STEPHEN LEATHER LA TENTAZIONE DEL CRIMINE (The Stretch, 2000) A Judy Prologo La pistola esplose un colpo, cogliendolo di...
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STEPHEN LEATHER LA TENTAZIONE DEL CRIMINE (The Stretch, 2000) A Judy Prologo La pistola esplose un colpo, cogliendolo di sorpresa. Preston Snow sentì come un pugno allo stomaco. Niente bruciore e, stranamente, poco dolore. Solo una specie di freddo che si spandeva. Spalancò gli occhi, fissando l'uomo che gli aveva sparato. L'uomo sostenne il suo sguardo, con i suoi occhi azzurri e freddi. Snow si portò una mano allo stomaco e barcollò all'indietro. Il sangue gli filtrava tra le dita. C'era tanto sangue, ma ancora poco dolore. L'uomo abbassò la pistola e restò a guardare, le braccia lungo i fianchi. Sembrava che la vita o la morte di Snow non gli importassero nulla. Preston Snow sentì le gambe perdere forza. Inciampò in un tavolino e cadde su un fianco, appena cosciente di dove si trovava. Il freddo si propagava dallo stomaco al petto e lo indeboliva sempre più. Cercò di parlare, ma non riuscì a pronunciare parola. Faceva fatica anche solo a respirare. Riuscì a mettersi carponi e cercò di trascinarsi verso le scale. L'uomo con la pistola restò al centro della stanza, lo guardava con espressione annoiata. Snow cominciò a salire le scale, cercando freneticamente di fuggire. Aveva una pistola da qualche parte, in un cassetto della stanza da letto. Se fosse riuscito a prenderla avrebbe potuto difendersi e, forse, sopravvivere. La tuta da ginnastica era inzuppata di sangue. Sentì dei passi dietro di sé, ma non si voltò. Perdeva coscienza a tratti, e per riprendersi scuoteva forte la testa. "Resta concentrato" mormorava tra sé. "Resta concentrato, cazzo." Si guardò lo stomaco e vide il sangue gocciolare sulla moquette consunta delle scale. Cercò di fermarlo premendoci sopra le mani, ma provò una fitta intensa di dolore, come se gli avessero rigirato nella pancia un coltello incandescente. «Cristo in croce, Snow, vuoi stare un po' fermo?» urlò l'uomo. Era ai piedi delle scale, e gesticolava con la pistola. Snow raggiunse il piano di sopra e si diresse barcollando verso la stanza da letto, appoggiandosi al muro con una mano e macchiandolo di sangue.
L'uomo lo seguì, con calma, a passi lenti. Snow trovava terrificante quella tranquillità. L'uomo sapeva che non c'era fretta, che nessuno sarebbe venuto ad aiutare Snow. Se qualcuno aveva udito lo sparo, si sarebbe fatto gli affari suoi. Non era il tipo di quartiere dove la gente chiamava la polizia. Snow cadde davanti al comò e tirò un cassetto. Niente pistola. Imprecò. Dove diavolo l'aveva messa? Cercò di concentrarsi, di ricordare dove l'aveva vista l'ultima volta. Aprì un altro cassetto e frugò tra calzini e mutande, maledicendo la sua idiozia. Perché non l'aveva lasciata fuori? Gettò a terra il cassetto, rovesciandolo sul pavimento. Niente da fare, la pistola non c'era. Si voltò e vide l'uomo sulla porta della stanza, la pistola lungo il fianco, il sorriso tranquillo. Snow ebbe un capogiro e cadde all'indietro, battendo la testa contro il cassetto aperto. Chiuse gli occhi. I sensi lo abbandonavano. Il dolore si allontanava, sostituito da una luce calda. Sospirò e tolse la mano inzuppata di sangue dallo stomaco. L'uomo si avvicinò. Gli toccò una gamba con la punta di un piede, ma Snow non reagì. Aveva il mento piegato sul petto e una spuma rossa gli colava dalla bocca. Sul pavimento si stava formando una pozza di sangue, che sembrava rifiutarsi di affondare dentro la moquette. «Sei morto, Snow?» chiese l'uomo, sprezzante. «Non dirmi che sei già morto.» Sollevò un piede e gli pestò con forza le dita insanguinate. Snow spalancò gli occhi e gridò di dolore. L'uomo sorrise trionfante, poi gli puntò la pistola in faccia. Sfilarono dietro i banchi della giuria uno dopo l'altro, e Sam Greene capì dal modo in cui evitavano di guardarla che il verdetto era negativo. Il suo cuore perse un colpo. «Andrà tutto bene, mamma» disse suo figlio Jamie, stringendole piano una mano. Sam scosse la testa. «No, Jamie» sussurrò. «Non credo proprio.» Suo marito Terry la guardò dal banco degli imputati. Formò con le labbra le parole: "Testa alta, amore", senza emettere suono. Aveva un'aria stanca, e Sam notò le rughe di preoccupazione che gli scavavano la fronte. C'era appena un po' più di grigio sulle tempie ma, per i suoi cinquantadue anni, Terry era in forma. Spalle larghe, pancia piatta e un viso che faceva girare parecchie giovani donne per strada.
Sam toccò il piccolo crocifisso che portava al collo, appeso a una catenina d'oro. Quello era sempre stato il problema di Terry, pensò. Era troppo bello per il suo stesso bene. Cercò di sorridergli. Sentì arrivare le lacrime e lottò per ricacciarle indietro. Non era giusto. Il destino di suo marito era nelle mani di dodici persone che non sapevano nulla di lui, eppure avevano il potere di metterlo dietro le sbarre per il resto della vita. Sam osservò i giurati che si sedevano. Otto donne e quattro uomini. La composizione della giuria era in loro favore, aveva detto Laurence Patterson, perché Terry era bello e le donne tendevano a non condannare un uomo che ispirava loro delle fantasie. Tre giurati erano neri, e anche l'avvocato aveva dovuto ammettere che quella non era una buona notizia. Perché l'uomo che Terry era accusato di aver ucciso era nero. «È vero, loro tendono sempre a fare gruppo, Samantha» aveva detto. «Ma cerchiamo di essere positivi, va bene?» Le aveva dato un buffetto sulla spalla, come quando si consola qualcuno a un funerale. E quello, pensò Sam, sembrava proprio un funerale. Tutti con il vestito della domenica, le facce cupe, gli occhi bassi, riuniti per dare l'estremo saluto a Terry Greene. Una lacrima le scese lungo la guancia e lei l'asciugò con il dorso della mano. Era decisa a non farsi vedere piangere. Sapeva che i fotografi, fuori, non avrebbero chiesto di meglio che una foto di lei in lacrime. Era venuta in tribunale tutte le mattine, da quando era iniziato il processo, e tutti i giorni i giornali scandalistici avevano pubblicato foto del suo arrivo e della sua partenza, non tralasciando mai di dire che aveva quarantotto anni e che era stata cantante e ballerina. «Cantante appassita degli anni Sessanta» l'aveva definita una delle giornaliste più acide del «Daily Mail». Sam l'aveva odiata in silenzio per quel commento cattivo. La sua carriera aveva appena iniziato a decollare, quando aveva conosciuto e sposato Terry, e in quanto ad "appassita", con tre figli grandi e il carico di stress maggiore di tutta la sua vita, come doveva sembrare? Radiosa? Tenendo conto di quanto era sotto pressione, Sam pensava di avere un ottimo aspetto. Uno degli avvocati dell'accusa continuava a guardarla con un interesse ben più che professionale, sorridendo ogni volta che incrociava il suo sguardo. Tutte le mattine Sam dedicava molto tempo al trucco, per coprire la mancanza di sonno senza tuttavia dare l'impressione di aver voluto ottenere proprio quell'effetto. E prima del processo era andata dal parrucchiere per rifarsi il colore. Niente di troppo appariscente, giusto un aiuto per dare lucentezza al suo biondo cenere naturale.
Patterson si voltò sorridendole fiducioso. Lei rispose con un cenno del capo, ma non se la sentì di ricambiare il sorriso. «Il vostro portavoce si alzi, per favore» disse il cancelliere del tribunale. Un uomo di mezza età si alzò in piedi, toccandosi la radice del naso in un gesto di imbarazzo. Sam fece un respiro profondo, preparandosi al peggio. Jamie le strinse di nuovo la mano. «Avete raggiunto un verdetto unanime?» «Sì.» Dichiarate l'imputato Terrence William Greene colpevole o non colpevole dell'accusa di omicidio?» Il portavoce si massaggiò di nuovo il naso, poi si schiarì la voce. Piccolo, dall'aspetto insignificante, indossava un completo da pochi soldi: quello doveva essere il suo momento di gloria in una vita mediocre, e Sam immaginava che fosse deciso a sfruttarlo fino in fondo. «Colpevole» annunciò, quasi assaporando il suono della parola. Sam imprecò sottovoce. Dietro di lei si levarono grida di vittoria. Si voltò e vide due detective dare pacche sulle spalle all'ispettore capo Frank Welch, il principale responsabile dell'accusa contro Terry. Welch le rivolse un ampio sorriso, e Sam si girò in fretta, per non dargli la soddisfazione di vedere quanto era sconvolta. Il giudice fece un cenno all'avvocato di Terry. «Signor Orvice, c'è qualcosa che desidera dire a nome del suo assistito?» L'avvocato guardò Terry, il quale scosse la testa. «No, Vostro Onore.» Il giudice fissò Terry con disprezzo. «Terry Greene, in piedi.» Terry si alzò, aggiustandosi la cravatta e raddrizzando le spalle. Indossava uno dei suoi tanti completi Armani, blu scuro con camicia bianca e una cravatta che Sam non riconobbe. Terry guardò il giudice negli occhi, con il mento sollevato in atteggiamento di sfida. «Prima di leggere la sentenza, desidero spendere alcune parole sulla condotta di uno dei testimoni in questo processo» disse il giudice. Si voltò verso Sam e lei dovette combattere l'impulso di distogliere lo sguardo. Si sentì arrossire, e si concentrò sulle labbra strette e pallide dell'uomo. «Nonostante la quantità di prove contro l'imputato, sua moglie, Samantha Greene, ha continuato a dichiarare che Terrence Greene era con lei, la notte dell'omicidio. Io non credo alla sua versione dei fatti, così come non ci ha creduto la giuria, e considero la sua dichiarazione quanto meno fuor-
viante, se non un vero e proprio tentativo di pervertire il corso della giustizia.» «Dovreste impiccarla, quella puttana!» gridò un giovane nero con i dreadlock, saltando in piedi. Una bella ragazza, anche lei nera, cercò invano di convincerlo a risedersi. «Sa che suo marito ha ucciso mio fratello! Dovrebbe stare con lui sul banco degli imputati!» Due agenti in uniforme lo accompagnarono senza tante cerimonie fuori dall'aula. La ragazza li seguì, continuando a implorarli di lasciarlo andare. Luke Snow e sua sorella Nancy, ovvero il fratello e la sorella dell'uomo che Terry era accusato di aver ucciso. Una coppia di neri di mezza età scossero la testa in lacrime, ma non si mossero. Non volevano alzarsi prima di aver udito la sentenza. Erano i genitori di Preston Snow. Appena le porte dell'aula si chiusero, il giudice puntò di nuovo uno sguardo duro su Sam. «Spero che la polizia esaminerà attentamente la deposizione della signora Greene, per determinare se esistono gli estremi per un'accusa di falsa testimonianza. L'amore di una moglie per il marito non giustifica la menzogna in tribunale.» Sam lo fissò senza poter dire nulla. Aveva la bocca secca, e le sembrò passare un'eternità prima che il giudice spostasse lo sguardo su Terry. «Terrence William Greene, lei è stato riconosciuto colpevole dell'omicidio di Preston Snow. Un omicidio selvaggio, brutale, per il quale non ha mostrato nessun rimorso. Questa corte la condanna al carcere a vita. Portatelo via.» Due robusti agenti di custodia si misero ai fianchi di Terry. Lui mandò un bacio a Sam, le strizzò l'occhio e scese le scale che dall'aula portavano nelle celle del tribunale. «Vai a casa, mamma?» chiese Jamie. Sam annuì e si alzò in piedi. «Vieni anche tu?» Jamie guardò l'orologio. «Devo tornare a Exeter. Ho un esame domani.» «Ti va un caffè, prima di andare?» Jamie assunse subito un'aria preoccupata. «Ti senti bene?» Sam fece una smorfia. «Mi sento un po' intontita. Credo che la botta non sia ancora arrivata.» Suo figlio annuì. «Capisco cosa vuoi dire. Mi aspettavo qualcosa di brutto, ma l'ergastolo? Non riesco a immaginarmi papà dietro le sbarre per tutta la vita. Non lui.» «Riusciremo ad andare avanti, in qualche modo, Jamie. E anche lui.» Lo abbracciò stretto. «Grazie per essere venuto.»
«Non ero certo che papà mi volesse qui.» «Certo che ti voleva. Non essere sciocco.» Jamie indicò le porte. «Ti accompagno fuori.» «Niente affatto!» ribatté subito Sam. «Finora ti hanno lasciato in pace. L'ultima cosa che voglio è vedere la tua faccia su tutti i giornali accanto alla mia. "Futuro avvocato, figlio di un boss della droga, in tribunale per il processo del padre." Proprio quello che ti serve per la tua carriera.» «Non mi vergogno di papà» disse Jamie. «Lo so. Neppure io mi vergogno di lui. Ma non rendiamo le cose ancora più difficili di quanto non siano già. Esci per primo. I giornalisti saranno troppo occupati ad aspettare me. Ci vediamo al bar dove siamo andati l'ultima volta, va bene?» «Okay, mamma.» Jamie la baciò su una guancia e uscì. Sam gli lasciò il tempo sufficiente a lasciare l'edificio. Aveva un bisogno disperato di una sigaretta, ma in tutto il tribunale era vietato fumare. Patterson apparve al suo fianco, con un fascio di fogli in mano. «Samantha, sono desolato. Ma non è finita.» «No?» «Ricorreremo in appello, naturalmente.» «Sì, certo.» «Questo pomeriggio puoi venire all'ufficio di Richard? È una richiesta di Terry.» Richard Asher era il contabile di Terry. Sam non si sentiva pronta per cominciare a parlare di soldi. «Non possiamo aspettare?» Alle sue spalle udì una risata rauca, poi una voce dall'accento del nordest. «Ottimo lavoro, Frank.» Era Doug Simpson, l'ispettore che si era presentato a casa di Sam con un mandato e aveva trascorso quasi quattro ore a frugare in ogni angolo, insieme a sei agenti in uniforme. Simpson aveva dato una pacca sulle spalle a Welch. «Hai visto la sua faccia quando il giudice ha pronunciato la sentenza? Come se si aspettasse di essere assolto.» Welch non disse nulla, ma aveva un sorriso di trionfo che gli andava da un orecchio all'altro. Si avvicinò anche il pubblico ministero, con i pollici alzati. «Grazie, Frank. Vorrei che tutti i miei processi fossero così rapidi.» Il sorriso di Welch si fece se possibile ancora più ampio quando l'uomo passò accanto a Sam. Patterson la prese sottobraccio. «È importante, Samantha. Altrimenti non te lo chiederei.»
«Allora va bene. Ci sarò.» Guardò l'atrio rivestito di pannelli di legno. «C'è un'uscita sul retro, Laurence?» «Credo di no. Non per il pubblico, almeno.» «E per le mogli di assassini appena condannati?» Patterson fece un sorriso tirato e scosse la testa. Sam respirò a fondo e si avviò verso le porte che immettevano in strada. Ancora prima di spingerle sentì gli scatti delle macchine fotografiche e il brusio delle domande. La stampa era raccolta intorno a Welch e Simpson, i quali avevano le facce bianche alla luce dei flash. Sam abbassò la testa, ma fu inutile. L'aspettavano e le furono addosso come cani da caccia, urlando domande da tutti i lati. Come si sentiva, cosa pensava di fare ora, come l'aveva presa suo marito? Aveva testimoniato il falso? Sam cercò di aprirsi un varco. «Per favore, non ho niente da dire. Niente.» Due figure le sbarravano la strada. I signori Snow, i genitori della vittima. Entrambi verso i sessanta, erano vestiti come se fossero appena usciti dalla chiesa: lui in tweed scuro e scarpe lucide, lei in un vestito a fiori blu, soprabito blu e cappello blu, con tre margherite di seta infilate nel nastro. La signora Snow l'aggredì. «Come ha potuto?» sibilò. «Ha giurato davanti a Dio e ha mentito. Come ha potuto farlo?» Sam scosse il capo. La signora Snow sollevò una mano guantata e Sam la fissò, aspettando lo schiaffo. La donna abbassò la mano e scoppiò in lacrime. Il marito le passò un braccio intorno alle spalle. Aveva lo sguardo vuoto, non sembrava neppure consapevole della presenza di Sam o del continuo lampeggiare dei flash. Le domande continuarono. Sam sapeva perché il marito aveva ucciso Preston Snow? Era stato lui a chiederle di mentire? Dove si trovava lei la notte in cui Snow era morto? Sam cercò di fare finta che intorno non ci fosse nessuno. Apparve una telecamera, e una bionda platinata con un trucco vistoso le spinse un microfono in faccia. Sam lo allontanò. «Non ho niente da dire, lo volete capire?» gridò. Raggiunse la macchina, una Saab nera decappottabile. Era rinchiusa tra due berline quasi nuove, e Sam capì all'istante che erano stati i giornalisti, per bloccarle la via di fuga. «Qualcuno può spostare questa macchina?» urlò. Ma riuscì appena a sentire la propria voce sopra il rumore della muta di giornalisti. Una vecchia Land Rover si avvicinò sputando fumo dal tubo di scappa-
mento. «Sali, mamma!» Era Jamie. Aprì la portiera del passeggero e Sam salì a bordo. «Jamie, mio salvatore» esclamò. Jamie sorrise e accelerò. Mentre si allontanavano, una bottiglia andò a spaccarsi sul parabrezza, incrinandolo. Dal finestrino, Sam vide Luke Snow che urlava e agitava un pugno. Jamie inchiodò. «Bastardo!» «Jamie, lascia perdere.» «Ma guarda cosa ha fatto.» «Lascia perdere, ti prego.» Jamie sembrava poco incline a obbedire. Sam gli toccò una gamba. «Dài, il caffè lo offro io. E ti compro anche un parabrezza nuovo.» Jamie accelerò, imprecando tra i denti. Lei gli massaggiò il collo. «Dovresti andare a trovarlo, appena puoi.» «Lo farò. Laura non c'era.» «L'ho notato. Sai com'è tua sorella. Sarebbe rimasta troppo sconvolta. Ma è Trish a preoccuparmi. A scuola la tormenteranno.» Jamie si fermò davanti a un caffè. Si sedettero accanto alla vetrina, sorseggiando due cappuccini in silenzio. «Perché hai mentito, mamma?» chiese Jamie alla fine. «Dopo tutto quello che ti ha fatto.» «Siamo entrambi adulti, Jamie. E poi, chi ti dice che io abbia mentito?» «Il giudice, per esempio. Dài, le prove da sole erano sufficienti per condannarlo. E avevano anche un testimone oculare. Non capisco perché tu l'abbia fatto.» Jamie aveva un baffo di schiuma sul labbro superiore. Sam allungò una mano e glielo pulì con il pollice. «Cosa farai ora, mamma?» «È quello che mi chiedo anch'io.» Quando Frank Welch entrò in ufficio, con l'ispettore Doug Simpson e il sergente Fred Clarke al suo fianco, ci fu quasi un'ovazione. Welch alzò una mano per ringraziare. Su un tavolo c'erano due casse di birra, cinque o sei bottiglie di vino rosso e pile di bicchieri di carta, più qualche sacchetto di patatine. Clarke andò dritto verso la birra. «Bevi qualcosa, Frank?» chiese Simpson. «Succo d'arancia, grazie, Doug. Devo andare a parlare con il capo.» Welch si diresse lungo il corridoio, e la segretaria del sovrintendente Simon Edwards lo fece passare nel suo ufficio. «La sta aspettando, ispetto-
re capo.» Edwards era seppellito tra le scartoffie, ma si alzò a stringere la mano di Welch. «Ottimo lavoro, Frank. Fai alla squadra le mie congratulazioni. Mi sono preso la libertà di organizzare un piccolo brindisi.» «È stato molto apprezzato, signore.» «Non succede tutti i giorni di vedere condannare uno del calibro di Terry Greene.» «È vero, signore.» Edwards si risedette tra le sue carte e prese in mano la stilografica. Vide che Welch non si era mosso e chiese: «Qualcosa ti turba, Frank?». «La moglie di Greene, Samantha. Ha mentito spudoratamente. Il giudice l'ha redarguita in pubblico, ma io vorrei mandare avanti il caso.» Edwards fece una smorfia. «Tu non sei sposato, vero, Frank?» Era una domanda retorica. Edwards sapeva benissimo che Welch era scapolo. Ma lui rispose lo stesso. «No, signore.» «Le mogli difendono i mariti, che Dio le benedica. Nel bene e nel male.» Welch poggiò le mani sulla scrivania e si chinò verso il suo capo. Notò subito che quell'invasione di territorio non gli era piaciuta. «Il giudice ha detto che pensava ci fossero gli estremi per procedere con un'accusa di falsa testimonianza. Quella donna ha mentito in tribunale, sotto giuramento.» «Ma le sue menzogne non sono servite a niente, no Frank? Greene è stato condannato. Non svegliamo il cane che dorme. Va bene?» Welch non rispose subito. Voleva protestare ma sapeva per esperienza che, una volta presa una decisione, il sovrintendente non l'avrebbe cambiata e avrebbe considerato ogni tentativo di farlo ragionare come una sfida alla sua autorità. «Va bene, signore» disse alla fine. «Bravo ragazzo» replicò Edwards. Poi abbassò la testa sulle carte. Welch tornò dagli altri. Simpson gli tese un bicchiere di plastica. «Ecco, capo.» Welch prese il bicchiere ma non bevve. «Cosa c'è?» chiese Simpson. «Differenza di vedute con il sovrintendente. Lui considera Sam Greene un cane che dorme. Io la considero una cagna che mente.» Terry Greene si tolse la giacca e la consegnò all'agente di custodia. «Immagino che non abbiate una gruccia.» L'agente lesse l'etichetta ad alta voce, con l'accento nasale tipico di Birmingham: «Giacca blu scura. Armani». Era grosso, con una pancia da gra-
vidanza avanzata. Arrotolò la giacca e la infilò in una busta di cellophane. Terry slacciò la cintura e si tolse i pantaloni. «Pantaloni. Blu scuro» disse l'agente a un altro che scriveva su un portablocco a molla. Anche l'altro era grosso, ma muscoloso, come se si allenasse con i pesi. Si avvicinò un terzo uomo. Basso, con la bocca stretta e gli occhi piccoli. Prese il portablocco e diede un'occhiata al modulo. «Il famoso Terrence Greene. Armani, eh? Peccato che quando uscirai di qui sarà passato di moda.» Restituì il portablocco all'agente. «Io sono l'agente capo Riggs. Questa è la mia ala.» «Deve esserne orgoglioso» replicò Terry. Si tolse l'orologio e lo porse al primo agente. Riggs allungò una mano e lo afferrò, soppesandolo. «Rolex Oyster. D'oro.» Terry prese il pacco di vestiti da carcerato sul tavolo. «Sarebbe così gentile da mostrarmi la mia stanza?» Riggs sorrise. «Molto spiritoso, Greene.» Gettò il Rolex sul pavimento e lo pestò con un piede. Si chinò a raccoglierlo, poi disse: «Rolex Oyster, d'oro. Rotto». Lo gettò nella busta di cellophane. «Metti una firma di ricevuta e questi signori ti accompagneranno in cella. Sei in ritardo per il pranzo, e purtroppo il servizio in camera oggi non è attivo.» Fece una pausa a effetto e aggiunse: «Anzi, senza purtroppo. Non me ne frega un cazzo anche se resti senza mangiare per una settimana». Riggs rise tra sé mentre si allontanava. I suoi stivali scricchiolavano sulle piastrelle. L'ufficio di Richard Asher era come lui, pensò Sam. Arrogante, duro e dal gusto discutibile. I mobili erano tutti in vetro e metallo cromato, i quadri erano tele bianche dove sembrava che qualcuno avesse spruzzato del sangue. Quando lei entrò, Asher aveva in testa una cuffia telefonica e passeggiava avanti e indietro davanti a una finestra a parete che dominava la città. Le rivolse un breve sorriso e continuò a mormorare nel microfono qualcosa che aveva a che fare con un movimento di denaro tra Gibilterra e le isole Cayman, del quale il fisco non doveva sapere assolutamente nulla. Laurence Patterson era seduto sul bordo della scrivania bianca in legno di acero. Le indicò un lungo divano di pelle dai piedi cromati. Sam si sedette, accavallò le gambe e si accese una sigaretta. I due uomini avevano entrambi meno di trent'anni. Alti, magri e atletici, con un fisico da giocatori di squash e pieni di energia nervosa. Lei aveva
incontrato Asher solo una volta, prima di allora, poco dopo l'arresto di Terry. Era mezzo indiano, con la pelle olivastra e i capelli nerissimi che gli ricadevano continuamente sugli occhi. Sorrideva troppo e Sam non si fidava di lui. Patterson era meno attraente, con il suo viso lungo e stretto e la fronte rovinata dall'acne, ma le sembrava il più affidabile dei due. Patterson la guardava sempre negli occhi, anche quando doveva darle cattive notizie, mentre Asher sembrava voler evitare il suo sguardo il più possibile, come se nascondesse un segreto spiacevole. Sam scosse la cenere della sigaretta in un portacenere di cristallo e sorrise tra sé, ricordando che l'apparenza inganna. Solo un anno prima, lei non avrebbe mai creduto che suo marito potesse finire in galera per omicidio. «Strano, il mondo» mormorò. «Cosa?» disse Patterson. «Nulla, pensavo ad alta voce» rispose Sam. Asher si tolse le cuffie e si avvicinò con le movenze eleganti di una giraffa. «Samantha, grazie per essere venuta.» «Non avevo molta scelta, mi sembra.» Richard le sfiorò la guancia con un bacio, evitando ogni contatto fisico. La sua acqua di colonia era forte e dolce, con un aroma di sandalo. «Mi dispiace tanto per Terry» continuò, guardando un punto sul muro alle spalle di Sam. «Dispiace anche a me» disse Sam. «Ricorrerete in appello, vero?» «Appena possibile. È di questo che volevi parlarmi?» «In parte» rispose Asher. I due uomini si scambiarono un'occhiata. Sam si accigliò e rimase in attesa. Asher tornò alla scrivania e si accomodò sulla sua sedia. Patterson andò alla finestra, restando in piedi. «Comunque vada, l'appello sarà costoso, ti rendi conto, vero?» «Non ho pensato neppure per un secondo che l'avresti fatto gratis, Laurence.» Asher sospirò. «Il punto è che Terry è un po' a corto di soldi.» Patterson annuì. «Aveva messo via abbastanza per pagare la sua difesa fino a oggi, ma se andremo in appello ci vorrà molto di più.» Sam si chinò in avanti. «Se? Adesso è un se?» Patterson fece una faccia triste. «Quando, se preferisci. Alla fine è tutta una questione di soldi, Samantha. E per come stanno le cose ora, Terry non potrebbe fare ricorso neppure contro una multa per divieto di sosta.»
Sam restò in silenzio, sbigottita. «Potremmo chiamarlo un problema di flusso di cassa» disse Asher. «Speriamo che sia solo temporaneo, ma è meglio che tu lo senta dal diretto interessato.» «Cosa?» Asher non rispose. Prese un telecomando e lo puntò verso un grande televisore a schermo piatto montato su una parete. Lo accese, poi attivò il videoregistratore. Sullo schermo apparve Terry, con un piccolo sigaro in bocca. Indossava lo stesso completo che aveva in tribunale, ma senza cravatta. Sorrise e agitò il sigaro con una mano. «Ciao, amore. Scusa questi stratagemmi da cappa e spada, ma vedrai questo video solo se le cose si saranno messe male.» Sam guardò Asher e Patterson, entrambi concentrati sullo schermo. Diede un lungo tiro alla sigaretta. Terry sorrideva con aria contrita. «Cosa posso dire? Per te sarà dura, ma almeno non sei rinchiusa in una cella che puzza di piscio e di cavolo bollito. Amore, ho bisogno del tuo aiuto. Mi dispiace chiedertelo, ma sei l'unica che può farlo. Non posso dire molto, nel caso che questo video finisca nelle mani sbagliate, ma Richard e Laurence ti spiegheranno tutto. Puoi fidarti di loro, capito? Ah, e cerca Andy McKinley. Era il mio autista, ti sarà utile. Adesso lavora per George Kay. Abbraccia i ragazzi da parte mia, e di' loro che una visita mi farebbe piacere.» Asher premette un bottone sul telecomando e il video si spense. «Questo è tutto?» chiese Sam. Il breve discorso di Terry poneva diverse domande ma non dava risposte. «Il video è solo un punto di riferimento» disse Asher. «Perché tu sappia che quello che stiamo per dirti ha l'approvazione di Terry» aggiunse Patterson. «E cosa state per dirmi?» domandò Sam. Asher fece un respiro profondo, come per prepararsi a darle una brutta notizia. «Terry è stato molto occupato, di recente. Da quando vi siete separati, diciotto mesi fa...» «Quindici» lo interruppe Sam. «Quindici mesi fa.» «Certo, va bene.» Fece un altro respiro. «In questi quindici mesi sono successe parecchie cose.» «Questo l'avevo capito.» Sam soffiò il fumo verso il soffitto. «Quanto è brutta la situazione, Richard?» «A prima vista non tanto. Quadra abbastanza. Ma senza un apporto di
capitali freschi...» Non finì la frase. Guardò Patterson e annuì. Patterson le si avvicinò, consegnandole una carpetta in cartoncino. «È come quando un giocoliere tiene in aria quattro palle» disse. «Appena smette di muoversi...» Sam li fissò a turno. Avevano l'espressione colpevole di due scolari davanti alla preside, in attesa di una punizione. «Mi state dicendo che se Terry lascia cadere le palle io finisco sul lastrico?» «Non esattamente» la corresse Asher, giocherellando con un fermacarte di vetro. «Ma è giusto che tu sappia che l'ipoteca di casa tua è pagata da un conto legato a una delle aziende di Terry. E se quella compagnia dovesse finire in amministrazione controllata...» Sam aprì la carpetta. Conteneva parecchi fogli stampati al computer. C'erano estratti conto di diversi conti correnti, tra i quali lei ne riconobbe solo due. E c'erano i bilanci delle varie attività di Terry: i night-club, l'agenzia di modelle, il servizio di corriere espresso, le azioni della società calcistica locale, la multiproprietà in Spagna. Più una lista delle uscite di famiglia: l'ipoteca sulla casa, le rate della macchina, le tasse universitarie di Jamie, la retta della casa di riposo dove stava la madre di Terry. Sam scosse la testa: troppi numeri per lei. «Insomma, siamo a terra, è questo che volete dirmi?» Asher fece una faccia perplessa. «Certo che no, Samantha. Ma capisci che non essendoci più Terry che guadagna, non entrano più contanti.» «Non capisco. Terry ha sempre speso molto, ma investiva anche. Azioni, fondi comuni, tutta quella roba lì.» Asher scosse la testa. «Terry ha chiesto prestiti impegnando tutte le sue proprietà. Che ora, in pratica, appartengono alla banca.» «E perché lo avrebbe fatto?» «Il progetto di multiproprietà in Spagna. Te ne ha parlato?» «Lo ha menzionato. È con Micky Fox, giusto?» «Con Micky Fox e qualcun altro. Si è rivelato un pozzo senza fondo. Hanno dovuto comprare la terra, pagare gli architetti, i costruttori, un po' di bustarelle...» «Ho afferrato il concetto, Richard.» «In quel progetto sono finiti parecchi milioni. E devo dire, Samantha, che questo è successo malgrado il mio parere contrario. Avevo detto a Terry che si trattava di un investimento a lungo termine, e che lui doveva usare solo denaro che non fosse investito altrove. L'idea di prendere soldi dando in garanzia il suo portafoglio di azioni è stata solo sua.»
Sam gettò la carpetta su un tavolino in vetro e acciaio. «Possiamo vendere tutto, ora? Pagare le banche, vendere le quote.» «Si tratta di una multiproprietà, Samantha. Nessuno pagherà finché le costruzioni non saranno completate. I giorni in cui i clienti compravano sulla base del progetto, in Spagna sono finiti da tempo. Troppe brutte storie.» «Bene, allora vendiamo altre cose. L'agenzia di modelle deve pur valere qualcosa, no? Poi c'è la sua quota della squadra di calcio...» «Nessuna di queste due cose sta producendo grandi profitti, al momento, e non credo che la situazione cambierà nel prossimo futuro.» Esibì di nuovo un'espressione addolorata. «Francamente, Samantha, l'agenzia e la squadra per Terry erano quasi degli hobby. Non gli interessava molto se producevano profitti oppure no.» Sam scosse la cenere e accavallò le gambe dall'altra parte. «Fantastico. E il corriere espresso? Quella è una vera azienda, giusto? E Terry mi ha detto di aver investito in un paio di compagnie di taxi londinesi.» Asher e Patterson si scambiarono una rapida occhiata. Sam cominciava a stancarsi di quegli sguardi, come se i due lavorassero su un copione già scritto, dicendole solo ciò che volevano farle sapere. La stavano manipolando, e questa era una cosa che lei detestava. «Cosa c'è?» chiese in tono tagliente. «Terry ha interessi in molte ditte, Samantha» disse Asher. «Ma molte le ha acquistate per il flusso di cassa, più che per i profitti.» Sam aggrottò la fronte. «Non capisco cosa vuoi dire, Richard. Sputa il rospo, per favore.» Asher respirò a fondo. «In una parola, Samantha: riciclaggio di denaro.» Patterson andò alla finestra, come se volesse prendere le distanze da quella conversazione. Sam fece un sorriso tirato. «Sono tre parole, Richard.» Aspirò una lunga boccata dalla sigaretta e soffiò il fumo verso il soffitto. Anche Asher sorrise, ma i suoi occhi restarono freddi. Era il sorriso di un predatore, e per la prima volta Sam si rese conto di non piacergli. «Terry usa le compagnie con un forte flusso di cassa per ripulire i profitti delle sue operazioni illegali» spiegò Asher. «Di per sé, i profitti di quelle ditte sono minimi.» «Il quadro si fa sempre più roseo» commentò Sam, acida. Asher fece ruotare il fermacarte tra i palmi delle mani. «C'è comunque una soluzione» continuò. «Terry ha preso due... accordi d'affari, poco pri-
ma di essere arrestato.» Sam inarcò un sopracciglio. «Accordi d'affari?» «Ha acquistato un carico di hashish dalla Spagna. L'ha già pagato, bisogna solo organizzare la consegna.» Per un attimo Sam credette di aver sentito male. Alzò una mano, come per allontanare Asher, e scosse la testa, incredula. «Cosa? Cosa stai dicendo?» «Terry ha pagato quattro tonnellate di hashish. Che arriveranno fra tre giorni.» «Hashish? Traffico di droga?» «Terry ha anche investito in valuta, in Spagna. Le banconote arriveranno presto in Inghilterra.» «Valuta? Intendi dire denaro falso? Un movimento di droga e banconote contraffatte?» Asher fissò il soffitto. Patterson guardava fuori dalla finestra, con le mani intrecciate dietro la schiena. «Terry si aspetta che io faccia il lavoro sporco al posto suo?» «Ha trasferito a te tutti i suoi affari, legittimi e non» disse Asher. «Tu avrai il controllo di tutte le sue compagnie, avrai la firma su tutti i conti. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è che firmi alcuni documenti.» Sam schiacciò il mozzicone nel portacenere. «Mi state prendendo per il culo, vero? Siete due stronzi proprio come lui.» Si alzò e uscì sbattendo la porta. Patterson si voltò dalla finestra. «Te l'avevo detto che non le sarebbe piaciuto.» «Finirà per farselo piacere. Non ha scelta.» Laura Nichols era seduta sul divano, le gambe ripiegate sotto di sé. Il televisore era acceso, con il volume a zero. Aveva appena visto il terzo notiziario della giornata che parlava della condanna di suo padre. I tre telegiornali avevano detto quasi le stesse cose. L'uomo d'affari londinese Terry Greene era stato condannato all'ergastolo per l'omicidio del piccolo spacciatore Preston Snow. Un'indagine della dogana lo citava come sospetto trafficante di droga. Immagini di Sam inseguita dai giornalisti fuori dal tribunale, salvata in extremis dalla Land Rover di Jamie. Il lancio della bottiglia da parte di Luke Snow. Una fotografia di suo padre, sorridente e più giovanile dei suoi cinquantadue anni, con i capelli pettinati leggermente all'indietro, gli occhi scintillanti come se avesse appena visto qualcosa di
divertente. Poi una foto di sua madre scattata più di venticinque anni prima, mentre cantava in un varietà natalizio, fiancheggiata da ballerine dalle gambe lunghe. La porta d'ingresso si aprì e si richiuse di scatto. Jonathon Nichols entrò in soggiorno e gettò la valigetta su una poltrona. «Hai idea della giornata di merda che ho avuto?» sibilò. Si avvicinò a un tavolino pieno di bottiglie e si versò un whisky. Vuotò il bicchiere in un solo sorso e tornò a riempirlo, prima di girarsi a fissarla quasi con odio. «Sono lì che sto cercando di chiudere uno dei migliori contratti di tutta la mia carriera, e cosa succede? Il fottuto "Evening Standard" parla di me nella pagina del gossip.» Prese una copia arrotolata del giornale dalla tasca della giacca e gliela gettò attraverso la stanza. Il giornale si aprì in volo e ricadde in una pioggia di pagine sciolte. Laura cercò di farsi ancora più piccola, per evitare di provocarlo. «Il genero di un assassino conclude un grosso affare "punto com"» disse lui. Un po' di whisky cadde sulla moquette. «Sai che figura ci faccio? Eh? Ridono alle mie spalle. Mi prendono per il culo. Tutto a causa di tuo padre, cazzo.» «Mi dispiace» mormorò Laura, stringendosi un cuscino al petto. «Ti dispiace? Sai cosa me ne faccio del tuo dispiacere? Eh?» Laura distolse lo sguardo. Sapeva di non poter fare nulla per placarlo. Doveva solo aspettare che gli si sbollisse la rabbia. «Non ignorarmi, cazzo» disse Nichols, attraversando la stanza a grandi passi. «Non ti sto ignorando» rispose lei, con voce tremante. «Allora guardami.» Laura alzò gli occhi pieni di lacrime. «E smettila di piangere. Che cazzo hai da piangere? Eh? Il tuo lavoro non è in pericolo. Nessuno ti sta prendendo per il culo.» «Mio padre è in prigione!» urlò Laura. «E di chi cazzo è la colpa?» urlò Nichols di rimando. «Non è mia!» Nichols le gettò addosso il whisky. Il liquore le bruciò gli occhi, ma Laura si rifiutò di asciugarlo. Lo lasciò colare sul viso e sulla camicetta. Le tremava il labbro inferiore, ma lo morse fino a farlo sanguinare. «Sei contenta, adesso?» gridò il marito. «Vedi cosa mi hai fatto fare? A cosa mi hai ridotto?» Laura si alzò e cercò di uscire dalla stanza, ma lui l'afferrò per i capelli,
tirandoli selvaggiamente. «Fai sempre così, mi provochi finché esplodo. Non è abbastanza l'inferno che devo sopportare in ufficio, devi darmi il tormento anche a casa.» Laura non riuscì più a contenere le lacrime, e il suo corpo fu scosso da forti singhiozzi. Nichols la spinse a terra e alzò un piede per darle un calcio. Laura trattenne il fiato, aspettando il colpo, e Nichols fece un sorriso crudele. «Adesso ti dispiace davvero, eh?» Girò sui tacchi e uscì dal soggiorno, lasciando Laura raggomitolata in posizione fetale sul pavimento, con in bocca un sapore di whisky e sangue. Sam bussò alla porta della stanza. «Trisha?» nessuna risposta. Appena tornata da scuola, la figlia era andata direttamente in camera, e non ne era più uscita. Sam aveva sentito la televisione accendersi e spegnersi un paio di volte, poi per circa due ore c'era stata solo musica. «Trish, vuoi cenare?» «No, grazie.» La voce della ragazza era piatta e priva di emozione. Era il suo modo di punire la madre. Sam sapeva che la cosa migliore, in quei casi, era far finta di niente. «Ne sei sicura? Faccio un po' di pasta.» «Ho mangiato qualcosa dopo la scuola.» «Come vuoi. Buona notte, allora.» «Buona notte.» Sam esitò. Una parte di lei voleva aprire la porta e affrontare la figlia, cercando di forzarla a parlare di ciò che la faceva stare male. Ma sapeva che sarebbe stato inutile. Trisha si sarebbe solo chiusa ancora di più nel suo guscio. Inoltre Sam sapeva perfettamente qual era il problema: Terry era stato condannato all'ergastolo per omicidio, e non c'era nulla che lei potesse dire per cambiare la cosa. Scese al piano di sotto e si accese una sigaretta. Aveva mentito sulla pasta. Non aveva il minimo appetito, il cibo era la cosa più lontana dalla sua mente. Fuori stava venendo buio, e le rondini facevano le ultime evoluzioni della giornata, tuffandosi in picchiata sugli insetti e chiamandosi l'un l'altra. Sam aspirò il fumo, chiedendosi come poteva sentirsi Terry. Era già stato in galera in attesa di giudizio per due mesi, ma la prima notte dopo aver subito una condanna all'ergastolo era un'altra cosa. Come avrebbe affrontato i giorni e le notti che aveva davanti? Avrebbe potuto mettere piede fuori dal carcere già vecchio, dieci anni più vecchio del padre di Sam quando era morto. E suo padre era morto praticamente di vecchiaia, per una combinazione di blocco epatico, problemi ai reni e diversi ictus. Non aveva
mai fumato, beveva pochissimo e aveva avuto una vita relativamente poco stressante. Sam rabbrividì. Anche per lei non si preparavano tempi facili, ma almeno era libera di fare le sue scelte, di vivere come voleva, senza che qualcuno le dicesse cosa fare ogni minuto di ogni giorno. Squillò il telefono, e Sam sobbalzò a quel rumore improvviso. «Pronto?» non aspettava nessuna chiamata, e l'ora in cui ai carcerati veniva permesso di usare il telefono era passata da un pezzo. «So dove abiti, brutta puttana!» Sam restò a bocca aperta. «Cosa?» «Ho detto che so dove abiti, troia. Sei carne morta, capito? Sei una puttana bugiarda e avrai quello che ti meriti.» Sam riattaccò e aspirò un'altra boccata di fumo. «Sassate e bastonate» mormorò. Di sopra, Trisha aprì la porta della sua stanza. «Era per me?» chiese. Sam andò in corridoio. «No, tesoro, era per me.» Trisha sbatté la porta. «Era proprio per me» mormorò Sam, tornando in cucina. Terry era steso sulla schiena e fissava la branda sopra la sua testa, occupata da Charlie Hoyle, un ventiduenne di Liverpool condannato a sette anni per lesioni aggravate. Hoyle aveva litigato con due tifosi dell'Everton nel parcheggio di un pub. Aveva vinto la lite somministrando a uno dei due un bear hug che gli aveva rotto tre costole, e spappolando la milza all'altro con una caduta da wrestling. Il giudice che l'aveva condannato aveva evidentemente un certo senso dello humour e aveva dichiarato che il corpo di Hoyle era «un'arma offensiva, in diversi modi». Persino lo stesso Hoyle aveva riso, mentre lo portavano via. Era un tipo abbastanza tranquillo, ma Terry era già stufo di doversi appiattire contro il muro ogni volta che Hoyle voleva muoversi in giro per la cella. Le molle sopra di lui gemettero e la faccia di Hoyle apparve oltre il bordo del letto. «Tutto bene, Tel?» «Tutto bene, Charlie, grazie.» «Vuoi un massaggio alla schiena?» «Non adesso, grazie.» «Se c'è altro che posso fare, basta chiedere.» «Certo. Grazie davvero, Charlie.» Hoyle tornò a stendersi sulla schiena e presto si mise a russare sonora-
mente. Terry sorrise. Gli avevano dato un cuscino sottilissimo e due coperte macchiate e consunte. Probabilmente Riggs stava facendo del suo meglio per rendergli la vita difficile, ma Terry era un osso duro. Se tutto fosse andato come doveva, non sarebbe rimasto in galera per molto. Frank Welch gettò una pila di giornali sulla scrivania e si sedette. Tolse l'involucro al suo croissant e ne mangiò un pezzo mentre leggeva il «Daily Mail». Aveva dato al reporter principale un'esclusiva non ufficiale sul caso Greene, e il giornalista aveva fatto bene il suo dovere. Su una pagina interna c'era una foto di Sam, che guardava l'obiettivo con il mento sollevato e un'aria di sfida, come se sapesse che quella foto sarebbe finita sui giornali ma non le importasse nulla. Indossava un tailleur verde pallido con una catenina al collo alla quale era appeso un crocifisso. Un vero tocco di classe, pensò Welch. Pur avendo cambiato mise ogni giorno al processo, Samantha Greene non si era mai tolta il crocifisso, tenendo sempre il colletto aperto in modo che il giudice potesse vederlo. Il crocifisso, e anche un accenno di tette. Gonne sopra il ginocchio, che mostravano le sue belle gambe. Tacchi abbastanza alti da suscitare l'interesse dei giurati maschi, ma non così alti da offendere le donne. Era un equilibrio delicato, ma Sam Greene l'aveva raggiunto. Quando aveva vent'anni faceva la cantante e flirtava con il cinema. Ora Welch l'aveva vista fare il suo miglior numero da attrice in tribunale. Occhiate di sostegno al marito. Il fazzoletto tirato fuori di tanto in tanto per asciugarsi gli occhi. Occhiate gelide al principale testimone dell'accusa. Sorrisi amichevoli ai giurati maschi, quando il giudice non guardava. E ogni giorno la sua marcia dentro e fuori dall'aula, a testa alta. Una performance davvero notevole, ma Terry Greene era stato comunque condannato a vita, e quella era la cosa importante per Welch. Il «Daily Mail» aveva incluso nell'articolo anche una foto della casa dei Greene, una villetta con cinque stanze da letto alla periferia di Chiswick, completa di piscina riscaldata e garage per tre macchine. Il tipo di casa che Welch non avrebbe mai posseduto. Il massimo che poteva permettersi era un bilocale a Maida Vale, e a giudicare da come crescevano i prezzi a Londra, non credeva che sarebbe salito oltre nella scala delle proprietà immobiliari. Non c'era nessuna piscina nel suo immediato futuro. Né un garage a tre posti. Ma almeno non gli toccava passare il resto della vita in galera, perciò concluse che forse, dopotutto, esisteva un po' di giustizia al mondo.
Doug Simpson prese il «Telegraph» dalla pila e lo sfogliò. «Quarta pagina, capo» disse. «Oh-oh» esclamò l'agente Colin Duggan, grattandosi il collo carnoso. «Questo non le piacerà, capo.» Welch alzò gli occhi dal «Daily Mail». Duggan gli passò una copia del «Mirror». «Hanno scritto male il suo nome.» «Cosa?» Welch afferrò il giornale e lesse l'articolo. «Hanno scritto Welsh, come se lei fosse un gallese scopatore di pecore.» «Cristo santo, com'è possibile?!» Simpson rise, ma smise di colpo quando vide che Welch era serio. «Cos'hai da ridere, Simpson? Il tuo nome non è neppure menzionato.» Welch gettò il giornale sulla scrivania, urtando il suo caffè. Il liquido bollente si sparse dappertutto. Welch bestemmiò e lo asciugò con il «Daily Mail». «Vaffanculo, Terry Greene» borbottò. Gettò il quotidiano nel cestino, poi si alzò e urlò a tutti i presenti nella sala di pronto intervento: «Attenzione, per favore. Il fatto che siamo riusciti a mandare in galera Terry Greene non significa che abbiamo sconfitto anche la sua organizzazione. Qualcuno prenderà di certo il suo posto, e noi dobbiamo scoprire chi. È chiaro? Sapete chi sono i suoi soci, perciò teniamoli d'occhio, facciamoli sentire controllati. Manteniamo la pressione». Molti annuirono, ma Welch sentì una chiara mancanza di entusiasmo. «A meno che non abbiate di meglio da fare, si intende. Ricordatevi che oggi firmerò i moduli spese.» Diversi poliziotti alzarono il telefono, altri si misero a battere sui tasti dei loro computer, cercando di dare un'immagine di produttività. Welch sorrise e tornò ai suoi giornali. Almeno il «Daily Mail» aveva scritto il suo nome nel modo giusto. Sam trovò David Jackson intento a gridare all'indirizzo di una ventina di calciatori in tuta che correvano intorno al campo, con il fiato che si condensava davanti alla bocca nell'aria fredda del mattino. «Vedo che hai già mangiato i tuoi Weetabix, Jacko» disse Sam, arrivandogli alle spalle. «Pensavo che gridare fosse compito dell'allenatore, mentre il presidente si limita a intascare la grana.» Jacko sembrava sorpreso di vederla e la baciò con calore su entrambe le guance. «Samantha, cara. Che piacere vederti.» Il sorriso svanì e la sua faccia si fece seria all'improvviso. «Mi dispiace tanto per Terry, sai? Una vera vergogna.»
«È uno dei motivi per cui sono qui» spiegò Sam. «Puoi dedicarmi qualche minuto?» «Certo, lascio le istruzioni ai ragazzi e sono subito da te.» Jacko si mise le mani intorno alla bocca e urlò attraverso il campo: «Ancora tre giri, poi se quella testa di cazzo del vostro allenatore non è ancora arrivato iniziate una partita». Infilò le mani nelle tasche del soprabito e si avviò con Sam verso il tunnel che portava nel ventre dello stadio. «Il fatto è, Jacko, che Terry ha dei problemi finanziari.» «Chi non li ha?» «No, parlo di problemi seri. Ho passato la mattina tra fatture, bollette e solleciti di pagamento, e il direttore della banca ha già chiamato per il mutuo della casa. Come uno squalo che ha sentito l'odore del sangue.» «Credevo che Terry fosse ricco.» «Già» fece Sam, con finta allegria. «Lo credevo anch'io. La sua quota in questa associazione deve valere qualcosa, giusto?» Jacko succhiò aria tra i denti. «Noi non siamo nel giro grosso, Samantha. I soldi stanno lì. Qui non arriva niente.» «Ma le partite sono sempre affollate.» Sam sentì la disperazione nella propria voce. «Non si tratta più dei biglietti venduti alle partite, Sam. È la tv che porta i soldi veri. E chi pagherebbe per vedere noi, se con la stessa cifra possono vedere il Manchester United? Ascolta, non sei la sola a essere tormentata dalle banche. Noi con la nostra banca abbiamo un debito di un milione e mezzo di sterline.» Scrollò le spalle dentro il soprabito. «Mi dispiace, cara. Non è quello che avresti voluto sentire, immagino.» Sam sospirò. «Infatti. L'amministratore di Terry mi aveva già detto che lui era messo male, ma forse avevo bisogno di sentirlo con le mie orecchie.» «Forse avrai più fortuna con i suoi night-club, o con la sua agenzia di modelle. Come si chiama l'amico di Terry che se ne occupa? Locke?» «Sì. Warwick Locke. Devo vederlo questo pomeriggio, dopo la visita in carcere a Terry. Ma al telefono non mi ha dato molte speranze.» Jacko si fermò e le posò le mani enormi sulle spalle, fissandola con uno sguardo comprensivo. «Chiederò in giro, Samantha. Forse qualcuno vorrà comprare la quota di Terry. Ma non sperarci troppo.» Le diede un buffetto sotto il mento. «Ce la farai. Tu e Terry siete dei combattenti.» Sam si sforzò di sorridere. Avrebbe voluto avere almeno la metà della
fiducia che Jacko sembrava riporre in lei. I tacchi alti di Sam ticchettavano sul pavimento piastrellato della sala colloqui. Terry era seduto a un tavolo d'angolo, con un gilè rosso sopra la divisa di tela della prigione, e le mani intrecciate sul tavolo di fòrmica. Sam non gli diede neppure il tempo di alzarsi. «Bastardo egoista, egocentrico e arrogante. Hai mandato a puttane la tua vita, cosa ti fa pensare di avere il diritto di mandare a puttane anche la mia?» Terry sorrise. «Sto bene, grazie. Il cibo fa un po' schifo, ma cosa vuoi farci?» Sam scosse la testa. «Non è divertente, Terry. Mi hai fregata in grande stile. Ora vuoi che ti faccia compagnia in galera o cosa?» Terry sorrise al pensiero di dividere la cella con la moglie, ma si fece subito serio vedendo la faccia sconvolta di Sam. Si alzò e le toccò un braccio. «Mi dispiace, amore. Sul serio.» Un robusto agente di custodia si avvicinò. «Seduto, Greene» latrò. Terry obbedì e Sam si sedette di fronte a lui. «Sei uscito dalla mia vita, Terry» disse, cercando di controllare la voce. I tavoli della sala colloqui erano così vicini gli uni agli altri che era difficile non udire le conversazioni altrui. Una giovane donna con un bambino piccolo piangeva e il marito cercava di consolarla. Un altro carcerato accusava la moglie di essere sempre fuori quando lui telefonava. Un uomo anziano parlava dei suoi piccioni. «Non hai il diritto di farmi questo. Avresti dovuto avvisarmi prima.» Terry, seduto sulla sedia di plastica arancione, la fissò con i suoi occhi azzurri. Cominciò a contare sulle dita. «Primo, non sono uscito dalla tua vita, sei stata tu a sbattermi fuori. Secondo, non credevo che sarebbe andata così. La giuria non avrebbe dovuto condannarmi. Niente movente, niente arma del delitto, un testimone inaffidabile. Non si doveva neppure arrivare al processo. E non ci saremmo arrivati se non fosse stato per Raquel. Quel bastardo di Welch me l'aveva giurata da anni.» Terry mise di nuovo le mani sul tavolo e si chinò in avanti. «Sam, tesoro, se avessi pensato davvero che sarebbe andata così mi sarei preparato meglio.» Sam socchiuse gli occhi. «E io sono il piano B, giusto? Vaffanculo, Terry Greene. Vaffanculo con tutto il cuore.» Terry sorrise e inarcò le sopracciglia. «Baci i nostri figli con quella bocca?» Sam scattò in piedi, e varie teste si voltarono verso di loro. «Non puoi
cavartela con le battute, lo capisci?» urlò, puntandogli contro un dito accusatore. «Non lo farò. Non farò niente del genere. Puoi marcire qui per sempre, per quello che me ne importa.» Lo fissò con rabbia, poi si voltò e uscì. Terry la guardò andare via, annuendo lentamente. Udì una risatina alla sua destra, e voltandosi vide l'agente capo Riggs che sembrava godersela un mondo. «Problemi in famiglia, Greene?» disse. «Non preoccuparti, sistemerai tutto quando esci, tra una trentina d'anni o poco più.» «Com'è il pesce, Sam?» Warwick Locke sorrise dall'altra parte del tavolo come un venditore di BMW. «È ottimo, Warwick. Il fatto è che non ho fame.» Sam bevve un sorso di vino bianco. Il ristorante era stato un'idea di Locke, un posto caro specializzato in piatti di pesce a Kensington, non lontano dal suo ufficio. Era pieno di manager della tv e aspiranti divi. I camerieri avevano tutti un accento australiano o sudafricano, e si presentavano per nome, prima di elencare le specialità della casa. Sam aveva preso una sogliola e gliel'avevano portata troppo cotta. La verdura invece era quasi cruda, e il vino non era abbastanza freddo. Locke aveva ordinato ostriche e aragosta, e mangiava con le mani, leccandosi di tanto in tanto le dita. Aveva infilato il tovagliolo rosso nel colletto della camicia, dopo aver appeso la giacca allo schienale della sedia. E si voltava a guardare una cameriera bionda dalle grandi tette ogni volta che la donna passava vicino al loro tavolo. «Allora, cosa ne pensi, Warwick?» chiese Sam, accendendo una sigaretta. Locke sollevò una chela di aragosta unta. «Deliziosa. Vuoi assaggiarla?» Sam socchiuse gli occhi. Era certa che Locke avesse capito a cosa si riferiva la domanda, e se si trattava di un tentativo di essere divertente non gli era riuscito. «Parlo della quota di Terry.» «Il suo cinquanta per cento vale cinquemila sterline. Al massimo.» Succhiò rumorosamente la chela. «Cinquemila?» ripeté Sam, incredula. «Quante ragazze avete in catalogo?» Locke agitò la chela come se fosse la bacchetta di un direttore d'orchestra. «Il fatto che siano sui nostri cataloghi non significa che lavorino. E il quindici per cento di un servizio per un catalogo non è una grossa cifra.»
La bionda dalle tette grandi si avvicinò, chinandosi verso Sam. «Mi scusi, signora, ma in questo ristorante è vietato fumare.» Sam si sforzò di sorridere, aspirò un'ultima boccata e spense la sigaretta sulla sogliola. La cameriera si chinò ancora di più per portare via il piatto e Locke fissò la sua scollatura. Lei se ne accorse, e lui le sorrise senza nessuna vergogna, pulendosi il mento unto con il dorso della mano. Sam lo guardò con disprezzo. «Sai, Warwick, detesto il pensiero che l'unica funzione dell'agenzia fosse quella di rifornire di carne fresca te e Terry.» Lo sguardo di Locke si fece duro. «Questo è poco gentile, Samantha. Poco gentile e gratuito.» Samantha non disse nulla. Vuotò il bicchiere di vino e si alzò. «Grazie della cena, Warwick. Se cinquemila è il meglio che puoi fare, vedrò di accontentarmi. Mandami un assegno, okay?» Locke cercò senza successo di mostrarsi ferito. «Sam, non fare così. Prendi un dolce, un caffè.» «Ho perso l'appetito» rispose lei, e accese un'altra sigaretta mentre si avviava verso l'uscita. Sam entrò in una stazione di servizio, ancora piena di rabbia per l'atteggiamento di Locke. Era solo la seconda volta che lo incontrava. Probabilmente Terry aveva ritenuto opportuno tenerlo lontano da lei. Rimpiangeva di aver detto a Locke di mandarle l'assegno da cinquemila sterline. Forse sarebbe stato meglio chiedere ad Asher di controllare i conti della società, prima. Riempì il serbatoio della Saab e diede la Visa al cassiere indiano. L'uomo la fece passare attraverso il lettore e aggrottò la fronte. Tentò una seconda volta. «Mi dispiace» disse. «Non la accetta.» Sam gemette, ricordando che una delle lettere che aveva aperto quella mattina era proprio della Visa, e le segnalava che il suo limite di spesa era già stato superato. Provò con l'American Express, pregando in silenzio mentre il cassiere la passava nel lettore. La macchina sputò fuori una ricevuta e Sam la firmò. I soldi su quella carta venivano presi direttamente da uno dei conti correnti di Terry, ma lei non aveva modo di sapere quanto sarebbe durata. Quasi tutti gli estratti conto che aveva visto nell'ufficio di Asher erano in rosso o lo sarebbero stati presto. Era a meno di un chilometro da casa quando udì una sirena dietro di lei. Guardò nello specchietto e vide le luci blu lampeggianti di un'auto della
polizia. Gli agenti erano due, avevano pochi anni più di Jamie. Uno di loro le disse che guidava a zigzag, e l'altro prese l'etilometro. Sam scosse la testa e disse che non aveva bevuto. «Io sento odore di alcol nel suo fiato» disse l'agente. «Ho bevuto due bicchieri di vino. Solo due.» «Quindi ha bevuto» concluse l'altro. «Non ho intenzione di soffiare in quell'affare. Ho bevuto solo due bicchieri di vino e non guidavo a zigzag e voi lo sapete benissimo.» Il poliziotto mise via l'etilometro. «Visto che rifiuta, dovrà seguirci al commissariato, signora Greene.» Sam fece un sorriso sprezzante. «Sapete chi sono, quindi.» La faccia dell'agente si indurì e lei seppe che aveva ragione. «Non è stato un controllo casuale, vero?» Tese la mano. «Va bene, soffierò in quel coso, me lo dia.» L'uomo scosse la testa. «Ormai ha rifiutato.» Indicò la macchina di pattuglia. «Si accomodi sul sedile posteriore. Il mio collega si occuperà della sua vettura.» «So che ora abbiamo poliziotti più giovani. Non sapevo che fossero anche più stupidi.» «Se vuole essere ammanettata possiamo accontentarla.» La condussero alla stazione di polizia in silenzio, e la fecero entrare in una sala colloqui. C'erano un tavolo e quattro sedie, più una piastra di registrazione con spazio per quattro cassette collocata sopra una mensola che si trovava sotto una finestra. Sam si sedette e accese una sigaretta. L'aveva fumata a metà quando la porta si aprì ed entrò Frank Welch. «Dovevo aspettarmelo» commentò Sam. «Il medico sta arrivando» disse Welch, chiudendo la porta. «Non ho bisogno di pisciare in una bottiglia per sapere che non sono ubriaca» replicò Sam, con disprezzo. «Due bicchieri di vino, hai detto agli agenti.» «Cosa vuoi, Raquel?» «L'ultima persona che mi ha chiamato Raquel è stato il tuo caro marito, e guarda com'è finito.» «Tutti ti chiamano Raquel, solo che lo fanno alle tue spalle.» Le guance di Welch si infiammarono. Aprì la bocca per replicare, poi con uno sforzo riuscì a dominarsi. Sorrise. «Non partiamo con il piede sbagliato, Sam. Cerchiamo almeno di trattarci in modo civile.»
Welch prese una sedia e si sedette, facendo attenzione a non spiegazzare i pantaloni del suo completo grigio scuro. Sam lo fissava, cercando di scoprire cosa volesse. Welch aveva una faccia da cane di Sant'Uberto, con le guance cascanti e gli occhi tristi e acquosi. Era stempiato ma portava i capelli lunghi dietro, come per compensare la perdita sul davanti. Si leccò il labbro inferiore con la punta della lingua e giocherellò con la cravatta, squadrando Sam dalla testa ai piedi. «Sei sempre stata troppo bella per Terry» disse, in un sussurro. «Hai classe, sai vestirti, sai come comportarti. Terry non sapeva neppure usare le posate, prima di incontrare te.» Sam si guardò intorno in cerca di un portacenere. Non ne vide, e scosse la cenere sul pavimento. La voce di Welch si fece dura. «Voglio sapere chi gestisce le attività di Terry mentre lui è in galera. So che stava preparando qualcosa.» «Cresci, per favore» ribatté Sam, in tono cattivo. «Io e Terry ci siamo separati più di un anno fa. E anche quando stavamo insieme, non mi ha mai detto nulla dei suoi affari.» Welch si leccò di nuovo il labbro. «Capisco sempre quando menti, Sam. Hai mentito in tribunale e stai mentendo anche adesso.» Sam non disse nulla. Soffiò il fumo dal naso e scosse altra cenere sul pavimento. «Non gli devi nulla, Sam. È un criminale, un assassino. Non ha pensato affatto a te e ai vostri figli, quando ha premuto il grilletto.» Sam accavallò le gambe e vide Welch irrigidirsi sentendo il fruscio delle calze. «Non si tratta di Terry, vero? Si tratta di noi due.» «Cosa vuoi dire?» «Dài, Frank. Quattro anni fa, la prima volta che hai cercato di inchiodare Terry, ti ho rifiutato, e da allora ti diventa duro come una mazza da baseball ogni volta che mi passi vicino.» Welch spalancò la bocca. «Cosa? Io non ho mai... questo non è... non puoi...» Balbettava, senza riuscire ad articolare una frase coerente. Sam sorrise, soddisfatta. Sapeva di aver toccato un nervo scoperto. Gettò la cicca sul pavimento e la schiacciò con il tacco. Fece il giro del tavolo e si sedette sul bordo, con il seno praticamente davanti agli occhi a palla di Welch. «Credi che una condanna a vita significhi per tutta la vita?» «Immagino di sì» rispose Welch. Si leccò di nuovo il labbro. La saliva brillava sotto le luci fluorescenti.
«È un sacco di tempo.» Ci fu un silenzio che durò parecchi secondi, nei quali Welch fece un grande sforzo per non guardare le tette di Sam. Lei si chinò in avanti, facendogli scorgere il solco tra i seni. «Hai una donna, Frank? Una donna fissa, voglio dire.» Welch si schiarì la voce. «Mi arrangio.» Sam si chinò un po' di più. Sul labbro superiore di Welch si formarono piccole perle di sudore. «Non potevo dirti di sì, con Terry di mezzo, capisci? Anche dopo la separazione era ancora geloso. Ti avrebbe spezzato le gambe. E le avrebbe spezzate anche a me.» «Non ho paura di Terry.» «Io sì.» «Adesso non è più necessario.» «"Muri di pietra non fanno una prigione..."» citò lei, sorridendo. «Forse è vero.» Abbassò la voce fino a un bisbiglio roco. «Dobbiamo farlo qui, Frank?» «Cosa vuoi dire?» «Non potremmo vederci da me, domani sera? Magari stappiamo una bottiglia...» «Io sono astemio.» Welch non riusciva quasi a parlare e dovette schiarirsi di nuovo la voce. Sam sorrise, inclinando la testa di lato. «Mi sembra che tu non abbia colto il senso della frase.» Welch inghiottì saliva. E si sfregò le labbra con il dorso della mano. «A che ora?» Sam si strinse nelle spalle. «Verso le nove. Potrei anche cucinare qualcosa. Ti piace la pasta?» Welch annuì vigorosamente. Il sorriso di Sam scomparve, trasformandosi quasi in un ringhio a denti scoperti. «Stronzo. E così riesci sempre a capire quando mento, vero? La possibilità che tu riesca a entrare nelle mie mutande è inesistente, proprio come quella di liberarti della tua alitosi.» Welch scattò all'indietro, colto di sorpresa da quell'attacco. Sam scosse la testa, sprezzante. Prima che l'ispettore capo potesse replicare, la porta si aprì ed entrò il medico della polizia, con in mano due provette per l'analisi delle urine. Welch si alzò e uscì in fretta dalla stanza. «Si assicuri che le riempia en-
trambe» ringhiò sulla porta. Sam sorrise al dottore e tese la mano per prendere i flaconi. «Devo farla qui o qualcuno può accompagnarmi al bagno delle signore?» chiese. «Per poco Raquel non se l'è fatta addosso a causa mia. Il minimo che possa fare è una donazione personale di piscia alla polizia.» Trisha scese al pianterreno sui tacchi alti, e afferrò lo zainetto sotto il tavolino del telefono in corridoio. Si era legata i capelli biondi in una lunga coda e la cravatta dell'uniforme scolastica era lenta intorno al collo. Sam uscì dalla cucina con in mano un piatto di toast. «Ehi, la colazione.» «Non ho fame, mamma. Prenderò qualcosa a scuola.» Sam le tese il piatto, inarcando un sopracciglio. «Mamma, non ho intenzione di ostruirmi le arterie con il colesterolo.» «Sono fette ricche di polinsaturi... qualunque cosa siano.» «Sul serio?» «Lo giuro sulla testa di tua madre.» Trisha prese una fetta di pane tostato e l'annusò con diffidenza. «Odora di burro.» «Un miracolo della scienza moderna. Vai a scuola così?» Trisha si accigliò. «Cosa c'è che non va?» «Hai l'aria di una che è appena caduta dal letto. E sei troppo truccata.» «Mamma, tutti si truccano, oggi. Anche diversi ragazzi.» Sam non riuscì a evitare di sorridere. Trisha aveva gli zigomi alti e gli occhi accesi come lei, e dimostrava più dei suoi quindici anni. Anche Sam era stata così. Alla sua età riusciva a farsi passare per una ventenne, e non aveva mai avuto problemi per entrare in pub e night-club. Tuttavia, non avrebbe mai osato mettersi un vistoso rossetto rosa e l'eyeliner per andare a scuola. «E gli orecchini sono permessi?» «Basta che non siano dei pendenti. È la regola.» Trisha capì che la madre non le credeva. «È vero, mamma» protestò. «Come va la scuola?» chiese Sam, mettendole a posto una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Il solito.» «Ti danno il tormento per papà?» Trisha si fece seria. «Non più del normale.» Guardò il suo orologio verde fluorescente. «Devo andare.»
«A che ora torni, stasera?» «Perché?» «Devo uscire.» «Di nuovo? Anche ieri sei rientrata tardi.» «Sto cercando di sistemare le faccende di tuo padre.» «Non è un po' tardi, ormai?» «Le sue faccende finanziarie.» «Parlando di finanze... posso avere dieci dollari?» «Te ne ho dati venti la settimana scorsa.» «Appunto. Era la settimana scorsa.» «A cosa ti servono?» Trisha brontolò. «Per gli assorbenti.» «È quello che hai detto anche la settimana scorsa.» Trisha gemette. «Va bene, fa' come ti pare.» Sam prese la borsetta dal tavolino del corridoio e le diede una banconota da venti. «Grazie, mamma.» Trisha la baciò sulla guancia. «Mi daresti anche un passaggio?» «Per caso ho in testa un berretto da autista?» «Pedofili e rapitori usano l'autobus. Potresti non rivedermi più.» Sam aprì la porta. «Potrebbe anche essere una cosa positiva.» Trisha le fece una linguaccia, per scherzo, e uscì barcollando sui tacchi. «E quei tacchi sono troppo alti» le gridò dietro Sam. Trisha le rivolse un cenno di saluto senza voltarsi. Sam chiuse la porta e prese la posta. C'erano diverse buste marroni, evidentemente fatture da pagare. Una lettera dall'Ufficio delle Imposte, indirizzata a Terry. Una lettera dall'American Express, che Sam sperava fosse pubblicità e non una richiesta di pagamento. Una busta imbottita con sopra il suo nome scritto in stampatello. Sam portò tutto in cucina. Aprì la busta imbottita con il coltello del pane e ci infilò una mano. Toccò qualcosa di freddo e umido, e ritirò la mano di scatto con un grido. Scosse la busta sul lavandino. Ne cadde una testa di pollo insanguinata. Sam si coprì la bocca con una mano, senza riuscire a smettere di fissarla. C'erano una ventina di uomini in fila per la colazione che chiacchieravano con i vassoi in mano, in attesa del proprio turno. Terry prese un vassoio e si portò in testa alla fila, dove un cuoco stava sbattendo in un piatto salsicce bruciacchiate e pancetta unta.
Un uomo basso dal viso butterato allungò la mano, ma Terry si sporse e prese lui il piatto. L'uomo fece per protestare poi, vedendo chi era, annuì. Terry gli rivolse un sorriso duro. «Posso avere un'altra salsiccia?» chiese al cuoco. Il cuoco annuì e gliela mise nel piatto con un paio di pinze di plastica, aggiungendo un mestolo di piselli al forno. «Ehi, rispetta il tuo turno» gridò un carcerato a metà della fila. Terry si voltò a guardarlo. Era un nero sui venticinque anni, che si guardava intorno in cerca di sostegno dagli altri. Quasi tutti evitarono il suo sguardo. Uno si chinò a sussurrargli qualcosa, e l'atteggiamento dell'uomo cambiò di colpo. Deglutì, incurvò le spalle e rivolse a Terry un cenno amichevole, poi abbassò lo sguardo. Terry restò a fissarlo per alcuni secondi, prima di voltarsi di nuovo verso il banco. Prese tre fette di pane tostato. La regola era una a testa, ma i cuochi non dissero nulla. Terry prese una tazza di tè e si avviò verso la sua cella. Molti detenuti in fila gli rivolsero cenni di saluto e gli augurarono una buona giornata. I due agenti di custodia sul pianerottolo avevano visto Terry saltare la fila, ma era chiaro che non avevano intenzione di intervenire. Terry non aveva molto appetito, e di certo non avrebbe mangiato la salsiccia in più che si era fatto dare. Il suo show era servito solo per stabilire l'ordine di beccata, per far sapere alla popolazione carceraria che era meglio non mettersi contro Terry Greene. C'erano tre buttafuori all'ingresso del club, tutti e tre grossi e vestiti di scuro, con le mani intrecciate davanti all'inguine, come comparse in un film di gangster. Dietro di loro, un cordone porpora teso tra due pali di ottone rappresentava la barriera che i clienti dovevano superare per entrare nel Lapland. Sam saltò la fila. Erano trascorsi più di due anni dall'ultima volta che era stata lì, e non era mai venuta senza Terry. Non era certo il suo locale preferito, ma George Kay aveva detto di essere troppo occupato per uscire, perciò avevano deciso di vedersi dentro. Uno dei buttafuori si mosse per sbarrarle la strada, ma un altro gli toccò una spalla e annuì. Sganciò la corda e fece cenno a Sam di entrare. «Signora Greene» disse, con un forte accento di Glasgow. «È molto che non la vedevo.» Sam lo fissò, perplessa. Era alto quasi un metro e novanta, sui trent'anni, con i capelli cortissimi e la mascella quadrata.
«Sono Andy McKinley, signora Greene. Ero l'autista di suo marito.» «Andy, ma certo. Scusami, non ti avevo riconosciuto.» «Non c'è problema, signora. È stata sulla Lexus solo una volta, e probabilmente ha visto solo la mia schiena.» «No, non è questo. È solo che non mi aspettavo di trovarti qui.» «Bisogna sapersi adattare, signora Greene. L'accompagno dentro.» Sam lo seguì in un corridoio dalle luci soffuse ed entrò nel locale. Tre ragazze pettorute, due bionde e una bruna, ballavano intorno a pali argentati sul palco, mentre decine di altre ragazze ben dotate si muovevano attraverso i tavoli, sedendosi a bere con i clienti e offrendosi per lap-dance individuali. Dappertutto c'erano bottiglie di champagne in secchielli con ghiaccio, e uomini in completi scuri che infilavano banconote nelle giarrettiere delle ballerine. Un modo difficile di guadagnarsi da vivere, pensò Sam. «C'è il pienone stasera» commentò seguendo McKinley tra i tavoli. «È sempre così, signora Greene.» L'uomo bussò a una porta e l'aprì. «Signor Kay, c'è qui la signora Greene per lei.» McKinley si fece da parte e la lasciò entrare, poi chiuse piano la porta. George Kay era spaparanzato su un'ampia sedia di pelle da manager, con i piedi sulla scrivania ingombra di carte. Leggeva una copia di «Exchange and Mart». «Sam, cara, che bella sorpresa.» Tolse i piedi dalla scrivania e si alzò per andare a salutarla, baciandola su entrambe le guance. «Ti avevo detto che sarei venuta, George.» «Certo, cara, certo.» Le fece cenno di accomodarsi su un divano troppo imbottito, davanti a una vetrata da cui era possibile vedere quello che succedeva nel club. McKinley aveva allontanato un gruppo di uomini in maniche di camicia che infastidivano una ballerina. Gli erano bastate poche parole, e loro erano tornati a sedersi docili come cuccioli. Sam si accomodò e George tornò dietro la scrivania. Indicò una tazza sbreccata vicino a un computer. «Caffè, Sam?» lei scosse la testa. «Qualcosa di più forte, allora? Faccio portare una bottiglia di champagne?» «No, grazie, George. Devo guidare e questa settimana mi è già toccato una volta di dover pisciare in una provetta.» Kay aggrottò le sopracciglia, passandosi una mano sul pizzo grigio. Era almeno trenta chili sovrappeso, sudava malgrado il condizionatore fosse proprio dietro la sua scrivania. «Da quanto tempo McKinley lavora per te?» chiese Sam.
«Più o meno da quando Terry è stato arrestato.» Kay sembrava a disagio, come se temesse di aver detto una cosa sbagliata. «Era il minimo che potevo fare per dargli una mano, ti sembra?» Sam annuì e prese le sigarette dalla borsa. «Non ti dispiace se fumo, vero?» Kay prese un inalatore dalla scrivania e glielo mostrò. «Preferirei di no, grazie. Sono asmatico, fin da quando ero piccolo.» «Ma certo» disse Sam, mettendo via le sigarette. «Ascolta, George, Terry mi ha chiesto di gestire i suoi affari mentre è via.» Kay si irrigidì. Le puntò contro un dito. «Ehi, aspetta un secondo...» «Non preoccuparti» lo tranquillizzò Sam. «Non ho intenzione di farlo. Ma ho problemi di liquidità.» «Anch'io.» Lei indicò la vetrata. «Il locale è pieno zeppo.» «Non hai idea delle spese di gestione, Sam.» Kay aprì un cassetto della scrivania e prese un libretto di assegni. «Comunque, se vuoi un prestito, non c'è problema.» «Si tratta di cifre serie, George.» Kay lasciò cadere il libretto. «Terry non è mai stato a corto di soldi.» «I tempi sono cambiati. Ascolta, Terry possiede il cinquanta per cento dei club, giusto? C'è questo, quello di Clerkenwell, quello a sud del fiume. Tu non potresti rilevare la sua parte?» «Non è un buon momento, Sam. Anch'io faccio fatica a tirare avanti.» «Dài, George. Non fare finta di essere povero.» Kay prese l'inalatore e aspirò una boccata. «Non è questione di essere povero, Sam. Sono già oltre il limite dei miei fidi con le banche. E per acquistare la parte di Terry avrei bisogno di un bel po' di denaro.» «E se trovassimo un altro compratore?» Kay fece una smorfia. «È una cosa possibile, ma io non sono disposto ad andare a letto con chiunque.» Sorrise. «Capisci cosa voglio dire? Non vorrei le persone sbagliate, qui dentro. Bisogna pensare anche alla licenza.» Sam si alzò. «Capisco. Allora non abbiamo altro da dirci.» «Non prendertela, dài. Beviamo qualcosa, in ricordo dei vecchi tempi.» «Tu e io non abbiamo vecchi tempi da ricordare insieme, George.» Dirigendosi verso l'uscita, Sam accese una sigaretta. Era sicura che George Kay avesse deliberatamente cercato di scoraggiarla. Se i locali rendevano, non avrebbe avuto problemi a ottenere un prestito bancario, indipendentemente dai fidi. Probabilmente immaginava che, con Terry dietro le
sbarre, avrebbe potuto fare la parte del leone con i profitti. Andy McKinley sganciò il cordone per lasciarla passare e le fece scivolare in mano un biglietto da visita. «Se ha bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, signora Greene, mi chiami, capito?» «Grazie, Andy» rispose Sam. McKinley era la prima faccia amica che vedeva da parecchi giorni. Salì sulla Saab e tornò verso casa, controllando di tanto in tanto lo specchietto retrovisore. Il fatto che fosse appena uscita da un night-club forniva alla polizia una scusa perfetta per farle di nuovo la prova del palloncino. Le tende della finestra di Trisha si mossero quando Sam scese dall'auto, ma la luce della stanza era spenta. Sam entrò in casa, salì le scale e bussò alla porta. «Trish? Sei sveglia?» Non ci fu risposta. «Buona notte, tesoro, dormi bene.» Sam tornò al pianterreno e aprì una bottiglia di chardonnay ben freddo. Se ne versò un bicchiere, accese il caminetto a gas nel soggiorno e si sedette sul pavimento, con la schiena contro il divano. Fissò le fiamme come sperando di trovare lì le risposte che cercava. Il telefono squillò, facendola sobbalzare. Un po' di vino le cadde sul vestito. Alzò il ricevitore con una mano, mentre con l'altra premeva un fazzoletto di carta contro la macchia. «Sì?» «Sei carne morta, stronza. Mi hai sentito? Carne morta. So dove abiti e ti farò a pezzi. Prenderò un coltello e te lo pianterò...» Sam sbatté giù il telefono. Non riconosceva la voce, ma era certa che fosse qualche parente di Preston Snow. Probabilmente il fratello, quello che aveva gettato la bottiglia contro la macchina di Jamie. In circostanze normali si sarebbe rivolta alla polizia, ma ora non credeva che si sarebbero presi il disturbo di fare qualcosa, e inoltre non voleva dare a Raquel la soddisfazione di vederla piegarsi a chiedere il suo aiuto. Bevve un altro sorso di vino. Le fatture erano ancora sparse sul tavolino. Le scorse con una mano. C'era una bolletta della luce, un avviso di rinnovo del canone televisivo e gli estratti conto delle carte di credito. In tutto, più di tremila sterline da pagare, solo per quel giorno. Sapeva che sarebbero arrivate altre fatture. Sam non aveva idea di quanto esattamente Terry fosse a corto di denaro. Aveva semplicemente immaginato che il denaro avrebbe continuato ad affluire nei conti correnti, come era sempre successo in passato.
Il telefono squillò di nuovo. La donna sollevò la cornetta di scatto. «Vaffanculo, stronzo bastardo, lasciami in pace!» ringhiò. Ci fu un breve silenzio all'altro capo del filo. «Ciao, mamma, anch'io ti voglio bene.» Era Jamie. «Mio Dio, Jamie, scusami.» «Cosa succede, mamma?» «Niente. Ho solo avuto una brutta giornata.» «Qualcuno ti sta molestando?» «Solo alcune telefonate, niente di grave.» «Riguardano il processo?» «Certo. Che altro?» «Vuoi che venga a casa?» «Jamie, sono una ragazza cresciuta. Inoltre sai bene quanto me che le telefonate minatorie quasi sempre non significano nulla.» «Minatorie? Qualcuno ti sta minacciando? Cristo, mamma, va' subito alla polizia.» «Come no, per farmi ridere dietro. Me la vedo da sola, Jamie, non preoccuparti. Come è andato l'esame?» «Nessun problema. Ascolta, mi dispiace disturbarti con tutto quello che hai da fare, ma l'ufficio amministrazione mi ha contattato per il pagamento delle tasse universitarie. Sai per caso se papà ha spedito un assegno, prima...» Non finì la frase. Prima di essere arrestato, voleva dire. «Non lo so, Jamie. Mi informo.» «Ti dispiace? So che è un po' imbarazzante...» «Parlerò domani con il suo contabile. Hai scritto una lettera a tuo padre?» «Sì, gliel'ho mandata ieri. Volevo inviargli anche una torta con dentro una lima, poi ci ho ripensato. Gli sbirri hanno poco senso dell'umorismo.» «Sbirri? Non è un termine adatto a un futuro procuratore.» «Sono gli avvocati difensori a fare i soldi, non i procuratori, mamma. Non mi vedrai mai lavorare nell'ufficio di un procuratore, dopo la laurea. Salutami Trisha, per favore, e anche Laura, quando la vedi. Ho provato a chiamarla ma mi risponde sempre la segreteria telefonica.» Si salutarono e Sam riattaccò. Poi ci ripensò, sollevò il ricevitore e lo lasciò staccato. Pensava di meritarsi una serata tranquilla. Oakwood House sembrava più una bella villa privata che una casa di ri-
poso. Era in stile georgiano, immersa in quasi cento acri di bosco e giardini, con un sinuoso viale di ghiaia e una fontana davanti all'ingresso principale. L'atrio era enorme, con mobili riccamente decorati e un massiccio candeliere pendente sopra un'ampia scalinata in quercia. Tuttavia il lusso e i vasi di fiori freschi non coprivano del tutto l'odore di urina e disinfettante. Sam arricciò il naso, sorrise all'impiegata della reception e si incamminò verso la stanza di Grace, nell'ala ovest. Diverse porte erano aperte lungo il corridoio, e volti pieni di aspettativa si sollevarono al suo passaggio, sguardi che si spegnevano non appena capivano che non era lì per loro. Grace era seduta in un'ampia poltrona e guardava fuori dalla finestra; aveva accanto una tazza di tè che non aveva toccato. «Ciao, Grace, sono io.» Sam chiuse la porta e spinse una sedia vicino alla suocera. «Come stai, Grace?» L'anziana donna non disse nulla. Un filo di saliva le colava da un lato della bocca. Sam prese un fazzoletto e le asciugò il mento. «Non so tu, ma io ho avuto una serie di giornatacce. Il tuo caro Terry è in galera, mi ha lasciato praticamente senza un soldo e ora vuole che io gestisca un affare di droga da diversi milioni di sterline che servirà a pagare il suo ricorso in appello.» Da parte di Grace non ci fu nessuna reazione: fissava il prato e giocherellava con la fede d'oro. La porta della stanza si aprì ed entrò una giovane infermiera con una divisa immacolata e un sorriso abbagliante. «Vuole una tazza di tè, signora Greene?» «No, grazie, sono a posto così.» «Può passare dall'ufficio della signora Hancock, prima di andare via?» «Certamente.» Mentre si chiudeva la porta, Grace si voltò a guardarla. «Chi sei?» chiese. «Sono Sam, tua nuora, Grace.» «Laura?» «No, Grace. Laura è tua nipote, io sono Sam, la madre di Laura.» «Che ragazza adorabile, Laura.» Con un sorriso sereno, Grace tornò a guardare fuori dalla finestra. «Sì, Grace, questo è vero.» Sam restò quasi un'ora con la suocera, che continuava a chiederle chi era e perché nessuno le portava una tazza di tè, anche se Sam continuava a indicarle quella che era sul tavolino. La signora Hancock l'aspettava nel suo ufficio. Era una cinquantenne dai
capelli grigi con la permanente e gli occhialini cerchiati d'oro sul naso. Aveva l'aria di una zitella che, dopo aver rifiutato la sua unica possibilità di amare, avesse trascorso il resto della vita a odiare gli uomini. Ma aveva la fede al dito, e sulla scrivania c'era una sua foto con un bell'uomo e tre figli adolescenti. Le apparenze ingannavano, Sam lo sapeva bene. Grace Greene sembrava elegante e intelligente come dieci anni prima, invece era un guscio vuoto. «Non c'è stato un declino nell'ultimo mese, signora Greene» disse la Hancock, «ma neppure un miglioramento.» Era quello che le diceva tutte le volte, quasi parola per parola. «L'Alzheimer è una malattia terribile. Possiamo solo cercare di farla sentire il più possibile a suo agio. Non soffre, a volte sembra quasi felice.» «Felice?» si stupì Sam. La Hancock aggrottò la fronte e Sam si costrinse a sorridere. «Era per questo che voleva vedermi? Per aggiornarmi sulla mancanza di progressi di mia suocera?» «In realtà no.» La donna aprì una carpetta celeste. «È per la retta. Gli ultimi due pagamenti non sono arrivati. Di certo si tratta di una svista.» Sam sospirò. «Dev'essere colpa della banca. Abbiamo appena aperto due nuovi conti e forse nel passaggio si è perso l'ordine di pagamento. Chiamerò il direttore dell'agenzia questo pomeriggio.» La signora Hancock sorrise, rassicurante, e spinse gli occhialini sul naso con un dito. «Non posso far altro che prendere atto delle sue circostanze attuali, signora Greene. Suo marito... insomma, era su tutti i giornali.» «E non solo...» «Se dovesse avere problemi di natura finanziaria, la prego di farcelo sapere.» «Certamente» disse Sam. «Grazie.» «Se ha difficoltà con i pagamenti, possiamo aiutarla a trovare un posto per Grace in una istituzione pubblica.» Lo sguardo di Sam si fece duro. «Come, scusi?» «Possiamo trovarle un buon posto. Io ho ottimi contatti nel settore statale e non ci saranno problemi, glielo assicuro.» Sam si alzò in piedi. «Chiariamo subito una cosa, signora Hancock. Grace non andrà in un ospizio per indigenti.» «Signora Greene, non faccia così. Volevo solo dire che il settore privato non è per tutti.» «Per tre anni non abbiamo saltato un solo pagamento. Ora, solo perché
siamo rimasti indietro di un paio di mesi, lei minaccia di gettare una donna anziana in mezzo alla strada.» «Signora Greene, per favore...» «Avrà i suoi soldi, signora Hancock, non si preoccupi.» Sam uscì in fretta dall'ufficio. Lacrime di rabbia le bruciavano negli occhi. Sul pianerottolo, un detenuto gli fece scivolare in mano due schede telefoniche, e Terry lo ringraziò con un cenno. Aveva fatto circolare la voce che era disposto a pagare venti volte il valore di ogni scheda. Il pagamento sarebbe stato effettuato fuori, a familiari o amici dei detenuti. Era stato sommerso di offerte e aveva preso tutto ciò che poteva. Infilò le schede nella tasca posteriore dei pantaloni. Davanti a lui due detenuti, uno bianco e uno nero, erano appoggiati contro un muro, e controllavano tutto ciò che accadeva su quel piano. Erano entrambi grandi e grossi, con le spalle larghe e le braccia possenti. All'avvicinarsi di Terry gli si pararono davanti. «Salve, ragazzi» fece Terry. «Lui c'è?» «Hai un appuntamento?» chiese uno dei due, con un forte accento dell'ovest. «No, volevo solo porgergli i miei saluti.» L'altro detenuto bussò alla porta della cella ed entrò. Pochi secondi dopo uscì e disse: «Puoi entrare». «Grazie, ragazzi» rispose Terry. I due si fecero da parte per lasciarlo entrare. Dentro la cella c'era un solo detenuto, un nero di circa ventotto anni, con i capelli cortissimi e il fisico magro e nodoso da corridore. Una lunga cicatrice correva dall'occhio sinistro all'angolo della bocca. Indossava una t-shirt blu della Nike, i pantaloni di una tuta da ginnastica e un paio di Nike di un bianco splendente. Salutò Terry con un cenno del capo. «Ti stai sistemando, Terry?» Terry si strinse nelle spalle. «Sai com'è, Baz.» Baz Salter era il capo di una grossa banda di narcotrafficanti a sud del fiume, prima di essere arrestato e condannato all'ergastolo per un attentato incendiario in un club di Brixton, dove avevano perso la vita quattro giamaicani e più di una decina erano rimasti orrendamente ustionati. Terry non l'aveva mai incontrato di persona, fuori, ma ne conosceva la reputazione. I quattro giamaicani erano solo la punta dell'iceberg, Baz era ritenuto responsabile di una quindicina di omicidi legati alla lotta di bande per il
dominio del mercato del crack e della cocaina nel sud di Londra. «Siediti» lo esortò Baz, indicandogli una sedia accanto alla branda. La cella era uguale a quella di Terry, ma Baz l'aveva tutta per sé. C'era uno stereo, una mensola con dei libri e una coperta a scacchi verdi e neri sul letto. Baz era il vero capo del piano, e i suoi privilegi lo dimostravano. Terry si sedette. «Ho pensato di passare per farti sapere che sono qui.» «Radio Carcere aveva già diffuso la voce del tuo arrivo.» «Se ci sono dei problemi, preferirei parlarne subito. Non voglio passare il tempo a guardarmi le spalle.» Baz annuì lentamente, ma non disse nulla. «Sai perché sono qui, no?» continuò Terry. «Era su tutti i giornali. Sei una celebrità.» Terry fece un sorriso tirato. «Allora, ci saranno ripercussioni?» Baz inclinò la testa di lato. «Di quale natura?» «Preston Snow era uno dei tuoi.» Baz sorrise. «Storia vecchia.» Terry annuì lentamente. Fissò gli occhi marroni di Baz, cercando di capire se era sincero oppure no. «Non ho versato lacrime sulla morte di Snow» spiegò Baz. «Era diventato loco anni fa. Qualcuno doveva ucciderlo.» «Okay.» «Allora, quali sono le tue intenzioni?» «Uscire di qui appena possibile» rispose Terry. «Più facile a dirsi che a farsi. Ma io mi riferivo alle tue intenzioni durante la tua permanenza in quest'ala del carcere.» «È la tua ala, Baz. Non ci saranno sfide.» «Sarebbe una sfida difficile, in ogni caso.» «Ne sono più che convinto» convenne Terry. «Voglio solo tenere un profilo basso.» «Hai comprato un sacco di schede, e i prezzi sono saliti.» Terry annuì. «Ho delle cose da sistemare, fuori.» «Anch'io» fece Baz. «Ma questo aumento dei prezzi non mi piace.» «Messaggio ricevuto.» «Gioco d'azzardo, sigarette, droghe, alcol... Gestisco tutto io.» Terry annuì. «Per qualunque problema, prima di provare a risolverlo parla con me.» Terry annuì ancora. «Qualunque cosa tu voglia portare dentro, parla prima con me. Non mi
piace che arrivi merce di contrabbando senza che io lo sappia.» «Okay» rispose Terry. Baz sorrise. «Queste sono le regole. Se non le rispetterai, io non rispetterò te.» Terry si alzò. «Grazie per il tempo che mi hai dedicato, Baz.» «Buona fortuna.» Terry uscì, chiudendosi la porta alle spalle e salutando i gorilla con un cenno del capo. Detestava inchinarsi davanti a uno come Baz Salter, ma non aveva scelta. Non pensava di restare dietro le sbarre per molto tempo, e non gli interessava lottare per il controllo di quell'ala. Se Baz voleva il suo piccolo impero carcerario, poteva accomodarsi. Terry aveva progetti di più ampio respiro, e tutti fuori dalla prigione. Il direttore dell'agenzia fece aspettare Sam quasi un'ora, prima di riceverla. L'ufficio era arredato in modo essenziale, come se la banca fosse ansiosa di mostrare quanto poco denaro spendeva in cose superflue. Il direttore era un uomo sui trent'anni, con i capelli biondi radi e una spruzzata di lentiggini sulle guance e sul naso. Indossava un completo che gli stava un po' piccolo e si tirava continuamente le maniche della giacca per coprire i polsini. Una targa di legno con sopra lettere di plastica lo identificava come il signor Phillips. Niente nome di battesimo. Anche quando si presentò usò solo il cognome, tendendo a Sam la mano sudata. Premette alcuni tasti del computer con l'indice e ciò che vide sul monitor gli fece aggrottare la fronte. «Ah» esclamò. «Capisco cosa è accaduto.» Toccò lo schermo, indicando qualcosa che Sam non poteva vedere. «Il conto è in credito, ma non c'erano fondi sufficienti per coprire quei pagamenti, e così non sono stati evasi.» «Perché nessuno mi ha avvertita?» chiese Sam. Il signor Phillips fissò il monitor, come cercando di vedere meglio. «Non lo so. Avrebbero dovuto dirglielo. Parlerò con il responsabile del reparto amministrativo.» «Quindi può dare disposizioni perché quei pagamenti siano effettuati?» Il signor Phillips sembrò molto sorpreso da quel suggerimento. «Oh, no, signora Greene. I fondi non sono sufficienti, come le ho detto. Sul conto ci sono meno di trecento sterline.» «Io e mio marito abbiamo un altro conto cointestato in questa banca, quello da cui vengono presi i soldi per pagare il mutuo della casa e le bollette.»
Il direttore lavorò sulla tastiera, ed emise un basso sibilo tra i denti. «Anche questo conto è molto vicino al rosso, signora Greene. Fino a pochi mesi fa, qui arrivavano versamenti regolari da una delle attività di suo marito, ma poi sono cessati. In realtà è un bene che sia venuta a trovarmi, perché già da un po' volevo parlarle. Con suo marito... come posso dire... indisposto, ci chiedevamo cosa intende fare riguardo alla sua situazione finanziaria.» Sam si accigliò e scostò una ciocca di capelli dalla fronte. «Non la seguo.» «Vede, signora Greene, se mi perdona la sincerità, il suo reddito non riesce neanche lontanamente a coprire le sue spese. Anzi, per essere più precisi, lei non sembra avere alcun reddito.» «Da quando?» Un altro rapido battere di tasti, poi: «Da tre mesi. Quella è stata l'ultima volta che suo marito ha trasferito del denaro in questi conti correnti». Sam annuì, esitante. Era il periodo in cui Terry era stato arrestato. «Mio marito possiede interessi in diverse aziende, signor Phillips, come lei sa. Night-club, una ditta di corriere espresso, un progetto di sviluppo edilizio...» «Ma noi non gestiamo i conti d'affari di suo marito, signora Greene. Solo i vostri due conti correnti personali. E sono questi che mi preoccupano.» Il direttore si appoggiò allo schienale della sedia e giunse le mani, come un bambino sul punto di dire le preghiere. «Crede sia possibile per suo marito organizzare un trasferimento di fondi nell'immediato futuro, considerando la sua situazione attuale?» «Mio marito è in prigione, signor Phillips. Non è morto.» Il sorriso del direttore si fece un po' forzato. «Certo...» Sam pensò agli estratti conto che Laurence Patterson le aveva mostrato. Non c'era sopra nulla che valesse la pena di trasferire. O comunque, nulla che potesse coprire la retta di Grace e le tasse universitarie di Jamie. Ma se lo avesse ammesso, Phillips sarebbe stato costretto a tutelare gli interessi della banca, il che significava appropriarsi della casa. Cercò di mostrare sicurezza, anche se non sentiva più la terra sotto i piedi, e sorrise. «Andrò a trovare mio marito tra un paio di giorni. Prenderò con me tutte le carte necessarie.» «Sono felice di sentirlo, signora Greene. Ci dispiacerebbe molto perdere due vecchi clienti come voi.» Sam si alzò in piedi. Aveva voglia di schiaffeggiare Phillips, ma non po-
teva permettersi di entrare in contrasto con lui. «Mi farò sentire presto, signor Phillips» concluse con un sorriso dolce. «Grazie per la sua comprensione.» Gli strinse la mano e uscì. Sam chiamò Laurence Patterson al cellulare e si accordò per incontrare lui e Asher nell'ufficio di quest'ultimo. Patterson non chiese il motivo, Sam capì che lo conosceva benissimo e lo odiò per questo. Si fermò a uno Starbucks sulla strada, prese un doppio espresso e fumò tre Stuyvesant. Aveva bisogno di caffeina e nicotina per affrontare quello che l'aspettava. "Che tu sia maledetto, Terry Greene" borbottò tra sé, soffiando una boccata di fumo mentre guardava il traffico dal suo tavolino. Patterson e Asher la stavano aspettando. Sam si sedette su una sedia in pelle e acciaio di fronte alla scrivania e tirò fuori dalla borsa una manciata di fatture e bollette da pagare. «Mi trovo tra l'incudine e il martello, Richard, vero?» Asher annui. «Quel bastardo di Terry mi ha conciata per le feste.» Patterson sbuffò piano. «Credo che anche lui preferirebbe essere in una situazione diversa, Samantha. Non lo fa per libera scelta.» Sam gettò le fatture sulla scrivania. «Queste devono essere pagate, e subito. Possiamo far uscire Terry? Così farà lui il lavoro sporco.» «Non sarà facile, Samantha» spiegò Patterson. «Il processo si è svolto in modo corretto, e non vedo nessun punto contro il quale appellarci.» «Ma avevano solo un testimone e non era molto credibile.» «Non possiamo ricorrere in appello solo perché la giuria ha scelto di credere a un pezzo di merda che vende la droga ai ragazzini davanti alle scuole. E poi ci sono le prove fisiche.» «Non hanno mai trovato la pistola.» «Non ce n'è bisogno per ottenere una condanna.» «Insomma, mi stai dicendo che non faremo nulla?» Patterson tese una mano, come per calmare un cavallo riottoso. «Sto dicendo che non abbiamo ancora una base solida per rivolgerci alla Corte d'Appello. Dobbiamo poter provare che giustizia non è stata fatta.» «Ma Terry non ha ucciso quell'uomo!» «Samantha, guarda che io sto dalla tua parte. Ascolta, il modo migliore di far uscire Terry è quello di scoprire chi ha ucciso Preston Snow.» «E come si fa?» chiese Sam. «Investigatori privati. Professionisti. Posso raccomandarti gente in gam-
ba.» «E naturalmente costerà, giusto?» Patterson le rivolse uno sguardo addolorato, poi annuì brevemente. «Mi dispiace.» «Se paghi poco, ottieni poco» intervenne Asher. Sam si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro. Era alle corde, e nonostante il suo desiderio di resistere capiva che si stava arrampicando sugli specchi. «C'è un modo qualunque per separare gli affari legittimi di Terry da quelli loschi? Io potrei occuparmi dello sviluppo edilizio in Spagna e del corriere espresso. Ho già preso accordi per vendere l'agenzia di modelle e sto cercando un compratore per le quote della squadra di calcio. Deve pur esserci un modo legittimo di trovare un po' di soldi.» Entrambi gli uomini scossero la testa. «Si nutrono gli uni degli altri, Samantha» spiegò Patterson. «È una simbiqualcosa» disse Asher. «Simbiosi» lo corresse Sam. «Esatto.» «Merda.» Sam si risedette. «Sapete in che situazione mi trovo, vero? Perderò la casa. La madre di Terry finirà in un ospizio pubblico, Jamie dovrà lasciare l'università. A meno che io faccia quello che vuole Terry.» «Come ho detto prima, Samantha, non è "quello che vuole Terry"» disse Patterson. «Anche lui non ha scelta, lo capisci?» «Ho pensato una cosa, venendo qui. Perché non accendo un'altra ipoteca sulla casa? Il valore complessivo deve essere sui trecentomila, e il mutuo è... quanto? Centottanta?» «Centonovantacinque» precisò Asher. «Quindi potrei ipotecare la casa per altre centomila sterline.» Asher scosse la testa. «Non funzionerebbe, Samantha. Non hai un reddito. La banca non ti presterà altri soldi senza una solida garanzia di riaverli.» «Ma avranno la casa.» «Il fatto è, Samantha, che la casa ce l'hanno già. Se non paghi le rate dell'ipoteca te la toglieranno e la venderanno.» Sam si rese conto che l'uomo aveva ragione. Li fissò uno alla volta. Loro sostennero il suo sguardo, impassibili, in attesa della sua decisione. Sam deglutì a vuoto, piena di rabbia per l'ingiustizia di quella situazione. «Okay» disse alla fine. «Cosa devo fare?»
Asher si chinò di lato e aprì un cassetto della scrivania. Ne tirò fuori una carpetta di plastica trasparente con dentro diversi moduli stampati. «Prima di tutto, devi firmare alcune carte.» Patterson si materializzò al suo fianco offrendole una stilografica Mont Blanc con il cappuccio già tolto. Sam la prese e guardò il primo foglio. «Mi sento come se stessi firmando con il sangue» commentò, acida, mentre scarabocchiava la firma. Asher prese il foglio e gliene mise davanti un altro. Poi passò il tampone sopra la firma. Sam non si prese neppure il disturbo di leggere. Sapeva che qualunque cosa ci fosse scritta sopra, lei doveva firmare e basta. Terry aveva avuto ciò che voleva: passarle il controllo delle sue aziende, dei suoi conti in banca, che erano più di una decina. Della sua vita. «E ora cosa succede?» chiese. «Terry ha una cassetta di sicurezza a South Kensington» disse Patterson. «Vai a vedere cosa c'è dentro.» «Possiamo farlo domani?» domandò Sam. «Per oggi le emozioni sono state sufficienti.» Trisha era in cucina e divorava una pizza quando Sam entrò in casa. «L'hai comprata tu?» le chiese. Trisha scosse la testa. «In realtà l'hai comprata tu. Ho usato la tua carta di credito.» «Trish! Perché non me l'hai chiesto prima?» «Perché non c'eri. Credevo che saresti tornata tardi anche oggi.» «Sono andata a trovare tua nonna.» Sam prese un triangolo di pizza. «E sai che l'ananas sulla pizza non mi piace.» «La frutta fa bene. Come sta la nonna?» Sam si sedette. «Sempre uguale. Non è un tipo di malattia che migliori.» «Lo so. L'abbiamo studiata in biologia, l'anno scorso.» Trisha andò ad aprire il frigo e le versò un bicchiere di latte. Sam prese un boccone di pizza. «A proposito, come va la scuola?» «Sempre uguale. Anche quella è una malattia che non migliora.» «Presto sarà finita, però. E andrai all'università.» Trisha sospirò. «Mamma, non cominciare.» «Studiare è importante, lo sai.» «Tu hai lasciato la scuola a quindici anni e non ti è successo niente di male.» Sam rise e mise giù la fetta di pizza. «Trisha, per favore. Io ho fatto la mantenuta per quasi un quarto di secolo. Non mi sembra un grande risulta-
to.» «Hai fatto la moglie e la madre. Hai allevato tre figli. Hai gestito una casa.» «Ed è questo che vuoi fare anche tu? La casalinga?» Trisha fece una smorfia. «Col cavolo. Sto solo dicendo che ci sono delle alternative.» «È proprio quello che ti dà l'università: delle alternative. E non dire parolacce.» «Cavolo non è una parolaccia, mamma.» Sam inarcò un sopracciglio e Trisha alzò le mani. «Va bene, non mi esprimerò.» Si alzò in piedi. «Ho dei compiti da finire. Tu non stare alzata fino a tardi, hai bisogno di dormire per mantenere la tua bellezza.» «Grazie del consiglio» rise Sam. Trisha salì in camera. Sam aprì una bottiglia di vino bianco, mise nello stereo del soggiorno un vecchio CD degli Eagles e si sedette sul divano a leggere le carte che le aveva dato Patterson. Leggerle per la seconda volta non migliorava la situazione finanziaria. L'assegno promesso da Warwick Locke avrebbe tenuto lontani i creditori per una settimana o poco più, ma senza un forte apporto di capitali il castello di carte sarebbe crollato. L'unica speranza di salvezza stava nel contenuto della cassetta di sicurezza di Terry. Più tardi salì al piano di sopra e fece una doccia. Mentre si asciugava i capelli in camera da letto vide un bagliore attraverso le tende. Spense la luce e sbirciò fuori. Una grossa automobile aveva appena parcheggiato davanti a casa. Frank Welch si infilò in bocca due mentine per l'alito e cominciò a succhiarle, mentre fissava la casa di Sam Greene. Era già stato due volte in quella casa, entrambe con un mandato di perquisizione. Quattro anni prima, quando aveva cominciato a raccogliere prove contro l'impero dello spaccio di Terry Greene, l'aveva trovata pulita e lui e la sua squadra se n'erano andati a mani vuote e con gli insulti di Terry e Sam nelle orecchie. Anche la seconda volta non avevano trovato nulla, e solo quando avevano perquisito l'appartamento dove Terry era andato a stare dopo la separazione avevano trovato un paio di scarpe macchiate di sangue. Sangue che, in seguito, era stato identificato come appartenente a Preston Snow. Non era una prova conclusiva, ovviamente, ma gli esperti di genetica della polizia avevano scritto nel loro rapporto che sulla terra avrebbero dovuto esserci
duecento miliardi di persone perché ci fosse un altro essere umano con lo stesso DNA di Snow. Quello era stato sufficiente per Welch. E per la giuria. Welch si coprì la bocca con le mani per annusarsi il fiato. Sapeva solo di menta. Il commento di Sam sul suo alito cattivo era stato un colpo basso, su un problema che lo tormentava dai tempi della scuola. Welch non fumava e, indipendentemente da cosa mangiasse e da quante volte al giorno si lavasse i denti, notava che la gente voltava la testa con espressione disgustata se lui si avvicinava troppo. Welch non sentiva nessun cattivo odore, il che peggiorava le cose, perché non gli permetteva di capire quanto fosse serio il problema. In più, lui odiava il sapore di menta. Si accomodò meglio sul sedile. La luce in camera di Sam si era spenta mezz'ora prima e la figlia era andata a letto poco dopo. Welch sapeva di essere stato visto. Aveva lampeggiato apposta. Voleva far sapere a Sam che sarebbe rimasto su quel caso fino alla fine. Fino a quando non fosse riuscito a chiudere tutta l'operazione su Terry Greene. Tanto non aveva nulla di meglio da fare. A casa non lo aspettava nessuno, aveva già cenato in mensa, pesce troppo cotto e patatine. Gli servivano solo poche ore di sonno. Ruotò lentamente il collo, cercando di allentare la tensione. Poi si irrigidì vedendo una figura accanto alla macchina. Ci mise un paio di secondi a riconoscere la faccia. Andy McKinley, l'ex autista di Terry Greene. Welch abbassò il finestrino della Rover. «Che cazzo ci fai qui, McKinley? Ora non lavori per George Kay?» McKinley posò una mano sul tettuccio della Rover e si chinò a guardare Welch negli occhi. Sorrise, mostrando i denti quadrati. «La signora Greene non vuole che lei stia davanti a casa sua» disse con il suo pesante accento di Glasgow. «Sono certo che lo capisce. Una donna e una ragazza sole in casa. Se questa fosse una sorveglianza ufficiale, sareste in due in macchina. Perciò immagino che non sia ufficiale. C'è una linea sottile tra sorveglianza e molestia, e secondo me lei l'ha attraversata, ispettore capo Welch.» Welch aggrottò la fronte. «Posso arrestarti per ostruzionismo, McKinley. Perciò togliti dai...» Si interruppe vedendo il coltello. McKinley premette il bottone argentato sul manico e una lama di quindici centimetri si aprì con uno scatto secco. «Non fare stupidaggini, McKinley.» L'altro lo guardò con disprezzo, poi si chinò e piantò il coltello nella ruo-
ta anteriore, che cominciò a sgonfiarsi con un sibilo non appena ritrasse la lama. «Perché cazzo l'hai fatto?» sibilò Welch. «Potrei arrestarti per questo.» McKinley scrollò le spalle. «Allora mi arresti. Così parleremo con il suo capo di cosa faceva seduto in macchina davanti alla casa della signora Greene in piena notte.» Sam sentì suonare il campanello e andò ad aprire. Era Andy McKinley, con il bavero dell'ampio cappotto nero sollevato contro il freddo notturno. «Tutto a posto, signora Greene. Non le darà più fastidio.» «Grazie, Andy» disse Sam, con gratitudine. «Non sapevo a chi altri chiedere aiuto.» «Sono qui per questo, signora.» Fece un finto saluto militare. «Ora stia tranquilla.» Si voltò per andarsene. «Andy, il minimo che possa fare è offrirti qualcosa da bere. Entra.» McKinley esitò, poi tornò a voltarsi e sorrise. «Grazie, signora Greene. Non si rifiuta mai un bicchiere.» Appena Sam ebbe chiuso la porta, Trisha apparve in cima alle scale. «Chi è?» chiese. «Affari» rispose Sam. Trisha indossava solo un minuscolo top e un paio di shorts, e Sam sorrise vedendo la fretta con cui McKinley distolse lo sguardo. Anche Trisha lo notò, e scese un paio di gradini per osservare meglio l'ospite. «Trisha, a letto!» le ordinò Sam. La ragazza fece una smorfia, poi risalì in camera. «Avanti, Andy, togliti quel cappotto.» McKinley mise il cappotto sullo schienale di una sedia, mentre Sam versava whisky per entrambi. «Ci vuoi qualcosa dentro, Andy?» «Solo un po' d'acqua, signora Greene. Qualunque altra cosa sarebbe un sacrilegio.» Sam aggiunse acqua in entrambi i bicchieri, poi ne porse uno a McKinley. Sollevò il suo in un brindisi. «Grazie, Andy, mio cavaliere dalla lucente armatura.» «Come diceva mio padre, una volta re sei sempre un re, ma cavaliere basta una volta per notte.» Sorrise. «Avevo dodici anni quando finalmente capii cosa intendeva.» Si sedette al centro del divano, e Sam si accomodò su una poltrona vicino al caminetto. Bevvero un sorso. «Vede, signora Greene, Raquel ora se n'è andato, ma non credo che mollerà. Credo che
abbia delle fantasie su di lei.» «Lo so» rispose Sam. «Glielo leggo negli occhi. Come se mi spogliasse con lo sguardo, capisci?» McKinley annuì. «Lo capisco perfettamente» disse, e bevve un altro sorso di whisky. Sam lo fissò da sopra il bicchiere, chiedendosi se quello non fosse un tentativo di avance da parte di McKinley, ma si convinse di no. Lui era un tipo aperto, e se avesse deciso di farle delle avance lo avrebbe fatto senza allusioni, probabilmente inginocchiandosi e offrendole una rosa rossa. Sorrise a quel pensiero. «Tutto bene, signora Greene? Sembra lontana un milione di chilometri.» Il sorriso di Sam si fece più ampio. «Sì, tutto bene, Andy. Sono contenta che tu mi abbia dato il tuo biglietto da visita.» «Sono anche sull'elenco telefonico. Mi chiami quando vuole.» «Come ti trovi con George Kay?» chiese Sam. Lui si strinse nelle spalle ma non rispose e abbassò lo sguardo. Probabilmente preferiva non parlarne. «Cosa fai per lui?» McKinley scrollò di nuovo le spalle. «Più o meno quello che facevo per Terry.» «Credi che potresti farlo anche per me?» McKinley alzò gli occhi e la fissò di nuovo. Per la prima volta Sam notò i suoi occhi azzurri, che sembravano vedere attraverso di lei. «Ha bisogno di protezione, signora Greene?» Sam fece scorrere un dito sul bordo del bicchiere. «Terry mi ha chiesto di occuparmi di alcune cose per conto suo. Per me è un territorio nuovo. E sarebbe un grande conforto sapere che tu mi guardi le spalle.» «Sarà un piacere» rispose McKinley. Allungò una mano e toccò il bicchiere di Sam con il suo, in un brindisi. «Un vero piacere.» Il capitano controllò la posizione sul computer di bordo della barca. «Altri dieci minuti circa» comunicò al primo ufficiale, in uno spagnolo gutturale. Estrasse dal fodero un GPS portatile e lo accese. L'oggetto brillò di una debole luce arancione, poi sul display apparvero dei numeri. Il capitano controllò che la lettura corrispondesse a quella del computer di bordo. Il primo ufficiale indicò lo schermo radar. «Nulla per diverse miglia intorno» disse. «Dio è con noi.» Estrasse un crocifisso da sotto la giacca a vento e lo baciò. «Faccio preparare gli uomini.»
Lasciò il ponte e scomparve di sotto. Si chiamava Lucero, e per il lavoro di quella notte avrebbe guadagnato centomila dollari. Era una notte serena ma senza luna, e i quattro uomini raggomitolati in fondo alla barca erano poco più che fagotti scuri, mentre Lucero si avvicinava, adattando il passo al rollio della barca in modo naturale. Lucero aveva quasi cinquant'anni e aveva cominciato ad andare per mare poco più che adolescente. Aveva visitato tutti i maggiori porti del mondo, ma attualmente la sua attività si limitava a viaggi in peschereccio tra la costa spagnola e il Mare del Nord. Non che lui fosse minimamente interessato alla pesca. C'erano otto balle avvolte nel cellophane sul ponte, ciascuna montata su una slitta metallica. Su ogni slitta c'era una bombola di aria compressa collegata a una scatola di plastica. Lucero estrasse una torcia elettrica dalla giacca a vento e si inginocchiò a controllare i meccanismi uno per uno. Appena ebbe sigillato l'ultima scatola, il boccaporto del ponte si aprì e il capitano urlò al di sopra del vento che era arrivato il momento di gettare il carico. Lucero diede una pacca sulla schiena a uno degli uomini. «Muoviamoci!» gridò. Anche quei quattro erano ben pagati per il lavoro, e come lui avevano fatto quel viaggio molte volte. Spinsero le balle fuori bordo, una alla volta, e le osservarono sparire sotto le onde. Quattro tonnellate di hashish, consegnate sul fondo del mare. Trisha stava guardandosi allo specchio dell'ingresso quando Sam scese di sotto. «Ti permettono di andare a scuola truccata così?» chiese. «Mamma, dici la stessa cosa ogni mattina» rispose Trisha, lisciandosi le sopracciglia e spingendo le labbra in fuori. Sam si avvicinò e le appoggiò le mani sulle spalle. «Sul serio gli insegnanti non dicono niente del lucidalabbra e del mascara?» «Non è lucidalabbra, ma balsamo per labbra. Ho le labbra screpolate.» «Certo, lo immagino.» «E le mie ciglia sono così al naturale.» «Come no.» Sam le batté un colpetto su una spalla. «Ai miei tempi dovevamo portare gonne sotto il ginocchio e i capelli corti e legati. E al minimo accenno di rossetto ti mandavano a casa.» «Lo so, lo so, e i dinosauri dominavano la terra.» Trisha si voltò e diede un bacio sulla guancia alla madre. «Ci vediamo» disse, e uscì in fretta. «Ciao» rispose Sam, dirigendosi verso la cucina. «Oh, mio Dio!» gridò Trisha, sulla soglia. Sam si fermò di botto. «Cosa succede?» «Mamma, guarda cosa hanno fatto alla tua macchina!»
Sam la raggiunse. Sul parabrezza e sul cofano della Saab nera di Sam erano state dipinte in giallo le parole: «Puttana bugiarda». «Bastardi» fu il commento di Trisha. «Deve essere stata la famiglia Snow.» «Forse» disse Sam. «Oggi la porto dal carrozziere.» «Mamma, devi chiamare la polizia. Non puoi lasciare che se la cavi così. Questo è vandalismo.» «Alla polizia non abbiamo molti fan, Trish.» «Mamma!» «Poteva andare peggio. La vernice si può togliere. Ora va' a scuola.» Sam chiuse la porta e telefonò subito ad Andy McKinley, chiedendogli di passare a prenderla. Alle dieci aveva un appuntamento con Laurence Patterson a Kensington, per aprire la cassetta di sicurezza di Terry. Si fece una tazza di caffè forte e mangiò una pesca mentre leggeva il «Daily Mail». McKinley suonò il campanello alle nove e trenta. In blazer blu, pantaloni neri, camicia bianca e cravatta blu oltremare, sembrava l'impiegato di un'agenzia di viaggi in attesa di un gruppo di turisti. Aveva parcheggiato una Lexus grigia dietro la Saab. Sam chiuse a chiave la porta di casa e si avviò verso la macchina. «Questa dove l'hai presa, Andy?» «Terry mi ha lasciato le chiavi.» McKinley aprì la portiera posteriore e Sam entrò in quell'auto di lusso. «Ho pensato che fosse più adatta al suo status» spiegò McKinley, facendo il giro dell'auto e sedendosi al volante. «Il mio status di capo gang, intendi?» McKinley non rispose. Uscì dal vialetto e si diresse verso il centro di Londra. «La cintura, Andy.» «Cosa?» McKinley aggrottò le sopracciglia nello specchietto retrovisore. «La cintura di sicurezza. Non voglio che ti succeda qualcosa mentre mi porti in giro.» McKinley brontolò. «Signora Greene, questi affari uccidono più persone di quante ne salvino.» «Quelli sono gli airbag. E comunque credo sia una voce non confermata.» McKinley sospirò e agganciò la cintura. «Chi crede sia stato a rovinarle la macchina?» «Uno dei parenti di Snow, immagino» rispose Sam. «Il fratello?»
«Forse. Ho ricevuto telefonate minatorie, e una testa di pollo.» McKinley si voltò sul sedile. «Una testa di pollo?» «Lasciamo perdere. E tieni gli occhi sulla strada, per favore.» Laurence Patterson l'aspettava fuori da un edificio anonimo che ospitava il caveau con le cassette di sicurezza. Indossava un lungo impermeabile Burberry nero che sbatteva nel vento, conferendogli un aspetto inquietante. Fece un gesto di saluto vedendo la Lexus e corse ad aprire la porta a Sam. McKinley lo salutò con un cenno del capo, senza dire nulla. «Tutto bene, Samantha?» chiese Patterson, mostrando un tesserino plastificato a una guardia in uniforme. «Tutto bene, Laurence, considerando che sto per votare la mia vita al crimine.» La guardia giurata, un quarantenne con i baffi brizzolati, le mostrò un portablocco con un foglio dove firmare. Sam firmò. «Sta scherzando» spiegò Patterson all'uomo. Il viso della guardia restò impassibile, mente premeva un bottone nascosto per aprire la porta blindata che immetteva nella parte più interna dell'edificio. Sam seguì Patterson lungo un corridoio grigio con due telecamere a circuito chiuso. Entrarono in un piccolo atrio dove un uomo in grigio controllò il tesserino di Patterson, si fece consegnare da lui una piccola chiave e sparì dietro una porta laterale. «Bene, ti lascio, Samantha» disse Patterson. «Non vuoi restare?» «È meglio di no. Terry ha detto che il contenuto della cassetta è solo per i tuoi occhi.» «Non è perché non vuoi sporcarti le mani?» Patterson fece un'espressione ferita, e Sam gli toccò un braccio. «Stavo scherzando, Laurence. Va' pure.» Patterson uscì e l'uomo in grigio tornò con una cassetta di metallo, che sistemò in una cabina. Indicò un campanello vicino alla scrivania e le disse di suonarlo quando avesse finito. Poi la lasciò sola. Sam respirò a fondo e aprì la scatola di metallo. La prima cosa che vide fu un grosso fascio di banconote da cinquanta sterline. Fischiò piano tra i denti, prendendole in mano. Dovevano essere centinaia. Più di diecimila sterline. Le mise nella borsa e prese una rubrica Filofax con la copertina di pelle nera. L'indice alfabetico era pieno di nomi e numeri di telefono. All'interno della copertina c'era una busta di plastica trasparente, con den-
tro una banconota da un dollaro piegata. Sam la tirò fuori e scoprì che non era piegata, ma strappata a metà. Aggrottò le sopracciglia, chiedendosi cosa significasse. Sfogliò di nuovo la rubrica e scoprì una sezione con un bloc-notes, pieno della grafia indecifrabile di Terry. Il Filofax finì nella borsetta insieme alle banconote. Sam sollevò una grande busta gialla. Sotto di essa c'erano tre passaporti. Sam li prese in mano, perplessa: la polizia aveva sequestrato il passaporto di Terry, al momento del suo arresto. Due erano inglesi e uno americano. Su tutti e tre c'era la foto di Terry, ma il nome e la data di nascita erano diversi. Sam li rimise nella cassetta e aprì la busta gialla. Dentro c'erano alcune foto in bianco e nero scattate con un teleobiettivo. Nelle inquadrature appariva Terry, in compagnia di un uomo con le spalle larghe e un impermeabile. Terry gli stava consegnando una busta. In due foto l'uomo aveva aperto la busta e stava controllando il grosso fascio di banconote che conteneva. Sam rimise le foto nella busta e suonò il campanello. L'uomo in grigio riapparve per prendere in consegna la cassetta. Sam si diresse verso l'uscita. McKinley la riportò a casa, poi lasciò la Lexus e prese la Saab per portarla dal carrozziere. Sam si fece un caffè e si sedette al tavolo della cucina a leggere gli appunti di Terry. Stava ancora leggendo quando tornò Trisha. Sam mise via l'agenda e cucinò un chili vegetariano con riso selvatico, uno dei piatti preferiti di sua figlia. Mangiarono davanti alla tv, poi Trisha salì in camera sua per fare i compiti e Sam tornò a leggere l'agenda. Lucero uscì dal terminal degli arrivi e prese la navetta per l'hotel dove era registrato sotto falso nome. Prenotava sempre la stessa stanza, una suite al settimo piano, pagava in contanti e non restava mai più di dodici ore. In passato aveva già fatto quel viaggio cinque, sei volte, e non aveva mai trascorso nel Regno Unito un minuto più del necessario. Era un Paese che non gli piaceva. Non amava né il clima, né il cibo, né la gente. Aprì la sua borsa da viaggio, l'unico bagaglio che aveva con sé, e controllò che il GPS portatile funzionasse. Poi prese una rivista di calcio spagnola e si sedette sul letto a leggere. Non accese la tv. La televisione inglese era un'altra delle cose che non sopportava. Era arrivato circa a metà della rivista quando qualcuno bussò alla porta nel modo concordato. Due colpi rapidi, una pausa, un colpo singolo poi tre colpi distanziati. Lucero scese dal letto, guardò dallo spioncino e aggrottò
le sopracciglia. Era una donna. Una donna quasi cinquantenne con occhiali scuri e un foulard legato intorno alla testa alla maniera di Jackie Onassis, come una star del cinema che non volesse farsi riconoscere. In passato non era mai venuta una donna, eppure aveva bussato nel modo giusto. Lucero inserì la catenella di sicurezza e socchiuse la porta. La donna lo fissò, in attesa che fosse lui a parlare. Lucero la fissò a sua volta, vedendosi riflesso nelle lenti degli occhiali da sole. Lei frugò nella borsa, ne estrasse una mezza banconota da un dollaro e gliela porse. Lucero la afferrò e chiuse la porta. Andò a prendere il portafoglio sul comodino e cercò la sua mezza banconota, ripiegata dietro la Mastercard. Mise vicine le due metà e constatò che combaciavano. Controllò anche il numero di serie, per essere assolutamente sicuro. Poi prese la borsa, aprì la porta e la diede alla donna. Lei si allontanò senza dire una parola. Lucero richiuse la porta e guardò l'orologio. Mancavano ancora quattro ore al suo volo. C'era tutto il tempo di bere qualcosa. Uno dei motivi per cui prenotava in quell'albergo era che avevano birra spagnola. Lucero detestava la birra inglese. Sam scivolò sul sedile posteriore della Lexus e si tolse foulard e occhiali da sole. McKinley si voltò a guardarla. «Com'è andata, signora Greene?» Sam fece un sorriso tirato. Le tremavano le mani. «Credevo di svenire» disse. «Dovevo solo ritirare una borsa, ed ero spaventata a morte.» Lasciò andare un lungo sospiro. «Ma ce l'ho fatta! Questo è l'importante.» Aprì la borsa e prese il GPS. «Come funziona questo coso, Andy?» McKinley accese il motore e si diresse fuori dal parcheggio dell'hotel. «È collegato a un satellite» spiegò. Sam estrasse il piccolo computer dal fodero di plastica e lo fissò, incuriosita. «Basta memorizzare delle coordinate ed è possibile ritrovare la strada per tornare in quel punto preciso.» «Nuova tecnologia» commentò Sam, impressionata. «Probabilmente giapponese, vero?» «Americana, se non sbaglio. Tecnologia militare.» «Quindi gli Stati Uniti alla fine aiutano i trafficanti di droga a tenersi al passo con i tempi. È uno strano mondo, eh?» Si accese una sigaretta, mentre Andy la portava verso il luogo dell'appuntamento con Reg Salmon, un vecchio amico di Terry che Sam aveva già incontrato in parecchie occasioni. Era stato uno shock leggere nell'a-
genda che Salmon non era solo un compagno di bevute di Terry, ma anche un personaggio chiave nell'importazione dell'hashish. Era un cinquantenne di origini umili che si era arricchito e ora viveva in una villa nell'Hampshire e coltivava hobby da signorotto di campagna: caccia, pesca e tiro al bersaglio. Aveva persino una coppia di falchi pellegrini che aveva allevato personalmente. Sam non aveva mai chiesto a Terry da dove venissero i soldi di Salmon, e solo dopo la condanna del marito aveva cominciato a capire molte cose. Aveva sempre saputo che Terry e i suoi amici navigavano in acque pericolose, ma considerando il loro giro d'affari - night-club, promozione della boxe, sviluppo edilizio - era logico aspettarsi che di tanto in tanto infrangessero la legge. Quello che Sam non aveva mai sospettato era che fossero degli autentici criminali. Ora che il velo si era sollevato capiva quanto era stata stupida. McKinley fermò la macchina su una strada che correva tra due campi, quello a destra coltivato a patate e quello a sinistra a pascolo. Davanti a loro c'era una Range Rover verde, schizzata di fango. «Vuole che l'accompagni, signora Greene?» chiese McKinley. «No, grazie, Andy. Non ci metterò molto. Mi dispiace solo di non aver portato un paio di stivali.» Sam scese dalla Lexus e camminò fino a un cancello di legno, che rappresentava l'unica apertura attraverso un recinto di filo spinato. Un sentiero fangoso portava verso una fila di alberi. Lo seguì, con la borsa da viaggio in mano, facendo del suo meglio per evitare le pozzanghere. Avvicinandosi agli alberi vide il fiume, e dopo un paio di minuti individuò Salmon, seduto su un cestone di vimini rovesciato, con una canna da pesca in mano, intento a fissare un galleggiante arancione. Indossava un vecchio giaccone Barbour e un cappello di tweed, il solito piccolo sigaro stretto tra i denti. Appena la vide avvicinarsi si alzò in piedi. «Sam, che piacere vederti» esclamò. Si tolse il sigaro di bocca e la baciò sulla guancia. «Ciao, Reg. Non mi sarei mai aspettata di rivederti in questa veste.» Salmon ebbe la delicatezza di mostrarsi imbarazzato. Poi si rimise il sigaro in bocca e alzò le spalle. Sam gli tese la borsa, lui la prese, si inginocchiò e l'aprì. Tirò fuori il GPS, lo accese e controllò che funzionasse, poi fece un cenno affermativo. «Terry mi dava sempre...» Prima che potesse finire la frase, Sam gli tese una busta. Salmon sorrise e si alzò in piedi. Soppesò la busta tra le mani ma non contò il denaro che conteneva. «Grazie, Sam. Ci sarai, per il recupero?»
«Non me lo perderei per tutto l'oro del mondo, Reg.» Si voltò per andarsene, poi si bloccò. «Quante volte l'avete fatto, tu e Terry?» «Diverse volte.» «È mai andato storto qualcosa?» Salmon mise la borsa nel cesto di vimini. «In genere una su quattro va male» rispose. «Ma i problemi sono quasi sempre in Spagna. I fornitori fanno i furbi, o la polizia ferma la barca prima che riesca a uscire dalle acque territoriali. Una volta che la roba è in fondo al mare, tutto ciò che dobbiamo fare è andare a prenderla. Andrà tutto bene, Sam, non preoccuparti.» «Grazie, Reg.» «Come sta Terry?» Sam fece una smorfia. «Abbastanza bene, sembra.» «Ricorrerà in appello, vero?» «Direi di sì.» «Bene. Terry non è un assassino.» «Non pensavo neppure che fosse un trafficante di droga. Ci vediamo, Reg. Buona pesca.» Quando tornò alla Lexus, McKinley scese ad aprirle la portiera. Sam lo ringraziò con un sorriso e controllò l'orologio. «Dobbiamo fare in fretta, Andy. Devo essere in carcere alle due.» «Ci saremo, signora Greene» rispose McKinley, salendo al volante. «La cintura, Andy» gli ricordò Sam, accendendosi una sigaretta. McKinley parcheggiò davanti alla prigione. Sam fece un respiro profondo. Detestava quel posto. L'odore, il rumore, la gente. «Non so quanto ci metterò, Andy.» «Faccia con comodo, signora. E porti i miei saluti al signor Greene.» Sam scese dalla Lexus e si avviò verso la porta di metallo accanto al grande cancello riservato ai veicoli. Mostrò la lettera che autorizzava la visita, il passaporto come documento di riconoscimento, e firmò in corrispondenza del proprio nome sulla lista. Le fu consegnato un tesserino con la scritta «visitatore» da attaccare alla giacca. Fu accompagnata in una sala d'attesa dove altre venti persone circa, quasi tutte donne, erano sedute su sedie di plastica arancioni. Infilò la mano nella borsa per prendere le sigarette, ma vide il grande cartello «Vietato fumare» con sotto il disegno di una sigaretta attraversata da una barra rossa, nel caso che qualcuno non sapesse leggere. Nei successivi venti minuti entrarono un'altra decina di persone. Poi tut-
to il gruppo fu accompagnato attraverso il cortile in sala colloqui. Un cane poliziotto, un collie bianco e nero dalla coda iperattiva, correva avanti e indietro tra i visitatori. Si fermò davanti a una grassa donna nera, e cominciò ad abbaiare furiosamente alla sua borsa. Due agenti di custodia presero sottobraccio la donna e la portarono via malgrado le sue proteste. Il cane li seguì scodinzolando. All'ingresso dell'altro edificio i loro nomi furono controllati di nuovo uno per uno e le borse furono perquisite da due agenti donne con guanti di lattice. Sam attese con pazienza, cercando di ignorare la voglia disperata di una sigaretta. Quando arrivò il suo turno, un agente dall'espressione annoiata le chiese la lettera di visita, poi cercò il suo nome sulla lista. Scosse la testa e si toccò le labbra con la penna. «Non vedo il suo nome sulla lista, signora Grey.» «Mi chiamo Greene» precisò Sam. «Non Grey.» «Fa lo stesso, il nome non c'è» disse l'uomo, restituendole la lettera. Sam non riuscì a capire se la sua ottusità fosse deliberata o autentica. Pensando agli altri agenti di custodia che aveva incontrato nelle visite precedenti, propendeva per la seconda spiegazione. «Ma all'ingresso principale avevano il mio nome.» «Lì hanno una lista diversa.» Sam gli sventolò la lettera sotto il naso. «Questa lettera è scritta su carta intestata del carcere, sì o no? E dice che ho il permesso di visita, sì o no? E sopra c'è la data di oggi, sì o no?» L'uomo la guardò con totale indifferenza. «Lei non è sulla mia lista» ribadì. La gente in coda cominciò a protestare e a dire di far presto. Un altro agente di custodia in uniforme si avvicinò, con un paio di scarpe lucide che scricchiolavano a ogni passo. Aveva una faccia da furetto ed era almeno dieci centimetri più basso del collega. «Qual è il problema, signor Bradshaw?» chiese. «Questa donna non è sulla mia lista, signor Riggs.» Riggs prese il portablocco e scorse i nomi con l'indice. «È vero» confermò. «Come fa a saperlo?» sibilò Sam. «Non sa nemmeno come mi chiamo.» Riggs la fissò con gli occhi socchiusi. «Non sia troppo modesta, signora Greene. Suo marito qui dentro è una celebrità.» «Ah, ecco qual è il problema. Volete infastidire Terry prendendovela
con me, vero?» Riggs sorrise, mostrando una fila di denti storti. «Non saremmo mai così meschini, signora Greene.» Le mostrò il portablocco. «Guardi lei stessa.» «Non mi interessa cosa dice la vostra lista. Ho una lettera che conferma la visita di oggi e ho intenzione di vedere mio marito.» Ci furono altre proteste dalla gente in fila, ma Sam quasi non le udì, concentrata com'era sull'uomo che voleva negarle un suo diritto. «Potrei aggiornare la lista» disse Riggs, trattenendo a stento un sogghigno. «Ma c'è una procedura da seguire, prima.» «Una procedura?» Lui indicò un'agente donna in piedi davanti a una porta con la scritta «Stanza Esami». «Le droghe sono un grave problema nel sistema carcerario. Ma lei lo saprà di certo, essendo sposata con un boss della droga.» «Sta scherzando, vero?» Il sorriso scomparve dalla faccia di Riggs. «Sta a lei decidere, signora Greene. Niente esame, niente lista aggiornata, niente visita.» Sam deglutì a vuoto. Voleva urlare contro quel bastardo, schiaffeggiare la sua faccia insolente, ma sapeva di non poter combattere e vincere contro la burocrazia carceraria. Si costrinse a sorridere. «Va bene, perché no?» Riggs l'accompagnò alla porta della stanza e la donna entrò con lei. C'era un tavolo coperto da un telo di carta bianca, un piccolo lavandino con sotto un cestino della spazzatura e un armadietto per i medicinali. Sul retro della porta era incollato un poster che metteva in guardia contro il pericolo dell'AIDS. La donna controllò l'interno della bocca di Sam con una spatola di legno. «Fuori la lingua, per favore.» Sam obbedì. «Bene, ora si spogli.» «Immagino che fare questo le piaccia, vero?» La donna si infilò i guanti di lattice. «Certo, ho spiegato ai miei superiori che non avevo altro desiderio, nella vita.» «Le sembro una che porterebbe della droga nella... dentro di me?» «Lei non ha idea di chi e cosa passi da questa porta. Per favore si tolga la gonna e gli slip, si stenda sul lettino e pensi a un bel paesaggio. Non le farò nulla che il suo ginecologo non le abbia già fatto decine di volte.» Sam comprese che la donna non c'entrava con il piano di Riggs. Stava solo facendo ciò che le era stato chiesto di fare. Si spogliò, si stese sul lettino e allargò le gambe. La donna inserì un dito nella sua vagina e frugò con attenzione. «Se cerca il mio punto G, è un paio di centimetri più dentro» disse Sam.
La donna rise piano. «Non sa quante volte l'ho già sentita.» Ritirò il dito. «Abbiamo finito?» «Ancora un ultimo controllo.» Sam capì cosa intendeva e si irrigidì. «Oh, no. Per favore.» «Sto solo seguendo le regole, signora. Mi creda, non mi piace proprio come non piace a lei. Chiuda gli occhi. Avrò finito in un attimo.» Sam strinse i denti. La donna le inserì un dito nel retto, e lo tirò subito fuori. «Ecco fatto» concluse. «Ci sono delle salviette di carta vicino al lavandino. «Grazie» disse Sam, ricacciando indietro lacrime di imbarazzo e di rabbia. «Grazie mille.» Terry era seduto allo stesso tavolo d'angolo dell'ultima volta. Si alzò in piedi vedendola arrivare. «Ciao tesoro» la salutò, e cercò di baciarla su una guancia. Sam lo spinse via e si sedette. «Cosa c'è che non va?» «Mi hanno fatto una perquisizione intima, cazzo!» «Oh, Cristo. Mi dispiace.» «Mi hanno trattata come se fossi una bistecca. Perché? Cosa succede qui dentro?» Terry le prese una mano. «Stai bene?» Sam tirò via la mano. Non voleva essere toccata, né da Terry né da nessun altro. Mai più. «No, non sto affatto bene. Il mio star bene in questo momento è così lontano che ci vorrebbe una mappa per trovarlo.» Alla sua sinistra c'era una coppia anziana. L'uomo era sui settanta, con un gilè rosso troppo grande per lui sopra la divisa da carcerato. Aveva la pelle piena di rughe e gli occhi infossati che davano alla testa un aspetto da teschio. La moglie era larga il doppio di lui, con un cappotto di lana, un cappello e una grossa borsa marrone in grembo. Sam notò che le unghie erano mangiate fino alla carne. I due sedevano in silenzio, e ogni tanto si guardavano e sorridevano. Sam si chiese se sarebbe stato quello il futuro anche per lei e Terry. Anni di visite finché non ci sarebbe stato più nulla da dire, solo un silenzio condiviso e letti singoli. Ebbe un brivido. «Hai freddo?» le chiese Terry. Sam scosse la testa. Terry si chinò in avanti, lo sguardo preoccupato. «C'è un tizio che ce l'ha con me, qui, amore. Un certo Riggs.»
«L'agente capo Riggs? Era lì, quel bastardo. Ha detto che il mio nome non era sulla lista.» «Mi dispiace.» «Smettila. Continuare a dire "mi dispiace" non mi fa sentire meglio.» Sam si guardò intorno. Dall'altra parte della sala un detenuto giovanissimo singhiozzava, mentre la moglie o fidanzata se ne stava a braccia conserte, in atteggiamento difensivo. I bambini correvano in giro e gli agenti di custodia giravano tra i tavoli, con gli occhi attenti a individuare ogni mossa sospetta. «Cristo, vorrei essere un milione di chilometri lontano da qui.» «A chi lo dici.» Riggs entrò nella stanza e si sedette a un tavolo accanto alla porta, rivolgendo a Terry uno sguardo sprezzante. Terry gli sorrise e lo salutò con un gesto della mano. «Ti farò un bello scherzo quando esco di qui» disse sottovoce, senza smettere di sorridere. Sam si girò per vedere chi guardasse, vide Riggs e si voltò a fissare Terry con aria accigliata. «Vuoi smetterla di conquistarti amici e di manipolare la gente? Non mi sorprende che qui vogliano renderti la vita dura.» Terry sollevò le mani in un gesto di resa. «E non dire di nuovo "mi dispiace", Terry. Okay?» «Okay.» Restarono in silenzio per alcuni secondi, poi Terry chiese: «Tutto sistemato?». Sam lo fissò a lungo con uno sguardo duro. «Sei un vero bastardo, Terry Greene.» «Amore...» «Non chiamarmi "amore". Mi hai appena costretta a fare il lavoro sporco al posto tuo.» Sam scosse la testa. «La roba è stata lasciata nel punto previsto. Ho ritirato il GPS e l'ho consegnato a Reg Salmon. Domani incontrerò Kay e gli altri.» «Sta' attenta con loro, mi raccomando. Devi fargli subito capire chi è il capo.» «Ma io non sono il loro capo, Terry. Sono una moglie e una madre, non una capobanda del cazzo.» «Non devi mostrare debolezza, amore. Altrimenti ti si rivolteranno contro.» Sam sospirò e annuì. «Va bene. Farò come dici.» Si portò una mano alla fronte. «Non posso ancora credere che tu mi faccia fare questo.» «Di chi altri potrei fidarmi?»
«Quanto alla storia dei soldi falsi, scordatela, Terry. Porterò a termine questa, ma nient'altro.» Terry cercò di prenderle la mano, ma Sam la tirò via. «Parlo sul serio.» «Lo so.» Terry mise le mani sul tavolo e intrecciò le dita. «Andy McKinley si sta occupando di te, giusto?» Sam annuì. «È una brava persona.» «È solido. Ma non molto intelligente.» «Lo ha detto anche Kay. Ma Andy non è stupido, Terry. Se c'è una stupida qui, sono io.» Terry sorrise e scosse la testa, senza dire nulla. «Laura è passata a trovarti?» chiese Sam. «Non ancora. Le ho spedito un modulo di richiesta visita. Sono cose lunghe.» Un bambino cadde accanto a Sam. Lei si chinò per aiutarlo a rialzarsi, ma il bambino si divincolò e corse piangendo dalla mamma. «Ricordi quando Laura cercava sempre di correre, ancora prima di imparare a camminare? Cadeva in continuazione, ma non piangeva mai. Una bambina dura.» «La durezza non è sempre una virtù, Terry.» Sam osservò la madre prendere in braccio il bambino, mentre il padre detenuto guardava con aria ansiosa. Poi si voltò di scatto verso Terry. «Sei stato tu, Terry?» L'ex marito sostenne il suo sguardo. Poi scosse la testa, lentamente. «No, amore» disse. «Non sono stato io.» Lei cercò di leggergli in faccia la verità, ma alla fine scosse il capo, ammettendo la sconfitta. «Prima sapevo quando mentivi. Tornavi tardi, dicendo che venivi da una riunione d'affari, e io sapevo che eri stato fuori con una delle tue puttane. Te lo leggevo negli occhi. Ma questo... non lo so, Terry. Cosa è successo? Sei diventato più bravo a mentire? A coprire le tue tracce?» Terry si avvicinò il più possibile al suo viso, chinandosi sopra il tavolo. «Trova quel pagliaccio, amore, quel Morrison. E fatti dire da lui la verità.» «L'ha già detta in tribunale, Terry. Ha detto di averti visto uscire dalla casa di Snow con una pistola in mano.» «Ha mentito» ribatté Terry, serio. «Te lo giuro sulla testa di mia madre.» «Perché avrebbe dovuto mentire, Terry?» «Raquel deve averlo convinto. Forse lo ha pagato, o gli ha offerto un accordo di qualche tipo.»
«Terry...» «Sai come sono i poliziotti. Raquel voleva disperatamente incastrarmi. Convincere Morrison a testimoniare contro di me non deve essere stato difficile. Ora che il processo è finito, forse Morrison ti dirà la verità. Potrebbe anche sapere chi ha ucciso Snow.» «E come lo trovo Morrison?» chiese Sam. Terry si guardò intorno, come per accertarsi che nessuno potesse udirlo. Riggs guardava verso di loro, ma era fuori portata d'orecchio. In ogni modo Terry si coprì la bocca con una mano mentre parlava. «C'è un poliziotto sul mio libro paga. Da un sacco di tempo. Si chiama Mark Blackstock. È un sovrintendente. Il suo cellulare è sul Filofax, sotto Blackie. Nel caso ti creasse dei problemi, nella cassetta di sicurezza ci sono alcune foto che dovrebbero smuoverlo.» Sam scosse la testa, stupefatta. «Poliziotti corrotti?» disse. «Ora vuoi che abbia a che fare anche con dei poliziotti corrotti? Andiamo di male in peggio.» Luke Snow stava pulendo con l'aspirapolvere il sedile posteriore di una Jaguar verde scuro, quando sentì un colpetto sulla spalla. Si voltò e vide un uomo imponente con un cappotto scuro che lo fissava dalla portiera aperta. «Luke Snow?» «Chi lo vuol sapere?» «Io, Luke. Ora non farmi perdere tempo, ed esci da questa macchina, va bene?» Luke faceva fatica a identificare l'accento dell'uomo, ma non ebbe problemi a intendere il suo tono minaccioso. Scese dalla Jaguar e spense l'aspirapolvere: «Cosa vuoi?». Cercava di sembrare sicuro di sé, ma l'uomo che aveva davanti era quindici centimetri buoni più alto di lui e sotto il cappotto sembrava avere una massa di muscoli. Aveva il viso duro e due occhi azzurri che lo fissavano, freddi. Luke non riusciva a sostenere il suo sguardo e continuava ad abbassare gli occhi. «Mi chiamo McKinley» disse l'uomo. «Tanto perché tu lo sappia. Io non mi nascondo dietro telefonate anonime, Luke. Sono quello che sono, chiaro?» «E allora?» «Allora, tuo fratello era un pezzo di merda. Vendeva droga ai ragazzini. Non l'avresti mai trovato in tuta da lavoro a pulire l'auto di un altro.» «Ma non meritava di morire come un cane.»
McKinley annuì. «Questo lo capisco, Luke. E capisco come ti senti. Ma devi prendertela con Terry Greene. Una cosa tra uomini. Mi capisci?» Luke non disse nulla. McKinley continuò a fissarlo e lui abbassò lo sguardo. «Lei ha mentito. Ha mentito, cazzo.» «Tutti mentono, Luke.» «Lei ha mentito in tribunale.» «Allora non andrà in paradiso. Sei sposato, Luke?» Luke strinse gli occhi, chiedendosi se quell'uomo intendesse minacciare la sua famiglia. «Sì» rispose in tono esitante. «E ami tua moglie, vero?» Luke annuì. «Mentiresti per lei, no? Anche se avesse torto, mentiresti per salvarla. Ognuno fa quello che deve, per proteggere quelli che ama. Ora, tuo fratello è morto, e posso immaginare come ti senti, ma Terry Greene è in galera per questo. Quando uscirà avrà settant'anni. Tu sei giovane, hai una moglie da cui tornare la sera. Sii uomo, Luke. Se vuoi prendertela con qualcuno, prenditela con Terry Greene. O con me. Ma non andare in giro a spaventare le donne. Okay?» Luke alzò gli occhi e sostenne il suo sguardo per la prima volta. Lo fissò per parecchi secondi, mentre McKinley restava impassibile, come se non gli premesse una risposta piuttosto che un'altra. La sua superiorità fisica era schiacciante, ma era un'altra la cosa che fece riflettere Luke Snow. McKinley aveva ragione. Era stato un errore sfogare la sua rabbia contro la moglie di Greene. All'improvviso Luke provò vergogna. «Okay» disse, e annuì. «Smetterò.» McKinley approvò con un cenno del capo, soddisfatto. «Lo apprezzo, Luke. Lo apprezzo davvero.» Si voltò per andarsene, poi ebbe un ripensamento. «Dimmi una cosa, Luke.» «Cosa?» «La testa di pollo, cosa rappresentava? Era vudù?» Luke scosse la testa, sorpreso. «Vudù? Ma per favore, io sono di Brixton, mica di Haiti.» «Allora perché l'hai mandata?» «Volevo solo spaventarla.» McKinley si allontanò, ridendo piano, mentre Luke scuoteva ancora la testa. McKinley suonò il campanello e Sam aprì la porta quasi immediatamen-
te. Indossava un tailleur celeste, con la gonna appena sopra il ginocchio, e aveva in mano una grossa ventiquattrore bordeaux. McKinley fece per prenderla, ma Sam scosse la testa. «Sono una ragazza grande, Andy. Posso portare da sola i miei bagagli.» «Come vuole, signora Greene.» McKinley aprì la portiera posteriore della Lexus per lei, poi salì al volante. Sentì lo sguardo di lei dietro la testa, e allacciò la cintura di sicurezza. Diede un'occhiata allo specchietto e la sorprese a sorridere. McKinley continuò a osservarla dallo specchietto di tanto in tanto. Sam era immersa nei suoi pensieri e guardava fuori dal finestrino. Aveva la ventiquattrore sulle ginocchia. Non doveva essere facile per lei, pensò McKinley. Terry Greene aveva avuto una buona intuizione a chiedere alla moglie di gestire le sue attività mentre lui era dentro. Quella era devozione pura, soprattutto contando che erano separati da più di un anno. Non molte mogli sarebbero state disposte a fare quello che stava facendo Sam Greene. E se le cose fossero andate storte, se i piani accuratamente preparati da Terry fossero andati in malora, c'era una buona possibilità che anche lei finisse in prigione. Sam si accese una sigaretta e abbassò il finestrino a metà. La corrente d'aria le scompigliava i capelli. McKinley avrebbe voluto rassicurarla, dirle che stava facendo tutto nel modo giusto, ma sapeva che non era il caso. Lui era solo una guardia del corpo, muscoli in affitto. E poi, le parole di incoraggiamento potevano suonare condiscendenti, e non voleva correre il rischio di offenderla. Sam fumò tre sigarette durante il viaggio, senza dire neppure una parola. McKinley parcheggiò dietro il club, tra una BMW nuova fiammante e una Porsche rossa. Una dozzina di auto di lusso erano allineate l'una accanto all'altra, e fuori dall'ingresso posteriore stazionavano diversi gorilla in soprabito lungo. Alcuni riconobbero McKinley e gli rivolsero un cenno di saluto. Uno che McKinley non conosceva fece un commento sulla gonna corta di Sam. McKinley lo fissò con uno sguardo duro, ma Sam andò avanti come se non avesse sentito. Il gorilla alzò le spalle con un'espressione di scusa e McKinley decise di lasciar perdere, ma cercò di imprimersi la sua faccia nella memoria. Arriva sempre il momento giusto per ogni cosa. «Lo scusi, signora Greene» disse, raggiungendo Sam. «Quegli uomini non vengono assunti per le loro buone maniere.» «Andy, alla mia età ogni complimento è bene accetto.» «Capisco, signora...» disse McKinley. Aprì la porta del locale e la seguì
all'interno. Mancavano ancora tre ore all'apertura, ma i dodici uomini seduti al bar non erano lì per vedere donne nude ballare intorno a un palo. Si voltarono tutti insieme al rumore dei tacchi di Sam. George Kay, al centro del gruppo, le rivolse un ampio sorriso. McKinley si mise in un angolo, a braccia conserte, e osservò la scena con viso impassibile. Sam attese finché fu certa di avere la loro completa attenzione, poi posò la ventiquattrore sul bancone. «Ringrazio tutti per essere venuti» cominciò. «So che siete un po' sconcertati dalla mancanza di Terry, ma sono qui per rassicurarvi che tutto procede come al solito.» Ci furono mormorii, ma George Kay li zittì. «Date una chance alla ragazza» disse. Il tono era condiscendente, e Sam lo odiò per questo, ma almeno gli uomini tacquero e la lasciarono parlare. «Terry mi ha chiesto di occuparmi della consegna che state aspettando» continuò Sam. «E che avete già pagato.» Ci furono altri mormorii, e Sam alzò una mano per zittirli. «So che preferireste avere Terry al posto di guida, e sono certa che lo preferirebbe anche lui, ma quello che è fatto è fatto. Domani notte tutto andrà avanti esattamente come previsto.» «L'ora del dilettante» borbottò un uomo robusto con una folta chioma di capelli grigi. Teneva i pollici infilati nella cintura dei pantaloni, sopra il ventre sporgente. Si chiamava Micky Fox, e Sam lo aveva incontrato alcuni anni prima a un incontro di boxe promosso da Terry. «Bene, Micky, riferirò a Terry le tue riserve.» «Nulla di personale, tesoro, ma ho investito un sacco di soldi in questa storia.» Si udirono molti «Anch'io» a mezza voce. Sam annuì e alzò di nuovo la mano per calmarli. «Okay, okay» disse, e gradualmente i mormorii si acquietarono. «Ragazzi, nessuno qui rischia più di me, è chiaro? Tutti voi avete versato una percentuale in deposito, ma il grosso deve ancora arrivare, giusto?» Micky Fox annuì, imitato dagli altri. Sam posò una mano dalle unghie rosso sangue sulla valigetta. «Chi vuole ritirarsi lo dica ora. Vi restituirò il vostro acconto e amici come prima. Ho diversi altri compratori che sperano di entrare nell'affare.» Micky Fox aggrottò la fronte. Guardò George Kay, il quale si strinse nelle spalle. Anche gli altri sembravano confusi. «Allora, Micky?»
«Non c'è fretta, Sam. La roba è in arrivo?» «È già arrivata. Bisogna solo andare a ritirarla. Se ne occupa Reg Salmon, ma se qualcuno di voi vuole fornire mano d'opera, siete tutti benvenuti.» Fox guardò gli altri. Molti annuirono. Lui sorrise e rispose: «Okay Sam, hai la nostra approvazione». Gli uomini gridarono con entusiasmo. Sam guardò McKinley e lui le rivolse un sorriso discreto. Mentre la riaccompagnava alla Lexus, Sam gli consegnò la valigetta. «D'ora in avanti è meglio che te ne occupi tu, Andy.» Era pesante. «Quanto c'è qui dentro, signora Greene?» chiese McKinley, sistemandola nel bagagliaio. «Ci sono due copie delle "Pagine Gialle" e tutti i numeri di "Vogue" dell'anno scorso» disse Sam, salendo a bordo. McKinley sogghignò. «Lei è un'attrice di classe.» Salì al volante e chiese: «Dove andiamo?». «Trafalgar Square. Devo incontrare quel poliziotto di Terry.» McKinley uscì dal parcheggio e si immise nel traffico, prima di chiedere: «Quale?». «Perché, quanti ce ne sono?» «È una buona domanda.» «E la tua non è una risposta, Andy. La cintura.» McKinley obbedì, irritato con se stesso per essersene dimenticato di nuovo. «Si chiama Blackstock. Mark Blackstock.» «Ah, Blackie. È un sovrintendente capo. Uno della vecchia scuola. Duro, affidabile e corrotto fino al midollo.» Sam si sedette al piano di sopra dell'autobus turistico. Dietro di lei c'erano sei giapponesi, una coppia tedesca e una famiglia francese, tutti con le cuffie in testa. Si guardavano in giro mentre il commento registrato illustrava loro in diverse lingue i monumenti di Trafalgar Square. Incontrarsi sull'autobus era stata un'idea di Blackie, e Sam ne capiva il senso. Quasi nessuno lì sopra parlava inglese, nessuno li conosceva, e tutti erano troppo occupati ad ascoltare la registrazione per origliare la loro conversazione. Blackie salì all'altezza del Parlamento. Era ancora più grosso di Andy McKinley, e Sam dovette stringersi sul sedile per fargli spazio. Aveva i capelli a spazzola e un viso quadrato con labbra sottili che non sembravano avvezze al sorriso. La fronte era attraversata da rughe profonde, e le un-
ghie erano mangiate fino al limite del possibile. «Credevo che dopo diciotto anni nella polizia fossi stanco di fare il tour della città» esordì Sam. Blackie non rise. «Terry non aveva il diritto di darti il mio nome. Nessun diritto. Diglielo da parte mia.» «Lo farò» rispose Sam. «Ricordi quel tipo che ha testimoniato contro di lui? Ricky Morrison?» «Sì, e allora?» «Allora, Terry ti sarebbe grato se tu potessi dirgli dove trovarlo.» Sam fece una pausa a effetto, poi si toccò la fronte, come per richiamare un ricordo. «In realtà non ha detto proprio così. Le parole precise sono state: "Di' a quel segaiolo di Blackstock di non perdere tempo e di trovare l'informazione".» Tutti i turisti sull'autobus si voltarono a destra mentre passavano accanto a Lambeth Palace. Blackie scosse la testa e fece una smorfia. «Hai un'idea di quanto può essere pericoloso?» Sam gli diede una leggera pacca sulla schiena. «Cosa vuoi che sia, in confronto a quindici anni di bustarelle?» Blackie sembrava sul punto di esplodere. Aveva il viso rosso e respirava a fatica. Sam sorrise. «Blackie, non partiamo con il piede sbagliato, per favore. Terry ha solo bisogno di un po' di collaborazione. Non ti sta chiedendo nulla che tu non abbia già fatto in passato.» Blackie si rilassò appena un poco. Alle loro spalle si scatenò una tempesta di clic ma loro due continuarono a guardare avanti, mentre l'autobus costeggiava il Tamigi. «Cosa vuole, esattamente?» chiese alla fine Blackie. «Vuole che io parli con Morrison e lo convinca a dirmi la verità.» «Ci hanno già pensato quelli della Omicidi. Lui ha detto tutto quello che sapeva, e l'ha ripetuto in tribunale. E non è che abbiano dovuto attaccargli degli elettrodi ai coglioni, per farlo parlare. Da quello che ho sentito, il problema era farlo tacere.» «Io voglio solo parlare con lui di persona, nient'altro.» «Non c'è solo la sua testimonianza. Ci sono le prove. Il sangue sulle scarpe di Terry. L'impronta sulla moquette della vittima.» «Terry dice che Raquel lo ha incastrato. Prima screditiamo Morrison, poi vedremo se possiamo dimostrare che le prove sono state falsificate.» Blackie scosse la testa, incredulo. «Cristo, Sam, questo non è un episo-
dio della Signora in giallo. C'erano più di venti poliziotti coinvolti in quell'indagine, migliaia di ore/uomo. Non rovescerai il verdetto della giuria con un po' di fai da te.» «A te cosa importa, Blackie? Quello che ti chiedo è solo l'indirizzo di Ricky Morrison.» Blackie si alzò e si chinò sopra di lei. «Vedrò quello che posso fare. Va bene?» «Non ti chiedo di più.» Blackie si spostò al piano di sotto dell'autobus e scese alla fermata successiva, vicino alla stazione di Waterloo. Sam si accomodò meglio sul sedile, preparandosi al viaggio di ritorno a Trafalgar Square, dove l'aspettava McKinley. Aveva bisogno di tempo per pensare. Sam si sedette sul divano e si accese una sigaretta. Guardò la bottiglia di whisky White Horse nel mobile bar. Desiderava bere qualcosa di forte, ma aveva bisogno di mantenersi lucida per quello che l'aspettava. La mano le tremò leggermente quando scosse la cenere della sigaretta. Allungò una mano verso il Filofax sul tavolino, poi la tirò indietro. Ormai aveva letto e riletto tutto ciò che c'era da leggere. Terry aveva pensato a tutto, previsto ogni eventualità. Doveva solo seguire le sue istruzioni e i loro problemi finanziari sarebbero finiti. Alzò la testa e soffiò una boccata di fumo verso il soffitto. Ci sarebbero stati abbastanza soldi per pagare la casa, le tasse universitarie di Jamie, la retta della casa di riposo per Grace, e Patterson avrebbe avuto i fondi per il ricorso in appello. Tutto ciò che lei doveva fare era portare a Londra quattro tonnellate di hashish. "Mantieni la calma" mormorò tra sé. Udì il rumore di un'auto che si fermava davanti casa, ed era già a metà strada verso la porta quando McKinley suonò il campanello. Sentì i passi di Trisha al piano di sopra. Aprì la porta. McKinley indossava un giaccone di lana grigio scuro e guanti di pelle nera. «È una notte fredda, signora Greene. Le consiglio di coprirsi bene.» «Arrivo tra un attimo, Andy. Grazie.» Sam chiuse la porta e salì di sopra. Bussò alla porta di Trisha, ma non ebbe risposta. «Trish?» «Cosa c'è?» Sam aprì la porta. Trisha era stesa sul letto a pancia in giù, e leggeva un
libro appoggiato sul pavimento. «Così ti rovini gli occhi» disse Sam. «Sei salita per dirmi questo?» Sam si sedette sul bordo del letto e le accarezzò i lunghi capelli biondi. «Hai dei capelli bellissimi.» «Dove vai?» chiese Trisha, in tono risentito. «Fuori.» «Dove?» Sam sorrise. «L'ultima volta che ho controllato, ero io la madre, e tu la figlia.» «Esci con lui, vero?» «Con lui chi?» «Quello con la Lexus.» «In realtà la Lexus è di tuo padre.» «In realtà non me ne frega un cazzo.» Trisha scese dal letto e andò a sedersi al tavolino da trucco. «Ehi, che linguaggio!» Trisha le rivolse uno sguardo irritato attraverso lo specchio. «Mamma, ormai tutti dicono "cazzo". Avrei anche potuto dire...» Sam alzò un dito minaccioso. «Attenta a come parli, signorina.» Trisha sostenne il suo sguardo per un paio di secondi, poi abbassò gli occhi. Prese una spazzola e cominciò a pettinarsi. Sam non voleva litigare con la figlia, ma non desiderava darle troppe spiegazioni. «Probabilmente farò tardi.» Trisha si voltò di scatto, come se l'avessero punta. «Quanto tardi?» «Non lo so.» «Quando io dico "non lo so" tu diventi una iena.» «Il che ci riporta al punto di prima. Io sono la madre, tu la figlia.» Sam respirò a fondo, lottando per non alzare la voce. «Ascolta, Trish, forse starò fuori tutta la notte.» «Troia!» ringhiò Trisha, con una smorfia di disprezzo. Sam si sentì come se l'avessero schiaffeggiata. «Trish, è per affari.» Trisha le voltò la schiena e riprese a spazzolarsi i capelli. «Trish...» implorò Sam, ma la figlia fissava risolutamente lo specchio. Sam guardò l'orologio. Si stava facendo tardi. «Ascolta, ultimamente sono arrivate delle telefonate minatorie. Se squilla il telefono...» «Cosa, ora non posso neppure rispondere al telefono?» «Sto solo dicendo che se rispondi e qualcuno dice delle volgarità, puoi
lasciare il telefono staccato.» «Non sono una bambina, mamma.» «Lo so. Se hai bisogno di qualcosa, c'è un uomo fuori, in macchina. Ti ho lasciato il numero del suo cellulare vicino alla segreteria telefonica.» Sam non voleva lasciare la figlia sola in casa, ma quando aveva suggerito una baby-sitter Trisha era andata su tutte le furie. Avevano trovato un compromesso. Un collega di McKinley sarebbe restato fuori in macchina, a tenere d'occhio la casa. «Stai diventando come papà» disse Trisha. «Non è questo. Tuo padre ha dei nemici, gente che vuole vendicarsi di lui.» Sam posò una mano sulla spalla di Trisha, ma lei la scosse via. «Ha una pistola?» «Chi?» «Quel tipo qui fuori.» «Nessuna pistola.» Sam guardò l'orologio. «Scusami, tesoro, devo andare. Fa' la brava.» Si alzò, baciò la figlia sui capelli e uscì, chiudendo piano la porta. McKinley aveva già il motore acceso e il riscaldamento al massimo. «Tutto bene, signora Greene?» «Certo, Andy.» Sam indossava una giacca blu imbottita che aveva comprato per una vacanza sulla neve con Terry in Austria. Sembrava che fosse passata una vita. «Si metta comoda, sarà un viaggio lungo.» McKinley rivolse un cenno d'intesa all'uomo seduto al volante di una Isuzu Trooper, e partirono. Si diressero a nord, e anche se l'autostrada era relativamente libera, McKinley si attenne religiosamente al limite di velocità. L'ultima cosa di cui avevano bisogno era una multa, che avrebbe costituito una prova scritta di dove si trovavano. Il viaggio fu davvero lungo. Arrivarono fino a Newcastle, poi presero a est verso la costa del Northumberland. Sam sonnecchiò finché le strade cominciarono a diventare una successione di curve. A un tratto i fanali della Lexus illuminarono un cartello con il nome di un villaggio: Alnmouth. McKinley svoltò a sinistra appena prima di entrare nel villaggio e in lontananza Sam vide l'oceano, scuro e guizzante contro il nero del cielo. «Siamo quasi arrivati, signora Greene.» Sam guardò fuori dal finestrino. C'era una sottilissima falce di luna, appena sufficiente a dare una sfumatura argentata alle onde. «Andy, c'è un
cambiamento.» «Qualcosa non va?» «No. È solo che non voglio essere sulla spiaggia quando quella roba arriverà.» «Non sono certo che sia una buona idea, signora Greene. Terry diceva sempre che è meglio trovarsi sul posto. Ispira fiducia. E la possibilità di essere imbrogliati dai collaboratori è minore.» «Forse è vero, ma io non sono Terry. Trovami un posto da dove possiamo vedere senza essere visti, per favore.» «Come vuole, signora.» Sam notò che McKinley era deluso perché lei non aveva seguito il suo consiglio, ma non poteva spiegargli il vero motivo di quel cambiamento di idea. Era una sensazione indefinita, come di un disastro imminente, e immaginava che se avesse parlato a McKinley di intuizione femminile lui non l'avrebbe presa sul serio. McKinley proseguì lungo la costa per quasi un chilometro, poi svoltò verso ovest e salì su una collina. Infine prese una strada sterrata che era evidentemente usata solo da mezzi agricoli. Si fermò davanti a un cancello di legno, spense i fari e scese ad aprirlo. Poi proseguì ancora per qualche decina di metri, parcheggiando vicino al ceppo di un albero abbattuto. Sam vide una striscia di spiaggia in basso. «È quello il posto?» chiese. «La consegna avverrà tra pochissimo» rispose McKinley. «La puntualità di Reg è leggendaria.» Sam si dispose ad aspettare. Accese una sigaretta, ma a causa del motore spento non poteva abbassare il finestrino. «Ti dà fastidio il fumo, Andy?» «Niente affatto, signora Greene. Mia madre ne fumava quaranta al giorno. Mi sembra di ricordare che fumava anche mentre mi allattava, ma immagino che sia uno di quei falsi ricordi.» Sam si morse il labbro per evitare di scoppiare a ridere. Aspirò il fumo e lo soffiò fuori lentamente, assaporando il calore che le scorreva nei polmoni. «Chi ha scelto il posto?» chiese. «Terry. Abbiamo passato ore guidando su e giù per la costa, da Dover fino quasi in Scozia.» «Questo spiega tutte le notti che lui non è tornato a casa, immagino.» McKinley la fissò dallo specchietto.
«Scherzavo, Andy.» Sam aspirò un'altra profonda boccata. «La notte in cui Preston Snow è stato ucciso Terry non era con te, vero?» McKinley scosse la testa. «Come mai?» «Aveva detto che aveva una cosa da fare. E che doveva farla da solo.» «Non ha detto di cosa si trattasse?» McKinley negò con la testa. «Sai cosa ha detto a me?» «No, signora Greene, non lo so.» Dal tono, si sarebbe detto che preferiva continuare a non saperlo. «Sai che mi ha chiesto di mentire per fornirgli un alibi, vero? Ha detto che non poteva chiedere una cosa del genere a nessun altro. Che si fidava solo di me.» McKinley non disse nulla. «Ha detto che stava facendo un lavoro per conto di alcuni irlandesi. Riciclaggio di denaro. Prendeva soldi da loro e li faceva passare dalle casse dei suoi locali, restituendoglieli puliti, come se fossero pagamenti per servizi in realtà mai ricevuti. Mi ha detto che la notte in cui Snow è stato ucciso lui era andato a Kilburn, a ritirare del denaro.» «Stiamo parlando di paramilitari?» «Così ha detto Terry.» «Gente pericolosa.» «Terry ha detto la stessa cosa. Gli hanno proibito di rivelare dov'era quella notte e cosa faceva, sotto pena di terminare il suo contratto. Perciò Terry non poteva fornire un alibi alla polizia, e allora io ho mentito per lui. Anche se alla fine non è servito a nulla.» McKinley indicò con il pollice la spiaggia in basso. «È arrivato Reg» annunciò. «Si goda pure lo show.» Reg Salmon spense il motore e scese dal furgone Transit, portando una borsa di nylon impermeabile sotto un braccio. I tre passeggeri lo raggiunsero sul retro del furgone e lo aiutarono a scaricare il gommone. Altri tre furgoni con a bordo dei gommoni parcheggiarono in fila accanto a loro. Tutti gli uomini erano vestiti di nero e si muovevano con padronanza e tempismo. Pochi minuti dopo, i gommoni erano già stati gonfiati e trascinati in acqua. Si allontanarono dalla riva a remi, e solo dopo accesero i motori fuoribordo. Salmon prese il GPS dalla borsa e lo attivò. Il computer emise ron-
zii e bagliori, poi si accese la luce arancione sul display. Salmon controllò le coordinate con una bussola da polso e indicò a sinistra. L'uomo al fuoribordo reagì immediatamente e voltò nella nuova direzione, prontamente seguito dagli altri gommoni. Il mare divenne più agitato, e gli uomini si tenevano alle corde mentre i gommoni saltavano come cavalli imbizzarriti. Salmon continuava a controllare il GPS, indicando la rotta. Quando raggiunsero il punto indicato erano a quasi quattro miglia dalla costa e le onde erano alte quanto un uomo. Salmon diede il segnale di fermarsi e i motori scesero al minimo. Dopo un ultimo controllo al GPS, Salmon prese una trasmittente dalla borsa e tirò l'antenna estensibile. La trasmittente era stata costruita a Madrid su disegno di Terry. C'erano otto interruttori, con una luce che mostrava quando ciascun interruttore era attivato. Salmon li accese uno dopo l'altro. Sul fondo del mare si attivarono dei relè e le bombole di aria compressa gonfiarono delle boe di plastica. Le boe gonfie si innalzarono verso la superficie, tirandosi dietro le balle plastificate e le slitte. La prima boa emerse alla loro sinistra, e un gommone si diresse subito da quella parte. Una seconda balla emerse accanto al gommone di Salmon. Un minuto dopo, tutte e otto erano affiorate in superficie. Una dopo l'altra furono tirate a bordo dei gommoni, le boe vennero sgonfiate, legate alle slitte e gettate di nuovo in mare. Cinque minuti dopo i quattro gommoni si dirigevano a riva. Salmon aveva gli occhi socchiusi contro il vento, il GPS e la trasmittente di nuovo al sicuro nella borsa di nylon. McKinley aprì il compartimento portaoggetti e prese un binocolo. Scrutò l'oceano, poi controllò l'orologio. Sam individuò un movimento in acqua e disse: «Lì, da quella parte». McKinley guardò con il binocolo nella direzione indicata. I quattro gommoni puntavano verso la spiaggia, gli uomini in nero appena visibili contro il cielo notturno. «Sì, sono loro, signora Greene.» I gommoni arrivarono sulla spiaggia e gli uomini cominciarono a scaricare le balle, trascinandole verso i furgoni. Ci volevano quattro uomini per ogni balla, e anche così era una fatica improba. «Liscio come l'olio» commentò McKinley. Aveva appena finito di dirlo che delle torce elettriche fendettero la notte,
illuminando gli uomini appena sbarcati. Sei Land Rover si precipitarono sulla spiaggia, sollevando nuvole di sabbia. Sulla strada costiera apparvero una decina di auto della polizia, con sirene e lampeggianti accesi. Sam si accasciò sul sedile. «Merda.» McKinley mise giù il binocolo. «Siamo stati traditi. Sapevano della consegna.» Gli uomini in nero avevano abbandonato le balle e cercavano di fuggire, ma gli agenti della squadra cinofila sciolsero i cani, e parecchi poliziotti in divisa stavano già scendendo dalle Land Rover. Un grosso fascio di luce calò dal cielo, accompagnato dal rumore delle pale di un elicottero. McKinley si voltò. «Meglio andare, signora Greene.» Sam annuì. McKinley mise in moto e percorse lentamente il sentiero a fari spenti. Uscì dal cancello aperto, arrivò sulla strada e accese i fari solo quando fu ben lontano dalla costa. Sam si accese un'altra sigaretta. «Dove vuole andare, signora?» chiese McKinley. «A casa» rispose Sam, piano. «Casa, dolce casa.» Frank Welch si mise in bocca due mentine per l'alito, osservando gli agenti che rinchiudevano due uomini in nero dentro un cellulare. «Una notte fortunata, capo» disse Simpson. «Riceverà un elogio per questo» continuò Duggan, grattandosi il collo. «Come minimo. E una promozione. Garantito. Quanta droga crede ci sia?» «Quattro tonnellate» disse Welch enfaticamente. Si avviò verso la riva, seguito da Simpson e Duggan. Lo spostamento d'aria causato dall'elicottero gli scompigliava i capelli. Due uomini in nero avevano cercato di spingere di nuovo in acqua un gommone, e ce l'avevano quasi fatta, prima che cinque poliziotti li raggiungessero. Gli uomini avevano opposto resistenza e ora gli agenti si stavano vendicando, prendendoli a calci e a manganellate, mentre loro cercavano invano di ripararsi dai colpi. Un cane stava dilaniando la gamba di un uomo, mentre l'addestratore rideva. Il criminale supplicò di richiamare il cane, ma il poliziotto rise ancora più forte. Quasi tutti gli uomini in nero si erano arresi immediatamente, dopo aver visto quanti poliziotti c'erano in giro. Avevano lasciato cadere il carico e alzato le mani. Clarke si avvicinò con una borsa di nylon impermeabile. «Abbiamo beccato anche Reg Salmon, capo» annunciò, consegnandogli la borsa. «Gli abbiamo rovinato la giornata, eh?»
«Gli abbiamo rovinato i prossimi dieci anni» rispose Welch. Aprì la borsa ed esaminò la trasmittente e il GPS. Un membro della polizia doganale si avvicinò e Welch gli porse i due oggetti. «Tutta alta tecnologia, ormai» disse il doganiere, un uomo sui cinquanta che era un vecchio contatto di Welch. «Ricordo i tempi in cui avvolgevano le balle in sacchi di sale, prima di gettarle fuori bordo. Il sale si dissolveva lentamente, e dodici ore dopo le balle tornavano in superficie. Ora si fa tutto con computer e satelliti. E i delinquenti sono meglio equipaggiati di noi.» Soppesò la trasmittente in mano. «È un problema se li tengo io, almeno per qualche giorno? Potrei trovare delle tracce per capire chi c'è dietro.» «Lo so già chi c'è dietro» ribatté Welch. «Quel bastardo di Terry Greene.» «Ma non è in galera?» «E da quando questo serve a fermarli, Stuart? Usano le celle come uffici. Comunque tieni pure la trasmittente e il GPS. Non credo che nessuno degli arrestati si sognerà di dichiararsi non colpevole.» Welch porse all'altro anche la borsa di nylon e si avviò verso i furgoni della polizia. Clarke lo raggiunse e gli mostrò quello dove era seduto Salmon, con la testa tra le mani. Welch salì a bordo mentre l'elicottero si allontanava nel buio. Clarke fece per seguire il suo capo nel retro del furgone, ma Welch gli fece cenno di no. Clarke indietreggiò e chiuse il portellone. «Una bella notte per ritirare una consegna, Reg» esordì Welch in tono allegro, sedendosi sulla panca di fronte a quella di Salmon. «Mare tranquillo, poco vento, il diavolo in persona non avrebbe potuto chiedere di meglio.» Salmon non reagì in nessun modo. «La terza volta è quella sfortunata, direi» continuò Welch. «Stavolta getteranno via la chiave.» Welch si chinò fino a sfiorare con la bocca l'orecchio di Salmon. «Lei dov'è, Reg?» sussurrò in tono da cospiratore. Salmon non disse nulla, e continuò a fissare il pavimento con la testa tra le mani. «Avanti, Reg. Comportati da persona sensata. Hai famiglia. Due bambini, se non sbaglio. Sarai vecchio quando uscirai. Aiutami e io metterò una buona parola in tuo favore. Nove mesi e sarai fuori.» Salmon non disse nulla. Welch gli diede un ceffone sulla testa. «Dove cazzo è lei?» urlò. «Dove cazzo è Sam Greene?» Cominciò a riempirgli la
faccia di pugni, ma Salmon non emise neppure un lamento. Fuori, il doganiere e Simpson raggiunsero Clarke. Il furgone ondeggiava sulle sospensioni e si udiva il rumore attutito dei colpi. «Cosa succede?» chiese il doganiere. «Un semplice interrogatorio» rispose Clarke, laconico. «Il tuo capo non sembra molto felice di questa operazione.» «È perché la sua bella non si è fatta vedere» spiegò Simpson. «La sua bella?» Ci fu un forte rumore dentro il furgone, il rumore di qualcuno che veniva sbattuto a terra. «L'amore della sua vita» aggiunse Simpson. «Amore non ricambiato, purtroppo» disse Clarke. Lui e Simpson si diedero un cinque, mentre il doganiere li guardava senza capire. Dentro il furgone, Welch continuava a picchiare Salmon. Era già l'alba quando McKinley e Sam arrivarono a casa. La Isuzu Trooper era ancora lì. Il conducente si stava versando un caffè da un termos, e lo sollevò verso McKinley in un cenno di saluto mentre la Lexus gli passava accanto. McKinley entrò nel vialetto e si fermò davanti alla casa. Sam si sfregò gli occhi e fissò la porta con uno sguardo assente. «Devo entrare con lei, signora Greene?» chiese McKinley. «No, Andy, va' a casa. Anche tu hai bisogno di dormire.» McKinley sorrise e annuì. «Ha ragione. Cerchi di non preoccuparsi troppo, capito?» Sam fece una smorfia. «Lo so, si sente come se fosse finita sotto un treno, ma Reg e i ragazzi non diranno nulla, mi creda. Sono professionisti. Non la coinvolgeranno.» «Non è solo questo, è...» Sam non finì la frase. Non era giusto rivelare ad Andy i suoi problemi finanziari. Quello era un problema solo suo. Gli diede una pacca amichevole sulla schiena. «Va' a casa a dormire, se ho bisogno ti chiamo.» «Grazie, signora Greene. Riposi bene.» Sam scese dalla macchina e McKinley sbadigliò, mostrando una chiostra di denti perfetti. Sam bussò al finestrino. «È meglio che scendi, Andy. Il minimo che posso fare è offrirti un caffè. Altrimenti ti addormenterai al volante.» McKinley annuì, soffocando un altro sbadiglio. «Grazie, signora Greene. Non vorrei rovinare la Lexus.»
Sam prese le chiavi nella borsa, aprì la porta e si diresse in cucina. Si fermò di botto: davanti al frigo aperto c'era un adolescente con indosso solo un paio di mutande color porpora che beveva latte direttamente dalla bottiglia. «E tu chi cazzo sei?» gridò Sam. Al ragazzo andò il latte di traverso, e lo sputò sul pavimento piastrellato. «Che cazzo ci fai nella mia cucina?» Il ragazzo si piegò e tossì, spruzzando altro latte sul pavimento. Non riusciva a riprendere fiato, e ogni volta che cercava di parlare ricominciava a tossire. «Cosa succede, signora Greene?» McKinley arrivò di corsa. «Chi è?» chiese vedendo il ragazzo. Trisha scese le scale indossando solo una maglietta che le arrivava alle ginocchia. «È un mio amico.» «Un tuo amico? E cosa ci fa in cucina?» «Avevo sete» riuscì a dire il ragazzo. McKinley gli tolse dalle mani la bottiglia di latte e la rimise nel frigorifero. Sam rivolse alla figlia uno sguardo furioso. «Trisha, cosa ci fa lui qui?» «Stavamo studiando.» «Si vede» disse Sam, indicando il ragazzo in mutande. «Non è riuscito a trovare un taxi.» «E ha anche perso l'uso delle gambe?» Il ragazzo si raddrizzò e fece un mezzo tentativo di ravviarsi i capelli. «Mi chiamo Ken» disse, tendendo la mano. Sam lo ignorò. Lui tese la mano a McKinley, il quale si limitò a scuotere la testa. «Abita lontanissimo, mamma.» «Non posso proprio fidarmi di te, eh?» Trisha socchiuse gli occhi. «Guarda che sei tu quella che è stata fuori tutta la notte.» Indicò McKinley con uno scatto del pollice. «Con lui.» Uscì dalla cucina e salì le scale di corsa. Ken fece un sorriso imbarazzato. «È inutile piangerci sopra, no?» Sam lo fissò, accigliata. «Cosa?» Ken indicò il pavimento. «Inutile piangere sul latte versato.» «Vai a prendere i tuoi vestiti e sparisci» gli ordinò Sam, disgustata. Il ragazzo non si mosse, come un coniglio paralizzato dai fari di un'auto. Solo quando McKinley fece un passo verso di lui corse in soggiorno. Sam lo seguì. I suoi vestiti erano su una sedia e su uno dei divani c'erano un lenzuolo e un cuscino. «Hai dormito qui?» chiese Sam.
Ken annuì, cercando allo stesso tempo di infilarsi i jeans. Sam si guardò intorno. C'era una pila di libri di scuola sul tavolino. Il cellulare di McKinley squillò e lui uscì nel giardino posteriore per rispondere. Sam salì e bussò alla porta di Trisha. «Trish?» «Va' via.» «Trish, voglio solo parlarti.» Sam aprì la porta. Trisha era seduta sul letto, con una spazzola per capelli in mano. «Questa è la mia stanza. Avrò diritto a un po' di privacy, no?» «Tu hai quindici anni e io sono tua madre.» «Questo significa che io non ho nessun diritto, giusto?» Sam si sedette sul letto accanto a lei. «Certo che hai dei diritti. Ma io ho il diritto di preoccuparmi per te.» «Pensi subito al peggio. Hai creduto che fossi andata a letto con Ken.» «Cosa ti aspettavi? L'ho sorpreso in cucina in mutande!» «Be', non abbiamo fatto sesso. Lui voleva, ma io ho detto di no. Ricorda che sei stata tu quella che ha fatto sesso da minorenne.» «Cristo, ma avevo diciassette anni.» «Ai tuoi tempi era illegale. Perciò non scagliare la prima pietra, va bene?» «Trisha, ti ho raccontato quell'episodio come esempio di ciò che è meglio non fare. Se potessi tornare indietro...» «Cosa? Saresti stata ancora vergine quando hai conosciuto papà? E anche se fosse, sarebbe stato tanto meglio?» «Come siamo finite a parlare di me? Stavamo parlando di te.» «Mi hai accusata di essere andata a letto con Ken, e io ho puntualizzato che da adolescente tu non eri esattamente una santarellina.» «Allora gli adolescenti non esistevano. Un giorno eri una bambina, e il giorno dopo ti ritrovavi adulta.» «E per fare la transizione bastavano un paio di birre...» Sam sospirò, esasperata. «Ti ho raccontato quella storia perché speravo che ti aiutasse a capire i pericoli. Non perché continuassi a rinfacciarmela.» «Ma capisci quello che voglio dire?» Sam annuì. «Sì. Mi dispiace di essere saltata subito alle conclusioni. Avrei dovuto concederti almeno il beneficio del dubbio.» Trisha sorrise. «Scuse accettate.» Strinse gli occhi. «E tu dove sei stata?»
«Era per affari.» Trisha si girò dall'altra parte, e Sam le mise una mano su un ginocchio. «Davvero.» «E quali sarebbero gli affari che ti costringono a uscire in piena notte?» Sam esitò. Non voleva mentire a sua figlia, ma non poteva neppure dirle dove aveva passato la notte. Trisha prese il silenzio come un'ammissione di colpa. «Visto? Hai passato la notte con lui e ti permetti di sgridare me perché ho fatto dormire Ken sul divano. Sei un'ipocrita!» «Non è così.» «Invece è proprio così.» Trisha si alzò. «Devo prepararmi per andare a scuola.» «Trisha...» La ragazza sbatté la porta del bagno e Sam si guardò nello specchio del tavolino da trucco. Intorno alla cornice c'erano diverse fotografie: Trisha con Sam, con Laura e con Jamie. Nessuna foto di Terry. Sam sospirò. Scese proprio mentre Ken si dirigeva verso la porta d'ingresso abbottonandosi la camicia. Il ragazzo aprì la bocca, ma Sam scosse la testa. Non voleva sentirlo. Lui uscì, con lo zainetto ballonzolante sulla schiena. McKinley entrò dalla porta della cucina, si infilò in tasca il telefonino e disse: «Abbiamo un problema, signora Greene». «Puoi dirlo forte, Andy» replicò Sam. «No, parlo di un problema serio.» «Più serio del sequestro di quattro tonnellate di hashish?» McKinley parcheggiò davanti a un vecchio edificio in mattoni non lontano dalla stazione di Paddington. Le finestre al piano di sopra erano state imbiancate dall'interno, mentre quelle al pianterreno erano sbarrate da assi inchiodate. Sembrava un posto abbandonato, ma davanti c'erano tre furgoni Transit nuovi e una mezza dozzina di macchine. McKinley scese e tenne la porta aperta a Sam. Lei accese una sigaretta e guardò in giro. «Bel posto» commentò. «È un posto dove la gente non fa troppe domande» rispose McKinley. «Attenta a dove mette i piedi, il pavimento è un po' sconnesso.» Sam lo seguì lungo una rampa di scale invasa dalle erbacce che si erano fatte strada tra il cemento e i mattoni. McKinley bussò alla porta di metallo in cima alle scale. Dopo alcuni secondi una voce chiese: «Chi è?». «Chi cazzo credi che sia?» gridò McKinley. «Non rompere i coglioni e
apri la porta.» Rivolse a Sam un sorriso di scuse. «Perdoni il linguaggio, signora Greene.» La porta si aprì e apparve un uomo robusto in giaccone da lavoro. «È un po' tardi per fare i diffidenti, no?» disse McKinley. Si voltò verso Sam. «Signora Greene, lui è Kim Fletcher. Lavora per Terry.» Fletcher sorrise e tese la mano. «Piacere di conoscerla, signora Greene.» Sam gli strinse la mano. Fletcher aveva più di quarant'anni, i capelli brizzolati e un bel sorriso guastato dalla mancanza di due denti sul davanti e dal sangue che gli macchiava le labbra. L'occhio sinistro era quasi chiuso, e l'orecchio destro era gonfio. «Mi dispiace per Terry. Non avrebbero dovuto condannarlo.» «Non siamo in visita di cortesia, Kim» disse McKinley. «La signora ha parecchie cose da sistemare, al momento, perciò non perdiamo tempo, va bene?» Fletcher annuì e li fece entrare, chiudendo la porta di metallo alle loro spalle. Nel magazzino c'erano scaffali di metallo alti fino al soffitto, pieni di alcolici di tutti i tipi e di tutte le marche: liquori, vini, birre. Sam percorse una corsia, facendo scorrere la mano sulle casse di champagne. Ce n'era abbastanza da rifornire diversi supermercati. «È tutto di Terry?» chiese a McKinley. «Sì. Li porta dal continente e li vende a negozi di liquori e locali vari. George Kay ne prende una buona parte. Terry non gliene aveva parlato?» Sam scosse la testa, e gettò a terra la sigaretta che stava fumando, schiacciandola con il tacco della scarpa. «Una delle tante cose che il mio caro marito ha dimenticato di dirmi. Come funziona?» «È un giro regolare, tre volte alla settimana» spiegò McKinley. Tre furgoni, a volte di più, a seconda del bisogno. L'alcol arriva dalla Francia e lo vendiamo in tutta Londra. Un affare quasi legale.» «Quasi?» «È legale fino al momento in cui lo rivendiamo. Finché i nostri uomini insistono nel dire che è per consumo personale, la dogana non può fare nulla.» Sam sorrise, indicando le pile di casse che arrivavano quasi al soffitto. «Consumo personale?» «Be', lei adesso vede tutto insieme. Ma abbiamo portato qui questa roba un po' alla volta nel corso degli ultimi mesi.» «"Abbiamo" chi?»
«Gli uomini di Terry. Chi guida i furgoni dice che ha un matrimonio o un compleanno in famiglia e che alla festa verrà un sacco di gente. La dogana non può dire nulla.» Fletcher si avvicinò. «I ragazzi sono in ufficio» comunicò. Fece strada lungo la corsia, verso un cubicolo di cartongesso in fondo al magazzino. Dentro, tre uomini stavano in piedi intorno a un quarto, seduto su una sedia con la testa gettata all'indietro. Era un tizio sui trent'anni, con una zazzera cespugliosa, baffi e barba. Uno degli altri gli tamponò la faccia con un pezzo di tela e l'uomo emise un gemito. «Piantala, Ryser, è solo un taglio» disse l'altro. «Ma fa un male cane» ribatté Ryser. Aveva la faccia piena di lividi, le labbra gonfie e sanguinanti e un taglio sulla fronte. «È un fatto psicologico» disse l'uomo con il pezzo di tela in mano. «Fa male, cazzo» insisté Ryser. «Cosa succede?» chiese Sam a McKinley. I quattro si voltarono, sorpresi. «Io e Steve siamo stati rapinati» spiegò Fletcher, precedendo McKinley. «Rapinati in mezzo alla strada. E ci hanno anche dato un sacco di botte. Non so dove andremo a finire, di questo passo. Questo Paese diventa sempre peggio.» «Erano in sei» precisò Ryser. «Come minimo. Con delle fottute mazze da baseball.» «Ragazzi, moderate i termini. La signora è la moglie di Terry.» «Scusi, signora Greene» disse Ryser. «È stata un'esperienza un po' stressante. Steve Ryser» aggiunse, a mo' di presentazione. «Mi scusi, signora» lo imitò Fletcher. Prese un fazzoletto e se lo premette sulla bocca. «Chiedo scusa anch'io» disse l'uomo con il pezzo di tela. Era basso e quasi calvo, con una piccola cicatrice sulla guancia sinistra. Gettò a Ryser lo straccio e tese la mano. Roger Pike.» Sam gliela strinse. Gli altri due si presentarono come Pete Ellis e Johnny Russell. «Volete dirmi cosa è successo?» chiese Sam, rivolgendosi a Ryser, una volta terminate le presentazioni. «Siamo scesi dal traghetto, come sempre. Siamo arrivati alla rotonda, poi ci siamo separati, prendendo ciascuno una strada diversa per venire qui, per maggiore sicurezza. È un'idea di Terry.»
McKinley gli fece segno di tagliare corto e Ryser annuì, serio. «Bene, mentre siamo sulla strada ci affianca un furgone. Era blu, vero, Kim?» «Sì, blu scuro.» «Accanto al conducente c'è una bionda con un sorriso da fondere il burro, e tiene in mano una targa. La nostra targa. Così penso che evidentemente è caduta e loro l'hanno raccolta. Due buoni samaritani. Allora mi fermo.» McKinley alzò gli occhi al cielo e lasciò andare un sospiro esasperato. «Piantala, Andy» disse Fletcher. «Tu avresti fatto lo stesso.» McKinley si limitò a sospirare di nuovo. «Insomma, scendo» continuò Ryser, «e vado dietro al furgone. E porca puttana...» Fece una smorfia, sotto lo sguardo duro di McKinley. «Mi scusi, signora. Ma può immaginare la mia sorpresa, quando ho visto che la targa c'era. Proprio allora l'altro furgone si ferma e scendono questi tipi in passamontagna con le mazze da baseball, e cominciano a pestarci. Era una trappola.» «L'avevo capito» disse Sam. Poi, a McKinley: «Cosa hanno preso?». «Alcolici per un valore di circa diecimila sterline, e il furgone.» «E il mio portafoglio» aggiunse Ryser. «Mi hanno rubato anche il portafoglio.» McKinley lo zittì con uno sguardo e Ryser tornò a premere lo straccio sul taglio. «Qualche idea su chi può essere stato?» chiese Sam. «È un campo pieno di concorrenti, signora Greene» spiegò McKinley. «Abbiamo avuto problemi con altre ditte, di tanto in tanto, ma qui si tratta di altro. Con Terry dietro le sbarre, pensano che la nostra roba sia di chi se la prende. Bisogna estirpare le erbacce prima che crescano.» «Il giardinaggio non è tra i miei hobby» disse. Sam. «Se ci sono erbacce da estirpare può pensarci il mio caro marito.» Terry era steso sul letto e leggeva la Bibbia, quando l'agente capo Riggs apparve sulla porta della cella con due secondini al seguito. «Non starai diventando religioso, Greene?» chiese. «Leggo solo le parti dove dice: "Crescete e moltiplicatevi"» rispose Terry, senza alzare lo sguardo. «Molto spiritoso, Greene» disse Riggs, entrando e strappandogli la Bibbia dalle mani. La diede a un secondino. «Il permesso di lettura del signor Greene è revocato con effetto immediato. Per tutto il prossimo mese.»
«Non c'è problema, signor Riggs. So già come va a finire. Gli umili ereditano la terra. Perciò lei non avrà problemi.» «Scendi dal letto e fila in sala colloqui, Greene. Qualcuno vuole vederti.» Terry posò i piedi sul pavimento. «Chi?» «Non sono il tuo segretario, Greene. Muovi il culo.» Riggs si allontanò, lasciando i due agenti a scortare Greene al piano di sotto. L'agente alla destra di Terry si chiamava Dunne, un ex parà che sembrava abbastanza ragionevole. A differenza di Riggs, Dunne faceva il suo lavoro in modo rilassato, fermo ma gentile con i detenuti, anche se aveva la stazza necessaria per usare la forza quando era necessario. «Di chi si tratta, signor Dunne?» chiese Terry, sottovoce. «È il mio avvocato?» «Polizia» rispose Dunne. «Eccellente» mormorò Terry. La porta della sala colloqui era aperta e due uomini vestiti di scuro aspettavano con le spalle verso il corridoio. Udendo i passi degli agenti, si voltarono e Terry vide che si trattava di Welch e dell'ispettore Simpson. Welch fece un sorriso crudele e trionfante. Terry capì subito che qualcosa era andato storto nell'affare dell'hashish e provò un senso di freddo allo stomaco. «Ti trovo bene, Terry» esordì Welch. «Evidentemente il cibo della prigione è di tuo gradimento. Siediti.» «Preferirei stare in piedi» disse Terry. Gli occhi di Welch si fecero duri. «Ho detto siediti.» Terry sostenne il suo sguardo, poi lentamente prese una sedia e si sedette. Welch fece un cenno del capo in direzione dei due secondini e loro uscirono, chiudendo la porta. Terry incrociò le braccia e attese che fosse Welch a parlare. Ma l'ispettore capo sembrava non avere nessuna fretta. Terry sbadigliò in modo teatrale. «Reg Salmon ti manda i suoi saluti» disse alla fine Welch. Terry fece uno sforzo per restare indifferente. Mantenne sulle labbra un sorriso rilassato e fissò un punto dietro la testa di Welch. «Quattro tonnellate» scandì lentamente Welch. «Questo ti farà male, Terry. Molto male. Il mio capo dice che ho avuto un gran culo.» «Ricordati di dare trenta denari a chi ti ha passato l'informazione.» «Ah» esclamò Welch. «Quei prezzi non sono più attuali da molto tempo.» Guardò Simpson, per controllare che stesse prendendo appunti. «Pos-
so prendere la tua frase come un'ammissione di colpa, allora?» «Da quando ti importa qualcosa delle ammissioni di colpa, Raquel?» Welch annuì, pensoso. «Hai ragione. È più divertente quando vi dichiarate innocenti. La tua faccia quando il giudice ha letto la sentenza. Ah, era uno spettacolo.» «Abbiamo finito?» Welch si sedette di fronte a lui. «Quanto rendono quattro tonnellate, sulla strada, Terry? Quanti milioni, intendo dire. Di certo c'erano altri investitori. Dividi il rischio, dividi i profitti. Ma sono certo che una grossa fetta sarebbe andata a te. E scommetto che quei soldi ti servivano, vero? Ho sentito dire che hai gravi problemi finanziari. E nessun modo per risolverli. Per lo meno finché resti in galera.» Fece un ampio sorriso e si massaggiò il mento. «Salmon prima o poi parlerà. E tu ti beccherai altri dieci anni.» «Cosa intendi fare, torturarlo? È quello il tuo stile, vero, Raquel? Perché non te la prendi mai con uno tosto?» Welch si chinò in avanti, sempre sorridendo. «Come te, per esempio? È un'idea. Perché non provi a darmi un pugno, qui e ora? Sfoghi tutte le tue frustrazioni. Tu qui, la dolce Samantha fuori. Ti mancheranno molte cose, qui dentro, immagino. Cibo decente, le bevute con gli amici. E il sesso. Quello normale, intendo. Il sesso tra un uomo e una donna.» Terry fece il gesto di masturbarsi. «Cioè il contrario di quello che fai tu.» Gli occhi di Welch si indurirono, ma il sorriso non scomparve. «Vorrai di certo parlare con Samantha. Sentire la sua versione. Capire cosa è andato storto.» «Bau, bau, bau» disse piano Terry. «Non ti avrei creduto capace di nasconderti dietro una donna. Di mandare tua moglie a fare il lavoro sporco.» «Bau, bau, bau» ripeté Terry. «Sembri un cagnolino che non ce la fa più a trattenere la pipì. Va' ad alzare la gamba da qualche altra parte.» Il sorriso scomparve dal viso di Welch. «Credi di essere un duro, eh, Greene?» «Tutto è relativo, Raquel.» «Non sei niente. Sei un fottuto carcerato, che deve cagare in un secchio proprio come tutti i pedofili, i taccheggiatori e i ladri di macchine rinchiusi qui dentro.» Terry sorrise. «Ora c'è il bagno in carcere, non te l'avevano detto?» «Quanti anni hai, Terry? Cinquanta? Cinquantuno? Tra quindici anni sa-
rai in età da pensione, e sarai ancora dentro. Quando uscirai di qui avrai la dentiera, una protesi all'anca, e andrai al cesso sei volte per notte.» Terry si alzò di scatto, facendo cadere la sedia. Anche Welch si alzò in piedi e mise le mani avanti, credendo che Terry volesse aggredirlo. Terry sorrise vedendo la paura nel suo sguardo. «Cosa credi, Raquel, che ti darei uno schiaffo qui, con il tuo uomo presente e mezza dozzina di sbirri fuori dalla porta pronti a sbattermi in isolamento?» Fece un passo avanti, e Welch fece un passo indietro. «Quando ti schiaffeggerò, sarà fuori di qui. E ti farà male.» Welch si ricompose e gli puntò contro l'indice. «Mi hai minacciato.» Guardò Simpson. «L'hai sentito? Mi ha minacciato.» Terry gli rivolse un ghigno sprezzante, poi si voltò verso la porta. Simpson si spostò e Terry uscì senza dire una parola. Quella stessa mattina, sul tardi, McKinley accompagnò Sam al garage dove aveva portato la Saab per farla ripulire dai graffiti. Sam fu felice di vedere che non restava traccia della vernice gialla. Il meccanico che aveva supervisionato il lavoro era un irlandese minuto che zoppicava da una gamba. Non volle essere pagato, dicendo che doveva un favore a Terry. Sam informò McKinley che, avendo di nuovo la sua auto, intendeva andare subito a trovare la suocera. Si accordarono per vedersi il giorno dopo. Era bello essere di nuovo al volante, pensò Sam, dirigendosi verso Oakwood House. Era bello anche avere l'autista, ma a lei piaceva essere al timone del proprio destino. Quando entrò nella stanza di Grace, la trovò come al solito seduta davanti alla finestra, con le mani intrecciate in grembo. «Buon giorno, Grace» la salutò in tono allegro. La donna non reagì. Sul tavolo accanto a lei c'era un vassoio con pesce alla griglia, patate bollite e un bicchiere di succo d'arancia. «Grace, non hai mangiato» disse Sam in tono di leggero rimprovero. Prese una sedia e si sedette di fronte alla donna. Poi con una forchetta infilzò un boccone di pesce. «Sembra ottimo. Perché non ne assaggi un po'?» Sam le avvicinò la forchetta alla bocca. Grace aprì le labbra, lasciò che Sam le infilasse il boccone in bocca, e masticò meccanicamente, sempre guardando fuori dalla finestra. «Hai dormito bene, Grace?» Non ci fu risposta, e Sam, del resto, non se l'aspettava. Erano passati diversi anni da quando Grace Greene era ancora capace di una conversazione
sensata. «Io non ho dormito quasi per niente, sai?» disse Sam, infilandole in bocca un'altra forchettata di pesce. «Ho perso quattro tonnellate di hashish e sono sfuggita per poco all'arresto. Una notte infernale.» Grace sorrise, continuando a masticare e a guardare fuori. «Vedi, senza i soldi di quell'affare siamo praticamente rovinati. La casa, la macchina, il tuo posto qui... perderemo tutto. A meno che io continui a fare il gioco del tuo caro ragazzo. Una storia di soldi falsi dalla Spagna. Io dovrei organizzare il trasporto in Inghilterra. Cosa devo fare, secondo te?» Grace si voltò a guardarla e aggrottò la fronte. «Sei Laura?» «No, Grace, Laura è mia figlia. Io sono Samantha.» La porta si aprì ed entrò un'infermiera. Fu sorpresa di vedere Sam. «Oh, buon giorno, signora Greene. Ero venuta a ritirare il vassoio di Grace.» «Ci stiamo ancora lavorando» disse Sam, mostrandole la forchetta. «Torno dopo, allora.» L'infermiera fece per uscire, ma esitò e chiuse la porta. «Signora Greene, non sarebbero affari miei, ma la signora Hancock ha detto che voleva essere avvisata quando lei fosse venuta a trovare Grace. Vuole parlarle della retta.» Sam annuì. Dopo il disastro del Northumberland, non aveva idea di come avrebbe fatto a pagare i debiti. «Farà il suo giro tra cinquanta minuti circa» la informò l'infermiera. «Okay?» Sam sorrise con gratitudine e la ringraziò. Poi, quando la donna fu uscita, continuò a imboccare la suocera. A un tratto Grace si voltò verso di lei, con uno sguardo distante. «Abbiamo mangiato del salmone, vero? Salmone in salsa di crescione.» «Esatto» disse Sam. Un gran sorriso si disegnò sul viso di Grace. «La salsa era troppo salata. Però è stato un bel matrimonio. Tu e Terry stavate così bene, insieme.» «Vero che stavamo bene? Lo penso anch'io.» Grace aggrottò le ciglia e negli occhi le tornò il vuoto. Inclinò la testa di lato e guardò Sam con attenzione. «Tu chi sei?» Sam sospirò e le porse una forchettata di pesce. «Sono Samantha, Grace. Avanti, mastica bene.» Richard Asher parlava al telefono con le cuffie e camminava avanti e indietro come una pantera in gabbia, quando la segretaria fece passare Sam in ufficio. Laurence Patterson, che era seduto sul bordo della scrivania, si
avvicinò a baciare Sam sfiorandole solo la guancia, senza toccarla. Asher si congedò dal suo interlocutore e si tolse le cuffie. «Samantha, grazie per essere passata. Ho sentito che le cose sono andate... storte.» «Puoi dirlo forte, Richard» disse Sam. Si sedette su uno dei divani di pelle nera e si accese una sigaretta. Patterson si affrettò a porgerle un portacenere di cristallo. «Ci aspettavano. Sapevano esattamente dove e quando la roba sarebbe stata ritirata.» «E tu non sei stata... come dire... compromessa?» chiese Asher. «Presa con le mani nel sacco, vuoi dire? No, Richard. Altrimenti ora non sarei qui.» I due uomini si scambiarono un'occhiata e Sam ne comprese esattamente il significato. «Pensavate che fossi venuta qui per incastrarvi? Che avessi stretto un accordo con la polizia?» Asher e Patterson scossero la testa all'unisono. «Assolutamente no» negò Patterson. Asher estrasse da un cassetto della scrivania un piccolo metal detector. «Tanto per tranquillizzarci tutti, okay?» «Stai scherzando, Richard?» «Samantha, per favore. È solo una formalità.» Sam sospirò e si alzò in piedi. Asher le passò il metal detector su tutto il corpo. «Non hai intenzione di farmi anche un esame interno, vero Richard? Perché altrimenti devo avvertirti che non ho ancora avuto la possibilità di farmi una doccia.» Asher fece una smorfia, senza dire nulla. Terminò il controllo e si tirò indietro. «Scusa» disse. «Ma ormai non c'è più morale.» «Cosa è accaduto al codice d'onore dei ladri?» chiese Sam. «È passato di moda, come i capelli cotonati e i maxi cappotti» rispose Patterson. Aprì una porta scorrevole di vetro che dava su una terrazza affollata di piante. «Prendiamo un po' d'aria, okay?» La terrazza si affacciava sul distretto finanziario della città. C'era una piccola fontana con l'acqua che usciva dalla bocca di un delfino, e un tavolino ovale in ferro battuto con sei sedie. Su un lato c'era un piccolo giardino giapponese, con rocce lisce circondate da sabbia pettinata e una decina di bonsai su piedistalli di legno. Il perimetro della terrazza era circondato di piante verdi, collegate a un sistema di irrigazione automatico. In lontananza si vedeva la NatWest Tower, che faceva sembrare piccoli
gli altri grattaceli della City, affollati intorno a lei come pulcini intorno a una chioccia. «Che bella vista, ragazzi» esclamò Sam. «Vale quello che costa» disse Asher. «E costa un occhio, te lo assicuro.» Sam si voltò a guardarli entrambi. Patterson si era portato in terrazza la borsa e la poggiò sul tavolo. «Qual è ora la posizione finanziaria, Richard, dopo il... problema di stanotte?» chiese Sam. «Ci sono soldi solo in due conti correnti. Sei indietro di tre mesi con il pagamento dell'ipoteca. La banca non farà nulla, per il momento: non ti toglieranno la casa se non come ultima possibilità. Ma Laurence ha bisogno di fondi per continuare con il caso di Terry.» Sam si rivolse a Patterson. «Hai fatto qualche progresso?» «Samantha, in pratica ci sono due modi per far uscire Terry di galera» spiegò Patterson, facendosi indietro sulla sedia, come se stesse per iniziare una conferenza. «Niente evasioni in elicottero, Laurence. Non posso permettermelo.» Patterson accennò un sorriso, come uno zio condiscendente. «Speriamo che non ce ne sia bisogno, Samantha. Quello che ci serve è screditare le prove fornite dall'accusa, e dobbiamo dimostrare che Ricky Morrison mentiva quando ha affermato di aver visto Terry uscire dalla casa di Snow dopo aver udito gli spari. Se partiamo dal presupposto che le prove siano state falsificate da uno degli investigatori coinvolti nel caso...» «Raquel» lo interruppe Sam. Patterson annuì. «Raquel, certo. Se presumiamo questo, il modo più semplice è dimostrare innanzitutto che Morrison ha mentito. E se è stata la polizia a incoraggiarlo, ne segue che potrebbero anche aver falsificato le prove. O almeno, la Corte d'Appello potrebbe considerare le cose in questo modo. Il primo passo è trovare Ricky Morrison e devo dirti che finora non ci siamo riusciti. Sembra che sia stato inserito in un programma di protezione testimoni. Trovarlo costerà, Samantha. Costerà parecchio.» «Io ho una persona che ci sta già lavorando» intervenne Sam. Dalla strada arrivò l'urlo di una sirena dei pompieri. «Più siamo, meglio è» disse Patterson. «Ma la gente che ho assunto io ha bisogno di essere pagata. E al momento tu non hai le risorse necessarie.» Sam si accese una sigaretta. «Warwick Locke mi ha offerto cinquemila sterline per rilevare la quota di Terry dell'agenzia di modelle. L'assegno dovrebbe arrivare in questi giorni.» Patterson le rivolse uno sguardo sofferente. «Cinquemila sterline sono la
proverbiale goccia nel mare. Cinquantamila sarebbero appena sufficienti a coprire i costi della riapertura del caso di Terry.» Sam si incupì. Dove diavolo le trovava cinquantamila sterline? «So che è molto, Samantha. Ma è quello che costa. E non ho incluso l'onorario di Richard, né il mio. Dobbiamo riesaminare ogni singolo documento, riparlare con ogni testimone, rianalizzare le prove...» Sam vide compassione negli occhi dei due uomini e si rifiutò di lasciar trapelare la sua disperazione. «Troverò i soldi» disse, costringendosi a sorridere. «In un modo o nell'altro.» Patterson toccò la ventiquattrore sul tavolo. «Terry ti ha parlato dell'altra cosa?» «I soldi falsi? Sì. Gli ho detto che non li avrei toccati neppure con una pertica, ma questo era prima...» Non finì la frase. «E ora?» chiese Asher. «Ora credo di non avere scelta. Voi sapete esattamente cosa ha in mente Terry?» «Non tutto» rispose Asher. «Ci ha detto solo lo stretto necessario.» Patterson aprì la valigetta. «Ma ci ha detto che se tu avessi deciso di andare avanti dovevamo darti questo.» Prese un bloc-notes e glielo porse. Sam lo aprì. Asher andò ad affacciarsi dal parapetto, come se volesse prendere le distanze da quel bloc-notes e da qualunque cosa ci fosse scritta sopra. «Perché ho sempre la sensazione di essere manovrata?» chiese Sam. «Terry ha solo cercato di pianificare le cose al meglio, Samantha» disse Patterson, chiudendo la valigetta e facendo scattare le due serrature. «Di anticipare i problemi.» «Sì? A me sembra che li stia causando.» «Samantha, tu hai ancora quella Saab?» chiese Asher, guardando di sotto. «Cristo, cosa c'è ancora? Non l'avranno imbrattata di nuovo, spero.» «La stanno portando via con il carro attrezzi.» Sam imprecò e corse via, gridando che si sarebbe tenuta in contatto. Durante la discesa in ascensore batté incessantemente il bloc-notes contro una gamba. Quando arrivò in strada, la Saab era già stata agganciata e sollevata. Un vigile caraibico in una divisa troppo stretta stava premendo i tasti di un palmare. Sam gli si avvicinò. «Mi scusi, ero in riunione. Avevo messo i soldi nel parchimetro, forse non erano abbastanza?» «Ora è troppo tardi, signora» rispose il vigile, senza distogliere gli occhi
dal palmare. «Ma non devono essere passati più di dieci minuti.» «Non posso fare più nulla una volta che le ruote hanno lasciato l'asfalto.» Infilò il palmare in un fodero di pelle, come uno sceriffo che mette via la pistola. «Potrà riprendere la sua auto al deposito tra un'ora circa.» «Non può fare finta che io sia arrivata un minuto prima? Questa è già una giornata infernale, per me.» «Oh, anche per me, glielo assicuro, signora.» Due caraibici cominciarono ad attaccare le catene alla Saab. «Ascolti, ho davvero bisogno della macchina. Per favore, non mi faccia questo.» Il vigile incrociò le braccia sul petto e la fissò con uno sguardo spassionato. «Signora, mi sta facendo perdere tempo. Io faccio solo le multe. Una volta che la macchina è stata ritirata dal carro attrezzi, la cosa non è più nelle mie mani.» Sam provò un'ondata di rabbia per l'ingiustizia che stava subendo. «Sua madre sarà orgogliosa di lei. Il figlio in uniforme, una cosa che scalda il cuore...» Capì dall'espressione indifferente del vigile che qualunque cosa avesse detto per lui sarebbe stata uguale. Del resto, con il lavoro che faceva, doveva essere abituato a ricevere insulti. Sam gli voltò le spalle e si allontanò, furiosa. Chiamò Andy McKinley e lui le assicurò che sarebbe arrivato nel giro di mezz'ora. Sam si sedette ad aspettare in un bar, bevendo un espresso mentre leggeva il bloc-notes. La maggior parte delle pagine erano bianche. La grafia stretta di Terry riempiva solo le prime sei. Era scritto in tono colloquiale, e le sembrava quasi di vedere Terry mentre pronunciava quelle parole. Era un discorso pieno di "amore", "tesoro" e "scusami" ma il succo era che Terry aveva pagato duecentocinquantamila sterline a una mafia spagnola che poteva fornirgli banconote perfettamente contraffatte. Il profitto era dieci volte maggiore dell'investimento. Un totale di due milioni e mezzo di sterline false gli sarebbero state consegnate a Malaga. Ma bisognava che qualcuno andasse in Spagna a ritirarle per portarle in Inghilterra. «E con me in galera, amore, mi dispiace doverti dire che quella persona devi essere tu» aveva scritto Terry. Sam scosse la testa. "Sei un vero bastardo, Terry Greene" mormorò, e bevve un sorso di caffè. C'era un numero di telefono da chiamare in Spagna, per avere la conferma che la consegna era pronta, e una serie di istru-
zioni su come portare in patria i soldi. Infine, un elenco di possibili autisti con i relativi numeri di telefono. Sam si guardò in giro nervosamente. Quella che aveva tra le mani era una guida completa al traffico di denaro falso, e non voleva neppure pensare a cosa poteva succedere se la polizia gliel'avesse trovata addosso. Infilò rapidamente il bloc-notes nella borsetta. Fumò una sigaretta e bevve un altro caffè, chiedendosi quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Far uscire Terry di prigione era la priorità assoluta. Una volta fuori, lui avrebbe potuto occuparsi di persona del lavoro sporco, e Sam avrebbe potuto recuperare almeno una parvenza di vita normale. Ma il risultato non era garantito, dipendeva dal trovare cinquantamila sterline, e l'unico modo per ottenerle era quello di andare in Spagna a ritirare del denaro contraffatto. Era un circolo vizioso, e la ricerca inutile di una via d'uscita le faceva girare la testa. Frank Welch mise la freccia e svoltò nel parcheggio della stazione di servizio dell'autostrada. Welch odiava gli informatori. E odiava ancora di più il fatto di dover dar loro dei soldi. Sapeva che si trattava di un male necessario, ma dover avere a che fare con loro lo faceva sentire sporco. Era in ritardo, ma sapeva che l'uomo con cui doveva incontrarsi lo avrebbe aspettato. Fece lentamente il giro del parcheggio finché vide la Rover e si fermò nel posto accanto. George Kay abbassò il finestrino mentre Welch scendeva. «Credevo che avessimo detto le due e mezzo» esordì, tendendo la mano. Welch ignorò la mano tesa e salì sul sedile del passeggero. «E io credevo che Samantha sarebbe stata lì» ribatté Welch. «È quello che aveva detto a noi» replicò Kay, rialzando il vetro. «Invece non c'era. E Reg Salmon e gli altri non parlano. Io non ho un cazzo di cui accusarla.» «Non è colpa mia» si giustificò Kay. «Le ho detto dove e quando sarebbe arrivato il carico, le ho dato tutte le informazioni di cui aveva bisogno.» «Ciò di cui avevo bisogno io, grassone del cazzo, era di cogliere Samantha Greene in flagrante.» Kay restò a bocca aperta e cominciò ad ansimare. Prese da una tasca della giacca il suo inalatore e aspirò una lunga boccata. «Non la prenda come un fatto personale, signor Welch.» Welch scosse la testa. «Questo è un fatto personale, Kay. Non permetterò a Samantha Greene di prendermi per il culo. Voglio sapere esattamente cosa sta tramando.»
Kay mise via l'inalatore. «Non sarà facile, signor Welch. Nell'affare dell'hashish ero coinvolto fin dall'inizio. Ma qualunque altra cosa abbia in mente Terry, io non c'entro e quindi non ne so nulla.» «Allora faccia in modo di entrarci.» Kay sospirò. «Farò quello che posso, signor Welch, ma Sam non è stupida. Se le faccio troppe pressioni capirà che ho in mente qualcosa.» Welch lo fissò con disprezzo. «E cosa ha in mente, Kay?» «In che senso?» «Quanto ha perso, con questo affare? Centomila sterline?» Kay alzò le spalle, ma non disse nulla. «Quello che le do io non compensa affatto una perdita del genere.» «Non lo faccio per i soldi, signor Welch.» «Ah, capisco, lo fa per spirito civico. Ho un tatuaggio con scritto "coglione" sulla fronte, Kay?» si toccò la tasca della giacca. «O mi sta dicendo che questi soldi posso tenermeli?» «Signor Welch...» gemette Kay. Welch prese la busta e gliela diede. «Quanto c'è qui dentro?» chiese Kay, soppesandola senza aprirla. «Quello che avevamo stabilito. Anche se non lo meriterebbe, con Sam Greene ancora a piede libero.» Kay mise via la busta, come temendo che l'ispettore potesse cambiare idea. «Comunque la mia perdita non si avvicina neppure a centomila sterline» disse. «La maggior parte dei soldi li avevano messi Terry e Micky Fox.» «Ma non deve essere stata leggera neppure per lei, Kay.» Welch si accigliò. «Vuole che Terry resti a corto di soldi, vero? Perché? Così potrà rilevare la sua banda e diventare il nuovo padrino della zona ovest di Londra? Spero che non sia questo il suo piano, Kay, perché in tal caso finirà dietro le sbarre con Greene. Essere il mio informatore non le garantisce nessuna impunità. Vendere alcolici importati senza pagare il dazio e ricavare profitti dalla prostituzione è una cosa, ma se prende le redini delle attività di Terry Greene farà un grosso salto.» «Voglio solo i locali notturni, signor Welch. Sul serio. E non sto neppure chiedendo una cosa che non è mia di diritto. Sono io che li gestisco, no? Terry ci viene solo a bere.» «Non più» rise Welch. «È quello che voglio dire. È dietro le sbarre, e non mi sembra giusto versargli la metà dei profitti tutti i mesi. Voglio solo quello che mi spetta,
nient'altro.» «Quindi pensa che quando avrà un disperato bisogno di soldi glieli venderà per un tozzo di pane? Lei è un subdolo bastardo, Kay.» «Detto da lei, signor Welch, lo prendo come un complimento.» Terry non era in sala visite quando Sam arrivò e dovette aspettarlo per un quarto d'ora. Lui la baciò su una guancia e si sedette. «Mi dispiace, amore, lo fanno apposta.» «Cosa è successo?» «Lo chiamano "cella-strip". Hanno perquisito ogni cosa.» «Perché?» «In teoria cercavano cose introdotte in carcere illegalmente. Droghe, alcol, schede telefoniche, roba del genere. Ma in realtà volevano solo darmi fastidio. Hanno strappato alcune foto, rotto il mio specchio, vuotato il dentifricio nel cesso...» Terry sorrise. «Ma va bene così. Non mi aspettavo certo un villaggio turistico. E tu come stai?» «Perché non mi hai detto del contrabbando di alcolici, Terry?» «Contrabbando di alcolici?» «Non fare l'innocente con me, Terry Greene.» Sam gli disse della rapina subita da Ryser e Fletcher. Terry bestemmiò e batté la testa sul tavolo. Diverse facce si voltarono nella loro direzione e Terry si raddrizzò, alzando le mani per mostrare che non stava creando problemi. «Sai cosa detesto, Terry?» «Gli uomini grassi in reggicalze e tacchi alti?» Sam gli rivolse uno sguardo di fuoco e Terry alzò di nuovo le mani. «Okay, okay, scusa. Cosa detesti?» «Il fatto che mi fai vedere solo piccole parti del quadro. Un pezzetto alla volta. Prima mi dici dell'hashish, poi ricevo il bloc-notes con le spiegazioni dettagliate sui soldi falsi. E ho saputo degli alcolici solo perché c'è stato un problema.» «Be', credevo che Russell e Pike avessero tutto sotto controllo.» «Non è questo il punto, Terry. Il punto è che tu mi dici solo quello che vuoi farmi sapere. Tutto il resto è mistero. Cosa c'è, non ti fidi di me?» Terry cercò di prenderle una mano, ma Sam non si lasciò toccare. «Certo che mi fido di te. Di chi altri potrei fidarmi?» Sam si coprì la faccia con le mani. «Non so quanto posso ancora sopportare tutto questo.»
Terry si chinò in avanti, preoccupato. «Amore, andrà tutto bene.» Sam sbuffò piano. «È quello che ha detto Jamie quando la giuria stava per leggere il verdetto.» «Ma stavolta sarà diverso, te lo prometto.» «Non puoi promettere una cosa del genere, Terry.» Sam fece due respiri profondi e si ricompose. Terry sembrava sinceramente preoccupato, ma lei scosse la testa. «Sto bene.» «Sul serio?» Sam annuì. «Bisogna sistemare questa faccenda dell'alcol» disse Terry. «Dobbiamo scoprire chi è stato e schiacciarlo senza pietà.» «Quando dici "dobbiamo" stai usando il plurale maiestatis, vero?» Terry scrollò le spalle e tese le mani con i palmi verso l'alto. «Qui dentro non posso fare molto, amore. E fuori, l'unica persona di cui posso fidarmi sei tu. Qualcuno deve averci tradito, per l'hashish. Se lasciamo perdere la storia dell'alcol, lo vedranno come un segno di debolezza e colpiranno di nuovo. Chiamerò Russell e gli darò istruzioni, ma tu devi tenerli d'occhio. Andy McKinley ti aiuterà.» Sam non disse nulla. Voleva disperatamente una sigaretta, ma in sala visite era proibito fumare. «La storia in Spagna è semplicissima, Sam» disse Terry. «L'avevi detto anche per l'altra. Terry, se mi avessero presa mi avrebbero dato dieci anni.» Si chinò in avanti e abbassò la voce. «Ora vuoi che introduca soldi falsi nel Paese. Non si può aspettare?» «Il fatto è che non si tratta di un investimento solo mio. Ci sono dentro anche altri. Micky Fox, per esempio. Il quale vorrà recuperare presto le perdite dovute al fiasco in Northumberland.» «Terry, mi sa che non hai capito quanto è difficile la situazione. La banca minaccia di riprendersi la casa. Le tasse universitarie di Jamie non sono state pagate. A Oakwood House vogliono gettare tua madre in mezzo a una strada. Noi abbiamo bisogno di soldi ora. Non la prossima settimana o il prossimo mese. Ora. E l'unica cosa in arrivo sono cinquemila sterline da parte di Warwick Locke.» Terry aggrottò la fronte. «Cinquemila? Per cosa te le dà?» «Per rilevare la tua parte dell'agenzia di modelle.» «Cosa?! Sam, il mio cinquanta per cento dell'agenzia vale ben più di questo!» «Warwick dice di no.»
«Warwick dice una stronzata.» «Credevo fosse tuo amico.» «Lo credevo anch'io.» Terry scosse la testa. «Non puoi fidarti davvero di nessuno al giorno d'oggi.» «Mi ha detto che l'attività sta andando male.» «L'ultima volta che ho controllato i libri contabili andava bene.» Terry posò i palmi delle mani sul tavolo di fòrmica. «Okay, se hai bisogno di contanti, George Kay ha in consegna circa diecimila sterline mie.» «Non ne ha parlato, quando ci siamo visti.» «Be', ora puoi parlargliene tu. Digli che ne hai bisogno. Anche Blackie avrà bisogno di essere oliato. E ci saranno delle spese per l'affare spagnolo.» Sam si accasciò sulla sedia. Si sentiva esausta. «Non è giusto» sospirò. «Io avevo una vita. Avevo superato la nostra separazione.» Terry sorrise. «Non l'avevi superata.» Sam rise, dura. Terry si chinò verso di lei, con un'espressione seria. «I miei sentimenti per te non sono mai cambiati.» «E il tuo scopare in giro cos'era, allora?» replicò Sam, sarcastica. Respirò a fondo. «Io avevo solo accettato di fornirti un alibi per quella notte. E ora tu mi stai trascinando in cose che...» scosse la testa, cercando di organizzare i pensieri. «La situazione mi sta sfuggendo di mano.» «Puoi farcela, Sam.» «Stavolta sarà meglio che tu mi abbia detto tutto.» «Lo giuro sulla testa di mia madre.» Sam gli rivolse un'occhiata severa. «Non trascinare Grace al tuo livello, Terry.» Terry fece un gesto di scusa. «Se c'è una cosa qualsiasi, un altro affare di cui non mi hai parlato, verrò a vederti penzolare dalla forca, Terry Greene.» «Non sapevi che la pena capitale è stata abolita?» «Poi non dire che non sei fortunato.» «Ehi...» Terry le rivolse uno sguardo ferito, ma Sam non si lasciò impressionare. «Sei un bastardo.» «Mi farò perdonare quando uscirò, amore» disse lui, serio. «Te lo prometto. Righerò dritto. Solo attività legali.» «Vedremo» replicò Sam. «Vedremo.»
Di giorno, il Lapland era un posto triste e sporco. Con tutte le luci accese rivelava il suo lato peggiore. Le poltrone di velluto porpora nei séparé erano sbiadite e strappate, i tavoli graffiati e la moquette disseminata di bruciature di sigarette. Una donna delle pulizie stava passando l'aspirapolvere, mentre un uomo in salopette da lavoro era inerpicato su una scala per cambiare una lampadina. Qualcuno aveva spruzzato in giro un deodorante al limone, che però non riusciva affatto a mascherare l'odore di fumo stantio. George Kay era dietro il banco, intento a contare le bottiglie. Si voltò udendo i passi di Sam. Vedendola fece una faccia preoccupata, ma subito sorrise. «Sam, che piacevole sorpresa.» Uscì da dietro il banco e la baciò su una guancia. «Non avevamo un appuntamento, vero?» «È una visita volante, George. Come vanno le cose?» «Bene.» Accennò ai liquori dietro il banco. «Se non conto tutte le bottiglie mi lasciano in mutande.» «Già, non puoi fidarti di nessuno, di questi tempi, vero?» Il sorriso di Kay si indurì. «Allora, cosa posso fare per te? O è una visita di cortesia?» «Terry dice che tu hai dei soldi suoi.» Kay socchiuse gli occhi. «Ha detto così?» «Già, e francamente sono un po' delusa che tu non me ne abbia parlato quando ci siamo visti l'ultima volta, George.» Kay prese l'inalatore e aspirò una lunga boccata. Poi si batté il petto e lo mise via. «Andiamo in ufficio.» Sam lo seguì. Kay ansimava a ogni passo. Le tenne aperta la porta e Sam dovette passargli così vicino che sentì il suo odore. Si sedette sul divano e accese una sigaretta, mentre Kay prendeva posto nella poltrona dietro la scrivania. Appena vide la sigaretta si accigliò, ma non disse nulla. «Terry dice che hai diecimila sterline sue» ribadì Sam. «È capitale investito, Sam. Nell'attività.» «Non è quello che sostiene Terry. Mi ha detto che si tratta di soldi che ti ha lasciato in consegna per i tempi duri. E credimi, George, più duri di così si muore.» Kay portò una mano alla guancia. Aveva la fronte increspata di rughe. «Sam, mi dispiace, ma non li ho. Non subito.» «E dove sono?» «Sono... nell'attività, come ti ho detto. Il capitale viene e va. Fornitori da
pagare, stipendi dei collaboratori...» «George, quanto incassi ogni sera? L'ultima volta che sono venuta c'era una lunga coda, fuori.» «Spese di gestione, Sam.» «Balle, George.» «Non voglio litigare con te, Sam, per favore.» «Non stiamo litigando. Ma sai bene cosa ti farà Terry se non mi dai i suoi soldi.» Kay si irrigidì. «Sembra una minaccia.» «Conosci Terry.» «Ma lui non è qui.» «Osservazione molto perspicace, George. Ma ha parecchi amici fuori dal carcere.» «Come McKinley. Ho sentito che ora lavora per te.» Sam non disse nulla. Soffiò il fumo verso il soffitto e continuò a fissarlo. Kay tamburellò le dita sulla scrivania. Il viso brillava di sudore. Alla fine abbassò lo sguardo. «Posso darti alcune migliaia di sterline, oggi» disse. «Il resto è investito nell'attività.» «Disinvestilo. E subito.» Kay si tirò su a fatica e si avvicinò a un poster incorniciato che mostrava due bionde dai corpi intrecciati insieme. Dietro il poster c'era una cassaforte. La aprì e prese un fascio di banconote da venti sterline. «Sai, ho pensato alla tua offerta di acquistare la quota di Terry.» Sam tese la mano e Kay le porse i soldi. Lei fece scorrere il dito sul bordo delle banconote. Quanto c'è qui, George?» «Duemila.» «Hai detto "alcune migliaia". Due non è "alcune". Due è un paio. Terry ha detto dieci.» «Ti darò le altre otto, Sam. Appena possibile. Ricorda che ho avuto una bella perdita per l'affare dell'hashish.» «Anch'io.» Sam mise il denaro nella borsa. «Pensavo che potrei proporre un affare a Terry. Comprare la sua parte. Questo risolverebbe il tuo problema di liquidità, no? Voglio dire, non posso pagare il massimo del prezzo di mercato, con la perdita che ho appena avuto, ma sono certo che potremmo arrivare a un accordo soddisfacente.» «Ne parlerò a Terry la prossima volta che lo vedo.» «Sai se ha qualcos'altro in mente?» Sam socchiuse gli occhi. «Cosa intendi dire, George?»
«Be', qualche altra... opportunità di fare soldi. Ho bisogno di recuperare le perdite.» «Devi parlarne con lui. Va' a trovarlo. Sono certa che sarà felice di vederti.» Kay annuì. Tornò alla cassaforte, la chiuse e rimise a posto il poster. «So che è un momento difficile per te, Sam.» «Grazie dell'empatia, George.» Kay tornò a sedersi dietro la scrivania. Prese l'inalatore e cominciò a giocherellarci, sorridendo in modo amichevole. «Te lo dico con tutto il cuore, Sam. Ho sempre avuto un debole per te, lo sai. Se hai bisogno di qualcuno con cui parlare...» Sam accavallò le gambe e vide Kay seguire con gli occhi il movimento. Faticò a contenere l'irritazione. Era venuta lì per avere dei soldi, non per farsi abbordare da un grassone che in teoria era amico di Terry. «L'unica cosa di cui mi interessa parlare in questo momento riguarda il resto del denaro di Terry.» «Nella vita non c'è solo il denaro, Sam.» Kay aspirò una boccata dall'inalatore. «Dovresti venire qui una sera. Bere dello champagne, cenare, rilassarti... Socializzare, insomma. Una donna come te non dovrebbe stare da sola.» Sam si alzò in piedi. Si sentiva sporca e non voleva passare un minuto di più in quell'ufficio. «Chiamami quando hai i soldi, capito?» Mentre usciva senza voltarsi sentì il rumore dell'inalatore di Kay. Sam salì in macchina e sospirò. «Come è andata, signora Greene?» domandò McKinley. «Abbastanza bene, immagino.» Sam chiuse gli occhi e poggiò la testa sullo schienale. «Qual è la tua opinione su George Kay, Andy?» chiese. McKinley non rispose, Sam aprì gli occhi. «Cos'è, il codice d'onore delle guardie del corpo?» Lo vide sorridere nello specchietto. «Mettiamola così, signora Greene. Gli ha stretto la mano?» «No.» «Bene, allora non ha bisogno di contarsi le dita.» McKinley accese il motore. «Dove andiamo?» Sam guardò l'orologio. Era quasi mezzogiorno. «Voglio andare da Blackie.» «Sarà contento di vederla.»
«È possibile, ma il fatto è che devo tirare fuori Terry di galera, e Blackie è l'unico che può aiutarmi.» McKinley la lasciò dietro l'angolo della stazione di polizia dove lavorava Blackie. Sam chiamò il sovrintendente al cellulare, mentre si avviava verso l'ingresso. «Blackie» disse, «sono Sam Greene.» «Come diavolo ti viene in mente di chiamarmi in ufficio?» sibilò Blackie. «Se preferisci posso farti chiamare da Terry, ma per te sarebbe un po' imbarazzante, non credi?» «Non è divertente, Sam.» «Infatti non sto ridendo. Sono qui fuori, Blackie. E se non arrivi tra cinque minuti, entro e chiedo di te al poliziotto di turno.» Sam riagganciò e si accese una sigaretta. Ne aveva fumata appena metà quando Blackie uscì di corsa, infilandosi il cappotto. «Che cazzo ci fai qui, si può sapere?» «Se Maometto non va alla montagna...» «Sarai contenta solo quando mi vedrai in galera con tuo marito, vero?» Blackie controllò a destra e a sinistra. «Vieni, non possiamo restare qui.» «Ti vergogni di me, Blackie?» L'uomo sbuffò e si avviò verso la strada principale. Sam si affrettò a seguirlo. Blackie svoltò in un giardino pubblico. Continuava a guardarsi intorno, nel timore che qualcuno potesse vederli. «Blackie, vuoi rilassarti? Così hai un atteggiamento sospetto.» «Tu sei la moglie di un assassino condannato dal tribunale. Cosa credi che penserà chi mi conosce, se mi vede con te?» «Perché, non parli mai con i criminali? Sei un poliziotto, no? Di' loro che sono una tua informatrice.» Blackie sbuffò di nuovo e si diresse verso un laghetto. Sam lo seguì. «Ascolta, Blackie, io ho bisogno di parlare con Morrison. Lui ha detto di aver visto Terry uscire dalla casa di Snow dopo l'omicidio. Io voglio sapere perché ha mentito. E se devo causarti qualche disagio per arrivare alla verità, cazzi tuoi.» Blackie si voltò a guardarla. «Morrison è stato inserito in un programma di protezione testimoni: nuova identità, casa sicura e tutto il resto.» «Tu sai dov'è?» «Non puoi vederlo. Fine della storia. Se ti lascio parlare con lui, Welch lo saprà e io sarò nella merda.»
«Ma sai dov'è, sì o no?» Blackie la fissò con odio, poi le voltò le spalle e si allontanò. «Non puoi continuare a scappare, Blackie» gli gridò dietro Sam. Prese una busta gialla dalla borsa e la sollevò. «Soprattutto se vuoi che distrugga queste.» Blackie non si voltò. «Fai pure il macho, ma se queste arrivano sulla scrivania del tuo capo, la tua carriera finisce nel cesso.» Blackie si fermò. Si voltò lentamente e puntò lo sguardo sulla busta. «Che cazzo è quella?» Sam non rispose. Si fissarono come due pistoleri, aspettando ciascuno la mossa dell'altro. Blackie strinse i denti e si avvicinò a Sam. Le strappò la busta dalle mani e l'aprì. Dentro c'erano le foto in bianco e nero che Sam aveva trovato nella cassetta di sicurezza. Blackie le guardò una per una, arrossendo sempre di più. «Potrebbero darti sette anni, per queste, Sam.» «Sono solo un po' di foto delle vacanze.» «Questo è un fottuto ricatto.» «Oh, non me n'ero accorta. Ma ora che l'hai detto ho tanta paura. Piantala Blackie, so benissimo che è un fottuto ricatto. È proprio questo il punto: sei disposto a portarmi da Morrison, o mando i negativi al tuo capo?» Blackie rimise le foto nella busta. «Impari in fretta, Sam.» «Sono costretta.» «Sta' attenta che troppa furbizia non ti si ritorca contro.» Infilò la busta nella tasca interna della giacca. «Hai una macchina?» Sam prese il cellulare e chiamò McKinley. Due minuti più tardi la Lexus si fermò accanto a loro ed entrambi salirono sul sedile posteriore. Blackie disse a McKinley dove andare, poi sprofondò in un silenzio teso. Arrivarono a un condominio in una zona degradata nel nord-ovest di Londra. Quando scesero dall'auto Sam guardò gli ingressi dei negozi sbarrati da assi di legno, i graffiti sui muri e la strada piena di rifiuti. «Li trattate bene i testimoni, Blackie.» «Tagli al budget. E poi nessuno ha intenzione di fare qualche sforzo per rendere la vita più facile a un pezzo di merda come Morrison.» Blackie la condusse all'ingresso del palazzo. Sul muro c'era un tastierino numerico a combinazione, ma poiché la serratura era rotta il portone era già aperto. All'interno, due dei tre ascensori avevano un cartello con la scritta «Guasto». «A che piano sta?» «Al terzo.» «Che ne pensi di andare a piedi?»
«È la cosa migliore.» Salirono le scale. I muri erano coperti di scritte, soprattutto nomi e oscenità, con qualche disegno anatomico di tanto in tanto. «Da quanto tempo è qui?» chiese Sam. «Da un mese prima del processo.» «E la protezione fa parte dell'accordo per aver infamato Terry?» «Morrison non ha infamato nessuno» disse Blackie, che cominciava ad avere il fiato grosso per lo sforzo della salita. «È un testimone oculare che era presente sulla scena del delitto. C'è una bella differenza.» «Certo, il diavolo è nei dettagli, come si dice. Ma perché è nel programma di protezione?» «Sta aiutando la squadra Antidroga in un paio di casi. Morrison è un piccolo spacciatore, ma conosce alcune persone più in alto nella catena alimentare.» «Non tanto in alto, altrimenti starebbe in un posto migliore.» Blackie fece una smorfia disgustata. Qualcuno aveva defecato su un pianerottolo. Entrambi girarono al largo dall'oggetto incriminato, ma a Sam venne da vomitare, nonostante si fosse coperta naso e bocca con un fazzoletto. Blackie sorrise. «Se credi che questo faccia schifo, aspetta di incontrare Morrison.» La porta era in un corridoio male illuminato dove se ne aprivano un'altra decina. Aveva tre serrature, e il segno di due viti mostrava il punto in cui una volta c'era stata una targhetta con un numero di tre cifre. Il campanello rimase muto, allora Blackie bussò alla porta con le nocche. Udirono dei passi. «Dài, Ricky, so che ci sei.» Lo spioncino si oscurò. «Chi è?» chiese una voce attutita. Blackie prese il tesserino e lo mise davanti allo spioncino. «Polizia.» La porta si aprì di qualche centimetro, con la catenella di sicurezza inserita. Sam riusciva a vedere solo un terzo della faccia di Morrison. Un ciuffo di capelli ribelli, un occhio e una guancia con la barba di un paio di giorni. «Deve prima parlare con il mio avvocato, lo sa» disse Morrison. Aveva la esse blesa. «Non può presentarsi qui in questo modo.» «Non abbiamo il tempo per seguire le procedure.» «Chi è lei?» Blackie gli spinse il tesserino davanti al viso. «Sovrintendente capo Bla-
ckstock.» Morrison fissò il tesserino. «Blackstock? Non è dell'Antidroga, giusto?» «No, Ricky, non sono dell'Antidroga. Ora vuoi aprire la porta o la apro io a calci?» Morrison indicò Sam con un cenno del capo. «Cosa ci fa lei qui?» «Voglio solo parlare» intervenne Sam. Blackie spinse la porta. «Avanti, Ricky, i tuoi vicini cominceranno a farsi delle domande se continuiamo così.» Morrison sogghignò. «Ai vicini qui non frega un cazzo di niente e di nessuno.» Sam prese una busta dalla borsa. «Ti ho portato questa» disse. Blackie le lanciò un'occhiata minacciosa, ma non disse nulla. «Che cos'è?» chiese Morrison. Sam sorrise ma non rispose. Morrison si morse il labbro inferiore, poi tolse la catena e aprì la porta. Sam entrò per prima, consegnando la busta a Morrison. Lui l'aprì subito. Conteneva un fascio di banconote da cinquanta. Blackie mise una mano sulla spalla di Sam. «Non puoi farlo» disse. «Non puoi andare in giro a corrompere i testimoni.» «Può fare quello che vuole» ribatté Morrison. Indossava una vestaglia scozzese sopra un pigiama sudicio. Corse in camera da letto, come se temesse che gli chiedessero i soldi indietro. Sam si scrollò di dosso la mano di Blackie. «Voglio solo facilitare le cose. Voi fate lo stesso con i vostri informatori, no? Se questo offende la tua sensibilità, puoi aspettare fuori.» «Forse è una buona idea» disse Blackie. Guardò l'orologio. Dieci minuti, va bene? Poi ce ne andiamo.» Sam annuì. Sembrò che Blackie volesse aggiungere qualcosa, ma si voltò e uscì. Sam si guardò intorno. C'erano un divano che ormai aveva fatto il suo tempo, due poltrone di pelle consumata e un televisore a grande schermo nuovissimo, con videoregistratore, cartoni di cibo da fast-food sul pavimento e riviste porno soft su un tavolino, accanto a una lattina di birra aperta. Sam andò alla finestra e scostò la tenda. In strada, vide un'auto bruciata riversa su un fianco, accanto a un cassonetto stracolmo di rifiuti. Si voltò sentendo tornare Morrison. «Non so cosa pensa che possa dirle» esordì lui. «Sai chi sono, giusto?»
«Certo, l'ho vista in tribunale. La signora Greene.» Sam annuì. «Posso fumare?» «Certo.» Sam prese una sigaretta, ne offrì una anche a Morrison e le accese entrambe. C'era una rivista aperta sul bracciolo del divano. Morrison seguì il suo sguardo, la chiuse e la gettò in cima alla pila. Poi tirò fuori un fazzoletto di carta e si soffiò il naso. «Ho il raffreddore» spiegò. «Non riesco a liberarmene.» Sam decise di non sedersi. Restò in piedi, di spalle alla finestra, e soffiò una boccata di fumo verso il pavimento. «Ricky, ho sentito quello che hai detto in tribunale, ma io so che mio marito non ha ucciso Preston Snow.» Morrison alzò le spalle. «Io ho visto quello che ho visto.» «Cioè che cosa, esattamente?» «L'ho già detto in tribunale. Non ho mentito, signora Greene.» «Prova a dirlo a me.» Morrison sospirò. Aspirò una lunga boccata dalla sigaretta e sospirò di nuovo, esalando il fumo. «L'ho già detto mille volte. Agli sbirri, al giudice, all'avvocato.» «Allora puoi fare anche mille e una.» Morrison si grattò il mento e mise i piedi sul tavolino. «Stavo dormendo, mi sveglio e a un tratto sento due spari. Bang. Bang. Mi alzo e apro la porta. Suo marito scende le scale mettendosi qualcosa in tasca. Io lo vedo, lui non vede me. Chiudo la porta e torno a letto. Un paio d'ore dopo arrivano gli sbirri. Mi dicono che Snow è morto. Con due proiettili in corpo.» Morrison girò le mani con i palmi verso l'alto. «Come volessi dimostrare.» «Si dice "volevasi", Ricky.» «Volessi, volevasi, il risultato non cambia. Ho visto quello che ho visto.» Sam annuì. «Tu stavi in casa di Snow?» Morrison scosse la testa. «Lui aveva i due piani superiori. Al piano terra c'è un affittacamere.» «Snow, lo conoscevi?» «Non era un mio amico, se è questo che intende. Era solo il tipo che mi vendeva la roba.» «Che roba?» «Crack. Coca se avevo i soldi.» «Ne consumi molta?» «Quando posso permettermelo.»
«In tribunale non l'hai detto.» «Non me l'hanno chiesto.» Sam si mise a camminare avanti e indietro. Accanto al soggiorno c'era un cucinino con un fornello a gas unto, un lavello pieno di piatti sporchi e un rubinetto gocciolante. «Vuole un caffè, signora Greene?» chiese Morrison. Sam fu colta di sorpresa da quella gentilezza, ma non aveva nessuna intenzione di bere da una tazza proveniente dalla cucina di Morrison. «No, grazie, Ricky. La notte in cui Snow è stato ucciso avevi preso qualcosa?» Morrison fece una faccia come un bambino che sta per piangere. «So cosa sta pensando, ma non è così. Non mi sono immaginato niente.» «Non sto dicendo questo, ma forse eri un po' confuso. Disorientato.» Morrison scosse la testa. «Ho visto quello che ho visto.» «Era notte. La tromba delle scale non era illuminata.» «Tutto questo l'ha già detto l'avvocato di suo marito in tribunale. Veniva abbastanza luce da un lucernario. L'ho visto in faccia.» «Ma solo di profilo. Con il bavero sollevato.» «Era lui, signora Greene.» Morrison diede un tiro alla sigaretta, tenendola tra il pollice e l'indice. «Lei non era con lui, quella sera, giusto?» «Sono io che ho pagato te per avere informazioni, Ricky.» «Sì ma sappiamo entrambi che se qualcuno ha mentito in tribunale, si trattava di lei. Suo marito non era con lei, vero?» Sam non rispose e Morrison sogghignò, trionfante. «Visto?» «Cos'è che ti ha svegliato?» Morrison si accigliò. «Eh?» «Hai detto di esserti svegliato e di aver udito due spari. Come mai ti eri svegliato?» Morrison si strinse nelle spalle. «Che ne so? Forse volevo andare a pisciare.» «Non hai sentito delle grida? Il rumore di una lite?» «Mi sono solo svegliato. Poi ho sentito gli spari. Poi ho visto suo marito.» La sigaretta di Sam era arrivata al filtro. Lei si guardò intorno in cerca di un portacenere, ma non ne vide. Andò in cucina e la spense nel lavandino. Uno scarafaggio uscì da sotto un piatto sporco e Sam fece un salto indietro. «Cristo, Ricky, ma non pulisci mai?» «Hanno detto che avrebbero mandato una donna a fare le pulizie.» Sam tornò in soggiorno. «Avevi già fatto affari con Raquel, prima
dell'omicidio di Snow?» Morrison fece una faccia confusa. «Eri uno dei suoi informatori?» Morrison alzò gli occhi al cielo. «Non posso dirglielo. Sa quanta gente mi vuole morto?» «Il numero include anche me, Ricky?» «Se si sparge la voce che sono un informatore, sa cosa mi succede?» «Ricky, sei in un programma di protezione testimoni, il che significa che lo sanno cani e porci che stai cantando come un canarino. Tutto quello che ti sto chiedendo è: eri un informatore di Welch?» Morrison annuì. «Sì.» «Capisci, io credo che Welch abbia incastrato mio marito falsificando le prove.» «E crede che mi abbia convinto a mentire in tribunale?» Sam lo fissò e annuì lentamente. «È esattamente quello che credo.» Morrison sostenne il suo sguardo. «Be', si sbaglia, signora Greene. Si sbaglia di grosso.» I tre furgoni Ford Transit lasciarono il traghetto separatamente, ma si raggrupparono fuori dal terminal. Un agente della dogana in giacca fluorescente gialla li aveva lasciati passare senza problemi. Erano solo tre delle centinaia di persone che andavano a comprare alcolici sul continente, a prezzi sensibilmente più bassi. E gli uomini dei furgoni avevano imparato a non attirare l'attenzione. Kim Fletcher e Johnny Russell erano nel primo furgone. Russell era al volante, mentre Fletcher chiamava Ellis, che guidava un altro furgone, e Ryser, che era sul terzo. Si diressero in carovana verso una grande rotonda fuori Dover, e lì si separarono, prendendo rotte diverse per tornare a Londra. Ogni furgone era seguito a distanza da due motociclette con a bordo due persone ciascuna, in tute di pelle e casco integrale. Russell controllava costantemente il retrovisore. Fletcher teneva il cellulare a portata di mano. Da dietro venne uno scoppio di risa e Fletcher si voltò. «Volete piantarla di far rumore?» disse. Sopra le casse di birra erano seduti quattro uomini robusti, armati di mazze da cricket. Indossavano bomber di pelle e jeans, e portavano borse con abbigliamento da cricket, nel caso la dogana li avesse fermati. «Scusa, capo» fece uno. «Ci stanno seguendo» disse Russell.
Fletcher guardò nello specchietto laterale. «A quattro auto di distanza. Un furgone blu.» Fletcher lo vide. Una bionda sul sedile del passeggero e un uomo calvo al volante. «Ne sei sicuro?» «Ho cambiato corsia due volte e lo hanno fatto anche loro. Mantengono la nostra velocità.» «Bene, ragazzi» annunciò Fletcher. «Ci siamo.» Chiamò gli altri e li avvisò che la preda era il suo furgone. Disse loro di avvisare i motociclisti che li seguivano di convergere verso il Transit guidato da Russell. Aprì il compartimento portaoggetti e prese una piccola trasmittente radio. I due motociclisti che li seguivano a meno di un chilometro di distanza erano già sintonizzati sulla frequenza. Fletcher li chiamò e disse loro del furgone blu, poi cominciò a canticchiare tra sé. Il furgone blu continuò a seguirli a distanza per un altro quarto d'ora, poi, in un tratto di strada relativamente tranquillo, accelerò fino a portarsi dietro al Transit. Russell decelerò avvicinandosi a un semaforo rosso. «Adesso faranno qualcosa» disse Fletcher. Si chinò e prese da sotto il sedile una grossa chiave inglese. «Preparatevi.» Russell frenò al semaforo e il furgone che li seguiva li tamponò, ma Russell aveva già tolto il piede dal freno e l'impatto fu lieve. Fletcher gli strizzò l'occhio e scese. La ragazza del furgone blu era già uscita, e cominciò a scusarsi con un forte accento dell'Europa dell'Est. «Io dispiace molto» si scusò, sorridendo e sollevando le mani come a calmare le proteste di Fletcher. «Noi non visto semaforo.» Era graziosa, con la bocca grande e i capelli biondi tinti legati in una coda. «Tutto bene?» Fletcher sorrise, con la chiave inglese nascosta dietro la schiena. «Noi siamo a posto, e voi? Vi siete fatti male?» «Noi bene, ma abbiamo fatto danno a retro di vostro furgone. Vuoi vedere?» Russell scese a sua volta e raggiunse Fletcher. A un tratto, i portelloni del furgone blu si aprirono e ne scesero quattro uomini muscolosi, armati di sbarre di ferro. La ragazza corse verso di loro, gridando in una lingua che Fletcher non riconobbe. «Cazzo» esclamò Russell. «Sono organizzati bene.» «Già» disse Fletcher, brandendo la chiave inglese. Russell tirò fuori una catena dal giubbotto e si fece di lato, roteandola mentre andava incontro ai quattro. Fletcher batté la sua chiave contro il fianco del furgone e le porte si spalancarono di scatto. I quattro con le mazze da cricket balzarono fuori,
urlando oscenità. Quelli con le sbarre di ferro restarono a bocca aperta, indecisi. Era sceso anche l'uomo al volante, ma era rimasto accanto alla portiera, anche lui paralizzato dalla sorpresa. Ci fu un ruggito di motori e due motociclette frenarono con uno stridore di gomme dietro il furgone blu. Ne smontarono quattro uomini che avanzarono anche loro verso quelli del furgone blu, brandendo una varietà di armi. Fletcher continuò a canticchiare mentre i motociclisti e gli altri si gettavano su quelli che avrebbero dovuto essere gli aggressori. Intanto arrivarono altre due motociclette, con altri quattro uomini. La rissa finì in un lampo, tra i gemiti di dolore dei quattro del furgone blu sanguinanti a lato della strada. La ragazza cercò di fuggire, e un motociclista l'afferrò per la coda di cavallo, ma Fletcher gli fece cenno di lasciarla andare. Russell e uno dei suoi uomini afferrarono il conducente del furgone blu, un uomo grosso e dalla calvizie incipiente, sui trent'anni, con l'occhio destro leggermente strabico e una cicatrice sulla guancia sinistra. In un inglese dal forte accento dell'Est, li pregò di non fargli del male. «Io spettatore innocente» ripeteva, tra le risate degli uomini di Terry. Fu gettato nel retro del furgone, con un sacco sopra la testa. Fletcher e Russell salirono davanti e partirono. Fletcher canticchiava ancora, mentre quelli nel retro si mettevano al lavoro sul prigioniero. Sam raccolse la posta dallo zerbino e la portò in cucina, dove Trisha stava divorando una ciotola di müsli. «C'è qualcosa per me?» chiese Trisha. «No, a meno che non voglia occuparti tu della bolletta della luce» rispose Sam, lasciando cadere sul tavolo una busta. «Non la apri?» domandò Trisha. «Perché? Tanto non posso pagarla.» Trisha fece una faccia preoccupata. «Va tutto bene, mamma?» Sam fece un sorriso tirato. «Siamo un po' a corto di soldi, tesoro. Questo è tutto.» «Quanto a corto?» Sam scosse la testa. «Non è una cosa di cui devi preoccuparti.» «Invece sì. Faccio parte di questa famiglia, o di quello che ne resta, sì o no?» Sam le scompigliò i capelli. «Scusami. Il fatto che tuo padre sia in pri-
gione ha reso le cose un po' più difficili, ma è una cosa temporanea. Ci sono soldi in arrivo e tutto tornerà a posto, te lo prometto.» Trisha non sembrava convinta. «Posso fare a meno di diverse cose, per ridurre le spese.» Sam rise. «E di cosa? Vuoi metterti a pane e acqua?» «Non sarebbe una cattiva idea, basta che l'acqua sia Evian.» Risero entrambe, e Sam abbracciò la figlia e la baciò sulla fronte. «Farai tardi a scuola.» Trisha prese lo zainetto e si avviò lungo il corridoio. Prima che arrivasse alla porta, il campanello suonò. Lei aprì e si trovò davanti McKinley in un soprabito scuro abbottonato fino al collo. «Buon giorno, Trisha» disse lui. «'Giorno» rispose lei, passandogli accanto. Sam uscì dalla cucina e vide McKinley sulla soglia. «Andy? È successo qualcosa?» «Abbiamo preso uno di quelli che hanno rapinato il nostro furgone. I ragazzi lo stanno torchiando in questo momento.» «Credi che dovrei essere presente?» «Sarebbe meglio.» Sam annuì. Prese il cappotto e uscì con lui. McKinley la portò al magazzino di Paddington dove tenevano gli alcolici. Batté il pugno sulla porta di ferro e dopo un paio di minuti Russell venne ad aprire. Aveva il davanti della camicia di tela tutto bagnato. «Signora Greene» la salutò. «È arrivata appena in tempo per unirsi alla festa.» Sam e McKinley lo seguirono dentro. Un tubo di gomma attaccato a un rubinetto sul muro si snodava lungo il pavimento. Nella corsia centrale, Fletcher e Pike stavano intorno a un barile pieno d'acqua. Sopra di loro un uomo era sospeso a testa in giù. Aveva la testa e le spalle sott'acqua. Una catena - gettata sopra un travicello - stringeva a un'estremità le caviglie dell'uomo e, dall'altra, era impugnata saldamente da Ryser ed Ellis. L'uomo nel barile si agitava selvaggiamente. «Che diavolo succede?» gridò Sam. «Lo stiamo facendo parlare» spiegò Pike. «E come può parlare se ha la testa sott'acqua?» Pike e Fletcher si scambiarono un'occhiata preoccupata. Pike alzò le spalle. L'uomo nel barile restò immobile. Tutti guardarono Sam, confusi, senza sapere cosa fare.
«Cristo santo, ma ci vuole tanto a capirlo?» disse Sam. «Tiratelo giù.» Zoran Poskovic bevve un sorso di vodka direttamente dalla bottiglia, si pulì la bocca con il dorso della mano e riprese a contare i fasci di banconote che aveva sulla scrivania. Da dove era seduto vedeva i suoi uomini preparare gli hot dog della giornata, aprendo lattine di wurstel e versando le salsicce marroni in vassoi di metallo, mentre altri tagliavano i panini o affettavano la cipolla. Come Poskovic, erano tutti kosovari. Metà erano entrati nel Paese come rifugiati, ed erano ancora in attesa del certificato di asilo politico, mentre gli altri erano immigrati clandestini, fatti arrivare da Poskovic nascosti dentro compartimenti speciali tra i carichi di frutta provenienti dal continente. Ogni settimana ne arrivavano degli altri, e quasi tutti finivano a lavorare per lui. Se si rifiutavano, venivano picchiati o denunciati alle autorità. O entrambe le cose. Poskovic di solito metteva i nuovi a lavorare nei suoi carrelli di hot dog. Ne aveva più di cinquanta sparsi in tutto il centro di Londra. Osservava con attenzione come lavoravano e promuoveva i migliori, cioè li faceva entrare nel giro delle sue attività illecite. Aveva già una dozzina di prostitute che lavoravano per lui in alcuni appartamenti su Edgware Road. Altre donne, le usava come corrieri della droga, per il trasporto di piccoli quantitativi di eroina acquistati dai suoi contatti in patria. Due giovani sui vent'anni spinsero fuori un carrello. Poskovic rivolse loro un cenno di approvazione, ma il suo viso si indurì vedendo Petko entrare barcollando dalla porta. Era bagnato fradicio e aveva la faccia piena di lividi e graffi. «Dove cazzo sei stato?» gridò Poskovic. «Gli altri sono rientrati da un pezzo.» Petko scosse la testa. «Mi hanno rovinato di botte» si lamentò. «Chi?» Una donna in un impermeabile con il bavero alzato entrò fiancheggiata da due uomini molto robusti, uno con un soprabito scuro, l'altro in giacca di pelle. «Sono stata io» disse. Poskovic scattò in piedi. «E lei chi cazzo è?» urlò a Petko nella sua lingua. «Sei stato tu a portarla qui?» Altri quattro uomini apparvero dietro la donna. Indossavano tutti lunghi soprabiti. E tutti lo fissavano con uno sguardo duro. Poskovic lanciò un grido, e tutti i suoi uomini interruppero il lavoro. Si avvicinarono brandendo coltelli da cucina, mentre Poskovic continuava a
fissare la donna, chiedendosi chi fosse e perché fosse lì. Gli uomini in soprabito avevano tutti le mani affondate nelle tasche. Poskovic aveva una pistola, ma era nel cassetto della scrivania e non voleva rischiare di fare mosse sbagliate, almeno finché non sapeva con chi aveva a che fare. «Non prendertela con Petko» disse la donna. «I ragazzi ci sono andati un po' pesanti, con lui. Tu devi essere Zoran Poskovic, giusto? Io sono Samantha Greene. I furgoni che avete rapinato sono di mio marito.» La donna fece un passo avanti e tese la mano. Poskovic la fissò ma non la strinse. Lei sorrise, paziente, senza ritirarla. Lentamente, Poskovic si pulì la destra sui pantaloni e le strinse la mano, notando che aveva una stretta notevolmente forte, per essere una donna dalle mani piccole e delicate. Sam indicò le casse di birra e le sigarette. «Quella è probabilmente roba nostra.» Poskovic scrollò le spalle massicce, ma non disse nulla. I suoi uomini lo guardarono, in attesa di ordini, ma lui continuò a fissare la donna. «Petko ha detto che siete del Kosovo.» «Petko parla troppo. Cosa vuoi?» «Voglio che tu non interferisca più con l'importazione di alcolici di mio marito, ecco quello che voglio.» Poskovic sorrise, mostrando quattro molari d'oro. «È un mercato libero» replicò, «dove i forti prosperano a spese dei deboli.» Guardò i suoi uomini, per vedere se erano rimasti debitamente impressionati dalla sua padronanza della lingua, ma poiché nessuno di loro capiva l'inglese gli restituirono uno sguardo vuoto. «Già, ma vedi, è proprio questo il punto» ribatté Sam. «Mio marito non è debole. È in galera, certo, ma non gli piacerà sapere quello che pensi di lui. E non vorrei che tu lo pensassi neppure di me.» Lo fissò con i suoi occhi verdi, senza battere ciglio. Poskovic aveva affrontato decine di uomini, nel corso degli anni, spesso intimidendoli con la sola minaccia della violenza, con uno sguardo o con un atteggiamento duro. Ma sentiva che Samantha Greene non era spaventata, e che per batterla ci sarebbe voluto qualcosa di più che un atteggiamento minaccioso. Quella donna doveva essere stata di una bellezza sconvolgente, da giovane. Era ancora bella. Zigomi alti, bocca sensuale, ciglia lunghe e pelle liscia. Ma quello che Zoran trovava più eccitante in lei era l'eleganza dei modi, unita alla sicurezza di sé. «Terry difenderà ciò che è suo» disse la donna. «E anch'io.» Poskovic annuì lentamente. Lei aveva con sé otto uomini. Lui ne aveva
venti, e poteva averne a disposizione un'altra dozzina in pochi minuti. Samantha Greene era in netta inferiorità numerica, e lo sapeva. Ma non aveva paura. Poskovic guardò gli uomini dietro di lei, chiedendosi se avessero delle pistole nelle tasche dei cappotti. E se fossero pronti a usarle. Sam indicò la bottiglia sulla scrivania. «È vodka?» chiese. Poskovic annuì. «Di quella vera. Me la manda un amico da San Pietroburgo. Sei una intenditrice di vodka?» «No, ma bevo quello che c'è.» Poskovic sorrise e chiese ai suoi uomini un altro bicchiere. Quando arrivò versò due dosi e porse un bicchiere a Samantha. Li vuotarono entrambi d'un fiato, e Poskovic la guardò con attenzione, per vedere se davvero reggeva la roba forte o se la sua era stata solo una spacconata. Samantha Greene si leccò le labbra, con atteggiamento meditativo, poi annuì. «Buona» commentò, tendendo il bicchiere per farselo riempire di nuovo. Poskovic rise. Le versò la vodka e sollevò il proprio bicchiere in un brindisi. «Credo che diventeremo amici.» Lei rispose al brindisi. «Solo se lascerai in pace i furgoni di mio marito.» Vuotò di nuovo il bicchiere in un solo sorso. «C'è da sedersi, qui, o tu conduci le trattative in piedi?» Poskovic gridò di portare delle sedie, e si accomodarono l'uno di fronte all'altra. Gli uomini erano visibilmente più rilassati, ma sempre attenti. «Allora, com'è il Kosovo, Zoran?» «È un Paese duro» rispose Poskovic. «Povero. Non ti immagini quanto. Tutti vogliono andarsene.» «E venire in Inghilterra a farsi una nuova vita?» «No, il posto migliore è l'America. Ma per chi non riesce ad andarci va bene anche Londra.» «Ed è così che hai fatto tu? Sei arrivato qui e ti sei conquistato un posto al sole?» Poskovic annuì. «Ti capisco, Zoran. La mia famiglia, alcune generazioni fa, è venuta dall'Ungheria.» Poskovic fece un gesto di approvazione. «Brava gente, gli ungheresi.» Sollevò il bicchiere. «Buoni bevitori.» Sam scrollò le spalle. «Già, forse è da lì che ho preso la capacità di reggere l'alcol.» Bevve un'altra vodka con Poskovic. «Allora, cosa facciamo, Zoran? Non vogliamo scatenare una guerra, vero?»
«Una guerra?» «È quello che succederà, se non risolviamo il problema ora. Tu continuerai ad attaccare i miei furgoni, i miei uomini passeranno al contrattacco, e spenderemo così tanto tempo a combattere così che nessuno dei due avrà la possibilità di fare soldi. È assurdo, non ti sembra?» Poskovic si strinse nelle spalle. «Così vanno gli affari. Bisogna prendere quello che si può, perché nessuno ti regala nulla.» Indicò i suoi carrelli di hot dog. «Per prenderci questa attività abbiamo dovuto combattere contro i bosniaci. E si tratta di bastardi duri, te lo assicuro. Se fossimo arrivati e avessimo chiesto gentilmente di farci un po' di posto, cosa credi che avrebbero fatto?» «Cane mangia cane» disse lei. Poskovic si accigliò. Non aveva capito. «È un modo di dire, Zoran. Significa che le cose vanno così male che persino i cani sono costretti a combattere tra loro.» Poskovic annuì. «Basta che non mangino i miei hot dog...» Sam gettò indietro la testa e rise forte, imitata dai suoi uomini. Rise anche Poskovic, benché non avesse capito cosa c'era di così divertente in ciò che aveva detto. Sam tirò fuori le sigarette e ne offrì una a Poskovic. Ne prese una anche per sé e le accese entrambe. «Perché hai scelto i furgoni di mio marito, Zoran?» Poskovic soffiò una nuvola di fumo e attese che si disperdesse, prima di rispondere. «Pensavamo che siccome lui è in galera...» non finì la frase. Sam annuì. «E a cosa miravi? A poche migliaia di sterline? Devi avere ben altra carne al fuoco.» Poskovic si accigliò di nuovo. Un'altra espressione che non conosceva, malgrado il suo inglese fosse piuttosto buono. Sam sorrise. «Voglio dire, un carico di alcolici è poca cosa, no?» «Se voi non avete la merce, i vostri clienti cercheranno altri fornitori. E diventerebbero nostri clienti.» «Proprio come pensavo» disse Sam. Prese dei fogli ripiegati da una tasca interna del soprabito e glieli porse. «Questi sono i posti che noi riforniamo al momento. E c'è una lista dei posti che non riforniamo. Puoi vedere da solo che la seconda lista è molto più lunga della prima.» Poskovic si morse il labbro, guardando i fogli. Samantha Greene aveva ragione. «Stessa attività, stessa area geografica. Ristoranti indiani, drogherie, lo-
cali notturni e bar. C'è un sacco di spazio per te, Zoran, senza bisogno di saccheggiare i furgoni di mio marito.» «Ma voi vi espanderete» ribatté Poskovic. Sam scosse enfaticamente la testa. «Oh, no. Appena mio marito uscirà di prigione lasceremo l'attività.» Poskovic la fissò con attenzione, chiedendosi se stesse cercando di imbrogliarlo. Sam sostenne il suo sguardo. «Ah, e ci sono un paio di condizioni, naturalmente» aggiunse. Poskovic inarcò un sopracciglio, senza dire nulla. «Vogliamo indietro il nostro furgone. E la roba che c'era dentro.» Poskovic rise piano, poi tese la mano. Sam l'afferrò, e Poskovic gliela strinse con gentilezza. Poi fece un passo avanti e l'abbracciò, usando solo una minima parte della sua forza, come se temesse di romperla. «Affare fatto, signora Greene» disse, baciandola sulla guancia. I piedi di Sam quasi non toccavano terra. «Mi fa piacere, Zoran. Temevo che per il furgone volessi sfidarmi a braccio di ferro.» Poskovic rise di nuovo e la mise giù. L'accompagnò alla porta, seguito da McKinley e dal resto degli uomini di Sam. Uno degli uomini di Poskovic fece cadere a terra una lattina di wurstel già aperta. Si chinò a raccogliere i wurstel, pulendoli sul grembiule e rimettendoli sul vassoio. «La gente li compra davvero?» chiese Sam. «Scherzi? Guadagniamo una fortuna» rispose Poskovic. «I turisti giapponesi pagano dieci sterline per un hot dog. I tedeschi cinque. Per questo i bosniaci hanno combattuto tanto, prima di cedere. Abbiamo dovuto rompere molte teste, Samantha. Molte teste.» Sam e McKinley si avviarono verso la Lexus, mentre Pike, Fletcher, Russell e gli altri si dirigevano verso le loro auto. «Non sapevo che la sua famiglia fosse di origini ungheresi» disse McKinley. Sam lo guardò, ironica. «Ti sembro anche lontanamente ungherese? Fammi il piacere, Andy.» McKinley si fermò di botto e cominciò a ridere sotto i baffi, scuotendo il capo, incredulo, per l'audacia di Sam. Frank Welch mostrò il tesserino al giovane poliziotto nell'atrio puzzo-
lente. «Terzo piano, signore» disse l'agente. «So dov'è, figliolo» grugnì Welch. Chiamò l'ascensore e si mise in bocca due mentine per l'alito mentre aspettava. Poi notò i cartelli. Due ascensori erano guasti e il terzo sembrava bloccato al terzo piano. Welch decise di salire a piedi. Altri due agenti erano nel corridoio fuori dall'appartamento di Morrison, e un uomo della Scientifica in tuta bianca stava prendendo le impronte digitali sulla porta d'ingresso. Welch mostrò di nuovo il tesserino ed entrò nell'appartamento. Trovò Simpson e Clarke in soggiorno. Simpson stava sfogliando una rivista porno e la chiuse in fretta vedendo Welch. «Non dovresti indossare i guanti?» chiese Welch. «Scusi, capo» rispose Simpson. Prese un pacco di guanti di lattice e lo aprì con i denti. «Da questa parte, capo» disse Clarke. Welch lo seguì in camera da letto, dove altri due tecnici della Scientifica raccoglievano campioni dal pavimento e dalle pareti. Morrison era appeso dietro la porta. Nudo. La corda che aveva intorno al collo passava sopra la porta ed era legata alla maniglia dall'altra parte. «Chi lo ha trovato?» domandò Welch, guardando il collo di Morrison. «Morrison non ha telefonato per il controllo e l'uomo che lo sorvegliava è venuto a vedere. Ha dovuto forzare la porta.» «Dov'è ora?» «È andato a parlare con il suo capo.» Clarke gli diede un biglietto da visita con nome e numero di telefono di un sergente della Squadra Antidroga di Paddington Green. «Morrison doveva testimoniare in un processo per droga, domani.» «Questo doveva essere un programma di protezione testimoni, cazzo» sbottò Welch. «Non avrebbero dovuto lasciarlo solo.» Simpson gli si avvicinò alle spalle. «Uno della Scientifica ha detto che potrebbe essere una cosa autoerotica che gli è sfuggita di mano.» «Balle» ribatté Welch. «Niente segni di lotta» osservò Simpson. «E un sacco di riviste porno sul pavimento.» «E nessun biglietto» aggiunse Clarke. «Quindi, se si è ucciso, non è stato intenzionale...» «È un omicidio» tagliò corto Welch. «Ma capo, non possiamo esserne certi» ribadì Simpson.
«Io ne sono certo» rispose Welch. «Qualcuno lo ha ammazzato. La domanda è: chi? E come ha fatto a sapere dove trovarlo?» Sam era carponi in cucina, intenta a pulire il forno, quando squillò il telefono. Imprecò e andò a rispondere, togliendosi i guanti di gomma. Era Blackie. «Il giardino pubblico dietro la stazione di polizia» disse l'uomo. «Fatti trovare lì tra mezz'ora.» «Perché? Cosa è successo?» «A dopo.» Aveva già riattaccato. Sam mise giù il telefono, preoccupata. Uscì in fretta, prese la Saab e andò all'appuntamento. Blackie era già vicino al laghetto, e camminava avanti e indietro, con un viso di pietra. «Hai sentito cosa è successo?» chiese. «No. Si tratta di Terry? Gli è successo qualcosa?» «Terry non c'entra» rispose Blackie. «Morrison è morto.» Sam restò a bocca aperta. «Morto? Come?» «L'hanno trovato impiccato a una porta.» «Non mi sembrava sul punto di suicidarsi, quando gli ho parlato.» «Infatti non è stato un suicidio» disse Blackie. «È stato tutto predisposto per dare quell'impressione, ma un pezzo di merda come Morrison non si uccide. E Cristo santo, muore giusto ventiquattro ore dopo aver parlato con te. Non ti sembra una curiosa coincidenza?» «Cosa vuoi dire?» «Cosa credi che voglia dire? Cristo, se scoprono che ti ho portato da lui sarò nella merda così a fondo che ci vorrà un sottomarino per trovarmi.» «Sei un ragazzo cresciuto, Blackie. Sono certa che hai coperto le tue tracce.» «Hai detto a qualcuno dove si trovava Morrison?» «Certo che no.» «A Terry?» Sam scosse la testa. «Non parlo con lui dalla settimana scorsa.» Blackie si portò una mano alla fronte. «Questa è l'ultima volta che corro dei rischi per te o per Terry» disse. Sam gli si avvicinò e parlò a pochi centimetri dalla sua faccia. «Quando sarà l'ultima volta, lo decido io» replicò, in tono gelido. «Sei sul libro paga di Terry da quando eri un agente di pattuglia. Fa' quello che ti dico di fare, o la tua carriera finirà nel cesso e ti troverai a marcire dietro le sbarre con gli altri poliziotti corrotti.»
«Ehi, chi cazzo credi di essere, eh?» sibilò Blackie. «La donna che ha in mano le foto che ti immortalano mentre prendi bustarelle da mio marito. E sai che sono capace di entrare nell'ufficio del tuo capo e dirgli che mi hai portato da Morrison.» «Finiresti in galera anche tu.» Sam accennò un sorriso. «Non credi che potrei patteggiare, Blackie? Chi credi che gli interessi di più far condannare, una casalinga o un sovrintendente della polizia? Pensa a tutti i soldi che risparmierebbero sulla tua pensione.» Blackie la fissò, incredulo, con le mascelle serrate e il viso pallido. «Sei una stronza» disse alla fine. «Devo esserlo, Blackie. Sto lottando per la mia vita.» Blackie scosse la testa e si allontanò, girando intorno al laghetto. «Terry mi ha promesso che quando uscirà si occuperà solo di attività legali» disse Sam. «Balle.» «Credo che parli sul serio. Ha assaggiato la prigione e non gli è piaciuta. Quando sarà fuori non avrà più bisogno di te. E sarai libero.» «Terry Greene non si metterà mai a rigare dritto. Credimi.» «Ti sto solo dicendo quello che lui ha detto a me. Io gli credo.» Blackie scosse la testa. Tenne gli occhi sul sentiero, mentre faceva il giro dello stagno. Due donne eleganti che spingevano passeggini passarono loro accanto. «Terry mi ha detto che la notte in cui Snow è stato ucciso lui era con degli irlandesi» continuò Sam. «Paramilitari.» «Blackie restò un paio di secondi senza parole. «Paramilitari? Porca puttana.» «Per questo non ha potuto fornire un alibi, e io ho dovuto mentire per lui.» «Hai un'idea di quanto siano pericolosi quei tizi? Che cazzo ci faceva Terry con loro?» «Meglio che tu non lo sappia.» Blackie scosse la testa a lungo. «Ascolta, ho bisogno di un nome» disse Sam. «Di qualcuno con cui parlare.» «Parlare? E di che?» «Ho notato che più cose ti dico, più ti preoccupi. Dammi solo il nome di una persona con la quale posso parlare. E lascia le preoccupazioni a me.»
Blackie la fissò come se fosse impazzita. Poi prese un taccuino nero dalla tasca interna della giacca, scarabocchiò un nome e un indirizzo, strappò la pagina e la porse a Sam. «E porca puttana, non dire come l'hai avuto» concluse, e si allontanò scuotendo ancora la testa. Dal giardino pubblico Sam andò direttamente a Oakwood House. Quando entrò nella stanza di Grace la trovò vuota, ordinata e con il letto fatto. Sam aggrottò la fronte. Grace era in quella stanza da quando era arrivata lì tre anni prima. Perché avrebbero dovuto spostarla? Erano scomparse anche le foto incorniciate che sua suocera teneva sul comodino, insieme con tutti i suoi effetti personali. Sam si avvicinò all'armadio e lo aprì. Anche i vestiti non c'erano più. Si sentì stringere il cuore. «Signora Greene?» Sam si voltò di scatto. Era l'infermiera gentile che l'aveva aiutata a evitare la Hancock durante la sua ultima visita. Se ne stava sulla soglia, con le mani in grembo. Il labbro inferiore le tremava. «Dov'è Grace?» abbaiò Sam. «Cosa le hanno fatto?» «Mi dispiace, signora Greene.» «Per cosa?» L'infermiera entrò nella stanza. «Grace è morta. Mi dispiace tanto.» Per Sam fu come se le avessero dato un pugno nello stomaco. Le cedettero le gambe e dovette sedersi sul letto. «L'ultima volta che l'ho vista stava benissimo, problemi mentali a parte.» L'infermiera distolse lo sguardo, torcendosi le mani. Sam capì che c'era qualcosa che non le aveva detto. «Cosa è successo?» chiese. «Dovrebbe parlare con la signora Hancock» disse l'infermiera. «Me lo dica lei.» La donna scosse la testa. «Non posso, signora Greene. Davvero non posso.» «Le è capitato qualcosa di brutto?» L'infermiera chiuse la porta e si sedette sul letto accanto a Sam. «È uscita. E c'è stato un incidente.» Sam prese un fazzoletto dalla borsa e si asciugò gli occhi. «Non metteva piede fuori da questa stanza da due anni.» «È uscita da sola» spiegò l'infermiera. «Nessuno sa quando, nessuno l'ha vista. Ha attraversato il giardino ed è andata sulla strada. Dio, signora Greene, mi dispiace tanto.» Cominciò a piangere. Sam le porse il fazzoletto. «È stata investita. Dicono che sia morta sul colpo.» «Quando?» trovò la forza di chiedere Sam. «Quando è successo?»
«Oggi.» L'infermiera si soffiò il naso e si asciugò gli occhi. «Le ho portato il pranzo e non l'ho trovata.» Sam chiuse gli occhi. Aveva sempre saputo che Grace non sarebbe mai tornata a casa, che sarebbe rimasta in quell'istituto fino alla morte, e che non c'era cura per la sua malattia. Ma immaginava la sua morte in un futuro lontano e indefinito. Non si aspettava di vedersela strappare via all'improvviso. E in quel modo. Investita da un'auto su una strada di campagna. L'infermiera le restituì il fazzoletto. «Grace era una vera signora» disse. «Sempre così gentile. Mi mancherà.» Sam annuì. «Mancherà anche a me.» Uscendo, Sam passò dall'amministrazione, superando la segretaria senza farsi annunciare e aprendo la porta di scatto. La signora Hancock stava scrivendo al computer, e l'espressione irritata che le apparve in volto vedendo Sam fu subito sostituita da un sorriso professionale. «Signora Greene, mi dispiace moltissimo per ciò che è successo.» La mancanza di sincerità le si leggeva negli occhi. «Che diavolo ci faceva Grace fuori?» «Prego?» «Ho chiesto cosa diavolo ci faceva fuori mia suocera.» «Questa non è una prigione, signora Greene. Non ci sono sbarre alle finestre né sentinelle armate al cancello. Gli ospiti sono liberi di andare e venire a loro piacimento.» «Perché nessuno mi ha avvisato?» «Ci abbiamo provato, ma in casa non c'era nessuno. Le ho lasciato due messaggi sulla segreteria telefonica. E abbiamo chiesto alla polizia di mandare qualcuno a lasciarle un messaggio scritto.» «Non ero in casa» ammise Sam, piano. «Avevo da fare.» «Ecco spiegato tutto» ribatté la Hancock. «Come le dicevo, ci abbiamo provato.» «Provato?» le fece eco Sam. «E perché nessuno ha provato a fermare Grace quando è uscita?» «Non mi piace il suo tono, signora Greene.» Sam si avvicinò alla scrivania, guardandola dall'alto. «E a me non piace il fatto che abbiate lasciato una donna di ottant'anni con l'Alzheimer andarsene in giro da sola.» «Signora Greene...» protestò l'amministratrice, ma Sam le puntò contro un dito. «Aveva bisogno di essere sorvegliata» gridò. «Ventiquattro ore al gior-
no. «Era per questo che pagavamo la retta.» «Veramente lei non pagava.» «Cosa?» La signora Hancock si alzò in piedi. «È in arretrato di quasi tre mesi con la retta di sua suocera.» «Se pensa che abbia intenzione di darle quei soldi sta fresca.» La Hancock allungò una mano verso il telefono. «Devo chiederle di andarsene, signora Greene. Altrimenti sarò costretta a chiamare la sorveglianza.» «La sorveglianza? Se aveste una sorveglianza, qui, Grace sarebbe ancora viva.» L'amministratrice cominciò a comporre un numero. Sam le voltò le spalle e uscì lasciando la porta aperta. Terry sussurrava in uno dei telefoni del pianerottolo quando vide l'agente capo Riggs, fiancheggiato da Dunne e da un altro secondino, salire la scalinata di metallo. Arrivato in cima Riggs si fermò, si guardò intorno e si diresse verso Terry. Appena arrivarono a portata d'orecchio Terry riagganciò. «La sua signora mi ha appena chiesto di salutarla, Riggs» disse, cercando di superarlo. Riggs gli bloccò la strada. «Mi mancherà il tuo senso dello humour, Greene, quando uscirai di qui.» Sorrise, freddo. «Fra una trentina d'anni.» Terry capì che c'era qualcosa nell'aria. Guardò Dunne, ma l'altro distolse lo sguardo. Riggs aveva negli occhi un'espressione trionfante. «Tua madre è morta» disse piano. Poi lo fissò, per vedere come avrebbe reagito. Terry sentì una cortina di gelo scendergli nello stomaco. Gli mancò il fiato e il cuore accelerò all'impazzata, ma si costrinse a sostenere lo sguardo di Riggs. «È stata investita da un furgone di gelati» continuò Riggs. «L'hanno dovuta raccogliere dalla strada con le coppette.» Terry avanzò di un passo verso di lui, e le tre guardie tesero i muscoli. Terry fece un respiro profondo. Perdere la calma gli avrebbe fruttato solo un periodo in cella di isolamento. O peggio. Tenne le mani lungo i fianchi e serrò i denti. Riggs lo fissava con un accenno di sorriso, come invitandolo ad aggredirlo. Terry si rifiutò di dargli quella soddisfazione. Quando Riggs capì che non avrebbe reagito, si voltò e si allontanò, con le scarpe che scricchiolavano sul pavimento.
«Mi dispiace, Terry» mormorò Dunne passandogli accanto. Terry rispose con un cenno del capo, senza smettere di fissare la schiena dell'agente capo Riggs. Sam lasciò la Saab davanti alla casa di Laura e si avviò lentamente verso la porta d'ingresso. Suonò il campanello con insistenza diverse volte, ma non ci fu risposta. Allora fece il giro e aprì il cancello di legno che immetteva nel giardino posteriore. Laura era in fondo al prato, intenta a potare le rose. Sam le si avvicinò da dietro. «Laura?» La figlia sobbalzò, voltandosi. Nonostante il cielo nuvoloso che minacciava pioggia, portava gli occhiali da sole. «Mamma, cosa ci fai qui?» «Grazie di questo caldo benvenuto» disse Sam. Laura sorrise, ma Sam capì che non era contenta di vederla. «Avresti dovuto chiamare, mamma.» «L'ho fatto. Un sacco di volte. Ma mi risponde sempre la segreteria telefonica.» Sam si avvicinò per baciarla sulla guancia, ma Laura fece un passo indietro, come se non volesse farsi toccare. Sam si accigliò. «Cosa c'è?» Notò un piccolo taglio sul mento e un livido sulla guancia sinistra. «Nulla» rispose Laura, troppo in fretta. «Laura...» «Non è niente, mamma. È solo che sono un po' occupata.» «Stai potando le rose, non effettuando un'operazione di chirurgia cerebrale.» «Per favore, mamma, va' via. Ho un gran mal di testa.» Sam si avvicinò e le tolse gli occhiali da sole. Quando vide l'occhio nero lanciò un piccolo grido. «Sono caduta» spiegò Laura. «È la verità» aggiunse, vedendo il suo sguardo incredulo. Sam chiuse gli occhi, scuotendo tristemente la testa. «Non è colpa sua. Al lavoro è sotto pressione.» Sam le mise un braccio intorno alle spalle e l'accompagnò in casa. «Vieni, ti faccio un caffè.» Laura cominciò a piangere in silenzio. «Forse è meglio una cioccolata calda» disse Sam. «Come ai vecchi tempi, ricordi? Cioccolata calda, ed EastEnders alla tv.» «Sì, mamma» rispose Laura, tirando su con il naso. «Mi ricordo.»
Sam la fece sedere in cucina e preparò due tazze di cioccolata calda, mentre Laura si asciugava gli occhi con un fazzoletto. «Da quanto tempo va avanti?» chiese Sam, versando il latte bollente sulla polvere di cioccolato. La figlia scosse la testa, senza rispondere. «Laura...» «Gli rendono la vita dura, al lavoro.» «Questa non è una buona ragione.» «A causa di papà.» Sam le passò la tazza e si sedette di fronte a lei. «In che senso, a causa di papà?» «Lo trattano con sufficienza. Avere un suocero trafficante di droga e assassino non è il massimo, nel settore bancario.» «I violenti picchiano sempre, Laura. E non cambiano mai.» «Io lo amo, mamma. È vero, a volte perde il controllo, ma dopo gli dispiace.» «E allora è come se non fosse successo nulla?» Sam si sporse in avanti e le accarezzò una guancia. Laura se ne stava a testa bassa, come cercando di nascondere i lividi. «Davvero gli dispiace» mormorò. «Se non mi amasse tanto non lo farebbe.» «È quello che dice lui, vero?» Laura non rispose. «In tutto il tempo che ho passato con tuo padre» disse Sam, «abbiamo litigato moltissime volte, ma lui non ha mai alzato un dito su di me.» «Lo so» replicò Laura, piano. Mise entrambe le mani intorno alla tazza. «I veri uomini non picchiano le donne. Possono crearti un sacco di altri problemi, ma non ti picchiano.» Laura ricominciò a piangere, e Sam fece il giro del tavolo per andare a sedersi accanto a lei. Le passò un braccio intorno alle spalle, cercando di confortarla. «Non piangere, per favore. Non piangere.» Laura si asciugò gli occhi. «Mi dispiace.» «Non c'è nulla di cui dispiacersi. Non devi scusarti di nulla. Bevi la tua cioccolata.» Laura bevve un sorso, obbediente. «Sei andata a trovare la nonna?» chiese. Sam si irrigidì e Laura se ne accorse. «Cosa c'è? Cosa è successo?» Sam le prese delicatamente il viso tra le mani. «Mi dispiace, tesoro. Per questo sono venuta. Tua nonna... Tua nonna è morta.»
L'espressione incredula di Laura si trasformò lentamente in orrore, e Sam l'abbracciò. McKinley la stava aspettando davanti alla porta di casa, le mani guantate intrecciate in grembo, il volto cupo. Si avvicinò mentre Sam scendeva dalla Saab e chiuse la portiera per lei. «Le mie condoglianze, signora Greene» disse. «Mi dispiace tanto.» «Come fai a...» «Mi ha chiamato Terry dal carcere» la interruppe Terry. «Ha cercato di mettersi in contatto con lei, in casa e al cellulare, ma non ci è riuscito.» Sam aggrottò la fronte e prese il cellulare dalla borsa. La batteria era scarica. McKinley annuì. «Ha provato per ore, mi ha detto. Dal momento in cui gli hanno comunicato la notizia.» «Come l'ha presa?» «Terry non è tipo da mostrare i suoi sentimenti, signora. Ma è stato un duro colpo.» «Anche per me.» Sam prese le chiavi di casa. «Entra, Andy. Un drink farà bene a tutti e due.» Andy le porse un biglietto da visita. «Poco fa è venuta una poliziotta» disse. «Per dirle di sua suocera. Le ho detto che la stavo aspettando, e mi ha lasciato questo, dicendo che può chiamarla se ha delle domande.» «Tienilo tu, Andy» replicò Sam. «Io so già tutto quello che devo sapere.» La luce della segreteria telefonica lampeggiava in modo accusatorio, indicando la presenza di due messaggi. Sam premette «play». Erano della Hancock. Li cancellò entrambi senza ascoltarli. Andarono in soggiorno e Sam versò due brandy. «Eravate molto legate, lei e sua suocera?» Sam annuì. «Sì. Da quando è morta mia madre, quindici anni fa. In un incidente stradale. A proposito, questo è il motivo per cui insisto tanto con le cinture di sicurezza.» Bevve un sorso di brandy. «Quando avevo bisogno di qualcuno con cui parlare, Grace era sempre disponibile. Capisci cosa voglio dire?» McKinley annuì. Anche lui era bravo ad ascoltare. La fissava con i suoi occhi azzurri, come se pendesse dalle sue labbra. Sam si rese conto che per una ragazza doveva essere molto facile innamorarsi di lui. Era attento e gentile, ma anche duro e forte. Sam si sentiva sempre al sicuro, quando era
con lui. Se avesse avuto vent'anni di meno, chissà, forse sarebbe stata tentata. Ma vista la differenza d'età si sentiva più come una sorella maggiore. O peggio, come una madre. «Anche con l'Alzheimer mi piaceva andare a parlare con lei. Mi liberavo delle cose che mi pesavano, e dopo mi sentivo molto meglio.» McKinley fece un cenno affermativo. «È un bene avere qualcuno con cui parlare.» «E tu, Andy? Ce l'hai questo qualcuno?» McKinley si strinse nelle spalle, ma non rispose. Sam lo conosceva abbastanza da sapere che non gli piacevano le domande personali, e non insisté. «Sai quello che mi ha chiesto Terry, riguardo all'affare dei soldi falsi?» chiese. «Me l'ha accennato. Solo l'idea di base.» «Ti dispiacerebbe aiutarmi?» «Farò quello che posso.» Sam bevve un altro sorso di brandy. «Grazie, Andy. Non so che farei, senza di te. Dico sul serio.» McKinley si sporse in avanti e toccò il bicchiere di Sam con il suo. «È un piacere, signora Greene.» Sam sostenne il suo sguardo. Era davvero un bell'uomo, Andy McKinley. Alto, forte e sicuro di sé. Un uomo che non ti deludeva. Sam si chiese di nuovo se avesse una donna. Lui non ne aveva mai parlato, e sembrava disponibile a lavorare ventiquattro ore al giorno. «Quanti anni hai, Andy?» «Abbastanza, signora Greene» rispose lui sorridendo. «Perché me lo chiede?» «Mi domandavo se sono abbastanza vecchia da poter essere tua madre. Non puoi essere molto più grande di Laura.» Il sorriso di McKinley si fece più ampio. «Ho avuto una vita dura» scherzò. «Davvero?» McKinley fece spallucce, poi tornò serio. «Ho avuto i miei momenti, ma alla fine tutto è andato bene.» «Sei figlio unico?» McKinley le rivolse un'occhiata leggermente imbarazzata. «Cinque sorelle» rispose. «Mio Dio! Più grandi o più piccole?»
«Ero io il più piccolo.» Sam rise, e McKinley sembrò dispiaciuto. «Oh, scusami, Andy» disse Sam, dandogli un colpetto sulla mano. «È che ho pensato a te con cinque sorelle più grandi che ti vestivano, ti trattavano come un bambolotto...» McKinley arrossì. «Era proprio quello che facevano.» «Scusami, non avrei dovuto ridere.» McKinley bevve un lungo sorso di brandy e posò il bicchiere. «Nostro padre scomparve quando avevo otto anni. Aveva forti debiti e non poteva pagarli, così una notte fece la valigia e tagliò la corda, lasciando mia madre con sei figli da crescere.» Sam non disse nulla. Sapeva che qualunque espressione di commiserazione sarebbe sembrata un luogo comune. «Per lei fu troppo» continuò McKinley. «Le venne un infarto in cucina, mentre io ero a scuola. Tornai a casa e mia madre era morta.» «Andy... è terribile.» McKinley scrollò le spalle. «È successo molto tempo fa. E le mie sorelle mi hanno risparmiato il peggio. Le autorità volevano mettere tre di noi in un istituto, ma le sorelle più grandi si rifiutarono di accettare. E riuscirono ad averla vinta.» Prese il bicchiere e bevve un altro sorso. «Tipe toste, le mie sorelle.» «Come te, direi.» «Sì, forse. Di certo sono state un buon esempio. Eravamo sempre a corto di soldi. Lasciai la scuola alla prima occasione e diventai quello che portava a casa i soldi.» «Sei ancora in contatto con loro?» «Certo. Non hanno mai lasciato Glasgow, ma io vado a trovarle quando posso. Sono tutte sposate, ora.» Schiuse le labbra in un ampio sorriso. «Ho più di una decina di nipoti, riesce a crederci?» Sam annuì. «Certo, Andy. Ci credo.» Restarono in silenzio per alcuni secondi, poi Andy guardò l'orologio. «Se non ha bisogno di me, vado via, signora Greene. Ho delle cose da fare.» «Va' pure, Andy. Puoi passare a prendermi domattina, verso le dieci?» «Ci sarò. Non si scomodi, per favore, conosco la strada.» Si alzò in piedi. «Grazie per il brandy.» Esitò, come se volesse aggiungere qualcosa, ma scosse la testa senza dire nulla. Prima che si allontanasse, Sam istintivamente gli toccò una mano. Provava un impulso fortissimo di abbracciarlo, ma sapeva che un gesto del
genere poteva essere male interpretato, e si limitò a sfiorargli il dorso della mano con la punta delle dita. Andy non reagì e lei si chiese se avesse notato quel leggero contatto. Trisha entrò nel vialetto d'ingresso mentre McKinley saliva in macchina. Corse in soggiorno e contemplò il bicchiere di brandy di Sam con espressione sprezzante. «Cosa ci faceva lui qui?» «Affari» rispose Sam. Trisha alzò gli occhi al cielo. «Balle.» «Vieni in cucina, Trish.» «Devo fare i compiti.» «Dobbiamo parlare.» Trisha sospirò. «Adesso che c'è?» Sam respirò a fondo, poi le disse di Grace. McKinley fermò la Lexus davanti alla torre in vetro e acciaio che ospitava la banca commerciale dove lavorava Jonathon Nichols. «È sicura che sia una buona idea, signora Greene?» chiese. «Buona o non buona, devo farlo, Andy. Tu aspettami qui.» Una guardia giurata con una divisa più adatta a un ammiraglio le disse che Nichols lavorava al dodicesimo piano. Sam prese l'ascensore, scese al piano indicato e si avvicinò a una impiegata dalla faccia acida. «Sto cercando Jonathon Nichols» disse. «È in riunione» rispose la donna. «Può dirmi di cosa si tratta?» «Si tratta del fatto che riempie di botte mia figlia» rispose Sam. «Ora mi dica dov'è.» L'impiegata guardò a sinistra, verso un corridoio. «È molto occupato, ora» spiegò, ma Sam si era già avviata a passo di marcia. Attraverso un pannello di vetro vide Nichols in piedi, che parlava a un gruppo di cinque o sei uomini in giacca e cravatta. Una bionda in minigonna prendeva appunti. Sam spalancò la porta ed entrò. Nichols si interruppe a metà di una frase. «Sam?» disse, con una faccia confusa. Era accanto a un proiettore, e sul muro c'era una schermata di calcoli finanziari. «Non chiamarmi Sam, bastardo» gridò Sam, avvicinandosi minacciosa. «Se provi a toccare ancora mia figlia con un dito, ti uccido. Parlo sul serio. Ti uccido come un cane.» Nichols fece un passo indietro, andando a sbattere contro il proiettore.
«Non so dove trovi il coraggio di pensare che sia giusto picchiare una donna» continuò Sam. «Qualunque donna! Ma riempire di lividi tua moglie, tenerla in uno stato di paura costante, vuol dire non essere un uomo.» Sam si avvicinò ancora e Nichols alzò una mano, come per respingerla. «Vuoi picchiare anche me?» gridò lei. «Provaci, ti sfido a farlo.» Lo fissò con il viso contorto dalla rabbia. Nichols abbassò la mano. Sam si voltò verso gli uomini seduti a bocca aperta intorno al tavolo in legno di palissandro. «Com'è fare affari con uno che picchia la moglie?» chiese. Gli uomini avevano espressioni imbarazzate. «Lui picchia mia figlia regolarmente. È grosso il doppio di lei. Oggi l'ho trovata con gli occhiali da sole, per nascondere un occhio nero. Pensateci. Pensate che tipo di uomo è quello con cui state concludendo accordi.» Poi uscì dalla stanza a testa alta. L'impiegata l'attendeva in corridoio. «Sta arrivando la sicurezza» le disse, ma Sam non la degnò di uno sguardo. McKinley scese ad aprirle la portiera. «Com'è andata, signora Greene?» «È andata bene, Andy. Ora mi sento molto meglio.» Terry era seduto sull'unica sedia della cella, a fissare il muro, mentre Charlie Hoyle era steso sulla sua branda. Da quando la morte della madre di Terry era diventata di dominio pubblico, Hoyle gli rivolgeva la parola il meno possibile. Il carcere era una pentola a pressione e i detenuti che ricevevano cattive notizie in genere venivano lasciati soli, per paura che esplodessero. Non che Terry corresse questo pericolo. Sua madre era morta a causa di un incidente, ma lui sapeva già da tempo che non le restava molto da vivere. In un certo senso l'incidente era stato una fortuna, che le aveva risparmiato l'impietoso e graduale deterioramento a causa dell'Alzheimer. Era l'ora dell'ispezione serale. Terry udì passi pesanti lungo il corridoio e alzò gli occhi sentendo aprirsi la porta della cella. Era Riggs, con un portablocco in mano e un secondino dietro. «In piedi, Greene» ordinò. Hoyle si tirò a sedere sul letto, facendo cigolare le molle. «Tu resta dove sei, Hoyle. Non vogliamo far crollare la branda, vero?» Hoyle tornò a stendersi, con un altro cigolio. Terry si alzò. Riggs fece finta di guardare i suoi appunti, anche se sapeva benissimo cosa avrebbe detto. «La tua richiesta di partecipare al funerale di tua ma-
dre...» fece una pausa a effetto, con un sorriso crudele, «non è stata accettata.» Riggs drizzò la schiena, sprezzante. Terry aveva le mani intrecciate dietro la schiena. Affondò le unghie nella carne, fino a sentire la pelle rompersi. Strinse i denti, rifiutando di mostrare dolore e rabbia davanti a Riggs. Si costrinse a sorridere. «Be'» disse, «ci andrò l'anno prossimo.» Riggs lo fissò con odio. L'atmosfera era elettrica, tanto che Terry sentì drizzarsi i capelli, ma continuò a sorridere come se non avesse alcuna preoccupazione al mondo. Riggs girò i tacchi e uscì. Il secondino si preoccupò di chiudere a chiave la cella. Terry si voltò e diede un pugno al muro. «Bastardo!» sibilò, per non farsi sentire. Continuò a colpire la parete fino a farsi sanguinare le nocche. Hoyle non disse nulla. Voltato di faccia verso il muro, lasciò Terry solo con il suo dolore. L'ufficio della compagnia di taxi si trovava lungo una fila di negozi malandati, non lontano dalla High Street di Kilburn. Una luce gialla lampeggiava sopra una porta tenuta aperta da un giornale arrotolato. Le finestre dell'ufficio al primo piano erano state imbiancate dall'interno, in modo da non permettere di vedere nulla da fuori. Sui vetri bianchi campeggiava la scritta in vernice nera «Murphy's Cabs». McKinley guardò le finestre. «Sarebbe meglio se salissi con lei, signora Greene.» «Cosa? Vuoi lasciare la Lexus in strada? Ruberebbero ruote e specchietti in un minuto.» «È vero, ma...» «Andy, andrà tutto bene.» Sam scese dall'auto e salì le scale di legno che portavano al primo piano. Un uomo dai capelli rossi, magro al punto da sembrare anoressico, parlava in un microfono mentre mangiava un cheeseburger. Sulla parete alle sue spalle c'era una carta con i nomi dei tassisti e il codice del loro taxi, accanto a una mappa di Londra in grande scala. «Dove vuoi andare, tesoro?» chiese a Sam. «Brian Murphy?» Il rosso indicò con il pollice le scale per il secondo piano, e diede un morso al suo cheeseburger. Sam salì fino a un pianerottolo con due porte. Una era aperta e dava su un bagno dall'odore nauseabondo, l'altra era chiusa. Sam bussò e una voce
roca con l'accento dell'Irlanda del Nord le disse che l'ufficio era al piano di sotto. Sam aprì la porta. Un uomo grosso e stempiato era seduto dietro una scrivania, e leggeva le pagine dedicate all'ippica del «Daily Telegraph» con la penna in mano. «Brian Murphy?» chiese Sam. «Chi è lei?» «Sam Greene. Terry Greene è mio marito.» «E allora?» Sam entrò e chiuse la porta. «Allora avrei bisogno di parlare con lei.» Murphy le indicò una sedia. Sam prese una busta dalla borsa e la mise davanti a Murphy prima di sedersi. Accavallò le gambe e attese mentre l'uomo la apriva. Murphy inarcò le sopracciglia, vedendo il grosso fascio di banconote da cinquanta. «Una donazione per la causa» disse Sam. Murphy sorrise appena. «Non c'è più nessuna causa, non lo sa?» Sam tese la mano per riavere la busta. Murphy sostenne il suo sguardo per diversi secondi, poi aprì il cassetto più basso della scrivania, vi lasciò cadere la busta e tirò fuori una bottiglia di Bushmills e due bicchieri. Le mostrò la bottiglia e Sam annuì. «Posso chiederle come ha avuto il mio nome, signora Greene?» chiese Murphy, versando due dosi abbondanti di whisky. «Preferirei non dirlo» rispose Sam. «Ma le assicuro che non è di dominio pubblico.» Murphy le offrì un bicchiere pieno e disse: «Slainte». «Slainte» gli fece eco Sam. Bevvero, poi Murphy attese che fosse lei a parlare. «Mio marito sta scontando un ergastolo per un omicidio che sostiene di non aver commesso» spiegò Sam. «Dice che la notte dell'omicidio era occupato in un affare con alcuni dei vostri. Un affare di lavanderia. Ma poiché la vostra gente è quella che è, lui non ha potuto fornire alla polizia il suo alibi.» Murphy rabboccò i bicchieri. «Mi sembra una spiegazione un po' fantasiosa, a dire la verità.» «Potrebbe controllare?» Murphy la fissò a lungo, poi tese la mano. Sam pensò che volesse altri soldi, e aprì la borsa. Murphy scosse la testa. «La sua borsa, signora Greene.»
Sam gli consegnò la borsa. Murphy l'aprì e prese il portafoglio. Controllò ogni cosa: carte di credito, documento di identità, patente di guida. Copiò su un taccuino il numero e l'indirizzo riportati sulla patente. Non c'era bisogno che spiegasse cosa stava facendo. Ora sapeva dove abitava Sam. Rimise tutto a posto, chiuse il portafoglio e lo ripose nella borsa, che restituì a Sam. «Chiederò in giro, ma qualcuno potrebbe arrabbiarsi.» «È un rischio che devo correre» ribatté Sam. Terry percorse il corridoio in direzione delle scale. Aveva in tasca sei schede telefoniche, comprate da altri detenuti che preferivano il tabacco e le droghe ai contatti con il mondo esterno. L'agente Dunne era in cima alle scale che portavano al pianterreno, e osservava due detenuti che giocavano a scacchi. Terry si fermò accanto a lui e Dunne gli rivolse un breve cenno del capo. «Cosa ne pensa?» chiese. «L'alfiere, no? Matto in tre mosse per il bianco.» Terry si strinse nelle spalle. «Non è il mio gioco, signor Dunne.» «Strategia» continuò Dunne. «È tutta una questione di pianificare in anticipo.» «Se fossi bravo a elaborare i miei piani in anticipo non sarei qui, adesso» rispose Terry. Dunne sorrise. «Credo sia la prima volta che la vedo sorridere, signor Dunne. Non ci prenda l'abitudine. La gente qui potrebbe pensare che è umano.» «Siamo tutti umani, Greene.» «Anche Riggs?» «Be', forse lui è l'eccezione che conferma la regola. Gli unici momenti in cui sorride sono quando parla della sua Morris.» «Morris è un nome da uomo. Ah, ha un amante gay, è così?» Dunne strinse le mascelle, nel tentativo di non ridere. «Morris Traveller. Una di quelle vecchie auto con le finiture in legno sulle fiancate. È la gioia della sua vita. L'ha ricostruita pezzo per pezzo, spendendoci migliaia di sterline. Annoia tutti in mensa mostrando le foto. Il suo rapporto con quella macchina è molto più profondo di quello che ha con la gente, secondo me.» Restarono a guardare la partita per qualche istante. Il detenuto con il bianco mise un dito sulla regina e Dunne fece un verso di disapprovazione. «Sa se il direttore ha ricevuto la mia richiesta di permesso per andare al
funerale di mia madre?» chiese Terry. «Resta tra noi?» «Certo.» «Credo che Riggs l'abbia bloccata.» Terry imprecò sottovoce. Il detenuto tolse il dito dalla regina e si grattò la testa. «L'alfiere, idiota» mormorò Dunne. «Lei non potrebbe fargli arrivare il modulo di richiesta direttamente, scavalcando Riggs?» chiese Terry, piano. «Non è facile» rispose Dunne, muovendo appena la bocca. «Se ce la fa, ci sono cinquecento sterline per lei, fuori.» Il volto di Dunne si indurì e Terry sperò di non aver commesso un errore di valutazione. Alla fine Dunne annuì lentamente. Il detenuto mosse la regina, e il secondino disse piano: «Idiota». Si voltò a fissare Terry. «Ha dato fastidio a qualcuno, qui dentro, Greene?» chiese. «Non che io sappia» rispose Terry. «Perché?» «Corre voce che ci sia qualcuno intenzionato a farle la pelle.» «Sa di chi si tratta?» Dunne scosse la testa, cominciando ad allontanarsi. «Si guardi le spalle, capito?» sussurrò. «Un omicidio nella mia ala farebbe una figura di merda sul mio curriculum.» Sam guardò l'orologio, un Cartier d'oro che Terry le aveva regalato dopo la nascita di Trisha. «Mamma, dobbiamo entrare» disse Jamie, posandole una mano sulla spalla. «Lo so. Ma pensavo...» «È improbabile che gli diano il permesso, mamma.» Sam annuì. Trisha la prese sottobraccio. «Stai bene?» «Sì, tesoro. Dammi solo un minuto.» Erano davanti a una chiesa nella parte ovest di Londra. Una chiesa moderna, con una guglia squadrata e una rete metallica intorno alle vetrate per proteggerle dai vandali. Non era una chiesa particolarmente bella, ma il marito di Grace, il padre di Terry, era seppellito nel cimitero accanto, e prima che l'Alzheimer le rubasse la mente Grace aveva espresso più volte il desiderio di essere seppellita accanto a lui. Andy McKinley era accanto a loro, in cappotto nero, con le mani intrec-
ciate in grembo, le spalle squadrate e il mento sollevato, come se fosse di guardia davanti a un night-club. Anche Sam, Jamie e Trisha erano vestiti di nero, con spessi cappotti contro il freddo intenso. Il cielo era quasi bianco, e un vento gelido sollevava foglie morte, pacchetti vuoti di patatine e coriandoli sbiaditi. Il pastore apparve alla porta della chiesa. Era un sessantenne con una folta chioma bianca. Le vene rosse sulle guance e sul naso rivelavano una stretta familiarità con la bottiglia. Sam gli rivolse un cenno del capo. «Okay» disse ai figli. «Entriamo.» Aveva appena pronunciato quelle parole che un furgone nero con i finestrini oscurati uscì da dietro l'angolo, fermandosi davanti alla chiesa. Ne uscirono sei poliziotti armati e con giubbotti antiproiettile, i quali presero posizione sul sagrato della chiesa. Sam sorrise. «Deve essere vostro padre. Gli sono sempre piaciuti gli ingressi trionfali.» Arrivò un altro furgone, più grande, con la scritta «Securicor» su una fiancata. Dalle porte posteriori scese Terry, con entrambi i polsi ammanettati a due agenti di custodia. Indossava lo stesso completo Armani blu scuro che aveva in tribunale, con la camicia bianca e la cravatta blu a strisce gialle. I tre uomini si incamminarono verso la chiesa. Trisha mormorò qualcosa che Sam non capì. «Ciao amore» disse Terry, sorridendo alla moglie. «Credevo che non ce l'avresti fatta» rispose Sam. «Nessuno poteva impedirmi di porgere l'ultimo saluto a mia madre. Ciao, Jamie.» «Ciao papà.» Jamie gli si avvicinò e lo abbracciò. Terry strizzò l'occhio a Trisha. «Come va, Trish? Non vieni ad abbracciarmi?» Trisha distolse lo sguardo. «Stiamo facendo aspettare tutti» disse la ragazza a Sam. Jamie si sciolse dall'abbraccio. Terry salutò McKinley con un cenno del capo e fece un passo verso Sam, ma le manette lo trattennero. «Signor Dunne, posso abbracciare mia moglie?» chiese all'agente alla sua destra. «Non si può, Terry» rispose Dunne. Terry indicò con il mento i poliziotti armati che tenevano d'occhio gli edifici circostanti. Cosa temevano? pensò Sam. Cecchini? Una squadra di mercenari pronti a far evadere suo marito? La stupidità di tutta la situazione la fece sorridere.
«Non posso mica tentare la fuga» disse Terry. «È il regolamento» ribatté Dunne. «Il regolamento è tutto» commentò Sam, acida. «Lui è a posto, amore. Se non fosse per il signor Dunne non sarei qui. Meglio entrare, il pastore ha l'aria seccata.» Si diressero in gruppo verso l'ingresso della chiesa, con McKinley alla retroguardia. Quando stavano per entrare arrivò un'auto che frenò con uno stridio di gomme. Tutti si voltarono. Terry sospirò riconoscendo l'uomo seduto accanto al conducente: Frank Welch. «Arrivano gli avvoltoi» disse. «Entriamo, ho sentito dire che non possono calpestare la terra consacrata.» «Quelli sono i vampiri» lo corresse Sam, seguendolo dentro. Il pastore aveva preso posto dietro un grosso leggio di legno e sfoggiava lo stesso sorriso finto che Sam aveva visto sul viso dell'amministratrice della casa di riposo di Grace. C'era una decina di persone. Sam scorse George Kay, con il suo inalatore in mano. L'infermiera gentile che si occupava di Grace. Tre donne sugli ottanta, che sapeva essere vecchie compagne di scuola di Grace. Prima della malattia venivano tutte le domeniche a giocare a bridge. Quello era stato il primo segno che qualcosa non andava: Grace perdeva la concentrazione durante le partite e non ricordava l'ordine di giocata. Un anno dopo aver smesso di giocare a bridge era finita alla Oakwood House. Sam udì dei passi rapidi alle sue spalle e si voltò. Frank Welch e il fedele Simpson si dirigevano verso di loro. «Che diavolo ci fa lui qui?» chiese Welch a Dunne, indicando Terry. Dunne lo fissò da sotto il berretto nero, per nulla impressionato. «Chi è lei?» chiese, a bassa voce. Welch estrasse il tesserino e glielo sbatté sotto il naso. «Sai leggere?» «Sì, ispettore capo Welch. So leggere.» Welch rimise in tasca il tesserino. «Allora ripeto la domanda. Che diavolo ci fa lui qui?» «Il direttore ha approvato la sua richiesta di permesso.» «È un omicida, Cristo santo.» «È il funerale di sua madre» ribatté Dunne, in tono fermo. Terry fece un passo avanti. «Esatto. Perché non rispetti la santità del luogo e ti togli dai coglioni, Raquel?» Welch sembrava sul punto di esplodere. Fissò prima Terry, a lungo, poi Dunne, il quale si rifiutò di abbassare gli occhi. Infine si voltò e si avviò
verso l'uscita, seguito da Simpson. Dunne si voltò a guardare Terry. «Sbirri» disse. «Cosa ci vuoi fare?» La funzione fu breve. Terry dovette sedersi con un agente per lato, ma Dunne lasciò che Sam allungasse un braccio per tenergli la mano. Alla fine, i due secondini si fermarono prima di salire sul furgone, per permettere a Terry di salutare la moglie. Terry si sporse in avanti e la baciò su una guancia. «Grazie» disse. «Grazie per esserti fatta carico di tutto.» «Avrei voluto fare qualcosa di più... speciale.» «Questo era il suo desiderio. Voleva essere seppellita accanto a lui. Dio solo sa perché, visto come l'ha sempre trattata.» «Ai loro tempi ci si sposava per tutta la vita.» «Finché morte non ci separi.» «Secondo me erano convinti che neppure la morte potesse separarli davvero» disse Sam. «Il matrimonio era per sempre. Per l'eternità.» Terry si guardò intorno. «Laura non ce l'ha fatta?» «Sembra di no.» «Mi dispiace, amore. Per tante cose.» Sam scrollò le spalle, non sapendo cosa dire. «Dobbiamo andare, Terry» li interruppe Dunne. «Un secondo solo, per favore.» Dunne annuì. Terry parlò all'orecchio di Sam. «Non ci vorrà molto, amore.» «Cosa vuoi dire?» «Voglio dire, tieni duro. Tutto andrà bene.» «Facile a dirsi, Terry.» «Parlo sul serio, amore. C'è la luce in fondo al tunnel. Sono in attesa di buone notizie.» Sam rise. «Cristo, Terry, sembri un oroscopo da quattro soldi.» «Aspetta e vedrai.» Terry si voltò a guardare Dunne. «Per favore, non potrebbe togliermi le manette un secondo solo? Voglio abbracciare mia moglie. Non la vedrò per settimane.» Dunne lo fissò a lungo, poi annuì. «Solo un polso, Terry.» «Grazie, signor Dunne.» Il secondino stava per inserire la chiave nelle manette, quando Welch si avvicinò a passo svelto, il viso contorto dalla rabbia. «Che cazzo credi di fare?» urlò. «Vuole solo salutare la moglie» disse Dunne.
«Tu potrai salutare la tua pensione, se tocchi quelle manette!» gridò Welch, spruzzandogli saliva sulla divisa. «Fallo salire sul furgone. Ora!» Dunne arrossì violentemente e mise via la chiave, mentre l'altro agente apriva le porte del furgone. George Kay si avvicinò, asciugandosi la fronte con un fazzoletto bianco. «Non preoccuparti, Terry. Ti tireremo fuori.» Welch puntò un dito contro Sam. «Tu sei la prossima. So che sei stata tu a organizzare quella consegna di droga.» «Non puoi provarlo» rispose Sam. Jamie si mise di mezzo. «Non può lasciarci in pace?» disse. «È un funerale.» «E il funerale di Preston Snow? Non ho visto nessuno di voi, lì.» I due agenti osservavano l'alterco in silenzio, tenendo fermo Terry. «Vaffanculo, Raquel» gridò Sam, con rabbia. «È un lutto privato, tu non c'entri niente.» «Questo lo vedremo» ribatté Welch, con il viso a pochi centimetri dalla faccia di Sam. Trisha lo spinse via. «Lasciala in pace!» Welch fece un passo indietro. «Ti arresto per aggressione» disse alla ragazza. «È il funerale di nostra nonna» protestò Jamie. Welch lo ignorò e cercò di afferrare Trisha, ma Sam gli spinse via il braccio con violenza. «Non provare a toccarla!» urlò. Terry cercò di avvicinarsi, ma i due agenti lo tennero fermo. «Sam! Lascialo perdere!» gridò Terry. «Non ne vale la pena.» Welch si rivolse a Dunne. «Fatelo salire sul furgone! Subito!» Prima che gli agenti potessero obbedire, una manciata di fango andò a spiaccicarsi sulla faccia di Welch. Lui si voltò di scatto e vide Trisha con la mano infangata. «Bene, hai passato il segno» disse. Cercò di afferrarla per un braccio ma Sam si mise in mezzo. «Ti ho detto di lasciarla stare» ripeté. «Non dovresti essere qui. È un funerale di famiglia.» Jamie si mise accanto alla madre. «Lei sta agendo al di fuori dei limiti imposti dalla legge, e lo sa» disse, passando un braccio intorno alle spalle di Sam. «Se sporgiamo reclamo alla polizia, resterà sul suo stato di servizio.» «Ecco il giovane avvocato» ribatté Welch, sprezzante. «Oppure potremmo rivolgerci ai giornali. In un modo o nell'altro, i suoi
superiori vorranno sapere come mai non ha gestito meglio la situazione.» Welch lo fissò con odio. Jamie non abbassò lo sguardo e Sam fu immensamente orgogliosa di lui. Welch strinse i denti e si voltò. I due secondini e Terry sogghignavano. «Che cazzo avete da guardare!» esclamò. «Salite su quel furgone.» Estrasse un fazzoletto e si pulì il fango dal viso. Gli agenti fecero salire Terry. «Coraggio, amore!» gridò lui, prima che si chiudessero le porte. «C'è la luce in fondo al tunnel.» I poliziotti armati tornarono nel loro furgone e Welch e Simpson si diressero alla loro macchina. Trisha si avviò verso la Lexus, dove McKinley attendeva con la portiera aperta. Jamie e Sam restarono insieme a guardare il furgone allontanarsi. «Grazie, Jamie» disse lei, scompigliandogli i capelli. «Bastardi» fece lui. «Ehi, modera il linguaggio.» Jamie rise e l'abbracciò. «Non vedo l'ora di essere avvocato» disse. «Mi divertirò un sacco a cucinarli a fuoco lento sul banco dei testimoni.» Si avviarono alla Lexus, abbracciati. Sam aveva deciso di non organizzare un rinfresco, dopo il funerale. Non le sembrava giusto, sapendo che Terry doveva tornare in prigione. McKinley li condusse a casa, ma quando i ragazzi scesero Sam restò in macchina. «Dove vai?» chiese Trisha, imbronciata. «C'è una cosa che devo fare, tesoro. Non ci metterò molto.» Trisha le voltò le spalle e si allontanò. Jamie disse: «Le parlo io, mamma». «Perché non fai come quando eravate piccoli?» le suggerì Sam. «Quando le mettevi la testa nel water e tiravi lo sciacquone.» Diede una pacca leggera sulle spalle a Jamie. «Starò via poco. A che ora riparti?» «Alle cinque. Resterei, ma ho un sacco di roba da studiare.» Sam gli mandò un bacio e McKinley ripartì. Sam gli disse di andare a casa di Laura, poi si accese una sigaretta. Al pianterreno le tende erano chiuse, ma Sam continuò a suonare il campanello finché udì un rumore di passi. La porta si aprì con la catenella di sicurezza. «Laura? A che gioco stai giocando?» «Mamma, non puoi entrare» disse Laura. Le tremava la voce, come se fosse prossima alle lacrime.
«Saresti dovuta venire anche tu» rispose Sam. «Lo so.» Laura cominciò a piangere. «Mi dispiace tanto.» «Lasciami entrare, tesoro. Per favore.» «Non posso, mamma. Mi dispiace. Ti prego, va' via.» Laura fece per chiudere la porta. McKinley guardò Sam e, ricevendo un cenno affermativo, spinse con la spalla. La catenella fu strappata via dal legno e la porta si spalancò. McKinley si fece da parte per lasciar entrare Sam. Laura era corsa a sedersi sul divano del soggiorno e piangeva forte. Sam si sedette accanto a lei e le accarezzò il collo. «Cosa c'è, amore?» chiese. «Qual è il problema?» «Volevo venirci, mamma» singhiozzò lei. «Davvero.» «Lo so, lo so.» «Lui ha detto di no. Ha detto che se lo avessi fatto...» Mormorò qualcosa di indistinto, scossa dai singhiozzi. Sam le sollevò il viso e vide una ferita sul naso e un livido sul collo. Sam si coprì la bocca con una mano. «Mio Dio, Laura!» «Non l'ha fatto apposta, mamma. Dopo era pentito.» Sam guardò McKinley, che stava in piedi sulla soglia. «Vuole che me ne occupi io, signora Greene?» Quando Laura capì cosa intendeva, lo fissò con orrore. «Mamma, no!» Sam l'accarezzò. Il livido era recente, la pelle in alcuni punti era ancora rossa. «Non puoi lasciare che ti faccia questo, Laura.» «Posso farcela da sola, mamma. Davvero.» «Signora Greene?» chiese McKinley. Sam lo guardò con gratitudine, ma scosse la testa. Laura ricominciò a piangere e Sam la tenne tra le braccia. «È una perdita di tempo» disse Frank Welch, scendendo dall'auto e avviandosi verso il cancello della prigione. «Frank, ti sto solo dicendo quello che lui ha detto a me» ribatté l'uomo al suo fianco, un ispettore capo sui cinquant'anni, con i capelli bianchi tagliati a spazzola e la schiena curva. Welch sollevò il bavero contro la pioggia sottile. «A Manchester piove sempre? Anche l'ultima volta che sono venuto pioveva.» «Pioggia? Questa è una bella giornata.» L'uomo premette il campanello e due secondi dopo la porta di metallo si aprì. «È una stronzata» ribadì Welch, entrando.
«Ambasciator non porta pena, Frank. Se non ti avessi passato l'informazione sarebbe stato meglio?» Welch sbuffò, mostrando il tesserino all'agente dietro la scrivania. «Ispettore capo Frank Welch e ispettore capo Bradley Caine. Dobbiamo vedere il detenuto Sean Kelly» annunciò Caine, mostrando a sua volta il tesserino. «Siamo attesi.» «Stiamo solo perdendo tempo.» «Cristo, Frank, sembri un disco rotto. Ascolta cosa ha da dirti e poi tornatene a Londra.» Welch non disse più una parola finché non furono in sala colloqui, di fronte a un uomo sui trent'anni, aria da duro, stempiature precoci, naso da pugile e un incisivo rotto. L'uomo li fissò senza alcuna apprensione. «Avete una paglia?» chiese, con un forte accento di Birmingham. Caine gettò sul tavolo un pacchetto di Silk Cut. «Sean, ti presento l'ispettore capo Frank Welch, della polizia di Londra. Ha guidato a lungo e non gli piace il clima di qui, perciò facciamo presto, va bene? Digli quello che hai detto a me.» Kelly sfilò una sigaretta, se la mise tra le labbra e sollevò un sopracciglio. Caine prese un sottile accendino d'acciaio e gliel'accese. Kelly aspirò una boccata, soffiò il fumo verso il soffitto e fissò Welch con freddi occhi grigi. «Sono stato io a uccidere Preston Snow» disse. «Col cazzo!» esplose Welch. «Frank...» intervenne Caine. «Gli ho sparato due colpi. Uno al petto, l'altro in testa.» «Balle!» Kelly alzò le spalle. «Se non mi crede, per me fa lo stesso.» Aspirò una lunga boccata dalla sigaretta e si appoggiò allo schienale della sedia. «E per quale motivo l'avresti ucciso?» Kelly alzò di nuovo le spalle. «Mi doveva dei soldi. Non solo non pagava, ma parlava male di me. Dovevo dargli una lezione.» «E perché confessi proprio ora?» Terza alzata di spalle. «Mi pesa sulla coscienza.» «Piantala, Kelly» disse Welch. «Hai passato più tempo in galera che fuori. Rapina a mano armata, aggressione e lesioni, furto. Sei un criminale incallito, non hai una coscienza.» Fissando Welch, Kelly si arrotolò lentamente una manica, rivelando un tatuaggio con un crocifisso. «Sono rinato» spiegò. «Ho visto la luce.» Welch sbuffò e si voltò verso Caine. «Ci prende per il culo. Preston
Snow è stato ucciso da Terry Greene. Abbiamo un testimone, e diverse prove fisiche.» «Già» fece Kelly, con un sorriso. «Ma io ho la pistola.» Welch si irrigidì. Socchiuse gli occhi e tornò a fissare Kelly, che sorrideva ancora. «Una ventidue» continuò il detenuto. «Il numero di serie è stato limato, ma potete fare l'esame balistico. Avete i proiettili, no?» Welch provò una sensazione di nausea alla bocca dello stomaco, ma restò impassibile. «Ho catturato la sua attenzione, eh, ispettore capo?» disse Kelly. Si chinò in avanti. «Ha presente il canale che passa da Regent's Park e va fino a Camden Lock? C'è un sentiero che lo costeggia. Una bella passeggiata serale, prima che chiudano i cancelli. L'ultimo ponte prima di Camden Lock. Cercate lì.» Tornò ad appoggiarsi allo schienale, osservando Welch con uno sguardo divertito. «Sia lode al Signore.» Sam scese con la scala mobile e voltò a sinistra lungo una banchina della metropolitana. Il tabellone elettronico annunciava un treno in arrivo tra due minuti. Sam controllò l'orologio e andò fino in fondo alla banchina. C'erano quattro sedili di plastica fissati al muro con una struttura di metallo, che avevano sostituito le panche per impedire ai senzatetto di sdraiarcisi sopra. Sam si sedette, con una copia dell'«Evening Standard» del giorno prima in grembo. L'uomo accanto a lei, un quarantenne con una giacca a vento verde e i capelli spruzzati di grigio, gettò un'occhiata al giornale. «Sa che quello è il giornale di ieri?» disse. «Lo so» rispose Sam. Due turisti giapponesi passarono davanti a loro, studiando una guida di Londra. «C'era un articolo interessante sulle automobili che mi sono perso» continuò l'uomo. Sam gli passò il quotidiano. «Può tenere questo.» L'uomo lo prese. Dentro c'era una busta. L'aprì e passò un dito sul fascio di banconote da cinquanta che conteneva. «Ma forse lei non ha bisogno di me. Voglio dire, con Terry in galera e tutto il resto.» «Terry dice che gli affari continuano come al solito» rispose Sam. «Le auto sono due Mercedes, i numeri di targa sono sulla busta.» Arrivò uno sbuffo d'aria, che annunciò l'arrivo del treno. L'uomo chiuse
il giornale e si alzò. «Mi faccia sapere in anticipo quando arriveranno» concluse. «Nel caso io debba modificare i turni.» Il treno si fermò in stazione. Alcuni passeggeri scesero, e l'uomo salì a bordo senza voltarsi indietro. Sam restò seduta fino alla partenza del treno. L'uomo a cui aveva appena dato duemila sterline era un ufficiale della dogana di Dover. Doveva garantire che le auto con il denaro falso non fossero perquisite all'ingresso nel Paese. Terry aveva spiegato come e quando l'uomo doveva essere pagato, specificando che Sam non poteva mai rivolgersi a lui per nome. Tutti i dettagli, anche il quotidiano del giorno prima, erano stati pianificati da Terry. Sam sospirò, mentre il treno spariva nel tunnel. Si sentiva come una marionetta nelle mani del marito. Non era una sensazione piacevole. Si alzò in piedi e si avviò verso la scala mobile. Tutto intorno alla stazione c'era il divieto di sosta, perciò McKinley aveva parcheggiato a un centinaio di metri di distanza. La vide da lontano e scese ad aprirle la portiera. «Com'è andata, signora Greene?» chiese, dopo essere risalito in macchina e avere acceso il motore. Sam si accese una sigaretta. «Non riesco a credere a quello che sto facendo. Organizzo consegne di droga, minaccio poliziotti corrotti, passo bustarelle ad agenti della dogana. In poche settimane Terry mi ha trasformata: da casalinga a capo di una banda criminale.» McKinley sorrise nello specchietto. «Se la cava bene, signora Greene» disse. «Sembra nata per questo ruolo.» Sam aspirò una lunga boccata di fumo. «È proprio questo che mi spaventa.» I riflettori illuminavano la superficie del canale e l'acqua frammentava la luce in migliaia di schegge. Era una notte gelida e Frank Welch indossava un giaccone di montone e un berretto di lana. Nonostante i guanti, teneva le mani affondate nelle tasche. Pestò i piedi parecchie volte, come un cavallo da corsa in attesa dello sparo. «È una presa in giro» disse. Simpson, Duggan e Clarke erano in piedi vicino all'imbocco del tunnel, vicinissimi tra loro, come per scaldarsi. «Anche a me sembra una storia inventata, capo» concordò Simpson. «Kelly non ha mai usato una pistola, in passato.» «Fucili a canne mozze» precisò Duggan, prendendo una fiaschetta dal suo giaccone. «Ha usato fucili a canne mozze.» Welch fissò la fiaschetta di
peltro e Duggan la rimise in tasca senza aprirla. Welch voleva che si rispettasse la regola di non bere in servizio. Almeno non davanti ai civili, e c'erano una dozzina di curiosi dall'altro lato del canale. «Snow non è stato ucciso con un fucile a canne mozze» insisté Welch, acido. «È stato ucciso con una pistola calibro ventidue.» «È proprio quello che sto dicendo» ribatté Simpson. «Kelly non ha mai usato una ventidue.» C'erano due sommozzatori in acqua, e altri due sulla riva del canale, intenti a controllare l'equipaggiamento. Altri membri della squadra sub reggevano le corde legate ai sommozzatori in acqua, e un altro sommozzatore con un assistente era in attesa in un canotto di gomma in mezzo al canale. Stavano frugando il fondo da più di otto ore, e avevano deciso di continuare durante la notte, piuttosto che ricominciare di nuovo il giorno dopo. Welch sospettava che la ragione principale di quella decisione fossero le ore di straordinario, ma non si era opposto. Voleva che quella farsa finisse al più presto possibile, così sarebbe andato dal sovrintendente Edwards a dirgli che Kelly aveva mentito e doveva essere denunciato per aver fatto perdere tempo alla polizia. «Che ne dite se vado a cercare del caffè per tutti?» suggerì Clarke. «Non ci sono caffetterie nei dintorni» disse Welch. «Ma c'è un pub sulla strada» ribatté Clarke. Welch gli rivolse un'occhiataccia. «Ti sembro nato ieri?» «Valeva la pena provarci, capo» ammise Clarke, senza vergogna. Il canale era profondo quattro metri circa, e dalla riva si vedevano le torce elettriche dei sommozzatori sul fondo. Welch pestò di nuovo i piedi. Un'altra ora, decise. Poi avrebbe dichiarato conclusa la ricerca. Avevano iniziato dal punto descritto da Kelly ed erano andati avanti. Avevano frugato per tutta la lunghezza del tunnel e tre metri fuori da una parte e dall'altra. Uno degli spettatori dall'altra parte del canale aveva una macchina fotografica munita di teleobiettivo e un potente flash. Sembrava un equipaggiamento da professionista, e Welch pregò che non lavorasse per un quotidiano. Per completare una settimana di merda, mancava solo la sua foto in prima pagina su qualche giornale scandalistico, con sotto il titolo: «La polizia riapre il caso di Terry Greene». Welch rabbrividì. Ci fu un ribollire d'acqua al centro del canale, poi apparve una mano guantata che teneva qualcosa. Un oggetto lucido che brillava sotto la luce dei riflettori. Un oggetto che somigliava parecchio a una pistola.
«Merda» esclamò Welch. «Sembra proprio una ventidue» disse Duggan. Terry appese il suo asciugamano a un gancio all'entrata della sala docce e camminò attraverso i getti d'acqua. C'erano solo tre uomini, e tutti e tre lo salutarono con un cenno del capo. Terry si insaponò, assaporando la sensazione dell'acqua calda sul corpo. Una delle cose che più gli mancavano, in prigione, era il fatto di non poter fare una doccia ogni volta che ne aveva voglia. I tre accanto a lui finirono di lavarsi e se ne andarono, camminando a piedi nudi sul pavimento di piastrelle verdi. Terry chiuse gli occhi e lasciò che l'acqua gli scendesse sul viso. Aprì gli occhi di scatto udendo un rumore di passi. Due uomini erano entrati in sala docce completamente vestiti. Uno era Rodney Hobson, testa rasata e tatuaggi dappertutto, condannato all'ergastolo per duplice omicidio. L'altro, più basso e tracagnotto, con una faccia dagli occhi sporgenti che lo faceva somigliare a una rana, si chiamava Byrne ed era anche lui un ergastolano. Hobson aveva in mano un'arma fatta in casa: una lametta da barba inserita in uno spazzolino da denti. Byrne aveva un punteruolo di metallo lungo almeno venticinque centimetri. Si diressero verso Terry, noncuranti dell'acqua che inzuppava le uniformi carcerarie. Terry si spostò di lato, allontanandosi dal getto d'acqua. Sapeva che provare a dire qualcosa sarebbe stato inutile. Hobson e Byrne non erano lì per parlare. Non poteva neppure chiamare aiuto. Gli altri detenuti si sarebbero fatti gli affari loro, e dubitava che Hobson e Byrne fossero entrati senza essere visti da un secondino. Le guardie dovevano sapere cosa stava succedendo, quindi Terry era solo. Hobson menò un fendente con la lametta e Terry lo schivò facendo un salto indietro. Hobson sogghignò. Terry si mosse di lato e l'altro lo seguì. Entrò sotto il getto di una doccia, e Terry approfittò di un attimo di distrazione per farsi avanti e dargli un calcio in mezzo alle gambe. Hobson riuscì a voltarsi e il calcio lo prese sulla coscia. Urlò di dolore e colpì con lo spazzolino, mancando di pochissimo il piede di Terry. Byrne si lanciò in un affondo con il punteruolo. Terry lo deviò con una mano e cercò di afferrargli il polso, ma Byrne riuscì a scansarsi. I due assalitori si riunirono, ansimando. Terry si chinò rapido verso uno scolo dell'acqua, rimosse il tappo ed estrasse dal buco un tubo di piombo di trenta centimetri. L'aveva nascosto subito dopo aver ricevuto l'avvertimen-
to di Dunne, sapendo che se qualcuno voleva aggredirlo le docce erano il posto più adatto. Batté il tubo sul palmo dell'altra mano, con un ghigno crudele. «Okay, ragazzi» disse. «Balliamo.» Hobson e Byrne si scambiarono un'occhiata. Byrne sembrava preoccupato, ma Hobson gli ordinò: «Ammazzalo». Byrne si lanciò in un affondo con il punteruolo, ma fu troppo lento. Il tubo di Terry gli si abbatté sul gomito. Byrne urlò e il punteruolo cadde sul pavimento. Terry cercò di allontanarlo con un calcio, ma Hobson si fece sotto, menando fendenti con la lametta. Terry saltò indietro. Byrne si teneva il gomito con l'altra mano. «Cristo, fa' qualcosa» gli disse Hobson. Costrinse Terry a indietreggiare ancora e calciò il punteruolo verso il complice. Byrne lo raccolse con la sinistra. Hobson continuò ad avanzare menando fendenti, finché Terry si trovò chiuso in un angolo. Byrne apparve dietro a Hobson, con il braccio destro inservibile lungo il fianco e un lampo maniacale negli occhi. «Sei morto, Greene» sibilò Hobson, trionfante. Terry non disse nulla. Muoveva lentamente il tubo, ben piantato sui piedi, in attesa di vedere chi avrebbe attaccato per primo. Byrne doveva colpire di punta, mentre Hobson avrebbe menato un fendente. Armi diverse, diversi metodi di attacco, diverse difese. Terry lottò per mantenere regolare il respiro sapendo che se avesse cominciato ad ansimare avrebbe perso concentrazione. I due aggressori invece respiravano come tori nell'arena, con il petto che saliva e scendeva e i denti scoperti in un ghigno selvaggio. Fu Hobson ad attaccare per primo, con un fendente diretto allo stomaco. Terry schivò e mirò alla testa, colpendo l'avversario sulla bocca e spezzandogli un dente. Hobson saltò indietro, sputando sangue. Fu il turno di Byrne, che tentò un affondo al viso. Terry si scansò di lato. Sentì un dolore pungente al petto e si rese conto che la lametta di Hobson era andata a segno. Si abbassò su un ginocchio e colpì Byrne al polpaccio con tutta la forza. Udì un crack e Byrne cadde in avanti, urlando. Terry si rialzò, lo spinse via e si lanciò su Hobson, calando il tubo dall'alto in basso sulla sua testa rasata. Hobson rovesciò gli occhi e cadde in ginocchio. Terry lo colpì ancora sulla nuca e il detenuto svenne. Byrne stava cercando di rimettersi in piedi, gemendo. Terry gli diede un calcio nella schiena, poi un altro e un altro ancora, finché Byrne non si mosse più. Terry si appoggiò alla parete, ansando. Si pulì la faccia e rimise il tubo
nel suo nascondiglio. Gocce di sangue scendevano sul pavimento, unendosi all'acqua e formando una scia rosata. Terry esaminò il taglio. Era lungo una quindicina di centimetri, ma era poco profondo e non sembrava che fossero necessari dei punti. Terry prese l'asciugamano dal gancio, se lo girò intorno alla vita e uscì dalla sala docce. L'agente capo Riggs era vicino ai bagni, appoggiato alla porta di uno dei cubicoli. Si raddrizzò con un'espressione sorpresa appena vide Terry e fissò a bocca aperta il sangue sul suo petto. Terry mise una mano sul taglio e mostrò le dita insanguinate a Riggs, mentre gli passava accanto. «Devo essermi tagliato mentre mi facevo la barba» disse. Il sovrintendente Edwards era in piedi davanti alla finestra, le mani intrecciate dietro la schiena. «Non capisco la tua avversione verso quello che chiamerei un caval donato, Frank» osservò. Welch andava su e giù per la stanza, scuotendo la testa. «Preston Snow è stato ucciso da Terry Greene. Fine della storia.» «Il caso non è più tuo, Frank.» Welch si fermò di botto. «Col cazzo che non è più mio!» Edwards si irrigidì, fissandolo con freddezza, e Welch capì di aver esagerato. «Mi scusi» disse. Edwards annuì, accettando le scuse. «Comunque sono convinto» continuò Welch, in tono più conciliante, «che non sia stato Kelly. È impossibile. Mente.» Edwards si allontanò dalla finestra e andò a sedersi alla scrivania. «Consideriamo i fatti, Frank. Perché Kelly dovrebbe dire una menzogna che lo porterà all'ergastolo? Sta scontando sette anni per rapina, probabilmente sarà fuori tra quattro. Ha confessato di aver ucciso Snow e ci ha detto dove trovare l'arma del delitto, giusto?» Welch annuì di malavoglia. L'esame balistico aveva dimostrato che i proiettili recuperati dal corpo di Preston Snow erano stati sparati dalla calibro ventidue che avevano ripescato nel canale. «Non abbiamo mai avuto un movente per Greene.» «Una lite tra criminali. Succede continuamente.» «Ma non avevamo nulla di concreto, Frank. Kelly invece ha un movente valido.»
Welch scosse la testa, rifiutando di accettare quelle parole. «Quindi Terry Greene uscirà prima che ci possano accusare di cattiva amministrazione della giustizia, Frank.» Edwards mise le mani sulla scrivania. «La cosa migliore da fare, per te, è tenere un profilo basso e non reagire alle critiche.» Welch sbuffò e si voltò per uscire. «Io farò quello che posso» disse Edwards, «ma...» Welch era già fuori prima che il sovrintendente potesse finire la frase. Sam stava caricando la lavastoviglie quando squillò il telefono. Era Laurence Patterson. «Samantha, buone notizie» esordì. «Terry sarà rilasciato.» «Cosa? Quando?» «Uscirà di prigione. Tra pochi giorni, una settimana al massimo.» Sam sentì le gambe che le cedevano e si appoggiò al frigorifero per non cadere. «Cosa è successo, Laurence?» «Un uomo ha confessato l'omicidio di Preston. E ha fornito alla polizia l'arma del delitto. Un caso aperto e chiuso.» «Avevano detto la stessa cosa di Terry.» «Stavolta è diverso, Samantha. L'unica vera prova contro Terry era il testimone, e Morrison è morto.» «E le prove fisiche?» chiese Sam. «Saranno riesaminate. E Welch potrebbe passare un brutto quarto d'ora.» «Non posso crederci.» «Credici» disse Patterson. «Siamo in dirittura d'arrivo per la Corte d'Appello. Poi citeremo in giudizio l'accusa per avere un risarcimento, insomma, il pacchetto completo. Abbiamo vinto, Samantha! Terry torna a casa.» «È una grande notizia, Laurence» replicò lei, esitante. «Gli ho già parlato. Non vede l'ora di vederti. E dice che a questo punto è meglio aspettare la sua scarcerazione per l'altra cosa.» Sam aggrottò la fronte. «L'altra cosa?» «L'affare che stavi conducendo per lui, Samantha.» Sam capì. Si riferiva al denaro falso. «Certo, Laurence. Grazie.» Riagganciò, con la testa in subbuglio, e si sedette al tavolo della cucina, chiedendosi come mai non si sentiva esultante. Far uscire Terry era l'obiettivo di tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento, ma non provava nessuna felicità alla notizia comunicatale da Patterson. Anzi, provava una sensazione di nausea alla bocca dello stomaco. Un'immagine le tornò in men-
te, e capì come mai era così apprensiva. Fuori dalla chiesa, mentre lo conducevano ammanettato sul furgone, Terry aveva detto: «Coraggio, amore! C'è la luce in fondo al tunnel». Come poteva saperlo? Come poteva immaginare che un'altra persona avrebbe confessato l'omicidio di Preston Snow? I giorni successivi passarono in fretta. Ci furono telefonate di congratulazioni da tutti gli amici di Terry. George Kay, David Jackson, Warwick Locke. Persino Micky Fox chiamò dalla Spagna, dove era andato per sistemare le cose dopo il fiasco dell'hashish. Ora che Terry stava per essere rilasciato, erano tutti solidali con Sam. Lei accettò le congratulazioni senza nessun calore, incapace di dimenticare la freddezza con cui l'avevano trattata quando aveva avuto bisogno di loro. Il giorno precedente il processo di appello, la stampa assediò la casa, e Sam tenne le tende chiuse e il telefono staccato. Trisha non andò a scuola, e restarono in casa a guardare la televisione. I giornalisti continuarono a infilare fogli nella cassetta della posta e sotto la porta, con offerte di denaro per un'intervista, e Sam alla fine dovette staccare anche il campanello. La stampa divenne ancora più insistente in serata, forse perché il momento di chiudere gli articoli si avvicinava. Donne e uomini calpestarono il giardino, bussarono alle finestre, un reporter finse persino di dover consegnare un mazzo di fiori e sparò una serie di domande appena Trisha aprì la porta. Quando, sbirciando attraverso le tende, Sam vide una troupe televisiva arrampicarsi sul muro di cinta, ne ebbe abbastanza e telefonò a McKinley. Lui arrivò mezz'ora dopo, accompagnato da cinque, sei buttafuori del Lapland, i quali costrinsero i giornalisti a lasciare la proprietà e si misero di guardia all'ingresso del vialetto, fissando con sguardi minacciosi chiunque osasse avvicinarsi. Sam fece entrare McKinley e gli preparò un caffè. «Avevo chiamato la polizia, ma mi hanno detto che non potevano fare nulla.» «Non volevano, probabilmente» ribatté McKinley, sorseggiando il caffè. «Faranno una figura da idioti, quando Terry sarà assolto.» «Non riesco a credere che sia successo così in fretta» disse Sam. «Poche settimane fa sembrava che non sarebbe uscito mai. Ora...» scosse la testa. «Non so cosa pensare, Andy.» McKinley non disse nulla, guardandola da sopra la tazza. «Credi che sia stato...» non finì la frase. Si accese una sigaretta. «Scu-
sami, sto dicendo cose senza senso.» «È sotto pressione, signora Greene.» «Sì, forse.» Dal piano di sopra arrivava il suono dello stereo di Trisha. Sam sorrise. «Trisha non è esattamente felice al pensiero del ritorno di suo padre.» McKinley sembrava a disagio e Sam comprese che lo stava mettendo in una posizione difficile. Terry era il suo capo. «Grazie per essere venuto, Andy.» «Nessun problema, signora Greene. Resterò per la notte, allora.» «Sei certo di volerlo fare?» «Credo che suo marito approverebbe. E lei avrà bisogno di me per andare in tribunale, domani mattina.» Sam si sentì molto più sicura sapendo che McKinley era in casa. L'uomo dormì nella stanza di Jamie, e si alzò mezz'ora prima di lei, preparando uova strapazzate e pancetta. Trisha arricciò il naso, ma Sam mangiò con gusto e bevve due tazze di caffè forte. Quando uscirono, la maggior parte dei giornalisti era andata via. Due degli amici di McKinley erano ancora di guardia al cancello, e un uomo e una donna erano in piedi accanto a una macchina. Quando la Lexus passò loro accanto, l'uomo sparò alcune domande con poca convinzione, e la donna scattò una serie di foto con una macchina fotografica a motore. Sam tenne la testa bassa finché non furono ben lontani. «Ce ne saranno altri in tribunale» disse McKinley, allacciando la cintura di sicurezza mentre guidava. «È una storia grossa.» «Sono dei parassiti» commentò Sam, inforcando un paio di occhiali scuri. McKinley attese in auto mentre Sam entrò in tribunale. Terry arrivò accompagnato da due agenti di custodia, e le sorrise. Pike e Russell lanciarono grida di vittoria, finché un impiegato del tribunale ordinò loro di tacere o di uscire. Dei tre giudici presenti, uno solo parlò. Sam lo udì appena, e fu sorpresa dalla rapidità della procedura. Dopo due minuti, dal pubblico si scatenò un applauso. Terry scese dal banco e andò ad abbracciare Sam. «Te l'avevo detto che sarebbe andato tutto bene» le sussurrò all'orecchio. Laurence Patterson gli diede una pacca sulla schiena, e John Orvice, il suo avvocato difensore, gli strinse la mano. Terry passò un braccio intorno alle spalle di Sam e si avviarono insieme verso l'uscita.
Welch, seduto in fondo all'aula in compagnia di due ispettori, lo fissò gelido vedendolo passare. Terry sorrise. «Vieni a brindare al pub, più tardi, Raquel? Offro io.» «Lascia perdere, Terry» disse Sam. Fuori, le macchine fotografiche cominciarono a scattare e le troupe televisive si fecero avanti. Sam infilò gli occhiali da sole, per proteggersi dai flash. Terry si lanciò in un discorso. «Voglio ringraziare i miei legali e tutti coloro che mi hanno aiutato mentre ero in carcere» iniziò. «Sapevo di essere innocente, ma questo non è il primo errore giudiziario, e non sarà l'ultimo. Qualcuno dovrebbe esaminare con attenzione il modo in cui la polizia conduce le indagini. Anche un cieco avrebbe capito che ero innocente.» Diversi giornalisti urlarono delle domande, ma Terry li zittì alzando una mano. «Mi dispiace per la famiglia Snow, per tutto quello che hanno passato. Ora desidero solo tornare a casa e riprendere la mia vita. Spero che rispetterete la mia privacy. Risponderò volentieri ad alcune domande adesso, poi mi aspetto che lascerete in pace me e la mia famiglia.» Ci fu un'altra raffica di domande. Sam lo tirò per un braccio, ma Terry non si mosse, felice di essere al centro dell'attenzione. Seduto nella Lexus, McKinley osservava Terry che parlava con i giornalisti. A un tratto vide una figura che conosceva dirigersi verso Terry: Luke Snow, i dreadlock raccolti in un berretto di lana, le spalle ingobbite nella giacca mimetica. McKinley scese dall'auto per intercettarlo. Snow era concentrato su Terry e non lo vide finché non se lo trovò davanti. «Non pensarci neppure, Luke» disse McKinley, piano. Snow irrigidì il braccio destro. McKinley scorse l'oggetto che stringeva in tasca. Un coltello. Si sentì quasi sollevato. Un coltello poteva gestirlo. Una pistola sarebbe stata molto peggio. «Lui ha ucciso mio fratello e ora è libero» bisbigliò Snow tra i denti. McKinley lo fissò, con le mani lungo i fianchi. Non voleva fare mosse ostili, ma neppure farsi cogliere impreparato. «Il tribunale ha riconosciuto che non è stato lui» disse. «Il tribunale può andare a farsi fottere» ribatté Snow. Cercò di proseguire, ma McKinley gli bloccò la strada. Snow fece per estrarre il coltello. McKinley gli afferrò il polso. «Te lo spezzo, se non la pianti» lo minacciò.
«Ha ucciso mio fratello!» sibilò Snow, con le lacrime agli occhi. «E adesso guardalo, come blatera davanti ai giornalisti...» «Non lo fa per diventare famoso, Luke.» McKinley gli lasciò andare il braccio. «Va' a casa.» «Lo ucciderò.» «No, Luke, non lo farai. Non qui, non con tanti poliziotti in giro.» C'erano tre agenti in uniforme davanti all'ingresso del tribunale, e in quel momento stava uscendo anche Welch con i suoi due ispettori, circondato dai giornalisti. «Non arriveresti neppure a tre metri da Terry Greene. Perché vuoi finire in galera?» «Per mio fratello! Per mio fratello, cazzo.» Terry e Sam cominciarono ad allontanarsi dai reporter, fiancheggiati da Pike e Russell. Entrarono tutti in una grossa BMW con Fletcher al volante. Snow restò a guardare l'auto allontanarsi. Una lacrima gli scese lungo la guancia. Alzò il braccio destro per asciugarla, rivelando un coltello da caccia con una lama di quindici centimetri. «Cristo, Luke, mettilo via!» mormorò McKinley, guardando i poliziotti per accertarsi che non avessero visto l'arma. Snow si rese conto di ciò che aveva fatto e si affrettò a rimettere il coltello in tasca. «Grazie» disse. McKinley gli diede una pacca sulla schiena. «Va' a casa, ora.» Snow annuì e si allontanò lentamente, a testa bassa. McKinley lo seguì con lo sguardo, poi tornò alla Lexus. George Kay aveva chiuso il Lapland al pubblico e aperto dozzine di casse del suo migliore champagne, per festeggiare il ritorno in libertà di Terry. Erano state invitate anche delle ballerine, ma con l'ordine di vestirsi in un modo che non offendesse le molte mogli presenti. Più di duecento persone gridarono e applaudirono quando Kay uscì sul palco, dove tra due pali argentati era teso uno striscione con la scritta «Bentornato a casa, Terry». Kay tamburellò sul microfono con le dita, disse: «Prova, prova» poi chiese silenzio. La folla si acquietò gradualmente. «È vero quello che si dice» esordì Kay, allentando il nodo della cravatta. «Non si può tenere dentro un brav'uomo. E nessuno è migliore di Terry Greene. Avanti, Terry, vieni qui!» Terry salì sul palco, salutato da un grido della folla, e alzò entrambe le braccia in un gesto di vittoria. Scoppiò un applauso. Kim Fletcher cadde
dalla sedia. Pike e Russell lo aiutarono a rialzarsi, e Fletcher rivolse a Terry un gesto di scuse. Terry rise forte. Si godette gli applausi per un minuto buono, prima di agitare le braccia chiedendo silenzio. «Ho qualcosa da dire!» urlò. La folla gridò ancora più forte e Terry sorrise a Sam, seduta a un tavolo con Richard Asher e Laurence Patterson. Lei gli restituì il sorriso e alzò un bicchiere di champagne nella sua direzione. Gli applausi si calmarono e Kay passò il microfono a Terry, che si spostò al centro del palco, seguito dall'occhio di bue. «Voglio davvero ringraziarvi tutti per il vostro aiuto» disse. «Ci sono stati momenti, nelle ultime settimane, in cui ho creduto che avrei passato il resto della mia vita dietro le sbarre.» Ci furono grida di protesta dal tavolo di Fletcher. «Sul serio. È in momenti come questi che un uomo scopre chi sono i suoi veri amici. E io ho scoperto tutti voi.» Partì un altro applauso e Terry dovette urlare per farsi udire. «Immagino che questo significhi che vi devo molto!» Ci furono grida e brindisi. Terry aspettò che tornasse la calma. «Per quelli di voi che se lo chiedessero...» continuò, dandosi una pacca sul sedere, «sono ancora vergine!» Il pubblico scoppiò in una risata. Terry indicò Patterson. «Laurence, non so come ringraziarti.» Patterson alzò il bicchiere. «Ti ho già spedito la fattura!» urlò. Ci furono altre risate e di nuovo Terry chiese silenzio. «Ma c'è una persona, qui, alla quale devo davvero tutto. Senza di lei... be', lei sa quello che ha fatto e quanto le devo. Sam, vieni qui, per favore.» Sam scosse la testa. «Avanti, Sam!» gridò Terry. Lei sorrise, ma scosse di nuovo la testa. Intorno al tavolo ci furono grida di incoraggiamento: «Vai, Sam!». Lei fece gesti di diniego con le mani. Terry la minacciò scherzosamente con un dito. L'occhio di bue la inquadrò, e Sam si riparò gli occhi con una mano. «Non costringermi a scendere per venire a prenderti» disse Terry. Sam si alzò tra gli applausi, si fece strada tra i tavoli e quando arrivò sotto il palco Terry l'aiutò a salire. Poi restò abbracciato a lei, finché gli applausi non si calmarono. «Voglio che sappiate tutti quanto amo questa donna. Mi è stata vicino nel momento del bisogno, ha tenuto insieme la famiglia, e ha fatto quello
che doveva fare.» Terry si mise una mano sul cuore e guardò Sam negli occhi. «So che non è stato facile sopportarmi negli ultimi anni, Sam, e ti prometto che mi farò perdonare.» Sam lo guardò, imbarazzata dal fatto di essere sotto gli occhi di tutti. Terry le accarezzò una guancia. Lei scosse la testa, lentamente, poi un sorriso le illuminò il volto e Terry la baciò sulle labbra. Il pubblico andò in visibilio, come se quella fosse la scena finale di una commedia del West End. «Ho un ultimo desiderio» disse Terry. «Credevo che fosse solo per i condannati a morte!» urlò Fletcher. «Qualcuno vuole per favore accompagnare Kim alla fermata dell'autobus?» chiese Terry. «Sul serio, Sam, perché non ci canti una canzone? Una canzone per me.» Sam scosse la testa. «Per favore.» Terry piegò un ginocchio e le offrì il microfono. «Per favore, cantaci qualcosa.» «No» sibilò lei. «Sono anni che non canto.» Il pubblico cominciò a gridare e applaudire, e alla fine lei prese il microfono, riluttante. «Me la pagherai» sussurrò. Terry rispose con un gran sorriso. George Kay le mostrò i pollici alzati e un attimo dopo partì una base. Terry si alzò e la lasciò sola sul palco. Sam si impappinò all'inizio, ma subito trovò la voce, stupita dalla facilità con cui le venivano le parole. Non cantava professionalmente da più di vent'anni. Terry andò a sedersi con Asher e Patterson. Sam si spostò su un lato del palco, di fronte a Terry, e cantò per lui. Era quasi come ai vecchi tempi, pensò. Prima che lei si stufasse dei suoi continui tradimenti, prima che lo buttasse fuori di casa, prima che Terry finisse in prigione con un'accusa di omicidio. Prima che diventasse un trafficante di droga e un boss della malavita. Mentre cantava, Sam notò Andy McKinley in piedi al bar. Andy la stava guardando con espressione impassibile, come se la sua mente fosse altrove. Sam gli rivolse un sorriso e una strizzata d'occhio, ma McKinley non diede segno di averlo notato. Sembrava guardare attraverso di lei, come se Sam fosse trasparente. Era una sensazione spiacevole, e Sam sentì un brivido correrle lungo la schiena. Era arrivata all'ultima frase della canzone, quando le luci si spensero e la musica finì di colpo. Tre poliziotti in uniforme, un uomo e due donne, attraversarono il locale diretti verso il tavolo di Terry. Ci furono fischi e pro-
teste dal pubblico. Sam sentì una stretta allo stomaco, mentre il robusto agente si avvicinava a Terry e gli metteva una mano sulla spalla. Terry lo fissò con un'espressione di orrore sul volto. «Signor Terrence Greene?» disse l'agente. Le due donne, una bionda e una rossa, erano dietro di lui. La bionda prese un paio di manette. «Che cazzo succede?» chiese Terry. «Terrence Greene, ho qui un mandato di arresto...» Terry cercò di alzarsi in piedi ma la bionda lo spinse di nuovo a sedere e gli ammanettò il polso sinistro. «Devo avvertirla» continuò il poliziotto, «che ogni cosa che dirà potrà essere...» Si voltò verso la bionda, le afferrò l'orlo della gonna e tirò, strappandola via e lasciando scoperte calze nere, giarrettiere e un paio di mutandine rosso fuoco. «...sfregata contro di lei!» In quel momento George Kay fece un gesto e una musica da strip-tease si scatenò dagli altoparlanti. I tre agenti si tolsero il resto dei vestiti e la bionda si sedette in grembo a Terry, sfregandogli i seni sulla faccia, mentre la rossa gli ammanettava i polsi dietro la schiena. Warwick Locke si alzò e gridò qualcosa a Terry. Sam immaginò che fosse lui l'autore della sorpresa. La bionda sussurrò qualcosa all'orecchio di Terry, ma lui scosse la testa. Terry guardò Sam e le rivolse un sorriso di scuse. Sam sorrise a sua volta, anche se non ne aveva nessuna voglia. Vedendo Terry circondato dai suoi compari, al centro dell'attenzione, si chiese se il lupo avesse davvero perso il vizio. Guardò verso il bar, per vedere la reazione di McKinley, ma Andy era andato via. Il taxi li lasciò davanti a casa e Terry pagò con una banconota da venti, dicendo all'autista di tenere il resto. «I nostri problemi finanziari sono finiti, vero, Terry?» chiese Sam. «No, toglierò questi soldi dalla paga di McKinley. Gli avevo detto che doveva riportarci a casa, stasera. Non aveva il diritto di sparire così.» Il taxi si allontanò e Sam infilò la chiave nella serratura. Terry le si avvicinò e cercò di baciarla sul collo. «Guarda che parlavo sul serio» disse Sam, in tono fermo. «Beviamo qualcosa insieme e poi te ne vai.» «Ah, non c'è niente di meglio che sentirsi desiderati» replicò Terry, ironico. Sam aprì la porta e lui la seguì all'interno. «È stata un bella serata però, vero?» continuò, chiudendo la porta. «Sì, una bellissima serata.»
«Già, dovrei uscire di prigione più spesso.» In soggiorno, Sam versò due brandy. Mentre stava per dare il bicchiere a Terry, lui la sorprese afferrandola per un polso e baciandola. Con un bicchiere in ciascuna mano, Sam non riuscì a spingerlo via e la bocca di Terry premuta sulla sua soffocò le sue proteste. Sam cercò di sottrarsi, ma alla fine rispose al bacio. Lui le accarezzò il collo, le infilò la lingua in bocca e con l'altra mano le cercò il seno. Sam sentì il capezzolo irrigidirsi e si abbandonò a un gemito. Terry si staccò, sorridendo. Prese il bicchiere di brandy e lo sollevò verso di lei. «Alla tua, amore» disse. «Bastardo» ribatté lei. «Sei mia moglie, Sam. Baciarsi non è contro la legge.» «Siamo separati.» «Lo so.» «Da quasi un anno e mezzo.» «So anche questo.» «Allora forse non capisci il significato della parola separazione.» Terry si sedette e bevve un sorso di brandy, osservandola con uno sguardo divertito. «No, lo capisco eccome. Laurence Patterson mi ha spiegato con dovizia di particolari cosa significhi e quali siano le implicazioni finanziarie.» «Hai ancora il tuo appartamento?» «Perché?» «Rispondi, per favore.» «Sì, ho ancora l'appartamento.» «Quindi non è come se fossi sulla strada, giusto?» «Sam...» sospirò Terry. «Non provarci» continuò lei. «Se vuoi prendo il dizionario di Trisha e ti rinfresco la memoria sul significato della separazione.» «È stato un anno e mezzo fa, Sam. Ora è diverso.» «Vuoi tornare a stare qui, vero?» Terry sostenne il suo sguardo. «Tu vuoi che torni?» Sam fece un sorriso triste. «Terry, non puoi tornare nella mia vita come se nulla fosse successo.» «Lo so.» «Mi hai tradito. Ho perso il conto del numero di volte che mi hai mentito.» «Lo so, lo so. E mi dispiace.»
«Non ti dispiace affatto, Terry. Te lo leggo negli occhi.» «Cristo, Sam, con la quantità di champagne che ho dovuto bere, mi stupisce che tu riesca a leggere qualcosa nei miei occhi.» «Lo leggo eccome, Terry.» Sam vuotò il bicchiere e guardò l'orologio. «Devo andare a letto. Ti chiamo un taxi.» Terry si allentò la cravatta. «Sam, amore, non troveremo un taxi a quest'ora di notte.» Sam scosse la testa. «Il taxi per venire qui lo abbiamo trovato, no?» Terry le rivolse uno sguardo supplichevole, emettendo guaiti da cucciolo. «Sei patetico» rise lei. Si alzò e posò il bicchiere sul mobile bar. «Va bene, puoi restare. Dormirai nella stanza di Jamie.» Si chinò a dargli un bacio sulla testa. Terry cercò di afferrarla per la vita, ma lei gli sfuggì. «E ti avverto, Terrence Greene, che dormo con un coltello sotto il cuscino.» Terry chiuse gli occhi e posò la testa sullo schienale della poltrona. Sam restò a guardarlo. Aveva i capelli arruffati e sul suo viso c'erano ancora tracce di rossetto, dopo i baci delle spogliarelliste. Era davvero un bell'uomo, ed era diventato ancora più bello con gli anni. Sam capiva come mai tante donne gli corressero dietro. Aveva saputo fin dalla prima volta che era uscita con lui che avrebbe sempre avuto delle concorrenti. Erano andati in un ristorante italiano a Soho e la cameriera che li aveva serviti non aveva risparmiato battiti di ciglia e ostentazione della scollatura. Terry non l'aveva neppure guardata, i suoi occhi non avevano mai lasciato il viso di Sam per tutto il tempo trascorso nel ristorante, e lei l'aveva amato per questo. La fede al dito non lo aveva reso meno attraente per le altre donne, ma almeno durante i primi anni Terry le era stato fedele. Solo dopo la nascita di Jamie aveva cominciato a stare fuori fino a tardi, e Sam aveva capito da molti particolari che suo marito forse stava cedendo alle tentazioni. All'inizio aveva cercato di convincersi che fossero solo paure immotivate. Ma aveva trovato troppi numeri di telefono nelle sue tasche, troppe ricevute di alberghi e ristoranti per dare la colpa alla sua immaginazione. Terry sorrise, ancora con gli occhi chiusi. «Mi stai guardando, vero?» «No» rispose Sam, e uscì dalla stanza, seccata che lui fosse sempre in grado di prevedere le sue azioni. Salì in camera, fece una doccia e si guardò allo specchio mentre si asciugava. Si mise del profumo dietro le orecchie e sorrise alla propria immagine. Poi si chiese che diavolo stesse facendo. Mise a posto il flacone di profumo. "Che ti venga un accidente, Terry Greene" sussurrò tra sé.
Rientrò in camera, spense la luce e si infilò a letto. Restò distesa su un fianco, ad ascoltare il rumore del proprio respiro. A un tratto sentì il fruscio della porta contro la moquette e si voltò sull'altro fianco. Terry era in piedi sulla soglia, con indosso il suo vecchio accappatoio. «L'ho trovato nel bagno dei ragazzi» disse. «Mi sono dimenticata di buttarlo via» replicò Sam. «Torna a letto, Terry.» «Non parli sul serio.» Terry tenne gli occhi fissi nei suoi e fece un passo avanti. Poi un altro. «Terry...» Sam sentì l'indecisione nella propria voce e, al terzo passo del marito, ogni voglia di resistere l'abbandonò. Sospirò e sollevò il piumino. Terry fece scivolare a terra l'accappatoio ed entrò nel letto. Sam attese. Lui la baciò con foga, infilandole una mano tra le gambe. Lei le dischiuse, gemendo e vergognandosi del fortissimo desiderio che provava. Lui le scivolò sopra, e Sam gridò il suo nome quando Terry entrò dentro di lei. La possedette con forza, ma continuando a baciarla e non smise mai di accarezzarla. Lei voltò la testa di lato per parlare. «Non farmi di nuovo del male, Terry» sussurrò, avvolgendogli le gambe intorno alla schiena. «Non lo farò» disse lui, con un colpo di reni che la fece gridare. «Te lo prometto.» Poi cercò le sue labbra e Sam si abbandonò al bacio. Era come se non fossero mai stati lontani. Terry sapeva esattamente come muoversi, come toccarla, come fare tutto ciò che le piaceva, finché Sam fu sua, solo sua, e gridò il suo nome pregando che non si fermasse mai. Sam aprì gli occhi. Terry la stava osservando, con un sorriso furbo sulle labbra. «E così russi ancora» disse. «Sei un vero bastardo» rispose lei, e gli fece il solletico. Si baciarono, e Terry le passò un braccio intorno alle spalle. Sam gli accarezzò lo stomaco. Sentendo una cicatrice sotto le dita si accigliò e tirò via la coperta. «Cristo, Terry, cosa ti è successo?» Fissò la ferita. Era lunga una quindicina di centimetri, chiusa dai punti a intervalli regolari. Era quasi guarita, ma c'era ancora uno spesso strato di tessuto arrossato. «Questa è una ferita da coltello» disse. «Ah, sei un dottore, adesso?» rise Terry. «Non è divertente, Terry. Ti fa male?» Terry scosse la testa. «Solo un po' di prurito. Sarà a posto in pochi giorni. Il medico ha detto che si tratta di un taglio superficiale.» Sogghignò.
«Amore, stanotte non mi sembrava che l'avessi notata.» Sam gli diede uno schiaffo sul petto. «Non me ne hai dato la possibilità» disse. «Ho appena avuto il tempo di respirare.» Terry si strinse contro di lei. «Ora hai tutto il tempo» ribatté. L'abbracciò e la baciò. Mentre si preparava a entrare dentro di lei la porta si aprì. «Mamma, vuoi una tazza di...» chiese Trisha. Vedendo Terry restò di sale. «Che ci fa lui qui?» Sam fece una faccia sofferente. «Trish...» «Buon giorno, Trish» la salutò Terry, senza nessuna timidezza. «Puttana!» gridò Trisha alla madre. Poi corse via dalla stanza. «Lasciala perdere» disse Terry. «Si calmerà da sola.» Sam scese dal letto, infilò una vestaglia e andò a bussare alla porta di Trisha. «Va' via» gridò la figlia. Sam aprì la porta. «Trish...» «Va' via!» Trisha era stesa sul letto a faccia in giù e abbracciava stretto il cuscino. Sam andò a sedersi accanto a lei e le mise una mano sulla spalla. Trisha la scosse via. «Lasciami stare» ripeté. «Trisha...» «Come hai potuto?» «Trish... è mio marito.» Trisha si voltò a guardarla, con gli occhi pieni di lacrime. «Ci ha abbandonate. Non gliene è fregato niente di te o di me.» «Non ci ha abbandonate. Sono stata io a mandarlo via.» «È quello che dici tu» disse Trisha, la voce carica di amarezza. «Esatto, è quello che dico io. In ogni modo, ora è tornato.» «Non è tornato, mamma» ribatté Trisha. «È in visita. Appena incontra una bella ragazza se ne va di nuovo.» Trisha ricadde sul letto a faccia in giù. Sam le accarezzò la schiena, ma lei di nuovo scrollò via la mano. Sam tornò in camera sua. Era vuota. Sentì scrosciare la doccia. Si sedette sul letto e si prese la testa tra le mani. Frank Welch fece un cenno e Clarke proiettò una diapositiva sul muro. Welch si avvicinò e piantò l'indice in mezzo alla fronte di Sean Kelly. Al briefing erano presenti una quindicina di poliziotti. Conoscevano tutti il caso Greene, perciò non era necessario ripetere tutto da capo. «Greene ieri
è stato assolto perché questo pezzo di merda ha confessato di aver ucciso Preston Snow. Kelly sta scontando sette anni a Manchester.» Welch fece un altro cenno a Clarke e sul muro apparve una nuova diapositiva. Terry Greene. «Tutti noi sappiamo che Snow è stato ucciso da Greene. Perciò, per prima cosa, voglio sapere perché Kelly ha confessato un omicidio che non ha commesso.» «Ma non ha fornito l'arma del delitto?» chiese un agente poco più che ventenne, arrivato da poco. Welch si accigliò. «Come ti chiami, figliolo?» «Wright» rispose l'agente, esitante, rendendosi conto che aveva offeso l'ispettore capo. «Parla quando sei interrogato, Wright.» L'agente annuì, rosso come un peperone. Welch tornò a voltarsi verso la diapositiva di Terry Greene. «Come stavo per dire prima di questa fastidiosa interruzione, voglio Greene sotto sorveglianza ventiquattr'ore su ventiquattro. Ha appena perso quattro tonnellate di ottimo hashish, perciò avrà fretta di concludere un nuovo affare. Può essere droga, o una rapina, qualunque cosa. Ma sarà un affare grosso e sarà presto. Dobbiamo osservarlo al microscopio finché non sapremo di cosa si tratta.» Si accese la luce e Welch si voltò di scatto verso la porta, chiedendosi chi fosse il temerario che osava interrompere il suo briefing. Era il sovrintendente Edwards. «Frank, posso parlarti un attimo?» «In questo momento sarei occupato, signore.» «Sono certo che può aspettare, qualunque cosa sia» disse Edwards, e si allontanò senza dargli la possibilità di rispondere. Imprecando sottovoce, Welch lo seguì nel suo ufficio. Edwards era in piedi accanto alla scrivania, dritto come un fuso. «Non c'è un modo facile di dirlo, Frank. Sei sospeso.» Welch boccheggiò. «Cosa?» «Mi dispiace, Frank.» «Le dispiace?» «Si tratta delle prove. Con la confessione di Kelly, va riesaminato tutto.» Welch scosse la testa, pieno di rabbia. «C'era un'impronta insanguinata nel corridoio di Snow, e abbiamo trovato il sangue di Snow su una scarpa di Greene.» «È esattamente quello che sto dicendo» ribadì il sovrintendente. Gli occhi di Welch si indurirono. «Sta forse dicendo che ho falsificato le
prove?» Edwards alzò gli occhi al cielo, come se fosse l'ultima cosa che potesse passargli per la mente. «Frank, per favore. Stai esagerando. Ci sarà un'indagine, questo è tutto. Fino a quando non sarà conclusa, è prudente che tu ti dedichi al giardino.» «Abito al dodicesimo piano» disse Welch. Capì dallo sguardo del sovrintendente che era inutile discutere. Si voltò per andarsene. «Frank?» Welch si bloccò. «Sì?» «Il tuo tesserino.» Welch estrasse il portafoglio, gettò il tesserino sulla scrivania e uscì. Un giovane detenuto caraibico era al telefono, ma Byrne gli diede uno scappellotto sulla nuca e, quando il giovane si voltò, Hobson tirò via la scheda dal telefono e la gettò oltre la ringhiera. «Ora togliti dai piedi» gli ordinò Byrne. Aveva un braccio ingessato, ma era comunque grosso il doppio del caraibico, il quale pensò che fosse più prudente scendere le scale e andare a cercare la sua scheda telefonica. Hobson infilò la propria e compose un numero. Dovette attendere nove o dieci squilli. Sua nonna era sorda da un orecchio e spesso ci metteva un po' ad accorgersi che suonava il telefono. «Nonna, sono io» disse Hobson. «Ciao, tesoro, come stai?» «Sto bene, nonna» rispose lui. Byrne si allontanò, sapendo che a Hobson non piaceva che qualcuno stesse ad ascoltare mentre parlava con la nonna. La sua immagine di duro ne avrebbe risentito. «Hai ricevuto il mio biglietto di auguri per il tuo compleanno?» «Certo, tesoro, grazie.» Hobson aveva disegnato il biglietto da solo, passando ore a copiare i fiori da un libro che aveva trovato nella biblioteca del carcere. «Mi dispiace di non averti potuto mandare dei fiori veri.» «Oh, non preoccuparti, me li ha portati il tuo amico.» Hobson si irrigidì. «Cosa?» «Il tuo amico Terry.» Hobson coprì la cornetta con una mano e imprecò. Byrne fece per avvicinarsi, ma Hobson lo allontanò con un gesto. «Vuoi parlargli?» chiese sua nonna. «È ancora qui.»
«Certo, nonna, passamelo pure.» Hobson stringeva la cornetta così forte da farsi sbiancare le nocche. «Ciao, amico» disse Terry Greene, in tono allegro. «Com'è il posto, senza di me?» «Toccale solo un capello e sei morto!» sibilò Hobson. «Sto bene, grazie» replicò Terry. «E anche tua nonna sta bene. Bello il biglietto che le hai mandato. Non credevo che sapessi scrivere delle parole intere.» «Esci da casa sua!» «Stavo giusto dicendo a tua nonna che dovrebbe farsi installare un allarme antifumo. Queste vecchie case sono delle trappole mortali, in caso di incendio.» «Fottuto bastardo!» sibilò Hobson. «Sai cosa voglio» continuò Terry, calmo. «Il nome. E me ne vado subito. Chi ti ha pagato per quella storia nelle docce?» Hobson picchiò una mano contro il muro. Fece un respiro profondo. «Non farle del male» disse. «Il nome» disse Terry. «Kay. George Kay.» «Visto?» fece Terry. «Non è stato difficile.» Riagganciò e Hobson gridò di rabbia, sbattendo di nuovo la mano sulla parete. Byrne si avvicinò. «Cosa succede?» chiese, mettendogli una mano sulla spalla. Hobson urlò di nuovo, si voltò e gli diede una testata. Poi cominciò a prenderlo a calci, finché due secondini lo trascinarono via. Terry si voltò a guardare dal lunotto della BMW. «Merda» esclamò. A distanza di tre auto li seguiva una Rover marrone. La macchina di Welch. «A che gioco sta giocando, quel deficiente?» chiese Fletcher, al volante. Al suo fianco, Pike masticava una gomma. «Non ne ho idea» rispose Terry. «Forse crede di sorprenderci mentre rapiniamo un ufficio postale.» «Lo seminiamo?» propose Fletcher. «No, divertiamoci un po'. Prendi a sinistra e va' alle case popolari.» Fletcher eseguì l'ordine. Le case popolari erano una serie di edifici di otto piani, collegati da passaggi pedonali. Parcheggiarono e si diressero in fretta verso una scalinata.
Frank Welch rallentò, vedendo la BMW entrare in quel blocco di edifici dai muri istoriati di graffiti. Era un posto abitato da prostitute e spacciatori, dove la polizia non entrava mai a piedi. Welch inchiodò di colpo. La BMW era parcheggiata vicino a un cassonetto traboccante di pezzi di mobili e rotoli di linoleum macchiato. Ed era vuota. Welch scese dalla Rover e si guardò intorno. Non gli piaceva l'idea di lasciare la macchina incustodita, ma se voleva scoprire cosa tramava Terry Greene, non aveva altra scelta. Si diresse verso il primo isolato, continuando a voltarsi per controllare l'auto. Appena svoltò l'angolo, da uno dei camminamenti in alto Greene alzò un braccio in segno di saluto. «Ciao, Raquel. Da questa parte.» Welch fece un passo avanti. Dall'alto gocciolò dell'acqua che gli bagnò i capelli e il cappotto, colandogli sul viso. Appena si rese conto che non era acqua, ma urina, gli si rivoltò lo stomaco. Fletcher e Pike, in piedi sul camminamento, gli stavano pisciando addosso. Welch fece un salto indietro, imprecando. Fletcher e Pike tirarono su la cerniera, ridendo come matti. «Ora puoi andartene, Raquel!» gridò Greene. Welch, paonazzo di rabbia, si tolse il cappotto e tornò verso la macchina, asciugandosi il viso con un fazzoletto. Sam stava caricando le borse della spesa nel bagagliaio della Saab. Pensava a Laura, e non si accorse subito dell'uomo che le si era avvicinato alle spalle. «Signora Greene?» disse l'uomo, con una traccia di accento irlandese. Sam lo guardò, accigliandosi. Era un giovane sui ventitré anni, con i capelli nerissimi e gli occhi azzurri penetranti. Indossava una giacca di pelle nera e pantaloni di tela marroni. «Sì?» fece Sam, esitante. «Il mio capo vorrebbe fare due chiacchiere con lei, se ha tempo.» Il giovane sorrise e si scostò una ciocca di capelli dalla fronte. Aveva un atteggiamento da ragazzino che le ricordava Terry. «E il tuo capo chi è?» chiese Sam. «È l'uomo che vuole parlare con lei.» «Cioè?» «Credo che lei sappia di cosa si tratta, signora Greene.» Sam annuì lentamente. «Va bene» rispose. «La mia auto è quella» disse il ragazzo, accennando a una vecchia Ford
Escort. «Preferisco seguirti con la mia, se per te fa lo stesso» replicò Sam. «Mi hanno già portato via la macchina una volta, questo mese.» «Come preferisce» concluse il giovane. Andò a mettere in moto la sua macchina e Sam lo seguì con la Saab. Attraversarono il West End, poi si diressero a nord. Il giovane si manteneva al di sotto del limite di velocità e segnalava in anticipo tutte le svolte. A un tratto rallentò e si infilò nel recinto di uno sfasciacarrozze, ingombro di auto arrugginite, molte delle quali senza pneumatici o parabrezza. Un uomo dall'aspetto annoiato, alla guida di una piccola gru, stava caricando la carcassa di una vecchia Jaguar nella pressa meccanica. La Ford si fermò davanti a una baracca prefabbricata con le finestre crepate. Un cinquantenne in giaccone da lavoro ed elmetto giallo uscì all'aperto. «Grazie per essere venuta con così poco preavviso, signora Greene» disse, mentre Sam scendeva dalla Saab. Aveva un'aria gentile, e quando sorrideva gli brillavano gli occhi. Fece un cenno al ragazzo della Ford, il quale voltò la macchina e ripartì. Alle spalle di Sam, la pressa cominciò a divorare la Jaguar, con un urlo di metallo schiacciato. «Non ero sicura di avere scelta» rispose Sam, tendendogli la mano. L'uomo gliela strinse e Sam sentì i calli sui palmi e sulle dita. Era la mano di un uomo abituato ai lavori pesanti. «Certo che aveva scelta, signora Greene.» Anche il suo accento era irlandese, ma più duro e gutturale di quello del giovane che l'aveva accompagnata. «Mi chiamo McEvoy, Martin McEvoy. Non ha senso tenerlo segreto, visto che è scritto a lettere cubitali all'entrata di questo posto. Ciò nonostante, gradirei che lei lo dimenticasse appena il nostro colloquio sarà finito. Siamo d'accordo?» «Va bene» disse Sam. Si misero a camminare tra le pile di automobili. «Le sarei grato se mi dicesse quello che ha detto a Brian Murphy.» Sam si era quasi dimenticata della richiesta fatta a Murphy di confermare l'alibi di Terry per la notte in cui era stato ucciso Preston Snow. «Non ha più importanza» replicò. «Mio marito è stato rilasciato.» «Oh, è importante, invece» ribatté McEvoy. Sam gli gettò un'occhiata. L'uomo aveva un'aria gentile, ma la voce tradiva una certa durezza. Si rese conto di essere sola con lui. Nessuno l'avrebbe sentita urlare, e quello era il posto perfetto per far sparire la Saab. E il suo cadavere. Ebbe un brivido. McEvoy non diede segno di aver notato
il suo disagio. Sam respirò a fondo prima di parlare. «Mio marito è stato accusato di aver ucciso uno spacciatore di nome Preston Snow. E mi ha detto che la notte in cui Snow è stato ucciso, lui era con alcuni dei vostri uomini, per un affare di riciclaggio di denaro. Per questo non ha potuto dire nulla alla polizia.» «Suppongo che suo marito non le abbia dato dei nomi.» Sam scosse la testa. McEvoy si fermò e la guardò dritto negli occhi. «Suo marito non le ha detto la verità, signora Greene. Noi non facciamo affari con gente che non conosciamo. E non conosciamo suo marito.» Sam sentì una stretta al cuore. Riusciva appena a respirare e le girava la testa. Terry le aveva mentito sul suo alibi. E c'era un'unica ragione per cui poteva averlo fatto. «Mi dispiace, signora Greene» disse McEvoy. Le strinse piano un braccio, e Sam capì dai suoi occhi che conosceva il significato di quella rivelazione. Si voltò e tornò indietro a passo svelto, per non scoppiare a piangere davanti a lui. Sul letto c'erano due donne, una bionda con le tette pneumatiche e una bruna che non doveva avere più di sedici anni. La bionda baciò la bruna e le fece scivolare una mano tra le gambe. La ragazzina gemette e inarcò la schiena, mentre la bionda le infilava le dita nella vagina. «Cristo santo, Maddy, fa' una faccia come se ti piacesse, almeno!» gridò Warwick Locke. «Il mio uccello non manda nessun segnale.» La bionda raddoppiò gli sforzi, scuotendo i capelli e cominciando a baciare il corpo della bruna, sussurrandole parole sconce. Locke si voltò verso Terry. «Dilettanti del cazzo» sussurrò. Erano entrambi seduti in poltrone da registi, accanto al cameraman e al tecnico del suono che riprendevano la scena. Terry sorrise. «A me non sembrano niente male, Warwick.» «Sì, ma è la figura che fanno sullo schermo, l'importante» rispose Locke. Il cameraman si leccava le labbra, l'occhio incollato alla telecamera mentre seguiva le mosse delle due donne. La bionda cominciò a leccare la bruna tra le gambe. «Okay, Allan, è il tuo turno» disse Locke. Un uomo robusto e muscoloso, dai capelli lunghi fino alle spalle, si tolse l'accappatoio e si diresse verso il letto.
«Merda» esclamò Terry, vedendo i suoi genitali. «C'è n'è abbastanza da far venire a chiunque un complesso di inferiorità.» «È grosso, eh?» disse Locke. «E devi ancora vederlo quando gli viene duro. Il problema è che Allan si fa così tanta coca che ci mette un'ora prima di avere un'erezione.» Allan scivolò tra le due ragazze. La brunetta cominciò a fargli un pompino, mentre la bionda gli sfregava le tette sul petto, con un'espressione annoiata. «Maddy, se non la pianti con quella faccia vai fuori dal set!» gridò Locke. «Allan, pensa a cose belle, vuoi? Quello che ti stanno facendo è la fantasia proibita di un sacco di uomini.» Locke fece una smorfia seccata, scuotendo la testa. «Artisti del cazzo» commentò rivolto a Terry. Una porta si aprì ed entrò la figura imponente di Mark Blackstock, con un lungo cappotto sopra la giacca. Si avvicinò a Terry e disse, senza preamboli: «Non mi piace venire a comando, come un cagnolino». Terry sorrise amabilmente. «Preferisci che venga io da te?» «Sai cosa voglio dire.» Fissò con disgusto la bionda, che si impalò sopra l'uomo e cominciò ad andare su e giù. «E poi, perché proprio qui?» «È un posto tranquillo» rispose Terry. Indicò con uno scatto del pollice le donne sul letto. «E puoi farti un giro, se ne hai voglia.» Blackie non lo trovò spiritoso. Voltò le spalle al letto. «Non farmi perdere tempo, Terry.» «Per favore» protestò Locke. «Stiamo cercando di girare un film.» Terry si alzò, passò un braccio intorno alle spalle di Blackstock e lo condusse a una certa distanza dalla troupe. «Ascolta, Blackie, Raquel mi sta ancora addosso.» «Ma è stato sospeso.» «Questo non sembra averlo fermato. Voglio che mi lasci in pace.» Terry prese una busta dalla tasca interna della giacca e gliela porse. Blackie non l'aprì. «Sono di nuovo in candid camera?» Terry gli diede una pacca sulla schiena. «Con la vecchiaia stai diventando paranoico, Blackie.» L'altro aprì la busta e sfogliò le banconote con il pollice. «Vedi, Raquel non è un problema grave» spiegò Terry. «Ma voglio sapere se per caso l'SOII o l'NCU stanno annusando la mia pista.» «Non credo proprio che i servizi di intelligence criminale si occupino di te» rispose Blackie. «Hanno pesci ben più grossi da friggere.» «Grazie per la fiducia» disse Terry.
«Comunque chiederò in giro» lo rassicurò Blackie, mettendo via la busta. «C'è un'altra cosa» aggiunse Terry. Blackie sospirò. «Come sempre.» «Credo che George Kay faccia l'informatore per Raquel. Controlla se è vero, va bene?» «Non chiedi molto, eh?» Blackie scosse la testa, scoraggiato. «Sam mi aveva detto che ti saresti messo a rigare dritto.» «Questo è il piano» disse Terry, con un ampio sorriso. «Quando?» Terry si strinse nelle spalle, senza rispondere. Terry entrò in casa, andò in cucina e vide Sam con la testa nel forno. «Non credevo che le cose andassero così male» esclamò. Lei si voltò a guardarlo, togliendosi i guanti di gomma. «Il forno va pulito di tanto in tanto» rispose. «So che non lo immaginavi.» «Avresti voglia di fare un caffè?» chiese Terry, sedendosi al tavolo. «Qualcosa non va?» «Perché me lo chiedi?» «Perché hai quell'espressione.» Sam preparò un caffè per entrambi e si sedette di fronte a lui. Terry sospirò. «Il fatto è che Raquel mi segue come un cocker abbandonato» spiegò. «È stato sospeso, ma non molla. E con lui addosso non posso andare avanti con gli affari. Se mi vede andare in Spagna farà suonare tutti i campanelli d'allarme di cui dispone. Devi aiutarmi, Sam.» Lei mise giù la tazza. «Oh, no.» «La storia del denaro falso va risolta questa settimana.» Sam sospirò, esasperata. «Manda Micky Fox. O McKinley.» «Loro sono uomini d'azione, Sam. Non sanno pensare. Ho bisogno di te.» Sam gli rivolse una lunga occhiata, senza dire nulla. «Sam, è l'ultima volta.» «Un'altra ultima volta?» Bevve un sorso di caffè e si accese una sigaretta. «Jamie viene a casa per Pasqua» disse. «Farò l'agnello. Sarebbe bello se ci fossi anche tu.» Terry sorrise e annuì. Sam si sporse in avanti. «Deve essere davvero l'ultima volta, Terry. Non puoi continuare a chiedermi di fare il lavoro sporco al posto tuo.» Scosse
la testa. «Odio la Spagna» aggiunse. Emma Riggs scrollò il marito. Lui continuò a russare. Emma lo scrollò con più forza. «Oliver. Svegliati.» Riggs aprì un occhio. «Cosa c'è?» mormorò. «C'è qualcuno fuori.» «Saranno di nuovo quei gatti» grugnì Riggs, voltandosi dall'altra parte. Sua moglie scosse la testa. «Non credo proprio. Il rumore veniva dal garage.» Alla parola "garage", Riggs si svegliò di colpo. Tese l'orecchio, ma udì solo il rumore del traffico. «Sei sicura?» «Ho sentito dei rumori, Oliver» ribadì la moglie, piccata. «Non sono ancora rimbambita.» Riggs scese dal letto e si infilò la vestaglia. «Vuoi chiamare la polizia?» «Non dire sciocchezze. Ci penso io. Saranno dei ragazzi.» Riggs scese al pianterreno e uscì in giardino dalla porta sul retro, senza accendere le luci. Afferrò un badile che aveva lasciato contro un muro e si avviò verso il garage. Si trattava di una costruzione in mattoni appoggiata a un lato della casa, con la porta scorrevole di metallo sul davanti e una porta laterale di legno che permetteva l'accesso dal giardino. Riggs si diresse verso la porta laterale, impugnando il badile con due mani. Appoggiò un orecchio alla porta, e lo tirò via di scatto, imprecando. Il legno era bollente. E c'era odore di fumo. La porta era chiusa a chiave. Riggs corse in cucina a prendere la chiave e aprì la porta. Uscì una fiammata e Riggs si scansò, bestemmiando. Corse sul davanti del garage e restò a bocca aperta. Sulla porta di metallo qualcuno aveva scritto in vernice verde la parola «segaiolo». Riggs poggiò una mano sulla porta. Era caldissima. La serratura era stata forzata con un trapano, a quanto sembrava. Girò la maniglia cromata cercando di non scottarsi e sollevò la porta del garage. Uscì una nuvola di fumo. La sua Morris Traveller era in fiamme. Riggs fu costretto a indietreggiare per il calore e il fumo. Restò a guardare la gioia della sua vita che bruciava. Aveva investito migliaia di ore di lavoro in quella macchina, ricostruendola a partire da una carcassa arrugginita trovata da uno sfasciacarrozze. Tutti i fine settimana degli ultimi cinque anni li aveva dedicati a lei, cambiando pezzi o portandola a qualche raduno, dove la esibiva con orgoglio ad altri appassionati. Ora era distrutta e il premio dell'assicurazione non avrebbe coperto neppure in parte le ripa-
razioni necessarie. Riggs sapeva chi era stato. La scritta in verde era una indicazione sufficiente. Terry Greene. Quel bastardo di Terry Greene. Sam prese un taxi all'aeroporto di Malaga e si fece portare a Marbella. Terry le aveva spiegato che Micky Fox stava in una villa a un paio di chilometri dalla città. Il tassista non conosceva la zona e dovette fermarsi due volte per chiedere indicazioni, ma alla fine arrivò davanti a un cancello in ferro battuto incassato in un muro in pietra alto tre metri buoni. «Siamo arrivati?» chiese Sam. Il tassista annuì. Sam pagò e scese. Suonò al citofono e mezzo minuto dopo una voce chiese: «Qué?». «Sono Samantha Greene. Devo vedere Micky. Mi sta aspettando.» Ci fu un silenzio in cui Sam si chiese se l'altro avesse capito, poi il cancello si aprì con un ronzio. Sam percorse un vialetto che zigzagava attraverso un giardino ben tenuto e arrivò davanti alla casa, una villa enorme con grandi balconi ai piani superiori e un'imponente antenna satellitare in un angolo. Sulla porta l'attendeva uno spagnolo ancora adolescente, con i capelli nerissimi, la pelle color mogano e gli occhi castani. Addosso aveva solo un asciugamano avvolto intorno alla vita. Non disse nulla, facendole cenno di seguirlo in casa. Sam attraversò un atrio pesantemente decorato e oltrepassò due porte dorate che immettevano in un soggiorno arredato con pessimo gusto. C'erano statue a grandezza naturale di nativi africani con la lancia in mano, accanto a vasi cinesi con disegni floreali, sedie Luigi XIV e divani troppo imbottiti con le nappe sui cuscini. Il pavimento di legno era quasi tutto coperto di tappeti. Dal soffitto pendevano grossi lampadari a bracci e alle pareti erano appesi ritratti di personaggi ottocenteschi in spesse cornici dorate. Le finestre erano coperte da tende di velluto verde e diverse lampade erano accese, conferendo alla sala una nota di calore. Non c'era traccia di aria condizionata e l'effetto complessivo era così soffocante che Sam si sentì imperlata di sudore nel giro di pochi secondi. In fondo alla stanza, un'ampia portafinestra immetteva su una terrazza e Sam strinse gli occhi riemergendo nel sole accecante della Spagna. «Sam, da questa parte!» gridò Micky Fox. Sam si fece ombra con la mano e guardò in direzione della voce. La terrazza dava sul Mediterraneo, di un azzurro così puro che quasi faceva ma-
le. «Sono qui!» Micky Fox era steso in piscina, con un ragazzo per lato, sulla scalinata di marmo che scendeva fin dentro l'acqua. Entrambi i ragazzi erano giovani e belli come quello che le aveva aperto la porta, il quale ora si stava facendo una doccia vicino alla piscina, nudo. Fox aveva in mano un bicchiere di champagne, e sul gradino alle sue spalle c'era un secchiello con dentro del ghiaccio e una bottiglia di Dom Perignon. «Sam! Che piacere vederti. Vieni a bere un po' di champagne con me.» Indicò con un cenno del capo i suoi due giovani compagni. «Questo è Jesus, l'altro è Pablo. Avanti, prendi un costume da bagno e unisciti a noi.» Sam sorrise. «Sono un po' troppo giovani per me, Micky. Inoltre sarebbe meglio parlare in privato, non credi?» Gli mostrò la valigetta. «Sono qui per affari.» «Parla pure» la esortò Fox. «Loro non capiscono una parola di inglese. Vero Pablo?» Pablo aggrottò la fronte e inclinò la testa di lato. «Qué?» Fox ghignò. «Visto?» Prese la bottiglia dal secchiello e riempì il bicchiere. «Come sta Terry?» «Libero e felice.» «Sapevo che non potevano tenerlo dentro per molto» disse Fox, uscendo dalla piscina e indossando un accappatoio color pesca. «Ho sentito dire che stai cominciando a occuparti anche tu degli affari.» «Le voci corrono, eh?» Sam ormai era un bagno di sudore. Si tolse la giacca e arrotolò le maniche della camicetta di seta bianca. «Da queste parti non c'è molto altro di cui parlare, a dire la verità.» Fox cercò di pilotarla verso una scalinata che scendeva fino alla spiaggia. «Micky, ho i tacchi alti» protestò Sam. «Togliti le scarpe. Goditi la sabbia sotto i piedi.» «Ho anche i collant.» Fox rise e tornò verso di lei. Si sedette su una panchina di legno, e Sam prese posto su quella accanto. Pablo arrivò immediatamente con un ombrellone e lo orientò in modo che facesse ombra a Sam. Poi si tuffò in piscina. «Come va la multiproprietà?» chiese Sam. Fox fece una smorfia. «Una fatica. Questi spagnoli non fanno un cazzo. La loro fottuta siesta sarà la mia morte.» «Cosa intendi dire, Micky?»
«Si muovono con una lentezza esasperante. I muratori, le compagnie dei servizi, i burocrati...» «Quindi niente soldi in vista?» «Se dicessi che vedo la luce alla fine del tunnel mentirei, Sam. Ma stiamo pensando di cambiare il progetto e trasformare il complesso in appartamenti di lusso. Marbella sta tornando di moda tra i ricchi, potremmo fare un affare enorme.» «Quando?» Fox si strinse nelle spalle. «Mañana» rispose, in una pessima imitazione dell'accento spagnolo. «Terry vuole avere notizie del suo investimento?» «A me non sembra un grande investimento.» «Alla fine renderà un sacco di soldi, non preoccuparti. Ma puoi dire a Terry che ho un affare veloce per lui, se gli interessa.» «Gentile da parte tua, Micky, ma Terry si sta preparando a ritirarsi.» Fox rise. «Terry Greene in pipa e pantofole?» «Parlo sul serio, Micky. Terry vuole davvero smettere.» Fox smise di ridere. «Cosa bevi, Sam?» «Qualcosa di freddo e analcolico.» «Spremuta d'arancia? Le prendo da un aranceto qui vicino, stamattina erano ancora sugli alberi.» «Sì, una spremuta va benissimo, grazie.» Fox gridò qualcosa a Pablo, che nuotava rilassato. Il ragazzo si avvicinò al bordo della vasca e uscì dall'acqua. «Le auto sono pronte, vero?» chiese Sam. «Stasera lo saranno.» «Voglio vedere tutto di persona, va bene?» «Certo, Sam. È logico, me lo aspettavo.» Pablo si avvicinò a piedi nudi, portando un vassoio con sopra una caraffa di succo d'arancia ghiacciato e un bicchiere. Lo posò su un tavolino accanto a Sam e riempì il bicchiere. «Cosa ci fai qui, Micky?» domandò Sam quando il ragazzo si fu allontanato. «Con Pablo, intendi? È un po' goffo, ma ha un gran bel culo.» «Intendo qui, sulla Costa del Crimine. Immagino che di Pablo ce ne siano dovunque.» Fece un gesto verso la villa. «Tutto questo è molto bello, non dico di no, ma non è Londra.» Fox ingollò il suo champagne, e si asciugò la bocca con il dorso della mano. «C'è del marcio in Danimarca» disse.
Sam aggrottò la fronte. «Qualcuno ha fatto la spia sull'affare dell'hashish» spiegò Fox. «Non posso permettermi di tornare finché non sapremo chi è la mela marcia. Mi sorprende che tu sia restata in zona. Di' a Terry di guardarsi le spalle.» Sam fece spallucce. «Immagino che se avessero voluto arrestarci l'avrebbero già fatto.» Fox si sporse in avanti, con aria da cospiratore. «Quando ho detto che ho un affare veloce per Terry parlavo sul serio» ribadì. «C'è un russo qui che può procurarci polvere di ottima qualità dall'Afghanistan.» Sam bevve un sorso d'arancia e mise giù il bicchiere. «Eroina?» disse. «Lascia perdere, Micky. Io sono qui solo per dare il tocco finale alla storia dei soldi falsi.» Fox sospirò. «I soldi veri si fanno con l'eroina, Sam» insisté lui. «Di' a Terry che se ha bisogno di un affare rapido e sicuro...» Sam gli rivolse uno sguardo duro. Fox alzò le spalle e tacque. «Ascolta, Micky. Lasciami fare una doccia e un sonnellino, poi andiamo a cena, che ne dici?» «Ottima idea, Sam. Cosa ti piacerebbe mangiare?» «Non so. Qualcosa di spagnolo?» Micky Fox ebbe il buon senso di non menzionare più l'eroina, durante la cena. Andarono in un ristorante di pesce con vista sul mare, dove Fox era evidentemente un cliente regolare. Il maître lo salutò come un vecchio amico e, mentre li accompagnava a un tavolo, Sam vide sul muro una foto incorniciata con Fox e altre facce note londinesi che sollevavano bicchieri di champagne. Sam lasciò ordinare lui, e Fox prese aragosta e champagne. Chissà perché gli uomini sceglievano sempre l'aragosta quando volevano impressionare qualcuno. Anche Warwick Locke l'aveva fatto, quando lei era andata a parlargli. C'era qualcosa di primitivo nel modo in cui spezzavano le chele del crostaceo e succhiavano la polpa all'interno. A Terry l'aragosta non piaceva. Diceva sempre che gli sembrava un grosso insetto di mare, che la gente la mangiava solo perché era cara. Dopo cena, Fox la condusse in un garage alla periferia della città, dove due meccanici stavano inserendo pacchetti coperti di plastica nelle fiancate di due Mercedes. Fox prese uno dei pacchetti, delle dimensioni di un mattone, e lo aprì con un temperino che estrasse da una tasca della giacca. Poi lo passò a
Sam. Era pieno di banconote da cinquanta sterline nuove. Sam ne sfilò una e restituì il pacco a Fox. Osservò la banconota controluce. Sembrava perfetta in ogni particolare, compresa la filigrana d'argento. Sam fischiò tra i denti. «Cristo, Micky, sono ottime.» «Le migliori» disse Fox, gettando il pacchetto a uno dei meccanici. «Non capisco perché sono dovuta venire qui con una valigia di soldi veri per pagare i conducenti e gli altri» esclamò Sam. «Perché non gli diamo questi?» Fox rise. «Sam, nessuno farebbe tutto questo per delle banconote false. Vogliono quelle vere.» Sam sorrise. «Evidentemente mi manca la mentalità criminale. Dove te le sei procurate?» «Da un russo.» Fox sorrise. «Non è lo stesso dell'eroina, non preoccuparti. Era nel KGB, ai tempi dell'Unione Sovietica faceva soldi falsi per il governo. E quando è caduto il muro ha rubato un mucchio di matrici. Adesso è un free lance.» «E perché portarle in Inghilterra? Perché non cambiarle qui?» «Nessuno controlla le sterline, in Inghilterra. Al massimo fanno quello che hai fatto tu, una rapida occhiata controluce, ma nessuno controlla sul serio. Qui sarebbe valuta straniera e i controlli sarebbero approfonditi. Ora, si tratta di banconote molto ben fatte, ma sono pur sempre false.» Fox si avvicinò a una delle due auto e sbirciò da sopra la spalla di uno dei meccanici. «E poi, non vogliamo merda sulla porta di casa nostra, no?» «Di casa tua, Micky.» «Per il momento, almeno.» Fox disse qualcosa in spagnolo al meccanico. L'uomo rise, e Fox gli diede una pacca sulle spalle. «Starai nella villa stanotte, Sam?» chiese Fox. «Certo.» «Cercheremo di fare poco rumore.» «Oh, non frenarti per causa mia» rise Sam. Terry fece un po' di zapping tra i vari canali, in cerca di qualcosa da guardare. Si era deciso per una partita di calcio su Sky Sport, quando sentì una chiave girare nella serratura. Azzerò il volume e si alzò. Appoggiato l'orecchio alla porta del soggiorno, si mise in ascolto. Due voci. Trisha e un uomo. «Lei a quest'ora dorme, ma è meglio fare piano» disse Trisha, e soppresse una risatina. Terry aprì la porta. Trisha era in corridoio. Un ragazzo in maglietta
bianca attillata e pantaloni militari le accarezzava i capelli. Si diressero verso le scale e sobbalzarono entrambi vedendo Terry sulla soglia del soggiorno, a braccia conserte. «Che cosa ci fai qui?» chiese Trisha, in tono di sfida. «Sono il baby-sitter» rispose Terry. «Dov'è la mamma?» «Fuori per affari.» «Ma è quasi mezzanotte.» Terry sorrise. «Davvero? Non l'avevo notato.» Guardò con attenzione le pupille dilatate di Trisha. «Hai bevuto?» Si avvicinò e la figlia cercò di sfuggirgli, ma Terry fu più veloce e l'afferrò per le spalle. «Ho solo sonno» rispose lei. «Cosa hai preso, Trish?» «Niente.» «Proprio niente» confermò il ragazzo. Terry lo guardò, come se lo vedesse per la prima volta. Aveva la pelle morbida e rosata quasi come quella di Trisha, un orecchino al lobo sinistro, e anche le pupille dei suoi occhi grigi erano dilatate. Terry afferrò l'orecchino e tirò forte, strappandolo via. «Aah! Cazzo!» gridò il ragazzo. «Ken!» gridò Trisha. Ken si portò una mano all'orecchio e la ritirò insanguinata. «Merda, sono ferito.» «Meglio andare a casa, allora» disse Terry. «A farti dare un'occhiata dalla mamma.» Gli gettò l'orecchino in faccia.» «Non puoi fare così!» strillò Trisha. «Non sono una bambina.» «Allora smetti di comportarti come se lo fossi. Va' di sopra, subito!» Terry si voltò verso Ken, che si teneva l'orecchio. «Chiudi la porta quando esci, Ken. E non macchiarmi lo zerbino di sangue.» Terry seguì Trisha al piano di sopra e la spinse nel bagno. «Non puoi farmi questo!» protestò lei. «Sono tuo padre.» «Solo geneticamente.» Terry la spinse dentro la doccia, completamente vestita, e aprì il rubinetto dell'acqua fredda. Trisha cominciò a piangere, e si piegò sotto il getto gelato. «Non è giusto» singhiozzò. Terry chiuse la porta scorrevole della doccia e aspettò finché Trisha non fu inzuppata d'acqua. Poi aprì e le tese un asciugamano. «Dopo vieni in
cucina. Ti preparo una cioccolata calda.» Terry scese e si mise al lavoro. Fece bollire il latte e preparò due grandi tazze di cioccolata. Aveva appena finito quando Trisha comparve sulla porta, in accappatoio. «Non hai il diritto di stare qui» disse. «L'ipoteca è a mio nome. E sono io che pago le bollette.» Terry le passò una tazza e Trisha l'afferrò con riluttanza. «Siediti, Trish.» La ragazza obbedì, ma si rifiutò di guardarlo. «La mamma sa che sei qui?» «Sì, la mamma lo sa.» Terry si sedette di fronte a lei. «Cosa hai preso, Trish? Ecstasy? Fumo? Amfetamine? Cosa ti ha dato quello stronzetto?» «Nessuno la chiama più ecstasy, solo E. Ne ho presa solo una pasticca. Praticamente niente.» «Domani devi andare a scuola.» Lei alzò gli occhi e lo fissò. «Quindi se stasera fosse venerdì sarebbe tutto a posto?» replicò sprezzante. «Non è quello che intendevo, e lo sai. Come credi che la prenderebbe la mamma?» «Come credi che l'abbia presa, quando tutti i giornali ti hanno definito il più grosso trafficante di droga di Londra?» ribatté lei, con rabbia. «E quando ti hanno condannato? Se c'è qualcuno che delude le aspettative, in questa famiglia, non sono io.» Terry guardò la figlia per un lungo istante. Lei lo fissava con un misto di rabbia e odio. Per la prima volta Terry si rese conto di quanto male le avesse fatto. Voleva abbracciarla, dirle che gli dispiaceva, ma capì che lei non si sarebbe lasciata toccare. «Faccio quello che faccio per tenere insieme la famiglia» disse infine. «Tu ci hai lasciati, papà!» gridò Trisha, con la faccia contorta dalla rabbia. «Non ci hai tenuti insieme, ci hai separati. Ma su che cazzo di pianeta vivi?» «Ehi!» esclamò Terry, puntandole contro un dito. «Non dirmi di moderare il linguaggio!» gridò ancora Trisha. «Non provarci neanche!» Terry non disse nulla. Trisha prese la tazza con mani tremanti e se la portò alle labbra. Sorseggiò lentamente la bevanda e gradualmente il tremore svanì. Aveva un baffo di cioccolata sul labbro superiore. Terry allungò una mano per toglierlo, ma lei si ritrasse. «Hai della cioccolata sulle labbra» le disse allora.
Trisha si pulì la bocca con il dorso della mano. «È buona? La cioccolata, intendo.» «Sì. Mamma la fa meglio, ma questa è buona. Grazie.» Terry aspettò che avesse bevuto un altro sorso, poi continuò: «Perché la droga, Trish? Perché pensi di averne bisogno?». Lei scrollò le spalle. «Perché tu bevi? Perché mamma fuma?» «Non è la stessa cosa.» «Lo dici tu.» «Non sono l'unico a dirlo.» «Papà, puoi contare sulle dita di una mano le persone morte di ecstasy. Le sigarette uccidono centinaia di migliaia di persone ogni anno. Cancro, infarto. Ma nessuno le mette fuorilegge. E quanti incidenti stradali sono causati da chi guida in stato di ebbrezza? Ma nessuno proibisce l'alcol. Quante volte tu sei tornato a casa in macchina, completamente ubriaco?» «Quando succede, chiedo a qualcuno di accompagnarmi, non guido mai quando ho bevuto.» Trisha distolse lo sguardo, come se non fosse interessata a discutere. «Non capisco cosa ti dia l'ecstasy. Puoi dirmelo?» «Mi fa sentire bene, papà. Questo è tutto. Mi sento... diversa. Più sicura. Più felice.» Lo guardò negli occhi, seria. «Non sono una drogata, papà.» «Lo so. Questo lo so.» «E posso gestirla. Non è una droga pesante.» Terry sentiva che la stava avendo vinta lei. «E comunque, è un po' come il bue che dice cornuto all'asino» aggiunse Trisha. «Considerando...» «Considerando cosa?» «Il modo in cui tu ti guadagni da vivere.» Terry si alzò in piedi. «A letto» ordinò. Trisha sogghignò, trionfante. «Non hai una risposta, eh?» «Non voglio discutere, Trisha.» «No, non vuoi ammettere che non hai più argomenti» replicò lei. «C'è una bella differenza.» Terry usci dalla cucina e andò in soggiorno. Si sedette davanti al televisore e alzò il volume. Sam arrivò all'aeroporto di Heathrow poco dopo mezzogiorno. Andy McKinley era ad aspettarla. Le prese la borsa da viaggio e l'accompagnò al parcheggio. «Terry ha detto che gli dispiace non essere potuto venire di
persona, signora Greene» disse. «Aveva degli affari da sbrigare.» «Quali affari?» chiese Sam. McKinley si strinse nelle spalle. «Non vedo, non sento e non parlo?» sorrise Sam. «Non me l'ha detto, signora Greene. Sul serio.» «Ma se te l'avesse detto, tu l'avresti detto a me?» McKinley era a disagio. «Non è una domanda leale.» «E la tua risposta è evasiva come al solito» replicò Sam. McKinley fece una smorfia contrita, e Sam lo prese sottobraccio. «Ti sto solo prendendo un po' in giro, Andy. Scusami. Sono certa che il mio caro marito si sia comportato bene, in mia assenza.» McKinley si voltò a guardarla e Sam scoppiò a ridere vedendo la sua espressione incredula. «Scherzavo di nuovo» disse. Kim Fletcher fece ruotare la mazza da cricket e parecchie bottiglie di vino bianco andarono a fracassarsi sul pavimento. «Non hai ancora recepito il messaggio, vero?» gridò. Menò un altro colpo di mazza e spaccò delle magnum di champagne. Il padrone del negozio di alcolici lo supplicò di smettere. Era un indiano sulla cinquantina, con i capelli neri spruzzati di grigio e i baffi quasi bianchi, che somigliava vagamente a Omar Sharif. Fletcher aveva notato la somiglianza e gli aveva chiesto se per caso fosse un parente dell'attore, prima che Roger Pike e Johnny Russell lo immobilizzassero e lui cominciasse a demolire il negozio. Steve Ryser stappò una lattina di sidro forte e prese un pacchetto di patatine al gusto di cipolla e formaggio. Se ne mise in bocca una manciata proprio nel momento in cui Terry entrò nel negozio, pestando i vetri rotti. «Questo non è un picnic del cazzo, Steve» lo redarguì. «Scusi, capo» disse Ryser, sputando briciole di patatine mentre parlava. Si pulì in fretta la barba con una mano. «Terry, per favore, non c'è bisogno di farmi questo» lo implorò l'indiano. «Ho il cuore debole, l'anno scorso sono stato ricoverato. Il dottore dice che uno stress improvviso potrebbe uccidermi.» «Non parlare a me di stress» ribatté Terry, scartando di lato per evitare una pozzanghera di liquore alla menta. Fletcher aprì un frigorifero espositore e cominciò a gettare bottiglie di vino sul pavimento. L'indiano fece una smorfia di dolore. «Per l'amor di Dio, Terry» mugolò. «Cosa vuoi da me?»
Terry gli si avvicinò. L'indiano cercò di divincolarsi, ma Pike e Russell lo tennero fermo. «Voglio che compri gli alcolici da me, come eravamo d'accordo.» «Ma i kosovari...» cominciò l'indiano. «Al diavolo i fottuti kosovari» lo interruppe Terry. «Terry...» Terry lo zittì con un gesto. «Piantala» disse, a denti stretti. «Sono stufo di queste storie. Fa' quello che ti dico e basta.» «Ma...» Prima che l'uomo potesse continuare, Terry lo afferrò alla gola e lo spinse indietro. Pike e Russell lo tenevano per le braccia, con la schiena contro uno scaffale pieno di bottiglie. «Non voglio sentire nessun ma» sibilò. «E nessun "Terry". È chiaro?» «Ma, Terry...» Pike e Russell fecero una smorfia. Terry afferrò una bottiglia di vino rosso e stava per spaccarla sulla testa dell'indiano quando notò l'etichetta. «Ehi, questo è buono, vero?» L'indiano, che aveva chiuso gli occhi, li riaprì, timoroso. «Eh?» «Questo vino. È buono?» L'indiano deglutì nervosamente. «Sì, è un rosso fruttato. Buon corpo, retrogusto di more.» Terry contrasse le labbra, studiando l'etichetta. «Va bene con l'agnello?» «Benissimo» rispose l'indiano. Terry allungò una mano, come se volesse picchiarlo. Invece sorrise e afferrò un'altra bottiglia di vino alle sue spalle. Jamie si scostò dalla finestra del soggiorno e annunciò: «Papà è arrivato». «Urrà» fece Trisha, che stava sistemando le posate a tavola. «Issiamo le bandiere.» «Per favore, Trisha» la riprese Laura. «È tutto così falso» rispose lei. «Perché giocare alla famiglia felice?» «Papà è tornato, no?» disse Jamie. «Voglio dire, è tornato a stare insieme alla mamma.» «Se per te questo vuol dire tornare» ribatté Trisha. «Il suo spazzolino da denti è in bagno, ma il suo impegno si ferma lì.» «Questa è solo una cattiveria, Trish» replicò Laura, sistemando le tovagliette individuali tra coltello e forchetta.
«E tu come fai a saperlo? Non abiti più qui.» Puntò un coltello verso il fratello. «E neppure tu.» «Insomma, cosa vuoi dire?» chiese Jamie. «È tornato o no?» Trisha sospirò. «Lui dice di sì, ma continua ad andare e venire a tutte le ore. Non so perché la mamma lo sopporti. E comunque non ha rinunciato al suo appartamento, quello dove si era trasferito.» «E tu come lo sai?» domandò Jamie. «Lo so e basta. Quell'appartamento è la sua rete di sicurezza.» «È un appartamento in affitto» disse Laura. «Probabilmente aspetta solo di arrivare alla scadenza del contratto.» «Tu lo difendi sempre» si lamentò Trisha. Laura scosse la testa, senza dire nulla. Jamie posò una mano sulla spalla di Trisha. «Dài, Trish. Questo è molto importante per la mamma. Fa' uno sforzo, okay?» Trisha aprì la bocca per replicare, ma Jamie la minacciò con un dito. «Altrimenti ti infilo la testa nel water e tiro la catena.» Trisha rise. «Guarda che non ho più due anni.» Jamie la fissò, serio. «Lo so.» Trisha strinse gli occhi. «Diventerai un ottimo avvocato. Ma sappi che non è un complimento.» Jamie le diede un buffetto sulla schiena e andò in cucina, dove Sam, con i capelli legati a coda, stava ungendo un grosso pezzo d'agnello. «Papà è arrivato» la informò Jamie. «La tavola è apparecchiata?» «Quasi.» Udirono aprirsi la porta d'ingresso. «Buon segno» disse Jamie. «Gli hai dato le chiavi.» Sam rise e gli pizzicò un braccio. «Le ha sempre avute, Jamie. Questa casa è sua. O almeno, l'ipoteca è a nome suo.» «Come va tra voi?» «È presto per dirlo. Mi è mancato. E quando pensavo che avrebbe passato tutti quegli anni dietro le sbarre mi sono resa conto che gli voglio ancora bene.» Represse un brivido. «Andiamo avanti giorno per giorno, è la cosa migliore.» La porta della cucina si aprì e Terry entrò con due bottiglie di vino rosso. Abbracciò Jamie e baciò Sam sulla guancia. «Che profumino» disse. «Parli di me o dell'agnello?» «Di tutti e due» rispose Terry, cercando di baciarla di nuovo. Lei lo
scacciò con uno strofinaccio. Terry entrò in soggiorno. Laura corse ad abbracciarlo, e lui la baciò sulla testa. «Era tanto che non ti vedevo.» «Mi dispiace» si scusò lei. «Ho avuto molto da fare.» Terry le guardò il viso con attenzione. «Quello è un livido?» «Oh, sì. Tempo fa ho battuto la testa contro un pensile della cucina.» Prima che Terry potesse replicare, la porta della cucina si aprì e Sam entrò con l'agnello su un enorme vassoio. «Trish, Laura, andate a prendere le verdure, per favore?» «Prima un abbraccio, Trish» disse Terry. Jamie mimò il gesto di tirare lo sciacquone e Trisha non riuscì a evitare di sorridere. Si avvicinò al padre e lo abbracciò svogliata, prima di sparire in cucina con Laura. Terry porse una bottiglia di vino a Jamie. «Aprila tu.» Jamie annuì con approvazione appena vide l'etichetta. «Non sapevo che conoscessi i vini» si stupì. «Oh, mi sono fatto consigliare da un esperto.» Trisha tese il bicchiere e Jamie guardò Sam, la quale scosse la testa. «Niente da fare.» «Mamma, ho quindici anni!» protestò Trisha. «Avanti, Sam» intervenne Terry. «Un po' di vino non le farà male.» Trisha lo guardò, sorpresa che prendesse le sue parti. Terry le strizzò l'occhio. «I francesi lasciano bere vino anche ai bambini piccoli» disse Jamie, riempiendo fino a metà il bicchiere della sorella. «Non credo sia vero» replicò Sam. «Ora siediti, Terry» aggiunse, tirando indietro la sedia a capotavola. Terry prese posto e cominciò a tagliare la carne. «Sembra delizioso» commentò, tagliando una fetta spessa. «Meglio che pane e acqua, eh?» disse Jamie. «Jamie!» lo redarguì Sam. Terry sorrise. «Ha ragione, amore. Qualche settimana dietro le sbarre ti fa apprezzare la cucina casalinga. E tu sei sempre stata un'ottima cuoca.» Terry mise la carne sul piatto di Jamie e si rivolse a Laura. «E tuo marito dov'è?» chiese. Laura scrollò le spalle. «Aveva una partita a golf da cui non è riuscito a liberarsi.» «Si sente superiore a noi?» «Non è questo.»
«Quando è stata l'ultima volta che ha messo piede in questa casa?» Laura rivolse uno sguardo supplichevole alla madre. «Lavora molto» intervenne Sam. «Come tutti noi. I soldi del ricevimento di nozze li ha presi senza fare storie, no?» «È stato quattro anni fa» disse Laura. «E tu hai insistito.» «Non l'ho mica minacciato di spezzargli le gambe, se non li prendeva.» «Riguardo a questo, abbiamo solo la tua parola» disse Trisha. Sam le lanciò subito un'occhiata ammonitrice. «L'agnello è buonissimo» cambiò discorso Laura. «Davvero ottimo» le fece eco Jamie. Terry sollevò il bicchiere. «Dovremmo vederci più spesso.» «Sei tu che finisci in galera» mormorò Trisha. Terry sollevò il bicchiere nella sua direzione. «In ogni modo adesso sono libero, e noi siamo una famiglia. In alto i bicchieri.» Tutti si prepararono al brindisi. «Alla famiglia» disse Terry. «Alla famiglia» ripeterono gli altri. Jamie diede un calcio sotto la tavola a Trisha, accorgendosi che aveva solo mimato le parole. Guardando Terry mentre si serviva le verdure, Sam si chiese se fossero davvero di nuovo una famiglia. Terry aveva promesso di rigare dritto, una volta fuori dal carcere, ma adesso sembrava che non stesse facendo nulla per prendere le distanze dal suo passato criminale. E restava sempre la questione di dov'era la notte in cui Preston Snow era stato ucciso. Se le aveva mentito su quello, poteva aver mentito su tante altre cose. Terry alzò lo sguardo e le sorrise. Sam ricambiò il sorriso, cercando di allontanare i brutti pensieri. La foto incorniciata andò a schiantarsi contro il muro e cadde a terra in una pioggia di vetri rotti. Jonathon Nichols si avvicinò e la pestò con rabbia, distruggendo anche la cornice. Era una foto di Laura e Sam che si abbracciavano sorridenti. «Ti ho detto che non voglio che tu vada a casa di tuo padre!» gridò. Laura era rannicchiata sul divano e piangeva. «La casa è di mia madre» protestò singhiozzando. Nichols si avvicinò, mani sui fianchi. «Ah, allora avevo capito male. Tuo padre non c'era?» Laura non rispose. Prese un cuscino del divano e se lo strinse al petto. «Lo sapevo» disse Nichols, trionfante. L'afferrò per il collo e la scosse.
«È la mia famiglia!» gridò Laura. «Io sono la tua famiglia» sibilò Nichols, tirandola in piedi. «Non è vero!» ribatté Laura, con rabbia. «Tu non hai la minima idea di cosa sia una famiglia. I tuoi ti hanno mandato in collegio appena hanno potuto!» Nichols le diede uno spintone. Laura barcollò, perse l'equilibrio e cadde sul tavolino di vetro, sfondandolo. Restò a terra, circondata da pezzi di legno e vetro, con un braccio sopra la faccia. Le colava del sangue dal collo. Nichols si inginocchiò accanto a lei. «Mio Dio, Laura, mi dispiace tanto.» Tirò fuori un fazzoletto e lo tenne premuto contro il taglio più grosso. «Laura, ascoltami. Riesci a sentirmi?» Laura aprì gli occhi con un debole gemito, poi li richiuse. «Laura, non devi dire a nessuno quello che è successo, capito? Devi dire che sei caduta. Va bene?» I passi di Terry echeggiavano come spari attraverso il corridoio dell'ospedale. Sam si voltò vedendolo entrare nell'unità di terapia intensiva. Laura era a letto, collegata a un monitor. Terry si precipitò accanto a lei e la guardò. Aveva il viso pieno di lividi e così gonfio da essere quasi irriconoscibile. «Sta meglio» disse Sam. «Sembra peggio di quanto in effetti non sia.» «Cosa è successo?» chiese Terry, accarezzando i capelli della figlia. Il monitor emetteva dei bip regolari. Laura aveva le braccia e il collo coperti di bende. «Dice di essere inciampata» spiegò Sam, alzandosi e avvicinandosi a lui. «E di essere caduta sopra il tavolino del soggiorno.» Le lacrime le impedirono di continuare. «Lui la picchia, Terry» aggiunse quando poté di nuovo parlare. «La picchia? Cosa vuoi dire?» «Voglio dire che perde il controllo e la riempie di botte.» «Cosa? Lo uccido.» «Aspetta il tuo turno, c'è la fila.» «Dov'è quel bastardo?» «È andato a casa.» Il viso di Terry si contorse in una smorfia di rabbia. «Lo uccido, cazzo! Lo faccio a pezzi!» Sam gli mise una mano sulla spalla. «Calmati.» «Calmarmi? Da quanto tempo va avanti questa storia?» Sam si strinse nelle spalle. «Da un po'.» «Perché non me l'hai detto?» «Eri in galera, ricordi?» Terry la fissò, duro,
e Sam fece un gesto di pace. «Scusami» disse. «Non volevo.» Terry le prese il viso tra le mani e la baciò sulla fronte. «Lo so, amore. Non dobbiamo litigare tra noi. Dobbiamo solo essere contenti che non sia andata peggio.» Sam lo abbracciò e restarono così, ad ascoltare i bip del monitor. «Cosa dicono i medici?» chiese Terry. «Ha perso molto sangue, ma non tanto da aver bisogno di una trasfusione. E probabilmente non resterà sfregiata.» «Sfregiata? Cristo in croce!» «Terry, vuoi moderare il linguaggio?» «Questo è un ospedale, cazzo, non una chiesa.» «Terry!» Terry sospirò. «Scusami, amore. Farò il bravo, lo prometto.» «Ti ricorderò questa promessa» disse lei, guardandolo negli occhi. Terry sorrise. «Oh, so che lo farai.» Restarono accanto a Laura per un'ora, ma lei non si svegliò. Un dottore venne a esaminarla e disse che il suo sonno era normale, aveva solo bisogno di riposo. Il giorno successivo l'avrebbero spostata da terapia intensiva e, se tutto andava bene, dopo altre ventiquattro ore l'avrebbero mandata a casa. Alle nove un'infermiera venne ad avvisarli che l'orario di visita era terminato da un pezzo e che dovevano andare via. A casa, Trisha era seduta sulle scale, con il viso rigato di lacrime. «Come sta?» chiese subito. «Molto meglio» rispose Sam, chiudendo la porta. «Cosa è successo?» «È caduta» rispose Sam, lanciando un'occhiata a Terry. «È stato un incidente.» Terry andò in soggiorno e si versò un whisky. «Jamie è tornato a Exeter?» domandò Sam. Trisha annuì. «Sì, ha detto che aveva un esame domani mattina. Chiamerà stasera» Fece un cenno del capo in direzione del soggiorno. «Lui resta?» «È tuo padre, Trisha. Ed è ancora mio marito.» «Ti tradirà di nuovo, mamma. Sai che lo farà.» Trisha si alzò, dirigendosi verso la sua stanza. «E finirà tutto in lacrime, come sempre.» Sam restò a guardarla, chiedendosi se avesse ragione. Sarebbe finita davvero in lacrime? E lei avrebbe mai saputo la verità su dov'era Terry la notte in cui Preston Snow era stato ucciso? Raggiunse Terry in soggiorno. Lui le tese un bicchiere di whisky, ma Sam scosse la testa.
«Prendilo» insisté lui. Sam era troppo stanca per discutere. Afferrò il bicchiere e si sedette sul divano davanti al caminetto. Terry si accomodò in poltrona, con i piedi sul tavolino. Restarono in silenzio, ad ascoltare il ticchettare del grosso orologio di ottone sulla mensola del camino. Sam si voltò e aprì gli occhi. Terry era seduto sul bordo del letto e si stava infilando i pantaloni. «Che ore sono?» chiese Sam, con la voce impastata di sonno. «Torna a dormire, amore» disse Terry, alzandosi e tirando su la lampo. Sam guardò la sveglia sul comodino. Erano appena le due del mattino. «Dove vai?» domandò. «Il dovere mi chiama» scherzò Terry, infilandosi un maglione nero a collo alto. «Montagne da scalare, fiumi da attraversare.» «Stai ricominciando, vero?» disse Sam, cercando di sollevarsi a sedere. Terry si chinò sul letto. «Sono affari, amore.» Cercò di baciarla ma Sam lo allontanò. «Va' pure a occuparti dei tuoi affari.» Si voltò dall'altra parte, dandogli le spalle. Terry cercò di accarezzarla, ma Sam spinse via la mano. Lui allora si infilò la giacca, scese e uscì di casa. Pike e Russell lo aspettavano in piedi accanto alla BMW. Ryser era seduto al volante, con in testa un berretto da baseball alla rovescia. Terry salì dietro. «Parti, cosa aspetti?» disse. «E tagliati quella barba, Ryser. È rivoltante.» Mezz'ora dopo arrivarono a Clapham, davanti a un magazzino. Un'auto ferma lampeggiò. Dentro c'erano Ellis e Fletcher. «Bene, muoviamoci» ordinò Terry. Scesero dalla BMW. Pike aprì il cofano e distribuì asce e manici di piccone. Ellis e Fletcher si avvicinarono, avevano in mano due lattine rosse di benzina e una scatola di cartone su un lato della quale era attaccato un telefonino con del nastro adesivo. Tutti indossavano guanti. «Sei certo che quella roba funzioni?» chiese Terry a Ellis, con un cenno in direzione della scatola. «Spero solo che qualcuno non chiami per sbaglio mentre lo stiamo innescando.» «Io invece spero che tu stia scherzando, Pete.» Ellis sogghignò. «Certo, capo. È spento.»
«Assicurati che resti spento finché non saremo lontani.» Terry guardò il resto della squadra. «Pronti?» Tutti annuirono. «Allora andiamo.» Si avvicinarono alla porta di legno su un lato della zona di carico e scarico. Pike vibrò un colpo d'ascia e il legno intorno alla serratura si scheggiò. Un altro colpo, più un calcio di Ryser, e la porta cedette. Entrarono e si sparpagliarono in giro. Due kosovari dormivano su delle brande da campo tra i carrelli di hot dog. Ellis e Ryser li aggredirono con i manici di piccone mentre Pike sfondava i carrelli. Terry ed Ellis si fermarono al centro del magazzino e posarono la scatola su uno scaffale circondato di bottiglie di whisky. «Mi sembra un terribile spreco, capo» disse Ellis, controllando il telefonino sul lato della scatola. «Perché non le portiamo via?» «Con l'alcol che brucia, il danno sarà maggiore» disse Terry. «E poi qui non si tratta di rubarci le bottiglie a vicenda. Si tratta di dare a quel bastardo di Poskovic una lezione che non dimenticherà.» Fletcher cominciò a versare la benzina sugli scaffali. I due kosovari avevano perso conoscenza e Ryser li trascinò fuori. Terry andò in fondo al magazzino e sfondò con un calcio la porta dell'ufficio di Poskovic. In una delle due scrivanie trovò un fascio di banconote da venti, che si mise in tasca. Quando tornò dai suoi uomini, Fletcher aveva finito di vuotare le lattine di benzina, e l'aria era satura di vapori. «Okay» fece Terry. «Tutti fuori.» Tornarono alle loro auto. Passando vicino alla BMW, Ellis porse a Terry un telefonino. «Basta premere il tasto di chiamata» spiegò. Mentre la BMW si allontanava, Terry premette il tasto. Il cellulare nel magazzino squillò due volte, e ci fu un botto sordo, seguito quasi subito da una forte esplosione che sfondò le finestre e il soffitto. Ryser, Pike e Russell abbassarono involontariamente la testa, ma Terry restò impassibile. Poi scoppiò in una risata e diede una pacca sulla schiena di Ryser. «Così capiranno che Terry Greene è tornato» disse. «Avanti, andiamo a farci una bevuta.» Gettò il cellulare dal finestrino aperto, mentre la BMW accelerava. Sam aprì gli occhi nel buio. «Terry? Sei tu?» Non ci fu risposta. Si voltò e vide la porta della stanza aperta. Forse Terry non l'aveva chiusa quando era uscito. L'orologio sul comodino se-
gnava le quattro meno cinque. «Va' al diavolo, Terry» mormorò Sam, e chiuse gli occhi. Udì un fruscio e scattò a sedere sul letto. «Terry?» Nessuna risposta. «Trish?» Scorse una figura nel buio. Sam credeva ancora che fosse Terry, ma quando l'uomo si avvicinò lo riconobbe. Era Luke Snow. Indossava una lunga giacca di pelle nera, pantaloni marroni sbiaditi sulle ginocchia e un cappello informe da sotto il quale i suoi dreadlock spuntavano come pezzi di una vecchia corda. E aveva in mano un fucile a canne mozze. «Dov'è lui?» sibilò, puntando l'arma in faccia a Sam. «Qui non c'è» rispose lei, tirandosi addosso la coperta in un gesto istintivo di protezione. «Questo lo vedo da solo. Dov'è andato?» Snow sudava, e si guardava in giro nervosamente, come se si aspettasse di vedere entrare Terry da un momento all'altro. Muoveva l'arma avanti e indietro, con il dito sul grilletto. «Piacerebbe saperlo anche a me» replicò Sam. Snow la fissò, puntandole il fucile al petto. «Sei sua moglie, vero?» ringhiò. Sam non disse nulla. Deglutì, ma aveva la bocca così secca che per poco non le venne un conato di vomito. Si portò una mano alla bocca, ma si rese conto che tremava troppo e tornò a stringere la coperta. Snow fece un passo verso di lei, il calcio del fucile contro la guancia. «Quando torna?» sussurrò. Sam fissò le due canne. Sembravano abbastanza grandi e nere da inghiottirla. Non riusciva neppure a immaginare cosa sarebbe successo se Snow avesse premuto il grilletto a così breve distanza. Il cuore le batteva fortissimo. Respirò a fondo, cercando di calmarsi. «Non so neppure se tornerà» disse. Notò la smorfia incredula di Snow e continuò: «Dico sul serio. Non so se siamo tornati insieme oppure no. Lui dice di sì, ma...». «Non mi interessano i vostri problemi coniugali» la interruppe Snow, avvicinandosi di un altro passo. Sollevò il fucile, come per colpirla con il calcio, e Sam alzò le mani a coprirsi la faccia. «Non mentirmi» le intimò Snow. «Altrimenti ti faccio saltare la testa, lo giuro su Dio.» «Non sto mentendo» disse Sam, con voce tremante. «Perché dovrei? Lo vedi da solo che non c'è.» Snow le puntò di nuovo contro il fucile. «Certo che lo vedo, cazzo. Per questo ti ripeto la domanda: quando cazzo torna?» Il sudore gli colava dalla fronte. Si pulì la faccia con una manica.
«Non lo so» rispose Sam. «Tu sei Luke Snow, vero? Il fratello di Preston Snow.» Snow la minacciò con il fucile. «Chiudi la bocca!» sibilò. «Ti sparo. Giuro che lo faccio.» Sam sentiva le gambe tremare sotto la coperta. La bocca era così secca che respirare le procurava dolore. Continuava a immaginare lo sparo, il sangue, gli schizzi. Strinse più forte la coperta, benché sapesse che non offriva nessuna protezione. Strinse le ginocchia al petto, cercando di fermare il tremito. «Mia figlia dorme in fondo al corridoio» disse piano. «Non voglio che si svegli. Domani deve andare a scuola.» Snow scosse la testa e i dreadlock si agitarono sotto il berretto di pelle. «Cosa?» Sam indicò il fucile. «Quello fa un sacco di rumore.» «Non fare la superiore, capito? Sparo a te e poi anche a quella troia di tua figlia.» Sam strinse gli occhi. «Se ce l'hai con mio marito, prenditela con lui, non con la sua famiglia.» «Quello armato ora sono io» replicò lui, avanzando, gli occhi fissi e spalancati. «Questo è vero. Sei armato.» Snow fissò l'arma come se la vedesse per la prima volta. «Cosa pensi di fare, Luke?» chiese Sam, piano. «Lo ucciderò» rispose Snow. Teneva il fucile con la destra, e cominciò ad accarezzare la canna corta con la sinistra. «Ha ucciso mio fratello. Deve morire.» «Non dimentichi qualcosa?» Snow aggrottò la fronte. «Cosa?» «La Corte d'Appello lo ha assolto, perché un'altra persona ha confessato l'omicidio.» Il viso di Snow si contorse in una smorfia di rabbia. «Il fatto che qualcuno ha confessato, non significa niente. Preston l'ha ucciso lui. E poi ha convinto un altro a confessare al posto suo.» «Non ha senso, e lo sai» sussurrò Sam. «Perché una persona dovrebbe confessare un omicidio che non ha commesso?» Snow scosse la testa. «Non lo so, ma sono sicuro che sia stato tuo marito a uccidere Preston.» Agitò il fucile. «E io gli darò quello che si merita.» «Così finirai in prigione. È davvero quello che vuoi? Passare la vita dietro le sbarre? In che modo questo aiuterebbe tuo fratello?»
Snow era ai piedi del letto, e camminava avanti e indietro per la stanza. «Non sono stupido, lo so che qualunque cosa io faccia non ridarà la vita a Preston. Quello che voglio è dare una lezione a tuo marito.» «Se gli spari, non imparerà nulla. Morirà e basta.» Snow si fermò e le puntò di nuovo contro il fucile. «Stai di nuovo facendo la superiore!» «Sto solo dicendo che la vendetta non ti porta da nessuna parte» precisò Sam. «Non serve mai a nessuno.» Spinse da parte la coperta e scese dal letto. «Cosa fai?» domandò Snow, facendo un passo indietro e minacciandola con il fucile a canne mozze. Sam lo ignorò e si infilò la vestaglia. «Vuoi un caffè?» chiese. «Cosa?» «Ascolta, Terry non c'è» ripeté Sam, paziente. «E mi sembra che tu non abbia intenzione di sparare a me. Perciò possiamo anche comportarci da persone civili, no?» Snow restò interdetto. Non sapeva come reagire. «No. Restiamo qui e aspettiamo che torni tuo marito.» Le puntò il fucile allo stomaco. «Ti ho già detto che potrebbe anche non tornare. Non sarebbe certo la prima volta. Lascia che ti offra un caffè. Possiamo aspettare Terry anche in cucina.» Snow la fissò per alcuni secondi, poi abbassò il fucile. «Sì, immagino di sì.» Sam annuì e si diresse al pianterreno. Snow la seguì in punta di piedi e Sam capì che non voleva disturbare Trisha. Sorrise tra sé. Snow era un giovane dalla personalità disturbata, ma non sembrava un assassino. Sam accese il bollitore e prese da un pensile il caffè solubile e il dolcificante, mentre Snow camminava avanti e indietro. «Ti offrirei del decaffeinato, ma non ne ho.» Snow si accigliò. «Eh?» «Siediti, Luke, stai consumando il pavimento.» Snow si tolse il cappello, liberando i dreadlock. Si sedette e posò il fucile sulla sedia accanto, facendo attenzione che non puntasse verso Sam. «Dove l'hai preso quello?» chiese la donna, indicando il fucile. «Da un tipo in un pub» rispose Snow. «Trecento sterline.» Fece una pausa e aggiunse: «Non intendevo spaventare te». «Gentile da parte tua» osservò Sam. «Ma non è vero. Se mio marito fosse stato a letto con me e tu gli avessi sparato, come credi che mi sarei sen-
tita? Zucchero?» «Che c'entra lo zucchero?» «C'entra perché se lo vuoi nel caffè, devo dirti che non ne abbiamo. Ma c'è il dolcificante.» «No, niente zucchero. Solo latte.» Il bollitore emise un fischio e Sam lo spense, poi preparò due tazze di caffè. Ne porse una a Snow, che ringraziò con un cenno del capo e la prese con entrambe le mani, soffiandoci sopra per raffreddare il liquido bollente. «Probabilmente non gli avrei sparato» disse in un sussurro. «Ma non sapevo che altro fare.» Sam si sedette di fronte a lui. «Perché sei così sicuro che Terry abbia ucciso tuo fratello?» Snow scrollò le spalle. «Così ha detto la polizia. Quell'ispettore, Welch.» Sam scosse la testa. «Welch ce l'ha con mio marito da anni, Luke. La polizia è piena di agenti corrotti. E tuo fratello era uno spacciatore. Doveva avere una gran quantità di nemici.» «Sì, gli dicevo spesso che si sarebbe messo nei guai.» «E non ti ascoltava?» «No. Anche Alicia faceva il possibile per mantenerlo sulla retta via, ma Preston non ascoltava neppure lei.» «Alicia?» «La moglie di Preston.» Sam poggiò la tazza sul tavolo. «In tribunale non si è mai parlato di una moglie.» «Erano separati. Lei lo aveva lasciato da tempo.» Snow bevve un sorso di caffè. «Ora abita a Bristol, credo.» Guardò l'orologio. «Ora è meglio che me ne vada. Mia moglie farà un casino, se sto fuori tutta la notte.» Si alzò e fece per prendere il fucile. Sam ci mise una mano sopra. «Perché non lo lasci qui?» chiese. Snow fece un sorriso imbarazzato. «Il tipo da cui l'ho comprato ha detto che è disposto a ricomprarmelo per la metà dei soldi.» Sam tolse la mano e Snow prese l'arma, con delicatezza. «Non tornerò, non preoccuparti.» Sam gli strinse leggermente il braccio. «Mi dispiace tanto per quello che è successo a tuo fratello» disse. Snow abbassò la testa. «Grazie.» Sean Kelly aggrottò la fronte quando vide chi era la persona che lo aspettava in sala colloqui. «Non ho niente da dirgli» disse, rivolto all'agente
di custodia che lo accompagnava. «Siediti e non rompere i coglioni» tagliò corto Frank Welch. Gettò sul tavolo due pacchetti di sigarette, della marca che fumava Kelly. Kelly fissò le sigarette con disprezzo, ma si sedette. Welch fece cenno all'agente di uscire. Appena l'uomo aprì la porta, Kelly si voltò di scatto. «Ehi, non lasciarmi solo con lui.» «Non preoccuparti, Sean» lo rassicurò Welch. «Non sei il mio tipo.» Aspettò che si chiudesse la porta, poi gli chiese: «Come ti senti?». Kelly fece una faccia confusa. «Cosa?» Welch lo fissò, freddo. «Sai bene a cosa mi riferisco.» Kelly aprì uno dei pacchetti, prese una sigaretta e l'accese con un cerino. «Ho parlato con il tuo medico» spiegò Welch, in tono tranquillo. «Impossibile» replicò Kelly, teso. Welch sorrise, inarcando un sopracciglio. «I medici prendono un sacco di multe per divieto di sosta...» Kelly strinse gli occhi e fissò a lungo l'ispettore capo. Poi distolse lo sguardo. «Merda» esclamò. «Il cancro al pancreas è una brutta bestia, vero?» disse Welch, in un sussurro. Restò in silenzio per qualche secondo, poi si sporse in avanti. «Sono andato anche a trovare la tua signora. Bella macchina, stereo nuovo. Ora so che non ti è costato molto confessare l'omicidio di Preston Snow, visto che hai poco più di un anno di vita. Ma scommetto che Terry Greene te ne è stato molto grato. Chi ti ha dato i soldi, Sean? McKinley? Kay? O è stata la moglie di Greene? È stata lei?» Kelly prese i due pacchetti di sigarette e si alzò in piedi. «È stata Sam Greene?» ringhiò Welch. «È stata lei?» Kelly gli voltò le spalle e batté il pugno contro la porta per farsi aprire. Sam percorreva lentamente le corsie del cimitero. Il vento faceva turbinare le foglie intorno ai suoi piedi. Quando arrivò alla tomba di Grace si chinò a depositare sulla lapide un mazzo di gigli. Erano sempre stati i suoi fiori preferiti. Sam tolse le foglie morte intorno alla tomba e si alzò, pulendosi le mani. «Mi mancano le nostre chiacchierate, Grace» disse. «Mi mancano molto.» Due bambini correvano lungo il muretto di mattoni accanto al sentiero, ridendo e prendendo a calci una lattina di Coca-Cola. Sam sorrise alla loro esuberanza.
«Il tuo caro ragazzo è fuori» continuò a Grace, infilando le mani nelle tasche del cappotto. «Ma continua a chiedermi di fare lavori sporchi per lui. È tornato a casa ed è tornato anche nel mio letto. Ma ho la brutta sensazione che mi nasconda qualcosa. Cosa deve fare una donna in questa situazione, Grace? Cosa devo fare?» Sam sospirò. Il mazzo di gigli cadde e lei si chinò a raddrizzarlo. Accarezzò il marmo freddo della lapide. «Mi ha detto che era con dei pezzi grossi irlandesi, la notte in cui Snow è stato ucciso, ma ho scoperto che ha mentito. Allora dov'era, Grace?» Sam inclinò la testa di lato, come aspettando davvero una risposta. Ma l'unico rumore era il vento che fischiava intorno alla chiesa. «Laura è in ospedale. Continua a dire di essere inciampata. Non so perché resti con quell'uomo.» Sam fece una risata amara. «Questo non è vero.» Indicò con un cenno del capo la lapide accanto a quella di Grace. «Tu lo sai meglio di chiunque altro, vero? O li ami, o non li ami. Cosa devo fare, Grace? Più vado a fondo, più mi convinco che Terry mi ha mentito.» Era il tardo pomeriggio, e Sam era a letto con una compressa fredda sugli occhi. Trisha era andata a un concerto, e aveva il permesso di rientrare a mezzanotte, visto che era venerdì. Anche Terry era fuori, ma non aveva detto dove, ed era stato ancora più vago sull'ora del suo ritorno. Sam dormicchiava, godendosi la solitudine. Niente discussioni, niente decisioni da prendere, niente schermaglie verbali. Solo silenzio e solitudine. Udì un rumore, seguito dal fruscio della porta contro la moquette e si irrigidì. Immagini di Luke Snow con il fucile a canne mozze le attraversarono la mente. Tirò via la compressa e aprì gli occhi. Qualcuno si muoveva verso di lei, una figura vestita di nero. Sam aprì la bocca per gridare, poi si rese conto che si trattava di Terry. «Cristo santo, Terry, che cosa ti è venuto in mente?» Terry si sedette sul bordo del letto. «Adesso cosa c'è che non va?» «Sei entrato in modo così furtivo...» «Furtivo? Ma non è vero.» Terry sembrava preoccupato dalla sua reazione. Sam non gli aveva raccontato della visita notturna di Snow, né aveva intenzione di farlo. Si alzò a sedere sul letto. «Dormivo» disse. «Non volevo spaventarti» replicò Terry. «Avresti dovuto bussare. O suonare il campanello di sotto.»
«Io abito qui, Sam.» «Davvero? A volte non ne sono sicura.» Terry si accigliò. «Comunque volevo farti una sorpresa.» «Ci sei riuscito.» Terry sorrise e sollevò una borsa di nylon. L'aprì e la vuotò sul letto. Ne uscirono mazzi di banconote da cinquanta. Decine di mazzi. Erano le banconote che Sam aveva visto in quel garage in Spagna, con Micky Fox. Terry strappò la fascetta di uno dei mazzi e gettò i soldi in aria. Le banconote ricaddero intorno a Sam come grossi fiocchi di neve. «Sono arrivate?» Sam ne prese una manciata e le guardò attentamente. «Tutte, fino all'ultima» rispose Terry. Prese una seconda borsa e vuotò anche quella sul letto. «Entrambe le auto hanno passato la dogana senza problemi. Ho già pagato gli altri investitori, quello che vedi è tutta roba nostra.» Lasciò cadere le borse e baciò Sam sulla bocca, con forza. Lei lo spinse via. «Quanti soldi sono?» «Questi? Circa mezzo milione.» «Mezzo milione!» «Non entusiasmarti troppo. Sono soldi falsi, ricordi? Devono essere riciclati. Attraverso i club e attraverso persone che conosco. Non possiamo andare a depositarli in banca così come sono.» Sam si premette un mazzo di banconote contro la faccia, annusandone la fragranza. «Mi piace il profumo dei soldi nuovi» disse. «Non possiamo spenderli, Sam.» «Ma sono perfetti.» «Perfetti, ma falsi. Se ci beccano finiamo dentro entrambi. Li ripuliamo, depositiamo in banca soldi veri, e poi sì che possiamo spenderli.» Sam lasciò cadere sul letto le banconote che aveva in mano. Cinquecentomila sterline. Anche nei giorni migliori, non ricordava di aver mai visto più di qualche migliaio di sterline in contanti tutte in una volta. Mezzo milione. Le sembrava di aver vinto alla lotteria. «Quanto ci vorrà per il riciclaggio?» «Qualche settimana. E ci costerà il venticinque per cento. Forse di più. Quando sarà tutto finito, probabilmente ci resteranno trecentomila sterline.» Sam annuì. Erano comunque un sacco di soldi. I loro problemi economici, almeno a breve termine, sembravano risolti. Terry l'abbracciò e la spinse sul letto. «Terry!» cercò di reagire lei.
«Dài, Sam» disse lui, stendendola sullo spesso strato di banconote. «Quando ci ricapiterà l'occasione di fare l'amore su mezzo milione di sterline?» «Dimmelo tu» rise Sam. Terry la guardò negli occhi. «Non ce l'avrei mai fatta senza di te, Sam.» Lei sostenne il suo sguardo e, quando Terry si chinò su di lei, lo strinse forte. Si baciarono, prima lentamente, poi la passione prese il sopravvento e Sam rotolò sopra di lui, strappandogli i vestiti di dosso mentre Terry faceva lo stesso con lei, ansimando. Dopo, restarono fianco a fianco sopra le banconote. Sam gli accarezzò il petto. «Quando parlavi di rigare dritto, dicevi sul serio?» chiese. «Certo.» «Quindi questa è stata l'ultima volta, e d'ora in poi ti dedicherai solo ad affari legali?» Terry gemette. «Certo che hai un talento per scegliere il momento adatto.» «Cosa vuoi dire?» «Lo sai. Facciamo l'amore con una passione incredibile, e subito dopo mi fai la predica su quando andrò in pensione.» «Non è così. Voglio solo sapere dove mi trovo, ecco tutto.» Terry le sfiorò la spina dorsale con le dita. «Ti trovi a letto con me.» Sam fece un sorriso freddo. «Non cercare di buttarla sul ridere, Terry.» Terry le posò una mano sul seno e cercò di baciarla, ma lei voltò la testa. «Terry...» «Sì, è il mio nome.» La baciò e stavolta lei non si sottrasse. Terry le fece scivolare una mano tra le gambe e Sam sospirò. Lui le fu sopra, ma mentre lei apriva le gambe per accoglierlo il cellulare sul pavimento si mise a squillare. Terry imprecò e lo cercò a tastoni. «Lascialo suonare» fece lei, cercando di tirarselo sopra. «Devo rispondere, amore. Potrebbe essere importante.» «Anche questo è importante» disse Sam. Terry la baciò su una guancia e prese il telefonino, sedendosi sul letto. «Sì?» Ascoltò per alcuni secondi. «Vengo subito. Sì.» Chiuse la comunicazione e sorrise a Sam. «Amore, devo uscire.» «Terry, dobbiamo parlare.» Lui le scompigliò i capelli. «Abbiamo fatto di meglio che parlare, no?» «Ci sono cose di cui dobbiamo discutere.»
Terry si alzò e cominciò a vestirsi. «Certo, ma non adesso, va bene? Ho delle cose da fare.» «Montagne da scalare?» chiese Sam, sarcastica. «Parleremo più tardi, te lo prometto.» Terry finì di vestirsi, la baciò su una guancia e uscì. «Metti al sicuro i soldi, eh?» le ricordò mentre chiudeva la porta. Terry entrò nel parcheggio del club di rugby e si fermò accanto all'auto di Kim Fletcher. Scese e si avvicinò. Fletcher era al volante, Pike sul sedile del passeggero. Nel parcheggio c'era solo un'altra macchina. Una Porsche rossa. «Dentro c'è solo lui» lo informò Fletcher. «La prima porta a sinistra.» Terry annuì e tese la mano. Fletcher gli porse una pistola. «Sei certo di volerlo fare, capo?» Terry prese la pistola. «Voi restate in macchina. Non ci metterò molto.» «Davvero non vuoi che veniamo anche noi?» chiese Pike. Terry controllò il meccanismo della pistola. «Cosa c'è, credete che non sia in grado di cavarmela da solo, ragazzi?» «Non è questo, capo» disse Fletcher. «Ma se hai intenzione di andarci pesante, più siamo, più ci divertiamo, no?» Terry scosse la testa e si fece scivolare la pistola nella tasca interna della giacca. «È una questione personale» concluse, avviandosi verso l'entrata della palestra del club. Jonathon Nichols era steso di schiena su una panca a sollevare pesi, e non lo vide entrare. «Stai smaltendo gli eccessi di energia, eh?» disse Terry. «Ora che non hai mia figlia da picchiare.» Nichols si bloccò, con il bilanciere sul petto. «Terry, io...» balbettò. «Laura è caduta...» «Oh, quindi è stato un incidente.» Terry si chinò e prese un disco da due chili. «Gli incidenti capitano, lo capisco.» Gli gettò il disco sul petto. «Cazzo, sei impazzito?» urlò Nichols. Fece cadere il bilanciere sul pavimento e scattò in piedi. «Potevi spaccarmi una costola.» Indossava una maglietta da rugby e pantaloncini larghi. «Un gioco un po' da froci, il rugby» disse Terry, piantandogli un dito nel petto. «Tutto quel toccarsi, quell'infilare la testa tra le gambe di altri uomini...» Gli diede un altro colpo con il dito, abbastanza forte da fargli fare un
passo indietro. «Insomma, un gioco un po' sospetto. Il calcio, quello sì che è uno sport da uomini. Ma tu non sei un uomo, dico bene?» Nichols cercò di colpirlo con un pugno, ma Terry lo schivò agilmente, e rise. «Un altro incidente? Voglio dire, non vorrei aver interpretato male un gesto d'affetto.» Gli diede uno schiaffo in piena faccia. Nichols grugnì e reagì con un altro pugno. Terry lo parò e lo colpì due volte al plesso solare. Nichols si piegò in due, senza fiato, e Terry gli diede una gomitata in faccia. Nichols barcollò indietro, perdendo sangue dal naso rotto. «È diverso quando reagiscono, vero?» chiese Terry. Nichols si pulì la bocca insanguinata. «Mi dispiace» mormorò. «No, non ti dispiace ancora abbastanza.» Lo colpì al viso. Nichols inciampò sul bilanciere e cadde all'indietro. Terry cominciò a prenderlo a calci nei reni. Nichols si rannicchiò in posizione fetale, ma così lasciò ancora più scoperta la schiena ai colpi di Terry. Allora ruotò su se stesso, e Terry gli piombò addosso, bloccandogli le braccia con le ginocchia e riempiendolo di pugni, destro, sinistro, destro, finché la faccia del genero fu ridotta a una maschera di sangue, con gli occhi mezzi chiusi. Nichols tossì sangue e saliva, e sputò due denti. Terry lo afferrò per il colletto, tirandolo su in ginocchio. «Riesci a sentirmi?» chiese. Nichols gemette e annuì. «Apri gli occhi, stronzo» sibilò Terry. Nichols obbedì, pieno di paura. Terry estrasse la pistola, gli premette la canna sulla fronte e armò il cane. «Sei un uomo morto» disse. «No, ti prego...» riuscì a dire Nichols. «Sei un vigliacco che picchia la moglie. Nessuno verserà una lacrima per te.» Il dito di Terry si tese sul grilletto. Nichols cominciò a piangere. Un odore acido di urina si diffuse nell'aria. Terry storse il naso, disgustato. «Non uccidermi» singhiozzò Nichols. «Ti prego, non uccidermi.» Terry lo fissò con un'espressione schifata. Nichols chiuse gli occhi, scosso dai singhiozzi. Terry spostò la pistola e lo spinse giù sul pavimento. «Mia figlia è in ospedale, piena di tubi, con la faccia rovinata» disse tra i denti. «Per un pelo non l'hai ammazzata. Dammi un solo motivo per cui non dovrei piantarti un proiettile in testa.» La macchia di urina sui pantaloncini di Nichols si ingrandì. «Fai vomitare» continuò Terry.
«Mi dispiace» mormorò Nichols. Terry aveva il fiato grosso. Tornò a puntare la pistola in mezzo agli occhi del genero. Pensò a quello che aveva fatto a Laura e la rabbia lo invase di nuovo. Nichols se ne accorse e si raggomitolò, con il viso sporco di lacrime e sangue. «Ti dirò cosa devi fare» ringhiò Terry. «Se non lo fai sei morto, mi senti?» Nichols si affrettò ad annuire. Sputò saliva e sangue dalle labbra gonfie. «Va' a casa, prendi il tuo fottuto passaporto e lascia il Paese. Non mi interessa dove vai o cosa fai, ma se scopro che sei rimasto in Inghilterra ti ammazzo. Guardami bene, non sto scherzando. Ti ammazzo come un cane.» Nichols annuì e chiuse gli occhi, accasciandosi sul pavimento. Terry lo prese per i capelli e gli sbatté la testa sul pavimento. «Apri gli occhi, testa di cazzo! Non sognarti di svenire.» Gli premette la canna della pistola sul naso. «Non devi neppure provare a parlare con mia figlia. Le scrivi una lettera e le dici che parti. Trovi un avvocato che si occuperà del divorzio. Se scopro che le hai parlato sei morto. È chiaro?» «Il mio lavoro...» «Fanculo il lavoro!» urlò Terry. «Raccontagli quello che ti pare, merda schifosa. Hai ventiquattro ore da adesso. Poi, se ti trovo ancora qui, sei un uomo morto.» Nichols annuì, tossì e sputò un altro dente. Terry lo lasciò andare e si rimise la pistola in tasca. Si pulì le mani con l'asciugamano di Nichols e glielo gettò in faccia. Poi uscì dalla palestra. Appena lo vide arrivare, Fletcher abbassò il finestrino. Terry prese la pistola e gliela porse, strizzandogli l'occhio. «Non l'hai...» disse Fletcher. «Non ancora» rispose Terry. «Ma l'opzione resta valida.» Fletcher annuì e passò la pistola a Pike, il quale la mise nel cassetto portaoggetti. Terry diede un colpetto sul cofano. «Bene, ragazzi, avete la serata libera. Io devo andare a trovare una persona.» Un'infermiera cinquantenne, con un fisico da giocatore di rugby e la sicurezza che deriva da anni passati a dare ordini ai pazienti, sentì Terry avvicinarsi a passi rapidi e si mise in mezzo al corridoio per bloccargli la
strada, con una mano alzata come un vigile urbano. «Dove crede di andare?» chiese. «Laura Nichols» disse Terry. «Sono il padre.» «Non è orario di visite, signor Nichols.» «Mi bastano due minuti. E mi chiamo Greene, Terry Greene.» Prese il portafoglio e diede all'infermiera quattro banconote da venti. «Due minuti, va bene?» Continuò a camminare, mentre la donna fissava a bocca aperta le banconote. Si sedette sulla sedia di plastica accanto al letto. Laura dormiva e non si svegliò quando le prese la mano. «Ciao tesoro» disse piano Terry. «Sono papà.» Il monitor emetteva un bip regolare e Laura continuava a tenere gli occhi chiusi. «È tutto a posto. Ci ho pensato io. Non devi più preoccuparti.» Sorrise, le sollevò la mano e gliela baciò. Poi se la premette su una guancia. «Mio padre picchiava tua nonna» spiegò. «Non l'ha mai mandata in ospedale, era troppo furbo. Per questo io sono andato via di casa presto. L'aveva picchiata una volta di troppo e gli avevo dato un pugno in faccia.» Laura si mosse nel sonno e strinse la mano di Terry, poi si rilassò di nuovo. «Ho sempre fatto tutto ciò che potevo per sostenere la famiglia, Laura» continuò Terry. «Certo, ho infranto la legge, ma chi non l'ha fatto almeno una volta? Tuttavia non ho mai fatto del male a chi non lo meritava.» Terry si guardò la mano. Le nocche erano sbucciate e insanguinate per tutti i pugni che aveva dato a Nichols. Lasciò la mano di Laura e si chinò a baciarla sulla fronte. «Comunque ora è tutto a posto. Non ti darà più fastidio. Buona notte, tesoro. Dormi bene.» Terry uscì dalla stanza leccandosi il sangue dalle nocche. Sam si tolse la giacca. La temperatura doveva sfiorare i trenta gradi e l'umidità era spaventosa. Ma erano le condizioni necessarie per mantenere in buona salute le centinaia di piante tropicali della serra. Il giardino botanico di Kew era stato uno dei posti preferiti di Grace. Passava ore intere a fare schizzi delle piante e a parlare con i giardinieri. La porta in fondo alla serra si aprì ed entrò Blakie. Non si tolse il cappotto mentre si dirigeva verso di lei, e il suo viso era in un bagno di sudore quando la raggiunse. Sam sorrise. «Fa un bel calduccio qui dentro, eh, Blackie?» «Sam, devi piantarla» rispose il sovrintendente. «Mi paga Terry, non
tu.» «È tutto in famiglia, no? L'hai portato?» Blackie tirò fuori di tasca un foglio e glielo diede, guardandosi intorno per controllare che nessuno lo vedesse. «Spero che non decida di suicidarsi anche lei dopo aver parlato con te» disse. «Il suicidio di Morrison non ha nulla a che fare con me» replicò Sam. Blackie scrollò le spalle. «Non lo sapremo mai per certo.» Indicò il foglio. «Non dire da chi lo hai avuto, intesi?» «È logico, credi che sia scema?» Sam lesse il nome e l'indirizzo poi mise il foglio nella borsa. «Perché non è stata chiamata a testimoniare?» «Aveva già lasciato Snow, e nulla fa pensare che si trovasse in zona, la notte dell'omicidio. Inoltre dal primo momento è stato fatto il nome di Terry, e non cercavano nessun altro.» Blackie si asciugò la fronte con la manica del cappotto. «Non mi avevi detto che Terry voleva ritirarsi?» «Certo, e lo confermo» rispose Sam, enfaticamente. «Io controllerei meglio le mie informazioni, se fossi in te.» Blackie si voltò per andarsene. «Resta qui ancora per qualche minuto. Non voglio farmi vedere in giro con te.» Sam fece un sorriso tirato. «Certo, non vorrei rovinare la tua reputazione immacolata.» Blackie sbuffò, affondò le mani nelle tasche e si allontanò. Sam vagabondò per la serra altri cinque minuti, poi uscì anche lei. McKinley l'aspettava nel parcheggio, in piedi accanto alla Lexus. Le aprì la portiera posteriore e salì al volante. «Ti va di fare un viaggetto, Andy?» «Sono ai suoi ordini, signora Greene.» «Andiamo a Bristol» disse Sam. «Non dimenticare di allacciare la cintura, eh?» Durante il viaggio Sam non disse neppure una parola. McKinley la guardava di tanto in tanto attraverso lo specchietto, ma non cercò di intromettersi nei suoi pensieri. Quando raggiunsero la periferia di Bristol, Sam lesse ad alta voce l'indirizzo sul foglio e McKinley annuì. «Credo di sapere dov'è» disse. Non si fermò neppure una volta a chiedere indicazioni, e venti minuti dopo parcheggiarono davanti a una graziosa villetta con un giardino ben curato. Nel vialetto era parcheggiata una lucida MGB blu. «La ragazza si è sistemata bene» commentò Sam. Restò a fissare la casa, soprappensiero.
«Sei già stato qui, Andy?» «Perché me lo chiede?» «Così. Solo un pensiero che mi è venuto.» McKinley si voltò a guardarla con i suoi occhi azzurri. «Cosa intende dire, signora Greene?» Sam scrollò le spalle. «Sembravi conoscere bene la strada.» «Bristol non è una grande città.» Sam si accese una sigaretta. Abbassò il finestrino e soffiò fuori il fumo. «No so, Andy. Forse lei era una testimone. E forse Terry ti ha chiesto di convincerla a non testimoniare.» McKinley tornò a voltarsi in avanti e guardò fuori in silenzio. «Andy?» McKinley mise entrambe le mani sul volante. «Mi scusi, signora, ho un po' di mal di testa.» Sam aprì la portiera. «Signora Greene?» «Sì?» «Crede che sia una buona idea?» «C'è qualcosa che vuoi dirmi, Andy?» McKinley sospirò e scosse lentamente la testa. Sam scese dall'auto, gettò a terra la sigaretta, schiacciandola con il tacco, poi percorse il vialetto e suonò il campanello. Si voltò a guardare McKinley: aveva gli occhi fissi davanti a sé, le mani sul volante. La porta si aprì e apparve una bella ragazza nera sui venticinque anni, dagli zigomi alti, gli occhi grandi e i capelli lunghi fino alle spalle. «Sì?» disse, con un forte accento del sud di Londra. «Cosa vuole?» Da qualche parte dentro la casa un neonato piangeva. «Lei è Alicia Snow, vero?» L'espressione della ragazza s'indurì. «Cosa ci fa lei qui?» Sam aggrottò la fronte. «Mi conosce?» «Come ha fatto a trovarmi?» «Lei sa chi sono, vero?» insisté Sam. Alicia fece per chiudere la porta, ma Sam l'anticipò ed entrò in casa a forza. «Ehi! Non può farlo!» gridò Alicia. Sam non si fermò e andò fino in soggiorno, dove una bambina di forse quindici mesi piangeva a dirotto in un box. Aveva la pelle e i capelli più chiari di quelli della madre. Smise subito di piangere e fissò Sam.
Alicia le arrivò alle spalle. «Non dovrebbe essere qui» disse. Sam non rispose. Le sembrava di udire la sua voce da lontano e il tempo sembrava essersi fermato. Continuava a fissare la bambina. Nel box c'erano dei giocattoli: Winnie the Pooh, palle di gomma, un bruco grosso e morbido, blocchi di legno con sopra disegni di animali. «Se non se ne va, chiamo la polizia» la minacciò Alicia. «Non credo» disse Sam piano. Sul buffet, alcune foto incorniciate mostravano Terry e Alicia insieme. Con bicchieri di champagne in un posto che sembrava il Lapland, mentre George Kay sorrideva dietro di loro. Su una spiaggia, Terry in costume da bagno, Alicia in un bikini nero che lasciava pochissimo spazio all'immaginazione. La spiaggia poteva essere in Spagna. Forse era quella vicino alla villa di Micky Fox. In un'altra foto Terry teneva in braccio la bambina e sorrideva all'obiettivo nella classica posa del padre orgoglioso. Alicia le mise una mano sulla spalla, ma Sam la scosse via. «Non toccarmi!» sibilò. «Non osare toccarmi.» La piccola riprese a piangere e Alicia andò a prenderla in braccio. Le sussurrò qualcosa per calmarla, fissando Sam con uno sguardo di sfida. Sam scosse la testa, incapace di accettare quello che aveva davanti agli occhi. Le mancava il fiato. «Credo che ora dovrebbe andare via» disse Alicia. Sam si voltò e uscì di corsa dalla stanza. Aprì la porta con le mani tremanti e uscì barcollando. Era come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco, e ogni respiro le costava uno sforzo. Riusciva appena a restare in piedi. La porta si chiuse di scatto alle sue spalle. Poteva essere stata Alicia, o magari il vento. Non le importava. Doveva allontanarsi da lì, da quella donna, da quella bambina e da quelle foto. Respirò a fondo, cercando di calmarsi, poi si avviò lentamente verso la Lexus. McKinley non si era mosso, gli occhi ancora fissi davanti a sé. Sam aprì la portiera posteriore e salì a bordo. «Metti in moto» disse. «Dove andiamo?» chiese McKinley. La guardò nello specchietto, ma distolse lo sguardo appena si accorse che lei lo fissava. «Dove ti pare» rispose Sam. Aprì la borsa e si accese una sigaretta. Il tremito alle mani non si era calmato. McKinley guidò piano, guardandola di tanto in tanto nello specchietto. Superarono un parco giochi. «Fermati qui» gli ordinò Sam.
Scese dalla macchina e si avvicinò a due altalene, con la sigaretta in mano. Aveva la faccia rigata di lacrime. Terry le aveva mentito. Dal principio. Su tutto. Le aveva detto quello che lei voleva sentirsi dire, e l'aveva usata. E lei glielo aveva lasciato fare. Che stupida. Era stata di una stupidità imperdonabile. Sam udì la portiera della Lexus aprirsi e chiudersi, ma non si voltò mentre McKinley si avvicinava sull'erba. «Signora Greene...» Sam si voltò di scatto e lo schiaffeggiò. Lui non fece una piega, e lei lo schiaffeggiò di nuovo, più forte. «Mi dispiace» disse McKinley. «Bastardo!» urlò Sam. Gli voltò le spalle, mentre le lacrime le scendevano lungo il viso. Aspirò una lunga boccata dalla sigaretta e rabbrividì. «Come hai potuto?» sussurrò. «L'hai sempre saputo. Dal primo giorno. È stato lui, vero? Terry ha ucciso Snow, proprio come ha detto la polizia.» Si voltò leggermente e McKinley annuì. «Cosa è successo?» chiese, tornando a dargli le spalle. «Io non c'ero, signora Greene.» Sam sospirò. «È la verità. So solo quello che mi ha detto Terry. Ha detto che è stata legittima difesa.» «Snow è stato ucciso con due colpi. Uno al petto e uno alla testa.» «Le sto solo dicendo quello che mi ha detto Terry. Snow gli aveva detto che aveva bisogno di denaro. Molto denaro. Terry è andato a portarglielo, e Snow ha tirato fuori una pistola.» «E perché gli portava del denaro? Per via della moglie?» «Ex moglie» precisò McKinley. «Snow ha detto che Terry gli aveva rubato la moglie, e doveva pagarla.» McKinley si spostò accanto a Sam. «Era legittima difesa, ma chi gli avrebbe creduto? Raquel stava cercando con tutti i mezzi di incastrarlo, gli sbirri non avrebbero mai creduto alla sua versione.» «E tu l'hai aiutato?» «Terry mi ha dato la pistola. Io l'ho gettata nel canale.» «E poi Terry ha chiesto a me di fornirgli un alibi.» McKinley annuì. «E sei stato tu a pagare Sean Kelly perché confessasse il delitto?» «Kelly ha un cancro. Ha colto l'occasione al volo. Asher e Patterson hanno dato diecimila sterline a sua moglie.»
«Hanno pagato anche la moglie di Snow?» McKinley annuì ancora. «Insomma, tutti sapevate tutto» osservò Sam con amarezza. «Tu, Asher, Patterson. Sapevate che Terry aveva messo incinta Alicia Snow e per questo le aveva ucciso il marito?» «È stata legittima difesa, signora.» «Continui a ripeterlo.» La sigaretta era finita. Sam la gettò a terra e ne accese un'altra. «Brutti bastardi. Dovete aver pensato che fossi una povera idiota.» «No, signora Greene, non è così.» «Bastardi» ripeté Sam. Si allontanò dalle altalene e si sedette su una giostra di legno rotonda. Rivolse a McKinley uno sguardo duro. «C'è dell'altro, vero?» McKinley sostenne il suo sguardo, con le mani intrecciate sull'inguine, ma non disse nulla. «Terry sapeva di Morrison, vero? Sapeva che c'era un testimone che lo avrebbe inchiodato, ma non ha potuto fare nulla prima del processo, perché Morrison era sotto la protezione della polizia. Giusto?» McKinley annuì. «Dopo il processo, però, era tutto più facile.» Sam scosse tristemente la testa. «E Terry ha usato me per arrivare a Morrison.» McKinley non disse nulla, ma dalla sua espressione Sam capì che aveva ragione. «Come sono stata stupida» disse. «Come ho potuto non accorgermi di nulla?» Aspirò una boccata ed esalò lentamente il fumo. «L'hai ucciso tu?» chiese dopo un po'. «Hai ucciso Morrison su ordine di Terry?» «No, signora, non sono stato io.» «Ma sai chi è stato, vero?» McKinley strinse i denti, poi annuì. «Pike e Russell.» «Lo hanno ucciso e hanno inscenato il suicidio.» McKinley annuì. «Sei stato tu a dire loro dove trovare Morrison, è così?» McKinley non disse nulla. «È così?» gridò Sam, nel parco giochi deserto. «Signora Greene...» McKinley scosse la testa, triste. «Mi dispiace.» «Ti dispiace?» disse Sam, infilandosi in bocca la sigaretta con la mano che le tremava. «Ti dispiace?» Russell controllò il retrovisore. «È ancora lì, la terza macchina dietro di
noi» disse. Terry rise forte e si voltò a guardare dal lunotto della BMW. «Cosa crede Raquel? Che gli basti mettere due auto tra noi e lui per diventare invisibile?» «Lo imparano alla scuola degli sbirri» intervenne Pike, seduto davanti accanto a Russell. «Allora entra in azione il piano B» decise Terry. Tutti e tre risero. Pike prese il cellulare e compose un numero. «Kim? Sei in posizione? Ottimo. Arriviamo tra cinque minuti.» Chiuse la comunicazione e alzò entrambi i pollici. Terry sorrise e si rilassò sul sedile. Arrivarono fino a un'autostrada, e al primo sottopassaggio Russell fermò la BMW e Terry e Pike scesero in fretta, arrampicandosi lungo la scarpata. Una volta in cima fecero un gestaccio rivolti a Welch, che passava con la sua Rover. «Segaiolo!» urlò Pike. Welch li fissò con odio, ma non poté fare nulla, intrappolato nel flusso del traffico. Russell proseguì, mentre Terry e Pike si dirigevano verso la Toyota in cui li aspettava Kim Fletcher. Salirono a bordo e Fletcher partì. «Ce l'hai, Kim?» chiese Terry. Fletcher aprì il vano portaoggetti e prese una pistola, che Pike passò a Terry sul sedile posteriore. «Bella» commentò Terry, controllandone il funzionamento. Il Lapland stava per chiudere. Due bionde facevano uno stanco tentativo di mantenere vivo l'interesse di un gruppo di uomini d'affari, i quali però guardavano già gli orologi. Entrò Terry, con Fletcher e Pike al seguito. George Kay era seduto da solo a un tavolo, con una bottiglia di champagne mezza vuota davanti. Si accigliò vedendo Terry, ma poi si alzò e si avvicinò con la mano tesa. «Terry, avresti dovuto avvisarmi. Quasi tutte le ragazze sono già andate a casa.» Terry gli strinse la mano e gli diede una pacca sulle spalle. «Sono passato solo per salutarti, George.» «Sono sempre contento di vederti, lo sai. Una bottiglia di champagne?» «Certo, perché no?» Terry si sedette al tavolo di Kay e fece cenno di sedersi anche a Pike e Fletcher. «Allora, come vanno gli affari?» «Una serata lenta, ma è sempre così a metà settimana. Venerdì ci sarà il
pienone.» Fece un cenno a una graziosa cameriera e formò con le labbra la parola "champagne". «Sam non è con te?» «No, stasera no.» Alla vista di Terry, le bionde si erano rianimate, e ora si impegnavano in contorcimenti molto creativi intorno al palo. «Sai cosa mi andrebbe, George? Una partita a poker. Non gioco da un sacco di tempo. Hai un mazzo di carte?» Kay fece una faccia confusa. «Carte?» Tirò fuori l'inalatore e aspirò una lunga boccata. «Forse ne ho un mazzo in ufficio.» «Va' a prenderle, per favore. Ah, e magari chiudi il locale e manda tutti a casa. Mi sento in vena di una lunga notte.» Guardò Pike e Fletcher, i quali annuirono con ampi sorrisi. La cameriera tornò con una bottiglia di champagne in ghiaccio e quattro bicchieri. Kay disse subito: «Non il Moët, cara. Portaci una bottiglia di quello buono». Due ore e tre bottiglie di Christal dopo, i quattro erano soli nel club. Kay vinse il piatto e sorrise, tirando verso di sé la pila di banconote. «Cristo, George, questo è il terzo piatto di fila» esclamò Pike. «Già, è proprio la tua sera fortunata, George» gli fece eco Terry. «Eh, le carte girano» si schermì Kay, aprendo la quarta bottiglia di champagne mentre Fletcher distribuiva le carte. «No, io credo che il tuo angelo custode ti protegga» ribatté Terry, e sorrise. «Mettiamolo alla prova.» Kay non disse nulla e riempì i bicchieri. Terry infilò una mano in tasca e tirò fuori la pistola. Kay sobbalzò e versò lo champagne sul tavolo. «Mano ferma, George» lo ammonì Terry. «Che cazzo fai, Terry!» ribatté Kay, agitato. «Cosa c'è? Non è mica la prima volta che vedi una pistola.» «Se gli sbirri la trovano qui... Cristo, la mia licenza, il locale...» Rimise la bottiglia nel secchiello del ghiaccio con mani tremanti. «Rilassati, George» disse Terry, accarezzando la canna della pistola. «Perché gli sbirri dovrebbero venire qui? Non servi mica alcolici dopo la chiusura, no?» Pike e Fletcher scoppiarono a ridere. Kay sembrava agitato. Si sedette e si asciugò la fronte con un grosso fazzoletto bianco, senza smettere di fissare il revolver. «Cosa intendi fare con quella?» chiese. Il sorriso di Terry si fece ancora più ampio. «Ah, questo è un mio piccolo segreto...» Kay aspirò un'altra boccata dall'inalatore. Terry aprì il tamburo e guardò dentro la canna. «Smith & Wesson cali-
bro 38» disse. «La migliore. Le automatiche sono più vistose, ma sputano bossoli dappertutto.» Terry diede un colpetto al tamburo e i proiettili caddero sul tavolo con un rumore secco. Kay li fissò. Teneva stretto l'inalatore con entrambe le mani, ed emetteva una specie di fischio a ogni respiro. «Non sai quanti poveri bastardi sono finiti in galera perché hanno dimenticato di ripulire i bossoli dalle loro impronte digitali.» Terry infilò nel tamburo un solo proiettile e lo richiuse. «Ricordi quel film sul Vietnam, George? Come si chiamava?» Kay inghiottì saliva. «Apocalypse Now?» «No, l'altro, quello con Robert De Niro che faceva la roulette russa con Christopher Walken.» Terry fece ruotare il tamburo. «Era Il cacciatore, vero?» intervenne Pike. Terry annuì. «Sì, esatto. Il cacciatore. Un grande film.» Posò il revolver sul tavolo e gli impresse una spinta in senso orario. Il revolver girò, rallentò e si fermò con la canna puntata verso di lui, che sorrise. «Visto? Non è la mia serata.» Sollevò la pistola e se la puntò alla tempia. «Terry!» gridò Kay. Terry indurì lo sguardo e premette il grilletto. Clic. «Cristo santo!» esplose Kay. «Forse la mia fortuna sta tornando, George» disse Terry. «Cosa ne pensi?» Rimise la pistola sul tavolo e la fece ruotare di nuovo. Stavolta si fermò puntando Fletcher. «Tocca a te, Kim» fece Terry. «Terry, questo è assurdo» si oppose Kay. «Cosa c'è, George? Ti manca il senso dell'umorismo?» Fletcher sollevò la pistola e guardò Terry. Ricevette un cenno d'incoraggiamento e se la puntò alla tempia. Chiuse gli occhi e premette il grilletto. Clic. Fletcher sospirò, aprì gli occhi e rise. «Merda, che scarica di adrenalina.» «Meglio del sesso, eh?» disse Terry. Kay si alzò, ma Terry gli puntò contro un dito. «Siediti» esclamò, con un tono carico di minaccia. Poi guardò Fletcher. Fletcher fece ruotare la pistola. Stavolta l'arma si fermò puntando in direzione di George Kay, il quale restò immobile a fissarla con orrore. «È il tuo turno, George» fece Terry.
«Vai, George, siamo tutti con te» lo incoraggiò Fletcher. «Non sentirai nulla, vedrai» intervenne Pike. Kay prese la pistola. Era pallidissimo e respirava a fatica. Terry lo fissò, freddo, mentre si portava la pistola alla tempia. Kay sembrava vicino alle lacrime. «Terry...» supplicò. «Avanti, George» fu la risposta. «Buona fortuna.» La pistola tremava nella mano di Kay. Il dito sul grilletto era sbiancato e tutto il suo corpo era come in preda a una scossa elettrica. Pike e Fletcher lo fissavano in silenzio, con sguardi incoraggianti. «Forza, George» insisté Terry. «Puoi farcela.» Kay alla fine crollò. «Non posso» disse, sbattendo la pistola sul tavolo, con le guance rigate di lacrime. «Mi dispiace, non ce la faccio» fu costretto ad ammettere tra i singhiozzi. Terry lentamente sorrise. Tese la mano destra e l'aprì. Sul palmo c'era un proiettile. Kay aggrottò la fronte, senza capire. Poi gli si accese una lampadina. Terry, Pike e Fletcher scoppiarono a ridere. «Dovresti vedere la tua faccia» rise Terry. «È un quadro, cazzo.» Si chinò sul tavolo e gli diede un buffetto sulla guancia. Anche Kay cominciò a ridere, ma era una risata nervosa, isterica. Terry, Fletcher e Pike uscirono dal locale ancora ridendo. «Si è quasi pisciato addosso, avete visto?» «È una testa di cazzo» commentò Pike. «È come ne Il Padrino» disse Terry. «"Tieni i tuoi amici vicini, e i nemici ancora più vicini."» «Ehi, come mai tutti questi riferimenti al cinema, Terry?» chiese Pike. «Colpa del suo nuovo lettore DVD» rise Fletcher. Terry cercò di dargli uno schiaffo in testa, ma l'altro lo schivò, ancora ridendo. Terry lo spinse contro un muro, e in quel momento tre uomini in giaccone e passamontagna uscirono da dietro un fuoristrada parcheggiato. Avevano in mano pistole automatiche. «A terra, subito!» sibilò uno di loro. «Che cazzo volete?» disse Terry, parlando a fatica con una pistola puntata alla gola. «Obbedisci, o per te è finita» fu la risposta. Due freddi occhi castani fissavano Terry dai buchi del passamontagna. L'uomo aveva il fiato che sapeva di aglio e un accento dell'Irlanda del Nord.
«Chi cazzo siete?» chiese Terry. L'altro gli spinse la pistola contro la gola. L'indice guantato era teso sul grilletto. «Okay, okay» fece Terry. «Manteniamo la calma.» Uno degli altri due diede un colpo in testa a Pike con la pistola, facendolo cadere. «Ho detto a terra!» Come l'altro, aveva un accento irlandese, ma più marcato e gutturale. Fletcher si inginocchiò, poi si stese sull'asfalto con le mani tese in avanti. «Stai bene?» sussurrò a Pike. «Silenzio!» gridò uno dei tre. Anche Terry fece per inginocchiarsi, ma l'uomo dagli occhi castani gli diede un calcio nello stomaco e lo spinse giù, puntandogli la pistola in faccia. Terry continuò a fissarlo, rifiutandosi di mostrare paura. Gli occhi castani sostennero il suo sguardo senza battere ciglio. Terry si rese conto che stava guardando gli occhi di un assassino. Intanto gli altri due imbavagliarono Fletcher e Pike con del nastro adesivo, passando poi a immobilizzare anche polsi e caviglie. L'uomo dagli occhi castani perquisì Terry. Trovò la Smith & Wesson e se la infilò nella cintura. Terry si rilassò appena un po'. Se avessero avuto l'intenzione di ucciderlo non lo avrebbero perquisito. «Cosa volete?» chiese. L'uomo lo colpì con un manrovescio sulla bocca. «Sta' zitto, Greene, o ti pianto un proiettile in testa» lo minacciò, mentre continuava a perquisirlo. Uno degli altri due si avvicinò per imbavagliarlo e bendarlo con due pezzi di nastro adesivo. Gli torsero le braccia dietro la schiena e lo spinsero a bordo del fuoristrada. Terry cercò di lottare, ma una pistola sul collo lo convinse a collaborare. Le portiere si chiusero e l'auto partì. Fletcher e Pike restarono a terra, legati e imbavagliati. Terry giaceva con il viso premuto sul pavimento del fuoristrada. Non riusciva a respirare bene con il naso, e spinse la lingua contro il nastro adesivo che gli copriva la bocca fino a creare un passaggio d'aria. Il fuoristrada accelerò. Andavano sempre dritti, e Terry immaginò che fossero su un'autostrada. Non aveva idea della destinazione, o di chi fossero quegli uomini. Il suo primo pensiero quando li aveva visti era andato ai kosovari, ma l'accento irlandese aveva subito dissipato quell'idea. Allora chi erano? Gli unici irlandesi con i quali Terry aveva avuto problemi in passato erano un gruppo di gangster di Liverpool, che avevano cercato di fare il doppio gioco, ma poi erano stati beccati con un carico di cannabis e
attualmente erano tutti in galera. Di chiunque si trattasse, non avevano sbagliato persona. L'uomo dagli occhi castani l'aveva chiamato per nome, e avevano preso solo lui. Qualunque cosa fosse, era una questione personale. Restarono sull'autostrada per quasi mezz'ora, poi presero strade piene di curve e infine si fermarono. Terry fu trascinato giù dal veicolo e spinto a terra tra l'erba e le foglie morte. «In ginocchio» ordinò una voce. Terry si tirò su a fatica. Sentiva l'umidità del terreno attraverso i pantaloni. Gli strapparono via il nastro adesivo dalla bocca e dagli occhi. Tutto intorno a lui c'erano alberi mossi dal vento, come spiriti inquieti. Aveva un uomo da ciascun lato. Appena provò a voltarsi verso uno di loro ricevette un colpo in testa. «Occhi a terra» disse l'uomo. Terry obbedì, stringendo i pugni. Erano in tre ed erano armati, ma se davvero volevano ucciderlo sarebbe morto combattendo. Il terzo uomo, quello che gli aveva parlato prima, gli si mise di fronte. Aveva ai piedi un paio di scarponi Timberland nuovissimi. «È un grosso errore pronunciare il nostro nome invano» disse. Terry alzò gli occhi a guardarlo. Nelle tenebre, vide solo una forma grossa e scura. «Ma di che cazzo stai parlando?» ribatté. L'uomo lo colpì con la canna della pistola. «Mettere in giro la voce che facevi affari con noi» spiegò, nel suo accento gutturale di Belfast. «Come se noi ci sporcassimo le mani con gente come te.» Gli puntò la pistola alla testa. «Recita pure le tue preghiere.» Una volpe latrò in lontananza, poi ci fu solo il rumore del vento tra gli alberi. Un sorriso si formò sulle labbra di Terry. Ora sapeva che non l'avrebbero ucciso. Se avessero avuto intenzione di sparargli, non ci sarebbe stato bisogno della predica. «Vaffanculo, irlandese di merda» disse, scandendo le sillabe. «Se avessi voluto ammazzarmi, l'avresti fatto lì in strada. Perciò ora fa' quello che ti hanno detto di fare, finisci la predica e tornatene da dove cazzo sei venuto.» L'altro gli premette la pistola sulla fronte, con il cane già armato. Terry sentì un gelo alle viscere. Una piccola pressione sul grilletto e il suo cervello si sarebbe sparso sull'erba. Inghiottì a vuoto, ma si costrinse a non abbassare lo sguardo. Era deciso a non mostrare nessuna debolezza. Se proprio doveva morire, sarebbe morto da uomo. Lentamente l'uomo abbassò la pistola. Terry sogghignò, trionfante,
comprendendo di aver avuto ragione a chiamare il bluff. «Perché non mi dai un passaggio fino alla mia macchina?» chiese. L'uomo lo colpì forte alla tempia con la canna della pistola. Tutto divenne rosso, poi nero. Mentre sveniva, Terry sorrideva ancora. Aveva vinto. McKinley avanzava a passo d'uomo, con gli abbaglianti accesi, quando i fari illuminarono Terry in attesa sul bordo della foresta, McKinley frenò e Terry salì accanto a lui premendosi un fazzoletto sulla tempia. «Te la sei presa comoda» ringhiò. «Sono arrivato appena possibile» rispose McKinley. «Stavo facendo un bagno quando è arrivata la telefonata. Stai bene?» «Ti sembra una domanda da fare? Sono stato picchiato in testa con una pistola e abbandonato nei boschi dalla fottuta IRA. Dovrebbe andare tutto bene?» McKinley fece una smorfia, senza dire nulla. «Portami a casa» ordinò Terry. McKinley fece inversione e si diresse verso Londra. «Come ha fatto l'IRA ad avere il mio nome, Andy?» McKinley fece una faccia sofferente, ma non rispose. «Immagino sia stata Sam» continuò Terry. «Giusto?» «Non mentre era con me.» «Ti avevo detto di stare con lei, di sorvegliarla e proteggerla.» «L'ho fatto.» «Be', Sam deve aver parlato con loro. Altrimenti come avrebbero potuto sapere quello che le avevo detto?» «Forse ha telefonato.» «L'IRA non è sulle Pagine Gialle, cazzo!» esclamò Terry. «Sto solo dicendo...» «Non dire niente» lo interruppe Terry. «Non ti pago per parlare. Ti pago per tenere d'occhio mia moglie, punto e basta. E in questo momento non mi sembra di aver speso bene il mio denaro.» Terry tolse il fazzoletto dalla tempia e fissò il sangue che macchiava il tessuto. «Irlandesi del cazzo.» Poi, voltandosi verso McKinley, chiese: «C'è altro che dovrei sapere?». McKinley aggrottò la fronte. «In che senso?» «Lo sai benissimo, in che senso. Sam ha parlato con altre persone che possono crearmi dei problemi?» «No» rispose McKinley.
«Ne sei sicuro?» McKinley annuì, ma non disse nulla. Sam si stava preparando una tazza di cioccolata in cucina, quando sentì entrare Terry, e versò dell'altro latte nel pentolino. Terry entrò tenendosi il fazzoletto contro la tempia. «Cosa è successo?» «Non cominciare» tagliò corto Terry. «Che significa "Non cominciare?" Stai sanguinando.» «Ho avuto una giornata di merda, amore.» «Credi che la mia sia stata migliore?» rispose Sam. «Vuoi una tazza di cioccolata?» «Voglio una birra.» Terry gettò il fazzoletto nella spazzatura e prese una lager dal frigo. Fece saltare il tappo e si sedette, bevendo direttamente dalla bottiglia. Sam cercò di esaminare il taglio che aveva sulla testa, ma lui si ritrasse. «Cosa è successo?» chiese ancora lei. «Ho battuto la testa mentre salivo in macchina.» «Bisogna metterci qualcosa.» Sam aprì un armadietto, prese una bottiglia di disinfettante e dell'ovatta, e cominciò a pulire la ferita. Terry si scostò. «Cristo, Sam, non sono un ragazzino.» «Già, e sei anche un po' troppo vecchio per fare a botte.» «Ti ho detto che è stato un incidente» ripeté Terry. «Sì, mi dici un sacco di cose.» Terry si voltò a fissarla. «Cosa intendi dire?» Sam lo spinse indietro e continuò a disinfettare i tagli. «Sta' fermo.» «Mia moglie, l'infermiera» protestò Terry. «Dove sei stato stasera?» «Al club. A controllare come va l'attività.» Sam finì la sua opera infermieristica e mise via ovatta e disinfettante. «Jonathon ha lasciato Laura» disse, versando il latte caldo nella sua tazza e aggiungendo diverse cucchiaiate di cacao in polvere. «Meglio così» ribatté Terry. «Non solo» continuò Sam. «Ha lasciato anche il Paese. L'ha chiamata da Toronto, in Canada.» «So dov'è Toronto.» Sam si sedette di fronte a lui. «Gli hai fatto qualcosa?» Terry inarcò le sopracciglia. «In che senso?»
«Hai capito benissimo. Gli hai fatto del male?» Terry non disse nulla. «Rispondimi, Terry.» «Cosa vuoi che ti dica?» «La verità. Hai fatto qualcosa a Jonathon?» Terry posò la birra sul tavolo. «Gli ho parlato» disse. «Nient'altro.» Sam continuò a guardarlo negli occhi, cercando di capire se mentiva. Terry non distolse lo sguardo. «Cosa gli hai detto?» «Gli ho detto che se avesse toccato ancora Laura anche solo con un dito, avrebbe dovuto renderne conto a me. Credo che abbia recepito il messaggio.» Bevve un sorso dalla bottiglia e si pulì la bocca con la mano. «Non credo che le darà più fastidio.» Sam si portò la tazza alle labbra. «Laura dice che sembrava molto spaventato» aggiunse poi. «Ha detto che vuole il divorzio, e che lei può tenersi la casa e tutto il resto.» «È un prezzo basso per tutto quello che le ha fatto.» «Sì, ma perché ha lasciato il Paese? Sei stato tu a ordinarglielo?» «Non essere sciocca. E comunque Laura sta molto meglio senza di lui.» «La verità, Terry. Lo hai picchiato?» Terry scosse la testa. «No, amore. Gli ho solo parlato, te lo giuro.» Sam si alzò in piedi. «Vado a letto.» Lavò la tazza nel lavandino. «Io salgo tra un minuto» disse Terry. «Fa' come ti pare.» Terry la guardò allontanarsi, poi andò ad aprire il frigo e prese un'altra birra. Fletcher e Pike erano in attesa davanti alla BMW quando Terry uscì di casa la mattina dopo. Avevano entrambi espressioni contrite. «Grazie per tutto l'aiuto che mi avete dato, ieri sera» esordì Terry. «Scusa, Terry» disse Fletcher. «Ci hanno colti di sorpresa, capo.» «Ci sono andati pesanti con te?» chiese Fletcher. «Meglio stendere un velo pietoso sugli avvenimenti» li ammonì Terry, salendo sul sedile posteriore. «Prima che mi incazzi.» Il suo cellulare squillò e, mentre rispondeva, Pike e Fletcher salirono in macchina. «Cambio di programma, ragazzi» annunciò Terry, chiudendo la comunicazione. «Andiamo a Bristol.»
Il viaggio si svolse in completo silenzio. Pike e Fletcher si scambiarono diverse occhiate, chiedendosi se fosse il caso di avviare una conversazione, ma era evidente che Terry non era dell'umore giusto. A un certo punto Pike allungò una mano verso la radio, ma Fletcher scosse la testa. Quando arrivarono davanti casa di Alicia, Terry disse loro di restare in macchina. Andò alla porta e suonò il campanello. Alicia aprì la porta con indosso un vestitino attillato che aveva una profonda scollatura e che arrivava appena a coprirle il sedere. «Terry!» esclamò. «Non fare finta di essere sorpresa, sei stata tu a chiamarmi. Mi fai entrare o cosa?» Appena Terry fu dentro, lei gli si appiccicò addosso e lo baciò sulle labbra. La bambina cominciò a piangere in soggiorno e Terry si staccò dalla donna. «La piccola» disse. «Oh, è tutto il giorno che piange» fece Alicia. «Non preoccuparti.» Si inginocchiò e cominciò a sbottonargli i pantaloni. «Alicia... Dài, smettila.» Emise un gemito quando lei glielo prese in bocca, con gli occhi fissi nei suoi mentre muoveva la testa avanti e indietro. «Troia» sussurrò Terry, accarezzandole i capelli. Lei si sfilò il membro dalla bocca e sorrise. «La tua troia» precisò. Terry la tirò su e le abbassò la lampo del vestito. Alicia non indossava mutandine, e sorrise vedendo l'espressione sorpresa di Terry. «Ti aspettavo» disse. Gli prese una mano e se la premette tra le gambe. «Senti quanto sono bagnata» sussurrò. Terry la spinse contro il muro e lei gli cinse la schiena con le gambe, mentre la penetrava. «Sì» gli mormorò all'orecchio. «Sì, Terry, amore, dài.» Terry la penetrò con colpi sempre più forti, mentre lei ripeteva il suo nome. «Di sopra» chiese Alicia. «Portami di sopra.» Terry la prese in braccio e la portò di sopra, e fecero l'amore sul letto matrimoniale. Dopo, Terry restò steso sulla schiena a fissare il soffitto, con un braccio intorno alle spalle di Alicia. La bambina al piano di sotto piangeva ancora. «Perché non eri ancora venuto a trovarmi, Terry?» «Alicia...» gemette Terry. L'ultima cosa che voleva era una discussione. «Troppa pressione?»
«Non è quello, te l'ho già detto. Se gli sbirri dovessero vedermi con te...» «Lo so, lo so. Ma erano mesi, ormai.» «Alicia, lascia perdere.» Lei gli accarezzò il petto, scese fino all'inguine e poi alle cosce. Terry sorrise e la baciò. «Tua moglie è stata qui» disse lei. «Cosa?» «Tua moglie. Per questo volevo vederti. È venuta qui.» Terry si drizzò a sedere di scatto. «E perché cazzo non me l'hai detto?» «Te lo sto dicendo, no?» «Perché non me l'hai detto al telefono, intendo.» «Perché altrimenti non saresti venuto.» Terry si alzò in piedi e cominciò a vestirsi. «Vedi?» «Cosa vuol dire "vedi"?» chiese Terry, abbottonandosi la camicia. «L'ami ancora, vero?» «Non essere stupida. Cosa voleva?» «Cosa te ne importa di cosa voleva?» Terry la fissò, irritato, e lei scosse la testa. «Non lo so cosa voleva» rispose Alicia. «È restata un minuto al massimo. È entrata a forza, ha visto Rosie, mi ha fissata come se volesse vedermi morta ed è corsa via.» «Ha visto la bambina?» «Te l'ho appena detto.» Terry imprecò sottovoce. «È venuta sola?» «Qualcuno l'ha accompagnata. Un tipo in una grossa macchina.» Terry bestemmiò di nuovo. McKinley. Doveva essere lui. Finì di abbottonarsi la camicia e si diresse verso le scale. Alicia afferrò la vestaglia e gli corse dietro. «Terry... lei non conta. Puoi stare qui... con noi.» Terry trovò le scarpe in soggiorno e se le infilò. Alicia cercò di abbracciarlo ma lui la spinse via. «Sai che è impossibile» rispose. Lei gli sorrise, seducente. «Farò tutto quello che vorrai... Sai come sono brava...» «Piantala, Alicia.» Lei cercò di baciarlo, ma Terry le voltò le spalle e si mise la giacca. Lei lo colpì sulla schiena. «Bastardo!» Lo colpì ancora, ripetutamente, ma Terry non sentiva neppure i pugni e gli schiaffi. «Cresci, per favore» disse, dirigendosi verso la porta.
«Tu hai ucciso Preston per me!» gridò lei. «Gli hai sparato per potermi avere.» Terry si voltò di scatto, con gli occhi furenti. «L'ho ucciso perché mi ha minacciato con una pistola» sibilò. «Altrimenti mi avrebbe ucciso lui.» «Questo lo dici tu.» «Sì, lo dico io. Preston se l'è cercata.» «Era mio marito» ribatté Alicia, con voce tremante. «Ex marito» puntualizzò Terry. «E comunque, il fatto che fossi sposata non ti ha impedito di sbattermi le tette in faccia.» «Lo stesso vale per te» replicò Alicia. Terry la fissò, ansimando per la rabbia. Lei gli si sfregò contro. «Tu vuoi me, lo sai.» Terry scosse la testa, ma lei cominciò ad accarezzarlo tra le gambe. Terry la spinse via e aprì la porta. «È me che vuoi!» gridò Alicia, mentre lui chiudeva con violenza la porta. «Non puoi tornare da lei! Non puoi!» continuò a gridare, prendendo a calci la porta chiusa. Uscendo dall'ospedale, Sam prese Laura sottobraccio. «Non esagerare, mamma» protestò lei. «Sto bene.» Portava un paio di occhiali scuri e un foulard intorno alla testa, per coprire i lividi e i tagli in via di guarigione. «Lo so che stai bene. Voglio solo tenere stretta mia figlia» disse Sam. Si avviarono insieme verso la Lexus. McKinley si fece avanti, prese la borsa di Laura dalle mani di Sam e la mise nel bagagliaio, mentre le due donne salivano a bordo. «Cosa farà in Canada, mamma?» chiese Laura. «Non lo so, tesoro.» «Per il suo lavoro, in Canada non ci sono opportunità.» «Non te l'ha detto quando ha chiamato?» «Ha detto solo che voleva il divorzio e che io potevo tenermi tutto. La telefonata è durata meno di un minuto, sembrava spaventatissimo.» Laura fece una pausa. «È stato papà, vero? È stato lui a mandarlo via.» McKinley si sedette al volante. «Tuo padre dice di no» rispose Sam. «Be', quello è normale.» McKinley infilò una mano in tasca per rispondere al cellulare che squillava. «Come sta papà?» domandò Laura.
Sam sospirò. «Non lo so per certo.» «È tornato per restare?» Sam fece una smorfia. «Mi piacerebbe davvero saperlo, tesoro.» McKinley chiuse la comunicazione con un'aria preoccupata. «Tutto bene, Andy?» chiese Sam. «Il signor Greene vuole vedermi, più tardi» rispose McKinley, mettendo in moto. «La cintura, Andy» gli ricordò Sam. Era buio quando McKinley arrivò al campo da calcio, ma le luci si accesero subito e dovette ripararsi gli occhi per abituarsi al cambio di luminosità. Terry era davanti a una delle porte, con un grosso sacco ai piedi. «Che storia è questa, Terry?» chiese McKinley. «Avevo solo voglia di fare qualche tiro in porta» disse Terry. Vuotò sul prato il sacco, che conteneva una decina di palloni. Terry indossava un soprabito di pelle e un completo scuro. Le sue scarpe Bally brillavano sotto i riflettori. Neppure McKinley, con il cappotto di lana, la giacca e i pantaloni di panno, era vestito per giocare a calcio. Terry prese la rincorsa e calciò una palla in rete. Fissò McKinley con le mani sui fianchi. «Non ci hai neppure provato, Andy.» McKinley si aggiustò le dita dei guanti di pelle nera. «Vuoi dirmi di cosa si tratta, Terry?» Dall'ombra dietro la porta apparvero Pike e Fletcher. Restarono sul bordo del campo, con le facce di pietra. McKinley li guardò, poi si voltò di nuovo verso Terry. Terry calciò un altro pallone, che volò in porta passando accanto all'orecchio di McKinley. «Ehi, fa' almeno uno sforzo!» «E se non volessi giocare?» chiese McKinley. «Allora non sarà più un gioco» rispose Terry. Si mise a palleggiare da solo, muovendosi in circolo, stoppando di petto e infine lasciando cadere la palla. «Ho fatto un provino per il West Ham, da ragazzo, te l'avevo detto?» Eseguì altri palleggi, tra i piedi e le ginocchia. «Non ne è venuto fuori nulla, ma c'è stato un periodo in cui ho avuto una possibilità. La vita è fatta di possibilità, non credi? Alcune le prendi, altre le manchi.» Terry calciò in porta, all'incrocio destro dei pali. McKinley si spostò di lato, tese una mano e deviò la palla sopra la traversa. «Va già meglio...» disse Terry.
Dribblò fino al dischetto e lasciò lì la palla, facendo qualche passo indietro. «Ti darò un'ultima possibilità, McKinley. Se fossi in te la prenderei con entrambe le mani.» Sorrise senza calore, e fece finta di calciare. McKinley si mosse, poi si raddrizzò, rendendosi conto che era una finta. «Perché non mi hai detto che mia moglie era andata a Bristol?» chiese Terry, facendo un passo indietro. McKinley non rispose. Terry prese la rincorsa e calciò di potenza. Il pallone colpì McKinley in pieno petto, lasciandolo senza fiato. Terry preparò un'altra palla. «Allora?» chiese. «Non volevo...» McKinley non finì la frase. «Non volevi cosa?» «Non volevo metterla nei guai.» Terry guardò Pike e Fletcher. «Sono io, o stanno tutti impazzendo?» gridò. I due si strinsero nelle spalle. Terry tornò a rivolgersi a McKinley. «Ricordami chi ti paga lo stipendio, per favore.» «Tu.» «Quindi lavori per me, giusto?» McKinley annuì. «Perché se ci fosse un malinteso su questo punto, meglio chiarirlo subito.» Terry tirò un altro rigore. McKinley fece un rapido passo di lato e bloccò la palla con entrambe le mani, portandosela al petto. Terry annuì, impressionato. «Allora perché cazzo hai portato mia moglie a Bristol a parlare con la ex moglie dell'uomo che ero accusato di aver ucciso? Non ti è sembrato un tantino sleale?» «È stata lei a chiedermelo» rispose McKinley. «Cosa potevo fare?» «Avresti potuto chiamarmi. Avresti almeno potuto dirmelo dopo. Cristo, McKinley, ci sei o ci fai?» McKinley lo fissò con le labbra serrate. Terry calciò di nuovo, mandando la palla nell'angolo in basso a destra della rete. «Sì!» gridò. «Tiro, rete! La folla è in delirio.» Si inchinò verso le tribune vuote, poi mise sul dischetto un altro pallone. «E dopo cosa ha detto mia moglie?» «Voleva sapere se l'avevi ucciso tu.» «E...?» «Le ho detto che è stato per legittima difesa.»
«Lei ti ha creduto?» «Mi è sembrato di sì.» «Sa che l'ho usata per arrivare a Morrison?» McKinley annuì lentamente. Terry camminava intorno al pallone, mentre parlava. «Quindi, grazie a te, mia moglie ora sa che io sono un assassino e un bugiardo, che ho messo incinta la moglie della mia vittima e che ho usato lei per trovare e far uccidere l'unico testimone del mio omicidio. Non ti sembra che questo possa minare la stabilità del mio matrimonio, McKinley?» Si fermò di botto. «Cartellino giallo o rosso, secondo te?» «Terry, io...» Terry lo interruppe con un gesto. «Ce la giochiamo ai rigori» propose. «Se pari il prossimo tiro, ti guadagni un'altra possibilità. Se non lo pari, facciamo una passeggiata nei boschi.» «Terry...» Terry fece un passo indietro. McKinley si preparò alla parata. Pike e Fletcher si spostarono a disagio dietro la porta. Terry guardò McKinley, annuì e tirò molto piano. McKinley prese la palla facilmente. Terry sorrise. «Un'altra possibilità, allora.» Terry uscì dal campo e si avviò verso il parcheggio. Pike e Fletcher si affrettarono a raggiungerlo. «Questo è tutto?» chiese Pike. «La mia signora sa essere molto persuasiva quando si mette in testa qualcosa» rispose Terry. «Se aveva deciso di trovare Alicia, Andy non poteva fare un cazzo per fermarla.» Si voltò verso McKinley, che si stava dirigendo verso la Lexus. «È un bravo ragazzo» continuò. «Solo che non è molto intelligente.» Un Transit blu entrò nel parcheggio a fari spenti. Terry lo fissò, accigliandosi. «Cosa succede, capo?» domandò Pike. Prima che Terry potesse rispondere, le porte posteriori del furgone si aprirono e ne uscirono due uomini a viso coperto, armati di fucili a canne mozze. Spararono due colpi, e il finestrino di una macchina alle spalle di Terry andò in frantumi. Terry si tuffò a terra. Pike e Fletcher seguirono il suo esempio, imprecando. Andy McKinley sobbalzò udendo gli spari, e si voltò in tempo per vedere Terry, Pike e Fletcher strisciare verso una Honda grigio argento. I due
uomini armati, alti e robusti, avanzavano verso di loro. Uno dei due mise un altro proiettile in canna. Il furgone blu li seguiva a passo d'uomo. Anche l'autista indossava un passamontagna. McKinley imprecò. L'unica arma che aveva addosso era un coltello a serramanico, di nessuna utilità contro quei fucili. Si guardò intorno. Nel parcheggio non c'era nessuno. Corse ad aprire la portiera della Lexus, entrò e inserì la chiave d'accensione. Il motore ruggì e lui pestò sull'acceleratore, imprecando di nuovo. C'erano un milione di altri posti dove avrebbe preferito essere, un milione di altre cose che avrebbe preferito fare, ma sapeva che aveva davanti un solo corso d'azione possibile. Terry si sporse con cautela da dietro l'Honda ma ritirò subito la testa quando si vide puntare contro uno dei fucili a canne mozze. Seguì un'altra esplosione e il proiettile spaccò l'indicatore di direzione posteriore in mille pezzi arancioni. «Che cazzo succede, si può sapere?» chiese Fletcher. «È solo una supposizione» rispose Terry, «ma credo ci stiano sparando addosso.» Rotolò di lato e si rifugiò dietro una Toyota. Ci fu un altro sparo e un rumore di piedi in corsa. «Merda, mi hanno colpito» disse Pike, tenendosi una mano contro la spalla. «Nessuno di voi due è armato?» domandò Terry. Gli altri due scossero la testa e Terry bestemmiò. Si affacciò con cautela sopra il cofano della Toyota. I due uomini dal viso coperto erano accanto al furgone, intenti a ricaricare. Terry aggrottò la fronte. Chi cazzo erano? Non poteva trattarsi di nuovo degli irlandesi. Inoltre l'IRA usava armi automatiche, non fucili a canne mozze. E il parcheggio, a parte la sua BMW, la Honda, la Toyota e un paio di altre berline, non offriva altra copertura. Tutto quello che restava da fare ai due con i fucili era aggirare la Toyota, e sarebbe finita. Terry imprecò di nuovo. Poi udì il ruggito di un motore e dal lato opposto del parcheggio apparve la Lexus, con McKinley al volante. McKinley stringeva il volante con entrambe le mani, l'acceleratore schiacciato a tavoletta. Aveva la schiena premuta contro il sedile. Tutto
sembrò rallentare, intorno a lui. Vide il conducente del furgone girarsi a guardarlo, con la bocca aperta. Uno dei due uomini armati stava per sparare di nuovo, mentre l'altro ricaricava. Nessuno dei due aveva notato la Lexus. McKinley vide Terry acquattato dietro la Toyota. Tutti i suoi istinti lo spingevano a girare il volante per evitare l'impatto, ma sapeva che era l'unico modo per fermare quegli uomini. Urlò a pieni polmoni, un grido di sfida che si mescolò con il ruggito del motore in un unico suono animalesco, spinse il capo all'indietro contro il poggiatesta e tese le braccia, preparandosi all'impatto. Il tempo accelerò di nuovo e McKinley speronò il furgone a tutta velocità. Terry fissò incredulo la Lexus che si schiantava contro la fiancata del furgone. L'impatto spinse il veicolo di lato, contro i due uomini incappucciati, che finirono a terra. Un fucile rimbalzò sull'asfalto. McKinley tenne il piede premuto sull'acceleratore, mentre il motore urlava come un animale ferito. I due uomini dal viso coperto cercarono di rialzarsi scuotendo la testa, confusi. «Prendeteli!» gridò Terry. Scattò da dietro la Toyota e agguantò il conducente, che stava uscendo dalla parte del passeggero. Terry lo colpì in faccia con un pugno, e rise quando sentì che gli aveva rotto il naso. Dietro di lui, Pike e Fletcher prendevano a calci i due a terra, urlando e imprecando. Terry afferrò il conducente per i capelli, gli tirò un calcio nello stomaco, poi un altro, spingendolo al suolo. Pike si voltò e diede anche lui un calcio all'autista. Uno dei due uomini era svenuto, e il suo passamontagna era macchiato di sangue. Fletcher raccolse i fucili a canne mozze e li gettò lontano. Terry si avvicinò alla Lexus. McKinley era ancora dentro. Scuoteva la testa e respirava ansimando. «Stai bene?» chiese Terry. «Sì» rispose McKinley. «Meno male che avevi allacciato la cintura.» Terry fece il giro dell'auto e andò a esaminare il davanti. Fischiò di stupore e indicò la fiancata accartocciata. «Dovrò trattenerti i danni dalla paga» disse, fissandolo. Poi gli strizzò l'occhio e sorrise. «Grazie, Andy. Ti devo un grosso favore.»
McKinley accettò il ringraziamento con un cenno del capo, ma senza sorridere. Pike si chinò e strappò il passamontagna a uno degli uomini. «Sono quegli stronzi di kosovari!» esclamò. Sam aprì gli occhi. Voci al piano di sotto. Voci maschili. Si tirò su a sedere, sfregandosi gli occhi, e guardò la sveglia sul comodino. Erano le due del mattino. Scese dal letto, si infilò una vestaglia e uscì dalla stanza. Al pianterreno, Roger Pike era seduto su una sedia, mentre Andy McKinley e Kim Fletcher erano chini su di lui, e guardavano la sua spalla sinistra. «Fa un male cane» si lamentò Pike. «Così impari a non muoverti in fretta» disse Fletcher. Terry stava cercando qualcosa negli armadietti della cucina. «Volete abbassare la voce? Se Sam ci sente...» Non finì la frase, vedendo Sam che entrava in cucina. Fletcher e Pike si scambiarono un'occhiata colpevole. «Sam vi ha già sentiti» replicò lei, gelida. «E se svegliate Trisha e Laura ve la faccio pagare.» «Scusa, amore» fece Terry. Sam si avvicinò a Pike ed esaminò la ferita. «Cosa è successo?» McKinley si spostò, come se volesse allontanarsi da Pike e Fletcher. «Ci hanno sparato con dei fucili a canne mozze, signora Greene» spiegò Pike. Terry cercò di farlo tacere con uno sguardo, ma il danno era fatto. Sam si voltò verso di lui. «Fucili a canne mozze?» «Sì, ma piccoli» minimizzò Terry. «Dov'è la cassetta del pronto soccorso?» «Nello stesso posto dov'era ieri, quando sei tornato a casa come un soldato ferito.» Sam sospirò e andò a prendere la cassetta. «Levagli la camicia» disse a Fletcher, il quale aiutò il compagno a sfilarsela. «Mi fa male» si lamentò di nuovo Pike. «È logico, visto che ti hanno sparato» ribatté Terry. Sam si chinò e pulì la ferita con un panno umido. «Avrebbero potuto ucciderti» commentò. Pike sembrò contento di quel verdetto. «Visto?» disse a Fletcher. Fletcher gli diede uno scappellotto. Sam lo spinse via. «Vuoi comportarti da adulto, Kim?» lo rimproverò. «Kim, va' a controllare la macchina» ordinò Terry. «Accertati che non ci sia sangue sui sedili.»
Fletcher fece una smorfia e uscì. Con un paio di pinzette, Sam rimosse dalla ferita due schegge di piombo. Il danno era superficiale, e Pike non sanguinava quasi più. «Chi è stato?» chiese Sam. «I tuoi amici kosovari.» «Cosa?» Sam guardò McKinley, il quale distolse gli occhi, per non essere coinvolto. «I kosovari che hai lasciato invadere il nostro territorio» continuò Terry. Andò a prendere una birra in frigo. «Quel bastardo di Poskovic e i suoi uomini.» «Pensavo di aver risolto la faccenda.» «Pensavi male, amore» disse Terry, togliendo il tappo alla birra. «Hanno cercato di ucciderti?» «Oh, no, era solo il loro modo di mostrarsi cordiali.» Terry bevve un sorso direttamente dalla bottiglia e si pulì la bocca. «Devi avergli fatto qualcosa per provocarli» ribatté Sam, tamponando la ferita con dell'antisettico. «Qui non si tratta di liti tra ragazzini» replicò Terry. «Davvero? Avrei detto il contrario.» Sam riavvitò il tappo sulla bottiglia di disinfettante. «Okay, sei a posto» disse a Pike. «Prendi due aspirine e aspetta di guarire.» Andò a rimettere la cassetta del pronto soccorso nell'armadietto. «Io torno a letto.» «Vengo anch'io» aggiunse Terry. Fece un cenno a Pike. «Voi andate, ragazzi.» Pike prese la camicia e McKinley uscì senza guardare Sam. Terry andò in bagno, si tolse i vestiti e si fece una doccia. Sam guardò allontanarsi Pike, Fletcher e McKinley dalla finestra della stanza da letto. Poi, voltandosi, si vide riflessa nello specchio. Aveva un'aria stanca e tesa, le occhiaie e rughe di espressione intorno alla bocca. Sapeva che non era solo per mancanza di sonno. Terry le stava succhiando via la vita. Aveva mentito su Preston Snow. Aveva mentito quando aveva promesso di abbandonare le sue attività criminali. L'aveva usata per liberarsi di Ricky Morrison. E Dio solo sapeva cos'altro avesse in serbo per lei. Sam andò in bagno. Terry si stava insaponando, canticchiando sotto il getto di acqua calda. «Avevi detto di aver smesso con tutto questo» disse Sam. «Ti prego, non cominciare.» «Hai detto che ti saresti ritirato, ricordi? O ti sta venendo l'Alzheimer?»
Sam si rese conto di ciò che aveva appena detto. Terry si voltò a fissarla in silenzio. «Scusami» fece Sam. «Non intendevo questo. L'Alzheimer non è ereditario...» Imprecò sottovoce. «Lo so, amore. So che non volevi.» «È solo che...» Sam scrollò le spalle. Grace era sempre nei suoi pensieri. «Non preoccuparti, è stato solo un lapsus.» Terry sorrise. «Non mi strofineresti la schiena?» Sam gli gettò un guanto di spugna. Terry sorrise e continuò a lavarsi. «Perché continui, Terry? Non può essere solo per il piacere di farti sparare addosso.» «I nostri problemi economici non sono ancora risolti.» «Cosa? Nonostante le trecentomila sterline false?» Terry chiuse il rubinetto e uscì gocciolante dalla doccia. «Ho dovuto pagare gli altri investitori» spiegò, afferrando il telo che Sam gli porgeva per asciugarsi. «Avevo dei debiti. Adesso abbiamo una certa disponibilità, ma come ti ho detto non siamo ancora fuori dai guai.» «Terry, mi avevi promesso di rigare dritto» si lamentò Sam. «Che ne dici di un ultimo affare?» propose Terry, avvolgendosi l'asciugamano intorno alla vita e prendendone uno più piccolo per asciugarsi i capelli. «Uno grosso e poi basta.» Sam sospirò e uscì dal bagno. Terry la seguì, ancora intento ad asciugarsi i capelli. «Ascoltami, Sam.» Sam si sedette al tavolino da trucco e cominciò a spazzolarsi i capelli. «Non credo alle mie orecchie» disse. Terry si sedette sul letto. «Ricordi che Micky ci ha offerto un grosso affare?» Sam lo fissò severa attraverso lo specchio. «Non dire "ci". L'ha offerto a te.» «Conosce gente che può procurarci eroina di alta qualità, dall'Afghanistan.» Sam gli puntò contro la spazzola. «Vuoi metterti in un affare di eroina? Cristo, ma non impari mai? Stavolta butteranno via la chiave.» «Solo se ci beccano.» «Un'altra volta quel "ci."» «Amore, non credere che io ne sia entusiasta. Ma se davvero vuoi che lasci tutto, abbiamo bisogno di un ultimo colpo, che ci frutti abbastanza soldi.» Sam lo guardò gelida e riprese a spazzolarsi i capelli.
«Cosa c'è?» chiese Terry. «Perché fai quella faccia?» «Ci pensi da tempo, vero? Non è una cosa che è venuta fuori all'ultimo minuto.» Terry si avvolse l'asciugamano intorno alle spalle. «No, direi di no.» Sam strinse gli occhi. «Per caso hai chiesto a Micky di accennarmelo per cominciare a spianare la strada?» Terry fece un'espressione offesa, come se nulla fosse più lontano dalla verità. «Sam, per favore. Sei stata tu a parlarmene per prima. Ascolta, non possiamo vivere sempre con la paura che l'ufficiale giudiziario venga a pignorarci i mobili. Ma se facciamo un affare grosso, avremo abbastanza soldi per vivere senza preoccupazioni.» «Terry...» lo supplicò Sam. «È qui che tutti sbagliano, capisci? Diventano avidi, continuano a mettere a segno altri colpi, finché un giorno la fortuna finisce. Noi invece lo faremo una volta sola e basta.» «Questo l'avevi detto anche per l'hashish, e guarda com'è finita» ribatté Sam. «Troppi cuochi rovinano il brodo. Stavolta useremo un sistema più semplice.» Sam scosse la testa, confusa. Terry aveva sempre una risposta a tutto. «Con l'eroina si rischia grosso, Terry, lo sai.» «Più grosso che con quattro tonnellate di hashish?» Sam sospirò. Aveva ragione. «E come faremo a farla entrare in Inghilterra?» Terry sorrise e inarcò un sopracciglio, e Sam si rese conto di aver usato il "noi". Gli tirò la spazzola, ma senza convinzione, e il marito la schivò facilmente. «Ho un piano» disse Terry. «Non avevo dubbi.» Terry sogghignò. Sam si alzò e si infilò a letto. «Avanti, allora. Spiegami il tuo piano.» «Semplice, la portiamo con i furgoni dell'alcol. I ragazzi di solito vanno a Calais a caricare birra e liquori. Stavolta invece andranno prima in Spagna. I meccanici di Micky sistemeranno dei doppi fondi nei furgoni e li riempiranno di eroina. Poi andranno a Calais a fare il carico come al solito. In genere non vengono mai fermati, ma se dovesse succedere i doganieri si limiteranno a confiscare gli alcolici. Non penseranno neppure a cercare la droga.»
«Dove prenderemo i soldi per pagare l'eroina?» chiese Sam. «Useremo tutti i contanti che abbiamo. Poi tireremo dentro Kay, e anche Asher e Patterson.» Terry tese gli asciugamani sullo schienale di una sedia e scivolò sotto il piumone. «Hai pensato a tutto, eh?» disse Sam. «Sì, non nego di aver dedicato un certo tempo a mettere a punto il piano.» Terry le passò un braccio intorno alle spalle e l'attirò a sé, baciandola sul collo. «E poi cosa succede?» chiese lei. «Una volta fatta entrare la roba in Inghilterra, che si fa? La vendiamo agli angoli delle strade?» «No, la venderemo in blocco a una sola persona. Ho già alcuni nomi e ho intenzione di tastare il terreno da subito. Porteremo qui la roba, la venderemo al cliente interessato e incasseremo il denaro. Questo è tutto. Che ne dici?» «Non so, Terry.» Lui le scivolò sopra e la baciò. «Andrà tutto bene, Sam. Fidati.» Lei lo guardò. "Posso fidarmi di te?" pensò. "Posso davvero fidarmi?" «Ora cosa c'è?» chiese Terry. «Cosa vuoi dire?» «Hai quello sguardo...» «Quale sguardo?» «Quello sguardo sospettoso.» Terry sorrise e la baciò di nuovo. Sam voltò la testa di lato. «Sarà davvero l'ultima volta?» domandò. «Te lo prometto. Righerò dritto. Metteremo su un'attività legale, magari un pub.» «Terry Greene dietro un banco a servire birra?» «Perché no? Comunque facciamo un passo alla volta.» Cercò di nuovo di baciarla ma Sam lo spinse via. «Ho mal di testa, Terry.» Lui tornò a stendersi accanto a lei, e Sam lo baciò sulla guancia. «Buona notte» disse. Si voltò su un fianco, dandogli le spalle, e restò ad ascoltare il respiro di Terry, con gli occhi aperti. "No" decise. Non poteva fidarsi di lui. Mai più. Ormai c'erano troppe menzogne a dividerli. Troppe menzogne e una bambina a Bristol. Richard Asher camminava su e giù davanti alla sua scrivania. «Sei impazzito, Terry?»
Seduto sul divano, Terry gli sorrise. Accavallò le gambe e aggiustò la piega dei pantaloni. «È una buona offerta, Richard. Un'occasione che capita una sola volta nella vita.» «Noi siamo professionisti, te ne rendi conto?» intervenne Laurence Patterson, in piedi davanti alla porta, l'aria indignata. «E io invece cosa sono, un dilettante?» Patterson andò a mettersi accanto alla scrivania. «Intendevo professionisti nel senso che apparteniamo a un ordine professionale» spiegò, in tono paziente. «Io sono un avvocato, Richard è un contabile. Offriamo consigli, ma non partecipiamo attivamente agli affari dei nostri clienti.» Terry non perse il sorriso. «Non vi sto chiedendo di entrare in società con me per tutta la vita, ma solo per questo affare, Laurence. È un investimento sicuro, che vi frutterà il triplo della somma investita entro una settimana.» Asher si fermò di botto e disse: «Ma si tratta di droga, Terry. Eroina, Cristo». «Richard, quanti soldi ti ho fatto guadagnare negli ultimi dieci anni?» Terry si alzò in piedi. «Da dove credi che vengano quei soldi?» Puntò l'indice contro Patterson. «E tu, Laurence, sai benissimo con cosa pago le tue parcelle.» Terry andò dietro la scrivania, si sedette sulla poltroncina girevole in pelle e mise i piedi sul piano di lavoro. «Parliamoci chiaro. Questo è il mio ultimo affare. Poi basta. Quindi, da me, non vedrete più buste di contanti in nero, spese gonfiate, commissioni. E ora vi sto offrendo la possibilità di un ultimo urrà insieme.» Patterson e Asher si scambiarono uno sguardo. Terry capì che li aveva convinti. «Quanto?» chiese Asher. «Quanto avete?» ribatté Terry. Frank Welch puntò la macchina fotografica appena vide Terry uscire dall'edificio. Mise a fuoco il teleobiettivo e scattò mentre Terry si dirigeva verso la BMW. Al volante c'era Kim Fletcher. Welch notò un movimento con la coda dell'occhio e voltandosi vide Steve Ryser e Roger Pike accanto al finestrino della sua Rover. Pike fece il gesto di masturbarsi, ed entrambi risero. Poi corsero verso la BMW e salirono a bordo, uno davanti e uno dietro. La BMW partì immediatamente e Welch si lanciò all'inseguimento. Udì un tonfo in corrispondenza di una ruota posteriore, frenò e scese a vedere.
Sotto la ruota c'era un pezzo di legno irto di chiodi. Welch imprecò, fissando con odio la BMW. Terry gli fece un cenno di saluto dal lunotto. Terry entrò nel Lapland, fiancheggiato da Pike e Fletcher. Il locale era quasi buio, illuminato solo dalla luce che proveniva dall'ufficio di George Kay. Kay era seduto alla scrivania, aveva davanti parecchi mazzi di banconote. Quando sentì il rumore di passi alzò lo sguardo. «Li hai trovati, allora» disse Terry, indicando i soldi con un cenno del capo. «Non mi piace essere minacciato» rispose Kay. Pike chiuse la porta. Terry si sedette di fronte a Kay e poggiò i piedi sulla scrivania. «Che ne dici se ce li giochiamo a poker, George?» rise. Pike fece il gesto di sparare con le dita. «Bang! Bang!» disse ridendo anche lui. «Non è divertente, Terry» si lamentò Kay. «Qui ci sono trecentomila sterline, e credo sia mio diritto sapere cosa intendi farci.» «Te l'ho detto, George. Si tratta della grande occasione.» «Gradirei che tu fossi più preciso.» Terry fece un cenno a Fletcher. «Contali, Kim.» Fletcher cominciò a contare i soldi. Kay estrasse il suo inalatore da un cassetto e aspirò una boccata. «Non sarai allergico al denaro, vero?» chiese Terry. Kay posò l'inalatore sulla scrivania, tenendoci sopra una mano. «A cosa ti servono questi soldi, Terry?» Terry lo fissò, freddo. «Perché vuoi saperlo?» Kay fece una faccia perplessa. «Sono soldi miei. Trecentomila sterline...» Terry tolse i piedi dalla scrivania e si chinò in avanti. «Sono i soldi che rende questo locale, del quale io possiedo il cinquanta per cento. In più, c'è quello che hai arraffato di nascosto nel corso degli anni.» Kay alzò le mani. «Terry, Terry, Terry, questo non è giusto.» Terry si alzò in piedi, dominandolo dall'alto. «George, George, George, non me ne frega un emerito cazzo di cosa è giusto e cosa non lo è.» Kay si attaccò all'inalatore come un neonato al biberon. «Dicono che l'asma sia causata dallo stress» disse Terry. Kay annuì. «Ce l'ho da quando ero bambino.»
Terry lo fissò con disprezzo. «Grasso, brutto e asmatico. Deve essere stata un'infanzia difficile.» Kay gli lanciò uno sguardo ferito. Sembrava non capire il motivo di tanta ostilità. Fletcher finì di contare le banconote. «Ci sono tutti, Terry.» Ricevuto un cenno affermativo in risposta, infilò i mazzi in una borsa di nylon. «Mi fa piacere che tu non abbia cercato di fregarmi, George.» Kay fece per ribattere qualcosa, ma Terry lo zittì con un gesto. «So che sei stato l'informatore di Raquel, George» disse. Kay restò scioccato. L'inalatore gli cadde di mano. Terry si protese in avanti e gli afferrò i polsi, inchiodandoli sulla scrivania. «So che sei stato tu il traditore, nell'affare dell'hashish. So che hai cercato di farmi uccidere nelle docce del carcere. So tutto, George.» La bocca di Kay si muoveva senza emettere suono. «Adesso è arrivato il momento di pagare il conto» lo minacciò Terry. Kay cercò di liberare le mani, ma Terry era troppo forte per lui. Fletcher gli andò alle spalle e lo afferrò per i capelli, che gli restarono in mano. Fletcher fissò a bocca aperta il parrucchino. Terry sogghignò e lasciò andare i polsi di Kay. Pike scoppiò a ridere e Kay si coprì la pelata con una mano, ridendo nervosamente, e un attimo dopo tutti e quattro ridevano forte. Terry scosse la testa. «Sei pieno di sorprese, George.» Fece un cenno a Pike, il quale si spostò dalla porta, tirò fuori di tasca una busta di plastica e la infilò sulla testa di Kay. Fletcher immobilizzò le braccia del grassone e Pike gli strinse la busta intorno al collo. Kay strabuzzò gli occhi, e la busta cominciò subito a pulsare al ritmo del suo respiro affannato. Terry lo fissò. «Addio, George» disse. Prese la borsa con i soldi e uscì dall'ufficio. Kay scalciò sotto la scrivania, ma Terry non si voltò a guardare. Sam versò nel caffè un po' di latte e una compressa di dolcificante. Poi porse la tazza a Laura, seduta al tavolo della cucina in accappatoio. «Grazie mamma» disse lei. Trisha entrò in cucina in divisa scolastica e prese il succo d'arancia dal frigo. Guardò con disprezzo il caffè di Sam. «Ti stai scavando la tomba con le tue mani, mamma. Il caffè accorcia la vita di parecchi anni.» «Trisha!» intervenne Laura. «Ti sembrano cose da dire?» Sam sorrise alla figlia più piccola. «Francamente, Trish, non vedo l'ora che arrivi l'eterno riposo.» Si sedette di fronte a Laura e sospirò.
Trisha fece una faccia preoccupata. «Cosa c'è, mamma?» Sam le scompigliò i capelli. «Niente, tesoro. Sono soltanto un po' stanca.» Trisha le posò una mano sulla spalla. «È papà, vero?» Sam si accigliò. «Cosa te lo fa pensare?» «Be', tanto per cominciare, stanotte non è rientrato.» «Era fuori per affari.» «Certo, come no.» Trisha si sedette e le prese la mano. «Mamma, sono i suoi vecchi trucchi. Possibile che tu non te ne accorga?» «Non sai cosa fa tuo padre, Trish» ribatté Sam. «Posso immaginarlo.» «Ora dov'è, mamma?» chiese Laura. «Non me l'ha detto. Ma si tratta di affari.» Trisha e Laura si scambiarono un'occhiata. «Piantatela, voi due» sbottò Sam. «Ti sta usando, mamma» insisté Trisha. «Tu cucini, gli lavi la roba, lo fai entrare nel tuo letto, ma lui ti sta solo usando.» «Trisha!» «In un certo senso ha ragione, mamma» intervenne Laura. «Non dovrebbe stare fuori tutta la notte.» «Non è un bambino» replicò Sam. «Allora dovrebbe smettere di comportarsi come se lo fosse» disse Trisha. La porta si aprì e tutte e tre alzarono gli occhi. «Un party per sole donne?» chiese Terry, con un ampio sorriso. «Parli del diavolo...» fece Trisha. Vuotò il suo bicchiere di succo d'arancia, prese lo zainetto e passò accanto a Terry per uscire. «Ciao, Trish.» Trisha sbuffò, senza dire nulla. «Ci vediamo, Trish» ripeté Terry, sedendosi. «È ancora arrabbiata con me?» chiese a Sam. Laura sospirò e si alzò. «Vado a fare un bagno.» «Non ce l'hai con me anche tu, vero?» «La giuria non ha ancora pronunciato il verdetto» rispose Laura, stringendosi l'accappatoio addosso. «Jonathon ha chiamato di nuovo?» Laura scosse la testa. «Hai pensato a quello che ti ha detto? Al divorzio?»
«Non so, papà. Vorrei solo parlare con lui.» «Dovresti parlare con Laurence Patterson» disse Terry. «I divorzi possono essere complicati, e un'adeguata assistenza legale è importante.» «Papà...» «Sto solo dicendo che se lui è scappato, tu dovresti proteggere la tua posizione.» «Sì, forse.» Laura scosse la testa. «Sono un po' confusa, sai?» «Parla con Laurence» ripeté Terry. Cercò di prendere la tazza di Sam ma lei gli diede uno schiaffo sulla mano. «Sai dov'è il bollitore» disse Sam. Terry si alzò per prepararsi un caffè e Laura salì al piano di sopra. «Com'è andata?» chiese Sam. «Asher e Patterson ci sono dentro per un milione di sterline. Preleveranno dei soldi dai conti dei loro clienti, il che non è precisamente corretto da parte loro, ma sanno che sarà una cosa veloce. Poi ho avuto trecentomila sterline da Kay.» Sam inarcò un sopracciglio. «Trecentomila? Deve essere stato come cavar sangue da una rapa.» «Più o meno.» Sam bevve un sorso di caffè. «E a chi hai intenzione di rivenderla, qui?» Terry andò a sedersi di fronte a lei, portandosi il caffè. «C'è un tizio, a Londra, con il quale io e Micky abbiamo fatto affari in passato. Geoff Donovan. Pagamento alla consegna, siamo già d'accordo. Lui sta mettendo su un gruppo per trovare i contanti. Funzionerà, Sam.» Sam posò la tazza e si pulì la bocca con le mani. «Sei proprio sicuro di volerlo fare, Terry?» «È l'unico modo, amore. O questo, oppure ci trasferiamo in un bilocale a Clapham. E io sinceramente non me la sento.» «Ma l'eroina...» «È solo una merce. La compriamo sul continente, la rivendiamo qui a un prezzo cinque volte maggiore. Proprio come facciamo con gli alcolici.» «Non è la stessa cosa, Terry, e lo sai.» «Perché è illegale? Perché il governo ha deciso che l'alcol è una droga legale e l'eroina no?» «Perché è eroina, Terry.» «Continui a ripeterlo, ma noi non stiamo costringendo nessuno a bucarsi. Stiamo solo offrendo una merce della quale c'è molta domanda. La gente sceglie di usare l'eroina, nessuno è costretto. Come tu con le sigarette: nes-
suno è obbligato a fumare, ma milioni di persone lo fanno.» Sam allungò una mano verso il pacchetto sul tavolo, ma si fermò a metà. All'improvviso gli era passata la voglia di una sigaretta. Terry toccò il pacchetto. «Quante persone muoiono ogni anno a causa di queste, Sam? Decine di migliaia? Centinaia di migliaia? I nostri figli cercano sempre di convincerti a smettere. Eppure il governo non le mette fuorilegge. Perché? Perché guadagna un sacco di soldi con le tasse sul tabacco.» Terry stirò le braccia. «Vedrai che se i politici troveranno un modo di tassare la marijuana e l'eroina, le legalizzeranno.» «Ma che succede se ci prendono, Terry?» Lui sorrise. «Non ci prenderanno, amore. Credimi.» McKinley fermò la Saab fuori dal magazzino in mattoni. «È meglio se vengo anch'io, signora Greene» disse. «Non voglio innervosirlo, Andy» spiegò Sam. Poi sorrise. «Non andare a sbattere da nessuna parte mentre sono dentro, eh?» McKinley sospirò. «Con la Lexus è stato un incidente, gliel'ho già detto.» «Be', Terry mi ha detto una cosa diversa.» «Sul serio?» «Non ci sono segreti tra marito e moglie, Andy. O almeno, è così che si dice.» Fece un respiro profondo, preparandosi psicologicamente. «È certa di volerlo fare, signora Greene?» Sam sospirò. «Non proprio, ma non credo di avere scelta.» Scese dall'auto e gli strizzò l'occhio. «Se non torno tra dieci minuti manda qualcuno a cercarmi, eh?» Si avviò verso l'ingresso, sentendosi addosso gli occhi di McKinley. La porta era aperta, e appena si avvicinò apparvero due uomini, entrambi alti quasi un metro e novanta, con la pelle rovinata e i capelli tagliati male. Sam ne riconobbe uno, dall'ultima volta che aveva parlato con Poskovic, e gli rivolse un cenno di saluto. L'uomo si voltò verso l'interno del magazzino e gridò qualcosa. Poskovic gridò una frase in risposta, e i due si fecero da parte per lasciar passare Sam. Dentro c'era un odore di rancido, quasi coperto da quello delle cipolle fritte. C'erano almeno venti carrelli di hot dog in fase di preparazione, e molte teste si voltarono al passaggio di Sam. Poskovic era in fondo, intento a controllare due uomini che sistemavano casse di birra. Indossava un vecchio gilè di pelle sopra un pullover a colori vivaci. Il suo viso si indurì quando vide Sam. «Cosa ci fai qui?» ringhiò.
«Sono venuta a fare due chiacchiere» rispose Sam. «Non ho niente da dirti» ribatté Poskovic. «Vattene, prima che dimentichi che sei una signora.» «Zoran, questo è quasi un complimento» osservò Sam. Indicò un tavolo con due sedie. «Perché non ci sediamo?» «È meglio che tu te ne vada. I miei uomini sono ancora incazzati neri per quello che ha fatto tuo marito.» «Da come la racconta lui, i tuoi lo hanno aggredito con dei fucili a canne mozze» replicò Sam. «Hai idea di quanto mi è costato quello che mi ha fatto? Ha incendiato il posto dove stavamo prima.» «Mi dispiace, Zoran. Io non c'entro, hai la mia parola.» Poskovic alzò le spalle. «Due dei miei uomini sono stati picchiati quasi a morte. Uno è ancora in ospedale. Tuo marito è un animale.» «Ti capisco, Zoran. Davvero. Ma anche tu non scherzi. Terry mi ha detto che volevate ucciderlo a fucilate.» «Già, ma è stato lui a picchiare i miei uomini. E ha distrutto il nostro furgone.» «Oh, anche la sua Lexus è messa parecchio male, Zoran. Pan per focaccia.» Poskovic aggrottò la fronte. «Pan per focaccia?» «Significa che quello che lui fa a te, tu lo rifai a lui.» Poskovic annuì. «La prossima volta colpiremo più duro.» «E lui farà lo stesso con voi.» Poskovic scrollò le spalle. «Non mi aspettavo di rivederti» continuò. Sam fece un sorriso tirato, e si guardò intorno. «Questo posto è più grande dell'altro. Non tutto il male viene per nuocere, eh?» «Cosa?» «Un altro modo di dire. Significa che da una cosa cattiva può risultare qualcosa di buono.» «Stai dicendo che dovrei ringraziare tuo marito per aver incendiato il mio magazzino?» «No, non volevo dire questo.» Poskovic la fissò, molto serio. «Credi che io fossi assicurato?» Sam scosse la testa. «Immagino di no. Ascolta, Zoran, hai qualcosa da bere? Magari un po' di quella vodka speciale?» «È bruciata nell'incendio.» «Un vero peccato» disse Sam.
Un sorriso si formò lentamente sulle labbra di Poskovic. «Ma me ne sono fatta mandare dell'altra.» Indicò una scrivania di metallo vicino a una parete. «Nel cassetto in fondo» precisò. Sam andò a prendere la bottiglia di vodka. Poskovic prese due bicchieri da una mensola e li portò alla scrivania. «Cosa vuoi, signora Greene?» chiese, versando due abbondanti dosi di liquore trasparente. Laura e Trisha erano in cucina quando Sam tornò, carica di borse del supermercato. «Avanti, datemi una mano» disse Sam. Le due ragazze presero le borse e cominciarono a mettere via la spesa. «Pensate di potervi arrangiare da sole per un paio di giorni?» chiese Sam. «Perché?» domandò a sua volta Trisha. «Vostro padre e io vogliamo fare un viaggetto.» «Una specie di seconda luna di miele?» chiese Laura. «Qualcosa del genere.» Laura l'abbracciò. «Mamma, questa è una grande notizia! Dove ti porta?» «In Spagna. Solo alcuni giorni al mare.» «Dovresti stare via un po' di più. Perché non un paio di settimane? Noi ce la caveremo benissimo, vero Trisha?» «Per me potete andare o stare, è uguale» replicò Trisha. «Niente party selvaggi, eh?» «Figurati!» rise Laura. «Quando partite?» «Dopodomani.» «Vi accompagno all'aeroporto» si offrì Laura. «No, non preoccuparti. Andiamo in macchina.» «Fino in Spagna?» si stupì Trisha. «Ci metterete una vita.» «Tuo padre vuole andare in macchina. Chi sono io per protestare?» McKinley infilò i pacchetti di soldi tra i pannelli e le portiere della BMW. Sam e Terry lo osservavano a un passo di distanza. «Non è illegale portare denaro fuori dal Paese, vero?» disse Sam. «L'altra volta ho portato i soldi in una semplice valigetta.» «Questi sono due milioni di sterline, Sam. Se li trovano alla dogana si chiederanno a cosa ci servono, per questo è meglio nasconderli. Andiamo in macchina e torniamo in aereo. McKinley riporterà la BMW in Inghilter-
ra, la droga viaggerà nei furgoni.» «Sarà la BMW più cara del mondo» osservò Sam, mentre McKinley continuava a stipare soldi nelle fiancate. «Mi è venuta un'idea.» Terry inarcò un sopracciglio. «Che idea?» «Prendiamo i soldi e scappiamo. Con due milioni di sterline siamo a posto per tutta la vita.» Terry la fissò, incredulo, e Sam rise. «Scherzavo» disse. «Mi hai quasi fregato, Sam. Ci avevo creduto.» Guardò il suo nuovo Rolex. «Forza, Andy, datti una mossa. Dobbiamo incontrare Fletcher e i ragazzi all'imbarco del traghetto.» «Ho quasi finito» rispose McKinley. Terry abbracciò Sam. «Tutto bene?» Lei annuì. «Solo un po' di formicolio nello stomaco.» «Non devi venire per forza, posso fare da solo.» «Credi che ti lascerei scappare con i soldi?» replicò Sam. «Cosa intendi dire?» Sam gli diede un buffetto sulla guancia. «Scherzavo di nuovo» disse. «No, la verità è che non mi perderei questa avventura per tutto l'oro del mondo.» Frank Welch puntò la macchina fotografica e scattò una serie di foto da dentro la Rover. Mise a fuoco il teleobiettivo sui tre furgoni che si dirigevano verso il traghetto. Li guidavano Roger Pike, Kim Fletcher e Steve Ryser. E dietro di loro, nella sua BMW, c'era Terry Greene in persona, con la moglie. Welch sapeva di non poterli seguire sul traghetto. Non aveva portato il passaporto e aveva consegnato il tesserino al sovrintendente Edwards. Poteva solo fotografarli e cercare di scoprire quando sarebbero tornati. Scattò altre foto, a McKinley e alla targa della BMW. Allontanò la macchina dal viso e vide sul vetro del finestrino una grande foto in bianco e nero. Welch sobbalzò dalla sorpresa. La foto ritraeva Roger Pike mentre spingeva un pezzo di legno chiodato sotto la gomma della Rover. La foto fu tolta dal vetro, rivelando la sagoma di un uomo alto e grosso, in cappotto scuro, accanto alla Rover. Welch abbassò il finestrino. «Non hai la minima idea di cosa stiano tramando, eh?» disse l'uomo. «E tu chi saresti?» chiese Welch. L'uomo aprì la portiera e si accomodò sul sedile del passeggero. La Ro-
ver non era un'auto piccola, ma la stazza dell'uomo diede a Welch un senso improvviso di claustrofobia. «Sei un collega?» domandò Welch. L'uomo aveva quell'aria sicura comune a poliziotti e criminali, come una sensazione di essere migliori del resto del mondo. L'uomo gettò una busta in grembo a Welch. Dentro c'erano altre foto che mostravano Welch intento a sorvegliare Greene. «Una sorveglianza molto scadente, devo dire» commentò l'uomo. «Ogni volta che lui ha bisogno di un po' di privacy, si libera di te senza problemi.» «Da solo faccio quello che posso» si difese Welch. L'uomo indicò i furgoni bianchi. «Ti interessa parlare di quelli, oppure no, ispettore capo Welch?» Welch estrasse di tasca delle mentine e se ne mise due in bocca. «Okay. Cosa hai da dirmi?» L'uomo prese un'altra foto da una tasca del cappotto e gliela diede. Era leggermente sgranata, doveva trattarsi di un ingrandimento. Mostrava Terry Greene che stringeva la mano a un uomo che Welch conosceva: Geoff Donovan, un gangster di alto livello della zona nord di Londra. «Il motivo di questo viaggio in Spagna della cricca di Greene al completo è che stanno cercando di mettere insieme la madre di tutte le storie di eroina. Un affare da dieci milioni di sterline.» Welch aggrottò la fronte. «Come fai a saperlo?» «Leggo il futuro nelle foglie del tè. Come credi che faccia? Ho un uomo infiltrato nella banda.» «Allora perché non porti tutto questo alla Squadra Antidroga? Sarebbe un bel colpo per la tua carriera.» «Comincio a chiedermi come hai fatto a diventare ispettore capo.» Welch divenne ancora più perplesso. Poi comprese e un sorriso gli si allargò sul volto. «Sei sul libro paga di Terry Greene» disse. «E ora vuoi liberarti di lui.» L'uomo indurì lo sguardo. «Certe cose è meglio non dirle.» «Io becco Greene, e tu sei libero dal suo giogo» proseguì Welch, trionfante. «Forse mi sono rivolto al poliziotto sbagliato» disse l'uomo. Tese la mano per riprendersi le foto, ma Welch fu più svelto. «Non se ne parla» replicò. «Okay. Ma si fa a modo mio.»
Welch annuì. «Va bene.» «Punto primo, interrompi subito la sorveglianza di Greene e dei suoi compari. Se continui così, rischi di spaventarlo. D'accordo?» «D'accordo» accettò Welch. «Aspetta il mio segnale, poi piombagli addosso.» Welch guardò la foto di Greene e Donovan. Se avesse beccato con le mani nel sacco due dei più grossi gangster di Londra, la sua promozione era assicurata. «Chi sei?» chiese. L'uomo gli diede una pacca leggera su una spalla. «Puoi chiamarmi Blackie» rispose. Il sovrintendente Edwards inzuppò un biscotto nel tè mentre studiava il foglio che riportava le ore di straordinario. La porta dell'ufficio si spalancò di colpo ed Edwards sobbalzò. Il biscotto si spezzò e la metà inzuppata scomparve in fondo alla tazza. Sulla soglia c'era Frank Welch, con l'espressione eccitata di un bambino in attesa di aprire i regali di Natale. Dietro di lui apparve la segretaria di Edwards. «Mi dispiace, signore» disse. «Gli ho detto che era occupato.» Edwards la congedò con un gesto e spinse da parte tazza e piattino. «Qual è la parte della tua sospensione che non capisci, Frank?» chiese. Welch chiuse la porta e si avvicinò alla scrivania. «La parte in cui Terry Greene prepara un affare di eroina da dieci milioni di sterline» rispose, posando una serie di fotografie davanti al sovrintendente. «Foto delle vacanze?» domandò Edwards. Ma le sfogliò ugualmente. Erano immagini della BMW e dei tre furgoni mentre si imbarcavano sul traghetto. «Ci sono due milioni di sterline nascosti nelle portiere della BMW» spiegò Welch. «Greene li userà per acquistare l'eroina in Spagna e la porterà in Inghilterra attraverso la Francia, dove ha intenzione di rivenderla a dieci milioni.» Edwards alzò lo sguardo. «Chi lo dice?» «Ho un infiltrato» disse Welch. Edwards continuò a sfogliare le foto, finché arrivò a quella che ritraeva Greene e Donovan. «C'è dentro anche Geoff Donovan?» Welch annuì con forza. «Esatto. Greene ha preso accordi con lui per rivendergli la droga.» Edwards trovò la foto di Pike che sabotava la ruota di Welch, e si accigliò. Welch tolse in fretta il fascio di foto dalla scrivania.
«Tu sei sospeso, Frank.» «Allora ritiri la sospensione.» Welch agitò le foto. «È un colpo grosso, ma senza di me andrà tutto a puttane.» Il sovrintendente Edwards ci pensò su, poi allungò una mano verso il telefono. «Lasciami fare una telefonata» disse. Welch sorrise, trionfante. McKinley entrò con la BMW nel vialetto d'ingresso della villa di Micky Fox. Terry annuì con approvazione. «Bel posto» osservò. «Piacerebbe anche a me vivere qui. Che ne dici Sam? Ti andrebbe di trasferirci a Marbella? In fondo saremmo tra amici.» «Finché non gli daranno l'estradizione» disse Sam. Scese dalla macchina e si diresse verso Micky Fox, che l'aspettava sulla porta a braccia aperte. «Sam, stai diventando un'ospite regolare» esclamò Fox, stringendola in un abbraccio poderoso. «Mettiamola così, Micky» rispose Sam. Fox andò a stringere la mano a Terry. «Stai mettendo su pancia, eh?» scherzò, dandogli un colpetto sullo stomaco. «Cosa vuoi farci, è la cucina di Sam» si giustificò Terry. I due entrarono nella villa a braccetto, seguiti da Sam e McKinley. «Oskar vi piacerà» disse Fox. «È proprio simpatico, per essere russo.» Oskar, grosso come un orso e con un codino di capelli grigi, era davanti a un barbecue da un lato della piscina, occupato a punzecchiare le bistecche con un forchettone. Era nudo fino alla cintola, con il petto e la pancia segnati da cicatrici. Sudava profusamente e si pulì la fronte con un braccio quando Terry e Fox uscirono sulla terrazza. Due ragazzi spagnoli nuotavano nella piscina, mentre un altro era steso nudo su un lettino. «Molto bohémien, eh, Micky?» Fox rise e gli diede una pacca sulla schiena. «Oskar, questo è Terry!» gridò. «Hai portato i soldi?» urlò di rimando Oskar. «Non è uno che perde tempo in convenevoli, eh?» disse Terry a Fox. Poi si rivolse al russo: «Quando riceveremo la merce?». «Quando io riceverò i soldi!» gridò Oskar. «Vai a farti fottere» mormorò Terry tra i denti. «Oh, non da me, spero» disse Fox, e scoppiò a ridere. «Continua così e ti butto in piscina con i tuoi ragazzini» lo minacciò
Terry. «Non mi dispiacerebbe affatto» ribatté Fox. Oskar si avvicinò con il forchettone e strinse la mano a Terry. «Ti piacciono le bistecche?» chiese. «Le adoro» rispose Terry. «Stiamo facendo un barbecue» spiegò Oskar. «Già, perché non restate a mangiare un boccone?» chiese Fox. Terry indicò Sam, a pochi passi di distanza, che si riparava gli occhi dal forte sole mediterraneo. «Grazie, Micky, ma ho intenzione di portare Sam fuori a cena.» «Ottima idea» osservò Fox. «Dove sono i furgoni?» «Sono andati direttamente al garage. Puoi far preparare i compartimenti stanotte?» «Certo.» «E i miei soldi?» chiese Oskar. «McKinley andrà a prenderli subito» rispose Terry. Indicò il barbecue, che mandava volute di fumo. «Credo che le tue bistecche stiano bruciando.» «Mi piacciono bruciate» disse Oskar, e sorrise, mostrando due file di denti anneriti. Una cameriera dai capelli nerissimi e dal corpo da modella aprì una bottiglia di Dom Perignon e riempì due flûte. Terry aspettò che si fosse allontanata prima di sollevare il bicchiere. «Alla nostra, allora?» disse. Sam sorrise e brindarono. Il ristorante era sul fianco di una collina con una splendida vista sul mare. I tavoli erano coperti da tovaglie bianchissime e su ciascuno campeggiava un candelabro d'argento accanto a una rosa in un portafiori di cristallo. Sam si guardò intorno. Alla maggior parte dei tavoli erano sedute delle coppie, molte delle quali parlavano a bassa voce e si tenevano la mano. «È bellissimo, qui» osservò. «Già, e secondo Micky è ottimo anche il cibo.» Sam bevve un sorso di champagne. «È bello essere lontani dai ragazzi per un po'.» «Non sono più ragazzi» ribatté Terry. «Laura e Jamie hanno già lasciato il nido, e presto Trisha andrà all'università.» Sam sospirò. «Come è passato in fretta il tempo.» «Ehi, non fare quella faccia triste, abbiamo avuto un sacco di bei momenti.» Sam sorrise. «Sì, è vero.»
Arrivò un cameriere con le ordinazioni. Sogliola per Sam, costolette d'agnello per Terry. «Allora, quando pensi di ritirarti?» chiese Sam. «Sono ancora troppo giovane per una vita in pantofole» rispose Terry. Sam posò coltello e forchetta. Terry vide che si preparava a una discussione e alzò subito le mani per calmarla. «L'illegalità è finita» si affrettò a precisare. «Ora solo attività più bianche del bianco. Te lo prometto.» «Quanto bianche?» chiese Sam. «I club, per esempio...» Terry fece una smorfia. «I club non sono un problema. Kay mi ha venduto la sua parte.» «Cosa?» «Voleva smettere, e ho avuto tutto per quattro soldi.» Sam lo guardò, dubbiosa. «Dài, Sam, assaggia la tua sogliola» la esortò Terry. «L'ultima volta che gli ho parlato, era George Kay a voler comprare la tua parte.» «Le persone cambiano.» «Tu dici?» ribatté Sam, sospettosa. Laura bussò alla porta della stanza di Trisha. «Sì?» disse lei da dentro. Laura aprì la porta. «Ti va una cioccolata?» «Sì, grazie.» Trisha era a faccia in giù sul letto, in jeans e maglietta, e sfogliava un raccoglitore di plastica. Laura aveva in mano due tazze fumanti. Ne mise una sul pavimento accanto a Trisha e si sedette sul letto vicino a lei. «Cos'è questo?» chiese, allungando una mano a prendere il raccoglitore. Vide che era pieno di ritagli di giornali, tutti riguardanti loro padre. «Cosa ti sembra che sia?» disse Trisha voltandosi sulla schiena e fissando il soffitto. «Hai conservato tutta questa roba?» «Non significa niente» replicò Trisha. Tolse una ciocca di capelli dalla fronte della sorella. «Hai pianto?» «Un po'.» «Per Jonathon?» Laura sospirò. «Questa sua fuga in Canada non ha nessun senso» disse. «Non aveva mai parlato di Toronto. Credo sia stato papà a spaventarlo.» Trisha cominciò a sfogliare il raccoglitore. «Quando hai saputo per la
prima volta cosa faceva papà?» domandò. Laura si strinse nelle spalle. «Mah, non saprei di preciso. Ci sono sempre state facce strane in giro per casa. E papà andava e veniva a tutte le ore.» «Mamma non ha mai detto nulla, vero?» «Credo che preferisse non vedere» rispose Laura. «Io non sapevo nulla della droga, finché non ne hanno parlato i giornali. È stato uno shock. Jonathon ha tirato un pugno al muro.» Laura bevve un sorso di cioccolata. «E non solo al muro» aggiunse piano. «Non dirmi che ti picchiava.» Laura non disse nulla, limitandosi a sospirare. «Che bastardo.» Aprì la bocca per la sorpresa. «Ecco perché eri in ospedale. Lui ti aveva malmenata. Cristo, papà avrebbe dovuto ucciderlo.» «Trisha!» «Se è stato papà a farlo fuggire, ha fatto bene. Potevi morire, Laura.» «Non è così, Trish. È stato il tavolino a fare la maggior parte dei danni.» «Io non mi lascerò mai mettere le mani addosso da un uomo. Mai.» «Facile a dirsi» disse Laura. Sorrise vedendo una foto di Terry sull'«Evening Standard» sotto il titolo: IL BOSS DELLA DROGA DI LONDRA? «È strano» osservò. «Jonathon è nato con la camicia. Le migliori scuole, Oxford, il lavoro nella City... Eppure ha un lato davvero cattivo.» Toccò il ritaglio di giornale. «Papà invece ha passato tutto questo, eppure in fondo è un buono. Non ci ha mai sfiorate con un dito.» «Però gridava e pestava i piedi» rise Trisha. «Be', non è che non gliene dessimo motivo» osservò Laura. Si scambiarono un sorriso. «È un brav'uomo, in fondo» disse Trisha. «Sì, e ama davvero la mamma.» «Però l'ha lasciata» ribatté Trisha. «È stata lei a mandarlo via. Ma questo non vuol dire che non si amino.» «Credi?» Laura scompigliò i capelli della sorella. «Bevi la tua cioccolata.» Sam e Terry attraversarono la piazza mano nella mano. La luna era quasi piena, la notte era calda e Terry portava la giacca appesa a un dito sulla spalla. L'aria era satura del profumo di arance che proveniva dai frutteti alla periferia della città. Terry si portò alle labbra la mano di Sam e la baciò piano. «Tutto bene?» chiese.
Sam annuì. «Grazie.» «Di cosa?» «Della cena. Di avermi portata con te.» Una coppia di adolescenti passò loro accanto. Lei aveva lunghi capelli biondi, lui era bruno e ricciuto. Sam sorrise. La ragazza poteva avere al massimo un anno più di Trisha. «È quasi come tanto tempo fa» disse. «Cena fuori, champagne, al chiar di luna...» «E poi a letto insieme» concluse Terry. Sam gli diede un pizzicotto. «Pensi sempre a quello.» Davanti a loro c'era una chiesetta di pietra dal campanile squadrato. «Dev'essere vecchia di secoli» osservò Sam. «Entriamo?» «Vuoi farlo in una chiesa?» fece Terry, fingendosi scioccato. «E poi sarei io il fissato.» «Voglio solo dare un'occhiata, non fare lo scemo» replicò Sam. Terry sogghignò. «Va bene, andiamo.» La chiesa era fresca e tranquilla, con i soffitti a volta e le pareti dipinte di rosa. I banchi di quercia erano stati consumati da generazioni di fedeli. Camminarono verso l'altare tenendosi per mano. Sam guardò Terry: l'uomo sorrideva e gli brillavano gli occhi. «Stavo pensando... È come quando ci siamo sposati.» Terry annuì. «Pensavo anch'io la stessa cosa. Sembra di tornare indietro nel tempo, vero?» «Mangiammo del salmone quel giorno, vero? Salmone in salsa di crescione.» Terry aggrottò la fronte. «Come ti è venuto in mente?» Sam sospirò. «È stata una cosa che ha detto Grace» rispose. «L'ultima volta che l'ho vista.» Terry le passò un braccio intorno alle spalle. «Mi manca, sai?» «Anche a me. Aspetta, voglio accendere una candela.» Si avvicinò a un tavolino sul quale una ventina di candele brillavano davanti a un dipinto della Vergine Maria. Prese una candela, l'accese e restò a occhi chiusi per un minuto buono. Poi aprì gli occhi e sorrise. «Che desiderio hai espresso?» chiese Terry. «Il desiderio si esprime con le candeline del compleanno. In una chiesa si chiede perdono.» Lo fissò. «C'è qualcosa che vuoi confessare?» Terry sorrise. «Non senza il mio avvocato.» Sam annuì, senza sorridere, e andò a sedersi a un banco in prima fila.
Terry si sedette accanto a lei. «Sei sincero con me, Terry?» «Riguardo a cosa?» Sam scosse la testa. «Risposta sbagliata. O sei sincero o non lo sei. È come essere incinta. Niente mezze misure.» «Sempre domande trabocchetto» protestò Terry. «Sempre risposte evasive.» Terry fece una faccia seria. «Sono sincero, amore. Ho voltato pagina. Comincia una nuova vita.» Sam si chiese se dicesse sul serio. Fissò così a lungo i suoi occhi azzurri che le vennero le vertigini. «Tu sai che ho ucciso Snow, vero?» disse Terry alla fine, in tono piatto. Lì per lì Sam non credette alle proprie orecchie, e ripeté quelle parole tra sé, per essere sicura di aver sentito bene. «E sai anche di Alicia» continuò Terry. Sam sentì un brivido lungo la schiena. Non era paura o dolore. Era rabbia. Una furia fredda che faceva fatica a dominare. «Alicia non significa nulla per me» continuò Terry. «Non sono neppure sicuro che la bambina sia mia.» «Ha i tuoi occhi» osservò Sam. Abbassò la voce fino a un sussurro. «Non avresti dovuto mentirmi così. Se mi avessi detto la verità, forse...» non riuscì a finire la frase. Terry cercò di prenderle la mano ma lei si ritrasse. «È stata legittima difesa» si giustificò Terry, serio. «Certo» ribatté Sam, sarcastica. «E Morrison? Anche con lui è stata legittima difesa?» «Aveva cercato di uccidermi, Sam.» «Chi, Snow o Morrison?» «Piantala, per favore. Sto cercando di essere sincero.» «Cercando? Per te è uno sforzo, vero?» Terry non disse nulla, e restarono seduti in silenzio. Ci fu un rumore alle loro spalle e Sam si voltò. Una donna anziana era entrata e si era inginocchiata in fondo alla chiesa. Aveva una faccia che sembrava di pergamena, la testa coperta da un foulard nero. «Mi è stato addosso per settimane» raccontò Terry, piano. «Era venuto a sapere della bambina e voleva dei soldi. Diceva che se non lo avessi pagato sarebbe venuto da te a raccontare tutto. Continuava a dire che gli avevo rubato la moglie e che ero in debito con lui. Non era vero, lei l'avrebbe la-
sciato comunque, ma lui insisteva. Diceva che sarebbe sparito solo se gli avessi dato diecimila sterline.» «E tu gli hai creduto?» «Ho pensato che valesse la pena provare. Non volevo farti del male, Sam, te lo giuro.» «Ah, quindi l'hai fatto per me. Come mai faccio fatica a crederci?» «È la verità, te lo giuro davanti a Dio.» «Però quando sei andato da lui ti sei portato una pistola.» «Niente affatto. Ho portato solo i soldi. Certo, avevo intenzione di andarci un po' pesante, per fargli capire che si trattava di un solo pagamento e basta, che non volevo più sentire parlare di lui. Ma non ero armato.» Terry sospirò, si passò una mano tra i capelli. Si chinò in avanti, con le dita intrecciate come se stesse pregando. «Gli ho dato le diecimila sterline, ma lui ha detto che non era abbastanza» sussurrò. «Era strafatto. Ha tirato fuori una pistola e ha cominciato ad agitarla. Io l'ho afferrata, ed è partito un colpo.» «Gli hai sparato?» «È partito un colpo, ti ho detto. Stavamo lottando ed è successo tutto molto in fretta, ma credo che fosse lui ad avere il dito sul grilletto.» «Credi?» «Non lo ricordo chiaramente, Sam. Non sto mentendo. Snow ha lasciato cadere la pistola e ha cominciato a correre per la casa come un pollo senza testa. Non credo che fosse ferito gravemente.» «No?» «La pistola era una ventidue. Piccolo calibro. Non aveva perso molto sangue.» «Ah, questo rende tutto accettabile.» Terry le posò una mano su un ginocchio, ma Sam la spinse via. «Per favore...» protestò Terry. «Snow aveva in corpo due proiettili, Terry» disse lei, gelida. «È salito al piano di sopra, barcollando, appoggiandosi ai muri. Io gli sono andato dietro. È entrato nella stanza da letto e ha cominciato a frugare nei cassetti, cercava qualcosa. Poi è svenuto e si è accasciato a terra. Io mi sono avvicinato, pensando che forse era morto. Invece respirava. Allora mi sono voltato per andare a chiamare un'ambulanza.» «Molto compassionevole da parte tua.» «Sam, sto solo cercando di dirti cosa è successo.» «Davvero?» ribatté lei, in tono tagliente. «O invece stai cercando di co-
struirti un'immagine da buon samaritano?» «È la verità, Sam. Stavo per uscire e chiamare un'ambulanza, te lo giuro.» «E cosa è successo?» «Snow aveva un'altra pistola. Mentre stavo uscendo mi ha sparato alle spalle. Per poco non mi ha colpito in testa.» Tenne il pollice e l'indice a un centimetro di distanza. «Mi ha mancato di tanto così, Sam.» Terry posò i gomiti sulle ginocchia, chinandosi in avanti. «Io avevo ancora la sua pistola in mano, e gli ho sparato. È stata una reazione istintiva, non ci ho ragionato sopra. Lui mi ha sparato, io mi sono voltato e ho sparato a lui.» «In testa?» «Non ho mirato, Sam. Non volevo ucciderlo, volevo solo che non mi sparasse ancora. Devi credermi, è stata legittima difesa.» Terry tacque, aspettando che Sam dicesse qualcosa. La donna in fondo alla chiesa si alzò con un grugnito, si fece il segno della croce e uscì. «Perché mi stai dicendo tutto questo ora, Terry?» «Voglio che non ci siano più segreti, tra noi. Come ti ho detto, ho voltato pagina.» Si raddrizzò e la guardò negli occhi. «Sono cambiato, Sam. Credimi.» Le prese la mano e stavolta Sam non la ritrasse. Restarono seduti davanti all'altare, mano nella mano. Terry strisciò nel furgone e ispezionò il doppio fondo costruito dai meccanici. Era largo circa un metro, lungo un metro e mezzo e profondo sei o sette centimetri. Annuì con approvazione. «Bel lavoro, Micky» disse. Micky Fox era in piedi dietro di lui, con una bottiglia di San Miguel in mano. «Sono ragazzi in gamba. Prima ferravano cavalli per le corride.» Terry uscì dal furgone. Ryser, Fletcher e Pike stavano già riempiendo di pacchetti di eroina i compartimenti degli altri due, sotto la supervisione di Oskar. Sam li osservava, e McKinley era alle sue spalle con le mani dietro la schiena, come un impresario di pompe funebri a un funerale. «Sei sicuro del tuo piano?» chiese Fox. «Vuoi semplicemente guidare i furgoni sotto il naso della dogana?» «Io non guiderò un bel niente, Micky. Sam e io torniamo a casa in aereo questo pomeriggio. I furgoni li guideranno Kim e i ragazzi.» «Ci vogliono un bel paio di palle, te lo dico io.» «No, sarà una passeggiata» ribatté Terry. «A Calais riempiranno i furgoni di alcolici a basso prezzo, poi prenderanno il traghetto. La dogana li la-
scerà passare senza neppure guardarli due volte. E se venissero fermati, il peggio che può succedere è il sequestro del carico di alcolici. Non troveranno la droga perché non la stanno cercando.» Fox gettò un'occhiata a Sam, la quale sorrise e scrollò le spalle. «Mio marito mi ha assicurato che sa quello che fa» disse. Sam e Terry arrivarono a Heathrow nel tardo pomeriggio. McKinley li aveva accompagnati all'aeroporto di Malaga, poi si era avviato verso l'Inghilterra al volante della BMW. Terry e Sam uscirono dal terminal e si misero in fila per un taxi. «Sei nervoso?» chiese Sam, sedendosi dentro la vettura nera. «Andrà tutto bene» rispose Terry. «Hanno fatto quel viaggio con gli alcolici centinaia di volte, e i furgoni non sono mai stati fermati.» «Io ho le pulsazioni accelerate» disse Sam. «È come se tutti mi stessero guardando, come se sapessero quello che ho fatto. Mi sono sentita morire quando il poliziotto all'uscita dell'aeroporto mi ha controllato il passaporto.» Terry le prese la mano. «Presto sarà tutto finito. Poi si riga dritto.» «Lo spero davvero, Terry.» Quando il taxi li lasciò davanti casa, Terry abbracciò Sam. «Mi presti la Saab?» domandò, mordicchiandole un orecchio. Sam lo spinse via. «Terry, siamo appena arrivati!» «È per affari, amore.» «Trisha e Laura vorranno vederti» protestò Sam. «Lo so, ma ci sono alcune cose che devo fare immediatamente.» «Quali cose?» «Affari, te l'ho detto.» «Che tipo di affari?» «Meglio che tu non lo sappia, amore.» «Credevo che ormai fossimo soci nel crimine.» Terry rise. «Per favore, dammi le chiavi e piantala con l'inquisizione.» Sam sospirò, esasperata, e gli diede le chiavi. Terry la baciò su una guancia e si avviò verso la Saab. Sam entrò in casa. «Sono io» gridò. «Siamo in cucina» rispose la voce di Laura. Trisha e Laura stavano mangiando un piatto di pasta. «Com'è andata la seconda luna di miele?» chiese subito Laura. Sam sorrise. «Un po' più calma della prima» disse, posando la borsa da
viaggio. «Dov'è papà?» domandò Trisha. «Aveva da fare.» Trisha fece una smorfia eloquente. «È avanzata un po' di pasta?» chiese Sam. «Certo» fece Laura. Si alzò e si mise a trafficare davanti ai fornelli. Sam si sedette e bevve un po' di latte dal bicchiere di Trisha. «Vi piacerebbe andare a vivere in Spagna?» chiese. «Cosa?» esclamò Trisha, posando la forchetta. Laura si voltò, a bocca aperta. «Mamma?!» «È solo un'idea che mi è venuta.» «Credevo che odiassi la Spagna» osservò Laura. «No, odio il fatto che finiamo sempre insieme agli amici di vostro padre, i quali... non sono proprio il massimo.» «Per usare un eufemismo» precisò Laura. «Ma pensavo che un cambiamento ci farebbe bene. Via dal freddo e dalla pioggia...» «E la mia scuola?» «Ci sono scuole inglesi anche in Spagna.» Laura mise la pasta in un piatto e ci versò sopra una salsa di funghi e pomodoro. «Da quanto ci stai pensando?» chiese. «È solo un'idea, tutto qua. Ma in fondo non c'è nulla che ci leghi a questo posto, ora che Grace non c'è più.» «E Jonathon è scappato in Canada, dillo pure. Sono rimasta sola, quindi dovrei trasferirmi in Spagna? È questo che pensi?» Sam le accarezzò una mano. «Pensavo solo che ci farebbe bene vivere al caldo, questo è tutto. Niente secondi fini.» «È papà, vero?» disse Trisha. «Vuole scappare sulla Costa del Crimine, e noi dobbiamo andare con lui.» Batté la forchetta sul tavolo. «Cristo!» «Non parlavo di papà, ma solo di noi tre» puntualizzò Sam, paziente. «Un nuovo inizio da un'altra parte.» «Senza papà?» chiese Trisha, aggrottando la fronte. «Vuoi lasciarlo di nuovo, mamma?» Sam scosse il capo. «Voi due riuscite a essere piuttosto pesanti, a volte. Volevo solo sapere se vi piacerebbe passare qualche anno in Spagna, al sole e al caldo. Fate finta che non abbia chiesto niente.» «A me piacerebbe» rispose Laura. «Sole, mare, abbronzatura... Sì, ne sarei felice.»
Trisha annuì. «Be', anch'io.» «È Jamie?» chiese Laura. «Parlerò anche con lui. Deve finire l'università, ma nulla gli impedisce di venire a passare le vacanze con noi.» «Sei sicura che sia una buona idea, mamma?» Sam annuì. «Oh, sì. Più che sicura.» Frank Welch aprì gli occhi e allungò la mano verso il telefono. «Sono io» disse una voce. «Io chi?» rispose Welch, ancora mezzo addormentato. «Sveglia, Raquel.» Era Blackie. Welch si sedette sul letto e guardò la sveglia. «Sono le quattro del mattino.» «Vaffanculo» disse Blackie. «Se non ti interessa, telefono a qualcun altro.» «No!» rispose subito Welch. «Sono sveglio. Cosa è successo?» Blackie tacque per un paio di secondi, e Welch pensò che fosse caduta la linea, poi lo sentì schiarirsi la voce. «I furgoni sono arrivati. Pensavo che volessi saperlo.» «E Greene?» «Lui e la moglie sono arrivati ieri in aereo.» «E perché cazzo non me l'hai detto prima?» «Perché non volevo che tu rovinassi tutto mettendoti a seguirli. Ci sono vari furgoni, e la mia talpa non sa qual è quello con l'eroina. Ma sa dove avverrà la consegna dopodomani.» «Dove?» chiese Welch, allungando una mano per prendere una penna sul comodino. «Il mio uomo me lo dirà solo quando sarà sicuro al cento per cento» disse Blackie. «Appena lo so, ti chiamo. Fino a quel momento non fare nulla.» Riattaccò, e Welch rimase seduto sul letto, con la cornetta in mano. Ancora un giorno, poi avrebbe avuto in pugno Terry Greene. E Samantha. Non vedeva l'ora. Terry camminava su e giù per il soggiorno, quando il suo cellulare squillò. Era McKinley. «Cristo, McKinley, stavo cominciando a pensare che ti fossi perso» disse Terry. Sam arrivò dalla cucina, togliendosi i guanti da forno. Terry alzò i pollici.
«Siamo tutti qui, Terry» lo informò McKinley. «Nessun problema alla dogana?» «Assolutamente nessuno.» Terry sorrise e alzò di nuovo i pollici in direzione di Sam. «Andy, sei grande. Dove siete ora?» «Alla fabbrica.» «Fantastico. Assicurati che funzioni tutto. Io chiamo Donovan e fisso l'appuntamento. Tu resta lì.» Terry chiuse la comunicazione. Si avvicinò a Sam, la sollevò e la fece girare. «Ha funzionato, amore! Il piano è perfettamente riuscito.» «Sarà riuscito quando avremo incassato i soldi» disse Sam. «Dài, mettimi giù.» «Guastafeste» protestò Terry, mettendola giù. La strinse forte. «Andiamo in camera» sussurrò. «Che succede?» rise Sam. «I soldi ti arrapano?» «Sono il miglior afrodisiaco che esista» confermò Terry, e la baciò spingendole la lingua in bocca. Sam rispose al bacio, poi lo allontanò. «Aspettiamo di avere incassato, va bene?» Terry sorrise. «Va bene. Festeggeremo più tardi. Ora chiamo Donovan.» «Okay. Io vado a prepararmi.» Terry fece la telefonata, spiegando a Donovan che erano pronti per la consegna. Poi uscì e si avviò verso la macchina, dove Sam lo stava già aspettando. Era una giornata gelida, e si era messa un lungo cappotto nero, con i guanti. Terry salì al volante. «Ora non posso neppure più guidare la mia macchina?» fece Sam. «Sam, da domani potrai comprarti tutte le Saab che vuoi» rise Terry. Frank Welch lasciò correre lo sguardo sugli agenti con un malcelato senso di soddisfazione. Nella sala c'erano circa una quarantina di uomini e donne, la metà dei quali armati. Sulla parete alle sue spalle c'erano foto di Terry e Samantha Greene, dei loro uomini, di Geoff Donovan e della sua banda. Il sovrintendente Edwards era in fondo, a braccia conserte. Guardò l'orologio. Welch gli sorrise e annuì, sicuro di sé. Aveva il cellulare in mano, con la batteria carica. Blackie aveva promesso di chiamare non appena avesse saputo il luogo dello scambio tra Greene e Donovan. Edwards aveva suggerito di mettere sotto sorveglianza Donovan, ma Welch lo aveva persuaso a lasciargli carta bianca. Se Donovan si fosse ac-
corto di essere seguito, l'intera operazione sarebbe saltata. Edwards gli aveva fatto pressioni per conoscere l'identità del suo informatore, ma Welch aveva mantenuto uno stretto riserbo. Blackie era la sua fonte, e non intendeva cederla a nessuno. L'arresto e la condanna di Terry Greene e Geoff Donovan rappresentavano il suo biglietto per la promozione. Si infilò in bocca un paio di mentine. Terry parcheggiò la Saab sul retro di un magazzino accanto alla fabbrica in disuso dove sarebbe avvenuto lo scambio. «Meglio non attirare l'attenzione» disse a Sam, scendendo dall'auto. Le mise un braccio intorno alle spalle e si avviarono verso McKinley, che li aspettava sulla porta. «Sei sicura di voler restare?» chiese Terry. «È un po' tardi per questa domanda, non credi?» rispose lei, sollevando il bavero del cappotto. «McKinley può riaccompagnarti a casa.» «Perché? Prevedi che qualcosa possa andare storto?» «No, certo che no» rispose Terry, stringendole una spalla, in modo rassicurante. «Allora voglio esserci anch'io» confermò Sam. «Sei cambiata» osservò Terry, con un sorriso. «Sei stato tu a cambiarmi.» McKinley li fece entrare. I tre furgoni bianchi erano allineati in fondo al capannone, con le porte posteriori aperte. Sul pavimento c'erano pile di casse di birra. La BMW era parcheggiata dalla parte opposta, con il muso verso l'uscita. «Donovan non è ancora arrivato» disse McKinley. «Arriverà» ribatté Terry. «Resta fuori ad aspettarlo.» Fletcher, Pike e Ryser giocavano a carte seduti intorno a un tavolo. Avevano aperto una cassa di lager e sul tavolo c'erano diverse lattine aperte. «Restate pure seduti, ragazzi» fece Terry. Sam notò un arco di metallo montato accanto alla porta. «Cos'è questo, Terry?» chiese. «Un metal detector» fu la risposta. «Come quelli degli aeroporti.» Sam aggrottò la fronte. «Perché?» «Conosco Donovan da molto tempo, ma questo non significa che mi fidi di lui» spiegò Terry. Frank Welch sobbalzò allo squillo del cellulare. «Sì?» rispose. «Hai una penna?» disse la voce di Blackie.
«Certo. E tu hai l'indirizzo?» «Per quale altro motivo ti starei chiamando, secondo te?» Gli agenti e i funzionari presenti nella stanza restarono in assoluto silenzio. Welch scrisse qualcosa sul suo taccuino e chiuse la comunicazione. Poi fissò il sovrintendente Edwards. «Ci siamo.» Si avvicinò a una grande mappa della città e indicò un punto. «Sono qui» annunciò. Edwards si avvicinò a sua volta e guardò la mappa. «Con l'eroina?» chiese. Welch annuì con entusiasmo. «Terry Greene è in attesa di Donovan, con tutti i suoi uomini. E Donovan sta arrivando.» Edwards gli diede una pacca sulle spalle. «Ottimo lavoro, Frank.» «Bene!» disse Welch, rivolto a tutti i presenti. «Possiamo andare.» McKinley mise dentro la testa e fischiò. Quando Terry guardò dalla sua parte, McKinley alzò entrambi i pollici. Da fuori arrivò il rumore di portiere che si aprivano e si richiudevano. «Forza, ragazzi, comincia lo spettacolo!» gridò Terry ai suoi uomini. Loro misero giù le carte e si avvicinarono. Terry strizzò l'occhio a Sam. «Presto sarà tutto finito, amore.» Sam sorrise e guardò l'orologio. McKinley entrò nella fabbrica seguito da un uomo dalle spalle larghe in giacca di pelle nera. Dietro di loro, quattro uomini portavano grosse borse di nylon. «Come va, Terry?» chiese l'uomo in giacca di pelle. «Sempre meglio ogni minuto che passa, Geoff» rispose Terry. Geoff Donovan era alto quasi un metro e ottanta, con i capelli a spazzola e la barba cortissima. Si accigliò vedendo il metal detector. «E questo che cazzo è?» Terry sorrise amabilmente. «Non volevo sorprese» spiegò. «Non prendertela a male.» Il sorriso di Donovan si fece appena più teso. «Perché tu e i tuoi ragazzi non passate per primi?» Terry scrollò le spalle. «Va bene.» Fece un cenno a Fletcher e agli altri, e tutti e tre passarono sotto l'arco. McKinley passò per ultimo, e il metal detector emise una serie di bip. Donovan si incupì. McKinley si tastò le tasche dei pantaloni e ne estrasse una manciata di spiccioli. Fece un sorriso di scusa. «Ieri ho passato un po' di tempo alle slot-machine» disse. «E sono stato fortunato.» Posò le monete su un tavolo e passò di nuovo sotto il me-
tal detector, che stavolta restò silenzioso. «Soddisfatto?» chiese Terry a Donovan. L'altro sorrise e volle che anche lui e Sam passassero sotto l'arco. Sam tolse dalla borsetta il cellulare e le chiavi di casa. Passò, e Terry la seguì a ruota. «Okay?» chiese di nuovo a Donovan. Il gangster sembrò rilassarsi. «Adesso sì.» Infilò una mano dentro la giacca. «Questo è il momento in cui io tiro fuori una pistola, prendo la droga e mi tengo i soldi.» Guardò i suoi uomini. «Giusto, ragazzi?» Terry si irrigidì. Fletcher e gli altri si guardarono intorno, ansiosi. Donovan sorrise e ritirò fuori la mano. Vuota. Finse di sparare a Terry con il pollice e l'indice. «Ti ho fregato!» rise. Fletcher e gli altri risero nervosamente. Donovan indicò ai suoi uomini di passare sotto il metal detector, e lui passò per ultimo. Poi si avvicinò a Terry e lo abbracciò. «Sam, ti presento Geoff Donovan» disse Terry alla moglie. «Il peggior figlio di puttana a nord del fiume.» Donovan sorrise e si strinsero la mano. «Il secondo tra i peggiori» precisò. «Non conoscete mia moglie. Ma non fatele sapere che ho detto questo di lei. Piacere di conoscerti, Sam.» Si guardò intorno. «Allora, dov'è la roba?» «Nei furgoni» rispose Terry. «Bene. Prendiamola e chiudiamo questa storia. Vogliamo tutti tornare a casa, no?» La Rover svoltò un angolo facendo stridere le gomme e rischiando di tamponare il furgone della polizia che la precedeva. «Guida con calma» disse Welch all'autista. «Voglio arrivare intero.» Si infilò in bocca due mentine. «Scusi, capo» fece il sergente Clarke, scalando una marcia. Welch aveva in grembo una mappa stradale della città, che consultava di tanto in tanto. Erano a circa dieci minuti dal posto indicato da Blackie. L'ispettore Simpson era sul sedile posteriore, e tamburellava le dita contro la portiera. Dietro la Rover c'era un furgone blu dell'SOl9, la squadra di assalto della Polizia Metropolitana di Londra, seguito da altre sei auto piene di poliziotti dell'Antidroga, più altre due vetture con dentro agenti in uniforme. Alla retroguardia, due unità cinofile. Welch aveva chiesto anche un elicottero, ma
Edwards glielo aveva negato per motivi di budget. Comunque non importava. Welch sapeva di avere tutte le risorse necessarie per catturare Terry Greene. Il cuore gli batteva forte. Terry Greene sarebbe tornato in galera, da dove non sarebbe mai dovuto uscire, e tutto il credito dell'operazione sarebbe stato dell'ispettore capo Frank Welch. Blackie non avrebbe reclamato nulla per sé, visto che era stato sul libro paga di Greene. No, la gloria sarebbe stata tutta sua, ed era deciso a trarne il massimo vantaggio. Cercava di immaginarsi la faccia di Greene quando gli avrebbe fatto scattare le manette ai polsi. Poi c'era Donovan. E Samantha. Welch sorrise tra sé. Quella era la cosa che desiderava di più. Guardare negli occhi Samantha Greene e dirle che era in arresto. Era un'idea talmente piacevole che Welch avvertì il principio di un'erezione. Arrossì, imbarazzato, e cambiò posizione sul sedile. Si rese conto che Clarke lo stava guardando, perplesso. Welch sbuffò e indicò la strada. «Non ho detto di rallentare a passo d'uomo» latrò. Fletcher inseriva i fasci di banconote nel contasoldi automatico, Pike annotava il totale apparso sul display, e Ryser sistemava le banconote nelle valigie. Sam e Terry osservavano. «Non avrei mai creduto che dieci milioni di sterline potessero occupare tanto spazio» constatò Sam. Terry le mise un braccio intorno alle spalle. «Siamo a posto per tutta la vita, amore» disse. «Per tutta la vita.» Sam annuì. «Sarà meglio, Terry, perché non ho intenzione di rifarlo mai più.» McKinley era appoggiato alla BMW e osservava i gorilla di Donovan intenti a estrarre l'eroina dai furgoni. Terry strinse piano una spalla alla moglie. «È eccitante, però. Devi ammetterlo.» «Non credo che "eccitante" sia la parola giusta. Io mi sento spaventata a morte.» «No, è una cosa che ti fa sentire vivo. Un po' come i superstiti dopo l'eruzione del Vesuvio.» Sam si accigliò. «Di cosa stai parlando?» «Del Vesuvio. Quel vulcano in Italia. Dopo la sua eruzione, i campi intorno erano coperti di gente che faceva l'amore.» «Con te si finisce sempre a parlare di sesso.» Terry sorrise. «È il rischio. Ti fa venire voglia di festeggiare il fatto che
sei vivo.» Sam scosse la testa, e lo minacciò con un dito. «Se questo è un modo indiretto per dirmi che vorresti una sveltina, scordatelo.» Terry rise. «Magari più tardi?» Sam rise con lui. «Forse.» Donovan aveva prelevato un pacchetto a caso da ciascun furgone e li aveva messi sul tavolo dove gli uomini di Terry prima giocavano a carte. Fece un buco in ciascun pacchetto e controllò i campioni di eroina con un kit da chimico. «Stai diventando sospettoso con la vecchiaia, Geoff» gli gridò Terry. «Voglio solo controllare cosa sto comprando» ribatté Donovan. Sam guardò l'orologio. «Non preoccuparti, amore» disse Terry. «Abbiamo quasi finito.» Clarke fermò la Rover accanto al furgone dell'SO19. Gli agenti stavano uscendo e controllando le armi. Intanto, due poliziotti in uniforme studiavano la fabbrica con il binocolo. Le finestre al pianterreno erano sbarrate con delle assi, e sopra l'ingresso per le consegne c'era un grande cartello con la scritta «In vendita». «Potremmo farci dare una pianta dall'agenzia immobiliare» disse l'ispettore capo al comando della squadra d'assalto. Era un uomo alto e allampanato, con una folta chioma rossiccia. Non si era preso il disturbo di presentarsi e Welch ebbe l'impressione che avrebbe voluto avere lui il comando dell'operazione. Ma Welch non aveva ceduto il passo a nessuno. La gloria era sua e di nessun altro. La squadra d'assalto rappresentava solo un mezzo per arrivare a un fine. «Non abbiamo tempo» rispose Welch scuotendo la testa. «Entriamo non appena arriva la Land Rover.» «Non c'è fretta» replicò l'ispettore capo, sistemandosi meglio il giubbotto antiproiettile. «Non vanno da nessuna parte.» Welch non riuscì a nascondere l'irritazione. «Questa è la mia operazione» disse. «Decido io quando si entra.» L'ispettore capo lo guardò stringendo gli occhi, ma non disse nulla. Annuì e andò dai suoi uomini, passandosi una mano tra i capelli. «Ne vuole una, capo?» chiese Simpson, porgendogli un pacchetto di gomme da masticare. Welch scosse la testa, stava ancora succhiando le sue mentine. «Dov'è la Land Rover?»
Simpson indicò la strada. «Sta arrivando.» «Bene. Appena arriva sfondiamo la porta ed entriamo.» «Cristo, capo. Se si mettono a sparare sarà un bagno di sangue.» Welch gli strizzò l'occhio. «Non dirlo a nessuno, Doug, ma il mio informatore mi ha detto che non sono armati.» L'uomo sentiva il sudore colargli lungo la spina dorsale. Voleva grattarsi la schiena, ma sapeva che così rischiava di tradire la sua posizione, nascosto dietro i bidoni di nafta. Stava attento a tenere il dito lontano dal grilletto del fucile. Le sue istruzioni erano chiare: aspettare finché l'edificio fosse stato attaccato, e poi entrare in azione. Fino ad allora, doveva solo osservare. E attendere. I bersagli non sembravano armati. Erano tutti passati attraverso il metal detector, ma questo non significava che non ci fossero armi nascoste nei dintorni. Aveva riconosciuto diverse facce. Terry Greene. Andy McKinley. Geoff Donovan. E la donna, Samantha Greene. Aveva trascorso la mattina a studiare le foto, dopo aver ricevuto le istruzioni. Era di importanza cruciale che non ci fossero errori. Se qualcosa fosse andato storto, il suo capo gli avrebbe tagliato le palle. Indossava un passamontagna e una tuta da lavoro, entrambi neri. Il nero era il colore che ispirava più paura. Le persone erano maggiormente inclini a obbedire agli ordini di un uomo in divisa nera. I nazisti lo sapevano bene. E anche la SAS. Il nero ispirava paura e obbedienza. Il passamontagna era inzuppato di sudore e il prurito era quasi insopportabile. L'uomo tese l'orecchio per udire cosa dicevano i bersagli. Donovan sollevò alla luce una provetta, ne esaminò il contenuto e annuì. «Sembra buona, Terry» gridò. Terry Greene osservava gli uomini che contavano i soldi. «La cosa più facile è provarla, Geoff» gridò di rimando. Donovan fece una smorfia. «Mai toccata questa roba» disse. «È un gioco troppo pericoloso.» L'uomo nascosto cercò di rilassare le spalle. Tra poco avrebbe dovuto muoversi molto in fretta. Welch sorrise vedendo arrivare la Land Rover con dentro quattro agenti in uniforme. Sul davanti aveva una struttura in metallo da usare come ariete, e i finestrini erano rinforzati con maglia metallica. Il conducente, che indossava casco e giubbotto antiproiettile, restò a bordo. Gli altri tre scese-
ro. Welch indicò la fabbrica. «Okay, andiamo» ordinò. L'ispettore capo dell'SO19 corse con i suoi uomini verso l'ingresso, in una formazione a ventaglio. Quando arrivarono a una decina di metri dalle porte in metallo, la Land Rover partì a tutta velocità. Due agenti a piedi la seguirono con i cani al guinzaglio. Welch si avviò a passo svelto, seguito da Simpson e Clarke. Il resto della squadra era dietro di loro. La Land Rover andò a sbattere contro le porte metalliche, sfondandole ed entrando nella fabbrica. Gli agenti si riversarono nell'apertura, gridando a chiunque fosse all'interno di gettarsi faccia a terra e di non opporre resistenza. Welch sentì una scarica di adrenalina nelle vene e iniziò a correre. Simpson e Clarke lo imitarono e pochi secondi dopo tutti correvano, gridando come tifosi di calcio impazziti. Entrarono nella fabbrica, e le loro urla rimbalzarono sulle pareti. Gli agenti armati erano intorno alla Land Rover, con i fucili abbassati. Welch si accigliò. Ruotò su se stesso, cercando con lo sguardo Terry Greene. Il cuore cominciò a battergli forte quando si rese conto che, a parte loro, nella fabbrica non c'era nessuno. E non c'erano nascondigli. L'ispettore capo dai capelli rossi si avvicinò. «Bella soffiata, Raquel» disse con disprezzo. «Deve esserci un errore» replicò Welch. Ci fu uno scoppio di risa tra gli uomini della squadra d'assalto. «Certo che c'è un errore, porca puttana. Ed è proprio davanti a me. Dovrai rispondere a parecchie domande, al commissariato.» «Devono essere andati via. Siamo arrivati tardi.» L'ispettore capo scosse la testa. «Guardati intorno. Questo posto è vuoto da anni. Affronta la realtà, Raquel. Ti hanno preso per il culo.» Simpson sentì squillare il cellulare e si allontanò per rispondere. L'ispettore capo tornò dai suoi uomini. Welch si ficcò le mani in tasca e camminò fino al centro della fabbrica. L'ispettore dell'SO19 aveva ragione. Terry Greene non era mai stato lì. Un pastore tedesco alzò la gamba e fece pipì contro un muro. I poliziotti della squadra d'assalto si diressero al loro furgone, tra risate e battute. Simpson si avvicinò tendendogli il cellulare. «Capo, è il sovrintendente. Vuole sapere com'è andata.»
Welch scosse la testa. Aveva bisogno di tempo per raccogliere le idee, prima di parlare con Edwards. Avrebbe dovuto spiegare molte cose, ma non riusciva assolutamente a capire cosa fosse andato storto. Geoff Donovan testò anche il terzo pacchetto, sotto gli occhi attenti di Terry, e annuì. «Questa roba è veramente ottima» confermò. «Te l'avevo detto, no?» replicò Terry, dandogli una leggera pacca sulla schiena. «I russi sono in gamba.» «Pensi di portarne dell'altra? Questa è dieci volte meglio della merda che prendiamo dai turchi.» Terry schiuse le labbra in un ampio sorriso. Avvicinò la bocca all'orecchio di Donovan e sussurrò: «Penso proprio di sì, Geoff, ma per l'amor di Dio, non dirlo a Sam». Terry si voltò verso McKinley, che supervisionava il conteggio delle banconote. «Come andiamo, ragazzi?» Fletcher mise l'ultimo fascio di sterline nel contasoldi e aspettò. Ryser scrisse il numero apparso sul display e diede il totale a McKinley. «Mancano dei soldi» disse McKinley. «Cosa?» si stupì Donovan, accigliandosi. Mise giù la provetta e si avvicinò. «Ci sono venti sterline in meno» riferì McKinley. «Controlla pure.» Donovan prese il portafoglio e porse a Terry una banconota da venti. «Non ci penso neanche a ricontare tutto per venti sterline. La vita è troppo breve.» «È un piacere fare affari con te, Geoff» concluse Terry, intascando i soldi. Si strinsero la mano e si abbracciarono, dandosi pacche sulle spalle. Sam era accanto alla BMW. Terry andò ad abbracciarla. «Tutto fatto, amore» esultò. «Torniamo a casa.» Donovan gridò ai suoi tre gorilla di mettere la roba nelle borse di nylon. Fletcher, Ryser e Pike presero le valigie con il denaro. «Andy, apri il portabagagli» disse Terry. McKinley annuì e si accinse a obbedire. A un tratto ci fu il tuono di uno sparo. Quattro uomini con i passamontagna entrarono di corsa. Tre erano armati di pistole, il quarto aveva un fucile a canne mozze. Un quinto uomo emerse da dietro una fila di bidoni, con un fucile d'assalto. «Che cazzo è questa storia?» gridò Donovan. Gli uomini corsero verso la squadra di Fletcher, gridando; «A terra! Subito!».
Altri due uomini col viso coperto apparvero dal retro e corsero dagli uomini di Donovan, agitando le armi e gridando. I gangster non poterono fare altro che gettare a terra le borse con l'eroina e alzare le mani. Uno degli aggressori prese una borsa. «Non provateci neanche!» urlò Donovan. L'uomo accanto a lui lo colpì alla testa con la canna della pistola e Donovan si accasciò al suolo. L'uomo lo prese a calci nello stomaco, accompagnando ogni colpo con un grugnito. Fletcher, Ryser e Pike erano stesi a faccia in giù sul pavimento. Due uomini in passamontagna presero le valigie. «Quei soldi sono miei, cazzo!» gridò Terry. «Terry, no» disse Sam tirandolo per un braccio. «Lascia perdere. Lascia che prendano quello che vogliono.» Un uomo alto e grosso in passamontagna blu e giacca mimetica si mise di fronte a Terry e gli puntò la pistola in faccia. «Fa' come dice lei» ordinò. «Sai chi sono?» ringhiò Terry. «Non me ne frega un cazzo.» «Vi troverò. E quando vi troverò, sarete morti. Morti!» L'uomo fece un passo avanti e alzò il cane della pistola con il pollice della mano guantata. «Terry, no!» gridò McKinley. Corse a mettersi tra lui e l'assalitore. Terry lo spinse di lato. «Non è la prima volta che mi trovo davanti a una pistola, Andy.» Donovan si rimise in piedi barcollando, dovette appoggiarsi al furgone. Due dei suoi uomini si avvicinarono a sorreggerlo. Terry puntò un dito contro l'uomo dal passamontagna blu. «Giuro sulla mia vita che te la farò pagare.» L'uomo gli piantò un calcio nello stomaco. Terry cadde all'indietro e andò a sbattere contro Sam, grugnendo di dolore. Si accasciò a terra e Sam gridò. Con un urlo, McKinley con un urlo si gettò addosso all'uomo con il passamontagna blu. «Andy, no!» urlò Sam. L'uomo premette il grilletto e McKinley cadde in avanti, portandosi le mani al petto. Terry, incredulo, restò a guardare McKinley che cadeva al suolo. «Andy» mormorò. McKinley agitò i piedi, poi restò immobile. Ci fu uno sparo dal fucile a canne mozze. I piccioni sul soffitto si leva-
rono in volo. Fiocchi di ruggine caddero come neve sporca. Terry cercò di rimettersi in piedi, ma una fitta di dolore glielo impedì. Donovan, accompagnato dai suoi uomini, si diresse verso l'uscita. Uno degli assalitori sparò e i proiettili andarono a piantarsi nella parete sopra la testa di Donovan. «Terry! Andiamo via!» gridò Donovan. «Altrimenti ci ammazzano tutti.» Terry continuava a fissare il corpo immobile di McKinley. Sam si inginocchiò a terra. «Andy!» gridò, infilandogli una mano sotto la giacca. «Oh, mio Dio. Andy, no!» ritirò la mano macchiata di rosso. Sam fissò il marito, con gli occhi pieni di lacrime. «Terry...» disse. «Sam, allontanati da lui» gridò Terry. L'uomo dal passamontagna blu puntò la pistola contro di lei, ma Sam era concentrata su Terry. «È tutta colpa tua» lo accusò. «Tutto questo succede per colpa tua!» Terry cercò di alzarsi, ignorando il dolore allo stomaco. «Sam, scappa!» Negli occhi di Sam c'era un'espressione distante. Si voltò verso l'assassino di McKinley. «Lo hai ucciso» lo aggredì. «Lo hai ucciso, brutto bastardo!» «Sam, no!» urlò Terry. Donovan e i suoi corsero fuori imprecando, inseguiti da una salva di proiettili. Terry aveva un trillo nelle orecchie per via degli spari, e l'aria era densa dell'odore acre della cordite. Sam si alzò lentamente in piedi. L'uomo dal passamontagna blu teneva la pistola puntata contro il suo petto, fissandola senza battere ciglio. Terry vide la determinazione nei suoi occhi e seppe senza ombra di dubbio che avrebbe sparato a Sam senza pensarci due volte. «Lascia perdere, Sam!» gridò. «Va' via!» Sam fece un passo avanti, muovendosi come una sonnambula. Aveva le mani protese in avanti, le dita incurvate come artigli. La mano destra gocciolava del sangue di McKinley. L'uomo fece un passo indietro, sempre tenendole la pistola puntata al petto. Sam continuò ad avanzare. «Bastardo!» sibilò. «Sam!» gridò Terry, tenendo una mano premuta sullo stomaco e lottando per alzarsi in piedi. «Io ucciderò te!» urlò Sam e scattò in avanti, cercando di afferrare il passamontagna dell'uomo. «Sam!» gridò ancora Terry.
Lei afferrò l'uomo alla gola. Ci fu una detonazione e Sam si irrigidì. La sua testa scattò all'indietro. Cadde prima in ginocchio, poi di lato. Terry le vide una macchia di sangue sul davanti del cappotto. L'uomo dal passamontagna blu fece un passo indietro. Guardò prima la pistola, poi il corpo della donna. Terry lo fissò, pieno di orrore. «Cosa hai fatto?» gridò. «Cosa cazzo hai fatto!» Kim Fletcher si alzò in piedi. Gli uomini dal viso coperto stavano guardando Sam, che giaceva immobile sul cemento. C'era uno strano silenzio, come se tutti fossero in attesa di vedere cosa sarebbe accaduto. Pike guardò Fletcher, il quale gli fece cenno di alzarsi. Terry era piegato in due, e si teneva lo stomaco con entrambe le mani. Aveva un'espressione scioccata, e muoveva le labbra senza emettere suono. L'uomo che aveva sparato a Sam sollevò la pistola e la puntò verso Terry. «Terry!» gridò Fletcher. «Attento!» Terry sollevò gli occhi e si accorse del pericolo. Si lanciò barcollando a sinistra proprio mentre l'altro premeva il grilletto. Il proiettile andò a schiantarsi contro un pilastro di cemento. Da fuori, Fletcher udì lo sbattere delle portiere e il ruggito del motore dell'auto di Donovan, che fuggiva a tutta velocità. Ryser si stava alzando. L'uomo con il fucile a canne mozze ruotò su se stesso e fece fuoco, mancando di poco Pike. «Andiamo!» urlò Fletcher, e corse verso Terry, il quale era fermo a maledire l'uomo dal passamontagna blu. Ci fu un'altra esplosione assordante dal fucile, ma Fletcher non si voltò. I suoi occhi erano fissi su Terry. L'uomo dal passamontagna blu girò sui talloni, si accucciò a terra tenendo la pistola a due mani e sparò a Fletcher, mancandolo. Fletcher afferrò Terry per il bavero e lo spinse verso la BMW. Ryser lo aiutò. Terry non faceva altro che ripetere il nome della moglie. L'uomo sparò ancora e un finestrino posteriore della BMW esplose in una cascata di schegge. «Terry, andiamo!» gridò Pike. «Dobbiamo uscire di qui!» Fletcher si lanciò al volante e mise in moto. Pike aprì la portiera posteriore, gettando dentro Terry e poi entrando a sua volta, mentre un altro proiettile si schiantava contro la fiancata dell'auto. Ryser salì sul sedile del passeggero. Fletcher schiacciò l'acceleratore e la BMW balzò in avanti pri-
ma ancora che Ryser avesse il tempo di chiudere la portiera. Fletcher si diresse verso l'uomo dal passamontagna blu, che bloccava l'uscita. L'uomo sparò una sventagliata di proiettili e si scansò, mentre la BMW usciva dalla fabbrica. Fletcher catturò un'immagine di Sam e McKinley stesi a terra immobili come bambole rotte, e furono all'esterno. Terry guardò fuori dal finestrino, ma Pike lo spinse giù. «Giù la testa, capo!» disse. La BMW si allontanò rapidamente, con il vento che fischiava attraverso il finestrino rotto. «Gesù Cristo» esclamò Fletcher, accelerando a tavoletta. «Pensavo che saremmo morti lì dentro.» «Sam» sussurrò Terry. «Chi erano quelli, Terry?» chiese Pike. «Per me erano quegli stronzi dei kosovari» disse Fletcher. «Figli di puttana!» sibilò Pike. Terry si voltò a guardare indietro. «Sam...» ripeté. Fletcher e Pike si scambiarono un'occhiata preoccupata. «Non c'era nulla da fare, capo» lo giustificò Pike. Terry non sembrò averlo udito. «Sam...» mormorò, la voce appena più forte di un bisbiglio. L'uomo con il fucile a canne mozze si avvicinò alla porta e guardò fuori. «Sono andati via!» gridò agli altri. L'uomo dal passamontagna blu infilò la pistola nella cintura dei pantaloni. Si avvicinò al punto dove giacevano Sam e McKinley e si tolse il passamontagna. Toccò il braccio di Sam con un piede. «Tutto a posto» disse. Sam aprì gli occhi e rotolò sulla schiena. «Mio Dio, Zoran, è stato terribile.» «Sei stata perfetta» si complimentò Zoran Poskovic. Tese la mano e l'aiutò ad alzarsi. «Una grande attrice!» «Ero spaventata a morte.» Poskovic l'abbracciò stretta, lasciandola quasi senza fiato. McKinley si tirò su a sedere e aprì la giacca. Esaminò la falsa macchia di sangue sulla camicia e sorrise a Sam. Si alzò e andò ad abbracciarla a sua volta. «Sei una star, Andy» disse Sam. Poskovic ordinò ai suoi uomini di prendere l'eroina e portarla nella loro macchina.
«Dovrai stare molto attento, Zoran» lo mise in guardia Sam. «Terry non è stupido, ci metterà poco a capire cosa è successo e vorrà la tua testa.» «Sarà troppo occupato a nascondersi da Donovan» replicò Poskovic. Indicò le valigie. «A meno che tu non voglia restituirgli il denaro.» «Non ci penso neanche» rise Sam. «Potete darci una mano con le valigie? E poi nel bagagliaio della Saab devo prendere una cosa da lasciare qui.» «Ci stanno seguendo, capo?» chiese Fletcher, accelerando. «No» rispose Terry, continuando a fissare dal lunotto il punto da dove erano venuti. «Grazie a Dio» esclamò Ryser. «Erano ben armati, quei bastardi.» «Già» disse Terry con una strana espressione negli occhi. «Siamo stati fortunati» notò Pike. «Mi hanno mancato di pochi centimetri.» «Ci hanno mancati tutti» osservò Terry. «Nessuno è rimasto ferito, no?» «Ci hanno fatto esplodere un finestrino» disse Ryser. «Sì, ma nessuno si è fatto male» insisté Terry. «Eccetto Sam e McKinley.» Si accigliò, poi scosse la testa. «C'è qualcosa di poco chiaro. Kim, ferma la macchina.» «Cosa?» chiese Fletcher, voltandosi. «Ferma questa cazzo di macchina!» gridò Terry. Fletcher inchiodò. «Cosa c'è che non va, capo?» chiese Pike. Terry si massaggiò il mento. «Non lo so» rispose. Aggrottò la fronte, pensando a ciò che era successo nella fabbrica. Le pistole, il fucile a canne mozze. Le minacce. McKinley che era praticamente corso incontro alla morte. Lo sparo. La reazione di Sam. Il sangue sulla sua mano e il suo scatto verso l'assassino. Sam che si accasciava a terra dopo un altro sparo. «Hanno sparato a McKinley e a Sam» ripeté Terry. «Ma non erano armati. Nessuno di noi lo era. Devono aver visto che non rispondevamo al fuoco...» scosse la testa. «Non ha senso.» «Capo, avrebbero potuto ucciderci» disse Ryser. «Non credo» ribatté Terry. Diede un colpetto sulla spalla di Fletcher. «Torniamo alla fabbrica, Kim.» «Non sono sicuro che sia una buona idea, capo...» obiettò Fletcher. «Obbedisci, cazzo!» gridò Terry. Fletcher arrossì violentemente. Fece una rapida inversione a U e ripartì nella direzione da cui erano venuti. Terry teneva gli occhi fissi fuori dal fi-
nestrino. Il suo viso era una maschera priva di espressione. «Loro potrebbero essere ancora lì, capo» azzardò Pike. Terry gli rivolse un'occhiata gelida e Pike distolse lo sguardo. Fletcher fermò la BMW davanti alla fabbrica. «Voi restate qui» disse Terry, aprendo la portiera. «Meglio che veniamo con te, capo» protestò Fletcher. «Potrebbero essere ancora dentro.» Terry scosse la testa. «Non ce n'è bisogno» replicò. Terry si avviò lentamente verso l'ingresso ed entrò. La fabbrica era deserta. Nel punto dove erano stati uccisi Sam e McKinley non c'erano tracce di sangue. Terry sorrise e scosse lentamente la testa. «Oh, Sam» mormorò tra sé. Poi vide il televisore su un tavolo e avvicinandosi notò che, sotto, c'erano un videoregistratore e una videocassetta con sopra la scritta «Guardami». Terry si passò una mano tra i capelli e fissò il soffitto della fabbrica, dove i piccioni tubavano piano. «Sam, Sam, Sam» ripeté. Spinse la cassetta nel videoregistratore e schiacciò Play. Lo schermo prese vita e apparve Sam, sorridente, truccata, con una camicetta azzurra e una catenina d'oro con un crocifisso al collo. «Ciao, Terry, come va?» chiese. Fece una pausa. Terry incrociò le braccia sul petto, continuando a scuotere la testa. «So che al momento non devi essere molto contento» continuò Sam. «Ma sono certa che tra un mese o due riuscirai a vedere il lato divertente di questa storia.» Fece un'altra pausa, come a voler dare a Terry il tempo di reagire. Terry si limitò a sorridere, incredulo. «Venti e passa anni come moglie e madre. Tu mi devi molto, Terry Greene. Adesso merito una vita senza preoccupazioni in un bel posto caldo. Partirò con Laura e Trisha. Non intendo nascondermi, so che riuscirai a trovarmi. Ma se un giorno ti presenterai alla mia porta, fallo con un sorriso e un mazzo di fiori. Ho depositato in una cassetta di sicurezza le prove necessarie a mandarti in galera per tutta la vita. Perciò fa' il bravo, capito?» Sam guardò la telecamera e sorrise, triste. «Non avresti dovuto mentirmi, Terry. Non farlo più.» Lo schermo diventò nero. Terry restò a fissarlo per diversi secondi, poi scoppiò a ridere forte, gettando indietro la testa e spaventando i piccioni, che volarono in giro in un confuso sbattere d'ali.
Il taxi si fermò davanti a una villa su una collina con vista sul mare. Blackie scese e diede un colpetto sul tettuccio. «Aspetti qui» disse. Il tassista annuì e sorrise, rivelando un buco al posto degli incisivi superiori. Blackie si avvicinò al cancello in ferro battuto, che non era chiuso a chiave, e si incamminò sul vialetto. Fece il giro della villa, guidato da un rumore di risa e di tuffi. Voltando l'angolo si trovò davanti un uomo alto e grosso, che sorrideva divertito. «Il sovrintendente capo Blackstock» disse McKinley. «Lei dov'è?» McKinley fece un cenno del capo. «In piscina.» Blackie annuì e si avviò, seguito da McKinley. Sam era seduta accanto alla piscina, e leggeva un quotidiano. Su un tavolino c'era una bottiglia di champagne in un secchiello di ghiaccio. Laura era stesa su un lettino a prendere il sole e Trisha nuotava. Vedendo Blackie Sam si alzò e lo salutò con un gesto. Stappò la bottiglia e versò tre bicchieri di champagne, porgendone uno a Blackie e uno a McKinley. Poi sollevò il suo. «Non ce l'avrei mai fatta senza di te, Blackie» disse. «Grazie.» Fecero tintinnare i bicchieri e bevvero. Blackie guardò la villa. «Bel posto» osservò. «Spero che tu non abbia speso tutto.» Sam sorrise e indicò una valigia accanto alla sua sedia. Blackie la prese, la poggiò sul tavolino e l'aprì. Era piena di banconote da cinquanta sterline. «Sarà meglio che non siano false» la mise in guardia. «Dovresti conoscermi, ormai, Blackie» protestò Sam. Indicò il denaro. «E poi dicono che il crimine non paga.» «Credo che ormai non lo dica più nessuno» ribatté Blackie. Chiuse la valigia e vuotò il suo bicchiere. «Hai notizie di Terry?» chiese. Sam scosse la testa. «No. Come sta?» «Sta nascosto» rispose Blackie. «Geoff Donovan vuole fargli la pelle.» «Terry sa difendersi» disse Sam. Blackie prese la valigia, salutò e se ne andò. Sam e McKinley restarono a guardarlo allontanarsi. «La migliore polizia sul mercato» commentò McKinley. «È questo che dicevano della Polizia Metropolitana.» «Già, con il denaro si compra tutto, meno la felicità.» McKinley la guardò, preoccupato. «Qualcosa non va, signora Greene?» Sam bevve un sorso di champagne. «No, tutto bene, Andy. Vedremo
come andrà a finire.» «Terry non ha mai smesso di amarla. Lo sa, vero?» «Sì, lo so.» Allungò il bicchiere fino a toccare quello di McKinley. «Al crimine.» McKinley schiuse le labbra in un ampio sorriso. «Al crimine» rispose. FINE