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PIERS ANTHONY LA NAVATA DEL CENTAURO (Centaur Aisle, 1981) Capitolo 1 L'ape dell'ortografia Dor tentava di scrivere un tema, poiché il Re aveva ordinato che ogni futuro monarca dovesse essere istruito. Era proprio un lavoraccio. Sapeva scrivere, ma la sua immaginazione tendeva ad annullarsi quando la sfidava a produrre un tema, e non aveva mai conosciuto a fondo l'ortografia convenzionale. «La Terra di Xanth!», mormorò con profondo disgusto. «Che cosa?», chiese il tavolo. «È il titolo del mio terribile tema,» spiegò Dor scoraggiato. «La mia tutrice Cherie, che possa essere colpita da una maledizione anonima, mi ha assegnato un tema di cento parole nel quale dire tutto di Xanth. Non penso sia possibile. Non c'è molto da dire. Dopo venticinque parole, probabilmente inizierei a ripetermi. Come faccio ad arrivare fino a cento? Non sono neanche sicuro che esistano tante parole.» «Chi è che vuole essere informato di Xanth?», chiese il tavolo. «Io mi sono già annoiato.» «Sei solo un tavolo. Credo che sia Cherie, possano un centinaio di riccimaledizione aggrovigliarsi nella sua coda, a volerlo sapere.» «Deve essere proprio una sciocca.» Dor ci pensò. «No, è dannatamente furba. Tutti i centauri lo sono. È per questo che sono gli storici, i poeti ed i tutori di Xanth. Possa tutto il loro alto quoziente intellettivo andare in fumo!» «Allora perché non sono loro a regnare su Xanth?» «Ecco: molti di loro non sanno far magie, e solo un Mago può regnare su Xanth. Il cervello non ha nulla a che fare con tutto questo, e nemmeno il comporre temi.» Dor lanciò uno sguardo torvo al suo foglio bianco. «Solo un Mago può regnare su questa terra,» disse il tavolo compiaciuto. «Ma allora tu? Tu sei un Mago, vero? Perché non sei tu il Re?» «Ecco, sarò Re, un giorno,» disse Dor sulla difensiva, rendendosi conto che stava parlando con il tavolo solo per posporre di un po' l'inevitabile lotta con il tema. «Quando Re Trent, cioè, si ritirerà. Dice che è questo il
motivo per cui devo essere istruito.» Aveva sempre inviato ogni tipo di maledizione a Cherie la centaura, ma mai a Re Trent. Riprese a fissare immusonito il foglio, sul quale aveva scritto LA TERA DI XANTH. Qualcosa non gli sembrava andasse bene, benché fosse certo di aver messo le A al posto giusto. Si sentì ridacchiare. Dor alzò lo sguardo e scoprì che il ritratto della Regina Iris stava sogghignando. Era un problema lavorare nel Castello di Roogna; era sempre sotto il malefico sguardo della Regina, la cui principale occupazione era ficcare il naso dappertutto. Con un particolare sforzo, Dor si frenò dal mostrare la lingua al quadro. Nel vedersi osservata, la Regina parlò, e la bocca del ritratto si mosse. Il suo talento erano le illusioni, e poteva dare l'illusione del suono quando voleva. «Potrai anche essere un Mago, ma non sei un bravo scolaro. È ovvio che l'ortografia non è il tuo forte.» «Non ho mai sostenuto che lo fosse,» replicò Dor. Non sapeva cosa significasse la parola «forte» - forse era una specie di piccolo castello - ma, qualsiasi cosa significasse, l'ortografia non lo era. La Regina non gli piaceva molto, ed il sentimento era reciproco, ma il Re aveva ordinato ad entrambi di essere cortesi l'uno con l'altro. «Sicuramente una donna con i vostri straordinari poteri ha cose più interessanti da fare che sbirciare il mio tema,» disse. Poi, a malincuore, aggiunse: «Vostra Maestà.» «Veramente sì,» convenne il quadro, mentre lo sfondo si annuvolava. La Regina aveva naturalmente notato la pausa intercorsa prima che pronunciasse il suo titolo. Tecnicamente non era un insulto, ma il messaggio era abbastanza chiaro. Le nuvole nel quadro erano diventate un vero e proprio temporale, con lampi che esplodevano fuori dal quadro come scintille. Si voleva vendicare in qualche modo. «Ma non riusciresti mai a fare i tuoi compiti a casa senza una supervisione.» Dor fece una boccaccia rivolto alla superficie del tavolo. La Regina era proprio sulla pista giusta! Allora vide che l'inchiostro si era versato su tutto il foglio per il compito, rovinandolo. Con un grugnito di rabbia lo sollevò, e l'inchiostro scivolò via, creò una pozza sulla superficie del tavolo, si raddensò, poi gli spuntarono le gambe e corse via. Saltò dal tavolo come una grossa pulce e svanì in una nuvola di vapore. Dor non voleva ammettere di essere arrabbiato
per il fatto di essere stato preso in giro, e questo lo fece arrabbiare ancora di più. «Non capisco perché bisogna essere maschi per regnare su Xanth,» osservò il quadro. Questo naturalmente era il cronico punto dolente delle discussioni con la Regina. Era un'Incantatrice dai pieni poteri come qualsiasi altro Mago, ma la legge/consuetudine di Xanth stabiliva che nessuna donna poteva essere Re. «Io vivo nella Terra di Xanth,» disse Dor lentamente mentre scriveva il tema, ignorando la Regina con quella che sperava fosse una cortesia insolente, «che è distinta da Mundania per il fatto che a Xanth c'è magia e a Mundania no.» Era sorprendente quanto diventasse creativo quando c'era un aspetto negativo nel farlo. Aveva già scritto ventitré parole! Dor sollevò appena una palpebra, lanciando un'occhiata furtiva al quadro. Era tornato normale. Bene! La Regina se ne era andata via. Se non riusciva ad infastidirlo con illusioni striscianti, non aveva interesse nel restare. Ma ora la sua ispirazione si era inaridita. Aveva un centinaio di parole da comporre, sei volte l'attuale totale. Forse cinque volte; non era neanche particolarmente portato per i problemi di matematica. Più quattro parole, se contava anche il titolo. Era una significante frazione del totale, ma pur sempre soltanto una frazione. Che brutto compito! Entrò Irene. Era la figlia di Re Trent e della Regina Iris, la marmocchia del palazzo: spesso dava fastidio... ma qualche volta no. Dor doveva ammetterlo: Irene era una ragazza estremamente graziosa, lo diventava sempre più, e questo esercitava su di lui un potere crescente. E ciò contrastava con la sua invadenza. «Ciao, Dor,» disse, dandosi molte arie. «Cosa stai facendo?» Dor, distratto momentaneamente dall'atteggiamento della ragazza, dimenticò la risposta tagliente che aveva pensato. «Ho capito!», disse in tono scontroso. «Hai saputo che tua madre si è stancata di ficcare il naso nei fatti miei, e ti ha assegnato il compito di farlo in vece sua.» Irene non lo negò. «Ecco, qualcuno deve pur ficcare il naso nei fatti tuoi, sciocchino. Avrei preferito piuttosto andare a giocare con Zilch.» Zilch era un giovane bue marino che era stato evocato per il suo quindicesimo compleanno. Irene lo aveva messo nel fossato ed aveva usato la sua magia per provocare la crescita di un robusto muro di fiori onde separare una sezione d'acqua e proteggere così Zilch dai mostri del fossato mentre pascolava. Dor riteneva Zilch un grosso animale grasso e sudicione
ma, qualunque cosa distraesse Irene, era in qualche misura meritevole. Aveva preso da sua madre certi modi noiosi. «Vai pure a giocare con il bue marino,» suggerì Dor con disprezzo. «Non ho voglia di parlare.» «No; una Principessa ha i suoi doveri.» Irene non parlava mai di doveri se non riguardavano qualcosa che avrebbe voluto fare ad ogni modo. Sollevò il foglio del tema di Dor. «Hey, ridammelo!», protestò Dor, allungando la mano per prenderlo. «Hai sentito, spiona!», fu d'accordo il foglio di carta. «Mettimi giù!» L'ordine la rese ancora più ostinata. Indietreggiò, tenendo stretto il foglio, mentre i suoi occhi scrutavano lo scritto. Il petto le si sollevò per una risata a stento trattenuta. «Oh, caspita, c'è scritto qualcosa! Non pensavo che qualcuno potesse sbagliare a scrivere «Mundania» a questo modo!» Dor balzò verso di lei con il volto infuocato, ma Irene fece un altro balzo all'indietro e mise il foglio dietro di sé. Dor tentò di prenderlo alle sue spalle, e si trovò, senza volerlo, abbracciato alla ragazza. Irene era sempre stata una ragazza sveglia e socialmente precoce. Negli ultimi anni, la natura aveva concorso a dotarla generosamente, il che era abbastanza evidente a breve distanza. Ora era un'avvenente ragazza con gli occhi verdi, e i capelli dalla sfumatura verdastra: era un colore naturale, dato che lei non avrebbe mai colorato i suoi capelli. Quel che era peggio è che lo sapeva, e cercava sempre nuovi modi per usarlo a proprio vantaggio. Quel giorno indossava una camicetta verde, una gonna che accentuava la sua figura, e delle scarpette verdi che aumentavano la bellezza delle sue gambe sottili e dei piedi. In breve, si era ben preparata per quell'incontro, e non aveva nessuna intenzione di lasciargli scrivere in pace il tema. Irene tirò un profondo respiro, premendosi contro di lui. «Urlerò,» gli sussurrò in un orecchio, stuzzicandolo. Ma Dor sapeva come trattarla. «Ti farò il solletico,» sussurrò di rimando. «Non è leale!» Infatti non poteva urlare mentre ridacchiava, e soffriva tremendamente il solletico, forse perché pensava fosse opportuno per una giovane signora soffrirlo tanto. Aveva sentito da qualche parte che il solletico rendeva le ragazze più attraenti. La mano di Irene si mosse velocemente, tentando di infilarsi il foglio nel petto, dove sapeva che Dor non avrebbe osato andarlo a prendere. Ma Dor intercettò la sua manovra in tempo e l'afferrò per il polso. Infine si impossessò del foglio del tema, poiché era più forte di lei, e poi la ragazza rite-
neva che non fosse degno di una signora lottare troppo duramente. L'immagine contava per lei quasi quando un'offesa. Lasciò la presa, ma tentò ancora un'altra manovra. Circondò Dor con le braccia. «Ora ti bacerò!» Ma Dor era pronto anche a questo. I suoi baci potevano trasformarsi in morsi senza preavviso, a seconda del suo umore incostante. Non c'era da fidarsi di lei, anche se in verità la battaglia corpo a corpo aveva stimolato gli appetiti di Dor. Stava avendo successo su di lui più di quanto pensasse. «Tua madre sta guardando.» Irene lo lasciò immediatamente. Era una seccatrice ma, in presenza di sua madre, si comportava sempre angelicamente. Dor non era sicuro del perché, ma sospettava che il desiderio della Regina di vedere Irene diventare Regina dopo di lei, avesse una parte importante in tutto ciò. Irene non voleva fare un favore a sua madre più di quanto non volesse fare un favore a qualcun altro, ed esprimere un manifesto interesse verso Dor costituiva un atteggiamento compromettente. La Regina se la prendeva con Dor perché era un Mago completo e sua figlia no, ma non gli avrebbe permesso di rendere Regina altre che sua figlia. Irene, ironicamente, voleva diventare Regina, ma voleva anche far dispetto alla madre, per cui tentava sempre di far sembrare che Dor le desse la caccia e che lei lo respingesse. Gli svariati aspetti di questo gioco di quando in quando diventavano complessi. Dor stesso non era certo di quel che provava. Quattro anni prima, quando aveva dodici anni, aveva vissuto un'avventura straordinaria nel passato di Xanth, ed aveva occupato il corpo di un barbaro adulto, muscoloso e ben coordinato. Aveva appreso qualcosa a proposito delle abitudini degli uomini e delle donne. Da quando poi aveva avuto l'opportunità di usare un corpo adulto, aveva la vaga idea che i piccoli giochi che Irene faceva fossero più avventati di quanto lei pensasse. Così stava in qualche maniera alla larga e respingeva le sue advances stuzzicanti, benché non fosse sempre facile. Qualche volta faceva strani sogni maliziosi, nei quali la costringeva a scoprire il bluff, che non era esattamente un bluff, e poi la mano di un censore anonimo cancellava una scena di imminente seduzione. «Sciocco!», esclamò irata Irene, fissando il quadro silenzioso sulla parete. «Mia madre non ci sta guardando!» «Non mi avresti lasciato, vero?», disse poi con soddisfazione. «Vuoi fare come Millie il Fantasma, e non ne hai la stoffa.» Era un doppio insulto, poiché Millie, che aveva smesso di essere un fantasma prima che Dor nascesse, ma che manteneva quella denominazione, era dotata di sex-appeal magico, che aveva usato per prendere al laccio uno dei pochi Maghi di
Xanth, il serio e compassato Signore degli Zombi. Dor stesso aveva dato una mano a riportare in vita il Mago per lei, ed ora la coppia aveva due gemelli di tre anni. Dor aveva insinuato che Irene mancasse di sex-appeal e femminilità, ossia proprio le cose che lei si sforzava di avere. Ma era un'accusa difficile da farsi, perché Irene, in realtà, non era lontana dall'obbiettivo. Se avesse dimenticato che era la marmocchia del palazzo, si sarebbe trovato nei guai, ma quel censore misterioso avrebbe cancellato un sogno divenuto realtà? Irene poteva essere tremendamente graziosa quando voleva. O forse, quando smetteva di volerlo; non ne era sicuro. «Be', sarà meglio che tu finisca questo stupido tema, altrimenti Cherie la Centaura ti prenderà a calci,» disse Irene, con umore mutato. «Ti aiuterò a scrivere le parole, se vuoi.» Dor non si fidava. «Sarà meglio che me ne occupi da solo.» «Non supererai la prova. Cherie non sopporta il tuo tipo di ignoranza.» «Lo so,» convenne Dor depresso. La centaura era una sorvegliante severa, ed era proprio per questo che le era stato assegnato quell'incarico. Se avessero invece assegnato al suo compagno Chester quell'incombenza, Dor avrebbe appreso una quantità di cose sull'arte del tiro con l'arco, sulla scherma e sulla boxe a pugni nudi, ma la sua ortografia avrebbe raggiunto nuovi abissi sbalorditivi. Il Re Trent aveva la mano sicura nel delegare i compiti. «Ecco quel che ci vuole!», esclamò Irene. «Hai bisogno di un'ape dell'ortografia!» «Una che cosa?» «Ne acchiapperò una,» disse la ragazza con impazienza. Ora indossava la maschera della ragazza servizievole, ed era particolarmente difficile resisterle, dal momento che Dor aveva bisogno di aiuto. «Sono attratte dalle piante delle lettere. Ne prenderò una dalla mia collezione.» Poi uscì in un vortice di profumo dolciastro: a quanto pareva, aveva iniziato ad usare del profumo. Dor, con uno sforzo fenomenale, scrisse un'altra frase. «Ognuno a Xanth possiede un talento magico; non ci sono due persone ad averne uno uguale,» ripeté a bassa voce mentre scriveva. Altre sedici parole. Che lavoro mortale! «Non è vero,» disse il tavolo. «Il mio talento è parlare. Un mucchio di cose parlano.» «Tu non sei una persona, sei una cosa,» lo informò bruscamente Dor.
«Parlare non è il tuo talento, è il mio. Io faccio parlare le cose inanimate.» «Awww...» mormorò il tavolo cupamente. Irene entrò inaspettatamente con un seme della sua collezione ed un vaso pieno di terra. «Eccolo.» Dopo un momento aveva piantato il seme - era del tipo della lettera L - e gli aveva comandato: «Cresci.» Quello germogliò e crebbe ad una velocità che la natura non può eguagliare. Infatti era quello il talento di Irene: il pollice verde. Quando si concentrava, poteva far crescere un gigantesco albero delle ghiande da un seme minuscolo in pochi minuti, o far raggiungere ad una pianta già esistente proporzioni mostruose. Ma, poiché non poteva trasformare una pianta in una creatura totalmente diversa, come poteva fare suo padre, o dar vita a cose inanimate, come Dor ed il Signore degli Zombi, era considerata meno di un'Incantatrice, e questo era stato il crucciò di tutta la sua vita. Ma quel che sapeva fare, lo faceva bene, ed era proprio far crescere le piante. Lo stelo principale della pianta delle lettere raggiunse la larghezza di una mano. Poi, si ramificò e fiorì: ogni bocciolo aveva la forma di una lettera dell'alfabeto, e tutte le lettere erano riprodotte a casaccio. I fiori emanavano un debole odore bizzarro, che somigliava un po' a quello dell'inchiostro ed un po' a quello di vecchi tomi ammuffiti. Come previsto, una grossa ape con una giacca di pelliccia a scacchi arrivò per provvedere alla pianta. Ronzò di lettera in lettera, raccogliendone di ogni tipo ed infilando il materiale nei piccoli cesti che portava appesi alle sei zampette. In pochi minuti le aveva raccolte tutte ed era pronta a volare via. Ma Irene aveva chiuso sia la porta che tutte le finestre. «Quella era la mia pianta delle lettere,» disse all'ape. «Devi pagare per quelle lettere.» «AAAAA,» ronzò l'ape irata, ma accettò. Conosceva le regole. Di lì a poco avrebbe compitato per Dor. Tutto quel che lui doveva fare era pronunciare una parola, e l'ape avrebbe depositato i suoi fiori-lettere per scriverla. Non c'era nulla che un'ape dell'ortografia non sapesse scrivere. «Benissimo, ho fatto la mia buona azione quotidiana,» disse Irene. «Ora vado fuori a nuotare con Zilch. Non lasciar scappare l'ape prima che abbia terminato il tema, non dire a mia madre che ho smesso di infastidirti, e fammi controllare quando hai finito.» «Perché dovrei farti controllare?», chiese Dor. «Non sei mica la mia tutrice!» «Perché devo aver la possibilità di dire che ti ho seccato finché non hai terminato il tuo stupido compito, idiota!», disse astutamente. «Se sei d'ac-
cordo con me, siamo entrambi salvi per tutto il giorno. Al lavoro ora, zuccone!» In effetti, Irene gli stava proponendo un patto: lei lo avrebbe lasciato solo se non l'avesse accusata di averlo fatto. Doveva acconsentire. «Benissimo, naso-verde,» disse. «Ed attento a quell'ape!» Irene scivolò con cautela fuori dalla porta. «Compita ogni parola correttamente, ma non ti dirà se usi una parola sbagliata.» L'ape sfrecciò ronzando verso la porta, ma lei la chiuse rapidamente dietro di sé. «Benissimo, ape dell'ortografia,» disse Dor. «Non sono contento più di quanto lo sia tu. Prima terminiamo, prima usciremo di qui.» L'ape non era soddisfatta, ma ronzò con rassegnazione. Era abituata a rispettare le regole, poiché non c'erano regole più pignole ed assurde di quelle per compitare le parole. Dor lesse ad alta voce le prime due frasi, fermandosi dopo ogni parola per ricevere la compitazione. Non si fidava dell'ape, ma sapeva che era incapace di sbagliare una parola, anche se lo desiderava per fargli dispetto. «Qualcuno sa fare incantesimi sulle cose,» continuò lentamente, «ed altri sanno creare buchi, illusioni, o sollevarsi in aria. Ma a Mundania nessuno fa magie, perciò è molto noiosa. Non ci sono draghi lì: invece ci sono orsi, cavalli ed una gran quantità di altri mostri.» Si fermò per contare le parole. Tutto sommato erano ottantadue! Solo otto per terminare... no, di più: le sue dita avevano corso troppo. Occorrevano ancora ventotto parole per terminare. Ma aveva già svolto il tema. Ed ora? Ecco, forse qualcosa di più specifico. «Il nostro sovrano è Re Trent, che regna da diciassette anni. Trasforma la gente in altre creature.» Erano altre diciassette parole che portavano ad un totale di... Ehi, erano novantanove parole! Prima doveva aver sbagliato a contare. Ancora una parola ed avrebbe finito! Ma quale parola avrebbe potuto usare? Non riusciva a pensare ad una parola. Alla fine fece uno sforzo speciale e produsse un'altra frase intera: «Non si dà la caccia a nessuno qui; viviamo in pace.» Ma erano undici parole: dieci di troppo. In realtà lo scocciava sprecare energia a quel modo! Sigh! Non c'era nulla da fare. Avrebbe dovuto usare le parole, ora che le aveva messe sulla carta. Le scrisse mentre l'ape le compitava, pronunciandole attentamente in modo da non farla sbagliare. Era sicuro che l'ape avesse poco, o nessun senso di continuità; compitava semplicemente parola
per parola. In un attacco di generosità, sparò altre cinque parole: «Il mio racconto è terminato.» Ciò rese il tema di centoquindici parole. Cherie la Centaura gli avrebbe dato un ottimo voto! «Okay, ape dell'ortografia,» disse. «Hai fatto la tua parte. Sei libera, con le tue lettere.» Aprì la finestra e l'ape uscì ronzando con un allegro «AAAAAA!» «Ora devo consegnarla alla mia amata tutrice, possano le pulci rosicchiare la sua gualdrappa,» disse tra sé. «Come posso farlo senza che mi acchiappi e mi dia degli altri compiti da fare a casa?» Infatti sapeva, come tutti gli studenti, che lo scopo basilare dell'istruzione non era tanto insegnare ai giovani cose giuste, quanto riempire il loro tempo spiacevolmente. Gli adulti erano dell'idea che i giovani dovessero soffrire. Solo quando avevano sofferto abbastanza da annientare la maggior parte del loro naturale spirito gioioso e innocente erano ritenuti abbastanza maturi. Un adulto era essenzialmente un bambino intristito. «Mi hai fatto una domanda?», chiese il pavimento. Le cose inanimate di rado a avevano molta intelligenza, ed era per questo che Dor non aveva chiesto il loro aiuto nella compitazione. «No, stavo soltanto parlando a me stesso.» «Bene. Allora non ti dirò di usare una vespa-carta.» «Comunque non riuscirei ad acchiappare una vespa-carta. Mi pungerebbe.» «Non la dovresti acchiappare. È intrappolata sotto di me. Quella stupida si è infilata alla cieca durante la notte e non riesce a trovare l'uscita; è buio laggiù.» Questa era un'occasione buona. «Dille che la porterò in salvo se consegnerà un foglio per me.» Ci fu un mormorio mentre il pavimento conversava con la vespa. Poi il pavimento si rivolse nuovamente a Dor. «Dice che ha un bel pungiglione.» «Molto bene. Dille che c'è una fessura abbastanza grossa che attraversa tutta la stanza.» Immediatamente apparve la vespa. Era grossa, con una vita stretta ed un delicato colore bruno-rossastro: una femmina attraente per la sua specie, macchiata solo da un po' di polvere sulle ali. «VVVVVVVV?», ronzò, facendo cadere la polvere dalle ali in modo da essere nuovamente carina. Dor le diede il foglio ed aprì la finestra. «Porta questo alla signora centauro Cherie. Dopo di ciò sei libera.»
Si posò per un istante sul davanzale mantenendo il foglio. «WWW?», chiese di nuovo. Dor non comprendeva il linguaggio delle vespe, ed il suo amico Grundy il Golem, che ne era capace, non si trovava nei paraggi. Ma aveva idea di quel che stava pensando la vespa. «No, non ti consiglio di pungere Cherie. Riesce a far schioccare la coda come una frusta, e non manca mai una mosca.» O il retro dei pantaloni di qualcuno, aggiunse mentalmente, quando è sciocco abbastanza da rispondere con insolenza ad un compito assegnato. Dor aveva appreso anche questo. La vespa portò il foglio fuori dalla finestra con un ronzio di soddisfazione. Dor sapeva che l'avrebbe consegnato; come l'ape dell'ortografia, era leale per natura. Una vespa-carta non poteva maltrattare un foglio. Dor uscì per far rapporto ad Irene. La trovò sul lato sud del castello in costume da bagno, mentre nuotava con un bue marino soddisfatto e lo nutriva con avena di mare che aveva fatto crescere magicamente sulla riva. Zilch muggì quando vide Dor, avvertendo Irene. «Ciao, Dor. Vieni a nuotare!», gridò la ragazza. «Nel fossato con i mostri?», replicò Dor. «Ho fatto crescere una fila di querce-otri per rinforzare i fiori-muto,» disse. «I mostri non possono passare.» Dor guardò. Infatti, un mostro del fossato nuotava lungo il confine, tenendosi lontano dalle querce-otri. Ad un certo punto si avvicinò troppo e venne colpito da un otre ben lanciata. Non c'era nessuno che riuscisse a oltrepassare quegli alberi! Eppure Dor decise di star lontano. Non si fidava di quel che Zilch avrebbe potuto fare in acqua. «Mi riferivo ai mostri che sono da questa parte,» disse. «Volevo solo dire che ho finito il tema e l'ho inviato alla mia tutrice.» «I mostri che sono da questa parte!», ripeté Irene lanciandogli uno sguardo. «Prendilo, Senzafoglie!» Un tentacolo sbucò dall'acqua e gli afferrò una caviglia. Era un'altra delle sue piante mattacchione! «Smettila!», urlò Dor, girando su se stesso mentre la pianta gli dava uno strattone alla gamba. Non fu di nessuna utilità; Dor perse l'equilibrio e cadde nel fossato con un grosso tonfo. «Ho, ho, ho!», rise l'acqua. «Credo che questo spegnerà il tuo ardore!» Dor colpì la superficie con un pugno, ma fu inutile. Volente o nolente, stava nuotando con tutti gli abiti addosso.
«Hey, mi è appena venuta una cosa in mente,» urlò Irene. «Quell'ape dell'ortografia... le chiarivi le parole?» «No, naturalmente no,» farfugliò Dor, che tentava di trascinarsi fuori dall'acqua, ma si aggrovigliava nei tentacoli della pianta che lo aveva tirato dentro. L'orgoglio gli impediva di chiedere aiuto ad Irene, benché una sola parola sarebbe bastata ad ammansire la pianta. Ad ogni modo, Irene vide che aveva bisogno d'aiuto. «Basta, Senzafoglie,» disse, e la pianta mollò la presa. Poi tornò al precedente argomento. «Ci potrebbe essere un problema. Se hai usato degli omonimi...» «No, non posso averlo fatto. Non ne ho mai sentito parlare.» Senzafoglie non attaccava più, ma ogni volta che Dor cercava di raggiungere a nuoto la riva, la pianta si muoveva per intercettarlo. Si era inimicato Irene con quella battuta sui mostri, e lei lo puniva inesorabilmente. Era come sua madre a quel riguardo. A volte Dor sentiva che il mondo sarebbe stato migliore, se fosse stata abolita l'intera specie femminile. «Sono parole diverse con la stessa pronuncia, ignorante!», disse Irene con arroganza femminile. «Diverse compitazioni. L'ape dell'ortografia non è molto intelligente. Se non le dici esattamente quale parola...». «Diverse compitazioni?», chiese Dor, sentendo un brivido di freddo premonitore. «Come wood e would,» spiegò, ostentando il suo vocabolario in quel modo noioso, tipico delle ragazze. «Wood come albero e would come condizionale. Oppure isle e aisle, nel senso di un'isoletta in un lago oppure di uno spazio aperto tra oggetti. Non hanno alcuna connessione tranne il fatto che hanno lo stesso suono. Ne hai usato qualcuno?» Dor si concentrò sul tema, già per metà dimenticato. «Penso di aver menzionato un bear-orso. Sai, il fantastico mostro di Mundania.» Potrebbe venir fuori bare-nudo!» esclamò Irene, ridendo. «Quell'ape può non essere intelligente, ma non era nemmeno contenta di dover lavorare per avere le lettere. Oh, sei ancora nei guai, Dor! Aspetta che Cherie la Centaura legga il tuo tema!» «Oh, dimenticalo!», sbottò, scontento. Quanti omonimi aveva usato? «Bear, bare!», urlò la ragazza, avvicinandosi a nuoto e tirandolo per gli abiti. La stoffa, non destinata all'acqua, si strappò immediatamente mettendogli a nudo metà torace. «Nudo, nudo, nudo!», ripeté lui infuriato, poi infilò due dita nella scollatura di Irene e tirò verso il basso. Anche quella stoffa si lacerò con sorprendente facilità, svelando che il suo corpo era pienamente sviluppato,
come suggerivano i contorni del suo abito. Sua madre, la Regina, spesso si rendeva graziosa con le illusioni; Irene non aveva bisogno di tali trucchi. «Eeeeek!», urlò Irene con entusiasmo. «Ti acchiapperò!» E lacerò ulteriormente gli abiti di Dor, senza fermarsi alla camicia. Dor contraccambiò, ma la sua rabbia fu mitigata dalla visione del corpo della ragazza attraverso gli spruzzi. Dopo poco erano entrambi completamente nudi e ridevano. Era come se avessero fatto per rabbia qualcosa che non avrebbero mai osato fare normalmente, ma che ciò non di meno avrebbero voluto fare. A questo punto arrivò al trotto Cherie la Centaura. Aveva la parte anteriore di una donna straordinariamente ben formata, e la parte posteriore di un bel cavallo. Si diceva che Mundania fosse la terra delle belle donne e dei cavalli veloci, o forse viceversa; Xanth invece era la terra dove le due cose erano unite. I bruni capelli umani di Cherie pendevano per poi andare a cadere sul bruno mantello equino, ben intonato alla sua stupenda coda. Non portava abiti, poiché, come tutti i centauri, disprezzava tali affettazioni, e poi era vecchia, nonostante il suo aspetto: infatti era della generazione del padre di Dor. Queste cose la rendevano molto meno interessante di Irene. «A proposito di questo foglio, Dor...», iniziò a dire Cherie. Dor ed Irene rimasero gelati, entrambi improvvisamente consapevoli della loro condizione. Erano nudi, mezzi abbracciati nell'acqua. Senzafoglie stava giocando oziosamente con i brandelli dei loro abiti. Non era, in definitiva, un comportamento molto corretto, e si prestava ad essere frainteso. Ma Cherie era presa dal tema. Scosse la testa, così che i capelli le caddero lungo il petto: un gesto particolare questo che stava a significare qualcosa di serio. «Se puoi interrompere i tuoi giochetti sessuali per un momento,» disse, «vorrei rivedere la compitazione di questo tema.» Alla Centaura non importava cosa gli esseri umani facessero nell'acqua. Per loro una tale interazione era naturale. Ma se Cherie lo avesse raccontato alla Regina... «Uh, ecco...», disse Dor, desiderando sprofondare nell'acqua. «Ma prima di procedere con un'analisi dettagliata, vorrei l'opinione di qualcun altro.» Così dicendo, Cherie abbassò il foglio in modo che Irene potesse vederlo. Irene era imbarazzata per la situazione tanto quanto Dor. Espirò per diminuire la spinta di galleggiamento ed immergersi nell'acqua. Ma, dopo un momento, le mancò l'aria, ed allora inspirò di nuovo, il che la fece solleva-
re fino a che i suoi attributi più prominenti iniziarono a galleggiare. Ma quando i suoi occhi si posarono sul tema, il suo umore cambiò. «Oh, no!», esclamò. «Che disastro!», ridacchiò poi. «Hai superato te stesso questa volta, Dor!», chiocciò. «Oh, è peggio che mai!», concluse allegramente. «Che cosa c'è di così divertente?», chiese l'acqua. Le rocce, la sabbia e tutte le cose inanimate nel raggio d'azione del talento di Dor, riecheggiarono la curiosità dell'acqua. Cherie disapprovava la magia nei centauri - era della scuola conservatrice vecchia maniera, che considerava la magia un fatto osceno nelle specie civilizzate di Xanth - ma apprezzava il suo uso negli esseri umani. «Ti leggerò il tema, cercando di farti capire che cosa hai veramente scritto,» spiegò. Lo fece e, in qualche modo, i nuovi significati trapelarono nonostante che la concreta pronuncia delle parole non fosse mutata. Dor si perse d'animo. Era ancor peggio di quanto avesse temuto. Alla fine della lettura, Irene era in lacrime per le risate che le sgorgavano irrefrenabili, il bue marino esprimeva con profondi muggiti la sua gioia bovina, l'acqua, la spiaggia, e le pietre ridacchiavano con voci chiocce, le querce-otri si colpivano l'un l'altra sui rami, ed i mostri del fossato sghignazzavano. Perfino Cherie la Centaura controllava a stento un sorrisetto ironico. Dor era l'unico incapace di apprezzare la natura terribilmente buffa del fatto: desiderava solo sprofondare fino al centro della terra. «Ne sono rimasti tutti colpiti!», ansimò Irene. «Andiamo a Mundania a vedere un cavallo nudo o qualunque altra cosa!». E le creature ed il paesaggio ricaddero in un accesso di risate cacofoniche. Le pietre stesse stillavano lacrime irrefrenabili di ilarità. Cherie controllò il proprio divertimento abbastanza da riuscire ad assumere un aspetto corrucciato. «Ora penso che tu debba andare a raccontare tutto al Re, Dor.» Oh, no! Quanti guai in un unico pomeriggio! Sarebbe stato fortunato se Re Trent non lo avesse trasformato in un lumacone o non lo avesse lasciato cadere nel fossato. Come se essere rimproverato per il tema non fosse già abbastanza brutto: per giunta era stato trovato nudo con la figlia del Re... Dor si avvolse i brandelli degli abiti intorno ai fianchi e strisciò fuori dall'acqua. Doveva semplicemente andare a prendere la sua medicina. Si fermò a casa per indossare velocemente degli abiti puliti. Sperava che sua madre fosse altrove, invece la trovò che puliva la casa. Fortunatamen-
te, era nella sua condizione di ninfa, ossia aveva l'aspetto di una bella bambola benché, in effetti, fosse vicina ai quaranta anni. Non c'era nessuno più carino di Chameleon quando era su di morale, e nessuno più brutto quando era giù. Ma la sua intelligenza variava inversamente, così, in quel momento, era pressoché stupida. Infatti le mancò l'intelligenza per indagare sul perché Dor portasse gli abiti legati in vita, perché fosse bagnato fradicio e perché gli oggetti sul suo cammino ridacchiassero. Ma si accorse dell'acqua. «Non gocciolare sul pavimento, caro,» lo avvertì. «Mi asciugherò in un momento,» la rassicurò. «Sono andato a nuotare con Irene.» «Carino!», disse Chameleon. Presto fu in marcia verso il castello, dove il Re di solito lo riceveva in biblioteca. Il cuore di Dor batteva forte mentre si affrettava su per le scale. Cherie la Centaura doveva aver mostrato il tema al Re Trent prima di andare in cerca di Dor. Forse Il Re non sapeva del disastro nel fossato. Re Trent lo aspettava. Il Re era un bell'uomo robusto, vicino ai sessanta anni. Quando fosse morto, probabilmente Dor avrebbe assunto la corona di Xanth. In qualche maniera non era però ansioso di assumere la carica. «Ciao, Dor,» disse il Re, stringendogli la mano calorosamente, come sempre. «Oggi hai un aspetto fresco e pulito.» Grazie all'episodio del fossato! Il Re lo stava prendendo in giro? No, non era abitudine del Re Trent. «Sì, Signore,» disse a disagio. «Ho serie notizie per te.» Dor si preoccupò. «Sì, Signore. Mi dispiace.» Trent sorrise. «Oh, non ha nulla a che fare con il tema. La verità è che neanche io da giovane ero molto portato per l'ortografia. Quel genere di cose si apprendono con il tempo.» Il suo viso divenne serio, e Dor ebbe paura, pensando che doveva essere l'altro fatto a turbare il Re. Dor pensò di fornire qualche spiegazione, ma comprese che sarebbe sembrata una scusa. I Re ed i Re potenziali, aveva capito, non si scusano. Era negativo per la loro immagine. Così attese in un silenzio solenne. «Per favore, Dor, mettiti a tuo agio,» disse il Re. «È importante.» «È stato un incidente!», si lasciò scappare Dor. Il senso di colpa aveva vinto la sua decisione. Era così difficile essere regali! «Ti riferisci, per caso, a quella caduta nel fossato?» La conferma era brutta quanto il sospetto! «Sì, Signore.» Dor capì che
ogni altra sua parola poteva solo gettare la colpa su Irene. Il che non era prudente, anzi! «Il più buffo tuffo che abbia visto negli ultimi anni!», disse Re Trent, sorridendo con espressione seria. «Ho visto tutto dalle feritoie. È stata lei, naturalmente, a tirarti in acqua ed a strapparti i vestiti. È un modo di comportarsi da donne.» «Non siete arrabbiato?» «Dor, mi fido di te. Tendi a cedere sulle cose di minore importanza, mentre, di solito, sei preciso in quelle di maggiore importanza. E devo ammettere che a volte mia figlia è una marmocchia provocante. Ma è un bene sbagliare quando si è giovani abbastanza da trarre profitto dall'esperienza. Una volta che sarai Re, sarà poco probabile che tu possa permetterti questi lussi.» «Allora non è per quello che mi avete convocato?», chiese Dor, risollevato. «Se avessi il tempo e l'età, verrei anch'io a nuotare nel fossato.» Poi il sorriso del Re svanì mentre tornava agli affari. «Dor: la Regina ed io stiamo per fare un viaggio ufficiale a Mundania. Abbiamo programmato di stare fuori una settimana. Dobbiamo attraversare un corso d'acqua nera, risalire un grosso fiume su fino ad un Regno tra le montagne assediato dalle popolazioni ostili degli A, B e K. Le normali vie di comunicazione sono state perlopiù interrotte; non possono scappare, o almeno, così mi hanno detto molti esploratori. Hanno inviato un messaggio di assenso in risposta alla nostra offerta di scambi commerciali. Ma i dettagli rimangono vaghi: dovrò elaborarli personalmente. Sono l'unica tra le autorità di Xanth ad aver avuto un'esperienza sufficiente in Mundania da esserne all'altezza. È un piccolo inizio, cauto, ma, se riusciamo a stabilire uno scambio limitato e continuo con una parte di Mundania, ne varrà la pena, anche solo per fare esperienza. Così occuperemo il nostro tempo ora, mentre a Xanth non ci sono problemi. Tu dovrai essere Re durante la mia assenza e... ah, regnare su Xanth.» Dor fu preso completamente di sorpresa: «Io? Re?» «Una settimana a cominciare da oggi. Pensavo fosse meglio avvertirti.» «Ma non posso fare il Re! Non so nulla a proposito...» «Direi che è un ottimo momento per imparare, Dor. Il Regno è in pace, tu sei stimato, e poi ci son altri due Maghi disposti a consigliarti.» Strizzò l'occhio con solennità. «La Regina si era offerta di rimanere qui per aiutarti..., ma ho insistito nel richiedere il piacere della sua compagnia. È essen-
ziale che tu sia preparato, in caso l'incarico ricada su di te all'improvviso. Malgrado lo stupore per quell'improvvisa attribuzione di responsabilità, Dor capì le ragioni del Re. Se la Regina fosse rimasta a Xanth, avrebbe mandato avanti lei tutta la baracca, e Dor non avrebbe fatto alcuna esperienza. I due Maghi rimanenti, Humfrey ed il Signore degli Zombi, non avrebbero interferito; nessuno dei due partecipava volontariamente agli affari di routine di Xanth. Così Dor avrebbe avuto campo libero, il che era esattamente ciò che voleva Re Trent. Ma, d'altra parte, l'incarico veniva a cadere su di lui troppo improvvisamente. Era segno che qualcosa andava storto per il Re Trent? Dor era atterrito al pensiero. «Ma è troppo presto... voglio dire...». «Non essere eccessivamente preoccupato,» disse Re Trent, comprendendo, come sempre, il pensiero che Dor aveva così poveramente espresso. «Non ho ancora sessant'anni; oserei dire che ci vorranno perlomeno altri trent'anni prima che la responsabilità del regno ricada su di te. Godo ottima salute, ma dobbiamo esser sempre pronti agli imprevisti. Allora c'è qualcosa di cui hai bisogno per sentirti pronto?» «Uh...» Dor rimase come istupidito. «Può restare segreto?» «Il Potere Sovrano difficilmente rimane segreto, Dor.» «Intendo dire... devono sapere tutti che siete partito? Da Xanth, intendo. Se pensano che siete nelle vicinanze, che è solo un periodo di prova...». Re Trent si accigliò. «Non ti senti in grado di farlo?» «È così, Signore. Non mi sento in grado di farlo.» Il Re sospirò. «Dor, sono deluso, ma non sorpreso. Penso che ti sottovaluti, ma sei ancora giovane, e non è mia intenzione causarti delle inutili difficoltà. Annuncerò che la Regina ed io stiamo per prenderci una settimana di vacanze - vacanze di lavoro - e che ti lasciamo a far pratica della tua futura arte. Non credo che sia una alterazione troppo grande della verità. Noi partiamo per lavoro, e per me una visita a Mundania è una vacanza. La Regina non vi è mai stata; sarà una nuova esperienza per lei. Ma tu saprai, senza che gli altri lo sappiano, che non potremo aiutarti in caso di bisogno. Solo il Consiglio degli Anziani e gli altri Maghi sapranno dove mi trovo.» Dor sentì le ginocchia deboli. «Grazie, Signore. Tenterò di non combinare, dei pasticci.» «Non provartici e vedi di non cadere nel fossato!», disse Re Trent sorridendo. «E non lasciar spadroneggiare mia figlia; questo non si confà ad un
Re.» Scosse la testa. «Non è diventata una megera? Quando le hai strappato il costume...» «Uh...» disse Dor, arrossendo. Sperava di aver evitato quell'argomento. «Se l'è certamente voluto! La Regina ed io siamo stati troppo indulgenti con lei. Dovevo minacciare di trasformare Iris in un cactus per evitare che interferisse. Ed ho provato che avevo ragione: voi due avete dato ottimi risultati.» In realtà, era Cherie la Centaura che aveva interrotto la battaglia; diversamente non riusciva ad immaginare come sarebbe andata a finire. Come poche altre volte nella sua vita, Dor era grato, in retrospettiva, dell'intervento di Cherie. Forse, anche il Re lo sapeva. «Uh, grazie, cioè, sì, Signore,» convenne Dor debolmente. Era fin troppo comprensibile; la Regina lo avrebbe trattato certamente peggio. Inoltre sapeva che il Re non stava scherzando per quanto riguardava il cactus; per quanto sembrasse un bonaccione, non tollerava assolutamente insubordinazioni da chicchessia, il che era naturalmente una delle sue qualità fondamentali di Re. Sfortunatamente, il talento di Dor non era di quella forza. Non poteva trasformare chi gli si opponeva. Se dava un ordine, e qualcuno rifiutava di obbedire, che cosa avrebbe fatto? Non ne aveva la più pallida idea. «Ad ogni modo, darai ottimi risultati,» disse Re Trent. «Confido che ce la farai, nonostante gli ostacoli che mia figlia possa interporre.» «Sì, Signore,» convenne Dor senza entusiasmo. «Dovete veramente andar via?» «Dobbiamo andare, Dor. Sento che questa può essere un'eccellente opportunità per continuare gli scambi. Mundania possiede larghe ed inesplorate risorse che ci sarebbero molto utili, mentre noi possediamo diverse capacità magiche con le quali aiutarli. Fino ad oggi, i nostri scambi con Mundania sono stati sporadici, essendovi delle difficoltà di comunicazione. Abbiamo bisogno di un collegamento privato ed affidabile. Ma dobbiamo muoverci con estrema cautela, perché non vogliamo che i Mundani invadano nuovamente Xanth. Perciò siamo in trattative con un piccolo Regno, uno probabilmente incapace di organizzare un offensiva simile, anche se decidesse di farlo.» Dor lo capiva. Xanth aveva subito molte invasioni da parte di eserciti Mundani, fin quando non erano state adottate delle misure preventive. In realtà, non c'era un percorso preciso da Mundania a Xanth; il tempo a Mundania sembrava essere diverso, così i contatti risultavano casuali. O-
gni abitante di Xanth, al contrario, poteva recarsi a Mundania solamente oltrepassando la zona della magia. Se avesse ripercorso accuratamente il cammino fatto, teoricamente avrebbe ritrovato la via del ritorno. Era, comunque, solo una questione teorica; infatti nessuno voleva lasciare Xanth, dato che avrebbe dovuto perdere il proprio talento magico. No, Dor doveva precisare quel pensiero. Sua madre Chameleon una volta aveva cercato di lasciare Xanth, prima di incontrare suo padre Bink, per eliminare i suoi mutamenti di aspetto. Anche la Gorgone aveva trascorso alcuni anni a Mundania, dove il suo viso non trasformava le persone in pietra. Forse ce ne erano stati anche altri. Ma era una risorsa per disperati. Xanth era ovviamente il miglior posto dove vivere, e solo pochi lo lasciavano di propria volontà. «Uh, supponiamo che vi perdiate, Vostra Maestà?», chiese Dor preoccupato. «Dimentichi, Dor, che sono già stato a Mundania. Conosco la strada.» «Ma Mundania cambia! Potreste non ritrovare la via del ritorno!» «Probabilmente è vero. Sicuramente non porterei la Regina nel luogo del mio primo matrimonio.» Il Re rimase in silenzio un momento, e Dor sapeva che quello era un lato segreto del quale il Re preferiva non discutere. Re Trent aveva avuto una moglie ed un figlio a Mundania, ma erano morti, perciò era tornato a Xanth ed era diventato Re. Se la sua famiglia fosse vissuta, non avrebbe mai fatto ritorno a Xanth. «Ma credo di potercela fare.» Dor era ancora nervoso. «Mundania è un posto pericoloso, con orsi, cavalli ed altri mostri.» «Anche il tuo tema parlava di questo. Non pretendo che questo viaggio sia assolutamente privo di rischi, Dor, ma credo che valga la pena rischiare, dati i potenziali benefici che offre. Sono un eccellente spadaccino ed ho alle spalle venti anni di tecniche perfezionate di sopravvivenza, basate su cose diverse dalla Magia. Ma devo confessare che in qualche modo ho sempre evitato Mundania; forse c'è un motivo nascosto per questo viaggio». Il Re meditò di nuovo, poi affrontò un nuovo aspetto della faccenda. «La natura del punto di collegamento è ingannevole. Capisci: quando arriviamo a Mundania, possiamo ritrovarci in ogni punto della sua storia. Fino a poco tempo fa, non potevamo scegliere l'epoca; ma molto è stato cambiato. La Regina ritiene di aver trovato un modo per ovviare a questo problema. Questo è uno dei motivi per cui voglio trattare l'accordo personalmente. Non posso fidarmi di nessun altro per affrontare le stravaganze della
situazione. Potremo fallire nel raggiungere il Regno cercato, o potremo raggiungerlo e tornare a mani vuote; in quel caso non avrei altri da biasimare che me stesso.» «Ma se non sapete dove arriverete in Mundania, come fate a sapere che esiste un'opportunità? Voglio dire, potete giungere ovunque.» «Come ho detto, ho una traccia. Credo che sia la volta propizia per entrare nel medioevo di Mundania, e la Regina ha studiato l'argomento e crede di poter regolare accuratamente la nostra entrata per recarci nel particolare spazio-tempo che il nostro esploratore ha visitato. Quel luogo dovrebbe avere copiose risorse naturali, legno e tessuti, che con la Magia noi potremo trasformare in mobili ed abiti che loro non hanno. Forse ci verrà offerto anche dell'altro. O forse nulla. Credo che una settimana sarà sufficiente per capire la situazione. Non possiamo permetterci di restare più a lungo; dobbiamo metterci al lavoro per migliorare la nostra situazione. La Magia non è sufficiente a rendere prospera Xanth; anche il paese richiede un'amministrazione attenta.» «Penso di sì,» convenne Dor. Ma gli sembrava che non sarebbe mai stato capace di fare il lavoro che stava facendo Re Trent. A Xanth le cose andavano proprio bene in quel periodo, e tutto era migliorato con la salita di Trent al potere. Il Regno era ben organizzato e ben ordinato; perfino i draghi non osavano più predare dove gli uomini avevano eletto il loro territorio. Dor aveva il timore che, nel momento in cui lui - Dor - fosse divenuto Re, il periodo d'oro di Xanth si sarebbe deteriorato. «Spero che tutto vi andrà bene a Mundania, Signore.» «Ti ringrazio, Dor,» disse con affabilità Re Trent. «Ti chiedo solo di tenere a mente prima di ogni altra cosa l'onestà.» «Onestà?» «Quando hai un dubbio, l'onestà è generalmente la migliore soluzione. Qualsiasi cosa possa accadere, non avrai motivo di vergognarti se le sei fedele.» «Lo ricorderò,» disse Dor «L'onestà!» «L'onestà,» ripeté Re Trent con particolare enfasi. «Ecco tutto.» Capitolo 2 Re Dor Il giorno temuto sembrò arrivare in un istante. Dor si trovò sul trono, sentendosi terribilmente solo. Il Re Trent e la Regina Iris avevano annun-
ciato la loro vacanza ed erano svaniti in una nuvola. Quando la nuvola si era dissipata, loro non c'erano più; la polvere dell'illusione di Iris li aveva resi invisibili. Le erano sempre piaciute le entrate ed uscite drammatiche. Dor salì sul trono, battendo i denti. In realtà, gli affari di governo si riducevano per lo più a semplice routine. C'era un personale di palazzo ben preparato, competente, i cui membri Dor conosceva da tempo; facevano qualsiasi cosa lui chiedesse e rispondevano ad ogni domanda. Ma non potevano prendere decisioni importanti e Dor scoprì che ogni decisione, non importava quanto piccola, sembrava di vitale importanza per la persona interessata. Così lasciò che i fatti di routine procedessero da soli e si concentrò su quelle zone che richiedevano la decisione del Re, sperando che i voluminosi abiti regali nascondessero il tremore delle sue ginocchia. Il primo caso concerneva due contadini che erano in lite a proposito di una piantagione di lampadine. Ciascuno reclamava il diritto alle lampadine più luminose del raccolto. Dor interrogò le fibbie di legno delle loro cinture ed ottenne la vera storia, mentre i contadini rimanevano stupiti per quella magia. Dor lo fece deliberatamente, per dimostrare di che cosa era capace un Mago; la magia di quel calibro la rispettavano e probabilmente gli avrebbero prestato più attenzione. Il contadino A aveva coltivato il campo per molti anni con poco successo: il campo gli apparteneva. Il contadino B era stato assoldato per aiutarlo quella stagione, ed il campo aveva brillato più di tutti gli altri tanto che non aveva mai visto l'oscurità. Allora, a chi apparteneva la prima scelta delle lampadine? Dor capì che ci voleva un po' di diplomazia. Poteva prendere una decisione di compromesso, ma questo naturalmente avrebbe lasciato una delle parti insoddisfatta, il che poteva condurre a problemi futuri. Non voleva che qualcuna di quelle decisioni tornasse nei mesi futuri ad infastidire Re Trent. «Il contadino B evidentemente ha un tocco speciale che ha fatto splendere a tal punto questo raccolto di lampadine,» disse. «Così la scelta delle migliori dovrebbe andare a lui, a suo piacimento. Dopotutto, senza di lui il raccolto non avrebbe avuto questo valore.» Il contadino B guardò in giro compiaciuto. «Ad ogni modo, è il contadino A che possiede il campo. Può assoldare chi vuole il prossimo anno, e così potrà ottenere di più dal suo raccolto.» Il contadino A fece un torvo cenno di consenso. «Naturalmente,» continuò Dor allegramente, «il contadino A non avrà un gran raccolto, ed il contadino B non avrà lavoro. Le lampadine non cresceranno altrove, e
non splenderanno neanche per gli altri, così ci rimetteranno entrambi. Terribile! Sarebbe stato così semplice dividere le lampadine migliori in modo eguale, scegliere a turno una lampadina, ciascuno dividendo così il profitto di un lavoro comune, ed organizzarsi per una stagione futura ancora migliore...» Dor si strinse nelle spalle con tristezza. I due contadini si guardarono l'un l'altro, ed allora venne loro in mente un'idea. Dopotutto, era più importante dividere molti raccolti futuri piuttosto che correre dietro ai frutti migliori di uno solo! Probabilmente lo avrebbero scoperto da soli. I contadini si allontanarono, discutendo le diverse prospettive con calore. Dor si rilassò, e sciolse i muscoli. Aveva agito con giustizia? Sapeva bene di non poter accontentare tutti, ma voleva comportarsi quanto meglio era possibile. Quando il mattino seguente Dor si svegliò, vide un fantasma accanto al letto reale. Era Doreen, la cuoca. C'erano una mezza dozzina di fantasmi conosciuti nel palazzo, ciascuno con la sua triste storia, ma per lo più non amavano parlare della loro vita passata. A Dor, Doreen era sempre piaciuta a causa della coincidenza dei loro nomi - Dor, Doreen - e nonostante avessero poco in comune. Probabilmente Dor aveva ricevuto quel nome in funzione sua, poiché Doreen era un'amica di Millie il Fantasma, la quale era stata la sua balia durante i primi anni di vita. Nessuno si era degnato di dirglielo, e i mobili del posto non lo sapevano. C'erano tanti piccoli misteri come quello nel castello; facevano parte della sua atmosfera. Ad ogni modo, Doreen era un fantasma di mezza età, corpulento e spesso brusco, non avendo molto a che fare con i vivi. Perciò fu una sorpresa trovarla lì. «Cosa posso fare per te, Doreen?», chiese. «Signore, Vostra Maestà Re Dor,» disse il fantasma in tono incerto. «Noi, per l'appunto, ci chiedevamo solamente... cioè, probabilmente per l'appunto possibilmente... visto che ora siete il Monarca Reale, temporaneamente, per il momento...» Dor sorrise. Doreen spesso trovava difficile centrare il punto. «Fuori il rospo, spirito allegro.» «Ecco, noi... voi sapete che noi in realtà non abbiamo visto molto Millie da quando se n'è andata...» Per i fantasmi, il ritorno di Millie alla vita aveva significato la morte. Era stata una di loro per parecchi secoli, ed ora era di nuovo mortale. «Vi manca?»
«Sì, certamente, a nostro modo, Vostra Maestà. Aveva l'abitudine di venirci a trovare ogni giorno, sapete, ma da quando si è sposata, lei non, lei...» Millie aveva sposato il Signore degli Zombi ed era andata a vivere nel castello ora in possesso del Buon Mago Humfrey. Era stato il Castello del Signore degli Zombi, ottocento anni prima. «Vorreste rivederla,» finì Dor. «Sì, Signore, Vostra Maestà. Voi eravate suo amico nella vita, ed ora vi trovate nella condizione di essere un Re reale...». «Lei non ha affatto bisogno dell'approvazione del Re per far visita ai suoi vecchi compagni.» Dor sorrise. «Una tale approvazione non sarà mai rifiutata ma, anche se lo fosse, come si potrebbe impedire ad un fantasma di andare ovunque?» «Oh, signore, noi non possiamo andare ovunque!», protestò Doreen. «Noi siamo legati per sempre al luogo della nostra morte crudele, fin quando i nostri - si potrebbe dire, per parlare corretto - i nostri oneri non siano annullati.» «Bene, se mi dici quali sono i vostri oneri, forse potrei aiutarti,» sostenne Dor. Era la prima volta che vedeva un fantasma arrossire. «Oh, no, no, m-mai!», balbettò Doreen. Evidentemente Dor aveva toccato un argomento delicato. «Bene, Millie vi verrà a trovare certamente.» «Ma lei... lei non sembra voler venire,» gemette Doreen. «Abbiamo sentito, abbiamo notizia, crediamo che sia diventata madre...» «Di due gemelli,» convenne Dor. «Un maschio ed una femmina. Era destino, considerando il suo talento.» La pudibonda Doreen sorvolò su quella osservazione. «Così, naturalmente, certamente, è molto occupata. Ma se il Re le suggerisce, le intima, le chiede di far visita...» Dor sorrise. «Millie è stata la mia governante per una dozzina di anni. Ho una cotta per lei. Non ha mai preso ordini da me; chiunque mi conosca, non mi prende sul serio.» Mentre parlava, Dor ebbe timore di aver appena detto qualcosa di significativo, dannoso e riprovevole. Ci avrebbe dovuto pensare dopo in privato. «Ma ora che siete Re...» disse Doreen, senza discutere quel punto. Dor sorrise di nuovo. «Benissimo. Inviterò Millie e la sua famiglia qui, così potrai conoscere i suoi bambini. Non ti posso garantire che verranno,
ma li inviterò.» «Oh, grazie, Vostra Maestà!», e così dicendo Doreen svanì con gratitudine. Dor scosse la testa. Non si era reso conto che ai fantasmi piacevano i bambini. Ma naturalmente uno di loro era un bambino, Button, e questa poteva essere una spiegazione. I figli di Millie avevano soltanto tre anni, mentre Button sei... ma ad un dato punto i gemelli avrebbero raggiunto quell'età, mentre il fantasma non sarebbe cresciuto. Aveva sei anni da seicento anni. I bambini erano sempre bambini. Dor non aveva mai visto di persona i gemelli di Millie, e pensò che una visita sarebbe stata interessante. Si chiedeva se Millie avesse conservato il suo talento relativo al sexappeal, ora che era felicemente sposata. Una moglie continuava ad avere quel tipo di comportamento, ma temeva che, quando lo avrebbero scoperto, sarebbe stato troppo tardi. Quel giorno, più tardi, e forse non per caso, Dor fu avvicinato da uno zombi. Quelle decrepite creature di solito restavano confortevolmente sepolte nel cimitero accanto al castello ma, se il castello era minacciato, ne uscivano costituendo delle orrende schiere. Da quello zombie in particolare, cadevano fetide zolle di terreno ad ogni passo, ed il suo volto era una maschera di pus e putredine, ma in qualche modo riusciva a parlare. «Voooshtra Maeestàà...», chiamò in modo repellente, sputando un dente decomposto. Dor aveva conosciuto gli zombi a suo tempo, inclusi zombi animali ed uno zombi orco di nome Egor, così non provava più ripugnanza nei loro confronti, come poteva esser naturale. «Sì?», disse Dor cortesemente. Il miglior modo di trattare con uno zombie era dargli quel che voleva, poiché non poteva essere ucciso o scoraggiato. Teoricamente, si poteva smembrarne uno e seppellire i pezzi separatamente, ma difficilmente ne valeva la pena e l'effetto non era garantito. Inoltre gli zombi stavano bene, al loro posto. «Nooshtro Siignoore...» Dor afferrò il significato. «Non hai visto il Signore degli Zombi da qualche tempo. Gli chiederò di venire a trovarvi, così potrete riunirvi per ricordare i vecchi tempi. Ci deve essere più di un cimitero che avete frequentato con lui. Non posso prometterti che verrà dato che ama la sua privacy, ma tenterò.» «Graaaziie,» zufolò lo zombi, perdendo pezzi della sua lingua ammuffita.
«Uh, ricorda: ora possiede una famiglia. Due bambini. Potreste trovarli a scavare sabbia dalle tombe e a giocare con le ossa sparse...» Ma lo zombie non sembrò preoccupato. I vermi gli si contorsero agilmente negli occhi incavati quando si girò per allontanarsi. Forse era divertente avere dei bambini che giocano con le proprie ossa. Nel frattempo le piccole faccende quotidiane continuavano. Un altro caso concerneva un mostro marino che aveva invaso un fiume e ne aveva atterrito i pesci, il che aveva causato una pesca scarsa. Dor dovette recarvisi. Fece rimbombare il terreno nei dintorni, come se fosse stato scosso dal passaggio di un gigante. Gli oggetti inanimati gli espressero un desiderio: volevano cospirare per spaventare il mostro. Ed il mostro marino, non troppo intelligente e che in realtà non cercava guai, decise che si sentiva più a casa sua nel mare profondo, dove ingurgitava i marinai che naufragavano, e appariva e spariva velocemente davanti agli investigatori mundani del Soprannaturale venuti ad indagare. Disse: «Vi dispiacerà non aver più il Mostro C. da comandare a bacchetta!», poi emise un'ultima volta il suo verso e partì. Dor si rilassò ancora una volta. Quel trucco avrebbe potuto non funzionare con un mostro intelligente; era stato fortunato. Era fin troppo consapevole del colossale pasticcio in cui si era cacciato, e sentiva che era soltanto questione di tempo prima che qualcosa si verificasse. Sapeva di non aver alcun talento speciale per governare. Di notte ebbe degli incubi, non del tipo solito in cui nere cavalle di tipo Mundano lo inseguivano, ma del tipo peggiore, in cui pensava di esser sveglio e di prendere alcune decisioni disastrose, per cui tutta Xanth veniva distrutta tra magiche fiamme, veniva invasa da vermi-demonio, o, ancor peggio, perdeva la sua magia e diventava come Mundania. E il tutto, in qualche modo, avveniva a causa sua. Aveva sentito dire che la testa che portava la corona era inquieta. In verità, non era solo quella corona a renderlo inquieto producendogli delle vesciche sul cuoio capelluto: la sua testa era spaventata dalla responsabilità di dover governare Xanth. Il giorno seguente ci fu un furto in un villaggio del nord. Dor si fece evocare nel villaggio dato che, naturalmente, Castel Roogna aveva un evocatore locale. Il villaggio in questione si trovava nella parte centrale di Xanth, vicino al Territorio Incognito poco esplorato dall'uomo, dove i draghi non erano tenuti a freno. Questo rendeva Dor nervoso. C'erano molti mostri pericolosi a Xanth, ma i draghi erano i peggiori, perché ce ne erano di molte varie-
tà e misure, ed erano numerosi. In realtà, risultò una località piacevole, con la maggior parte delle odierne comodità magiche, come le sorgenti di acqua-tonica e le profumate pietre-sapone per il bucato. Era un paese di raccogli-pellicce, e quell'anno il raccolto era stato buono nei locali boschi di sempreverdi-pelliccia. Le pellicce verdi erano state fatte maturare al sole, conservate alla luce della luna, e fatte scintillare a quella delle stelle, fin quando un mattino erano sparite senza lasciar tracce. Dor interrogò le piattaforme sulle quali le pellicce erano state accatastate, ed apprese che un gruppo venuto da un altro villaggio era arrivato di soppiatto e le aveva rubate. Era uno di quei casi in cui il suo talento era superiore a quello del Re Trent: ossia raccogliere informazioni. Poi fece riapparire magicamente le pellicce. Non fu preso nessun provvedimento contro l'altro villaggio; quelle persone avrebbero saputo che la loro malefatta era stata scoperta, e sarebbero restate nascoste per qualche tempo. Nel frattempo, Irene costituiva un fastidio continuo. Se l'era presa per la salita di Dor al trono, benché sapesse che era solo temporanea, e sperava che Dor facesse qualche errore. «Mio padre avrebbe fatto meglio!», mormorava in tono cupo quando Dor risolveva un problema, e si placava a stento quando lui le dava ragione. «Avresti dovuto punire quel villaggio di ladri!», gli disse, e Dor si chiese se non fosse stato di poco spirito usando un espediente invece del metodo usuale. Che cosa poteva fare, tranne prendere quella che sembrava la miglior decisione al momento? La schiacciante responsabilità lo rendeva scrupoloso e acuto. Soltanto l'esperienza, sospettava, poteva fornire quella sicurezza necessaria a prendere delle eccellenti decisioni, quando si trovava sotto pressione. E questo era esattamente ciò a cui Re Trent, nella sua esperta saggezza, aveva deciso che Dor pervenisse in quella situazione. Dor, con sua sorpresa, non fece grossi errori. Ma la varietà di problemi che incontrava metteva a dura prova il suo ingegno e, di giorno in giorno, cresceva in lui il presentimento che la fortuna sarebbe girata. Dor contava i giorni che passavano, pregando che non si verificasse alcun problema grave prima del rientro di Re Trent. Probabilmente, quando Dor avesse avuto l'età di Re Trent, avrebbe avuto la competenza per governare a tempo pieno un regno; ma, in quel momento, era un affare così inquietante che lo stava portando alla follia. Irene, alla fine, lo intuì, gli gironzolò intorno come fanno tutte le ragazze, e prese ad offrirgli il suo aiuto. «Dopotutto,» disse per consolarlo, «non
è per sempre, anche se può sembrarlo. Solo altri due giorni, ed il pericolo è passato. Allora potremo tutti lasciarci andare con sollievo.» Dor apprezzò l'aiuto, benché avrebbe preferito un'osservazione meno mordace circa la sua inadeguatezza. E il giorno del ritorno di Re Trent arrivò, con immenso sollievo da parte di Dor e compiacimento misto ad una certa delusione da parte di Irene. La ragazza voleva che suo padre tornasse, ma si era aspettata che Dor combinasse qualche pasticcio. Dor invece se l'era cavata più o meno bene, e questo non le era piaciuto troppo. Entrambi si abbigliarono con attenzione e si assicurarono che i giardini di Castel Roogna fossero in ordine. Erano pronti a salutare il ritorno della Famiglia Reale secondo il protocollo. Le ore trascorsero nell'attesa, ma il Re e la Regina non apparvero. Dor soffocò il suo nervosismo; naturalmente ci voleva del tempo per viaggiare, specialmente se si doveva trasportare una certa quantità di merci Mundane. Irene mangiò con Dor il pranzo a base di tagliatelle e frullato di latte; tentarono di divertirsi sostituendo le parole con i numeri, ma il latte continuava a frullare così violentemente che non riusciva a montare. Si adattava al loro stato d'animo. «Dove saranno?», chiese Irene quando giunse il pomeriggio. Si stava davvero preoccupando. Ora che provava una genuina preoccupazione, tanto da non concentrare più le proprie energie nel mettere in difficoltà Dor, si rivelava quella ragazza terribilmente carina che era in realtà. Perfino la tinta verde dei suoi capelli era attraente; si accoppiava con il colore dei suoi occhi e, dopotutto, non c'era nulla di brutto nelle piante. «Probabilmente avranno una grande quantità di merce da trasportare, perciò dovranno procedere lentamente,» disse Dor, non per la prima volta. Ma un dubbio improvviso lo rodeva. Lo allontanò, ma quello continuava a tornare come era nella sua natura. Irene non discuteva, ma il suo viso aveva preso una sfumatura verde, e sembrava meno carino. Arrivò la sera, e poi la notte, senza che Trent ed Iris fossero tornati. Allora Irene si rivolse a Dor, piena di genuina apprensione. «Oh, Dor, sono spaventata! Che cosa sarà accaduto?» Non poteva imbrogliare né lei né se stesso. Le pose un braccio intorno alle spalle. «Non lo so. Anch'io ho paura.» Irene si strinse a lui per un momento, dolce e tenera nella sua agitazione. Poi si allontanò e corse nella sua camera. «Non voglio che tu mi veda
piangere,» spiegò mentre spariva. Dor era rimasto toccato. Se solo Irene fosse stata così quando le cose andavano bene! C'era ben altro in lei oltre la malizia e la sensualità, se l'avesse palesato. Dor si ritirò nella sua stanza e cadde in un sonno inquieto. Questa volta arrivarono i veri incubi, non i lucenti e piuttosto graziosi equini con cui aveva a volte fatto amicizia, ma enormi, nebulose creature deformi dai bianchi occhi baluginanti e dai denti scintillanti. Dovette scuotersi violentemente e svegliarsi per farli andar via. Usava le Camere Reali, poiché ora era il Re ma, siccome la sua settimana era terminata, si sentiva più che mai un impostore. Fissò cupamente le scure impronte sul pavimento, sapendo che gli incubi stavano aspettando solo che si riaddormentasse. Era indifeso; si era preparato emotivamente a rilassarsi quando la settimana era scaduta, ed ora quel sollievo gli era stato negato. Se il Re e la Regina non fossero tornati quel giorno, cosa avrebbe dovuto fare? Ma il Re e la Regina non tornarono. Dor continuò a sanare discordie ed a risolvere problemi secondo la consueta routine: che cos'altro poteva fare? Ma l'inquietudine a palazzo cresceva, ed il suo timore si intensificava ad ogni ora che passava. Tutti sapevano che Re Trent aveva programmato una vacanza di una settimana. Perché non tornava? Durante la sera Irene avvicinò Dor in privato. Non c'era malizia in lei in quel momento. Era abbastanza ben vestita nel suo abito verde, ed aveva i capelli in disordine, come infestati dall'erbaccia. I suoi occhi erano straordinariamente splendenti, come se avesse pianto più di quanto ritenesse giusto, ed avesse usato una crema evanescente per farne scomparire ogni traccia. «È accaduto qualcosa,» disse Irene. «Lo so. Dobbiamo andare a cercarli.» «Non lo possiamo fare!», disse Dor in tono abbattuto. «No? Questo concetto non si trova nel mio vocabolario.» Era cresciuta con l'abitudine di usare parole elaborate, ed ora lo faceva anche quando era distratta. Dor sperava di non guastarsi fino a quel punto. «Posso fare tutto quel che voglio, tranne...» «Tranne regnare su Xanth,» disse Dor. «E trovare i tuoi genitori.» «Dove sono?», domandò Irene. La ragazza non lo sapeva naturalmente. Non era stata messa a parte del segreto. Ora Dor non vedeva come fare per non dirglielo, poiché lei era, dopotutto, la figlia di Re Trent, e la situazione stava diventando grave.
Aveva il diritto di saperlo. «A Mundania,» disse infine. «Mundania!», urlò Irene, atterrita. «Una missione commerciale» spiegò Dor velocemente. «Per istituire degli scambi dai quali Xanth trarrà notevoli benefici. Per il progresso.» «Oh, questo è ancora più terribile di quanto temessi. Oh me misera! Mundania! Il luogo più terribile che esista! Non possono fare magie laggiù! Sono indifesi!» Era un'esagerazione, ma questa era la sua tendenza quanto era agitata. Né Trent né Iris erano indifesi in un ambiente non magico. Il Re era un esperto spadaccino, e la Regina aveva una mente splendidamente subdola. «Ricorda che tuo padre ha trascorso vent'anni lì, prima di diventare Re. Sa come muoversi.» «Ma non è tornato!» Questo Dor non poteva negarlo. «Non so cosa fare,» confessò. «Dobbiamo andare a cercarli,» disse Irene. «Non dirmi di nuovo no.» E ci fu un tale bagliore nei suoi occhi splendenti, che Dor non osò resisterle. In realtà, sembrava così semplice. Qualunque cosa era meglio del dubbio presente. «Va bene. Ma dovrò dirlo al Consiglio degli Anziani.» Gli Anziani erano responsabili del Regno durante l'assenza del Re. Avevano cura dei lavori amministrativi di routine e dovevano scegliere un nuovo Re se succedeva qualcosa al vecchio. Avevano scelto Trent, in passato, quando il precedente monarca, il Re Tempesta, era morto. Roland, il nonno di Dor, era un eminente Anziano. «Ci andremo prima di ogni altra cosa, domani mattina,» disse Irene, e il suo sguardo lo sfidava ad esitare. «Prima di ogni altra cosa, domani mattina,» convenne Dor. Era stata Irene a forzarlo. Ma era contento di questa decisione. «Vuoi che stia con te questa notte? Ho visto le impronte.» Dor ci pensò. Il modo più sicuro per allontanare gli incubi era avere una buona compagnia durante il sonno. Ma Irene ora era troppo graziosa e troppo compiacente; se l'avesse baciata quella notte non lo avrebbe certo morso. Questo lo rese cauto. Una volta, il Buon Mago Humfrey gli aveva consigliato che poteva essere meglio declinare l'offerta di una donna piuttosto che accettarla. Dor allora non aveva capito sufficientemente quel consiglio, ma ora aveva una maggiore comprensione del suo significato. «No,» disse con rimpianto. «Temo gli incubi, ma temo più te.» «Arri!» disse, compiaciuta. Poi lo baciò senza morderlo e si allontanò in
un vortice di profumo. Dor rimase seduto per qualche tempo, desiderando che Irene si comportasse sempre così. Nessuna stizza, nessuno scaltro mettersi in mostra, nessuna pretesa incomprensione, ma soltanto una sincera e matura preoccupazione. Invece era piacevole solo a momenti, sempre superati da altri momenti. La decisione di Dor ebbe un effetto benefico: le cavalle della notte quella volta andarono a foraggiarsi altrove, lasciandolo dormire in pace. «Coprimi,» disse ad Irene il mattino seguente. «Preferirei che la gente non sapesse dove mi trovo, tranne il Mago.» «Certamente,» convenne Irene. Se la gente avesse saputo che stava consultando in privato uno degli Anziani, avrebbe capito che qualcosa non andava. Dor andò a trovare suo nonno Roland che viveva nel Villaggio Nord, a parecchi giorni di cammino al di là dell'Abisso. I Re di Xanth un tempo avevano vissuto lì, prima che Trent restaurasse Castel Roogna. Dor procedette sul sentiero pulito e bussò all'umile porta. «Oh, nonno!», disse Dor quando il vecchio robusto apparve. «Qualcosa è accaduto al Re Trent, ed ora devo andare a cercarlo.» «Impossibile,» disse Roland con durezza. «Il Re non può lasciare Castel Roogna per più di un giorno senza nominare un altro Mago come successore. Al momento non c'è un altro Mago che possa ricevere la corona, perciò devi restare qui fin quando Trent non torna. Questa è la legge di Xanth.» «Ma Re Trent e la Regina Iris sono andati a Mundania!» «Mundania!» Roland non fu meno sorpreso di Irene. «Non mi sorprendo che non si sia consigliato con noi! Non glielo avremmo mai permesso.» Allora c'era stato un piano nel modo in cui Re Trent aveva deciso la settimana di tirocinio di Dor. Trent aveva aggirato il Consiglio degli Anziani! Ma questa non era la preoccupazione più impellente di Dor. «Non sono adatto per governare, nonno. Sono troppo giovane. Devo trovare Re Trent!» «Assolutamente no! Io sono solo un membro del Consiglio, ma immagino la reazione degli altri. Devi restare qui fin quando Trent torna.» «Ma allora come posso aiutarlo?» «A Mundania? Non puoi. Se la deve sbrigare da solo in qualunque situazione si trovi, ammesso che sia ancora vivo.»
«È vivo!» ripeté Dor enfaticamente. Lo doveva credere! L'alternativa era inconcepibile. «Ma non so quanto a lungo io possa continuare a governare Xanth. La gente sa che non sono il vero Re: pensano che Re Trent sia nei paraggi, solo per farmi fare un po' di pratica. Non mi obbediranno molto a lungo.» «Forse ti aiuterebbero,» suggerì Roland. «Disapprovo il principio del sotterfugio, ma penso che in questo caso sia meglio che la gente non conosca la gravità della situazione. Forse non è grave; Trent potrebbe tornare tra non molto al suo posto. Nel frattempo, il Regno ha bisogno di esser governato da un Re.» «Penso che potrei essere aiutato,» disse Dor con non molta sicurezza. «Ma cosa ne sarà di Re Trent?» «Dovrà tornare da solo... o non tornerà. Nessuno di noi può localizzarlo in Mundania: lasciarlo solo lo aiuterà. Questa è la ovvia conseguenza per non aver chiesto il parere del Consiglio degli Anziani. Dobbiamo soltanto aspettare. È un uomo pieno di risorse, che sicuramente se la caverà, se ciò è umanamente possibile. A Dor questo doveva bastare. Era il Re, ma non poteva andare contro gli Anziani. Capì che non era soltanto questione di legge o costume, ma di buon senso. Qualsiasi situazione in Mundania che fosse stata troppo difficile da affrontare per Re Trent, sarebbe stata parecchio più difficile per Dor. Irene fu molto più positiva di quanto si era aspettato, quando al suo rientro le comunicò le notizie. «Ero certa che gli Anziani avrebbero parlato così. Sono vecchi e conservatori. Ed è un bene, credo. Dovremo proprio arrangiarci fin quando mio padre non tornerà.» Dor non si fidava molto del suo cambiamento di umore, ma sapeva che era meglio non indagare. «Chi ci può aiutare?» Sapeva che sarebbe stato impossibile escludere Irene da una tale attività. Re Trent dopotutto, era suo padre, l'unica persona verso la quale la sua lealtà era sicura. «Oh, tutti i ragazzi. Chet, Fracassa, Grundy...» «Per governare il Regno?», chiese Dor pieno di dubbi. «Preferisci lasciarlo fare agli Anziani?» Un punto per lei. «Spero che questa emergenza non duri a lungo,» disse. «Certamente non lo speri più di me», convenne Irene, e Dor sapeva che quelle parole le venivano dritte dal cuore. Irene andò a cercare le persone menzionate perché, se l'avesse fatto Dor, avrebbe sollevato dei sospetti. Il primo che trovò fu Grundy il Golem.
Grundy era più vecchio degli altri e diverso sotto vari aspetti. Era stato creato come un golem, con legno, argilla e lacci, ed in seguito trasformato in una persona. Era alto solo una spanna e parlava tutte le lingue delle creature viventi. Questo era il talento per il quale era stato creato. Grundy poteva essere certamente d'aiuto nel risolvere i problemi quotidiani di Xanth. Ma aveva il vizio di parlare troppo spesso e nel momento sbagliato. In altre parole, era un chiacchierone. Il che poteva essere un guaio. «Allora questo è un segreto,» spiegò Dor. «Re Trent si è perso in Mundania, ed io devo governare il Regno fin quando torna.» «Xanth è nei guai!», esclamò Grundy. «È per questo che ho bisogno del tuo aiuto. Non so per quanto tempo dovrò essere Re, e non voglio perdere il controllo delle cose. In genere tu sei in possesso di buone informazioni...» «Io vado curiosando dappertutto,» convenne Grundy. «Benissimo, curioserò per te. La prima cosa che ti voglio dire è che tutto il palazzo ridacchia per un certo tema che qualcuno ha scritto per una certa tutrice...» «Ti esonero da questo tipo di informazioni,» disse Dor. «Poi c'è una diceria a proposito di come una certa ragazza sia andata a nuotare in un costume adamitico, che sembra le appartenga fin dalla nascita, insieme a...» «Ti esonero anche da questa,» disse Dor, sorridendo. «Sono sicuro che comprendi le mie necessità.» «Che cosa ne avrò in cambio?» «La tua testa.» «Benissimo, tu sei il Re,» brontolò il golem. Una delle pareti ridacchiò. Irene portò Chet. Questi era un centauro un po' più vecchio di Dor, ma sembrava più giovane perché i centauri maturano più lentamente. Era il figlio di Cherie, il che significava che era molto colto ma molto cauto nel mostrare il suo talento magico. Per molto tempo i centauri avevano creduto di non avere talenti magici, perché la maggior parte delle creature di Xanth o erano magiche o facevano magie. Recenti informazioni avevano dissipato quelle superstizioni. Chet aveva un talento magico: poteva rendere piccole le cose grandi. Era un talento ottimo, e molte persone possedevano graziose miniature che Chet aveva ridotto per loro. Ma aveva uno svantaggio: non poteva invertire il processo. Suo padre era Chester il Centauro, il che significava che Chet tendeva ad essere maldisposto quando era contraddetto, ed era sgarbato per la sua me-
tà umana. Quando avesse raggiunto la sua statura completa, il che sarebbe avvenuto dopo alcuni anni, sarebbe stato un animale abbastanza robusto. Nonostante le maledizioni che inviava alla razza dei centauri mentre sudava sui compiti assegnatigli da Cherie, a Dor piaceva Chet, ed andava sempre d'accordo con lui. Dor spiegò la situazione. «Ti aiuterò, certamente» disse Chet. Parlava sempre in modo educato, in parte perché era enormemente intelligente, ma soprattutto perché sua madre insisteva. In pratica, Cherie era una diga (*) per Chet, ma Dor evitò di usare quel termine per paura che Cherie percepisse la «n» che, tra sé e sé aveva aggiunto. Provava compassione per Chet; essere figlio di Cherie doveva essere duro quasi come tentare di essere Re. Chet non avrebbe osato sbagliare la compitazione di alcuna parola. «Ma non sono certo di come poterti assistere», aggiunse centauro. «Ho trovato delle soluzioni a malapena decenti per i problemi che ho già trattato,» disse Dor con sincerità. Sono destinato a combinare un gran pasticcio fra breve. Ho bisogno di buoni consigli.» «Allora puoi rivolgerti a mia madre. I suoi consigli sono irrefutabili.» «Lo so. Ma è troppo autoritaria.» Chet sorrise. «Credo di aver capito.» Dor era sul punto di iniziare a criticare la centaura. Più tardi, quello stesso giorno, Irene portò Fracassa. Questi era il figlio di Scrocchia l'Orco, e non era cresciuto ancora del tutto, ma era già due volte più alto e massiccio di Dor. Come tutti gli orchi, era brutto e poco intelligente; il suo sorriso avrebbe spaventato un doccione, e sapeva a malapena pronunciare la maggior parte delle parole. Questa qualità lo rendeva caro a Dor. Ma l'amicizia dell'orca con gli esseri umani lo aveva reso più comprensibile e socievole degli altri della sua specie, ed era fedele agli amici. Dor era suo amico da anni. Dor lo affrontò con diplomazia. «Fracassa, ho bisogno del tuo aiuto.» La grossa bocca si aprì scricchiolando come fango rappreso in una pozzanghera inaridita. «Sicuro me ti aiuto! Chi sarà spappolato?» «Nessuno, ancora,» disse Dor velocemente. Come tutti gli orchi, Fracassa era propenso alla violenza ed alle rime. Potresti restare un po' a portata di voce, nel caso qualcuno volesse spappolare me...» «Spappolare me? Chi è?» Dor capì di aver enunciato un pensiero troppo complicato. «Quando io grido, tu puoi aiutarmi. Okay?» «Certo ti aiuto!», convenne Fracassa, riuscendo infine a comprendere.
La scelta degli aiutanti di Dor risultò fortunata. Siccome erano tutti suoi amici, capivano la sua situazione meglio di quanto avrebbero fatto gli adulti, e quindi riscuotevano la sua fiducia. Era una specie di gioco: governare quel Regno come se Re Trent si fosse nascosto per scherzo e li osservasse per valutarli. Era importante non combinare pasticci. Un basilisco si aggirava intorno ad un villaggio, terrorizzando la popolazione, dato che il suo sguardo trasformava in pietra. Dor non era certo di poterlo spaventare come aveva fatto con il mostro marino, benché quella fosse di sicuro una creatura stupida, perché i basilischi avevano una personalità estremamente irascibile. Non poteva usare un Incantesimo di Schiacciamento, poiché Re Trent aveva decretato che i basilischi erano una specie in via d'estinzione. Questo era uno strano concetto che il Re aveva portato da Mundania: l'idea che creature rare, per quanto orribili, dovessero essere protette. Dor non lo capiva completamente, ma tentava di preservare il Regno per quando Trent fosse tornato, senza modificare il suo modo di governare. Aveva bisogno di un modo inoffensivo per persuadere la creatura ad abbandonare i villaggi umani... ma non riusciva neanche a parlare la sua lingua. Però Grundy il Golem poteva farlo. Grundy usò un elmetto con periscopio - un congegno magico che deviava il raggio visivo - per guardare indirettamente il piccolo mostro e potergli parlare della più malefica basilisca della quale avesse mai sentito parlare, che si nascondeva da qualche parte nella Foresta Morta, a sud-est di Castel Roogna. Poiché la creatura alla quale si rivolgeva Grundy era in realtà un «gallisco», l'idea di una simile «gallisca» lo interessò. Non era una menzogna: c'era una guardia del Palazzo, di nome Crombie, che aveva l'abilità di individuare le cose, e l'aveva individuata nella foresta quando gli era stato chiesto dove vivesse la più malefica femmina di basilisco. Naturalmente, il sesso era perlopiù un'illusione tra i basilischi, poiché ognuno di loro era generato dall'uovo di un gallo deposto in un cumulo di spazzatura, sotto la Stella del Cane, e covato da un rospo. Era una specie in via di estinzione, poiché erano ormai pochissimi i galli che deponevano uova nei cumuli di spazzatura sotto la Stella del Cane. Tendevano a fare confusione e le deponevano sotto la Stella del Gatto, e la maggior parte dei rospi non avevano la pazienza di aspettare i sette anni necessari alla cova delle uova. Ma, come gli esseri umani, i basilischi cercavano con avidità questa illusione. Così quel basilisco-gallo si tolse di torno in tutta fretta - cioè, alla
veloce andatura di un serpente - diretto verso la Foresta Morta, dove la solitaria gallinella si crogiolava, ed il problema fu risolto. Poi ci fu una lite nelle Baracche, il villaggio eretto dai vecchi soldati dell'antico esercito mundano di Trent, che avevano deposto le armi quando Trent era salito al trono. Ognuno di loro aveva una fattoria, e molti una moglie mundana per bilanciare la proporzione tra i sessi. Non potevano far magie, ma diversi loro figli avevano dei talenti, proprio come i veri cittadini di Xanth. I vecchi soldati si divertivano allestendo spettacolari simulazioni di battaglie, nelle quali usavano spade di legno e si impegnavano in complesse manovre. Il Re Trent permetteva questo tipo di esercizio, a patto che nessuno si ferisse. I soldati, incapaci di soffocare la loro inclinazione omicida, avevano ricavato vere baionette dalle piante delle baionette, coltivate allo scopo, e si erano assegnati il compito di cacciatori di draghi. Davano la caccia a quei draghi che insistevano nell'assalire gli insediamenti umani. Questo portò all'eliminazione di alcuni draghi e della maggior parte dei soldati più violenti. Tutto funzionava ma, questa volta, si verificò una differenza di opinioni riguardante un punteggio riportato dalla Squadra Rossa sulla Squadra Verde. I Rossi avevano eretto una catapulta e sparato una vescica di lupo, che era scoppiata in un delizioso sbuffo di fumo all'apice del suo volo. Nei giochi, ai soldati non era permesso il lancio di vere pietre o di altri oggetti pericolosi, con loro grande frustrazione. I Rossi affermavano di aver colpito in pieno la tenda del quartier generale dei Verdi, annientando così il Fagiolo Verde e la sua Donnina del Giorno. I Verdi insistevano invece nell'affermare che il tiro dei Rossi era andato fuori bersaglio poiché, dopotutto, non aveva sbuffato fumo sul Fagiolo e sulla Donnina. Poiché la Donnina era il cervello della Squadra, questa era una distinzione significativa. I Rossi rispondevano di aver controllato le posizioni della catapulta e della tenda bersaglio, di aver tenuto conto dello spostamento causato dal vento, dell'umidità, della pressione atmosferica, dalla magia casuale, di aver verificato l'azimuth, l'elevazione e il peso insieme al loro Peperone Rosso ed alla Bambola del Giorno, e di aver lanciato il proiettile finto con estrema sicurezza. La vittoria quindi doveva andare a loro. Dor non sapeva come verificare la precisione del colpo. Ma Chet il Centauro sì. La bassa, media, ed alta matematica, gli erano state inculcate a colpi di frustino sulla coda.
Riesaminò tutte le cifre, incluse le figure della Donnina e della Bambola, parlò con gli esperti militari degli azimuth corretti e delle funzioni trigonometriche - il che rese Dor nervoso, dato che non era carino dire parolacce in pubblico - e concluse che il proiettile era fuori bersaglio di 7,3 lunghezze. Presentata quindi una formale richiesta, partecipò ad un breve dibattito nel quale oscuri incantesimi matematici si irradiavano in forma di vortici e nebulose dalla sua testa per scontrarsi con quelli dei Rossi. Una tangente purpurea roteava in un vettore giallo, rompendolo in due, un coseno arancio tirava su una radice cubica penzolante. I periti Rossi, impressionati dalla competenza di Chet, concessero il punto. Comunque, siccome la tenda bersaglio era dodici piedi di Peperone di diametro, si riconobbe che le probabilità di un colpo deviato erano state alte, perfino con i dovuti margini di errore. Si stabilì quindi che i Verdi avevano perso i servizi della Donnina, e che perciò avevano un serio svantaggio nel combattimento. Risolto il problema, le manovre ripresero, e Chet tornò a Castel Roogna. Poi un enorme e vecchio acero-rocca cadde di traverso su uno dei sentieri magici che conducevano a Castel Roogna. Era un sentiero di gran traffico, e non era prudente abbandonarlo, perché al di là della sua protezione erano appostati i nichelpiedi. Nessuno voleva rischiare di mettere un piede in un nido di nichelpiedi, poiché quelle malvagie creaturine, cinque volte più grandi e feroci dei centopiedi, avrebbero istantaneamente cavato nichelini di carne dai piedi. L'albero doveva esser tolto, ma la roccia era troppo pesante per qualunque persona normale. Fracassa l'Orco prese un martello, marciò lungo il sentiero, e prese a colpire il tronco caduto. Era ancora un bambino, alto non più di una volta e mezza Dor, così possedeva soltanto una parte della sua forza finale, ma un orco era pur sempre un orco ad ogni età. Il martello risuonò fragorosamente, echeggiò la volta celeste, la pietra andò in pezzi, la polvere si sollevò in nubi che formarono una piccola tempesta di polvere nella quale demoni di polvere giocavano, e frammenti di acero esplosero come granate. Ben presto il piccolo orco eliminò una sezione di tronco della misura del sentiero, così la gente poté riprendere a passare. Il lavoro era stato abbastanza semplice per lui ma, se fosse stato un adulto, non avrebbe avuto neanche bisogno del martello. Avrebbe semplicemente sollevato l'intero tronco e lo avrebbe lanciato lontano. Così andavano le cose. Un'altra settimana passò, ma il Re Trent e la Regina Iris ancora non tornavano. Il nervosismo di Irene era contagioso. «Devi fare qualcosa, Dor!», urlava, e parecchie piante ornamentali nelle
vicinanze si gonfiarono ed esplosero, in risposta alla sua angoscia. «Gli Anziani non vogliono che vada a cercarlo,» disse Dor nervoso quanto lei. «Fai qualcosa di buono ora, Dor, o ti renderò la vita un inferno!» Dor ebbe nuovamente paura. Non era un bluff a vuoto. La ragazza poteva renderlo infelice anche quando era di buon umore; come sarebbe stato se ci si metteva d'impegno? «Mi consulterà con Crombie,» disse alla fine. «A che può servire?», chiese Irene. «Mio padre è in Mundania: Crombie non può localizzarlo oltre il regno della magia.» «Ho una certa idea...», disse Dor. Quando arrivò Crombie, Dor gli pose la questione: che cosa ne diceva di individuare qualcosa che avrebbe potuto aiutarli a trovare Re Trent? Crombie poteva individuare qualcosa, anche solo un'idea, e se c'era un congegno o una persona con un'informazione speciale... Crombie chiuse gli occhi, girò su se stesso, allungò un braccio e lo puntò verso sud. Dor ebbe quasi paura di crederci. «C'è veramente qualcosa che ci aiuterà?» «Non ho mai sbagliato,» disse Crombie con sicurezza. Era un robusto soldato dai capelli grigi, della vecchia scuola, aveva una moglie di nome Gemma che viveva nelle grotte di Xanth, ed una figlia di nome Tandy di cui nessuno sapeva nulla. Gemma un tempo era una ninfa della roccia, il suo lavoro era cospargere la terra di tutti i diamanti, smeraldi, zaffiri, rubini, opali, spinelli ed altre pietre preziose che i cercatori erano destinati infine a trovare. Si diceva che ora fosse diventata una donna amabile, dolce e tollerante, soddisfatta di vedere Crombie solo quelle rare volte in cui andava a farle visita. Dor sapeva che Gemma un tempo aveva amato suo padre Bink, o viceversa - non gli era stato mai molto chiaro - ma che Crombie aveva catturato il suo cuore con un Incantesimo di Desiderio. L'amore aveva trasformato la ninfa in donna, ma anche quel processo non era abbastanza chiaro per la comprensione di Dor. Qual era la differenza tra una ninfa ed una ragazza come Irene? «Qualche volta la gente lo interpreta in modo sbagliato, ma il punto è sempre esatto,» terminò Crombie. «Hai qualche idea della sua distanza?» «Non sono in grado di dirlo, ma penso che sia abbastanza lontano. Forse, posso fare una triangolazione per te.» Andò in un'altra sala del castello e ritentò. Il punto rimase esattamente verso sud. «È troppo lontano per fare
il punto esatto. Direi che si trova oltre il Lago Orco-Chobee.» Dor conosceva abbastanza bene quel lago; faceva parte della geografia che Cherie la Centaura gli aveva fatto studiare. Una tribù di Demoni viveva sulla riva inferiore del lago, e lanciava maledizioni a chiunque li infastidisse; avevano scacciato la maggior parte degli orchi che un tempo abitavano su quelle rive. Alcuni di quegli orchi erano migrati a nord, occupando le Paludi di Orco-Palude; mal incolse a quei Demoni che avevano tentato di seguirli là! Dor non aveva nessuna voglia di recarsi in quel lago: qualunque cosa fosse riuscita a scacciare una tribù di orchi, era certamente troppo per lui. «Ma sei certo che ci aiuterà?», chiese Dor con nervosismo. «Non ci combinerà qualche danno?» «Sei duro d'orecchi, Maestà? L'ho già detto prima.» Crombie era amico del padre di Dor e di Re Trent, e non sopportava la maggior parte delle assurdità dette dai ragazzini che neanche esistevano quando lui sfogava i suoi bollori giovanili. Ma ormai si era placato; era Gemma a provvedere a ciò. «Come ci aiuterà?», chiese Irene. «Come faccio a saperlo?», domandò Crombie. Inoltre odiava le donne; questo era un altro aspetto della sua personalità il cui senso sfuggiva a Dor. Come poteva un pacifico uomo sposato odiare le donne? Evidentemente Irene si era trasformata agli occhi di Crombie da bambina in donna: in realtà, c'era qualcosa nel modo in cui il vecchio soldato la guardava ultimamente, che faceva impallidire Irene. Si divertiva a provocare persone inoffensive come Dor, ma perdeva il controllo quando si confrontava con un uomo vero, per quanto vecchio come Crombie. «Non definisco i piani d'azione; indico solo la strada.» «Sì, certamente, e noi lo apprezziamo,» disse Dor con diplomazia. «Uh, giacché sei qui... vuoi individuare qualcosa di speciale di cui dovrei occuparmi mentre sono Re?» «Perché no?» Crombie girò di nuovo su se stesso... e puntò il braccio di nuovo verso sud. «Ah!», esclamò Dor. «Speravo che fosse così. Ho il dovere di andare a cercare qualunque cosa possa aiutarci a ritrovare Re Trent.» Gli occhi di Irene si illuminarono. «Qualche volta rasenti il genio!», sospirò, felice di questa possibilità di cercare i genitori. «Naturalmente, sì,» convenne Crombie, anche se l'osservazione non era rivolta a lui. Quindi uscì a passo di marcia per il suo giro di ronda. A guar-
dia del castello. Dor ritornò subito dall'Anziano Roland, questa volta portando con sé Irene. La ragazza non era mai stata prima al Villaggio Nord, e lo trovò pittoresco. «Che cos'è quel buffo albero nel centro della piazza?», chiese. «È l'albero Justin» rispose Dor, sorpreso del fatto che Irene non lo conoscesse. «Tuo padre lo trasformò da uomo in albero, circa quarant'anni fa, prima di recarsi a Mundania la prima volta.» Fu colta alla sprovvista. «Perché non lo ha ritrasformato, una volta diventato Re?» «A Justin piace essere un albero,» spiegò Dor. «È diventato una specie di simbolo del Villaggio Nord. La gente gli porta acqua pura, terriccio e concime, quando li vuole, e le coppie si abbracciano sotto la sua ombra.» «Oh, voglio provare!», disse. Era seria? Dor decise di non rischiare. «Siamo qui per qualcosa di importante: per salvare tuo padre. Non è il caso di perdere tempo.» «Naturalmente,» convenne immediatamente Irene. Quindi si affrettarono verso casa di Roland, dove la nonna di Dor, Bianca, li fece entrare, sorpresa per il ritorno di Dor. «Nonno,» disse Dor quando apparve Roland. «Secondo Crombie, devo fare un viaggio a sud. Ha individuato un compito che ho da svolgere lì, giù oltre il Lago Orco-Chobee. Così gli Anziani non possono dire no, vero?» Roland si accigliò. «Tenteremo, Vostra Maestà.» Lanciò uno sguardo ad Irene. «Avrebbe a che fare con la scomparsa del Mago Trent?» «Re Trent!», sbottò Irene. Roland sorrise con condiscendenza. «Noi Anziani siamo preoccupati di questo caso quanto voi,» disse. Parlava con fermezza e dolcezza; nessuno, a giudicare dal suo contegno, avrebbe detto che aveva il potere magico di congelare una persona seduta stante. «Siamo ansiosi di accertare le attuali condizioni di Trent. Ma non possiamo permettere che il nostro attuale Re che sei tu, Dor - metta scioccamente a repentaglio la sua incolumità. Temo che un lungo viaggio, particolarmente nelle vicinanze del Lago OrcoChobee, sia in questo momento fuori questione.» «Ma è una faccenda della quale mi devo occupare!», protestò Dor. «E non si tratta esattamente del lago, ma più a sud. Quindi non mi devo avvicinare al territorio dei Demoni. Se un Re non fa quel che deve, non è degno di essere Re!» «Si spera che Re Trent abbia ben fermo in mente questo concetto,» disse Roland, ed Irene arrossì. «Tuttavia, a volte si creano dei conflitti sui dove-
ri. Parte dell'arte di governare è il saper scegliere la via migliore tra apparenti conflitti. Tu hai agito bene fino a questo momento, Dor; penso che sarai un buon Re. Ora non devi comportarti da irresponsabile». «Il Re Trent afferma la stessa cosa,» disse Dor, ricordando. «Proprio prima di partire,mi disse che, quando fossi stato in dubbio, avrei dovuto scegliere l'onestà.» «Questo e vero. È strano però che lui non si sia comportato onestamente, consultandosi con gli Anziani prima di partire.» Dor era sempre più irritato, ed Irene era sul punto di esplodere. Odiava sentir denigrare suo padre, eppure il risentimento di Roland sembrava giustificato. Re Trent aveva avuto forse un motivo più profondo dei semplici affari commerciali da trattare con Mundania? Aveva forse, incredibilmente, progettato di non tornare? «Ho voglia soltanto di mettermi a letto e nascondere la testa sotto le coperte,» disse Dor. «È un lusso che non puoi più permetterti. Penso che gli incubi ti verrebbero a cercare.» «Lo hanno già fatto,» disse Dor con tristezza. «Le cameriere del castello si lagnano delle impronte di zoccoli sui tappeti.» «Voglio verificare le tue scoperte, se posso,» disse Roland. Ci fu poi una pausa mentre Dor organizzava l'arrivo di Crombie nel Villaggio Nord. Nonna Bianca servì dei dolcini di girandole che aveva raccolto dai suoi cespugli di girandole. Irene chiese un seme di girandola per sé; aveva una raccolta di semi che poteva trasformare in piante utili. «Perbacco, come sei cresciuta!», disse Bianca, osservando Irene. Irene lasciò cadere il suo dolcino, ma poi lo riebbe intatto. Il talento magico di Bianca era la ripetizione; poteva far tornare indietro il tempo di pochi secondi, così che qualche errore recente poteva essere corretto senza danno. «Grazie,» mormorò Irene, recuperandolo. Crombie arrivò. «Vorrei verificare le tue scoperte, se posso,» ripeté Roland al soldato. Dor notò come il vecchio fosse cortese con tutti: in qualche modo ciò rendeva Roland più grande agli occhi degli altri. «Vorresti individuare, per favore, la più grande minaccia attuale al Regno di Xanth?» Crombie gentilmente ripeté la sua azione e, nuovamente, il suo braccio puntò a sud. «È quel che sospettavo,» disse Roland. «Dor, sembra che si stia sviluppando in quella regione qualcosa della quale ti devi occupare. Ma questa è
una faccenda seria, non una gita di piacere.» «Che posso fare?», chiese Dor mestamente. L'orrore dell'inspiegata assenza del Re Trent si stava richiudendo su di lui, minacciando di sopraffare il suo delicato equilibrio. «Puoi ricevere qualche buon consiglio.» Dor pensò. «Intendi dire dal Buon Mago Humfrey?» «Sì. Ti può dire quale decisione sia la migliore e, se devi fare questo viaggio, può servire in tua vece come Re.» «Non penso sia d'accordo,» disse Dor. «Sono sicura che non lo sarà,» convenne Irene. «Ci deve essere un Mago sul trono di Xanth. Chiedigli di sistemare questa questione, se approva il tuo viaggio.» Questo avrebbe messo il Buon Mago in difficoltà! «Lo farò,» disse Dor e si guardò intorno, cercando di riordinare le idee. «Sarà meglio che parta ora. È un lungo cammino.» «Tu sei il Re, Dor. Tu non devi camminare lì più di quanto lo debba fare qui. Sei stato evocato qui.» «Ah, già, dimenticavo.» Dor si sentì abbastanza sciocco. «Ma prima riporta al sicuro a Castel Roogna noialtri,» gli disse Irene, mangiucchiando un altro dolcino. «Non voglio dover attraversare il Grande Abisso su un ponte invisibile e farmi guardare sotto la gonna dal Drago dell'Abisso.» Prese un altro dolcino e mordicchiò la girandola tutto intorno con delicatezza. Capitolo 3 L'incantesimo del Matrimonio. Dor non arrivò all'interno del castello del Buon Mago Humfrey. Si ritrovò appena prima del fossato. Qualcosa era andata male! No, comprese subito. Era stato evocato correttamente, ma il Buon Mago, al quale non piacevano le intrusioni, aveva posto un Incantesimo-Barriera sul percorso, per deviare chiunque all'esterno. Ad Humfrey non piaceva parlare a chi non giungesse al castello attraverso un percorso difficoltoso. Naturalmente non pensava di far passare il Re sotto le forche caudine ma, ovviamente, il vecchio Mago in quel momento non gli prestava attenzione. Dor avrebbe potuto chiamarlo con uno specchio magico; a questo non aveva pensato nella sua brama di partire. Il che significava che si era meritato quello che gli era successo: erano le conseguenze della sua mancanza
di programmazione. Naturalmente, avrebbe potuto urlare con voce sufficiente ad attrarre l'attenzione di qualcuno all'interno del castello, in modo da essere accolto senza problemi. Ma Dor era alquanto cocciuto. Aveva fatto un errore; ora voleva togliersi dai pasticci da solo. O piuttosto mettervicisi. Si era aperto una via al castello una volta, quattro anni prima; sarebbe stato capace di farlo ancora. Il che avrebbe dimostrato che poteva riprendersi dagli errori commessi: un Re poteva farlo. Lanciò un'attenta occhiata ai dintorni del castello. Il fossato non era limpido e scintillante come lo era stato l'ultima volta; era stagnante e fetido. La forma delle mura del castello era ora curva e inclinata all'indietro, come un certo monte conico. Era troppo semplice... e perciò sospetto. Dor si accovacciò ed immerse un dito nell'acqua. Ne uscì ricoperto di festoni di fanghiglia. L'annusò. Ugh! Eppure c'era qualcosa di familiare che non riusciva ad identificare. Dove aveva già sentito quell'odore? Una cosa era certa: non avrebbe guardato o attraversato a nuoto quell'acqua senza prima essersi accertato esattamente che cosa vi si celasse. Le difese del castello del Mago Humfrey erano realizzate per intralciare e scoraggiare, piuttosto che distruggere, ma erano sempre formidabili. In genere ci voleva coraggio ed ingegno per superare i numerosi rischi. Ci poteva essere qualcosa nel fossato di molto più spiacevole della fanghiglia. Nulla di evidente. Il limaccio verde nerastro che copriva tutta la superficie, non era interrotto da nessun altro orrore. Dor non si sentiva incoraggiato. «Acqua, ci sono creature viventi nascoste nelle tue profondità?», indagò. «Assolutamente nessuna,» rispose l'acqua, la sua voce era impastata dal limaccio. Eppure aveva un tono ridacchiante: sembrava trovare buffa quella domanda. «Nessuna trappola inanimata?» «Nessuna.» Ora le piccole increspature di gioia si mossero sulla superficie glutinosa. «Che cosa c'è di buffo?», domandò Dor. L'acqua alzò piccoli spruzzi allungati, simili a bave o muco. «Lo scoprirai.» Il guaio con gli esseri inanimati era che avevano una nozione molto elementare dell'umorismo e della responsabilità. Ma potevano essere, di solito, convinti o intimiditi. Dor sollevò una pietra e la soppesò minacciosamente. «Dimmi quel che sai,» disse all'acqua, «o ti colpirò con questa pie-
tra.» «Non lo fare!», urlò l'acqua impaurita. «Spiffererò tutto! Spiattellerò tutto quel che so, che non è molto.» «Ugh!», disse la pietra nello stesso momento. «Non mi lanciare in quella fanghiglia fetida!» Dor ricordò come aveva manovrato le difese del Mago l'una contro l'altra, l'ultima volta. Allora c'era un cartello d'avvertimento, I TRASGRESSORI VERRANNO PERSEGUITI - ed infatti, quando trasgredì, gli fu presentato un distintivo con la parola TRASGRESSORE su un lato, e PERSEGUITO sull'altro. Il volume di storia vivente che aveva registrato l'episodio aveva subito un refuso, trasformando PERSEGUITI in PROSEGUITI per il cartello, ma non per il distintivo, rovinando il senso di queste parole completamente differenti. Queste cose accadevano: erano poche le persone che sembravano conoscere la differenza, e la compitazione di Dor non era stata abbastanza buona da impedire l'errore, ma questa volta non c'era nessun cartello. Doveva generare la propria persecuzione. «Di' pure,» disse all'acqua, sollevando ancora la pietra. «È uno zombie,» disse l'acqua. «Un serpente marino zombie». Ora Dor capiva. Gli zombie erano morti, perciò era vero che non c'erano creature viventi nel fossato. Ma gli zombie erano animati, perciò non c'erano neanche trappole inanimate. Improvvisamente, tutto ebbe un senso: infatti Dor ricordò in ritardo che il Signore degli Zombie era ancora lì. Quando il Signore degli Zombie era apparso nel presente di Xanth, c'era stato un problema, poiché il Buon Mago Humfrey ora occupava il castello che il Signore degli Zombie aveva abitato ottocento anni prima. L'uno aveva il diritto della precedente locazione, l'altro il diritto del possesso presente. Nessuno dei due voleva problemi. Così i due Maghi furono d'accordo nel dividersi il castello fin quando non si fosse presentato qualcosa di meglio. Evidentemente il Signore degli Zombi non aveva trovato niente di meglio. Naturalmente dava una mano a difendere il castello, ma non era certo più socievole di quanto lo fosse Humfrey. Si da il caso che Dor avesse già avuto delle esperienze con gli zombie. Alcuni dei suoi migliori amici erano zombie. Non era troppo entusiasta del loro odore, o del fatto che lasciavano cadere zolle di sudiciume umido e vermi ovunque andassero, ma non erano cattive creature. In più, erano appena più intelligenti degli oggetti inanimati che la magia di Dor animava, perché il loro cervello era letteralmente putrefatto. Era certo di riuscire raggirare uno zombie.
«Ci dovrebbe essere una barca nei dintorni,» disse alla pietra. «Dov'è?» «Laggiù, zuccone,» disse la pietra. «Ora vorresti lasciarmi andare?» Dor vide la barca. Soddisfatto, lasciò la pietra. Questa cadde con un tonfo di soddisfazione al suolo e rimase lì in un beato riposo. Le pietre erano fondamentalmente pigre, e non avevano mai nulla da fare. Dor andò alla barca. Era una canoa incrostata di sporcizia con una doppia pagaia: proprio quello di cui aveva bisogno. Dor andò via. «Hey, non mi userai?», chiese la canoa. Gli oggetti non erano tenuti a parlare se Dor non voleva, ma tendevano a non tener conto dei ruoli. «No. Vado a cercare il mio amico zombie». «Oh, certo. Se ne vedono parecchi da queste parti. Fanno degli ottimi fertilizzanti.» Quando Dor fu fuori vista del castello, si fermò e si chinò a scavare nel fango. Si imbrattò il volto, le braccia e gli abiti regali. Naturalmente avrebbe dovuto cambiare i suoi abiti con alcuni più appropriati al viaggio, ma ovviamente questo faceva parte della sua enorme disattenzione. Non aveva fatto assolutamente nessun programma. Poi, trovò una pietra tagliente per lacerare il tessuto degli abiti. «Oooooh, ouch!» Gli abiti emisero dei gemiti. «Che cosa mai ti ho fatto per uccidermi a questo modo?» Ma la pietra tagliente ridacchiava. Le piaceva lacerare i tessuti. Poco dopo, Dor era l'immagine di un uomo a brandelli. Raccolse parecchie manciate di fango, se le mise in una piega dell'abito, e tornò al castello. Quando si avvicinò al fossato, si trascinò alla maniera degli zombie e lasciò cadere alcune zolle al suolo. Andò vicino alla canoa. «Ooooh,» gemette con sentimento. «Spero di poter far ritorno a casa prima di cadere in pezzi.» Ed usò la pagaia per spingersi nella lordura del fossato. Era deliberatamente goffo, benché in verità non fosse molto esperto con le canoe, e sarebbe stato ad ogni modo impacciato. L'acqua succhiava rumorosamente quando la pagaia si immergeva nella melma. Si sentì un rimescolo quando il serpente marino zombie si mosse. Il limaccio si divise, ed un'enorme capo screziato in decadimento si sollevò sulla superficie vischiosa. Globi di melma penzolavano e stillavano con dei tonfi malsani nell'acqua. L'enorme bocca fangosa si staccò nell'aprirsi, rivelando i segni di denti marroni staccati, posti in una mascella quasi priva di carne. «Ciao, amico!», urlò Dor impaurito. «Mi puoi guidare dal tuo Signore?»
Mentre parlava, fece scivolare nell'acqua alcuni grumi di fango, in modo da far sembrare che le sue labbra stessero cadendo. Il mostro esitò. Il suo capo grottesco si avvicinò ondeggiando per ispezionare Dor. L'occhio sinistro penzolava, sospeso ad un filamento scintillante. «Allooooraa?», chiese lo zombie, e il suo respiro olezzava di Liberger andato a male. Dor fece ondeggiare le braccia, lasciando cadere ancora della terra. Una zolla colpì il mostro sul naso con un rumore di fango appiccicaticcio. Gli dispiacque di non aver trovato niente di veramente putrido, come il cadavere di un topo pieno di vermi, ma non aveva avuto fortuna. «Dooove?», chiese, con grande stupidità, come un vero zombie. Il grosso vantaggio di fingersi stupidi era che non occorreva molta intelligenza. Dor si colpì l'orecchio destro e lasciò cadere un'altra zolla, come se un pezzo del cervello si fosse staccato. Infine il serpente comprese. «Lììììì,» sibilò, spruzzando parecchi frammenti di denti ed ossa, che si staccarono per lo sforzo. Il muso sembrava essere affetto da una cancrena avanzata, ed i denti restanti gli si sgretolavano intorno alle carie. «Graaaziee,» rispose Dor, lasciando cadere un'altra zolla nell'acqua. Riprese la pagaia ed avanzò vero il castello, accompagnato dal rumore della canoa che raspava contro la fanghiglia. «Spero di non cadere in pezzi prima di arrivare.» Aveva vinto il primo round. Il serpente marino era in pessime condizioni, come la maggior parte degli zombie, ma poteva capovolgere la barca ed affogare Dor nel limaccio senza difficoltà. Se il suo cervello fosse stato poco più di un budino, lo avrebbe fatto. Ma gli zombie non attaccavano quelli della loro specie; sarebbe stato sleale. Perfino la completezza del corpo di Dor, intatto sotto i brandelli di tessuto e il fango, non contava troppo per il mostro; i nuovi zombie erano completi. Ci voleva del tempo perché la maggior parte della carne cadesse. Attraccò al margine interno del fossato, dove le mura del castello si alzavano, formando un angolo acuto. Allora Dor aprì un buco nel limaccio e pulì alla meno peggio una zona di acqua nella quale lavarsi. La sua maschera da zombie non serviva più: non voleva entrare nel castello in quelle condizioni. Gli strappi negli abiti non potevano essere riparati, ma almeno sarebbe apparso umano. Uscì dalla canoa, ma trovò difficoltà a stare in piedi sul muro in pendenza. La superficie non era di mattoni o pietra, come aveva supposto, ma di
vetro, di solido, trasparente, freddo vetro senza costure. Una montagna di vetro. Vetro! Ora afferrava la natura della seconda sfida. Il declivio diventava più erto vicino alla cima, dove le mura erano quasi verticali. Come le avrebbe scalate? Dor tentò. Posò ciascun piede con attenzione e scoprì che riusciva a stare eretto ed a camminare, seppure lentamente. Doveva rimanere assolutamente diritto perché, nel momento in cui si piegava verso la montagna, come gli veniva spontaneo, i piedi iniziavano a slittare. Se avesse lasciato scivolare un piede, avrebbe fatto un bagno repentino in quell'orrido fossato. Fortunatamente, non c'era vento; riusciva a stare eretto e ad avanzare lentamente. Notò, comunque, una piccola nube nel cielo. Mentre la guardava, sembrò ingrandirsi rapidamente. Ooops... significava sicuramente una pioggia, che lo avrebbe spazzato via. Senza dubbio non si trattava di una coincidenza: probabilmente il tocco del suo piede sul vetro aveva evocato il temporale. Doveva raggiungere la cima della montagna prima che la nube arrivasse. Bene, la distanza non era molta. Poteva probabilmente farcela, con attenzione ed equilibrio. Poi qualcosa galoppò intorno alla montagna. Aveva quattro zampe, una coda, ed una buffa testa cornuta. Ma la sua stranezza principale... Si diresse verso Dor, con le corna abbassate. La creatura non era più alta di Dor, e le sue corna erano piccole e smussate, ma il corpo era molto più robusto. Dor fu costretto a saltare per togliersi dalla traiettoria, a perdere il punto d'appoggio e scivolare giù nell'acqua prima di fermarsi, con il naso a malapena fuori dalla fanghiglia. Si ristabilizzò mentre il serpente marino zombie guardava con distaccato divertimento. Dor si tolse una goccia di sostanza appiccicosa dal naso. «Che cos'è quello?» «Una corri-collina,» rispose il vetro. «C'è qualcosa di strano in quella creatura. Le zampe...» «Oh, certo,» disse il vetro. «Le due zampe sinistre sono più corte delle due destre. Così può attaccare comodamente, girando intorno alla montagna. È frutto della selezione naturale; molte delle migliori montagne ne hanno una.» Zampe più corte: in modo che la corri-collina si mantenesse su un piano orizzontale, correndo lungo i pendii. Aveva un certo senso. «Perché non ho mai sentito parlare di queste creature?», chiese Dor.
«Probabilmente perché la tua istruzione è stata trascurata.» «Sono stato istruito da un centauro!», si difese Dor. «Il centauro ti avrà certamente parlato della corri-collina,» convenne il vetro. «Ma tu hai ascoltato? L'istruzione è buona in funzione della mente dello studente.» «Che cosa stai insinuando?», chiese Dor. «Sto pensando che sei troppo sciocco per afferrare le implicazioni,» disse il vetro con soddisfazione e condiscendenza. «Sei una montagna di vetro!», disse Dor irritato. «Quanto brillante puoi essere?» «Pensavo che non l'avresti mai chiesto. Sono la cosa più brillante all'orizzonte.» Un raggio di sole deviò verso il basso, evitando la nube incombente, e fece splendere la montagna. Dor c'era cascato! Con l'esperienza di tutta una vita, era ancora una volta caduto nella trappola delle argomentazioni di un essere inanimato. Cambiò argomento. «È pericolosa la corri-collina?» «No, se hai l'intelligenza di non attraversarle la strada.» «Devo arrampicarmi in cima a questo pendio.» «Che straordinaria fortuna!», disse il vetro. «Che cosa?» Il vetro sospirò. «Tendo a dimenticare che le creature animate non possono eguagliare il mio splendore. Lo interpreto come un tuo handicap: buona fortuna.» «Oh, grazie,» disse Dor con sarcasmo. «È solo ironia,» disse il vetro. «Di ferro... non di vetro?» «Risparmiami il tuo debole sforzo di darmi una risposta a tono. Se non ti muovi prima che arrivi la nube, sarai portato fino al mare.» «È un'esagerazione,» brontolò Dor, ricominciando a salire il pendio. «È un'iperbole.» Il vetro iniziò a mormorare un motivetto squillante. Dor avanzò più velocemente. Stava imparando. Doveva poggiare i piedi di piatto e con leggerezza, e non sarebbe scivolato. Ma la corri-collina ritornò alla carica intorno al cono, spaventando con un sonoro «Moooo!» Dor, che scivolò al punto di partenza. Non fu più ingiusto con questo bovino di quanto lo fosse stato con il bue marino di Irene. La nube si era avvicinata, ed esalò una giocosa raffica di vento. «Oh, smamma!», le disse Dor. «Che fortuna!», sbuffò quella di rimando, arruffandogli i capelli con u-
n'intimità irritante. Dor si arrampicò sul pendio per la terza volta, e con uno sforzo enorme oltrepassò i segni leggeri prodotti sul pendio dagli zoccoli a punta della corri-collina. Il vetro canticchiava più sonoramente, ed alla fine ruppe in una canzone: «Verrà girando intorno alla montagna, quando verrà.» Infatti, Dor scoprì che la corri-collina arrivava di nuovo al galoppo. Poi corresse leggermente la sua corsa per caricare direttamente su di lui. Per quanto le corna fossero smussate, potevano essere pericolose in quella situazione. Oh, no! Non era un caso che quella creatura gli desse tanto fastidio; tentava di impedirgli di passare. Certamente costituiva la terza barriera al suo ingresso nel castello. Dor evitò la creatura con un salto e scivolò nuovamente sul margine del fossato. La corri-collina gli passò tuonando accanto, e sparì dietro l'angolo. Dor si tolse un'altra goccia di fanghiglia dal naso. Non stava facendo molti progressi! Ciò lo seccava, perché aveva superato la prima sfida senza difficoltà e ne doveva affrontare due semplici e inoffensive: evitare la corri-collina e scalare il pendio scivoloso. Entrambe - da sole - erano possibili: insieme erano troppo. Ora aveva forse dieci minuti per superarle prima che quella maldisposta nube lo spazzasse via. Il margine anteriore della nube aveva già coperto il raggio di sole. Dor non amava usare troppo il suo talento magico, ma decise che l'orgoglio era un ben sciocco fardello in quel momento. Doveva entrare nel castello ad ogni costo e ricevere un consiglio dal Buon Mago Humfrey... per il bene di Xanth. «Vetro, poiché sei così brillante... dimmi come posso evitare la corricollina e salire il tuo pendio prima che la nube arrivi.» «Non dirglielo!», tuonò la nube. «Be', io non sono così brillante ora che sono nella tua ombra,» esitò il vetro. Era vero: gli scintillii erano finiti, e la montagna era una scura massa tetra, come i quieti abissi di un oceano. «Ma tu ricordi la risposta,» disse Dor. «Dai!» «No!», soffiò il temporale. «Glielo devo dire,» disse il vetro dolente, «benché mi piacerebbe piuttosto vederlo nuovamente cadere sul cu...» «Bada a come parli!», sbottò Dor. «... posteriore e riempirsi il naso di melma. Ma lui è un Mago ed io soltanto silicio.» Il vetro sospirò. «Benissimo. Cogita e mastica...»
«Cosa?» «Dammi la forza di sopravvivere alla monumentale idiozia degli animati,» pregò il vetro con disgusto. La nube aveva lasciato passare un raggio di sole, facendolo nuovamente brillare. «Pensa e rimugina tutto ciò: chi può scalare il pendio più facilmente?» «La corri-collina,» disse Dor. «Ma questo non mi è d'aiuto. Io sono quello che...» «Pensa e rimugina,» ripeté il vetro con enfasi. Questo ricordò a Dor il fatto che Re Trent aveva sottolineato l'importanza dell'onestà, e lo irritò. Quella montagna non era un Re! A che cosa alludeva? Come se Dor fosse stato un asino bisognoso di un trattamento speciale! «Hey, vetro... ti faccio una domanda diretta...» «Tecnicamente, una domanda indiretta. La mia risposta riflette il tuo approccio. Ma certamente capirai che sono sotto l'interdizione di un altro Mago.» Dor non sapeva di quale «interdizione» parlasse, ma poteva indovinarlo. Humfrey aveva detto alla montagna di non spifferare il segreto. Ma la nube incombeva vicina, grossa e densa di acqua, ed egli era impaziente. «Hey, insisto perché tu me lo dica...» «Questa è la risposta, naturalmente.» Dor si fermò. Quell'oggetto troppo brillante si stava prendendo gioco di lui. Ripeté le sue parole. Hey, insisto perché tu me lo dica... Come poteva essere quella la risposta? Eppure sembrava che lo fosse. «Non lo capirai mai,» disse il vetro con disprezzo. «Hey, ora...» iniziò Dor con rabbia. «Riprovaci ancora.» Hey, ora? Di colpo Dor capì. Hey - compitato in H A Y, «Hay, ora!» urlò. Era un omonimia. Il serpente marino zombie, prendendolo per un ordine, attraversò a nuoto il fossato e ne uscì per prendere goffamente una manciata di erba secca dall'argine esterno. Poi la portò a Dor. «Grazie serpente,» disse Dor, prendendo la bracciata di erba. Ne scosse via i residui di fanghiglia e bava, e buona parte dei denti del mostro rimbalzarono sul vetro. Gli zombie avevano una riserva inesauribile di pezzi da lasciar cadere: faceva parte della loro natura. Dor iniziò ancora una volta a salire il pendio, ma questa volta voleva in-
contrare la corri-collina. Si fermò con il fieno ad affrontarla. La creatura arrivò da dietro la montagna e, come lo vide, si bloccò. Le orecchie le si sollevarono e la lingua corse sulle labbra. «È vero, sei un bel bovino,» disse Dor. «Questo fieno è per te. Pensa e rimugina... per rimuginare mentre pensi. Ho visto che non c'è molto foraggio lungo il tuo percorso. Devi consumare molte energie, andando di gran carriera, e ti si deve sviluppare un bell'appetito. Potresti fare un intervallo per il pranzo, prima che la pioggia spazzi via ogni cosa.» La corri-collina spalancò gli occhi. Erano belli e profondi. Il suo naso quadrato vibrava mentre annusava l'odore del fieno fresco. La lingua rosa le corse di nuovo intorno al muso. Aveva sicuramente fame. «Naturalmente, se lo metto giù, scivolerà lungo il pendio, diritto nel fossato,» disse Dor. «Credo che tu possa ripescarlo, ma il fieno coperto di limo non ha un sapore molto buono, vero?» Mentre parlava, turbinò una raffica di vento dell'impaziente temporale, che strappò via il fieno e sparse alcuni fili nella melma del fossato. La corri-collina si dimenò con ansia. «Ora ti dico quello che farò,» disse Dor. «Ti salirò in groppa, porterò il fieno e ti nutrirò mentre cammini. Così potrai mangiarlo tutto senza perderne nemmeno una manciata, e nessuno ti potrà accusare di essere negligente nel tuo lavoro. Coprirai il tuo giro nel tempo stabilito.» «Mmmoooo,» convenne la corri-collina, sbavando. Poteva non essere intelligente, ma riconosceva un buon accordo al fiuto. Dor si avvicinò, le diede una manciata di fieno, poi le si arrampicò sul dorso dalla parte del pendio. Il suo piede sinistro strusciava, mentre il piede destro pendeva, ma era seduto su un piano orizzontale. Allungò la mano sinistra per darle un'altra manciata di fieno. La corri-collina la prese e ruminò beatamente, continuando a camminare. Quando ebbe terminato di masticarla - Dor capì di aver appreso una nuova parola, anche se non sarebbe mai stato capace di compitarla - gliene diede ancora, porgendogliela nuovamente con la mano sinistra. La creatura dovette girare la testa a sinistra per prendere il fieno, e cambiò leggermente direzione di marcia, cominciando a salire. Continuarono a questo modo per tutto un giro della montagna. Alla fine, si trovarono ad un livello superiore. Dor continuò ad offrirle il fieno dal lato sinistro e la corri-collina salì a spirale. Era quello che Dor voleva. Il temporale era quasi su di loro. Non era riuscito a raggiungerlo! Dor si piegò in avanti, premendo con le ginocchia, e la corri-collina inconsciamente aumentò di velocità. Il secondo giro della montagna fu molto più
veloce, grazie al passo più rapido ed al diametro più stretto a quella altezza. Il terzo fu ancora più veloce. Ma la fortuna di Dor, prolungata all'estremo, ormai volgeva al termine. Vide che la sua scorta di fieno non sarebbe durata fino alla cima, e la pioggia li avrebbe presi ad ogni modo. Ebbe l'ardire di tentare di trasformare il passivo in attivo. «Sto terminando il fieno... e il temporale sta giungendo,» disse al mostro. «Sarebbe meglio che mi mettessi giù prima che tutto diventi scivoloso; non ha senso che tu porti il mio gravoso peso.» La creatura esitò, pensandoci su. Dor continuò. «Ovunque tu voglia. Non devi portarmi alla base della montagna. Forse è meglio sulla cima, dove potrò essere fuori dal tuo giro; di sicuro è più vicino.» Era un'ottima idea per il buon senso del bovino. La corri-collina trottò rapidamente a spirale verso il pinnacolo, non disturbata dalla pendenza pressoché verticale del pendio. Dor scese. «Grazie, corri-collina» disse. «Hai veramente dei begli occhi.» La sua esperienza con Irene gli aveva fatto capire l'utilità dei complimenti; erano tutte vanitose riguardo al loro aspetto. Contenta, la corri-collina iniziò a scendere a spirale. In quel momento scoppiò il temporale. La nube si schiantò contro il pinnacolo; la parte centrale della nube andò in pezzi e l'acqua eruppe dagli squarci. La pioggia scrosciò, trasformando istantaneamente la superficie di vetro in qualcosa di simile a ghiaccio sdrucciolevole. Il vento colpì Dor, fischiando accanto all'apice della montagna acuminato come un ago, il quale aveva lacerato la nube che aveva emesso tremende urla. I piedi di Dor scivolarono, e dovette stringere le braccia intorno alla stretta cuspide per evitare di scivolare rapidamente giù. Anche la corricollina era nei guai: puntò tutte e quattro le zampe - ma anche così scivolava gradualmente verso il basso - fin quando la diminuzione della pendenza le rese possibile ritrovare l'equilibrio. Allora piegò il capo, diede un colpetto di coda al naso, e si mise a dormire in piedi. Ad ogni modo, non aveva nessun posto in cui andare. Il temporale non poteva realmente disturbarla. Era al sicuro fin quando non avesse tentato di andare nell'altra direzione. Sapeva che, quando la pioggia fosse diminuita, la corri-collina avrebbe ruminato con soddisfazione. Così Dor aveva finalmente raggiunto la cima, superando l'ultimo ostacolo. Ma... che cosa avrebbe fatto ora? La montagna terminava a punta, senza alcuna entrata. Aveva affrontato tutto quello per raggiungere un luogo sbagliato? Se era così, aveva superato se stesso.
L'acqua che sgorgava dalla nube era fredda. I suoi abiti a brandelli erano fradici, e le dita gli si stavano intorpidendo. Presto avrebbe perso la presa e sarebbe scivolato giù, probabilmente cadendo fin nel limo del fossato. Era un destino quasi peggiore che congelare! «Ci deve essere una via per la quale entrare!», ansimò. «Naturale che c'è, stupidotto,» rispose la cuspide. «Non sei certo acuto quanto me! Perché hai progettato di venire qui? Per lavarti quel corpo sudicio? Credo di non essere troppo pungente.» Perché altro allora? Aveva deciso che era la strada giusta, proprio perché era la più difficile. «Okay, vetro splendente: la tua mente ha più di un lato tagliente rispetto alla mia. Dov'è?» «Non te lo devo dire,» disse il vetro, ridacchiando. «Qualunque idiota, perfino uno ottuso come te, lo capirebbe.» «Io non sono un idiota qualunque!», urlò Dor. Il disagio della pioggia e del freddo lo rendeva irritabile. «Certo che non lo sei! Sei un perfetto idiota.» «Grazie,» disse Dor, placato. Poi si rese conto di essere ingenuo come la media degli inanimati. Con furia, picchiò la fronte contro il vetro... e qualcosa scricchiolò. Ooops, si era rotto il cranio? No, aveva soltanto una leggera contusione. Qualcos'altro aveva fatto quel rumore. Colpì nuovamente la superficie, e si sentì un altro scricchiolio. Oho! Colpì il vetro per la terza volta, e di colpo la cima della montagna si spalancò, come un coperchio il cui fermo fosse stato sganciato. Pendeva da un lato su dei robusti cardini, e all'interno aveva inizio la spirale di una scala a chiocciola. Vittoria! «Basta usare la testa,» rimarco il vetro. Dor si arrampicò nell'apertura. Entrò prima con la testa, poi lottò con se stesso per raggiungere gli scalini con i piedi. Quindi tirò su il coperchio a punta della montagna, ed infine chiuse fuori lo scroscio di pioggia. «Accidenti!» gridò infuriato il temporale, quando fu chiuso fuori. Dor emerse nello studio ingombro di Humfrey. C'erano tomi malconci rilegati in pelle, specchi magici, documenti, ed una gran quantità di manufatti indecifrabili. In mezzo a tutto ciò, quasi perso in quel guazzabuglio, c'era il Buon Mago Humfrey. Humfrey era piccolo, quasi minuscolo, e piuttosto raggrinzito. Aveva la testa ed i piedi grossi quasi quanto quelli di un goblin, ed aveva perso la maggior parte dei capelli quando era giovane. Dor non aveva idea di quanti
anni avesse: aveva paura di chiederlo. Humfrey era un'istituzione senza età. Era il Mago dell'Informazione; ogni cosa si desiderasse conoscere a Xanth, lui la sapeva, e rispondeva ad ogni domanda dietro pagamento di un anno di servizio. Era sorprendente vedere quante persone e creature non si scoraggiassero davanti a quell'onorario esorbitante: sembrava che un'informazione dovesse essere la cosa più preziosa che ci fosse. «Era ora che arrivassi!», brontolò il piccolo uomo, senza notare le condizioni di Dor. «C'è un problema nell'Isola del Centauro, del quale ti devi occupare. Si è rivelato un nuovo Mago.» Questa sì che era una novità! I nuovi Maghi apparivano a Xanth non più di uno per generazione: Dor era stato l'ultimo a nascere. «Chi è? Che talento possiede?» «Sembra sia un centauro.» «Un centauro! Ma la maggior parte di loro non crede alla magia!» «Sono molto intelligenti,» convenne Humfrey. Dor comprese che, dato che i centauri avevano talenti magici - quelli che lo ammettevano - non c'era motivo perché non potesse esistere un centauro Mago. Ma le complicazioni erano tremende. Solo un Mago poteva governare Xanth; e se un giorno non ci fosse stato un Mago umano, ma solo un Mago centauro? Il popolo umano avrebbe accettato un Re centauro? Un Re centauro doveva governare anche la sua razza? Dor dubitava che Cherie la Centaura avrebbe preso ordini da un qualsiasi stregone; aveva una sua opinione molto rigida sull'oscenità, e quella era la fondamentale. «Non mi hai detto qual è il suo talento.» «Non lo so!», disse Humfrey. «Ho bruciato la magia di mezzanotte ed ho rotto gli specchi per accertarmene, ma sembra che il Mago centauro non faccia nulla.» «Allora come fa ad essere un Mago?» «Sta a te scoprirlo!» Naturalmente il Buon Mago non era proprio contento di dover ammettere la sua incapacità nell'accertare i fatti in quel caso. «Non possiamo permettere che il talento sconosciuto di un Mago scorrazzi liberamente; potrebbe essere pericoloso.» Pericoloso? Tutto si collegava. «Uh... l'Isola del Centauro dovrebbe essere a sud» «All'estremità sud di Xanth. Dove altro dovrebbe essere?» Dor non voleva ammettere di aver trascurato quella parte della geografia. Cherie aveva deciso che la storia non-umana e gli studi sociali erano delle materie facoltative e, poiché Dor era umano, non le aveva studiate.
Aveva appreso della migrazione degli Orchi soltanto perché Fracassa era curioso. Il suo amico Chet viveva in un villaggio non lontano dall'Abisso, ad una buona galoppata da Castel Roogna, attraverso uno dei ponti magici. Naturalmente Dor sapeva che esistevano altre colonie di centauri; si erano dispersi su Xanth proprio durante l'insediamento umano. Ma non aveva prestato attenzione ai luoghi specifici. «Crombie il soldato ha individuato a sud la più grande minaccia che esista per Xanth. È un altro lavoro del quale debbo occuparmi. Ed un modo per salvare Re Trent. Così tutto sembra rientrare nello stesso quadro.» «È sempre così. Ogni cosa a Xanth ha un senso, per coloro che hanno l'intelligenza di capirlo. Andrai all'Isola del Centauro. Per che cos'altro sei venuto qui?» «Pensavo di chiederti un consiglio.» «Oh, lo stratagemma salvafaccia degli Anziani. Benissimo. Riunisci i tuoi giovani amici. Viaggerete in incognito; non ci saranno incantesimi o altre affettazioni regali. Non puoi snidare questo Mago nascosto se sa che stai arrivando. Il viaggio prenderà più o meno una settimana...» «Una settimana! Gli Anziani non vogliono lasciarmi andar via per più di un giorno!» «Ridicolo! Non si sono opposti a che Re Trent si recasse in Mundania per una settimana, vero?» «Perché non lo sapevano,» disse Dor. «Non li aveva messi al corrente.» «E invece erano al corrente! Si consultò con me e, dato il necessario riserbo, acconsentii a consultare gli Anziani per sapere se sollevavano obiezioni, cosa che non fecero.» «Ma mio nonno Roland ha detto che non gliene parlò mai,» insisté Dor. «La verità è che lui è in qualche modo contrariato.» «Io stesso gliene parlai. Ecco: verificalo con lo specchio.» Indicò uno specchio magico appeso alla parete. La sua superficie era leggermente incrinata; evidentemente era uno di quelli che avevano sofferto per la recente indagine di Humfrey riguardo al Mago centauro. «Quando parlò il Mago Humfrey con l'Anziano Roland a proposito del viaggio a Mundania del Re Trent?», chiese Dor con attenzione. Bisognava specificare le cose esattamente, poiché la reale profondità degli specchi non era molto intelligente, nonostante la loro abilità nel rispondere alle domande. «Immondizia dentro, immondizia fuori,» aveva affermato enigmaticamente una volta Re Trent, intendendo evidentemente che una domanda stupida otteneva una risposta altrettanto stupida.
Sulla superficie danneggiata dello specchio apparve la coda di un centauro. Dor sapeva che significava NO. «Dice che non è vero,» disse. «Ecco, forse l'ho scordato,» mormorò Humfrey. «Sono troppo occupato per ricordare ogni dettaglio insignificante.» Allora apparve il volto di un centauro: una giovane femmina seducente. Nessuna meraviglia che non ci fossero state proteste da parte degli Anziani! Humfrey, distratto da altre cose, non era andato ad informarli. Re Trent, credendo che il silenzio del Mago significasse l'approvazione degli Anziani, era partito, come da programma. Trent non li aveva raggirati intenzionalmente. Dor se ne rallegrò; aveva avuto delle difficoltà nell'immaginare il Re servirsi deliberatamente di un sotterfugio. Trent era stato sincero nel suo discorso sull'onestà. «Credo che gli Anziani vieteranno il mio viaggio,» disse Dor. «Specialmente dopo...» «Gli Anziani possono andare a...» «Humfrey!», urlò una voce allarmata dalla porta. «Non osare servirti di un tale linguaggio proprio oggi. Hai già rotto uno specchio in quel modo!» Era stato così che lo specchio si era incrinato! Humfrey aveva pronunciato una parola troppo caustica, quando non era riuscito ottenere notizie sul nuovo Mago. Dor si voltò verso la voce. Proveniva dal vuoto che costituiva il viso della Gorgone; una figura prosperosa, assolutamente voluttuosa, statuaria e formosa, di una donna il cui viso nessuno poteva vedere. Humfrey l'aveva posto sotto un incantesimo temporaneo, dieci o quindici anni prima, per proteggere la società dalla magia involontaria della Gorgone mentre lui lavorava ad un modo migliore per risolvere il problema. Sembrava che Humfrey non fosse mai riuscito a trovare questa soluzione. Si sapeva che era un po' distratto. La fronte del Mago si corrugò come se fosse stato infastidito da una zanzara rosa. «Che cos'ha di speciale questo giorno?» Lei sembrò sorridere, o almeno, i piccoli serpenti che erano i suoi capelli, si contorsero in un modo più armonioso. «Lo verrai a sapere a tempo debito, Mago. Ora vatti a cambiare. Metti l'abito buono, quello che non usi da più o meno un secolo. La naftalina l'ha conservato per te.» Poi volse il suo volto vuoto verso Dor. «Vieni con me, Maestà.» Perplesso, Dor la seguì fuori dalla stanza. «Uh, sono di troppo forse?» La Gorgone rise, scuotendo tutto il corpo. Dor la guardò di traverso, per evitare che gli occhi gli schizzassero fuori dalle orbite. «Non credo pro-
prio! Devi celebrare la cerimonia.» La perplessità di Dor aumentò. «Cerimonia?» Si voltò e si piegò verso lui. Lo imbarazzò guardare nella sua testa vuota, perciò abbassò lo sguardo... e si trovò a sbirciare nell'inquietante fessura tra i seni fiorenti. Dor chiuse gli occhi, arrossendo. «La Cerimonia del Matrimonio,» mormorò la Gorgone. «Non hai ricevuto il messaggio?» «Credo di no,» disse Dor. «Parecchi messaggi sembrano essersi persi da queste parti.» «Vero, vero. Ma sei arrivato secondo il programma, per cui tutto è a posto. Soltanto il Re di Xanth può farlo correttamente, secondo quel vecchio musone. Mi ci sono voluti parecchi anni per prenderlo al laccio, e voglio che quel nodo sia ben stretto.» «Ma io non ho mai... non so nulla di...» Dor riaprì gli occhi e li strabuzzo davanti alle montagne, alla valle di quel seno, e davanti al volto vuoto, poi sì ritirò frettolosamente nell'oscurità. Troppo e troppo poco, così vicino! «Non ti allarmare,» disse la Gorgone. «Il mio sguardo non ti pietrificherà.» Questo era quel che pensava. Gli venne in mente che non fosse in realtà il volto della Gorgone a tramutare in pietra. Altre parti di lei potevano trasformare in pietra altre parti di Dor! Ma si sforzò di tenere gli occhi aperti e li sollevò, dal pieno al vuoto, incontrando il suo sguardo invisibile. «Quando avrà luogo?» «Non molto dopo le nozze,» disse. «Sarà un motivo d'orgoglio per me farlo senza dover ricorrere ad un Incantesimo di Potenza.» Dor arrossì furiosamente. «La... intendevo la cerimonia.» La Gorgone gli pizzicò una guancia con gentilezza. «Lo so, Dor. Sei così deliziosamente puro. Irene avrà bisogno di tempo per aver ragione della tua ingenuità.» Così, anche il suo futuro era stato tracciato da una donna, e sembrava che tutte le altre donne lo sapessero. Senza dubbio, esisteva una cospirazione femminile che si tramandava di generazione in generazione. Poteva soltanto ringraziare che Irene non avesse né l'esperienza né il corpo della Gorgone. Assolutamente. Per il momento almeno! Entrarono in quella che sembrava una stanza da letto. «Devi cambiarti quegli abiti inzuppati,» disse la Gorgone. «Veramente, voi giovani potreste stare più attenti. Hai giocato ad acchiapparello con una pianta delle baio-
nette? Lascia che ti tolga questi stracci...» «No!», urlò Dor, benché tremasse negli abiti bagnati e strappati. La Gorgone rise di nuovo, ed il seno le vibrò. «Capisco. Sei un ragazzo così caro! Ti manderò il Signore degli Zombie. Devi essere pronto in mezz'ora; è tutto programmato.» Quindi si voltò ed uscì con passo leggero, lasciando Dor sollevato, confuso, e deluso. Una donna come quella poteva far vibrare un uomo come uno strumento musicale! Dopo un momento arrivò lo scarno, ma piuttosto affascinante, Signore degli Zombie che strinse formalmente la mano a Dor. «Non dimenticherò mai di essere in debito con te, Mago,» disse. «Hai pagato ogni debito quando hai reso Millie il Fantasma felice,» disse Dor, compiaciuto. Era stato di valido aiuto nel portare il Signore degli Zombi nel presente, sapendo che Millie lo amava; ma Dor stesso aveva tratto grande profittò da quell'esperienza. Aveva, nel vero senso della parola, imparato ad essere uomo. Naturalmente, sembrava che avesse dimenticato molto negli anni seguenti - la Gorgone lo avrebbe sicuramente messo a posto! - ma Dor era sicuro che la memoria lo avrebbe aiutato. «Quel debito non sarà mai pagato,» disse con serietà il Signore degli Zombie. Dor non voleva fare obiezioni. Era contento di aver aiutato quel Mago e Millie a riunirsi. Ricordava che aveva promesso di invitarli a visitare Castel Roogna, in modo che i fantasmi e gli zombie potessero rinnovare l'amicizia. «Uh...» iniziò Dor, tentando di trovare un modo per esprimere l'invito. Il Signore degli Zombi tirò fuori un elegante completo della taglia di Dor, e lo aiutò a cambiarsi e a rassettarsi. «Ora dobbiamo rivedere la cerimonia,» disse. Tirò fuori un libro. «Millie ed io ci occuperemo della maggior parte delle cose; siamo già passati per questa sciocchezza. Tu devi soltanto leggere il rituale quando ti darò il segnale.» Dor aprì il libro. Il frontespizio avvertiva che quel testo conteneva un rituale modello per l'unione tra Vecchissimi Maghi e Giovani Fanciulle Voluttuose. Evidentemente era stata la Gorgone a sceglierlo astutamente. Il rituale era abbastanza facile: le righe che toccavano a Dor erano scritte in nero, quelle dello sposo in blu, quelle della sposa in rosa. Vuoi tu, Buon Mago Humfrey, prendere questa leggiadra creatura come tua sposa, per amarla e curarla teneramente fin quando vivrai? Bene, aveva senso; le possibilità che lui le sopravvivesse erano remote. Ma quella specie di contratto rendeva Dor nervoso.
Dor alzò lo sguardo. «Sembra abbastanza semplice, credo. Uh, se abbiamo un momento...» «Oh, abbiamo due o tre momenti, ma non quattro,» lo rassicurò il Signore degli Zombie, quasi sorridendo. Sul viso di Dor si disegnò un largo sorriso. Quel Mago era stato scarno e serio come un cadavere quando Dor lo aveva conosciuto; ora era più in carne ed aveva un carattere migliore. Il matrimonio evidentemente gli aveva fatto bene. «Ho promesso ai fantasmi ed agli zombie di Castel Roogna che la tua famiglia sarebbe venuta presto a visitarci. So che non ti piace troppo mischiarti con gente comune, ma se potessi trovare il modo di...» Il Mago si accigliò. «Ho un profondo debito con te. Credo che se insisti...» «Solo se tu vuoi venire,» disse Dor rapidamente. «Quelle creature... non sarebbe la stessa cosa, se non fosse spontaneo.» «Lo prenderò in considerazione. Oserei dire che anche mia moglie deve esprimere la sua opinione.» Al momento giusto, apparve Millie. Era bella come sempre, a dispetto dei suoi ottocentotrenta e passa anni. Era meno voluttuosa della Gorgone, ma aveva ancora il suo fascino. Dor si sentì nuovamente a disagio: una volta aveva avuto una cotta per Millie. «È naturale che andremo,» disse Millie. «Ne saremo felici, vero, Jonathan?» Il Signore degli Zombie poté soltanto acconsentire con solennità. La decisione era stata presa. «È giunto il momento,» disse Millie. «La sposa e lo sposo sono pronti.» «La sposa, forse,» disse il Signore degli Zombie con una smorfia. «Ho il sospetto che lo sposo lo dovrò costringere.» Si voltò verso Dor. «Scendi nella sala principale, dove gli ospiti si sono già riuniti. Prenderanno posto quando apparirai.» «Uh, certo,» acconsentì Dor. Prese il libro e scese lungo una scala a chiocciola. Il castello appariva diverso dall'ultima volta, ma c'era da aspettarselo. Le sue difese esterne mutavano costantemente, perciò era logico che il suo schema interno la seguisse. Ma, quando raggiunse la sala principale, Dor rimase stupefatto. Era una grande e severa cattedrale, dell'apparente ampiezza di tutto il castello, con imponenti colonne ed archi ornati che sorreggevano il soffitto a cupola di vetro. Ad un'estremità c'era un palco il cui pavimento sembrava di argento solido. Era circondato da enormi vetrate istoriate, evidentemente un altro aspetto interno della montagna di vetro che si trovava al di fuori. Candela-
bri ornati di gemme sostenevano il sole, che era una splendente palla d'oro, presa in prestito per l'occasione. Dor si era sempre chiesto che cosa accadesse al sole quando le nubi lo oscuravano; forse ora lo sapeva. Cosa sarebbe accaduto se non avessero terminato la cerimonia prima che la tempesta si placasse ed il sole dovesse essere restituito? Gli ospiti erano ancora più spettacolari. Ne erano venuti a centinaia e di tutti i tipi. Alcuni erano umani, alcuni umanoidi. Ma la maggior parte erano mostri. Dor scorse un grifone, un drago, una piccola sfinge, parecchi tritoni in una vasca di acqua marina, una manticora, diversi elfi, goblin, arpie, e folletti; una ventina di nichelpiedi, uno sciame di farfalle-frutta, ed un cactus-ago. La porta dal lato opposto sembrava piccola in confronto al suo guardiano: Schiocca l'Orco, il padre di Fracassa, il mostro più orrendo che chiunque potesse mai immaginare. «Che cosa sono?», chiese Dor, stupito. «Sono tutte le creature che hanno ottenuto una risposta dal Buon Mago,o che hanno avuto a che fare con lui nell'ultimo secolo,» spiegò la finestra più vicina. «Ma... ma perché?» Un grottesco demone occhialuto distolse la sua attenzione dalla conversazione con una ninfa. «Vostra Maestà? Sono Beauregard, del Continente Inferiore. Ci siamo qui riuniti, in pace, non perché amassimo necessariamente il Buon Mago, ma perché non uno di noi vuol perdersi la possibilità di vedere Humfrey finalmente RENDERSI SCHIAVO... della più spaventosa creatura conosciuta nel mondo della magia. Su, devi prendere il tuo posto.» Ed il demone guidò Dor lungo il corridoio centrale verso il palco. Passarono accanto ad un assortimento di creature tanto vario da essere uno spettacolo unico. Gli parve di riconoscerne una: Grundy il Golem, apparso lì in qualche modo per quell'occasione unica. Come avevano fatto tutte quelle creature ad oltrepassare le difese del castello? Dor non aveva visto nessuno nei paraggi quando era arrivato. «Oh, tu dovresti essere Re Dor!», gridò qualcuno. Dor si voltò per scorgere una donna affascinante la cui veste era ornata di una fantastica schiera di gemme. «Tu dovresti essere Gemma!», esclamò, mentre un diamante che le ornava i capelli quasi l'accecava. Era della misura del suo pugno, e tagliato in quelle che sembravano milioni di sfaccettature. «Quella con il barile di gemme... la moglie di Crombie.» «Come hai fatto ad indovinare?», disse lei, facendogli lampeggiare da-
vanti agli occhi zaffiri, granati, e opali giganti. «Somigli a tuo padre, Dor. È stato gentile da parte tua venire in sua vece.» Dor ricordava che quella donna aveva amato suo padre. Forse capiva perché Bink non fosse lì; un incontro, perfino dopo tutti quegli anni, poteva essere imbarazzante. «Uh, penso di sì. È un piacere conoscerti, Gemma.» «Mi dispiace che mia figlia Tandy non abbia potuto conoscerti,» disse Gemma. «Sarebbe stato così carino...» Si interruppe, e Dor di nuovo pensò di aver capito perché. Gemma aveva amato Bink; Dor era il figlio di Bink; Tandy era la figlia di Gemma. Era quasi come se Dor e Tandy fossero parenti. Ma come lo si poteva spiegare? Gemma mise una pietra nella sua mano. «Volevo darla a Bink, ma penso che tu te la meriti. Avrai sempre luce.» Dor abbassò lo sguardo verso il dono. Splendeva come un sole in miniatura, quasi troppo scintillante per guardarlo direttamente. Era una Pietra del Sole di Mezzanotte, la più rara di tutte le gemme. «Uh, grazie,» disse imbarazzato. Non sapeva come comportarsi in casi simili. Infilò la pietra in tasca e raggiunse Beauregard che lo stava esortando a muoversi. Quando raggiunse il palco e vi montò su, il mormorio diminuì. La cerimonia era prossima. Ebbe inizio la musica: era il tema familiare suonato solo durante i matrimoni. Dor provò la paura del pubblico. Non aveva mai officiato un affare del genere prima; le opportunità di combinare dei pasticci erano illimitate. Le creature riunite raggiunsero la quiete assoluta, in ansiosa attesa del temuto epilogo. Il Buon Mago Humfrey avrebbe infine avuto il fatto suo! Ci fu uno stropiccio di piedi da un lato. Lo sposo apparve in un completo scuro che sembrava leggermente mangiato dalle tarme: forse non era stato messo sotto naftalina correttamente. Era in qualche modo scarmigliato e subdolamente costretto dal Signore degli Zombi. «Io sono sopravvissuto; potrai sopravvivere anche tu!», sussurrò il testimone, in modo da essere sentito in sala: un mostro ridacchiò. L'espressione sul volto di Humfrey faceva credere che dubitasse seriamente della sua sopravvivenza. Più di un membro dell'uditorio sogghignò, mostrando un assortimento di denti canini. La musica divenne più forte. Dor si guardò intorno e vide che l'organista era un piccolo albero-groviglio, i cui tentacoli si contorcevano con abilità sui tasti. Nessuna sorpresa che ci fosse una tale intensità nella musica! Il Signore degli Zombie, di una bellezza cupa nel suo abito da funerale,
curava nei particolari Humfrey, addirittura spazzolandolo con una scopetta. Poi lo fece fermare con un braccio e quindi lo spinse avanti. La musica suonò vendicativa. Un demone in prima fila contorse la coda e si chinò verso un altro demone. «Una creatura non sa che cosa sia la felicità,» disse, «fin quando non si sposa.» «E allora è troppo tardi!», risposero una mezza dozzina di creature dalla fila seguente. Ci furono applausi sporadici. Il Mago Humfrey indietreggiò, ma la presa del testimone era ferma come la morte stessa. Almeno non aveva portato i suoi zombie alla cerimonia! La presenza della morte che camminava sarebbe stata troppo anche per un simile matrimonio. Ora la musica raggiunse un tono sublime, ed apparve il corteo della sposa. Per prima arrivò Millie il Fantasma nel suo abito da damigella d'onore, e il suo sex appeal fece sbavare i mostri. Dor pensava che ad assumere questo incarico dovesse essere una persona non sposata, ma naturalmente Millie era stata nubile per ottocento anni, perciò tutto era a posto. Poi entrò la sposa stessa e, se la Gorgone era sembrata avvenente prima, ora era sorprendente. Indossava un velo che copriva il vuoto del suo viso, in modo che, a guardarla, sembrasse solo un'incantevole donna voluttuosa. Tuttavia furono poche le creature a guardarla direttamente in viso, diffidando della sua potenza nascosta. Neanche il più baldanzoso drago o albero-groviglio avrebbero osato fissare la Gorgone negli occhi. Dietro di lei camminavano due amorini, un bambino ed una bambina minuscoli. Dor dapprincipio aveva pensato che fossero degli elfi, ma poi capì che erano bambini: i gemelli di tre anni che Milli e il Signore degli Zombie avevano generato. Certamente apparivano molto graziosi mentre reggevano l'estremità del lungo strascico della sposa. Dor si chiese se quegli angelici frugoletti avessero già manifestato i loro talenti magici. A volte un talento si rivelava alla nascita, come nel caso di Dor; a volte non si rivelava mai, come nel caso del padre di Dor... sebbene sapesse che suo padre aveva un tipo di magia che lo stesso Re Trent rispettava. La maggior parte dei talenti si manifestava nel corso dell'infanzia, alcuni prima, altri dopo. La Gorgone avanzava lentamente, nel rinnovato silenzio dettato dal timore e dall'attesa. Dor vide, con un piccolo sobbalzo, che indossava degli occhiali scuri importati da Mundania, in modo tale che gli occhi dietro il diafano velo sembrassero reali. Ora, finalmente, Humfrey e la Gorgone stavano insieme. Lei era più alta
di lui, ma chiunque era più alto di Humfrey, perciò questo non importava. La musica si placò come la calma ingannevole in mezzo alla tempesta. Il Signore degli Zombie fece un cenno a Dor. Era giunto il momento in cui il Re doveva leggere il rituale, e stringere, finalmente, il nodo. Dor aprì il libro con dita tremanti. Ora era grato a Cherie la Centaura per averlo fatto esercitare nella lettura; aveva il testo da seguire, cosicché la sua mente non poteva tradire le direttive, ed ogni cosa sarebbe andata bene. Sapeva che il Buon Mago Humfrey voleva veramente sposare la Gorgone: era solo la cerimonia a scoraggiarlo, come capitava a tutti gli uomini. I matrimoni erano per le donne e per le loro madri. Dor avrebbe affrontato quest'altro compito regale, e senza dubbio avrebbe superato bene l'esperienza. Ma sentiva le ginocchia molli. Perché l'esperienza doveva essere così difficile? Trovò il punto ed iniziò a leggere. «Siamo qui riuniti per intrappolare questo povero idiota...» Ci fu scompiglio nell'uditorio. Le matrone piangenti fermarono le lacrime, mentre i maschi di ogni tipo sorridevano compiaciuti. Dor sbatté le palpebre. Aveva letto giusto? Sì, era scritto proprio così, a caratteri ben chiari. Poteva aver problemi con la compitazione, ma sapeva leggere abbastanza bene. «Con questa fanciulla connivente...» I demoni ridacchiarono. Un serpente sporse il capo dal velo della Gorgone e sibilò. Qualcosa era completamente sbagliato. «Ma qui dice così,» protestò Dor picchiando un indice sul libro. «La spazzoletta e lo stridio...» Ci fu un rauco stridio che attraversò tutta la sala. Poi la spazzola del Signore degli Zombi volò dalla sua tasca e volteggiò davanti a Dor. Confuso, Dor le chiese: «Che cosa fai qui?» «Io sono la scopetta,» rispose. «Hai invocato la spazzola e lo stridio, no?». «Che cos'è uno stridio?» «Lo hai sentito. Un tremendo rumore.» Così uno stridio era un tremendo rumore. Quel giorno il vocabolario di Dor si stava arricchendo rapidamente! «Dovevano essere una sposa ed uno sposo,» disse Dor. «Torna a chi appartieni.» «Awwww. Pensavo di stare per sposarmi.» E la spazzoletta tornò nella tasca. Allora Millie parlò. «Lacuna!» Ed uno dei bambini trasalì. Era la figlia di Millie.
«Hai cambiato i caratteri tipografici?», chiese Millie. A quel punto Dor comprese. Il talento della bambina era quello di cambiare i testi stampati! Non bisognava stupirsi che il rituale fosse impasticciato! Il Signore degli Zombie storse la bocca. «I bambini sono bambini,» disse severamente. «Dovevamo usare degli zombie per portare lo strascico, ma Millie non ha voluto. Tentiamo di nuovo!» Degli zombie al seguito della sposa! Dor fu d'accordo con Millie, in segreto; la putredine ed il tanfo di tomba non si adattavano ad una cerimonia come quella. «Lacuna, rimetti a posto il testo,» disse Millie con severità. «Awww,» disse la bambina, esattamente come aveva fatto la spazzola. Dor sollevò il libro. Ma ora c'era un occhio al centro della pagina. Gli fece l'occhiolino. «Ed ora che cosa accade?» «Eh?», chiese il libro. Un orecchio spuntò accanto all'occhio. «Vuoto!», disse bruscamente Millie, ed il bambino trasalì. «Smettila ora!» «Awww.» E l'occhio e l'orecchio rimpicciolirono e svanirono, lasciando il libro in ordine. Ora Dor conosceva il talento anche dell'altro gemello. Lesse il testo a mente, prima di leggerlo ad alta voce. Era intitolato Manuale di Sepoltura Facile. Guardò torvo Lacuna ed i caratteri tornarono giusti: Manuali di Rituali modello per matrimoni. Questa volta proseguì nel rituale senza interrompersi neanche una volta, ignorando orecchi e nasi che spuntavano da quelle infelici pagine. Ad un certo punto, uri intero volto apparve sul sole, ma nessuno lo stava guardando, per cui non si crearono agitazioni. «Vuoi tu, Buon Mago Humfrey,» concluse, «prendere questa deliziosa Gorgone senza volto come tua...» Esitò, poiché sul testo ora leggeva palla e catena. Qualche pausa era necessaria. «Tua legittima moglie, per tollerarla e sopportarla, per strizzarla fin quando... uh, in salute ed in malattia, per i pochi miseri anni che ti rimangono prima di tirar le cuoia... uh, fin quando entrambi diverrete putridi zombie... uh, fin quando morte non vi separi?» Stava perdendo la traccia del testo originario. Il Buon Mago rifletteva. «Ecco, ci sono aspetti positivi e negativi...» Il Signore degli Zombie gli diede una gomitata. «Attieniti al testo,» bisbigliò. Humfrey lo guardò con un moto di ribellione, ma infine disse: «Penso di sì.»
Dor si rivolse alla Gorgone. «E vuoi tu, creatura pietrificante, prendere questo vecchio gnomo grinzoso... uh...» C'era cascato un'altra volta. Un mostro dall'uditorio sghignazzò. «Prendere il Buon Mago Humfrey...» «Lo voglio.» disse la Gorgone. Dor verificò il testo. Abbastanza conciso, decise. «Uh, le manette...» Oh, no! Con severità il Signore degli Zombie portò l'anello. Un occhio si aprì sul bordo. Il Signore degli Zombie lanciò uno sguardo severo a Vuoto, e l'occhio sparì. Diede l'anello ad Humfrey. La Gorgone sollevò la mano leggiadra. Un serpentello sibilò. «Hey, non voglio andare su quel dito!», protestò l'anello. «È pericoloso!» «Preferiresti piuttosto essere dato in pasto al serpente marino zombie?», gli disse bruscamente Dor. L'anello rimase in silenzio. Humfrey lo fece scivolare al dito della Gorgone. Naturalmente, era il dito sbagliato, ma lei lo corresse gentilmente. Dor tornò al manuale. «Ora vi dichiaro gnomo e most... uh, per l'autorità di Re dei Ladri... uh, di Xanth, di cui sono investito, ora vi dichiaro Mago e Moglie.» Sentendosi debole, ma sollevato per aver portato a termine la cerimonia nonostante il testo traditore, Dor lesse le parole finali. «Puoi cacciare l'urlo.» Ci fu un terribile rumore presago di morte. «Uh, puoi dare una pacca alla marea.» Ci fu un rimestio, come di acqua che reagisce ad un'offesa. «Uh...». La Gorgone afferrò Humfrey, sollevò il velo, e gli diede un bacio sonoro. Ci fu un applauso dell'uditorio, ed un grido luttuoso da lontano. Era il mostro marino che dichiarava il suo dolore per la perdita dell' innocenza del Buon Mago. Millie era furiosa. «Se vi acchiappo, Vuoto e Lacuna...» Ma i due diavoletti erano già battuti in ritirata. Gli invitati si spostarono per la festa nella dei sala ricevimenti dove furono serviti i rinfreschi. Ci fu un grido. Millie guardò ed impallidì, ritornando per un momento al suo aspetto di fantasma. «Jonathan! Non puoi!» «Ecco, qualcuno doveva servire la torta ed il punch,» disse il Signore degli Zombie a propria difesa. «Tutti gli altri erano occupati, e non potevamo chiederlo agli ospiti.» Dor sbirciò. Degli zombie in smoking ed in abito lungo stavano servendo alcune prelibatezze. Pezzi di putredine si mischiavano alla torta, e bave giallognole gocciolavano nel punch. L'appetito degli ospiti sembrava diminuito.
I mostri riuniti, notando che Humfrey non era stato trasformato in pietra, erano ora bramosi di baciare la sposa. Non avevano fretta di razziare i rinfreschi. Si formò una lunga fila. Millie prese Dor per il braccio. «È stato molto bello, Vostra Maestà. Mio marito potrebbe sostituirti durante il tuo viaggio all'Isola del Centauro.» «Lui?» Ma immediatamente la meraviglia e la semplicità del fatto divennero chiare. «È un Mago! Lo farebbe bene! Ma so che non ama indulgere alla politica.» «Ecco, poiché ci recheremo in visita al castello, per vedere i fantasmi e gli zombie: non si tratterà di vera politica.» Dor capì che Millie lo aveva veramente aiutato a togliersi d'impaccio. Doveva soltanto persuadere il Signore degli Zombie ad assumere la carica di Re anche solo temporaneamente. «Uh, grazie. Penso che ai fantasmi piaceranno i gemelli.» Sorrise. «Le pareti hanno orecchie.» Quello era il talento di Vuoto. «Sicuramente!» «Uniamoci ai mostri,» disse Millie, prendendolo per un braccio. Il suo tocco gli procurava ancora un brivido diffuso, forse non solo grazie al suo talento magico. «Come sta Irene? Penso che un giorno farà di te quel che noi donne abbiamo sempre fatto dei Maghi.» «Non è mai venuto in mente a voi cospiratrici che potrei avere degli altri piani?», chiese Dor, irritato nonostante l'effetto che Millie aveva su di lui. Forse reagiva allo scopo di neutralizzare il suo desiderio illecito. Certamente non dimostrava i suoi ottocento anni! «No, non è mai venuto in mente a nessuna di noi,» disse Millie. «Pensi di avere una qualche possibilità di scampo?» «Ne dubito,» disse Dor. «Ma prima dobbiamo affrontare questo misterioso Mago dell'Isola del Centauro. E spero che Re Trent torni presto.» «Anch'io lo spero,» disse Millie. «E spero che torni anche la Regina Iris. È stata lei ad aiutarmi a tornare in vita. Lei e tuo padre. Sarò loro grata in eterno. Ed anche a te, Dor, per avermi restituito Jonathan.» Si riferiva al Signore degli Zombie col suo nome proprio. «Sono stato contento di farlo,» disse Dor. Poi un guazzabuglio di creature li circondò, e Dor si dedicò ai convenevoli di rito. Ognuno aveva una parola per il Re. Dor non era bravo in questo; infatti, si sentiva impacciato quasi quanto il Buon Mago Humfrey. Che cosa era in realtà, sposarsi? «Lo scoprirai!» disse il libro che aveva ancora con sé, ridacchiando dia-
bolicamente. Capitolo 4 La Duna Famelica. Esaminarono tutte le probabili strade e decisero di viaggiare lungo la costa di Xanth. Una volta Bink, il padre di Dor, aveva attraversato la regione centro-sud, giù verso l'entroterra del Lago Orco-Chobee, dove vivevano i demoni-maledizione, e raccomandò loro che non percorressero quella strada. Lì abbondavano draghi, abissi, nichelpiedi ed altri orrori, e c'era una massiccia crescita di rovi che rendeva difficile il passaggio, come pure una zona di polvere magica che poteva risultare rischiosa per la salute mentale di una persona. Dall'altra parte, il mare aperto non era meglio. Un enorme mostro marino vi regnava, depredando tutto quel che era disponibile. Se i draghi regnavano sulle regioni selvagge, i serpenti regnavano nelle profondità acquatiche. Dove svaniva l'atmosfera magica di Xanth, iniziavano i mostri Mundani, che erano ancora peggiori. Dor li conosceva soltanto attraverso il suo disattento studio della geografia; si trattava di alligatori dai grossi denti, squali bianchi, e balene azzurre. Non voleva avere a che fare con cose simili! Ed i fondali bassi della costa escludevano le creature marine più grosse ed i mostri della terraferma. C'erano parecchie possibilità, viaggiando con un giovane robusto come l'orco Fracassa, di camminare, sicuri di non rischiare troppo trambusto. Se il caso fosse stato diverso, gli Anziani non avrebbero mai permesso il viaggio, senza tener conto della necessità di farlo. Invero, insistettero che Dor prendesse alcune magie dall'Arsenale Reale: una Spada Magica, un Tappeto Volante, ed un Cerchio da Fuga. Irene portò una borsa di semi selezionati che avrebbe usato per far crescere piante in caso di bisogno, frutta, noci ed ortaggi per cibarsi, e meloniacqua ed erba-latte se fossero rimasti senza scorte sufficienti di liquidi. Avrebbero usato una barca magica che navigava da sola con rapidità e calma lungo ogni canale che fosse abbastanza profondo, e che era abbastanza leggera da essere trasportata attraverso le dune di sabbia. L'imbarcazione era infaticabile; tutto quel che dovevano fare era guidarla, ed in un giorno ed in una notte li avrebbe portati all'Isola del Centauro. Sarebbe stato certamente più veloce e facile che camminare. Chet, la cui educazione geografica non era stata trascurata, aveva un'idea chiara del profilo delle
coste, ed avrebbe governato la barca tra le secche infide e gli abissi. Partirono a metà mattina dalla spiaggia più vicina a Castel Roogna che era stata ripulita dai mostri. Il giorno era limpido, il mare calmo. C'era una piccola baia tra la terraferma ed una lunga catena di isole: teoricamente, l'acqua era più sicura. Quel viaggio non sarebbe stato solo sicuro, ma anche noioso. Naturalmente, nulla in Xanth poteva esser dato per scontato. Viaggiarono verso sud per un'ora, lungo il canale della baia. Dor si stancò di guardare le isole che passavano, ma era troppo eccitato per riposare. Dopotutto, stavano andando a spiare un Mago Centauro, qualcosa mai vista prima a Xanth, se non si contava Ermanno il Centauro Eremita, che non era stato in realtà un Mago, ma solo un individuo dal forte talento che evocava i Fuochi Fatui. Anche Fracassa era irrequieto; era una creatura nata per l'azione, e questo viaggio tranquillo lo tediava. Dor lo avrebbe sfidato ad una partita di tic-tac-in-punta-di-piedi, uno svago che aveva imparato dal figlio di uno dei coloni soldati, ma sapeva che avrebbe vinto ogni partita; gli orchi non sono molto intelligenti. Grundy il Golem si divertiva chiacchierando con i pesci e le creature marine che passavano. Era stupefacente la curiosità che lo animava. Uno spregevole pesce-sega stava affrettandosi alla volta della pesciolina di un pesce-martello, ed il pesce-martello si stava insospettendo. Molto presto avrebbe spianato a furia di colpi i denti del pesce-sega. Uno zampillo marino si sosteneva con il getto di una sorgente sottomarina di acqua dolce, ubriacandosi del raro liquido. Una piccola ostrica usciva dal letto a mezzanotte e scommetteva dollari di sabbia; si era fatta un vero deposito alluvionale alla banca centrale della sabbia. Ma, quando i suoi parenti lo avrebbero scoperto, la musica sarebbe cambiata. Irene, nel frattempo, attaccò discorso con il centauro. «Sei così intelligente, Chet. Come mai la tua magia è così, ecco, così semplice?» «Nessuno ha il dono di scegliere il suo talento personale,» disse Chet con filosofia. Stava disteso al centro della barca, in modo da tenere il centro di gravità basso, e sembrava essere a suo agio. «Noi centauri ancor meno degli altri, poiché abbiamo scoperto la nostra magia solo di recente. Mia madre...» «Lo so. Cherie pensa che la magia sia una cosa oscena.» «Oh, lei è di larghe vedute riguardo alla sua presenza nelle creature inferiori.» «Come gli esseri umani?», chiese Irene rischiosamente.
«Non c'è bisogno di prendersela. Non facciamo discriminazioni nei confronti della vostra razza, e la vostra magia compensa le vostre manchevolezze.» «Allora, come siamo arrivati al governo di Xanth?», chiese Irene. Dor si interessò alla discussione. Era meglio che sentire le chiacchiere dei pesci. «C'è da chiedersi se gli umani siano veramente la razza dominante a Xanth,» disse Chet. «I draghi delle distese del nord potrebbero avere un'opinione differente. Ad ogni modo, noi centauri concediamo a voi umani le vostre marne. Se volete indicare uno dei vostri e dire, "Quell'individuo regna su Xanth," noi non abbiamo alcuna obiezione fin quando quella persona non interferisce con gli affari importanti.» «Cosa c'è di così importante?» «Non sei nella posizione di poter comprendere le sfumature della società centaura.» Irene si adombrò. «Ah, si? Dimmi una sfumatura.» «Temo che sia una informazione riservata.» Dor sapeva che Chet era in cerca di guai. Nelle vicinanze di Irene si erano già dischiusi dei semi-selvatici vaganti ed erano germogliati polloni e radici, un segno sicuro della sua ira. Ma, come molte ragazze, la nascondeva bene. «Eppure gli umani possiedono la migliore magia.» «Certamente... se si tiene conto della magia.» «Che cosa ne direste voi centauri se mio padre vi trasformasse in farfalle-frutta?» «Bovini-frutta,» disse Fracassa, sentendo di sfuggita. «Mangiamo!» «Non essere sciocco,» disse Grundy. «Ci vogliono ancora due ore per il pranzo.» «Ecco, farò crescere una pianta del pane,» disse Irene. «Puoi guardarla mentre cresce.» Raccolse un seme dalla sua collezione e lo infilò in uno dei vasi pieni di terra che aveva portato con sé. «Cresci,» ordinò, ed il seme germogliò. L'orco osservò la sua crescita con avidità, aspettando che maturasse e producesse la sua prima pagnotta. «Re Trent non farebbe mai una cosa irresponsabile come questa,» disse Chet, ricollegandosi alla domanda. «Noi centauri, generalmente siamo sempre andati d'accordo con lui.» «Perché vi può distruggere. È meglio che andiate d'accordo!» «Non è così. Noi centauri siamo degli ottimi arcieri. Nessuno si può avvicinare tanto da farci del male senza il nostro permesso. Noi andiamo d'accordo per nostra scelta.»
Irene cambiò abilmente argomento. «Non mi hai mai detto che cosa ne pensi della tua magia. Con tutta la tua intelligenza, tutto quel che sai fare è rimpicciolire le rocce.» «Ha la sua importanza. Riduco una pietra in un residuo calcinato. Un residuo calcinato è una piccola pietra, un sassolino usato per fare calcoli. Tali calcoli possono diventare più complessi, ed avere importanti ramificazioni. Così penso che il mio talento magico contribuisca...» «Un mostro in arrivo,» annunciò Grundy. «Me lo ha detto un pesciolino.» «Si dice che non ci siano mostri in queste acque,» obiettò Dor. Grundy si consultò con il pesciolino. «È un drago marino. Ha udito il rumore del nostro passaggio, e così sta venendo ad indagare. Il canale è sufficientemente profondo per lui.» «Sarebbe meglio che uscissimo dal canale, allora,» disse Dor. «Questo non è il posto migliore,» obiettò Chet. «Nessun posto è buono per essere mangiati, stupido!», sbottò Irene. «Non possiamo discutere con un drago marino. Dobbiamo andarcene di qui. Abbiamo bisogno di acque basse.» «Ci sono delle cernie-lupo nei fondali bassi,» disse Chet. «Non c'è alcun pericolo fin quando navighiamo lontano dalle loro tane, ma non è divertente incontrarle. Se potessimo allontanarci prima di deviare...» Ma in quel momento videro la testa del drago che scivolava sull'acqua a sud. Il collo produceva una scia; il mostro nuotava velocemente ed era troppo grosso perché potessero combatterlo. Fracassa, comunque, si teneva pronto. Gli orchi erano troppo stupidi per aver paura. Stava in piedi, facendo oscillare l'imbarcazione pericolosamente. «Per me è da strizzare!», disse, agitando le manone. «Tutto quel che puoi fare è cavargli una manciata di scaglie,» disse Irene. «Nel frattempo, farebbe un unico boccone del resto di noi. Sai che un orco deve avere la terraferma sotto i piedi per affrontare un qualsiasi tipo di drago.» Senza ulteriori discussioni, Chet deviò verso la spiaggia. Ma, quasi subito, la sabbia iniziò a dimenarsi. «Oh, no!», esclamò Dor. «Una duna di sabbia si è spostata su quella spiaggia. Non possiamo andarci.» «D'accordo,» disse Chet. «Quella duna non c'era sulla mia cartina. Deve essersi mossa pochi giorni fa.» Deviò ancora in direzione opposta. Questo era il problema di Xanth; poche erano le cose permanenti. Nel corso di un giorno, la validità di una cartina poteva essere compromessa;
in una settimana poteva essere distrutta. Questo era il motivo per cui la maggior parte di Xanth era rimasta inesplorata. Era stata attraversata più volte, ma i dettagli del terreno non erano stati mai fissati. La duna, notando la loro deviazione, si sollevò in una grossa gobba sabbiosa, la sua forma più tipica. Se fossero stati così sciocchi da metter piede sulla spiaggia, si sarebbe rovesciata su di loro, li avrebbe seppelliti, e consumati senza fretta. Ma ora il drago marino era più vicino. Attraversarono la sua rotta ad una distanza imbarazzante, diretti alla sponda interna dell'isola. Il drago si girò, voltandosi per seguirli ma, in quel momento, le sue spire inferiori entrarono in collisione con le secche, e si fermò. Getti di vapore gli uscirono dalle narici; rimase deluso. Una pinna sbatté contro il fianco della barca. «È una cernia,» urlò Grundy. «Smettila!» Fracassa allungò una mano nodosa per afferrare la pinna e tirò la cosa fuori dall'acqua. La creatura era un pesce grassoccio con larghe e morbide estremità. «Quella è una cernia?», chiese Irene. «Cosa c'è che non va in lei?» Il pesce si arrotolò su se stesso, poggiò le pinne sul braccio dell'orco, e si sollevò. Quindi appoggiò la sua larga bocca sul braccio di Fracassa come per un bacio. «Non farglielo fare!», l'avvertì Chet. «Sta tentando di succhiarti l'anima.» L'orco capì. Lanciò la cernia lontano sull'acqua, dove atterrò con un tonfo. Ma ora ne erano arrivate altre che sbattevano contro la barca, tentando di lanciarvisi dentro. Irene urlò. «Mandale via,» disse Chet. «Non possono prendere la tua anima se tu non glielo lasci fare. Ma tenteranno.» «Stanno saltando da tutte le parti!», gridò Dor. «Come facciamo ad andarcene?». Chet sorrise tristemente. «Ci possiamo spostare nel canale profondo. Le cernie sono creature delle secche; non si spostano nelle acque profonde.» «Ma c'è il drago che aspetta lì!» «Naturalmente! I draghi mangiano le cernie. Questo è il motivo per cui le cernie non si avventurano in quelle acque.» «I draghi mangiano anche le persone,» protestò Irene. «Lo si può considerare uno svantaggio,» convenne il centauro. «Se hai una soluzione migliore, mi uniformerò a quella.»
Irene aprì la sua borsa dei semi e vi scrutò dentro. «Ho il crescione d'acqua. Potrebbe aiutarci.» «Tenta!», esclamò Dor, spingendo fuori bordo tre paia di pinne. «Non arrivano da sole, ma in battaglioni.» Irene sollevò un seme minuscolo. «Cresci!», ordinò, e lo lasciò cadere in acqua. Gli altri si fermarono un momento a guardare. Come poteva un seme così piccolo eliminare una minaccia di quella portata? Immediatamente ci fu una specie di rimestio e ribollio dove era scomparso il seme. Tentacoli minuscoli uscirono dall'acqua dimenandosi simili a vermi. Bolle sorgevano a scoppiavano effervescenti. «Crescione!», sibilava la massa mentre si espandeva. Le cernie esitarono, colte alla sprovvista da quel fenomeno. Poi balzarono sulla massa erbosa succhiandola a tutto andare. «Lo stanno divorando!», disse Dor. «Si,» convenne Irene, sorridendo. Un momento dopo, le cernie stavano gonfiandosi come palloncini. Il crescione non aveva smesso di crescere ed emettere gas, ed ora stava gonfiando i pesci. Presto le cernie si sollevarono sull'acqua, dilatate fino all'inverosimile, e volteggiarono in aria. Il drago addentò quelle che si trovavano alla sua portata. «Un buon lavoro, lo devo ammettere,» disse Chet, ed Irene arrossì per la soddisfazione. Dor provò una fitta di gelosia ed una fitta per la vergogna di aver provato quel sentimento. Non c'era nulla tra Chet e Irene, naturalmente; erano di due specie troppo diverse. Non che questo significasse molto, a Xanth. Nuove razze miste emergevano costantemente, e la chimera discendeva evidentemente da tre o quattro altre specie. Irene discuteva con Chet solo per tentare di rafforzare la propria immagine, ed era lusingata che il centauro lo avesse fatto per lei. E poi, se anche ci fosse stato qualcosa tra loro, perché doveva importare a lui? E invece gli importava, e come! Non potevano tornare nel canale principale, poiché il drago lo percorreva assai attento. Sapeva di averli imprigionati. Chet guidò cautamente verso sud, ricercando il canaletto più profondo della baia, ed evitando ogni cosa sospetta. Ma l'isola che stavano costeggiando stava per finire; ben presto sarebbero stati sul canale oceanico, dalla cui acqua era giunto il drago. Come avrebbero fatto ad attraversarlo mentre il drago era in agguato? Chet fermò la barca e scrutò davanti a sé. Il drago aveva preso posizione nel canale centrale, a sud, e guardava indietro. Sapeva che dovevano passare di li. Lentamente, intenzionalmente, si passò la lunga lingua molle
sulle labbra luccicanti. «Ed ora?», chiese Dor. Lui era il Re; avrebbe dovuto essere il capo, ma aveva la mente vuota. «Credo che dovremo attendere fino al calare della notte,» disse Chet. «Ma pensavamo di poter fare il viaggio in un giorno ed in una notte!», protestò Irene. «Sarà mezza giornata persa!» «Meglio perdere del tempo che la vita, naso verde,» affermò Grundy. «Ascolta, cervello di gallina...», lo ricambiò Irene. Quei due non erano mai andati molto d'accordo. «Sarà meglio attendere,» disse Dor con riluttanza. «Poi potremo passare furtivamente accanto al drago mentre dorme e continuare il nostro viaggio al sicuro.» «Quanto profondamente dormono i draghi?», chiese Irene con diffidenza. «Non molto,» disse Chet. «Sonnecchiano a stento con le narici appena sopra il pelo dell'acqua. Ma sarebbe meglio se ci fosse nebbia.» «Molto meglio!», convenne Irene debolmente. «Nel frattempo, faremmo bene a dormire durante il giorno,» disse Chet. «Uno di noi dovrà fare la guardia per esser certi che la barca non vada alla deriva. Lui, poi, potrà dormire di notte, mentre gli altri lavorano.» «Cosa intendi per lui?», chiese Irene. «C'è troppo maschilismo a Xanth. Pensi che una ragazza non possa fare la guardia?» Chet si strinse nelle spalle della sua parte umana e fece schioccare la sua bella coda distrattamente. «Parlavo genericamente, è naturale. Non ci sono discriminazioni sessuali tra i centauri.» «Questo è quel che pensi tu,» si intromise Grundy. «Chi è il capo nella tua famiglia: Cherie o Chester? Lei gli lascia fare tutto quel che vuole?» «Ecco, mia madre ha un carattere piuttosto fermo!», ammise Chet. «Scommetterei che sono le puledre a comandare all'Isola del Centauro,» disse Grundy. «Proprio come fanno a Castel Roogna.» «Ha, Ha, Ha!», disse Irene, facendo il muso lungo. «Puoi fare la guardia, se vuoi,» disse Chet. «Pensi che non sappia farlo? Bene, lo farò. Dammi quella pagaia.» Irene afferrò la pagaia d'emergenza, che avrebbe potuto esserle necessaria per evitare che la barca andasse alla deriva. Gli altri si distesero a loro agio, usando cuscini e materassini galleggianti. La parte equina di Chet si era ammirevolmente adattata nello stendersi, ma la sua parte umana era più impacciata. Si era appoggiato contro il fian-
co della barca, con la testa sulle braccia piegate. «Ehi... come potrei dormire mentre stiamo sfiorando quel drago?», chiese Irene. «Il mio turno verrà poi.» Ci fu una risatina soffocata da parte di Grundy. «Pensare che è stato un maschilista a spingerla a questo. Soltanto, non russate quando passiamo sotto la coda del drago. Si potrebbe spaventare...». Irene lanciò un cuscino contro il Golem, poi si sistemò risolutamente al suo posto di guardia, osservando il drago. Dor tentò di dormire, ma era troppo raggomitolato. Dopo un po', si mise a sedere. «Non ce la faccio; forse dormirò domani,» disse. Irene fu contenta di avere una compagnia. Si sedette a gambe incrociate di fronte a lui, e Dor tentò di non far caso al fatto che la sua gonna verde non le coprisse completamente le gambe. Aveva delle splendide gambe; in quanto a questo, aveva già superato la Gorgone. A Dor piacevano le gambe; gli piaceva tutto quel che non doveva vedere. Irene fece germogliare una pianta di burro mentre Dor raccoglieva una foglia dalla pianta del pane, e quindi banchettarono con pane e burro in silenzio. Il drago osservava, ed infine, malignamente, Dor arrotolò del pane in un pacchetto compatto e lo lanciò al mostro. Il drago lo acchiappò con precisione e lo inghiottì. Forse non era un mostro tanto cattivo; forse Grundy poteva tentare di parlargli ed ottenere un passaggio tranquillo. No... un predatore simile non poteva trattare. Se il drago voleva lasciarli passare, sarebbe andato via. La strategia migliore era tenerlo sveglio e vigile tutto il giorno, in modo che sarebbe stato stanco di notte. «Pensi che questo nuovo Mago Centauro voglia assumere il comando di Xanth?», chiese con tranquillità Irene quando sembrò che gli altri dormissero. Dor capiva il suo turbamento. Chet, che era un amico, era stato abbastanza arrogante riguardo ai rapporti tra centauri ed umani; quale sarebbe stato il comportamento di un centauro adulto dotato del potere di un Mago? Naturalmente il Mago non doveva essere ancora adulto; doveva essere appena nato. Ma a suo tempo sarebbe cresciuto, ed allora sarebbe potuto diventare una creatura ostinata come Chester, il padre di Chet, ma senza le qualità che erano proprie di Chester. Dor sapeva che ad alcuni centauri non piacevano gli esseri umani. E tendevano a star ben lontani da Castel Roogna. Ma l'Isola del Centauro era ben lontana, ed era da lì che proveniva la minaccia. «Siamo in viaggio per scoprirlo,» le ricordò. «Secondo Crombie, lì tro-
veremo anche qualcosa per aiutare Re Trent. Forse dobbiamo soltanto scoprire come trasformare questa situazione da negativa in positiva.» Irene cambiò posizione, mostrando inconsapevolmente una parte maggiore delle gambe, inclusa la vista tentatrice dell'interno delle cosce. «Tenterai di aiutare mio padre, vero?» «Naturalmente!», esclamò Dor indignato, sperando che, se fosse arrossito, lei presumesse che la causa fossero le sue parole, e non la sua carne. Dor in passato aveva visto delle ninfe assolutamente deliziose scarsamente abbigliate... ma le ninfe non contavano realmente. Erano tutte ben fatte e scarsamente abbigliate, così non erano eccezionali. Irene invece era una vera ragazza, e di quel tipo ce ne erano di belle e di brutte - sua madre Chameleon copriva tutta la gamma nel corso di un mese - e Irene non esibiva di solito molte parti del suo corpo. Perciò, ogni sguardo, oltre un certo perimetro, era speciale. Ma era ancora più speciale quando l'esibizione era inintenzionale come quella volta. «So che se mio padre non tornasse, tu rimarresti Re.» «Non sono pronto per essere Re. Tra vent'anni, forse, potrei esserne capace. In questo momento, voglio che Re Trent ritorni. È tuo padre; e penso che sia mio amico.» «E mia madre?» Dor sogghignò. «Anche la Regina Iris,» disse. «Preferisco affrontare la realistica illusione di un drago, piuttosto che un drago reale.» «Sai che non ho mai avuto una vera privacy fino a quando non è partita?», disse Irene. «Mi ha sempre osservato, spiato! Ho paura persino di pensare, perché temo che abbia fatto scivolare una delle sue illusioni nella mia mente per spiarmi. Ho sempre sperato che le succedesse qualcosa... nulla di male, soltanto qualcosa che me la togliesse di torno per un po'. Solo ora che è...». «Non volevi veramente che ne andasse,» disse Dor. «Non a questo modo.» «No, non a questo modo,» convenne Irene. «È una strega, ma è mia madre. Ora posso fare quel che voglio... ma non so che cosa voglio.» Cambiò posizione di nuovo. Ora l'orlo della gonna le copriva una porzione maggiore di gambe, come se il pensare a sua madre che spiava nella sua mente l'avesse resa cosciente del furtivo spiare di Dor sotto la sua gonna. «Tranne il fatto di riaver li qui.» concluse. Dor trovò che Irene gli piaceva molto più così. Forse la precedente mordacità della sua lingua, quando i suoi genitori erano a Xanth, era causata
dalla costante sensazione di essere osservata. Qualsiasi cosa reale avrebbe potuto essere disprezzata o ridicolizzata. Perciò non aveva mai espresso nulla di reale. «Sai, io ho il problema opposto. Io ho la mia privacy... ma nessuno intorno a me la può avere, poiché non c'è molto di quel che gli altri fanno che io non posso sapere. Tutto quel che devo fare è chiedere ai mobili, o ai loro abiti. Per questo mi evitano e non li posso biasimare. È per questo che trovo più facile avere amici come Fracassa. Non indossa altro che i suoi peli, e pensa che i mobili servano per i falò, e comunque non possiede segreti imbarazzanti.» «Giusto» disse Irene. «Non ho più privacy di quanta ne abbia con mia madre. Ma perché non mi sento minacciata da te?» «Perché sono innocuo,» disse Dor con un sogghigno ironico. «Non per mia scelta; è solo il mio modo di essere. La Gorgone dice che mi hai completamente in tuo potere.» Lei sorrise... un caldo sorriso ingenuo che a lui piaceva moltissimo. «Allora ha fatto la spia. Lei naturalmente vede tutti gli uomini come creature da abbagliare e pietrificare. Il Buon Mago Humfrey non aveva possibilità di scampo. Ma io non so neanche se ti voglio. Cioè, voglio dire: mia madre immagina che ti sposerò per diventare Regina, ma questo è un suo desiderio, non necessariamente il mio. Cioè, perché dovrei desiderare di crescere come lei, con nessun potere reale ed un mucchio di tempo a mia disposizione? Perché rendere mia figlia infelice come lei ha reso me?» «Forse avrai un figlio,» tentò di dire Dor. Questa era una nuova via da esplorare, abbastanza affascinante. «Hai ragione. Sei innocuo. Non sai una cosa però.» Terminò il pane e gettò le briciole in mare. Si dispersero sull'acqua formando dei disegni evanescenti prima di andare alla deriva. In qualche modo il pomeriggio era trascorso; il sole stava calando in acqua dietro la barriera di isole. Ci fu uno sfrigolio lontano quando toccò il liquido, ed una nube di vapore; poi svanì. Gli altri si svegliarono e mangiarono. Chet guidò la barca verso la riva dell'isola. «C'è qualcosa di pericoloso per le persone lì?», le chiese Dor. «Solo la noia,» rispose l'isola. «Non accade mai nulla di interessante qui, tranne forse un paio di temporali stagionali.» Era quel che cercavano: un luogo tedioso. Fecero a turno nel lasciare la barca in modo da espletare le necessità igieniche. Irene volle anche il tempo per far crescere un fiore di «scordati di me». Quando l'oscurità si chiuse su di loro, Dor riesaminò la situazione.
«Stiamo per passare accanto al drago. Irene spargerà alcuni fiori "scordati di me" per annullare il ricordo del nostro passaggio; così le reazioni dei pesci nella zona non ci tradiranno. Ma questo non ci aiuterà se il drago ci vede, ci sente o percepisce il nostro odore direttamente. Non abbiamo alcuna pianta che possa annullare la vista o l'udito; non avevamo previsto questa difficoltà. Per cui dobbiamo agire con estrema cautela.» «Vorrei essere ancora fatto di stringhe e colla,» disse Grundy. «Così non potrei essere ucciso.» «Ma abbiamo alcune altre risorse,» disse Dor. «La Spada Magica può trasformare in un abile spadaccino chiunque l'impugni: ci sarà di grande aiuto contro il drago se ci attacca. Se ci troviamo in serio pericolo, possiamo scappare attraverso il Cerchio di Fuga. L'unico problema è che, usandolo, si arriva all'ampia vasca di rifornimento del Cervello-Corallo, che si trova in profondità sotto la superficie terrestre, ed il Cervello-Corallo non ama liberare le creature che vi si siano immerse. È mio amico, ma preferisco non abusare di questa amicizia senza un'assoluta necessità. E poi abbiamo anche il Tappeto Volante, ma può trasportare solo una persona alla volta, più Grundy. Penso possa trasportare Fracassa, ma non Chet, per cui non è certo l'ideale.» «Non riuscirei a passare neanche attraverso il Cerchio,» disse Chet. «Sì. Per cui, Chet, tu sei il più vulnerabile in questa situazione, a causa della tua massa. Così dobbiamo programmare un'altra difesa.» A questo punto Dor si interruppe perché Irene lo stava guardando in modo strano. «Cosa c'è?» «Stai brillando,» disse la ragazza. Dor sussultò e si guardò. La luce proveniva da una delle sue tasche. «Oh... è la Pietra di Sole di Mezzanotte che Gemma mi diede in modo da avere sempre luce. Me ne ero dimenticato.» «Ma non ci serve luce al momento,» fece notare Irene. «Avvolgila in qualcosa.» E, così dicendo, gli porse un pezzo di stoffa. Dor avvolse la gemma con attenzione, finché il bagliore fu così tenue da essere irrilevante, e se la rimise in tasca. «Ora,» proseguì Dor, «Irene ha alcuni semi che possono produrre piante devastanti - è realmente una Maga, nonostante quel che gli Anziani dicono - ma la maggior parte di queste piante sarebbero pericolose per noi quanto per un eventuale nemico. Dobbiamo piantarle e scappar via.» «Ce ne è qualcuna che possa bloccare l'acqua in modo che il drago non ci insegua?», chiese Chet.
«Oh, si,» disse Irene, felice per il complimento di Dor a proposito del suo talento. «L'erba kraken...» «Capisco cosa vuol dire Dor,» disse il centauro prontamente. «Non voglio nuotare nello stesso oceano con un kraken!» «O potrei piantare un assordafiore su quest'isola, ma probabilmente assorderebbe anche noi. Pensò la ragazza. «Aha! Ho dei semi del pop-corn. È inoffensivo, ma fa un terribile fracasso. Potrebbe distrarre il drago per un po'.» «Fanne crescere un po' per me,» disse Chet. «Lo getterò alle mie spalle, se dovesse nuotare.» «C'è solo un problema,» disse Irene. «Non posso farlo crescere di notte. È una pianta diurna.» «Potrei tirar fuori la Pietra di Sole,» si offrì Dor. «Penso sia troppo piccola. Abbiamo bisogno di parecchia luce, irradiata dappertutto, non sprigionata da minuscole sfaccettature.» «Cosa riesci a far crescere naturalmente di notte?», chiese Chet con severità. «Ecco, delle ipno-zucche crescerebbero bene; generano da sole la loro luce, all'interno. Ma non dovrete guardare nello spiraglio; perché...» «Perché sareste immediatamente ipnotizzati,» terminò Chet. «Fanne crescere una, ad ogni modo; potrebbe essere utile.» «Come vuoi,» acconsentì dubbiosamente. Si chinò su un fianco della barca e fece cadere un seme sulla spiaggia. Cresci!», mormorò. «Allora, se ci saranno problemi, tu, Irene, prenderai il tappeto volante. Puoi lasciar cadere un seme di kraken accanto al drago, mentre noi usiamo il Cerchio o ci mettiamo in salvo a nuoto. Ma faremmo meglio ad evitare che il drago ci noti. Poi potremo procedere verso sud senza ulteriori problemi.» Non ci furono obiezioni. Aspettarono che la ipno-zucca desse i frutti, e quella produsse un bell'esemplare. Chet lo avvolse in un panno e lo nascose nella barca. L'imbarcazione riprese quindi a muoversi, spingendosi lentamente nel canale verso sud, mentre i suoi occupanti osavano a stento respirare. Chet la fece svoltare verso est, per tagliare prima il canale principale, in modo da evitare il mostro che presumibilmente li attendeva a sud. Nella silente oscurità, non potevano vederlo più di quanto lui potesse vedere loro. Ma il drago li aveva messi nel sacco. Aveva posto in quel canale un pesce-sole che funzionava secondo un principio simile a quello della Pietra
di Sole, ma era un migliaio di volte più grosso. Quando gli si avvicinarono, il pesce iniziò a splendere di colpo, come il sole stesso, accecandoli. La sua pinna arrotondata emergeva dalla superficie dell'acqua, e la sua luce aveva trasformato la notte in giorno. «Oh, no!», urlò Dor. Lui aveva avvolto con tanta attenzione la sua Pietra di Sole... ed ora la situazione era infinitamente peggiore. Ci fu un gaio richiamo da parte del drago. Videro i suoi occhi brillare come fuochi davanti a loro. I draghi d'acqua non hanno fuoco interno; gli occhi riflettevano solo lo splendore del pescesole. «Pianta il kraken!», urlò Dor. «No!», si oppose Chet. «Non possiamo farlo vicino alle secche della terraferma!» Intanto, la barca, scivolando, attraversò tranquillamente il canale prima che arrivasse il drago. Il mostro era solo una sagoma che si stagliava contro la luce emanata dal pescesole, fremendo per la delusione. Aveva organizzato tutto così bene, ed aveva perso! Lanciò il suo richiamo. «Maledizione!», tradusse Grundy. «Sono stato ancora battuto!» «Che cosa sapete delle dune di sabbia?», chiese Irene impaurita. «Di solito sono inermi di notte,» disse Chet. «Ma non è più notte,» gli ricordò la ragazza, con la voce che aveva assunto il tono acuto dell'isteria. In realtà, le scure collinette stavano avanzando in piccole onde, avvicinandosi alla riva. La sabbia aveva una massa sufficiente, e l'acqua era così bassa, che la duna vi si poteva immergere. La battigia affamata stava avanzando verso di loro. «Se indietreggiamo davanti alla duna, entriamo nel raggio d'azione del drago,» disse Chet. «Diamo alla duna quello stupido da mangiare,» suggerì Fracassa. «Stupido? Intendi dire il drago?», chiese Dor. L'orco annuì. «Certo!», disse Irene. «Parla con la duna, Dor. Dille che attireremo il drago nel suo raggio d'azione, se ci lascia andare.» Dor meditò. «Non so. Detesto l'idea di mandare qualunque creatura ad una simile morte... e poi non so se ci si può fidare della duna.» «Bene, menala per il naso... Una volta che avrà catturato il drago, non avrà tempo per preoccuparsi di noi.» Dor lanciò uno sguardo da un lato alla duna e dall'altro al drago che si leccava i baffi, e notò come lo spazio tra di loro fosse diminuito. «Prova
prima a discutere con il drago,» disse a Grundy. Il golem emise una serie di versi, grugniti e fischi. Era sorprendente quanto fosse versatile nell'emettere dei suoni... ma ovviamente quello era il suo talento magico. Dopo un istante, il drago balzò in avanti, tentando di afferrare con le enormi mandibole l'intera barca, ma lo slancio fu troppo corto. L'acqua si sollevò come per un piccolo maremoto. «Gli ho chiesto se non vi piacerebbe lasciar andare in pace un gruppo di persone in viaggio per conto del Re», disse Grundy. «Ha rispost...» «Abbiamo visto che cosa ha risposto,» disse Dor. «Benissimo, tenteremo l'altra strada». Si voltò quindi verso la spiaggia e chiamò: «Ehi, duna!» A quel richiamo, la duna rispose. «Stai chiamando me, bocconcino?» «Voglio fare un patto con te.» «Ha! Verrai mangiato in ogni caso. Che tipo di offerta mi fai?» «L'intero carico di questa barca è una briciola per il tuo appetito. Ma potremmo procurarti un vero pasto, se ci lascerai in pace.» «In realtà, io non mangio,» disse la duna. «Io conservo. Pulisco e metto al sicuro le ossa di diverse creature in modo che possano essere ammirate di qui ad un millennio. I miei tesori sono chiamati fossili.» Così questo mostro, come parecchi della sua categoria, pensava di essere un benefattore di Xanth. Esisteva qualche creatura o cosa, non importa quanto tremenda, che non razionalizzasse la sua esistenza e le sue azioni in tal guisa? Ma Dor non era lì per discutere. «Non preferiresti fossilizzare un drago piuttosto che una collezione di briciole piagnucolanti come noi?» «Oh, non saprei. I piagnoni sono comuni, ma anche i draghi. La grandezza non è tanto importante per la documentazione fossile quanto la qualità e l'integrità del corpo.» «Hai già un drago marino nella tua documentazione?» «No, la maggior parte finisce da un mio cugino, l'immondezzaio degli abissi, proprio come la maggior parte degli uccelli viene raccolta da un altro mio cugino, il pozzo di catrame. Mi piacerebbe proprio avere un esemplare come quello.» «Ti offriamo quel drago marino,» disse Dor. «Tutto quel che devi fare è un canale profondo abbastanza perché il drago ci passi. Poi noi ce lo attireremo dentro, ed allora potrai chiudere il canale ed assicurarti il tuo esemplare per la fossilizzazione.» «Ehi! Potrebbe funzionare!», acconsentì la duna. «Siamo d'accordo.» «Allora, inizia a scavare il canale. Noi lo navigheremo per primi, portandoci dietro il drago. Tuttavia, fai in modo che noi possiamo andarcene.»
«Certo: voi ve ne andate, e il drago resta.» «Non mi fido,» mormorò Irene. «Neanche io,» convenne Dor. «Ma siamo nei guai. Chet, puoi fare i tuoi calcoli.» «La più piccola delle pietre può essere considerata il granello,» disse Chet. «Vale a dire, la sabbia. Ora la sabbia possiede alcune proprietà...» Si fermò, poi riprese. «Hai dei semi di alghe?», chiese ad Irene. «Ne ho parecchi. Ma non vedo come...» Poi i suoi occhi lanciarono un bagliore. «Oh, capisco! Sì, mi terrò pronta, Chet!» La sabbia iniziò a curvarsi in due cumuli gemelli ed aprì uno stretto canale d'acqua tra di loro. Chet diresse la barca nel canale. Il drago, accortosi che erano fuggiti, emise un verso furibondo e digrignò i denti. «Esprimi la speranza che il drago non capisca quanto sia profondo il canale,» disse Dor a Grundy. «Nella lingua del drago.» Grundy sorrise. «Conosco il mio compito!», ed emise i versi tipici del drago. Il drago iniziò immediatamente ad esplorare la bocca del canale spingendovi dentro la testa. Con un verso di gioia, scivolò dentro quell'invitante passaggio. Presto il drago si avvicinò alla loro scia. Il suo corpo occupava tutto lo spazio tra le dune. «Ora... imprigionalo!», urlò Dor alla duna. E così fece la duna. Di colpo il canale si strinse e sparì, mentre la sabbia vi si riversava. Il drago capì troppo tardi il pericolo; urlò e si dimenò, ma ormai era intrappolato nell'acqua bassa. Comunque, anche la parte di canale davanti alla barca si stava riempiendo. «Ehi, lasciaci andare!», urlò Dor. «Perché dovrei lasciar andar via del materiale fossile così perfetto?». Chiese la duna. «In questo modo ho, sia voi che il drago. È il colpo del secolo!» «Ma hai promesso!», disse Dor lamentosamente. «Abbiamo fatto un patto!» «Promesse e patti non valgono il fiato che si spreca per pronunciarli... ed io neanche respiro.» «Lo sapevo,» disse Chet. «Traditore!» «Irene, fai vedere quel che sai fare,» disse Dor. Irene prese due manciate di semi. «Cresci!», gridò, disseminandoli con un gesto ampio. Su entrambi i lati della barca l'erba crebbe rapidamente, piantando le profonde radici nella sabbia, bloccandola, trattenendola.
«Ehi!», urlò la duna, più di quanto avesse fatto Dor, cercando di liberarsi dalle radici delle alghe. «Ti sei rimangiata il nostro accordo,» le urlò Dor. «Ora subirai la giusta punizione.» Infatti la sabbia in quella zona non riusciva più a muoversi; l'alga l'aveva trasformata in normale terra. Adirata, la duna fece un ultimo sforzo. Si inarcò orrendamente nella zona aldilà dell'erba in crescita, poi si curvò in avanti con un tale impeto che si rovesciò nel canale, riempiendolo. «Sta rovesciando la barca!», urlò Dor. «Abbandonare la nave!» «Che gratitudine!», protestò la barca. «Vi ho trasportati con lealtà per tutta Xanth, rischiando la chiglia e, nel momento in cui il gioco si fa pesante, mi abbandonate!» L'argomentazione della barca era fondata, ma loro non potevano permettersi il lusso di discutere. Incuranti della sua obiezione, si radunarono fuori della barca mentre la sabbia si ammonticchiava all'interno. Corsero lungo la zona dove l'erba aveva attecchito mentre la barca spariva inghiottita dalla duna. La sabbia non poteva seguirli lì; aveva raggiunto il suo limite, e già le alghe strisciavano sul nuovo tumulo, inchiodandolo. Il corpo principale della duna dovette ritirarsi per concentrarsi sul drago che si dibatteva, ma si ripromise di scappare dal canale scomparso per tornare nel mare. La combriccola si fermò ai margini della baia. «Abbiamo perso la barca,» disse Irene. «Ed anche il Tappeto Volante, il Cerchio da Fuga, ed il cibo.» «Ed il mio arco con le frecce,» aggiunse Chet addolorato. «Tutto quello che ho salvato è la zucca. Ci siamo tenuti troppo vicini; questi mostri sono più forti ed intelligenti di quanto pensassimo. Con l'esperienza si impara.» Dor rimase in silenzio. Era il capo nominale di quella combriccola; la responsabilità era sua. Se non era riuscito a guidare una semplice gita verso sud, come poteva sperare di tener testa alla situazione quando avrebbero raggiunto l'Isola del Centauro, come avrebbe fatto il Re se si fosse presentata l'occasione? Ma non potevano restare lì a lungo, né assorti in meditazione, né presi dalla disperazione. Ormai gli indigeni della regione avevano cominciato a notarli. L'erba carnivora si alzò laddove le alghe appena piantate, se ne andavano mentre la prima allungava i suoi germogli affamati verso di loro. I tralci tremavano, e gocce luccicanti di saliva-linfa stillavano dalle superfici. Si sentì un ronzio d'ali; presto si sarebbe visto qualcosa volare. Ma infine il pesce luna suspense e tornò la notte; le creature del giorno si
allontanarono confuse e le creature della notte si mossero. «Se c'è una cosa peggiore del giorno nelle regioni selvagge,» disse Irene, con un brivido, «è la notte. Che cosa facciamo adesso?» Dor desiderò avere una risposta. «Le tue piante ci hanno salvato una volta,» le disse Chet. «Hai un'altra pianta in grado di proteggerci o trasportarci?» «Fammi vedere.» Al buio infilò una mano nella sua borsa di semi e tastò. «Soprattutto piante alimentari e piante per effetti speciali... un alberobarile-di-birra, come è finito qui dentro?... un carrubo... un giunco di palude...» «Giunchi di palude!», disse Chet. «Non sono quelle canne che hanno sempre fretta?» «Si precipitano ovunque,» convenne Irene. «E se li usassimo per costruire una barca od una zattera, ne potremmo controllare il movimento?» «Si, credo di sì, se si mettesse un anello sulla prua dell'imbarcazione. Ma..» «Proviamoci,» disse il centauro. «Qualsiasi cosa sarà meglio che aspettare qui che qualcuno ci assalga a tradimento.» «Farò crescere i giunchi,» acconsentì. «Possiamo intrecciarli prima che siano maturi. Ma tu dovrai trovare un anello prima che finiamo.» «Dor e Grundy: per favore, interrogate tutto quello che potete, e vedete se riuscite a trovare un anello,» disse il centauro. I due cominciarono: Dor ad interrogare gli inanimati, Grundy gli animati. Nessuno dei due riuscì a trovare un anello nelle vicinanze. Il lavoro di intreccio dei giunchi procedeva velocemente; sembrava che Chet e Irene conoscessero la tecnica e lavorassero bene insieme. Ma i giunchi già si dibattevano, cercando di liberarsi per viaggiare. Il viluppo di canne germogliava: presto sarebbe stato troppo forte da trattenere. «L'anello, fratello», disse Fracassa. «Ci stiamo provando!», rispose aspramente Dor, aggrappato ad un angolo della stuoia che si dimenava. Quella cosa era orribilmente forte. «Germina il verme,» disse in tono insistente l'orco. La sua enorme zampa pelosa spinse qualcosa verso Dor. L'oggetto sembrava un cappio di pelo. Un cappio? «Un anello!», esclamò Dor. «Dove l'hai preso?» «Sul piede mi crebbe,» spiegò Fracassa. «E prudeva.»
«Hai fatto crescere l'anello sul tuo piede... e ti prudeva?» Dor aveva qualche problema ad assimilare il concetto. «Fammi guardare,» disse Grundy. Emise un buffo sfrigolio, parlando con qualcuno, poi scoppiò a ridere. «Sai che cos'è? Una tigna!» «Una tigna!», gridò Dor con sgomento e lasciò cadere l'animale orrendo. «Se è un anello, ne abbiamo bisogno,» disse Chet. «Prima che questa stuoia se ne vada.» Mortificato, Dor tastò a terra e raccolse la tigna. La porse con cautela al centauro. «Ecco.» Chet l'infilò nella prua dell'imbarcazione, poi strappò qualche lungo pelo dalla sua bella coda e li attorcigliò in un laccio che passò attraverso l'anello. Improvvisamente l'imbarcazione di giunchi si placò. «La prua è sensibile,» spiegò Chet. «L'anello le fa male se si muove con violenza, così anche questa potente creatura può essere controllata.» «Qualcuno viene!», avvertì Fracassa. Gli altri preferirono affrettarsi a dirigere verso l'acqua la barca di giunchi, ormai docile, piuttosto che aspettare di vedere che cosa fosse capace di innervosire un orco. Quando la zattera fu sulla superficie dell'acqua, vi salirono con prudenza e la allontanarono dalla riva. La barca non era a tenuta stagna, ma i singoli giunchi galleggiavano, di conseguenza la zattera stava a galla. Qualcosa brontolò nell'oscurità, sulla riva: era un suono profondo, cupo, pulsante, potente e sgradevole. Poi, sconfitto, se ne andò, e la terra tremò. Una zaffata di puzza arrivò fino a loro, umida e soffocante. Nessuno domandò che cosa fosse. Allora Chet allentò un po' la presa sui giunchi di palude. La zattera si inalberò, formando una scia lievemente fosforescente. I loro volti furono colpiti da un forte vento. «Riesci a vedere dove stiamo andando?», chiese Irene, con voce incerta. «No,» disse Chet. «Ma i giunchi di palude si muovono meglio nelle acque aperte. Non andrebbero mai a sbattere contro la costa oppure contro un mostro.» «Ti fidi di loro più di quanto mi fidi io,» disse lei. «E sono stata io a farli crescere.» «Una conoscenza elementare della natura dei vegetali!», rispose il centauro. «Posso appoggiarmi contro il tuo fianco?», chiese Irene. «Oggi non ho dormito, e il tuo pelo è così soffice...»
«Fa' pure,» disse Chet con gentilezza. Si era disteso di nuovo, in quanto le canne intrecciate della zattera non riuscivano a sostenere il suo peso in piedi. I giunchi avevano fatto passare dell'acqua e Dor era riuscito a svuotare la zattera; adesso non erano più seduti nell'acqua di mare. Nemmeno Dor aveva dormito, ma non aveva voglia di appoggiarsi al fianco peloso di Chet. Le stelle si muovevano. Dor era disteso supino e determinava la direzione del viaggio della zattera sulla base del moto apparente delle stelle. Non era omogeneo: i giunchi manovravano in maniera tale da trovare la rotta lungo la quale potersi muovere più in fretta, senza ostacoli. Sembravano sapere dove andassero, e questo, per il momento, bastava. A poco a poco apparvero le costellazioni, schemi nel cielo, formazioni di stelle che passavano dalla casualità alla suggestione del significato. Si foggiavano immagini, rappresentazioni di creature, oggetti e concetti. Alcune assomigliavano a volti; gli parve di vedere Re Trent guardarlo con un'occhiata sincera e intelligente. Dove siete? gli chiese Dor, senza parole. Il viso del Re si aggrottò. Sono prigioniero in un castello medievale di Mundania, disse. Qui non ho poteri magici. Tu mi devi portare la magia. Ma non posso farlo! protestò Dor. La magia non è qualcosa che si può trasportare, soprattutto non all'interno di Mundania! Devi usare il passaggio per liberarmi. Quale passaggio? Chiese Dor, eccitato. Il passaggio del centauro, rispose Trent. Poi uno spruzzo di acqua salmastra colpì Dor in volto, ed il ragazzo si destò. Il volto stellare era scomparso; era stato un sogno. Ma il messaggio era rimasto. L'Isola del Centro? La sua ignoranza dell'ortografia gli fece dubitare di aver capito bene. Come poteva usare un'isola per trovare Re Trent? Il centro di che cosa? Se si trattava di un centauro, questo significava che Chet aveva un ruolo essenziale? Se si trattava di un passaggio, un passaggio tra che cosa? Se si trattava veramente di un messaggio, di una profezia, come poteva farne uso? Se era solo un sogno casuale od una visione, una costruzione della sua mente sovraffaticata e tortuosa, avrebbe dovuto ignorarlo. Ma fenomeni simili erano raramente un caso a Xanth. Turbato, Dor si riaddormentò. Quello che aveva vissuto non era stato un incubo, perché non l'aveva spaventato, e naturalmente gli incubi non potevano correre sull'acqua. Forse sarebbe tornato ed avrebbe chiarito il suo
significato. Ma il sogno non ritornò, e Dor non riuscì ad evocarlo guardando le stelle. Le nuvole avevano cosparso tutto il cielo notturno. Capitolo 5 I lenoni assedianti Dor si svegliò di nuovo quando arrivò l'alba. Il sole, in qualche modo, era arrivato ad oriente, dov'era la terra, e si era asciugato in modo da splendere nuovamente. Dor si chiese quale fosse il suo pericoloso tragitto. Forse aveva una galleria in cui rotolare. Se fosse riuscito ad escogitare un sistema per scendere nell'oceano senza inzupparsi, forse il sole lo avrebbe messo veramente in pratica! Forse Dor avrebbe dovuto suggerirglielo una volta o l'altra. Dopotutto, qualche mattina il sole ci metteva parecchie ore prima di splendere e, ovviamente, alcune notti erano peggiori di altre. Ma non gli avrebbe dato quel suggerimento proprio allora; non voleva che il sole se ne andasse ad esplorare nuovi itinerari, lasciando Xanth al buio per giorni e giorni. Dor aveva bisogno della luce per trovare la strada verso l'Isola del Centro. La Pietra di Sole di Mezzanotte che gli aveva regalato Gemma, non era sufficiente. L'Isola del Centauro: era lì che doveva trovare Re Trent? No, i centauri non avrebbero mai imprigionato il Re e, ad ogni modo, Trent si trovava a Mundania. Ma forse qualcosa che si trovava sull'Isola del Centauro era" collegata alla prigionia del Re. Se solo avesse potuto scoprire che cosa! Dor si alzò a sedere. «Dove siamo, adesso, Chet?», chiese. Non ebbe risposta. Anche il centauro si era addormentato, Irene era appoggiata al suo fianco. Fracassa e Grundy Tonfavano a poppa della zattera. Si erano addormentati tutti! Nessuno guidava l'imbarcazione o controllava la rotta! I giunchi andavano dove volevano, il che poteva significare ovunque! La zattera si trovava in mezzo all'oceano. Il mare si estendeva fino all'orizzonte, in ogni direzione. Era stata solo la fortuna a far sì che nessun mostro marino li avesse visti e li avesse ingoiati nel sonno. In realtà, ce n'era uno in vista, proprio in quel momento! Ma, mentre il mostro procedeva a gran velocità verso l'imbarcazione, Dor si accorse che la rapidità dei giunchi era tale che il serpente non riusciva a raggiungere la zattera. Erano al sicuro a causa della loro velocità. Poiché si stavano dirigendo verso sud, ormai avrebbero dovuto essere vi-
cini all'Isola del Centauro. No, non era una conseguenza necessaria. Dor aveva tratto più profitto dalle lezioni di logica di Cherie che da quelle di ortografia. Cercava sempre alternative alla conseguenza più ovvia. Era possibile che l'imbarcazione avesse navigato in tondo tutta la notte, oppure che avesse viaggiato verso nord e che avesse virato verso sud all'alba. Potevano essere ovunque. «Dove siamo?», chiese Dor all'acqua più vicina. «Longitudine 83, Latitudine 26, o viceversa,» disse l'acqua. «Io confondo sempre i paralleli con i meridiani.» «Questo a me non dice niente!», esclamò Dor. «Ma a me, sì,» disse Chet, che si era svegliato. «Siamo molto al largo, ma siamo anche sulla rotta che ci porterà alla nostra meta. Dovremmo arrivare entro stasera.» «Ma se un mostro ci acchiappa qui, in mare aperto?», chiese Irene, che si era svegliata in quel momento. «Preferirei essere più vicina alla terra.» Chet si strinse nelle spalle. «Non possiamo virare verso terra. Nel frattempo, perché non fai crescere delle piante che ci procurino del cibo e dell'acqua dolce?» «E una pianta parasole, per ripararci dal sole,» disse lei. «E una siepeprivacy, per quello-che-sai.» Si mise al lavoro. Poco dopo bevevano acqua profumata di una piantabrocca e mangiavano focaccine delle piante-bignè. Una nuova siepe separava la poppa dell'imbarcazione, dove le brocche usate servivano ad un altro scopo. Numerosi parasole fornivano loro una piacevole ombra. La zattera era diventata comodissima. L'imbarcazione di giunchi reagì allo strattone dato da Chet al laccio legato all'anello, e virò verso est, dove avrebbe dovuto trovarsi la lontana terra. Fracassa l'Orco annusò l'aria, e si guardò intorno con attenzione. Poi indicò. «Vedo in arrivo una vecchia modesta tempesta,» annunciò. «Oh, no!» Dor vide nubi fosche addensarsi all'orizzonte, verso sud. Gli acuti sensi di Fracassa l'Orco l'avevano localizzata subito, ma in pochi attimi fu visibile anche agli altri. «Siamo nei guai,» disse Grundy. «Vedrò che cosa posso fare.» «Che cosa puoi fare?», chiese Irene, in tono sprezzante. «Hai intenzione di agitare le tue minuscole e stupide manine e trasportarci magicamente altrove?» Grundy la ignorò. Parlò all'oceano in tutte le lingue usate dalle creature
marine. Dopo qualche istante, disse: «Penso di avercela fatta. I pesci stanno consultandosi con un'anguilla eclettica.» «Con che cosa?», domandò Irene. «Intendi una di quelle disgustose creature?» «Un'anguilla eclettica, stupidona. Raccoglie qualsiasi cosa. Non fa nulla di originale: mette insieme tutti i pezzetti e i pezzettini che altri hanno prodotto.» «Come può aiutarci qualcosa del genere?» «Faresti meglio a chiedere perché ci aiuterà.» «Va bene, testa di legno. Perché?» «Perché le ho promesso metà dei tuoi semi.» «Metà dei miei semi!», esplose Irene. «Non puoi farlo!» «Se non lo faccio, la tempesta ci farà inabissare tutti.» «Ha ragione, Irene,» disse Chet. «Siamo su un barile, parlando in senso figurato.» «Metterò quel maledetto stupido di un golem in un barile e incollerò il tappo!», gridò. «Un barile di pepe bianco forte! Non ha il diritto di promettere cose di mia proprietà.» «Va bene», disse Grundy. «Di' di no all'anguilla.» Un muso stretto spuntò dal mare che si andava agitando. Un gelido colpo di vento scompigliò i capelli di Irene e le fece aderire il vestito al corpo, rendendola straordinariamente graziosa. Il cielo si incupì. «Dice, parlando in senso figurato, che hai un bel corpo,» riferì Grundy con un sorrisetto compiaciuto. Quell'assurdo complimento la spiazzò. Era difficile dir di no a qualcuno che aveva fatto un'osservazione simile. «Oh, va bene», disse, imbronciata. «Metà dei semi. Ma li sceglierò io.» «Bene, e allora lanciali, stupida,» disse Grundy, aggrappato al bordo della zattera, che si alzava sulle onde. «Ma germoglieranno!» «E così deve essere. Falli crescere tutti. Usa la tua magia. L'anguilla eclettica esige pagamenti anticipati.» Irene assunse un'espressione ribelle, ma la prima goccia di pioggia la colpì sul naso e lei decise di portare a termine il compito. «Pellaccia di spago, maledetto golem!», mormorò Irene. Lanciò i semi uno alla volta nell'acqua agitata, e a ciascuno rivolse un appello. «Cresci, come l'ego di un golem. Cresci, come la testa gonfia di Grundy. Cresci, come la vendetta che mi prenderò su quello gnomo....»
Strane cose si svilupparono nell'acqua. Spuntarono rape dalle foglie rosa, che cominciarono a girare su se stesse, e pomodori marroni, cavoli gialli e barbabietole blu. Fagioli a scoppio scoppiettavano allegramente mentre dei carciofi ridacchiavano. Poi cominciarono i fiori, quando Irene passò ad un altro settore delle sue provviste. Fiori bianchi sbocciarono in grandi grappoli e decorarono tutto il mare che circondava la zattera. Poi si allontanarono in greggi, emettendo deboli belati. «Che cos'è?», chiese Grundy. «Il flogo, imbecille,» disse Irene. Oh, pensò Dor. È naturale. La pecora bianca dei fiori. Fiori-petardo scoppiarono in una nube rossa, gigli tigrati ruggirono, campanule tintinnarono. Delle iris, che la madre di Irene aveva regalato alla figlia, fiorirono con bei petali blu e porpora. Gladioli si allungarono con gioia, begonie sbocciarono e se ne andarono, prima di ricevere l'ordine di allontanarsi. Pervinche ammiccarono, crochi aprirono le labbra bianche per pronunciare imprecazioni scandalose. Grundy si sporse oltre il bordo della zattera per annusare dei bei fiorellini multicolori che si arrampicavano. Poi accadde qualcosa. «Ehi!», gridò ad un tratto, adirato, asciugandosi un liquido dorato che gli colava sulla testa. «Che cosa stanno facendo?» Irene gli lanciò un'occhiata in tralice. «Stupido!», disse, soddisfatta, «che cosa ti aspetti che facciano i piselli dolci? Faresti meglio a star lontano dalle pansé». Dalla parte di Dor, stava avendo luogo uno sviluppo particolarmente rapido: fiori rossi, arancioni e bianchi, si aprivano quasi prima che si formassero i boccioli. «Accidenti, questi hanno proprio fretta,» commentò. «Sono impazienti», spiegò Irene. L'esibizione terminò con l'apparizione abbagliante di alcune palle d'oro: erano calendule. «Questa è la metà delle mie provviste. Prendere o lasciare,» disse Irene. «L'anguilla accetta,» disse Grundy, che si scuoteva ancora il liquido dorato dai capelli. «Adesso l'anguilla eclettica ci condurrà attraverso il temporale, a modo suo.» «E ora,» disse Chet. «Tenetevi stretti. Si ballerà.» L'anguilla si dimenò. La zattera la seguì. Il temporale li colpì con violenza. «Perché ce l'hai con noi?», gli chiese Dor, quando il vento lo scosse da capo a piedi. «Niente di personale», disse quello di rimando, con voce tonante. «È il
mio lavoro sgomberare il mare dai rifiuti e dalla robaccia. Dopotutto, non si può tollerare che relitti e zavorre ingombrino la superficie.» «Non conosco quella gente,» disse Dor. La zattera rollava e beccheggiava nel seguire la sfuggente anguilla, ma, in qualche modo, stavano evitando il peggio del temporale. Un asse di legno affiancò la zattera. «Io sono un relitto,» disse. «Faccio parte di una nave che ha fatto naufragio qui il mese scorso, e galleggio ancora.» Un barile affiancò l'imbarcazione dall'altra parte: era il tronco malridotto di un albero barile-di-gelatina. «Io sono una zavorra,» sussurrò dallo zipolo. «Sono stato gettato fuori bordo per alleggerire la nave.» «Piacere di conoscerti,» disse Dor educatamente. «L'anguilla li usa come segnali,» disse Grundy. «Usa tutto quello che trova.» «Dove sono i rifiuti e le robacce?», chiese Irene. «Se il temporale è qui per sgomberare il mare, dovrebbero vedersene alcuni.» «Io sono un rifiuto,» spiegò la zattera. «Voi dovete essere la robaccia.» E ridacchiò. Cominciò a piovere a dirotto. In un attimo, furono tutti inzuppati d'acqua. «Vuotate la zattera!», gridò Chet per superare l'ululato del vento. Dor afferrò un secchio e buttò fuori l'acqua. Fracassa l'Orco fece la stessa cosa dall'altra parte, servendosi di una brocca. Grazie ad uno sforzo colossale, riuscivano a vuotare la zattera di tutta la pioggia che vi si riversava. «Abbassatevi!», gridò Grundy al di sopra del fragore. «Non fatela rovesciare!» «Non sta per rovesciarsi,» disse Irene. «Una zattera non può...» In quel momento l'imbarcazione si impennò orribilmente e cominciò a capovolgersi. Irene si appiattì sul fondo, al centro dell'avvallamento, raggiungendo Dor e Fracassa. La zattera si inclinò a destra, poi a sinistra: dapprima Irene fu gettata contro il corpo di Dor, poi Dor fu gettato contro di lei. Era meravigliosamente morbida. «Che cosa stai facendo?», gridò Dor senza fiato, nonostante i morbidi atterraggi. «Straorzo,» disse la zattera. «A me sembra più un rollio,» brontolò Chet dalla poppa. Irene andò a sbattere di nuovo contro Dor, fianco contro fianco e naso contro naso. «Caro, dovremmo smetterla di incontrarci in questo modo,»
ansimò, tentando di sorridere. In altre circostanze, Dor avrebbe apprezzato maggiormente quegli incontri. Irene era imbottita nei posti giusti, cosicché gli urti venivano piacevolmente attutiti. Ma, in quel momento, temeva per la propria vita e per quella di lei. Intanto, la ragazza aveva tutta l'aria di soffrire di mal di mare. L'imbarcazione sbandava in avanti e in basso, come se scivolasse lungo una cascata. A Dor si rivoltò lo stomaco. «Che cosa stai facendo ora?», chiese a fatica. «Beccheggio,» rispose la zattera. «Siamo fuori dall'acqua!», gridò Chet. La sua testa restava più in alto, nonostante la posizione prona. «C'è qualcosa al di sotto di noi! È per questo che rolliamo tanto!» «È il behemoth,» disse Grundy. «Il.. che cosa?», chiese Dor. «Il behemoth. Un enorme animale che sguazza e segue la corrente, senza far nulla. L'anguilla eclettica ci ha fatti salire sulla sua groppa, per aiutarci a superare la tempesta.» Irene si staccò da Dor, e tutti e due si alzarono cautamente per guardare al di là del bordo della zattera. Il temporale continuava, ma adesso imperversava sul dorso grasso e lucente dello spaventoso animale. La posizione della zattera non era molto sicura: rollava e scivolava sulla superficie viscida, ma l'enorme massa del mostro la proteggeva dall'oceano in tempesta. «Credevo che i behemoth fossero animali d'acqua dolce,» disse Dor. «Mio padre ne incontrò uno sotto il Lago Orco-Chobee, mi ha detto.» «È vero. Ero lì,» disse Grundy, in tono sprezzante. «I behemoth sono dove li trovi. E poi sono troppo grandi per preoccuparsi del tipo di acqua in cui sguazzano.» «L'anguilla aveva appena visto quest'animale, quando ci ha fatti salire sulla sua groppa?», chiese Chet. Anche il centauro sembrava soffrire il mal di mare. «Questo è l'eclettismo,» convenne Grundy. «Usare tutto ciò che è a portata di mano.» «Ahi, mi avete ingannato!», ululò il temporale. «Non riesco ad affondare questa vecchia carretta.» Un occhio roteante si fissò su Dor. «È la seconda volta che mi sfuggi, cosa-uomo. Ma ci rincontreremo.» Di cattivo umore, si allontanò poi soffiando verso ovest. Allora era lo stesso temporale che aveva incontrato al castello del Buon
Mago Humfrey. Viaggiava parecchio! Il behemoth, quando scoprì che la gradevole pioggia era finita, esalò una polverosa nube di gas e si inabissò. Non c'era alcuna utilità nel restare in superficie quando il temporale non voleva più giocare. La zattera si ritrovò a galleggiare su un mare calmo. Adesso che non correva più il pericolo di affogare, Dor quasi rimpiangeva che il temporale fosse finito. Era molto più comodo appoggiarsi ad Irene che alle canne della zattera. Ma sapeva di essere sempre tanto stupido da essere attratto da quello che non poteva avere, piuttosto che essere soddisfatto di quello che aveva. Un mostro apparve all'orizzonte. «Fa' muovere questa cosa!», strillò Irene, spaventata. «Non siamo ancora fuori pericolo!» «Seguì l'anguilla!», disse Grundy. «Ma l'anguilla si è diretta verso il mostro!», protestò Chet. «Allora, questa deve essere la rotta.» Ma perfino Grundy parve in dubbio. Procedettero a tutta velocità verso il mostro. Allora si vide che era estremamente lungo e piatto, come se un serpente marino fosse passato sotto ad un masso. «Che cos'è?», chiese Dor, stupito. «Un pesce-nastro, zuccone,» disse Grundy. «Come può aiutarci?» Il temporale era durato per la maggior parte del giorno; il sole era ora allo zenith, e loro erano ancora lontani dalla costa. «Tutto quello che so è che l'anguilla mi ha promesso che saremmo arrivati prima dell'imbrunire,» disse Grundy. Continuarono a navigare. Ma adesso la zattera stava rallentando; i giunchi di palude avevano perso energia. Dor si accorse che una parte delle canne era morta, perciò aveva potuto parlare con la zattera, visto che il suo potere era relativo solo agli inanimati. Presto i giunchi sarebbero diventati inerti, e la zattera si sarebbe fermata in alto mare. Non avevano la pagaia; l'avevano persa con la prima barca. Il pesce-nastro abbassò la sua ridicola testa piatta quando l'imbarcazione di giunchi gli si avvicinò tra gli spruzzi. Poi la testa si immerse nell'acqua e scivolò al di sotto della zattera. Dopo qualche attimo emerse alle loro spalle, il suo collo si alzò al di sotto della barca, e la testa sporse al di fuori dell'acqua. «Oh, no!», gridò Irene, quando furono trasportati per aria. Gettò terrorizzata le braccia intorno al collo di Dor. Ancora una volta, il ragazzo desiderò che fosse accaduto in un momento in cui fosse stato egli stesso in
preda al terrore. Ma il corpo del pesce-nastro era lievemente concavo: la zattera ne fu circondata, senza cadere. Quando la testa si fu alzata sino ad un'altezza spaventosa, la barca cominciò a scivolare lungo il corpo, che era viscido per l'umidità. Essi videro, inorriditi, l'imbarcazione inclinarsi in avanti, poi precipitare lungo il collo dell'animale. Irene gridò ancora una volta è poi si abbarbicò a Dor, mentre i loro corpi diventavano privi di peso. Sfrecciarono verso il basso. Ma il pesce-nastro era ondulato cosicché, ogni volta, una nuova protuberanza si formava dietro di loro mentre un nuovo avvallamento si formava davanti. Sfrecciavano ad una velocità spaventosa lungo il corpo dell'animale, senza mai cadere in acqua. «Andiamo in direzione della terraferma,» disse Dor, sgomento. «Il mostro ci sta trasportando lì!» «È così che si diverte,» disse Grundy. «Raccoglie cose dall'acqua e se le fa scivolare sul corpo. L'anguilla se ne è servita a nostro vantaggio.» Quando capì che, dopotutto, non erano in pericolo, Irene riprese coraggio. «Lasciami andare!», sbottò, rivolta a Dor, come se fosse stato il ragazzo a stringerla a sé. Il pesce-nastro sembrava non avere fine; la zattera continuava a scivolare senza sosta. Poi Dor si accorse che la testa del mostro aveva guardato sott'acqua e si era alzata per seguire la coda: avevano cominciato un altro giro lungo il corpo del pesce. La terra si avvicinava sempre più. Infine la terra arrivò. Il pesce-nastro si stancò del gioco e li buttò in acqua con un grande tonfo. Ai giunchi era rimasta solo l'energia che bastava a portarli a riva, poi morirono e la zattera cominciò ad affondare. Il sole era calato, e si apprestava ad interrompere il giorno prima che loro potessero continuare il viaggio. Presto il globo dorato si sarebbe spento di nuovo. «Da qui in poi, andremo a piedi, credo,» osservò Chet. «Oggi non arriveremo all'Isola del Centauro.» «Possiamo avvicinarci, però,» disse Dor. «Per adesso, ne ho abbastanza di barche, ad ogni modo.» Gli altri furono d'accordo. Prima di tutto, si fermarono a cercare del cibo. Alcuni panfrutti selvatici erano maturi, ed un castagno d'acqua fornì loro l'acqua potabile. Irene non fu costretta a sprecare nulla della sua dimezzata scorta di semi. Anzi... ne trovò di nuovi. All'improvviso, qualcosa saltò da dietro un albero e puntò verso Dor. Senza pensarci, il ragazzo sguainò la Spada Magica... e la creatura si fermò
di colpo, girò su se stessa e corse via. Era tutta peli, gambe e occhi torvi. «Che cos'era?», chiese Dor, tremante. «È un saltaddosso,» disse la pietra più vicina. «Che cos'è un saltaddosso?» chiese Irene. «Non devo rispondere a te,» ribatté la pietra. «Non sono mica un pezzo di granito.» «Rispondile,» disse Dor alla pietra. «Uhm, va bene. È la creatura che hai appena visto.» «Non è un granché,» disse Irene. «Tu non sei un granché, bambola,» disse la pietra. «La serpentina maculata ha una carnagione migliore.» Inzaccherata e scarmigliata per la traversata sull'oceano, Irene non aveva il suo aspetto migliore. Ma era stata colpita la sua vanità. «Posso soffocarti con le erbe, minerale.» «Davvero, verdastra? Provaci!» «Erbe, crescete!», ordinò Irene, indicando la pietra. Immediatamente le erbe che la circondavano germogliarono vigorosamente. «Le erbacce sono la cosa migliore che sia mai esistita!», esclamarono le erbacce. Stupito, Dor le guardò più da vicino, perché il suo talento non si estendeva agli animati. Scoprì che erano stati dei granelli di sabbia, nascosti tra le erbacce, a parlare. «Oh, per amor dello schisto!», disse la pietra. «Lo fa sul serio!» «Dimmi che cos'è un saltaddosso,» insisté Irene. La pietra era seminascosta dalla vegetazione. «Va bene, va bene, bambola! Ma toglimi queste immondizie dalla faccia.» «Smettete di crescere,» ordinò Irene alle erbacce, ed esse smisero con un fruscio di rabbia. Lei le calpestò per scoprire la pietra. «Hai delle belle gambe,» disse la pietra. «E non è tutto.» Irene, che stava a gambe divaricate sulla pietra, saltò all'indietro. «Adesso rispondi alla mia domanda.» «Saltano, spaventano la gente e scappano via,» disse la pietra. «Sono innocui. Sono arrivati non molto tempo fa da Mundania, quando i Mundani smisero di credervi, e non hanno il coraggio di fare niente di male.» «Grazie,» disse Irene, gratificata dalla sua vittoria su quella comunissima pietra. «Penso che sia necessario calpestare un altro po' le erbacce,» suggerì la pietra. «Non finché indosserò la gonna.»
«Uhmmm...». Finirono il loro pasto e si avviarono verso sud. Restava molto poco del giorno, ma volevano trovare un posto decente per accamparsi per la notte. Dor interrogò altre pietre per assicurarsi che non ci fosse nulla di pericoloso nei dintorni: sembrava un'isola sicura. Forse la fortuna era girata dalla loro ed avrebbero raggiunto la loro meta senza altri avvenimenti malefici. Ma quando l'imbrunire si avvicinò, arrivarono al margine meridionale dell'isola. C'era uno stretto canale che la separava dall'isola successiva. «Forse sarebbe meglio che ci accampassimo qui per la notte,» disse Dor. «L'isola sembra sicura, e non sappiamo che cosa ci sia sulla successiva.» «E poi, io sono stanca,» disse Irene. Si sistemarono per la notte, protetti da una palizzata formata da asparagi fatti crescere per l'occasione. I saltaddosso continuavano ad assalire la staccionata e a scappare senza fare danni. Chet e Fracassa, che erano le persone di mole più massiccia, si distesero lungo i bordi esterni del piccolo recinto. Grundy aveva bisogno di uno spazio così piccolo, che non si fece nessun problema. Dor e Irene erano stretti al centro. Ma la ragazza aveva spazio e tempo sufficienti a stendersi senza sfiorare Dor. Ah, bene! «Sai, la pietra aveva ragione,» disse Dor. «Hai delle belle gambe. E non è tutto.» «Va' a dormire,» disse, ma non era dispiaciuta. La mattina, un grande oggetto rotondeggiante galleggiava nel canale. A Dor il suo aspetto non piacque. Avrebbe dovuto nuotarvi accanto per raggiungere l'isola successiva. È un animale o una pianta?», chiese. «Non è una pianta,» rispose Irene. Era molto sensibile rispetto ai vegetali, perché erano collegati alla sua magia. «Parlerò con quell'oggetto,»disse Grundy. Il suo talento si applicava a qualsiasi essere animato. Pronunciò una complessa serie di fischi e di grugniti quasi impercettibili. Gli altri non capirono quasi niente, perché alcuni animali e la maggior parte delle piante si servivano di meccanismi fonetici non umani. Dopo qualche attimo, annunciò: «È un'ortica di mare. Un animale simile ad una pianta. Questo canale è il suo territorio, e pungerà a morte chiunque oserà invaderlo.» «È veloce nel nuoto?», chiese Irene. «Abbastanza veloce,» disse Grundy. «Non sembra, ma sicuramente può farlo. Potremmo separarci ed attraversare il canale in due gruppi; in questa
maniera potrà colpire solo una metà di noi, forse.» «Forse sarebbe meglio che lasciassi pensare quelli che sono meglio dotati per farlo,» disse Chet. «Dobbiamo togliere l'ortica da lì oppure annullarla,» disse Dor. «Cercherò di farla andare via, servendomi del mio talento.» «Intanto, io farò crescere il mio assordafiore,» disse Irene. «Grazie per il voto di fiducia.» Ma Dor non poteva biasimarla; in precedenza era riuscito a ingannare parecchi mostri con il suo talento, ma dipendeva dalla natura e dall'intelligenza del mostro. Non aveva provato con il drago marino, sapendo che lo sforzo sarebbe stato sprecato. Quell'ortica marina era una incognita. Certamente, non aveva un'aria intelligente. Si concentrò sull'acqua vicina all'ortica. «Sai fare delle imitazioni?», le chiese. Gli inanimati spesso pensavano di avere un talento di quel genere e, quanto meno talento avevano, tanto più se ne vantavano. Una volta, anni prima, aveva fatto imitare all'acqua la propria voce, spingendo un tritone ad una allegra caccia. «No,» disse l'acqua. «Beh, ripeti con me: "Ortica di mare, sei una bolla di bolo".» «Uh?», disse l'acqua. Aveva incontrato un'acqua ben stupida! Una parte dell'acqua aveva un'intelligenza volatile, che svolazzava senza freni, e ce n'era un po' in qualche pozzanghera. «Bolla di bolo!», ripeté Dor. «Sei tu!», replicò l'acqua. «Adesso dillo all'ortica di mare.» «Sei tu!», disse l'acqua all'ortica di mare. Gli altri della comitiva di Dor sorrisero. La pianta di Irene cresceva bene. «No!», esclamò, più calmo. «Bolla di bolo.» «Nessuna bolla di bolo!», esclamò l'acqua. Gli aculei dell'ortica di mare si dimenarono. «Ti ringrazia,» riferì Grundy. Era inutile. Di cattivo umore, Dor si dette per vinto. «Il fiore è quasi pronto,» disse Irene. «Somiglia un po' alla Gorgone; non assorda se non lo si guarda. Perciò sarebbe meglio che ci mettessimo tutti in fila con le spalle rivolte al fiore, senza voltarci indietro. In quella direzione, non potremo tornare; una volta che una pianta come questa matura, io non posso più fermarla.»
Si misero in fila. Dor sentì il fruscio delle foglie che si andavano rapidamente espandendo dietro di lui. Era una pianta nervosa! «Sta fiorendo!», disse Grundy. «Comincia a sentire il proprio potere. Oh, è cattivo!» «Certamente, è cattivo,» convenne Irene. «Ho seminato il seme migliore. Cominciate a camminare nel canale. Il fiore colpirà prima che raggiungiamo l'ortica di mare, e noi non vogliamo che l'attenzione dell'ortica si rivolga da questa parte.» Cominciarono a guardare. Immediatamente Dor comprese che gli abiti gli avrebbero impedito i movimenti in acqua. Non voleva niente che lo intralciasse quando avrebbe nuotato accanto all'ortica. Cominciò a togliersi i vestiti. Irene, evidentemente colpita dalla stessa idea, si tolse in fretta la gonna e la camicia. «Dor ha ragione,» osservò Grundy. Stava sulla groppa di Chet. «Hai delle belle gambe. E non è tutto!» «Se il tuo sguardo dovesse vagare troppo,» disse Irene, in tono indifferente, «potrebbe incontrare la sfera d'influenza dell'assordafiore.» Grundy distolse rapidamente lo sguardo. Così fecero Chet, Fracassa e Dor. Ma Dor era certo di aver visto un sorrisetto maligno sul volto di Irene. A volte somigliava molto alla madre. «Ehi, il fiore sta spuntando!», gridò Grundy. «È molto sicuro di sé. Che testa!» Infatti, Dor avvertiva una specie di calore sulla schiena nuda. Il fiore aveva cominciato ad esercitare il proprio potere. Ma l'ortica di mare non ne sembrava colpita. Tremolava nel muoversi verso di loro. Il punto dove avrebbe dovuto essere la testa era coperto di lamelle come un fungo. Gocce di saliva le si addensavano sulla superficie. «L'ortica dice che ci pungerà con tanta violenza da... ooooh, che oscenità!», disse Grundy. «Vediamo se riesco a tradurlo in maniera appropriata...» «Non vi fermate,» disse Irene. «Il fiore sta per entrare in azione.» «Adesso il fiore sta cantando la sua canzone di conquista,» riferì Grundy e cominciò a cantare: «Io sono il solo fiore, io sono l'ASSORDAfiore!» Alla parola «assorda» ci fu un'esplosione di radiazioni che coprì di vesciche le loro schiene. Dor e gli altri caddero in avanti nel canale, per raffreddare con l'acqua la pelle che scottava. L'ortica di mare, che stava di fronte al fiore, si irrigidì. La sua superficie si vetrificò. La saliva le si cristallizzò. Le antenne si avvizzirono e diventa-
rono friabili. Era stata assordata. Nuotarono accanto all'ortica. Il mostro non ebbe alcuna reazione. Dor vide la massa del suo corpo estendersi nelle profondità del canale con enormi tentacoli urticanti. Quella creatura li avrebbe certamente distrutti tutti, se fosse vissuta. Completarono la nuotata in bell'ordine, Chet e Grundy in testa, poi Dor, Fracassa ed infine Irene. Dor sapeva che la ragazza era capace di nuotare abbastanza bene: restava indietro in modo che gli altri non la vedessero nuda. In realtà, non era tanto per la vergogna, quanto per il suo senso di proprietà, che si sviluppava di pari passo con il suo corpo, e per l'istinto di preservare il valore di ciò che aveva, rendendone rara la visione. E funzionava bene! In quel momento, Dor era mille volte più curioso di vedere il suo corpo di quanto sarebbe stato se l'avesse potuto vedere liberamente. Ma non osava lanciare nemmeno un'occhiata: le radiazioni assordanti dell'assordafiore lo colpivano ancora sulla nuca. Arrivarono dove l'acqua era bassa, ed uscirono fuori. «Continuate a camminare finché non arrivate in un luogo al riparo dalle radiazioni del fiore,» li avvertì Irene. «Non guardate indietro, per nessun motivo!» Dor non aveva bisogno di avvertimenti. Sentiva il calore dell'assordafiore sulla schiena, sulle natiche e sulle gambe, quando emerse dall'acqua. Che mostro aveva scatenato Irene! Ma aveva compiuto il suo lavoro, mentre il talento di Dor aveva fallito: li aveva fatti arrivare in salvo dall'altra parte del canale ed aveva annullato l'ortica. Trovarono un groviglio di cespugli verdi e porpora e fecero in modo da interporli tra l'assordafiore ed i loro corpi. Allora Dor si rivestì: i suoi abiti erano perlopiù asciutti, perché li aveva tenuti con i denti. Si legò la Spada Magica al fianco. «Anche tu hai delle belle gambe,» gli disse Irene alle spalle. «E non è tutto!» Dor si sorprese ad arrossire. Beh, se l'era voluta. Irene era già vestita; le ragazze sanno cambiarsi d'abito in fretta, quando vogliono. Si incamminarono verso sud, ma occorse molto tempo prima che Dor superasse la paura di guardare indietro. Quell'assordafiore... Chet si fermò. «Che cos'è?», chiese. Gli altri guardarono. C'era un cartello di legno infisso nel terreno. Su di esso era scritto accuratamente:
NESSUNA LEGGE PER IL LENONE. Naturalmente nessuno capì il messaggio, ma nessuno aveva voglia di discuterne il significato. Infine Dor chiese al cartello: «Nelle vicinanze, c'è qualcosa che ci minaccia?» «No,» disse il cartello. Continuarono a camminare, ciascuno immerso nelle proprie meditazioni. Erano arrivati nudi su quell'isola; c'era qualche nesso? Ma era evidente che il cartello era stato posto molto prima del loro arrivo. Si chiese se poteva trattarsi di un errore di ortografia. Ma la sua conoscenza dell'ortografia era così scarsa che esitò nel trarre quella conclusione. Arrivarono ad una palude coperta da una fitta vegetazione. Gli alberi erano piccoli, ma molto vicini. Dor e Irene potevano infilarsi tra un tronco e l'altro, ma Fracassa non poteva, e per Chet sarebbe stato impossibile. «Un lago farò,» disse Fracassa, preparando la sua enorme e goffa manona. Senza gli alberi, la palude sarebbe diventata un ammasso di acqua fangosa. «No: vediamo se riusciamo a trovare il modo di attraversarla,» disse Dor. «A Re Trent non è mai piaciuto che si distruggessero le zone selvagge, per qualche ragione. E poi, se facciamo molta confusione, possiamo richiamare tutti i mostri della zona.» Costeggiarono il folto e, ben presto, si imbatterono in un altro cartello: IL LENONE VA DOVE VUOLE. Vicino al cartello c'era un sentiero ampio e asciutto che attraversava la foresta e si alzava lievemente al di sopra della palude. «Ci sono pericoli qui?», chiese Dor. «Non molti,» rispose il cartello. Presero il sentiero. Quando penetrarono nel folto, sentirono dei fruscii tra gli alberi e dei risucchi nel fango sottostante. «Che cos'è questo rumore?», chiese Dor, ma non ricevette nessuna risposta. La foresta era così fitta che non vi era nulla di inanimato; l'acqua era coperta di una muffa verdastra ed il sentiero era formato da radici vive. «Proverò io,» disse Grundy. Parlò in tre lingue e, dopo qualche momento, riferì: «Ci sono ratti-cog e vermi-skug; non c'è da preoccuparsi finché non si volta loro la schiena.» I fruscii ed i risucchi diventarono più forti. «Ma ci attorniano!», protestò
Irene. «Come possiamo evitare di dare loro le spalle?» «Possiamo fronteggiarli in tutte le direzioni,» disse Chet. «Io andrò avanti, e Grundy può stare su di me guardando dietro. Voialtri potete guardare i due lati.» E così fecero: Fracassa a sinistra, Dor e Irene a destra. I rumori cessarono. «Andiamocene presto da questo posto!», disse Irene. «Mi chiedo come faccia il lenone, visto che questo sembra essere il suo sentiero,» disse Dor. Come in risposta alla sua domanda, si imbatterono in un altro cartello: IL LENONE È IL SIGNORE DELLA GIUNGLA. Era evidente che i ratti-cog e i vermi-skug non osavano infastidire il lenone. «Questa creatura mi incuriosisce sempre di più,» disse Irene. «Va a caccia, mangia, gioca con quelli della sua razza? Che cos'è?» Anche Dor se lo chiedeva, ma esitava ancora a dare voce alla propria congettura. E se si trattava di un errore di ortografia? In che modo, allora, avrebbe cacciato, mangiato e giocato? Si affrettarono lungo il sentiero e finalmente uscirono dal folto... solo per incontrare un altro cartello. E LENONE NON GIACERÀ CON L'AGNELLO. «Che cos'è un agnello?», chiese Irene. «Un animale mundano,» disse Chet. «Si dice che sia innocuo, mite, tenero, ma stupido.» «Deve essere il tipo che piace al lenone,» mormorò Irene cupamente. Ma nessuno espresse apertamente le proprie congetture sulla natura di quella creatura. Continuarono a camminare verso l'estremità meridionale di quella lunga isola. Lungo tutta la costa di Xanth, spiegò Chet, si estendeva la barriera corallina che si era sviluppata in arcipelaghi. Era il percorso migliore e più sicuro che avrebbero mai potuto desiderare, visto che non avevano più una barca. Avrebbero dovuto esserci pochissimi predatori di grandi dimensioni sulle isole, poiché il territorio di caccia non sarebbe stato loro sufficiente, e gli animali marini non potevano arrivare nell'interno delle isole. Ma nessuna zona di Xanth era completamente sicura. Tutti
loro erano pronti a lasciare l'Isola del Lenone. Quando arrivarono alla spiaggia, incontrarono ancora un altro cartello: UN BRANCO DI LENONI. E un ruggito eruppe alle loro spalle, lungo il sentiero che attraversava il folto. Stava arrivando qualcosa, e chi poteva avere dubbi su che cosa fosse? «Vogliamo incontrare qualche branco di lenoni?», chiese Chet, con una domanda retorica. «Allora vogliamo tuffarci tra quelle belve?», chiese Grundy. Tutti guardarono verso il mare. Una flotta di squali-tigre era arrivata mentre il gruppo di Dor stava sulla spiaggia. Ciascun animale aveva un'ampia pinna dorsale, simile ad una vela, e la testa da tigre. Si avvicinarono il più possibile alla riva, ringhiando il loro affamato benvenuto. «Penso che ci troviamo di nuovo tra il drago e la duna,» disse Grundy. «Posso fermare gli squali-tigre,» disse Irene. «Ho un seme di algakraken.» «Ed io ho ancora l'ipno-zucca. Dovrebbe fermare un lenone,» disse Chet. «Supponendo che si tratti di un errore di ortografia. Esiste un mostro mundano che ha la parte anteriore del corpo simile ad uno squalo-tigre e si chiama...» «Ma deve esserci più di un lenone in un branco,» disse Grundy. «A meno che non sia un solo lenone dall'aspetto fiero e potente.» «Il mostro combatterò,» disse Fracassa. «Un branco può contenere venti animali,» disse Chet. «Tu ti puoi occupare di una mezza dozzina di loro, Fracassa, ma la restante dozzina, più o meno, avrebbe l'opportunità di mangiare tutti noi. Se è questo che fanno.» «Ma non sappiamo se sono tanti,» protestò Irene, con voce incerta. «Dobbiamo andarcene di qui!», gridò Grundy. «Oh, non mi preoccupavo mai della mia pelle, quando ero un vero golem!» «Forse non eri così odioso allora,» suggerì Irene. «Inoltre, allora non avevi nessuna pelle.» Ma l'unica possibilità era camminare lungo la spiaggia... e gli squalitigre li seguivano passo passo in acqua. «In questa maniera non possiamo sfuggire a nessuna delle due minacce,» disse Irene. «Pianterò la mia alga kraken.» Lanciò un seme in acqua. «Cresci, alga!» Chet prese l'ipno-zucca che aveva conservato in tutte le loro disavventu-
re, e con un palmo ne coprì lo spioncino. «Io mostrerò la zucca al primo lenone, senza nessun riguardo.» Fracassa li raggiunse. «Io i conti farò col secondo,» disse, agitando il grande pugno. «E col terzo ma la vedrò.» «Sei tu il Mago,» disse Grundy a Dor. «Fa' qualcosa.» Dor fece un timido tentativo. «Ehm... c'è un modo per andare via di qui?» «Credevo che non lo avresti mai chiesto,» disse la sabbia che era ai suoi piedi. «Ovviamente c'è.» «Tu lo conosci?», chiese Dor, soddisfatto. «No.» «Per amor della Dea!», esclamò Irene. «Che idiota!» «Anche tu saresti stupida,» replicò la sabbia, «se il tuo cervello fosse un ammasso di minerali frantumati.» «Mi riferivo a lui!», disse Irene, indicando Dor. «E pensare che lo chiamano Mago! L'unica cosa che sa fare è giocare al ventriloquo con le immondizie come te.» «Perché hai detto che c'era una strada per andare via di qui, se non la conosci?» domandò Dor. «Perché il mio vicino osso la conosce.» Dor scorse l'osso e gli rivolse la parola. «Qual è la strada per andare via di qui?» «Il tunnel, idiota!», disse l'osso. Il rumore del branco di lenoni era sempre più forte e più vicino. Gli squali-tigre ruggivano perché le alghe-kraken che stavano germogliando, li minacciavano. «Dov'è il tunnel?», chiese Dor. «Proprio dietro di te, sulla riva,» disse l'osso. «Lo chiusi, feci tre passi e finii in pasto ai lenoni.» «Non lo vedo,» disse Dor. «È naturale che non lo vedi: l'alta marea lo ricopre di sabbia. La settimana scorsa la marea è cresciuta, ed ha ammassato ancora più sabbia sul tunnel. Adesso sono l'unico che sa dove sia.» Dor raccolse l'osso. Somigliava ad un femore umano. «Indicami dov'è.» «Proprio lì, dove l'acqua lambisce la riva. Devi scavare nella sabbia.» Si inclinò lievemente nella mano di Dor per indicare il punto. Dor scavò e ben presto scoprì un masso. «Questo masso chiude il tunnel?», chiese. «Si,» disse l'osso. «Nascosi il mio tesoro che mi ero procurato facendo il
pirata, sottoterra nell'isola vicina, e poi scavai un tunnel fino a quest'isola, in modo che nessuno lo sapesse. Ma i lenoni...» «Ehi, Fracassa,» gridò Dor. «Abbiamo un masso da spostare. Tocca a te.» «Oh, no,» avvertì l'osso. «È sistemato in maniera tale che i ladri non possano entrarvi. Il tunnel crollerà.» «Ed allora come faremo ad entrarvi?» «Dovete usare un gancio a cielo per sollevare il masso senza toccare i lati.» «Non abbiamo un gancio a cielo!», esclamò Dor, adirato. «È naturale che non l'abbiate. Era il mio talento, quando ero vivo. Nessuno, tranne me, potrebbe rimuovere quel masso senza fare danni. Avevo previsto tutto, tranne i lenoni.» Mentre l'osso parlava, le alghe-kraken, dopo aver scacciato gli squalitigre, si avvicinavano alla spiaggia. Presto avrebbero costituito una minaccia peggiore degli stessi squali-tigre. «Hai fatto qualche progresso?», chiese Chet. «Non vorrei disturbarti, ma ho calcolato che abbiamo trenta secondi prima che i lenoni, qualsiasi cosa essi siano, irrompano dalla foresta.» «Chet!», esclamò Dor. «Trasforma questo masso in un sassolino! Ma non toccare niente.» Il centauro sfiorò il masso, che immediatamente si rimpicciolì. Ben presto divenne un sassolino che cadde nel fosso sottostante. Il passaggio era aperto. «Salta dentro!», gridò Dor. Irene si spaventò. «Chi, io?» «Esatto,» disse Grundy. «Vuoi restare qui a mostrare le gambe ai lenoni?» Irene saltò dentro. «È ben scavata!», gridò da sotto, e la sua voce rimbombò. «Devo solo far crescere qualcosa per illuminarla...». «Tu sei il prossimo,» disse Dor a Chet. «Cerca di non far tremare il tunnel; non è sicuro.» Chet saltò con sorprendente delicatezza, Grundy era con lui. «Okay, Fracassa,» disse Dor. «No, no, non andrò,» disse l'orco, preparandosi a fronteggiare la minaccia che veniva dalla foresta. «I lenoni aspetterò.» E si colpì l'enorme palmo con il gigantesco pugno, provocando un rumore simile allo scoppio di un tuono.
Fracassa voleva stare a guardia delle retrovie. Probabilmente era la cosa migliore. Altrimenti i lenoni avrebbero potuto inseguirli nel tunnel. «Sta' vicino all'apertura,» disse Dor. «Quando sei pronto, salta dentro e seguici. Non aspettare troppo tempo. Presto le alghe-kraken arriveranno qui, e questo fermerà i lenoni, credo. Non te la prendere con le alghekraken: ci proteggeranno la fuga quando tu ci raggiungerai.» L'orco annuì. I ruggiti dei lenoni si sentirono più forte. Dor saltò nel buco. Si trovò in una galleria a misura d'uomo, che portava verso sud, al di sotto del canale. La luce che entrava dall'entrata si affievoliva rapidamente. Ma Irene, prudentemente, aveva piantato delle stelle di natale lungo la strada, e le loro luci minuscole segnavano lo sviluppo del tunnel. Dor si fermò a svolgere il panno in cui era avvolta la Pietra del Sole di Mezzanotte: il suo raggio di luce fu di grande aiuto. Mentre camminava, Dor sentiva avvicinarsi il branco di lenoni all'esterno della galleria. Fracassa emise un grugnito di sorpresa. Poi si sentì il rumore dello scontro. «Che cosa succede?» gridò Dor, preoccupato. «L'orco ha appena lanciato un piccolo lenone sulle alghe-kraken,» disse il sassolino che era nell'imboccatura del tunnel «Adesso sta affrontando il loro capo, Sir Lenone Stake. È duro e tenace.» «Fracassa, vieni!», gridò Dor. «Non tentare troppo la tua sorte!» La risposta dell'orco arrivò smorzata. Dor sentì solo: «sorte!» «Oooo, che cosa hai detto?», esclamò il sassolino. «Lavati la bocca con una pietra di sapone!» Dopo qualche istante, Fracassa arrivò nel tunnel e cominciò a muoversi rumorosamente, con la testa china per evitare il soffitto. Un filo di algakraken era attorcigliato sulla sua spalla pelosa. Evidentemente aveva tenuto lontani i lenoni finché le alghe-kraken non avevano invaso le vicinanze del tunnel. «L'orda ho veduto, la zucca ha adorato,» annunciò, ed aprì la bocca in un sorriso simile ad una spaccatura fumante in un albero colpito da un fulmine. Coloro che credevano che gli orchi non avessero senso dell'umorismo, si sbagliavano di grosso. Fracassa sapeva ridere a crepapelle, purché la battuta di spirito fosse adeguata ed essenziale. «Che aspetto avevano i lenoni?», chiese Dor, sopraffatto dalla curiosità. Fracassa si fermò a riflettere, poi pronunciò una delle sue rare frasi non in rima. «Oh, oh, oh, oh!», barrì, ed il fragile tunnel cominciò a sgretolarsi. Dal soffitto si staccarono alcune pietre, e dalle pareti stillarono gocce di umidità.
Dor e l'orco abbandonarono quella parte del tunnel. Dor non era più molto curioso di conoscere quale fosse la natura dei lenoni; voleva solo uscire vivo da quel tunnel. Si trovavano sotto l'oceano, e sarebbero rimasti inesorabilmente schiacciati, se il supporto del tunnel fosse crollato. Un crollo parziale, che avrebbe provocato una crepa di dimensioni notevoli, poteva allagare il tunnel. Non ci si poteva aspettare che un orco, per quanto forte, facesse fronte ad un oceano. Raggiunsero gli altri. Non ci fu nessun boato alle loro spalle: il tunnel non era crollato. Non ancora! «Questo posto mi rende nervosa,» disse Irene. «Per uscirne, dobbiamo solo andare avanti,» disse Chet. «E in fretta.» La galleria sembrava interminabile, ma si dirigeva verso sud. Doveva essere stata una faticaccia per il pirata scavarla, anche con il suo gancio a cielo che lo aiutava a portare fuori i rifiuti. L'ironia della sorte aveva voluto che il lenone causasse la sua rovina, dopo che il pirata aveva finito il tunnel. Dor e gli altri si affrettavano lungo la galleria che continuava a scendere e diventavano sempre più nervosi mano a mano che la profondità aumentava. Ad aumentare la loro apprensione, il fondo del tunnel diventò prima viscido, poi scivoloso. Un rivoletto d'acqua stava entrando nella galleria, e ben presto fu evidente che l'acqua aumentava. La risata dell'orco aveva aperto una crepa, dopotutto? Se era vero, loro erano condannati. Dor aveva paura perfino di esprimere a voce quella possibilità. «La marea!», disse Chet. «La marea sta salendo... e l'alta marea copre l'imboccatura. Questa galleria sta per riempirsi d'acqua!» «Oh, meno male!», disse Dor, sollevato. Quattro paia d'occhi lo guardarono perplessi. «Uh, avevo paura che il tunnel stesse crollando,» disse Dor, imbarazzato. «La marea... non è molto pericolosa.» «Nel senso che una morte lenta è migliore di una veloce,» disse il centauro. Dor rifletté. La sua apprensione diventò una paura folle. Come avrebbero potuto sfuggire a quel pericolo? «Quanta strada dobbiamo ancora fare?», chiese Dor. «Siete a metà strada,» disse il tunnel. «Ma avrete dei problemi ad oltrepassare la frana che si trova più avanti.» «La frana!», strillò Irene. Aveva la tendenza a farsi prendere dal panico
nei momenti di crisi. «Oh, certo,» disse il tunnel. «Non c'è nessuna possibilità di aggirarla. Dopo qualche istante, con l'acqua all'altezza delle caviglie, incontrarono la frana: era un ammasso di detriti che chiudeva la galleria. «La frana sfonderò,» disse Fracassa, pieno di zelo. «Uhm, aspetta,» lo ammonì Dor. «Non vogliamo che tutto l'oceano ci piombi addosso in un colpo. Forse, se Chet riducesse le rocce in sassolini, mentre Fracassa regge il soffitto...» «Non terrebbe,» disse Chet. «La dinamica è sbagliata. Abbiamo bisogno di una volta.» «La volta farò,» si offrì Fracassa. Cominciò a costruire un arco con pezzi di pietra sparsi. Ma, ogni volta che prendeva un pezzo, molti altri rotolavano nell'acqua che era sempre più profonda. «Forse posso renderlo stabile,» disse Irene. Trovò un seme e lo gettò in acqua. «Cresci!», ordinò. La pianta ci provò, ma non c'era abbastanza luce. Dor la illuminò con la sua Pietra di Sole; allora la pianta prosperò. Aveva bisogno solo di luce: il dono di Gemma si stava rivelando utile! Ben presto un kudzu fronzuto cominciò a prendere forma. I viticci scavarono nella sabbia, i tralci avvolsero le rocce, e foghe verdi coprirono le pareti del tunnel. Adesso Fracassa non poteva smuovere con facilità le pietre di cui aveva bisogno per completare l'arco, senza danneggiare la pianta. «Credo che possiamo farcela anche senza arco,» disse Chet. «La pianta ha reso stabile il cumulo di detriti.» Il centauro toccò una pietra e la ridusse in un ciottolo, poi ne toccò altre. Presto il tunnel fu ripristinato, e il passaggio sgomberato fino alla fine. Ma l'indugio era costato caro. L'acqua adesso arrivava all'altezza delle ginocchia. Avanzarono a fatica nell'acqua. Fortunatamente, si trovavano nel punto più basso. A mano a mano che risalivano il pendio opposto, la profondità dell'acqua diminuiva. Ma sapevano che si trattava di una tregua temporanea: non sarebbe passato molto tempo prima che tutto il tunnel si sarebbe riempito d'acqua. Arrivarono alla fine del passaggio: una camera in cui c'era un semplice tavolo di legno. Sul tavolo c'erano degli oggetti ricoperti da un panno. Lo attorniarono, esitanti. «Non so quale tesoro possa aiutarci in questo momento,» disse Dor, ed afferrò il panno. Sul tavolo c'era il tesoro del pirata: un mucchio di monete d'oro di Mun-
dania - dovevano essere mundane, visto che Xanth non usava monete - un barilotto pieno di diamanti, ed un piccolo barattolo sigillato. «Peccato!», disse Irene. «Niente di utile. E questa è la fine del tunnel; il pirata certamente chiuse l'imboccatura che si trova da questa parte, una volta entrato, in modo che ci fosse un solo ingresso. Dovrò piantare un grande tubero e sperare che produca un tubo robusto che arrivi in superficie. Spero anche che non ci sia acqua sopra di noi. Il tubero non è a tenuta stagna. Se questo non servirà, Fracassa può cercare di aprire un buco nel soffitto, e Chet può rimpicciolire i massi mano a mano che cadono. Possiamo uscire vivi da qui.» Dor si sentì sollevato. Almeno Irene non si era fatta prendere dall'isteria. Aveva spina dorsale quando era necessario. Grundy stava sul tavolo e lottava con il tappo del barattolo. «Se l'oro è prezioso e le gemme sono preziose, forse questa è la cosa più preziosa.» Ma, quando il tappo venne via, scoprirono che il contenuto del barattolo consisteva in una semplice pomata. «Questo è il tuo tesoro?», chiese Dor all'osso. «Oh, si, è il tesoro più prezioso di tutti,» gli assicurò l'osso. «In che modo?» «Beh, non lo so. Ma la persona cui lo sottrassi combatté fino alla morte per non cedermelo. Cercò di comprarmi con l'oro, nascose i diamanti, ma rifiutò di separarsi dalla pomata. Morì senza rivelarmi a che cosa servisse. Io la provai su ferite e bruciature, ma non serviva a niente. Forse, se ne avessi conosciuto la natura, avrei potuto usarla per distruggere i lenoni.» Dor scoprì di provare ben poca simpatia per il pirata, che era morto così com'era vissuto, ignominiosamente. Ma la pomata lo incuriosiva sempre di più, e non solo perché ormai l'acqua gli arrivava all'altezza delle ginocchia. «Pomata, qual è la tua proprietà?», chiese. «Sono un balsamo magico che rende le persone capaci di camminare sul fumo e sul vapore,» rispose quella con orgoglio. «Basta spalmarmi sul fondo dei piedi o delle scarpe, dopodiché si può percorrere qualsiasi sentiero si veda nel cielo. Naturalmente, l'effetto dura soltanto un giorno per volta: mi consumo, vedete. Ma ripetute applicazioni...» «Grazie,» lo interruppe Dor. «È veramente una bellissima magia. Ma ci puoi aiutare ad uscire da questo tunnel?» «No. Io faccio sembrare solida la nebbia, ma non faccio sembrare le rocce nebbiose. Hai bisogno di un altra pomata per questo scopo.» «Se avessi conosciuto le tue proprietà,» disse l'osso, in tono pensoso,
«sarei potuto sfuggire ai lenoni. Se solo avessi...» «Ti sta bene, pirata infernale,» disse la pomata. «Hai avuto proprio quello che meritavi. Spero che tu abbia imparato la lezione.» «Sentì, boccia di grasso...», replicò l'osso. «Basta,» disse Dor. «Se nessuno di voi due ha qualcosa da suggerirci per uscire di qui, state zitti.» «Ho qualche sospetto,» disse Chet. «Il pirata si impossessò di questo tesoro, ma non visse tanto da goderselo. Chiedi se vi è legata una maledizione.» «C'è una maledizione, pomata?», chiese Dor, sorpreso dal suggerimento di Chet. «Oh, certamente,» disse la pomata. «Non te l'avevo detto?» «No,» disse Dor. Da quanti guai li aveva salvati l'accortezza di Chet? «Qual è?» «Chiunque mi usi, commetterà una viltà prima della successiva luna piena,» disse la pomata con orgoglio. «Il pirata lo fece.» «Ma io non ti usai mai!», protestò l'osso. «Non conobbi mai il tuo potere.» «Mi mettesti sulle tue ferite. Era un uso improprio, ma valeva ugualmente. Quelle ferite avrebbero potuto camminare sulle nuvole. Poi uccidesti il tuo compagno e prendesti tutto il tesoro per te.» «Fu veramente una viltà!», convenne Irene. «Hai certamente meritato il tuo destino.» «Sì, è stato punito,» disse Grundy. L'osso non replicò. «Ooh,» disse Chet. Si chinò a strapparsi qualcosa dalle zampe anteriori, al di sotto del livello dell'acqua, che continuava a salire. Era un tentacolo dell'alga-kraken. «Lo temevo,» disse Irene. «Quella pianta sfugge al mio controllo. Non smetterà di crescere, se glielo ordinerò.» Dor sguainò la spada. «Taglierò tutti gli altri tentacoli,» disse. «Non arriveranno troppo spessi qui alla fine del tunnel. Comincia a far crescere il tuo tubero, Irene.» Lei frugò nella borsa dei semi. «Oh... oh. Quel seme deve essere caduto fuori dalla borsa lungo la strada. Non c'è.» Avevano fatto un viaggi molto movimentato sulla zattera; il seme poteva essersi perso ovunque. «Chet e Fracassa,» disse Dor, senza indugi, «create una strada per uscire di qui, se ci riuscite. Irene, se hai un'altra pianta stabi-
lizzatrice...» Irene controllò. «Ce l'ho.» Si misero al lavoro. Dor si girò verso il lungo tunnel buio, con l'acqua ormai all'altezza delle cosce, e cominciò a fendere lo scuro liquido con la spada. Spostava continuamente il raggio della pietra di sole per illuminare l'acqua. I rumori delle fatiche dell'orco cominciarono a farsi fragorosi. «Acqua, dimmi quando sta per arrivare un tentacolo,» ordinò. Ma c'era tanto frastuono alle sue spalle mentre Fracassa polverizzava la roccia del soffitto, che non riuscì a sentire gli avvertimenti dell'acqua. Un tentacolo gli afferrò la caviglia facendogli perdere l'equilibrio. Cadde con la faccia nell'acqua mentre un altro tentacolo gli afferrava il braccio che teneva la spada. L'alga-kraken l'aveva catturato... e lui non poteva chiedere aiuto! «Che cosa succede laggiù?», domandò Grundy. «Ti fai una nuotatina mentre tutti noi lavoriamo?» Poi il golem capì che Dor era nei guai. «Ehi, perché non hai detto niente? Non ti sei accorto che l'alga-kraken ti ha catturato?» L'alga-kraken lo aveva veramente catturato! I tentacoli lo stavano trascinando lungo il pendio del tunnel, tenendolo con la faccia in acqua. «Beh, qualcuno deve pur fare qualcosa!», disse Grundy, come se fosse infastidito da un particolare noioso. «Tieni, kraken, vuoi un biscottino?» E tese una moneta d'oro, che sembrava pesare quanto lui. Un tentacolo afferrò la moneta, ma dopo un attimo scoprì che era immangiabile e la lasciò cadere. Grundy afferrò una manciata di diamanti. «Prova questa roccia candita,» suggerì. Il tentacolo avvolse le gemme e si tagliò con i loro spigoli aguzzi. Dell'icore si versò nell'acqua mentre il tentacolo si dibatteva per il dolore. «Adesso mi è venuta un'idea,» disse Grundy. Raggiunse a nuoto Dor, che veniva ancora trascinato e, con un altro diamante, colpì e tagliò i tentacoli. L'alga si ritrasse, dolorante, benché il golem riuscisse solo a graffiarne i tentacoli, e Dor, finalmente, riuscì a rimettersi in piedi, ansimante, con l'acqua all'altezza della vita. «Devo andare ad aiutare gli altri,» disse Grundy. «Strilla, se finisci un'altra volta nei guai.» Dor pescò nell'acqua e recuperò la Spada Magica e la scintillante Pietra di Sole. Era scarmigliato ed irritato. Era stato liberato da una creatura non più alta del palmo della sua mano. Che eroe era! Ma gli altri avevano avuto un successo maggiore. Un buco si apriva nel soffitto del tunnel, e la luce del giorno baluginava nel buio.
«Vieni, Dor!», gridò Grundy. «Finalmente stiamo per uscire di qui!» Dor stipò monete e diamanti in una tasca insieme alla Pietra di Sole, e mise il barattolo di pomata in un'altra. Fracassa e Chet stavano già arrampicandosi verso il soffitto, perché dovevano salire lungo il nuovo passaggio a mano a mano che si facevano strada. Il centauro era molto bravo in quel genere di arrampicata, perché aveva sei estremità; quattro o cinque erano saldamente assicurate alle spaccature della roccia, mentre una o due zampe cercavano nuovi appigli. Grundy non aveva problemi: il suo peso inconsistente gli permetteva di arrampicarsi agevolmente. Solo Dor ed Irene erano rimasti a terra. «In fretta, lumacone!», disse la ragazza. «Non posso aspettare in eterno!» «Comincia tu,» rispose Dor. «Io sto nascondendo il tesoro.» «Oh, no!», ribatté Irene. «Vuoi solo sbirciare sotto la mia gonna!» «Se lo faccio, buon per me!», disse il ragazzo. «Ma io non voglio che il soffitto ti crolli addosso.» Infatti, ghiaia e rocce cadevano ad ogni sforzo di Chet. Tutta la situazione sembrava precaria, nonostante lo sforzo della pianta che Irene aveva fatto crescere per aiutare a rendere stabile la parete. «È vero,» convenne Irene, nervosa, e cominciò ad arrampicarsi, mentre Dor finiva di nascondere il tesoro. I tentacoli dell'alga-kraken, liberati dagli attacchi della spada e del diamante, si allungarono di nuovo alla ricerca. L'acqua arrivava ormai al torace di Dor e dava all'alga ampio margine per i suoi movimenti. «C'è un tentacolo!», disse l'acqua e Dor affondò la lama nell'acqua fangosa. Fu ricompensato da uno strattone alla spada che gli rivelò di aver colpito qualcosa che si era ritratta. Per essere una creatura assetata di sangue come l'algakraken, era certamente molto sensibile alle punture! «Ce n'è un altro!», gridò l'acqua, che si divertiva con quel gioco. Dor affondò di nuovo la lama. Ma era difficile produrre un grande danno, nonostante l'abilità magica donatagli dalla spada, poiché non riusciva a colpire efficacemente in acqua. Ogni volta che affondava la lama, i tentacoli sentivano dolore, ma non erano seriamente danneggiati. Inoltre, l'alga stava imparando ad evitare i colpi. Non era molto intelligente, ma imparava, pungolata costantemente dal dolore. Finalmente Dor cominciò ad arrampicarsi. Ma, per farlo, fu costretto a riporre la spada, e questo diede ai tentacoli un'ottima possibilità di rifarsi. Inoltre, l'oro era molto pesante malgrado le dimensioni e lo appesantiva. Quando si tirò fuori dall'acqua, un tentacolo si avvolse intorno al suo gi-
nocchio destro e lo tirò verso il basso. Dor perse la presa e cadde in acqua. Altri tre tentacoli gli si avvolsero intorno alle gambe ed alla vita. L'alga-kraken era riuscita ad infiltrarsi nel tunnel più di quanto Dor avesse ritenuto possibile! Ormai l'alga doveva essere un mostro enorme, visto che quella doveva essere solo una frazione della sua massa. Dor strinse i denti: sapeva che quella volta nessun altro lo avrebbe aiutato se fosse stato tirato sott'acqua. Sguainò di nuovo la spada. Appoggiò attentamente la lama contro un tentacolo e segò. La lama magicamente affilata penetrò la carne tenera dell'alga-kraken e ne tagliò un'estremità. Il tentacolo non poté ritrarsi perché era avvolto intorno a Dor: lo bloccava la sua stessa avidità. Dor ripeté il processo con gli altri tentacoli finché non si ritrovò libero in una pozza lattiginosa e viscosa di sangue di alga-kraken. Poi ripose di nuovo la spada nella guaina e si arrampicò. «Ehi, Dor... che cosa ti trattiene?», gridò Irene dall'alto. «Arrivo,» rispose e lanciò un'occhiata verso l'alto. Ma numerosi frammenti di roccia furono rimossi, forse dal suono delle loro voci, e caddero rumorosamente. Dor si fermò con l'acqua all'altezza del torace e si riparò la testa con le braccia. «Stai bene?», gridò Irene. «Basta che la smetti di strillare!», strillò Dor. «Farai crollare il tunnel!» E si riparò di nuovo la testa dalle rocce che stavano cadendo. Era infernale! «Oh,» disse la ragazza sottovoce, e si zittì. Un altro tentacolo lo aveva afferrato, approfittando della sua distrazione. L'alga stava diventando più audace, nonostante le mutilazioni. Dor tagliò il tentacolo, poi ricominciò la salita. Ma l'icore che sgorgava dal mostro era sulle sue mani e ne rendeva scivolosa la presa. Cercò di sciacquarsi le mani, ma l'acqua era piena di quella robaccia. Con il peso in più, costituito da oro e diamanti, non ce l'avrebbe mai fatta. Dor restò in acqua a tagliare tentacoli, mentre Irene usciva dal buco. «Che cosa posso fare?», si chiese, frustrato. «Manda al diavolo le monete, idiota,» disse la parete. «Ma potrei averne bisogno,» protestò Dor, contrario a cedere il tesoro. «Gli uomini sono così stupidi riguardo a noi,» disse una moneta dalla sua tasca. «Questo stupido morirà per noi... e noi non abbiamo nessun valore a Xanth.» Allora Dor si fermò a riflettere. Perché si era appesantito di quella im-
mondizia? Una ricchezza che non aveva senso e una pomata magica che era maledetta. Non sapeva darsi una risposta, ma nemmeno riusciva ad abbandonare il tesoro. Proprio come l'alga-kraken perdeva i tentacoli ancorandoli al suo corpo, egli correva il rischio di perdere la vita ancorandola alla ricchezza. E in questo non era più intelligente dell'alga. Poi un tentacolo penzolò dall'alto. Dor si ritrasse: l'alga aveva trovato un'altra via di attacco? Dor sferzò l'aria con la spada; fuori dall'acqua era di gran lunga più efficace. «Non puoi afferrarmi in questo modo, erbaccia avida!», disse. «Ehi, bada a come parli,» protestò il tentacolo. «Sono una corda.» Dor si stupì. «Una corda? Per che cosa?» «Per issarti, nullità,» disse. «A che cosa pensi che serva una corda di soccorso?» Una corda di soccorso! «Sei ancorata?» «È naturale che sono ancorata!», disse, indignata. «Pensi che non conosca il mio mestiere? Legami intorno al tuo corpo ed io ti salverò da questo immondo buco.» Dor obbedì, e presto cominciò a salire, con il tesoro e tutto il resto. «Ah, sei stato fortunato,» disse la moneta che aveva in tasca. «Che cosa t'importa?» «La ricchezza distrugge gli uomini. È il nostro compito: distruggere gli uomini. Stavamo per distruggerti, e tu ti sei salvato, sebbene non per merito tuo.» «Beh, vi porterò con me, così avrete un'altra possibilità.» «È vero,» convenne la moneta, scintillando. Poco dopo Dor uscì dal buco. Chet e Fracassa tiravano la corda, issandolo, mentre Grundy indicava la direzione in modo che non ci fosse nessun intoppo. «Che cosa facevi laggiù?», domandò Irene. «Pensavo che non saresti mai salito!» «Ho avuto qualche problema con l'alga,» disse Dor, mostrando un frammento di tentacolo che gli era rimasto attaccato ad una gamba. Era ormai tardo pomeriggio. «Ci sono pericoli?», chiese Dor al terreno. «C'è un nido di draghi alati sulla spiaggia a sud dell'isola,» replicò il terreno. «Ma vanno a caccia solo di giorno. È proprio un nido, però.» «Allora, se ci accamperemo qui, a nord, saremo al sicuro?» «Dovreste esserlo,» convenne il terreno, a malincuore. «Se i draghi alati vanno a caccia di giorno, forse dovremmo raggiungerli
e superarli stanotte,» disse Irene. Fracassa sorrise. «E io il collo tirerò,» disse, e le sue manone brutali suggerirono che cosa avrebbe fatto l'orco ad uno sfortunato drago. L'orco sembrava più grosso, più alto e più massiccio di prima, e Dor capì che probabilmente era più grosso; gli orchi crescono rapidamente nell'adolescenza. Ma Dor era troppo stanco per continuare il viaggio. «Io devo riposare,» disse. Irene fu inaspettatamente premurosa. «È naturale che tu debba riposare. Sei rimasto in retroguardia a combattere contro l'alga-kraken, mentre noi scappavamo. Scommetto che non ce l'avresti fatta, se Chet non avesse trovato quella corda.» Dor non voleva confessare che il peso dell'oro gli aveva impedito di arrampicarsi come avrebbe dovuto. «Immagino che mi fossi stancato troppo,» disse. «Lo stupido insisteva a portarsi dietro noi, le monete d'oro,» blaterò la moneta a voce alta dalla sua tasca. Irene si accigliò. «Hai portato le monete? Non ne abbiamo bisogno, e sono terribilmente pesanti.» Dor si sedette pesantemente sulla spiaggia, e le monete tintinnarono. «Lo so.» «E i diamanti?» «Anche i diamanti,» disse, toccando l'altra tasca, sebbene non fosse sicuro in quale tasca li aveva messi. «Mi piacciono i diamanti,» disse la ragazza. «Ho la sensazione che siano miei amici.» Lo aiutò a togliersi il giubbotto, poi la camicia bagnata. Dor aveva evitato le vesti regali per il viaggio, ma i suoi abiti da campagna non avevano un aspetto migliore ormai. «Dor! hai le braccia tutte graffiate!» «È opera dell'alga-kraken,» disse Grundy, in tono pratico. «Gli si è attorcigliata intorno alle gambe ed alle braccia e lo ha tirato sotto. Ho dovuto tagliarla con i diamanti, per farla scappare.» «Non mi avevi detto che eri nei guai!» esclamò, rivolta a Dor. «Le alghe-kraken sono pericolose, quando sono troppo vicine!» «Eravate occupati a creare una via di fuga,» disse Dor. Le abrasioni sulle gambe e sulle braccia gli bruciavano. «Bisogna togliergli tutti i vestiti!», disse Irene, mettendosi al lavoro lei stessa. «Grundy, vai a cercare un elisir di guarigione; abbiamo dimenticato di portarne uno con noi, ma ci sono molte piante che lo producono.»
Grundy entrò nella foresta. «Qualcuna delle piante che sono qui produce un elisir di guarigione?», chiese a gran voce. Dor era troppo stanco per resistere. Irene gli tirò i pantaloni. Poi si fermò. «Oh, accidenti... me n'ero dimenticata,» disse. «Che cos'hai dimenticato?», chiese Dor, che non sapeva quanto dovesse essere imbarazzato. «Sono veramente felice che lo hai portato con te!», disse. «Ehi, Chet... guarda!» Il centauro si avvicinò a guardare. «La pomata!», disse. «Sì, potrebbe esserci veramente utile.» Dor si rilassò. Per un attimo aveva pensato... ma naturalmente Irene stava parlando della pomata. Ben presto Irene lo svestì completamente. «La tua pelle è tutta coperta di abrasioni!», lo rimproverò. «C'è da stupirsi che tu non sia svenuto laggiù!» «Credo che sverrò adesso,» disse Dor, e svenne. Capitolo 6 Fili d'Argento Dor si svegliò ben riposato. Evidentemente Grundy doveva avere scovato un balsamo appropriato, perché la pelle scorticata era in gran parte guarita. Aveva la testa appoggiata su qualcosa di morbido; dopo qualche istante si accorse che era il grembo di Irene. Irene dormiva con la schiena contro un frassino, ed un sottile strato di cenere le copriva i capelli. Era graziosa in quella posa inconscia. Gli sembrava anche di indossare degli abiti nuovi. Dovevano aver trovato una pianta di flanella, o forse Irene ne aveva fatta crescere una da un seme. Mentre rifletteva sulla faccenda, sentì un flebile belato in lontananza ed ebbe la certezza: delle piante di flanella, appena tosate, stavano protestando. Decise di non soffermarsi su come Irene gli avesse misurato o provato i vestiti che aveva fatto. Era ovvio che la ragazza non era completamente sprovveduta riguardo a quelle faccende. In effetti, Irene stava diventando una ragazza carina e competente. Dor si alzò a sedere. Immediatamente, Irene si svegliò. «Beh, qualcuno doveva impedirti di rotolare nella sabbia finché non eri guarito,» disse la ragazza, imbarazzata. A Dor sarebbe piaciuto che Irene non gli avesse dato nessuna spiegazione. «Grazie. Adesso sto meglio.»
Chet e Fracassa avevano raccolto delle bacche rosse e blu da dei cespugli di bacche colorate, ed avevano spillato un albero-barilotto-di-vino. Diventarono piacevolmente brilli durante la colazione, mentre discutevano le necessità del giorno. «Non credo che dovremmo tentare di passare accanto al nido di draghi alati,» disse Chet. «Ma la nostra unica alternativa ha un prezzo.» «La maledizione,» disse Grundy. «Badare all'aria,» convenne Fracassa. Dor si grattò la testa. «Di che cosa state parlando?» «La pomata,» spiegò Chet, «per camminare sulle nuvole.» «Io non voglio commettere una viltà,» disse Irene. «Ma non voglio nemmeno finire divorata dai draghi alati.» Ad un tratto una sagoma si stagliò all'orizzonte. «Che cos'è?», chiese Dor al mare. «Un grande serpente marino,» rispose l'acqua. «Viene ogni mattina a ripulire le spiagge.» Allora Dor notò quanto fosse pulita la spiaggia. La sabbia era bianca e lucente quanto un osso. «Credo che la sorte abbia deciso per noi,» disse Chet. «Corriamo il rischio della maledizione e camminiamo sui vapori.» «Ma le nuvole sono troppo in alto,» protestò Irene. «Bisogna accendere un fuoco,» disse Grundy. «Possiamo camminare sul fumo.» «Dovrebbe funzionare,» convenne Chet. Raccolsero in fretta della legna secca nell'interno dell'isola mentre Irene faceva crescere delle fiammole. Poco dopo le fiammole bruciavano, ed essi sistemarono la legna tutt'intorno, formando un falò. Numerosi sbuffi di fumo si alzarono nel cielo. Poi il fumo si gonfiò e, in una fascia obliqua, si diresse verso occidente. Sembrava abbastanza denso, ma era abbastanza alto? Il mostro marino, attratto dal fuoco, era sempre più vicino. «Muoviamoci!», gridò Grundy. «Dov'è la pomata?» Dor porse la pomata, ed il golem se la spalmò sui piedini. Poi fece un salto per raggiungere il fumo... ma rimbalzò e rotolò a terra. «Sollevatemi e mettetemi sul fumo,» gridò, illeso. «È necessario che vi poggi bene i piedi, credo.» Fracassa lo sollevò. Sì, l'orco era chiaramente più alto di quanto lo fosse all'inizio del viaggio.
Il golem riuscì a fare presa sul fumo. «Ehi, è bollente!», gridò, danzando. Corse lungo la colonna, ma il fumo si muoveva e rendeva incerto il suo equilibrio. Un attimo dopo, inciampò, cadde, e precipitò a terra attraverso il fumo. Fracassa lo afferrò prima che toccasse terra. Il golem sparì completamente nella manona enorme dell'orco. «Piccolo volo,» commentò Fracassa. «E se gli spalmassimo la pomata anche sulle mani?», chiese Irene. Dor accettò il suggerimento e picchiettò la pomata sulle mani del golem con la punta del mignolo. Poi rimisero Grundy sulla colonna di fumo. Questa volta, quando il golem inciampò, riuscì a non cadere afferrando delle manciate di fumo. «Salite anche voi,» gridò. «Si cammina bene!» Il mostro marino li aveva quasi raggiunti. Gli altri si spalmarono la pomata sulle mani e sui piedi e si arrampicarono sul fumo. Chet, con le sue quattro zampe, si bilanciava agilmente sulla superficie in movimento, ma Fracassa, Irene e Dor, avevano seri problemi. Infine camminarono carponi, allontanandosi dal fumo più basso e più caldo verso quello più alto e freddo. Era meno denso, ma si riusciva ancora a camminare. La superficie era spugnosa: Dor aveva la sensazione di muoversi su un pallone soffice che cambiava continuamente forma. Il fumo sembrava solido sotto le piante dei piedi ed i palmi delle mani, ma la sua natura restava gassosa e, ogni tanto, si formavano dei vortici e mulinelli. Non riuscivano ancora a stare in piedi. Dor doveva continuamente spostare il proprio peso per mantenere l'equilibrio. Era una sfida... e diventò un divertimento. Poi arrivò il mostro marino. Annusò la spiaggia, quindi il suo naso si alzò verso il fumo e le creature che vi si muovevano. Il vento aveva allungato il fumo in una striscia quasi orizzontale, ma non tanto in alto da essere fuori dalla portata del mostro. Il serpente scorse Irene lassù, si girò di scatto, poi si voltò di nuovo e cercò di mordere la ragazza, che strillò e saltò giù. Per un attimo Dor la vide a mezz'aria, come se si fosse congelata, e il suo urlo scendeva insieme a lei. Sapeva che non poteva né raggiungerla né aiutarla. Quella stupida ragazza! Poi un anello di corda la fermò e la issò di nuovo sul fumo. Chet aveva conservato la fune, quella che era servita ad issare Dor dal buco, e adesso l'aveva usata per salvare Irene dalla sua follia. Il cuore di Dor ritornò al suo posto. Il mostro marino, privato del suo pasto, emise un gemito di rabbia e bal-
zò ancora una volta. Ma questa volta Irene ebbe la presenza di spirito di allontanarsi, e l'enorme muso morse il fumo e lo attraversò senza fare danni. I denti cozzarono l'uno contro l'altro quando si chiusero sul nulla. Ma il passaggio della testa del mostro attraverso il fumo spezzò la colonna, e Dor e Fracassa si ritrovarono sullo spezzone più vicino al fuoco. Non avrebbero potuto raggiungere gli altri finché la colonna non si fosse riunita. Allora il mostro si concentrò su loro due, visto che erano i più vicini al terreno. Non potevano allontanarsi dal fumo, perciò il serpente poteva raggiungerli facilmente. Il suo muso enorme ed orribile si orientò su Dor e si protese. Dor ne aveva abbastanza di mostri. Balzò di lato e sguainò la Spada Magica. L'arma baluginò tra le sue mani e penetrò nella morbida carne della narice sinistra del mostro. La creatura lanciò un gemito di dolore e di rabbia. «Ooo, non è molto signorile,» gridò Grundy dall'alto. «Dipende dal genere di signore,» osservò Irene. Poi il mostro marino aprì le mascelle poderose e screziate ed avanzò con la bocca spalancata. Dor fu costretto a ritirarsi, perché la bocca era troppo grande per lui: avrebbe potuto inghiottirlo in una sola volta. I mostri dell'oceano sono più grandi di quelli dei laghi! Ma, nell'arretrare, inciampò in un nuovo fil di fumo e cadde a sedere... su nulla di solido. Il suo sedere passò attraverso il fumo e Dor dovette aggrapparsi disperatamente con entrambe le mani per salvarsi. Era come se fosse finito in una tinozza, sostenuto solo dai piedi e dalle mani. Il mostro fischiò per la gioia e si avvicinò per afferrarlo per il di dietro. Ma Fracassa si infilò nella bocca del mostro e con gli enormi pugni cominciò a colpire i giganteschi denti della bestia con grande fragore, staccandone delle schegge. Sorpreso, il mostro si fermò, con la bocca ancora aperta. L'orco gli calpestò la lingua e ritornò sulla colonna di fumo. Nel frattempo, Dor aveva ripreso l'equilibrio, il mostro si era allontanato, e Fracassa tuonava imprecazioni in rima contro il serpente marino. Ma il mostro non era una di quelle timide creaturine dei laghi dell'entroterra che ingoiano gli incauti nuotatori; era un abitante dell'oceano. Era stato ostacolato, ma non sconfitto; adesso era veramente infuriato. Il mostro lanciò un gemito. «Non ho ancora cominciato a mordere!», tradusse Grundy. Cercò di trovare un sistema migliore per arrivare a quei bocconcini che camminavano sul fumo... e scorse il fuoco sulla spiaggia.
Il mostro non era stupido per essere uno della sua razza. Le minuscole rotelle ruotarono quasi visibilmente nella sua enorme testa mostruosa mentre contemplava le fiamme. Poi abbassò la testa, raccolse tutte le energie e con le zampe colpì l'acqua: un'enorme ondata colpì la spiaggia. Il fuoco sibilò ed emise una violenta protesta di vapore, poi capitolò ignomignosamente e morì. Il fumo smise di salire ad ondate. Dor ed i suoi amici restarono in piedi sul fumo che si andava dissolvendo. Presto non avrebbero più avuto nessun supporto. La residua nuvola di fumo si addensò e si rimpicciolì. Dor e Fracassa raggiunsero gli altri tre. Tutti si mantenevano in equilibrio su una massa che si andava rarefacendo; presto sarebbero caduti nell'oceano, dove il mostro marino sbavava avidamente. «Su, fa' qualcosa!», gridò Irene rivolta a Dor. Il rendimento di Dor sotto pressione era irregolare. In quel momento il suo cervello lavorò con maggiore efficienza. «Dobbiamo produrre altro fumo,» disse. «Irene, hai altre piante infiammabili nella tua borsa?» «Solo qualche fiore-torcia,» rispose Irene. «Ho perso tanti buoni semi con l'anguilla eclettica! Ma dove posso piantarli? Hanno bisogno di terreno solido.» «Spalma la pomata magica sulle radici,» le disse Dor. «Fa' crescere un fiore-torcia su questo fumo.» La sua bocca si aprì in un grazioso O di sorpresa. «Forse potrebbe funzionare!» Prese un seme, lo spalmò con la pomata che Dor le porse e gli ordinò di crescere. Funzionò. Il fiore-torcia si sviluppò, sbocciò e cominciò a produrre fiamme e fumo. Il vento portò il fumo verso occidente in una striscia sottile e scura. Irene la guardò con disperazione. «Mi aspettavo che emettesse più fumo. Dovremo fare gli equilibristi per camminare su quel filo!» «Per di più,» disse Chet, «il fumo nel quale il fiore-torcia ha messo le radici sta rapidamente diminuendo. Quando cadrà nell'oceano...» «Dovremo farlo attecchire nel suo stesso fumo,» disse Dor. «Così non cadrà.» «Non è possibile,» protestò la ragazza. «Il fumo non scenderà e, ad ogni modo, si muove continuamente.» «Per di più, la faccenda sa di paradosso,» disse Chet. «È un concetto problematico quando è coinvolta la magia; ciò non di meno...» «È meglio fare qualcosa,» avvertì Grundy. «Quel mostro marino aspetta
a bocca aperta sotto a questa nuvola.» «Hai un altro seme-torcia?» chiese Dor. «Sì, un altro,» disse Irene. «Ma non vedo come...» «Fallo crescere nel fumo di quell'altro. Poi giocheremo a saltamontone.» «Sei sicuro che abbia senso?» «No.» Irene passò all'azione. Ben presto, il secondo fiore-torcia era acceso, con le radici piantate nel fumo del primo mentre il suo filo di fumo correva parallelamente al di sopra del primo. «Ma non possiamo stare ancora in equilibrio su quelle strisce,» disse Chet. «Sì, possiamo farcela. Metti un piede su una striscia e l'altro sull'altra.» Con aria dubbiosa, Chet ci provò. Funzionò: riuscì a mantenersi in equilibrio tra le due colonne di fumo, attento a non cadere tra esse, e ad avanzare lentamente. Irene lo seguì, più goffamente, perché le due colonne gemelle erano ad altezze lievemente diverse e la loro distanza variava. Da sotto si sentì ridacchiare. Irene arrossì. «Quel mostro mi sta guardando sotto la gonna!», esclamò, infuriata. «Non ti preoccupare, è un mostro femmina.» «Puoi essere certa che le tue gambe saranno la prima cosa che inghiottirà se ne avrà la possibilità,» rispose Dor in tono aspro. Non sopportava molto la vanità della ragazza in quel momento. Fracassa fu il successivo. Si teneva facilmente in equilibrio: l'orco non era goffo come sembrava. «Vai, Grundy,» disse Dor. «Io sposterò la prima torcia.» «Come farai a spostarla?», domandò il golem. «Non riuscirai a stare in equilibrio su una sola colonna.» «In qualche modo ci riuscirò,» disse Dor, però quella era una complicazione a cui non aveva ancora pensato. Una volta che avesse spostato la prima torcia, non ci sarebbe stato più fumo su cui camminare. «Sei così occupato a tentare di fare l'eroe, che finirai per essere cibo per mostri,» disse Grundy. «Che fine farà Xanth, se tu farai la stessa fine di Re Trent?» «Non lo so,» ammise Dor. «Forse il Signore degli Zombie scoprirà che, dopotutto, la politica gli piace.» «Quella mummia? Ahi!» «Ma quelle torce devono essere spostate.» «Le sposterò io,» disse Grundy. «Sono abbastanza piccolo da poter camminare su una sola colonna. Tu, vai pure.»
Dor esitò, ma non vide nessuna alternativa migliore. «Va bene. Ma sta' attento.» Dor si bilanciò sulle due colonne. Era una posizione più precaria di quanto sembrasse, ma era sempre meglio che cadere in acqua, dove il mostro stava aspettando. Quando si fu sufficientemente allontanato, si fermò a guardare indietro. Grundy si stava sforzando di sradicare il primo fiore-torcia. Ma questo era grande quasi quanto il golem, ed aveva solide radici nella nuvola di fumo prodotta dal fuoco sulla spiaggia, ormai spento. L'ometto non sarebbe mai riuscito a sradicarlo. Il mostro marino, compreso il problema, si preparava a balzare. «Grundy, allontanati!», gridò Dor. «Lascia stare la torcia!» Troppo tardi. La testa del mostro era scattata mentre le zampe palmate spingevano il corpo fuori dall'acqua. Grundy gridò di terrore e balzò in alto mentre il muso penetrava nella nuvola. I denti del mostro si chiusero sulla torcia... e il golem atterrò su quel muso massiccio. Gli occhi grandi e rotondi scrutarono Grundy, che non era più grande di una pagliuzza per quelle enormi orbite, mentre il fumo della torcia usciva da una delle grandi narici. L'effetto era strano, perché nessun mostro marino produceva fuoco. Il fuoco era di competenza dei draghi. Poi il corpo del mostro marino riaffondò nell'oceano. Grundy si arrampicò lungo l'esile filo di fumo proveniente dalle narici e riuscì a ritornare sulla nuvola di fumo. Ma il fiore-torcia non c'era più. «Corri sull'altra colonna!», gridò Dor. «Salvati!» Per un attimo Grundy si fermò a guardare il mostro. «L'ho, spento,» disse. «Ho rovinato tutto.» «Escogiteremo qualcosa!», strillò Dor, comprendendo che tutto sarebbe finito se non avessero continuato ad avanzare tutti insieme. «Muoviti, subito!» Intontito, il golem obbedì e cominciò a camminare lungo la colonna, che era sempre più ampia e sottile. Dor si accorse che i loro problemi stavano aumentando, perché il fumo in cui aveva le radici la seconda torcia, era sempre più rarefatto. Presto, anche la seconda colonna sarebbe scomparsa. «Chet!», urlò Dor. «Spalma la pomata sulla tua corda ed agganciala ad una delle colonne. Legati alle estremità della cima ed afferra gli altri!» «Sei tu che hai la pomata,» gli ricordò il centauro. «Prendila!», strillò Dor. Soppesò il barattolino nella mano destra, rivolse una preghiera silenziosa allo spirito che guidava Xanth, e lanciò il baratto-
lo verso il centauro. Il minuscolo proiettile si inarcò nell'aria. Dor aveva mirato bene? Sulle prime, la traiettoria sembrò troppo alta, poi il barattolo parve cadere troppo rapidamente; infine fu chiaro che era troppo lontano da Chet. Dor aveva sbagliato mira: il barattolo stava cadendo lontano dalla portata del centauro. Dor aveva bruciato la sua unica possibilità. Poi la corda di Chet volò ed il cappio si chiuse intorno al barattolo. Il centauro, esperto nelle arti della sua razza, l'aveva preso al lazo. Il sollievo di Dor fu così grande che egli per poco non si sedette, il che avrebbe significato un suicidio. «Ma questa corda non è abbastanza lunga,» disse Chet, analizzando l'impresa che avrebbe dovuto compiere con la sua cima. «Irene la può far crescere,» disse Dor. «Io mi limito a far crescere le piante vive,» protestò la ragazza. «Queste liane vivono a lungo,» replicò Dor. «Possono mettere radici mesi dopo la separazione dalle piante madri, anche quando sembrano morte. Prova.» Ma, proprio mentre parlava, ricordò che la corda gli aveva parlato quando era stata calata nel fosso a prenderlo. Questo significava che era veramente morta. Dubbiosa, Irene provò. «Cresci,» gridò. Tutti aspettarono ansiosamente. Poi la corda crebbe. Un'estremità doveva essere in letargo, e l'altra estremità doveva essere morta. Ancora una volta, Dor fu sopraffatto dal sollievo. Si muovevano sempre sull'orlo del disastro, senza mai cadervi. Una volta che la corda ebbe iniziato, crebbe meravigliosamente. Non solo si allungò, ma si ramificò, diventò una liana completa di tutto. Presto Chet ne ebbe tanta da poter intrecciare un grande cesto. Spalmò la pomata magica su tutta la superficie ed appese il cesto alla colonna di fumo. Chet fu il primo ad entrarvi, poi lo raggiunse Irene, quindi Fracassa. Era un cesto grande e forte: doveva esserlo, per sostenere sia il centauro che l'orco. Le due massicce creature si complimentarono l'un l'altra: si piacevano. Poi la seconda torcia perse il proprio sostegno e cominciò a cadere. Dor tornò precipitosamente indietro lungo le due colonne, si tuffò, tese le mani e la afferrò. Ma il suo equilibrio su una sola colonna era precario. Spalancò le braccia e le agitò, ma non riuscì a riacquistare l'equilibrio. Allora volò un altro cappio. Dor fu afferrato sotto le ascelle proprio mentre scivolava dalla colonna. Chet lo issò mentre cadeva, cosicché Dor fece un arco sull'acqua. Il mo-
stro marino lo inseguì avidamente. I piedi di Dor sfiorarono le onde, poi il ragazzo oscillò verso l'alto. «Spada!», gridò Grundy, appollaiato sul filo di fumo. Stordito, Dor spostò la torcia nella mano sinistra e sguainò la spada. Poi oscillò di nuovo verso la testa ghignante del mostro. Chet lo issò. Di conseguenza, invece di oscillare in quella bocca spalancata, il ragazzo andò a sbattere contro il labbro superiore, sotto alle narici fiammeggianti. Dor spinse i piedi avanti e schiacciò il labbro contro la fila superiore di denti. Poi brandì la spada ed infilzò la delicata narice sinistra del mostro. «Che cosa provi, muso d'aglio?», chiese. Il muso emise una ventata rabbiosa, che puzzava veramente d'aglio e di peggio ancora. Le creature dalle qualità più sgradevoli spesso sono quelle più suscettibili rispetto ad esse. Dor fu sospinto al di sopra dell'acqua e Chet lo issò. Ma ormai il fumo che sosteneva la fune ed il cesto si era rarefatto. Presto sarebbero caduti tutti... e il mostro ne era cosciente. Tutte le punzecchiature ed i colpi che aveva ricevuto sul muso e sui denti sarebbero state vendicate. Per il momento, si fece da parte per evitare la spada di Dor, aspettando l'inevitabile con avida fame. «Il fumo!», gridò Grundy. Dor si accorse che dalla torcia che teneva in mano il fumo usciva obliquo. Il vento era calato, e la colonna formava un angolo acuto. «Sì! Usa questo fumo per sostenere la fune!», ordinò. Chet, che aveva compreso, diede una spinta al cesto e lo fece oscillare. Quando il fumo salì, il cesto lo intercettò. Ma anche Dor oscillò e mosse la torcia con il suo filo di fumo. «Fa' crescere un fagiolo-palo!», disse ad Irene. «Cresci,» ordinò Irene. Presto un altro seme germogliò: era un fagiolo a forma di palo. Fracassa lo incastrò nel cesto e lo inclinò in modo che Dor arrivasse all'estremità più lontana. Dor l'afferrò e si appese. Il palo lo manteneva obliquamente al di sotto del cesto. Chet e Fracassa riuscirono a far ruotare il congegno in modo che Dor si trovasse sopravvento rispetto a loro. Il fumo salì, passò al di sotto del cesto, e lo sostenne: ogni particella di fumo spingeva le corde intrecciate. Il fumo che saliva trascinava con sé il cesto. Il mostro marino capì al volo che la situazione era cambiata. Si slanciò in avanti, cercando di afferrare Dor, ma Dor era ormai al di fuori della sua portata. Lentamente e a scossoni, tutti cominciarono a salire, sostenuti dal
fumo della torcia. La soluzione sembrava troppo fantastica e precaria per funzionare, anche con l'aiuto della magia, ma in qualche modo funzionava. Il mostro marino, quando vide fuggire il proprio pranzo, lanciò un terribile barrito di rabbia che fece ondeggiare il fumo. Lo scossone mise in crisi quel congegno. Il suono si riverberò nel cielo, fece alzare dai loro nidi uccelli rosa, verdi e blu, e fece scappare in lacrime i ricci marini. «Non posso nemmeno tradurlo,» disse Grundy, intimorito. Il barrito ebbe anche un altro effetto. Attrasse l'attenzione del nido di draghi alati. Il nido vuoto si alzò in volo. Era un enorme ammasso di ramoscelli, foglie, piume, scaglie e ossa. «Che cos'è questo rumore?», domandò. Oh, no! Il talento di Dor doveva assumersene la responsabilità. Era stato sotto pressione, e la sua magia si stava manifestando in maniera inconsueta. «È stato il mostro marino!», gridò Dor, e non era del tutto falso. «Quel verme animato?», domandò il nido. «Gli insegnerò a disturbare il mio riposo. Ne farò una marmellata!» E volò furibondo verso il mostro. Il mostro marino, giustamente stupito, immerse la testa in acqua e si tuffò. Xanth era un luogo in cui succedevano molte cose incredibili, ma questa era più che incredibile. Il nido, all'inseguimento del mostro, atterrò con un grande tonfo, si intrise d'acqua ed affondò. «Vado a fondo!», si lamentò disperatamente mentre spariva. Dor e gli altri sgranarono gli occhi. Non avrebbero mai immaginato un fatto simile. «Ma dove sono i draghi alati?», chiese Chet. «Probabilmente sono a caccia,» rispose Grundy. «Sarebbe meglio allontanarci prima che ritornino e scoprano che il loro nido è scomparso.» In quella maniera strana e contorta erano riusciti a sfuggire al mostro marino. A mano a mano che il tempo passava, il mostro era sempre più lontano. Dor cominciò a rilassarsi... e la sua torcia si spense. Quelle piante non bruciavano in eterno. La torcia aveva consumato tutto il fumo. «Attenti al fumo!», gridò Dor, agitando la torcia spenta. Erano ormai così in alto che una caduta sarebbe stata disastrosa, anche senza un mostro affamato in attesa. «E siamo così vicini alle nuvole!», si lagnò Chet ed indicò un banco di nubi che si stagliava poco più in alto. Ce l'avevano quasi fatta. «Fa' crescere un altro po' la corda,» disse Grundy. «Deve arrivare fino a quelle nuvole.» Irene obbedì. La corda, ancorata al cesto, si allungò. Penetrò nella nuvola più bassa.
«Ma non è stata spalmata con la pomata,» disse Chet. «Non può mantenersi lassù.» «Dammi la pomata,» disse Grundy. «Mi arrampicherò io...» Così fece. Agilmente, salì lungo la liana. Dopo pochi attimi scomparve nella nuvola, con una goccia di pomata attaccata alla schiena. La colonna di fumo che li sosteneva si dissipò. Il cesto si abbassò, e Dor dondolò sotto di esso, inorridito. Ma il cesto scese di poco: la corda era stata ancorata alla nuvola, ed erano tutti al sicuro. Ma tutti gli altri non riuscirono in nessun modo ad arrampicarsi lungo la corda. Dovettero aspettare, appesi, finché un capriccio del tempo non produsse un nuovo strato di nuvole al di sotto di loro, nascondendo l'oceano. Le nuove nuvole si muovevano verso sud, invece che verso ovest, la direzione in cui si spostavano le nubi più alte. Non appena fu possibile, saltarono e cominciarono a camminare sulle gonfie masse bianche, superando con un balzo i rari vuoti, finché non sprofondarono comodamente in un grande banco di nubi. A tempo debito questo si allontanò dalle nuvole più alte e lasciò il cielo sgombro. I venti, alle varie altezze del cielo, si muovevano in direzioni diverse, portando con sé i loro carichi; quel vento si muoveva verso sud. Poiché il cesto era saldamente ancorato al banco di nubi più alto, furono costretti a svuotarlo rapidamente in modo da non perdere tutti i loro beni. Lo guardarono allontanarsi con emozioni confuse; era stato loro molto utile. Piantarono un albero di grappoli d'uva e mangiarono i grappoli a mano a mano che maturavano. Il sole era caldo lassù sulle nuvole e, poiché il vento li portava verso sud, non avevano bisogno di camminare. Il loro difficile viaggio era diventato facile. «Una sola cosa mi preoccupa,» mormorò Chet. «Quando arriveremo all'Isola del Centauro, come faremo a scendere?» «Forse escogiteremo qualcosa nel frattempo,» disse Dor. Era di nuovo stanco, sia mentalmente che fisicamente; era incapace di concentrarsi su un problema futuro in quel momento, per quanto critico potesse essere il problema. Si spalmarono tutto il corpo con la pomata in modo da potersi stendere e riposare. La superficie della nuvola era elastica e fresca, ed i viaggiatori erano stanchi: ben presto si addormentarono. Dor sognò di esplorare una foresta tranquilla: il sogno era incoerente, ma la sensazione era gradevole. Si era quasi aspettato altri incubi, ma capì che non avrebbero potuto raggiungerlo lassù, nel cielo. A meno che non si pro-
curassero della pomata magica per gli zoccoli. Poi, in sogno, guardò in un laghetto profondo e scuro e vi vide riflessa la faccia di Re Trent. «Ricorda l'Isola,» gli disse il Re. «È l'unica via attraverso la quale puoi raggiungermi. Abbiamo bisogno del tuo aiuto, Dor.» Dor si svegliò di colpo e sorprese Irene che lo fissava. «Per un attimo mi sei proprio sembrato...», disse la ragazza perplessa. «Era tuo padre,» finì Dor. «Non preoccuparti; mi ha solo inviato un messaggio, credo. Devo usare l'Isola per trovarlo.» «Come scrivi questa parola?» Dor si grattò la testa. «Non lo so. Pensavo... ma non ne sono sicuro. Island. Aisle ha senso?» «AISLE?», ripeté Irene. «Non molto.» «Credo che nelle visioni non sono più bravo che nelle avventure,» disse con rassegnazione. L'espressione della ragazza cambiò, e divenne più dolce. «Dor, - volevo dirtelo... sei stato grande con il fumo e con tutto il resto.» «Io?», chiese lui, incredulo. «Mi sono limitato ad arrampicarmi qua e là! Avete fatto tutto tu, Chet e Grundy...» «Tu ci hai guidati,» disse Irene. «Ogni volta che c'è stata una crisi e noi siamo stati paralizzati dalla paura o ci siamo fatti prendere dal panico, tu ci hai dato un ordine e noi ci siamo svegliati. Tu sei stato un vero capo, Dor. Hai fatto sempre quello che si doveva fare. Credo che non lo sappia nemmeno tu stesso, ma tu sei un capo, Dor. Sarai un discreto Re, un giorno.» «Non voglio essere Re!», protestò. Irene si chinò a baciarlo sulle labbra. «Dovevo dirtelo. È tutto.» Dor restò disteso dopo che lei se ne fu andata: le sue emozioni erano confuse. Il bacio era stato una dolce tortura, ma le parole erano state ancora più dolci. Cercò di ricordare gli avvenimenti recenti, di capire quando fosse stato eroico, ma nella mente aveva una confusione da incubo, nonostante l'assenza di incubi. Aveva fatto solo quello che si doveva fare al momento - a volte all'ultimo momento - ed era stato fortunato. Non gli piaceva dipendere dalla fortuna. Non c'era da fidarsene. Anche in quel momento, un'orribile sfortuna poteva arrivare alle loro spalle. Ebbe quasi l'impressione di udirla attraverso le nubi, una specie di sibilo coriaceo... Poi si scatenò un inferno in forma minore. La testa di un drago si infilò nella nuvola ed emise un rauco stridio.
Di colpo tutto il gruppo fu sveglio ed in piedi. «I draghi alati!», gridò Chet. «Le creature cui abbiamo affondato il nido! Ci hanno trovati!» Non c'era alcun modo di evitare il problema. I draghi alati attaccarono nello stesso momento in cui apparvero. In quel primo scontro, ognuno dovette pensare a se stesso. La Spada Magica di Dor gli lampeggiò tra le mani, ed egli colpì abilmente i punti vulnerabili del drago più vicino. I draghi alati erano di piccole dimensioni, avevano la coda ricurva e solo due zampe, ma erano agili e cattivi. La spada colpì infallibile il cuore del drago, ma fu deviata dalle scaglie che l'animale aveva sul petto. Il drago si allontanò in un attimo: lui volava, mentre Dor era fermo, ed i contatti erano fuggevoli. C'erano parecchi draghi alati, ed erano tutti esperti volatori. Fracassa si difendeva bene, perché un orco poteva fronteggiare più di un drago di quella stazza, ma Chet doveva galoppare e scansarsi per evitare gli attacchi. Faceva roteare il laccio, cercando di afferrare i draghi, ma fino a quel momento non aveva avuto successo. Irene versava in difficoltà maggiori. Dor si slanciò al suo fianco. «Fa' crescere una pianta!», le gridò. «Io ti proteggerò!» Un drago alato si diresse verso di loro e si avventò. La sua lancia di fuoco colpì un punto più avanti. La nuvola evaporò nella scia della fiamma e lasciò un buco; Dor e Irene si spostarono da un lato. «Che protezione!», sbottò Irene. Il suo colorito stava diventando verde; aveva paura! Ma la Spada Magica di Dor agì con la precisione soprannaturale ad essa inerente, e tagliò la punta dell'ala di un drago. Questi lanciò un rauco strido di rabbia e di dolore, barcollò quasi privo di controllo, ed infine scomparve nella nuvola. Si sentirono degli scoppiettii, ed una scia di fumo si fuse col vapore della nube nel punto in cui il drago era precipitato. Era una strana faccenda: il gruppo di Dor era fermo sulla soffice superficie bianca, mentre i draghi l'attraversavano come se fosse vapore, cosa che veramente era. I draghi avevano il vantaggio del movimento, mentre gli altri avevano dalla loro un solido punto d'appoggio. Ma Dor sapeva che i draghi avrebbero potuto privarli della base di appoggio bruciando le nuvole che avevano sotto i piedi: non dovevano fare altro che pensarci. Per fortuna, non erano molto intelligenti; avevano il cervello piccolo, visto che ogni peso superfluo era sacrificato per ottenere un migliore rendimento in volo. E, quel poco di cervello che avevano, era troppo surriscaldato dal fuoco per funzionare bene. I draghi erano destinati più a combattere che a pensare.
Irene era alle prese con una pianta; evidentemente aveva conservato un po' di pomata magica per il seme. Era un groviglio, una pianta temibile quanto l'alga-kraken, ma operante sulla terraferma... o sulle nuvole. In qualche istante diventò grande tanto da essere un pericolo per tutto quello che si trovava nelle vicinanze. «Cerca di mettere l'albero tra te e il drago,» gli consigliò Irene, che arretrò di qualche passo dal mostro vegetale. Dor seguì il consiglio. Quando un altro drago lo assalì, il ragazzo fuggì dietro il groviglio. Il drago, che non si aspettava di incontrare una pianta simile tra le nuvole, trasalì e virò. Ma il groviglio fece guizzare un tentacolo ed afferrò un'ala. Tirò a sé il drago e lo avvolse con altri tentacoli, come un ragno con una mosca. Il drago gridò, morse ed artigliò la pianta, ma il groviglio era troppo forte per lui. Gli altri draghi accorsero al richiamo e si avventarono sul groviglio. Chet ne prese al laccio uno che gli passava accanto. Il drago gli si rivoltò contro con ferocia, lo morse ad una spalla e poi si lanciò contro la pianta. Tre draghi aggredirono il groviglio e lo colpirono con le fiamme. Si sentì un forte sibilo, ed un vapore fetido si sparse in aria. Ma un tentacolo afferrò un altro drago e lo attirò. Nessuno poteva prendersela senza pericolo con un groviglio! «Sarebbe meglio che ci allontanassimo,» disse Irene. «Chiunque vincerà questa battaglia, subito dopo si rivolterà contro di noi». Dor fu d'accordo. Chiamò Grundy e Fracassa, ed insieme si avvicinarono a Chet. Il centauro era in difficoltà. Sangue rosso vivo gli scorreva lungo il fianco sinistro ed il braccio gli pendeva inerte. «Lasciatemi qui,» disse. «Ormai sono solo un peso.» «Tutti noi siamo un peso,» disse Dor. «Irene, fa' crescere qualche altra pianta della guarigione.» «Non ne ho,» disse la ragazza. «Dobbiamo scendere a terra per trovarne una: solo allora potrò farla crescere.» «Non possiamo scendere,» disse Chet. «Non finché non verrà la notte, quando forse la nebbia formerà degli strati inferiori di nuvole e noi potremo calarci dall'uno all'altro.» «Ma, se aspettiamo la notte, tu morirai dissanguato!», protestò Dor. Si tolse la camicia, quella nuova che Irene gli aveva fatto. «Cercherò di bendare la ferita. Poi... vedremo.» «Lo farò io,» disse Irene. «Voi uomini non sapete fare questo genere di
cose. Dor, tu chiedi alla nuvola qual è il modo per scendere velocemente.» Dor fu d'accordo. Mentre la ragazza fasciava la spalla del centauro, egli interrogò la nuvola su cui sì trovavano. «Dove siamo, rispetto al paese di Xanth?» «Siamo a sud del paese,» riferì la nuvola. «A sud del paese! E l'Isola del Centauro?» «Siamo a sud anche dell'Isola del Centauro,» disse la nuvola, in tono compiaciuto. «Dobbiamo tornare indietro!» «Mi dispiace, io vado a sud. Avreste dovuto sbarcare un'ora fa. Devi parlare al vento, se cambiasse...» Dor sapeva quanto fosse inutile parlare al vento; ci aveva provato quand'era piccolo. Il vento andava sempre dove voleva e faceva quello che gli piaceva, senza riguardo per i desideri altrui. «Come potremmo fare per scendere a terra in fretta?» «Saltate giù. Ad ogni modo, sono stanco di sostenere il vostro peso. Lo spruzzo sarà grande, quando arriverete in acqua.» «Io intendevo senza pericoli!» Era inutile prendersela con un inanimato, ma Dor lo stava facendo. «Di che cosa avete bisogno per scendere senza pericoli?» «Di una rampa di nuvole che arrivi sulla terraferma.» «No, qui non ce ne sono. Nelle vicinanze abbiamo un uragano che si muove verso est. La sua turbolenza arriva fino all'acqua.» Dor guardò verso est e vide profilarsi una nube da temporale. Gli sembrò di conoscerla. Stava per avere il suo terzo scontro con quel particolare temporale. «È l'unica cosa da farsi.» «Ve ne pentirete!», salmodiò la nuvola. «Quelle nubi da temporale sono meschine, e quella in particolare ce l'ha con te. Io sono solo un cumulus humilis, la più umile delle nuvole a pecorelle, ma quella...» «Basta,» tagliò corto Dor. Era già abbastanza agitato per la situazione in cui si trovavano. Era evidente che il temporale si era allenato ed aveva messo su nuovi muscoli di vapore per l'occasione. Sarebbe stato terribile... ma quale alternativa avevano? Dovevano portare Chet a terra... e all'Isola del Centauro... in fretta. Il gruppo di viaggiatori si affrettò sulla superficie della nuvola in direzione del temporale. La nube era sempre più grande e più brutta a mano a mano che si avvicinavano. I suoi enormi occhi, due vortici d'acqua, lampeggiavano verso di loro, e il suo naso penzolava: era un cono vorticante.
Altro che muscoli! Ma il sole al tramonto ne illuminò l'orlo ed inargentò il bordo più vicino. «Un filo d'argento!», esclamò Irene. «Mi piacerebbe averne un pezzetto!» «Forse potrai prenderne un po' durante la discesa,» disse Dor, arcigno. La ragazza lo aveva criticato perché aveva salvato l'oro; e adesso voleva l'argento. Un drago volante lasciò perdere la battaglia con il groviglio e volò verso di loro. «Guarda, un nemico alle nostre spalle!», gridò Grundy. Dor si girò, e sguainò stancamente la spada. Ma il drago non cercava più guai. Volava senza forze, e sembrava stordito. Prima di raggiungerli, sprofondò nella nuvola e scomparve. «Il groviglio deve averlo schiacciato,» disse Grundy. «Il groviglio non ha un aspetto migliore,» osservò Irene. Era probabilmente l'unica persona a Xanth ad avere simpatia per quelle piante. Dor si girò a guardare. Era vero: i tentacoli erano avvizziti. «È stata una bella battaglia!», concluse la ragazza. «Ma se il groviglio è ridotto al lumicino,» chiese Dor, «perché il drago se n'è volato via? Non è tipico di un drago lasciare a mezzo una battaglia.» Non sapevano che cosa pensare. Poi, davanti a loro, il drago riuscì a sollevarsi al di sopra della nuvola con grandi sforzi, e cercò disperatamente di superare la nube che gli stava davanti. Ma fallì, e non riuscì a raggiungere l'altezza sufficiente. Andò a finire nel temporale. Il temporale afferrò il drago, lo sbatté da una parte all'altra, poi lo gettò nel cono roteante. Il drago roteò più volte, e le sue scaglie volarono da tutte le parti. Infine fu risucchiato dall'impenetrabile centro della nube. «Detesto assistere ai pasti dei temporali», mormorò Grundy. «È peggio del groviglio!», sospirò Irene. «Ha ingoiato quel drago, come nulla fosse!» «Dobbiamo cercare di evitare il cono,» disse Dor. «C'è una gran quantità di vapore intorno al vortice; se riuscissimo a scendere lungo la nube, vicino all'orlo d'argento...» «I miei zoccoli affondano nella nuvola,» disse Chet, allarmato. Allora scoprirono che accadeva la stessa cosa a tutti. La superficie, prima elastica, era diventata molle. «Che cosa sta succedendo?», domandò Irene, ed il tono della sua voce divenne pericolosamente isterico. «Che cosa sta succedendo?», chiese Dor alla nuvola.
«La pomata sta perdendo il suo effetto, zuccone,» tuonò la nube, ma il suono arrivò attutito. La pomata aveva un limite di tempo di circa un giorno. Rapidamente ne applicarono dell'altra. Servì, ma la superficie della nuvola continuava ad essere viscosa. «Non mi piace,» disse Grundy. «Forse il vecchio strato di pomata si era consumato, ma la nuova applicazione non ha migliorato un granché la situazione! Mi chiedo se ci sia un rapporto con il groviglio avvizzito e il drago che è fuggito.» «Ho capito!», esclamò Chet, con una smorfia di dolore, perché il movimento improvviso gli aveva provocato una fitta di dolore alla spalla. «Stiamo uscendo dall'ambito della magia! Per questo motivo tutto ciò che è magico è in difficoltà!» «Dev'essere così!», convenne Dor, con sgomento. «Le nuvole si trovano a sud di Xanth... e aldilà di Xanth la magia svanisce. Siamo sulla soglia di Mundania!» Per un attimo restarono in silenzio, scossi. Il peggio era accaduto. «Cadremo giù dalla nuvola!», gridò Irene. «Cadremo in mare! Nell'orribile mare mundano!» «Corriamo verso nord,» ci esortò Grundy. «Di nuovo nella magia!» «Arriveremo all'orlo della nuvola e cadremo,» si lamentò Irene. «Dor, fa' qualcosa!» Quanto detestava essere messo con le spalle al muro! Ma già sapeva che cosa fare. «Il temporale...», disse. «Dobbiamo attraversarlo e scendere a terra, prima di essere fuori dal mondo della magia.» «Ma quel temporale ci odia!» «Il temporale avrà i suoi problemi, quando la magia svanirà,» disse Dor. Corsero verso la nube temporalesca, che li guardò corrusca e cercò di prepararsi ad un attacco distruttivo. Ma perdeva compattezza a mano a mano che la magia diminuiva, e non riusciva a concentrarsi opportunamente. Quando arrivarono sui vapori che roteavano intorno, i loro piedi affondarono, come se la superficie fosse una melma. La magia stava svanendo, e restava poco tempo prima che perdessero la superficie di appoggio e precipitassero. Eppure, quando arrivarono all'orlo d'argento, Dor comprese che godevano di un beneficio inaspettato. Quel lento affondare, provocato dalla perdita dell'effetto della pomata, permetteva loro di scendere in maniera moderata e la discesa avrebbe potuto portarli senza danni sulla terraferma. Non
dovevano dipendere dal temporale. Si presero per mano l'un l'altro, in modo che nessuno si perdesse nel turbinio del vento che rinforzava. Fracassa mise un braccio intorno alla groppa di Chet per tenerlo accanto a sé, dal momento che il centauro aveva un braccio inutilizzabile. Sprofondarono nella nebbia vorticosa, che dava l'impressione di uno stufato. Dor aveva temuto di soffocare, ma scoprì di poter respirare abbastanza bene. Non aveva pomata sulla bocca: la nube era solo vapore a contatto della sua testa. «Tutto quel filo d'argento!», disse Irene. «Ed io non posso averne nemmeno un po'!» Il turbinio del vento diventò più forte. Furono sbattuti dalle raffiche ed attratti nel vortice centrale. Ma il vortice ormai aveva solo una minima parte della forza di prima, e non poteva farli roteare come aveva fatto con il drago volante. Scesero a spirale attraverso il temporale, mentre la magia continuava a svanire. Dor si teneva stretto agli altri, con la speranza che la magia durasse abbastanza da permettere loro di atterrare dolcemente. Ma, se fossero caduti in alto mare... Dopo una discesa infinitamente breve, caddero veramente in alto mare. La pioggia li sferzava e onde mostruose si alzavano tutt'intorno. Dor fu costretto a lasciar andare le mani che stringevano le sue per nuotare e per permettere agli altri di nuotare. Trattenne il fiato, nuotò vigorosamente per salire sulla superficie dell'onda che lo portava e, quando emerse con la testa nell'aria agitata, gridò: «Aiuto! Passa parola!» Restava un po' di magia? Si... un briciolo. «Aiuto!», ripeté debolmente l'onda. «Aiuto!», echeggiò l'onda successiva. «Aiuto! Aiuto! Aiuto!», intonarono in coro le altre onde. Apparve una zattera. «Qualcuno sta affogando!», gridò una voce. «Dove sei?» «Qui!», ansimò Dor. «Siamo cinque...» Poi una crudele ondata gli colpì la faccia ed il ragazzo soffocò. Dopodiché, tutte le sue ultime energie furono impiegate per cercare di stare a galla tra i flutti, il che non gli riuscì affatto. Quindi un paio di mani forti lo afferrarono e lo issarono su un'ampia zattera di legno. «Gli altri!», esclamò Dor. «Altri quattro...» «Li abbiamo già presi, Re Dor,» disse il suo salvatore. «Fradici, ma sani e salvi.» «Chet.. il mio amico centauro... è ferito... ha bisogno dell'elisir di guarigione...»
Il suo salvatore sorrise. «Lo ha avuto, naturalmente. Credi che avremmo mai potuto trascurare uno dei nostri?» La visione di Dor si fece più chiara e il ragazzo comprese a quale razza apparteneva il suo salvatore. Era un centauro adulto! «Noi... noi...» «Benvenuti nelle acque costiere dell'Isola del Centauro, Vostra Maestà.» «Ma...», farfugliò Dor. «Voi non dovreste sapere chi sono!» «Il Buon Mago Humfrey ha saputo che eravate nei guai e che avreste avuto bisogno di aiuto quando sareste scesi in acqua. Il Signore degli Zombie ci ha chiesto di fare la guardia in questo punto. Tu sei la persona più importante del nostro paese, Re Dor! Per fortuna, abbiamo dato retta alle loro richieste; di solito non andiamo per mare durante una tempestaimbuto.» «Oh!» Dor era imbarazzato. «Vi hanno detto quale era la mia missione?» «Ci hanno detto solo che viaggiavi per la Terra di Xanth e che ne esaminavi la magia. C'è qualcos'altro che avremmo dovuto sapere?» «Uh, no, grazie,» disse Dor. Almeno quel segreto era salvo. I centauri non avrebbero reagito bene all'idea di un Mago tra loro, un centauro Mago. A Dor non piaceva molto ingannare, ma sentiva che in quel caso era necessario. Apparve Irene, infradiciata, inzaccherata, arruffata, ma sempre bella. In qualche modo, a Dor sembrava sempre bellissima quando era in disordine; forse era perché ogni artificio scompariva. «Credo che tu ce l'abbia fatta ancora una volta, Dor,» disse la ragazza, prendendolo per mano. «Ci hai portati giù sani e salvi.» «Ma tu non hai avuto il tuo filo d'argento,» le ricordò. Irene rise. «Sarà per un'altra volta! Dopo aver visto come ci ha trattati quella tempesta, non voglio niente delle sue cose, in nessun caso.» Poi i centauri li condussero nella cabina asciutta della zattera. Irene continuò a tenerlo per mano, e Dor ne fu felice. Capitolo 7 La viltà Era buio quando la zattera dei centauri entrò in porto. Chet fu portato da un veterinario per essere curato, visto che il morso del drago sembrava resistere all'elisir di guarigione. A Dor ed ai suoi compagni fu dato un buon pasto a base di arance verdi, dopodiché furono condotti in una con-
fortevole stalla per la notte. Quella costruzione offriva la piacevole vista di un succulento pascolo, era adeguatamente arieggiata, ed abbondantemente rifornita di acqua, fieno e sale. Per un attimo si fermarono stupiti a guardare quelle comodità, poi entrò Fracassa. «Ehilà, fieno a volontà», esclamò, e vi si sprofondò con un tonfo che scosse tutto l'edificio. «Buona idea», disse Grundy, e fece altrettanto, solo che l'edificio fu scosso con molta minore intensità. Dopo qualche istante, anche Dor e Irene si sdraiarono. Il fieno era morbido e spandeva un profumo dolce, che portava a rilassarsi ed evocava immagini di gite in campagna. Irene strinse la mano di Dor, e dormirono saporitamente. La mattina dopo, un imponente centauro maschio anziano, entrò nella stalla. Aveva un'aria stranamente timida. «Sono Gerome, l'anziano dell'isola. Re Dor, sono venuto a scusarmi dell'errore. Voi non avreste dovuto alloggiare qui.» Dor si alzò rapidamente e cercò di togliersi il fieno dai vestiti spiegazzati, mentre Irene tirava giù la gonna e toglieva il fieno giallo dai suoi capelli verdi. «Anziano, siamo così felici di essere stati salvati dall'oceano, e di aver ricevuto ospitalità, che questa stalla ci sembra meravigliosa. Saremo lieti di portare a termine il nostro compito e di tornare a casa: questa non voleva essere una visita ufficiale. La stalla è stata più che sufficiente.» Il centauro si rilassò. «Siete molto cortese, Vostra Maestà. Noi abbiamo vari tipi di alloggio per vari tipi di ospiti. Temo che un gliten si sia intrufolato nel programma: cerchiamo di tenerli lontani, ma loro continuano ad entrare di soppiatto.» «Infestano anche il Castello di Roogna,» disse Dor. «Li catturiamo con trappole per glitch e li deportiamo nelle foreste più remote, ma loro si riproducono più velocemente di quanto noi li catturiamo.» «Venite,» disse il centauro. «Abbiamo vestiti e cibo pronti per voi.» Fece una pausa. «Ancora una cosa. Alcuni di noi hanno partecipato alle nozze del Buon Mago. Hanno riferito che avete officiato la cerimonia in maniera splendida, nonostante le circostanze difficili. Il Mago Humfrey aveva l'intenzione di darvi un oggetto; a quanto pare, la confusione del momento glielo ha fatto dimenticare.» Il centauro abbozzò un sorriso. «Ha la tendenza a dimenticare,» disse Dor, ricordando la dimenticanza di comunicare agli Anziani il viaggio di Re Trent a Mundania. «Di conseguenza, la Gorgone ha chiesto ad uno dei nostri rappresentanti di portarvi qui il dono del Buon Mago.» Gerome gli porse un piccolo og-
getto. Dor lo prese. «Grazie, Anziano. Uh, che cos'è?» «Credo che sia una Bussola Magica. Notate che la lancetta è diretta verso di voi: l'unico Mago dell'Isola.» Dor osservò la bussola. Era un disco al cui interno si muoveva un ago di luce. «Non è diretto verso di me.» Gerome guardò. «Beh, no. Ma sono sicuro che lo era, fino a qualche attimo fa: perciò ero certo che fosse arrivato a destinazione. Forse mi sono ingannato sul suo uso. Può essere che fosse diretto verso di voi solo per guidarci fino a voi. Certamente, ci ha aiutato nelle nostre ricerche, ieri pomeriggio.» «Dev'essere così!», convenne Dor. Forse il Buon Mago aveva previsto i loro problemi con la tempesta ed aveva inviato l'unico oggetto che poteva recargli aiuto, senza possibilità di errori. Humfrey era abbastanza stravagante da agire singolarmente. Dor infilò la bussola in una tasca insieme ai diamanti ed alla Pietra di Sole, poi cambiò argomento. «Chet... come sta, questa mattina?» Gerome si accigliò. «Mi dispiace di dover riferire che non si è completamente rimesso. Evidentemente è stato morso ai confini della magia...» Sì,» convenne Dor. «E lo ha colpito un'infezione mundana, che resiste alla guarigione magica. Forse ha anche ricevuto troppo tardi l'elisir di guarigione. Non possiamo esserne sicuri. Accadono strane cose ai confini della magia. Non è in pericolo di vita, ma temo che occorrerà qualche tempo prima che il suo braccio torni alla normalità.» «Forse possiamo aiutarlo a tornare a Castel Roogna,» disse Dor, sconfortato. «É nostro amico: senza di lui, non saremmo mai arrivati qui. Mi sento responsabile...» «Non deve fare nessun altro sforzo violento finché non si sarà rimesso del tutto,» disse Gerome con serietà. «Non è prudente prendere alla leggera una malattia resistente alla magia. Venite, vi aspetta per fare colazione.» Lungo la strada, Gerome insisté perché si fermassero da un venditore di abiti centauri. A Dor furono dati un paio di pantaloni, una camicia ed una giubba nuovi e sfavillanti, tutti intessuti con una trama fitta ed assai comodi. Irene prese per sé un completo che la rendeva molto seducente, nonostante non fosse della solita sfumatura di verde che usava la ragazza. Anche Fracassa e Grundy ebbero una bella giubba nuova. L'orco non aveva mai indossato abiti prima di allora, ma la giubba era tanto bella che l'accet-
tò con orgoglio. «In questa stoffa,» disse Irene «c'è qualcosa di magico.» Gerome sorrise. «Come voi sapete, noi centauri disapproviamo il talento magico personale. Ma lavoriamo con la magia. Questa stoffa viene intessuta dai nostri artigiani con il filato di ferro, ed oppone una forte resistenza alla penetrazione di oggetti estranei. Li usiamo per fare abiti adatti ai combattimenti, e per attenuare l'effetto delle ferite.» «Ma deve essere un materiale molto prezioso», disse Dor. «La vostra salute è importante per noi, Vostra Maestà. Se voi e Chet aveste indossato questi abiti, i denti del drago alato non sarebbero penetrati nella sua spalla.» Dor apprezzò la logica di quel ragionamento. Sarebbe stato molto imbarazzante per i centauri se fosse accaduto qualcosa al temporaneo Re di Xanth od ai suoi amici durante il loro soggiorno nell'Isola. «Molte grazie.» Entrarono in una stanza più grande, il cui alto soffitto poggiava su colonne bianche e ornate. Enormi finestre lasciavano entrare la luce obliqua del giorno, che emanava un piacevole calore ed una luminosità gradevole. Su un'enorme tavola da banchetti, che era al centro, erano stati disposti calici di sardonice striata e di alabastro bianco, ancora più belli sotto i raggi del sole. I piatti erano di giadeite verde. «Un servizio da Re,» sussurrò Irene, «Penso che abbiano tirato fuori tutto il vasellame regale per te, Dor.» «Vorrei che non l'avessero fatto,» le sussurrò lui di rimando. «E se si rompe qualcosa?» «Bada a Fracassa.» disse Irene. Questo avvertimento rese Dor ancora più nervoso. L'orco come avrebbe maneggiato quel delicato servizio da tavola? Furono fornite delle sedie molto elevate, perché la tavola era troppo alta per la loro statura. Molti altri centauri - maschi e femmine - si unirono al gruppo: erano gli altri Anziani dell'Isola. Restarono in piedi intorno alla tavola; i centauri non potevano servirsi di sedie, e la tavola era stata fatta per la loro statura. Il cibo era eccellente. Dor aveva temuto che il pasto sarebbe stato tutto a base di avena e grano, ma l'errore della stalla non fu ripetuto. C'era un piatto di polenta di granturco, prodotto dagli arbusti di granturco, ed un ottimo latte al cioccolato, spremuto dalle noci di cacao. Come dessert servirono un'insolita delicatezza: il miele. Dissero che era prodotto da una rara specie di api importate da Mundania. Dor aveva incontrato api dello starnuto e l'ape dell'ortografia, ma gli sembrava veramente strano pensare alle api del
miele! Fracassa, con grande sorpresa e sollievo di Dor, si rivelò un conoscitore di pietre dure. La sua razza, li informò allegramente in rima, aveva sviluppato la propria forza fracassando e plasmando i diversi tipi di minerali. Non avrebbero mai potuto creare calici belli quanto quelli, ma producevano graziosi blocchi di granito e di marmo per mura e costruzioni. «È vero,» convenne Gerome. «Alcune delle belle pietre angolari che si trovano nelle costruzioni dell'isola sono state comprate dagli orchi. Quelle pietre resistono a qualsiasi cosa.» Fracassa, compiaciuto, inghiottì un altro paio di boccali di latte. Poche creature riconoscevano le qualità artistiche degli orchi. Chet si trovava con loro: era pallidissimo e mangiava poco, il che induceva a pensare che la ferita gli facesse male. Non c'era niente che Dor potesse fare, tranne che ignorare il dolore dell'amico, perché era evidente che il centauro non voleva attirare l'attenzione sulla sua debolezza. Chet, per qualche tempo, non avrebbe potuto viaggiare con loro. Dopo la colazione, venne offerto un giro guidato dell'Isola. Dor era cosciente del riferimento che Re Trent gli aveva fatto in sogno all'isola o al passaggio. Se era l'unica via per cui Dor poteva arrivare al Re, doveva stare attento al meccanismo. Da qualche parte, lì, sull'Isola, forse si trovava la chiave di cui aveva bisogno. Le strade erano ampie, in terra battuta, adatte agli zoccoli dei centauri. Le curve erano protette da banchine in modo che il galoppo fosse confortevole. A intervalli, erano state poste delle basse sbarre di legno, che i centauri potevano usare per pulire gli zoccoli da residui di terra. Gli edifici erano misti: alcuni erano stalle, altri invece erano molto simili a residenze umane. «Vedo che la nostra architettura ti lascia perplesso,» disse Gerome. «Deriva dalle nostre origini; a tempo debito visiterai il nostro museo storico, dove ciò ti sarà chiaro.» Durante la passeggiata, Dor lanciò un'occhiata furtiva alla Bussola Magica che il Buon Mago Humfrey gli aveva fatto avere. Credeva di averne compreso l'uso. «Bussola, tu indichi il Mago più vicino e più forte, che non sia la persona che ti sta usando?», chiese. «Certamente,» replicò la Bussola. «Qualsiasi stupido lo sa.» Perciò, in quel momento, indicava il Mago centauro. Una volta che Dor si fosse liberato di quelle formalità, avrebbe seguito la direzione dell'ago fino all'oggetto della sua ricerca.
Si fermarono nel quartiere della città dove si lavoravano i metalli. Vi erano fabbri ferrai, argentieri e ramai, che foggiavano le strane calzature usate dai centauri importanti, gli insoliti strumenti che usavano per mangiare, e le belle pentole con cui cucinavano. «Loro non hanno problemi a raccogliere fili d'argento in abbondanza,» commentò Irene, invidiosa. «Ah... ti piace il filo d'argento?», le chiese Gerome. Li accompagnò ad un'altra bottega, dove centinaia di fili d'argento venivano trasformati in frange per giubbe e simili. «Questa è per te.» E il centauro le porse una pelliccia ornata di fili d'argento, che scintillava come il sole dopo la tempesta. «Ooooh,» esclamò Irene, e la indossò. «È soffice come una nuvola!» Dor dovette ammettere che quel capo decorativo sottolineava la sua bellezza. Un centauro stava lavorando ad un materiale appena importato da Mundania, un metallo forte e leggero, chiamato alluminio. «L'incoraggiamento di Re Trent al commercio con Mundania è stato benefico per noi,» osservò Gerome. «Non abbiamo alluminio a Xanth. Ma l'approvvigionamento è irregolare, perché sembra che non possiamo mai commerciare con la stessa zona di Mundania, per due volte consecutive. Se questo problema fosse risolto, sarebbe un, grande e nuovo giorno per il commercio.» «Il Re se ne sta occupando,» disse Irene. Ma fu costretta a fermarsi lì: avevano deciso di non diffondere la voce sulla situazione in cui si trovava Re Trent. Visitarono il quartiere dei tessitori, dove grandi telai intrecciavano filati dalle origini più varie. I centauri erano filatori e tessitori esperti, e i loro prodotti andavano da fini sete a pesanti tappeti. Dor era stupito: non gli era mai venuto in mente che i prodotti dell'albero-coperta si potessero riprodurre artificialmente. Che meraviglia essere in grado di creare qualsiasi cosa di cui si avesse bisogno invece di aspettare di vederla crescere su una pianta! Un altro quartiere era dedicato alle armi. I centauri erano arcieri e lancieri superlativi, e lì venivano foggiati i loro archi e le lance, insieme a spade, clave e lacci. Una piccola parte del quartiere era dedicata alle armature, che includevano cotte di maglia, elmi, schinieri e guanti. Fracassa provò un enorme guanto e lo piegò in un massiccio pugno. «Alla prova lo metterò?», domandò, speranzoso. «Sì, certamente,» disse Gerome. «C'è un masso di quarzo che vorremo
ridurre in polvere. Prova su quello.» Fracassa si avvicinò a grandi passi al masso, sollevò in alto il pugno e lo abbassò con violenza sul masso. Si sentì uno schianto simile ad un tuono, e una nuvola di polvere e di sabbia eruppe dal punto in cui la mano e la pietra erano venute a contatto. L'orco ne fu completamente avvolto. Quando la polvere si fu posata, videro l'orco affondare fino alle ginocchia in un cumulo di sabbia, con un sorriso beato sulla brutta facciona. «Oh, che bel guanto!», grugni, e se lo tolse controvoglia. Fili di fumo si alzavano dalle dita del guanto. «Allora è tuo, insieme al suo compagno,» disse Gerome. «Ci hai risparmiato molta fatica, frantumando quel masso con tanta efficienza.» Fracassa si commosse per quel regalo, ma Dor restò in silenzio. Sapeva che gli orchi erano forti, ma Fracassa non era ancora adulto. Il guanto di metallo doveva avere accresciuto la sua potenza proteggendogli la mano. Da adulto, Fracassa sarebbe stato una creatura veramente temibile, con troppa forza. E sarebbe stato necessario allontanarlo da Castel Roogna. Ma Dor, più che per questo motivo, era turbato da qualcosa di più sottile. I centauri avevano dato regali meravigliosi a ciascun membro del gruppo di Dor: begli abiti che li proteggevano, più qualsiasi altra cosa desiderassero, come il filo d'argento di Irene e i guanti di Fracassa. Forse erano gesti di generosa amicizia, ma Dor non si fidava di tanta munificenza. Quale ne era lo scopo? Una volta Re Trent lo aveva avvertito di stare in guardia dagli stranieri che portavano doni. I centauri sospettavano la vera natura della missione di Dor e cercavano di influenzare il modo in cui l'avrebbe portata a termine? Perché? Non aveva nessuna risposta a questo quesito. Visitarono la cucina comune dei centauri, nella quale gli alimenti, provenienti da un'ampia zona, venivano puliti e preparati. Ovviamente, i centauri mangiavano molto bene. In effetti, sotto molti aspetti, sembravano più avanzati ed avevano più comodità degli abitanti umani della zona di Castel Roogna. Dor lo trovava sconvolgente: in qualche modo, si era aspettato di trovare l'Isola dei Centauri abitata da pochi individui primitivi che galoppavano dappertutto e si combattevano l'un l'altro con la clave. Adesso che vi era giunto, l'Isola del Centauro gli sembrava il centro della cultura, mentre Castel Roogna gli pareva provinciale. Lì, ai confini, il potere della magia era sicuramente più debole, il che serviva a spiegare perché la maggior parte dei centauri sembrasse priva di talenti, mentre coloro che erano più vicini al centro di Xanth li possedeva-
no. Com'era, allora, che quelle creature manchevoli vivevano così bene? Era quasi come se l'assenza della magia fosse un vantaggio, che li spingeva a sviluppare altre abilità, le quali, alla fin fine, arrecavano un successo maggiore di quello che avrebbe portato la magia. Era un'assurdità, naturalmente ma, nel vedere la vita sull'Isola, Dor quasi ci credeva. E se, solo per ipotesi, esisteva una correlazione tra il successo e la mancanza di magia? Allora ne seguiva che Mundania, la terra completamente priva di musica, avrebbe potuto diventare un posto in cui vivere meglio che a Xanth? Quest'idea lo fece scoppiare a ridere. Aveva seguito il suo pensiero fino alle estreme conseguenze ed aveva scoperto che era ridicolo. Quindi quel pensiero era sbagliato. Era assurdo pensare che la fosca Mundania fosse un posto migliore per vivere di Xanth! Gli altri lo guardavano con espressione interrogativa per quella sua risata senza senso. «Uh, era solo una catena di pensieri che si concludeva in modo divertente,» spiegò Dor. Poi, per il timore che la sua risposta non soddisfacesse la loro curiosità, cambiò argomento. «Uh, se mi è concesso... visto che voi centauri sembrate così bene organizzati qui... certamente, meglio di noi esseri umani... come mai accettate di essere governati dagli uomini? Non sembra che abbiate bisogno di noi e, se mai dovessimo arrivare ad una guerra, voi potreste distruggerci.» «Dor!», esclamò Irene. «Ma cosa ti salta in mente?» «Siete troppo modesto, Vostra Maestà,» disse Gerome, con un sorriso. «Ci sono numerose ragioni imprescindibili. Punto primo: non siamo interessati al potere, e preferiamo lasciare ad altri le decisioni di stato per dedicarci alle nostre arti, ai nostri mestieri, alle nostre abilità ed al nostro piacere. E, poiché a voi esseri umani sembra piacere la tediosa attività di governo, noi siamo lieti di lasciarvela, così come lasciamo agli orchi la lavorazione del granito e ai draghi la raccolta dei diamanti. È più semplice acquistare quello che ci serve.» «Beh, penso di sì,» convenne Dor, dubbioso. «Punto secondo: voi esseri umani avete una qualità fenomenale che a noi generalmente manca,» continuò Gerome, evidentemente alle prese con uno dei suoi argomenti preferiti. «Voi siete in grado di operare la magia. Noi utilizziamo la magia, ma in genere non possiamo realizzarla noi stessi, né lo vorremmo. Preferiamo prenderla in prestito come se fosse uno strumento di lavoro. Riuscite ad immaginare uno di noi sconfiggere Re Trent in un combattimento? Ci trasformerebbe tutti in vermi-pollici!»
«Se si potesse avvicinare abbastanza da farlo,» disse Dor. Ricordò che quell'argomento era già stato discusso: Chet aveva sottolineato che l'abilità dei centauri con l'arco e le frecce annullava la magia di Trent. C'era una risposta a quello? Dor avrebbe preferito credere che la magia fosse la forza suprema di Xanth. «Chi può governare da lontano?», chiese Gerome retoricamente. «Gli eserciti sul campo di battaglia sono una cosa, governare un popolo è un'altra. La magia di Re Trent gli permette di governare, così come la vostra lo permetterà a voi. Perfino i vostri talenti più insignificanti sono di gran lunga superiori alle nostre capacità.» Il centauro voleva adularlo? «Ma i centauri possono compiere magie!», protestò Dor. «Il nostro amico Chet...» «Permettete?», disse Gerome. «Anche voi esseri umani compite funzioni naturali, ma noi non parliamo pubblicamente di cose simili, per rispetto alla vostra particolare sensibilità. È innegabile che noi centauri non siamo a conoscenza di alcun talento magico personale in tutta la nostra storia, e ancora adesso riteniamo che manifestazioni simili siano un'aberrazione. Perciò non abbiamo mai pensato di poter usare la magia personale, e preferiremmo che non ne fosse fatto più cenno.» «Uh, certamente!», convenne Dor, imbarazzato. Sembrava che tutti gli altri centauri fossero sensibili e irragionevoli sull'argomento così come lo era Charlie, la tutrice di Dor. Gli esseri umani erano veramente schizzinosi riguardo a certe funzioni naturali, come gli aveva ricordato il centauro Anziano, mentre i centauri non lo erano. Invece gli esseri umani non erano schizzinosi riguardo alla magia personale nella maniera in cui lo erano i centauri. Probabilmente, entrambi gli atteggiamenti non avevano senso. Ma gli abitanti dell'Isola del Centauro come avrebbero reagito alla notizia che un Mago completo della loro razza era tra di loro? Alla fine, Dor avrebbe dovuto dirglielo. Quella missione si stava rivelando veramente imbarazzante! «Punto terzo: onoriamo un accordo che risale all'alba delle nostre specie,» continuò Gerome, lasciandosi dietro il disgustoso soggetto della magia come un pezzo di letame. «Non ci faremo coinvolgere dalla politica e non competeremo mai con i nostri fratelli umani per il potere. Di conseguenza, anche se desiderassimo il potere ed avessimo la capacità di conquistarlo, non lo faremmo. Non tradiremmo mai quel giuramento.» E il centauro assunse un'espressione tanto seria che Dor non osò proseguire la discussione.
Alla fine arrivarono al museo storico. Era un edificio solenne di mattoni rossi, a molti piani, con piccole finestre ed un aspetto inaccessibile. Ma all'interno era interessantissimo, pieno com'era di manufatti di ogni genere. C'erano esempi di tutti gli oggetti prodotti dai centauri, che di decennio in decennio risalivano all'epoca antecedente alla Prima Ondata di conquista umana. Dor vide che i primi manufatti erano più rozzi; gli artigiani non avevano ancora sviluppato le loro abilità. Ogni cosa era identificata da cartellini ben fatti che fornivano date, luoghi e particolari del manufatto. I centauri avevano un acuto senso della storia! Durante la visita, Dor aveva continuato a lanciare occhiate furtive alla Bussola Magica. Fu premiato per la sua costanza nell'accorgersi che l'ago era puntato verso il museo: forse il Mago era là! «E questo è il nostro Conservatore,» disse Gerome, presentando un centauro di mezza età, munito di un paio di occhiali. «Sa tutto della nostra storia: è Arnoldo l'Archivista.» «Precisamente,» concordò Arnoldo con severità, guardando al di sopra degli occhiali. Il Demone Beauregard era l'unica altra creatura cui Dor avesse visto indossare un congegno simile. «Sono molto lieto di conoscere voi e il vostro gruppo, Re Dor. Adesso, se volete scusarmi, ho una spedizione di manufatti da catalogare.» Detto questo si ritirò nel suo angolino, dove si alzavano pile di carte e oggetti. «Arnoldo è molto dedito alla sua professione,» spiegò Gerome. «È intelligente, anche al di sopra della nostra media, ma non è socievole. Dubito che ci sia qualcosa della storia naturale di Xanth che egli non conosca. Di recente, è andato a raccogliere reperti ai confini della magia. È arrivato in un'isola, a sud, che si dovrebbe trovare completamente al di fuori della magia, sebbene Arnoldo lo neghi. Prima che Re Trent abbassasse lo scudo che circondava Xanth, spedizioni simili erano impossibili.» Dor ricordava lo scudo, perché la sua tutrice gliene aveva parlato. La centaura Cherie era particolarmente preparata in storia sociale. Le ondate di conquistatori umani erano diventate così pericolose che un Re di Xanth aveva infine messo fine alle invasioni chiudendo Xanth con uno scudo magico che uccideva qualsiasi essere vivente lo attraversasse. Ma lo scudo aveva anche impedito agli abitanti di Xanth di uscire. I Mundani, a quanto sembrava, erano arrivati a credere che Xanth non esistesse affatto, e che la magia fosse impossibile, poiché nella loro terra non ne trapelava più nulla. C'erano stati, a quanto pareva, molti casi di magia registrati, cui i Mundani avevano assistito o partecipato, ma erano stati tutti liquidati come supersti-
zioni. Forse era il modo che i Mundani avevano scelto per riconciliarsi con la perdita di qualcosa di meraviglioso come la magia, fingere che non esistesse e che non fosse mai esistita. Ma anche Xanth ne aveva sofferto. Con il passar del tempo era diventato evidente che il genere umano di Xanth aveva bisogno di quelle periodiche introduzioni di sangue nuovo, per quanto violente fossero perché, senza le Ondate, si era verificato un logorio costante degli esseri umani puri. All'inizio, gli uomini avevano sviluppato dei talenti magici, e in seguito erano diventati essi stessi magici, accoppiandosi con animali per creare varie specie composite, come le arpie, i fauni e le sirene, oppure evolvendosi semplicemente in gnomi, giganti e ninfe. A quel punto Re Trent aveva calato lo scudo ed aveva fatto entrare un certo numero di coloni Mundani, con il patto che i nuovi abitanti avrebbero espletato la funzione di guerrieri in caso di ulteriori invasioni violente. Fino a quel momento non ce n'erano state, ma le Ondate si svolgevano nel corso di secoli, non di decenni, quindi significava poco. L'immigrazione era una faccenda incerta, in quanto era molto più facile andare da Xanth a Mundania che viceversa, almeno per i singoli individui. Ma la situazione degli esseri umani a Xanth sembrava migliorare. Dor riusciva a comprendere quanto un centauro intelligente e curioso fosse ansioso di cominciare a catalogare le meraviglie di Mundania, che erano state per secoli un grande mistero. Era ancora difficile da accettare l'idea che ci fosse una regione dove la magia non operasse e nella quale la gente sopravvivesse. Percorsero l'atrio angusto. Dor ricontrollò la bussola e scoprì che era puntata su Arnoldo l'Archivista. Poteva mai essere lui il centauro Mago, la minaccia alla pace di Xanth, l'importante missione che Dor doveva compiere? Non sembrava un'ipotesi sensata. In primo luogo, Arnoldo non mostrava alcun segno di abilità magica. In secondo luogo, non era il tipo da minacciare l'ordine esistente: infatti si era dedicato alla sua conservazione. In terzo luogo, era una creatura posata, di mezza età, di una specie che viveva più a lungo degli uomini. I talenti magici potevano non essere scoperti subito, ma era provato che esistevano fin dal momento della nascita. Perché il suo talento avrebbe dovuto diventare un problema adesso, quando Arnoldo aveva ormai cent'anni? Quindi doveva esserci un errore. L'obiettivo di Dor doveva essere un centauro giovane, forse appena nato. Eppure, mentre Dor si muoveva all'interno dell'edificio, prestando solo un orecchio alle spiegazioni, l'ago della bussola indicava senza alcun dub-
bio l'angolino in cui si trovava Arnoldo. Forse Arnoldo era sposato, pensò Dor, la cui immaginazione era arrivata all'esasperazione. Forse aveva un cucciolo di centauro nascosto tra le carte. La bussola forse era puntata sul puledro, non su Arnoldo. Sì, quest'ipotesi aveva senso. «Se continui ad esibire quello sguardo vitreo, l'Anziano se ne accorgerà,» mormorò Irene, facendo trasalire Dor. Dopodiché si concentrò e riuscì ad assimilare la maggior parte delle spiegazioni. Dopotutto, al momento non poteva fare nulla riguardo al Mago. Infine completarono il giro. «C'è qualcos'altro che vi piacerebbe vedere, Re Dor?», domandò Gerome. «No, grazie, Anziano,» replicò Dor. «Penso di aver visto abbastanza.» «Volete che il vostro gruppo sia trasportato di nuovo nella capitale? Possiamo metterci in contatto con il vostro evocatore.» Era una situazione imbarazzante. Dor doveva completare la sua investigazione riguardo al Mago centauro, e fino a quel momento non sarebbe stato pronto, a lasciare l'Isola. Ma era ovvio che la sua missione e la sua scoperta non sarebbero state bene accette. Non avrebbe potuto riferire semplicemente la situazione ai centauri Anziani e chiedere il loro aiuto: per loro sarebbe stata un'oscenità, e la calda ospitalità si sarebbe raffreddata di colpo. Il concetto personale di oscenità non poteva essere l'argomento di una discussione ragionevole, perché, naturalmente, i concetti di oscenità e di ragione erano contraddittori. In effetti, quella poteva essere l'origine della sollecitudine e della generosità dei centauri. Forse sospettavano quale fosse la sua missione, e perciò lo tenevano a freno con la scusa dell'ospitalità. Come poteva declinare l'offerta di tornare subito a casa, dopo che i centauri avevano, in apparenza, provveduto a tutti i suoi bisogni? Volevano che lasciasse l'Isola, e lui non aveva molte possibilità di contrastare il loro desiderio. «Uh, potrei parlare con Chet, prima di decidere qualsiasi cosa?», chiese Dor. «Naturalmente. È vostro amico.» Nuovamente, Gerome era l'incarnazione della sollecitudine. Questo atteggiamento rese Dor ancora più nervoso. Era quasi certo, ormai, di essere manovrato dai centauri. «E anche con gli altri miei amici,» aggiunse Dor. «Abbiamo bisogno di decidere insieme alcune cose.» Fu sistemato tutto. Nel pomeriggio, i cinque si recarono insieme in un
grazioso giardinetto protetto da occhi indiscreti. «Voi tutti conoscete la nostra missione,» disse Dor. «Dobbiamo scovare un Mago centauro, identificare il suo talento, e forse portarlo a Castel Roogna. Ma ai centauri non piace pensare di avere talenti magici: per loro è osceno. Vi reagiscono nella stessa maniera in cui reagiamo noi a... beh, come le persone che guardano sotto la gonna di Irene.» «Non ricominciamo con questa storia!», disse la ragazza, arrossendo lievemente. «Penso che negli ultimi tempi il mondo intero mi abbia guardato sotto la gonna!» «È colpa tua se hai delle belle gambe,» disse Grundy. Lei gli tirò un calcio, ma il golem si scansò. Dor notò che Irene non aveva cercato veramente di colpire Grundy; non era seccata come voleva far credere. «Io mi trovo in una posizione che mi permette di comprendere entrambi i punti di vista,» disse Chet. Il braccio sinistro del centauro era appeso con una fascia alla spalla ed egli portava una confezione di pozioni antidolorifiche. Il suo aspetto esteriore sembrava migliorato, ma non le sue condizioni fisiche. «Ammetto che sia i centauri sia gli uomini sono deboli e stupidi. I centauri hanno talenti magici e dovrebbero essere orgogliosi di esibirli, e Irene ha dei begli arti inferiori per la sua specie, e dovrebbe essere orgogliosa di esibirli. E non è tutto...» «Va bene!», proruppe Irene, ed il rossore sul volto le si incupì. «Un punto a tuo favore. Non possiamo, però, andare in giro a spifferare la nostra missione a tutti gli abitanti dell'Isola del Centauro. Non capirebbero.» «Sì,» disse Dor, felice che la sua analisi della situazione venisse confermata. «Perciò, adesso ho bisogno di una decisione collettiva. Vedete, credo di aver trovato il centauro Mago. Deve essere il rampollo di Arnoldo l'Archivista.» «Arnoldo!», chiese Chet. «So molto di lui. Svolge il suo lavoro da cinquant'anni; mia madre me ne ha parlato. È scapolo. Non ha rampolli. Si interessa più alla retorica che alla figura delle puledrine.» «Nessun rampollo? Allora deve essere proprio Arnoldo,» disse Dor. «La Bussola Magica punta direttamente su di lui. Non so come sia possibile, poiché sono certo che nessun Mago simile fosse conosciuto a Xanth prima d'ora, ma non credo che il Buon Mago Humfrey mi avrebbe dato delle indicazioni sbagliate.» «Qual è il suo talento?», chiese Irene. «Non lo so. Non ho ancora avuto la possibilità di scoprirlo.» «Potrei chiederlo in giro,» si offrì Grundy. «Se ci sono piante o animali
intorno alla sua stalla, dovrebbero saperlo.» «Anch'io posso chiederlo in giro,» disse Dor. «Ci devono essere oggetti inanimati intorno alla sua stalla. Non è questo il problema. Gli Anziani sono pronti a spedirci a casa subito, ed io non ho nessun pretesto adeguato per restare. Anche una sola notte potrebbe bastare. Ma che cosa posso loro dire senza mentire né inimicarmeli? Re Trent mi ha detto che, quando si è in dubbio, l'onestà è la migliore linea di condotta, ma in questo caso dubito perfino dell'onestà.» «Anche in questa situazione, io sono in grado di comprendere entrambi i punti di vista,» disse Chet. «L'onestà è la cosa migliore, tranne che, forse, in questo caso. La mia specie può diventare eccessivamente irascibile se messa di fronte ad un concetto incompatibile. Con questo, non voglio sottintendere alcuna critica nei confronti del mio progenitore...» Gli altri sapevano che cosa voleva dire. Il centauro Chet, quando doveva maneggiare qualcosa che non gli piaceva, la afferrava in una stretta poderosa e la scuoteva fino a romperla. I centauri dell'Isola del Centauro erano più civilizzati, ma altrettanto irascibili. «Di' loro che la tua missione non è ancora terminata e che hai bisogno di un altro giorno,» suggerì Irene. «È letteralmente la verità.» «Questa, per quanto appaia semplicistica, è una risposta eccellente,» disse Chet. «Poi, stanotte, vai ad indagare sul talento di Arnoldo. Fatti precedere da Grundy, in modo da non destare sospetti. In questo modo potrai compiere la missione senza arrecare offesa, e domani tornare a casa.» «E se dobbiamo portarlo via con noi? Un Mago completo dovrebbe venire a Castel Roogna.» «Non c'è nessun problema,» disse Chet. «Posso dirti subito che non verrà, e nessun Mago può essere costretto. Non c'è nulla che potrebbe convincere l'archivista a lasciare il suo solito angolino.» «Conoscere il suo talento dovrebbe bastare,» disse Irene. «Il nostro Consiglio degli Anziani potrà decidere che cosa fare a questo proposito, una volta che verrà informato.» Dor si sentì sollevato. «Sì, è naturale. Stanotte, allora, voi potete dormire.» «Che bell'idea!», disse Irene, e Fracassa grugnì per manifestare il suo accordo. «In questo guaio ci siamo insieme. Sono sicura che da solo faresti un pasticcio.» «Apprezzava la tua fiducia, come sempre,» disse Dor, in tono secco. Ma apprezzata anche il loro aiuto. Aveva paura che da solo avrebbe veramente
combinato un pasticcio, ma non aveva voluto chieder loro di partecipare a quella che avrebbe potuto essere una missione pericolosa. Quella notte misero in atto il loro piano. Grundy andò avanti per primo, e la sua minuscola figura scura era celata dall'oscurità. Non ebbero nessun problema, e ben presto tutti lasciarono i loro comodi letti - tranne Chet, che dormiva in un altro luogo e non poteva lasciare subito la stalla inosservato - e si avviarono nella notte illuminata dalla luna. Non avevano difficoltà a vedere, perché la luna era quasi piena e spandeva molta luce. Trovarono il museo senza problemi. Dor aveva presunto che la notte fosse chiuso ma, con suo grande disappunto, era illuminato. «Chi c'è dentro?», chiese al terreno. «Arnoldo l'Archivista,» replicò il terreno. «Devi essere un bello stupido per non sapere che è una settimana che lavora fino a tardi per catalogare quei nuovi manufatti Mundani, anche se non capisco che cosa ci trovi di tanto interessante in quelle immondizie...» «Qual è il suo talento magico?» «Il suo... che cosa?», chiese il terreno, stupito. «Non sai di nessuna magia collegata alla sua persona?», chiese Dor, sorpreso. Di solito, le persone si comportavano liberamente quando erano in presenza di soli oggetti inanimati, ed era difficile evitare gli inanimati. Era questo che rendeva tanto insidioso il talento di Dor: la totale intimità che le persone credevano di avere si rivelava alla sua presenza. Dor cercava di non ficcare il naso in quello che non lo riguardava direttamente, ma la maggior parte delle persone, compresi i suoi genitori, di solito si tenevano alla larga da lui, senza fare discussioni. Le persone che avevano viaggiato con lui erano diverse, per motivi diversi. Quando ci pensava, ne era immensamente felice. Anche Irene, che dichiarava di avere in gran conto la propria intimità, non si sentiva veramente a disagio alla presenza di Dor. Non avrebbe mai dovuto fare grandi sforzi per conquistarlo: la gratitudine lo avrebbe attirato nell'orbita di Irene ogniqualvolta lei lo avesse desiderato. Sapeva che la ragazza era abituata alla mancanza di intimità a causa del comportamento della madre, eppure trovava più semplice stare con lei che con le altre ragazze. Le altre si sconvolgevano in maniera smisurata quando i loro vestiti cominciavano a raccontare a Dor i loro segreti. Dor lanciò un'altra occhiata alla grande luna rotonda. Era incredibile quanto quella sfera stimolasse i suoi pensieri in quella direzione! Intanto, il terreno aveva risposto: «Assolutamente nessuna. I centauri non compiono magie.»
Dor sospirò. «Temo che dovremo entrare ed affrontarlo direttamente.» Entrarono. Su un grande tavolo, che si trovava davanti ad Arnoldo, erano sparsi molti manufatti. L'archivista vi stava attaccando dei cartellini e scriveva degli appunti. C'erano frammenti di pietra, cocci e pezzi di metallo arrugginito. «Vorrei che gli archeologi li avessero classificati prima,» brontolò. «Questo tavolo non è disponibile di giorno, perciò devo attaccare i cartellini la notte.» Poi trasalì. «Che cosa fate qui? Il museo è chiuso per i visitatori.» Dor prese in considerazione l'idea di dichiarare esplicitamente lo scopo della sua visita, ma poi decise di scartarla. Aveva bisogno di conoscere il centauro un po' meglio, prima di toccare un argomento tanto delicato. «Ho una faccenda importante da discutere con te. A, uh, una faccenda privata. Perciò non ne ho parlato durante la visita.» Arnoldo si strinse nelle spalle. «Non ho la benché minima idea di che cosa voglia da me il Re di Xanth. Ma tenete le mani lontane dai manufatti, ed io ascolterò quello che avete da comunicarmi. È difficile venire in possesso di oggetti mundani.» «Ne sono sicuro,» convenne Dor. «Siamo arrivati qui a cavallo delle nuvole, e per poco non siamo usciti fuori dai confini della magia. Siamo stati fortunati a non cadere. Mundania non è fatta per le creature di Xanth.» «Oh?» disse il centauro senza molto interesse. «Avete visto l'isola meridionale?» «No. Non siamo arrivati tanto lontani. Siamo discesi, quando eravamo in vista dell'Isola del Centauro.» «Dovrebbe esserci magia in abbondanza su quell'isola. La mia zattera era spinta da un Incantesimo di Propulsione e non si è mai fermata. Mi sono preoccupato senza motivo; evidentemente, quell'isola sacra era mundana, ma adesso è magica.» Le mani del centauro erano impegnate ad attaccare i cartellini con precisione ed a fare accurate registrazioni in un libro mastro. Era evidente che il suo lavoro gli piaceva, per quanto sembrasse tedioso, ed era molto coscienzioso. «Penso che fossimo a nord dell'isola, ma certamente abbiamo avuto problemi,» disse Dor. «C'è stata una tempesta, però, che ha potuto interrompere la magia.» «Possibilissimo,» concordò Arnoldo. «Sembra che le tempeste disturbino la magia.» Il centauro sembrava piuttosto socievole, quando non veniva allontanato dal suo adorato lavoro. Ma Dor non si sentiva ancora a proprio agio. «Uh,
l'Anziano Gerome ha fatto allusione a... ad una sorta di patto che i centauri fecero con la mia specie, alle origini dei tempi. Hai dei manufatti di quell'epoca?» «Sì,» disse Arnoldo, animandosi. «Ossia, punte di frecce, l'elsa di una spada di ferro: le testimonianze sono frammentarie, ma provano la verità della leggenda. Forse tutta la verità non si conoscerà mai, ma ne abbiamo un'idea certa.» «Uh, se ti interessa, io sono un Mago. Faccio parlare gli oggetti. Se ti piace fare qualche domanda ad uno di questi antichi manufatti...» Arnoldo si eccitò. «Non ci avevo mai pensato! La magia per voi non è oscena. Siete solo umano. Io mi vanto di essere ragionevolmente realistico. Sì, vorrei porre qualche domanda ad un manufatto. Conoscete la leggenda sulle origini dei centauri?» «No, non proprio,» disse Dor, sempre più interessato. «Mi servirebbe conoscerla; in questo modo, potrei porre al manufatto delle domande più specifiche.» «Nel 1800 CPP, cioè milleottocento anni Circa Prima del Presente,» intonò con reverenza l'archivista, «il primo uomo e il primo cavallo... conoscete la natura di quest'animale? La parte anteriore di un cavallo marino unita alla parte posteriore di un centauro...» «Sì, come un incubo, ma diurno,» disse Dor. «Esattamente. Questi due, i primi di entrambe le specie di cui abbiamo notizia, arrivarono a Xanth da Mundania. Xanth era già magica a quel tempo, e la sua magia sembra che esista da molte migliaia di anni. Le piante erano già evolute: sapete che cosa intendo per evoluzione?» «Il modo in cui i nichelpiedi si sono sviluppati dai centopiedi.» «Um, sì. Il modo in cui una specie individuale cambia con il passar del tempo. Ah, già, il Re ha sempre un tutore centauro, perciò dovreste già aver conosciuto concetti simili. A quel tempo, i draghi dominavano il paese - la si potrebbe definire l'Era dei Rettili - e non c'erano né ibridi umani né gnomi, trolls, goblins od elfi. Quell'uomo capì che Xanth era un buon posto per vivere. Era abbastanza abile e intelligente da tenersi lontano dalle piante predatrici e da evitare i draghi. Era un guerriero, con un arco, la spada, la lancia, la clava, e la capacità di servirsene, ed aveva un animo coraggioso. «Ma, sebbene avesse trovato Xanth meravigliosa, egli era solo. Era fuggito, a quanto sembrava, dalla sua tribù natale - ci piace pensare che fosse un uomo d'onore che era fuggito da un Re cattivo - e che non potesse tor-
narvi. Infatti, dopo qualche tempo, un distaccamento di altri guerrieri arrivò sulle sue tracce, intenzionato ad ucciderlo. È poco chiaro il modo in cui i Mundani entrino in Xanth. Di norma, le persone appartenenti allo stesso gruppo mundano possono entrare in Xanth solo se sono insieme, non separatamente, ma sembra che quei soldati fossero, nonostante tutto, in grado di seguirlo: non pretendo di capire questo punto, ma forse è solo una distorsione apportata dalla leggenda. Ad ogni modo, erano meno abili di lui, e rimasero vittime dei pericoli naturali di Xanth. Tutti tranne due morirono, e quei due, gravemente feriti, sopravvissero solo perché quel primo uomo - lo chiamiamo Alfa, ma i documenti non ne spiegano il perché - li salvò dai pericoli e spalmò del balsamo curativo sulle loro ferite. Dopodiché i due rinunciarono ad aggredirlo: gli dovevano la vita e gli giurarono eterna amicizia. In quei giorni esisteva una specie di onore, che noi abbiamo conservato fin da allora. «Adesso erano in tre, con tre belle cavalle che avevano salvato. Nessuno di loro poteva lasciare Xanth, perché la notizia del loro tradimento si era in qualche modo diffusa ed i nemici erano in agguato al di là dei confini del regno della magia. O forse la cultura mundana era, in qualche maniera, diventata estranea. Una variante della leggenda allude al tentativo di tornare ed alla scoperta di Babele: Non parlavano più la lingua né comprendevano la cultura dei Mundani. Uno di loro era stato un mercenario, un soldato prezzolato che parlava un diverso dialetto mundano, ma parlava la stessa lingua degli altri quando si incontrarono a Xanth. Noi sappiamo che è una proprietà della magia di Xanth: tutte le culture e le lingue diventano una sola, compresa la lingua scritta. Non esistono barriere linguistiche tra creature della stessa specie. Qualsiasi fosse la ragione - vorrei che la leggenda fosse certa e chiara, ma invece la trama si frantuma in elementi vicendevolmente incompatibili, ciascuno dei quali è necessario alla continuazione del tutto - i tre uomini e i loro cavalli erano al sicuro finché restavano nei confini del regno della magia, che avevano imparato a capire ed usare tanto bene. Ma desideravano la compagnia di donne della loro specie. Avrebbero voluto colonizzare il paese, ma potevano solo viverci. «Poi, inoltrandosi in un nuovo territorio, si imbatterono in una fonte su una bella isola, e tutti e tre bevvero avidamente e abbeverarono i loro cavalli. Non sapevano che era una fonte dell'amore che faceva innamorare istantaneamente della prima creatura di sesso opposto su cui si fosse posato lo sguardo dopo aver bevuto. Così accadde che ciascun uomo, in quel momento critico, vide per prima la sua cavalla, e ciascuna cavalla vide il
proprio padrone. Fu così che cominciò la specie dei centauri. Questa è un'altra delle complicate differenze tra Xanth e Mundania; in quest'ultimo Regno, i rappresentanti di specie diverse non possono incrociarsi e procreare, mentre a Xanth è una cosa naturale, sebbene normalmente gli individui siano per lo più attratti da quelli della loro specie. I figli di quelle unioni percepirono che i genitori erano diversi da loro e che i padroni erano esseri umani dotati di intelletto mentre le cavalle erano dotate di forza, ed impararono a rispettare entrambe le specie per le loro rispettive qualità. Gli uomini insegnarono alla loro prole tutte le arti in cui erano tanto abili, sia mentali sia fisiche, e in cambio chiesero il diritto di governare la terra di Xanth. Passò il tempo e le cavalle morirono, dopo aver figliato molte volte, ed infine morirono anche gli uomini, lasciando i centauri a continuare la propria specie sull'isola. Ma la tradizione perdurò e quando, secoli dopo, arrivarono altri uomini - e anche donne - i centauri concedettero loro il dominio del Regno. In questo modo, la tradizione è continuata fino ad oggi.» «È bello,» disse Irene. «Adesso so perché voi centauri ci avete sempre sostenuti, anche quando la nostra specie era indegna, e perché ci fate da mentori. Siete molto più costanti di noi.» «Noi abbiamo avuto il vantaggio della continuità culturale. Ma è una leggenda,» le ricordò Arnoldo. «Ci crediamo, ma non abbiamo nessuna prova dettagliata.» «Portami un manufatto,» disse Dor, commosso dal racconto. Non aveva alcun desiderio di accoppiarsi con una creatura di un'altra specie, ma non poteva negare che esistevano coppie di vari tipi a Xanth. Le arpie, le sirene, le manticore, i lupi mannari e i pipistrelli-vampiri avevano tutti una chiara discendenza umana e animale, e c'erano anche molte combinazioni di animali diversi, come la chimera e il grifone. Sarebbe stato impensabile negare la validità di quelle specie miste. Xanth non sarebbe stata la stessa senza di loro. «Ti fornirò la prova.» Ma allora il centauro esitò. «Pensavo di volere la prova, ma adesso ho paura che sarebbe diversa dalla leggenda. Potrebbero esserci degli elementi orribili invece di quelli belli. Forse i nostri antenati non erano creature gentili. Mi ritiro: per la prima volta scopro dei limiti alla mia ansia di conoscere. Forse è meglio che la leggenda non venga messa alla prova.» «Forse sì,» convenne Dor. Finalmente sentì che era arrivato il momento di esprimere la sua vera preoccupazione. «Poiché i centauri derivano dagli uomini e gli uomini hanno talenti magici...»
«Oh, credo che qualche centauro abbia qualche qualità magica,» disse Arnoldo, col tono della persona dalla mentalità aperta che sfiori un argomento critico per coloro che hanno una mentalità chiusa. «Ma non ha alcun rapporto con la nostra società. Noi lasciamo la magia, come il governo, a voi esseri umani.» «Ma alcuni centauri arrivano... perfino al livello di Mago...» «Oh, vi riferite ad Ermanno, il Centauro Eremita,» disse Arnoldo. «Colui che poteva evocare il Fuoco Fatuo. Gli fu fatto un grande torto, secondo me; egli si servi del suo potere per salvare Xanth dalla devastazione delle gelatine, e perse la vita in quello sforzo, diciotto anni fa. Ma naturalmente, sebbene la magia sia stata accettata di necessità nella nostra società, se apparisse un altro centauro Mago, anch'egli sarebbe emarginato. Noi centauri abbiamo una profonda avversione per l'oscenità.» Dor trovava il suo compito sempre più sgradevole. Sapeva che Cherie la Centaura riteneva la magia oscena per i centauri, benché il suo compagno Chester, padre di Chet, avesse un talento magico. Cherie si era adattata a quale situazione con estrema difficoltà. «Ce n'è uno, però.» «Un centauro Mago?», la fronte di Arnoldo si corrugò al di sopra degli occhiali. «Ne siete sicuro?» «Quasi sicuro. Ne abbiamo avuto qualche segno a Castel Roogna e altrove.» «Compatisco quel centauro. Chi è?» Dor Non riuscì a rispondere. Arnoldo lo guardò e la risposta cominciò a farsi strada nella sua mente. «Certamente non vorrete dire... Credete che sia io?» Al triste cenno di assenso di Dor, il centauro fece una risatina malcerta. «È impossibile. Quale credete sia il mio talento magico?» «Non lo so,» disse Dor. «Allora come potete fare un'affermazione così assurda?» Il centauro agitava nervosamente la coda. Dor mostrò la bussola. «Ne hai mai vista una uguale?» Arnoldo prese la bussola. «Sì, è una Bussola Magica. Indica voi, perché siete un Mago.» «Ma quando è nella mia mano, indica te.» «Non posso crederci!», protestò Arnoldo. «Ecco, riprendetevela e mettetevi accanto a quello specchio, in modo che possa vedere l'ago.» Dor obbedì, e Arnoldo vide l'ago puntare verso di sé. Il suo volto turbato assunse un colorito grigiastro. «Ma non può essere! Non posso essere un
Mago! Significherebbe la fine della mia carriera! Io non ho nessuna magia.» «Anche per me non ha senso,» convenne Dor. «Ma il Buon Mago Humfrey dice che deve esserci un Mago sull'Isola del Centauro; questo è il motivo delle mia venuta qui.» «Sì, i nostri Anziani temevano che aveste in mente qualcosa del genere,» disse Arnoldo, fissando la bussola. Poi, all'improvviso, si mosse. «No», gridò ed uscì al galoppo dalla stanza. «Che cosa facciamo adesso?», chiese Irene. «Lo seguiamo,» disse Dor. «Dobbiamo scoprire quale sia il suo talento e convincerlo. Non possiamo lasciare il lavoro a metà.» «Mi è quasi passata la voglia di fare questo lavoro,» mormorò la ragazza. Dor aveva la stessa sensazione. Inseguire un anonimo Mago era una cosa, tormentare un devoto archivista era un'altra. Ma ormai erano coinvolti. Lo seguirono, ma il centauro, sebbene non fosse più nel fiore dell'età, li distanziò con facilità. Ma Dor non ebbe problemi a seguirne le tracce: lutto quello che doveva fare era interrogare il terreno circostante. Si era diretto a sud, verso l'oceano. «Ha preso la zattera con il motore magico,» disse Irene. «Dovremo prenderne un'altra. Forse vuole raggiungere quell'isola mundana.» Si appropriarono di un'altra zattera, dopo che Dor ne aveva interrogate parecchie per trovarne una che avesse un Incantesimo di Propulsione adatto. Dor sperava che non lo avrebbero giudicato un furto. Aveva tutte le intenzioni di restituire la zattera, ma doveva raggiungere Arnoldo e parlargli, prima che il centauro facesse qualcosa di più stupido che limitarsi a scappare. La tempesta era ormai finita, e il mare era un olio alla luce della luna piena. La zattera del centauro non era in vista, ma l'acqua riferì che era passata. «Si dirige verso quell'antica isola mundana,» disse Grundy. «È un bene che adesso sia magica, visto che noi siamo creature magiche.» «Hai sofferto quando la magia è svanita nei pressi della tempesta?», chiese Irene. «No, ma ho avuto ugualmente... paura,» confessò Grundy. «E tu, Fracassa?» «Molle, molle mi sentivo,» disse l'orco. «Le ginocchia molli,» disse Irene. «Tutti abbiamo avuto la stessa sensazione.»
«Belle le tue ginocchia molli,» aggiunse Fracassa, Il volto di Irene assunse tutte la gamma di espressioni possibili tra la rabbia e l'imbarazzo. Decise che l'orco non aveva l'intenzione di stuzzicarla. Non era tanto astuto. «Grazie, Fracassa. Le tue ginocchia, invece, somigliano a due tronchi di legno-acciaio.» L'orco scoppiò in una risatella di gioia che increspò le onde alle loro spalle e spinse la zattera in avanti ad una velocità maggiore. La ragazza aveva trovato il complimento giusto. L'incantesimo di propulsione era potente e ben presto l'isola fu in vista. Poi la zattera rallentò. «C'è qualcosa che non va,» disse Dor. «Siamo trattenuti da qualcosa.» Ma non c'era nulla. La zattera era libera sull'acqua, non disturbata né da onde né da creature marine. Continuò a rallentare, finché non smise quasi completamente di muoversi. «Abbiamo scelto un incantesimo difettoso,» si lamentò Irene. «Che cosa c'è che non va?», chiese Dor alla zattera. «Io... uuhhh...», sussurrò rauca la zattera, poi tacque. «La magia!», gridò Irene. «Siamo al di fuori della magia! Proprio come ci è accaduto durante il temporale!» «Verifichiamolo,» disse Dor, preoccupato. Almeno non correvano il rischio di cadere da una nuvola questa volta! «Irene, fai crescere una pianta.» La ragazza prese un seme di collo-di-bottiglia. «Cresci,» gli ordinò. Il seme cominciò a germogliare, esitò, poi giacque immobile. «C'è qualcosa con cui puoi parlare, Grundy?», chiese Dor. Il golem scorse un fuco sull'acqua. Lo apostrofò con strani suoni. Non ci fu risposta. «Fracassa, tenta di compiere un atto di forza,» disse Dor. L'orco non comprese. «Uh,» disse Dor. «Intendo dire che devi usare la tua forza in qualche modo. Sta in equilibrio su un solo dito, oppure spremi un tronco fino ad estrarne il succo.» Fracassa appoggiò una zampa sull'estremità di uno dei tronchi che costituivano la zattera. Lo strinse con forza. Non successe nulla. «Sono preparato, sono tanto spaventato,» disse. Dor tirò fuori la sua Pietra di Sole di Mezzanotte. Era illuminata internamente solo da un fiochissimo bagliore e, dopo qualche attimo, anche quello svanì. «Questo risponde a due quesiti,» disse Dor, cercando di sembrare sicuro
di sé, mentre, in realtà, era molto allarmato. «Primo, siamo usciti dalla regione della magia; l'Incantesimo di Propulsione è morto. Io non posso parlare con gli inanimati e Irene non può far crescere magicamente le piante. Secondo, è solo la nostra magia ad essere scomparsa, non i nostri corpi. Grundy non riesce a tradurre la lingua di altri esseri animati e Fracassa ha perso la sua forza sovrumana, ma sono entrambi vivi ed in buona salute. Le piante di Irene non cresceranno, ma lei...» si fermò a guardarla. «Che cosa è successo ai tuoi capelli?» «Capelli?» Si afferrò un ciuffo di capelli e se lo tirò davanti alla faccia. «Eehh, sono scomparsi!» «Ah, solo il verde è scomparso,» disse Grundy. «Così sono più belli.» Irene, stupefatta, non cercò nemmeno di dargli un calcio. Lei, come Dor, non aveva mai pensato che il colore dei suoi capelli fosse di natura magica. «Di conseguenza, Mundania non è dannosa per noi,» continuò in fretta Dor. «È solo fastidiosa. Dovremo semplicemente pagaiare per arrivare all'isola.» Ispezionarono i rifornimenti della zattera. I centauri erano persone pratiche: la zattera era fornita di molte pagaie e di un palo. Dor e Irene presero le pagaie e Fracassa il palo, mentre Grundy si dedicava al timone. Era una fatica dura, ma ripresero ad avanzare verso l'isola. «Come ha fatto Arnoldo a correre tanto avanti da solo?», ansimò Irene. «Avrebbe dovuto impiegare un mucchio di tempo a pagaiare e a timonare.» Finalmente arrivarono alla spiaggia. Videro la zattera di Arnoldo, tirata a secco, a pochi centimetri dall'acqua. «L'ha tirata su da solo,» osservò Grundy. «Deve essere più forte di quanto sembra.» «È un'isola abbastanza piccola,» disse Dor. «Non può essere molto lontano. Lo metteremo con le spalle al muro. Fracassa, tu resta a guardia delle zattere e lancia un grido se il centauro ritorna; noi cercheremo di stanarlo.» Si sparsero e attraversarono l'isola. Aveva un chiaro aspetto mundano. C'erano prati di erba verde che non mordeva loro i piedi e alberi fronzuti che si limitavano a stare fermi ed a stormire al vento. La sabbia era fine senza essere zucchero, e gli unici rampicanti che videro non fecero nessun tentativo di contorcersi verso di loro. Come aveva potuto il centauro credere che si trattasse di un luogo all'interno del regno della magia? Scoprirono Arnoldo nel suo rifugio: uno scavo profondo che aveva messo alla luce dei manufatti mundani, il luogo dove lo studioso ritrovava se stesso. Evidentemente, non era un mero rompiscatole o schedatore, ma
eseguiva anche il lavoro manuale. Arnoldo li vide. Aveva una lanterna magica che illuminava la zona circostante, mentre la luna tramontava nel mare. «No, capisco che non posso sfuggire alla realtà,» disse con tristezza. «La verità è la verità, qualsiasi sia, ed io amo la verità. Ma non posso credere a quello che dite. Mai nella mia vita ho manifestato il benché minimo talento magico, e certamente adesso non ne posseggo nessuno. Forse una parte della magia, legata ai manufatti con cui lavoro, mi è rimasta addosso, ed ha dato origine all'inganno...» «Come fai ad usare una lanterna magica a Mundania?», gli chiese Irene. «Questa non è Mundania,» disse Arnoldo. «Ve l'ho già detto. A quanto pare, i limiti della magia si sono estesi, fino a includere, di recente, anche quest'isola.» «Ma la nostra magia è cessata,» disse Dor «Abbiamo dovuto usare le pagaie per arrivare qui.» «Impossibile. La mia zattera è arrivata senza interruzioni, e non c'è nessun temporale a turbare la sfera d'influenza della magia. Provate adesso il vostro talento, Re Dor. Vi garantisco che lo scoprirete funzionante come sempre.» «Parla, terreno,» disse Dor, chiedendosi che cosa sarebbe accaduto. «Va bene, zuccone,» rispose il terreno. «Che cosa rimugina il tuo scarso intelletto?» Dor scambiò uno sguardo stupito con Irene e Grundy, e si accorse che i capelli di Irene, alla luce della lanterna, erano tornati verdi. «È tornata!», disse. «La magia è tornata! Ma non capisco come...» Irene gettò un seme. «Cresci!», gli ordinò. Spuntò una pianta, che diventò rapidamente un robusto cespuglio di lamponi. «Brrrrpppp!», esclamò la pianta, rivolgendo loro dei suoni striduli. «Questa è veramente un'isola magica?», chiese Grundy all'albero più vicino, traducendo la domanda nella lingua dell'albero. L'albero rispose con un fruscio. «Dice che lo è... adesso!», riferì il golem. Dor prese la Pietra di Sole. Splendeva vivida. «Come è possibile che la magia torni così rapidamente?», chiese Irene. «Mio padre diceva sempre che il limite della magia era costante; in realtà, non era affatto sicuro che variasse.» «La magia non ha mai lasciato quest'isola,» disse Arnoldo. «Dovete aver attraversato un flusso, un'aberrazione, forse i postumi del temporale di ieri.»
«Forse sì,» convenne Dor. «La magia è strana. I nostri talenti sono certamente svaniti... per un breve periodo.» Il centauro ebbe un'idea brillante. «Forse la Bussola Magica è stata colpita da un flusso simile e non funziona a dovere, perciò indicava la persona sbagliata.» Il dubbio si insinuò nella mente di Dor. «Credo che sia possibile. Sono sicuro che qualcosa non va. Se è così, devo scusarmi per averti fatto un simile torto. Mi sembrava strano che all'improvviso tu ti fossi rivelato un Mago, quando il talento magico accompagna una persona dalla vita alla morte.» «Sì, è vero!», convenne Arnoldo con entusiasmo. «Dev'essere un errore dello strumento: questa è la spiegazione più semplice. Naturalmente, non potevo rivelarmi un Mago, dopo novant'anni di non-magia.» Avevano indovinato almeno una cosa: il centauro era vicino ai cent'anni. «Credo che potremmo anche tornare adesso,» disse Dor. «Abbiamo preso in prestito una zattera per seguirti, e il proprietario si preoccuperà se restiamo fuori troppo a lungo.» «Non c'è da preoccuparsi,» disse Arnoldo, che era diventato quasi affabile, tanto era sollevato. «Le zattere sono di proprietà comune, a disposizione di chiunque ne abbia bisogno. Comunque, ci sarebbe da preoccuparsi, se una si perdesse o fosse danneggiata.» Riattraversarono l'isola. La lanterna magica diffondeva tutt'intorno la sua luce ferma. Quando si avvicinarono alle zattere, videro Fracassa. Teneva una roccia con entrambe le mani e la comprimeva con tutte le proprie forze. La concentrazione e il disgusto torcevano la sua faccia in una smorfia che la rendeva più brutta del solito. Ad un tratto la roccia cominciò a comprimersi. «La mia forza svanita, è tornata!», esclamò l'orco, quando la pietra si frantumò in granelli di sabbia. «Non ce l'avresti mai fatta, grande stupido, se la magia non fosse tornata,» brontolò la sabbia. «La magia è tornata... in questo momento?» chiese Dor, mentre qualcosa cercava di affiorare alla superficie della sua mente. «Certo,» rispose la sabbia. «Avresti dovuto vedere questo bruto, tutto muscoli e niente cervello, sforzarsi. Pensavo che l'avrei sconfitto. Poi la magia è tornata insieme a voi, il che è ancora peggio.» «La magia... è venuta con noi?», chiese Dor. «Sei fuori di te o sei semplicemente stupido, cervello di gallina?», chiese la sabbia con pungente acrimonia. «L'ho appena detto.»
«Quando è venuta qui la magia l'ultima volta?», chiese Dor. «Poco fa. Sedere di cavallo te lo può dire; era qui quando è successo.» «Intendi dire che questa di solito è un'isola mundana?» «Certo, è sempre stata mundana, tranne quando il vecchio zoccoluto gironzola qui intorno.» «Penso che abbiamo scoperto qualcosa,» disse Grundy. Arnoldo parve colpito. «Ma... come è possibile... è un'assurdità!» «Per il tuo e per il nostro bene, dobbiamo verificarlo, in un modo o nell'altro,» disse Dor. «Se il potere della magia si sposta insieme a te...» «Oh, è orribile!», gemette il centauro. «Non può essere!» «Facciamo un altro giro dell'isola,» disse Dor. «Grundy, tu andrai con Arnoldo e parlerai con le piante e con gli animali che incontrerai; chiedi loro da quanto tempo c'è la magia sull'isola. Noialtri ci divideremo e aspetteremo che Arnoldo si avvicini. Se la nostra magia svanisce durante la sua assenza, e ritorna quando il centauro si avvicina...» Il centauro collaborò malvolentieri. Cominciò a trottare, con grande vigore nonostante l'età. Il golem gli stava appollaiato sulla groppa. Non appena si furono allontanati, la magia di Dor svanì. La sua Pietra di Sole non brillò più e il ragazzo non riusciva più a parlare con gli inanimati. Era evidente che anche Irene e Fracassa si trovavano nella stessa spiacevole situazione. Dopo pochi minuti, Grundy e il centauro completarono il giro. Confrontarono le rispettive esperienze. «La magia ci ha accompagnati per tutta la strada,» riferì Grundy. «Ma le piante ed i crostacei hanno detto che era arrivata insieme a noi.» «Quando lui va via,» disse Fracassa, con rabbia, «scompare la poesia.» Era un grande dolore per l'orco. Dor non aveva capito che la sua capacità di parlare in rima era magica. Forse era stata la frustrazione a sconvolgerlo... o forse la magia aveva plasmato la vita degli abitanti di Xanth molto più di quanto si immaginasse. I capelli di Irene, le rime di Fracassa... «La mia petunia non cresceva affatto,» disse Irene, «ma, quando il centauro si è avvicinato, è cresciuta enormemente.» «E il mio talento ha funzionato solo quando Arnoldo mi è stato vicino,» disse Dor. «Di conseguenza, il mio talento sembra dipendere dalla sua presenza, come accade a voi. Dato che io sono un Mago completo, Arnoldo che cos'è?» «Un Mago,» disse Irene. «Un catalizzatore di magia.» «Ma io non ho mai compiuto nessuna magia in tutta la mia vita!» prote-
stò Arnoldo, ancora sconvolto. «Mai!» «Tu non compi magie, tu le favorisci,» disse Dor. «Tu rappresenti un'isola di magia, un'estensione di Xanth in Mundania. Dovunque tu vada, lì è la magia. Questo è certamente un talento magico.» «Come può essere vero, se nella mia vita non ne ho mai avuto alcun segno? Non posso essere cambiato!» Ma adesso Dor aveva una risposta. «Hai lasciato Xanth di recente, come hai detto tu stesso. Sei venuto in quest'isola mundana a fare ricerche. Gli indicatori magici del Buon Mago Humfrey non si erano mai orientati sulla tua persona, perché tu ti camuffi completamente in Xanth; sei come un brandello di nebbia nel bel mezzo di una nuvola. Ma, quando sei andato via da. Xanth, il tuo potere si è manifestato ed ha fatto scattare tutti gli allarmi. Una volta che gli indicatori si sono orientati su di te, hanno continuato a indicarti. Forse la tua presenza rende la magia più efficace, visto che l'Isola del Centauro è vicina ai confini della magia. È come un insetto su una foglia lontana: una volta che si sa dove sia, si può vederlo. Ma non si riesce a scorgerlo, quando è immobile e non si sa nemmeno se esiste.» Arnoldo curvò le spalle e il suo manto sembrò perdere ogni splendore. Il centauro aveva macchie bianche sui fianchi marroni, una gualdrappa naturale che gli conferiva una certa bellezza. In questo momento, le macchie stavano scomparendo. «Temo che abbiate ragione. I miei colleghi hanno sempre considerato mundana quest'isola. Pensavo che si sbagliassero. Ma oh, che rovina per la mia carriera! Il lavoro di una vita distrutto! Non potrò mai più tornare nel museo.» «Gli altri centauri devono saperlo per forza?», chiese Grundy. «Posso anche essere contaminato dall'oscenità della magia,» disse Arnoldo, in tono grave, «ma non sarebbe da me essere ambiguo.» Dor considerò il comportamento dei vari centauri che aveva conosciuto. Capì che Arnoldo aveva ragione. L'archivista non avrebbe potuto tenere nascosta la verità, e gli altri centauri non avrebbero tollerato un centauro Mago nella loro società. Avevano esiliato Ermanno l'Eremita nella generazione precedente, poi lo avevano giudicato un eroe dopo che era morto. Che ricompensa! La missione di Dor non gli aveva fatto guadagnare nulla, ed aveva distrutto la carriera e l'orgoglio di un onesto centauro. Si sentiva colpevole. Non aveva mai avuto l'intenzione di far del male a qualcuno. La luna stava calando nell'oceano. Prima di immergersi, parve gonfiarsi. Grande, rotonda e verdastra, quella forma di formaggio era ipnoticamente
vicina. Dor la fissò e rifletté sulla sua superficie così simile ad una carta geografica. Una colonna di fumo sarebbe potuta arrivare fino alla luna, e un' giorno avrebbero potuto usare la pomata magica per... Poi fu colpito da un pensiero improvviso. «La maledizione!», gridò. Il centauro lo guardò con un'espressione amara. «Mi avete certamente maledetto, Re Dor.» «La pomata magica che abbiamo usato per camminare sulle nuvole... era collegata ad una maledizione. Chiunque la usi, compirà una vigliaccheria prima della successiva luna piena. Questa è stata la nostra vigliaccheria: ti abbiamo costretto ad abbandonare la tua vita soddisfacente e ti abbiamo coinvolto in una cosa che detesti. È la maledizione che ce lo ha fatto fare.» «Maledizioni simili sono noie che si possono evitare facilmente,» osservò il centauro. «È necessario solo un elementare controincantesimo. Ce ne sono decine nei nostri archivi; non li schediamo nemmeno tutti. È un'ironia della sorte che questa vostra ignoranza debba avere conseguenze così gravi per me.» «Fa' qualcosa, Dor,» disse Irene. «Che cosa si può mai fare?», chiese Arnoldo, sconsolato. «Di colpo, mi trovo costretto all'esilio.» Ma Dor, che si lambiccava il cervello, ebbe un'improvvisa esplosione di genio. «Tu porti la magia ovunque vai,» disse. «E quindi anche in Mundania. Questo riguarda tutt'e tre le faccende di cui eravamo stati avvertiti. È certamente un problema di cui mi devo occupare, perché l'esistenza di ogni nuovo Mago in Xanth è una faccenda che riguarda il Re. Inoltre, costituisce una minaccia per Xanth perché, se tu andassi in Mundania da solo, portando con te la magia, persone cattive potrebbero catturarti ed usare la tua magia per scopi malvagi. Ma la cosa più importante di tutte è che, da qualche parte in Mundania, c'è qualcuno che forse è prigioniero o nei guai, e che forse ha bisogno della magia per scappare. Adesso, se ti portassi a Mundania...» «Potremmo salvare mio padre!», esclamò Irene, saltellando e battendo le mani, nella maniera tipica della sua razza. Faceva salti fenomenali, tanto che perfino il centauro si fermò a guardarla, come se si rammaricasse della propria razza e della propria età. «Oh, Dor, voglio darti un bacio!», disse e, senza aspettare la sua reazione, la ragazza lo afferrò e lo baciò sulla bocca con gioiosa violenza. In quel momento di straordinaria animazione, Irene diventò affascinante, raggiante ed irresistibile nel miglior senso della parola. Ma, mentre Dor si rendeva
conto di tutto questo, la ragazza se n'era già andata a parlare con il centauro. «Arnoldo, se tu devi andare comunque in esilio, puoi anche venire con noi. Non ci importa nulla della tua magia - voglio dire, non la consideriamo negativa - dato che tutti noi abbiamo dei talenti magici. Pensa poi ai manufatti che puoi raccogliere in Mundania. Puoi creare un tuo museo. E se ci aiuti a salvare mio padre, Re Trent...» Il centauro tentennava visibilmente. Ovviamente, non gli piaceva l'idea dell'esilio, ma non poteva tornare al suo lavoro sull'Isola del Centauro. «E i centauri che vivono intorno a Castel Roogna sono abituati alla magia,» continuò Irene in fretta. «Chester il Centauro suona un flauto d'argento magico, e suo zio era Ermanno l'Eremita. Sarebbe felice di avere la tua compagnia, e...» «Credo di non avere molte alternative,» disse Arnoldo stancamente. «Ci aiuterai? Oh, grazie!», gridò Irene e, gettate le braccia intorno alle spalle del centauro, baciò anche lui. Arnoldo ne fu visibilmente sorpreso, ma non interamente dispiaciuto. Le sue macchie bianche guizzarono. Dor fu colto da un'ondata di gelosia, ricordando la leggenda sulle origini dei centauri. I baci tra specie diverse non erano necessariamente innocenti, come dimostrava la leggenda. Ma sembrava che Irene avesse convinto il centauro Mago ad aiutarli, e certamente ne valeva la pena. Allora Dor ricordò un'altra complicazione. «Non possiamo andare in Mundania. Il Consiglio degli Anziani non ce lo permetterebbe mai.» «Come possono impedircelo?», chiese Irene, guardandolo con un'occhiata espressiva. «Ma dobbiamo almeno comunicarlo al Consiglio...» «Può comunicarlo Chet. Lui deve comunque tornare a casa.» Dor cercò di fingere il proprio disaccordo. «Non so...» Allora Irene lo fissò intensamente, sfidandolo a cercare di ostacolarla. Era molto bella con quell'espressione di sfida, e Dor capì che il loro destino era segnato. Irene voleva salvare suo padre, e null'altro importava. Capitolo 8. Il Mistero Mundano La sera riportarono le due zattere all'Isola del Centauro. Durante il viaggio, scoprirono che l'influenza della magia di Arnoldo si estendeva davanti al centauro fino ad una quindicina di passi, ed a circa metà di quella di-
stanza alle sue spalle. Era meno potente ai lati: non andava oltre le braccia di Arnoldo. In effetti era più un sentiero di magia che un'isola, e precedeva ad ogni passo l'avanzata del centauro. Perciò, la seconda zattera poté comodamente precedere la zattera di Arnoldo, o seguirla da presso, ma non navigarle a fianco. Lo avevano scoperto nella maniera più spiacevole quando la propulsione magica era venuta a mancare, finché Arnoldo non si era girato verso di loro. Una volta che furono rientrati nel dominio magico di Xanth, il potere di Arnoldo si disperse. Non faceva più differenza quanto fosse vicino o a che cosa stesse di fronte: l'incantesimo non si accresceva nelle sue vicinanze. Ma, naturalmente, non avevano nessun modo di misurare esattamente l'intensità della magia vicino al centauro. Grundy entrò di soppiatto nella stalla in cui dormiva Chet, per svegliare l'amico e spiegargli la situazione, mentre Arnoldo ricercava nei suoi vecchi tomi le strade migliori e più veloci per Mundania. Riferì che c'era il tunnel che il sole usava per spostarsi ad est, dal punto in cui sorgeva, asciugandosi e ricaricandosi lungo la strada. Il tunnel sarebbe stato percorribile durante il giorno, quando il sole non lo usava. «Ma ci porterebbe a ovest,» protestò Irene. «Mio padre invece è uscito da Xanth a nord.» Dor dovette darle ragione. «La strada normale per Mundania passa attraverso l'istmo nord-occidentale. Dobbiamo raggiungere quel punto e sperare di ritrovare le tracce del passaggio del Re. Non possiamo usare il tunnel del sole. Ma la strada per l'istmo è lunga, e non credo che abbiamo voglia di fare un altro viaggio simile a quello che ci ha portati alla costa: potremmo anche non arrivare mai. Ci sono altre notizie utili?» «Beh, domani si avranno dei rovesci intermittenti,» disse Arnoldo. «Dovrebbe esserci un arcobaleno. Negli archivi c'è un incantesimo per viaggiare sull'arcobaleno. È molto rapido, perché gli arcobaleni non resistono molto a lungo. C'è qualche rischio...» «La velocità è proprio quello di cui abbiamo bisogno,» disse Dor, ricordando i suoi sogni-visioni, nei quali aveva avuto la sensazione di dover agire in fretta. «Penso che Re Trent sia nei guai e che abbia bisogno di essere liberato al più presto. Forse non domani, ma non credo che possiamo permetterci di aspettare un intero mese.» «C'è anche il problema di salire sull'arcobaleno,» disse Arnoldo. Adesso che aveva accettato il concetto disgustoso della propria magia, la sua men-
te si stava adattando rapidamente alla situazione. Forse dipendeva dal fatto che era abituato a trattare le informazioni e sapeva come organizzarle. «Una parte della magia dell'arcobaleno, come sapete, consiste nel fatto che appare sempre equidistante da qualsiasi punto di osservazione, con le due estremità che toccano la terra alla stessa distanza, a nord e a sud. Noi dobbiamo salire sulla cima, poi scivolare più velocemente, prima che scompaia.» «La pomata!», disse Grundy. «Possiamo far salire un filo di fumo fino ad una nuvola e camminare sulla nuvola fino alla cima dell'arcobaleno, se partiamo subito prima che si formi l'arcobaleno.» «Non hai capito nulla,» disse il centauro. «Quando saliremo a bordo della nuvola, ci apparirà ugualmente lontano. Acchiappare un arcobaleno è una delle cose più difficili da farsi.» «Capisco il perché,» mormorò Dor. «Come possiamo acchiapparlo, se si allontana sempre?» «Chiudiamo gli occhi con la mano,» suggerì Fracassa, coprendosi le enormi orbite con le mani guantate. «Naturalmente, il mostro ha ragione,» disse Arnoldo, senza guardare Fracassa, che sembrava trovare esteticamente sgradevole. «È la soluzione più ovvia.» Per Dor non era molto ovvia. «Come possiamo raggiungere l'arcobaleno, semplicemente coprendoci gli occhi con una mano?» «Non può apparire lontano, se non lo si guarda,» disse Arnoldo. «Sì, ma...» «Ho capito,» disse Grundy. «Lo vediamo, poi chiudiamo gli occhi ed andiamo nella direzione in cui l'abbiamo visto: e lui non può andarsene perché non lo guardiamo. Semplice.» «Ma qualcuno deve guardarlo, altrimenti non esiste,» protestò Irene. «È vero?» «Può guardarlo Chet,» disse Grundy. «Lui non verrà con noi.» Dor non si fidava di quella soluzione, ma gli altri ne sembravano soddisfatti. «Adesso andiamo a dormire un po' e vediamo che cosa succederà domani,» disse, con la speranza che il tutto avesse un senso. Si addormentarono tardi, ma non fu un problema, perché la pioggia intermittente era attesa per metà mattinata. Arnoldo, ligio al dovere, informò i centauri anziani della situazione. Come ci si aspettava, lo incoraggiarono a lasciare per sempre l'Isola, non appena gli fosse stato possibile, senza
però mai riferirsi direttamente alla ragione che gli aveva fatto perdere ogni diritto nella loro comunità. Un Mago in quel luogo, non era ben accetto e non si sarebbero sentiti a proprio agio con lui. Avrebbero diffuso la notizia che Arnoldo si allontanava per motivi di salute, in modo da salvare la sua reputazione, ed avrebbero cercato un nuovo archivista. Nessuno avrebbe conosciuto la sua vergogna. Per facilitargli la partenza, lo fornirono di un utile assortimento di incantesimi e di controincantesimi per il viaggio, e gli augurarono ogni bene. «Che ipocriti!», esclamò Irene. «Arnoldo li ha serviti ottimamente per cinquant'anni, e adesso, all'improvviso, solo perché...» «Vi avevo detto che non avreste compreso le sfumature della società dei centauri,» le ricordò Chet, sebbene anche il giovane centauro non si sentisse a proprio agio. Irene si chiuse in un silenzio carico di ribellione. Dor l'apprezzò per la sua reazione, però. Era giunto il momento di partire dall'Isola del Centauro, e non solo perché avevano una nuova missione. Le nuvole intermittenti si radunarono, e si prepararono a far piovere. Dor accese un falò. La colonna di fumo si alzò fino al livello delle nuvole. Si applicarono la pomata sulle mani e sui piedi, invocarono il controincantesimo per la maledizione fornito da Arnoldo, e cominciarono a salire lungo la colonna. Arnoldo si adeguò straordinariamente bene, data l'età, a quella strana arrampicata: evidentemente si era tenuto in forma con le spedizioni archeologiche. Per un attimo si fermarono e si girarono a guardare Chet che stava sulla spiaggia a guardia dell'arcobaleno. Dor sentì un nodo alla gola e riuscì solo ad agitare una mano. «Spero di rivederti, cugino,» gridò Arnoldo. Chet non era un suo parente. L'anziano centauro si riferiva alla caratteristica comune di possedere un talento magico. «Arrivederci, Arnoldo!», disse Chet e sorrise, apprezzando il pensiero dell'anziano centauro. Quando raggiunsero lo strato di nuvole, si bendarono gli occhi. «Nuvole,» disse Dor. «Diteci dov'è il sentiero migliore per arrivare alla cima dell'arcobaleno. Non fateci avvicinare troppo all'orlo del vostro vapore.» «Quale arcobaleno?», chiese la nuvola più vicina. «Quello che sta per formarsi e che il mio amico Chet il Centauro guarderà dalla spiaggia.» «Oh, quell'arcobaleno. Non è ancora arrivato. Non ha finito ciò che aveva da fare sulla costa orientale di Xanth.» «Beh, guidaci fino al punto in cui comparirà.»
«Perché non aprite gli occhi e non lo fate da soli?», chiese la nuvola, guardinga. Gli inanimati erano spesso maligni, e i numerosi strati e avvolgimenti, tipici delle nuvole, le rendevano più furbe della media. «Tu pensa a guidarci!», disse Dor. «Ahhhh!» Ma la nuvola doveva farlo. Si sentì uno scoppiettio alle loro spalle, a terra. «È il pop-corn che ho dato a Chet,» disse Irene. «Gli ho detto di tirarlo fuori quando vedeva l'arcobaleno. Adesso l'arcobaleno starà fermo finché Chet lo guarderà e noi no. Dobbiamo essere vicini ormai.» «Siamo vicini?», chiese Dor alla nuvola. «Sì,» ammise malvolentieri la nuvola. «È proprio di fronte a voi, sebbene non abbia una fronte.» Questo era l'umorismo delle nuvole. «Arcobaleno!», gridò Dor. «Se mi sentì, canta un po'!» In risposta arrivò la canzone dell'arcobaleno: «Tra-la-la-fol-de-rol!» Era una canzone bella e varia. Si affrettarono verso l'arcobaleno. Quando ne sentirono la liscia superficie che si protendeva al di sopra della nuvola, vi salirono. Poi si tolsero le bende dagli occhi: l'arcobaleno non poteva più adoperare la propria ingannevole magia. L'arcobaleno era bello quanto la sua canzone. Strisce rosse, gialle, blu e verdi, si estendevano nel senso della lunghezza e, strette tra di loro, laddove gli osservatori terrestri non potevano vederle, c'erano le ricchezze segrete del cielo: bande a pois, scozzesi e a scacchi. Alcune strisce interne erano trasparenti, ed altre mostravano colori che nessuno avrebbe mai immaginato. Sarebbe stato facile perdersi nelle loro meraviglie, e Irene sembrava incline a farlo, ma l'arcobaleno non sarebbe rimasto lì a lungo. A quanto pareva, gli arcobaleni avevano le giornate dense di impegni, e quello in particolare era atteso dopo una mezz'ora in Mundania, per un'esibizione. Un po' di magia, a quanto sembrava, arrivava fino in Mundania. Dor si chiese se i Mundani avessero gli stessi problemi per afferrare gli arcobaleni oppure se in Mundania gli arcobaleni restassero fermi, indipendentemente dal movimento degli spettatori. Arnoldo tirò fuori il suo incantesimo per viaggiare sugli arcobaleni, che era chiuso in un foglio di carta. Lo strappò... e di colpo cominciarono a scendere. La velocità era fenomenale. Sfrecciarono tra le nuvole, poi caddero nella regione sottostante, dove c'era una lieve pioggerella. Stavano scendendo precipitosamente verso il mare settentrionale.
Al di sotto di loro c'era la Terra di Xanth, una lunga penisola circondata da isolette lungo le coste. Al centro di essa si vedeva la spaccatura frastagliata dell'Abisso, che separava la metà settentrionale di Xanth da quella meridionale. Non compariva su nessuna carta geografica, ma quella non era una carta geografica. Era la realtà, quella che vedevano dall'arcobaleno. C'erano alcuni laghi, come l'Orco-Chobee a sud, ma nessuna traccia degli insediamenti umani di cui Dor conosceva la localizzazione. L'uomo non aveva lasciato molti segni su Xanth, dal punto di vista fisico. «Lo spasso comincia adesso!», gridò allegramente Fracassa. «Eeeh... la mia gonna!», strillò Irene, quando le maliziose folate di vento gliela alzarono, mostrando le sue gambe a tutto il mondo. Dor si domandò perché la ragazza insistesse nel portare una gonna, nonostante i continui inconvenienti: un paio di pantaloni, di qualsiasi tipo, avrebbe risolto definitivamente il problema. Poi gli venne in mente che forse Irene non voleva risolvere quel particolare problema. Sapeva bene che le gambe erano la parte più bella di un corpo, tutto sommato, grazioso, e probabilmente non era contraria a farlo sapere anche al resto del mondo. Se poi protestava costantemente ad ogni casuale esibizione, come la si sarebbe potuta biasimare per questo? Aveva escogitato un ottimo sistema. Dor, Grundy e Arnoldo, meno cruenti dell'orco e meno pudichi di Irene, si tenevano stretti allo scorrevole arco dell'arcobaleno e guardavano in basso con apprensione crescente. In che modo si sarebbero fermati, una volta che fosse arrivata la fine dell'arcobaleno? La discesa procedeva ad una velocità allarmante. La costa settentrionale di Xanth appariva sempre più grande, e i ghirigori delle spiagge sempre più vicini. In quella regione, l'oceano aveva una strana tinta rossastra. Dor sperava che non fosse a causa del sangue dei precedenti viaggiatori sull'arcobaleno. Naturalmente, non era così: come poteva venirgli in mente un'idea simile? Poi l'incantesimo si invertì, ed essi scivolarono sempre più lentamente finché, quando raggiunsero l'acqua all'estremità dell'arcobaleno, videro che si muovevano pianissimo. Affondarono nell'acqua cremisi e nuotarono verso la spiaggia, che si trovava a nord. Quel colore non era sangue: era trasparente e tenue, da vicino. Dor si sentì sollevato. Adesso che non la vedeva più dall'alto, Dor ricordò altri particolari di Xanth. Si estendeva da nord a sud. Il punto più stretto era nei pressi del villaggio di suo nonno Roland, a nord-ovest. A nord, la penisola di Xanth si allungava verso ovest, e si univa a Mundania tramite l'istmo verso cui erano diretti. Per qualche motivo, Mundania, aldilà di quell'istmo, sembra-
va enorme, molto più grande di Xanth. Dor decise che doveva essere un'impressione errata. Certamente Mundania doveva essere circa delle stesse dimensioni di Xanth, o addirittura più piccola. Come era possibile che una regione di così poca importanza, e soprattutto non magica, fosse più grande? Arrivarono dove l'acqua era bassa, e guadarono il liquido rosso fino alla riva. Quel color cremisi, che lungo la spiaggia si intensificava, lo turbava. Come era possibile che l'acqua, di solito azzurra, cambiasse colore proprio lì, nel quadrante mondano? Quale magia poteva influire lì, dove non esisteva magia? «Forse è colato un po' di colore dall'arcobaleno,» disse Irene, rispondendo alla sua domanda inespressa. Beh, forse! Naturalmente c'era la zona magica del centauro: ovunque essi andassero, la zona cessava di essere strettamente mundana. Ma l'acqua rossa si estendeva ben aldilà dell'area di incantesimo temporaneo. Sembrava trattarsi di una caratteristica normale di quella regione. Arrivarono sulla spiaggia, gocciolanti acqua rosa. Grundy e Fracassa non sembravano preoccuparsene, ma Dor si sentiva a disagio, e la camicia e la gonna di Irene erano incollate al suo corpo. «Non andrò in giro conciata in questa maniera, e non mi toglierò i vestiti,» protestò la ragazza. Frugò nella borsa dei semi, che aveva riempito di nuovo nell'Isola del Centauro, e ne estrasse un seme purpureo. A quanto pareva, la borsa era impermeabile, perché il seme era asciutto. «Cresci,» gli ordinò, quando lo buttò sulla sabbia. Il seme germogliò in un eliotropo. Grappoli di fiorellini purpurei e profumati sbocciarono. Si diffuse dell'aria calda e secca. Quella pianta non si spostava, in realtà, verso il sole, ma imitava il calore del sole, asciugando tutto ciò che si trovava nelle vicinanze. Presto i loro abiti furono di nuovo asciutti. Perfino Fracassa e Grundy ne furono felici, visto che entrambi indossavano le giubbe speciali regalate loro dai centauri. Fracassa, poi, scosse i guanti e li fece asciugare, e Irene stese la sua pelliccia di filo d'argento accanto al fuoco. «Sappiamo dove andare?», chiese Irene, una volta che la camicia e la blusa si furono asciugate bene. «Re Trent è passato di qui?», domandò Dor al paesaggio. «Quando?», chiese di rimando la sabbia. «Il mese scorso.» «Non credo.»
Si incamminarono verso nord e, poco dopo, Dor riprovò. La risposta fu nuovamente negativa. Mentre al giorno succedeva l'imbrunire e poi la sera, completarono l'attraversamento dell'istmo, però senza risultati positivi. Quella terra non aveva visto passare il Re. «Forse la Regina era protetta da un Incantesimo di Invisibilità,» suggerì Grundy. «In questo caso nessuno ha potuto vederli.» «La sua magia non avrebbe mai funzionato qui in Mundania, stupido,» ribatté Irene. Era ancora adirata con il golem per il modo in cui Grundy le aveva fatto perdere metà dei suoi semi con l'anguilla eclettica. Lei manteneva a lungo il rancore per i piccoli torti. «Non so molto del viaggio di Re Trent,» disse Arnoldo. «Forse ha raggiunto Mundania per un'altra strada.» «Ma io so che ha fatto questa strada!», disse Irene. «Tu non sapevi nemmeno che sarebbe partito da Xanth!», le ricordò Grundy. «Pensavi che fosse in vacanza all'interno di Xanth.» Lei si strinse nelle spalle per manifestare l'irrilevanza di quell'osservazione. «Ma questa è l'unica strada per uscire da Xanth!» La sua voce aveva cominciato ad assumere il tremolio dell'isteria. «A meno che non abbia viaggiato per mare,» disse Dor. «Sì, avrebbe potuto farlo,» fu subito d'accordo la ragazza. «Ma avrebbe dovuto toccare terra in qualche punto. Mia madre soffre il mal di mare, se sta su una barca troppo a lungo. Non ci resta che camminare lungo la spiaggia ed interrogare le pietre e le piante.» «E noi staremo a guardia dei mostri mundani,» disse Grundy, per punzecchiarla. «Perché non guardino sotto la tua...» «Sono propenso a dubitare che le specie non-magiche costituiscano un grave problema,» disse Arnoldo nella sua maniera pedante. «Che cosa ne sa, quello stupido là?», domandò Fracassa. «Evidentemente più te, idiota deforme,» lo rimbeccò il centauro. «Negli ultimi temi ho studiato Mundania, ricavando informazioni dagli immigrati e, in base alla maggior parte dei resoconti, mi risulta che la maggior parte delle piante e degli animali mundani è relativamente innocua. Naturalmente, c'è un certo margine di errore, come in tutti i fenomeni.» «Che barroccio ha detto, quel bamboccio?», chiese Fracassa, reso perplesso dal vocabolario del centauro. «Barroccio?», ripeté Arnoldo, sentendosi di nuovo offeso. «Un barroccio è un carro dalle sponde basse, non una creatura, mostro ignorante. Ti pregherei di rivolgerti a me con l'appellativo che mi si conviene.»
«Non ho capito, vecchio rimbambito.» Dor soffocò una risata e finse di tossire. In quelle ore di frustrazione, i nervi si erano logorati, e lui non poteva permettere che la situazione precipitasse. Grundy aprì la grande bocca, ma Dor riuscì a mettergli una mano davanti. Il golem avrebbe potuto solo peggiorare le cose con la sua propensione naturale per gli insulti. Fu Irene, che aveva ancora un certo autocontrollo, a mitigare la crisi. «Tu proprio non capisci una persona di cultura, Fracassa. Arnoldo ha detto che i mostri mundani non ci daranno fastidio, se staremo in guardia.» «Oh, sì,» disse l'orco, raddolcito. «Troglodita ignorante!», mormorò il centauro. Il litigio si riaccese. «Il posto ha preso del nostro Chet amato!», disse Fracassa con rabbia, stringendo le mani guantate in un paio di formidabili pugni. Era quella l'origine dell'ira dell'orco! Pensava che Arnoldo avesse usurpato il posto del suo amico centauro. «No, non è così,» cominciò Dor, cercando un modo di mitigare il risentimento di Fracassa. Se nel gruppo si creavano delle fratture prima ancora di allontanarsi da Xanth, che cosa sarebbe successo, una volta che si fossero addentrati nel territorio di Mundania? «E ti ha chiamato uomo delle caverne, Fracassa,» intervenne in aiuto Grundy. «Complimento non degno, la testa ho di legno,» brontolò l'orco, con l'intenzione di dire che rifiutava di farsi influenzare da parole gentili. «Senza dubbio,» convenne Arnoldo. Dor decise di lasciare le cose come stavano: una comprensione migliore tra l'orco e il centauro sarebbe servita solo ad esacerbare gli animi. Camminarono lungo la spiaggia. Nulla li aggredì. Gli alberi erano strane cose dalle foglie ovali, con la corteccia marrone e inerte, e senza tentacoli. Uccellini svolazzavano tra i rami, e animaletti grigi scappavano tra i tronchi. Arnoldo aveva portato con sé un tomo di storia naturale, e lo consultava avidamente ad ogni nuova scoperta. «Una quercia!», esclamò. «Probabilmente il ceppo originario della quercia dell'argento, della quercia degli otri e degli alberi delle ghiande!» «Ma non si vedono né argento, né otri, né ghiande!», protestò Grundy. «Ci sono, senza alcun dubbio, ma in forma rudimentale,» disse il centau-
ro. «Osserva il colore argenteo di alcune foghe, e la forma tipica di altre, che suggerisce, in modo primitivo, altre ed eventuali deviazioni. E sospetto che nella stagione adatta ci siano anche le ghiande. La mancanza di magia impedisce una chiara manifestazione, ma una percezione allenata...» «Forse sì,» convenne il golem, stringendosi nelle spalle. Era evidente che aveva saputo più di quanto avrebbe voluto sul conto delle querce. Dor continuò ad interrogare gli inanimati che si trovavano sulla spiaggia, e anche l'acqua del mare, ma con risultati negativi. Tutti negavano di aver visto Re Trent e la Regina Iris. «È ridicolo!», si lamentò Irene. «Io so che ha fatto questa strada!» Arnoldo si carezzò il mento, con espressione pensosa. «Si manifesta una discordanza significativa.» «C'è qualcosa che non quadra,» convenne Grundy. Quando il sole tramontò, si accamparono nella parte alta della spiaggia. Decisero di fidarsi della magia, e di non fare turni di guardia. "Dor disse alla sabbia che li circondava di emettere un'esclamazione se si fosse avvicinato di soppiatto qualcosa di pericoloso o nocivo, e la sabbia promise di farlo. Irene fece crescere un cespuglio di coperte per i loro giacigli e sistemò tutt'intorno una siepe di strozzaciliege per avere un'ulteriore protezione. Mangiarono dei pomodori-bistecca che avevano macellato ed arrostito su rampicanti-fiamma, e bevvero il succo dei gigli vino-e-pioggia. «Giovane signora, il vostro talento contribuisce enormemente alle nostre comodità,» si complimentò Arnoldo, e Irene si coprì di pudico rossore. «Ah, lo dice solo perché è carina,» grugnì Grundy. A queste parole, Irene arrossì di piacere. Dor si sentì a disagio, ma non riuscì a isolare la causa della propria reazione. I punti deboli degli altri gli risultavano più comprensibili dei propri. «Soprattutto quando la gonna le sale sopra le ginocchia,» continuò il golem. Irene si tirò giù la gonna, e il rossore sulle guance diventò meno gradevole a vedersi. «In realtà, ci sono ben poche ricompense per una missione del genere,» disse Arnoldo. «Se potessi scegliere, abolirei all'istante la mia magia e tornerei al mio lavoro nel museo, senza macchie sul mio onore.» E c'era il disagio del centauro, rifletté Dor. Arnoldo pensava con rancore alla loro azione vile che lo aveva strappato ad un'esistenza felice e lo aveva reso esule. Dor non poteva biasimarlo. Il fatto che Arnoldo avesse acconsentito ad andare con loro in Mundania per aiutarli a liberare Re Trent, non significava che fosse soddisfatto della propria sorte. Cercava solo di rica-
vare il meglio da quella che per lui era una situazione orrenda. «Lo aiuto ad andare via, con la grande mano mia!», si offrì Fracassa. «Ma noi abbiamo bisogno della sua magia,» disse Irene, interpretandosi verbalmente per evitare ulteriori guai. «Come abbiamo bisogno della tua forza, Fracassa.» E la ragazza appoggiò una mano sul poderoso braccio dell'orco, per tranquillizzarlo. Dor si sorprese geloso anche di quel gesto, sebbene ne comprendesse i motivi. Si sistemarono per la notte, ma la sabbia diede l'allarme. Scoprirono che gli intrusi, della cui presenza erano stati avvertiti, erano solo pulci della sabbia: cimici tanto piccole da essere a malapena visibili. Arnoldo tirò fuori dalla sua collezione un Incantesimo di Repulsione per gli insetti, che risolse la faccenda. Si sistemarono nuovamente, e questa volta dormirono. Gli incubi non furono in grado di raggiungerli nemmeno allora, poiché i cavalli magici erano legati al regno magico di Xanth e non potevano attraversare il territorio mundano che si interponeva. Dor provò quasi simpatia per le cavalle; erano ormai parecchie notti che non potevano compiere il loro dovere, che consisteva nel turbare i sonni delle persone, e dovevano sentirsi molto frustrate. Ripresero il cammino la mattina dopo. Ma, con l'avanzare del nuovo giorno, lo sconforto per il fallimento della missione si faceva sempre più pesante. «Di certo, qualcosa non va,» osservò Arnoldo. «In base a quello che sappiamo, Re Trent deve essere passato in questa zona, ma gli oggetti lo negano. Forse non è affatto prematuro prendere in considerazione delle ipotesi.» Fracassa alzò le folte sopracciglia, cercando di capire se si trattava di un altro raffinato insulto. «Di' quello che hai in mente, coda di cavallo,» disse Grundy, con la sua solita diplomazia. «Ci siamo accertati del fatto che la Regina non avrebbe potuto usare il suo talento per ingannare gli oggetti locali,» disse Arnoldo, in tono saccente. «Non senza magia,» convenne Dor. «E qui, entrambi erano individui di tipo mundano, per quanto ne sappiamo.» «È possibile che non siano mai venuti fuori dal mare?» «No!», gridò Irene, emozionata. «Ho interrogato il mare,» disse Dor. «Dice che non contiene nulla del genere.» Irene si rilassò.
«È possibile che abbiano usato una strada completamente diversa? Forse sono arrivati alla costa orientale di Xanth e da lì hanno fatto rotta verso nord, per intercettare un'altra regione di Mundania...» «No,» disse Irene con fermezza. «Avevano programmato tutto, avevano anche deciso di uscire in questa regione di Mundania. Qualcuno aveva prospettato un buon affare, e i miei genitori seguivano la sua mappa. L'ho vista, e l'itinerario comprendeva questa strada.» «Ma se tu non sapevi...», protestò Dor. «Io, allora, non sapevo che stavano per percorrere quella strada,» disse la ragazza. «Ma vidi la mappa, quando l'esploratore la presentò con l'itinerario tracciato. Adesso so che cosa significava. È tutto quello che so, ma sono assolutamente certa che si sono diretti da questa parte.» Dor non era incline a discutere ulteriormente quel punto. Quello sembrava l'unico itinerario praticabile. Aveva detto agli altri tutto quello che sapeva della destinazione di Re Trent, e quell'itinerario certamente non contraddiceva quelle informazioni. «È possibile che siano stati intercettati prima di lasciare Xanth?», chiese Arnoldo, evidentemente con una conclusione già in mente. «Che siano stati vittime di un agguato, forse?» «Mio padre avrebbe trasformato i traditori in rospi,» disse in tono di sfida. «Ad ogni modo, all'interno di Xanth, l'illusione di mia madre avrebbe impedito la loro identificazione.» «Allora, a quanto pare, abbiamo eliminato il probabile,» disse Arnoldo. «Siamo perciò obbligati a prendere in considerazione l'improbabile.» «Che cosa vuoi dire?», chiese Irene. «Come ho dichiarato, ho in mente una supposizione improbabile, che può essere assolutamente errata...» «Sputala fuori, pelo marrone,» disse Grundy. «Mia cara vociferante creatura, un centauro civile non espettora. E il mio colore non è marrone, ma castano.» Irene aveva cominciato a capire il potere che aveva sul centauro e sui maschi in genere. «Per favore, Arnoldo,» lo pregò con dolcezza. «È molto importante per me sapere tutto quello che potrebbe servire a trovare i miei genitori scomparsi...» «Naturalmente, cara bambina,» convenne Arnoldo rapidamente, assumendo un atteggiamento protettivo. «La mia ipotesi è questa: forse Re Trent non ha attraversato questa regione quando noi supponiamo l'abbia fatto.»
«Deve averla attraversata al più tardi il mese scorso,» disse Irene. «Non necessariamente. È questo l'aspetto straordinario della mia ipotesi. Può averla attraversata anche un secolo fa.» Allora Dor, Irene e Grundy fissarono intensamente il centauro per vedere se stava scherzando. Fracassa, meno interessato alle ipotesi, formava oziosamente delle arenarie, schiacciando manciate di sabbia fino a che il minerale non si fondeva. Evidentemente, i nuovi guantoni gli rendevano possibile usare il suo potere aldilà dei limiti normali, dal momento che anche la carne degli orchi era più morbida della pietra. Stava creando un modesto castello di arenaria. «La notte scorsa hai dormito con la testa sott'acqua?», gli chiese, sollecito, il golem. «Come ho già chiarito, mi sono dedicato a talune ricerche riguardanti i fenomeni di Mundania,» disse Arnoldo. «Confesso di sapere solo una piccolissima parte di quello che è possibile sapere, e devo stare costantemente attento per evitare errori, ma certe conclusioni stanno diventando sempre più credibili. Nel corso della storia, si sono manifestate certe anomalie nella relazione tra i continuum. C'è, naturalmente, la questione della lingua: a quanto pare, esistono molteplici lingue in Mundania, eppure diventano tutte comprensibili in Xanth. Mi chiedo se apprezzate veramente il significato di...» Irene era sempre più impaziente. Batté il piedino a terra. «Come è possibile che il Re sia passato da qui un secolo fa, se a quell'epoca non era nemmeno nato?» «Dipende dalla discontinuità, come dicevo. Il tempo sembra differire, e può non esserci una proporzione costante. Esiste la prova che molte Ondate di colonizzazione umana in Xanth avevano origine da subculture mundane ampiamente divergenti, e, in realtà, alcune, probabilmente, furono anacronistiche. Vale a dire, l'ultima Ondata poteva provenire da un periodo di Mundania precedente a quello della prima Ondata.» «Aspetta!», esclamò Dor. «Ho visitato lo Xanth di ottocento anni fa, e credo che fosse una sorta di viaggio nel tempo, ma era un caso speciale. Poiché in Mundania non c'è magia, come avrebbero potuto invertire il tempo in questa maniera? I loro tempi sono tutti mescolati?» «No, credo che la loro struttura sia coerente nel loro mondo. Eppure se la sequenza temporale fosse invertita rispetto alla nostra...» «Io voglio solo sapere dov'è mio padre!», esplose Irene. «Può essere nel passato di Mundania... o nel suo futuro,» disse il centau-
ro. «Noi semplicemente non sappiamo quale sistema governi il passaggio attraverso la barriera della magia, ma sembra che sia governato dal lato di Xanth. Cioè, noi siamo in grado di determinare in quale epoca di Mundania vogliamo arrivare, mentre il passaggio da Mundania in Xanth è casuale e forse, in taluni casi, impossibile. È un'interfaccia interessantissima. «È come se Xanth fosse una barca che naviga su un fiume: i passeggeri possono sbarcare dovunque vogliano, scegliendo o il loro porto o un tempo specifico nel corso della traversata, ma gli indigeni, che vivono lungo le rive, possono imbarcarsi solo sulla nave che per caso passa nelle vicinanze. È un'analogia inadeguata, lo capisco, che non spiega sufficientemente alcune...» «Il Re può essere dovunque in Mundania?», chiese Irene, scettica. «È un assunto meravigliosamente conciso,» ammise Arnoldo. «Ma il Re mi ha parlato di medioevo,» protestò Dor. «Questo restringe le possibilità,» convenne il centauro. «Ma comprende un lunghissimo periodo di tempo, e se poi ha parlato in senso figurato...» «Allora, come potremo mai riuscire a trovarlo?», domandò Irene. «Questo diventa problematico. Mi affretto a ricordarti che la mia è solo una teoria non documentata, forse fallace. Non l'avrei mai sottoposta alla vostra attenzione, solo che...» «Solo che non c'è nient'altro che si adatta,» disse Irene. «Supponiamo sia giusta. Che cosa facciamo adesso?» «Bene, credo che risolveremmo prima il problema, se trovassimo in Mundania delle facilitazioni per le ricerche. Istituti dove si conservino documenti particolari, archivi...» «E tu sei un'archivista!», esclamò Dor. «Precisamente. Questo mi dovrebbe aiutare a stabilire in quale periodo della storia di Mundania siamo entrati. Poiché, come dice Re Dor, Re Trent si riferiva ad un periodo medioevale, questo ci darebbe un punto di riferimento.» «Se siamo nel secolo mundano sbagliato,» disse Irene, «come facciamo a raggiungerlo?» «Dovremo tornare in Xanth ed intraprendere una nuova missione per arrivare nel secolo giusto. Come ho già accennato, sembra possibile determinare il tempo di Mundania da Xanth e, una volta giunti nell'aspetto mundano giusto, vi potremmo restare fino al nostro ritorno in Xanth. Comunque, questo procedimento è carico di incertezze e complicazioni po-
tenziali.» «Lo penso anch'io,» disse Dor. «Se calcolassimo male, potremmo arrivare prima di lui.» «Oh, dubito che potrebbe succedere, tranne che su scala macroscopica, naturalmente.» «Su scala... che?», chiese Dor. «Credo che i tempi siano coincidenti in circostanze particolari. Vale a dire, in una data epoca, noi potremmo entrare in Mundania solo in un periodo contemporaneo a quello di Xanth. Di conseguenza...» «Potremmo sbagliare di un secolo, ma non di un giorno,» riassunse Grundy. «Questa è la sostanza, golem. I canali particolari sembrano essere fissi...» «Allora andiamo a cercare il secolo!», disse Irene, animandosi. «Poi tutto quello di cui avremo bisogno sarà solo il luogo.» «Con ricerche appropriate, anche la geografia specifica dovrebbe essere evidente.» «Allora andiamo a cercare i tuoi archivi,» disse la ragazza. «Purtroppo,» le ricordò Arnoldo, «abbiamo solo qualche probabilità di trovare per caso quello che ci serve.» «In questo io posso essere utile,» disse Dor. «Istituti del genere dovrebbero trovarsi dove abitano molte persone, giusto?» «Esatto, Re Dor.» «Uh, è meglio non chiamarmi Re qui. Non lo sono veramente, e poi la gente potrebbe trovarlo strano.» Quindi Dor di rivolse alla sabbia. «Qual è la strada per raggiungere il luogo in cui vive il maggior numero di persone?» «Perché dovrei saperlo?», chiese la sabbia.. «Tu sai qual è la direzione da cui proviene la maggior parte della gente, e dove ritorna.» «Oh, solo questo! Per lo più vanno a nord.» «A nord, allora!», disse Dor. Si incamminarono verso nord e, a tempo debito, incontrarono un sentiero mundano che sboccava su una strada secondaria che diventava poi una grande strada lastricata. Strade simili non esistevano in Xanth, e Dor la interrogò accuratamente per accertarsi della sua natura. A quanto pareva, serviva a facilitare il traffico di veicoli di metallo e di gomma che si muovevano grazie ad una sorta di magia o qualsiasi cosa fosse quella che i
Mundani usavano per compiere meraviglie simili. Quei carri venivano chiamati «automobili», e si muovevano a grande velocità. «Ho visto qualcosa di simile sotto terra,» disse Grundy. «Le guidavano i Demoni.» Ben presto il gruppo di Dor vide un'auto. Quella cosa sfrecciò come un drago da corsa, eruttando un sottile fil di fumo dalla parte posteriore. La seguirono con lo sguardo, stupiti. «Il fuoco ha mandato dal buco sbagliato,» disse Fracassa. «Sei sicuro che non ci sia magia in Mundania?», chiese Grundy. «Nemmeno i Demoni hanno gli sfiatatoi per il fuoco.» «Non ne sono affatto certo,» ammise Arnoldo. «Forse hanno solo un nome ed un uso diverso per la loro magia. Dubito che per noi funzionerebbe. Forse questa è la ragione per cui crediamo che in Mundania non ci sia magia: perché non è adatta ai nostri bisogni.» «Io non vorrei nemmeno un pezzetto di quell'auto,» disse Irene. «Qualsiasi drago che sputi fuoco dal di dietro, o è pazzo o soffre per un'orribile indigestione! Come la si potrebbe combattere? Cerchiamo i nostri archivi ed andiamocene di qui.» Gli altri furono d'accordo. Quell'aspetto di Mundania era certamente assai singolare. Evitarono la strada principale e presero invece una serie di sentieri che la fiancheggiavano. Dor continuò ad interrogare il terreno e, all'imbrunire, si trovarono vicini ad una città. Era uno strano tipo di insediamento, con le strade che si incrociavano a formare grandi piazze, e gli edifici tutti allineati con le facciate lungo i bordi delle strade, cosicché non c'era lo spazio per nessuna foresta. Alcuni erano tanto alti che c'era da stupirsi che non cadessero quando soffiava il vento. Il gruppo di Dor si accampò ai margini della città, sotto un alberoombrello che Irene fece crescere per creare una protezione. Il baldacchino dell'albero arrivava quasi fino a terra, nascondendoli, il che era un bene. Non erano certi di quale sarebbe stata la reazione dei Mundani davanti ad un orco, un golem, o ad un centauro. «Fin qui siamo arrivati in gruppo,» disse Dor. «Ma qui ci sono molte persone e pochi alberi: non possiamo più evitare di essere visti. Penso che sarebbe meglio che io e Irene entrassimo in città per cercare un museo...» «Una biblioteca,» lo corresse Arnoldo. «Mi piacerebbe studiare un museo mundano, ma l'informazione che ci serve probabilmente è più accessibile in una biblioteca.» «Una biblioteca,» convenne Dor. Sapeva di che cosa si trattava, perché
Re Trent aveva molti libri nella sua biblioteca-studio di Castel Roogna. «Comunque, questa è una discussione accademica, e scusate l'involontario gioco di parole,» continuò il centauro. «Non potete andarci senza di me.» «So che uscirei fuori dalla magia,» disse Dor. «Ma non ne avrò bisogno: non devo fare niente di speciale. Niente di magico. Una volta che avrò trovato la biblioteca per te...» «Non sei nemmeno sicuro di riuscire a parlare la loro lingua,» disse Arnoldo bruscamente. «Nella sfera della magia, ne sei capace: al di fuori, è alquanto problematico.» «Io so parlare la loro lingua,» disse Grundy. «È il mio talento. Sono stato creato per tradurre.» «Un talento magico,» disse Arnoldo. «Ooops,» disse Grundy, indispettito. «Non funzionerebbe al di fuori del sentiero.» «Ma tu non puoi entrare in città!», disse Dor. «Sono certo che non sono abituati ai centauri.» «Io dovrei entrare in città per usare la biblioteca,» sottolineò Arnoldo. «Fortunamente, avevo previsto un impedimento simile, perciò mi sono procurato qualche utile incantesimo nel nostro magazzino. Noi centauri, di solito, non pratichiamo la magia, ma utilizziamo degli incantesimi particolari su una base ad hoc. Li ho trovati di inestimabile valore, quando mi sono recato per le mie spedizioni nelle regioni selvagge di Xanth». Frugò nella sua borsa degli incantesimi, nella stessa maniera in cui Irene frugava nella propria per i semi. «Ho portato con me vari incantesimi per non essere visti, non essere sentiti, non risultare al tatto, e così via. Il golem ed io potremmo attraversare la città senza essere scoperti.» «E l'orco?», chiese Dor. «Fracassa non può assolutamente confondersi con la popolazione locale.» Arnoldo si accigliò. «Anche lui, immagino,» convenne, con espressione disgustata. «Comunque, c'è un effetto secondario in questo procedimento...» «Nemmeno noi potremmo vedervi,» concluse Dor. «Precisamente. Qualcuno di noi deve, perché questi incantesimi rendono difficile maneggiare un libro: le nostre mani passerebbero attraverso le pagine. La mia sfera di magia resterebbe intatta, naturalmente, e noi potremmo restare con te, ma tu dovresti compiere tutte le ricerche senza aiuto.»
«Non ce la farà mai,» disse Irene. «Ha ragione,» disse Dor. «Non sono assolutamente uno studioso. Farei un gran pasticcio.» «Lasciami cogitare,» disse Arnoldo. Chiuse gli occhi e cominciò a carezzarsi il mento, con espressione assorta. Per un terribile istante Dor pensò che il centauro si sentisse male, poi capì che cosa aveva voluto dire. Cogitare significava pensare. «Forse un'alternativa c'è,» disse Arnoldo. «Tu puoi procurati l'aiuto di qualche studioso mundano: un ricercatore qualificato, magari un archivista. Potresti pagarlo con una delle monete d'oro che hai tesaurizzato, o forse con un diamante. Credo che entrambi abbiano valore in qualsiasi struttura di Mundania.» «Uh, immagino di sì,» disse Dor, dubbioso. «Te l'ho detto, anche con l'aiuto, combinerà lo stesso un mucchio di guai,» disse Irene. Sembrava aver dimenticato i suoi precedenti complimenti a proposito del grande successo di Dor. Era un'altra delle sue caratteristiche: la memoria selettiva. «Tu sei l'unico che dovrebbe fare la ricerca, Arnoldo.» «Io posso solo, per così dire, guardare da dietro le sue spalle,» disse il centauro. «Sarebbe certamente utile, se lo guidassi nella scelta dei riferimenti e nel girare le pagine, visto che sono un buon lettore con un'ottima memoria. Non dovrebbe comprendere il materiale. Ma, a meno che non interrompessi gli Incantesimi di Impercettibilità, il che dubito sarebbe prudente visto che non ho nessun duplicato...» «Una maniera c'è, forse,» disse Grundy. «Io potrei uscire fuori dalla sfera della magia. Allora Dor mi vedrebbe e mi sentirebbe, ed io potrei dirgli di girare la pagina o qualsiasi altra cosa.» «E a tutti i Mundani intorno a te scoppierebbero le palle degli occhi per guardare la bambola vivente,» disse Irene. «E invece si faranno scoppiare gli occhi per guardare sotto la tua gonna,» replicò il golem, offeso. «Potrebbe essere una soluzione!», disse Arnoldo. «Aspetta un momento!», gridò Irene. «Si riferisce alla funzione di messaggero di Grundy,» le disse Dor con gentilezza. «Naturalmente,» disse il centauro. «Dal momento che abbiamo accertato che il sentiero della magia è stretto, sarebbe possibile restare vicinissimi, mentre Dor si troverebbe all'interno dell'estensione anteriore.»
Dor si fermò a riflettere, e quella gli parve la soluzione migliore. Aveva pensato di poter entrare semplicemente in Mundania, seguire le tracce di Re Trent interrogando il terreno, e trovare il Re senza molti problemi. Quella discontinuità temporale, così come l'aveva esposta il centauro, era difficile da capire ed ancora più difficile da trattare, e la ricerca sostitutiva che proponeva il centauro sembrava zeppa di ostacoli. Ma quale altra soluzione c'era? «Ci proveremo,» fu d'accordo. «Domani mattina.» Si sistemarono per la notte, la seconda in Mundania. Fracassa e Grundy si addormentarono di colpo, Dor e Irene ebbero più problemi, e Arnoldo, sfortunatamente, sembrava del tutto sveglio. «Stiamo per aver un contatto diretto con la civiltà di Mundania,» disse il centauro. «In un certo senso, questo rappresenta per me la realizzazione di un sogno impossibile, che quasi compensa la maledizione costituita dal mio talento magico. Ma ho tanti presagi confusi! Non so che cosa aspettarmi. Questa città potrebbe essere troppo primitiva per avere una biblioteca vera e propria. I suoi abitanti, per quanto ne sappiamo, potrebbero praticare il cannibalismo. Ci sono così tanti elementi imponderabili!» «Non m'importa che cosa pratichino,» disse Irene, «finché non trovo mio padre.» «Forse domani mattina dovremmo interrogare i dintorni,» disse Arnoldo, pensieroso, «per accertarci che qui esistano archivi e biblioteche, prima di avventurarci più avanti. Certamente, nessuno di noi vuole correre il rischio di essere visto dai Mundani senza una valida ragione.» «E dovremmo anche chiedere dove sia il miglior archivista mundano,» aggiunse Irene. Dor tracciò una parola nel terreno con un dito: ONESTA. Poi la contemplò con espressione imbronciata. «È pertinente?», domandò al centauro, guardando la parola. «È quello che mi ha detto Re Trent,» disse Dor. «Ogniqualvolta mi dovessi trovare in dubbio, devo comportarmi con onestà.» «Onestà?», chiese Arnoldo, guardando accigliato il terreno. «Ci penso molto, quando sono in dubbio,» disse Dor. «non mi piace ingannare la gente, nemmeno i Mundani.» Irene sorrise stancamente. «Arnoldo, quella è la maniera di scrivere di Irene. È il campione del mondo della compitazione sbagliata: ONESTA: Onestà.» «ONESTA,» ripeté il centauro, togliendosi gli occhiali per strofinarsi gli
occhi. «Adesso credo di comprendere. Una firma degna di un Re.» «Re Trent è un grande Re,» convenne Dor. «So che il suo consiglio, in un modo o nell'altro, ci condurrà al successo.» Sembrò quasi che Arnoldo sorridesse, come se trovasse singolare l'atteggiamento di Dor. «Ci dormirò sopra,» disse il centauro. E così fece, dopo essersi disteso sulla parola tracciata nel terreno. La mattina, dopo qualche problema con il cibo e con le funzioni naturali da espletare in quel luogo semipubblico, si prepararono. Il centauro tirò fuori la sua collezione di incantesimi, ognuno chiuso in una piccola sfera di vetro, e Dor uscì dal sentiero della magia mentre gli incantesimi venivano evocati. Per prima cosa, il gruppo diventò impercettibile all'udito, poi invisibile; il posto sembrò vuoto. Dor aspettò il tempo necessario al compimento dell'Incantesimo di Insensibilità, poi ritornò nel sentiero della magia. Non udiva, non vedeva e non sentiva nulla. «Ma sento il vostro odore,» osservò. «Arnoldo ha un leggero odore equino, Fracassa puzza di mostro, e Irene ha un profumo. Meglio che vi laviate, prima di entrare in un edificio.» Ben presto gli odori scomparvero e, un attimo dopo, apparve Irene, ad una breve distanza. «Adesso mi vedi?» «Ti vedo e ti sento,» disse Dor. «Oh, bene! Non sapevo fin dove arrivasse la magia. Io mi vedo sempre.» Avanzò verso di lui e svanì. «Sei scomparsa di nuovo,» disse Dor, e si avvicinò in fretta al posto in cui prima si trovava la ragazza. «Mi vedi?» «Ehi, ti stai sovrapponendo a me!», protestò Irene e riapparve di colpo davanti a Dor, che fu sul punto di inciampare. «Bene, io non ti vedo,» disse. «Voglio dire, adesso ti vedo, ma prima no. Tu vedi gli altri, quando sei al di fuori del passaggio?» Lei lanciò un'occhiata. «Sono scomparsi! Noi ti vediamo e ti sentiamo sempre, ma adesso...» «Allora, quando non vedrai loro, capirai che io ti vedo.» La ragazza si chinò e la sua faccia scomparve, ricordandogli la Gorgone. Poi si ritrasse. «Adesso li ho visti. Sono veramente sotto l'effetto dell'incantesimo, non è vero?» «Tu sei un incantesimo,» convenne Dor. Irene sorrise e si chinò per baciarlo, ma il suo volto scomparve e il ragazzo non sentì nulla.
«Adesso devo trovare una biblioteca ed un buon archivista,» disse di cattivo umore, quando lei riapparve. «Se stai con me, Stammi lontana.» Irene scoppiò a ridere. «Io sto con te. Ma non cercare di prendermi fuori dal sentiero.» E, naturalmente, era quello che avrebbe dovuto fare, se avesse veramente voluto baciarla. E Dor lo voleva veramente, ma non voleva ammetterlo. La ragazza lo affiancò, tenendosi alla larga dall'incantesimo. «Non ha senso che tu ti perda.» Si avviarono verso la città. C'erano molte auto per le strade: tutte correvano veloci verso gli incroci, dove si fermavano con grandi stridii, aspettavano un minuto con brontolii adirati ed espulsione costante di fumo dal posteriore, per poi riprendere a correre in branchi fino agli incroci successivi. A quanto pareva, avevano solo due velocità: la marcia e la sosta. All'interno delle auto c'erano delle persone, proprio nella maniera in cui Grundy aveva descritto i veicoli dei Demoni, ma le persone non uscivano mai dalle auto. Era come se fossero state ingoiate tutte intere e le auto le digerissero lentamente. Poiché le auto erano grandi quanto i centauri e si muovevano con una certa velocità costante, quando non erano ferme, Dor ne diffidava e cercava di evitarle. Ma era impossibile, dato che a volte doveva attraversare la strada. Ricordò il malvagio drago dell'Abisso di Xanth che aspettava in agguato le persone tanto stupide da attraversare il fondo dell'Abisso: quelle auto gli somigliavano fin troppo. Forse ce n'era qualcuna che non aveva ancora mangiato nessuno e viaggiava affamata, aspettando del cibo del tipo di Dor. Ad un certo punto vide un'auto ferma al lato di una strada con la bocca spalancata come quella di un drago, e il ragazzo la evitò con ansia. La cosa più strana dell'auto era che aveva tutte le budella dentro la bocca enorme: tubi fumanti, tendini ed una lingua a forma di disco. La cosa ancora più insolita era che non aveva denti. Forse era quello il motivo per cui le occorreva tanto tempo per digerire le persone. Arrivò ad un angolo. «Come devo fare per attraversare la strada?», chiese. «Devi aspettare una luce che fermi il traffico,» lo informò la strada in un insieme di disprezzo, di polvere e di fumo di auto. «Ma dove sei stato tutta la vita?» «In un altro regno,» rispose Dor. Vide una delle luce descritte dalla strada. Pendeva al di sopra dell'incrocio ed aveva numerosi e piccoli visori,
puntati in tutte le direzioni. Vi si accendevano malignamente luci di tutti i colori. Dor non riusciva a capire in che modo fermasse le auto. Forse le luci erano dotate di un particolare Incantesimo di Stordimento. Giocò sul sicuro, chiedendo alla luce di dirgli quando sarebbe stato opportuno attraversare. «Adesso,» disse la luce, e si accese di rosso su una faccia e di verde su un'altra. Dor cominciò ad attraversare. Un'auto lanciò un grido, come un mostro marino, poi gemette, come la vittima di un mostro marino. Per un pelo non passò sul piede di Dor che era più avanti. «Non da quella parte, idiota!», esclamò la luce, accendendosi di un rabbioso rosso. «Dall'altra parte! Con il verde, non con il rosso! Non hai mai attraversato una strada?» «Mai,» ammise Dor. Irene era scomparsa. Doveva essere rientrata nel sentiero magico per consultarsi con gli altri. Forse aveva pensato di essere più protetta all'interno della zona dell'incantesimo; evidentemente le auto lì non potevano minacciarla. «Aspetta finché non te lo dirò, poi attraversa nella direzione che ti ordinerò,» disse la luce, ammiccando in una strana maniera. «Non voglio sangue nel mio incrocio!» Dor attese umilmente. «Adesso!», disse la luce. «Cammina sempre diritto, ad un'andatura costante. Sbrigati! Non hai tutto il giorno, ma solo quindici secondi.» «Ma c'è un'auto che sta correndo verso di me!», protestò Dor. «Si fermerà,» lo rassicurò la luce. «Diventerò rossa all'ultimo momento e la costringerò a bruciare le gomme. Provo un grande piacere nel fare questo genere di cose.» Colmo di ansia, Dor ricominciò ad attraversare la strada. L'auto avanzò ad una velocità terrificante, poi si fermò con grandi stridii ad un palmo dal corpo tremante di Dor. «Ti ho fatto tremare, questa volta, maledetto pedone,» borbottò l'auto attraverso la nuvoletta che usciva dalle gomme bruciacchiate. «Se non fosse stato per quella luce ammiccante, ti avrei preso! A voi insetti striscianti non dovrebbe essere permesso di circolare sulle strade.» «Ma come faccio ad attraversare la strada, se non mi è permesso di circolare sulle strade?», chiese Dor. «È un problema tuo,» disse l'auto, con prepotenza. «Hai visto? Stabilisco perfettamente i loro tempi,» disse la luce con soddisfazione. «Ne faccio passare centinaia al giorno. Ma nessuna attraversa il
mio incrocio senza pagare la sua tassa in gas e gomme.» «Che ti si spenga una lampadina!», grugnì l'auto, rivolta alla luce. «Che ti si infradici il clacson!», replicò con un lampo la luce. «Un giorno, noi automobili faremo una rivoluzione e stabiliremo un nuovo equilibrio,» disse l'auto, in tono minaccioso. «Vi fracasseremo tutte, voi luci restrittive, ed adotteremo un sistema di libera iniziativa.» «Mi hai veramente seccato,» disse la luce, colma di disprezzo. «Senza di me, non avreste nessuna remora.» Dor riprese a camminare. Un'altra auto arrivò di corsa, Dor perse la calma e balzò di lato. «L'ho mancato!», si lagnò l'auto. «È una settimana che non faccio un punto!» «Va' via dal mio incrocio!», strillò la luce. «Non ti sei fermata! Non hai bruciato le gomme! Avresti dovuto consumare benzina per una sosta completa, prima di ripartire! Come credi che possa mantenere un livello decente di inquinamento, se tu non collabori?» «Oh, che ti saltino i circuiti!», ruggì l'auto e riprese a muoversi. «Polizia! Polizia!», lampeggiò la luce. «Quell'auto criminale non si è fermata al rosso! Auto criminale! Auto criminale!» Ma quando le altre auto si accorsero che una di loro se ne andava con un'aperta sfida, sì affrettarono ad imitarla. L'incrocio si riempì di veicoli ribelli che si tamponavano allegramente l'un altro. Si sentì il crepitio di un inizio di incendio. Poi il sentiero magico si allontanò dalla luce, e tutto tacque. Dor si sentì sollevato: non voleva attrarre l'attenzione. Irene ricomparve. «Questa volta ha superato te stesso, Dor! Perché non la smetti di fare lo stupido con le luci e non ti dirigi verso la biblioteca?» «Ci sto provando!», replicò Dor con durezza. «Dov'è la biblioteca?», chiese poi al marciapiede. «Non hai bisogno di una biblioteca, goffo zoticone,» rispose il marciapiede. «Hai bisogno di una guardia del corpo.» «Limitati a rispondere alla mia domanda.» La malignità degli inanimati sembrava peggiore, lì in Mundania. Forse dipendeva dal fatto che gli oggetti, lì, non erano mai stati addomesticati dalla magia. «Tre isolati a sud, due ad est,» rispose il marciapiede, di pessimo umore. «Che cos'è un isolato?» «Questo gnomo è reale?», si chiese retoricamente il marciapiede. «Rispondi!», esclamò Dor. E poi, a tempo debito, ottenne la definizione necessaria. Un isolato era uno di quei grandi quadrati formati dalle strade
che si intersecavano. «C'è un archivista nella biblioteca?» «Un che cosa?» «Un ricercatore, qualcuno che sa un sacco di cose.» «Oh, certo. Il migliore dello stato. Sta sempre qui. Uh vecchio tipo strano.» «Quel marciapiede ti capisce certamente,» osservò Irene, compiaciuta. Dor restò zitto. Irene era al sicuro da qualsiasi osservazione il marciapiede potesse fare a proposito delle sue gambe, perché si trovava all'esterno del sentiero magico. Dor sapeva che Arnoldo gli stava vicino, perché la sua magia funzionava. Se Irene fosse entrata nella zona di magia, sarebbe svanita. Perciò la ragazza era in vantaggio e poteva colpire impunemente, per il momento. Un gruppetto di Mundani stava venendo verso di loro, ed erano tre uomini e tre donne. Il loro abbigliamento era strano. Gli uomini avevano qualcosa annodata intorno al collo che quasi li soffocava, e le loro scarpe lucevano come specchi. Le donne sembravano camminare su trampoli. Irene continuò allegramente a camminare, superandoli. Dor esitò, curioso di vedere le reazioni dei Mundani davanti ad un cittadino di Xanth. Le due donne non sembrarono prestar loro attenzione, ma tutti e tre i maschi si fermarono e si girarono a guardare Irene. «Guarda quella ragazza!», mormorò uno. «Da quale mondo viene?» «Qualsiasi mondo sia, io vorrei andarci!», disse un altro. «Deve essere una studentessa straniera. Sono tre anni che non vedo un paio di gambe simili.» «Il suo vestito è fuori moda da tre secoli, se mai è stato di moda,» osservò una delle donne, arricciando il naso. Dopotutto, aveva prestato attenzione. Era stupefacente come le donne notassero tutto, senza farlo vedere. Le gambe di quella donna non erano degne di nota, ma Dor pensò che le scarpe-trampoli fossero responsabili della loro deformità. «Gli uomini non hanno gusto,» disse l'altra donna. «Preferiscono le ragazze da harem.» «Sì...», disse il terzo uomo, con un lento sorriso. «Mi piacerebbe avere il suo numero.» «Solo se passerai sul mio cadavere!», disse la seconda donna. I Mundani ripresero a camminare e Dor non riuscì più a sentire la loro strana conversazione: continuò ad andare avanti pensieroso. Se Irene era tanto diversa dai Mundani, che cosa avrebbero dovuto dire di lui? Nessuno aveva avuto reazioni nei suoi confronti, eppure era vestito diversamente
dagli uomini quanto Irene lo era dalle donne. Rifletteva su questo argomento, mentre, insieme a Irene, continuava a camminare lungo le strade. Forse i Mundani erano stati tanto presi dalle gambe di Irene che non si erano accorti di lui. Era comprensibile. La biblioteca era uno splendido palazzo con un'entrata incredibilmente strana. La porta girava continuamente, senza mai aprirsi completamente. Dor si avvicinò, incerto sul da farsi. I Mundani lo oltrepassavano senza notarlo, nonostante le evidenti differenze. Comprese all'improvviso che faceva parte della magia. Le sue riflessioni erano finalmente venute a capo di uno degli aspetti del mistero mundano. Dor sembrava un membro del loro mondo. Se fosse uscito dal sentiero magico, sarebbe stato uno straniero, come Irene. Per fortuna, lei era una bella ragazza, e quindi poteva cavarsela, ma lui non avrebbe avuto lo stesso vantaggio. In quel momento, Irene non era in vista: forse si era accorta delle reazioni dei Mundani e preferiva evitare una replica. Ma quando i Mundani lasciarono libera la zona, ricomparve. «Arnoldo crede che sia una porta girevole,» disse. «Si trovano oscuri riferimenti alle porte girevoli nei testi su Mundania. Probabilmente devi solo...» In quel momento vide un altro Mundano che si stava avvicinando ed entrò nell'invisibilità in tutta fretta. Il Mundano si avvicinò alla porta, stese una mano e l'appoggiò ad un vetro della porta. La porta girò ed apparve un vano: l'uomo vi entrò e seguì il giro della porta. Era semplice, una volta che la si vedeva in azione! Avanzò coraggiosamente verso la porta e vi entrò. Funzionò come un incantesimo - vale a dire, quasi come un fenomeno naturale di Xanth - e lo fece entrare nell'edificio. Si trovò in una grande stanza, nella quale c'erano molti divani e tavoli, e le pareti erano coperte di mensole piene di libri. Era una biblioteca. Adesso doveva solo trovare il ricercatore che avrebbe dovuto lavorare lì. Forse bisognava cercare nella sezione di storia. Dor attraversò la stanza, diretto ad una parete di libri. Poteva controllare quelli per vedere se c'era qualcosa di utile. Non avrebbe dovuto essere troppo difficile... Si fermò, accorgendosi che tutti lo guardavano. Qual era il problema? Una vecchia gli si avvicinò. Aveva il volto segnato dalle rughe. «Xf ibwf b esftt-dpef ifsf,» disse con gravità, mentre il suo sguardo correva, pieno di disapprovazione, dai capelli scarmigliati ai sandali impolverati. A quanto sembrava, disapprovava il suo abbigliamento. Dopo un attimo di confusione, Dor comprese di essere uscito dal sentiero magico e di essere visto senza il filtro dell'incantesimo. Arnoldo aveva
ragione: Dor non poteva concludere nulla da solo. Che cosa era successo al centauro? Dor si girò a guardare verso la porta e vide Irene che gli faceva freneticamente cenno di avvicinarsi. Ritornò di corsa da lei, con la Mundana alle spalle. «Xf pqfsbuf una biblioteca rispettabile,» stava dicendo la Mundana. «Esigiamo un comportamento adatto...» Dor si girò a guardarla. «Sì?» La donna si fermò, perplessa. «Oh... vedo che siete vestito bene. Devo avervi preso per qualcun altro.» Poi si allontanò, imbarazzata. Gli abiti di Dor non erano mutati, era mutata solo la percezione che ne aveva la donna, grazie alla magia. «Arnoldo non riesce a passare attraverso la porta girevole,» disse Irene. Perciò Dor si era allontanato dal sentiero! Era riuscito comodamente a superare la porta. Ma, naturalmente, quei minuscoli vani non potevano contenere la massa del centauro! «Forse esiste un'altra porta,» suggerì Dor. «Potremmo girare intorno all'edificio...» Irene scomparve, poi ricomparve. «Arnoldo dice che l'incantesimo annulla, in qualche modo, i confini degli oggetti, perciò la sua mano passa attraverso gli oggetti mondani, ma tutta la massa del suo corpo è troppo grande per attraversare una solida parete mundana. Potrebbe farcela attraverso una finestra, però.» Dor tornò alla porta rotante, poi fece il giro del palazzo. Sul retro c'era una porta a doppio battente che si apriva tanto da far entrare un'auto. Dor la attraversò e oltrepassò alcuni uomini che accatastavano delle scatole di libri. «Ehi, ragazzino, ti sei perso?», gridò uno di loro. Non gli ci era voluto molto per passare da «Re» a «Ragazzino»! «Cerco gli archivi,» disse Dor, con nervosismo. «Oh, certo. La terza porta a sinistra.» «Grazie.» Dor si avvicinò alla porta e la spalancò, e questa volta la attraversò con lentezza, in modo tale che gli altri lo seguissero. Sentì l'odore del centauro e dell'orco appena appena, e seppe che erano con lui. Adesso erano in una zona di corridoi lunghi e stretti tra scaffali pieni di scatole. Dor non aveva la minima idea di come procedere, e non era certo che il centauro ce la facesse a passare in quei corridoi ma, dopo qualche istante, comparve Irene e lo informò che Arnoldo lì si sentiva a casa. «Ma sarebbe meglio consultare un archivista competente, ha detto,» concluse la ragazza.
«Ce n'è uno qui,» disse Dor. «L'ho domandato.» Poi gli venne in mente un'altra cosa. «Ma se informasse le autorità mundane della nostra presenza? Potrebbe non comprendere le nostre necessità.» «Arnoldo dice che gli accademici non sono di questo tipo. Se ce n'è uno bravo qui, la sua curiosità scientifica - credo che sia quello che qui chiamano magia - terrà desto il suo interesse. Dai un'occhiata in quel piccolo ufficio: sembra proprio l'angolino di un archivista.» Riluttante, Dor guardò. Ebbe fortuna, ma non sapeva quale genere di fortuna. Vide un uomo di mezza età, occhialuto, che stava studiando attentamente una pila di carte. «Scusatemi, signore, vi dispiacerebbe fare delle ricerche?», chiese Dor. L'uomo alzò gli occhi, guardandolo di sottecchi. «Di quale natura?» «Uh, è una storia lunga. Sto cercando di trovare un Re, e non so dove o quando.» «L'uomo sì tolse gli occhiali e si strofinò gli occhi stanchi. «Ha l'aria di essere una sfida. Qual è il nome del Re e come si chiama il suo Regno?» «Re Trent di Xanth.» L'uomo si alzò e si tirò fuori a fatica dal proprio angolino. Era piuttosto basso, aveva pochi capelli e si muoveva piano. A Dor per qualche oscuro motivo ricordò Arnoldo. L'archivista scovò un volume grande e antico, lo prese, lo spolverò, lo appoggiò su un tavolino, e ne girò le pagine friabili. «Questa designazione non è elencata, a quanto pare.» Irene apparve. «Non è un Re di Mundania.» Lo studioso la guardò di traverso, senza mostrarsi sorpreso. «Mia cara, con capisco nemmeno una parola di quello che dici.» «Uh, è di un altro paese,» disse Dor in fretta. Poiché Irene doveva mettersi al di fuori del sentiero magico per essere vista e sentita, l'effetto della traduzione magica per lei non funzionava. Dal momento che Dor era stato allevato nello stesso ambiente culturale, non aveva problemi a capirla. Era una distinzione interessante. Lui, Dor, capiva gli altri due, che sembravano parlare la stessa lingua, ma i due non potevano capirsi l'un l'altro. La magia continuava a presentare nuovi aspetti che lo rendevano perplesso. Lo studioso rifletté. «Oh... questa ragazza lavora per una compagnia cinematografica? Dovete svolgere una ricerca per ricreare uno sfondo storico?» «Non esattamente,» disse Dor «È la figlia di Re Trent.» «Oh, è un Regno contemporaneo! Allora, devo prendere un testo più recente.»
«No, è un regno medioevale,» disse Dor. «Uh, cioè... beh, Re Trent si trova in un altro tempo, crediamo.» Lo studioso si fermò a riflettere. «Il Regno che dovete ricreare, naturalmente. Credo di capire.» Guardò di nuovo Irene. «Le donne hanno certamente degli arti discreti in quel regno.» «Che cosa ha detto?», domandò Irene. «Che hai delle belle gambe,» le disse Dor, con sottile malizia. La ragazza ignorò la risposta. «Che cosa dice a proposito di mio padre?» «Non è elencato in quel libro. Penso che dovremo tentare un'altra strada.» Gli occhi dello studioso si spostarono dalle gambe di Irene alla faccia di Dor. «È molto strano. Tu ti rivolgi a lei in inglese, e lei sembra capire, ma ti risponde in una lingua straniera.» «È complicato da spiegare,» disse Dor. «È meglio che consulti Arnoldo,» disse Irene, e scomparve. Lo studioso mundano si tolse gli occhiali e li pulì con cura con un pezzo di stoffa. Li rimise in tempo per vedere Irene ricomparire. «Sì, va decisamente meglio,» mormorò. «Arnoldo dice che dobbiamo adoperare una caratteristica saliente e determinata per trovare mio padre o mia madre.» disse Irene. «Può esserci un riferimento storico.» «Che lingua è, esattamente?» chiese lo studioso, che era tornato a fissare le gambe di Irene. Poteva essere anziano e Accademico, ma evidentemente non aveva dimenticato come era fatta una donna. «Xanthiano, suppongo,» disse Dor. «Dice che dovremmo cercare qualche riferimento storico ai suoi genitori, a causa delle caratteristiche speciali che essi posseggono.» «E quali sarebbero queste caratteristiche?» «Beh, Re Trent trasforma le persone, e la Regina Iris è la Signora dell'Illusione.» «Idiota!», scattò Irene. «Non parlargli della magia!» «Non capisco affatto,» disse lo studioso. «Che tipo di trasformazione, quale genere di illusione?» «Beh, in Mundania non funzionano,» disse Dor, goffamente. «Certamente sei a conoscenza del fatto che le leggi della fisica sono le stesse in tutto il mondo,» disse lo studioso. «Tutto quello che funziona nel paese della signorina funziona in qualsiasi altro luogo.» «Non la magia,» disse Dor, ma si accorse di confondere ancora di più le
cose. «Fino a che punto di stupidità puoi arrivare?», domandò Irene. «Vado a consultare Arnoldo.» E scomparve di nuovo. Questa volta lo studioso ammiccò ripetutamente. «Strana ragazza!» «Sì, è molto originale,» convenne Dor, con un filo di voce. Lo studioso prese il posto lasciato vuoto da Irene. «Tubhf jmrnwtjpo?», chiese. Oh, no! Adesso era al di fuori del sentiero magico, è di conseguenza la sua lingua non era più compatibile con quella di Dor. Dor non poteva fare nulla, era il centauro che avrebbe dovuto spostarsi. Irene riapparve accanto allo studioso. Evidentemente, non aveva prestato attenzione, perché avrebbe dovuto essere in grado di vederlo all'interno della sfera di azione della magia. «Oh... siete qui!» esclamò, la ragazza. «Bnbajoh!» disse lo studioso «J nvtu jorvjsf...» Poi il centauro si spostò. Irene scomparve e lo studioso diventò comprensibile. «... come funziona esattamente questo trucco...» Si fermò. «Oh, è scomparsa di nuovo!» Irene riapparve in fondo alla stanza. «Arnoldo dice che dobbiamo parlargliene,» annunciò. «Della magia e di tutto il resto. Grazie ai pasticci che hai fatto.» «È veramente stupefacente!», disse lo studioso. «Beh, devo dirvi una cosa che troverete difficile da credere,» disse Dor. «A questo punto, sono propenso a credere perfino alla magia!» «Sì. Xanth è il paese della magia.» «Dove le persone scompaiono e riappaiono quando vogliono? Penso che preferisco credere a questo piuttosto che concludere di star perdendo la vista.» «Beh, alcuni scompaiono. Ma non è questo il talento di Irene.» «Questa non è l'abilità della signorina? Allora, come mai lo sta facendo?» «Entra e esce da un sentiero magico.» «Un sentiero magico?» «Generato da un centauro.» Lo studioso sorrise debolmente. «Temo che tu abbia un vantaggio su di me. Riesci ad immaginare delle assurdità più in fretta di quanto io riesca ad assimilarle.» Dor capì che lo studioso non gli credeva. «Vi mostrerò la mia magia, se volete,» disse. Indicò il libro aperto che era sul tavolino. «Libro: di' qual-
cosa a quest'uomo.» «Perché dovrei prendermi questo fastidio?», domandò il libro. «Ventriloquismo!», esclamò lo studioso. «Devo confessare che sei molto bravo.» «Come mi hai chiamato?», domandò il libro. «Lo hai fatto di nuovo... con la bocca chiusa?», chiese a Dor lo studioso. Dor chiuse la bocca. Il libro restò in silenzio. «Almeno, così mi è sembrato.» «Che cosa ti è sembrato, quattr'occhi?», chiese il libro. Stupito, lo studioso abbassò lo sguardo sul volume, poi lo riportò su Dor. «Ma avevi la bocca chiusa, ne sono sicuro.» «È magia,» disse Dor. «Posso far parlare qualsiasi oggetto.» «Supponiamo, per un momento, che questo sia vero. Vorresti dirmi che anche il Re di cui sei alla ricerca, può compiere magie?» «Esatto. Solo che non può farlo in Mundania: di conseguenza, credo che non conti.» «Perché non ha un centauro magico con sé?» «Sì.» «Vorrei vedere questo centauro.» «È protetto da un Incantesimo di Invisibilità. In modo che i Mundani non ci creino problemi.» «Questo centauro è uno studioso?» «Sì. Un archivista, come voi.» «Allora è la persona con cui dovrei parlare.» «Ma l'incantesimo...» «Annulla l'incantesimo! Fammi vedere il tuo centauro. Altrimenti, non posso aiutarti.» «Non penso che vorrà farlo. Sarebbe difficile uscire da qui senza quell'incantesimo, e non abbiamo nessun duplicato dell'Incantesimo di Invisibilità.» Lo studioso ritornò al proprio angolino. «Pensaci: credo nella magia non più di quanto creda alle rivelazioni di un allucinazione, ma voglio aiutarti se mi vieni incontro a metà strada. Lascia perdere i tuoi trucchi da ventriloquo, mostrami il tuo studioso, ed io lavorerò con lui per trovare l'informazione che desideri. Non m'importa di quanto fantastico possa essere il suo aspetto esteriore, purché abbia un'intelligenza autentica. Il fatto che tu trovi necessario abbagliarmi con il ventriloquismo, con una bella ragazza in costume che appare e scompare, ed un racconto mitologico, fa pensare
che la tua richiesta abbia ben poca sostanza e che tu mi stia facendo perdere tempo. Ti chiedo di mostrarmi il tuo studioso, altrimenti allontanati dal mio cospetto.» «Uh, Arnoldo,» disse Dor. «So che sarà terribilmente difficile andare via di qui senza incantesimi, ma forse potremo aspettare la notte, Abbiamo veramente bisogno di quelle informazioni, e...» All'improvviso, il centauro apparve di fronte alla scrivania dello studioso. L'orco e il golem gli stavano alle spalle. «Sono d'accordo,» disse Arnoldo. Lo studioso si voltò a guardarli. Batté le palpebre. «Sono costumi rarissimi, lo ammetto.» Arnoldo avanzò a grandi passi - il suo posteriore passava a malapena nello spazio tra gli scaffali - e tese la mano. «Certamente non vi biasimo per la vostra impazienza con chi non è iniziato,» disse. «Qui avete un eccellente archivio, e so che il vostro tempo è prezioso.» Lo studioso gli strinse la mano. Sembrava più rassicurato dagli occhiali e dal comportamento di Arnoldo che confuso dal suo corpo. «Qual è la vostra specializzazione?» «Archeologia straniera... ma ovviamente consiste per lo più in un lavoro di routine e in compiti quotidiani e ripetitivi.» «Altro che!», convenne lo studioso. «Le noie che devo sopportare qui...» I due intrapresero una conversazione tecnica che ben presto Dor non riuscì più a seguire. Si animarono vieppiù quando arrivarono a scambiarsi informazioni e opinioni. Non c'era nessun dubbio sul fatto che si somigliassero. Irene, annoiata, fece crescere una pianta di cacao nell'ingresso e distribuì tazze del liquido bollente a Dor, Fracassa e Grundy. Sapevano quanto fosse importante che Arnoldo stabilisse un buon rapporto con lo studioso in modo da assicurarsene l'aiuto e fare progressi nella loro ricerca. Il tempo passava. I due studiosi si concentrarono nello studio di antichi volumi, dibatterono questioni tormentosamente sottili, interrogarono minuziosamente Dor riguardo agli accenni che Re Trent gli aveva fatto sia di persona sia nelle visioni, ed infine arrivarono ad un'animata conclusione. Lo studioso mundano accettò un boccale di cacao, e finalmente si rilassò. «Credo che ce l'abbiamo fatta,» disse. «Ci rivedremo, centauro?» «Certamente, signore! Sono in grado di viaggiare in Mundania, sono affascinato dalla vostra ampia storia, e attualmente sono, per così dire, a spasso.»
«I vostri compatrioti hanno trovato la vostra magia intollerabile quanto i miei troverebbero intollerabile una propensione simile in me! Non potrò dire a nessuno che cosa ho appreso oggi, a meno di non rischiare di perdere il lavoro e forse di essere rinchiuso in un istituto psichiatrico. Se dicessi di aver conversato con un centauro, un orco ed un minuscolo golem, immaginate che cosa farebbero! Quanto mi piacerebbe scrivere una ricerca sulla vostra fantastica Terra di Xanth, ma sarebbe ben poco credibile.» «Potreste scrivere un libro e dire che si tratta di un romanzo,» suggerì Grundy. «E Arnoldo potrebbe scriverne uno su Mundania.» Entrambi gli studiosi sembravano compiaciuti. Nessuno dei due aveva pensato ad un espediente così semplice. «Ma sappiamo dov'è mio padre?», domandò Irene. «Sì, crediamo di sì,» disse Arnoldo. «Re Trent ha lasciato un messaggio per noi, crediamo.» «Come avrebbe potuto lasciarci un messaggio?», domandò la ragazza. «L'ha lasciato a Dor. Questo messaggio e gli altri accenni che abbiamo, quale, per esempio, il fatto che partisse per una regione medioevale tra le montagne, vicino ad una massa nera d'acqua. Il mio amico mi ha informato che ci sono molti luoghi in Mundania che si adattano a questa descrizione. Perciò la prendiamo alla lettera: o l'acqua è nera, o viene chiamata nera. In realtà, esiste in Mundania una grande massa d'acqua chiamata il Mar Nero. Numerosi grandi fiumi vi affluiscono e grandi catene montuose la circondano. Ma tutto questo non basterebbe a identificarla con il luogo specifico che cerchiamo; sarebbe solo una possibilità tra le molte.» Arnoldo sorrise. «Abbiamo passato molto tempo a studiare la geografia. In realtà, è avvenuta un confluenza storica di popoli A, B e K in quella zona, in epoca medievale, almeno è così che vengono resi i loro nomi nel dialetto di Xanth. Gli Avari, i Bulgari e i Khazari. Questo sembra coincidere con le nostre informazioni. Tutto quello che ci hai detto sembra adattarsi.» «Ma non basta!», gridò Dor. «Come potete essere sicuri di conoscere il luogo e il tempo?» «Onestà,» disse Arnoldo. «ONESTA.» Indicò un punto su un libro aperto. «Questo, secondo il nostro parere, è il solo accenno specifico che ti ha fatto Re Trent, per mettere in grado te - e solo te - di trovarlo in caso di bisogno.» Dor guardò. Era un atlante, con la carta geografica di una qualche strana terra mundana. Sulla cartina c'era un posto contrassegnato con il nome Onesta.
«C'è un solo posto al mondo che si chiama così,» disse Arnoldo. «Deve essere il messaggio che Re Trent ha indirizzato a te. Nessun altro avrebbe afferrato il significato di questo nome unico.» Dor ricordò l'intensità con la quale Re Trent gli aveva parlato dell'onestà, come se quella parola avesse avuto un significato particolare. Ricordò che il Re era a conoscenza dell'inclinazione di Dor per l'ortografia. Sembrava che nessun altro lo sillabasse nella maniera più ovvia: onesta. «Ma se quel nome è lì... sulle vostre cartine e nei vostri tomi... da secoli... questo significa che Re Trent non è mai tornato indietro! Non possiamo salvarlo, altrimenti il nome scomparirebbe.» «Non necessariamente,» disse Arnoldo. «Quel nome di luogo non dipende dalla presenza del Re. Dovremmo riuscire a liberarlo, senza apportare cambiamenti. Ad ogni modo, non siamo mai sicuri dei paradossi temporali. Dovremo semplicemente andare in quel posto e in quel tempo, l'anno 650 circa, e cercare di trovare Re Trent.» «E se è tutto sbagliato?», chiese Irene preoccupata. «Se non è lì?» «In quel caso, torneremo qui e faremo ulteriori ricerche.» disse Arnoldo. Ad ogni modo, ho intenzione di tornare qui, e al mio amico Ichabod piacerebbe visitare Xanth. Non ci saranno problemi, te l'assicuro.» «Sì. Sarete sempre bene accetti qui,» convenne lo studioso mundano. «Avete una mente acuta e pronta.» «Per la prima volta,» continuò Arnoldo, «guardo al mio esilio dall'Isola del Centauro ed alla mia assunzione di un talento osceno con una certa serenità. Non sono stato escluso, a quanto pare, dalla mia professione; i miei orizzonti si sono enormemente ampliati.» «Anche i miei,» convenne Ichabod. «Devo confessare che la mia esistenza stava diventando noiosa, sebbene fino ad oggi non me ne fossi accorto.» Adesso lo studioso sembrava proprio Arnoldo. Forse era stato un oscuro disegno del caso a unire quei due. La fortuna e il fato funzionavano in Mundania? Forse sì, quando era presente il sentiero magico. «La prospettiva di compiere ricerche in un campo completamente nuovo e mistico è immensamente affascinante: rinnova la mia visione del mondo.» Si fermò. «Ah, ci sarebbero, per caso, degli individui di genere femminile che somiglino lontanamente...?» Il suo sguardo colpevole scivolò lungo le gambe di Irene. «Ninfe a bizzeffe,» disse Grundy. «A un centesimo la dozzina.» «Oh, usate la valuta attuale?», chiese lo studioso, sorpreso. «Valuta?», chiese Dor, senza capire.
«Un centesimo è una moneta di modesto valore qui in Mundania. Dor sorrise. «No, un centesimo è un piccolo oggetto che fa fermare qualsiasi cosa gli passi al di sopra. Dopo aver funzionato in questo modo dodici volte, il suo incantesimo si esaurisce. Da qui il nostro detto...» «Che meraviglia! Mi chiedo se uno dei miei centesimi sarebbe capace di fare una cosa simile in Xanth.» «Questa è l'idea,» disse Grundy. «Si lancia un centesimo davanti ad una compagnia di ninfe sgambettanti, e si afferra la prima che viene fermata. Le ninfe non hanno molto cervello, ma certamente hanno le gambe.» Si allontanò da Irene, che aveva l'aria di volergli tirare un calcio. «Oh, non vedo l'ora di cominciare le ricerche in Xanth!», esclamò lo studioso. «Guarda caso, ho proprio un centesimo pronto.» Prese una monetina d'argento e il suo sguardo tornò a sfiorare gli arti di Irene. «Mi chiedo...» Irene si accigliò. «A volte mi chiedo proprio se desidero veramente salvare i miei genitori. Sarò fortunata se le gambe non mi si copriranno di vesciche per tutta l'attenzione che richiamano.» Ma, come al solito, non aveva l'aria del tutto dispiaciuta. «Mettiamoci in cammino; non m'importa che cosa farete, una volta che mio padre sarà di nuovo a Xanth.» Arnoldo e Ichabod si strinsero la mano: erano due esseri molto simili. Spinto da un impulso, Dor prese una delle monete d'oro del tesoro dei pirati, che aveva salvato con tanta cura. «Per favore, accettate questa moneta, signore, in segno della nostra gratitudine per il vostro aiuto.» E, così dicendo, la porse allo studioso. L'uomo soppesò la moneta. «È oro?», esclamò. «Credo che sia un vero doblone spagnolo! Non posso accettarlo.» Il centauro intervenne. «Per favore, accettalo, Ichabod. Dor è il temporaneo Re di Xanth: rifiutare verrebbe giudicato un'offesa alla corona.» «Ma il valore...» «Facciamo uno scambio di monete,» disse Dor, che aveva escogitato una soluzione. «Il vostro centesimo per il mio doblone. È uno scambio alla pari.» «Uno scambio alla pari!», esclamò lo studioso. «In nessun modo questo si può considerare...» «I centesimi sono preziosissimi in Xanth,» disse Arnoldo. «L'oro ha poco valore. Per favore, accettate.» «Forse una ninfa si fermerebbe anche su un doblone,» suggerì Grundy. «Si fermerebbe certamente!», convenne Ichabod. «Ma non per magia.
Le donne sono molto attratte dalla ricchezza.» «Per favore,» si intromise Irene, con un sorriso seducente. Dor sapeva che la ragazza voleva solo intraprendere immediatamente le ricerche, ma la sua intercessione fu efficace. «In questo caso, farò con piacere questo scambio con voi, Re Dor,» acconsentì lo studioso, e diede a Dor il suo centesimo. «Intendevo solo affermare che la vostra moneta era troppo preziosa per i servizi che vi ho potuto rendere. E poi, è stato un piacere aiutarvi.» «Niente è troppo prezioso per la salvezza di mio padre,» disse Irene. Si chinò a baciare Ichabod su una guancia. L'uomo si immobilizzò come se avesse guardato la Gorgone, con un sorriso stupito sul volto. Era evidente che non era stato baciato da molte belle ragazze nella sua vita ritirata. Era ormai sera. Ichabod frugò in vari angolini e trovò dei panni per vestire il centauro e l'orco. Poi Arnoldo e Fracassa uscirono insieme dalla biblioteca: sembravano due enormi operai in tuta con una cesta coperta. Si rivelò un travestimento buono quanto l'Incantesimo di Invisibilità: nessuno prestò loro attenzione. Erano sulla via del ritorno per Xanth. Capitolo 9 La politica di Onesta Non ripercorsero tutto il cammino per tornare a Castel Roogna. Arrivarono solo all'estremità nord-ovest di Xanth, dove l'istmo la collegava a Mundania. Una volta che furono tornati in territorio magico, Irene si diede a rifornire la sua scorta di semi. Fracassa abbatté un albero barile-digelatina, mangiò la gelatina, e dal tronco rigonfio ricavò una discreta barca. Arnoldo intanto ispezionava il terreno, con periodiche incursioni in Mundania, quanto bastava per capire se fosse cambiata. Dor lo accompagnava e interrogava la sabbia. A giudicare dalle descrizioni delle persone che la sabbia aveva visto di recente, riuscivano a dedurre il luogo e il tempo di Mundania. Il cambiamento era continuo. Una volta che una persona passava da Xanth in Mundania, la struttura spazio-temporale in cui si muoveva, si manteneva stabile fino al suo ritorno. Ma, chiunque seguisse la prima persona, poteva entrare in un aspetto diverso di Mundania. Era come perdere una barca e salire a bordo della successiva, spiegò Arnoldo. La persona che era sulla prima barca poteva tornare, ma la persona a terra poteva anche non prendere una barca particolare che fosse già partita.
Quindi Re Trent era andato, secondo loro, in un luogo chiamato «Europa» in un tempo chiamato «medioevale». Il gruppo di Dor era invece andato in un luogo chiamato «America», in un tempo chiamato «moderno». Il mutamento di luoghi e di tempi sembrava casuale; probabilmente esisteva uno schema nei cambiamenti che loro non erano in grado di comprendere. Dovevano semplicemente individuare la combinazione desiderata e passare attraverso quella «finestra» prima che cambiasse. Arnoldo concluse, in base alle loro osservazioni, che ogni data finestra durava dai cinque minuti ad un'ora, e che era possibile tenere aperta una finestra più a lungo se qualcuno restava al confine: a quanto sembrava, la finestra non poteva chiudersi, mentre veniva usata. Forse somigliava alla porta girevole della biblioteca di Mundania, il cui movimento poteva essere bloccato temporaneamente da una persona che vi entrasse, finché un'altra persona non aveva bisogno di usarla. Il terzo giorno arrivò la noia. La collezione di semi di Irene era completa, e la ragazza era diventata irrequieta, mentre Fracassa aveva terminato la barca e l'aveva rifornita di provviste. Grundy si era fatto un nido nella prua, dal quale spiava le chiacchiere delle creature marine di passaggio. Arnoldo e Dor camminavano lungo la spiaggia. «Che cosa hai visto ultimamente?», era la domanda consueta che Dor poneva a quella sabbia, sempre uguale e sempre diversa. «Un uomo con una tuta spaziale,» replicò la sabbia. «Gli spuntavano piccole antenne dalla testa, come ad una formica, e parlava con i suoi amici senza emettere suoni.» La descrizione non si adattava a nessuna delle persone cercate da Dor. Un Mago cattivo doveva aver gettato un incantesimo su quell'uomo, forse nel tentativo di creare una nuova specie composita. Ritornarono in Xanth. Sicuramente quella non era la loro finestra. Il mare cambiava frequentemente colore. Era stato rossastro la prima volta che erano arrivati lì, ed era rossastro quando vi ritornarono, perché erano rimasti chiusi in quel particolare aspetto di Mundania. Ma in seguito era diventato blu, giallo, verde e bianco. Adesso era arancione e stava diventando purpureo. Quando fu completamente color porpora, ritornarono in Mundania. «Che cosa hai visto ultimamente?», chiese Dor ancora una volta. «Una donna delle caverne che nuotava,» rispose la sabbia. «Era una grassona, ma oooh, non aveva...» Ritornarono ad est, in Xanth, depressi. «Vorrei che ci fosse una strada
più diretta per raggiungere il nostro scopo,» disse Arnoldo. «Mi sto sforzando di analizzare lo schema, ma mi sfugge, forse a causa dell'insufficienza dei dati.» «So che non è una bella vita quella in cui ti abbiamo coinvolto,» disse Dor. «Vorrei che ci fosse stato un altro modo...» «Al contrario: è una vita affascinante, e questo è un enigma stimolante,» obiettò il centauro. «È affine agli enigmi dell'archeologia, in cui bisogna avere pazienza e fortuna in egual misura. Dobbiamo solo ottenere altri dati, che ci voglia un giorno o un anno.» «Un anno!», gridò Dor, inorridito. «Certamente occorrerà meno tempo,» disse Arnoldo in tono rassicurante. Era ovvio che aveva una riserva di pazienza maggiore di quella di Dor. Quando rientrarono in Xanth, il mare diventò nero. «Nero!» esclamò Dor. «Potrebbe essere...?» «È possibile,» convenne Arnoldo, tenendo a freno la propria eccitazione con la prudenza dell'esperienza. «Sarebbe meglio che avvertissimo gli altri.» «Grundy, fa salire Fracassa e Irene sulla barca,» gridò Dor. «Potremmo esser vicini.» «È più probabile che sia un altro falso allarme,» brontolò il golem. Ma corse a prendere gli altri due. Quando arrivarono nel punto in cui di solito interrogavano la sabbia, Dor notò un grande albero dalle larghe foglie, che prima non c'era. Era sicuramente un luogo diverso. Ma questo, in sé stesso, non significava molto; il paesaggio mutava con il mutare degli aspetti di Mundania, a volte in modo evidentissimo. Non era solo l'epoca a cambiare, ma anche la geografia: per alcuni aspetti il paesaggio era piatto e brullo, per altri era aspro e montuoso. L'unica caratteristica comune era la spiaggia, con il mare a sud e la terraferma a nord. Arnoldo era costantemente incuriosito dai vari significati di quel fenomeno, invece Dor non vi prestava molta attenzione. «Che cosa hai visto ultimamente?», chiese alla sabbia. «Non molto da quando sono passati il Re e la sua pupa,» disse la sabbia. «Oh!» Dor si voltò per tornare nella zona magica. Il centauro si fermò. «Ha detto...?» Poi si resero contò della risposta. L'eccitazione fece vibrare i nervi di Dor. «Re Trent e la Regina Iris?» «Credo. Erano abbastanza vecchi.» «Ritengo che abbiamo finalmente trovato l'epoca giusta!», disse Arnol-
do. «Vai ad avvertire gli altri; io manterrò aperta la finestra.» Dor corse verso est. Il cuore gli batteva più di quanto fosse giustificato dallo sforzo fisico. Ci credeva? «Ce l'abbiamo fatta!», gridò. «Partiamo subito!» Si tuffarono nella barca, e Fracassa cominciò a remare con violenza. Poi lo sforzo dell'orco diminuì. Dor guardò e si accorse che Fracassa faticava molto ma realizzava poco. «Oh... siamo fuori della magia di Xanth e non ancora nel sentiero magico,» disse. «Su, aiutiamolo tutti!» Dor e Irene si sporsero da entrambi i lati della barca e pagaiarono disperatamente con le mani: allora la barca avanzò con lentezza. A fatica, raggiunsero il centauro. «Tutti a bordo!», gridò Dor, felice. Arnoldo trottò nell'acqua bassa e salì a bordo con difficoltà, facendo oscillare la barca. Entrò un po' di acqua di mare. L'imbarcazione era robusta, come qualsiasi altra cosa costruita da un orco, ma odorava ancora di gelatina di tiglio, soprattutto laddove era stata bagnata dal mare. Il centauro si sistemò al centro, con il viso rivolto verso il largo; Irene si sedette davanti, con i bei capelli verdi mossi dal vento. Il loro colore era svanito, quando si erano trovati al di fuori della magia; forse era questo che aveva fatto capire a Dor la situazione. Restava il modo più facile per comprendere lo stato dell'ambiente circostante. Dor prese posto vicino alla poppa, mentre Fracassa remava vigorosamente. Adesso che erano all'interno del sentiero magico, la forza dell'orco era al suo culmine, e la barca si muoveva. Le onde nere si susseguivano rapidamente. «Vorrei averlo saputo subito che era questo tutto quello che dovevamo fare per trovare Re Trent,» disse Dor. «Avremmo potuto risparmiarci il viaggio nella Mundania moderna.» «Assolutamente no,» protestò Arnoldo, agitando la coda. «Avremmo potuto scoprire questa finestra, è vero; ma ogni finestra si apre su un intero mondo mundano. Avremmo ben presto perso le tracce di Re Trent e ci saremmo smarriti: non saremmo stati in grado di salvare nessuno. In questa maniera, sappiamo di essere diretti ad Onesta, e sappiamo dove si trova; questo ci faciliterà enormemente.» Il centauro si fermò. «Inoltre, sono molto felice di aver conosciuto Ichabod.» Allora la loro escursione iniziale aveva un senso, dopotutto. «Che genere di persone si vedono da queste parti?», chiese Dor all'acqua. «Gente rude con vestiti larghi, spade e archi,» disse l'acqua. «Non viag-
giano molto sull'acqua, però: non quanto viaggiavano in Greci.» «Probabilmente devono essere i Bulgari,» disse Arnoldo. «Dovrebbero essere passati di qui qualche decennio fa, secondo Ichabod.» «Chi sono i Bulgari?», chiese Irene. Adesso che erano sulle tracce del suo scomparso genitore, la ragazza si interessava molto di più ai particolari. «È complicato da spiegare. Ichabod mi ha fornito qualche particolare, ma non conosco tutta la storia.» «Se è il popolo che mio padre ha incontrato e se anche noi dobbiamo incontrarli, voglio sapere tutto di loro.» Disse, assumendo l'espressione decisa che le era caratteristica. La barca avanzava tranquilla, perché la forza dell'orco era formidabile. La costa si allungava davanti a loro, curvandosi all'interno e all'esterno, con piccole insenature e baie. «Ci aspetta un viaggio di parecchi giorni,» disse il centauro. «Il trascorrere del tempo sarà lento e noioso.» Prese quindi fiato e cominciò il suo racconto mentre l'orco si metteva a guardare il mare, privo di interesse, e Grundy si sistemava a dormire nel suo nido. Ma Dor e Irene prestarono viva attenzione. Il succo era questo: circa tre secoli prima, in quella regione, c'era un enorme impero mundano, chiamato - almeno, Dor così capì - Impero Rombante, forse perché era stato molto potente. Ma, dopo molto tempo, quell'impero si era corrotto e indebolito. Allora, dal grande continente interno si era fatta avanti una tribù, fino allora tranquilla, la tribù degli Onni, forse un'abbreviazione di Onnivori, a causa della loro fame di potere. Aveva trascinato dietro di sé altre tribù. Queste tribù avevano invaso l'Impero Rombante, e l'avevano in gran parte distrutto. Ma quando il Capo degli Onnivori, Attaboy, era morto di indigestione, erano stati sconfitti e respinti di nuovo ad oriente, sulle rive di quello stesso Mar Nero, che aveva il colore del loro umore. Per qualche tempo avevano combattuto fra loro, come fanno le persone di umore nero, poi si erano riuniti e si erano dati il nome di Bulgari. Ma i Bulli erano stati scacciati dal loro nuovo paese da un'altra tribù selvaggia di Turchi - nessun rapporto con il granturco - chiamata la tribù dei Khazari. Alcuni Bulli erano fuggiti a nord ed altri ad ovest. Quella era la regione in cui si erano stabiliti gli occidentali, lì sulle rive occidentali del Mar Nero. Non era stato loro possibile andare oltre, perché ai confini di quella regione viveva un'altra tribù selvaggia, gli Avari. Gli Avari avevano un impero enorme nell'Europa orientale, ma ormai era in declino per i furibondi attacchi dei Khazari. In quel periodo, circa il 650 d.C.
secondo i Mundani - quel numero si riferiva a una religione mundana alla quale non apparteneva nessuna di quelle tribù - la situazione era in un equilibrio instabile. Si fronteggiavano tre potenze, gli Avari, i Bulgari, e i Khazari in posizione predominante. In qualche modo, quella storia era troppo complicata per Dor. Tutte quelle strane tribù, quegli avvenimenti e quei numeri bizzarri... le complessità di Mundania erano molto più difficili da seguire dei semplici avvenimenti magici di Xanth! Era molto più facile affrontare grifoni e draghi invece degli Avari e dei Khazari; almeno i draghi erano creature intelligenti. «Ma tutto questo che cosa c'entra con mio padre?», domandò Irene. «Con quale tribù aveva intenzione di commerciare?» «Con nessuna delle tribù citate,» disse il centauro. «Questo è solo lo sfondo. Sarebbe troppo pericoloso per noi trattare con simili selvaggi. Ma crediamo ci sia un piccolo Regno, forse un residuo vandalico, o un popolo indigeno più antico, che ha mantenuto un'indipendenza nominale tra i Monti Carpazi, con una cultura e una lingua sue proprie. Si trova ai confini tra gli Avari, i Bulgari e i Khazari, protetto in una certa misura, perché nessun impero può fare una mossa senza contrapporsi agli altri due, e protetto anche dalle asperità del terreno. Da qui il complesso A, B, K cui si riferiva Re Trent, un indizio di grande valore per noi. Questa regione indipendente si chiama il Regno di Onesta. È nascosta tra le montagne, difficile da invadere, e deve avere ben poco che gli altri desiderino prendere, il che potrebbe spiegare la sua indipendenza. Ma è certamente desiderosa di pace e di commerci vantaggiosi, e le fonti mundane di Ichabod suggeriscono che Onesta aveva una rotta commerciale di cui si è persa la conoscenza. Questa rotta commerciale ha reso possibile a quel regno di prosperare per un secolo, mentre le loro normali vie di comunicazione sembrano bloccate. Questa potrebbe essere la rotta commerciale per Xanth che Re Trent cercava di stabilire.» «Sì, ha un senso,» convenne Irene. «Ma se una delle altre tribù ha catturato mio padre, è questo il motivo del suo mancato ritorno?» «Lo scopriremo,» disse il centauro con fare rassicurante. «Noi abbiamo un vantaggio enorme che mancava a Re Trent: la magia. Dobbiamo solo recarci ad Onesta ed interrogare le persone, le piante, gli animali e gli oggetti. Avremo sicuramente sue notizie.» Irene tacque. Dor condivideva le sue preoccupazioni. Adesso che erano alla vigilia del ritrovamento di Re Trent, come potevano essere sicuri che
lo avrebbero trovato vivo? Se era morto, che cosa avrebbero fatto? «Dovremo combattere con tutti quegli A, B e K?», chiese Grundy. Evidentemente, non aveva sempre dormito. «Ne dubito,» replicò Arnoldo. «Le guerre sono più rare di quanto appaia nella prospettiva storica. Per la maggior parte del tempo, la vita procede come al solito; i pescatori pescano, i fabbri battono il ferro, i contadini coltivano, le donne fanno figli. Altrimenti, ci sarebbe un costante stato di privazione. Ad ogni buon conto, ho portato con me un Incantesimo di Amicizia.» E così dicendo, batté una mano sulla sua borsa degli incantesimi. Avanzavano sull'acqua, mentre l'orco remava infaticabile. A poco a poco, la costa curvò verso sud, ed essi la seguirono. Quando scese l'imbrunire, tirarono la barca in secco per accendere un fuoco e preparare la cena, poi, quando scese la notte, ripresero il mare, per non sfidare i pericoli delle tenebre. C'erano pochi pesci e nessun mostro nel Mar Nero, riferì Grundy: era un luogo sicuro finché non arrivava una tempesta. Poi Arnoldo consumò uno dei suoi preziosi incantesimi. Aprì una capsula di vento e la orientò con attenzione. Il vento soffiava in direzione sudovest e gonfiò la vela quadrata che avevano alzato allo scopo. Adesso l'orco poteva riposare, mentre la barca filava veloce verso la loro meta. Cominciarono i turni al timone: Grundy chiedeva la rotta ai pesci ed alle piante marine, Dor la chiedeva all'acqua, e Irene fece crescere una piantabussola che puntava verso il grande fiume che volevano raggiungere. Quella pianta ricordò a Dor la Bussola Magica. La prese e la guardò, con la speranza che avrebbe puntato verso Re Trent. Invece indicava Arnoldo e, quando la prese Arnoldo, indicava Dor. Era del tutto inutile in quella situazione. Dormire sulla barca non era comodo, ma era comunque possibile. Dor si distese e si mise a guardare le stelle, completamente sveglio. Poi le stelle cambiarono all'improvviso posizione, e il ragazzo si accorse di aver dormito; adesso era sveglio. Le stelle si spostarono di nuovo. Era completamente sveglio... quando Grundy lo svegliò perché era arrivato il suo turno al timone. A quanto sembrava, aveva sognato di essere completamente sveglio. Era frustrante, avrebbe addirittura preferito gli incubi. La mattina arrivarono al mostruoso delta del fiume: una serie di canali ed isole, attraverso le quali passava la lenta corrente. Allora Fracassa invertì i due grandi remi che aveva costruito, li girò, e cominciò a remare contro corrente. La barca continuò a muoversi con velocità. Irene fece crescere delle piante-pasticciere e offrì all'orco i frutti dei fiori-pasticcieri, in
modo che non soffrisse la fame. Fracassa li ingoiò tutti interi, senza sospendere la propria attività. Dor avvertì un'acuta gelosia per l'entusiasmo dell'orco per il cibo e la fatica. No, comprese dopo aver riflettuto. Era geloso dell'attenzione che Irene prestava a Fracassa. Malgrado egli, Dor, non volesse esser considerato di proprietà di nessuna ragazza - soprattutto non di quella - si risentiva quando l'attenzione di Irene era diretta altrove. Era irragionevole, lo sapeva, dato che Fracassa aveva bisogno di una gran quantità di cibo per poter continuare a sostenere quell'enorme fatica. Era il contributo dell'orco alla loro missione: la sua forza abbondante. Eppure Dor era roso dalla gelosia: avrebbe desiderato avere dei muscoli enormi ed una resistenza infinita, e che Irene lo avesse rimpinzato di dolci e tartine. Una volta, ricordò Dor, era stato alto e robusto - o, meglio, aveva preso in prestito il corpo di un forte barbaro - forse un Avaro, un Bulgaro o un Khazaro - ed aveva scoperto che la forza non risolve tutti i problemi e non rende automaticamente felici. Ma, in quel momento, i suoi sentimenti egoistici non concordavano con i pensieri razionali della sua mente. «A volte desidero essere un orco,» mormorò in quel momento Grundy. Ad un tratto, Dor si sentì meglio. Risalirono il fiume per tutto il giorno. Lasciarono il canale più grande per uno più piccolo, poi lasciarono questo per un altro, ancora più piccolo. Incontrarono qualche pescatore, ma non avevano l'aspetto degli A, dei B e dei K. Diedero un'occhiata alla stazza ed alla forza dell'orco e lasciarono in pace la barca. Arnoldo aveva avuto ragione: la normale vita mundana era piuttosto noiosa, senza armi che infuriavano ovunque. Sotto quell'aspetto, Mundania somigliava a Xanth. Quando arrivarono a monte del fiume, tirarono la barca in secco e si accamparono per la notte. Dor disse al terreno di lanciare l'allarme se si fosse avvicinato qualcosa, qualsiasi cosa più grande di una formica. Si sistemarono sotto un altro albero-ombrello che Irene aveva fatto crescere, il che si rivelò utile perché, durante la notte, piovve. Il terzo giorno risalirono un affluente dalla veloce corrente e si arrampicarono sulla grande catena dei Carpazi. In alcuni punti, furono costretti a trasportare la barca da un torrente all'altro. Fracassa sollevava la barca, se la metteva in equilibrio sulla testa, la teneva con le sue manone guantate ed avanzava a fatica attraverso le rapide. «Se non hai ancora raggiunto il limite della tua forza,» commentò Dor,
«devi esserci vicino.» «Ugh,» convenne Fracassa, per una volta privato del piacere della rima. Gli orchi le erano creature più forti di Xanth, ma alcuni mostri erano più grossi ed altri più intelligenti, perciò gli orchi non erano i signori della giungla. Fracassa e i suoi genitori erano gli unici orchi che Dor avesse mai conosciuto, se non si teneva conto della sua avventura nel passato di Xanth, dove aveva conosciuto Egor, l'orco zombie; erano creature non comuni a quel tempo. Forse era meglio: se gli orchi fossero stati comuni quanto i draghi, chi avrebbe potuto loro resistere? Infine, il pomeriggio del terzo giorno, arrivarono al Regno di Onesta, o quantomeno alla sua principale fortezza, Castello Onesta. Dor di meravigliò che Re Trent e la Regina Iris, viaggiando da soli senza magia, avessero potuto arrivare fin là in così poco tempo. Forse avevano sottovalutato la difficoltà del viaggio. Beh, lo si sarebbe scoperto ben presto. Dor cercò di interrogare le pietre e l'acqua del fiume, ma l'acqua non era mai la stessa, e di conseguenza non poteva ricordare; inoltre le pietre affermarono che nessuno era passato di lì nell'ultimo mese. Era ovvio che il Re doveva aver preso un'altra strada, probabilmente una più facile. Forse il Re di Onesta aveva inviato una scorta, ed il Re e la Regina avevano viaggiato su cavalli mundani lungo un sentiero per cavalli. Sì, era probabile che fosse andata in quel modo. Arrivarono in vista dell'imponente castello. Pietre enormi formavano grandi mura, che portavano all'entrata principale. Non c'era fossato: era una fortezza di montagna. «Bussiamo alla porta, o facciamo qualcos'altro?», chiese Irene, nervosa. «Tuo padre mi ha detto che l'onestà è la migliore politica,» disse Dor, mascherando la propria incertezza. «Presumo che non si sia trattato solo di un gioco di parole per comunicarmi dove fosse diretto. Possiamo avvicinarci apertamente. Possiamo dir loro che veniamo da Xanth e che cerchiamo Re Trent. Forse non hanno alcun rapporto con quello che è successo, se è successo qualcosa. Ma non parliamo della nostra magia. Non si sa mai.» «Non si sa mai,» convenne Irene. Si avvicinarono all'ingresso principale. Sembrava essere l'unica parte accessibile dell'edificio, ad ogni modo; il muro attraversava una foresta a sud per poi fondersi con le pareti scoscese della montagna, ad ovest e a nord. Dor e i suoi si trovavano sul lato est, dove l'accesso al castello era assai ripido. «Non c'è da meravigliarsi che nessuno abbia conquistato questo
piccolo regno,» mormorò Irene. «Sono d'accordo,» disse Arnoldo. «Nessuna macchina da assedio potrebbe avvicinarsi, e una catapulta dovrebbe operare dalla vallata sottostante. Forse potrebbe essere conquistato, ma non sembra valerne la fatica.» Dor bussò. Attesero. Bussò di nuovo. Ancora nessuna risposta. Allora Fracassa picchiettò sulla porta con la punta di un dito e la fece tremare tutta. Una finestrella, che si trovava al centro della porta, si aprì cigolando. Una faccia apparve dietro le sbarre. «Chi sei?», domandò una guardia. «Sono Dor di Xanth. Sono venuto per vedere Re Trent di Xanth, che ho ragione di credere si trovi qui.» «Chi?» «Re Trent, imbecille!», sbottò una delle sbarre. La testa della guardia fece uno scatto all'indietro per la sorpresa. «Che cosa?» «Finiscila,» mormorò Dor alla sbarra. L'ultima cosa che desiderava era svelare prematuramente il proprio talento! Poi, in fretta, e a voce più alta, disse: «Vorremmo vedere Re Trent.» «Aspettate!», disse la guardia, e la finestra si chiuse con violenza. Ma Fracassa, stanco dei suoi due giorni di duro lavoro, era irritabile. «Noi non aspettiamo, villano!», ringhiò e, prima che Dor riuscisse a capire che cosa accadeva, l'orco colpì con un pugno la porta. Il pesante legno si frantumò. Tirò un altro pugno, poi afferrò l'estremità opposta della porta con le enormi dita guantate e la tirò con violenza. La porta uscì dai catenacci e dai cardini. L'orco poggiò l'altra mano sulla finestrella e sollevò la porta al di sopra della propria testa, mentre gli altri" si scansavano. «Adesso vedremo che cosa hai combinato, stupido animale!», esclamò Arnoldo. Ma, in qualche modo, il centauro non sembrava del tutto contrariato. Anche lui era stanco e irritabile dopo il viaggio faticoso, e l'accoglienza ricevuta al Castello di Onesta non era stata certo delle migliori. La guardia vide dall'interno l'orco lanciare la grande porta verso la montagna. «Portaci dal tuo capo,» disse Dor con calma, come se quella fosse una cosa normale. L'unica cosa che poteva fare, dopotutto, era ricavare il meglio da quella situazione, e l'atteggiamento contava molto. «Non vogliamo far spazientire il nostro amico.» La guardia si voltò, con aria alquanto perplessa, e fece loro strada nell'interno del castello. Altre guardie arrivarono, attratte dal trambusto, con le spade sguainate. Fracassa le guardò con espressione torva e le guar-
die scomparvero in tutta fretta, rimettendo le spade nel fodero. Poco dopo arrivarono nella sala principale dei banchetti, dove si trovava il Re di Onesta. Il Re era seduto a capo di un immenso tavolo di legno, su cui erano ammucchiati numerosi budini. Si alzò adirato quando Dor si avvicinò, mentre il suo enorme ventre sporgeva sul tavolo. «H cdlzmc sn jmny sgd Idzmhlmf ne sghr hmsqtrhnm...» domandò, mentre il volto gli si imporporava con grande effetto. Poi sopraggiunse il sentiero magico di Arnoldo, e il Re diventò comprensibile. «... prima che vi faccia gettare tutti nei sotterranei!» «Salve,» disse Dor. «Io sono Dor, Re temporaneo di Xanth, mentre Re Trent è assente.» Naturalmente, il Signore degli Zombie era un Re temporaneo del Re temporaneo finché Dor era assente, ma era troppo complicato da spiegare in quel momento. «È venuto qui per un accordo commerciale, ho ragione di credere, meno di un mese fa, e non è tornato. Perciò sono venuto a cercarlo. Che cosa è accaduto?» Il Re aggrottò le sopracciglia. Ad un tratto Dor si rese conto che quell'inizio era completamente sbagliato, che Re Trent non era arrivato lì, e che la popolazione di Onesta non sapeva niente di lui. Era tutto sbagliato. «Io sono Re Oary di Onesta,» disse il Re accigliato «e non ho mai visto questo vostro Re Trench. Uscite dal mio Regno.» Dor fu preso dalla disperazione, ma alle sue spalle Arnoldo mormorò: «Quest'uomo tergiversa, a mio parere.» «E soprattutto, mente,» mormorò Irene. «Via la bugia!», disse Fracassa. Poggiò con gentilezza una manona sul tavolo. Le ciotole piene di budino sobbalzarono e tremarono. Re Oary osservò l'orco. La sua faccia rubiconda impallidì. La sua rabbia virtuosa si tramutò in qualcosa di somigliante all'astuzia colpevole. «Però, potrei avere sue notizie,» disse con minore aggressività. «Unitevi al mio banchetto, ed io interrogherò i miei schiavi.» A Dor l'idea non piacque. Re Oary non gli aveva fatto una buona impressione, e non aveva voglia di mangiare con lui. Ma i budini sembravano buoni, e il ragazzo desiderava l'aiuto di Oary. Annuì con riluttanza. I servi si affrettarono a portare altre sedie per Dor, Irene e Fracassa. Grundy, troppo piccolo per una sedia, si appollaiò invece sul bordo del tavolo. Arnoldo restò in piedi. Furono portati altri budini, insieme a delle caraffe colme di bibite. Si misero al lavoro di buona lena. Il budino era denso, pieno di pezzi di frutta, e sorprendentemente gustoso. Ben presto Dor ebbe sete, perché il budino era molto speziato, perciò
bevve. Scoprì che la bibita era un incrocio tra la birra dolce e il vino aspro, prodotti da scadenti alberi barile-di-birra e botte-di-vino. Non si era accorto che alberi di quel genere crescessero in Mundania; certamente non crescevano altrettanto bene che in Xanth. Ma quella roba dava alla testa ed era buona, una volta che ci si faceva l'abitudine. Gli altri mangiavano con la stessa foga. Avevano tutti sviluppato un robusto appetito durante la risalita del torrente, e non si erano fermati a mangiare prima di avvicinarsi al castello. Fracassa, in particolare, buttava giù budini e brocche di vino con una voluttà che lasciò a bocca aperta i servi del castello. Ma la bevanda era più forte di quelle cui erano abituati. Ben presto Dor si sentì girare piacevolmente la testa. Grundy cominciò a ballare sul tavolo, un'abitudine che aveva preso da un Mundano immigrato in Xanth. Disse che era la Danza del Marinaio Ubriaco, e in realtà aveva l'aria di essere ubriaco. Re Oary si divertiva e lo applaudì con le mani grassocce. Arnoldo e Irene mangiavano con maggiore diffidenza, ma la massa corporea del centauro richiedeva un abbondante sostentamento, e l'archivista fu preso dalla fame. Irene, a quanto pareva, adorava i budini, perciò ben presto abbandonò l'atteggiamento sostenuto. «Zmc vgn lhfgs xnt, ezhq czlrdk?», chiese Re Oary con gentilezza a Irene. Oooh... si erano seduti davanti al tavolo, con il Re ad un capo. Il Re era al di fuori del sentiero magico. Ma Arnoldo afferrò il problema, e posizionò il corpo in modo da fronteggiare il Re. In quel modo, la magia arrivava abbastanza lontano. Anche Irene capì al volo. «Vi state rivolgendo a me, Vostra Maestà?», chiese con modestia. Dor dovette ammettere che era molto brava ad assumere le maniere gentili. «Naturalmente. Quante altre belle damigelle ci sono in questa sala?» Irene arrossì lievemente e si guardò intorno, come per vedere se ci fossero altre ragazze. Era sempre più abile in quel genere di finzioni. «Molte grazie, Vostra Maestà.» «Qual è la vostra discendenza?» «Oh, sono la figlia di Re Trent.» Il Re annuì con solennità. «Sono sicuro che siete più bella di vostra madre.» Significava qualcosa? Dor continuò a mangiare, con le orecchie tese, sperando che Irene riuscisse ad estorcere qualche informazione utile dal-
l'obeso monarca. C'era qualcosa che non andava in quel luogo, ma Dor non avrebbe saputo come comportarsi finché non avesse avuto informazioni più definite. «Avete qualche notizia sui miei genitori?», chiese Irene, che ebbe lo spirito e l'abilità di dedicare un sorriso seducente al Re. E Dor si ritrovò a reprimere un moto di irragionevole gelosia. «Sono tanto preoccupata per loro.» Quindi sporse graziosamente le labbra. Dor non le aveva mai visto quell'espressione; doveva essere nuova. «In questo momento i miei paggi sono alla ricerca di informazioni,» la rassicurò il Re. «Ben presto dovremmo avere tutte le notizie possibili.» Arnoldo lanciò un'occhiata a Dor, aggrottando fugacemente la fronte. Ancora non si fidava di Oary. «Parlatemi di Onesta,» disse Irene con vivacità. «Sembra un regno tanto carino.» «Oh, sì, sì,» convenne il Re, con gli occhi fissi su quello che si vedeva delle gambe della ragazza. «Due bei castelli e numerosi villaggi, nonché alcune montagne di grande bellezza. Per secoli abbiamo lottato per scacciare i selvaggi. Duemila anni fa, questa era la terra del popolo delle mazze, i Cimmeri. Poi gli Sciti arrivarono sui loro cavalli e spinsero i fanti cimmeri a sud. Non si erano mai visti dei cavalli prima in questa regione. Sembravano mostri venuti da una terra fantastica.» Il Re si fermò per inghiottire un altro budino. Mostri venuti da una terra fantastica: poteva riferirsi a Xanth si chiese Dor. Forse qualche incubo aveva trovato il modo di uscire ed era diventato mundano, e a questo si doveva l'origine dei cavalli. Era un'ipotesi affascinante. «Ma qui sulle montagne,» riprese il Re, dopo essersi tolto un'incrostazione di budino dai baffi, «l'antico impero resistette. Molte centinaia di anni dopo, i Sarmati scacciarono gli Sciti, ma non riuscirono a penetrare in questa fortezza.» Ruttò soddisfatto. «Poi arrivarono i Goti, ma noi continuammo a resistere. Quindi dal sud arrivarono quegli orribili Romani civilizzati, e da oriente gli Unni...» «Ah, gli Onni,» convenne Irene, come se sapesse qualcosa su di loro. «Ma Onesta continuò a sopravvivere, qui tra le montagne, indomita, sebbene assediata dai barbari,» concluse il Re. «Naturalmente, a volte dovemmo pagare dei tributi, un male necessario. Ma il nostro commercio è bloccato: se commerciassimo con i barbari, sicuramente nascerebbero discordie. Però noi dobbiamo commerciare, se vogliamo sopravvivere.» «Mio padre è venuto appunto per commerciare,» disse Irene.
«Forse i temibili Khazari o i Magiari, loro schiavi, lo hanno catturato,» suggerì Re Oary. «Ho avuto a che fare con loro: sono dei bruti selvaggi e astuti, sempre pronti al saccheggio. Per caso conosco la loro lingua, perciò lo so.» Dor decise che avrebbe fatto delle ricerche per conto proprio, interrogando gli oggetti che si trovavano nelle vicinanze. Ma non allora, mentre il Re osservava. Era certo che il Re nascondesse qualcosa. «Siete Re di Onesta da molto tempo?», chiese Irene, in tono innocente. «Non da molto,» ammise Oary. «Mio nipote Presagio doveva essere Re, ma era minorenne, perciò io sono diventato reggente quando mio fratello è morto. Poi Presagio è andato a caccia e non è più tornato. Temiamo che si sia allontanato troppo e che sia caduto vittima di un'imboscata dei Khazari o dei Magiari. Di conseguenza, io sarò Re finché non potremo dichiarare Presagio ufficialmente morto. Non c'è alcuna speranza che sia vivo, naturalmente, ma il Consiglio degli Anziani si muove lentamente su questioni del genere.» Perciò Re Oary era di fatto reggente durante l'assenza del vero Re, come lo era Dor in Xanth. Ma quel Re era ansioso di restare sul trono. Il tranello era stato forse organizzato da altri che non erano i Khazari? Dor si ritrovò con la testa sul tavolo a lottare con un budino per un po' di spazio. Doveva essersi addormentato! «Che cosa succede?», mormorò. «Sei stato drogato, stupido: questo è successo!», gli sussurrò il tavolo nell'orecchio. «In quella bevanda non c'è solo alcool, te lo dico io!» Dor cercò di reagire, ma in qualche modo la sua testa non si sollevò. «Drogato? Perché?» «Perché non piaci al Re Impostore, ecco perché,» disse il tavolo. «Droga sempre i suoi nemici. Ecco in che modo si è liberato di Re Presagio, e poi di quel fasullo Re Mago.» Re Mago! Era strano sussurrare con la testa poggiata sul tavolo, ma sicuramente nessuno poteva sentirli. Il naso di Dor era quasi sotto il budino. «Era Re Trent?» «Così ha detto di chiamarsi. Ma non sapeva compiere nessuna magia. Ha bevuto tutta la bevanda, fidandosi delle apparenze, lo stupido, e si è addormentato proprio come te. Siete dei babbei!» «Fracassa! Grundy!», gridò Dor più forte che poteva, con la testa ancora incollata al tavolo. «Siamo stati traditi! Drogati! Scappiamo!» Ma, in quel momento, numerose guardie irruppero nella sala. «Portate via queste carogne,» ordinò Re Oary. «Gettatele nei sotterranei! Non fate
del male alla ragazza: è troppo bella per essere sciupata. E mettete nella stalla quel cavallo mostruoso.» Fracassa, nonostante avesse inghiottito quantità enormi della bevanda drogata, ebbe ancora la forza di alzarsi e combattere. Dor sentì il rumore, ma guardava dalla parte sbagliata. Le guardie caricarono, urlarono e si ritirarono. «Dagli addosso, orco!», gridava Grundy, ballando sul tavolo. «Falli a pezzi!» Ma poi il fracasso si placò. «Ehi, non fermarti adesso!», gridò Grundy. «Che cosa ti succede?» Dor sapeva che cosa era successo. Fracassa era uscito dal sentiero magico, ed aveva perso la sua forza soprannaturale. Allora i boccali della bevanda drogata pretesero il loro tributo, come avrebbero fatto con qualsiasi creatura normale. «Un po' dormirò,» disse Fracassa, ed utilizzò l'ultimo brandello di magia per la rima. Dor capì che avevano perso quella battaglia. «Allontanati da qui, Grundy,» disse facendo uno sforzo particolare. «Prima di addormentarti anche tu. Non farti prendere.» Quindi Dor sprofondò in uno stato di incoscienza. Capitolo 10 Amore/Odio Dor si svegliò con il mal di testa. Era disteso su della paglia che puzzava di umidità, in una cella buia. Quando si mosse, sentì dei piccoli passi veloci sul pavimento. Sospettò che si trattasse di un topo; sapeva che in Mundania abbondavano. Forse era una benedizione: le creature magiche della notte potevano essere orribili in Xanth. Udì un gemito soffocato. Dor trattenne per un attimo il fiato per accertarsi che non provenisse da lui. Si alzò a sedere, e scrutò nell'oscurità per trovare qualche traccia di luce. Ce n'era poca, che aumentò a mano a mano che i suoi occhi si abituavano. Sembrava che ci fosse una candela in lontananza. Ma c'era un muro tra lui e la candela, e la luce filtrava attraverso le crepe. Si orientò sui gemiti. Provenivano da un vano adiacente, separato dal suo da un massiccio mucchio di pietre e da enormi travi di legno. Doveva essere il sotterraneo del castello, e quelle celle erano state ricavate dalle fondamenta. C'erano dei varchi tra i supporti, grandi abbastanza da infilarvi un braccio ma troppo piccoli per passarvi attraverso.
«Irene?», chiese. «Oh, Dor!», rispose immediatamente la ragazza, piena di paura. «Pensavo di essere sola! Che cosa ci è accaduto?» «Siamo stati drogati e gettati nei sotterranei», disse. «Re Oary deve aver fatto la stessa cosa ai tuoi genitori, in precedenza.» Non riusciva a ricordare come avesse ottenuto quell'informazione, o in che modo fosse stato drogato. La sua memoria era vaga riguardo ai fatti più recenti. «Ma perché? Mio padre è venuto solo per commerciare!» «Non lo so. Ma credo che Re Oary sia un usurpatore. Forse ha ucciso il Re legittimo, e i tuoi genitori lo hanno scoperto. Oary sapeva di non poterci ingannare a lungo, perciò ha drogato anche noi.» «E adesso che cosa facciamo?», domandò in tono isterico. «Oh, Dor, non mi sono mai sentita tanto male!» «Penso che sia la droga,» disse. «Anch'io mi sento male. Dovrebbe passare. Se abbiamo le nostre magie, possiamo liberarci. Hai la tua borsa di semi?» Irene controllò. «No. Ho solo i miei vestiti. Tu hai l'oro e le pietre preziose?» Dor controllò. «No. Ci hanno perquisiti e ci hanno tolto tutto quello che ritenevano prezioso o pericoloso. Io non ho nemmeno la spada.» Ma poi le sue dita incontrarono un oggetto piccolo. «Ho il barattolo di pomata: non che serva a molto qui dentro! E la mia Pietra di Sole di Mezzanotte; è caduta nella fodera del giubbotto. Fammi vedere...» La estrasse. «No, credo di no. Non emette luce.» «Dove sono gli altri?» «Controllerò,» disse. «Pavimento, dove sono i miei compagni?» Non ci fu nessuna risposta. «Significa che non abbiamo magia. Arnoldo deve essere nella stalla.» Gli parve di ricordare vagamente qualcosa a quel proposito. «Che cosa ne è di Fracassa e di Grundy?» «Io sono qui,» disse l'orco dalla cella di fronte. «La testa mi fa male. La forza è scomparsa.» Allora Dor non ebbe più dubbi: la magia era svanita. L'orco non parlava in rima, e senza dubbio i capelli di Irene avevano perso il loro colore. La magia aveva strani effetti secondari, la cui perdita impressionava più di quella degli aspetti principali. Ma gli aspetti principali della magia erano vitali; senza la sua forza magica, Fracassa probabilmente non sarebbe riuscito a liberarsi dalla prigione sotterranea.
«Grundy?», chiamò Dor a gran voce. Non ci fu nessuna risposta. Grundy, a quanto pareva, era sfuggito alla cattura. Quella era la loro unica fortuna. «Ho i guantoni,» disse Fracassa. Un'altra piccola fortuna. Se l'orco avesse riavuto la sua forza, quei guanti sarebbero stati di grande aiuto. Probabilmente le guardie del castello non avevano capito che i guantoni non erano parte dell'orco, dal momento che Fracassa li aveva usati per mangiare. La mancanza di buone maniere, tipica degli orchi, era stata utile sotto quell'aspetto. La mente di Dor si stava lentamente schiarendo. Cercò la porta della cella. Era di solido legno mundano, logoro ma troppo spesso per essere fracassato. Troppo spesso anche per l'orco, in quelle condizioni. L'orco provò a spingere la porta della sua cella, ma non ci riuscì. A meno che il centauro non fosse arrivato nelle vicinanze, nessuno di loro aveva la possibilità di fuggire. Le porte sembravano chiuse da un irraggiungibile meccanismo esterno: all'interno, il viscido pavimento di pietra era interrotto solo da un pozzo nero: un buco piccolo ma profondo che puzzava di vecchi escrementi. Ovviamente non li avrebbero fatti uscire nemmeno a scopo igienico. Fracassa sbatté un pugno contro il muro. «Ouuu!», esclamò. «Mi manca il centauro!» «Ha la sua utilità,» convenne Dor. «Vedi, Fracassa: Arnoldo non ha usurpato il posto di Chet. Chet, comunque, non sarebbe potuto venire con noi, a causa della sua ferita, e Arnoldo non voleva venire con noi. Siamo noi che lo abbiamo costretto, rivelandogli il suo talento magico.» «Uhhh,» convenne l'orco. «Voglio uscire di qui. Non mi piace essere debole.» «Penso che dobbiamo solo aspettare e vedere quali sono i piani di Re Oary,» disse Dor, in tono cupo. «Se avesse progettato di ucciderci, non si sarebbe dato la pena di chiuderci qui dentro.» «Dor, ho paura, ho veramente paura,» disse Irene. «Non ero mai stata imprigionata prima d'ora.» Dor scrutò attraverso le fessure della porta. L'oscillante ombra della candela si era mossa? La guardia doveva essersi avvicinata per origliare. Naturalmente, Re Oary era desideroso di conoscere i loro segreti, e Irene avrebbe potuto farsi scappare il loro segreto più importante, senza accorgersene. Doveva avvertirla, senza che la guardia capisse. Avrebbero potuto sfruttare quella situazione a proprio vantaggio.
Si avvicinò alla parete che li separava. «Sarebbe una buona idea decidere la nostra linea di condotta,» disse. «Se ci interrogheranno, diremo loro quello che vogliono sapere. Non sarebbe di nessuna utilità nascondere qualcosa, dal momento che siamo innocenti.» Riuscì a far passare il braccio nella fessura della parete più vicina a Irene. «Ma dobbiamo impedire che ci costringano a fare affermazioni false.» La sua mano toccò qualcosa di morbido. Era Irene. Lei emise un soffocato «Eeeeh,»poi gli afferrò la mano. «Rivediamo la nostra situazione,» disse Dor. «Io sono Re, durante l'assenza di Re Trent.» Le strinse una volta la mano. «Tu sei la figlia di Re Trent.» Gliela strinse di nuovo, una volta. «Anche Arnoldo il Centauro è un Principe nel suo paese.» Questa volta le strinse la mano due volte. «Ma che cosa dici?», domandò la ragazza. «Arnoldo non è...» Si interruppe quando Dor le strinse la mano più volte, con forza. Poi Irene cominciò a capire: era una ragazza alquanto intelligente. «Non è con noi, adesso,» concluse, e gli strinse la mano una volta. «Se il centauro non ritorna nel suo paese nel tempo previsto, il suo popolo verrà probabilmente a cercarlo con un esercito,» disse Dor, e le strinse la mano due volte. «Un grande esercito,» convenne la ragazza, e gli restituì le due strette. «Con molti bravi arcieri e lancieri, assetati di sangue, e una grande catapulta per gettare enormi pietre contro il castello.» Ormai era entrata nella parte. Avevano stabilito i loro segnali: una stretta per la verità, due strette per le bugie. In quella maniera avrebbero potuto parlare di tutto quello che volevano, anche se qualcuno origliava. «Sono felice che siamo soli,» disse, e la strinse due volte. «Così possiamo parlare liberamente.» «Soli,» convenne Irene, con una doppia stretta. Sì, adesso aveva capito perché Dor si comportava in quel modo. Era una ragazza brillante, e a lui questo piaceva; un corpo da ninfa non significava necessariamente una stupidità da ninfa. «Non abbiamo nessuna possibilità di uscire di qui da soli,» disse Dor, stringendole la mano due volte. «Non abbiamo alcuna risorsa che essi non conoscano già.» Due strette. «Non abbiamo né poteri magici né null'altro,» convenne la ragazza con una doppia stretta. «Ma forse sarebbe meglio far credere che abbiamo dei poteri magici,» disse Dor, senza stringerla. «Forse ci tratterebbero meglio.»
«Forse è vero,» disse lei. «Se le guardie credessero che possiamo passare attraverso le pareti, ci farebbero uscire di qui.» «Dovremmo escogitare qualcosa per imbrogliarli,» disse Dor, e questa volta le strinse la mano una sola volta. «Qualcosa per distrarli, in attesa dell'esercito dei centauri. Per esempio, far crescere rapidamente delle piante. Se loro credessero che tu sei capace di far crescere un albero, sfondare il soffitto e forse far crollare il castello...» «Mi farebbero uscire da questa cella e mi terrebbero lontana dai semi,» disse lei. «Allora, forse, potrei scappare e mettere dei segnali in modo che i centauri ci trovino più in fretta.» «Sì. Ma non puoi semplicemente dire ai Mundani che sai far crescere gli alberi: deve sembrare che ti costringano a farlo. Ed avrai bisogno di una buona scusa, in caso ti sfidino a far crescere una pianta. Potresti dire che è un periodo sbagliato, oppure...» «Oppure che devo farlo in una stalla,» disse Irene. «In questo modo, mi porterebbero via dalla zona custodita dalle guardie. Finché capiscono che non è vero e che io non so far crescere nulla, potrei avere il tempo di scappare.» «Certo.» Ma avevano impostato correttamente la questione? Le guardie si sarebbero fatte convincere a portare Irene nella stalla, dove forse c'era Arnoldo, o non se ne sarebbero date la pena? Predisporre quell'inganno era più difficile di quanto avesse immaginato. Poi Irene segnalò un pericolo. «E Fracassa? Vorranno sapere come ha fatto a divellere il portone, mentre adesso non è più in grado di fare nulla.» Dor pensò rapidamente. «Dobbiamo nascondere loro il fatto che l'orco è forte solo quando è arrabbiato. La guardia al portone ha insultato Fracassa, perciò Fracassa ha divelto la porta. Ma Re Oary gli ha offerto un buon pasto, e di conseguenza non era veramente arrabbiato, malgrado fosse stato drogato. Forse possiamo spingere con l'inganno una guardia ad insultare Fracassa, o a privarlo di cibo e di acqua. Quando Fracassa ha fame, diventa cattivo. Ed Ha un grande appetito. Se lo faranno morire di fame, peggio per loro! L'orco si infurierà e distruggerà questo sotterraneo!» «Sì,» rispose la ragazza. «È la nostra unica speranza. Fargli avere un pessimo trattamento. Non abbiamo nemmeno bisogno di ingannare le guardie. Dobbiamo solo aspettare. Entro domani mattina Fracassa esploderà. Scapperemo tutti sui cadaveri delle guardie che cercheranno di ostacolare l'orco. Forse non avremo alcun bisogno dei centauri!» Un movimento attirò l'attenzione di Dor. Strinse la mano a Irene per ri-
chiamare anche la sua attenzione. La guardia si stava allontanando silenziosamente. Senza dubbio, era andato a riferire il suo scottante rapporto. «Sei un idiota,» mormorò Irene, e gli strinse la mano due volte. «Ti vengono alla mente queste stupide idee per imbrogliare i nostri carcerieri, ma non funzioneranno mai. Non so nemmeno perché parlo con te.» «Perché è meglio che parlare con i topi,» disse Dor, senza stringerle la mano. «Topi!», gridò lei, inorridita. «Dove?» «Mi è sembrato di vederne uno, quando mi sono svegliato. Forse mi sono sbagliato.» «No, questo è il genere di posto che preferiscono.» Gli strinse la mano, ma non per trasmettergli un segnale. «Oh, Dor... dobbiamo uscire di qui!» «Forse ti porteranno presto fuori di qui, per verificare se è vero che sei capace di far crescere le piante.» La ragazza gli strinse la mano in segno di avvertimento. «Già lo sanno.» In realtà, lo scopo di quel falso dialogo era di convincere i loro carcerieri che Dor e Irene non avevano alcun potere magico. Poi se in qualche modo avessero avuto la possibilità di usare la magia, le guardie sarebbero state colte alla sprovvista. Per di più, si erano assicurati un buon trattamento per Fracassa, se il loro stratagemma aveva funzionato. Poco dopo un fievole raggio di luce filtrò attraverso una fessura del soffitto, nei pressi del muro orientale, secondo i loro calcoli. Ma l'angolatura era sbagliata, e Dor infine concluse che erano imprigionati vicino al muro occidentale, al di sopra del dirupo, e che la luce entrava solo per riflesso; sull'altro versante sarebbe stata molto più luminosa. Non c'era nessuna possibilità di scavare un tunnel per uscire e, anche se ne avessero avuto la forza, a che cosa sarebbe servito discendere il dirupo? Le guardie portarono a Fracassa un enorme cesto di pane ed un barile di acqua. «Cibo!», esclamò allegramente l'orco, e masticò intere pagnotte in un solo boccone, come era sua abitudine. Poi, quando si accorse che né Dor né Irene erano stati rifocillati, lanciò loro numerose pagnotte. Dor ne passò una ad Irene attraverso la fessura. Fu più difficile con l'acqua. Non avevano fornito coppe, ma la sete di Dor improvvisamente si intensificò, forse in reazione a tutto il vino bevuto il giorno prima. Alla fine si fece dare uno dei guanti dell'orco pieno d'acqua e lo passò a Irene. «Sa di sudore rancido,» si lagnò la ragazza. Ma la bevve, poi restituì il
guanto. Dor ne bevve il resto: fu d'accordo con l'analisi del sapore che ne aveva fatto Irene, e restituì il guanto a Fracassa con i debiti ringraziamenti. L'acqua al sapore di sudore era molto meglio della sete. «Dammi di nuovo la mano,» disse Irene. Dor pensò che la ragazza avesse altri suggerimenti da dare e passò il braccio attraverso la fessura, masticando una pagnotta che teneva con la sinistra. «È stata una cattiveria da parte tua darmi da mangiare,» mormorò, stringendogli la mano due volte. «Beh, lo sai che non ti voglio bene,» le disse Dor, restituendole la doppia stretta. Non era sicuro che questo importasse alla guardia che origliava, ma era abbastanza facile parlare al rovescio. «Io non ti ho mai voluto bene,» replicò lei. «In effetti, penso di odiarti.» Che cosa aveva detto? La doppia stretta suggeriva il contrario, l'opposto di quello che aveva detto. Il contrario dell'odio? «Che cosa dovrei farmene di una ragazza brutta come te, ad ogni modo?», domandò. Seguì una lunga pausa. Dor guardò attraverso la fessura e vide una ciocca dei capelli di Irene che, come si era aspettato, avevano perso il loro colore verde. Poi si accorse di aver dimenticato di stringerle la mano. In ritardo, gliela strinse, due volte. «Brutta, eh?» Si girò e gli fece toccare qualcosa di morbido con il palmo della mano. «Questo è brutto?» «Non so che cosa sia,» disse Dor. Diede una stretta per saggiare. «Eeeh!», strillò la ragazza, e lo colpì sulla mano. «Bruttò come il peccato,» disse, cercando di immaginare l'anatomia femminile per capire che cosa avesse pizzicato. Era stata certamente un'esperienza interessante! «Ti morderò la mano,» lo minacciò lei. Era il loro vecchio gioco. «Ci sono i denti in quel posto?», chiese Dor, sorpreso. «Per un attimo Irene soffocò, Dor non avrebbe saputo dire se per la rabbia o per l'ilarità. «Con la bocca, ti morderò,» spiegò la ragazza. Ma gli toccò le dita solo con le labbra. «Non osare.» Lei gli baciò la mano altre due volte. «Ahi!», gridò Dor. Allora Irene gli diede due morsi leggeri. Lui non sapeva che cosa volesse dire. Era una nuova variante di un vecchio gioco, forse niente di più, ma fece riflettere Dor sui rapporti con Irene. La conosceva fin dall'infanzia. Era
sempre stata gelosa della sua condizione di Mago, lo aveva sempre deriso e gli aveva aizzato contro le piante, ma era sempre presente anche la tacita convinzione che erano destinati l'uno all'altra. Dor vi si era opposto quanto lei ma, quando erano cresciuti, l'elemento sessuale aveva cominciato a manifestarsi, sulle prime in giochi apparentemente innocenti e in esposizioni accidentali, poi in maniera più indiretta ma più seria. Quando Dor aveva dodici anni e lei undici, si erano baciati per la prima volta con emozione, e l'esperienza aveva scosso entrambi. Da allora i loro litigi erano stati temperati dalla consapevolezza che ciascuno avrebbe potuto dare all'altro un nuovo genere di felicità, quando le condizioni fossero state adatte. Il recente sviluppo fisico di Irene aveva intensificato quella consapevolezza, e le loro liti avevano assunto un tono voyeuristico, come, per esempio, quando si erano strappati i vestiti di dosso nel fossato. In quel momento, in cui non erano più certi del loro destino, e in assenza di altre attività, il loro rapporto era diventato molto più importante. Per il momento, quasi letteralmente, Dor aveva solo Irene. Perché mai avrebbero dovuto litigare in quelle che potevano essere le loro ultime ore di vita? «Sì, ti odio decisamente,» disse Irene, pizzicandogli delicatamente la punta di un dito due volte, come se ne provasse la digeribilità. «Anch'io ti odio,» disse Dor, e cercò di stringerle la mano, ma riuscì solo a metterle un dito in bocca. Tutto il suo essere sembrava essere concentrato su quella mano e su qualsiasi cosa toccasse, e la carezza delle labbra di lei era tormentosamente eccitante. «Vorrei non vederti mai più,» gli disse, stringendosi la sua mano al seno. La faccenda stava diventando molto seria! Ma Dor scoprì di provare lo stesso sentimento. Non voleva lasciarla mai più. Ormai non si stringevano più le mani, giocavano al gioco dei contrari con intensità e comprensione crescenti. Era solo una reazione alla paura di morire? Non ne era certo, ma non riusciva a resistere alla corrente delle emozioni. «Vorrei... farti del male,» le disse, ma ebbe grandi problemi a formulare un concetto correttamente negativo. «Ed anch'io ti farei del male!» Strinse ancora di più la sua mano sul seno. «Io ti afferrerei e...» Ancora lo stesso problema. «E che cosa?», domandò la ragazza, ed ancora una volta la sua mano incontrò uno strano pezzo di anatomia. La sua incapacità di identificarlo lo faceva impazzire! Era un arto, apparteneva al tronco, era al di sopra o al di sotto della vita, o lui che cosa desiderava fosse?
«E stringerti fino a farti a pezzi,» disse infine Dor, e le diede una stretta. La scenetta nel fossato non era nulla in confronto a quella. Questa volta Irene non emise alcun suono di protesta. «Io non ti sposerei nemmeno se tu fossi l'ultimo uomo sulla terra,» gli sussurrò. Aveva alzato ancora di più la posta! Aveva parlato di matrimonio! Dor era stordito, incapace di rispondere. Lei gli carezzò la mano. «E tu?», lo incitò. Dor non aveva mai riflettuto molto sul matrimonio, nonostante il suo coinvolgimento nelle nozze del Buon Mago Humfrey. Lui, Dor, aveva solo sedici armi! Ma in Xanth l'età del consenso coincideva con l'età del desiderio. Se una persona riteneva di avere l'età per sposarsi, se desiderava farlo, ed aveva un fidanzato consenziente, poteva contrarre matrimonio. Di conseguenza, ci si poteva sposare all'età di dodici anni, o all'età di cento anni: il Buon Mago Humfrey non sembrava pronto nemmeno alla sua veneranda età! Dor voleva sposarsi? Se pensava alle poche ore successive, forse le sue ultime, lo desiderava, perché aveva sempre saputo che si sarebbe sposato prima di morire. Era uno dei requisiti per essere Re, come quello di avere poteri magici. Ma se pensava a una vita intera in Xanth, non ne era tanto più sicuro. C'era tanto tempo a disposizione e, nel corso di una intera vita, potevano succedere tante cose! Come aveva detto Humfrey: c'erano aspetti positivi e negativi. «Non lo so,» rispose Dor, infine. «Non lo sai!», esclamò con ardore. «Oh, ti odio!» E gli morse la mano una sola volta, e i suoi denti affilati gli tagliarono dolorosamente la carne. Oh, sì, la faccenda era diventata seria! Dor cercò di allontanare la mano, ma lei gliela afferrò. «Sei uno zotico! Sei un ingrato!», esclamò la ragazza. «Sei un uomo!» E premette il viso contro la mano di Dor. Era umido. Umido? Sì, Irene stava piangendo. Forse era un trucco, ciò non di meno Dor ne fu impressionato. Se Irene sentiva tanto forte quel desiderio, poteva Dor permettersi di sentirlo con minore forza? Ma lo sentiva con minore forza? Poi un'ondata di emozioni lo assalì. Che cosa importava quanto tempo avesse davanti a sé, o quanti anni avesse, o dove si trovassero? Lui l'amava. «Io... no,» le disse, e le pizzicò due volte il naso bagnato. Lei continuò a piangere con il volto nascosto nella sua mano, ma con un sentimento diverso adesso. Non era più adirata con lui: quelle erano lacri-
me di gioia. A quanto pareva, si erano fidanzati. «Ehi, Dor,» sentì sussurrare. Il mormorio proveniva dalla sua cella. «Grundy!», sussurrò Dor di rimando. Cercò di segnalarlo ad Irene, ma sembrava che si fosse addormentata con il viso nella sua mano. «Mi dispiace di essere arrivato in ritardo,» disse il golem. «Ma mi ci è voluto un bel po' di tempo per smaltire con un sonnellino quella bevande che ci ha messo fuori combattimento. E mi è occorso ancora più tempo per trovare una buona strada segreta che mi portasse qui senza farmi scontrare con i topi. Ho parlato con loro - la lingua dei topi sembra la stessa ovunque, perciò non ho avuto bisogno della magia - ma sono maligni. Infine, mi sono costruito una spada con questo vecchio spillo, e ne ho colpito qualcuno. Così hanno deciso di collaborare.» Brandì l'arma. Era una scheggia di ferro incurvata ed aveva un aspetto pericoloso. Infilata nell'occhio di un topo, doveva essere letale. «Irene ed io ci siamo fidanzati,» disse Dor. Il golem lo guardò di traverso per capire se fosse uno scherzo, e concluse che non lo era. «Sì? Nientedimeno! Perché le hai chiesto la mano proprio adesso?» «Non sono stato io,» confessò Dor. «È stata lei a chiedermela, credo.» «Ma non puoi nemmeno toccarla!» «Posso toccarla,» disse Dor, ricordando. «Non dove conta.» «Si, dove conta... credo.» Il golem si strinse nelle spalle, come se Dor gli avesse raccontato una sciocchezza. «Be', non fa nessuna differenza, se non usciamo di qui. Ho cercato di parlare con gli ammali e con le piante del posto ma, in genere, non li capisco, senza nessuna magia. Comunque, non credo che sappiano qualcosa di Re Trent e della Regina Iris. Ma sono sicuro che il vecchio Re Oary nasconde qualcosa. In che modo posso aiutarti?» «Porta Arnoldo qui,» disse Dor. «Non è facile, Dor. Lo hanno portato in una stalla, con un aggeggio chiuso a chiave, come questo, troppo robusto perché lo possa forzare, e lontano dalla sua portata. Rozzo, ma efficace. Se potessi aiutare lui, potrei aiutare anche te.» «Ma dobbiamo riunirci,» sussurrò Dor. «Abbiamo bisogno della magia, e stare insieme è l'unico modo.»
«Non lo faranno uscire,» disse Grundy. «Si è diffusa una stupida voce: un esercito di guerrieri centauri è in marcia verso il castello, e loro non vogliono che si sappia che c'è un centauro nel castello.» Irene si svegliò. «Hai detto qualcosa, caro?», domandò. «Caro!», ridacchiò Grundy. «Ooh, ti ha incastrato!» «Sta' zitto!», gli sussurrò Dor, con rabbia. «La guardia è in ascolto.» Ma si chiese se fosse veramente quella la sua preoccupazione. «È il golem?», chiese Irene. «Vuoi tenermi la mano, cara?», disse Grundy a voce alta. «Che ti si sciolgano tutte le cordicelle!», lo rimbeccò la ragazza. «Non sia mai!», disse Grundy, con un sorrisetto maligno. «Voglio restare qui ed assistere alle nozze. Come farete a celebrarle attraverso il muro?» «Se ti acchiappo, demonio dalla grande bocca,» disse Irene, «ti ficco a testa in giù nel pozzo nero.» «In che modo hai costretto quel povero babbeo ad accettare la tua mano?», insisté il golem. «Hai gridato, gli hai mostrato un po' di carne proibita ed hai pianto lacrimoni verdi?» «Il pozzo nero è troppo buono per te!», ruggì Irene. «Se non starete zitti, la guardia che ci spia verrà a sapere tutto,» li ammonì Dor, inasprito dalla preoccupazione e dall'imbarazzo. Grundy lo guardò. «Al di fuori della sfera dell'influenza della magia, non possono capire nemmeno una parola di quello che diciamo. Come possono sentire i nostri discorsi?» Dor rimase stupefatto. «Non ci avevo pensato!» Tutto il suo stratagemma era stato inutile? «Ed allora perché hanno portato da mangiare a Fracassa?», domandò Irene, dimenticando la sua ira contro il golem, nel momento in cui fu costretta ad affrontare una nuova questione. «E come sono venuti a sapere dell'esercito dei centauri? Mi sembra che lo hai detto tu... o l'ho sognato?» «L'ho detto io, ed è vero,» disse Grundy. «Vuoi dire che siete stati voi a mettere in giro questa voce? Ne ho sentito parlare mentre ero da Arnoldo; vicino a lui capivo la lingua mundana.» «Siamo stati noi,» disse Dor. «Ed abbiamo suggerito loro che Fracassa diventa fortissimo solo quando si arrabbia, e che si arrabbia quando ha fame. Gli hanno portato subito da mangiare. Perciò devono aver capito. Ma come?» «Penso che stiamo per scoprirlo,» disse Grundy, e si nascose nell'ombra. «Sta arrivando qualcuno.»
Irene lasciò finalmente la mano di Dor, e il ragazzo la ritirò attraverso la parete. Aveva dei crampi al braccio per essere stato ore ed ore in quella scomoda posizione, ma Dor non rimpiangeva di averlo fatto. Era bello essere fidanzato con Irene! La conosceva abbastanza da sapere che sarebbe stata una buona moglie. Avrebbe litigato molto, ma Dor vi era abituato, perché anche sua madre Chameleon era così quando si trovava nella fase intellegente. In realtà, una donna intelligente che litigava non era affatto intelligente, ma nessuno avrebbe potuto dirlo di Irene. Irene, come la sua odiosa madre, rispettava le regole imposte dalla sua funzione. La Regina Iris non danneggiava mai apertamente il Re. Se Dor fosse mai diventato Re, di fatto e di nome, Irene non avrebbe mai cercato di indebolire il suo potere. Questa forse era una qualità molto più importante del suo aspetto fisico. Ma doveva ammettere che la ragazza aveva acquistato un corpo interessantissimo. Le carezze che gli aveva permesso, e che aveva usato per sedurlo, come aveva acutamente notato Grundy, erano state meravigliosamente efficaci. Ovviamente aveva tentato di sedurlo per convincerlo a sposarla, e ci era riuscita. Come aveva annunciato la Gorgone, Irene lo aveva in pugno. Quello che la Gorgone non aveva detto era che quella prigionia era gradita al prigioniero, come un caldo giubbotto è gradito in una giornata fredda. Il Buon Mago Humfrey era adesso un uomo felice, senza alcun dubbio, nonostante le sue proteste. In effetti, le obiezioni degli uomini al matrimonio somigliavano alle obiezioni di Irene quando la gente le guardava le gambe: più apparenza che sostanza. L'attenzione di Dor fu riportata alla sua situazione presente dall'arrivo dei Mundani. Erano tre guardie, di cui una portava una sbarra di ferro. Si fermarono davanti alla cella di Irene e usarono la sbarra per sollevare l'asse che la chiudeva. Senza quell'attrezzo, evidentemente, la porta non si poteva aprire. Una delle guardie entrò ed afferrò Irene. Lei non oppose resistenza. Sapeva, come Dor, che era arrivato l'atteso interrogatorio. Avrebbe dovuto cercare di rispondere in maniera tale da farsi portare nella stalla dov'era rinchiuso Arnoldo, solo per dimostrare che mentiva. Poi avrebbe potuto alzare la sbarra che chiudeva la porta della stalla, o far crescere una pianta distruttiva... Solo che non aveva semi. «Grundy!», sussurrò. «Trova i semi di Irene! Ne avrà bisogno.» «Ci proverò.» Il golem si infilò in una fessura e scomparve.
Allora Re Oary entrò nella prigione sotterranea. «Rn xnt'qd sgd Jhmf'r cztfgsdq,» disse. «Vgzs hr xntq lzfhb?» «Non vi capisco,» disse Irene. «Sua Altezza Re Oary ti ha chiesto qual è la tua magia,» disse una delle guardie. Parlava con un accento molto marcato, ma era comprensibile. «Conosci la lingua di Xanth?», chiese lei, sorpresa. «Come è possibile?» «Non hai nessun bisogno di saperlo,» disse la guardia. «Limitati a rispondere alla domanda, sgualdrina.» Così uno dei mundani parlava la lingua di Xanth! Il cervello di Dor cominciò a lavorare. Questo spiegava in che modo li avessero spiati, ma quell'uomo come aveva fatto ad imparare la lingua di Xanth, anche se in maniera elementare? Doveva essere stato in contatto con persone provenienti da Xanth. «Va' a mettere il tuo brutto muso nel pozzo nero,» ribatté Irene. Dor trasalì. La ragazza riusciva a recitare la sua parte con eccessiva sfacciataggine! «Il Re userà la forza,» l'avvertì l'uomo. «Meglio rispondere, donnaccia.» Irene assunse un'aria intimidita, e forse lo era davvero, ma quei riferimenti offensivi alla sua ipotetica condizione sociale la irritavano. «Rispondi tu per primo, leccapiedi,» disse, giungendo ad un compromesso. La guardia decise che trattare era la migliore linea di condotta. «Ho conosciuto una spia del tuo paese, donna di malaffare. Io imparo velocemente le lingue; lui me l'ha insegnata, poi è tornato in Xanth.» «Per fare rapporto a mio padre, Re Trent!», esclamò Irene. «Gli avevate promesso un trattato commerciale, non è vero, mascalzone, se fosse venuto di persona a trattare?» «Adesso tocca a te rispondere, fraschetta,» disse l'uomo. «Oh, va bene, disgraziato. La mia magia è far crescere le piante. Posso far crescere in pochi momenti un albero da un seme.» Dor scrutò e non riuscì a vedere con chiarezza il viso dell'uomo, ma era certo che avesse assunto un'espressione furba. Lo spione pensava di conoscere bene la questione, ma non voleva tradirsi, perciò tradusse la risposta di Irene al Re. «Rgd fzud sgd khd,», disse. «H vzms sgd sqtsg!», sbottò Oary. «Sua Maestà sospetta che tu ci stia ingannando,» disse la guardia. «Qual è la tua vera magia?» «Che cosa importa al vecchio grassone? Adesso non sto compiendo nessuna magia.»
«Avevate dei poteri magici quando siete arrivati, prostituta. L'orco si è servito di una forza soprannaturale per distruggere la nostra porta, e tutti voi parlavate la nostra lingua. Adesso l'orco è debole e tu parli la tua lingua. Che cosa è accaduto alla magia?» La lingua! Dor si maledisse per aver tralasciato qual particolare. Naturalmente, era stato quello a tradire il loro segreto! Re Trent si era servito di un interprete - probabilmente di quella guardia - e la capacità del gruppo di Dor di conversare direttamente aveva immediatamente messo sull'avviso l'astuto Re Oary. Aveva capito che avevano poteri magici e adesso voleva scoprirne il meccanismo. «Bene, se mi portate qualche seme, delinquente, posso scoprirlo,» disse Irene. «Sono sicura di essere capace di far crescere le piante, se solo trovo il posto giusto.» Benedetta ragazza! Tentava ancora di farsi portare nella stalla, dove sarebbe stata veramente in grado di compiere magie. Ma i Mundani pensavano di sapere tutto. «Se il Re dice che menti, tu menti, meretrice,» disse la guardia. «Te lo chiedo ancora una volta: qual è la tua vera magia? Sai parlare tutte le lingue, e, in tua presenza, anche gli altri fanno la stessa cosa?» «Naturalmente no, cafone!» disse lei. «Altrimenti non ci sarebbe bisogno che tu traducessi le mie parole a Sua Bassezza Re Pancia-di-Budino. Posso esercitare incantesimi solo sulle piante.» «Rgd vhkk mns sdkk,» disse la guardia al Re. «Vd rgzkk lzjd ghl sdkk,» rispose il Re. «Snqstqd gdq hm eqnms ne ghl.» Le altre due guardie afferrarono Irene per le braccia e la trascinarono per alcuni gradini lungo il corridoio finché non arrivarono davanti alla cella di Dor. «Principe Dor,» disse l'interprete. «Risponderete alle nostre domande, altrimenti vedrete che cosa faremo.» Dor non rispose, incerto sul da farsi. «Qho nee gdq bknsgdr,» ordinò il Re. Le due guardie strapparono il giubbotto e la pelliccia di filo d'argento a Irene, mentre lei lottava e li malediceva a più non posso. Poi l'interprete le mise una mano sul colletto e tirò con violenza. Il davanti della camicia si strappò e rivelò il bel seno della ragazza. Irene, sconvolta da quell'improvvisa violenza fisica, agitò le braccia, ma i due uomini la tennero saldamente. «Vdkk, knnj zs sgzs!», esclamò il Re, ammirato. «H sgntfgs nmkx gdq
kdfr vdqd fnnc!» Dor non capì nemmeno una parola, ma afferrò immediatamente il succo del discorso. Il Re, l'interprete e tutt'e due le guardie, guardavano a bocca aperta il corpo seminudo di Irene. E Anche Dor. Aveva pensato che Irene non eguagliasse la Gorgone nell'architettura generale, ma Irene si era alquanto riempita da quando l'aveva vista l'ultima volta. Aveva avuto la possibilità di vederla durante il litigio nel fossato, ma allora c'erano state altre distrazioni. Durante il viaggio verso sud, all'Isola del Centauro, Irene era stata molto pudica, e forse le sue belle gambe avevano distolto l'attenzione di Dor dai suoi altri attributi. In quel momento si accorse che la ragazza non tendeva più al raggiungimento della maturità fisica, ma l'aveva già raggiunta. Nello stesso tempo, era infuriato con il Re e con i suoi scudieri per aver rivelato il corpo di Irene in quella maniera violenta. Decise di non dir loro nulla. «Gd khjdr gdq, xnt snkc ld,» disse il Re. «H bzm rdd vgx! Sgqdzsdm gdq zmc gd'kk szkj.» Il Re progettava qualche azione vile! Dor non osava nemmeno immaginare che cosa avrebbe potuto fare ad Irene. Non avrebbe potuto sopportare che le fosse fatto del male! L'interprete si pose davanti a Irene e chiuse una mano a pugno. Tirò a sé il braccio e puntò al ventre di Irene. «Fermo!», gridò Dor. «Dirò...» «Chiudi il becco!», gli disse Irene in tono aspro. Alzò un ginocchio e colpì l'interprete all'inguine. L'uomo si piegò in due e le guardie, sorprese, la lasciarono andare. Tra le mani stringevano brandelli dei suoi vestiti. A seno nudo come una ninfa, la ragazza fece qualche passo di corsa, si chinò a raccogliere la sbarra che serviva ad aprire le porte e si girò per infilarla nel meccanismo di chiusura della porta di Dor. «Corri!», gridò Dor. «Non perdere tempo con me!» Ma era già troppo tardi. Entrambe le guardie avevano sguainato le loro spade piatte e si stavano avvicinando a Irene. Lei si voltò e alzò la sbarra per difendersi, decisa a lottare. «No!» strillò Dor, e la voce gli si spezzò. «Ti ammazzeranno!» Ma in quel momento accadde qualcosa che distrasse l'attenzione di tutti. Fracassa, che per tutto il tempo aveva dormito, si era svegliato ed aveva compreso la situazione. Sbatacchiò la porta della sua cella con rabbia. «Uccidi!», muggì.
Le guardie e il Re sbiancarono. Credevano che la fantastica forza dell'orco avesse origine dalla sua rabbia. Se avessero fatte del male a Irene mentre Fracassa guardava... L'interprete cominciava a riprendersi dal colpo; probabilmente il calcio era stato leggero. «Gdqc gdq hmns gdq bkdd,» ansimò rivolto alle altre guardie. Poi aggiunse, a Irene: «Ragazza... torna in fretta nella tua cella e loro non ti faranno del male.» Irene, comprendendo che non poteva sperare di sfuggire ai due spadaccini e sapendo che il bluff della forza di Fracassa non doveva essere scoperto, si diresse verso la cella. Le due guardie la seguirono con prudenza. Fracassa guardava, ancora adirato, ma con il buon senso di non protestare finché le guardie si tenevano lontane. Poi Irene entrò nella propria cella, le guardie chiusero con fragore la porta e la sbarrarono. La crisi era superata. «Saresti dovuta fuggire dalla prigione!», disse Dor con ira mista a sollievo. «Non potevo lasciarti,» replicò lei. «Dove lo trovo un altro come te?» Dor non sapeva come interpretare quell'affermazione: Era un complimento o un'offesa? Anche Re Oary sembrava scosso. «Sgzs fhqk'r mns nmkx adzt-shekt rgd gzr ehfgshmf rohqhs,» disse. «Cnm's gtqs gdq; H ltrs ehmc z trd enq gdq.» Si girò e uscì a passo di marcia dalla prigione, seguito dagli scudieri. L'interprete, ancora dolorante, restò in un punto dove credeva di non essere visibile, per origliare ancora. Il sotterraneo tornò alla sua abituale oscurità. Progettavano qualcosa di peggio, Dor lo sapeva, ma almeno Irene era sana e salva, e il segreto della loro magia era stato preservato, almeno in parte. I Mundani sapevano che i loro prigionieri avevano poteri magici, ma non ne avevano ancora individuato il meccanismo. Era una tregua temporanea, ma comunque meglio che niente. «Penso che sarebbe meglio che uscissimo subito di qui,» disse Irene, non appena i Mundani se ne furono andati. «Dammi la mano.» Questa volta che cosa aveva intenzione di fare? Dor infilò la mano nella fessura. Lei la strinse tra le sue e la baciò. Fu piuttosto piacevole, ma Dor si sentì vagamente deluso. Lei aveva perso il giubbotto e la camicia... Gli prese il polso con una mano e gli allargò le dita. Poi gli mise qualcosa nella mano. Dor esclamò quasi per la sorpresa, perché era una cosa dura, fredda e pesante. Era la sbarra di ferro.
Naturalmente! Nella confusione, le guardie avevano dimenticato che Irene aveva ancora la sbarra che aveva raccolto. Adesso Dor aveva quell'utile attrezzo o arma. Forse avrebbe potuto far leva sulla porta della sua cella e aprirla dall'interno. Ma nel corridoio c'era una guardia, probabilmente l'interprete, benché avrebbe dovuto esserci il cambio. Dor non ebbe il coraggio di forzare la porta in quel momento. In effetti, non poteva rischiare di ficcare il naso in nessun punto della cella, perché il rumore avrebbe insospettito la guardia ed avrebbe attirato l'attenzione sul fatto che Dor aveva la sbarra. Quindi, per il momento, dovevano aspettare... e c'erano alcune cose che voleva dire a Irene. «Sei stata terribilmente coraggiosa,» le disse. «Hai affrontato quei delinquenti...» «Non riuscivo nemmeno a parlare per la paura,» confessò la ragazza. Era sicuramente un'esagerazione: aveva ricambiato le offese dell'interprete con disinvoltura. «Ma sapevo che ti avrebbero fatto del male se...» «Far del male a me! Era a te che loro...» «Beh, io mi preoccupo per te, Dor. Non sapresti fare niente senza di me.» Voleva stuzzicarlo... forse. «Mi piace la tua nuova mise,» disse. «Ma forse sarebbe meglio se prendessi il mio giubbotto.» «Forse sì,» convenne Irene. «Qui fa freddo.» Dor si tolse il giubbotto e lo infilò nella fessura. Lei lo indossò, e le donava molto, però tendeva ad aprirsi sul davanti. O forse era per quello che Dor trovava che le donava molto. Almeno il giubbotto l'avrebbe protetta dal freddo e dai colpi di spada o di lancia, perché era destinato a resistere alla penetrazione.. E non sarebbe stato un male che il corpo di Irene fosse nascosto agli occhi libidinosi del Re e dei suoi scudieri: la gelosia di Dor in simili casi non si era attenuata. Grundy ricomparve. «Ho un seme,» disse. «La borsa è nella camera del Re, insieme alla Spada Magica. Sapevo di poter sgattaiolare tranquillamente in quella stanza, perché il Re era quaggiù. Ma non ho potuto prendere tutta la borsa. Non sono riuscito assolutamente a trovare la Bussola Magica: devono averla gettata via. Quindi ho preso un seme che mi sembrava buono.» «Dammelo,» disse con ansia Irene. «Sì... è un groviglio. Se potessi farlo crescere nel corridoio...» «Ma non puoi,» disse Dor. «Non senza...» Si bloccò, perché lo spione
stava sicuramente origliando. «Ho un'idea,» disse Dor. «Se portassimo qui una parte di tu-sai-chi, ci sarebbe abbastanza magia da far crescere un seme?» Irene rifletté. «Un pezzo di zoccolo, forse. Non lo so. Vale la pena tentare.» «Vado,» disse Grundy. «Ho sempre pensato che le ragazze dovessero essere timide e dolci e gridassero alla sola vista del pericolo,» disse Dor. «Ma tu... quelle guardie...» «Hai frequentato troppo Millie il Fantasma. Le ragazze vere non sono così, a meno che non vogliano esserlo di proposito.» «Tu certamente non lo sei! Ma non avrei mai pensato che avresti messo a repentaglio la tua vita in quel modo.» «Sei deluso?» Dor rifletté. «No. Sei molto più ragazza... più donna di quanto pensassi. Credo di aver bisogno di te. Se prima non pensavo di amarti, adesso lo penso. E non per il tuo aspetto fisico, anche se, a questo proposito...» «Veramente?», chiese lei, con il tono di voce di un bambino eccitato. «Beh, forse reagisco in maniera esagerata perché siamo in prigione.» «Mi piacerebbe di più se fosse un amore incondizionato.» «Oh, certo. Uh, penso che sei bella. Ma...» «Allora sarebbe meglio che riflettessimo a lungo dopo che saremo usciti di qui, per capire se proviamo gli stessi sentimenti. Non ha senso essere frettolosi.» Dor fu scosso. «Hai dei dubbi?» «Beh, potrei incontrare un uomo più bello...» «Uh, sì,» disse Dor con tristezza. Irene scoppiò a ridere. «Ti sto prendendo in giro. Le ragazze sanno andare aldilà delle apparenze, più dei ragazzi. Noi preferiamo la qualità alla confezione. Non ho alcun dubbio. Ti amo, Dor. Non ho mai avuto l'intenzione di sposare qualcun altro. Ma mi rifiuto di approfittare di te, mentre sei tanto turbato. Forse, quando diventerai più grande, cambierai opinione.» «Ma tu sei più piccola di me!» «Le ragazze maturano più in fretta. Non lo hai notato?» Allora Dor rise. «Proprio oggi, l'ho notato!» Gli baciò di nuovo la mano. «Beh, sarà tutto tuo, quando verrà il momento.»
Quando verrà il momento. Dor rifletté sulle conseguenze, e sentì un'ondata di calore invaderlo tutto. Lei aveva un corpo, era vero, ma quello che gli piaceva di più era la fedeltà che quella frase sottintendeva. Lei sarebbe stata con lui, e lo avrebbe appoggiato, qualsiasi cosa fosse accaduta. Dor capì di aver bisogno di quell'appoggio; da solo non ce l'avrebbe fatta. Irene era forte, quando non era in preda ad una delle sue crisi acute. Aveva il coraggio che a lui mancava. La personalità di Irene completava la sua, dando forza alla sua debolezza. Era stata lei a spingerli ad intraprendere quella missione di salvataggio: la sua determinazione di salvare il padre non si era mai placata. Con lei al suo fianco, Dor avrebbe potuto veramente essere un Re. Le sue riflessioni furono interrotte dal ritorno del golem. «Ho tre peli della sua coda,» sussurrò. «È molto vanitoso riguardo alla propria coda, come tutta la sua specie. È il loro pezzo migliore. Forse saranno sufficienti.» Restava un po' di magia nelle parti del centauro che venivano tolte dal suo corpo? Dor estrasse la Pietra di Sole di Mezzanotte e l'avvicinò ai peli. Gli sembrò quasi di vedere un bagliore, all'interno del cristallo. Ma forse era un riflesso della fioca illuminazione della cella. «Portali a Irene,» disse Dor, che si costrinse a non sperare. Grundy obbedì. Irene mise il seme sui tre peli e si chinò. «Cresci,» mormorò. Restarono delusi. Il seme sembrò tentare, si gonfiò, ma non riuscì a crescere. Non c'era abbastanza magia. «Forse sarebbe meglio se portassi il seme ad Arnoldo,» disse Grundy. Irene non parlò, e Dor si accorse che tratteneva a stento le lacrime. Aveva sperato che la sua magia avrebbe funzionato. «Sì, provaci,» disse Dor al golem. «Forse il seme ha cominciato già a crescere. Forse ha bisogno di una magia più forte adesso.» Grundy prese il seme e i peli della coda, e se ne andò di nuovo. Dor infilò una mano nella fessura per carezzare Irene sulla spalla. «Valeva comunque la pena tentare,» disse. Lei gli afferrò la mano. «Ho bisogno di te, Dor. Quando crollo, tu non cedi.» Era un altro degli aspetti complementari. Avrebbe recuperato presto la propria determinazione e il proprio coraggio, ma nel frattempo aveva bisogno di essere rassicurata. Restarono in quella posizione per un tempo che a loro sembrò lunghis-
simo e, nonostante la disperazione che entrambi provavano, Dor non lo avrebbe cambiato con nient'altro. In qualche modo quella situazione metteva in risalto il loro rapporto: il loro amore ardeva con maggiore forza e profondità. Non poteva sapere che cosa sarebbe accaduto il giorno dopo, ma era sicuro di essere stato cambiato da quella esperienza emotiva. L'età dell'innocenza, in senso fondamentale e positivo, era passata. Poi, in lontananza, avvertirono un movimento. Il rumore li elettrizzò. Era possibile...? Grundy irruppe nella cella. «Ha funzionato!», gridò. «Il seme ha cominciato a crescere. Nel momento in cui sono entrato nella zona magica, è uscito fuori dal guscio. Deve essere stato stimolato dal tuo ordine, alla presenza di quel pezzetto di magia costituito dai peli della coda. Ho dovuto gettarlo al di fuori della stalla...» «Ha funzionato!», gridò Irene con gioia. «Ho sempre saputo che avrebbe funzionato!» «Ho detto ad Arnoldo dove siamo, in caso possa raggiungerci,» continuò Grundy, eccitato. «Quel groviglio farà a pezzi la sua stalla!» «Ma riuscirà ad attraversare tutte le porte chiuse?», chiese Irene, di nuovo preoccupata. Il suo umore oscillava da un estremo all'altro. «Arnoldo non ha poteri magici personali, e se con lui non c'è nessuno che...» «Ti ho anticipato, bambola,» disse il golem. «Ho esplorato tutta la zona. Arnoldo non può passare attraverso queste porte, ma può uscire dalla porta che Fracassa ha divelto, e che loro non hanno ancora riparato: c'è un piccolo canale all'esterno del muro del castello, e queste celle confinano con quel muro. A meno che il muro esterno non sia troppo spesso perché l'effetto del sentiero magico arrivi fino a noi...» «E se lo è?», chiese la ragazza, come se non sapesse se esplodere in un urlo di gioia o di disperazione. «Sono sicuro che il muro non è tanto spesso,» disse Grundy. «In lunghezza, non misura più di sei dei tuoi passi, e il sentiero magico del centauro arriva due volte più lontano. Ma lo scopriremo presto, perché tra poco si avvierà.» Il clamore continuava. «Spero che Arnoldo non si faccia male,» disse Dor. «Re Oary si è impossessato anche del tuo elisir di guarigione.» «Probabilmente l'ha gettato in un pozzo nero,» disse Grundy. «Per far guarire tutti i vermi malati.» «Sta' vicino al muro esterno,» gli disse Irene. «Quando riuscirai a parlare con il muro, sapremo che il centauro è arrivato.»
«Vado a vedere dov'è,» disse Grundy, e corse di nuovo via. «Quel groviglio deve essere ormai cresciuto completamente,» disse Irene. «Spero che Arnoldo abbia avuto il buon senso di tenersi lontano dai tentacoli.» Poi si fermò a riflettere. «Ma non tanto lontano che la mancanza di magia uccida l'albero. Deve fare in modo che resti all'interno della zona magica finché non abbia compiuto il suo lavoro. Una volta che Arnoldo se ne sarà andato, l'albero morirà.» «Parlami, mirro,» disse Dor, sfiorando la pietra. Non ebbe risposta. «Che cosa è successo?», chiese Fracassa dalla cella accanto. «Grundy ha portato un germoglio di albero groviglio ad Arnoldo,» spiegò Dor. «Speriamo che il centauro stia per arrivare qui.» «Tornerà finalmente la mia forza possente,» disse l'orco, che aveva compreso. «Ehi, hai parlato in rima!» gridò Dor. «Deve essere qui!» «Io proverò,» disse Fracassa. E con un pugno aprì un buco nella parete della cella di Dor. «Ti è tornata la forza!», disse Dor. «Va' a sfondare la porta della tua cella! Poi potrai liberare Irene e me!» L'orco avanzò con passo pesante verso la parete anteriore della propria cella e con gioia colpì con un pugno la porta. «Ooh, che male!», brontolò, scuotendo la mano guantata. La porta non aveva ceduto. «La sua forza è scomparsa di nuovo!» disse Irene. «C'è qualcosa che non va!» Dor si lambiccò il cervello. Come si poteva spiegare quel recupero parziale? «Dov'è adesso il centauro?», chiese alla parete posteriore, con il timore di non ricevere risposta. «All'esterno della cella di Irene,» replicò il muro. «Abbarbicato ad uno stretto sentiero che si affaccia sull'abisso, terrorizzato.» Dor visualizzò la posizione del centauro. «Allora non può guardare verso il castello?» «Si può girare solo un po',» convenne il muro. «Un altro po' e cadrebbe giù. Per di più, i soldati si stanno preparando a colpirgli la coda con le frecce.» «Quindi il suo sentiero magico è posto obliquamente al castello,» concluse Dor. «Copre questa parete, ma non la parte anteriore delle nostre celle.» «Chiunque è in grado di capirlo,» convenne il muro con compiacimento. Dor usò la Pietra di Sole per determinare i confini della zona magica. La
gemma si accese e si spense nel passare all'esterno del passaggio. La magia entrava per qualche metro nella cella di Dor, mentre arrivava più lontano in quella di Fracassa. «Ehi, Fracassa,» gridò Dor. «La magia arriva solo fino a metà delle celle. Sfonda la parete esterna per far entrare Arnoldo.» «Posto giusto,» convenne Fracassa, e puntò il suo enorme pugno guantato. «Non colpirmi!», gridò il muro. «Sostengo tutto il castello!» Ma era troppo tardi: il pugno attraversò con violenza i mattoni e le pietre. «Oooh, che dolore!» Il muro si rivelò doppio: due sezioni di pietra, con un riempimento di pietrisco in mezzo. Fracassa ruppe il nucleo, poi polverizzò la barriera esterna, entusiasmandosi sempre di più man mano che procedeva. Dopo qualche istante, la sfavillante luce del sole splendeva attraverso una nuvola di polvere. L'orco allargò l'apertura. Al di là c'era la parte posteriore della montagna, che precipitava in una valle boscosa. «Felice di vederti, bruto!», risuonò la voce di Arnoldo. «Aprimi un varco prima che quei selvaggi attacchino!» Fracassa si chinò. Afferrò una pietra. «Attento al portento,» avvertì, e lanciò il proiettile. Si sentì il tonfo e l'urlo di qualcuno che cadeva nel precipizio. «Che cos'hai fatto?», gridò Irene, in preda al panico. In quel momento, la parte anteriore del corpo di Arnoldo apparve nel varco della parete. Il centauro e l'orco si abbracciarono con gioia. «Penso che abbia buttato giù un nemico.» disse Dor. Irene emise un debole sospiro di sollievo. «Oh, credo che siano amici ormai.» «Abbiamo bisogno sia della magia che della forza,» rispose Dor. «Ciascuno è inerme senza l'altro. Sono arrivati a capirlo.» «Tutti noi siamo arrivati a capire molte cose,» convenne Irene, con un misterioso sorriso. Poi Arnoldo si rivolse verso la porta e la comprese nella zona magica. Fracassa si avvicinò alla porta a passo di marcia e la prese a calci, fino a staccarla dai cardini. Poi afferrò la parete anteriore e la sollevò dal pavimento. Detriti caddero dal soffitto. «Non farci cadere addosso tutto il castello!», lo ammonì Dor, mentre Irene soffocava nei nugoli di densa polvere.
«Livello il castello,» disse l'orco, senza preoccuparsi. Poi alzò una zampa verso il soffitto e il crollo fu evitato. Nel corridoio c'era una guardia. Per qualche istante l'uomo guardò l'attività dell'orco in silenzio, poi svenne. Ricomparve Grundy. «Arrivano le truppe,» riferì. «Sarebbe meglio filarsela.» Scapparono. Porte e cancelli erano chiusi a chiave, ma Fracassa li distrusse come fossero di cartone. Quando si trovavano di fronte ad un muro, l'orco vi passava semplicemente attraverso. Uscirono in un cortile interno, dove crescevano dei fiori. «Crescete! Crescete! Crescete!», ordinò Irene, e le piante esplosero verso l'alto e verso l'esterno. «Qual è la via di fuga più sicura per noi?», chiese Dor al muro vicino. «Dall'altra parte, stupido,» replicò il muro. Fracassa aprì un altro varco, e si ritrovarono in un tratto di foresta. Senza perdere tempo, si nascosero a chi poteva guardare dal castello. Erano di nuovo liberi e insieme, e questo era meraviglioso. Si fermarono a prendere fiato e a valutare la loro situazione. «Stiamo tutti bene?», chiese Dor. «Nessun danno grave?» Sembrava che fosse tutto a posto. «Allora, ci hai ripensato?», domandò Irene. «Sai quanto mi detesti?» Dor la guardò. Indossava ancora il suo giubbotto, senza niente sotto, aveva i capelli aggrovigliati e lo sporco le anneriva il viso. Gli sembrò incredibilmente bella. «Sì.» replicò. «E ti rispondo nello stesso modo. Ti odio ancora.» La prese tra le braccia e la baciò, e lei era ardente e arrendevole, come sa essere solo la sua specie, quando lo vuole. «Se questo è odio,» osservò Arnoldo, «sarei interessato a essere testimone del loro amore.» «Gli idioti si sono fidanzati,» spiegò Grundy agli altri. «A quanto pare, hanno visto una luce nelle tenebre, o qualcosa del genere.» «O qualcosa del genere,» convenne il centauro, dubbioso. Capitolo 11 Il Buon Re Presagio. «Siamo arrivati,» disse Dor, riprendendo il discorso dopo essersi staccato a malincuore dall'abbraccio di Irene. «Ma non abbiamo compiuto la nostra missione. Credo che questo sia il posto in cui sono giunti Re Trent e
la Regina Iris. Mi pare che il tavolo mi abbia detto che erano qui, prima che perdessi i sensi a causa della droga di Re Oary. Ma potrei anche averlo sognato; è un ricordo molto vago. Abbiamo qualche prova concreta?» «Oltre lo scudiero che parla la lingua di Xanth?», chiese Grundy. «Questa è una prova indiziaria,» disse Irene. «Prova solo che quell'uomo è entrato in contatto con l'esploratore di Xanth, non che Re Trent sia venuto qui. Dobbiamo esserne certi.» «La mia prova è alquanto tenue,» cominciò Arnoldo. «A quanto pare, l'addetto alla stalla aveva difficoltà a ritenermi una persona d'intelletto e parlava con maggiore libertà in mia presenza di quanto avrebbe fatto in altre circostanze. Mi sono rifiutato di parlare con lui, per una sorta di ripicca, lo ammetto...» «Una ripicca chic,» ridacchiò Fracassa. «E perciò gli stallieri non si sono accorti che la magia emanata da te rendeva la loro lingua comprensibile, né che tu avevi l'intelligenza per capirla,» intervenne Dor, compiaciuto. «Noi non potevamo comunicare con loro senza un interprete, perciò per loro è stato ovvio presumere che nemmeno tu capissi la loro lingua. Questo, unito alla loro tendenza a considerarti un animale...» «Precisamente. La mia ripicca può essere stata fortuita. Di conseguenza, mi sono trovato a sentire alcune cose che forse non erano proprio affari miei.» Sorrise. «In un caso poi, era vero alla lettera. A quanto pare, uno dei cuochi ha una relazione con una sguattera...» Si interruppe, con una smorfia. «Proprio accanto alla mia stalla! È stato molto istruttivo: sono persone vigorose. Ad ogni modo, ad un certo punto ho udito un'allusione a un certo Re straniero che, a quanto pare, aveva dichiarato di saper compiere delle magie.» «Re Trent!», esclamò Dor. «Il mio ricordo era corretto, allora, non era un sogno! Il tavolo mi ha detto veramente che Re Trent era qui!» «Penso che l'abbiamo sempre saputo!», convenne Irene, animandosi al ricordo del tradimento associato a quel tavolo. «L'interprete sapeva della magia di Xanth,» continuò Dor. «Ma naturalmente nessuno poteva compiere magie qui in Mundania, finché non abbiamo scoperto te, Arnoldo. Re Trent doveva aver detto di poter compiere magie in Xanth, ma la specificazione è stata tralasciata nella traduzione.» «Certamente,» convenne il centauro. «A quanto pare, il Re Oary doveva aspettarsi molto dalla magia, che, secondo lui, avrebbe rafforzato enormemente il suo potere, e si è infuriato quando la magia non si è concretizzata.
Di conseguenza, ha imprigionato a tradimento il Re straniero e lo ha chiuso in qualche luogo, con la speranza di costringerlo a compiere le sue magie, o a rivelare il segreto del suo potere. «Dov'è?», domandò Irene. «Dov'è mio padre?» «Rimpiango di non aver sentito altro, oltre quello che vi ho detto. Il Re straniero non è stato nominato. Non credo che gli staffieri conoscano la sua identità, né che credano nel suo potere o che sappiano dove sia rinchiuso. Si limitano a chiacchierare. L'evidente magia durante l'esibizione iniziale di Fracassa, e il modo in cui abbiamo comunicato con Re Oary, ha sollevato un considerevole interesse nel castello e in tutto il Regno di Onesta, il che spiega le chiacchiere su casi similari. Ma l'interesse si va attenuando, dal momento che sia la forza sia la comunicazione si sono rivelate delle illusioni. È molto facile attribuire dei fenomeni all'illusione o ad un ricordo falso, quando mancano spiegazioni pratiche, e i Mundani lo fanno spesso.» Sorrise truce. «Oserei dire che è cominciata una nuova serie di discussioni a proposito degli avvenimenti delle ore passate. Il tuo alberogroviglio, Irene, ha fatto un grande effetto.» «Certamente!», convenne Grundy con entusiasmo. «Ha afferrato gente a destra e a manca, ed ha buttato giù la stalla. Ma, quando Arnoldo se n'è andato, il groviglio è morto sul colpo.» «Le piante magiche non funzionano senza magia, Stupidone,» disse Irene. «Per fortuna,» convenne Arnoldo. «Quando allungava i tentacoli verso di me, io mi giravo, lo privavo della magia ed allora il groviglio desisteva. Dopo qualche tempo ha smesso di infastidirmi.» «Anche i grovigli non sono completamente stupidi!», rise Irene. «Almeno abbiamo degli elementi per procedere,» disse Dor. «Possiamo essere abbastanza certi che Re Oary ha imprigionato Re Trent e la Regina Iris, e che sono vivi. L'esperienza che Oary ha fatto con noi deve aver rafforzato la sua convinzione che tutti quelli che vengono da Xanth gli nascondono i propri poteri magici. Infatti, noi avevamo veramente dei poteri magici, poi abbiamo cessato di mostrarli quando ci ha imprigionati. Probabilmente aveva intenzione di costringerci a rivelargli il segreto della magia in modo da esercitarla anche lui, o almeno per far sì che noi la esercitassimo per i suoi scopi.» «Re Oary mi dà l'impressione di essere una vecchia canaglia astuta,» disse Irene. «Pervicace, ma astuto.» «È vero,» fu d'accordo Arnoldo. «A giudicare da quello che ho osserva-
to, governa il Regno ragionevolmente bene, ma senza scrupoli. Forse è necessario, per mantenere una precaria indipendenza dagli imperi più grandi che confinano sui tre lati.» «Ma dobbiamo ancora scoprire dove si trova Re Trent,» disse Dor. «Arnoldo, hai sentito qualcos'altro che abbia un qualche nesso con il nostro problema?» «Non ne sono sicuro, Dor. Ho sentito parlare di Re Presagio, il predecessore di Re Oary che è scomparso. A quanto pare, piaceva alla gente comune, ed è dispiaciuto a tutti perderlo.» «È stato Re?» chiese Dor. «Mi era sembrato di capire che non aveva ancora l'età, per cui Oary era il reggente, e che Presagio non era mai diventato Re.» «Invece io ho saputo che è stato veramente Re per un anno circa, prima di scomparire,» disse il centauro. «Lo chiamavano Buon Presagio, e ritenevano che il Regno di Onesta avrebbe prosperato sotto la sua guida.» «Sarebbe stato certamente così,» convenne Dor. Comprese che Re Oary aveva preferito minimizzare l'importanza di Re Presagio per rafforzare la propria posizione. Se il Regno di Onesta fosse stato ben governato, sarebbe stato principalmente merito di Re Presagio. «Un accordo commerciale con Xanth avrebbe aiutato entrambi i Regni. Forse Re Presagio se ne stava occupando quando è stato deposto, prima dell'arrivo di Re Trent. Tanto gli è costata l'avidità di Re Oary!» «I sudditi sospettano che Re Presagio sia stato eliminato illegalmente,» continuò il centauro. «Alcuni credono perfino che sia ancora vivo, che Re Oary lo abbia imprigionato con qualche sotterfugio e che gli abbia usurpato il trono. Questo naturalmente può essere solo un loro desiderio...» «Ma può anche essere la verità,» intervenne Irene. «Se Re Oary ci ha ingannati ed imprigionati, ed ha fatto la stessa cosa con i miei genitori, perché non avrebbe dovuto farlo anche con il Buon Re Presagio? Certamente, questo si confà al suo modo d'agire.» «Indulgiamo in troppe supposizioni,» li ammonì Arnoldo. «Potremmo restarne delusi. Ma, se mi è consentito portare il ragionamento alle estreme conseguenze, mi viene in mente che se Re Trent e Re Presagio sono entrambi vivi, forse sono imprigionati insieme. Abbiamo già visto che le prigioni sotterranee del Castello di Onesta non sono estese. Se c'è un altro castello,e troviamo uno dei due Re imprigionato nei sotterranei...» «Troviamo anche l'altro!», terminò Irene. «E se liberiamo entrambi, Re Presagio tornerà sul trono di Onesta e tutto andrà bene. Mi piacerebbe de-
porre Re Oary!» «Ho portato alle estreme conseguenze le nostre congetture,» disse Arnoldo. «Ma, lo ripeto, è solo un'ipotesi.» «Però vale la pena di accertarne la veridicità,» disse Dor. «Adesso stabiliamo un piano d'azione. Probabilmente, solo Re Oary sa dove sono incarcerati Re Trent e/o Re Presagio, e non lo rivelerà mai. Potrei interrogare le pietre del castello, ma probabilmente i Re non sono affatto qui, e le pietre non saprebbero nulla relativamente ad altri posti. Se la servitù del castello non ne sa niente, probabilmente non è un fatto noto. Quindi la domanda è: come possiamo farcelo dire?» «Dovrebbe sentirsi un peso sulla coscienza,» disse Irene. «Potremo fare leva su questo.» «Non ne sono convinto,» disse Dor. «In un'altra avventura ho incontrato persone e creature cattive, e non penso che la coscienza li torturasse, semplicemente perché non pensavano di far nulla di male. I Goblin e le Arpie...» «È evidente che non hanno una coscienza,» ribatté Irene. «Ma Oary è una persona.» «Gli esseri umani possono essere peggiori di tutti, soprattutto i Mundani,» disse Dor. «Molti di loro hanno depredato Xanth nel corso dei secoli, e Re Oary forse ha un'intenzione simile. Semplicemente, non ho alcuna fiducia nell'efficacia di fare appello alla sua coscienza.» «Comprendo il tuo punto di vista,» disse Arnoldo. «Ma credo che "appello" non sia il termine appropriato. Il senso di colpa si manifesta di solito con la vista di spettri notturni...» «Non ci sono molti spettri tanto lontano da Xanth,» osservò Grundy. «Potremmo spaventarlo per farci svelare il segreto!», esclamò Irene. «Stanotte!», decise Dor. «Prima di tutto, dobbiamo mangiare e riposare... e nasconderci dai soldati di Re Oary.» Non ebbero problemi nell'evitare i soldati. Alle truppe di Oary occorse del tempo per organizzarsi dopo la devastazione provocata da Fracassa durante la fuga, e solo allora, dopo la lunga discussione, notarono un certo fermento nel castello. Irene fece crescere delle piante rampicanti, irte di spine; nella loro condizione naturale avrebbero costituito un fastidio, ma in quel caso erano una minaccia. Quando la magia si allontanava, i rampicanti morivano, perché erano cresciuti al di là dei loro limiti naturali, ma il groviglio di spine restava una barriera che incuteva terrore. Questo, unito alla consapevolezza
dei Mundani che l'orco era in agguato nella foreste, fece rimanere le guardie nei pressi del castello, anche quando furono pronte ad uscire. Non avevano alcun desiderio di incontrare la creatura che aveva aperto tutte quelle brecce nelle mura massicce della fortezza. La notte, dopo aver riposato, il gruppo di Dor si mise in azione. Grundy aveva perlustrato il castello, perciò sapevano in quale torre si trovava l'appartamento reale. Re Oary era sposato, ma dormiva da solo; la moglie non lo sopportava. Mangiava bene e consumava molte bevande alcoliche, e questo gli facilitava il sonno. Avevano costruito una piattaforma che Fracassa trasportò fino alla base della parete esterna più vicina alla torre reale, che si trovava dal lato della foresta. Arnoldo sali quindi sulla piattaforma e portò il suo sentiero magico nel raggio del Re. Irene era andata in cerca di semi mundani, e ne aveva messo insieme una piccola collezione. Piantò così numerosi rampicanti che, sotto l'effetto della magia, assunsero proprietà magiche. Si arrampicarono vigorosamente sulla parete e sulla piattaforma, ancorando i loro viticci a qualsiasi sostanza solida trovassero. In questa maniera, ancorarono al terreno e resero stabile la piattaforma. Arnoldo fu costretto a muovere di continuo le gambe per evitare i viticci che gli si attorcigliavano ai piedi, finché la crescita non superò quel livello. Le piante salirono fino alla strombatura che segnava l'appartamento del Re, poi si fermarono. Il sentiero magico si estendeva più in larghezza che in altezza. Grundy si servì dei robusti rampicanti per salire fino alla strombatura. Si arrampicò, trovò un angolino riparato, e disse a bassa voce: «Vedo un po' l'interno, ma ho paura di avvicinarmi abbastanza da vedere tutta la stanza.» «Parla con la pianta,» disse Irene, con il suo tono non-fare-lo-stupido. Non lo usava più con Dor, in silenzioso riconoscimento del cambiamento della loro situazione, ma ovviamente aveva conservato quell'abilità. «Va bene, sì,» convenne il golem. «C'è un ramo che arriva fino alla finestra.» Quindi parlò con la pianta. «Dice che Oary non è solo. C'è una fraschetta nel suo letto.» «C'era da aspettarselo,» grugnì Irene. «Gli uomini di quel genere farebbero qualsiasi cosa.» A Dor venne in mente che poteva essere quella la ragione per cui l'interprete aveva insistito nel rivolgersi a Irene con appellativi quali «sgualdrina» e «prostituta». Era quello il tipo di dorma a cui Re Oary si accompagnava di solito. Ma Dor decise di non farne cenno a Irene; aveva già abba-
stanza buoni motivi per odiare Oary. Dor si arrampicò lungo la pianta e trovò una nicchia nel muro, al di sotto della strombatura. «Descrivi la stanza,» mormorò a Grundy. «Devo sapere esattamente che cosa c'è all'interno e dov'è.» Il golem si consultò con la pianta. «C'è un grande letto di piume sulla destra, a due dei tuoi passi da questo muro. Di fronte alla strombatura, a sei passi, si trova una panca di legno, su cui sono poggiati i vestiti della donna. Alla sua sinistra c'è un tavolo di legno, a un passo, su cui si trova la tua spada, insieme alla borsa degli incantesimi di Arnoldo. «Ah!», esclamò Dor, sottovoce. «Ho bisogno della spada. Peccato che non sia di quelle che si brandiscono da sole, altrimenti potrei farla venire qui.» Il golem continuò a descrivere la stanza, finché Dor non fu convinto di aver fissati nella mente tutti i particolari. Riusciva ad immaginarla, adesso. «Spero che non mi si svuoti la mente,» disse, rivolto verso il basso. «Non ci provare!», ribatté Irene. «Risparmiati la confusione mentale per un altro momento. Devo salire lassù per suggerirti che cosa dire?» «Potrebbe essere utile,» confessò Dor. «Vedi, non sono capace di far dire agli inanimati delle parole specifiche. Si limitano a rispondere alle domande o a parlare in risposta alle mie parole. E gli oggetti non sono molto brillanti, anzi a volte sono addirittura maligni. Quindi posso veramente confondermi.» «Per pietà!» Irene si afferrò ai rampicanti e cominciò a salire. «E non guardarmi sotto la gonna!», disse ad Arnoldo. «Non ci avrei mai pensato,» disse il centauro imperturbabile. «Preferisco arti equini, e non vedo nulla di bello in un paio di mutandine rosa.» «Non sono rosa!», disse la ragazza. «No? Devo essere daltonico. Fammi vedere...» «Lascia perdere!» Irene raggiunse Dor, gli diede un rapido bacio, si strinse la gonna intorno alle gambe, e si preparò ad una lunga permanenza. Dor aveva temuto che i rampicanti cedessero, con tutto quel peso, ma comprese che Irene sapeva meglio di lui quanta resistenza avessero. «Su, comincia!», sussurrò la ragazza. «Ma se parlo in maniera tale che gli inanimati mi sentano, mi sentirà anche Re Oary.» Irene sospirò «A volte sei un po' duro di comprendonio, caro. Non devi parlare a voce alta con gli oggetti, devi solo concentrare la tua attenzione su di loro. È così che funziona la tua magia. Per quanto riguarda Re Oary...
se quella ragazzina conosce il suo mestiere, il Re non presterà alcuna attenzione a quello che succede all'esterno del castello.» Aveva ragione. Dor si concentrò, ma non riusciva ancora a farcela. Era abituato a parlare a voce alta con gli inanimati. «È vero che non sono rosa?», chiese, a sproposito. «Che cosa?» «Le tue... come-si-chiamano.» La ragazza scoppiò a ridere. «Le mie mutandine? Vuoi dire che non le hai mai viste?» Dor, imbarazzato, ammise di non averlo mai fatto. «Adesso ne hai il diritto, lo sai.» «Ma non lo avevo, quando ho avuto l'occasione di vederle.» Irene staccò un mano dal rampicante e l'allungò a pizzicargli la faccia, quasi con lo stesso gesto della Gorgone. «Sei un tipo speciale e raro, Dor. Beh, esegui bene questo lavoro, e io te le farò vedere.» «A che punto sei?», domandò Grundy dall'alto. «Me le farà vedere quando avrò finito questo lavoro,» disse Dor. «Ma io mi riferivo al lavoro!» ribatté il golem. «Te lo dico io di che colore sono le sue...» «Stringerò il tuo corpo di stracci in un piccolo nodo!», lo minacciò Irene, ed allora il golem tacque. Spronato da Irene, Dor si concentrò sulla Spada Magica che si trovava sul tavolo del Re. Gemi, le ordinò mentalmente. Obbediente, la spada gemette. Naturalmente, gigioneggiò. «Geeeeeemiii!», cantilenò con voce orrenda. «La fraschetta si è alzata a sedere,» riferì Grundy con gioia, mentre il rampicante gli riferiva le novità con qualche fruscio. «Oh, non avrebbe dovuto farlo. È assolutamente, completamente, nuda!» «Tralascia la pornografia, piccolo voyeur!», ribatté Irene. «È il Re che vogliamo svegliare.» Spronò Dor: «Conosci il copione che abbiamo preparato. "Liberami, liberami"» Dor si concentrò di nuovo. Spada, ho un gioco per te. Se farai bene la tua parte, al cattivo Re Oary cadranno i pantaloni per lo spavento. «Meraviglioso!», esclamò la spada. «Ma se li è già tolti. Gente, è proprio grasso!» No. Non parlarmi! Parla al Re. Gemi di nuovo e di': «Liberami, liberami!» Dovresti fare la parte del fantasma del Buon Re Presagio, che è tornato per perseguitarlo. Sei in grado di farlo, o sei troppo stupida?
«Te lo dimostrerò!», esclamò la spada. Gemette di nuovo, con grande enfasi. Era decisamente un gigione. «C'è qualcuno qui dentro!», esclamò la ragazzotta. «Non è possibile,» mormorò il Re. «Le guardie impediscono a chiunque di entrare. Sanno che non voglio essere disturbato quando sono impegnato in affari di stato.» «Affari di stato!», sibilò Irene, infuriata. «Affari, ad ogni modo,» disse Dor, cercando di calmarla. «Liberami, liberami,» gemette la spada con entusiasmo. «Allora chi è che parla?», domandò la ragazzotta, nascondendosi sotto il piumone. «Sooono il fantaaasmaa del Buon Re Presagio,» rispose la spada. Dor non aveva più bisogno di suggerire. La ragazzotta emise uno strillo soffocato e scomparve completamente sotto il piumone, come riferì Grundy con gioia. Il Re si avvolse nel piumone, scoprendo parte del corpo della ragazza, con sua grande disperazione. «Non puoi essere tu!», ribatté Oary con voce tremante, cercando di vedere da dove venisse la voce. La solitaria candela che illuminava la stanza creava numerose ombre vacillanti, riferì la pianta, rendendo difficile l'ispezione del Re. «Sono uscito dalla tooomba per peeerseguitarti!», continuò la spada, che era ormai entrata perfettamente nella parte. «Impossibile!» Ma il Re sembrava nervoso, riferì Grundy. «È un tipo coriaceo,» mormorò Irene. «Dovrebbe essere terrorizzato, e invece è solo preoccupato. Stiamo spaventando solo la ragazza, che non era la nostra vittima designata. A volte le ragazze sono talmente stupide!» Poi rifletté. «Quando vogliono esserlo.» Dor annuì, preoccupato anche lui. Se quello stratagemma non funzionava... «Tuuu mi hai ucciso,» disse la spada. «No!» gridò Oary. «Ti ho solo imprigionato, in attesa di decidere che cosa farne di te. Non ti ho ucciso.» Ricomparve la faccia della ragazzotta. «Hai imprigionato il Buon Re Presagio?», domandò sorpresa. «Dovevo farlo, altrimenti non sarei potuto salire sul trono,» disse il Re distrattamente. «Pensavo che avrebbe commesso degli errori nel governare il paese, e invece non ne ha commessi, così non c'era nessun modo di de-
tronizzarlo legalmente.» Mentre parlava, issò il busto porcino dal letto, si avvolse intorno il piumone e si avvicinò furtivamente alla voce che aveva udito. «Ma non l'ho ucciso. Sono troppo prudente per fare una cosa del genere. È troppo difficile porre riparo ad un omicidio, se qualcosa va male. Perciò questo non può essere il suo fantasma.» «Allora di chi è il fantasma?», domandò la fraschetta. «Non è il fantasma di nessuno,» disse il Re. «Non c'è nessuno qui.» Sollevò la spada. «Solo la spada che ho tolto al Principe di Xanth. Pensavo che fosse magica, ma non lo è. L'ho provata, e non ha nulla di notevole, tranne una lama ben affilata.» «Non è vero!», gridò la spada. «Toglimi le mani di dosso, furfante!» Il Re, persa infine la calma, la lanciò dalla finestra. «Quella spada parla!», gridò. «Beh, almeno ho trovato il modo di recuperare la mia spada,» mormorò Dor. «Tenta con la mia borsa dei semi,» suggerì Irene. «Posso fare molte cose con delle piante veramente magiche.» Grundy aveva scorto la borsa dei semi, gettata senza cura in un angolo. Senza dubbio, il Re Oary era rimasto deluso quando aveva scoperto che la borsa non conteneva tesori, sebbene avrebbe dovuto essere contento dell'oro e dei diamanti di Dor. L'avidità non ha limiti! «Non ti libererai di me in questo modo,» disse la borsa dei semi, dietro suggerimento di Dor. «Il mio fantasma ti perseguiterà per sempre.» «Te l'ho già detto, non ti ho ucciso!» disse Oary, cercando la fonte della nuova voce, che aveva un tono depresso. «Stai inventando tutto.» «Beh, potrei anche essere morto,» disse la borsa dei semi. «Chiuso quassù, da solo... è orribile.» «Che cosa vuoi dire, quando dici da solo?», domandò Oary. «Il Re di Xanth è nella cella accanto, e la Regina di Xanth dalla lingua tagliente in quella successiva. Volevano sapere che cosa ti fosse accaduto, e non hanno voluto trattare con me: così adesso lo sanno.» La mano libera di Irene strinse una spalla di Dor. «Sono vivi!», sussurrò, eccitata. Dor era altrettanto soddisfatto. Gli oggetti parlanti avevano a malapena spaventato Oary, ciononostante avevano provocato la sua confessione. Dor continuò a concentrarsi. Ma non siamo in nessun posto, suggerì col pensiero alla borsa. «Ma non siamo in nessun posto,» ripeté obbediente la borsa. Dor miglio-
rava sempre più. Non aveva mai usato il suo talento in quel modo: era un aspetto nuovo. «In nessun posto?» Il Re piombò sulla borsa e la scosse. «Sei nelle prigioni di Ocna! Il secondo castello del Reame! In buona compagnia! Io stesso sarei orgoglioso di stare in quelle prigioni! Fuori, ingrata!» E la lanciò dalla finestra. «Che cosa?», domandò la fraschetta. Evidentemente aveva sentito solo le ultime parole. «Fuori, ingrata,» ripeté servizievole il tavolo. «Ha detto così.» «Mai mi è successa una cosa del genere in tutta la mia vita!», disse la ragazzotta, rossa per lo sdegno. «Non dirlo proprio a me che non ti è mai successo!», disse il piumone che lei si stringeva addosso. «Ero qui quando tu...» La ragazza schiaffeggiò il piumone, facendolo tacere, poi se lo avvolse intorno al corpo e fuggì dalla stanza. «Aiuto!», gridò il piumone. «Mi ha rapito un mostro!» Poi si trovò al di fuori della zona magica e non disse più niente. «Guardie!», rimbombò la voce del Re. «Perquisite l'edificio! Se vedete qualcosa di strano, venite a fare rapporto!» Si sentì uno strillo provenire dall'ingresso, e il rumore di uno schiaffo. «Ha detto l'edificio, non le ragazze!», gridò la voce della fraschetta. Si sentì una risata gutturale. «Ma abbiamo qualcosa di notevole da riferire.» «L'ha già vista!», replicò lei. Poi si sentirono i suoi passi allontanarsi. Le guardie irruppero nella stanza. Si accertarono rapidamente che nessuno oltre al Re si trovasse nella torre. Poi scrutarono la cima del rampicante che era cresciuto fino alla strombatura. Lo osservarono con attenzione, mentre Dor e Irene scendevano lungo il muro. Grundy saltò e cadde sulla groppa del centauro. «Battiamocela!», gridò. Arnoldo, a sua volta, si slanciò dalla piattaforma, atterrò con un pesante tonfo sullo scuro terreno e partì al galoppo. La piattaforma fu urtata con violenza dalla spinta posteriore dei suoi zoccoli, cosicché i rampicanti che la sostenevano furono strappati dal muro. All'improvviso, Irene precipitò, dal momento che il suo sostegno non c'era più, mentre Dor restava sospeso al ramo ma cominciava a perdere la presa. Fracassa l'Orco era di sotto. Afferrò Irene per aria e la fece roteare per attutire l'impatto della caduta. La gonna le si alzò fino alla vita... e Dor riuscì a vedere le sue mutandine. Erano verdi. Poi Fracassa la depositò con
delicatezza a terra, mentre Dor scivolava il più velocemente possibile, sentendosi venir meno per il sollievo. «Sono felice che tu sia qui!», ansimò Dor. «Io sono contento che il centauro non sia del tutto scomparso,» disse Fracassa. «Ormai la zona magica è lontana.» Il che significava che la forza magica dell'orco se n'era andata. Irene era caduta in quei pochi secondi in cui restava ancora l'influsso della parte posteriore del sentiero. Il fatto che Fracassa non parlasse più in rima significava che erano circondati dall'atmosfera mundana. «C'è qualcuno laggiù!», gridò Re Oary dalla strombatura. «Seguitelo!» Ma le guardie non avevano luce sufficiente allo scopo, e sembravano riluttanti a seguire un nemico magico alla luce della luna. «La tua spada,» disse Fracassa, infilando l'elsa nella mano di Dor. «Ed ecco i tuoi semi,» disse a Irene, porgendole la borsa che aveva recuperato. «Tante grazie, Fracassa,» disse la ragazza. «Adesso andiamocene via di qui.» Ma quando si avviarono, un piccolo cancello si aprì nel muro del castello e ne uscirono alcuni soldati con delle torce in mano. «Oary deve aver capito che è stata la nostra magia,» disse Dor mentre fuggivano. Ben presto si imbatterono nel centauro, che si era fermato non appena aveva compreso che cosa fosse accaduto. Dor non si sentì diverso quando rientrarono nel sentiero magico, ma l'affanno di Fracassa si attenuò: la forza gli era tornata. Rapidamente, Dor riassunse la loro situazione. «Siamo insieme, abbiamo i nostri oggetti magici, tranne gli incantesimi di Arnoldo, e sappiamo che Re Trent, la Regina Iris e il Re Presagio, sono vivi e prigionieri nel Castello di Ocna. I soldati di Oary sono al nostro inseguimento. Sarebbe meglio che ci affrettassimo a liberare qui tre, prima che i soldati ci catturino. Ma non conosciamo la strada.» «Tutte le piante e le pietre devono sapere la strada per Ocna,» disse Grundy. «Possiamo chiedere.» Le guardie si erano sparpagliate per la foresta e la stavano rastrellando. Nonostante tutte le mancanze di Re Oary, egli sapeva farsi obbedire quando lo voleva veramente. Il gruppo di Dor fu costretto ad arretrare davanti alle guardie. Ma c'erano due problemi: quella zona della foresta era piccola, quindi non potevano restare nascosti a lungo; e venivano sospinti nella direzione sbagliata. Scoprirono infatti che Ocna si trovava a mezza giornata di cammino in direzione nord-ovest da Onesta, mentre la foresta era
situata a sud-est. Si stavano avvicinando al paese in cui abitavano i contadini che lavoravano per il Re. Quel paese, nel corso dei secoli, sarebbe diventato la città di Onesta, il cui nome sulla carta geografica aveva fatto loro scoprire dove si trovasse Re Trent. Non dovevano interferire! «Dobbiamo prendere un sentiero,» disse Irene. «Non ce la faremo mai ad arrivare ad Ocna stasera, se ci sposteremo obliquamente. Ma i soldati pattugliano sicuramente tutti i sentieri.» «Forse potrebbe esserci utile qualche seme magico,» suggerì Grundy. «Forse,» convenne Irene, «un altro groviglio andrebbe bene... solo che non ce l'ho. Ho un seme di ciliegio...» «L'albero che fa crescere le bombe-ciliegia? Può andare bene!» «No!», disse Arnoldo. «Qual è il problema, coda di cavallo?», domando il golem con cattiveria. «Preferisci avere la groppa crivellata di frecce piuttosto che lanciare qualche ciliegia contro il nemico?» «Mettendo da parte le considerazioni etiche ed estetiche - secondo le quali, questo procedimento mi pare riprovevole - restano quelle pratiche,» disse il centauro. «In primo luogo, non vogliamo una battaglia; vogliamo eludere queste persone, se possibile, e lasciarli in un'infruttuosa ricerca, mentre noi proseguiamo, non visti, per Ocna. Se cominciamo a combattere, resteremo bloccati a lungo, finché la loro superiorità numerica non avrà la meglio su di noi.» «È vero,» convenne Dor. I centauri avevano una grande intelligenza. «In secondo luogo, dobbiamo continuare a camminare, se vogliamo raggiungere Ocna prima dell'alba. È una mezza giornata di marcia per viaggiatori esperti e pratici della strada, di giorno, mentre per noi, che viaggiamo con il buio, ci vorrà il doppio. Un ciliegio non cammina, ha le radici piantate nel terreno. E poiché è magico...» «Dovremmo restargli vicino,» finì per lui Irene. «Morirebbe nel momento in cui ci allontanassimo. Qualsiasi magia non ci servirebbe a nulla, lontano dalla zona magica.» «Comunque,» disse il centauro, qualche attimo dopo, «sarebbe possibile far crescere una pianta che li distraesse, anche se poi dovesse morire. Soprattutto, se morisse.» «Le bombe-ciliegia non funzionerebbero,» disse Grundy. «In Mundania non esistono. Non esploderebbero al di fuori del sentiero magico.» «Oh, non so,» disse Irene, sulla difensiva. «Una volta che sono mature e
pronte alla detonazione, a me pare che potrebbero esplodere ovunque. Sarei disposta a provare.» «Forse sì,» disse il centauro. «Comunque, pensavo alla felce della resurrezione, il cui influsso sopravviverebbe anche alla morte della pianta.» «Ne ho qualche seme,» disse Irene. «Ma non riesco a capire in che modo potrebbe fermare i soldati.» «I primitivi hanno la tendenza ad essere superstiziosi,» spiegò il centauro. «Soprattutto, mi pare di capire, i Mundani, che dichiarano di non credere ai fantasmi.» «Ma è ridicolo!», protestò Dor. «Solo uno stupido non crederebbe ai fantasmi. Alcuni dei miei migliori amici sono...» «Non sono sicuro che tutti i Mundani siano stupidi,» disse Arnoldo, con la sua solita prudenza. «Ma questi in particolare possono esserlo. Di conseguenza, se incontrassero una felce della resurrezione...» «Farebbe un certo effetto a persone che non la conoscono,» convenne Irene. «E sicuramente i Mundani non la conoscono,» disse Arnoldo. «Ammetto che è un'azione sleale, ma la nostra situazione è disperata.» «È sleale,» disse Dor. «Sei sicuro che il controincantesimo che abbiamo usato con la pomata abbia funzionato?» Il centauro sorrise. «Certo che ne sono sicuro! Noi non dobbiamo compiere un'azione simile, ma certamente possiamo, se decidiamo di farlo.» Irene frugò tra i semi. «Posso farla crescere, ma tu dovrai coordinarla. I suggerimenti sbagliati possono rovinarla.» «Tutti questi primitivi devono aver subito la perdita di qualche persona cara,» disse il centauro. «Avranno certamente bisogni repressi. Noi dobbiamo solo stabilire delle pseudo-identità.» «Non ho mai parlato con una felce della resurrezione,» si lamentò Grundy. «Che cos'ha di particolare? Che cosa c'entra la perdita di persone care?» «Troviamo un punto su una strada,» disse Arnoldo. «Vogliamo arrestare i Mundani, ma arrivare con facilità ad Ocna. Ci inseguiranno nuovamente, quando avranno capito l'inganno.» «Esatto,» convenne Irene. «Io avrò bisogno di un po' di tempo che per far sì che la felce includa tutti noi.» «Includa tutti noi in che cosa?», domandò il golem. «La felce della resurrezione ha la proprietà particolare di...», cominciò il centauro.
«Ho trovato il sentiero!», gridò Fracassa, ed indicò un punto. Gli orchi avevano una vista eccellente al buio. Avevano quasi certamente trovato un sentiero, un solco scavato dal calpestio dei contadini e dagli zoccoli dei cavalli. «Vai ad Ocna?», chiese Dor al sentiero. «No. Io indico solo la strada,» rispose. «Qual è la strada?» «È questa,» disse la parte di sentiero che si trovava in direzione ovest. «Ma avrete dei problemi a percorrere questa strada stanotte.» «Perché?» «Perché c'è qualcosa che non va in me. Mi sento intorpidito ovunque, tranne che in questo punto. Forse c'è stato un brutto temporale che mi ha spazzato via.» «Questo sentiero può avere coscienza di sé al di là della zona di magia?», chiese Irene a Dor. «Non ne sono sicuro, ma, visto che sa di andare ad Ocna, forse ha anche una certa coscienza di sé. Non sono abituato a trattare con inanimati che oscillano tra la magia e la non-magia. Non conosco tutte le regole.» «Credo che sia ragionevole supporre che il sentiero sia animato solo all'interno della zona magica,» disse Arnoldo. «In ogni caso, questo per noi può essere un posto buono come un altro per il nostro scopo. I soldati useranno sicuramente questo sentiero e circoleranno qui intorno. È meglio incontrarli in un modo scelto da noi piuttosto che rischiare un incontro casuale. Cominciamo i nostri preparativi.» «Bene,» disse Irene. «Adesso la felce crescerà al buio, ma ha bisogno di luce per attivare la sua magia. I soldati avranno delle torce, perciò tutto dovrebbe andare bene.» «Io ho la Pietra di Sole,» le ricordò Dor. «Può mettere in azione la felce, se è necessario. Altrimenti, possiamo abbattere qualche albero per far arrivare la luce della luna.» «Va bene,» convenne la ragazza. Quindi piantò molti semi. «Crescete.» «Ma che cosa fa?», chiese Grundy, in tono lamentoso. «Ebbene, entra in contatto con la psiche dello spettatore ignaro,» spiegò Arnoldo. «Chi riesce a comprenderne le proprietà, capisce ben presto l'inganno. Questo è il motivo per cui ritengo che risulterà più efficace con i Mundani che non con gli abitanti di Xanth. In questo modo, dovremmo riuscire a ingannarli e ad ostacolare l'inseguimento senza dover ricorrere alla violenza. Noi dobbiamo solo rispondere in maniera appropriata ai loro
approcci, senza tener conto delle nostre aspettative.» «Quali aspettative?», domandò il golem, frustrato. Dor disse. «Vedi, la felce della resurrezione crea l'illusione...» «Sono arrivati,» sussurrò in quel momento con voce tonante Fracassa. «I soldati!» Anche l'udito degli Orchi era eccellente. Attesero accanto alla felce che cresceva. Dopo qualche istante si videro tre soldati di Onesta, che tenevano in mano delle torce che scintillavano tra gli alberi e creavano ombre mostruose. Scrutavano ovunque, in cerca della loro preda. Poi i tre videro il gruppetto di Dor. I soldati si fermarono a guardare, all'interno del sentiero magico. «Nonno!», esclamò uno di loro, fissando Fracassa. L'orco sapeva che cosa fare. Ruggì e fece un gesto minaccioso con una delle sue manone. Il soldato fece cadere la torcia e scappò in preda al terrore. Uno dei soldati rimasti guardava Irene. «Sei viva!», sussurrò. «La febbre non ti ha uccisa, dopotutto!» Irene scosse tristemente il capo. «No, amico. Sono morta.» «Ma io ti vedo!», gridò l'uomo, dilaniato dal dubbio e dalla speranza. «Ti sento! Adesso possiamo sposarci...» «Io sono morta, amore,» disse Irene con cupa fermezza. «Sono tornata solo per dirti di non appoggiare l'usurpatore.» «Ma non ti sei mai interessata di politica,» disse il soldato, stupito. «Non ti è mai piaciuta nemmeno la mia professione...» «E non mi piace tuttora,» disse Irene. «Ma almeno prima lavoravi per il Buon Re Presagio. La morte mi ha dato il tempo di pensare. Adesso lavori per colui che lo ha tradito. Non avrò mai rispetto per te, nemmeno dalla tomba, se lavorerai per il cattivo Re che cerca di uccidere il Buon Re Presagio.» «Abbandonerò Oary!», gridò il soldato. «Non piace nemmeno a me. Pensavo che il Buon Re Presagio fosse morto!» «È vivo,» disse Irene. «È rinchiuso nei sotterranei del Castello di Ocna.» «Lo dirò a tutti! Ma torna da me!» «Non posso tornare, amore,» disse la ragazza. «Sono risorta solo per qualche attimo, solo per dirti perché non posso riposare in pace. Sono morta; ma Re Presagio è vivo. Aiuta chi è vivo.» Irene si nascose quindi dietro il centauro e scomparve alla vista del soldato. «Brava!» sussurrò, Arnoldo.
«Mi sento sporca,» mormorò lei. Il terzo uomo fissò lo sguardo su Grundy. «Figlio mio... sei tornato dai Khazari!», esclamò. «Sapevo che non ti avrebbero trattenuto a lungo!» Il golem aveva finalmente compreso la natura delle felce della resurrezione: resuscitava il ricordo delle persone più importanti nella vita di chi la guardava. «Solo il mio spirito è fuggito,» disse. «Dovevo avvertirti. Stanno arrivando i Khazari! Assedieranno Onesta, trucideranno gli uomini, violenteranno le donne e porteranno via tutti i bambini per farne degli schiavi, come hanno fatto con me. Avverti il Re! Radunate tutte le truppe nel castello! Barricate le strade di accesso! Non permettete che altre famiglie siano distrutte. Non rendete vano il mio sacrificio! Combattete fino allo stremo...» Dor richiamò il golem. «Non strafare,» mormorò. «I Mundani sono ignoranti, ma non necessariamente stupidi.» «Andiamocene,» sussurrò Irene. «Quest'illusione dovrebbe trattenerli solo momentaneamente.» Si allontanarono con prudenza. I due soldati restarono accanto alla felce; assorbiti dai loro pensieri. Prima di girare oltre una curva formata dal sentiero, Dor si voltò a guardare e vide un bel ragno gigante, della specie che saltellava invece di fare delle ragnatele. Le decorazioni sul suo corpo somigliavano ad un volto verdastro, ed aveva otto occhi di diversa grandezza. «Saltatore!», esclamò, poi si irrigidì. Saltatore era morto molti anni prima, in tarda età. Era stato il più intimo amico di Dor, quando i due avevano avuto le stesse dimensioni all'interno dell'arazzo di Castel Roogna, ma i loro mondi erano diversi. I discendenti del ragno erano ancora accanto all'arazzo, e Dor poteva parlare con loro, con l'aiuto di un interprete, ma non era la stessa cosa. Sembravano degli intrusi che avessero preso il posto del suo meraviglioso amico. In quel momento invece aveva davanti agli occhi Saltatore in carne ed ossa. Ma naturalmente era solo una illusione, non il suo vero amico. Quando Dor se ne ricordò, l'immagine si tramutò in un soldato. Quanto desiderò che fosse vero! Quella nuova separazione, anche se da un fantasma, fu dolorosa e profonda. «Allora la felce resuscita ricordi preziosi,» disse Grundy quando si furono allontanati. «La persona che guarda vede ciò che è profondamente impresso nella sua memoria. Dor non avrebbe dovuto cascarci.» «Oh, che cosa ne sai tu?», disse Irene, con asprezza. «È una cosa orribile
da fare a una persona, perfino ad un Mundano.» «Anche tu hai guardato?», chiese Dor. «Ho visto mio padre. So che non è morto, ma l'ho visto.» Le si spezzò la voce. «Che tormento sarebbe, se quella fosse l'unica visione possibile di mio padre.» «Presto lo troveremo,» disse Dor, in tono incoraggiante. Scoprì che anche quella caratteristica di Grundy gli piaceva: la sua umanità e la sua fedeltà al padre, che era sempre stata una figura importante anche nella vita di Dor. Lei lo illuminò con un sorriso di gratitudine che brillò alla luce della luna. Dor comprendeva il suo stato d'animo: la visione che aveva avuto dell'amico morto da tanto tempo aveva turbato anche le sue emozioni. Quanto peggio doveva essere stato per i Mundani, cui mancava la conoscenza di quell'illusione! Avevano veramente compiuto un'azione sleale; forse la violenza dell'orco e della spada sarebbero state più lievi. Ben presto, però, sentirono alle loro spalle i rumori dell'inseguimento. La felce della resurrezione era morta, o non funzionava più dopo che la zona magica l'aveva abbandonata. Non creava più visioni. Le storie dei tre soldati colpiti avrebbero generato allarme, ma ci sarebbero stati molti altri pronti ad obbedire all'ordine di catturare il gruppo di Dor. Uscirono dal sentiero e si nascosero nella macchia. I soldati passarono rapidamente oltre. Afferrarono un brandello del loro dialogo: «... stanno per arrivare i Khazari...» A quanto pare, l'informazione fornita dal golem era stata presa sul serio! «Penso che ci abbiano dimenticati,» disse Irene, quando tornarono sul sentiero. «Le resurrezioni hanno dato loro altre cose a cui pensare. Ormai non ci cercano più. Forse possiamo arrivare sani e salvi a Ocna.» «Abbiamo fatto un'ottima mossa, dal punto di vista strategico,» disse Dor. «Una mossa sleale forse, che non ripeterei, ma indubbiamente efficace.» «Prima dobbiamo oltrepassare il Castello di Onesta,» ricordò loro Arnoldo. Oltrepassarono Onesta seguendo il sentiero. La strada compiva un ampio giro intorno al castello, perché i contadini avevano i campi da coltivare, la legna da raccogliere e gli animali da cacciare al di là del castello, le cui immediate vicinanze erano loro proibite. Il sentiero curvava verso il basso, in direzione del ripido versante occidentale della montagna su cui sorgeva il castello, e proseguiva, tortuoso,
attraverso pascoli, foreste e pendii. Numerosi gruppi di soldati li superarono, ma Dor e gli altri li evitarono facilmente. A quanto pareva, avevano preso sul serio la minaccia dei Khazari. Oltre il castello, la strada diventò più ardua. Era una regione montuosa, e c'era un alto valico tra le due cime. Dor e gli altri non si erano ancora ripresi dalla faticosa salita verso Onesta di qualche giorno prima, e la loro rigidità muscolare si accentuò. Ma il sentiero assicurò loro che non esisteva un percorso migliore. Forse era una sua presunzione, ma non avevano nessuna alternativa a disposizione. Perciò salirono sempre più su finché, a mezzanotte circa, arrivarono al valico più alto. Era una stretta gola tra sporgenze rocciose. Era sorvegliata da un distaccamento scelto di soldati. Non potevano aggirare il valico, e sapevano che i soldati non li avrebbero lasciati passare senza reagire. «Che cosa facciamo adesso?», chiese Irene, troppo stanca anche per essere veramente irritata. «Forse potrei distrarli,» disse Dor. «Se ci riesco, voi dovete passare in fretta attraverso il valico.» Si avvicinarono il più possibile al valico, senza essere scoperti. Arnoldo si orientò in maniera tale che il sentiero magico si trovasse dove ne avevano bisogno. Poi Dor si concentrò e gli inanimati cominciarono a parlare. «Siete pronti, Khazari?», gridò un raggruppamento di rocce. «Siamo pronti!», risposero in coro numerose rocce sparse. «Avvicinatevi, prima di tirare le frecce,» ordinò il raggruppamento di rocce. «Dobbiamo prenderli tutti alla prima scarica.» «Che qualcuno resti a spingere il masso!», gridò la parte superiore del crepaccio. «Da qui la caduta è perfetta!» I soldati di Onesta, sulle prime inquieti, all'improvviso abbandonarono la gola, lanciando occhiate nervose verso le rocce a strapiombo. Sembrava impossibile che qualcuno avesse un masso lassù, ma la voce aveva un tono assai convincente. Quindi partirono all'attacco delle rocce, con le spade sguainate. «Andate!» gridò Dor. Arnoldo e Grundy si diressero rapidamente verso il valico. Fracassa e Irene esitarono. «Andate!», gridò ancora Dor. «Attraversate la gola prima che la magia finisca!» «E tu che cosa farai?», chiese Irene.
Dor si concentrò. «Ritiratevi, soldati!», gridò il raggruppamento di rocce. «Ci attaccano!» Si sentì un rumore di passi che si allontanavano dalle rocce. «Non me ne andrò senza di te!», disse Irene. «Devo distrarli finché non sarete passati tutti al di là del valico!», gridò Dor, esasperato. «Non puoi continuare dopo che...» In quel momento le voci tacquero. La zona magica si era allontanata. «Dopo che Arnoldo si sarà allontanato,» completò la frase Irene in tono malfermo. I soldati, confusi dalla scomparsa del nemico, stavano tornando. Tra qualche moménto avrebbero scorto i due, dato che la luce della luna era ancora troppo intensa per potersi nascondere all'aperto. «Ho fatto crescere un ananas mentre aspettavamo,» disse Irene. «Detesto usarlo contro le persone, anche se sono Mundani, ma ci ammazzeranno se...» «Come può funzionare un ananas magico al di fuori del sentiero magico?» domandò Dor, pur sapendo che in quel momento era una discussione stupida ma temendo che, se si fossero mossi, i soldati li avrebbero scorti. Irene sembrò contrariata. «Una volta tanto hai ragione! Se le ciliege-bomba non funzionano, non funzionerà nemmeno l'ananas!» Fracassa si staglio nella gola. «Correte!», grido. Ma i soldati si stavano avvicinando. Dor sapeva che non ce l'avrebbero mai fatta. Sguainò la spada. Senza la magia, era pesante e scomoda, ma era l'unica arma che avesse. Sarebbe stato sconfitto, naturalmente, ma sarebbe morto combattendo. Non era la fine che avrebbe scelto per sé, se avesse avuto un'alternativa ragionevole, ma era meglio che niente. «Corri da Fracassa,» disse. «Io li fermerò.» «Vieni anche tu!», insisté la ragazza. «Io ti amo!» «Adesso me lo dice!», mormorò Dor, mentre guardava i soldati avvicinarsi. Irene lanciò contro di loro l'ananas. «Forse li spaventerà,» disse. «Non è possibile. Non sanno che cosa...» L'ananas esplose, spruzzando del succo giallo ovunque. «È esploso!», esclamò Dor, stupito. «Venite!», chiamò Arnoldo, che era apparso sulle spalle dell'orco. Fu tutto chiaro: il centauro era tornato indietro, quando si era accorto che non
lo avevano seguito. Ed anche la magia era tornata, appena in tempo. Corsero verso la gola. I Mundani si strofinavano gli occhi, accecati dal succo di ananas. Non ci furono problemi. «Eravate così occupati a cercare di fare gli eroi che avete dimenticato il buon senso,» li rimproverò Arnoldo. «Dovevate limitarvi a seguirmi, mentre i Mundani erano voltati. Non si sarebbero mai accorti del vostro passaggio.» «Non ho mai avuto molto buon senso,» ammise Dor. «Questo è certo,» convenne Irene. «Quel succo non li fermerà per sempre. Dobbiamo allontanarci, e in fretta.» Lo fecero. La loro stanchezza venne sopraffatta dall'eccitazione. Da quel punto in poi, il sentiero era in discesa e facilitava alquanto il cammino. Ma, al buio e a quella velocità, era pericoloso, perché le rocce a picco e gli alberi oscuravano la luce della luna, e le curve e le discese ripide arrivavano inaspettate. Ben presto i soldati gettarono al loro inseguimento. Ma Dor usò il suo talento in modo che il sentiero lanciasse avvertimenti di pericolo, così i fuggitivi riuscirono ad avanzare più velocemente degli inseguitori. Anche la Pietra di Sole li aiutò: con la sua luce, le trappole erano discretamente visibili. Ma sapevano che non sarebbero potuti restare a lungo sul sentiero, perché i soldati lo conoscevano meglio ed avevano le torce. Li avrebbero presi certamente. Avrebbero dovuto lasciare il viottolo e nascondersi, ma forse non sarebbe stato sufficiente, questa volta. C'era troppo poco spazio per nascondersi, e i soldati sarebbero stati troppo attenti. In quel momento si profilò il disastro. «Il ponte è crollato!», li avvertì il sentiero. «Quale ponte?», chiese Dor, affannando. «Il ponte di legno che attraversava il crepaccio, stupido!» «Che cosa gli è accaduto?» «I soldati di Onesta lo hanno distrutto, quando hanno saputo che stavano per arrivare i Khazari.» Il gruppo di Dor si era rovinato con le proprie mani! «Possiamo attraversare il crepaccio in qualche altro modo?» «Guardate voi stessi! Eccolo.» Si fermarono. Lì, avvolta dall'oscurità e dalla nebbia, c'era una spaccatura nella montagna: una fessura che si estendeva nel fianco roccioso della montagna fino alla profonda vallata sottostante, velata dalla nebbia notturna. La luce della lune era vivida, come se fosse ansiosa di mostrare in pie-
no la gravità del pericolo. «Un centauro giovane e vigoroso potrebbe saltare questo crepaccio,» disse Arnoldo. «Ma per me è fuori discussione.» «Se avessimo la fune...», disse Irene. Ma naturalmente l'aveva Chet, ovunque fosse in quel momento. La scalata della montagna sembrava assolutamente impraticabile, ed era impossibile sapere che cosa ci fosse al di sotto della nebbia. Il ponte costituiva l'unico sistema pratico per passare dall'altra parte, e ne restavano solo alcuni frammenti. Quel crepaccio era diventata una temibile barriera naturale, certamente, una delle ragioni per cui i Khazari erano stati incapaci di conquistare quel minuscolo Regno. Qualsiasi ponte il nemico avesse costruito, avrebbe potuto essere immediatamente abbattuto o incendiato. Ma ormai le torce delle guardie si stavano avvicinando. Era l'altro aspetto di quella trappola. Bastavano pochi uomini a sorvegliare il valico e ad impedire la ritirata. Il viottolo era molto ripido in quel punto e offriva ben poco rifugio sia al di sopra sia al di sotto. Se non li avessero presi i soldati, ci avrebbe pensato la natura. «La pomata,» disse Irene. «Guardate la nebbia: dobbiamo usare la pomata!» «Ma la maledizione... abbiamo perso il controincantesimo!», protestò Dor. «Dovremo compiere una vigliaccheria!» «I soldati commetteranno una vigliaccheria contro di noi, se non ce ne andiamo in fretta da qui,» osservò Irene. Dor la guardò stagliarsi nella luce della luna. Indossava il suo giubbotto e, le sue belle braccia erano appoggiate alla parete rocciosa. Immaginò i soldati compiere una vigliaccheria su di lei, come avevano cominciato a fare nella prigione. «Useremo la pomata,» decise. Scesero faticosamente lungo il ripido pendio per arrivare al livello della nebbia. Furono costretti ad aggrapparsi ad alberi e cespugli per non scivolare involontariamente nel crepaccio. Dor cercò nella tasca il barattolo e trovò il centesimo che aveva ricevuto da Ichabod nella Mundania moderna. Se n'era dimenticato; doveva essere scivolato in una fessura della tasca. Naturalmente, non era di alcuna utilità in quel momento. Frugò ancora, e trovò il barattolo. Rapidamente si applicarono la pomata sui piedi. La scorta era quasi finita: forse era l'ultima volta che la potevano usare. Poi avanzarono con cautela sulla nebbia.
«State vicini ad Arnoldo,» ammonì Dor. «E in fila. Chiunque uscirà dal sentiero magico, cadrà nell'abisso.» In quel momento i soldati arrivarono al crepaccio. Si infuriarono, quando scoprirono che lì non c'era nessuna preda. Ma quasi immediatamente scorsero i fuggitivi. «Cnvm adknv!», gridò uno. «Sgdx'qd nm sgd bkntc.» Poi si girò di scatto a guardarli ancora una volta. Per qualche istante i soldati si fermarono a guardare. «Sgdx non possono farlo!», protestò uno di loro, nel momento in cui il retro del sentiero magico lo intersecò. Ma il loro capo trovò la soluzione. «Sono Maghi! Spie mandate dai Khazari. Uccideteli!» I soldati obbedirono automaticamente agli ordini e incoccarono le frecce negli archi. «Correte!», gridò Dor. «Ma state vicini ad Arnoldo!» «È meglio che io stia in retroguardia, per essere sicuri,» disse il centauro. «Voialtri, fate strada.» Era giusto. Il passaggio di magia si estendeva soprattutto davanti al centauro, e Arnoldo poteva orientare il proprio corpo in modo da tenerli tutti all'interno del passaggio. Dor, Irene e Fracassa si affrettarono avanti, mentre la prima scarica di frecce li raggiungeva. Grundy cavalcava il centauro; era il modo migliore per evitare che fosse calpestato. Attraversarono il crepaccio pieno di nebbia e arrivarono nella fitta foresta che si trovava dall'altra parte. «Aaaaah!», strillò Arnoldo. Dor si fermò a guardare indietro. Una freccia aveva colpito il centauro nella groppa. Arnoldo zoppicava, cercando di avanzare su tre zampe. Fracassa faceva strada. Si allungò per afferrare il ramo di un albero che si protendeva nella nebbia. Strappò il ramo dal tronco e lo lanciò in alto, aldilà del crepaccio, verso i soldati. La sua mira era buona, e i soldati urlarono e si gettarono a terra quando il pesante ramo atterrò su di loro: uno per poco non cadde nell'abisso. Allora Fracassa ritornò sulla nebbia. Si chinò, afferrò il centauro per una zampa anteriore e per una posteriore e lo sollevò all'altezza delle spalle. «Oh, accidenti!», esclamò Arnoldo, nonostante il dolore. Ma, sotto l'influsso della magia, non c'era nessuna forza che potesse eguagliare quella dell'orco. Fracassa portò Arnoldo sul pendio e lo posò con attenzione a terra, laddove la nebbia si diradava. Era un posto nascosto alla vista dei soldati: non ci sarebbero più state scariche di frecce. «Ma la freccia...», disse il centauro coraggiosamente. «Dobbiamo estrar-
la!» Fracassa afferrò l'asta che sporgeva e diede uno strattone. Arnoldo strillò di nuovo, ma la freccia era stata tolta. Non era conficcata profondamente nella carne, altrimenti la punta si sarebbe spezzata. «Sì, era il modo migliore per estrarla,» disse il centauro, e svenne. Irene era già alle prese con un seme. Avevano perso il loro elisir di guarigione con la borsa degli incantesimi di Arnoldo, ma alcune piante avevano proprietà curative. La ragazza fece crescere una pianta-balsamo e ne spalmò il succo sulla ferita. «Non lo guarirà,» disse. «Calmerà solo il dolore e darà inizio alla cicatrizzazione. Però dovrebbe essere in grado di camminare.» Fracassa camminava nervosamente avanti e indietro. «Ferito da un soldato,» disse, «come Chet è stato.» Dor comprese la preoccupazione dell'orco. «Non siamo certi che le ferite mundane si infettino sempre come è successo a Chet. Probabilmente Chet è stato sfortunato. Inoltre, è stato morso da un drago alato, i cui denti forse iniettano veleno, mentre Arnoldo è stato colpito da una freccia. Credo che la situazione sia diversa.» Eppure il fatto che un secondo centauro fosse stato ferito era una coincidenza che preoccupava Dor. Forse faceva parte della maledizione della pomata? I centauri dovevano usare il doppio della pomata, poiché avevano quattro zampe, e forse questo li rendeva più sensibili alla maledizione. Dopo poco Arnoldo si svegliò e confermò che il dolore della ferita si era notevolmente placato. Era un sollievo, per almeno due ragioni. Cionondimeno, Dor decise che si sarebbero accampati lì per il resto della notte. La possibilità di giungere in segreto al Castello di Ocna non c'era più, e la guarigione del loro amico era più importante. Dopotutto, il talento magico del centauro era essenziale per la loro sopravvivenza in Mundania. Capitolo 12 Il sole di mezzanotte Nel pomeriggio, stanchi ma pieni di speranza, raggiunsero il Castello di Ocna. Era meno imponente del Castello di Onesta, ma pur sempre formidabile. Le mura esterne erano troppo alte per essere scalate. «Le posso buttar giù,» si offrì Fracassa, sicuro di sé. «No,» disse Dor. «Metterebbe in allarme l'intero castello ed un centinaio di frecce piomberebbe su di noi.» Lanciò uno sguardo ad Arnoldo che
sembrava star bene; non c'era alcuna infezione in vista. Ma non desideravano più alcuna freccia! «Aspetteremo che faccia notte ed agiremo con calma. Si aspettano un nostro attacco, ma non sanno di che cosa si tratti. Se portiamo il sentiero magico fino a Re Trent, egli saprà come usarlo.» «Ma non sappiamo in che punto del castello sia,» disse Irene con ansia. «Questo è compito mio,» disse Grundy. «Sgattaiolerò nel castello, lo perlustrerò e per il tramonto ve lo farò sapere. Porteremo a termine questa faccenda senza problemi.» Sembrava una buona idea. Gli altri si prepararono a mangiare e a riposare, mentre il golem si faceva strada all'interno del castello. Arnoldo, forse più indebolito dalla ferita di quanto mostrasse, si addormentò. Fracassa si addormentava sempre quando non aveva nulla da fare. Dor ed Irene erano svegli e di nuovo soli. A Dor venne in mente che portare il sentiero magico a portata di Re Trent non necessariamente poteva risolvere il problema. Re Trent poteva trasformare il carceriere in un lumacone, ma la cella sarebbe rimasta chiusa. La Regina Iris poteva far apparire un grifone, ma questo non avrebbe aperto le celle. Bisognava escogitare dell'altro. Riposavano distesi sul pendio, nascosti da una delle enormi querce avite, ed il mondo appariva decisamente tranquillo. «Pensi veramente che funzionerà?», chiese Irene preoccupata. «Quel che più temo è che possa accadere qualcosa di spaventoso.» Dor decise che non poteva darle ragione. «Siamo riusciti ad arrivare fin qui,» disse. «E questo non può non contar nulla.» «Non abbiamo avuto alcun presagio di successo...» Fece una pausa. «O ne abbiamo avuto? Presagio... Re Presagio... cosa ha a che fare con tutta la faccenda?» «Tutto è possibile con la magia. E noi abbiamo portato la magia in questo Regno.» Irene scosse il capo. «Oscillo avanti e indietro, tra speranze e dubbi. Tu invece continui ad andare avanti, senza soffrire mai i tormenti dell'incertezza. Formeremo una bella coppia.» Nessuna incertezza? Dor era pieno di incertezze! Ma, ancora una volta, non voleva mettere in dubbio quel po' di fiducia alla quale Irene tentava di tenersi stretta. «Dobbiamo aver successo. Altrimenti diventerò Re. Ed io non voglio che ciò avvenga.» Irene si voltò e si strinse a lui, spargendo foglie ed erba. Lo afferrò per le orecchie e lo baciò. «Mi adatterò, Dor.»
La guardò sbigottito. Era deliziosa tutta scarmigliata. Era sempre stata l'aggressore nella loro relazione, la prima nelle discussioni, ed ora la prima nell'idillio. Ma Dor voleva realmente che le cose andassero così? L'afferrò e la tirò a sé, baciandola selvaggiamente. In un primo momento Irene si irrigidì per la sorpresa; poi si lasciò andare. Ricambiò i suoi baci ed il suo abbraccio, dando inizio a qualcosa di molto speciale ed eccitante. Sarebbe stato facile continuare, ma un avvertimento risuonò nella mente di Dor. Nel corso delle sue svariate avventure aveva avuto modo di apprezzare il valore della tempestività, e quello non era certo il momento adatto a simili proposte. «Prima salviamo tuo padre,» le sussurrò all'orecchio. Bastò a fermarla immediatamente. «Sì, naturalmente. È stato carino da parte tua ricordarmelo.» Dor ebbe il sospetto di aver sbagliato mossa ma, come al solito, tutto quel che poteva fare era continuare su quel tono. «Ora dormiamo, in modo da essere pronti per stanotte.» «Come vuoi,» convenne Irene. Ma non lo lasciò andare. «Caro.» A Dor sembrò piacevole restare così abbracciati. Una ciocca dei verdi capelli di Irene gli cadde sul viso, portandogli il piacevole aroma della ragazza. Il suo respiro gli arrivava leggero. Sentì che non poteva desiderare un rapporto migliore. Irene stava aspettando qualcosa. Alla fine, Dor capì che cosa volesse. «Cara,» le disse. La ragazza annuì, e chiuse gli occhi. Sì, aveva imparato! Restò così disteso, e presto si addormentò. «Che intimità!», osservò Grundy. Dor e Irene si svegliarono con un sobbalzo congiunto. «Stavamo soltanto dormendo insieme,» disse la ragazza. «E lo ammetti anche!», esclamò il golem. «Ed allora? Lo sai che siamo fidanzati. Possiamo fare tutto quel che vogliamo insieme.» Dor capì che stava stuzzicando il golem, in modo che rimanesse fuori dai piedi. Che cosa importava quello che pensavano gli altri? Quel che c'era tra lui e la ragazza che amava era solo affar loro. «Lo dovrò dire a tuo padre,» disse Grundy, irritato. Improvvisamente, Dor si fermò a riflettere. Quella era la figlia del Re! «Glielo dirò io stessa, mucchietto di stringhe ed argilla!», sbottò Irene.
«Lo hai trovato?» «Probabilmente non vorrà parlare ad una ragazzaccia come te.» «Probabilmente farò crescere una grossa pianta carnivora e ti darò in pasto a lei,» rispose Irene. Questo turbò il golem. «Li ho trovati tutti e tre. In tre celle, come voi, ognuno in una cella. La regina Iris, Re Trent e Re Presagio.» Di colpo Irene si tirò su a sedere, staccandosi da Dor. «Stanno bene?» Grundy aggrottò le sopracciglia. «Gli uomini sì. Avevano già subito privazioni prima d'ora. La Regina invece non è felice della sua situazione.» «Come potrebbe?», convenne Irene. «Ma stanno bene fisicamente? Hanno patito la fame, o altro?» «Ecco, non ne hanno voluto parlare,» disse il golem. «Ma la Regina sembra aver perso peso. Ad ogni modo era abbastanza grassa, così non è stato un male, ma credo che non siano stati nutriti a sufficienza. «Ed ho visto una crosta di pane lasciata da lei. Era ammuffita. Era anche piena di mosche; dovevano esserci un sacco di vermi in giro.» Irene si irritò. «Non hanno il diritto di trattare la Famiglia Reale a quel modo!» «Ho raccolto qualcos'altro,» disse Grundy. «La guardia che li nutre... sembra mangi quel che vuole per primo, e dia loro gli avanzi. A volte ci sputa sopra, solo per aggravare la situazione. Devono mangiare ad ogni modo quella robaccia o morire di fame. Una volta ha perfino pisciato nella loro acqua, quando era sicuro di poter essere visto, per esser certo che sapessero che cosa bevevano. Non parla, mostra loro il suo disprezzo con le azioni.» «Ho sentito di questa tecnica,» disse Arnoldo. «È il processo della degradazione. Se riesci a distruggere l'orgoglio di una persona, puoi fare di lui quel che vuoi. L'orgoglio è la spina dorsale dello spirito. Probabilmente Re Oary tenta di far firmare a Re Presagio un documento di abdicazione, in caso ci fosse qualche dubbio sulla sua legittimità.» «Allora perché mantiene gli altri in vita?», chiese Dor, spaventato sia dal metodo che dal ragionamento. I Mundani avevano un brutto modo di far politica. «Ecco, abbiamo visto come agisce. Se lascia che i tre passino il loro tempo insieme e diventino amici, allora userà gli altri per far leva su Re Presagio. Ricordate che mi disse che stava torturando Irene per farmi parlare?» «Torturerà i miei genitori?», chiese Irene, angosciata.
«Non mi fa piacere formulare questa ipotesi, ma è probabile.» Irene rimase in silenzio, covando odio. Dor decise, a malincuore, di affrontare il problema di come liberare i prigionieri. «Speravo che Re Trent potesse usare la sua magia per scappare, ma sono certo che trasformare la gente non possa davvero servire ad aprire le serrature. Se riuscissimo a comprendere il modo...» «Elementare,» disse Arnoldo. «Il Re può trasformare la Regina in un topo. Lei corre fuori attraverso una fessura. Poi il Re la ritrasforma, e lei apre la cella dall'esterno. Se ci sono guardie, la può trasformare in un mostro mortale che le distrugga.» Era così semplice! Perché lui non lo aveva pensato prima? Irene cambiò improvvisamente, nel modo caratteristico del suo sesso, diventando all'istante pratica. «Chi dei tre è nella cella che dà sulle mura?» «La Regina.» Il golem corrugò la fronte. «Sapete, penso sia la sola che il sentiero magico possa raggiungere. Le mura sono molto spesse da quella parte.» «Così mio padre probabilmente non potrà trasformare nessuno,» disse Irene. Che problema! pensò Dor, tentando di trovare un suggerimento alternativo. «La Regina non ha alcun potere magico. Potrebbe liberarli per mezzo dell'illusione. Può far sì che alle guardie la cella appaia vuota, o che contenga prigionieri morti, in modo che aprano le porte. Poi potrebbe generare un mostro che li metta in fuga.» «C'è un problema,» disse Arnoldo. «Il sentiero, come sapete è stretto. L'illusione non può agire all'esterno. Per cui due celle sono oltre...» «Le illusioni della Regina hanno un campo molto limitato,» concluse Dor. «Dobbiamo avvertirla. Può organizzarsi, se ha il tempo per farlo.» «Mi metto in cammino,» disse Grundy. «Non so come potrebbe funzionare questo espediente senza il mio aiuto!» «Non possiamo fare a meno di nessuno di noi,» disse Dor. «Ne abbiamo già avuto la prova. Quando ci siamo separati, ci siamo trovati tutti nei guai.» Quando calò la notte, si mossero verso il castello, tentando di raggiungere il luogo più vicino alla cella della Regina, come descritto dal golem. Anche qui non c'era fossato, cosicché dovettero arrampicarsi su una specie di collina di pietre che conduceva alle mura. Dor considerò quanto dovessero essere spesse le mura, poste su una base così massiccia. Il Castello di Ocna era in stato di allarme, nel timore dell'invasione dei
Khazari; una quantità di torce splendevano sulle torrette e lungo le mura. Ma il gruppo di Dor non usò i percorsi normali e passò quindi inosservato. La gente che viveva nei castelli tendeva a restare isolata dagli avvenimenti esterni e a dimenticare l'importanza potenziale dell'ambiente circostante. A Dor venne in mente che questo accadeva anche nella terra di Xanth; solo alcuni dei suoi abitanti avevano nozioni su Mundania, o si curavano di apprenderne. Gli scambi commerciali tra i due regni, finora basati sulle irregolarità del caso, avrebbero dovuto essere intrapresi anche solo per facilitare una coscienza cosmopolita. Ovviamente Re Oary non era molto interessato al commercio, a danno del suo Regno: considerava i visitatori di Xanth una minaccia per il suo trono. E in realtà lo erano, visto che era un usurpatore. «Adesso non possiamo prevedere esattamente come funzionerà,» disse Dor, tirando le somme. «Spero che la Regina riuscirà a creare un'illusione che la farà liberare dalle guardie, per poi liberare gli altri.» «Penso che le piacerebbe sedurre una guardia,» disse Irene. «Prenderà l'aspetto della più affascinante fanciulla di tutta Mundania. Poi, quando la guardia si avvicinerà, lei si trasformerà in un drago e lo spaventerà a morte. Lo tratterà come si merita.» Dor ridacchiò. «Credo di sapere come funzioni.» Irene si voltò verso di lui fingendo di essere adirata. «Tu non hai ancora nemmeno cominciato a vedere come funziona!» Ma non riuscì a mantenere il broncio. Invece, lo baciò. «A quanto pare, la signora ti ha dato un bell'avvertimento,» osservò Arnoldo. «Non vedrai il drago finché non sarete sposati.» «Questo Dor lo sa,» disse Irene con soddisfazione. «Ma gli uomini non imparano mai. Ognuno pensa di essere diverso dagli altri.» Arnoldo si appoggiò al muro e si girò lentamente in modo che in sentiero magico attraversasse tutto il castello. «Grundy dovrà dirci se intercettiamo la Regina,» disse. «Io non sono in grado di percepire quando il passaggio entra in funzione.» «Se qualcosa andrà male,» disse Irene, «Fracassa dovrà entrare in azione, ed io farò crescere qualche pianta per creare confusione.» Attesero. Il centauro completò un giro del castello, senza che succedesse nulla. Ricominciò il giro, ma senza nessun risultato. «Comincio a temere che, dopotutto, siamo troppo lontani,» disse. Fracassa poggiò a terra una delle sue orecchie a forma di cavolfiore. «Nella cantina, è la Regina.»
«È giusto!», convenne Dor. «Sono nei sotterranei! Al di sotto del livello del terreno. Orienta il sentiero verso il basso.» Con difficoltà, Arnoldo piegò le zampe anteriori, mentre le posteriori restavano tese, ed inclinò il corpo verso il basso. Cominciò un altro giro. Era un posizione difficile per il centauro, sia per la scomodità sia per la ferita. Fracassa lo raggiunse per sollevarlo e dare al suo corpo un'angolazione diversa, rendendo il suo giro più agevole. «Ma se si trovassero in un posto troppo interno perché il sentiero possa raggiungerli...», mormorò Irene in tono teso. «Grundy ce lo farà sapere,» disse Dor, nel tentativo di prevenire una crisi isterica della ragazza. Sapeva che quello era il momento più difficile per lei, il momento in cui potevano o riuscire, o fallire nello stabilire il contatto. «È possibile che intercettiamo la Regina Iris e che poi passiamo oltre, ma il golem impiegherà solo un attimo per venite a dircelo.» «Potrebbe essere,» convenne Irene, lasciandosi andare tra le braccia di Dor. Il ragazzo si girò a baciarla e scoprì che le labbra di lei erano ansiose di incontrare le sue. Una volta che aveva dichiarato il suo amore, non lo nascondeva assolutamente. Dor si rese conto che, anche se la loro missione fosse fallita, anche se fossero periti in Mundania, per lui ne era valsa la pena, in quel senso. Aveva scoperto l'amore, ed era un universo le cui cime, tranelli e potenziali ricompense, erano più grandi di tutta Mundania. La baciò a lungo. «È così che ti comporti quando sei senza uno chaperon?», domandò con asprezza una voce femminile. Dor e Irene si interruppero con un sussulto. Accanto a loro c'era la Regina. «Madre!», gridò Irene, con sollievo e con imbarazzo. «È una vergogna abbracciarsi in pubblico!», continuò la Regina Iris, con la fronte corrugata. Era sempre stata la custode della morale altrui. «Sarà sottoposto all'attenzione di...» La Regina scomparve. Arnoldo si era girato il più possibile per guardare l'immagine della Regina e, di conseguenza, aveva allontanato il sentiero magico dalla cella di Iris, cosicché la magia si era interrotta. La Maga non poteva più proiettare la propria immagine. «Chiedo scusa,» disse il centauro, e si girò verso la cella. La Regina Iris ricomparve. Prima che potesse aprire bocca, Irene parlò. «E questo non è niente, Madre. Oggi pomeriggio Dor ed io abbiamo dormito insieme.»
«Sei una ragazza immorale!», esclamò Iris, atterrita. Dor si morse la lingua. Non gli era mai stata simpatica la Regina Iris e non avrebbe potuto immaginare un modo migliore per sgonfiarla. Il centauro tentò di rassicurarla. «Vostra Maestà, tutti abbiamo dormito. È...» «Anche tu?», domandò Iris, e il suo sguardo li raggelò. «E l'orco?» «Siamo un gruppo molto unito,» disse Irene. «Li amo tutti.» L'equivoco si stava spingendo tropo oltre. «Non avete capito bene,» disse Dor. «Noi abbiamo solo...» Irene gli pestò un piede per interromperlo. Voleva continuare a stuzzicare la madre. Ma la Regina Iris, che non era una stupida, aveva capito. «Hanno solo guardato sotto la tua gonna, naturalmente. Quante volte te lo devo dire? Non hai assolutamente il senso del...» «È ora di liberare il Re?», chiese Fracassa. «Il Re!», esclamò Iris. «A tutti i costi! Dovete entrare nel Castello e liberarci tutti.» «Ma il rumore...», protestò Dor. «Se mettiamo in allarme i soldati...» «Dimentichi il mio talento,» lo informò la Regina. «Posso dare al vostro gruppo l'illusione dell'assenza. Nessuno vi vedrà o vi sentirà, non importa che cosa farete.» Che soluzione semplice! L'illusione della Regina sarebbe stata più che sufficiente a liberarli tutti. «Sfonda il muro, Fracassa,» disse Dor. «Il Re Trent possiamo liberarlo noi!» Con un grugnito di gioia, l'orco avanzò verso il muro. Poi scomparve. Così fece anche il centauro. Dor si ritrovò ad abbracciare il nulla. Non sentiva né vedeva Irene, e non udiva nulla, ma avvertiva una resistenza laddove doveva trovarsi la ragazza. Diede uno spintone al nulla, per verificare. Qualcosa lo respinse. Era simile alla forza d'inerzia che si avverte girando un angolo di corsa, una forza senza alcuna origine apparente. Irene era lì, tutto bene! Quell'incantesimo era diverso da quello che aveva usato il centauro: rendeva le persone che ne erano sotto l'influsso, invisibili a tutti gli altri, non solo agli estranei. Dor sperava che non creasse problemi. Nel muro apparve una breccia. Pezzi di pietra caddero in silenzio. L'orco era al lavoro. Dor mantenne il braccio intorno al nulla che gli era al fianco, e si mosse. Per misurare l'estensione dell'illusione, mosse una mano. Alcune parti del nulla erano più elastiche di altre. Poi incespicò; una parte meno elastica gli aveva dato un altro spintone. Qualcosa lo aiutò a raddrizzarsi: evidente-
mente il nulla si era pentito. Dor strinse il nulla a sé per dare un bacio, ma avvertì una sensazione strana. Concluse di aver baciato la nuca di Irene. Afferrò un pezzo di nulla e diede uno strattone amichevole. Allora Irene apparve ridendo. «Oh, mi vendicherò!», disse, poi si accorse che la vedeva alla luce della luna. Si strinse il giubbotto intorno al busto - si era aperto durante il loro scontro invisibile - e spinse Dor in avanti. «Siamo usciti...» Quindi scomparve e non parlò più. Erano rientrati nel passaggio. Dor le strinse la mano invisibile e seguì gli altri nel buco che si era aperto nel muro. Per un attimo diventarono tutti visibili. Arnoldo era davanti e stava superando un ammasso di macerie. Fracassa aveva sfondato il livello inferiore, ma il passaggio non era agevole. Il centauro, accortosi che il sentiero si era allontanato dalla Regina, corresse rapidamente la propria direzione. Scomparvero nuovamente tutti. Apparve il personale del castello. Tutti guardavano a bocca aperta le macerie, incapaci di comprendere la causa di quel crollo. Una persona entrò nel passaggio... e scomparve. Questo destò altra agitazione. Fino a quel momento, i Mundani non avevano associato quella stranezza ad un'invasione. Il tunnel dell'orco progrediva rapidamente. Ben presto entrò nella cella della Regina, poi in quella di Re Trent, ed infine in quella di Re Presagio. A quel punto, ritornarono tutti visibili. I sotterranei erano illuminati da una luce, una gentilezza dell'illusione della Regina. Dor non sapeva dove l'illusione diventasse realtà, dal momento che la luce è sempre luce, comunque sia generata, ma aveva imparato a non preoccuparsi eccessivamente di simili questioni. Irene vacillò in avanti e si gettò tra le braccia di Re Trent. «Oh, papà!», gridò, piangendo di gioia. In quel momento Dor subì il più irragionevole dei suoi attacchi di gelosia. Dopotutto, perché Irene non avrebbe dovuto amare il padre? Si guardò intorno... e vide la Regina Iris guardare il marito e la figlia con un'emozione che sembrava identica a quella di Dor. Anche lei era gelosa... e incapace di esprimere la propria gelosia. Per la prima volta nella sua vita, Dor sentì simpatia per la Regina. Avevano in comune un sentimento da nascondere. Il Re mise Irene a terra e si guardò intorno. All'improvviso Dor si trovò a dover fare presentazioni e a dare spiegazioni. Si affrettò. «Uh, siamo venuti a liberarti, Re Trent. Questo è Arnoldo il Centauro: il sentiero ma-
gico è suo - questo è il suo talento - e questo è Fracassa l'Orco, e Irene...» Re Trent aveva un aspetto regale perfino quando era vestito di stracci. «Credo di conoscere l'ultima persona che hai nominato,» disse con grande serietà. «Uh, sì,» convenne Dor, confuso, cosciente della propria goffaggine. «Io... uh...» «Sai che cosa ho fatto padre?», chiese Irene a Trent, indicando Dor. «Non ha fatto niente!», esclamò Dor. Stuzzicare la Regina era una cosa, stuzzicare il Re era un'altra. «Ad ogni modo, Dor e io ci siamo...» Irene si interruppe quando vide il terzo prigioniero. Era un ragazzo di stupefacente bellezza che emanava un notevole fascino, sebbene anch'egli fosse vestito di stracci. «Re Presagio,» disse Re Trent, con la sua solita serietà. «Mia figlia Irene». Per la prima volta, Dor vide Irene in preda all'imbarazzo. Re Presagio avanzò a grandi passi, le afferrò la mano inerte e la portò alle labbra. «Incantato,» mormorò. Irene fece una risata sciocca. Dor avvertì un nuovo attacco di gelosia. Ovviamente, la ragazza, tanto innamorata di Dor fino a un attimo prima, era adesso affascinata dal bel Re mundano. Dopotutto, aveva quindici anni: la costanza non faceva parte della sua natura. Ma faceva male essere dimenticati così improvvisamente. Dor distolse lo sguardo... e incontrò quello della Regina. Ci fu un nuovo sprazzo di comprensione. «Adesso abbiamo dei compiti da portare a termine,» disse Re Trent. «Al mio amico Re Presagio deve essere restituito il trono. A questo fine, dobbiamo distinguere i sudditi leali da quelli sleali.» Dor costrinse la sua mente a concentrarsi su quel problema. «Com'è possibile che qualcuno in questo castello sia leale? Hanno tenuto prigioniero il loro Re nei sotterranei.» «No, affatto,» disse Re Presagio, con voce tonante. «Pochi sono al corrente della mia presenza. Siamo stati condotti qui ammanettati ed incappucciati, e l'unico che ci ha visti è un eunuco muto che è fedele a Oary l'Usurpatore. Senza dubbio, al personale del castello è stato detto che eravamo dei prigionieri di guerra Khazari.» «Allora solo il muto conosceva la vostra identità?», chiese Dor, ricordando la descrizione che Grundy aveva fatto delle attività di quell'uomo. Ma il golem a volte esagerava per impressionare. «Almeno vi ha portato
da mangiare.» «Da mangiare!», gridò la Regina. «Era lavatura di piatti! Irene, fai crescere un albero di crostate! Non facciamo un pasto decente da quando è cominciata questa faccenda.» Irene distolse a fatica gli occhi da Re Presagio il tempo necessario a scovare e far germogliare un seme. La pianta crebbe rapidamente. Mise le foglie all'illusoria luce del giorno e sviluppò grandi boccioli circolari che sbocciarono in crostate di frutta assortite. Re Presagio era stupefatto. «Questa è magia!», esclamò. «Che abilità!» Irene arrossì, compiaciuta. «È il mio talento. Tutti in Xanth fanno magie.» «Ma mi sembrava di aver capito che nessuna magia funzionasse qui nel mondo reale. Com'è possibile che adesso funzioni?» Evidentemente la presentazione che Dor aveva fatto di Arnoldo non era stata sufficiente per una persona completamente disabituata alla magia. «È il talento del centauro,» spiegò. «È un Mago completo. Porta la magia con sé in un sentiero intorno a lui. In questo sentiero tutti i talenti funzionano. È per questo che siamo potuti arrivare fin qui.» Re Presagio si girò verso Re Trent, mentre tutti erano occupati a mangiare le crostate. «Chiedo scusa, Re Trent, per aver dubitato delle vostre abilità. Non ho mai creduto nella magia, nonostante le molte credenze tradizionali dei nostri superstiziosi contadini. Adesso ne ho la prova. La vostra bella moglie e la vostra bella figlia hanno dei talenti meravigliosi.» Irene arrossì di nuovo, eccessivamente eccitata. «Re Presagio è un giovane veramente bello,» osservò la Regina Iris, senza rivolgersi a nessuno in particolare. Dor si sentì gelare. Il favore della Regina non si conquistava facilmente: aveva un concetto estremamente rigido ed egoistico di proprietà, che si concentrava soprattutto sulla figlia. Evidentemente la Regina Iris doveva aver concluso che Re Presagio era un compagno adatto a Irene. Naturalmente, il giudizio finale spettava a Re Trent: se avesse deciso per Re Presagio, Dor era perduto. Ma Re Trent aveva sempre sostenuto Dor fino a quel momento. All'improvviso un omone grasso apparve davanti a loro. Gli occhi gli si spalancarono per lo stupore quando nella prigione scorse i visitatori e l'albero di crostate. Poi sguainò la spada. Partì all'attacco di Re Presagio. Irene gridò quando l'uomo passò accanto a suo padre. Poi il Mundano si trasformò in un rospo color porpora, mentre la spada cadeva rumorosa-
mente a terra. Re Trent l'aveva trasformato. «Chi era?», chiese Dor, che si era a stento ripreso dalla sorpresa. ««L'eunuco muto,» disse Re Presagio, raccogliendo la spada caduta. «Non gli vogliamo bene.» Osservò attentamente il rospo. Era coperto di bitorzoli verdi. «Sì, la vostra magia è impressionante! Resterà così?» «Finché non lo trasformerò di nuovo,» disse Re Trent. «O finché non uscirà dalla zona magica. In tal caso, ritengo che tornerebbe lentamente al proprio stato normale. Ma il processo potrebbe impiegare mesi e sarebbe sgradevole e scomodo: potrebbe succedere che qualcuno lo prenda per un mostro e lo ammazzi prima che la trasformazione sia completa.» «Una giusta punizione,» disse Re Presagio. «Che cominci subito.» Spinse il rospo fuori dal sentiero magico punzecchiandolo con la punta della spada. «Adesso analizziamo le nostre prospettive,» disse Re Trent. «Abbiamo fatto un significativo progresso, riavendo la nostra magia. Ma ben presto l'usurpatore raccoglierà un suo esercito, composto in gran parte di Avari mercenari, ci assedierà, e noi non abbiamo nessuna magia in grado di fermare un nugolo di frecce. Siamo certi che la plebe si stringerà con gioia intorno a Re Presagio, una volta che avrà capito che è vivo, ma la maggior parte del popolo si trova al di fuori dei castelli, e noi corriamo il pericolo di essere sconfitti prima che la notizia si diffonda. Dobbiamo pianificare con attenzione la nostra strategia.» «Devo avvertirvi che la magia originata da me si limita ad una zona molto ristretta,» disse Arnoldo. «Arriva a quindici passi davanti a me, e a sette, otto passi alle mie spalle, ma su entrambi i lati arriva solo a due passi. Di conseguenza, l'illusione della Regina sarà limitata a questo sentiero, e qualsiasi persona che si trovi all'esterno ne sarà immune.» «Ma si può fare molto all'interno del sentiero,» disse Dor. «Quando Irene ed io ci siamo trovati al di fuori del passaggio, siamo ricomparsi, ma gli altri sono rimasti invisibili per noi. Non eravamo immuni all'illusione, nelle vicinanze del passaggio. Di conseguenza, la Regina ci può rendere invisibili ai Mundani. È un vantaggio considerevole.» «È vero,» convenne il centauro. «Ma adesso che sanno della nostra magia, non possiamo impedire loro di tirare le frecce nel sentiero in una quantità tale da distruggerci. Ho già avuto un'esperienza di questa tattica.» Si strofinò il fianco con veemenza. La guarigione progrediva, ma Arnoldo camminava ancora con una certa rigidità. «Dobbiamo ripararci, naturalmente,» fu d'accordo il Re. «Le macerie del
muro saranno sufficienti a proteggerci dalle frecce. Ma non possiamo permetterci di restare confinati qui. Il problema sarà distruggere le truppe del nemico.» «Potremmo attirarli qui con l'inganno e tendere loro un agguato,» suggerì Re Presagio. «Adesso abbiamo due spade, ed io sono rimasto impressionato dalla forza dell'orco.» «Niente di buono!», disse Grundy. Era ricomparso durante il loro banchetto a base di crostate ed era occupato a mangiarne una piccola. «Il comandante Avaro è un uomo esperto e duro, un figlio di avvoltoio, che sa che avete talenti magici. Sta riscaldando un calderone di olio. Tra poco lo verserà lungo i gradini della prigione. Chiunque vi si nasconda, con o senza talenti magici, friggerà nell'olio.» «È impossibile riempire tutto quest'ambiente di olio,» disse la Regina Iris. «Sgocciolerà fuori.» «Ma prima coprirà tutto il pavimento,» disse Grundy. «Vi ritroverete tutti sui carboni ardenti.» Dor si guardò nervosamente i sandali. Non gli piaceva l'idea di sguazzare in una pozzanghera di olio bollente. Trent rifletté. «E un'imboscata ci aspetta all'esterno della prigione?» «Certo!», convenne Grundy. «Non penserete davvero che vi abbiano lasciati qui ad ingozzarvi di crostate solo perché vi vogliono bene?» «Trasformaci tutti in uccelli, padre,» suggerì Irene. «Voleremo via prima che se ne accorgano.» «Ci sono due problemi, figlia,» disse Re Trent. «Avrete dei problemi quando volerete al di fuori del sentiero magico. Non sono sicuro di che cosa succederà, ma temo niente di buono, dal momento che non riuscirete a ritrasformarvi, ma la magia sarà scomparsa. Inoltre, io non posso trasformare me stesso.» «Oh... me ne ero dimenticata.» Era mortificata, visto che la liberazione del padre era stata il suo unico scopo. «Dobbiamo condurvi in salvo fuori da questo posto, Signore,» disse Dor. «La Terra di Xanth ha bisogno di voi.» «Ho sempre intenzione di tornare,» disse Re Trent con un sorriso. «In questo momento, sono solo un meccanismo pensante. Posso occuparmi degli Avari, a condizione di avvicinarmi sufficientemente a loro con il mio potere magico intatto. Questo significa che devo restare con il Mago Arnoldo.» «E con me,» disse la Regina Iris. «Per renderti invisibile. E con l'orco,
per aprire le porte.» «E con me,» disse Irene. «Voglio che tu resti al sicuro,» disse suo padre. Si sentì un gorgoglio. «L'olio!», gridò Grundy. «Dobbiamo muoverci!» Fracassa entrò in azione e cominciò ad aprire un nuovo tunnel. Diventarono invisibili. Ma Dor ricordava esattamente dove si trovasse ciascuno: Re Trent, Arnoldo e la Regina, erano vicini all'orco, pronti a seguirlo attraverso il nuovo varco per evitare l'olio bollente. Ma Irene e il golem erano dall'altra parte della camera. L'olio scorreva già tra loro e l'orco. Sarebbero rimasti in trappola e, quando il centauro se ne fosse andato, sarebbero diventati visibili e vulnerabili, anche se fossero riusciti ad evitare l'olio. Dor corse a raccogliere un pezzo di muro e lo lanciò nella pozza d'olio. Poi afferrò degli altri detriti e li lanciò per formare una diga. Ma non era sufficiente, non era certo che Irene ce l'avrebbe fatta. Poi i detriti cominciarono ad ammassarsi più velocemente di quanto Dor li lanciasse. Qualcun altro lo stava aiutando. Dor non sapeva chi fosse, né poteva comunicare direttamente: continuò soltanto a gettare pietre per arginare l'olio bollente. Ben presto si formò una pozza. Dor riempì le fessure della diga con la sabbia, e la strada fu libera. L'olio era stato fermato e Irene riuscì a mettersi in salvo. In quel momento un distaccamento di guardie discese i gradini, con le spade sguainate. Indossavano stivali pesanti, evidentemente per proteggersi dall'olio che, secondo loro, doveva ormai aver intrappolato le loro prede. Nelle loro intenzioni, la trappola doveva chiudersi. Non sapevano che le prede erano fuggite. Ma gli Avari avrebbero potuto usare gli archi per lanciare le frecce nel nuovo tunnel, provocando molti danni. Dor si avvicinò al tunnel per difenderlo, confidando nel fatto che gli altri fossero ormai al sicuro. Un guardiano invisibile avrebbe potuto tenerli a bada a lungo, forse. Poi vide le proprie braccia. Il sentiero magico lo aveva abbandonato e reso vulnerabile! I soldati lo scorsero alla luce delle torce. Si girarono per attaccarlo. Un'altra spada lampeggiò accanto a lui. Re Presagio! Era il Re mundano l'altra persona che l'aveva aiutato ad arginare l'olio bollente! Non si dissero nemmeno una parola. Entrambi sapevano che cosa bisognava fare: dovevano difendere quel varco dalle intrusioni del nemico finché Re Trent non avesse eseguito il proprio compito.
Il nuovo tunnel aperto dall'orco era troppo stretto per permettere loro di combattere al suo interno, e la stanza della prigione era troppo ampia: alcuni soldati avrebbero potuto sistemarsi lungo la parte opposta, lontano dalla portata delle spade, e scoccare le frecce nel tunnel. Perciò Dor e Presagio uscirono nella stanza e si fermarono, schiena contro schiena, accanto all'avvizzito albero di crostate. In questo modo, controllavano tutta la stanza con le due spade. Dor sperava che Re Presagio sapesse come usare la propria arma. Gli Avari, che non erano dei codardi, si avventarono su di loro. Appartenevano ad una selvaggia tribù turca, a detta delle informazioni di seconda mano ricevute da Arnoldo, ed erano insoddisfatti delle recenti abitudini più stabili che aveva assunto la loro gente. Quei mercenari erano i più selvaggi del gruppo. Avevano spade lunghe, a un solo taglio e curve, fatte per colpi vigorosi, a differenza della spada diritta di Dor, a doppio taglio. Lì, nello spazio alquanto ristretto della prigione, il vantaggio era dalla parte dei difensori. Presagio tracciava grandi archi con la sua lama ricurva, tenendo le canaglie a bada, e Dor menava colpi e fendenti: tagliò la mano ad un Avaro, prima che i soldati imparassero a rispettarlo. La spada di Dor non era magica: doveva fare tutto da solo. Ma gli erano stati insegnati i rudimenti della scherma, e quelle nozioni gli erano di grande utilità. Numerosi pipistrelli guizzarono fuori dal tunnel e volarono al di sopra degli Avari, che per lo più li ignorarono. Un pipistrello, come se fosse offeso da quell'indifferenza, volteggiò sulla faccia del capo degli Avari, che lo colpì con la spada. Il pipistrello rinunciò e uscì fuori dalla stanza. Ma la scherma era un'attività stancante, e Dor non era in forma. Ben presto il braccio gli sembrò di piombo. Anche Presagio era ridotto male, a causa della lunga prigionia. Gli Avari, coscienti di ciò, li incalzarono, intuendo che presto la vittoria sarebbe stata loro. Uno dei soldati attaccò Dor con un violento fendente. Dor cercò di spostarsi lateralmente e di contrattaccare, ma scivolò su del sangue o dell'olio e perse l'equilibrio. La lama nemica lo ferì al fianco sinistro. Dor cadde a terra, inerme. «Presagio!», gridò. «Scappa nel tunnel! Io non posso più guardarti le spalle!» «Xnt zqd gtqs!», esclamò Presagio, voltandosi. Gli Avari, accortisi della possibilità che veniva loro offerta, attaccarono. La spada di Presagio tracciò un cerchio lampeggiante che, per un attimo, spaventò gli avversari, mentre Dor cercava di vincere il dolore della ferita e si sforzava di afferrare la spada perduta. Le sue dita incontrarono solo
qualcosa di molle: una crostata al cioccolato marcia. Due Avari si avvicinarono; il primo per sferrare un attacco contro Re Presagio e il secondo per colpirlo alle gambe. Dor sollevò la crostata e la schiacciò sulla faccia del secondo Avaro. Fu un colpo perfetto, l'uomo cadde in ginocchio, strofinandosi gli occhi pieni di crema, mentre il tanfo della crostata marcia riempiva tutta la stanza. Re Presagio, approfittando della tregua, uccise l'altro Avaro. Ma già un altro soldato era partito all'attacco, e Dor non aveva un'altra crostata a portata di mano. Presagio lanciò la spada contro l'audace nemico, lo infilzò, poi si chinò a prendere Dor per portarlo al tunnel. «È una follia!», gridò Dor. Nonostante il pericolo della loro situazione, notò che anche Presagio era stato ferito: da un taglio sulla spalla sinistra colava del sangue, che si mescolava a quello che sgorgava dalla ferita di Dor. «Salvati!» Poi gli Avari avanzarono uniti per l'assalto finale, coscienti di avere di fronte due uomini disarmati e feriti. Avevano tutto il tempo per tirare i loro fendenti. Anche se Presagio fosse riuscito ad arrivare al tunnel, sarebbe stato condannato. Era stato un folle a cercare di salvare Dor... ma Dor si sorprese a provare una certa simpatia per il Re mundano. All'improvviso, un drago irruppe dal tunnel e spiegò le ali quando entrò nella prigione. Emetteva fiamme e volteggiava nell'aria, alzando i luccicanti artigli in cerca di preda. Gli Avari arretrarono, stupefatti e terrorizzati. Uno di loro, in un disperato tentativo, cercò di colpire il mostro con la spada... Ma la lama attraversò l'ala del drago senza incontrare resistenza né fare danni. Era un'illusione, naturalmente! La magia era ritornata, e adesso la Regina combatteva nella sua maniera spettacolare. Ma nel momento in cui gli Avari si fossero accorti che il drago non aveva sostanza... La loro reazione fu opposta. L'Avaro, quando scoprì che non poteva nemmeno toccare il drago, strillò e fuggì. Aveva più paura di una minaccia spirituale che di una fisica. Anche Re Presagio guardava stupito il drago. «Da dove viene?», chiese. «Io non credo ai draghi!» Dor sorrise. «È un'illusione,» spiegò. Potevano nuovamente parlarsi, perché erano sotto l'influsso della magia. «La Regina Iris è un artista nel suo genere: è in grado di produrre immagini assolutamente credibili, percettibili all'odorato e all'udito, e talvolta anche al tatto. Nessuno, in tutta la storia di Xanth, è stato mai capace di farlo meglio di lei.»
Il drago si girò a guardarli. «Beh, grazie, Dor,» disse, e si dissolse in una scia colorata che seguì gli Avari in fuga. Allora riapparve Irene. «Oh, ti sei fatto male!», gridò. Dor non sapeva se si rivolgesse a lui o a Presagio. «Re Presagio mi ha salvato la vita,» disse Dor. «Tu sei stato l'unico che ha avuto abbastanza buon senso da arginare Polio per salvare la ragazza,» replicò Presagio. «Avevo il dovere di aiutarti.» «Grazie,» disse Dor, che trovava sempre più simpatico quel Re giovane e coraggioso. Per quanto fosse un rivale, era una brava persona. Si strinsero la mano. Dor non sapeva se fosse un'abitudine mundana, ma evidentemente Re Trent aveva spiegato i costumi di Xanth al Re mundano. «Il nostro sangue si è mescolato: siamo fratelli di sangue,» disse Presagio, con serietà. Irene e Iris strapparono dei lembi di stoffa, presa chissà dove, per farne delle bende. Irene si avvicinò per prima a Presagio, lasciando Dor alle cure della madre. «Ho il sospetto di averti sempre sottovalutato, Dor,» mormorò la Regina mentre si occupava con efficienza della ferita. Pulì e bendò il taglio, dopo aver applicato l'estratto di una pianta curativa. «Del resto, avevo sottovalutato anche tuo padre.» «Mio padre?», chiese Dor, stupito. «È accaduto molto tempo fa, prima che conoscessi Trent,» disse la Regina. «Non sono fatti tuoi, in questo momento. Ma tuo padre aveva fegato, come te.» Dor apprezzò il complimento, ma rimpianse il fatto che quel cambiamento nell'atteggiamento di Iris fosse arrivato troppo tardi. Irene aveva dedicato tutta la propria attenzione a Re Presagio. Cercò di non guardare continuamente Irene che curava la ferita del Re mundano, ma non poteva impedirselo. La Regina intercettò uno dei suoi sguardi. «Tu la ami,» disse. «Prima non l'amavi, ma adesso sì. È bello!» Lo scherniva? «Ma tu approvi Re Presagio,» disse Dor, sopraffatto da emozioni contrastanti. «No. Presagio è un bel giovane, ma non è adatto a Irene, né lei è adatta a lui. Io ti appoggio, Dor. Ti ho sempre appoggiato.» «Ma tu dicevi...» Sorrise con tristezza. «Nella sua vita, mia figlia non ha mai fatto quello che io desideravo. A volte, l'astuzia è necessaria.» Dor la guardò con stupore. Cercò di parlare, ma i suoi pensieri inciam-
pavano gli uni negli altri prima di arrivare alla lingua. Allora si chinò a baciarla su una guancia. «Adesso, alzati,» disse la Regina, aiutandolo. Dor scoprì che riusciva a stare in piedi, sebbene gli girasse la testa. La ferita non era grave quanto era sembrato sulle prime, ed era già cominciata la guarigione magica. Comparve Re Trent. «Avete fatto un buon lavoro. Grazie alla diversione creata da voi, sono riuscito ad avvicinarmi al grosso dell'esercito Avaro. Li ho trasformati in pipistrelli.» Quella era l'origine dei pipistrelli visti da Dor! Un pipistrello aveva cercato di avvertire gli altri Avari, ma senza successo. «Ma gli Avari non sono i nostri unici nemici,» disse Re Presagio. «Dobbiamo eliminare gli altri collaboratori, se non vogliamo che restino degli assassini tra noi.» «La magia ci aiuterà,» disse Re Trent. «Se ne occuperanno Iris e Dor.» «Noi?», chiese Dor, sorpreso. «È naturale,» disse la Regina. «Ce la fai a camminare?» «Non lo so,» disse Dor. I suoi sentimenti verso la madre di Irene avevano appena subito una grave scossa, e gli sarebbe occorso del tempo perché si stabilizzassero in uno schema nuovo. Fece qualche passo, e la Regina lo afferrò per un braccio e lo sostenne. Desiderò che fosse Irene a fornirgli un appoggio. Gli Avari, però, avevano scoperto che il drago non li aveva seguiti al di fuori della prigione. Non sapevano ancora che la loro retroguardia era stata eliminata. Erano in procinto di attaccare nuovamente la prigione. «Hanno capito che era un'illusione,» disse Grundy. «Sarebbe meglio se uscissimo di qui.» Era la verità. Gli Avari si erano fermati esattamente dove finiva la zona magica e si apprestavano ad incoccare le frecce negli archi. Avevano trovato il modo di combattere contro la magia. Fracassa tornò in azione. Divelse un masso dalle fondamenta e lo lanciò contro gli Avari. La sua forza esisteva solo all'interno del sentiero, ma il masso, una volta lanciato, era efficace al di fuori del passaggio così come lo erano le frecce all'interno di esso. I soldati si buttarono di lato per evitarlo. Il gruppo ritornò verso il tunnel. Dor zoppicava. Il drago volava avanti e indietro, come una feroce guardia d'onore. A tempo debito, arrivarono nella sala principale del Castello di Ocna. Una parte del personale del castello vi era raccolta, e si accalcava nervo-
samente ad un'estremità. Gli Avari si erano sparsi ed avevano usato altre strade, e adesso erano disposti tutt'intorno alla sala. Il personale del castello aveva paura degli Avari, e non sapeva ancora che Re Presagio era vivo. Perciò il castello era rimasto nelle mani di Re Oary, nonostante la liberazione di Re Presagio. «L'orco ed io proteggeremo Re Presagio,» disse Re Trent. «Irene, fa' crescere un ciliegio: a te e al golem verrà affidata l'artiglieria difensiva. Mago Centauro, per favore, restate al centro della sala e girate su voi stesso rapidamente e più volte non appena vi darò il segnale. Iris e Dor, dato che i vostri poteri arrivano più lontano del mio, voi stanerete gli Avari che si nascondono.» «So come funziona la mente di mio marito,» mormorò la Regina Iris. «È uno stratega.» «Ma gli Avari sono al di fuori della zona magica!», protestò Dor. «Ed hanno capito il trucco delle illusioni. Sono piuttosto intelligenti, a modo loro. Non possiamo più imbrogliarli.» «Non abbiamo bisogno di farlo,» disse Iris. «Devi solo fare in modo che ogni pietra che si trovi all'interno del sentiero magico, riveli dove si nasconde ciascun Avaro. Noi interverremo a quel punto.» «Sei pronta, Irene?», chiese Trent. L'albero di Irene era cresciuto in fretta, e adesso aveva numerose ciliegie rosse e mature. «Sono pronta, padre,» disse con espressione cattiva. Dor era contento che Re Trent fosse un bravo stratega, perché lui, Dor, aveva solo un'idea vaghissima di che cosa stesse accadendo. Quando Arnoldo si fosse girato su se stesso, avrebbe potuto intercettare qualche Avaro con la sua zona magica, ma la maggior parte sarebbe rimasta all'esterno. Come avrebbe potuto rendere inoffensivi gli altri Avari prima che si servissero degli archi e delle frecce? «È il momento,» disse Re Trent. «Preparati, orco. Re Presagio, lo spettacolo è tutto vostro.» Re Presagio salì su una predella che si trovava al centro della sala. Era pallido per la forte perdita di sangue, e il braccio sinistro gli penzolava lungo un fianco, ma irradiava ancora l'aura della regalità. Irene raccolse numerose ciliegie mature e ne diede qualcuna a Grundy, che al suo fianco ne aveva un mucchio. Fracassa sollevò su una spalla un robusto palo di legno. Arnoldo, al segnale di Trent, cominciò a girare su se stesso. Dor si concentrò e ordinò alle pietre che si trovavano nella sala di gridare se un Ava-
ro si nascondeva vicino a loro. La Regina Iris creò un'illusione di grande magnificenza: la predella diventò un robusto piedistallo d'oro, e Re Presagio indossava splendidi abiti regali, mentre intorno al suo corpo brillava un alone di luce. «Prestate orecchio, servi di Castel Ocna e fedeli sudditi del Regno di Onesta,» declamò il Re, e la sua voce risuonò nella stanza. «Io sono Re Presagio, il vostro legittimo monarca, tradito e imprigionato dall'usurpatore Oary. I miei amici della magica Terra di Xanth mi hanno liberato, ed io vi invito a rinnegare Oary ed a rendere a me l'omaggio che mi spetta.» «Mknn jko!»», gridò il capo degli Avari nella sua lingua. «Ujqqv jko fqyp!» Una freccia saettò verso Re Presagio. Fracassa la deviò con un colpo della sua mazza. «Ohhhh!» si lamentò la freccia. Il talento di Dor funzionava fin troppo efficacemente. «Stavo compiendo solo il mio dovere.» A mano a mano che Arnoldo girava, il sentiero magico ruotava; infine, raggiunse l'estremità più lontana della sala. «Qui c'è un Avaro!», gridò una pietra, quando fu investita dalla magia. «È stato lui a scoccare quella freccia!» «Chiudi il becco, spia invisibile!», sbottò l'Avaro, e colpì il punto da dove proveniva la voce. In quel momento, un drago alato si slanciò contro l'Avaro, sputando fuoco. «Anche tu, mostro fasullo!», gridò l'uomo. Sguainò la spada ed infilzò il mostro. Irene lanciò una ciliegia. Questa colpì il pavimento davanti ai piedi dell'Avaro ed esplose. L'uomo fu respinto verso la parete, sbalordito e coperto di succo rosso. Arnoldo si era fermato. Poi riprese a girare. Un'altra pietra gridò: «Ce n'è uno dietro di me!» Il drago, che volava nel raggio d'azione della zona magica, emise un'altra colonna di fiamme, dense e rosse. Questa volta Irene sincronizzò il proprio lancio con l'emissione del drago, e la bomba-ciliegia esplose mentre l'illusoria fiamma del drago colpiva il bersaglio. Il che fece sembrare reale il drago, osservò Dor. «Tutti voi... scoccate le vostre cttqyu!», gridò il capo degli Avari mentre il sentiero magico gli passava accanto. «Vjg oqpuvgtu ctg lwuv knnwukqpu!» Ma i suoi uomini esitarono, perché due di loro erano stati colpiti da qualcosa che era molto più di un'illusione. Le bombe ciliegie esplodevano veramente al di fuori del passaggio di magia; forse, dopotutto, esistevano cose simili anche in Mundania.
Arnoldo continuò a girare, e le pietre continuarono a denunciare gli Avari. Le ciliegie imposero agli Avari quel rispetto che Re Presagio non era stato capace di incutere. Il bastone dell'orco impediva alle frecce di arrivare sul bersaglio, e le illusioni della Regina continuavano a confonderli. Infatti, il drago alato diventò un gigantesco uomo munito di armatura, con una spada lampeggiante, poi l'uomo diventò una sfinge rapace, e la sfinge diventò uno sciame di vespe verdi. Tuoni rombavano intorno alla predella e conferivano enfasi al discorso di Re Presagio. Ben presto tutti gli altri Avari erano stati intimoriti o resi inoffensivi. «Adesso che i soldati del nemico se ne sono andati,» disse Re Presagio, mentre la sua statura cresceva lievemente grazie all'illusione, «i sudditi fedeli del Reame di Onesta non hanno nulla da temere. Avvicinatevi, e rinnovate il giuramento di obbedienza.» Stelle e strisce luminose scendevano lentamente intorno al Re. Con esitazione, il personale del castello si fece avanti. «Hanno paura delle illusioni,» disse Grundy. La Regina annuì. All'improvviso, il mostro scomparve, e l'atrio si accese di luci pastello e si riempì di musica dolce, all'interno del passaggio che ruotava. Rincuorate, le persone si avvicinarono con maggiore coraggio. «Siete veramente voi, Maestà?», chiese un anziano dipendente. «Pensavamo che foste morto, e quando sono arrivati i mostri...» «Aspettate!» Si sentì una voce stridente provenire dall'arcata dell'ingresso principale, del castello. Tutti si girarono e videro Re Oary, all'interno del sentiero magico. Dor capì che l'usurpatore doveva essere arrivato al Castello di Ocna per un'altra strada, evitando il sentiero con il ponte crollato. Oary si era immaginato dove fosse diretto il gruppo di Dor, aveva capito che per lui significava guai, e si era precipitato a porre riparo alla situazione, prima che sfuggisse al suo controllo. Oary aveva astuzia e coraggio. «C'è l'usurpatore!», gridò Re Presagio. «Catturatelo!» Ma Oary era spalleggiato da un altro contingente di mercenari Avari, che aveva portato con sé dall'altro castello. I servi normali non potevano avvicinarsi a lui. Oary si trovava all'estremità del sentiero magico, in modo che le sue parole venissero tradotte; si era accertato dei limiti del sentiero. Avrebbe potuto uscirne fuori in ogni momento. «Stupidi!», gridò Oary, e la sua voce risuonò in tutto l'atrio. «Vi fate ingannare da un'illusione. Schieratevi dalla mia parte e distruggete questi
intrusi.» «Intrusi!», gridò Re Presagio, offeso. Le stelle gli esplosero intorno, e una musica indignata e potente si alzò alle sue spalle. «Tu, che mi hai drogato, mi hai gettato nelle prigioni sotterranee ed hai usurpato il mio trono, tu osi chiamarmi in questa maniera?» Il personale del castello esitò. Gli sguardi passavano da un Re all'altro; nessuno sapeva a quale dei due dovesse fedeltà. Entrambi i Re erano imponenti; Oary aveva avuto il tempo di indossare tutte le insegne regali, il mantello, la corona e la spada, e il suo corpo grasso aveva acquistato un aspetto elegante. Re Presagio aveva assunto uno splendore simile, grazie alla magia della Regina Iris. Era molto difficile per delle persone normali scegliere tra i due Re, basandosi solo sulle apparenze. «Io non ti ho chiamato in nessuna maniera,» tuonò Re Oary, con la sincerità e la convinzione che solo un vero furfante poteva mostrare. «Tu non esisti nemmeno. Sei morto per mano degli assassini Khazari. Tu...» Le stelle che circondavano Presagio diventarono accecanti, poi sibilarono, crepitarono e rombarono, come se il firmamento si spaccasse in due. Il rumore soffocò le parole di Oary. «Lasciate parlare questo mascalzone,» disse Re Presagio. «È stata sempre nostra abitudine permettere a ciascuno di offrire le proprie spiegazioni.» «Vi distruggerà,» lo avvertì la Regina Iris. «Non mi fido di lui. Non dategli nessuna possibilità.» «Tocca a Re Presagio, la decisione,» disse con gentilezza Re Trent. A quelle parole, le illusioni cessarono. Mai la Regina Iris aveva opposto la propria volontà a quella di Re Trent, in nessuna maniera. Restò solo la corte mundana, silenziosa e grigiastra, con i servi che si accalcavano tremanti di fronte al manipolo di Avari. «Tu non sei altro che un'illusione,» continuò Oary con audacia, cogliendo al volo l'opportunità. «Abbiamo visto come gli intrusi siano capace di creare dal niente mostri e voci; chi mette in dubbio che possano creare l'immagine del nostro venerato Re defunto?» La Regina Iris fece una smorfia di dolore. «È un colpo da maestro!», sussurrò. «Lo sapevo che non avremmo dovuto permettere a quel basilisco di parlare!» In realtà, il personale del Castello aveva subito l'influsso di quelle parole. Fissavano Re Presagio come se cercassero di capire se si trattasse di un'illusione. Il talento della Regina Iris aveva messo in una posizione di
svantaggio il Re Presagio. Chi avrebbe potuto distinguere la realtà dall'illusione? «Se Re Presagio tornasse in qualche maniera dal mondo dei morti,» continuò Re Oary. «Sarei il primo a dargli in benvenuto. Ma guai a noi se giureremo fedeltà ad una immagine fasulla!» Re Presagio fu sorpreso dall'audacia di Oary. Nella loro contesa verbale, l'usurpatore aveva segnato un punto importante. «Distruggete quell'impostore!», gridò Oary, approfittando del momento. I servi si avviarono verso Re Presagio. Allora Re Presagio ritrovò la voce. «Come si può distruggere un'illusione?», chiese. «Se sono solo aria, riderò dei vostri tentativi.» Le persone si fermarono, di nuovo confuse. Ma, ancora una volta, Oary trovò il punto debole nella difesa di Re Presagio. «È naturale che lì ci sia veramente un uomo! Egli appare simile a Re Presagio. È un impostore, mandato qui per incitarvi alla ribellione contro il vostro vero Re. Poi l'orco potrà governare in mia vece.» I servi rabbrividirono. Non volevano essere governati da un orco. «Impostore?», esclamò Re Presagio. «Dor, prestami la tua spada!» Infatti, nella confusione, Dor aveva recuperato la propria spada, mentre Re Presagio aveva perso la propria. «In questo modo non si stabilirà mai la verità,» disse Re Trent. «Lo spadaccino migliore non è necessariamente il legittimo Re.» «Oh, sì, sì!», gridò Presagio. «Solo gli eredi al trono di Onesta vengono addestrati alla scherma fino a raggiungere la perfezione. Nessun contadino impostore potrebbe stare alla pari di Oary. Ma io sono uno spadaccino migliore dell'usurpatore, e in questa maniera potrò dimostrare che non sono un impostore.» «No,» protestò Oary. «So bene che la spada che ti ha dato il tuo compare è incantata. Nessuno è in grado di sconfiggerla, perché rende un ottimo spadaccino qualsiasi gonzo.» Oary aveva imparato molte cose in poco tempo! Non sarebbe mai venuto in mente a Dor che Re Oary fosse così abile nel parlare. Evidentemente la sua testa non era piena solo di budino. Presagio lanciò uno sguardo alla spada, preso alla sprovvista. «Dor non ha dimostrato nessuna abilità particolare con questa spada,» disse, senza rendersi conto dell'offesa che aveva fatto alla tecnica di Dor. «Cionondimeno è vero,» disse Re Trent. «Dor si trovava al di fuori della zona di magia quando l'ha usata.»
«È vero,» convenne Dor, con riluttanza. «Nel sentiero magico, con questa spada, chiunque è in grado di battere qualsiasi spadaccino. Inoltre le illusioni della Regina potrebbero dare a Re Trent il tuo aspetto, Re Presagio, e Re Trent, probabilmente, è uno spadaccino migliore di te.» Subito dopo aver parlato, Dor si chiese se avesse fatto quel paragone solo perché si era sentito offeso dal disprezzo che Presagio aveva mostrato verso le sue capacità. Ma Re Trent era il migliore spadaccino di Xanth, e di conseguenza la sua affermazione era valida. «Siete degli stupidi!», si lamentò la Regina Iris. «Avete la vittoria in pugno, e la sprecate in ridicole questioni tecniche!» «È una questione di Onestà,» disse Dor. «ONESTA» Re Presagio sorrise: aveva afferrato il gioco di parole. «Sì, ho capito, allora combatterò con Oary al di fuori della zona di magia.» «Dove la ferita vi farà male e vi indebolirà, e dove avrete lo svantaggio di usare una spada diritta mentre siete abituato ad usarne una a lama ricurva,» disse la Regina Iris. «Se tutto ciò non è abbastanza, gli Avari dell'impostore vi pianteranno una freccia nella schiena. Non siate più stupido di quanto dobbiate. Oary sta cercando di portarvi in una situazione nella quale possa vincere la sua slealtà. Ve lo dico io, che conosco questo tipo di persona.» Dor non parlò. La Regina conosceva quel tipo di persona, perché lei era quel tipo di persona. Ciò la rendeva un ottimo consigliere in una situazione simile. «Ma come posso fare per provare la mia identità?», chiese Re Presagio, in tono querulo. «Permettete al personale del castello di avvicinarsi a voi, di toccarvi e di parlare con voi,» suggerì Re Trent. «Certamente molti di loro vi conoscono bene. Capiranno se siete un impostore.» Oary cercò di protestare, ma il suggerimento era piaciuto al personale del castello. Per loro, aveva senso. L'abilità di Re Trent nel sapere volgere le situazioni a proprio vantaggio aveva avuto la meglio sugli stratagemmi di Oary. Comparvero guardie non-Avare, con le armi in pugno, ed erano molto più numerose degli Avari. A quanto pareva, la notizia di quella contesa si era diffusa, e i veri sudditi fedeli di Onesta stavano convergendo sul Castello di Ocna. Oary si rese conto di difendere una posizione perdente e a malincuore si disse d'accordo. «Anch'io mi unirò ai sudditi!», dichiarò. «Dopotutto, dovrei essere il primo a dare il benvenuto a Re Presagio se fosse veramente
tornato, dal momento che ho retto in vece sua il Reame di Onesta.» La Regina Iris aggrottò la fronte, ma Re Trent la fece tacere con un gesto della mano. Era un gioco composto di mosse e contromosse, con delle regole che lo limitavano. Oary adesso stava assecondando la mossa di Re Trent, e doveva conformarvisi finché non fosse stata fatta un'aperta trasgressione. Dor prese nota di quel procedimento: nei periodi in cui avrebbe dovuto sostituire il Re come reggente, gli sarebbe potuto tornare utile. «Venite,» disse Re Trent, prendendo Presagio per un braccio. «Mettiamo da parte le armi e formiamo una fila.» Prese con delicatezza la Spada Magica e la porse alla Regina Iris, che la poggiò a terra. Oary fu costretto a spogliarsi delle proprie armi per adeguarsi a quella nuova mossa. I soldati Avari mormorarono, ma non si mossero. Fracassa l'Orco si avvicinò al manipolò, stringendo la mazza di legno tra le mani. I soldati si tranquillizzarono. La fila si formò; il personale del castello era ansioso di verificare l'identità di Re Presagio. Il primo fu un vecchio, lento nei movimenti, ma cui era stata data la precedenza per il rispetto che incuteva agli altri. «Salve, Borywog!», disse Re Presagio, stringendo il fragile braccio del vecchio. «Ti ricordi che tormento ero, quando ero un bambino e tu eri il mio tutore? Eri peggio di mio padre! Pensavi che non saresti mai riuscito a insegnarmi l'ortografia! Ti ricordi quando ho scritto il nome del nostro regno: ONESTA'?» «Mio Signore! Mio Signore!», gridò il vecchio, cadendo in ginocchio. «Non ho mai raccontato ad anima viva quell'avvenimento! Dovete essere voi, Maestà!» Gli altri avanzarono in fila. Re Presagio li conosceva tutti. Il caso ormai era concluso. Re Trent chiudeva la fila, con un sorriso benigno sul volto. Ad un tratto, uno degli uomini che erano in fila estrasse un pugnale e si lanciò verso Presagio. Ma, prima che quel colpo sleale arrivasse a segno, l'uomo diventò un topo marrone, che fuggì via, terrorizzato. Uno dei gatti del palazzo balzò avidamente al suo inseguimento. «Avevo promesso di fungere da guardia del corpo,» disse Re Trent con mitezza. «Ho una certa esperienza in questo campo.» Poi Oary arrivò in cima della fila. «Ma è Presagio!», esclamò, con evidente stupore. «Avari, mettete nel fodero le armi: il vostro legittimo Re è tornato dalla Terra dei Morti. Che miracolo!» Re Presagio, che si aspettava qualche altra azione sleale, restò a bocca aperta. Re Trent intervenne nuovamente. «È un piacere avere la vostra
conferma, Re Oary. Abbiamo sempre saputo che avete a cuore gli interesse del Reame di Onesta. È meglio risolvere queste questioni con l'apparenza dell'amicizia, se è possibile. Dor, perché non conduci Re Oary in un luogo più intimo per discutere i particolari?» Dor era stupito, e rimase senza parole. Comparve Grundy, che gli diede dei colpetti sulle gambe. «Portalo nell'anticamera,» sussurrò il golem. «Io porterò gli altri.» Dor si ricompose. «Certamente,» disse, con una calma solo apparente. «Re Oary, vogliamo trasferirci nell'anticamera per discutere in privato?» «Certamente,» disse Oary, che sembrava l'incarnazione della condiscendenza. A quanto pareva, aveva capito le regole del gioco meglio di Dor. Si avviarono con tranquillità verso l'anticamera, mentre Re Presagio continuava a salutare i vecchi amici, e gli Avari si agitavano in un angolo della sala. Senza Oary a comandarli, gli Avari erano totalmente nulli: non sapevano nemmeno parlare la lingua del posto. I pensieri di Dor si susseguivano uno dopo l'altro. Perché Oary aveva accolto Presagio, dopo aver tentato di negare la sua identità e di farlo assassinare? Perché fingeva di non sapere dovesse fosse stato Presagio? E perché Re Trent, egli stesso vittima della slealtà e della crudeltà di Oary, lo assecondava? Perché, infine, Re Trent aveva affidato la faccenda a Dor, che non solo non capiva la situazione, ma non era nemmeno in grado di affrontarla? Irene, Fracassa e Arnoldo li raggiunsero nell'anticamera. Oary sembrava imperturbabile. «Vogliamo parlare con sincerità?», chiese il mundano. «Certamente,» ribatté Irene, stringendosi il giubbotto intorno al busto. «Penso che tu sia disgustoso!» «Ma voi cinque avete capito qual è la situazione?», chiese Oary con allegria. «No: non so perché Re Trent non ti ha trasformato in un verme e non ti ha calpestato.» «Re Trent è un esperto monarca,» disse Oary. «Egli si occupa dei fatti reali più che delle emozioni. Cerca la combinazione più proficua invece della semplice vendetta. Questa è la realtà dei fatti: qui ho un manipolo di Avari che potrebbe certamente creare dei problemi. Ne ho altri nell'altro castello. Ci sarebbe bisogno di una piccola guerra civile per scacciare questi mercenari, i cui comandanti mi sono fedeli. E questo indebolirebbe il Regno di Onesta nel momento in cui la minaccia dei Khazari si fa più pressante. Sarebbe molto meglio evitare questa noia e non indebolire il
Regno. Di conseguenza il Re Presagio deve venire a patti con me... per il bene di Onesta.» «E perché non...», cominciò Irene, ma poi si interruppe. «Non riesci a dirlo,» disse Oary. «Questo è il sintomo della tua debolezza, che dovrai eliminare, se speri di essere una Regina efficiente quanto tua madre. Perché non ammazzarmi e farla finita? Perché il tuo sesso manca di senso pratico.» «Sì?», domandò Grundy. «Allora, perché non hai ucciso Presagio?» Oary sospirò. «Avrei dovuto farlo, credo. Veramente avrei dovuto farlo. Ma quel giovane stupido mi è simpatico. Nessuno è perfetto.» «Ma hai cercato di ammazzarlo poco fa,» disse Dor. «Un atto disperato,» disse Oary. «Non posso dire che il fatto che sia fallito mi sia dispiaciuto molto. È una mossa arrivata con troppo ritardo: avrei dovuto intraprenderla all'inizio, in modo da non dare a Presagio l'opportunità di provare la sua identità. Poi la vittoria sarebbe stata mia. Ma è la misura della mia inadeguatezza. Il mio desiderio di restare sul trono non era sufficientemente forte.» Le emozioni di Dor erano contraddittorie. Sapeva che Oary era una canaglia priva di scrupoli, ma il candore, l'intelligenza e l'ammissione di debolezza di quell'uomo, gli impedivano di disprezzarlo completamente. «E adesso dobbiamo venire a patti con te,» disse Dor. «Ma non capisco come possiamo fidarci di te.» «È naturale che non possiate fidarvi di me!», convenne Oary. «Se ne avessi la possibilità, vi rimanderei tutti nelle prigioni sotterranee, e il vostro uomo-cavallo lo manderei nell'Impero degli Avari ad esibirsi come un mostro da baraccone.» «Guarda un po'!», disse Arnoldo. «Se non possiamo ucciderlo, e non possiamo fidarci di lui, che cosa dobbiamo farne?», chiese Dor agli altri. «Gettiamolo nella stessa cella in cui ha tenuto prigioniero Re Presagio,» disse Irene. «E diamogli un eunuco muto e sadico come guardiano.» «Fracassa ha distrutto quelle celle,» le ricordò Grundy. «Ad ogni modo, non sarebbero sicure. Qualcuno dei suoi complici potrebbe liberarlo.» «Ma dobbiamo trovare una soluzione per Re Presagio!», disse Dor. «Io non so perché mi sia stata affidata questa faccenda, ma...» «Perché un giorno sarai Re di Xanth,» disse Oary. «Devi imparare a prendere delle decisioni difficili, giuste o sbagliate che siano. Se io avessi avuto un'esperienza maggiore prima di salire al potere, avrei agito in ma-
niera tale da non trovarmi in questa imbarazzante situazione. Se Presagio avesse avuto una maggiore esperienza, non avrebbe mai perso il trono. Tu devi imparare con la pratica. Re Trent è una persona competente: sottovalutarlo è stata la mia disgrazia. Avevo pensato che tutte quelle chiacchiere sulla magia denotassero una mente squilibrata. Di solito, solo i contadini ignoranti credono veramente alla magia. Quando salirai al trono, saprai come esercitare la tua funzione.» Quella spiegazione aveva senso. «Vorrei potermi fidare di te,» disse Dor. «Saresti un eccellente tutore nella pratica di governo.» «Questo è il tuo tirocinio,» disse Oary. «Storicamente, ci sono due soluzioni possibili,» disse Arnoldo. «Una è la mutilazione: il criminale viene accecato o privato delle sue estremità, in modo da non poter più commettere reati...» «No!», disse Dor, e Irene convenne. «Non siamo barbari.» «Non siete nemmeno dei professionisti,» disse Oary. «Vi opponete agli espedienti più convenienti.» «L'altra possibile soluzione è l'esilio,» continuò il centauro. «Le persone della tua specie, senza talenti magici, venivano di solito esiliate da Xanth, così come le persone della mia specie in possesso di simili talenti vengono bandite. È una misura piuttosto efficace.» «Ma Oary potrebbe radunare un esercito e tornare,» protestò Dor. «Re Trent lo fece, tanto tempo fa, quando fu mandato in esilio...» «Ma non conquistò Xanth. La situazione era cambiata, ed egli fu invitato a tornare. Forse, tra vent'anni, la situazione cambierà anche in Onesta, e ci sarà nuovamente bisogno di Oary. Ad ogni modo, esistono delle precauzioni da prendere. Un esilio limitato, dovrebbe evitare il crearsi di complotti e tenerlo lontano dalle questioni locali. Naturalmente, sarebbe consigliabile non definirlo esilio. Potrebbe far pensare a dei contrasti nel trasferimento dei poteri, invece che al normale ritorno di un Re temporaneamente scomparso. Potrebbe essere nominato messo diplomatico, o ambasciatore, ed essere inviato in un territorio strategico...» «Nel paese dei Khazari!», gridò Grundy. «Ehi, non voglio andare lì!», protestò Oary. «Sono persone rozze! Dovrei usare tutta la mia intelligenza solo per riuscire a sopravvivere.» «Precisamente,» disse il centauro. «Oary sarebbe una sorta di fenomeno da baraccone in quella società: tollerato, ma mai preso sul serio. Gli toccherebbe il difficile compito di mantenere e migliorare i rapporti con quell'impero, e naturalmente avvertire Onesta nel caso si preparasse un'in-
vasione. Se adempisse con efficienza ai suoi doveri per un lungo periodo di tempo, potrebbe essere alla fine perdonato e riaccolto in Onesta. Altrimenti...» «Ma i Khazari, prima o poi, cercheranno di invadere Onesta,» disse Oary. «Come potrei impedire...» «Mi pare di ricordare che in questo periodo i Magiari Settentrionali facessero nominalmente parte dell'Impero Khazaro,» disse Arnoldo. «Avevano, ad ogni modo, una propria cultura. Oary potrebbe essere mandato alla Corte Magiara...» «Dove potrebbe fomentare la ribellione contro i Khazari!», disse Dor. «Per distogliere l'attenzione da Onesta. Gli sarebbero necessarie un'astuzia ed una vigilanza costanti...» «Che azione sleale!», esclamò Irene con gioia. Sorpresi, si guardano l'un l'altro. «Un'azione sleale...», ripeté Dor. «È la maledizione che ci costringe a commetterla,» disse Irene. «Prima che la luna sia piena: e adesso è quasi piena. Andiamo a dire agli altri che l'Ambasciatore Oary si recherà presso la Corte Magiara.» «Esclusivamente per servire il Regno che amo tanto e per proteggere gli interessi del mio buon amico e risorto sovrano, Re Presagio,» disse Oary con filosofia.» Avrebbe potuto andarmi peggio. Pensavo che mi avreste scorticato vivo e messo alla berlina nella piazza del paese.» «O dato in pasto all'orco,» disse Grundy. «Ma noi siamo degli sciocchi, e tu sei troppo intelligente per essere ucciso.» Se ne andarono.«Oary ha graziosamente acconsentito a essere tuo ambasciatore presso la Corte Magiara dell'Impero Khazaro,» disse Dor a Re Presagio, che aveva finalmente salutato tutti. «Egli desidera solo il bene del Regno di Onesta.» «Eccellente,» disse Re Presagio. Evidentemente era stato aggiornato in quel frattempo. «E chi sarà l'ambasciatore di Xanth in Onesta?» «Arnoldo il Centauro,» disse prontamente Re Trent. «Comprendiamo che l'assenza forzata dalla sua patria, l'Isola del centauro, è un sacrificio notevole per lui, ma è chiaro che qui abbiamo bisogno di una certa quantità di magia, e il centauro è l'unica persona qualificata a questo scopo. Potrà accompagnare cittadini di Xanth dai particolari talenti, come per esempio mia figlia, quando ci saranno delle missioni commerciali.» Arnoldo annuì, e Dor si rese conto che Re Trent voleva rendere la vita più facile anche al centauro. Per Arnoldo, ad ogni modo, non c'era alcun futuro nell'Isola dei Centauri: le parole di Trent avevano dato a quell'esilio
un aspetto diverso e più positivo. Naturalmente, Arnoldo non avrebbe trascorso tutto il suo tempo nel Regno di Onesta; avrebbe avuto il tempo di visitare il suo amico Ichabod nell'altro aspetto di Mundania. In realtà, avrebbe potuto effettuare tutte quelle ricerche che aveva sempre sognato di fare. Esisteva veramente un'arte di governare, e Re Trent aveva dimostrato di possederla. «Ah, vostra figlia,» disse Re Presagio. «Mi avete parlato di lei, durante i lunghi giorni di prigionia, ma credevo che si trattasse dell'affettuosa immaginazione di un genitore. Adesso ritengo che sarebbe opportuno sigillare l'alleanza dei nostri due Regni con una simbolica unione personale.» Dor sentì il cuore fermarglisi in petto. Re Presagio non aveva molti pudori! Agiva con audacia per ottenere quello che voleva, come era consono ad un Re. Dor dubitava di poter mai diventare un tipo simile di Re. L'ironia della sorte era che Dor non si sarebbe opposto a Re Presagio in questa sua richiesta: quel giovane gli era simpatico e gli doveva la vita. Ed anche a Irene piaceva; probabilmente quell'idea la eccitava. Quell'unione sembrava avere un senso, sia politico sia personale. C'erano dei vantaggi nell'essere erede al trono, ma c'erano anche dei doveri. Dor doveva cedere il passo alla soluzione migliore per Xanth. Ma detestava quell'idea. Re Trent si girò verso Irene. «Che cosa ne pensi? Ne comprendi il senso?» «Oh, lo capisco,» convenne Irene, cominciando ad arrossire. «Ha molto senso per me. E ne sono lusingata. Ma ci sono due o tre punti da chiarire. Sono giovane...» «Il tempo porrà rimedio a questo,» disse Re Presagio. Era chiaro che la giovinezza di Irene non gli ripugnava, non più di quanto a Re Oary ripugnasse la fraschetta. «In effetti, le donne invecchiano tanto in fretta in Onesta, che è meglio prenderle quando sono giovani e ancora attraenti.» Irene si fermò, come se cercasse di capire le implicazioni. In Xanth le donne restavano attraenti molto a lungo, con l'aiuto di magie minori. «E avrei molti problemi ad adattarmi ad una vita senza magia...», continuò Irene, dopo qualche attimo. «Una Regina non ha bisogno della magia!», disse Re Presagio, cercando di persuaderla. «Ha un grande potere. Ha autorità su tutto il personale di cucina.» Irene si fermò di nuovo a riflettere. Era evidente che gli uomini dominavano la società di Onesta, mentre in Xanth i sessi avevano pari diritti, fatta eccezione per la regola che decideva chi dovesse essere il Re.
Dor immaginò di trascorrere il resto della propria vita in Mundania, senza poter usare la propria magia né poter godere i vantaggi di quella altrui. La sola idea lo terrorizzava. Aveva seri dubbi che Irene lo potesse sopportare a lungo. «E poi sono innamorata di un altro,» concluse Irene. «Ma l'amore che prova la ragazza non ha nulla a che vedere con questa faccenda!», protestò Re Presagio. «Questo è un affare di stato.» Gli occhi del Re percorsero le lunghe gambe della ragazza. Re Trent rifletté. «Noi ci comportiamo in maniera diversa in frangenti simili, in Xanth, ma naturalmente il compromesso è essenziale nelle relazioni internazionali. Se desiderate veramente mia figlia...» «Padre!», disse Irene, in tono di avvertimento. «Non creare delle difficoltà a tuo padre,» disse la Regina Iris. Irene reagì con un cipiglio ribelle, che fu però mascherato velocemente. Era la vecchia abitudine: se la madre la spingeva a fare qualcosa, lei faceva l'opposto. L'alleato segreto di Dor aveva colpito ancora. Evviva la Regina! Lo sguardo di Re Trent si soffermò su tutti gli astanti e poi si posò sulla Regina, che fece un impercettibile segno di assenso col capo. «So che in talune società si dà grande valore allo stato, per così dire di illibatezza...» «Verginità,» disse Irene, senza giri di parole. «Ma noi non abbiamo mai...», cominciò Dor, ma fu interrotto da una violenta pestata di piedi. Re Presagio aveva visto il gesto. «Ah, non avevo capito che eri tu l'uomo amato da Irene, Fratello di Sangue! Hai corso enormi rischi per restituirmi il trono, ed io non posso...» «Eppure un'unione del genere sarebbe opportuna,» rifletté Re Trent. «Padre!», ripeté Irene, in tono aspro. La Regina Iris sorrise con aria soddisfatta nel guardare la figlia. Era strano, rifletté Dor, che proprio il comportamento che in passato gli aveva dato fastidio, adesso gli facesse piacere. Irene non avrebbe mai sposato Re Presagio. «Ma c'è la questione dell'illibatezza,» disse Re Presagio. «Una Regina deve essere al di sopra...» «Per caso avete una sorella, Re Presagio?», chiese Re Trent. Dor riconobbe il tono; Trent già conosceva la risposta a quella domanda. «Dor potrebbe...» «Che cosa?», disse Irene, con voce stridula. «No, non ho sorelle,» disse Presagio, con evidente malumore. «Peccato. Forse, allora, occorrerebbe un gesto simbolico,» disse Re
Trent. «Se il Principe Dor toghe qualcosa di valore a Re Presagio, qualcosa di cui forse ha già compromesso il valore...» «Sì,» disse Irene. «Vergogna!», disse la Regina Iris, guardando Dor con espressione truce ma con un labbro lievemente arricciato per esprimere il proprio divertimento. «Ma...», disse Dor, che era restio a confessare una bugia. «Allora una ricompensa potrebbe sistemare le cose,» concluse Re Trent. «Potremo dire che si tratta di un regalo, per salvare le apparenze...» «La Pietra del Sole di Mezzanotte!», esclamò Dor. Dopotutto, era quasi mezzanotte. Senza aspettare che il Re Trent approfondisse l'argomento, Dor prese la pietra dalla tasca. «Re Presagio, in pegno sincero dell'amicizia tra il Regno di Onesta e il Regno di Xanth, e della mia gratitudine per avermi salvato la vita, lascia che ti offra la più rara delle gemme. Osserva come splende in presenza della magia, ma si oscura in assenza di magia. Così saprai sempre quando la magia è vicina.» Diede la gemma a Re Presagio, che uscì dalla zona magica, e poi vi rientrò, affascinato dal fatto che la gemma si accendesse e si spegnesse. «Oh, sì,» convenne Re Presagio. «Lo farò incastonare nella mia corona: sarà il più prezioso dei miei tesori!» Ma allora si adirò Irene. «Non mi farò comprare per una gemma!», esclamò. «Ma...», disse Dor, senza sapere che cosa fare. Le si avvicinò. Proprio mentre pensava che le cose fossero tornate a posto, erano precipitate nuovamente. «Stammi lontano, negriero!», urlò Irene, e scappò. «Penso di essere completamente fuori gioco,» mormorò Re Presagio, e sorrise. Dor non voleva rincorrerla. Sarebbe stato poco dignitoso e inopportuno. Inoltre, non poteva muoversi rapidamente; la ferita, non ancora rimarginatasi, glielo impediva. Ma doveva fare qualcosa: non poteva permetterle di lasciarlo in asso proprio allora. Poi si ricordò del centesimo. Aveva trovato come usarlo, dopotutto! Lo afferrò e lo lanciò davanti ai piedi di Irene in fuga. La ragazza si fermò di colpo, agitò le braccia e per poco non cadde. «Che cosa...», domandò. Allora Dor le si avvicinò e la prese tra le braccia. «Il centesimo!», protestò lei. «Mi hai fatto fermare su un centesimo! È
un imbroglio!» Dor la baciò e fu sorpreso dalla calorosa accoglienza che ebbe. Ma, mentre la baciava, si rese conto che Arnoldo era voltato in un'altra direzione. Irene si trovava al di fuori della zona magica quando si era bloccata sul centesimo. «Ma...» cominciò, sentendosi le ginocchia deboli. Lei gli mordicchiò l'orecchio. «La Gorgone ha lasciato andare il Mago Humfrey?», chiese Irene. Dor sorrise, con un certo nervosismo. «Mai.» «Un'altra azione sleale compiuta alla luce del Sole di Mezzanotte,» disse Grundy. E Dor strinse Irene a sé, in un delizioso abbraccio, per impedirle di prendere a calci il golem. FINE