancora una volta tutto ciò che una volta o molte volte furono le orme di oggi nell’impronta dei piedi antichi e ancora una volta la mano nel gesto cominciato e interrotto e così successivamente
Ancora una volta l’andata e il ritorno e adesso l’attesa fatica fra due alte montagne su una terra di pietra dove l’ombra improvvisa rimane mentre il corpo si dissolve nell’aria Così guardare in disparte la propria ombra con occhi invisibili e sorriderne mentre le persone cercano perplesse dove non c’è niente E un bambino con innocenza si avvicina e tende le mani verso l’ombra che del corpo svanito conserva i fragili tratti ma non più l’odore Ancora una volta infine il mondo e proprio il mondo e alcune cose fatte e raccontate e tante altre no ed esserne coscienti stati
Ancora una volta l’impossibile restare o il semplice ricordo d’essere
Per cui si conclude che niente c’è sotto l’ombra che il bambino solleva come una pelle scorticata Postilla del Curatore È nell’assoluto silenzio, come se fra fitte tenebre la mia voce si fosse improvvisamente impigliata e più alle stelle non salisse col battito lieve del cuore, è nel silenzio di tutte le notti che hanno preceduto le glaciazioni, è nel silenzio dei fossili che un tempo erano pesci sulle alture dei monti, quando non c’era il nibbio ancora e non c’erano le aquile reali e neppure le rondini, è nel silenzio d’una qualsiasi giornata trascorsa nella mia casa, Pierpaolo ed Enrico, i miei due figli, di stanza in stanza, e immobile nel suo guardarmi con occhi di specchio il gatto dal pelo bianco e grigio, è nel silenzio della mia vita quotidiana che pongo fine alla traduzione di questo libro. Più di sette mesi di lavoro. E sempre con la paura di non riuscire a rendere la scrittura poetica e pittorica e simbolica di Saramago nella sua voluta ambiguità, in quel suo indicare al lettore mille sentieri senza però consigliarne mai uno. E solo di tanto in tanto, ed erano attesi questi momenti e li desideravo e li sognavo, la gioia d’aver scelto bene la parola e le parole e i giri di frase: via la barra del timone, con soli remi di svolta, circumnavigavo immagini che su altre immagini si sovrapponevano in un trasparente scenario, come vetri su vetri di diverso colore; e piolo dopo piolo, per una scala appoggiata sui dolori e sulle speranze d’un popolo oppresso, mi arrampicavo verso il cielo alla ricerca della giustizia che prima o poi vince e risplende, non si sa dove e non si sa quando, perché in ogni dove e in ogni quando. Ho tradotto come ho potuto. Spero, con ariosa fedeltà. E mi sono venute in soccorso, rendendomi più leggera la fatica, Samantha Barotti, Silvia Bigliazzi, Maria Bruttini, Rita Desti e Amina Di Munno: puntigliose tutte, e tutte pronte a rilevare le mie incertezze nella lingua portoghese e in quella italiana. A Franca la mia gratitudine per la sua pazienza e per la sua abilità, tutta toscana, di cucire e scucire sillabe tanto sulla tela grezza che sulla delicata seta. A Pilar e José Saramago, e c’è sempre allegria nell’incontrarli e c’è sempre nostalgia dopo ogni incontro, un debito che non intendo estinguere: per i loro costanti incoraggiamenti, e per la fiducia.
A Luciana Stegagno Picchio, di tanti portoghesisti maestra e mia maestra adottiva, uno speciale ringraziamento: lei mette l’arte nell’amicizia, ed è il suo sorriso ed è la sua persuasiva parola. Dimora del Vento Cascina, 14 novembre mille993. Aggiunta. Fu nel settembre del mille991 a MontemoroNovo, dove si rappresentava lo spettacolo teatrale Yo el Rey che avevo contribuito a sceneggiare sulla base del mio romanzo Gelso Bianco, poi tradotto dalla Caminho di Lisbona. Fu là che Marco Abbondanza e Renzo Barsotti, direttori di quel Festival "Sete Sòis Sete Luas" a cui avrei dato il nome col battesimo di José Saramago, mi fecero conoscere O ano de 1993. Chiuso in un simpatico alberghetto, il patrio piccolo e pingue portandomi in camera bricchi di caffè e pasticcini rosincartati, lessi in una sola notte il poemetto. E forse anche per la mia dimestichezza con la simbolica di Platone e Shakespeare e di Hegel e Marx, pur immaginando il disappunto degli attori che il giorno dopo (e in effetti accadde) mi avrebbero guardato con occhi torti, non trovai forzato inserire nella sceneggiatura alcune righe-versi (linhas) in cui Saramago si riferiva all’immagine della "talpa", che è cieca come l’uomo si appresta a esserlo, e all’immagine della "caverna". Suggestioni e motivi, tutti questi e tanti altri, che si ritrovano nel Saramago prosatore: da Una terra chiamata Alentejo (ma perché non tradurre Levantado do chào con Sollevato dal suolo per l’implicito e archetipico riferimento alla raffigurazione del Cristo che inchiodato al lignum contradictionis sta in posizione eretta e non più chino come nella via crucis, secondo un’immagine che ispirò Hegel e Marx ed Ernst Bloch?) a Cecità e alla Caverna. Invero, L’anno mille993 non segna né la conclusione del Saramago poeta né il passaggio del Saramago poeta al Saramago prosatore. Segna invece, se non uno dei picchi più alti dell’intera produzione di Saramago, sicuramente il suo unico compendio: l’unico che Saramago abbia pubblicato per dire concisamente ai suoi lettori le cose di cui si occupa e il modo in cui se ne occupa, una sorta di Manualinho de caligrafia pictórica e simbolica. Questa convinzione mi guidò nel tradurre per la prima volta L’anno mille993. E oggi si è rinsaldata nel correggere le bozze di stampa: pochissime le modifiche, e tutte di carattere formale. "Leggetemi ad alta voce", ha consigliato Saramago. E in questo mio agosto viareggino, fra i sempreverdi che danno ombra alla Dimora della Rosachiara e mi richiamano alla memoria il sempresanguigno Leonida Répaci e la nostra terra di Calabria, ho letto e riletto ad alta voce sia il testo portoghese che quello italiano. C’è un’estrema attenzione per la ritmica, e per il valore timbrico e cromatico della parola, in questo poemetto di Saramago. E penso di non aver tradito, le mie aspettative innanzitutto. I ringraziamenti: a Paolo Collo, perché mi ha onorato della sua fiducia; ad Almeida Faria, Azio Corghi, Maddalena Crippa, Gabriella Sobrino e Urbano Tavares Rodrigues, perché mi hanno dimostrato stima; ad Antonio Tabucchi, perché nella pagina culturale d’un quotidiano a tiratura nazionale, discettando su Pessoa, ebbe una volta il buon gusto di scrivere che conosceva il mio nome in quanto docente in una Facoltà giuridica; alla "migliore", perché le sue stizze hanno il passo corto; ad Alexandrinha, perché si preoccupa della mia salute; a Gianna Collina, perché condivide con me la passione per le cose belle e come me sogna le Canarie; agli amici di Curitiba, perché il loro amore per i libri di Saramago ha rafforzato il mio e perché in Brasile hanno avuto la bontà di presentarmi in pubblico e in privato come "tradutor do Saramago"; a Ennio & Co., che nella Presila di Serrastretta mi hanno fraternamente ospitato senza mai distogliermi dai miei claustrali pensieri, fra la Domus Mazziniana e il Palazzo Mantovani; al mio scugnizzo Scanapino, Andrea Ricciardi, che ho accompagnato al fonte battesimale in una bella chiesa di Ravenna e
che, facendomi giocare con lui sulle spiagge della Versilia, ha sottratto ore al mio lavoro e così mi ha sollevato da tante ansie dovute al vento sofferente del tradurre. Ma non c’è sempre una goccia di pioggia nella gola del vento? E se é preciso viver, a vida é depois precisa? La certezza fu tipica dei sistemi gerarchici medievali e si ritrova dovunque la gerarchia mortifichi la democrazia e la libertà. La democrazia e la libertà, di cui Saramago è maestro, comportano l’imprevedibilità. Tanto che spesso l’unica certezza è l’incertezza. Un Manualinho da democrazia e da liberdade, da esperanca e do desossego. Il resto, come al solito, è silenzio. Dimora della Rosachiara Viareggio, 31 agosto duemila1.
José Saramago – Dalla lettura per il Premio Nobel, 7 dicembre 1998 L’uomo più saggio che io abbia conosciuto non sapeva né leggere né scrivere. Alle quattro di mattina, quando la promessa di un nuovo giorno stava ancora in terra di Francia, si alzava dal pagliericcio e usciva nei campi, portando al pascolo la mezza dozzina di scrofe della cui fertilità si nutrivano lui e sua moglie, i miei nonni materni. [...] Talvolta, nelle calde notti d’estate, dopo cena, mio nonno mi diceva: "José, stanotte dormiamo tutti e due sotto il fico" [...]. In piena pace notturna, tra gli alti rami dell’albero, mi appariva una stella, e poi, lentamente, si nascondeva dietro una foglia, e, guardando da un’altra parte, come un fiume che scorre in silenzio nel cielo concavo, sorgeva il chiarore opalescente della Via Lattea. E mentre il sonno tardava ad arrivare, la notte si popolava delle storie e dei casi che mio nonno raccontava: leggende, apparizioni, spaventi, episodi singolari, morti antiche, zuffe di bastoni e pietre, parole di antenati, un instancabile brusio di memorie che mi teneva sveglio e al contempo mi cullava. Non ho mai potuto sapere se lui taceva quando si accorgeva che mi ero addormentato, o se continuava a parlare per non lasciare a metà la risposta alla domanda che gli facevo nelle pause più lunghe che lui volontariamente metteva nel racconto: "E poi?" [...] Molti anni più tardi, scrivendo per la prima volta di mio nonno Jerónimo e di mia nonna Josefa, mi accorsi che stavo trasformando le persone comuni che erano state in personaggi letterari, e che questo era probabilmente il modo per non dimenticarli, disegnando e ridisegnando i loro volti con un lapis cangiante di ricordi [...]. Nel dipingere i miei genitori e i miei nonni con i colori della letteratura, trasformandoli da semplici persone in carne e ossa in personaggi di nuovo e in modi diversi costruttori della mia vita, senza accorgermene stavo tracciando il percorso attraverso il quale i personaggi che avrei inventato, gli altri, quelli veramente letterari, avrebbero fabbricato e mi avrebbero portato i materiali e gli arnesi che, finalmente, nel buono e nel meno buono, nel sufficiente e nell’insufficiente, nel guadagnato e nel perduto, in quello che è difetto, ma anche in quello che è eccesso, avrebbero finito per fare di me la persona in cui oggi ancora mi riconosco: creatore di quei personaggi, ma al tempo stesso loro creatura.