Carlo Cellucci
La filosofia della matematica del Novecento
I matematici hanno altrettanto bisogno di essere filosofi ...
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Carlo Cellucci
La filosofia della matematica del Novecento
I matematici hanno altrettanto bisogno di essere filosofi quanto i filosofi di essere matematici. Leibniz 1965, I, p. 356.
Premessa
Questo libro non è una storia della filosofia della matematica, ma un esame filosofico delle concezioni della matematica del Novecento, e ne offre un bilancio. Il cap. I discute il punto di vista prevalente sulla filosofia della matematica. Il cap. II esamina le tre più importanti scuole di filosofia della matematica della prima metà del Novecento – logicismo, formalismo e intuizionismo – limitatamente ai fondatori, Frege, Hilbert e Brouwer, perché il contributo dei loro continuatori è filosoficamente minore. Viene tralasciato anche Wittgenstein, perché le sue frammentarie e anche incoerenti osservazioni sui fondamenti della matematica non configurano una compiuta concezione della matematica. Il cap. III esamina le più significative scuole di filosofia della matematica della seconda metà del Novecento – neologicismo, platonismo, implicazionismo, strutturalismo, finzionalismo, internalismo, costruttivismo, congetturalismo, empirismo e cognitivismo. Il cap. IV delinea alcuni caratteri che la filosofia della matematica dovrebbe avere per evitare i difetti delle scuole di filosofia della matematica del Novecento. Il cap. V espone i teoremi di incompletezza di Gödel ed altri risultati limitativi. Essi vengono trattati in un capitolo a parte per separare gli aspetti tecnici da quelli filosofici, ma lo studio di questo capitolo è essenziale per la comprensione degli altri capitoli del libro. I rimandi interni sono indicati tra parentesi quadre. Per esempio, [V.4.2.] rimanda al par. 4.2 del cap. V.
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I Filosofia e matematica
1. L’ortodossia prevalente 1.1. Matematica contro filosofia della matematica La filosofia della matematica è un argomento antico e, secondo l’ortodossia prevalente, dal 1884 è stata un grande argomento. Ma questa opinione contrasta con l’atteggiamento critico di molti matematici nei suoi confronti. Per esempio, Gowers afferma: «Supponiamo che domani venga pubblicato un articolo che dia un argomento nuovo e molto convincente per una certa posizione di filosofia della matematica», e che esso «faccia sì che molti filosofi abbandonino le loro vecchie credenze e abbraccino un -ismo completamente nuovo. Quale effetto avrebbe sulla matematica? Io affermo che non ne avrebbe quasi nessuno, questo sviluppo passerebbe virtualmente inosservato»1. Questo atteggiamento critico deriva dal fatto che molti matematici ritengono che la filosofia della matematica si occupi di questioni irrilevanti per l’impresa reale del fare matematica. Per esempio, di nuovo Gowers afferma: «Le questioni considerate fondamentali dai filosofi sono questioni strane, esterne, che sembrano non fare alcuna differenza per l’impresa reale, interna del fare matematica»2. 1.2. Filosofia della matematica contro tradizione filosofica La ragione per cui, secondo l’ortodossia prevalente, la filosofia della matematica dal 1884 è stata un grande argomento, è che per essa la filosofia della matematica è nata con la pubblicazione delle Grundlagen der Arithmetik di Frege. Per esempio, Kenny afferma che «la misura della grandezza di Frege come filosofo della matematica sta nel fatto che la sua opera rese 1 2
Gowers 2006, p. 198. Ibid.
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completamente antiquato tutto quanto era stato scritto prima»3. Anche se altri autori prima di Frege hanno considerato la matematica da un punto di vista filosofico, essi appartengono alla preistoria della filosofia della matematica, tanto che «oggi nessuno può prendere sul serio l’opera neppure dei più grandi autori precedenti sull’argomento»4. Addirittura, secondo l’ortodossia prevalente, basandosi sulla logica matematica da lui creata come strumento della filosofia della matematica, Frege ha prodotto una rivoluzione in filosofia che ha cambiato l’aspetto della disciplina. Per esempio, Dummett afferma che Frege «ha realizzato una rivoluzione» in filosofia perché ha fatto del suo approccio alla filosofia «il punto di partenza per l’intera disciplina»5. La nuova filosofia si fonda su quell’analisi «della struttura generale dei nostri pensieri» che «sta alla base della logica matematica moderna e che fu iniziata da Frege»6. Perciò «chiedere quanto la logica matematica abbia contribuito alla filosofia è porre la domanda sbagliata»7. La nuova filosofia «è scritta da persone a cui i principi basilari della rappresentazione delle proposizioni nella forma quantificazionale che è il linguaggio della logica matematica sono familiari quanto l’alfabeto»8. 2. Limiti dell’ortodossia prevalente 2.1. Limiti dell’autonomia della filosofia della matematica Queste tesi dell’ortodossia prevalente, però, appaiono scarsamente fondate. Innanzitutto, affermare che la filosofia della matematica è nata con Frege è ingiustificato. I numerosi filosofi che che si sono occupati della natura della matematica prima di Frege – i Pitagorici, Platone, Aristotele, Proclo, Descartes, Pascal, Hobbes, Locke, Leibniz, Berkeley, Hume, Kant, Bolzano, Mill, per non menzionarne che alcuni – non appartengono alla preistoria della filosofia della matematica ma, almeno alcuni di essi, sono pietre miliari nella sua storia. È vero che, a partire da Frege, la filosofia della matematica è stata sviluppata come una disciplina autonoma, e che Frege è stato «il primo filosofo della matematica a tempo pieno»9. Ma questo non significa che 3
Kenny 1995, p. 211. Ibid. 5 Dummett 1981, pp. 665-666. 6 Dummett 1991a, p. 2. 7 Ibid. 8 Ivi, pp. 2-3. 9 Hersh 1997, p. 141. 4
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sviluppare la filosofia della matematica come una disciplina autonoma sia una buona idea, né che essere un filosofo della matematica a tempo pieno sia una buona cosa. Pensare che si possa sviluppare la filosofia della matematica come una disciplina autonoma si basa sull’assunzione che la natura della matematica possa essere indagata senza impegnarsi in questioni concernenti la percezione, la mente, ecc.. Ma si tratta di un’assunzione ingiustificata, perché quale matematica facciamo dipende essenzialmente da quale apparato percettivo, mente, ecc., abbiamo. Inoltre, essere un filosofo della matematica a tempo pieno significa avere una visione unilaterale ed impoverita della matematica. Frege dice che «un filosofo che non abbia alcuna familiarità con la geometria è solo un filosofo dimezzato»10. Ma nello stesso modo si può dire che un filosofo della matematica a tempo pieno è solo un filosofo dimezzato. 2.2. Limiti della polemica contro la tradizione filosofica È anche ingiustificato affermare che, basandosi sulla logica matematica da lui creata come strumento della filosofia della matematica, Frege ha prodotto una rivoluzione in filosofia che ha cambiato l’aspetto della disciplina. Tale affermazione intende essere polemica verso la tradizione filosofica precedente. Ma si tratta di una polemica ingiustificata, perché le principali idee filosofiche di Frege sulla matematica furono da lui mutuate dalla tradizione filosofica. In realtà, lungi dall’aver dato origine ad un nuovo tipo di filosofia che ha cambiato l’aspetto della disciplina, il contributo di Frege alla filosofia è stato abbastanza modesto. Lo stesso vale per Hilbert e per Brouwer che, secondo l’ortodossia prevalente, sono gli zii della filosofia della matematica, così come Frege ne è il padre. Anch’essi mutuarono le loro principali idee sulla matematica dalla tradizione filosofica. Questo non significa che Frege, Hilbert e Brouwer non abbiano aggiunto nulla di nuovo alla tradizione filosofica. Ma ciò che vi hanno aggiunto è essenzialmente di natura tecnica, non filosofica, e alla fine si è rivelato inaccettabile.
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Frege 1969, p. 293.
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II La filosofia della matematica di ieri
1. Frege 1.1. Le motivazioni di Frege Secondo Frege (1848-1925), il compito della filosofia della matematica è indagare il fondamento della certezza della matematica. La necessità di una tale indagine deriva dal fatto che la matematica si è «allontanata per qualche tempo dal rigore euclideo»1. La mancanza di rigore si accentuò con la scoperta dell’analisi matematica, nella quale «parvero elevarsi difficoltà gravi, quasi insormontabili, contro ogni tentativo di esporre l’analisi in forma rigorosa»2. Per porre rimedio a questa situazione non basta «una pura e semplice persuasione morale, fondata sul gran numero di applicazioni riuscite»3. Occorre un’indagine sui fondamenti della matematica Un’indagine del genere non è necessaria per la geometria, perché il suo fondamento è stato definitivamente chiarito da Kant che, «chiamando le verità della geometria sintetiche e a priori, ha rivelato la loro vera natura»4. È necessaria, invece, per l’aritmetica, sul cui fondamento Kant si è sbagliato. Si deve perciò chiarire il concetto di numero, a cominciare da quello di numero naturale perché, «se non si è fatta completa luce sul fondamento stesso dell’edificio aritmetico, riuscirà ben più difficile spiegare con perfetta chiarezza i numeri negativi, frazionari e complessi»5. 1.2. Il programma di Frege Secondo Frege, il fondamento della certezza dell’aritmetica è la logica. L’aritmetica «è una branca della logica», perciò «non ha bisogno di 1
Frege 1961, p. 1. Ibid. 3 Ibid. 4 Ivi, pp. 101-102. 5 Ivi, p. II. 2
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prendere alcun fondamento della dimostrazione né dall’esperienza né dall’intuizione»6. Le «verità aritmetiche sono analitiche»7. Quindi sono verità logiche. Nel dire che le verità aritmetiche sono analitiche, Frege usa il termine ‘analitico’ in un senso diverso da di Kant. Per Kant una proposizione è analitica se e solo se in essa «il predicato B appartiene al soggetto A come qualcosa che è contenuto (occultamente) in tale concetto A», quindi se e solo se non aggiunge «nulla, mediante il predicato, al concetto del soggetto, limitandosi a dividere, per analisi, il concetto» del soggetto «nei suoi concetti parziali, che erano già stati pensati in esso (sebbene confusamente)»8. Per Frege, invece, una proposizione è analitica se e solo se può essere dimostrata a partire da «verità primitive» logiche facendo «uso solo di leggi logiche generali e di definizioni»9. Quindi, è analitica se e solo se può essere dedotta da verità primitive logiche. Queste devono essere in numero finito, perché «questa ipotesi di infinite verità primitive indimostrabili» è «incongrua e paradossale», essendo «in conflitto col requisito della ragione di una completa perspicuità dei primi fondamenti»10. In definitiva, perciò, una proposizione è analitica se e solo se è deducibile da un insieme finito di verità primitive logiche. Pertanto, le verità aritmetiche sono verità logiche in quanto sono deducibili da un insieme finito di verità primitive logiche. Dunque, per mostrare che le verità aritmetiche sono verità logiche, occorre mostrare che esse sono deducibili da un insieme finito di verità primitive logiche. Questo è il ‘programma logicista’ di Frege. Se esso fosse realizzabile, si potrebbe affermare che «non si può tracciare alcun confine netto tra la logica e l’aritmetica» ma esse «insieme costituiscono una scienza unificata»11. Quindi «non esiste un modo di inferenza peculiarmente aritmetico che non possa essere ridotto ai modi di inferenza generali della logica»12. 1.3. La concezione della logica di Frege Ma che cos’è la logica per Frege? Non è la logica naturale, cioè quella capacità di ragionare che ogni essere umano possiede, perché questa 6
Frege 1962, I, p. 1. Frege 1961, p. 118. 8 Kant 1900–, III, p. 33 (B 10-11). 9 Frege 1961, p. 4. 10 Ivi, p. 6. 11 Frege 1990, p. 103. 12 Ivi, p. 104. 7
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non è propriamente una logica dal momento che ciò che è naturale per l’uno può non esserlo per l’altro. È invece la scienza del pensiero, inteso non come un processo della mente ma come ciò che trova espressione in una proposizione. Perciò la logica è strettamente legata al linguaggio. Inoltre essa non è descrittiva, non descrive come di fatto pensiamo, ma è normativa, ci dice come dobbiamo pensare se non vogliamo contravvenire alla verità. Non essendo descrittiva, la logica non si occupa di come arriviamo a scoprire nuove verità nelle singole scienze, ma di come arriviamo a giustificare verità già trovate, cioè a dar loro il più solido fondamento, inferendole da altre verità che stanno a fondamento. Perciò la logica si occupa delle leggi dell’esser vero – non dell’esser vero in ambiti particolari, che è oggetto delle singole scienze, ma delle leggi più generali dell’esser vero. Quanto alle verità logiche primitive, cioè le verità che stanno a fondamento, esse non possono essere giustificate dalla logica ma ci sono date dall’intuizione intellettuale. Nel trattare la logica Frege – nella sua prima opera, la Begriffsschrift pubblicata nel 1879 – innova rispetto alla tradizione logica precedente. La principale innovazione è che egli tratta un concetto come una funzione unaria F ( x ) a due valori, 1 (= vero) e 0 (= falso), tale che, per ogni a, F ( a ) = 1 se a cade sotto quel concetto, F ( a ) = 0 altrimenti. Per esempio, il concetto di uomo è la funzione unaria F ( x ) tale che per ogni a, F ( a ) = 1 se a cade sotto il concetto di uomo, F ( a ) = 0 altrimenti. Più in generale, Frege tratta una relazione n-aria come una funzione n-aria F ( x1 ,..., xn ) tale che, per ogni a1 ,..., an , F (a1 ,..., an ) = 1 se a1 ,..., an stanno in quella relazione, F (a1 ,..., an ) = 0 altrimenti. Così egli supera le difficoltà della tradizione logica precedente nel trattare le relazioni. 1.4. Il debito di Frege verso Kant e Leibniz Nel formulare il suo programma, Frege mutua le sue principali idee sulla logica e sulla matematica da Kant, tranne due che egli mutua da Leibniz. 1) Da Kant, Frege mutua l’idea che la logica non è la logica naturale, la quale non è propriamente una logica, perché «ciò che è naturale per l’uno può essere innaturale per l’altro»13. Kant, infatti, aveva detto che «la logica naturale, o la logica della ragione comune (sensus communis), non è propriamente una logica, ma 13
Frege 1969, p. 158.
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una scienza antropologica che ha solo principi empirici»14. Solo «la logica artificiale o scientifica merita questo nome quale scienza delle regole necessarie e universali del pensiero, le quali possono e devono essere conosciute a priori, indipendentemente dall’uso naturale in concreto dell’intelletto e della ragione »15. Tale logica si dice scientifica perché è «un corpo di dottrina dimostrata»16. 2) Da Kant, Frege mutua l’idea che, poiché la logica non è la logica naturale, «nessuna indagine psicologica può giustificare le leggi della logica»17. Altrimenti queste sarebbero puramente contingenti, mentre esse sono necessarie, perché è necessaria una proposizione per la quale si può indicare «l’esistenza di giudizi universali da cui la proposizione può essere dedotta»18. Perciò si deve evitare la «nociva intrusione della psicologia nella logica»19. Kant, infatti, aveva detto che la logica «non desume nulla dalla psicologia, la quale perciò non ha assolutamente alcuna influenza sul canone dell’intelletto»20. Se i principi della logica venissero basati sulla psicologia, le leggi della logica sarebbero «leggi puramente contingenti», mentre «in logica non si tratta di regole contingenti ma necessarie»21. Perciò «ogni osservazione psicologica deve essere esclusa dalla logica»22. 3) Da Kant, Frege mutua l’idea che la logica è la scienza del pensiero, inteso non come un processo della mente ma come ciò che trova espressione in «un enunciato assertorio. Pensieri sono, ad esempio, le leggi naturali, le leggi matematiche, i fatti storici: tutti quanti trovano espressione negli enunciati assertori»23. Perciò «il nostro pensiero è strettamente legato al linguaggio»24. Dunque la logica è strettamente legata al linguaggio. Kant, infatti, aveva detto che la logica è «la scienza che si occupa del pensiero in generale, indipendentemente dall’oggetto»25. Il nostro
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Kant 1900–, IX, p. 17. Ivi, IX, p. 17. 16 Ivi, III, p. 77 (B 78). 17 Frege 1969, p. 190. 18 Frege 1964, p. 4. 19 Frege 1962, I, p. XIV. 20 Kant 1900–, III, pp. 76-77 (B 78). 21 Ivi, IX, p. 14. 22 Ivi, XXIV, p. 694. 23 Frege 1969, p. 142. 24 Ivi, p. 288. 25 Kant 1900–, XXIX, p. 13. 15
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pensiero è strettamente legato al linguaggio perché «noi pensiamo con parole»26. Il «linguaggio significa il pensiero e, dall’altro lato, il mezzo par excellence della significazione intellettuale è il linguaggio»27. La «forma del linguaggio e la forma del pensiero sono parallele l’una all’altra e sono simili»28. Dunque la logica è strettamente legata al linguaggio. 4) Da Kant, Frege mutua l’idea che la logica non è descrittiva ma è «una scienza normativa, come l’etica»29. Le leggi logiche non sono descrizioni di «come effettivamente si svolge il pensiero, di come si arriva ad una convinzione», ma sono «prescrizioni per il giudicare, di cui il giudizio deve avvalersi se non vuole lasciarsi sfuggire la verità»30. Per «leggi logiche» si devono intendere «quelle che prescrivono come si deve pensare»31. Kant, infatti, aveva detto che nella logica non si tratta «di come pensiamo ma di come dobbiamo pensare»32. In essa «noi non vogliamo sapere come l’intelletto è e pensa e come ha proceduto finora nel pensare, ma come dovrebbe procedere nel pensare. La logica deve insegnarci il retto uso dell’intelletto»33. Essa è come «l’etica pura, la quale non contiene altro che le leggi morali necessarie di una volontà libera in generale»34. 5) Da Kant, Frege mutua l’idea che la logica, non essendo descrittiva ma normativa, non può occuparsi di come arriviamo a scoprire verità, cioè di come «siamo arrivati gradualmente ad una data proposizione»35. Kant, infatti, aveva detto che la logica non è «un’indicazione della maniera in cui una determinata conoscenza deve essere ottenuta»36. Essa «non può essere una euristica, perché astrae da ogni contenuto della conoscenza. Perciò non può produrre nuova conoscenza».37
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Ivi, XXIX, p. 31. Ivi, VII, p. 192. 28 Ivi, XXIX, p. 31. 29 Frege 1969, p. 139. 30 Ivi, p. 157. 31 Frege 1962, I, p. XVI. 32 Kant 1900–, IX, p. 14. 33 Ibid. 34 Ivi, III, p. 77 (B79). 35 Frege 1964, p. IX. 36 Kant 1900–, IX, p. 13. 37 Kant 1998, II, p. 279. 27
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6) Da Kant, Frege mutua l’idea che la logica in particolare non può occuparsi di come arriviamo a scoprire verità nelle singole scienze, quindi non si addentra «nella specificità delle singole discipline e dei loro oggetti», ma si occupa di «ciò che vi è di più generale, di valido in tutti i campi del pensiero»38. Kant, infatti, aveva detto che la logica è una scienza delle «leggi necessarie del pensiero, ma non riguardo a oggetti particolari, bensì a tutti gli oggetti in generale»39. Essa «concerne l’intelletto, a prescindere dalla varietà degli oggetti a cui esso può essere rivolto»40 Infatti, «astrae da ogni contenuto della conoscenza intellettuale e dalla varietà dei suoi oggetti, non trattando che della semplice forma del pensiero»41. 7) Da Kant, Frege mutua l’idea che la logica si occupa solo di come giustifichiamo verità già trovate, cioè di come, per ogni verità già trovata, «arriviamo a darle il più solido fondamento»42. Kant, infatti, aveva detto che la logica non può servire «ad ampliare la nostra conoscenza, ma semplicemente a vagliarla e a correggerla»43. Essa ha una funzione di fondazione trascendentale della conoscenza, serve a «costituire la possibilità di quest’ultima»44. 8) Da Kant, Frege mutua l’idea che «la logica tratta delle leggi dell’esser vero»45. Non dell’esser vero in ambiti particolari, ma «delle leggi più generali dell’esser vero»46. Kant, infatti, aveva detto che la logica «è anche giustamente chiamata logica della verità, perché contiene le regole necessarie di ogni verità (formale)»47. 9) Da Kant, Frege mutua l’idea che le verità logiche primitive non possono essere giustificate dalla logica, perché cercare di giustificarle mediante la logica sarebbe «come tentare di uscir fuori della propria pelle»48. O «giudicare senza giudicare, o lavare la pelliccia senza
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Frege 1969, p. 139. Kant 1900–, IX, p. 16. 40 Ivi, III, p. 75 (B 76). 41 Ivi, III, p. 76 (B 78). 42 Frege 1964, p. IX. 43 Kant 1900–, IX, p. 13. 44 Ivi, IV, p. 279. 45 Frege 1969, p. 161. 46 Ivi, p. 139. 47 Kant 1900–, IX, p. 16. 48 Frege 1962, I, p. XVII. 39
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bagnarla»49. Perciò, rispetto alle verità logiche primitive, la logica «dovrà rimanere debitrice della risposta»50. Kant, infatti, aveva detto che i principi logici, «non possono essere dimostrati affatto, né a priori né empiricamente»51. 10) Da Kant, Frege mutua l’idea che la matematica è assolutamente certa ma, «una volta convinti dell’immobilità di una roccia, per aver tentato invano di spostarla, ci si può chiedere che cosa la sostenga con tanta saldezza»52. Cioè, quale sia il suo fondamento. Kant, infatti, aveva detto che la matematica è «una grande e verificata conoscenza», che «ha in sé, da parte a parte, una certezza apodittica, cioè una assoluta necessità»53. Perciò non ci deve domandare se le conoscenze matematiche «sono possibili», perché esse «sono date a sufficienza, e certo con una realtà di incontestabile certezza»54. Ci si deve domandare invece «come esse sono possibili»55. Si deve cioè «indagare il fondamento di tale possibilità, e domandare come è possibile questa conoscenza»56. 11) Da Kant, Frege mutua l’idea che «gli elementi di tutte le costruzioni geometriche sono intuizioni, e la geometria si rivolge all’intuizione come alla fonte di tutti i suoi assiomi»57. Essa «si basa su assiomi che derivano la loro validità dalla natura della nostra facoltà intuitiva»58. Kant, infatti, aveva detto che «tutti i principi geometrici, per esempio che in un triangolo la somma di due lati è maggiore del terzo, non sono mai derivati dai concetti generali di linea e di triangolo, ma dall’intuizione»59. 12) Da Leibniz, Frege mutua l’idea che l’aritmetica è «semplicemente uno sviluppo della logica, ed ogni proposizione dell’aritmetica è una legge della logica, sebbene derivata»60. Le «leggi
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Frege 1961, p. 36. Frege 1962, I, p. XVII. 51 Kant 1900–, XXIV, p. 694. 52 Frege 1961, p. 2. 53 Kant 1900–, IV, p. 280. 54 Ivi, IV, p. 276. 55 Ivi, III, p. 40 (B 20). 56 Ibid. 57 Frege 1990, p. 50. 58 Ivi, p. 1. 59 Kant 1900–, III, p. 53 (B 39). 60 Frege 1961, p. 99. 50
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aritmetiche sono giudizi analitici»61. Dunque «Kant si sbagliò riguardo all’aritmetica»62. Leibniz, infatti, aveva detto che le verità logiche primitive sono «sufficienti per dimostrare tutta l’aritmetica»63. 13) Da Leibniz, Frege mutua l’idea che le verità logiche primitive sono date dalla «fonte conoscitiva logica»64. Cioè, dall’intuizione intellettuale. Leibniz, infatti, aveva detto che «le verità primitive che si conoscono per mezzo dell’intuizione» comprendono in primo luogo le verità logiche primitive, «che io chiamo col nome generico di identiche»65. 1.5. Deviazioni da Leibniz A differenza di Leibniz, però, Frege non è un logicista assolutamente coerente. Per Leibniz i principi logici sono «sufficienti per dimostrare tutta l’aritmetica e tutta la geometria, cioè tutti i principi matematici»66. Per Frege, invece, «c’è una notevole differenza tra la geometria e l’aritmetica nel modo in cui esse fondano i loro principi»67. Mentre le verità aritmetiche sono leggi logiche, le verità geometriche si basano sull’intuizione sensibile pura. Ma a partire da Descartes si sa che la geometria euclidea può essere interpretata nella teoria dei numeri reali, e quindi nell’aritmetica intesa come la scienza del numero in generale. Perciò, se le verità aritmetiche sono verità logiche, anche le verità geometriche lo sono. 1.6. Gli argomenti di Frege contro Kant Frege motiva la sua affermazione che Kant si sbaglia riguardo all’aritmetica, muovendogli alcune obiezioni, che però risultano infondate. 1) Frege obietta che noi «possiamo sempre assumere l’opposto di questo o di quell’assioma geometrico, senza cadere perciò in autocontraddizione quando procediamo alle nostre deduzioni, nonostante il conflitto tra le nostre assunzioni e la nostra intuizione»,
61
Ivi p. 99. Ivi, p. 102. 63 Leibniz 1965, VII, p. 355. 64 Frege 1969, p. 298. 65 Leibniz 1965, V, p. 343. 66 Ivi, VII, p. 355. 67 Frege 1990, p. 50. 62
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perciò «gli assiomi geometrici sono indipendenti tra loro», e «di conseguenza sono sintetici»68. Invece, «la negazione di una qualsiasi» delle «leggi fondamentali della scienza del numero» ci fa cadere in autocontraddizione quando procediamo alle nostre deduzioni, con la conseguenza che cade «tutto in confusione»69. Ma non è così. Infatti, si può negare ogni singolo assioma dell’aritmetica senza cadere in autocontraddizione. Inoltre, anche secondo Kant si può assumere l’opposto di questo o di quell’assioma geometrico senza cadere in autocontraddizione. Infatti, Kant afferma che «una scienza di tutti questi tipi possibili di spazio», euclidei e non euclidei, «sarebbe indubbiamente la più alta geometria che un intelletto finito potrebbe intraprendere»70. Anzi, «se è possibile che si diano estensioni di altre dimensioni» oltre le tre della geometria euclidea, «è anche molto probabile che Dio le abbia realmente collocate da qualche parte», anche se «spazi siffatti non apparterrebbero affatto al nostro mondo ma dovrebbero costituire universi propri», benché eventualmente «collegati col nostro»71. Kant, dunque, ammette la possibilità di geometrie basate su assiomi contraddittori con quelli di Euclide. E avrebbe potuto ammettere anche la possibilità di aritmetiche basate su assiomi contraddittori con quelli dell’aritmetica ordinaria se assiomi per l’aritmetica ordinaria fossero stati noti alla sua epoca, ma essi sarebbero stati formulati solo successivamente. 2) Frege obietta che, a differenza delle proposizioni fondamentali su cui si basa la geometria, le proposizioni fondamentali «su cui si basa l’aritmetica non possono applicarsi semplicemente ad un’area limitata, le cui peculiarità esse esprimono così come gli assiomi della geometria esprimono le peculiarità di ciò che è spaziale»72. Infatti, si può «contare quasi tutto ciò che può essere oggetto del pensiero: l’ideale come il reale, i concetti come gli oggetti, le entità spaziali come quelle temporali, gli eventi come i corpi, i metodi come i teoremi»73. Perciò le proposizioni fondamentali su cui si basa l’aritmetica «devono estendersi a tutto il pensabile; e una proposizione generalissima siffatta la si attribuisce molto a buon diritto alla logica»74.
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Frege 1961, pp. 20-21. Ivi, p. 21. 70 Kant 1900–, I, p. 24. 71 Ivi, I, p. 25. 72 Frege 1990, p. 103. 73 Ibid. 74 Ibid. 69
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Ma non è così. Non è affatto vero che le proposizioni fondamentali su cui si basa l’aritmetica, in quanto si estendendono a tutto il pensabile, possano attribuirsi alla logica. Le leggi della logica di Frege non si estendendono a tutto il pensabile, per esempio non si estendono agli oggetti della matematica intuizionista, per i quali non vale il principio del terzo escluso. Inoltre, anche Kant avrebbe potuto affermare che le proposizioni fondamentali su cui si basa l’aritmetica si estendono a tutto il pensabile, anche a ciò che non può essere dato nell’intuizione, per esempio a enti immaginari. Ma – egli avrebbe aggiunto – le proposizioni fondamentali applicate a ciò che non può essere dato nell’intuizione non ci danno conoscenza sul nostro mondo, eventualmente solo su un qualche altro mondo possibile. 3) Frege obietta che, poiché «nella geometria le proposizioni generali derivano dall’intuizione», è comprensibile che «i punti, le linee, i piani intuiti», cioè le immagini che li rappresentano, «non hanno propriamente alcuna particolarità, e perciò possono servire come rappresentati del loro intero genere»75. Ma «con i numeri le cose stanno in modo differente: ciascuno di essi ha la sua particolarità. In che misura un determinato numero possa rappresentare tutti gli altri, e dove invece entri in gioco il suo carattere particolare, non può essere stabilito senz’altro»76. Cioè, mentre una particolare immagine di triangolo può rappresentare l’universalità del concetto di triangolo, una particolare immagine di numero, per esempio cinque punti, non può rappresentare l’universalità del concetto di numero. Ma non è così. Infatti, se si assume che gli oggetti su cui vengono condotte le dimostrazioni della geometria non sono oggetti particolari ma sono oggetti generali, si ottiene una contraddizione 77. Inoltre, l’obiezione assume che per Kant un concetto geometrico come quello di triangolo possa essere rappresentato da un’immagine particolare. Ma questo è negato da Kant, il quale afferma che «nessuna immagine sarebbe mai adeguata al concetto di triangolo in generale. Infatti l’immagine non potrebbe in nessun caso accedere alla generalità del concetto, che lo rende valido per ogni triangolo, sia esso rettangolo o di un altro genere, e resterebbe sempre circoscritta a una parte soltanto di questa sfera»78. Perciò «alla base dei nostri concetti sensibili
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Frege 1961, pp. 19-20. Ivi, p. 20. 77 V. Cellucci 2007. 78 Kant 1900–, III, p. 136 (B 180). 76
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puri non vi sono le immagini degli oggetti ma gli schemi»79. Per «schema di un concetto» si intende «la rappresentazione del procedimento generale mediante il quale l’immaginazione fornisce al concetto la sua immagine»80. Ma l’immagine non deve essere effettivamente prodotta, basta mostrare la possibilità di farlo in linea di principio, dando la regola per farlo. Per esempio, è sufficiente mostrare «la possibilità di esibire il concetto di un chiliagono», cioè un poligono di mille lati, «in un’intuizione», dando la regola secondo la quale questo può essere fatto, è quanto basta per «fondare la possibilità di questo oggetto in matematica. Allora, infatti, la costruzione dell’oggetto può essere prescritta completamente»81. Similmente Kant si esprime sull’aritmetica, riguardo alla quale afferma che, se «dispongo di seguito cinque punti: ..... , questa è un’immagine del numero cinque. Se invece soltanto penso un numero in generale, che sia cinque o cento, questo pensiero è più la rappresentazione di un metodo per rappresentare una molteplicità (per esempio, mille) in un’immagine, in base ad un certo concetto, che questa immagine stessa, la quale, in questo caso, sarebbe difficilmente esaminabile interamente e raffrontabile col concetto»82. Tale pensiero è cioè uno schema, una regola per rappresentare una molteplicità in un’immagine. Si ha così una situazione simile a quella del chiliagono, come si vede dal fatto che Kant afferma che essa «diventa tanto più evidente quanto più grandi sono i numeri presi in considerazione»83. 1.7. Il principio di Hume Frege avvia la realizzazione del suo programma di dedurre, da un insieme finito di verità logiche primitive, tutte le verità aritmetiche note, nella sua seconda opera, le Grundlagen der Arithmetik, pubblicata nel 1884. La realizzazione del programma gli richiede innanzitutto di definire il concetto di numero naturale. Ma, poiché per Frege il fondamento della certezza dell’aritmetica non è l’intuizione sensibile pura, questo gli pone il problema: «Come può esserci dato un numero se non possiamo averne alcuna rappresentazione o intuizione?»84. La risposta di Frege fa appello al ‘principio del contesto’: «Solo nel 79
Ibid. Ibid., p. 135 (B 179-180). 81 Ivi, XI, p. 46. 82 Ivi, III, p. 135 (B 179). 83 Ivi, III, p. 37 (B 16). 84 Frege 1961, p. 73. 80
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contesto di una proposizione le parole hanno un significato»85. Perciò, per definire il concetto di numero, «occorre spiegare il senso di una proposizione in cui compare un numerale»86. Cioè, il nome di un numero. Questo, però, «lascia ancora molto spazio all’arbitrio»87. Infatti non chiarisce di quali proposizioni in cui compare un numerale occorra spiegare il senso. Per chiarirlo, Frege afferma che i numerali sono «oggetti autosussistenti», cioè hanno un’identità che ne consente «il riconoscimento sempre di nuovo»88. Questo richiede di dare un criterio per decidere se un numerale è lo stesso di un altro numerale. A tale scopo, secondo Frege, «dobbiamo definire il senso della proposizione ‘il numero che appartiene al concetto F è lo stesso del numero che appartiene al concetto G’»89. Infatti un’affermazione su un numero è sempre un’affermazione sul numero che appartiene ad un concetto. Per esempio, l’affermazione che Giove ha quattro lune è l’affermazione che quattro è il numero che appartiene al concetto ‘lune di Giove’. Perciò, per dare un criterio per decidere se un numerale è lo stesso di un altro numerale, dobbiamo definire il senso della proposizione ‘il numero che appartiene al concetto F è lo stesso del numero che appartiene al concetto G’. Tale proposizione, con il suo articolo determinativo, assume però che siamo già in grado di decidere se un numerale è lo stesso di un altro numerale. Perciò la si deve riformulare «senza far uso dell’espressione ‘il numero che appartiene al concetto F ’ » 90. Per farlo, Frege si ispira a Hume, il quale afferma che «quando due numeri sono combinati in modo tale che l’uno ha sempre un’unità corrispondente ad ogni unità dell’altro, li dichiariamo eguali»91. Perciò Frege definisce ‘il numero che appartiene al concetto F è lo stesso del numero che appartiene al concetto G ’ come ‘Esiste una corrispondenza biunivoca R tra gli oggetti che cadono sotto F e gli oggetti che cadono sotto G ’ , che egli abbrevia in « ‘Il concetto F è equinumeroso al concetto G ’ »92. Poiché tale definizione si ispira a Hume, essa va sotto il nome di ‘principio di Hume’. 85
Ibid. Ibid. 87 Ibid. 88 Ibid. 89 Ibid. 90 Ibid. 91 Hume 1978, p. 71. 92 Frege 1961, p. 85. 86
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Indicando ‘il numero che appartiene al concetto F ’ con NxF ( x ) , e ‘F è equinumeroso a G ’ con F ≈ G , il principio di Hume è: (HP)
NxF ( x ) = NxG ( x ) ↔ F ≈ G ,
che esprime ‘Il numero che appartiene al concetto F è eguale al numero che appartiene al concetto G se e solo se F è equinumeroso a G’. F ≈ G è definito, senza far uso dell’espressione NxF ( x ) , da: (1) ∃R (∀x ( F ( x ) → ∃! y (G ( y ) ∧ R ( x , y ))) ∧ ∀y (G ( y ) → ∃! x ( F ( x ) ∧ R ( x , y )))) , che esprime ‘Esiste una relazione R che fa corrispondere, a ogni oggetto che cade sotto F, un unico oggetto che cade sotto G, e viceversa, a ogni oggetto che cade sotto G, un unico oggetto che cade sotto F’, dunque esprime ‘Esiste una corrispondenza biunivoca R tra gli oggetti che cadono sotto F e gli oggetti che cadono sotto G ’ . Mentre F ≈ G è definito esplicitamente da (1), NxF ( x ) è definito da (HP) solo contestualmente. Tra definizioni esplicite e definizioni contestuali vi è una sostanziale differenza. Una definizione esplicita permette di sostituire l’espressione definita con l’espressione definente in ogni contesto in cui l’espressione definita occorre. Per esempio, la definizione di F ≈ G data da (1) permette di sostituire l’espressione definita F ≈ G con l’espressione definente (1) in ogni contesto in cui F ≈ G occorre. Invece una definizione contestuale non permette di sostituire l’espressione definita con l’espressione definente in ogni contesto in cui l’espressione definita occorre, ma solo in contesti di una particolare forma. Per esempio, (HP) permette di sostituire l’espressione definita NxF ( x ) con l’espressione definente F ≈ G solo in contesti della forma NxF ( x ) = NxG ( x ) . Per mezzo di (HP) si può sviluppare l’aritmetica dei numeri naturali. Così, 0 è definito da Nx ( x ≠ x ) , che esprime: «Il numero che appartiene al concetto ‘non identico a se stesso’»93. La relazione binaria ‘y è il successore di x ’ , scritta S ( x , y ) , è definita da: ∃F (NwF ( w ) = y ∧ ∃z ( F ( z ) ∧ Nw( F ( w ) ∧ w ≠ z ) = x )) ,
93
Ivi, p. 87.
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che esprime ‘Esiste un concetto F tale che y è il numero che appartiene a F ed esiste un z tale che z cade sotto F e x è il numero che appartiene al concetto ‘cade sotto F ma è diverso da z’. La proprietà N(w), che esprime ‘w è un numero naturale’, è definita da: ∀F ( F (0) ∧ ∀x∀y ( F ( x) ∧ S ( x, y ) → F ( y )) → F ( w)) ,
che esprime ‘w cade sotto ogni concetto F tale che 0 cade sotto F e, se x cade sotto F, anche il successore y di x cade sotto F ’ . Con queste definizioni, da (HP) si possono dedurre gli assiomi dell’aritmetica di Peano. Questo risultato va sotto il nome di ‘teorema di Frege’. 1.8. Il problema di Cesare Tuttavia (HP) va incontro alla difficoltà che esso non permette di decidere se una proposizione della forma NxF ( x ) = q è vera o falsa quando q non ha la forma NxG ( x ) , per esempio quando q è ‘Giulio Cesare’. Infatti, per stabilire NxF ( x ) = q , occorrerebbe stabilire ∃G (NxG ( x ) = q ∧ F ≈ G ) , ma questo richiederebbe che si potesse stabilire NxG ( x ) = q , il che darebbe luogo ad un rimando all’infinito. Questa difficoltà va sotto il nome di ‘problema di Cesare’. Essa costituisce un serio problema per Frege perché, come abbiamo visto, egli introduce (HP) allo scopo di dare un criterio per decidere se un numerale è lo stesso di un altro numerale. Non permettendo di decidere se una proposizione della forma NxF ( x ) = q è vera o falsa quando q non ha la forma NxG ( x ) , (HP) non fornisce un tale criterio. Per superare questa difficoltà Frege considera la possibilità di dare una definizione esplicita di NxF ( x ) . La definizione che egli dà è in termini della nozione di estensione di un concetto F. Se indichiamo l’estensione di F con {x : F ( x )} , allora egli definisce NxF ( x ) come
{X : X
≈ F } . Infatti afferma: «Io perciò definisco: Il numero che
appartiene al concetto F è l’estensione del concetto ‘equinumeroso al concetto F ’ »94. Con questa definizione di NxF ( x ) , (HP) diventa: (HP ')
94
{X : X
≈ F } = { X : X ≈ G} ↔ F ≈ G ,
Ivi, pp. 79-80.
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che esprime: «L’estensione del concetto ‘equinumeroso al concetto F ’ è la stessa dell’estensione del concetto ‘equinumeroso al concetto G ’ » se e solo se «il concetto F è equinumeroso al concetto G»95. 1.9. La difficoltà di definire l’estensione di un concetto Definendo NxF ( x ) come { X : X ≈ F } , Frege pensa di poter risolvere il problema di Cesare, ma non è così. Tale definizione, infatti, permette decidere se Giulio Cesare è il numero appartenente ad un concetto solo se è già stato deciso se Giulio Cesare è l’estensione di un concetto. Questo presuppone che si sappia che cos’è l’estensione di un concetto, ma Frege, nelle Grundlagen der Arithmetik, non spiega che cosa sia, si limita a dire che in questa definizione egli suppone «noto il senso dell’espressione ‘estensione di un concetto’ si suppone noto»96. Cioè, egli suppone «che si sappia che cos’è l’estensione di un concetto»97. Ma questo è insoddisfacente, e lo stesso Frege è consapevole che «non ci si può aspettare che questo modo di superare la difficoltà incontri un’approvazione universale»98. Nondimeno dichiara: «Io non attribuisco alcuna importanza decisiva al far intervenire l’estensione di un concetto»99. Invece avrebbe dovuto attribuirgli un’importanza decisiva, perché, senza far intervenire l’estensione di un concetto, il problema di Cesare non può considerarsi risolto. Ma spiegare che cos’è l’estensione di un concetto costituisce una difficoltà per Frege, perché egli non è in grado di dare una definizione esplicita dell’estensione di un concetto. Nella tradizione logica precedente l’estensione di un concetto era definita esplicitamente come «la quantità delle cose contenute sotto il concetto»100. Cioè, come l’insieme degli oggetti che cadono sotto il concetto. Ma Frege non può definire l’estensione di un concetto in questo modo, perché egli definisce un insieme come l’estensione di un concetto. Per lui un insieme non può essere definito come un ‘aggregato’, perché un aggregato è una riunione di oggetti in un tutto, e, «se ci è dato un tutto, non è ancora determinato quali debbano essere considerate le sue parti», mentre quando è dato un insieme, «è 95
Ivi, p. 85. Ivi, p. 117. 97 Ivi, p. 80, nota. 98 Ivi, p. 117. 99 Ibid. 100 Kant 1900–, XXIV, p. 911. 96
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determinato quali oggetti appartengano ad esso»101. Perciò un insieme deve essere definito come l’estensione di un concetto, e in effetti «ciò che i matematici chiamano insieme non è altro che l’estensione di un concetto»102. Ma, definendo un insieme come l’estensione di un concetto, Frege non può definire l’estensione di un concetto come l’insieme degli oggetti che cadono sotto il concetto, perché ciò darebbe luogo ad un circolo. Per questo motivo egli non è in grado di dare una definizione esplicita dell’estensione di un concetto. Ne segue che, definendo NxF ( x ) come { X : X ≈ F } , Frege non risolve il problema di Cesare. 1.10. L’acme del programma di Frege Non essendo in grado di dare una definizione esplicita dell’estensione di un concetto, Frege – nei due volumi, pubblicati rispettivamente nel 1893 e nel 1903, della sua terza e più importante opera, i Grundgesetze der Arithmetik, che contiene la formulazione finale della sua ‘ideografia’, cioè del suo sistema logico – ne dà solo una definizione contestuale. Egli lo fa mediante il quinto assioma dell’ideografia, la cosiddetta ‘legge fondamentale 5’: (LF5)
{x : F ( x )} = {x : G ( x )} ↔ ∀x ( F ( x ) ↔ G ( x )) ,
che esprime ‘Due concetti F e G hanno la stessa estensione se e solo se, per lo stesso argomento x, F e G hanno lo stesso valore, cioè, un oggetto x cade sotto F se e solo se cade sotto G’ 103. Tale legge, per Frege, «deve considerarsi una legge logica»104. Da (LF5) e dagli altri assiomi dell’ideografia si possono dedurre gli assiomi di Peano, gli assiomi dei numeri reali e degli altri tipi di numeri. Perciò Frege afferma di aver dato, nelle Grundgesetze der Arithmetik, «la deduzione delle leggi più semplici dei numeri mediante mezzi puramente logici»105. La validità di tale deduzione dipende naturalmente dalla verità degli assiomi dell’ideografia. Di essa Frege era così convinto da dichiarare: «Come confutazione riconoscerei soltanto che qualcuno mi 101
Frege 1976, pp. 222-223. Frege 1962, II, p. 148. 103 La formulazione originaria di Frege è un po’ più generale, perché considera non solo concetti ma funzioni qualsiasi. Ma questo è inessenziale qui. 104 Frege 1962, I, p. 14. 105 Ivi, I, p. 1. 102
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mostrasse con i fatti che un edificio migliore e più duraturo può essere costruito sopra convinzioni fondamentali differenti, oppure che qualcuno mi mostrasse che i miei principi conducono a conseguenze palesemente false. Ma questo non riuscirà a nessuno»106. 1.11. Ancora il problema di Cesare Ma (LF5) va incontro a grosse difficoltà. Tanto per cominciare, non risolve il problema di Cesare. Per risolvere tale problema, Frege parte dall’idea di considerare ogni oggetto «come l’estensione di un concetto sotto il quale cade solo quell’oggetto»107. Questo risolverebbe il problema di Cesare, perché allora Giulio Cesare potrebbe essere concepito, per esempio, come l’estensione del concetto ‘vincitore di Pompeo a Farsalo’. Ma, come lo stesso Frege sottolinea, mentre questa idea «è possibile per ogni oggetto che non ci sia già dato» come l’estensione di un concetto, nel caso di un oggetto che ci sia già dato come l’estensione di un concetto «si pone il problema» se questa idea «non sia contraddittoria»108. In effetti lo è perché, in base ad essa, ogni oggetto viene identificato col suo insieme unità, cioè con l’insieme il cui solo elemento è quell’oggetto. Ma ovviamente non ogni oggetto può essere identificato col suo insieme unità, specificamente nessun insieme che abbia più di un elemento può essere identificato con esso. Questo suggerisce di sostituire l’idea in questione con quella di considerare ogni oggetto che non sia l’estensione di un concetto come l’estensione di un concetto sotto cui cade solo quell’oggetto. In base a tale idea, ogni oggetto che non sia l’estensione di un concetto viene identificato col suo insieme unità. Ma anche questa idea è inadeguata perché, se un oggetto non è l’estensione di un concetto, allora, in base a tale idea, esso è l’estensione di un concetto, il suo insieme unità, il che è contraddittorio. Questo a sua volta suggerisce di sostituire questa idea con l’ulteriore idea di considerare ogni oggetto che non ci sia già dato come l’estensione di un concetto, come l’estensione di un concetto sotto cui cade solo quell’oggetto. In base a tale idea, ogni oggetto che non ci sia già dato come l’estensione di un concetto viene identificato col suo insieme unità. Ma allora, che cosa sia un oggetto dipende dal modo in
106
Ivi, I, p. XXVI. Ivi, I, p. 18, nota 1. 108 Ibid. 107
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cui quell’oggetto ci è dato, e, come Frege riconosce, «lo stesso oggetto ci può essere dato in molti modi differenti»109. Se ne conclude che la nostra apprensione delle estensioni di concetti come oggetti non può essere spiegata unicamente in termini di (LF5). Quindi (LF5) non risolve il problema di Cesare. 1.12. Il paradosso di Russell Ma (LF5) va incontro ad una difficoltà ancor più grave: da essa si può dedurre una contraddizione. Tale contraddizione fu comunicata da Russell a Frege con una lettera datata 16 giugno 1902, mentre Frege stava per pubblicare il secondo volume dei Grundgesetze der Arithmetik, e perciò va sotto il nome di ‘paradosso di Russell’. Informalmente il paradosso di Russell può essere ottenuto nel modo seguente. Sia y l’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi. Chiediamoci: y appartiene a se stesso? Sia la risposta affermativa che quella negativa danno luogo ad una contraddizione. Infatti, se y appartiene a se stesso, allora a y appartiene un insieme che appartiene a se stesso, contraddicendo la scelta di y in virtù della quale a y appartengono solo insiemi che non appartengono a se stessi. Se invece y non appartiene a se stesso, allora a y non appartiene un insieme che non appartiene a se stesso, contraddicendo la scelta di y in virtù della quale a y appartengono tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi. Formalmente il paradosso di Russell può essere dedotto da (LF5) nel modo seguente. Definiamo l’appartenenza x ∈ y come: (1)
∃X ( y = {z : X ( z )} ∧ X ( x )) .
Dimostriamo innanzitutto: (2)
y = {x : F ( x )} → ∀x ( x ∈ y ↔ F ( x )) ,
cioè che ‘Se y è l’estensione del concetto F, allora y contiene come membri tutti e solo quegli oggetti x che cadono sotto F ’ . Per dimostrare (2) assumiamo y = {x : F ( x )} . Allora:
x∈ y
109
↔
x ∈ {x : F ( x )}
↔
∃X ({ ∀xz (: FF((zx))}= =X{(zz )) ( x∧))X ( x )) : X∧( X z )}
Ibid.
21
per per (1) (LF5)
↔
F ( x) .
Dunque ∀x ( x ∈ y ↔ F ( x )) . Si è così dimostrato (2). Sia allora y = {x : x ∉ x} , cioè l’estensione del concetto ‘x non appartiene a se stesso’, ovvero l’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi. Prendendo in (2) x ∉ x come F ( x ) si ottiene ∀x ( x ∈ y ↔ x ∉ x ) , da cui segue in particolare y ∈ y ↔ y ∉ y , che è una contraddizione. Il paradosso di Russell fu un duro colpo per Frege perché scosse «uno dei fondamenti del suo edificio»110. Per alcuni anni egli tentò di modificare (LF5) in modo che da essa non si potesse più dedurre una contraddizione pur rimanendo una legge logica, ma alla fine riconobbe: «I miei sforzi di chiarire ciò che si vuole chiamare ‘numero’ sono finiti in un completo fallimento»111. Perciò «ho dovuto abbandonare la mia idea che l’aritmetica sia una branca della logica»112. Il fallimento dei tentativi di Frege non fu dovuto a suoi limiti: anche i tentativi fatti da altri, da Russell a Ramsey, fallirono. Fu dovuto, invece, al fatto che il primo teorema di incompletezza di Gödel, pubblicato nel 1931, implica che il programma di Frege non è realizzabile. 1.13. Il crollo del programma di Frege Che il primo teorema di incompletezza di Gödel implichi che il programma di Frege non è realizzabile può essere visto nel modo seguente. Supponiamo che tutte le verità aritmetiche siano verità logiche in quanto sono deducibili da un insieme finito LT di verità logiche primitive. Sia T la teoria tutti i cui assiomi sono costituiti da LT. Poiché tutte le verità aritmetiche sono deducibili da LT, tutte le verità aritmetiche sono dimostrabili in T, perciò banalmente T è una teoria sufficientemente potente in senso esteso [V.4.9]. Inoltre, poiché l’insieme LT è finito, banalmente T è una teoria RE [V.3.3]. E ancora, poiché LT contiene solo verità logiche, T è coerente. Ma allora, per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2, V.7.2], esiste un enunciato della forma ∀x ( f ( x ) = 0) , dove f è una funzione ricorsiva primitiva, che è vero ma non è deducibile da LT. Dunque tale enunciato fornisce un esempio di verità aritmetica che non è deducibile da LT. Ma 110
Ivi, II, p. 253. Frege 1969, p. 282. 112 Ivi, p. 298. 111
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per ipotesi tutte le verità aritmetiche sono deducibili da LT. Contraddizione. Se ne conclude che non tutte le verità aritmetiche sono deducibili da LT, e dunque che non tutte le verità aritmetiche sono verità logiche. Contro l’affermazione che il primo teorema di incompletezza di Gödel implichi che il programma di Frege non è realizzabile e perciò «era destinato al fallimento fin dal principio», Hale e Wright hanno però obiettato che essa è «semplicemente un errore. Anche con la formulazione più impegnativa del logicismo» come la tesi che «si può vedere che tutte le verità aritmetiche sono verità logiche, è per lo meno opinabile che il teorema di Gödel ne segnali il fallimento»113. Infatti «la verità logica si sottrae ad una caratterizzazione deduttiva completa»114. Perciò sarebbe una petizione di principio trarre dal risultato di Gödel «la conclusione che non tutte le verità aritmetiche sono verità logiche, perché ciò richiederebbe l’identificazione della logica con la logica del primo ordine, e questa è un’identificazione che il logicista fregeano respinge, e deve respingere, in ogni caso»115. Se «il logicista è autorizzato a considerare la logica come comprendente la logica del secondo ordine», tale risultato non fa nascere «alcuno speciale problema per lui. In breve, il risultato di incompletezza di Gödel non ha alcuna specifica rilevanza per il progetto logicista»116. L’obiezione di Hale e Wright è che il fatto che, per il primo teorema di incompletezza di Gödel, per ogni insieme finito LT di verità logiche primitive esista un enunciato della forma ∀x ( f ( x ) = 0) , dove f è una funzione ricorsiva primitiva, che è vero ma non è deducibile da LT, non prova che tale enunciato non è una verità logica. Infatti, se non si restringe la logica alla logica del primo ordine, l’enunciato in questione può benissimo essere una verità logica, pur non essendo deducibile da LT, perché, per un corollario del teorema di incompletezza forte della logica del secondo ordine [V.7.6], nella teoria T i cui assiomi sono costituiti da LT e che, come abbiamo visto, è RE, non sono dimostrabili tutti gli enunciati logicamente validi del linguaggio di T. Ora, se l’enunciato dato dal primo teorema di incompletezza di Gödel è una verità logica, questo equivale a dire che esso è logicamente valido. Perciò tale enunciato può benissimo essere una verità logica e non essere dimostrabile in T.
113
Hale-Wright 2001, p. 4, nota 5. Ibid. 115 Ivi, pp. 4-5, nota 5. 116 Ivi, p. 5, nota 5. 114
23
Ma l’obiezione di Hale e Wright è fallace. Infatti, l’enunciato dato dal primo teorema di incompletezza di Gödel, avendo la forma ∀x ( f ( x ) = 0) , è un enunciato del primo ordine, e gli assiomi logici e le regole di deduzione logica di T comprendono quelli della logica del primo ordine. Ora, per il teorema di completezza della logica del primo ordine [V.1.5], tutti gli enunciati del primo ordine logicamente validi sono dimostrabili in T mediante gli assiomi logici e le regole di deduzione logica di T. Perciò, se l’enunciato in questione fosse una verità logica, e quindi un enunciato logicamente valido, esso dovrebbe essere dimostrabile in T. Dal fatto che tale enunciato non è dimostrabile in T, ne segue che esso non può essere una verità logica. Questa conclusione non presuppone l’identificazione della logica con la logica del primo ordine, fa solo uso del teorema di completezza della logica del primo ordine. Dunque, contrariamente a quanto affermano Hale e Wright, il primo teorema di incompletezza di Gödel davvero implica che il programma di Frege non è realizzabile, e quindi ha una rilevanza assolutamente specifica per il progetto logicista. 1.14. La reazione finale di Frege La reazione finale di Frege al paradosso di Russell fu l’abbandono dell’idea che le verità aritmetiche sono verità logiche. L’abbandono fu così totale che in seguito Frege non mostrò alcun interesse per gli sviluppi di quella logica matematica che, pure, lui aveva creato. Questo dipese dal fatto che la logica matematica era per Frege solo un mezzo rispetto al fine di mostrare che le verità aritmetiche sono verità logiche. Una volta rivelatosi irraggiungibile tale fine, il mezzo perse interesse. Lo scopo logico di Frege di mostrare che le verità aritmetiche sono verità logiche era funzionale al suo scopo epistemologico di mostrare il fondamento della certezza della matematica. Quando l’assunzione che il fondamento della certezza dell’aritmetica era la logica si rivelò insostenibile, Frege la sostituì con quella che tale fondamento fosse la geometria. Le verità aritmetiche sono verità geometriche, e perciò «tutta la matematica è, propriamente, geometria. La matematica appare così perfettamente unitaria nella sua essenza»117. L’aritmetica e la geometria, «e quindi l’intera matematica, scaturiscono da un’unica fonte conoscitiva, cioè quella geometrica»118. Come la geometria, anche l’aritmetica mutua il suo «fondamento dimostrativo dall’intuizione», dove per intuizione si intende «la fonte conoscitiva geometrica», cioè 117 118
Frege 1969, p. 297. Ivi, p. 299.
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l’intuizione sensibile pura spaziale, che è «quella fonte conoscitiva da cui derivano gli assiomi della geometria»119. Questo contraddice la precedente assunzione di Frege, che la base concettuale dell’aritmetica «non può essere l’intuizione spaziale; così, infatti, la disciplina si ridurrebbe alla geometria»120. Ad ogni modo, anche l’assunzione che le verità aritmetiche sono verità geometriche era funzionale allo scopo epistemologico di mostrare il fondamento della certezza della matematica. Per mostrare che le verità aritmetiche sono verità geometriche, invece di costruire il campo dei numeri partendo dai numeri naturali e passando poi ai numeri negativi, frazionari e complessi, Frege si dirige «direttamente alla meta finale, cioè ai numeri complessi»121. Egli introduce un sistema i cui concetti primitivi «sono linea e punto», e la cui unica relazione primitiva è: «Il punto A è simmetrico al punto B rispetto alla linea l»122. In esso si può dimostrare che, ad ogni rapporto di due segmenti in un dato piano corrisponde un unico punto C nel piano. Un numero complesso può essere identificato con tale punto. Perciò Frege definisce un numero complesso come un rapporto tra due segmenti in un dato piano. Tutti gli altri tipi di numeri saranno definiti in termini dei numeri complessi. Filosoficamente, questa mossa di Frege era un ritorno a Kant, sebbene di tipo anomalo perché, mentre per Kant le proposizioni aritmetiche si fondano sull’intuizione spaziale e temporale, Frege afferma che esse si basano solo sull’intuizione spaziale. Lo fa senza sentire il bisogno di spiegare perché non consideri più valida la sua precedente affermazione che non si può definire «il numero geometricamente, come un rapporto tra lunghezze o superfici» in quanto questo «presuppone come già conosciuti i concetti di grandezza e di rapporto tra grandezze», per cui «la definizione di numero in senso stretto, di numero cardinale, sarà tutt’altro che superflua»123 Matematicamente, la mossa di Frege era disperata, perché la nozione di rapporto in termini della quale egli definisce i numeri complessi non può essere quella usuale, che si fonda sul confronto tra grandezze. Infatti, quando si confrontano due segmenti con il metodo di Frege e si fa corrispondere al loro rapporto un punto del piano, il punto dipenderà anche dall’angolo con cui i segmenti sono orientati l’uno 119
Ivi, p. 298. Frege 1990, p. 104. 121 Frege 1969, p. 299. 122 Ivi, p. 300. 123 Frege 1961, p. 25. 120
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rispetto all’altro. Perciò due coppie di segmenti che hanno lo stesso rapporto nel senso usuale non avranno lo stesso rapporto nel senso di Frege. Ma allora non è chiaro che cosa si guadagni definendo i numeri complessi come rapporti tra segmenti. In definitiva, dunque, Frege mutuò le sue principali idee sulla natura della logica e della matematica da Kant, tranne due, che egli mutuò da Leibniz, e il suo unico contributo originale alla filosofia della matematica − che era di natura non filosofica ma tecnica: il progetto di dedurre le verità aritmetiche da un insieme finito di verità logiche − si risolse in un fallimento. Questo lo convinse a ritornare a Kant, sebbene in un modo filosoficamente anomalo e matematicamente disperato. 2. Hilbert 2.1. Le motivazioni di Hilbert Anche secondo Hilbert (1862-1943) il compito della filosofia della matematica è indagare il fondamento della certezza della matematica. L’esigenza di una tale indagine è nata col calcolo infinitesimale di Newton e Leibniz, che dava luogo a paradossi. Per eliminarli Weierstrass, Dedekind e Cantor diedero una fondazione del calcolo infinitesimale, che però dava luogo anch’essa a paradossi, «i paradossi della teoria degli insiemi. In particolare, una contraddizione scoperta da Zermelo e Russell ebbe un effetto addirittura catastrofico quando divenne nota nel mondo matematico»124. A causa di essa la matematica è stata «colpita per due decenni come da un incubo»125. Addirittura Brouwer ha preteso che si dovesse rinunciare a parti sostanziali della matematica. Ma, «seguendo questi riformatori, corriamo il pericolo di perdere una gran parte dei nostri più prezioni tesori»126. Ad ogni modo, la situazione creata dalla contraddizione scoperta da Zermelo e Russell «non può essere sopportata a lungo. Si pensi: nella matematica, in questo modello di sicurezza e di verità, le concettualizzazioni e le inferenze che tutti imparano, insegnano e adoperano portano ad assurdità. E dove si può trovare altrove sicurezza e verità se persino il pensiero matematico viene meno?»127. Che «ne sarebbe della verità della nostra conoscenza, che ne sarebbe dell’esistenza e del progresso della scienza, se nemmeno nella matematica ci fosse una verità sicura?»128. Perciò, dovunque «ci si 124
Hilbert 1926, p. 169. Hilbert 1929, p. 2. 126 Hilbert 1970b, p. 159. 127 Hilbert 1926, p. 170. 128 Hilbert 1929, p 9. 125
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presenti anche solo una minima speranza, noi vogliamo esaminare accuratamente tutte le concettualizzazioni e i ragionamenti fecondi, consolidarli e renderli passibili di impiego»129. 2.2. Matematica finitaria e matematica infinitaria A tale scopo Hilbert distingue, all’interno della matematica, una sua parte, detta ‘matematica finitaria’, che si basa unicamente sull’intuizione sensibile pura e corrisponde grosso modo alla matematica sviluppata dall’antichità fino ai primi decenni dell’Ottocento. La matematica nel suo complesso consiste dalla matematica finitaria più le integrazioni introdotte da Weierstrass, Dedekind e Cantor per dare una fondazione del calcolo infinitesimale, integrazioni che comportano l’uso di oggetti e metodi astratti, e specificamente dell’infinito attuale. Perciò la matematica nel suo complesso può essere detta ‘matematica infinitaria’. La matematica finitaria è una parte abbastanza ristretta della matematica infinitaria, perché non contiene già parti rilevanti dell’aritmetica. Quest’ultima «si basa in modo sostanziale su principi di ragionamento aggiuntivi» di tipo infinitario, perciò la matematica finitaria è una parte propria dell’aritmetica, dunque «i metodi finitari sono già compresi» come parte propria «nell’aritmetica usuale»130. Nella matematica finitaria «abbiamo i segni numerici |, ||, |||, ||||, …»131. Essi vengono indicati con 1, 2, 3, 4, … . Inoltre abbiamo i segni +, = e altri «che servono per comunicare asserzioni. Così 2 + 3 = 3 + 2 serve per comunicare che, tenendo conto delle abbreviazioni adoperate, 2 + 3 e 3 + 2 sono lo stesso segno numerico, cioè |||||»132. E ancora, abbiamo «lettere a, b, c per segni numerici»133. Esse servono per lo stesso scopo. Così a + b = b + a serve per comunicare che « a + b è lo stesso di b + a »134. Ma già un enunciato come ‘Esiste un numero primo > p ’, dove p indica il più grande numero primo attualmente noto, non appartiene alla matematica finitaria. Esso, infatti, sta per «‘ p + 1 oppure p + 2 oppure p + 3 … oppure … in infinitum’ è un numero primo», dunque sta per una disgiunzione infinita, e perciò, dal punto di vista della matematica
129
Hilbert 1926, p. 170. Hilbert-Bernays 1968-70, I, p. 42. 131 Hilbert 1926, p. 171. 132 Ibid. 133 Ibid. 134 Ibid. 130
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finitaria, è «privo di senso»135. Dunque, già quantificando esistenzialmente un enunciato della matematica finitaria si può andare oltre la matematica finitaria. Solo gli enunciati della matematica finitaria hanno propriamente un contenuto, mentre quelli della matematica infinitaria «in sé non significano niente»136. Sono «semplicemente un modo di dire»137. Infatti, mentre gli enunciati della matematica finitaria sono relativi ad oggetti che possono essere dati nell’intuizione sensibile pura, quindi esistono in un senso reale, e perciò possono essere detti «enunciati reali», gli enunciati della matematica infinitaria sono relativi ad oggetti che, comportando un riferimento all’infinito attuale, non possono essere dati nell’intuizione sensibile pura, quindi non esistono in un senso reale, sono solo cose ideali, e perciò possono essere detti «enunciati ideali»138. La descrizione di Hilbert della matematica finitaria non è molto precisa. Egli stesso dichiara di usare ‘finitario’ non «come un termine nettamente delimitato», ma solo «come una designazione di un principio guida metodologico che, è vero, ci permette di riconoscere conclusivamente certi tipi di formazioni di concetti e di inferenze come finitari, certi altri come non finitari, ma non fornisce una linea di divisione precisa tra quelli che soddisfano i requisiti dei metodi finitari e quelli che non li soddisfano»139. Nondimeno, che cosa Hilbert intenda per ‘matematica finitaria’ è chiaro, perché egli dichiara che «la teoria dei numeri contenutistica finitaria» è «formalizzata mediante l’aritmetica ricorsiva primitiva»140. Si ammettono «come enunciati finitari solo quegli enunciati che possono essere espressi nel formalismo dell’aritmetica ricorsiva primitiva»141. Dunque per Hilbert la matematica finitaria è quella formalizzata dall’aritmetica ricorsiva primitiva PRA [V.2.2]. Ciò implica che tutti gli enunciati della matematica finitaria possono essere espressi nella forma ∀x ( f ( x ) = 0) , dove f è una funzione ricorsiva primitiva. 2.3. L’intento di Hilbert
135
Ivi, p. 173. Ivi, p. 175. 137 Ivi, p. 162. 138 Hilbert 1928, p. 72. 139 Hilbert-Bernays 1968-70, I, p. 361. 140 Ivi, II, p. 224. 141 Ivi, II, p. 362. 136
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La ragione per cui Hilbert distingue, nell’ambito della matematica, la matematica finitaria, è che egli la considera assolutamente certa in quanto basata sull’intuizione sensibile pura. I dubbi possono nascere solo riguardo alla matematica infinitaria, la quale ammette operazioni astratte su estensioni di concetti e contenuti di concetti generali che comportano un riferimento all’infinito attuale. Infatti, i paradossi della teoria degli insiemi mostrano che è proprio «l’operare astratto con estensioni di concetti e contenuti di concetti generali» che «è risultato difettoso e insicuro»142. Tuttavia la matematica infinitaria, e in particolare la teoria degli insiemi, è importante per la fondazione dell’analisi infinitesimale di Weierstrass, Dedekind e Cantor, perché gli enunciati ideali permettono di abbreviare le dimostrazioni degli enunciati reali, e perciò di semplificare e concludere la teoria. Per questo motivo Hilbert afferma: «Nessuno deve poterci mai scacciare dal paradiso che Cantor ha creato per noi»143. Si deve però essere sicuri che, mediante l’uso di enunciati ideali, non si possano dimostrare enunciati reali falsi. Per esserlo si deve mostrare che, mediante l’uso di enuciati ideali, non si possono dimostrare enunciati reali che non siano dimostrabili senza di esso, cioè non siano dimostrabili nella matematica finitaria, e perciò non siano veri. Mostrarlo assicurerebbe che «i modi inferenziali basati sull’infinito» possono essere «sostituiti con processi finiti che danno esattamente gli stessi risultati»144. 2.4. Il programma della conservazione Per mostrarlo Hilbert formula un programma, detto ‘programma della conservazione’, che consta dei seguenti due passi: 1) Formalizzare la matematica infinitaria mediante una teoria T. 2) Dimostrare nella matematica finitaria che T è esternamente coerente [V.4.7]. Col passo 1) del programma della conservazione, tutto ciò che costituisce la matematica nel senso corrente, cioè la matematica infinitaria, viene «rigorosamente formalizzato, cosicché la matematica propriamente detta, o matematica in senso stretto, diventa un patrimonio di formule»145. Essa comprende, «in primo luogo, le 142
Hilbert 1970b, p. 162. Hilbert 1926, p. 170. 144 Ivi, p. 162. 145 Hilbert 1931a, p. 489. 143
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formule a cui corrispondono comunicazioni contenutistiche di enunciati finitari», cioè esprimono enunciati reali, e, «in secondo luogo, altre formule che non significano niente e che sono i costrutti ideali della nostra teoria»146. Cioè esprimono enunciati ideali. La necessità di formalizzare la matematica infinitaria nasce dal fatto che, alle formule che esprimono enunciati ideali, che quindi non significano niente, «non si possono applicare contenutisticamente le operazioni logiche e anche le stesse dimostrazioni matematiche. È perciò necessario formalizzare le operazioni logiche e anche le stesse dimostrazioni matematiche; ciò richiede che le relazioni logiche siano tradotte in formule»147. Formalizzare la matematica infinitaria ci evita di dover assegnare un’interpretazione agli enunciati ideali. In effetti «non è per nulla ragionevole la richiesta generale che ogni singola formula» che compare in una dimostrazione «sia interpretabile per se stessa; corrisponde invece alla natura di una teoria il fatto che noi non dobbiamo ricorrere all’intuizione o al significato nel suo sviluppo»148. La formalizzazione ci evita di dover ricorrere all’intuizione e al significato, perché con essa la matematica infinitaria si trasforma in qualcosa che ha lo stesso carattere degli oggetti della matematica finitaria. Infatti le formule che esprimono enunciati ideali sono stringhe di segni-base di un linguaggio segnico, quindi sono oggetti concreti che esistono intuitivamente. E le dimostrazioni formali contenenti formule che esprimono enunciati ideali sono successioni finite di formule, quindi sono oggetti concreti che esistono intuitivamente. Per assicurare che le dimostrazioni formali siano oggetti concreti che esistono intuitivamente, la teoria T che formalizza la matematica infinitaria innanzitutto deve essere RE perché, in virtù della proprietà delle teorie RE [V.3.3], questo assicura che si possa riconoscere nella matematica finitaria che una dimostrazione formale è una dimostrazione. Ma perché la teoria T possa considerarsi una formalizzazione adeguata della matematica infinitaria, essa deve soddisfare anche altre condizioni. a) T deve permettere di esprimere tutti i concetti della matematica infinitaria. Questo assicura che tutti «i concetti matematici sono inclusi nell’edificio della matematica come componenti formali»149. 146
Hilbert 1926, pp. 175-176. Ivi, p. 176. 148 Hilbert 1928, p. 79. 149 Hilbert 1970b, p. 165. 147
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b) T deve permettere di dimostrare tutti gli enunciati veri della matematica finitaria. Questo assicura che le regole di T sono «sufficienti nell’ambito della teoria dei numeri»150. c) T deve permettere di decidere, per ogni enunciato, se è dimostrabile o non è dimostrabile in T. Questo assicura che si può dare una risposta affermativa alla «questione della decidibilità mediante un numero finito di operazioni»151. d) T deve permettere di dimostrare tutti gli enunciati logicamente validi. Questo assicura che «le regole formalizzate del ragionamento logico sono comunque sufficienti» per dimostrare tutte «le asserzioni logiche universalmente valide»152. Tali regole devono essere quelle della logica del secondo ordine, perché la formalizzazione della matematica infinitaria richiede quantificazioni su «specie superiori di variabili»153. Solo così si può avere «la completezza dei sistemi di assiomi per la teoria dei numeri e per l’analisi», anche se essa va stabilita con un’argomentazione differente dalla «usuale argomentazione con cui si mostra che due realizzazioni qualsiasi del sistema di assiomi della teoria dei numeri, rispettivamente, dell’analisi, devono essere isomorfe», che «non soddisfa i requisiti del rigore finitario»154. Si noti che l’assunzione c) di Hilbert, che T debba permettere di decidere, per ogni enunciato, se è dimostrabile o non è dimostrabile in T, non va confusa con un’altra sua assunzione, il ‘principio della solubilità di ogni problema matematico’, secondo cui «ogni problema matematico è suscettibile di soluzione»155. Cioè, è «suscettibile di una rigorosa sistemazione, o riuscendo a dare una soluzione alla questione posta oppure mostrando l’impossibilità di una sua soluzione e quindi la necessità dell’insuccesso di ogni tentativo»156. Infatti, il principio della solubilità di ogni problema matematico non si riferisce solo alla solubilità per mezzo degli assiomi di una teoria RE data, ma alla solubilità con qualsiasi mezzo, perciò l’assunzione c) è solo un caso particolare di tale principio. In effetti Hilbert asserisce il principio della solubilità di ogni problema matematico non in relazione al programma della conservazione, ma in polemica con du BoisReymond, il quale aveva affermato che lo scienziato non può limitarsi a 150
Hilbert 1929, p. 7. Hilbert 1970a, p. 155. 152 Hilbert 1929, pp. 7-8. 153 Ivi, p. 6. 154 Ibid. 155 Hilbert 1926, p. 180. 156 Hilbert 1970c, p. 297. 151
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dire ‘ignoramus’ ma «deve, una volta per sempre, decidersi per il verdetto molto più duro da pronunciare: ignorabimus»157. E in polemica con coloro «che oggi, con un’aria da filosofi e con tono di superiorità profetizzano il tramonto della cultura e si compiacciono dello ‘ignorabimus’»158. Ciò appare evidente dal fatto che Hilbert riassume il principio della solubilità di ogni problema matematico nel motto: «In matematica non esiste alcun ‘ignorabimus’»159. Col passo 2) del programma della conservazione si dimostra, con i metodi assolutamente certi della matematica finitaria, che ogni enunciato esprimente un enunciato reale dimostrabile in T è vero. Dimostrarlo è essenziale perché solo così «l’estensione mediante aggiunta di elementi ideali è ammissibile»160. In questo modo, infatti, si assicura che ogni enunciato ideale «può essere eliminato da una dimostrazione» di un enunciato reale, «nel senso che le figure composte con esso possono essere rimpiazzate da segni numerici in modo tale che le formule» che costituiscono gli enunciati reali «si trasformano con questi rimpiazzamenti in formule ‘vere’»161. Così si è certi che gli assiomi infinitari «non possono mai portare ad un risultato dimostrabilmente falso»162. E perciò che «le asserzioni matematiche sono realmente verità incontestabili e definitive»163. Inoltre, la dimostrazione del fatto che ogni enunciato esprimente un enunciato reale dimostrabile in T è vero deve essere data nella matematica finitaria, perché «l’operare con l’infinito può essere reso sicuro solo mediante il finito»164. 2.5. Il programma della coerenza Secondo Hilbert, per realizzare il programma della conservazione basta realizzare un programma strettamente connesso con esso, detto ‘programma della coerenza’, che consta dei seguenti due passi: 1) Formalizzare la matematica infinitaria mediante una teoria T. 2) Dimostrare nella matematica finitaria che T è coerente.
157
du Bois-Reymond 1967, p. 51. Hilbert 1970e, p. 387. 159 Hilbert 1926, p. 180. 160 Hilbert 1928, p. 73. 161 Ivi, p. 82. 162 Hilbert-Bernays 1968-70, I, p. 44. 163 Hilbert 1970b, p. 162. 164 Hilbert 1926, p. 190. 158
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Col passo 1) del programma della coerenza, di nuovo, la matematica infinitaria viene rigorosamente formalizzata. Col passo 2) del programma della coerenza si dimostra, con i metodi assolutamente certi della matematica finitaria, che in T non si possono dimostrare enunciati contraddittori tra loro. Dimostrarlo è essenziale perché così si assicura che, «con l’introduzione di costrutti ideali, non possono venir fuori due enunciati che si contrappongono logicamente l’uno all’altro A, ¬A»165. Questo è importante perché in una teoria incoerente «possiamo dimostrare la falsità di ogni enunciato corretto»166. Ma, per Hilbert, dimostrare che T è coerente non serve soltanto per garantirsi che in T non si possono dimostrare enunciati contraddittori tra loro, ha anche una valenza positiva: la coerenza è una condizione necessaria e sufficiente per la verità degli assiomi di T. Infatti, «se assiomi arbitrariamente stabiliti non sono in contraddizione tra loro, con tutte le loro conseguenze, allora essi sono veri»167. E vale anche l’inverso. Dunque «‘non contraddittorio’ è identico a ‘vero’», e parimenti «’falso’ e ‘portante ad una contraddizione’ sono identici»168. La dimostrazione del fatto che T è coerente deve essere data nella matematica finitaria, di nuovo perché l’operare con l’infinito può essere reso sicuro solo mediante il finito. Mentre il programma della conservazione richiede di mostrare che tutti gli infiniti enunciati esprimenti enunciati reali dimostrabili in T sono veri, il programma della coerenza ha il vantaggio che esso richiede solo di mostrare che un singolo enunciato «non è una formula dimostrabile»169. Infatti, per l’equivalenza tra coerenza e indimostrabilità di 0 = 1 [V.2.3], per mostrare la coerenza di T basta mostrare che 0 = 1 non è dimostrabile in T. 2.6. Sufficienza del programma della coerenza Mostriamo che, come afferma Hilbert, per realizzare il programma della conservazione basta realizzare quello della coerenza. Supponiamo che i passi 1) e 2) del programma della coerenza siano realizzabili. Allora banalmente il passo 1) del programma della conservazione è realizzabile perché coincide col passo 1) del
165
Hilbert 1928, p. 74. Hilbert 1905, p. 217. 167 Hilbert 1976, p. 66. 168 Hilbert 1931b, pp. 122-123. 169 Hilbert 1928, p. 74. 166
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programma della coerenza. Mostriamo che anche il passo 2) del programma della conservazione è realizzabile. Supponiamo che esso non sia realizzabile. Allora qualche enunciato reale, quindi della forma ∀x ( f ( x ) = 0) dove f è una funzione ricorsiva primitiva [V.2.2], è dimostrabile in T ma è falso. Questo significa che, per qualche numero naturale m, nella matematica finitaria si può stabilire che f ( m ) ≠ 0 . Inoltre si può «ottenere questa equazione come formula dimostrabile, esprimendo la determinazione» della differenza tra f ( m ) e 0 «sotto forma di una dimostrazione»170. Cioè, f ( m ) ≠ 0 è dimostrabile nella matematica finitaria. Ma allora, per il passo 1) del programma della coerenza, f ( m ) ≠ 0 è dimostrabile anche in T. D’altra parte, dal fatto che ∀x ( f ( x ) = 0) è dimostrabile in T, segue in particolare che f ( m ) = 0 è dimostrabile in T. Perciò T è incoerente. Ma, per il passo 2) del programma della coerenza, T è coerente, e «la dimostrazione della coerenza mostra» questo «in modo finitario»171. Contraddizione. Se ne conclude che l’enunciato ∀x ( f ( x ) = 0) non può essere falso, e quindi deve essere vero. Pertanto il passo 2) del programma della conservazione è realizzabile. 2.7. Il debito di Hilbert verso Kant Hilbert mutua le sue principali idee sulla natura della matematica da Kant. 1) Da Kant, Hilbert mutua l’idea che nella matematica «domina una completa sicurezza del ragionamento e un manifesto accordo tra tutti i risultati»172. Tuttavia, «dovunque emergano concetti matematici», sorge «il compito di indagare i principi che stanno alla base di questi concetti»173. Infatti, «una scienza come la matematica non può sostenersi su credenze, per quanto forti esse siano, ma ha il dovere di una chiarificazione totale»174. Tale chiarificazione non serve «per consolidare singole teorie matematiche»175. Serve invece per mostrare il fondamento della loro certezza.
170
Ivi, p. 78. Ivi, p. 79. 172 Hilbert 1970b, p. 159. 173 Hilbert 1970d, p. 295. 174 Hilbert 1931a, p. 488. 175 Hilbert 1970b, p. 157. 171
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Kant, infatti, aveva detto che la matematica è conoscenza dotata di certezza apodittiche, ma ci si deve domandare come questo sia possibile e indagare il fondamento di tale possibilità [II.1.4]. 2) Da Kant, Hilbert mutua l’idea che ci è possibile avere conoscenza matematica solo di oggetti che possono essere dati «in modo immediatamente intuitivo»176. Kant, infatti, aveva detto che «ci è possibile avere conoscenza di un oggetto» solo «in quanto oggetto dell’intuizione sensibile»177. 3) Da Kant, Hilbert mutua l’idea che nondimeno nella matematica si possono usare enunciati ideali, che sono utili in quanto indirizzano meglio e più a fondo nel dimostrare enunciati reali, permettendo così di «semplificare e concludere la teoria»178. Tali enunciati ideali, e i concetti che intervengono in essi, non servono ad estendere la nostra conoscenza oltre gli oggetti reali ma svolgono «il ruolo di una idea, se per idea, secondo l’accezione di Kant, si intende un concetto della ragione che trascende ogni esperienza e per mezzo del quale il concreto viene completato in una totalità»179. Kant, infatti, aveva detto che le idee della ragion pura sono utili in quanto, anche se «per mezzo di esse non può essere determinato alcun oggetto», tuttavia per mezzo di esse l’intelletto, «nella conoscenza» degli oggetti conoscibili, «è indirizzato meglio e più a fondo»180. Tali idee non servono ad estendere «la nostra conoscenza oltre gli oggetti dell’esperienza possibile», bensì «ad esprimere l’unità sistematica che deve farci da guida nell’uso empirico della ragione»181. 4) Da Kant, Hilbert mutua l’idea che l’uso degli enunciati ideali è giustificato nella misura in cui per mezzo di essi non si può dimostrare alcun nuovo enunciato reale non dimostrabile senza di essi, perché ciò garantisce che «nel vecchio dominio sono sempre valide le relazioni che risultano per i vecchi oggetti eliminando gli oggetti ideali»182. Kant, infatti, aveva detto che l’uso delle idee della ragion pura è giustificato nella misura in cui per mezzo di esse «l’intelletto non può conoscere alcun oggetto oltre quelli conoscibili con i suoi concetti»183.
176
Ivi, p. 162. Kant 1900–, III, p. 16 (B XXVI). 178 Hilbert 1970c, p. 187. 179 Hilbert 1926, p. 190. 180 Kant 1900–, III, p. 255 (B 385). 181 Ivi, III, p. 445 (B 702-703). 182 Hilbert 1928, p. 73. 183 Kant 1900–, III, p. 255 (B 385). 177
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5) Da Kant, Hilbert mutua l’idea che, per giustificare l’uso degli enunciati ideali, basta dimostrarne la coerenza, perché «c’è una condizione, una sola ma assolutamente necessaria, alla quale è collegato l’uso» degli enunciati ideali, «e questa è la dimostrazione della non contraddittorietà»184. Kant, infatti, aveva detto che, per giustificare l’uso delle idee della ragion pura, basta dimostrare che esse sono non contraddittorie, perché «io posso pensare ciò che voglio purché non mi contraddica, ossia purché il mio concetto sia un pensiero possibile, quantunque io non possa garantire che, nell’insieme di tutte le possibilità, gli corrisponda anche un oggetto»185. 6) Da Kant, Hilbert mutua l’idea che si possa dare una risposta affermativa alla questione della «decidibilità di un problema matematico mediante un numero finito di operazioni»186. Kant, infatti, aveva detto che, nella natura di scienze come la matematica, «è implicito che ogni questione da esse sollevata debba poter ottenere immediatamente una risposta a partire da ciò che si sa», cioè dai dati, assiomi o teoremi, «per il fatto che la risposta deve essere desunta dalle fonti stesse della domanda, senza dunque che sia lecito appellarsi ad una irrimediabile ignoranza, ma dovendosi in ogni caso fornire una soluzione»187. Perciò la matematica può «richiedere e aspettarsi, rispetto a tutte le questioni che rientrano nel suo ambito (quaestiones domesticae), esclusivamente soluzioni certe, anche se per il momento non ancora disponibili»188. 2.8. Deviazioni da Kant Hilbert, però, interpreta alcune delle idee che egli mutua da Kant in modo deviante rispetto a Kant. 1) Per Hilbert, il compito di indagare il fondamento della certezza della matematica non può essere realizzato dalla filosofia ma solo dalla matematica, perché quest’ultima non dipende da alcuna autorità esterna, in particolare «per la sua fondazione non ha bisogno né del buon Dio, come Kronecker, né dell’assunzione di una particolare capacità del nostro intelletto sintonizzata col principio di induzione completa, come Poincaré, né dell’intuizione originaria di Brouwer, e neppure infine, come Russell e Whitehead, di assiomi dell’infinito, di riducibilità o di
184
Hilbert 1926, p. 179. Kant 1900–, III, p. 17 nota (B XXVI nota). 186 Hilbert 1970a, p. 153. 187 Kant 1900–, III, p. 330 (B 504). 188 Ivi, III, p. 332 (B 508). 185
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completezza»189. Specificamente, per indagare il fondamento della certezza della matematica, si deve far uso della logica matematica, che è una branca della matematica creata specificamente a tale scopo e con la quale alla «matematica vera e propria si aggiunge una matematica in certo senso nuova, una metamatematica»190. Invece, per Kant, il compito di indagare il fondamento della certezza della matematica deve essere realizzato della filosofia, perché rientra nel «problema vero e proprio della ragion pura» che «è contenuto nella domanda: Come sono possibili giudizi sintetici a priori?»191. Nella «soluzione del suddetto problema è contenuta nello stesso tempo la possibilità dell’uso puro della ragione nel fondare e nell’edificare tutte le scienze che contengono una conoscenza teoretica a priori di oggetti, cioè la risposta alle domande: Come è possibili la matematica pura? Come è possibile la fisica pura?»192. 2) Per Hilbert, gli oggetti matematici ci sono dati dall’intuizione, perché «qualcosa ci è già dato in anticipo nella rappresentazione, cioè certi oggetti concreti extra-logici che esistono intuitivamente come esperienze immediate prima di ogni pensiero»193. Invece, per Kant, gli oggetti matematici non ci sono dati dall’intuizione, ma sono costruzioni di concetti matematici, cioè esibizioni di concetti matematici nell’intuizione, perché «la conoscenza matematica è conoscenza razionale per costruzione di concetti», dove «costruire un concetto significa esibire a priori l’intuizione ad esso corrispondente»194. 3) Per Hilbert, «al posto dello stolto ‘ignorabimus’, la nostra parola d’ordine è invece: noi dobbiamo sapere, noi sapremo»195. Invece, per Kant, «la ragione umana ha il peculiare destino di essere tormentata da problemi che non può evitare, perché le sono imposti dalla sua stessa natura, ma a cui tuttavia non è in grado di dare soluzione, perché oltrepassano tutti i suoi poteri»196 2.9. Aspettative sulla realizzabilità dei programmi Hilbert era convinto che i suoi programmi fossero realizzabili, e in uno scritto pubblicato nel 1931 addirittura dichiara: «Credo di aver 189
Hilbert 1928, p. 85 Hilbert 1970b, p 174. 191 Kant 1900–, III, p. 39 (B 19). 192 Ivi, III, p. 40 (B 20). 193 Hilbert 1931a, p. 486. 194 Kant 1900–, III, p. 469 (B 741). 195 Hilbert 1970e, p. 387. 196 Kant 1900–, III, p. 7 (A VII). 190
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raggiunto completamente ciò che volevo e avevo promesso: il problema dei fondamenti della matematica in quanto tale è stato con ciò definitivamente eliminato»197. Ma il 7 settembre 1930, durante una discussione ad un convegno tenuto a Königsberg, Gödel aveva già annunciato quel suo primo teorema di incompletezza che, insieme ad altri risultati limitativi, avrebbe segnato il crollo dei programmi di Hilbert. Aveva detto, infatti, che «(sotto l’ipotesi della coerenza della matematica classica) si possono dare persino esempi di asserzioni» che «sono contenutisticamente vere» ma non sono dimostrabili nel sistema formale della matematica classica»198. 2.10. Il crollo del programma della coerenza I teoremi di incompletezza di Gödel e altri risultati limitativi implicano che nessuno dei passi dei programmi di Hilbert è realizzabile. Il passo 1) del programma della coerenza richiede di formalizzare tutta la matematica infinitaria mediante una teoria T che sia RE e soddisfi le condizioni a) - d) di [II.2.4]. Ma, per il teorema di indefinibilità della verità insiemistica [V.5.4], l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati del linguaggio di T che sono veri nella gerarchia cumulativa V [III.2.2] non può essere definito in V da alcuna formula di tale linguaggio. Perciò T non permette di esprimere un concetto della matematica infinitaria, ossia quello di insieme dei numeri di Gödel di tali enunciati. Dunque la condizione a) non può essere soddisfatta. Per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2, V.4.9], se T è coerente, esiste un enunciato della forma ∀x ( f ( x ) = 0) , dove f è una funzione ricorsiva primitiva, quindi un enunciato della matematica finitaria, che è vero in N ma non è dimostrabile in T. Dunque la condizione b) non può essere soddisfatta. Anche prescindendo dalla nozione di verità in N, per il teorema di incompletezza di Rosser [V.4.6, V.4.9], se T è coerente, esiste un enunciato della forma ∀x ( f ( x ) = 0) , dove f è una funzione ricorsiva primitiva, dunque un enunciato della matematica finitaria, tale che né esso né la sua negazione sono dimostrabili in T. Dunque T non permette di determinare tutti i suoi enunciati. Per il teorema di indecidibilità [V.5.2, V.5.4], se T è coerente, T non permette di decidere, per ogni enunciato di T, se è dimostrabile o non è dimostrabile in T. Dunque la condizione c) non può essere 197 198
Hilbert 1931a, p. 494. Gödel 1986-2002, I, p. 202.
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soddisfatta. Addirittura, per il teorema di indecidibilità della logica del secondo ordine [V.7.3], gli assiomi logici e le regole di deduzione logiche della logica del secondo ordine non permettono di decidere se un enunciato del secondo ordine è logicamente valido, e, per il teorema di Church [V.5.3], lo stesso vale per gli assiomi logici e regole di deduzione logiche della logica del primo ordine. Per un corollario del teorema di incompletezza forte della logica del secondo ordine [V.7.6], non esiste alcun insieme di assiomi logici e regole di deduzione logiche della logica del secondo ordine che sia RE e tale che tutti gli enunciati logicamente validi siano dimostrabili per mezzo di tali assiomi logici e regole di deduzione logiche. Quindi la condizione d) non può essere soddisfatta. Ne segue che il passo 1) del programma della coerenza non può essere realizzato. Per stabilirlo basterebbe che non potesse essere soddisfatta una delle condizioni a) - d), ma il fatto che non possa essere soddisfatta nessuna di esse lo stabilisce ad abundantiam. Il passo 2) del programma della coerenza richiede di dimostrare nella matematica finitaria che T è coerente. Ma questa condizione non può essere soddisfatta perché, per il secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4, V.4.9], se T è coerente, l’enunciato ConT che esprime canonicamente la coerenza di T non è dimostrabile in T. Per dimostrarlo c’è «sempre bisogno di qualche metodo dimostrativo che trascende il sistema»199. Non essendo dimostrabile in T, a maggior ragione ConT non è dimostrabile nella matematica finitaria, perché quest’ultima è una parte propria della matematica infinitaria e, per il passo 1) del programma della coerenza, T deve contenere tutta la matematica infinitaria. Poiché il requisito di dimostrare nella matematica finitaria che T è coerente non può essere soddisfatto, ne segue che il passo 2) del programma della coerenza non può essere realizzato. 2.11. L’obiezione di Detlefsen Questa conclusione si fonda sul secondo teorema di incompletezza di Gödel, la cui validità dipende in modo essenziale dal requisito che l’enunciato ConT che esprime la coerenza di T la esprima canonicamente [V.4.4]. Senza tale requisito, «la coerenza (nel senso della indimostrabilità di una proposizione e della sua negazione), anche di sistemi T molto forti, può essere dimostrabile in T»200. Infatti,
199 200
Ivi, III, p. 34 Ivi, II, p. 305.
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esistono enunciati Con′T che esprimono la coerenza di T ma non canonicamente, i quali sono dimostrabili in T [V.4.5]. Detlefsen ha perciò obiettato che il secondo teorema di incompletezza di Gödel non prova conclusivamente che il passo 2) del programma della coerenza non può essere realizzato. La condizione che l’enunciato ConT che esprime la coerenza di T debba esprimerla canonicamente non è «qualcosa a cui l’hilbertiano è impegnato dalla natura della sua impresa» perché «non esiste alcuna ragione» per supporlo, e perciò non si può dire che il secondo teorema di incompletezza di Gödel «si applichi al programma di Hilbert in sé»201. Come vedremo, però, anche se l’obiezione di Detlefsen fosse valida, questo non salverebbe il programma della coerenza dal crollo. 2.12. Il crollo del programma della conservazione Si può infatti dimostrare che il passo 2) del programma della conservazione non può essere realizzato, senza far uso del secondo teorema di incompletezza di Gödel. Il passo 2) del programma della conservazione richiede di dimostrare nella matematica finitaria che T è esternamente coerente. Ma questa condizione non può essere soddisfatta perché, per il terzo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.7], se T è coerente, l’enunciato ExtConT che esprime la coerenza esterna di T non è dimostrabile in T. Non essendo dimostrabile in T, a maggior ragione ExtConT non è dimostrabile nella matematica finitaria, perché quest’ultima è una parte propria della matematica infinitaria e, per il passo 1) del programma della conservazione, T deve contenere tutta la matematica infinitaria. La validità del terzo teorema di incompletezza di Gödel non dipende da alcuno speciale requisito su ExtConT. Contro questa conclusione non si può dunque avanzare un’obiezione simile a quella di Detlefsen [II.2.11]. Perciò Gödel afferma che il terzo teorema di incompletezza è «la versione migliore e più generale dell’indimostrabilità della coerenza nel sistema»202. Poiché il requisito di dimostrare nella matematica finitaria che T è esternamente coerente non può essere soddisfatto, ne segue che il passo 2) del programma della conservazione non può essere realizzato. D’altra parte neppure il passo 1) del programma della conservazione può essere realizzato, perché coincide col passo 1) del programma della
201 202
Detlefsen 1990, 345. Gödel 1986-2002, II, p. 305.
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coerenza, che, come abbiamo visto, non può essere realizzato. Pertanto il programma della conservazione non può essere realizzato. Ma allora neppure il programma della coerenza può essere realizzato, perché, come abbiamo visto, per realizzare il programma della conservazione, basta realizzare il programma della coerenza. 2.13. Inadeguatezza della coerenza Un ulteriore limite dei programmi di Hilbert è che, secondo Hilbert, la coerenza è una condizione necessaria e sufficiente per la verità degli assiomi di T [II.2.5]. Ma questo è smentito dal fatto che, per il teorema dell’esistenza di teorie coerenti false [V.4.3], la coerenza non è una condizione sufficiente per la verità degli assiomi di T. 2.14. Le ragioni di Kant I teoremi di incompletezza di Gödel segnano il crollo dei programmi della conservazione e della coerenza. Ma, indipendentemente da essi, già alcuni indizi avrebbero permesso ad Hilbert di rendersi conto dell’intrinseca debolezza dei suoi programmi. 1) Il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2, V.4.9] mostra che nessuna teoria T mediante la quale si formalizzi la matematica infinitaria permette di dimostrare tutte le verità matematiche. Ma Hilbert non aveva bisogno di Gödel per rendersi conto di questo. Infatti, già Kant aveva affermato che nella geometria il matematico «arriva ad una soluzione del problema illuminante e nello stesso tempo generale» non semplicemente deducendo conseguenze dagli assiomi, ma «attraverso una catene di inferenze che è sempre guidata dall’intuizione»203. Dunque nella dimostrazione di teoremi geometrici abbiamo bisogno dell’intuizione, e perciò una deduzione puramente logica di ogni teorema geometrica da assiomi è impossibile. E Gödel sottolinea che, sebbene questa affermazione di Kant sia «scorretta se presa alla lettera», cioè se riferita alla geometria, nondimeno, se in essa «sostituiamo il termine ‘geometrico’ con ‘matematico’ o ‘insiemistico’, allora diventa una proposizione dimostrabilmente vera»204. 2) Il secondo e il terzo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4, V.4.7, V.4.9] mostrano che nessuna teoria T mediante la quale si formalizzi la matematica infinitaria può essere giustificata mediante i 203 204
Kant 1900–, p. 471 (B 745-746). Gödel 1986-2002, III, p. 385.
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metodi della matematica finitaria. Perciò gli enunciati ideali e i concetti che intervengono in essi – che corrispondono a ciò che Kant chiamava le idee della ragion pura – non ammettono alcuna giustificazione assoluta. Ma Hilbert non aveva bisogno di Gödel per rendersi conto di questo. Infatti, già Kant aveva sottolineato che «non è propriamente possibile alcuna deduzione oggettiva» delle idee della ragion pura, perché esse «non intrattengono alcun rapporto con un qualsiasi oggetto che possa essere dato in modo adeguato, e ciò appunto perché non si tratta che di idee»205. Per ‘deduzione’ Kant intende qui ‘giustificazione’ e ‘legittimazione’, perché usa tale termine nel senso dei giuristi, i quali chiamano la prova «che deve dimostrare la legittimità o anche la pretesa giuridica, ‘deduzione’»206. Dunque, affermando che per le idee della ragion pura non è propriamente possibile alcuna deduzione oggettiva, Kant vuole dire che per esse non è possibile alcuna giustificazione assoluta. Le idee della ragion pura vengono assunte solo «come principi euristici, e senza che si pretenda di poterne dare una deduzione trascendentale»207. Di esse si può dare solo «una deduzione soggettiva»208. Un’eventuale fallacia che si annidi in esse «non può venir contenuta nei suoi limiti per mezzo di alcuna indagine oggettiva e dogmatica delle cose» perché una tale indagine è impossibile, «ma solo per mezzo di un’indagine soggettiva sulla ragione stessa, in quanto la fonte delle idee»209. 3) Il teorema dell’esistenza di teorie coerenti false [V.4.3], che è un corollario del primo teorema di incompletezza di Gödel, mostra che la coerenza non è una condizione sufficiente per la verità degli assiomi di una teoria T mediante la quale si formalizzi la matematica infinitaria. Ma Hilbert non aveva bisogno di Gödel per rendersi conto di questo. Infatti, già Kant aveva sottolineato che «è certamente una condizione logica necessaria» che un dato concetto «non debba contenere alcuna contraddizione; ma questo non è affatto sufficiente a garantire la realtà oggettiva del concetto, ossia la possibilità dell’oggetto che viene pensato mediante il concetto»210. Infatti, «un nostro giudizio può essere esente da contraddizioni e tuttavia unire i concetti in un modo contrastante con l’oggetto; e dunque può unirli anche se manca un fondamento che giustifichi, a priori o a posteriori, 205
Kant 1900–, III, p. 259 (B 393). Ivi, III, p. 99 (B 116). 207 Ivi, III, p. 439 (B 691-692). 208 Ibid. 209 Ivi, IV, p. 329. 210 Ivi, III, p. 187 (B 267-268). 206
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tale giudizio. In tal caso il giudizio, pur essendo esente da ogni contraddizione interna, può essere falso o infondato»211. 2.15. La reazione finale di Hilbert La portata distruttiva dei risultati di Gödel per i programmi di Hilbert non venne riconosciuta da Hilbert. Egli infatti dichiarò che «si è dimostrata errata l’opinione temporaneamente accolta che da certi nuovi risultati di Gödel segua l’impraticabilità della mia teoria»212. Da essi segue soltanto che, «per lo sviluppo della dimostrazione di coerenza, si deve utilizzare il punto di vista finitario in un modo più acuto di quanto è richiesto dalla trattazione di formalismi elementari»213. A tale scopo basta «estendere la precedente delimitazione del punto di vista finitario»214. Cioè, basta ammettere che la matematica finitaria vada oltre quella formalizzata nell’aritmetica ricorsiva primitiva PRA. Ma non è così. Infatti, per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2, V.4.9], se la teoria T mediante la quale si formalizza la matematica infinitaria è coerente, esisterà comunque un enunciato della forma ∀x ( f ( x ) = 0) , dove f è una funzione ricorsiva primitiva, vero ma non dimostrabile in T, e tale enunciato ovviamente sarà finitario anche nel senso esteso. Inoltre, per il secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4], se T è coerente, l’enunciato ConT che esprime canonicamente la coerenza di T non sarà dimostrabile in T, cioè nella matematica infinitaria, e quindi neppure nella matematica finitaria nel senso esteso, che sarà comunque una parte di quella formalizzata da T. Dunque i risultati di Gödel segnano davvero il crollo dei programmi di Hilbert, e per questi non vi è alcuna possibilità di salvezza. In definitiva, dunque, Hilbert mutuò le sue principali idee sulla matematica da Kant, e il suo unico contributo originale alla filosofia della matematica – che era di natura tecnica: il progetto di dimostrare nella matematica finitaria la coerenza di una formalizzazione di tutta la matematica – si risolse in un fallimento. 3. Brouwer 3.1. Le motivazioni di Brouwer
211
Ivi, III, p. 141 (B 190). Hilbert-Bernays 1968-70, I, p. VII. 213 Ibid. 214 Ivi, II, p. VII. 212
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Anche secondo Brouwer (1881-1966) il compito della filosofia della matematica è indagare il fondamento della certezza della matematica. Ma per lui la matematica esistente non è assolutamente certa nella sua totalità. Questo dipende dal fatto che, per dare una fondazione dell’analisi infinitesimale, Weierstrass, Dedekind e Cantor hanno introdotto oggetti e metodi astratti che non possono essere dati dall’intuizione, e nelle dimostrazioni hanno fatto uso del principio del terzo escluso che non può essere giustificato dall’intuizione. Alcuni, come Hilbert, hanno sperato che «la scienza matematica eretta secondo i loro principi sarebbe stata coronata un giorno da una dimostrazione di non contraddittorietà», ma questa speranza «non è mai stata soddisfatta e oggi, visti i risultati di certe indagini degli ultimissimi decenni, è stata», sembra, «abbandonata»215. Si deve perciò lasciar perdere la ‘matematica classica’, cioè la matematica risultante dalla fondazione di Weierstrass, Dedekind e Cantor, e riconoscere che «non può esistere alcuna matematica che non sia stata costruita intuitivamente»216. Un oggetto o metodo è legittimo se e solo se si può darne una costruzione basata sull’intuizione, perché l’unico «possibile fondamento della matematica va ricercato in questa costruzione»217. Parimenti, un enunciato matematico è vero se e solo se si può darne una dimostrazione, perché non si possono ammettere «verità prima che tali verità siano state esperite»218. 3.2. Il programma di Brouwer Abbandonare la matematica classica comporta ricostruire «daccapo parecchie teorie della matematica vera e propria con incrollabile certezza»219. In particolare, si deve dare una nuova fondazione dell’analisi infinitesimale in cui si usino solo oggetti e metodi che possono essere dati dall’intuizione, e nelle dimostrazioni si usino solo principi che possono essere giustificati dall’intuizione. Si deve quindi sviluppare una nuova matematica, alternativa a quella classica, la quale, per il ruolo che vi dovrà avere l’intuizione, può dirsi ‘matematica intuizionista’. Non essendo semplicemente una restrizione della matematica classica ma avendo oggetti e metodi suoi
215
Brouwer 1975, p. 508. Ivi, p. 52. 217 Ibid. 218 Ivi, p. 488. 219 Ivi, p. 412. 216
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propri, la matematica intuizionista non sarà confrontabile con quella classica. Questo è il programma di Brouwer, che egli cercò di realizzare, ed effettivamente realizzò, per alcuni decenni, ricostruendo daccapo parecchie teorie della matematica classica in base ai suoi principi. 3.3. Il rifiuto del principio del terzo escluso Uno degli aspetti più noti del programma di Brouwer è il rifiuto del principio del terzo escluso. Tale principio «asserisce che ogni supposizione è vera o falsa», il che per Brouwer significa che ogni supposizione, o «si può» stabilirla «mediante una costruzione oppure si può arrivare, mediante una costruzione, all’arresto del processo»220. Cioè, o si può dimostrarla oppure si può mostrare che la supposizione che si possa dimostrarla porta ad un’assurdità. Ma allora «ogni asserzione matematica» che non è stata dimostrata, e per la quale non si sa mostrare che la supposizione che essa sia dimostrabile porta ad un’assurdità, «dà luogo ad una confutazione del principio del terzo escluso»221. Tale è il caso, ad esempio, della congettura di Goldbach, ‘Ogni numero pari maggiore di 2 è la somma di due numeri primi’. Il principio del terzo escluso, inteso come lo intende Brouwer, è equivalente al principio di Hilbert della solubilità di ogni problema matematico [II.2.4]. Infatti, dire che ogni supposizione, o si può dimostrarla oppure si può mostrare che la supposizione che si possa dimostrarla porta ad un’assurdità, equivale a dire che ogni problema matematico è solubile. Questo viene sottolineato da Brouwer dicendo che «la questione della validità del principio del terzo escluso è equivalente alla questione se possano esistere problemi matematici insolubili»222. Se, come Hilbert, si è ottimisti sulle capacità umane e si ritiene che ogni problema matematico è suscettibile di soluzione, allora il principio del terzo escluso sarà ammissibile. Si dirà che tale principio «non ha mai prodotto il minimo errore», in particolare «non ha la minima colpa per la comparsa dei noti paradossi della teoria degli insiemi», e che negare al matematico l’uso di tale principio «sarebbe come vietare all’astronomo il telescopio o al pugile l’uso dei pugni»223. E ci si meraviglierà del fatto che «un matematico possa dubitare della rigorosa validità» del principio in questione, e che, sotto l’influenza di Brouwer, 220
Ivi, p. 109. Ivi, p. 552. 222 Ivi, p. 109. 223 Hilbert 1928, p. 80. 221
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«un’intera comunità di matematici si sia oggi ritrovata a fare questo», il che mostra che «la capacità di suggestione di un singolo uomo, dotato di un forte carattere e ricco ingegno, riesce ad esercitare la più improbabili ed eccentriche influenze»224. Se invece, come Brouwer, si è pessimisti sulle capacità umane e si ritiene che «non vi è ombra di prova per la convinzione» che «non esistano problemi matematici insolubili», allora il principio del terzo escluso non sarà ammissibile, non essendo «affidabile come principio di ragionamento»225. Si dirà che la credenza nella validità di tale principio è «un fenomeno della storia della civiltà dello stesso tipo della credenza di un tempo nella razionalità di π o nella rotazione del firmamento su un asse passante per la terra»226. 3.4. La nozione intuizionista di dimostrazione Se il rifiuto del principio del terzo escluso è uno degli aspetti più noti del programma di Brouwer, la nozione di dimostrazione di Brouwer è uno degli aspetti meno noti e meno compresi di tale programma. Secondo un’opinione diffusa, Brouwer rifiuterebbe il metodo assiomatico riducendo la dimostrazione matematica ad un’illuminazione. Ma tale opinione è contraddetta dal fatto che Brouwer definisce la «matematica intuizionista» come una matematica che «deduce teoremi», sebbene li deduca «esclusivamente per mezzo della costruzione introspettiva»227. Cioè, la matematica intuizionista è una matematica che deduce teoremi da assiomi basati sull’intuizione, mediante deduzioni basate sull’intuizione. Ciò che Brouwer rifiuta non è dunque il metodo assiomatico, ma solo il metodo assiomatico formale di Hilbert, che deduce teoremi mediante dimostrazioni formali le quali possono contenere formule che non significano niente, e perciò non poggiano sull’intuizione. Secondo Brouwer, per assicurare l’affidabilità dei ragionamenti matematici, si deve partire da assiomi basati sull’intuizione e proseguire mediante inferenze deduttive anch’esse basate sull’intuizione. È quanto fanno le dimostrazioni di Euclide, che accompagnano «il passaggio, per mezzo di una catena di tautologie, da relazioni (cioè, sottostrutture) chiaramente percepite» mediante l’intuizione, «a nuove relazioni che non sono percepite immediatamente»228.
224
Ivi, pp. 80-81. Brouwer 1975, p. 109. 226 Ivi, p. 492. 227 Ivi, p. 488. 228 Ivi, p. 76. 225
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In generale, in una dimostrazione matematica «si comincia costruendo una struttura che soddisfa parte delle relazioni richieste», cioè, costruendo assiomi basandosi sull’intuizione, «poi si cerca di dedurre da queste relazioni, per mezzo di tautologie, altre relazioni» sempre basandosi sull’intuizione, «in modo che queste nuove relazioni, combinate con quelle che non sono ancora state usate, diano luogo ad un sistema di condizioni adatto come punto di partenza per la costruzione della struttura richiesta»229. Dunque per Brouwer le dimostrazioni matematiche sono dimostrazioni assiomatiche, sebbene assiomatiche non nel senso di Hilbert ma nel senso di Euclide. Questo è confermato da Heyting – il principale allievo e continuatore di Brouwer – il quale afferma che «il metodo assiomatico è», nella matematica intuizionista, «uno strumento altrettanto importante che nella matematica classica»230. A condizione, naturalmente, che esso venga usato, come Euclide, per descrivere oggetti matematici che sono considerati esistenti in quanto basati sull’intuizione, e non, come Hilbert, per introdurre oggetti matematici che non hanno alcuna base nell’intuizione, perché nella matematica intuizionista «un oggetto matematico viene considerato esistente solo dopo la sua costruzione», e perciò «non può essere portato in essere da un sistema di assiomi»231. 3.5. I due atti dell’intuizionismo Secondo Brouwer, l’intuizionismo si basa su due assunzioni fondamentali o «atti»232. Il primo atto dell’intuizionismo «riconosce che la matematica intuizionista è un’attività essenzialmente alinguistica della mente che ha la sua origine nella percezione di un passaggio di tempo, cioè nello scindersi di un momento di vita in due cose distinte, una delle quali cede il passo all’altra, ma è conservata dalla memoria»233. Se «la duità così nata viene spogliata di tutte le qualità, rimane la forma vuota del sostrato comune di tutte le duità», ed «è questo sostrato comune, questa forma vuota, che è l’intuizione base della matematica»234. Dunque «il fenomeno base» della matematica «è la semplice intuizione del tempo»235. 229
Ibid. Heyting 1962, p. 240. 231 Ivi, p. 239. 232 Brouwer 1975, p. 509. 233 Ivi, p. 510. 234 Ibid. 235 Ivi, p. 53. 230
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Il primo atto dell’intuizionismo «crea non solo i numeri uno e due, ma anche tutti i numeri ordinali finiti, in quanto uno degli elementi della duità può essere pensato come una nuova duità, e questo processo può essere ripetuto indefinitamente»236. Perciò il primo atto dell’intuizionismo sta alla base dell’aritmetica dei numeri naturali. Col primo atto dell’intuizionismo si possono generare però solo «successioni infinite predeterminate che, come quelle classiche, procedono in modo che il loro m-esimo termine è fissato dall’inizio per ogni m»237. Questo potrebbe far temere che «la matematica intuizionista debba necessariamente essere povera e anemica, e in particolare che in essa non vi sia posto per l’analisi» matematica, «ma non è così; al contrario, un campo di sviluppo molto più ampio, che comprende l’analisi, e in molto punti va ben oltre le frontiere della matematica classica, viene aperto dal secondo atto dell’intuizionismo»238. Il secondo atto dell’intuizionismo «riconosce la possibilità di generare nuovi enti matematici: in primo luogo, sotto forma» di successioni di scelte, cioè «di successioni che proseguono all’infinito» i cui «termini sono scelti più o meno liberamente tra enti matematici precedentemente acquisiti»; e, «in secondo luogo, sotto forma di specie matematiche, cioè di proprietà ipotizzabili per enti matematici precedentemente acquisiti», che «si dicono elementi della specie»239. Il secondo atto dell’intuizionismo «crea la possibilità di introdurre il continuo intuizionista come la specie delle successioni infinite convergenti di numeri razionali che proseguono più o meno liberamente»240. Vedremo in seguito come il secondo atto dell’intuizionismo crei tale possibilità. 3.6. Il debito di Brouwer verso Kant Anche Brouwer mutua le sue principali idee sulla natura della matematica da Kant. 1) Da Kant, Brouwer mutua l’idea che non può esistere alcuna matematica che non sia stata costruita intuitivamente, in particolare che «una costruzione logica della matematica, indipendente dall’intuizione matematica, è impossibile»241.
236
Ivi, pp. 127-128. Ivi, p. 511. 238 Ibid. 239 Ibid. 240 Ivi, pp. 511-512. 241 Ivi, p. 97. 237
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Kant, infatti, aveva detto che la matematica «non può concludere nulla col semplice concetto, e si volge subito all’intuizione per considerarvi il concetto in concreto»242. 2) Da Kant, Brouwer mutua l’idea che l’intuizione base della matematica, che crea i numeri naturali, è l’intuizione temporale, sicché «l’apriorità del tempo» qualifica «le proprietà dell’aritmetica come giudizi sintetici a priori»243. Kant, infatti, aveva detto che la matematica «riesce a costruire i suoi concetti di numero mediante una successiva aggiunta delle unità nel tempo»244. 3) Da Kant, Brouwer mutua l’idea che la costruzione intuitiva della matematica non ha nulla di psicologico, perciò «le interpretazioni psicologistiche della matematica intuizionista, per quanto interessanti, non possono mai essere adeguate»245. Kant, infatti, aveva detto che la costruzione di concetti in cui consiste la matematica non ha nulla di psicologico, perché «non esiste una psicologia razionale come dottrina capace di incrementare la conoscenza»246. 4) Da Kant, Brouwer mutua l’idea che la dimostrazione matematica parte da verità immediate (assiomi) basate sull’intuizione, e prosegue per mezzo di inferenze deduttive basate sull’intuizione. Dunque le dimostrazioni matematiche sono dimostrazioni assiomatiche [II.3.4]. Kant, infatti, aveva detto che la dimostrazione parte da assiomi che sono proposizioni fondamentali le quali «possono essere esibite nell’intuizione»247. E prosegue con inferenze deduttive immediate fondate sull’intuizione, perché «non è possibile che essa proceda di un passo se le manca l’intuizione pura»248. Dunque le dimostrazioni matematiche sono dimostrazioni assiomatiche. Che ogni passo di una dimostrazione si fondi sull’intuizione mostra che le dimostrazioni, «come il loro stesso nome sta a significare, procedono nell’intuizione dell’oggetto»249. Il nome ‘dimostrazione’ «viene da ‘monstrare’, mostrare, porre dinanzi agli occhi. Perciò esso può essere usato in senso proprio e reale solo per prove in cui l’oggetto viene presentato 242
Kant 1900–, III, p. 470 (B 743-744). Brouwer 1975, p. 128. 244 Kant 1900–, IV, p. 283. 245 Brouwer 2004, p. 76. 246 Kant 1900–, III, p. 274 (B 421). 247 Ivi, IX, 110. 248 Ivi, IV, p. 283. 249 Ivi, III, p. 482 (B 763). 243
49
nell’intuizione e in cui la verità viene conosciuta non solo in modo discorsivo ma anche intuitivo»250. 3.7. Le deviazioni da Kant Anche Brouwer, però, interpreta alcune delle idee che egli mutua da Kant in modo deviante rispetto a Kant. 1) Per Brouwer, l’intuizione temporale «genera successivamente ciascun numero naturale, la successione procedente all’infinito dei numeri naturali»251. Invece, per Kant, il numero è «lo schema puro della quantità», e «consiste in una rappresentazione che abbraccia la successiva aggiunta di uno ad uno (omogenei)», perciò «non è altro che l’unità della sintesi del molteplice di una intuizione omogenea in generale, per il fatto che io genero il tempo stesso nell’apprensione dell’intuizione»252. Essendo uno schema, il numero non è generato dall’intuizione temporale. 2) Per Brouwer, le successioni di scelte sono date nell’intuizione temporale in quanto incorporano una delle caratteristiche centrali di quest’ultima, cioè il carattere aperto del futuro, perché lo sviluppo delle successioni di scelte non è predeterminato ma ad ogni passo i loro «termini sono scelti più o meno liberamente tra enti matematici precedentemente acquisiti»253. Invece, per Kant, una successione che procede in indefinitum non può mai essere data «nell’intuizione (come un tutto)»254. È solo un processo «continuato indeterminatamente (in indefinitum)»255. Tale processo obbedisce sì «ad una regola, la quale porta da qualsiasi membro della successione, in quanto condizionato, ad un membro più remoto»256. Ma essa non conduce ad uno sviluppo ben determinato, «si limita a dire che, per quanto possiamo aver proceduto nella serie delle condizioni empiriche, non ci è mai lecito ammettere un limite assoluto»257. Perciò non determina l’oggetto nella sua totalità. Per questo motivo lo sviluppo di una tale successione non può essere «dato in un’intuizione collettiva»258.
250
Ivi, XXIV, p. 894. Brouwer 1975, p. 523. 252 Kant 1900–, III, p. 137 (B 182). 253 Brouwer 1975, p. 523. 254 Kant 1900–, III, p. 355 (B 547). 255 Ivi, III, p. 354 (B 546). 256 Ivi, III, p. 356 (B 549). 257 Ivi, III, p. 355 (B 547). 258 Ivi, III, p. 357 (B 551). 251
50
3) Per Brouwer, l’intuizione temporale è il fondamento non solo dell’aritmetica ma anche della geometria, perché alla scoperta della geometria non euclidea si può rispondere solo «abbandonando l’apriorità dello spazio di Kant e aderendo ancor più risolutamente all’apriorità del tempo»259. È «da questa intuizione del tempo, indipendente dall’esperienza», che «sono stati costruiti tutti i sistemi matematici, inclusi gli spazi con le loro geometrie»260. Invece, per Kant, «la geometria pone a fondamento l’intuizione pura dello spazio»261. 4) Per Brouwer, il principio del terzo escluso non vale perché ogni asserto matematico che non è stato dimostrato vero né è stato dimostrato falso, e per il quale non conosciamo alcun metodo che permetta di dimostrare che è vero oppure che è falso, dà luogo ad una confutazione del principio del terzo escluso [II.3.3]. Invece, per Kant, il principio del terzo escluso vale perché è su di esso che «si fonda la necessità (logica) di una conoscenza – il fatto che la si debba giudicare necessariamente così e non altrimenti, cioè che l’opposto sia falso – per giudizi apodittici»262. 5) Per Brouwer, la matematica «è una costruzione mentale essenzialmente indipendente dal linguaggio»263. Le parole di una «dimostrazione matematica semplicemente accompagnano una costruzione matematica che è effettuata senza parole»264. Invece, per Kant, la matematica è un’attività che si basa sul linguaggio, perché è conoscenza razionale per costruzione di concetti, e i concetti, così come i giudizi di cui fanno parte, si basano in modo essenziale sul linguaggio, perché «senza parole noi non giudicheremmo affatto»265. Infatti, «come potete pensare i giudizi senza parole?»266. 3.8. Il continuo intuizionista Vediamo ora come il secondo atto dell’intuizionismo crei la possibilità di introdurre il continuo intuizionista come la specie delle successioni infinite convergenti di numeri razionali che proseguono più o meno liberamente.
259
Brouwer 1975, p. 127. Ivi, p. 116. 261 Kant 1900–, IV, p. 283. 262 Ivi, IX, p. 53. 263 Brouwer 1975, p. 477. 264 Ivi, p. 73. 265 Kant 1900–, IX, p. 109. 266 Ivi, XXIV, p. 934. 260
51
Chiamiamo ‘successione fondamentale’ una successione di scelte r1 , r2 , r3 ,... di numeri razionali tale che ∀k ∃n∀m∀p( rn + m − rn + p < 2 − k ) . Cioè r1 , r2 , r3 ,... è tale che, per ogni k, da un certo punto n in poi, i membri della successione r1 , r2 , r3 ,... avranno tra loro una distanza minore di 2 − k . Diciamo che
due
successioni
fondamentali
r1 , r2 , r3 ,...
e
s1 , s2 , s3 ,... ‘coincidono’ se e solo se −k
∀k ∃n∀m ( rn + m − sn + m < 2 ) .
Cioè r1 , r2 , r3 ,... e s1 , s2 , s3 ,... sono tali che, per ogni k, da un certo punto n in poi, i membri corrispondenti delle successioni r1 , r2 , r3 ,... e s1 , s2 , s3 ,... avranno tra loro una distanza minore di 2 − k .
Chiamiamo ‘numero reale’ la specie delle successioni fondamentali che coincidono con una data successione fondamentale. Cioè un numero reale è la proprietà di coincidere con una data successione fondamentale. Ogni successione fondamentale r1 , r2 , r3 ,... determina un numero reale r, cioè la specie delle successioni fondamentali che coincidono con tale successione fondamentale. Per esempio la successione fondamentale 1, 1.4, 1.41, 1.414, 1.4142, 1.41421, ... . determina il numero reale 2 , che è la specie delle successioni fondamentali che coincidono con tale successione fondamentale. A questa specie appartiene anche, ad esempio, la successione fondamentale 2, 1.5, 1.42, 1.415, 1.4143, 1.41422, … perché essa coincide, nel senso già definito, con la successione fondamentale precedente. Chiamiamo ‘continuo intuizionista’ la specie dei numeri reali. Cioè il continuo intuizionista è la proprietà di essere un numero reale. Questa definizione del continuo intuizionista si basa sulle nozioni di successione di scelte e di specie, perciò è resa possibile dal secondo atto dell’intuizionismo.
52
3.9. Il teorema di continuità Un risultato fondamentale della matematica intuizionista è il teorema di continuità. Una funzione f dai numeri reali ai numeri reali si dice ‘continua’ se soddisfa la condizione: ∀k ∀x∃m∀y ( x − y < 2
−m
−k
→ f ( x) − f ( y) < 2 ) .
Dunque una funzione continua è una funzione il cui grafico è dato una curva che non presenta interruzioni né salti. Il teorema di continuità asserisce allora che tutte le funzioni definite ovunque sui numeri reali sono continue. Tale teorema non vale nella matematica classica, nella quale esistono funzioni definite ovunque e discontinue. Quindi il teorema di continuità fornisce un esempio di teorema che vale nella matematica intuizionista ma non in quella classica. Viceversa, vi sono teoremi che valgono nella matematica classica ma non in quella intuizionista. Un esempio è dato dal teorema di Bolzano-Weierstrass Ne segue che la matematica intuizionista e la matematica classica non sono confrontabili tra loro, nel senso che «enti matematici riconosciuti» sia dalla matematica intuizionista sia da quella classica «soddisfano teoremi che per l’altra scuola sono o falsi, o privi di senso, o anche in un certo modo contraddittori»267. La loro non confrontabilità dipende dal fatto che la matematica intuizionista non applica il principio del terzo escluso, ma ammette successioni che proseguono all’infinito i cui termini sono scelti più o meno liberamente, e viceversa la matematica classica «applica il principio del terzo escluso», ma «si limita a successioni infinite predeterminate per le quali l’n-esimo elemento è fissato dall’inizio per ogni n»268. 3.10. I limiti del programma di Brouwer Anche il programma di Brouwer di costruire un nuovo tipo di matematica è fallito, non perché egli non sia riuscito a realizzarlo, ma perché la matematica intuizionista non costituisce una valida alternativa alla matematica classica. Una prova di ciò è data dal fatto che, nella matematica intuizionista non esistono certi oggetti matematici che sono importanti per la fisica, per esempio «non esiste alcuna funzione definita ovunque» 267 268
Brouwer 1975, p. 489. Ivi, p. 488.
53
sui numeri reali e «discontinua»269. Ciò segue dal teorema di continuità, per il quale tutte le funzioni definite ovunque sui numeri reali sono continue. Questo non significa che nella matematica intuizionista non esistano funzioni discontinue. In essa «si possono considerare funzioni che sono definite su sottospecie ovunque dense del continuo» e che «possono benissimo essere discontinue»270. Tuttavia in essa non esistono funzioni definite ovunque sui numeri reali e discontinue. Che nella matematica intuizionista non esistano funzioni definite ovunque sui numeri reali e discontinue può essere anche visto, senza ricorrere al teorema di continuità, mediante il seguente controesempio. Sia f la funzione definita da:
⎧0 se x = 0 f ( x) = ⎨ , per ogni numero reale x. ⎩1 se x ≠ 0 Tale funzione f è discontinua nel punto x = 0 perché, come mostra la seguente figura,
y f(x) 0
x
la curva che costituisce il grafico di f presenta un salto nel punto x = 0 . Facciamo vedere che, nella matematica intuizionista, la funzione f non esiste. Infatti, supponiamo che f esista. Sia A(n ) una proprietà dei numeri naturali tale che, per ogni n, si sa se vale A(n ) ma non se vale ∀nA( n ) , perciò non si può decidere ∀nA( n ) ∨ ¬∀nA( n ) . Per esempio, si può prendere come A(n ) la proprietà ‘ 2 n + 4 è la somma di due numeri primi’ perché, per tale A(n ) , ∀nA( n ) esprime la congettura di
269 270
Ivi, p. 558. Ibid.
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Goldbach, ‘Ogni numero pari maggiore di 2 è la somma di due numeri primi’. Definiamo allora una successione r1 , r2 , r3 ,... di numeri razionali nel modo seguente: rn =
Cioè
⎧⎪2- n se ∀k ≤ nA( k ), ⎨ -k ⎪⎩2 se ¬A( k ) ∧ k ≤ n ∧ ∀m < kA( m ). r1 , r2 , r3 ,... è tale che, se vale ∀nA( n ) , allora r1 , r2 , r3 ,... è
1,1 2 ,1 3,1 4,... , ma se ad un certo punto si trova un k tale che k
k
k
¬A(k ) , allora r1 , r2 , r3 ,... è 1,1 2 ,1 3,1 4,...,1 / 2 ,1 / 2 ,1 / 2 ,...
È facile vedere che ∀n ≥ m( rn − rm < 2 − m ) , perciò r1 , r2 , r3 ,... è una successione fondamentale. Dunque r1 , r2 , r3 ,... determina un numero reale r, cioè la specie delle successioni fondamentali che coincidono con r1 , r2 , r3 ,... . Per tale numero reale r vale: (1) r = 0 ↔ ∀nA( n ) . Infatti, per la definizione di r1 , r2 , r3 ,... , se ∀nA( n ) , allora ovviamente r = 0 ; viceversa, se r = 0 , allora necessariamente, per tutti gli n, rn +1 < 2 − n , e perciò, per tutti gli n, A( n ) , cioè ∀nA( n ) . Poiché la funzione f esiste, si può calcolare il valore di f ( x ) per ogni numero reale x. Perciò in particolare si può calcolare il valore di f ( r ) . Ma allora si può decidere f ( r ) = 0 ∨ f ( r ) = 1 . Perciò per la definizione di f si può decidere r = 0 ∨ r ≠ 0 , e quindi per (1) si può decidere ∀nA( n ) ∨ ¬∀nA( n ) . Ma, per la scelta di A( n ) , non si può decidere ∀nA( n ) ∨ ¬∀nA( n ) . Contraddizione. Se ne conclude, perciò, che, nella matematica intuizionista, la funzione f non esiste.
3.11. L’estetismo di Brouwer Che nella matematica intuizionista non esistano certi oggetti matematici, come le funzioni definite ovunque sui numeri reali e discontinue, che sono importanti per la fisica, non preoccupa minimamente Brouwer, perché egli non solo non è interessato all’uso
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della matematica nella fisica ma «rifiuta l’allargamento del dominio umano sulla natura»271. Per Brouwer la matematica è ricerca del bello, mentre in una matematica che serva da strumento per l’allargamento del dominio umano sulla natura «non si troverà bellezza»272. La bellezza è soprattutto «bellezza del costruire, che appare talora quando l’attività del costruire cose viene esercitata per gioco»273. Ma «la bellezza più piena del costruire è la bellezza introspettiva della matematica, nella quale, invece di elementi di azione causale fatta per gioco, l’intuizione base della matematica viene lasciata dispiegarsi liberamente. Tale dispiegarsi non è vincolato dal mondo esterno, e quindi dalla finitezza e dalla responsabilità; perciò le sue armonie introspettive possono raggiungere ogni grado di ricchezza e chiarezza»274. Ma queste affermazioni di Brouwer sono ingiustificate perché la matematica intuizionista è esteticamente povera. È piena di distinzioni scarsamente perspicue, è farraginosa e poco lineare. Perciò, considerare la matematica intuizionista ricerca del bello non è credibile. 3.12. Il crollo del programma di Brouwer Che nella matematica intuizionista non esistano certi oggetti matematici che sono importanti per la fisica non è l’unica prova dell’inadeguatezza del programma di Brouwer. Un’altra prova è la seguente. Come abbiamo visto, Brouwer assume che un enunciato matematico è vero se e solo se si può darne una dimostrazione, dove per dimostrazione si intende una dimostrazione assiomatica [II.3.4]. In particolare, allora, un enunciato dell’aritmetica è vero se e solo si può darne una dimostrazione in un certa teoria T. Ora, per tale teoria T, è facile vedere che la funzione corrispondente prf T [V.3.3] non può essere aritmetica, nel senso che non può esistere alcuna formula A( x, y ) di T contenente come sue uniche variabili individuali libere x e y, tale che, per ogni numero naturale k e p, se prfT (k, p) = 1 allora si può dare una dimostrazione di A( k , p ) in T, mentre se prfT (k, p) = 0 allora si può dare una dimostrazione di ¬A( k , p ) in T.
271
Ivi, p. 483. Ibid. 273 Ivi, p. 484. 274 Ibid. 272
56
Infatti, supponiamo che
prf T
sia aritmetica. Applicando il
teorema del punto fisso [V.4.1] alla formula ∀x¬A( x, y ) , otteniamo un termine chiuso t tale che si può dare una dimostrazione di t = ∀x¬A( x, t ) in T. Con una dimostrazione del tutto simile a quella del primo teorema di di incompletezza di Gödel [V.4.2] si vede allora che l’enunciato ∀x¬A( x, t ) è vero ma non se ne può dare una dimostrazione in T. Ma, poiché ∀x¬A( x, t ) è vero, per l’assunzione su T questo significa che se ne può dare una dimostrazione in T. Contraddizione. Se ne conclude che la funzione prfT non può essere aritmetica. Che la funzione prfT non possa essere aritmetica implica che la proprietà di essere una dimostrazione in T deve essere molto astratta. Ma, secondo Brouwer, una dimostrazione matematica parte da assiomi basati sull’intuizione e prosegue con una deduzione basata sull’intuizione, perciò essa «deve essere così immediata per la mente e il suo risultato così chiaro da non richiedere assolutamente alcun fondamento»275. Dunque la proprietà di essere una dimostrazione in T non può essere molto astratta. Contraddizione. Se ne conclude che l’assunzione di Brouwer, che un enunciato matematico è vero se e solo se si può darne una dimostrazione, è insostenibile. Crolla così uno dei capisaldi della concezione della matematica di Brouwer. In definitiva, dunque, Brouwer mutuò le sue principali idee sulla matematica da Kant, e il suo unico contributo originale alla filosofia della matematica – che era di natura tecnica: il progetto di sviluppare una matematica alternativa alla matematica classica – si risolse in un fallimento. 4. Conclusioni sulla filosofia della matematica di ieri L’analisi dei programmi di Frege, Hilbert e Brouwer mostra che l’affermazione dell’ortodossia prevalente, polemica verso la tradizione filosofica precedente, che Frege abbia prodotto una rivoluzione in filosofia che ha cambiato l’aspetto della disciplina, è insostenibile. La tradizione filosofica precedente avrà avuto i suoi difetti, ma Frege, Hilbert e Brouwer non crearono un’alternativa ad essa. Al contrario, presero a prestito da essa le loro principali idee filosofiche, e ciò che vi aggiunsero, che era di natura tecnica, non filosofica, alla fine si è rivelato insostenibile. 275
Heyting 1956, p. 6.
57
III La filosofia della matematica oggi
1. Due reazioni mancate 1.1. Una reazione matematica mancata Come abbiamo visto, i risultati di Gödel svolgono un ruolo decisivo nel mostrare l’insostenibilità dei programmi di Frege, Hilbert e Brouwer. In particolare, il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2] confuta un’assunzione che non solo sta alla base di tali programmi ma è condivisa dalla stragrande maggioranza dei matematici, cioè che il metodo della matematica è il metodo assiomatico. Ci si sarebbe potuto aspettare che ciò inducesse i matematici ad abbandonare questa assunzione, ma non è stato così. Presumibilmente questo è dipeso dal fatto che la stragrande maggioranza dei matematici ritiene che i teoremi di incompletezza di Gödel sono qualcosa che riguarda solo i programmi fondazionali di Frege, Hilbert e Brouwer, e non l’impresa reale del fare matematica. Ma questa opinione è ingiustificata perché, come si è detto, la stragrande maggioranza dei matematici assume che il metodo della matematica è il metodo assiomatico, perciò il primo teorema di incompletezza di Gödel li riguarda anche loro, e li riguarda in pieno. 1.2. Una reazione filosofica mancata Ancor più sorprendente è che il primo teorema di incompletezza di Gödel non abbia indotto molte scuole di filosofia della matematica della seconda metà del Novecento – neologicismo, platonismo, implicazionismo, strutturalismo, finzionalismo, internalismo, costruttivismo – ad abbandonare l’assunzione che il metodo della matematica è il metodo assiomatico. Ciò deriva dal fatto che tali scuole sono variazioni su temi di Frege, Hilbert e Brouwer. In particolare, il neologicismo e il platonismo sono variazioni su temi di Frege, l’implicazionismo, lo strutturalismo, il finzionalismo e l’internalismo su temi di Hilbert, il costruttivismo su temi di Brouwer. Perciò, per tali scuole, abbandonare l’assunzione che il metodo della matematica è il metodo assiomatico avrebbe significato recidere un legame essenziale con la tradizione su cui esse poggiano.
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È vero che per altre scuole di filosofia della matematica della seconda metà del Novecento che non sono variazioni su temi di Frege, Hilbert e Brouwer – congetturalismo, empirismo, cognitivismo – l’assunzione che il metodo della matematica è il metodo assiomatico è inessenziale. Ma esse offrono un’analisi insufficiente dell’esperienza matematica, e per questo motivo la loro influenza è stata limitata. In questo capitolo esamineremo le concezioni filosofiche della matematica della seconda metà del Novecento e ne mostreremo i limiti. 2. Le concezioni filosofiche della seconda metà del Novecento 2.1. Neologicismo Il neologicismo sostiene che le verità aritmetiche sono analitiche, non nel senso di Frege [II.1.2], che secondo il neologicismo è troppo restrittivo, ma nel senso che tali verità sono deducibili da proposizioni analitiche primitive, cioè da proposizioni che danno definizioni contestuali dei concetti che intendono spiegare. Nel caso delle verità aritmetiche, la proposizione analitica primitiva da cui esse sono deducibili è il principio di Hume (HP). Questo, pur non essendo una verità logica perché fa intervenire un concetto matematico come NxF ( x ) , è una proposizione analitica primitiva perché dà una definizione contestuale del concetto di numero. La teoria del secondo ordine il cui unico assioma non logico è (HP) è coerente, e perciò non va incontro alla difficoltà dell’ideografia di Frege. Il neologicismo è stato sostenuto soprattutto da Wright e Hale. Secondo Wright (1942–) e Hale, «il risultato dell’aggiunta del principio di Hume» (HP) «alla logica del secondo ordine è un sistema coerente che è sufficiente come fondamento dell’aritmetica, nel senso che tutte le leggi fondamentali dell’aritmetica sono derivabili in esso come teoremi»1. Questo «costituisce una giustificazione del logicismo, in base ad una ragionevole interpretazione di quella tesi»2. Infatti, pur non essendo analitico nel senso di Frege, (HP) «è analitico in quanto determina il concetto che esso con ciò serve a spiegare»3. Cioè, fornisce una definizione contestuale del concetto di numero naturale. Perciò la deducibilità da (HP) «dovrebbe bastare per dimostrare l’analiticità dell’aritmetica»4. Questa va intesa non nel senso che l’aritmetica sia una parte della logica, ma nel senso che essa «trascende la logica solo in quanto fa uso di un principio», cioè (HP), «il cui lato 1
Hale-Wright 2001, p. 4. Ivi, pp. 4-5. 3 Ivi, p. 14. 4 Ivi, p. 279. 2
59
destro impiega solo nozioni logiche», perciò tale posizione «merita ancora di essere descritto come logicismo»5. Il neologicismo ha un certo numero di difetti che lo rendono inadeguato. 1. Il neologicismo sostiene che le verità aritmetiche sono analitiche nel senso che sono deducibili da proposizioni analitiche primitive, e precisamente da (HP), dunque sono dimostrabili nella teoria del secondo ordine T il cui unico assioma è (HP). Ma questa affermazione è confutata dal primo teorema di incompletezza di Gödel. Supponiamo, infatti, che tutte le verità aritmetiche siano analitiche nel senso che sono dimostrabili in T. Poiché T ha un unico assioma, banalmente T è RE. Poiché tutte le verità aritmetiche sono dimostrabili in T, T è sufficientemente potente in senso esteso [V.7.2]. Inoltre T è coerente. Perciò per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2, V.7.2] esiste un enunciato della forma ∀x ( f ( x ) = 0) , dove f è una funzione ricorsiva primitiva, che è vero ma non è dimostrabile in T. Poiché ∀x ( f ( x ) = 0) esprime una verità aritmetica, esso fornisce un esempio di verità aritmetica che non è dimostrabile in T. Ma per ipotesi tutte le verità aritmetiche sono dimostrabili in T. Contraddizione. Se ne conclude che non tutte le verità aritmetiche sono dimostrabili in T, e perciò che non tutte le verità aritmetiche sono analitiche. Contro la conclusione che l’affermazione che le verità aritmetiche sono analitiche nel senso che sono dimostrabili in T sia confutata dal primo teorema di incompletezza di Gödel, si potrebbe avanzare un’obiezione simile a quella di Hale e Wright [II.1.3]. Cioè, si potrebbe
obiettare che l’enunciato della forma ∀x ( f ( x ) = 0) dato dal primo teorema di incompletezza di Gödel può benissimo essere una verità logica, e quindi essere logicamente valido, pur non essendo dimostrabile in T perché, per un corollario del teorema di incompletezza forte della logica del secondo ordine [V.7.6], gli assiomi logici e le regole di deduzione logica in un linguaggio del secondo ordine possono non essere abbastanza potenti per dimostrare tale enunciato in T, cioè per dedurlo da (HP). Ma questa obiezione è insostenibile perché, per il neologicismo, una verità aritmetica è analitica se e solo se è deducibile da proposizioni analitiche primitive. Per essere analitico, l’enunciato in questione deve quindi essere deducibile da una proposizione che è analitica in quanto fornisce una definizione contestuale del concetto di numero. Ma, secondo il neologicismo, la proposizione che fornisce una definizione contestuale 5
Ivi, p. 280.
60
del concetto di numero è (HP), e, come abbiamo detto, l’enunciato dato dal primo teorema di incompletezza di Gödel non è deducibile da (HP). 2. Il neologicismo sostiene che (HP) fornisce una definizione contestuale del concetto di numero. Ma (HP) lascia indeterminato se NxF ( x ) sia un oggetto concreto come Giulio Cesare [II.1.8]. Perciò nulla assicura che, poché (HP) introduce un’infinità di numeri, (HP) in questo modo non introduca un’infinità di oggetti concreti, mentre la logica non dovrebbe dire nulla su quali e quanti oggetti concreti esistono. 3. Il neologicismo considera irrilevante che in (HP) occorra un concetto matematico come NxF ( x ) , che non è eliminabile perché, come abbiamo visto, (HP) permette di eliminarlo solo da contesti della forma NxF ( x ) = NxG ( x ) . Ma nei principi logici non dovrebbero comparire concetti matematici non eliminabili. 4. Il neologicismo considera (HP) come analitico perché fornisce una definizione contestuale del concetto di numero. Ma allora si dovrebbe considerare analitico, ad esempio, anche il principio di inerzia, ‘Ogni corpo persiste nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme fin quando l’azione di una forza non alteri questo stato’, perché fornisce una definizione contestuale del concetto di ‘forza’. Ma questo senso dell’analiticità toglie ogni pregnanza filosofica all’affermazione che le verità aritmetiche sono analitiche, perché in base ad esso anche le leggi fisiche sarebbero analitiche. 5. Il neologicismo assume che la teoria del secondo ordine T il cui unico assioma è (HP) è coerente. Lo fa appellandosi al risultato di Boolos secondo cui l’aritmetica di Peano del secondo ordine PA 2 è coerente se e solo se T è coerente 6. Ma così esso dà per scontato che PA 2 sia coerente. Ora, lo stesso Boolos osserva che «(non è nevrotico pensare che) noi non sappiamo se» PA 2 «è coerente. Sappiamo davvero che un Russell altamente efficiente del ventitreesimo secolo non farà a noi quello che Russell ha fatto a Frege?»7. Del resto, T soddisfa le condizioni del secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4, V.4.9], perciò per tale teorema l’enunciato ConT che esprime canonicamente la coerenza di T non è dimostrabile in T, quindi a maggior ragione non è dimostrabile con alcun metodo assolutamente certo. Dunque non vi è alcuna certezza che T sia coerente. 6. Il neologicismo non riesce ad andare oltre l’aritmetica dei numeri naturali. È vero che Hale ha cercato di estenderlo all’analisi 6 7
V. Boolos 1998, pp. 190-196. Ivi, p. 313.
61
matematica, introducendo i numeri reali per astrazione come rapporti definiti su un dominio completo ordinato di quantità, dove le quantità, come la lunghezza o la massa, sono ottenute per astrazione da «opportune relazioni di equivalenza sugli oggetti concreti di cui essi sono le lunghezze, le masse, ecc.»8. Così facendo Hale si richiama all’idea di Frege che «l’applicazione dei reali come misure di quantità è essenziale per la loro stessa natura, e perciò dovrebbe essere incorporata in una loro definizione adeguata»9. Ma, come osserva Batitsky, questo modo di introdurre i numeri reali fa assunzioni che sono «del tutto superflue per spiegare le applicazioni di misure di reali»10. Inoltre implica che «la natura delle quantità non può essere completamente compresa in totale indipendenza dai fatti del mondo fisico», perché assume che le quantità siano «astrazioni di relazioni e operazioni fisiche su oggetti concreti»11. Infatti, nella formulazione di Hale, la lunghezza e la massa «hanno esattamente la stessa struttura logica», ma «Hale certo non vorrebbe dire che queste due quantità sono identiche o anche che sono intercambiabili in ogni applicazione»12. Ora, la ragione per cui esse «non sono identiche né intercambiabili (nonostante il fatto che abbiano strutture logiche identiche) può trovarsi solo nel mondo fisico; per esempio, se x è un oggetto concreto, le relazioni di equivalenza fisica ‘lungo come x’ e ‘pesante come x’ non determinano classi di equivalenza di oggetti concreti identiche tra loro. (Si pensi a due sbarre della stessa lunghezza, una delle quali è di alluminio mentre l’altra è di piombo)»13. Perciò il tentativo di Hale è inadeguato. Che il neologicismo non riesca ad andare oltre l’aritmetica dei numeri naturali mostra che esso scambia per filosofia di tutta la matematica una filosofia che potrebbe valere tutt’al più per l’aritmetica dei numeri naturali, e che, come abbiamo visto, non vale neppure per quella. 2.2. Platonismo Il platonismo sostiene che gli oggetti matematici sono gli insiemi. Essi sono dati dalla cosiddetta ‘gerarchia cumulativa’, che è definita da: (i) V0 = ∅ ; (ii) Vα +1 = P (Vα ) per ogni ordinale α, dove P (Vα ) è la
8
Hale-Wright 2001, p. 409. Ivi, p. 403. 10 Batitsky 2002, p. 297. 11 Ivi, p. 301. 12 Ibid. 13 Ibid. 9
62
collezione di tutti i sottoinsiemi di Vα ; (iii) Vλ = ∪ Vα per ogni α <λ
ordinale limite λ. Tale gerarchia si dice ‘cumulativa’ perché, se α ≤ β ,
allora Vα ⊆ Vβ . Infatti V0 = ∅ , V1 = {∅} , V2 = {∅∪{∅}} , ... .
Gli insiemi formano una realtà non sensibile, che esiste indipendentemente dagli atti della mente umana ed è solo percepita da quest’ultima. Nondimeno, noi abbiamo una sorta di percezione anche degli insiemi attraverso l’intuizione, la quale è sufficientemente chiara da produrre gli assiomi della teoria degli insiemi e una serie aperta di loro estensioni. Attraverso l’intuizione gli insiemi vengono conosciuti con precisione, e le leggi generali relative ad essi possono essere riconosciute con certezza deducendole dagli assiomi. L’intuizione, però, non ci dà una conoscenza immediata degli insiemi ma questa presuppone il concetto di insieme, che svolge un ruolo strettamente connesso con quello delle categorie dell’intelletto puro di Kant. Infatti, la funzione di entrambi è la sintesi, cioè la generazione di unità a partire da molteplicità. Tuttavia, per avere conoscenza degli insiemi, tale concetto deve essere rappresentato nell’intuizione. Una rappresentazione del concetto di insieme nell’intuizione è possibile perché noi possiamo estendere la nostra conoscenza di tale concetto concentrandoci più attentamente su di esso. Inoltre, la verità degli assiomi della teoria degli insiemi può essere colta non solo attraverso l’intuizione ma anche, sebbene solo probabilisticamente, considerando le conseguenze verificabili degli assiomi. Il platonismo è stato sostenuto soprattutto da Gödel, ma ha avuto anche molti altri sostenitori, da Hermite a Penrose. Secondo Gödel (1906-1978), gli oggetti matematici formano «una realtà non sensibile, che esiste indipendentemente dagli atti e dalle disposizioni della mente umana, e viene soltanto percepita, e probabilmente percepita molto incompletamente, dalla mente umana»14. Ma, «nonostante la loro lontananza dall’esperienza sensoriale, noi abbiamo qualcosa come una percezione anche degli oggetti della teoria degli insiemi» che ci è data dalla «intuizione matematica», la quale «è sufficientemente chiara da produrre gli assiomi della teoria degli insiemi e una serie aperta di loro estensioni»15. Attraverso essa «gli oggetti matematici sono conosciuti con precisione, e le leggi generali
14 15
Gödel 1986-2002, III, p. 323. Ivi, II, p. 268.
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possono essere riconosciute con certezza, cioè, mediante l’inferenza deduttiva»16. L’intuizione, però, non ci dà «una conoscenza immediata degli oggetti considerati», ma «noi formiamo le nostre idee» degli oggetti matematici «in base a qualcos’altro che è dato immediatamente»17. Questo qualcos’altro è il concetto di insieme. C’è «uno stretto rapporto tra il concetto di insieme» e «le categorie dell’intelletto puro nel senso di Kant», in quanto «la funzione di entrambi è la ‘sintesi’, cioè la generazione di unità a partire da molteplicità (per esempio, in Kant l’idea di un oggetto a partire dai suoi vari aspetti)»18. Ma, per avere conoscenza degli insiemi, il concetto di insieme deve essere rappresentato nell’intuizione. Ciò è possibile perché noi possiamo «estendere la nostra conoscenza di questi concetti astratti, cioè rendere precisi tali concetti e afferrare in modo comprensivo e sicuro le relazioni fondamentali che sussistono tra essi, cioè gli assiomi che valgono per essi», semplicemente «coltivando (approfondendo) la conoscenza dei concetti astratti»19. Il procedimento consisterà «nel concentrarci più attentamente sui concetti considerati, dirigendo la nostra attenzione in un certo modo, cioè, sui nostri atti nell’usare questi concetti, sul nostro potere di effettuare i nostri atti, ecc.»20. Questo «produrrà in noi un nuovo stato di coscienza, in cui descriviamo in dettaglio i concetti basilari che noi usiamo nel nostro pensiero, o afferriamo altri concetti basilari finora sconosciuti a noi»21. Così otterremo un «afferrare intuitivo di sempre nuovi assiomi che sono logicamente indipendenti da quelli precedenti»22. Tuttavia, per ogni assioma della teoria degli insiemi, «una decisione probabile circa la sua verità è possibile anche in un altro modo, cioè induttivamente, studiandone il ‘successo’», dove per successo si intende «la fruttuosità rispetto alle conseguenze, in particolare alle conseguenze ‘verificabili’»23. Dunque, «oltre all’intuizione matematica, esiste un altro criterio (sebbene soltanto probabile) per la verità degli assiomi matematici, cioè la loro fruttuosità nella matematica e, si può aggiungere, possibilmente anche nella
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Ivi, III, p. 312, nota 18. Ivi, II, p. 268. 18 Ivi, II, p. 268, nota 40. 19 Ivi, III, p. 383. 20 Ibid. 21 Ibid. 22 Ivi, III, p. 385. 23 Ivi, II, p. 261. 17
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fisica»24. Il «caso più semplice di applicazione del criterio in questione si ha quando qualche assioma della teoria degli insiemi ha conseguenze della teoria dei numeri verificabili mediante un computo fino ad un intero qualsiasi dato»25. Il platonismo ha un certo numero di difetti che lo rendono inadeguato. 1. Il platonismo sostiene che noi abbiamo una sorta di percezione degli insiemi che è data dall’intuizione. Ma questo va incontro alla difficoltà che, come nella percezione sensibile gli oggetti esercitano un’azione causale su di noi, così nell’intuizione gli oggetti dovrebbero esercitare un’azione causale su di noi. Per esempio, Kant afferma che, la sensazione è «l’effetto di un oggetto sulla capacità rappresentativa, in quanto noi ne veniamo affetti»26. Nello stesso modo l’intuizione «si riscontra solo quando l’oggetto è dato; il che a sua volta è possibile, per noi uomini almeno, solo se l’oggetto agisce, in qualche modo sul nostro animo»27. Ma, mentre nella sensazione gli oggetti fisici esercitano un’azione causale su di noi attraverso i nostri organi sensoriali, come potrebbero gli insiemi esercitare un’azione causale su di noi nell’intuizione? Wang ci informa che, in conversazioni con lui, Gödel avanzò l’ipotesi «che sia necessario qualche organo fisico per rendere possibile trattare impressioni astratte (in quanto contrapposte alle impressioni dei sensi), dal momento che noi abbiamo una certa debolezza nel trattare le impressioni astratte, a cui si rimedia vedendole a confronto con le, o in occasione delle, impressioni dei sensi. Tale organo sensoriale deve essere strettamente connesso col centro nervoso del linguaggio»28. Ma dell’esistenza di un organo sensoriale fisico capace di percepire gli oggetti della teoria degli insiemi non vi è alcuna prova. 2. Il platonismo sostiene che l’intuizione è sufficientemente chiara da produrre gli assiomi della teoria degli insiemi e una serie aperta di loro estensioni. Ma, almeno a partire da Kant, l’intuizione è stata concepita come singolare. Così Kant afferma che «l’intuizione è una rappresentazione singolare», e perciò differisce dal concetto, che è «una rappresentazione generale ovvero una rappresentazione di ciò che è comune a più oggetti,
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Ivi, II, p. 269. Ibid. 26 Kant 1900–, III, p. 50 (B 34). 27 Ivi, III, p. 49 (B 33). 28 Wang 1996, p. 233. 25
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quindi è una rappresentazione in quanto può essere contenuta in diverse altre»29. Come può allora l’intuizione, che è una rappresentazione singolare, farci conoscere gli assiomi della teoria degli insiemi, che sono generali? 3. Il platonismo sostiene che, attraverso l’intuizione, gli insiemi sono conosciuti con precisione, e le leggi generali relative ad essi possono essere riconosciute con certezza deducendole dagli assiomi. Ma questo è contraddetto dal fatto che la verità di nessun insieme di assiomi per la teoria degli insiemi può essere riconosciuta con certezza, e perciò a maggior ragione le leggi generali relative agli insiemi non possono essere riconosciute con certezza deducendole dagli assiomi. Infatti, per il secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4, V.4.9], se la teoria degli insiemi T è RE e coerente, l’enunciato ConT che esprime canonicamente la coerenza di T non è dimostrabile in T. Ma allora, o (i) noi non siamo in grado di riconoscere con certezza la coerenza di T, e quindi neppure la verità degli assiomi di T, per cui T è ingiustificata; oppure (ii) noi siamo in grado riconoscere con certezza la verità degli assiomi di T, e quindi la coerenza di T, ma ConT non è dimostrabile in T, e allora T è inadeguata perché non consente di dedurre neppure una semplice verità aritmetica come ConT . 4. Il platonismo sostiene che l’intuizione non ci dà una conoscenza immediata degli insiemi ma tale conoscenza presuppone il concetto di insieme, che svolge un ruolo strettamente connesso con quello delle categorie dell’intelletto puro di Kant perché la funzione di entrambi è la sintesi, cioè la generazione di unità a partire da molteplicità, sebbene per avere conoscenza degli insiemi tale concetto debba essere rappresentato nell’intuizione. Ciò a cui il platonismo si riferisce qui è il fatto che, secondo Kant, solo per mezzo delle categorie «diviene in generale possibile pensare un qualunque oggetto dell’esperienza»30. Nello stesso modo, secondo il platonismo, solo per mezzo del concetto di insieme diviene in generale possibile pensare un qualunque insieme. E, secondo Kant, «le funzioni del comporre (della sintesi) vengono prima, ma non hanno ancora alcun oggetto; lo ricevono mediante lo schematizzare, cioè mediante intuizioni a priori alle quali possono essere applicate. Questo produce la conoscenza delle cose come fenomeni»31. Nello stesso modo, secondo il platonismo, la funzione del 29
Kant 1900–, IX, p. 91 e nota. Ivi, III, p. 105 (B 126). 31 Ivi, XIII, p. 468. 30
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comporre (della sintesi) oggetti in un insieme, ossia il concetto di insieme, viene prima, ma non ha ancora alcun oggetto; lo riceve attraverso lo schematizzare, cioè mediante intuizioni a priori alle quali tale concetto può essere applicato, e questo produce la conoscenza degli insiemi. Ma, nel caso di Kant, schematizzare un concetto matematico, per esempio quello di triangolo, consiste nel rappresentare «l’oggetto che corrisponde a questo concetto o per mezzo della semplice immaginazione, nell’intuizione pura, o, basandomi su questa, anche sulla carta, nell’intuizione empirica»32. Perciò, che cosa sia una rappresentazione nell’intuizione del concetto di triangolo è abbastanza chiaro. Invece, nel caso del platonismo, che cosa potrebbe essere una rappresentazione nell’intuizione del concetto di insieme dato dalla gerarchia cumulativa è del tutto oscuro. 5. Il platonismo sostiene che una rappresentazione del concetto di insieme nell’intuizione è possibile perché noi possiamo estendere la nostra conoscenza di tale concetto, concentrandoci più attentamente su di esso. Ma questo è insostenibile. Infatti, supponiamo che noi riusciamo a riconoscere con certezza la verità degli assiomi della teoria degli insiemi T, e perciò la loro coerenza [V.1.5], attraverso un’intuizione ottenuta attraverso la procedura del concentrarsi più attentamente sul concetto di insieme, diciamo Σ. Allora, supponendo che T sia RE, per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2, V.4.9] esiste un enunciato A che è vero rispetto a Σ ma non è dimostrabile in T. Perciò la teoria T ' = T + ¬A è coerente [V.1.4], e quindi, per il teorema dell’esistenza di un modello [V.1.5], ha un modello, diciamo Σ ' . Allora ¬A è vero rispetto a Σ ' , per cui A è falso rispetto a Σ ' . Pertanto Σ e Σ ' sono entrambi modelli di T, e perciò sono entrambi concetti di insieme, ma A è vero rispetto a Σ e falso rispetto a Σ ' . Per il teorema dell’isomorfismo [V.1.6] allora Σ e Σ ' non possono essere isomorfi, dunque Σ e Σ ' sono concetti di insieme essenzialmente differenti. Ora se, come ci chiede di fare Gödel, ci concentriamo più attentamente sul modo in cui abbiamo ottenuto Σ ' , possiamo rappresentare nell’intuizione il concetto di insieme Σ ' . Abbiamo allora due intuizioni differenti, una delle quali ci assicura che il genuino concetto di insieme è Σ, mentre l’altra ci assicura che il genuino concetto di insieme è Σ ' . Poiché Σ e Σ ' non sono isomorfi, e dunque sono concetti di insieme essenzialmente differenti, questo fa nascere il problema: quale di Σ e Σ ' è il genuino concetto di insieme? La 32
Ivi, III, p. 469.
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procedura del concentrarci più attentamente sul concetto di insieme non dà una risposta a tale domanda. 6. Il platonismo sostiene che la verità degli assiomi della teoria degli insiemi può essere colta non solo attraverso l’intuizione ma anche, sebbene solo probabilisticamente, considerando le conseguenze verificabili degli assiomi. Ma, come riconosce lo stesso Gödel, il criterio della fruttuosità rispetto alle conseguenze «non può ancora essere applicato agli assiomi specificamente insiemistici (quali quelli relativi a grandi numeri cardinali), perché si sa molto poco sulle loro conseguenze in altri campi»33. In particolare, per quanto riguarda la fruttuosità rispetto alle conseguenze verificabili, «in base a quanto si sa oggi, non è possibile rendere ragionevolmente probabile in questo modo la verità di alcun assioma della teoria degli insiemi»34. Inoltre, il fatto che un insieme di assiomi abbia conseguenze verificabili – la cui verità può quindi essere accertata concretamente, per esempio mediante un computo fino ad un numero intero qualsiasi dato – non ne garantisce neppure probabilisticamente la verità, perché da assiomi falsi si possono dedurre teoremi veri. Potrebbe darsi, perciò, che le conseguenze degli assiomi trovate finora siano tutte vere ma che gli assiomi siano falsi. Come sottolinea Kant, «inferire la verità di una conoscenza dalla verità delle sue conseguenze sarebbe ammissibile solo se tutte le sue possibili conseguenze sono vere», ma «questa è una procedura non fattibile, perché discernere tutte le possibili conseguenze di una proposizione accettata supera le nostre capacità»35. Una conferma di ciò è data dal fatto che, per la non aritmeticità delle conseguenze logiche di PA 2 [V.7.7], l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati che sono conseguenze logiche degli assiomi non logici di PA 2 non è ricorsivamente enumerabile. Non esiste dunque alcuna procedura algoritmica, e perciò a maggior ragione nessuna procedura fattibile, che permetta di enumerare tutte le conseguenze degli assiomi di PA 2 . Quindi, come afferma Kant, inferire la verità degli assiomi matematici dalla verità delle loro conseguenze è una procedura non fattibile, perché discernere tutte le possibili conseguenze degli assiomi supera le nostre capacità. 2.3. Implicazionismo L’implicazionismo sostiene che la matematica consiste nel trarre 33
Gödel 1986-2002, II, p. 269 Ibid. 35 Kant 1900–, III, p. 514 (B 818). 34
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conseguenze logiche da assiomi scelti arbitrariamente. Essa consta di tutte le asserzioni della forma A → B tali che B è una conseguenza logica di A, dove A è un insieme, o una congiunzione, di assiomi e B è un’asserzione, la conclusione. Gli assiomi A sono scelti arbitrariamente. Non si richiede che esistano enti di cui essi sono veri, e neppure che essi siano coerenti. Che possano risultare incoerenti è un rischio che dobbiamo correre senza prendere particolari precauzioni. Dopo tutto, noi dobbiamo continuamente affrontare rischi ben più gravi nella vita e nella scienza 36. L’implicazionismo è stato sostenuto nella seconda metà del Novecento da Putnam, ma si basa su idee di Russell. Secondo Putnam (1926–), «si può considerare compito essenziale del matematico puro far derivare conseguenze logiche da insiemi di assiomi»37. Cioè, è compito del matematico puro «dimostrare che, se esiste una struttura che soddisfa certi assiomi (per esempio, gli assiomi della teoria dei gruppi), allora quella struttura soddisfa certe altre asserzioni (alcuni teoremi della teoria dei gruppi o altri)»38. Non si richiede di sapere che esista una struttura che soddisfa gli assiomi. Gli assiomi «potrebbero un giorno rivelarsi incoerenti. E con ciò? Questa è la situazione; e noi dobbiamo costantemente affrontare rischi ben più gravi nella vita e nella scienza»39. L’implicazionismo ha un certo numero di difetti che lo rendono inadeguato. 1. L’implicazionismo sostiene che la matematica consiste nel trarre conseguenze logiche da assiomi scelti arbitrariamente. Ma ciò è contraddetto dal fatto che molte parti della matematica, come la teoria dei numeri o la teoria delle equazioni differenziali parziali, non consistono in questo. 2. La nozione di conseguenza logica a cui si riferisce l’implicazionismo è definita in termini del concetto di insieme, perciò presuppone la teoria degli insiemi. Ma, secondo l’implicazionismo, la teoria degli insiemi consta di tutte le asserzioni della forma A → B tali che B è una conseguenza logica di A. Poiché la nozione di conseguenza logica è definita in termini del concetto di insieme, questo implica che la teoria degli insiemi presuppone la nozione di insieme. Ma da che cosa è data tale nozione? L’implicazionismo non sa dare una risposta. 36
‘Implicazionismo’ è il nome dato originariamente a tale concezione da Menger 1979, p. 57. Essa è anche denominata ‘se-allorismo’ [ifthenism] da Putnam 1975, p. 20. 37 Putnam 1975, p. 41. 38 Ivi, p. 20. 39 Ivi, p. 34.
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3. L’implicazionismo non sa spiegare perché, tra gli infiniti insiemi di assiomi possibili, se ne scelgano alcuni piuttosto di altri. Per esso, infatti, ogni scelta degli assiomi è arbitraria, perciò esso non è in grado di offrire alcun criterio per la scelta degli assiomi. 4. L’implicazionismo sostiene che il fatto che gli assiomi potrebbero rivelarsi incoerenti è un rischio che dobbiamo correre senza prendere particolari precauzioni. Ma, salvo pochi sconsiderati, i più non affrontano i rischi della vita e della scienza senza prendere precauzioni. Secondo l’implicazionismo, un matematico dovrebbe scegliere in modo arbitrario degli assiomi e trarre conseguenze logiche da essi, solo per scoprire alla fine della propria vita di averla sprecata impegnandosi in un’attività insensata, perché gli assiomi erano incoerenti e tutti i teoremi che egli ha così faticosamente dimostrato sono assurdi. Ma nessun matematico accetterebbe programmaticamente di sprecare la propria vita in questo modo. 5. L’implicazionismo trascura che il fatto che gli assiomi potrebbero risultare incoerenti contraddice la sua assunzione che la matematica consti di asserzioni della forma A → B tali che B è una conseguenza logica di A. Infatti, se gli assiomi A fossero incoerenti, esisterebbero asserzioni C tali che sia C sia ¬C sarebbero una conseguenza logica di A, perciò sia A → C sia A → ¬C farebbero parte della matematica, e quindi anche A → ¬A . Ma questo è impossibile perché ¬A non è una conseguenza logica di A e, per l’implicazionismo, della matematica fanno parte solo le asserzioni della forma A → B tali che B è una conseguenza logica di A. Per assicurarsi che non si presenti una situazione del genere si dovrebbe dimostrare che gli assiomi A sono coerenti, dunque che l’asserzione Con A che esprime canonicamente la coerenza di A è una conseguenza logica di un certo insieme di assiomi D. Ma il problema si riproporrebbe per D, e così via all’infinito. E il rimando all’infinito non può essere evitato a causa del secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4, V.4.9]. 6. L’implicazionismo non sa spiegare perché, tra le infinite conseguenze logiche degli assiomi adottati, si scelga di trarne alcune piuttosto di altre. Per esempio, se A → B appartiene alla matematica, ad essa apparterrà anche A → (C → B ) per un’asserzione qualsiasi C. Ma nessun matematico, dopo aver dedotto dagli assiomi della geometria di Hilbert il teorema di Pitagora PT, ne trarrerrebe come ulteriore conseguenza logica 0 = 0 → PT . E l’implicazionismo non è in grado di spiegare perché non dovrebbe farlo, dal momento che non fornisce alcun criterio su quali conseguenze logiche trarre e quali no. 2.4. Strutturalismo
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Lo strutturalismo sostiene che la matematica è lo studio deduttivo delle strutture. Una struttura è ciò che si ottiene da una collezione di oggetti considerando solo le relazioni tra gli oggetti, quindi ignorando ogni loro carattere che non incida sul modo in cui essi stanno in relazione con gli altri oggetti. Uno studio deduttivo delle strutture consiste nel formulare assiomi per una struttura e nel dedurre conseguenze logiche da essi. Lo strutturalismo è stato sostenuto negli ultimi decenni del Novecento soprattutto da Shapiro e, in una forma un po’ differente, da Resnik, ma si basa su idee di Bourbaki e in parte già di Dedekind. Secondo Shapiro, «la matematica è lo studio delle strutture»40. Una struttura può essere definita «come la forma astratta di un sistema, che evidenzia le interrelazioni tra gli oggetti e ignora ogni loro carattere che non incida su come essi stanno in relazione con altri oggetti nel sistema»41. Per esempio, nel caso della «struttura dei numeri naturali», l’unica cosa «che importa sui numeri naturali è la relazione in cui stanno l’uno con l’altro»42. Una struttura si ottiene «attraverso un processo di astrazione. Si osservano parecchi sistemi con quella struttura, e si focalizza l’attenzione sulle relazioni tra gli oggetti, ignorando quei caratteri degli oggetti che non sono rilevanti per tali relazioni»43. Più precisamente, «la matematica (pura) è lo studio deduttivo delle strutture in quanto tale»44. Lo strutturalismo ha un certo numero di difetti che lo rendono inadeguato. 1. Lo strutturalismo afferma che la matematica è lo studio deduttivo delle strutture. Ma questo è in contrasto col fatto che il lavoro in vari campi della matematica, come quelli della teoria dei numeri e della teoria delle equazioni differenziali parziali, non consiste nel formulare assiomi per una struttura e dedurre conseguenze logiche da essi. Per esempio, non è di questo tipo il lavoro riguardante questioni come la distribuzione dei numeri primi o la trascendenza di π o di e . 2. Lo strutturalismo scambia per reale natura della matematica quella che è solo una caratteristica del tipo di matematica che è stata fatta da una certa scuola, la scuola di Göttingen, la quale, attraverso l’opera di Van der Waerden, Moderne Algebra, influenzò anche Bourbaki. Per la sua astrattezza e mancanza di contatto con la realtà, negli ultimi decenni questo tipo di matematica ha attraversato una crisi
40
Shapiro 2000, p. 257. Ivi, p. 259. 42 Shapiro 2004, p. 32. 43 Shapiro 2000, p. 259. 44 Ibid. 41
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profonda, tanto che il 28 Aprile 1998 il quotidiano francese Liberation pubblicò un articolo dal titolo ‘Bourbaki è morto, QED’. 3. Lo strutturalismo ha avuto effetti negativi sullo sviluppo della matematica, perché ha portato a trascurare intere sue parti e a considerarla come un’attività autoreferenziale, separata dalla realtà fisica. Addirittura Dieudonné, uno dei più significativi rappresentanti del Bourbaki, rivendica che, «tra tutti i sorprendenti progressi» della matematica recente, «neppure uno, con la possibile eccezione della teoria della distribuzione, ha avuto nulla a che fare con le applicazioni fisiche: e persino nella teoria delle equazioni differenziali parziali, l’accento viene posto oggi molto di più su problemi strutturali ‘interni’ che su questioni aventi un significato fisico diretto»45. 4. Lo strutturalismo è incapace di dare un concetto di struttura primitivo, non definito in termini di quello di insieme. Shapiro definisce una struttura come ciò che si ottiene per astrazione da più sistemi considerando le relazioni tra gli oggetti che essi hanno in comune, dove un sistema è un insieme di oggetti con certe relazioni tra loro. Dunque definisce il concetto di struttura in termini di quello di insieme. Lo stesso fa Bourbaki, il quale afferma che, esaminando l’insieme dei numeri reali con l’addizione, l’insieme dei numeri interi con la moltiplicazione modulo un numero primo, e l’insieme delle traslazioni nello spazio euclideo tridimensionale con la composizione delle traslazioni, si vede che in essi a due elementi dell’insieme si fa corrispondere «un terzo elemento ben determinato», ed esaminando «le proprietà di questa ‘operazione’ in ciascuno» di essi, «si constata che esse presentano un notevole parallelismo», e un’analisi «porta a disimpegnare un piccolo numero di esse», cioè l’associatività, l’esistenza di un elemento neutro e l’esistenza di un elemento inverso, e a constatare che tutte le altre proprietà dell’operazione in questione «sono conseguenze delle tre precedenti»46. Una «struttura di gruppo» è allora un insieme su cui è definita un’operazione «che soddisfa le tre proprietà» precedenti; tali tre proprietà «si dicono gli assiomi delle strutture di gruppo, e derivarne le conseguenza è fare la teoria assiomatica dei gruppi»47. Ma se si definisce il concetto di struttura in termini di quello di insieme, allora il concetto di insieme è primitivo e quello di struttura è definito. Dunque la matematica non è lo studio delle strutture bensì lo 45
Dieudonné 1964, p. 248. Bourbaki 1962, pp. 38-39. 47 Ivi, p. 40. 46
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studio delle relazioni che gli oggetti appartenenti a certi insiemi hanno in comune. Per evitare questa difficoltà Shapiro formula una teoria assiomatica delle strutture che dovrebbe essere indipendente dalla teoria degli insiemi. Ma essa è del tutto simile alla teoria degli insiemi, e non chiarisce alcuna questione né risolve alcun problema lasciato aperto da quest’ultima. Lo stesso Shapiro ammette che «la gerarchia degli insiemi e il regno delle strutture sono poco più che varianti notazionali l’uno dell’altra»48. Perciò «tutto ciò che può essere detto di uno dei due ambiti può essere trasferito all’altro»49. Ma allora il concetto di struttura non è indipendente da quello di insieme. 5. Lo strutturalismo è incapace di dire sotto quali condizioni una struttura esiste. Secondo lo strutturalismo, la matematica è lo studio deduttivo delle strutture in quanto consiste nel formulare assiomi per una struttura e nel dedurne le conseguenze logiche. Ma sotto quali condizione gli assiomi sono non vuoti, cioè esiste una struttura che li soddisfa? Per Shapiro, la condizione è che gli assiomi siano «un gruppo di enunciati coerente»50. Ma Shapiro non può intendere ‘coerente’ nel senso della nozione sintattica di coerenza (‘Dagli assiomi non sono deducibili contraddizioni’). Infatti, una deduzione è una successione di stringhe di simboli, e la struttura delle stringhe di simboli è isomorfa alla struttura dei numeri naturali, perciò la coerenza nel senso della nozione sintattica di coerenza è un fatto relativo alla struttura dei numeri naturali. Ma allora, dire che la struttura dei numeri naturali esiste sotto la condizione che dagli assiomi dell’aritmetica di Peano del secondo ordine PA 2 non siano deducibili contraddizioni, equivarrebbe a dire che la struttura dei numeri naturali esiste sotto la condizione che la struttura dei numeri naturali esista, il che darebbe luogo ad un circolo. Né Shapiro può intendere ‘coerente’ nel senso della nozione semantica di coerenza (‘Gli assiomi hanno un modello’). Infatti, dire che una struttura che soddisfa gli assiomi esiste sotto la condizione che gli assiomi siano coerenti nel senso della nozione semantica di coerenza, equivarrebbe a dire che una struttura che soddisfa gli assiomi esiste sotto la condizione che una struttura che soddisfa gli assiomi esista, il che di nuovo darebbe luogo ad un circolo.
48
Shapiro 2004, p. 20. Shapiro 1997, p. 370. 50 Shapiro 2000, p. 286. 49
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Shapiro afferma che questo circolo «può non essere vizioso, e forse possiamo convivere con esso»51. Infatti, nella matematica la teoria degli insiemi «è la corte di appello finale per le questioni di esistenza. I dubbi sul fatto se un certo tipo di oggetto matematico esista vengono risolti mostrando che gli oggetti di questo tipo possono essere trovati o modellati nella gerarchia degli insiemi», e questa «è così grande che pressoché qualsiasi struttura può essere modellata o esemplificata in essa»52. Ciò «è in armonia con lo strutturalismo», secondo cui «‘modellare’ una struttura significa trovare un sistema che la esemplifica. Se una struttura è esemplificata da un sistema, allora sicuramente l’assiomatizzazione è coerente e la struttura è possibile», e quindi per lo strutturalista «essa esiste»53. Dunque, secondo Shapiro, una struttura che soddisfa gli assiomi esiste sotto la condizione che essa possa essere modellata nella gerarchia degli insiemi, e quindi che la sua esistenza possa essere dimostrata nella teoria degli insiemi. Ma questo fa nascere il problema: che cosa ci fa pensare che la teoria degli insiemi sia coerente? Secondo Shapiro, anche se «non possiamo giustificare la coerenza della teoria degli insiemi modellandola nella gerarchia degli insiemi» perché il «circolo sarebbe troppo sfacciato», nondimeno «la coerenza della teoria degli insiemi è presupposta da molta dell’attività fondazionale della matematica contemporanea. A ragione o a torto, la matematica presuppone che la soddisfacibilità (nella gerarchia degli insiemi) sia sufficiente per l’esistenza», e «gli strutturalisti accettano questo presupposto e ne fanno uso come chiunque altro, e non sono in una posizione migliore (e neppure peggiore) per giustificarlo»54. Ma l’argomento di Shapiro che dobbiamo accettare la coerenza della teoria degli insiemi in quanto è presupposta da molta dell’attività fondazionale della matematica contemporanea è simile all’argomento che noi dobbiamo accettare l’esistenza di Dio perché è presupposta dall’esistenza del mondo, ed è altrettanto infondato perché comporta un circolo. 6. Lo strutturalismo è incapace di specificare un’unica struttura come l’oggetto dell’aritmetica. Secondo lo strutturalismo, bisogna distinguere tra due tipi di teorie, quelle come l’aritmetica, la teoria degli insiemi o la geometria
51
Ivi, p. 288. Ibid. 53 Ibid. 54 Ivi, pp. 288-289. 52
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euclidea, che hanno per oggetto un’unica struttura, e quelle come la teoria dei gruppi, che non hanno per oggetto un’unica struttura. Per esempio, Bourbaki afferma che bisogna distinguere tra le «teorie univalenti, cioè tali che il sistema globale dei loro assiomi le determina completamente», come le assiomatizzazioni «dell’aritmetica di Dedekind e Peano, della geometria euclidea di Hilbert», e le teorie non univalenti, cioè tali che il sistema globale dei loro assiomi non le determina completamente, come «la teoria dei gruppi»55. Specificamente, l’affermazione che l’aritmetica abbia come oggetto un’unica struttura si basa sul fatto che l’aritmetica di Peano del secondo ordine PA 2 è categorica perché, per il teorema di categoricità di PA 2 [V.7.4], tutti i modelli di PA 2 sono isomorfi a N 2 , e quindi sono isomorfi tra loro. Ma questo non giustifica tale affermazione. Infatti, innanzitutto PA 2 ha modelli non standard, cioè modelli deboli non isomorfi a N 2 [V.7.9]. In secondo luogo, PA 2 è categorica solo relativamente ad un dato modello della teoria degli insiemi. Cioè, non tutti i modelli di PA 2 sono isomorfi, ma solo quelli appartenenti ad uno stesso modello della teoria degli insiemi. Infatti, per dimostrare che tutti i modelli di PA 2 2
sono isomorfi a N 2 , dato un modello qualsiasi M di PA si definisce induttivamente una funzione h e si dimostra che h è un isomorfismo di N 2 su M. Per dimostrarlo si fa uso del fatto che l’assioma di induzione del secondo ordine di PA 2 è vero in M [V.7.4]. Dunque si assume che tale assioma sia vero quando il dominio delle relazioni unarie di M è P ( ` ) , l’insieme di tutti i sottoinsiemi di ` . Ma l’insieme P ( ` ) in un dato modello della teoria degli insiemi è diverso dall’insieme P ( ` ) in un altro modello della teoria degli insiemi. Questo implica che non tutti i modelli di PA
2
sono isomorfi, ma solo quelli appartenenti ad uno 2
stesso modello della teoria degli insiemi, dunque PA è categorica solo relativamente ad un dato modello della teoria degli insiemi. In terzo luogo, modelli isomorfi tra loro non sono realmente la stessa struttura. Secondo Shapiro, «poiché modelli isomorfi sono equivalenti, le proprietà rilevanti di ogni modello dell’assiomatizzazione sono le stesse, e perciò, in un certo senso, ogni modello va altrettanto bene di qualsiasi altro. Possiamo studiare la struttura studiando una sua esemplificazione»56. Dunque, tutto ciò che 55 56
Bourbaki 1962, p. 45. Shapiro 2004, p. 32.
75
possiamo sapere sulla struttura dei numeri naturali, possiamo saperlo considerando una qualsiasi sua esemplificazione. Ora, la definizione dei numeri naturali di Zermelo, che identifica i numeri naturali 0, 1, 2, 3, … con gli insiemi ∅, {∅}, {{∅}}, {{∅}} ,… , e la definizione di von Neumann, che li
{
}
{
}
identifica con gli insiemi ∅, {∅}, {∅, {∅}}, ∅, {∅}, {∅, {∅}} ,… , forniscono due differenti esemplificazioni della struttura dei numeri naturali. Perciò, in base a quanto afferma Shapiro, tutto ciò che possiamo sapere sulla struttura dei numeri naturali considerando una di queste due esemplificazioni possiamo saperlo considerando l’altra. Ma, come abbiamo visto, Shapiro definisce una struttura come la forma astratta di un sistema, che evidenzia le interrelazioni tra gli oggetti e ignora ogni loro carattere che non incida su come essi stanno in relazione con gli altri. Per esempio, nel caso della struttura dei numeri naturali, l’unica cosa che importa sui numeri naturali è la relazione in cui stanno tra loro. Ma allora, nelle esemplificazioni della struttura dei numeri naturali di Zermelo e von Neumann in cui i numeri naturali sono identificati con degli insiemi, l’unica cosa che importa sui numeri naturali è la relazione di appartenenza, perché questa è la relazione in cui i numeri naturali stanno tra loro in tali esemplificazioni. Ma la relazione di appartenenza ha proprietà differenti nelle due esemplificazioni in questione, perché nell’esemplificazione di von Neumann si ha che 1 ∈ 3 dal momento che {∅}∈ ∅, {∅}, {∅, {∅}} ,
{
}
mentre nell’esemplificazione di Zermelo si ha che 1 ∉ 3 dal momento che {∅}∉ {{∅}} .
{
}
Questo pone di fronte all’alternativa: o (i) rinunciare ad affermare 2
che ogni modello di PA va altrettanto bene di qualsiasi altro; oppure (ii) ammettere che le definizioni dei numeri naturali di Zermelo e von Neumann non possono considerarsi entrambe esemplificazioni della struttura dei numeri naturali. Ma (i) segnerebbe la fine dello strutturalismo, perché contraddirebbe il suo assunto fondamentale che possiamo studiare la struttura dei numeri naturali studiando una qualsiasi sua esemplificazione. E (ii) farebbe nascere il problema: Quale tra le definizioni dei numeri naturali di Zermelo e von Neumann può considerarsi una esemplificazione della struttura dei numeri naturali? O nessuna delle due? A queste domande lo strutturalismo non sa dare una risposta. Se ne conclude che modelli isomorfi tra loro non sono realmente la stessa struttura. 7. Lo strutturalismo è incapace di specificare un’unica struttura come l’oggetto della teoria degli insiemi.
76
Infatti, la teoria degli insiemi del secondo ordine di ZermeloFraenkel più assioma di scelta ZFC2 non è categorica. Ciò segue dal fatto che, come è facile verificare, Vα è un modello di ZFC2 se e solo se α è un cardinale inaccessibile. Perciò, se κ e κ ' sono cardinali inaccessibili con κ ≠ κ ' , Vκ e Vκ ' saranno entrambi modelli di ZFC2 pur non essendo isomorfi tra loro. 2.5. Finzionalismo Il finzionalismo sostiene che gli oggetti matematici sono finzioni nello stesso senso in cui lo sono i personaggi di un romanzo, e che le proposizioni matematiche sono vere nello stesso senso in cui lo sono quelle di un romanzo. Nondimeno la matematica è utile perché permette di derivare conclusioni sul mondo fisico molto più facilmente di quanto si potrebbe farlo senza il suo aiuto. Poiché gli oggetti matematici sono finzioni, sarebbe molto strano se la matematica, da sola, permettesse di dimostrare fatti sul mondo fisico. Per essere sicuri che ciò non accada, si deve dimostrare che la matematica è conservativa rispetto alla scienza fisica, cioè che tutte le conclusioni sul mondo fisico che possono ottenersi usando la matematica potrebbero ottenersi, sebbene in modo più prolisso, senza far uso di essa, e quindi senza fare alcun riferimento ad enti matematici. Questo può essere effettivamente dimostrato, perché esistono alcune strategie abbastanza generali che possono essere usate per depurare le teorie fisiche di ogni riferimento ad enti matematici. L’esempio paradigmatico è costituito da una versione riscritta dei postulati della fisica newtoniana in cui le variabili variano su punti spazio-temporali e su regioni spazio-temporali, che sono oggetti concreti, e quindi non sono oggetti matematici. Il finzionalismo è stato sostenuto da Field, ma le sue principali idee risalgono a Vaihinger. Secondo Field (1946–), nella matematica «abbiamo una buona storia sui numeri naturali, un’altra buona storia sugli insiemi, e così via»57. Una proposizione come «‘2+2=4’ è vera all’incirca nello stesso senso in cui la proposizione ‘Oliver Twist abitava a Londra’ è vera: quest’ultima è vera solo nel senso che è vera secondo una certa storia ben nota, e la prima è vera solo in quanto è vera secondo la matematica standard»58. Perciò credere che 2+2=4 significa credere che «la
57 58
Field 1989, p. 22. Ivi, p. 3.
77
matematica standard dice che (o ha come conseguenza che) 2+2=4»59. Ma sebbene gli oggetti matematici siano solo finzioni e le asserzioni matematiche siano vere solo di finzioni, la matematica è utile, perché «noi possiamo usare» la teoria matematica «come mezzo per trarre conclusioni» sul mondo fisico «molto più facilmente di quanto potremmo trarle per mezzo di una dimostrazione diretta»60. Poiché gli oggetti matematici sono finzioni, «sarebbe estremamente sorprendente se si scoprisse che la matematica standard implica che nell’universo esistono almeno 106 oggetti non matematici, o che la Comune di Parigi venne sconfitta»61. Per essere sicuri che ciò non accada, si deve dimostrare che la matematica è conservativa rispetto alla scienza fisica, cioè che «le conclusioni a cui arriviamo» aggiungendo la teoria matematica ai postulati di una teoria fisica non contenente riferimenti ad enti matematici, «non sono genuinamente nuovi, sono già derivabili in modo più prolisso» dai postulati della teoria fisica «senza far ricorso ad enti matematici»62. Se si riuscisse a dimostrarlo, si sarebbe sicuri che ogni deduzione «che può essere fatta con l’aiuto della matematica potrebbe essere fatta (di solito in modo più prolisso) senza di essa»63. Si potrebbe allora asserire che «dopo tutto la matematica non è realmente indispensabile»64. E si sarebbe «liberi di usare qualsivoglia matematica per dedurre conseguenze», essendo dispensabile «la matematica che si usa»65. Questo può essere effettivamente dimostrato, perché «esistono alcune strategie abbastanza generali che possono essere usate per depurare le teorie» fisiche «di ogni riferimento ad enti matematici»66. L’esempio paradigmatico è costituito da «una versione riscritta della fisica newtoniana» in cui le variabili variano su oggetti concreti, che equivale a «formularla senza enti matematici»67. Il finzionalismo ha un certo numero di difetti che lo rendono inadeguato. 1. Il finzionalismo considera esempio paradigmatico di depurazione di una teoria fisica da ogni riferimento ad oggetti matematici una versione riscritta dei postulati della fisica newtoniana in 59
Ivi, p. 3. Field 1980, p. 28. 61 Ivi, p. 13. 62 Ivi, pp. 10-11. 63 Ivi, p. X. 64 Field 1989, p. 26. 65 Field 1980, p. 14. 66 Field 1989, p. 18. 67 Ivi, p. 18, nota 11. 60
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cui le variabili variano su punti spazio-temporali e su regioni spaziotemporali, che sono oggetti concreti e quindi non sono oggetti matematici. Ma, per effettuare tale riscrittura, esso è costretto ad attribuire ai punti e alle regioni spazio-temporali proprietà che non appartengono ad oggetti concreti. Per esempio, è costretto ad assumere che un punto non può essere mosso, scomposto o distrutto, che non ha massa né estensione, che la sua esistenza non è contingente, addirittura che non ha un luogo ma è esso stesso un luogo. Ma così tratta i punti come oggetti matematici piuttosto che come oggetti concreti. Pertanto, mentre pretende di eliminare gli oggetti matematici, in realtà il finzionalismo introduce i punti e le regioni spazio-temporali come oggetti dotati di proprietà da oggetti matematici piuttosto che come oggetti concreti. Questo trova conferma nel fatto che la versione riscritta dei postulati della fisica newtoniana implica che esiste una corrispondenza biunivoca tra i punti dello spazio-tempo e le quadruple di numeri reali, 4
. Perciò lo spazio ha la cioè che lo spazio-tempo è isomorfo a grandezza dell’insieme-potenza del continuo, ed esistono tanti oggetti fisici quanti sono gli elementi del continuo. Dunque la versione riscritta dei postulati della fisica newtoniana semplicemente sostituisce i numeri reali con i punti dello spazio-tempo, e quindi non depura la fisica newtoniana di ogni riferimento ad oggetti matematici ma incorpora la matematica nella teoria dello spazio-tempo. Secondo il finzionalismo, l’obiezione contro l’uso dei numeri reali non è dovuta «alla loro cardinalità o alle assunzioni strutturali che tipicamente vengono fatte su di essi (per esempio, la completezza di Cauchy)» ma «alla loro astrattezza»68. Perciò «postulare un’infinità non numerabile di enti fisici» non costituisce una difficoltà, né la costituisce postulare «che questi enti fisici obbediscano ad assunzioni strutturali analoghe a quelle che i platonisti postulano per i numeri reali»69. Ma così il finzionalismo ammette che la sua mossa è solo un trucco. Esso chiama enti fisici quelli che in realtà sono enti matematici, e perciò non risolve il problema di evitare enti astratti. Questo vale in generale per tutto il programma del finzionalismo di depurare le teorie fisiche di ogni riferimento ad enti matematici. La questione è dove si fissa il confine tra l’astratto e il fisico. Se, come nel caso della versione riscritta dei postulati della fisica newtoniana, lo si fissa in modo che il fisico comprenda l’astratto, allora il problema diventa banalmente solubile, ma la sua soluzione non dimostra affatto 68 69
Field 1980, p. 31. Ibid.
79
che si può depurare qualsiasi teoria fisica di ogni riferimento ad enti matematici, perché in tal caso gli enti fisici sono stati introdotti semplicemente come enti matematici. 2. Il finzionalismo afferma che si può dimostrare che la matematica è conservativa rispetto alla scienza fisica, ma questo è insostenibile. Infatti, il programma del finzionalismo di depurare qualsiasi teoria fisica di ogni riferimento ad enti matematici è strutturalmente simile al programma della conservazione di Hilbert [II.2.4]. Se F è la matematica finitaria e I è la matematica infinitaria, il programma della conservazione di Hilbert richiede di mostrare che, se un’asserzione A di F è dimostrabile in F + I , allora A è dimostrabile già in F 70. Similmente, se N è una teoria fisica priva di ogni riferimento ad enti matematici e M è la teoria matematica che si aggiunge ad N, il programma del finzionalismo richiede di mostrare che, se un’asserzione A di N è dimostrabile in N + M , allora A è dimostrabile già in N. Inoltre, come nel programma della conservazione l’uso di I permette di dimostrare A in modo meno prolisso che mediante l’uso di F soltanto, così nel programma del finzionalismo l’uso di M permette di dimostrare A in modo meno prolisso che mediante l’uso di N soltanto. Data la somiglianza strutturale del programma del finzionalismo col programma della conservazione di Hilbert, c’è da aspettarsi che, come quest’ultimo non è realizzabile, così anche il programma del finzionalismo non sia realizzabile. In effetti è così perché, come ha sottolineato Shapiro, la classe dei punti dello spazio-tempo del 4
», perciò «si possono modellare i finzionalismo «è isomorfa a numeri naturali nello spazio tempo, e in effetti, si può fare l’aritmetica in N. Per dirla in un altro modo, la struttura dei numeri naturali è esemplificata nell’universo dello spazio-tempo»71. Ma allora si può mostrare che esiste un enunciato A espresso nel linguaggio di N che è dimostrabile in N + M ma non in N, perché A «è vero in tutti i modelli di N ma non è deducibile in N»72. Perciò, se la teoria N è una descrizione accurata dello spazio-tempo, allora A è vero nello spaziotempo, e quindi è un’asserzione rilevante dal punto di vista del finzionalismo. L’esistenza di tale enunciato A permette di confutare «nel modo filosoficamente rilevante» l’argomento del finzionalismo «della conservatività della matematica rispetto alla fisica»73. 70
In realtà Hilbert assume che F ⊂ I , perciò F + I = I . Shapiro 1983, p. 526. 72 Ibid. 73 Ivi, p. 528. 71
80
3. Il fatto che, come abbiamo appena visto, la matematica M non è conservativa rispetto alla fisica N, rende necessario assicurarsi che l’uso della matematica M nella fisica N non porti a conclusioni false sul mondo fisico a causa dell’eventuale incoerenza di M, cioè rende necessario garantire che M sia coerente. Ma, per il secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4, V.4.9], non esiste alcun modo affidabile di farlo. 2.6. Internalismo Secondo l’internalismo, la matematica deve essere intesa e valutata nei propri termini, perciò ci si deve astenere dal criticarla o difenderla da un punto di vista extra-matematico. Essa non deve rispondere ad alcun tribunale extra-matematico, e non ha bisogno di alcuna giustificazione oltre la dimostrazione e il metodo assiomatico. Sono questi metodi, infatti, che hanno portato ai notevoli successi della matematica, ed essi poggiano solo su due sostegni, la logica deduttiva e gli assiomi della teoria degli insiemi. Ora, la logica deduttiva è un processo inferenziale affidabile, e perciò non richiede ulteriori giustificazioni. Gli assiomi della teoria degli insiemi, invece, richiedono una giustificazione. Questa deve essere data in base a due principi, il principio di massimizzazione (‘Gli assiomi insiemistici a partire dai quali si dimostrano i teoremi matematici devono essere quanto più potenti e fruttuosi è possibile’), e il principio di unificazione (‘Si deve mirare ad un’unica teoria degli insiemi fondamentale’). Il principio di massimizzazione risponde all’esigenza dei matematici di essere liberi di indagare qualunque cosa attiri il loro interesse. Il principio di unificazione risponde all’esigenza di avere un singolo sistema in cui tutti gli oggetti e le strutture della matematica possano essere modellati o esemplificati. L’internalismo è stato sostenuto da Maddy, ma posizioni simili sono state espresse da vari matematici. Secondo Maddy, la matematica «deve essere intesa e valutata nei propri termini», perciò ci si deve astenere dal criticarla o difenderla «da un punto di vista extra-matematico»74. Infatti «non esiste alcuna base indipendente per pronunciarsi contro una conclusione dell’intera comunità»75. Ciò che la comunità matematica fa «non deve essere soggetto a critiche, e non ha bisogno di appoggio da alcun punto di vista esterno, presunto superiore»76. La matematica «non deve 74
Maddy 1997, p. 201. Ivi, p. 198. 76 Ivi, p. 184. 75
81
rispondere ad alcun tribunale extra-matematico, e non ha bisogno di alcuna giustificazione» oltre i metodi su cui essa si basa, cioè «la dimostrazione e il metodo assiomatico»77. In particolare, essa è «indipendente sia dalla filosofia prima sia dalla scienza naturale»78. Perciò, «se la nostra spiegazione filosofica della matematica entra in conflitto con la pratica matematica che ha successo, è la filosofia che deve cedere»79. Lo stesso vale per la scienza naturale, perché anche quello della «scienza è un punto di vista extra-matematico»80. Che la matematica non abbia bisogno di alcuna giustificazione oltre i metodi su cui essa si basa, cioè la dimostrazione e il metodo assiomatico, dipende dal fatto che «sono quei metodi – i reali metodi della matematica» – che hanno «portato ai notevoli successi della matematica moderna»81. Tali metodi poggiano «su due sostegni: l’inesorabile logica deduttiva, la sostanza della dimostrazione, e gli assiomi della teoria degli insiemi»82. La deduzione «è un processo inferenziale affidabile»83. Perciò non richiede ulteriori giustificazioni. Invece gli assiomi della teoria degli insiemi richiedono una giustificazione, e questa deve essere data basandosi su due principi, il principio di massimizzazione e il principio di unificazione. Il principio di massimizzazione afferma che «gli assiomi insiemistici a partire dai quali si devono dimostrare i teoremi matematici devono essere quanto più potenti e fruttuosi è possibile»84. Ciò risponde all’esigenza che «i matematici debbano essere liberi di indagare ogni oggetto, struttura e teoria che catturi il loro interesse matematico»85. Il principio di unificazione afferma che «si deve mirare ad un’unica teoria degli insiemi fondamentale» perché, se «alla matematica deve essere consentito di svilupparsi liberamente in questo modo e la teoria degli insiemi deve svolgere lo sperato ruolo fondazionale, allora la teoria degli insiemi non deve imporre alcuna limitazione»86. Ciò risponde all’esigenza «di fornire un singolo sistema
77
Ivi, p. 184. Ibid. 79 Ivi, p. 161. 80 Ivi, p. 201. 81 Ibid. 82 Ivi, p. 1. 83 Maddy 1984, p. 49. 84 Maddy 1997, p. 211. 85 Ivi, p. 210. 86 Ivi, p. 209. 78
82
in cui tutti gli oggetti e le strutture della matematica possano essere modellati o esemplificati»87. L’internalismo ha un certo numero di difetti che lo rendono inadeguato. 1. L’internalismo sostiene che la matematica deve essere intesa e valutata nei propri termini, perciò ci si deve astenere dal criticarla o difenderla da un punto di vista extra-matematico. Non vi è spazio per una critica degli scopi che la comunità matematica si pone fatta dall’esterno. L’unico criterio di validità è ciò su cui la comunità matematica raggiunge il sonsenso. La comunità matematica è dunque una corporazione autarchica, che si dà norme che ne regolano il consenso ed è impervia alle critiche dall’esterno. Ma ciò contrasta col fatto che tra i matematici sorgono spesso divergenze circa le assunzioni fondamentali della loro disciplina, la direzione in cui svilupparla, i suoi scopi fondamentali, i criteri per giudicare l’importanza del lavoro compiuto nelle sue varie aree. Un esempio limite di ciò è l’esistenza di due matematiche alternative, la matematica classica e la matematica intuizionista, che non sono confrontabili tra loro [II.3.9]. In base a quale criterio interno la comunità matematica potrebbe arrivare a decidere quale di questi due tipi di matematica è quella genuina? In realtà l’elemento decisivo è costituito da fattori extra-matematici, come il fatto che la matematica intuizionista non è in grado di trattare funzioni che sono importanti per la fisica. Inoltre, contrasta col fatto che molti problemi matematici hanno origini extra-matematiche, molte teorie matematiche rispondono ad esigenze extra-matematiche, e molti criteri di valutazione delle teorie matematiche riguardano la loro capacità di rispondere alle esigenze extra-matematiche da cui hanno tratto origine. L’affermazione che la matematica debba essere intesa e valutata nei propri termini viene portata alle estreme conseguenze e ridotta all’assurdo da Maddy quando afferma che, se «i matematici decidessero di rifiutare la vecchia massima contro l’incoerenza – così che si potrebbero accettare sia ‘ 2 + 2 = 4 ‘ sia ‘ 2 + 2 = 5 ‘ – in base alla considerazione che ciò avrebbe un beneficio sociologico per l’autostima degli scolari», allora, anche se «questa potrebbe sembrare una sfacciata invasione di considerazioni non matematiche nella matematica», tuttavia, «se i matematici insistessero che non è così, che essi perseguono uno scopo matematico legittimo, che tale scopo sopravanza i vari scopi tradizionali», non vi sarebbe alcuna «ragione di 87
Ivi, pp. 208-209.
83
protestare»88. Ma così la decisione dei matematici sarebbe determinata non da uno scopo matematico bensì da uno scopo extra-matematico. Maddy distingue tra il caso in cui i principi matematici vengano criticati o difesi dai matematici da un punto di vista extra-matematico, che Maddy considera perfettamente legittimo, e il caso in cui essi vengano criticati o difesi dai filosofi o dagli scienziati naturali di nuovo da un punto di vista extra-matematico, che invece considera illegittimo. Ma tale distinzione è immotivata. 2. L’internalismo sostiene che la matematica non deve rispondere ad alcun tribunale extra-matematico e non ha bisogno di alcuna giustificazione oltre la dimostrazione e il metodo assiomatico. Ma in virtù di che cosa la matematica può ricevere un tale trattamento speciale? Nello stesso modo si potrebbe dire che l’astrologia non deve rispondere ad alcun tribunale extra-astrologico e non ha bisogno di alcuna giustificazione oltre gli almanacchi e i manuali astrologici. A questa obiezione Maddy risponde che «vi sono buone ragioni» per «trattare la matematica diversamente da altre discipline non scientifiche»89. Infatti, «il dominio della scienza comprende tutta la realtà spazio-temporale, l’intero ordine causale», e anche l’astrologia «pone nuovi poteri causali e fa nuove predizioni su eventi spaziotemporali», mentre «la matematica pura non ha nulla da dire su tale dominio»90. Perciò la matematica pura è essenzialmente diversa dalla scienza naturale, e quindi va giudicata nei propri termini. L’astrologia fa «affermazioni scientifiche ordinarie, soggette al consueto esame scientifico», perciò essa, «con questa interpretazione, è soggetta a correzioni scientifiche in un modo in cui non lo è la matematica pura»91. Ma questa risposta è inaccettabile perché, come Maddy stessa ammette, si potrebbe dare un’altra interpretazione in base a cui l’astrologia tratti «di certe vibrazioni sovrannaturali che non interagiscono causalmente con i fenomeni fisici ordinari»92. Con tale interpretazione, l’astrologia sarebbe essenzialmente differente dalla scienza naturale e simile alla matematica. Per superare questa difficoltà Maddy afferma che la matematica è essenzialmente differente dall’astrologia in quanto «è sbalorditivamente utile, apparentemente indispensabile, per la pratica della scienza
88
Ivi, p. 198, nota. Ivi, p. 204. 90 Ibid. 91 Ibid. 92 Ibid. 89
84
naturale, mentre l’astrologia non lo è»93. Perciò l’internalismo può «dare una spiegazione accettabile della matematica che non ha alcun parallelo nel caso dell’astrologia, comunque questa venga interpretata»94. Ma così Maddy basa la differenza tra la matematica e l’astrologia sull’indispensabilità della matematica nella scienza fisica. Questo contraddice la sua tesi che la matematica è indipendente dalla scienza naturale, e non vale per tutta la matematica ma solo per le sue parti realmente applicate o potenzialmente applicabili alla scienza naturale. A questa obiezione Maddy risponde che, anche se ciò potrebbe apparentemente portare a «concludere che noi abbiamo ragione di studiare quella parte della matematica che è realmente o potenzialmente applicata, e non che abbiamo ragione di studiare tutta la matematica contemporanea», in realtà non è così perché la matematica è «un’impresa unificata che noi abbiamo ragione di studiare così com’è, e lo studio dei reali metodi della matematica, che comprende la matematica pura, rivela rapidamente che la matematica moderna ha anche scopi suoi propri, diversi dal suo ruolo nella scienza»95. Ma questa non è una risposta, perché non fornisce alcuna ragione per studiare quelle parti della matematica che non sono realmente applicate né sono potenzialmente applicabili alla scienza naturale. Dire che la matematica è un’impresa unificata che noi abbiamo ragione di studiare così com’è, non mostra affatto che la matematica è essenzialmente differente dall’astrologia. 3. L’internalismo sostiene che la giustificazione degli assiomi deve essere data in termini del principio di massimizzazione, perché ciò risponde all’esigenza dei matematici di essere liberi di indagare qualunque cosa attiri il loro interesse. In base a tale principio, Maddy afferma che si devono respingere assiomi che impongono restrizioni sugli insiemi, come l’assioma di costruibilità V = L che asserisce che la classe V degli insiemi dati dalla gerarchia cumulativa [III.2.2] coincide con la classe L degli insiemi dati dalla gerarchia degli insiemi costruibili, definita da: (i) L0 = ∅ ; (ii) Lα +1 = D ( Lα ) per ogni ordinale α, dove D ( Lα ) è la collezione di tutti
quei sottoinsiemi di Lα che sono definibili mediante una formula del
93
Ivi, p. 204. Ivi, p. 204-205. 95 Ivi, p. 205, nota 15. 94
85
linguaggio di ZFC i cui quantificatori sono ristretti a Lα ; (iii) Lλ = ∪ Lα per ogni ordinale limite λ. α <λ
Secondo Maddy, l’assioma di costruibilità « V = L va respinto perché è restrittivo»96. Esso è «limitante, minimale, e queste cose sono antitetiche alla nozione generale di insieme»97. Ma, come la stessa Maddy riconosce, queste affermazioni sono in conflitto con la teoria ZFC+‘0# esiste’, dove 0# è un certo insieme non costruibile che codifica informazione su come L differisce da V. Tale teoria è più potente di ZFC + V = L perché in essa si può dimostrare che esiste un insieme non costruibile, mentre in ZFC + V = L non si può dimostrare l’esistenza di alcun insieme non costruibile. Ma, mentre in ZFC + V = L si può dimostrare che esistono molti ordinali non numerabili, «nessun modello transitivo di ZFC+‘0# esiste’ può contenere un ordinale non numerabile»98. Da questo punto di vista, allora, l’assioma V = L non appare restrittivo. Per superare questa difficoltà Maddy propone un criterio formale per decidere quando una teoria è restrittiva, ma, come lei stessa ammette, tale criterio formale «classifica come restrittive certe teorie che non sembrano restrittive e non classifica come restrittive certe teorie che sembrano restrittive», il che mostra che «il criterio formale ha bisogno di essere integrato con considerazioni informali di carattere più ampio»99. Ma questo equivale a riconoscere che il criterio formale è inadeguato. Comunque, anche se si riuscisse a trovare una criterio formale adeguato, esso servirebbe solo come criterio negativo per decidere quali assiomi non aggiungere a ZFC, e non come criterio positivo per decidere quali assiomi aggiungere a ZFC senza far intervenire considerazioni extra-matematiche. 4. L’internalismo sostiene che la giustificazione degli assiomi deve essere data in termini del principio di unificazione, perché ciò risponde all’esigenza di fornire un singolo sistema in cui tutti gli oggetti e le strutture della matematica possono essere modellati o esemplificati. In particolare Maddy afferma che in questo modo «la piena potenza dei principi insiemistici più basilari può essere messa in opera in problemi prima insolubili; si possono valutare nuove congetture per la fattibilità della dimostrazione»100. 96
Ivi, p. 232. Ivi, p. 84. 98 Ivi, p. 214. 99 Ivi, p. 225. 100 Ivi, p. 28. 97
86
Ma Maddy non fornisce alcuna prova del fatto che problemi della matematica ordinaria possano essere risolti per mezzo di principi insiemistici relativi a livelli molto alti della gerarchia cumulativa. Né fornisce alcuna prova del fatto che la varietà dei metodi di dimostrazione adoperati nelle varie branche della matematica possa trovare adeguati omologhi nei metodi di dimostrazione della teoria degli insiemi. Perciò le sue affermazioni sono mere petizioni di principio. 2.7. Costruttivismo Il costruttivismo sostiene che la matematica in senso proprio, o ‘matematica costruttiva’, si occupa della descrizione precisa di operazioni effettuabili finitamente che si riducono ad operazioni con i numeri interi. La matematica costruttiva non contiene tutti i teoremi della matematica classica ma, diversamente dalla matematica intuizionista, non contiene nuovi oggetti, come le successioni di scelte, che non hanno senso dal punto di vista della matematica classica. Essa è una parte propria della matematica classica, e precisamente quella parte che può essere sviluppata senza far uso del principio del terzo escluso né delle leggi logiche che dipendono da esso. Perciò la matematica costruttiva non comporta l’abbandono della matematica classica, anzi in essa la matematica classica può essere usata come guida. Certo, molti enunciati della matematica classica sono privi di validità empirica, perché nella matematica costruttiva non ci interessano proprietà degli interi positivi che non hanno alcun significato descrittivo per esseri finiti. Così in essa, per dimostrare che esiste un numero intero avente certe proprietà, si deve indicare come trovarlo, mentre nella matematica classica la spiegazione di ‘esiste’ non fa riferimento ai poteri di esseri finiti bensì a quelli di un Dio. Ma nella matematica classica vi sono anche enunciati che hanno validità empirica. Si tratta allora di trovare versioni costruttive degli enunciati privi di validità empirica, onde ricavarne quell’informazione numerica che la versione originale non fornisce. È vero che anche gli enunciati A della matematica classica privi di validità empirica possono conservare un valore nella matematica costruttiva, riscrivendoli sotto forma di implicazioni della forma TE → A , dove TE è il principio del terzo escluso. Ma la matematica classica è inutile per le applicazioni al mondo fisico, perché le uniche sue parti applicabili sono quelle che hanno un contenuto costruttivo. Il costruttivismo è stato sostenuto soprattutto da Bishop, ma ad esso hanno aderito anche da altri. Secondo Bishop (1928-1983), la matematica propriamente detta, o matematica costruttiva, «si occupa della descrizione precisa di operazioni astratte effettuabili finitamente» che «si riducono ad
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operazioni con gli interi»101. Essa non contiene tutti i teoremi della matematica classica ma, diversamente dalla matematica intuizionista, non contiene nuovi oggetti, come le successioni di scelte libere, che «rendono la matematica così bizzarra che essa diventa inappetibile per i matematici»102. Perciò la matematica costruttiva non comporta l’abbandono della matematica classica, anzi in essa si può «usare la matematica classica, almeno inizialmente, come guida»103. Certo, molti enunciati della matematica classica sono «privi di validità empirica»104. Nella matematica costruttiva «non ci interessano proprietà degli interi positivi che non hanno alcun significato descrittivo per l’uomo finito. Quando uno dimostra che esiste un intero positivo» avente certe proprietà, «egli deve mostrare come trovarlo»105. Invece la spiegazione di ‘esiste’ data dalla matematica classica richiede «la considerazione di un essere con poteri non finiti – che lo si chiami Dio o come altro si voglia – in aggiunta ai poteri posseduti dagli esseri finiti»106. Ma nella matematica classica «vi sono anche enunciati matematici di immediata validità empirica, che dicono che certe operazioni effettuabili produrranno certi risultati osservabili»107. Si tratta allora di cercare di trovare versioni costruttive degli enunciati che sono privi di validità empirica, al fine di «scoprire utile e incisiva informazione numerica»108. È vero che gli enunciati A della matematica classica privi di validità empirica possono conservare un valore nella matematica costruttiva riscrivendoli nella forma TE → A , dove TE è il principio del terzo escluso. Così «la matematica classica continuerebbe interamente come prima tranne che ogni teorema sarebbe scritto come un’implicazione»109. Ma la matematica classica è inutile per le applicazioni al mondo fisico, perché «l’unica ragione per cui la matematica è applicabile (in fisica) è il suo contenuto costruttivo intrinseco»110. Il costruttivismo ha un certo numero di difetti che lo rendono inadeguato. 101
Bishop 1970, p. 53. Bishop 1967, p. 6. 103 Bishop 1970, p. 54. 104 Bishop 1967, p. VIII. 105 Ivi, p. 2. 106 Bishop 1985, p. 9. 107 Bishop 1967, p. VIII. 108 Bishop 1970, p. 54. 109 Bishop 1975, p. 511. 110 Ivi, p. 514. 102
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1. Il costruttivismo sostiene che nella matematica sono ammesse solo operazioni effettuabili finitamente, dove tutte tali operazioni si riducono ad operazioni con gli interi. Ma esso considera i numeri interi come oggetti astratti indipendenti da noi, perché afferma che i numeri interi sono un «costrutto matematico irriducibile», dove questa affermazione va intesa «nello spirito di Kronecker»111. Cioè va intesa nel senso che i numeri interi sono stati creati da Dio, e quindi non sono un prodotto della nostra mente. Ora, dire che nella matematica sono ammesse solo operazioni effettuabili finitamente dove tutte tali operazioni si riducono ad operazioni con gli interi, è giustificato solo se, come Brouwer, si assume che i numeri interi siano creazioni della nostra mente, non se essi, come afferma il costruttivismo sono oggetti astratti indipendenti da noi. In tal caso, infatti, come potrebbe l’uomo finito accedere ad essi? 2. Il costruttivismo sostiene che la matematica costruttiva differisce da quella classica perché in questa la spiegazione di ‘esiste’ non si riferisce ai poteri di un uomo finito bensì a quelli di un Dio. Ma non è così. Nella matematica classica semplicemente si distingue il significato di ‘esiste un intero tale che’ dal significato di ‘si può trovare un intero tale che’. Quando si dice ‘si può trovare un intero tale che’, si intende dire che è dato un metodo per trovare un intero siffatto, mentre quando si dice ‘esiste un intero tale che’, non si assume che sia dato un tale metodo. Perciò la differenza che il costruttivismo stabilisce tra gli enunciati dotati di validità empirica e quelli che invece ne sono privi è semplicemente una distinzione tra teoremi all’interno della matematica classica. 3. Il costruttivismo sostiene che la matematica classica è inutile per le applicazioni al mondo fisico, perché le uniche sue parti applicabili sono quelle che hanno un contenuto costruttivo. Ma questa affermazione è contraddetta dal fatto che vi sono risultati della matematica classica che trovano applicazione nella fisica e di cui non si conosce alcuna versione costruttiva. Per esempio, gli operatori adoperati nella meccanica quantistica non sono costruttivi. 2.8. Congetturalismo Il congetturalismo sostiene che la conoscenza matematica si sviluppa in base al cosiddetto ‘metodo delle dimostrazioni e delle confutazioni’, che consta dei seguenti quattro passi: 1) la congettura primitiva; 2) la dimostrazione della congettura, che la scompone in sottocongetture o lemmi; 3) l’emergere di controesempi alla congettura primitiva; 4) il 111
Bishop 1970, p. 53.
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riesame della dimostrazione per individuare il lemma responsabile dei controesempi, l’introduzione di tale lemma come condizione nella congettura primitiva, e la sostituzione della congettura primitiva con la congettura migliorata così ottenuta. La conoscenza matematica è conoscenza di una realtà che esiste indipendentemente da noi, la realtà matematica. Per sottolinearne l’indipendenza da noi, si può anche dire che essa è opera di Dio e non umana. La conoscenza che noi abbiamo della realtà matematica è fallibile, ma, col metodo delle dimostrazioni e delle confutazioni, la nostra conoscenza si approssima sempre di più ad essa, e questo trasforma la matematica da mero gioco in una seria impresa fallibilista di approssimazione alla verità. Che la nostra conoscenza della realtà matematica sia sempre fallibile dipende dal fatto che, poiché la realtà matematica esiste indipendentemente da noi, la conoscenza che possiamo averne può essere solo congetturale. Noi non sappiamo mai, facciamo solo congetture, che possiamo criticare e migliorare, ma l’unico modo che abbiamo di sapere se le abbiamo migliorate è congetturarlo. Il congetturalismo è stato sostenuto da Lakatos. Secondo Lakatos (1922-1974), la conoscenza matematica «non cresce attraverso un aumento monotòno del numero di teoremi indubitabilmente stabiliti, ma attraverso l’incessante miglioramento delle congetture mediante la speculazione e la critica», in base al metodo «delle dimostrazioni e delle confutazioni»112. Tale metodo «è un modello euristico molto generale di scoperta matematica»113. Esso consta di quattro passi, cioè la congettura primitiva, la dimostrazione della congettura, l’emergere di controesempi alla congettura primitiva e il riesame della dimostrazione per individuare il lemma responsabile dei controesempi. Ad essi se ne potrebbero aggiungere anche altri, ma essi «costituiscono il nucleo essenziale dell’analisi della dimostrazione»114. La conoscenza matematica è conoscenza di una realtà che esiste indipendentemente da noi, la realtà matematica, perché, anche se all’inizio i nominalisti sembrano più «vicini alla verità quando affermano che l’unica cosa» che oggetti matematici dello stesso tipo «hanno in comune è il loro nome», tuttavia, «dopo alcuni secoli di dimostrazioni e confutazioni, con lo svilupparsi della teoria» relativa a tali oggetti, «l’equilibrio cambia a favore del realista»115. Per 112
Lakatos 1976, p. 5. Ivi, p. 127. 114 Ivi, p. 128. 115 Ivi, p. 92, nota 1. 113
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sottolineare che la realtà matematica esiste indipendentemente da noi, si può anche dire che «il grosso della logica e della matematica è opera di Dio e non una convenzione umana»116. La conoscenza che noi abbiamo della realtà matematica è fallibile, perché si ha fallibilità «non solo nella scienza, ma anche nella matematica e nella logica»117. Ma, col metodo delle dimostrazioni e delle confutazioni, la nostra conoscenza della realtà matematica si approssima sempre di più ad essa, e questo trasforma la matematica «da mero gioco in un esercizio epistemologicamente razionale; da un insieme di spensierate mosse scettiche cercate per divertimento intellettuale, in una – più seria – impresa fallibilista di approssimazione alla verità»118. Che la nostra conoscenza della realtà matematica sia sempre fallibile dipende dal fatto che, poiché la realtà matematica esiste indipendentemente da noi, la conoscenza che possiamo averne «può essere solo congetturale. Noi non sappiamo mai, facciamo solo congetture. Possiamo, è vero, trasformare le nostre congetture in congetture criticabili, e criticarle e migliorarle»119. Perciò la «questione centrale» è: «Come miglioriamo le nostre congetture?»120. Certo, «l’infaticabile scettico chiederà ancora: ‘Come sai che migliori le tue congetture?’»121. L’unica risposta possibile a questa domanda è: «‘Lo congetturo’»122. Il congetturalismo ha un certo numero di difetti che lo rendono inadeguato. 1. Il congetturalismo afferma che la nostra conoscenza matematica cresce in base al metodo delle dimostrazioni e delle confutazioni, il cui primo passo è costituito dalla congettura primitiva. Ma esso non dice nulla su come la si ottiene. Anzi, Lakatos dichiara che la speranza di trovare regole in base a cui la congettura primitiva possa essere ottenuta «è stata ora abbandonata: le moderne metodologie o ‘logiche della scoperta’ consistono solo di un insieme di regole» per «la valutazione di teorie pronte, articolate»123. L’unico senso in cui si può parlare di una «logica della scoperta» è come «logica del progresso scientifico», e Popper «ha gettato le basi di una tale logica della scoperta»124. Ma la 116
Lakatos 1978, II, p. 127. Ibid. 118 Ivi, I, pp. 113-114. 119 Ivi, II, pp. 9-10. 120 Ivi, II, p. 10. 121 Ibid. 122 Ibid. 123 Ivi, I, p. 103. 124 Lakatos 1976, pp. 143-144, nota 2. 117
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logica della scoperta intesa come logica del progresso scientifico si limita ad individuare i passi attraverso cui la matematica cresce, non dice nulla sull’aspetto più importante dello sviluppo scientifico, cioè su come, nel primo passo, si scopre la congettura primitiva. Dunque il congetturalismo non fornisce, né intende fornire, regole di scoperta. In effetti Lakatos afferma che la sua logica della scoperta «semplicemente valuta teorie (o programmi di ricerca) pienamente articolate, ma non presume di dare consigli allo scienziato su come arrivare a buone teorie, e neppure su quale tra due programmi rivali impegnarsi»125. Essa non prescrive «al singolo scienziato che cosa cercare di fare in una situazione caratterizzata da due programmi di ricerca progressivi rivali: se cercare di sviluppare l’uno o l’altro o ritirarsi da entrambi e cercare di sostituirli con un grande balzo in avanti dialettico»126. Essa permette di «giudicare quello che» gli scienziati «hanno fatto», permette di «dire se hanno progredito oppure no», ma non può né vuole «dar loro consigli – su di che cosa preoccuparsi esattamente e in quale direzione cercare di procedere»127. Perciò il congetturalismo non è in grado di dire nulla su quello che anche dal suo punto di vista dovrebbe essere il passo più importante dell’attività matematica, cioè la scoperta della congettura primitiva. Tale passo rimane, per il congetturalismo, letteralmente inspiegabile. 2. Il congetturalismo sostiene che la nostra conoscenza matematica cresce in base al metodo delle dimostrazioni e delle confutazioni, il cui terzo passo è costituito dall’emergere di controesempi, che esso considera conclusivi. Infatti Lakatos afferma: «Se hai un controesempio globale», cioè un controesempio alla congettura primitiva, «abbandona la tua congettura»128. Ma questo è in conflitto col fatto che, secondo il congetturalismo, noi non sappiamo mai, facciamo solo congetture, che possiamo, è vero, criticare e migliorare, ma l’unico modo che abbiamo di sapere se le abbiamo migliorate è congetturarlo. Se noi non sappiamo mai, neppure i controesempi sono conoscenza, sono solo congetture, che noi non possiamo mai stabilire in modo conclusivo. Perciò i controesempi non possono essere conclusivi. Su quale sia la natura dei controesempi capaci di portare all’abbandono di una congettura – i cosiddetti ‘falsificatori potenziali’ – Lakatos sembra avere idee vaghe perché, alla domanda quale sia «la natura dei falsificatori potenziali delle teorie informali», e specificamente, se «la matematica alla fine risulterà essere 125
Lakatos 1971, p. 174. Ivi, p. 178. 127 Ibid. 128 Lakatos 1976, p. 50. 126
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indirettamente empirica», oppure «la sola fonte di verità da iniettare in un’asserto-base matematico» è «la costruzione», o «l’intuizione platonistica», o «la convenzione», risponde che «difficilmente la risposta sarà una risposta monolitica. Un attento studio di casi storicocritico porterà probabilmente ad una soluzione sofisticata e composita»129. Ma così Lakatos riconosce di non essere in grado di dare una risposta soddisfacente ad una questione che è centrale per la sua concezione, e il rifugiarsi nell’eclettismo è il sintomo di questa sua incapacità. 3. Il congetturalismo sostiene, da un lato, che, col metodo delle dimostrazioni e delle confutazioni, la nostra conoscenza della realtà matematica si approssima sempre più ad essa, e, dall’altro lato, che noi non sappiamo mai, facciamo solo congetture, che possiamo, è vero, criticare e migliorare, ma l’unico modo che abbiamo di sapere se le abbiamo migliorate è congetturarlo. Ma queste due tesi sono in conflitto tra loro perché, se noi non sappiamo mai, nulla ci autorizza ad affermare che la nostra conoscenza della realtà matematica si approssima sempre di più a tale realtà. Il congetturalismo potrebbe ribattere che la nostra conoscenza della realtà matematica si approssima sempre di più a tale realtà anche se noi non possiamo mai saperlo. Ma questo svuoterebbe di senso il metodo delle dimostrazioni e delle confutazioni, perché il suo scopo è proprio quello di fornire una criterio per la crescita della conoscenza, e questo, dal punto di vista del congetturalismo, richiede che si fornisca un criterio per stabilire se si ha una migliore approssimazione alla realtà matematica. 2.9. Empirismo L’empirismo sostiene che la matematica descrive caratteri strutturali del nostro mondo, che si manifestano nel comportamento degli esseri umani, o meglio, di agenti ideali che sono un’idealizzazione degli esseri umani, non soggetti ai limiti biologici di questi ultimi. La relazione tra la matematica e le operazioni degli agenti reali che esistono nel nostro mondo è simile a quella tra le leggi dei gas ideali e i gas reali che esistono nel nostro mondo. Come i gas ideali non esistono nella realtà e però i gas reali soddisfano approssimativamente le leggi di un gas ideale, così gli agenti ideali non esistono nella realtà e però le operazioni degli agenti reali soddisfano approssimativamente le operazioni di un agente ideale.
129
Lakatos 1978, II, p. 40.
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Questo vale per tutta la matematica, ivi compresa la teoria degli insiemi, perché la definizione della gerarchia cumulativa [III.2.2] può considerarsi una descrizione dell’attività costruttiva iterata di un soggetto ideale. Ciò implica che, poiché la successione degli stadi della gerarchia cumulativa è altamente sovranumerabile, se ciascuno degli stadi corrisponde ad un istante di vita del soggetto ideale, allora l’attività di tale soggetto viene effettuata in un ‘sovratempo’, analogo al nostro tempo ma ben più ricco di esso. Certo, questo significa idealizzare ancora di più rispetto alle nostre operazioni completamente finite, ma tale idealizzazione non è differente in linea di principio da quelle consistenti nell’astrarre dalla nostra mortalità o dalla nostra incapacità di passare in rassegna domini infiniti. Perciò parlare di un soggetto ideale non significa postulare l’esistenza di un essere misterioso dotato di poteri sovrumani. L’empirismo è stato sostenuto soprattutto da Kitcher, anche se forme differenti di empirismo sono state formulate anche da altri. Secondo Kitcher (1947–), «la matematica descrive i caratteri strutturali del nostro mondo, caratteri che si manifestano nel comportamento di tutti gli abitanti del mondo»130. Per esempio, l’aritmetica «descrive quei caratteri strutturali del mondo in virtù dei quali noi siamo in grado di separare e ricombinare oggetti»131. Ma sarebbe inadeguato dire che i caratteri strutturali del mondo si manifestano interamente «nelle operazioni che noi realmente effettuiamo» perché, «dati i nostri limiti biologici, le operazioni nelle quali noi realmente ci impegniamo», per esempio quella del separare e ricombinare oggetti, «sono limitate»132. D’altra parte, però, «il fatto che noi non facciamo certe cose – e che, nell’arco della vita umana, non possiamo fare certe cose – non va considerato come individuante un qualche tratto strutturale della realtà»133. Si deve dire, perciò, che «l’aritmetica deve la sua verità non alle operazioni reali di agenti umani reali, ma alle operazioni ideali effettuate da agenti ideali», e che essa può essere considerata come il prodotto «di un soggetto ideale, il cui status come soggetto ideale risiede nella sua libertà da certe limitazioni accidentali a cui siamo sottoposti»134. Parlare di un soggetto ideale non significa postulare l’esistenza di «un essere misterioso con poteri sovrumani», ma solo che le verità aritmetiche sono vere in virtù di operazioni «che in realtà non sono 130
Kitcher 1983, p. 105. Ivi, p. 108. 132 Ivi, p. 109. 133 Ibid. 134 Ibid. 131
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soddisfatte da nulla ma sono soddisfatte approssimativamente dalle operazioni che noi effettuiamo»135. Il soggetto ideale non è altro che «un’idealizzazione di noi stessi»136. La relazione «tra l’aritmetica e le operazioni reali di agenti umani è parallela a quella tra le leggi dei gas ideali e i gas reali che esistono nel nostro mondo»137. I gas ideali non esistono nel nostro mondo, tuttavia «i gas reali soddisfano approssimativamente la condizione» P ⋅ V = R ⋅ T , ed inoltre, «se le molecole dei gas avessero una grandezza trascurabile e non esistessero forze intermolecolari, allora i gas obbedirebbero» a tale «legge»138. Questo «ci spinge ad astrarre da certi caratteri della situazione reale, introducendo la nozione di gas ideale per descrivere come si comporterebbero i gas reali se venissero rimossi i fattori complicanti»139. Nello stesso modo, gli agenti ideali non esistono nel nostro mondo, tuttavia le operazioni del separare e ricombinare oggetti effettuate dagli agenti reali del nostro mondo soddisfano approssimativamente le condizioni di un agente ideale su tali operazioni, ed inoltre, se gli agenti reali non fossero soggetti ai limiti biologici, le loro operazioni soddisferebbero esattamente tali condizioni. Questo ci spinge a specificare «le capacità dell’agente ideale astraendo dalle limitazioni accidentali della nostra pratica del riunire»140. Quanto detto per l’aritmetica vale per tutta la matematica, ivi compresa la teoria degli insiemi, perché la descrizione della gerarchia cumulativa «può considerarsi come un resoconto letterale dell’attività costruttiva iterata del soggetto matematico ideale»141. Questo richiede di attribuire «al soggetto ideale la capacità di effettuare un’attività di riunione iterata per una successione infinita di stadi»142. Ciò implica che, poiché «la successione degli stadi in cui vengono formati gli insiemi è altamente sovranumerabile», se «ciascuno degli stadi corrisponde ad un istante di vita del soggetto costruttivo», allora «l’attività del soggetto viene effettuata in un mezzo analogo al tempo ma ben più ricco del tempo. (Chiamiamolo ‘sovratempo’)»143. Certo, questo significa «idealizzare ancora di più rispetto alle nostre 135
Ivi, p. 110. Ivi, p. 111. 137 Ivi, p. 110. 138 Ivi, p. 117. 139 Ibid. 140 Ibid. 141 Ivi, p. 133. 142 Ivi, p. 147. 143 Ivi, p. 146. 136
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operazioni completamente finite», ma tale idealizzazione «non è diversa in linea di principio dalle idealizzazioni» in base alle quali «noi astraiamo dalla nostra mortalità o dalla nostra incapacità di passare in rassegna domini infiniti. L’idea del soggetto ideale come una idealizzazione di noi stessi non viene meno quando sciogliamo il soggetto dalle limitazioni del nostro tempo»144. L’empirismo ha un certo numero di difetti che lo rendono inadeguato. 1. L’empirismo sostiene che, come i gas ideali non esistono nel mondo reale e tuttavia i gas reali soddisfano approssimativamente le leggi di un gas ideale, così gli agenti ideali non esistono nel mondo reale e tuttavia le operazioni degli agenti reali soddisfano approssimativamente le condizioni su tali operazioni di un agente ideale. Ma così trascura che il comportamento di alcuni gas reali, sotto certi limiti di temperatura e di pressione, si approssima molto alle leggi di un gas ideale, e anzi il grado di approssimazione può essere calcolato. Invece l’agente ideale si suppone possa effettuare operazioni, per esempio operazioni infinite, che vanno ben al di là di ciò che un qualsiasi agente reale potrebbe mai fare. 2. L’empirismo sostiene che la descrizione della gerarchia cumulativa può considerarsi una descrizione dell’attività costruttiva iterata di un soggetto ideale. Ma per farlo è costretto a riconoscere che, poiché la successione degli stadi della gerarchia cumulativa è altamente sovranumerabile, se ciascuno degli stadi corrisponde ad un istante della vita del soggetto ideale, allora l’attività del soggetto ideale deve essere effettuata in un ‘sovratempo’ analogo al nostro tempo ma ben più ricco di esso. Ora, mentre i gas reali soddisfano approssimativamente le leggi di un gas ideale, la struttura del nostro tempo non si approssima in alcun modo alla struttura di tale sovratempo a causa della sovranumerabilità di quest’ultimo. Perciò la struttura del sovratempo non sta alla struttura del nostro tempo così come un gas ideale sta ai gas reali. Addirittura, sarebbe difficile immaginare quale agente ideale potrebbe generare la gerarchia cumulativa perché, come sottolinea Parsons, la mente di un tale agente ideale dovrebbe differire «non solo dalle menti finite, ma anche dalla mente divina quale concepita dalla teologia filosofica, perché o quest’ultima viene pensata come collocata nel tempo, e quindi come operante secondo un ordine che ha la stessa struttura di quello in base a cui operano gli esseri finiti, oppure la sua
144
Ivi, p. 147.
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eternità viene interpretata come la liberazione completa da ogni successione»145. 3. L’empirismo sostiene che considerare la descrizione della gerarchia cumulativa come una descrizione dell’attività costruttiva iterata di un soggetto ideale significa effettuare un’idealizzazione che non è diversa da quella consistente nell’astrarre dalla nostra mortalità o dalla nostra incapacità di passare in rassegna domini infiniti, perciò parlare di un soggetto ideale non significa postulare l’esistenza di un essere misterioso con poteri sovrumani. Ma così trascura che la mente di un agente ideale capace di generare la gerarchia cumulativa non sarebbe semplicemente un’idealizzazione non diversa in linea di principio dalle idealizzazioni in base alle quali noi astraiamo dalla nostra mortalità o dalla nostra incapacità di passare in rassegna domini infiniti. Sarebbe invece qualcosa di radicalmente diverso dalla mente umana e, per quanto abbiamo detto sopra, anche dalla mente divina. Perciò parlare di un tale soggetto ideale equivarrebbe proprio a postulare l’esistenza di un essere misterioso con poteri sovrumani e persino sovradivini. 4. L’empirismo sostiene che la matematica descrive caratteri strutturali del nostro mondo, che si manifestano nel comportamento degli esseri umani, o meglio, di agenti ideali che sono un’idealizzazione degli esseri umani, non soggetta ai limiti biologici di questi ultimi. Ma questo è ingiustificato, perché i poteri sovrumani e persino sovradivini attribuiti agli agenti ideali non permettono di affermare che il loro comportamento manifesti caratteri strutturali del nostro mondo, dal momento che nel nostro mondo non sono presenti quei poteri. 5. L’empirismo sostiene che gli agenti ideali non esistono. Ma, come riconosce lo stesso Kitcher, così gli enunciati matematici diventano «vuotamente veri»146. Infatti, un enunciato matematico avrebbe la forma ∀x ( I ( x ) → A( x )) , e il suo antecedente I ( x ) , che esprime ‘x è un agente ideale’, sarebbe sempre falso perché non esistono gli agenti ideali, perciò l’enunciato sarebbe vuotamente vero. Esso sarebbe vuotamente vero anche nel caso in cui A( x ) fosse falso. Kitcher cerca di sfuggire a questa difficoltà dicendo che un enunciato matematico si distingue dalla moltitudine di enunciati completamente privi di interesse e vuotamente veri per «il fatto che le stipulazioni sull’agente ideale fanno astrazione dalle limitazioni accidentali degli agenti umani»147. Secondo Kitcher, cioè, quello che 145
Parsons 1977, p. 339. Kitcher 1983, p. 117, nota 18. 147 Ibid. 146
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differenzia un enunciato matematico da una moltitudine di enunciati completamente privi di interesse e vuotamente veri è che in esso l’agente ideale I ha una speciale relazione con gli agenti reali per il fatto che si ottiene da essi facendo astrazione dalle limitazioni accidentali degli agenti umani. Ma questo è ingiustificato, perché l’agente ideale I non si ottiene dagli agenti umani facendo astrazione dalle loro limitazioni accidentali, dal momento che si suppone che esso abbia poteri non solo sovrumani ma addirittura sovradivini. 2.10. Cognitivismo Il cognitivismo sostiene che la matematica è un prodotto degli esseri umani, che nasce dagli interessi e dalle attività umane ed è concettualizzato dagli esseri umani usando i meccanismi cognitivi del cervello. Perciò la matematica è limitata e strutturata dal cervello umano e dalle capacità mentali umane. Pertanto solo la scienza cognitiva – cioè lo studio interdisciplinare di mente, cervello e delle loro relazioni – e non la filosofia, può dare una risposta alla domanda quale è la natura della matematica. Ora, la scienza cognitiva ci dice che noi abbiamo certe capacità innate, come la capacità di riconoscere istantaneamente piccoli numeri di oggetti e la capacità di effettuare le forme più semplici di addizione e sottrazione di piccoli numeri. Tali capacità innate rendono conto, però, solo di una parte molto piccola ed elementare della matematica. Il passaggio alla matematica avanzata avviene concettualizzando concetti astratti in termini concreti attraverso la metafora. La metafora è un meccanismo cognitivo che ci permette di ragionare su una specie di cose come se fosse un’altra cosa, perché è un’applicazione tra due domini di cose differenti che conserva le inferenze. Dunque è un meccanismo che ci permette di usare la struttura inferenziale di un dominio concettuale per ragionare su un altro dominio concettuale. Vi sono due tipi di metafore, le metafore situate e le metafore di collegamento. Le prime ci permettono di effettuare proiezioni da esperienze quotidiane (per esempio, porre cose in un mucchio) a concetti astratti (per esempio, l’addizione). Le seconde collegano l’aritmetica con altre branche della matematica (per esempio, concepire i numeri come punti su una retta). Il cognitivismo è stato sostenuto soprattutto da Lakoff e Núñez. Secondo Lakoff (1941–) e Núñez, «la matematica è un prodotto degli esseri umani», che nasce «da interessi e attività umane» e «usa le risorse molto limitate e vincolate della biologia umana»148. Perciò essa 148
Lakoff-Núñez 2000, p. 351.
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«è limitata e strutturata dal cervello umano e dalle capacità mentali umane. L’unica matematica che conosciamo o possiamo conoscere è una matematica basata su cervello e mente»149. Dunque «è solo attraverso la scienza cognitiva – lo studio interdisciplinare di mente, cervello, e le loro relazioni – che possiamo dare una risposta alla domanda: Qual è la natura dell’unica matematica che gli esseri umani conoscono o possono conoscere?»150. Ora, la scienza cognitiva ci dice che noi abbiamo certe capacità matematiche innate, come la capacità di «riconoscere istantaneamente piccoli numeri di oggetti», o «la capacità di effettuare le forme più semplici di addizione e sottrazione di piccoli numeri»151. Tali capacità innate rendono conto, però, solo di una parte molto piccola ed elementare della matematica. Il passaggio alla matematica avanzata avviene concettualizzando «concetti astratti in termini concreti, usando idee e modi di ragionamento radicati nel sistema sensorio-motorio. Il meccanismo attraverso cui l’astratto è compreso in termini del concreto si dice metafora»152. La metafora è «un meccanismo cognitivo che ci permette di ragionare su una specie di cose come se fosse un’altra cosa»153. Vi sono due tipi di metafore, «le metafore situate» e «le metafore di collegamento»154. Le prime «fondano le idee matematiche sull’esperienza quotidiana. Per esempio, ci permettono di concettualizzare le operazioni aritmetiche in termini del formare collezioni, costruire oggetti, o muoversi attraverso lo spazio»155. Le seconde «collegano l’aritmetica con altre branche della matematica», come «quando concepiamo i numeri come punti su una retta»156. Mediante esse «noi concettualizziamo un dominio o un’idea matematica in termini di altri»157. Il cognitivismo ha un certo numero di difetti che lo rendono inadeguato. 1. Il cognitivismo afferma che la matematica è un prodotto degli esseri umani che nasce dagli interessi e dalle attività umane. Ma non ci dice nulla su qual è il ruolo della matematica nella vita umana. 149
Ivi, p. 1. Ivi, p. 3 151 Ivi, p. 51. 152 Ivi, p. 5. 153 Ivi, p. 6. 154 Ivi, pp. 52-53. 155 Lakoff-Núñez 1997, p. 84. 156 Lakoff-Núñez 2000, p. 53. 157 Lakoff-Núñez 1997, p. 84. 150
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2. Il cognitivismo sostiene che la matematica è tale in quanto è concettualizzata da esseri umani usando i meccanismi cognitivi del cervello. Ma non ci dice nulla su come la matematica avanzata dipende dai meccanismi cognitivi del cervello. Parlare genericamente di metafora non fornisce alcuna informazione al riguardo. 3. Il cognitivismo trascura che i meccanismi cognitivi del cervello su cui si basa la matematica sono il risultato della selezione naturale, e che, se questa avesse avuto luogo in un ambiente completamente differente, presumibilmente tali meccanismi cognitivi sarebbero stati differenti. Perciò, per comprendere la natura della matematica, non basta la scienza cognitiva, occorre anche la scienza dell’evoluzione. 4. Il cognitivismo individua nella metafora il meccanismo che sta alla base del passaggio dalle capacità matematiche innate alla matematica avanzata. Ma questo è molto restrittivo perché, nella formazione di ipotesi della matematica avanzata, intervengono molte altre procedure, dall’induzione all’analogia all’uso della figura all’ibridazione, che non possono in alcun modo essere ridotte alla metafora 158. 3. Conclusioni sulla filosofia della matematica di oggi L’analisi delle concezioni filosofiche della matematica della seconda metà del Novecento, sia di quelle che sono variazioni su temi di Frege, Hilbert e Brouwer sia di quelle che non lo sono, mostra che esse sono inadeguate. Pertanto la sostituzione dei grandi programmi fondazionali della prima metà del Novecento con i meno ambiziosi programmi della seconda metà del Novecento non ha portato ad alcun reale progresso nella comprensione della natura della matematica.
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V. Cellucci 2003.
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IV La filosofia della matematica di domani
1. Caratteri della filosofia della matematica di domani 1.1. Necessità di un nuovo inizio I difetti della filosofia della matematica di ieri e di oggi suggeriscono che la filosofia della matematica di domani dovrà essere di tipo essenzialmente differente. Ciò che si richiede non è semplicemente un nuovo -ismo, ma un ripensamento della natura stessa della disciplina, in particolare l’abbandono delle assunzioni dell’ortodossia prevalente. L’analisi dei difetti della filosofia della matematica di ieri e di oggi suggerisce che, per evitarli, la filosofia della matematica di domani dovrebbe partire dal riconoscimento dei seguenti punti. 1.2. Non autonomia della filosofia della matematica La filosofia della matematica non è una disciplina autonoma, ma può esistere solo come parte di una filosofia generale. Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, «i problemi filosofici della matematica e i suoi fondamenti possono essere affrontati» o «dall’esterno», considerandone le relazioni con altri campi della filosofia, «oppure dall’interno»1. Ma il «ritardo nello sviluppo degli altri domini della filosofia ostacola seriamente qualsiasi tentativo di affrontare il problema della filosofia della matematica dall’esterno»2. Perciò l’unico modo appropriato di affrontarli è dall’interno. Ma questo è insostenibile, perché affrontare i problemi filosofici della matematica dall’interno non offre criteri per stabilire quali problemi matematici abbiano rilevanza filosofica. Per stabilirlo si devono affrontare i problemi filosofici della matematica anche dall’esterno. Lo stesso Frege attribuisce rilevanza filosofica al problema di stabilire che cosa sono i numeri naturali, non perché sia un problema interno alla teoria dei numeri, ma perché vuole dare una fondazione dell’aritmetica dall’esterno, riducendola alla logica. 1 2
Beth 1959, p. X. Ivi, p. 614.
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La necessità di affrontare i problemi filosofici della matematica non solo dall’interno ma anche dall’esterno deriva dal fatto che la matematica è un prodotto dell’evoluzione, ha innanzitutto uno scopo biologico e dipende dalle nostre architetture cognitive. Perciò capire che cos’è la matematica richiede di esaminare questioni generali concernenti la natura degli organismi, della conoscenza, della mente, ecc., dunque questioni esterne alla matematica. Una filosofia della matematica è possibile solo come parte di una filosofia generale in cui tali questioni vengano debitamente affrontate. 1.3. Relazione con la matematica La filosofia della matematica è una disciplina i cui scopi non differiscono essenzialmente da quelli della matematica, perché mira a far progredire la conoscenza matematica. Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, «gli scopi dei matematici differiscono da quelli dei filosofi»3. Mentre la matematica fa avanzare la conoscenza, la filosofia «si limita a gettare luce su quello che già conosciamo»4. Essa «non contribuisce al progresso della conoscenza: fa semplicemente chiarezza su ciò che già sappiamo»5. Ma, riducendo il compito della filosofia della matematica a quello di far chiarezza su ciò che già sappiamo, si rende la filosofia una disciplina irrilevante. Se vuol essere rilevante, essa deve contribuire al progresso della conoscenza. 1.4. Limiti della questione del fondamento della matematica Poiché la filosofia della matematica deve contribuire al progresso della matematica, la sua principale questione non può essere quella del fondamento della matematica. Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, la principale questione della filosofia della matematica è quella del «fondamento della matematica», nei «tre sensi di ‘fondamento’: metafisico, epistemico, e matematico»6. Un fondamento metafisico «fornisce l’ontologia basilare della matematica»7. Cioè stabilisce quali oggetti matematici esistono. Un fondamento epistemico «fornisce la giustificazione basilare di ogni branca fondata della matematica»8. Un
3
Dummett 2001, p. 16. Ivi, p. 12. 5 Ivi, p. 24. 6 Shapiro 2004, p. 37. 7 Ivi, p. 17. 8 Ivi, p. 21. 4
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«fondamento matematico è una teoria in cui si possono tradurre tutte le teorie, definizioni e dimostrazioni matematiche»9. Ma dire che la principale questione della filosofia della matematica è quella del fondamento della matematica in questi tre sensi, è insostenibile. Infatti, la questione del fondamento metafisico, cioè di quali oggetti matematici esistono, è irrilevante per la matematica perché, che gli enti matematici esistano o no, non fa differenza per l’impresa reale del fare matematica. Come osserva Locke, «tutti i discorsi dei matematici sulla quadratura del cerchio, sulle sezioni coniche, o su qualunque altra parte della matematica, non concernono l’esistenza di alcuna di quelle figure: ma le loro dimostrazioni, che dipendono dalle loro idee, sono le stesse, che esista o non esista alcun quadrato o circolo»10. La questione del fondamento epistemico, cioè della giustificazione basilare di ogni branca fondata della matematica, è ininfluente per quest’ultima. Per esempio, Frege cerca una giustificazione basilare dell’aritmetica perché è preoccupato del fatto che, per la domanda ‘Che cos’è il numero 1?’, «la maggior parte dei matematici non ha pronta alcuna risposta soddisfacente»11. Ma tale domanda è irrilevante per la teoria dei numeri, perché nessuno dei suoi risultati dipende da essa. Inoltre, dare una giustificazione basilare di ogni branca fondata della matematica è impossibile per il secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4, V.4.9]. La questione del fondamento matematico, cioè di una teoria in cui si possono tradurre tutte le teorie, definizioni e dimostrazioni matematiche, ha una risposta negativa. Infatti, per il teorema di indefinibilità della verità insiemistica [V.5.4], l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati veri nella gerarchia cumulativa V non è definibile in V. E, per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2, V.4.9], per ogni teoria per tutta la matematica che sia RE e coerente, esiste un enunciato dell’aritmetica vero ma non dimostrabile in essa. Perciò non può esistere una teoria in cui si possano tradurre tutte le teorie, definizioni e dimostrazioni matematiche. All’affermazione che la principale questione della filosofia della matematica sia quella del fondamento della matematica, nei tre sensi di fondamento, metafisico, epistemico, e matematico, si può contrapporre che, in primo luogo, gli oggetti matematici sono solo ipotesi introdotte 9
Ivi, p. 37. Locke 1975, p. 566 11 Frege1961, p. II. 10
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per risolvere specifici problemi matematici 12. Lo sono nello stesso senso in cui la forza è un’ipotesi introdotta per risolvere specifici problemi fisici. Come la forza non è un ente in se stesso ma è solo un’ipotesi, lo stesso vale per gli oggetti matematici. In secondo luogo, la giustificazione delle ipotesi è un’attività concorrente con la scoperta matematica. Il processo della giustificazione fa parte di quello della scoperta. E, in terzo luogo, la ricerca di una teoria in cui si possano tradurre tutte le teorie, definizioni e dimostrazioni matematiche è di natura puramente ideologica, perché, per esempio, sapere che i numeri naturali hanno dei surrogati nella gerarchia cumulativa [III.2.2] non è di alcuna utilità per risolvere problemi della teoria dei numeri. 1.5. Centralità della questione della scoperta La principale questione della filosofia della matematica è: Come si sviluppa la matematica? E dunque: Come avviene la scoperta matematica? Questo segue dal fatto che la filosofia della matematica deve proporsi di far progredire la matematica. Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, la filosofia della matematica si occupa solo «del prodotto del pensiero matematico; lo studio del processo di produzione è affare della psicologia, non della filosofia»13. Il «matematico nel suo lavoro si basa su intuizioni sorprendentemente vaghe, e procede con attacchi e partenze annaspanti e con ripensamenti fin troppo frequenti. In questo quadro gli effettivi processi storici e individuali della scoperta matematica appaiono casuali ed illogici»14. Ma ciò è contraddetto da numerosi casi storici, i quali mostrano che la matematica è un’attività razionale in ogni suo momento, ivi compreso quello più importante, la scoperta. Fin dall’antichità molti hanno riconosciuto che la scoperta è un processo razionale, e che per essa esiste un metodo, cioè il metodo analitico. Il metodo analitico è il metodo in base al quale, per risolvere un problema, si formula, mediante un’inferenza non deduttiva a partire dal problema, un’ipotesi che è una condizione sufficiente per la sua soluzione, e si controlla che essa sia plausibile, cioè compatibile con i dati esistenti. L’ipotesi costituisce a sua volta un problema che deve essere risolto, e viene risolto nello stesso modo, cioè formulando, mediante un’inferenza non deduttiva a partire dall’ipotesi, un’altra ipotesi che è una condizione sufficiente per la soluzione del problema 12
V. Cellucci 2005, cap. 40. Dummett 1991b, p. 305. 14 Ivi, p. 77. 13
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costituito dall’ipotesi precedente, e controllando che essa sia plausibile. E così via. La scoperta è la principale questione della filosofia della matematica, perché solo migliorando i metodi di scoperta esistenti, e inventandone di nuovi, la filosofia della matematica può contribuire al progresso della conoscenza. Così come vi contribuirono, ad esempio, Ippocrate di Chio e Platone, inventando il metodo analitico 15. E vi contribuì ancora Platone, inventando il metodo di dimostrazione per induzione 16. La scoperta include la giustificazione, perché non è semplicemente una parte dell’attività matematica ma la comprende tutta. Infatti, nel metodo analitico le ipotesi vengono formulate mediante inferenze non deduttive, tali inferenze permettono di ottenere più ipotesi a partire dalle stesse premesse, e per sceglierne una si devono valutare le ragioni a favore e contro ciascuna di esse. Per esempio, le discussioni sull’assioma di scelta dell’inizio del Novecento costituirono una valutazione delle ragioni a favore e contro tale assioma. Poiché, per scegliere tra più ipotesi, si devono valutare le ragioni a favore e contro ciascuna di esse, questo cancella ogni netta distinzione tra scoperta e giustificazione. Tale distinzione, del resto, è impossibile, perché mediante le inferenze non deduttive si possono ottenere così tante ipotesi che generarle prima tutte e poi vagliarle non sarebbe fattibile. Perciò la generazione delle ipotesi e la loro valutazione devono essere processi concorrenti, e quindi la giustificazione non è separabile dalla scoperta. 2. L’immagine della matematica 2.1. Un requisito per la realizzazione del programma L’immagine della matematica proposta dalla filosofia della matematica di domani dovrebbe imperniarsi sui seguenti punti. 2.2. Matematica ed esperienza La matematica non è indipendente dall’esperienza ma ha bisogno di continui input da essa. Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, la conoscenza matematica non ha «costrizioni da parte dell’esperienza», e perciò entra nel mondo «toccata solo dalla mano della riflessione»17. Essa viene «giustificata col puro raziocinio, perché l’osservazione percettiva 15
V. Cellucci 2005, cap. 8. Platone, Parmenides, 149 a7-c3. 17 George-Velleman 2002, p. 1. 16
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attraverso una qualsiasi delle nostre cinque modalità sensoriali non è necessaria e neppure rilevante»18. Infatti «la matematica è il prodotto più puro del pensiero concettuale»19. Ma questo è insostenibile. Per esempio, è ingiustificato dire che l’aritmetica è indipendente dall’esperienza perché i suoi assiomi «incorporano ciò che intendiamo per ‘numero’»20. Infatti, per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2], nessuna teoria che sia RE e coerente può incorporare ciò che intendiamo per numero, perché esisterà un enunciato vero ma non dimostrabile in essa. In realtà la matematica ha bisogno dell’esperienza in ogni suo stadio. Moltissime teorie matematiche nascono da questioni suggerite dall’esperienza. Trovare la soluzione di problemi matematici comporta processi tecnologici e biologici esterni alla mente individuale, e perciò dipende dall’esperienza 21. E lo stesso vale per la giustificazione della soluzione di problemi matematici. Questo chiarisce ulteriormente perché una filosofia della matematica è possibile solo come parte di una filosofia generale in cui le questioni dell’esperienza vengano debitamente affrontate. 2.3. Matematica e soluzione di problemi La matematica non è dimostrazione di teoremi basata sul metodo assiomatico, ma è soluzione di problemi basata sul metodo analitico. Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, la matematica è una «disciplina in cui la logica deduttiva è il solo arbitro della verità. Per questo motivo le verità matematiche stabilite al tempo di Euclide sono ritenute valide ancor oggi e sono ancora insegnate»22. Perciò, la matematica è dimostrazione di teoremi basata sul metodo assiomastico. Ma questo è insostenibile perché, per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2, V.4.9], per ogni teoria relativa ad una data area della matematica, che soddisfi certe condizioni minime, esisteranno enunciati di quell’area veri ma non dimostrabili in quella teoria. Perciò la matematica non può essere dimostrazione di teoremi basata sul metodo assiomatico. In particolare è insostenibile che le verità matematiche stabilite al tempo di Euclide siano ritenute valide ancor oggi e siano ancora insegnate perché sono state dedotte dai postulati di Euclide. 18
Ibid. Ibid. 20 Dummett 1998, p. 125. 21 V. Cellucci 2007. 22 Franks 1989, p. 68. 19
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Innanzitutto, molte proposizioni di Euclide non possono essere dedotte dai postulati di Euclide, perché esistono modelli in cui i postulati di Euclide sono veri e tali proposizioni sono false. Perciò esse non sono una conseguenza logica dei postulati di Euclide 23. In secondo luogo, come sottolinea Hamming, che la matematica consista nel dedurre teoremi da assiomi «non corrisponde alla semplice osservazione. Se si scoprisse che il teorema di Pitagora non segue dai postulati» di Euclide, «noi continueremmo a cercare un modo di cambiare i postulati fino a che il teorema diventasse vero. I postulati di Euclide derivarono dal teorema di Pitagora, non avvenne l’inverso»24. La matematica non consiste «nel formulare alcuni postulati arbitrari e poi fare deduzioni», al contrario, in essa «si parte da alcune delle cose che si vogliono e si cerca di trovare i postulati che li supportino»25. 2.4. Matematica ed evoluzione La matematica è un prodotto dell’evoluzione, perché si basa su capacità che sono il risultato dell’evoluzione. Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, «non solo esistono infiniti numeri primi ma anche, poiché la dimostrazione di Euclide non fa riferimento a creature viventi, sarebbero esistiti infiniti numeri primi anche se la vita non si fosse mai evoluta. Perciò gli oggetti richiesti dalla verità del suo teorema non possono essere mentali»26. Ma questo è insostenibile perché, se la vita non si fosse mai evoluta, non sarebbe mai esistita la matematica come disciplina. E, se la vita si fosse evoluta in un ambiente totalmente differente, la matematica, a cominciare da quella incorporata nella nostra struttura biologica, presumibilmente sarebbe stata differente. L’evoluzione ha incorporato nella struttura biologica nostra e di vari altri organismi molta matematica complessa. È grazie ad essa che tali organismi sopravvivono, e presumibilmente essa sarebbe stata differente se gli organismi si fossero evoluti in un ambiente totalmente differente. La natura ha progettato gli organismi per fare matematica – ‘progettato’, si intende, nel senso della selezione naturale. Ed è sulla base delle capacità matematiche di cui l’evoluzione biologica li ha dotati che, grazie all’evoluzione culturale, gli esseri umani hanno sviluppato la matematica come disciplina. L’evoluzione culturale è una
23 V. Cellucci 2007. 24 Hamming 1980, p. 87. 25 Hamming 1998, p. 645. 26 Hart 1996, p. 3.
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continuazione dell’evoluzione biologica e poggia su di essa, perciò per comprendere la natura della matematica non si può prescindere dalle capacità matematiche di cui l’evoluzione ci ha dotati 27. 2.5. Matematica e architetture cognitive La matematica dipende essenzialmente dalle nostre architetture cognitive. Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, per comprendere la natura della matematica non occorre porsi «domande come ‘Quale cervello, o attività neurale, o architettura cognitiva rende possibile il pensiero matematica?’ o ‘Quale tipo di ambiente è necessario per facilitare lo sviluppo della capacità di tale pensiero?’», perché esse riguardano «fenomeni che in realtà sono estranei alla natura del pensiero matematico», mentre ciò che interessa ai filosofi è «la natura dei pensieri»28. Ma questo è insostenibile, perché l’unica matematica che noi possiamo fare è quella che il nostro cervello, la nostra attività neurale, la nostra architettura cognitiva ci permettono di fare. Perciò che cos’è la matematica è legato ad esse, e quale tipo di pensiero matematico possiamo avere dipende da esse. 2.6. Matematica e sviluppo storico Per comprendere la natura della matematica è importante considerarne lo sviluppo storico. Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, non occorre considerare lo «sviluppo della matematica» perché «l’eziologia delle idee matematiche, per quanto interessante, non è qualcosa il cui studio promette di rivelare molto sulla struttura del pensiero: per la maggior parte, l’origine e lo sviluppo delle idee matematiche sono semplicemente troppo determinate da influenze estranee»29. Ma questo è insostenibile, perché la matematica come disciplina è il risultato dell’evoluzione culturale, e perciò è legata al suo sviluppo storico. Una prova dell’importanza di considerare lo sviluppo storico della matematica è data dallo strutturalismo, che, come abbiamo visto [III.2.4], scambia per reale natura della matematica i caratteri della matematica praticata da una certa scuola in un certo momento storico.
27
V. Cellucci 2007. George-Velleman 2002, p. 2. 29 Ibid. 28
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Un’altra prova è data dall’opinione diffusa che la matematica sia cumulativa, cioè che i suoi risultati, una volta ottenuti, non vengano più rimessi in discussione. Un esame dello sviluppo storico della matematica mostra invece che tale opinione è infondata. Per esempio, le definizioni e le dimostrazioni della geometria di Euclide, accettate per più di due millenni, alla fine dell’Ottocento erano ormai considerate inadeguate e addirittura non valide. Non considerare lo sviluppo storico della matematica porta a vedere la matematica come un sistema statico, basato su relazioni lineari di dipendenza logica tra assiomi e teoremi determinati a priori. Un esame dello sviluppo storico mostra invece che la matematica è un sistema dinamico, che spesso si evolve per vie tortuose non determinate a priori, e procede attraverso false partenze e arresti, periodi di routine e svolte improvvise. 2.7. Matematica e verità La matematica non è un insieme di verità, né tanto meno di verità assolutamente certe. È solo un insieme di proposizioni plausibili, cioè compatibili con i dati esistenti. Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, la matematica «è un corpo di verità, e anzi le verità note della matematica sono le verità più assolute e incondizionate note nel modo più certo a noi»30. Più precisamente, la matematica «non è solo un corpo di verità; è anche un corpo di conoscenze»31. Ma questo è insostenibile perché, dal punto di vista dell’ortodossia prevalente – secondo cui la matematica è dimostrazione di teoremi basata sul metodo assiomatico – per affermare che la matematica è un insieme di verità, e anzi di verità assolutamente certe, occorrerebbe dimostrare che il metodo assiomatico non può portare a falsità, e dimostrarlo con metodi assolutamente certi. Ma questo è impossibile perché esistono teorie coerenti false [V.4.3]. Dunque non solo non si può dimostrare che il metodo assiomatico non porta a falsità, ma anzi si può dimostrare che esso, anche quando una teoria è coerente, può portare a falsità. Per di più, non si può dimostrare che il metodo assiomatico non porta a falsità neppure nel senso debole che non porta a contraddizioni. Infatti, per il secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4, V.4.9], la coerenza di una teoria T sufficientemente potente, RE e coerente non è dimostrabile in T ma solo in un’estensione propria di T. Il problema si 30 31
Hart 1996, p. 2. Ivi, p. 3.
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riproporrebbe allora per tale estensione propria, e così via all’infinito. Dunque non si può dimostrare che il metodo assiomatico non porta a contraddizioni, perché dimostrarlo comporterebbe un rimando all’infinito. Poiché non si può dimostrare che il metodo assiomatico non porta a falsità, le proposizioni stabilite con tale metodo non possono considerarsi verità, né tanto meno verità assolutamente certe, ma solo opinioni riconosciute in base ad una valutazione delle ragioni a favore e contro di esse. Esse, quindi, hanno uno statuto simile a quello degli éndoxa di Aristotele 32. La matematica è un insieme di conoscenze ma non contiene verità. Questo non significa che essa non abbia un contenuto oggettivo, ma solo che, come nel caso delle altre scienze, non consta di verità bensì di affermazioni plausibili, quindi non assolutamente certe. Come sottolinea Hamming, «i postulati della matematica non erano scolpiti sulle tavole di pietra che Mosè portò giù dal monte Sinai», non sono il verbo di alcun Dio, perciò non possiamo esserne sicuri, e quindi «non possiamo essere sicuri delle dimostrazioni correnti dei nostri teoremi»33. Dal punto di vista della certezza, la matematica è soggetta a quella stessa aleatorietà che è propria di tutti i prodotti umani. Per più di due millenni si è pensato che la matematica fosse un insieme di verità assolutamente certe, ma oggi è diventato chiaro che questa è un’illusione. Al pari di ogni altro insieme di conoscenze umane la matematica è solo un insieme di proposizioni plausibili. La filosofia della matematica deve imparare a convivere con questo, e a renderne ragione.
32 33
V. Cellucci 2007. Hamming 1980, p. 86.
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V I teoremi di incompletezza di Gödel
1. Logica del primo ordine 1.1. Linguaggi del primo ordine I linguaggi del primo ordine constano di simboli, termini e formule. I simboli di un linguaggio del primo ordine L comprendono infinite variabili individuali v0 , v1 , v2 , ... ; un numero qualsiasi di costanti individuali; per ogni numero intero positivo n un numero qualsiasi di costanti funzionali n-arie; per ogni numero intero positivo n un numero qualsiasi di costanti relazionali n-arie, tra le quali comunque deve essere compresa la costante relazionale binaria = per l’eguaglianza; i simboli ¬ (‘non’), → (‘se...allora’), ∀ (‘per ogni’); le parentesi ( e ) e la virgola , . Chiamiamo simboli non logici di L le costanti individuali, le costanti funzionali e le costanti relazionali diverse da = . Supponiamo che i simboli non logici di L formino un insieme finito o numerabile. I termini di un linguaggio del primo ordine L sono definiti nel modo seguente: (i) ogni variabile individuale è un termine; (ii) ogni costante individuale è un termine; (iii) se f è una costante funzionale naria e t1 ,..., tn sono termini, allora f (t1 ,..., tn ) è un termine. Diciamo che un termine t è chiuso se e solo se nessuna variabile individuale occorre in t. Le formule atomiche di un linguaggio del primo ordine L sono tutte le espressioni della forma R (t1 ,..., tn ) , dove R è una costante relazionale n-aria e t1 ,..., tn sono termini. Le formule di un linguaggio del primo ordine L sono definite nel modo seguente: (i) ogni formula atomica è una formula; (ii) se A è una formula, allora ¬A è una formula; (iii) se A e B sono formule, allora ( A → B ) è una formula; (iv) se vi è una variabile individuale e A è una formula, allora ∀vi A è una formula. Usiamo le lettere x , y , z , ... (eventualmente con indici) per le variabili individuali v0 , v1 , v2 , ... ; le lettere r , s , t , ... (eventualmente
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con indici) per i termini; le lettere A, B , C , ... (eventualmente con indici) per le formule. Scriviamo (t1 = t2 ) per = (t1 , t2 ) ; (t1 ≠ t2 ) per ¬(t1 = t2 ) ; ( A ∧ B ) per ¬( A → ¬B ) ; ( A ∨ B ) per (¬A → B ) ; ( A ↔ B ) per (( A → B ) ∧ ( B → A)) ; ∃xA per ¬∀x¬A ; ∀x1... xn per ∀x1...∀xn ; ∃x1... xn per ∃x1...∃xn ; ∃! xA per ∃x ( A ∧ ∀y ( A → x = y )) . Nello scrivere i termini e le formule omettiamo le parentesi quando questo non può dar luogo ad ambiguità. Diciamo che tutte le occorrenze di una variabile individuale vi in un termine t sono occorrenze libere. Le occorrenze libere di una variabile individuale vi in una formula sono definite nel modo seguente: (i) tutte le occorrenze di vi in una formula atomica R (t1 ,..., tn ) sono occorrenze libere; (ii) le occorrenze libere di vi in ¬A sono le occorrenze libere di vi in A; (iii) le occorrenze libere di vi in ( A → B ) sono le occorrenze libere di vi in A e le occorrenze libere di vi in B; (iv) le occorrenze libere di vi in ∀v j A sono le occorrenze
libere di vi in A se j ≠ i ; se invece j = i , allora vi non ha alcuna occorrenza libera in ∀v j A e in tal caso tutte le occorrenze di vi in ∀v j A si dicono occorrenze vincolate. Diciamo che vi occorre libera in un’espressione (termine o formula) σ se e solo se vi ha almeno un’occorrenza libera in A. Diciamo che vi è una variabile individuale libera di A se e solo se è una variabile individuale che occorre libera in A. Diciamo che un’espressione (termine o formula) è chiusa, o è un enunciato, se e solo se nessuna variabile individuale occorre libera in essa. Diciamo che una formula A è una generalizzazione di una formula B se e solo se, per qualche n ≥ 0 e per delle variabili individuali x1 ,..., xn , A è ∀x1... xn B . Se x1 ,..., xn comprendono tutte le variabili individuali libere di B, diciamo che A è la chiusura universale di B. Dunque la chiusura universale di una formula è un enunciato. Se x è una variabile individuale e s e t sono termini, indichiamo con s[ x / t ] il risultato della sostituzione di ogni occorrenza libera di x in s con t. Se x è una variabile individuale, t un termine e A una formula, indichiamo con A[ x / t ] il risultato della sostituzione di ogni occorrenza libera di x in A con t. Diciamo che una variabile individuale x è sostituibile con un termine t in una formula A se e solo se nessuna occorrenza di una
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variabile individuale in t diventa vincolata in seguito alla sostituzione di x con t in A, cioè è un’occorrenza vincolata in A[ x / t ] . In seguito, quando usiamo la notazione A[ x / t ] , assumiamo tacitamente che x sia sostituibile con t in A. 1.2. Assiomi e regole della logica del primo ordine Sia L un linguaggio del primo ordine. Introduciamo gli assiomi logici e le regole di deduzione logiche di L. Gli assiomi logici di L sono tutte le formule di L di una delle seguenti forme: L1. A → ( B → A) , L2. ( A → ( B → C )) → (( A → B ) → ( A → C )) , L3. (¬B → ¬A) → ( A → B ) , L4. ∀x ( A → B ) → (∀xA → ∀xB ) , L5. ∀xA → A[ x / t ] , L6. A → ∀xA se x non occorre libera in A, L7. x = x , L8. x1 = y1 → (... → ( xn = yn → f ( x1 ,..., xn ) = f ( y1 ,..., yn ))...) , L9. x1 = y1 → (... → ( xn = yn → ( P( x1 ,..., xn ) → P ( y1 ,..., yn )))...) , L10. Tutte le generalizzazioni di formule di una delle forme L1-L9. Le regole di deduzione logiche di L consistono di un’unica regola, il modus ponens MP: Per ogni formula A e B di L, da A e A → B si può inferire B. Se Γ è un insieme di formule e A una formula di L, chiamiamo deduzione di A da Γ una successione finita di formule C1 ,..., Cm tale che, per ogni i = 1,..., m , o Ci è un assioma logico, oppure Ci ∈ Γ , oppure Ci si ottiene da due membri precedenti C j e Ck della successione per mezzo di MP, cioè Ck è C j → Ck , e Cm è A. Diciamo che A è deducibile da Γ, e scriviamo Γ A A , se e solo se esiste una deduzione di A da Γ. Se A è una formula di L, chiamiamo dimostrazione di A una deduzione di A da ∅. Diciamo che A è dimostrabile, o che è una legge logica, e scriviamo A A , se e solo se esiste una dimostrazione di A. Dunque A A ha lo stesso significato di ∅ A A . Teorema di deduzione. Siano Γ un insieme di formule e A, B formule di un linguaggio del primo ordine L. Se Γ, A A B allora Γ A A → B .
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La dimostrazione è per induzione sulla generazione delle deduzioni di A da Γ. 1.3. Modelli per linguaggi del primo ordine Un modello, o struttura, per un linguaggio del primo ordine L è una coppia ordinata M = ( D, φ ) , dove D è un insieme non vuoto, detto il dominio di M, e φ è una funzione unaria, detta la funzione di interpretazione di M, che associa: (i) ad ogni costante individuale di L un membro di D; (ii) ad ogni costante funzionale n-aria di L una funzione n-aria su D; (iii) ad ogni costante relazionale n-aria di L una relazione n-aria su D. Se M = ( D, φ ) è un modello per un linguaggio del primo ordine L, per ogni a ∈ D sia a una nuova costante individuale non in L, detta il nome di a. Indichiamo con L(M ) il linguaggio del primo ordine che si ottiene da L aggiungendo un nome a per ogni a ∈ D . Ad ogni termine chiuso t di L(M ) assegniamo un membro di D, scritto t M , detto il valore di t in M, nel modo seguente: (i) c M è φ ( c ) , M
se c è una costante individuale; (ii) a è a, se a è il nome di a; (iii) ( f (t1 ,..., tn )) M è φ ( f )(t1M ,..., tnM )) , se f è una costante funzionale n-aria e t1 ,..., tn sono termini. Ad ogni enunciato A di L(M ) assegniamo un membro dell’insieme {1,0} , scritto AM , detto il valore di verità di A in M, dove 1 si dice il valore di verità vero e 0 il valore di verità falso, nel modo seguente: (i) ( r = s ) M = 1 se e solo se r M = s M ; (ii) ( R (t1 ,..., tn )) M = 1 se e solo se φ ( R )(t1M ,..., tnM ) ; (iii) (¬B ) M = 1 se e solo se B M = 0 ; (iv) ( B → C ) M = 1 se e solo se o B M = 0 oppure C M = 1 ; (v) (∀xB ) M = 1 se e solo se ( B[ x / a ]) M = 1 per ogni a ∈ D . Per ogni formula A di un linguaggio del primo ordine L in cui solo x1 ,..., xn occorrono libere, per M-esempio di A intendiamo un enunciato
di L(M) della forma A[ x1 / a1 ,..., xn / a n ] , dove a1 ,..., an ∈ D . Diciamo che una formula A di un linguaggio del primo ordine L è vera in M se e solo se ( A') M = 1 per ogni M-esempio A' di A. In particolare, un enunciato A di L è vero in M se e solo se AM = 1 . Diciamo che A è falsa in M se e solo se A non è vera in M. Se A è vera in M, diciamo che M è un modello di A. Se Γ è un insieme di formule e ogni formula che è membro di Γ è vera in M, diciamo che M è un modello di Γ.
114
Se A è una formula e Γ è un insieme di formule di un linguaggio del primo ordine L, diciamo che A è una conseguenza logica, o semplicemente una conseguenza, di Γ, scritto Γ B A , se e solo se ogni modello di Γ è un modello di A. Se A è una formula di un linguaggio del primo ordine L, diciamo che A è logicamente valida, o semplicemente valida, scritto B A , se e solo se ogni modello per L è un modello di A. Dunque B A ha lo stesso significato di ∅ B A . Diciamo che un modello M soddisfa un insieme di formule Γ se e solo se M è un modello di Γ. Diciamo Γ è soddisfacibile se e solo se Γ ha un modello. 1.4. Coerenza Diciamo che un insieme di formule Γ di un linguaggio del primo ordine L è coerente se e solo se non esiste alcuna formula A di L tale e Γ A A e Γ A ¬A ; incoerente se Γ non è coerente. Proprietà della coerenza. Siano Γ un insieme di formule e A una formula di un linguaggio del primo ordine L. (i) Se Γ G A , allora Γ ∪ {¬A} è coerente.
(ii) Se Γ G ¬A , allora Γ ∪ { A} è coerente.
(i) Supponiamo che Γ G A ma Γ ∪ {¬A} è incoerente. Allora
Γ ∪ {¬A} A B e Γ ∪ {¬A} A ¬B , per qualche formula B. Perciò, per il
teorema di deduzione [V.1.2], Γ A ¬A → B e Γ A ¬A → ¬B . Per la legge logica (¬A → B ) → ((¬A → ¬B ) → A) ne segue che Γ A A . Contraddizione. Se ne conclude che Γ ∪ {¬A} è coerente. (ii) Similmente. 1.5. Correttezza e completezza Per gli assiomi logici e le regole di deduzione logiche di un linguaggio del primo ordine L vale il seguente risultato. Teorema di correttezza. Siano Γ un insieme di formule e A una formula di un linguaggio del primo ordine L. Se Γ A A , allora Γ B A . La dimostrazione è per per induzione sulla generazione delle deduzioni di A da Γ. Esistenza di un modello implica coerenza. Sia Γ un insieme di formule di un linguaggio del primo ordine L. Se Γ ha un modello, allora Γ è coerente.
115
Infatti, supponiamo che Γ abbia un modello M ma sia incoerente. Allora Γ A A e Γ A ¬A per qualche formula A, perciò per teorema di correttezza Γ B A e Γ B ¬A . Poiché M è un modello di Γ, ne segue che M è un modello di A e di ¬A , cioè A è vera in M e A non è vera in M. Contraddizione. Se ne conclude che Γ deve essere coerente. Esistenza di un modello. Sia Γ un insieme di formule di un linguaggio del primo ordine L. Se Γ è coerente, allora Γ ha un modello M. La dimostrazione di questo risultato è abbastanza lunga e perciò viene omessa. Teorema di completezza. Siano Γ un insieme di formule e A una formula di un linguaggio del primo ordine L. Se Γ B A , allora Γ A A . Infatti, supponiamo che Γ B A ma Γ G A . Allora, per le proprietà della coerenza [V.1.4], Γ ∪ {¬A} è coerente, quindi per il teorema dell’esistenza di un modello ha un modello, diciamo M. Allora M è un modello di Γ e ( ¬A)
M
= 1 , perciò A
M
= 0 . Ma, poiché M è un
modello di Γ e Γ B A , deve essere A Contraddizione. Se ne conclude che Γ A A .
M
= 1 , perciò A
M
≠ 0.
1.6. Isomorfismo di modelli Se M = ( D, φ ) e M ' = ( D ', φ ') sono modelli per un linguaggio del primo ordine L, diciamo che una funzione h è un isomorfismo di M su M ' se e solo se soddisfa la seguenti condizioni: (i) h è una funzione da D a D ' ; (ii) h è biunivoca; (iii) h è su D ' ; (iv) h (φ ( c )) = φ '( c ) , se c è una costante individuale di L; (v) h (φ ( f )( a1 ,..., an )) = φ '( f )( h ( a1 ),..., h ( an )) per ogni a1 ,..., an ∈ D , se f è una costante funzionale n-aria di L; (vi) φ ( R )( a1 ,..., an ) se e solo se φ '( R )( h ( a1 ),..., h ( an )) per ogni a1 ,..., an ∈ D , se R è una costante relazionale n-aria di L.
Diciamo che due modelli M e M ' per un linguaggio del primo ordine L sono isomorfi, o che M è isomorfo a M ' , se e solo se esiste un isomorfismo di M su M ' .
116
Teorema dell’isomorfismo. Siano M e M ' due modelli per un linguaggio del primo ordine L. Se M e M ' sono isomorfi, allora, per ogni enunciato A di L, A A
M'
M
= 1 se e solo se
= 1.
La dimostrazione è per induzione sulla generazione di A. 1.7. Teorie del primo ordine Una teoria del primo ordine T è caratterizzata da un linguaggio del primo ordine L, detto il linguaggio di T, dagli assiomi logici e le regole di deduzione logiche di L, e da un insieme Γ di enunciati di L, detti gli assiomi non logici di T. Poiché, per specificare un linguaggio del primo ordine L, occorre solo specificare i suoi simboli non logici, perché allora gli assiomi logici e le regole di deduzione logiche di L risultano determinati, per specificare una teoria del primo ordine T occorre specificare solo i simboli non logici del linguaggio L di T e gli assiomi non logici di T. Siano T una teoria del primo ordine, L il linguaggio di T, Γ gli assiomi non logici di T e A una formula di L. Diciamo che una deduzione di A da Γ è una dimostrazione di A in T. Diciamo che A è dimostrabile in T, o che A è un teorema di T, e scriviamo T A A , se e solo se esiste una dimostrazione di A in T. Chiamiamo modello di T un modello degli assiomi non logici Γ di T. Se T e T ' sono teorie del primo ordine i cui linguaggi sono L e L ' rispettivamente, diciamo che T ' è un’estensione di T, e scriviamo T ⊆ T ' , se e solo se tutti i simboli non logici di L sono simboli non logici di L ' e tutti i teoremi di T sono teoremi di T ' . Ovviamente, perché sia T ⊆ T ' , occorre solo che gli assiomi non logici di T siano dimostrabili in T ' . Se T è una teoria del primo ordine il cui linguaggio è L e A è un enunciato, indichiamo con T + A l’estensione di T che si ottiene aggiungendo a L i simboli non logici che occorrono in A, e aggiungendo agli assiomi non logici di T l’enunciato A. 2. Aritmetica ricorsiva primitiva 2.1. Funzioni ricorsive primitive Una funzione sui numeri naturali si dice ricorsiva primitiva se e solo se può essere definita in un numero finito di passi per mezzo delle seguenti regole: PR1. Z ( x ) = 0 , PR2. S ( x ) = x + 1 ,
117
PR3. I in ( x1 ,..., xn ) = xi per i = 1,..., n , PR4. f ( x1 ,..., xn ) = g ( h1 ( x1 ,..., xn ),..., hm ( x1 ,..., xn )) ,
⎧ f ( x1 ,..., xn , 0) = g ( x1 ,..., xn ) ⎩ f ( x1 ,..., xn , y + 1) = h ( x1 ,..., xn , y , f ( x1 ,..., xn , y )).
PR5. ⎨
n
Le funzioni Z , S e I i di PR1-PR3 sono le funzioni iniziali a partire dalle quali sono generate tutte le altre funzioni ricorsive primitive, e si dicono rispettivamente la funzione zero, la funzione successore e la funzione proiezione i-esima. La funzione f di PR4 si dice ottenuta da g , h1 , ..., hm per composizione. La funzione f di PR5 si dice ottenuta da g, h per ricorsione primitiva. Molte delle consuete funzioni sui numeri naturali sono ricorsive primitive. Per esempio, tale è l’addizione, perché si ottiene da 1
3
g ( x ) = I1 ( x ) = x e h ( x , y , z ) = S ( I 3 ( x , y , z )) = S ( z ) per ricorsione primitiva:
⎧ x + 0 = x = I11 ( x ) ⎨ 3 ⎩ x + ( y + 1) = ( x + y ) + 1 = S ( x + y ) = S ( I 3 ( x , y , x + y )). 2.2. La teoria PRA Introduciamo una teoria del primo ordine PRA, detta aritmetica ricorsiva primitiva, in cui si possono definire tutte le funzioni ricorsive primitive e dimostrarne le proprietà. (L’acronimo PRA sta per ‘Primive Recursive Arithmetic’. Qui e in seguito usiamo acronimi corrispondenti ad espressioni della lingua inglese per conformità all’uso nella letteratura). Il linguaggio L PRA di PRA contiene come unici simboli non logici la costante individuale 0 , una costante funzionale n-aria f per ogni funzione ricorsiva primitiva n-aria f, e la costante relazionale binaria = per l’eguaglianza. Scriviamo 0, 1, 2, ... per i termini 0, S (0), S ( S (0)),... , rispettivamente, che vengono detti numerali. Inoltre scriviamo s ≤ t per ∃w( s + w = t ) ; ∀x ≤ tA( x ) per ∀x( x ≤ t → A( x )) ; ∀x1... xn ≤ tA( x ) per ∀x1... xn ( x1 ≤ t ∧ ... xn ≤ t → A( x )) . Gli assiomi non logici di PRA sono le chiusure universali delle seguenti formule: PRA1. Z ( x ) = 0 ,
118
PRA2. 0 ≠ S ( x ) , PRA3. S ( x ) = S ( y ) → x = y , n
PRA4. I i ( x1 ,..., xn ) = xi per i = 1,..., n , PRA5. f ( x1 ,..., xn ) = g ( h 1 ( x1 ,..., xn ),..., h m ( x1 ,..., xn )) , se f si ottiene da g , h1 , ..., hm per composizione,
⎧ f ( x1 ,..., xn , 0) = g ( x1 ,..., xn )
PRA6. ⎨
⎩ f ( x1 ,..., xn , S ( y )) = h ( x1 ,..., xn , y , f ( x1 ,..., xn , y )),
PRA7.
se f si ottiene da g, h per ricorsione primitiva, A(0) ∧ ∀x ( A( x ) → A( S ( x ))) → ∀xA( x ) , se formula non contenente quantificatori.
A( x )
è una
Si noti che PRA7 è uno schema perché sta per infinite formule, tante quante sono le formule A( x ) non contenenti quantificatori. Sia PRA7 ' come PRA7 eccetto che A( x ) può essere una formula qualsiasi. Ovviamente anche PRA7 ' è uno schema. Chiamiamo aritmetica di Peano del primo ordine la teoria del primo ordine PA il cui linguaggio è L PRA e i cui assiomi non logici sono le chiusure universali di PRA1-PRA6, PRA7 ' . Chiamiamo modello standard per L PRA il modello N = ( , φ ) per
L PRA dove φ è la funzione tale che φ (0) = 0 , φ ( S ) = S e, per
ogni constante funzionale n-aria f diversa da S , φ ( f ) = f . Teorema. N è un modello di PRA e di PA. Infatti, chiaramente gli assiomi non logici di PRA sono veri in N e tale è anche PRA7 ' . 2.3. Alcune proprietà elementari di PRA Per riferimento successivo stabiliamo alcune proprietà elementari di PRA. Proprietà della relazione d’ordine. (i) PRA A x ≤ 0 → x = 0 ; (ii) PRA A x ≤ S ( y ) ↔ x ≤ y ∨ x = S ( y ) ; (iii) PRA A x ≤ y ∨ y ≤ x . La dimostrazione di queste proprietà è un semplice sebbene noioso esercizio.
119
Equivalenza tra coerenza e indimostrabilità di 0 = 1 . PRA è coerente se e solo se PRA G 0 = 1 . Infatti, supponiamo che PRA sia coerente e PRA A 0 = 1 . Allora, poiché PRA A 0 ≠ 1 , PRA è incoerente. Contraddizione. Se ne conclude che PRA G 0 = 1 . Viceversa, supponiamo che PRA G 0 = 1 e PRA è incoerente. Allora, per qualche formula A, PRA A A e PRA A ¬A . Da ciò per la legge logica ¬A → ( A → 0 = 1) segue che PRA A 0 = 1 . Contraddizione. Se ne conclude che PRA deve essere coerente. Computabilità dell’eguaglianza in PRA. Per ogni k e p: (i) se k = p allora PRA A k = p ; (ii) se k ≠ p allora PRA A k ≠ p . (i) Immediato da PRA A x = x . (ii) Supponiamo che k ≠ p . Allora o k > p oppure k < p . Supponiamo che k > p . Sia q = k − p − 1 . Allora PRA A S ( q) ≠ 0 . Poiché
PRA A S ( S ( q)) = S (0) → S ( q) = 0 ,
da
ciò
si
ottiene
PRA A S ( S ( q)) ≠ S (0) . Nello stesso modo da ciò si ottiene
PRA A S ( S ( S ( q))) ≠ S ( S (0)) , e così via. Ripetendo il procedimento
esattamente p volte si ottiene PRA A k ≠ p e quindi PRA A p ≠ k . Similmente nel caso k < p . Computabilità delle funzioni ricorsive primitive in PRA. Sia f ( x1 ,..., xn ) una funzione ricorsiva primitiva. Per ogni k1 ,..., kn :
(i) se f ( k1 ,..., k n ) = p allora PRA A f ( k 1 ,..., k n ) = p ; f ( k 1 ,..., k n ) ≠ p . (ii) se f ( k1 ,..., k n ) ≠ p allora PRA A
(i) Per induzione sulla generazione di f a partire dalle funzioni iniziali. (ii) Supponiamo che f ( k1 ,..., k n ) ≠ p e f ( k1 ,..., k n ) = m . Allora f ( k 1 ,..., k n ) = m . Poiché m ≠ p , per la computabilità per (i) PRA A
dell’eguaglianza
in
PRA
si
ha
PRA A f ( k 1 ,..., k n ) ≠ p .
2.4. Teorie sufficientemente potenti
120
che
PRA A m ≠ p.
Perciò
Diciamo che una teoria del primo ordine T è sufficientemente potente se e solo se il linguaggio di T è L PRA e PRA ⊆ T . Ovviamente PRA e PA sono teorie sufficientemente potenti. 3. Codificazione 3.1. Numeri di Gödel Sia L un linguaggio del primo ordine. Siano c0 , c1 , c2 ,... le sue costanti n
n
n
individuali, f0 , f1 , f 2 ,... n
n
le
sue
costanti
funzionali
n
n-arie,
e
2
R0 , R1 , R2 ,... le sue costanti relazionali n-arie, dove R0 è = . Sia T
una teoria del primo ordine il cui linguaggio è L. Assegniamo ad ogni simbolo σ di L un numero σ seguente:
σ
(
)
¬
→
∀
vi
σ
1
3
5
7
9
2⋅5
ci i
2
fi 3
i
2 ⋅5
nel modo
n
n
n
Ri i
4
2 ⋅3 ⋅5
n
i
2 ⋅3 ⋅5
Per esempio, R0 = 2 ⋅ 3 ⋅ 5 = 144 . 2
2
4
0
Indichiamo con pi lo i+1-esimo numero primo in ordine di grandezza, cioè p0 = 2, p1 = 3, p2 = 5,... . Assegniamo ad ogni successione
finita x +1 p0 0
x0 ,..., xn =
di
⋅ ... ⋅
numeri
x pn n +1
naturali
(i)
e
vi
n
fi ( t1 ,..., tn ) =
fi
n
sono
ci
, t1 ,..., tn
già
stati
¬B =
n Ri ( t1 ,..., tn )
(i) ¬ , B
∀vi B =
n Ri
B→C =
; (iii)
∀ , vi , B
=
nel modo
t
definiti;
(ii)
.
Assegniamo ad ogni formula A di L un numero seguente:
numero
.
Assegniamo ad ogni termine t di L un numero seguente:
il
x0 ,..., xn
, t1 ,..., tn
nel modo
A
;
→ , B , C
(ii) ; (iv)
.
Assegniamo ad ogni dimostrazione C1 ,..., Cm in T il numero C1 , ..., Cm =
C1 ,..., Cm
.
121
Per ogni espressione (termine, formula, dimostrazione) σ di T chiamiamo σ
il numero di Gödel di σ. Se σ
= k , per semplicità
usiamo σ per indicare sia il numero k sia il termine k . Quale dei due venga indicato apparirà chiaro dal contesto. 3.2. Insiemi RE Chiamiamo funzione di verità una funzione binaria f sui numeri naturali tale che, per ogni k e p, f ( k , p ) = 1 oppure f ( k , p ) = 0 . Diciamo che un insieme non vuoto X di numeri naturali è ricorsivamente enumerabile, o brevemente RE, se e solo se esiste una funzione di verità ricorsiva primitiva f tale che per ogni p, p ∈ X se e solo se ∃x ( f ( x, p ) = 1) . 3.3. Teorie RE Sia T una teoria del primo ordine. Indichiamo con THM T l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati dimostrabili in T. Diciamo che T è una teoria RE se e solo se l’insieme THM T è RE. Sia prf T la funzione di verità definita da: prfT (k, p) = 1 se k è il numero di Gödel di una dimostrazione in T dell’enunciato con numero di Gödel p, e prfT (k, p) = 0 altrimenti. Proprietà delle teorie RE. T è una teoria RE se e solo se la funzione prf T è ricorsiva primitiva. Infatti, per ogni p, p ∈ THM T se e solo se ∃x ( prf T ( x, p ) = 1) . Perciò THM T è RE se e solo se prf T è ricorsiva primitiva. È facile vedere che PRA e PA sono teorie RE. 3.4. Alcune utili funzioni ricorsive primitive Si possono definire facilmente le seguenti funzioni ricorsive primitive: (1) una funzione ricorsiva primitiva binaria sub tale che, per ogni formula A( y ) di L PRA contenente come sua unica variabile individuale libera y, e per ogni funzione ricorsiva primitiva unaria f, sub( A( y ) , f ) = A( f ( f )) ; (2) una funzione ricorsiva primitiva unaria num tale, per ogni k,
num( k ) = k ;
122
(3) una funzione ricorsiva primitiva binaria opp tale che, per ogni enunciato A di L PRA , opp ( A , ¬A ) = 1 e opp ( ¬A , A ) = 1 . 4. Teoremi di incompletezza 4.1. Teorema del punto fisso Il principale strumento per la dimostrazione dei teoremi di incompletezza di Gödel e degli altri risultati limitativi è il seguente risultato, la cui denominazione di ‘teorema del punto fisso’ si basa su un’analogia con la matematica, nella quale si chiama punto fisso di una funzione f un x tale che x = f ( x ) . Teorema del punto fisso. Ad ogni formula A( y ) di L PRA contenente come sua unica variabile individuale libera y si può associare un termine chiuso t tale che PRA A t = A( t ) . Infatti, sia f ( x ) la funzione sub( A( y ) , x ) . Sia t il termine chiuso f ( f ) . Ora: f ( f ) = sub( A( y ) ,
f ) = A( f ( f )) .
Perciò, per la computabilità delle funzioni ricorsive primitive in PRA [V.2.3], PRA A f ( f ) = A( f ( f )) , cioè PRA A t = A( t ) . Si noti che il teorema del punto fisso viene formulato di solito nella forma: Ad ogni formula A( y ) di L PRA contenente come sua unica variabile individuale libera y si può associare un enunciato B tale che PRA A B ↔ A( B ) . Rispetto a tale formulazione, quella data sopra ha il vantaggio che il termine chiuso t esprime direttamente il numero di Gödel di A(t ) , mentre l’enunciato B esprime soltanto un’asserzione equivalente ad A( B ) , Corollario del teorema del punto fisso. Esiste un termine chiuso t tale che PRA A t = ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . Infatti, basta applicare il teorema del punto fisso alla formula ∀x ( prf T ( x , y ) = 0) . Si noti che l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato dal corollario del teorema del punto fisso è ‘autoreferenziale’, nel senso che descrive una
123
proprietà di se stesso. Infatti, poiché PRA A t = ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) e N è un modello di PRA [V.2.2], l’enunciato t = ∀x ( prfT ( x , t ) = 0) è vero in N. Perciò ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) esprime in N la propria indimostrabilità in T. 4.2. Primo teorema di incompletezza di Gödel Vale il seguente risultato. Primo teorema di incompletezza di Gödel. Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Se T è coerente, allora l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato dal corollario del teorema del punto T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
fisso
è
vero
in
N
Infatti, supponiamo che T A ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . qualche
k,
prfT ( k , ∀x ( prfT ( x , t ) = 0) ) ≠ 0 ,
ma
Allora, per
perciò,
per
la
computabilità delle funzioni ricorsive primitive in PRA [V.2.3], T A prf T ( k , ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ) ≠ 0 . Da ciò, poiché per il corollario
del teorema del punto fisso T A t = ∀x ( prfT ( x , t ) = 0) , segue che: (1)
T A prf T ( k , t ) ≠ 0 .
D’altra parte, dall’ipotesi
T A ∀x ( prfT ( x , t ) = 0)
si ottiene in
particolare T A prfT ( k , t ) = 0 . Da ciò e da (1) segue che T è incoerente. Contraddizione. T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . Poiché
Se
T G ∀x ( prfT ( x , t ) = 0) ,
prfT ( k , ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ) = 0 ,
ne per
conclude ogni
perciò
k
che si
ha
l’enunciato
∀x ( prf T ( x , ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ) = 0) è vero in N. Ma, poiché N è un
modello di PRA [V.2.2], anche t = ∀x ( prf T ( x , t ) = 0)
è vero in N.
Ne segue che ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è vero in N. Completamento del primo teorema di incompletezza di Gödel. Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Se N è un modello di T, allora l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato dal
124
corollario del teorema del punto fisso è vero in N ma T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) e T G ¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . Infatti, se N è un modello di T, allora, poiché esistenza di un modello implica coerenza [V.1.5], si ha che T è coerente. Perciò, per il primo teorema di incompletezza di Gödel, l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è vero in N ma T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . Supponiamo che T A ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) . Allora, poiché N è un modello
di
T,
¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0)
è
vero
in
N,
perciò
∀x ( prf T ( x , t ) = 0) non è vero in N. Contraddizione. Se ne conclude
che T G ¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . La condizione che N debba essere un modello di T è soddisfatta se T è PRA o PA [V.2.2]. Tale condizione può anche essere sostituita dalla seguente condizione più debole. Diciamo che una teoria T il cui linguaggio è L PRA è ω-coerente se e solo se non esiste alcuna formula A( x ) tale che T A ¬∀xA( x ) e per ogni numero naturale k, T A A( k ) ; ω-incoerente se non è ω-coerente. ω-coerenza implica coerenza. Sia T una teoria sufficientemente potente. Se T è ω-coerente, allora T è coerente. Infatti, supponiamo che T sia ω-coerente ma incoerente. Allora, per una A( x ) qualsiasi, T A ∀xA( x ) e T A ¬∀xA( x ) . Da T A ∀xA( x ) segue che, per ogni numero naturale k, T A A( k ) . Quindi T è ωincoerente. Contraddizione. Se ne conclude che T è coerente. Versione originaria del primo teorema di incompletezza di Gödel. Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Se T è ω-coerente, allora l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato dal corollario del teorema del punto fisso è vero in N ma T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) e T G ¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . Infatti, poiché ω-coerenza implica coerenza, T è coerente, perciò per il primo teorema di incompletezza di Gödel l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è vero in N ma T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . Supponiamo
che
T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ,
T A ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) .
per
ogni
125
k
si
Poiché ha
che
prfT ( k , ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ) = 0 , e quindi, per la computabilità delle
funzioni
ricorsive
primitive
in
PRA
[V.2.3],
T A prf T ( k , ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ) = 0 . Ma, per il corollario del
teorema del punto fisso, T A t = ∀x ( prfT ( x , t ) = 0) . Perciò, per ogni k, T A prfT ( k , t ) = 0 . Da ciò e da T A ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) segue che T è ω-incoerente. Contraddizione. Se ne conclude che T G ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) . 4.3. Corollari del primo teorema di incompletezza di Gödel Chiamiamo modello non standard di una teoria sufficientemente potente T un modello di T che non è isomorfo ad N . Esistenza di modelli non standard. Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Se T è coerente, allora esiste un modello non standard di T. Infatti, per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2], l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato dal corollario del teorema del punto fisso è vero in N ma T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . Allora, per le proprietà della coerenza [V.1.4], la teoria T ' = T + ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) è coerente. Dunque, per il teorema dell’esistenza di un modello [V.1.5], T ' ha un modello, diciamo M. Allora ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) è vero in M, e perciò ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è falso in M. Poiché ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è vero in N e falso in M, per il teorema dell’isomorfismo [V.1.6] M non può essere isomorfo a N, dunque M è un modello non standard di T. Esistenza di teorie coerenti false. Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Allora esiste un’estensione T ' di T tale che T ' è RE, T ' è coerente ma in T si può dimostrare un enunciato falso in N. Infatti, sia T ' come nella dimostrazione del teorema dell’esistenza di modelli non standard. Poiché T è RE, anche T ' è RE. Inoltre, come abbiamo visto, T ' è coerente. Banalmente T ' A ¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . Ma, per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2], ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è vero in N. Perciò ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) è falso in N.
126
Esistenza di teorie coerenti ma ω-incoerenti. Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Allora esiste un’estensione T ' di T che è RE e coerente ma è ω-incoerente. Infatti, sia T ' come nella dimostrazione del teorema dell’esistenza di modelli non standard. Poiché T è RE, anche T ' è RE. Inoltre, come abbiamo visto, T ' è coerente. Banalmente T ' A ¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . Per il primo teorema T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
di
incompletezza di Perciò, per
Gödel [V.4.2] ogni k,
prfT ( k , ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ) = 0 , e quindi, per la computabilità delle
funzioni
ricorsive
primitive
in
PRA
[V.2.3],
T ' A prfT ( k , ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ) = 0 . Ma, per il corollario del
teorema del punto fisso, T ' A t = ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . Perciò, per ogni k, T ' A prf T ( k , t ) = 0 . Dunque T ' è ω-incoerente. 4.4. Secondo teorema di incompletezza di Gödel Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Indichiamo con ConT l’enunciato ¬( ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) ∧ ∃x ( prfT ( x , ¬A ) ≠ 0)) ,
dove A è un enunciato qualsiasi del linguaggio di T. Allora ConT esprime in N la coerenza di T. Si noti che ConT non è un singolo enunciato ma è uno schema perché sta per infiniti enunciati, tanti quanti sono gli enunciati A. Diciamo che la funzione prf T ( x , y ) è canonica per T se e solo se, per ogni enunciato A della forma ∀x ( f ( x ) = 0) dove f è una funzione ricorsiva primitiva, si ha: (CAN)
PRA A ¬A → ∃x ( prfT ( x , ¬A ) ≠ 0) .
Diciamo che ConT è canonico, o esprime canonicamente la coerenza di T, se e solo se la funzione prf T ( x , y ) in termini della quale è formulata ConT è canonica per T.
127
Secondo teorema di incompletezza di Gödel. Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Se T è coerente e ConT esprime canonicamente la coerenza di T, allora T G ConT . Infatti, indichiamo con A l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato dal corollario del teorema del punto fisso [V.4.1]. Allora in base a quest’ultimo si ha: (1)
TAt = A .
Supponiamo che T A ConT per tale A, cioè che: (2)
T A ¬( ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) ∧ ∃x ( prf T ( x , ¬A ) ≠ 0)) .
Poiché
A
è
∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ,
banalmente
si
ha
T A ¬A → ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) , da cui T A ¬A → ∃x ( prfT ( x , t ) ≠ 0)
e quindi per (1): (3)
T A ¬A → ∃x ( prfT ( x , A ) ≠ 0) .
D’altra parte, poiché ConT esprime canonicamente la coerenza di T, per (CAN) si ha: (4)
T A ¬A → ∃x ( prfT ( x , ¬A ) ≠ 0) .
Da (3) e (4) si ottiene: (5) T A ¬A → ( ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) ∧ ∃x ( prf T ( x , ¬A ) ≠ 0)) . Da (2) e (5) segue T A A . Ma, per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2], T G A . Contraddizione. Se ne conclude che T G ConT . Si intende che T G ConT significa che in T non è dimostrabile un caso particolare di ConT , cioè quello in cui A è ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . 4.5. Importanza dell’espressione della coerenza Il requisito che ConT debba esprimere canonicamente la coerenza di T è essenziale per la validità del secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4]. Infatti, esistono enunciati Con′T che esprimono in N la coerenza di T ma non canonicamente i quali sono dimostrabili in T. Questo può essere visto nel modo seguente.
128
Indichiamo con prfT′ ( x , y ) ≠ 0 la formula: prfT ( x , y ) ≠ 0 ∧ ∀zw ≤ x (opp ( w, y ) ≠ 0 → prfT ( z , w) = 0) .
Indichiamo con ConT′ l’enunciato ¬( ∃x ( prf T′ ( x , A ) ≠ 0) ∧ ∃x ( prfT′ ( x , ¬A ) ≠ 0)) ,
dove A è un enunciato qualsiasi del linguaggio di T. Chiaramente ConT′ è formalmente del tutto simile a ConT ma è definito in termini di prf T′ ( x , y ) invece che di prf T ( x , y ) .
Facciamo vedere che T A ConT′ . Indichiamo con B ( x2 ) la formula: prfT ( x2 , ¬A ) ≠ 0 ∧ ∀zw ≤ x2 (opp ( w, ¬A ) ≠ 0 → prfT ( z , w) = 0)
e con C ( x1 ) la formula: prfT ( x1 , A ) ≠ 0 ∧ ∀zw ≤ x1 (opp ( w, A ) ≠ 0 → prf T ( z , w) = 0) .
Supponiamo che B ( x2 ) ∧ C ( x1 ) . Allora B ( x2 ) e C ( x1 ) .
Per le
proprietà della relazione d’ordine [V.2.3], PRA A x1 ≤ x2 ∨ x2 ≤ x1 , perciò possiamo distinguere due casi. Caso 1. x1 ≤ x2 . Allora, per B ( x2 ) , (1)
∀w ≤ x2 (opp ( w, ¬A ) ≠ 0 → prf T ( x1 , w) = 0) .
Ma, poiché opp ( A , ¬A ) ≠ 0 [V.3.4], per la computabilità delle funzioni ricorsive primitive in PRA [V.2.3], T A opp ( A , ¬A ) ≠ 0 . Perciò da (1) segue prfT ( x1 , A ) = 0 . Ma
allora ¬C ( x1 ) , e quindi ¬( B ( x2 ) ∧ C ( x1 )) . Caso 2. x2 ≤ x1 . Allora, per C ( x1 ) , (2)
∀w ≤ x1 (opp ( w, A ) ≠ 0 → prf T ( x2 , w) = 0) .
Ma, poiché opp ( ¬A , A ) ≠ 0 [V.3.4], per la computabilità delle funzioni ricorsive primitive in PRA [V.2.3],
129
T A opp ( ¬A , A ) ≠ 0 . Perciò da (2) segue prfT ( x2 , ¬A ) = 0 . Ma allora ¬B ( x2 ) , e quindi ¬( B ( x2 ) ∧ C ( x1 )) . Per la legge logica ( A → ¬A) → ¬A si conclude allora che T A ¬( B ( x2 ) ∧ C ( x1 )) ,
T A ¬( ∃xB ( x ) ∧ ∃xC ( x )) ,
donde
T A ¬( ∃x ( prf T′ ( x , A ) ≠ 0) ∧ ∃x ( prf T′ ( x , ¬A ) ≠ 0)) ,
cioè ossia
T A Con′T .
Si intende che T A ConT′ significa che ConT′ è dimostrabile in T per un enunciato qualsiasi A del linguaggio di T. Ovviamente, se T è coerente, per ogni k e p, prf T ( k , p ) = prf T′ ( k , p ) , perciò per la computabilità delle funzioni ricorsive primitive in PRA
[V.2.3] T A prf T ( k , p ) = prf T′ ( k , p ) ,
dunque prfT ( x , y ) e prfT′ ( x , y ) hanno la stessa estensione. Esse, però, hanno intensioni differenti perché le loro definizioni esprimono idee differenti. Una riprova di ciò è data dal fatto che T G ConT e T A Con′T .
4.6. Teorema di incompletezza di Rosser In termini di [V.4.5] si può stabilire un rafforzamento del primo teorema di incompletezza di Gödel. Teorema di incompletezza di Rosser. Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Se T è coerente, allora l’enunciato ∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) dato dal corollario del teorema del punto fisso applicato alla formula ∀x ( prf T′ ( x , y ) = 0) di [V.4.5] invece che alla formula ∀x ( prf T ( x , y ) = 0) , è vero in N ma T G ∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0)
e T G ¬∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) . Infatti, per il teorema del punto fisso [V.4.1], alla formula ∀x ( prf T′ ( x , y ) = 0) si può associare un termine chiuso t tale che: (1)
T A t = ∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) .
Come abbiamo già osservato in [V.4.5], poiché T è coerente, per ogni k e p si ha che prf T ( k , p ) = prf T′ ( k , p ) e T A prf T ( k , p ) = prf T′ ( k , p ) . Perciò la dimostrazione del primo teorema di incompletezza di Gödel
130
[V.4.2]
si
applica
∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0)
immutata è
vero
in
a
∀x ( prf T′ ( x , y ) = 0) .
N
ma
Dunque
T G ∀x ( prfT′ ( x , t ) = 0) .
Supponiamo ora che T A ¬∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) . Allora, per qualche k, prfT′ ( k , ¬∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) ) ≠ 0 e quindi, per la computabilità
delle
funzioni
ricorsive
primitive
T A prf T′ ( k , ¬∀x ( prfT′ ( x , t ) = 0) ) ≠ 0 ,
in da
PRA cui
[V.2.3],
segue
che
T A ∃x ( prf T′ ( x , ¬∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) ) ≠ 0) . Da ciò e da T A Con′T
[V.4.5] si ottiene
T A ¬∃x ( prf T′ ( x , ∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) ) ≠ 0)
quindi per (1)
T A ¬∃x ( prf T′ ( x , t ) ≠ 0) ,
e
da cui si ottiene
T A ∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) . Ma T G ∀x ( prfT′ ( x , t ) = 0) . Contraddizione.
Se ne conclude che T G ¬∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) . Poiché esistono teorie coerenti ma ω-incoerenti [V.4.3], il teorema di incompletezza di Rosser è un genuino rafforzamento del primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2]. 4.7. Terzo teorema di incompletezza di Gödel Sia T è una teoria sufficientemente potente e RE. Diciamo che T è esternamente coerente se e solo se, per ogni enunciato della forma ∀x ( f ( x ) = 0) , dove f è una funzione ricorsiva primitiva, se T A ∀x ( f ( x ) = 0) allora ∀x ( f ( x ) = 0) è vero in N. Indichiamo con ExtConT l’enunciato: ∃x ( prf T ( x , ∀x ( f ( x ) = 0) ) ≠ 0) → ∀x ( f ( x ) = 0) ,
dove f è una funzione ricorsiva primitiva. Allora ExtConT esprime in N la coerenza esterna di T. Si noti che ExtConT non è un singolo enunciato ma è uno schema perché sta per infiniti enunciati, tanti quante sono le funzioni ricorsive primitive f. Terzo teorema di incompletezza di Gödel. Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Se T è coerente, allora T G ExtConT . Infatti, indichiamo con A l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato dal corollario del teorema del punto fisso [V.4.1].
131
Supponiamo che T A ExtConT . Allora in particolare si ha T A ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) → A ,
da
cui
si
ottiene
T A ¬∀x ( prf T ( x , A ) = 0) → A , cioè T A ¬A → A . Da quest’ultima
per
la
legge
logica
( ¬A → A) → A
segue
TA A,
cioè
T A ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . Ma, per il primo teorema di incompletezza di
Gödel [V.4.2],
T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
Contraddizione. Se ne
conclude che T G ExtConT . Si intende che T G ExtConT significa che in T non è dimostrabile un caso particolare di ExtConT , cioè quello in cui ∀x ( f ( x ) = 0) è ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
4.8. Confronto tra i teoremi di incompletezza di Gödel Il terzo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.7] è una versione del primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2]. Esso, infatti, può essere riformulato nel modo seguente. Riformulazione del terzo teorema di incompletezza di Gödel. Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Se T è coerente, allora per qualche enunciato A tale che A è vero in N ma T G A , si ha T G ∃x ( prfT ( x , A ) ≠ 0) → A . Questo è immediato dalla dimostrazione del terzo teorema di incompletezza di Gödel. Poiché il terzo teorema di incompletezza di Gödel è una formulazione del primo teorema di incompletezza di Gödel, la sua validità non richiede che la funzione prf T ( x, y ) sia canonica per T. Il secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4] è invece un risultato più forte del terzo teorema di incompletezza di Gödel. Esso, infatti, può essere riformulato nel modo seguente. Riformulazione del secondo teorema di incompletezza di Gödel. Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Se T è coerente e la funzione prf T ( x, y ) è canonica per T, allora per T A ¬A si ha ogni enunciato A tale che T G ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) → A .
Infatti, sia A un enunciato tale T A ¬A . Supponiamo che T A ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) → A . Allora T A ¬∃x ( prfT ( x , A ) ≠ 0) ,
132
da cui segue T A ¬( ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) ∧ ∃x ( prf T ( x , ¬A ) ≠ 0)) , cioè T A ConT . Ma, per il secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4], T G ConT . Contraddizione. Se ne conclude che T G ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) → A .
Dunque, mentre il terzo
teorema di incompletezza di Gödel
stabilisce che T G ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) → A per qualche enunciato A tale che A è vero in N ma T G A , il secondo teorema di incompletezza di Gödel stabilisce che T G ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) → A per ogni enunciato A tale che T A ¬A , perciò è un risultato più forte. 4.9. Estensione ad altre teorie Vi sono svariate teorie del primo ordine T, a cominciare dalla teoria degli insiemi, che non si potrebbe negare siano sufficientemente potenti e tuttavia non sono sufficientemente potenti nel senso di [V.2.4]. Introduciamo perciò la seguente nozione più ampia. Sia L un linguaggio del primo ordine, e sia N ( x ) una formula di L contenente come sua unica variabile individuale libera x. Per ogni enunciato C di L chiamiamo relativizzazione di C a N ( x ) il risultato della sostituzione di ogni parte di C della forma ∀xA con ∀x ( N ( x ) → A) . Diciamo che una teoria del primo ordine T il cui linguaggio è L è sufficientemente potente in senso esteso se e solo se: (i) la nozione di numero naturale è definita in T da una formula N ( x ) di L contenente come sua unica variabile individuale libera x; (ii) tutti i simboli non logici di L PRA sono definibili in T da formule di L; (iii) le relativizzazioni di tutti gli assiomi non logici di PRA a N ( x ) sono dimostrabili in T. Per esempio, nel caso della teoria degli insiemi, N ( x ) è la formula x ∈ω . Chiaramente, i teoremi di incompletezza di Gödel e corollari [V.4.2, V.4.3. V.4.4, V.4.6, V.4.7] valgono anche per le teorie che sono sufficientemente potenti in senso esteso. 5. Altri risultati limitativi 5.1. Teoremi di indefinibilità di Tarski Diciamo che una formula A( y ) di L PRA contenente come sua unica variabile individuale libera y definisce un insieme di numeri naturali X in N se e solo se, per ogni numero naturale k:
133
k ∈ X se e solo se A( k ) è vero in N.
Diciamo che un insieme di numeri naturali X è definibile in N, o è aritmetico, se e solo se esiste una formula che definisce X in N. Indichiamo con TRUE( N ) l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati di L PRA che sono veri in N. Primo teorema di indefinibilità di Tarski. L’insieme TRUE( N ) non è aritmetico. Infatti, supponiamo che lo sia. Allora esiste una formula A( y ) che definisce TRUE( N ) in N. Per il teorema del punto fisso [V.4.1], ad A( y ) si può associare un termine chiuso t tale che PRA A t = ¬A( t ) . Poiché N è un modello di PRA [V.2.2], ne segue che:
(1)
t = ¬A( t ) è vero in N.
Sia
k = ¬A( t ) . Poiché
A( y )
definisce
TRUE( N )
in N,
k ∈ TRUE( N ) se e solo se A( k ) è vero in N. Perciò ¬A( t ) è vero in N
se e solo se A( ¬A( t ) ) è vero in N. Da ciò per (1) segue che ¬A( t ) è vero in N se e solo se A( t ) è vero in N, e quindi che A( t ) non è vero in N se e solo se A( t ) è vero in N. Contraddizione. Se ne conclude che TRUE( N ) non è aritmetico. Sia T una teoria il cui linguaggio è L PRA . Diciamo che una formula A( y ) di L PRA contenente come sua unica variabile individuale libera y è una definizione di verità per T se e solo se, per ogni enunciato C, T A A( C ) ↔ C . Questa nozione di definizione di verità è motivata dal fatto che, in base alla concezione della verità come corrispondenza, l’enunciato ‘La neve è bianca’ è vero se e solo se la neve è bianca. La formula A( y ) esprime appunto la proprietà di essere vero. Secondo teorema di indefinibilità di Tarski. Sia T una teoria sufficientemente potente. Se T è coerente, allora non esiste una definizione di verità per T. Infatti, supponiamo che esista una definizione di verità A( y ) per T. Per il teorema del punto fisso [V.4.1], ad A( y ) si può associare un termine chiuso t tale che:
134
(1) PRA A t = ¬A( t ) . Poiché
A( y )
è
una
definizione
di
verità
per
T,
si
ha
T A A( ¬A( t ) ) ↔ ¬A( t ) , da cui per (1) segue T A A( t ) ↔ ¬A( t ) . Da ciò per le leggi logiche (¬A → A) → A e ( A → ¬A) → ¬A si ottiene che T A A( t ) e T A ¬A( t ) . Quindi T è incoerente. Contraddizione. Se ne conclude che non esiste una definizione di verità per T. Si noti che, mentre il primo teorema di indefinibilità di Tarski asserisce che non esiste una formula avente una certa proprietà semantica, il secondo teorema di indefinibilità di Tarski asserisce che non esiste una formula avente una certa proprietà sintattica. Ma l’idea che sta alla base di entrambi i teoremi è la stessa: la proprietà di essere un enunciato vero in N non è esprimibile in L PRA . Diciamo che una teoria T è aritmetica se e solo se l’insieme THM T è aritmetico.
Teorema di incompletezza debole per teorie aritmetiche. Sia T una teoria sufficientemente potente e aritmetica. Se N è un modello di T, allora esiste almeno un enunciato A di T tale che A è vero in N ma T G A e T G ¬A . Infatti, poiché N è un modello di T, THM T ⊆ TRUE(N ) . Inoltre, poiché T è aritmetica, THM T è aritmetico. Ma, per il primo teorema di indefinibilità di Tarski, TRUE( N ) non è aritmetico. Perciò THM T ≠ TRUE(N ) . Dunque esiste almeno un enunciato A di T tale che A è vero in N ma T G A . Supponiamo che T A ¬A . Poiché N è un modello di T allora ¬A è vero in N, perciò A non è vero in N. Contraddizione. Se ne conclude che T A ¬A . Questo mostra che un teorema di incompletezza debole è un corollario del primo teorema di indefinibilità di Tarski. Tale teorema di incompletezza è debole sia in quanto dipende dall’assunzione forte che N sia un modello di T sia in quanto non fornisce alcun esempio di enunciato vero in N ma non dimostrabile in T.
5.2. Teorema di indecidibilità Diciamo che un insieme di numeri naturali X è ricorsivo se e solo se esiste una formula A( y ) di L PRA contenente come sua unica variabile individuale libera y tale che, per ogni numero naturale k: (i) se k ∈ X , allora PRA A A( k ) , (ii) se k ∉ X , allora PRA A ¬A( k ) .
135
Dunque X è ricorsivo se e solo se, per ogni k, si può decidere in PRA se k ∈ X oppure k ∉ X . Teorema di indecidibilità. Sia T una teoria sufficientemente potente. Se T è coerente, allora l’insieme THM T non è ricorsivo. Infatti, supponiamo che THM T sia ricorsivo. Allora esiste una formula A( y ) tale che, per ogni numero naturale k, se k ∈ THM T allora PRA A A( k ) , e se k ∉ THM T allora PRA A ¬A( k ) . Per il teorema del punto fisso [V.4.1], ad A( y ) si può associare un termine chiuso t tale che: (1)
PRA A t = ¬A( t ) .
Sia k = ¬A( t ) . Allora o T A ¬A( t ) T A ¬A( t ) ,
allora
k ∈ THM T ,
perciò
oppure T G ¬A( t ) . Se PRA A A( k ) ,
cioè
PRA A A( ¬A( t ) ) , quindi T A A( ¬A( t ) ) , da cui per (1) segue che T A A( t ) , dunque T è incoerente. Contraddizione. Se T G ¬A( t ) ,
allora k ∉ THM T , perciò PRA A ¬A( k ) , cioè PRA A ¬A( ¬A( t ) ) , quindi T A ¬A( ¬A( t ) ) , da cui per (1) segue che T A ¬A( t ) . Contraddizione. Se ne conclude che THM T non è ricorsivo. 5.3. Teorema di Church Ad ogni funzione ricorsiva primitiva binaria f associamo un insieme finito di enunciati Γ e una formula A( y ) di L PRA contenente come sua unica variabile individuale libera y nel modo seguente. Poiché f è una funzione ricorsiva primitiva, esisterà una successione finita di funzioni ricorsive primitive f0 ,..., f r tale che per ogni i, 0 ≤ i ≤ r , fi è la funzione zero o la funzione successore o la funzione proiezione i-esima, oppure si ottiene da funzioni precedenti della successione per composizione o per ricorsione primitiva, e f r è la funzione f. L’insieme Γ consterà di uno o due enunciati per ogni fi con i > 0 . Se fi è la funzione zero, l’enunciato sarà (1) ∀x ( fi ( x ) = 0) . Se
fi è la funzione successore, l’enunciato sarà (2) ∀x ( fi ( x ) = S ( x )) . Se
136
fi
è
la
funzione
proiezione
i-esima,
l’enunciato
sarà
(3)
∀x1 ... xn ( fi ( x1 ,..., xn ) = xi ) . Se fi si ottiene da f k e f j1 ,..., f jm , dove k , j1 ,..., jm < i ,
per
composizione,
l’enunciato
sarà
(4)
∀x1 ... xn ( fi ( x1 ,..., xn ) = f k ( f j ( x1 ,..., xn ),..., f j ( x1 ,..., xn ))) . Se fi si 1
ottiene da f j enunciati
e f k , dove
saranno
(5a)
m
j, k < i , per ricorsione primitiva, gli ∀x ( fi ( x , 0) = f j ( x ))
e
(5b)
∀x∀y ( fi ( x , S ( y )) = f k ( x , y , fi ( x , y ))) . (Per semplicità indichiamo un unico argomento x invece di n argomenti x1 ,..., xn ). La formula A( y ) sarà allora ∃x ( f r ( x , y ) = 1) . Indichiamo con Γ la congiunzione degli enunciati di Γ. Diciamo che Γ è adeguato per fi se e solo se, per ogni e1 ,..., en , q , se fi ( e1 ,.., en ) = q allora B Γ → fi ( e1 ,..., e n ) = q .
Lemma di adeguatezza. Γ è adeguato per ogni fi , 0 ≤ i ≤ r . Infatti, se fi è la funzione zero o la funzione successore o la funzione proiezione i-esima, Γ è adeguato per fi perché Γ contiene gli enunciati (1)-(3). Rimane da dimostrare che: (a) Se fi è stata ottenuta per composizione da funzioni
f k e f j1 ,..., f jm per cui Γ è adeguato,
allora Γ è adeguato per fi ; (b) Se fi è stata ottenuta per ricorsione primitiva da funzioni f j e f k per cui Γ è adeguato, allora Γ è adeguato per fi . Per esempio, dimostriamo (b). (Per semplicità consideriamo un unico argomento e invece di n argomenti e1 ,..., en ). Supponiamo che fi ( e, p ) = q . Per ogni s ≤ p sia qs = f i ( e, s ) . Dunque q p = q . Poiché fi è stata ottenuta per ricorsione primitiva da fj
e
f k , si ha q0 = f i ( e, 0) = f j ( e) , e per ogni s < p si ha
qS ( s ) = f i ( e, S ( s )) = f k ( e, s, fi ( e, s )) = f k ( e, s, qs ) . Poiché Γ è adeguato
per
fj
e
fk
si ha allora che (6a) B Γ → f j ( e) = q0 e (6b)
B Γ → f k ( e, s, q s ) = q S ( s ) .
Da
(6a)
137
e
(5a)
si
ottiene
(7a)
B Γ → f i ( e, 0) = q0 .
Da
(6b)
e
(5b)
si
ottiene
(7b)
B Γ → ( f i ( e, s ) = q s → f i ( e, S ( s )) = q S ( s ) ) . Da (7a) e da (7b) per s = 0
si ottiene B Γ → f i ( e,1) = q1 , dalla quale e da (7b) per s = 1 si ottiene B Γ → fi ( e, 2) = q 2 , dalla quale e da (7b) per s = 2 si ottiene B Γ → f i ( e,3) = q3 , e così via fino a B Γ → f i ( e, p ) = q p , cioè B Γ → fi ( e, p ) = q . Dunque Γ è adeguato per fi .
Lemma equazionale. Per ogni numero naturale p, B Γ → A( p ) se e solo se ∃x ( f ( x , p ) = 1) . Infatti, supponiamo che B Γ → A( p ) ma non ∃x ( f ( x , p ) = 1) . Chiaramente N è un modello di Γ mentre, poiché non ∃x ( f ( x , p ) = 1) , N non è un modello di A( p ) . Quindi H Γ → A( p ) . Contraddizione. Se ne conclude che ∃x ( f ( x , p ) = 1) . Dunque, se B Γ → A( p ) allora ∃x ( f ( x , p ) = 1) . Viceversa, supponiamo che ∃x ( f ( x , p ) = 1) . Sia f ( e, p ) = 1 , cioè f r ( e, p ) = 1 . Per il lemma di adeguatezza Γ è adeguato per f r , cioè per f. Da f r ( e, p ) = 1 segue allora che B Γ → f r ( e, p ) = 1 , da cui B Γ → ∃x ( f r ( x , p ) = 1) , cioè B Γ → A( p ) .
Indichiamo con VAL L l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati di un linguaggio del primo ordine L che sono logicamente validi. Teorema di indecidibilità della validità del primo ordine. L’insieme VAL L non è ricorsivo. Infatti, associamo alla funzione ricorsiva primitiva binaria prf PRA un insieme finito di enunciati Γ e una formula A( y ) nel modo indicato sopra. Allora, per il lemma equazionale, per ogni numero naturale p si ha (1) B Γ → A( p ) se e solo se ∃x ( prf PRA ( x , p ) = 1) . Supponiamo che VAL L sia ricorsivo. Allora in particolare sarà ricorsivo l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati logicamente validi della forma
Γ → A( p ) .
Perciò
per
(1)
138
sarà
ricorsivo
l’insieme
{ p : ∃x( prf
PRA
}
( x , p ) = 1) , cioè THM PRA . Ma, per il teorema di
indecidibilità [V.5.2], poiché PRA è coerente [V.2.2], THM PRA non è ricorsivo. Contraddizione. Se ne conclude che VAL L non è ricorsivo. Indichiamo con THM L l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati di un linguaggio del primo ordine L che sono dimostrabili mediante gli assiomi e le regole della logica del primo ordine. Teorema di Church. L’insieme THM L non è ricorsivo. Per il teorema di indecidibilità della validità del primo ordine VAL L non è ricorsivo. Ma per il teorema di completezza [V.1.5] VAL L
⊆ THM L . Perciò THM L non è ricorsivo.
5.4. Estensione ad altre teorie Chiaramente i risultati limitativi di [V.5.1, V.5.2] valgono per le teorie che sono sufficientemente potenti in senso esteso [V.4.9]. Vale inoltre il seguente rafforzamento del primo teorema di indefinibilità di Tarski [V.5.1]. Sia L il linguaggio della teoria degli insiemi. Diciamo che una formula A( y ) di L contenente come sua unica variabile individuale libera y definisce un insieme di numeri naturali X nella gerarchia cumulativa degli insiemi V se e solo se, per ogni numero naturale k: k ∈ X se e solo se A( k ) è vero in V.
Diciamo che un insieme di numeri naturali X è definibile in V, o è insiemistico, se e solo se esiste una formula che definisce X in V. Indichiamo con TRUE(V ) l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati di L che sono veri in V. Teorema di indefinibilità della verità insiemistica. TRUE(V ) non è insiemistico. La dimostrazione è del tutto simile a quella del primo teorema di indefinibilità di Tarski [V.5.1]. 6. Logica del secondo ordine 6.1. Linguaggi del secondo ordine I linguaggi del secondo ordine sono definiti come i linguaggi del primo ordine [V.1.1] ma con le seguenti aggiunte.
139
I simboli di un linguaggio del secondo ordine L2 comprendono quelli di un linguaggio del primo ordine e per ogni numero intero n
n
n
positivo n infinite variabili relazionali n-arie V0 , V1 , V2 , ... . I termini di un linguaggio del secondo ordine L2 sono definiti come i termini di un linguaggio del primo ordine. Le formule atomiche di un linguaggio del secondo ordine L2 comprendono quelle di un linguaggio del primo ordine e tutte le espressioni della forma Vi n (t1 ,..., tn ) dove Vi n è una variabile relazionale n-aria e t1 , ..., tn sono termini. Le formule di un linguaggio del secondo ordine L2 sono definite come le formule di un linguaggio del primo ordine, con in più la seguente clausola: (vi) se Vi n è una variabile relazionale n-aria e A è una n
formula, allora ∀Vi A è una formula. n
n
n
X , Y , Z , ... o semplicemente Usiamo le lettere X , Y , Z , ... (eventualmente con indici) per le variabili relazionali nn
n
n
arie V0 , V1 , V2 , ... . Scriviamo ∃XA per ¬∀X ¬A ; ∀Ψ 1 ...Ψ n A per ∀Ψ 1...∀Ψ n A , e ∃Ψ 1 ...Ψ n A per ∃Ψ 1...∃Ψ n A , dove Ψ 1 ,..., Ψ n sono variabili individuali
o relazionali. In un linguaggio del secondo ordine L2 non occorre assumere che tra le costanti relazionali n-arie sia compresa una costante relazionale binaria = per l’eguaglianza perché si può definire ( t1 = t2 ) come 1
∀X ( X ( t1 ) ↔ X ( t2 )) . Le occorrenze libere di una variabile relazionale n-aria Vi n in una formula sono definite come le occorrenze libere di una variabile individuale vi in una formula, con in più la seguente clausola: (v) le n
occorrenze libere di Vi n in ∀V j A sono le occorrenze libere di Vi n in A se j ≠ i ; se invece j = i , allora Vi n non ha alcuna occorrenza libera in n
n
∀V j A e in tal caso tutte le occorrenze di Vi n in ∀V j A si dicono occorrenze vincolate. Diciamo che una formula è chiusa, o è un enunciato, se e solo se nessuna variabile individuale e nessuna variabile relazionale n-aria occorre libera in essa.
140
Diciamo che una formula A è una generalizzazione di una formula B se e solo se, per qualche n ≥ 0 e per delle variabili individuali o relazionali Ψ 1 ,..., Ψ n , la formula A è ∀Ψ 1 ...Ψ n B . Se Ψ 1 ,..., Ψ n comprendono tutte le variabili individuali libere di B, diciamo che A è la chiusura universale di B. Dunque la chiusura universale di una formula è un enunciato. Se X è una variabile relazionale n-aria, Θ è una variabile relazionale n-aria o una costante relazionale n-aria e A è una formula, indichiamo con A[ X / Θ] il risultato della sostituzione di ogni occorrenza libera di X in A con Θ. Diciamo che una variabile relazionale n-aria X è sostituibile con una variabile relazionale n-aria o una costante relazionale n-aria Θ in una formula A se e solo se o Θ è una costante relazionale n-aria oppure Θ è una variabile relazionale n-aria e non diventa vincolata in seguito alla sostituzione di X con Θ in A, cioè non è un’occorrenza vincolata in A[ X / Θ] . In seguito, quando usiamo la notazione A[ X / Θ] , assumiamo tacitamente che X sia sostituibile con Θ in A. 6.2. Assiomi e regole della logica del secondo ordine Sia L2 un linguaggio del secondo ordine. Introduciamo gli assiomi logici e le regole di deduzione logiche di L2 . Gli assiomi logici di L2 sono tutte le formule di L2 di una delle forme L1-L9 di [V.1.2] o di una delle seguenti forme: L11. ∀X ( A → B ) → (∀XA → ∀XB ) , n
L12. ∀X A → A[ X / Θ] , L13. A → ∀XA se X non occorre libera in A, L14. x1 = y1 → (... → ( xn = yn → ( X ( x1 ,..., xn ) → X ( y1 ,..., yn )))...) , L15. ∃X ∀x1...∀xn ( X ( x1 ,..., xn ) ↔ A) se X non occorre libera in A, L16. Tutte le generalizzazioni di una formula di una delle forme L1-L9, L11-L15. Le regole di deduzioni logiche di L2 consistono di un’unica regola, il modus ponens MP: Per ogni formula A e B di L2 , da A e A → B si può inferire B. Le nozioni di deduzione, deducibilità, dimostrazione, dimostrabilità, legge logica sono definite come le nozioni corrispondenti della logica del primo ordine [V.1.2].
141
1
Se si definisce ( t1 = t2 ) come ∀X ( X ( t1 ) ↔ X ( t2 )) si possono eliminare gli assiomi logici L7-L9, L14 perché con tale definizione essi diventano dimostrabili. 6.3. Modelli per linguaggi del secondo ordine Un modello, o struttura, per un linguaggio del secondo ordine L2 è una tripla ordinata M = ( D, (D n )n =1,2,... , φ ) , dove D è un insieme non vuoto, detto il dominio degli individui di M, D n , n = 1, 2,... , è l’insieme di tutte le relazioni n-arie su D, detto il dominio delle relazioni n-arie di M, e φ è una funzione unaria, detta la funzione di interpretazione di M, che associa (i) ad ogni costante individuale di L2 un membro di D, (ii) ad ogni costante funzionale n-aria di L2 una funzione n-aria su D; (iii) ad ogni costante relazionale n-aria di L2 un membro di D n . Se M = ( D, (D n )n =1,2,... , φ ) è un modello per un linguaggio del secondo ordine L2 , per ogni a ∈ D sia a una nuova costante individuale non in L2 , detta il nome di a e, per ogni R ∈ D n , n = 1, 2,... , sia R una nuova costante relazionale n-aria non in L2 ,
detta il nome di R. Indichiamo con L2 ( M ) il linguaggio del secondo ordine che si ottiene da L2 aggiungendo un nome a per ogni a ∈ D e un nome R per ogni R ∈ D n , n = 1, 2,... . Ad ogni termine chiuso t di L2 ( M ) assegniamo un membro di D, M
scritto t , detto il valore di t in M, come nel caso dei termini chiusi di un linguaggio del primo ordine [V.1.3]. Ad ogni enunciato A di L2 ( M ) assegniamo un membro dell’insieme {1, 0} , scritto AM , detto il valore di verità di A in M, dove 1 si dice il valore di verità vero e 0 il valore di verità falso, come nel caso degli enunciati di un linguaggio del primo ordine [V.1.3], con in più
la
seguente
( B[ X / R ])
M
clausola:
(∀XB )
(vi)
M
=1
se
e
solo
se
= 1 per ogni R ∈ Dn .
Per ogni formula A di un linguaggio del secondo ordine L2 in cui solo x1 ,..., xn , X 1 , ..., X m occorrono libere, per M-esempio di A intendiamo
un
enunciato
di
A[ x1 / a 1 ,..., xn / a n , X 1 / R 1 , ..., X m / R m ]
L2 ( M ) dove
Ri ∈ D j , per i = 1,..., m e per qualche j = 1, 2,... .
142
della
forma
a1 ,..., an ∈ D
e
Diciamo che una formula A di un linguaggio del secondo ordine L è vera in M se e solo se ( A') M = 1 per ogni M-esempio A ' di A. In 2
particolare, un enunciato A di L2 è vero in M se e solo se AM = 1 . Diciamo che A è falsa in M se e solo se A non è vera in M. Le nozioni di modello di una formula o di un insieme di formule di un linguaggio del secondo ordine L2 , di conseguenza logica o conseguenza, di formula logicamente valida o valida, e di soddisfacibilità sono definite come le nozioni corrispondenti per un linguaggio del primo ordine [V.1.3]. 6.4. Isomorfismo di modelli Se M = ( D, (D n )n =1,2,... , φ ) e M ' = ( D ',(D ' n ) n =1,2,... , φ ') sono modelli per un linguaggio del secondo ordine L2 , la nozione di isomorfismo di M su M ' è definita come la nozione corrispondente per un linguaggio del primo ordine [V.1.6]. Teorema dell’isomorfismo. Siano M e M ' due modelli per un linguaggio del secondo ordine L2 . Se M e M ' sono isomorfi allora, per ogni enunciato A di L2 , AM = 1 A
M'
se e solo se
= 1.
La dimostrazione è come quella del risultato corrispondente per un linguaggio del primo ordine [V.1.6]. 6.5. Teorie del secondo ordine Le nozioni di teoria del secondo ordine, linguaggio di una teoria del secondo ordine, assiomi non logici di una teoria del secondo ordine, dimostrazione in una teoria del secondo ordine, formula dimostrabile in o teorema di una teoria del secondo ordine, modello di una teoria del secondo ordine, ed estensione di una teoria del secondo ordine sono definite come le nozioni corrispondenti per le teorie del primo ordine [V.1.7]. 7. Aritmetica di Peano del secondo ordine 7.1. La teoria PA 2 Introduciamo una teoria PA 2 , detta aritmetica di Peano del secondo ordine. Il linguaggio L 2 di PA 2 contiene come unici simboli non PA
logici la costante individuale 0 e la costante funzionale unaria S .
143
Scriviamo
0, 1, 2, ...
per
i
termini
0, S (0), S ( S (0)),... ,
1
rispettivamente. Definiamo ( t1 = t2 ) come ∀X ( X ( t1 ) ↔ X ( t2 )) . Gli assiomi non logici di PA 2 sono le chiusure universali delle seguenti formule: 2
PA 1 . 0 ≠ S ( x ) , 2
PA 2 . S ( x ) = S ( y ) → x = y , 2
PA 3 . X (0) ∧ ∀x ( X ( x ) → X ( S ( x )) → ∀xX ( x ) . 2
Chiamiamo PA 3 l’assioma di induzione del secondo ordine. Si 2
noti che, a differenza di PRA7 ' che è uno schema, PA 3 è una singola formula. L 2 il modello Chiamiamo modello standard per PA
2
N = ( ,(D n ) n =1,2,... , φ ) per
L
PA 2
dove φ è la funzione tale che
φ (0) = 0 e φ ( S ) = S . 2
Teorema. N è un modello di PA 2 . Infatti, chiaramente gli assiomi non logici di PA 2 sono veri in 2
N .
7.2. Teoremi di incompletezza di Gödel per PA 2 Sebbene PA 2 non sia una teoria sufficientemente potente [V.2.4], è facile vedere che essa è sufficientemente potente in senso esteso [V.4.9]. Per esempio l’addizione x + y = z è definita in PA 2 da ∀X ( X (0, x ) ∧ ∀u∀v ( X (u, v ) → X ( S (u ), S ( v ))) → X ( y , z )) .
Allora i teoremi di incompletezza di Gödel e corollari [V.4.2, V.4.3. V.4.4, V.4.6, V.4.7] valgono anche per PA 2 . 7.3. Altri risultati limitativi per PA 2 Anche gli altri risultati limitativi di [V.5.1, V.5.2] valgono per PA 2 . Vale inoltre il seguente risultato. Indichiamo con THM 2 l’insieme dei numeri di Gödel degli L
enunciati di un linguaggio del secondo ordine L2 che sono dimostrabili mediante gli assiomi e le regole della logica del secondo ordine.
144
Teorema di indecidibilità della logica del secondo ordine. L’insieme THM 2 non è ricorsivo. L
2
Infatti, sia PA la congiunzione degli assiomi non logici di PA 2 . Per ogni enunciato C di L
2
PA 2
2
A PA → C . Perciò THM
PA2
si ha che PA A C se e solo se
è ricorsivo se e solo se THM L
PA2
è
ricorsivo. Ma, per il teorema di indecibilità per PA 2 [V.5.3, V.7.3], THM 2 non è ricorsivo. Perciò THM L non è ricorsivo. PA
PA2
7.4. Categoricità di PA 2 Diciamo che una teoria del secondo ordine T è categorica se e solo se due modelli qualsiasi di T sono isomorfi. Categoricità di PA 2 . Tutti i modelli di PA 2 sono isomorfi a N 2 , perciò PA 2 è categorica. Infatti, sia M = ( D, (D n )n =1,2,... , φ ') un modello qualsiasi di PA 2 , e siano φ '(0) = o e φ '( S ) = s . Poiché M è un modello di PA 2 , gli assiomi non logici di PA 2 sono veri in M, perciò per ogni a , b ∈ D e per ogni E ⊆ D si ha: (1) o ≠ s ( a ) , (2) se s ( a ) = s ( b) , allora a = b , (3) se o ∈ E , e se c ∈ E allora s ( c) ∈ E per ogni c ∈ D , allora E = D .
{
Sia h la funzione definita induttivamente nel modo seguente: h (0) = o h ( m + 1) = s ( h ( m )).
Mostriamo che h è un isomorfismo di N 2 su M, cioè soddisfa le condizioni [V.1.6 (i)-(v)]. (Non occorre considerare la condizione [V.1.6 (vi)] poiché L 2 non contiene costanti relazionali). PA
(i) h è una funzione da a D. Questo segue immediatamente dal fatto che o ∈ D e s è una funzione da D a D. (ii) h è biunivoca. Dobbiamo dimostrare che, per ogni m, n , se h ( m ) = h ( n ) allora m = n . Infatti, supponiamo che h ( m ) = h ( n ) ma m ≠ n . Allora o m > n oppure m < n . Se m > n , allora applicando
145
ripetutamente (2) da h ( m ) = h ( n ) segue che h (0) = h ( m − n ) , cioè o = s( h( m − n − 1)) . Ma per (1) o ≠ s( h( m − n − 1)) . Contraddizione. Perciò non m > n . Similmente nel caso m < n . Se ne conclude che m=n. (iii) h è su D. Se E è il codominio di h, dobbiamo mostrare che E = D . Infatti o ∈ E , e se c ∈ E , allora c = h ( m ) per qualche m, per cui h ( m + 1) = s ( c ) e quindi s ( c ) ∈ E . Da ciò per (3) segue che E = D. (iv) h (φ (0)) = φ '(0) . Infatti h (φ (0)) = h (0) = o = φ '(0) . (v)
h (φ ( S )( m )) = φ '( S )( h ( m )) ,
per
ogni
m.
Infatti
h (φ ( S )( m )) = h ( m + 1) = s ( h ( m )) = φ '( S )( h ( m )) . Dunque h è un isomorfismo di N 2 su M, e quindi M è isomorfo a N 2 . Poiché M è un modello qualsiasi di PA 2 , se ne conclude che tutti i modelli di PA 2 sono isomorfi a N 2 e quindi sono isomorfi tra loro, dunque PA 2 è categorica. 7.5. Relazione tra enumerabilità ricorsiva e aritmeticità Tra enumerabilità ricorsiva e aritmeticità sussiste la seguente relazione. Enumerabilità ricorsiva implica aritmeticità. Sia X un insieme di numeri naturali. Se X è RE allora X è aritmetico. Infatti, supponiamo che X sia RE. Allora esiste una funzione di verità ricorsiva primitiva f tale che per ogni p, p ∈ X se e solo se ∃x ( f ( x, p ) = 1) . Perciò, per ogni p, p ∈ X se e solo se l’enunciato ∃x ( f ( x, p ) = 1) è vero in N. Ma allora la formula ∃x ( f ( x, y ) = 1) definisce X in N, e dunque X è aritmetico.
7.6. Incompletezza forte della logica del secondo ordine Indichiamo con VAL
L2
l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati
di un linguaggio del secondo ordine L2 che sono logicamente validi. Teorema di incompletezza forte della logica del secondo ordine. L’insieme VAL 2 non è aritmetico, perciò a maggior L
ragione non è RE. 2
Infatti, sia PA la congiunzione degli assiomi non logici di PA 2 . Sia C un enunciato qualsiasi di L 2 del primo ordine. Allora C è vero PA
in N se e solo se C è vero in N 2 . Perciò, per il teorema
146
dell’isomorfismo [V.6.4], C è vero in N se e solo C se è vero in tutti i modelli isomorfi a N 2 . Dunque, per la categoricità di PA 2 [V.7.4], C è vero in N se e solo se C è vero in tutti i modelli di PA 2 . Quindi: 2
C è vero in N se e solo se PA → C è logicamente valido.
(1)
Supponiamo che VAL
sia aritmetico, per un linguaggio
L2 2
qualsiasi del secondo ordine L . Allora in particolare VAL L
è
PA2
aritmetico. Perciò l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati di L
2
PA 2
della forma PA → C che sono logicamente validi, dove C è un
enunciato del primo ordine, è aritmetico. Dunque per (1) anche l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati C del primo ordine di L 2 che sono veri in N è aritmetico. Ma, per il primo teorema di PA
indefinibilità di Tarski [V.5.1], tale insieme non è aritmetico. Contraddizione. Se ne conclude che VAL 2 non è aritmetico. Poiché L
enumerabilità ricorsiva implica aritmeticità [V.7.5], VAL
L2
non è
neppure RE. Corollario del teorema di incompletezza forte della logica del secondo ordine. Non esiste alcun insieme di assiomi logici e regole di deduzione logiche della logica del secondo ordine in un linguaggio del secondo ordine L2 che sia aritmetico e tale che tutti gli enunciati logicamente validi di L2 siano dimostrabili per mezzo di quegli assiomi logici e regole di deduzione logiche. A maggior ragione ciò vale con ‘RE’ al posto di ‘aritmetico’. Infatti, supponiamo che un tale insieme di assiomi logici e regole di deduzione logiche esista. Allora tutti gli enunciati logicamente validi di L2 sono dimostrabili nella teoria del secondo ordine T il cui linguaggio è L2 , il cui insieme di assiomi non logici è vuoto e che è aritmetica. Poiché T è aritmetica, THM T è aritmetico. Ma, per il teorema di incompletezza forte della logica del secondo ordine, VAL 2 L
non è aritmetico. Perciò, poiché tutti gli enunciati logicamente validi di L2 sono dimostrabili in T, THM T non è aritmetico. Contraddizione. Se ne conclude che un tale insieme di assiomi logici e regole di deduzione logiche non esiste. Poiché enumerabilità ricorsiva implica aritmeticità [V.7.5], ciò vale anche con ‘RE’ al posto di ‘aritmetico’.
147
7.7. Non aritmeticità delle conseguenze logiche di PA 2 Indichiamo con CN(PA 2 ) l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati che sono conseguenze logiche di PA 2 . Non aritmeticità delle conseguenze logiche di PA 2 . L’insieme CN(PA 2 ) non è aritmetico, perciò a maggior ragione non è RE. 2
Infatti, sia PA la congiunzione degli assiomi non logici di PA 2 . Supponiamo che CN(PA 2 ) sia aritmetico. Allora anche l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati di L
2
PA 2
della forma PA → C , dove C
è un enunciato del primo ordine, che sono logicamente validi è aritmetico. Ma, come abbiamo visto nella dimostrazione del teorema di incompletezza forte della logica del secondo ordine [V.7.6], 2
C è vero in N se e solo se PA → C è logicamente valido. Perciò, anche l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati C del primo ordine di L 2 veri in N è aritmetico. Ma, per il primo teorema di PA
indefinibilità do Tarski [V.5.1], tale insieme non è aritmetico. Contraddizione. Se ne conclude che CN(PA 2 ) non è aritmetico. Poiché enumerabilità ricorsiva implica aritmeticità [V.7.5], a maggior ragione CN(PA 2 ) non è RE. 7.8. Modelli deboli per i linguaggi del secondo ordine Per il corollario del teorema di incompletezza forte della logica del secondo ordine [V.7.6], per nessun insieme aritmetico di assiomi logici e regole di deduzione logiche della logica del secondo ordine può valere un risultato corrispondente al teorema di completezza per la logica del primo ordine [V.1.5]. Tuttavia un risultato corrispondente a tale teorema vale se si sostituisce la nozione di modello per un linguaggio del secondo ordine L2 con una nozione di modello debole. Un modello, o struttura, debole per un linguaggio del secondo ordine L2 è definito come un modello [V.6.3], tranne che ogni D n , n = 1, 2,... , è semplicemente un insieme di relazioni n-arie su D, non necessariamente l’insieme di tutte le relazioni n-arie su D. Le nozioni di modello debole di una formula o un insieme di formule di un linguaggio del secondo ordine L2 , e di conseguenza
148
logica debole, o conseguenza debole, sono definite come le nozioni corrispondenti di [V.6.3]. Esistenza di un modello debole. Sia Γ un insieme di formule di un linguaggio del secondo ordine L2 . Se Γ è coerente, allora Γ ha un modello debole. La dimostrazione è simile a quella teorema dell’esistenza di un modello per la logica del primo ordine [V.1.5]. Dal teorema dell’esistenza di un modello debole si ottiene un teorema di completezza debole per la logica del secondo ordine come indicato in [V.1.5]. 7.9. Modelli non standard di PA 2 Chiamiamo modello non standard di PA 2 un modello debole di PA 2 che non è isomorfo a N 2 . Esistenza di un modello non standard di PA 2 . Esiste un modello non standard di PA 2 . Infatti, per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2, V.7.2], se PA 2 è coerente, allora l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato dal corollario del teorema del punto fisso è vero in N, e quindi anche in 2
N ,
2
PA G ∀x ( prfT ( x , t ) = 0) .
ma
Perciò
la
teoria
2
T ' = PA + ¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è coerente [V.1.4], e quindi, per il
teorema dell’esistenza di un modello debole [V.7.8], ha un modello debole, diciamo M. Allora ¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è vero in M, e perciò ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) non è vero in M. Poiché ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è vero
in N, per il teorema dell’isomorfismo [V.6.4] ne segue che M non è 2
isomorfo a N , e quindi M è un modello non standard di PA 2 .
149
Cos’altro leggere
La letteratura sulla filosofia della matematica, in articoli o libri, è molto vasta. Quella che segue è una scelta ristretta di libri. Manuali di filosofia della matematica I manuali correnti di filosofia della matematica trattano solo alcuni aspetti dell’argomento. Limitati alle scuole di filosofia della matematica della prima metà del Novecento sono George-Velleman 2002, Giaquinto 2002, Potter 2000. Una copertura più ampia si trova in Shapiro 2000 e soprattutto in Shapiro 2005, dove però la filosofia della matematica della seconda metà del Novecento è limitata alle scuole che sono variazioni su temi di Frege, Hilbert e Brouwer. Oltre ai manuali vi sono le antologie. Tra le più recenti Ewald 1996, Hart 1996, Hersh 2006, Jacquette 2002, Tymoczko 1998. Presupposti logici Sebbene il cap. V sia autosufficiente, la sua lettura sarà molto facilitata se si conoscono i primi elementi della logica matematica. Un’introduzione alla logica matematica basata su una formulazione della logica del primo ordine abbastanza simile a quella del cap. V è Margaris 1990. Un’introduzione alla logica matematica di esemplare chiarezza, ma basata su una formulazione della logica del primo ordine leggermente differente, è Robbin 2006. Filosofia e matematica Vari modi di intendere i rapporti tra filosofia e matematica sono presentati nelle introduzioni a George-Velleman 2002, Hersh 2006, Jacquette 2002, Tymoczko 1998, nella prima parte di Hersh 1997 e nella prima parte di Shapiro 2000. La filosofia della matematica di ieri Per Frege, v. Frege 1961, 1962, 1964, 1969, 1976, 1990, Dummett 1991b, Kenny 1995, Wright 1983. Per Hilbert, v. Hilbert 1970f, 1985, Hilbert-Bernays 1968-70. Per Brouwer, v. Brouwer 1975, 1981, 1992, van Atten 2004, van Stigt 1990. La filosofia della matematica di oggi
150
Per il neologicismo, v. Wright 1983, Hale-Wright 2001. Per il platonismo, v. Gödel 1986-2002. Per l’implicazionismo, v. Putnam 1975. Per lo strutturalismo, v. Resnik 1997, Shapiro 1997. Per il finzionalismo, v. Field 1980, 1989. Per l’internalismo, v. Maddy 1997. Per il costruttivismo, v. Bishop 1967, 1986. Per il congetturalismo, v. Lakatos 1976, 1978. Per l’empirismo, v. Kitcher 1983. Per il cognitivismo, v. Lakoff e Núñez 2000. La filosofia della matematica di domani Per un approfondimento dei temi trattati nel cap. IV, v. Cellucci 2003, 2007. I teoremi di incompletezza di Gödel La presentazione dei risultati limitativi del cap. V è nello spirito di Jeroslow 1973 ma non fa uso del suo enunciato autoreferenziale. Per altre presentazioni, v. Murawski 1999, Smullyan 1992, Tourlakis 2003. Sui risultati di incompletezza di Gödel per la teoria degli insiemi, v. anche Hinman 2005.
151
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L’autore
Carlo Cellucci (Santa Maria Capua Vetere, 1940), dopo aver insegnato nelle Università del Sussex (UK), di Siena e della Calabria, insegna Logica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma La Sapienza. Ha pubblicato Teoria della dimostrazione (Boringhieri, Torino 1978), Le ragioni della logica (Laterza, Bari-Roma 1998, 20054), Filosofia e matematica (Laterza, Roma-Bari 2002, 20032), Filosofia e conoscenza (Laterza, Roma-Bari 2007). Ha curato La filosofia della matematica (Laterza, Roma-Bari 1967), Il paradiso di Cantor. Il dibattito sui fondamenti della teoria degli insiemi (Bibliopolis, Napoli 1979).
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Indice dei nomi
Aristotele, Batitsky, Vadim Berkeley, George, Bernays, Paul, Beth, Evert Willem, Bishop, Errett, Bolzano, Bernard, Boolos, George S., Bourbaki, Nicolas, Brouwer, Luitzen Egbertus Jan, Cantor, Georg, Cauchy, Augustin-Louis, Cellucci, Carlo, Church, Alonzo, Dedekind, Julius Wilhelm Richard, Descartes, René Detlefsen, Michael, Dieudonné, Jean, du Bois-Reymond, Emil, Dummett, Michael, Euclide, Ewald, William, Field, Hartry, Fraenkel, Abraham Adolf, Franks, John, Frege, Gottlob, George, Alexander, Giaquinto, Marcus, Gödel, Kurt, Goldbach, Christian, Gowers, William Timothy, Hale, Bob, Hamming, Richard Wesley, Hart, W.D.,
Hermite, Charles, Hersh, Reuben, Heyting, Arend, Hilbert, David, Hinman, Peter G., Hobbes, Thomas, Hume, David, Ippocrate di Chio, Jacquette, Dale, Jeroslow, Robert G., Kant, Immanuel, Kenny, Anthony, Kitcher, Philip, Kronecker, Leopold, Lakatos, Imre, Lakoff, George, Leibniz, Gottfried Wilhelm, Locke, John, Maddy, Penelope, Margaris, Angelo, Menger, Karl, Mill, John Stuart, Murawski, Roman, Newton, Isaac, Núñez, Rafael E., Parsons, Charles, Pascal, Blaise, Peano, Giuseppe, Penrose, Roger, Pitagora, Platone, Poincaré, Henri, Popper, Karl, Raimund, Potter, Michael, Proclo, Putnam, Hilary,
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Ramsey, Frank Plumpton, Resnik, Michael D., Robbin, Joel W., Rosser, John Barkley, Russell, Bertrand, Shapiro, Stewart, Smullyan, Raymond M., Tarski, Alfred, Tourlakis, George, Tymoczko, Thomas, Vaihinger, Hans, van Atten, Mark,
Van der Waerden, Bartel Leendert, van Stigt, Walter P., Velleman, Daniel J., von Neumann, John, Wang, Hao, Weierstrass, Karl Wilhelm, Whitehead, Alfred North, Wittgenstein, Ludwig, Wright, Crispin, Zermelo, Ernst,
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Indice del volume
Premessa I.
Filosofia e matematica 1. L’ortodossia prevalente 1.1. Matematica contro filosofia della matematica - 1.2. Filosofia della matematica contro tradizione filosofica 2. Limiti dell’ortodossia prevalente 2.1. Limiti dell’autonomia della filosofia della matematica 2.2. Limiti della polemica contro la tradizione filosofica
II.
La filosofia della matematica di ieri 1. Frege 1.1. Le motivazioni di Frege - 1.2. Il programma di Frege 1.3. La concezione della logica di Frege - 1.4. Il debito di Frege verso Kant e Leibniz - 1.5. Deviazioni da Leibniz - 1.6. Gli argomenti di Frege contro Kant - 1.7. Il principio di Hume - 1.8. Il problema di Cesare - 1.9. La difficoltà di definire l’estensione di un concetto - 1.10. L’acme del programma di Frege - 1.11. Ancora il problema di Cesare - 1.12. Il paradosso di Russell - 1.13. Il crollo del programma di Frege 1.14. La reazione finale di Frege 2. Hilbert 2.1. Le motivazioni di Hilbert - 2.2. Matematica finitaria matematica e infinitaria - 2.3. L’intento di Hilbert - 2.4. Il programma della conservazione - 2.5. Il programma della coerenza - 2.6. Sufficienza del programma della coerenza 2.7. Il debito di Hilbert verso Kant - 2.8. Le deviazioni da Kant - 2.9. Aspettative sulla realizzabilità dei programmi 2.10. Il crollo del programma della coerenza - 2.11.
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L’obiezione di Detlefsen - 2.12. Il crollo del programma della conservazione - 2.13. Inadeguatezza della coerenza - 2.14. Le ragioni di Kant - 2.15. La reazione finale di Hilbert 3. Brouwer 3.1. Le motivazioni di Brouwer - 3.2. Il programma di Brouwer - 3.3. Il rifiuto del principio del terzo escluso - 3.4. La nozione intuizionista di dimostrazione - 3.5. I due atti dell’intuizionismo - 3.6. Il debito di Brouwer verso Kant - 3.7. Le deviazioni da Kant - 3.8. Il continuo intuizionista - 3.9. Il teorema di continuità - 3.10. I limiti del programma di Brouwer - 3.11. L’estetismo di Brouwer - 3.12. Il crollo del programma di Brouwer 4. Conclusioni sulla filosofia della matematica di ieri
III.
La filosofia della matematica di oggi 1. Due reazioni mancate 1.1. Una reazione matematica mancata - 1.2. Una reazione filosofica mancata 2. Le concezioni filosofiche della seconda metà del Novecento 2.1. Neologicismo - 2.2. Platonismo - 2.3. Implicazionismo 2.4. Strutturalismo - 2.5. Finzionalismo - 2.6. Internalismo 2.7. Costruttivismo - 2.8. Congetturalismo - 2.9. Empirismo 2.10. Cognitivismo 3. Conclusioni sulla filosofia della matematica di oggi
IV.
La filosofia della matematica di domani 1. Caratteri della filosofia della matematica di domani 1.1. Necessità di un nuovo inizio - 1.2. Non autonomia della filosofia della matematica - 1.3. Relazione con la matematica - 1.4. Limiti della questione del fondamento della matematica - 1.5. Centralità della questione della scoperta 2. L’immagine della matematica 2.1. Un requisito per la realizzazione del programma - 2.2. Matematica ed esperienza - 2.3. Matematica e soluzione di problemi - 2.4. Matematica ed evoluzione - 2.5. Matematica e
163
architetture cognitive - 2.6. Matematica e sviluppo storico 2.7. Matematica e verità
V.
I teoremi di incompletezza di Gödel 1. Logica del primo ordine 1.1. Linguaggi del primo ordine - 1.2. Assiomi e regole della logica del primo ordine - 1.3. Modelli per linguaggi del primo ordine - 1.4. Coerenza - 1.5. Correttezza e completezza - 1.6. Isomorfismo di modelli - 1.7. Teorie del primo ordine 2. Aritmetica ricorsiva primitiva 2.1. Funzioni ricorsive primitive - 2.2. La teoria PRA - 2.3. Alcune proprietà elementari di PRA - 2.4. Teorie sufficientemente potenti 3. Codificazione 3.1. Numeri di Gödel - 3.2. Insiemi RE - 3.3. Teorie RE 3.4. Alcune utili funzioni ricorsive primitive 4. Teoremi di incompletezza 4.1. Teorema del punto fisso - 4.2. Primo teorema di incompletezza di Gödel - 4.3. Corollari del primo teorema di incompletezza di Gödel - 4.4. Secondo teorema di incompletezza di Gödel - 4.5. Importanza dell’espressione della coerenza - 4.6. Teorema di incompletezza di Rosser 4.7. Terzo teorema di incompletezza di Gödel - 4.8. Confronto tra i teoremi di incompletezza di Gödel - 4.9. Estensione ad altre teorie 5. Altri risultati limitativi 5.1. Teoremi di indefinibilità di Tarski - 5.2. Teorema di indecidibilità - 5.3. Teorema di Church - 5.4. Estensione ad altre teorie 6. Logica del secondo ordine 6.1. Linguaggi del secondo ordine - 6.2. Assiomi e regole della logica del secondo ordine - 6.3. Modelli per linguaggi del secondo ordine - 6.4. Isomorfismo di modelli - 6.5. Teorie del secondo ordine 7. Aritmetica di Peano del secondo ordine 7.1. La teoria PA 2 - 7.2. Teoremi di incompletezza di Gödel
164
per PA 2 - 7.3. Altri risultati limitativi per PA 2 - 7.4. Categoricità di PA 2 - 7.5. Relazione tra enumerabilità ricorsiva e aritmeticità - 7.6. Incompletezza forte della logica del secondo ordine - 7.7. Non aritmeticità delle conseguenze logiche di PA 2 - 7.8. Modelli deboli per i linguaggi del secondo ordine - 7.9. Modelli non standard di PA 2 Cos’altro leggere Bibliografia L’autore
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