ROBERT JORDAN LA RUOTA DEL TEMPO IL SENTIERO DEI PUGNALI (A Path Of Daggers, 1999) LIBRO OTTAVO
A Harriet, la mia luce...
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ROBERT JORDAN LA RUOTA DEL TEMPO IL SENTIERO DEI PUGNALI (A Path Of Daggers, 1999) LIBRO OTTAVO
A Harriet, la mia luce, la mia vita, il mio cuore, per sempre. Chi vuol banchettare con il potente deve inerpicarsi sul sentiero dei pugnali. Annotazione anonima trovata a margine di una cronistoria (forse risalente all'epoca di Artur Hawkwing) degli ultimi giorni del Conclave di Tovan Quando si sale in alto, tutti i sentieri sono lastricati di pugnali. Vecchio proverbio seanchan Prologo
Apparenze ingannevoli Ethenielle aveva visto montagne più basse di queste Colline Nere, il cui nome insincero nascondeva grandi cumuli di massi quasi sepolti, tra i quali si disegnavano ragnatele di sentieri ripidi e contorti. Molti di quei valichi avrebbero fermato persino una capra. Si poteva viaggiare per giorni attraverso boschi segnati dalla siccità e prati d'erba marrone senza incontrare alcun segno di abitazioni umane, per poi trovarsi all'improvviso circondati da sette o otto piccoli villaggi, tutti ignari di ciò che accadeva nel mondo. Le Colline Nere erano un posto duro abitato da contadini, lontano dalle vie mercantili, un posto diventato ormai ancor più aspro del solito. Uno scheletrico leopardo, che sarebbe dovuto scomparire alla vista di un uomo, se ne stava in cima a un pendio scosceso e osservava da meno di quaranta passi la donna che cavalcava insieme alla sua scorta di soldati in armatura. A ovest, gli avvoltoi volavano in cerchio disegnando nell'aria un cupo presagio. Nemmeno una nuvola oscurava il sole rosso sangue, eppure il cielo non era del tutto terso. Il vento caldo sollevava muraglie di polvere.
Scortata da cinquanta dei suoi uomini migliori, Ethenielle viaggiava senza preoccupazioni, e senza fretta. A differenza di Surasa, la sua antenata quasi leggendaria, lei non si illudeva che il clima avrebbe esaudito i suoi desideri solo perché sedeva sul Trono delle Nuvole. Riguardo alla fretta... Con scambi di lettere, messaggi astutamente cifrati e sorvegliati con cura, avevano concordato un ordine di marcia che teneva conto del loro bisogno di viaggiare senza attirare attenzione. Un compito niente affatto facile. Alcuni lo avevano creduto impossibile. Accigliata, Ethenielle rifletté sulla fortuna che le aveva permesso di arrivare così lontano senza dover uccidere nessuno, evitando villaggi che, pur essendo come escrementi di mosca sulle mappe, causavano una deviazione che allungava il cammino di intere giornate. I pochi stedding ogier non costituivano un problema. Gli Ogier avevano sempre prestato poca attenzione a quanto succedeva tra gli umani, e ormai se ne disinteressavano quasi del tutto, ma i villaggi... Erano troppo piccoli perché potessero esserci gli occhi e le orecchie della Torre Bianca, o di quell'individuo che dichiarava di essere il Drago Rinato - e forse lo era davvero; Ethenielle non sapeva decidere quale delle due ipotesi fosse la peggiore -, ma i venditori ambulanti passavano anche nei paesi più insignificanti. E trasportavano, insieme alle loro merci, un carico di pettegolezzi, parlavano con persone che a loro volta parlavano con altre persone, e voci e dicerie scorrevano come un fiume dalle mille diramazioni attraverso e oltre le Colline Nere. Con poche parole, un singolo pastore sfuggito alla sua attenzione poteva accendere un fuoco di segnalazione visibile a cinquecento leghe di distanza. Un fuoco di segnalazione che avrebbe incendiato boschi e pianure. E città, forse. Nazioni. «Ho preso la decisione giusta, Serailla?» Contrariata da sé stessa, Ethenielle fece una smorfia. Forse non era più una ragazza, ma evidentemente quei pochi capelli grigi non la rendevano abbastanza adulta da evitare di lasciare la lingua a briglie sciolte. La decisione era stata presa. Tuttavia, la questione le si era fissata nella mente. In realtà, lei non si sentiva così spensierata come avrebbe voluto, e la Luce sapeva quanto ciò era vero. La Prima Consigliera di Ethenielle guidò la sua giumenta grigia accanto all'elegante castrato nero della regina. Viso rotondo e placido e occhi pensosi, lady Serailla poteva essere scambiata per una contadina ficcata a forza negli abiti di una nobile, ma la mente che si celava dietro quei semplici lineamenti madidi di sudore era acuta quanto quella delle Aes Sedai. «Le alternative comportavano rischi solo diversi, non minori» disse con calma.
Robusta, eppure capace di sedere in sella con la stessa grazia che mostrava danzando, Serailla era sempre tranquilla. Non viscida o falsa, ma imperturbabile nel modo più assoluto. «Quale che sia la verità, a quanto pare la Torre Bianca è paralizzata oltre che divisa, maestà. Avresti potuto sederti a guardare la Macchia mentre il mondo cadeva a pezzi alle tue spalle. Avresti potuto, se fossi stata un'altra donna.» Il semplice bisogno di agire. Era questo il motivo per cui si era spinta laggiù? Be', se la Torre Bianca non voleva o poteva fare ciò che era necessario, allora questo compito toccava a qualcun altro. Che senso aveva fare la guardia contro la Macchia se poi il mondo cadeva a pezzi alle sue spalle? Ethenielle guardò l'uomo magro che cavalcava con lei, dall'altro lato, con le striature di bianco sulle tempie che gli davano un'aria altera, la Spada di Kirukan nel suo fodero decorato poggiata nella piega di un braccio. O almeno 'Spada di Kirukan' era il nome di quell'arma, ed era probabile che la mitica regina guerriera di Aramaelle l'avesse brandita. La lama era antica, e alcuni dicevano fosse stata costruita con l'uso del Potere. L'elsa a due mani era rivolta verso di lei, come esigeva la tradizione, ma Ethenielle non era propensa a usare la spada come erano soliti fare gli esagitati abitanti della Saldea. Una regina doveva ragionare, guidare e comandare, cose in cui nessuno poteva riuscire se al contempo era costretto a cercare di fare ciò che qualsiasi soldato del suo esercito avrebbe fatto assai meglio. «E tu, Portatore della Spada?» chiese. «Hai qualche rimorso dell'ultima ora?» Lord Baldhere si girò nella sua sella lavorata in oro per guardare gli stendardi portati dai cavalieri dietro di loro, avvolti in cuoio conciato e velluto ricamato. «Non mi piace nascondere chi sono, Maestà» disse sdegnoso, tornando a voltarsi in avanti. «Il mondo ci conoscerà ben presto, e saprà ciò che abbiamo fatto. O almeno ciò che abbiamo provato a fare. Moriremo o entreremo nella storia, o entrambe le cose, quindi tanto varrebbe lasciare dei nomi perché li scrivano.» La lingua di Baldhere poteva colpire come una frusta, e il nobile fingeva di essere interessato alla musica e ai propri abiti più che a ogni altra cosa - l'elegante giubba blu era la terza che indossava quel giorno - ma, come in Serailla, in lui l'apparenza era ingannevole. Il Portatore della Spada per il Trono delle Nuvole aveva delle responsabilità ben più pesanti di quella spada nel suo fodero tempestato di gioielli. Sin dalla morte del marito di Ethenielle, circa venti anni addietro, Baldhere comandava sul campo gli eserciti di Kandor per lei, e i soldati lo avrebbero quasi tutti seguito fino a Shayol Ghul. Era considerato un gran-
de condottiero, ma sapeva quando combattere e quando no, ed era un vincente. «Il luogo dell'incontro deve essere poco più avanti» disse all'improvviso Serailla, nello stesso momento in cui Ethenielle vide l'esploratore mandato avanti da Baldhere, un uomo scaltro di nome Lomas che portava una testa di volpe sull'elmo. L'uomo si era fermato nel punto più alto del valico che li attendeva. Con la lancia di traverso, eseguì il cenno del braccio per indicare 'punto di ritrovo in vista'. Baldhere fece girare il suo castrato dal torace possente e urlò alla scorta l'ordine di fermarsi - sapeva anche urlare, quando voleva. Poi spronò il baio per raggiungere Serailla e la regina. L'incontro si sarebbe svolto con degli alleati di vecchia data, ma quando passarono accanto a Lomas, Baldhere rivolse all'uomo dal volto scarno un brusco ordine: «Osserva e riferisci.» Se qualcosa fosse andata storta, Lomas avrebbe fatto segno alla scorta di avanzare e portare in salvo la regina. Ethenielle emise un debole sospiro quando Serailla annuì la propria approvazione per quel comando. Alleati di vecchia data, eppure in quei tempi i sospetti si accumulavano come mosche su un mucchio di letame. E quello che stavano per fare avrebbe rimestato il mucchio facendo alzare in volo tutte le mosche. Troppi regnanti al Sud erano morti o svaniti negli ultimi anni perché lei potesse sentirsi a suo agio con la corona in testa. Troppe terre erano state devastate come se ci fosse passata un'orda di Trolloc. Chiunque fosse, questo al'Thor aveva molto di cui rispondere. Molto. Superato Lomas, il passo si apriva in una conca poco profonda e troppo piccola per meritare il nome di valle, con alberi troppo radi per poterla chiamare boschetto. Le ericacee, gli abeti blu e i pini mostravano un po' di verde, insieme a qualche quercia, ma gli altri alberi erano tutti coperti di foglie marroni, quando non avevano i rami spogli. A sud, comunque, c'era ciò che rendeva quel luogo un ottimo scenario per l'incontro. Un pinnacolo slanciato, come una colonna di merletto dorato e lucente, messo di sbieco e in parte sepolto nella nuda collina, eppure proteso per più di settanta passi al di sopra delle cime degli alberi. Tutti i bambini delle Colline Nere grandi abbastanza da potersi allontanare dalle gonne delle madri conoscevano quel pilastro, ma li intorno non c'erano villaggi a meno di quattro giorni di viaggio, e nessuno si sarebbe avvicinato a meno di quindici chilometri. Le storie che si raccontavano su quel luogo parlavano di folli visioni, morti che camminavano e la fine eterna per chiunque toccasse la colonna. Ethenielle non si considerava una donna impressionabile, eppure si sco-
prì a rabbrividire. Nianh le aveva detto che quella spira risaliva all'Epoca Leggendaria, ed era innocua. Con un po' di fortuna, l'Aes Sedai non aveva motivo di ricordarsi di quella loro vecchia conversazione. In ogni caso, era un peccato che davvero non fosse possibile far resuscitare i morti, in quel luogo. Secondo la leggenda, Kirukan aveva decapitato un falso Drago a mani nude, e generato due figli con un altro uomo in grado di incanalare. O forse si trattava di quello stesso falso Drago. Di sicuro quella donna avrebbe saputo come perseguire i loro obiettivi e restare in vita. Come previsto, i primi due tra coloro che Ethenielle era venuta a incontrare erano lì in attesa, con quattro accompagnatori, due per lato. Paitar Nachiman aveva più rughe in viso rispetto all'uomo dalla sconvolgente bellezza che lei aveva ammirato da ragazzina, e gli restavano anche assai meno capelli, la maggior parte dei quali grigi. Per fortuna aveva smesso di seguire la moda dell'Arafel, rinunciando alle trecce, a favore di un taglio più corto. Ma sedeva ancora dritto in sella, e non aveva bisogno di spalline per tendere la seta ricamata della giubba; Ethenielle era inoltre sicura che l'uomo sapesse ancora maneggiare la spada che portava in vita con forza e abilità. Easar Togita, il volto squadrato e il capo rasato a eccezione di un codino bianco sulla sommità, era un po' più basso del re dell'Arafel, e più magro, eppure al suo cospetto Paitar sembrava quasi delicato. Easar, Shienarese, non aveva un'espressione dura - casomai, i suoi occhi sembravano avere un'aria di permanente tristezza - ma pareva fatto dello stesso materiale della lunga spada che portava dietro la schiena. Ethenielle si fidava di entrambi, e sperava che i legami di parentela dessero ulteriore stabilità a quella fiducia. Da sempre le alleanze stipulate tramite matrimoni tenevano insieme le Marche di Confine almeno quanto lo faceva la guerra contro la Macchia, e lei aveva una figlia sposata col terzogenito di Easar, e un figlio sposato con la nipote preferita di Paitar, nonché un fratello e due sorelle che avevano trovato i rispettivi consorti tra le casate dei due uomini che in quel momento erano di fronte a lei. I quattro accompagnatori erano tra loro diversi quanto lo erano i loro sovrani. Come sempre, Ishigari Terasian sembrava appena emerso dai postumi di un banchetto particolarmente alcolico, l'uomo più grasso che lei avesse mai visto in sella a un cavallo, con l'elegante giubba rossa tutta spiegazzata, gli occhi arrossati, la barba mal rasata. Kyrii Shianri era l'esatto opposto, alto e magro, elegante quasi quanto Baldhere nonostante il sudore e la polvere sul viso, con campanelline d'argento sui risvolti degli stivali, sui guanti e nelle trecce; aveva la solita espressione insoddisfatta, e un
modo tutto suo di guardare con freddezza dall'alto del suo naso sporgente tutti tranne Paitar. Per molti versi, Shianri era davvero un idiota - i re dell'Arafel non davano quasi mai retta ai loro consiglieri, affidandosi piuttosto alle regine - ma in lui c'era qualcosa che andava al di là delle apparenze. Agelmar Jagad sembrava una versione più grossa dello stesso Easar, vestito con abiti semplici e fatto di roccia e acciaio, con più armi appese addosso di quante ne portava Baldhere, una promessa di morte istantanea pronta ad avverarsi, mentre Alesune Chulin era magra laddove Serailla era robusta, graziosa dove l'altra era ordinaria, e ardente quanto Serailla pareva serena. Alesune sembrava nata per indossare quelle eleganti gonne azzurre. Ma era bene ricordarsi che anche giudicare Serailla dalle apparenza era un grave errore. «La Pace e la Luce ti favoriscano, Ethenielle di Kandor» la salutò con voce roca Easar quando lei fermò il cavallo davanti a loro, e nello stesso tempo Paitar intonò: «La Luce ti abbracci, Ethenielle di Kandor.» Aveva ancora una voce in grado di far accelerare il cuore di una donna. E una moglie che sapeva di averlo solo per sé, da capo a piedi; Ethenielle dubitava che Menuki avesse mai vissuto un istante di gelosia, o che avesse mai avuto motivi per provarne. Anche lei limitò all'essenziale i saluti, esordendo con: «Spero che siate arrivati fin qui senza che nessuno vi notasse.» Easar sbuffò e si spinse indietro sulla sella, guardandola con espressione cupa. Un uomo duro, ma ancora in lutto per la morte di sua moglie, undici anni addietro. Le apparenze erano sempre ingannevoli. «Se ci hanno visti, Ethenielle,» borbottò lo Shienarese «tanto vale andar via subito.» «Parli già di andar via?» Con il tono della voce e uno scatto delle redini decorate, Shianri riuscì a mischiare al disprezzo una quantità di educazione appena sufficiente a non trasformare quella domanda in una sfida. Ciò nonostante, Agelmar lo studiò con freddezza, spostandosi appena sulla sella, come a voler ricordare a sé stesso la posizione di ogni sua singola arma. Vecchi alleati di tante battaglie nella Macchia, ma presi dal vortice di quei nuovi sospetti. Alesune fece danzare la sua cavalcatura, una giumenta grigia alta quanto un cavallo da guerra. Le sottili striature bianche nei suoi capelli parvero all'improvviso le creste di un elmo, e guardandola negli occhi era facile dimenticare che le donne dello Shienar non venivano addestrate all'uso delle armi né si battevano in duello. Il suo titolo era semplicemente 'shatayan della fortezza reale', ma chiunque credeva che i compiti di una shata-
yan fossero limitati al comandare cuochi, sguatteri e fornitori si sbagliava di grosso. «L'avventatezza non è sinonimo di coraggio, lord Shianri. Abbiamo lasciato la Macchia praticamente senza sentinelle, e se falliamo, o forse addirittura anche se abbiamo successo, alcuni di noi potrebbero finire con la testa su una picca. Magari tutti noi. Potrebbe occuparsene la Torre Bianca, se prima non ci pensa questo al'Thor.» «La Macchia sembra quasi addormentata» mormorò Terasian, grattandosi le folte basette e carezzandosi il mento flaccido. «Non l'ho mai vista così tranquilla.» «L'Ombra non dorme mai» intervenne a voce bassa Jagad, e Terasian annuì come a dire che, certo, anche quello era un fatto da tenere in considerazione. Agelmar era il miglior generale tra tutti loro, forse il migliore in assoluto, ma Terasian non si era guadagnato il suo posto alla destra di Paitar solo perché era un buon compagno di bevute. «Gli uomini che mi sono lasciata dietro possono facilmente controllare la Macchia, a meno che non ricomincino le Guerre Trolloc» disse Ethenielle con fermezza. «E sono sicura che voi avete fatto altrettanto. In ogni caso, questo non ha alcuna importanza. Qualcuno di voi crede davvero che a questo punto potremmo tornare indietro?» Aveva posto la domanda in tono ironico, non si aspettava una risposta, eppure ne ottenne una. «Tornare indietro?» ripeté una giovane voce femminile alle sue spalle. Tenobia della Saldea arrivò al galoppo nella radura, tirando poi le redini del suo castrone bianco in modo da farlo impennare con gran teatralità. Spesse linee di perle correvano lungo le maniche color grigio scuro del suo abito da cavallerizza con la gonna stretta, e i ricami rossi e dorati vorticavano a sottolineare la vita sottile e il seno generoso. Alta per essere una donna, riusciva a essere graziosa se non proprio bella nonostante un naso che solo con un eufemismo poteva definirsi importante. I grandi occhi oblunghi con il loro profondo colore azzurro di sicuro la aiutavano, ma un ruolo altrettanto importante lo giocava anche una sicurezza di sé così forte da sembrare una luce interiore. Come c'era da aspettarsi, la regina della Saldea era accompagnata solo da Kalyan Ramsin, uno dei suoi tanti zii, un uomo pieno di cicatrici e coi capelli grigi, il volto di un'aquila e i folti baffi che scendevano ai lati della bocca. Tenobia Kazadi accettava di ricevere consigli solo dai veri soldati. «Io non tornerò indietro,» proseguì con ardore «qualsiasi cosa facciate voialtri. Ho assegnato al mio caro zio Davram il compito di portarmi la testa del falso Drago, Mazrim Taim, e ora lui e Taim seguono insieme questo al'Thor, se devo credere a metà delle storie
che ho sentito. Ho quasi cinquantamila uomini con me e, non importa cosa voi deciderete, io non tornerò indietro finché al'Thor e mio zio non avranno capito bene chi comanda la Saldea.» Ethenielle scambiò delle occhiate con Serailla e Baldhere mentre Paitar ed Easar dicevano a Tenobia che anche loro avevano intenzione di andare avanti. Serailla scosse appena il capo, e si strinse brevemente nelle spalle. Baldhere ruotò gli occhi in modo ben più evidente. Ethenielle non era addirittura arrivata a sperare che Tenobia alla fine decidesse di non unirsi a loro, ma di sicuro quella ragazza poteva causare dei problemi. Gli abitanti della Saldea erano strani - spesso Ethenielle si chiedeva come sua sorella Einone riuscisse a stare bene avendo per marito un altro dei numerosi zii di Tenobia - ma la loro regina portava all'estremo la loro stranezza. Da un Saldeano era ovvio aspettarsi un minimo di esibizionismo, ma Tenobia godeva nello stupire persino i Domanesi e nel far sembrare noiosi gli abitanti dell'Altara. Il caratteraccio assai diffuso in Saldea era leggendario, ma quello di Tenobia era un incendio incontrollato col vento a favore, e non si capiva mai quale fosse la scintilla che l'aveva fatto esplodere. Ethenielle non voleva neppure pensare a quanto era difficile far ragionare quella ragazza quando lei non era disposta ad ascoltare; solo Davram Bashere era riuscito in quel duro compito. E poi c'era la questione del matrimonio. Tenobia era ancora giovane, ma aveva da tempo raggiunto e superato l'età per sposarsi - il matrimonio era un dovere per tutti i membri di una casata regnante, e ancor di più per la sovrana in persona: bisognava stabilire alleanze e fornire un erede al trono - eppure Ethenielle non l'aveva mai presa in considerazione per qualcuno dei suoi figli. I requisiti che la regina della Saldea pretendeva in suo marito erano coerenti con il resto della sua personalità. Doveva essere in grado di affrontare e sconfiggere una decina di Myrddraal da solo. Magari mentre suonava l'arpa e componeva un poema. Doveva essere capace di sbaragliare in dialettica qualsiasi studioso anche scendendo al galoppo un ripido pendio. O magari risalendolo. E ovviamente doveva riverirla - dopo tutto, lei era la regina - anche se di tanto in tanto Tenobia si aspettava che ignorasse qualsiasi suo ordine e se la mettesse in spalla. Quella ragazza voleva davvero che lo facesse! E la Luce aiutasse il malcapitato che sceglieva di ignorarla quando lei pretendeva deferenza o il contrario. Tenobia non aveva mai dichiarato questi suoi desideri per filo e per segno, ma qualsiasi donna con un po' di sale in zucca che l'avesse sentita parlare di uomini ci avrebbe messo poco a capirlo. Tenobia sarebbe
morta zitella. E questo significava che le sarebbe succeduto suo zio Davram, se lei lo lasciava in vita dopo quel tradimento, o l'erede di Davram. Una parola giunse alle orecchie di Ethenielle, facendola sobbalzare sulla sella. Doveva prestare più attenzione, la posta in gioco era troppo alta. «Aes Sedai?» chiese aspramente. «Che c'entrano le Aes Sedai?» A parte Paitar, tutti loro erano stati abbandonati dalle Aes Sedai che avevano come consigliere quando si era diffusa la notizia di problemi nella Torre, e Nianh e Aisling avevano abbandonato rispettivamente lei ed Easar senza lasciare tracce. Se le Aes Sedai avevano colto anche solo un accenno dei loro piani... Be', quelle donne erano sempre impegnate nei loro personali complotti. Sempre. Non le sarebbe affatto piaciuto scoprire di aver messo le mani in due vespai, e non in uno solo. Paitar si strinse nelle spalle, sembrava un po' imbarazzato. E non era cosa da poco, in lui: come Serailla, non si agitava quasi per nulla. «Di sicuro non ti aspettavi che lasciassi Coladara a casa, Ethenielle,» disse in toni concilianti «anche se fossi riuscito a tenerla all'oscuro dei preparativi.» No, non se l'era aspettato: la sorella prediletta di Paitar era un'Aes Sedai, e Kiruna gli aveva trasmesso un profondo attaccamento per la Torre. Ethenielle non se l'era aspettato, ma augurato sì. «Coladara ha avuto visite» proseguì lui. «Sette di loro. Portarmele dietro mi è parso prudente, date le circostanze. Per fortuna non è stata necessaria una grande opera di persuasione. In verità, non ho dovuto neppure provare a convincerle.» «Che la Luce illumini e protegga le nostre anime» sospirò Ethenielle, e sentì qualcosa di molto simile pronunciato da Serailla e Baldhere. «Otto sorelle, Paitar? Otto?» Di sicuro la Torre era ormai al corrente di qualsiasi loro possibile mossa. «E con me ce ne sono altre cinque» aggiunse Tenobia come se stesse annunciando di aver comprato un nuovo paio di scarpine. «Mi hanno trovato non appena ho varcato il confine della Saldea. Per caso, ne sono sicura: mi sono sembrate sorprese quanto me. Quando hanno capito quali erano le mie intenzioni - ancora non so come hanno fatto, ma ci sono riuscite - ero sicura che sarebbero andate di corsa da Memara.» Per un attimo, le sopracciglia le si aggrottarono in un'espressione torva. Elaida aveva fatto davvero male i suoi calcoli quando aveva pensato di inviare una sorella nel tentativo di spaventare Tenobia. «E invece,» terminò lei «Illeisien e le altre volevano mantenere il segreto almeno quanto me.» «Ciò nonostante,» insisté Ethenielle «ci sono tredici sorelle. Basta che una di loro trovi il modo per mandare un messaggio. Poche righe. Magari
convincendo con la forza un soldato o una cameriera. Qualcuno di voi si illude di poterle fermare?» «I dadi sono stati lanciati, ormai» si limitò a dire Paitar. Ciò che è fatto è fatto... Gli abitanti dell'Arafel erano alla stregua dei Saldeani, secondo il metro di giudizio di Ethenielle. «Quando saremo più a sud,» aggiunse Easar «forse saremo contenti di avere tredici Aes Sedai con noi.» Quella frase portò il silenzio, e le implicazioni rimasero sospese nell'aria. Nessuno se la sentiva di esprimerle a voce. Era qualcosa di ben diverso dalla guerra contro la Macchia. Tenobia esplose in un'improvvisa, sorprendente risata. Il suo castrone provò a scalpitare, ma lei lo tenne fermo. «Ho intenzione di spingermi a sud il più in fretta possibile, ma vi invito tutti a cenare nel mio campo stanotte. Potrete parlare con Illeisien e le sue amiche, per stabilire se il mio parere è condivisibile o meno. Magari domani notte possiamo incontrarci tutti nel campo di Paitar e fare qualche domanda anche alle amiche della sua Coladara.» La proposta era così sensata, così palesemente opportuna, che tutti accettarono all'istante. E, come se le fosse venuto in mente solo allora, Tenobia aggiunse: «Mio zio Kalyan sarebbe onorato se stanotte gli permettessi di sedere accanto a te, Ethenielle. Ti ammira molto.» Ethenielle lanciò un'occhiata a Kalyan Ramsin - questi aveva fermato il proprio cavallo dietro Tenobia e non aveva detto nulla, sembrava che a malapena respirasse. Gli lanciò solo un'occhiata, e per un istante quell'aquila ingrigita socchiuse gli occhi. In quel momento lei vide qualcosa che non aveva più visto dalla morte del suo Brys, vide un uomo che non guardava una regina ma una donna. La sorpresa fu come un colpo che le tolse il respiro. Lo sguardo di Tenobia saettò da suo zio a Ethenielle, un lieve sorriso di soddisfazione dipinto in volto. Ethenielle si sentì oltraggiata. Se non fossero bastati gli occhi di Kalyan, quel sorriso rendeva gli intenti della donna chiari come acqua di sorgente. La sfacciata Saldeana voleva far sposare quell'uomo con lei? Quella ragazzina presumeva che... All'improvviso, il senso di colpa prese il posto della rabbia. Lei stessa era ancor più giovane quando aveva arrangiato il secondo matrimonio di sua sorella Nazelle. Per il bene della nazione, eppure alla fine Nazelle aveva preso ad amare lord Ismic nonostante tutte le proteste iniziali. Ethenielle pianificava i matrimoni altrui da così tanto tempo che non aveva mai pensato di poter essere considerata un ottimo 'partito'. Guardò di nuovo Kalyan, più a lungo. Il volto coriaceo era di nuovo una maschera di rispetto, eppure lei aveva ancora in mente gli occhi che aveva
visto poco prima. Il suo nuovo sposo doveva essere un uomo forte, ma Ethenielle aveva sempre preteso una possibilità d'amore per i matrimoni dei suoi figli, e spesso anche per quelli di fratelli e sorelle, e non avrebbe chiesto di meno per sé stessa. «Invece di sprecare in chiacchiere la luce del giorno,» disse allora, col fiato più corto di quanto avrebbe voluto «occupiamoci di ciò per cui siamo venuti qui.» Che la Luce mi fulmini, pensò, sono una donna adulta, non una ragazzina che incontra per la prima volta il suo corteggiatore. «Allora?» chiese, e questa volta la sua voce fu debitamente ferma. Fino a quel momento avevano preso ogni accordo tramite lettere accorte e studiate, e sapevano che avrebbero dovuto modificare i piani adeguandoli alle circostanze reali man mano che si spostavano verso sud. Quell'incontro aveva un unico scopo reale, una semplice e antica cerimonia delle Marche di Confine che, secondo le testimonianze storiche, si era ripetuta solo sette volte dai tempi della Frattura. Una semplice cerimonia che li avrebbe legati al di là di qualsiasi impegno espresso a parole, per quanto solenni. I sovrani si avvicinarono uno all'altro, ancora a cavallo, e i loro accompagnatori si fecero da parte. Ethenielle sibilò quando, col coltello che portava alla cintura, fece un taglio nel proprio palmo sinistro. Tenobia rise nel fare altrettanto. Paitar ed Easar mostrarono la stessa, tiepida reazione di chi si toglie delle schegge da una mano. Quattro mani si protesero per incontrarsi, si strinsero, il sangue si mischiò gocciolando a terra, imbevendo il terreno pietroso. «Uniti, fino alla morte» disse Easar, e gli altri gli fecero eco. «Uniti, fino alla morte.» Erano legati, dal sangue e dalla terra. Ora dovevano trovare Rand al'Thor. E fare ciò che era necessario. A ogni costo. *
*
*
Quando fu sicura che Turanna poteva drizzarsi a sedere sul cuscino senza bisogno d'aiuto, Verin si alzò e lasciò da sola la derelitta sorella Bianca, che sorseggiò dell'acqua. O meglio, provò a farlo. I denti di Turanna battevano contro la tazza d'argento, cosa niente affatto sorprendente. L'ingresso della tenda era basso, e Verin dovette accovacciarsi per mettere fuori la testa. La stanchezza le trivellò la schiena quando si piegò. Ma non aveva affatto paura della donna che tremava dietro di lei, avvolta in una tunica nera di lana grezza. Verin l'aveva schermata, e dubitava che Turanna avesse abbastanza forza nelle gambe in quel momento da provare a saltarle addosso,
se anche le fosse venuta in mente un'idea così improbabile. Le Bianche non ragionavano in questo modo. In verità, date le sue condizioni, era difficile che Turanna riuscisse a incanalare anche un rivolo di Potere per diverse ore ancora, con o senza schermo. Il campo degli Aiel si stendeva sulle colline dietro le quali era nascosta Cairhien, tende basse e dal colore della terra che riempivano lo spazio tra i pochi alberi lasciati in piedi così vicino alla città. Diafane nuvole di polvere erano sospese nell'aria, ma gli Aiel non parevano infastiditi né dalla polvere, né dal caldo né dallo sguardo cocente del sole furioso. Il campo era pieno di attività e impegno, simile in questo a qualsiasi città. Verin vedeva uomini che scuoiavano la selvaggina, affilavano i coltelli e preparavano i morbidi stivali tipici degli Aiel, donne che cucinavano sui fuochi da campo, stavano ai forni, lavoravano a dei piccoli telai, badavano ad alcuni dei pochi bambini presenti nell'accampamento. I gai'shain vestiti di bianco correvano in ogni direzione, trasportavano pacchi, battevano i tappeti o si occupavano di muli e cavalli da soma. Nessun negozio, nessun venditore ambulante. Né carri e calessi, ovviamente. Una città? Piuttosto erano migliaia di villaggi raccolti nello stesso posto, anche se c'erano molti più uomini che donne e, tranne i fabbri che facevano risuonare le loro incudini, quasi tutti quelli non vestiti di bianco portavano le armi. Anche molte donne erano armate. I numeri erano di sicuro quelli di una grande città, più che sufficienti a racchiudere un piccolo gruppo di Aes Sedai prigioniere, eppure Verin vide una donna con una veste nera che arrancava per strada a meno di cinquanta passi da lei, sforzandosi di trascinarsi dietro una pila di rocce alta fino alla vita e sistemata su una pelle di mucca. Il cappuccio celava il volto della donna, ma nell'accampamento solo le sorelle catturate portavano quegli abiti neri. Una Sapiente passeggiava accanto alla pelle di mucca, illuminata dal Potere che usava per schermare la prigioniera, scortata da due Fanciulle che la frustavano con dei bastoni flessibili a ogni esitazione. Verin si chiese se quella processione era inscenata proprio a suo beneficio. Quella stessa mattina aveva visto Coiren Saeldain che, con gli occhi sgranati e il viso coperto di sudore, risaliva a fatica un pendio con la schiena curva sotto un cesto pieno di sabbia, accompagnata da una Sapiente e due Aiel. Il giorno addietro era toccato a Sarene Nemdahl: Le avevano ordinato di trasferire l'acqua da un secchio di pelle a un altro usando solo le mani, frustandola perché andasse più veloce e poi frustandola ancora per ogni goccia versata a causa delle frustate di prima. Sarene aveva approfittato di un
momento di distrazione per chiedere a Verin il motivo di tutto ciò, anche se non era sembrato che si aspettasse una risposta. E di sicuro lei non era riuscita a dargliene una prima che le Fanciulle la facessero tornare a quell'inutile compito. Verin trattenne un sospiro. Innanzitutto, non le sarebbe mai piaciuto vedere delle sorelle trattate a quel modo, quale che fosse lo scopo o il motivo, e poi era ovvio che quasi tutte le Sapienti volevano... Cosa? Volevano farle sapere che essere un'Aes Sedai lì non voleva dire nulla? Ridicolo. L'avevano già chiarito fin troppo bene alcuni giorni prima. Volevano forse dirle che anche a lei poteva toccare la veste nera? Per il momento Verin credeva di essere al sicuro da quell'evenienza, ma le Sapienti avevano ancora un gran numero di segreti che lei non era riuscita a scoprire; uno tra questi, e nemmeno il più importante, era il funzionamento della loro gerarchia. Di sicuro non era il più importante, eppure poteva costare la vita o almeno una manciata di frustate. Una donna poteva dare ordini a un'altra ma anche essere comandata da quest'ultima, e i ruoli potevano invertirsi più volte, il tutto senza uno schema o un motivo che Verin riuscisse a vedere. Tuttavia, nessuno comandava Sorilea, e questa forse era la chiave della salvezza. Per certi versi. Verin non poté reprimere un moto di soddisfazione. All'alba, nel Palazzo del Sole, Sorilea aveva voluto sapere quale fosse il massimo disonore per un abitante delle terre bagnate. Kiruna e le altre sorelle non avevano capito: non facevano nessuno sforzo concreto per rendersi conto della realtà che le circondava, forse per paura di ciò che potevano apprendere, per paura delle tensioni che la conoscenza avrebbe esercitato sui loro giuramenti. Si sforzavano di trovare delle giustificazioni per il sentiero sul quale le aveva messe il destino, ma Verin aveva già dei motivi per la via che seguiva e per gli scopi che la motivavano. E aveva anche un preciso elenco nella borsa attaccata alla cintura, pronta a consegnarlo a Sorilea quando si fossero trovate da sole. Non c'era bisogno che altri sapessero. Non aveva mai conosciuto alcune delle prigioniere, ma credeva che quel suo elenco riassumesse le debolezze di gran parte di quelle donne, ed era questo che Sorilea stava cercando. La vita si sarebbe fatta ancor più dura per quelle con la veste nera. E, con un po' di fortuna, il compito di Verin ne avrebbe tratto un gran giovamento. Due grossi Aiel, entrambi con le spalle larghe quanto un manico d'ascia, sedevano fuori dalla tenda e sembravano assorti in un gioco che consisteva nel formare figure sempre più complesse con degli elastici intorno alle di-
ta, ma si erano girati subito quando lei si era affacciata oltre i lembi dell'ingresso. Coram si era alzato come un serpente che svolgeva le sue spire, e Mendan aspettava, pronto a riporre l'elastico della loro partita. Se Verin si fosse messa in piedi, non sarebbe arrivata neppure al petto di quei due uomini. Ovviamente, però, era in grado di metterli entrambi a testa in giù e sculacciarli. Se ne avesse avuto il coraggio. Di tanto in tanto, aveva avuto la tentazione di farlo. Erano le sue guide, la proteggevano da eventuali incomprensioni nell'accampamento. E senza dubbio facevano rapporto su ogni sua parola o azione. Per certi versi, Verin avrebbe preferito che ci fosse Tomas al posto loro. Ma d'altra parte conservare un segreto col proprio Custode era molto più difficile che con degli estranei. «Per favore, di' a Colinda che con Turanna Norill ho finito,» disse a Coram «e chiedile di mandarmi Katerine Alruddin.» Voleva vedersela prima con le sorelle che non avevano Custodi. L'Aiel annuì prima di andar via, senza parlare. Quel popolo non era un granché quanto a maniere civili. Mendan si accovacciò di nuovo, osservandola con occhi di un azzurro sorprendente. Uno dei due rimaneva sempre con lei, qualsiasi cosa Verin dicesse. Mendan aveva una striscia di tessuto rosso legata introno alla fronte e segnata con l'antico simbolo delle Aes Sedai. Come gli altri uomini che la portavano, e come le Fanciulle, sembrava non aspettare altro che lei facesse un errore. Be', non erano i primi a controllarla a quel modo, né tanto meno i più pericolosi. Erano passati settantun anni dall'ultimo vero errore di Verin. L'Aes Sedai sorrise a Mendan in modo volutamente vago e cominciò ad arretrare di nuovo nella tenda, quando all'improvviso qualcosa colse il suo sguardo e la catturò come stringendola in una morsa. Se l'alto Aiel avesse provato a tagliarle la gola in quello stesso momento, non se ne sarebbe neppure accorta. Poco lontano dalla sua tenda, dove lei se ne stava ancora piegata in avanti, nove o dieci donne erano inginocchiate in fila e facevano ruotare le macine sopra delle pietre piatte, una scena tipica di qualsiasi fattoria isolata. Altre donne portavano il grano in dei cesti e raccoglievano la farina grezza. Le donne in ginocchio avevano gonne nere e bluse chiare, con fasce di tessuto ripiegato a tenere indietro i capelli. Una, notevolmente più bassa delle altre e la sola i cui capelli non arrivavano fino alla vita, non aveva bracciali né collane. Alzò il capo, e il risentimento sul suo volto arrossato dal sole si fece più acuto quando incontrò lo sguardo di Verin. Solo per un istante, però, prima che la donna tornasse in tutta fretta al suo com-
pito. Verin rientrò di scatto nella tenda, con lo stomaco in subbuglio. Irgain apparteneva all'Ajah Verde. O meglio, era appartenuta, prima che Rand al'Thor la quietasse. Essere schermata dalla fonte rendeva più debole e indistinto il legame col Custode, ma una volta quietata quel legame veniva reciso come se la donna o l'uomo in questione fossero morti. E in effetti uno dei due Custodi di Irgain era davvero morto per il contraccolpo, mentre l'altro si era lasciato uccidere combattendo contro un migliaio di Aiel senza neppure tentare la fuga. Con ogni probabilità, anche Irgain desiderava morire. Quietata. Verin si schiacciò le mani sul ventre. Si ripromise di non vomitare. Aveva visto di peggio che una donna quietata. Ben di peggio. «Non c'è speranza, vero?» mormorò Turanna con voce impastata. Piangeva in silenzio, fissando la coppa d'argento che teneva tra mani tremanti come se dentro ci vedesse qualcosa di lontano e terribile. «Nessuna speranza.» «Un modo c'è sempre, basta cercare» rispose Verin, battendole una mano distratta sulla schiena. «Devi sempre cercare.» I suoi pensieri correvano veloci, e nessuno riguardava Turanna. Il fatto che Irgain fosse stata quietata le faceva rivoltare lo stomaco, la Luce sapeva quanto era vero. Ma perché mai quella donna doveva macinare il grano? E vestita come una Aiel, poi! Possibile che le fosse stato assegnato quel lavoro proprio perché Verin potesse vederla? Una domanda stupida; anche con un ta'veren come Rand lontano solo pochi chilometri, c'era un limite al numero di coincidenze che poteva accettare. Che avesse fatto male i suoi calcoli? Nel peggiore dei casi, non poteva trattarsi di un grosso errore. Solo che talvolta i piccoli errori si rivelavano fatali almeno quanto quelli grandi. Quanto a lungo avrebbe resistito Verin se Sorilea avesse deciso di spezzarla? Poco, fastidiosamente poco, sospettava. Per certi versi, Sorilea era la persona più dura che avesse mai conosciuto. E lei non avrebbe potuto dire o fare nulla per fermarla. Quella però era una preoccupazione da lasciare a un altro giorno. Non aveva senso fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Inginocchiandosi anche lei, Verin si impegnò un po' di più a consolare Turanna, ma non più di tanto. Parole di conforto che suonavano vuote alle sue orecchie come a quelle dell'altra, a giudicare dall'espressione vacua nei suoi occhi. Nulla avrebbe potuto modificare le condizioni di Turanna tranne Turanna stessa, e la spinta doveva venire dall'interno. La sorella Bianca
si limitò a piangere più forte, senza emettere alcun suono mentre le spalle tremavano e il volto si rigava di lacrime. L'ingresso di due Sapienti e un paio di giovani aiel che non potevano stare in piedi all'interno della tenda fu per certi versi un sollievo. Per Verin, quanto meno. Lei si alzò e fece un elegante riverenza, ma nessuno dei nuovi arrivati le mostrò il minimo interesse. Daviena aveva occhi verdi e capelli tra il biondo e il rosso, Losaine invece aveva gli occhi grigi e i capelli neri che mostravano qualche sfumatura di rosso solo sotto il sole; entrambe erano molto più alte di Verin ed entrambe avevano la cupa espressione di chi si è visto assegnare un compito che avrebbe preferito passare a qualcun altro. Nessuna delle due poteva incanalare con forza sufficiente da poter gestire Turanna, ma si legarono una all'altra come se per tutta la vita non avessero fatto altro che comporre dei circoli, e la luce di saidar intorno a una si fuse con quella dell'altra malgrado fossero fisicamente distanti. Verin si costrinse a sorridere per evitare di accigliarsi. E questo dove l'avevano imparato? Avrebbe scommesso di tutto che appena qualche giorno addietro non lo sapevano fare. Tutto procedette rapidamente, e senza problemi. Quando i due uomini, accovacciandosi, presero Turanna tenendola per le braccia, lei lasciò cadere la coppa d'argento. Vuota, per sua fortuna. Turanna non oppose resistenza - e anche questo fu un bene, visto che uno qualsiasi di quegli Aiel poteva tranquillamente portarla fuori sotto un braccio come fosse un sacco di grano - ma la sua bocca rimase aperta a emettere un lamento senza fine. Gli Aiel non le prestarono attenzione. Daviena, concentrando la potenza di quel circolo composto da due elementi, assunse il controllo dello schermo, e Verin lasciò il contatto con la Fonte. Nessuna di quelle due donne si sarebbe mai fidata di vederla abbracciare saidar senza saperne il motivo, nonostante i giuramenti da lei prestati. Nessuna delle due parve farci caso, ma di sicuro la situazione sarebbe cambiata se lei non avesse lasciato andare saidar. Gli uomini trascinarono via Turanna, i piedi scalzi strusciarono sugli strati di tappeti che coprivano il pavimento della tenda, e le Sapienti li seguirono all'esterno. Tutto qua. Quello che si poteva fare con Turanna era stato fatto. Lasciando andare un lungo respiro, Verin sprofondò su uno dei cuscini dai colori accesi con i fiocchi lungo i bordi. Sui tappeti accanto a lei era poggiato un bel vassoio fatto di corde dorate. Dopo aver riempito dalla brocca di peltro una delle coppe d'argento scompagnate, Verin prese una lunga sorsata. Le faceva venir sete quel lavoro, e la stancava. Restavano
ancora alcune ore di luce solare, eppure lei si sentiva come se avesse portato un cesto pesante per una ventina di chilometri. Risalendo diverse colline. La coppa tornò sul vassoio, e lei estrasse il piccolo taccuino rilegato in pelle che portava dietro la cintura. Ci voleva sempre un po' di tempo perché le portassero le donne che chiedeva di vedere. Un po' di tempo per consultare gli appunti - e per prenderne altri - non sarebbe andato sprecato. Non c'era motivo di prendere appunti sulle prigioniere, ma l'improvvisa comparsa di Cadsuane Melaidhrin, tre giorni addietro, le dava da pensare. Quali erano gli scopi di quella donna? Le sue compagne non erano degne di nota, ma Cadsuane stessa era una leggenda, e anche solo le parti credibili del suo mito la rendevano estremamente pericolosa. Pericolosa e imprevedibile. Verin prese una penna dal minuto scrittoio di legno che aveva sempre con sé, si sporse verso la bottiglia d'inchiostro nel suo apposito contenitore. E un'altra Sapiente entrò nella tenda. Verin si mise goffamente in piedi così in fretta che lasciò cadere il taccuino. Aeron era del tutto incapace di incanalare, eppure le riverenze che lei rivolse a quella donna dai capelli ingrigiti furono molto più formali di quelle tributate a Daviena e Losaine. Giunta alla fine del profondo inchino, lasciò le gonne per protendersi verso il taccuino, ma le dita di Aeron ci arrivarono prima. Verin si raddrizzò, osservando con calma l'altra donna, più alta di lei, che sfogliava le varie pagine. Occhi azzurri come il cielo incontrarono i suoi. In quel cielo c'era l'inverno. «Bei disegni e un sacco di nozioni su piante e fiori» disse fredda Aeron. «Non vedo nulla che riguardi le domande che sei stata inviata a fare.» Lanciò il taccuino a Verin più che passarglielo. «Grazie, Sapiente» rispose lei umile, infilando di nuovo il taccuino al sicuro dietro la cintura. Aggiunse anche un'altra riverenza, per buona misura, profonda almeno quanto la precedente. «Ho l'abitudine di prendere appunti su quello che vedo.» Un giorno o l'altro avrebbe dovuto scrivere il codice che usava per i suoi taccuini - la raccolta di una vita riempiva casse e credenze nelle sue stanze sopra la biblioteca della Torre Bianca. Un giorno o l'altro, ma sperava che fosse quanto più in là possibile. «Riguardo le... ehm... prigioniere, finora mi hanno detto tutte la stessa cosa, anche se in versioni diverse. Il Car'a'carn sarebbe stato ospite della Torre fino all'Ultima Battaglia. Il suo... ehm... maltrattamento è cominciato per via di un tentativo di fuga. Ma questo lo sapete già, ovviamente. Non temete, però: sono sicura che scoprirò di più.» Tutto vero, anche se non tutta la verità; aveva visto morire troppe sorelle per rischiare di condannarne altre alla
tomba senza un motivo davvero valido. Il problema era capire cosa potesse portare in quella direzione. Il rapimento del giovane al'Thor da parte di una delegazione che avrebbe dovuto trattare con lui faceva nascere negli Aiel una rabbia omicida, eppure ciò che Verin aveva definito 'maltrattamento' sembrava renderli appena nervosi. I braccialetti d'oro e d'avorio fecero un lieve rumorio quando Aeron si aggiustò lo scialle scuro. Scrutò Verin come per leggerle nella mente. Quella donna doveva avere una posizione elevata tra le Sapienti, e sebbene Verin avesse talvolta visto un sorriso increspare quelle guance abbronzate, un sorriso caldo e naturale, non era mai stato diretto a un'Aes Sedai. 'Non avremmo mai sospettato che sareste state voi a fallire' aveva detto a Verin, una frase per certi versi oscura. Ma il resto si era rivelato fin troppo chiaro. 'Le Aes Sedai non hanno onore. Dammi un minimo motivo di sospetto, e io stessa ti frusterò finché non ti reggerai più in piedi. Dammi un motivo valido, e ti impalerò per darti in pasto ad avvoltoi e formiche.' Verin l'aveva guardata cercando di sembrarle aperta e priva di segreti. E umile: non doveva mai dimenticare l'umiltà. Docile e compiacente. Non aveva paura. A suo tempo aveva dovuto affrontare sguardi anche più duri, da parte di donne - e uomini - che si sarebbero fatti ancor meno scrupoli di Aeron a porre fine alla sua vita. Ma quasi tutti i suoi sforzi erano serviti proprio a farsi inviare a fare quelle domande. Non poteva permettersi di rovinare tutto. Se solo quegli Aiel avessero mostrato qualche emozione sui loro volti. A un tratto si rese conto che non erano più sole nella tenda. Due Fanciulle dai capelli chiarissimi erano entrate con una donna di un palmo più bassa di entrambe. La sorreggevano per farla stare dritta. E in disparte c'era Tialin, magra e coi capelli rossi, un'espressione truce sotto il bagliore di saidar col quale teneva schermata la prigioniera vestita di nero. I capelli della sorella pendevano in ricci zuppi di sudore sulle spalle, con alcune ciocche appiccicate a un viso così sporco che sulle prime Verin non l'aveva riconosciuta. Zigomi alti, ma non molto, un naso appena adunco e gli occhi castani leggermente a mandorla... Beldeine. Beldeine Nyram. Lei stessa le aveva dato qualche lezione quando era novizia. «Se posso chiedere,» disse con cautela Verin «perché mi avete portato lei? Io avevo chiesto di vedere un'altra donna.» Beldeine non aveva Custodi, malgrado fosse una Verde - aveva conquistato lo scialle da appena tre anni, e spesso le Verdi erano particolarmente puntigliose nella scelta del primo Gaidin - ma se gli Aiel cominciavano a condurre da lei chiunque volevano, la prossima avrebbe potuto averne due o tre. Credeva di poter sop-
portare altri due incontri quel giorno, ma non se le donne in questione avevano anche un solo Custode. E dubitava che le Aiel le avrebbero dato una seconda possibilità. «Katerine Alruddin è fuggita la notte scorsa.» Tialin parve quasi sputare le parole, e Verin sussultò. «L'avete lasciata scappare?» esplose, senza riflettere. La stanchezza non era una buona scusante, ma le parole continuarono a uscirle di bocca senza che riuscisse a controllarsi. «Come avete potuto fare una simile idiozia? Appartiene all'Ajah Rossa! E non le mancano né il coraggio né la forza nel Potere! Il Car'a'carn potrebbe essere in pericolo! Perché non siamo state avvisate appena è successo?» «Lo abbiamo scoperto solo stamattina» ringhiò una delle Fanciulle. Lo sguardo di quegli occhi avrebbe levigato uno zaffiro. «Una Sapiente e due Cor Darei sono stati avvelenati, e il gai'shain che aveva portato da bere è stato ritrovato con la gola tagliata.» Aeron inarcò un sopracciglio, rivolgendosi con freddezza alla Fanciulla. «Per caso le domande erano rivolte a te, Carahuin?» Subito entrambe le Fanciulle si concentrarono nel compito di tenere Beldeine in piedi. Aeron lanciò appena un'occhiata a Tialin, ma la Sapiente dai capelli rossi chinò subito il capo. E Verin fu il prossimo bersaglio dell'attenzione di Aeron. «La preoccupazione per Rand al'Thor ti fa... onore» disse malvolentieri la Aiel. «Ma egli è protetto. E non hai bisogno di sapere altro. Già quello che ti ho detto è troppo.» A un tratto, il suo tono si fece più duro. «Ma un'allieva non deve mai usare quel tono con una Sapiente, Verin Mathwin Aes Sedai.» Le ultime due parole sembravano quasi un insulto. Trattenendo un sospiro, Verin si limitò a piegarsi in un'altra riverenza, rammaricandosi di non essere più magra come quando si era presentata per la prima volta alla Torre Bianca. Non aveva più il corpo adatto a tutti quegli inchini. «Perdonami, Sapiente» disse con umiltà. Fuggita!, ripeté a sé stessa. Le circostanze dell'evento rendevano tutto evidente, per lei se non per gli Aiel. «L'apprensione deve avermi fatto uscire di senno.» Era un vero peccato non potersi assicurare che a Katerine capitasse uno sgradevole e letale incidente. «Farò del mio meglio per controllarmi in futuro.» Aeron non batté ciglio, non c'era modo di capire se aveva o meno accettato le sue scuse. «Posso assumere il controllo di questo schermo, Sapiente?» Aeron annuì senza guardare Tialin, e subito Verin abbracciò la Fonte per prendere lo schermo rilasciato dalla stessa Tialin. Non avrebbe mai smesso di meravigliarsi di come, tra gli Aiel, le donne incapaci di incanalare dava-
no liberamente ordini a quelle in grado di farlo. Tialin non era molto più debole di lei nel Potere, eppure guardava Aeron quasi con la stessa deferenza delle due Fanciulle, e quando queste uscirono in fretta dalla tenda a un cenno della mano di Aeron, lasciando Beldeine a barcollare sul posto, Tialin si mosse appena un istante dopo. Aeron non se ne andò, tuttavia, non subito. «Non devi parlare di Katerine Alruddin al Car'a'carn» disse. «Ha abbastanza pensieri, non c'è bisogno che tu gli dia altre sciocchezze di cui preoccuparsi.» «Non gli dirò nulla su quella donna» si affrettò a rispondere Verin. Sciocchezze? Una Rossa forte come Katerine non era una sciocchezza. Forse valeva la pena prendere un appunto. C'era bisogno di pensarci su. «Fai in modo di tenere a freno la lingua, Verin Mathwin, o la userai per urlare di dolore.» Per quello non sembravano esserci risposte, così Verin si concentrò su umiltà e arrendevolezza, esibendosi nell'ennesima riverenza. Le sue ginocchia erano ormai pronte a gemere. Una volta uscita anche Aeron, Verin si concesse un sospiro di sollievo. Aveva temuto che la Sapiente sarebbe rimasta. Ottenere il permesso di rimanere da sola con le prigioniere le era costato quasi lo stesso sforzo necessario a convincere Sorilea e Amys che quegli interrogatori erano necessari, e che a condurli doveva essere qualcuna che conoscesse molto bene la Torre Bianca. Se mai si accorgeranno di essere state guidate verso questa decisione... Anche questa era una preoccupazione da rimandare a un altro giorno. A quanto pareva ne stava accumulando davvero tante. «C'è abbastanza acqua per lavarti almeno le mani e la faccia» disse piano a Beldeine. «E se vuoi, posso Guarirti.» Tutte le sorelle che aveva interrogato avevano quanto meno i segni di qualche frustata. Gli Aiel non picchiavano mai i loro prigionieri se non quando questi versavano l'acqua o esitavano a svolgere gli incarichi assegnati - la peggiore delle parole di sfida riceveva tutt'al più una risata di scherno - ma le donne vestite di nero erano trattate come animali, pungolate con un bastone quando dovevano camminare, girare o fermarsi, e pungolate ancora più forte quando non obbedivano abbastanza in fretta. La Guarigione rendeva più semplici anche altre cose. Sporca, sudata, tremante come una canna al vento, Beldeine arricciò le labbra. «Preferirei morire dissanguata piuttosto che essere Guarita da te!» disse in malo modo. «Forse c'era da aspettarselo che tu strisciassi ai piedi di queste selvatiche, di questi barbari, ma non avrei mai immaginato che ti
abbassassi a rivelare i segreti della Torre! Questo rientra nell'accusa di tradimento, Verini E di ribellione!» Fece un verso carico di disprezzo. «E immagino che se non ti vergogni di ciò, non ti fermerai davanti a nulla! Cos'altro avete insegnato a questa gente, tu e le altre, oltre alla creazione del legame?» Verin fece schioccare la lingua, irritata, senza prendersi il disturbo di rispondere per le rime. Le faceva male il collo per aver dovuto guardare dal basso in alto gli Aiel - quanto a ciò, anche Beldeine era un bel po' più alta di lei - e le ginocchia dolevano per le continue riverenze, ed erano state decisamente troppe le donne che quel giorno le avevano gettato addosso cieco disprezzo e stupido orgoglio quando loro per prime avrebbero dovuto comprendere meglio la situazione. Chi più di un'Aes Sedai poteva capire che una sorella doveva indossare diverse maschere? Non era sempre possibile intimidire gli altri, o minacciarli. Inoltre, era molto meglio comportarsi come una novizia che ricevere le punizioni adatte a una novizia, soprattutto quando queste portavano solo dolore e umiliazione. Anche Kiruna alla fine se ne sarebbe resa conto. «Siediti, prima di finire per terra» disse Verin, dando lei per prima seguito a tali parole. «Lasciami indovinare come hai trascorso la tua giornata. A giudicare da tutta quella polvere, direi scavando una fossa. A mani nude, o ti hanno permesso di usare un cucchiaio? Quando decideranno che è terminata, te la faranno subito riempire di nuovo, e lo sai. Ora, fammi dare un'occhiata. Sei sporca ovunque, ma quella veste è pulita, quindi suppongo che eri nuda mentre scavavi. Sicura di non volere la Guarigione? Le scottature possono essere dolorose.» Riempì d'acqua un altro calice e con un flusso d'Aria lo fece fluttuare davanti a Beldeine. «Devi avere la gola secca.» La giovane Verde fissò la coppa per un attimo, poi all'improvviso le cedettero le gambe e crollò a sedere su un cuscino con una risata amara. «Loro mi... abbeverano spesso.» Rise di nuovo, anche se Verin non riusciva a capire dove fosse la battuta. «Tutte le volte che voglio, purché riesca a berla fino all'ultima goccia.» Fissandola con rabbia, fece una pausa, poi andò avanti con la voce tesa. «Quel vestito ti sta davvero bene. Il mio l'hanno bruciato, le ho viste. Mi hanno preso tutto tranne questo.» Si toccò il Gran Serpente d'oro che portava al dito sinistro, un bagliore pulito tra tanta polvere. «Immagino che non abbiano avuto il coraggio di spingersi a tanto. Lo so cosa stanno cercando di fare, Verin, e non funzionerà. Né con me, né con nessuna di noi!»
Quella donna era ancora in guardia, sospettosa. Verin poggiò la coppa sul tappeto a fiori vicino a Beldeine, poi prese la sua e bevve un sorso d'acqua prima di parlare. «Davvero? E cosa stanno cercando di fare?» Questa volta, la risata dell'altra fu fredda oltre che dura. «Spezzarci, e tu lo sai bene! Vogliono che facciamo il tuo stesso giuramento a Rand al'Thor. Oh, Verin, come hai potuto? Giurare fedeltà! E, peggio ancora, a un uomo, a lui! Anche se sei arrivata addirittura a ribellarti contro l'Amyrlin Seat, contro la Torre Bianca...» fece sembrare più o meno identiche le due accuse «...come hai potuto spingerti a tanto?» Per un attimo, Verin si chiese se le cose non sarebbero andate meglio qualora anche alle sorelle trattenute nell'accampamento fosse successo quello che era successo a lei, presa come un legnetto nel turbine ta'veren di Rand al'Thor, con le parole che si riversavano dalla bocca prima ancora di formarsi nella mente. Non erano parole che non avrebbe mai potuto pronunciare di sua spontanea volontà - non era così che i ta'veren influenzavano eventi e persone - ma le avrebbe dette una volta su mille nelle stesse circostanze, una su diecimila. No, le discussioni per stabilire se bisognava tener fede ai giuramenti prestati a quel modo erano state lunghe e accese, e quelle per decidere come tenervi fede non si erano ancora concluse. Era meglio lasciare le cose come stavano. Distrattamente, Verin sfiorò la sagoma dell'oggetto che portava nel borsello appeso alla cintura, una piccola spilla, una pietra traslucida scolpita a imitare una sorta di giglio con troppi petali. Non la indossava mai, ma da circa cinquant'anni la teneva sempre a portata di mano. «Sei da'tsang, Beldeine. Questo devi averlo sentito.» Non ebbe bisogno del brusco cenno del capo dell'altra donna: dire il loro nome ai 'disprezzati' era parte della legge aiel. Questo lo sapeva, anche se ignorava quasi tutto il resto. «I tuoi abiti e gli oggetti che potevano essere bruciati sono stati dati alle fiamme, perché nessun Aiel desidera possedere ciò che prima apparteneva a una da'tsang. Le altre cose, compresi i gioielli, sono state fatte a pezzi o ridotte in poltiglia a suon di martellate, e poi le hanno seppellite nelle fosse scavate per le latrine.» «E il mio... il mio cavallo?» chiese ansiosa Beldeine. «Non uccidono i cavalli, ma non so che fine abbia fatto il tuo.» Probabilmente ora apparteneva a qualcuno in città, o forse era stato donato a un Asha'man. Ma dicendoglielo le avrebbe fatto più male che bene. A Verin sembrava di ricordare che Beldeine fosse una di quelle ragazze che si affezionano al loro cavallo. «Ti hanno permesso di tenere l'anello perché tu
possa sempre ricordare chi eri e vergognarti ancora di più. Non so se ti concederebbero di prestare giuramento ad al'Thor, anche se le implorassi. Credo che dovresti impegnarti davvero.» «Non lo farò! Mai!» Beldeine pronunciò quelle parole con poca forza, e chinò le spalle. Era scossa, ma non abbastanza. Verin le rivolse un caldo sorriso. Un giorno, un uomo le aveva detto che quando sorrideva gli faceva tornare in mente la sua cara madre. Verin sperava che almeno quella non fosse una bugia. Quel tizio aveva provato a infilarle un coltello tra le costole, poco tempo dopo, e il suo sorriso era stata l'ultima cosa che aveva visto. «Non vedo perché dovresti farlo. No, io temo che a te spetti una lunga e inutile fatica. È questo che gli Aiel ritengono umiliante. Molto umiliante. Certo, se dovessero accorgersi che per te non lo è... Oh, diamine. Scommetto che non ti è piaciuto dover scavare buche senza avere niente addosso, anche se c'erano le Fanciulle a fare la guardia, ma immagina di dover rimanere nuda in una tenda piena di uomini...» Beldeine fece una smorfia. Verin continuò a cianciare: aveva trasformato quell'abilità di parlare a vanvera in una sorta di Talento. «Ovviamente, non dovresti fare altro che restare lì immobile. Ai da'tsang non è permesso di fare niente di utile se non nei casi di grande bisogno, e un Aiel preferirebbe abbracciare una carcassa marcescente piuttosto che... Be', un pensiero poco piacevole, vero? In ogni caso, è questo che ti aspetta. Sono sicura che resisterai il più a lungo possibile, ma non so cosa dovrai sostenere. Non proveranno a estorcerti informazioni, non ti faranno nessuna delle cose che di solito subiscono i prigionieri. Ma di sicuro non ti lasceranno andare, neppure per un secondo, finché non saranno sicuri che la vergogna sia tanto forte in te da non lasciare spazio a nient'altro. E se per riuscirci dovranno tenerti qui per tutta la tua vita, ebbene lo faranno.» Beldeine mosse le labbra senza emettere alcun suono, anche se le parole che aveva formulato erano evidenti. 'Per tutta la vita'. Cambiò nervosamente posizione sul cuscino, e fece una smorfia. Forse per colpa di qualche scottatura, qualche frustata o semplicemente la scarsa abitudine al lavoro. «Ci salveranno» disse infine. «L'Amyrlin non ci abbandonerà... Ci salveranno o... Ci salveranno!» Afferrò la coppa d'argento al suo fianco, reclinò indietro la testa per svuotarla in una sola sorsata e la protese per farsela riempire di nuovo. Verin fece fluttuare la brocca di peltro e la mise giù accanto alla ragazza, affinché potesse servirsi da sola. «O fuggirete?» chiese poi, e Beldeine sussultò versando un po' d'acqua dalla coppa che reggeva tra le mani sudice. «Siamo realistiche. Avete la
stessa possibilità di riuscire a fuggire che di venire salvate. Siete circondate da un esercito di Aiel. E a quanto pare al'Thor può far arrivare qualche centinaio di Asha'man in qualsiasi momento, e sarebbero quegli uomini a darvi la caccia.» Beldeine tremò al pensiero, e la stessa Verin ci andò molto vicino. Quel particolare problema avrebbero dovuto risolverlo non appena si era presentato, ora non era più possibile. «No, io temo che dovrai venire a patti con la tua realtà, in qualche modo. Dovrai affrontarla per com'è. E sei sola, in questo. So che non ti permettono di parlare con le altre. Sola» sospirò. La ragazza la fissava a occhi sgranati, come se fosse una vipera rossa. «Ma non c'è bisogno di rendere la situazione più difficile del necessario. Lascia che ti Guarisca.» Verin aspettò solo che l'altra annuisse, poi si inginocchiò e le mise le mani sul capo. La ragazza era quasi pronta. Aprendosi a saidar, Verin intessé i flussi della Guarigione, e la Verde ansimò e rabbrividì. Il calice, ora pieno solo per metà, le cadde di mano, e la brocca cadde di lato quando Beldeine la colpì agitando un braccio. Ecco, adesso era pronta. Negli attimi di confusione in cui versava chiunque venisse Guarito, mentre Beldeine ancora batteva le palpebre e cercava di tornare in sé, Verin si aprì ancora di più attraverso l'angreal a forma di fiore che teneva nel borsello. Non era molto potente, ma sarebbe bastato, e lei aveva bisogno di tutto il Potere in più che le permetteva di usare. I flussi che cominciò a intessere non avevano niente a che vedere con la Guarigione. Spirito era di gran lunga l'elemento dominante, ma c'erano anche Vento e Acqua, Fuoco e Terra, quest'ultimo piuttosto difficile per lei, e anche le trame di Spirito dovevano essere divise più e più volte, seguendo uno schema complesso che avrebbe fatto impallidire anche un tessitore di tappeti. Se anche una Sapiente si fosse affacciata nella tenda, con un po' di fortuna non avrebbe avuto il Talento necessario per capire cosa stava facendo Verin. Certo, in quel caso ci sarebbero stati comunque dei problemi, problemi dolorosi per lei e Beldeine, ma Verin poteva sopportare di tutto tranne essere scoperta. «Cosa...» disse Beldeine stordita. La testa non le ciondolava solo perché Verin la teneva ferma, e gli occhi erano socchiusi. «Cosa stai... Che succede?» «Niente di pericoloso per te» la rassicurò Verin. La ragazza sarebbe morta tra un anno, o dieci, in conseguenza di quello che lei stava facendo, ma la tessitura di per sé non era nociva. «Te lo prometto, è così sicuro che potrei usarlo su un bambino.» Ovviamente, dipendeva da come veniva usato.
Doveva posizionare i flussi uno per uno, ma parlare pareva d'aiuto piuttosto che d'intralcio. E un silenzio troppo duraturo poteva destare dei sospetti, se le due guardie erano all'ascolto. Verin lanciava continue occhiate verso i teli penzolanti dell'apertura della tenda. Le servivano delle informazioni che però non voleva condividere, risposte che nessuna delle donne da lei interrogate le avrebbe fornito liberamente. Uno degli effetti minori di quella tessitura era sciogliere la lingua e aprire la mente come il migliore degli infusi d'erbe, ed era anche più rapida. Verin riprese a parlare con la voce ridotta a un sussurro. «Il giovane al'Thor pare convinto di avere delle sostenitrici nella Torre Bianca, Beldeine. Ovviamente, se è così allora lo appoggiano in segreto.» Anche un uomo con l'orecchio schiacciato contro il tessuto della tenda sarebbe riuscito a sentire solo che stavano parlando. «Dimmi tutto quello che sai.» «Sostenitrici?» mormorò Beldeine, tentando di assumere un'espressione torva che però in quel momento sembrava fuori dalla sua portata. Provò a scuotersi, ma riuscì solo a prodursi in un movimento debole e scordinato. «Tra le sorelle? Non è possibile. Non ce ne sono, se escludiamo quelle tra voi che... Come hai potuto, Verin? Perché non ti sei opposta?» Verin fece un verso di irritazione, e non per l'assurdità dell'idea di opporsi a un ta'veren. Il ragazzo sembrava davvero sicuro di avere i suoi appoggi nella Torre. Perché? Con voce sempre bassa, Verin chiese: «Non hai neppure dei sospetti, Beldeine? Non hai sentito nessuna diceria prima di lasciare Tar Valon? Nessuna ha mai accennato alla possibilità di avvicinarlo in modi diversi? Dimmi.» «Nessuna. Chi mai... Nessuna avrebbe... Ammiravo Kiruna così tanto...» C'era un senso di desolazione nella voce assonnata di Beldeine, e le lacrime che le scendevano dagli occhi disegnavano strisce nella polvere del viso. Rimaneva dritta solo perché l'altra la teneva ferma. Verin continuava a posizionare i fili della sua tessitura, con gli occhi che guizzavano di tanto in tanto verso l'apertura della tenda. Stava cominciando a sudare. Sorilea poteva decidere da un momento all'altro che lei non poteva più fare gli interrogatori da sola. Poteva mandarle una delle sorelle del Palazzo del Sole. E se qualcuna avesse saputo ciò che lei stava facendo, con ogni probabilità Verin sarebbe stata quietata. «E così avevate intenzione di portarlo da Elaida pulito e cucinato» disse a voce leggermente più alta. Il silenzio era durato troppo. Non voleva che la coppia all'esterno riferisse che lei bisbigliava con le prigioniere. «Non potevo... oppormi... alla decisione di Galina. Era lei al comando...
per ordine dell'Amyrlin.» Beldeine cambiò di nuovo posizione, debolmente. La voce era ancora sognante, ma c'era una nota di agitazione. Le palpebre tremolavano. «Al'Thor doveva essere... ridotto... all'obbedienza! Era necessario! Non dovevamo... trattarlo così duramente. Sottoporlo... a un... interrogatorio. Un errore.» Verin sbuffò. Un errore? Più che altro un disastro. Un vero e proprio disastro. Ora Rand al'Thor guardava tutte le Aes Sedai quasi allo stesso modo di Aeron. E se anche fossero riuscite a portarlo a Tar Valon? Un ta'veren come lui nella Torre Bianca? Un pensiero che avrebbe fatto tremare anche le pietre. Anche se ci fossero riuscite, 'disastro' forse era ancora troppo poco per descrivere quella loro missione. E il prezzo che avevano pagato ai Pozzi di Dumai per evitare quella tragedia era tutto sommato ragionevole. Continuò a fare domande con voce chiaramente udibile da chiunque fosse all'esterno della tenda. Fece domande di cui conosceva già le risposte, evitando tutte quelle più pericolose. Prestava poca attenzione alle parole che pronunciava o a quelle che uscivano dalla bocca di Beldeine. Più che altro, era concentrata sulla tessitura. Nel corso degli anni, molte cose avevano catturato la sua attenzione, e non tutte avrebbero ricevuto l'approvazione della Torre. Quasi tutte le selvatiche che arrivavano alla Torre Bianca per l'addestramento - sia le selvatiche vere e proprie, che avevano imparato da sole i primi rudimenti, sia le ragazze che avevano semplicemente cominciato a toccare la Fonte perché la scintilla innata in loro si era accesa da sola; per alcune sorelle, non c'erano differenze tra loro - quasi tutte avevano creato un proprio trucco, che inevitabilmente rientrava in una di queste due categorie: o era un modo per origliare le conversazioni altrui, o un sistema per farsi obbedire da un'altra persona. La Torre non dava molto peso al primo tipo di trucco. Anche una selvatica con un buon controllo su sé stessa imparava in fretta che, finché indossava il bianco delle novizie, non doveva neppure sfiorare saidar senza una sorella o un'Ammessa presente. Cosa che limitava decisamente le possibilità di origliare. L'altro trucco, però, era troppo in odore di Coercizione. Certo, si trattava solo di un espediente per farsi regalare dal padre un gingillo o un abito che lui non voleva comprare, o per spingere la madre ad approvare i ragazzi che di solito avrebbe scartato, cose di questo genere, ma la Torre riusciva sempre a sradicare quel trucco con grande efficacia. La maggior parte delle donne e delle ragazze con le quali Verin aveva par-
lato nel corso degli anni non riusciva più a riprodurre la tessitura, men che mai a usarla, e molte di loro non erano neppure in grado di ricordarla. Da quell'insieme di frammenti e mezze frasi di una trama quasi dimenticata da ragazze non addestrate che l'avevano creata per scopi limitati, Verin era riuscita a ricostruire una cosa da sempre vietata dalla Torre. All'inizio lo aveva fatto solo per curiosità. La curiosità, si disse con un certo sarcasmo mente continuava a lavorare i flussi su Beldeine, mi ha fatto saltare in più di un pentolone bollente. L'utilità era arrivata in seguito. «Immagino che Elaida avesse intenzione di tenerlo nelle celle speciali» disse con disinvoltura. Quelle stanze con le pareti a griglia erano destinate agli uomini capaci di incanalare, alle iniziate della Torre finite in arresto, alle selvatiche che si erano dichiarate Aes Sedai e a chiunque altro dovesse essere sia recluso che tagliato dalla Fonte. «Un posto tutt'altro che comodo per il Drago Rinato. Poco riservato. Tu ci credi che al'Thor è il Drago Rinato, Beldeine?» Questa volta, Verin si fermò per sentire la risposta. «Sì.» La parola fu un lungo sibilo, e la ragazza ruotò gli occhi spaventati per guardarla in viso. «Sì... ma deve... essere tenuto... al sicuro. Il mondo... deve essere... al sicuro... da lui.» Interessante. Tutte le altre avevano detto che bisognava salvare il mondo da lui, ma era interessante che alcune si preoccupassero di proteggere anche al'Thor. E tra queste ce n'erano alcune dalle quali Verin non si sarebbe mai aspettata nulla di simile. Ai suoi occhi, la tela che ora aveva intessuto sembrava solo un intrico caotico di fili trasparenti e fiocamente luminosi, tutti avvolti intorno alla testa di Beldeine, con quattro flussi di Spirito che fuoriuscivano da quel groviglio. Tirò due di questi, alle estremità opposte, e l'intrico ebbe un lieve tracollo, come se cadesse in sé stesso, assumendo una sembianza di ordine. La ragazza sgranò gli occhi all'improvviso, lo sguardo perso in lontananza. Con voce bassa ma ferma, Verin le diede le sue istruzioni. Erano più che altro suggerimenti, ma lei li pronunciò con l'autorità di un ordine. Beldeine avrebbe dovuto trovare in sé i motivi per obbedire, altrimenti tutto sarebbe risultato un grande spreco. Dette le parole finali, Verin tirò gli altri due fili di Spirito, e l'intrico crollò di nuovo, stavolta raggiungendo un ordine perfetto, uno schema preciso, più complicato del più complesso dei merletti, completo, legato dalla stessa azione che ne aveva causato il cambiamento. Questa volta, la tessitura continuò a cadere in sé stessa, e poi verso la testa di Beldeine. I fili
luminosi parvero affondare nella ragazza, poi svanirono. Gli occhi di lei ruotarono a mostrare solo il bianco, poi Beldeine cominciò ad agitarsi e a tremare. Verin la tenne con tutta la delicatezza possibile, ma comunque la testa scattava da un lato e dall'altro, mentre i talloni nudi battevano forte sui tappeti. Dopo pochi istanti, non c'erano quasi più tracce di ciò che era successo, e solo la più attenta delle Sonde avrebbe rilevato qualcosa, ma non sarebbe comunque riuscito a identificare la tessitura. Verin l'aveva esaminata con cura, e nessuna era superiore a lei nel talento di Sondare. Ovviamente quella non era Coercizione vera e propria, quella descritta dai testi antichi. La tessitura fatta da Verin era un lavoro dolorosamente lento e intricato, e c'era bisogno che chi riceveva gli ordini avesse motivi per eseguirli. Era molto più semplice se il soggetto era emotivamente vulnerabile, ma la fiducia era essenziale. Se il bersaglio nutriva dei sospetti, era inutile anche prenderlo di sorpresa. E questo ne riduceva considerevolmente l'utilità con gli uomini; erano davvero pochi quelli che non si insospettivano quando si trovavano nei pressi di un'Aes Sedai. A parte la sfiducia, purtroppo gli uomini erano in generale dei pessimi soggetti per quella tessitura. Verin non era ancora riuscita a capire perché. La maggior parte delle trame ideate da quelle ragazze era mirata a un padre o a un altro uomo. Qualsiasi individuo dalla forte personalità poteva chiedersi i motivi delle proprie azioni - o anche dimenticarsi di eseguirle, cosa che portava a un'altra serie di problemi - ma gli uomini tendevano a farlo con frequenza maggiore. Assai maggiore. Forse c'entrava comunque la questione del sospetto. Diamine, una volta un uomo era addirittura riuscito a ricordarsi dei flussi intessuti su di lui, oltre alle istruzioni ricevute. Un vero e proprio fastidio. E un rischio che Verin non aveva più intenzione di correre. Alla fine le convulsioni di Beldeine rallentarono per poi cessare del tutto. La ragazza si portò una mano sporca alla testa. «Cosa... Che è successo?» chiese con voce appena udibile. «Sono svenuta?» Uno degli aspetti positivi di quella tessitura era che veniva dimenticata dal soggetto, cosa piuttosto prevedibile. Dopo tutto, papà non doveva ricordare che chissà come eri riuscita a farti comprare quel vestito costoso. «Fa molto caldo» rispose Verin, aiutando la ragazza a rimettersi seduta. «Anche a me è girata la testa un paio di volte, oggi.» Per la stanchezza, però. Gestire una tale quantità di saidar era spossante, soprattutto quando succedeva quattro volte nello stesso giorno. E l'angreal non attutiva più l'effetto una volta che si smetteva di usarlo. Anche a Verin avrebbe fatto
comodo che qualcuno la aiutasse a stare dritta. «Credo che per oggi abbiamo concluso. Se rischi di svenire, forse troveranno qualcosa da farti fare lontano dal sole.» La prospettiva non parve molto incoraggiante per Beldeine. Massaggiandosi la base della schiena, Verin si affacciò all'esterno. Coram e Mendan smisero ancora una volta di giocare con gli elastici: nessuno dei due dava segno di aver sentito qualcosa, ma lei non ci avrebbe scommesso molto. Disse che aveva finito con Beldeine e, dopo un attimo di riflessione, aggiunse che le serviva un'altra brocca poiché la ragazza aveva fatto cadere quella che aveva già. Entrambi gli uomini si incupirono visibilmente, nonostante l'abbronzatura. La richiesta sarebbe stata comunicata alle Sapienti che sarebbero venute a prendere Beldeine. E la punizione ricevuta avrebbe aiutato la ragazza a prendere la sua decisione. Il sole era ancora lontano dall'orizzonte, ma il dolore che sentiva nella schiena fece capire a Verin che per quel giorno doveva fermarsi. Avrebbe potuto occuparsi ancora di un'altra sorella, ma se l'avesse fatto ne avrebbe risentito in ogni muscolo a partire dal mattino seguente. Le cadde lo sguardo su Irgain, che adesso era tra le donne incaricate di portare i cesti alle macine. E si chiese come sarebbe stata la sua vita se non avesse nutrito una così forte curiosità. Tanto per cominciare, avrebbe sposato Eadwin e sarebbe rimasta a Far Madding invece di andare alla Torre Bianca. E sarebbe ormai morta da tempo, e con lei i figli e i nipoti che non aveva mai avuto. Con un sospiro, si rivolse di nuovo a Coram. «Quando torna Mendan, potresti andare da Colinda e dirle che vorrei vedere Irgain Fatamed?» Il dolore che avrebbe provato lei domattina sarebbe stata la giusta punizione per la sofferenza che aveva causato a Beldeine accusandola di aver versato dell'acqua, ma non era per questo che aveva deciso di sopportarlo, e neppure per dare sfogo alla sua curiosità. Aveva ancora una missione. Doveva tenere Rand in vita finché non fosse giunto anche per lui il momento di morire. La stanza sembrava quasi quella di un grande palazzo, ma non aveva porte né finestre. Il fuoco nel camino di marmo dorato non emanava calore, e le fiamme non consumavano i ciocchi di legno. L'uomo seduto al tavolo con le zampe dorate, al centro di un tappeto di seta intessuto con fili lucenti d'oro e d'argento, si curava poco dei simboli di quell'Epoca. Servivano solo a impressionare gli altri, e basta. In realtà, era sufficiente la sua semplice presenza a piegare anche il più rigido degli orgogli. Si faceva
chiamare Moridin, e senza dubbio nessun altro aveva mai meritato più di lui il nome della Morte. Di tanto in tanto, sfiorava oziosamente una delle due trappole mentali che portava appese al collo. E, al suo tocco, il cristallo rosso sangue del cour'souvra pulsava, turbini che si muovevano a profondità infinite come i battiti di un cuore. Ma la sua attenzione era tutta concentrata su ciò che era davanti a lui sul tavolo, trentatré pezzi rossi e trentatré grigi disposti su una scacchiera di tredici riquadri per tredici. Una riproduzione dell'antenato di un famoso gioco. Il pezzo più importante, il Pescatore, era ancora al suo posto iniziale, nel riquadro centrale. Un gioco complesso, lo sha'rah, già antico molto prima della Guerra del Potere. Sha'rah, tcheran e no'ri, adesso si chiamava semplicemente 'il gioco dei sassolini', e ogni versione aveva i suoi sostenitori secondo i quali racchiudeva tutte le complessità della vita, ma Moridin aveva sempre preferito lo sha'rah. Solo nove persone ricordavano quel gioco. Lui ne era stato un maestro. Sha'rah era molto più complesso di tcheran e no'ri. Il primo obiettivo era la cattura del Pescatore. Solo allora cominciava la vera partita. Arrivò un servitore, un ragazzo magro e aggraziato vestito di bianco, terribilmente bello, e si inchinò porgendo un calice di cristallo su un vassoio d'argento. Il giovane sorrise, ma solo con la bocca: gli occhi neri non erano semplicemente morti, ma privi di ogni parvenza di vita. La maggior parte delle persone si sarebbe sentita a disagio sotto quello sguardo. Moridin si limitò a prendere il calice e fece cenno al servitore di andare via. I vignaioli di quell'epoca producevano ottimi vini. Lui, però, non bevve. Il Pescatore ancora attirava tutta la sua attenzione, quasi l'avesse davvero preso all'amo. Alcuni pezzi avevano diversi tipi di movimenti, ma solo il Pescatore cambiava caratteristiche a seconda di dove si trovava. Su un quadrato bianco, debole in attacco ma agile nella fuga, con grande possibilità di spostamento; su uno nero, forte in attacco ma lento e vulnerabile. Quando si scontravano due giocatori molto forti, il Pescatore cambiava possesso molte volte prima della fine. La riga di traguardo fatta di riquadri verdi e rossi che circondava la scacchiera poteva essere minacciata da qualsiasi pezzo, ma solo il Pescatore ci si poteva muovere. Anche se nemmeno lì era al sicuro: il Pescatore non era mai al sicuro. Il giocatore che lo controllava cercava sempre di piazzarlo su un riquadro del proprio colore ma nella linea di traguardo alla fine della parte di scacchiera dell'avversario. Era un modo per vincere, il più facile, ma non l'unico. Chi non controllava il Pescatore, cercava sempre di costringere l'altro giocatore a piazzarlo
su un riquadro del proprio colore. Andava bene un punto qualsiasi della linea di traguardo: controllare il Pescatore era più un rischio che un vantaggio. Ovviamente, c'era una terza via per la vittoria a sha'rah, se la si riusciva a intraprendere prima di lasciarsi intrappolare. A quel punto la partita degenerava sempre in uno scontro sanguinario, e aveva fine solo con il completo annullamento del nemico. Lui ci aveva provato, una volta, mosso dalla disperazione, ma il suo tentativo era fallito. Dolorosamente. La furia ribollì all'improvviso nella sua testa, e davanti agli occhi Moridin vide delle macchioline nere quando afferrò la Vera Fonte. Un'estasi pari al dolore provato si scatenò dentro di lui. Con la mano strinse le due trappole mentali, e con il Potere catturò il Pescatore, lo alzò in aria, stava quasi per ridurlo in polvere e per cancellare quella polvere dal mondo dell'esistenza. Il calice gli si frantumò nell'altra mano. Stava quasi per rompere i cour'souvra. I saa erano una tempesta di nero, ma non gli annebbiavano la vista. Il Pescatore era sempre lavorato nella forma di un uomo con una benda sugli occhi e una mano premuta su un fianco, con alcune gocce di sangue che colavano tra le dita. Il motivo di questa rappresentazione, e del nome, era perso nelle nebbie del tempo. E a volte Moridin era turbato da ciò, si adirava pensando al sapere che poteva andare perduto nel girare della Ruota, un sapere di cui lui aveva bisogno, un sapere che aveva diritto di possedere. Ne aveva diritto! Lentamente, rimise il Pescatore sulla scacchiera. Lentamente, liberò i cour'souvra dalla stretta delle dita. Non c'era bisogno di distruggere. Non ancora. Una calma glaciale sostituì la rabbia in un batter d'occhi. Dall'altra mano colavano sangue e vino, senza che lui se ne accorgesse. Forse il Pescatore derivava da un confuso resto di un ricordo di Rand al'Thor, l'ombra di un'ombra. Ma non era importante. Moridin si accorse che stava ridendo, e non fece niente per fermarsi. Sulla scacchiera, il Pescatore era in attesa, ma nella vera partita, al'Thor si muoveva già secondo i desideri di Moridin. E presto, ormai... Era molto difficile perdere una partita quando si giocava da entrambi i lati della scacchiera. Moridin rise così forte che le lacrime cominciarono a scendergli lungo il viso, ma lui non se ne rese conto. 1
Un accordo da rispettare La Ruota del Tempo gira e le Epoche si susseguono, lasciando ricordi che divengono leggenda. La leggenda sbiadisce nel mito, ma anche il mito è ormai dimenticato quando ritorna l'Epoca che lo vide nascere. In un'Epoca chiamata da alcuni Epoca Terza, un'Epoca ancora a venire, un'Epoca da gran tempo trascorsa, il vento si alzò sulla grande isola montagnosa di Tremalking. Il vento non era l'inizio. Non c'è inizio né fine al girare della Ruota del Tempo. Ma fu comunque un inizio. Il vento soffiava verso est su tutta Tremalking, dove gli Amayar dalla pelle chiara coltivavano i loro campi, lavoravano squisiti oggetti di vetro e porcellana e seguivano la pace della Via dell'Acqua. Gli Amayar ignoravano il mondo al di fuori delle loro isole sparpagliate, perché la Via dell'Acqua insegnava che il mondo è solo un'illusione, il riflesso di una credenza, eppure alcuni osservavano il vento che portava polvere e il torrido caldo estivo nonostante fosse inverno e sarebbe dovuta esserci la fredda pioggia, e ricordavano le storie sentite dagli Atha'an Miere. Storie del mondo esterno, e di ciò che secondo le profezie sarebbe successo. Alcuni guardavano la collina da dove un'immensa mano di pietra spuntava dal terreno, reggendo una chiara sfera di cristallo più grande di molte delle loro case. Anche gli Amayar avevano le loro profezie, e alcune di queste riguardavano la mano e la sfera. E la fine delle illusioni. Il vento soffiava sul Mare delle Tempeste, verso est sotto un sole bruciante in un cielo abbandonato dalle nuvole, frustava le onde del mare e combatteva contro gli altri venti che venivano da sud e andavano verso ovest, dividendosi e vorticando sopra quelle acque rigonfie. Non era ancora una tempesta di mezzo inverno, anche se l'inverno era già trascorso per metà, e men che mai una grande tempesta di fine estate, ma si trattava di venti e correnti che i nomadi dell'oceano potevano usare per costeggiare il continente dalla Fine del Mondo fino a Mayene e oltre, per poi fare ritorno. Il vento continuava il suo viaggio ululante verso est, su oceani agitati dove le grandi balene uscivano in superficie e cantavano le loro canzoni, dove i pesci volanti veleggiavano su pinne distese lunghe più di due palmi;
soffiava a est, il vento, e poi a nord e a nordest, su piccole flotte di pescherecci che trascinavano le reti nei mari meno profondi. Alcuni di quei pescatori erano a bocca aperta, le mani ferme sopra le reti, e fissavano l'immensa flotta di vascelli grandi e piccoli che cavalcavano il duro respiro del vento, aprendo le onde con le prue alte o fendendole con quelle strette, sulle bandiere un falco dorato con un fulmine stretto tra gli artigli; una miriade di bandiere come presagi di tempesta. Ancora a est e a nord, poi il vento raggiunse il grande e affollato porto di Ebou Dar, dove c'erano centinaia di imbarcazioni del Popolo del Mare come in tanti altri porti, in attesa di avere notizie sul Coramoor, il Prescelto. Il vento ruggì sul porto, scuotendo le navi piccole e quelle grandi, poi passò nella città stessa, bianco lucente sotto il sole accecante, guglie e mura e cupole con cerchi di colore, strade e canali che fervevano della famosa laboriosità del Sud. E il vento si avvolse intorno alle cupole splendenti e alle alte torri del Palazzo di Tarasin, portando con sé odor di salsedine e sollevando la bandiera dell'Altara, due leopardi d'oro in campo rosso e blu, e il vessillo della casata regnante, i Mitsobar, la Spada e l'Ancora verdi su sfondo bianco. Non ancora la tempesta, ma un messaggero di tempeste. Aviendha si sentì prudere la pelle tra le scapole mentre camminava davanti ai suoi compagni tra i corridoi del palazzo, con le piastrelle di decine di sfumature diverse, tutte molto accese e piacevoli. Si sentiva osservata, e l'ultima volta che le era capitato era ancora sposata alla lancia. Immaginazione, si disse. L'immaginazione e il fatto che qui ci sono nemici che so di non poter affrontare! Poco tempo addietro, quella sensazione strisciante l'avvertiva che forse qualcuno stava per provare a ucciderla. La morte non era da temere - tutti muoiono, un giorno o l'altro - ma lei non voleva fare la fine di un coniglio che scalcia in una trappola. Aveva un toh da osservare. I servitori si aggiravano rapidi e vicino alle pareti, con il capo chino quasi capissero la vergogna delle loro esistenze, ma di sicuro non potevano essere loro la causa di quel prurito. Aviendha aveva provato a prepararsi alla vista dei servitori, ma anche adesso, con quel formicolio tra le spalle, evitava di guardarli. Doveva essere frutto dell'immaginazione, e del nervosismo. E quello era un giorno perfetto per immaginare e innervosirsi. A differenza dei servitori, i ricchi arazzi di seta, i sostegni d'oro per le lanterne e le lampade appese al soffitto le balzavano subito all'occhio. Nelle nicchie lungo le pareti e in alti armadi con le ante traforate erano in bella mostra oggetti in porcellana lavorata sottile come un foglio di carta e tinta di rosso, giallo, verde e blu, insieme a ornamenti d'oro e argento, avorio e
cristallo, decine e decine di ciotole, vasi, scrigni e statuine. In realtà, solo le opere più belle catturavano davvero la sua attenzione: anche se gli abitanti delle terre bagnate parevano convinti del contrario, la bellezza valeva molto più dell'oro. E lì ce n'era molta. Non le sarebbe dispiaciuto prendersi la sua parte del quinto in quel luogo. Aviendha si accigliò, irritata da sé stessa. Quello non era un pensiero onorevole da avere sotto il tetto di chi le aveva offerto liberamente acqua e ombra. Senza cerimonie, certo, ma anche senza debiti di sangue, senza acciaio e senza obblighi. Eppure, per quanto brutto, era sempre meglio che pensare a un ragazzino che vagava da solo in quella città corrotta. Tutte le città erano corrotte - e di questo lei era ormai sicura, avendone viste quattro almeno in parte - ma Ebou Dar era l'ultimo posto dove avrebbe lasciato libero un bambino. Quello che non riusciva a capire era perché Olver le tornava sempre in mente, a meno che lei non si sforzasse di evitarlo. Il piccolo non faceva parte del toh che lei aveva con Elayne, e con Rand al'Thor. La lancia di uno Shaido aveva ucciso suo padre, la fame e gli stenti si erano presi la madre, eppure, anche se fosse stata lei stessa ad ammazzarli entrambi, Olver restava sempre un assassino dell'albero, un Cairhienese. Perché lei doveva preoccuparsi di un ragazzino in cui scorreva quel sangue? Perché? Provò a concentrarsi sulla tessitura che doveva intrecciare, ma anche se l'aveva provata sotto lo sguardo di Elayne fino a essere capace di rifarla nel sonno, il volto di Olver con la sua bocca larga continuava a intralciarla. Birgitte si preoccupava anche più di lei per quel ragazzino, ma il seno di Birgitte nascondeva un cuore stranamente tenero quando si trattava di ragazzini, meglio ancora se brutti. Sospirando, Aviendha smise di provare inutilmente a ignorare la conversazione dei suoi compagni, anche se nelle parole che si scambiavano l'irritazione crepitava come un fulmine ardente. Ma anche quello era meglio che lasciarsi prendere dalla preoccupazione per gli assassini dell'albero. Gli spergiuri. Un sangue maledetto che insozzava il mondo. Non meritava la sua preoccupazione, la sua ansia. Per niente. E, in ogni caso, Mat Cauthon avrebbe trovato quel ragazzino. Sembrava capace di trovare qualsiasi cosa. Quando cominciò ad ascoltare gli altri, Aviendha si calmò. Anche il prurito andò via. «Non mi piace neanche un po'!» stava mormorando Nynaeve, portando avanti una discussione cominciata nelle loro stanze. «Neanche un po', Lan, mi hai sentito?» Aveva già annunciato la propria contrarietà almeno venti volte, ma Nynaeve non si arrendeva nemmeno davanti alla sconfitta. Bassa
e con gli occhi scuri, incedeva con una certa ferocia, scalciando la gonna blu divisa, una mano sospesa a mezz'aria vicino alla grossa treccia prima di riscendere all'improvviso solo per alzarsi di nuovo. Nynaeve teneva bene a freno rabbia e irritazione quando c'era Lan. O almeno ci provava. Era molto orgogliosa per averlo sposato. L'aderente giubba di seta blu, ricamata e con striature di giallo, era aperta sul vestito da cavallerizza che mostrava fin troppo seno, com'era nelle usanze degli abitanti delle terre bagnate, e tutto questo solo per tenere in vista il grosso anello d'oro di Lan che lei portava appeso a un'elegante collanina. «Non hai alcun diritto di promettere che ti prenderai cura di me, Lan Mandragoran» proseguì con fermezza Nynaeve. «Non sono una statuina di porcellana!» Lui le camminava accanto, molto più alto, con il mantello da Custode che gli pendeva sulla schiena e faceva star male chi lo guardava. Il volto sembrava scolpito nella pietra, gli occhi soppesavano ogni servitore per valutarne la minacciosità, esaminavano ogni corridoio laterale e ogni nicchia alla ricerca di nemici in agguato. Il suo corpo emanava prontezza, un leone pronto al balzo. Aviendha era cresciuta in mezzo a uomini pericolosi, ma nessuno di quelli era paragonabile ad Aan'allein. Se la morte si fosse dovuta incarnare in un uomo, avrebbe scelto lui. «Tu sei un'Aes Sedai e io un Custode» disse Lan con voce profonda e calma. «Prendermi cura di te è il mio dovere.» Il tono si addolcì, un contrasto stridente col volto spigoloso e gli occhi impassibili e inespressivi. «Inoltre, è il desiderio del mio cuore, Nynaeve. Puoi chiedermi o ordinarmi qualsiasi cosa, ma non di lasciarti morire senza nemmeno provare a salvarti. Quando morirai tu, morirò anch'io.» Questo non l'aveva mai detto, almeno non in presenza di Aviendha, e Nynaeve parve colpita da un pugno allo stomaco; gli occhi quasi le uscirono dalle orbite e la bocca si muoveva, ma senza emettere suoni. Come sempre, però, la donna si riprese in fretta. Fingendo di sistemarsi il cappello blu con le piume, un oggetto ridicolo simile a un uccello che le avesse fatto il nido sulla testa, lanciò un'occhiata a Lan da sotto l'ampia tesa. Aviendha aveva cominciato a sospettare che Nynaeve spesso usasse il silenzio e degli sguardi secondo lei significativi per nascondere la propria ignoranza. Forse Nynaeve non ne sapeva molto più di lei sugli uomini, né era molto più brava a gestirne uno. Affrontarli con lance e pugnali era più facile che amarli. Molto più facile. Come facevano le donne a sposarli? Aviendha aveva un disperato bisogno di imparare, ma non sapeva come. Sposata con Aan'allein solo da un giorno, Nynaeve era cambiata molto, e
non solo perché provava a tenere a bada il carattere. Sembrava oscillare tra stupore e confusione, per quanto si sforzasse di nasconderlo. Sognava a occhi aperti nei momenti più strani, arrossiva per la più innocente delle domande e - questo però lo negava con accanimento, anche se Aviendha stessa l'aveva vista - ridacchiava senza alcun motivo. Non aveva senso provare a imparare qualcosa da Nynaeve. «Immagino che anche tu mi rifarai il discorso di Aes Sedai e Custodi, vero?» disse Elayne a Birgitte con una certa freddezza. «Be', almeno noi non siamo sposate. Mi aspetto che tu mi guardi le spalle, non che fai promesse alle mie spalle.» Elayne indossava abiti indecenti quanto quelli di Nynaeve, un vestito da cavallerizza in seta verde decorata nello stile di Ebou Dar, abbastanza accollato ma con un'apertura ovale che le metteva a nudo le curve del seno. Gli abitanti delle terre bagnate cominciavano a balbettare quando si parlava di tende delle saune o di stare nudi davanti ai gai'shain, ma poi camminavano mezzo svestiti dove qualsiasi estraneo poteva vederli. Aviendha non si curava molto di Nynaeve, ma Elayne era la sua sorella prossima. E lei sperava che il loro legame diventasse ancor più stretto. I tacchi rialzati degli stivali di Birgitte la facevano sembrare almeno di un palmo più alta di Nynaeve, anche se restava comunque più bassa di Elayne o Aviendha. Con una giubba blu scuro e larghi pantaloni verdi, aveva quasi lo stesso portamento di Lan, un insieme di attenzione, sicurezza e prontezza di riflessi, anche se lei sembrava più disinvolta. Un leopardo steso su una roccia, ma quell'indolenza era solo una maschera. Non c'erano frecce incoccate nel suo arco, ma nonostante il passo strascicato e i continui sorrisi era capace di estrarne in un batter d'occhi una dalla faretra che portava in vita, e avrebbe fatto già partire la terza nel tempo che a chiunque altro sarebbe servito ad accostare la seconda alla corda dell'arco. Rivolse a Elayne un sorriso beffardo e scosse il capo facendo oscillare la sua treccia bionda, lunga e spessa come quella di Nynaeve, che però era scura. «Ti ho fatto la mia promessa faccia a faccia, non alle spalle» disse seccamente. «Quando ne saprai un po' di più, non dovrò più farti discorsi su Custodi e Aes Sedai.» Elayne tirò su col naso e alzò il mento con fare arrogante, giocherellando coi nastri del cappello, coperto di lunghe piume verdi e persino peggiore di quello di Nynaeve. «Forse un bel po' di più» aggiunse Birgitte. «Stai legando un altro nodo a quell'arco.» Se Elayne non fosse stata la sua sorella prossima, Aviendha avrebbe riso per il rossore che le accese le guance. Era sempre divertente riportare coi
piedi per terra qualcuno che cercava di volare troppo alto, o guardare qualcun altro che lo faceva, e anche una piccola caduta meritava una risata. Ma, visto il suo legame con Elayne, Aviendha rivolse a Birgitte un'occhiataccia, facendole capire che se avesse continuato ne avrebbe pagato le conseguenze. Le piaceva quella donna nonostante tutti i suoi segreti, ma la differenza tra un'amica e una sorella prossima era una cosa che quelle abitanti delle terre bagnate non sembravano in grado di comprendere. Birgitte si limitò a sorridere, guardando da lei a Elayne, e mormorò qualcosa tra sé. Aviendha colse la parola 'cuccioli'. Cosa anche peggiore, l'aveva detto con voce piena di affetto. E chiunque poteva aver sentito. Chiunque! «Che ti prende, Aviendha?» le chiese Nynaeve pungolandole duramente una spalla con un dito. «Hai intenzione di restare lì ad arrossire tutto il giorno? Abbiamo fretta.» Solo in quel momento la ragazza capì che, a giudicare dal calore che sentiva in viso, doveva essere paonazza come Elayne. Ed era anche immobile come una statua, mentre avevano bisogno di sbrigarsi. Ferita da una parola, come una ragazzina appena sposata alla lancia che non si era ancora abituata agli insulti delle Fanciulle. Aveva quasi vent'anni, e si comportava come una bambina che giocava col suo primo arco. Questo pensiero rinfocolò le fiamme sulle sue guance. Per questo quasi balzò oltre la prossima curva, e per poco non finì addosso a Teslyn Baradon. Scivolando goffamente sulle piastrelle verdi e rosse del pavimento, Aviendha rischiò di cadere all'indietro, e si fermò andando a sbattere contro Elayne e Nynaeve. Questa volta riuscì a non arrossire, ma le costò molto. Stava disonorando la sua sorella prossima oltre che sé stessa. Elayne manteneva sempre il controllo, in qualsiasi circostanza. Per fortuna, Teslyn Baradon reagì meglio di lei a quell'incontro. La donna dal volto duro si ritrasse per la sorpresa, le sfuggì un sussulto, poi agitò le piccole spalle con una certa irritazione. Guance incavate e un naso stretto nascondevano la tipica assenza dei segni dell'età nei lineamenti della Rossa, e il suo vestito, anche questo rosso e con un broccato blu che era quasi nero, la faceva solo sembrare più ossuta, anche se subito riprese la propria compostezza degna della padrona del tetto di un clan, gli occhi castani freddi come ombre profonde. Il suo sguardo scivolò oltre Aviendha, ignorò Lan come fosse uno strumento per lei inutile, e si accese per un breve istante quando inquadrò Birgitte. La maggior parte delle Aes Sedai disapprovava il fatto che quella donna fosse una Custode, ma nessuna di loro riusciva a fornire un motivo che andasse oltre degli acidi mormorii
sulle tradizioni. Teslyn, però, fissò a turno e più a lungo Elayne e Nynaeve. Aviendha si disse che sarebbe stato più facile seguire il percorso del vento del giorno prima piuttosto che individuare un'espressione qualsiasi sul volto della sorella Rossa. «L'ho già spiegato a Merilille,» disse Teslyn con un forte accento Illianese «ma posso tranquillizzare anche voi. Qualsiasi... malefatta... stiate combinando, io e Joline non vi intralceremo. Ve lo prometto. Elaida non lo verrà mai a sapere, se sarete abbastanza caute. Non mi guardate come delle carpe, bambine» aggiunse con una smorfia di disgusto. «Non sono cieca né sorda. So delle Cercavento del Popolo del Mare a palazzo, e degli incontri segreti con la regina Tylin. E di altre cose.» Strinse ancor di più la sua bocca sottile, e anche se il tono rimase sereno, gli occhi scuri ardevano di rabbia. «La pagherete cara per queste altre cose, voi e quelle che vi permettono di giocare a fare le Aes Sedai, ma per adesso guarderò da un'altra parte. La vostra espiazione può attendere.» Nynaeve strinse la treccia in una mano, raddrizzò la schiena e tenne alta la testa, e anche nei suoi occhi si accesero le fiamme. In altre circostanze, Aviendha avrebbe anche potuto provare compassione per il bersaglio delle scudisciate verbali che stavano chiaramente per arrivare. La lingua di Nynaeve aveva più spine di una pianta di segade, ed erano anche più pungenti. Aviendha valutò freddamente quella donna che credeva di poterla ignorare come se non esistesse. Le Sapienti non si abbassavano a prendere a pugni la gente, ma lei era ancora solo un'allieva: forse non avrebbe accumulato alcun ji se si fosse limitata a lasciare qualche livido a questa Teslyn Baradon. Aprì la bocca per dare alla sorella Rossa la possibilità di difendersi, e nello stesso momento anche Nynaeve fece per parlare, eppure Elayne anticipò entrambe. «Quello che stiamo combinando, Teslyn,» disse con voce fredda «non ti riguarda affatto.» Anche lei si era raddrizzata, e gli occhi erano ghiaccio azzurro; un raggio di luce da un'alta finestra colpì i suoi ricci ramati e parve incendiarli. In quel momento, Elayne avrebbe fatto apparire una padrona del tetto come una caprara con troppo oosquai in corpo. Una capacità che la ragazza aveva raffinato alla perfezione. Pronunciò ogni parola con chiarezza adamantina: «Non hai diritto di interferire con quello che facciamo noi o qualsiasi altra sorella. Nessun diritto. Quindi smettila di ficcare il naso nelle nostre giubbe, specie di prosciutto estivo, e ritieniti fortunata se abbiamo deciso di non prendere provvedimenti contro di te, che appoggi l'usurpatrice del seggio dell'Amyrlin.»
Perplessa, Aviendha guardò di sottecchi la sua sorella prossima. Ficcare il naso nelle loro giubbe? Lei ed Elayne non ne indossavano. E che cos'era mai un prosciutto estivo? Gli abitanti delle terre bagnate dicevano spesso cose strane, ma questa volta anche le altre sembravano confuse come lei. Solo Lan, che fissava Elayne senza darlo a vedere, pareva aver capito e aveva un'aria... sbalordita. E forse divertita. Era difficile capirlo, Aan'allein era bravo a controllare le proprie espressioni. Teslyn Baradon tirò su col naso, e il suo volto sembrò ancora più aguzzo. Aviendha si sforzava di chiamare quelle persone solo con una parte del nome, secondo le loro usanze - quando lei pronunciava quello intero, chissà perché gli altri credevano che fosse nervosa! - ma proprio non se la sentiva di pensarsi così intima con Teslyn Baradon. «Lascerò voi sciocche bambine ai vostri affari» ringhiò la donna. «Ma fate in modo di non finire voi col naso incastrato in una crepa peggiore di quella in cui vi trovate già.» Quando lei si girò per andare via, raccogliendo le gonne con movenze pompose, Nynaeve la prese per un braccio. Spesso gli abitanti delle terre bagnate lasciavano trasparire dal volto le loro emozioni, e Nynaeve era l'immagine stessa del conflitto, con la rabbia che lottava per passare attraverso la rigida determinatezza. «Aspetta, Teslyn» disse con riluttanza. «Tu e Joline potreste essere in pericolo. Ho già avvisato Tylin, ma forse lei è troppo spaventata per dirlo a qualcun altro. E non la biasimo. Sono cose delle quali nessuno parlerebbe a cuor leggero.» Trasse un respiro lungo e profondo, e se stava pensando alle proprie paure in quella situazione, ne aveva ben donde. Non c'era vergogna nell'avere paura, solo nel cedervi o nel mostrarla. «Moghedien è stata a Ebou Dar. E potrebbe essere ancora qui. Forse con un altro dei Reietti. E insieme a un gholam, una progenie dell'Ombra contro la quale il Potere è inutile. Sembra un uomo, ma è una creatura fatta apposta per uccidere le Aes Sedai. Neanche l'acciaio pare danneggiarla, e può infilarsi nel più piccolo dei buchi. E c'è anche l'Ajah Nera. E una tempesta in arrivo, una brutta tempesta. E non si tratta di una tempesta nel senso del clima. La sento, è una mia capacità, un Talento, forse. Un grande pericolo sta per abbattersi su Ebou Dar, problemi di gran lunga peggiori di qualsiasi vento, pioggia o fulmine.» «I Reietti, una tempesta che non è una tempesta e una progenie dell'Ombra della quale non ho mai sentito parlare» riassunse Teslyn Baradon con una certa ironia. «Per non parlare dell'Ajah Nera. Per la Luce! L'Ajah Nera! E magari anche il Tenebroso in persona?» Il suo sorriso storto era sotti-
le come la lama di un rasoio. Con un gesto sdegnante, si tolse la mano di Nynaeve dal braccio. «Quando sarete di nuovo alla Torre Bianca, che è il posto giusto per voi, e indosserete di nuovo il bianco che vi appartiene, allora imparerete a non sprecare il tempo con queste fantasie insensate. E a non raccontare le vostre fandonie alle sorelle.» Fece scorrere lo sguardo su di loro, saltando di nuovo Aviendha, poi tirò su col naso e se ne andò lungo il corridoio così in fretta che i servitori dovevano balzare di lato per non essere travolti. «Quella donna ha il coraggio di...» balbettò Nynaeve, guardando in cagnesco la ritirata di Teslyn e stringendosi la treccia con tutte e due le mani. «Dopo che io mi sono costretta a...» Quasi si strozzò per la rabbia. «Be', ci ho provato.» E, a giudicare dal tono, se ne era anche già pentita. «Vero, ci hai provato,» concordò Elayne con un brusco cenno del capo «e hai fatto più di quanto lei meritasse. Ha negato che siamo delle Aes Sedai! Non lo tollererò un'altra volta! Mai più!» La sua voce, prima solo fredda, adesso era anche truce. «Possiamo fidarci di una donna del genere?» mormorò Aviendha. «Forse dovremmo assicurarci che non possa interferire con noi.» Si guardò i pugni: quelli di sicuro avrebbero convinto Teslyn Baradon. Quella donna si meritava di finire nelle grinfie di un'Anima dell'Ombra, fosse Moghedien o qualcun altro. Gli idioti meritavano di pagare tutte le conseguenze della loro idiozia. Nynaeve parve prendere in seria considerazione la sua proposta, ma poi disse: «Se non sapessi come stanno le cose, penserei quasi che era pronta a tradire Elaida.» Esasperata, fece schioccare la lingua. «Ci si può stordire a cercare di capire le correnti politiche delle Aes Sedai.» Elayne non disse chiaramente che anche Nynaeve avrebbe dovuto capirlo ormai, ma il tono lo lasciava intendere. «Anche una Rossa potrebbe rivoltarsi contro Elaida, per qualche motivo che noi neanche possiamo immaginare. O forse stava tentando di farci abbassare la guardia, in modo da poterci ingannare e consegnarci a Elaida stessa. Oppure...» Lan tossì. «Se stanno arrivando i Reietti,» disse in un tono che era come pietra levigata «allora potrebbero essere qui da un momento all'altro. Loro o quel gholam. In entrambi i casi, sarebbe meglio se noi ci trovassimo altrove.» «Con le Aes Sedai porta pazienza» mormorò Birgitte come se stesse citando qualche detto. «Ma le Cercavento non sembrano averne affatto,» continuò «quindi potete anche lasciar perdere Teslyn per concentrarvi su
Renaile.» Elayne e Nynaeve rivolsero ai due Custodi occhiate così fredde che avrebbero fatto mancare un passo anche ai Cani di Pietra. A nessuna delle due piaceva l'idea di fuggire dalle Anime dell'Ombra e da quel gholam, anche se erano state proprio loro a decidere che non c'erano alternative. E di sicuro non erano contente di sentirsi ripetere che dovevano sbrigarsi a incontrare le Cercavento anche per sfuggire ai Reietti. Aviendha avrebbe potuto imparare qualcosa dalle loro occhiate - le Sapienti, con uno sguardo e poche parole, ottenevano ciò che lei doveva conquistarsi minacciando coi pugni o con la lancia, solo che di solito lo ottenevano prima e meglio -, avrebbe potuto imparare molto da Elayne e Nynaeve, eppure quelle loro occhiatacce non sortirono alcun effetto sui due Custodi. Birgitte sogghignò e guardò Lan, che si strinse nelle spalle con un'evidente aria di sopportazione. Elayne e Nynaeve si arresero. Senza fretta, e lisciandosi inutilmente le gonne, presero a braccetto Aviendha, una per lato, e si avviarono senza nemmeno controllare se i Custodi le seguivano. Elayne non ne aveva neppure bisogno, dato il legame con la sua Gaidin. E neanche Nynaeve, anche se per un motivo diverso: il legame di Aan'allein poteva anche appartenere a un'altra, ma il suo cuore era appeso insieme all'anello che la donna portava al collo. Elayne e Nynaeve si impegnarono a passeggiare con gran naturalezza, per far capire a Lan e Birgitte che non gli avevano messo fretta, anche se in verità camminavano più veloce di prima. Quasi per rimediare a ciò, chiacchieravano oziosamente, scegliendo di proposito gli argomenti più frivoli. Elayne si rammaricava per non aver avuto occasione di assistere alla Festa degli Uccelli del giorno addietro, e non arrossì neppure al pensiero degli abiti succinti che tanta gente aveva indossato. Neanche Nynaeve arrossì, ma subito cominciò a parlare della Festa delle Braci, che si sarebbe tenuta quella stessa notte. Alcuni servitori avevano detto che ci sarebbero stati i fuochi d'artificio, presumibilmente a opera di un profugo Illuminatore. Diversi spettacoli ambulanti erano arrivati in città, cosa che interessava a entrambe, visto che avevano passato del tempo con un serraglio. Parlarono di sarte e della varietà di merletti disponibili a Ebou Dar, delle numerose qualità di seta e lino che si potevano comprare, e Aviendha si ritrovò a rispondere con gioia ai complimenti su come le stava bene quel vestito da cavallerizza in seta grigia e sugli altri abiti ricevuti in dono da Tylin Quintara, lane e sete della migliore qualità, con tanto di calze e biancheria intima abbinate, e persino gioielli. Anche
Elayne e Nynaeve avevano avuto dei regali sontuosi. Tutti insieme, gli oggetti ricevuti da loro tre riempivano un buon numero di casse e bauli, che alcuni servitori avevano portato nelle stalle insieme alle loro bisacce da sella. «Perché sei accigliata, Aviendha?» domandò Elayne, sorridendole e dandole una pacca su un braccio. «Non ti preoccupare. Conosci la tessitura: te la caverai bene.» Nynaeve piegò la testa verso di lei e sussurrò: «Ti preparerò un tè appena possibile. Ne conosco diversi che possono placare lo stomaco. E risolvere i problemi di una donna.» Anche lei le diede una pacca sul braccio. Non capivano. Nessuna parola di conforto o tazza di tè avrebbe curato i suoi disturbi. Si stava divertendo a parlare di trini e merletti! Non sapeva se ringhiare per il disgusto o gemere per la disperazione. Stava diventando debole. Prima non aveva mai guardato il vestito di una donna se non per capire dove poteva nascondere un'arma, non aveva mai notato taglio e colore, né si era mai chiesta come sarebbe stato addosso a lei. Era davvero giunto il momento di andarsene da quella città, di andarsene dalle terre bagnate. Tra poco avrebbe cominciato a comportarsi da civettuola. Non aveva mai visto Elayne o Nynaeve fare una cosa del genere, ma tutti sapevano che le abitanti delle terre bagnate erano civettuole, ed era evidente che lei stava diventando debole come una qualsiasi di quelle donne dal cuore di latte. Passeggiava a braccetto con le sue amiche e parlava di merletti! Come poteva impugnare il coltello che portava alla cintura se qualcuno le avesse attaccate? Sarebbe stato comunque inutile contro i loro attuali nemici, ma lei si era affidata all'acciaio molto prima di rendersi conto di saper incanalare. Se qualcuno avesse provato a far del male a Elayne o a Nynaeve - soprattutto a Elayne, ma aveva promesso a Mat Cauthon di proteggerle entrambe, come di sicuro avevano promesso anche Birgitte e Aan'allein - se qualcuno ci avesse provato lei gli avrebbe piantato dell'acciaio nel cuore. Merletti! Mentre continuavano a camminare, Aviendha pianse dentro di sé per quanto era diventata debole. Le grandi doppie porte delle stalle si affacciavano su tre lati del grande cortile del palazzo, con servitori in livrea bianca e verde affollati sulla soglia. Dentro le stalle in pietra bianca aspettavano i cavalli, sellati o carichi di cesti di vimini. Gli uccelli di mare volavano in cerchio e lanciavano i loro versi, uno sgradevole promemoria di tutta l'acqua che c'era lì vicino. Il calore si rifletteva dalle chiare pietre della pavimentazione, ma l'aria era ancor più densa per via della tensione. Aviendha aveva visto versare san-
gue in situazioni meno stressanti di quella. Renaile din Calon, con le gonne rosse e gialle e le braccia incrociate sotto il seno in una posa arrogante, stava davanti ad altre diciannove donne scalze, con le mani tatuate e bluse dai colori accessi, quasi tutte con pantaloni e fusciacche altrettanto brillanti. Il sudore che riluceva su quei volti scuri non ne sminuiva la solenne dignità. Alcune di loro annusavano delle scatolette d'oro traforato piene di spezie dai pesanti odori che portavano appese al collo. Renaile din Calon aveva cinque grossi cerchietti d'oro a ogni orecchio, e da uno di questi partiva una catenina piena di medaglioni che le attraversava la guancia sinistra e finiva attaccata a un altro cerchietto, sul naso. Le tre donne subito dietro di lei avevano otto orecchini, e i loro medaglioni erano un po' più piccoli. Quello era il modo in cui il Popolo del Mare segnava le differenze di rango, almeno tra le donne. Tutte le altre si inchinavano a Renaile din Calon, Cercavento della Maestra delle Navi degli Atha'an Miere, ma persino le due apprendiste in fondo alla fila emanavano i loro scintillii dorati. All'arrivo di Aviendha e le altre, Renaile din Calon guardò ostentatamente il sole, che aveva già superato il picco di mezzogiorno. La donna inarcò le sopracciglia riportando lo sguardo su di loro, occhi neri come i capelli, striati di bianco sulle tempie, un'imperiosa espressione di impazienza così evidente che tanto valeva si mettesse a urlare. Elayne e Nynaeve si fermarono all'improvviso, tirando Aviendha in quella brusca frenata. Si scambiarono sguardi preoccupati e profondi sospiri. L'Aiel non vedeva nessuna via di fuga. Il dovere legava mani e piedi alla sua sorella-prima e a Nynaeve con nodi che loro stesse avevano stretto. «Io mi occupo del Circolo della Maglia» mormorò Nynaeve, e con un po' più di fermezza Elayne rispose: «E io mi assicurerò che le sorelle siano pronte.» Lasciarono le braccia di Aviendha e se ne andarono in direzioni opposte, tenendosi le gonne con le mani per camminare più in fretta, seguite da Lan e Birgitte. E così lei rimase ad affrontare da sola lo sguardo di Renaile din Calon, lo sguardo da aquila di una donna che sapeva di detenere una posizione elevata dalla quale non poteva essere rimossa. Per fortuna, la Cercavento della Maestra delle Navi si girò rapidamente verso le sue compagne, tanto rapidamente che le lunghe estremità della sua fusciacca gialla sventolarono nell'aria. Le altre Cercavento si raccolsero intorno a lei e ascoltarono con attenzione le sue parole sussurrate. Se Aviendha l'avesse colpita
anche solo una volta avrebbe rovinato tutto. Si sforzò di non fissare in cagnesco quelle donne, ma per quanto cercasse di guardare altrove, gli occhi tornavano sempre lì. Nessuno aveva il diritto di mettere in quella difficile situazione la sua sorella prossima. Anelli al naso! Un bello strattone a quella catenina, e Renaile din Calon Stella Azzurra avrebbe mostrato un'espressione ben diversa. Raggruppate a un'estremità del cortile, la piccola Merilille Ceandevin e altre quattro Aes Sedai guardavano anche loro le Cercavento, per lo più con un fastidio malcelato dietro la fredda serenità. Anche la magra Vandene Namelle dai capelli bianchi e Adeleas, sua immagine speculare nonché sorella-prima, erano irritate, loro che di solito sembravano ancor più imperturbabili delle altre. Di tanto in tanto una o l'altra si aggiustavano il sottile mantello di lino o lisciavano le gonne divise. Le improvvise raffiche di vento alzavano un po' di polvere e agitavano i mantelli dai colori cangianti dei cinque Custodi sistemati alle spalle delle Aes Sedai, ma ad agitare le loro mani era invece un evidente nervosismo. Solo Sareitha, che faceva la guardia a un grosso pacco bianco dalla forma ovale, non si contorceva, ma era accigliata. La... cameriera... di Merilille, Pol, stava dietro di loro con espressione torva. Le Aes Sedai disapprovavano caldamente l'accordo che aveva fatto scendere gli Atha'an Miere dalle loro navi e aveva dato loro il permesso di fissare le stesse Aes Sedai con imperiosa impazienza, ma proprio quell'accordo teneva ferme le lingue delle sorelle e le costringeva a tenere per sé qualsiasi commento irritato. Tentavano di nascondere il loro nervosismo, e forse un abitante delle terre bagnate ci sarebbe anche cascato. Il terzo gruppo di donne, rannicchiate dalla parte opposta del cortile, attirava i loro sguardi quasi quanto le Cercavento. Reanne Corly e le altre dieci sopravvissute del Circolo della Maglia della Famiglia si agitavano a disagio sotto quell'esame pieno di disapprovazione, si asciugavano i volti sudati con fazzoletti ricamati, sistemavano gli ampi cappelli di paglia dai tanti colori, lisciavano le semplici gonne di lana rialzata su un lato a mostrare strati di sottovesti dalle tinte accese come quelle degli abiti del Popolo del Mare. Se spostavano di continuo il peso del corpo da un piede all'altro era in parte per gli sguardi fissi delle Aes Sedai, in parte per la paura dei Reietti e del gholam e in parte per altri motivi ancora. Già le scollature strette e profonde dei loro vestiti sarebbero state un motivo sufficiente per una tale inquietudine. Quelle donne mostravano quasi tutte più di una ruga in viso, eppure sembravano ragazzine appena colte con le mani piene di burro di arachidi rubato. Tutte tranne la
grossa Sumeko che, coi pugni piantati sui fianchi larghi, ricambiava gli sguardi delle Aes Sedai. Il bagliore di saidar circondava anche una di quel gruppo, Kirstian, che continuava a guardarsi alle spalle. Il volto pallido forse di dieci anni più vecchio di quello di Nynaeve, sembrava fuori posto in mezzo alle altre, e impallidiva sempre più ogni volta che i suoi occhi neri incontravano quelli di un'Aes Sedai. Nynaeve raggiunse in tutta fretta le donne che guidavano la Famiglia, il volto raggiante di incoraggiamento, e Reanne e le altre sorrisero con visibile sollievo. Un sollievo un po' attenuato dalle occhiate che lanciavano a Lan: guardavano il Custode come se fosse davvero il lupo che in alcuni momenti sembrava. Era grazie a Nynaeve, in ogni caso, che Sumeko non sobbalzava come le altre ogni volta che un'Aes Sedai si girava verso di lei. Nynaeve si era impegnata a insegnare a quelle donne a comportarsi con coraggio, anche se Aviendha non capiva bene perché. In fondo, anche Nynaeve era un'Aes Sedai. Nessuna Sapiente avrebbe mai detto a qualcuno di opporsi duramente alle Sapienti. Per quanto bene quegli insegnamenti stessero funzionando riguardo alle altre Aes Sedai, persino Sumeko aveva un'aria leggermente servile quando guardava Nynaeve. Per il Circolo della Maglia era quanto meno strano che donne giovani come Elayne e Nynaeve dessero ordini alle altre Aes Sedai. Anche Aviendha lo trovava bizzarro: com'era possibile che la forza nel Potere, qualcosa che si ereditava alla nascita come il colore degli occhi, avesse più peso dell'onore conquistato con gli anni? Eppure le Aes Sedai più anziane obbedivano alle sue due amiche, e per le donne della Famiglia questo era sufficiente. Ieine, alta quasi quanto Aviendha e scura quasi come gli Atha'an Miere, reagiva a ogni occhiata di Nynaeve con un sorriso ossequioso, mentre Dimana, i capelli rossi striati di bianco, chinava sempre il capo, e la bionda Sibella ridacchiava nascondendosi la bocca con una mano. Nonostante gli abiti nello stile di Ebou Dar, solo la magra Tamarla dalla pelle olivastra era dell'Altara, ma non di quella città. Non appena arrivò Nynaeve, le altre si separarono mostrando una donna in ginocchio, con le braccia legate dietro la schiena, un cappuccio di cuoio a coprirle la testa e gli abiti eleganti sporchi e strappati. Quelle del Circolo della Maglia erano agitate tanto per la sua presenza quanto per gli sguardi accigliati di Merilille o il pensiero dei Reietti, se non di più. Tamarla le tolse il cappuccio, scoprendo un groviglio di trecce sottili costellate di piccole perline; Ispan Shefar provò ad alzarsi, e riuscì ad accovacciarsi goffamente prima di barcollare e ricadere all'indietro, sbattendo
le palpebre e ridacchiando stordita. Il sudore le colava sulle guance, e i lividi della cattura deturpavano i suoi lineamenti senza età. Secondo Aviendha, era stata comunque trattata con troppa gentilezza, visti i suoi crimini. L'infuso che Nynaeve le aveva cacciato in gola le annebbiava la mente oltre a indebolirle le gambe, ma Kirstian la teneva comunque schermata con tutto il Potere che riusciva a controllare. Quella Serva dell'Ombra non aveva alcuna possibilità di fuggire - anche se non fosse stata drogata, Kirstian era forte nel potere quanto Reanne, più forte di gran parte delle Aes Sedai che Aviendha aveva incontrato - eppure anche Sumeko si pizzicava nervosamente la gonna ed evitava di guardare la donna inginocchiata. «Di sicuro adesso dovremmo consegnarla alle sorelle.» La voce stridula di Reatine era così tremolante e incerta che sarebbe potuta appartenere anche alla sorella Nera schermata da Kirstian. «Nynaeve Sedai, noi... non dovremmo fare la guar... ehm... custodire un'Aes Sedai.» «Ha ragione» aggiunse Sumeko in tutta fretta. E con grande ansia. «Dovremmo consegnarla alle Aes Sedai.» Sibella le fece eco, e tra le donne della Famiglia passò un'ondata di mormorii di assenso. Erano tutte profondamente convinte di essere di gran lunga inferiori alle Aes Sedai: con ogni probabilità avrebbero preferito fare la guardia a dei Trolloc che tenere prigioniera una sorella. Gli sguardi di disapprovazione di Merilille e le altre cambiarono alla vista del volto di Ispan Shefar. Sareitha Tomares, che aveva preso lo scialle dalla frangia marrone da pochi anni e non aveva ancora l'aspetto privo di età, la fissò con un disgusto che avrebbe potuto incendiare quella Serva dell'Ombra anche a cinquanta passi di distanza. Adeleas e Vandene, le mani strette sulle gonne, erano agitate dall'odio per la donna che era stata loro sorella e le aveva tradite. Eppure, gli sguardi che le Aes Sedai rivolgevano al Circolo della Maglia non erano molto migliori. Anche loro erano convinte che la Famiglia fosse di gran lunga inferiore. C'erano anche altri motivi, ma restava il fatto che la traditrice era stata un'Aes Sedai, ed erano quindi loro le uniche ad avere diritto di tenerla prigioniera. Aviendha era d'accordo. Una Fanciulla che avesse tradito le sue sorelle di lancia non sarebbe morta in fretta né con onore. Nynaeve calcò con forza il sacco sulla testa di Ispan Shefar. «Ve la siete cavata bene finora, e continuerete a farlo» disse con fermezza alle donne della Famiglia. «Se vi sembra che stia per tornare in sé, fatele bere un altro po' di quella mistura. Rimarrà stordita come una capra ubriaca di birra. Tappatele il naso, se si rifiuta di ingoiare. Anche un'Aes Sedai berrà di tut-
to se le stringete il naso e la minacciate di prenderla a schiaffi.» Reanne spalancò la bocca e sgranò gli occhi, come la maggior parte delle sue compagne. Sumeko annuì, ma lentamente, e i suoi occhi erano sbarrati quasi come quelli delle altre. Quando la Famiglia parlava di Aes Sedai era come se nominasse il Creatore. Il pensiero di tenere una sorella per il naso, anche se si trattava di una Serva dell'Ombra, le riempiva di terrore. A giudicare da come gli occhi delle Aes Sedai parevano voler uscire dalle orbite, a loro quell'idea doveva piacere ancora di meno. Merilille fece per parlare, lo sguardo fisso su Nynaeve, ma Elayne la raggiunse proprio in quel momento, e la sorella Grigia si girò verso di lei, concedendo a malapena un'unica, torva occhiata di disapprovazione a Birgitte. Come a tradire la sua agitazione, parlò alzando la voce invece che abbassandola; di solito Merilille era molto discreta. «Elayne, devi parlare con Nynaeve. Quelle donne sono già abbastanza confuse e fuori di sé per la paura. Non è il caso che lei le sconvolga ancora di più. Se l'Amyrlin Seat ha davvero intenzione di lasciarle andare alla Torre,» scosse il capo lentamente, cercando di negare quell'eventualità e forse molte altre cose «se lo vuole fare davvero, devono avere ben presente qual è il loro posto, e...» «L'Amyrlin le accoglierà» la interruppe Elayne. La versione di Nynaeve di un tono deciso era un pugno agitato sotto il naso dell'interlocutore; quella di Elayne era una calma sicurezza. «Avranno la loro occasione per ritentare, e se falliranno comunque non saranno mandate via. Nessuna donna capace di incanalare verrà mai più allontanata dalla Torre. Saranno tutte parte della Torre Bianca.» Sfiorando distrattamente il pugnale che portava alla cintura, Aviendha rifletté su quelle parole. Egwene, l'Amyrlin Seat di Elayne, aveva detto più o meno la stessa cosa. Anche lei era una sua amica, ma si era dedicata anima e corpo al suo essere Aes Sedai. Aviendha non desiderava far parte della Torre Bianca. E dubitava seriamente che Sorilea e le altre Sapienti l'avrebbero gradito. Merilille sospirò e intrecciò le mani, ma nonostante quella posa più conciliante mancò lo stesso di abbassare la voce. «Come dici tu, Elayne. Ma riguardo a Ispan, davvero non possiamo permettere...» Elayne alzò duramente una mano. L'autorità prese il posto della semplice sicurezza. «Basta, Merilille. Voi dovete badare alla Scodella dei Venti. Sarebbe sufficiente per chiunque. E lo sarà per voi.» Merilille aprì la bocca, poi la richiuse e chinò leggermente il capo in segno di obbedienza. Sotto lo sguardo fermo di Elayne, le altre Aes Sedai fe-
cero lo stesso. E solo alcune si mostrarono un po' riluttanti. Sareitha raccolse subito da terra l'involto di forma ovale coperto da strati di seta bianca. La Scodella dei Venti era così grande che quasi non riusciva a cingerla con le braccia quando se la strinse al petto sorridendo con ansia a Elayne, come a dirle che la stava custodendo con grande attenzione. Le donne del Popolo del Mare fissarono con brama quel fagotto, quasi si sporsero in avanti. Aviendha non si sarebbe sorpresa se una di loro fosse balzata per prendere la Scodella. E anche le Aes Sedai se ne erano chiaramente accorte. Sareitha strinse il suo pacco bianco ancor più forte, e Merilille si mise addirittura tra lei e le Atha'an Miere. I volti lisci delle Aes Sedai erano tesi per lo sforzo di restare inespressivi. Erano convinte che la Scodella appartenesse a loro; tutti gli oggetti che usavano o manipolavano l'Unico Potere erano della Torre, secondo loro, e non contava chi ne fosse fisicamente in possesso. Ma c'era sempre quell'accordo... «Il sole si sposta, Aes Sedai,» annunciò a gran voce Renaile din Calon «e il pericolo continua a minacciarci. O così voi sostenete. Se credete di potervela cavare in qualche modo prendendo tempo, pensateci sopra e ripensateci ancora. Se cercate di rompere l'accordo, e il cuore di mio padre, tornerò alle navi in un istante. Ed esigerò la Scodella come ammenda. È nostra sin dalla Frattura.» «Bada a come parli con le Aes Sedai» latrò Reanne, in tutto e per tutto l'immagine della scandalizzata indignazione, dal cappello azzurro di paglia fino alle grosse scarpe che spuntavano dalle sottovesti bianche e verdi. Renaile din Calon piegò le labbra in una smorfia di derisione. «A quanto pare anche le meduse hanno la lingua. Ma mi sorprende che riescano a usarla anche senza il permesso di un'Aes Sedai.» In un attimo il cortile risuonò di insulti che volavano tra la Famiglia e le Atha'an Miere, 'selvatiche' e 'smidollate' e offese ancor più dure, urla stridenti che coprivano i tentativi di Merilille di zittire Reanne e le sue compagne e di placare le donne del Popolo del Mare. Diverse Cercavento smisero di sfiorare i pugnali che portavano infilati dietro le fusciacche e strinsero le mani sulle else. Il bagliore di saidar si accese intorno a una di quelle donne vestite con colori accesi, poi intorno a un'altra. Quelle della Famiglia parvero sbalordite, ma questo non bastò a sedare i loro animi; Sumeko abbracciò la Fonte, poi Tamarla, poi la slanciata Chilares dagli occhi di cerbiatta, e ben presto tutte loro e le Cercavento si illuminarono, mentre le parole continuavano a volare e gli animi a riscaldarsi. Aviendha era assai irrequieta. Da un momento all'altro poteva comincia-
re a scorrere il sangue. Lei avrebbe seguito la guida di Elayne, ma la sua sorella prossima guardava con fredda furia sia le Cercavento che il Circolo della Maglia. Elayne mal sopportava la stupidità, in sé stessa e negli altri, e insultarsi a gran voce mentre poteva arrivare il nemico era una delle peggiori stupidità possibili. Aviendha strinse forte l'elsa del suo pugnale e dopo un istante abbracciò saidar, riempiendosi di vita e gioia tanto che le venne quasi da piangere. Le Sapienti usavano il Potere solo quando le parole non avevano successo, ma in quel cortile le parole e l'acciaio non avrebbero ottenuto alcun risultato. Adesso ad Aviendha restava solo da capire chi doveva uccidere per prima. «Basta!» Lo strillo acuto di Nynaeve fece chiudere la bocca a tutte, che si voltarono a guardarla sconvolte. Lei si girò minacciosa, e puntò un dito contro il Circolo della Maglia. «Smettetela di comportavi come bambine!» Aveva abbassato la voce, ma solo di un pelo. «O volete stare qui a bisticciare finché non arrivano i Reietti a prendere la Scodella e tutte noi? Voialtre,» il dito si spostò sulle Cercavento «smettetela di agitarvi nel tentativo di venir meno ai patti. Non riavrete la Scodella finché non avrete tenuto fede a ogni singola parola! Cercate di capirlo!» Nynaeve girò su sé stessa, e si rivolse alle Aes Sedai. «E voi...» Quando incontrò le loro pacate espressioni di sorpresa, il flusso delle sue parole scemò fino a ridursi a un amaro grugnito. Le Aes Sedai non avevano preso parte alla lite se non per provare a placarla. E nessuna di loro era avvolta dal bagliore di saidar. Questo, ovviamente, non era abbastanza per calmare Nynaeve, che diede un feroce strattone alla propria treccia, piena di una rabbia fin troppo evidente che ancora voleva scatenare su qualcuno. Ma le donne della Famiglia, mortificate e paonazze, fissavano le pietre del lastricato, e persino le Cercavento sembravano un po' imbarazzate - ma solo un po' - a giudicare da come mormoravano tra sé, seppur rifiutavano di incontrare lo sguardo infuocato di Nynaeve. La luce di saidar si spense da una donna all'altra, finché Aviendha fu l'unica a restare collegata alla Fonte. E sobbalzò quando Elayne le toccò un braccio. Stava davvero diventando debole, se lasciava che qualcuno la cogliesse di sorpresa a quel modo. «A quanto pare abbiamo superato la crisi» mormorò Elayne. «Forse è meglio andare, prima che scoppi la prossima.» L'unica traccia della rabbia di poco prima era il lieve rossore delle sue guance. E di quelle di Birgitte: le due erano una il riflesso dell'altra da quando avevano stretto il legame. «Decisamente meglio» concordò Aviendha. Se restavano lì ancora un po', sarebbe diventata davvero un'abitante delle terre bagnate dal cuore di
latte. Tutte la seguirono con lo sguardo quando lei si incamminò verso il centro del cortile, nel punto che aveva studiato e sentito fino a essere capace di saperlo trovare a occhi chiusi. C'era una gioia nell'usare il Potere, nel lavorare con saidar, che lei non era in grado di esprimere a parole. Contenere saidar, ed essere da saidar contenuta, significava essere più viva che mai. Un'illusione, così dicevano le Sapienti, falsa e pericolosa come un miraggio di acqua nel Termool, eppure sembrava più reale della pietra sotto i suoi piedi. Aviendha resistette all'istinto di incanalarne ancora di più, ne aveva già attinto quasi il massimo per le sue capacità. Le altre donne si affollarono intorno a lei quando iniziò a intessere i flussi. Dopo tutto quello che aveva visto, ancora non riusciva a capire perché le Aes Sedai non potessero fare certe cose. Molte donne del Circolo della Maglia erano abbastanza forti, ma solo Sumeko e, con sua sorpresa, Reanne studiarono apertamente il suo lavoro. Sumeko si spinse addirittura a scrollarsi di dosso la mano che Nynaeve le aveva poggiato su una spalla a mo' di incoraggiamento - cosa che le valse uno sguardo indignato del quale lei neppure si accorse, tanto teneva gli occhi fissi su Aviendha. Tutte le Cercavento avevano la forza sufficiente per quella tessitura, e la studiarono con la stessa bramosia con la quale avevano guardato la Scodella. L'accordo dava loro ogni diritto di farlo. Aviendha si concentrò e i flussi si intrecciarono, creando un'identità tra quel luogo e quello che lei, Nynaeve ed Elayne avevano scelto da una mappa. Aviendha fece come per aprire i lembi di una tenda. Il gesto non era parte della tessitura che le aveva insegnato Elayne, ma era quasi tutto quello che lei ricordava di ciò che aveva fatto in passato, ben prima che Egwene creasse il suo primo passaggio. I flussi si unirono in un'argentea fenditura verticale che ruotò e divenne un'apertura nell'aria, più alta di un uomo e altrettanto larga. Al di là di quella soglia si stendeva un'ampia radura circondata di alberi alti fino a nove metri, diversi chilometri a nord di quella città, sulla riva opposta del fiume. L'erba marrone alta fino alle ginocchia arrivava fino al varco, mossa da una lieve brezza; il passaggio non aveva roteato davvero, era stato solo un effetto ottico. Alcuni di quegli steli erano tagliati di netto a metà, altri nel senso della lunghezza. I bordi di un passaggio che si apriva facevano sembrare smussata la lama di un rasoio. Aprire quel varco la riempiva di frustrazione. Elayne riusciva a lavorare la tessitura usando solo una parte della sua forza, mentre ad Aviendha era
necessaria quasi tutta. Era sicura che avrebbe potuto crearne uno più grande, almeno quanto quelli che apriva Elayne, se solo fosse riuscita a ricordarsi le tessiture che aveva lavorato senza riflettere quando aveva cercato di sfuggire a Rand al'Thor in un passato che le sembrava ormai remoto, ma per quanto spesso ci avesse provato riusciva a rammentare solo inutili frammenti. Non era invidiosa - anzi, era fiera per i risultati della sua sorella prossima - ma quel fallimento le riempiva il cuore di vergogna. Sorilea e Amys l'avrebbero trattata duramente se avessero saputo che si sentiva così umiliata. L'avrebbero accusata di essere troppo orgogliosa. Amys però avrebbe capito: era stata anche lei una Fanciulla. Ed era davvero umiliante fallire in un compito per il quale si avevano tutti i requisiti. Se non avesse dovuto mantenere intatta la tessitura, sarebbe fuggita per non farsi guardare da nessuno. La partenza era stata pianificata accuratamente, e tutte nel cortile si misero in moto non appena il passaggio fu completo. Due donne del Circolo della Maglia tirarono in piedi la Serva dell'Ombra incappucciata, e le Cercavento si misero in fila dietro Renaile din Calon. I servitori cominciarono a portare i cavalli fuori dalle stalle. Lan, Birgitte e uno dei Custodi di Careane, un uomo allampanato dal nome di Cieryl Arjuna, varcarono subito il passaggio, uno dietro l'altro. Come le Far Dareis Mai, i Custodi reclamavano sempre il diritto di andare in avanscoperta. Aviendha si sentì prudere i piedi per la voglia di imitarli, ma non aveva senso. A differenza di Elayne, lei non era in grado di fare più di cinque o sei passi senza indebolire la tessitura, ed era lo stesso anche se provava a legare i flussi. Era davvero frustrante. Questa volta non c'era una reale probabilità di andare incontro a dei pericoli, così le Aes Sedai seguirono subito i tre Custodi, insieme a Elayne e Nynaeve. Numerose fattorie punteggiavano quella zona alberata, e poteva essere necessario allontanare un pastore o una coppia che si era appartata per un po' di intimità, ma nessuna Anima dell'Ombra poteva sapere di quella radura: solo lei, Elayne e Nynaeve la conoscevano, e non avevano parlato di quella scelta per paura che qualcuno potesse origliare. Ferma in quello spiazzo, Elayne rivolse ad Aviendha uno sguardo interrogativo, ma lei le fece cenno di andare avanti. Bisognava agire secondo i piani, a meno che non ci fossero dei buoni motivi per cambiarli. Le Cercavento cominciarono a sfilare una dopo l'altra verso la radura, tutte all'improvviso meno risolute al cospetto del passaggio, una cosa che non avrebbero mai neppure immaginato e che affrontavano prendendo un
lungo respiro. E, all'improvviso, Aviendha sentì tornare quel formicolio tra le scapole. Alzò lo sguardo alle finestre che davano sul cortile. Chiunque poteva nascondersi dietro gli schermi bianchi del ferro battuto e delle traforature. Tylin aveva ordinato ai servitori di stare lontani da quelle finestre, ma chi poteva impedire a Teslyn, Joline o... Qualcosa la spinse a guardare più in alto, verso le cupole e le torri. Stretti camminamenti correvano intorno ad alcune di quelle guglie slanciate, e su una di queste, molto in alto, c'era una sagoma nera con un duro alone di luce proiettato dal sole alle sue spalle. Era un uomo. Aviendha trattenne il respiro. La posizione di quell'individuo, che teneva le mani sulla ringhiera di pietra, non era affatto minacciosa, eppure lei sapeva che era quella la causa della sensazione strisciante che avvertiva tra le scapole. Un'Anima dell'Ombra non sarebbe rimasta lì semplicemente a guardare, ma quella creatura, quel gholam... Aviendha si sentì raggelare il ventre. Quello poteva essere semplicemente un servitore del palazzo. Poteva esserlo, ma lei non lo credeva. Non c'era vergogna nel conoscere la paura. Guardò con ansia le donne che ancora varcavano il passaggio con agonizzante lentezza. Metà delle donne del Popolo del Mare erano passate, e quelle del Circolo della Maglia aspettavano il loro turno insieme alla Serva dell'Ombra che tenevano sotto stretta sorveglianza, e l'evidente disagio che provavano nei confronti di quella soglia era in lotta con il risentimento per la precedenza concessa alle Cercavento. Se lei avesse dato voce ai propri sospetti, le donne della Famiglia sarebbero di sicuro fuggite - la sola menzione delle Anime dell'Ombra seccava loro la bocca e trasformava le viscere in acqua - mentre c'era il rischio che le Cercavento reclamassero subito il possesso della Scodella. Per loro, quell'oggetto era la cosa più importante. Ma solo un idiota completo sarebbe rimasto a girarsi i pollici mentre un leone stava per balzare sul gregge che doveva custodire. Aviendha prese una delle Atha'an Miere per una manica di seta rossa. «Di' a Elayne...» Un liscio volto di pietra nera si girò verso di lei: quella donna riusciva a far sembrare sottili le sue labbra carnose, e gli occhi erano pietruzze nere, piatte e dure. Quale messaggio poteva assegnarle senza scatenare tutti i problemi che ci si poteva aspettare dal Popolo del Mare? «Di' a Elayne e a Nynaeve di stare attente. Di' loro che i nemici arrivano sempre nei momenti peggiori. Devi dirglielo, assolutamente.» La Cercavento annuì con malcelata impazienza ma, cosa sorprendente, aspettò che Avien-
dha le lasciasse il braccio prima di superare esitante il passaggio. Il camminamento sulla torre era vuoto. Ma lei non provò alcun sollievo. Quell'uomo poteva essere ovunque. Magari stava scendendo verso il cortile. Chiunque fosse, qualsiasi cosa fosse, era di sicuro pericoloso, e non si era trattato di un granello di polvere che danzava nella sua fantasia. I quattro rimanenti Custodi avevano formato un quadrato intorno al passaggio, la guardia che sarebbe passata per ultima, e per quanto Aviendha disprezzasse le loro spade era grata che lì ci fosse qualcun altro oltre a lei capace di usare del metallo tagliente. Certo, se si fosse trattato di battersi contro un gholam o, peggio ancora, contro un'Anima dell'Ombra, quei quattro non avrebbero avuto più possibilità di uno qualsiasi dei servitori che aspettavano coi cavalli. E nemmeno lei. Con cupa determinazione attinse altro Potere, finché la dolcezza di saidar non divenne quasi dolorosa. Ancora un po' e quel dolore sarebbe cresciuto in un'agonia accecante che in pochi secondi l'avrebbe portata alla morte, o alla perdita della capacità di incanalare. Se solo quelle donne avessero affrettato il passo! Non c'era vergogna nell'aver paura, ma lei temeva che la sua le si leggesse fin troppo bene in viso. 2
Disfare la tessitura Elayne si spostò di lato non appena ebbe varcato il passaggio, ma Nynaeve subito avanzò nella radura facendo svolazzare diverse cavallette marroni, e si guardò intorno in cerca dei Custodi. O meglio, di un Custode in particolare. Un uccello di colore rosso acceso saettò in aria e sparì. Nient'altro si muoveva tranne le sorelle; da qualche parte, tra gli alberi per lo più spogli, squittì uno scoiattolo, poi cadde il silenzio. A Elayne sembrava impossibile che i tre Gaidin fossero riusciti ad avanzare nella radura senza lasciare delle tracce evidenti come quelle di Nynaeve, eppure non riusciva a individuare alcun segno della loro presenza. Percepiva Birgitte da qualche parte alla sua sinistra, più o meno a sudo-
vest, e sentiva che era abbastanza soddisfatta perché doveva aver stabilito che non correvano pericoli immediati. Careane, parte del cerchio di protezione raccoltosi intorno a Sareitha e la Scodella, piegò la testa di lato come se stesse tendendo l'orecchio a qualche rumore. A quanto pareva, Cieryl era a sudest. Questo significava che Lan si era posizionato a nord. Cosa piuttosto bizzarra, il nord era proprio la direzione verso la quale si era avviata Nynaeve, che continuava a mormorare tra sé. Forse il matrimonio le permetteva di avvertire la presenza di Lan, un po' come il legame. Anche se era più probabile che Nynaeve avesse individuato delle tracce che a Elayne erano sfuggite. Quella donna era abile in queste cose come lo era con le erbe curative. Da dove si era fermata, Elayne riusciva a vedere chiaramente Aviendha che, dall'altra parte del passaggio, studiava i tetti come se si aspettasse un'imboscata. Visto il suo portamento, sembrava che avesse con sé delle lance e fosse pronta a ingaggiare battaglia con addosso il suo elegante abito da cavallerizza. Elayne sorrise vedendo come l'amica nascondeva il proprio disagio per i problemi che aveva con il passaggio, e pensò che era molto più coraggiosa di lei. Ma, allo stesso tempo, Elayne era anche preoccupata. Aviendha era davvero coraggiosa, e lei non conosceva nessuno che sapesse mantenere la calma meglio della giovane aiel, anche nella più difficile delle situazioni. Era anche tipo da decidere che il ji'e'toh le chiedeva di combattere quando l'unica possibilità di salvezza era nella fuga. Il bagliore intorno a lei era così intenso che doveva aver attinto quasi la quantità massima di saidar per lei. Se fosse arrivato uno dei Reietti... Dovevo restare con lei, si disse, ma subito rifiutò quell'idea. Qualsiasi scusa si fosse inventata, Aviendha avrebbe capito la verità, e a volte era suscettibile come un uomo. Soprattutto quando si trattava del suo onore. Con un sospiro, Elayne si spostò per lasciare spazio alle Atha'an Miere che, sempre in fila, stavano varcando il passaggio. Rimase abbastanza vicina da poter sentire se dall'altro lato venivano lanciate delle urla. Abbastanza vicino da correre in aiuto di Aviendha in un batter d'occhi. E aveva anche un altro motivo. Le Cercavento erano schierate in ordine di rango e si sforzavano di restare inespressive, ma anche Renaile si rilassò visibilmente solo quando i piedi scalzi cominciarono a calpestare l'erba marrone. Alcune rabbrividivano per un istante prima di controllarsi o si giravano a guardare a occhi sgranati il passaggio sospeso a mezz'aria. E tutte scrutavano Elayne con sospetto quando le passavano accanto; due o tre di loro aprirono anche
bocca, forse per domandarle cosa stava facendo, o forse per chiederle - o ordinarle - di spostarsi. Elayne fu lieta di vederle affrettarsi in risposta ai bruschi cenni di richiamo da parte di Renaile. Presto avrebbero avuto la loro occasione per dare ordini alle Aes Sedai, non c'era bisogno che cominciassero proprio con lei. Quel pensiero le strinse lo stomaco, ed Elayne scosse il capo pensando a quanto erano numerose le Cercavento. Avevano la conoscenza delle variazioni climatiche necessaria per usare la Scodella nel modo giusto, eppure anche Renaile aveva ammesso - sebbene con riluttanza - che più Potere veniva usato, maggiori erano le possibilità di successo. Quel Potere, però, doveva essere guidato con una precisione che solo una singola donna o un circolo potevano ottenere. Un circolo di tredici. Di sicuro in quel numero sarebbero rientrate Nynaeve, Aviendha e la stessa Elayne, e forse una o due donne della Famiglia, ma Renaile era chiaramente impaziente di passare alla parte dell'accordo grazie alla quale le Cercavento avrebbero appreso tutto quello che le Aes Sedai potevano insegnare. Il passaggio era stato la prima cosa, il circolo sarebbe stato la seconda. C'era da meravigliarsi che non fossero venute tutte le Cercavento presenti nel porto. Chissà come sarebbe stato, si chiese Elayne, avere a che fare con tre o quattrocento di quelle donne! Per fortuna nella radura ce n'erano solo venti, e per questo lei recitò tra sé una breve preghiera di ringraziamento. Ma non si era fermata lì per contarle. Al passaggio delle Cercavento, a meno di un metro da lei, cercava di misurare la forza nel Potere di ognuna di loro. In precedenza aveva potuto avvicinarsi solo ad alcune, ed era comunque stata troppo impegnata a convincere Renaile a scendere sulla terraferma. Sembrava che tra le Cercavento il rango non dipendesse né dall'età né dall'abilità col Potere: Renaile non era nemmeno tra le tre o quattro più forti, e una donna verso il fondo della fila, Senine, aveva guance rugose e capelli per lo più grigi. Cosa strana, i segni sulle orecchie dicevano che Senine un tempo aveva portato più di sei cerchietti, e dovevano essere stati anche più grossi. Elayne classificò e imparò a memoria i volti e i nomi di quelle che conosceva con un crescente senso di soddisfazione. Forse le Cercavento avevano avuto la meglio per certi versi con quell'accordo, e lei e Nynaeve si sarebbero trovate in guai molto seri con Egwene e il Consiglio della Torre una volta che i termini si sarebbero saputi, ma nessuna di quelle donne avrebbe ottenuto una posizione particolarmente elevata tra le Aes Sedai. Di sicuro non sarebbero state in fondo alla loro scala sociale, ma nemmeno in
cima. Si disse che non aveva senso provare quel tipo di compiacimento - di sicuro non cambiava la realtà dei loro patti - ma era difficile ignorarlo. Dopo tutto, quelle donne erano il meglio che gli Atha'an Miere potevano esibire. Lì a Ebou Dar, quanto meno. E se fossero state Aes Sedai, avrebbero dovuto ascoltare in silenzio quando lei parlava e alzarsi al suo ingresso in una stanza. Tutte, da Kurin con i suoi neri occhi di pietra fino alla stessa Renaile. Se fossero state Aes Sedai e si fossero comportate come dovevano. E poi arrivarono le ultime della fila, ed Elayne sobbalzò quando le passò accanto una giovane Cercavento scesa da una delle navi minori, una ragazza dalle guance piene di nome Rainyn, che indossava semplici vestiti di seta azzurra e aveva appena una mezza dozzina di medaglioni decorativi appesi alla catenella attaccata al naso. Le due apprendiste, l'infantile Talaan e Metarra con i suoi occhioni, chiudevano il gruppo e avevano un'espressione assai agitata. Non si erano ancora conquistate il cerchietto al naso, e meno che mai la catenina, e solo un orecchino a sinistra bilanciava i tre a destra. Elayne le seguì con occhi quasi sgranati. Anzi, niente quasi. Le Atha'an Miere si raccolsero di nuovo intorno a Renaile, e come lei guardarono con brama le Aes Sedai e la Scodella. Le ultime tre rimasero in fondo, con le apprendiste che parevano chiedersi se davvero avevano diritto a essere lì, e anche se Rainyn teneva le braccia incrociate a imitazione di Renaile non se la cavava molto meglio delle altre due. La Cercavento di una perca, il meno importante dei vascelli del Popolo del Mare, si trovava di rado in compagnia della Cercavento della Maestra delle Onde del suo clan, men che mai con la Maestra delle Navi. Rainyn era forte almeno quanto Lelaine o Romanda, e Metarra era alla pari della stessa Elayne, mentre Talaan... Talaan, così umile nella sua blusa di lino rosso e gli occhi sempre bassi, si avvicinava molto al livello di Nynaeve. Molto. Inoltre, Elayne sapeva di non aver ancora raggiunto la pienezza del proprio potenziale, e lo stesso valeva per Nynaeve. Cosa dire allora delle giovani Metarra e Talaan? Lei si era abituata a considerare più forti solo Nynaeve e i Reietti. Be', c'era anche Egwene, che però era stata costretta ad assumere quel ruolo, e per potenziale era comunque alla pari con lei e Aviendha. Così imparo a essere arrogante, pensò mestamente. Lini avrebbe detto che era la giusta punizione per aver dato per scontate troppe cose. Ridendo piano tra sé, Elayne si girò per controllare come se la cavava Aviendha, ma le donne del Circolo della Maglia si erano fermate davanti al passaggio, e si contorcevano sotto i gelidi sguardi di Careane e Sareitha.
Tutte tranne Sumeko, che però non si muoveva anche se ricambiava le occhiatacce delle sorelle. Kirstian sembrava pronta a scoppiare in lacrime. Trattenendo un sospiro, Elayne guidò la Famiglia che stava impedendo agli stallieri di portare i cavalli al di là del passaggio. Quelle donne la seguirono come pecore - lei era il pastore, Merilille e le altre i lupi - e si sarebbero mosse più in fretta se non fosse stato per Ispan. Famelle, una delle sole quattro donne nel Circolo della Maglia senza bianco o grigio tra i capelli, teneva la sorella Nera per un braccio mentre Eldase, con gli occhi che non erano truci solo quando guardava un'Aes Sedai, la teneva per l'altro. Sembravano incapaci di decidersi tra la necessità di costringerla a stare in piedi e la paura di stringerla troppo forte, col risultato che Ispan avanzava ballonzolando, quasi in ginocchio quando le due allentavano la presa per poi tirarla su prima che cadesse del tutto. «Perdonami, Aes Sedai» continuava a mormorare Famelle con il suo debole accento tarabonese. «Oh, mi dispiace, Aes Sedai.» Eldase faceva una smorfia e gemeva ogni volta che Ispan inciampava. Come se quella stessa donna non avesse preso parte agli omicidi di due donne della Famiglia, oltre a chissà quanti altri. Si agitavano tanto per una condannata a morte. Le morti alla Torre Bianca che Ispan aveva contribuito a causare erano sufficienti a non darle alcuno scampo. «Portatela lì» disse Elayne, facendo cenno di spostarsi nella radura. Le due obbedirono, inchinandosi e facendo quasi cadere Ispan, mormorando scuse a Elayne e alla prigioniera incappucciata. Reanne e le altre le seguirono in tutta fretta, lanciando occhiate piene d'ansia alle sorelle raccolte intorno a Merilille. E subito ricominciò la guerra di sguardi, con le Aes Sedai che lanciavano occhiatacce alla Famiglia, il Circolo della Maglia che guardava in cagnesco le Cercavento, e le Atha'an Miere che fulminavano tutti con gli occhi. Elayne strinse forte i denti. Non avrebbe urlato. E, in ogni caso, Nynaeve otteneva sempre risultati migliori dei suoi con le urla. Eppure lei voleva infilare un po' di buon senso in ognuna di quelle donne, scuoterle fino a far battere i denti. Tutte, inclusa Nynaeve, che avrebbe dovuto occuparsi di far andare tutto secondo i piani invece di starsene con lo sguardo fisso tra gli alberi. Ma se fosse stato Rand a rischiare la vita a meno che lei non avesse trovato un modo per salvarlo? All'improvviso Elayne si sentì bruciare gli occhi per le lacrime che rischiavano di cominciare a scenderle lungo le guance. Rand stava davvero rischiando la vita, e lei non poteva fare niente per evitarlo. Sbuccia la mela
che hai in mano, non quella sull'albero: era come se Lini le avesse sussurrato in un orecchio con la sua voce acuta. Le lacrime sono per dopo, prima servono solo a perdere tempo. «Grazie, Lini» mormorò Elayne. La sua vecchia nutrice poteva essere irritante a volte, poco disposta ad ammettere che le bambine di cui si era occupata erano ormai cresciute, ma i suoi consigli erano sempre buoni. Il fatto che Nynaeve stesse trascurando i propri doveri non autorizzava lei a fare altrettanto. I servitori cominciarono a far passare i cavalli non appena le donne del Circolo della Maglia si spostarono dal passaggio. I primi furono gli animali da soma, ma non portavano niente di così frivolo come dei vestiti. Se fosse stato necessario abbandonare i cavalli dall'altro lato del passaggio avrebbero camminato, e si sarebbero tenute gli abiti che avevano addosso se quelli caricati sugli altri cavalli fossero per qualche motivo andati perduti, ma gli oggetti trasportati da quei primi animali non potevano assolutamente restare in balia dei Reietti. Elayne fece cenno alla donna dal volto coriaceo che guidava il gruppo di stallieri perché la seguisse, spostandosi di lato e facendo spazio agli altri. Quando sciolse i nodi e sollevò il rigido telo che copriva uno degli ampi cesti di vimini portati dal cavallo, scoprì un mucchio di quello che sulle prime sembrò ciarpame, in parte avvolto in dei panni che parevano sul punto di strapparsi. E quegli oggetti, per lo più, erano davvero ciarpame. Dopo aver abbracciato saidar, Elayne cominciò a dividerli. Un pettorale arrugginito finì per terra, seguito da una gamba di tavolo rotta, un vassoio crepato, una giara di peltro malamente sbeccata e uno straccio di un tessuto marcio e non identificabile che quasi le si sbriciolò in mano. Il magazzino dove avevano trovato la Scodella dei Venti era pieno di cose inutili che avrebbero dovuto trovarsi in una discarica mischiate ad altri oggetti del Potere, alcuni chiusi in casse o bauli mangiati dai tarli, altri buttati lì a casaccio. Per secoli e secoli la Famiglia aveva nascosto tutti gli oggetti in qualche modo connessi al Potere che era riuscita a trovare, non avendo il coraggio di usarli o di consegnarli alle Aes Sedai. Fino a quel mattino. Quella era la prima occasione che Elayne aveva per vedere cosa valeva la pena di conservare. Pregò la Luce che gli Amici delle Tenebre non avessero portato via niente di importante: avevano rubato alcuni oggetti, ma di sicuro meno di un quarto del contenuto del magazzino, cianfrusaglie incluse. E pregò la Luce di poter trovare qualcosa di utile. Erano morte delle persone per portare quegli oggetti fuori dal Rahad.
Non incanalò, ma rimase in contatto con il Potere mentre uno per volta prendeva tutti gli articoli. Una tazza d'argilla sbeccata, tre piatti rotti, un vestito da bambino rovinato dalle tarme, un vecchio stivale con un buco su un lato, anche questi finirono tutti a terra. Un'incisione di pietra più grande della sua mano - sembrava pietra, e forse era stata incisa, anche se per qualche motivo lei credeva di no - coperta di curve blu simili a radici. Parve riscaldarsi leggermente al suo tocco; aveva una... risonanza... con saidar. Elayne non riusciva a trovare un termine più adatto. Non aveva idea di quale fosse l'uso di quell'oggetto, ma era senza dubbio un ter'angreal. Lo poggiò a terra ma dall'altro lato, lontano dal mucchio degli scarti. Mucchio che continuò a crescere, ma lo stesso fece anche l'altro, sebbene più lentamente, con oggetti che non avevano nulla in comune se non quel debole calore e il modo in cui echeggiavano il Potere. Una piccola scatola che sembrava d'avorio, coperta di strisce tremolanti rosse e verdi: Elayne la poggiò con cura, senza aprire il coperchio. Non si poteva mai sapere cosa avrebbe attivato un ter'angreal. Un bastone nero non più spesso del suo mignolo, lungo all'incirca un metro, duro eppure tanto flessibile da poterlo piegare fino a fargli assumere una forma circolare. Una fialetta che poteva essere di cristallo, chiusa da un turacciolo e con un liquido rosso scuro all'interno. La statua di un uomo grosso e barbuto con un sorriso allegro che reggeva un libro; era alta una sessantina di centimetri, sembrava fatta di bronzo scurito dagli anni, ed Elayne dovette usare tutte e due le braccia per spostarla. C'erano anche altri oggetti, ma per lo più quel cesto era pieno di spazzatura. E in ogni caso non aveva trovato quello che cercava davvero. Non ancora. «Devi farlo proprio adesso?» chiese Nynaeve. Si raddrizzò in tutta fretta dal piccolo gruppo di ter'angreal, strofinandosi le mani sulla gonna. «Quel bastone sa di... sofferenza» mormorò. La donna dal volto duro che teneva ferma la testa del cavallo da soma guardò il bastone battendo le palpebre, poi si spostò. Anche Elayne lanciò un'occhiata - le impressioni che Nynaeve aveva di tanto in tanto toccando un oggetto potevano essere utili - ma non la smise di catalogare il contenuto del cesto. Di sicuro c'era già stata troppa sofferenza per desiderarne altra. Anche se non era detto che le percezioni di Nynaeve andassero prese sempre alla lettera. Forse quel bastone si era trovato in un posto in cui qualcuno aveva provato una grande sofferenza, ma non ne era necessariamente stato la causa. Il paniere era quasi vuoto; parte di ciò che il cavallo trasportava dall'altro lato avrebbe dovuto essere spo-
stato per equilibrare il carico. «Se c'è un angreal da qualche parte, Nynaeve, vorrei trovarlo prima che Moghedien ci arrivi alle spalle.» Nynaeve fece un grugnito amaro, ma scrutò anche lei nel cesto di vimini. Lasciando cadere un'altra gamba di tavolo - e con quella erano tre, tutte diverse - Elayne lanciò un'occhiata alla radura. Tutti i cavalli da soma erano passati, adesso stavano arrivando quelli per il viaggio, e nello spazio tra gli alberi si accese una confusa animazione. Merilille e le altre Aes Sedai erano già montate in sella e celavano in malo modo la loro impazienza di partire, mentre Pol si dava da fare in tutta fretta con le bisacce da sella della sua signora, ma le Cercavento... Aggraziate quando erano a piedi, aggraziate sulle loro navi, non erano abituate ai cavalli. Renaile stava cercando di salire dal lato sbagliato e la docile giumenta scelta per lei si muoveva in cerchio intorno all'uomo in livrea che teneva le briglie con una mano e con l'altra si tirava i capelli per la frustrazione, mente cercava invano di correggere la Cercavento. Due stallieri stavano provando a issare in sella Dorile, che serviva la Maestra delle Onde del clan Somarin, mentre una terza teneva ferma la testa del grigio con l'espressione tesa di chi si sforza per non ridere. Rainyn era in groppa a un castrone bruno dalle zampe lunghe, ma teneva i piedi fuori dalle staffe e le redini lontane dalle mani, e in qualche modo non sembrava capace di porre rimedio alla situazione. E queste tre se la cavavano meglio delle altre. I cavalli nitrivano, scalpitavano e ruotavano gli occhi, mentre le Cercavento imprecavano con urla che si sarebbero sentite in una bufera. Una di loro atterrò un servitore a suon di pugni, e tre stallieri erano impegnati a rincorrere dei cavalli che erano fuggiti. Poi Elayne vide quello che si era aspettata di vedere da quando Nynaeve aveva smesso di fare la guardia agli alberi. Lan era in sella al suo cavallo da guerra, Mandarti, e divideva la sua attenzione tra la boscaglia, il passaggio e Nynaeve. Birgitte uscì dagli alberi scuotendo il capo e, un istante dopo, Cieryl arrivò trotterellando, ma con espressione tranquilla. Non c'erano pericoli o difficoltà nei paraggi. Nynaeve stava guardando Elayne con le sopracciglia inarcate. «Non ho detto niente» le disse lei. Le sue mani si chiusero su un piccolo oggetto, avvolto in un panno marcio che forse un tempo era bianco. O marrone. E lei seppe subito cosa c'era all'interno. «Buon per te» ringhiò Nynaeve, a voce non abbastanza bassa. «Non sopporto le donne che ficcano il naso negli affari altrui.» Elayne gliela la-
sciò passare senza neanche una smorfia, e fu fiera di non doversi neppure mordere la lingua per non rispondere. Quando staccò quel vecchio tessuto, scoprì una piccola spilla d'ambra a forma di tartaruga. Almeno sembrava d'ambra, e forse un tempo lo era davvero, ma quando Elayne si aprì alla Fonte attraverso quell'oggetto, saidar la inondò con un torrente che lei da sola non avrebbe mai potuto gestire con sicurezza. Era un angreal, non molto forte, ma di sicuro meglio di niente. Con quella spilla, poteva manovrare il doppio del Potere di Nynaeve, che a sua volta avrebbe potuto raggiungere un risultato ancora migliore. Rilasciando quel flusso aggiunto di saidar, Elayne ripose l'angreal nel borsello che portava alla cintura e tornò a rovistare nel paniere con un sorriso deliziato in volto. Dove ce n'era uno, potevano essercene altri. E ora che ne aveva uno sul quale studiare, forse avrebbe scoperto come creare un angreal. Una cosa che desiderava da tempo. Dovette sforzarsi molto per non riprendere la spilla del borsello e cominciare a sondarla da subito. Vandene, che stava osservando Nynaeve già da un po', spronò il suo castrone dai fianchi magri, raggiunse lei ed Elayne e smontò di sella. Lo stalliere che stava vicino al cavallo da soma le fece un inchino goffo ma di sicuro più profondo di quello che aveva rivolto a Nynaeve ed Elayne. «Stai facendo molta attenzione,» disse Vandene a quest'ultima «ed è un bene. Ma sarebbe meglio ancora lasciar perdere quegli oggetti finché non arriveranno alla Torre.» Elayne serrò le labbra. Alla Torre? In realtà la donna intendeva dire 'finché non potranno essere esaminati da qualcun'altra'. Qualcuna più grande di lei, e magari più esperta. «So benissimo quello che sto facendo, Vandene. Dopo tutto, ho creato dei ter'angreal. Nessun'altra Aes Sedai vivente ci è mai riuscita.» Aveva insegnato le basi di quel procedimento ad alcune sorelle, ma nessuna di loro era capace di applicarle, o almeno questa era la situazione quando lei era partita per Ebou Dar. La Verde, più anziana di Elayne, annuì, battendosi oziosamente le redini contro il palmo di una mano infilata nei guanti da cavallerizza. «Anche Martine Janata sapeva il fatto suo, o così mi hanno raccontato» disse con disinvoltura. «È stata l'ultima sorella a occuparsi costantemente dello studio dei ter'angreal. Andò avanti per quarant'anni, cominciando subito dopo aver ottenuto lo scialle. E anche lei era molto cauta, così mi è stato detto. Poi, un giorno, la sua cameriera la trovò priva di sensi sul pavimento del salotto. Non era più capace di incanalare, si era bruciata.» Anche pronunciate in tono così casuale, quelle parole erano un duro colpo. La voce di
Vandene non vacillò, tuttavia. «Il suo Custode era morto per il contraccolpo. Succede spesso, in situazioni del genere. Quando Martine rinvenne, tre giorni dopo, non ricordava più a cosa stava lavorando. Aveva completamente dimenticato tutta la settimana precedente. È successo più di venticinque anni fa, e da allora nessuna ha più avuto il coraggio di toccare i ter'angreal che erano nelle sue stanze. Nei suoi appunti erano descritti uno per uno, e tutto quello che lei aveva scoperto era innocente e innocuo, persino frivolo, ma...» Vandene si strinse nelle spalle. «Alla fine deve aver trovato qualcosa che non si aspettava di trovare.» Elayne lanciò un'occhiata a Birgitte, e scoprì che la stava a sua volta guardando. Non ebbe bisogno di vedere la preoccupazione dipinta sul volto dell'altra donna, perché era riflessa nella sua mente, e non solo in quella piccola parte che era Birgitte. Lei e la sua Custode avvertivano una l'agitazione dell'altra, tanto che a volte era difficile distinguere i diversi sentimenti. Elayne non stava rischiando solo la propria vita. Ma davvero sapeva cosa stava facendo. Quanto meno, lo sapeva meglio di chiunque altro in quella radura. E anche se non fosse arrivato nessuno dei Reietti, loro avevano comunque bisogno di tutti gli angreal che sarebbe riuscita a trovare. «Che è successo a Martine?» chiese a bassa voce Nynaeve. «Dopo quell'incidente, intendo.» Quando sentiva di qualcuno che si era in qualche modo fatto male, le scattava subito il desiderio di Guarirlo; voleva Guarire qualsiasi infortunio, qualsiasi malattia. Vandene fece una smorfia. Certo, era stata lei a cominciare a parlare di Martine, ma alle Aes Sedai non piaceva discutere di donne che erano state quietate o che si erano bruciate da sole la capacità di incanalare. «È sparita, non appena si è ripresa abbastanza da poter lasciare la Torre di soppiatto» rispose rapidamente. «Ma è importante ricordare che anche lei aveva cercato di essere accorta. Non l'ho mai conosciuta, ma ho sentito dire che trattava ogni ter'angreal come se fosse la prima volta che lo vedeva, anche quello che serve per fabbricare il tessuto dei mantelli dei Custodi, e nessuno è mai riuscito a fare qualcosa di diverso con questo ter'angreal. Martine era cauta, ma non le è servito a niente.» Nynaeve poggiò un braccio sul paniere quasi vuoto. «Forse dovresti davvero...» cominciò. «Nooo!» strillò Merilille. Elayne ruotò su sé stessa, aprendosi d'istinto all'angreal, consapevole solo vagamente di saidar che fluiva anche in Nynaeve e Vandene. Il bagliore del potere circondò tutte le donne nella radura capaci di abbracciare la
Fonte. Merilille si stava ancora agitando in sella al suo cavallo, gli occhi in fuori e una mano protesa verso il passaggio. Elayne si accigliò. Lì c'erano solo Aviendha e gli ultimi quattro Custodi che, sorpresi da quell'urlo, cominciarono a guardarsi intorno a spade snudate, in cerca di una possibile minaccia. Poi Elayne vide cosa stava facendo la giovane aiel, e per lo stupore quasi perse il contatto con saidar. Il passaggio tremolò quando Aviendha disfece con cautela la tessitura che l'aveva creato. Tremolò e si flette, con i bordi che ondeggiavano. Sciolti gli ultimi flussi, l'apertura non sparì all'improvviso, ma si fece indistinta, e la vista del cortile dall'altro lato sbiadì fino a svaporare come nebbia al sole. «Ma è impossibile!» esclamò incredula Renaile. Un attonito mormorio le portò il consenso delle Cercavento. Le donne della Famiglia guardavano Aviendha a occhi sgranati, muovevano la bocca senza emettere suono. Elayne annuì lentamente, quasi senza rendersene conto. Era chiaramente impossibile, ma una delle prime lezioni apprese da novizia diceva che mai, in nessuna circostanza, bisognava tentare ciò che Aviendha aveva appena fatto. Le era stato insegnato che disfare una tessitura di qualsiasi tipo invece che lasciarla sciogliersi da sé non era possibile, non senza andare incontro a inevitabili disastri. Inevitabili. «Idiota!» scattò Vandene, il volto torvo come nuvole di temporale. Avanzò impettita verso Aviendha, tirandosi dietro il suo castrone. «Ti rendi conto del rischio che hai corso? Un errore - uno solo - e chissà in cosa si sarebbe trasformata quella tessitura! Chissà che effetti avrebbe causato! Avresti potuto distruggere ogni cosa nell'arco di cento passi! Di cinquecento passi! Ogni cosa! Avresti potuto bruciare la tua capacità di incanalare e...» «Era necessario» la interruppe Aviendha. Le Aes Sedai che, sedute in sella, si erano disposte intorno a lei e a Vandene cominciarono a mormorare, ma la Aiel alzò la voce per farsi sentire da tutte. «Conosco i pericoli che ho affrontato, Vandene Namelle, ma era necessario. È un'altra delle cose che voi Aes Sedai non potete fare? Le Sapienti dicono che qualsiasi donna può impararlo, se le viene insegnato, qualsiasi donna che sia capace di disfare un ricamo.» Il suo sorriso non era di derisione. Forse. «Questo non è un ricamo, ragazza!» La voce di Merilille era ghiaccio d'inverno. «Quale che sia il cosiddetto addestramento che ricevete tra la tua gente, di sicuro non vi rendete neanche conto con cosa state giocando! Adesso mi prometterai - me lo giurerai! - di non fare mai più una cosa del
genere.» «Il suo nome dovrebbe essere nel registro delle novizie» disse con fermezza Sareitha, lo sguardo torvo e la Scodella ancora stretta al petto. «L'ho sempre detto. Dovrebbe essere nel registro.» Careane annuì, e i suoi occhi severi parvero prendere le misure di Aviendha per un abito da novizia. «Forse per il momento non è necessario,» disse Adeleas ad Aviendha, sporgendosi in avanti dalla sella «ma devi lasciarti guidare da noi.» Il tono della sorella Marrone era molto più pacato di quello delle altre, ma in ogni caso la sua non era una proposta. Un mese addietro, Aviendha avrebbe cominciato a sentirsi a disagio per la disapprovazione delle Aes Sedai, ma adesso la situazione era cambiata. In tutta fretta, Elayne si fece spazio tra i cavalli prima che la sua amica decidesse di estrarre il pugnale che stava accarezzando. O di fare qualcosa di ancor più sconsiderato. «Forse dovremmo chiederle perché ha creduto che fosse necessario disfare la tessitura» disse, passando un braccio intorno alle spalle di Aviendha, tanto per darle sostegno quanto per costringerla a tenere le braccia lungo i fianchi. Aviendha parve quasi includere anche lei nello sguardo esasperato che rivolse alle altre sorelle. «Quello che ho fatto non lascia residui» disse con pazienza. Con troppa pazienza. «E i residui di una tessitura così grande sarebbero stati visibili per almeno un paio di giorni.» Merilille sbuffò, un suono sorprendentemente forte per un corpo così esile. «Il tuo è un raro Talento, ragazza. Nemmeno Teslyn o Joline ce l'hanno. O si tratta di una cosa che imparate tutte voi selvatiche aiel?» «Poche sono in grado di disfare una tessitura» ammise con calma Aviendha. «E io sono tra queste.» Adesso tutte, compresa Elayne, la guardavano con espressioni molto diverse: quello era davvero un Talento assai raro. E lei non pareva rendersene conto. «Mi state dicendo che nessuna Anima dell'Ombra ne è capace?» proseguì. Le spalle che Elayne aveva cinto con un braccio erano tese: la Aiel non era così fredda e serena come dava a vedere. «Siete davvero così stupide da lasciare delle tracce che il nemico può usare per seguirvi? Chiunque riuscisse a vedere i residui della tessitura di un passaggio potrebbe crearne uno nello stesso, identico posto.» La cosa avrebbe richiesto una grande abilità, molto grande, ma l'ipotesi fu sufficiente a far sgranare gli occhi di Merilille. Adeleas aprì la bocca, ma la richiuse senza parlare, e Vandene si accigliò, pensosa. Sareitha sembrava semplicemente preoccupata. Chi poteva sapere quali Talenti avesse-
ro i Reietti, quali capacità? Stranamente, in Aviendha parve spegnersi ogni combattività. Chinò il capo, le si afflosciarono le spalle. «Forse non avrei dovuto correre il rischio» mormorò. «Ma con quell'uomo che mi guardava, non riuscivo a pensare con chiarezza, e quando è sparito...» Le tornò un po' di animosità, ma fu ben poca cosa. «Non credo che un uomo possa vedere le mie tessiture,» disse a Elayne «ma se quello era un'Anima dell'Ombra, o magari uno di questi gholam... Le Anime dell'Ombra ne sanno più di tutti noi. Se ho sbagliato, allora ho un grande toh. Ma non penso di aver commesso un errore. Non penso.» «Quale uomo?» chiese Nynaeve. Si era fatta strada tra i cavalli e il cappello le era finito di sghimbescio; questo, insieme al torvo cipiglio col quale guardava tutti intorno a sé, la faceva sembrare pronta per una rissa. E forse lo era. Il castrone di Careane la urtò con un fianco e lei diede al cavallo uno schiaffo sul muso. «Un servitore» disse Merilille con noncuranza. «Non importa quali ordini possa aver dato Tylin, nell'Altara i servitori sono molto indipendenti. O forse è stato il figlio della regina: quel ragazzo è fin troppo curioso.» Le sorelle intorno a lei risero, e Careane disse: «Uno dei Reietti non sarebbe certo rimasto a guardare. Lo hai detto tu stessa.» Stava carezzando il collo del suo castrone e rivolse a Nynaeve un duro sguardo d'accusa Careane era una di quelle persone che rivolgono al proprio cavallo il tipo di affetto che la maggior parte della gente riserva ai bambini - e così Nynaeve si sentì chiamata in causa da quelle sue parole. «Forse era un servitore, e forse era Beslan. Forse.» Tirò su col naso, rendendo chiaro che non ci credeva affatto. O che voleva far pensare alle altre che non ci credeva; quella donna era capace di accusare un'amica di essere un'idiota, ma se qualcun altro avesse offeso quella stessa amica, lei l'avrebbe difesa fino a perdere la voce. Ovviamente, non sembrava ancora pronta a decidere se Aviendha le piaceva o no, ma di sicuro non le piacevano le Aes Sedai più anziane di lei. Diede uno strattone al cappello raddrizzandolo quasi, guardò accigliata tutte le altre donne, poi riprese: «Che fosse Beslan o il Tenebroso, non ha senso restare qui tutto il giorno. Dobbiamo prepararci e trasferirci alla fattoria. Allora? Sbrighiamoci!» Batté forte le mani, e persino Vandene ebbe un lieve sobbalzo. Rimasero pochi preparativi da fare, quando le sorelle portarono via i loro cavalli. Lan e gli altri Custodi non erano rimasti a girarsi i pollici una volta appurato che non c'era pericolo. Alcuni servitori erano tornati al cortile
delle stalle prima che Aviendha chiudesse il passaggio, ma gli altri erano rimasti insieme ai circa trenta animali da soma, e lanciavano sporadiche occhiate alle Aes Sedai chiedendosi chiaramente quali altri prodigi avrebbero creato. Le Cercavento erano tutte montate in sella, anche se goffamente, e stringevano le redini come temendo che i cavalli potessero sfrecciare via o mettere le ali e alzarsi in volo. Anche le donne del Circolo della Maglia erano a cavallo, con grazia assai maggiore, e non si davano peso se le loro gonne e sottane salivano più su del ginocchio; Ispan, ancora incappucciata, era legata di traverso su una sella come un sacco di grano. Stordita com'era dalle erbe non sarebbe comunque rimasta dritta in sella, eppure Sumeko sgranava gli occhi ogni volta che li posava su di lei. Nynaeve si guardava intorno con aria torva e sembrava pronta a dare qualche sferzata verbale a tutti perché facessero ciò che in effetti avevano già fatto, ma la smise non appena Lan le passò le redini della sua grassa giumenta marrone. Lei si era ostinata a rifiutare il dono di un cavallo migliore da parte di Tylin. Le tremò un po' la mano quando sfiorò quella di Lan, e il volto cambiò colore mentre si ricacciava in gola la rabbia che era stata li lì per sfogare. Quando Lan le porse la mano per aiutarla a salire in sella, Nynaeve lo fissò per un istante come chiedendosi cosa lui avesse in mente, poi arrossì di nuovo mentre la issava in groppa alla giumenta. Elayne non poté fare altro che scuotere il capo. Si augurò di non trasformarsi anche lei in un'idiota quando si sarebbe sposata. Se mai fosse successo. Birgitte le portò la sua giumenta grigio argento e il chiazzato di Aviendha, ma parve capire che Elayne voleva scambiare due parole in privato con la Aiel. Annuì, quasi Elayne avesse parlato, salì agilmente in sella al suo castrone grigio topo e andò dove gli altri Custodi erano fermi in attesa. Questi la accolsero con cenni del capo e cominciarono a discutere a voce bassa. A giudicare dagli sguardi rivolti alle sorelle, l'argomento della discussione doveva essere il prendersi cura delle Aes Sedai anche se loro non volevano. Ed Elayne notò con tristezza che la cosa riguardava anche lei. Non c'era tempo per occuparsi di questa faccenda, però. Aviendha era ancora a terra e giocherellava con le redini fissando il cavallo come una novizia davanti a una cucina piena di pentole bisunte. Con ogni probabilità, per la Aiel non c'erano grandi differenze tra strofinare tegami e cavalcare. Infilandosi i guanti verdi, Elayne fece girare Leonessa con gran naturalezza in modo da nascondere lei e Aviendha dagli sguardi delle altre, poi sfiorò il braccio della sua amica. «Parlare con Adeleas o Vandene potrebbe
esserti utile» disse in tono gentile. Doveva fare molta attenzione, come con i ter'angreal. «Sono abbastanza anziane da saperne più di quanto immagini. Deve esserci un motivo sei hai... se hai avuto delle difficoltà con... con il Viaggiare.» Era un modo molto delicato per descrivere la situazione. All'inizio, Aviendha quasi non era riuscita a far funzionare la tessitura. Elayne si ripeté di fare attenzione. Aviendha era più importante di qualsiasi ter'angreal. «Forse loro potrebbero aiutarti.» «Come?» La Aiel, rigida, fissava la sella sul suo castrone. «Loro non sono capaci di Viaggiare. Come potrebbero riuscire ad aiutarmi?» Le spalle le si afflosciarono all'improvviso, e si girò verso Elayne. E i suoi occhi verdi erano accesi dal sorprendente luccichio delle lacrime. «Ma questa non è la verità, Elayne. Non tutta. Certo, loro non mi possono aiutare, ma... Tu sei la mia sorella prossima, e hai il diritto di sapere. Quelle donne credono che mi sia lasciata prendere dal panico per via di un servitore. Se chiedo aiuto, dovrò raccontare tutto. Dovrò raccontare che una volta ho Viaggiato per sfuggire a un uomo, un uomo che con tutta me stessa speravo mi catturasse. Dovrò raccontare che sono fuggita come un coniglio. Sono fuggita desiderando di essere presa. Come potrei confessar loro un simile disonore? Se anche potessero aiutarmi, come potrei?» Elayne avrebbe preferito non sapere. Almeno riguardo la parte del desiderio di essere catturata. E riguardo il fatto che Rand l'aveva catturata. Afferrò le punte di gelosia che all'improvviso le fluttuavano dentro e le infilò in un sacco che spinse nei recessi della propria mente. Poi, per buona misura, ci saltò sopra per schiacciarlo ben bene. Quando una donna fa l'idiota, c'è un uomo in giro. Era uno dei detti preferiti di Lini. Un altro era: i gattini ti aggrovigliano la lana, gli uomini ti aggrovigliano il cervello, e per entrambi è naturale come respirare. «Nessuno lo saprà da me, Aviendha.» Anche se proprio non sapeva cosa potesse fare per la sua amica. Aviendha era molto veloce a riconoscere come venivano formate le tessiture, anche più veloce di lei. La Aiel si limitò ad annuire e si arrampicò goffamente in sella, con poca più grazia delle donne del Popolo del Mare. «Un uomo ci stava osservando, Elayne, e non era un servitore.» Guardano l'amica dritto negli occhi, aggiunse: «Mi ha spaventato.» Una confessione che con ogni probabilità non avrebbe fatto a nessun altro al mondo. «Ora siamo al sicuro da lui, chiunque fosse» rispose Elayne, facendo girare Leonessa per seguire Nynaeve e Lan che stavano lasciando la radura. In verità, lei credeva davvero che fosse stato un servitore, ma non lo a-
vrebbe detto mai a nessuno. Meno che mai ad Aviendha. «Siamo al sicuro, e tra qualche ora arriveremo alla fattoria della Famiglia, useremo la Scodella, e il mondo sarà di nuovo normale.» Be', più o meno. Il sole sembrava più basso rispetto a quando si trovavano nel cortile delle stalle, ma Elayne sapeva che era solo frutto della sua immaginazione. Per una volta, avevano guadagnato un grosso vantaggio sull'Ombra. Da dietro uno schermo di ferro battuto bianco, Moridin osservò gli ultimi cavalli che svanivano al di là del passaggio, seguiti dalla ragazza alta e dai quattro Custodi. Era possibile che stessero portando via qualche oggetto utile anche per lui - un angreal sintonizzato sul Potere maschile, forse ma le possibilità erano basse. Riguardo al resto, ai ter'angreal, era assai probabile che si sarebbero uccise cercando di capire come funzionavano. Sammael era un idiota, aveva rischiato così tanto per mettere insieme una collezione di oggetti sconosciuti. Ma d'altronde Sammael non era mai stato furbo come credeva. Moridin, per esempio, non avrebbe mai rovinato i propri piani solo per una scommessa, solo per vedere quali scampoli di civiltà riusciva a rinvenire. Era lì solo per un'oziosa curiosità. Gli piaceva sapere cosa gli altri reputavano importante. Ma si trattava di roba di nessun valore. Stava per andare via quando i contorni del passaggio cominciarono improvvisamente a flettersi e tremolare. Paralizzato, Moridin fissò l'apertura fin quando quella semplicemente si... disciolse. Non era mai stato tipo da lasciarsi andare alle imprecazioni, ma gliene vennero in mente diverse. Che aveva fatto quella donna? Questi rustici barbari presentavano troppe sorprese. Un modo per Guarire chi veniva reciso dal Potere, per quanto imperfetto. Doveva essere impossibile, eppure loro riuscivano a farlo. Come riuscivano a unirsi in un anello senza neppure rendersene conto. E poi c'era quel legame tra Custodi e Aes Sedai. Di questo Moridin era a conoscenza da tanto, tanto tempo, ma ogni volta che credeva di aver preso le misure a questi primitivi, loro esibivano una nuova capacità, facevano qualcosa che nella sua Epoca nessuno si sognava. Qualcosa che non era riuscita neppure nei momenti più alti della civiltà! Cosa aveva appena fatto quella ragazza? «Grande Padrone?» Moridin si limitò a girare il capo restando alla finestra. «Sì, Madic?» Che aveva tatto quella ragazza, che la sua anima fosse dannata? L'uomo quasi calvo vestito di verde e bianco che era silenziosamente en-
trato nella piccola stanza fece un profondo inchino prima di inginocchiarsi. Uno dei servitori di palazzo di più alto livello, Madic, con il suo volto lungo, possedeva una pomposa dignità che cercava di mantenere anche in quel frangente. Moridin aveva visto uomini molto più importanti cavarsela molto peggio. «Grande Padrone, ho saputo cosa le Aes Sedai hanno portato a palazzo stamane. Si dice che abbiano trovato un grande tesoro dei tempi antichi, oro, gioielli e pietra dell'anima, manufatti di Shiota ed Eharon risalenti anche all'Epoca Leggendaria. A quanto pare, alcuni di quegli oggetti usano l'Unico Potere. E si dice che uno possa controllare il clima. Nessuno sa dove fossero dirette quelle donne, grande padrone. Il palazzo brulica di chiacchiere, ma dieci persone faranno il nome di dieci diverse destinazioni.» Moridin era tornato a studiare il cortile delle stalle non appena Madie aveva cominciato a parlare. Non gli interessava nessuna ridicola favola su oro e cuendillar. Niente poteva ottenere quell'effetto su un passaggio. A meno che... Possibile che la ragazza avesse addirittura disfatto la tela? Moridin non aveva paura della morte. Prese freddamente in considerazione la possibilità di essersi trovato al cospetto di una tessitura disfatta. Disfatta con successo. Un'altra cosa impossibile distrattamente realizzata da quei... Una parte del discorso di Madie attirò la sua attenzione. «Il clima, hai detto?» Le ombre delle guglie del palazzo avevano appena cominciato ad allungarsi, ma non c'era neppure una nuvola a proteggere la città riarsa dal sole. «Sì, grande padrone. Con un oggetto chiamato Scodella dei Venti.» Quel nome non gli diceva niente. Ma... un ter'angreal in grado di controllare il clima... Nella sua Epoca, il clima era stato accortamente regolato tramite l'uso dei ter'angreal. Una delle sorprese dell'Epoca attuale - una delle minori, gli era parso - era stata la scoperta di persone in grado di manipolare il clima in modi che avrebbero richiesto l'uso di uno di quegli oggetti di Potere. Uno solo di questi strumenti poteva non essere sufficiente a influenzare neppure una grande parte di un singolo continente. Ma cosa potevano riuscire a fare quelle donne con un simile ter'angreal? Cosa? E se si univano in un anello? Moridin afferrò il Vero Potere senza rifletterci, e i neri saa si agitarono davanti ai suoi occhi. Le dita si strinsero sulla griglia di ferro lavorato; il metallo gemette, contorto non dalla sua presa ma dai filamenti di Vero Potere, preso a prestito dal Sommo Signore stesso, che si avvolsero intorno alla griglia, flettendola quando lui fletté le mani per la rabbia. Il Sommo
Signore non sarebbe stato contento. Con grandi difficoltà, si era proteso dalla sua prigione per toccare il mondo e fissare le stagioni. Era impaziente di toccarlo ancora, di fare a pezzi il vuoto che lo bloccava, e non sarebbe stato contento. La rabbia avvolse Moridin, il pulsare del sangue forte nelle sue orecchie. Un attimo prima non gli interessava dove stessero andando quelle donne, ma adesso... Lontano da lì. Quando qualcuno fugge cerca di arrivare quanto più lontano possibile. In qualche posto in cui sentirsi al sicuro. Mandare Madic a fare domande sarebbe stato inutile, non aveva senso torchiare la gente del palazzo: quelle donne non erano certo state così stupide da lasciarsi dietro qualcuno che conoscesse la loro destinazione. Non stavano andando a Tar Valon. Da al'Thor? Da quella banda di Aes Sedai ribelli? Moridin aveva occhi in tutti e tre i posti, persone che non sapevano neppure di servirlo. Ogni essere vivente lo avrebbe servito, prima della fine. E lui non avrebbe permesso che una svista casuale rovinasse i suoi piani. A un tratto sentì un rumore che non era il battito tuonante della sua furia. Un suono gorgogliante. Guardò Madic con curiosità, e si allontanò dalla pozza che si allargava sul pavimento. A quanto pareva, perso nella propria rabbia non aveva strizzato solo lo schermo di ferro con il Vero Potere. Era notevole quanto sangue potesse uscire da un corpo umano. Senza alcun rimpianto, lasciò cadere ciò che restava del servitore; pensò solo che al ritrovamento del corpo di Madic la colpa sarebbe caduta sulle Aes Sedai. Una piccola aggiunta al caos che stava invadendo il mondo. Aprendo uno squarcio nel tessuto del Disegno, Moridin Viaggiò con il Vero Potere. Doveva trovare quelle donne prima che usassero la Scodella dei Venti. E se non ci riusciva... Non gli piaceva quando le persone si immischiavano nei piani che lui architettava con tanta cura. E quelli che lo facevano e sopravvivevano, vivevano solo per pagarne le conseguenze. Il gholam entrò con cautela nella stanza, con le narici che già fremevano per l'odore del sangue ancora caldo. La livida bruciatura sulla sua guancia sembrava un tizzone acceso. Il gholam aveva il misero aspetto di un uomo magro, appena un po' più alto della media di quel periodo, eppure non aveva mai incontrato niente e nessuno capace di ferirlo. Fino a quell'uomo col medaglione. Mostrò i denti in una smorfia che poteva essere un sorriso o un ringhio. Curioso, scrutò la stanza, ma non c'era niente a parte il cadavere sul pavimento di piastrelle. E una... sensazione. Non l'Unico Potere, ma qualcosa che gli dava comunque un prurito, anche se non proprio nello
stesso modo. Era stata la curiosità a portarlo fin lì. Parti della griglia che schermava la finestra erano ritorte, tanto che i bordi si erano staccati dall'intelaiatura. Il gholam parve ricordarsi cosa gli dava quel tipo di prurito, ma la sua memoria era offuscata e indistinta. Gli sembrava che il mondo fosse cambiato, e in un batter d'occhi. Prima c'erano guerre e uccisioni su vasta scala, con armi che colpivano a chilometri di distanza, migliaia di chilometri, e poi era arrivato... questo presente. Ma il gholam non era cambiato. Era sempre la più pericolosa delle armi. Le narici fremettero di nuovo, anche se non era col fiuto che lui seguiva quelli capaci di incanalare. L'Unico Potere era stato usato più in basso, e a chilometri a nord. Doveva seguire o no quella traccia? L'uomo che lo aveva ferito non era lì: il gholam se ne era assicurato prima di lasciare quel suo elevato punto di osservazione. Il suo padrone voleva che l'uomo col medaglione morisse, forse con la stessa intensità con cui voleva che morissero quelle donne, ma queste erano un bersaglio più facile. Gli era stato fatto anche il loro nome, e per il momento lui era obbligato a ucciderle. Nel corso della sua intera esistenza, il gholam era stato costretto a obbedire a qualche essere umano, ma la sua mente ancora conservava il concetto di assenza di obblighi. Desiderava seguire quelle donne. Il momento della morte, quando sentiva che la capacità di incanalare si spegneva con la vita, era fonte di estasi e rapimento. Ma il gholam aveva anche fame, e c'era tempo. Poteva raggiungere quelle donne, ovunque fossero fuggite. Il sangue da poco versato, il sangue caldo, era necessario per il gholam, ma quello umano aveva sempre il sapore più dolce. 3
Una piacevole cavalcata Fattorie, pascoli e oliveti coprivano gran parte del terreno intorno a Ebou Dar, ma c'erano anche molte piccole foreste, e sebbene il territorio fosse assai più pianeggiante rispetto alle Colline di Rhannon a sud, era pur sempre ondulato e in alcuni punti si levavano alture di trenta metri o più, abbastanza perché il sole pomeridiano proiettasse lunghe ombre. Tutto conside-
rato, quell'ambiente forniva coperture più che sufficienti per celare a sguardi indesiderati quella che poteva sembrare una bizzarra carovana di mercanti, circa cinquanta persone a cavallo e quasi altrettante a piedi, bizzarra soprattutto per i Custodi che si occupavano di trovare sentieri poco praticati nel sottobosco. Elayne non individuò alcun segno di presenza umana, a parte la manciata di capre che brucavano in cima a qualche collina. Anche le piante e gli alberi più abituati al caldo cominciavano ad avvizzire e a morire, eppure in un altro momento lei si sarebbe goduta il semplice spettacolo della campagna. Sembrava di essere a migliaia di chilometri di distanza dalla terra che aveva visto cavalcando sull'altra riva dell'Eldar. Le colline erano sagome strane e nodose, come se una mano immensa e distratta le avesse strizzate insieme. Stormi di uccelli dalle sfumature brillanti si alzavano in volo al loro passaggio, e decine di uccelletti simili a colibrì svolazzavano lontano dai cavalli, gioielli sospesi a mezz'aria con le ali che battevano così velocemente da sembrare macchie sfocate. Qua e là, dai rami degli alberi pendevano viticci spessi come corde, mentre altri alberi avevano gruppi di fronde in cima al posto del fogliame, e cose che sembravano grandi piume verdi alte quanto un uomo. Su una manciata di piante ingannate dal caldo erano spuntati i primi boccioli, rosso accesso e giallo vivido, alcuni grandi il doppio delle sue mani messe insieme. Il profumo era ricco e... 'voluttuoso' era la parola che le veniva in mente. Vide dei macigni che, ci avrebbe scommesso, un tempo erano le dita dei piedi di una statua, anche se non capiva perché qualcuno avesse voluto creare una statua così grande di una persona a piedi nudi, poi il loro cammino li portò in una foresta di alberi e spesse pietre scanalate, ceppi di colonne erose dalle intemperie, alcune cadute e da tempo saccheggiate fino alla base dai contadini del posto in cerca di pietre per costruire. Una piacevole cavalcata, malgrado la polvere che gli zoccoli dei cavalli alzavano dal terreno secco. Il caldo non la infastidiva, ovviamente, e non c'erano molte mosche. Si erano lasciate tutti i pericoli alle spalle: avevano superato i Reietti, e non c'erano possibilità che loro o i loro servitori le potessero raggiungere. Sarebbe stata una piacevole cavalcata, se non... Tanto per cominciare, Aviendha aveva scoperto che il suo messaggio sui nemici che arrivano quando meno te lo aspetti non era stato consegnato. All'inizio Elayne aveva provato sollievo per qualsiasi cosa le permettesse di cambiare argomento e non parlare più di Rand. Non era un riaccendersi della gelosia; piuttosto, stava scoprendo di desiderare sempre più ciò che
Aviendha aveva condiviso con lui. Non era gelosia. Ma invidia. Avrebbe quasi preferito la gelosia. Poi cominciò ad ascoltare davvero ciò che l'amica le stava dicendo a voce bassa e in tono uniforme, e le si drizzarono i capelli. «Non puoi fare una cosa del genere» protestò Elayne, portando il suo cavallo più vicino a quello di Aviendha. In realtà, immaginava che la Aiel non avrebbe avuto grandi problemi a malmenare Kurin, ad appenderla per i piedi o a mettere in pratica le altre minacce che andava ripetendo. O meglio, non ne avrebbe avuti se le altre donne del Popolo del Mare non si fossero messe in mezzo. «Non possiamo cominciare una guerra con loro, di sicuro non prima di aver usato la Scodella. E non per un motivo del genere» aggiunse in tutta fretta. «Proprio no.» Non avrebbero assolutamente cominciato una guerra, né prima né dopo aver usato la Scodella. Non potevano cominciare una guerra solo perché le Cercavento si comportavano in modo sempre più dispotico. Solo perché... Elayne trasse un respiro, poi subito riprese a parlare. «Se anche me l'avesse detto, non avrei capito cosa intendevi. Mi rendo conto che non potevi parlare con maggior chiarezza, ma tu devi comprendere la mia posizione.» Aviendha teneva lo sguardo fisso in avanti, e scacciava distrattamente via le mosche che le ronzavano intorno al viso. «Le avevo raccomandato di dirtelo» brontolò. «Gliel'avevo raccomandato! E se ci fosse stata un'Anima dell'Ombra su quella torre? Se fosse riuscita a varcare il passaggio e vi avesse colto di sorpresa? E se...» Rivolse a Elayne un improvviso sguardo pieno di desolazione. «Morderò il mio pugnale,» disse con tristezza «ma mi brucerà lo stomaco.» Elayne stava per dirle che ingoiare la rabbia era la cosa giusta da fare, e che il boccone poteva essere grosso quanto le pareva purché non lo rovesciasse addosso alle Atha'an Miere - era questo il senso di quel discorso su fegato e pugnale -, ma prima che lei potesse aprir bocca, Adeleas la affiancò con il suo magro grigio. La sorella canuta aveva comprato una nuova sella a Ebou Dar, un oggetto appariscente, lavorato in argento sul pomello e sulla parte posteriore. Le mosche sembravano evitare quella donna, anche se aveva addosso un profumo forte quanto quello dei fiori. «Chiedo scusa, ma mio malgrado ho origliato l'ultima parte del vostro discorso.» Adeleas non sembrava affatto pentita, ed Elayne si chiese quanto in realtà aveva sentito. Si rese conto di essere arrossita. Alcune delle cose che Aviendha aveva detto su Rand erano state notevolmente sincere e dirette. E anche alcune di quelle che aveva detto lei. Parlare in quel modo
con la tua più intima amica era un conto, ma immaginare che qualcun'altra potesse sentirti era assai diverso. Aviendha sembrava pensarla allo stesso modo: non arrossì, ma l'occhiata amara che lanciò alla Marrone avrebbe fatto l'invidia di Nynaeve. Adeleas si limitò a sorridere, un sorriso vago e insipido come l'acquacotta. «Forse sarebbe meglio lasciare la tua amica a briglia sciolta con le Atha'an Miere.» Scrutò Aviendha, battendo le palpebre. «Be', magari solo allentata, non sciolta. Se quelle donne avessero un po' di timore delle Luce sarebbe già sufficiente. Sono già quasi cotte al punto giusto, in caso non te ne fossi accorta. Sono molto più timorose della Aiel 'selvaggia' - ti chiedo scusa, Aviendha - che delle Aes Sedai. Anche Merilille vi avrebbe fatto la mia proposta, ma le bruciano ancora le orecchie.» Aviendha non lasciava mai trasparire nulla, ma in quel momento sembrò perplessa quanto Elayne, che si girò nella sella per guardare indietro, accigliata. Merilille cavalcava fianco a fianco con Vandene, Careane e Sareitha poco lontano, e tutte si sforzavano di guardare ovunque tranne che verso Elayne. Dietro le sorelle c'erano le donne del Popolo del Mare, ancora in fila per uno, e poi venivano quelle del Circolo della Maglia, che per il momento si tenevano fuori vista, vicino ai cavalli da soma. Stavano avanzando tra le colonne troncate. Circa un centinaio di uccelli rossi e verdi dalla coda lunga volavano riempiendo l'aria con i loro richiami. «Perché?» chiese bruscamente Elayne. Le sembrava da stupidi voler aggravare la situazione che già ribolliva appena sotto la superficie - e a volte anche al di sopra - ma non le era mai parso che Adeleas fosse stupida. La sorella Marrone inarcò le sopracciglia in un'evidente espressione di sorpresa. Forse era davvero sorpresa: di solito credeva che chiunque fosse in grado di capire quello che capiva lei. Forse. «Perché? Per riportare un po' di equilibrio, ecco perché. Se le Atha'an Miere sentono di aver bisogno che noi le proteggiamo da una Aiel, questo potrebbe servire da contrappeso con...» Adeleas fece una piccola pausa, all'improvviso assorta nel sistemare la gonna grigio chiaro «...con altre cose.» Il volto di Elayne si indurì. Altre cose. Adeleas si riferiva all'accordo col Popolo del Mare. «Torna pure a cavalcare con le altre» le disse freddamente. Adeleas non protestò, non fece alcun tentativo per insistere. Chinò il capo e fece rallentare il cavallo. Il suo lieve sorriso non vacillò mai. Le Aes Sedai più anziane accettavano che Nynaeve ed Elayne occupassero posi-
zioni superiori alle loro e parlassero con l'appoggio dell'autorità di Egwene, ma in verità era solo apparenza e cambiava di poco la realtà dei fatti. Forse non la cambiava affatto. Si mostravano rispettose, obbedivano, eppure... Dopo tutto, Elayne era Aes Sedai a un'età in cui gran parte delle iniziate della Torre indossavano ancora il bianco delle novizie e in poche erano arrivate al rango di Ammessa. E lei e Nynaeve avevano stipulato un patto che decisamente non era una dimostrazione di saggezza e acume. Non solo il Popolo del Mare avrebbe ottenuto la Scodella, ma venti sorelle sarebbero andate tra gli Atha'an Miere, soggette alle loro leggi e con l'obbligo di insegnare tutto quello che le Cercavento volevano apprendere, finché altre non fossero giunte a dar loro il cambio. Le Cercavento avrebbero avuto il permesso di entrare alla Torre come ospiti e di imparare quello che volevano, andando via quando desideravano. Già solo questo era sufficiente a far urlare di rabbia il Consiglio, e probabilmente anche Egwene, eppure il resto... Le sorelle più adulte erano tutte convinte che ognuna di loro avrebbe ottenuto dei termini migliori in quell'accordo. E forse avevano ragione. Elayne non lo credeva, ma non era sicura. Non disse nulla ad Aviendha, ma dopo qualche istante la Aiel dichiarò: «Se posso servire il mio onore e aiutarti nello stesso tempo, non mi importa di lavorare per gli scopi delle Aes Sedai.» Sembrava che non si rendesse mai conto del tutto che anche Elayne era un'Aes Sedai. Lei esitò, poi annuì. Bisognava fare qualcosa con le donne del Popolo del Mare. Merilille e le altre avevano finora mostrato una notevole capacità di sopportazione, ma quanto avrebbero resistito? Anche Nynaeve rischiava di esplodere, se cominciava a concentrarsi davvero sulle Cercavento. La situazione doveva restare calma il più a lungo possibile, ma se le Atha'an Miere continuavano a credere di poter guardare le Aes Sedai dall'alto in basso ci sarebbero stati dei problemi. La vita era più complicata di quanto immaginava lei quando era ancora a Caemlyn, e tutte le lezioni ricevute in quanto erede al trono non contavano nulla. Ed era diventata ancor più complicata dopo l'ingresso alla Torre. «Cerca solo di non... esagerare» disse piano. «E, ti prego, fai attenzione. Dopo tutto, loro sono in venti e tu una sola. Non voglio che ti succeda qualcosa senza che io possa arrivare in tuo aiuto.» Aviendha le rivolse un sogghigno che la fece apparire molto simile a un lupo, e portò la sua giumenta al limitare del gruppo di pietre per aspettare le Atha'an Miere.
Di tanto in tanto, Elayne si girò indietro a guardare, ma attraverso gli alberi riusciva a vedere solo Aviendha che cavalcava accanto a Kurin, parlandole con una certa calma senza neppure girarsi verso di lei. Di sicuro non la guardava in cagnesco, anche se la donna del Popolo del Mare la fissava con notevole stupore. Quando Aviendha spronò il cavallo per riportarsi accanto a Elayne, agitando le redini - non sarebbe mai diventata una cavallerizza - Kurin avanzò per parlare con Renaile; poco dopo, una rabbiosa Renaile mandò Rainyn in testa alla colonna. La più giovane delle Cercavento cavalcava ancor più goffamente di Aviendha, e quando arrivò accanto a Elayne finse di ignorare la Aiel proprio come ignorava le mosche verdi che le ronzavano intorno al viso. «Renaile din Calon Stella Azzurra» disse rigida «esige che tu punisca la Aiel, Elayne Aes Sedai.» Aviendha le mostrò i denti in un sogghigno; evidentemente Rainyn non la stava ignorando del tutto, perché le sue guance arrossirono sotto il velo di sudore. «Di' a Renaile che Aviendha non è un'Aes Sedai» rispose Elayne. «Le chiederò di essere più cauta,» questa non era una bugia, glielo aveva già chiesto e lo avrebbe rifatto «ma non posso obbligarla a fare niente.» D'impulso, aggiunse: «Sai come sono fatti gli Aiel.» Il Popolo del Mare aveva idee assai bizzarre al riguardo. Rainyn fissò a occhi sgranati Aviendha, che ancora sorrideva; il volto scuro della Atha'an Miere divenne grigio, poi Rainyn fece maldestramente girare il cavallo e tornò al galoppo verso Renaile, rimbalzando sulla sella. Aviendha ridacchiò compiaciuta, ma Elayne già si chiedeva se quell'idea non era stata un errore. Nonostante fossero ad almeno trenta passi di distanza, poté vedere la reazione rabbiosa sul volto di Renaile quando la giovane Cercavento fece rapporto, e le altre cominciarono a ronzare come api. Non sembravano spaventate ma furiose, e guardavano le Aes Sedai davanti a loro con occhi sempre più minacciosi. Adeleas annuì pensosa quando se ne accorse, e Merilille non riuscì a nascondere il suo sorriso. Almeno loro erano soddisfatte. Se quello fosse stato l'unico incidente durante la cavalcata, le avrebbe già tolto parte della gioia per lo spettacolo di fiori e uccelli, ma non era stato neppure il primo. Poco tempo dopo aver lasciato la radura, le donne del Circolo della Maglia erano andate da Elayne una alla volta, tutte tranne Kirstian, e senza dubbio la sua assenza era dovuta solo al fatto che le era stato assegnato il compito di tenere Ispan schermata. Erano andate da lei una alla volta, tutte esitanti e con sorrisi timorosi, finché a Elayne non era
venuta voglia di dire a quelle donne di comportarsi secondo l'età che avevano. Certo, non avevano avanzato pretese, ed erano troppo astute per chiedere ciò che era già stato negato loro, ma trovavano altre vie, altri tentativi. «Mi è venuto in mente» aveva detto Reanne con una certa vivacità «che forse vorrete interrogare Ispan Sedai con una certa urgenza. Chi può sapere cos'altro stava combinando in città, oltre a cercare il magazzino?» Aveva finto che quella fosse una semplice conversazione, ma di tanto in tanto lanciava rapide occhiate a Elayne per vedere come stava reagendo. «Sono certa che ci metteremo più di un'ora o due per arrivare alla fattoria, vista la strada che abbiamo preso, e di sicuro voi non volete sprecare così tanto tempo. Le erbe che le ha dato Nynaeve Sedai la rendono molto ciarliera, e sono sicura che per delle sorelle sarebbe capace di rimanere sveglia.» Il suo sorriso allegro era svanito quando Elayne le aveva detto che per l'interrogatorio a Ispan potevano aspettare e avrebbero aspettato. Per la Luce, davvero quelle donne volevano che qualcuno facesse domande mentre viaggiavano tra i boschi su sentieri che a malapena meritavano tale nome? Reanne era tornata dalle altre donne della Famiglia borbottando tra sé. «Perdono, Elayne Sedai» aveva mormorato Chilares poco tempo dopo, con tracce del Murandy ancora nel suo accento. Il cappello di paglia verde era intonato alla perfezione ad alcune delle sue sottovesti. «Ti chiedo perdono, se mi intrometto.» Non indossava la cintura rossa di una Donna Sapiente: quasi nessuna nel Circolo della Maglia la portava. Ivara era un'orafa, mentre Eldase forniva i mercanti di lacca; Chilares era una venditrice di tappeti, Reanne invece organizzava i trasporti per piccoli commerci. Alcune avevano modesti impieghi - Kirstian gestiva un negozio di abiti e Dimana era una sarta, anche se molto ricca - ma d'altronde, nel corso delle loro vite, quelle donne avevano svolto svariati mestieri. E usato molti nomi. «Sembra che Ispan Sedai non stia bene» aveva detto Chilares cambiando nervosamente posizione sulla sella. «Forse le erbe stanno avendo un effetto più pesante di quanto Nynaeve Sedai immaginasse. Sarebbe terribile se le succedesse qualcosa. Prima dell'interrogatorio, voglio dire. Forse dovrebbero occuparsene le sorelle. Con la Guarigione, sai...» Aveva smesso di parlare, battendo ansiosamente le palpebre sugli occhi castani. E faceva bene a essere agitata, visto che tra le sue compagne c'era Sumeko. Girandosi indietro Elayne aveva visto la grossa donna in piedi sulle staffe che cercava di scrutare oltre le Cercavento finché non si era accorta che lei la guardava ed era subito ricaduta a sedersi in sella. Sumeko, che cono-
sceva la Guarigione meglio di qualsiasi sorella tranne Nynaeve. Forse persino meglio di Nynaeve. Elayne si era limitata a indicare il fondo della fila, Chilares era arrossita e aveva fatto tornare indietro la sua cavalcatura. Merilille aveva raggiunto Elayne non appena Reatine era andata via, e la sorella Grigia era andata ben oltre le false conversazioni delle donne della Famiglia. Aveva parlato come se fosse la personificazione della sicurezza di sé. Quello che aveva detto era un'altra faccenda. «Mi chiedo quanto siano affidabili quelle donne, Elayne.» Aveva increspato le labbra in una smorfia di disgusto, mentre con la mano infilata in un guanto spazzava via la polvere dalla sua gonna blu. «Dicono di non accettare le selvatiche, ma la stessa Reanne sembra una selvatica, nonostante le storie che racconta su come non è riuscita a superare gli esami per diventare Ammessa. Lo stesso vale per Sumeko, e di sicuro per Kirstian.» Pronunciando quest'ultimo nome, Merilille si era accigliata, poi aveva scosso il capo. «Devi aver notato come salta non appena sente nominare la Torre. La conosce poco, e quello che sa potrebbe benissimo averlo appreso da qualcun'altra che ci è stata davvero.» Sospirò, come se le dispiacesse davvero: era proprio brava, in questo. «Hai pensato che potrebbero star mentendo anche su altre cose? Per quanto ne sappiamo, potrebbero essere Amiche delle Tenebre, o servire qualche Amico delle Tenebre. Forse no, ma di sicuro non possiamo fidarci troppo di loro. Io credo che ci sia davvero una fattoria, che la usino come ritiro o meno, altrimenti non avrei accettato tutto questo, ma non mi sorprenderei se scoprissimo che si tratta di una manciata di catapecchie con una decina di selvatiche. Be', forse non proprio catapecchie - a quanto pare, il denaro non gli manca - ma il punto resta. Semplicemente, non sono affidabili.» Elayne aveva cominciato ad accendersi lentamente non appena aveva capito la direzione che il discorso di Merilille stava prendendo, poi si era infiammata sempre di più. Tutti quei giri di parole, tutti quei 'forse' e 'potrebbe', in m'odo da poter insinuare cose nelle quali lei stessa non credeva. Amiche delle Tenebre? Il Circolo della Maglia aveva combattuto contro gli Amici delle Tenebre. E due di loro erano morte. E se non fosse stato per Sumeko e Ieine, sarebbe morta anche Nynaeve e non avrebbero catturato Ispan. No, se Merilille le dipingeva come inaffidabili non era perché credeva che avessero prestato giuramento all'Ombra, altrimenti lo avrebbe detto chiaro e tondo. Voleva farle credere che non bisognava fidarsi di loro perché poteva essere un buon motivo per non permettere alla Famiglia di tenere in custodia Ispan.
Elayne aveva tirato uno schiaffo a una mosca che si era poggiata sul collo di Leonessa, e lo schiocco era sembrato il punto che metteva fine al discorso di Merilille, tanto che la sorella Grigia aveva sobbalzato per la sorpresa. «Come ti permetti?» aveva sussurrato Elayne. «Hanno affrontato Ispan e Falion nel Rahad, hanno affrontato il gholam, per non parlare di una ventina di uomini armati, se non di più. E tu non c'eri.» Questo non era giusto. Merilille e le altre erano state lasciate indietro perché nel Rahad le Aes Sedai avrebbero attirato l'attenzione come una banda di trombe e tamburi. Ma non le importava. La rabbia era sempre più bollente, la voce sempre più alta. «Non voglio sentire mai più discorsi del genere. Mai! A meno che tu non abbia delle prove reali! Se ti azzardi a ripetermi certe cose senza un vero motivo, ti assegnerò una penitenza tale che gli occhi ti usciranno dalle orbite!» Per quanto elevata fosse la sua posizione, Elayne non aveva l'autorità per decretare colpe e penitenze, ma in quel momento aveva lasciato perdere anche questo. «Ti farò andare a piedi per tutto il resto del viaggio fino a Tar Valon! Ti terrò a pane e acqua! Ti assegnerò in custodia proprio alle donne della Famiglia, e dirò loro di prenderti a schiaffi se solo apri la bocca!» Si era resa conto di stare urlando. Uno stormo di uccelli bianchi e grigi era passato in volo, e le sue urla erano state più forti dei richiami di quei volatili. Allora aveva preso un lungo respiro nel tentativo di calmarsi. Non aveva la voce giusta per gridare: le diventa sempre acuta. Tutti l'avevano guardata, per lo più con espressioni di stupore. Aviendha aveva annuito la sua approvazione. Ovviamente, avrebbe fatto lo stesso anche se Elayne avesse affondato un pugnale nel cuore di Merilille. La Aiel appoggiava i suoi amici, sempre e comunque. La pelle chiara di Merilille era diventata di un bianco cadaverico. «Faccio sul serio» aveva ribadito Elayne, molto più calma. E il volto della Cairhienese era sembrato ancora più pallido. Ma Elayne faceva davvero sul serio: non potevano permettersi che quel tipo di dicerie e sospetti cominciassero a diffondersi nel loro gruppo. In un modo o nell'altro, avrebbe tenuto fede alle sue minacce, anche se molto probabilmente le donne del Circolo della Maglia sarebbero svenute al pensiero di avere in custodia un'altra Aes Sedai. Aveva sperato che finisse lì. C'erano tutti i presupposti. Ma quando era andata via Chilares era arrivata Sareitha, e anche lei aveva un motivo per non fidarsi della Famiglia. L'età. Anche Kirstian sosteneva di essere più anziana di qualsiasi Aes Sedai vivente, mentre Reanne aveva almeno
cent'anni di più e non era nemmeno la più vecchia della Famiglia. Il suo titolo di Anziana la designava come, appunto, la più anziana tra quelle presenti a Ebou Dar, ma il rigido programma che seguivano per evitare di essere notate prevedeva un numero di donne ancora più vecchie in altri posti. Tutto ciò era chiaramente impossibile, secondo Sareitha. Elayne non aveva urlato; si era concentrata proprio per non urlare. «Prima o poi scopriremo la verità» aveva detto a Sareitha. Lei non aveva dubbi sulla sincerità della Famiglia, ma doveva esserci un motivo se quelle donne non sembravano senza età come le Aes Sedai ma neppure mostravano gli anni che dicevano di avere. Se solo avesse potuto capirlo. Aveva il sospetto che il motivo fosse ovvio, ma non riusciva a identificarlo. «Prima o poi» aveva ripetuto con fermezza quando la sorella Marrone aveva accennato a voler riprendere il discorso. «E adesso basta, Sareitha.» L'Aes Sedai aveva annuito, incerta, e aveva fatto rallentare il cavallo per tornare tra le altre. Meno di dieci minuti dopo, era stato il turno di Sibella. Ogni volta che una della Famiglia arrivava a presentare la sua involuta supplica per poter cedere il controllo su Ispan, subito dopo una delle sorelle chiedeva la stessa cosa. Tutte tranne Merilille, che ancora batteva le palpebre appena Elayne si girava verso di lei. Forse urlare serviva davvero a qualcosa. Di sicuro nessuna più aveva provato ad attaccare direttamente la Famiglia. Per esempio, Vandene aveva cominciato a discutere del Popolo del Mare e di come bilanciare gli effetti dell'accordo con loro, spiegandole anche perché era necessario bilanciarli il più possibile. Era stata molto pragmatica, senza mai una parola o un gesto d'accusa. Non che ce ne fosse bisogno: l'argomento era già di per sé un'accusa, per quanto lo si trattasse con delicatezza. La Torre Bianca, aveva detto Vandene, conservava la sua influenza sul mondo non con la forza delle armi o con la persuasione, nemmeno coi complotti e le macchinazioni, anche se queste ultime due possibilità Vandene le aveva accennate solo di sfuggita. La Torre Bianca controllava o determinava gli eventi in una certa qual misura perché tutti la vedevano al di sopra e al di là delle parti, superiore anche a re e regine. E questo a sua volta dipendeva dal fatto che ogni singola Aes Sedai fosse vista a quel modo, misteriosa e distante, diversa da chiunque altro. Completamente diversa. Storicamente, le Aes Sedai che non riuscivano a dare questa impressione - e ce n'erano state alcune, anche se poche - venivano tenute quanto più possibile lontano dalla scena pubblica. Elayne ci aveva messo un po' per rendersi conto che il fuoco del discor-
so si era spostato dal Popolo del Mare, e per capire dove Vandene stava andando a parare. Completamente diversa, misteriosa e distante, non certo il tipo di donna da incappucciare e legare di traverso su una sella mentre tutti, e non solo le altre Aes Sedai, potevano vederla. In realtà, le sorelle avrebbero trattato Ispan molto più duramente di quanto il Circolo della Maglia avrebbe mai potuto fare, solo non in pubblico. Questo argomento avrebbe potuto avere il suo peso se le fosse stato sottoposto prima, ma nervosa com'era, Elayne aveva rispedito al mittente Vandene come aveva fatto con tutte le altre. Solo per vederla sostituire da Adeleas, che era arrivata non appena lei aveva congedato Sibella dicendole che se le donne del Circolo della Maglia non riuscivano a capire costa stava borbottando Ispan allora non ci sarebbero riuscite neppure le sorelle. Borbottando! Per la Luce! Le Aes Sedai avevano continuato ad arrivare a turno e, pur sapendo cosa avevano in mente, non era stato sempre facile cogliere il senso dei loro discorsi. Careane, per esempio, aveva cominciato col dirle che quei massi un tempo erano davvero stati le dita dei piedi di una statua, probabilmente quella di una regina guerriera alta sessanta metri... «Ispan resta dov'è» le aveva risposto freddamente Elayne senza darle modo di andare avanti. «Ora, a meno che tu non voglia davvero spiegarmi perché le genti dello Shiota abbiano voluto erigere una statua del genere...» La Verde le aveva detto che, secondo antichi documenti, la regina della scultura indossava solo l'armatura, e anche questa era piuttosto... succinta. Una regina! «No? Allora, se non ti dispiace, vorrei parlare da sola con Aviendha. Ti ringrazio tanto.» Neanche quel comportamento brusco era stato sufficiente a fermarle, ovviamente. Elayne si era sorpresa quando aveva visto che non mandavano anche la cameriera di Merilille a fare il suo tentativo. Tutto questo non sarebbe successo se Nynaeve avesse fatto il suo dovere. Quanto meno, Elayne era sicura che la sua amica avrebbe ridotto a più miti consigli sia il Circolo della Maglia sia le sorelle, e in poco tempo. In questo era davvero brava. Il problema era che Nynaeve si era incollata a Lan sin da quando avevano lasciato la prima radura. I Custodi andavano in avanscoperta, davanti e ai lati del gruppo, talvolta anche dietro, e tornavano sul sentiero solo per riferire cosa avevano visto o per spiegare la strada da prendere per evitare una fattoria o un pastore col suo gregge. Birgitte si allontanava parecchio, e non passava che qualche istante con Elayne. Lan si allontanava anche di più. E ovunque andava Lan, Nynaeve lo seguiva. «Nessuno ti sta creando problemi, vero?» aveva chiesto guardando in
cagnesco le donne del Popolo del Mare la prima volta che era tornata indietro insieme a Lan. «Bene, meglio così» aveva concluso poi, prima ancora che Elayne avesse modo di risponderle. Facendo girare su sé stessa la sua grassa giumenta, con uno schiocco delle redini l'aveva lanciata al galoppo per seguire Lan, tenendosi il cappello con una mano, e lo aveva raggiunto proprio mentre lui svaniva oltre il fianco di una collina più avanti. Ovviamente, in quel momento Elayne non aveva ancora nulla di cui lamentarsi. Reanne aveva fatto il suo tentativo, e così pure Merilille, e tutto sembrava sistemato. Ma quando Nynaeve si ripresentò, Elayne aveva già sopportato tutti i tentativi camuffati per far passare alle sorelle il controllo di Ispan, Aviendha aveva parlato con Kurin e le Cercavento erano un fuoco che covava piano sotto le braci. Quando le spiegò tutto questo, tuttavia, Nynaeve si limitò a guardarsi intorno accigliata. Ovviamente, in quel momento regnava la quiete. Certo, le Atha'an Miere avevano espressioni adirate, ma il Circolo della Maglia era ben in fondo al gruppo e, quanto alle sorelle, nemmeno un gruppo di novizie poteva sembrare così educato e innocente. Elayne avrebbe voluto strillare! «Sono sicura che puoi gestire tutto nel migliore dei modi, Elayne» le disse Nynaeve. «Dopo tutto, sei stata istruita per diventare una regina. Questa situazione non può essere neppure lontanamente così... Accidenti a quell'uomo! Sta andando via di nuovo! Te la caverai.» E sparì, lanciando la povera giumenta al galoppo come fosse un cavallo da guerra. E proprio allora Aviendha decise di parlare di come a Rand era piaciuto baciarle i lati del collo. E, a proposito, di come era piaciuto anche a lei. Anche a Elayne era piaciuto, quando Rand lo aveva fatto a lei, ma per quanto si fosse abituata a parlare di certe cose - la mettevano ancora a disagio, ma ci si era abituata - in quel momento non aveva voglia di discuterne. Era arrabbiata con Rand. Non era giusto, se non fosse stata così innamorata di lui avrebbe potuto dire a Nynaeve di smetterla di trattare Lan come un bambino e di cominciare a fare il suo dovere. Elayne era pronta a dargli la colpa anche del modo in cui si comportavano le donne del Circolo della Maglia, le sorelle e le Cercavento. Prendersi la colpa è una delle cose per cui esistono gli uomini: ricordò che Lini gliel'aveva detto una volta, ridendo. Di solito se lo meritano, anche se non sai esattamente perché. Non era giusto, eppure Elayne avrebbe voluto trovarselo davanti abbastanza a lungo per schiaffeggiarlo, anche solo una volta. Abbastanza a lungo per baciarlo, e per farsi baciare sul collo. Abbastanza a lungo per...
«Dà retta ai consigli, anche quando non gli piacciono» disse all'improvviso, arrossendo. Per la Luce! Nonostante tutti i discorsi sulla vergogna, per certi argomenti Aviendha era davvero spudorata. E a quanto pareva, la stava contagiando! «Ma se provo a mettergli pressione, allora pianta i piedi anche se è evidente che ho ragione. Si comporta così anche con te?» Aviendha le lanciò un'occhiata, e parve capire. Elayne non sapeva se esserne o meno contenta. Almeno smisero di parlare di Rand e di baci. Per un po', almeno. Aviendha aveva una sua conoscenza degli uomini - aveva viaggiato e combattuto al loro fianco, quando era una Fanciulla della Lancia - ma aveva pensato sempre e solo a essere una Far Dareis Mai, e nella sua conoscenza c'erano dei... vuoti. Anche da piccola, con le bambole, aveva sempre giocato alla guerra, alle incursioni. Non aveva mai amoreggiato, non sapeva come si facesse, e non capiva perché provava determinate cose quando Rand posava gli occhi su di lei, né capiva centinaia di altre cose che Elayne aveva cominciato a imparare la prima volta che si era accorta di un ragazzo che la guardava diversamente da come guardava gli altri ragazzi. Aviendha si aspettava che lei le insegnasse tutto, ed Elayne ci provava. Davvero poteva parlare di qualsiasi cosa con la sua amica. Se solo non avessero usato così spesso Rand come esempio... Se l'avesse avuto davanti, lo avrebbe sul serio preso a schiaffi. E poi lo avrebbe baciato. E dopo lo avrebbe schiaffeggiato di nuovo. Altro che una piacevole cavalcata. Una cavalcata miserabile. Nynaeve fece altre brevi apparizioni, per poi tornare infine ad annunciare che erano quasi arrivati a destinazione e la fattoria della Famiglia si trovava subito dopo quella bassa collina che pareva stesse per crollare su un lato. Reanne era stata pessimista nella sua previsione: a giudicare dalla posizione del sole, erano passate meno di due ore. «Ormai manca davvero poco» disse Nynaeve a Elayne, e non parve accorgersi dell'occhiataccia che ricevette in risposta. «Lan, vai a prendere Reanne e portala qui, per favore. È meglio se alla fattoria vedono per prima cosa un volto familiare.» Il Custode fece girare il cavallo e partì. Nynaeve si voltò un attimo in sella per fissare le sorelle con fermezza. «Ora, non voglio che spaventiate quelle donne. Tenete a freno la lingua finché non avremo spiegato bene la situazione. E copritevi il viso. Tirate su i cappucci dei mantelli.» Si raddrizzò senza nemmeno attendere un'eventuale reazione, e annuì soddisfatta. «Ecco qua. Tutto sistemato. Ti giuro, Elayne, proprio non capisco cosa avevi da lamentarti. Tutti si comportano proprio come dovrebbero, da quel che vedo.»
Elayne digrignò i denti. Non vedeva l'ora di arrivare a Caemlyn. Era lì che si sarebbero dirette, dopo la fattoria. Lei aveva dei doveri a Caemlyn, doveri che trascurava da tempo. Non doveva fare altro che convincere le casate più forti che il Trono del Leone era suo malgrado la lunga assenza, per poi vedersela con una o due pretendenti rivali. Certo, se lei fosse stata lì quando sua madre era svanita, quando era morta, allora non ci sarebbe stata nessun'altra pretendente al trono, ma la storia di Andor le assicurava che ormai ne avrebbe trovata più d'una. In qualche modo, però, quello le sembrava più semplice della situazione attuale. 4
Un posto tranquillo La fattoria della Famiglia sorgeva in un'ampia conca circondata su tre lati da basse colline, un'ampia struttura con più di una decina di grandi edifici che splendevano al sole, intonacati di bianco e con i tetti piatti. Quattro grossi fienili erano stati costruiti direttamente nel fianco della collina più alta, un poggio dalla sommità spianata con un lato che scendeva in ripidi dirupi oltre i fienili stessi. Il cortile era ombreggiato dai pochi alberi che non avevano ancora perso tutte le foglie. A nord e a est, gli oliveti si stendevano fin sui fianchi delle colline. La fattoria era come avvolta in una lenta attività, con almeno cento persone all'aperto nonostante il calore del pomeriggio, tutte intente a svolgere le faccende quotidiane, ma senza fretta. Poteva quasi sembrare un piccolo villaggio più che una fattoria, ma non c'erano uomini o bambini, né Elayne si era aspettata di vederne. Quello era un punto di sosta per le donne che passavano da Ebou Dar dirette altrove, serviva a evitare che ce ne fossero troppe in città, ma questo era un segreto, come segreta era la Famiglia stessa. In pubblico, la fattoria era conosciuta nel raggio di circa trecento chilometri come un ritiro per donne, un luogo di contemplazione e di fuga dagli affanni del mondo, per qualche giorno, una settimana, o a volte per periodi più lunghi. Elayne avvertiva quasi un'atmosfera di serenità. Avrebbe anche potuto pentirsi di star por-
tando il mondo esterno in quel posto tranquillo, ma sapeva anche di portare una nuova speranza. La comparsa dei primi cavalli da dietro la collina sbilenca causò molta meno agitazione di quanta se ne aspettava Elayne. Alcune si fermarono per osservarli, ma non accadde altro. L'abbigliamento di quelle donne era assai variegato - Elayne vide anche la lucentezza della seta, qua e là - ma alcune portavano cesti e altre secchi, o grandi mucchi di panni da lavare. Una donna teneva un paio di anatre per mano, reggendole dalle zampe. Nobili e artigiane, contadine e mendicanti, tutte erano accolte ugualmente bene alla fattoria, ma tutte dovevano fare la loro parte di lavoro. Aviendha le toccò un braccio e poi indicò la cima di una collina, un rialzo simile a un imbuto rovesciato, un po' storto su un lato. Elayne portò una mano alla tesa del cappello per prolungarne l'ombra e dopo un attimo riuscì a scorgere del movimento. Non c'era da meravigliarsi se nessuna di quelle donne era sorpresa del loro arrivo. Le sentinelle posizionate lassù potevano vedere chiunque ben prima che giungesse fin lì. Una donna dall'aspetto ordinario andò loro incontro, raggiungendole prima che arrivassero agli edifici della fattoria. Il suo abito era nello stile di Ebou Dar, con la scollatura stretta e profonda, ma le gonne scure e le sottovesti dai colori accesi erano abbastanza corte che non aveva bisogno di sollevarle per evitare che si impolverassero. Non aveva lo stiletto nuziale; le regole della Famiglia vietavano il matrimonio. C'erano troppi segreti da custodire. «Quella è Alise» mormorò Reanne, portandosi tra Nynaeve ed Elayne. «Gestisce la fattoria, è il suo turno. È molto intelligente.» Come se le fosse venuto in mente solo in quel momento, aggiunse a voce ancora più bassa: «Non sopporta le idiozie.» Quando Alise fu più vicina, Reanne si sistemò in sella, raddrizzando le spalle come per prepararsi a una dura prova. 'Ordinaria': a Elayne non veniva in mente una parola migliore per descrivere Alise, una donna che non avrebbe certo dovuto impressionare Reanne, neanche se quest'ultima non fosse stata l'Anziana del Circolo della Maglia. Con la schiena ben dritta, Alise pareva di mezza età, né magra né grassa, né alta né bassa, con qualche chiazza di grigio tra i capelli castano scuri tenuti indietro con un nastro, ma in modo più pratico che elegante. Anche il suo volto era piuttosto comune, abbastanza gradevole, forse con la mascella leggermente allungata. Quando vide Reanne, Alise la guardò per un attimo con espressione stupita, poi sorrise. E quel sorriso la trasformò. Non la fece diventare bella, e nemmeno graziosa, ma Elayne si
sentì riscaldata dal suo sorriso, confortata. «Non mi aspettavo proprio di vederti... Reanne» disse Alise, esitando un attimo prima di pronunciare il nome. Ovviamente, non sapeva se poteva usare il titolo davanti a Nynaeve, Elayne e Aviendha, alle quali lanciò rapide occhiate mentre parlava. Aveva un leggero accento tarabonese. «Berowin ci aveva detto dei problemi in città, ovviamente, ma non credevo che fossero così gravi da costringerti a partire. Chi sono tutte queste...» Le si spense la voce, e sgranò gli occhi guardando oltre Reanne e le altre. Elayne si girò indietro, e quasi le scapparono un paio delle imprecazioni che aveva raccolto qua e là e, più di recente, da Mat Cauthon. Non le capiva tutte, quasi nessuna in realtà - e nessuno le voleva mai spiegare il significato - ma le trovava comunque efficaci per dare sfogo alle emozioni. I Custodi si erano tolti i loro mantelli dai colori mutevoli, e le sorelle avevano alzato i cappucci come era stato stabilito, anche Sareitha, che in realtà non aveva bisogno di celare i suoi giovani lineamenti, ma Careane non aveva tirato il suo abbastanza in avanti. Era solo una cornice per il suo volto senza età. Non tutti avrebbero capito il significato di quella pelle liscia, ma di sicuro non sarebbe sfuggito a chiunque fosse stata nella Torre. Quando notò l'occhiataccia di Elayne, Careane tirò subito in avanti il cappuccio, ma il danno ormai era fatto. E, nella fattoria, Alise non era la sola ad avere una vista acuta. «Aes Sedai!» urlò una donna, col tono di chi annuncia la fine del mondo. E forse era proprio questo che stava annunciando: la fine del suo mondo. Le strilla si diffusero come polvere mossa dal vento, e subito la fattoria si trasformò in un formicaio preso a calci. Due o tre di quelle donne non fecero altro che svenire, ma tutte le altre correvano all'impazzata, strillavano, lasciavano cadere quello che stavano trasportando, urtavano una contro l'altra, cadevano e si rialzavano per riprendere la corsa. Capre nere dalle corna corte, anatre e galline svolazzanti sfrecciavano ovunque per non farsi travolgere. E in mezzo a quella baraonda, alcune donne erano rimaste immobili e a bocca aperta; si trattava chiaramente delle ospiti di quel 'ritiro' che non sapevano nulla della Famiglia, anche se alcune di loro cominciarono a correre, contagiate dalla frenesia generale. «Per la Luce!» abbaiò Nynaeve tirandosi la treccia. «Quelle stanno fuggendo verso gli oliveti! Fermale! Non dobbiamo scatenare il panico! Manda i Custodi! Presto, presto!» Lan alzò un sopracciglio in un'espressione interrogativa, ma lei gli fece un cenno perentorio. «Presto! Prima che fuggano tutte via!» Lan cominciò a scuotere il capo, poi invece annuì e lanciò
Mandarb al galoppo verso gli altri uomini, facendo in modo di evitare il pandemonio scoppiato tra gli edifici. Elayne si strinse nelle spalle guardando Birgitte, poi le fece cenno di seguirlo. Lei era d'accordo con Lan. Le sembrava un po' troppo tardi per evitare il panico, e in ogni caso il modo migliore per farlo non era ordinare ai Custodi a cavallo di inseguire le donne spaventate. Ma Elayne non sapeva come altro poteva cambiare quella situazione, e non aveva senso lasciare che fuggissero nell'aperta campagna. Sarebbero state tutte più che contente di sentire le notizie portate da lei e Nynaeve. Alise non diede segno di voler fuggire, e nemmeno si agitò. Impallidì leggermente, ma fissò Reanne con uno sguardo fermo e deciso. «Perché?» le chiese in un sussurro. «Perché, Reanne? Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere da te! Ti hanno pagato? Ti hanno offerto l'immunità? Ti lasceranno libera mentre noi sconteremo la nostra pena? Probabilmente non me lo permetteranno, ma ti giuro che chiederò loro il permesso di accusarti. Sì, ti accuserò! Le regole valgono anche per te, Anziana! Se troverò il modo, ti giuro che non resterai libera!» Uno sguardo davvero fermo. D'acciaio, in effetti. «Non è come pensi» si affrettò a dire Reanne, scendendo da cavallo e lasciando cadere le redini. Prese le mani di Alise tra le sue nonostante gli sforzi che l'altra donna faceva per liberarsi. «Oh, neanche io volevo che succedesse. Lo sanno, Alise. Sanno della Famiglia. La Torre l'ha sempre saputo. Ha sempre saputo tutto. Quasi tutto. Ma questo non è importante.» A quell'ultima frase, Alise restò talmente sorpresa che le sopracciglia parvero arrampicarsi oltre i confini della fronte, ma Reanne, sorridendo convinta e con gli occhi che luccicavano sotto l'ampio cappello di paglia, subito proseguì: «Possiamo tornare, Alise. Possiamo riprovarci. Me l'hanno promesso loro.» Oltre al cortile, adesso si stavano svuotando anche gli edifici della fattoria: le donne uscivano a vedere quale fosse la causa di tutta quella confusione poi si univano alle altre in fuga, fermandosi a malapena per sollevare le gonne in modo da poter correre meglio. Le urla che arrivavano dagli oliveti dicevano che i Custodi si erano messi al lavoro, ma non lasciavano intuire nulla sui loro risultati. Forse non erano un granché. Elayne avvertiva la frustrazione e l'irritazione di Birgitte, sempre più forti. Reanne guardò quel tumulto con un sospiro. «Dobbiamo raccogliere le altre, Alise. Possiamo tornare.» «Ed è di sicuro un bene per te e qualcun'altra» disse dubbiosa Alise. «Posto che sia vero. Ma noialtre? La Torre non mi avrebbe permesso di
rimanere tutto quel tempo, se fossi stata più veloce a imparare.» Lanciò una torva occhiata alle sorelle ora ben incappucciate, e lo sguardo che riportò su Reanne conteneva non poca rabbia. «Perché dovremmo tornare noi? Per sentirci dire di nuovo che non siamo forti abbastanza ed essere cacciate via ancora una volta? O forse ci terranno come novizie per il resto della nostra vita? Qualcuna potrebbe anche accettarlo, ma io no. Perché, Reanne? Perché dovremmo tornare?» Nynaeve smontò di sella e si tirò dietro la giumenta strattonando le redini, ed Elayne la imitò, anche se guidò Leonessa con maggior naturalezza. «Per essere parte della Torre, se lo desiderate» rispose Nynaeve impaziente prima ancora di aver raggiunto le altre due donne. «Forse per diventare Aes Sedai. Per quanto mi riguarda, non vedo perché sia necessario raggiungere una certa forza, una volta superate quelle stupide prove. Ma potete anche non tornare; potete fuggire tutte via, per quel che mi importa. Ma dopo che io avrò fatto quello che devo fare.» Piantò bene i piedi, si tolse il cappello e si mise i pugni sui fianchi. «Stiamo perdendo tempo, Reanne, e abbiamo un compito da svolgere. Sei sicura che qui ci sia qualcuna che possiamo usare? Parla. Se non sei sicura, allora tanto vale lasciar perdere. La fretta sarà anche una cattiva consigliera, ma adesso che abbiamo quell'oggetto preferirei finire prima possibile.» Quando lei ed Elayne furono presentate come Aes Sedai, le Aes Sedai che avevano fatto la promessa, Alise emise un verso strozzato e cominciò a lisciarsi la gonna di lana per tenere le mani occupate ed evitare di stringerle intorno alla gola di Reanne. Aprì con rabbia la bocca - e la richiuse di scatto quando arrivò anche Merilille. Il suo sguardo rimase deciso, ma insieme a quella fermezza adesso c'era una punta di meraviglia. E più che una punta di sospetto. «Nynaeve Sedai,» disse con calma Merilille «le Atha'an Miere sono... impazienti... di scendere da cavallo. Credo che alcune di loro chiederanno di essere Guarite.» Le labbra guizzarono in un rapido sorriso. Questo pose fine a ogni eventuale progetto di non fermarsi alla fattoria, anche se Nynaeve brontolò a lungo su quello che avrebbe fatto alla prossima persona che avesse dubitato di lei. Anche Elayne avrebbe potuto aggiungere una o due cosine, ma in verità Nynaeve sembrava non poco sciocca ad andare avanti a quel modo, con Merilille e Reanne che la ascoltavano premurose aspettando che la smettesse e Alise che le fissava tutte e tre. Ma forse a decidere davvero la questione furono le Cercavento, che erano a piedi e tiravano i cavalli per le redini. La loro grazia era del tutto
svanita durante il viaggio, logorata dalle selle dure - ora avevano le gambe rigide almeno quanto il volto - eppure era impossibile non riconoscerle per quello che erano. «Se ci sono venti donne del Popolo del Mare così lontano da casa,» mormorò Alise «allora posso credere anche a tutto il resto.» Nynaeve sbuffò ma non disse nulla, cosa di cui Elayne le fu grata. Alise stava avendo grandi difficoltà ad accettare quella situazione, nonostante Merilille avesse chiamato lei e Nynaeve con il titolo di Aes Sedai. E una predica o delle bizze non sarebbero servite a nulla. «Allora Guaritele» disse Nynaeve a Merilille. Tutte e due si girarono verso le donne zoppicanti, e Nynaeve aggiunse: «Se lo chiedono con educazione.» Merilille sorrise di nuovo, ma Nynaeve aveva già dimenticato le Cercavento e guardava accigliata la fattoria ora quasi deserta. Qualche capra ancora trotterellava nel cortile disseminato di indumenti lasciati cadere, di scope e rastrelli, di secchi e cesti rovesciati, nonché delle sagome accoccolate delle donne svenute; qualche gallina era tornata a razzolare e becchettare, ma le sole donne coscienti in vista tra gli edifici non appartenevano alla Famiglia. Alcune indossavano abiti di seta o lino ricamati, altre robusta lana di campagna, ma il fatto che non fossero fuggite la diceva lunga sul loro conto. Reanne aveva detto che il numero di questo tipo di ospiti della fattoria poteva anche eguagliare quello delle appartenenti alla Famiglia. Quelle che erano rimaste lì sembravano per lo più sbalordite. Nonostante il continuo brontolare, Nynaeve non perse tempo e si occupò subito di Alise. O forse fu Alise a occuparsi di lei. Era difficile stabilirlo, perché quella donna mostrava assai meno deferenza per le Aes Sedai di quanta ne mostravano le componenti del Circolo della Maglia. Forse era ancora troppo stordita dall'improvvisa piega che avevano preso gli eventi. Fatto sta che lei e Nynaeve si allontanarono insieme, Nynaeve tirandosi dietro la giumenta e indicando con il cappello nell'altra mano, mentre dava istruzioni ad Alise su come recuperare le donne che erano fuggite e cosa fare con loro una volta riunite. Reatine aveva assicurato che ce ne sarebbe stata almeno una abbastanza forte da unirsi al circolo, Garenia Rosoinde, e forse altre due. Alise alternava cenni di assenso e occhiatacce che però Nynaeve pareva non notare. Nell'attesa che venissero riunite tutte le fuggiasche, il momento sembrava buono per portare un po' avanti la ricerca tra i cesti, ma quando Elayne si girò verso i cavalli da soma, che proprio in quel frangente venivano portati verso gli edifici della fattoria, si accorse che il Circolo della Maglia,
Reanne e tutte le altre, stavano andando a piedi verso il cortile, alcune correvano dalle donne stese a terra, altre da quelle rimaste immobili a bocca aperta. C'erano tutte, e nessuna aveva con sé Ispan. Elayne la ritrovò subito, però. Tra Adeleas e Vandene, che la tenevano ognuna per un braccio e la trascinavano con sé, con i mantelli impolverati che sventolavano dietro di loro. Le sorelle canute erano collegate una all'altra, il bagliore di saidar le avvolgeva entrambe, in qualche modo senza includere Ispan. Non era possibile capire chi era al comando in quel circolo in miniatura e chi teneva schermata l'Amica delle Tenebre, ma nemmeno uno dei Reietti avrebbe potuto spezzarlo. Si fermarono per parlare a una donna robusta con un semplice abito di lana marrone, che sgranò gli occhi alla vista del sacco di cuoio che copriva la testa di Ispan ma si inchinò lo stesso e indicò uno degli edifici intonacati di bianco. Elayne scambiò occhiate di rabbia con Aviendha. O meglio, le sue erano occhiate di rabbia. A volte Aviendha era meno espressiva di un sasso. Dopo aver affidato i loro cavalli a due degli stallieri del palazzo, andarono di corsa dietro Ispan e le due sorelle. Alcune delle donne che non facevano parte della Famiglia provarono a interrogarle su cosa stava succedendo, e tra queste ce ne furono due o tre che parlarono con una certa alterigia, ma Elayne le liquidò tutte senza complimenti, lasciandosi dietro una scia di sbuffi e versi di irritazione. Oh, cosa avrebbe dato per avere già il volto privo dei segni del tempo! Questo pensiero parve tirare un filo nella sua mente, un filo che però svanì non appena lei provò a seguirlo. Quando aprì la semplice porta di legno dietro la quale erano sparite le tre donne, vide che Adeleas e Vandene avevano fatto sedere Ispan su una sedia dall'alto schienale e le avevano scoperto la testa; il cappuccio era poggiato insieme ai loro mantelli di lino su un piccolo tavolo sostenuto da cavalletti. Quella stanza aveva solo una finestra, sul soffitto, ma col sole ancora alto nel cielo la luce era sufficiente. Lungo le pareti erano allineati scaffali pieni di larghe pentole di rame e grandi ciotole bianche. A giudicare dall'odore di pane infornato, l'altra porta dava su una cucina. Vandene si girò di scatto all'ingresso di Elayne e Aviendha, ma quando vide che erano loro due atteggiò il volto a una totale inespressività. «Sumeko ha detto che l'effetto delle erbe di Nynaeve cominciava a esaurirsi,» disse «e così ci è sembrato meglio farle qualche domanda prima di stordirla di nuovo. A quanto pare adesso il tempo c'è. E sarebbe un bene scoprire cosa ci faceva... l'Ajah Nera» fece una smorfia di disgusto «a Ebou Dar. E
che cosa sanno.» «Dubito che siano al corrente di questa fattoria, visto che non lo eravamo noi,» intervenne Adeleas, battendosi pensosa un dito sulle labbra mentre studiava la donna sulla sedia «ma è sempre meglio essere sicuri prima che piangere poi, come diceva sempre nostro padre.» Sembrava stesse esaminando un animale che non aveva mai visto prima, una creatura la cui esistenza le risultava incomprensibile. Ispan incurvò le labbra. Il sudore le colava sul volto malconcio, le trecce scure decorate di perline erano tutte scarmigliate, gli abiti in disordine, ma nonostante gli occhi annebbiati era molto meno confusa di prima. «L'Ajah Nera è una fandonia, una sporca menzogna» le derise, con la voce un po' roca. Doveva aver sentito davvero caldo con la testa infilata in quel sacco, e non beveva da quando avevano lasciato il palazzo di Tarasin. «E mi sorprende che diate credito a quella storia. E accusate me! Quello che ho fatto è stato solo obbedire agli ordini dell'Amyrlin Seat.» «Elaida?» chiese Elayne incredula. «Hai il fegato di sostenere che Elaida ti ha ordinato di assassinare delle sorelle e rubare alla Torre? Che Elaida ti ha ordinato di fare quello che hai fatto a Tear e a Tanchico? O forse ti riferisci a Siuan? Le tue bugie sono patetiche! In qualche modo sei riuscita a sciogliere i Tre Giuramenti, e questo fa di te un membro dell'Ajah Nera.» «Non sono obbligata a rispondere alle vostre domande» dichiarò all'improvviso Ispan, piegando in avanti le spalle. «Vi siete ribellate contro la legittima Amyrlin Seat. Sarete punite, forse quietate. Soprattutto se mi fate del male. Io servo la vera Amyrlin, e riceverete una punizione molto severa se mi fate del male.» «E invece risponderai a tutte le domande che ti fa la mia sorella prossima.» Aviendha stava provando il filo della lama del suo pugnale contro l'unghia di un pollice, ma gli occhi erano fissi in quelli di Ispan. «Gli abitanti delle terre bagnate hanno paura del dolore. Non sono capaci di accoglierlo, di accettarlo. Risponderai a tutte le domande.» Non la guardò in cagnesco né mostrò i denti, si limitò a parlare, eppure Ispan parve rannicchiarsi sulla sedia. «Temo che sia vietato, e non solo perché lei è comunque un'iniziata della Torre» intervenne Adeleas. «Non possiamo versare sangue durante gli interrogatori, né lasciare che lo facciano altri al posto nostro.» Sembrava dispiaciuta, ed Elayne non avrebbe saputo dire se era per il divieto o per il fatto che Ispan fosse un'iniziata. Lei per esempio non aveva mai immaginato che la prigioniera potesse ancora essere considerata un'iniziata della
Torre. Secondo un detto, nessuna donna poteva dire di aver chiuso con la Torre finché non era la Torre a deciderlo, ma in realtà, una volta toccata dalla Torre Bianca, quel legame non si interrompeva mai del tutto. Elayne si accigliò studiando la sorella Nera, così malconcia eppure così sicura di sé. Ispan si mise a sedere più eretta, e lanciò occhiate piene di un divertito disprezzo ad Aviendha - e a Elayne. Prima non era così arrogante, quando pensava di essere prigioniera solo di Nynaeve ed Elayne; ma aveva riacquisito tutta la sua compostezza ricordandosi della presenza delle altre sorelle. Sorelle per le quali la legge della Torre Bianca era parte della loro stessa natura. E quella legge proibiva non solo di versare il sangue, ma anche di rompere le ossa e di fare molte altre cose che un qualsiasi Inquisitore dei Manti Bianchi sarebbe stato più che pronto a tentare. Prima dell'inizio di ogni sessione, la persona interrogata doveva ricevere la Guarigione da parte delle sorelle, e se l'interrogatorio cominciava all'alba doveva finire prima del tramonto; se cominciava al tramonto, doveva finire prima dell'alba. La legge era ancor più severa quando si trattava di iniziate della Torre, sorelle, Ammesse e novizie, nel qual caso vietava anche l'uso di saidar per le domande, le punizioni o le penitenze. Certo, una sorella poteva dare un pizzico a una novizia con il Potere o anche colpirla sul fondoschiena se era esasperata, ma non poteva spingersi oltre. Ispan le sorrise. Le sorrise! Elayne trasse un lungo respiro. «Adeleas, Vandene, voglio che lasciate me e Aviendha da sole con Ispan.» Sentì che le si stava annodando lo stomaco. Doveva esserci un modo per costringere quella donna a rivelare ciò che loro avevano bisogno di sapere senza infrangere la legge della Torre. Ma come? Le persone interrogate dalle Aes Sedai di solito cominciavano a parlare prima ancora di essere sfiorate anche solo con un dito - tutti sapevano che nessuno poteva opporsi alla Torre, nessuno! - ma raramente si trattava di un'iniziata. Elayne sentì una voce, e questa volta non era Lini, ma sua madre: quando dai un ordine, devi essere disposta a eseguirlo tu stessa; come regina, quando ordini una cosa è come se la facessi. Se infrangeva la legge... Di nuovo la voce di sua madre: nemmeno una regina può mettersi al di sopra della legge, o non ci saranno più leggi. E poi quella di Lini: puoi fare tutto quello che vuoi, bambina, finché sei disposta a pagarne il prezzo. Elayne si tolse il cappello senza nemmeno sciogliere i nastri. Dovette sforzarsi per tenere ferma la voce. «Quando avremo... quando avremo finito di parlare con lei, potrete riconsegnarla al Circolo della Maglia.» In seguito, si sarebbe rimessa al giudizio di Merilille. Bastavano cinque sorelle per stabilire una
colpa e una penitenza, se necessario. Ispan mosse di scatto la testa, spostando più volte lo sguardo tra Elayne e Aviendha, con gli occhi rigonfi che si sgranavano sempre più fino a mostrare il bianco tutto intorno. Non era più così sicura di sé. Tra Vandene e Adeleas passarono occhiate silenziose, nella maniera di chi ha passato così tanto tempo insieme da non aver più bisogno delle parole per comunicare; poi Vandene prese Elayne e Aviendha sottobraccio. «Venite, vorrei parlare un attimo con voi» mormorò. Sembrava una proposta, ma intanto le stava già spingendo fuori. All'esterno, nel cortile, circa una ventina di donne della Famiglia erano raggruppate come pecore. Non tutte vestivano alla moda di Ebou Dar, ma due avevano la cintura rossa delle Donne Sapienti, ed Elayne riconobbe Berowin, una donna tarchiata che di solito mostrava molto più orgoglio che forza nel Potere. Non in quel momento, però. Come le altre, anche lei era spaventata, gli occhi saettavano qua e là nonostante tutte le componenti del Circolo della Maglia fossero lì a tranquillizzarle. In fondo al cortile, Nynaeve e Alise stavano tentando di guidare forse una quarantina di altre donne in uno degli edifici più grandi. 'Tentando' era la parola giusta. «...non mi importa quali proprietà possiedi» stava urlando Nynaeve a una donna altezzosa in un vestito di seta verde chiaro. «Adesso vai lì dentro e ci resti, o ti ci mando io a calci!» Alise afferrò la donna vestita di verde per la collottola e la trascinò di corsa oltre la soglia nonostante le accese e loquaci proteste. Si sentì un forte starnazzio, come se qualcuno avesse appena pestato un'oca, poi ricomparve Alise, strofinandosi le mani. Le altre non diedero più problemi. Vandene lasciò le braccia di Elayne e Aviendha, e le fissò negli occhi. Era ancora avvolta dal bagliore di saidar, ma doveva essere Adeleas a guidare i loro flussi combinati. Se fosse stata Vandene a intessere lo scudo, avrebbe potuto mantenerlo anche senza vederlo, ma in quel caso probabilmente sarebbe stata Adeleas a portare loro due fuori. Vandene poteva comunque allontanarsi parecchio prima che il legame cominciasse a indebolirsi - non si sarebbe spezzato nemmeno se le due si fossero messe agli angoli opposti della Terra, ma sarebbe diventato inutile molto prima - ma era rimasta vicino alla porta. Sembrava che stesse cercando le parole giuste da usare. «Ho sempre creduto che di questo tipo di cose dovessero occuparsi donne con molta esperienza» disse alla fine. «Le giovani hanno ancora il sangue bollente. E rischiano di strafare. O, a volte, si rendono conto che non
se la sentono di fare ciò che è necessario. Perché non hanno ancora visto e conosciuto abbastanza. O, peggio ancora, scoprono di provare... gioia nel farlo. Anche se non credo che voi due abbiate questo difetto.» Senza pause nel discorso, soppesò Aviendha con lo sguardo, e la giovane aiel rinfoderò in tutta fretta il pugnale. «Io e Adeleas abbiamo visto e conosciuto abbastanza da capire perché dobbiamo fare ciò che è necessario, e il nostro sangue non è più bollente da tanto tempo. Forse dovreste lasciare che ci occupiamo noi di Ispan. Sarebbe senz'altro meglio.» Parve dare per scontato che avrebbero accettato il suo suggerimento. Annuì e tornò verso la porta. Non appena Vandene l'ebbe varcata, Elayne sentì che all'interno veniva usato il Potere, una tessitura che copriva tutta la stanza. Senza dubbio una protezione contro orecchie indiscrete. Non volevano che qualcuno di passaggio sentisse ciò che Ispan avrebbe detto. Poi la ragazza si rese conto che lo scopo poteva essere anche un altro, e a un tratto il silenzio le parve più sinistro di tutti gli strilli che quella protezione poteva celare. Elayne si schiacciò di nuovo il cappello in testa. Era capace di ignorare il caldo, ma la luce del sole le sembrava all'improvviso rivoltante. «Che ne dici di aiutarmi a dare un'occhiata agli oggetti in quei cesti?» chiese ad Aviendha in un sussurro. Non era stata lei a ordinare quello che stava succedendo nella stanza - qualsiasi cosa fosse -, ma questo non cambiava nulla. La sua amica annuì con sorprendente rapidità: forse anche lei voleva allontanarsi quanto prima da quel silenzio. Le Cercavento aspettavano poco distanti da dove i servitori avevano portato i cavalli da soma, erano impazienti e si guardavano intorno imperiose, le braccia conserte, tutte a imitare il portamento di Renaile. Alise andò verso di loro a passo di marcia, e dopo una rapida occhiata individuò in Renaile la donna al comando. Ignorò del tutto Elayne e Aviendha. «Venite con me» disse con un tono brusco che non ammetteva repliche. «Le Aes Sedai sono sicure che non volete restare al sole mentre loro risolvono questa situazione.» Le parole 'Aes Sedai' erano cariche tanto di amarezza quanto della riverenza alla quale Elayne era abituata quando le sentiva pronunciare da una della Famiglia. Forse l'amarezza era anche maggiore. Renaile si irrigidì, il volto scuro si fece ancora più scuro, ma Alise andò avanti come se non la vedesse neppure. «Per quanto mi riguarda, voi selvatiche potete restarvene qui sedute a sudare se è questo che volete. Ammesso che possiate sedervi.» Era palese che nessuna Atha'an Miere aveva ricevuto la Guarigione per gli indolenzimenti del viaggio; dalle loro posizioni,
sembrava si impegnassero per dimenticare che esistevano anche dalla vita in giù. «Quello che non potete fare è lasciarmi qui ad aspettare.» «Sai chi sono io?» chiese Renaile piena di furia repressa, ma Alise se ne stava già andando, senza neppure girarsi a guardare. Lottando con sé stessa in modo evidente, Renaile si asciugò il sudore dalla fronte col dorso di una mano, poi con rabbia ordinò alle altre Cercavento di lasciar perdere quei cavalli 'maledetti dalle spiagge' e seguirla. Si schierarono in fila, gambe arcuate e andatura ballonzolante, per andare con Alise, e tranne le due apprendiste tutte mormoravano tra sé - anche Alise. D'istinto, Elayne cominciò a cercare un modo per semplificare quella situazione, per far ottenere la Guarigione alle Atha'an Miere senza che dovessero chiederlo, o senza che una sorella dovesse offrirla con eccessiva durezza; e c'era da calmare Nynaeve, e le altre sorelle. Con sua sorpresa, si rese conto all'improvviso che per una volta non aveva nessun reale desiderio di semplificare alcunché. Osservando le Cercavento che zoppicavano verso uno degli edifici, decise che le cose stavano bene così com'erano. Aviendha guardava le Atha'an Miere con un ampio, aperto sorriso. Elayne si tolse dal viso il suo, che era comunque più discreto, e si girò verso i cavalli da soma. Se lo meritavano, comunque. Non sogghignare era davvero difficile. Con l'aiuto di Aviendha, la ricerca fu molto più rapida, anche se la Aiel non riconosceva quello che stavano cercando in fretta come lei. E questa non era una vera sorpresa. Poche delle sorelle che Elayne aveva addestrato erano brave come o più di lei in quel compito, la maggior parte non ci andava neppure vicino. In ogni caso, due paia di mani potevano trovare più oggetti di un solo paio, e ce n'erano molti da trovare. Gli stallieri in livrea e le donne della fattoria portarono via gli scarti, mentre una collezione di ter'angreal andava accumulandosi sull'ampio coperchio di pietra di una vasca quadrata. Scaricarono rapidamente quattro cavalli, e trovarono un insieme di oggetti che, portati alla Torre, le avrebbero rese celebri. Anche se nessuna più studiava i ter'angreal. Quegli oggetti erano di ogni forma immaginabile. Coppe, ciotole e vasi, tutti diversi per forma, dimensione e materiale. Una scatola piatta e mangiata dai tarli, pronta a cadere a pezzi e con l'imbottitura da tempo ridotta in polvere, conteneva numerosi gioielli - una collana e un bracciale con incastonate pietre variopinte, una cintura sottile borchiata di gemme, diversi anelli - e c'era spazio per altri ancora. I gioielli erano tutti ter'angreal, ed erano abbinati tra loro, andavano indossati insieme, an-
che se Elayne non riusciva a immaginare come una donna potesse voler indossare tanti gioielli tutti in una volta. Aviendha trovò un pugnale con un filo d'oro avvolto intorno all'elsa fatta con corno di cervo; la lama era smussata, ed era evidente che non si trattava di un effetto del tempo ma era sempre stata così. La giovane aiel si rigirò l'arma tra le dita - e le mani cominciarono addirittura a tremarle - finché Elayne non gliela sottrasse per metterla insieme agli altri oggetti sul coperchio della vasca. Aviendha rimase comunque immobile per un po', guardava il pugnale e si leccava le labbra come se le si fossero seccate. Trovarono poi altri anelli, orecchini, collane, bracciali e fibbie per cintura, molti dei quali mostravano dei disegni davvero particolari. Trovarono statue e miniature di uccelli, animali terrestri e persone, diversi coltelli con la lama affilata, cinque o sei grandi medaglioni di bronzo o acciaio, quasi tutti lavorati secondo schemi strani e nessuno decorato da immagini che Elayne riuscisse a capire, un paio di bizzarri cappelli che parevano fatti di metallo, troppo decorati e sottili per essere elmi, e tutta una serie di altri oggetti ai quali Elayne non riuscì neppure a dare un nome. Un bastone, spesso quanto il suo polso, liscio, di coloro rosso acceso e arrotondato all'estremità, rigido più che duro, nonostante sembrasse fatto di pietra: non si era riscaldato tra le sue mani, era diventato bollente! E che dire dell'insieme di sfere di metallo traforate, racchiuse una nell'altra? A ogni movimento producevano una debole melodia, sempre diversa, e lei aveva come la sensazione che, per quanto avesse guardato a lungo, ci sarebbe sempre stata una nuova sfera più piccola da scoprire all'interno di una più grande. E l'oggetto che sembrava uno di quei rompicapo ad anelli di ferro ma era fatto di vetro? Era abbastanza pesante che Elayne lo lasciò cadere, e il ter'angreal scheggiò il bordo del coperchio di pietra della vasca. Una collezione che avrebbe fatto lo stupore di ogni Aes Sedai. Cosa più importante, trovarono altri due angreal. Ed Elayne li mise attentamente da parte, a portata di mano. Uno era un gioiello, un bracciale d'oro con quattro catenine piatte collegate ad altrettanti anelli, tutto decorato con un complesso schema a intreccio. Era più forte dell'altro, e più forte anche della tartaruga che lei aveva ancora nel borsello. Era pensato per mani più piccole delle sue o di quelle di Aviendha. Cosa strana, il bracciale aveva un piccolo lucchetto, con tanto di minuscola chiave cilindrica appesa a una sottile catenella e pensato ovviamente per essere staccato. Insieme alla chiave! L'altro angreal era la statuina di una donna seduta fatta in avorio scurito dagli anni, le gambe incrociate, le ginocchia nude e scoperte, ma con capelli così lunghi e folti
che coprivano il resto del corpo meglio del più pesante dei mantelli. Era anche meno forte della tartaruga, ma Elayne lo trovava molto affascinante. La donna della statua teneva una mano poggiata su un ginocchio, col palmo all'insù e il pollice che toccava la punta di medio e anulare, mentre indice e mignolo erano piegati. Quella figura emanava un'aria di grande solennità, eppure il volto finemente lavorato mostrava un'espressione di gioia e divertimento. Forse era stato creato per una donna in particolare. Chissà perché, ma a Elayne sembrava un oggetto personale. Forse usavano fare così, nell'Epoca Leggendaria. Alcuni ter'angreal erano immensi, e per spostarli erano necessari uomini e cavalli, o persino il Potere, ma molti angreal erano abbastanza piccoli da poterli portare addosso; non tutti, ma quasi. Stavano togliendo i teli di copertura da un altro paio di cesti di vimini quando Nynaeve arrivò di gran carriera. Le Atha'an Miere cominciarono a uscire in fila da uno degli edifici, e non zoppicavano più. Merilille stava discutendo con Renaile, o meglio, la Cercavento parlava e Merilille ascoltava. Elayne si chiese cosa era successo in quell'edificio. La magra sorella Grigia non sembrava più così compiaciuta. Il gruppo di donne della Famiglia era diventato più numeroso, ma anche in quel momento Elayne vide che nel cortile ne stavano arrivando ancora altre tre, esitanti, mentre due erano rimaste ai margini dell'oliveto e si guardavano intorno indecise. Lei riusciva a sentire Birgitte, da qualche parte tra gli alberi, e solo un po' meno irritata di prima. Nynaeve lanciò un'occhiata ai ter'angreal in mostra e si strattonò la treccia. Aveva perso il cappello chissà dove. «Per quelli possiamo aspettare» disse, e sembrava disgustata. «È giunto il momento.» 5
Si prepara la tempesta Il sole era poco più che a metà strada nella sua discesa verso l'orizzonte quando si inerpicarono sul vecchio sentiero serpeggiante che portava in cima alla ripida collina, sopra i fienili. Era quello il punto che Renaile aveva scelto. Ed era una decisione sensata, da quello che Elayne sapeva su
come si lavorava col clima, tutte cose apprese da una Cercavento del Popolo del Mare, ovviamente. Per modificare ciò che era al di là dei propri immediati paraggi era necessario poter lavorare su grandi distanze, e questo richiedeva un'ampia visuale, molto più facile da ottenere nell'oceano che sulla terraferma. A meno di non trovarsi su una montagna o in cima a una collina. Era necessaria anche molta perizia per non scatenare chissà dove piogge torrenziali, un uragano o solo la Luce sapeva che altro. Qualsiasi azione sul clima aveva effetti che si propagavano come le onde causate da un sasso lanciato in uno stagno. Elayne non aveva il minimo desiderio di guidare il circolo che avrebbe usato la Scodella. La vetta della collina era sgombra di cespugli e pianeggiante, anche se tutt'altro che piatta, una scabra superficie di pietra, cinquanta passi in lunghezza e larghezza: uno spazio più che sufficiente per tutti quelli che dovevano stare lassù, e anche per alcuni che, strettamente parlando, non dovevano. Da quell'altezza, la visuale spaziava per chilometri su una scacchiera di pascoli e fattorie, boschi e oliveti. Le chiazze di marrone e giallo mischiate alle centinaia di sfumature di verde erano fin troppe, e urlavano a gran voce la necessità di ciò che loro si stavano appunto accingendo a fare, eppure la bellezza di quello spettacolo non mancò di colpire Elayne. Nonostante la polvere alzata dal vento che sembrava quasi una lieve foschia, riusciva a vedere così lontano! Quella regione era davvero piatta, a eccezione delle poche colline. Ebou Dar, a sud, restava fuori dalla sua visuale anche se lei abbracciava il Potere, eppure le sembrava che con un po' di sforzo sarebbe riuscita a scorgerla. Di sicuro, se ci si impegnava, avrebbe individuato anche il fiume Eldar. Una visuale magnifica. Ma non interessava a tutti. «Un'ora sprecata» brontolò Nynaeve che, torva in viso, guardava di sottecchi Reanne. E tutti gli altri. Senza Lan, sembrava volesse cogliere l'occasione per scatenare il suo caratteraccio. «Quasi un'ora. Forse di più. Completamente sprecata. Alise è abbastanza in gamba, mi pare, ma credevo che Reanne sapesse chi c'era qui! Per la Luce! Se quell'idiota mi sviene di nuovo...» Elayne si augurò che l'amica resistesse un po' più a lungo. Rischiava di scatenare davvero una tempesta. Reanne si sforzava di conservare un'espressione allegra e solerte, ma le sue mani non trovavano pace, pizzicavano e lisciavano la gonna senza sosta. Kirstian invece teneva strette le sue e sudava, sembrava pronta a dare di stomaco da un momento all'altro; quando qualcuno la guardava, chiunque fosse, lei rabbrividiva. La terza donna della Famiglia, Garenia, era una
mercante della Saldea, bassa e con i fianchi sottili, un naso importante e una grande bocca, più forte delle altre due e, almeno dall'aspetto, non molto più grande di Nynaeve. Il suo volto pallido riluceva per una pellicola di sudore, e sgranava gli occhi ogni volta che li posava su un'Aes Sedai. Elayne pensò che, grazie a Garenia, forse avrebbe scoperto se gli occhi di una persona potevano davvero uscire dalle orbite. Almeno quella donna aveva smesso di lamentarsi, cosa che aveva fatto durante tutta la risalita della collina. Ce n'erano davvero state altre due che avevano abbastanza forza nel Potere - forse; la Famiglia non dava molto peso a questa caratteristica - ma se ne erano andate qualche giorno addietro. Nessun'altra di quelle rimaste alla fattoria si avvicinava anche solo vagamente al livello richiesto. Per questo Nynaeve era ancora disgustata. Per questo, e perché Garenia era stata una delle prime donne che avevano trovato, stesa nel cortile priva di sensi. Non solo, era svenuta di nuovo le prime due volte che l'avevano svegliata, non appena le era caduto lo sguardo su una delle sorelle. Ovviamente Nynaeve, data la sua natura, non avrebbe mai ammesso che invece di perdere tempo poteva semplicemente chiedere ad Alise chi era rimasto alla fattoria. O anche solo spiegarle cosa stavano cercando prima che fosse Alise a chiederglielo. Nynaeve era convinta che nessuno avesse abbastanza buonsenso da saper riconoscere il sopra dal sotto. Nessuno tranne lei. «A quest'ora potevamo aver già finito» ringhiò. «E avremmo chiuso con...» Quasi tremava per lo sforzo di non guardare in cagnesco le donne del Popolo del Mare che si stavano raccogliendo all'estremità orientale di quel tavoliere di pietra. Renaile gesticolava con una certa enfasi, con ogni probabilità per dare istruzioni alle altre. Elayne avrebbe pagato un bel po' per poterle sentire. Le occhiatacce di Nynaeve non risparmiavano Merilille, Careane e Sareitha, che ancora stringeva a sé la Scodella avvolta nella seta. Adeleas e Vandene erano rimaste dabbasso, segregate con Ispan. Le tre sorelle sulla collina se ne stavano in disparte a parlare tra di loro, non facevano caso a Nynaeve a meno che lei non si rivolgesse direttamente a loro, ma Merilille ogni tanto guardava di sottecchi le Cercavento, poi distoglieva lo sguardo con uno scatto; la sua maschera di serenità si era lievemente incrinata, e lei si leccava le labbra con la punta delle lingua. Aveva fatto qualche errore, prima, mentre curava le Atha'an Miere? Merilille aveva negoziato trattati e risolto dispute tra nazioni, poche nella Torre Bianca erano meglio di lei in questo. Ma Elayne una volta aveva sentito
una storiella, una specie di barzelletta, su una mercante domanese, un Maestro del Carico del Popolo del Mare e un'Aes Sedai. Poche persone raccontavano barzellette sulle Aes Sedai, poteva non essere molto salutare. La mercante e il Maestro del Carico avevano trovato una normale roccia sulla spiaggia e continuavano a vendersela a vicenda, riuscendo in qualche modo a trarne ogni volta un profitto. Poi arriva l'Aes Sedai. La Domanese la convince a comprare quella semplice pietra per il doppio del prezzo da lei pagato nell'ultimo scambio. Dopo di che, l'Atha'an Miere convince l'Aes Sedai a comprare quello stesso sasso da lui e al doppio del prezzo fatto dalla Domanese. Solo una barzelletta, ma mostrava le opinioni della gente. Forse le sorelle più anziane non se la sarebbero cavata molto meglio nell'accordo che lei e Nynaeve avevano stipulato col Popolo del Mare. Aviendha andò direttamente verso il bordo del dirupo non appena ebbe raggiunto la cima della collina e rimase con lo sguardo fisso a nord, immobile come una statua. Dopo un istante, Elayne si rese conto che la sua amica non stava ammirando il panorama, ma aveva lo sguardo perso nel nulla. Raccogliendo le gonne in modo un po' maldestro con i tre angreal ancora in mano, andò da lei. Il dirupo scendeva verso gli oliveti in gradoni di una quindicina di metri, ripide fasce di pietra grigia, spoglie tranne che per qualche piccolo cespuglio morente. Non era molto impressionante, ma non era nemmeno come guardare a terra dalla cima di un albero. Cosa strana, affacciandosi da lassù Elayne ebbe un leggero attacco di vertigini. Aviendha pareva non essersi accorta che il bordo di quel burrone era proprio davanti alla punta dei suoi piedi. «C'è qualcosa che ti turba?» le chiese Elayne a voce bassa. La Aiel tenne lo sguardo fisso e distante. «Ho fallito nei tuoi confronti» rispose infine. La sua voce era piatta, vuota. «Non sono riuscita a formare il passaggio nel modo giusto, e tutti hanno visto come ti ho disonorata. Ho scambiato un servitore per una creatura dell'Ombra, e mi sono comportata peggio di un'idiota. Le Atha'an Miere mi ignorano e guardano male le Aes Sedai, come se fossi un cagnolino che abbaia ai loro comandi. Ho finto che avrei potuto far parlare quella Serva dell'Ombra, ma nessuna Far Dareis Mai può interrogare un prigioniero se non è sposata alla lancia da almeno trent'anni, e devono passarne minimo dieci prima che possa anche solo assistere a un interrogatorio. Sono debole, Elayne. Non posso sopportare l'idea di arrecarti altro disonore. Se fallirò di nuovo, morirò.» Elayne si sentiva la bocca secca. Quell'ultima frase era troppo simile a
una promessa. Stringendo con fermezza un braccio di Aviendha, la portò lontano dal bordo. Gli Aiel potevano essere abbastanza strani da giustificare l'idea che il Popolo del Mare aveva di loro. Elayne non credeva che Aviendha si potesse davvero buttare di sotto - proprio no - ma non aveva intenzione di correre il rischio. Almeno l'amica non oppose resistenza. Tutti le altre donne sulla collina sembravano concentrate su sé stesse, o parlavano tra loro. Nynaeve aveva cominciato a discutere con le Atha'an Miere, si teneva le treccia con entrambe le mani ed era scura in volto, quasi come le Cercavento stesse, per lo sforzo di non urlare, mentre loro la ascoltavano con sprezzante arroganza. Merilille e Sareitha erano ancora a guardia della Scodella, ma Careane stava provando a parlare con le donne della Famiglia, con scarsi risultati. Reanne le rispondeva, anche se battendo nervosamente le palpebre e leccandosi le labbra, ma Kirstian restava in silenzio e tremava, mentre Garenia teneva gli occhi strizzati. Elayne parlò comunque a voce bassa: non riguardava nessuna di loro. «Non hai fallito nei confronti di nessuno, meno che mai nei miei, Aviendha. Niente di quello che hai fatto mi ha mai arrecato disonore, e niente potrà mai arrecarmene.» La Aiel sbatté le palpebre, dubbiosa. «E se tu sei debole allora lo sono anche le pietre.» Era il complimento più bizzarro che mai Elayne avesse fatto a qualcuno, ma Aviendha parve gratificata. «E scommetto anche che le Cercavento hanno una paura matta di te.» Un altro complimento strano, e Aviendha sorrise, anche se debolmente. Elayne trasse un respiro. «Riguardo a Ispan...» Non le piaceva neppure pensarci. «Anche io ero convinta di poter fare ciò che era necessario, ma se solo ci penso mi sudano le mani e mi si rivolta lo stomaco. Avrei vomitato, se solo ci avessi provato. Quindi in questo siamo uguali.» Aviendha usò il linguaggio di gesti delle Fanciulle per dire 'mi sorprendi'; aveva cominciato a insegnarlo a Elayne, anche se sosteneva che fosse proibito. Evidentemente, essere sorelle-prossime e provare a stabilire un legame ancora più stretto cambiava la situazione. Anche se, in realtà, non era così. Aviendha credeva che la sua spiegazione fosse stata più che chiara. «Non volevo dire che non ci sarei riuscita,» disse «solo che non sapevo come. Con ogni probabilità, l'avrei uccisa nel tentativo di farla parlare.» Le rivolse un sorriso, più ampio e caldo di prima, e le sfiorò una guancia. «Abbiamo entrambe delle debolezze,» le sussurrò poi «ma non dobbiamo vergognarcene finché saremo le uniche a saperlo.» «Sì» rispose debolmente Elayne. 'Solo non sapevo come'! «Certo.» Quella donna aveva più sorprese di un menestrello. «Tieni» le disse, spin-
gendole in una mano la statuina della donna avvolta nei propri capelli. «Usa questa nel circolo.» Cederle l'angreal non fu così facile. Elayne aveva pensato di usarlo lei stessa ma, nonostante i sorrisi, la sua amica - la sua sorella prossima - aveva bisogno di essere rincuorata. Aviendha si rigirò la scultura di avorio tra le mani: era evidente che stava cercando un modo per rifiutarla. «Aviendha, hai presente come ti senti quando attingi saidar fino al tuo massimo? Ecco, pensa cosa vorrebbe dire usarne il doppio. Pensaci davvero. Voglio che usi quell'oggetto. Per favore.» Forse gli Aiel non mostravano le loro espressioni in viso, ma Aviendha sgranò i suoi occhi verdi. Avevano già parlato degli angreal, mentre riflettevano sulla loro ricerca, ma con ogni probabilità lei non si era mai chiesta come sarebbe stato usarne uno. «Il doppio» mormorò. «Contenere tutto quel Potere. Quasi non riesco a immaginarlo. Questo è un dono davvero importante, Elayne.» Toccò una guancia dell'amica, premendo con la punta delle dita: per una Aiel, era come se l'avesse abbracciata e baciata. Qualsiasi cosa Nynaeve avesse avuto da dire alle donne del Popolo del Mare, non ci aveva messo molto. Si allontanò da loro, torcendosi con furia la gonna. Arrivata da Elayne, guardò male sia Aviendha sia il bordo del dirupo. Di solito Nynaeve negava la propria paura per le grandi altezze, ma fece comunque in modo di tenere le altre due donne tra sé e la scarpata. «Ti devo parlare» mormorò, allontanandosi con Elayne. E spostandosi da quel bordo. Non di molto, ma abbastanza perché nessun'altra potesse sentirle. Prese più volte il respiro prima di cominciare a parlare, e quando ci riuscì lo fece a voce bassa e senza guardare l'amica. «Io... io mi sono comportata come un'idiota. È colpa di quell'uomo maledetto! Quando non è davanti a me non riesco a pensare ad altro, quando c'è non riesco a pensare e basta! Tu... tu mi devi richiamare quando... quando mi comporto da idiota. Mi affido a te, Elayne.» La voce rimase bassa, ma il tono divenne quasi lamentoso. «Non posso permettermi di perdere il buon senso, non adesso.» Elayne era così stupita che per un attimo non riuscì neppure a parlare. Nynaeve aveva appena ammesso di star facendo l'idiota? Quasi si girò a controllare se il sole non era diventato verde! «La colpa non è di Lan e tu lo sai, Nynaeve» le disse poi. Spinse via il ricordo dei recenti pensieri che aveva, fatto su Rand. Non era la stessa cosa. E poi quell'occasione era un dono della Luce. L'indomani, Nynaeve l'avrebbe di sicuro presa a schiaffi se lei l'avesse accusata di comportarsi da idiota. «Datti una regolata, Nynaeve. Smettila di comportarti come una ragazzina.» Nessun pensiero su
Rand! E di sicuro lei non aveva perso la testa a quel modo! «Sei un'Aes Sedai, e dovresti guidare tutte noi. Guidare! Comincia a ragionare!» Con le mani conserte, Nynaeve chinò addirittura il capo. «Ci proverò» rispose in un mormorio. «Lo farò davvero. Anche se non sai come ci si sente. Io... mi dispiace.» Elayne quasi si ingoiò la lingua. Nynaeve che chiedeva scusa, oltre a tutto il resto? Nynaeve imbarazzata? Forse era malata. Non durò a lungo, ovviamente. Guardando gli angreal con un improvviso cipiglio, Nynaeve si schiarì la voce. «Ne hai dato uno ad Aviendha, vero?» chiese bruscamente. «Be', immagino sia giusto. È un peccato doverne lasciare usare uno al Popolo del Mare. Scommetto che proveranno a tenerselo. Be', che ci provino! Qual è il mio?» Con un sospiro, Elayne le passò il bracciale con i quattro anelli e Nynaeve andò via impettita, giocherellando col gioiello nella mano sinistra e chiedendo a gran voce che tutte prendessero i loro posti. A volte, era difficile capire se quella donna guidava o tiranneggiava. Anche se di recente non aveva fatto così spesso né l'una né l'altra cosa. La Scodella dei Venti era al centro della cima della collina, poggiata sui teli che prima la avvolgevano. Un grosso disco concavo di cristallo dal diametro di una sessantina di centimetri, lavorato all'interno con rappresentazioni di dense nuvole turbinanti. Un oggetto decorato, ma comunque semplice rispetto a ciò che poteva fare. A ciò che speravano facesse. Nynaeve andò al suo posto, e l'angreal scattò chiudendosi intorno al suo posto. Lei mosse la mano, e parve sorpresa quando si accorse che le catenelle non la intralciavano in alcun modo: era come se quell'oggetto fosse fatto apposta per la sua mano. Le tre donne della Famiglia erano già lì, Kirstian e Garenia addossate dietro Reanne e più spaventate di prima, se mai era possibile. Le Cercavento erano ancora schierate dietro Renaile, a una ventina di passi di distanza. Alzando la gonna da cavallerizza per poter camminare meglio, Elayne raggiunse Aviendha vicino alla Scodella e guardò con sospetto le Atha'an Miere. E se avessero fatto storie? Era la sua paura sin da quando aveva sentito che alla fattoria potevano esserci donne abbastanza forti da potersi unire a quell'operazione. Il Popolo del Mare teneva alle questioni di rango anche più della Torre Bianca, e la presenza di Garenia implicava che Renaile din Calon Stella Azzurra, Cercavento della Maestra delle Navi degli Atha'an Miere, non avrebbe fatto parte del circolo. Non poteva. E Renaile stava guardando accigliata le donne intorno alla Scodella.
Sembrava le soppesasse una per una, valutandone le potenzialità. «Talaan din Gelyn,» abbaiò all'improvviso «al tuo posto!» Fu come una frustata. Anche Nynaeve sobbalzò. Talaan fece un profondo inchino, toccandosi il petto, poi corse alla Scodella. Non appena lei si mosse, Renaile abbaiò di nuovo. «Metarra din Junalle, al tuo posto!» Metarra, rotonda ma dall'aspetto solido, partì alle calcagna di Talaan. Le due apprendiste erano troppo giovani e non si erano ancora guadagnate quello che il Popolo del Mare definiva 'nome di sale'. Una volta cominciato, Renaile continuò a snocciolare rapidamente gli altri nomi, mandando Rainyn e altre due Cercavento, che si mossero in fretta anche se non quanto le due apprendiste. Secondo il numero dei medaglioni, Naime e Rysael erano di rango più elevato di Rainyn, donne contegnose con un'aria di serena autorità, ma erano anche molto più deboli di lei nel Potere. Poi Renaile fece una pausa, solo un istante, che però in quell'elenco serrato si avvertì nettamente. «Tebreille din Gelyn Vento del Sud, al tuo posto. Caire din Gelyn Onda che Corre, al comando!» Elayne provò un momentaneo sollievo perché Renaile aveva deciso di non prendere parte al circolo, ma durò quanto prima era durata la pausa della Cercavento. Tebreille e Caire si scambiarono un'occhiata, una con espressione truce l'altra altezzosa, prima di andare verso la Scodella. Gli otto orecchini e i tanti medaglioni sovrapposti le contrassegnavano entrambe come Cercavento di una Maestra delle Onde. Solo Renaile era di rango superiore a loro due e, tra le donne del Popolo del Mare presenti in cima quella collina, Dorile era l'unica loro pari. Vestita di seta braccata di giallo, Caire era un po' più alta, mentre Tebreille, seta broccata di verde, aveva il volto per certi versi più duro, ma erano entrambe molto belle, e non c'era bisogno dei loro cognomi per capire che erano sorelle di sangue. Avevano gli stessi occhi grandi e quasi neri, lo stesso naso dritto, lo stesso mento volitivo. Caire indicò silenziosamente un posto alla sua destra e Tebreille raggiunse la sorella, anche lei senza parlare e senza esitazioni, ma con il volto di pietra. Adesso intorno alla Scodella c'era un cerchio di tredici donne, quasi spalla a spalla. Gli occhi di Caire quasi brillavano, quelli di Tebreille erano cinerei. Elayne si ricordò un altro dei detti di Lini: nessun coltello è più tagliente dell'odio di una sorella. Caire guardò le donne disposte intorno alla Scodella, un cerchio ma non ancora un circolo, come se volesse imprimersi nella memoria ogni viso. O come se volesse lasciare impresso il proprio cipiglio nelle loro menti. Tornata in sé, Elayne si affrettò a passare a Talaan l'ultimo angreal, la piccola
tartaruga d'ambra, e le mostrò come usarlo. Era semplice, ma provarci senza spiegazioni poteva portare a ore e ore di tentativi inutili. Non le fu dato il tempo di pronunciare più di cinque parole. «Silenzio!» ruggì Caire. Coi pugni tatuati poggiati sui fianchi e i piedi scalzi ben piantati, sembrava fosse sul ponte di una nave pronta a entrare in guerra. «Nessuna di quelle in postazione può parlare senza il mio permesso. Talaan, non appena tornerai sulla tua nave dovrai fare rapporto.» Niente nel suo tono lasciava capire che stesse parlando con sua figlia. Talaan fece un profondo inchino, portandosi una mano al petto, e mormorò qualcosa a voce troppo bassa perché si sentisse. Caire sbuffò sprezzante - e rivolse a Elayne un'occhiataccia: era evidente che avrebbe voluto poter ordinare anche a lei di fare rapporto - prima di continuare a voce così alta che la si sarebbe sentita anche dalla base della collina. «Oggi, faremo qualcosa che nessuno ha più fatto sin dalla Frattura del Mondo, quando i nostri antenati combatterono con onde e vento impazziti. Loro riuscirono a sopravvivere, grazie alla Scodella dei Venti e alla pietà della Luce. Oggi, anche noi useremo la Scodella dei Venti, perduta per più di duemila anni e ora tornata a noi. Ho studiato le antiche tradizioni, ho studiato i documenti dei giorni in cui le nostre progenitrici cominciarono a conoscere il mare e la Tessitura dei Venti, quando il sale entrò nel nostro sangue. Tutto quello che si sa sulla Scodella dei Venti io l'ho appreso, meglio di chiunque altro.» Rivolse una rapida e compiaciuta occhiata a sua sorella, che però non mostrò alcuna reazione. Questo parve compiacerla anche di più. «Ciò che le Aes Sedai non possono fare, io lo farò oggi, se la Luce mi assiste. E mi aspetto che ognuna di voi resti al suo posto fino alla fine. Non accetterò nessun fallimento.» Le altre Atha'an Miere parvero reputare quel discorso normale e giusto, ma le donne della Famiglia guardarono Caire con espressioni di stupore. Secondo Elayne, 'pomposa' era appena sufficiente per descrivere quella dichiarazione: chiaramente Caire si aspettava che la Luce la assistesse, e si sarebbe molto contrariata se non l'avesse fatto! Nynaeve alzò gli occhi al cielo e aprì la bocca, ma la Cercavento parlò prima di lei. «Nynaeve,» disse a gran voce «adesso ci mostrerai la tua abilità nel creare il legame. Comincia pure, donna, e fai in fretta!» In tutta risposta, Nynaeve chiuse gli occhi. Le tremavano le labbra. Sembrava che stesse per scoppiarle un vaso sanguigno. «Immagino questo significhi che ho il permesso di parlare!» mormorò. Per fortuna, la voce era troppo bassa perché arrivasse fino a Caire, dall'altra parte del cerchio
rispetto a lei. Aprendo gli occhi, Nynaeve atteggiò le labbra in un sorriso che ebbe un effetto piuttosto spaventoso, aggiunto all'espressione del resto del suo volto. Sembrava che avesse acidità di stomaco e diversi altri malanni, tutti insieme. «Per prima cosa bisogna abbracciare la Vera Fonte, Caire.» La luce di saidar si accese all'improvviso intorno a Nynaeve: da quello che Elayne poteva percepire, la donna stava già usando l'angreal che aveva intorno al polso. «Immagino che, ovviamente, questo tu lo sappia già fare.» Ignorando le labbra serrate e tese della Cercavento, Nynaeve proseguì: «Adesso Elayne mi aiuterà nella dimostrazione. Sempre che abbiamo il tuo permesso.» «Io ora mi accingo ad abbracciare la Fonte,» spiegò subito Elayne prima che Caire esplodesse «ma non si tratta di un contatto vero e proprio con il Potere.» Si aprì a saidar, e le Cercavento si sporsero in avanti per guardarla, anche se in realtà non c'era nulla da vedere. Anche Kirstian e Garenia dimenticarono la loro paura abbastanza da mostrare interesse. «A questo punto, è tutto nelle mani di Nynaeve.» «Io ora mi protendo verso di lei...» Nynaeve fece una pausa, guardando Talaan. Elayne non aveva potuto spiegarle granché, in realtà. «Più o meno è come usare un angreal» disse Nynaeve rivolta alla magra apprendista. Caire ringhiò, e Talaan provò a guardare Nynaeve tenendo il capo chino. «Ci si apre alla Fonte attraverso un angreal, ed è proprio quello che farò io con Elayne. È come abbracciare contemporaneamente l'angreal e la Fonte. Non è molto difficile, in realtà. Guarda, e vedrai. Quando sarà il tuo turno di entrare nel circolo, apriti a saidar ma non entrare in contatto. Così, quando abbraccerò la fonte attraverso te, userò anche il tuo angreal.» Concentrazione o meno, il sudore cominciò a imperlare la fronte di Elayne. Ma non era dovuto al caldo. La Vera Fonte la chiamava a sé, e lei ne echeggiava ogni pulsazione. Quel richiamo era imperioso. Più a lungo restava in bilico tra il toccare e il non toccare il Potere, più forte sarebbe diventato quel desiderio, quel bisogno. Elayne cominciò a tremare leggermente. Vandene le aveva detto che quell'anticipazione era peggiore per chi incanalava da più tempo. «Guarda con Aviendha» disse Nynaeve a Talaan. «Lei sa come...» Vide il volto di Elayne e concluse in tutta fretta: «Tu guarda!» Non era proprio come usare un angreal, ma ci andava assai vicino. E non era una cosa da fare in fretta, ma Nynaeve aveva un tocco tutt'altro che delicato. Elayne si sentì come se qualcuno la stesse scuotendo: fisicamente
non le accadde nulla, ma nella mente le sembrò di rimbalzare tutt'intorno, di scendere all'impazzata giù per la collina. Peggio ancora, fu spinta verso l'abbraccio di saidar con struggente lentezza. Durò meno di un secondo, ma fu come se passassero ore, giorni. Le veniva da urlare, ma non riusciva neppure a respirare. E a un tratto, come se fosse crollata una diga, l'Unico Potere le si riversò dentro, un torrente di vita e gioia, una benedizione, ed Elayne riprese a respirare in un lungo sospiro di piacere e sollievo così totale che le tremarono le gambe. Dovette impegnarsi molto per non ansimare. Barcollante, si raddrizzò e rivolse una dura occhiata a Nynaeve, che si strinse nelle spalle per chiederle scusa. Due volte nella stessa giornata! Il sole a quel punto doveva per forza essere diventato verde. «Ora controllo il flusso di saidar che scorre in lei oltre che il mio,» proseguì Nynaeve quasi senza guardare Elayne negli occhi «e sarà così finché non sciolgo il legame. Però non devi temere che chi guida il circolo» lanciò un'occhiataccia a Caire e tirò su col naso «possa farti attingere a una quantità eccessiva di Potere. È davvero molto simile a quando si usa un angreal. L'angreal ti protegge da un eventuale sovraccarico e, più o meno allo stesso modo, in un circolo non puoi correre quel rischio. In effetti, non puoi neanche raggiungere il tuo quantitativo massimo, altrim...» «Questo è pericoloso!» la interruppe Renaile, facendosi spazio a spallate tra Caire e Tebreille. Il suo sguardo trovo comprendeva Elayne, Nynaeve e anche le Aes Sedai fuori dal circolo. «Vuoi dire che una donna può imprigionarne un'altra e usarla? Da quanto tempo le Aes Sedai lo sanno? Ti avverto, se cercherete di usare una di noi...» Questa volta fu lei a essere interrotta. «Non funziona così, Renaile.» Sareitha toccò Garenia che, insieme a Kirstian, balzò di lato per farle spazio. La giovane Marrone lanciò a Nynaeve un'occhiata incerta, poi incrociò le mani e assunse un tono professorale, quasi stesse facendo lezione a delle alunne. E mostrò anche una certa compostezza: forse davvero vedeva Renaile come un'allieva. «La Torre studia questo argomento da tanti anni, da molto prima delle Guerre Trolloc. Ho letto ogni libro sull'argomento conservato nella biblioteca della Torre. Ed è stato dimostrato senza possibilità di dubbio che nessuna donna può costringerne un'altra ad accettare un legame contro la sua volontà. È semplicemente impossibile: se qualcuna ci prova, non succede nulla. È necessaria una resa spontanea, proprio come quando si abbraccia saidar.» Sembrava sicura al di là di ogni incertezza, ma Renaile era ancora accigliata; troppe persone sapevano che le Aes Sedai erano in grado di aggirare quel loro Giuramento sulla verità.
«E perché l'avevano studiato?» chiese la Cercavento. «Perché alla Torre Bianca interessava questo argomento? O magari voi Aes Sedai lo studiate ancora?» «Questo è ridicolo.» La voce di Sareitha trasudava esasperazione. «Se proprio lo vuoi sapere, fu necessario studiarlo per via dei problemi con gli uomini in grado di incanalare. La Frattura del Mondo era ancora un vivido ricordo per alcune, all'epoca. Immagino che non siano molte le sorelle che lo ricordano - prima delle Guerre Trolloc non era neppure parte dell'addestramento necessario - ma anche gli uomini possono far parte di un circolo, e siccome questo non si interrompe neppure quando i suoi membri si addormentano... Be', puoi vederne da sola i vantaggi. In questo senso, purtroppo, gli esperimenti portarono tutti al fallimento. Tornando al nostro problema, ti ripeto che è impossibile costringere una donna a prendere parte a un circolo. Se non ci credi, prova tu stessa e vedrai.» Renaile annuì, decidendo infine di fidarsi: non restavano chissà quali alternative, dopo che un'Aes Sedai aveva fatto una dichiarazione così diretta. Eppure Elayne aveva ancora delle perplessità. Cosa c'era scritto nei libri non conservati alla Torre? Aveva notato un lieve cambiamento nel tono di Sareitha a un certo punto. Aveva delle domande, ma se le sarebbe conservate per dopo, con meno orecchie intorno. Quando Renaile e Sareitha si allontanarono, Nynaeve diede un'altra sistemata alla gonna, sfogando così l'evidente irritazione per essere stata interrotta, e si accinse a riprendere il discorso. «Continua la dimostrazione, Nynaeve» ordinò brusca Caire. Il suo volto era liscio come un lago gelato, ma nemmeno lei sembrava particolarmente tranquilla. Nynaeve mosse la bocca a vuoto prima di riuscire a produrre qualche suono, poi parlò tutto d'un fiato, quasi temesse altre intromissioni. La lezione successiva riguardava il modo per passare il controllo del circolo. Anche in questo caso bisognava agire spontaneamente, e quando Elayne si protese verso Nynaeve trattenne il respirò finché non avverti il cambiamento: adesso era lei a controllare il Potere che le scorreva dentro. E che scorreva attraverso Nynaeve, ovviamente. Aveva temuto fino alla fine che non funzionasse. Nynaeve era in grado di formare un circolo con grande facilità, anche se con ben poca delicatezza, ma cedere il comando implicava una sorta di resa, e quella donna aveva notevoli problemi a rinunciare al controllo o a farsi includere in un circolo, come un tempo aveva avuto difficoltà ad arrendersi a saidar. E proprio per questo era Elayne
ad avere il comando, adesso. Alla fine sarebbe stato necessario passarlo a Caire, e c'era il pericolo che Nynaeve non riuscisse a cederlo di nuovo. Per lei era persino più difficile che scusarsi. Elayne stabilì il legame con Aviendha, affinché Talaan potesse vedere anche come funzionava con un angreal, per quel poco che c'era da vedere, e funzionò alla perfezione: le ci volle davvero poco tempo per includere nel circolo la Aiel, che si unì con gran naturalezza. E alla fine anche Talaan si inserì facilmente, aggiungendo senza alcun intralcio il proprio flusso di saidar incrementato dall'angreal. Una alla volta, Elayne accolse tutte le componenti del circolo, e quasi rabbrividì per il torrente di Potere che le scorreva dentro. Nessuna di quelle donne stava attingendo la propria quantità massima ma, soprattutto grazie alla presenza degli angreal, la somma di tutte loro era davvero notevole. La consapevolezza sensoriale di Elayne si elevava sempre più. Riusciva a sentire i pesanti profumi nelle scatolette d'oro traforato che le Cercavento portavano al collo, e li distingueva uno per uno. Vedeva ogni singola piega e increspatura negli abiti di tutte le donne presenti in cima alla collina, le vedeva nitide come se tenesse il volto schiacciato contro il tessuto, anche meglio. Avvertiva il debolissimo spostamento dell'aria sulla pelle, carezze che neppure avrebbe notato senza il Potere. E, ovviamente, andava anche oltre la propria coscienza. Il legame che si stabiliva in un circolo aveva una certa somiglianza con quello tra Aes Sedai e Custodi, era altrettanto profondo e per certi versi anche più intimo. Elayne sapeva che Nynaeve provava dolore al tallone destro per una piccola vescica dovuta all'arrampicata sulla collina: quella donna parlava sempre di scarpe robuste, ma aveva un debole per quelle leggere e molto ricamate. In quel momento era torva in volto e fissava Caire, teneva le braccia incrociate e le dita con gli anelli dell'angreal giocherellavano con la treccia che scendeva dalla spalla destra, pareva composta, tutta d'un pezzo, ma dentro di lei infuriava una bufera di emozioni. Paura, preoccupazione, attesa, irritazione, sospetto e impazienza rimbalzavano una contro l'altra e tra esse fluiva, a volte sommergendole, un tepore, onde di caldo che minacciavano di diventare fuoco. Nynaeve le reprimeva non appena si presentavano, ma quelle onde tornavano sempre. A Elayne sembrava quasi di capire a cosa fossero dovute, ma era come intravedere qualcosa con la coda dell'occhio, qualcosa che è già sparita quando ti giri a controllare. Con sua sorpresa, anche Aviendha aveva paura, ma in lei era un'emozione minore, tenuta sotto stretto controllo e quasi schiacciata dalla determi-
nazione. Garenia e Kirstian, che erano visibilmente scosse, provavano un terrore quasi assoluto, così forte che c'era da sorprendersi che fossero riuscite ad abbracciare la Fonte. Reanne, che pure si lisciava continuamente la gonna, tracimava in realtà di una bramosa impazienza. Le Atha'an Miere, dal canto loro... Persino Tebreille trasudava attenzione e ansia, e non c'era bisogno di notare le rapide occhiate di Metarra e Rainyn per capire che il fulcro di quelle emozioni era Caire, la Cercavento che osservava le altre, impaziente e autoritaria. Elayne l'aveva lasciata per ultima, e non rimase particolarmente sorpresa quando le ci vollero quattro tentativi - quattro! - per includere anche lei nel circolo. Caire non era molto diversa da Nynaeve, quando si trattava di cedere il controllo. Elayne sperò con tutta sé stessa che quella donna fosse stata scelta per la sua abilità, non per questioni di rango. «Adesso ti passerò la guida del circolo» disse alla Cercavento dopo averla accolta. «Se ti ricordi come ho fatto con Nyn...» Le parole le si gelarono in gola quando le fu brutalmente sottratto il controllo, e si sentì come se un'improvvisa raffica di vento le avesse strappato di dosso i vestiti o le avesse tirato via le ossa. Emise un respiro forte e serrato, e se anche sembrò che stesse sputando... be', pazienza. «Bene» fece Caire, strofinandosi le mani. «Bene.» Si concentrò sulla Scodella, piegando il capo da una parte e dall'altra mentre la studiava. Forse però non era completamente concentrata sul di essa: Reanne fece per sedersi e lei, senza neppure alzare lo sguardo, scattò: «Rimani al tuo posto, donna! Non stiamo mica preparando un pasticcio di pesce! Resta ferma finché non hai il permesso di muoverti!» Colta di sorpresa, Reanne si rimise in piedi di scatto, mormorando tra sé, ma per Caire era come se avesse cessato di esistere. Gli occhi della Cercavento erano fissi sulla piatta sagoma di cristallo. Elayne sentiva che la risolutezza di quella donna era abbastanza forte da poter spostare una montagna. Ma c'era anche qualcos'altro. Un'emozione fugace, subito soppressa. Incertezza. Incertezza? Se, dopo tutto quello che avevano passato, quella donna in realtà non sapeva cosa fare... In quell'istante Caire chiamò a sé il Potere, con forza. Saidar fluì attraverso Elayne, quasi tutto quello che lei riusciva a contenere; un anello di luce prese vita e unì le donne del circolo, più luminoso intorno a quelle che usavano un angreal, ma in nessun punto fioco. Elayne osservò con attenzione Caire che incanalava, formando una complessa tessitura con tutti i Cinque Poteri, una stella a quattro punte che poggiò sulla Scodella con
quella che a Elayne parve senza dubbio una precisione assoluta. La stella entrò a contatto con il cristallo, ed Elayne ansimò. Una volta aveva incanalato un sottile rivolo di Potere nella Scodella - nel Tel'aran'rhiod', per correre meno rischi, usando in realtà solo un riflesso della Scodella, ma era stato comunque un gesto pericoloso - e il cristallo trasparente era diventato azzurro, e le nuvole incise avevano cominciato a muoversi. Adesso la Scodella dei Venti aveva assunto un azzurro più intenso, il colore del cielo d'estate, ed era percorsa da batuffoli di nuvole bianche. La stella divenne a cinque punte, e la composizione della tessitura cambiò leggermente, e la Scodella adesso era un mare verde che si sollevava in grandi onde. Le punte arrivarono a sei, e tornò il cielo, adesso blu, più scuro, invernale forse, con nuvole purpuree gonfie di pioggia o magari neve. Sette punte, e sul mare grigio e verde si scatenò la bufera. Otto punte e di nuovo il cielo. Nove e il mare, e all'improvviso Elayne sentì che era la Scodella stessa a trarre a sé saidar, un torrente in piena, molto più di quanto l'intero circolo poteva gestire. I cambiamenti proseguirono senza sosta all'interno della Scodella, da mare a cielo, da onde a nuvole, ma da quel piatto disco di cristallo si alzò una ritorta colonna di saidar, i flussi erano intrecciati, Fuoco e Aria, Acqua e Terra e Spirito, una colonna dal disegno intricato larga quanto la Scodella che salì verso il cielo finché la sommità non fu più visibile. Caire continuò con la sua tessitura, il volto grondante di sudore; si fermava solo per sbattere le palpebre e togliersi le gocce salate dagli occhi mentre esaminava le immagini nella Scodella, poi cambiava la tessitura, e lo schema dell'intreccio nella spessa colonna si modificava a sua volta, quasi fosse l'eco dei flussi usati dalla Cercavento. Elayne si rese conto che aveva fatto davvero un'ottima cosa decidendo di non essere lei a guidare il circolo: quello che stava facendo Caire richiedeva anni di studio. Molti anni. E poi, all'improvviso, capì anche un'altra cosa. Quell'intreccio di saidar sempre mutevole si avvolgeva intorno a qualcosa, qualcosa di non visto, che rendeva solida la colonna. La ragazza deglutì a fatica. La Scodella stava attingendo a saidin, oltre che a saidar. La speranza di essere l'unica ad averlo capito morì non appena lanciò un'occhiata alle altre donne. Metà di queste fissavano la colonna ritorta con un'espressione di disgusto che avrebbe fatto pensare a un'apparizione del Tenebroso. Nelle emozioni che Elayne condivideva con loro, la paura cresceva sempre più. Alcune erano ormai arrivate ai livelli di Garenia e Kirstian, e c'era da stupirsi se queste due non erano ancora svenute. Nynaeve
era a un passo dal dare di stomaco, nonostante il volto all'improvviso fin troppo sereno. Anche Aviendha era calma all'apparenza, ma la paura, che prima era così piccola, ora vibrava e pulsava nel tentativo di farsi più grande. Da Caire giungeva solo determinazione, forte come il duro acciaio dell'espressione del suo volto. Niente avrebbe intralciato il cammino della Cercavento, men che mai la semplice presenza di saidin che mischiava alla sua tessitura la contaminazione dell'Ombra. Niente l'avrebbe fermata. Continuava a lavorare i flussi, e a un tratto dall'ormai invisibile vetta della colonna sbocciarono ragnatele di saidar, come i raggi irregolari di una ruota, un ventaglio quasi solido verso sud, più rado verso nord e nordest, mentre altri raggi, solitari e più fragili, si allungavano in altre direzioni. Cambiavano man mano che crescevano, sempre diversi nel loro stendersi nel cielo, lontano, finché anche le estremità di quel disegno non divennero invisibili. E anche quello schema non era composto solo di saidar, Elayne ne era certa: in alcuni punti la ragnatela pareva impigliarsi e curvare intorno a qualcosa che lei non riusciva a vedere. Ma Caire continuava a intessere, e la colonna danzava obbedendo alla sua volontà, saidar e saidin insieme, e la ragnatela mutava e fluiva come un caleidoscopio sghembo lanciato in cielo che svaniva lontano, sempre più lontano. Senza alcun avvertimento, Caire si raddrizzò, massaggiandosi la schiena con le nocche, e lasciò andare la Fonte. Colonna e ragnatela sparirono, e la Cercavento più che sedersi si accasciò col fiato grosso. La Scodella ridiventò trasparente, ma lungo i bordi ancora guizzavano e crepitavano chiazze di saidar. «È fatta, col volere della Luce» disse lei esausta. Elayne l'aveva a malapena sentita. Quello non era modo di porre fine a un circolo. Quando Caire l'aveva lasciato andare, il Potere era svanito da tutte le donne contemporaneamente. Elayne aveva sgranato gli occhi. Per un attimo, era stato come trovarsi in cima alla più alta torre del mondo, che all'improvviso non esisteva più! Solo un attimo, ma tutt'altro che piacevole. Si sentiva stanca, ma sapeva che si sarebbe sentita assai peggio se la sua funzione non fosse stata quella di semplice condotto. La sensazione che avvertiva con maggiore intensità era di smarrimento. Lasciar andare saidar era di per sé una pena: vederlo semplicemente svanire andava al di là di ogni immaginazione. Ma le altre avevano sofferto anche più di lei. Quando il bagliore che univa il circolo si era spento, Nynaeve era caduta a sedere all'improvviso, come se le si fossero liquefatte le gambe, aveva carezzato l'angreal che
portava al polso, fissandolo mentre continuava ad ansimare. Il sudore le colava sul viso. «Mi sento come un setaccio da cucina dove hanno appena scaricato tutto un mulino» aveva mormorato. Dover contenere tutto quel Potere aveva i suoi costi, anche quando si usava un angreal. Talaan ancora vacillava, una canna al vento, e lanciava sguardi furtivi a sua madre: aveva ancora paura di sedersi. Aviendha invece era ben dritta, ma la sua espressione diceva che si trattava soprattutto di forza di volontà. Poi però rivolse a Elayne un leggero sorriso e un cenno nel linguaggio segreto delle Fanciulle - 'ne valeva la pena' - al quale ne aggiunse subito un altro - 'anche di più'. Tutte le altre donne sembravano esauste, anche se non come quelle che avevano usato gli angreal. Alla fine la Scodella dei Venti divenne di nuovo immobile, tornò a essere solo una grande scodella di cristallo trasparente, ma adesso le decorazioni rappresentavano onde torreggianti. Saidar però era ancora presente, anche se non più intessuto da nessuna di loro, invisibile, eppure percettibile in deboli guizzi come quelli che fino a poco prima animavano i bordi della Scodella. Nynaeve alzò il capo per guardare accigliata il cielo ancora terso, poi puntò su Caire gli occhi torvi. «Tutto questo per cosa? Abbiamo ottenuto un risultato o no?» Una leggera brezza si agitava in cima a quell'altura, calda come l'aria in una cucina. La Cercavento si mise in piedi a fatica. «Credi che realizzare una Tessitura dei Venti sia come muovere il timone di una perca?» chiese sprezzante. «Ho appena girato la ruota del timone di una nave che ha per fasciame il mondo intero! Ci vorrà tempo perché questo vascello cambi rotta, perché capisca che gli è richiesto di farlo. Che deve cambiare rotta. Ma quando lo farà, nemmeno il Padre delle Tempeste in persona potrà arrestarlo. Ci sono riuscita, Aes Sedai, e ora la Scodella dei Venti è nostra!» Renaile andò verso il cerchio di donne e si inginocchiò accanto alla Scodella. Con cura, cominciò ad avvolgervi intorno il telo di seta bianca. «La porterò alla Maestra delle Navi» disse a Nynaeve. «Abbiamo tenuto fede alla nostra parte dell'accordo. Ora tocca a voi Aes Sedai.» Merilille emise un suono gutturale, ma quando Elayne si girò a guardarla la Grigia era l'immagine stessa della compostezza. «Forse avete fatto la vostra parte» disse Nynaeve, alzandosi su gambe malferme. «Forse. Lo sapremo quando questo... questo vostro vascello cambierà rotta. Se accadrà!» Renaile alzò lo sguardo dalla Scodella per fissarlo su di lei, ma Nynaeve la ignorò. «Strano» mormorò, strofinandosi una tempia. L'angreal le si impigliò nei capelli, e lei fece una smorfia.
«Riesco quasi a sentire un eco di saidar. Deve essere questo bracciale coi suoi anelli!» «No» rispose lentamente Elayne. «Anche io lo sento.» Non solo il debole crepitare nell'aria, e non era un'eco, non proprio. Piuttosto l'ombra di un'eco, così sottile che era come avvertire qualcuno che usava saidar a... Si girò. A sud i fulmini si accesero all'orizzonte, dozzine di saette argentate contro il cielo del pomeriggio. Molto vicino a Ebou Dar. «Un temporale?» chiese con ansia Sareitha. «Forse il clima sta già tornando normale.» Ma non c'erano nuvole nel cielo dal quale cadevano i fulmini biforcuti. Sareitha non era abbastanza forte per poter avvertire saidar che veniva usato a una tale distanza. Elayne rabbrividì. Neanche lei era abbastanza forte per quello. A meno che non ne stessero usando quanto ne avevano usato loro in cima a quella collina. Cinquanta o magari cento Aes Sedai, che incanalavano tutte nello stesso momento. Oppure... «Non può essere un Reietto» mormorò. Qualcuna alle sue spalle gemette. «Uno da solo non potrebbe fare una cosa del genere» concordò Nynaeve a voce bassa. «Forse loro non hanno percepito quello che abbiamo fatto, forse, ma a meno che non siano tutti ciechi ci hanno visto. Che la Luce folgori la nostra malasorte!» Voce bassa o meno, era agitata: più di una volta aveva ripreso Elayne per aver usato espressioni simili. «Porta con te chiunque voglia venire in Andor, Elayne. Io... ti raggiungerò lì. Mat è in città. Devo tornare da lui, che sia folgorato. Quel ragazzo è venuto per me, glielo devo.» Elayne si strinse nelle spalle e trasse un lungo respiro. Poteva anche lasciare la regina Tylin alla misericordia della Luce: sarebbe sopravvissuta, se era possibile. Ma Mat Cauthon, il suo stranissimo, interessantissimo suddito, il più improbabile dei salvatori... Era venuto anche per lei, e le aveva offerto di più. E poi c'era Thom Merrilin, il caro Thom, che lei a volte ancora desiderava si rivelasse il suo vero padre, e che la Luce si occupasse di ciò che questo avrebbe fatto di sua madre. E il ragazzo, Olver, e Chel Vanin, e... Doveva pensare come una regina. La Corona di Rose è più pesante di una montagna, le aveva detto sua madre, e il dovere ti farà piangere, ma tu devi sopportare e fare ciò che è necessario. «No» disse Elayne. Poi, con maggiore fermezza: «No. Guardati, Nynaeve: ti reggi a stento in piedi. Se anche andassimo tutte noi, cosa potremmo fare? Quanti Reietti ci saranno? Moriremmo, o ci toccherebbe una sorte anche peggiore, e sarebbe comunque inutile. I Reietti non hanno motivo di
cercare Mat e gli altri. È a noi che danno la caccia.» Nynaeve la guardò a bocca aperta. La cocciuta Nynaeve, con il sudore che le colava sul viso e le gambe malferme. La meravigliosa, valorosa, folle Nynaeve. «Stai suggerendo di abbandonarlo, Elayne? Aviendha, dille qualcosa. Dille qualcosa su quell'onore del quale non fai altro che parlare!» La Aiel esitò, poi scosse il capo. Era sudata quasi quanto Nynaeve, e a giudicare da come si muoveva era altrettanto stanca. «Ci sono momenti in cui si combatte anche se non si hanno speranze di vittoria, Nynaeve, ma Elayne ha ragione. Le Anime dell'Ombra non stanno cercando Mat Cauthon, ma noi e la Scodella. Forse lui ha già lasciato la città. Se andiamo lì, rischiamo di dare al nemico il modo di disfare ciò che abbiamo appena fatto. Ovunque mandiamo la Scodella, riusciranno a farci dire con chi l'abbiamo mandata e dove.» Il volto di Nynaeve si accartocciò in una smorfia di dolore. Elayne le si avvicinò per abbracciarla. «Progenie dell'Ombra» urlò qualcuna, e all'improvviso le donne sulla collina stavano tutte abbracciando saidar. Dalle mani di Merilille, Careane e Sareitha partirono palle di fuoco, lanciate quanto più rapidamente possibile. Un'immensa forma alata avvolta dalle fiamme cadde giù dal cielo lasciandosi dietro una scia di fumo oleoso e finì appena oltre il dirupo. «Ce n'è un altro!» gridò Kirstian indicando verso l'alto. Una seconda creatura alata sfrecciò via dalla collina, il corpo grande come quello di un cavallo, il collo lungo proteso in avanti e una coda ancor più lunga tesa all'indietro. Due figure erano accovacciate in groppa a quell'animale, schiacciate contro la sua schiena. Una tempesta di fuoco inseguì la bestia, fuoco che Aviendha e le Atha'an Miere furono le più rapide a scagliare, anche se la tessitura delle donne del Popolo del Mare non comprendeva il gesto delle mani per lanciare le sfere fiammeggianti. Una raffica di fuoco così fitta che era come se Fuoco, uno dei Cinque Poteri, si fosse autonomamente creato dal nulla, e la bestia scartò oltre una collina dal lato opposto della fattoria, e parve svanire. «L'abbiamo ucciso?» chiese Sareitha. Aveva gli occhi accesi e il respiro pesante per l'agitazione. «L'abbiamo almeno colpito?» ruggì disgustata una Atha'an Miere. «Progenie dell'Ombra» mormorò sbalordita Merilille. «Qui! Quanto meno abbiamo la prova che a Ebou Dar ci sono i Reietti.» «Non era progenie dell'Ombra» disse cupa Elayne. Il volto di Nynaeve era dipinto d'angoscia: anche lei aveva capito. «Si chiama 'raken'. Sono ar-
rivati i Seanchan. Dobbiamo andare, Nynaeve, e porteremo con noi tutte le donne della fattoria. Che abbiamo ucciso o meno quella bestia, ne verranno altre. Chiunque lasciamo indietro entro domattina porterà il collare e il guinzaglio di una damane.» Nynaeve annuì, lentamente, con dolore; a Elayne parve di sentirle mormorare: «Oh, Mat.» Renaile si avviò di gran carriera con la Scodella tra le braccia, di nuovo coperta di bianco. «Alcune delle nostre navi hanno incontrato questi Seanchan. Se sono a Ebou Dar, allora i vascelli battono il mare. La mia nave sta combattendo per la vita, e io non sono sul ponte! Andiamo!» Formò subito la tessitura per un passaggio. Si aggrovigliò inutilmente, com'era ovvio, lampeggiò per un istante prima di ridursi al nulla, ma Elayne non riuscì a trattenere un grido. Aveva provato ad aprire un passaggio proprio lì, in mezzo a tutte loro! «Non andrai da nessuna parte da qui, a meno che non abbia intenzione di restare in cima a questa collina abbastanza a lungo da conoscerla bene!» scattò. Si augurò che nessuna delle donne che avevano preso parte al circolo tentasse di realizzare la tessitura: maneggiare saidar era il modo più rapido per conoscere un posto. Lei sarebbe riuscita ad aprire un passaggio sin da subito, e con ogni probabilità lo stesso valeva per le altre. «E da nessun posto puoi andare su una nave in movimento; non credo che sia nemmeno possibile!» Merilille annuì, anche se questo significava ben poco; le Aes Sedai credevano che un sacco di cose fossero reali, e solo alcune lo erano davvero. In ogni caso, era un bene se le donne del Popolo del Mare si accontentavano di quell'approvazione. Nynaeve, il volto tirato e gli occhi sgranati, non era affatto in condizione di comandare o guidare le altre, così Elayne andò avanti. Si augurò di riuscire a rendere omaggio alla memoria di sua madre. «Ma, soprattutto, non andrai da nessuna parte se non dove andremo noi, perché l'accordo non è ancora completo: la Scodella dei Venti non vi apparterrà finché il tempo non sarà tornato normale.» Non era proprio vero, a meno di non distorcere un po' il senso del patto, e infatti Renaile fece per protestare, ma Elayne proseguì senza darle tempo di parlare: «E anche perché hai fatto un accordo con Matrim Cauthon, un mio suddito. Vai dove decido io, oppure finisci legata a una sella. Tu stessa hai accettato queste condizioni. Quindi per adesso noi scendiamo da questa collina, Renaile din Calon Stella Azzurra, prima che i Seanchan ci travolgano con un'armata e qualche centinaio di donne capaci di incanalare che non aspettano altro che vederci al guinzaglio insieme a loro. Subito! Di corsa!» Con sua sorpresa, le obbedirono.
6
Fili Anche lei correva, ovviamente, tenendosi su le gonne, e ben presto si mise in testa al gruppo lungo il sentiero di terra battuta. Solo Aviendha le restò vicino, anche se non aveva idea di come correre indossando l'abito, nonostante la gonna divisa; malgrado la stanchezza, se non fosse stato per quel vestito l'avrebbe di sicuro superata. Tutte le altre erano dietro di loro lungo quella pista stretta e tortuosa. Nessuna Atha'an Miere osava spingersi oltre Renaile, che nonostante i pantaloni di seta non poteva andare molto veloce con la Scodella stretta al petto. Nynaeve però non aveva gli stessi obblighi delle Cercavento, e si fece largo a gomitate correndo a rotta di collo; quando si trovava qualcuna davanti urlava per farla spostare, che si trattasse di una donna del Popolo del Mare, della Famiglia o di un'Aes Sedai. Elayne caracollò giù per la collina, inciampò e riprese l'equilibrio, e le veniva da ridere nonostante la gravità della situazione. Nonostante il pericolo. Lini e sua madre le avevano severamente vietato di correre e arrampicarsi sugli alberi sin da quando aveva compiuto dodici anni, ma non era solo il puro piacere di correre che la riempiva di quella gioia trionfante. Si era comportata come ci si aspettava si comportasse una regina, ed era andata esattamente come doveva. Aveva preso il comando, per portare delle persone lontano dai pericoli, e loro l'avevano seguita! Tutta la sua vita era stata un addestramento per situazioni del genere. Era la soddisfazione a farla ridere, e il caldo bagliore dell'orgoglio sembrava esploderle attraverso la pelle come la radiosità di saidar. Dopo aver girato l'ultima curva, si lanciò a testa bassa nel rettilineo finale accanto a uno dei fienili intonacati di bianco. E con la punta dei piedi colpì una pietra quasi del tutto sepolta. Inciampò in avanti, agitando furiosamente le braccia, e all'improvviso si ritrovò in aria a testa in giù. Non ebbe tempo neppure per urlare. Con un tonfo che le fece battere i denti e le mozzò il fiato, atterrò duramente in fondo al sentiero, ritrovandosi seduta
di fronte a Birgitte. Per un istante non fu in grado neppure di pensare, poi, quando ci riuscì, sentì svanire gran parte della soddisfazione di prima. Alla faccia della dignità regale. Togliendosi i capelli dal viso, provò a respirare normalmente in attesa del pungente commento di Birgitte. La Custode aveva un'occasione per comportarsi da sorella maggiore e più saggia, e di rado si lasciava sfuggire simili opportunità. Ma Birgitte la sorprese, rimettendola in piedi prima ancora che arrivasse Aviendha e senza mostrare neppure l'accenno di sogghigno visibile sul volto dell'Aiel. Nella sua Custode, Elayne percepiva solo un senso di... concentrazione: una freccia incoccata su una corda tesa. «Dobbiamo fuggire o combattiamo?» chiese Birgitte. «Ho riconosciuto quelle bestie volanti dei Seanchan, sono le stesse di Falme, e se vuoi sapere la verità io suggerirei di fuggire. Oggi ho l'arco normale.» Aviendha le rivolse un'occhiata un po' torva, ed Elayne sospirò; Birgitte doveva davvero imparare a tenere a freno la lingua se voleva nascondere la propria vera identità. «Certo che fuggiamo» ansimò Nynaeve, percorrendo trafelata l'ultimo tratto del sentiero. «Combattere o fuggire! Ma che domanda idiota! Credi che siamo proprio... Per la Luce! Che stanno facendo?» Aveva cominciato ad alzare la voce, e la alzò ancora di più quando chiamò: «Alise! Alise, dove sei? Alise! Alise!» Con un sobbalzo, Elayne si rese conto che nella fattoria era tornata la stessa agitazione di quando avevano riconosciuto il volto di Careane. Forse adesso era peggio. Centoquarantasette donne della Famiglia risiedevano lì, così aveva riferito Alise, incluse cinquantaquattro Donne Sapienti dalla cintura rossa che avevano lasciato Ebou Dar qualche giorno addietro e alcune altre di passaggio in città, e sembrava che ognuna di loro stesse correndo da qualche parte nel cortile, insieme a molte delle altre donne, le semplici 'ospiti'. Quasi tutti i servitori del palazzo di Tarasin con la loro livrea bianca e verde sfrecciavano qua e là trasportando i loro carichi. Anatre e galline scorrazzavano in quel tumulto, agitavano le ali e starnazzavano, aggravando ancor più quell'evidente confusione. Elayne vide addirittura un Custode, il brizzolato Jaem di Vandene, che trotterellava con le braccia nodose strette attorno a un grande sacco di iuta! Alise parve materializzarsi dall'aria, serena e controllata nonostante il sudore sul viso. I capelli erano in ordine fino all'ultima ciocca, e per quanto era liscio il vestito si sarebbe detto che era semplicemente uscita a fare due passi. «Non c'è bisogno di strillare» disse con calma poggiandosi le mani sui fianchi. «Birgitte mi ha spiegato cosa sono quei grossi volatili, e
ho pensato che sarebbe stato meglio partire quanto prima, soprattutto dopo che vi ho viste scendere giù da quelle collina come se aveste il Tenebroso in persona alle calcagna. Ho detto a tutte di prendere un vestito pulito, tre cambi di calze e biancheria, sapone, cesti per il cucito e tutti i soldi che hanno. E nulla più. Le ultime dieci a finire si occuperanno dei piatti da lavare finché non arriveremo a destinazione: questo perché si diano una mossa. E ho detto a quei servitori di raccogliere tutto il cibo che potevano, per andare sul sicuro. L'ho detto anche ai vostri Custodi. Hanno mostrato di avere cervello, quasi tutti. Un cervello sorprendentemente buono, trattandosi di uomini. Diventare Custode ha su di loro questo tipo di effetto?» Nynaeve era rimasta immobile e con la bocca aperta, pronta a dare ordini che però erano già stati dati. Le emozioni si rincorrevano rapide sul suo volto, troppo veloci per poterle distinguere. «Molto bene» mormorò alla fine. Con acidità. All'improvviso, parve illuminarsi. «Le donne che non fanno parte della Famiglia. Certo! Bisogna...» «Calmati» la interruppe Alise con un gesto rasserenante. «Sono già partite, quasi tutte. In particolare quelle con un marito o una famiglia di cui preoccuparsi. Non avrei potuto trattenerle neanche se avessi voluto. Ma almeno una trentina di loro credono che quegli uccelli siano davvero progenie dell'Ombra, e vogliono stare quanto più vicino possibile alle Aes Sedai.» Tirò seccamente su col naso, rendendo chiara la sua opinione al riguardo. «Ora, riprenditi. Bevi un po' d'acqua fresca, ma non troppo in fretta. Sciacquati anche il viso. Io devo occuparmi di certe faccende.» Lanciò un'occhiata, vide tutte le donne che correvano qua e là, e scosse il capo. «Alcune di loro batterebbero la fiacca anche se scendessero i Trolloc da quella collina, e la maggior parte delle nobili non si è mai davvero abituata alle nostre regole. Di sicuro dovrò ricordargliene due o tre prima di partire.» Detto questo, tornò placidamente verso il tumulto nel cortile, lasciando Nynaeve a bocca aperta. «Be',» fece Elayne, spazzolandosi la gonna «l'avevi detto che è molto in gamba.» «Non ho mai detto una cosa del genere» scattò Nynaeve. «Non ho mai detto 'molto'. Bah! Che fine ha fatto il mio cappello? Quella donna crede di sapere tutto, ma scommetto che questo non lo sa!» Scattò in una direzione diversa da quella presa da Alise. Elayne rimase a fissarla a occhi sgranati. Il cappello? Anche a lei sarebbe piaciuto sapere dov'era finito il suo - era un oggetto meraviglioso - ma che diamine! Forse essere nel circolo e lavorare con tutto quel Potere, e
farlo usando un angreal, aveva temporaneamente scompigliato la mente di Nynaeve. Lei stessa si sentiva un po' strana, come se potesse pizzicare dall'aria intorno a lei dei piccoli frammenti di saidar. In ogni caso, per il momento aveva questioni più importanti di cui occuparsi. Per esempio, doveva prepararsi a partire prima della calata dei Seanchan. Da quello che aveva visto a Falme, potevano davvero aver portato cento damane, o anche di più; inoltre, stando a quel poco che era riuscita a farsi dire da Egwene sul suo periodo di prigionia, quasi tutte le donne sarebbero state ansiose di contribuire a farne finire altre con un guinzaglio al collo. Egwene aveva raccontato che la cosa più disgustosa per lei era stata vedere le damane di Seanchan che ridevano con le loro sul'dam, le adulavano e giocavano con loro, segugi ben addestrati coi loro cari padroni. E poi aveva aggiunto che anche alcune di quelle catturate a Falme erano diventate così. Questo faceva ghiacciare il sangue nelle vene di Elayne. Sarebbe morta piuttosto che lasciarsi mettere quel guinzaglio! E non aveva nessuna intenzione di lasciare ai Reietti o ai Seanchan ciò che aveva trovato. Andò di corsa alla vasca, con Aviendha al suo fianco che respirava a fatica come lei. Alise doveva aver pensato davvero a tutto, però. I ter'angreal erano già stati caricati sui cavalli da soma. I cesti di vimini nei quali non aveva ancora rovistato erano pieni di ciarpame inutile e solo la Luce sapeva cos'altro, ma quelli che lei e Aviendha avevano svuotato erano adesso appesantiti da sacchi di farina e sale, fagioli e lenticchie. Una manciata di stallieri si stava occupando degli animali, avevano smesso di correre in giro per la fattoria. Senza dubbio per ordine di Alise. Persino Brigitte trotterellava a comando di quella donna con appena un sogghigno contrito. Elayne alzò uno dei teli per esaminare i ter'angreal come meglio poteva senza doverli scaricare di nuovo. Sembrava ci fossero tutti, ammucchiati in due panieri che però non riempivano del tutto, e nessuno era rotto. La maggior parte dei ter'angreal era indistruttibile se non tramite l'uso dell'Unico Potere, ma in ogni caso... Aviendha si sedette a terra a gambe incrociate, asciugandosi il sudore dal viso con un grande e semplice fazzoletto di lino che mal si intonava col suo elegante abito di seta da cavallerizza. Anche lei cominciava a mostrare segni di stanchezza. «Che stai borbottando, Elayne? Sembri Nynaeve. Questa Alise ci ha solo fatto risparmiare il tempo di caricare quegli oggetti.» Elayne arrossì lievemente. Non si era accorta di star parlando a voce alta. «Non voglio che vengano maneggiati da chi non li conosce bene, A-
viendha.» Alcuni ter'angreal si attivavano anche con le persone incapaci di incanalare, se queste facevano la cosa sbagliata, ma la verità era che lei voleva che non li maneggiasse nessuno. Erano suoi! Il Consiglio non li avrebbe assegnati a un'altra sorella solo perché più anziana ed esperta, né li poteva nascondere a lei perché studiare i ter'angreal era pericoloso. Con così tanti esempi da analizzare, forse sarebbe finalmente riuscita a creare dei ter'angreal che funzionassero sempre; finora aveva ottenuto troppi fallimenti e mezzi successi. «C'è bisogno di qualcuna che sappia quello che fa» disse, rimettendo a posto il telo rigido con una certa veemenza. Il pandemonio nel cortile della fattoria cominciò ad acquisire un ordine molto più rapidamente di quanto Elayne si aspettava, anche se non quanto avrebbe voluto. Dovette però ammettere con riluttanza che quel cambiamento avrebbe esaudito i suoi desideri solo se fosse stato istantaneo. Incapace di non controllare di continuo il cielo, mandò Careane in cima alla collina perché desse un'occhiata verso Ebou Dar. La tarchiata Grigia imprecò tra sé prima di inchinarsi, e guardò persino le donne della Famiglia che correvano qua e là, quasi sul punto di suggerire che ci andasse una di loro, ma Elayne aveva bisogno di qualcuna che non svenisse alla vista della 'progenie dell'Ombra', e Careane era la sorella di rango più basso. Adeleas e Vandene arrivarono portando Ispan tra loro due, schermata e col sacco di cuoio sulla testa. Camminava con una certa naturalezza, e dall'apparenza si sarebbe detto che non le era stato fatto nulla, tranne che... Teneva le mani intrecciate, non faceva alcun tentativo di togliersi quel cappuccio, e quando la issarono su una sella protese le braccia per farsi legare i polsi al pomello senza bisogno che le venisse chiesto. Se era così condiscendente, forse le due sorelle avevano appreso qualcosa da lei. Elayne non voleva nemmeno immaginare come ci fossero riuscite. Ci furono degli... inconvenienti, ovviamente, nonostante tutte sapessero quello che poteva arrivare da un momento all'altro. Quello che di sicuro sarebbe arrivato da un momento all'altro. Il fatto che Nynaeve avesse di nuovo il suo cappello con le piume blu non era un inconveniente, anche se aveva rischiato di diventarlo: alla fine era stata proprio Alise a trovarlo, e gliel'aveva dato dicendole che doveva proteggersi dal sole se voleva conservare quella sua bella pelle liscia. A bocca aperta, Nynaeve era rimasta a guardare la donna dai capelli grigi che se ne andava di corsa per occuparsi di uno dei numerosi piccoli problemi, poi aveva ostentatamente infilato il cappello sotto una cinghia delle sue bisacce da sella. Da subito Nynaeve aveva provato ad appianare gli inconvenienti veri e
propri, ma quasi ogni volta scopriva che Alise era arrivata prima di lei e aveva risolto tutto. Diverse nobili chiedevano aiuto per impacchettare le loro cose, solo per sentirsi dire senza mezzi termini da Alise che faceva sul serio quando prima aveva spiegato che se non se la sbrigavano da sole avrebbero dovuto sopravvivere con quello che avevano addosso. E loro se l'erano sbrigata da sole. Alcune, e non solo le nobili, cambiarono idea sulla partenza non appena seppero che la destinazione era l'Andor, e furono letteralmente cacciate via. A piedi, con la raccomandazione di correre quanto più possibile. I cavalli erano tutti necessari, ma quelle donne dovevano essere lontane dalla fattoria prima che ci arrivassero i Seanchan: c'era da aspettarsi che, quanto meno, interrogassero tutte quelle che trovavano lì. Come era prevedibile, Nynaeve ebbe una lite con Renaile, per la Scodella e per la tartaruga usata da Talaan, che Renaile doveva essersi infilata sotto la fusciacca. Dalle urla erano appena passate ad agitare le braccia quando arrivò Alise, e in breve la Scodella tornò a Sareitha e la spilla a Merilille. Dopo di che a Elayne fu offerto lo spettacolo di Alise che agitava un dito sotto il naso di una sbalordita Cercavento della Maestra delle Navi degli Atha'an Miere, dandole una strigliata sull'immoralità del furto che lasciò Renaile a balbettare indignata. Anche Nynaeve balbettò un pochino, e andò via impettita e a mani vuote, anche se Elayne non credeva di aver mai visto qualcuno con un'aria così desolata. Tutto sommato, non ci volle molto. Le donne della fattoria che non se ne erano andate si riunirono sotto lo sguardo attento del Circolo della Maglia - e di Alise, che annotò con cura i nomi delle ultime dieci, tutte tranne due vestite con abiti di seta ricamata non molto diversi da quello di Elayne. Senza dubbio non facevano parte della Famiglia. Elayne era sicura che si sarebbero comunque occupate delle stoviglie: Alise non si sarebbe certo fatta fermare da un'inezia come i nobili natali di quelle donne. Le Cercavento si misero in fila con i loro cavalli, tutte sorprendentemente silenziose tranne Renaile, che mormorava qualche imprecazione non appena le capitava di vedere Alise. Careane fu richiamata dalla Collina. I Custodi portarono alle sorelle le loro cavalcature. Quasi tutte le donne in quel cortile tenevano d'occhio il cielo, e c'era l'alone di saidar intorno alle sorelle più anziane e a gran parte delle Cercavento. Nonché intorno ad alcune donne della Famiglia. Tirandosi dietro la sua giumenta, Nynaeve andò in testa al gruppo, accanto alla vasca di pietra, e carezzò l'angreal che ancora portava al polso come se dovesse essere lei ad aprire il passaggio, per quanto l'idea fosse
ridicola. Tanto per cominciare, nonostante si fosse lavata il viso - e avesse rimesso il cappello; cosa strana, tutto considerato - barcollava a ogni minimo cedimento del suo autocontrollo. Lan le stava praticamente addosso, inespressivo come sempre, ma se mai si era visto un uomo pronto a prendere una donna prima che cadesse era proprio lui. Malgrado il bracciale e gli anelli, Nynaeve poteva non essere in grado di intessere un passaggio. Cosa più importante, sin dal loro arrivo non aveva fatto altro che correre in giro per la fattoria; Elayne aveva passato un bel po' di tempo raccogliendo in sé saidar proprio nel punto in cui si trovavano adesso. Conosceva il luogo. Nynaeve si imbronciò quando la vide abbracciare la Fonte, ma almeno ebbe il buon senso di non dire nulla. Elayne subito si pentì di non aver chiesto ad Aviendha di ridarle la statuina della donna ammantata nei propri capelli: anche lei era esausta, e la quantità di saidar che poteva attingere era a malapena sufficiente a realizzare la tessitura e farla funzionare. I flussi tremolarono quasi volessero sfuggire alla sua presa, poi andarono a posto così all'improvviso che lei sobbalzò; incanalare quando era stanca era diverso, ma questa volta era stato peggio che mai. Alla fine, apparve la consueta linea verticale argentata, che si allargò in un'apertura vicino alla vasca di pietra. Un'apertura non più grande di quella realizzata da Aviendha, ed Elayne fu grata che fosse larga abbastanza da farci passare un cavallo. Mentre la creava, non ne era stata sicura. Le donne della Famiglia sussultarono all'improvvisa apparizione di un prato di montagna tra loro e la familiare massa grigia della vasca di pietra. «Avresti dovuto lasciarmi tentare» disse Nynaeve a voce bassa. Bassa, ma comunque tagliente. «Hai quasi combinato un pasticcio.» Aviendha le rivolse un'occhiataccia e per poco Elayne non si lanciò a fermarla. Da quando erano sorelle-prossime, la Aiel sembrava sempre più convinta di dover difendere il suo onore; se fossero diventate sorelleprime, Elayne temeva che avrebbe dovuto tenerla lontana da Nynaeve e da Birgitte, a ogni costo! «L'ho aperto, Nynaeve» si affrettò a dire. «Solo questo conta.» Nynaeve la guardò torva e mormorò qualcosa su come quel giorno c'era troppo nervosismo nell'aria, come se fosse Elayne a mostrarsi troppo suscettibile. Birgitte fu la prima a passare, dopo aver rivolto un sorriso impudente a Lan, tirandosi dietro il cavallo e con l'arco già nell'altra mano. Elayne poteva sentire la sua impazienza, una punta di soddisfazione, forse per essere riuscita ad anticipare Lan questa volta - c'era sempre un po' di rivalità tra i
Custodi - e una lieve prudenza. Molto lieve. Elayne conosceva bene quel prato; Gareth Bryne le aveva insegnato a cavalcare poco lontano da lì. A circa sette chilometri dal prato, dopo le colline poco alberate, sorgeva il maniero di una delle proprietà di sua madre. Una delle sue proprietà: doveva abituarsi a pensare a sé stessa come regina. Le sette famiglie che si occupavano del castello e dei suoi terreni erano le uniche persone che potevano incontrare in un giorno e mezzo di viaggio in qualsiasi direzione. Elayne aveva scelto quella destinazione perché da lì potevano raggiungere Caemlyn in due settimane. E perché la proprietà era isolata, e lei sarebbe potuta entrare in città prima ancora che si sapesse che era in Andor. E quella precauzione poteva rivelarsi davvero necessaria: in diversi momenti della storia andorana, i rivali dei pretendenti alla Corona di Rose erano stati trattenuti come 'ospiti' finché non avevano rinunciato alle loro pretese. Anche sua madre ne aveva tenuti un paio, prima di salire al trono. Con un po' di fortuna, lei avrebbe creato una solida base per l'arrivo di Egwene e le altre. Lan portò Mandarb accanto al castrone bruno di Birgitte, e Nynaeve scattò in avanti quasi volesse correre dietro al cavallo da guerra nero, poi si riprese e, con un'occhiataccia, sfidò Elayne a dire anche solo una parola. Armeggiando furiosamente con le redini, fece poi il palese sforzo di guardare ovunque tranne che al di là del passaggio, dove c'era Lan. E intanto continuava a muovere le labbra. Dopo un istante, Elayne si rese conto che la sua amica stava contando. «Nynaeve,» le disse a voce bassa «davvero non abbiamo tempo per...» «Sbrighiamoci» gridò Alise da dietro, sottolineando quella sua richiesta con il secco e brusco rumore delle mani che battevano una contro l'altra. «Niente spinte o gomitate, ma non voglio nemmeno perditempo! Sbrighiamoci.» Nynaeve girò rapidamente la testa da una parte all'altra, il volto dipinto di sofferta indecisione. Per chissà quale motivo si toccò l'ampio cappello, dove alcune piume blu si erano rotte e penzolavano flosce, poi allontanò la mano. «Oh, quella vecchia baciacapre...» ruggì, e il restò della frase andò via con lei quando si allontanò portandosi dietro la giumenta. Elayne tirò su col naso. E pensare che Nynaeve aveva il coraggio di rimproverare gli altri per come parlavano! Le sarebbe piaciuto sentire il resto, però: quel primo insulto lo conosceva già. Alise continuò a spronare tutte, ma ormai non ce n'era più bisogno. Anche le Cercavento andavano di fretta, girandosi di tanto in tanto a control-
lare il cielo. Compresa Renaile, che borbottò qualcosa su Alise, qualcosa di cui Elayne prese subito nota. Anche se insultare qualcuno dicendogli che gli piaceva mangiare pesce morto non le sembrava poi molto audace. Credeva che il Popolo del Mare mangiasse pesce di continuo. Alise arrivò quasi per ultima, seguita solo da alcuni Custodi, come se volesse controllare e guidare anche i cavalli da soma. Si fermò quanto bastava per passare a Elayne il suo cappello dalle piume verdi. «Immagino vorrai tenere il sole lontano da quel tuo dolce faccino» le disse con un sorriso. «Una pelle così bella non deve trasformarsi in cuoio prima del necessario.» Aviendha, seduta su una roccia lì vicino, cadde all'indietro e scalciò l'aria esplodendo in una sonora risata. «Credo che le chiederò di trovare un cappello anche per te. Con un sacco di piume e dei grandi fiocchi» le disse Elayne con dolcezza prima di seguire rapida la Famiglia. E Aviendha smise subito di ridere. Il prato con i suoi lievi rialzi era molto ampio e lungo all'incirca un chilometro e mezzo, circondato da colline più alte di quelle che avevano appena lasciato, con alberi che Elayne conosceva, querce, pini e palissandri, aceri, abeti ed ericacee, tronchi alti a sud, est e ovest, anche se forse quell'anno nessuno li avrebbe tagliati. Gli alberi a nord, più radi, erano migliori per la legna da ardere. La folta erba marrone del prato era punteggiata qua e là da massi grigi, e non c'era neppure uno stelo avvizzito a testimoniare la morte degli ultimi fiori selvatici. Da questo punto di vista, la situazione non era molto diversa dal Sud. Per una volta Nynaeve non si stava guardando intorno in cerca di Lan, anche perché né lui né Birgitte potevano essersi allontanati più di tanto, non in quel posto almeno. E così passava tra i cavalli ordinando a tutti di salire in sella, gridando con voce autoritaria; rimproverò i servitori che si occupavano degli animali da soma, disse bruscamente ad alcune donne della Famiglia prive di cavalcatura che anche un bambino poteva camminare per sette, otto chilometri, e quando vide una slanciata nobile dell'Altara, con una cicatrice sul viso e un fagotto grande quasi quanto lei, le urlò che se era stata così idiota da portarsi dietro tutti i suoi vestiti allora poteva anche trasportarli durante il viaggio. Alise aveva fatto radunare le Atha'an Miere intorno a sé e le stava istruendo su come montare a cavallo. La cosa sorprendente era che quelle donne parevano prestarle attenzione. Nynaeve guardò verso quel gruppo e sembrò contenta di vedere Alise ferma in un punto. Ma poi la donna le rivolse un sorriso incoraggiante e le fece cenno
di andare pure avanti con quello che stava facendo. Per un attimo Nynaeve rimase immobile a fissarla. Poi attraversò il prato a passo di marcia per raggiungere Elayne. Portò entrambe le mani al cappello, esitò un attimo alzando su di esso il suo sguardo infuocato, poi lo raddrizzò con uno strattone. «Lascerò che si occupi lei di tutto questa volta» disse, in tono sospettosamente ragionevole. «Vedremo come se la cava con quelle... con il Popolo del Mare. Sì, vedremo.» Davvero troppo ragionevole. A un tratto, guardò torva il passaggio aperto. «Perché è ancora lì? Avanti, chiudilo.» Anche Aviendha era accigliata. Elayne trasse un lungo respiro. Ci aveva pensato, e non c'erano alternative, ma di sicuro Nynaeve avrebbe avuto da ridire, e non c'era tempo per una discussione del genere. Al di là del passaggio, la fattoria era vuota, persino le galline alla fine erano fuggite via spaventate dal parapiglia, eppure quanto ci sarebbe voluto perché si riempisse di nuovo? Studiò la tessitura, così compatta e intricata che era possibile distinguere solo alcuni fili. Ovviamente si vedevano tutti i flussi, ma sembravano inseparabilmente collegati uno all'altro, tranne pochi. «Porta tutti al palazzo, Nynaeve» disse. Il sole aveva quasi terminato il suo viaggio verso l'orizzonte; forse restavano un paio d'ore di luce. «Mastro Hornwell sarà sorpreso di veder arrivare così tanti visitatori col buio, ma tu digli che siete ospiti della ragazzina che pianse per un uccellino con l'ala spezzata; se lo ricorda di sicuro. Io vi raggiungerò non appena posso.» «Elayne» fece Aviendha, con una sorprendente ansia nella voce, e nello stesso momento Nynaeve disse con durezza: «Cosa credi di...» C'era un solo modo per mettere fine a quella situazione. Elayne liberò dalla tessitura uno dei pochi fili visibili, che tremolò e si agitò come un tentacolo, quasi fosse vivo; si increspò e parve schizzare dei piccoli batuffoli di saidar, che subito si dissolsero svanendo nell'aria. Non l'aveva visto succedere, quando Aviendha aveva disfatto la sua tessitura, ma in realtà aveva seguito solo la parte finale di quel procedimento. «Vai avanti» disse a Nynaeve. «Aspetterò le altre finché non sarete tutti spariti.» Nynaeve sgranò gli occhi e rimase a bocca aperta. «È necessario» sospirò Elayne. «Tra qualche ora i Seanchan arriveranno di sicuro alla fattoria. E se anche aspetteranno fino a domani, che succederà se una damane ha il Talento necessario a individuare i residui? Nynaeve, non voglio insegnare ai Seanchan come Viaggiare. Non lo farò!» Nynaeve mugugnò tra sé un commento sui Seanchan che, a giudicare dal tono, doveva essere piuttosto incisivo. «Be', io non voglio che tu ti bruci da
sola!» disse poi a voce alta. «Ora, rimetti a posto quel filo! Prima che questa cosa esploda come ha detto Vandene. Potresti ucciderci tutti!» «Non può rimetterlo» intervenne Aviendha, poggiandole una mano su un braccio. «Ha cominciato, e ora deve finire. E tu devi fare come ti ha detto, Nynaeve.» Nynaeve si accigliò ancora di più. 'Devi' era una parola che non le piaceva affatto, non quando si applicava a lei. Però non era una stupida, e così dopo qualche sguardo torvo - a Elayne, al passaggio, ad Aviendha e al mondo in generale - abbracciò Elayne così forte da farle scricchiolare le costole. «Stammi a sentire: ti conviene fare attenzione» sussurrò. «Se ti ammazzi, giuro che ti scuoierò viva!» Nonostante tutto, Elayne scoppiò a ridere. Nynaeve sbuffò, allontanandola da sé ma continuando a tenerla per le spalle. «Hai capito quello che volevo dire» brontolò. «E non credere che non faccia sul serio, perché non è così! Sono seria, eccome» aggiunse più dolcemente. «Stai attenta.» Nynaeve ci mise un attimo a tornare in sé, sbatté le palpebre e si sistemò i guanti azzurri da cavallerizza. C'era forse un accenno di lacrime nei suoi occhi, anche se la cosa era impossibile: Nynaeve faceva piangere gli altri, lei non piangeva mai. «Bene, allora» disse. «Alise, se non sono ancora tutte pronte...» Si girò, e la voce le morì in gola con un verso strozzato. Quelle che dovevano essere a cavallo erano a cavallo, incluse le Atha'an Miere. I Custodi erano tutti intorno alle altre sorelle; Lan e Birgitte erano tornati, e la bionda arciera osservava Elayne con ansia. I servitori tenevano in fila gli animali da soma, e le donne della Famiglia aspettavano pazienti, quasi tutte a piedi tranne quelle del Circolo della Maglia. Alcuni cavalli che avrebbero potuto essere usati per il viaggio erano carichi di cibo e pacchi vari. Chi aveva portato più di quanto Alise aveva concesso - nessun membro della Famiglia aveva commesso questo errore - si trascinava sulle spalle gli oggetti in eccesso. La nobile slanciata con la cicatrice in faccia era piegata in una scomoda posizione sotto il peso dei suoi pacchi, e guardava in cagnesco tutti, tranne Alise. Tutte quelle in grado di incanalare tenevano gli occhi fissi sul passaggio. E tutte quelle che avevano sentito i commenti di Vandene sui rischi di quell'operazione osservavano quel singolo filamento che frustava l'aria e sembravano guardare una vipera rossa. Fu proprio Alise a portare a Nynaeve il suo cavallo. E raddrizzò il cappello con le piume azzurre quando lei mise un piede in una staffa. Nynaeve fece girare la grassa giumenta verso nord, con Lan in sella a Mandarb al
suo fianco e un'espressione di totale mortificazione in viso. Elayne non riusciva a capire come mai la sua amica non avesse ancora messo Alise al suo posto. A sentir parlare lei, già quando era poco più che una ragazzina aveva fatto abbassare la cresta a donne molto più grandi. E adesso, dopo tutto, era una Aes Sedai: con una qualsiasi donna della Famiglia, questo argomento aveva più peso di una montagna. Quando la carovana cominciò a serpeggiare verso le colline, Elayne guardò Aviendha e Birgitte. La Aiel si limitava a starsene immobile, a braccia conserte; in una mano stringeva l'angreal della donna ammantata dai propri capelli. Birgitte prese le redini di Leonessa da Elayne, reggendole insieme a quelle del suo cavallo e di quello di Aviendha, poi andò verso un piccolo macigno a venti passi di distanza e si sedette. «Voi due dovete...» cominciò a dire Elayne, poi si interruppe con un colpo di tosse quando vide Aviendha sbarrare gli occhi per la sorpresa. Mandare la Aiel lontano dal pericolo era impossibile senza farle perdere l'onore. O forse era impossibile del tutto. «Voglio che tu vada con gli altri» disse allora Elayne a Birgitte. «E porta Leonessa con te. Io e Aviendha possiamo cavalcare il suo castrone a turno. Mi piacerebbe farmi una passeggiata prima che scenda la notte.» «Se rivolgerai a un uomo anche solo la metà delle attenzioni che riservi a quella cavalla,» osservò Birgitte con sarcasmo «sarà tuo per l'eternità. Penso che me ne resterò qui seduta per un po': per oggi ho cavalcato abbastanza. Possiamo portare avanti questa recita davanti alle sorelle e agli altri Custodi, così non dovrai arrossire, ma io e te sappiamo la verità.» Nonostante quelle parole sbeffeggianti, quello che Elayne avvertiva nella sua Custode era affetto. No, un sentimento più forte del semplice affetto. All'improvviso, si sentì gli occhi bruciare per le lacrime. Se fosse morta, avrebbe ferito Birgitte fin nell'anima - era una diretta conseguenza del legame con i Custodi - ma la donna aveva deciso di restare per amicizia. «Sono grata di avere due amiche come voi» si limitò a dire Elayne. Birgitte le rivolse uno strano sorriso, come se avesse appena detto qualcosa di sciocco. Aviendha, tuttavia, arrossì e guardò con furia la bionda arciera, occhi sgranati ed espressione confusa, come se la presenza della Custode fosse la causa delle sue guance paonazze. Spostò in tutta fretta lo sguardo sulla colonna di persone che non era ancora arrivata alla prima collina, a circa un chilometro di distanza. «È meglio aspettare finché non saranno spariti tutti,» disse «ma non troppo a lungo. Una volta cominciato a disfare la tessi-
tura, i flussi cominciano a diventare... sfuggenti... dopo un po'. Se lasci che uno scivoli via prima di averlo liberato dalla trama, sarà come se ti fossi lasciata sfuggire l'intera tessitura; a quel punto, non si può più sapere cosa succederà. Ma nemmeno devi avere fretta. Ogni filo deve essere allentato il più possibile. Più ne liberi, più gli altri verranno via facilmente, ma devi sempre scegliere il filo più facile da identificare.» Con un caloroso sorriso, premette forte le dita contro una guancia di Elayne. «Te la caverai, se agirai con cura.» Non sembrava molto difficile. Doveva solo fare attenzione. Parve passare tanto tempo prima che svanisse oltre la collina anche l'ultima donna, la nobile slanciata curva sotto la massa dei suoi vestiti. Il sole si era mosso appena, eppure a Elayne era sembrato che trascorressero diverse ore. Che intendeva precisamente Aviendha con 'sfuggenti'? La Aiel non riuscì a spiegarglielo se non parafrasando quella stessa parola: i fili diventavano difficili da maneggiare, da tenere, tutto qua. Elayne lo scoprì da sola non appena ricominciò a lavorare sulla tessitura. 'Sfuggenti' voleva dire come anguille vive ricoperte di grasso. Digrignò i denti già solo per lo sforzo di mantenere la presa su quel primo filo, e ancora non aveva provato ad allentarlo. Quando quel filamento di Aria cominciò a scudisciare nel vento, finalmente libero, Elayne non sospirò di sollievo solo perché ce n'erano ancora altri sui quali lavorare. Se diventavano ancor più 'sfuggenti', non era sicura di potercela fare. Aviendha osservava con attenzione, ma non disse più nulla, anche se le rivolgeva un sorriso di incoraggiamento ogni volta che lei ne aveva bisogno. Elayne non riusciva a vedere Birgitte - non osava distogliere lo sguardo dalla tessitura - ma poteva percepirla, un piccolo nodo roccioso di sicurezza dentro la sua mente, sufficiente a far sentire più sicura anche lei. Il sudore le scendeva lungo il viso, la schiena e il ventre, finché cominciò a sentirsi 'sfuggente' lei stessa. Un bagno, quella notte, sarebbe stato assai ben accetto. No, non poteva pensare a cose del genere. L'attenzione serviva tutta per la tessitura. I fili stavano diventando davvero più difficili da maneggiare, tremolavano nella sua presa ogni volta che lei ne toccava uno, ma continuavano ad allentarsi, e ogni volta che uno sferzava l'aria, un altro sembrava balzare fuori dalla tessitura, all'improvviso chiaramente distinguibile dove fino a poco prima c'era solo una massa compatta di saidar. Agli occhi di Elayne, il passaggio sembrava un mostruoso, distorto centoteste in fondo a un lago, circondato da tentacoli guizzanti, tutti ricoperti da fili di Potere che crescevano, avvizzivano e svanivano solo per essere so-
stituiti da altri ancora. L'apertura si fletteva lungo i bordi, cambiando di continuo forma e anche dimensione. Elayne sentì che cominciavano a tremarle le gambe; la fatica e il sudore le facevano bruciare gli occhi. Non sapeva quanto ancora avrebbe resistito. Digrignando i denti, si sforzò di andare avanti. Un filo alla volta. Un filo alla volta. A un migliaio di chilometri di distanza, e a meno di cento passi attraverso il passaggio tremolante, decine di soldati si riversarono tra gli edifici bianchi della fattoria, uomini bassi armati di balestra, coi pettorali bruniti e gli elmetti dipinti che sembravano grosse teste di insetti. Dietro di loro arrivò una donna con fulmini d'argento sui riquadri rossi che decoravano le gonne, un bracciale al polso collegato tramite un guinzaglio d'argento al collare stretto intorno alla gola di una donna in grigio, poi arrivò un'altra sul'dam con la sua damane, poi un'altra coppia ancora. Una delle sul'dam indicò il passaggio, e subito il bagliore di saidar avvolse la sua damane. «State giù!» urlò Elayne, lanciandosi all'indietro, fuori dalla visuale di chi era alla fattoria, e con un ruggito che le riempì le orecchie un fulmine azzurro e argento esplose attraverso il passaggio per poi biforcarsi con furia in ogni direzione. Elayne sentì che le si drizzavano i capelli, era come se ogni ciocca volesse alzarsi per conto suo, e dove le tante punte di quella saetta colpirono il terreno si alzarono tuonanti fontane di pietre e terriccio. Lei fu colpita da una pioggia di sassolini. L'udito le tornò all'improvviso, e sentì una voce maschile dall'altro lato del varco, una parlata lenta e strascicata che le fece accapponare la pelle quasi quanto le parole pronunciate, «...bisogna prenderle vive, stupide!» A un tratto uno dei soldati balzò nel prato davanti a lei. La freccia di Birgitte si conficcò nel pugno intagliato sul pettorale di cuoio. Un secondo soldato seanchan inciampò sul primo che stava cadendo, e prima che potesse riprendere l'equilibrio finì con la gola squarciata dal pugnale che Aviendha portava alla cintura. Dall'arco di Birgitte le frecce volavano in una raffica continua; con un piede fermo sulle redini dei cavalli, la donna scoccava con un ghigno feroce. Gli animali tremanti di paura agitavano il capo e scalpitavano come per liberarsi e fuggire via, ma Birgitte restava immobile e lanciava una freccia dopo l'altra, in rapidissima successione. E le urla che venivano dall'altro lato del passaggio confermavano che Birgitte Arco d'Argento non sbagliava mai un tiro. Veloce come un cattivo pensiero arrivò la reazione del nemico, strisce nere, dardi di balestra. Così in fretta, tutto stava succedendo così in fretta. Aviendha cadde, e il sangue prese a scorrerle tra le dita che teneva strette intorno al braccio destro, ma la Aiel
lasciò subito la ferita, strisciò fuori portata delle frecce nemiche e con volto determinato cercò a tentoni l'angreal che doveva esserle caduto. Birgitte lanciò uno strillo; lasciò cadere l'arco e si afferrò una coscia, dalla quale spuntava un quadrello di balestra. Elayne sentì la fitta di dolore come se fosse stata colpita lei stessa. Disperata, ghermì un altro filo della tessitura, ancora mezzo stesa sulla schiena. E si rese conto con orrore, dopo uno strattone, che tutto quello che riusciva a fare era tenerlo stretto. Il filo si era mosso? Si era allentato almeno minimamente? In ogni caso, lei non osava lasciarlo andare. Sgusciava untuoso nella sua stretta. «Vive, ho detto!» ruggì la voce del Seanchan. «Chiunque uccida una di quelle donne non avrà la sua parte di bottino!» Lo scroscio di frecce di balestra cessò. «Mi volete prendere?» urlò Aviendha. «Allora venite a danzare con me!» Il bagliore di saidar la circondò all'improvviso, fioco nonostante l'angreal, e davanti al portale si materializzarono una dopo l'altra palle di fuoco che sì fiondarono subito oltre la soglia. Non erano molto grandi, ma le loro esplosioni giù in Altara risuonavano in un flusso continuo. Aviendha ansimava per la fatica, però, e il suo volto riluceva di sudore. Birgitte aveva recuperato l'arco: sembrava in tutto e per tutto l'eroina delle leggende, col sangue che le scorreva lungo una gamba, a malapena si reggeva in piedi, ma aveva già estratto per metà una freccia e stava cercando il suo bersaglio. Elayne provò a controllare la respirazione. Non poteva abbracciare più Potere, non poteva aiutare in nessun modo le sue amiche. «Voi due dovete andar via» disse. Non riuscì a credere di essere stata lei a parlare con quella voce calma e glaciale; era sicura di aver piagnucolato. Il cuore batteva così forte che sembrava volesse sfondarle la gabbia toracica. «Non so quanto ancora posso mantenere questa tessitura.» Oltre che per la tessitura, era vero anche per quel singolo filo. Stava scivolando via? «Andate, più in fretta possibile. Superata quella collina dovreste essere al sicuro, ma più terreno guadagnate meglio sarà. Andate!» Birgitte ruggì qualcosa nella Lingua Antica, frasi che però Elayne non conosceva, anche se dal suono le sarebbe piaciuto impararle. Se ancora ne aveva la possibilità. L'arciera proseguì con parole che anche lei poté capire. «Permettiti di lasciare quella cosa maledetta prima che sia io a dirtelo e non dovrai preoccuparti che Nynaeve ti scuoi viva, perché lo farò io stessa. E poi toccherà a lei. Stai zitta e resisti! Aviendha, fai il giro e vieni qui -
passa dietro! puoi continuare a lanciare fuoco stando dietro? - vieni qui e sali su uno di questi maledetti cavalli.» «Finché riesco a vedere dove applicare la tessitura, credo di potercela fare» rispose Aviendha, alzandosi su gambe malferme. Barcollò di lato, e riuscì a riprendere l'equilibrio un attimo prima di cadere. Dal brutto squarcio che aveva sul braccio il sangue colava lungo la manica del vestito. Svanì dietro il passaggio, e le palle di fuoco ripresero a volare. Era possibile vedere attraverso un passaggio anche da dietro, anche se sembrava una zona di aria tremolante come quando c'è un calore eccessivo. Non lo si poteva attraversare dall'altro lato, però - il tentativo sarebbe stato estremamente doloroso - e quando Aviendha ricomparì si trascinava a fatica. Birgitte la aiutò a montare sul castrone, ma girata al contrario, come se le assurdità non fossero già abbastanza. Quando poi l'arciera fece un segno concitato verso di lei, Elayne non perse tempo a scuotere il capo. Innanzitutto, aveva paura di quello che poteva succedere se l'avesse fatto. «Non sono sicura di poter tenere la tessitura se cerco di montare in sella.» In verità, non era sicura di riuscire a salire a cavallo; ormai era oltre la stanchezza, i suoi muscoli erano acqua. «Cavalcate quanto più veloce possibile. Io resisterò finché posso. Vi prego, andate!» Mormorando imprecazioni nella Lingua Antica - dovevano essere imprecazioni, nessun'altra parola poteva avere quel suono! - Birgitte spinse le redini dei cavalli in mano ad Aviendha. Quasi cadendo due volte, l'arciera andò da Elayne e si piegò verso di lei per prenderla dalle spalle. «Ce la puoi fare» disse, e anche nella voce suonò la certezza che Elayne sentiva provenire da lei. «Non ho mai incontrato una regina andorana prima di te, ma ho conosciuto alcune regine come te. Nervi d'acciaio e cuore di leone. Ce la puoi fare!» Lentamente, mise Elayne in piedi, senza aspettare una risposta, tesa in volto; ogni fitta di dolore nella sua gamba echeggiò nella mente di Elayne, che tremava per lo sforzo di tenere la tessitura, di tenere quel singolo filo; fu per lei una sorpresa quando si ritrovò eretta. Provò a non appoggiarsi su Birgitte, ma non poteva reggersi solo sulle sue gambe tremolanti. Andarono barcollando verso i cavalli, appoggiandosi una all'altra, ed Elayne continuò a girarsi indietro per controllare. Era in grado di tenere una tessitura anche senza guardarla - almeno in circostanze normali - ma doveva accertarsi di avere ancora la presa ben salda su quel singolo filo, doveva accertarsi che non le fosse sfuggito. Il passaggio adesso era diverso da qualsiasi
tessitura lei avesse mai visto, si contorceva con violenza, avvolto da tentacoli lanuginosi. Con un gemito Birgitte, più che aiutarla a salire a cavallo, ce la sollevò di peso. Girata all'indietro, proprio come Aviendha! «Dovete poter vedere» spiegò, zoppicando verso il suo castrone; reggendo le redini di tutti e tre i cavalli, si tirò dolorosamente in sella. Non si era lamentata, ma Elayne ne aveva percepito la sofferenza. «Fate ciò che è necessario, lasciate a me il compito di decidere dove e come andare.» I cavalli balzarono via, forse tanto per l'ansia di fuggire quanto per i talloni di Birgitte affondati nei fianchi della sua cavalcatura. Elayne si aggrappò all'arcione posteriore della sella con la stessa ostinazione con la quale teneva la tessitura e saidar stessa. Il cavallo lanciato al galoppo la sballottava di qua e di là, e dovette mettercela tutta per restare in sella. Aviendha usò il pomello di dietro come puntello per stare dritta; aveva la bocca spalancata, respirava con foga, e gli occhi erano fissi. Era circondata dal bagliore di saidar, però, e il flusso di palle di fuoco continuava a scorrere. Non più veloce come prima, certo, e alcuni colpi mancavano di parecchio il passaggio, tracciando piste di fiamme nell'erba o esplodendo nel terreno oltre il portale, ma la Aiel continuava a evocare il fuoco e a lanciarlo. Elayne si fece forza, si costrinse a farsi forza: se Aviendha poteva andare avanti mentre sembrava che stesse per cadere da un momento all'altro, allora poteva farlo anche lei. Vista la velocità del cavallo, il passaggio cominciò presto a rimpicciolirsi per la distanza, con l'erba marrone che si stendeva tra loro e l'apertura, poi il terreno cominciò a inerpicarsi verso l'alto. Stavano salendo sulla collina! Birgitte era di nuovo la freccia nell'arco, concentrazione assoluta, aveva respinto il dolore che le straziava le gambe e spronava i cavalli ad andare ancor più veloce. Dovevano solo arrivare in cima, dovevano solo raggiungere l'altro versante. Con un sussulto, Aviendha ricadde sui gomiti, rimbalzando sulla sella come un sacco mezzo vuoto; la luce di saidar intorno a lei tremolò e poi si spense. «Non posso» ansimò la ragazza. «Non posso.» Non riuscì ad aggiungere altro. I soldati seanchan cominciarono a balzare nel prato non appena cessò la raffica di fuoco. «Va tutto bene» riuscì a dire Elayne. Si sentiva la gola piena di sabbia, come se tutti i suoi liquidi fossero finiti nel sudore che le ricopriva ogni centimetro di pelle e le inzuppava gli abiti. «Usare un angreal è stancante. Ma te la sei cavata benissimo, e ora non ci possono più raggiungere.»
Come a irriderla, una sul'dam uscì sul prato sottostante; anche a circa un chilometro di distanza non era possibile non riconoscere lei e l'altra donna che si portava dietro. Il sole, basso a occidente, ancora si rifletteva sull'a'dam che le collegava. Furono raggiunte da un'altra coppia, poi una terza, e una quarta. E una quinta. «La cima!» urlò Birgitte piena di gioia. «Ce l'abbiamo fatta! Vino e un uomo ben messo, per stanotte!» Nel prato, una sul'dam puntò il dito e a Elayne sembrò che il tempo scorresse più lento. Il bagliore dell'Unico Potere si accese intorno alla damane di quella donna. Elayne vide la tessitura che prendeva forma. E capì cos'era. E non c'era modo per fermarla. «Più veloce!» gridò. Fu colpita dallo schermo. Avrebbe dovuto essere troppo forte per essere schermata - avrebbe dovuto! - ma esausta com'era, a malapena aggrappata a saidar, lo sentì scivolare tra sé e la Fonte. Giù nel prato, la tessitura del passaggio si accartocciò su sé stessa. Aviendha, che pure aveva il volto tirato e non sembrava neppure capace di muoversi, si lanciò dalla sella verso Elayne e insieme finirono per terra. Elayne ebbe appena il tempo per vedere il lato opposto della collina prima di cadere. L'aria diventò bianca, accecandola. Ci fu un rumore - Elayne sapeva che avrebbe dovuto esserci un rumore, un forte ruggito - ma era al di là dell'udito. Qualcosa la colpì, come se fosse finita su un duro pavimento cadendo da un tetto, dalla cima di una torre. Aprì gli occhi, e si ritrovò a fissare il cielo. Un cielo che sembrava per certi versi strano, sfocato. Per un attimo non riuscì a muoversi, e quando poté farlo ansimò. Sentiva dolore dappertutto. Oh, per la Luce, se sentiva dolore! Si portò lentamente una mano al viso; quando la tolse, le dita erano rosse. Sangue. Le altre. Doveva aiutare le altre. Poteva percepire Birgitte, ne percepiva il dolore forte almeno quanto il suo, ma almeno Birgitte era viva. E determinata, oltre che evidentemente furiosa; le sue ferite non dovevano essere molto gravi. Aviendha. Con un singulto, Elayne rotolò mettendosi a pancia sotto, poi si alzò su mani e ginocchia. Le girava la testa, e avvertiva fitte di dolore a un fianco. Ricordava vagamente che muoversi anche con solo una costola rotta poteva essere pericoloso, ma quel pensiero era annebbiato come il versante della collina. Pensare sembrava... difficile. Dopo aver sbattuto le palpebre le parve di vedere un po' meglio, però. Più o meno. Era finita ai piedi della collina! Nel cielo c'era una nebbia fumosa che si levava dal prato in fondo all'altro fianco dell'altura. Non era importante, adesso. Non lo era affatto.
Trenta passi più su, anche Aviendha si era messa carponi, e quasi crollò di nuovo quando con una mano provò a togliersi il sangue che le grondava sul viso, ma poi riprese a guardarsi intorno con ansia. Le cadde lo sguardo su Elayne e si immobilizzò, fissandola con occhi sgranati. Elayne si chiese se era conciata così male. Di sicuro non poteva essere messa peggio di Aviendha: la giovane aiel aveva perso mezza gonna, il corpetto si era strappato, e ovunque le si vedesse la pelle c'era del sangue. Elayne strisciò verso di lei. Visto quanto le faceva male la testa, sembrava più facile che provare a mettersi in piedi e camminare. Arrivò da Aviendha, che emise uno stentato sospiro di sollievo. «Stai bene» disse la Aiel, accostando le dita insanguinate alla guancia di Elayne. «Ero così spaventata. Così spaventata.» Elayne sbatté le palpebre per la sorpresa. Le parti di sé che riusciva a vedere le sembravano nelle stesse, pessime condizioni di Aviendha. A lei la gonna era rimasta intatta, ma metà del corpetto le era stata strappata completamente via, e sembrava perdere sangue da almeno una ventina di tagli. Poi capì qual era stato il timore della sua amica. Non si era bruciata, non aveva perso la capacità di incanalare. Rabbrividì al solo pensiero. «Stiamo bene tutte e due» disse piano. Di lato, distante, Birgitte pulì il coltello da cintura sul manto del castrone di Aviendha e si raddrizzò allontanandosi dal cavallo immobile. Il braccio destro le penzolava inerte, la giubba era andata, insieme a uno stivale, e gli altri abiti erano strappati; pelle e vestiti erano sporchi di sangue almeno quanto quelli di Elayne e Aviendha. Il quadrello di balestra che le usciva da una coscia sembrava la ferita più grave, ma le altre prese tutte insieme non erano da meno. «Si era spezzato la schiena» disse, indicando il cavallo ai suoi piedi. «Il mio sta bene, credo, ma l'ultima volta che l'ho visto correva abbastanza veloce da poter vincere la Corona di Megairil. Ho sempre pensato che fosse una bestia veloce. Leonessa...» Si strinse nelle spalle, e fece una smorfia. «Elayne, Leonessa era già morta quando l'ho trovata. Mi dispiace.» «Noi siamo vive,» disse Elayne con fermezza «l'importante è questo.» Avrebbe pianto per Leonessa più in là. Il fuoco sopra la collina non era denso, ma copriva un'area estesa. «Voglio scoprire cosa esattamente ho fatto.» Le tre donne dovettero aggrapparsi una all'altra per restare in piedi, e risalire il fianco della collina fu faticoso, anche per Aviendha. A giudicare da ansimi e gemiti di dolore, sembrava fossero a un passo dalla morte -
cosa che Elayne supponeva fosse quasi vera - e avevano l'aspetto di chi si è appena rotolato nel retrobottega di un macellaio. Aviendha teneva ancora l'angreal stretto in mano, ma se anche lei o Elayne avessero posseduto più del loro limitato Talento nella Guarigione, nessuna delle due sarebbe riuscita ad abbracciare la Fonte, meno che mai a incanalare. In cima alla collina, rimasero una appoggiata all'altra, e guardarono a occhi sgranati la scena di devastazione che avevano davanti. Il prato era circondato dalle fiamme, ma al centro era tutto annerito, una massa di carboni dalla quale erano stati spazzati via anche i macigni. Metà degli alberi sui pendii lì intorno erano spezzati o piegati in direzione opposta rispetto al prato. Nel cielo erano comparsi i primi falchi, e viaggiavano sulle correnti di aria calda che si alzavano dal fuoco: i falchi cacciavano spesso così, cercando gli animaletti spinti all'aperto dalle fiamme. Dei Seanchan non c'era segno. Elayne avrebbe preferito che ci fossero almeno i corpi, per assicurarsi che fossero tutti morti. In particolare le sul'dam. Mentre osservava il terreno bruciato e fumante, fu a un tratto lieta per quell'assenza di prove. Doveva essere stato un modo orribile per morire. La Luce abbia pietà delle loro anime, pensò. Di tutte le loro anime. «Bene» disse poi. «Non sono stata brava come te, Aviendha, ma tutto considerato direi che è andata meglio così. La prossima volta, cercherò di ottenere un risultato migliore.» Aviendha la guardò di sottecchi. Aveva uno squarcio su una guancia e uno sulla fronte, nonché uno sulla testa. «Te la sei cavata molto meglio di me, per essere il tuo primo tentativo. Io dovetti lavorare su un singolo nodo legato in un flusso di Vento. Mi ci vollero cinquanta tentativi per scioglierlo senza sentire lo scoppio di un tuono davanti al viso o senza ricevere un colpo abbastanza forte da rintronarmi.» «Immagino che avrei dovuto cominciare anch'io con qualcosa di più semplice» disse Elayne. «Ho la pessima abitudine di fare sempre il passo più lungo della gamba.» Più lungo? Aveva fatto un salto, e senza neppure vedere cosa c'era sotto! Soffocò la risatina che le stava nascendo, e gemette a denti stretti. Le sembrò che qualcuno di quei denti stesse per cadere. «Alla fine abbiamo scoperto una nuova arma. Forse non dovrei essere così contenta, ma se penso che è servito a respingere i Seanchan lo sono.» «Tu non capisci, Elayne.» Aviendha indicò il centro del prato, dove prima si trovava il passaggio. «Poteva finire tutto con un lampo di luce, o anche meno. Non si può sapere, finché non succede. E per un lampo di luce vale la pena di rischiare di bruciare il Potere in te stessa e in ogni donna
nel raggio di cento passi o anche più?» Elayne la fissò a occhi sgranati. Aviendha era rimasta con lei, pur sapendo quelle cose? Rischiare la vita era un conto, ma rischiare di perdere la capacità di incanalare... «Voglio che diventiamo sorelle-prime, Aviendha. Non appena troviamo una Sapiente.» Non immaginava cosa avrebbero dovuto fare con Rand. L'idea stessa che lo sposassero entrambe - e Min, anche! - era peggio che ridicola. Ma riguardo al resto era sicura. «Non ho bisogno di sapere altro su di te. Voglio essere tua sorella.» Con delicatezza, baciò la guancia di Aviendha, sporca di sangue. Se in passato aveva pensato di vedere Aviendha arrossire ferocemente, si sbagliava. Tra gli Aiel nemmeno gli innamorati si baciavano se qualcuno poteva vederli. Il più acceso dei tramonti era pallido rispetto al viso di Aviendha. «Anche io ti voglio come sorella» mormorò. Deglutì a fatica lanciando un'occhiata a Birgitte, che fingeva di ignorarle - poi si spinse in avanti e appoggiò brevemente le labbra alla guancia di Elayne, che le volle bene per quel gesto quanto per tutto il resto. Birgitte era girata e guardava dietro di loro, e forse non aveva finto affatto, perché all'improvviso disse: «Arriva qualcuno. Lan e Nynaeve, se non sbaglio.» Goffamente, le tre donne si girarono, sobbalzando, zoppicando e gemendo. Era quasi buffo; le eroine delle storie non si facevano mai tanto male da non reggersi più in piedi. Lontano, a nord, due cavalieri apparvero per qualche attimo tra gli alberi. Per qualche attimo, ma fu sufficiente a distinguere un uomo alto su un alto cavallo che galoppava veloce e una donna su una bestia più piccola ma che correva con altrettanto vigore. Con cautela, loro tre si sedettero ad aspettare. Un'altra cosa che le eroine delle storie non fanno mai, pensò Elayne con un sospiro. Sperava di poter diventare una regina di cui sua madre sarebbe stata orgogliosa, ma era evidente che non sarebbe mai stata un'eroina. Chulein mosse appena le redini, e Segani si inclinò piano, piegando l'ala ossuta. Era un raken ben addestrato, agile e veloce, il suo preferito, anche se non era l'unica a cavalcarlo. I morat'raken erano sempre più numerosi dei raken; una realtà della vita. Giù, nella fattoria, sembrava che le palle di fuoco si materializzassero dal nulla per sparpagliarsi poi in ogni direzione. Si sforzò di non badarci; lei aveva il compito di occuparsi dei problemi che potevano arrivare dalla zona intorno alla fattoria. Almeno il fumo non si alzava più dall'oliveto in cui erano morti Tauan e Macu.
A un migliaio di passi da terra, lei aveva una visuale assai ampia. Tutti gli altri raken erano andati a esaminare la campagna circostante; qualsiasi donna scoperta a correre sarebbe stata segnalata per un controllo, per vedere se era tra quelle che avevano causato quella confusione, anche se in verità chiunque in quelle terre avrebbe corso alla vista di un raken nel cielo. Chulein doveva limitarsi a controllare che lì alla fattoria non arrivassero altri problemi. Avrebbe preferito non sentire quello strano prurito tra le scapole: significava sempre che c'erano davvero dei problemi in arrivo. Il vento causato dal volo di Segani non era molto forte a quella velocità, ma lei strinse comunque sotto il mento il cordoncino del suo cappuccio incerato, controllò le cinghie di cuoio che la tenevano salda in sella, si sistemò gli occhiali di cristallo e i guanti di protezione. Più di cento Pugni del Cielo erano già sul terreno e, cosa ancor più importante, con loro c'erano sei sul'dam con le loro damane e un'altra decina di donne con borse piene di a'dam. Il secondo volo si sarebbe alzato dalle colline a sud per portare i rinforzi. Sarebbe stato meglio se ne fossero venuti di più già al primo attacco, ma c'erano pochi to'raken con gli Hailene, e si mormorava con insistenza che molti fossero stati assegnati di scorta alla Somma Signora Suroth e al suo seguito per il viaggio dall'Amadicia. Era sbagliato pensar male del Sangue, eppure lei avrebbe preferito che a Ebou Dar fossero arrivati più to'raken. A nessun morat'raken piacevano molto i to'raken, grossi e sgraziati, buoni solo per portare grandi pesi, ma sarebbero serviti a far arrivare in fretta altri Pugni del Cielo e altre sul'dam. «Si dice che ci siano centinaia di marath'damane laggiù» urlò Eliya contro la sua schiena. Nel cielo bisognava parlare forte, per via del vento. «Sai cosa voglio fare con la mia parte di bottino? Voglio comprare una locanda. Da quel che ho visto, questa Ebou Dar mi pare un bel posto. Forse troverò persino un marito. Avrò dei figli. Cosa ne pensi?» Chulein rise dietro il fazzoletto che le proteggeva bocca e naso dal vento forte. Tutti i volatori parlavano di comprare una locanda - o una taverna, a volte una fattoria - ma chi poteva davvero abbandonare il cielo? Ogni volatrice - tre su quattro erano donne - parlava di un marito e dei figli, ma anche i figli significavano niente più voli. Erano più le donne che lasciavano i Pugni del Cielo in un anno di quelle che abbandonavano il cielo in un mese. «Penso che dovresti tenere gli occhi aperti» disse Chulein. Ma quelle chiacchiere non potevano far loro alcun male. Non le sarebbe sfuggito nemmeno un bambino in uno di quegli oliveti, men che mai qualcosa o
qualcuno in grado di fare del male ai Pugni del Cielo. I soldati di quest'unità avevano le armature più leggere di tutti gli altri, ed erano duri almeno quanto quelli della Guardia della Veglia Funebre, secondo alcuni anche di più. «Io userò la mia parte per comprare una damane e ingaggiare una sul'dam.» Se il numero delle marath'damane presenti laggiù era anche solo la metà di quello che si diceva, la sua parte di bottino sarebbe stata sufficiente a comprare due damane. Tre! «Una damane addestrata per creare Luci del Cielo. Quando lascio il cielo, sarà ricca come una del Sangue.» In quelle terre avevano delle cose chiamate 'fuochi d'artificio' - lei stessa aveva visto dei tizi che cercavano di suscitare l'interesse del Sangue a Tanchico - ma a chi potevano piacere quegli spettacoli così penosi se paragonati alle Luci del Cielo? Quei tizi infatti erano stati mandati via, scaricati in strada fuori dalla città. «La fattoria!» urlò Eliya, e all'improvviso Segani ricevette un duro colpo, più duro di qualsiasi raffica di tempesta che Chulein avesse mai sentito, un colpo che lo fece ruzzolare in aria con le ali una contro l'altra. Il raken piombò verso il basso, lanciando le sue rauche strida, ruotando su sé stesso così velocemente che Chulein si sentì strattonare contro le cinghie di sicurezza. Tenne le mani sulle cosce, ben strette intorno alle redini ma ferme. Segani doveva uscire da solo da quella situazione: qualsiasi movimento delle redini lo avrebbe solo impacciato. Continuarono a cadere, vorticando come una di quelle ruote del gioco d'azzardo. Ai morat'raken veniva insegnato di non guardare verso terra se un raken cadeva, per nessun motivo, ma lei non poteva fare a meno di calcolare l'altitudine ogni volta che le veloci giravolte della sua cavalcatura le permettevano di vedere il terreno. Ottocento passi. Seicento. Quattro. Due. Che la Luce illumini la mia anima, pensò, e l'infinita pietà del Creatore mi protegga da... Con uno schiocco delle ampie ali che la scagliò di lato e le fece battere i denti, Segani si mise in orizzontale, sfiorando con la punta delle ali le cime degli alberi che sfrecciavano sotto di loro. Con una calma frutto di un duro addestramento, Chulein controllò che le ali del raken non avessero subito danni per quello sforzo. Niente, ma lei avrebbe comunque chiesto a un der'morat'raken di esaminare a fondo Segani. Una piccolezza che il suo occhio poteva non vedere non sarebbe certo sfuggita a un maestro. «A quanto pare abbiamo di nuovo evitato la Signora delle Ombre, Eliya.» Quando si girò indietro a controllare, Chulein si zittì. Un frammento di cinghia si agitava nel vento, ma il sedile alle sue spalle era vuoto. Tutti i volatori sapevano che la Signora li aspettava alla fine di una lunga caduta,
ma saperlo non significava accettarlo facilmente. Dopo una rapida preghiera per i morti, Chulein tornò con fermezza al suo dovere, e spronò Segani a risalire. Un'ascesa lenta e a spirale, nel caso in cui le fosse davvero sfuggito un lieve infortunio. La velocità non poteva essere maggiore delle precauzioni. Forse solo un po'. Il fumo che saliva dalla collina contorta davanti a lei la fece accigliare, ma ciò che vide quando ne ebbe superato la cima le seccò la gola. Le mani si immobilizzarono, strette ancora intorno alle redini, e Segani continuò a salire con poderosi battiti delle ali. La fattoria era... sparita. Degli edifici bianchi restavano solo le fondamenta, e le grosse strutture costruite nel fianco di una collina erano ridotte in cumuli di macerie. Tutto era annerito e bruciato. Il fuoco divampava nel sottobosco sui pendii circostanti e disegnava ventagli per cento passi negli oliveti e nei boschi, stendendosi negli spazi tra le colline. E più in là c'erano ancora alberi spezzati, per altri cento passi o più, tutti piegati in direzione opposta rispetto alla fattoria. Chulein non aveva mai visto nulla del genere. Nessuno poteva essere sopravvissuto, laggiù. Niente poteva vivere in quelle condizioni. Qualsiasi cosa le avesse causate. Chulein tornò rapidamente in sé, e fece girare Segani verso sud. In lontananza, vide i to'raken che, data la breve distanza, portavano una decina di Pugni del Cielo ognuno, Pugni del Cielo e sul'dam che sarebbero arrivati troppo tardi. Cominciò a comporre mentalmente il suo rapporto; di sicuro non c'era nessun altro che potesse presentarlo. Tutti dicevano che quella terra era piena di marath'damane in attesa del collare, ma, con quella nuova arma, le donne che si facevano chiamare Aes Sedai potevano essere un vero pericolo. Bisognava fare qualcosa, qualcosa di decisivo. Forse, se la Somma Signora Suroth era in viaggio per Ebou Dar, avrebbe visto anche lei la necessità di agire. 7
Un recinto per capre Il cielo del Ghealdan era privo di nuvole e sulle colline boscose il feroce
sole del mattino batteva come un martello. Non era ancora mezzogiorno, e già il caldo era soffocante. Pini ed ericacee si stavano ingiallendo per via della siccità, e la stessa sorte stava capitando ad altri alberi che, sospettava Perrin, avrebbero dovuto essere dei sempreverdi. Non c'era un refolo di vento. Il sudore che gli colava dalla fronte scendeva fino alla barba corta. I capelli ricci erano appiccicati alla testa. Gli parve di sentire un tuono da qualche parte a occidente, ma ormai aveva quasi smesso di sperare nella pioggia. Batti il ferro che c'è sull'incudine invece di sognare di lavorare l'argento. Dall'alto di un pendio poco alberato, osservò attraverso un cannocchiale di ottone la città di Bethal con la sua cinta di mura. Nonostante la sua ottima vista, data la distanza quello strumento gli era comunque utile. La città era grande e gli edifici avevano i tetti di tegole; c'era anche una mezza dozzina di alte strutture in pietra che potevano essere i palazzi di nobili minori o le case di ricchi mercanti. Perrin non riusciva a vedere bene la bandiera scarlatta che pendeva floscia in cima alla torre più alta del palazzo più grosso, l'unica in vista, ma sapeva a chi apparteneva. Alliandre Maritha Kigarin, regina del Ghealdan, lontana da Jehannah, la capitale. Le porte della città erano aperte, ognuna protetta da almeno una ventina di guardie, ma nessuno ne usciva e le strade che lui poteva vedere erano vuote, tranne che per un cavaliere solitario che da nord galoppava veloce verso Bethal. I soldati erano nervosi, alcuni mossero la picca o l'arco alla vista del cavaliere, quasi brandisse una spada sporca di sangue. Altri soldati di guardia affollavano le torri o marciavano sulle mura. E anche lassù in molti incoccarono le frecce o sollevarono le balestre. Anche lassù regnava la paura. Una tempesta si era abbattuta su quella zona del Ghealdan. E imperversava ancora. Le bande del Profeta creavano scompiglio, i banditi ne approfittavano e i Manti Bianchi che facevano incursioni oltre i confini con l'Amadicia potevano facilmente spingersi fin lì. Le sparse colonne di fumo a sud con ogni probabilità contrassegnavano fattorie in fiamme, opera dei Manti Bianchi o del Profeta. I banditi non perdevano tempo ad appiccare incendi, e in ogni caso gli altri due lasciavano ben poco. Come se la situazione non fosse già abbastanza ingarbugliata, in tutti i villaggi che aveva attraversato negli ultimi giorni Perrin aveva sentito dire che Amador era caduta, per mano del Profeta, dei Tarabonesi o delle Aes Sedai, a seconda di chi raccontava la storia. Alcuni sostenevano che Pedron Niall in persona era morto nel tentativo di difendere la città. Tutto considerato, la regina fa-
ceva più che bene a preoccuparsi per la propria incolumità. Ma forse i soldati erano laggiù proprio per Perrin. Per quanto si fosse sforzato, il suo viaggio a sud non era passato inosservato. Si grattò la barba, riflettendo. Era un peccato che i lupi sulle colline circostanti non potessero dirgli nulla, ma raramente prestavano attenzione alle faccende dell'uomo, se non per tenersene alla larga. Inoltre, dopo quanto era successo ai Pozzi di Dumai, Perrin non se la sentiva di chiedere ai lupi più di quanto era strettamente necessario. Dopo tutto, forse era meglio entrare in città da solo, con appena una manciata di uomini dei Fiumi Gemelli. Perrin si ritrovava spesso a pensare che Faile potesse leggergli nella mente, di solito nei momenti meno opportuni, e lei gliene diede subito una dimostrazione, spronando Rondine, la sua giumenta nera come la notte, e portandola vicina al suo cavallo pomellato. Faile indossava un vestito da cavallerizza con la gonna stretta e divisa e scuro quasi come il manto della sua cavalcatura, eppure sembrava reagire meglio di Perrin al caldo. Profumava di sapone alle erbe e sudore su una pelle pulita. Era il suo odore. Odore di determinazione. Gli occhi oblunghi erano molto decisi e, insieme al suo naso importante, la rendevano davvero simile a un falco, l'uccello dal quale derivava il suo nome. «Non mi piacerebbe vedere dei buchi in quella bella giubba azzurra, marito,» disse piano, facendosi sentire solo da lui «e quei tizi laggiù sembrano pronti a tirare frecce a un gruppo di stranieri prima di chiedere informazioni. Inoltre, come faresti a raggiungere Alliandre senza annunciare al mondo intero il tuo nome? Questa cosa va fatta in silenzio, ricorda.» Non aveva detto che in realtà doveva andare lei perché le guardie ai cancelli vedendo una donna avrebbero pensato a una profuga che scappava dai problemi e perché lei poteva arrivare alla regina usando il nome di sua madre senza destare troppe attenzioni, ma non c'era davvero bisogno che lo dicesse. Perrin aveva sentito quei discorsi ogni notte da quando erano entrati nel Ghealdan. E se erano lì era anche per la cauta lettera di Alliandre a Rand, una proposta di... aiuto? Alleanza? La riservatezza era stata la principale caratteristica di quella lettera. Secondo Perrin neanche Aram, seduto in groppa al suo grigio macilento pochi passi più indietro, poteva aver sentito la voce di Faile; eppure, prima ancora che lei finisse di parlare, Berelain portò la sua giumenta bianca accanto a Perrin, dall'altro lato, col sudore che le imperlava le guance. Anche il suo odore era di determinazione, quando era possibile percepirlo attra-
verso la nube di profumo di rosa. Almeno, a Perrin sembrava una nube. Per una volta, il suo vestito verde da cavallerizza non mostrava più pelle del dovuto. I due accompagnatori di Berelain rimasero indietro, anche se Annoura, l'Aes Sedai sua consigliera, fissava Perrin con un'espressione illeggibile negli occhi sormontati da una massa di trecce sottili lunghe fino alle spalle e decorate con perline. Non guardava le due donne al suo fianco, ma solo lui. E senza sudare. Perrin avrebbe voluto essere abbastanza vicino alla sorella Grigia dal naso adunco per poter sentire il suo odore: a differenza delle altre Aes Sedai, lei non aveva promesso niente a nessuno. Per quanto potessero valere le promesse delle altre. Lord Gallenne, comandante delle Guardie Alate di Berelain, era impegnato a studiare Bethal attraverso un cannocchiale accostato al suo unico occhio, e giocherellava con le redini in un modo che, come Perrin aveva ormai capito, significava che era assorto in pensieri e calcoli. Con ogni probabilità stava ragionando su come prendere Bethal con la forza; Gallenne vedeva sempre per prima la possibilità peggiore. «Continuo a pensare che dovrei essere io a contattare Alliandre» disse Berelain. E anche questo discorso Perrin lo sentiva ormai ogni giorno. «È per questo che sono venuta, dopo tutto.» Questo era uno dei motivi. «Annoura riceverà udienza immediata, e mi porterà con sé senza che lo sappia nessuno tranne Alliandre.» Ancora un'altra sorpresa: nella sua voce non c'era il minimo accenno di civetteria. Non stava prestando a Perrin più attenzione di quanta ne dedicava a lisciarsi i guanti rossi. Chi doveva andare? Il problema era che lui non voleva scegliere nessuna delle due. Seonid, l'altra Aes Sedai salita su quell'altura, era in piedi accanto al suo castrone baio, vicino a un albero avvizzito dalla siccità, e non guardava Bethal ma il cielo. Le due Sapienti dagli occhi chiari che erano insieme a lei facevano uno strano effetto di contrasto, la pelle scurita dal sole contro il suo pallido incarnato, i capelli chiari contro i suoi più scuri, alte mentre lei era bassa, senza contare le gonne scure e le bluse bianche contro il suo elegante abito di ottima lana azzurra. Edarra e Nevarin erano drappeggiate di collane e bracciali d'oro, argento e avorio, mentre Seonid portava solo l'anello col Gran Serpente. Loro erano giovani, lei senza età. Le Sapienti erano pari alla sorella Verde quanto ad autocontrollo, però, e anche loro stavano studiando il cielo. «Vedete qualcosa?» chiese Perrin, rimandando il momento della deci-
sione. «Vediamo il cielo, Perrin Aybara» rispose con calma Edarra, e i gioielli che portava tintinnarono quando si sistemò lo scialle che teneva intorno ai gomiti. Gli Aiel sembravano ignorare il caldo almeno quanto le Aes Sedai. «Se vedessimo altro, te lo diremmo.» Perrin se lo augurava. E credeva che davvero lo avrebbero fatto. Quanto meno, se avessero visto qualcosa che anche Grady e Neald erano in grado di scoprire. I due Asha'man non avrebbero mantenuto il segreto. Perrin avrebbe preferito che fossero lì con lui, invece erano rimasti all'accampamento. Qualche giorno addietro, un intrico di Unico Potere si era espanso nel cielo, creando una certa agitazione tra le Aes Sedai e le Sapienti. E tra Grady e Neald. Cosa che aveva aumentato l'agitazione, portandola quanto più vicino al panico era possibile per delle Aes Sedai. Asha'man, Aes Sedai e Sapienti, tutti avevano dichiarato di poter ancora sentire una debole traccia di Potere nell'aria molto tempo dopo che quella specie di colonna di merletto era svanita, ma nessuno era riuscito a capirne il significato. Neald aveva detto che gli faceva venire in mente il vento, anche se non era capace di spiegare perché. Nessuno era disposto a dire di più, eppure se erano visibili entrambe le metà del Potere, quella maschile e quella femminile, allora doveva essere opera dei Reietti, e si trattava di un'opera immensa. I pensieri su cosa potevano star facendo i Reietti avevano tenuto sveglio a lungo Perrin tutte le notti da allora. Suo malgrado, lanciò un'occhiata al cielo. E non vide nulla, ovviamente, tranne un paio di piccioni. A un tratto un falco si tuffò nella sua visuale, e uno dei piccioni sparì in uno spruzzo di piume. L'altro fuggì con frenetici battiti delle ali verso Bethal. «Hai preso la tua decisione, Perrin Aybara?» chiese Nevarin con una certa durezza. La Sapiente dagli occhi verdi gli sembrava persino più giovane di Edarra, forse non era nemmeno più grande di lui, e le mancava anche la serenità dell'altra. Lo scialle le scivolò lungo le braccia quando si mise le mani sui fianchi, e Perrin quasi si aspettava che gli puntasse un dito contro. O un pugno. Gli ricordava Nynaeve, anche se non le somigliava affatto. In confronto a Nevarin, Nynaeve sembrava paffuta. «A che servono i nostri consigli se non li ascolti?» chiese la donna. «A che servono?» Faile e Berelain si raddrizzarono in sella, assumendo entrambe una posizione più fiera possibile, ed emanando entrambe un odore che era insieme di aspettativa e incertezza. E di irritazione per l'incertezza: a nessuna delle due piaceva quella sensazione. Seonid era troppo lontana perché Perrin po-
tesse sentire il suo odore, ma il modo in cui teneva strette le labbra era di per sé indicativo del suo umore. L'ordine che le aveva dato Edarra - non parlare a meno che non le venisse chiesto - la rendeva furiosa. Eppure, senza alcun dubbio desiderava che Perrin seguisse il consiglio delle Sapienti: lo fissava intensamente, come se la pressione del suo sguardo potesse spingerlo nella direzione che le Aiel volevano fargli prendere. In verità, Perrin avrebbe voluto scegliere lei, ma esitava. Quanto era sincero il suo giuramento di lealtà a Rand? Più di quanto lui avrebbe creduto, a giudicare da quello che aveva visto sinora, ma fino a che punto ci si poteva fidare di un'Aes Sedai? L'arrivo dei due Custodi di Seonid gli concesse qualche altro minuto di tregua. Giunsero insieme, anche se erano andati via separatamente, tenendo i cavalli tra gli alberi lungo il bordo di quell'altura in modo che non fossero visibili dalla città. Furen era un Tarenese, scuro quasi come il terreno fertile, con striature di grigio tra i ricciuti capelli neri, mentre Teryl, del Murandy, era di vent'anni più giovane, capelli rosso scuro, baffi ricurvi e occhi più azzurri di quelli di Edarra; eppure i due uomini sembravano usciti dallo stesso stampo, alti, magri e duri. Smontarono agilmente di sella, coi mantelli che cambiavano colore e svanivano alla vista in un modo piuttosto inquietante, e fecero rapporto a Seonid, ignorando volutamente le Sapienti. E Perrin. «È peggio che a nord» disse disgustato Furen. Qualche goccia di sudore gli imperlava la fronte, ma nessuno di quei due uomini sembrava turbato dal caldo. «I nobili del posto si sono rinchiusi nei loro castelli o in città, e i soldati della regina se ne stanno all'interno delle mura. Hanno lasciato la campagna agli uomini del Profeta. E ai banditi, anche se ce ne sono pochi qui intorno. La gente del Profeta è dappertutto. Credo che Alliandre sarà lieta di vederti.» «Plebaglia» sbuffò Teryl, battendosi le redini su un palmo. «Non ne ho mai visti più di una ventina insieme, armati soprattutto di forconi e lance per la caccia al cinghiale. E vestiti di stracci come dei mendicanti. Sono buoni per spaventare i contadini, certo, ma credevo che i nobili li avrebbero sradicati e impiccati in massa. La regina ti bacerà le mani, alla vista di una sorella.» Seonid aprì bocca, poi lanciò un'occhiata a Edarra, che annuì. Ma l'aver ottenuto il permesso di parlare servì solo a far stringere ancor più la bocca della Verde. Il suo tono, però, fu morbido come burro. «Non hai più motivo di rimandare la tua decisione, lord Aybara.» Mise una certa enfasi sul
titolo, poiché sapeva esattamente che lui non ne aveva diritto. «Tua moglie vanta una grande casata e Berelain è una regnante, ma le casate della Saldea qui contano poco, e Mayene è la più piccola delle nazioni. Un'Aes Sedai come emissaria farà capire ad Alliandre che hai il sostegno della Torre.» Forse rendendosi conto che in quel caso andava altrettanto bene Annoura, Seonid si affrettò ad aggiungere: «Inoltre, io sono già stata nel Ghealdan, e il mio nome qui è noto. Alliandre non solo mi riceverà subito, ma presterà anche attenzione a ciò che dico.» «Io e Nevarin andremo con lei» disse Edarra, e Nevarin aggiunse: «Ci assicureremo che non dica più di quel che deve.» Seonid digrignò i denti abbastanza forte da far sentire il rumore, almeno per l'udito di Perrin, e si mostrò occupata a lisciarsi la gonna divisa, facendo attenzione a tenere gli occhi bassi. Annoura emise un suono molto simile a un grugnito, e si distolse da quello spettacolo: lei si teneva lontana dalle Sapienti, e non le piaceva vedere altre sorelle in loro compagnia. Perrin trattenne un gemito. Mandando la Verde si sarebbe tolto dai carboni ardenti, ma le Sapienti si fidavano delle Aes Sedai persino meno di lui, e tenevano Seonid e Masuri ben strette al guinzaglio. Da qualche tempo, cominciavano a girare storie sugli Aiel anche nei villaggi. Nessuno lì aveva mai visto un Aiel, ma le voci sul popolo che seguiva il Drago Rinato si rincorrevano nel vento, e metà della popolazione del Ghealdan era sicura che gli Aiel sarebbero arrivati tra uno o due giorni, e quelle storie erano tutte una più strana e orribile dell'altra. C'era il rischio che Alliandre si spaventasse troppo alla vista di due Aiel che davano ordini a un'Aes Sedai. E Seonid obbediva, nonostante quanto digrignasse i denti! E Perrin non aveva nessuna intenzione di far correre dei rischi a Faile sulla base di vaghe promesse di una felice accoglienza contenute in una lettera ricevuta mesi addietro. I carboni erano sempre più ardenti, proprio sotto i suoi piedi, ma Perrin non aveva scelta. «Un gruppo poco numeroso potrà varcare quei cancelli più facilmente» disse infine, infilando il cannocchiale nelle bisacce da sella. Un gruppo poco numeroso avrebbe fatto nascere anche meno storie. «Quindi, Berelain, andrete solo tu e Annoura. Forse anche lord Gallenne. Magari lo scambieranno per il Custode di Annoura.» Berelain ridacchiò di gioia, e si sporse a cingergli un braccio con tutte e due le mani. Ma non si limitò a questo, ovviamente. Le dita diedero una leggera stretta più simile a una carezza, e sul volto lampeggiò un sorriso caldo e provocante, poi Berelain si raddrizzò prima che lui potesse muo-
versi, il viso all'improvviso ingenuo come quella di una bambina. Faile, inespressiva, si concentrò nell'atto di aggiustarsi meglio i guanti grigi. A giudicare dal suo odore, non doveva aver notato il sorriso di Berelain. E nascondeva bene la sua delusione. «Mi dispiace, Faile,» le disse Perrin «ma...» La rabbia che esplose nell'odore di lei era pungente come spine. «Sono sicura che hai cose importanti da discutere con la Prima, marito» disse Faile con voce calma. I suoi occhi oblunghi erano pura serenità, ma l'odore era quello dei rovi più acuminati. «Adesso è meglio che ti occupi di lei, prima che parta.» Fece girare Rondine e la portò verso una fumante Seonid e le Sapienti coi loro volti tesi, ma non scese di sella né parlò con le altre donne. Guardò invece torva verso Bethal, un falco che fissava la preda dal suo nido. Perrin si rese conto di star tastando il proprio naso e mise giù la mano. Non c'era sangue, ovviamente, per quanto fosse stato forte e pungente l'odore di lei. Berelain non aveva bisogno di istruzioni dell'ultima ora - la Prima di Mayene e la Grigia sua consigliera erano impazienti di partire e sicure di sapere cosa dire e fare - ma Perrin sottolineò comunque l'importanza di fare attenzione, e si raccomandò che a parlare fosse Berelain e solo Berelain. Annoura gli rivolse una di quelle fredde occhiate da Aes Sedai e poi annuì. Il che poteva essere un cenno di assenso ma anche il contrario, e Perrin sapeva che da lei non avrebbe tirato fuori altro neppure con le tenaglie. Le labbra di Berelain erano piegate in sorriso divertito, anche se la donna accettava qualsiasi cosa lui le chiedesse. O almeno diceva di accettare. Perrin sospettava che Berelain avrebbe detto di tutto pur di ottenere ciò che voleva, ed era infastidito da quei sorrisi inopportuni. Gallenne aveva messo via il cannocchiale ma ancora giocherellava con le redini, senza dubbio mentre studiava il modo per uscire da Bethal insieme alle due donne anche nella peggiore delle situazioni. Perrin aveva voglia di ringhiare. Guardò i tre che cavalcavano verso la città e si sentì pieno di ansia. Il messaggio portato da Berelain era semplice. Rand capiva la cautela di Alliandre, ma se la regina voleva la sua protezione allora doveva essere disposta a dichiararsi apertamente dalla sua parte. E a quel punto la protezione sarebbe arrivata, soldati e Asha'man per fugare ogni dubbio, anche Rand stesso in caso di necessità. Berelain non aveva motivo di cambiare neanche una virgola di quel messaggio, nonostante i suoi sorrisi - Perrin pensava che fossero un altro modo per amoreggiare - ma Annoura... Le
Aes Sedai avevano il loro modo di agire, e il più delle volte solo la Luce ne conosceva le ragioni. Perrin avrebbe tanto voluto poter arrivare ad Alliandre senza servirsi di una sorella e senza far nascere dicerie. O senza far correre rischi a Faile. I tre cavalieri raggiunsero le porte, con Annoura in testa; la donna doveva aver rivelato la propria identità di Aes Sedai, perché le guardie sollevarono subito le lance, abbassarono archi e balestre. Poche persone avevano abbastanza fegato da mettere in dubbio le parole di una sorella. Ci fu appena un istante di pausa prima che Annoura si avviasse in città seguita dagli altri due. Anzi, i soldati erano sembrati ansiosi di farli passare e celarli alla vista di chiunque potesse trovarsi sulle colline. Alcuni di loro scrutarono le alture lontane, e Perrin non ebbe bisogno di sentire il loro odore per percepire il disagio col quale si chiedevano chi poteva nascondersi lassù e, cosa improbabile, riconoscere la sorella. Perrin si diresse a nord, verso l'accampamento, e guidò gli altri lungo la cresta finché non furono fuori portata delle torri di Bethal, poi piegò verso la via di terra battuta. Ai lati della strada erano sparse le fattorie, case coi tetti di paglia e fienili lunghi e stretti, pascoli secchi, campi stopposi e recinti per capre con alte mura di pietra, ma c'era poco bestiame in giro e ancor meno persone. Queste osservavano guardinghe i cavalieri, come anatre al cospetto di un branco di volpi, interrompendo le loro attività finché il gruppo a cavallo non era passato. Aram ricambiava i loro sguardi, talvolta sfiorando l'elsa della spada che gli sporgeva da dietro una spalla, forse nella speranza di trovare ben più di qualche contadino. Nonostante la giubba a strisce verdi, in lui era rimasto ben poco del Calderaio. Edarra e Nevarin camminavano accanto a Stepper, e per quanto sembrava che passeggiassero riuscivano comunque a tenere l'andatura del cavallo nonostante le gonne ingombranti. Seonid le seguiva da presso in groppa al suo castrone, a sua volta seguita da Furen e Teryl. La Verde dalle guance chiare fingeva di aver semplicemente scelto di cavalcare due passi dietro le Sapienti, ma i suoi Custodi erano palesemente accigliati. Spesso i Gaidin si preoccupavano della dignità delle Aes Sedai più di quanto non facessero loro stesse, e le Aes Sedai se ne preoccupavano comunque più di una regina. Faile teneva Rondine dall'altro lato delle Aiel, cavalcando in silenzio e studiando ostentatamente il paesaggio segnato dalla siccità. Magra e aggraziata, faceva sentire Perrin un po' goffo, nel migliore dei casi. Faile era come argento vivo, e lui la amava anche per questo, di solito, ma... Un de-
bole vento aveva cominciato a soffiare, abbastanza da portargli l'odore di Faile. Perrin sapeva che avrebbe dovuto pensare ad Alliandre e alla sua possibile risposta, o meglio ancora al Profeta e a come trovarlo dopo la risposta di Alliandre, qualsiasi fosse, ma questi argomenti non riuscivano a farsi spazio nella sua mente. Si era aspettato che Faile si adirasse quando aveva scelto Berelain, anche se Rand aveva mandato lì la Prima proprio per quello. Faile sapeva che lui non voleva farle correre pericoli, nemmeno alla lontana, cosa che disprezzava più di quanto disprezzava Berelain. Il suo odore era stato dolce come una mattina d'estate - finché lui non aveva provato a chiederle scusa! Be', le scuse di solito accendevano ancor più la sua furia, se era già arrabbiata quando non la facevano sbollire, almeno - ma in quel momento lei non era arrabbiata! Senza Berelain, tutto andava liscio come l'olio tra loro due. La maggior parte delle volte. Ma quando Perrin provava a farle capire che non faceva niente per incoraggiare quella donna - tutt'altro! - Faile gli rispondeva solo con un brusco 'Certo che no!', con un tono che in pratica gli dava dell'idiota per averlo specificato. Eppure Faile si infuriava comunque - e con lui! - ogni volta che Berelain gli sorrideva o trovava una scusa per toccarlo, nonostante la ruvidezza con cui Perrin la teneva lontano, e la Luce sapeva che era vero. A parte legarla, non sapeva che altro fare per scoraggiare quella donna. I suoi timidi tentativi per farsi spiegare da Faile cosa stava facendo di sbagliato potevano ricevere un leggero: 'Perché, credi davvero di star facendo qualcosa?' o un non proprio leggero: 'Tu cosa credi di aver fatto?' o un piatto: 'Non ho voglia di parlarne'. Perrin era sicuro di star facendo qualcosa di sbagliato, ma proprio non riusciva a capire cosa! Ma doveva capirlo. Niente era più importante di Faile. Niente! «Lord Perrin?» La voce eccitata di Aram si fece largo tra i suoi cupi pensieri. «Non chiamarmi in quel modo» mormorò Perrin, seguendo con lo sguardo la direzione indicatagli dall'altro: l'ennesima fattoria abbandonata, a una certa distanza lungo la strada, dove il fuoco aveva portato via il tetto da casa e fienile. Solo le pareti di pietra grezza erano rimaste in piedi. Una fattoria abbandonata, ma non deserta. Da quelle strutture si levavano delle grida di rabbia. Circa una decina di individui rozzamente vestiti e armati di lance e forconi stavano cercando di superare con la forza il muretto di pietra di un recinto per capre, mentre la manciata di uomini che erano all'interno tentava di respingerli. Diversi cavalli correvano e scartavano liberi nel recinto,
spaventati da quel baccano, e ce n'erano altri tre montati da donne. Queste però non si limitavano ad attendere gli esiti dello scontro; una di loro stava lanciando pietre e, mentre Perrin osservava la scena, un'altra menò un fendente con un lungo bastone e la terza fece impennare il cavallo, costringendo un tizio alto a balzare via dal muro per evitare gli zoccoli. Ma erano in troppi, e il recinto era troppo esteso per poterlo difendere bene. «Ti suggerirei di girare al largo» disse Seonid. Edarra e Nevarin le rivolsero sguardi feroci, ma lei proseguì tutto d'un fiato, con una fretta che ebbe la meglio anche sul suo tono pragmatico: «Quelli sono di sicuro gli uomini del Profeta, e uccidere i suoi è un pessimo modo per iniziare. Decine, centinaia di migliaia di persone potrebbero morire se fallisci con il Profeta. Vale la pena correre questo rischio per salvarne ora una manciata?» Perrin non aveva intenzione di uccidere nessuno, se poteva evitarlo, ma nemmeno era disposto a far finta di niente. Non perse tempo a dare spiegazioni, però. «Potete spaventarli?» chiese a Edarra. «Solo spaventarli?» Ricordava fin troppo bene quello che avevano fatto le Sapienti ai Pozzi di Dumai. Loro e gli Asha'man. Forse era un bene che Grady e Neald fossero rimasti all'accampamento. «Può darsi» rispose Edarra, studiando la folla accalcata intorno al recinto. Quasi scosse il capo, poi scrollò appena le spalle. «Può darsi.» Doveva bastare. «Aram, Furen, Teryl,» scattò Perrin «con me!» Spronò Stepper, e quando il cavallo balzò in avanti lui fu lieto di vedere che i Custodi lo seguivano da vicino. Quattro uomini lanciati alla carica facevano più scena di due. Tenne le mani sulle redini, lontane dall'ascia. Ma non fu altrettanto lieto quando Faile gli si affiancò in groppa a Rondine. Fece per dirle qualcosa, e lei lo guardò inarcando un sopracciglio. I suoi capelli neri erano bellissimi, mossi dal vento della loro corsa. Lei era bellissima. Un sopracciglio inarcato; nient'altro. Perrin non le disse quello che prima aveva pensato di dirle. «Guardami le spalle» le chiese invece. Considerando tutti i pugnali che Faile portava nascosti addosso, a volte Perrin si chiedeva come mai non finiva accoltellato quando provava ad abbracciarla. Non appena sua moglie tornò a guardare davanti a sé, lui fece un cenno ad Aram cercando di non farsi notare da Faile. L'uomo annuì, ma era già piegato in avanti, la spada snudata, pronto a infilzare il primo seguace del Profeta che gli capitava a tiro. Perrin si augurò che avesse capito il suo segnale: doveva guardare le spalle di Faile - e anche tutto il resto - se la si-
tuazione con quei tizi si metteva davvero male. Nessuno di quei farabutti si era ancora accorto di loro. Perrin urlò, ma quelli non parvero udirlo, assordati dalle loro stesse grida. Un uomo che indossava una giubba troppo grande riuscì a salire sul muretto, e altri due sembravano pronti a scavalcarlo. Se le Sapienti avevano intenzione di fare qualcosa, era meglio che... L'esplosione di un tuono assai vicino quasi stordì Perrin, un boato maestoso che fece incespicare Stepper prima che riprendesse l'andatura. Del tuono gli assalitori se ne accorsero; barcollarono e si guardarono intorno a occhi sgranati, alcuni di loro coprendosi le orecchie con le mani. Quello che era salito sul muretto perse l'equilibrio e cadde all'esterno. Balzò subito in piedi, però, gesticolando con rabbia verso il recinto, e alcuni dei suoi compagni vi si lanciarono di nuovo contro. Altri videro Perrin e lo indicarono urlando, ma nessuno fuggì. Alcuni alzarono le armi. All'improvviso, un disco di fuoco apparve sopra il recinto, pari per diametro all'altezza di un uomo, e scagliò in giro piccole fiamme mentre vorticava con una sorta di urlo che saliva e scendeva in un continuo alternarsi di gemito doloroso e lamento funebre. Gli uomini con abiti rozzi si sparpagliarono in ogni direzione come quaglie. Per un istante quello con la giubba troppo grande agitò le braccia e urlò ai suoi compagni, poi con un'ultima occhiata alla ruota di fuoco sfrecciò via anche lui. Perrin quasi scoppiò a ridere. Non avrebbe dovuto uccidere nessuno. E nemmeno doveva preoccuparsi che Faile si beccasse una forconata tra le costole. Le persone all'interno del recinto parevano spaventate quanto quelle all'esterno. Una di loro, quanto meno. La donna che aveva fatto impennare il cavallo aprì la porticina e fuggì via al galoppo. Risalì la strada, allontanandosi da Perrin e gli altri. «Aspetta!» le gridò lui. «Non vogliamo farti del male!» Che l'avesse sentito o meno, la donna continuò ad agitare le redini. Un fagotto legato dietro la sua sella rimbalzava all'impazzata. Forse in quel momento gli assalitori stavano ancora fuggendo più veloce che potevano, ma se lei andava via da sola due o tre di loro sarebbero stati sufficienti a ferirla. Perrin si appiattì contro il collo di Stepper e spronò il cavallo che si lanciò in avanti come una freccia. Perrin era grosso, ma Stepper non si era guadagnato la sua fama solo perché aveva un'andatura baldanzosa. Inoltre, a giudicare dalla sua corsa
claudicante, il cavallo della donna non era propriamente una bestia da galoppo. A ogni falcata Stepper era più vicino, sempre di più, finché Perrin poté sporgersi e afferrare le briglie dell'altro cavallo. Da vicino, si accorse che quella giumenta dal muso schiacciato era messa davvero male, già coperta di schiuma ed esausta per quella breve corsa. Perrin fece rallentare entrambi gli animali fino a farli fermare. «Ti chiedo perdono, signora, se ti ho spaventato» disse. «Davvero, non ho intenzione di farti del male.» Per la seconda volta quel giorno, le sue parole di scusa non ottennero il risultato che si aspettava. Gli occhi azzurri della donna lo guardarono con furia da un volto circondato da lunghi ricci ramati, un volto nobile come quello di una regina nonostante fosse impiastricciato di polvere e sudore. L'abito era di lana semplice, segnato dal viaggio e polveroso almeno quanto le guance, ma l'espressione della donna era furente, oltre che regale. «Non ho bisogno...» cominciò a dire con toni glaciali, mentre tentava di liberare il suo cavallo, poi si interruppe quando un'altra donna, capelli bianchi e corpo ossuto, arrivò al galoppo su una magra giumenta marrone conciata ancora peggio della sua. Quelle persone dovevano aver fatto un viaggio lungo e difficile. Anche la donna più anziana era esausta e sporca di polvere. Alternava sguardi raggianti a Perrin, che ancora teneva le redini di tutti e due i cavalli, e occhiate torve alla sua compagna. «Grazie, mio signore.» La voce, sottile ma forte, divenne per un attimo stridula quando la donna notò i suoi occhi, ma la vista di un uomo con gli occhi dorati la fece appena rallentare. Quella donna non si spaventava facilmente. Reggeva ancora il grosso bastone che aveva usato come arma. «Un salvataggio davvero tempestivo. Maighdin, che ti è passato per la mente? Hai rischiato di farti uccidere! E di far uccidere anche noi! Perdona l'impetuosità di questa ragazza, mio signore, ha sempre saltato il fosso senza prima guardare. Ricorda, figliola, solo un idiota abbandona i suoi amici e scambia argento con ottone luccicante. Ti ringraziamo, mio signore, e anche Maighdin ti ringrazierà, non appena sarà tornata in sé.» Maighdin, di almeno dieci anni più grande di Perrin, poteva essere definita 'ragazza' solo a confronto con l'altra donna, ma nonostante le smorfie piene di sospetto che ben si accompagnavano con l'odore da lei emanato, frustrazione mista a rabbia, subì quella lavata di capo facendo solo un ultimo tentativo di liberare il suo cavallo prima di arrendersi. A quel punto poggiò le mani sul pomello della sella, rivolse a Perrin un torvo sguardo
d'accusa, poi sbatté le palpebre. Gli occhi gialli. Eppure, nonostante avesse notato quella stranezza, la donna non odorava di paura. Quella più anziana sì, ma Perrin non credeva di essere lui il motivo. Un altro dei compagni di Maighdin, un uomo non rasato in sella a un altro cavallo malconcio, un grigio con le ginocchia nodose, si era avvicinato mentre la vecchia parlava, ma si era tenuto in disparte. Era alto, alto quanto Perrin anche se assai meno largo di spalle, e indossava una giubba scura consumata dal viaggio e chiusa in vita da un cinturone cui era appesa una spada. La lieve brezza soffiò di nuovo e portò a Perrin il suo odore. L'uomo non era spaventato, ma agitato. E, a giudicare dal modo in cui guardava Maighdin, era lei a innervosirlo. Forse non si era trattato semplicemente di salvare dei viaggiatori da una banda di malintenzionati. «Forse dovreste venire tutti al mio accampamento» disse Perrin, lasciando infine le briglie dell'altro cavallo. «Sarete al sicuro dai... briganti... lì.» Quasi si aspettava che Maighdin tentasse la fuga verso il più vicino boschetto, ma la donna fece girare la giumenta insieme a Stepper, di nuovo verso il recinto di capre. Aveva un odore di... rassegnazione. Ciò nonostante, disse: «Grazie per l'offerta, ma io... noi... dobbiamo continuare il nostro viaggio. Andremo avanti, Lini» aggiunse con fermezza quando la donna più anziana la guardò con tanta durezza che Perrin si chiese se non erano madre e figlia, nonostante si chiamassero per nome. Certo non si somigliavano affatto. Lini aveva un volto sottile e la pelle come pergamena, era magra e nodosa, mentre Maighdin doveva nascondere una grande bellezza sotto tutta quella polvere. Per chi apprezzava i capelli chiari. Perrin si girò indietro a controllare l'uomo che si era accodato. Un tizio dall'aspetto duro che aveva bisogno di un rasoio e un pezzo di sapone. Forse a lui piacevano i capelli chiari. Forse gli piacevano troppo. Non sarebbe stato il primo uomo a causare guai a sé stesso e ad altri per un motivo del genere. Davanti a loro, Faile era ferma in sella a Rondine e scrutava da sopra il muretto la gente all'interno del recinto per capre. Forse qualcuno si era ferito. Di Seonid e le Sapienti non c'era traccia. Aram doveva aver capito: era vicino a Faile, anche se guardava impaziente verso Perrin. Il pericolo era chiaramente scampato, però. Prima che Perrin fosse a metà strada dal recinto, Teryl si materializzò con un uomo dagli occhi stretti e una barba corta e ispida che caracollava
accanto al suo roano, il colletto della giubba stretto nel pugno del Custode. «Ho pensato che dovessimo prendere uno di loro» disse Teryl con un sorriso truce. «È sempre meglio ascoltare entrambe le parti, qualsiasi cosa tu abbia visto: il mio vecchio lo diceva sempre.» Perrin fu sorpreso: aveva creduto che la capacità di pensiero di quell'uomo finisse dove arrivava la punta della sua spada. Anche tirata in quel modo, la logora giubba del prigioniero era palesemente troppo grande. Perrin non sapeva se qualcun altro era riuscito a guardarlo bene da così lontano, ma lui riconobbe da subito anche il grosso naso. Quell'uomo era stato l'ultimo a fuggire, e neanche adesso sembrava impaurito. La sua smorfia di derisione era rivolta a tutti. «Vi state mettendo davvero nei guai» disse con voce gracchiante. «Si stava facendo il volere del Profeta, noialtri. Il Profeta dice che se un uomo infastidisce una donna che non lo vuole, allora deve morire. Questi stavano correndo dietro a lei,» indicò Maighdin con uno scatto del mento «che scappava a più non posso. Il Profeta vi farà mozzare le orecchie, per quello che avete combinato!» Sputò, come per dare maggiore enfasi alle sue parole. «Tutto questo è ridicolo» annunciò Maighdin con voce limpida. «Loro sono miei amici. Quest'uomo ha completamente frainteso ciò che ha visto.» Perrin annuì, e se la donna pensava che l'avesse fatto per darle ragione, tanto meglio. Ma mettendo le parole di quel tizio insieme al discorso fatto da Lini... Una faccenda tutt'altro che semplice. Faile e gli altri li raggiunsero, seguiti dai compagni di viaggio di Maighdin, altri tre uomini e una donna, ognuno con al seguito un cavallo esausto che avrebbe potuto fare sì e no qualche altro chilometro. Non che fossero delle bestie di razza, in ogni caso. Perrin non ricordava di aver mai visto una migliore collezione di ginocchia rigonfie, zampe storte e schiene incurvate. Come sempre, il suo sguardo andò per prima cosa a Faile - e le narici si dilatarono nel tentativo di cogliere il suo odore - ma Seonid catturò subito la sua attenzione. Accasciata in sella, paonazza e imbronciata, sembrava strana, con le guance gonfie e la bocca mezzo aperta. Stringeva qualcosa tra le labbra, qualcosa di rosso e blu... Perrin sbatté le palpebre. A meno che non stava immaginando tutto, Seonid aveva un fazzoletto ripiegato ficcato in bocca! E così quando le Sapienti dicevano a una loro allieva di stare zitta facevano sul serio, anche se l'allieva era un'Aes Sedai. Perrin non era l'unico ad avere una vista acuta; Maighdin rimase a occhi aperti quando notò Seonid, poi guardò lui come se lo considerasse respon-
sabile di quel fazzoletto. E così era capace di riconoscere un'Aes Sedai a prima vista... Una qualità poco comune per una donna vestita da campagnola. Anche se non aveva affatto l'aria di una campagnola. Furen, che cavalcava accanto a Seonid, aveva la faccia scura come nubi di temporale, ma fu Teryl a complicare ancor più la situazione quando lanciò un oggetto a terra. «Questo l'ho trovato dietro di lui,» disse «dove forse l'ha lasciato cadere mentre correva.» Sulle prime Perrin non capì costa stava guardando, un lungo laccio di cuoio dal quale pendevano cose che sembravano etichette di pelle grinzosa. Poi se ne rese conto, e snudò i denti in un ringhio. «Il Profeta ci farà mozzare le orecchie, hai detto.» L'uomo con la barbetta smise di fissare Seonid e si leccò le labbra. «Quella... quella è opera di Hari!» protestò. «Hari è un duro. Gli piace tenere il conto, prendere trofei, e lui... ah...» Strinse le spalle nella sua giubba fuori misura, poi parve crollare in sé stesso come un cane spaventato. «Non potete accusarmi di quello! Il Profeta vi farà impiccare se mi toccate! Ha già impiccato dei nobili, lord o lady che fossero. Io cammino nella Luce benedetta del lord Drago!» Perrin guidò Stepper verso quell'uomo, facendo attenzione a tenere gli zoccoli del cavallo lontani da... dall'oggetto sul terreno. Odiava avere l'odore di quel tizio nelle narici adesso, ma si piegò comunque, avvicinando il proprio volto a quello di lui. Il puzzo di sudore rancido faceva a gara con quello della paura e del panico, e c'era anche una sfumatura di rabbia. Purtroppo non si sentiva nessun odore di colpevolezza. 'Forse l'ha lasciato cadere' non significava 'di sicuro l'ha lasciato cadere'. Gli occhi stretti ora sgranati, l'uomo si spinse contro il castrone di Teryl. A volte gli occhi gialli potevano essere utili. «Se potessi accusarti di quello, ti avrei già impiccato a un albero» ringhiò Perrin. Il tizio sbatté le palpebre e cominciò a ringalluzzirsi quando capì cosa significava quella frase, ma Perrin non gli diede tempo di recuperare la sua arroganza. «Io sono Perrin Aybara, ed è stato il tuo prezioso lord Drago a mandarmi qui. Fai girare la voce. Mi ci ha mandato lui, e se trovo un uomo con... i trofei... lo impicco! Se trovo un uomo che brucia una fattoria, lo impicco! Se uno di voi mi guarda storto, lo impicco! E puoi riferire le mie parole anche a Masema!» Disgustato, Perrin si raddrizzò. «Lascialo andare, Teryl. Se tra due secondi non è sparito dalla mia vista...» Il Custode aprì la mano, e l'uomo scattò a rotta di collo verso gli alberi più vicini, senza mai voltarsi indietro. Parte del disgusto che Perrin prova-
va era per sé stesso. Minacce! Se uno di loro lo guardava storto? D'altronde, se anche quell'uomo senza nome non aveva tagliato personalmente quelle orecchie, di sicuro era rimasto a guardare senza dire nulla mentre altri lo facevano. Faile stava sorridendo, e l'orgoglio riluceva sotto il sudore che le copriva il viso. Quello sguardo lavò via parte della repulsione di Perrin. Avrebbe camminato scalzo attraverso il fuoco per quello sguardo. Non tutti approvarono il suo comportamento, ovviamente. Seonid teneva gli occhi strizzati, e i pugni infilati nei guanti tremavano stretti intorno alle redini come se la donna volesse disperatamente strapparsi quel fazzoletto di bocca e dirgli come la pensava. Perrin immaginava di saperlo comunque. Edarra e Nevarin si erano strette lo scialle addosso e gli stavano lanciando occhiate cupe. Oh, certo, c'era da prevederlo. «Mi pareva di aver capito che doveva essere un segreto» disse con naturalezza Teryl mentre osservava l'uomo in fuga. «Credevo che Masema non dovesse sapere che eri qui finché non andavi a sussurrare nel suo bell'orecchio.» Il piano era quello. Rand l'aveva suggerito come precauzione, Seonid e Masuri l'avevano sottolineato in ogni occasione. Dopo tutto, Profeta del lord Drago o meno, Masema avrebbe potuto rifiutarsi di stare faccia a faccia con qualcuno mandato da Rand, considerando le cose che si diceva facessero i suoi uomini. E quella cosa delle orecchie non era neppure la peggiore, se c'era da credere anche solo a un decimo delle storie che giravano sul suo conto. Edarra e le altre Sapienti vedevano Masema come un possibile nemico, uno al quale bisognava tendere un'imboscata prima che potesse a sua volta piazzare una trappola. «Il mio compito è proprio mettere fine a... quello» disse Perrin indicando con rabbia il laccio di cuoio ancora a terra. Aveva sentito quelle storie e non aveva fatto niente. Ma adesso aveva visto con i suoi occhi. «Tanto vale cominciare da subito.» E se Masema decideva che lui era un nemico? Quante migliaia di persone seguivano il Profeta, per convinzione o per paura? La cosa non aveva importanza. «Deve finire, Teryl. Deve finire!» Il Custode del Murandy annuì lentamente, e guardò Perrin come se lo vedesse per la prima volta. «Lord Perrin?» lo chiamò Maighdin. Lui si era completamente dimenticato della donna e dei suoi amici. Si erano radunati un po' in disparte, quasi tutti ancora a piedi. C'erano altri tre uomini a parte quello che aveva seguito Maighdin, e due di loro si tenevano nascosti dietro i cavalli. Lini
sembrava la più circospetta di tutti, e guardava Perrin con un'aria di concentrata preoccupazione; teneva il proprio cavallo accanto a quello di Maighdin, e sembrava pronta ad afferrarne anche lei le briglie. Non per impedire alla donna più giovane di schizzare via, ma per schizzare via lei per prima portando con sé Maighdin. Quest'ultima sembrava assolutamente a suo agio, ma anche lei studiava Perrin. Non che la cosa fosse strana, dopo tutte quelle chiacchiere sul Profeta e il Drago Rinato, come se non fossero sufficienti i suoi occhi. E senza contare la Aes Sedai imbavagliata. Perrin si aspettava che la donna gli dicesse che lei e gli altri volevano andar via adesso, subito, ma invece la sentì dichiarare: «Accettiamo la tua gentile offerta. Un giorno o due di riposo nel tuo accampamento potrebbero essere proprio ciò di cui abbiamo bisogno.» «Come preferisci, signora Maighdin» rispose lui lentamente. E celando con difficoltà il suo stupore. Soprattutto visto che aveva appena riconosciuto i due uomini che si sforzavano di restare nascosti dietro ai cavalli. Era stata la sua influenza di ta'veren a portarli lì? In ogni caso, era una strana svolta. «Potreste davvero averne bisogno.» 8
Una semplice donna di campagna Il campo era a circa una lega di distanza, ben lontano dalla strada e nascosto in mezzo a basse colline boscose, subito oltre un torrente che era pietra per dieci passi di ampiezza e acqua per cinque, ma mai più profonda di un metro. Piccoli pesci verdi e argento guizzavano via dagli zoccoli dei cavalli. Era improbabile che da quelle parti passasse qualcuno. La fattoria abitata più vicina era a quasi due chilometri, e Perrin aveva controllato di persona per assicurarsi che quella gente portasse le bestie ad abbeverarsi altrove. Si era davvero impegnato a destare meno attenzioni possibile, viaggiando su vie secondarie e minuscoli sentieri di campagna quando non potevano restare tra i boschi. Uno sforzo inutile, alla fine. I cavalli potevano pascolare ovunque ci fosse dell'erba, ma avevano bisogno almeno di un po' di
grano, e anche il più piccolo degli eserciti doveva comprare cibo, tanto cibo. Ogni uomo ne consumava quasi due chili al giorno, tra carne, farina e legumi. Le voci dovevano essere arrivate fino al Ghealdan, ormai, anche se con un po' di fortuna nessuno sospettava chi fossero loro. Perrin fece una smorfia. Forse \ prima era così, ma ormai lui aveva rovinato tutto con la sua boccaccia. Eppure, tornando indietro avrebbe rifatto le stesse cose. In realtà di accampamenti ce n'erano tre, uno vicino all'altro e non lontani dal corso d'acqua. Quelle persone viaggiavano insieme e seguivano tutte lui, si supponeva che gli obbedissero, ma erano coinvolte troppe individualità, e nessuno era sicuro che gli altri perseguissero lo stesso obiettivo. Circa novecento Guardie Alate avevano acceso i loro fuochi da campo tra file di cavalli impastoiati in un prato di erba marrone tutta calpestata. Perrin provò a tenere fuori dal naso gli odori misti di cavalli, sudore, letame e carne di capra messa a bollire, una combinazione sgradevole in una giornata calda. Le sentinelle a cavallo facevano i loro giri di pattuglia divise per coppie, erano in tutto una decina e le lunghe lance con il fiocco rosso erano inclinate tutte allo stesso, identico angolo, ma gli altri Mayenesi si erano tolti elmi e pettorali. Senza giubba e spesso anche senza camicia per via del sole, se ne stavano stesi o giocavano a dadi mentre aspettavano di mangiare. Alcuni alzarono lo sguardo al passaggio di Perrin, altri si distolsero da quello che stavano facendo per studiare le nuove aggiunte al suo gruppo, ma nessuno arrivò di corsa, quindi i soldati di pattuglia dovevano essere ancora in giro. Piccoli gruppi, senza lance, che potevano vedere senza essere visti. Be', quella era la speranza. Prima, almeno. Una manciata di gai'shain svolgevano le loro svariate commissioni tra le basse tende grigie e marroni delle Sapienti sulla cima poco alberata della collina che sovrastava il campo dei Mayenesi. Da lontano, quelle figure vestite di bianco sembravano innocue, sguardi bassi e portamento umile. Da vicino l'impressione restava identica, ma erano quasi tutti Shaido. Le Sapienti sostenevano che i gai'shain erano solo gai'shain, ma Perrin non si fidava di nessuno Shaido. Su un lato di quel pendio, sotto un albero malconcio, circa dieci Fanciulle in cadin'sor erano inginocchiate in cerchio intorno a Sulin, la più dura di tutte nonostante i capelli bianchi. Anche lei aveva mandato le sue sentinelle, donne che a piedi potevano essere veloci come gli uomini di Mayene a cavallo e avevano molte più possibilità di evitare attenzioni indesiderate. Nessuna delle Sapienti era all'aperto, ma una donna slanciata che stava mescolando lo stufato in una grande pentola si raddrizzò, con i pugni premuti alla base della schiena, e osservò il passag-
gio di Perrin e gli altri. Indossava un abito da cavallerizza in seta verde. Perrin poté vedere la rabbia sul volto di Masuri. Di solito le Aes Sedai non rimestavano stufati né svolgevano le decine di altri compiti che le Sapienti continuavano ad assegnare a Seonid e le altre. Masuri dava la colpa di tutto questo a Rand, ma lì non c'era lui, c'era Perrin. E se solo avesse potuto, la donna lo avrebbe scuoiato al posto di Rand. Edarra e Nevarin si diressero verso Masuri, e nonostante le gonne ingombranti agitarono appena gli strati di foglie morte che ricoprivano il terreno. Seonid le seguì, le guance ancora rigonfie per via del fazzoletto. Si girò sulla sella, per guardare Perrin. Lui non credeva che le Aes Sedai potessero sembrare ansiose, eppure era proprio questa l'espressione di Seonid. Furen e Teryl che cavalcavano dietro di lei erano invece torvi. Masuri vide arrivare le Sapienti e si piegò subito verso il pentolone, mescolando con rinnovato vigore nel tentativo di dare a vedere che non si era mai fermata. Finché quella donna restava in mano alle Sapienti, Perrin pensava che non avrebbe dovuto preoccuparsi di essere scuoiato. Le Sapienti la tenevano a un guinzaglio molto corto. Nevarin si girò indietro a guardare Perrin, un'altra di quelle cupe occhiate che lei e Edarra non facevano che rivolgergli da quando aveva avvisato, minacciato, l'uomo con la barba corta e ispida. Perrin sospirò per l'esasperazione. Non doveva preoccuparsi di essere scuoiato, a meno che le Sapienti non decidessero di volere loro la sua pellaccia. Troppe individualità. Troppi obiettivi. Maighdin cavalcava accanto a Faile e mostrava di non prestare alcuna attenzione a ciò che aveva intorno, ma Perrin non ci avrebbe scommesso una monetina di rame sulla sincerità di quell'atteggiamento. Gli occhi della donna si erano appena un po' allargati alla vista delle sentinelle di Mayene. Oltre a essere in grado di riconoscere il volto di un'Aes Sedai, sapeva cos'erano quei pettorali rossi e quegli elmi simili a pentole con l'orlo. Moltissime persone, soprattutto se vestite come lei, non avrebbero potuto identificare né una sorella né quei soldati. Era un mistero, questa Maighdin. E per qualche motivo gli sembrava vagamente familiare. Lini e Tallanvor - questo era il nome col quale Maighdin si era rivolta all'uomo che l'aveva seguita, 'giovane' Tallanvor, nonostante tra i due ci fossero al massimo quattro o cinque anni di differenza - stavano vicino a Maighdin per quanto glielo concedeva la presenza di Aram, che si teneva alle calcagna di Perrin. E vicino a Maighdin provava a starci anche uno stecco d'uomo con la bocca increspata, un tale Balwer, che sembrava pre-
stare ancor meno attenzione di lei a ciò che aveva intorno. Ciò nonostante, Perrin pensava che Balwer vedesse e capisse ancor più di quella donna. Non si sapeva spiegare il motivo di questa convinzione, ma le poche volte che era riuscito a cogliere l'odore di quell'individuo ossuto aveva pensato a un lupo che annusa l'aria. Stranamente, non c'era paura in Balwer, solo punte di irritazione subito soppresse che guizzavano nel tremolante odore dell'impazienza. Gli altri compagni di Maighdin seguivano il gruppo più da lontano. La terza donna, Breane, sussurrava con foga a un tizio massiccio che teneva lo sguardo basso e a volte annuiva in silenzio, altre scuoteva il capo. Lui sembrava il tipico bullo rissoso, ma anche la donna per quanto piccola aveva un aspetto di durezza. A chiudere il gruppo dietro questi due c'era un uomo grosso con un malconcio cappello di paglia premuto basso sulla testa. Addosso a lui, la spada che portavano tutti gli altri faceva un effetto strano come quella di Balwer. La terza parte dell'accampamento si stendeva tra gli alberi intorno alla curva della collina dei Mayenesi e copriva quasi la stessa superficie del campo delle Guardie Alate, pur ospitando molte meno persone. Qui i cavalli erano impastoiati ben lontano dai fuochi per cucinare, e l'aria era piena solo del profumo della cena. Capra arrosto, in questo caso, e rape dure che i contadini avrebbero dato ai maiali anche in tempi duri come quelli attuali. I circa trecento uomini dei Fiumi Gemelli che avevano seguito Perrin da casa si stavano occupando della carne sugli spiedi, rammendavano i vestiti, controllavano archi e frecce, tutti sparsi in gruppi disordinati di cinque o sei amici intorno ai fuochi. Quasi tutti salutarono e acclamarono il suo arrivo, anche se si sentì fin troppe volte 'lord Perrin' e 'Perrin Occhidoro'. Faile almeno aveva diritto ai titoli coi quali la chiamavano. Grady e Neald, senza sudare nonostante le giubbe nere come la notte, non lo acclamarono; in piedi accanto al fuoco che avevano preparato in disparte dagli altri, si limitarono a guardarlo. Con espressioni di attesa, pensò lui. Ma attesa per cosa? Perrin si faceva sempre questa stessa domanda, riguardo a quei due. Gli Asha'man lo mettevano a disagio, più delle Aes Sedai o le Sapienti. Che le donne incanalassero il Potere era naturale, anche se questo non metteva esattamente gli uomini a loro agio. Grady col suo volto semplice sembrava un contadino malgrado la giubba e la spada, e Neald un damerino coi suoi baffi ricurvi, eppure Perrin non poteva dimenticare chi erano in realtà quei due, cosa avevano fatto ai Pozzi di Dumai. D'altro canto, però, ai Pozzi c'era stato anche lui. Che la Luce lo aiutasse, c'era stato eccome. Allontanando la mano dall'ascia che portava alla cintu-
ra, scese da cavallo. I servitori, uomini e donne del palazzo di lord Dobraine a Cairhien, arrivarono di corsa dalle file di cavalli già impastoiati per prendere anche i loro animali. Erano tutti più bassi di Perrin, vestiti da campagnoli, e continuavano a inchinarsi con fare ossequioso. Faile gli aveva spiegato che i suoi tentativi per farli smettere, o almeno per ottenere che si piegassero meno spesso al suo cospetto, servivano solo a farli agitare; e in effetti, quando Perrin ci aveva provato, l'odore dei servitori era stato davvero pieno di agitazione, e dopo un paio d'ore avevano ricominciato da capo con inchini e riverenze. Altri servitori, numerosi quasi quanto gli uomini dei Fiumi Gemelli, stavano badando ai cavalli o alle due file di carri dalle alte ruote che contenevano tutte le loro provviste. Alcuni sfrecciavano dentro e fuori da una grande tenda bianca e rossa. Come al solito, la vista di quella tenda strappò a Perrin un cupo grugnito. Berelain ne aveva una anche più grande nella parte di accampamento riservata ai Mayenesi, insieme a un'altra per le sue due ancelle e un'altra ancora per la coppia di cacciatori di ladri che aveva insistito a portarsi dietro. Anche Annoura aveva una tenda tutta sua, e lo stesso valeva per Gallenne, ma lì, in quel settore del campo, solo lui e Faile ce l'avevano. Dal canto suo, Perrin avrebbe dormito sotto il cielo come tutti gli altri suoi conterranei, che come unica protezione avevano una coperta. Di sicuro non c'era da temere la pioggia. I servitori cairhienesi si stendevano sotto i carri. Perrin, però, non poteva chiedere a Faile di fare una cosa del genere, soprattutto visto che Berelain aveva una tenda. Se solo avessero potuto lasciare Berelain a Cairhien... Ma in quel caso avrebbe dovuto mandare Faile a Bethal. La coppia di bandiere issate su pali tagliati di fresco al centro di un piccolo spiazzo vicino alla tenda inacidì ancor di più il suo umore. La brezza si era lievemente rinforzata, anche se era ancora troppo calda; gli parve di sentire di nuovo quel rumore di tuono, debole a ovest. Le bandiere si dispiegavano in lente ondate, cadevano sotto il proprio peso, poi sventolavano di nuovo. La rossa testa di lupo e l'aquila rossa, la sua bandiera personale e lo stendardo del defunto Manetheren erano di nuovo esposti malgrado i suoi ordini in senso contrario. Perrin poteva anche aver smesso di nascondersi, in un certo senso, ma quello che adesso si chiamava Ghealdan un tempo era stato parte del Manetheren: Alliandre non sarebbe certo stata contenta se avesse saputo di quella bandiera! Perrin riuscì comunque a rivolgere un piacevole sorriso alla donna tarchiata che gli fece una profonda
riverenza e portò via Stepper, ma gli costò molto. Ai nobili era dovuta obbedienza, e se lui doveva davvero essere un lord allora stava facendo un pessimo lavoro. Coi pugni sui fianchi, Maighdin rimase a studiare quelle bandiere sventolanti mentre il suo cavallo veniva portato via insieme agli altri. Cosa sorprendente, Breane aveva preso entrambi i loro fagotti e li teneva goffamente, fissando l'altra con un cipiglio torvo e petulante. «Ho sentito parlare di bandiere come quelle» disse all'improvviso Maighdin. All'improvviso e con rabbia. Non c'era rabbia nella sua voce, e il volto era liscio e freddo come ghiaccio, ma Perrin si sentì il naso assalito dalla furia. «Sono state innalzate in Andor, ai Fiumi Gemelli, da uomini che si sono ribellati contro la loro legittima sovrana. Aybara è un nome dei Fiumi Gemelli, mi pare.» «Non ne sappiamo molto di legittimi sovrani nei Fiumi Gemelli, signora Maighdin» ringhiò lui. Questa volta avrebbe davvero scuoiato vivo chiunque avesse issato quelle bandiere. Se le storie sulla ribellione erano arrivate fin lì... Affrontava già troppe complicazioni, non aveva bisogno che se ne aggiungessero altre. «Immagino che Morgase fosse una buona regina, ma noi abbiamo sempre dovuto badare a noi stessi, e l'abbiamo fatto.» A un tratto capì chi gli ricordava quella donna. Elayne. Non che la cosa significasse alcunché; in posti lontani migliaia di chilometri dai Fiumi Gemelli, aveva visto uomini che avrebbero potuto far tranquillamente parte delle famiglie che lui conosceva giù a casa. Eppure, doveva pur esserci qualche motivo per la furia di Maighdin. Il suo accento poteva in effetti essere andorano. «Le cose in Andor forse non vanno male come hai sentito» le disse. «Caemlyn era tranquilla, l'ultima volta che ci sono passato, e Rand - il Drago Rinato - ha intenzione di mettere Elayne, la figlia di Morgase, sul Trono del Leone.» Tutt'altro che rasserenata, Maighdin si girò verso di lui, con gli occhi azzurri in fiamme. «Ha intenzione di mettere lei sul trono? Nessun uomo mette una regina sul Trono del Leone! Elayne sarà la regina di Andor per diritto!» Perrin si grattò la testa, augurandosi che Faile la smettesse di osservare quella donna con tanta calma e dicesse qualcosa. Ma lei non fece altro che infilarsi i guanti nella cintura. Prima che Perrin potesse pensare a una risposta, intervenne Lini, che afferrò un braccio di Maighdin e la scrollò abbastanza forte da farle battere i denti. «Chiedi scusa!» abbaiò l'anziana. «Quest'uomo ti ha salvato la vita,
Maighdin, e tu dimentichi le buone maniere: una semplice campagnola come te non può parlare a un lord in quel modo! Ricorda chi sei, e bada a che la tua lingua non ti faccia finire in acque ancor più bollenti! Se questo giovane lord aveva dei problemi con Morgase... be', tutti sanno che lei è morta, e in ogni caso non sono cose che ti riguardano! Ora chiedi scusa prima che lui si innervosisca!» Maighdin fissò Lini e mosse la bocca come per parlare, anche più sbalordita di Perrin. E di nuovo lo sorprese quando, invece di esplodere contro la donna dai capelli bianchi, si raddrizzò lentamente, squadrò le spalle e guardò lui negli occhi. «Lini ha assolutamente ragione. Non ho diritto di parlarti in quel modo, lord Aybara. Ti chiedo scusa. Umilmente. E imploro il tuo perdono.» Umilmente? L'espressione ostinata, il tono abbastanza fiero da sembrare un'Aes Sedai, e l'odore era quello di una persona pronta a masticare sassi. «Ti ho già perdonato» si affrettò a rispondere Perrin. Cosa che non parve affatto placarla. Maighdin sorrise, e forse voleva fargli credere che fosse per gratitudine, ma lui sentì il rumore dei denti digrignati. Possibile che tutte le donne fossero pazze? «I nostri ospiti sono accaldati e sudati, marito,» disse Faile, decidendo finalmente di intervenire «e mi rendo conto che le ultime ore devono essere state difficili per loro. Aram, mostra pure agli uomini dove possono darsi una rinfrescata. Io accompagnerò le donne. Farò portare dei panni bagnati per lavarvi mani e faccia» aggiunse, rivolta a Lini e Maighdin. Chiamando anche Breane, le guidò verso la tenda. A un cenno del capo di Perrin, Aram indicò agli uomini di seguirlo. «Non appena hai finito di lavarti, mastro Gill, vorrei parlare con te» disse Perrin. Fu come se avesse creato anche lui un disco di fuoco. Maighdin si girò di scatto a fissarlo, e le altre due donne si fermarono, raggelate. Tallanvor all'improvviso aveva di nuovo una mano stretta intorno all'elsa della spada, e Balwer stava in punta di piedi, guardando da sopra il suo fagotto, con la testa piegata prima da un lato e poi dall'altro. Non un lupo, forse; qualche specie di uccello, in guardia contro i gatti. L'uomo corpulento, Basel Gill, lasciò cadere le sue cose e fece un balzò di mezzo metro. «Accidenti, Perrin» balbettò, togliendosi il cappello di paglia. Il sudore disegnava scie nello sporco sulle sue guance. L'uomo si piegò a riprendere il fagotto, cambiò idea e si raddrizzò in tutta fretta. «Voglio dire, lord Perrin. Io... ehm... avevo pensato che fossi tu, ma... ma quando loro hanno
preso a chiamarti lord ero sicuro che non volessi essere riconosciuto da un vecchio locandiere.» Passandosi un fazzoletto sulla testa quasi calva, rise nervosamente. «Ovviamente, parlerò con te. Il bagno può aspettare un altro po'.» «Ciao, Perrin» disse l'uomo muscoloso. Con quelle palpebre pesanti, Lamgwin Dorn sembrava pigro nonostante i muscoli e le cicatrici su faccia e mani. «Avevamo saputo che il giovane Rand è il Drago Rinato, io e mastro Gill. Avremmo dovuto immaginarcelo che anche tu saresti spuntato fuori. Perrin Aybara è una brava persona, signora Maighdin. Penso che potresti concedergli tutta la tua fiducia.» Non era pigro, e nemmeno stupido. Aram si girò di scatto, impaziente, e Lamgwin e gli altri due lo seguirono, anche se Tallanvor e Balwer strascicavano i piedi, lanciando sguardi pieni di domande a Perrin e mastro Gill. Pieni di domande e preoccupazioni. Poi guadarono le donne. Faile fece rimettere in cammino anche loro, e di nuovo le occhiate saettarono verso Perrin e mastro Gill, e verso gli uomini che seguivano Aram. All'improvviso, quelle persone non erano molto contente di separarsi. Mastro Gill si asciugò la fronte e sorrise nervosamente. Per la luce, perché odorava di paura? Perrin non capiva. Aveva paura di lui? O del fatto che era legato al Drago Rinato, si faceva chiamare 'lord' e guidava un esercito, per quanto piccolo, e minacciava il Profeta? Tanto valeva aggiungere al tutto anche la faccenda dell'Aes Sedai imbavagliata: in un modo o nell'altro, la colpa sarebbe caduta su di lui. No, pensò Perrin con amaro sarcasmo, questo non spaventerebbe nessuno. Probabilmente hanno paura che io possa ucciderli. Nel tentativo di mettere mastro Gill a suo agio, Perrin lo portò verso una grande quercia a un centinaio di passi dalla tenda bianca e rossa. L'albero aveva perso gran parte delle sue grandi foglie e quelle rimaste erano marroni, ma i massicci rami che spuntavano più in basso fornivano un po' d'ombra e alcune delle radici contorte erano abbastanza alte da poter essere usate come panche. E Perrin se ne era già servito, sedendosi a girarsi i pollici mentre gli altri montavano il campo. Ogni volta che lui provava a fare qualcosa di utile, c'erano sempre una decina di mani pronte a impedirglielo. Basel Gill non si rilassò nemmeno quando Perrin gli chiese della Benedizione della Regina, la locanda che l'uomo aveva a Caemlyn, o parlò dell'ultima volta in cui lui stesso c'era stato. Ma d'altronde forse Gill stava ricordando proprio quella visita, un evento dal quale era difficile trarre cal-
ma, tra Aes Sedai, discorsi sul Tenebroso e fughe notturne. Gill camminava nervosamente e si teneva il fagotto stretto contro il torace, lo passava da un braccio all'altro e rispondeva con poche parole, leccandosi le labbra tra una e l'altra. «Mastro Gill,» gli disse Perrin dopo un po' «smettila di chiamarmi lord. Non lo sono. È una storia complicata, ma io non sono un nobile. E lo sai.» «Certo» rispose l'uomo corpulento, sedendosi infine su una radice della quercia. Parve riluttante a mettere giù l'involto con le sue cose, e ritrasse lentamente le mani. «Come vuoi, lord Perrin. Ehm, Rand... il Drago Rinato... vuole davvero che lady Elayne abbia il trono? Non che io osi mettere in dubbio la tua parola, ovviamente» si affrettò ad aggiungere. Si tolse il cappello, e ricominciò ad asciugarsi la fronte. Anche se era piuttosto grasso, sudava molto più di quanto fosse attribuibile al caldo. «Sono sicuro che il lord Drago farà proprio come hai detto.» La sua risata fu tremante. «Volevi parlare con me. E non della mia vecchia locanda, sono sicuro.» Perrin sospirò esausto. Aveva pensato che niente potesse essere peggio della vista dei suoi vecchi amici che si inchinavano e lo riverivano, ma almeno loro ogni tanto dimenticavano tutto e parlavano sinceramente. E non avevano paura di lui. «Sei molto lontano da casa» disse con voce gentile. Non era necessario andare troppo di fretta, non con un uomo pronto a saltar fuori dalla propria pelle. «Mi stavo chiedendo cosa ti avesse portato qui. Spero non si tratti di problemi.» «Raccontagli la verità, mastro Gill» disse brusca Lini, marciando verso la quercia. «Niente infiorettature, mi raccomando.» Non era rimasta via a lungo, eppure era in qualche modo riuscita a trovare il tempo per lavarsi faccia e mani e acconciarsi i capelli in una crocchia ordinata sulla nuca. E per spazzolare gran parte della polvere dal suo semplice abito di lana. Dopo essersi piegata in un inchino di circostanza rivolto a Perrin, si girò per agitare un dito nodoso contro Gill. «Tre cose sono particolarmente irritanti: un dente cariato, una scarpa stretta e un uomo che chiacchiera. Quindi limitati ai fatti e non dire al giovane lord più di quanto egli desideri sentire.» Per un attimo fissò lo sconcertato locandiere con un'occhiata ammonitrice, poi all'improvviso rivolse a Perrin un'altra rapida riverenza. «Adora il suono della propria voce - come gran parte degli uomini - ma ora ti racconterà la storia nel modo giusto, mio signore.» Mastro Gill la guardò adirato, mormorando tra sé quando lei gli fece un cenno brusco per invitarlo a parlare. «Vecchia ossuta...» sentì Perrin. «La verità - semplice e diretta» L'uomo corpulento guardò di nuovo Lini in ca-
gnesco, ma lei non parve notarlo «è che avevo degli affari a Lugard. L'occasione di importare del vino. Ma di sicuro questo non ti interessa. Ho portato Lamgwin con me, ovviamente, e Breane, che non vuole togliergli gli occhi di dosso per più di un'ora a meno che non sia necessario. Lungo il viaggio, abbiamo incontrato la signora Dorlain, la signora Maighdin come la chiamiamo noi, insieme a Lini e Tallanvor. E Balwer, ovviamente. Per strada. Vicino a Lugard.» «Io e Maighdin avevamo un lavoro nel Murandy» intervenne Lini con impazienza. «Finché non sono cominciati i problemi. Tallanvor era un armigero della casata presso la quale noi prestavamo servizio, e Balwer era il segretario. Dei banditi bruciarono il castello e la nostra signora non poteva più permettersi di mantenerci, così abbiamo deciso di viaggiare insieme per proteggerci l'un l'altro.» «Ci stavo arrivando, Lini» borbottò mastro Gill, grattandosi dietro un orecchio. «I mercanti di vino avevano lasciato Lugard e, chissà perché, erano andati in campagna, e...» Scosse il capo. «È una storia davvero troppo lunga, Perrin. Lord Perrin, voglio dire. Scusami. Sai che oggigiorno ci sono problemi dappertutto, di un tipo o dell'altro. Per farla breve, ogni volta che ne evitavamo uno ne trovavamo un altro, allontanandoci sempre più da Caemlyn. E adesso eccoci qua, stanchi e grati per quest'occasione di riposare.» Perrin annuì lentamente. Quella poteva essere la semplice verità, anche se lui aveva imparato che le persone avevano centinaia di motivi per mentire o anche solo per celare la verità. Con una smorfia, si passò le dita tra i capelli. Per la luce! Stava diventando sospettoso come un Cairhienese, e più si impelagava con Rand peggio andavano le cose. Perché mai Basel Gill, tra tante persone, avrebbe dovuto mentirgli? La cameriera personale di una nobile, abituata agli agi e caduta in disgrazia: questo spiegava la personalità di Maighdin. Le cose potevano davvero essere semplici. Lini teneva le mani giunte in vita, ma lo osservava con occhio vigile, non poco simile a un falco anche lei, e mastro Gill cominciò ad agitarsi non appena ebbe finito di parlare. Parve interpretare la smorfia di Perrin come una richiesta di altre informazioni. Rise, più nervoso che divertito. «Non vedevo tanti posti dai tempi della Guerra Aiel, e all'epoca ero considerevolmente più magro. Diamine, siamo arrivati fino ad Amador. Ovviamente ce ne siamo andati non appena quei Seanchan hanno preso la città, ma per dirla tutta non sono molto peggio dei Manti Bianchi, per quel che...» Si interruppe quando Perrin si sporse bruscamente in avanti e lo af-
ferrò per il bavero. «Seanchan, mastro Gill? Ne sei sicuro? O è anche questa una diceria, come quelle sugli Aiel o le Aes Sedai?» «Li ho visti» rispose Gill, scambiando sguardi incerti con Lini. «Ed è così che si fanno chiamare. Mi sorprende che tu non ne sappia nulla. Se ne sente parlare sin da quando abbiamo lasciato Amador. Quei Seanchan vogliono che la gente sappia quali sono i loro piani. Sono strani, e hanno con sé delle strane creature.» La sua voce divenne più accorata. «Simili a progenie dell'Ombra. Grandi bestie dalla pelle coriacea in grado di volare e trasportare uomini, e altre simili a lucertole ma grandi come cavalli, e con tre occhi. Le ho viste! Davvero!» «Ti credo» disse Perrin, lasciando andare la sua giubba. «Anche io le ho viste.» A Falme, un migliaio di Manti Bianchi erano morti in pochi minuti, e ci erano voluti gli eroi defunti delle vecchie leggende, richiamati dal Corno di Valere, per ricacciare i Seanchan. Rand aveva detto che sarebbero tornati, ma come era possibile che l'avessero già fatto? Per la Luce! Se avevano preso Amador, allora dovevano esser padroni anche di Tarabon, di gran parte almeno. Solo un idiota uccide un cervo quando sa di avere un orso ferito alle spalle. Fin dove erano arrivati con le loro conquiste? «Non posso mandarvi subito a Caemlyn, mastro Gill, ma se restate con noi ancora un po' farò in modo che ci arriviate sani e salvi.» Ammesso che restando con lui potessero davvero essere sani e salvi. Il Profeta, i Manti Bianchi, e ora forse anche i Seanchan. «Credo che tu sia un buon uomo» dichiarò all'improvviso Lini. «Temo che non ti abbiamo raccontato tutta la verità, e forse dovremmo.» «Lini, che stai dicendo?» esclamò mastro Gill, balzando in piedi. «Credo che il caldo le stia giocando brutti scherzi» spiegò a Perrin. «Quello, e la stanchezza del viaggio. A volte si fa delle strane idee. Sai come sono gli anziani. Basta adesso, Lini!» Lini schiaffeggiò la mano che lui stava cercando di metterle davanti alla bocca. «Stai attento, Basel Gill! Ti faccio vedere io 'anziani'! Maighdin stava fuggendo da Tallanvor, per così dire, e lui le dava la caccia. Tutti stavamo fuggendo da lui, e abbiamo rischiato di uccidere i cavalli e di morire noi stessi. Be', non c'è da stupirsi se lei non sappia prendere una decisione; voi uomini annullate il buon senso di una donna al punto che neanche riesce più a ragionare, poi fingete di non aver fatto assolutamente nulla. Bisognerebbe prendervi continuamente a schiaffi. La ragazza ha paura dei suoi stessi sentimenti! Quei due si dovrebbero sposare, prima è meglio
è.» Mastro Gill la guardò a bocca aperta, e Perrin non era sicuro di aver chiuso la sua. «Non credo di aver ben capito cosa tu voglia da me» disse lentamente, e la donna dai capelli bianchi cominciò a rispondergli prima ancora che lui avesse finito la frase. «Non far finta di essere sciocco. Non ci crederei neanche per un attimo. Vedo benissimo che hai più cervello della maggior parte degli uomini. Questa è la vostra peggiore abitudine: far credere che non vedete quello che avete proprio davanti al naso.» Che ne era stato di tutti quegli inchini? Con le braccia incrociate in seno, Lini lo guardava con occhi duri. «Be', se proprio desideri portare avanti questa farsa, ti accontenterò. Questo tuo lord Drago fa tutto quello che vuole, da quanto ho sentito. Il Profeta sceglie le persone e le sposa in un istante. Molto bene: prendi Maighdin e Tallanvor e sposali. Lui ti ringrazierà, e lo stesso farà lei. Quando avrà ritrovato la ragione.» Sbalordito, Perrin lanciò un'occhiata a mastro Gill, che si strinse nelle spalle e fece un sorriso forzato. «Se vuoi scusarmi,» disse Perrin alla donna accigliata «ho delle questioni da sistemare.» Andò via quasi di corsa, girandosi indietro una volta sola. Lini stava agitando il dito contro mastro Gill, lo rimproverava ignorando le sue proteste. La brezza soffiava nel verso sbagliato e Perrin non poté sentire cosa si stavano dicendo. E, in realtà, neanche voleva saperlo. Erano davvero tutti pazzi! Berelain poteva pur avere le sue due cameriere e i cacciatori di ladri, ma anche Faile aveva i suoi assistenti, più o meno. Circa una ventina di ragazzi, tra Tarenesi e Cairhienesi, erano seduti a gambe incrociate vicino alla tenda, le donne in giubba e brache con la spada alla cintura come gli uomini. Nessuno portava i capelli lunghi oltre le spalle, e sia le donne che gli uomini li tenevano legati con un nastro a imitare i codini degli Aiel. Perrin si chiese dove fosse il resto di quel gruppo; stavano sempre a portata d'orecchio di Faile. Sperò che non stessero causando qualche problema. Faile li aveva presi sotto la sua ala proprio per tenerli fuori dai guai, così diceva, e la Luce sapeva quanto spesso ci si sarebbero cacciati se fossero rimasti a Cairhien con tanti altri giovani idioti come loro. Secondo Perrin, tutta quella marmaglia aveva bisogno di un bel calcione nel sedere per riacquisire un po' di buon senso. Facevano duelli, giocavano ad avere un ji'e'toh, facevano finta di essere Aiel. Idiozie! Quando Perrin si avvicinò, Lacile si mise in piedi; una piccola donna con nastri rossi appuntati sui risvolti della giubba, cerchietti d'oro alle o-
recchie e uno sguardo di sfida che talvolta spingeva gli uomini dei Fiumi Gemelli a credere che un bacio le sarebbe piaciuto nonostante la spada che portava. In quel momento, lo sguardo di sfida era duro come pietra. Subito dopo di lei si alzò anche Arrela, alta e scura, con i capelli tagliati corti come quelli di una Fanciulla e gli abiti più semplici di quelli di gran parte degli uomini. A differenza di Lacile, Arrela lasciava facilmente capire che avrebbe preferito baciare un cane piuttosto che un uomo. Le due accennarono a mettersi davanti alla tenda, per bloccare la strada a Perrin, ma un uomo dal mento squadrato con le maniche della giubba a sbuffo abbaiò un ordine e loro tornarono a sedersi. Con riluttanza. In realtà, lo stesso Parelean cominciò a battere un dito su quel suo mento monolitico come se ci stesse ripensando. La prima volta che Perrin l'aveva visto portava la barba - come diversi altri di quelli che venivano da Tear - ma gli Aiel si radevano. Perrin mormorò tra sé qualcosa sulla stupidità della gente. Quei ragazzi erano leali a Faile fin nelle ossa, e il fatto che lui fosse suo marito contava ben poco. Aram poteva anche essere possessivo, ma almeno lui estendeva anche a Faile il suo affetto. Perrin si sentì addosso gli occhi di quei giovani idioti mentre entrava nella tenda. Faile lo avrebbe scuoiato vivo se avesse scoperto che Perrin sperava che quei ragazzi tenessero lei fuori dai guai. La tenda era alta e spaziosa, con un tappeto a fiori sul pavimento e una manciata di mobili quasi tutti pieghevoli in modo da poter essere caricati meglio su un carro. Lo specchio con la pesante cornice di sicuro non rientrava tra questi. A eccezione dei bauli con le fasce di ottone drappeggiati con tessuti ricamati e che potevano fungere da tavoli aggiunti, tutto il resto era decorato con linee d'oro, anche il lavabo con il suo specchio. Una decina di lampade a specchio rendevano l'interno della tenda luminoso quasi quanto l'esterno, anche se assai più fresco, e c'erano persino un paio di arazzi di seta appesi ai sostegni del tetto, troppo elaborati per il gusto di Perrin. Troppa rigidità, con gli uccelli e i fiori che parevano marciare lungo linee e angoli prestabiliti. Dobraine aveva fornito loro tutto il necessario per viaggiare come nobili cairhienesi, anche se Perrin era riuscito a 'perdere' gli oggetti peggiori. Come il grande letto, per esempio, un oggetto ridicolo da portarsi in giro. Da solo, aveva occupato quasi un carro intero. Faile e Maighdin erano sedute insieme, con in mano tazze di argento lavorato. Avevano l'aria di chi si sta studiando a vicenda, tutte sorrisi in apparenza ma con un accenno di durezza negli occhi, tese per percepire qualcosa al di là delle parole, e non c'era modo di capire se da un momento
all'altro si sarebbero abbracciate o avrebbero tirato fuori i coltelli. Be', Perrin credeva che la maggior parte delle donne non si spingesse fino ai coltelli, ma Faile ne era capace. Maighdin sembrava meno provata dal viaggio rispetto a prima, ora che si era lavata e pettinata e aveva spazzolato il vestito. Tra le due donne c'era un piccolo tavolo col ripiano decorato da un mosaico sul quale erano poggiate altre tazze e un'alta teiera fumate dalla quale veniva l'odore speziato di tè alle erbe. Faile e Maighdin si guardarono intorno entrambe all'ingresso di Perrin e, per un attimo, ebbero quasi la stessa fredda espressione mentre si chiedevano chi le stesse importunando, tutt'altro che contente di quella interruzione. Almeno il volto di Faile fu subito addolcito da un sorriso. «Mastro Gill mi ha raccontato la tua storia, signora Dorlain» disse Perrin. «Hai passato giorni difficili, ma sappi che qui sei al sicuro finché non deciderai di partire.» La donna mormorò parole di ringraziamento da sopra il bordo della tazza, ma nel suo odore era presente il sospetto e guardava Perrin come se fosse un libro che si sforzava di leggere. «Anche Maighdin mi ha raccontato la loro storia, Perrin,» disse Faile «e ho una proposta da farle. Maighdin, tu e i tuoi amici venite da mesi difficili, e mi hai raccontato che il futuro non è più roseo. Entrate al mio servizio, tutti quanti. Dovrete comunque viaggiare, ma in condizioni decisamente migliori. Pago bene, e non sono una padrona dura.» Perrin espresse subito la propria approvazione. Se Faile voleva indugiare nella sua bizzarra ostinazione nel raccogliere randagi, almeno questa volta lui condivideva il desiderio di aiutare quella gente. Forse con lui sarebbero stati più al sicuro che vagando da soli. Maighdin parve strozzarsi col tè, e quasi lasciò cadere la tazza. Sbatté le palpebre guardando Faile, si asciugò il mento con un fazzoletto di lino orlato sui bordi, e fece cigolare un po' la sedia quando si girò a studiare Perrin. «Io... ti ringrazio» disse infine lentamente. «Credo...» Lo studiò per un altro istante, poi ritrovò la voce. «Sì, ti ringrazio e accetto con gratitudine la tua gentile offerta. Devo dirlo ai miei compagni.» Si alzò, attardandosi a poggiare la tazza sul vassoio, poi si raddrizzò solo per allargare le gonne in una riverenza degna di qualsiasi palazzo regale. «Cercherò di fare un buon lavoro, mia signora» disse con voce piatta. «Mi posso ritirare?» Ricevuto il consenso di Faile, si inchinò di nuovo e fece due passi all'indietro prima di girarsi e andare via! Perrin si grattò la barba. Ed ecco un'altra persona che gli si sarebbe inchinata ogni volta che lo incontrava. I lembi d'ella tenda non si erano ancora chiusi dopo l'uscita di Maighdin
quando Faile posò la tazza e rise, battendo i talloni sul tappeto. «Oh, mi piace quella donna, Perrin! Ha coraggio! Scommetto che ti avrebbe bruciato la barba per quelle bandiere, se non ti avessi salvato. Oh, sì, ha coraggio!» Perrin grugnì. Proprio quello che gli serviva: un'altra donna pronta a bruciargli la barba. «Ho promesso a mastio Gill che mi sarei preso cura di loro, Faile, ma... Indovina cosa mi ha chiesto quella Lini. Vuole che io sposi Maighdin e quel tizio, Tallanvor. Dovrei prenderli e sposarli, ignorando qualsiasi protesta! Secondo lei, è ciò che desiderano.» Si riempì una tazza di tè e si accasciò sulla sedia appena liberata da Maighdin, ignorando gli improvvisi gemiti della sedia sotto il suo peso. «A ogni modo, quella stupidaggine è la minore delle mie preoccupazioni. Mastro Gill sostiene che i Seanchan abbiano preso Amador, e io gli credo. Per la Luce! I Seanchan!» Faile batté le punte delle dita di una mano contro quelle dell'altra, lo sguardo perso nel vuoto. «Quella potrebbe davvero essere un'idea» rifletté. «Molti servitori lavorano meglio quando sono sposati. Forse dovrei arrangiare io stessa quel matrimonio. E anche quello di Breane. A giudicare da come è uscita di corsa a controllare quel bestione non appena si è pulita la faccia, immagino che dovrebbero essere già sposati. Aveva un certo bagliore negli occhi. Non permetterò quel tipo di comportamenti alla mia servitù, Perrin. Porta solo a lacrime, recriminazioni e visi imbronciati. E Breane se la caverà peggio del suo uomo.» Perrin la fissò. «Ma mi hai sentito?» le chiese lentamente. «I Seanchan hanno catturato Amador! I Seanchan, Faile!» Lei sobbalzò - stava davvero pensando a far sposare quelle donne! - poi gli sorrise, divertita. «Amador è ancora lontana, e se ci dovessimo incontrare con questi Seanchan sono sicura che tu te la caverai. Dopo tutto, hai insegnato a me ad appollaiarmi sul tuo polso, non è vero?» Lo diceva sempre, anche se lui non aveva mai visto alcun segno di questo comportamento. «Con loro la cosa potrebbe essere un tantino più difficile» rispose in tono asciutto, e Faile sorrise di nuovo. Chissà perché, ma odorava di gioia. «Stavo pensando di mandare Grady o Neald ad avvisare Rand, non importa quello che mi ha detto lui.» Faile scosse il capo con foga, il sorriso svaporò dal suo volto, ma lui insisté. «Se sapessi come trovarlo, andrei io. Deve esserci un modo per fargli arrivare la notizia senza che nessuno lo venga a sapere.» Rand aveva insistito su quello ancor più che sulla segre-
tezza con Masema. Perrin era stato bandito dal Drago Rinato, e tutti dovevano credere che tra loro due c'era solo inimicizia. «Lo sa già, Perrin. Ne sono sicura. Maighdin ha visto gabbie di piccioni dappertutto ad Amador, e sembra che i Seanchan non le degnassero di un'occhiata. A quest'ora, ogni mercante che fa affari con Amador conosce la notizia, e lo stesso vale per la Torre Bianca. Credimi, anche Rand lo sa. Devi fidarti di lui e delle sue capacità. In questo senso, ne ha molte.» Non era sempre così sicura al riguardo. «Forse» mormorò Perrin infastidito. Si sforzava di non preoccuparsi per la sanità mentale del suo amico, ma lui in confronto a Rand era ingenuo come un bambino che saltella in un prato, anche quando si sforzava con tutto sé stesso di essere sospettoso. Quanto si fidava di lui il Drago Rinato? Rand aveva i suoi segreti, faceva piani dei quali non gli parlava. Sbuffando, Perrin si spinse indietro sulla sedia e mandò giù un sorso di tè. La verità era che, pazzo o sano di mente, Rand aveva ragione. Se i Reietti o la Torre Bianca scoprivano cosa aveva in mente, avrebbero trovato il modo di fargli cadere l'incudine sui piedi. «Almeno posso togliere qualche motivo di chiacchiere agli occhi e alle orecchie della Torre. Questa volta, ho intenzione di bruciare quella maledetta bandiera.» E anche quella con la testa di lupo. Poteva anche dover recitare la parte del lord, ma l'avrebbe fatto senza un maledetto stendardo! Faile increspò le labbra piene e assunse un'espressione riflessiva, poi scosse lievemente il capo. Scivolò giù dalla sedia e si inginocchiò accanto a Perrin, prendendogli un polso tra le mani. Lui incontrò con cautela il suo sguardo. Quando Faile lo guardava con tale, grave intensità era perché stava per dirgli qualcosa di importante. Oppure voleva coprirgli gli occhi e farlo girare su sé stesso finché non era capace di riconoscere il davanti dal dietro. Dal suo odore non era possibile capire nulla. Perrin si sforzò di smettere di annusarla; era fin troppo facile perdersi in lei, e allora sì che Faile gli avrebbe bendato gli occhi. Una cosa aveva imparato dal matrimonio: un uomo ha bisogno di tutto il cervello quando ha a che fare con una donna. E troppo spesso neanche quello era sufficiente: le donne facevano ciò che desideravano, come le Aes Sedai. «Forse dovresti ripensarci, marito» mormorò Faile. Un leggero sorriso le piegò la bocca, come se per l'ennesima volta sapesse cosa lui stava pensando. «Dubito che chi ci ha visto da quando siamo entrati nel Ghealdan sapesse cosa significa l'aquila rossa. Ma nei pressi di una città grande come Bethal qualcuno di sicuro lo sa. E più a lungo dovremo dare la caccia a
Masema, maggiore sarà la possibilità di incontrarne altri.» Perrin non perse tempo a spiegarle che proprio per quello lui voleva liberarsi della bandiera. Faile non era stupida, e pensava più rapidamente di lui. «Allora perché dovrei tenerla,» le chiese lentamente «quando servirà solo ad attirare attenzioni sull'idiota che tutti penseranno sta cercando di dissotterrare il Manetheren dalla tomba?» Ci avevano già provato in passato, uomini e anche donne; il nome del Manetheren portava con sé possenti memorie, utili a chiunque volesse iniziare una rivolta. «Appunto perché attirerà l'attenzione.» Faile si sporse verso di lui con fervore. «Su un uomo che sta cercando di far risorgere il Manetheren. La gente comune ti sorriderà, sperando che tu vada via subito, e si sforzerà di dimenticarsi di te non appena sarai passato. Riguardo ai potenti, hanno troppe cose a cui pensare al momento e non ti degneranno di un'occhiata a meno che non gli pizzichi il naso. A confronto dei Seanchan, del Profeta o dei Manti Bianchi, un uomo che tenta di far rinascere il Manetheren è ben poca cosa. E credo di poter dire che neanche la Torre ti degnerà di uno sguardo, non ora.» Il suo sorriso si allargò, e la luce nei suoi occhi disse che stava per passare al punto più convincente. «Ma la cosa più importante è che nessuno penserà che quell'uomo possa star facendo altro.» A un tratto il sorriso svanì; Faile gli batté un dito sul naso, forte. «E non darti dell'idiota, Perrin t'Bashere Aybara. Nemmeno in modo indiretto. Non lo sei, e non mi piace che lo credi.» Il suo odore era come un rovo di piccole spine, non rabbia vera e propria ma malcontento. Argento vivo. Un martin pescatore che sfrecciava più rapido del pensiero. Di sicuro più rapido del pensiero di Perrin. A lui non sarebbe mai venuto in mente di nascondersi così... palesemente. Ma si rendeva conto che l'idea era buona. Era come nascondere di essere un assassino dichiarando di essere un ladro. Eppure poteva funzionare. Ridacchiando, Faile gli baciò la punta delle dita. «La bandiera rimane» disse lui. Immaginò che, quindi, sarebbe rimasta anche la testa di lupo. Sangue e maledette ceneri! «Alliandre deve sapere la verità, però. Se pensa che Rand vuole fare di me il re del Manetheren e prendere le sue terre...» Faile si alzò così all'improvviso, girandosi di spalle, che lui temette di aver commesso un errore parlando della regina. Alliandre poteva portare troppo facilmente a Berelain, e Faile aveva un odore... pungente. Circospetto. Ma quello che disse, voltando solo il capo, fu: «Alliandre non costituirà alcun problema per Perrin Occhidoro. Quell'uccellino è già in gabbia, marito, quindi è tempo di pensare a come trovare Masema.» Si inginocchiò
con grazia vicino a una piccola cassa poggiata contro una parete della tenda, l'unica cassa senza drappeggi, sollevò il coperchio e cominciò a tirar fuori mappe arrotolate. Perrin si augurò che Faile avesse ragione su Alliandre, perché non sapeva cosa avrebbe fatto se si sbagliava. Se solo fosse stato degno di metà della considerazione che sua moglie aveva di lui... Alliandre era un uccellino in gabbia, i Seanchan sarebbero caduti come bambole davanti a Perrin Occhidoro, che avrebbe preso il Profeta per portarlo da Rand anche se Masema aveva migliaia di uomini a proteggerlo. Non per la prima volta, Perrin si rese conto che per quanto la rabbia di Faile lo addolorava e lo confondeva, lui temeva più che altro di deluderla. Se mai avesse visto delusione nei suoi occhi, gli si sarebbe squarciato il cuore. Si inginocchiò accanto a lei e la aiutò a stendere la mappa più grande, che copriva il Sud del Ghealdan e il Nord dell'Amadicia, e prese a studiarla quasi come se il nome di Masema dovesse saltar fuori dalla pergamena. Perrin aveva motivazioni più profonde di quelle di Rand. Qualsiasi cosa succedesse, lui non poteva deludere Faile. Faile rimase stesa al buio ad ascoltare finché non fu sicura che il respiro di Perrin aveva il ritmo lento e profondo del sonno, poi scivolò via dalle coperte. Avvertì un malinconico divertimento mentre si infilava la camicia da notte di lino da sopra la testa. Davvero Perrin credeva che lei non avrebbe scoperto come un mattino aveva nascosto il letto in un bosco mentre venivano caricati i carri? Non che le importasse; non molto, almeno. Di sicuro lei aveva dormito per terra altrettanto spesso di Perrin. Aveva finto di essere sorpresa dalla scomparsa del letto, ovviamente, e non aveva dato molto peso alla faccenda. Se avesse reagito in qualsiasi altro modo, lui avrebbe chiesto scusa e forse sarebbe persino tornato indietro a prendere il letto. Gestire un marito è un'arte, così le aveva detto sua madre. Ma Deira ni Ghaline aveva mai avuto tutte queste difficoltà? Infilando i piedi nelle scarpette, scrollò le spalle nella sopravveste di seta, poi esitò guardando Perrin. Se si svegliava l'avrebbe vista chiaramente, mentre per lei sarebbe rimasto un rigonfiamento nell'ombra. Si rammaricò che sua madre non fosse lì a consigliarla. Amava Perrin con ogni fibra del suo essere, ma quell'uomo la confondeva. Capire davvero gli uomini era impossibile, ovviamente, ma Perrin era così diverso da chiunque altro... Non si vantava mai, e invece di gloriarsi di sé stesso era... modesto. Faile non aveva mai creduto che un uomo potesse essere modesto! Perrin insi-
steva nel sostenere che solo il caso aveva fatto di lui un condottiero, dichiarava di non esser capace di guidare gli altri nonostante gli uomini che incontrava fossero pronti a seguirlo un'ora dopo averlo conosciuto. Sminuiva il proprio intelletto considerandolo lento, quando quei lenti pensieri erano così profondi che lei doveva danzare una giga vivace per poter conservare i suoi segreti. Era un uomo meraviglioso, il suo lupo dai capelli ricci. Così forte. E così delicato. Sospirando, Faile uscì in punta di piedi dalla tenda. L'udito di Perrin le aveva già causato diversi problemi. Il campo giaceva silenzioso sotto un quarto di luna che, dal cielo senza nuvole, emanava la stessa luce di una luna piena, un bagliore che pareva cancellare le stelle. Qualche uccello notturno lanciò i suoi striduli richiami, poi si zittì quando un gufo fece sentire il suo cupo verso. C'era una lieve brezza e, cosa strana, sembrava davvero fresca. Ma forse era solo frutto della sua immaginazione. Le notti erano fresche solo rispetto al giorno. Gli uomini dormivano quasi tutti, forme scure tra le ombre in mezzo agli alberi. In pochi erano rimasti svegli, e chiacchieravano intorno alla manciata di fuochi ancora accesi. Faile non fece alcuno sforzo per passare inosservata, ma nessuno si accorse di lei. Alcuni sembravano mezzo addormentati, con la testa che ciondolava. Se non avesse saputo quanto scrupolosamente le sentinelle facevano il loro dovere, avrebbe pensato che quell'accampamento poteva essere colto di sorpresa anche da una mandria di bovini selvatici. Ovviamente, nella notte stavano facendo la guardia anche le Fanciulle. Ma a Faile non importava che potessero vederla. I carri dalle grandi ruote erano disposti in una lunga fila, con i servitori già rannicchiati sotto a russare. La maggior parte dei servitori. C'era ancora un fuoco che crepitava. Maighdin e i suoi amici sedevano intorno alle fiamme. Tallanvor stava parlando e gesticolava con foga, ma solo gli altri uomini sembravano prestargli attenzione, nonostante lui si stesse rivolgendo a Maighdin. Faile aveva immaginato che quei fagotti potessero celare abiti migliori degli stracci che indossavano prima, ma la loro padrona precedente doveva essere stata di manica davvero larga se aveva donato seta ai suoi servitori, e Maighdin indossava un abito dal taglio davvero fine in seta azzurro pastello. Nessuno degli altri era vestito così bene, quindi forse Maighdin era stata la preferita della sua signora. Un ramoscello si spezzò sotto il piede di Faile e quelli intorno al fuoco si girarono di scatto, Tallanvor balzò in piedi e quasi estrasse la spada prima di vedere Faile che raccoglieva le vesti per avanzare sotto la luce della luna. Erano molto più sulle spine degli uomini dei Fiumi Gemelli che aveva
appena superato. Per un attimo rimasero semplicemente a fissarla; poi Maighdin si alzò con grazia e fece un profondo inchino, esempio che gli altri si affrettarono a imitare con varietà di risultati. Solo Maighdin e Balwer sembravano davvero a loro agio. Il volto di Gill era tagliato in due da un sorriso nervoso. «Andate pure avanti con quello che stavate facendo» disse Faile in tono gentile. «Ma non restate in piedi troppo a lungo; domani sarà una giornata piena di lavoro.» Andò via, ma quando si girò vide che erano ancora tutti immobili e la scrutavano. I viaggi che avevano fatto dovevano averli resi nervosi come conigli, sempre in guardia contro la volpe. Faile si chiese se sarebbero riusciti a integrarsi. Nelle prossime settimane, avrebbe dovuto impegnarsi a insegnare a quelle persone i suoi modi di fare e ad apprendere i loro. Entrambi gli aspetti di quel rapporto erano importanti per gestire bene i servitori. Avrebbe dovuto trovare il tempo necessario. Ma Maighdin e gli altri non rimasero a lungo nei suoi pensieri quella notte. Ben presto Faile superò i carri, e si spinse quasi fino a dove gli uomini dei Fiumi Gemelli facevano la guardia arrampicati sugli alberi. Nessuna creatura più grande di un topo sarebbe sfuggita ai loro occhi - talvolta, riuscivano a scorgere persino le Fanciulle - ma erano all'erta contro tentativi di infiltrarsi nell'accampamento. Non contro chi aveva ogni diritto di trovarsi lì. In una piccola radura illuminata dalla luna, i ragazzi di Faile la stavano aspettando. Alcuni uomini si inchinarono, e Parelean quasi si abbassò su un ginocchio prima di fermarsi. Diverse donne fecero d'istinto la riverenza, una scena bizzarra dati gli abiti da uomo, poi abbassarono lo sguardo o strusciarono i piedi, imbarazzate da ciò che avevano appena fatto. Le usanze della corte erano ben inculcate in loro, per quanto quei giovani si sforzassero di adottare le abitudini degli Aiel. O meglio, quelle che loro credevano essere le abitudini degli Aiel. In alcune circostanze, le loro convinzioni avevano sconcertato persino le Fanciulle. Perrin diceva che erano degli idioti, e per certi versi aveva ragione, ma le avevano giurato fedeltà, sia i Cairhienesi che i Tarenesi - parlavano di giuramenti d'acqua, imitando gli Aiel, o almeno provandoci - e ciò li rendeva una sua responsabilità. Avevano dato al loro gruppo il nome di 'società' Cha Faile, l'artiglio del falco, anche se si rendevano conto della necessità di tenerlo segreto. Non erano del tutto idioti. In effetti, almeno da un punto di vista superficiale non erano molto diversi dai ragazzi e le ragazze coi quali lei era cresciuta. Quelli che aveva inviato in missione quel mattino presto erano appena
tornati, e infatti le donne si stavano ancora cambiando gli abiti che avevano dovuto indossare. Già una sola donna vestita da uomo avrebbe attirato l'attenzione a Bethal, figurarsi cinque. La radura era animata da un gran mulinare di gonne e biancheria, giubbe, camicie e brache. Le donne davano a intendere di non essere a disagio se si trovavano nude davanti ad altre persone, anche davanti agli uomini, visto che era evidente che per le Aiel era così, ma la fretta e il respiro affannato le smentivano. Gli uomini strascicavano i piedi e voltavano il capo, non sapevano se distogliere lo sguardo o osservare, come secondo loro facevano gli Aiel, fingendo però di non star fissando delle donne mezzo svestite. Faile teneva la veste chiusa sopra la camicia da notte; non avrebbe potuto indossare altro senza svegliare Perrin, ma non per questo si sentiva a suo agio. Non era una di quelle Domanesi che ricevevano servitori e assistenti nella vasca da bagno. «Perdonaci se siamo arrivati in ritardo, lady Faile» ansimò Selande, sistemandosi la giubba con uno strattone. L'accento di Cairhien induriva la parlata della giovane. Selande era bassa anche per la media cairhienese. Riusciva però a imbastire un portamento altezzoso piuttosto credibile, dove l'audacia era tutta espressa dall'inclinazione del capo e dalla linea dritta delle spalle. «Saremmo dovuti tornare prima, ma le guardie ci hanno messo un po' a lasciarci uscire.» «Come mai?» chiese di scatto Faile. Se solo avesse potuto vedere coi propri occhi e non con quelli di quei ragazzi; se solo Perrin avesse mandato lei invece di quella sgualdrina... No, non doveva pensare a Berelain. Non era colpa di Perrin. Faile se lo ripeteva venti volte al giorno, come una preghiera. Ma perché il suo uomo doveva essere così cieco? «Perché vi hanno trattenuti?» Trasse un respiro, rattristata. Non doveva lasciare che i problemi con suo marito trasparissero dal tono che usava con i suoi vassalli. «Niente di importante, mia signora.» Selande agganciò il cinturone con la spada e se lo sistemò sui fianchi. «Hanno fatto passare dei tizi con dei carri senza neanche dare un'occhiata, ma erano preoccupati all'idea di lasciar andare delle donne in giro di notte.» Alcune delle altre risero. I cinque uomini che erano andati a Bethal si agitarono, irritati, senza dubbio perché la loro presenza non era stata considerata una protezione sufficiente. Il resto della Cha Faile si dispose in semicerchio intorno a quei dieci, e tutti osservavano Faile con attenzione, concentrati sulle sue parole. La luce della luna disegnava ombre sui loro volti. «Ditemi cosa avete visto» comandò lei, ma con un tono più pacato. Così
andava molto meglio. Selande fece un rapporto conciso e, nonostante il desiderio di andarci di persona, Faile dovette ammettere che quei dieci avevano visto più o meno tutto quello che c'era da vedere. Le strade di Bethal erano quasi vuote anche nelle ore più indaffarate. La gente restava quanto più possibile in casa. Il commercio era un rivolo che scorreva in entrata e in uscita dalla città, ma erano pochi i mercanti che si avventuravano in quella parte del Ghealdan, e il cibo che veniva dalla campagna circostante era a malapena sufficiente a nutrire tutti. Quasi tutti gli abitanti parevano storditi, avevano paura di ciò che era al di là delle mura e sprofondavano sempre più nell'apatia e nella disperazione. Tutti tenevano la bocca chiusa per timore delle spie del Profeta, e chiusi erano anche gli occhi, per non essere scambiati proprio per una di quelle spie. Il Profeta stava avendo un profondo impatto. Per esempio, per quanto numerosi fossero i banditi che vagavano tra le colline, a Bethal erano svaniti i tagliaborse e i ladri. Si diceva che la punizione somministrata dal Profeta per un furto fosse il taglio della mano. Anche se questo non si applicava ai suoi seguaci. «La regina fa il giro della città ogni giorno, si fa vedere per tenere alto il morale,» disse Selande «ma non credo che serva a molto. Questo suo viaggio a sud è mirato a ricordare al popolo che ha ancora una sovrana; forse da qualche parte ha avuto più successo. La Guardia regale è stata aggiunta alle sentinelle sulle mura, insieme a una manciata di soldati dell'esercito di sua maestà. Forse così i cittadini si sentono più sicuri. Finché lei non andrà via. A differenza degli altri, Alliandre non sembra temere che il Profeta possa scatenare la sua tempesta. Passeggia da sola nei giardini del palazzo di lord Telabin, di mattina e di sera, e ha al suo seguito pochi soldati, che passano gran parte del tempo nelle cucine. Tutti in città sembrano preoccupati per il cibo e la sua scarsità almeno quanto lo sono per il Profeta. In verità, mia signora, nonostante tutte le guardie lungo le mura, credo che se Masema si presentasse da solo ai cancelli gli consegnerebbero immediatamente la città.» «Lo farebbero eccome,» aggiunse Meralda con disprezzo, agganciandosi anche lei la spada in vita «e chiederebbero misericordia.» Scura e robusta, la tarenese Meralda era alta quanto Faile, ma chinò il capo a uno sguardo di Selande e mormorò parole di scusa. Non c'erano dubbi su chi fosse a capo della Cha Faile, dopo Faile stessa. E Faile era stata contenta di non aver alcun bisogno di cambiare le gerarchie stabilite da quei ragazzi. Selande era la più intelligente di tutti, con
la possibile eccezione di Parelean, e solo Arrela e Camaille erano più rapide di lei. Inoltre, Selande aveva qualcosa in più, la fermezza di chi ha già affrontato le peggiori paure e sa che niente potrà essere più duro. Certo, desiderava anche lei una cicatrice come quelle delle Fanciulle. Anche Faile ne aveva diverse, quasi tutte segni di onore, ma spingersi addirittura a desiderarne una era un'idiozia. Quanto meno Selande non era molto zelante a quel proposito. «Abbiamo tracciato una mappa come ci hai chiesto, mia signora» concluse la piccola donna, con un ultimo sguardo di ammonimento a Meralda. «Abbiamo fatto di tutto per includere anche il palazzo di lord Telabin, ma purtroppo abbiamo potuto vedere soprattutto i giardini e le stalle.» Faile non provò neppure a distinguere quei disegni alla luce della luna. Era un peccato che non fosse andata di persona: lei avrebbe potuto fare una mappa anche degli interni del palazzo. No. Quel che è fatto è fatto, come piaceva dire a Perrin. E poi era sufficiente. «Siete sicuri che nessuno perquisisce i carri che lasciano la città?» Nonostante la luce fioca, poté vedere la confusione su molti dei visi che aveva davanti. Nessuno aveva capito perché lei aveva mandato quel gruppo in città. Selande, però, non sembrava confusa. «Si, mia signora» disse con calma. Davvero intelligente, e decisamente rapida. Arrivò una raffica di vento che fece stormire le foglie sugli alberi e quelle secche sul terreno, e Faile si rammaricò di non avere l'udito di Perrin. E magari anche la sua vista e il suo odorato. Non le importava che potessero vederla lì coi suoi seguaci, ma se qualcuno avesse origliato sarebbe stato un problema. «Hai fatto un ottimo lavoro, Selande. Tutti voi avete fatto un ottimo lavoro.» Perrin conosceva i pericoli di quel posto, reali come quelli di qualsiasi città più a sud; li conosceva, ma come gran parte degli uomini spesso pensava col cuore e non con la testa. Una moglie doveva essere più pratica, se voleva tenere suo marito fuori dai guai. Quello era stato in assoluto il primo consiglio che sua madre le aveva dato sul matrimonio. «Alle prime luci tornerete a Bethal, e se ricevete mie notizie ecco cosa farete...» Persino Selande sgranò gli occhi per lo stupore mentre lei proseguiva, ma nessuno avanzò la minima protesta. Faile si sarebbe sorpresa del contrario. Le sue istruzioni erano precise. Ci sarebbero stati dei rischi, ma date le circostanze erano davvero da considerarsi minori. «Ci sono domande?» chiese infine. «Avete capito tutti?» Con una sola voce, la Cha Faile rispose: «Viviamo per servire la nostra lady Faile.» E questo significava che avrebbero servito il suo adorato lupo,
che lui lo volesse o meno. Maighdin si agitò tra le coperte sul terreno duro, il sonno continuava a sfuggirle. Quello era il suo nome adesso, un nuovo nome per una nuova vita. Maighdin per sua madre, e Dorlain per una famiglia in un palazzo che un tempo era stato suo. Una nuova vita al posto di quella vecchia che era finita, ma i legami del cuore non potevano essere recisi. E adesso... Adesso... Un lieve crepitare di foglie secche le fece alzare il capo, e vide una forma indistinta passare tra gli alberi. Lady Faile che tornava alla sua tenda dopo esser stata chissà dove. Una ragazza piacevole, di buon cuore e belle parole. Quale che fosse la schiatta di suo marito, lei doveva avere nobili natali. Ma era giovane. E poco esperta. Questo poteva rivelarsi utile. Maighdin lasciò ricadere la testa sul mantello ripiegato che usava come cuscino. Per la Luce, che ci faceva in quel posto? Aveva preso servizio come cameriera di una nobile! No. Si sarebbe aggrappata alla propria sicurezza interiore. Poteva ancora trovarla. Poteva. Se scavava abbastanza a fondo. Trattenne il respiro al suono di passi che si avvicinavano. Tallanvor le si inginocchiò accanto con movimenti aggraziati. Era senza camicia, e la luce della luna splendeva sui muscoli levigati del suo torace e sulle spalle, mentre il volto restava in ombra. Una brezza leggera gli arruffava i capelli. «Che follia è questa?» chiese piano. «Hai davvero intenzione di prendere servizio? Che hai in mente? E non raccontarmi quelle sciocchezze sulla nuova vita: non ci credo. Nessuno ci crede.» Lei provò a distogliere lo sguardo, ma Tallanvor le mise una mano su una spalla. Non fece forza, ma lo stesso la immobilizzò come se le avesse messo una cavezza. Che la Luce la aiutasse a non tremare. La Luce non ascoltò questa sua preghièra, ma Maighdin riuscì quanto meno a parlare con voce ferma. «Se non te ne sei accorto, adesso devo trovarmi da vivere. Meglio essere la cameriera di una signora che servire ai tavoli in una taverna. Sentiti pure libero di andare per la tua strada, se credi che questo tipo di lavoro non ti si addica.» «Non hai rinunciato al tuo senno o al tuo orgoglio quando hai abdicato al trono» mormorò lui. Maledetta Lini, che gliel'aveva rivelato! «Se hai intenzione di far finta che sia così, ti suggerisco di non trovarti da sola con Lini.» Tallanvor arrivò addirittura a ridacchiare! E di gusto! «Lini vuole scambiare due chiacchiere con Maighdin, e sospetto che non sarà gentile come lo era con Morgase.»
Lei si drizzò a sedere con rabbia, spazzando via la sua mano. «Sei cieco e anche sordo? Il Drago Rinato ha dei piani su Elayne! Per la Luce, non mi piace neanche il semplice fatto che conosca il suo nome! Non può essere un caso se mi sono imbattuta in uno dei seguaci del Drago, Tallanvor! Non può!» «Che io sia folgorato, lo sapevo che si trattava di questo. Speravo di sbagliarmi, ma...» Tallanvor sembrava adirato quanto lei. Ma non ne aveva alcun diritto! «Elayne è al sicuro alla Torre Bianca, l'Amyrlin Seat non le permetterà neppure di avvicinarsi a un uomo in grado di incanalare, nemmeno se si tratta del Drago Rinato - anzi, soprattutto se si tratta di lui! - e Maighdin non può immischiarsi con l'Amyrlin Seat, il Drago Rinato o il Trono del Leone. Perché riuscirebbe solo a farsi spezzare il collo, o tagliare la gola, o...» «Maighdin Dorlain può osservare!» lo interruppe lei, in parte anche per porre fine a quella spaventosa litania. «Può ascoltare! Può...» Irritata, si fermò. Che poteva fare? All'improvviso si rese conto che era seduta con addosso un sottile capo di biancheria e si avvolse nella coperta in tutta fretta. La notte sembrava davvero un po' più fresca. O forse la pelle d'oca era dovuta agli occhi di Tallanvor su di lei, anche se non poteva vederli. Il pensiero la fece arrossire, e si augurò che neanche lui potesse vederla. Non era una ragazzina, non poteva arrossire solo perché un uomo la stava guardando! «Farò quel che posso, qualsiasi cosa sia. Prima o poi avrò un'occasione per apprendere o fare qualcosa che aiuterà Elayne, e io la coglierò!» «Una decisione pericolosa» le rispose Tallanvor con calma. Lei si rammaricò di non riuscire a distinguere il suo volto a causa del buio. Solo per leggere la sua espressione, ovviamente. «Lo hai sentito quando ha minacciato di impiccare chiunque lo guardasse storto. E io ci credo, visti i suoi occhi. Sono come quelli di una bestia. Mi ha sorpreso quando ha lasciato andare quel tizio; credevo che gli avrebbe squarciato la gola! Se scopre chi sei, chi eri un tempo... Balwer potrebbe tradirti. Non ci ha mai spiegato davvero perché ci ha aiutati a fuggire da Amador. Forse pensava che la regina Morgase gli avrebbe concesso nuovi favori. Adesso sa che non è possibile, e potrebbe cercare di ingraziarsi i suoi nuovi padroni.» «Hai paura di lord Perrin Occhidoro?» gli chiese sprezzante Maighdin. Per la Luce, quell'uomo spaventava anche lei. Aveva gli occhi di un lupo. «Balwer è abbastanza intelligente da saper tenere a freno la lingua. Qualsiasi cosa dice gli si rivolterebbe contro; dopo tutto, ha scelto di venire con me. Se hai paura, allora vai pure via!»
«Mi sbatti sempre in faccia questa frase» sospirò lui, tornando ad accovacciarsi sui talloni. Maighdin non poteva vedergli gli occhi, ma ne sentiva il peso. «Vai pure via se desideri, dici. Un tempo c'era un soldato che amava una regina da lontano, sapendo che era impossibile, sapendo che non poteva neppure rivolgerle la parola. Ora la regina non c'è più, resta solo una donna, e io spero. Brucio di speranza! Se vuoi che me ne vada, Maighdin, dillo. Una sola parola. 'Vai!'. Una semplice parola.» Lei aprì la bocca. Una semplice parola, pensò. Per la Luce, è solo una parola. Perché non riesco a dirla? Luce, ti prego! E per la seconda volta quella notte, la Luce non la ascoltò. E Maighdin rimase seduta e avvolta nelle coperte come un'idiota, la bocca aperta, la faccia sempre più bollente. Se Tallanvor avesse ridacchiato di nuovo, lo avrebbe infilzato con un pugnale. Se avesse riso o mostrato un qualsiasi segno di trionfo... Invece l'uomo si piegò in avanti e la baciò con delicatezza sugli occhi. Maighdin emise un suono dal fondo della gola; non riusciva a muoversi. A occhi sgranati, lo guardò rialzarsi. Alto sotto la luce della luna. Lei era una regina - lo era stata - abituata a comandare, abituata a prendere decisioni difficili in momenti difficili, ma in quel momento il battito del cuore copriva ogni suo pensiero. «Se avessi detto 'vai',» dichiarò Tallanvor «avrei seppellito la speranza, ma non avrei mai potuto abbandonarti.» Solo quando lui fu tornato alle sue coperte Maighdin poté stendersi di nuovo e tirarsi addosso le proprie. Ansimava come se avesse corso. La notte era davvero fresca: stava rabbrividendo, non tremando. Tallanvor era troppo giovane. Troppo giovane! Peggio ancora, aveva ragione. Che fosse folgorato per questo! La cameriera di una nobile non poteva in alcun modo cambiare il corso degli eventi, e se l'assassino dagli occhi di lupo al servizio del Drago Rinato scopriva di avere Morgase di Andor nelle sue mani poteva usarla contro Elayne invece di aiutarla. Tallanvor non aveva diritto di avere ragione visto che lei voleva che avesse torto! L'illogicità di quel pensiero la fece infuriare. C'era davvero la possibilità che lei potesse fare qualcosa di utile! Doveva esserci! Dai recessi della mente, una piccola voce la derise. Non puoi dimenticare che sei Morgase Trakand, le disse sprezzante quella vocina, e anche dopo aver abdicato al trono la regina Morgase non riesce a smettere di provare a immischiarsi negli affari dei potenti, nonostante i disastri che ha combinato finora. E nemmeno riesce a dire a un uomo di andar via, perché non può smettere di pensare a quanto siano forti le sue mani, a come le sue
labbra si piegano quando sorride, e... Con rabbia, lei si tirò le coperte sulla testa, cercando di zittire quella voce. Non aveva deciso di rimanere perché era incapace di stare lontana dal potere. Quanto a Tallanvor... Lo avrebbe messo fermamente al suo posto. La prossima volta lo avrebbe fatto! Ma... Qual era il suo posto, nei confronti di una donna che non era più regina? Provò a toglierselo dalla mente, e provò a ignorare quella voce beffarda che rifiutava di tacere, eppure quando il sonno finalmente arrivò, lei sentiva ancora la pressione delle sue labbra sulle palpebre. 9
Grovigli Perrin si svegliò prima dell'alba come al solito, e come al solito Faile si era già alzata ed era in giro. Quella donna era capace di far sembrare rumoroso un topolino se voleva, e Perrin sospettava che, se anche si fosse svegliato un'ora dopo essersi messo a letto, lei sarebbe comunque riuscita ad alzarsi prima. I lembi dell'apertura della tenda erano legati all'indietro, i pannelli laterali un po' rialzati sul fondo, e dal buco in cima entrava un po' d'aria, abbastanza per dare un'illusione di frescura. Perrin addirittura rabbrividì mentre cercava camicia e brache. Be', si supponeva fosse inverno, anche se il clima non se ne era ancora accorto. Si vestì al buio e si strofinò i denti col sale, senza bisogno di lampade, e quando uscì dalla tenda battendo i piedi per farli entrare meglio negli stivali, vide che Faile aveva già i suoi nuovi servitori raccolti attorno a sé, nello scuro grigiore del primo mattino, alcuni di loro muniti di lanterne. La figlia di un lord aveva bisogno di servitori: avrebbe dovuto provvedere prima lui stesso. A Caemlyn Faile aveva addestrato allo scopo alcune persone dei Fiumi Gemelli, ma vista la necessità di segretezza non avevano potuto portarle in quel viaggio. Mastro Gill sarebbe di sicuro tornato a casa non appena possibile, e con lui Lamgwin e Breane, ma forse Maighdin e Lini sarebbero rimaste. Aram, seduto a gambe incrociate accanto alla tenda, si raddrizzò e aspet-
tò Perrin in silenzio. Se Perrin non gliel'avesse impedito, quel ragazzo avrebbe dormito sulla soglia della tenda. Quel mattino indossava una giubba a strisce bianche e rosse, anche se il bianco era un po' lercio, e già adesso l'elsa col pomello a testa di lupo gli spuntava da sopra una spalla. Perrin aveva lasciato la sua ascia nella tenda, lieto di poterne fare a meno. Tallanvor portava ancora la spada appesa al cinturone che chiudeva la giubba, ma mastro Gill e gli altri due uomini erano disarmati. Faile doveva averlo osservato per tutto il tempo, perché non appena Perrin uscì lei indicò la tenda, dando chiaramente degli ordini. Maighdin e Breane passarono di gran carriera accanto a lui e ad Aram; portavano con sé le lanterne, tenevano la mascella serrata e, chissà perché, odoravano di ferma determinazione. Nessuna delle due gli fece la riverenza, una piacevole sorpresa. Lini sì, un rapido piegarsi delle ginocchia prima di scattare dietro le altre due mormorando qualcosa sulla necessità di 'saper stare al proprio posto'. Perrin sospettava che Lini fosse una di quelle donne il cui posto, secondo loro, era ovviamente al comando. A pensarci bene, quasi tutte le donne erano così. E dappertutto, non solo nei Fiumi Gemelli. Tallanvor e Lamgwin seguirono le donne da presso, e Lamgwin si inchinò con gravità appena minore di Tallanvor, che era quasi cupo. Perrin sospirò e ricambiò l'inchino, ed entrambi sobbalzarono, guardandolo a bocca aperta. Un urlo brusco da parte di Lini li fece scattare nella tenda. Dopo avergli rivolto appena un sorriso fulmineo, Faile si avviò verso i carri, parlando di volta in volta con Basel Gill e Sebban Balwer che le stavano ai lati. Ognuno reggeva una lanterna, per illuminarle il cammino. Ovviamente, un nutrito numero di quei giovani idioti li seguiva tenendosi a una distanza dalla quale avrebbero sentito se lei alzava la voce, camminavano impettiti carezzando le else delle spade e si guardavano intorno nella luce fioca come se si aspettassero un attacco o sperassero che ne arrivasse uno. Perrin si tirò la barba corta. Faile trovava sempre un bel po' di cose da fare per riempirsi la giornata, e nessuno glielo impediva. Nessuno osava. All'orizzonte si vedevano appena le prime dita di luce dell'alba, ma i Cairhienesi cominciavano già a destarsi tra i carri, e si muovevano più in fretta man mano che Faile si avvicinava. Quando lei li ebbe raggiunti, sembrava ormai che trottassero, le lanterne che sobbalzavano e oscillavano nell'oscurità. Gli uomini dei Fiumi Gemelli, abituati ai tempi della fattoria, stavano già facendo colazione, alcuni ridevano e facevano chiasso intorno ai fuochi per cucinare, altri brontolavano, ma quasi tutti facevano il loro dovere. Pochi di loro provarono a restare tra le coperte, e ne furono tirati
fuori senza cerimonie. Anche Grady e Neald erano già in piedi, come sempre in disparte, ombre in giubba nera in mezzo agli alberi. Perrin non ricordava di averli mai visti senza quelle giubbe, sempre abbottonate fino al collo, sempre pulite e stirate sin dall'alba, per quanto malconce potevano esser state la notte prima. Eseguendo le forme all'unisono, si stavano esercitando con la spada come ogni altra mattina. Quello era meglio dell'allenamento serale, quando sedevano a gambe incrociate, mani sulle ginocchia, fissando il nulla. Non facevano mai niente che gli altri potessero vedere, ma tutti gli uomini dell'accampamento sapevano in cosa i due si esercitavano, e si tenevano alla larga. Nemmeno le Fanciulle si avvicinavano più di tanto, in quei momenti. Mancava una cosa, e Perrin se ne rese conto con un sobbalzo. Faile faceva sempre in modo che un uomo gli andasse subito incontro con una ciotola della farinata d'avena che mangiavano a colazione, ma quel mattino doveva essere stata troppo occupata per pensarci. Con gioia, Perrin si affrettò verso i fuochi, nella speranza di potersi riempire da solo la ciotola almeno per una volta. Speranza vana. Flann Barstere, un uomo magro con una fossetta nel mento, gli andò incontro a metà strada per piazzargli in mano una ciotola incisa. Flann veniva dalle parti di Watch Hill e Perrin non lo conosceva bene, ma erano andati insieme a caccia una volta o due, e Perrin lo aveva anche aiutato a tirar fuori una delle vacche di suo padre da un pantano nel Bosco del Fiume. «Lady Faile mi aveva chiesto di portartela, Perrin» spiegò Flann ansioso. «Non glielo dirai che l'avevo dimenticato, vero? Non glielo dirai? Ho trovato del miele, e ce ne ho messo una bella cucchiaiata.» Perrin provò a non sospirare. Almeno Flann si ricordava il suo nome. Bene, forse non poteva sbrigare da solo le faccende più semplici, ma era ancora responsabile degli uomini che mangiavano tra gli alberi. Se non fosse stato per lui sarebbero rimasti con le loro famiglie, e in quel momento avrebbero cominciato a prepararsi per il lavoro in fattoria, mungendo mucche e tagliando legna da ardere invece di chiedersi se di lì al tramonto avrebbero dovuto uccidere o sarebbero morti. Mangiando rapidamente la farinata col miele, Perrin disse ad Aram di prendersela comoda con la colazione, ma l'altro assunse un'aria così mesta che lui lasciò perdere, e così Aram lo seguì nel giro dell'accampamento. Un viaggio tutt'altro che piacevole. Gli uomini mettevano giù la ciotola al suo arrivo, o addirittura si alzavano in piedi vedendolo passare. Perrin digrignava i denti ogni volta che si
sentiva chiamare 'lord' da un uomo col quale era cresciuto o che, peggio ancora, lo aveva mandato a svolgere qualche commissione quando lui era ragazzo. Non lo facevano tutti, ma erano comunque troppi. Decisamente troppi. Dopo un po' smise di chiedere che la smettessero, si arrese per stanchezza; fin troppo spesso la risposta era 'Oh! Come desideri, lord Perrin.' Era sufficiente a fargli venir voglia di ululare! Ciò nonostante, si costrinse a fermarsi per scambiare due parole con ognuno di loro. Soprattutto, però, tenne gli occhi aperti. E il naso. Quegli uomini erano tutti abbastanza accorti da tenere l'arco in buone condizioni e badare all'impennatura e alla punta delle frecce, ma alcuni di loro erano capaci di consumare la suola degli stivali o il fondo dei pantaloni senza neanche accorgersene, o di lasciare che una vescica entrasse in suppurazione perché non potevano prendersi la briga di porvi rimedio. Diversi di loro avevano l'abitudine di procacciarsi acquavite quando era possibile, e due o tre non la reggevano bene. In un piccolo villaggio prima di Bethal avevano incontrato non meno di tre locande. Era una strana sensazione. Quando comare Luhan o sua madre gli dicevano che gli servivano degli stivali nuovi o che le sue brache avevano bisogno di una ricucita, Perrin aveva sempre provato imbarazzo, ed era sicuro che si sarebbe irritato con chiunque altro avesse provato a fare una cosa del genere, ma gli uomini dei Fiumi Gemelli, a cominciare dal vecchio Jondyn Barran, si limitarono a rispondergli, 'Accidenti, lord Perrin, hai ragione; me ne occupo subito' o cose del genere. E Perrin ne colse alcuni che si scambiavano sorrisi mentre lui proseguiva il giro. E avevano un odore compiaciuto! Quando stanò una brocca d'argilla piena di acquavite alla pera nelle bisacce da sella di Jori Congar - un uomo pelle e ossa che mangiava il doppio degli altri e aveva sempre l'aria di chi non si fa un boccone da una settimana, Jori era bravo con l'arco, ma quando ne aveva l'occasione beveva fino a non reggersi in piedi e aveva anche la mano un po' troppo lesta -, questi lo guardò a occhi sgranati e spalancò le braccia come a dire che non sapeva da dove venisse quella brocca. Ma quando Perrin andò via, svuotando l'acquavite a terra, Jori rise e dichiarò: «A lord Perrin non sfugge nulla!» E odorava di orgoglio! A volte Perrin credeva di essere l'ultima persona sana di mente rimasta in quel gruppo. Si rese conto di un'altra cosa. Gli uomini erano tutti interessati a ciò che lui non aveva detto. Uno dopo l'altro, guardarono verso le bandiere che di tanto in tanto sventolavano in cima ai loro pali spinte da una breve raffica di vento, la testa di lupo rossa e l'aquila rossa. Guardavano le bandiere e
guardavano lui, in attesa dell'ordine che aveva dato ogni volta in cui i due vessilli erano spuntati fuori da quando avevano raggiunto il Ghealdan. E spesso anche prima di arrivare in quella terra. Solo che il giorno addietro lui non aveva detto nulla, e non disse nulla neppure durante questo giro, e vide il fiorire delle ipotesi sui volti degli uomini. Si lasciò alle spalle gruppi di individui che scrutavano le bandiere e poi lui, mormorando tra di loro con trasporto. Perrin non provò ad ascoltare ciò che dicevano. Che avrebbero detto se lui si fosse sbagliato, se i Manti Bianchi o re Ailron avessero deciso che potevano distogliere lo sguardo dal Profeta e dai Seanchan abbastanza a lungo per poter soffocare una presunta ribellione? Quegli uomini erano sotto la sua responsabilità, e per colpa sua ne erano morti già troppi. Il sole cominciava ad affacciarsi oltre l'orizzonte e diffondeva la forte luce del mattino quando lui ebbe finito il giro; di ritorno alla tenda, vide che Tallanvor e Lamgwin stavano trascinando fuori i bauli sotto gli ordini di Lini, mentre Maighdin e Breane parevano intente a riordinarne il contenuto su un'ampia zona di erba marrone. Si trattava soprattutto di lenzuola e tovaglie, e lunghe fasce di seta lucente che avrebbero dovuto drappeggiare il letto smarrito da Perrin. Faile doveva trovarsi dentro la tenda, perché la banda di giovani idioti era poco distante a girarsi i pollici. Niente lavori pesanti per loro. Erano utili come ratti in un fienile. Perrin pensò di dare un'occhiata a Resistenza e Stepper, ma quando guardò oltre gli alberi verso dove erano impastoiati i cavalli, qualcuno lo vide. Almeno tre dei maniscalchi si fecero avanti con ansia e lo guardarono. Uomini massicci in grembiuli di cuoio, simili tra loro come le uova di un paniere, anche se Falton aveva solo una frangia di capelli bianchi intorno alla testa, quelli di Aemin cominciavano a ingrigire e Jerasid era appena entrato nell'età adulta. Perrin ringhiò quando li vide. Sarebbero andati da lui se avesse poggiato una mano su uno dei due cavalli, e avrebbero strabuzzato gli occhi se avesse sollevato una zampa per controllare uno zoccolo. L'unica volta che Perrin aveva provato a cambiare da solo uno zoccolo consumato, a Resistenza, tutti e sei i maniscalchi gli erano sfrecciati intorno per strappargli gli strumenti prima ancora che potesse toccarli, facendo quasi cadere il baio nella fretta di fare il lavoro al posto suo. «Temono che non ti fidi di loro» gli disse Aram all'improvviso. Perrin lo guardò sorpreso, e Aram mosse le spalle sotto la giubba. «Ho parlato un po' con loro. Credono che se un lord bada da solo ai propri cavalli deve essere perché non si fida dei suoi maniscalchi. Hanno paura che tu possa
mandarli via, e non saprebbero come tornare a casa.» A giudicare dal suo tono, secondo lui dovevano essere degli idioti a fare dei pensieri del genere, ma guardò Perrin di sottecchi e scrollò di nuovo le spalle, a disagio. «E credo che siano anche imbarazzati. Secondo quegli individui, se non ti comporti come loro pensano debba comportarsi un lord questo si riflette anche sulla loro dignità.» «Per la luce!» mormorò Perrin. Faile gli aveva detto le stesse cose quanto meno sulla questione dell'imbarazzo - ma lui aveva creduto che fossero solo le chiacchiere della figlia di un lord. Faile era cresciuta circondata dai servitori, ma come poteva una lady conoscere i pensieri di un uomo che doveva guadagnarsi la pagnotta? Perrin si accigliò, guardando verso i cavalli. Adesso i maniscalchi che si erano fermati a fissarlo erano cinque. Imbarazzati perché lui voleva badare da solo ai propri animali, e sconvolti perché non voleva che si sprecassero in inchini e riverenze. «Anche tu pensi che dovrei comportarmi come un'idiota in calzamaglie di seta?» chiese. Aram batté le palpebre e prese a fissare i propri stivali. «Per la Luce!» ruggì Perrin. Individuò Basel Gill che veniva di corsa dalla zona dei carri e allora gli andò incontro. Non credeva di aver fatto un buon lavoro, il giorno addietro, nel far sentire Gill a suo agio. Il corpulento locandiere stava ancora una volta parlando da solo mentre si asciugava la fronte con un fazzoletto, e grondava di sudore nella sua sgualcita giubba grigia. Il caldo del giorno cominciava già a farsi sentire. L'uomo non vide Perrin finché non gli fu quasi addosso, poi sobbalzò, si infilò il fazzoletto in una tasca della giubba e fece un inchino. Pulito e pettinato, sembrava pronto per un giorno di festa. «Ah. Lord Perrin. La tua signora mi ha chiesto di portare un carro a Bethal. Vuole che ti procuri un po' di tabacco dei Fiumi Gemelli, se ci riesco, ma io non credo che sia possibile. Quella varietà di tabacco è sempre stata piuttosto cara, e al momento il commercio non è più quello di un tempo.» «Ti ha mandato a prendere tabacco?» chiese Perrin, accigliato. Certo, la segretezza era ormai andata a farsi benedire, eppure... «Ne ho comprato tre casse in un villaggio, poco tempo fa. Basta per tutti.» Gill scosse il capo con fermezza. «Ma non era dei Fiumi Gemelli, e la tua signora dice che quello è il tuo preferito. Il tabacco del Ghealdan andrà più che bene per i tuoi uomini. Io sarò il vostro shambayan, così ha detto la signora, e mi occuperò di procurarvi ciò di cui avete bisogno. Non è molto diverso da quello che facevo quando mi occupavo della Benedizione, in re-
altà.» Questa similitudine parve divertirlo: il ventre fu scosso da una silenziosa risata. «Ho anche un elenco, anche se non so dire quante cose riuscirò a trovare. Vino buono, erbe, frutta, candele e olio per lampade, tela impermeabile e cera, carta e inchiostro, agli, spilli... oh, oggetti di ogni tipo. Andremo io, Tallanvor e Lamgwin, con alcuni del seguito della tua signora.» Il seguito della sua signora. Tallanvor e Lamgwin intanto stavano portando fuori dalla tenda un altro baule che le donne avrebbero rimesso in ordine. Dovettero passare accanto alla marmaglia di giovani idioti, nessuno dei quali si offrì di dare una mano. In effetti, quegli sfaccendati ignorarono del tutto i due uomini. «Tieni d'occhio quelle persone» fece Perrin. «Se uno di loro comincia a causare problemi - o anche se ti dà questa impressione - di' a Lamgwin di spaccargli la testa.» E se era una delle donne? Era altrettanto probabile, se non di più, che una di loro si mettesse nei guai. Perrin sbuffò. Il 'seguito' di Faile continuava a fargli venire i nodi allo stomaco. Era un peccato che sua moglie non potesse accontentarsi di individui come mastro Gill o Maighdin. «Non hai menzionato Balwer. Ha deciso di andarsene per la sua strada?» Proprio in quel momento, un soffio di vento gli portò l'odore di Balwer, un odore vivace che poco si addiceva all'aspetto esteriore di quell'uomo che pareva quasi... prosciugato. Muovendosi sulle foglie secche sparse a terra, Balwer faceva davvero poco rumore anche per un uomo magro come lui. Vestito con una giubba marrone come il piumaggio di un passero, fece un rapido inchino, e la testa piegata da un lato rinforzò l'impressione di stare davanti a un uccellino. «Resto con voi, mio signore» disse con cautela. O forse quello era solo il suo modo di parlare. «Sarò il segretario della tua graziosa signora. E il tuo, se ti va bene.» Fece un passo avanti, quasi un saltello da volatile. «Sono molto idoneo al compito, mio signore. Ho una buona memoria, una buona mano quando si tratta di scrivere, e il mio signore può essere sicuro che qualsiasi cosa mi confida non sfiorerà mai le mie labbra in presenza di altri. La capacità di mantenere un segreto è un requisito fondamentale per un segretario. Non hai dei compiti urgenti da svolgere per la nostra nuova padrona, mastro Gill?» Il locandiere guardò accigliato Balwer, aprì la bocca e la richiuse di scatto. Girò sui talloni e trottò via verso la tenda. Per un attimo Balwer rimase a guardarlo, con la testa di lato e le labbra increspate in un'espressione pensosa. «Posso offrire anche altri servizi, mio
signore» disse infine. «Conoscenze. Ho per caso sentito parlare alcuni degli uomini del mio signore, e mi è parso di capire che il mio signore ha qualche... difficoltà... con i Figli della Luce. Un segretario apprende molte cose. E io conosco sorprendentemente bene i Figli.» «Con un po' di fortuna riuscirò a evitare i Manti Bianchi» gli rispose Perrin. «Sarebbe meglio se tu sapessi dove si trova il Profeta. O dove sono i Seanchan.» Non si aspettava niente del genere, ovviamente, ma Balwer lo sorprese. «Non posso esserne sicuro, ma credo che i Seanchan non si siano ancora spinti oltre Amador. È difficile separare i fatti dalle dicerie, mio signore, ma io tengo le orecchie aperte. Certo, a quanto pare possono muoversi con inaspettata velocità. Gente pericolosa, con un gran numero di soldati tarabonesi al seguito. Da quanto mi ha detto mastro Gill, il mio signore già li conosce, ma io li ho osservati con attenzione ad Amador, e ciò che ho visto è a disposizione del mio signore. Riguardo al Profeta, le voci che girano su di lui sono numerose almeno quanto quelle sui Seanchan, ma credo di poter dire con una certa affidabilità che di recente è stato ad Abila, una città piuttosto grande a circa quaranta leghe a sud di qui.» Balwer fece un sorriso sottile, un breve sorriso di autocompiacimento. «Come fai a essere così sicuro?» chiese lentamente Perrin. «Come ho detto, mio signore, tengo le orecchie aperte. Si racconta che il Profeta abbia fatto chiudere locande e taverne, abbattendo quelle che considerava troppo disdicevoli. Girano diversi nomi, e caso vuole che io sappia che ci sono locande con alcuni di quei nomi proprio ad Abila. E credo sia poco probabile che in altre città ci siano tante locande con gli stessi nomi.» Un altro rapido sorriso balenò sul suo volto. Di sicuro il suo odore era compiaciuto. Perrin si grattò la barba, pensoso. E così quell'uomo ricordava per caso dove si trovavano alcune locande che Masema aveva fatto abbattere. E se dopo tutto veniva fuori che Masema non era lì, be', in quei giorni le dicerie spuntavano come funghi dopo la pioggia. Balwer sembrava molto impegnato a far notare la propria importanza. «Ti ringrazio, mastro Balwer. Lo terrò a mente. Se vieni a sapere altro, mi raccomando, dimmelo.» Quando lui si girò per andar via, l'uomo gli afferrò una manica. Le dita ossuta si ritrassero subito, come se si fosse bruciato, e Balwer fece uno di quei suoi inchini da uccello, strofinandosi le mani. «Perdonami, mio signore. Non voglio metterti pressione, ma non prendere i Manti Bianchi troppo alla leggera. Evitarli è una scelta saggia, ma potrebbe non
essere praticabile. Sono molto più vicini dei Seanchan. Eamon Valda, il nuovo lord capitano comandante, ne ha guidato un gran numero verso il Nord dell'Amadicia prima della caduta di Amador. E anche lui dava la caccia al Profeta, mio signore. Valda è un uomo pericoloso, ma Rhadam Asunawa, il Sommo Inquisitore, lo fa sembrare piacevole. E temo che nessuno dei due nutra per te buoni sentimenti, mio signore. Perdonami.» Fece un altro inchinò, esitò, poi andò avanti con naturalezza. «Se posso dirlo, mio signore, l'idea di mostrare la bandiera del Manetheren è ispirata. Il mio signore sarà un avversario più che difficile per Valda e Asunawa, se è accorto.» Guardandolo andar via tra un inchino e l'altro, Perrin pensò che ormai conosceva almeno in parte la storia di Balwer. Anche lui doveva essere entrato in conflitto con i Manti Bianchi. In realtà, per entrare in conflitto con i Manti Bianchi poteva essere sufficiente ritrovarsi nella stessa strada con loro, uno sguardo accigliato nel momento sbagliato, ma sembrava che Balwer nutrisse uno speciale rancore. E aveva anche una mente acuta, in grado di capire subito il significato dell'aquila rossa. E una lingua tagliente, come aveva dimostrato con mastro Gill. Gill era in ginocchio accanto a Maighdin, parlava rapido nonostante gli sforzi di Lini per zittirlo. Maighdin si era girata a fissare Balwer quando l'uomo si era avviato in tutta fretta tra gli alberi diretto ai carri, ma di tanto in tanto spostava lo sguardo su Perrin. Gli altri le stavano vicino e scrutavano ora Balwer, ora Perrin. Se mai si era visto un gruppo di persone preoccupate da ciò che una di loro poteva aver detto, questo era proprio il gruppo di Maighdin. Ma cosa temevano che Perrin potesse aver sentito? Probabilmente delle calunnie su di loro. Storie di rancori e malefatte, reali o immaginarie. Quando le persone si trovavano a dover stare insieme tendevano a punzecchiarsi a vicenda. Se le cose stavano davvero così, forse Perrin poteva porvi fine prima che cominciasse a scorrere il sangue. Tallanvor aveva ripreso a carezzare l'elsa della sua spada. Che aveva intenzione di farsene Faile di quell'uomo? «Aram, voglio che vai a parlare con Tallanvor e gli altri. Raccontagli quello che mi ha detto Balwer. Fallo scivolare per caso nella conversazione, ma racconta tutto.» Questo avrebbe dovuto placare i loro timori. Faile diceva che bisognava far sentire i servitori come se fossero a casa. «Diventa loro amico se puoi, Aram. Ma se decidi di invaghirti di una delle donne, limitati a Lini. Le altre due sono già impegnate.» Il ragazzo aveva parole dolci per ogni donna graziosa, ma riuscì a mo-
strarsi sorpreso e offeso. «Come desideri, lord Perrin» mormorò imbronciato. «Ti raggiungerò subito dopo.» «Sarò con gli Aiel.» Aram sbatté le palpebre. «Ah. Sì. Be', forse mi ci vorrà un po', se devo diventare loro amico. Non mi sembra che abbiano molta voglia di fare nuove conoscenze.» Era strano, detto da un uomo che fissava con sospetto chiunque si avvicinava a Perrin, tranne Faile, e non sorrideva a nessuno che non indossasse la gonna. Ciò nonostante, andò verso Gill e gli altri e si accovacciò abbastanza vicino per poter parlare con loro. Anche da lontano, la ritrosia dei nuovi arrivati era evidente. Portarono avanti i loro compiti, rivolgendo la parola ad Aram solo di tanto in tanto, e si tenevano d'occhio tra di loro oltre a guardare lui. Nervosi come quaglie verdi d'estate, quando le volpi insegnano ai cuccioli come cacciare. Ma almeno stavano parlando. Perrin si chiese cosa Aram poteva aver combinato con gli Aiel - non c'era stato nemmeno il tempo per combinare qualcosa! - ma non ci pensò su a lungo. Qualsiasi vero problema con gli Aiel di solito portava alla morte, e non degli Aiel. In realtà, neanche lui era così ansioso di incontrare le Sapienti. Girò intorno alla collina, ma invece di risalire il pendio i suoi passi lo portarono verso l'accampamento dei Mayenesi. Si era tenuto lontano da lì quanto più possibile, e non solo per via di Berelain. C'erano degli svantaggi nell'avere un odorato troppo fine. Per fortuna, una brezza rinfrescante portava via gran parte del fetore, anche se non faceva granché contro il caldo. Il sudore colava sui volti delle sentinelle a cavallo con le loro armature rosse. Quando lo videro, si raddrizzarono ancor più in sella, nonostante sedessero già con una certa rigidità. Mentre gli uomini dei Fiumi Gemelli a cavallo sembravano sempre pronti a una scampagnata, i Mayenesi erano di solito statue equestri. Ma erano ottimi combattenti. Con l'aiuto della Luce, non ce ne sarebbe stato bisogno. Havien Nurelle arrivò di corsa abbottonandosi la giubba prima ancora che Perrin ebbe superato le sentinelle. Gli altri ufficiali lo seguirono da presso, tutti con la giubba e alcuni intenti a stringere le cinghie dei pettorali rossi. Due o tre di loro portavano sotto un braccio l'elmo dalle sottili piume rosse. Erano quasi tutti molto più grandi di Nurelle, alcuni avevano il doppio della sua età, uomini dai capelli che ingrigivano e con facce dure e piene di cicatrici, ma la ricompensa di Nurelle per il suo ruolo nel salvataggio di Rand era stata la promozione a secondo di Gallenne; era diventa-
to il suo primo tenente, come dicevano loro. «La Prima non è ancora tornata, lord Perrin» lo avvisò Nurelle, facendo un inchino subito imitato dagli altri. Alto e magro, e non sembrava più giovane come prima dei Pozzi di Dumai. I suoi occhi erano più penetranti, avevano visto più sangue della maggior parte dei veterani di tante battaglie. Ma se anche il volto era più duro, l'odore trasportava ancora la sua ansia di compiacere gli altri. Per Havien Nurelle, Perrin Aybara era in grado di volare o camminare sull'acqua a suo piacimento. «Le pattuglie del mattino che sono tornate non hanno visto nulla. Altrimenti avrei fatto rapporto.» «Certo» gli rispose Perrin. «Io... volevo solo dare un'occhiata.» In realtà aveva pensato solo di fare un giro per trovare il coraggio necessario a fronteggiare le Sapienti, ma il giovane mayenese lo seguì con gli altri ufficiali, e osservò lord Perrin temendo che potesse trovare qualche difetto nelle Guardie Alate: fece smorfie ogni volta che si imbattevano in uomini a torso nudo che giocavano a dadi sulle coperte o in tizi che russavano mentre il sole continuava a salire nel cielo. In realtà non aveva nulla di cui preoccuparsi; a Perrin, l'accampamento sembrava tracciato con il filo a piombo. Ogni soldato aveva le sue coperte e la sua sella per cuscino, a non più di due passi dal punto in cui teneva il cavallo legato a un palo piazzato nel terreno. Ogni venti passi c'era un fuoco per cucinare, e tra uno e l'altro le lance accatastate formavano ordinati coni dalla sommità d'acciaio. Il tutto disegnava un quadrato intorno a cinque tende puntute, una delle quali aveva strisce blu e dorate ed era più grande delle altre quattro messe insieme. Molto diverso dalla caotica e casuale sistemazione degli uomini dei Fiumi Gemelli. Perrin mantenne un'andatura sostenuta, cercando di non sembrare troppo un'idiota. Ma non sapeva se gli stava riuscendo bene. Moriva dalla voglia di fermarsi a guardare i cavalli - fosse solo per poter controllare uno zoccolo senza che nessuno perdesse i sensi - ma ricordandosi quello che gli aveva detto Aram tenne a posto le mani. Tutti parvero sorpresi quanto Nurelle per la rapidità del suo passaggio. I portabandiera dallo sguardo duro rimproveravano gli uomini e li facevano alzare solo per vedere Perrin che li superava con un rapido cenno della testa, prima ancora che tutti fossero in piedi. Un mormorio perplesso seguì la scia del suo passaggio, e col suo udito Perrin riuscì a cogliere commenti sugli ufficiali, su quelli nobili in particolare, e fu lieto che Nurelle e gli altri non potessero sentirli. Alla fine, si ritrovò ai confini dell'accampamento, davanti alla cespugliosa altura
che portava alle tende delle Sapienti. Tra gli alberi sparsi in cima erano visibili poche Fanciulle e qualche gai'shain. «Lord Perrin» disse titubante Nurelle. «Le Aes Sedai...» Gli si avvicinò e abbassò la voce a un roco sussurro. «Lo so che hanno giurato fedeltà al lord Drago, e... Ho visto delle cose, lord Perrin. Si occupano dei lavori da campo! Le Aes Sedai! Stamattina, Masuri e Seonid sono scese a prendere l'acqua! E ieri, dopo che sei tornato... ieri mi è parso di sentire qualcuno che lassù... urlava di dolore. Ovviamente non sarà stata una delle sorelle» si affrettò ad aggiungere, e rise per dimostrare quanto era improponibile quell'idea, una risata molto tremula. «Tu... controllerai che va... tutto bene... con loro, vero?» Quell'uomo era andato contro quarantamila Shaido guidando duecento lancieri, ma parlando di questo argomento infossava le spalle e strascicava i piedi. Certo, era andato contro quei quarantamila Shaido per volere di un'Aes Sedai. «Farò quel che posso» mormorò Perrin. Forse la situazione era peggiore di quanto credeva. Adesso doveva evitare che peggiorasse ancora. Se ci riusciva. Avrebbe preferito dover affrontare di nuovo gli Shaido. Nurelle annuì come se Perrin gli avesse promesso di fare tutto quello che lui chiedeva e anche di più. «Va bene, allora» disse, e parve sollevato. Lanciando a Perrin occhiate furtive, si costrinse a dire un'altra cosa, anche se lo turbava evidentemente meno delle Aes Sedai. «Ho saputo che hai deciso di tenere l'aquila rossa.» Perrin quasi sobbalzò. Le notizie viaggiavano in fretta, anche se in effetti si trattava solo di aggirare una collina. «Mi è sembrata la cosa giusta da fare» rispose lentamente. Berelain avrebbe dovuto sapere la verità, ma se venivano a conoscerla in troppi, quella verità si sarebbe diffusa a partire dal prossimo villaggio, la prossima fattoria. «Un tempo questa era parte del Manetheren» aggiunse, come se Nurelle non lo sapesse già. E così adesso anche Perrin era capace di piegare la verità come le Aes Sedai, e lo faceva con uomini che erano dalla sua parte. «Non è la prima volta che quella bandiera viene innalzata in queste terre, te lo garantisco, ma nessuno prima d'ora aveva l'appoggio del Drago Rinato.» E se questo non era sufficiente a piantare i semi necessari, allora lui non era in grado di arare il suo campo. A un tratto si rese conto che ogni singolo membro della Guardia Alata lo stava osservando insieme agli ufficiali. Senza dubbio si chiedevano cosa stesse dicendo, dopo aver marciato nel loro accampamento a quel modo. Anche un vecchio soldato magro e quasi calvo che Gallenne chiamava 'il leccapiedi' era uscito a dare un'occhiata, e altrettanto avevano fatto le ca-
meriere di Berelain, due donne paffute dal volto semplice i cui abiti si abbinavano ai colori della tenda della loro padrona. Perrin non aveva visto quasi nulla dell'accampamento, ma sapeva di dover fare qualche complimento. Con voce abbastanza alta perché tutti lo sentissero, disse: «La Guardia Alata sarà l'orgoglio di Mayene se dovremo affrontare un'altra battaglia come ai Pozzi di Dumai.» Furono le prime parole che gli vennero in mente, ma fece una smorfia già mentre le pronunciava. Con sua sorpresa, subito i soldati cominciarono a urlare, acclamando: «Perrin Occhidoro!» e: «Mayene per Occhidoro!» e: «Occhidoro e il Manetheren!» Gli uomini ballavano e facevano capriole, e alcuni presero le lance dai mucchi ordinati e le agitarono facendo ondeggiare nella brezza i pennacchi rossi. I brizzolati portabandiera osservavano la scena a braccia conserte, annuendo la loro approvazione. Nurelle si era illuminato, e non era il solo. Ufficiali coi capelli grigi e le facce segnate da cicatrici ridevano come ragazzini elogiati per come avevano fatto i compiti. Per la Luce, era davvero l'unica persona sana di mente rimasta in quell'accampamento! Lui pregava per non dover vedere un'altra battaglia! Chiedendosi se quella situazione non gli avrebbe causato problemi con Berelain, salutò Nurelle e gli altri e arrancò su per la collina verso i cespugli morti o morenti, nessuno dei quali gli arrivava nemmeno alla vita. L'erba marrone crepitava sotto i suoi stivali. Le urla ancora riempivano il campo dei Mayenesi. Anche dopo aver appreso la verità, forse la Prima non sarebbe stata contenta di sapere che i suoi soldati avevano acclamato Perrin a quel modo. Ovviamente ciò poteva avere i suoi risvolti positivi. Berelain poteva arrabbiarsi abbastanza da smettere di infastidirlo. Quasi in cima, Perrin si fermò ad ascoltare le urla che cominciavano finalmente a spegnersi. Nessuno l'avrebbe acclamato dove stava per andare. Tutti i lembi laterali erano abbassati sulle basse tende grigie e marroni delle Sapienti. E adesso erano visibili ancor meno Fanciulle. Accovacciate agilmente sui talloni sotto un'ericacea che ancora mostrava un po' di verde, lo scrutarono con curiosità. Le mani si mossero rapide in quel loro linguaggio fatto di gesti. Dopo un attimo Sulin si alzò, sistemandosi meglio il pesante pugnale che portava alla cintura, e si avviò verso di lui, una donna alta e nodosa con una cicatrice rosa sulla guancia abbronzata. Guardò la strada da dove Perrin era venuto e parve sollevata di vedere che era solo, anche se con gli Aiel era sempre difficile capire certe cose. «Questo è un bene, Perrin Aybara» disse a voce bassa. «Le Sapienti non
sono state contente quando le hai fatte venire da te. Solo un idiota scontenta le Sapienti, e non ho mai creduto che tu fossi un idiota.» Perrin si grattò la barba. Si era tenuto alla larga dalle Sapienti - e dalle Aes Sedai - quanto più possibile, ma non aveva mai avuto intenzione di costringerle ad andare da lui. Trovava poco piacevole la loro compagnia. Per usare un eufemismo. «Be', ora ho bisogno di vedere Edarra» rispose. «Riguardo alle Aes Sedai.» «Forse mi sbagliavo, dopo tutto» rispose secca Sulin. «Ma glielo dirò.» Si voltò, per poi fermarsi un attimo. «Spiegami una cosa. Teryl Wynter e Furen Alharra sono vicini a Seonid Traighan - come fratelli-primi con una sorella-prima; a lei non piacciono gli uomini - eppure si sono offerti per essere puniti al suo posto. Come hanno potuto umiliarla a quel modo?» Perrin aprì la bocca, ma non gli venne nulla da dire. Due gai'shain apparvero dal versante opposto del declivio, ognuno con una coppia di muli da soma degli Aiel; gli uomini vestiti di bianco passarono a poca distanza da lui, diretti verso il torrente. Perrin non poteva essere sicuro, ma gli sembrò che fossero entrambi Shaido. I due tennero lo sguardo umilmente basso, alzandolo appena quanto bastava per vedere dove mettevano i piedi. Avevano avuto ogni opportunità per fuggire, svolgendo quel tipo di mansioni senza nessuno a fare la guardia. Un popolo davvero bizzarro. «Vedo che anche tu sei sconvolto» disse Sulin. «Speravo che potessi darmi delle spiegazioni. Vado ad avvisare Edarra.» Avviandosi verso le tende, si girò ad aggiungere: «Voi abitanti delle terre bagnate siete molto strani, Perrin Aybara.» Perrin rimase a guardarla accigliato, e quando la donna svanì in una delle tende, lui rivolse il proprio cipiglio ai due gai'shain che guidavano gli animali verso l'acqua. Gli abitanti delle terre bagnate erano strani? Per la Luce! E così Nurelle aveva ragione. Era davvero il momento di ficcare il naso in quello che stava succedendo tra Sapienti e Aes Sedai. Avrebbe dovuto farlo prima. Se solo non gli fosse sembrato di dover ficcare il naso in un nido di vespe... Parve passare molto tempo prima che Sulin tornasse, e la donna fece ben poco per risollevare il suo morale. Mentre gli teneva aperta la tenda per farlo entrare, colpì con un dito il pugnale che lui portava alla cintura. «Dovresti essere meglio armato per questa danza, Perrin Aybara» gli disse sprezzante. All'interno, Perrin fu sorpreso di trovare tutte e sei le Sapienti sedute a gambe incrociate sui variopinti cuscini con i fiocchi, gli scialli legati intor-
no alla vita e le gonne disposte con cura a ventaglio sugli strati di tappeti. Perrin aveva sperato di incontrare solo Edarra. Nessuna sembrava avere più di tre o quattro anni più di lui, alcune nemmeno quelli, eppure in qualche modo lo facevano sempre sentire come davanti alle più anziane componenti del Circolo delle Donne, quelle che avevano speso anni a imparare a riconoscere a naso qualsiasi cosa uno cercava di nascondere. Distinguere uno dall'altro gli odori delle Sapienti era quasi impossibile, ma Perrin non ne aveva bisogno. Sei paia di occhi lo fissarono, da quelli azzurro cielo di Janina a quelli crepuscolari e quasi porpora di Marline, passando per quelli verdi e penetranti di Nevarin. Ognuno di quegli occhi era come uno spiedo. Edarra gli fece bruscamente cenno di accomodarsi su un cuscino, cosa che lui fece con gratitudine, anche se si ritrovò rivolto verso quel semicerchio di donne. Forse le Sapienti stesse avevano progettato quelle tende, per costringere gli uomini a chinare il capo se volevano stare dritti. Cosa strana, lì dentro faceva più fresco che fuori, ma a Perrin sembrava comunque di star sudando. Forse non riusciva a distinguere i singoli odori, ma quelle donne erano come lupi che studiavano una capra legata. Un gai'shain dal volto quadrato che era anche più grosso di lui si inginocchiò per offrirgli una coppa d'oro piena di vino fruttato poggiata su un elaborato vassoio d'argento. Le Sapienti avevano già in mano calici e coppe d'argento scompagnati. Senza sapere come interpretare il fatto che a lui l'avessero offerto d'oro - forse non significava niente, ma chi poteva dirlo trattandosi di Aiel? - Perrin lo prese con cautela. Emanava profumo di prugne. L'uomo che l'aveva portato si inchinò umilmente quando Edarra batté le mani, e restando piegato uscì dalla tenda camminando all'indietro; lo squarcio ancora non del tutto guarito sul suo volto doveva risalire ai Pozzi di Dumai. «Ora che sei qui,» disse Edarra non appena i lembi dell'apertura della tenda si richiusero dietro il gai'shain «ti spiegheremo di nuovo perché devi uccidere l'uomo chiamato Masema Dagar.» «Non dovrebbe essere necessario» intervenne Delora. I suoi capelli e gli occhi erano quasi della stessa sfumatura di quelli di Maighdin, ma nessuno avrebbe definito 'bello' il suo volto tirato. E le sue maniere erano decisamente glaciali. «Questo Masema Dagar è un pericolo per il Car'a'carn. Deve morire.» «Le camminatrici dei sogni ci hanno avvisato, Perrin Aybara.» Carelle era senza dubbio bella, e anche se i capelli rosso acceso e gli occhi penetranti la facevano sembrare irascibile, di solito era pacata. Per essere una
Sapiente. Di sicuro non era debole. «Hanno interpretato i sogni. Quell'uomo deve morire.» Perrin prese una sorsata di vino alla prugna per guadagnare tempo. Chissà come, ma la bevanda era fredda. Andava sempre così con quelle donne. Rand non gli aveva parlato di nessun avvertimento da parte delle camminatrici dei sogni. La prima volta, Perrin l'aveva fatto presente. Ed era stata anche l'ultima: le Sapienti avevano pensato che volesse mettere in dubbio la loro parola, e persino Carelle l'aveva guardato con occhi di fuoco. Perrin non credeva che quelle donne mentissero. Non esattamente. Non le aveva mai colte sul fatto, quanto meno. Ma ciò che loro volevano dal futuro e ciò che voleva Rand - e ciò che lui stesso voleva, quanto a questo - poteva non coincidere affatto. Forse era Rand che stava tenendo dei segreti. «Se poteste farmi capire di che pericolo si tratta» disse infine Perrin. «Masema è un pazzo, la Luce lo sa quanto è vero, ma appoggia Rand. Sarebbe davvero geniale andarmene in giro a uccidere quelli che sono dalla nostra parte. Di sicuro convincerebbe la gente a unirsi a Rand.» Il sarcasmo era sprecato con le Sapienti. Lo guardarono senza batter ciglio. «Quell'uomo deve morire» dichiarò poi Edarra. «Ti basti sapere che l'hanno detto tre camminatrici dei sogni, e che te lo stanno riferendo sei Sapienti.» Come sempre. Forse loro stesse non ne sapevano di più. E forse lui doveva occuparsi della questione che l'aveva portato fin lì. «Voglio parlare di Seonid e Masuri» disse, e i sei volti divennero di ghiaccio. Per la Luce, quelle donne avrebbero fatto imbarazzare anche una pietra con i loro sguardi fissi! Perrin poggiò la coppa di vino accanto a sé e si piegò ostinato verso le Aiel. «Dovrei mostrare alla gente che le Aes Sedai hanno giurato fedeltà a Rand.» In realtà doveva mostrarlo a Masema, ma non gli sembrava il momento migliore per parlarne. «Quelle donne non saranno disposte a collaborare se le picchiate! Per la Luce! Sono Aes Sedai! Invece di mandarle a prendere l'acqua, perché non vi fate insegnare qualcosa da loro? Di sicuro conoscono un sacco di cose che voi ignorate.» Si morse la lingua, ma era troppo tardi. Le Aiel non parvero offendersi, o comunque non lo diedero a vedere. «Sanno alcune cose che noi non conosciamo,» gli rispose Delora con fermezza «e noi ne sappiamo altre che loro non conoscono.» La fermezza di una lancia piantata nelle sue costole. «Impariamo quello che c'è da imparare, Perrin Aybara» disse con calma Marline, pettinandosi con le dita i capelli quasi neri. Era una dei pochi Aiel che lui avesse visto ad avere capelli così scuri, e ci giocherellava spesso.
«E insegniamo quello che c'è da insegnare.» «In ogni caso,» aggiunse Janina «non sono affari tuoi. Gli uomini non si mettono in mezzo tra le Sapienti e le loro allieve.» Scosse il capo per la sua idiozia. «Puoi anche smettere di origliare e venire qui dentro, Seonid Traighan» disse all'improvviso Edarra. Perrin sgranò gli occhi per la sorpresa, ma nessuna di quelle donne batté ciglio. Ci fu un attimo di silenzio, poi i lembi dell'apertura vennero spostati e Seonid si piegò per entrare nella tenda, inginocchiandosi subito sugli strati di tappeti. La decantata serenità da Aes Sedai era sparita da quella donna. Aveva la bocca tesa in una linea sottile, gli occhi tirati, il volto rosso. Odorava di rabbia, frustrazione e una decina di altre emozioni che vorticavano così veloci che Perrin non riusciva a separarle una dall'altra. «Gli posso parlare?» chiese con voce rigida. «Sì, se stai attenta a ciò che dici» rispose Edarra. Sorseggiando il suo vino, la Sapiente la osservò da sopra il bordo della tazza. Un'insegnante che osservava la sua allieva? Un falco che osservava un topolino? Perrin non riusciva a decidere. Solo che Edarra, in entrambi i casi, era molto sicura del proprio ruolo. E lo stesso valeva per Seonid. Ma lui non riusciva a capirlo. Seonid, sempre in ginocchio, si girò verso di lui, raddrizzò la schiena, gli occhi accessi. La rabbia imperversava nel suo odore. «Qualsiasi cosa tu sappia,» disse con furia «qualsiasi cosa tu creda di sapere, devi dimenticarlo!» No, non le era rimasto neppure un pezzetto di quella serenità. «Qualsiasi cosa accada tra noi e le Sapienti deve restare tra noi e le Sapienti! Tu ti farai da parte, distoglierai lo sguardo e terrai la bocca chiusa!» Sbalordito, Perrin si passò le dita tra i capelli. «Per la Luce, sei sconvolta perché so che ti hanno bastonata?» disse incredulo. Be', lui avrebbe avuto la stessa reazione, ma non in quelle circostanze. «Non lo sai che queste donne preferirebbero tagliarti la gola che guardarti in faccia? Ti taglierebbero la gola per poi lasciarti per strada! Be', ho promesso a me stesso che non succederà! Non mi piacete, ma ho giurato di proteggervi dalle Sapienti, dagli Asha'man o dallo stesso Rand, quindi vedi di tornare coi piedi per terra!» Si rese conto che stava urlando e trasse un lungo respiro pieno di imbarazzo, tornò a poggiarsi sul cuscino, afferrò la coppa e bevve una lunga sorsata di vino. Seonid si irrigidì sempre più a ogni usa parola, e mostrò i denti prima ancora che lui avesse finito. «Hai giurato?» lo derise. «Credi che le Aes
Sedai abbiano bisogno della tua protezione? Tu...» «Basta» disse Edarra a bassa voce, e Seonid chiuse di scatto la bocca, anche se le mani si strinsero a pugno sulle gonne fino a far sbiancare le nocche. «Cosa ti fa pensare che vogliamo ucciderla, Perrin Aybara?» gli chiese Janina con curiosità. Raramente gli Aiel mostravano qualcosa con le espressioni del viso, ma le Sapienti lo stavano guardando accigliate o con palese incredulità. «So quello che provate» rispose lui lentamente. «Lo so fin da quando vi ho viste con le sorelle dopo i Pozzi di Dumai..» Non aveva intenzione di spiegare che all'epoca aveva sentito l'odore dell'odio, del disprezzo, ogni volta che una Sapiente guardava un'Aes Sedai. Ora non lo sentiva più, ma nessuno poteva contenere una furia come quella senza esplodere. Il fatto che lui non sentisse più l'odore non significava che l'odio fosse sparito, era solo sceso nelle profondità dei loro animi. Delora sbuffò, un suono come di lino che si strappa. «Prima dici che bisogna trattarle bene perché ti servono, adesso è perché sono Aes Sedai e tu hai promesso di proteggerle. Qual è la verità, Perrin Aybara?» «Entrambe.» Perrin resse il duro sguardo di Delora per un lungo istante, poi fissò le altre una per volta. «Sono vere entrambe, e voglio che entrambe vengano considerate tali.» Le Sapienti si scambiarono qualche sguardo, sguardi in cui ogni minimo tremolio delle palpebre aveva centinaia di significati che un uomo non poteva comprendere. Alla fine, sistemandosi le collane a stringendo gli scialli, parvero raggiungere un accordo. «Noi non uccidiamo le nostre allieve, Perrin Aybara» disse Nevarin. Sembrava sconvolta da quell'idea. «Quando Rand al'Thor ci ha chiesto di insegnare a queste donne forse lo ha fatto solo perché credeva che così ci avrebbero obbedito, ma noi non parliamo mai alla leggera. Adesso loro sono a tutti gli effetti nostre allieve.» «E resteranno tali finché cinque Sapienti non concorderanno che sono pronte ad avanzare di posizione» aggiunse Marline, sistemandosi i lunghi capelli dietro una spalla. «E le trattiamo come ogni altra allieva.» Edarra annuì mentre si portava alle labbra la coppa di vino. «Parlagli del suggerimento che volevi dargli riguardo a Masema Dagar, Seonid Traighan» disse. La donna in ginocchio si era contorta durante i brevi discorsi di Nevarin e Marline, stringendo le gonne al punto che Perrin aveva temuto di vedere
la seta che si strappava, ma non perse tempo a discutere gli ordini di Edarra. «Le Sapienti hanno ragione, al di là dei loro motivi. E non lo dico per esaudire un loro desiderio.» Si tirò di nuovo su, sforzandosi visibilmente per assumere un'aria di impassibilità. Tuttavia, nella sua voce c'era ancora un certo calore. «Ho visto l'opera dei cosiddetti fautori del Drago prima ancora di incontrare Rand al'Thor. Morte e distruzione, senza alcuno scopo. Anche il più fedele dei cani va abbattuto se comincia a schiumare dalla bocca.» «Sangue e ceneri!» borbottò Perrin. «Come posso lasciare anche solo che ti avvicini a quell'uomo dopo queste parole? Hai giurato fedeltà a Rand: sai che non è questo che vuole! Che ne è stato di 'moriranno a migliaia se fallisci'?» Per la Luce, se anche Masuri la pensava così allora lui aveva tollerato così a lungo Aes Sedai e Sapienti per niente! No, peggio. Adesso avrebbe dovuto difendere Masema da quelle donne! «Anche Masuri sa che Masema è un cane rabbioso» rispose Seonid quando lui le pose la domanda. La sua serenità da Aes Sedai era tornata. Guardava Perrin con un volto freddo e inespressivo. Il suo odore era tagliente, allerta. Intenso. Anche se Perrin non aveva bisogno del suo fiuto, con gli occhi della donna fissi nei suoi, grandi, scuri e senza fondo. «Ho giurato di servire il Drago Rinato, e il miglior servizio che posso offrirgli è tenere quell'animale lontano da lui. È già un peccato che i regnanti sappiano che Masema lo appoggia; sarebbe peggio ancora se vedessero che Rand accoglie a sé quell'uomo. E moriranno a migliaia se fallisci - se non ti avvicini a Masema abbastanza da poterlo uccidere.» A Perrin girava la testa. Ancora una volta, un'Aes Sedai stava giocando con le parole, faceva sembrare di aver detto 'nero' quando invece intendeva 'bianco'. Poi le Sapienti rincararono la dose. «Masuri Sokawa» disse con calma Nevarin «crede che un cane rabbioso possa essere messo al guinzaglio in modo da poterlo usare con sicurezza.» Per un attimo, Seonid parve sorpresa quanto Perrin, ma si riprese subito. In apparenza: il suo odore era diventato improvvisamente circospetto, come se la donna percepisse una trappola dove non si era aspettata di trovarne una. «E vorrebbe prendere le misure per la cavezza anche a te, Perrin Aybara» aggiunse Carelle, in tono ancor più disinvolto. «Crede che anche tu dovresti essere legato, per sicurezza.» Dal suo volto lentigginoso non era possibile capire se era d'accordo o meno. Edarra alzò una mano verso Seonid. «Puoi andare, adesso. Non ascolte-
rai altro, ma puoi chiedere a Gharadin di lasciarsi Guarire da te la ferita che ha sul volto. Ricorda, se rifiuterà di nuovo dovrai accettare la sua decisione. È un gai'shain, non un abitante delle terre bagnate tuo servitore.» Mise in quell'ultima parola un grande disprezzo. Seonid puntò su Perrin occhi che erano trivelle di ghiaccio. Poi guardò le Sapienti, e le labbra tremarono come se volesse parlare. Alla fine, però, non fece altro che andar via con tutta la grazia possibile. All'esterno, cosa comunque notevole, era un'Aes Sedai che avrebbe intimidito una regina. Ma l'odore che si lasciò dietro era pieno di una frustrazione acuta e tagliente. Non appena Seonid fu uscita, le Sapienti tornarono a concentrarsi su Perrin. «Ora» disse Edarra «ci puoi spiegare perché vorresti mettere un animale rabbioso accanto al Car'a'carn.» «Solo un idiota obbedisce se qualcuno gli chiede di spingerlo giù da una scogliera» disse Nevarin. «Tu non vuoi darci retta,» fece Janina «così adesso proveremo noi ad ascoltare te. Parla, Perrin Aybara.» Perrin valutò l'idea di fuggire. Ma se l'avesse fatto si sarebbe lasciato dietro due Aes Sedai, una delle quali forse poteva dargli un dubbio aiuto, oltre a sei Sapienti che erano pronte a rovinare tutto quello che lui era riuscito a fare. Mise di nuovo giù la coppa di vino e si poggiò le mani sulle ginocchia. Aveva bisogno di tenere sgombra la mente se voleva dimostrare a quelle donne che non era una capra impastoiata. 10
Cambiamenti Quando Perrin lasciò la tenda delle Sapienti, provò l'impulso di togliersi la giubba per vedere se la sua pelle era ancora tutta intera. Forse non era una capra impastoiata, ma un cervo con sei lupi alle calcagna, e non sapeva cosa aveva guadagnato riuscendo a uscirne vivo. Di sicuro nessuna Sapiente aveva cambiato idea, e le loro promesse di non agire per proprio
conto erano state vaghe, nel migliore dei casi. Sulle Aes Sedai non c'erano state promesse, né chiare né nebulose. Perrin cercò una delle due sorelle, e trovò Masuri. Tra due alberi era stata legata una corda stretta, sulla quale era steso un tappeto rosso e verde con le frange. La magra Marrone lo frustava con un battipanni di legno, alzando sottili nuvole di polvere, particelle che fluttuavano e rilucevano nel sole di metà mattina. Il suo Custode, un uomo compatto con i capelli scuri e un po' stempiato, era seduto lì vicino su un tronco caduto e la osservava con aria mesta. Rovair Kirklin aveva di solito una certa predisposizione al sorriso, sorriso che però in quel momento era seppellito. Masuri si accorse di Perrin e, fermandosi appena un attimo col battipanni, gli scoccò un'occhiata di gelida malevolenza che lo fece sospirare. E Masuri doveva essere quella che la pensava come lui. O quanto meno, Perrin non ne avrebbe trovata un'altra che la pensasse in un modo più simile al suo. Un falco dalla coda rossa passò alto nel cielo, viaggiando sulle correnti d'aria tra una collina e l'altra senza battere le ali tese. Sarebbe stato davvero bello poter volare via da quella situazione. Ma Perrin doveva pensare al ferro che aveva davanti, non sognare l'argento. Con un cenno del capo a Sulin e alle Fanciulle, che sembrava avessero messo le radici sotto quell'ericacea, si girò per andar via e poi si fermò. Due uomini stavano risalendo una collina, uno dei due era un Aiel vestito col grigio, il marrone e il verde del cadin'sor, l'arco nella custodia sulla schiena e una faretra piena di frecce alla cintura, lance e scudo rotondo di cuoio in una mano. Gaul era un amico, l'unico uomo tra gli Aiel a non vestire di bianco. Il suo compagno, più basso, con un cappello a tesa larga e giubba e brache color verde spento, non era un Aiel. Aveva anche lui una faretra alla cintura, e un pugnale anche più lungo e massiccio di quello degli Aiel, ma impugnava il suo arco, molto più corto di quelli dei Fiumi Gemelli ma più lungo di quelli in corno degli Aiel. Nonostante gli abiti, non sembrava un contadino e nemmeno un abitante di città. Forse per via dei capelli tendenti al grigio legati in un codino sulla nuca e lunghi fino alla vita, per la barba che si apriva a ventaglio sul torace, o forse solo per il modo in cui si muoveva, molto simile all'uomo che lo accompagnava, scivolando tra i cespugli sulla collina e dando l'impressione di non spezzare un rametto, di non piegare uno stelo d'erba. Perrin non lo vedeva da tanto, tanto tempo. Quando ebbe raggiunta la cima, Elyas Machera studiò Perrin con occhi dorati che rilucevano nell'ombra della tesa del cappello. I suoi occhi erano
così da prima di quelli di Perrin; Elyas aveva presentato Perrin ai lupi. All'epoca vestiva di pelli. «È bello rivederti, ragazzo» disse a bassa voce. Il sudore riluceva sul suo viso, ma era poco più di quello visibile anche sul volto di Gaul. «Hai dato via quell'ascia, alla fine? Pensavo che non avresti mai smesso di odiarla.» «E la odio ancora» rispose Perrin a voce altrettanto bassa. Tempo addietro, quell'uomo che in passato era stato un Custode gli aveva detto di tenere l'ascia finché non avesse smesso di odiarla. Per la Luce, ma lui la odiava ancora! E ora aveva anche nuovi motivi per odiarla. «Che ci fai in questa parte del mondo, Elyas? Dove ti ha trovato Gaul?» «È stato lui a trovare me» disse l'Aiel. «Non mi sono accorto che era alle mie spalle finché non ha tossito.» Parlò a voce abbastanza alta perché lo sentissero anche le Fanciulle, e il loro improvviso irrigidirsi fu quasi tangibile. Perrin si aspettava quanto meno una o due osservazioni taglienti - l'umorismo degli Aiel poteva portare quasi agli spargimenti di sangue, e le Fanciulle coglievano ogni occasione per punzecchiare l'uomo dagli occhi verdi - ma invece alcune di quelle donne presero gli scudi per strofinarli insieme in segno di approvazione. Gaul annuì. Elyas fece un grugnito e si calcò in testa il cappello, eppure il suo odore era compiaciuto. Gli Aiel non approvavano quasi nulla di ciò che era da questo lato del Muro del Drago. «Mi piace tenermi in movimento,» spiegò Elyas a Perrin «e mi ero appena ritrovato nel Ghealdan quando certi nostri comuni amici mi hanno detto che viaggiavi con questo corteo.» Non fece il nome dei loro comuni amici; non era saggio parlare apertamente dei lupi. «Mi hanno detto un sacco di cose. Mi hanno detto che sentono l'odore di un cambiamento imminente. Non sanno che tipo di cambiamento. Ma forse tu sì. Ho saputo che corri con il Drago Rinato.» «Non lo so» disse lentamente Perrin. Un cambiamento? Non aveva mai pensato di chiedere ai lupi altro che informazioni sulla presenza di grandi gruppi di uomini, così da poterli aggirare. Anche lì nel Ghealdan, a volte sentiva che lo biasimavano per la morte dei lupi ai Pozzi di Dumai. Che tipo di cambiamento? «Rand di sicuro sta cambiando molte cose, ma non ho mai capito in che direzione. Per la Luce, tutto il mondo è sottosopra, al di là del suo operato.» «Tutto cambia» disse Gaul come per congedare l'argomento. «Finché non ci svegliamo, il sogno vola sulle ali del vento.» Per un attimo rimase a studiare Elyas e Perrin, e questi fu sicuro che stava confrontando i loro oc-
chi. Gaul non disse nulla al riguardo, però; gli Aiel sembravano ritenere gli occhi dorati solo un'altra delle stranezze così diffuse tra gli abitanti dei territori bagnati. «Vi lascerò a parlare da soli. Gli amici che non si vedono da tempo hanno bisogno di un po' di intimità. Sulin, sai se Chiad e Bain sono da queste parti? Le ho viste a caccia ieri, e pensavo di insegnar loro come tendere l'arco prima che una delle due si tiri una freccia su un piede.» «Sono sorpresa di vedere che sei tornato» rispose la donna dai capelli bianchi. «Chiad e Bain erano andate a piazzare trappole per conigli.» Una risata si diffuse tra le Fanciulle, e le dita scattarono rapide nel loro linguaggio di gesti. Sospirando, Gaul roteò teatralmente gli occhi. «In tal caso, forse devo andare a liberarle.» Le Fanciulle risero anche a questa battuta, inclusa Sulin. «Che tu possa trovare ombra oggi» augurò l'Aiel a Perrin, un saluto normale tra amici, ma strinse formalmente gli avambracci di Elyas e gli disse: «Il mio onore è tuo, Elyas Machera.» «Un uomo bizzarro» mormorò Elyas guardando Gaul che scendeva a lunghe falcate giù dalla collina. «Quando ho tossito si è girato ed era pronto a uccidermi, credo, poi si è semplicemente messo a ridere. Ti dispiace se andiamo da un'altra parte? Non conosco la sorella che sta cercando di uccidere quel tappeto, ma non mi piace correre rischi con le Aes Sedai.» Strinse gli occhi. «Gaul dice che con te ce ne sono tre. Non hai mica in programma di incontrarne altre ancora, vero?» «Spero di no» rispose Perrin. Masuri guardava verso di loro tra un colpo del battipanni e l'altro; presto avrebbe saputo degli occhi di Elyas e avrebbe cominciato a sforzarsi di capire cos'altro lo legava a Perrin. «Andiamo; è comunque giunto il momento che io torni all'accampamento. Temi di poter incontrare un'Aes Sedai che ti conosca?» I giorni di Elyas come Custode erano finiti quando si era scoperto che poteva parlare coi lupi. Alcune sorelle credevano che fosse un marchio del Tenebroso, ed Elyas aveva dovuto uccidere altri Custodi per poter fuggire. Aspettò che fossero a una decina di passi dalle tende prima di rispondere e lo fece comunque a voce bassa, quasi sospettasse che qualcuno dietro di loro poteva avere un udito buono come il suo o quello di Perrin. «Sarebbe un guaio già se qualcuna conoscesse il mio nome. I Custodi non fuggono spesso, ragazzo. Quasi tutte le Aes Sedai sarebbero disposte a liberare dal legame un uomo che vuole andar via - quasi tutte - e a ogni modo potrebbero rintracciarlo in qualsiasi posto se decidessero di dargli la caccia. Ma se una sorella trova un rinnegato, passerà ogni istante del suo tempo libero
a farlo pentire di essere nato.» Elyas rabbrividì leggermente. Nel suo odore non c'era paura, ma l'anticipazione del dolore. «Poi lo restituirebbe alla Aes Sedai alla quale apparteneva, affinché impari davvero la lezione. E quell'uomo non sarebbe mai più lo stesso.» Giunto alla fine della sommità della collina, si girò indietro. Sembrava che Masuri stesse davvero provando a uccidere quel tappeto, concentrava tutta la sua rabbia nel tentativo di aprirci un buco a colpi di battipanni. Elyas, però, rabbrividì di nuovo. «E se mi imbattessi in Rina sarebbe ancora peggio. Preferirei finire in un bosco in fiamme con tutte e due le gambe rotte.» «Rina è la tua Aes Sedai? Ma non credo che potresti incontrarla per sbaglio. Il legame dovrebbe dirti dove si trova, giusto?» Questo parve solleticare un ricordo nella mente di Perrin, ma qualsiasi cosa fosse svanì alla risposta di Elyas. «Alcune di loro possono offuscare il legame, per così dire. Forse ne sono capaci tutte. Così il Custode sa solo che lei è viva, e io questo lo so comunque, perché non sono ancora impazzito.» Elyas vide la sua espressione stupita e abbaiò una risata. «Per la Luce, amico, anche le sorelle sono fatte di carne e ossa. Quasi tutte. Pensaci. Ti piacerebbe avere qualcuno nella testa mentre stai ruzzolando con una bella figliola? Oh, scusa; dimenticavo che ora sei sposato. Non ti volevo offendere. Tuttavia, mi ha sorpreso sapere che hai preso in moglie una donna della Saldea.» «Sorpreso?» Perrin non aveva mai visto sotto quella prospettiva il legame dei Custodi. Per la Luce! A dirla tutta, non aveva mai visto sotto quella prospettiva neppure le Aes Sedai. Era impossibile come... come un uomo che parla coi lupi. «Perché sorpreso?» Si avviarono tra gli alberi, senza fretta e facendo poco rumore. Perrin era sempre stato un buon cacciatore, abituato ai boschi, ed Elyas pareva a malapena muovere le foglie che calpestava nel suo agile incedere attraverso il sottobosco, senza mai spostare un ramo. A quel punto poteva anche mettersi l'arco sulla schiena, ma continuava a tenerlo in mano. Era sempre molto cauto, soprattutto quando c'erano esseri umani nei dintorni. «Diamine, perché tu sei un tipo tranquillo, e credevo che avresti sposato una tipa altrettanto tranquilla. Be', ormai saprai che le Saldeane non sono tranquille. Se non con gli estranei. Sono capaci di dar fuoco al sole e di dimenticare tutto un istante dopo. Fanno sembrare flemmatiche quelle dell'Arafel e noiose le Domanesi.» Elyas ghignò all'improvviso. «Ho vissuto un anno con una Saldeana; tempo fa, e Merya mi urlava addosso tanto da farmi diventare sordo cinque giorni a settimana, e mi pare che mi tirasse
anche i piatti. Ogni volta che pensavo di lasciarla, però, lei voleva fare pace, e non sono mai riuscito ad arrivare alla porta. Alla fine mi ha lasciato lei. Diceva che ero troppo pacato per i suoi gusti.» Rise nel suo modo secco e pareva perso nei ricordi, mentre si grattava la cicatrice sbiadita dagli anni che aveva sulla mascella. Sembrava causata da un coltello. «Faile non è così.» A sentire Elyas, sembrava che si fosse sposato con Nynaeve! Nynaeve col mal di denti! «Non vuol dire che lei non si arrabbi di tanto in tanto,» ammise Perrin con riluttanza «ma non urla né tira le cose.» Be', non urlava molto spesso, e invece di divampare all'improvviso e poi sparire la sua rabbia era un fuoco che nasceva caldo e restava tale finché non si consumava. Elyas lo guardò di sottecchi. «Se mai ho sentito l'odore di un uomo che cerca di schivare i colpi... Finora le hai detto sempre parole dolci, vero? Leggero come acqua di rose e senza mai mostrare i denti. Non hai mai alzato la voce con lei?» «Certo che no!» protestò Perrin. «La amo! Perché dovrei urlare?» Elyas cominciò a mormorare tra sé, ma ovviamente Perrin sentì ogni parola. «Che io sia folgorato, se uno si vuole sedere su una vipera rossa non sono affari miei. Non sono affari miei se sta a scaldarsi le mani mentre il tetto di casa è in fiamme. È la sua vita. Mi ringrazierà? No, accidenti, certo che no!» «Di che vai blaterando?» chiese Perrin. Prese Elyas per un braccio e lo tirò per farlo fermare accanto a un albero di agrifoglio ancora quasi tutto verde. Poche altre piante lo erano, a eccezione di alcuni stentati rampicanti. Erano ancora a metà strada dal fondo della collina. «Faile non è una vipera rossa né un tetto in fiamme! Aspetta di incontrarla prima di parlare come se già la conoscessi.» Irritato, Elyas si passò le dita nella lunga barba. «Conosco le donne della Saldea, ragazzo. Quell'anno non è stato il solo che ho trascorso lì. E ho incontrato in tutto cinque Saldeane che definirei umili, o almeno pacate. No, la tua sposa non è una vipera; scommetto che è un leopardo. Non hai niente da ringhiare a quel modo, che tu sia folgorato! Scommetto gli stivali che lei stessa riderebbe se me lo sentisse dire!» Perrin aprì bocca, furente, poi la richiuse. Non si era reso conto di aver cominciato a ringhiare dal fondo della gola. Faile avrebbe davvero sorriso sentendosi paragonata a un leopardo. «Non mi starai mica dicendo che lei desidera che io le urli contro, Elyas?» «Proprio così. E molto probabilmente ho ragione. A meno che lei non
sia la sesta. Ma stammi a sentire: con la maggior parte delle donne, se alzi la voce loro sgranano gli occhi o diventano di ghiaccio, e un attimo dopo ti ritrovi a litigare per il fatto stesso di esserti arrabbiato, dimenticando del tutto il tizzone che aveva acceso quel fuoco. Ma tieni a freno la lingua con una della Saldea e lei crederà che non la reputi abbastanza forte da potersi confrontare con te. Insultala così, e sarai fortunato se non ti serve le tue stesse interiora per colazione. Non è una donzella di Far Madding, una di quelle che si aspettano che un uomo si sieda dove indicano e scatti in piedi quando loro schioccano le dita. Ma è un leopardo, e si aspetta che lo sia anche suo marito. Per la Luce! Ma che sto facendo? Dare a un uomo consigli su sua moglie è un buon modo per farsi sventrare.» Adesso era Elyas che stava ringhiando. Si raddrizzò il cappello senza che ce ne fosse bisogno, e si guardò intorno accigliato, quasi stesse valutando l'ipotesi di svanire nella boscaglia, poi puntò un dito su Perrin. «Ascoltami, ora. Ho sempre saputo che sei più di un semplice randagio, e mettendo insieme quello che mi hanno detto i lupi col fatto che, a quanto pare, sei diretto verso questo Profeta ho pensato che forse poteva servirti un amico che ti guardasse le spalle. Ovviamente i lupi non mi avevano accennato che sei alla guida di quei graziosi lancieri mayenesi. Né me ne ha parlato Gaul, finché non li abbiamo visti. Se vuoi che resti, lo farò. In caso contrario, ci sono ancora un sacco di posti che non ho visitato.» «Un altro amico non può che farmi piacere, Elyas.» Possibile che Faile voleva davvero che lui urlasse? Perrin aveva sempre saputo che poteva far del male alla gente se non stava attento, e aveva sempre tenuto ben salde le redini del suo carattere. Le parole potevano far male quanto i pugni, le parole sbagliate, parole nelle quali uno non crede ma che tira fuori in preda alla rabbia. No, non era possibile. Nessuna donna avrebbe sopportato o desiderato le urla, né da suo marito né da nessun altro uomo. Il richiamo di un fringuello azzurro gli fece rizzare il capo e tendere le orecchie. Era a malapena udibile anche per lui, ma un attimo dopo il trillo si ripeté più vicino; poi suonò di nuovo, più vicino ancora. Elyas si girò verso di lui inarcando un sopracciglio: di sicuro aveva riconosciuto il verso di un uccello delle Marche di Confine. Perrin lo aveva imparato da alcuni Shienaresi, tra i quali all'epoca c'era anche Masema, e lo aveva insegnato agli uomini dei Fiumi Gemelli. «Abbiamo visite» spiegò a Elyas. Viaggiavano veloce, quattro cavalieri al galoppo, e arrivarono prima ancora che Perrin ed Elyas raggiungessero la base della collina. Berelain gui-
dava il gruppo, e guadò il torrente con Annoura e Gallenne che la seguivano da presso e affiancata da una donna con un mantello chiaro e il cappuccio rialzato. Attraversarono l'accampamento dei Mayenesi senza neanche guardarsi intorno, e tirarono le redini solo quando furono davanti alla tenda a strisce bianche e rosse. Alcuni servitori cairhienesi accorsero a prendere le briglie e reggere le staffe, e Berelain e i suoi compagni si infilarono nella tenda prima ancora che si depositasse tutta la polvere sollevata dai loro cavalli. Quell'arrivo creò una certa agitazione. Tra gli uomini dei Fiumi Gemelli Perrin sentì levarsi un ronzio d'attesa. L'inevitabile accozzaglia di giovani idioti seguaci di Faile si grattavano la testa e fissavano la tenda, chiacchierando con trasporto. Grady e Neald, sempre tra gli alberi, osservavano anche loro la tenda, sporgendosi di tanto in tanto uno verso l'altro per dirsi qualcosa nonostante nessuno fosse abbastanza vicino da poter origliare. «A quanto pare i tuoi ospiti sono tutt'altro che ordinari» osservò Elyas a voce bassa. «Stai attento a Gallenne: potrebbe causarti qualche problema.» «Lo conosci, Elyas? Mi piacerebbe che tu restassi, ma se credi che quell'uomo possa dire chi sei alle sorelle...» Perrin si strinse nelle spalle, rassegnato. «Forse potrei fermare Seonid e Masuri,» credeva di poterci riuscire «ma penso che Annoura farà ciò che vuole.» E, a proposito, cosa voleva fare Annoura con Masema? «Oh, Bertain Gallenne non conosce quelli come Elyas Machera» rispose Elyas con un ghigno beffardo. «Ma 'Jak l'idiota non conosce tutti gli idioti che conoscono Jak l'idiota'. E io conosco Gallenne. Non ti si rivolterà contro né ti tradirà, ma è Berelain quella col cervello tra loro due. Ha tenuto Tear lontana dal Mayene mettendo i Tarenesi contro l'Illian sin da quando aveva sedici anni. Berelain conosce ogni tipo di manovra, Gallenne non sa fare altro che attaccare. Lo fa bene, ma fa solo quello, e a volte non si ferma neppure per ragionare.» «Avevo già scoperto la loro natura» mormorò Perrin. Almeno Berelain aveva portato una messaggera per conto di Alliandre. Non avrebbe corso a quel modo se si fosse trattato solo di una nuova cameriera. Restava solo da capire perché Alliandre aveva reputato necessario affidare la sua risposta a una messaggera. «Sarà meglio che vada subito a vedere se le notizie sono buone, Elyas. Più tardi parleremo di ciò che ci aspetta a sud. E potrai conoscere Faile» aggiunse, prima di girarsi e andar via. «Il Pozzo del Destino ci aspetta a sud,» gli urlò dietro l'altro uomo «o il posto più simile al Pozzo che mai mi sarei aspettato di vedere al di là della
Macchia.» A Perrin parve di sentire di nuovo quel debole tuono a ovest. Quello sì che sarebbe stato un cambiamento gradito. Nella tenda, Breane girava con un vassoio d'argento sul quale c'erano una ciotola d'acqua al profumo di rosa e panni per lavarsi mani e faccia, e faceva una rigida riverenza alle donne alle quali lo porgeva. Eseguendo riverenze ancor più rigide, Maighdin offriva un vassoio contenente coppe di vino fruttato - fatto con le ultime riserve di mirtilli essiccati, a giudicare dall'odore - mentre Lini si occupava di piegare i mantelli dei nuovi arrivati. C'era qualcosa di strano nel modo in cui Faile e Berelain avevano preso posizione ai lati dell'ospite sconosciuta, con Annoura che incombeva da dietro. Erano tutte concentrate su quella donna, che pareva essere di mezza età, portava una reticella sopra i capelli neri che le scendevano fin quasi alla vita e sarebbe stata bella se avesse avuto il naso meno lungo. E se non lo avesse tenuto così alto. Più bassa di Faile o di Berelain, riuscì comunque a guardare Perrin dall'alto, esaminandolo con freddezza dalla punta dei capelli fino agli stivali. Non batté ciglio alla vista dei suoi occhi, cosa che invece facevano quasi tutti. «Maestà,» cominciò Berelain in tono formale non appena entrò Perrin «mi permetta di presentarle lord Perrin Aybara dei Fiumi Gemelli, in Andor, amico personale ed emissario del Drago Rinato.» La donna nasuta annuì piano e con freddezza, e Berelain proseguì dopo una pausa appena accennata. «Lord Aybara, dai il benvenuto ad Alliandre Maritha Kigarin, Regina del Ghealdan, Benedetta dalla Luce, Protettrice delle Mura di Garen, che ha acconsentito a riceverti di persona.» Gallenne, in piedi accanto a una parete della tenda, si aggiustò la benda sull'occhio e levò la coppa di vino verso Perrin con un sorriso trionfante. Per qualche motivo, Faile scoccò un'occhiataccia a Berelain. Perrin rimase quasi a bocca aperta. Alliandre in persona? Si chiese se doveva inginocchiarsi, poi si accontentò di un inchino dopo una pausa forse troppo lunga. Per la Luce! Non aveva idea di come doveva comportarsi con una regina. Soprattutto una arrivata all'improvviso e senza scorta, senza nessun gioiello visibile. La gonna verde da cavallerizza era di semplice lana, senza neanche un punto di ricamo. «Dopo le ultime notizie,» disse Alliandre «ho pensato di dover venire da te, lord Aybara.» La sua voce era calma, il volto sereno, gli occhi altezzosi. E acuti, o Perrin era un abitante di Taren Ferry. Era il caso di muoversi con cautela, finché non riusciva a capire su che sentiero stava camminando.
«Forse ancora non lo sai,» proseguì la regina «ma quattro giorni fa l'Illian è caduto nelle mani del Drago Rinato, sia il suo nome benedetto dalla Luce. Egli ha preso la Corona di Alloro, anche se mi è stato detto che ora si chiama Corona di Spade.» Faile, prendendo una coppa dal vassoio di Maighdin, sussurrò: «E sette giorni fa, i Seanchan hanno preso Ebou Dar.» Neppure Maighdin se ne accorse. Se Perrin non avesse già ripreso il controllo di sé stesso, avrebbe di sicuro spalancato la bocca. Perché Faile glielo aveva suggerito a quel modo invece di aspettare che ne parlasse direttamente la donna dalla quale l'aveva saputo? A voce abbastanza alta perché tutti lo sentissero, ripeté le parole mormorate da sua moglie. Usò un tono duro, ma era l'unico modo per non parlare con voce tremante. Anche Ebou Dar? Per la Luce! E sette giorni addietro? Quando Grady e gli altri avevano visto l'Unico Potere nel cielo. Una coincidenza, forse. Ma Perrin non avrebbe certo preferito attribuire quel prodigio all'opera dei Reietti. Annoura si accigliò, il volto in parte nascosto dalla coppa di vino, e increspò le labbra prima ancora che lui finisse di parlare. Berelain gli rivolse uno sguardo pieno di sorpresa che però svanì subito. Le due donne sapevano che Perrin non era al corrente dei fatti di Ebou Dar quando loro si erano avviate per Bethal. Alliandre si limitò ad annuire, in pieno controllo almeno quanto la sorella Grigia. «Sembri davvero ben informato» disse, andandogli più vicino. «Dubito che le voci su quell'evento abbiano ancora raggiunto Jehannah col traffico fluviale. Io stessa ho ricevuto notizie appena qualche giorno fa. Diversi mercanti mi tengono al passo coi tempi. Credo» aggiunse con un certo sarcasmo «lo facciano nella speranza che io possa intercedere per loro presso il Profeta del lord Drago, in caso di necessità.» Alla fine Perrin riuscì a cogliere il suo odore, e cambiò opinione su quella donna; non in peggio. In apparenza, la regina era fredda e riservata, ma da lei esalavano incertezza e paura. Perrin non credeva che sarebbe riuscito a mostrare un volto così calmo in quelle condizioni. «È sempre meglio sapere quanto più possibile» le disse, ma era distratto. Che io sia folgorato, pensò, devo farlo sapere a Rand! «Anche noi in Saldea troviamo che i mercanti siano utili quando si tratta di informazioni» disse Faile. Come a suggerire che era stato così che Perrin aveva saputo di Ebou Dar. «A quanto pare sanno ciò che succede a chilometri di distanza settimane prima che comincino a girare le prime dice-
rie.» Non guardò Perrin, ma questi capì che Faile aveva parlato a lui oltre che ad Alliandre. Rand sa, ecco cosa gli stava dicendo. E in ogni caso, non c'era modo di fargli arrivare la notizia in segreto. Possibile che Faile volesse davvero che lui... No, era davvero impensabile. Battendo le palpebre, Perrin si rese conto di aver perso parte del discorso che stava facendo al regina. «Ti chiedo scusa, Alliandre» disse educatamente. «Stavo pensando a Rand - il Drago Rinato.» Ma certo che era impensabile! Tutti lo fissavano adesso, anche Lini, Maighdin e Breane. Annoura aveva sgranato gli occhi, e Gallenne era rimasto a bocca aperta. Poi Perrin capì. Aveva appena parlato a una regina chiamandola per nome. Prese una coppa dal vassoio di Maighdin, e lei si raddrizzò dopo avergli fatto la riverenza muovendosi così rapidamente che quasi gli fece cadere il vino di mano. Facendole distrattamente cenno di andar via, Perrin si asciugò la mano umida sulla giubba. Doveva concentrarsi, non poteva lasciare che la mente vagasse in ogni direzione. Non importava cosa Elyas credeva di sapere, Faile non avrebbe mai... No! Concentrati! Alliandre si riprese subito. In realtà, sembrava meno sorpresa di tutti gli altri, e nel suo odore non comparve traccia di esitazione. «Stavo dicendo che venire da te in segreto mi è parsa la scelta più saggia, lord Aybara» dichiarò con quella sua voce fredda. «Lord Telabin crede che io sia ancora da sola nei suoi giardini, che in realtà ho lasciato da un'entrata usata di rado. Uscendo dalla città, ho preso le spoglie della cameriera di Annoura Sedai.» Passando la punta delle dita su un lato della gonna divisa, si lasciò sfuggire un lieve sorriso. Anche quello però era freddo, e si abbinava davvero male con quello che Perrin percepiva tramite l'odorato. «Diversi miei soldati mi hanno vista, ma con il cappuccio tirato su nessuno mi ha riconosciuta.» «Visti i tempi che corrono, probabilmente è stata davvero la scelta più saggia» rispose Perrin con cautela. «Ma prima o poi dovrai uscire allo scoperto. In un modo o nell'altro.» Educato ma deciso, ecco come doveva mostrarsi. Di sicuro la regina non voleva perder tempo con un chiacchierone. E lui non voleva deludere Faile comportandosi di nuovo come uno zotico. «Ma perché sei venuta fin qui? Non avevi che da mandarmi una lettera, o riferire a Berelain la tua risposta. Ti dichiarerai a favore di Rand o no? In entrambi i casi, non temere: tornerai a Bethal sana e salva.» Una buona aggiunta. La regina era spaventata, e di sicuro c'entrava qualcosa il fatto che fosse lì da sola.
Faile lo stava osservando senza darlo a vedere: sorseggiava il suo vino e sorrideva ad Alliandre, ma Perrin colse i suoi occhi che guizzavano rapidi verso di lui. Berelain non usava alcuna cautela e lo fissava piuttosto apertamente, occhi un po' tesi che non lasciavano mai il suo volto. Annoura era altrettanto concentrata su di lui, altrettanto pensosa. Erano davvero tutte convinte che avrebbe di nuovo parlato rudemente alla regina? Invece di risponde alla sua fondamentale domanda, Alliandre disse: «La Prima mi ha parlato molto di te, lord Aybara, e del Drago Rinato, che il suo nome sia benedetto dalla Luce.» Quest'aggiunta sembrava un rituale, una frase pronunciata senza pensarci su. «Io non posso incontrare il lord Drago prima di prendere la mia decisione, così ho espresso il desiderio di conoscere te, per valutarti. È possibile apprendere molto su un uomo conoscendo le persone alle quali affida la sua parola.» Chinò il capo verso il calice che aveva tra le mani, e guardò Perrin da sotto le ciglia. Fatto da Berelain, quel gesto sarebbe stato vezzoso, ma Alliandre stava cautamente osservando il lupo che si trovava davanti a lei. «Ho anche visto le tue bandiere» disse a voce bassa. «La Prima non le aveva menzionate.» Perrin si accigliò prima di potersi controllare. Berelain le aveva parlato molto di lui? E cosa le aveva detto? «Le bandiere sono lì per essere viste.» La rabbia aveva dato una sfumatura rude alla sua voce, e Perrin si sforzò per eliminarla. Accidenti, Berelain di sicuro aveva bisogno di qualcuno che le urlasse contro. «Credimi, non esiste alcun piano per riportare in vita il Manetheren.» Ecco; il suo tono era freddo come quello di Alliandre. «Qual è la tua decisione? Rand può far arrivare qui diecimila soldati, centomila, in un batter d'occhi o comunque in pochissimo tempo.» E forse avrebbe dovuto farlo davvero. I Seanchan ad Amador e a Ebou Dar? Per la Luce, quanti ce n'erano? Alliandre sorseggiò delicatamente il vino nella sua coppa prima di parlare, e di nuovo evitò la domanda. «Ci sono migliaia di dicerie, come di sicuro già sai, e anche le più fantasiose diventano credibili quando c'è di mezzo il Drago Rinato: popoli stranieri che dichiarano di essere i discendenti delle armate di Artur Hawkwing, la Torre spaccata da una ribellione.» «Questo riguarda le Aes Sedai» disse Annoura bruscamente. «E nessun altro.» Berelain le lanciò un'occhiata piena di esasperazione, che la sorella finse di non notare. Alliandre trasalì, poi diede le spalle ad Annoura. Nessuno, nemmeno una Regina, era a suo agio sentendosi parlare in quel tono da un'Aes Sedai.
«Il mondo è sottosopra, lord Aybara. Diamine, ho persino ricevuto rapporti su un villaggio proprio qui nel Ghealdan saccheggiato dagli Aiel.» A un tratto Perrin si rese conto che la regina non temeva solo di poter offendere un'Aes Sedai. Alliandre stava osservando lui, aspettava. Ma cosa? Rassicurazioni? «Gli unici Aiel nel Ghealdan sono quelli con me» le disse. «Forse i Seanchan sono davvero i discendenti dell'esercito di Artur Hawkwing, ma Hawkwing stesso è morto un migliaio di anni fa. Rand si è già occupato dei Seanchan, e lo farà di nuovo.» Perrin si ricordava di Falme con la stessa chiarezza dei Pozzi di Dumai, anche se aveva cercato di dimenticare. Di sicuro allora i Seanchan non erano in numero sufficiente per prendere Amador ed Ebou Dar, nemmeno con le loro damane. Balwer aveva detto che adesso avevano con sé anche soldati tarabonesi. «E forse ti rallegrerà sapere che le Aes Sedai ribelli appoggiano Rand. O quanto meno lo faranno a breve.» A sentire Rand, si trattava di una manciata di Aes Sedai che non avevano dove andare se non da lui. Perrin non ne era così sicuro. Le voci che giravano nel Ghealdan parlavano di un esercito con quelle sorelle. Ovviamente, quelle stesse voci contavano tra le ribelli più Aes Sedai di quante ce ne fossero nel mondo intero, eppure... Per la Luce, era Perrin ad aver bisogno di rassicurazioni! «Perché non ci sediamo?» propose. «Risponderò alle tue domande, per aiutarti a prendere una decisione, ma tanto vale metterci comodi.» Tirando a sé una delle sedie pieghevoli, si ricordò all'ultimo istante che non doveva sedersi troppo pesantemente, ma la sedia cigolò sotto il suo peso lo stesso. Lini e le altre due servitrici scattarono per mettere le altre sedie in cerchio con la sua, ma nessuna accennò a sedersi. Alliandre rimase in piedi a fissare Perrin, e le altre guardavano lei. Gallarne, invece, si limitò a versarsi un'altra coppa di vino dalla brocca d'argento. Perrin si rese conto che Faile non aveva più aperto bocca dopo quella frase sui mercanti. Era grato che Berelain avesse deciso di rimanere in silenzio, e ancor più perché non civettava con lui in presenza della regina, ma in quel momento non gli sarebbe dispiaciuto un po' di aiuto da parte di Faile. Un suggerimento. Per la Luce, sua moglie sapeva dieci volte meglio di lui cosa bisognava dire o fare in occasioni del genere. Chiedendosi se non era il caso di stare in piedi come gli altri, Perrin poggiò il suo calice di vino su uno dei tavolini e chiese a Faile di parlare con Alliandre. «Se qualcuno può farle capire qual è la strada giusta da prendere, quel qualcuno sei tu» le disse. Faile gli rivolse un bel sorriso, ma
tenne chiusa la bocca. All'improvviso Alliandre mise di lato la coppa come aspettandosi che ci fosse un vassoio. Ne arrivò uno, appena in tempo per evitare che la coppa cadesse, e Maighdin, che lo reggeva, mormorò qualcosa che Perrin sperò sfuggisse alle orecchie di Faile. Sua moglie era letale coi servitori che usavano quel tipo di linguaggio. Perrin fece per alzarsi quando Alliandre gli andò incontro, ma la regina lo sbalordì inginocchiandosi con grazia davanti a lui e prendendogli le mani. Prima che lui potesse capire che stava succedendo, Alliandre girò le braccia in modo da avere le mani dorso contro dorso tra le sue. Gliele stringeva tanto forte da poter far male a sé stessa; di sicuro Perrin sapeva di dover controllare la propria stretta per non arrecarle dolore. «In nome della Luce,» disse Alliandre con fermezza alzando lo sguardo su di lui «io, Alliandre Maritha Kigarin, offro la mia fedeltà e i miei servigi a lord Perrin Aybara dei Fiumi Gemelli, ora e per sempre, a meno che egli non decida di sua spontanea volontà di liberarmi da questo voto. Le mie terre e il mio trono appartengono a lui, e li affido alle sue mani. Questo io giuro.» Per un attimo ci fu un silenzio rotto solo dal sussulto di Gallenne e dal tonfo sordo del suo calice che cadeva su un tappeto. Poi Perrin sentì Faile, che di nuovo gli sussurrò così piano che nessun altro avrebbe potuto capire le sue parole. «In nome della Luce, io accetto la tua offerta e proteggerò e difenderò te e le tue genti dai tormenti della battaglia, dall'infuriare dell'inverno e da tutto ciò che il tempo porterà. Le terre e il trono del Ghealdan li affido a te, mia fedele vassalla. In nome della Luce, io accetto...» Doveva essere la risposta esatta secondo le usanze della Saldea. Grazie alla Luce, Faile era troppo concentrata su di lui per vedere Berelain che annuiva con vigore, spronandolo anche lei ad accettare. Sembrava quasi che quelle due avessero previsto una situazione del genere! Annoura, però, a bocca spalancata, pareva sorpresa almeno quanto lui, sembrava un pesce che avesse appena visto svanire tutta l'acqua. «Perché?» chiese gentilmente Perrin, ignorando allo stesso modo il frustrato sibilare di Faile e l'esasperato grugnito di Berelain. Che io sia folgorato, pensò, sono solo un maledetto fabbro! Nessuno giurava fedeltà ai fabbri. Le regine non giuravano fedeltà a nessuno! «Mi è stato detto che sono un ta'veren; forse tra un'ora ti pentirai di quelle tue parole.» «Io spero che tu sia un ta'veren, mio signore.» Alliandre rise, ma senza alcuna gioia, e gli strinse le mani ancora più forte, come per paura che lui
potesse tirarle via. «Con tutto il cuore, lo spero. Temo che solo un ta'veren possa salvare il Ghealdan. Avevo preso questa decisione non appena la Prima mi ha spiegato perché sei qui, e incontrandoti ho solo trovato conferma. Il Ghealdan ha bisogno di una protezione che io non sono in grado di fornire, quindi è mio dovere trovarla. Tu puoi offrirla, mio signore, tu e il Drago Rinato, che il suo nome sia benedetto dalla Luce. In verità, avrei giurato direttamente a lui, se fosse stato qui. Ma tu sei il suo uomo. Giurando a te, giuro anche a lui.» Trasse un altro respiro, per costringersi ad aggiungere: «Ti prego.» Il suo odore adesso era disperato, e gli occhi le rilucevano di paura. Eppure, Perrin esitava. Stava andando proprio come Rand aveva sperato, se non meglio, ma Perrin Aybara era solo un fabbro. Un fabbro e basta! Avrebbe potuto continuare a ripeterselo se avesse accettato l'offerta? Alliandre lo fissava con aria supplichevole. I ta'veren hanno effetto anche su sé stessi?, si domandò lui. «In nome della Luce, io, Perrin Aybara, accetto la tua offerta...» Aveva la gola secca quando finì di pronunciare le parole che Faile gli aveva bisbigliato. Era troppo tardi ormai per fermarsi a riflettere. Dopo un sospiro di sollievo, Alliandre gli baciò le mani. Perrin non si era mai sentito così imbarazzato in vita sua. Alzandosi in tutta fretta, fece alzare anche la regina. E si rese conto che non sapeva quale doveva essere la prossima mossa. Faile, che splendeva di orgoglio, non gli sussurrò alcun suggerimento. Anche Berelain sorrideva, e il sollievo era così evidente sul suo volto che sembrava l'avessero appena salvata da un incendio. Perrin era sicuro che Annoura avrebbe detto qualcosa - le Aes Sedai avevano sempre molto da dire, soprattutto quando parlando avevano la possibilità di assumere il comando - ma la sorella Grigia stava tendendo il calice a Maighdin per farselo riempire. Guardava Perrin con un'espressione illeggibile e, quanto a ciò, lo stesso stava facendo Maighdin, tanto che tenne la brocca inclinata finché il vino non si riversò sul polso dell'Aes Sedai. A quel punto Annoura sobbalzò, fissando la coppa che reggeva in mano come se si fosse dimenticata della sua esistenza. Faile si accigliò, Lini assunse un'aria ancor più trova, e Maighdin corse a prendere un panno per asciugare la mano della sorella e nel frattempo ricominciò a mormorare tra sé. A Faile sarebbe venuto un colpo se mai avesse sentito cosa stava borbottando. Perrin sapeva di star facendo passare troppo tempo. Alliandre si leccò le labbra, nervosa; si aspettava qualcosa, ma cosa? «Ora che abbiamo finito
qui, devo trovare il Profeta» disse Perrin, poi fece una smorfia. Troppo brusco. Non era portato a vedersela coi nobili, meno che mai con le regine. «Immagino tu voglia tornare a Bethal prima che si rendano conto della tua assenza.» «L'ultima volta che ne ho sentito parlare,» gli disse lei «il Profeta del lord Drago era ad Abila. Una città piuttosto grande, in Amadicia, a circa quaranta leghe a sud di qui.» Malgrado tutto, Perrin corrugò la fronte, anche se si riprese subito. E così Balwer aveva ragione. Questo non significava che avesse ragione anche su tutto il resto, ma forse valeva la pena di sentire cosa quell'uomo aveva da dire sui Manti Bianchi. E sui Seanchan. Quanti Tarabonesi avevano con sé? Faile gli si mise accanto con eleganza, gli poggiò una mano su un braccio e rivolse un caldo sorriso ad Alliandre. «Non puoi certo volere che vada via adesso, mio caro. È appena arrivata. Lasciaci qui a scambiare due parole lontano dal sole, prima che lei debba affrontare il viaggio di ritorno. So che hai questioni importanti di cui occuparti.» Con qualche sforzo, Perrin riuscì a non sgranare gli occhi. Cosa c'era di più importante della regina del Ghealdan? Poco ma sicuro, se mai c'era qualcosa non avrebbero comunque permesso a lui di metterci sopra le mani. Era evidente che Faile voleva parlare ad Alliandre senza di lui. Con un po' di fortuna, in seguito gli avrebbe spiegato perché. Con un po' di fortuna, gli avrebbe detto tutto. Elyas poteva anche credere di conoscere le Saldeane, ma Perrin aveva imparato a sue spese che solo un'idiota avrebbe provato a tirar fuori tutti i segreti da sua moglie. E solo un idiota le avrebbe fatto sapere di quelli che già aveva scoperto per conto proprio. Congedarsi da Alliandre doveva senza dubbio richiedere meno cerimonie dell'incontro con lei, ma Perrin riuscì a esibirsi in un inchino credibile scusandosi del fatto che andava via, lei rispose con una profonda riverenza mormorando che Perrin le faceva troppo onore, e non ci fu altro. Tranne il rapido cenno del capo che lui rivolse a Gallenne perché lo seguisse. Visto che Faile l'aveva mandato via, Perrin dubitava che volesse far rimanere lì quell'uomo. Di cosa desiderava parlare a tu per tu con la regina? All'esterno, l'uomo da un occhio solo diede a Perrin una pacca su una spalla che avrebbe fatto barcollare qualcuno meno robusto. «Che io sia folgorato, non avevo mai sentito cose del genere. Ora sì che posso dire di aver visto l'opera di un ta'veren. Perché mi hai fatto uscire con te?» E cosa doveva rispondergli adesso?
In quel momento, sentì qualcuno che urlava nell'accampamento dei Mayenesi, i rumori di una lite, così forti che gli uomini dei Fiumi Gemelli si alzarono per scrutare tra gli alberi, anche se il fianco della collina nascondeva tutto. «Per prima cosa, vediamo cosa sono quelle urla» rispose Perrin. Questo gli avrebbe dato tempo per pensare. Per pensare a cosa dire a Gallenne e ad altri argomenti. Faile aspettò qualche istante dopo che Perrin fu uscito, poi disse alle servitrici che lei e le altre avrebbero fatto da sole. Maighdin era così impegnata a fissare Alliandre che Lini dovette tirarla per una manica prima che si muovesse. Di quello, Faile se ne sarebbe occupata in seguito. Dopo aver messo giù la tazza, seguì le tre donne verso l'entrata della tenda come per esortarle a uscire in fretta, quindi esitò sulla soglia. Perrin e Gallenne marciavano tra gli alberi diretti all'accampamento dei Mayenesi. Bene. Quasi tutti i membri della Cha Faile erano accovacciati poco lontano. Guardando Parelean, Faile fece un gesto tenendo la mano bassa davanti alla propria vita, in modo che nessun altro potesse vederla. Un rapido movimento circolare, poi la mano si chiuse a pugno. Subito i Tarenesi e i Cairhienesi si separarono in gruppi di due o tre individui e si sparpagliarono. Molto meno elaborati del linguaggio segreto delle Fanciulle, i segnali della Cha Faile servivano al loro scopo. Dopo qualche istante, i suoi seguaci avevano circondato la tenda in una disposizione che sembrava casuale, chiacchieravano oziosamente o facevano quel gioco in cui si intrecciano gli elastici tesi tra le dita delle mani. Ma se qualcuno si fosse spinto a meno di venti passi dalla tenda, lei avrebbe ricevuto un avvertimento prima che l'eventuale visitatore raggiungesse la soglia. Più che altro, Faile temeva il ritorno di Perrin. Si era aspettata qualcosa di straordinario non appena aveva visto che Alliandre era venuta di persona, anche se non aveva previsto quello che poi era successo, ma Perrin era stato stordito da quel giuramento. Se gli fosse balzato in mente di tornare, di insistere perché la regina fosse davvero sicura di quella sua decisione... Oh, quell'uomo davvero pensava col cuore quando invece avrebbe dovuto usare il cervello. E col cervello quando avrebbe dovuto usare il cuore! Faile si sentì pizzicare dal senso di colpa per quelle considerazioni. «Sono ben strani i servitori che hai trovato per strada» disse Berelain con ironica comprensione accanto a lei, e Faile sobbalzò. Non l'aveva sentita arrivare. Lini e le altre si erano avviate verso i carri, con Lini che agi-
tava un dito contro Maighdin, e Berelain spostò lo sguardo da Faile a quelle donne. Tenne la voce bassa, ma quel tono di derisione era ancora presente. «La più anziana almeno pare sapere quali sono i suoi doveri, non come le altre che sembra ne abbiano solo sentito parlare, ma Annoura mi ha detto che la più giovane è una selvatica. Molto debole, a quanto pare, tanto da essere irrilevante, ma le selvatiche causano sempre problemi. Le altre avranno delle storie su di lei, se sono al corrente del suo segreto, e prima o poi la selvatica fuggirà. Fuggono sempre, ho sentito dire. Ecco cosa succede a prendere le cameriere come si fa coi cani randagi.» «Per il momento sono abbastanza soddisfatta di loro» rispose Faile con freddezza. Eppure, era decisamente necessario fare una lunga conversazione con Lini. Una selvatica? Anche se debole, poteva essere utile. «Ho sempre saputo che tu sei più adatta ad assumere i servitori.» Berelain sbatté le palpebre, incerta su come interpretare quella frase, e Faile fece ben attenzione a non mostrare la propria soddisfazione. Girandosi, disse: «Annoura, potresti rendere privata la nostra conversazione con uno schermo contro orecchie indiscrete?» C'erano poche possibilità che Seonid o Masuri avessero l'occasione di origliare tramite il Potere - Faile si era aspettata un'esplosione quando Perrin aveva scoperto come le Sapienti tenevano quelle due al guinzaglio - ma le Sapienti stesse potevano aver imparato il trucco. Di sicuro Edarra e le altre stavano spremendo ogni goccia di conoscenza da Seonid e Masuri. Le perline che decoravano le trecce della sorella Grigia ticchettarono quando lei annuì. «Fatto, lady Faile» disse la Aes Sedai, e per un attimo Berelain compresse le labbra. Abbastanza soddisfacente. Quella donna aveva osato fare lei le presentazioni lì, nella tenda di Faile! Mettersi tra Berelain e la sua consigliera non era una punizione sufficiente, ma le dava comunque soddisfazione. Una soddisfazione infantile, ammise Faile, quando invece avrebbe dovuto concentrarsi su faccende più importanti. Quasi si morse le labbra, per l'irritazione. Non dubitava dell'amore di Perrin, ma non poteva trattare Berelain come meritava e questo la costringeva, contro la sua volontà, a giocare una partita con la Prima nella quale fin troppo spesso Perrin faceva da scacchiera. E da premio, come sembrava credere Berelain. Se solo Perrin a volte non si fosse comportato come se lo fosse davvero. Faile cancellò con fermezza tutti quei pensieri. Ora doveva svolgere il suo dovere di moglie. Praticità. Alliandre aveva lanciato uno sguardo pensoso ad Annoura per quella ri-
chiesta di uno schermo - doveva aver capito che il discorso stava per farsi serio - ma si limitò a dire: «Tuo marito è un uomo eccezionale, lady Faile. Spero di non offenderti dicendo che il suo aspetto sincero e aperto nasconde in realtà una mente scaltra. Con l'Amadicia sulla soglia di casa, noi del Ghealdan siamo costretti a giocare il Daes Dae'mar, ma non credo di essere mai stata guidata verso una decisione con la destrezza e la leggerezza mostrate oggi dal tuo signore. L'accenno di una minaccia qui, uno sguardo torvo lì. Un uomo davvero eccezionale.» Questa volta Faile dovette sforzarsi un po' per celare il sorriso. Lì al Sud davano molta importanza al Gioco delle Casate, e non credeva che ad Alliandre avrebbe fatto piacere scoprire che in realtà Perrin si limitava a dire ciò che pensava - anche troppo liberamente, a volte - e le persone dalla mentalità contorta vedevano sottigliezze e raggiri al posto della sua onestà. «Ha passato del tempo a Cairhien» disse. E che Alliandre ne traesse le dovute considerazioni. «Adesso possiamo parlare liberamente, siamo al sicuro grazie allo schermo di Annoura Sedai. È evidente che tu non desideri ancora tornare a Bethal. Il giuramento che hai fatto a Perrin, e quello che ha fatto lui, non è sufficiente a farti sentire che ormai è legato a te?» Alcuni lì al Sud avevano strane idee su ciò che la fedeltà implicava. In silenzio, Berelain si portò a destra di Faile e un attimo dopo Annoura si mise a sinistra, cosicché Alliandre si trovò a fronteggiarle tutte e tre insieme. Faile si stupì nel vedere che la Aes Sedai si accodava al suo piano senza neppure conoscerlo - senza dubbio Annoura aveva i suoi motivi, e lei avrebbe pagato una bella cifra pur di poterli conoscere - ma il comportamento di Berelain non la sorprese affatto. Una frase derisoria buttata lì per caso poteva rovinare tutto, soprattutto una sulle reali capacità di Perrin nel Grande Gioco, eppure Faile era sicura che non sarebbe successo niente del genere. Per certi versi, questo la infastidiva. Un tempo disprezzava Berelain; adesso la odiava ancora, di un odio profondo e ardente, ma un riluttante rispetto aveva sostituito il disprezzo. Quella donna sapeva quando era il caso di mettere da parte il suo 'gioco'. Se non fosse stato per Perrin, Faile pensava che le sarebbe potuta addirittura piacere! Per un attimo, per sopprimere quell'odioso pensiero, si immaginò nell'atto di rapare a zero Berelain. Era una donnaccia, una sgualdrina! E Faile non poteva permettersi di lasciarsi distrarre da lei adesso. Alliandre fissò una per volta le donne che aveva davanti, ma non diede alcun segno di essere agitata. Riprese la coppa e sorseggiò distrattamente il vino, per poi parlare tra sospiri e sorrisi malinconici, quasi volesse sminui-
re la reale importanza delle sue parole. «Ho intenzione di tenere fede al mio giuramento, com'è ovvio, ma devi capire che mi aspettavo di più. Quando tuo marito andrà via, io tornerò nelle stesse condizioni di prima. Peggiori, forse, a meno che non mi arrivi un aiuto concreto dal lord Drago, che il suo nome sia benedetto dalla Luce. Il Profeta potrebbe devastare Bethal o anche la stessa Jehannah come ha fatto a Samara, e io non sono in grado di fermarlo. Se in qualche modo viene a sapere del mio giuramento... Dice di esser venuto per mostrare il modo giusto di servire il lord Drago e la Luce, ma vuole che tutti lo facciano come decide lui, e non credo gli farebbe piacere scoprire che qualcuno ha trovato un altro modo.» «È un bene che tu tenga fede al giuramento» le rispose seccamente Faile. «Se vuoi di più da mio marito, forse dovresti fare tu stessa di più. Forse dovresti accompagnarlo quando andrà a sud per incontrare il Profeta. Certo, vorrai che i tuoi soldati siano con te, ma io suggerisco di non portarne più di quanti ne ha con sé la Prima. Ci vogliamo sedere?» Prese la sedia che prima aveva usato Perrin, poi fece cenno a Berelain e Annoura di sedersi a quelle ai due lati, e solo allora ne indicò un'altra ad Alliandre. La regina si sedette lentamente, fissando Faile a occhi sgranati, non nervosa ma stupita. «Perché, in nome della Luce, dovrei fare una cosa del genere?» esclamò. «Lady Faile, i Figli della Luce approfitteranno di ogni pretesto per depredare ancor più il Ghealdan, e re Ailron potrebbe decidere di inviare anche lui un esercito a nord. È impossibile!» «È la moglie del tuo signore che te lo chiede, Alliandre» disse Faile con fermezza. Non sembrava possibile che Alliandre potesse spalancare gli occhi ancora di più, eppure lo fece. Guardò Annoura ma sul suo volto trovò solo l'imperturbabile calma di un'Aes Sedai. «Certo» disse dopo un istante. La sua voce era vuota. Deglutì e aggiunse: «Certo, farò come tu mi... chiedi... mia signora.» Faile nascose il suo sollievo dietro un aggraziato cenno di assenso. Si era aspettata che Alliandre fosse più riluttante. Il fatto che la regina avesse prestato giuramento senza sapere cosa ciò poteva comportare - e che ritenesse necessario ribadire che intendeva tenervi fede! - aveva solo confermato la convinzione di Faile: non potevano lasciare lì quella donna. A quanto si diceva, Alliandre aveva gestito Masema arrendendosi a lui. Lentamente, certo, quando c'erano poche alternative ed era costretta, eppure la sottomissione poteva diventare un'abitudine. Tornata a Bethal, con nessun cambiamento visibile, quanto ci avrebbe messo a decidere che poteva in-
graziarsi Masema avvisandolo dell'arrivo di Perrin? Alliandre aveva appena sentito il peso del suo giuramento; ora Faile poteva alleggerirle quel fardello. «Sono lieta di sapere che ci accompagnerai» disse con calore. E lo era davvero. «Mio marito non dimentica chi gli rende servigio. E un servigio che potresti rendergli sarebbe scrivere ai tuoi nobili per dir loro che un uomo qui al Sud ha innalzato la bandiera del Manetheren.» Berelain quasi voltò il capo per la sorpresa, e Annoura si spinse addirittura a sbattere le palpebre. «Mia signora,» disse concitata Alliandre «metà di quei nobili manderanno notizie al Profeta non appena ricevono la mia lettera. Sono terrorizzati da quell'uomo, e solo la Luce sa cosa egli potrebbe fare.» Proprio la risposta che Faile si era augurata. «Motivo per cui tu scriverai anche a lui, per dirgli che hai messo insieme un manipolo di soldati per occuparti personalmente di quest'uomo. Dopo tutto, il Profeta del lord Drago è troppo importante per poter volgere la sua attenzione a un problema così insignificante.» «Molto bene» mormorò Annoura. «Nessuno sarà più in grado di capirci qualcosa.» Berelain rise e approvò con gioia, che fosse folgorata! «Mia signora,» sussurrò Alliandre «prima ho detto che lord Perrin è eccezionale. Posso aggiungere che sua moglie lo è altrettanto?» Faile si sforzò di non gioire troppo visibilmente. Adesso doveva richiamare gli uomini che aveva lasciato a Bethal. Di questo, in un certo senso, era pentita. Spiegare tutto a Perrin sarebbe stato più che difficile, ma nemmeno lui sarebbe riuscito a controllarsi se sua moglie avesse rapito la regina del Ghealdan. Quasi tutta la Guardia Alata pareva raccolta al confine dell'accampamento, intorno a dieci cavalieri, membri di quello stesso corpo. L'assenza di lance li identificava come esploratori. Gli uomini a terra si agitavano e spingevano nel tentativo di arrivare più vicino. A Perrin parve di sentire di nuovo il tuono, non molto lontano, ma quella percezione sfiorò appena la sua consapevolezza. Mentre lui si preparava a farsi largo con la forza, Gallenne ruggì: «Fateci passare, cani rognosi!» Le teste si girarono di scatto, e nella ressa alcuni uomini si spostarono di lato, aprendo uno stretto sentiero. Perrin si chiese cosa sarebbe successo se avesse chiamato 'cani rognosi' gli uomini dei
Fiumi Gemelli. Forse gli avrebbero tirato un pugno sul naso. Valeva la pena tentare. Nurelle e gli altri ufficiali erano con gli esploratori. E insieme a loro c'erano anche altri sette uomini a piedi con le mani legate dietro la schiena e guidati con una corda introno al collo; strascicavano i piedi, tenevano le spalle abbassate e si guardavano intorno con paura, con aria di sfida o con entrambe le espressioni insieme. Cosa strana, avevano un pesante odore di fumo. E in effetti alcuni dei soldati a cavallo avevano il volto sporco di fuliggine, e un paio di loro pareva si stessero curando delle bruciature. Aram stava studiando i prigionieri, leggermente accigliato. Gallenne prese posizione, gambe larghe e pugni sui fianchi, e con il suo unico occhio buono si guardò intorno in cagnesco, facendo un lavoro migliore di quello di tanti altri uomini dotati di entrambi gli occhi. «Che è successo?» chiese. «I miei esploratori devono tornare all'accampamento carichi di notizie, non di straccioni!» «Lascerò che sia Ortis a fare rapporto, mio signore» disse Nurelle. «Lui c'era. Soldato Ortis!» Un uomo di mezza età scese precipitosamente di sella e si inchinò, la mano guantata premuta sul cuore. Il suo elmo era semplice, senza le piume sottili e le ali che erano incise ai lati degli elmi degli ufficiali. Sotto il bordo, una bruciatura livida spiccava chiaramente sul suo volto. Sull'altra guancia c'era una cicatrice che piegava all'insù l'angolo della bocca. «Lord Gallenne, lord Perrin» salutò con voce roca. «Ci siamo imbattuti in questi mangiarape circa due leghe a ovest, signori. Stavano bruciando una fattoria, con i contadini dentro. Una donna ha provato a uscire da una finestra e uno di questi infami le ha spinto la testa dentro. Sapendo come la pensa lord Aybara, abbiamo messo fine alle loro malefatte. Era troppo tardi per salvare tutti i contadini, ma abbiamo catturato questi sette. Gli altri sono fuggiti.» «La gente è sempre tentata di scivolare nell'Ombra» disse all'improvviso uno dei prigionieri. «Bisogna ricordare a ogni costo la retta via.» Alto e magro e con un'aria imponente, l'uomo aveva voce gentile e parlata colta, ma la sua giubba era sporca come quelle degli altri, e dovevano essere passati due o tre giorni dalla sua ultima rasatura. A quanto pareva, il Profeta non reputava necessario sprecare tempo con oggetti come i rasoi. O i bagni. Mani legate dietro la schiena e una corda intorno al collo, il prigioniero guardava in cagnesco gli uomini che lo avevano catturato e non mostrava il minimo timore. Era arrogante e sfrontato. «I vostri soldati non mi
fanno paura» disse. «Il Profeta del lord Drago, che il suo nome sia benedetto dalla Luce, ha distrutto armate ben più grandi della vostra combriccola. Potete ucciderci, ma saremo vendicati quando il Profeta annaffierà il terreno col vostro sangue. Nessuno di voi vivrà a lungo dopo la nostra morte. Il Profeta trionferà nel fuoco e nel sangue.» Sul finire la voce divenne tonante, la schiena dritta come un bastone di ferro. I soldati lì intorno cominciarono a mormorare. Sapevano benissimo che Masema aveva già annientato eserciti più grandi del loro. «Impiccateli» disse Perrin. Di nuovo, sentì quel tuono. Dopo aver dato l'ordine, si costrinse ad assistere. Nonostante i mormorii, non mancarono le mani pronte a eseguirlo. Alcuni prigionieri cominciarono a piagnucolare quando le loro corde furono lanciate sui rami degli alberi. Un uomo che un tempo doveva essere stato grasso a giudicare dai bargigli che pendevano in pieghe dal suo collo gridò di essere pentito e promise di servire qualsiasi padrone loro gli avessero dato. Un tizio calvo che sembrava duro quanto Lamgwin si agitò e urlò finché la corda non strozzò le sue proteste. Solo l'uomo dalla voce gentile non scalciò né si oppose, nemmeno quando il cappio gli si strinse intorno al collo. Fino alla fine, continuò a lanciare la sua sfida furiosa. «Almeno uno di loro sapeva come morire dignitosamente» ruggì Gallenne quando anche l'ultimo corpo si fu afflosciato. Guardò accigliato gli uomini che ora decoravano gli alberi, quasi gli dispiacesse che non avevano opposto una più violenta resistenza. «Se quelle persone erano davvero al servizio dell'Ombra...» cominciò Aram, poi esitò. «Perdonami, lord Perrin, ma siamo sicuri che il lord Drago approverà tutto ciò?» Perrin sobbalzò, poi si girò a fissarlo, sbalordito. «Per la Luce, Aram, ma hai sentito che hanno fatto? Rand avrebbe messo lui stesso la corda intorno ai loro colli!» Lui pensava che l'avrebbe fatto, lo sperava. Rand aveva questa fissazione di unire le nazioni prima dell'Ultima Battaglia, e non badava molto al prezzo da pagare. I soldati alzarono di scatto lo sguardo quando il tuono rimbombò una prima volta abbastanza forte perché tutti lo sentissero, poi di nuovo e più vicino, poi più vicino ancora. Soffiò una raffica di vento, poi smise e poi soffiò di nuovo, tirando la giubba di Perrin da una parte e dall'altra. I fulmini si biforcarono in un cielo senza nuvole. Nel campo dei Mayenesi, i cavalli nitrirono e si impennarono tendendo le corde. Il tuono risuonò ancora e ancora, e i fulmini si contorsero come argentei serpenti azzurri, e
sotto il sole cocente cominciò a scendere la pioggia, gocce grosse e sparse che alzavano fontane di polvere quando colpivano il terreno. Perrin se ne asciugò una da una guancia e guardò meravigliato le dita bagnate. Pochi istanti e la tempesta cessò, il tuono e il fulmine rotolarono verso est. Il terreno assetato assorbì le gocce cadute, il sole splendeva torrido come sempre, e solo le luci tremolanti nel cielo e i lontani boati provavano che era davvero successo qualcosa. I soldati si fissavano, perplessi. Gallenne staccò le dita dall'elsa della spada con uno sforzo visibile. «Questa... questa non può essere opera del Tenebroso» disse Aram, e sobbalzò. Nessuno aveva mai visto un temporale naturale di quel tipo. «Significa che il clima sta cambiando, vero, lord Perrin? Sta tornando normale, giusto?» Perrin aprì la bocca per dirgli di non chiamarlo 'lord', ma poi la richiuse con un sospiro. «Non lo so» rispose. Cosa aveva detto Gaul? «Tutto cambia, Aram.» Perrin però non aveva mai pensato che sarebbe dovuto cambiare anche lui. 11
Domande e un giuramento Nella grande stalla c'era odore di paglia vecchia e sterco di cavallo. E di sangue, e di carne bruciata. Con tutte le porte chiuse, l'aria era pesante. Le due lanterne davano poca luce, e le ombre occupavano gran parte dello spazio. Nelle lunghe file di piccoli recinti, i cavalli nitrivano nervosi. L'uomo appeso per i polsi a una trave del soffitto gemette debolmente, poi fece un secco colpo di tosse. La testa gli ricadde sul petto. Era alto, muscoloso, anche se assai malconcio. A un tratto Sevanna si rese conto che il suo torace non si muoveva più. Gli anelli tempestati di gemme sulle sue dita scintillarono di rosso e verde quando fece un brusco cenno a Rhiale. La donna dai capelli di fiamma spinse in alto la testa dell'uomo e con un pollice aprì una palpebra, poi schiacciò un orecchio contro il torace, incurante delle schegge ancora ardenti che lo punteggiavano. Si raddrizzò, con
un verso di disgusto. «È morto. Avremmo dovuto lasciarlo alle Fanciulle, Sevanna, o agli Occhi Neri. Sono sicura che l'abbiamo ucciso per ignoranza.» Sevanna tese le labbra e si sistemò lo scialle facendo tintinnare i braccialetti. La coprivano fin quasi ai gomiti, un notevole carico di oro, avorio e gemme, eppure lei avrebbe indossato anche tutti gli altri che possedeva se le fosse stato possibile. Le altre donne non dissero nulla. Sottoporre i prigionieri a interrogatorio non era compito delle Sapienti, ma Rhiale sapeva perché dovevano occuparsene loro. Unico sopravvissuto di dieci cavalieri che pensavano di poter sconfiggere venti Fanciulle solo perché erano in groppa a dei cavalli, quell'uomo era anche stato il primo Seanchan catturato nei dieci giorni trascorsi dal loro arrivo in quella regione. «Non sarebbe morto se non si fosse opposto così duramente al dolore, Rhiale» disse infine Someryn scuotendo il capo. «Era forte, per essere un abitante delle terre bagnate, ma non è stato capace di accettare il dolore. E comunque ci ha rivelato molte cose.» Sevanna la guardò di sottecchi, cercando di capire se stava facendo del sarcasmo. Alta quanto la maggior parte degli uomini, Someryn indossava più collane e bracciali di tutte le donne presenti nella stalla tranne Sevanna stessa, strati di gocce di fuoco e smeraldi, rubini e zaffiri che quasi nascondevano un seno troppo pieno che altrimenti sarebbe stato mezzo esposto con quella blusa sbottonata fin quasi alla gonna. Lo scialle, legato intorno alla vita, non copriva nulla. A volte per Sevanna era difficile stabilire se Someryn la emulava o cercava di competere con lei. «Molte!» esclamò Meira. Alla luce della lanterna che reggeva, il suo volto lungo era più truce del solito, per quanto la cosa sembrasse impossibile. Meira era capace di trovare un lato buio anche nel sole di mezzogiorno. «Che la sua gente è a due giorni di viaggio verso ovest, nella città chiamata Amador? Lo sapevamo già. Ci ha raccontato solo storie. Artur Hawkwing! Bah! Le Fanciulle avrebbero dovuto tenerselo e fare ciò che era necessario.» «Voi... sareste disposte a rischiare che tutti sappiano troppo e troppo presto?» Sevanna si morse le labbra per la preoccupazione. Aveva quasi detto 'voi stupide'. Troppe persone già sapevano troppe cose, secondo lei, comprese le Sapienti, ma non poteva rischiare di offendere quelle donne. E questa consapevolezza la irritava! «La gente ha paura.» Almeno, in questo caso non c'era bisogno di nascondere il suo disprezzo. Quello che la sconvolgeva e la faceva infuriare non era il fatto che tanti avessero paura, ma
che in pochi si sforzassero di nasconderlo. «Gli Occhi Neri, i Cani di Pietra e persino le Fanciulle avrebbero parlato di ciò che ha detto quell'uomo. Sapete che è così! E le sue menzogne si sarebbero diffuse ancor più in fretta.» Dovevano essere per forza menzogne. Sevanna immaginava che il mare fosse come i laghi che aveva incontrato nelle terre bagnate, ma con la riva opposta non visibile. Se davvero stavano arrivando altre centinaia di migliaia di persone, anche dall'altro lato di una distesa d'acqua così grande, gli altri prigionieri che aveva interrogato avrebbero dovuto saperlo. E nessuno era stato interrogato senza che lei fosse presente. Tion sollevò la seconda lanterna e osservò Sevanna senza sbattere le palpebre sui suoi occhi grigi. Un bel po' più bassa di Someryn, Tion era comunque più alta di Sevanna. E grossa il doppio. Il suo viso rotondo spesso sembrava placido, ma pensare che lo fosse anche il suo carattere era un grosso errore. «Fanno bene ad aver paura» disse con voce di pietra. «Io stessa ho paura, e non me ne vergogno affatto. I Seanchan sarebbero tanti anche se fossero solo quelli che hanno preso Amador, e noi siamo pochi. Tu hai la tua setta con te, Sevanna, ma dov'è la mia? Caddar, il tuo amico delle terre bagnate, e la sua Aes Sedai addomesticata ci hanno mandati a morire attraverso quei buchi nell'aria. Dove sono gli altri Shaido?» Rhiale si spostò per mettersi con aria di sfida accanto a Tion, e subito le due furono raggiunte da Alarys, che anche in quel momento continuava a giocherellare coi capelli neri per attirare su di essi l'attenzione. O forse per evitare di incrociare lo sguardo di Sevanna. Dopo un attimo, Meira si aggiunse accigliata al gruppo, e poi lo stesso fece Modarra. Modarra sarebbe stata semplicemente magra se non fosse stata anche più alta di Someryn, il che la faceva sembrare nel migliore dei casi macilenta. Sevanna credeva di avere su Modarra una presa ferrea come quella degli anelli che le cingevano le dita. Una presa ferrea come quella che aveva su... Someryn la guardò e sospirò, poi guardò le altre. Lentamente, andò a mettersi accanto a loro. Sevanna rimase da sola, al limitare della pozza di luce proiettata dalle lanterne. Di tutte le donne legate a lei dall'uccisione di Desaine, queste erano quelle delle quali si fidava di più. Non che si fidasse molto di qualcuno, ovviamente. Ma prima era sicura che Someryn e Modarra fossero in suo potere, come se avessero dichiarato con un giuramento d'acqua di seguirla ovunque. E adesso osavano affrontarla con quegli sguardi d'accusa. Persino Alarys la guardava, continuando a tormentarsi i capelli. Sevanna resse quegli sguardi con un sorriso freddo e quasi derisorio. Decise che non era il momento di ricordare a quelle donne il crimine che
legava i loro destini al suo. Non era tempo per il bastone. «Sospetto che Caddar potrebbe provare a tradirci» disse invece. Gli occhi azzurri di Rhiale si sgranarono per quell'ammissione, e Tion aprì la bocca. Sevanna proseguì, senza dar loro modo di parlare. «Avreste preferito restare al Pugnale del Kinslayer e farvi distruggere? Avreste preferito essere inseguite come bestie da quattro clan le cui Sapienti sono capaci di creare quei buchi senza le scatole per viaggiare? E invece ci troviamo nel cuore di una terra ricca e debole. Più ricca anche delle terre degli assassini dell'albero. Guardate cosa abbiamo preso in soli dieci giorni. Quanto altro potremo prendere in una città di queste terre bagnate? Avete paura dei Seanchan perché sono numerosi? Ricordate che ho portato con me tutte le Sapienti Shaido in grado di incanalare.» Il fatto che lei stessa non sapesse farlo ormai le sovveniva di rado. Presto avrebbe posto rimedio anche a quello. «Siamo più forti di qualsiasi armata che questi abitanti delle terre bagnate potranno mai mandarci contro. Anche se avessero davvero delle lucertole volanti.» Tirò su col naso forte, per dimostrare come la pensava al riguardo. Nessuna di loro aveva mai visto una di quelle bestie, e nemmeno nessun esploratore, ma quasi tutti i prigionieri avevano raccontato quelle ridicole storie. «Dopo che avremo trovato le altre sette, ci impadroniremo di questa terra. La prenderemo tutta! E chiederemo un pagamento dieci volte più alto alle Aes Sedai. E troveremo Caddar e lo faremo morire urlando pietà.» Questo avrebbe dovuto ridare coraggio alle altre, avrebbe dovuto rincuorarle come era già successo in passato. Ma nessuna di loro cambiò espressione. Nessuna. «E poi c'è il Car'a'carn» disse con calma Tion. «A meno che tu non abbia rinunciato al tuo progetto di sposarlo.» «Non ho rinunciato a niente» rispose irritata Sevanna. Quell'uomo - e, cosa più importante, il potere che veniva con lui - un giorno o l'altro sarebbe stato suo. In qualche modo. A qualsiasi costo. Con voce più serena, Sevanna proseguì: «Rand al'Thor non ha nessuna importanza adesso.» O meglio, non ne aveva per quelle cieche sempliciotte. Con lui in mano sua, Sevanna avrebbe potuto fare di tutto. «Non ho intenzione di restare qui tutto il giorno a discutere della mia corona nuziale. Devo occuparmi di questioni che sono davvero importanti.» Quando si allontanò dalle altre nel buio, avviandosi verso le porte della stanza, fece all'improvviso uno sgradevole pensiero. Era da sola con quelle donne. Fino a che punto poteva fidarsi di loro, adesso? La morte di Desaine era fin troppo vivida nella sua mente; la Sapiente era stata... massacra-
ta... usando l'Unico Potere. Massacrata, tra le altre, dalle donne dietro di lei. Quel pensiero le fece torcere le budella. Tese l'orecchio nella speranza di cogliere il debole crepitare della paglia che le avrebbe annunciato che la stavano seguendo, e non sentì nulla. Erano rimaste ferme a fissarla? Sevanna si rifiutò di girarsi a controllare. Mantenere la stessa, lenta andatura le costò solo un lieve sforzo - lei non si sarebbe disonorata mostrando la propria paura! - eppure quando spinse una delle alte porte per farla ruotare sui cardini ben oliati e uscì all'accecante luce di mezzogiorno, non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo. Efalin stava camminando fuori dalla stalla, lo shoufa drappeggiato intorno al collo, l'arco nella custodia sulla schiena, lance e scudo in una mano. La donna dai capelli grigi si voltò di scatto, e la preoccupazione sul suo volto svanì appena un po' alla vista di Sevanna. La comandante delle Fanciulle Shaido che dava a vedere la propria agitazione! Non era una Jumai, ma aveva accompagnato Sevanna col pretesto che quest'ultima parlava come capoclan finché gli Shaido non ne avessero scelto uno nuovo. Sevanna ne era sicura: Efalin sospettava che quel momento non sarebbe mai venuto. Quella donna sapeva chi aveva il potere. E sapeva quando era il caso di tenere la bocca chiusa. «Seppellitelo in una fossa profonda e nascosta» le disse Sevanna. Efalin annuì, facendo segno alle Fanciulle intorno alla stalla perché si alzassero, e loro svanirono all'interno dietro di lei. Sevanna studiò l'edificio, con il suo tetto rosso a punta e le pareti blu, poi si girò verso il campo che c'era di fronte. Un basso recinto di pietra con una singola apertura, proprio davanti alla stalla, racchiudeva un cerchio di terra battuta di circa cento passi di diametro. Gli abitanti delle terre bagnate lo avevano usato per addestrarci i cavalli. A Sevanna non era venuto in mente di chiedere ai proprietari precedenti perché l'avessero costruito così lontano da tutto il resto, circondato da alberi così grandi che lei talvolta ancora sgranava gli occhi nel guardarli, ma quell'isolamento serviva ai suoi scopi. Le Fanciulle andate nella stalla insieme a Efalin erano quelle che avevano catturato il Seanchan. Nessun altro sapeva della sua esistenza. E nessuno l'avrebbe saputo. Le altre Sapienti stavano parlando tra di loro? Parlavano di lei? Davanti alle Fanciulle? Che stavano dicendo? Sevanna non avrebbe aspettato né loro né nessun altro. Someryn e le altre uscirono dalla stalla proprio quando lei si avviò verso la foresta e la seguirono tra gli alberi discutendo dei Seanchan, di Caddar e di dove potevano esser stati mandati gli altri Shaido. Non di lei, anche se
non l'avrebbero certo fatto mentre poteva sentirle. Già quello che sentiva le fece fare una smorfia. C'erano più di trecento Sapienti con i Jumai, e ogni volta che tre o quattro di loro cominciavano a parlare il discorso era sempre lo stesso. Ci si chiedeva dov'erano le altre sette, se Caddar era in realtà una lancia scagliata da Rand al"Thor, quanti erano i Seanchan e persino se cavalcavano davvero lucertole giganti. Lucertole! Quelle donne erano con lei sin dall'inizio. Sevanna aveva guidato i loro passi uno dopo l'altro, ma loro credevano di aver contribuito a pianificare ogni mossa, si illudevano di conoscere la destinazione. Se adesso le stava perdendo... La foresta lasciò spazio a un'immensa radura che avrebbe potuto contenere cinquanta cerchi come quello davanti alla stalla, e Sevanna sentì che il malumore scivolava via quando si fermò a osservare. A nord si levavano basse colline, e le montagne che sorgevano poche leghe più in là erano incappucciate di nuvole, grandi masse bianche con qualche striatura color grigio scuro. Non aveva mai visto così tante nuvole in vita sua. Più vicini delle montagne, migliaia di Jumai portavano avanti i loro compiti quotidiani. Dai fabbri veniva il clangore del martello sull'incudine; qualcuno stava macellando capre e pecore per la cena, e i belati delle bestie si mischiavano alle risate dei bambini che correvano e giocavano. Avendo avuto più tempo delle altre sette per preparare la fuga dal Pugnale del Kinslayer, i Jumai si erano portati dietro i greggi raccolti a Cairhien. Molti avevano montato le tende, ma non ce n'era bisogno. La radura era quasi piena di strutture colorate quasi fosse un grande villaggio delle terre bagnate, stalle e fienili, una grande fucina e i tetti bassi degli edifici che avevano ospitato la servitù, tutti dipinti di rosso e di blu e tutti disposti intorno al grande tetto. Il palazzo signorile, come lo chiamavano lì, era alto tre piani e aveva il tetto di tegole verde scuro, mentre l'intera struttura era di un verde più chiaro bordato di giallo, e cresceva in cima a una collina artificiale di pietra alta dieci passi. Jumai e gai'shain salivano la lunga rampa che portava alle alte porte del palazzo e si aggiravano sulle balconate decorate di incisioni che vi correvano intorno. Le mura e i palazzi di pietra che Sevanna aveva visto a Cairhien non l'avevano colpita neppure la metà. Quello nella radura era dipinto come un vagone dei Perduti, eppure era meraviglioso. Avrebbe dovuto capirlo prima che, con così tanti alberi, quelle genti potevano costruire di tutto col legno. Possibile che solo lei vedesse quant'era opulenta quella terra? I gai'shain vestiti di bianco che si affrettavano a svolgere le loro commissioni erano più numerosi di quanti venti clan ne avessero mai posseduti, erano
quasi la metà dei Jumai! Nessuno più ormai aveva da ridire sul prendere gli abitanti delle terre bagnate come gai'shain. Erano così docili! Un ragazzo dagli occhi sgranati e con indosso un abito bianco rozzamente cucito le corse accanto portando un canestro, guardando imbambolato la gente che aveva intorno e incespicando sul bordo della sua stessa tunica. Sevanna sorrise. Il padre di quel giovane era stato il lord del posto e le aveva assicurato che lei e gli altri sarebbero stati cacciati via - da dei bambini, per giunta! - a causa di quell'oltraggio, eppure adesso vestiva di bianco e lavorava duro come suo figlio, e lo stesso facevano sua moglie, le sue figlie e l'altro figlio. Quelle donne avevano tante belle gemme ed eleganti abiti di seta, ma Sevanna si era riservata solo il diritto di scegliere per prima. Una terra opulenta, e così morbida che trasudava ricchezza. Le donne alle sue spalle si erano fermate a discutere sul limitare del bosco. Sevanna captò i loro discorsi, e il suo umore cambiò di nuovo. «...quante Aes Sedai combattono per questi Seanchan» stava dicendo Tion. «Lo dobbiamo scoprire.» Someryn e Modarra mormorarono il loro assenso. «Io non credo che sia importante» intervenne Rhiale. Almeno il suo spirito di contraddizione si estendeva anche alle altre. «Non penso che combatteranno a meno che non siamo noi ad attaccarli. Ricordate, non hanno fatto niente finché non ci siamo mossi contro di loro, non hanno neppure preparato le loro difese.» «Ma quando poi l'hanno fatto,» disse acida Meira «ventitré di noi sono morte. E più di diecimila algai'd'siswai non hanno fatto ritorno. E adesso siamo poco più di un terzo di quanti eravamo allora, contando anche i Senza Fratelli.» Quel nome trasudava disprezzo. «Quella fu opera di Rand al'Thor!» disse bruscamente Sevanna. «Invece di pensare a cosa ha fatto contro di noi, pensate a cosa potremo fare quando sarà nostro!» Quando sarà mio, pensò. Le Aes Sedai erano riuscite a prenderlo e trattenerlo per un po', e lei aveva qualcosa che le Aes Sedai non avevano, altrimenti l'avrebbero usato. «Ricordate che avevamo sconfitto le Aes Sedai, prima che lui si schierasse dalla loro parte. Le Aes Sedai non valgono niente!» Ancora una volta, il suo tentativo per rinsaldare i loro animi non produsse alcun effetto visibile. Quelle donne ricordavano solo che le lance si erano spezzate nel tentativo di catturare al'Thor, e che a loro era toccata la stessa sorte. Sembrava che Modarra stesse fissando la tomba di tutta la sua setta, e persino Tion era nervosamente accigliata, senza dubbio perché sta-
va ricordando che anche lei era fuggita come una capra spaventata. «Sapienti,» disse una voce maschile alle spalle di Sevanna «sono stato mandato a chiedere il vostro giudizio.» In un istante i volti di tutte le donne tornarono sereni. Quell'uomo ottenne con la sua sola presenza ciò che Sevanna non era riuscita a fare nonostante i vari tentativi. Nessuna Sapiente avrebbe mai permesso a chiunque non fosse a sua volta una Sapiente di coglierla in un momento di difficoltà. Alarys smise di carezzarsi i capelli, che si era passati sopra una spalla. Era evidente che nessuna aveva riconosciuto quell'individuo. Sevanna credeva invece di sapere chi fosse. Lui le osservò con un'espressione solenne negli occhi verdi che erano molto più vecchi del suo volto liscio. Le labbra erano carnose, ma la bocca aveva la piega di chi ha dimenticato come si sorride. «Sono Kinhuin, dei Mera'din, Sapienti. I Jumai dicono che non possiamo prenderci la nostra parte dei possedimenti di questo luogo perché non siamo Jumai, ma la verità è che lo fanno perché altrimenti ce ne sarebbe di meno per loro visto che noi siamo due per ogni algai'd'siswai dei Jumai. I Senza Fratelli chiedono il vostro giudizio, Sapienti.» Adesso che sapevano chi era, alcune di loro non riuscirono a nascondere il disprezzo per quegli uomini che avevano abbandonato clan e setta per unirsi agli Shaido pur di non seguire Rand al'Thor, che ritenevano un abitante delle terre bagnate e non il vero Car'a'carn. Tion si limitò a indurire il volto, ma Rhiale aveva gli occhi ardenti e Meira era lì lì per accigliarsi. Solo Modarra mostrava interesse alla causa di quell'uomo, ma d'altronde lei avrebbe provato a mediare anche una disputa tra assassini dell'albero. «Queste sei Sapienti daranno il loro giudizio dopo aver sentito entrambe le parti» disse Sevanna a Kinhuin con solennità pari alla sua. Le altre la guardarono, celando a malapena la sorpresa per quella sua decisione di farsi da parte. Era stata proprio lei a volere che i Mera'din che accompagnavano i Jumai fossero in numero dieci volte superiore a quello destinato a tutte le altre sette. Sevanna sospettava davvero di Caddar, anche se non per quello che aveva fatto, e voleva avere quante più lance possibile intorno a sé. Inoltre, i Mera'din potevano sempre morire al posto dei Jumai. Finse sorpresa per la sorpresa altrui. «Non sarebbe giusto se io prendessi parte al giudizio visto che è coinvolta la mia setta» disse alle Sapienti prima di rivolgersi di nuovo all'uomo dagli occhi verdi. «Ti daranno un giudizio onesto, Kinhuin. E sono sicura che parleranno a favore dei Me-
ra'din.» Le altre le rivolsero sguardi duri prima che Tion ordinasse con un brusco cenno a Kinhuin di fare strada. E lui dovette distogliere lo sguardo da Sevanna per obbedire. Con un lieve sorriso - l'uomo aveva fissato lei, non Someryn - Sevanna osservò il gruppo finché non svanì tra la massa di persone che si muovevano nei terreni del palazzo. Per quanto disprezzassero i Senza Fratelli - e per quanto avessero preso male la previsione che lei aveva fatto riguardo al loro giudizio - c'erano diverse possibilità che davvero le Sapienti decidessero in quel senso. In ogni caso, Kinhuin si sarebbe ricordato e avrebbe parlato con gli altri membri della sua cosiddetta società. Sevanna aveva già in tasca i Jumai, ma qualsiasi cosa potesse legare a lei anche i Mera'din sarebbe stata ben accetta. Si girò e tornò tra gli alberi, anche se non si diresse verso la stalla. Adesso che era sola, poteva occuparsi di una questione ben più importante dei Senza Fratelli. Controllò l'oggetto che teneva infilato nella gonna, alla base della schiena, dove lo scialle poteva nasconderlo. Si sarebbe accorta se si fosse spostato anche solo di un pelo, ma voleva sentirne la liscia lunghezza con le dita. Nessuna Sapiente avrebbe più osato reputarla inferiore dopo che lei avesse usato quell'oggetto, forse quello stesso giorno. E prima o poi, sempre con quell'oggetto, avrebbe ottenuto Rand al'Thor. Dopo tutto, se Caddar aveva mentito su un argomento, poteva aver mentito anche su altri. Attraverso uno sfocato velo di lacrime Galina Casban guardava in cagnesco la Sapiente che la teneva schermata. Come se davvero ci fosse bisogno dello schermo di quella donna slanciata. In quel momento, lei non avrebbe neppure potuto abbracciare la Fonte. Seduta a gambe incrociate tra due Fanciulle accovacciate, Belinde si sistemò lo scialle e le rivolse un lieve sorriso, come se avesse letto nei suoi pensieri. Belinde aveva un volto sottile e volpino, con capelli e sopracciglia schiariti dal sole fin quasi a sembrare bianchi. Galina si pentì di non averle spaccato la testa invece di limitarsi a schiaffeggiarla. Non si era trattato di un tentativo di fuga, ma solo lo sfogo per una frustrazione maggiore di quella che poteva sopportare. Le sue giornate cominciavano e finivano nella stanchezza più totale, e ogni giorno era peggio di quello precedente. Galina non riusciva nemmeno più a ricordare da quanto l'avevano infilata in quella pesante tunica nera: i giorni scorrevano fusi in un torrente infinito. Una settimana? Un mese? Forse non così tanto.
Di sicuro non di più. Galina avrebbe preferito non aver mai toccato Belinde. Se quella donna non le avesse infilato un bavaglio in bocca per porre fine ai suoi piagnistei, l'avrebbe supplicata di poter ricominciare a trasportare rocce, spostare una pila di sassi pietra dopo pietra, o sottoporsi a una qualsiasi delle torture con le quali le riempivano le ore. Qualsiasi cosa, pur di porre fine a quella situazione. Solo la testa sbucava dal sacco di cuoio appeso al grosso ramo di una quercia. Subito sotto il sacco, un braciere di bronzo era pieno di carboni ardenti, un fuoco lento che riscaldava l'aria all'interno del sacco. Galina era rannicchiata in quel caldo cocente coi pollici legati agli alluci e il sudore che ricopriva tutto il suo corpo nudo. I capelli madidi le si erano appiccicati al viso e, quando non piangeva, Galina ansimava, con le narici che si dilatavano in cerca d'aria. Eppure, quella tortura sarebbe stata comunque preferibile all'infinita, insensata, massacrante serie di fatiche alla quale la sottoponevano, se non fosse stato per un particolare. Prima di chiuderle il sacco sotto il mento, Belinde le aveva svuotato addosso un sacchetto contenente una qualche polvere sottile, e non appena lei aveva cominciato a sudare la polvere aveva preso a pizzicare come pepe lanciato negli occhi. Sembrava che la ricoprisse dalle spalle in giù e, oh, Luce, quanto bruciava! Quell'invocazione alla Luce era la misura della disperazione di Galina, ma ancora non l'avevano spezzata nonostante i ripetuti tentativi. Alla fine si sarebbe davvero liberata - oh, sì! - e a quel punto l'avrebbe fatta pagare a quei selvaggi, e la moneta sarebbe stata il sangue! Fiumi di sangue! Oceani! Li avrebbe scuoiati vivi, tutti! Avrebbe... Galina tirò indietro la testa e ululò; lo straccio infilato nella sua bocca attutì il suono, ma lei ululò, e non avrebbe saputo dire se il suo era un grido di rabbia o un pianto di supplica. Quando i suoi ululati si spensero e la testa le ricadde in avanti, Belinde e le Fanciulle si alzarono in piedi, e con loro c'era anche Sevanna. Galina provò a porre fine ai singhiozzi al cospetto della donna dai capelli d'oro, ma era come tentare di raccogliere il sole dal cielo con le dita. «Sentila come frigna e starnazza» la insultò Sevanna, avvicinandosi per darle un'occhiata. Galina provò a restituirle uno sguardo altrettanto colmo di disprezzo. Sevanna indossava gioielli per dieci donne! Portava la blusa slacciata quasi fino a denudare il seno, se non fosse stato per quelle collane scompagnate, e respirava a fondo quando gli uomini la guardavano. Galina si sforzò, ma era difficile assumere un'espressione sprezzante con le lacrime che le colavano sulle guance insieme al sudore. Fu scossa da un singhiozzo e fece oscillare il sacco.
«Questa da'tsang è dura come una vecchia pecora,» ridacchiò Belinde «ma io ho sempre pensato che anche la più dura delle pecore vecchie potesse diventare tenera se cucinata lentamente e con le erbe giuste. Quando ero una Fanciulla, ammorbidivo anche i Cani di Pietra se potevo cucinarli abbastanza a lungo.» Galina chiuse gli occhi. Oceani di sangue, per pagare quel... Il sacco sobbalzò e lei riaprì di scatto gli occhi quando si fermò di nuovo. Le Fanciulle avevano slegato la corda intorno al ramo, e due di loro la stavano calando lentamente. Galina riprese ad agitarsi freneticamente, cercando di guardare verso il basso, e quasi pianse di nuovo, ma per il sollievo, quando vide che il braciere era stato spostato. Con tutti quei discorsi di Belinde sul cucinare... Galina decise che quello sarebbe stato il destino di Belinde. Legata a uno spiedo e messa a rosolare sul fuoco per farle colar via il grasso! E sarebbe stato solo l'inizio! Con un tonfo sordo che le strappò un grugnito, il sacco di pelle colpì il terreno e si capovolse. Distrattamente, come se stessero maneggiando un sacco di patate, le Fanciulle rovesciarono Galina. sull'erba verde, tagliarono le corde che le tenevano pollici e alluci e le sfilarono il bavaglio dai denti. Il terriccio e le foglie morte di appiccicarono al sudore che la ricopriva. Galina avrebbe davvero voluto alzarsi, per guardarle tutte negli occhi e ricambiare i loro sguardi truci. Invece riuscì solo a mettersi carponi, e affondò le dita delle mani nel pacciame sul terreno della foresta, scavando anche con quelle dei piedi. Se si fosse raddrizzata del tutto non avrebbe potuto impedire che le mani volassero a tentare di lenire la pelle arrossata e infiammata. Il sudore sembrava il succo del pepe dei ghiacci. Galina poté solo rimanere lì a tremare, mentre cercava di inumidirsi la bocca e sognava a occhi aperti ciò che avrebbe fatto a quei selvaggi. «Ti credevo più forte,» le disse dall'alto Sevanna con voce pensosa «ma forse Belinde ha ragione. Forse adesso sei abbastanza tenera. Se giuri di obbedirmi potrai smettere di essere una da'tsang. Forse non dovrai neppure diventare una gai'shain. Giurerai di obbedire a ogni mio comando?» «Sì!» Quella parola volò roca dalla lingua di Galina senza la minima esitazione, anche se dovette deglutire prima di poter aggiungere altro. «Ti obbedirò! Lo giuro!» E l'avrebbe fatto davvero. Finché non le avessero fornito l'apertura di cui aveva bisogno. Possibile che fosse sufficiente solo quello? Un giuramento che lei avrebbe fatto sin dal primo giorno? Sevanna avrebbe imparato come ci si sentiva a stare appese sui carboni ardenti. Oh,
sì, avrebbe... «Allora non avrai obiezioni a prestare il tuo giuramento su questo» disse Sevanna, lanciandole qualcosa davanti. Galina si sentì aggricciare lo scalpo quando guardò quell'oggetto. Un bastone bianco come avorio levigato, lungo una trentina di centimetri e non più spesso del suo polso. Poi vide i segni fluenti incisi all'estremità rivolta verso di lei, numeri in uso nell'Epoca Leggendaria. Centoundici. Aveva pensato che fosse il Bastone dei Giuramenti, sottratto chissà come alla Torre Bianca. Anche quello era segnato, ma dal numero tre, che secondo alcune rappresentava appunto i Tre Giuramenti. Forse l'oggetto lì per terra non era ciò che sembrava. Forse. Eppure, neanche una vipera incappucciata delle Terre Sommerse arrotolata lì davanti avrebbe potuto paralizzarla più di così. «Un bel giuramento, Sevanna. Quando avevi intenzione di mettere al corrente anche noialtre?» Galina alzò di scatto la testa quando sentì quella voce. Una voce che le avrebbe fatto distogliere lo sguardo anche da una vipera incappucciata. Therava comparve tra gli alberi alla guida di una decina di Sapienti dal volto gelido, che si fermarono dietro di lei, girate verso Sevanna. Tranne le Fanciulle, tutte quelle donne erano presenti anche quando Galina era stata condannata a indossare la tunica nera. Una parola di Therava, un rapido cenno del capo di Sevanna, e le Fanciulle subito si allontanarono. Galina continuava a grondare sudore, ma all'improvviso l'aria le sembrava fredda. Sevanna guardò Belinde, che evitò i suoi occhi. Sevanna allora incurvò le labbra, per metà un sorriso di derisione e per metà un ringhio, e si piantò i pugni sui fianchi. Galina non capiva dove quella donna del tutto incapace di incanalare trovasse tanto coraggio. Alcune delle altre avevano una forza nel Potere non indifferente. No, non poteva permettersi di considerarle solo delle selvatiche se voleva fuggire e ottenere la sua vendetta. Therava e Someryn erano più forti di qualsiasi donna presente alla Torre, e anche le altre avrebbero potuto facilmente diventare Aes Sedai. Ma Sevanna le affrontò con aria di sfida. «A quanto pare siete veloci ad amministrare la giustizia» disse con voce secca come sabbia. «La questione era semplice» replicò con calma Tion. «I Mera'din hanno ricevuto la giustizia che meritavano.» «E gli è stato detto che l'hanno ricevuta nonostante il tuo tentativo di depistarci» aggiunse Rhiale con un certo fervore. E a quel punto Sevanna ringhiò davvero.
Therava però non si lasciò distogliere dal suo intento. Con un solo, rapido passo raggiunse Galina, afferrò una manciata dei suoi capelli e la issò in ginocchio, la testa piegata all'indietro. Therava non era affatto la più alta di quelle donne, eppure torreggiava più della maggior parte degli uomini, e abbassò su Galina il suo sguardo da falco, strappando via ogni pensiero di sfida o vendetta. Le striature bianche negli scuri capelli rossi non facevano che rendere il suo volto ancor più imperioso. Galina strinse le mani a pugno sulle cosce, affondando le unghie nei palmi. Anche il bruciore della pelle parve sbiadire sotto quello sguardo. Aveva sognato a occhi aperti di spezzare tutte quelle donne fino all'ultima, di spingerle a implorare la morte e di ridere nel negare quella loro richiesta. Lo aveva sognato per tutte, tranne Therava. Di notte, Therava entrava in tutti i suoi sogni e Galina non poteva fare altro che fuggire; l'unica via di fuga era svegliarsi urlando. Galina aveva spezzato uomini e donne molto forti, ma quando alzò lo sguardo su Therava sgranò gli occhi e pianse. «Questa non ha nessun onore da perdere.» Therava parve sputare quelle parole. «Se la vuoi spezzare, Sevanna, lasciala a me. Quando avrò finito obbedirà senza bisogno del giocattolo del tuo amico Caddar.» Sevanna reagì con fervore, negando ogni amicizia con questo Caddar, chiunque egli fosse, e Rhiale latrò che Sevanna l'aveva presentato alle altre, e queste cominciarono a discutere per decidere se il legatore' poteva funzionare meglio della 'scatola per viaggiare'. Una piccola parte della mente di Galina si aggrappò a quel nome, scatola per viaggiare. Ne aveva già sentito parlare, e aveva desiderato metterci sopra le mani anche solo per un istante. Con un ter'angreal che le permettesse di Viaggiare, per quanto imperfetto fosse il suo funzionamento, sarebbe riuscita a... Nemmeno le speranze di fuga potevano resistere contro il pensiero di ciò che le avrebbe fatto Therava se le altre avessero deciso di acconsentire alla sua richiesta. Quando la Sapiente dagli occhi di falco le lasciò andare i capelli per prendere parte alla discussione, Galina si lanciò verso il bastone, stendendosi ventre a terra. Qualsiasi cosa, anche essere costretta a obbedire a Sevanna, era meglio che finire nelle mani di Therava. Se non fosse stata schermata, Galina avrebbe incanalato per attivare lei stessa il bastone. Non appena ebbe chiuso le dita sulla liscia superficie di quell'oggetto, il piede di Therava si abbatté con forza, intrappolandole dolorosamente la mano contro il terreno. Nessuna delle Sapienti degnò Galina anche solo di un'occhiata, e lei rimase lì a contorcersi nel vano tentativo di liberarsi. Ma
non riusciva a metterci troppa forza; ricordava vagamente di aver fatto impallidire di paura re e regine, ma adesso non osava spostare il piede di quella donna. «Se deve giurare,» disse Therava guardando Sevanna in cagnesco «sarà per obbedire a tutte noi.» Le altre annuirono, alcune dando anche voce al loro assenso, tutte tranne Belinde, che increspò le labbra in un'espressione pensosa. Sevanna ricambiò lo sguardo con altrettanta durezza. «Molto bene» concesse infine. «Ma a me prima che a chiunque altri. Non sono solo una Sapiente, ma parlo anche in vece del capoclan.» Therava le rivolse un sorriso sottile. «È vero. Allora obbedirà a due di noi prima che alle altre. Obbedirà a te e a me.» Il volto di Sevanna non perse neanche un po' della sua aria di sfida, ma la donna annuì. Malvolentieri. Solo allora Therava tolse il piede. La luce di saidar la avvolse, e un flusso di Spirito sfiorò i numeri sull'estremità del bastone che Galina ancora aveva tra le mani. Proprio come si faceva con il Bastone dei Giuramenti. Galina esitò un istante, flettendo le dita calpestate. Quell'oggetto sembrava il Bastone dei Giuramenti anche al tatto; non proprio avorio, non proprio vetro, decisamente freddo sui suoi palmi. Se era un secondo Bastone dei Giuramenti, allora poteva usarlo per annullare qualsiasi impegno avrebbe preso. Se ne avesse avuto l'occasione. Ma Galina non se la sentiva di correre il rischio, non voleva giurare a Therava. Prima di quel momento era stata sempre lei a comandare; da quando era stata catturata la vita era diventata una miseria, ma Therava l'avrebbe trasformata in un cucciolo al guinzaglio! D'altronde, se non giurava, forse le altre avrebbero dato a Therava il permesso di spezzarla. E Galina non aveva il minimo dubbio che quella donna l'avrebbe spezzata. Nel modo più totale. «In nome della Luce e sulla mia speranza di salvezza e rinascita» non credeva più nella Luce né sperava nella salvezza, e sarebbe bastato anche pronunciare una semplice promessa, ma quelle donne si aspettavano un giuramento solenne «giuro di obbedire a ogni ordine delle Sapienti qui riunite, e a Therava e Sevanna prima ancora che a loro.» L'ultima speranza che quel 'legatore' potesse essere qualcos'altro svanì quando Galina sentì il giuramento che si imponeva su di lei, come se all'improvviso avesse indossato un abito fin troppo stretto che la copriva dalla testa ai piedi. Lanciò indietro la testa e urlò. In parte perché a un tratto le sembrava che il bruciore della pelle si fosse spinto più in profondità nelle carni, ma soprattutto urlò per mera disperazione.
«Zitta!» le disse bruscamente Sevanna. «Non voglio sentire i tuoi lamenti!» Galina serrò di scatto i denti, quasi mordendosi la lingua, e si sforzò per trattenere i singhiozzi. Adesso non poteva fare altro che obbedire. Therava la guardò torva. «Vediamo se funziona davvero» mormorò, piegandosi verso di lei. «Hai progettato di fare violenza a una qualsiasi delle Sapienti qui presenti? Rispondi sinceramente, e chiedi di essere punita se l'hai fatto. La punizione per la violenza contro una Sapiente» aggiunse come se le fosse venuto in mente solo allora «è venire uccisa come una bestia.» Si passò un dito davanti alla gola in un gesto inequivocabile, poi con la stessa mano afferrò il pugnale che portava alla cintura. Ingoiando aria, terrorizzata e in preda al panico, Galina si ritrasse da Therava. Ma non riusciva a distogliere lo sguardo da lei, né poté fermare le parole che le risuonarono tra i denti. «Sì, volevo f-fare violenza a t-tutte voi! P-per favore, p-punitemi!» L'avrebbero uccisa? Dopo tutto quello che aveva passato, le toccava morire lì, adesso? «A quanto pare, questo legatore funziona proprio come ha detto il tuo amico, Sevanna.» Therava prese il bastone dalle flosce mani di Galina e se lo infilò nella cintura mentre si raddrizzava. «E pare anche che, dopo tutto, tu dovrai indossare il bianco, Galina Casban.» Per qualche motivo, nel pronunciare questa frase sorrise compiaciuta. Ma diede anche altri ordini. «Ti comporterai umilmente, come si addice a una gai'shain. Se un bambino ti dice di saltare, tu salterai a meno che una di noi non ti abbia ordinato di fare altrimenti. E non toccherai saidar né incanalerai senza il nostro permesso. Liberala dallo schermo, Belinde.» Lo schermo svanì, e Galina rimase in ginocchio, occhi vuoti e sgranati. La Fonte splendeva appena al di là della sua visuale, una forte tentazione. Ma protendersi verso la Fonte era per lei impossibile come farsi spuntare le ali. Si sentì un tintinnare di bracciali quando Sevanna si sistemò lo scialle in un moto di rabbia. «Stai esagerando, Therava. Quello è mio, ridammelo!» Protese una mano, ma Therava si limitò a incrociare le braccia al petto. «Ci sono stati incontri tra le Sapienti» disse a Sevanna guardandola con i suoi occhi duri. «Abbiamo preso alcune decisioni.» Le donne che erano arrivate lì con lei si disposero alle sue spalle, tutte rivolte verso Sevanna, e Belinde si affrettò a raggiungerle. «Senza di me?» scattò Sevanna. «Avete osato prendere decisioni senza di me?» Il tono era forte come sempre, ma gli occhi guizzarono verso il bastone infilato nella cintura di Therava, e a Galina parve di scorgere
un'ombra di insicurezza in quegli occhi. In altre circostanze, ne sarebbe stata deliziata. «Una decisione doveva essere presa senza di te» disse Tion con voce piatta. «Come spesso sottolinei, tu parli in vece del capoclan» aggiunse Emerys, i grandi occhi grigi accesi da una scintilla di derisione. «A volte le Sapienti devono poter parlare senza farsi sentire dal capoclan. O da chi parla in vece sua.» «Abbiamo deciso» ripresa Therava «che proprio come un capoclan deve avere una Sapiente che lo consigli, tu devi avere il consiglio di una Sapiente. E sarò io a dartelo.» Stringendosi addosso lo scialle, Sevanna studiò le donne che aveva davanti. L'espressione del suo volto era illeggibile. Come ci riusciva? Quelle donne avrebbero potuto schiacciarla come un uovo sotto un martello. «E quale consiglio mi offri, Therava?» disse infine con voce di ghiaccio. «Il mio sentito consiglio è di partire senza altri indugi» replicò Therava con altrettanta freddezza. «Questi Seanchan sono troppo numerosi e troppo vicini. Dovremmo spostarci a nord, su queste Montagne di Nebbia, e stabilire una fortezza. Da lì, potremo mandare dei gruppi alla ricerca delle altre sette. Potrebbe volerci molto tempo per riunire gli Shaido, Sevanna. Il tuo amico, quell'abitante delle terre bagnate, forse ci ha sparpagliati ai nove angoli del mondo. Ma finché non ci saremo riuniti, resteremo vulnerabili.» «Partiremo domani.» Se Galina non fosse stata sicura di conoscere Sevanna come le sue tasche, avrebbe pensato che in quel momento sembrava petulante, oltre che adirata. Quegli occhi verdi lampeggiavano. «Ma andremo a est. È comunque lontano dai Seanchan, e le terre che incontreremo sono in tumulto, mature per il nostro raccolto.» Ci fu un lungo silenzio, poi Therava annuì. «Est.» Lo disse dolcemente, la dolcezza di un velo di seta poggiato sull'acciaio. «Ma ricorda quanti capiclan hanno rimpianto per tutta la vita di aver rifiutato troppo spesso i consigli di una Sapiente. Potrebbe succedere anche a te.» Il suo volto era minaccioso quanto le parole che aveva pronunciato, eppure Sevanna rise! «Anche tu devi ricordare una cosa, Therava! Tutte voi dovete ricordarla! Se mi lasciate agli avvoltoi, farete la stessa fine! Ho già preso i dovuti accorgimenti.» Le altre donne si scambiarono sguardi colmi di preoccupazione, tutte tranne Therava, mentre Modarra e Norlea si accigliarono. Accasciata in ginocchio, piagnucolando e cercando inutilmente di lenire
con le mani il bruciore della pelle, Galina si ritrovò a chiedersi quale fosse il significato di quella minaccia. Un piccolo interrogativo, che come un tarlo si fece strada attraverso l'amarezza e la mestizia. Tutto quello che poteva usare contro quelle donne era ben accetto. Se avesse avuto il coraggio di servirsene. Un pensiero amaro. A un tratto si rese conto che il cielo si stava scurendo. Le nuvole rigonfie venivano da nord, striate di grigio e di nero, e oscurarono il sole. E da quelle nuvole caddero scrosci di neve che vorticava nell'aria. Nessun fiocco arrivò fino a terra - pochissimi raggiunsero le cime degli alberi - ma Galina rimase a bocca aperta. Neve! Possibile che il Sommo Signore avesse chissà come rilasciato la sua presa sul mondo? Anche le Sapienti fissavano il cielo a bocca aperta, come se non avessero mai visto una nuvola e men che mai la neve. «Che cos'è, Galina Casban?» chiese Therava. «Parla, se lo sai!» Non distolse lo sguardo dal cielo finché Galina non le disse che si trattava di neve, e a quel punto rise. «Ho sempre saputo che gli uomini che inseguirono Laman l'Assassino dell'Albero mentirono sulla neve. Questa non darebbe fastidio nemmeno a un topolino!» Galina strinse forte la mascella per evitare di fornire una spiegazione sulle nevicate vere e proprie, terrorizzata dal constatare che aveva avuto l'istinto di ingraziarsi quella donna. E terrorizzata anche dalla piccola fitta di piacere che provò nel tenere per sé quell'informazione. Sono l'Altissima dell'Ajah Rossa, si disse. Siedo nel Consiglio Supremo dell'Ajah Nera! Sembravano quasi bugie. Non era giusto! «Se qui abbiamo finito,» disse Sevanna «porterò la gai'shain al grande tetto e la farò vestire di bianco. Voi potete restare a guardare la neve, se vi fa piacere.» Il suo tono era così morbido, così simile a un mastello di burro, che era impossibile pensare che pochi istanti prima era ai ferri corti con quelle stesse donne. Si agganciò lo scialle intorno ai gomiti e sistemò alcune collane; pareva non avere altre preoccupazioni. «Ci occuperemo noi della gai'shain» le disse Therava con voce parimenti gentile. «Visto che parli in vece del capoclan, ti aspetta una lunga giornata di fatica e anche gran parte della notte se dobbiamo partire domani.» Per un attimo, gli occhi di Sevanna si accesero di nuovo, ma Therava si limitò a schioccare le dita e a fare un brusco cenno a Galina prima di girarsi e andare via. «Vieni con me» disse. «E fai sparire quel broncio.» A testa bassa, Galina si mise goffamente in piedi e si affrettò a seguire Therava e le altre donne in grado di incanalare. Broncio? Forse era acci-
gliata, ma certo non imbronciata! I suoi pensieri si agitavano come ratti in una gabbia, senza trovare via di fuga. Ma doveva essercene una! Doveva! Il pensiero che emerse da quel tumulto interiore quasi la fece ricominciare a piangere. Le vesti dei gai'shain erano più morbide di quella lana nera e pungente che finora l'avevano costretta a indossare? Doveva esserci una via d'uscita! Quando si guardò furtivamente alle spalle, vide che Sevanna era rimasta ferma e fissava le altre in cagnesco. In alto, le nuvole vorticavano, e la neve cadendo si scioglieva come le speranze di Galina. 12
Nuove alleanze Graendal si rammaricò del fatto che non ci fosse neppure un semplice trascrittore tra le cose che aveva portato via da Illian dopo la morte di Sammael. Quest'Epoca era terribile, primitiva e scomoda. Eppure, per certi versi le piaceva. In una grande gabbia di bambù in fondo alla stanza, un centinaio di uccelli dal piumaggio lucente cantavano melodiosi, e i tanti colori delle loro piume li rendevano belli quasi quanto i suoi due cuccioli in abiti trasparenti posizionati ai lati della porta, lo sguardo fisso su di lei, ansiosi di compiacerla. E se le lampade a olio non erano luminose come i bulbi di luce, supportate dagli specchi alle pareti producevano un certo barbaro splendore insieme alle dorature del soffitto a squame di pesce. Sarebbe stato bello dover pronunciare solo le parole, ma l'atto di metterle su carta con la propria mano le dava un piacere simile a quello che provava disegnando. La scrittura di quest'Epoca era piuttosto semplice, e imparare a duplicare la grafia di altre persone non era stato più difficile. Dopo aver firmato con uno svolazzo - non il suo vero nome, ovviamente - passò uno strato di sabbia sul foglio spesso, lo piegò e lo sigillò con uno degli anelli di varie dimensioni disposti in riga sul suo scrittoio. La mano e la spada dell'Arad Doman, impresse su un cerchio irregolare di cera blu e verde. «Portalo a lord Ituralde con la massima velocità,» ordinò «e di' solo
quello che devi.» «Spingerò i cavalli oltre il loro limite, mia signora.» Nazran si inchinò e prese la lettera, mentre con un dito si carezzava i baffi sottili sul suo sorriso trionfante. Robusto, con la pelle di un marrone intenso e una bella giubba blu era affascinante; ma non abbastanza. «Racconterò che ho ricevuto questa lettera da lady Tuva, che è morta a causa delle ferite subite ma è riuscita a dirmi che era una messaggera di Alsalam ed era stata attaccata da un Uomo Grigio.» «Assicurati che ci sia del sangue umano su quella lettera» lo avvisò Graendal. Dubitava che in quei tempi sapessero distinguere il sangue umano da quello di altre creature, ma aveva avuto troppe sorprese per correre un rischio così inutile. «Abbastanza perché sia realistico, ma non tanto da rendere illeggibile quello che ho scritto.» Nazran si inchinò di nuovo e i suoi occhi neri si soffermarono con calore su di lei, ma quando si raddrizzò andò subito verso la porta, con un gran risuonare di stivali sul pavimento di marmo giallo chiaro. Non notò i due servitori con lo sguardo ardente fisso su Graendal, o fece finta di non notarli, anche se un tempo era stato amico del ragazzo. Era bastato appena un tocco di Coercizione perché Nazran diventasse ansioso di obbedirle quasi quanto quei due, nonché per fargli avere la certezza che forse avrebbe potuto godere di nuovo del fascino di lei. Graendal rise piano. Be', Nazran credeva di averne già goduto; se fosse stato appena un po' più bello, magari sarebbe successo davvero. Ovviamente, in quel caso sarebbe diventato inutilizzabile per qualsiasi altra cosa. Invece adesso avrebbe stremato i cavalli per raggiungere Ituralde, e se quel messaggio consegnato dal cugino di Alsalam nonostante gli attacchi degli Uomini Grigi e scritto dal re in persona non avesse soddisfatto l'ordine del Sommo Signore di far aumentare il caos, allora niente poteva riuscirci, tranne il fuoco malefico. E il messaggio avrebbe servito anche i fini di Graendal. I suoi fini personali. La sua mano andò all'unico anello sullo scrittoio che non era anche un sigillo, una semplice fascia d'oro che le entrava solo al mignolo. Era stata una piacevole sorpresa trovare un angreal sintonizzato sulle donne tra i possedimenti di Sammael. Una piacevole sorpresa avere il tempo per trovare qualcosa di utile con al'Thor e quei pupazzi che si facevano chiamare Asha'man che continuavano a entrare e uscire dalle stanze di Sammael nella Grande Sala del Consiglio. Avevano spogliato quel posto di tutto ciò che lei non aveva preso. Pupazzi pericolosi, tutti quanti, e in particolare quell'al'Thor. E Graendal non aveva voluto correre il rischio che qualcuno
potesse tracciare una linea che da Sammael portava a lei. Adesso doveva senza dubbio far progredire più rapidamente i suoi piani, e prendere le distanze dalla disfatta di Sammael. A un tratto, una linea verticale d'argento apparve lungo la parete di fondo, stagliandosi luminosa contro gli arazzi appesi tra gli specchi dalle pesanti dorature, e si sentì risuonare una nota cristallina. Graendal inarcò le sopracciglia per la sorpresa. A quanto pare, pensò, qualcuno si ricorda ancora le cortesie di un'Epoca più civile. Alzandosi, spinse la fascetta d'oro contro l'anello col rubino che portava al mignolo e la usò per abbracciare saidar prima di incanalare la tela che avrebbe fatto suonare una nota di risposta per chi voleva aprire quel passaggio. L'angreal non offriva un grande aiuto, ma ora se qualcuno era convinto di conoscere la forza di Graendal sarebbe andato incontro a una brutta sorpresa. Il passaggio si aprì, e due donne con abiti quasi identici di seta rossa e nera lo varcarono con prudenza. O meglio, Moghedien si mosse con cautela, gli occhi scuri che guizzavano in cerca di trappole mentre le mani lisciavano l'ampia gonna; il passaggio si chiuse dopo un istante, ma lei rimase collegata a saidar. Una precauzione sensata, ma d'altronde Moghedien era sempre stata tipo da prendere ogni precauzione. Neanche Graendal lasciò andare la Fonte. La compagna di Moghedien, una ragazza bassa con lunghi capelli d'argento e vividi occhi azzurri, si guardò intorno con freddezza, a malapena degnando Graendal di un'occhiata. Dal portamento sembrava una Prima Consigliera costretta a tollerare la compagnia di comuni lavoratori e ben intenzionata a ignorare la loro esistenza. Una stupida, visto come imitava il Ragno. Il nero e il rosso non si addicevano al suo colorito, e avrebbe potuto sfruttare meglio un seno così impressionante. «Graendal, lei è Cyndane» disse Moghedien. «Noi stiamo... lavorando insieme.» Non sorrise quando presentò la giovane altezzosa, ma Graendal sì. Un bel nome per una ragazza più che bella, ma quale scherzo del destino aveva portato una madre di quel tempo a dare a sua figlia un nome che significava 'ultima occasione'? Il volto di Cyndane rimase freddo e sereno ma i suoi occhi si infiammarono. Una bella bambola scolpita nel ghiaccio ma con un fuoco nascosto. Doveva conoscere il significato del suo nome, e non le piaceva. «Cosa ti porta qui con la tua amica, Moghedien?» chiese Graendal. Il Ragno era davvero l'ultima persona che si aspettava di veder uscire dall'ombra. «Non aver timore di parlare davanti ai miei servitori.» Fece un gesto, e i due accanto alla porta caddero in ginocchio schiacciando il volto
sul pavimento. Non sarebbero proprio morti a un suo ordine, ma ci sarebbero andati vicino. «Che interesse possono avere se gli togli tutto ciò che potrebbe renderli interessanti?» chiese Cyndane attraversando la stanza con incedere arrogante. Si teneva dritta come un fuso, sforzandosi di guadagnare ogni centimetro di altezza. «Sai che Sammael è morto?» Graendal rimase serena in volto, con un lieve sforzo. Aveva pensato che quella ragazza fosse una qualche Amica delle Tenebre alla quale Moghedien assegnava le sue commissioni, forse una nobile convinta che il suo titolo contasse ancora, ma adesso che era più vicina... La ragazza era anche più forte di lei nell'Unico Potere! Persino nella sua Epoca, una cosa del genere era stata insolita tra gli uomini e assai rara tra le donne. Subito, d'istinto, Graendal abbandonò l'intenzione di negare ogni contatto con Sammael. «Lo sospettavo» rispose, rivolgendo un finto sorriso a Moghedien da sopra la testa della giovane. Quanto sapeva il Ragno? E dove aveva trovato una ragazza più forte di lei, e perché ci viaggiava insieme? Moghedien era sempre stata gelosa di chiunque avesse più forza di lei. Di chiunque avesse qualsiasi cosa più di lei. «Aveva l'abitudine di farmi visita, mi importunava per chiedermi aiuto in uno dei suoi folli piani. Non gliel'ho mai rifiutato direttamente; sai che Sammael è... era un uomo pericoloso. Si faceva vivo immancabilmente ogni due o tre giorni, e quando ha smesso ho immaginato che gli fosse successo qualcosa di grave. Chi è questa ragazza, Moghedien? Una scoperta davvero notevole.» La giovane si avvicinò ancora, fissandola con occhi che erano fuoco azzurro. «Ti ha detto il mio nome. Non hai bisogno di sapere altro.» Sapeva di parlare a una dei Prescelti, eppure usava un tono glaciale. Anche considerando la sua forza, non poteva essere una semplice Amica delle Tenebre. A meno che non fosse pazza. «Hai fatto caso al clima, Graendal?» A un tratto Graendal si rese conto che Moghedien stava lasciando alla ragazza la guida della conversazione. Si teneva in disparte in attesa di scoprire qualche debolezza. E lei la stava assecondando! «Immagino che tu non sia venuta qui per annunciarmi la morte di Sammael, Moghedien» disse bruscamente. «O per parlarmi del tempo. Sai che esco di rado.» La natura era indisciplinata, disordinata. Non c'erano nemmeno le finestre in quella stanza, né in quasi tutte le altre che lei era solita usare. «Che vuoi?» La donna dai capelli scuri si stava spostando di lato lungo la parete, sempre circondata dal bagliore dell'Unico Potere. Muovendosi con disinvoltura,
Graendal si posizionò in modo da tenerle entrambe sott'occhio. «Stai commettendo un errore, Graendal.» Un sorriso spaventoso incurvò appena le labbra carnose di Cyndane; la ragazza si stava divertendo. «Sono io che comando. Moghedien è in cattive acque con Moridin a causa dei suoi recenti errori.» Moghedien si strinse tra le proprie braccia e lanciò alla piccola donna dai capelli d'argento un'occhiata torva che era più eloquente di qualsiasi parola di conferma. All'improvviso, Cyndane sgranò ancor di più i grandi occhi e ansimò, in preda ai brividi. Lo sguardo di Moghedien divenne maligno. «Comandi per il momento» la derise. «Ai suoi occhi non sei messa molto meglio di me.» E poi fu lei a sobbalzare e rabbrividire, mordendosi le labbra. Graendal si chiese se non la stavano prendendo in giro. L'odio reciproco che quelle due avevano dipinto in volto non sembrava fasullo. In ogni caso, adesso avrebbe visto quanto piaceva a loro essere prese in giro. Strofinandosi inconsciamente le mani, strofinando l'angreal che portava al dito, andò verso una sedia senza perdere di vista le due donne. La dolcezza di saidar che fluiva in lei era un sollievo. Non che avesse bisogno di sentirsi sollevata, ma c'era qualcosa di strano in quella situazione. Lo schienale alto e dritto, pieno di incisioni e dorature, faceva sembrare quella sedia un trono, anche se non era diversa dalle altre nella stanza. Cose del genere avevano un effetto anche sulle persone più sofisticate, a livelli dei quali non erano neppure consapevoli. Graendal si sedette poggiando la schiena e incrociando le gambe con un piede che scalciava oziosamente l'aria, l'immagine stessa di una donna a suo agio; con tono annoiato chiese: «Dal momento che sei tu al comando, bambina, dimmi un po': quando quest'uomo che si fa chiamare Morte ti si presenta in forma fisica chi è? Cosa è?» «Moridin è il Nae'blis.» La voce della ragazza era calma, fredda e arrogante. «Il Sommo Signore ha deciso che è tempo che anche tu serva il Nae'blis.» Graendal si raddrizzò di scatto. «Questo è assurdo.» Non riuscì a trattenere la rabbia. «Un uomo di cui non ho mai sentito parlare è stato nominato Reggente del Sommo Signore sulla Terra?» Non le importava che gli altri provassero a manipolarla - trovava sempre il modo di rivoltargli contro i loro stessi complotti - ma Moghedien doveva averla scambiata per un'idiota! Graendal non aveva dubbi che fosse Moghedien a manovrare quell'odiosa ragazza, nonostante quello che le avevano detto, nonostante gli
sguardi che si lanciavano come fossero pugnalate. «Io servo il Sommo Signore e me stessa, nessun altro! Credo che adesso dovreste andarvene a fare il vostro piccolo gioco da qualche altra parte. Forse Demandred ci cascherà. O magari Semirhage. Fate attenzione a come incanalate, però; ho piazzato un po' di tele invertite, e non vi piacerebbe se ne innescaste una.» Era una bugia, ma credibile, quindi fu sconvolgente vedere Moghedien che incanalava all'improvviso, spegnendo tutte le lampade della stanza e sprofondandola nel buio. Subito Graendal si lanciò via dalla sedia per non trovarsi nel posto in cui l'avevano vista e nel frattempo incanalò anche lei, intessendo una tela di luce che rimase sospesa da un lato, una sfera di puro bianco che proiettò livide ombre nella stanza. E illuminò chiaramente le altre due donne. Senza esitare, lei incanalò di nuovo, attingendo tutta la forza del piccolo anello. Non le serviva tutta, non gliene serviva neppure tanta in realtà, ma voleva prendere ogni vantaggio possibile. E così avevano osato attaccarla! Una rete di Coercizione si strinse su Moghedien e una su Cyndane prima ancora che le due potessero muovere un muscolo. Graendal le aveva chiuse con forza, spinta dalla rabbia, quasi abbastanza da far male, e le due rimasero immobili a fissarla con adorazione, occhi sgranati e bocca aperta, adulanti, intossicate di venerazione. Erano ai suoi ordini, adesso. Se avesse chiesto loro di tagliarsi la gola, l'avrebbero fatto. All'improvviso Graendal si accorse che Moghedien non stava più abbracciando la Fonte. La forza della Coercizione doveva averla stordita tanto da farle rilasciare saidar. I servitori vicino alla porta non si erano neppure mossi, ovviamente. «Adesso» fece Graendal con il fiato un po' corto «risponderete alle mie domande.» Voleva sapere un bel po' di cose, compreso chi era questo Moridin, posto che esistesse un uomo del genere, e da dove veniva Cyndane, ma un'informazione le interessava più delle altre. «Cosa speravi di ottenere, Moghedien? Potrei decidere di legarvi addosso quelle tele. Così pagherete per il vostro scherzetto servendo me.» «No, ti prego» gemette Moghedien stringendosi le mani. Cominciò addirittura a piangere! «Ci farai morire tutte! Ti prego, devi servire il Nae'blis! Per questo siamo venute. Per guidarti al servizio di Moridin!» Il volto della piccola donna dai capelli d'argento era un'ombrosa maschera di terrore sotto quella pallida luce, e il seno si sollevava a ogni concitato respiro. Improvvisamente a disagio, Graendal aprì la bocca. La cosa aveva sempre meno senso. Aprì la bocca, e la Vera Fonte svanì. L'Unico Potere fuggì
via da lei, e di nuovo il buio ingoiò la stanza. A un tratto gli uccelli in gabbia esplosero in un frenetico cinguettio; le ali si agitavano all'impazzata contro le sbarre di bambù. Dietro di lei, una voce gracchiò come pietra che si sbriciola. «Il Sommo Signore immaginava che non avresti creduto alle loro parole, Graendal. Il tempo in cui potevi andare per la tua strada è passato.» Una sfera di... chissà cosa... si materializzò nell'aria, un globo nero di morte, ma una luce argentea riempì la stanza. Gli specchi non la riflettevano; quella luce pareva renderli opachi. Gli uccelli si fermarono e zittirono; senza capire perché, Graendal seppe che erano paralizzati dal terrore. Guardò a bocca aperta il Myrddraal che era lì, pallido, senza occhi e vestito di un nero più profondo di quello della sfera, ma più alto e grosso di tutti gli altri che lei aveva visto. Doveva essere stato lui a impedirle di percepire la Fonte, ma questo era impossibile! Tranne che... Chi aveva creato la sfera di luce nera se non quella creatura? A differenza degli altri, Graendal non aveva mai avuto paura dello sguardo dei Myrddraal, non così tanta, eppure le sue mani si sollevarono da sole e lei dovette stringerle una all'altra per tenerle giù e impedire che le coprissero il volto. Quando si girò a guardare Moghedien e Cyndane, sobbalzò. Avevano assunto la stessa posizione dei suoi servitori, in ginocchio, la testa sul pavimento rivolta verso il Myrddraal. Dovette inumidirsi le labbra. «Sei un messaggero del Sommo Signore?» La sua voce era ferma, ma bassa. Non aveva mai sentito che il Sommo Signore mandasse un messaggio tramite un Myrddraal, eppure... Moghedien aveva paura del dolore fisico, ma era comunque una dei Prescelti, eppure aveva strisciato a terra con la stessa prontezza della ragazza. E poi c'era quella luce. Graendal si ritrovò a pentirsi della profonda scollatura del suo abito. Ridicolo, ovviamente; l'appetito dei Myrddraal per le donne era risaputo, ma lei era una dei... Lo sguardo scivolò di nuovo verso Moghedien. Il Myrddraal le passò accanto con la sua andatura sinuosa, e parve non prestarle la minima attenzione. Il suo lungo mantello nero rimase immobile nonostante lui si muovesse. Aginor aveva ipotizzato che quelle creature non fossero nel mondo come tutte le altre; 'leggermente fuori fase rispetto al tempo e alla realtà', così aveva detto, qualsiasi cosa significasse. «Io sono Shaidar Haran.» Dopo essersi fermato vicino ai suoi servitori, il Myrddraal si piegò a prenderli per la collottola, uno per mano. «Quando ti parlo, è come se sentissi la voce del Sommo Signore delle Tenebre.» Quelle mani si strinsero finché non si sentì il rumore sorprendentemente
forte delle ossa che si spezzavano. Il ragazzo ebbe uno spasmo e morì scalciando; la ragazza semplicemente si afflosciò. Erano due dei suoi cuccioli più graziosi. Il Myrddraal si raddrizzò lasciando andare i cadaveri. «Io sono la sua mano in questo mondo, Graendal. Quando sei davanti a me, sei davanti a lui.» Graendal rifletté con cura, anche se in fretta. Aveva paura, un'emozione che era abituata a suscitare più che a provare, ma era in grado di controllarla. Sebbene non avesse mai guidato eserciti a differenza di alcuni degli altri, non era né estranea al rischio né una codarda, ma quella che aveva davanti non era una semplice minaccia. Moghedien e Cyndane erano ancora in ginocchio con la testa sul pavimento di marmo, e Moghedien addirittura tremava visibilmente. Graendal decise di credere a quel Myrddraal. O a qualsiasi cosa fosse in realtà. Il Sommo Signore stava davvero alterando gli eventi in modo più diretto, proprio come lei aveva temuto. Se avesse saputo dei suoi complotti con Sammael... O meglio, se avesse deciso di agire di conseguenza: immaginare che non lo sapesse già era una scommessa da stupidi a quel punto. Graendal si inginocchiò con eleganza davanti al Myrddraal. «Cosa vuoi che faccia?» La sua voce aveva riacquisito forza. Una necessaria flessibilità non era vigliaccheria; quelli che non si piegavano al Sommo Signore venivano piegati. O spezzati in due. «Devo chiamarti Grande Padrone, o preferisci un altro titolo? Non mi sentirei a mio agio chiamandoti col nome del Sommo Signore, anche se sei la sua mano.» Il Myrddraal la stupì scoppiando a ridere. Sembrava il crepitare del ghiaccio. I Myrddraal non ridevano mai. «Sei più coraggiosa di tanti altri. E più saggia. Shaidar Haran andrà bene. Purché ti ricordi chi sono. Purché non permetti al tuo coraggio di superare troppo la tua paura.» Mentre l'essere le dava i suoi ordini - una visita a questo Moridin era la prima cosa da fare, a quanto pareva; Graendal avrebbe dovuto stare in guardia contro Moghedien, e forse anche contro Cyndane, che potevano decidere di vendicarsi per quel suo uso della Coercizione; dubitava che la ragazza fosse più incline al perdono del Ragno - lei decise di tenere per sé la storia della lettera che aveva inviato a Rodel Ituralde. Niente di quanto le veniva detto faceva pensare che le sue azioni avrebbero contrariato il Sommo Signore, e Graendal doveva comunque pensare alla propria posizione. Moridin, chiunque fosse, poteva anche essere il Nae'blis oggi, ma c'era sempre un domani.
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Preparandosi ai sobbalzi della carrozza di Arilyn, Cadsuane spostò una delle tendine di pelle per potersi affacciare dal finestrino. Su Cairhien cadeva una pioggia leggera da un cielo grigio pieno di nuvole rigonfie e venti forti e taglienti. Non solo il cielo era pieno di vento. Raffiche ululanti scuotevano la carrozza più di quanto non facesse il suo solo avanzare. Piccole gocce le punsero la mano, gelide come ghiaccio. Se l'aria diventava un po' più fredda, ci sarebbe stata la neve. Si strinse meglio addosso il mantello di lana; era stata contenta di trovarlo/infilato in fondo alle bisacce da sella. L'aria sarebbe diventata più fredda. I ripidi tetti di tegole e le strade della città lastricate in pietra rilucevano bagnate, e anche se la pioggia non era pesante, in pochi erano disposti ad affrontare i forti venti. Una donna su un carro trainato da un bue che lei guidava pungolandolo con un lungo bastone si muoveva con la stessa pazienza di quella bestia, ma la maggior parte delle persone a piedi si teneva stretto il mantello, col cappuccio tirato su, e camminava in fretta al rapido passaggio di una portantina con il suo rigido con che sventolava. Tuttavia, la donna e il suo bue non erano gli unici a non aver fretta. In mezzo alla strada, un Aiel assai alto era immobile e fissava incredulo il cielo lasciandosi inzuppare dalla pioggerella, così concentrato che un tagliaborse temerario gli portò via il borsello e fuggì senza che la sua vittima se ne rendesse conto. Una donna che, a giudicare dai ricci elaboratamente raccolti in un'alta pila sopra la testa, doveva essere una nobile passeggiava lentamente, col mantello e il cappuccio che si agitavano nel vento. Forse era la prima volta che scendeva in strada, ma stava ridendo mentre la pioggia le bagnava le guance. Dalla soglia della bottega di un profumiere, il negoziante si guardava intorno sconsolato: quel giorno avrebbe fatto pochi affari. Gli ambulanti erano quasi tutti spariti per lo stesso motivo, ma alcuni ancora decantavano a gran voce il loro tè caldo e i pasticci di carne dietro bancarelle sormontate da teloni improvvisati. Tuttavia, chiunque in quei giorni avesse comprato un pasticcio di carne per strada meritava il mal di stomaco che ne avrebbe ricavato. Due cani affamati uscirono di corsa da un vicolo, zampe rigide e pelo dritto sul collo, e presero ad abbaiare e ringhiare contro la carrozza. Cadsuane lasciò cadere la tenda. I cani, proprio come i gatti, sembravano riconoscere le donne in grado di incanalare, solo che i cani parevano credere che quelle donne fossero gatti, anche se innaturalmente grandi. Le due
donne sedute di fronte a lei erano ancora impegnate nella loro conversazione. «Perdonami,» stava dicendo Daigian «ma la logica è inesorabile.» Chinò il capo in segno di scusa, facendo oscillare la pietra di luna che le pendeva sulla fronte attaccata a un'elegante catenina che le cingeva i lunghi capelli neri. Con le dita pizzicò le striature bianche nella sua gonna nera e parlò in fretta, quasi temesse di essere interrotta. «Se accetti che il protrarsi del caldo era opera del Tenebroso, il cambiamento deve essere stato effettuato da qualcun altro. Il Tenebroso non aveva motivo di tornare sui suoi passi. Mi dirai che ha deciso di congelare o annegare il mondo invece di arderlo, ma perché? Se il caldo fosse arrivato fino alla primavera, i morti sarebbero stati più dei vivi proprio come succederà se dovesse nevicare in estate. Di conseguenza, per logica, deve essere opera di qualcun altro.» La naturale diffidenza di quella donna paffuta poteva talvolta essere estenuante, ma come sempre Cadsuane trovò impeccabile la sua logica. Solo, avrebbe tanto voluto sapere di chi era opera quel cambiamento e a che scopo era mirato. «Per la Pace!» mormorò Kumira. «Preferirei avere un grammo di prove concrete piuttosto che un quintale di questa tua logica da Ajah Bianca.» Lei era una Marrone, anche se le mancavano i difetti tipici della sua Ajah. Affascinante con i suoi capelli corti, era pratica e realistica, un'acuta osservatrice, e non si perdeva mai nei propri pensieri al punto da non vedere più il mondo che aveva intorno. Subito dopo aver parlato, diede a Daigian una lieve pacca su un ginocchio e le rivolse un sorriso che trasformò i suoi occhi azzurri da taglienti a calorosi. Gli Shienaresi erano un popolo molto educato, e Kumira faceva sempre di tutto per non offendere nessuno. Almeno, non per sbaglio. «Concentrati su cosa possiamo fare per le sorelle nelle mani degli Aiel. Se qualcuno può escogitare un piano sei proprio tu.» Cadsuane sbuffò. «Quelle donne si meritano ciò che gli è successo.» Non aveva avuto il permesso di avvicinarsi alle tende degli Aiel, né lo avevano avuto le sue compagne, ma alcune delle idiote che avevano giurato fedeltà al giovane al'Thor si erano avventurate fino al suo enorme accampamento ed erano tornate pallide e in bilico tra rabbia e disgusto. In una situazione normale anche lei si sarebbe infuriata per quell'affronto alla dignità delle Aes Sedai, quali che fossero le circostanze, ma non adesso. Per ottenere il suo scopo, adesso Cadsuane avrebbe fatto sfilare nude tutte le sorelle della Torre Bianca. Come poteva preoccuparsi del disagio di donne che forse avevano rovinato tutto?
Kumira aprì la bocca per protestare nonostante conoscesse già le sue opinioni, ma Cadsuane proseguì, calma eppure implacabile. «Forse piangeranno abbastanza da espiare i guai che hanno combinato, ma ne dubito. Sono fuori dalla nostra portata, e se così non fosse potrei consegnarle io stessa agli Aiel. Dimenticati di loro, Daigian, e metti quel tuo fine cervello sul percorso che ti ho assegnato.» La pallida cairhienese arrossì per quel complimento. Grazie alla Luce, reagiva così solo con le sorelle. Kumira sedeva in silenzio, il volto sereno, le mani in grembo. Per il momento poteva anche essersi sottomessa, ma niente poteva sottomettere a lungo quella donna. Erano proprio la coppia di cui Cadsuane aveva bisogno in quel momento. La carrozza si inclinò quando il tiro di cavalli si avviò per la lunga rampa che portava al Palazzo del Sole. «Ricordate quello che vi ho detto» si raccomandò con fermezza Cadsuane. «E fate attenzione!» Mormorarono che sarebbero state attente, buon per loro, e lei annuì. In caso di bisogno, era disposta a usarle entrambe come pacciame, loro e altre ancora, ma non aveva intenzione di perderle solo perché diventavano incaute. Non ci furono problemi o ritardi e la carrozza varcò i cancelli del Palazzo. Le guardie avevano riconosciuto il sigillo di Arilyn sulle portiere, e sapevano chi c'era dentro. Quella carrozza era andata piuttosto spesso a Palazzo nelle ultime settimane. Quando i cavalli si fermarono, un ansioso valletto con una semplice livrea nera aprì la portiera della carrozza e protese un parasole ampio e piatto di tela cerata scura. La pioggia che colava dai bordi gli finiva sulla testa scoperta, ma d'altronde il parasole non doveva servire a riparare lui. Sfiorando rapidamente gli ornamenti che pendevano dalla crocchia in cima alla sua testa per assicurarsi che ci fossero tutti - non ne aveva mai perso uno, ma proprio perché usava quel tipo di accortezze - Cadsuane prese le maniglie della sua cesta quadrata in vimini, una cesta da cucito, la tirò da sotto il sedile e scese. Altri sei valletti erano fermi in attesa dietro il primo, tutti col parasole pronto. Se i passeggeri fossero stati così numerosi avrebbero affollato la carrozza rendendo scomodo il viaggio, ma i valletti avevano preferito non avere sorprese e quelli in più se ne andarono solo quando fu evidente che c'erano solo tre donne. Ovviamente l'arrivo della carrozza era stato già notato. Uomini e donne di servizio vestiti di scuro erano ordinatamente disposti sul pavimento di piastrelle blu e dorate del grande atrio di ingresso con il suo alto soffitto a
volta squadrata. Si lanciarono in avanti a prendere mantelli, a offrire piccoli asciugamani di lino in caso qualcuna ne avesse bisogno per mani e viso, a porgere calici in porcellana del Popolo del Mare pieni di un vino caldo che emanava un pesante odore di spezie. Una bevanda invernale, e l'improvviso calo della temperatura la rendeva adatta alle circostanza. Inoltre, dopo tutto era davvero inverno. Finalmente. Tre Aes Sedai erano ferme in attesa da un lato tra le massicce colonne quadrate di marmo scuro, davanti a fregi alti e chiari che rappresentavano battaglie senza dubbio importanti per Cairhien, ma Cadsuane per il momento le ignorò. Uno dei giovani servitori aveva una piccola figura ricamata in rosso e oro sul davanti della giubba, a sinistra, una figura che la gente chiamava Drago. Corgaide, la donna dai capelli grigi e il volto serio che gestiva la servitù nel Palazzo del Sole, non indossava alcun ornamento a eccezione del pesante anello di chiavi che portava in vita. Nessun altro aveva decorazioni sugli abiti e, nonostante l'evidente entusiasmo di quel giovane, era Corgaide, la Portatrice delle Chiavi, a dettare l'umore dei servitori. Eppure aveva permesso a quel tizio di portare il suo ricamo; un fatto da tenere a mente. Cadsuane le parlò a bassa voce, chiedendole una stanza dove poter ricamare senza essere disturbata, e la donna non batté ciglio a quella richiesta. D'altronde ne aveva senza dubbio sentite di più strane, prestando servizio in quel luogo. Quando i servitori che avevano preso i mantelli e quelli coi vassoi se ne andarono tra inchini e riverenze, Cadsuane si girò finalmente a fissare le tre sorelle tra le colonne. Queste stavano guardando lei e ignoravano Kumira e Daigian. Corgaide era rimasta nell'atrio, ma si era fatta da parte, lasciando alle Aes Sedai la loro intimità. «Non mi aspettavo proprio di vedervi così tranquillamente a zonzo» disse Cadsuane. «Pensavo che gli Aiel facessero lavorare molto di più le loro allieve.» Faeldrin reagì appena, un lieve scatto della testa che fece crepitare le perline colorate che aveva tra le trecce sottili, ma Merana arrossì per l'imbarazzo e strinse le mani sulla gonna. Gli eventi l'avevano colpita così a fondo che Cadsuane dubitava delle sue possibilità di recupero. Bera, ovviamente, era quasi imperturbabile. «Molte di noi hanno avuto un giorno libero a causa della pioggia» rispose Bera con calma. Robusta e con indosso un semplice abito di lana - il tessuto era ben lavorato e di buona qualità, ma decisamente semplice - la si poteva credere più a suo agio in una fattoria che in un palazzo. A patto di essere degli idioti: Bera aveva una mente acuta e una volontà di ferro, e
Cadsuane non credeva che avesse mai fatto due volte lo stesso errore. Come gran parte delle sorelle, non si era ancora abituata all'idea di incontrare Cadsuane Melaidhrin, in carne e ossa, ma non si lasciava sopraffare dalla soggezione. Dopo un respiro appena più profondo, proseguì: «Non capisco perché continui a tornare qui, Cadsuane. È chiaro che vuoi qualcosa da noi, ma finché non ci dici di che si tratta non potremo aiutarti. Sappiamo quello che hai fatto per il lord Drago,» ebbe una lieve incertezza sul titolo; ancora non sapevano bene come chiamare quel ragazzo «ma è ovvio che sei venuta a Cairhien a causa sua, e finché non ci dirai perché e a che scopo, devi capire che da noi non avrai alcun aiuto.» Faeldrin, un'altra Verde, sobbalzò per il tono audace di Bera, ma prima che il discorso finisse già annuiva in segno di assenso. «E devi capire anche un'altra cosa» aggiunse Merana, che aveva recuperato la sua serenità. «Se decidiamo di doverci opporre a te, lo faremo.» Il volto di Bera non cambiò, ma Faeldrin tese per un attimo le labbra. Forse non era d'accordo, o forse non voleva rivelare troppo. Cadsuane le degnò di un lieve sorriso. Spiegare perché e a che scopo? Se loro decidevano? Finora erano riuscite a ficcarsi mani e piedi nelle bisacce da sella del giovane al'Thor, anche Bera. Con queste premesse, non meritavano nemmeno il permesso di decidere cosa indossare al mattino! «Non sono qui per voi» disse. «Anche se immagino che a Kumira e Daigian la visita possa far piacere, visto che avete il giorno libero. Vogliate scusarmi.» Fece un cenno a Corgaide perché le mostrasse la strada, poi la seguì attraverso l'atrio di ingresso. Si girò indietro solo una volta. Bera e le altre si erano già unite a Kumira e Daigian e le stavano portando via, ma non come si fa con degli ospiti graditi. Più che altro, sembrava stessero guidando delle oche. Cadsuane sorrise. Quasi tutte le sorelle consideravano Daigian poco più che una selvatica e la trattavano poco meglio di una serva. In sua compagnia, anche la figura di Kumira veniva sminuita. Nemmeno la più sospettosa delle persone poteva credere che fossero lì per convincere qualcuno di chissà cosa. E così Daigian avrebbe versato il tè per poi sedersi in silenzio se non quando le rivolgevano la parola - e avrebbe applicato la sua mente geniale a ragionare su tutto quello che sentiva dire. Kumira avrebbe lasciato che tutte tranne Daigian parlassero prima di lei - e avrebbe immagazzinato e ordinato ogni parola, ogni gesto e smorfia. Bera e le altre avrebbero ovviamente tenuto fede ai giuramenti prestati a quel ragazzo non c'era neanche da dirlo - ma restava da vedere quanto assiduamente l'a-
vrebbero fatto. Persino Merana poteva non essere disposta a spingersi troppo oltre la mera obbedienza. Questo era un peccato, ma almeno lasciava abbastanza spazio per manovrare. O essere manovrate. I servitori con la livrea scura che svolgevano solerti le loro commissioni lungo gli ampi corridoi pieni di arazzi si fecero subito da parte per Cadsuane e Corgaide, e le due avanzarono in un vortice di inchini e riverenze eseguiti da uomini e donne che reggevano cesti, vassoi e pile di asciugamani. Dal modo in cui tutti guardavano Corgaide, Cadsuane immaginò che quel rispetto era rivolto tanto alla Portatrice delle Chiavi quanto alla Aes Sedai. In giro c'era anche una manciata di Aiel, uomini enormi simili a leoni dagli occhi di ghiaccio e donne come leopardi con occhi ancor più freddi. Alcuni di quegli sguardi la seguirono con un gelo sufficiente a portare la neve minacciata dalla pioggia di quel giorno, ma altri Aiel la salutarono con un solenne cenno del capo, e qua e là le donne coi loro occhi feroci si spinsero addirittura a un sorriso. Cadsuane non si era mai dichiarata responsabile del salvataggio del Car'a'carn, ma le storie si distorcevano man mano che venivano ripetute, e quella convinzione le era valsa un rispetto maggiore di quello riservato alle altre sorelle, e di sicuro una maggiore libertà di movimento nel Palazzo. Si chiese come quelle persone si sarebbero sentite se avessero saputo che, se in quel momento si fosse trovata di fronte al ragazzo, Cadsuane avrebbe dovuto trattenersi per non ricoprirgli la pelle di vesciche! Era passata poco più di una settimana da quando al'Thor si era quasi fatto uccidere, e non solo era riuscito a evitarla nel modo più assoluto, ma aveva anche reso più difficile il suo compito, se era vera anche solo la metà delle cose che aveva sentito. Peccato che non era cresciuto a Far Madding. D'altronde, anche questo potrebbe aver avuto le sue catastrofiche conseguenze. La stanza dove la accompagnò Corgaide era calda e accogliente, con il fuoco che ardeva in entrambi i camini alle due estremità e le lampade accese, fiamme riflesse in torri di vetro che cacciavano via il buio di quella giornata. Era evidente che Corgaide aveva mandato qualcuno a prepararla mentre lei aspettava nell'atrio. Una domestica arrivò nella stanza quasi insieme a loro, portando su un vassoio sia tè sia vino speziato, oltre ai dolcetti con la glassa di miele. «C'è altro, Aes Sedai?» chiese Corgaide mentre Cadsuane poggiava la sua cesta da cucito accanto al vassoio, su un tavolo coi bordi e le zampe pesantemente dorati. E decorati con rigide incisioni, come l'alto cornicione, dorato anch'esso. Cadsuane si sentiva sempre in un acquario dorato o-
gni volta che andava a Cairhien. Nonostante la luce e il calore della stanza, il cielo grigio e la pioggia che cadeva fuori dalle alte finestre rafforzavano quell'impressione. «Il tè andrà bene» rispose Cadsuane. «Se non ti dispiace, di' ad Alanna Mosvani che la voglio vedere. Diglielo, senza indugi.» Le chiavi di Corgaide tintinnarono quando lei fece la riverenza, mormorando in torno rispettoso che avrebbe trovato di persona 'Alanna Aes Sedai'. La sua espressione solenne non cambiò neppure mentre lasciava la stanza. Con ogni probabilità, la donna stava esaminando quella richiesta alla ricerca di sottigliezze e tranelli. Cadsuane preferiva essere diretta, quando poteva. Aveva stupito diversi scaltri individui convinti che lei non intendesse dire esattamente ciò che diceva. Aprì il coperchio del cesto da cucito, ne estrasse il cerchio per ricamare con un lavoro mezzo finito avvolto intorno. Quel cesto aveva delle tasche cucite all'interno per contenere oggetti che non avevano nulla a che fare con il cucito. Specchietto, pettine e spazzola tutti d'avorio, un astuccio col pennino e una boccetta d'inchiostro ben turata, e tante altre cose che nel corso degli anni Cadsuane aveva trovato utile avere a portata di mano, alcune delle quali avrebbero sorpreso chiunque avesse avuto abbastanza fegato da rovistare nel cesto. Non che lei lo lasciasse spesso incustodito. Dopo aver poggiato con cura sul tavolo la scatola di argento levigato che conteneva il filo, Cadsuane scelse le matasse che le servivano e si sedette dando le spalle alla porta. L'immagine principale del suo ricamo era completa, la mano di un uomo che stringeva l'antico simbolo delle Aes Sedai. Il disco nero e bianco era pieno di crepe, e non c'era modo di stabilire se quella mano cercava di tenerlo insieme o di distruggerlo. Cadsuane sapeva qual era la sua risposta, ma solo il tempo avrebbe svelato la verità. Dopo aver messo il filo a un ago, cominciò a lavorare a una delle immagini di contorno, una rosa color rosso acceso. Rose, stelle lucenti e sprazzi di sole si alternavano con margherite, rossicuori e colibrì dalla testa bianca, e tutte le figure erano separate da fasce di aghi appuntiti e rovi dalle lunghe spine. Sarebbe stato un lavoro inquietante, una volta finito. Cadsuane era ancora a metà di un petalo della rosa quando una macchia sfocata in movimento riflessa sul piatto coperchio della scatola del filo catturò la sua attenzione. L'aveva posizionata con cura in modo da riflettere la porta. Non alzò la testa dal cerchio sul quale era teso il ricamo. Alanna era sulla soglia e guardava in cagnesco la sua schiena. Cadsuane continuò a muovere lentamente l'ago, ma controllò con la coda dell'occhio il coper-
chio con il suo riflesso. Due volte Alanna fece per voltarsi e andar via, poi alla fine si riscosse, facendosi chiaramente coraggio. «Entra, Alanna.» Sempre senza alzare il capo. Cadsuane indicò un punto davanti a sé. «Mettiti qui.» Sorrise beffarda quando Alanna trasalì. C'erano certi vantaggi nell'essere una leggenda: spesso le persone non notavano neppure le cose più ovvie quanto avevano a che fare con una leggenda. Alanna entrò impettita facendo frusciare le gonne di seta e si mise dove Cadsuane aveva indicato, anche se la sua bocca aveva una piega amara. «Perché continui a tormentarmi?» chiese. «Non posso dirti più di quanto ti ho già detto. E se anche potessi, non sono sicura che lo farei! Lui appartiene a...» Si interruppe di scatto, mordendosi il labbro inferiore, ma tanto valeva che completasse la frase. Il giovane al'Thor apparteneva a lei, era il suo Custode. Aveva la sfacciataggine di pensare una cosa del genere! «Ho tenuto per me la storia del tuo crimine,» disse a voce bassa Cadsuane «ma solo perché non avevo motivi per complicare le cose.» Alzò gli occhi sull'altra donna e continuò tenendo bassa la voce: «Ma se credi che non sia disposta a sbucciarti come un cavolo, allora ti sbagli.» Alanna si irrigidì. La luce di saidar si accese all'improvviso intorno a lei. «Se proprio desideri comportarti davvero da stupida...» Cadsuane sorrise, un sorriso freddo. Non accennò neppure ad abbracciare la Fonte. Uno degli ornamenti che le pendevano dai capelli, mezzelune d'oro intrecciate, era fresco sulla sua tempia. «La tua pellaccia è ancora tutta intera, al momento, ma la mia pazienza non è infinita. In effetti, è appesa a un filo.» Alanna lottò con sé stessa, e si lisciò la gonna azzurra senza rendersene conto. A un tratto il bagliore del Potere si spense, e la donna distolse lo sguardo da Cadsuane così rapidamente che i suoi lunghi capelli neri svolazzarono. «Non so nient'altro.» Quelle parole astiose le uscirono tutto d'un fiato. «Prima era ferito, poi non più, ma non credo che l'abbia Guarito una sorella. Le ferite che nessuno può Guarire ci sono ancora. Continua ad andare in giro, sa come Viaggiare, ma è ancora al Sud. Da qualche parte in Illian, credo, ma da così lontano potrebbe anche essere a Tear, per quanto ne so io. È pieno di rabbia, dolore e sospetti. Non c'è altro, Cadsuane. Nient'altro!» Facendo attenzione a non scottarsi con la brocca d'argento, Cadsuane versò una tazza di tè e poi controllò la porcellana verde per vedere quanto era calda. Come era prevedibile, il tè contenuto nella brocca d'argento si era raffreddato in fretta. Incanalando brevemente, Cadsuane lo riscaldò di nuovo. Il tè scuro sapeva troppo di menta; i Cairhienesi facevano un uso di
menta decisamente eccessivo, secondo lei. Non offrì una tazza ad Alanna. Il ragazzo Viaggiava. Come poteva aver riscoperto un'arte che la Torre Bianca aveva perduto sin dai tempi della Frattura? «Mi terrai comunque informata su tutto, Alanna.» Non era una domanda. «Guardami, donna! Se anche fai dei sogni su di lui, voglio ogni dettaglio!» Lacrime non versate rilucevano negli occhi di Alanna. «Al mio posto, tu avresti fatto lo stesso!» Cadsuane la guardò torva da sopra la tazza di tè. Forse aveva ragione. Non c'erano differenze tra ciò che aveva fatto Alanna e ciò che un uomo faceva quando prendeva con la forza una donna ma, che la Luce la aiutasse, forse l'avrebbe fatto anche lei, se avesse creduto che era utile a raggiungere il suo obiettivo. Ormai non prendeva più neppure in considerazione l'idea di costringere Alanna a passarle il legame. Alanna stessa aveva dimostrato quanto era inutile in termini di controllo sul ragazzo. «Non farmi aspettare, Alanna» disse Cadsuane con voce di ghiaccio. Non provava alcuna compassione per lei. Alanna era solo una di tante sorelle, da Moiraine a Elaida, che avevano sciupato e peggiorato ciò che invece avrebbero dovuto sistemare. Mentre Cadsuane era a caccia prima di Logain Ablar e poi di Mazrim Taim. E questo certo non le migliorava l'umore. «Ti terrò informata su tutto» sospirò Alanna, imbronciata come una ragazzina. Cadsuane aveva voglia di prenderla a schiaffi. Alanna indossava lo scialle da vent'anni: avrebbe dovuto essere più matura di così. Ovviamente era dell'Arafel. A Far Madding, già a vent'anni le ragazze smettevano di imbronciarsi e lamentarsi come una dell'Arafel avrebbe invece continuato a fare anche da vecchia sul letto di morte. A un tratto, Alanna spalancò gli occhi, allarmata, e Cadsuane vide un altro viso riflesso nel coperchio della scatola del filo. Rimise allora la tazza sul vassoio e il cerchio per il ricamo sul tavolo, si alzò e si girò verso la porta. Senza fretta, ma anche senza gli indugi e i giochetti che aveva fatto con Alanna. «Hai finito con lei, Aes Sedai?» chiese Sorilea entrando nella stanza. La coriacea Sapiente dai capelli bianchi aveva parlato a Cadsuane, ma lo sguardo era fisso su Alanna. Oro e avorio fecero un debole rumore intorno ai suoi polsi quando si piazzò le mani sui fianchi, e lo scialle le scivolò intorno ai gomiti. Quando Cadsuane rispose che in effetti aveva finito, Sorilea fece un gesto brusco ad Alanna, che lasciò la stanza. Andò via con un'astiosa smorfia
di irritazione dipinta in volto. Sorilea la guardò torva finché non fu uscita. Cadsuane aveva già incontrato quella donna, incontri invero interessanti, anche se brevi. Conosceva poche persone che poteva considerare eccezionali, e Sorilea era tra queste. Forse era anche una sua degna avversaria, per certi versi. E sospettava anche che fosse vecchia quanto lei, se non di più, e questo non se lo sarebbe mai aspettato. Alanna si era appena dileguata quando sulla soglia apparve Kiruna, scalciando la sua gonna grigia per la fretta e guardando nel corridoio nella direzione presa da Alanna. E tra le mani aveva un vassoio dalla complessa lavorazione in oro sul quale era poggiata una brocca allungata ancor più elaborata e anch'essa d'oro che ben poco si abbinava alle due tazzine di ceramica laccata di bianco. «Perché Alanna sta correndo?» chiese. «Sarei arrivata prima, Sorilea, ma...» Vide Cadsuane, e le sue guance assunsero la più scura sfumatura del rosso. L'imbarazzo faceva uno strano effetto su quella donna statuaria. «Metti il vassoio sul tavolo, ragazza,» le disse Sorilea «e vai da Chaelin. Ti sta aspettando per darti le lezioni di oggi.» Con movenze rigide, Kiruna mise giù il vassoio evitando lo sguardo di Cadsuane. Mentre si girava per andar via, Sorilea le prese il mento tra le dita nodose. «Stai cominciando a impegnarti davvero, ragazza» le disse con fermezza. «Se continui, te la caverai molto bene. Molto bene. Ora vai. Chaelin non è paziente come me.» Sorilea agitò una mano in direzione del corridoio, ma Kiruna rimase a fissarla per un lungo istante, con una strana espressione in viso. Se doveva tirare a indovinare, Cadsuane avrebbe detto che Kiruna era compiaciuta per quel complimento e stupita per il compiacimento stesso. La donna dai capelli bianchi aprì bocca e Kiruna si scosse e uscì di corsa dalla stanza. Uno spettacolo notevole. «Credi davvero che imparerà i vostri modi di intessere saidar?» chiese Cadsuane, celando la sua incredulità. Kiruna e le altre le avevano parlato di queste lezioni, ma molte tessiture delle Sapienti erano diverse da quelle insegnate alla Torre Bianca. Il primo modo in cui si imparava a tessere i flussi restava impresso: apprenderne un secondo era quasi impossibile, e in ogni caso non avrebbe mai funzionato bene come il primo. Questo era uno dei motivi per cui alcune sorelle non accettavano di buon grado le selvatiche alla Torre, indipendentemente dall'età; si rischiava che avessero imparato già troppo, e non c'era modo per farglielo dimenticare. Sorilea si strinse nelle spalle. «Forse. Imparare un secondo modo è già
abbastanza difficile senza tutti quei gesti che voi Aes Sedai fate con le mani. La cosa più importante che Kiruna deve imparare è che il suo orgoglio le appartiene: non è lei ad appartenere all'orgoglio. Sarà una donna molto forte quando l'avrà capito.» Prese una sedia e la tirò di fronte a quella che Cadsuane aveva occupato, la guardò dubbiosa, poi si sedette. Sembrava rigida e a disagio come prima Kiruna, ma fece un cenno autoritario a Cadsuane perché si accomodasse, una donna dalla ferrea volontà abituata a comandare. Cadsuane trattenne un mesto sorriso mentre si metteva a sedere. Era un bene tenere a mente che, selvatiche o meno, le Sapienti non erano affatto delle selvagge ignoranti. Era ovvio che fossero consapevoli di quella difficoltà. Riguardo alla questione dei gesti con le mani... Poche Aiel avevano incanalato in sua presenza, ma Cadsuane aveva notato che creavano alcune tessiture senza i gesti usati dalle sorelle. I movimenti delle mani non erano propriamente parte della tessitura, ma per certi versi lo erano, perché avevano fatto parte dell'apprendimento della tessitura stessa. Forse un tempo c'erano state Aes Sedai capaci, per esempio, di lanciare palle di fuoco anche senza mimare il gesto con le mani, ma in tal caso erano morte da tempo, portando con sé i loro insegnamenti. Ora alcune cose erano semplicemente irrealizzabili senza i gesti adeguati. Alcune sorelle sostenevano di poter riconoscere chi aveva insegnato a una sorella guardando i movimenti che questa usava per le varie tessiture. «Insegnare qualcosa alle nuove allieve è stato nel migliore dei casi difficile, con ognuna di loro» proseguì Sorilea. «Non voglio essere offensiva, ma sembra che voi Aes Sedai prestiate il giuramento e subito cerchiate un modo per aggirarlo. Alanna Mosvani è un caso particolarmente difficile.» All'improvviso i suoi occhi verdi erano penetranti, conficcati in quelli di Cadsuane. «Come possiamo punire i suoi ripetuti errori se corriamo il rischio di far del male al Car'a'carn?» Cadsuane intrecciò le mani e se le poggiò in grembo. Mascherare la sorpresa non fu facile. Altro che segreto sul crimine di Alanna! Ma perché Sorilea le aveva fatto capire di esserne al corrente? Forse una rivelazione per ottenerne un'altra. «Il legame non funziona in quel modo» le spiegò Cadsuane. «Se la uccidete, lui morirà, nello stesso momento o poco dopo. A parte questo, sarà cosciente di ciò che le accade ma non lo sentirà davvero. E visto quanto è lontano adesso, ne sarà solo vagamente consapevole.» Sorilea annuì lentamente. Con le dita sfiorò il vassoio d'oro sul tavolo, poi le ritrasse. La sua espressione era illeggibile come il volto di una sta-
tua, ma Cadsuane sospettava che Alanna avrebbe avuto una sgradevole sorpresa la prossima volta che avesse lasciato esplodere il suo caratteraccio o messo su quel suo broncio dell'Arafel. Questo, però, non era importante. Solo il ragazzo lo era. «Gli uomini prendono quasi tutti ciò che gli viene offerto, se è attraente e gradevole» disse la Sapiente. «Un tempo pensavamo che questo valesse anche per Rand al'Thor. Sfortunatamente, è troppo tardi per cambiare il percorso che abbiamo intrapreso. Ora egli sospetta di qualsiasi cosa gli venga liberamente offerta. Adesso, se volessi fargli accettare qualcosa, dovrei fingere di volere che non la ottenga. Se volessi stargli vicino, dovrei fingere che non mi importi di non rivederlo mai più.» Ancora una volta, i suoi occhi si concentrarono su Cadsuane, due trivelle verdi. Ma non stava cercando di vedere cosa lei avesse in testa. Quella donna lo sapeva già. In parte, almeno. Abbastanza, o forse troppo. Eppure, Cadsuane sentì salire il brivido di quell'opportunità. Se aveva avuto dei dubbi sul fatto che Sorilea stava cercando di sondarla, ora erano svaniti. E se la stava testando in quel modo poteva essere solo perché sperava in qualche accordo. «Credi che un uomo debba essere duro?» le chiese. Aveva deciso di correre il rischio. «O forte?» Il suo tono rendeva chiaro che lei ci vedeva una differenza. Di nuovo Sorilea toccò il vassoio; il più lieve dei sorrisi parve piegare per un attimo le sue labbra. Ma forse era un'illusione. «La maggior parte degli uomini vede le due caratteristiche come una sola cosa, Cadsuane Melaidhrin. Il forte resiste; il duro si spezza.» Cadsuane trasse un respiro. Se qualsiasi altra donna avesse corso quel suo stesso rischio, lei l'avrebbe bruciata viva. Ma Cadsuane non era 'qualsiasi altra donna', e a volte era necessario rischiare. «Il ragazzo fa confusione tra le due cose» disse. «Ha bisogno di essere forte, e così si costringe a diventare più duro. Troppo duro, ormai, e non si fermerà finché non viene fermato. Ha dimenticato come ridere se non con amarezza; non ci sono più lacrime in lui. A meno che non ritrovi lacrime e risa, il mondo è condannato alla rovina. Deve imparare che anche il Drago Rinato è fatto di carne. Se affronta Tarmon Gai'don come è adesso, anche la sua vittoria potrebbe essere funesta come la sconfitta.» Sorilea ascoltò con attenzione, e rimase in silenzio anche dopo che Cadsuane ebbe finito. Quegli occhi verdi la stavano studiando. «Il vostro Drago Rinato e la vostra Ultima Battaglia non sono nelle nostre profezie» disse infine la Aiel. «Abbiamo cercato di far conoscere a Rand al'Thor il
suo stesso sangue, ma temo che ci veda solo come un'altra lancia. Se una lancia si spezza nella tua mano, non ti fermi a piangerla prima di prenderne un'altra. Forse io e te miriamo a obiettivi non troppo distanti.» «Forse» disse cauta Cadsuane. Ma obiettivi separati anche solo da un palmo potevano non essere uguali. A un tratto il bagliore di saidar circondò la donna dal volto coriaceo. Era abbastanza debole da far sembrare Daigian almeno mediamente forte. Ma d'altronde la forza di Sorilea non stava nel Potere. «C'è una cosa che potresti ritenere utile» disse la Aiel. «Io non riesco a farla funzionare, ma posso intessere i flussi per mostrartela.» Lo fece, gestendo esili fili che prendevano posto e si fondevano insieme, troppo deboli per fare ciò che avrebbero dovuto. «Si chiama 'Viaggiare'» disse Sorilea. Questa volta, Cadsuane rimase davvero a bocca aperta. Alanna, Kiruna e le altre negavano di aver insegnato alle Sapienti come unirsi in un circolo o di aver mostrato loro i tanti Talenti che all'improvviso queste sembravano avere, e Cadsuane aveva dato per scontato che le Aiel fossero riuscite a estorcerli alle sorelle tenute nelle loro tende. Ma questo era... Impossibile, avrebbe detto, eppure non credeva che Sorilea stesse mentendo. Dovette sforzarsi per non provare da subito la tessitura. Non che al momento le fosse di chissà quale utilità. Se anche avesse saputo con esattezza dov'era quel maledetto ragazzo, doveva costringere lui ad andare da lei. Su quello Sorilea aveva ragione. «Un dono davvero eccezionale» disse lentamente. «Non ho nulla da darti per ricompensarti in modo degno.» Questa volta, un rapido sorriso guizzò inequivocabilmente sulle labbra di Sorilea. Sapeva fin troppo bene che Cadsuane era in debito con lei. Sollevando la pesante brocca dorata con entrambe le mani, riempì con cura le tazzine bianche. Con semplice acqua. Non ne versò fuori neppure una goccia. «Ti propongo un giuramento d'acqua» disse solenne, prendendo una delle tazze. «Con questo, siamo legate insieme dall'obbligo di insegnare a Rand al'Thor lacrime e risa.» Bevve un sorso, e Cadsuane la imitò. «Siamo legate insieme.» E se i loro obiettivi si rivelavano tutt'altro che uguali? Cadsuane non sottovalutava Sorilea come alleata o nemica, ma sapeva qual era il bersaglio da colpire, a ogni costo. 13
Come neve al vento A nord l'orizzonte era purpureo per la pioggia violenta che aveva martellato la parte orientale dell'Illian per tutta la notte. In alto, il cielo del mattino pieno di nuvole scure e gonfie minacciava altra pioggia, e i venti forti strapazzavano i mantelli, facevano schioccare e crepitare come fruste i vessilli sulla cresta dell'altura, la bandiera bianca del Drago e quella cremisi della Luce insieme agli stendardi dai colori accesi dei nobili di Illian, Cairhien e Tear. Questi restavano divisi per nazionalità, tre piccoli gruppi separati da ampie distanze, cosparsi di acciaio placcato d'oro e argento, di seta, velluto e merletti, ma tutti si guardavano intorno a disagio. Anche i cavalli meglio addestrati scuotevano la testa e scalpitavano sul terreno fangoso. Il vento era freddo, e sembrava ancor più freddo dopo il caldo che aveva bruscamente sostituito, proprio come la pioggia era stata una forte sorpresa dopo la sua lunga assenza. I nobili di ogni nazione avevano pregato per la fine di quella cocente siccità, ma nessuno di loro sapeva che farsene delle implacabili tempeste giunte in risposta alle loro preghiere. Alcuni guardavano Rand quando pensavano che lui non lo notasse. Forse si chiedevano se era stato il Drago a esaudire a quel modo i loro desideri. Il pensiero lo faceva ridere, piano e con amarezza. Diede una pacca sul collo del suo castrone nero con una mano infilata in un guanto di pelle, lieto che Tai'daishar non mostrasse alcun segno di nervosismo. Il grosso animale sembrava una statua, in attesa che le redini o la pressione delle sue ginocchia gli dicessero di muoversi. Era un bene che il cavallo del Drago Rinato si mostrasse freddo quanto il suo padrone, come se fluttuassero entrambi nel Vuoto. Nonostante l'Unico Potere che imperversava dentro di lui, fuoco e ghiaccio e morte, Rand era a malapena consapevole del vento anche se agitava il suo mantello ricamato d'oro e gli si infilava nella giubba di seta verde, anche questa decorata in oro e non adatta a quel tipo di clima. Le ferite sul fianco facevano male e pulsavano, la vecchia e la nuova che la attraversava in diagonale, le ferite che non potevano guarire, ma anche quel dolore era lontano, nella carne di qualcun altro. Anche la Corona di Spade pareva pungere le tempie di un'altra persona con le estremità acuminate delle piccole lame sotto le auree foglie d'alloro.
Persino la lordura intessuta in saidin sembrava meno fastidiosa del solito; sempre meschina, sempre disgustosa, ma non più degna di nota. Lo sguardo dei nobili alle sue spalle fisso su di lui, però, era palpabile. Rand spostò l'elsa della spada e si sporse in avanti. Vedeva chiaramente il gruppo serrato di colline basse e boscose a circa un chilometro a est come se stesse usando un cannocchiale. Quella regione era piatta, le uniche alture che si levavano dalla brughiera erano quelle colline e il lungo crinale sul quale si trovava lui. E per trovare un altro boschetto abbastanza fitto da meritare quel nome bisognava spostarsi di una quindicina di chilometri. Sulle colline erano visibili solo i grovigli del sottobosco e alberi mezzo spogli e rovinati dalla tempesta, ma lui sapeva cosa nascondevano. Due, forse tremila degli uomini che Sammael aveva messo insieme nel tentativo di impedirgli di conquistare l'Illian. Quell'esercito si era sciolto quando i soldati avevano appreso che l'uomo che li aveva convocati era morto, che Mattin Stepaneos era sparito, forse anche lui finito nella tomba, e che c'era un nuovo re in Illian. Molti erano tornati a casa, ma altrettanti si erano riuniti. Di solito in gruppi di venti o trenta elementi, ma se si riorganizzavano potevano dar vita a un grande esercito, o a un'infinità di piccole bande armate. In entrambi i casi, Rand non poteva permettere che continuassero ad aggirarsi in quella zona. Il tempo pesava sulle sue spalle come piombo. Non c'era mai abbastanza tempo, ma forse questa volta... Fuoco e ghiaccio e morte. Tu cosa faresti?, pensò. Sei lì? E poi, dubbioso e odiandosi per quel dubbio, aggiunse: ma ci sei mai stato? Gli rispose il silenzio, profondo e mortale nel vuoto che lo circondava. O risuonava una folle risata da qualche parte nei recessi della sua mente? Se la stava immaginando? Forse era come quando aveva la sensazione di qualcuno che lo guardasse da dietro, qualcuno abbastanza vicino da potergli toccare la schiena. O come quando gli pareva che dei colori vorticassero appena fuori dalla sua visuale, e sembravano più che semplici colori, ma subito svanivano. Segni della pazzia. Col pollice sfiorò le incisioni che serpeggiavano sullo Scettro del Drago. I lunghi fiocchi verdi e bianchi alla base di quella lucida punta di lancia fluttuavano nel vento. Fuoco e ghiaccio, e morte in arrivo. «Andrò io stesso a parlare con loro» annunciò Rand. Cosa che suscitò scalpore. Lord Gregorin, la fascia verde del Consiglio dei Nove messa di traverso sui pettorali dorati e decorati, si staccò dal gruppo degli Illianesi spronando il suo castrone bianco dalle caviglie sottili, seguito da presso da Demetre
Marcolin, primo capitano dei Compagni, in groppa a un grosso baio. Marcolin era l'unico a non indossare seta e a non avere una briciola di merletto, l'unico con un armatura semplice anche se lucidata a specchio, ma l'elmo conico poggiato sull'alto pomello della sella aveva tre sottili piume d'oro. Lord Marac sollevò le redini, poi le lasciò ricadere con aria esitante quando vide che nessun altro dei Nove si era mosso. Grosso e flemmatico, da poco entrato nel Consiglio, sembrava spesso più un artigiano che un nobile, a dispetto delle ricche sete sotto la lussuosa armatura e delle cascate di merletto che ne fuoriuscivano. I Sommi Signori Weiramon e Tolmeran si allontanarono insieme dagli altri Tarenesi, ricoperti d'oro e argento almeno quanto i Nove, poi li seguì Rosana, da poco eletta Somma Signora e con addosso un pettorale decorato col falco e le stelle della sua casata. Anche tra i nobili di Tear altri accennarono a spronare i cavalli e poi si trattennero, l'ansia dipinta sul viso. Aracome, alto e magro come la lama di una spada, Maraconn con gli occhi azzurri e Gueyam con la testa calva erano uomini morti ormai; non lo sapevano, ma per quanto volessero trovarsi al centro del potere temevano che Rand potesse ucciderli. Solo lord Semaradrid uscì dal gruppo dei Cairhienesi, in groppa a un grigio che aveva visto tempi migliori e con addosso un armatura rovinata, con le dorature intaccate. Il suo volto era scarno e duro, la parte anteriore della testa rasata e cosparsa di polvere come fosse un soldato comune e gli occhi scuri accesi di disprezzo per i Tarenesi, più alti di lui. Il disprezzo davvero non scarseggiava. I Tarenesi e i Cairhienesi si odiavano a vicenda. Gli Illianesi e i Tarenesi si disprezzavano. Solo Cairhienesi e Illianesi andavano d'accordo entro certi limiti, ma anche tra loro cominciava a esserci una certa acredine. Le due nazioni forse non avevano una lunga storia di cattivo sangue come quella condivisa da Tear e Illian, ma i Cairhienesi erano pur sempre forestieri armati sul suolo Illianese, accolti senza entusiasmo nel migliore dei casi e solo perché seguivano Rand. Ma nonostante gli sguardi accigliati, il nervosismo e i tentativi di parlare tutti insieme mentre si agitavano intorno a Rand in un mulinare di mantelli mossi dal vento, ora avevano un obiettivo comune. In un certo senso. «Maestà,» si affrettò a dire Gregorin, inchinandosi sulla sua sella lavorata in oro «ti prego di lasciare che io o il primo capitano Marcolin andiamo in vece tua.» La barba quadrata che lasciava scoperto il labbro superiore faceva da cornice a un volto rotondo corrugato per la preoccupazione. «Quegli uomini di sicuro sanno che sei il re - in questo stesso istante, la proclamazione viene letta in ogni villaggio, a ogni incrocio - eppure po-
trebbero non mostrare il dovuto rispetto alla tua corona.» Marcolin, volto incavato e guance rasate, studiava Rand coi suoi occhi scuri e infossati senza dare il minimo segno dei pensieri che si nascondevano dietro la sua espressione impassibile. I Compagni erano fedeli alla corona di Illian, e Marcolin era abbastanza anziano da ricordarsi di quando Tarn al'Thor era secondo capitano e suo superiore, ma nessuno a parte lui stesso sapeva cosa ne pensasse di Rand come re. «Mio lord Drago,» intonò Weiramon mentre faceva il suo inchino, senza aspettare che Gregorin concludesse il discorso. Il Tarenese pareva sempre declamare le sue frasi, e persino quando era in sella sembrava che camminasse impettito. I velluti ricamati, le sete a righe e le cascate di merletto quasi ricoprivano l'intera armatura, e la barba grigia a punta emanava un odore floreale di oli profumati. «Quella plebaglia è troppo meschina perché il lord Drago se ne occupi personalmente. Che siano i cani a catturare i cani, dico io. Lascia che se la vedano gli libanesi. Che la mia anima sia folgorata, ma finora non hanno fatto niente per servirti, se non parlare.» Tipico da parte sua, trasformare l'appoggio a Gregorin in un insulto. Tolmeran era abbastanza magro da far sembrare Weiramon grosso e abbastanza cupo da offuscare il lustro del suo abbigliamento; non era stupido, ed era anche un rivale di Weiramon, ma annuì alle sue parole. Neanche lui faceva mancare il suo amore agli Illianesi. Semaradrid piegò le labbra in un'espressione amara contro i Tarenesi, ma si rivolse a Rand, intervenendo non appena Weiramon ebbe finito. «Quell'accozzaglia è dieci volte più numerosa di tutte quelle che abbiamo incontrato finora, mio lord Drago.» Non gli importava nulla del re di Illian, e abbastanza poco del Drago Rinato, ma sapeva che Rand avrebbe deciso a chi assegnare il trono di Cairhien, e sperava che lo destinasse a qualcuno che lui potesse seguire invece di combattere. «Sono di sicuro ancora fedeli a Brend, altrimenti non sarebbero rimasti insieme così numerosi. Temo che parlare con loro sia una perdita di tempo, ma se devi farlo lascia che li circondi con dell'acciaio ben visibile, così conosceranno il prezzo da pagare se mettono un piede in fallo.» Rosana ricambiò lo sguardo truce di Semaradrid; una donna magra, non particolarmente alta, ma comunque quanto il nobile cairhienese, con occhi che erano come ghiaccio azzurro. Neanche lei aspettò la fine del discorso per parlare, e anche lei si rivolse a Rand. «Mi sono spinta troppo lontano e ho investito troppo su di te per vederti morire adesso e per niente» disse schiettamente. Ancor meno stupida di Tolmeran, Rosana aveva rivendicato
un posto nelle riunioni di consiglio dei Sommi Signori sebbene le Somme Signore tarenesi lo facessero di rado, e schietta era una definizione quanto mai azzeccata nel suo caso. Malgrado l'armatura che indossavano quasi tutte le nobili nessuna di loro guidava davvero gli eserciti in battaglia, eppure Rosana aveva una mazza ferrata sulla sella, e a volte Rand pensava che le sarebbe piaciuto poterla usare. «Dubito che a quegli Illianesi manchino gli archi,» disse la Tarenese «e basta una sola freccia per uccidere persino il Drago Rinato.» Marcolin increspò le labbra con aria pensosa e annuì prima di riuscire a trattenersi, poi scambiò occhiate colme di stupore con Rosana, uno più sorpreso dell'altra nel trovarsi d'accordo con un nemico storico. «Quei contadinotti non avrebbero mai trovato l'ardore di prendere le armi senza un qualche incoraggiamento» continuò tranquillamente Weiramon, ignorando Rosana. Era molto bravo a ignorare le persone o le cose che non voleva vedere o sentire. Lui sì che era stupido. «Posso suggerire al mio lord Drago di cercare tra questi cosiddetti Nove la fonte di tale incoraggiamento?» «Non posso accettare gli insulti di questo maiale tarenese, maestà!» ringhiò Gregorin coprendo la voce di Weiramon mentre una mano sfrecciava verso la spada. «Non posso assolutamente!» «Ce ne sono troppi» disse Semaradrid nello stesso istante. «Ti si rivolteranno contro quasi tutti non appena gli darai le spalle.» A giudicare dal suo cipiglio, poteva riferirsi tanto ai Tarenesi quanto agli uomini sulle colline boscose. E forse parlava davvero di entrambi. «La cosa migliore sarebbe ucciderli tutti e farla finita!» «Ho per caso chiesto le vostre opinioni?» scattò Rand. Il battibecco fu sostituito dal silenzio, rotto solo dallo schioccare di mantelli e bandiere che battevano nel vento. All'improvviso i volti che lo guardavano divennero inespressivi, e più d'uno impallidì. Non sapevano che aveva afferrato il Potere, ma lo conoscevano. Non tutto quello che sapevano di lui era vero, ma era un bene che lo credessero tale. «Tu verrai con me, Gregorin» disse Rand a voce più bassa. Ma ancora dura. Quegli uomini capivano solo l'acciaio; se si fosse rammollito, gli si sarebbero davvero rivoltati contro. «E anche tu, Marcolin. Gli altri resteranno qui. Dashiva! Hopwil!» Tutti quelli che non erano stati nominati tornarono velocemente ai loro posti mentre i due Asha'man cavalcavano verso Rand, e gli Illianesi guardarono gli uomini con le giubbe nere come se avessero preferito restare dietro anche loro. Lontano da tutto e da tutti, Corlan Dashiva era accigliato
e mormorava tra sé, come faceva spesso. Tutti sapevano che saidin portava gli uomini alla pazzia, prima o poi, e Dashiva col suo volto semplice sembrava confermare questo timore, con i capelli dritti e spettinati che fluivano nel vento mentre lui si leccava le labbra e scuoteva il capo. Quanto a ciò, anche Eben Hopwil, appena sedicenne e con le guance ancora coperte solo da sparsi spunzoni, teneva lo sguardo accigliato fisso nel nulla. Almeno in questo caso Rand sapeva perché. Mentre gli Asha'man si avvicinavano, Rand non poté fare a meno di piegare di lato la testa, in ascolto, anche se quello che cercava di percepire era nella sua mente. Alanna era lì, ovviamente; né il Vuoto né il Potere potevano cambiare questa realtà. La distanza riduceva la consapevolezza appunto a questo - la consapevolezza dell'esistenza della donna, lontana, da qualche parte a nord - eppure oggi c'era qualcos'altro, qualcosa che di recente Rand aveva avvertito diverse volte, una sensazione fioca e appena percepita. Un filo di stupore, forse, o rabbia, un alito di qualcosa di acuto che lui non riusciva a distinguere con chiarezza. La sensazione realmente provata da Alanna doveva essere molto forte se lui poteva esserne anche solo cosciente a quella distanza. Forse l'Aes Sedai sentiva la sua mancanza. Un'idea beffarda. A Rand lei non mancava. Ignorare Alanna era più facile che in passato. Alanna era lì, ma non c'era più la voce che prima urlava di morti e uccisioni se solo un Asha'man era in vista. Lews Therin era sparito. A meno che quella sensazione di qualcuno che gli fissasse la nuca sfiorandolo con un dito tra le scapole non fosse lui. C'era davvero la rauca risata di un pazzo in fondo ai suoi pensieri? O era lui stesso a ridere? Ma prima Lews era davvero nella sua mente! C'era davvero! Rand si rese conto che Marcolin lo stava fissando, e Gregorin si sforzava duramente di non farlo. «Non ancora» disse loro con sarcasmo, e quasi rise quando fu chiaro che i due avevano capito. Il sollievo era troppo evidente sui loro volti per poterne dubitare. Rand non era impazzito. Non ancora. «Venite» disse, e fece avviare Tai'daishar al trotto giù dal declivio. Nonostante gli uomini che lo seguivano, si sentiva solo. Nonostante il Potere, si sentiva vuoto. Tra il crinale e le colline c'erano macchie di fitta sterpaglia e distese di erba secca, un manto lucente di giallo e marrone appiattito dalla pioggia. Appena qualche giorno prima, il terreno era così riarso che Rand aveva pensato potesse assorbire un fiume senza cambiare. Poi i torrenti erano arrivati davvero, inviati da un Creatore finalmente mosso a compassione, o forse dal Tenebroso in un momento di macabro umorismo; non sapeva
quale fosse la verità. Adesso gli zoccoli dei cavalli alzavano schizzi di fango quasi a ogni passo. Rand si augurò che quel problema non gli portasse via troppo tempo. Ne aveva un po' a disposizione, stando al rapporto fatto da Hopwil, ma non un'eternità. Settimane forse, con un po' di fortuna. Gli servivano mesi. Per la Luce, gli servivano anni che non avrebbe mai avuto! Con l'udito incrementato dal Potere, poteva sentire parte di ciò che si dicevano gli uomini alle sue spalle. Gregorin e Marcolin cavalcavano ginocchio contro ginocchio, cercavano di tener chiusi i mantelli contro il vento e parlavano degli uomini sulle colline, temendo che potessero decidere di combattere. Nessuno dei due dubitava che li avrebbero schiacciati se opponevano resistenza, ma temevano l'effetto che ciò poteva avere su Rand, e l'effetto di Rand sull'Illian se gli Illianesi si mettevano contro di lui ora che Brend era morto. Ancora non riuscivano a chiamare Brend col suo vero nome, Sammael. L'idea stessa che uno dei Reietti avesse regnato sull'Illian li spaventava ancor più del fatto che ora a regnare ci fosse il Drago Rinato. Dashiva, accasciato in sella al suo grigio come se non avesse mai visto un cavallo, mormorava tra sé con rabbia. Nella Lingua Antica, che parlava e leggeva fluentemente come fosse uno studioso. Rand ne conosceva un po', ma non abbastanza da capire cosa stava dicendo Dashiva. Probabilmente si lamentava per il clima; pur essendo un contadino, non gli piaceva stare all'aperto a meno che il cielo non fosse sgombro. Solo Hopwil cavalcava in silenzio, lo sguardo accigliato e fisso oltre l'orizzonte, i capelli e il mantello che sventolavano all'impazzata come quelli di Dashiva. Di tanto in tanto stringeva inconsciamente l'elsa della spada. Rand dovette parlargli tre volte, e la terza usando un tono brusco, prima che Hopwil trasalisse sorpreso e spronasse il suo grigio allampanato per farlo affiancare a Tai'daishar. Rand osservò Hopwil. Il giovane uomo - non era più un ragazzo, nonostante l'età - si era irrobustito dall'ultima volta che l'aveva visto, ma naso e orecchie sembravano ancora fatti per una persona più grossa. Ora un drago, una spilla d'oro e smalto rosso, si accompagnava alla spada d'argento sull'alto colletto della sua giubba, e anche su quella di Dashiva. Un tempo, Hopwil aveva detto che avrebbe riso di gioia per un anno quando si fosse guadagnato il drago, ma adesso fissava Rand senza sbattere le palpebre come se gli guardasse attraverso. «Le notizie che hai appreso sono buone» gli disse lui. Solo sforzandosi riusciva a non sbriciolare lo Scettro del Drago che stringeva nel pugno.
«Hai fatto un buon lavoro.» Aveva immaginato che i Seanchan sarebbero tornati, ma non così presto. Aveva sperato che non fosse così presto. E non balzando fuori dal nulla, ingoiando intere città in un sol boccone. Quando Rand aveva scoperto che i mercanti di Illian io avevano saputo per giorni prima di informare i Nove - in nome della Luce, non potevano mica perdere un'occasione di guadagnare facendo sapere troppe cose a troppe persone! - era stato a un passo dal bruciare la città fino alle fondamenta. Ma le ultime notizie erano buone, date le circostanze. Hopwil aveva Viaggiato ad Amador, e nella campagna circostante, e gli era sembrato che i Seanchan si fossero fermati ad aspettare. Forse per digerire quello che avevano divorato. Che la Luce li facesse strozzare! Rand si costrinse ad allentare la presa sul manico della lancia con il Drago inciso. «Se quelle di Morr sono buone anche solo la metà, avrò tempo di sistemare le cose in Illian prima di occuparmi di loro.» Avevano preso anche Ebou Dar! Che la Luce folgorasse i Seanchan! Erano una distrazione della quale lui non aveva bisogno e che non poteva permettersi di ignorare. Hopwil non disse nulla, si limitava a guardarlo. «Sei sconvolto perché hai dovuto uccidere delle donne?» Desora, dei Musara Reyn, e Lamelle, dei Miagoma Acqua Fumante, e... Rand soppresse quella litania non appena cominciò a fluttuare nel Vuoto. Nuovi nomi erano comparsi nell'elenco, nomi che lui non ricordava di aver aggiunto. Laigin Arnault, una sorella Rossa morta nel tentativo di farlo prigioniero e portarlo a Tar Valon. Di sicuro non aveva diritto a un posto in quella lista, eppure ne aveva reclamato uno. Colavaere Saighan, che si era impiccata pur di non accettare la giustizia. E altre. Gli uomini erano morti a migliaia, per un suo ordine o per mano sua, ma i volti che infestavano i suoi sogni erano quelli delle donne. Ogni notte, Rand si costringeva ad affrontare la silenziosa accusa dei loro occhi. Forse erano proprio quegli occhi la sensazione che avvertiva da qualche tempo. «Ti ho già parlato di damane e sul'dam» disse Rand con calma, ma dentro di lui la rabbia era un incendio, fuoco che si diramava nel nulla del Vuoto. Che la Luce mi folgori, pensò, ho ucciso più donne io di quante tu potresti contarne in tutti i tuoi incubi! Le mie mani sono nere per il sangue di quelle donne! «Se tu non avessi spazzato via quella pattuglia Seanchan, loro avrebbero ucciso te.» Non disse a Hopwil che se avesse evitato quella pattuglia, avrebbe evitato anche la necessità di uccidere i suoi componenti. Era troppo tardi per quel tipo di discorsi. «Dubito che le damane siano in grado di schermare un uomo. Ti avrebbero semplicemente ucciso. Non a-
vevi scelta.» Ed era meglio che quei Seanchan fossero tutti morti, che nessuno fosse fuggito per riferire di un uomo in grado di incanalare, un uomo cui dare la caccia. Hopwil si toccò distrattamente la manica sinistra, dove il colore nero nascondeva un pezzo di lana bruciata. I Seanchan non erano morti facilmente né in fretta. «Ho ammucchiato i cadaveri in una conca» disse con voce piatta. «I cavalli, tutto il resto. Ho bruciato tutto fino a ridurlo in cenere. Cenere bianca che fluttuava come neve al vento. Non mi ha dato alcun problema.» Rand sentì la bugia nelle sue parole, ma Hopwil doveva imparare. E, dopo tutto, aveva imparato. Gli Asha'man erano ciò che erano, e non ci si poteva far nulla. Proprio nulla. Liah, dei Cosaida Chareen, un nome scritto nel fuoco. Moiraine Damodred, un altro nome che gli incendiava l'anima invece di limitarsi ad ardere. Un'Amica delle Tenebre senza nome, rappresentata solo da un volto, uccisa dalla spada di Rand vicino... «Maestà» disse Gregorin a voce alta, puntando un dito in avanti. Un uomo solitario era uscito dagli alberi alla base della collina più vicina e si era fermato ad aspettarli in una posa di sfida. Aveva con sé un arco, e indossava un elmo a punta d'acciaio e una cotta di maglia cinta in vita che gli arrivava fin quasi alle ginocchia. Rand spronò Tai'daishar per andargli incontro, ribollente di Potere. Saidin poteva proteggerlo dagli uomini. Visto da vicino, quell'uomo non sembrava più così arrogante. Cotta ed elmo erano striati di ruggine e lui era zuppo d'acqua, sporco di fango fino alle cosce, i capelli bagnati che scendevano sul volto stretto. Fece un sordo colpo di tosse, e col dorso di una mano si grattò il lungo naso. La corda dell'arco, però, era ben tesa: almeno quella l'aveva protetta dalla pioggia. E anche le impennature delle frecce nella sua faretra erano asciutte. «Sei tu il capo qui?» gli chiese Rand. «Diciamo che parlo per lui» rispose diffidente l'uomo dal volto stretto. «Perché?» Quando gli altri raggiunsero Rand al galoppo, lui strascicò i piedi e i suoi occhi scuri sembrarono quelli di un tasso chiuso in un angolo. I tassi erano pericolosi, se messi alle strette. «Bada a come parli!» scattò Gregorin. «Hai davanti a te Rand al'Thor, il Drago Rinato, Signore del Mattino e re di Illian! Inginocchiati al cospetto del tuo sovrano! Come ti chiami?» «Questo è il Drago Rinato?» chiese l'altro dubbioso. Osservò Rand dalla testa ai piedi, soffermandosi un attimo sulla fibbia del cinturone, un drago
dorato, poi scosse il capo come se si fosse aspettato qualcuno più adulto, o più grandioso. «Ed è anche il Signore del Mattino, dici? Il nostro re non si è mai vestito a quel modo.» Non accennò a inginocchiarsi, né a dire il suo nome. Gregorin si adombrò per il tono usato da quell'uomo e forse anche per il suo indiretto rifiuto di riconoscere Rand come re. Marcolin annuì appena, come se avesse previsto tutto. Un umido frusciare risuonò nel sottobosco tra gli alberi. Rand lo udì senza difficoltà, e a un tratto sentì che Hopwil era pieno di saidin. Lo sguardo non più perso nel vuoto, Hopwil fissava il limitare della foresta con una luce folle negli occhi. Dashiva, silenzioso e intento a spostare dal viso i capelli scuri, sembrava annoiato. Sporgendosi in avanti dalla sella con espressione furiosa, Gregorin fece per parlare. Fuoco e ghiaccio, ma non ancora morte. «Calma, Gregorin.» Rand non alzò la voce, ma intessé dei flussi che trasportarono le sue parole, Aria e Fuoco, facendole tuonare contro la parete di alberi. «La mia offerta è generosa.» L'uomo dal naso lungo barcollò a quel suono, e il cavallo di Gregorin scalpitò. Gli uomini nascosti tra gli alberi stavano di sicuro sentendo quelle parole. «Deponete le armi, e quelli che vogliono tornare a casa potranno farlo. Quelli che invece vogliono seguirmi mi seguiranno. Ma nessuno andrà via di qui portando con sé le armi a meno che non scelga di seguirmi. So che molti di voi sono brave persone, che hanno risposto alla chiamata del re e del Consiglio dei Nove per difendere l'Illian, ma io sono il vostro re, adesso, e non lascerò a nessuno la possibilità di creare gruppi di banditi.» Marcolin annuì truce. «E cosa ci dici allora dei tuoi fautori del Drago che bruciano le fattorie?» urlò un uomo spaventato nascosto tra gli alberi. «Quelli sì che sono dei maledetti banditi!» «E i tuoi Aiel?» gridò un altro. «Ho saputo che hanno depredato interi villaggi!» Le voci di altri uomini nascosti nel bosco si unirono al coro, e tutti urlavano le stesse cose, fautori del Drago e Aiel, briganti assassini e selvaggi. Rand digrignò i denti. Quando le urla si spensero, il tizio col volto stretto disse: «Vedi?» Si fermò per tossire, poi si raschiò la gola e sputò, forse per pulirsi i polmoni e forse per sottolineare il punto. Era pietoso a vedersi, zuppo e con l'armatura arrugginita, ma la sua spina dorsale era dritta e forte come la corda del suo arco. Ignorò con la stessa facilità lo sguardo torvo di Rand e quello di Gregorin. «Ci chiedi di tornare a casa disarmati, incapaci di difendere noi stessi e le nostre famiglie, mentre la tua gente appicca incendi, ruba e ucci-
de. Si dice che la tempesta stia per arrivare» aggiunse, e per un attimo parve sorpreso di averlo fatto, sorpreso e confuso. «Gli Aiel di cui avete sentito sono miei nemici!» Nessuna fiamma si diramò questa volta, ma solide pareti di furia che si strinsero intorno al vuoto. La voce di Rand, però, era glaciale; ruggiva come il secco crepitare dell'inverno. La tempesta stava per arrivare? In nome della Luce, lui era la tempesta! «I miei Aiel gli danno la caccia. I miei Aiel danno la caccia agli Shaido, e insieme a Davram Bashere e a gran parte dei Compagni danno la caccia ai banditi, in qualsiasi modo questi si facciano chiamare! Io sono il re di Illian, e non permetterò a nessuno di turbare la pace di questa nazione!» «Anche se quello che dici fosse vero...» cominciò faccia-stretta. «Lo è!» scattò Rand. «Avete fino a mezzogiorno per decidere.» L'altro si accigliò, dubbioso; a meno che le nuvole rigonfie non sparissero, avrebbe avuto difficoltà a capire quando era mezzogiorno. Rand non gli diede tregua. «Decidete con saggezza!» disse. Fece girare Tai'daishar e spronò il castrone lanciandolo al galoppo verso il crinale senza aspettare gli altri. Lasciò andare il Potere con riluttanza, si costrinse a non restarvi aggrappato, a non stringere quell'ancora di salvezza con le unghie mentre la vita e la lordura fluivano insieme via da lui. Per un attimo ci vide doppio; il mondo parve inclinarsi vertiginosamente. Questo problema era recente, e Rand temeva fosse parte della malattia che uccideva gli uomini in grado di incanalare, ma lo stordimento non durava mai più di pochi attimi. Erano altri i motivi che gli facevano rimpiangere l'assenza di saidin. Il mondo che pareva offuscarsi. No, si offuscava davvero, e diventava per certi versi meno reale. I colori erano slavati e il cielo più piccolo rispetto a come lo vedeva prima. Rand voleva disperatamente afferrare di nuovo la Fonte e strapparne via l'Unico Potere. Era sempre così, quando il Potere lo lasciava. Non appena saidin fu svanito, tuttavia, la rabbia ribollì al suo posto, una rabbia al calore bianco, incandescente quasi quanto il Potere stesso. I Seanchan non erano abbastanza, adesso c'erano anche questi banditi che si nascondevano dietro il suo nome? Distrazioni letali che lui non si poteva permettere. Era opera di Sammael, che si affacciava dalla tomba? Aveva seminato Shaido perché spuntassero come rovi ovunque Rand poggiava la mano? Perché? Era impossibile che Sammael avesse davvero creduto di poter morire. E se metà delle storie che Rand aveva sentito erano vere, c'erano Shaido anche nel Murandy, in Altara e la Luce sapeva dove! Molti di
quelli presi prigionieri avevano parlato di un'Aes Sedai. Possibile che la Torre Bianca fosse in qualche modo coinvolta? La Torre Bianca non gli avrebbe mai dato pace? Mai? Mai. Impegnato a combattere la furia, ignorò Gregorin e gli altri che lo seguivano. Quando arrivarono in cima all'altura tra i nobili che lo aspettavano, Rand tirò le redini così bruscamente che Tai'daishar si impennò, scalciando l'aria con le zampe anteriori e schizzando fango dagli zoccoli. I nobili fecero arretrare i loro cavalli, allontanandosi dal castrone, allontanandosi da lui. «Gli ho lasciato tempo fino a mezzogiorno» annunciò Rand. «Teneteli d'occhio. Non voglio che si dividano in cinquanta gruppi più piccoli e fuggano via. Sarò nella mia tenda.» Se non fosse stato per i mantelli mossi dal vento, i nobili sarebbero parsi di pietra, inchiodati sul posto come se avesse ordinato a loro stessi di fare la guardia. In quel momento, a Rand non importava nulla di loro, potevano anche restare lì fino a congelare o a squagliarsi. Senza dire altro discese al trotto l'altro versante del crinale, seguito dai due Asha'man in giubba nera e dai portabandiera illianesi. Fuoco e ghiaccio, e morte a venire. Ma lui era acciaio. Era acciaio. 14
Un messaggio del M'Hael Un chilometro e mezzo a ovest dell'altura cominciavano gli accampamenti, uomini, cavalli e fuochi per cucinare, bandiere agitate dal vento e tende sparse raggruppate per nazionalità, per casata, ogni accampamento un lago di fango smosso separato dagli altri da distese d'erba e cespugli. Gli uomini a cavallo e a piedi guardavano passare le fluenti bandiere di Rand, e scrutavano gli altri accampamenti per valutarne le reazioni. Quando c'erano stati anche gli Aiel, quegli uomini si erano uniti in un unico, immenso accampamento, spinti insieme da una delle poche cose che condividevano. Loro non erano Aiel, e li temevano per quanto si sforzassero di negarlo. Il mondo sarebbe finito se Rand non aveva successo, ma lui
non si faceva illusione che quegli uomini gli fossero fedeli, sapeva che erano convinti di poter costringere il mondo stesso a piegarsi alle loro preoccupazioni, al loro desiderio d'oro, di gloria o di potere. Forse una manciata gli era davvero fedele, appena una manciata, ma per lo più seguivano la sua causa perché lo temevano ancor più degli Aiel. Forse più del Tenebroso, nel quale alcuni di loro non credevano davvero, non in fondo al cuore, non credevano che potesse o volesse toccare il mondo più duramente di quanto aveva già fatto. Rand era davanti ai loro occhi, e loro credevano in questo. Lui ormai lo accettava. Aveva troppe battaglie da combattere per sprecare le forze in una che non poteva vincere. Finché lo seguivano e gli obbedivano, doveva accontentarsi. Il più grande degli accampamenti era il suo, dove i Compagni illianesi con le giubbe verdi dai risvolti gialli stavano spalla a spalla coi Difensori della Pietra tarenesi con le giubbe a strisce nere e d'oro dalle maniche a sbuffo e con un egual numero di Cairhienesi presi da circa una quarantina di casate, vestiti con colori scuri, alcuni con il rigido con sopra la testa. Cucinavano su fuochi diversi, dormivano in posti diversi, legavano i cavalli a picchetti diversi e si guardavano con diffidenza, ma restavano lì. La salvezza del Drago Rinato era loro responsabilità, e prendevano sul serio questo dovere. Chiunque di loro avrebbe potuto tradirlo, ma non mentre gli altri lo guardavano. Odi antichi e nuovi dissapori avrebbero sventato qualsiasi piano di tradimento prima ancora che il traditore avesse finito di architettarlo. Un anello di acciaio faceva la guardia alla tenda di Rand, un immenso padiglione a punta fatto di seta verde e tutto decorato con api in filo d'oro. Era appartenuto al suo predecessore, Mattin Stepaneos, e gli era arrivato insieme alla corona, per così dire. I Compagni con gli elmi conici bruniti stavano fianco a fianco con i Difensori con gli elmi bordati e cinti da una cresta e coi Cairhienesi dagli elmi a forma di campana e tutti ignoravano il vento, i lineamenti nascosti dalle visiere a sbarre, le alabarde piegate tutte alla stessa angolazione. Nessuno si mosse quando Rand fece fermare il cavallo, ma uno stormo di servitori arrivò di corsa per occuparsi di lui e degli Asha'man. Una donna ossuta con la veste verde e gialla degli stallieri del palazzo reale di Illian gli prese le briglie, mentre a tenere la staffa c'era un tizio dal naso grosso con la livrea nera e dorata della Pietra di Tear. Lo salutarono con deferenza, e si scambiarono un'unica occhiata tagliente. Boreane Carivin, una donna bassa, pallida e tarchiata con addosso un vestito scuro, gli offrì con solennità un vassoio di panni umidi che fumavano va-
pore. Cairhienese, teneva d'occhio gli altri due, anche se lo faceva per assicurarsi che svolgessero degnamente i loro compiti e non con l'animosità che loro stentavano a celare. Ma anche lei mostrava una certa diffidenza. Quello che funzionava coi soldati funzionava anche con la servitù. Togliendosi i guanti, Rand rifiutò il vassoio di Boreane con un cenno della mano. Damer Flinn si era alzato da una panca decorata di incisioni davanti alla sua tenda quando lui era sceso da cavallo. Calvo a eccezione di un'irregolare frangia di capelli bianchi, Flinn sembrava più un nonno che un Asha'man. Un nonno coriaceo come cuoio e con una gamba rigida, che aveva visto il mondo ben al di là della sua fattoria. La spada al suo fianco sembrava naturale, ed era ovvio trattandosi di un ex soldato della Guardia della regina. Rand si fidava di lui più che di tanti altri. Dopo tutto, quell'uomo gli aveva salvato la vita. Flinn lo salutò portandosi un pugno al petto, e quando Rand ricambiò con un cenno del capo zoppicò verso di lui e aspettò che gli stallieri andassero via con i cavalli prima di parlare a bassa voce. «C'è Torval. È stato mandato qui dal M'Hael, dice. Ha deciso di aspettarti nella tenda del consiglio. Ho chiesto a Narishma di tenerlo d'occhi.» Quello era stato un ordine di Rand, anche se non era sicuro del perché l'aveva dato: nessuno di quelli che venivano dalla Torre Nera doveva restare solo. Esitando, Flinn sfiorò con le dita il drago che portava sul colletto nero. «Non è stato felice di sapere che ci hai promossi tutti.» «Ah, davvero?» disse piano Rand, infilandosi i guanti dietro il cinturone. E poiché Flinn sembrava ancora incerto, aggiunse: «Ve lo siete meritato, uno per uno.» Aveva pensato di mandare un Asha'man per comunicarlo a Taim - il Condottiero, il M'Hael, come lo chiamavano gli Asha'man - ma adesso il messaggio poteva portarglielo Torval. Nella tenda del consiglio? «Fai mandare dei rinfreschi» disse a Flinn, poi fece cenno a Hopwil e Dashiva perché lo seguissero. Flinn ripeté il saluto, ma Rand si era già avviato, con gli stivali neri che sguazzavano nel fango. Nessuna acclamazione si levò per lui nel vento furioso. Eppure Rand ricordava un tempo in cui veniva accolto da urla di giubilo. Se non era una delle memorie di Lews Therin. Posto che Lews Therin fosse mai stato reale. Un lampo di colore appena fuori dalla visuale, la sensazione di qualcuno che stesse per sfiorarlo da dietro. Con uno sforzo, Rand si concentrò sul presente. La tenda del consiglio era un padiglione largo a strisce rosse che un tempo sorgeva sulla Piana di Maredo e che adesso era al centro dell'ac-
campamento di Rand, con intorno trenta passi di terreno spoglio. Non c'erano mai sentinelle lì, se non quando Rand si incontrava con i nobili. Chiunque avesse provato a infilarsi in quella tenda sarebbe stato visto immediatamente da un migliaio di occhi curiosi. Intorno al padiglione c'erano tre stendardi su alti sostegni disposti a triangolo, il sole nascente di Cairhien, le tre mezzelune di Tear e le api d'oro di Illian, e sul tetto cremisi del padiglione, più in alto di tutte le altre, spiccavano la bandiera del Drago e la bandiera della Luce. Il vento le teneva tese, le faceva ondeggiare e schioccare, e le pareti della tenda tremavano sotto le raffiche. Dentro, il pavimento era fatto di variopinti tappeti con le frange, e l'unico pezzo di arredamento era un tavolo immenso, con ricche dorature e incisioni. Un disordinato mucchio di mappe quasi ne nascondeva il ripiano. Torval sollevò il capo dalle mappe, chiaramente pronto a far assaggiare il lato tagliente della sua lingua a chiunque aveva osato interromperlo. Prossimo alla mezza età e più alto di tutti tranne Rand e gli Aiel, era solito fissare freddamente gli altri dall'alto di un naso appuntito che praticamente vibrava di indignazione. Le spille del drago e della spada splendevano sul suo colletto alla luce delle lampade appese ai loro alti sostegni. La giubba era in lucente seta nera, di taglio abbastanza elegante da poter appartenere a un lord. La spada vera e propria che portava in vita aveva incastonature dorate e sull'elsa scintillava una gemma rossa. Un'altra splendeva scura su un anello. Non era possibile addestrare degli uomini per trasformarli in armi senza aspettarsi un minimo di arroganza, eppure a Rand Torval non piaceva. Ma d'altronde non aveva certo bisogno della voce di Lews Therin per sospettare di qualsiasi uomo con la giubba nera. Fino a che punto si fidava anche di Flinn? Eppure doveva guidarli. Gli Asha'man erano una sua creazione, una sua responsabilità. Quando Torval vide Rand, si raddrizzò con disinvoltura e lo salutò, ma la sua espressione cambiò ben poco. Aveva un'aria di derisione anche la prima volta che Rand l'aveva visto. «Mio lord Drago» disse con l'accento di Tarabon, e sembrava stesse dando il benvenuto a un suo pari. O che fosse gentile con un suo sottoposto. L'inchino arrogante si estese anche a Hopwil e Dashiva. «Mi congratulo per la conquista dell'Illian. Una grande vittoria, eh? Avrei potuto accoglierti con del vino, ma a quanto pare questo giovane... Dedicato... non capisce gli ordini.» In un angolo, le campanelle d'argento alla fine delle due lunghe trecce scure di Narishma fecero un debole suono quando lui strusciò i piedi. Si era scurito molto sotto il sole meridionale, ma per altri versi non era affatto
cambiato. Più adulto di Rand, il volto lo faceva sembrare più piccolo di Hopwil, ma il rosso che si accese sulle sue guance era dovuto alla rabbia non all'imbarazzo. L'orgoglio che provava per la spilla con la spada che si era appena conquistato era silenzioso ma profondo. Torval gli sorrise, un lento sorriso che era sia divertito che pericoloso. Dashiva rise, un breve latrato, poi rimase zitto e immobile. «Che ci fai qui, Torval?» chiese rudemente Rand. Lanciò lo Scettro del Drago e i guanti sopra le mappe, poi anche il cinturone e la spada nel fodero atterrarono sulle mappe. Le mappe che Torval non aveva alcun motivo di studiare. Non c'era nessun bisogno della voce di Lews Therin. Stringendosi nelle spalle, Torval estrasse una lettera da una tasca della giubba e la consegnò a Rand. «Il M'Hael, è lui che te la manda.» La carta era bianca come neve e spessa, per sigillo c'era un drago impresso in un grande ovale di cera blu che riluceva di scaglie dorate. La si poteva quasi scambiare per una lettera del Drago Rinato in persona. Taim aveva una grande opinione di sé stesso. «Il M'Hael mi ha chiesto di dirti che le storie sulle Aes Sedai che entrano nel Murandy con un esercito, ebbene, sono vere. A quanto pare si sono ribellate contro Tar Valon,» il sogghigno di Torval si gonfiò di incredulità «ma stanno marciando verso la Torre Nera. Tra breve potrebbero diventare un pericolo, no?» Rand sbriciolò tra le dita il pomposo sigillo. «Stanno andando a Caemlyn, non verso la Torre Nera, e non sono una minaccia. I miei ordini erano chiari. Lasciate stare le Aes Sedai a meno che non siano loro ad attaccare.» «Ma come fai a essere sicuro che non siano una minaccia?» insisté Torval. «Forse stanno andando a Caemlyn, come dici, ma se ti sbagli lo sapremo solo quando ci avranno già attaccati.» «Torval potrebbe aver ragione» intervenne Dashiva con voce pensosa. «Io non mi fiderei di donne che mi hanno messo in una cassa, e quelle non hanno nemmeno prestato giuramento. Oppure sì?» «Ho detto di lasciarle stare!» Rand batté una mano sul tavolo, forte, e Hopwil saltò per la sorpresa. Dashiva si accigliò irritato prima di assumere in tutta fretta un'espressione più serena, ma a Rand non interessavano gli stati umorali di Dashiva. Per caso - era sicuro che fosse per caso - la mano gli era finita sullo Scettro del Drago. Il braccio gli tremava per il desiderio di impugnare quella lancia e conficcarla nel cuore di Torval. Non c'era davvero nessun bisogno di Lews Therin. «Gli Asha'man sono un'arma da puntare dove decido io, non devono svolazzare in giro come galline ogni
volta che Taim si spaventa per una manciata di Aes Sedai che cenano nella stessa locanda. Se devo, tornerò indietro a chiarirmi meglio.» «Sono sicuro che non sia necessario» disse subito Torval. Almeno qualcosa aveva spazzato via quella piega beffarda dalla sua bocca. Con gli occhi tesi, allargò le mani quasi con timidezza, come a chiedere scusa. E chiaramente spaventato. «Il M'Hael, lui voleva solo che tu fossi informato. I tuoi ordini vengono letti a gran voce ogni giorno nelle Direttive del Mattino, dopo il Credo.» «Va bene, allora.» Rand parò con voce fredda e riuscì a non accigliarsi solo con un grande sforzo. Torval aveva paura del suo prezioso M'Hael, non del Drago Rinato. Temeva che Taim potesse aversene a male se qualcosa che Torval aveva detto avesse scatenato contro di lui l'ira di Rand. «Perché ucciderò chiunque di voi si avvicinerà a quelle donne nel Murandy. Voi colpite dove dico io.» Torval fece un rigido inchino, mormorando: «Come desideri, mio lord Drago.» Snudò i denti in un tentativo di sorriso, ma era teso in volto e si sforzava di evitare gli sguardi di tutti gli altri senza però darlo a vedere. Dashiva abbaiò un'altra risata e sul volto di Hopwil si disegnò un lieve sogghigno. Narishma non stava godendo del disagio di Torval, però, né vi faceva caso. Guardava Rand senza sbattere le palpebre, come se riuscisse a percepire correnti profonde che agli altri sfuggivano. La maggior parte delle donne e non pochi uomini lo ritenevano solo un bel ragazzo, ma quegli occhi troppo grandi a volte parevano capire più di chiunque altro. Rand tirò via la mano dallo Scettro del Drago e lisciò la lettera. Le dita non gli tremavano quasi per niente. Torval aveva un sorriso debole e amaro, e non si era accorto di niente. Appoggiato alla parete della tenda, Narishma cambiò posizione, rilassandosi. I rinfreschi arrivarono in quel momento, portati da una sontuosa processione guidata da Boreane, una fila di Illianesi, Cairhienesi e Tarenesi con le loro diverse livree. Per ogni tipo di vino c'era un servitore con un vassoio e una brocca d'argento, più altri due con vassoi e boccali anch'essi d'argento per le bevande calde e speziate ed eleganti calici per il vino. Un uomo dal volto rosato con la livrea verde e gialla reggeva un piatto sul quale effettuare la mescita, e una donna scura di pelle con la livrea nera e dorata era lì appunto per versare dalle varie brocche. C'erano noci e frutta candita, formaggio e olive, e ognuno di questi alimenti aveva il suo apposito servitore. Sotto il comando di Boreane, uomini e donne fluirono in una danza
formale, tra inchini e riverenze, facendo spazio uno all'altro mentre porgevano le loro offerte. Dopo aver preso del vino speziato, Rand si issò sul bordo del tavolo e poggiò accanto a sé il boccale fumante ancora pieno per occuparsi della lettera. Non c'era indirizzo, nessun tipo di preambolo. Taim odiava rivolgersi a Rand con qualsiasi tipo di titolo onorifico, anche se cercava di nasconderlo. Ho l'onore di riferire che ventinove Asha'man, novantasette Dedicati e trecentoventidue Soldati sono attualmente arruolati nella Torre Nera. C'è stata, purtroppo, una manciata di disertori, i cui nomi sono stati segnati, ma le perdite dovute all'addestramento rimangono accettabili. Adesso ho almeno cinquanta squadre di reclutamento sul campo, col risultato che ogni giorno vengono aggiunti ai ranghi tre o quattro uomini. Tra pochi mesi la Torre Nera eguaglierà la Bianca, come avevo previsto. Entro un anno, a Tar Valon tremeranno per il nostro numero. Mi sono occupato io stesso di quel cespuglio di more. Un rovo piccolo, e spinoso, ma il raccolto è stato sorprendentemente buono per quelle dimensioni. Mazrim Taim M'Hael Rand fece una smorfia e cancellò dalla propria mente il... cespuglio di more. Quello che era necessario andava fatto. Il mondo intero pagava un prezzo per la sua esistenza. Alla fine lui ne sarebbe morto, ma era il mondo intero a pagare. C'erano altre cose per le quali fare smorfie, in ogni caso. Tre o quattro nuovi uomini al giorno? Taim era ottimista. Di quel passo entro pochi mesi gli uomini in grado di incanalare sarebbero stati più delle Aes Sedai, certo, ma anche la sorella più inesperta aveva anni di addestramento alle spalle. E parte di quell'addestramento le insegnava specificamente a vedersela con un uomo in grado di incanalare. Rand preferiva non pensare a un incontro tra Asha'man e Aes Sedai in cui entrambe le parti sapessero chi avevano di fronte: sangue e rimorsi potevano essere l'unico risultato possibile, qualsiasi cosa accadesse. Gli Asha'man non erano puntati contro la Torre Bianca,
tuttavia, e non importava come la pensava Taim. Era comodo lasciare che altri lo credessero, però, se poteva servire a togliere sicurezza a Tar Valon. Un Asha'man aveva bisogno solo di imparare a uccidere. Se ce n'erano abbastanza per farlo al posto giusto e nel momento giusto, se vivevano abbastanza per farlo, allora avrebbero esaudito lo scopo per cui erano stati creati. «Quanti sono i disertori, Torval?» chiese Rand a voce bassa. Raccolse il boccale di vino e prese un sorso, come se la risposta fosse irrilevante. Il vino avrebbe dovuto essere corroborante, ma lo zenzero, il serrel dolce e il macis avevano un sapore amaro nella sua bocca. «E le perdite dovute all'addestramento?» Torval si stava riprendendo ed era concentrato sui rinfreschi, si strofinava le mani e inarcava le sopracciglia per la scelta dei vini, dando mostra di conoscere i migliori, manifestando gran padronanza. Dashiva aveva accettato il primo vino che gli era stato offerto, e se ne stava a guardare torvo il calice dal gambo ritorto come se contenesse pastone per maiali. Puntando verso uno dei vassoi, Torval piegò la testa di lato con fare pensoso, ma aveva già la risposta pronta. «Diciannove disertori, finora. Il M'Hael, lui ci ha ordinato di ucciderli appena li troviamo e di riportare indietro la testa come esempio.» Dopo aver preso uno spicchio di pera glassata dal vassoio che gli veniva porto, se lo infilò in bocca e fece un sorriso brillante. «In questo momento, tre teste pendono come frutti sull'Albero del Traditore.» «Bene» disse Rand senza alcuna inflessione. Gli uomini che fuggivano adesso potevano farlo anche in seguito, quando dal loro comportamento sarebbero dipese le vite degli altri. E a questi uomini non poteva esser concesso di andare per la loro strada; se quei tizi sulle colline fossero fuggiti tutti insieme sarebbero comunque stati meno pericolosi di un solo uomo addestrato alla Torre Nera. L'Albero del Traditore? Taim era davvero portato per dare nomi alle cose. Ma gli uomini avevano bisogno di simboli e nomi, spille e giubbe nere, per restare insieme. Finché non fosse giunto per loro il tempo di morire. «La prossima volta che vengo in visita alla Torre Nera, voglio vedere le teste di tutti i disertori.» Un secondo pezzo di pera, a metà strada dalla bocca di Torval, cadde dalle sue dita e macchiò il davanti della bella giubba. «Quel tipo di sforzo potrebbe interferire col reclutamento» disse lentamente Torval. «I disertori non è che si denunciano da soli.» Rand lo guardò fisso finché l'altro non chinò il capo. «Quante sono le perdite dovute all'addestramento?» chiese poi. L'Asha'man dal naso appun-
tito esitò. «Quante?» Narishma si sporse in avanti, fissando Torval. E lo stesso fece Hopwil. I servitori continuavano la loro danza silenziosa ed elegante, porgendo vassoi a uomini che neanche li vedevano più. Boreane approfittò della preoccupazione di Narishma per accertarsi che il suo boccale contenesse più acqua calda che vino speziato. Torval si strinse nelle spalle, con troppa disinvoltura. «Cinquantuno, in tutto. Tredici con la capacità di incanalare ormai bruciata, e ventotto morti sul posto. Gli altri... Il M'Hael, lui aggiunge qualcosa al loro vino e così non si svegliano più.» A un tratto il suo tono divenne malevolo. «Può succedere all'improvviso, in qualsiasi momento. Un uomo cominciò a urlare che i ragni gli strisciavano sotto la pelle già al secondo giorno di addestramento.» Rivolse un sorriso crudele a Narishma e a Hopwil, e quasi lo estese a Rand, ma fu agli altri due che parlò, spostando lo sguardo da uno all'altro. «Capite? Non dovete più preoccuparvi di scivolare nella follia. Non farete male a voi stessi né ad anima viva. Andate a dormire... per sempre. È più gentile che essere domati, se anche sapessimo come farlo. Più gentile che lasciarvi pazzi e tagliati fuori dalla Fonte, no?» Narishma ricambiò lo sguardo, teso come una corda d'arpa, il boccale dimenticato tra le mani. Hopwil aveva ripreso a fissare accigliato qualcosa che solo lui poteva vedere. «Più gentile» disse Rand con voce piatta, posando di nuovo il boccale sul tavolo accanto a sé. Qualcosa nel vino. La mia anima è nera di sangue, e dannata. Non era un pensiero duro, né spigoloso o tagliente: una semplice constatazione. «Una grazia che ogni uomo dovrebbe augurarsi, Torval.» Il sorriso malvagio svanì dal volto di Torval, che rimase col fiato mozzato. I calcoli erano semplici: un uomo su dieci distrutto, uno su cinquanta pazzo, e altri che ancora arrivavano. Era solo l'inizio, e prima di morire non c'era modo di sapere se avevi superato le probabilità. Solo che alla fine, in un modo o nell'altro, le probabilità avrebbero superato te. Se non altro, anche Torval era esposto a quella stessa minaccia. A un tratto Rand divenne consapevole di Boreane. Gli ci volle un istante prima di riconoscere l'espressione sul suo volto, e poi dovette trattenersi per non parlarle con freddezza. Come osava provare pietà! Pensava che a Tarmon Gai'don si potesse vincere senza spargimenti di sangue? Le Profezie del Drago esigevano che il sangue piovesse! «Lasciaci soli» le disse, e lei chiamò silenziosamente a sé i servitori. Ma aveva ancora quell'aria di compassione quando li guidò fuori dalla tenda.
Guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa che gli facesse cambiare umore, Rand non trovò nulla. La pietà rendeva deboli quanto la paura, e loro dovevano essere forti. Per affrontare ciò che li aspettava, dovevano diventare tutti d'acciaio. La sua creazione, la sua responsabilità. Perso nei propri pensieri, Narishma scrutava nel vapore che saliva dal suo vino, e Hopwil sembrava ancora intento a guardare attraverso la parete della tenda. Torval lanciava occhiate furtive a Rand e cercava di far tornare la piega sprezzante sulla sua bocca. Solo Dashiva pareva indifferente, e se ne stava a braccia conserte a studiare Torval come fosse un cavallo in vendita. In quel silenzio che si protraeva dolorosamente arrivò di corsa un ragazzo robusto e frustato dal vento, vestito di nero e con la spada e il drago sul colletto. Della stessa età di Hopwil, non ancora abbastanza adulto per potersi sposare nella maggior parte delle città, Fedwin Morr aveva addosso un'aria di intensità che si teneva più stretta della sua camicia; camminava in punta di piedi, e aveva gli occhi di un gatto a caccia che sapeva però di essere a sua volta cacciato. Era stato diverso, in passato, non molto tempo addietro. «Presto i Seanchan si sposteranno da Ebou Dar» disse mentre faceva il saluto. «Hanno intenzione di muoversi contro l'Illian.» Hopwil trasalì ansimando, strappato via dai suoi foschi pensieri. Ancora una volta, la reazione di Dashiva fu una risata, questa volta priva di allegria. Annuendo, Rand raccolse lo Scettro del Drago. Dopo tutto, lo portava per ricordo. I Seanchan danzavano seguendo la loro melodia, non la canzone che lui avrebbe voluto imporre. Se Rand aveva accolto in silenzio quella notizia, lo stesso non fu per Torval. Dopo aver ritrovato il suo sogghigno, inarcò sprezzante un sopracciglio. «Te le hanno raccontate loro tutte queste cose, vero?» chiese con fare derisorio. «O hai imparato a leggere nel pensiero? Lascia che ti dica una cosa, ragazzo. Io ho combattuto, sia contro l'Amadicia che contro l'Arad Doman, e nessun esercito prende una città per poi fare armi e bagagli, pronto a marciare per un migliaio di chilometri! Più di un migliaio! O credi che possano Viaggiare?» Morr reagì con calma al sarcasmo di Torval. O, se ne era stato disturbato, l'unico modo in cui lo diede a vedere fu passando il pollice lungo l'elsa della sua spada. «Ho parlato con alcuni di loro. Per lo più erano Tarabonesi, e altri arrivano via nave ogni giorno, o quasi.» Passando accanto a Torval diretto verso il tavolo, rivolse al Tarabonese uno sguardo inespressivo. «Tutti scattano sull'attenti non appena qualcuno con l'accento strascicato
apre bocca.» Torval aprì la sua, infuriato, ma Morr proseguì in fretta, rivolto a Rand. «Stanno disponendo i soldati lungo i Monti Venir. Cinquecento, o anche mille per volta. Sono già arrivati fino a Capo Arran. E comprano o prendono tutti i carri che trovano nel raggio di una ventina di leghe da Ebou Dar, compresi gli animali per trainarli.» «Carri!» esclamò Torval. «Calessi! Non è che vogliono tenere una bella fiera, per caso? E quale idiota farebbe marciare un esercito tra le montagne quando può usare delle strade più che buone?» Si accorse che Rand lo stava osservando, e si interruppe accigliandosi lievemente, all'improvviso non più così sicuro. «Ti avevo chiesto di restare nascosto, Morr.» Rand lasciò che la rabbia trasparisse dalla sua voce. Il giovane Asha'man dovette arretrare quando lui balzò giù dal tavolo. «Non di andare a interrogare i Seanchan sui loro piani. Dovevi osservare e restare nascosto.» «Sono stato attento; non indossavo le spille.» Gli occhi di Morr non cambiarono al cospetto di quelli di Rand, sempre predatore e preda insieme. Sembrava che ribollisse dall'interno. Se non avesse visto chiaramente che non era così, Rand avrebbe creduto che il ragazzo stava afferrando il Potere, e si sforzava di sopravvivere a saidin anche mentre ne riceveva una vitalità dieci volte maggiore di quella normale. Sembrava quasi che dovesse sudare. «Se qualcuno degli uomini coi quali ho parlato sapeva dove sono diretti non me l'ha detto, né io l'ho chiesto, ma con un boccale di birra in mano erano tutti pronti a lamentarsi per le marce continue senza alcuna sosta. A Ebou Dar, stavano prosciugando tutta la birra della città quanto più in fretta possibile, perché avevano saputo di dover riprendere a marciare. E raccoglievano i carri, come ho detto.» Venne fuori tutto d'un fiato, e Morr chiuse di scatto la bocca alla fine, come a stringere tra i denti altre parole che volevano volar via dalla sua lingua. All'improvviso sorridente, Rand gli diede una pacca su una spalla. «Hai fatto un buon lavoro. Sapere dei carri sarebbe stato sufficiente, ma hai fatto un buon lavoro. I carri sono importanti» aggiunse, girandosi verso Torval. «Se un esercito trae le sue risorse dal paese che attraversa, mangia ciò che trova. O non mangia, quando non trova niente.» Torval non aveva battuto ciglio sentendo parlare dei Seanchan a Ebou Dar. Se la notizia era già arrivata alla Torre Nera, perché Taim non gliene aveva accennato? Rand si augurò che il suo sorriso non sembrasse un ringhio. «Organizzare delle carovane di provviste è più difficile, ma ci si assicura che ci sia foraggio per gli animali e cibo per gli uomini. I Seanchan organizzano sempre tutto.»
Rovistando tra le mappe, trovò quella che gli serviva e la spianò, fermandola da una parte con la sua spada e dall'altra con lo Scettro del Drago. La costa tra l'Illian ed Ebou Dar lo salutò dalla mappa, bordata per quasi tutta la sua lunghezza da colline e montagne, punteggiata da villaggi di pescatori e piccoli paesi. I Seanchan erano davvero organizzati. Avevano preso Ebou Dar da poco più di una settimana, ma gli occhi e le orecchie dei mercanti scrivevano che già erano cominciati i lavori per riparare i danni causati alla città durante la cattura, scrivevano di linde case di cura organizzate per i malati, di cibo e lavoro distribuiti ai poveri e a chi aveva lasciato casa per i problemi nell'entroterra. Le strade e la campagna intorno alla città erano pattugliate, così nessuno doveva preoccuparsi per banditi e tagliaborse, di notte o di giorno, e mentre i mercanti erano i benvenuti il contrabbando era stato ridotto al minimo quando non del tutto debellato. Cosa che aveva sorprendentemente rattristato gli onesti mercanti illianesi. Cosa stavano organizzando adesso i Seanchan? Gli altri si raccolsero intorno al tavolo mentre Rand scrutava la mappa. C'erano poche vie lungo la costa, misere stradine segnate più o meno come i percorsi per i carri. Le grandi vie del commercio erano tutte nell'entroterra, per evitare i terreni peggiori e le peggiori sorprese che il Mare delle Tempeste poteva offrire. «Da quelle montagne gli uomini possono rendere la vita difficile a chiunque provi a usare le strade dell'entroterra» disse infine Rand. «Controllando le montagne, rendono le vie sicure come quelle della città. Hai ragione, Morr. Stanno per arrivare in Illian.» Poggiandosi sui pugni, Torval guardò in cagnesco Morr, che aveva avuto ragione dove lui aveva avuto torto. Un peccato grave, forse, secondo il suo giudizio. «Ciò nonostante, passeranno settimane prima che possano venire a infastidirti fin qui» disse con astio. «Un centinaio, cinquanta Asha'man piazzati a Illian potrebbero distruggere qualsiasi esercito di questo mondo prima che anche un sol uomo attraversi i cancelli della città.» «Dubito che un esercito di damane sia facile da sconfiggere come degli Aiel lanciati all'attacco e colti di sorpresa» disse piano Rand, e Torval si irrigidì. «Inoltre, io devo difendere tutto l'Illian, non solo la capitale.» Ignorando Torval, Rand tracciò con un dito delle linee lungo la mappa. Tra Capo Arran e la città di Illian c'erano un centinaio di leghe d'acqua, attraverso la bocca della Fossa di Kabal, dove i capitani delle navi Illianesi dicevano che le sonde non raggiungevano il fondo ad appena un paio di chilometri dalla spiaggia. Le onde in quel tratto potevano capovolgere navi intere prima di spingersi verso nord e abbattersi sulla costa con frangenti
alti fino a cinque metri. E con quel clima le condizioni sarebbero state anche peggiori. Aggirando la Fossa, bisognava marciare per duecento leghe prima di arrivare in città, anche scegliendo la via più corta, ma se i Seanchan si spingevano da Capo Arran potevano raggiungere il confine in due settimane nonostante le tempeste. Forse anche in meno tempo. Era meglio che fosse lui, e non loro, a scegliere dove combattere. Il dito scivolò lungo la costa meridionale dell'Altara, lungo la catena del Venir, fin dove le montagne non si riducevano a colline, prima di Ebou Dar. Cinquecento, anche mille soldati per volta. Un allettante filo di perle lasciato tra le montagne. Un bel colpo secco li avrebbe rispediti tutti a Ebou Dar, o poteva persino incastrarli tra quei monti mentre ancora cercavano di capire cosa lui avesse in mente. Oppure... «C'è dell'altro» disse a un tratto Morr, di nuovo tutto d'un fiato. «Ho sentito parlare di una qualche arma delle Aes Sedai. Ho trovato il posto in cui era stata usata, pochi chilometri dalla città. Il terreno era tutto bruciato, completamente spoglio al centro per un diametro di almeno trecento passi, e i frutteti tutto intorno erano distrutti. La sabbia si era fusa in lastre di vetro. Saidin era peggio, laggiù.» Torval congedò le sue parole con il cenno di una mano. «Forse c'erano delle Aes Sedai nei paraggi quando la città è caduta, no? O forse sono stati gli stessi Seanchan. Una sorella con un angreal potrebbe...» Rand lo interruppe. «Che significa che saidin era peggio laggiù?» Dashiva si mosse, guardando Morr in modo strano, si sporse come a volerlo afferrare. Rand lo respinse bruscamente. «Che significa, Morr?» Morr sgranò gli occhi, serrò forte le labbra, continuando a passare il pollice lungo l'elsa della sua spada. Il caldo che ribolliva dentro di lui sembrava pronto a esplodere. E adesso il suo volto era davvero imperlato di sudore. «Saidin era... strano» disse con voce roca. Le parole vennero fuori in rapidi scoppi. «Laggiù era peggio - riuscivo a... sentirlo... nell'aria tutto intorno - ma era strano ovunque nei pressi di Ebou Dar. E anche a un centinaio di chilometri di distanza. Ho dovuto combatterlo; non come sempre; era diverso. Come se fosse vivo. A volte... A volte non faceva quello che volevo io. A volte... faceva altre cose. È vero. Non sono pazzo! È vero!» Il vento soffiò forte, ululando per un istante, facendo tremare e schioccare le pareti della tenda, e Morr si zittì. Le campanelline di Narishma trillarono quando lui mosse di scatto la testa, poi si fermarono. «Questo è impossibile» mormorò Dashiva nel silenzio, ma quasi parlando tra sé. «Non è possibile.»
«Chi può dire cosa è possibile?» ribatté Rand. «Io no! E tu?» Dashiva alzò la testa, sorpreso, ma Rand si rivolse a Morr, moderando il tono. «Non ti preoccupare, amico.» Non un tono pacato - questo non gli sarebbe riuscito - ma almeno rassicurante, o così si augurò lui. Una sua creatura, una sua responsabilità. «Sarai con me nell'Ultima Battaglia. Te lo prometto.» Il ragazzo annuì e si grattò il volto con una mano quasi meravigliato di trovarlo umido, ma guardò Torval, che se ne stava zitto e immobile come una statua. Morr sapeva del vino? Era davvero una grazia, considerando le alternative. Una grazia piccola e amara. Rand riprese la lettera di Taim, piegò il foglio e se lo infilò in una tasca della giubba. Uno su cinque già impazziti, e altri ancora da venire. Morr era il prossimo? Dashiva ci andava sicuramente vicino. Gli sguardi fissi di Hopwil avevano assunto un nuovo significato, e anche il consueto silenzio di Narishma. Essere pazzo non significava sempre urlare e vedere i ragni. Un tempo Rand aveva chiesto, con cautela e sapendo che la risposta sarebbe stata veritiera, come ripulire saidin dalla contaminazione. E per risposta aveva ricevuto un indovinello. Herid Fel aveva dichiarato che l'indovinello recitava «sani principi, sia dell'alta filosofia che della filosofia naturale», ma non aveva trovato alcun modo per applicarlo al problema concreto. Possibile che Fel fosse stato ucciso perché avrebbe potuto risolvere l'indovinello? Rand aveva un'indicazione per la risposta, o pensava di averla, un azzardo che poteva essere disastrosamente sbagliato. Indicazioni e indovinelli non erano risposte, ma lui doveva fare qualcosa. Se non trovava il modo di eliminare la contaminazione, Tarmon Gai'don rischiava di svolgersi in un mondo già devastato dai pazzi. Bisognava fare ciò che era necessario. «Sarebbe meraviglioso,» disse Torval quasi in un sussurro «ma chi potrebbe riuscirci se non il Creatore o...» Si zittì, a disagio. Rand non si era reso conto di aver espresso a voce i propri pensieri. Gli occhi di Narishma, quelli di Morr e quelli di Hopwil erano identici, tutti accesi di un'improvvisa speranza. Dashiva sembrava stecchito. Rand si augurò di non aver detto troppo. Alcuni segreti dovevano restare tali. Inclusa la sua prossima mossa. Poco tempo dopo, Hopwil correva verso il suo cavallo per andare sul crinale con ordini per i nobili, Morr e Dashiva cercavano Flinn e gli altri Asha'man e Torval se ne era andato per Viaggiare verso la Torre Nera con le disposizioni di Rand per Taim. Narishma fu l'ultimo, e pensando ad Aes
Sedai, Seanchan e armi, Rand mandò via anche lui, con istruzioni accurate che fecero tendere la bocca del ragazzo. «Non parlare con nessuno» concluse Rand a bassa voce, stringendo forte il braccio di Narishma. «E non fallire. Non ti permettere di fallire.» «Non fallirò» rispose Narishma, senza batter ciglio. Fece un rapido saluto, poi andò via anche lui. Pericoloso, sussurrò una voce nella testa di Rand. Oh, sì, molto pericoloso, forse troppo pericoloso. Ma potrebbe funzionare; potrebbe. In ogni caso, ora devi uccidere Torval. Devi. Weiramon entrò nella tenda del consiglio, spingendo a spallate Gregorin e Tolmeran e cercando di spingere a spallate anche Rosana e Semaradrid, tutti ansiosi di dire a Rand che gli uomini nel bosco avevano preso la decisione giusta, dopo tutto. Lo trovarono a ridere finché le lacrime non gli scivolarono lungo il viso. Lews Therin era tornato. Oppure davvero lui era già pazzo. In entrambi i casi, c'era da ridere. 15
Più forte della legge scritta Nella fredda oscurità della notte fonda, Egwene si svegliò stordita da un sonno senza riposo pieno di sogni inquietanti, resi ancora peggiori dal fatto che non riusciva a ricordarli. Di solito i sogni le restavano nitidamente impressi nella memoria, come parole scritte su una pagina, questi invece erano foschi e spaventosi. E, da qualche tempo, le succedeva troppo spesso. Le lasciavano una voglia di correre, di fuggire, senza mai sapere da cosa, ma sempre irrequieta e insicura, persino tremante. Almeno non le faceva male la testa. E ricordava i sogni che sapeva riconoscere come importanti, anche se non riusciva a interpretare il significato. Rand, che indossava diverse maschere, finché all'improvviso una di queste facce finte non era più una maschera ma il suo vero volto. Perrin e un Calderaio, che si facevano freneticamente strada tra i rovi a colpi di ascia e spada, inconsapevoli del dirupo che c'era al di là. E i rovi urlavano con voci umane che loro due non sentivano. Mat, che soppesava due Aes Sedai sui piatti di un'immensa bi-
lancia, e dalla sua decisione dipendeva... Questo Egwene non lo sapeva; qualcosa di enorme; il mondo, forse. C'erano stati anche altri sogni, quasi sempre tinti di sofferenza. Di recente, tutti i sogni che faceva su Mat erano sbiaditi e pieni di dolore, come ombre proiettate da un incubo, quasi Mat non fosse del tutto reale. Questo la faceva preoccupare per lui, lasciato a Ebou Dar, la faceva patire per aver mandato lì quel ragazzo, nonché il povero, vecchio Thom Merrilin. Ma i sogni che non riusciva a ricordare erano anche peggio, di questo era sicura. A svegliarla era stato il suono di voci basse che discutevano, e la luna piena ancora alta nel cielo fuori dalla tenda emanava abbastanza luce perché lei potesse distinguere le due donne che si stavano confrontando sulla soglia. «Quella povera donna ha male alla testa tutto il giorno, e di notte riesce a riposare poco» sussurrò con fervore Halima, che se ne stava coi pugni sui fianchi. «Il tuo problema può aspettare fino al mattino.» «Non ho intenzione di discutere con te.» La voce di Siuan era la personificazione dell'inverno, e la donna spinse indietro il mantello con una mano infilata in una muffola, come per prepararsi a combattere. Era vestita in modo adatto al clima, un abito di lana robusta senza dubbio indossato sopra tutta la biancheria che era riuscita a farci stare. «Fatti da parte, e in fretta, o userò le tue interiora come esca per i pesci! E mettiti addosso qualcosa di decente!» Con una bassa risata, Halima si raddrizzò e, tutt'altro che impaurita, si mise ancor più fermamente davanti a Siuan. La sua camicia da notte bianca era stretta, ma abbastanza decente. Anche se veniva da chiedersi come facesse a non congelare con quella seta sottile. I carboni nel braciere a tre piedi si erano spenti da tempo, e né i teli della tenda più volte rattoppati né gli strati di tappeti sul terreno avevano potuto trattenere a lungo il calore. Il respiro delle due donne era una pallida nebbiolina. Spingendo via le coperte, Egwene si tirò a sedere esausta sul suo stretto giaciglio. Halima era una donna di campagna con una patina di educazione, e spesso non pareva rendersi conto della deferenza dovuta a un'Aes Sedai, o addirittura sembrava credere di non doverne mostrare a nessuno. Parlava alle Adunanti come fossero le massaie del suo villaggio, con risate, sguardi fissi e una schietta rozzezza che potevano essere sconcertanti. Siuan passava le sue giornate a lasciare il passo a donne che fino a un anno prima obbedivano alle sue parole, sorrideva e faceva la riverenza a quasi tutte le sorelle dell'accampamento. Molte davano ancora a lei la colpa dei
problemi della Torre e credevano che non avesse ancora sofferto abbastanza per espiarla. Questo sarebbe stato sufficiente a far diventare irritabile qualsiasi persona. Prese insieme, quelle due erano come una lanterna lanciata sul retro del carro di un Illuminatore, ma Egwene sperava di poter evitare l'esplosione. Inoltre, Siuan non sarebbe andata da lei nel bel mezzo delle notte se non fosse stato necessario. «Torna a letto, Halima.» Sopprimendo uno sbadiglio, Egwene si piegò per prendere alla cieca le scarpe e le calze da sotto il letto da campo. Non incanalò per accendere una lampada. Era meglio se nessuno si accorgeva che l'Amyrlin era sveglia. «Vai, hai bisogno di riposare.» Halima protestò, forse più forte di quanto avrebbe dovuto con l'Amyrlin Seat, ma tornò abbastanza in fretta all'angusto giaciglio che era stato ficcato nella tenda per lei. Restava davvero poco spazio per muoversi, con il lavabo, lo specchio e una vera poltrona, più quattro grandi casse impilate una sull'altra. Queste custodivano il costante flusso di abiti provenienti dalle Adunanti che non avevano ancora capito che, per quanto giovane, Egwene non era una ragazzina da impressionare e distrarre con sete e merletti. Halima si rannicchiò nel letto e al buio osservò Egwene che si passava rapidamente un pettine d'avorio tra i capelli, si infilava un bel paio di muffole e indossava un mantello foderato con pelliccia di volpe sopra la camicia da notte. Una camicia da notte di lana robusta, e con quel clima non le sarebbe dispiaciuto se lo fosse anche di più. Gli occhi di Halima coglievano i riflessi della luce lunare e risplendevano nel buio, sgranati. Egwene non credeva che quella donna fosse particolarmente gelosa della sua posizione presso l'Amyrlin Seat, posizione molto informale, e la Luce sapeva che non era tipo da pettegolezzi, ma nutriva un'innocente curiosità per qualsiasi cosa, che rientrasse o meno nei suoi affari. Motivo sufficiente per ascoltare Siuan da un'altra parte. Tutti ormai sapevano che Siuan aveva affidato il suo destino a Egwene, in un certo senso, ma credevano che l'avesse fatto mal volentieri e con rammarico. Siuan Sanche era per le altre sorelle motivo di un certo divertimento e di una sporadica compassione, ridotta ad attaccarsi alla donna che deteneva il titolo un tempo suo, una donna che sarebbe diventata poco più di un pupazzo quando il Consiglio avesse smesso di lottare per decidere chi doveva tirare i suoi fili. Siuan era abbastanza umana da covare qualche scintilla di risentimento, ma finora lei ed Egwene erano riuscite a tenere segreto che i suoi consigli erano tutt'altro che riluttanti. E così Siuan sopportava meglio che poteva la compassione e la derisione, e tutti credevano che l'esperienza che aveva vissuto l'a-
vesse cambiata non solo nell'aspetto. Questa convinzione andava preservata, altrimenti Romanda, Lelaine e probabilmente anche tutte le altre del Consiglio avrebbero trovato un modo per separare lei - e i suoi consigli da Egwene. Fuori, il freddo schiaffeggiò Egwene sul viso e si infilò sotto il mantello; la camicia da notte avrebbe anche potuto essere quella di Halima, vista la protezione che le forniva. Nonostante il cuoio spesso e la buona lana, era come se fosse scalza. Tentacoli di aria gelida le si avvolgevano intorno alle orecchie, come a deridere la folta pelliccia che foderava il cappuccio. Desiderosa com'era di tornare a letto, per ignorare il freddo glaciale Egwene dovette chiamare a raccolta tutta la sua concentrazione. Le nuvole si inseguivano nel cielo, e le ombre proiettate dalla luna fluttuavano sul bianco lucente che copriva il terreno, una lastra liscia interrotta dalle sagome scure delle tende e da quelle più alte dei carri coperti dai teli che ora montavano lunghi pattini di legno al posto delle ruote. Molti di quei carri non erano più parcheggiati lontano dalle tende, venivano lasciati dove erano stati scaricati; nessuno se la sentiva di chiedere nemmeno quell'ultimo sforzo ai conducenti alla fine della giornata. Niente si muoveva tranne quelle sbiadite ombre sul bianco della neve. Gli ampi canali formati dai tanti piedi che avevano percorso quei sentieri improvvisati ora erano vuoti. Il silenzio era così netto e profondo che a Egwene quasi dispiacque spezzarlo. «Che c'è?» chiese piano, lanciando una cauta occhiata alla piccola tenda lì vicino condivisa dalle sue domestiche, Chesa, Meri e Selame. Era buia, silenziosa e immobile come tutte le altre. La stanchezza era un manto spesso che copriva l'accampamento al pari della neve. «Non un'altra rivelazione come la Famiglia, mi auguro.» Egwene fece schioccare la lingua per l'irritazione. Anche lei era esausta, per le lunghe e gelide giornate in sella seguite da poco sonno, altrimenti non avrebbe detto una cosa del genere. «Mi dispiace, Siuan.» «Non hai bisogno di scusarti, Madre.» Anche Siuan tenne la voce bassa, e si guardò intorno per assicurarsi che nessuno li stesse osservando nascosto tra le ombre. Né lei né Egwene volevano ritrovarsi a discutere della Famiglia con il Consiglio. «So che avrei dovuto parlartene prima, ma mi sembrava una piccolezza. Non mi sarei mai aspettata che quelle ragazze parlassero anche solo con una di loro. C'è così tanto da dirti. Devo cercare di scegliere sempre le cose importanti.» Con uno sforzo, Egwene riuscì a non sospirare. Quella era quasi parola per parola la stessa scusa che Siuan le aveva fornito in precedenza. Diverse
volte. E significava che stava cercando di imbottire Egwene con i suoi vent'anni di esperienza da Aes Sedai, più di dieci dei quali passati sul seggio dell'Amyrlin, e doveva farlo in pochi mesi. A volte Egwene si sentiva come un'anatra messa all'ingrasso per il mercato. «Bene, stanotte qual è la cosa importante?» «Gareth Bryne ti aspetta nel tuo studio.» Siuan non alzò la voce ma il suo tono si indurì, come sempre quando parlava di lord Bryne. Mosse con rabbia la testa sotto il profondo cappuccio del mantello, e fece un suono simile al soffiare di un gatto. «Quell'uomo è entrato gocciolando neve, mi ha tirata fuori dal letto e mi ha a malapena dato il tempo di vestirmi prima di issarmi sulla sua sella. Non mi ha detto niente; mi ha semplicemente buttato giù al confine dell'accampamento e mi ha mandata a chiamarti come se fossi una servitrice!» Egwene soppresse con fermezza un anelito di speranza. Aveva già avuto troppe delusioni, e se Bryne voleva incontrarla a notte fonda era più probabilmente per qualcosa di disastroso che non per ciò che lei avrebbe voluto. Quanto ancora distava il confine con l'Andor? «Andiamo a vedere che vuole.» Avviandosi verso la tenda che tutti chiamavano lo Studio dell'Amyrlin, si strinse addosso il mantello. Non stava rabbrividendo, ma non lasciarsi influenzare dal caldo o dal freddo non era come mandarli via. Li potevi ignorare fino al momento in cui un'insolazione ti cuoceva il cervello o il gelo ti faceva marcire mani e piedi. Egwene rifletté su ciò che Siuan le aveva detto. «Non stavi dormendo nella tua tenda?» disse con cautela. La relazione di Siuan con lord Bryne era a tutti gli effetti quella di una servitrice col suo signore, anche se in un modo molto particolare, ma Egwene sperava che la donna non si stesse lasciando sopraffare dal suo ostinato orgoglio, dando così a Bryne l'occasione per approfittarsi di lei. Egwene non riusciva a immaginare nessuno dei due in una situazione del genere, eppure fino a non molto tempo prima non riusciva a immaginare che Siuan potesse accettare quel tipo di condizione. E ancora non capiva perché l'avesse fatto. Sbuffando sonoramente, Siuan scalciò le gonne, e quasi cadde quando le scarpe scivolarono. La neve calpestata da un'infinità di piedi era subito diventata una dura lastra di ghiaccio. Egwene stava procedendo con grande cautela. Ogni giorno c'erano ossa rotte che le sorelle dovevano Guarire. Lasciando andare il mantello con una mano, porse il braccio a Siuan, sia per dare che per ricevere un appoggio. Siuan lo prese, brontolando.
«Quando ho finito di pulire gli stivali di riserva di quell'uomo e la sua seconda sella, era troppo tardi per tornare fin qui con questo tempo. Non che lui mi abbia offerto più di qualche coperta in un angolo, non Gareth Bryne! E me le ha fatte tirare fuori dalla cesta da sola, mentre lui se ne andava la Luce sa dove! Gli uomini sono un tormento, e lui è il peggiore!» Senza fermarsi nemmeno per prendere fiato, Siuan cambiò argomento. «Non dovresti lasciar dormire quell'Halima nella tua tenda. È un altro paio di orecchie al quale devi stare attenta, ed è anche una ficcanaso. Inoltre, sei fortunata se non entri e la trovi a intrattenere qualche soldato.» «Sono molto lieta che Delana possa fare a meno di Halima per la notte» disse con fermezza Egwene. «Ho bisogno di lei. A meno che tu non creda che Nisao possa avere risultati migliori se prova di nuovo a Guarire i miei mal di testa.» Le dita di Halima parevano tirar via il dolore attraverso il cuoio capelluto; senza di lei, Egwene non sarebbe nemmeno riuscita a dormire. Gli sforzi di Nisao non avevano prodotto alcun effetto, ed era la sola Gialla alla quale Egwene se la sentiva di esporre il suo problema. Quanto al resto... Con voce ancor più dura, disse: «Mi sorprende che tu dia ancora retta a quei pettegolezzi, figlia. Se agli uomini piace guardare una donna non vuol dire che sia lei a provocarli, come dovresti ben sapere. Ne ho visti un bel po' che ti davano un'occhiata e sorridevano.» Assumere quel tono le era più facile che in passato. Siuan la guardò di sottecchi e con stupore poi, dopo un istante, mormorò parole di scusa. Forse erano anche sincere. In ogni caso, Egwene le accettò. Lord Bryne aveva davvero un brutto effetto sul carattere di Siuan, e aggiungendo al tutto anche Halima, Egwene sapeva di dover essere contenta se non aveva dovuto assumere una posizione ancora più rigida. Siuan stessa aveva detto che non avrebbe accettato sciocchezze, e di sicuro Egwene non poteva permettersi di accettarle proprio da lei. Trascinandosi a braccetto, continuarono a camminare in silenzio, col freddo che trasformava in nebbia i loro respiri e si infilava nelle carni. La neve era una maledizione e insieme una lezione. A Egwene pareva di sentire ancora Siuan che le enunciava quella che lei chiamava la Legge delle Conseguenze Involontarie, più forte di qualsiasi legge scritta. Che le tue azioni ottengano o meno l'effetto desiderato, ne avranno almeno tre che non ti aspetti, e di solito uno di questi sarà sgradevole. Le prime, deboli piogge erano state motivo di meraviglia, per quanto Egwene avesse già informato il Consiglio che la Scodella dei Venti era stata trovata e utilizzata. Non aveva potuto rischiare di raccontare altro di ciò
che Elayne le aveva detto nel Tel'aran'rhiod; quello che era successo a Ebou Dar l'avrebbe fatta di sicuro finire a gambe per aria con le altre sorelle, e la sua posizione era già abbastanza precaria. E così quelle prime gocce erano state accolte da un'esplosione di gioia. La loro marcia si era fermata a mezzogiorno, e sotto la pioggia erano stati accesi fuochi da campo e si erano tentai banchetti, preghiere di ringraziamento tra le sorelle e danze tra servitori e soldati. A dirla tutta, anche alcune Aes Sedai avevano ballato. Pochi giorni dopo, le deboli piogge erano diventate acquazzoni, poi tempeste ululanti. La temperatura era scesa sempre più precipitosamente, e le tempeste si erano trasformate in bufere di neve. Ora, la distanza che prima percorrevano in un giorno, con Egwene che digrignava i denti per la loro lentezza, richiedeva cinque giorni se in cielo c'erano solo nuvole, e se cadeva la neve non avanzavano affatto. Era abbastanza facile pensare alle tre conseguenze involontarie, almeno tre, e la neve poteva benissimo essere la meno sgradevole. Quando si avvicinarono alla piccola tenda rattoppata chiamata lo Studio dell'Amyrlin, un'ombra si mosse tra gli alti carri, ed Egwene trattenne il respiro. L'ombra divenne una sagoma umana, che spostò il cappuccio quanto bastava per rivelare il volto di Leane e poi scivolò di nuovo nell'oscurità. «Farà la guardia e ci avviserà se arriva qualcuno» disse piano Siuan. «Bene» mormorò Egwene. Poteva dirglielo prima! Aveva quasi temuto che fosse Romanda o Lelaine! Lo Studio dell'Amyrlin era buio, ma lord Bryne le stava pazientemente aspettando avvolto nel suo mantello un'ombra tra le ombre. Egwene abbracciò la Fonte e incanalò, non per accendere la lanterna appesa al sostegno centrale né una delle candele, ma per creare una piccola sfera di luce pallida che sospese in aria sopra il tavolino pieghevole che usava come scrivania. Una sfera molto piccola, e molto pallida; difficile da notare all'esterno, e rapida da spegnere come un pensiero. Non poteva permettersi di essere scoperta. C'erano state Amyrlin che avevano regnato con la forza, Amyrlin che erano riuscite a raggiungere un equilibrio col Consiglio, e Amyrlin che avevano detenuto poco potere come lei, o meno in rare occasioni, ben nascoste nelle storie segrete della Torre Bianca. Molte avevano perso potere e influenza, precipitando dalla forza alla debolezza, ma in più di tremila anni erano pochi e preziosi gli esempi di donne che si erano mosse nella direzione opposta. Egwene avrebbe davvero voluto sapere come ci erano riuscite Myriam Copan e le poche altre. Se mai qualcuna di loro aveva pensa-
to di lasciare degli scritti, le pagine erano andate perdute. Bryne si inchinò rispettosamente, senza mostrare alcuna sorpresa per quella sua precauzione. Sapeva i rischi che lei correva incontrandolo in segreto. Per molti, molti versi Egwene si fidava di quell'uomo robusto dai capelli quasi tutti grigi e con un volto sincero e segnato dalle intemperie, e non solo perché era costretta a fidarsi. Il mantello di Bryne era di spessa lana rossa, foderato con pelliccia di martora e con la Fiamma di Tar Valon sul bordo, un dono del Consiglio; eppure lui aveva reso chiaro una decina di volte nelle ultime settimane che, qualsiasi fosse l'opinione del Consiglio - e Bryne non era tanto cieco da non averla capita - l'Amyrlin era Egwene, e lui seguiva l'Amyrlin. Certo, non l'aveva mai dichiarato così direttamente, ma con accenni cautamente pronunciati che non lasciavano alcun dubbio. Aspettarsi altro da lui avrebbe voluto dire pretendere troppo. Nell'accampamento c'erano tante correnti di pensiero, quasi una per ogni Aes Sedai, e alcune erano abbastanza forti da annegarlo. E molte erano abbastanza forti da impantanare Egwene ancor più di quanto non lo fosse già, se il Consiglio veniva a sapere di quell'incontro. Si fidava di Bryne più di chiunque altro a parte Siuan e Leane, o Elayne e Nynaeve, forse più di tutte le sorelle che le avevano giurato fedeltà in segreto, e avrebbe voluto essere abbastanza coraggiosa per fidarsi anche di più. La sfera di luce bianca proiettava ombre deboli e irregolari. «Porti notizie, lord Bryne?» chiese, sopprimendo la speranza. Poteva pensare a una decina di possibili messaggi in grado di giustificare quella visita notturna, ognuno con la sua serie di trappole e insidie. Rand aveva deciso di aggiungere altre corone a quella di Illian, o i Seanchan avevano chissà come preso un'altra città ancora, o la Banda della Mano Rossa all'improvviso si muoveva autonomamente invece di seguire le Aes Sedai, o... «C'è un esercito a nord di qui, Madre» replicò con calma Bryne. Le mani infilate nei guanti di cuoio erano poggiate con leggerezza sull'elsa della lunga spada. Un esercito a nord, un altro po' di neve, come fossero la stessa cosa. «Andorani, soprattutto, ma con un buon numero di uomini del Murandy. I miei esploratori hanno portato la notizia meno di un'ora fa. L'esercito è guidato da Pelivar, e Arathelle è con lui, gli alti seggi di due delle più forti casate dell'Andor, e hanno portato membri di almeno un'altra ventina di famiglie. A quanto pare marciano duramente verso sud. Se continuiamo ad avanzare, cosa che sconsiglierei, dovremmo incontrarli frontalmente tra un paio di giorni, tre al massimo.»
Egwene mantenne un'espressione neutrale, trattenendo il sollievo. Quello in cui sperava, quello che stava aspettando; il momento che aveva temuto potesse non arrivare mai. Stranamente, fu Siuan a trasalire per poi battersi sulla bocca una mano coperta dalla muffola, troppo tardi. Bryne la guardò inarcando un sopracciglio, ma lei si riprese in fretta, assumendo un'aria serena da Aes Sedai così convincente da far quasi dimenticare il volto così giovane. «Hai problemi a combattere gli Andorani tuoi connazionali?» chiese. «Rispondi, uomo. Qui non sono la tua lavandaia.» Be', c'era una piccola crepa in quella serenità. «Come tu comandi, Siuan Sedai.» Bryne parlò senza il minimo accenno di derisione, eppure Siuan cominciò a tendere le labbra, la sua calma esteriore stava rapidamente svaporando. Lui le rivolse un leggero inchino, senza tanti fronzoli ma comunque accettabile. «Combatterò chiunque la Madre desideri, ovviamente.» Nemmeno in quelle circostanze si mostrava più esplicito. Gli uomini imparavano a essere accorti con le Aes Sedai. E anche le donne. Egwene pensava che l'accortezza fosse diventata per lei una seconda pelle. «E se non continuiamo ad avanzare?» chiese. Tutti quei piani, elaborati solo da lei, Siuan e qualche volta Leane, e ancora doveva misurare con cura ogni passo, come su quei sentieri gelati nell'accampamento. «Se ci fermiamo qui?» Bryne non esitò. «Se hai modo di convincerli senza combattere va benissimo, ma domani loro raggiungeranno una posizione ottima da difendere, con un fianco protetto dal fiume Armahn e l'altro da una grande torbiera, e piccoli ruscelli sul davanti a spezzare le fila di un attacco. Pelivar si sistemerà lì e aspetterà: conosce il suo mestiere. Arathelle avrà il suo ruolo se si arriverà alle trattative, ma lascerà lance e spade a lui. Noi non possiamo arrivare lì prima di Pelivar, e in ogni caso quella zona sarebbe inutile con il nemico a nord. Se hai intenzione di combattere, ti suggerisco di andare verso il crinale che abbiamo attraversato due giorni fa. Se ci avviamo all'alba potremo raggiungerlo e schierarci prima del nemico, e Pelivar ci penserebbe su due volte prima di attaccarci lì anche se avesse il triplo degli uomini di cui dispone.» Stropicciando nelle calze le dita quasi gelate, Egwene sospirò per il fastidio. C'era una differenza tra non lasciarsi toccare dal freddo e non sentirlo. Scegliendo le parole con cura, senza lasciarsi distrarre dai brividi, chiese: «Ma arriveranno alle trattative, se ne hanno l'opportunità?»
«Probabile, Madre. I Murandiani contano poco; sono lì solo per i vantaggi che potrebbero trarre dalla situazione, proprio come i loro conterranei nel mio esercito. Sono Pelivar e Arathelle che comandano. Se dovessi tirare a indovinare, direi che a loro importa solo tenerti lontana dall'Andor.» Scosse tristemente il capo. «Ma combatteranno se devono, se sono costretti, anche se dovessero affrontare delle Aes Sedai invece di semplici soldati. Immagino che anche loro abbiano sentito le storie su quella battaglia a est.» «Per le interiora di pesce!» ringhiò Siuan. Altro che calma. «Dicerie mezze cotte e pettegolezzi crudi non dimostrano che c'è davvero stata una battaglia, somaro, e se anche c'è stata di sicuro le sorelle non si sono immischiate!» Non prendersela con quell'uomo le risultava davvero difficile. Stranamente, Bryne sorrise. Lo faceva spesso quando Siuan mostrava il suo caratteraccio. In qualsiasi altro posto, o fatto da qualsiasi altra persona, Egwene avrebbe definito 'affettuoso' quel sorriso. «Meglio per noi se loro ci credono» disse pacatamente Bryne a Siuan. Per come lei si adombrò, sembrava quasi che l'avesse insultata. Ma perché una donna di solito razionale lasciava che Bryne le entrasse sotto pelle? Quale che fosse il motivo, Egwene non aveva tempo per occuparsene al momento. «Siuan, a quanto pare qualcuno ha dimenticato di metter via il vino caldo. Di sicuro non si sarà guastato con questo freddo. Riscaldalo, per favore.» Non fu contenta di farle chinare il capo davanti a Bryne, ma doveva tenerla al freno, e questo le era sembrato il modo più gentile. E poi davvero non avrebbero dovuto lasciare quella brocca d'argento sul suo tavolo. Siuan quasi non batté ciglio, ma dalla sua espressione sbalordita non si sarebbe detto che lavava la biancheria intima di quell'uomo. Senza commentare, incanalò per riscaldare il vino nella brocca d'argento, poi riempì rapidamente due coppe pulite e lavorate in argento, passando la prima a Egwene. Tenne per sé la seconda, fissando lord Bryne mentre sorseggiava e lasciando che si versasse da solo il suo vino. Mentre si riscaldava contro la coppa le dita ancora infilate nelle muffole, Egwene sentì una fitta di irritazione. Forse il comportamento di Siuan era ancora parte della tanto rimandata reazione alla morte del suo Custode. La donna ancora piagnucolava di tanto in tanto senza nessun motivo apparente, anche se tentava di nasconderlo. Egwene si tolse quel pensiero dalla testa. Quella notte, era come il dosso di un formicaio rispetto alle alte montagne di cui doveva occuparsi.
«Voglio evitare lo scontro se possibile, lord Bryne. L'esercito serve per Tar Valon, non per combattere qui in battaglia. Manda qualcuno che organizzi un incontro prima possibile tra l'Amyrlin Seat, lord Pelivar, lady Arathelle e chiunque altro credi che debba essere presente. Ma l'incontro non si terrà qui. Il nostro malconcio accampamento non farebbe una grande impressione. Ricorda, prima possibile. Non mi dispiacerebbe se fosse domani.» «Non credo di poter fare così in fretta, Madre» rispose lui pacatamente. «Se mando dei cavalieri non appena ritorno al campo, dubito che possano tornare con una risposta prima di domani notte.» «Allora ti suggerisco di tornare in fretta al campo.» Per la Luce, quanto aveva freddo a mani e piedi! E anche alla bocca dello stomaco. Ma la sua voce rimase calma. «E voglio che l'incontro e l'esistenza di quell'esercito restino celati al Consiglio quanto più a lungo possibile.» Questa volta gli stava chiedendo di correre un rischio grande quanto quello che affrontava lei. Gareth Bryne era uno dei migliori generali al mondo, ma il Consiglio si lamentava del modo in cui conduceva l'esercito. Le sorelle erano state liete di averlo all'inizio, quando il suo nome contribuiva ad attirare soldati alla loro causa. Adesso l'esercito contava più di trentamila armati, e altri continuavano ad arrivare anche con le nevicate, e così loro credevano di non aver più bisogno di lord Gareth Bryne. E, ovviamente, c'erano quelle convinte di non averne mai avuto bisogno. Ma se avessero saputo degli eventi di quella sera non si sarebbero limitate a mandarlo via. Se il Consiglio sceglieva di agire, Bryne poteva benissimo finire in mano al boia con l'accusa di tradimento. Il generale non batté ciglio, né fece domande. Forse sapeva che Egwene non avrebbe dato risposte. O forse pensava di conoscerle già. «Non ci sono molti scambi tra il mio accampamento e il tuo, ma gli uomini che sanno dell'esercito sono già troppi per poter mantenere a lungo il segreto. Tuttavia, farò quel che posso.» Così semplice. Quello era il primo passo lungo una strada che avrebbe portato Egwene sul seggio dell'Amyrlin a Tar Valon, oppure l'avrebbe consegnata nelle grinfie del Consiglio con nient'altro da fare se non aspettare di sapere chi tra Romanda e Lelaine doveva dirle cosa fare. Un momento così fondamentale avrebbe dovuto essere accompagnato da squilli di tromba, o quanto meno da tuoni nel cielo. Nelle storie succedeva sempre così. Egwene lasciò svanire la sfera di luce, ma quando Bryne si girò per andar via lei gli prese un braccio. Fu come stringere un grosso ramo d'albe-
ro sotto la sua giubba. «È da un po' che voglio chiederti una cosa, lord Bryne. Non credo che tu voglia portare degli uomini esausti per le marce ad assediare Tar Valon. Quanto vorresti farli riposare prima di cominciare?» Per la prima volta lui fece una pausa, ed Egwene si rammaricò che non ci fosse abbastanza luce per poter vedere il suo volto. Era convinta che si fosse accigliato. «Anche senza contare la gente sul libro paga della Torre,» disse lentamente alla fine «la notizia di un esercito vola veloce come un falco. Elaida saprà con precisione anche il giorno del nostro arrivo, e non ci darà neanche un'ora di tregua. Sai che ha potenziato la Guardia della Torre? A quanto pare adesso è composta da cinquantamila uomini. Ma, se potessi, farei riposare e riprendere gli uomini per un mese. Dieci giorni potrebbero bastare, mese sarebbe meglio.» Lei annuì, lasciandogli il braccio. Quella domanda casuale sulla Guardia della Torre le aveva fatto male. Bryne era al corrente del fatto che il Consiglio e le Ajah le dicevano quello che volevano farle sapere e nulla di più. «Suppongo tu abbia ragione» gli rispose con calma. «Non ci sarà tempo per riposare una volta giunti a Tar Valon. Manda i tuoi cavalieri più veloci. Non ci saranno difficoltà, vero? Pelivar e Arathelle li lasceranno parlare?» La sfumatura d'ansia nella sua voce non era fasulla. C'era il rischio che, se avessero dovuto combattere, sarebbero finiti in rovina non solo i suoi piani. Il tono di Bryne non cambiò di una virgola, da quel che Egwene poté giudicare, eppure in qualche modo la sua voce le sembrò rassicurante. «Purché ci sia abbastanza luce per vedere le piume bianche, capiranno che si tratta di una tregua e ascolteranno. È meglio che io vada, Madre. Il viaggio è lungo e difficile, anche portando cavalli di riserva.» Non appena i lembi della tenda si chiusero alle spalle del generale, Egwene emise un lungo sospiro. Avvertiva una tensione nelle spalle, e si aspettava che il mal di testa cominciasse da un momento all'altro. Di solito Bryne la faceva sentire rilassata, Egwene assorbiva la sua sicurezza. Quella notte aveva dovuto manipolarlo, e credeva che lui se ne fosse reso conto. Era molto perspicace, per essere un uomo. Ma la posta in gioco era troppo alta per dargli una fiducia maggiore, finché il generale non dichiarava più apertamente la sua lealtà. Magari un giuramento come quello prestato da Myrelle e le altre. Bryne seguiva la Amyrlin, e l'esercito seguiva Bryne. Se questi avesse pensato che Egwene poteva sprecare invano le vite dei suoi uomini, con poche parole avrebbe potuto consegnarla al Consiglio come
un maiale arrosto su un piatto da portata. Egwene prese una lunga sorsata dalla coppa, sentendo il calore del vino speziato che le si diffondeva dentro. «Meglio per noi se loro ci credono» mormorò. «Vorrei che ci fosse qualcosa da credere. Se anche non dovessi riuscire a fare nient'altro, Siuan, spero almeno di poterci liberare dai Tre Giuramenti.» «No!» abbaiò Siuan. Sembrava scandalizzata. «Persino provarci potrebbe essere disastroso, e se dovessi riuscirci... Che la Luce ci aiuti, se ci riesci avrai distrutto la Torre Bianca.» «Ma di che stai parlando? Io cerco di tener fede ai Giuramenti, Siuan, visto che siamo costrette a farlo - per ora - ma i Giuramenti non ci aiuteranno contro i Seanchan. Se le sorelle devono essere in pericolo di vita per poter combattere, tra un po' finiremo tutte morte o con un collare intorno alla gola.» Per un momento le parve di sentire di nuovo l'a'dam che la trasformava in un cane al guinzaglio. Un cane ben addestrato e obbediente. Fu lieta del buio, che adesso nascondeva i suoi tremori. Il volto di Siuan era immerso nell'ombra, si vedeva solo la bocca che si muoveva senza emettere suoni. «Non guardarmi a quel modo, Siuan.» Essere arrabbiate era più facile che avere paura, era facile nascondere la paura con la rabbia. Egwene non si sarebbe mai più lasciata mettere quel collare! «Hai tratto ogni tipo di vantaggio da quando sei stata liberata dai Giuramenti. Se non avessi mentito spudoratamente saremmo tutte a Salidar, senza un esercito, con le mani in mano ad aspettare un miracolo. Be', voi sareste ancora lì. Non mi avrebbero mai convocata per eleggermi Amyrlin senza le tue bugie su Logain e le Rosse. Elaida regnerebbe incontrastata, e tra un anno nessuno si ricorderebbe più di come ha usurpato il seggio dell'Amyrlin. Lei sì che distruggerebbe la Torre, di sicuro. Sai bene che combinerebbe un disastro con Rand. Non mi sorprenderei se avesse già tentato di rapirlo, solo che è troppo impegnata a occuparsi di noi. Be', forse non lo rapirebbe, ma di sicuro farebbe qualcosa. Con ogni probabilità, a questo punto le Aes Sedai starebbero combattendo contro gli Asha'man, ignorando Tarmon Gai'don ormai all'orizzonte.» «Ho mentito quando mi sembrava necessario» sussurrò Siuan. «Quando mi sembrava opportuno.» Le spalle accasciate, sembrava stesse confessando dei crimini che non voleva ammettere nemmeno a sé stessa. «A volte credo che per me sia diventato troppo facile decidere che è necessario e opportuno. Ho mentito quasi a tutti. Tranne a te. Ma non credere che non
mi sia venuto in mente di farlo. Di spingerti verso una decisione o allontanarti da un'altra. E non è stato il desiderio di conservare la tua fiducia a fermarmi.» La mano di Siuan si protese supplichevole nell'oscurità. «La Luce sa quanto la tua amicizia e la tua fiducia contano per me, ma non è stato per quello. Né perché sapevo che mi avresti strappato la pelle a strisce o mi avresti mandato via, se l'avessi scoperto. Mi sono resa conto che dovevo attenermi ai Giuramenti con qualcuno, o mi sarei perduta del tutto. E così non mento a te, o a Gareth Bryne, quale che sia il prezzo da pagare. E non appena posso, Madre, pronuncerò di nuovo i Tre Giuramenti con il Bastone dei Giuramenti.» «Perché?» chiese a bassa voce Egwene. Siuan aveva davvero preso in considerazione l'idea di mentirle? L'avrebbe scuoiata davvero, per una cosa del genere. Ma la rabbia si spense subito. «Non perdono le bugie, Siuan. Normalmente. È solo che a volte sono necessarie.» Il tempo passato con gli Aiel le balenò nella mente. «Purché si sia disposti a pagarne il prezzo, in ogni caso. Ho visto sorelle punite per molto meno. Tu sei una delle prime nuove Aes Sedai, Siuan, libera e senza costrizioni. Ti credo quando mi dici che non mi mentirai.» Né a lei né a lord Bryne. Questo era strano. «Perché vuoi rinunciare alla tua libertà?» «Rinunciare?» Siuan rise. «Non rinuncerò a niente.» Raddrizzò la schiena, e la voce cominciò ad acquisire forza e poi passione. «I Giuramenti sono ciò che ci rende più di un semplice gruppo di donne che si immischiano negli affari del mondo. O di sette semplici gruppi. O cinquanta. I Giuramenti ci tengono unite, un consolidato insieme di convinzioni che lega tutte noi, uno stesso filo che passa per ogni sorella, viva o morta, fino alla prima che mai poggiò le mani sul Bastone dei Giuramenti. Sono i Giuramenti a renderci Aes Sedai, non saidar. Qualsiasi selvatica può incanalare. Gli uomini possono anche prendere con le molle tutto quello che diciamo, ma quando una sorella fa una dichiarazione chiara e precisa loro sanno che è vero, e si fidano. Per via dei Giuramenti. E per via dei Giuramenti, nessuna regina teme che le sorelle possano devastare le sue città. La peggiore delle canaglie sa che la sua vita è al sicuro con una sorella, a meno che non provi a farle del male. Certo, i Manti Bianchi sostengono che i Giuramenti sono menzogne, e alcune persone hanno strane idee su ciò che essi comportano, ma ci sono pochissimi posti dove le Aes Sedai non possono andare ed essere ascoltate, e questo è per via dei Giuramenti. I Tre Giuramenti sono l'essenza delle Aes Sedai, sono il cuore di ciò che significa essere una Aes Sedai. Buttali nella spazzatura, e tutte noi diverremo sabbia spazzata
via dalla marea. Rinunciare? Io acquisirò la libertà.» Egwene si accigliò. «E i Seanchan?» L'essenza delle Aes Sedai. Quasi dal giorno stesso in cui era arrivata a Tar Valon, aveva lavorato per diventare un'Aes Sedai, ma non aveva mai pensato davvero a cosa faceva di una donna un'Aes Sedai. Siuan rise di nuovo, anche se questa volta con un po' di amarezza e stanchezza. Scosse il capo e, nonostante l'oscurità, parve chiaramente esausta. «Non lo so, Madre. La Luce mi aiuti, non lo so. Ma siamo sopravvissute alle Guerre Trolloc, ai Manti Bianchi, ad Artur Hawkwing e a tutto il resto. Troveremo un modo per vedercela con questi Seanchan. Senza distruggere noi stesse.» Egwene non era così sicura. Molte delle sorelle nell'accampamento pensavano che i Seanchan fossero un pericolo tale da dover rimandare l'attacco a Elaida. Come se nel frattempo Elaida non avrebbe rinsaldato la sua posizione sul seggio dell'Amyrlin. Molte altre parevano convinte che semplicemente unendo di nuovo la Torre Bianca, a qualsiasi prezzo, avrebbero fatto sparire i Seanchan. La sopravvivenza perdeva parte del suo fascino se diventava una vita al guinzaglio, e quello di Elaida non sarebbe stato molto meno stretto di quello dei Seanchan. L'essenza delle Aes Sedai. «Non c'è bisogno di tenere Gareth Bryne all'oscuro» disse all'improvviso Siuan. «Quell'uomo è una pena vivente, certo. Se non basta lui come penitenza per le mie bugie, allora non basterà nemmeno la morte per flagellazione. Uno di questi giorni comincerò a dargli uno schiaffo al mattino e due la sera, per principio, ma puoi dirgli tutto. Sarebbe di maggior aiuto, se sapesse ogni cosa. Ti segue sulla fiducia, e gli si annoda lo stomaco se non è sicuro che sai quello che stai facendo. Non lo dà a vedere, ma io me ne accorgo.» All'improvviso, tutti i pezzi si ricomposero nella mente di Egwene come se avesse ricomposto uno di quei rompicapo creati dai fabbri. Pezzi sorprendenti. Siuan era innamorata del generale! Nient'altro poteva spiegare la loro situazione. E tutto quello che lei sapeva del rapporto tra quei due adesso aveva un nuovo aspetto. Non necessariamente migliore. Una donna innamorata spesso metteva il cervello sotto vetro quando l'uomo in questione era nei dintorni. Come lei stessa sapeva fin troppo bene. A proposito, dov'era finito Gawyn? Stava bene? Al caldo? Basta. Anzi, quei pensieri erano già troppo, alla luce di ciò che stava per dire. Intonò la sua voce da Amyrlin Seat, sicura e autoritaria. «Puoi prendere a schiaffi lord Bryne o portartelo a letto, Siuan, ma devi stare attenta. Non ti lascerai scappare cose
che non deve ancora sapere. Mi hai capito?» Siuan si raddrizzò di scatto. «Non ho l'abitudine di lasciar andare la lingua come una vela strappata, Madre» disse con fervore. «Sono molto lieta di sentirtelo dire, Siuan.» Nonostante sembrassero quasi coetanee, Siuan era abbastanza grande da essere sua madre, eppure in quel momento Egwene si sentì come se le loro età si fossero invertite. Forse quella era la prima volta che Siuan doveva vedersela con un uomo non da Aes Sedai, ma da donna. Qualche anno passato a credere di amare Rand, pensò Egwene con amara ironia, pochi mesi con la testa fra le nuvole per Gawyn, e so già tutto quello che c'è da sapere. «Credo che qui abbiamo finito» proseguì, prendendo Siuan a braccetto. «O quasi. Vieni.» Le pareti della tenda erano sembrate una misera protezione contro il freddo, ma uscire all'esterno le espose al rinnovato assalto delle zanne dell'inverno. La luce della luna che si rifletteva sulla neve era quasi abbastanza chiara da poter leggere, ma quel bagliore sembrava freddo. Bryne era sparito, come se non fosse mai stato lì. Leane, la sua magrezza ingoiata da strati e strati di lana, apparve per dire che non aveva visto nessuno, poi andò via di corsa nella notte, guardandosi intorno. Nessuno sapeva che ci fosse un legame tra Leane ed Egwene, e tutti credevano che Leane e Siuan fossero ai ferri corti. Stringendosi addosso il mantello come meglio poteva con una mano sola, Egwene si concentrò per ignorare il freddo glaciale mentre con Siuan camminava nella direzione opposta a quella presa da Leane. Per ignorare il freddo e per tenere gli occhi aperti nel caso ci fosse qualcuno lì fuori. In realtà, se qualcuno si trovava davvero fuori dalla tenda in quel momento difficilmente poteva essere per caso. «Lord Bryne aveva ragione,» disse Egwene a Siuan «è davvero meglio se Pelivar e Arathelle credono a quelle storie. O che almeno siano insicuri. Troppo insicuri per combattere o per fare qualsiasi cosa che non sia parlare. Credi che accetterebbero di buon grado la visita di qualche Aes Sedai? Siuan, mi stai ascoltando?» Siuan trasalì, e si fermò con lo sguardo fisso davanti a loro. Aveva avanzato senza mancare un passo, ma in quel momento scivolò e quasi cadde a sedere sul sentiero ghiacciato, ritrovando l'equilibrio appena in tempo per non tirare giù anche Egwene. «Sì, Madre. Certo che ti sto ascoltando. Forse non le accoglieranno proprio con gioia, ma dubito che manderebbero via delle sorelle.»
«Allora voglio che vai a svegliare Beonin, Anaiya e Myrelle. Tra un'ora devono essere a cavallo, dirette a nord. Se lord Bryne aspetta una risposta entro domani sera, abbiamo poco tempo.» Era un peccato che non avesse scoperto dove esattamente si trovava questo esercito, ma chiedendolo a Bryne avrebbe rischiato di farlo insospettire. Dei Custodi non avrebbero dovuto avere grandi difficoltà a trovarlo, e quelle tre sorelle ne avevano cinque in tutto. Siuan ascoltò in silenzio le sue istruzioni. Non solo quelle tre dovevano essere strappate al sonno. Entro l'alba, Sheriam e Carlinya, Morvrin e Nisao avrebbero saputo di cosa parlare a colazione. Bisognava piantare i semi, semi che non avevano potuto piantare prima per timore che germogliassero troppo presto, ma che adesso avevano davvero poco tempo per crescere. «Sarà un piacere tirarle giù dal letto» disse Siuan quando Egwene ebbe concluso. «Se me ne devo andare in giro con questo...» Lasciò il braccio di Egwene e fece per girarsi, poi si fermò, il volto solenne, se non addirittura cupo. «So che vuoi essere la nuova Gerra Kishar - forse la prossima Sereille Bagand. E hai quello che serve per eguagliarle entrambe. Ma stai attenta a non trasformarti in un'altra Shein Chunla. Buona notte, Madre. Dormi bene.» Egwene rimase a guardarla andar via, una figura avvolta in un mantello che ogni tanto scivolava sul sentiero e mormorava con rabbia quasi abbastanza forte da poter distinguere le parole. Gerra e Sereille erano annoverate tra le Amyrlin più potenti. Entrambe avevano innalzato l'influenza e il prestigio della Torre Bianca a livelli raramente raggiunti sin da prima dell'epoca di Artur Hawkwing. Ed entrambe avevano controllato la Torre, Gerra mettendo abilmente le fazioni del Consiglio una contro l'altra, Sereille con la mera forza della sua volontà. Shein Chunla era un'altra storia. Aveva sperperato il potere dell'Amyrlin Seat, inimicandosi quasi tutte le sorelle della Torre. Il mondo credeva che Shein fosse morta nello svolgere il suo incarico, circa quattrocento anni addietro, ma la verità profondamente nascosta era che era stata deposta e mandata in esilio. Persino le storie segrete trattavano in modo vago certi argomenti, ma era piuttosto chiaro che, quando fu sventato il quarto tentativo di riportarla sul seggio dell'Amyrlin, le sorelle che facevano la guardia a Shein la soppressero nel sonno con un cuscino. Egwene rabbrividì, e si disse che era per via del freddo. Si girò e si avviò lentamente verso la sua tenda, da sola. Dormire bene?
La luna piena pendeva bassa nel cielo, e mancava ancora qualche ora al sorgere del sole, ma non sapeva se sarebbe riuscita a addormentarsi. 16
Assenze impreviste Prima che il sole si affacciasse all'orizzonte al sorgere del mattino seguente, Egwene convocò il Consiglio della Torre. A Tar Valon la cosa avrebbe richiesto una complessa cerimonia, che almeno in parte era stata conservata anche dopo aver lasciato Salidar, nonostante le difficoltà del viaggio. Questa volta, invece, Sheriam si limitò ad andare alle varie tende delle Adunanti per annunciare che l'Amyrlin Seat aveva indetto una seduta del Consiglio. In realtà, non si sedettero affatto. Nella luce grigia che precede l'alba vera e propria, diciotto donne si disposero in semicerchio sulla neve per ascoltare Egwene, tutte infagottate contro il freddo che trasformava i loro respiri in nuvole di vapore. Altre sorelle cominciarono ad apparire dietro di loro per osservare la riunione, solo poche all'inizio, ma quando nessuno le mandò via il gruppo si infittì e diede vita a un basso ronzio di parole. Un ronzio molto soffuso. Poche sorelle avevano l'ardire di importunare anche solo una singola Adunante, e lì c'era il Consiglio al completo. Le Ammesse con l'abito e il mantello a strisce che erano comparse dietro le sorelle erano ancora più silenziose, ovviamente, e ancor di più lo era il nugolo di novizie che non avevano compiti da svolgere, pur essendo molto più numerose. Il numero di novizie nell'accampamento era una volta e mezzo quello delle sorelle, ce n'erano così tante che in poche possedevano un vero mantello bianco e per la maggior parte dovevano arrangiarsi con una camicia bianca al posto del tradizionale abito da novizia. Alcune sorelle erano ancora convinte che si dovesse tornare alle vecchie usanze e lasciare che fossero le ragazze a cercare loro, ma quasi tutte si rammaricavano per gli anni perduti in cui il numero di Aes Sedai si era ridotto. Egwene stessa quasi rabbrividiva quando pensava alla sorte che sarebbe potuta toccare alla Torre. Questo era un cambiamento contro il quale nemmeno Siuan poteva avere da ridire.
Nel bel mezzo dell'assemblea, Carlinya uscì da dietro una tenda e si fermò di scatto alla vista di Egwene e le Adunanti. La sorella Bianca, che di solito era la personificazione della compostezza, trasalì e le guance chiare le si colorarono di rosso prima che andasse via in tutta fretta, girandosi indietro a guardare. Egwene trattenne una smorfia. Le altre erano tutte occupate a chiedersi cosa lei avesse in mente quel mattino e non avevano prestato attenzione a quella scena, ma prima o poi qualcuna se ne sarebbe ricordata e avrebbe cominciato a farsi domande. Spingendo indietro il mantello finemente decorato per mostrare la stretta stola azzurra della Custode, Sheriam rivolse a Egwene la riverenza più formale che poté eseguire con addosso quei pesanti indumenti, poi prese posto al suo fianco. La donna dai capelli di fiamma, avvolta in strati di seta e lana di buona qualità, era l'immagine stessa della serenità. A un cenno del capo di Egwene, fece un passo avanti e intonò l'antica formula con voce alta e chiara. «Ecco che arriva, ecco che arriva! La Custode dei Sigilli, la Fiamma di Tar Valon, l'Amyrlin Seat. Prestate attenzione, perché ecco che arriva!» Sembrava un po' fuori luogo in quell'ambiente, e inoltre Egwene era già lì, non stava arrivando. Le Adunanti rimasero in silenziosa attesa. Alcune si accigliarono impazienti, o giocherellarono irrequiete con il mantello o la gonna. Egwene spinse indietro il mantello, scoprendo la stola a sette strisce che portava intorno al collo. Quelle donne avevano bisogno di tutti i promemoria possibili per ricordarsi che lei era davvero l'Amyrlin Seat. «Siamo tutti stanchi per aver viaggiato con questo clima» annunciò lei, la voce non alta come quella di Sheriam ma' abbastanza perché tutti la sentissero. Avvertì un brivido di anticipazione, quasi un attimo di stordimento. Non era molto diverso dall'avere la nausea. «Ho deciso che ci fermeremo qui per due giorni, forse tre.» Le teste si raddrizzarono di scatto, si era accesa la scintilla dell'interesse. Egwene si augurò che tra la folla in ascolto ci fosse anche Siuan. Stava cercando di attenersi ai Giuramenti. «Anche i cavalli hanno bisogno di riposo, e per molti carri sono davvero necessari i lavori di riparazione. La Custode si occuperà dell'organizzazione.» Era cominciata davvero, adesso. Non si aspettava discussioni o proteste, e non ce ne furono. Quello che aveva detto a Siuan non era un'esagerazione. Molte sorelle speravano in un miracolo che permettesse loro di non marciare su Tar Valon davanti agli occhi del mondo intero. Anche tra quelle profondamente convinte della
necessità di opporsi a Elaida per il bene della Torre, ce n'erano molte che, nonostante tutto quello che avevano fatto, si sarebbero aggrappate a qualsiasi occasione di rimandare quel momento, a qualsiasi occasione per aspettare l'arrivo del miracolo. Una di queste, Romanda, non attese nemmeno che Sheriam pronunciasse le frasi di chiusura. Non appena Egwene ebbe finito di parlare, Romanda, che sembrava quasi giovane con la stretta crocchia nascosta sotto il cappuccio del mantello, se ne andò senza altri indugi. Con uno sventolare di mantelli, Magia, Saroiya e Varilin si affrettarono a seguirla. Correndo per quanto era possibile con la neve che arrivava fino alle caviglie. Se la cavarono piuttosto bene, in ogni caso; Adunanti o meno che fossero, quasi non respiravano neppure senza il permesso di Romanda. Quando Lelaine vide Romanda andar via, chiamò a sé Faiselle, Takima e Lyrelle dal semicerchio del Consiglio e si avviò senza voltarsi indietro, come un cigno seguito da tre ansiosi anatroccoli. Se le tre sorelle non erano sotto il suo ferreo comando come le altre con Romanda, ci andavano comunque molto vicino. In realtà, anche le altre Adunanti aspettarono a malapena che le parole di chiusura, 'Andate con la Luce', fossero uscite dalle labbra di Sheriam. Egwene si voltò per andar via con metà del suo Consiglio della Torre che già si sparpagliava in ogni direzione. Quel brivido era più forte. Ed era molto simile ad avere la nausea. «Tre giorni» mormorò Sheriam, porgendo la mano a Egwene per aiutarla lungo uno di quei sentieri pieni di solchi. Agli angoli dei suoi occhi oblunghi si erano formate le rughe di un'espressione interrogativa. «Sono sorpresa, Madre. Perdonami, ma battevi i piedi ogni volta che ti chiedevo di fermarci per più di un giorno.» «Dimmelo di nuovo dopo che avrai parlato coi carradori e i maniscalchi» le rispose Egwene. «Non arriveremo lontano se i cavalli cadono stecchiti e i carri finiscono a pezzi.» «Come dici tu, Madre» ribatté l'altra, non proprio umilmente ma con sicura approvazione. Il percorso non era più agevole della notte precedente, e di tanto in tanto le due donne scivolavano. Si presero a braccetto, e avanzarono lentamente. Sheriam offriva più appoggio di quanto Egwene avesse bisogno, ma lo faceva quasi con discrezione. L'Amyrlin Seat non poteva finire col sedere per terra davanti una cinquantina di sorelle e un centinaio di servitori, ma nemmeno poteva apparire bisognosa di sostegno come fosse invalida. Quasi tutte le Adunanti che avevano giurato fedeltà a Egwene, compresa
Sheriam, lo avevano fatto per paura, in realtà, e per spirito di autoconservazione. Se il Consiglio veniva a sapere che avevano mandato delle sorelle a Tar Valon per convincere le altre Aes Sedai e, peggio ancora, che l'avevano tenuto nascosto al Consiglio stesso per paura che ci fossero Amiche delle Tenebre tra le Adunanti, loro avrebbero di sicuro trascorso il resto della vita in penitenza ed esilio. E così le donne che avevano pensato di poter guidare Egwene come fosse una marionetta si erano invece trovate costrette a obbedirle dopo che parte del loro peso nel Consiglio era svanita. Questo era un fatto raro anche nelle storie segrete: le sorelle dovevano obbedire all'Amyrlin, ma giurarle fedeltà era tutt'altra cosa. Quasi tutte quelle che l'avevano fatto sembravano ancora sconvolte, ma obbedivano. Poche se la cavavano male come Carlinya, ma Egwene era addirittura riuscita a sentire i denti di Beonin che battevano la prima volta che, dopo aver prestato giuramento, la sorella l'aveva vista con le altre Adunanti. Morvrin pareva stupita ogni volta che le cadeva lo sguardo su Egwene, come se ancora non ci credesse, e Nisao sembrava non smettesse mai di accigliarsi. Anaiya era contrariata per la segretezza, e Myrelle trasaliva spesso, ma non solo perché aveva prestato giuramento. Sheriam, invece, aveva assunto il ruolo di Custode degli Annali per Egwene anche di fatto, e non solo di nome. «Posso suggerire di approfittare di quest'occasione per vedere cosa offre la campagna qui intorno in termini di cibo e foraggio, Madre? Le nostre riserve sono scarse.» Sheriam si accigliò, ansiosa. «Soprattutto tè e sale, ma dubito che ne troveremo.» «Fai quello che puoi» rispose Egwene in tono conciliante. Era strano, adesso, pensare a come un tempo aveva soggezione di Sheriam e temeva non poco di poterla contrariare. Ma per quanto paresse bizzarro, ora che non era più la maestra delle novizie, ora che non cercava più di spingere e tirare Egwene perché andasse dove lei desiderava, Sheriam sembrava davvero più felice. «Nutro in te la massima fiducia, Sheriam.» La donna si illuminò per quel complimento. Il sole non si era ancora alzato sopra le tende e i carri a est, ma già l'accampamento ferveva di attività. Più o meno. Dopo aver preparato la colazione, i cuochi stavano ripulendo, aiutati da un'orda di novizie. A giudicare dal vigore che ci mettevano, le ragazze dovevano trovare un po' di tepore nello strofinare le pentole con la neve, ma i cuochi si muovevano con fatica, si sgranchivano la schiena, si fermavano a sospirare e a volte si stringevano nel mantello e fissavano la neve con occhi vuoti. I servitori, che
indossavano gran parte dei vestiti che possedevano eppure tremavano, avevano automaticamente cominciato a smontare le tende e caricare i vagoni subito dopo aver consumato la loro frettolosa colazione, e adesso con movenze malferme stavano piantando di nuovo le tende e prendevano i bauli dai vagoni. Gli animali sellati venivano ora portati via da stallieri esausti che camminavano a capo chino. Egwene sentì qualche mormorio quando gli uomini non si accorgevano di avere una sorella nei paraggi, ma per la maggior parte erano troppo stanchi anche per lamentarsi. Quasi tutte le Aes Sedai le cui tende erano state montate erano svanite all'interno, ma un bel po' erano rimaste a dirigere i lavori, e altre si affrettavano lungo i sentieri scavati nella neve per portare avanti le loro personali faccende. A differenza di tutti gli altri, mostravano poca stanchezza come i Custodi, che in qualche modo riuscivano ad avere l'aria di chi aveva dormito quanto era necessario per una bella giornata di primavera. Egwene sospettava che quella fosse una parte concreta del modo in cui una sorella traeva forza dal suo Custode, ben separata da ciò che le concedeva il legame. Quando il tuo Custode si rifiutava di ammettere anche a sé stesso di avere freddo, sonno o fame, non ti restava che mostrarti all'altezza. Su uno dei sentieri che incrociava il suo, Egwene vide apparire Morvrin, avvinta al braccio di Takima. Forse per sostenersi, anche se Morvrin era abbastanza grossa da far sembrare ancor più piccola l'altra donna, già di per sé minuta. O forse era per impedire a Takima di fuggire; Morvrin era tenace, quando si proponeva un obiettivo. Egwene si accigliò. Ci si poteva anche aspettare che Morvrin spremesse un'Adunante della sua Ajah, la Marrone, per ottenere informazioni, ma Egwene pensava che Janya o Escaralde fossero per lei bersagli più naturali di Takima. Perse di vista le due sorelle quando passarono dietro un carro su pattini coperto da teli, Morvrin piegata a parlare nell'orecchio dell'altra. Non c'era modo di capire se Takima le stava o meno prestando attenzione. «Ci sono problemi, Madre?» Egwene esibì un sorriso che parve teso anche a lei stessa. «Non più del solito, Sheriam. Non più del solito.» Giunte allo Studio dell'Amyrlin, Sheriam andò via per occuparsi dei compiti che Egwene le aveva assegnato, ed Egwene stessa entrò nella tenda per scoprire che tutto era già pronto. Si sarebbe stupita del contrario. Proprio in quel momento, Selame stava poggiando un vassoio di tè sullo scrittoio. Il corpetto e le maniche del vestito erano decorate con un disegno di perline dai colori accesi, e con il suo lungo naso tenuto ben alto la don-
na, a un primo sguardo, non sembrava affatto una servitrice, ma aveva fatto il suo dovere. Due bracieri pieni di carboni ardenti avevano cacciato via parte dell'aria fredda, anche se gran parte del calore finiva fuori dall'apertura per il fumo. Le erbe essiccate sbriciolate sui carboni davano un gradevole aroma al fumo che non usciva dalla tenda, il vassoio della notte precedente era stato portato via ed erano state accese le candele di sego e la lanterna. Con quel clima, nessuno lasciava una tenda abbastanza aperta, e così c'era bisogno di far luce. Anche Siuan era già lì, con una pila di carte tra le mani, un'espressione tormentata sul viso e una macchia d'inchiostro sul naso. Il suo ruolo di segretaria forniva alle due donne un'altra scusa per quando venivano colte a parlare insieme, e Sheriam non aveva mosso alcuna obiezione a cederglielo. Anche Siuan, comunque, si lamentava spesso di quel lavoro. Considerando che era raramente uscita dalla Torre sin da quando vi era entrata come novizia, nutriva una notevole avversione per i posti chiusi. In quel momento era la perfetta immagine di una donna che si sforzava di essere paziente e voleva che tutti lo notassero. Nonostante l'aria altezzosa, Selame sorrise e si produsse in così tante riverenze che togliere il mantello e le muffole di Egwene si trasformò in una piccola ed elaborata cerimonia. La donna continuò a chiacchierare su come la Madre aveva bisogno di riposare, e forse lei avrebbe dovuto portarle una coperta pesante, e magari sarebbe rimasta in caso alla Madre servisse qualsiasi altra cosa, finché Egwene non la cacciò praticamente via. Il tè sapeva di menta. Con quel tempo! Selame era un tormento, e difficilmente poteva esser definita leale, ma si impegnava. Non c'era tempo per poltrire e sorseggiare il tè. Egwene si raddrizzò la stola e prese posto dietro la scrivania, dando distrattamente uno strattone alla gamba della sedia perché non si piegasse sotto di lei come spesso faceva, Siuan si appollaiò su uno sgabello traballante dall'altro lato del tavolo e il tè si raffreddò. Non parlarono di piani, Garetti Bryne o speranze; per adesso, avevano fatto tutto quello che potevano. Rapporti e problemi si accumulavano quando erano in viaggio e la stanchezza ostacolava ogni tentativo di prenderli in considerazione, e adesso che si erano fermate c'era bisogno di mettersi al lavoro. La presenza di un esercito davanti a loro non cambiava questa realtà. A volte Egwene si chiedeva come fosse possibile reperire tanta carta quando tutto il resto pareva scarseggiare. I rapporti che le passava Siuan parlavano dettagliatamente della penuria di risorse e di poco altro. E non
erano solo i beni menzionati da Sheriam a mancare, ma anche carbone, chiodi e ferro per i maniscalchi e i carradori, cuoio e tela cerata per i sellai, olio per lampade, candele e un centinaio di altre cose, persino il sapone. E quello che non stava finendo si stava consumando, dalle scarpe alle tende, tutto segnato nella decisa grafia di Siuan, che diventava più aggressiva con l'aggravarsi del bisogni di cui scriveva. Il conto del denaro restante pareva frustato sulla carta in un momento di furia. E non ci si poteva far niente. Tra le carte di Siuan c'erano diverse proposte delle Adunanti per risolvere il problema del denaro. O meglio, informavano Egwene su ciò che avevano intenzione di discutere davanti al Consiglio. C'erano pochi vantaggi in tutte quelle misure, però, e molte trappole. Moria Karentanis suggeriva di bloccare la paga dei soldati, e secondo Egwene il Consiglio aveva già capito che una cosa del genere avrebbe fatto disciogliere l'esercito come rugiada sotto il sole di mezza estate. Malind Nachenin voleva presentare ai nobili dei dintorni una richiesta che sembrava più un ordine e che poteva far rivoltare contro di loro l'intera campagna, lo stesso risultato che avrebbe raggiunto Salita Toranes con la sua idea di imporre una tassa alle città e ai villaggi che si trovavano ad attraversare. Dopo aver accartocciato insieme le tre lettere Egwene le agitò verso Siuan. Avrebbe voluto che in quel momento nel suo pugno fossero strette le gole delle tre Adunanti. «Ma sono tutte convinte che ogni cosa deve andare secondo i loro desideri e che la realtà non conta nulla? Per la Luce, sono loro che si comportano come bambine!» «La Torre è riuscita a trasformare i propri desideri in realtà abbastanza spesso» disse Siuan con soddisfazione. «Ricorda, alcuni potrebbero dire che anche tu stai ignorando la realtà.» Egwene tirò su con il naso. Per fortuna, qualsiasi fosse il voto del Consiglio nessuna di quelle proposte poteva essere messa in atto senza un suo decreto. Persino in quella sua stentata condizione aveva un po' di potere. Molto poco, ma era meglio di niente. «Il Consiglio è sempre così problematico, Siuan?» L'altra annuì, spostandosi leggermente nel tentativo di trovare un equilibrio migliore. Le gambe del suo sgabello erano tutte di lunghezza diversa. «Ma potrebbe essere peggio. Ricordami di raccontarti dell'Anno delle Quattro Amyrlin; si parla di circa duecentocinquanta anni dopo la fondazione di Tar Valon. In quei giorni, le normali condizioni della Torre quasi rivaleggiavano con quello che ci sta succedendo adesso. Ogni mano cercava di afferrare il timone. Ci furono addirittura due opposti Consigli della
Torre a Tar Valon per parte di quell'anno. Più o meno come adesso. Quasi tutte le sorelle finirono male, incluse alcune che credevano di poter salvare la Torre. E alcune ci sarebbero anche riuscite, se non si fossero impantanate. La Torre sopravvisse comunque, ovviamente. Sopravvive sempre.» Tantissimi eventi storici potevano verificarsi in più di tremila anni, molti dei quali venivano poi rimossi, nascosti quasi a tutti, eppure Siuan pareva avere sotto mano ogni tipo di dettaglio. Doveva aver trascorso una buona parte dei suoi anni alla Torre seppellendosi tra quelle storie segrete. Egwene era sicura di una cosa. Avrebbe evitato il destino di Shein, se poteva, ma non sarebbe rimasta com'era, poco meglio di Cemaile Sorenthaine. Da ben prima della fine del suo regno, la decisione più importante che Cemaile poteva prendere riguardava gli abiti da indossare. Egwene avrebbe davvero ricordato a Siuan di raccontarle dell'Anno delle Quattro Amyrlin, anche se la prospettiva non le sorrideva. Lo spostarsi del raggio di luce che entrava dall'apertura per il fumo sul soffitto della tenda mostrò che il mattino volgeva verso mezzogiorno, ma la pila di carte di Siuan sembrava appena un po' più bassa. Qualsiasi tipo di interruzione sarebbe stata ben accolta, persino la prematura scoperta dei loro piani. Be', forse questo no. «Qual è il prossimo rapporto, Siuan?» ringhiò Egwene. Un accenno di movimento destò l'attenzione di Aran'gar, che scrutò tra gli alberi l'accampamento dell'esercito, un anello di tende che nascondeva alla vista quelle delle Aes Sedai. Una fila di carri-slitta si stava muovendo lentamente verso est, scortata da uomini a cavallo. Il pallido sole riluceva sulle armature e le punte delle lance. Aran'gar non poté fare a meno di ghignare. Lance e cavalli! Una marmaglia primitiva che non poteva andare più veloce di un uomo a piedi, guidata da un tizio che non sapeva cosa stava succedendo a cento chilometri da lì. E le Aes Sedai? Lei avrebbe potuto distruggerle tutte, e nemmeno morendo quelle avrebbero sospettato chi le stava uccidendo. Certo, lei stessa non sarebbe sopravvissuta a lungo. Il pensiero la fece rabbrividire. Il Sommo Signore concedeva a pochissimi una seconda possibilità di vita, e Aran'gar non aveva intenzione di sprecare la sua. Aspettò che i cavalieri sparissero nella foresta, poi si riavviò verso l'accampamento, pensando distrattamente ai sogni di quella notte. La neve avrebbe nascosto ciò che lei aveva seppellito fino al disgelo di primavera, più che abbastanza a lungo. Nell'accampamento, alcuni degli uomini fi-
nalmente si accorsero di Aran'gar, e sospesero quello che stavano facendo per guardarla. Suo malgrado, lei si lisciò la gonna sui fianchi. Era difficile adesso ricordare com'era stata la sua vita da uomo; all'epoca era anche lei un idiota così facilmente manipolabile? Passare tra tutta quella gente con un cadavere senza farsi vedere era stato difficile, persino per lei, ma si gustò la passeggiata di ritorno. Il mattino andò avanti in un susseguirsi apparentemente infinito di carte da sfogliare, finché non successe ciò che Egwene sapeva sarebbe accaduto. Certi eventi quotidiani erano una certezza. Ci sarebbe stato freddo, avrebbe nevicato, ci sarebbero state nuvole, vento e cielo grigio. E avrebbe ricevuto visite da Lelaine e Romanda. Stanca di restare seduta, Egwene si stava stiracchiando le gambe quando Lelaine entrò di gran carriera con Faolain alle calcagna. L'aria fredda entrò con loro prima che i lembi dell'apertura della tenda ricadessero al loro posto. Guardandosi attorno con una lieve aria di disapprovazione, Lelaine si sfilò i guanti blu di cuoio mentre permetteva a Faolain di toglierle dalle spalle il mantello foderato con pelliccia di lince. Slanciata e compunta, abito di seta blu e occhi penetranti, sembrava fosse nella sua tenda. A un suo gesto distratto, Faolain si ritirò riverente in un angolo con il mantello, limitandosi a scrollare le spalle per sistemare meglio il proprio. Era chiaramente pronta a rimettersi subito in cammino a un altro cenno dell'Adunante. I lineamenti del suo volto scuro avevano un'aria di rassegnata umiltà, ben poco solita in lei. Il riserbo di Lelaine si crepò per un attimo lasciando uscire un sorriso sorprendentemente caloroso per Siuan. Anni addietro le due erano state amiche, e lei aveva persino offerto a Siuan la sorta di patronato che Faolain aveva accettato, la protezione e il riparo di un'Adunante contro la derisione e le accuse delle altre sorelle. Sfiorando una guancia di Siuan, Lelaine mormorò dolcemente qualcosa che parve compassionevole. Siuan arrossì, una sorprendente espressione di incertezza balenò sul suo viso. Non stava fingendo, Egwene ne era sicura. Siuan aveva difficoltà a gestire i suoi cambiamenti, e ancor più ad accettare la facilità con cui ci si stava adattando. Lelaine guardò lo sgabello di fronte allo scrittoio e, come al solito, rifiutò palesemente un seggio così instabile. Solo allora diede segno di aver notato la presenza di Egwene, e lo fece chinando appena il capo. «Dobbiamo parlare del Popolo del Mare, Madre» disse in un tono che era un po' troppo
deciso, considerando che si stava rivolgendo all'Amyrlin Seat. Solo quando il cuore le si disincastrò dalla gola per tornare al suo posto Egwene capì che aveva temuto che Lelaine sapesse già ciò che Lord Bryne le aveva rivelato. O che fosse addirittura al corrente dell'incontro che il generale stava organizzando. Un attimo dopo, però, il cuore tornò a balzarle in gola. Il Popolo del Mare? Di sicuro il Consiglio non poteva aver scoperto il folle accordo fatto da Elayne e Nynaeve. Egwene proprio non riusciva a immaginare cosa avesse spinto le sue amiche verso un simile disastro né come lei poteva gestirlo. Con lo stomaco sottosopra, prese posto dietro la scrivania senza dare a vedere come si sentiva. E quella stupida gamba della sedia si piegò, facendola quasi cadere sui tappeti prima che lei la raddrizzasse. Sperò di non essere arrossita. «Il Popolo del Mare a Caemlyn o a Cairhien?» Sì, era riuscita a sembrare dovutamente calma e controllata. «Cairhien.» La voce alta di Romanda risuonò come un'improvvisa serie di rintocchi. «Senza dubbio Cairhien.» Il suo ingresso fece sembrare quello di Lelaine quasi timido, e la forza della sua personalità subito riempì la tenda. Da parte di Romanda non ci fu nessun sorriso caloroso; pur bello, il suo volto non pareva fatto per i sorrisi. Theodrin la seguì nella tenda, e Romanda si tolse il mantello con uno svolazzo e lo lanciò alla sorella magra dalle guance rubizze con un gesto perentorio che mandò Theodrin di corsa nell'angolo della tenda opposto rispetto a Faolain. Quest'ultima era chiaramente sottomessa, ma Theodrin teneva gli occhi oblunghi sgranati come in uno stato di sorpresa permanente, e sembrava pronta ad aprire le labbra per sussultare. Come nel caso di Faolain, la sua posizione nella gerarchia delle Aes Sedai avrebbe richiesto un impiego migliore, ma nessuna delle due l'avrebbe ricevuto a breve. Romanda soffermò per un attimo su Siuan il suo sguardo autoritario, quasi stesse valutando l'ipotesi di mandare anche lei in un angolo, poi lo fece passare su Lelaine quasi con noncuranza prima di fissarlo su Egwene. «A quanto pare il ragazzo sta parlamentando con il Popolo del Mare, Madre. Gli occhi e le orecchie delle Gialle a Cairhien sono molto agitati. Hai idea di che interesse potrebbero avere per lui gli Atha'an Miere?» Malgrado il titolo onorifico, non sembrava affatto che Romanda si fosse rivolta all'Amyrlin Seat, ma d'altronde era sempre così. E non c'era dubbio su chi fosse 'il ragazzo'. Tutte le sorelle dell'accampamento avevano accettato che Rand era il Drago Rinato, ma chiunque le avesse sentite parlare avrebbe creduto che si riferissero a un giovane ribelle che poteva tornare
ubriaco per la cena e vomitare sulla tavola. «Non può certo sapere cosa passi per la testa del ragazzo» disse Lelaine prima ancora che Egwene potesse aprir bocca. Questa volta il suo sorriso fu tutt'altro che caloroso. «Se vogliamo trovare una risposta, Romanda, è a Caemlyn che dobbiamo cercarla. Lì gli Atha'an Miere non sono segregati su una nave, e dubito fortemente che gli alti ranghi del Popolo del Mare siano venuti da così lontano per motivi separati. Che io sappia non fanno mai così, per nessun motivo. Forse sono interessati al ragazzo. Ormai sapranno chi è.» Romanda ricambiò il sorriso, e fu quasi sufficiente a far apparire la brina sulle pareti della tenda. «Non c'è alcun bisogno di ribadire ciò che è ovvio, Lelaine. La domanda importante è come scoprire ciò che ci interessa sapere.» «Stavo appunto per spiegarlo quando ci hai interrotte, Romanda. La prossima volta che la Madre incontrerà Elayne o Nynaeve nel Tel'aran'rhiod, potrà dar loro le dovute istruzioni. Quando arriverà a Caemlyn, Merilille potrà scoprire cosa vogliono gli Atha'an Miere, o forse cosa sta facendo il ragazzo. È un peccato che le ragazze non abbiano pensato di darsi appuntamenti regolari, ma dovremo aggirare questa difficoltà. Merilille potrà incontrarsi con un'Adunante nel Tel'aran'rhiod quando avrà le informazioni che ci servono.» Lelaine fece un lieve gesto; chiaramente, era lei stessa l'Adunante cui si riferiva. «Credo che Salidar potrebbe essere un posto idoneo per l'incontro.» Romanda sbuffò divertita. E nemmeno in quel verso ci fu calore. «È più facile dare istruzioni a Merilille che assicurarsi che le porti a termine, Lelaine. Immagino sappia di dover affrontare domande spinose. Questa Scodella dei Venti avrebbe dovuto per prima cosa essere consegnata a noi perché la studiassimo. Nessuna delle sorelle a Ebou Dar ha un gran talento nella Danza delle Nuvole, credo, e i risultati si vedono in tutto questo scompiglio così all'improvviso. Ho una mezza idea di sottoporre al Consiglio un'interpellanza su tutte le sorelle coinvolte.» A un tratto la voce della donna dai capelli grigi divenne morbida come burro. «E se non ricordo male, tu appoggiasti la scelta di Merilille.» Lelaine si raddrizzò di scatto. I suoi occhi lampeggiarono. «Ho appoggiato la scelta delle Grigie, Romanda, tutto qua» disse con indignazione. «Come potevo immaginare che avrebbe deciso di usare la Scodella? E ha anche incluso nel circolo quelle selvatiche del Popolo del Mare! Come ha potuto credere che sapessero lavorare con il clima bene quanto le Aes Se-
dai?» La sua ira si spense all'improvviso. Si stava giustificando con la sua più feroce avversaria nel Consiglio, la sua unica vera avversaria. E, cosa senz'altro peggiore dal suo punto di vista, era d'accordo con lei riguardo al Popolo del Mare. Era ovvio che lo fosse, ma esprimerlo a voce era tutt'altra faccenda. Il freddo sorriso di Romanda si fece più profondo mentre Lelaine impallidiva per la rabbia. Romanda si aggiustò le gonne color bronzo con cura meticolosa mentre l'altra cercava un modo per ribaltare la situazione. «Vedremo che posizione assumerà il Consiglio, Lelaine» disse infine Romanda. «Fino ad allora, credo sia meglio se Merilille non si incontri con nessuna delle Adunanti coinvolte nella sua scelta. Anche solo un'ipotesi di collusione verrebbe vista davvero male. Sono sicura concorderai che dovrò essere io a parlare con lei.» Lelaine impallidì in modo diverso. Non aveva paura, o almeno non lo dava a vedere, eppure Egwene quasi la sentiva contare tra sé chi si sarebbe schierata con lei e chi contro. L'accusa di collusione era grave quasi quanto quella di tradimento, e richiedeva solo il consenso minoritario. Con ogni probabilità l'avrebbe evitata, ma le discussioni sarebbero state lunghe e piene di acrimonia. Rischiava addirittura che la fazione di Romanda diventasse più numerosa. Questo avrebbe causato indicibili problemi, sia se i piani di Egwene portavano i loro frutti sia se si rivelavano fallimentari. Ed Egwene non poteva fare niente per fermare quella situazione, a meno di non rivelare quello che davvero era successo a Ebou Dar. A quel punto tanto valeva che chiedesse alle due Adunanti di poter accettare la stessa offerta di Faolain e Theodrin. Trasse un respiro. Almeno poteva riuscire a evitare che usassero Salidar come luogo d'incontro nel Tel'aran'rhiod. Era lì che lei si incontrava con Elayne e Nynaeve. Quando le vedeva, almeno; non succedeva da giorni. Con le Adunanti che entravano e uscivano dal Mondo dei Sogni, era difficile trovare un posto qualsiasi dove di sicuro non sarebbero apparse. «La prossima volta che incontro Elayne o Nynaeve, comunicherò le vostre istruzioni riguardo a Merilille. E poi potrò farvi sapere quando è pronta a incontrarvi.» Cioè mai, visto l'uso che lei avrebbe fatto di quelle istruzioni. Le Adunanti si voltarono di scatto, e due paia d'occhi si fissarono su Egwene. Si erano dimenticate di lei! Sforzandosi di restare serena in volto, Egwene si rese conto che stava battendo un piede per il nervosismo e la smise. Doveva sopportare ancora un po' quello che pensavano di lei. Ancora un po'. Almeno non si sentiva più nauseata. Solo furiosa.
In quel momento di silenzio, Chesa arrivò trafelata con il pranzo di Egwene su un vassoio coperto da un panno. Di mezza età, capelli scuri, rotonda e graziosa, Chesa riusciva a mostrare il dovuto rispetto senza essere servile. La sua riverenza fu sobria come l'abito grigio scuro che indossava, con appena un tocco di semplice merletto intorno alla gola. «Madre, Aes Sedai, vi chiedo scusa per il disturbo. Mi dispiace per il ritardo, Madre, ma a quanto pare Meri è sparita.» Fece schioccare la lingua per l'esasperazione mentre poggiava il vassoio davanti a Egwene. Sparire non sembrava tipico di Meri: quella donna arcigna era severa con sé stessa quanto con chiunque altro. Romanda si accigliò, ma non disse nulla. Dopo tutto, non poteva certo mostrare troppo interesse per una delle cameriere di Egwene. Soprattutto dal momento che la donna era una sua spia. Come Selame era la spia di Lelaine. Egwene evitò di guardare Theodrin e Faolain, entrambe ancora doverosamente in piedi nei loro angoli come Ammesse, e non come le Aes Sedai che erano. Chesa fece per aprir bocca, ma la richiuse, forse intimidita dalle Sorelle. Egwene si sentì sollevata quando, dopo un'altra riverenza, la donna uscì mormorando: «Col tuo permesso, Madre.» In presenza di altre persone, i consigli di Chesa erano sempre abbastanza indiretti da poter essere accettabili per qualsiasi sorella, ma in quel momento anche solo un cauto suggerimento di mangiare finché il cibo era caldo avrebbe reso Egwene tutt'altro che felice. Lelaine riprese a parlare come se non ci fosse stata alcuna interruzione. «La cosa importante» disse con fermezza «è scoprire cosa vogliono gli Atha'an Miere. O cosa sta facendo il ragazzo. Forse vuole diventare anche il loro re.» Sporse in fuori le braccia, permettendo a Faolain di rimetterle il mantello, cosa che la ragazza fece con cura. «Ti ricorderai di tenermi al corrente se ti viene in mente una soluzione, Madre?» Non era propriamente una domanda. «Ci penserò su» le rispose Egwene. E le sue parole non implicavano che le avrebbe anche comunicato i suoi pensieri. Le sarebbe piaciuto avere anche una vaga idea di quella soluzione. Gli Atha'an Miere credevano che Rand fosse il Coramoor delle loro profezie, Egwene questo lo sapeva, anche se il Consiglio ne era all'oscuro, ma non riusciva neanche a immaginare cosa lui volesse da loro, o loro da lui. E a sentire Elayne, neanche le Cercavento che erano con loro lo sapevano. O dicevano di non saperlo. Egwene quasi desiderava che la manciata di sorelle che venivano dagli A-
tha'an Miere fossero nell'accampamento. Quasi. In un modo o nell'altro, quelle Cercavento sarebbero state davvero causa di problemi. A un cenno della mano di Romanda, Theodrin scattò in avanti col mantello dell'Adunante come se qualcuno le avesse dato una pacca sul sedere. A giudicare dall'espressione del volto, Romanda non era molto contenta di come Lelaine si era ripresa. «Ti ricorderai di dire a Merilille che desidero parlare con lei, Madre» disse, e la sua non fu affatto una domanda. Per un breve momento, le due Adunanti rimasero a fissarsi, Egwene di nuovo dimenticata nella loro reciproca animosità. Se ne andarono senza dirle una parola, quasi spintonandosi prima che Romanda uscisse tirandosi dietro Theodrin. Digrignando i denti, Lelaine spinse Faolain fuori dalla tenda e poi la seguì. Siuan emise un lungo sospiro, e non fece niente per nascondere il suo sollievo. «Col tuo permesso, Madre» fece Egwene con la voce in falsetto. «Se posso, Madre. Potete andare, figlie.» Con un lungo respiro, si appoggiò allo schienale della sedia. Che prontamente la riversò sui tappeti. Lei si tirò lentamente su e raddrizzò le gonne con uno strattone, per poi aggiustare la stola. Almeno non era successo davanti a quelle due. «Vai a prenderti qualcosa da mangiare, Siuan. E portatelo qui. La giornata è ancora lunga.» «Certe cadute fanno meno male di altre» disse Siuan come se parlasse a sé stessa prima di abbassarsi per uscire dalla tenda. E fece bene a camminare rapidamente, perché altrimenti Egwene le avrebbe dato una bella strigliata. Tornò subito, però, e mangiarono panini duri e zuppa di lenticchie con vecchie carote e pezzi di carne sui quali Egwene preferì non farsi troppe domande. Ci furono poche interruzioni, visite durante le quali loro due si zittivano e fingevano di studiare i rapporti. Chesa venne a prendere il vassoio, e poi a sostituire le candele, un compito che svolse borbottando, cosa non da lei. «Chi avrebbe detto che sarebbe sparita anche Selame?» mormorò tra sé. «Si starà sbaciucchiando con qualche soldato, scommetto. Quella Halima ha un pessimo effetto.» Un tizio ossuto con il naso colante cambiò i carboni ormai spenti nei bracieri - l'Amyrlin otteneva un riscaldamento maggiore delle altre, ma non era comunque un granché - e incespicò sui suoi stessi stivali, guardando imbambolato Egwene in un modo che fu abbastanza gratificante dopo le due Adunanti. Sheriam venne a chiedere se Egwene aveva altre istruzio-
ni, cosa già di per sé strana, e poi parve voler rimanere. Forse i pochi segreti di cui era al corrente la rendevano inquieta; di sicuro i suoi occhi guizzavano nervosi. Non accadde altro, ed Egwene non sapeva se fu così perché nessuno disturbava l'Amyrlin senza un vero motivo o perché tutti sapevano che le vere decisioni le prendeva il Consiglio. «Non capisco questo rapporto che parla di soldati in movimento a sud di Kandor» disse Siuan non appena l'entrata della tenda si richiuse alle spalle di Sheriam. «C'è solo questo, e i soldati delle Marche di Confine si allontanano di rado dalla Macchia, ma questo lo sa qualsiasi idiota, quindi è difficile che qualcuno si sia inventato una storia del genere.» Non si riferiva alle carte che aveva portato nella tenda. Siuan era riuscita a mantenere un controllo per quanto tenue sulla rete di spie dell'Amyrlin, e i rapporti, le dicerie e i pettegolezzi le arrivavano in un flusso costante, in modo che lei ed Egwene potessero studiarli prima di decidere cosa passare al Consiglio. Leane aveva la sua rete personale, per ingrossare quel flusso. Comunicavano quasi tutto al Consiglio - alcune cose era necessario che le sapesse, e non c'erano garanzie che le varie Ajah passassero tutto quello che apprendevano i loro agenti - ma setacciavano ogni informazione alla ricerca di qualche eventuale pericolo o distrazione dal loro vero obiettivo. Da qualche tempo, raramente quei flussi portavano qualcosa di buono. A Cairhien erano nate tante storie sulle Aes Sedai alleate con Rand, o che peggio ancora lo servivano, anche se almeno queste ultime potevano essere tranquillamente accantonate. Le Aes Sedai si rifiutavano di rivelare troppo su Rand o su chiunque fosse a lui collegato, ma a sentir loro Merana aspettava il suo ritorno, e di sicuro le sorelle nel Palazzo del Sole, dove il Drago Rinato aveva il suo primo trono, erano semi più che sufficienti per far spuntare quelle storie. Altre voci non erano così facili da ignorare, anche quando non si capiva bene a cosa potessero servire. Uno stampatore illianese asseriva di avere le prove per dimostrare che Rand aveva ucciso Mattin Stepaneos con le sue stesse mani e ne aveva distrutto il corpo con l'Unico Potere, mentre uno scaricatore ai moli sosteneva di aver visto l'ex re, legato, imbavagliato e arrotolato in un tappeto, trasportato da una nave salpata di notte con il beneplacito del capitano della guardia portuale. La prima versione era molto più credibile, ma Egwene sperava che nessun agente di nessuna Ajah avesse scovato quella stessa notizia. C'erano già troppe croci nere sotto il nome di Rand nei registri delle sorelle. E il resto era su questo stesso tenore. Pareva che i Seanchan avessero
preso Ebou Dar senza incontrare grandi resistenze. Questo era prevedibile, in una terra dove l'autorità della regina si fermava a pochi giorni di viaggio dalla capitale, eppure era tutt'altro che rassicurante. Gli Shaido sembravano essere ovunque, anche se le storie su di loro venivano sempre da qualcuno che le aveva sentite da qualcuno che a sua volta le aveva sentite... Le sorelle erano per lo più convinte che gli Shaido sparsi nel mondo fossero opera di Rand nonostante Sheriam avesse riferito che le Sapienti lo negavano. Nessuna voleva mettere personalmente alla prova la parola delle Sapienti, ovviamente. Le scuse addotte erano centinaia, ma nessuna era disposta a incontrarle nel Tel'aran'rhiod tranne le sorelle che avevano giurato fedeltà a Egwene, che ci andavano perché costrette a obbedire. Anaiya definiva seccamente quegli incontri come 'dense lezioni di umiltà', e non pareva affatto divertita. «Non possono esserci così tanti Shaido» mormorò Egwene. Non erano state aggiunte erbe alla seconda infornata di carboni, già ridotti a fiochi tizzoni, e gli occhi le bruciavano per il fumo che appesantiva l'aria. Se avesse incanalato per liberarsene avrebbe disperso anche quel po' di calore che restava nella tenda. «In parte deve essere opera di qualche bandito.» Dopo tutto, chi poteva distinguere un villaggio spogliato da una banda di briganti da uno spogliato dagli Shaido? Soprattutto quando le storie erano di terza, quarta o quinta mano. «E di sicuro ci sono abbastanza banditi in giro per spiegare parte di quelle dicerie.» E quasi tutti si facevano chiamare fautori del Drago, cosa che non aiutava affatto la loro causa. Mosse le spalle per sciogliere un po' i muscoli contratti. A un tratto si rese conto che Siuan teneva lo sguardo così fisso nel vuoto che sembrava potesse cadere dallo sgabello da un momento all'altro. «Siuan, ti stai addormentando? Possiamo anche aver lavorato per gran parte della giornata, ma fuori c'è ancora il sole.» Si vedeva la luce dall'apertura per il fumo, anche se stava calando. Siuan sbatté le palpebre. «Chiedo scusa. È un po' che penso a una cosa, e non so se parlartene o meno. Riguarda il Consiglio.» «Il Consiglio! Siuan, se sai qualcosa...» «Io non so niente» la interruppe l'altra donna. «Si tratta di un sospetto.» Fece schioccare la lingua, irritata. «Non è neanche un sospetto, in realtà. O almeno, non ho ancora capito di cosa dovrei sospettare. Ma ho notato uno schema.» «Allora faresti bene a parlarmene» le disse Egwene. Siuan si era dimostrata molto capace a individuare schemi e disegni dove gli altri vedevano
solo confusione. La donna si sistemò meglio sullo sgabello e si sporse in avanti. «Si tratta di questo: a parte Romanda e Moria, le Adunanti scelte a Salidar sono... sono troppo giovani.» Molto era cambiato in Siuan, ma parlare dell'età delle altre sorelle chiaramente la metteva ancora a disagio. «Escaralde è la più grande, e sono sicura che non abbia più di settant'anni. Non posso esserne certa al cento percento senza sfogliare il registro delle novizie a Tar Valon o senza farmelo dire da lei, ma ne sono comunque sicura. Non è successo molte volte che nel Consiglio ci fosse più di un'Adunante sotto i cento anni, e noi qui ne abbiamo otto!» «Ma anche Romanda e Moria sono nuove» disse gentilmente Egwene, poggiando i gomiti sul tavolo. Era stata una lunga giornata. «E nessuna delle due è giovane. Forse dovremmo essere grate se le altre lo sono, altrimenti non avrebbero scelto di assegnarmi questa posizione.» Avrebbe potuto sottolineare che la stessa Siuan era stata eletta Amyrlin quando aveva meno della metà degli anni di Escaralde, ma ricordarglielo sarebbe stato crudele. «Forse» disse Siuan con cocciutaggine. «Romanda era un membro sicuro del Consiglio sin dal giorno in cui è arrivata. E dubito che esista una Gialla che oserebbe parlare contro di lei. E Moria... Non sta dalla parte di Lelaine, ma probabilmente Lelaine e Lyrelle all'inizio credevano di sì. Non lo so. Stammi a sentire, però: quando viene eletta una donna troppo giovane c'è sempre un motivo.» Prese un lungo respiro. «E vale anche per il mio caso.» Il dolore della perdita le attraversò il viso, il dolore della perdita del seggio dell'Amyrlin o forse di tutte le perdite che aveva patito. Ma durò solo un istante. Egwene era convinta di non aver mai conosciuto una donna forte come Siuan Sanche. «Questa volta c'erano più che abbastanza sorelle dell'età giusta tra le quali scegliere, e mi sembra impossibile che cinque Ajah le abbiano trovate tutte inadatte. C'è uno schema, e ho intenzione di scoprirlo.» Egwene non era d'accordo. Il cambiamento era nell'aria, che Siuan volesse riconoscerlo o meno. Elaida aveva infranto le usanze, ed era andata molto vicina a infrangere la legge, per usurpare il posto di Siuan. Alcune sorelle erano fuggite dalla Torre e avevano lasciato che si venisse a sapere, e questo di sicuro non era mai successo prima. Cambiamenti. Le sorelle più anziane probabilmente erano ancora legate alle vecchie tradizioni, ma persino alcune di loro dovevano capire che tutto stava mutando. Di sicuro era questo il motivo per cui erano state scelte donne più giovani, più aperte
al nuovo. Doveva ordinare a Siuan di smetterla di perdere tempo con quella faccenda? Le cose da fare non le mancavano di sicuro. O sarebbe stato più gentile permetterle di continuare? Siuan voleva dimostrare a ogni costo che i cambiamenti che vedeva non stavano affatto accadendo. Prima che Egwene potesse prendere una decisione, Romanda si abbassò per entrare nella tenda poi si raddrizzò e tenne aperto il lembo dell'entrata. Sulla neve all'esterno si stendevano lunghe ombre. Si stava facendo velocemente sera. Il volto di Romanda era scuro come quelle ombre. Fissò Siuan con durezza e abbaiò una singola parola. «Fuori!» Egwene fece un infinitesimale cenno col capo, ma Siuan era già in piedi. Inciampò, poi quasi corse via dalla tenda. Una sorella nella posizione occupata da Siuan doveva obbedire a qualsiasi Aes Sedai forte nel potere come Romanda, non solo alle Adunanti. Lasciando richiudere la tenda, Romanda abbracciò la Fonte. Circondata dal bagliore di saidar, intessé dall'interno una barriera contro eventuali orecchie indesiderate senza neanche far finta di chiedere il permesso a Egwene. «Sei un'idiota!» le disse con voce raspante. «Quanto a lungo pensavi di poter mantenere il segreto? I soldati parlano, bambina. Gli uomini parlano sempre! Bryne potrà considerarsi fortunato se il Consiglio non chiede la sua testa su una picca.» Egwene si alzò lentamente, lisciandosi la gonna. Aveva atteso questo momento, ma doveva comunque essere cauta. La partita era lungi dall'essere decisa, e tutto le si poteva rivoltare contro in un baleno. Doveva fingersi innocente, finché non avesse potuto cessare ogni finzione. «Devo ricordarti che le offese all'Amyrlin Seat sono un crimine, figlia?» chiese. Fingeva da così tanto tempo, ed era così vicina alla fine. «L'Amyrlin Seat.» Romanda avanzò impettita fino a portarsi alla distanza di un braccio da Egwene e, a giudicare dal furore nei suoi occhi, il pensiero di superare quella distanza dovette attraversarle la mente. «Sei una poppante! Sul sedere hai ancora i segni delle ultime bastonate prese da novizia! E dopo quello che sta succedendo dovrai ritenerti fortunata se il Consiglio non ti mette in un angolo con qualche bambolina. Se vuoi evitarlo dovrai darmi retta e fare come ti dico. Adesso, siediti!» Egwene si sentiva ribollire dentro, ma si sedette. Era troppo presto. Con un brusco, soddisfatto cenno del capo, Romanda si piazzò i pugni sui fianchi. Fissò Egwene come una zia severa che fa una ramanzina alla nipote maleducata. Una zia molto severa. O un boia col mal di denti. «Questo incontro con Pelivar e Arathelle si dovrà tenere, visto che è stato
organizzato. Loro si aspettano l'Amyrlin Seat e l'avranno. Presenzierai con tutto il fasto e la dignità consoni al tuo titolo. E dirai loro che io ho il compito di parlare in vece tua, dopo di che terrai a freno la lingua! Scrollarci quei due di dosso richiederà una mano salda, la mano di una donna che sappia il fatto suo. Senza dubbio Lelaine sarà qui da un momento all'altro, cercherà di farsi avanti, ma tu ricorda in che guaio si trova. Per qualche giorno ho parlato con le altre Adunanti, e a quanto pare i fallimenti di Merilille e Merana saranno probabilmente addebitati a Lelaine nella prossima seduta del Consiglio. Quindi, se ancora ti resta la minima speranza di acquisire l'esperienza di cui hai bisogno per essere degna di quella stola, quella speranza sono io! Hai capito?» «Ho capito perfettamente» rispose Egwene con quello che sperava fosse un tono umile. Se avesse lasciato parlare Romanda al posto suo non ci sarebbero stati più dubbi. Il Consiglio e il mondo intero avrebbero saputo chi teneva Egwene per la collottola. Romanda parve conficcarle gli occhi ben dentro nella testa prima che di annuire bruscamente. «Lo spero per te. Ho intenzione di rimuovere Elaida dal seggio dell'Amyrlin, e non permetterò che tutto vada in malora perché una bambina crede di saperne abbastanza da poter attraversare la strada senza qualcuno che la tenga per mano.» Sbuffando, si gettò il mantello sulle spalle e si fiondò fuori dalla tenda. La barriera svanì insieme a lei. Egwene rimase seduta a guardare torva verso l'entrata della tenda. Una bambina? Che quella donna fosse folgorata, lei era l'Amyrlin Seat! Che alle altre sorelle piacesse o meno l'avevano eletta, e avrebbero dovuto imparare a conviverci! Prima o poi. Egwene prese il calamaio di pietra e lo lanciò contro il telo dell'ingresso. Lelaine si fece indietro, evitando a malapena di schizzarsi. «Calma, calma» la rimproverò entrando. Senza chiedere il permesso, uguale in questo a Romanda, abbracciò la Fonte e intessé una barriera per impedire che qualcuno potesse sentire le sue parole. Se Romanda era parsa infuriata, Lelaine sembrava soddisfatta di sé, si strofinava le mani calzate nei guanti e sorrideva. «Immagino non sia necessario avvisarti che il tuo piccolo segreto non è più tale. Un vero peccato per lord Bryne, ma credo che sia troppo prezioso per ucciderlo. Ed è un bene per lui che io lo creda. Immagino che Romanda ti abbia detto che ci sarà un incontro con Pelivar e Arathelle, ma dovrai lasciare che sia lei a condurlo. Ho ragione?» Egwene si agitò, ma Lelaine sventolò una mano come a scacciare una mosca. «Non c'è bisogno che mi
rispondi. Conosco Romanda. Purtroppo per lei, io sono stata la prima a scoprire queste cose, e invece di correre subito da te sono andata a sondare le altre Adunanti. Vuoi sapere cosa pensano?» Egwene si strinse i pugni in grembo, dove sperava che non fossero visibili. «Immagino che tu stia per dirmelo.» «Non sei nella posizione di usare quel tono con me» ribatté bruscamente Lelaine, ma dopo un istante tornò a sorridere. «Il Consiglio è scontento di te. Molto scontento. Qualsiasi sia la minaccia che ti ha fatto Romanda - ed è abbastanza facile immaginare quale - io posso trasformarla in realtà. Romanda, invece, ha infastidito un bel po' di Adunanti con la sua prepotenza. Quindi, a meno che non ti voglia trovare con ancor meno autorità di quel poco che possiedi, Romanda domani riceverà una sorpresa quando nominerai me per parlare in tua vece. È difficile credere che Arathelle e Pelivar siano stati abbastanza stupidi da aver dato inizio a questa cosa, ma se ne andranno via con la coda tra le gambe quando avrò finito con loro.» «E come faccio a sapere che tu non trasformerai comunque in realtà quella minaccia?» Egwene si augurò che il suo furioso mormorio fosse scambiato per tristezza. Per la Luce, quanto era stanca di tutto ciò! «Perché te lo dico io!» scattò Lelaine. «Non hai ancora capito che in realtà non comandi un bel niente? È il Consiglio a comandare, e la cosa è tra me e Romanda. Tra un altro centinaio d'anni sarai cresciuta abbastanza per essere degna di quella stola, ma per adesso te ne starai seduta in silenzio, incrocerai le mani e lascerai che ad abbattere Elaida sia una donna che sa il fatto suo.» Quando Lelaine se ne fu andata, Egwene rimase di nuovo a occhi sgranati. Questa volta non permise alla rabbia di ribollire. 'Sarai cresciuta abbastanza per essere degna di quella stola.' Quasi la stessa cosa che le aveva detto Romanda. 'Una donna che sa il fatto suo.' Possibile che Egwene si stesse illudendo? Era davvero una bambina che stava rovinando ciò che una donna esperta avrebbe potuto gestire facilmente? Siuan scivolò nella tenda e si fermò. Era preoccupata. «Gareth Bryne è appena venuto a dirmi che il Consiglio sa» annunciò seccamente. «Come scusa per la visita ha usato le sue camicie. Lui e quelle maledette camicie! L'incontro è per domani, a un lago a circa cinque ore a nord di qui. Pelivar e Arathelle sono già in viaggio. E anche Aemlyn. E così sono tre le casate potenti.» «Questo è più di quanto Romanda e Lelaine hanno ritenuto opportuno comunicarmi» disse Egwene altrettanto seccamente. No. Un centinaio di
anni passati a farsi tenere per mano e tirare per la collottola, cinquant'anni o anche cinque, e non sarebbe più stata capace di fare nulla. Se doveva crescere, doveva crescere adesso. «Oh, sangue e maledette ceneri» gemette Siuan. «Non lo sopporto! Che ti hanno detto? Come è andata?» «Più o meno come ci aspettavamo.» Egwene sorrise, e la meraviglia si sentì anche nella sua voce. «Siuan, non avrebbero potuto consegnarmi il Consiglio in modo migliore nemmeno se avessi detto loro come farlo.» Le ultime luci si stavano spegnendo quando Sheriam raggiunse la sua minuscola tenda, ancor più piccola di quella di Egwene. Se non fosse stata la Custode, avrebbe dovuto condividerla con un'altra sorella. Abbassandosi per entrare, ebbe appena il tempo per accorgersi di non essere sola, poi fu schermata e gettata a faccia in giù sul lettino da campo. Stupita, provò a strillare, ma un angolo delle sue coperte le si infilò da solo in bocca. Abito e biancheria esplosero via dal suo corpo come una bolla fatta scoppiare. Una mano le carezzò la testa. «Si suppone che tu mi fornisca informazioni, Sheriam. Quella ragazza ha qualcosa in mente, e io voglio sapere cosa.» Sheriam dovette faticare molto per convincere quella persona che lei aveva già detto tutto quello che sapeva, che non avrebbe mai tenuto nascosta una parola, un bisbiglio. Quando alla fine rimase sola, giacque rannicchiata a lamentarsi per i segni delle frustate, rimpiangendo amaramente di aver mai rivolto la parola a una sorella del Consiglio. 17
Sul ghiaccio Il mattino successivo, una colonna partì verso nord dall'accampamento delle Aes Sedai molto prima dell'alba, quasi in silenzio a eccezione del crepitare delle selle e degli scricchiolii degli zoccoli che rompevano la dura crosta superficiale della neve. Di tanto in tanto un cavallo sbuffava o il metallo tintinnava e veniva subito avvolto in qualche panno per ovattarne
il suono. La luna era quasi calata, il cielo scintillava di stelle, ma la pallida coltre stesa sul paesaggio riluceva nel buio. Quando i primi bagliori del giorno apparvero a est, i viaggiatori cavalcavano da più di un'ora. Ma non erano andati molto lontano. Nei tratti di terreno più sgombro, Egwene poteva lasciar andare Daishar al piccolo galoppo alzando schizzi di neve come fosse acqua, ma per lo più i cavalli avanzavano al passo, un passo lento, tra rade foreste dove la neve era ammucchiata in cumuli sul terreno e appesantiva i rami degli alberi. Querce e pini, aceri ed ericacee insieme ad altri che lei non conosceva, gli alberi sembravano anche più malconci di quando c'era la siccità. Quel giorno ricorreva la Festa di Abram, ma non ci sarebbero stati premi da trovare nelle torte di miele. Tuttavia, con l'aiuto della Luce, qualcuno avrebbe comunque ricevuto la sua sorpresa. Il sole sorse e salì nel cielo, una pallida sfera dorata che non dava alcun calore. Il respiro continuava a pungere in gola e a formare nuvolette di vapore. Soffiava il vento, non forte ma tagliente, e a ovest le nuvole scure rotolavano verso nord, verso l'Andor. Egwene provò un po' di compassione per chiunque avrebbe dovuto scoprire il carico trasportato da quelle nuvole. E si sentì sollevata per la loro partenza. Un altro giorno di attesa l'avrebbe fatta impazzire. Non era riuscita a dormire, e la causa non erano stati i mal di testa ma un'irrequietezza nervosa. Questa, e i tentacoli della paura che erano strisciati nella tenda come le correnti di aria fredda che passavano sotto i bordi dei teli. Non era stanca, però. Si sentiva come una molla compressa, un meccanismo caricato, piena di energia che desiderava ardentemente la possibilità di scatenarsi. Per la Luce, tutto poteva ancora andare per il verso sbagliato. Era una colonna impressionante quella che viaggiava dietro lo stendardo della Torre Bianca, la candida Fiamma di Tar Valon al centro di una spirale di sette colori, uno per ogni Ajah. Cucito segretamente a Salidar, il vessillo era rimasto sin da allora sul fondo di un baule, le cui chiavi erano custodite dal Consiglio. Egwene non credeva che l'avrebbero mai tirato fuori se non fosse stato per il bisogno di grandiosità di quel mattino. La scorta era assicurata da un plotone di cavalleria pesante costituito da un migliaio di uomini in maglia di ferro e armatura a piastre, una panoplia di lance, spade, mazze e asce come di rado se ne vedevano a sud delle Marche di Confine. A guidare la cavalleria c'era uno Shienarese con un occhio buono e una benda dai colori accesi sull'altro, un uomo che Egwene aveva conosciuto in passato, in un tempo che adesso le sembrava appartenere a un'altra Epoca. Uno Nomesta guardava torvo gli alberi attraverso la visiera a
sbarre del suo elmo quasi si aspettasse che dietro ognuno si nascondesse un'imboscata, e i suoi uomini sembravano quasi altrettanto guardinghi, dritti nelle loro selle. Quasi fuori dalla visuale, più avanti tra gli alberi, cavalcava un gruppo di uomini che portavano elmo, pettorali e piastre sulla schiena ma nessun altro pezzo di armatura. I loro mantelli si agitavano liberi nel vento; le mani infilate nei guanti servivano a reggere una le redini e l'altra l'arco corto che tutti impugnavano. Ce n'erano altri ancora più avanti, e anche nascosti sulla sinistra e sulla destra, un altro migliaio di uomini in tutto per esplorare e controllare. Gareth Bryne non si aspettava trucchi dagli Andorani, ma, aveva detto, si era già sbagliato in precedenza, e poi c'erano anche i Murandiani, che erano tutt'altra cosa. Senza contare la possibilità di assassini pagati da Elaida, nonché gli Amici delle Tenebre. Solo la Luce sapeva quando o perché un Amico delle Tenebre poteva decidere di uccidere. Quanto a questo, anche se si supponeva che gli Shaido fossero molto lontani, nessuno pareva accorgersi della loro presenza prima che cominciassero ad ammazzare. Persino una banda di briganti avrebbe potuto decidere che valeva la pena correre il rischio, contro un gruppo troppo piccolo. Lord Bryne non correva rischi se non era necessario, ed Egwene ne era molto lieta. Quel giorno, voleva quanti più testimoni possibile. Cavalcava davanti alla bandiera, con Sheriam, Siuan e Bryne. Gli altri parevano persi nei loro pensieri. Bryne sedeva in sella con gran naturalezza, la nebbiolina del suo respiro regolare che formava una brina leggera sulla visiera dell'elmo, eppure Egwene sapeva che quell'uomo stava studiando con calma il territorio. In caso dovessero combattere. Siuan cavalcava con una rigidità tale che di sicuro sarebbe stata indolenzita molto prima della fine del viaggio, ma teneva lo sguardo fisso a nord quasi potesse già vedere il lago, e di tanto in tanto annuiva tra sé o scuoteva il capo. E non l'avrebbe fatto, se non fosse stata nervosa. Di quello che stava per succedere Sheriam non ne sapeva più delle Adunanti, eppure sembrava anche più nervosa di Siuan, cambiava di continuo posizione sulla sella e faceva smorfie. Nei suoi occhi verdi c'era anche rabbia, chissà per quale motivo. Subito dietro lo stendardo veniva l'intero Consiglio della Torre, due file di donne vestite di sete, ricchi velluti, pellicce e mantelli decorati con la Fiamma. Donne che raramente portavano gioielli che non fossero l'anello col Gran Serpente ed erano adesso addobbate con le gemme migliori che i forzieri dell'accampamento avevano potuto fornire. I Custodi davano vita a uno spettacolo ancor più sorprendente per il semplice fatto che indossava-
no i loro mantelli dai colori cangianti; parti dei loro corpi sembravano svanire quando quegli inquietanti mantelli venivano mossi dalla brezza. Poi venivano i servitori, due o tre per ogni sorella, sui cavalli migliori che erano rimasti per loro. Potevano passare per dei nobili minori se alcuni di loro non avessero tenuto per le redini gli animali da soma: tutti i bauli del campo erano stati saccheggiati per vestirli con colori accesi. Forse perché era l'unica Adunante senza un custode, Delana si era portata dietro Halima, che cavalcava una focosa giumenta bianca. Le due donne avanzavano fianco a fianco. Ogni tanto Delana si sporgeva verso Halima per parlarle in privato anche se l'altra sembrava troppo emozionata per darle retta. Halima doveva essere la segretaria di Delana, ma tutti credevano che il loro legame fosse un caso di pietà, o forse di amicizia, per quanto improbabile, tra la contegnosa sorella dai capelli chiari e la turbolenta donna di campagna dalla chioma corvina. Egwene aveva visto la grafia di Halima, che aveva l'aspetto incompleto di quella di una bambina che ha appena cominciato a imparare a scrivere. Quel giorno Halima era elegante come ogni altra sorella, con gemme che eguagliavano quelle di Delana, che doveva avergliele prestate. Ogni volta che una raffica apriva il mantello di velluto di Halima metteva in mostra una sconvolgente porzione di seno, e la donna rideva e si prendeva il suo tempo per richiuderlo, rifiutandosi di ammettere di patire il freddo più di quanto lo pativano le sorelle. Per una volta, Egwene era contenta di tutti gli indumenti ricevuti in dono, che le avevano permesso di superare le Adunanti. La seta verde e azzurra del suo abito era screziata di bianco e ornata di piccole perle. Anche il dorso dei quanti era decorato di perle. All'ultimo minuto, un mantello foderato di ermellino era stato fornito da Romanda, e Lelaine aveva aggiunto una collana e un paio di orecchini con smeraldi e opale bianca. Le pietre di luna che Egwene aveva nei capelli venivano da Janya. Quel giorno l'Amyrlin doveva risplendere. Persino Siuan pareva pronta per un ballo, vestita con velluto blu e merletti color crema, con una collana di perle e altre perle ancora intrecciate nei capelli. Romanda e Lelaine guidavano il gruppo delle Adunanti, e cavalcavano a ridosso del soldato che portava lo stendardo, tanto vicine che l'uomo si girava spesso a guardare nervosamente indietro e talvolta spronava il cavallo per farlo avanzare più veloce. Egwene riuscì a non voltarsi più di una volta o due, eppure sentiva gli occhi delle due sorelle fissi tra le sue scapole. Erano convinte di averla legata mani e piedi, ma di sicuro si chiedevano a chi di loro due appartenessero le corde. Oh, per la Luce, le cose non dove-
vano andare per il verso sbagliato. Non adesso. A parte la colonna in viaggio, quasi non c'era movimento nel paesaggio innevato. Un falco dalle grandi ali veleggiò stagliandosi contro il freddo cielo azzurro per un po' prima di deviare verso est. In due occasioni Egwene vide da lontano volpi dalla coda nera che trotterellavano, coperte ancora dalla pelliccia estiva, e una volta intravide un grosso cervo con alte corna biforcute che subito svanì tra gli alberi. Una lepre spuntò dal terreno proprio tra gli zoccoli di Bela e balzò via, la giumenta irsuta agitò il capo e Siuan strillò e strinse le redini come temendo che il cavallo potesse imbizzarrirsi. Ovviamente Bela si limitò a sbuffare sdegnata e continuò ad avanzare col suo passo pesante. Il castrone roano di Egwene si agitò di più, e la lepre non gli era neppure andata vicino. Siuan cominciò a borbottare tra sé dopo che la lepre se ne fu andata, e passò un po' di tempo prima che allentasse le redini di Bela. Stare a cavallo la rendeva sempre irritabile - viaggiava quanto più possibile a bordo di uno dei carri - ma di rado reagiva così male. E per conoscere il motivo bastava guardare lord Bryne o notare le occhiatacce che lei gli lanciava. Se l'uomo si era accorto di quegli sguardi, non lo dava a vedere. L'unico a non indossare abiti eleganti, aveva lo stesso aspetto di sempre, semplice e un po' malconcio. Una roccia che aveva sopportato tante tempeste e altre ancora ne avrebbe superate. Per qualche motivo, Egwene era lieta che il generale si fosse opposto ai loro tentativi di vestirlo in modo più raffinato. Avevano davvero bisogno di impressionare quei nobili, eppure lei era convinta che anche a quello scopo Bryne fosse perfetto com'era. «È un bel giorno per stare in sella» disse Sheriam dopo un po'. «Non c'è niente come una bella cavalcata sulla neve per schiarirsi la mente.» Non aveva parlato a bassa voce, e si era girata con un sorriso sottile verso Siuan, che ancora stava mormorando. Questa non disse nulla - non poteva certo, sotto lo sguardo di tutti - ma rivolse a Sheriam un'occhiataccia che prometteva parole per dopo. La donna dai capelli di fuoco distolse bruscamente lo sguardo e quasi sussultò. Ala, la sua giumenta chiazzata, accennò a impennarsi, e Sheriam la frenò con mano forse troppo pesante. Aveva mostrato ben poca gratitudine alla donna che l'aveva nominata maestra delle novizie e, come la maggior parte delle altre sorelle nella sua posizione, trovava spesso motivi per biasimare Siuan. Era l'unico difetto che Egwene aveva trovato in lei sin dal giuramento. Be', Sheriam aveva protestato dicendo che, in quanto Custode, non avrebbe dovuto prendere ordini da Siuan come le altre che avevano giura-
to, ma Egwene aveva capito da subito dove portava quella strada. E quella sulla cavalcata, infatti, non era stata la prima frecciata che Sheriam tentava di mettere a segno. Siuan insisteva nel volersela vedere da sola con Sheriam, e il suo orgoglio era troppo fragile perché Egwene potesse negarglielo, a meno che la situazione non fosse diventata insostenibile. Egwene avrebbe voluto che ci fosse il modo per avanzare più rapidamente. Siuan tornò al suo brontolio, e Sheriam stava palesemente pensando al modo per camuffare il prossimo rimbrotto. Egwene sentiva che tutti quei mormorii e quei mezzi sguardi cominciavano a entrarle sotto pelle. Dopo un po', persino l'atteggiamento contenuto e pratico di Bryne le diede sui nervi. Si ritrovò a pensare alle cose che poteva dire per scuotere quella sua calma. Purtroppo - o forse per fortuna - non ne trovò nessuna, non pensava che ce ne fossero. Ma se avesse dovuto aspettare ancora, rischiava di esplodere per la semplice impazienza. Il sole si arrampicò verso il picco di mezzogiorno, i chilometri si srotolarono dolorosamente lenti, e alla fine uno dei cavalieri più avanti si girò e alzò una mano. Bryne chiese frettolosamente scusa a Egwene e partì al galoppo. Fu più che altro una corsa faticosa attraverso la neve per il suo grosso castrone baio, Viaggiatore, ma alla fine raggiunse i soldati in avanscoperta, scambiò con loro poche parole poi li inviò tra gli alberi e aspettò che Egwene e gli altri lo raggiungessero. Quando il generale si accodò di nuovo al gruppo, Romanda e Lelaine si unirono a loro. Le due Adunanti riconobbero appena la presenza di Egwene, e fissarono Bryne con la fredda serenità che tanto scuoteva gli uomini al cospetto di un'Aes Sedai. Se non che, di tanto in tanto, le due si guardavano di soppiatto a vicenda con espressione meditabonda. E sembrava che non si rendessero nemmeno conto di farlo. Egwene sperava che fossero nervose almeno la metà di quanto lo era lei, le sarebbe bastato. Bryne si fece scorrere addosso quegli sguardi freddi e sereni come pioggia su una roccia. Fece dei lievi inchini alle Adunanti, ma si rivolse a Egwene. «Sono già arrivati, Madre.» Questo era previsto. «Si sono portati dietro quasi il nostro stesso numero di uomini, ma sono tutti sulla sponda settentrionale del lago. Ho mandato degli esploratori ad assicurarsi che nessuno tenti di fare il giro, ma in verità non credo che ce ne sia bisogno.» «Speriamo che tu abbia ragione» gli disse bruscamente Romanda, e Lelaine aggiunse in tono ancor più freddo: «Di recente la tua capacità di giudizio non è stata acuta come avrebbe dovuto, lord Bryne.» Un tono gelido e tagliente.
«Come dite voi, Aes Sedai.» Il generale fece un altro lieve inchino, ma quasi non distolse lo sguardo da Egwene. Come Siuan, adesso era apertamente legato a lei, almeno per quello che riguardava il Consiglio. Egwene si augurò che le Adunanti non scoprissero quanto stretto era quel legame, e si rammaricò di non averlo ancora scoperto neanche lei. «Un'altra cosa, Madre» proseguì lui. «Al lago c'è anche Talmanes. Ci sono circa un centinaio di membri della Banda sul lato orientale. Non abbastanza da causare problemi se anche volesse provarci, cosa secondo me poco probabile.» Egwene si limitò ad annuire. Non abbastanza da causare problemi? Il solo Talmanes poteva essere abbastanza! Sentì in bocca il sapore della bile. Le cose - non - potevano - andare - per il verso storto! «Talmanes!» esclamò Lelaine, e la sua serenità si infranse. Era di sicuro nervosa quanto Egwene. «Come ha fatto a saperlo? Se hai coinvolto i fautori del Drago, lord Bryne, allora imparerai davvero cosa succede a chi si spinge troppo oltre!» Subito dopo, Romanda ringhiò: «Questa è una disgrazia! Dici di aver appreso solo adesso della sua presenza? Allora la tua reputazione è gonfiata come una bolla infetta!» Evidentemente la serenità da Aes Sedai era uno strato sottile, quel giorno. Proseguirono in quel tono, ma Bryne continuò a cavalcare, mormorando il suo sporadico 'Come dite voi, Aes Sedai' quando era costretto a dire qualcosa. Quel mattino Egwene l'aveva visto subire un trattamento anche peggiore e reagire sempre allo stesso modo. Alla fine fu Siuan a sbuffare, poi divenne paonazza quando le Adunanti la guardarono stupite. Egwene quasi scosse il capo. Siuan era decisamente innamorata. E lei aveva decisamente bisogno di parlarle! Bryne sorrise, ma forse solo perché non era più lui l'oggetto delle attenzioni delle Adunanti. Gli alberi lasciarono il posto a un altro spazio aperto, più grande di molti di quelli visti fino a quel momento, e non ci fu più tempo per i pensieri frivoli. A parte un'ampia fascia di alte canne marroni e mazzesorde che spuntavano dalla neve a tracciare la riva, niente faceva pensare a un lago. Poteva anche essere un grande prato, piatto e di forma vagamente ovale. A una certa distanza dalla linea degli alberi, sul lago ghiacciato, c'era un grande telo blu sorretto da alti pali, con una piccola folla di persone che si agitava nei dintorni e decine di cavalli tenuti dai servitori. La brezza scompigliò un variopinto boschetto di stendardi e bandiere, e trasportò urla ovattate che potevano solo essere ordini. La maggior parte dei servitori prese a sfreccia-
re in giro, indaffarati. Evidentemente non erano lì da abbastanza tempo e non avevano ancora terminato i preparativi. A circa un chilometro e mezzo da lì ricominciava la foresta, e la debole luce del sole si rifletteva sul metallo. Un bel po' di metallo, lungo tutta la riva opposta. A est, vicini quasi quanto il padiglione, i cento uomini della Banda non facevano alcuno sforzo per nascondersi, in piedi accanto ai loro cavalli poco distanti da dove sorgevano le prime mazzesorde. Alcuni di loro si girarono a indicare la bandiera di Tar Valon quando questa fu visibile. Le persone presso il padiglione si fermarono per guardare. Senza tentennamenti, Egwene portò il cavallo sul ghiaccio coperto di neve. Immaginò di essere un bocciolo di rosa che si apriva al sole, un vecchio esercizio da novizie. Non abbracciò saidar, ma la calma che la riempì fu ben accetta. Siuan e Sheriam la seguirono, poi le Adunati coi loro Custodi e poi i servitori. Lord Bryne e il portabandiera furono gli unici soldati ad andare. Le urla che si levarono alle sue spalle fecero capire a Egwene che Uno stava disponendo la sua cavalleria pesante lungo la sponda del lago. Gli altri uomini, quelli con l'armatura leggera, erano sistemati sui due lati, tranne quelli che si erano allontanati per stare in guardia contro eventuali tranelli. Tra le altre cose, il lago era stato scelto come luogo per l'incontro anche perché la superficie ghiacciata era abbastanza spessa da reggere il peso di un buon numero di cavalli, ma non centinaia, e men che mai migliaia. Questo riduceva le possibilità di imbrogli e sortite. Ovviamente, un padiglione fuori dalla portata di tiro degli archi non era immune dall'Unico Potere, finché era visibile. Ma anche il peggior uomo al mondo sapeva di essere al sicuro in quel senso se non minacciava una sorella. Egwene emise un brusco sospiro, e ricominciò da capo l'esercizio per trovare la calma. Un'accoglienza dignitosa per l'Amyrlin Seat avrebbe previsto i servitori che correvano a portare bevande calde e mattoni caldi avvolti in un panno, coi lord e le lady che si occupavano personalmente di prendere le redini e offrivano un bacio per festeggiare Abram. E i servitori sarebbero accorsi anche per qualsiasi altro ospite di riguardo, ma nessuno si mosse dal padiglione. Bryne smontò di sella e andò a tenere le redini di Daishar, e lo stesso giovane che il giorno prima aveva sostituito i carboni nella tenda si precipitò a reggere la staffa di Egwene. Il naso ancora gli colava, ma con la sua giubba di velluto rosso appena un po' larga e con il lucente mantello blu superava in splendore tutti i nobili che da sotto il telo osservavano la scena. Sembravano quasi tutti vestiti con lana robusta, pochi ricami e po-
chissime sete o merletti. Con ogni probabilità avevano dovuto faticare un po' per trovare gli abiti adatti visto che erano già in marcia quando la neve aveva cominciato a cadere. La verità, però, era che quel giovane avrebbe superato in splendore anche un Calderaio. Sul pavimento del tendone erano stati stesi i tappeti e i bracieri erano accesi, ma la brezza portava via il calore insieme al fumo. Le sedie per le delegazioni erano sistemate in due file opposte, otto per ognuna. Non si aspettavano tutte quelle sorelle. Alcuni dei nobili in attesa si scambiarono sguardi di costernazione, e diversi servitori si torcevano le mani, chiedendosi cosa dovessero fare. Non ce n'era bisogno. Le sedie costituivano un insieme variegato, ma erano tutte delle stesse dimensioni, e nessuna era più malconcia o usata delle altre, nessuna mostrava più decorazioni o dorature. Il giovane allampanato e altri servitori venuti dall'accampamento entrarono rapidi nel padiglione e, sotto lo sguardo accigliato dei nobili e senza neanche chiedere il permesso, portarono fuori le sedie destinate alle Aes Sedai per poi correre ad aiutare quelli che stavano scaricando i cavalli da soma. Non si era sentita ancora neppure una parola. In poco tempo furono sistemati abbastanza posti a sedere per l'intero Consiglio ed Egwene. Solo semplici panche, anche se lucidate fino a risplendere, ma poggiavano tutte su ampie casse coperte con un panno nei colori dell'Ajah dell'Adunante, una lunga fila larga quanto lo stesso padiglione. La cassa piazzata sul davanti, quella per la panca di Egwene, era a strisce come la sua stola. Nella notte precedente c'era stato un gran fervere di attività, a cominciare dalla ricerca della cera d'api per lucidare e di buoni tessuti del colore giusto. Quando Egwene e le Adunanti presero posto, erano sedute una trentina di centimetri più in alto degli altri. Su questo Egwene aveva avuto i suoi dubbi, ma la mancanza di qualsiasi parola di benvenuto li aveva ormai sedati. Il più duro dei contadini avrebbe offerto un calice e un bacio a un vagabondo durante la Festa di Abram. Loro non erano andate lì come supplicanti dei nobili, né erano loro pari. Erano Aes Sedai. I Custodi rimasero in piedi dietro le loro Aes Sedai, e Siuan e Sheriam si misero ai lati di Egwene. Le sorelle spinsero teatralmente indietro i mantelli e si tolsero i guanti per sottolineare che il freddo non le toccava, un netto contrasto coi nobili che si tenevano stretti addosso i loro mantelli. All'esterno, la Fiamma di Tar Valon salì nella brezza che si andava rinforzando. Solo Halima, accanto alla sedia di Delana sul bordo della cassa co-
perta di grigio, rovinava la grandiosità dell'immagine, ma la rovinava poco, perché coi suoi grandi occhi verdi fissava Andorani e Murandiani con un'intensa aria di sfida. Alcuni sgranarono gli occhi quando Egwene salì sul seggio sistemato davanti agli altri, ma furono in pochi. Nessuno sembrava davvero sorpreso. Immagino abbiano tutti sentito parlare della giovane Amyrlin, pensò lei con amarezza. Be', c'erano state regine ben più giovani, anche nell'Andor e nel Murandy. Con calma, fece un cenno del capo e Sheriam indicò la linea di sedie. Non importava chi era arrivato prima o chi aveva fornito il padiglione, non c'erano dubbi su chi aveva indetto quell'incontro, su chi era al comando. Quel gesto non fu ben accolto, ovviamente. Ci fu un momento di silenziosa esitazione mentre i nobili si spremevano le meningi per trovare il modo di riguadagnare la loro posizione, e non poche smorfie quando si resero conto che non era possibile. Cupi in volto, otto di loro si misero a sedere, quattro uomini e quattro donne, con un grande e rabbioso aggiustare di mantelli e lisciare di gonne. I nobili di rango minore si posizionarono in piedi dietro le sedie, e fu chiaro che c'era poco amore tra Andorani e Murandiani. Quanto a ciò, i Murandiani, uomini e donne che fossero, mormoravano e si spintonavano per ottenere la precedenza, bisticciando tra loro con la stessa animosità con cui bisticciavano coi loro 'alleati' del Nord. Anche le Aes Sedai ricevettero una discreta quantità di sguardi cupi, e qualche occhiataccia arrivò anche a Bryne, che se ne stava in disparte con l'elmo sotto un braccio. Era famoso da entrambi i lati del confine, e rispettato persino da quelli che lo volevano morto. Almeno era così prima che spuntasse fuori alla guida dell'esercito delle Aes Sedai. Lui ignorò gli sguardi acidi dei nobili come aveva ignorato le parole acide delle Adunanti. Un altro uomo non si unì a nessuno dei due gruppi. Pallido, appena un palmo più alto di Egwene, giubba scura e pettorali, portava la parte anteriore della testa rasata, e intorno al braccio sinistro teneva legato un lungo fazzoletto rosso. Il suo mantello grigio scuro aveva una grande mano rossa ricamata sul davanti. Talmanes era dal iato opposto rispetto a Bryne, poggiato a uno dei sostegni del padiglione con un'arrogante disinvoltura, e si guardava intorno senza rivelare nulla dei propri pensieri. Egwene avrebbe voluto sapere cosa ci faceva lì. In ogni caso, doveva parlare con lui. Se riusciva a farlo senza che un centinaio di persone origliassero. Un uomo magro e segnato dalle intemperie e con indosso un mantello
rosso si sporse dal suo posto al centro della fila di sedie e fece per parlare, ma Sheriam lo precedette con voce chiara e stentorea. «Madre, permettimi di presentarti queste persone. Dall'Andor, Arathelle Renshar, Alto Seggio della casata Renshar. Pelivar Coelan, Alto Seggio della casata Coelan. Aemlyn Carand, Alto Seggio della casata Carand, e suo marito, Culhan Carand.» I nobili risposero con amarezza a quell'appello, limitandosi a un cenno del capo. Pelivar era l'uomo magro di prima; i suoi capelli scuri cominciavano a diradarsi sul davanti. Sheriam proseguì senza pause; era un bene che Bryne fosse riuscito a fornirle i nomi di quelli che erano stati scelti per le trattative. «Dal Murandy, Donel do Morny a'Lordeine. Cian do Mehon a'Macansa. Paitr do Fearna a'Conn. Segan do Avharin a'Roos.» I Murandiani parvero risentirsi anche più degli Andorani per la mancanza dei titoli onorifici. Donel, che indossava più merletto di gran parte delle donne, si torse con foga i baffi, e Paitr sembrava volesse strapparsi i propri dal viso. Segan increspò le labbra carnose e i suoi occhi scuri fiammeggiavano, mentre Cian, una donna grossa e brizzolata, sbuffò piuttosto sonoramente. Sheriam non ci fece alcun caso. «Siete sotto lo sguardo della Custode dei Sigilli. Siete al cospetto della Fiamma di Tar Valon. Potete ora presentare le vostre suppliche all'Amyrlin Seat.» Bene. Questo ai nobili non piacque, neanche un po'. Egwene prima aveva pensato che fossero amari, ma adesso sembravano tutti imbottiti di cachi acerbi. Forse avevano creduto di poter fingere che lei non era affatto l'Amyrlin. Avrebbero imparato che lo era. Ovviamente, per prima cosa bisognava insegnarlo al Consiglio. «Ci sono antichi legami tra Andor e la Torre Bianca» disse Egwene, con voce alta e ferma. «Le sorelle hanno sempre saputo di essere le benvenute in Andor o nel Murandy. Perché allora voi portate un esercito contro le Aes Sedai? Vi intromettete in faccende che troni e nazioni hanno paura di sfiorare. Re e regine sono caduti per essersi intromessi negli affari delle Aes Sedai.» Quelle parole erano abbastanza minacciose, che Myrelle e le altre fossero riuscite o meno a spianarle il cammino. Con un po' di fortuna, erano già di ritorno all'accampamento, e nessuno ne avrebbe saputo niente. A meno che uno di quei nobili non faceva il nome sbagliato. Questo le avrebbe fatto perdere un vantaggio nei confronti del Consiglio, ma rispetto a tutto il resto era come una pagliuzza a confronto di un fienile. Pelivar scambiò uno sguardo con la donna seduta accanto a lui, che si alzò. Le rughe sul suo volto non potevano celare il fatto che da giovane
Arathelle era stata una bella donna con le ossa sottili; adesso i capelli erano pesantemente striati di grigio e lo sguardo era duro come quello di un Custode. Con le mani infilate nei guanti rossi stringeva i bordi del mantello lungo i fianchi, ma chiaramente non per paura. La bocca compressa in un'esile linea, Arathelle studiò la fila di Adunanti, e solo allora parlò. Ignorando Egwene, rivolta alle sorelle dietro di lei. Digrignando i denti, Egwene assunse un'espressione attenta. «Siamo qui proprio perché vogliamo evitare di immischiarci negli affari della Torre Bianca.» La voce di Arathelle era autoritaria, cosa poco sorprendente visto che era comunque l'Alto Seggio di una casata potente. Non c'erano accenni dell'insicurezza che sarebbe stato legittimo aspettarsi anche da un così potente Alto Seggio al cospetto di tante Aes Sedai, nonché dell'Amyrlin Seat. «Se tutto quello che abbiamo saputo è vero, allora nel migliore dei casi lasciarvi passare tranquillamente attraverso l'Andor potrebbe sembrare un atto di sostegno, o persino alleanza, agli occhi della Torre Bianca. Se non ci opponiamo rischieremo di imparare quello che il chicco d'uva impara nella pigiatrice.» Diversi Murandiani si girarono a guardarla accigliati. Nel Murandy nessuno aveva provato a ostacolare il passaggio delle sorelle. Con ogni probabilità, ogni singolo nobile murandiano aveva smesso di pensare a quel problema nel momento stesso in cui le sorelle avevano lasciato le sue terre per passare in quelle di un altro. Arathelle proseguì come se non si fosse accorta di quegli sguardi, ma Egwene ne dubitava. «E nel peggiore dei casi... Abbiamo ricevuto... rapporti... su Aes Sedai e soldati della Guardia della Torre che entravano segretamente in Andor. Dicerie sarebbe una definizione più esatta, ma ci sono arrivati da diverse parti. Nessuno di noi vorrebbe vedere una battaglia tra Aes Sedai qui in Andor.» «Che la Luce ce ne scampi e liberi!» esplose Donel, rosso in viso. Paitr annuì come per incoraggiarlo, spostandosi verso il bordo della sedia, e anche Cian sembrava pronta a intervenire. «Nessuno vuole vederla neppure qui!» disse con foga Donel. «Non tra Aes Sedai! Certo che no! Abbiamo sentito quello che è successo a est! E quelle sorelle...» Egwene ricominciò a respirare più naturalmente quando Arathelle lo interruppe con fermezza. «Per favore, lord Donel. Avrai il tuo turno per parlare.» Si rivolse di nuovo a Egwene - ancora una volta alle Adunanti, in realtà - senza aspettare la risposta del nobile, lasciandolo a sputacchiare mentre gli altri tre Murandiani la guardavano in cagnesco. Dal canto suo, Arathelle sembrava piuttosto imperturbata, stava semplicemente esponen-
do la realtà dei fatti. La esponeva convinta che tutti la dovessero vedere nella sua prospettiva. «Come stavo dicendo, quelle sono le nostre peggiori paure, se le storie sono vere. E anche se non lo sono. Forse alcune Aes Sedai e dei soldati della Guardia della Torre si stanno segretamente radunando in Andor. E di sicuro delle Aes Sedai con un esercito sono pronte a entrare in Andor. Abbastanza spesso è parso che la Torre Bianca mirasse a un obiettivo e in seguito ci siamo resi conto che aveva puntato a un altro per tutto il tempo. Mi riesce difficile immaginare che persino la Torre Bianca possa spingersi così oltre, ma se il vostro obiettivo è la Torre Nera sono sicura che nessuna mossa vi sembrerebbe troppo contorta pur di poter avere la meglio.» Arathelle tremò leggermente, ed Egwene non pensava che fosse per il freddo. «Una battaglia tra Aes Sedai potrebbe devastare la nostra terra per chilometri. Quella battaglia potrebbe distruggere mezzo Andor.» Pelivar balzò in piedi. «Per dirla con parole semplici, dovrete prendere un'altra strada.» La sua voce era sorprendentemente acuta, ma non meno ferma di quella di Arathelle. «Se devo morire per difendere le mie terre e la mia gente allora sarà meglio farlo qui, dove non debbano morire anche le mie terre e la mia gente.» Si calmò a un cenno di Arathelle, sprofondando di nuovo sulla sedia. Nei suoi occhi duri però non c'era maggior serenità di prima. Aemlyn, una donna pienotta fasciata in lana scura, annuì per mostrarsi d'accordo con Pelivar, e lo stesso fece suo marito, un uomo dal volto quadrato. Donel fissò Pelivar come se a lui non fosse mai neppure venuta in mente quell'idea, e non fu il solo. Alcuni dei Murandiani in piedi dietro le sedie cominciarono a discutere a gran voce finché gli altri non li zittirono. Alcuni agitarono i pugni. Ma cosa gli era preso a quella gente per allearsi con gli Andorani? Egwene trasse un respiro. Un bocciolo di rosa, che si apre al sole. Non le avevano riconosciuto il ruolo di Amyrlin Seat - per ignorarla più di quanto aveva già fatto, Arathelle avrebbe solo dovuto spingerla via - eppure le avevano dato tutto ciò di cui lei aveva bisogno. Calma. Era arrivato il momento in cui Lelaine e Romanda si aspettavano che lei nominasse una delle due per gestire le trattative. Egwene si augurò che avessero lo stomaco annodato a furia di chiedersi chi sarebbe stata scelta. Non ci sarebbero state trattative. Non ce ne potevano essere. «Elaida» disse Egwene con voce piana, guardando a turno Arathelle e i nobili seduti «è un'usurpatrice che ha violato ciò che sta alla base della
Torre Bianca stessa. Io sono l'Amyrlin Seat.» Fu sorpresa di quanto era riuscita a sembrare maestosa e serena. Ma la sorpresa fu comunque minore di quanto non sarebbe stata in passato. Che la Luce la aiutasse, lei era davvero l'Amyrlin Seat. «Stiamo andando a Tar Valon per toglierla dal seggio dell'Amyrlin e processarla, ma questi sono affari della Torre Bianca, e non vi riguardano se non in quanto vi permettono di sapere la verità. Anche questa cosiddetta Torre Nera è affar nostro; gli uomini in grado di incanalare sono sempre stati affare della Torre Bianca. Ce la vedremo con loro quando lo riterremo opportuno, quando il tempo sarà maturo, ma vi assicuro che ancora non lo è. Le questioni più importanti devono avere la precedenza.» Sentì che tra le Adunanti alle sue spalle c'era del movimento. Corpi che si spostavano sulle panche e il secco frusciare delle gonne divise che venivano sistemate. Alcune sorelle erano decisamente agitate. Be', diverse avevano suggerito di risolvere il problema della Torre Nera lungo il cammino. Nessuna di loro credeva che ci potessero essere più di una decina di uomini al massimo, non importa quello che avevano sentito dire; dopo tutto, era semplicemente impossibile che centinaia di uomini volessero incanalare. D'altro canto, quell'agitazione poteva anche essere dovuta al fatto che avevano capito che Egwene non avrebbe nominato né Romanda né Lelaine. Arathelle si accigliò, forse perché aveva colto qualcosa nell'aria. Pelivar si mosse, sul punto di alzarsi di nuovo, e Donel si raddrizzò con aria querula. Egwene non aveva alternative, doveva andare avanti su quella strada. Non c'erano mai state alternative. «Capisco le vostre preoccupazioni,» disse nello stesso tono formale «e le terrò da conto.» Qual era quella strana farse che la Banda usava come chiamata alle armi? Ah, già: è tempo di lanciare i dadi. «Come Amyrlin Seat, vi posso dare questa certezza: resteremo qui per un mese, a riposare, e poi lasceremo il Murandy, ma non attraverseremo il confine con l'Andor. Il Murandy non avrà più problemi da noi dopo di ciò, e l'Andor non ne avrà affatto. Sono sicura» aggiunse «che i lord e le lady murandiani qui presenti saranno lieti di fornirci ciò che ci serve in cambio di buon argento. Pagheremo prezzi onesti.» Non aveva senso placare gli Andorani se questo significava spingere i Murandiani ad assalire cavalli e carovane di provviste. In ogni caso i nobili del Murandy, che si guardavano intorno a disagio, sembravano decisamente incerti. C'era la possibilità di guadagnare, e guadagnare bene, visto che bisognava rifornire un esercito così grande, ma
d'altro cantò chi poteva mercanteggiare proficuamente con ciò che un esercito così grande aveva da offrire? Donel pareva ormai pronto a vomitare, mentre Cian sembrava stesse facendo mentalmente i calcoli. Tra i presenti si levarono i primi mormorii. Più che mormorii; Egwene poté quasi sentire le parole che venivano pronunciate. Avrebbe voluto girarsi indietro a guardare le sorelle. Il silenzio delle Adunanti era assordante. Siuan aveva lo sguardo fisso in avanti e si stringeva le gonne come per costringersi a continuare a guardare davanti a sé. Lei almeno sapeva da prima cosa sarebbe successo. Sheriam, che lo ignorava, guardava Andorani e Murandiani con regalità, con calma, come se avesse previsto ogni singola parola. Egwene aveva bisogno che dimenticassero la ragazza che avevano davanti e ascoltassero le parole di una donna che teneva saldamente in mano le redini del potere. E se quelle redini non erano ancora nelle sue mani, lo sarebbero state presto! Mise fermezza nella voce e disse: «Statemi a sentire. Ho preso la mia decisione; non vi resta che accettare. O dovrete affrontare le sicure conseguenze del vostro fallimento.» Quando lei si zittì, il vento soffiò una raffica ululante che fece tremare il telone e strattonò gli abiti. Egwene si sistemò con calma i capelli. Alcuno dei nobili tremarono e si strinsero nel mantello, e lei si augurò che quei brividi non fossero dovuti solo al freddo. Arathelle guardò Pelivar e Aemlyn, e tutti e tre osservarono le Adunanti prima di annuire lentamente. Credevano che Egwene stesse solo recitando le parole che le altre sorelle le avevano messo in bocca! Ciò nonostante, lei quasi sospirò per il sollievo. «Sarà come tu dici» dichiarò la nobile dagli occhi duri. Ancora una volta guardando le Adunanti. «Non dubitiamo della parola di un'Aes Sedai, ovviamente, ma devi capire che anche noi resteremo qui. A volte quello che senti non è quello che hai creduto di sentire. Sono sicura che questo non sia il nostro caso. Ma resteremo finché ci sarete voi.» Donel sembrava davvero pronto a rimettere. Con ogni probabilità, le sue terre erano vicine. E non giravano molte storie su eserciti andorani nel Murandy che pagavano per tutto quello che prendevano. Egwene si mise in piedi, e sentì i fruscii delle Adunanti che si alzavano dietro di lei. «È deciso, dunque. Noi dobbiamo partire al più presto, se vogliamo tornare ai nostri letti prima che sia buio, ma possiamo concederci qualche altro momento. Conoscendoci meglio adesso potremo evitare incomprensioni in futuro.» E durante le conversazioni forse avrebbe avuto
modo di raggiungere Talmanes. «Oh. C'è un'altra cosa che dovreste sapere. Il registro delle novizie ora è aperto a ogni donna, di qualsiasi età, purché si dimostri davvero capace di incanalare.» Arathelle sbatté le palpebre. Siuan no, ma a Egwene parve di sentire un lieve grugnito. Questo non faceva parte dei loro piani, ma non ci sarebbe mai stato un momento migliore. «Forza. Sono sicura che voi tutti desiderate parlare con le Adunanti. Lasciamo perdere le formalità.» Senza aspettare che Sheriam le offrisse la mano, scese dal seggio rialzato. Aveva quasi voglia di ridere. La notte scorsa aveva avuto paura che non sarebbe mai riuscita a raggiungere il suo obiettivo, ma adesso era a metà strada, quasi a metà, e non era stato affatto difficile come temeva. Ovviamente, restava l'altra metà da percorrere. 18
Una strana sensazione Per un attimo, dopo che Egwene fu scesa, nessun altro si mosse. E poi Andorani e Murandiani andarono verso le Adunanti, quasi tutti insieme. Evidentemente, una giovane Amyrlin - una giovane marionetta, un fantoccio di paglia! - non era interessante, non con tutti quei volti senza età che quanto meno assicuravano di avere di fronte un'Aes Sedai. Due o tre nobili si chiusero intorno a ciascuna Adunante, alcuni col mento alto in un'espressione imperiosa, altri col capo timidamente chino, ma tutti insistevano per essere ascoltati. La brezza tagliente soffiava via le nuvolette dei loro respiri e faceva sventolare i mantelli, dimenticati nell'urgenza di porre le varie domande. Anche Sheriam fu avvicinata, dal paonazzo lord Donel, che faceva sfuriate e inchini a turno. Egwene tirò via Sheriam allontanandola da quell'uomo con gli occhi stretti. «Scopri con discrezione tutto quello che puoi su queste sorelle e la Guardia della Torre in Andor» le sussurrò in tutta fretta. Non appena lei liberò l'Aes Sedai, Donel reclamò la sua attenzione. Sheriam parve sentirsi addirittura vessata, ma il suo cipiglio sparì rapidamente. Donel prese a sbattere nervosamente le palpebre quando vide che era lei a fare le doman-
de. Romanda e Lelaine guardarono Egwene tra la folla con volti scolpiti nel ghiaccio, ma ognuna aveva intorno un paio di nobili che volevano... qualcosa. L'assicurazione che non ci fossero trucchi nascosti nelle parole di Egwene, forse. Le due Adunanti dovevano essere furiose, ma per quanto potessero provare a evitare quell'argomento - e ci avrebbero di sicuro provato - non c'era modo di non fornire quell'assicurazione senza ripudiare Egwene. E nemmeno loro due si sarebbero spinte a tanto. Non lì, non in pubblico. Siuan scivolò accanto a Egwene, il volto atteggiato a una maschera di umiltà. Ma i suoi occhi guizzavano di continuo, forse alla ricerca di Romanda o Lelaine, temendo che una di loro potesse arrivare ad acciuffarle entrambe, dimenticandosi della legge, le usanze, la dignità e le persone che stavano a guardare. «Shein Chunla» quasi sibilò con la voce ridotta a un mormorio. Egwene annuì, ma lei con gli occhi cercava Talmanes. Quasi tutti gli uomini e anche alcune donne erano alti abbastanza da poterlo nascondere al suo sguardo. E con tutto quel camminare e muoversi... Si alzò in punta di piedi. Dov'era finito? Segan le si piazzò davanti, coi pugni sui fianchi, e guardò Siuan con perplessità. Egwene si abbassò in tutta fretta: l'Amyrlin non poteva starsene in punta di piedi come una ragazzina a un ballo che cerca un ragazzo. Un bocciolo di rosa che si dispiega. Calma. Serenità. Accidenti a tutti gli uomini! Magra, con lunghi capelli neri, Segan sembrava nata irascibile, la bocca piena fissa in un broncio. L'abito era di buona lana e fatto per tener caldi, ma c'era fin troppo ricamo verde acceso sul seno, e i guanti erano abbastanza colorati da andar bene a un Calderaio. Guardò Egwene dall'alto in basso, corrugando le labbra, con la stessa perplessità con la quale aveva guardato Siuan. «Quando hai parlato del registro delle novizie,» disse a un tratto «intendevi davvero ogni donna di qualsiasi età? Significa che chiunque può diventare Aes Sedai?» Un argomento caro a Egwene, una risposta che avrebbe davvero desiderato dare - insieme a un ceffone per chi dubitava delle sue parole - ma proprio in quel momento un piccolo varco nel flusso di gente le mostrò Talmanes verso il fondo del padiglione. Stava parlando con Pelivar! I due avevano assunto pose rigide, come mastini quasi pronti a mostrare le zanne, ma stavano attenti a che nessuno arrivasse abbastanza vicino da sentire
quello che si dicevano. «Qualsiasi donna di qualsiasi età, figlia» dichiarò Egwene con fare distratto. Pelivar? «Grazie,» rispose Segan, e con una certa titubanza aggiunse «Madre.» Abbozzò una riverenza, appena un accenno, poi si allontanò rapidamente. Egwene rimase a guardarla a occhi sgranati. Be', era un inizio. Siuan sbuffò. «Non ho paura di portare la nave alle Dita del Drago di notte se è necessario» mormorò quasi tra sé. «Ne abbiamo già parlato; abbiamo valutato i pericoli, e in ogni caso non mi pare ci siano alternative, per il ventre di un gabbiano! Ma tu hai deciso di appiccare anche un incendio sul ponte per rendere le cose più interessanti. Prender nella rete un pesce leone non è abbastanza per te. Devi anche infilarti uno spinarello nel vestito. Non ti basta provare a evitare un branco di pesci spada...» Egwene la interruppe. «Siuan, credo proprio che dirò a lord Bryne che tu sei pazza d'amore per lui. È solo giusto che lo sappia, non trovi?» Gli occhi di Siuan parvero uscire dalle orbite, e la bocca si mosse ma ne uscì fuori solo una sorta di gloglottio. Egwene le diede una pacca su una spalla. «Sei un'Aes Sedai, Siuan. Cerca di conservare almeno un po' di dignità. E di scoprire qualcosa su queste sorelle in Andor.» La folla si aprì di nuovo. E lei vide Talmanes in un altro posto, ma sempre vicino al bordo del padiglione. E da solo, questa volta. Sforzandosi di non correre, andò verso di lui, lasciando Siuan che ancora emetteva quel suo strano gemito. Un bel servitore dai capelli neri le cui brache abbondanti non riuscivano a nascondere dei polpacci ben torniti offrì a Siuan una fumante coppa d'argento su un vassoio. Altri servitori si aggiravano con altri vassoi d'argento. Alla fine i rinfreschi erano stati offerti, anche se un po' in ritardo. Per il bacio di pace era decisamente troppo tardi. Egwene non sentì cosa disse Siuan quando afferrò la coppa, ma a giudicare da come l'uomo trasalì e cominciò a inchinarsi a ripetizione, doveva aver ricevuto quanto meno qualche scheggia tagliente del caratteraccio dell'Aes Sedai. Egwene sospirò. Talmanes se ne stava a braccia conserte, e osservava quello che gli succedeva intorno con un sorriso divertito che però non coinvolgeva anche gli occhi. Pareva pronto a scattare in azione, ma gli occhi erano stanchi. Quando lei lo raggiunse, le fece un rispettoso inchino, ma c'era una nota di sarcasmo nella sua voce quando disse: «Oggi hai cambiato un confine.» Si strinse nel mantello per proteggersi dalla brezza glaciale. «Il confine tra Andor e Murandy è sempre stato... fluido, non importa cosa dicono le mappe, ma gli Andorani non sono mai venuti a sud così numerosi. Se non
per la Guerra Aiel e la Guerra dei Manti Bianchi, almeno, ma all'epoca erano solo di passaggio. Quando saranno rimasti qui per un mese, nuove mappe mostreranno una nuova linea di confine. Guarda come si affannano i Murandiani, guarda come mostrano a Pelivar e ai suoi compagni la stessa adulazione tributata alle sorelle. Sperano di farsi nuovi amici per l'arrivo del nuovo giorno.» A Egwene, che provò a osservare senza darlo a vedere a chi a sua volta la osservava, Murandiani e Andorani sembravano concentrati sulle Adunanti e si affollavano intorno a loro. In ogni caso, aveva in mente questioni leggermente più importanti delle linee di confine. Più importanti per lei, se non per i nobili. Tranne che per brevi attimi, delle Adunanti era visibile solo la parte alta della testa. Le uniche a notare Egwene furono Halima e Siuan, e l'aria era piena di schiamazzi come quelli di uno stormo di anatre. Egwene abbassò la voce, e scelse le parole con cura. «Gli amici sono sempre importanti, Talmanes. Tu sei stato un buon amico per Mat, e credo anche per me. Spero che questo non sia cambiato. Spero che tu non abbia detto a nessuno cose che avresti dovuto tacere.» Per la Luce, era davvero ansiosa, altrimenti non sarebbe stata così diretta. Ci mancava solo che gli chiedesse senza mezzi termini di cosa aveva parlato con Pelivar! Per fortuna, lui non rise per quelle sue parole. Anche se forse gli erano sembrate quelle di una schietta paesana. La osservò con aria grave prima di rispondere. E quando lo fece parlò a voce bassa. Anche lui sapeva essere cauto. «Non tutti gli uomini sono pettegoli. Dimmi la verità, quando hai mandato Mat a sud sapevi già quello che avresti fatto qui oggi?» «Come potevo saperlo, due mesi fa? No, le Aes Sedai non sono onniscienti, Talmanes.» Aveva sperato in qualcosa che la mettesse nella posizione nella quale si trovava ora, e aveva fatto piani perché accadesse, ma non ne aveva avuto la certezza, non all'epoca. Sperava davvero che Talmanes non fosse pettegolo. Alcuni uomini non lo erano. Romanda si avviò verso di lei con passo fermo e volto di ghiaccio, ma Arathelle la intercettò, prese il braccio dell'Adunante delle Gialle e si rifiutò di essere congedata nonostante lo stupore di Romanda.. «Puoi almeno dirmi dove si trova Mat?» chiese Talmanes. «In viaggio per Caemlyn con l'erede al trono? Perché sei sorpresa? Una servitrice può anche parlare con un soldato mentre prendono l'acqua allo stesso ruscello. Persino se lui è un orribile fautore del Drago» aggiunse con amarezza. Per la Luce! Gli uomini erano davvero... inopportuni... a volte. I migliori
di loro trovavano il modo di dire esattamente la cosa sbagliata al momento sbagliato, di fare le domande sbagliate. Nonché di spingere le servitrici a chiacchierare troppo. Sarebbe stato più facile per Egwene se avesse potuto mentire, ma la domanda di Talmanes lasciava molto spazio di manovra all'interno dei Giuramenti. Mezza verità sarebbe stata sufficiente, e l'avrebbe trattenuto dal precipitarsi a Ebou Dar. Forse poteva bastare anche meno di mezza verità. Dall'angolo opposto del padiglione, Siuan stava conversando con alto giovane dai capelli rossi e i baffi ricurvi che la guardava perplesso come aveva fatto Segan. Di solito i nobili sapevano riconoscere l'aspetto delle Aes Sedai. Ma quell'uomo aveva solo parte dell'attenzione di Siuan, il cui sguardo guizzava di continuo verso Egwene. Sembrava che le urlasse, con la voce della sua coscienza. Più facile. Conveniente. L'essenza delle Aes Sedai. Ma lei due mesi prima davvero non sapeva quello che sarebbe successo oggi, ci sperava solo! Egwene sospirò con una certa irritazione. Che Siuan fosse folgorata! «Era a Ebou Dar, l'ultima volta che ho avuto sue notizie» mormorò Egwene. «Ma ormai starà viaggiando verso nord quanto più rapidamente possibile. Crede ancora di dovermi salvare, Talmanes, e Matrim Cauthon non si perderebbe mai l'occasione per essere sul posto e potermi dire 'ti avevo avvisato'.» Talmanes non parve molto sorpreso. «L'avevo immaginato» sospirò. «È qualche settimana ormai che... sento... qualcosa. E anche altri nella Banda avvertono questa sensazione. Non è urgente, ma c'è. Come se Mat avesse bisogno di me. O almeno, come se io dovessi cercarlo a sud. Possono succedere cose strane, quando si segue un ta'veren.» «Suppongo di sì» concordò lei, sperando che la sua incredulità non trasparisse. Era già abbastanza strano pensare che Mat il discolo era a capo della Banda della Mano Rossa, e ancor più che era un ta'veren, ma perché un ta'veren avesse il suo effetto doveva essere presente, o quanto meno vicino. «Mat aveva torto sul fatto che era necessario liberarti. Non hai mai avuto intenzione di venire a chiedermi aiuto, vero?» Talmanes continuava a parlare piano, ma lo stesso si guardò subito intorno. Siuan li stava ancora osservando. E lo stesso faceva Halima. Paitr le stava fin troppo vicino, si pavoneggiava e si lisciava i baffi - a giudicare dal modo in cui la fissava, di sicuro non l'aveva scambiata per una sorella! - ma lei lo ascoltava solo distrattamente e lanciava occhiate furtive verso Egwene mentre gli sorrideva
con calore. Tutti gli altri sembravano occupati, e nessuno era abbastanza vicino da poter sentire. «L'Amyrlin non può certo fuggire in cerca di protezione, capisci? Ma ci sono stati momenti in cui era confortante sapere che tu c'eri» ammise Egwene. Con riluttanza. In teoria l'Amyrlin Seat non avrebbe dovuto aver bisogno di un rifugio, ma quella confessione non poteva farle alcun male finché nessuna delle Adunanti veniva a saperlo. «Sei stato davvero un amico, Talmanes. Spero che continuerai a esserlo. Lo spero tanto.» «Sei stata più... diretta... di quanto mi aspettassi,» osservò lentamente lui «e per questo ti dirò una cosa.» La sua espressione rimase la stessa - a chiunque lo stava guardando, sarebbe sembrato disinvolto come sempre - ma la voce si abbassò diventando un sussurro. «Sono stato avvicinato da re Roedran, che è interessato alla Banda. Vuole ingaggiarci. In circostanze normali non avrei nemmeno preso in considerazione le sue richieste, ma i soldi non sono mai abbastanza, e con questa... sensazione di Mat che ha bisogno di noi... Potrebbe essere meglio se restiamo nel Murandy. È chiaro come il sole che tu sei dove desideri essere e hai tutto sotto controllo.» Si zittì quando una giovane servitrice fece la riverenza per offrire vino caldo. Indossava una gonna di lana finemente ricamata e un mantello foderato di pelliccia di coniglio. Anche altri servitori venuti con loro dall'accampamento stavano dando una mano, senza dubbio per fare qualcosa che non fosse rimanere immobili a tremare per il freddo. Il volto rotondo della giovane era decisamente segnato dal gelo. Talmanes la mandò via con un cenno della mano e poi tornò a stringersi nel mantello, ma Egwene prese una tazza d'argento per guadagnare tempo. In verità ormai non c'era più bisogno della Banda. Nonostante tutti i mormorii, le sorelle si erano abituate alla presenza di quegli uomini, che fossero o meno fautori del Drago; non temevano più un attacco, e non era più stato necessario usare la presenza della Banda per spingerle a muoversi sin da quando avevano lasciato Salidar. L'unico vero scopo della Shen an Calhar adesso era attirare reclute verso l'esercito di Bryne, uomini convinti che la presenza di due eserciti fosse segno di battaglia imminente e desiderosi di stare con la parte più numerosa. Egwene non aveva più bisogno della Banda, ma Talmanes si era comportato da amico. E lei era l'Amyrlin. A volte, amicizia e responsabilità spingevano nella stessa direzione. Quando la cameriera se ne andò, Egwene poggiò una mano su un braccio di Talmanes. «Non devi farlo. Nemmeno la Banda può conquistare da sola tutto il Murandy, e tutti saranno contro di voi. Sai molto bene che l'u-
nica cosa che può unire i Murandiani è la presenza di stranieri sul loro terreno. Seguici a Tar Valon, Talmanes. Mat verrà lì, ne sono sicura.» Mat non avrebbe mai creduto davvero che lei era l'Amyrlin finché non l'avesse vista indossare la stola nella Torre Bianca. «Roedran non è un idiota» rispose lui con calma. «Vuole solo che noi restiamo qui, un esercito straniero - senza Aes Sedai - del quale nessuno conosce le intenzioni. Non dovrebbe essere difficile unire i nobili contro di noi. A quel punto, dice Roedran, varcheremo tranquillamente il confine. È convinto di poter tenere insieme i lord anche in seguito.» Egwene non poté evitare che una nota di fervore le accendesse la voce. «E cosa gli impedirà di tradirti? Se la minaccia svanisce senza alcun combattimento, il suo sogno di un Murandy unito potrebbe fare la stessa fine.» Quell'idiota di un uomo pareva divertito! «Nemmeno io sono un idiota. Roedran non potrà essere pronto prima della primavera. I nobili che sono qui non si sarebbero mai allontanati dai loro palazzi se gli Andorani non fossero venuti a sud, ed erano in marcia prima che cominciasse a nevicare. Ma a primavera Mat ci avrà già trovati. Se sta venendo a nord, di sicuro verrà a sapere della nostra presenza. E a quel punto Roedran dovrà per forza accontentarsi di quello che è riuscito a ottenere. Così, se Mat ha davvero intenzione di andare a Tar Valon, potrò comunque rivederti lì.» Egwene emise un verso di irritazione. Era un piano formidabile, di quelli che ci si sarebbe aspettati da Siuan, e lei non credeva che Roedran Almaric do Arreloa a'Naloy potesse portarlo a termine. Si diceva che quell'uomo fosse talmente dissoluto da far sembrare Mat integerrimo. D'altronde, lei non avrebbe mai pensato che Roedran potesse anche solo architettare quel tipo di piano. La sola certezza era che Talmanes aveva già preso una decisione. «Voglio la tua parola, Talmanes: non lascerai che Roedran ti trascini in una guerra.» Responsabilità. La piccola stola che portava intorno al collo pareva pesare dieci volte più del mantello. «Se si muove prima di quanto tu credi, andrete via anche se Mat non vi ha ancora raggiunto.» «Vorrei poter promettere, ma non è possibile» dichiarò lui. «Mi aspetto le prime incursioni contro i miei furieri massimo tre giorni dopo che mi sarò staccato dall'esercito di lord Bryne. Qualsiasi signorotto o contadino penserà di poter prendere due o tre cavalli di notte, darmi una punzecchiata e poi scappare a nascondersi.» «Non ti ho chiesto di non difenderti, e lo sai» disse Egwene con fermez-
za. «La tua parola, Talmanes. O non acconsentirò al tuo accordo con Roedran.» L'unico modo in cui poteva impedirlo era tradendone la segretezza, ma non si sarebbe lasciata una guerra alle spalle, una guerra che lei stessa aveva cominciato portando lì Talmanes. Lui la guardò come se la vedesse la prima volta, infine chinò il capo. Cosa strana, questo gesto parve più formale dell'inchino di prima. «Sarà come desideri, Madre. Dimmi, sei sicura di non essere anche tu una ta'veren?» «Io sono l'Amyrlin Seat» replicò Egwene. «È abbastanza per chiunque.» Gli toccò di nuovo il braccio. «Che la Luce risplenda su di te, Talmanes.» Questa volta, il sorriso di lui arrivò quasi agli occhi. Com'era inevitabile, malgrado i sussurri, erano stati notati. O forse proprio per via dei sussurri. La ragazza che sosteneva di essere l'Amyrlin e si era ribellata contro la Torre Bianca impegnata a conversare col capo di diecimila fautori del Drago. Il piano di Talmanes con Roedran era diventato ora più difficile o più facile? La guerra nel Murandy era più o meno probabile? Accidenti a Siuan e alla sua Legge delle Conseguenze Involontarie! Cinquanta sguardi la seguirono per poi distogliersi di scatto mentre lei si spostava tra la folla scaldandosi le dita sulla coppa. Be', quasi tutti si distolsero di scatto. Sui volti delle Adunanti si vedeva solo la calma senza età delle Aes Sedai, ma Lelaine sembrava quasi un corvo con gli occhi castani fissi su un pesce che si contorceva nell'acqua bassa, mentre gli occhi di Romanda, un po' più scuri, avrebbero potuto aprire buchi nel ferro. Cercando di tener traccia del cammino del sole all'esterno, Egwene fece lentamente il giro del padiglione. I nobili stavano ancora importunando le Adunanti, ma passavano da una all'altra come in cerca di risposte migliori, e lei cominciò a notare dei piccoli particolari. Donel, che stava andando da Janya a Moria, si fermò per fare un profondo inchino ad Aemlyn, che rispose con un grazioso cenno del capo. Cian, dopo aver distolto la sua attenzione da Takima, fece una riverenza a Pelivar e ricevette un lieve inchino. La cosa si ripeté più volte, sempre con un Murandiano che mostrava deferenza a un Andorano il quale rispondeva con altrettanta formalità. Gli Andorani cercavano di ignorare Bryne se non per delle sporadiche occhiatacce, ma molti nobili del Murandy andarono da lui, uno alla volta e sempre in disparte, e a giudicare da dove guardavano probabilmente stavano chiedendo pareri su Pelivar, Arathelle o Aemlyn. Forse Talmanes aveva visto giusto. Anche Egwene ricevette inchini e riverenze, ma meno profondi di quelli
tributati ad Arathelle, Pelivar e Aemlyn, e ancor meno di quelli destinati alle Adunanti. Cinque o sei donne le dissero quanto erano grate per quella pacifica soluzione dei problemi, anche se in realtà furono quasi altrettante quelle che risposero con qualcosa di evasivo o si strinsero nervosamente nelle spalle quando lei espresse la stessa contentezza, quasi dubitassero che davvero la questione sarebbe finita pacificamente. Egwene assicurò che si sarebbe mantenuta la pace, e quelle le risposero con ferventi «Possa la Luce far sì che sia vero!» o con rassegnati «Se è nella volontà della Luce». Quattro la chiamarono Madre, una senza esitare. Altre tre le dissero, nell'ordine, che era davvero adorabile, che aveva begli occhi e che mostrava un portamento aggraziato; complimenti adatti forse per una ragazza dell'età di Egwene ma non per il ruolo che lei rivestiva. Almeno da un argomento, però, trasse un piacere puro. Segan non fu la sola a interessarsi all'annuncio sul registro delle novizie. Palesemente era proprio questo il motivo per cui la maggior parte delle donne le rivolgeva la parola. Dopo tutto, le altre sorelle potevano anche essere in rivolta contro la Torre, ma lei aveva dichiarato di essere l'Amyrlin Seat. L'interesse di quelle donne doveva essere forte se riuscivano a mettere tutto questo da parte, anche se nessuna voleva darlo a vedere. Arathelle fece le sue domande con un cipiglio che fece apparire ancor più rughe sul suo volto. Aemlyn scosse il capo alla risposta. Anche la grossa Cian si informò, seguita da lady Negara, un'Andorana dal volto tagliente, e poi da una Murandiana dagli occhi grandi che si chiamava Jennet, e poi da altre ancora. Nessuna voleva saperlo per sé stessa - molte lo resero chiaro sin da subito, soprattutto le più giovani - ma in poco tempo tutte le nobili presenti fecero le loro domande, e anche alcune servitrici, con la scusa di offrire altro vino speziato. Una di queste, una donna nodosa di nome Nildra, veniva dall'accampamento delle Aes Sedai. Egwene era piuttosto soddisfatta dei semi che aveva piantato. Ma non lo era affatto per come le cose andavano con gli uomini. Pochi le parlarono, e solo quando si trovavano faccia a faccia con lei e non avevano scelta. Una parola mormorata sul clima, per apprezzare la fine della siccità o deplorare le improvvise nevicate, un sussurro di speranza per una rapida fine del problema dei banditi, magari accompagnato da uno sguardo significativo in direzione di Talmanes, e poi sgusciavano via come maialini ricoperti di grasso fuso. Un Andorano, un orso d'uomo che rispondeva al nome di Macharan, quasi cadde pur di evitarla. In un certo senso c'era poco da sorprendersi. Le donne avevano la scusa, fosse anche solo con sé stesse, del
registro delle novizie, ma gli uomini avevano solo il timore che chi li vedeva a conversare con Egwene pensasse che erano impegolati con lei e i suoi piani. Era davvero scoraggiante. Non le importava cosa gli uomini pensassero delle novizie, ma voleva sapere se, come le donne, temevano che alla fine si sarebbe arrivati alle armi. La paura di questo tipo di eventi era spesso la causa del loro verificarsi. Alla fine, decise che c'era solo un modo per appurarlo. Pelivar si girò dopo aver preso una coppa di vino da un vassoio e fece un passo indietro mormorando un'imprecazione per evitare di finirle addosso; per andare più vicino a lui, Egwene poteva solo salirgli sugli stivali. Il vino caldo si riversò sulla mano guantata del nobile e colò dentro la manica della giubba, scatenando un'imprecazione meno ovattata. Pelivar sfruttò tutta la sua altezza per incombere su di lei. Il suo sguardo accigliato era quello di un uomo che sta per mandar via in malo modo una ragazza fastidiosa. O di chi ha quasi calpestato una vipera rossa. Egwene si tenne dritta e si concentrò sull'immagine di Pelivar nelle vesti di un ragazzino pronto per qualche malefatta; funzionava sempre, e quasi tutti parevano avvertire il cambiamento in lei. Pelivar mormorò qualcosa - poteva essere un saluto cortese o un'altra imprecazione - chinò leggermente il capo e provò a passarle accanto. Egwene si mosse di lato per restargli di fronte. L'uomo indietreggiò, e lei lo seguì. Pelivar cominciava a sembrare la preda di un qualche cacciatore. Egwene decise di provare a metterlo a suo agio prima di fargli quella fondamentale domanda. Le servivano risposte, non mormorii. «Sarai sicuramente lieto di sapere che l'erede al trono è sulla via per Caemlyn, lord Pelivar.» L'aveva sentito dire da diverse Adunanti. Il volto del nobile andorano divenne inespressivo. «Elayne Trakand ha diritto di presentare la propria candidatura al trono del leone» rispose con poco coinvolgimento. Egwene sgranò gli occhi, e Pelivar arretrò di nuovo, titubante. Forse credeva che la rabbia di lei fosse dovuta all'assenza del titolo onorifico, ma Egwene se ne era a malapena accorta. Pelivar aveva appoggiato la madre di Elayne nella sua salita al trono, ed Elayne era sicura che avrebbe ricevuto anche lei il suo aiuto. Parlava di quell'uomo con affetto, come fosse un caro parente. «Madre,» mormorò Siuan portandosi al suo fianco «dobbiamo partire se vuoi raggiungere il campo prima del tramonto.» Riuscì a mettere una notevole urgenza in quelle parole sussurrate. Il sole aveva cominciato la sua di-
scesa. «Con questo clima non è il caso di trovarsi all'aperto di notte» disse in tutta fretta Pelivar. «Se volete scusarmi, devo fare i preparativi per la partenza.» Sbatté la coppa sul vassoio di un servitore di passaggio, esitò prima di abbozzare un inchino, poi marciò via con l'aria di chi si è appena liberato da una trappola. Egwene aveva voglia di digrignare i denti per la frustrazione. Cosa pensavano gli uomini del loro accordo? Se così poteva chiamarlo, visto il modo in cui lo aveva imposto. Arathelle e Aemlyn avevano più potere e influenza di gran parte dei lord, ma erano Pelivar, Culhan e gli atri che cavalcavano coi soldati; potevano ancora farle esplodere in faccia tutti i suoi piani come un barile di olio per lampade. «Trova Sheriam,» ruggì Egwene «e dille di far salire tutte in sella adesso, non mi importa come!» Non poteva concedere alle Adunanti una notte di tempo per pensare a quello che era successo, per pianificare e complottare. Dovevano assolutamente tornare al campo prima del tramonto. 19
La legge Far salire le Adunanti a cavallo si rivelò facile e immediato: erano tutte ansiose di partire quanto Egwene, soprattutto Romanda e Lelaine, entrambe gelide come il vento e con occhi che erano nuvole di temporale. Le altre erano la rappresentazione perfetta della fredda serenità delle Aes Sedai, emanavano compostezza come un pesante profumo, eppure andarono verso i cavalli così rapidamente che i nobili rimasero a guardarle imbambolati e i servitori si affaticarono a caricare gli animali da soma per tenere il passo come meglio potevano. Egwene e Daishar costrinsero gli altri a una marcia serrata attraverso la neve, e dopo appena uno sguardo e un cenno del capo da parte dell'Amyrlin, lord Bryne fece in modo che la scorta armata si muovesse altrettanto veloce. Siuan su Bela e Sheriam su Ala corsero per raggiungere Egwene. Per lunghi tratti rimestarono lo spesso manto di neve che copriva il terre-
no, coi cavalli che avanzavano quasi al trotto tenendo alte le zampe e la Fiamma di Tar Valon che ondeggiava nella gelida brezza; anche quando era necessario rallentare, quando i cavalli affondavano fino alle ginocchia nella neve, tenevano comunque un passo sostenuto. Le Adunanti non potevano che seguire, e la velocità ridusse le possibilità di parlare lungo il cammino. A quell'andatura sfiancate, una disattenzione poteva causare una zampa spezzata al cavallo e il collo rotto al cavaliere. Ciò nonostante, sia Romanda sia Lelaine riuscirono a raccogliere intorno a sé i rispettivi seguiti, e i due gruppi avanzarono a fatica nella neve avvolti da barriere contro orecchie indiscrete. Entrambe le sorelle sembravano lanciate in una lunga sfuriata. Egwene poteva immaginare l'argomento. Quanto a questo, anche altre Adunanti riuscirono a cavalcare in gruppo per un po', scambiandosi poche e sussurrate parole e lanciando fredde occhiate a Egwene e ogni tanto alle sorelle avvolte nel bagliore di saidar. Solo Delana non prese parte a quelle brevi conversazioni. Rimase vicino a Halima, che si era finalmente arresa al freddo. Col volto teso, la donna di campagna si teneva il mantello stretto addosso, ma ancora cercava di consolare Delana, sussurrandole quasi di continuo. Delana pareva non aver alcun bisogno di consolazione; teneva le sopracciglia aggrottate, e così le era spuntata una ruga sulla fronte che la faceva sembrare più vecchia. Non era l'unica a essere preoccupata. Le altre mascheravano rigidamente le loro emozioni, irradiando la calma più assoluta, ma i Custodi cavalcavano come se si aspettassero di veder balzare il nemico dalla neve a ogni passo, si guardavano intorno senza sosta, con gli inquietanti mantelli lasciati ad agitarsi nel vento per tenere libere le mani. Quando un'Aes Sedai era preoccupata il suo Custode lo era altrettanto, e le Adunanti erano troppo assorte in sé stesse per prendersi la briga di calmare gli uomini. Egwene fu lieta di vederlo. Se le Adunanti erano turbate, allora non avevano ancora preso una decisione. Quando Bryne si allontanò per parlare con Uno, lei colse l'occasione per chiedere alle due donne che cavalcavano al suo fianco cosa avevano appreso sulle Aes Sedai e la Guardia della Torre in Andor. «Non molto» rispose Siuan con voce tesa. L'irsuta Bela non pareva avere difficoltà a tenere l'andatura, ma Siuan sì, a giudicare da come stringeva le redini con una mano e il pomello della sella con l'altra. «Per quello che ho potuto capire ci sono cinquanta dicerie e nessun fatto. C'era da aspettarsi che una storia del genere spuntasse fuori, ma potrebbe comunque essere vera.» Bela sbandò quando gli zoccoli anteriori affondarono nella neve al-
ta, e Siuan ansimò: «Che la Luce folgori tutti i cavalli!» Sheriam non aveva scoperto nulla di più. Scosse il capo, e sospiro con irritazione. «Credo si tratti solo di stupidaggini di poco contò, Madre. Ci sono sempre voci su Aes Sedai che si aggirano furtive. Imparerai mai a stare a cavallo, Siuan?» aggiunse, con la voce all'improvviso intrisa di derisione. «Entro stanotte sarai troppo indolenzita per camminare!» Doveva essere anche lei molto nervosa, per esplodere così apertamente. A giudicare da come continuava a spostarsi sulla sella, era già nelle condizioni che aveva previsto per Siuan. Quest'ultima indurì il viso e aprì la bocca già con un mezzo ruggito, noncurante di chi poteva stare a guardare da dietro lo stendardo. «Zitte, tutte e due!» scattò Egwene. Anche lei era un bel po' nervosa. Quale che fosse il parere di Arathelle, se Elaida avesse inviato una forza per ostacolare lei e le altre sorelle sarebbe stata troppo numerosa per muoversi con furtività. Quindi rimaneva solo la Torre Nera come possibile mandante, un vero disastro. È meglio spennare la gallina che hai davanti, piuttosto che provare con una su un albero. Soprattutto quando l'albero era in un altro paese, e forse sopra non c'era neppure un'altra gallina. Eppure, Egwene parlò rudemente quando diede a Sheriam le istruzioni per quando avessero raggiunto l'accampamento. Lei era l'Amyrlin Seat, e questo significava che era responsabile di tutte le Aes Sedai, anche quelle che seguivano Elaida. La sua voce fu dura come roccia, però. Era troppo tardi per spaventarsi una volta che avevi preso il lupo per le orecchie. Gli occhi oblunghi di Sheriam si sgranarono per gli ordini ricevuti. «Madre, se posso chiederlo, perché...» Si arrestò sotto lo sguardo fisso di Egwene, e deglutì. «Sarà come desideri, Madre» disse lentamente. «Strano. Ricordo ancora il giorno in cui tu e Nynaeve arrivaste alla Torre, due ragazze che non riuscivano a decidere se essere emozionate o spaventate. Da allora tanto è cambiato. Tutto.» «Niente resta sempre uguale» le rispose Egwene. Rivolse a Siuan uno sguardo significativo, ma lei si rifiutò di vederlo. Sembrava imbronciata. E Sheriam nauseata. In quel momento tornò lord Bryne, e dovette percepire qualcosa dell'atmosfera tra le tre donne. Dopo aver annunciato che stavano tenendo un buon passo, tenne la bocca chiusa. Un uomo saggio. Buon passo o meno, il sole aveva quasi raggiunto le cime degli alberi quando finalmente cavalcarono attraverso l'ampio accampamento dell'esercito. Carri e tende proiettavano lunghe ombre sulla neve, e molti uomini
stavano lavorando duramente per costruire altri ripari usando i cespugli. Le tende non erano sufficienti nemmeno per i soldati, e nel campo c'era un numero quasi altrettanto grande di sellai, lavandaie, costruttori di frecce e così via, tutte le persone che erano inevitabilmente al seguito di ogni esercito. Il risuonare delle incudini faceva capire che carradori, armaioli e fabbri erano ancora al lavoro. I fuochi per cucinare erano accesi in ogni dove, e i cavalieri in cerca di calore e cibo cotto si spogliarono dell'armatura non appena i loro esausti animali vennero portati via. Cosa sorprendente, Bryne continuò a cavalcare accanto a Egwene anche dopo che lei l'ebbe congedato. «Se permetti, Madre,» disse «pensavo che potrei accompagnarti un altro po'.» Sheriam addirittura si girò sulla sella per fissarlo stupita. Anche Siuan fissava, ma davanti a sé, come se non osasse girare verso il generale i suoi occhi improvvisamente sgranati. Cosa credeva di poter fare lord Bryne? Voleva essere la sua guardia del corpo? Contro le sorelle? Il tizio col naso colante avrebbe ottenuto gli stessi risultati. O voleva solo rivelare a tutti fino a che punto era dalla sua parte? Ma l'indomani sarebbe stato un momento migliore, se tutto andava bene quella notte; adesso quella rivelazione poteva facilmente spingere il Consiglio in direzioni che Egwene quasi aveva paura di immaginare. «Questa notte sarà dedicata agli affari delle Aes Sedai» gli disse fermamente. Ma, per quanto quella proposta fosse stata folle, l'uomo si era mostrato pronto a correre dei rischi per lei. Non c'era modo di capire i suoi motivi - chi mai poteva comprendere le azioni di un uomo? - ma Egwene era in debito col generale per quello. Tra le altre cose. «A meno che non ti mandi a chiamare da Siuan, lord Bryne, dovrai andar via prima del mattino. Se gli eventi di oggi ricadranno come colpa su di me, le conseguenze potrebbero riflettersi anche su di te. Rimanere potrebbe essere pericoloso. Persino mortale. Credo che a loro servirebbe solo un pretesto.» Non c'era motivo di specificare chi erano 'loro'. «Ho dato la mia parola» rispose lui a bassa voce, dando una pacca sul collo di Viaggiatore. «Fino a Tar Valon.» Fece una pausa e guardò verso Siuan. Fu più un momento di riflessione che di esitazione. «Quali che siano gli affari di stanotte,» disse infine «ricorda che trentamila uomini e Gareth Bryne sono con te. Questo dovrebbe contare qualcosa, anche tra le Aes Sedai. A domani, Madre.» Dopo aver fatto girare il suo baio dal grosso muso, si voltò per gridare: «Mi aspetto di vedere anche te domattina, Siuan. Niente può cambiare questa realtà.» Siuan lo fissò mentre lui anda-
va via. E c'era angoscia nei suoi occhi. Anche Egwene non poté fare a meno di fissarlo. Non era mai stato così diretto in passato. Perché proprio adesso, tra tutti i momenti possibili? Mentre attraversavano la cinquantina di passi che divideva l'accampamento dell'esercito da quello delle Aes Sedai, Egwene rivolse un cenno del capo a Sheriam, che si fermò alle prime tende. Lei e Siuan continuarono a cavalcare. Alle loro spalle si alzò la voce di Sheriam, sorprendentemente chiara e ferma. «L'Amyrlin Seat richiede una seduta formale del Consiglio in questo stesso giorno. Che i preparativi siano effettuati con la massima rapidità.» Egwene non si girò a guardare. Alla sua tenda, un'ossuta stalliera arrivò di corsa scalciando gli strati di lana della gonna e prese Daishar e Bela. Aveva il volto segnato dal freddo, e chinò appena il capo prima di correre via con i cavalli, veloce come quando era arrivata. Il tepore dei bracieri accesi nella tenda fu come una mano che si richiudeva su Egwene. Solo in quel momento si rese conto di quanto aveva patito il freddo all'esterno. Di quanto aveva freddo. Chesa le prese il mantello, e quando le sentì le mani esclamò: «Accidenti, sei gelata fin nelle ossa, Madre.» Continuando a chiacchierare, si affaccendò nella tenda piegando il mantello di Egwene e quello di Siuan, lisciando le coperte ben ripiegate sul letto di Egwene, toccando un vassoio poggiato su uno dei bauli tirato giù dagli altri impilati. «Io mi infilerei subito a letto, con dei mattoni caldi tutto intorno, se fossi così gelida. Subito dopo aver mangiato, in ogni caso. Il calore all'esterno serve a ben poco senza quello all'interno. Mentre ceni vado a prenderti qualche altro mattone caldo da infilarti sotto i piedi. E ne prenderò qualcuno anche per Siuan Sedai, ovviamente. Oh, e se fossi affamata quanto lo devi essere tu, avrei la tentazione di mangiare in fretta e furia, ma quando faccio così mi viene sempre il mal di pancia.» Si fermò accanto al vassoio, lanciò un'occhiata a Egwene e annuì con soddisfazione quando fu sicura che non avrebbe mangiato troppo in fretta. Rispondere con sobrietà non era facile. Chesa era sempre rinfrancante, ma dopo le difficoltà di quel giorno Egwene quasi scoppiò a ridere per la gioia. Non c'erano mai complicazioni con Chesa. Il vassoio conteneva due ciotole bianche con zuppa di lenticchie, un'alta brocca di vino speziato, due coppe d'argento e due grandi panini. Chissà come, la donna aveva saputo che Siuan avrebbe mangiato insieme a lei. Il vapore ancora si levava da ciotole e brocca. Quante volte Chesa doveva aver cambiato il vassoio per essere sicura che Egwene fosse accolta da una cena calda? Semplice e
senza complicazioni. E premurosa come una madre. O un'amica. «Per ora dovrò rinunciare al letto, Chesa. Stanotte ho ancora del lavoro da fare. Ti dispiacerebbe lasciarci sole?» Siuan scosse il capo quando la tenda si richiuse alle spalle della rotonda cameriera. «Sei sicura che non è al tuo servizio da quando eri una bambina?» mormorò. Prendendo una delle ciotole, un panino e un cucchiaio, Egwene si accomodò nella sua poltrona con un sospiro. Abbracciò anche la Fonte e schermò la tenda contro eventuali orecchie indiscrete. Purtroppo saidar la rese ancor più consapevole di avere mani e piedi quasi ghiacciati. E tutto il resto del corpo non era messo meglio. La ciotola sembrava quasi troppo calda per poterla reggere, e anche i panini. Oh, quanto le sarebbe piaciuto avere quei mattoni bollenti. «C'è altro che possiamo fare?» chiese, e subito ingollò una cucchiaiata di stufato. Era famelica, e non c'era da stupirsi visto che non aveva mangiato nulla dalla colazione, che tra l'altro aveva consumato alle prime luci. Lenticchie e carote legnose erano gustose come il miglior manicaretto di sua madre. «A me non viene in mente nulla, ma a te?» «Abbiamo fatto quello che potevamo. Non c'è null'altro, a meno che non ci metta mano il Creatore.» Siuan prese l'altra ciotola e si lasciò cadere sul basso sgabello, dove rimase seduta a fissare la zuppa mentre la rimestava col cucchiaio. «Non glielo diresti sul serio, vero?» chiese infine. «Non sopporterei che lo venisse a sapere.» «E perché mai?» «Se ne approfitterebbe» rispose cupamente Siuan. «Oh, non in quel senso. Non stavo pensando a quello.» Era piuttosto vereconda su certi argomenti. «Ma quell'uomo trasformerebbe la mia vita nel Pozzo del Destino!» E lavare la sua biancheria e pulirgli sella e stivali tutti i giorni non lo era già? Egwene sospirò. Com'era possibile che una donna così sensata, intelligente e capace si trasformasse in una smidollata per quell'unica persona? Come una vipera sibilante, un'immagine si fece strada nella sua mente. Lei stessa, seduta sulle ginocchia di Gawyn, mentre scherzavano e si sbaciucchiavano. In una taverna! Egwene spinse via quell'immagine, con forza. «Siuan, ho bisogno della tua esperienza. Ho bisogno del tuo cervello. Non mi posso permettere di averti mezza rimbambita per colpa di lord Bryne. Se non riesci a controllarti gli pagherò io ciò che gli devi e ti impedirò di vederlo. E sai che lo farò.»
«Ho giurato che l'avrei ripagato lavorando per lui» disse Siuan con testardaggine. «E ho tanto onore quanto ne ha il maledetto lord Gareth Bryne! Se non di più! Lui mantiene la sua parola, e io mantengo la mia! Inoltre Min mi ha raccomandato di stargli vicino altrimenti moriremo entrambi. O qualcosa del genere.» Il rossore sulle guance rovinò l'effetto di quel discorso. Nonostante il suo onore e le visioni di Min, era semplicemente disposta ad accettare di tutto pur di poter stare vicino a quell'uomo! «Molto bene. Sei innamorata, e se ti chiedo di stare lontana da lui o disubbidirai o metterai il broncio e te ne starai ancor più con la testa tra le nuvole. Che hai intenzione di fare con quest'uomo?» Accigliandosi con indignazione, Siuan andò avanti per un po' ringhiando quello che avrebbe voluto fare col maledetto Gareth Bryne. Cose che a lui non sarebbero piaciute affatto. E ad alcune delle quali non sarebbe nemmeno sopravvissuto. «Siuan» disse Egwene con una certa severità. «Nega ancora una volta ciò che è ovvio e io gli dirò tutto e gli darò quei soldi.» Siuan si imbronciò. Come una ragazzina! Siuan! «Non ho tempo per essere innamorata. Ho appena tempo per pensare, tra il lavoro che devo fare per te e quello per lui. E anche se tutto andrà bene stanotte, avrò il doppio di cose da fare. Inoltre...» La maschera cadde, e lei si accasciò sullo sgabello. «Che faccio se lui non... se lui non ricambia i miei sentimenti?» mormorò. «Non ha mai provato neppure a baciarmi. Gli importa solo che le sue camicie siano pulite.» Egwene grattò il fondo della ciotola col cucchiaio, e si sorprese di trovarlo vuoto. Anche del panino non restava che qualche briciola sul suo vestito. Per la Luce, si sentiva ancora con la pancia vuota. Guardò speranzosa la scodella di Siuan, che pareva interessata solo a disegnare cerchi nelle lenticchie. All'improvviso le sovvenne un pensiero. Perché lord Bryne aveva insistito che Siuan ripagasse il suo debito anche dopo che aveva saputo chi era? Solo perché lei l'aveva promesso? Il loro accordo era irragionevole. Ma gli permetteva di averla con sé, cosa che non avrebbe potuto ottenere in nessun altro modo. Quanto a ciò, lei stessa si era più volte chiesta perché lord Bryne avesse accettato di occuparsi del loro esercito. Doveva sapere che c'erano buone probabilità che così facendo avrebbe in pratica messo la testa sul ceppo del boia. E perché aveva offerto quell'esercito a lei, una giovane Amyrlin con nessuna autorità e neanche un'amica tra le sorelle tranne Siuan, per quanto ne sapeva lui? Possibile che la risposta a queste doman-
de fosse semplicemente che... che Bryne amava Siuan? No; quasi tutti gli uomini erano frivoli e capricciosi, ma questo sì che sarebbe stato irragionevole! Egwene lo suggerì comunque a Siuan, fosse anche solo per divertimento. Forse l'avrebbe tirata un po' su di morale. Siuan sbuffò scettica. Un verso strano, con quel suo volto grazioso, ma nessuno sapeva mettere tanto significato in una sbuffata quanto lei. «Non è un idiota totale» disse seccamente. «In effetti, ha una bella testa. Ragiona come una donna, la maggior parte delle volte.» «Ancora non ti ho sentito promettere che ti darai una raddrizzata, Siuan» insisté Egwene. «E devi farlo, in un modo o nell'altro.» «Be', certo che lo farò. Non so cosa mi ha preso. Non è che non abbia mai baciato un uomo in vita mia.» Strinse gli occhi all'improvviso, quasi aspettandosi che Egwene mettesse in dubbio quelle parole. «Non ho passato tutta la vita alla Torre. Questo è ridicolo! Stiamo chiacchierando di uomini, e proprio stanotte!» Scrutò la ciotola e parve accorgersi per la prima volta che conteneva cibo. Riempì il cucchiaio, usandolo poi per gesticolare verso Egwene. «Dovrai fare attenzione a come ti muovi, adesso più che mai. Se Romanda o Lelaine afferrano il timone, non potrai più metterci le mani sopra.» Ridicolo o no, qualcosa di sicuro aveva risvegliato l'appetito di Siuan. Finì la zuppa ancor più in fretta di Egwene, e del suo panino non rimase neppure una briciola. Egwene si rese conto di aver passato le dita nella scodella vuota. A quel punto, ovviamente, non le rimaneva che leccar via le ultime lenticchie. Discutere di ciò che sarebbe accaduto quella notte non aveva senso. Avevano perfezionato e rifinito quello che Egwene doveva dire e quando, ci erano tornate sopra così tante volte che lei era stupita di non averlo anche sognato. Di sicuro avrebbe potuto recitare la sua parte anche dormendo. Siuan insisté lo stesso, andando molto vicino al punto in cui Egwene avrebbe dovuto rimetterla al suo posto, ripassò più e più volte il discorso, esaminando possibilità che avevano già analizzato centinaia di volte. Stranamente, Siuan aveva ritrovato un ottimo umore. Si produsse anche in qualche battuta, cosa insolita per lei negli ultimi tempi, anche se alcune erano un po' macabre. «Sai che Romanda un tempo voleva essere Amyrlin» disse a un certo punto. «Ho sentito che è stata l'assegnazione di bastone e stola a Tamra a spingerla verso il ritiro come un gabbiano con le piume della coda tagliate. Scommetto un marco d'argento che non ho contro una scaglia di pesce che
i suoi occhi sporgeranno il doppio di quelli di Lelaine.» E più tardi: «Vorrei essere lì e sentirle urlare. Qualcuno urlerà davvero tra non molto, e preferirei che fossero loro e non noi. Non ho affatto la voce di una cantante.» E davvero cantò, una strofa sulla sfortuna di guardare un ragazzo sull'altra sponda del fiume senza avere una barca. Aveva ragione: aveva una voce piacevole, a modo suo, ma era stonata come una campana. E più tardi ancora: «È un bene che io adesso abbia questo faccino così dolce. Se le cose si mettono male, ci vestiranno come bambole e ci metteranno in mostra su uno scaffale. Oppure, ovviamente, potrebbero succederci degli 'incidenti'. Le bambole si rompono. Gareth Bryne dovrà trovarsi qualcun'altra da maltrattare.» E addirittura scoppiò a ridere. Egwene si sentì notevolmente sollevata quando il lembo dell'apertura si piegò verso l'interno della tenda, annunciando qualcuna abbastanza intelligente da non entrare dove c'era una barriera. Non aveva nessuna voglia di scoprire dove poteva arrivare l'umorismo di Siuan partendo da quegli argomenti! Non appena Egwene ebbe rilasciato la barriera, Sheriam entrò, accompagnata da una folata d'aria che sembrava dieci volte più fredda di prima. «È il momento, Madre. È tutto pronto.» Aveva gli occhi oblunghi sgranati, e si leccava le labbra con la punta della lingua. Siuan balzò in piedi e afferrò il mantello dal giaciglio di Egwene, ma si fermò nell'atto di avvolgerselo intorno alle spalle. «Io ce l'ho portata davvero una nave alle Dita del Drago col buio, sai» disse seriamente. «E una volta ho anche preso un pesce leone nella rete. Si può fare.» Sheriam si accigliò mentre Siuan sfrecciava fuori, facendo entrare altra aria fredda. «A volte penso...» cominciò a dire, ma qualsiasi cosa pensasse a volte lo tenne per sé. «Perché stai facendo questo, Madre?» chiese invece. «Mi riferisco a tutto, oggi al lago e la convocazione del Consiglio stanotte. Perché ieri ci hai fatto passare tutta la giornata a parlare di Logain con chiunque incontrassimo? Pensavo che tu avresti condiviso certe idee con me. Sono la tua Custode. Ti ho giurato fedeltà.» «Ti dico ciò che devi sapere» rispose Egwene, buttandosi il mantello sulle spalle. Non c'era bisogno di aggiungere che si fidava solo entro certi limiti di un giuramento imposto, anche se a pronunciarlo era una sorella. E Sheriam poteva comunque trovare un motivo per far scivolare qualche parola nell'orecchio sbagliato nonostante il giuramento. Dopo tutto, le Aes Sedai erano rinomate per la capacità di trovare scappatoie dalle loro pro-
messe. Egwene non credeva davvero che con Sheriam potesse succedere una cosa del genere, ma, proprio come con Lord Bryne, non poteva correre rischi a meno che non fosse strettamente necessario. «Devo avvisarti» disse Sheriam con amarezza. «Credo che entro domani una tra Romanda e Lelaine sarà la tua Custode degli Annali, e io sconterò una penitenza per non aver avvisato il Consiglio. E forse tu invidierai la mia sorte.» Egwene annuì. Era fin troppo possibile. «Vogliamo andare?» Il sole era una cupola rossa sulle cime degli alberi a ovest, e la luce livida si rifletteva sulla neve. I servitori salutarono il passaggio di Egwene lungo i sentieri scavati con inchini e riverenze silenti. I loro volti erano turbati oppure vacui; domestici e camerieri erano in grado di cogliere l'umore delle persone presso le quali prestavano servizio quasi con la stessa immediatezza dei Custodi. All'inizio non c'era nessuna sorella in vista, e poi comparirono tutte insieme, una grande assemblea disposta su tre file intorno a un padiglione eretto nell'unico spazio aperto grande abbastanza, la zona dell'accampamento usata dalle sorelle che col Volo Aleggiato andavano alle piccionaie di Salidar e tornavano indietro Viaggiando e portando con sé i rapporti degli agenti delle Aes Sedai. Il padiglione era composto da un grosso e pesante telo pieno di rattoppi, niente a che vedere con la magnificenza del baldacchino sul lago, ed era stato faticoso tirarlo su. Negli ultimi due mesi il Consiglio si era quasi sempre riunito all'aperto, come aveva fatto il mattino del giorno precedente, o al limite le sorelle si erano strizzate in una delle tende più grandi. Il padiglione era stato eretto solo due volte da quando avevano lasciato Salidar. E in entrambi i casi era stato per un processo. Quando notarono l'arrivo di Egwene e Sheriam, le sorelle sul retro sussurrarono qualcosa a quelle sul davanti, e un varco si aprì per lasciarle passare. Occhi inespressivi seguirono l'avanzare delle due donne, e non era possibile capire se quelle sorelle sapevano o anche solo sospettavano ciò che stava per succedere. Non era possibile capire cosa pensassero. Egwene sentì che le si stava annodando lo stomaco. Un bocciolo di rosa. Calma. Arrivò agli strati di tappeti, decorati con fiori variopinti e una decina di disegni diversi, e si diresse verso il cerchio di bracieri sistemati lungo il bordo del telone, e Sheriam cominciò a intonare la sua formula. «Ecco che arriva, ecco che arriva...» Sembrava un po' meno grandiosa del solito, con una punta di nervosismo, ma c'era da aspettarselo.
Le panche lucidate e le casse coperte coi panni colorati usate al lago erano di nuovo presenti. Creavano una scena molto più formale del solito guazzabuglio di sedie ed erano disposte in due file diagonali di nove panche ognuna, tre gruppi di tre panche per ogni fila; Verdi, Grigie e Gialle da una parte, Bianche, Marroni e Azzurre dall'altra. Di fronte a loro, in fondo al percorso intrapreso da Egwene, c'erano la casa coperta dal tessuto a strisce e la panca dell'Amyrlin Seat. Quando si fosse seduta lì, si sarebbe trovata con gli occhi di tutte le altre puntati addosso, fin troppo consapevole di essere da sola di fronte a diciotto sorelle. Era un bene che non si fosse cambiata d'abito: tutte le Adunanti indossavano ancora i vestiti eleganti che avevano al lago, con la sola aggiunta dello scialle. Un bocciolo di rosa. Calma. Una delle panche era vuota, ma lo rimase solo per un altro istante. Delana arrivò di corsa proprio mentre Sheriam stava concludendo la sua litania. Senza fiato e agitata, l'Adunante Grigia si arrampicò al suo posto, tra Varilin e Kwamesa, mostrando ben poco della sua solita grazia. Sul volto aveva un pallido sorriso, e giocherellava nervosamente con le gocce di fuoco che portava intorno al collo. Si sarebbe quasi detto che era lei quella sotto processo. Calma. Nessuno era sotto processo. Non ancora. Egwene si avviò tra le due file, con Sheriam da presso, e Kwamesa si alzò. La luce di saidar avvolse improvvisamente la donna slanciata, la più giovane delle Adunanti. Quella notte non ci sarebbe certo stata carenza di formalità. «Le questioni sottoposte al Consiglio della Torre sono destinate solo all'esame del Consiglio» annunciò Kwamesa. «Chiunque si intrometta senza invito, uomo o donna, iniziato o estraneo, che venga in pace o con rabbia, sarà da me fermato secondo la legge, e al giudizio della legge verrà sottoposto. Sappiate che quanto dico è vero; così deve essere e così sarà.» Questa formula era più antica del giuramento contro le menzogne, risaliva a un'epoca in cui un'Amyrlin aveva quasi più probabilità di finire assassinata che di morire di morte naturale. Egwene continuò ad avanzare con passi misurati. Dovette sforzarsi per non toccare la stola in cerca di sicurezza. Cercò di concentrarsi sulla panca davanti a lei. Kwamesa tornò a sedersi, ancora rilucente di Potere, e tra le Bianche si alzò Aledrin, anche lei avvolta dal bagliore di saidar. Con i capelli color biondo scuro e chiari occhi castani, era abbastanza graziosa quando sorrideva, ma in quel momento una pietra sarebbe stata più espressiva di lei. «Ci sono persone a portata di udito che non fanno parte del Consiglio» disse con una voce fredda dal pesante accento tarabonese. «Ciò di cui discute
il Consiglio della Torre è destinato solo alle orecchie del Consiglio, a meno che il Consiglio non decida altrimenti. Renderò privata la nostra assemblea. Le nostre parole saranno mute per le orecchie altrui.» Dopo aver intessuto una barriera che circondava l'intero padiglione, torno a sedersi. Ci fu un po' di agitazione tra le sorelle all'esterno, che adesso vedevano il Consiglio muoversi nel più totale silenzio. Era strano che tra le Adunanti l'età avesse un ruolo così fondamentale, visto che le distinzioni in base all'età erano quasi come un anatema tra le altre Aes Sedai. Possibile che Siuan avesse ragione nel dire che c'era uno schema nelle età delle Adunanti? No. Concentrazione. Calma e concentrazione. Stringendo i bordi del mantello, Egwene salì sulla cassa coperta di strisce colorate e si girò. Lelaine era già in piedi, lo scialle dalla frangia azzurra agganciato intorno alle braccia, e Romanda si stava alzando, senza nemmeno aspettare che Egwene si sedesse. Non doveva permettere a nessuna delle due di afferrare il timone. «Sottopongo un'interpellanza al Consiglio» disse con voce alta e ferma. «Chi è d'accordo nel dichiarare guerra all'usurpatrice Elaida do Avriny a'Roihan?» Solo allora Egwene si sedette, togliendosi il mantello e lasciandolo cadere sulla panca. In piedi accanto a lei sui tappeti, Sheriam sembrava abbastanza serena e controllata, ma si lasciò scappare un debole verso, quasi un gemito. Egwene pensava che nessun'altra l'avesse sentito. Lo sperava. Ci fu un breve istante di stordimento, le Adunanti raggelate ai loro posti che la fissavano stupite. E forse quello stupore, oltre che all'argomento della domanda, era dovuto anche al fatto stesso che lei avesse posto una domanda. Nessuno presentava un'interpellanza al Consiglio senza prima aver sondato i pareri delle Adunanti; semplicemente non si faceva, tanto per motivi pratici quanto per tradizione. Alla fine, Lelaine parlò. «Non dichiariamo guerra contro singoli individui» disse con voce asciutta. «Nemmeno contro una traditrice come Elaida. In ogni caso, chiedo di rinviare la tua interpellanza per affrontare problemi più imminenti.» Aveva avuto tempo per riprendersi, dopo la cavalcata dal lago: il suo volto adesso era solo duro, non più minaccioso. Lisciandosi le gonne screziate d'azzurro con un gesto che parve inteso a spazzar via Elaida - o forse Egwene - rivolse la sua attenzione alle altre Adunanti. «Quello che stanotte ci ha portate a riunirci è... Stavo per dire semplice, ma in realtà non è semplice. Aprire il registro delle novizie? Saremo piene di nonne che chiedono di essere esaminate. Restare qui un me-
se? Non credo ci sia bisogno di elencare i problemi, a cominciare dal fatto che spenderemo metà del nostro oro senza avvicinarci a Tar Valon neppure di un passo. E riguardo alla decisione di non attraversare l'Andor...» «La mia sorella Lelaine, mossa dall'ansia, ha dimenticato chi ha diritto di parlare per prima» la interruppe con grazia Romanda. Il suo sorriso riuscì a far sembrare allegra Lelaine. Eppure se l'era presa comoda per sistemare alla perfezione lo scialle, quasi avesse tutto il tempo che voleva. «Io ho due interpellanze da sottoporre al Consiglio, e con la seconda toccherò le preoccupazioni di Lelaine. Purtroppo per lei, la prima riguarda proprio l'opportunità che Lelaine faccia ancora parte del Consiglio.» Il sorriso si allargò senza però acquisire neppure una briciola di calore. Lelaine si sedette lentamente, il volto palesemente torvo. «Un'interpellanza sulla guerra non può essere rinviata» disse Egwene con voce sonora. «Bisogna esaminarla prima che se ne possano sottoporre altre. È la legge.» Le Adunanti si scambiarono rapide occhiate di perplessità. «Davvero?» chiese infine Janya. Strizzando pensosa gli occhi, si girò per rivolgersi alla donna sulla panca accanto alla sua. «Takima, tu ricordi tutto quello che leggi, e sono sicura che una volta mi hai detto di aver letto la Legge Marziale. È vero quello che ci ha detto la Madre?» Bassa, con i capelli scuri lunghi fino alla vita e la pelle del colore dell'avorio antico, spesso Takima sembrava un uccello quando piegava la testa di lato per riflettere. Adesso pareva un uccello pronto a volar via; cambiò posizione sulla panca, si sistemò lo scialle, raddrizzò la cuffia di perle e zaffiri senza che ce ne fosse bisogno. «Sì, è vero» dichiarò infine, e chiuse di scatto la bocca. Egwene riprese silenziosamente a respirare. «A quanto pare» disse Romanda smozzicando le parole «Siuan Sanche ti ha istruita a dovere, Madre. Quali sono le tue motivazioni in favore della dichiarazione di guerra? Contro una donna...» Era chiaro che per lei quella era una faccenda sgradevole, e si mise a sedere in attesa che fosse conclusa. Ma Egwene annuì comunque con grazia e si alzò. Guardò le Adunanti negli occhi una per una, con fermezza, senza esitazioni. Takima evitò il suo sguardo. Per la Luce, aveva capito tutto! Ma non aveva ancora detto niente. Sarebbe rimasta zitta abbastanza a lungo? Era troppo tardi per cambiare i piani. «Oggi ci siamo dovute confrontate con un esercito guidato da persone
che dubitavano di noi. Altrimenti quell'esercito non sarebbe stato lì.» Egwene avrebbe voluto parlare con passione, con ardore, ma Siuan le aveva consigliato la serenità più totale, e alla fine lei aveva accettato. Le Adunanti dovevano vedere una donna in pieno controllo di sé, non una ragazzina dominata dal cuore. Era dal cuore, però, che le venivano le parole. «Avete sentito quando Arathelle ha detto di non voler finire immischiata negli affari delle Aes Sedai. Eppure lei e gli altri sono stati disposti a portare un esercito nel Murandy e bloccarci la strada. Perché non sono sicuri di sapere chi siamo, o cosa abbiamo in mente. Qualcuna di voi ha avuto l'impressione che vi reputassero davvero delle Adunanti?» Malind, viso rotondo e occhi ardenti, cambiò posizione sulla sua panca tra le Verdi, e lo steso fece Salita, dando uno strattone allo scialle dalla frangia gialla, anche se riuscì a non mostrare alcuna espressione sul suo viso dalla pelle scura. Berana, un'altra Adunante scelta a Salidar, si accigliò pensierosa. Egwene non parlò delle reazioni dei nobili alla sua carica di Amyrlin Seat; se il pensiero non era già nelle menti delle sorelle, non aveva certo intenzione di farcelo entrare lei. «Abbiamo elencato i crimini di Elaida a un'infinità di nobili» proseguì. «Abbiamo dichiarato che vogliamo deporla. Ma i nobili dubitano. Credono che forse - forse - siamo sincere. O forse ci sono tranelli nelle nostre parole. Forse siamo solo la mano di Elaida, che intesse qualche trama elaborata. E nel dubbio la gente si sente in difficoltà. Il dubbio ha dato a Pelivar e ad Arathelle la forza di opporsi a delle Aes Sedai e dire 'Non potete passare.' Chi altri oserebbe mettersi sulla nostra strada o interferire con noi? Lo hanno fatto perché non sono sicuri, e l'insicurezza li ha portati ad agire confusamente. Ci resta solo un modo per disperdere la nube di questa loro confusione. Abbiamo già tentato ogni altra possibilità. Una volta che ci saremo dichiarate in guerra con Elaida non ci potranno più essere dubbi. Non dico che Arathelle, Pelivar e Aemlyn marceranno via non appena l'avremo fatto, ma loro e chiunque altro sapranno chi siamo. Nessuno oserà più mostrarsi così apertamente incerto quando dichiarate di essere il Consiglio della Torre. Nessuno oserà più mettersi sulla nostra strada, nessuno si immischierà negli affari della Torre per insicurezza e ignoranza. Siamo arrivate alla porta e abbiamo messo le mani sul chiavistello. Se avete paura di varcare la soglia, allora sarà come chiedere al mondo di vedervi solo come le marionette di Elaida.» Si mise a sedere, sorpresa della sua stessa calma. Oltre le due file di Adunanti, le sorelle all'esterno del padiglione si erano raggruppate e si sta-
vano agitando. Egwene poteva quasi sentire i nervosi mormorii tagliati fuori dalla barriera di Aledrin. Adesso dipendeva tutto dal fatto che Takima tenesse ancora la bocca chiusa. Romanda grugnì impaziente, e si alzò solo il tempo necessario per dire: «Chi è a favore della dichiarazione di guerra contro Elaida?» Poi il suo sguardo tornò su Lelaine, e sul viso apparì di nuovo quel sogghigno compiaciuto. Era evidente cosa secondo lei sarebbe stato davvero importante, una volta liquidata quella sciocchezza. Janya si alzò all'istante, con la lunga frangia marrone dello scialle che dondolava. «Tanto vale farlo» disse. Non avrebbe dovuto parlare, ma la mascella in fuori e lo sguardo tagliente sconsigliavano qualsiasi rimbrotto. Di solito Janya non era così decisa, ma come sempre le sue parole quasi si accavallarono. «Far sapere al mondo qual è la verità non sarà certo più difficile per questa dichiarazione di guerra. Allora? Allora? Non vedo che senso avrebbe aspettare ancora.» Dall'altro lato di Takima, Escaralde annuì e si alzò. Moria quasi balzò in piedi, guardando accigliata Lyrelle, che raccolse le gonne come per alzarsi, poi esitò e si girò verso Lelaine con una domanda dipinta in volto. Lelaine non se ne accorse neppure: era troppo impegnata a fissare in cagnesco Romanda. Tra le Verdi, Samalin e Malind si alzarono insieme, e Faiselle sollevò di scatto il capo per guardarle. Grossa, volto squadrato e pelle ramata, la domanese Faiselle non si stupiva facilmente, ma in quel momento sembrava sbalordita, e gli occhi sgranati facevano avanti e indietro tra Samalin e Malind. Salita si alzò, sistemando con cura la frangia gialla del suo scialle ed evitando con altrettanta cura l'improvvisa occhiataccia di Romanda. Anche Kwamesa si alzò, seguita poi da Aledrin, che tirò su Berana tenendola per una manica. Ancora seduta, Delana ruotò su sé stessa per guardare le sorelle fuori dal padiglione. Anche nel silenzio, l'emozione di quelle spettatrici era evidente nel loro continuo agitarsi, nelle teste che si avvicinavano per parlare, negli sguardi che saettavano verso le Adunanti. Delana si alzò lentamente e, con entrambe le mani premute sul ventre, sembrava stesse per vomitare. Takima fece una smorfia e si guardò le mani che teneva sulle ginocchia. Saroiya osservò le altre due Adunanti Bianche, tirandosi un orecchio come faceva quando era profondamente immersa nei suoi pensieri. Ma nessun'altra accennò a muoversi. Egwene sentì il sapore della bile salirle in gola. Dieci. Solo dieci. Era
stata così sicura. Siuan era stata sicura. La storia di Logain da sola avrebbe dovuto essere sufficiente, dando per scontato che le altre Adunanti ignorassero le conseguenze della Legge Marziale. E l'esercito di Pelivar e il rifiuto di Arathelle di riconoscerle come Adunanti erano perfetti per spingerle in azione. «Per l'amore della Luce!» sbottò Moria. Si girò verso Lyrelle e Lelaine e si piantò i pugni sui fianchi. Se parlando Janya era andata contro le usanze, con questo scatto lei le stava appallottolando come carta straccia. Le dimostrazioni di rabbia erano strettamente proibite all'interno del Consiglio, ma gli occhi di Moria erano in fiamme, e nella sua voce risuonava forte l'accento illianese. «Che state aspettando? Elaida ha davvero rubato la stola e il bastone! Ha davvero trasformato in un Falso Drago Logain e la Luce sa quanti altri uomini! In tutta la storia della Torre, mai nessuna donna si è meritata più di lei una dichiarazione di guerra! Alzatevi, o non osate mai più parlare della vostra risolutezza nel volerla deporre!» Lelaine non sgranò del tutto gli occhi, ma aveva l'espressione di chi si ritrova attaccato da un passero. «La questione è a malapena degna di una votazione, Moria» disse con voce tesa. «Più tardi io e te faremo due chiacchiere sul decoro. Tuttavia, se hai bisogno di una dimostrazione di risolutezza...» Tirando forte su col naso si alzò, e con uno scatto del capo trascinò in piedi anche Lyrelle quasi fosse legata con delle corde. Lelaine parve sorpresa quando non si alzarono anche Faiselle e Takima. Lungi dall'alzarsi, Takima grugnì come se l'avessero colpita. Il volto una maschera di incredulità, passò lo sguardo sulle donne in piedi, ovviamente per contarle. E poi lo rifece. Takima, che si ricordava tutto quello che leggeva. Egwene emise un sospiro di sollievo. Era fatta. Quasi non ci credeva. Dopo un attimo, si schiarì la voce, e Sheriam trasalì davvero. Gli occhi verdi grandi come tazze da tè, la Custode si schiarì a sua volta la voce. «Con l'approvazione del consenso minoritario, viene dichiarata la guerra contro Elaida do Avriny a'Roihan.» La sua voce era tutt'altro che ferma, ma andava bene lo stesso. «Nell'interesse della nostra unità, chiedo l'approvazione del consenso maggioritario.» Faiselle accennò ad alzarsi, poi si strinse le mani in grembo e rimase ferma. Saroiya aprì bocca, poi la richiuse senza parlare, turbata. Nessun'altra si mosse. «Non lo otterrai» disse Romanda con voce piatta. Il ghigno di derisione che rivolse a Lelaine fu eloquente come qualsiasi discorso per spiegare
perché lei, almeno, non si era alzata. «Adesso che questa piccola vicenda si è conclusa possiamo proseguire con...» «Non credo proprio» la interruppe Egwene. «Takima, cosa dice la Legge Marziale sull'Amyrlin Seat?» Romanda rimase a bocca aperta. Le labbra di Takima tremavano. La piccola Marrone sembrava più che mai un uccello pronto a volar via. «La Legge...» cominciò, poi trasse un lungo respiro e drizzò la schiena. «La Legge Marziale dichiara quanto segue: 'Come le mani devono guidare la spada, così l'Amyrlin dovrà dirigere e proseguire la guerra per decreto. Dovrà chiedere il parere del Consiglio della Torre, ma il Consiglio dovrà attuare i suoi decreti con la massima velocità, e in nome dell'unità le Adunanti dovranno...» vacillò, e dovette fare uno sforzo visibile per proseguire «...dovranno obbligatoriamente approvare ogni decreto dell'Amyrlin Seat sul proseguimento della guerra con il consenso maggioritario.» Il silenzio si protrasse a lungo. Tutte parevano avere gli occhi fuori dalle orbite. Delana si voltò di scatto e vomitò sui tappeti dietro la sua panca. Kwamesa e Salita scesero per andare verso di lei, che però le cacciò via con un gesto della mano e poi tirò fuori un fazzoletto da una manica per asciugarsi la bocca. Magia, Saroiya e altre di quelle rimaste sedute sembravano pronte a seguire il suo esempio. Nessuna di quelle scelte a Salidar, però, mostrava quella reazione. Romanda avrebbe potuto masticare chiodi. «Molto astuto,» disse infine Lelaine con voce tagliente, e dopo una pausa a effetto aggiunse «Madre. Vuoi dirci cosa la grande saggezza che ti deriva dalla tua vasta esperienza ti suggerisce di fare? Riguardo alla guerra, intendo. Preferisco essere chiara.» «Lascia che lo sia anch'io» rispose Egwene con freddezza. Si sporse in avanti, e fissò con severità l'Adunante Azzurra. «Un certo rispetto nei riguardi dell'Amyrlin Seat è obbligatorio, e da ora in poi io lo esigo, figlia. Non credo sia questo il momento adatto per escluderti dal Consiglio e assegnarti una penitenza.» Gli occhi di Lelaine si sgranarono sempre più per lo stupore. Ma davvero quella donna aveva pensato che sarebbe andata sempre come in passato? Oppure, visto che Egwene per tutto quel tempo aveva mostrato ben poco della sua spina dorsale lei si era convinta che non ne avesse affatto? Egwene non aveva davvero intenzione di escluderla: le Azzurre l'avrebbero di sicuro ripresentata, e lei doveva comunque vedersela col Consiglio per le faccende che non potevano essere credibilmente mascherate da decisioni inerenti la guerra contro Elaida. Con la coda dell'occhio, vide il sorriso che piegò le labbra di Romanda
per la disgrazia di Lelaine. Egwene non ne avrebbe ricavato granché se tutto quello che avesse ottenuto era una crescita dell'influenza che Romanda aveva sulle altre. «E questo vale per tutte, Romanda» disse. «Se serve, Tiana può tranquillamente trovare due fruste invece di una sola.» Il sorriso di Romanda svanì bruscamente. «Chiedo il permesso di parlare, Madre» disse Takima alzandosi lentamente. Provò a sorridere, ma sembrava ancora decisamente malconcia. «Io credo che tu abbia iniziato bene. Potremmo ricavare grandi benefici restando qui un mese. O più a lungo.» Romanda girò di scatto la testa per fissarla, ma per una volta Takima non parve farci caso. «Passando qui l'inverno possiamo evitare il clima più duro del Nord e anche pianificare con cura...» «C'è un limite ai ritardi, figlia» la interruppe Egwene. «Basta strascicare i piedi.» Sarebbe stata un'altra Gerra o un'altra Shein? Entrambe le possibilità erano ancora aperte. «Tra un mese, Viaggeremo.» No: lei era Egwene al'Vere, e solo la Luce sapeva cosa si sarebbe detto delle sue colpe e delle sue virtù nelle storie segrete, ma si sarebbe parlato di lei, non della copia di un'altra donna. «Tra un mese, cominceremo l'assedio di Tar Valon.» Questa volta, il silenzio fu rotto solo dal pianto di Takima. 20
In Andor Elayne si augurava che il viaggio verso Caemlyn fosse tranquillo, e all'inizio parve esserlo davvero. Anche quando lei, Aviendha e Birgitte si sedettero esauste stringendosi negli stracci che restavano dei loro vestiti, sporche di polvere e terreno e del sangue colato dalle ferite che avevano subito quanto era esploso il passaggio. Entro un paio di settimane al massimo avrebbe dovuto poter presentare la sua candidatura al Trono del Leone. In cima alla collina, Nynaeve curò le loro numerose ferite parlando pochissimo, e mai per rimproverarle. Questo di sicuro fu un buon segno, anche se insolito. Il sollievo per averle trovate vive faceva a gara con la preoccupazione sul volto di Nynaeve.
Fu necessaria la forza di Lan per estrarre il quadrello di balestra seanchan dalla coscia di Birgitte prima che il taglio potesse essere curato, ma nonostante il volto pallido e la fitta di dolore che anche Elayne sentì attraverso il legame, fitta che le fece venire da urlare, la sua Custode grugnì appena tra i denti. «Tai'shar Kandor» mormorò Lan, gettando via la freccia con la punta rinforzata, fatta per sfondare le armature. Vero sangue di Kandor. Birgitte sbatté le palpebre, e lui ebbe un'esitazione. «Ti chiedo scusa se ho sbagliato. Dai tuoi vestiti ho pensato che fossi del Kandor.» «Oh, sì» sussurrò Birgitte. «Del Kandor.» Il sorriso teso poteva anche essere dovuto alle ferite; Nynaeve, spazientita, allontanò Lan per poter poggiare le mani su Birgitte. Elayne si augurò che l'arciera conoscesse qualcos'altro sul Kandor oltre il nome; al tempo dell'ultima rinascita di Birgitte, non esisteva nessun Kandor. Avrebbe dovuto prenderlo come un presagio. Erano a otto chilometri dal piccolo palazzo col tetto di ardesia, e Birgitte cavalcò dietro a Nynaeve sulla grossa giumenta marrone di quest'ultima un animale che, tra tutti i nomi possibili, si chiamava Nodo di amante - ed Elayne e Aviendha sull'alto stallone nero di Lan. O meglio, Elayne sedette in sella a Mandarb con le braccia di Aviendha intorno alla vita, mentre Lan guidava per le briglie il destriero dagli occhi focosi. I cavalli da guerra ben addestrati erano armi vere e proprie, e potevano essere una pericolosa cavalcatura per chi non li conosceva. Sii sicura di te stessa, le diceva sempre Lini, ma non troppo sicura, e lei ci stava provando. Doveva rendersi conto che non poteva controllare gli eventi più di quanto non potesse guidare Mandarb. All'edificio di pietra a tre piani, mastro Hornwell, massiccio e coi capelli grigi, e comare Hornwell, un po' meno robusta e con un po' meno di grigio tra i capelli ma per il resto notevolmente simile a suo marito, chiamarono a raccolta tutti i servitori del palazzo, ai quali si aggiunsero la cameriera di Merilille, Pol, e i servitori in livrea verde e bianca del palazzo di Tarasin, e tutti si affaccendarono per trovare una sistemazione alle più di duecento persone, quasi tutte donne, comparse dal nulla e in pessime condizioni. Il lavoro andò avanti con sorprendente rapidità, nonostante la gente del palazzo che si fermava a guardare imbambolata il volto senza età di un'Aes Sedai o il mantello cangiante di un Custode che faceva svanire parti del suo corpo, o una delle donne del Popolo del Mare con le loro sete lucenti, gli orecchini, gli anelli al naso e le catenine con i medaglioni. Le donne
della Famiglia decisero che adesso erano abbastanza al sicuro per potersi sentire spaventate e piagnucolare, ignorando le parole di Reanne e del Circolo della Maglia; le Cercavento ringhiavano adirate per quanto si erano dovute allontanare dal sale, contro la loro volontà, come Renaile din Calon proclamò a gran voce; e nobili e artigiane che erano state fin troppo contente di lasciarsi alle spalle qualsiasi cosa stesse accadendo a Ebou Dar, accettando di portare sulla schiena i fagotti coi loro beni, ora recalcitravano se veniva loro assegnato un fienile come letto. Fu questa la scena che trovarono Elayne e le altre al loro arrivo, con il sole rosso sull'orizzonte a ovest, un gran trambusto in tutto il palazzo e confusione anche negli edifici esterni coi tetti di paglia; ma Alise Tenjile, sorridente e implacabile come una valanga, parve assumere il controllo ancora meglio dei pur abili Hornwell. Le donne della Famiglia che piangevano a dirotto nonostante i tentativi di consolazione di Reanne smisero di lamentarsi a un mormorio da parte di Alise e cominciarono ad agire con l'aria pratica e solerte di donne abituate da anni a badare a sé stesse in un mondo ostile. Nobili altezzose con gli stiletti nuziali che penzolavano nelle scollature ovali dei loro corpetti bordati di merletto e artigiane che mostravano quasi la stessa arroganza e una porzione di seno quasi altrettanto generosa, anche se non avvolta nella seta, trasalirono all'arrivo di Alise e andarono di corsa verso gli alti fienili, stringendo a sé gli involti con le loro cose e annunciando a voce alta che avevano sempre pensato che potesse essere divertente dormire sulla paglia. Persino le Cercavento, molte delle quali erano donne potenti e importanti tra gli Atha'an Miere, attutirono le loro lamentele in presenza di Alise. Quanto a ciò, Sareitha, il cui volto non aveva ancora l'aspetto senza età delle Aes Sedai, scrutò Alise di soppiatto e si toccò lo scialle con la frangia marrone come per ricordare a sé stessa di averlo davvero conquistato. Merilille - l'imperturbabile Merilille - guardava quella donna con un'aria ammirata e apertamente divertita. Scendendo goffamente dalla sella davanti all'ingresso del palazzo, Nynaeve lanciò un'occhiataccia ad Alise e diede alla propria treccia uno strattone lento e deliberato, che però l'altra era troppo impegnata per notare; a quel punto Nynaeve entrò impettita, togliendosi i guanti azzurri e mormorando tra sé. Lan la guardò andar via e ridacchiò piano, poi subito represse quella risata quando Elayne scese a sua volta da cavallo. Per la Luce, quanto erano freddi i suoi occhi. Per il bene di Nynaeve, Elayne si augurò che quell'uomo potesse essere salvato dal suo destino, ma guardandolo negli occhi ne dubitava.
«Dov'è Ispan?» mormorò, aiutando Aviendha a smontare di sella. Tante donne sapevano che un'Aes Sedai - una sorella Nera - era loro prigioniera, e di sicuro la notizia si sarebbe diffusa nel palazzo come fuoco nell'erba secca, ma era meglio se gli abitanti del posto avevano un po' di tempo per prepararsi a riceverla. «Adeleas e Vandene l'hanno portata nella piccola capanna di un boscaiolo a circa un chilometro da qui» le rispose Lan, anche lui a bassa voce. «In tutta questa confusione, credo che nessuno abbia fatto caso a una donna con un sacco in testa. Le sorelle hanno detto che per stanotte sarebbero rimaste con lei.» Elayne rabbrividì. L'Amica delle Tenebre sarebbe stata interrogata di nuovo al calar del sole. Adesso erano in Andor, e questo rafforzò ancor più l'impressione di aver dato lei l'ordine per quegli interrogatori. Ben presto si ritrovò immersa in una vasca da bagno a godersi il sapone profumato e la pelle di nuovo pulita, ridendo e schizzando acqua a Birgitte, che se ne stava a mollo in un'altra vasca senza muoversi se non per ricambiare gli schizzi, mentre entrambe ridacchiavano della paura che Aviendha non riusciva bene a nascondere per il fatto di trovarsi seduta nell'acqua fino al petto. Tuttavia, l'Aiel accettò di buon grado i loro scherzi, e raccontò una storia assai indecente su un uomo che finiva con delle spine di segade nel fondoschiena. Birgitte ne raccontò una ancor più indecente su una donna che finiva con la testa incastrata tra le stecche di un recinto, e persino Aviendha arrossì. Però erano entrambe divertenti, ed Elayne si rammaricò di non averne una da raccontare a sua volta. Lei e Aviendha si pettinarono e spazzolarono a vicenda i capelli - un rituale notturno per le sorelle-prossime - e poi si infilarono esauste nel letto a baldacchino di una piccola stanza. Lei, Aviendha, Birgitte e Nynaeve, e per fortuna non c'era nessun'altra. Nelle stanze più grandi c'erano pagliericci e brandine sul pavimento, ed era così anche nei saloni, nelle cucine e in gran parte dei corridoi. Per metà della notte Nynaeve borbottò per l'indecenza di far dormire una donna separata da suo marito, e per l'altra metà parve impegnarsi a dare una gomitata a Elayne ogni volta che questa stava per addormentarsi. Birgitte si rifiutò senza mezzi termini di fare a cambio di posto, e lei non poteva certo chiedere ad Aviendha di sopportare quegli spintoni, così non riuscì a dormire granché. Era ancora un po' stordita quando si prepararono a partire il mattino successivo, col sole che era una palla di oro fuso. Il palazzo aveva pochi animali da cedere, a meno di non voler depredare l'intera proprietà, così men-
tre Elayne era su un castrone nero chiamato Cuore di fuoco e Aviendha e Birgitte avevano nuovi cavalli, quelli che erano a piedi quando avevano lasciato la fattoria della Famiglia rimasero a piedi. Questo includeva quasi tutta la Famiglia stessa, i servitori che tiravano per le redini gli animali da soma, e le circa venti donne che erano ormai chiaramente oltre il pentimento per aver deciso di far visita a quella fattoria nella speranza di pace e contemplazione. I Custodi si avviarono davanti per esplorare la strada tra le ondulate colline coperte da foreste rinsecchite dalla siccità, e gli altri si snodarono in un serpente assai bizzarro, con in testa Elayne, Nynaeve e le altre sorelle. E Aviendha, ovviamente. Era difficile che il loro gruppo non attirasse l'attenzione, tutte quelle donne che viaggiavano con così pochi uomini a fare la guardia, per non parlare delle venti scure Cercavento a disagio sui cavalli e variopinte come uccelli dall'esotico piumaggio, e otto Aes Sedai, cinque delle quali immediatamente riconoscibili come tali per chiunque avesse saputo cosa guardare. Anche se una viaggiava con un sacco di cuoio sulla testa, ovviamente. E certo la cosa non contribuiva a far passare il gruppo inosservato. Elayne aveva sperato di poter giungere a Caemlyn senza destare attenzione, ma questo non sembrava più possibile. Eppure non c'era motivo per cui qualcuno dovesse supporre che tra quelle donne viaggiava anche l'erede al trono, Elayne Trakand in persona. Da quel punto di vista le vere difficoltà potevano arrivare solo se qualche oppositore per la salita al trono veniva a sapere della sua presenza, perché a quel punto questo ipotetico rivale avrebbe potuto mandare degli uomini armati a prenderla in custodia finché la faccenda della successione non fosse stata sistemata. In verità, si aspettava che i primi problemi venissero dalle stanche nobili e le esauste artigiane, donne orgogliose e non abituate a marciare su colline polverose. Soprattutto visto che la cameriera di Merilille aveva la sua grassa giumenta da cavalcare. Le poche contadine presenti nel gruppo delle donne non se la prendevano più di tanto, ma le altre erano per almeno metà proprietarie di palazzi e castelli, e quasi tutte le altre avrebbero potuto permettersi di comprarne uno, se non due o tre. Tra queste c'erano due orafe, tre tessitrici che in totale possedevano quattrocento telai, una donna le cui fabbriche producevano un decimo di tutti gli oggetti laccati di Ebou Dar, e una banchiera. Erano costrette a camminare, con le loro cose legate dietro la schiena, mentre i loro cavalli trasportavano bisacce da sella piene di cibo. E ce n'era davvero bisogno. Tutti i soldi, da tutte le borse, erano stati affidati alla custodia, e alla taccagneria, di Nynaeve, ma c'era il ri-
schio che non fossero sufficienti a pagare vitto, alloggio e foraggio per un gruppo così numeroso durante tutto il viaggio fino a Caemlyn. Ma quelle donne non parevano capire. Si lamentarono a gran voce e senza sosta durante l'intera prima giornata di marcia. Più rumorosa di tutte fu una nobile magra con una cicatrice sottile su una guancia, una donna dal volto severo di nome Malien, che era quasi piegata in due sotto il peso di un enorme fagotto contenente più di una decina di vestiti insieme a tutti i cambi di biancheria necessari. Quando si accamparono per la prima notte, con i fuochi per cucinare che splendevano nel crepuscolo e tutti erano pieni di pane e fagioli anche se non del tutto soddisfatti della cena, Malien raccolse le altre lady intorno a sé, gli abiti di seta peggio che malridotti per il viaggio. Anche le artigiane e la banchiera si unirono, e le contadine rimasero nei paraggi. Prima che Malien potesse dire una parola, Reanne andò verso di loro. Il volto sorridente, gli abiti di semplice lana con le gonne rialzate sulla sinistra a esporre strati di sottane variopinte, sembrava quasi una delle contadine. «Se desiderate tornare a casa,» annunciò con quella sua voce sorprendentemente acuta «potete farlo in qualsiasi momento. Temo, però, che dovremo tenerci i vostri cavalli. Verrete ripagate non appena sarà possibile. Se scegliete di restare, vi prego di ricordare che le regole della fattoria sono ancora valide.» Molte delle donne intorno a lei rimasero a occhi sgranati. Malien non fu l'unica ad aprire la bocca con rabbia. Alise parve quasi materializzarsi dal nulla accanto Reanne, i pugni piazzati sui fianchi. Lei non sorrideva. «Avevo detto che le ultime dieci a finire i preparativi avrebbero dovuto lavare le stoviglie» ricordò con fermezza. E poi fece i nomi: Jillien, un'orafa paffuta; Naiselle, la banchiera dagli occhi freddi; e tutte e otto le nobili. Rimasero ferme a fissarla finché lei non batté le mani e disse: «Non costringetemi a ricordarvi qual è la regola in caso di mancato adempimento dei doveri.» Malien, con gli occhi sbarrati e mormorando incredula, fu l'ultima a sfrecciar via per raccogliere le ciotole sporche, ma il mattino seguente ridusse di molto il suo fagotto, lasciando biancheria e abiti di seta coi bordi di merletto a marcire sul fianco della collina al momento della partenza. Elayne continuava ad aspettarsi un'esplosione, ma Reanne aveva un fermo controllo su quelle donne, e ancor più fermo era quello esercitato da Alise, e se Malien e le altre si adombravano e protestavano per le macchie d'unto che si accumulavano sui loro vestiti giorno dopo giorno, Reanne doveva dir loro appena qualche parola per rispedirle al lavoro. Ad Alise bastava
battere le mani. Elayne sarebbe stata disposta a unirsi a quelle donne nelle loro fatiche pur di far continuare il viaggio con quella tranquillità. E già molto prima di arrivare a Caemlyn ne fu più che sicura. Quando incontrarono la prima strada, stretta e polverosa, poco più che una pista per carri, cominciarono a vedere fattorie, case di pietra e paglia e fienili abbarbicati sui fianchi delle colline o annidati nelle conche. Da lì in poi, che il terreno fosse piatto o collinare, che ci fossero boschi o radure, di rado viaggiarono per molte ore senza trovarsi in vista di una fattoria o un villaggio. E a ogni centro abitato, mentre la gente del posto guardava a occhi sgranati quegli strani stranieri, Elayne cercò di scoprire quanto supporto aveva la casata Trakand e quali erano le principali preoccupazioni del popolo. Tener conto di queste preoccupazioni sarebbe stato importante per rendere la sua pretesa al trono abbastanza forte da reggersi in piedi, importanti quanto l'appoggio delle altre casate. E dai contadini e gli abitanti dei villaggi Elayne ebbe tante risposte, anche se non sempre erano quelle che aveva sperato di sentire. Gli Andorani si arrogavano il diritto di parlare chiaramente anche con la regina, e così furono tutt'altro che timidi con una giovane nobildonna, per quanto particolari potessero essere i suoi compagni di viaggio. In un villaggio chiamato Damelien, dove tre mulini sorgevano accanto a un fiumiciattolo ora tanto prosciugato da lasciare asciutte le pale, il locandiere di I covoni dorati, un uomo dalla mascella squadrata, dichiarò che secondo lui Morgase era stata una buona regina, la migliore possibile, la migliore di sempre. «Anche sua figlia avrebbe potuto diventare una buona regnante, immagino» mormorò, grattandosi il mento con un pollice. «Peccato che il Drago Rinato l'abbia uccisa. Immagino sia stato costretto - per le Profezie o cose del genere - ma non aveva diritto di essiccare i fiumi, giusto? Di quanto grano dicevi che hanno bisogno i tuoi cavalli? Ti avverto, mia signora, è terribilmente caro.» Una donna dal volto duro, con un liso abito marrone che le pendeva addosso come se avesse di recente perso peso, sorvegliava un campo recintato da un basso muro di pietra, dove il vento caldo alzava veli di polvere tra gli alberi. Le altre fattorie intorno a Buryhill sembravano messe altrettanto male, se non peggio. «Il Drago Rinato non ha diritto di farci questo, non trovi?» Sputò e guardò accigliata Elayne, che era in sella al suo cavallo. «Il trono? Oh, Dyelin va bene come chiunque altra, ora che Morgase e la sua ragazza sono morte. Alcuni qui intorno sono ancora per Naean o Elenia,
ma io preferisco Dyelin. A ogni modo, Caemlyn è lontana. Io devo pensare ai raccolti. Se mai avrò un altro raccolto.» «Oh, è vero, mia signora, è vero; Elayne è viva» le disse un vecchio fabbro nodoso a Mercato Forel. Era calvo come un uovo, le dita deformate dall'età, ma i lavori esposti tra i trucioli e la segatura sparsi ovunque nel suo negozio sembravano buoni quanto quelli di qualsiasi altro artigiano, secondo Elayne. Lei era l'unica persona nella bottega, a parte il falegname. A giudicare dall'aspetto del villaggio, metà degli abitanti dovevano essere andati via. «Il Drago Rinato la sta facendo portare a Caemlyn così potrà metterle di persona la Corona di Rose sulla testa» disse. «La notizia è risaputa. Io penso che non sia giusto, se lo vuoi sapere. Ho sentito che il Drago Rinato è uno di quegli Aiel dagli occhi neri. Dovremmo marciare su Caemlyn e rispedire lui e tutti gli Aiel nel posto da dove sono venuti. Poi Elayne potrà chiedere il trono. Se Dyelin glielo lascia fare, in ogni caso.» Elayne sentì parlare molto di Rand, storie che lo vedevano giurare fedeltà a Elaida e storie in cui era diventato addirittura il re di Illian. In Andor lo accusavano per tutti gli eventi negativi capitati negli ultimi due o tre anni, inclusi i bambini nati morti, le ossa rotte, le infestazioni di cavallette, i vitelli a due teste e le galline a tre zampe. E persino le persone convinte che la madre di Elayne aveva rovinato il paese e che la fine della casata Trakand fosse una vera e propria liberazione reputavano Rand al'Thor un invasore. Il Drago Rinato doveva combattere il Tenebroso a Shayol Ghul, e bisognava mandarlo via dall'Andor. Non era ciò che lei si era augurata di sentire. Ma dovette sentirlo più e più volte. Non fu affatto un viaggio piacevole. Fu piuttosto una lunga lezione per apprendere il vero significato di uno dei motti preferiti di Lini. La pietra che vedi non è mai quella che ti colpisce sul naso. Secondo Elayne, le nobili che viaggiavano con loro non erano le sole che potessero causare problemi, e alcuni di questi problemi rischiavano di tramutarsi in esplosioni grandi come quella del passaggio. Le Cercavento, molto compiaciute per l'accordo che avevano concluso con lei e Nynaeve, si comportavano con un'irritante aria di superiorità con le Aes Sedai, soprattutto dopo aver saputo che Merilille si era lasciata convincere a essere la prima sorella ad andare alle navi. Eppure, anche se tra quelle donne continuavano a scoccare scintille come dalla miccia di un Illuminatore, l'esplosione non arrivava mai. I rapporti tra le Cercavento e la Famiglia, in particolare il Circolo della Maglia, sembravano una polveriera altrettanto pericolosa. Si guardavano furtivamente in cagnesco, quando non si deride-
vano a vicenda e apertamente, la Famiglia dileggiando le 'selvatiche del Popolo del Mare che si credevano chissà chi' e le Cercavento irridendo le 'tremanti leccasabbia che baciavano i piedi delle Aes Sedai'. Ma nessuna andava mai oltre una smorfia o una carezza al pugnale portato alla cintura. Ispan rappresentava un problema che, Elayne ne era sicura, si sarebbe prima o poi aggravato, eppure dopo pochi giorni di viaggio Vandene e Adeleas le permisero di cavalcare senza cappuccio, ma non senza schermo; una figura silenziosa con perline nelle trecce sottili, il volto senza età rivolto verso il basso e le mani immobili sulle redini. Renaile raccontò a chiunque fosse disposto ad ascoltarla che tra gli Atha'an Miere gli Amici delle Tenebre venivano spogliati dei loro nomi non appena erano giudicati colpevoli, poi finivano gettati in mare legati alle pietre di zavorra. Tra le donne della Famiglia, persino Reatine e Alise impallidivano ogni volta che vedevano la Tarabonese. Ispan, però, diventava sempre più umile, ansiosa di compiacere e piena di sorrisi gentili per le due sorelle dai capelli bianchi, a dispetto di qualsiasi cosa loro le potessero fare quando di notte la portavano via con sé. D'altro canto, Adeleas e Vandene sembravano sempre più frustrate. In presenza di Elayne, Adeleas disse a Nynaeve che quella donna tirava fuori tantissime informazioni sui vecchi complotti dell'Ajah Nera, e per quelli in cui non era coinvolta in prima persona era ancor più prodiga, ma anche quando le facevano pressione - Elayne non riuscì proprio a chiedere come le facevano pressione - e lei si lasciava scappare i nomi di altri Amici delle Tenebre si trattava di individui ormai sicuramente morti, e nessuno di questi era una sorella. Vandene disse che cominciavano a temere che Ispan avesse prestato un Giuramento - e la maiuscola fu percepibile nella sua voce - che le impediva di tradire le sue coorti. Le due Aes Sedai continuavano a isolare Ispan quanto più possibile e portavano avanti i loro interrogatori, ma era evidente che adesso procedevano alla cieca, e con cautela. E poi c'era il problema di Nynaeve e Lan. Decisamente un problema, con lei che quasi esplodeva per lo sforzo di tenere a bada i nervi quando il Custode era nei paraggi, diventava malinconica quando dormivano separati - e cioè quasi sempre, visto come erano organizzati gli alloggi che trovavano - e restava tra brama e timore quando potevano sparire insieme in un fienile. Secondo il parere di Elayne la colpa era di Nynaeve, che aveva scelto di sposarsi secondo gli usi del Popolo del Mare. Gli Atha'an Miere davano alla gerarchia la stessa importanza tributata al mare, e sapevano che una donna e suo marito potevano essere promossi più volte, ritrovan-
dosi spesso in posizioni di vantaggio o svantaggio una rispetto all'altro. I loro riti matrimoniali tenevano conto di tutto ciò. Chi tra gli sposi aveva diritto di comandare in pubblico, doveva obbedire in privato. Lan non se ne approfittava mai, così diceva Nynaeve - 'non proprio', queste erano le sue parole e chissà cosa volevano significare! Arrossiva sempre nel pronunciarle - ma lei continuava ad aspettarsi che cominciasse a farlo, e Lan sembrava esserne sempre più divertito. E questo, ovviamente, irritava in grandissima misura i nervi di Nynaeve. E fu proprio Nynaeve a scoppiare, tra tutte le esplosioni che Elayne aveva temuto. Trattava in malo modo chiunque le capitasse a tiro. Tranne Lan; con lui era tutta miele e crema. E tranne Alise. Ci andò vicino, un paio di volte, ma neppure lei sembrava capace di trattar male Alise. Elayne aveva molte speranze e nessuna preoccupazione per gli oggetti portati via dal Rahad insieme alla Scodella dei Venti. Aviendha la aiutò a setacciarli, e anche Nynaeve vi prese parte una o due volte, ma era davvero troppo lenta e pavida e non aveva una grande abilità nel trovare ciò che stavano cercando. Non rinvennero nessun altro angreal, ma la collezione di ter'angreal continuò a crescere; una volta buttato via tutto il ciarpame, gli oggetti che usavano l'Unico Potere riempirono cinque interi panieri portati dai cavalli da soma. Per quanto Elayne fosse cauta e attenta, i suoi tentativi di studiare quegli oggetti non andarono a buon fine. Tra i Cinque Poteri, Spirito era il più sicuro da usare per quel tipo di esami - a meno che, ovviamente, non fosse proprio Spirito quello che serviva ad attivare l'oggetto in questione! - eppure lei dovette usare anche altri flussi, quanto più esili possibile. A volte i suoi delicati esami non portavano a nulla, ma il primo contatto con il ter'angreal che sembrava il rompicapo di un fabbro ma fatto di vetro la lasciò stordita e incapace di dormire per metà della notte, e quando con un flusso di Fuoco sfiorò quello che pareva un elmo fatto di vaporose piume di metallo fece venire un accecante mal di testa a chiunque si trovava a venti passi da lì. Tranne che a lei. E poi c'era il bastone cremisi che sembrava caldo; caldo, ma in un modo particolare. Seduta sul bordo del letto in una locanda chiamata Il cinghiale selvaggio, Elayne esaminò il liscio bastone alla luce di due lampade in ottone lucidato. Lungo meno di mezzo metro e spesso quanto il suo polso, sembrava fatto di pietra, ma al tatto pareva più solido che duro. Elayne era sola; dopo l'incidente con l'elmo si sforzava di portare avanti i suoi esami lontano dagli altri del gruppo. Il calore di quel bastone la faceva pensare a Fuo-
co... Sbattendo le palpebre aprì gli occhi e si drizzò a sedere. La luce del sole si riversava dalla finestra. Lei indossava solo la biancheria, e Nynaeve, completamente vestita, la guardava accigliata. Anche Aviendha e Birgitte, accanto alla porta, la stavano osservando. «Che è successo?» chiese Elayne. Nynaeve scosse cupamente il capo. «È meglio se non lo sai.» Le sue labbra ebbero un fremito. Dal volto di Aviendha non era possibile capire nulla. La bocca di Birgitte era forse un po' tesa, ma l'emozione più forte che Elayne sentiva venire da lei era una combinazione di sollievo e... ilarità! Quella donna si stava sforzando per non rotolarsi sul pavimento dalle risate. La cosa peggiore era che nessuno volle dirle cosa era successo. Cosa lei aveva detto o fatto: Elayne era sicura che si trattasse di questo, a giudicare dai sogghigni prontamente celati da parte delle donne della Famiglia e delle Cercavento, nonché delle sorelle stesse. Ma nessuno volle dirle nulla! Dopo quell'episodio decise che avrebbe ripreso lo studio dei ter'angreal una volta trovato un posto più idoneo di una locanda. Più idoneo e decisamente più appartato! Nove giorni dopo la fuga da Ebou Dar, videro apparire in cielo le prime nuvole sparse, e una spruzzata di grandi gocce schizzò la polvere della strada. Il giorno successivo ci fu una pioggerella incostante, e il giorno dopo ancora un acquazzone costrinse tutto il gruppo a rannicchiarsi nelle case e nelle stalle di Mercato Forel. Quella notte, la pioggia divenne nevischio e al mattino dal cielo scuro e nuvoloso scendevano raffiche di neve. Non erano ancora a metà strada da Caemlyn, ed Elayne cominciò a chiedersi se ci sarebbero arrivati entro un paio di settimane. Con la neve, i vestiti diventarono un problema. Elayne si biasimava per non aver previsto che a tutte sarebbero potuti servire degli abiti più pesanti prima di arrivare a destinazione. Nynaeve si accusava della stessa cosa. Merilille pensava che la colpa fosse sua, e anche Reanne incolpava sé stessa. Quel mattino rimasero addirittura nella strada principale di Mercato Forel mentre i fiocchi di neve scendevano sulle loro teste e litigarono per chi poteva veramente dichiararsi colpevole. Elayne non avrebbe saputo dire chi di loro vide per prima l'assurdità di quella situazione, chi fu la prima a ridere, ma tutte ridevano quando si sedettero intorno a un tavolo a Il cigno bianco per decidere sul da farsi. La soluzione fece passare a tutte la voglia di ridere. Per procurare una giubba o un mantello caldo a ogni membro del
gruppo avrebbero dovuto seriamente intaccare le loro riserve di denaro, ammesso che fosse possibile reperire tutti quei capi di abbigliamento. Potevano vendere o scambiare qualche gioiello, ovviamente, ma gli abitanti di Mercato Forel non parevano interessati a collane o bracciali, per quanto eleganti o preziosi. Aviendha risolse questo problema tirando fuori un sacchetto rigonfio di gemme chiare e perfette, alcune delle quali piuttosto grandi. Stranamente, le stesse persone che avevano educatamente rifiutato le collane ingemmate sgranarono gli occhi per le pietre pure che rotolavano nel palmo di Aviendha. Reanne disse che quella gente vedeva collane e bracciali come cianfrusaglie, mentre le gemme pure erano simbolo di benessere; quali che fossero i motivi, in cambio di due rubini di media grandezza, una grande pietra di luna e una piccola goccia di fuoco, la popolazione di Mercato Forel fu più che disposta a fornire tutti i capi di lana spessa che gli ospiti potevano desiderare, e alcuni di quegli abiti erano quasi nuovi. «Molto generoso da parte loro» mormorò Nynaeve con acidità quando la gente cominciò a sradicare vestiti da casse e soffitte. Un costante flusso di persone marciava verso la locanda con le braccia piene di giubbe e mantelli. «Con quelle pietre avremmo potuto comprare l'intero villaggio!» Aviendha si strinse appena nelle spalle; lei avrebbe dato via una manciata di gemme se Reanne non l'avesse fermata. Merilille scosse il capo. «Noi abbiamo ciò che vogliono, ma loro hanno quello che ci serve. E, temo, questo significa che sono loro a fare il prezzo.» La situazione era fin troppo simile a quella che aveva portato all'accordo col Popolo del Mare. Nynaeve sembrava nauseata. Quando furono da sole in un corridoio della locanda, Elayne chiese ad Aviendha dove aveva preso un simile tesoro in gioielli, e come mai pareva così ansiosa di liberarsene. Si aspettava che la sua sorella prossima le dicesse che erano il suo bottino preso alla Pietra di Tear, o magari a Cairhien. «Rand al'Thor mi ha imbrogliata» mormorò con astio Aviendha. «Ho provato a comprare il toh che avevo con lui. So che è il modo meno onorevole,» protestò «ma non ne vedevo altri. E lui mi ha raggirata! Ma perché quando rifletti su una cosa con la logica gli uomini fanno sempre qualcosa di completamente illogico e hanno la meglio?» «Le loro belle testoline sono così confuse che una donna non può aspettarsi di riuscire a seguirli nelle loro follie» le rispose Elayne. Non chiese che toh Aviendha aveva provato a comprare, né come il tentativo era finito
con il regalo di un sacchetto pieno di gemme preziose. Parlare di Rand era già abbastanza difficile senza sapere quelle cose. Il freddo non portò solo il bisogno di abiti pesanti. A mezzogiorno, con la neve che scendeva sempre più fitta, Renaile scese le scale ed entrò impettita nella sala comune, dove proclamò che lei aveva tenuto fede all'accordo e pretese non solo la Scodella dei Venti, ma anche Merilille. La sorella Grigia sgranò gli occhi, costernata, e lo stesso fecero molte altre persone. Le panche erano piene di donne della Famiglia che facevano a turno per il pranzo, con i camerieri e le cameriere che si affaccendavano per servire il pasto al terzo gruppo. Renaile aveva parlato a voce alta, e tutti nella sala comune si girarono verso di lei. «Puoi iniziare adesso con gli insegnamenti» disse Renaile alla stupefatta Aes Sedai. «Nelle mie stanze, al piano di sopra.» Merilille fece per protestare, ma la Cercavento della Maestra delle Navi assunse all'improvviso un'espressione glaciale, si piantò i pugni sui fianchi e disse: «Quando do un ordine, Merilille Ceandevin, mi aspetto che tutti i marinai sul ponte scattino a eseguire. E adesso, scatta!» Merilille non scattò, non esattamente, ma si sistemò gli abiti e andò, con Renaile che in pratica la spronava da dietro su per le scale. L'Aes Sedai aveva promesso, e non aveva scelta. Reanne era atterrita. Alise e la grossa Sumeko, che ancora indossava la cintura rossa, osservarono pensose la scena. Nei giorni seguenti, sia che procedessero a fatica per una via innevata in sella ai cavalli, sia che passeggiassero per le strade di un villaggio o cercassero di trovare stanze per tutti a una locanda, Renaile tenne stretta a sé Merilille, tranne quando le ordinava di seguire un'altra Cercavento. Il bagliore di saidar circondava quasi di continuo la sorella Grigia e la sua scorta, e Merilille mostrava le sue tessiture senza sosta. La pallida cairhienese era marcatamente più bassa di tutte le altre donne del Popolo del Mare, ma sulle prime riuscì a guardarle dall'alto in basso in virtù della sua dignità di Aes Sedai. Ben presto, però, Merilille cominciò ad avere un'espressione di permanente stupore. Elayne venne a sapere che quando tutte trovavano un letto in cui dormire, Merilille doveva dividerlo con Pol, la sua cameriera, e le due apprendiste Cercavento, Talaan e Metarra. Elayne non sapeva cosa questo dicesse sulla considerazione che le Atha'an Miere riservavano alla Aes Sedai. Era chiaro che le Cercavento non la mettevano sullo stesso piano delle apprendiste. Si aspettavano solo che facesse ciò che le veniva detto senza ritardi o incomprensioni.
Reanne rimase atterrita dalla svolta che avevano preso gli eventi, ma Alise e Sumeko non erano le uniche della Famiglia a osservare con attenzione, né erano le uniche ad annuire con fare meditabondo. E, all'improvviso, Elayne si accorse di un altro problema. La Famiglia vedeva che Ispan diventava sempre più malleabile ma era prigioniera di altre Aes Sedai. Le Atha'an Miere non erano Aes Sedai, e Merilille non era una prigioniera, eppure anche lei cominciava a scattare se Renaile dava un ordine o, quanto a ciò, se lo davano Dorile, Caire o la sorella di sangue di Caire, Tebreille. Certo, queste donne erano tutte Cercavento di altrettante Maestre delle Onde di vari clan, ma non era motivo sufficiente per tanta obbedienza. Sempre più componenti della Famiglia stavano passando da sguardi inorriditi a una pensosa contemplazione. Forse le Aes Sedai non erano una razza a parte, dopo tutto. E se le Aes Sedai erano donne come tutte le altre, allora perché quelle della Famiglia dovevano sottoporsi ancora una volta ai rigori della Torre, all'autorità e alla disciplina delle Aes Sedai? Non se l'erano forse cavata anche da sole, sopravvivendo più a lungo di quanto tutte le sorelle più anziane fossero disposte a credere? Elayne poteva praticamente vedere l'idea che prendeva forma nelle loro menti. Quando ne parlò a Nynaeve, però, questa si limitò a mormorare: «È tempo che qualche sorella impari cosa significa provare a istruire una donna convinta di saperne di più dell'insegnante. Quelle che hanno una reale possibilità di conquistare lo scialle vorranno ancora provarci; quanto alle altre, non vedo perché non dovrebbero cominciare a mostrare un po' di spina dorsale.» Elayne si astenne dal farle notare come lei stessa si era lamentata di Sumeko, che di sicuro stava mostrando la spina dorsale: aveva più volte criticato le tessiture che Nynaeve usava per la Guarigione, definendole 'goffe', ed Elayne aveva pensato che alla sua amica stesse per prendere un colpo. «In ogni caso, non c'è motivo di raccontare tutto questo a Egwene. Se lei sarà lì. Ha già abbastanza carne al fuoco.» Senza dubbio 'tutto questo' si riferiva a Merilille e le Cercavento. Elayne e Nynaeve erano vestite con la sola biancheria e sedevano sul letto nella loro stanza al secondo piano della locanda Il nuovo aratro, con appesi al collo gli anelli ritorti che erano ter'angreal del sogno; Elayne lo portava su un semplice laccio di cuoio, Nynaeve su una catenina d'oro insieme a quello con lo stemma di Lan. Aviendha e Birgitte, completamente vestite, sedevano su due delle loro casse di indumenti. Avrebbero fatto la guardia, così definivano il loro ruolo, finché le altre due non fossero tornate dal Mondo dei Sogni. Elayne e Nynaeve avevano ancora addosso il mantello,
e se lo sarebbero tolto solo per infilarsi sotto le coperte. Il nuovo aratro era in realtà tutt'altro che nuovo; sulle pareti intonacate c'erano ragnatele di crepe, e le raffiche di vento filtravano dappertutto. La stanza era piccola, e le casse e i fagotti impilati occupavano gran parte dello spazio lasciato libero da letto e lavabo. Elayne sapeva che doveva presentarsi a Caemlyn in maniera consona, ma a volte si sentiva in colpa, con i suoi averi portati dagli animali da soma mentre quasi tutti dovevano arrangiarsi con quello che potevano portare sulla schiena. Nynaeve di sicuro non aveva mai mostrato rimorsi per le sue casse. Erano in viaggio da sedici giorni, la luna piena fuori dalla piccola finestra splendeva su un bianco manto di neve che l'indomani li avrebbe rallentati anche se il cielo fosse rimasto limpido, ed Elayne pensava che un'altra settimana per arrivare a Caemlyn fosse una previsione ottimistica. «Ho abbastanza buon senso da non parlargliene» disse a Nynaeve. «Non voglio che mi stacchi di nuovo il naso a morsi.» Era comunque una descrizione mitigata del loro ultimo incontro. Non erano più andate nel Tel'aran'rhiod dalla notte dopo aver lasciato il palazzo, quando avevano comunicato a Egwene che la Scodella era stata usata. Con riluttanza, le avevano anche raccontato del patto che erano state costrette a stringere con il Popolo del Mare, e si erano così trovate davanti l'Amyrlin Seat con la stola a strisce sulle spalle. Elayne sapeva che quello che aveva fatto Egwene era necessario e giusto - anche l'amico più intimo di una regina sa che questa è, appunto, una regina, lo sa e lo deve sapere ma non le era piaciuto quando, con voce accalorata, le aveva accusate di essersi comportate come stupide incapaci e di aver quasi portato la rovina su tutte loro. Soprattutto visto che lei stessa la pensava così. Né le era piaciuto sapere che se Egwene non assegnava a entrambe una penitenza tale da far rizzare i capelli sulla testa era solo perché non poteva permettersi che perdessero tempo. Ma era necessario e giusto; quando lei si fosse seduta sul Trono del Leone, sarebbe stata ancora un'Aes Sedai, soggetta alle regole e le tradizioni di un'Aes Sedai. Non nei confronti dell'Andor - non avrebbe dato la sua terra alla Torre Bianca - ma per sé stessa. Quindi, per quanto sgradevole, aveva accettato con calma quella sfuriata. Nynaeve si era dimenata e aveva balbettato per l'imbarazzo, aveva protestato fin quasi a mettere il broncio, poi aveva chiesto scusa così umilmente che Elayne aveva quasi stentato a riconoscerla. Ed Egwene aveva fatto bene anche a rimanere l'Amyrlin mentre le perdonava con freddezza per i loro errori. Nel migliore dei casi, la notte che avevano davanti non sarebbe stata pia-
cevole o facile, se l'avessero incontrata. Ma quando sognarono di essere nella Salidar del Tel'aran'rhiod, nella stanza della Piccola Torre che avevano chiamato Studio dell'Amyrlin, Egwene non c'era, e l'unico segno che fosse passata di lì dal loro ultimo incontro erano delle parole a malapena visibili scarabocchiate su un pannello affisso al muro e divorato dai tarli, parole che sembravano tracciate distrattamente da qualcuno che non si era neppure preso la briga di inciderle più a fondo. RESTATE A CAEMLYN E, lì vicino: NON DATE NELL'OCCHIO E FATE ATTENZIONE Erano queste le ultime istruzioni di Egwene. Dovevano andare a Caemlyn e restarci finché lei non trovava un modo per evitare che il Consiglio le mettesse sotto sale in un barile col coperchio inchiodato. Un promemoria che loro non potevano cancellare. Abbracciando saidar, Elayne incanalò per lasciare il suo messaggio, il numero quindici scarabocchiato sul tavolo pesante che era stato la scrivania di Egwene. Invertendo la tessitura e legandola si assicurò che solo chi avesse passato le dita su quei numeri si sarebbe reso conto che in realtà non erano lì. Forse non ci sarebbero voluti quindici giorni per arrivare a Caemlyn, ma di sicuro più di una settimana. Nynaeve andò alla finestra e guardò all'esterno da una parte e dell'altra, facendo attenzione a non mettere fuori la testa. Era notte, come nel mondo della veglia, e la luna piena splendeva sulla neve, anche se l'aria non era fredda. Non poteva esserci nessuno tranne loro due lì, e se c'era qualcuno allora era qualcuno da evitare. «Spero che non stia avendo problemi a portare avanti i suoi piani» mormorò. «Ci ha detto di non parlarne nemmeno tra di noi, Nynaeve. Un segreto rivelato mette sempre le ali.» Questo era un altro dei tanti motti preferiti di Lini. Nynaeve si girò con una smorfia, poi tornò a scrutare il vicolo all'esterno. «Per te è diverso. Io ho badato a lei quando era una bambina, le ho cambiato le fasce, le ho dato qualche schiaffo sul sedere una volta o due. E adesso devo scattare appena lei schiocca le dita. È difficile.»
Elayne non poté farne a meno. Schioccò le dita. Nynaeve si girò così velocemente da diventare una macchia sfocata, con gli occhi sgranati per il terrore. Anche i suoi vestiti diventarono una macchia sfocata, dalla seta azzurra al bianco a strisce delle Ammesse a quella che lei chiamava buona lana robusta dei Fiumi Gemelli, scura e spessa. Quando si accorse che Egwene non era lì, che non l'aveva sentita, quasi svenne per il sollievo. Quando tornarono ai loro corpi e rimasero sveglie abbastanza a lungo per dire alle altre due che potevano mettersi a letto, Aviendha trovò simpatico lo scherzo fatto da Elayne, e anche Birgitte ne rise. Nynaeve, però, si prese la sua vendetta. Il mattino seguente, svegliò Elayne mettendole addosso un pezzetto di ghiaccio. Le sue strilla svegliarono tutti gli abitanti del villaggio. Tre giorni dopo, arrivò la prima esplosione. 21
In risposta alle convocazioni Le grandi tempeste invernali chiamate cemaros continuavano a riversarsi dal Mare delle Tempeste, le più dure di sempre, a memoria d'uomo. Alcuni dicevano che quest'anno il cemaros stava cercando di recuperare i mesi di ritardo. I fulmini crepitavano nei cieli, abbastanza numerosi da tappezzare di luce il buio notturno. Il vento frustava le terre e la pioggia le flagellava, trasformando in fiumi di fango tutte le strade tranne le più solide. A volte il fango si ghiacciava al calar del sole, ma l'alba portava sempre il disgelo, anche col cielo grigio, e di nuovo il terreno diventava una palude. Rand era sorpreso di quanto tutto ciò potesse intralciare i suoi piani. Gli Asha'man che aveva convocato arrivarono in fretta, a metà mattina del giorno successivo, cavalcarono fuori da un passaggio per essere subito assaliti da un acquazzone che oscurava anche il sole, tanto che sembrava di essere al tramonto. Attraverso quello squarcio nell'aria si vedeva la neve che cadeva in Andor, grossi fiocchi bianchi che vorticavano veloci e nascondevano quello che c'era dietro. Quasi tutti gli uomini di quella breve
colonna erano infagottati in pesanti mantelli neri, ma la pioggia pareva scivolare intorno a loro e ai loro cavalli. Non era così evidente, eppure chiunque se ne accorgeva tornava a fissare quel fenomeno una seconda volta, se non una terza. Per restare asciutti bastava una semplice tessitura, ma bisognava essere disposti a far capire a tutti la propria vera natura. D'altronde, per questo era sufficiente il disco bianco e nero ricamato in un cerchio rosso sul davanti dei loro mantelli. Anche mezzo nascosti dalla pioggia, quegli uomini emanavano un'aria di orgoglio, un'arroganza che era percepibile anche da come sedevano in sella. Un'aria di sfida. Gli Asha'man si gloriavano di ciò che erano. Il loro comandante, Charl Gedwyn, aveva pochi anni più di Rand, era di altezza media e portava le spille della spada e quella del drago, come Torval, su una giubba dal taglio assai elegante, col colletto alto e fatta della migliore seta nera. La spada vera e propria era riccamente decorata d'argento, e d'argento era anche intrecciato il cinturone, chiuso da una fibbia a forma di pugno fatta anch'essa d'argento. Gedwyn si faceva chiamare Tsorovan'm'hael; nella Lingua Antica significava Condottiero della Tempesta, e chissà quale ruolo stava a indicare. Quanto meno, si addiceva bene al clima. Eppure Gedwyn era fermo a un passo dall'uscita della tenda verde di Rand e guardava accigliato la pioggia che fuori scendeva in cascate. La tenda era circondata dalla guardia dei Compagni a cavallo, a non più di trenta passi di distanza eppure a malapena visibili. Avrebbero potuto essere delle statue, per come ignoravano l'acquazzone. «Come ti aspetti che io possa trovare qualcuno con un tempo del genere?» mormorò Gedwyn, girandosi a lanciare un'occhiata verso Rand. Con un leggero ritardo, aggiunse «Mio lord Drago.» Aveva uno sguardo duro e sfrontato, ma era sempre così, che guardasse un uomo o il palo di uno steccato. «Io e Rochaid abbiamo portato otto Dedicati e quaranta Soldati, abbastanza per distruggere un esercito o far tremare dieci re. Potremmo addirittura far sgranare gli occhi a un'Aes Sedai» disse sarcastico. «Che sia folgorato, anche io e Rochaid da soli potremmo cavarcela. O tu. Perché hai bisogno di altra gente?» «Mi aspetto che tu mi obbedisca, Gedwyn» rispose freddamente Rand. Condottiero della Tempesta? E Manel Rochaid, il comandante in seconda, si faceva chiamare Baijan'm'hael, il Condottiero dell'Attacco. Che aveva in mente Taim, perché stava creando dei nuovi ranghi? L'importante era che creasse delle armi. L'importante era che quelle armi restassero sane di
mente abbastanza a lungo per poterle usare. «E non che tu perda tempo discutendo i miei ordini.» «Come comandi, lord Drago» mormorò Gedwyn. «Invierò immediatamente gli uomini.» Con un brusco saluto, pugno al petto, uscì spavaldo nella tempesta. Il diluvio si piegò intorno a lui, scivolando sullo scudo che si era intessuto addosso. Rand si chiese se quell'uomo aveva anche solo una vaga idea di quanto era stato vicino alla morte quando aveva incanalato senza preavviso. Devi ucciderlo prima che lui uccida te, disse Lews Therin con una risatina nervosa. E lo faranno, lo sai. I morti non possono tradire nessuno. La voce nella testa di Rand diventò perplessa. Ma a volte non muoiono. Io sono morto? E tu? Rand ridusse quelle parole a un lieve ronzio, appena percettibile. Da quando si era riaffacciato nella sua mente, Lews Therin si zittiva di rado, a meno che non fosse costretto. Per la maggior parte del tempo sembrava più pazzo che mai, e di solito anche più furente. A volte, anche più strano. Quella voce invadeva i suoi sogni, e quando Rand vedeva sé stesso non era sempre il proprio volto quello che incontrava. Non era nemmeno quello di Lews Therin, il cui viso aveva ormai imparato a riconoscere. A volte era una figura indistinta eppure vagamente familiare, e anche Lews Therin sembrava stupito. Questo indicava quanto fosse pazzo quell'uomo. O forse quanto era pazzo Rand stesso. Non ancora, pensò. Non mi posso ancora permettere di impazzire. E quando, allora?, gli sussurrò Lews Therin prima che lui riuscisse a zittirlo ancora una volta. Con l'arrivo di Gedwyn e gli Asha'man, il suo piano per spingere i Seanchan verso ovest prese il via. Prese il via, e strisciò lentamente avanti come se stesse arrancando in una di quelle strade paludose. Rand diede subito l'ordine di spostare l'accampamento, e non provò neppure a celare i suoi movimenti. Non aveva molto senso sforzarsi di mantenere la segretezza. Le notizie viaggiavano lente sulle ali dei piccioni, e ancor più lente se portate da un corriere, da quando si erano scatenati i cemaros, ma lui era sicuro di essere osservato, dalla Torre Bianca, dai Reietti, da chiunque credeva di trarre o perdere un vantaggio dagli spostamenti del Drago Rinato e poteva permettersi di pagare un soldato. Forse persino dai Seanchan. Se lui riusciva a tenerli d'occhio, perché non poteva succedere l'inverso? Ma nemmeno gli Asha'man sapevano il perché di quegli spostamenti. Mentre Rand se ne stava a osservare oziosamente gli uomini che piega-
vano la sua tenda e la caricavano su un carro dalle alte ruote, arrivò Weiramon in sella a uno dei suoi tanti cavalli, un baldanzoso castrone bianco della migliore razza tarenese. La pioggia era cessata, anche se il sole di mezzogiorno era ancora velato di nuvole grigie e l'umidità era tale che pareva si potesse strizzare acqua dall'aria a mani nude. La bandiera del Drago e quella della Luce penzolavano inerti e zuppe sulle loro lunghe aste. I Difensori tarenesi avevano preso il posto dei Compagni, e mentre passava attraverso quell'anello di cavalieri Weiramon guardò torvo Rodrivar Tihera, un uomo magro, scuro anche per la media di Tear, con la barba corta e appuntita. Tihera, un nobile di una casata assai poco potente, si era fatto strada con le sue sole forze, ed era puntiglioso fino all'eccesso. Le grandi piume bianche che ballonzolavano sul suo elmo bordato aggiunsero eleganza all'elaborato inchino che rivolse a Weiramon. Il cipiglio del Sommo Signore si fece ancora più torvo. Il Capitano della Pietra non aveva motivo di comandare personalmente la guardia del corpo di Rand, eppure lo faceva di frequente, come Marcolin era spesso alla guida dei Compagni. Tra i Difensori e i Compagni era nata una rivalità spesso amara, centrata su chi doveva proteggere Rand. I Tarenesi reclamavano tale diritto perché il lord Drago regnava su Tear da più tempo, gli Illianesi perché Rand, dopo tutto, era il loro re. Forse Weiramon aveva colto i mormorii che giravano tra i Difensori, convinti che era giunto il momento perché anche Tear avesse un suo re, e chi poteva essere un sovrano migliore dell'uomo che aveva preso la Pietra? Weiramon era più che d'accordo con la necessità di un re, ma non con la scelta dell'uomo cui affidare la corona. E non era il solo. Tornò sereno non appena vide che Rand lo stava guardando, e scese dalla sella dorata per esibirsi in un inchino a confronto del quale quello di Tihera appariva semplice. Rigido e impettito com'era, sapeva gonfiarsi e pavoneggiarsi anche nel sonno. Anche se fece una piccola smorfia quando dovette mettere nel fango uno stivale lucidato. Indossava un mantello da pioggia, per evitare di bagnarsi i bei vestiti, ma anche quello era ricoperto di ricami d'oro e aveva il colletto decorato di zaffiri. Nonostante la giubba di seta verde scura di Rand, con le api d'oro che si arrampicavano su bavero e maniche, si sarebbe quasi potuto pensare che la Corona di Spade non apparteneva alla sua testa, ma a quella del Tarenese. «Mio lord Drago» intonò Weiramon. «Non posso dirti quanto sono felice di vederti difeso dai Tarenesi, mio lord Drago. Di sicuro il mondo intero sarebbe in lacrime se ti succedesse qualcosa di sconveniente.» Era abba-
stanza intelligente da non dichiarare senza mezzi termini che i Compagni non erano degni di fiducia. Lo era abbastanza per quello e per poco altro. «Prima o poi piangerebbero tutti» disse seccamente Rand. Ma prima molti avrebbero celebrato un evento del genere. «So quanto a lungo piangeresti tu, Weiramon.» E il Tarenese addirittura si inorgoglì, lisciandosi la punta della barba striata di grigio. Aveva sentito quello che desiderava sentire. «Sì, mio lord Drago, puoi essere sicuro della mia fedeltà. E proprio perché ti sono fedele mi preoccupano gli ordini che stamattina mi ha portato il tuo uomo.» Si riferiva a Adley; molti nobili credevano che fingere che gli Asha'man erano dei semplici servitori bastava a renderli meno pericolosi. «È stato saggio da parte tua mandar via la maggior parte dei Cairhienesi. E degli Illianesi, ovviamente; non c'è neanche da dirlo. Posso anche capire perché hai posto un limite a Gueyam e gli altri.» Con gli stivali che sguazzavano nel fango, Weiramon si avvicinò e la sua voce assunse un tono confidenziale. «Credo che alcuni di loro... non arriverò a dire che hanno complottato contro di te, ma temo che forse la loro fedeltà non è sempre stata indubbia. Come lo è invece la mia. Indubbia.» Il tono cambiò di nuovo, adesso era forte e confidenziale, un uomo preoccupato solo dei bisogni del suo signore. Il signore che di sicuro avrebbe fatto di lui il primo re di Tear. «Permettimi di portare tutti i miei uomini, lord Drago. Con loro, e con i Difensori, potrò garantire l'onore e la salvezza del Signore del Mattino.» In tutti i singoli accampamenti che si stendevano nella brughiera, i carri e i calessi venivano caricati, i cavalli sellati. Erano già state smontate quasi tutte le tende. La Somma Signora Rosana cavalcava verso nord, con la sua bandiera alla testa di una colonna di uomini abbastanza grande da scatenare il panico tra i banditi e dare almeno qualche grattacapo agli Shaido. Ma non abbastanza da far venire strane idee a Rosana stessa, soprattutto visto che metà di quegli uomini erano parte del seguito di Gueyam e Maraconn mischiati a Difensori della Pietra. Più o meno la situazione era uguale per Spiron Narettin, diretto a est oltre l'alto crinale con Compagni e seguaci di altri membri del Consiglio dei Nove in quantità pari a quella dei suoi fedeli, per non parlare del centinaio di fanti che gli facevano da coda, parte del gruppo nei boschi che si era arreso il giorno addietro. Il numero di quelli che avevano deciso di seguire il Drago Rinato era stato sorprendentemente alto, ma Rand non si fidava abbastanza di loro per lasciarli insieme. Tolmeran si era appena avviato a sud anche lui con un seguito misto, e altri si sarebbero messi in marcia non appena caricati carri e calessi. Ognuno in
una diversa direzione, tutti accompagnati da uomini dei quali non potevano fidarsi, soldati ai quali non potevano chiedere nulla che non rientrasse negli ordini dati da Rand. Portare la pace in Illian era una missione importante, eppure ogni singolo nobile si rammaricava di essere mandato via dal Drago Rinato, chiaramente domandandosi se questo significava che non era più nelle sue grazie. Anche se forse qualcuno si chiedeva se il Drago aveva deciso di tenere gli altri con sé solo per poterli meglio controllare. Di sicuro Rosana prima di partire era sembrata meditabonda. «La tua preoccupazione mi commuove,» disse Rand a Weiramon «ma quante guardie del corpo possono mai servire a un solo uomo? Non ho intenzione di cominciare una guerra.» Una giusta osservazione, forse, ma la guerra era più che avviata. Era cominciata a Falme, se non prima. «Fai preparare la tua gente.» Quanti sono morti per il mio orgoglio?, gemette Lews Therin. Quanti sono morti per i miei errori? «Posso almeno chiedere dove stiamo andando?» La domanda di Weiramon, quasi esasperata, si sovrappose alla voce nella testa di Rand. «La Città» scattò lui. Non sapeva quanti erano morti per i suoi errori, ma nessuno era perito per il suo orgoglio. Di questo ne era sicuro. Weiramon aprì la bocca, palesemente non aveva capito se si trattava di Tear o Illian, o forse persino di Cairhien, ma Rand lo mandò via agitando lo Scettro del Drago, un brusco movimento che fece ondeggiare il fiocco verde e bianco. Rand avrebbe quasi voluto poter infilzare Lews Therin con quella lancia. «Non ho intenzione di restare qui tutto il giorno, Weiramon! Vai dai tuoi uomini!» Meno di un'ora dopo, afferrò la Vera Fonte e si preparò a creare un passaggio per Viaggiare. Dovette combattere le vertigini che da qualche tempo lo assalivano ogni volta che prendeva o lasciava il Potere; quasi oscillò in sella a Tai'daishar. Con la lordura che fluttuava su saidin come gelida melma, toccare la Fonte lo fece quasi vomitare. Quando ci vide doppio, anche se solo per qualche istante, intessere i flussi fu difficile, se non impossibile; avrebbe potuto chiedere a Dashiva, Flinn o uno degli altri di aprire il passaggio, ma Gedwyn e Rochaid erano fermi coi loro cavalli davanti a circa una decina di Soldati in giubba nera, tutti quelli che non erano stati inviati in ricerca. Se ne stavano lì, pazienti. E osservavano Rand. Rochaid, circa un palmo più basso di lui e forse di due anni più giovane, era anch'egli un pieno Asha'man, e anche la sua giubba era di seta. Un piccolo sorriso aleggiava sul suo volto, come se sapesse cose che altri ignoravano
e ne fosse divertito. Che cosa sapeva? Dei Seanchan, sicuramente, ma non dei piani che Rand aveva per loro. Che altro? Forse niente, ma Rand non aveva intenzione di mostrare debolezza davanti a quei due. Le vertigini svanirono presto, la vista doppia un po' più lentamente, come sempre succedeva nelle ultime settimane, e lui completò la tessitura; poi, senza aspettare, spronò il cavallo e varcò l'apertura che gli si dispiegò davanti. La Città cui si era riferito era Illian, anche se il passaggio si apriva a nord dell'abitato. Malgrado i supposti timori di Weiramon, Rand viaggiava tutt'altro che solo o indifeso. Quasi tremila uomini cavalcarono attraverso quell'alta e squadrata finestra nell'aria per ritrovarsi sul prato ondulato poco distante dall'ampia strada fangosa che scendeva verso la Via della Stella del Nord. Anche se a ogni lord era stato concesso di portare solo una manciata di armigeri - per uomini abituati a guidarne migliaia, cento erano una manciata - in totale erano comunque numerosi. Tarenesi, Cairhienesi e Illianesi, Difensori della Pietra guidati da Tihera e Compagni al comando di Marcolin, Asha'man al seguito di Gedwyn. Almeno quelli che erano arrivati con lui. Dashiva, Flinn e gli altri tennero i loro cavalli dietro a quello di Rand. Tutti tranne Narishma. Narishma non era ancora tornato. Sapeva dove trovarlo, ma a Rand quel ritardo non piaceva. Tutti gli uomini cercarono di tenersi insieme ai loro connazionali quanto più era possibile. Gueyam, Maraconn e Aracome cavalcavano con Weiramon, tutti più attenti a Rand che a dove stavano andando, mentre Gregorin Panar era con altri tre del Consiglio dei Nove, piegati sulle selle per parlare tra di loro, piano e a disagio. Semaradrid, seguito da un nugolo di lord cairhienesi dal volto teso, osservava Rand con la stessa concentrazione dei Tarenesi. Rand aveva scelto quelli che erano con lui con la medesima cura con cui aveva deciso chi mandare via, e non sempre per ragioni che altri al posto suo avrebbero usato. Se ci fosse stato qualcuno a vederlo, l'arrivo del gruppo sarebbe stato uno spettacolo di fierezza, con tutte le bandiere e gli stendardi dai colori accesi e i piccoli con che si levavano dietro la schiena di alcuni Cairhienesi. Variopinto, fiero e molto pericoloso. Alcuni di quegli uomini avevano davvero complottato contro di lui, e Rand aveva saputo che la casata Maravin, quella di Semaradrid, aveva un'antica alleanza con la casata Riatin, apertamente in rivolta contro il Drago a Cairhien. Semaradrid non aveva negato l'esistenza di quel legame, ma nemmeno gliene aveva parlato prima che fosse lui a menzionarlo. Col Consiglio dei Nove Rand aveva troppo poca confidenza per rischiare di lasciarli tutti indietro. E Weiramon era un
idiota. Se libero di agire, avrebbe potuto benissimo decidere di conquistare il favore del lord Drago guidando un esercito contro i Seanchan, contro il Murandy o solo la Luce sapeva contro chi o cosa. Troppo stupido per lasciarlo indietro, troppo potente per metterlo da parte, così cavalcava con Rand e si riteneva onorato. Era quasi un peccato che non fosse abbastanza stupido da fare qualcosa che giustificasse la sua messa a morte. In coda arrivarono i servitori coi carretti - nessuno aveva capito perché Rand avesse mandato tutti i carri più grandi con gli altri, e lui non aveva intenzione di spiegarlo: chi poteva sapere in quali orecchie poteva finire la notizia? - poi le lunghe file di cavalli di riserva guidate dagli stallieri, e infine le disordinate linee di uomini coi pettorali ammaccati e fuori misura o con giustacuore fatti di pelle e dischi di metallo arrugginiti, armati di lance o balestre e persino qualche picca; anche questi facevano parte del gruppo che aveva risposto alla chiamata di 'lord Brend' e avevano deciso di non tornare a casa disarmati. A guidarli era il tizio dal naso colante col quale Rand aveva parlato sul limitare del bosco; si chiamava Eagan Padros, ed era molto più intelligente di quel che sembrava. Era difficile per un cittadino comune salire in alto nella scala sociale, era così quasi ovunque, ma Rand aveva subito notato le qualità di Padros. Questi raccolse i suoi da una parte, ma gli uomini si spostarono e agitarono, dandosi di gomito per avere la visuale migliore verso sud. La Via della Stella del Nord si stendeva dritta come una freccia attraverso i chilometri di terreno acquitrinoso che circondavano Illian, un'ampia strada di terra battuta spezzata da piatti ponti di pietra. Il vento che veniva da nord portava l'odore della salsedine e una sfumatura di quello delle concerie. Illian era una città tentacolare, grande almeno quanto Caemlyn o Cairhien. I variopinti tetti di tegole e le torri svettanti che splendevano al sole erano appena visibili alla fine di quel mare d'erba, guadato dalle gru con le loro lunghe zampe e sorvolato da stormi di uccelli bianchi che lanciavano i loro striduli versi. Illian non aveva mai avuto bisogno delle mura. Non che le mura sarebbero servite a qualcosa contro di lui. Ci fu una notevole delusione quando si seppe che Rand non aveva intenzione di entrare a Illian, anche se nessuno si lamentò, almeno non se lui era a portata di udito. Eppure, molti uomini erano cupi in volto e mormoravano con rancore mentre gli accampamenti venivano montati in gran fretta. Come quasi tutte le grandi città, Illian aveva una reputazione di esotico mistero, locandieri generosi e donne disponibili. Almeno così parevano credere quelli che non c'erano mai stati, anche se era la loro capitale. L'i-
gnoranza accresceva sempre la nomea di una città con storie del genere. Solo Morr percorse al galoppo la strada principale. Gli uomini che stavano piazzando i paletti delle tende o preparando le linee di picchetti per i cavalli si fermarono e lo seguirono con sguardi pieni di invidia. I nobili lo osservarono con curiosità, anche se cercarono di non darlo a vedere. Gli Asha'man che erano con Gedwyn non prestarono a Morr la minima attenzione e continuarono a occuparsi del loro accampamento, che consisteva in una tenda nera come la pece per Gedwyn e Rochaid e un'area dove l'umida erba marrone e il fango vennero strizzati, appiattiti e asciugati perché gli altri potessero dormirci avvolti nei mantelli. Lo fecero col Potere, ovviamente; facevano tutto col Potere, non si prendevano neppure la briga di accendere i fuochi per cucinare. Alcuni negli altri accampamenti rimasero a guardare a occhi sgranati le tende che parevano montarsi da sole e le attrezzature che fluttuavano fuori dalle bisacce da sella, ma quasi tutti gli altri si sforzarono di guardare da qualsiasi altra parte una volta capito cosa stava succedendo. Due o tre Soldati in giubba nera sembrava parlassero da soli. Flinn e gli altri non si unirono al gruppo di Gedwyn - avevano un paio di tende che eressero non lontano da quella di Rand - ma Dashiva andò a fare un giro verso il punto in cui il 'Condottiero della Tempesta' e il 'Condottiero dell'Attacco' se ne stavano rilassati, dando di tanto in tanto i loro ordini. Poche parole, e Dashiva tornò indietro scuotendo il capo e mormorando con rabbia tra sé. Gedwyn e Rochaid non erano tipi amichevoli. E questo era un bene. Rand andò nella sua tenda non appena fu pronta, si stese ancora vestito sul letto da campo e rimase a fissare il soffitto diagonale. C'erano api ricamate anche all'interno, su un finto tetto fatto di seta. Hopwil portò un fumante boccale di peltro pieno di vino caldo - Rand si era lasciato dietro i servitori - ma la bevanda rimase a freddarsi sullo scrittoio. La mente di Rand lavorava con febbrile intensità. Entro due o tre giorni, i Seanchan avrebbero ricevuto un colpo che li avrebbe messi a tappeto. Poi bisognava tornare a Cairhien per vedere come erano andate le trattative col Popolo del Mare, per scoprire che aveva in mente Cadsuane - Rand era in debito con lei, ma quella donna aveva di sicuro in mente qualcosa! - e forse per mettere fine a ciò che restava delle fazioni ribelli. Caraline Damodred e Darlin Sisnera erano fuggiti via approfittando della confusione? Con il Sommo Signore Darlin nelle sue mani avrebbe potuto porre fine anche alle rivolte a Tear. E poi c'era l'Andor. Se, come sembrava, Mat ed Elayne era-
no nel Murandy, dovevano passare nel migliore dei casi ancora diverse settimane prima che Elayne potesse reclamare il Trono del Leone. E a quel punto lui sarebbe dovuto stare alla larga da Caemlyn. Ma doveva parlare con Nynaeve. Era possibile pulire saidin dalla contaminazione? Forse ci sarebbe riuscito. O forse avrebbe distrutto il mondo. Lews Therin farfugliò qualcosa, in preda al terrore più puro. Per la Luce, dov'era finito Narishma? Arrivò il cemaros, ancor più feroce adesso che erano vicini al mare. La pioggia batteva sulla sua tenda come un tamburo. I fulmini accendevano l'entrata di una luce azzurrina e il tuono rombava col rumore di una montagna che crolla. E dalla tempesta, Narishma entrò nella tenda, zuppo d'acqua, i capelli scuri appiccicati alla testa. Aveva ricevuto l'ordine di non farsi assolutamente notare. Niente sfarzo per lui. La fradicia giubba era semplice e marrone, i capelli scuri legati indietro e non acconciati nelle solite trecce. Anche senza i campanelli, un uomo coi capelli lunghi fino alla vita avrebbe destato troppe attenzioni. Narishma era accigliato, e sotto un braccio reggeva un fagotto cilindrico legato con una corda, più spesso della gamba di un uomo, sembrava un piccolo tappeto arrotolato. Scattando dal giaciglio come una molla, Rand afferrò quell'involto prima ancora che Narishma potesse porgerglielo. «Qualcuno ti ha visto?» chiese. «Perché ci hai messo tanto? Dovevi tornare la notte scorsa!» «Ci ho messo un po' per capire cosa dovevo fare» rispose Narishma con voce piatta. «Non mi avevi spiegato tutto. E mi hai quasi ucciso.» Questo era ridicolo. Rand gli aveva detto tutto quello che aveva bisogno di sapere. Ne era sicuro. Non avrebbe avuto alcun senso fidarsi di Narishma al punto da assegnargli quel compito, per poi farlo morire rovinando tutto. Rand mise con cura il fagotto sotto il suo letto da campo. Gli tremavano le mani per quanto forte era l'impulso di strappare via l'involucro e accertarsi che contenesse ciò che Narishma era stato inviato a prendere. Ma Narishma non sarebbe mai tornato se non avesse portato a termine la sua missione. «Mettiti una giubba più idonea e poi unisciti agli altri» gli disse Rand. «E, Narishma...» Si raddrizzò, e lo fissò con occhi d'acciaio. «Parlane con qualcuno e io ti uccido.» Uccidi tutto il mondo, lo derise Lews Therin, un gemito di derisione. O disperazione. Io ho ucciso tutto il mondo, e anche tu puoi farlo se ti impegni davvero. Narishma si colpì forte sul torace con un pugno. «Come comandi, mio
lord Drago» disse con amarezza. Alle prime luci del mattino seguente, un migliaio di uomini della Legione del Drago uscirono da Illian a passo di marcia e presero la Via della Stella del Nord seguendo il ritmo di un tamburo battente. Be', era comunque mattina presto, anche se le prime luci neppure si vedevano: le nuvole gonfie e grigie rotolavano nel cielo, e una dura brezza di mare resa tagliente dalla salsedine frustava mantelli e bandiere, annunciando col suo mormorio l'arrivo di un'altra tempesta. La Legione attirò diversi sguardi dai soldati già nell'accampamento, con gli elmi andorani dipinti di blu e le lunghe giubbe dello stesso colore con ricamato sul petto il drago rosso e dorato. Ognuna delle cinque compagnie era contrassegnata da uno stendardo blu recante l'effige del Drago e un numero. I Legionari erano diversi dagli altri soldati sotto molti aspetti. Per esempio, indossavano i pettorali, ma sotto la giubba, in modo da non coprire il Drago - e per questo stesso motivo le giubbe avevano i bottoni sul lato - e ognuno di loro portava una corta spada in vita e una balestra con quadrelli d'acciaio in spalla, tutte alla stessa, identica angolazione. Anche gli ufficiali erano a piedi, avevano un'alta piuma rossa sull'elmo e camminavano davanti a tamburo e stendardo. I soli cavalli visibili erano il castrone color topo di Morr che li guidava e gli animali da soma in coda. «Fanti» mormorò Weiramon, battendosi le redini nella mano coperta dal guanto. «Che la mia anima sia bruciata, non servono a niente. Si sparpaglieranno alla prossima carica. Se non prima.» La parte iniziale della colonna cominciò a lasciare la via principale. Quei soldati avevano contribuito alla presa di Illian, e non si erano sparpagliati. Semaradrid scosse il capo. «Niente picche» mormorò. «Ho visto dei fanti ben guidati mantenere la loro posizione grazie alle picche, ma senza...» Fece un verso di disgusto, un suono gutturale. Gregorin Panar, il terzo degli uomini schierati a cavallo accanto a Rand a osservare i nuovi arrivati, non disse nulla. Forse non aveva pregiudizi contro la fanteria - e Rand conosceva davvero pochi nobili che non ne avessero - ma si stava impegnando duramente per non accigliarsi, e quasi ci riuscì. Tutti ormai sapevano che gli uomini con il Drago sul petto erano armati perché avevano scelto di seguire Rand, di seguire il Drago Rinato, e l'avevano scelto solo e unicamente perché volevano farlo. Gli Illianesi di sicuro si stavano chiedendo dove erano diretti, visto che Rand aveva voluto con sé la Legione e non si era fidato del Consiglio dei Nove abbastanza da farglielo sapere. Quanto a questo, anche Semaradrid guardava Rand di
sottecchi. Solo Weiramon era troppo stupido per quel tipo di considerazioni. Rand fece girare Tai'daishar. Il pacco portato da Narishma era stato di nuovo avvolto ma in un fagotto meno ingombrante, ed era legato sotto la cinghia di cuoio della sua staffa sinistra. «Smontate il campo; siamo in partenza» disse Rand ai tre nobili. Questa volta, lasciò a Dashiva il compito di intessere il passaggio che li avrebbe portati tutti via. L'uomo dal volto semplice lo guardò accigliato e mormorò tra sé - chissà perché, ma sembrava addirittura offeso - e Gedwyn e Rochaid, a cavallo uno accanto all'altro, osservarono con sorrisi sardonici mentre l'argenteo squarcio verticale, ruotando, si trasformò in un'apertura nel nulla. Osservarono Rand più che Dashiva. Be', che lo osservassero. Quanto spesso poteva afferrare saidin senza rischiare che le vertigini lo facessero crollare a terra? Non doveva assolutamente succedere davanti ai loro occhi. Questa volta, il passaggio li portò a un'ampia strada intagliata tra le basse colline cespugliose ai piedi di una catena montuosa a ovest. I Monti Nemarellin. Non erano come le Montagne di Nebbia e non si potevano neppure paragonare alla Dorsale del Mondo, ma si innalzavano scuri e solenni contro il cielo, picchi taglienti che seguivano la costa occidentale dell'Illian. Al di là di quelle vette c'era la Fossa di Kabal e poi... Gli uomini cominciarono quasi subito a riconoscere le montagne. Gregorin Panar si guardò intorno una sola volta, poi annuì soddisfatto. Gli altri tre del Consiglio e Marcolin si fermarono a parlare con lui mentre i cavalieri ancora si riversavano dal passaggio. Semaradrid e Triera ci misero appena un po' più di tempo per capire dove si trovavano, poi anche loro parvero comprendere il perché. La Strada d'Argento partiva dalla città di Lugard e serviva tutto il commercio dell'entroterra con l'ovest. C'era anche una Strada d'Oro, che portava a Far Madding. Strade e nomi risalivano a un tempo antecedente la nascita dell'Illian. Secoli di ruote di carro, zoccoli e stivali le avevano ben compresse, e il cemaros poteva solo schizzarle di fango. Erano tra le poche vie dell'Illian sulle quali potessero spostarsi grandi gruppi di uomini anche in inverno. Tutti ormai sapevano dei Seanchan a Ebou Dar, anche se alcune delle storie che Rand aveva sentito girare tra i soldati li facevano sembrare una versione ancor più ferina dei Trolloc. Se i Seanchan avevano intenzione di attaccare l'Illian, la Strada d'Argento era un buon posto dove organizzare le difese.
Semaradrid e gli altri pensavano di aver capito i piani di Rand: il lord Drago doveva aver saputo che i Seanchan stavano per arrivare, e gli Asha'man erano lì per distruggerli. Viste le storie sui Seanchan, nessuno sembrava troppo dispiaciuto che per gli altri non ci fosse molto da fare. Ovviamente, Weiramon ebbe bisogno che tutto gli venisse spiegato, da Tihera, e poi si dispiacque eccome, anche se cercò di nasconderlo con un pomposo discorso sulla saggezza del lord Drago e sul genio militare del Signore del Mattino, aggiungendo che lui avrebbe personalmente guidato la prima carica contro quei Seanchan. Davvero un borioso idiota. Con un po' di fortuna, chiunque altro avesse saputo di quel gruppo radunatosi sulla Strada d'Argento non sarebbe stato troppo più perspicace di Semaradrid o Gregorin. Con un po' di fortuna, nessuno di quelli che contavano l'avrebbe saputo prima che fosse troppo tardi. Rand si preparò ad aspettare, convinto che fosse questione di un giorno o due, ma quando le giornate presero a ripetersi, lui cominciò a chiedersi se non era un idiota al pari di Weiramon. Quasi tutti gli Asha'man erano sparsi in Illian, a Tear e nella Piana di Maredo per cercare gli altri che Rand voleva con sé. Per cercarli attraverso i cemaros. Potevano aprire passaggi e Viaggiare, certo, ma anche un Asha'man ci metteva del tempo per trovare una persona se la pioggia impediva di vedere a più di cinquanta passi di distanza e i pantani arrestavano il diffondersi delle notizie. Poteva passare a meno di un chilometro dalla sua preda senza saperlo, solo per tornare indietro e apprendere che l'uomo in questione era andato via. E per alcuni il compito era anche più difficile, visto che cercavano persone non necessariamente ansiose di farsi trovare. Trascorsero diversi giorni, poi tornò il primo Asha'man. Weiramon fu raggiunto dal Sommo Signore Sunamon, un uomo grasso con maniere untuose - almeno nei riguardi di Rand. Elegante nella sua giubba di ottima seta, sempre sorridente, era assai loquace nelle sue dichiarazioni di fedeltà, ma aveva complottato contro Rand così a lungo che probabilmente lo faceva anche nel sonno. Poi venne il Sommo Signore Torean, con il suo volto bitorzoluto da contadino e la sua grande ricchezza, farfugliando sull'onore di cavalcare ancora una volta al fianco del lord Drago. A Torean interessava l'oro più di ogni altra cosa, tranne forse i privilegi che Rand aveva sottratto ai nobili di Tear. Parve particolarmente sconvolto quando apprese che non c'erano cameriere nel campo, e nemmeno un paesino nei paraggi dove trovare qualche contadina compiacente. Torean aveva tramato contro Rand almeno quanto Sunamon. E forse persino più di
Gueyam, Maraconn o Aracome. Ne arrivarono altri. Arrivò Bertome Saighan, un uomo basso e dalla bellezza selvaggia, con la parte anteriore della testa rasata. In teoria non piangeva con eccessivo dolore la morte di sua cugina Colavaere, sia perché l'evento aveva fatto di lui il nuovo Alto Seggio della casata Saighan e sia perché girava voce che Rand stesso l'aveva giustiziata. O assassinata. Bertome si inchinò e sorrise, un sorriso che non coinvolgeva anche lo sguardo. Alcuni dicevano che aveva nutrito un profondo affetto per sua cugina. Arrivò Ailil Riatin, una donna magra e contegnosa con grandi occhi scuri, non giovane ma comunque graziosa, e dichiarò che aveva un capitano della Lancia per guidare in battaglia i suoi soldati e che lei non desiderava affatto prendere parte ai combattimenti. Dichiarò la sua fedeltà al lord Drago, anche. Ma suo fratello Toram aveva reclamato il trono che Rand voleva assegnare a Elayne, e si sussurrava che lei fosse disposta a tutto per Toram, assolutamente a tutto. Anche a unirsi ai suoi nemici; per spiarli o intralciare i loro piani, ovviamente. Arrivarono Dalthanes Annallin, Amondrid Osiellin e Doressin Chuliandred, lord che avevano appoggiato la presa del trono del sole da parte di Colavaere credendo che Rand non sarebbe mai più tornato a Cairhien. Cairhienesi e Tarenesi, furono portati uno per volta, con cinquanta individui al loro seguito, o al massimo cento. Erano uomini e donne dei quali Rand si fidava ancor meno che di Gregorin o Semaradrid. Gli uomini erano più numerosi, ma non perché lui ritenesse le donne una minaccia minore - non era così idiota; una donna era capace di uccidere due volte più in fretta di un uomo, e di solito per motivi gravi meno della metà! - ma perché non se la sentiva di portare che le donne più pericolose nel posto dove stava per andare. Ailil era capace di sorridere con calore mentre calcolava il punto esatto tra le costole in cui infilare il pugnale. Anaiyella, una Somma Signora leziosa e slanciata che dava di sé l'immagine della bella oca, era tornata a Tear da Cairhien e aveva cominciato a proporre apertamente sé stessa per l'ancora inesistente trono di Tear. Forse era davvero stupida, ma era riuscita a ottenere un grande supporto, sia tra gli altri nobili che dalla gente comune. E così Rand li aveva raccolti tutti intorno a sé, tutti individui che erano stati troppo a lungo lontani dal suo sguardo. Non poteva controllarli tutti e sempre, ma non poteva neppure permettersi che loro dimenticassero che, di tanto in tanto, lui li controllava. Li aveva raccolti, e attese. Per due giorni. Digrignando i denti, attese. Cinque giorni. Otto.
La pioggia tamburellava più leggera sulla sua tenda quando arrivò l'ultimo uomo che lui stava aspettando. Scrollandosi un piccolo torrente d'acqua dal mantello impermeabile, Davram Bashere sbuffò di disgusto facendo agitare i baffi striati di grigio e lanciò il mantello sullo schienale di una sedia. Basso, con un lungo naso adunco, sembrava più grosso di quanto non fosse. E non perché camminasse impettito, ma perché dava per scontato di essere alto quanto ogni altro uomo, e di solito anche gli altri parevano convincersene. Quelli intelligenti, almeno. Portava distrattamente infilato nel cinturone il bastone del maresciallo generale della Saldea, fatto d'avorio e col pomello a forma di testa di lupo, ma se l'era guadagnato su decine di campi di battaglia e in altrettante riunioni conciliari. Era uno dei pochissimi uomini dei quali Rand si fidava senza riserve. «So che non ti piace dare spiegazioni,» mormorò Bashere «ma vorrei capirci qualcosa anch'io.» Si sistemò la spada serpeggiante, poi si adagiò su un'altra sedia, agganciando una gamba a un bracciolo. Sembrava sempre rilassato, ma poteva scattare più veloce di una frusta. «Quel tuo Asha'man mi ha detto solo che avevi bisogno di vedermi, ma non mi ha permesso di portare più di un migliaio di uomini. Io ne avevo solo la metà con me, e li ho portati. Non può trattarsi di una battaglia. Metà degli stendardi che ho visto lì fuori appartengono a uomini che si morderebbero la lingua se vedessero qualcuno con un pugnale alle tue spalle, e quasi tutti gli altri sono di uomini che invece cercherebbero di distrarti. Sempre che non avessero direttamente pagato di persona la mano stretta intorno a quel pugnale. Seduto allo scrittoio e in maniche di camicia, Rand si premette stancamente la base dei palmi contro gli occhi. Boreane Carivin era rimasta indietro, quindi gli stoppini delle lampade non erano più ben curati e una lieve cortina di fumo era sospesa nell'aria. Inoltre, lui era restato in piedi quasi tutta la notte a studiare con attenzione le mappe sparpagliate sul ripiano dello scrittoio. Mappe del Sud dell'Altara. Non ce n'erano due che indicassero le stesse cose. «Se hai intenzione di combattere una battaglia,» disse a Bashere «chi useresti per pagare il conto del macellaio se non gli uomini che ti vogliono morto? In ogni modo, non saranno i soldati a vincere questa battaglia. Devono solo evitare che il nemico arrivi agli Asha'man. Cosa ne pensi?» Bashere sbuffò così forte che i grossi baffi tremolarono. «Penso che sia una ricetta letale, ecco cosa. E qualcuno si strozzerà a morte. Voglia la Luce che quel qualcuno non siamo noi.» E poi rise, come se fosse una buona
battuta. Anche Lews Therin rise. 22
Le nuvole si addensano Sotto una pioggerella costante, il piccolo esercito di Rand si dispose in colonne tra le basse colline, rivolto verso i picchi Nemarellin, scuri e netti contro il cielo a ovest. Non c'era nessun vero bisogno di girarsi nella direzione in cui si doveva Viaggiare, ma a Rand sembrava sempre sbagliato non farlo. Malgrado la pioggia, le nuvole grigie che si stavano rapidamente assottigliando lasciavano intravedere un sole sorprendentemente luminoso. O forse la giornata sembrava luminosa solo a confronto della recente oscurità. Quattro colonne erano guidate dai Saldeani di Bashere, uomini con le gambe arcuate e privi di armatura, pazientemente immobili accanto ai loro cavalli sotto una piccola foresta di splendenti punte di lancia; a capo delle altre cinque colonne c'erano gli uomini in giubba blu col Drago sul torace comandati da un tizio basso e tarchiato di nome Jak Masond. Quando Masond si muoveva lo faceva sempre con una rapidità stupefacente, ma al momento era immobile, le gambe larghe e i piedi ben piantati, le mani intrecciate dietro la schiena. I suoi uomini erano schierati, e lo erano anche Difensori e Compagni, scontenti nel trovarsi dietro la fanteria. Erano soprattutto i nobili col loro seguito che ancora brancolavano come se non sapessero dove andare. Il fango risucchiava zoccoli e stivali e impantanava le ruote dei carri; cominciarono ad alzarsi urla e imprecazioni. Ci voleva del tempo per allineare quasi seimila uomini zuppi d'acqua, che continuavano a bagnarsi col passar dei minuti. Senza contare i carri con le provviste e i cavalli di riserva. Rand aveva indossato i suoi abiti migliori, in modo da essere individuabile a un primo sguardo. Con un rivolo di Potere aveva lucidato a specchio la punta di lancia dello Scettro del Drago, e con un altro aveva brunito la Corona di Spade tanto che l'oro luccicava. La fibbia dorata a forma di Dra-
go che chiudeva il cinturone rifletteva la luce del sole, e lo stesso faceva il ricamo in filo d'oro che copriva la sua giubba di seta blu. Per un attimo, si pentì di aver dato via le gemme che ornavano l'elsa e il fodero della spada. La scura pelle di cinghiale era adatta allo scopo, ma qualsiasi soldato al servizio dei nobili poteva indossarla. Tutti dovevano sapere chi era lui. I Seanchan dovevano sapere chi era arrivato per distruggerli. Dopo aver fermato Tai'daishar in un'ampia radura, osservò impaziente i nobili che si allargavano sulle colline. Poco lontano da lui, nella radura, Gedwyn e Rochaid erano seduti in sella davanti ai loro uomini, schierati in un preciso quadrato, Dedicati nelle prime file e Soldati in quelle dietro. Sembravano pronti a sfilare in parata. Quelli coi capelli grigi o la testa del tutto calva erano in quantità pari a quelli più giovani - diversi erano giovani quanto Hopwil o Morr - ma ognuno di loro era abbastanza forte da creare un passaggio. Questo era stato un requisito per la loro selezione. Finn e Dashiva aspettavano alle spalle di Rand in un gruppo disordinato insieme a Adley, Morr, Hopwil e Narishma. E una rigida coppia di portabandiera, uno Tarenese e l'altro di Cairhien, coi pettorali, gli elmi e perfino il dorso d'acciaio dei guanti puliti e lucidati fino a brillare. La rossa bandiera della Luce e quella lunga e bianca del Drago pendevano inerti e gocciolavano acqua. Rand aveva afferrato il Potere mentre era ancora nella tenda, dove nessuno avrebbe notato il suo momentaneo barcollare, e la pioggia sparsa si fermava a un centimetro da lui e dal suo cavallo. La contaminazione di saidin sembrava particolarmente forte, un olio denso e rancido che filtrava attraverso i suoi pori e gli lordava le ossa. Gli lordava l'anima. Credeva di essere in un certo senso abituato a quella disgustosa sensazione, ma adesso era nauseante, più forte del fuoco gelido e del ghiaccio bollente di saidin stesso. Ormai restava aggrappato alla Fonte più spesso possibile, accettandone la sozzura per evitare i disagi che aveva nel lasciarla e riprenderla. Se permetteva che la nausea e le vertigini lo distraessero da quella lotta, le conseguenze potevano essere letali. Forse era tutto dovuto ai giramenti di testa. Per la Luce, non poteva impazzire, non poteva morire. Non ancora. Gli restava così tanto da fare... Premette la gamba sinistra contro il fianco di Tai'daishar per sentire la presenza del lungo fagotto incastrato tra il cuoio della staffa e lo scarlatto telo della gualdrappa. Ogni volta che lo faceva, qualcosa guizzava lungo la superficie esterna del Vuoto. Anticipazione, e forse una punta di paura. Il castrone, ben addestrato, cominciò a girarsi verso sinistra, e lui dovette riportarlo in posizione. Ma quanto impiegavano i nobili a mettersi in forma-
zione? Rand digrignò i denti per l'impazienza. Ripensò a quando da ragazzo sentiva gli uomini scherzare e ridere dicendo che se pioveva quando in cielo c'era il sole era perché il Tenebroso stava picchiando Semirhage. Alcune di quelle risate, però, erano nervose, e il vecchio e ossuto Cenn Buie aggiungeva sempre che, dopo le botte prese, Semirhage era indolenzita e furente e andava a caccia dei ragazzini che stavano tra i piedi degli adulti. Quando Rand era piccolo, questo bastava a farlo scappare via. Adesso invece quasi sperava che Semirhage gli desse la caccia e lo trovasse in quello stesso istante. L'avrebbe fatta piangere anche lui. Non è possibile far piangere Semirhage, mormorò Lews Therin. Lei fa piangere gli altri, ma non ha mai lacrime sul viso. Rand rise piano. Se Semirhage fosse arrivata in quel momento, l'avrebbe fatta piangere eccome. Lei e tutti gli altri Reietti insieme. Di sicuro stava per far piangere i Seanchan. Non tutti erano contenti degli ordini che aveva dato. Il sorriso untuoso di Sunamon svaniva quando l'uomo pensava che Rand non lo stesse guardando. Torean aveva una fiaschetta nelle bisacce da sella, senza dubbio piena di acquavite, o forse ne aveva più d'una visto che beveva di continuo ma non pareva mai esaurire le sue sorte. Semaradrid, Marcolin e Tihera si presentarono a turno al cospetto di Rand per contestare con volti cupi il numero di soldati da lui scelto. Pochi anni addietro, seimila uomini sarebbero stati un esercito sufficiente per qualsiasi guerra, ma ormai si erano viste armate di decine di migliaia di soldati, centinaia di migliaia, come ai tempi di Artur Hawkwing, e per andare contro i Seanchan quei nobili volevano una forza più numerosa. Rand li mandò via in malo modo. Non capivano che i circa cinquanta Asha'man erano un martello abbastanza grande per schiacciare qualsiasi resistenza. Rand si chiese cosa Semaradrid e gli altri avrebbero pensato se avesse detto loro che lui da solo poteva essere sufficiente per quella guerra. E aveva anche preso in considerazione di affrontarla da solo. E non era escluso che si ritrovasse costretto a farlo. Arrivò Weiramon; non gli piaceva dover prendere ordini da Bashere, né dover andare tra le montagne - dove era molto difficile fare una carica di cavalleria degna di tale nome - e non gli piacevano diverse altre cose Rand era sicuro che ce ne fossero tante - che però lui non gli permise di esprimere. «A quanto pare i Saldeani credono che dovrei cavalcare sul fianco destro» mormorò sprezzante Weiramon. Scrollò le spalle come se, chissà per
quale motivo, il fianco destro fosse un grave insulto. «E la fanteria, mio lord Drago: davvero credo che...» «Io credo che tu dovresti schierare i tuoi uomini» gli disse freddamente Rand. Parte di quel gelo era dovuta al fatto che fluttuava in un nulla privo di emozioni. «O non sarai su nessun fianco.» Voleva dire che l'avrebbe lasciato indietro se non si fosse fatto trovare pronto al momento della partenza. Di sicuro quell'idiota non poteva causare molti problemi in quella terra remota con appena una manciata di armigeri. Rand sarebbe stato di ritorno prima ancora che lui potesse arrivare a un centro abitato più grande di un villaggio. Ma Weiramon divenne cinereo. «Come il mio lord Drago comanda» disse, stranamente poco loquace, e prima ancora di aver chiuso la frase fece girare il cavallo. Quel giorno montava un alto baio dal grosso torace. La pallida lady Ailil fermò il suo cavallo davanti a Rand, accompagnata dalla Somma Signora Anaiyella, una strana coppia, e non solo perché le loro nazioni si odiavano. Ailil era alta solo rispetto alle altre Cairhienesi, ed era tutta contegno e precisione, dall'arco delle sopracciglia alla piega del polso coperto dai guanti rossi fino al modo in cui il suo mantello da pioggia col colletto di perle si allargava sulla groppa della giumenta color grigio fumo. A differenza di Semaradrid, Marcolin, Weiramon o Tihera, lei non batté ciglio alla vista delle gocce di pioggia che scivolavano sul nulla intorno a Rand. Anaiyella invece sgranò gli occhi. E sussultò. E ridacchiò nervosamente coprendosi la bocca con una mano. Era flessuosa e bella in un modo oscuro, il suo mantello da pioggia aveva rubini intorno al colletto ed era anche ricamato d'oro, ma questa sontuosità era l'unica cosa che aveva in comune con Ailil. Anaiyella era tutta eleganza leziosa e sorrisi ammiccanti. Quando si inchinò, il suo castrone bianco fece lo stresso, piegando le zampe anteriori. Quel baldanzoso animale era molto appariscente, ma Rand sospettava che non avesse sostanza. Come la sua padrona. «Mio lord Drago,» disse Ailil «devo ancora una volta protestare per la mia inclusione in questa... spedizione.» La sua voce era fredda e neutrale, anche se non proprio ostile. «Manderò i miei uomini dove vuoi e quando vuoi, ma non ho alcun desiderio di ritrovarmi nel mezzo di una battaglia.» «Oh, no» aggiunse Anaiyella, scrollando delicatamente le spalle. Persino il suo tono era ammiccante! «Brutta cosa le battaglie. Così dice il mio Maestro dei Cavalli. Ma di sicuro tu non vuoi davvero far venire anche noi, mio lord Drago, vero? Abbiamo sentito che ti prendi particolarmente cura delle donne. Non è così, Ailil?»
Rand fu così sbalordito che il Vuoto si sgretolò e saidin scomparve. Le gocce di pioggia cominciarono a scendergli tra i capelli e a filtrare sotto la giubba, ma per un attimo lui fu troppo stupito per rendersene conto. Teneva le mani strette sul pomello della sella per tenersi dritto, e davanti a sé vedeva quattro donne invece di due. Quanto sapevano? Chi gliel'aveva detto? Quante persone lo sapevano? Ma com'era possibile che qualcuno lo sapesse? Per la Luce, secondo le storie che giravano lui aveva ucciso Morgase, Elayne, Colavaere e un centinaio di altre donne, e in modi uno più cruento dell'altro! Deglutì per combattere i conati di vomito. Conati dovuti solo in parte a saidin. Che io sia folgorato, si disse in un ruggito, quante sono le spie che mi osservano? I morti osservano sempre, sussurrò Lews Therin. I morti non chiudono mai gli occhi. Rand rabbrividì. «Io provo a prendermi cura delle donne, è vero» disse quando riuscì di nuovo a parlare. Più in fretta di un uomo, e per motivi meno gravi. «Per questo voglio potervi tenere d'occhio nei prossimi giorni. Ma se l'idea proprio non vi piace, posso sempre affidarvi a uno degli Asha'man. Alla Torre Nera sarete al sicuro.» Anaiyella lanciò uno strillo vezzoso, ma il suo volto divenne grigio. «No, grazie» rispose Ailil dopo un istante e con la massima calma. «Immagino di dovermi consultare con il mio capitano della Lancia per sapere cosa mi aspetta.» Fece girare la giumenta, ma prima di avviarsi si fermò per guardare Rand di sbieco. «Mio fratello Toram è... impetuoso, mio lord Drago. Avventato, persino. Io no.» Anaiyella gli sorrise con troppa dolcezza, e parve tremare un po' prima di avviarsi a sua volta, ma quando non fu più girata verso di lui spronò il cavallo e usò il frustino dal manico tempestato di gioielli, superando rapidamente l'altra donna. Quel castrone bianco dimostrò una sorprendente velocità. Alla fine tutto fu pronto, le colonne presero forma, un serpente la cui coda si perdeva tra le basse colline. «Iniziate» disse Rand a Gedwyn, che fece girare il cavallo e cominciò ad abbaiare ordini ai suoi uomini. Gli otto Dedicati cavalcarono avanti e scesero di sella nei punti che avevano memorizzato, rivolti verso le montagne. Uno di loro sembrava familiare, un uomo brizzolato la cui barba appuntita alla tarenese stonava col volto rugoso da campagnolo. Otto linee verticali di brillante luce azzurra ruotarono e divennero aperture che mostravano visuali leggermente diverse di una lunga vallata di montagna, poco alberata e
che poco più in là si inerpicava ripida. Nell'Altara. Tra i Monti Venir. Uccidili, piagnucolò Lews Therin con voce supplicante. Sono troppo pericolosi per vivere! Senza pensarci, Rand soppresse la sua voce. Lews Therin reagiva sempre così in presenza di un altro uomo che incanalava o che semplicemente era capace di farlo. Ormai lui non se ne chiedeva più il motivo. Mormorò un ordine, e Flinn sbatté le palpebre per la sorpresa prima di affrettarsi a raggiungere la linea degli Asha'man e intessere un nono passaggio. Nessuno era grande quanto quelli che Rand poteva creare, ma da tutti ci poteva passare un carro, anche se di misura. Secondo i piani, Rand stesso avrebbe dovuto aprire il nono, ma non voleva correre il rischio di afferrare saidin davanti a tutti. Si accorse che Gedwyn e Rochaid lo osservavano, entrambi con in volto il sorriso di chi la sa lunga. Anche Dashiva lo stava guardando, accigliato, con le labbra che si muovevano come se stesse parlando da solo. Era frutto della sua immaginazione o anche Narishma gli lanciava sguardi furtivi? E Adley? Morr? Rand non riuscì a trattenere un brivido. Non fidarsi di Gedwyn e Rochaid era solo sensato, ma forse stava cadendo vittima di quelle che Nynaeve aveva definito paranoie. Una sorta di pazzia, un oscuro e strisciante sospetto contro tutto e tutti. Uno dei Coplin, Benly, era convinto che tutti complottassero contro di lui. All'epoca Rand era un ragazzino. Benly era morto di fame, perché si rifiutava di mangiare per paura di essere avvelenato. Piegandosi sul collo di Tai'daishar, Rand spronò il castrone e varcò al galoppo il passaggio più grande. Caso volle che era quello di Flinn, ma in quel momento lui si sarebbe gettato anche in uno aperto da Gedwyn. Fu il primo a toccare il suolo dell'Altara. Gli altri lo seguirono da presso, gli Asha'man per primi. Dashiva guardò verso di lui, accigliato, e lo stesso fece Narishma, ma Gedwyn iniziò immediatamente a dare ordini ai suoi Soldati. Uno alla volta, questi scattarono in avanti, aprirono un passaggio e vi sfrecciarono attraverso, tirandosi dietro i cavalli. Nella valle cominciarono ad accendersi lampi di luce a ogni passaggio successivo che quegli uomini aprivano, varcavano e chiudevano. Gli Asha'man potevano Viaggiare per brevi distanze senza prima dover memorizzare il punto da cui partivano, e così facendo procedevano molto più velocemente che a cavallo. In breve tempo, rimasero solo Gedwyn e Rochaid, a parte i Dedicati che in Illian tenevano aperti i passaggi. Gli altri Asha'man si stavano muovendo verso ovest, alla ricerca dei
Seanchan. Cominciarono ad arrivare anche i Saldeani, che subito salirono a cavallo. I Legionari si sparpagliarono di corsa tra gli alberi, le balestre pronte e armate. In quella regione, erano più veloci della cavalleria. Mentre il resto dell'esercito continuava ad arrivare, Rand cavalcò nella vallata seguendo la direzione presa dai Asha'man. Le montagne si innalzavano alle sue spalle, una parete davanti alla Fossa, ma a occidente le vette arrivavano fin quasi a Ebou Dar. Rand lanciò il castrone al piccolo galoppo. Bashere lo raggiunse prima che lui potesse arrivare al valico tra i monti. Il baio del maresciallo generale era basso - quasi tutti i Saldeani montavano piccoli cavalli - ma veloce. «Nessun Seanchan qui, a quanto pare» disse Bashere quasi pigramente, carezzandosi i baffi con una nocca. «Ma avrebbero potuto esserci. Con ogni probabilità Tenobia farà mettere la mia testa in cima a una picca perché sto seguendo il Drago Rinato, ma mi farà molto di peggio se seguirò un Drago Rinato morto.» Rand si accigliò. Forse poteva affidarsi a Flinn perché gli guardasse le spalle, e a Narishma, e... Flinn gli aveva salvato la vita: di lui doveva fidarsi. Ma gli uomini potevano cambiare. E Narishma? Anche dopo... Rand tremò per il rischio che aveva corso. Ma non erano paranoie. Narishma gli aveva dimostrato di essere degno di fiducia, ma lo stesso era stato un rischio folle. Folle come fuggire da sguardi che forse non erano neppure reali, fuggire verso un posto dove neppure sapeva cosa o chi poteva essere in agguato. Bashere aveva ragione, ma Rand non era disposto a parlarne. I pendii che portavano al passo erano pietra nuda e macigni di ogni dimensione, ma tra le formazioni naturali c'erano frammenti corrosi di quella che un tempo doveva esser stata un'immensa scultura. Alcuni erano appena riconoscibili come pezzi di una statua, altri invece si erano conservati meglio. Rand vide una mano inanellata grande quasi quanto il suo torace stretta sull'elsa di una spada con un mozzicone di lama più ampio di una sua mano. Una grande testa, il volto di una donna pieno di crepe con una corona che pareva fatta di pugnali rivolti verso l'alto, alcuni ancora interi. «Secondo te, chi era?» chiese. Che fosse una regina era ovvio. Anche se mercanti e studiosi avessero portato la corona in un remoto passato, le statue erano da sempre riservate a sovrani e condottieri. Prima di rispondere, Bashere si girò in sella per studiare la testa di pietra. «Una regina dello Shiota, scommetto» disse infine. «Non può essere più antica. Ho visto una statua dell'antica Eharon, ed era così consumata che non si capiva se rappresentava un uomo o una donna. Questa qui do-
veva essere una conquistatrice, o non l'avrebbero raffigurata con una spada. E mi pare di ricordare che nello Shiota dessero corone come quella ai regnanti che espandevano i confini. Forse la chiamavano Corona di Spade, eh? Una sorella Marrone saprebbe dirti di più.» «Non è importante» disse Rand con irritazione. Sembravano davvero delle spade. Bashere continuò lo stesso, le sopracciglia brizzolate piegate verso il basso, serio e solenne. «Immagino che a migliaia l'abbiano acclamata, definendola la speranza dello Shiota, e magari credevano davvero che lo fosse. Al suo tempo, magari quella donna era temuta e rispettata come Artur Hawkwing lo sarebbe stato in seguito, ma adesso forse nemmeno le Marroni conoscono il suo nome. Quando muori, la gente comincia a dimenticare chi eri e cosa avevi fatto o cercato di fare. Prima o poi tutti muoiono, e prima o poi tutti vengono dimenticati, ma è maledettamente stupido morire prima del tempo.» «Non ho intenzione di farlo» rispose bruscamente Rand. Sapeva dove avrebbe dovuto morire, anche se non quando. Credeva di saperlo. Con la coda dell'occhio colse un movimento, giù dove la pietra nuda lasciava spazio ai cespugli e ai pochi alberelli. A cinquanta passi di distanza, un uomo uscì all'aperto e sollevò un arco, tirando con un fluido movimento l'impennatura della freccia verso la sua guancia. Tutto sembrò succedere in un istante. Ruggendo, Rand fece ruotare Tai'daishar e vide che l'arciere spostava la mira per seguire il movimento. Afferrò saidin, e la vita più dolce lo riempì insieme alla lordura. Gli girò la testa. Adesso vedeva due arcieri. La bile gli ribollì in gola mentre cercava di opporsi alle selvagge ondate del Potere che cercava di bruciarlo fin nelle ossa e di congelare le sue carni. Non poteva controllare quella marea; l'unica cosa che poteva fare era restare vivo. Tentò disperatamente di schiarirsi la vista, per poter vedere abbastanza bene da intessere flussi che a malapena riusciva a formare, mentre la nausea lo inondava furente come il Potere stesso. Gli parve che Bashere stesse urlando. I due arcieri scoccarono. Rand sarebbe dovuto morire. A quella distanza, anche un ragazzino era capace di colpire il bersaglio. Forse fu l'essere un ta'veren a salvarlo. Quando l'arciere tirò, uno stormo di quaglie dalle ali grigie esplose in volo quasi ai suoi piedi, lanciando versi assordanti. Non era sufficiente a sbilanciare un tiratore esperto, e in effetti il tizio ebbe appena un fremito. Rand sentì contro una guancia lo spostamento d'aria causato dalla freccia.
Palle di fuoco grandi come pugni colpirono improvvisamente l'arciere. Questi urlò mentre il braccio gli volava via, la mano ancora stretta sull'arco. Un'altra sfera fiammante lo prese a una gamba, all'altezza del ginocchio, e lui cadde strillando. Sporgendosi dalla sella, Rand vomitò sul terreno. Il suo stomaco cercò di liberarsi di tutti i pasti mai mangiati. Il Vuoto e saidin lo abbandonarono con una sofferenza nauseante. Solo a stento lui riuscì a non cadere. Quando poté raddrizzarsi di nuovo, prese il fazzoletto di lino bianco che Bashere gli stava silenziosamente porgendo e si pulì la bocca. Il Saldeano era accigliato per la preoccupazione, e ne aveva ben donde. Rand sentiva che lo stomaco stava cercando altro da rigettare, ed era convinto di essere pallido in volto. Trasse un profondo respiro. Perdere saidin a quel modo poteva essere mortale. Ma lui riusciva ancora a percepire la Fonte; almeno saidin non gli aveva bruciato la capacità di incanalare. E adesso ci vedeva anche bene: davanti a lui c'era un solo Davram Bashere. Ma il malessere sembrava peggiorare ogni volta che afferrava saidin. «Vediamo se di quel tizio è rimasto abbastanza da poterci parlare» disse a Bashere. Non ne era rimasto abbastanza. Rochaid era in ginocchio, e rovistava con calma la giubba macchiata di sangue del cadavere contorto. Oltre al braccio e alla gamba mancanti, il morto aveva un foro annerito grande quanto una testa che gli passava il torace da parte a parte. Era Eagan Padros: i suoi occhi ora ciechi fissavano il cielo in un'espressione sorpresa. Gedwyn ignorava il corpo ai suoi piedi e, freddo come Rochaid, studiava invece Rand. Entrambi erano pieni di saidin. Lews Therin gemette. Il rumore di zoccoli sulla pietra annunciò l'arrivo di Flinn e Narishma che galoppavano su per il pendio, seguiti da un centinaio di Saldeani. Quando furono più vicini, Rand poté sentire il Potere nell'uomo brizzolato e in quello più giovane, una quantità forse pari a quella che lui stesso poteva contenere. La loro forza era balzata in avanti dai giorni dei Pozzi di Dumai. Con gli uomini funzionava così; le donne sembravano crescere lentamente e con costanza, gli uomini a salti improvvisi. Flinn era più forte di Gedwyn o Rochaid, e Narishma non gli era di molto inferiore. Per il momento; non c'era modo di dire come sarebbe andata a finire. Nessuno, però, era paragonabile a Rand. Non ancora, almeno. Non c'era modo di dire cosa il domani poteva portare. Non le paranoie. «A quanto pare è stato un bene che abbiamo deciso di seguirti, mio lord Drago.» La voce di Gedwyn era piena di preoccupazione, a un passo dalla
derisione. «Il tuo stomaco fa le bizze stamattina?» Rand si limitò a scuotere il capo. Non riusciva a distogliere lo sguardo dal volto di Padros. Perché? Perché lui aveva conquistato l'Illian? Perché quell'uomo era stato un seguace di 'lord Brend'? Con una sonora esclamazione, Rochaid strappò un borsello di pelle scamosciata da una tasca della giubba di Padros e lo capovolse. Sul terreno roccioso si riversarono lucenti moneti d'oro, che rimbalzarono tintinnando. «Trenta corone» ringhiò Rochaid. «Corone di Tar Valon. Non ci sono dubbi su chi l'aveva pagato.» Prese una moneta e la lanciò a Rand, che però non fece alcun tentativo di afferrarla e la guardò cadere contro un suo braccio. «Il mondo è pieno di monete di Tar Valon» disse con calma Bashere. «Metà degli uomini in questa valle ne hanno qualcuna in tasca. Me compreso.» Gedwyn e Rochaid si girarono verso di lui. Bashere sorrise sotto i folti baffi, o quanto meno mostrò i denti, ma alcuni Saldeani cambiarono nervosamente posizione sulla sella e passarono le dita sui borselli che portavano alla cintura. Più su, dove il valico tra le ripide montagne diventava pianeggiante per un tratto, uno squarcio di luce ruotò trasformandosi in un passaggio, e uno Shienarese col codino in cima alla testa lo varcò di corsa, tirandosi dietro il cavallo. Il primo Seanchan era stato trovato, e non molto lontano da lì visto che lo Shienarese era tornato così presto. «È tempo di metterci in marcia» disse Rand a Bashere. Questi annuì, ma non si mosse. Fissò invece i due Asha'man in piedi vicino a Padros. Loro lo ignorarono. «Che ne facciamo di lui?» chiese Gedwyn indicando il cadavere. «Quanto meno dovremmo rispedirlo alle streghe.» «Lasciatelo lì» rispose Rand. Adesso almeno sei pronto a uccidere?, gli chiese Lews Therin. Non sembrava affatto pazzo. Non ancora, pensò Rand. Presto. Affondò i talloni nei fianchi di Tai'daishar e tornò al galoppo verso il suo esercito. Dashiva e Flinn lo seguirono da vicino, insieme a Bashere e i cento Saldeani. Tutti si guardavano intorno come se si aspettassero un altro attentato alla sua vita. A est, le nuvole nere si addensavano tra i picchi, un altro cemaros in arrivo. Presto. Il campo in cima alla collina era ben sistemato, con un serpeggiante ru-
scello nei paraggi per l'acqua e una buona visuale sulle più probabili vie d'accesso al lungo prato montano. Assid Bakuun non provava orgoglio per l'accampamento. In trent'anni di servizio nell'Esercito Sempre Vittorioso aveva comandato centinaia di accampamenti: tanto valeva inorgoglirsi per essere riuscito a camminare in una stanza senza cadere. Né provava orgoglio per il posto in cui si trovava. Serviva da trent'anni l'Imperatrice, che potesse vivere in eterno, e sebbene c'erano state sporadiche rivolte capeggiate da qualche pazzo arricchito con gli occhi puntati sul Trono di Cristallo, gran parte di quel tempo l'aveva trascorso preparandosi per questo. Per due generazioni, mentre venivano costruite le grandi navi per trasportare il Ritorno, l'Esercito Sempre Vittorioso si era addestrato e preparato. Bakuun si era sentito assolutamente orgoglioso quando aveva saputo che sarebbe stato uno dei Predecessori. Di sicuro poteva essere perdonato per i suoi sogni di riprendere le terre rubate ai legittimi eredi di Artur Hawkwing, e persino per i sogni più arditi di completare questo nuovo Consolidamento prima dell'arrivo del Corenne. Sogni che infine si erano rivelati non così arditi, ma stava andando assai diversamente da come lui aveva immaginato. Una pattuglia di cinquanta lancieri tarabonesi era di ritorno e risaliva il fianco della collina, strisce rosse e verdi dipinte sui robusti pettorali, veli di maglia a nascondere i folti baffi. Cavalcavano bene, e sapevano anche combattere, se guidati dalla persona giusta. Altri cinquecento, se non di più, erano già intorno ai fuochi per cucinare, o accudivano i cavalli impastoiati in fila, e tre pattuglie erano ancora in esplorazione. Bakuun non si sarebbe mai aspettato di ritrovarsi a comandare un'armata composta per ben più della metà da discendenti di ladri. Che non si vergognavano nemmeno di essere tali: guardavano chiunque dritto negli occhi. Il comandante della pattuglia gli rivolse un profondo inchino mentre gli passava accanto sul suo cavallo dalle zampe sporche di fango, ma molti degli altri continuarono a parlare con quel loro strano accento, parole troppo veloci perché Bakuun potesse comprenderle a meno di non ascoltare con la massima attenzione. Anche la loro idea di disciplina era strana. Bakuun scosse il capo e andò verso la grande tenda delle sul'dam. Più grande della sua, ed era necessario. All'esterno c'erano quattro sul'dam, sedute su degli sgabelli e con addosso gli abiti blu con i fulmini biforcuti sulle gonne, si godevano il sole in una delle rare tregue dalle tempeste. La damane vestita di grigio sedeva ai loro piedi, e Nerith le stava intrecciando i capelli chiari. Le parlava, anche, e tutte le altre prendevano parte al di-
scorso e ridevano piano. Il bracciale all'altra estremità dell'argenteo a'dam era poggiato a terra. Bakuun grugnì, con amarezza. Giù a casa anche lui aveva un cane lupo cui era affezionato, e a volte gli parlava persino, ma non si sarebbe mai aspettato che Morso portasse avanti una conversazione! «Sta bene?» chiese a Nerith, e non per la prima volta. E nemmeno la decima. «È tutto a posto?» La damane abbassò lo sguardo e rimase in silenzio. «Sta abbastanza bene, capitano Bakuun.» Nerith, una donna dal volto squadrato, gli rispose con il dovuto rispetto, e non un'oncia di più. Ma carezzò la testa della damane con fare rassicurante mentre parlava. «Quale che fosse la causa della sua indisposizione, adesso è passata. A ogni modo era una cosa da poco. Niente di cui preoccuparsi.» La damane stava tremando. Bakuun grugnì di nuovo. La risposta non era molto diversa da quelle che aveva ricevuto in precedenza. Qualcosa però era andata storta a Ebou Dar, e non c'entrava solo la damane. Le sul'dam erano tutte chiuse come vongole - e il Sangue non era disposto a dire nulla, ovviamente, non a quelli del suo livello! - ma lui aveva sentito troppi mormorii. Si diceva che le damane fossero tutte malate, o impazzite. Per la Luce, Bakuun non ne aveva vista usare più nessuna intorno a Ebou Dar dopo che la città era stata messa al sicuro, nemmeno per una vittoriosa esibizione di Luci del Cielo, e questo sì che era inaudito! «Be', spero che...» cominciò, ma si interruppe quando comparve un raken che sfrecciava attraverso il passo orientale. Le grandi ali coriacee batterono possenti per guadagnare altezza, e quando la creatura fu sopra la collina all'improvviso si inclinò e disegnò nell'aria un cerchio stretto, la punta di un'ala quasi in verticale verso il basso. Un sottile nastro rosso cadde giù trasportato dal peso di una palla di piombo. Bakuun represse un'imprecazione. I volatori erano sempre un po' esibizionisti, ma se quei due ferivano uno dei suoi uomini per consegnare il rapporto sulle loro esplorazioni avrebbe richiesto la loro pellaccia, non importava chi avesse dovuto affrontare per ottenerla. Non gli sarebbe piaciuto dover combattere senza quegli esploratori del cielo, ma davvero erano coccolati come fossero i cuccioli preferiti del Sangue. Il nastro scese dritto come una freccia. Il peso di piombo colpì il terreno e rimbalzò sulla cresta della collina, arrivando quasi accanto all'alto e sottile palo dei messaggi, che era troppo lungo per abbassarlo a meno che non ci fosse un messaggio da inviare. Inoltre, quando restava abbassato, qual-
cuno finiva sempre per farci camminare sopra un cavallo, rompendone le giunture. Bakuun marciò verso la sua tenda, ma il primo tenente lo stava già aspettando con il nastro sporco di fango e il tubo contenente il messaggio. Tiras era ossuto e di un palmo più alto di lui, con uno sgraziato straccio di barba aggrappato alla punta del mento. Il rapporto arrotolato nel sottile tubo di metallo e scritto su un pezzo di carta così sottile che Bakuun poteva quasi vederci attraverso, era redatto con semplicità. Lui non era mai stato costretto a salire su un raken o un to'raken - grazie alla Luce e lode all'Imperatrice, che potesse vivere in eterno! - ma dubitava che fosse facile maneggiare una penna seduti su una sella legata sul dorso di una lucertola volante. Il contenuto di quel messaggio lo spinse ad aprire di scatto il ripiano della sua piccola scrivania da campo per scrivere in tutta fretta una risposta. «C'è una forza nemica a meno di quindici chilometri a est di qui» spiegò a Tiras. «Cinque o sei volte più numerosa di noi.» A volte i volatori esageravano, ma spesso non di molto. Com'era possibile che tutti quegli uomini si fossero tanto addentrati nelle montagne senza essere individuati? Lui stesso aveva visto la costa orientale, e avrebbe preteso che venissero pagate le sue preghiere funerali prima di provare ad approdare in quella zona. Che i miei occhi possano bruciare, si disse Bakuun, i volatori si vantano di poter vedere anche una pulce se passa in quella catena montuosa. «Non c'è motivo di pensare che sappiano di noi, ma non mi dispiacerebbe ricevere dei rinforzi.» Tiras rise. «Gli daremo un assaggio della damane, e sarà sufficiente anche se sono venti volte più numerosi di noi.» Il suo unico difetto era una sicurezza un tantino eccessiva. Restava comunque un buon soldato. «E se hanno con sé qualche... Aes Sedai?» chiese a voce bassa Bakuun, quasi balbettando il nome, mentre rinfilava il rapporto del volatore nel tubo insieme al breve messaggio che lui stesso aveva appena preparato. Non avrebbe mai creduto che qualcuno potesse lasciare in libertà quelle... donne. A giudicare dall'espressione del volto, Tiras si ricordava le storie sentite su un'arma delle Aes Sedai. Il nastro rosso fluttuava alle sue spalle quando corse con il tubo del messaggio. Ben presto tubo e nastro furono attaccati alla cima del palo, e la lieve brezza agitò la lunga striscia rossa a circa cinque metri dalla cresta della collina. Il raken volteggiò nella valle verso il nastro, le ali tese immobili
come la morte. A un tratto una volatrice si lanciò dalla sella e rimase sospesa - a testa in giù! - tra gli artigli ripiegati del raken. A Bakuun si strinse lo stomaco solo a guardare. Ma la mano di quella donna si chiuse sul nastro, il palo si flette, poi tornò dritto quando il tubo si staccò dal gancio, e lei risalì in sella mentre la bestia si innalzava nel cielo in lenti cerchi. Bakuun fu grato di togliersi di mente raken e volatori e tornò a studiare la vallata. Ampia e lunga, quasi piatta a eccezione della sua collina, e circondata da pendii ripidi e boscosi: solo una capra poteva arrivarci senza prendere i valichi che, da dove stava lui, erano in piena vista. Con la damane, poteva fare a pezzi chiunque senza neppure dargli il tempo di provare a lanciare il suo attacco su quel prato fangoso. Però aveva passato la notizia; se il nemico si metteva subito in marcia, avrebbe anticipato almeno di tre giorni l'arrivo di qualsiasi rinforzo. Come avevano fatto ad arrivare fin lì senza essere visti? Bakuun si era perso le ultime battaglie del Consolidamento, che risalivano a più di due secoli prima, ma alcune delle rivolte che aveva dovuto sedare non erano state così insignificanti. Due anni di combattimenti sul Marendalar, trentamila morti, e un milione e mezzo di persone fatte schiave e rispedite sulla terraferma come proprietà. La capacità di notare le cose strane era ciò che teneva in vita un soldato. Bakuun ordinò di togliere il campo e di cancellarne ogni segno, poi cominciò a spostare la sua armata verso i pendii boscosi. Le nuvole scure si stavano addensando a est, un'altra di quelle maledette tempeste in arrivo. 23
Nebbia di guerra, tempesta di battaglia Non c'era pioggia, per il momento. Rand guidò Tai'daishar intorno a un albero sradicato che giaceva sul pendio e guardò accigliato il cadavere steso sulla schiena sotto il tronco. L'uomo era basso e massiccio, il volto crepato, l'armatura fatta di piastre laccate sovrapposte blu e verdi, ma con lo sguardo cieco fisso sulle nuvole nere nel cielo; era molto simile a Eagan
Padros, con tanto di gamba mancante. Doveva essere stato un ufficiale: la spada accanto alla mano protesa aveva l'elsa d'avorio incisa nelle sembianze di una donna, e sul suo elmo laccato simile alla testa di un enorme insetto, c'erano due piume blu lunghe e sottili. Il fianco della montagna, per almeno cinquecento passi, era disseminato di alberi sradicati o fatti a pezzi, e molti altri ancora bruciavano per tutta la loro lunghezza. C'erano anche cadaveri, uomini finiti con le ossa rotte o il corpo squarciato quando saidin era passato come un erpice lungo quel versante della montagna. Portavano quasi tutti un velo d'acciaio sul viso e pettorali dipinti a strisce orizzontali. Non c'erano donne, grazie alla Luce. I cavalli feriti erano stati abbattuti, altra cosa di cui essere grati. Era incredibile quanto forte potesse strillare un cavallo. Credi che i morti siano silenziosi? La risata di Lews Therin era un suono raschiante. Lo credi davvero? La voce divenne rabbiosa e sofferente. I morti mi ululano contro! Ululano anche contro di me, pensò tristemente Rand. Io non posso permettermi di prestar loro ascolto, ma come si fa a zittirli? Lews Therin cominciò a piangere per la perdita della sua Ilyena. «Una grande vittoria,» intonò Weiramon accanto a Rand, poi mormorò «ma con poco onore. Le battaglie tradizionali sono meglio.» La giubba di Rand era riccamente decorata di fango, eppure Weiramon sembrava immacolato come quando erano ancora sulla Strada d'Argento. Elmo e armatura splendevano. Come c'era riuscito? I Tarabonesi avevano caricato, alla fine, lance e coraggio contro l'Unico Potere, e Weiramon aveva a sua volta guidato una carica per fermarli. Senza averne ricevuto l'ordine, e seguito da tutti i Tarenesi tranne i Difensori, persino da un Torean mezzo ubriaco. Anche da Semaradrid e Gregorin Panar, con quasi tutti i Cairhienesi e gli Illianesi. Restare immobili era difficile per quegli uomini che volevano a ogni costo affrontare un nemico che potessero appunto affrontare. Gli Asha'man ci avrebbero messo meno tempo. Ma avrebbero creato più clamore. Rand non aveva preso parte ai combattimenti, se non per restare in sella dove tutti potessero vederlo. Non se l'era sentita di afferrare il Potere. Non osava mostrare debolezze sulle quali gli altri potevano fare appiglio. Niente affatto. Lews Therin farfugliava terrorizzato alla sola idea. Sorprendente quanto la giubba immacolata di Weiramon, Anaiyella cavalcava insieme a lui, e per una volta non era leziosa. Il suo volto era teso e contrariato. Cosa strana, quell'espressione non rovinava il suo aspetto
come invece facevano i sorrisi untuosi. Non si era unita alla carica, ovviamente, come non lo aveva fatto Ailil, ma il Maestro dei Cavalli di Anaiyella sì, ed era decisamente morto, con una lancia tarabonese infilata nel torace. E questo non le era piaciuto neanche un po'. Ma perché adesso si accompagnava a Weiramon? Erano solo due Tarenesi che facevano branco? Forse. Prima Anaiyella si era accompagnata a Sunamon. Bashere risalì il pendio in sella al suo baio, evitando i morti nonostante sembrava prestasse loro la stessa attenzione riservata agli alberi scheggiati o ai ceppi in fiamme. L'elmo penzolava dalla sella, i guanti erano infilati dietro il cinturone. Era sporco di fango lungo tutto il lato destro, e anche il cavallo era inzaccherato. «Aracome è morto» disse. «Flinn ha provato a Guarirlo, ma non credo che Aracome volesse vivere in quelle condizioni. Fino adesso i nostri morti ammontano a cinquanta, e alcuni degli altri feriti potrebbero non sopravvivere.» Anaiyella impallidì. Rand l'aveva vista vicino ad Aracome, intenta a vomitare. La morte degli uomini comuni non le faceva lo stesso effetto. Rand provò un istante di pietà. Non per lei, e in realtà neppure per Aracome. Per Min, anche se era al sicuro a Cairhien. Min aveva previsto la morte di Aracome in una delle sue visioni, e anche quella di Gueyam e Maraconn. Qualsiasi immagine la ragazza avesse visto, Rand sperava che non fosse neppure lontanamente paragonabile alla realtà. Gran parte dei Soldati erano di nuovo in esplorazione, ma giù nell'ampio prato dai portali aperti dai Dedicati di Gedwyn si stavano riversando i carri con le provviste e i cavalli di riserva. Gli uomini che viaggiavano con carri e animali rimasero a bocca aperta non appena poterono guardarsi intorno. Il terreno fangoso non era ridotto male come il versante della montagna, ma nell'erba marrone erano comunque incisi dei solchi larghi due passi e lunghi cinquanta, e si aprivano buche che un cavallo non sarebbe riuscito a superare con un balzo. Non avevano ancora trovato la damane. Rand pensava che ce ne fosse una sola: se fossero state più numerose avrebbero causato danni ben maggiori. Gli uomini si muovevano intorno a una serie di piccoli fuochi sui quali l'acqua era stata messa a bollire per il tè e per altri usi: Per una volta, Tarenesi, Illianesi e Cairhienesi si erano mischiati tra di loro. Anche i nobili. Semaradrid stava dividendo la sua fiaschetta da sella con Gueyam, che si passò stancamente una mano sulla testa calva. Maraconn e Kiril Drapaneos, lungo e allampanato con una barba quadrata che sembrava strana sul suo volto stretto, erano accovacciati sui talloni vicino a uno dei fuochi. E
giocavano a carte, da quel che sembrava! Torean aveva un intero cerchio di ridenti lord minori Cairhienesi, anche se forse il loro divertimento non era dovuto tanto alle sue battute quanto al modo in cui barcollava e si grattava il naso a patata. I Legionari si tenevano in disparte, ma avevano preso con sé i 'volontari' che avevano seguito Padros sotto l'insegna della bandiera della Luce. Questi sembravano più dediti di chiunque altro da quando avevano saputo come era morto Padros. I Legionari in giubba blu gli stavano insegnando come cambiare direzione senza sparpagliarsi come un branco di oche. Flinn girava tra i feriti insieme a Morr, Adley e Hopwil. Narishma era in grado di Guarire solo piccoli tagli, come Rand, e Dashiva neppure quelli. Gedwyn e Rochaid parlavano tra loro ben lontani da chiunque altro, tenevano per le redini i loro cavalli in cima alla collina al centro della vallata. La collina dove si erano aspettati di cogliere di sorpresa i Seanchan una volta usciti di corsa dai passaggi aperti tutto intorno. Quasi cinquanta morti, e altri ancora da venire, ma ce ne sarebbero stati più di duecento senza Flinn e gli altri capaci di Guarire a vari livelli. Gedwyn e Rochaid non avevano voluto sporcarsi le mani, e avevano obbedito di malavoglia quando Rand gli aveva ordinato di farlo. Uno dei morti era un Soldato, e un altro Soldato, un Cairhienese dal volto rotondo, sedeva accasciato accanto a un fuoco con uno sguardo stordito che Rand sperava fosse dovuto al volo che aveva fatto quando il terreno era esploso quasi sotto i suoi piedi. Giù nella piana devastata dai solchi, Ailil conferiva col suo capitano della Lancia, un omino di nome Denharad. I loro cavalli erano così vicini che quasi si toccavano, e di tanto in tanto i due lanciavano occhiate sulla montagna, verso Rand. Che cosa stavano tramando? «La prossima volta andrà meglio» mormorò Bashere. Fece spaziare lo sguardo nella vallata, poi scosse il capo. «Il peggior errore che uno può fare è commettere lo stesso errore più di una volta, e noi non lo faremo.» Weiramon lo sentì e ribadì lo stesso concetto, ma usando un numero di parole venti volte superiore, con un linguaggio fiorito come un giardino a primavera. E senza ammettere che c'erano stati errori, di sicuro non da parte sua. Ed evitò di parlare degli errori di Rand con pari abilità. Rand annuì, l'espressione tirata. La prossima volta sarebbe andata meglio. Doveva, a meno di non voler lasciare metà dei suoi uomini seppelliti su quelle montagne. In quel momento, però, lui si stava chiedendo cosa fare coi prigionieri. Quasi tutti quelli che erano scampati alla morte sul fianco della monta-
gna erano riusciti a ritirarsi tra gli alberi rimasti in piedi. Tutto considerato, avevano anche mantenuto sorprendentemente bene la formazione, a sentire Bashere, ma con ogni probabilità non costituivano più una minaccia. A meno che non avessero la damane con sé. Ma circa un centinaio di nemici erano seduti a terra in gruppo, spogliati di armi e armature, sotto lo sguardo attento di una ventina di cavalieri, tra Compagni e Difensori. Erano quasi tutti Tarabonesi, ma non avevano combattuto come se fossero stati costretti a farlo dall'esercito conquistatore. Molti di loro tenevano alta la testa, e si facevano beffe delle guardie. Gedwyn aveva chiesto di ucciderli, dopo averli interrogati. A Weiramon non importava se fossero finiti con la gola tagliata, ma credeva che torturarli sarebbe stata una perdita di tempo. Nessuno di loro poteva sapere qualcosa di utile, secondo lui: non c'era nessun nobile in quel gruppo. Rand lanciò un'occhiata a Bashere. Weiramon stava ancora facendo il suo altisonante discorso, «...ripulire queste montagne per te, mio lord Drago. Li schiacceremo sotto gli zoccoli dei nostri cavalli, e...» Anaiyella annuiva con una truce aria di approvazione. «Cinque monete guadagnate e mezza decina perse» disse piano Bashere. Con un unghia grattò via il fango da uno dei folti baffi. «O, come dicono alcuni miei tenenti, a voli alti e repentini sogliono i precipizi esser vicini.» In nome della Luce, cos'era quel parlare di voli e precipizi? Quelle frasi non gli erano di nessun aiuto! E poi una delle pattuglie di Bashere rese la situazione anche peggiore. I sei uomini risalirono il pendio spingendo la prigioniera davanti ai loro cavalli con l'estremità non appuntita delle lance. La donna aveva i capelli neri e indossava un vestito blu sporco e strappato, con riquadri rossi sul petto e fulmini biforcuti sulle gonne. Anche il volto era sporco, e striato dalle lacrime. Inciampò e quasi cadde, ma più che spingerla i soldati le stavano indicando la strada. La donna guardò in cagnesco i suoi carcerieri, e sputò persino. Anche a Rand rivolse una smorfia di derisione. «Le avete fatto male?» chiese lui. Una domanda strana, forse, visto quanto era successo nella valle e trattandosi di una nemica. Di una sul'dam. Ma gli era venuta comunque. «Non noi, lord Drago» rispose il capo pattuglia dal volto arcigno. «Quando l'abbiamo trovata era già in queste condizioni.» Si grattò il mento sotto la nera barba fluente e guardò Bashere come in cerca d'aiuto. «Sostiene che abbiamo ucciso la sua Gille. Doveva essere la sua cagnolina, o una gatta o qualcosa del genere, da come ne parla. Lei si chiama Nerith.
Questo siamo riusciti a farcelo dire.» La donna si girò e gli ruggì contro. Rand sospirò. Non una cagnolina. No! Quel nome non aveva diritto di entrare nella lista! Ma poteva sentire la litania che si recitava da sola nella sua mente, e c'era anche 'Gille la damane'. Lews Therin pianse per la sua Ilyena. E anche il suo nome era nell'elenco. Rand pensava che in quel caso fosse giusto. «Questa è una Aes Sedai dei Seanchan?» chiese all'improvviso Anaiyella, sporgendosi oltre il pomello della sella per guardare duramente Nerith. Nerith sputò anche a lei, gli occhi sgranati per l'offesa. Rand spiegò il poco che sapeva sulle sul'dam, che servendosi di un guinzaglio e un collare che erano in realtà un ter'angreal controllavano le donne in grado di incanalare ma non potevano incanalare a loro volta, e con sua sorpresa la leziosa, delicata Somma Signora disse freddamente: «Se il mio lord Drago non se la sente, posso impiccarla io per lui.» Nerith le sputò di nuovo! Questa volta con disprezzo. Di sicuro non le mancava il coraggio. «No!» ruggì Rand. Per la Luce, cosa era disposta a fare la gente per entrare nelle sue grazie! O forse Anaiyella aveva avuto col suo Maestro dei Cavalli un legame più intimo di quanto sarebbe stato opportuno. Quell'uomo era stato tarchiato e quasi calvo - e soprattutto non era un nobile, cosa che per i Tarenesi contava moltissimo - ma le donne avevano sempre strani gusti. Questo lui lo sapeva per esperienza. «Non appena saremo pronti a metterci di nuovo in viaggio,» disse a Bashere «liberate quegli uomini laggiù.» Portarsi appresso dei prigionieri mentre lanciava il prossimo attacco era fuori discussione, e lasciare che quel centinaio di uomini - cento per adesso, poi sarebbero stati sicuramente di più - seguisse i carri con le provviste significava rischiare cinquanta tipi di sabotaggi. Se li lasciava lì non avrebbero potuto causare alcun problema. Nemmeno i nemici che erano riusciti a fuggire a cavallo potevano portare messaggi più veloce di quanto lui poteva Viaggiare. Bashere si strinse appena nelle spalle; forse la pensava come lui, ma c'era sempre la possibilità che accadesse qualcosa di imprevedibile. Le cose strane succedevano anche senza un ta'veren nei dintorni. Weiramon e Anaiyella aprirono bocca quasi insieme, pronti a protestare, ma Rand insisté: «Ho deciso, e così sarà fatto! Ma terremo con noi la donna. E tutte le altre che cattureremo.» «Che la mia anima sia folgorata» esclamò Weiramon. «Perché?» Sembrava sconcertato, e quanto a ciò anche Bashere girò di scatto la testa per la sorpresa. Anaiyella piegò la bocca in una smorfia di disprezzo che però
trasformò subito in un sorriso ammiccante per il lord Drago. Era evidente che lo riteneva troppo debole per mandar via una donna con gli altri. Avrebbero dovuto marciare duramente su quel terreno, per non parlare delle esigue razioni di cibo. E il clima non era adatto a una donna. «Ho già abbastanza Aes Sedai contro di me, non c'è bisogno che rispedisca anche una sul'dam a riprendere la sua attività» spiegò Rand. E la Luce sapeva che era vero! Annuirono tutti, anche se Weiramon fu più lento; Bashere parve sollevato, Anaiyella delusa. Ma cosa doveva farne lui di quella donna e delle altre che avrebbe catturato? Non aveva intenzione di trasformare la Torre Nera in una prigione. Le Aiel potevano tenerle in custodia. Solo che forse le Sapienti avrebbero tagliato loro la gola nel momento stesso in cui lui si fosse girato di spalle. E le sorelle che Mat stava portando a Caemlyn con Elayne? «Quando qui avremo finito, la consegnerò ad alcune Aes Sedai di mia scelta.» Forse l'avrebbero visto come un gesto di buona volontà, un po' di miele per addolcire il fatto che erano costrette ad accettare la sua protezione. Non appena Rand ebbe finito di pronunciare quelle parole, il volto di Nerith divenne cadaverico e la donna urlò a squarciagola. Ululando senza sosta, si lanciò giù per il pendio, inciampando sugli alberi caduti, cadendo e rialzandosi ogni volta. «Maledetta... Prendetela!» scattò Rand, e la pattuglia saldeana si lanciò dietro la donna, facendo saltare i cavalli lungo il pendio pieno di tronchi senza pensare a zampe spezzate o colli rotti. Continuando a gridare, lei scartò e corse tra i cavalli con ancor meno timore. All'imbocco dell'ultimo valico a oriente, un passaggio si aprì in un lampo di luce argentina. Un Soldato dalla giubba nera lo attraversò tirandosi dietro il cavallo, saltò in sella mentre il passaggio svaniva e lanciò l'animale al galoppo, verso la cima della collina dove lo aspettavano Gedwyn e Rochaid. Rand osservò la scena con espressione impassibile. Nella sua testa, Lews Therin ruggiva di uccidere, uccidere tutti gli Asha'man prima che fosse troppo tardi. Quando i tre si avviarono sul pendio verso Rand, quattro Saldeani avevano inchiodato Nerith a terra e la tenevano per mani e piedi. Ce ne erano voluti quattro per quanto lei si agitava e cercava di mordere, e un divertito Bashere accettava scommesse sull'eventualità che potesse ancora sopraffarli. Anaiyella mormorò qualcosa circa la testa di quella donna. Voleva davvero che gliela spaccassero? Rand la guardò accigliato. Il Soldato tra Gedwyn e Rochaid guardò a disagio Nerith quando le pas-
sarono accanto. Rand ricordava vagamente di averlo già visto alla Torre Nera, il giorno in cui aveva distribuito le prime spille con la spada d'argento e aveva conferito a Taim la primissima spilla col drago. Era giovane, si chiamava Varil Nensen, e portava ancora un velo per coprire i folti baffi. Ma non aveva esitato quando aveva dovuto affrontare i suoi connazionali. La fedeltà era dovuta alla Torre Nera e al Drago Rinato, come diceva sempre Taim. E la seconda parte sembrava sempre aggiunta dopo un ripensamento, come fosse meno importante. «Puoi avere l'onore di fare rapporto al Drago Rinato, Soldato Nensen» disse Gedwyn. In tono beffardo. Nensen si drizzò in sella. «Mio lord Drago!» latrò, battendosi un pugno sul petto. «Ce ne sono altri a circa cinquanta chilometri a ovest, mio lord Drago.» Quella era la massima distanza che, per ordine di Rand, gli esploratori potevano coprire prima di tornare a fare rapporto. A cosa sarebbe servito se un Soldato trovava i Seanchan mentre gli altri continuavano ad avanzare verso ovest? «E...» I suoi occhi scuri guizzarono di nuovo verso Nerith. La donna era legata, adesso, e i Saldeani si stavano sforzando di metterla su un cavallo. «E non ho visto segni di donne, mio lord Drago.» Bashere strizzò gli occhi per guardare il cielo. Le nuvole nere erano come una coperta stesa dalla cima di una montagna all'altra, ma il sole doveva ancora essere alto. «È tempo di far mangiare gli uomini prima che tornino gli altri» disse il maresciallo generale, annuendo soddisfatto. Nerith era riuscita ad affondare i denti nel polso di un Saldeano, e vi rimaneva aggrappata come un tasso. «Che mangino in fretta» disse Rand irritato. Tutte le sul'dam sarebbero state così difficili da gestire? Molto probabile. Per la Luce, e se prendevano una damane? «Non voglio passare tutto l'inverno tra queste montagne.» Gille la damane. Non poteva più cancellare un nome, una volta che entrava a far parte dell'elenco. I morti non sono mai silenziosi, sussurrò Lews Therin. I morti non dormono mai. Rand cavalcò giù dalla montagna, verso i fuochi. Non aveva molta fame. Dalla punta di una sporgenza rocciosa, Furyk Karede studiava con attenzione le montagne boscose che si levavano tutto intorno a lui, picchi puntuti simili a scure zanne. Il suo cavallo, un alto castrone pomellato, drizzò le orecchie come se avesse sentito un suono a lui sfuggito, ma per il resto rimase immobile. Di tanto in tanto, Karede doveva fermarsi per asciugare
la lente del cannocchiale. Dal cielo grigio quel mattino scendeva una pioggia leggera. Le due piume nere sul suo elmo erano piegate all'indietro invece di stare diritte, e l'acqua gli colava sulla schiena. La pioggia era leggera, almeno rispetto a quella del giorno precedente, e forse anche a confronto di quella di domani. O magari di quello stesso pomeriggio. Il tuono rombava minaccioso a sud. Le preoccupazioni di Karede, tuttavia, non avevano niente a che vedere con il maltempo. Sotto di lui stava passando nei valichi tortuosi la coda di un serpente di duemilatrecento uomini, raccolti da quattro avamposti. Avevano buoni cavalli ed erano ragionevolmente ben guidati, ma appena duecento di loro erano Seanchan, e tra questi solo due oltre a lui portavano il rosso e il verde della Guardia. Quasi tutti gli altri erano Tarabonesi - Karede conosceva il loro coraggio - ma un buon terzo era dell'Amadicia o dell'Altara, uomini il cui giuramento era troppo recente per poter essere sicuri della loro affidabilità. Alcuni avevano già cambiato bandiera due o tre volte. O almeno ci avevano provato. La gente da questo lato dell'Oceano Aryth non conosceva la vergogna. Una dozzina di sul'dam cavalcava verso la testa della colonna, e lui avrebbe preferito che tutte e dodici avessero una damane che camminava accanto al cavallo, ma ce n'erano solo due. Cinquanta passi più avanti, gli uomini dell'avanguardia controllavano i pendii sopra di loro, ma con meno attenzione del dovuto. Troppo spesso quelli che cavalcavano in avanscoperta facevano affidamento sugli esploratori per scoprire anzitempo eventuali minacce. Karede prese nota di parlare personalmente con loro. Dopo di che avrebbero svolto degnamente il loro dovere, o lui li avrebbe assegnati ai turni di fatica. Un raken apparve a est, voleva basso sopra le cime degli alberi e faceva svolte e cambi di direzione per seguire le curve del terreno come un uomo che passa una mano sulla schiena di una donna. Strano. I morat'raken, i volatori, preferivano sempre tenersi in alto a meno che il cielo non fosse letteralmente pieno di fulmini. Karede abbassò il cannocchiale per osservare meglio. «Forse finalmente riceveremo un altro rapporto dagli esploratori» disse Jadranka. Rivolto agli altri ufficiali che aspettavano dietro Karede, non a lui. Tre di quei dieci uomini erano dello stesso rango di Karede, ma pochi dei non appartenenti al Sangue avrebbero osato disturbare un uomo vestito col rosso sangue e il verde quasi nero della Guardia della Veglia Funebre. E nemmeno tra quelli del Sangue ce n'erano molti disposti a farlo. Secondo le storie che Karede aveva sentito da bambino, uno dei suoi avi,
un nobile, aveva seguito Luthair Paendrag fino a Seanchan per ordine di Artur Hawkwing, ma duecento anni dopo, con solo il nord conquistato, un altro suo antenato aveva cercato di ritagliarsi un suo regno personale ed era invece finito venduto come schiavo. Forse era tutto vero; molti da'covale sostenevano di avere nobili antenati. Quando parlavano tra di loro, almeno; di rado il Sangue trovava divertenti chiacchiere del genere. In ogni caso, Karede si era sentito fortunato quando i Selezionatori avevano scelto lui, un ragazzo massiccio non ancora abbastanza grande da poter ricevere dei doveri, e ancora si sentiva orgoglioso per i corvi tatuati sulle sue spalle. Molte Guardie della Veglia Funebre giravano quanto più possibile senza giubba o camicia, per metterli in mostra. Gli umani, almeno. I Giardinieri ogier non venivano marchiati, non erano considerati una proprietà. Ma questo riguardava solo loro e l'Imperatrice. Karede era da'covale ed era fiero di esserlo, come ogni uomo della Guardia, una proprietà del Trono di Cristallo, nel corpo e nell'anima. Andava a combattere dove gli indicava l'Imperatrice, e sarebbe morto il giorno in cui lei gli avesse detto di morire. La Guardia rispondeva solo all'Imperatrice, e quando appariva rappresentava la sua mano, un visibile promemoria della sua volontà. Non c'era da meravigliarsi se alcuni del Sangue potevano sentirsi a disagio nel veder passare un distaccamento di uomini della Guardia. Una sorte molto migliore di quella di chi doveva pulire le stalle di un lord o servire kaf a una lady. Ma Karede malediceva la sorte che lo aveva mandato lì tra quelle montagne per ispezionare gli avamposti. Il raken sfrecciò verso ovest, i due volatori bassi sulle loro selle. Non c'era nessun rapporto, nessun messaggio per lui. Furyk sapeva che era solo frutto della sua immaginazione, ma il lungo collo della creatura proteso in avanti gli sembrava in qualche modo... ansioso. E se lui non fosse stato chi era, si sarebbe sentito a sua volta ansioso. Aveva ricevuto pochi messaggi dopo che, tre giorni addietro, gli era arrivato l'ordine di assumere il comando e spostarsi a est. E ogni messaggio aveva ispessito la nebbia invece di diradarla. Gli abitanti del posto, questi Altarani, si erano spostati in massa sulle montagne, a quanto pareva, ma come? Le strade lungo il limite settentrionale di quella catena montuosa erano pattugliate e osservate fin quasi al confine con l'Illian, da volatori e morat'torm oltre che dalle squadre a cavallo. Cosa poteva aver spinto gli Altarani a decidere di mostrare i denti? Di unirsi? Un uomo poteva battersi in un duello per uno sguardo storto anche se avevano cominciato a imparare che sfidare uno della Guardia era
solo un modo più lento per tagliarsi la gola - ma lui aveva visto i nobili di quella cosiddetta nazione cercare di vendere a vicenda sé stessi e la loro regina in cambio della mera ipotesi di protezione per le loro terre e forse la vaga promessa di ricevere quelle dei vicini. Nadoc, un omone con un volto ingannevolmente pacato, si girò in sella per seguire il volo del raken. «Non mi piace marciare alla cieca» mormorò. «Non da quando gli Altarani sono riusciti a piazzare quarantamila uomini quassù. Minimo quarantamila.» Jadranka sbuffò così forte che il suo alto castrone bianco si mosse. Jadranka era il più anziano dei tre capitani dietro Karede, era entrato in servizio insieme a lui. Basso e magro, aveva un naso prominente e una boria tale che lo si sarebbe scambiato per uno del Sangue. Quel suo cavallo risaltava da un chilometro di distanza. «Quaranta o centomila, Nadoc, sono sparpagliati da qui alla fine delle montagne, troppo distanti tra di loro per potersi aiutare a vicenda. Che io sia pugnalato agli occhi, probabilmente metà di loro sono già morti. Devono essersi scontrati ovunque con gli avamposti. Per questo non stiamo ricevendo rapporti. A noi non resta che spazzar via i pochi superstiti.» Karede represse un sospiro. Aveva sperato che Jadranka non fosse un'idiota oltre che un presuntuoso. Le lodi di vittoria si diffondevano in fretta, che si trattasse di un esercito o una mezza Bandiera. Erano le rare sconfitte a finire inghiottite dal silenzio e dimenticate. E tutto quel silenzio era... minaccioso. «Negli ultimi rapporti non mi sembrava che si parlasse di 'pochi superstiti'» insisté Nadoc. Lui non era un idiota. «Ci sono cinquemila uomini a meno di ottanta chilometri da qui, e dubito che possiamo semplicemente andare lì con delle scope e spazzarli via.» Jadranka sbuffò di nuovo. «Li annienteremo, con le spade o con le scope. Che la Luce mi accechi, non vedo l'ora di una battaglia decente. Ho detto agli esploratori di tirare avanti finché non li trovano. Non permetterò che ci sfuggano.» «Che hai fatto?» disse piano Karede. Piano o no, le sue parole fecero scattare ogni sguardo verso di lui. Anche se Nadoc e altri due o tre dovettero sforzarsi per smetterla di guardare Jadranka a occhi sbarrati. Agli esploratori era stato detto di tirare avanti, gli era stato detto cosa cercare. Quante altre cose erano non avevano visto per via di quegli ordini? Prima che qualcuno potesse aprir bocca, dagli uomini nel passo si leva-
rono urla seguite dai nitriti dei cavalli. Karede si premette sull'occhio il tubo di cuoio del cannocchiale. Nel valico davanti a lui, uomini e cavalli morivano sotto una raffica di quelli che dovevano essere quadrelli di balestra, a giudicare da come sfondavano i pettorali d'acciaio e trapassavano toraci protetti dalle cotte di maglia. Centinaia di uomini già caduti, e altre centinaia di feriti accasciati in sella o a piedi mentre si allontanavano di corsa dai cavalli che si dimenavano a terra. Troppi stavano fuggendo. Mentre lui continuava a osservare, i soldati ancora in sella fecero girare rapidamente i cavalli nel tentativo di tornare all'imbocco di quel valico. Per la Luce, dov'erano finite le sul'dam? Non riusciva a trovarle. In passato aveva affrontato dei ribelli che avevano con sé sul'dam e damane: dovevano sempre essere uccise più in fretta possibile. Forse l'avevano imparato anche gli abitanti del posto. All'improvviso, incredibilmente, il terreno cominciò a esplodere in fontane ruggenti lungo tutto il serpente ritorto del suo esercito, fontane che scagliavano in aria uomini e cavalli con la stessa facilità con cui facevano volare le pietre. I fulmini scesero dal cielo, dardi bianchi e azzurri che frantumavano uomini e terreno allo stesso modo. Altri soldati semplicemente esplosero, fatti a pezzi senza che lui potesse capire da cosa. Possibile che anche gli Altarani avessero le loro damane? No, di sicuro erano quelle Aes Sedai. «Che dobbiamo fare?» chiese Nadoc. Sembrava scosso. E ne aveva ben donde. «Hai intenzione di abbandonare i tuoi uomini?» ruggì Jadranka. «Ci lanceremo all'attacco, cosa...» Si interruppe, gorgogliando, quando la punta della spada di Karede gli entrò in gola. A volte gli idioti potevano essere tollerati, a volte no. Quando l'uomo si riversò dalla sella, Karede pulì con fare sprezzante la lama sul candido manto del castrone prima che l'animale sfrecciasse via. A volte era necessario qualche gesto teatrale. «Attaccheremo ciò che possiamo attaccare, Nadoc» disse come se Jadranka non avesse neppure parlato. Come se non fosse mai esistito. «Salveremo il salvabile e ci ritireremo.» Girandosi per cavalcare verso il passo dove saettavano i fulmini e ruggivano i tuoni, ordinò ad Anghar, un ragazzo dallo sguardo fermo con un cavallo veloce, di andare verso est e fare rapporto su quanto stava accadendo. Forse un volatore l'avrebbe visto e forse no, ma Karede sospettava di sapere ormai perché volavano basso. E sospettava che la Somma Signora Suroth e i generali a Ebou Dar sapessero già cosa stava succedendo lassù. Era
arrivato il giorno in cui doveva morire per l'Imperatrice? Karede affondò i talloni nei fianchi del suo cavallo. Dalla piatta cresta scarsamente alberata, Rand scrutava verso ovest, oltre il bosco che aveva davanti. Con il Potere in sé - vita, così dolce; contaminazione, oh, così disgustosa - riusciva a vedere ogni singola foglia, ma non era sufficiente. Tai'daishar batté uno zoccolo. I picchi frastagliati dietro, ai lati e tutto intorno superavano in altezza quella cresta per quasi due chilometri, ma la cresta stessa si trovava molto più in alto delle cime degli alberi sottostanti, che sorgevano in una vallata boscosa e ondulata lunga più di una lega e quasi altrettanto larga. Laggiù tutto era fermo. E silenzioso come il Vuoto nel quale lui fluttuava. Silenzioso per il momento, almeno. Qua e là si levavano sbuffi di fumo da punti in cui due o tre alberi bruciavano insieme come torce. Solo la pioggia che bagnava tutto impediva che trasformassero l'intera vallata in un incendio. Flinn e Dashiva erano i soli Asha'man ancora con Rand. Tutti gli altri erano giù nella valle. I due se ne stavano un po' distanti da lui, verso il limitare degli alberi, tenevano i cavalli per le redini e fissavano la boscaglia sottostante. Be', Flinn la fissava, concentrato come lo stesso Rand. Dashiva lanciava sporadiche occhiate, torceva la bocca, a volte mormorava tra sé spingendo Flinn a strusciare i piedi e a guardarlo di sottecchi. Il Potere li riempiva entrambi, fin quasi a traboccare, ma per una volta Lews Therin rimaneva zitto. Negli ultimi giorni, pareva restare sempre più nascosto. Nel cielo c'era addirittura la luce del sole, e le sparse nuvole erano grigie. Erano passati cinque giorni da quando Rand aveva portato nell'Altara il suo piccolo esercito, cinque giorni da quando aveva visto il suo primo Seanchan morto. E da allora ne aveva visti un bel po'. Il pensiero scivolò sulla superficie esterna del Vuoto. Rand poteva sentire l'airone marchiato a fuoco nel palmo della sua mano che premeva contro lo Scettro del Drago attraverso il guanto. Silenzio. Non c'era nessuna di quella creature volanti in vista. Ne erano morte tre, squarciate in cielo da un fulmine, prima che i loro cavalieri imparassero a tenersi alla larga. Bashere era affascinato da quelle bestie. Calma. «Forse è finita, mio lord Drago.» Ailil aveva parlato con voce serena e fredda, ma diede una pacca sul collo della sua giumenta, anche se l'animale non aveva alcun bisogno di essere placato. Lanciò un'occhiata furtiva a Flinn e Dashiva e si raddrizzò, non voleva mostrare il minimo disagio davanti a quei due.
Rand si ritrovò a canticchiare tra sé e si fermò di scatto. Quella era un'abitudine di Lews Therin, quando guardava una bella donna, non sua. Non sua! Per la Luce, se cominciava a prendere le maniere di quell'uomo quando non era nemmeno presente nella sua testa, in quel... All'improvviso, un tuono cupo risuonò nella vallata. Dagli alberi si alzò una fontana di fuoco, a più di tre chilometri di distanza, poi un'altra, e un'altra, e un'altra ancora. I fulmini si abbatterono nella foresta poco lontano da dove erano esplose le alte fiamme, singoli squarci simili a lance frastagliate tra il bianco e l'azzurro. Una raffica di fuoco e saette, poi tutto tornò immobile. Nessun albero si era incendiato, questa volta. Una parte di quegli attacchi era stata scatenata da saidin. Una parte. Si alzarono le urla, lontane e indistinte, e a Rand sembrò che venissero da un'altra zona della valle. Troppo distanti, nemmeno il suo udito amplificato da saidin poteva cogliere il clangore dell'acciaio. Alla fine, non tutti i combattimenti venivano portati avanti da Asha'man, Dedicati e Soldati. Anaiyella emise un lungo respiro che forse stava trattenendo da quando era cominciato lo scontro con il Potere. Gli uomini che combattevano all'arma bianca non la turbavano. Poi anche lei diede una pacca sul collo del suo cavallo. Il castrone aveva appena fatto guizzare un orecchio. Rand aveva notato questa caratteristica nelle donne: abbastanza spesso, quando erano agitate cercavano di calmare gli altri, che ne avessero o meno bisogno. E anche un cavallo andava bene. Ma dov'era finito Lews Therin? Irritato, Rand si sporse in avanti a studiare di nuovo il tetto di foglie della foresta. Molti di quegli alberi erano sempreverdi - querce, pini ed ericacee - e nonostante la passata siccità creavano uno schermo abbastanza efficace, che ostacolava anche la sua visione intensificata da saidin. Quasi oziosamente, Rand sfiorò lo stretto involto sotto la cinghia della staffa. Poteva usarlo per aiutarsi. E colpire alla cieca. Poteva scendere giù nel bosco. Dove, al massimo, avrebbe potuto vedere fino a dieci passi di distanza. Laggiù, sarebbe stato poco più efficace di uno dei Soldati. Un passaggio si aprì tra gli alberi sulla cresta, poco lontano da lui, uno squarcio d'argento che si allargò in un buco aperto su alberi diversi con un folto e castano sottobosco invernale. Un Soldato dalla pelle ramata, baffi sottili e una perlina all'orecchio, varcò il passaggio e lo lasciò svanire. Spingeva davanti a sé una sul'dam coi polsi legati dietro la schiena, una donna la cui bellezza era guastata da un bozzo violaceo su un lato della testa. Bozzo che però ben si addiceva al suo torvo cipiglio nonché al vestito malconcio e sporco di foglie. Si girò a fare una smorfia sprezzante al Sol-
dato che la spingeva verso la cima della cresta, da Rand, che ricevette anche lui il sogghigno della donna. Il Soldato si irrigidì, facendo un rapido saluto. «Soldato Arlen Nalaam, mio lord Drago» abbaiò, gli occhi fissi sulla sella di Rand. «Gli ordini del mio lord Drago erano di portargli ogni donna catturata.» Rand annuì. Solo per dare una risposta al Soldato, per fargli vedere che aveva ispezionato la prigioniera ed era sicuro che fosse ciò che qualsiasi idiota poteva vedere che era. «Portala ai carri, Soldato Nalaam, poi torna ai combattimenti.» Lo disse quasi digrignando i denti. Torna ai combattimenti. Mentre Rand al'Thor, Drago Rinato e re di Illian, se ne stava in sella al suo cavallo a osservare le cime degli alberi! Nalaam rifece il saluto prima di spingere via la donna davanti a sé, ma non perse altro tempo. Lei continuava a girarsi indietro, ma non guardava più il Soldato. Guardava Rand. Con occhi sgranati e bocca aperta in un'espressione di sbalordito stupore. Per chissà quale motivo, Nalaam la fece fermare solo quando ebbe raggiunto il punto da cui era venuto. Sarebbe bastato allontanarsi abbastanza da non poter ferire per sbaglio i cavalli. «Che stai facendo?» chiese Rand mentre saidin riempiva il Soldato. Nalaam si girò per metà verso di lui, ed esitò un attimo. «Mi sembra più facile se uso un posto dove ho già aperto un passaggio, mio lord Drago. Saidin è... strano qui.» La prigioniera si voltò a guardarlo accigliata. Dopo un attimo, Rand gli fece cenno di andare. Flinn fingeva di ispezionare la cinghia della sella del suo cavallo, ma il vecchio aveva in volto un lieve sorriso. Lieve e compiaciuto. Dashiva... ridacchiò. Flinn era stato il primo a parlare della strana sensazione che saidin gli dava in quella valle. Ovviamente, Narishma e Hopwil l'avevano sentito, e Morr aveva aggiunto le sue storie sulla 'stranezza' di saidin intorno a Ebou Dar. C'era poco da meravigliarsi se ormai tutti dicevano di avvertire qualcosa di strano. Per la Luce, con la contaminazione che infestava la metà maschile della Fonte, come poteva sembrare saidin se non strano? Rand sperava che non stessero tutti soffrendo i suoi stessi disagi. Il passaggio di Nalaam si aprì per poi sparire alle spalle del Soldato e della sua prigioniera. Rand si concesse di avvertire in pieno la presenza di saidin. Vita e corruzione mischiate insieme; ghiaccio che faceva sembrare tiepido l'inverno, e fuoco in confronto al quale le fiamme di una forgia erano fredde; morte, che aspettava solo una sua distrazione. Che desiderava una sua distrazione. Non sembrava diverso dal solito. O sì? Rand guardò accigliato il punto in cui era sparito Nalaam. Nalaam e la donna.
Era la quarta sul'dam catturata quel pomeriggio. Con lei, le sul'dam prigioniere portate ai carri salivano a ventitré. E due damane, entrambe con ancora il collare d'argento e trasportate su carri diversi; con il collare addosso non potevano fare più di tre passi senza patire sofferenze maggiori di quelle che sentiva Rand quando afferrava la Fonte. Non era più così sicuro che le sorelle con Mat avrebbero accolto con piacere quelle donne, dopo tutto. Quando, tre giorni addietro, era arrivata la prima damane, lui non l'aveva trattata come una sua prigioniera. La donna magra con i chiari capelli biondi e grandi occhi azzurri, era per lui una prigioniera dei Seanchan da liberare. Ma quando aveva costretto una sul'dam a toglierle l'a'dam, il collare, la damane aveva urlato chiedendo aiuto alla sul'dam e subito aveva cominciato a colpire con il Potere. Aveva perfino offerto il collo alla sul'dam perché le rimettesse quell'oggetto! Nove Difensori e un Soldato erano morti prima di riuscire a schermarla. Gedwyn l'avrebbe uccisa sul posto se Rand non l'avesse fermato. I Difensori, a disagio con le donne in grado di incanalare quasi quanto gli altri lo erano con gli uomini, ancora la volevano morta. Il loro gruppo aveva subito e accettato diverse perdite nei combattimenti di quei giorni, ma che un uomo fosse ucciso da una prigioniera pareva offenderli. In generale, le perdite erano state più numerose di quanto Rand si aspettasse. Erano morti trentuno Difensori, e quarantasei Compagni. Più di duecento tra i Legionari e gli armigeri dei nobili. Sette Soldati e un Dedicato, uomini che Rand non aveva mai incontrato prima che rispondessero alla sua convocazione nell'Illian. Troppi, considerando che tutte le ferite tranne le più gravi avrebbero potuto essere Guarite, se ci fosse stato più tempo. Ma lui doveva spingere i Seanchan verso ovest. Spingerli senza tregua. Altre urla si levarono lontane giù nella vallata. Il fuoco fiorì a circa cinque chilometri di distanza, e il fulmine si abbatté rovesciando gli alberi. Alberi e pietre esplosero dal fianco di una montagna, più lontano, strane fontane che parevano risalire il pendio. I loro ruggenti boati coprirono le urla. I Seanchan si stavano ritirando. «Andate laggiù» disse Rand a Flinn e Dashiva. «Tutti e due. Trovate Gedwyn e ditegli che il mio ordine era ed è di pressarli! Pressarli!» Dashiva fece una smorfia guardando la foresta sottostante, poi cominciò a tirare goffamente il cavallo lungo la cresta. Era sempre maldestro con i cavalli, che si trattasse di montarli o di guidarli per le redini. Quasi inciampò sulla sua stessa spada! Flinn guardò Rand, preoccupato. «Hai intenzione di restare qui da solo,
mio lord Drago?» «Non sono affatto da solo» rispose seccamente Rand, lanciando uno sguardo ad Ailil e Anaiyella. Erano tornate dai loro armigeri, quasi duecento lancieri fermi dove la cresta cominciava a scendere verso est. Il loro capo, Denharad, aveva il volto torvo dietro la visiera dell'elmo. Adesso comandava tutti e due i gruppi, e se anche il suo pensiero principale era la salvezza delle due lady, i suoi uomini si sforzavano comunque di sembrare capaci di respingere qualsiasi attacco. Inoltre, Weiramon era di guardia all'estremità settentrionale di quella cresta e neppure una mosca sarebbe potuta passare di lì, così aveva dichiarato, mentre Bashere si era schierato a sud. Senza vanterie, il maresciallo generale della Saldea aveva eretto un muro di lance senza neppure parlarne. E i Seanchan si stavano ritirando. «Inoltre non sono così inerme, Flinn.» Flinn parve addirittura dubbioso, e si grattò la frangia di capelli bianchi prima di fare il saluto e portare il suo cavallo verso la zona in cui si stava già chiudendo il passaggio di Dashiva. Zoppicando, Flinn scosse il capo e mormorò tra sé proprio come faceva Dashiva. Rand avrebbe voluto ruggire. Lui non poteva impazzire, e neanche loro. Il passaggio aperto da Flinn svanì a sua volta, e Rand tornò a scrutare le cime degli alberi. Il tempo passava e tutto era immobile. Quell'idea di prendere gli avamposti nelle montagne era stata pessima: ormai era disposto ad ammetterlo. In quel territorio ci si poteva ritrovare a meno di un chilometro dal nemico senza saperlo. Tra quei boschi laggiù, si finiva a tre metri dal nemico senza vederlo! Doveva affrontare i Seanchan su un terreno più favorevole. Doveva... All'improvviso si ritrovò a combattere contro saidin, per opporsi alle violente ondate che cercavano di aprirgli il cranio. Il Vuoto stava svanendo, si dissolveva sotto quell'attacco. Frenetico, stordito, Rand lasciò la Fonte prima che lo uccidesse. La nausea gli rivoltò lo stomaco. La vista doppia gli fece vedere due Corone di Spade. Poggiate su uno spesso strato di pacciame e foglie morte davanti al suo volto! Era caduto a terra! Non riusciva a respirare, e dovette sforzarsi per inalare aria. C'era un'intaccatura in una delle foglie d'alloro dorate della corona, e il sangue aveva chiazzato alcune delle piccole spade d'oro. Dal grumo di dolore cocente sul fianco, Rand capì che le ferite incurabili si erano riaperte. Cercò di tirarsi in piedi, e strillò. Con stordito stupore fissò la scura impennatura della freccia che gli sporgeva dal braccio destro. Ricadde con un grugnito. Qualcosa gli scorreva sul volto. E gli gocciolava davanti agli occhi. Sangue.
Divenne vagamente consapevole di grida ululanti. A nord, tra gli alberi, comparvero dei cavalieri che galopparono lungo la cresta, alcuni con le lance in resta, altri tirando frecce dai piccoli archi quanto più velocemente possibile. Cavalieri con armature blu e gialle fatte di piastre sovrapposte ed elmi simili a teste di grandi insetti. Seanchan, diverse centinaia. Da nord. Alla faccia della mosca di Weiramon. Rand si sforzò di toccare la Fonte. Era troppo tardi per preoccuparsi di vomitare o cadere a terra. In un'altra occasione, il pensiero l'avrebbe fatto ridere. Si sforzò... Era come cercare uno spillo a tentoni nel buio e con dita insensibili. È tempo di morire, gli sussurrò Lews Therin. Rand aveva sempre saputo che Lews Therin sarebbe stato presente al momento della fine. A meno di cinquanta passi da lui, Tarenesi e Cairhienesi si tuffarono urlando contro i Seanchan. «Combattete, cani!» strillò Anaiyella, balzando giù dalla sella accanto a Rand. «Combattete!» La lady flessuosa con le sue sete e i merletti tirò fuori una sfilza di imprecazioni che avrebbero fatto seccare la bocca a un carrettiere. Era ferma in piedi e reggeva le redini del suo cavallo, e spostava lo sguardo torvo dal mulinare di uomini e acciaio a Rand. Fu Ailil a girarlo sulla schiena. In ginocchio, lo fissò con un'espressione illeggibile nei grandi occhi scuri. Lui non riusciva a muoversi. Si sentiva prosciugato. Non era sicuro nemmeno di poter sbattere le palpebre. Le urla e il clangore dell'acciaio gli risuonavano nelle orecchie. «Se muore tra le nostre mani, Bashere ci farà impiccare entrambe!» Anaiyella sicuramente non era leziosa, adesso. «Se quei mostri con la giubba nera ci prendono...» Rabbrividì, e si piegò vicino ad Ailil, gesticolando con un pugnale che prima Rand non le aveva visto in mano. Un rubino rosso sangue scintillava sull'elsa. «Il tuo capitano della Lancia potrebbe radunare abbastanza uomini per portarci via da qui. Saremo a chilometri di distanza quando lo troveranno, e potremo tornare nei nostri palazzi prima che...» «Credo che ci possa sentire» la interruppe con calma Ailil. Le mani infilate nei guanti rossi andarono verso la cintura. Stava rinfoderando un pugnale? O ne voleva estrarre uno? «Se muore qui...» Si fermò anche lei bruscamente, e mosse di scatto la testa per guardarsi intorno. Rand sentì gli zoccoli dei cavalli tuonare da entrambi i lati in numerose ondate. Galoppavano verso nord, verso i Seanchan. Spada alla mano, Bashere si gettò dalla sella ancor prima di aver fermato del tutto il cavallo.
Gregorin Panar scese più lentamente, ma agitò la spada rivolto agli uomini che continuavano a passare veloci. «Colpite in nome del re e dell'Illian!» gridò. «Colpite! In nome del Signore del Mattino!» Il clangore dell'acciaio divenne ancor più sonoro. E anche le urla si fecero più forti. «Sapevo che sarebbe successo, alla fine» ringhiò Bashere, omaggiando le due donne con sguardi pieni di sospetto. Sprecò solo un istante, però, e subito alzò la voce per farsi sentire nel clamore della battaglia. «Morr! Che la tua pellaccia di Asha'man sia folgorata! Vieni qui, subito!» Grazie alla Luce, non urlò che il Drago Rinato era stato abbattuto. Con uno sforzo, Rand girò la testa forse di un palmo. Abbastanza per vedere Illianesi e Saldeani che continuavano a galoppare verso nord. I Seanchan dovevano essersi dati alla fuga. «Morr!» Il nome ruggì tra i baffi di Bashere, e Morr si lasciò cadere da un cavallo lanciato al galoppo finendo quasi addosso ad Anaiyella. La lady parve seccata per quella mancanza di buone maniere, mentre Morr si inginocchiava accanto a Rand spostandosi dal viso i capelli scuri. Anaiyella, però, si mosse piuttosto in fretta quando capì che quell'uomo aveva intenzione di incanalare, e praticamente balzò via. Ailil fu molto più elegante nel suo alzarsi, ma non meno veloce nell'allontanarsi. E ripose nel fodero che portava in vita un pugnale dal manico d'argento. La Guarigione fu semplice, anche se non esattamente piacevole. Alla freccia fu staccata l'impennatura, poi l'asta fu fatta passare per tutta la sua lunghezza attraverso il braccio con un brusco strattone che portò un sussulto alle labbra di Rand, ma era necessario liberare la ferita. Terreno e piccoli frammenti di legno sarebbero caduti via quando la carne si fosse rinsaldata, ma solo Flinn e pochi altri erano capaci di usare il Potere per togliere una freccia conficcata a fondo. Morr poggiò due dita sul torace di Rand, poi si prese la lingua tra i denti, assunse un'espressione tenace e intessé i flussi della Guarigione. Eseguiva sempre gli stessi gesti, altrimenti non era capace di curare niente. Le sue tessiture non erano complesse come quelle di Flinn. In pochi le sapevano ricreare, e nessuno con la stessa abilità del vecchio. Per il momento. Quella di Morr era più semplice. Più rozza. Rand si sentì percorrere da ondate di calore, abbastanza forti da farlo grugnire e sudare da ogni poro. Tremò violentemente dalla testa ai piedi. Un arrosto nel forno doveva sentirsi più o meno come lui. L'improvvisa marea di calore scemò lentamente, e Rand rimase steso ad ansimare. Nella sua testa, anche Lews Therin ansimava. Uccidilo! Uccidilo! Di continuo.
Riducendo quella voce a un lieve ronzio, Rand ringraziò Morr - il ragazzo sbatté le palpebre come se fosse sorpreso - poi prese lo Scettro del Drago da terra e si costrinse ad alzarsi. Una volta in piedi, vacillò leggermente. Bashere fece per porgergli il braccio, poi indietreggiò a un suo cenno. Rand poteva restare dritto senza aiuti. Più o meno. Quanto a incanalare, però, aveva più probabilità di mettersi a volare agitando le braccia. Quando si toccò il fianco vide che la camicia era scivolosa per il sangue, ma la vecchia cicatrice rotonda e quella più recente che la attraversava sembravano giusto un po' morbide. Guarite solo per metà, ma era così sin da quando le aveva. Per un momento, Rand studiò le due donne. Anaiyella mormorò un'indistinta frase di felicitazione e gli offrì un sorriso tale che Rand si chiese se la donna non aveva intenzione di fargli anche un lieve rimbrotto. Ailil se ne stava dritta, fredda, come se non fosse successo niente. Avevano davvero pensato di lasciarlo morire? O di ucciderlo? Ma allora perché avevano mandato i loro armigeri all'attacco ed erano corse verso di lui? D'altra parte, Ailil aveva davvero estratto il pugnale quando avevano cominciato a parlare della sua morte. Quasi tutti i Saldeani e gli Illianesi erano al galoppo verso nord o scendevano il pendio della cresta, all'inseguimento degli ultimi Seanchan. E in quel momento da nord comparve Weiramon in sella a un alto cavallo dal lucente manto nero che avanzava al piccolo galoppo e, quando vide Rand, aumentò l'andatura. I suoi armigeri cavalcavano in doppia fila dietro di lui. «Mio lord Drago» intonò il Sommo Signore mentre smontava di sella. Sembrava ancora pulito come quando erano nell'Illian. Bashere era solo un po' malconcio e sporco qua e là, ma l'elegante uniforme di Gregorin era decisamente sudicia di terreno, nonché strappata sulle maniche. Weiramon si esibì in un inchino che avrebbe fatto invidia alla corte di un re. «Perdonami, mio lord Drago. Mi era parso di vedere dei Seanchan che avanzavano davanti alla cresta e gli sono andato contro. Non sospettavo che potesse esserci un'altra compagnia. Non sai quanto soffrirei se sapessi che sei stato ferito.» «Penso di saperlo» rispose Rand in tono asciutto, e Weiramon sbatté le palpebre. Dei Seanchan che avanzavano? Forse. Weiramon avrebbe colto qualsiasi occasione per conquistare la gloria con una delle sue cariche. «Cosa intendevi quando hai detto 'alla fine', Bashere?» «Si stanno ritirando» rispose il Saldeano. Nella vallata, il fuoco e i fulmini esplosero come per smentirlo, ma erano molto lontani.
«I tuoi... esploratori dicono che stanno tutti arretrando» aggiunse Gregorin grattandosi la barba, poi rivolse a Morr un'occhiata furtiva e nervosa. Morr gli sorrise mostrando tutti i denti. Rand aveva visto l'Illianese guidare i suoi uomini nel mezzo degli scontri, lanciando urla di incoraggiamento e mulinando la spada con selvaggio abbandono, ma Gregorin si ritrasse davanti al ghigno di Morr. In quel momento arrivò Gedwyn, tirandosi dietro il cavallo con noncuranza, con innocenza. Il sorriso che rivolse a Bashere e Gregorin era quasi derisorio, poi guardò torvo Weiramon come se già sapesse del suo errore e lanciò un'occhiata ad Ailil e Anaiyella come se volesse pizzicarle. Le due donne si allontanarono in fretta, ma d'altronde lo fecero anche gli uomini, tranne Bashere. Ma compreso Morr. Il saluto che Gedwyn rivolse a Rand fu un distratto colpo del pugno sul torace. «Ho inviato degli esploratori non appena ho visto che qui era tutto finito. Ci sono altre tre colonne nell'arco di quindi chilometri.» «Tutte dirette a ovest» intervenne Bashere con voce pacata, ma lo sguardo che rivolse a Gedwyn era abbastanza tagliente da affettare la pietra. «Ce l'hai fatta» disse poi a Rand. «Si stanno ritirando tutti. Non credo che si fermeranno prima di arrivare a Ebou Dar. Le campagne non si concludono sempre con una marcia trionfale in città, e questa è finita.» Stranamente - o forse no - Weiramon cominciò a protestare, suggerendo di avanzare fino a 'prendere Ebou Dar per la gloria del Signore del Mattino', queste le sue parole, ma fu un colpo sentir dire da Gedwyn che non gli sarebbe dispiaciuto dare qualche altra frustata a quei Seanchan e di sicuro non gli sarebbe dispiaciuto vedere Ebou Dar. Persino Ailil e Anaiyella si espressero a favore dell'idea di 'porre fine ai Seanchan una volta per tutte', anche se Ailil aggiunse che per lei era soprattutto importante non dover tornare a concludere l'opera. Era sicura che in tal caso il lord Drago avrebbe insistito per averla di nuovo con sé. Il tutto detto in un tono freddo e secco come le notti nel Deserto Aiel. Solo Bashere e Gregorin proposero di tornare indietro, alzando sempre più la voce man mano che il tempo passava e Rand restava in silenzio. In silenzio e con lo sguardo rivolto a ovest. Verso Ebou Dar. «Abbiamo fatto ciò per cui siamo venuti» insisté Gregorin. «La Luce abbia misericordia, hai intenzione di prendere Ebou Dar?» Prendere Ebou Dar, pensò Rand. Perché no? Nessuno se lo sarebbe aspettato. Una sorpresa assoluta, per i Seanchan e per chiunque altro. «Ci sono momenti in cui bisogna approfittare del vantaggio e continua-
re» ringhiò Bashere. «E momenti in cui è meglio raccogliere le vincite e tornare a casa. Io dico che è il momento di tornare a casa.» Non mi dispiacerebbe averti nella testa, disse Lews Therin sembrando quasi sano di mente, se tu non fossi così chiaramente pazzo. Ebou Dar. Rand strinse le mani sullo Scettro del Drago, e Lews Therin rise stridulo. 24
Il tempo del ferro A una decina di leghe a est di Ebou Dar, i raken volteggiavano nell'alba striata dalle nuvole per atterrare in un pascolo che gli alti pali coi nastri colorati designavano come campo dei volatori. L'erba marrone era stata calpestata e divelta da parecchi giorni. Tutta la grazia che le creature mostravano nel cielo scompariva non appena gli artigli toccavano terra in una corsa barcollante, le ali di cuoio larghe più di trenta passi tenute in alto come se l'animale volesse rilanciarsi nel cielo. E c'era poca bellezza anche nei raken che correvano goffi lungo il campo battendo le membrane alari con volatori accovacciati sulla sella quasi volessero sollevare di peso la loro bestia, correvano fino a levarsi pesantemente in volo, le punte delle ali appena più in alto delle cime degli ulivi sul limitare del campo. Solo quando guadagnavano altezza e giravano verso il sole e si innalzavano tra le nuvole i raken recuperavano la loro maestosità. I volatori che atterravano non si prendevano la briga di smontare di sella. Mentre un membro dell'equipaggio di terra reggeva un cesto perché il raken potesse ingollare manciate su manciate di frutti essiccati, uno dei due volatori consegnava il suo rapporto a un secondo membro dell'equipaggio di terra più anziano, mentre l'altro si piegava dal lato opposto per ricevere nuovi ordini da un volatore troppo anziano per prendere spesso le redini. Quasi subito dopo essersi fermata, la bestia veniva fatta girare per andare con la sua andatura dondolante nel punto dove altri quattro o cinque esemplari aspettavano di poter fare la loro lunga e maldestra corsa verso il cielo. E correndo all'impazzata, scartando tra le manovre delle formazioni di
cavalleria e fanteria, i messaggeri portavano i rapporti degli esploratori all'immensa tenda del comando con la sua bandiera rossa. C'erano altezzosi lancieri tarabonesi e impassibili picchieri dell'Amadicia disposti in precisi quadrati, i pettorali a strisce orizzontali nei colori del reggimento al quale erano annessi. Gli Altarani della cavalleria, disordinatamente raggruppati qua e là, facevano impennare i loro animali e si gloriavano delle strisce rosse incrociate che portavano sul torace, così diverse da quelle che contrassegnavano tutti gli altri. Non sapevano che servivano per indicare le truppe di irregolari di dubbia affidabilità. Tra i soldati seanchan, erano rappresentati i reggimenti che portavano con fiero onore i loro nomi da ogni parte dell'Impero; gli uomini di Alqam con gli occhi chiari, quelli di N'Kon con la pelle ambrata e quelli di Khoweal e Dalenshar, neri come il carbone. C'erano i morat'torm sulle loro sinuose bestie dalle scaglie bronzee che facevano nitrire e scalpitare di paura i cavalli, e persino alcuni morat'grolm con i loro animali tozzi e dal rostro adunco, ma una caratteristica che sempre accompagnava gli eserciti dei Seanchan era ancor più evidente per la sua assenza. Le sul'dam e le damane erano rimaste nelle loro tende. Il capitano generale Kennar Miraj reputava molto importanti le sul'dam e le loro damane. Dal suo seggio sulla pedana vedeva con chiarezza la tavola della mappa, dove sottotenenti senza elmo controllavano i rapporti e piazzavano segnali per rappresentare le forze in campo. Una bandierina di carta si levava da ogni segnale, con simboli tracciati con l'inchiostro per indicare dimensione e composizione di ogni singola forza. Trovare mappe decenti in quelle terre era quasi impossibile, ma quella copiata sulla grande tavola era sufficientemente buona. E preoccupante, per quello che diceva a Miraj. Dischi neri per gli avamposti sconfitti o dispersi. Ce n'erano fin troppi, e punteggiavano l'intera metà orientale della catena dei Venir. I cunei rossi indicavano le armate in movimento e segnavano altrettanto pesantemente la parte occidentale, tutti diretti verso Ebou Dar. E, sparpagliati tra i dischi neri, ce n'erano diciassette bianchi. Sotto i suoi occhi, un giovane ufficiale vestito col nero e il marrone dei morat'torm piazzò con cura il diciottesimo. Forze nemiche. Alcuni di quei dischi potevano anche indicare lo stesso gruppo visto due volte, ma erano quasi tutti troppo distanziati tra loro, e i tempi di avvistamento non combaciavano. Lungo le pareti della tenda, gli impiegati con le semplici giubbe marroni segnate solo con i simboli del loro rango erano agli scrittoi, penna alla mano, in attesa che Miraj desse loro gli ordini da copiare perché venissero di-
stribuiti. Ma il capitano generale aveva già impartito tutti gli ordini possibili. C'erano almeno novantamila soldati nemici tra quelle montagne, quasi il doppio di quelli che poteva mettere insieme lui anche contando i coscritti del posto. Un numero troppo grande per poterci credere, solo che gli esploratori non mentivano mai: ai bugiardi veniva tagliata la gola dai loro stessi commilitoni. Troppi nemici, che spuntavano dal terreno come i vermi cacciatori del Sen T'jore. Almeno dovevano ancora coprire minimo centocinquanta chilometri di terreno montuoso se volevano minacciare Ebou Dar. Quasi trecento, per i dischi bianchi più a est. E poi c'era una campagna collinosa per altri centocinquanta chilometri. Di sicuro il generale nemico non poteva avere intenzione di permettere che le sue forze affrontassero la battaglia separate, una alla volta. E per raccogliere tutti quegli uomini sarebbe servito altro tempo. In quel momento, il tempo era l'unico fattore favorevole per Miraj. I lembi all'entrata della tenda si aprirono di scatto, e la Somma Signora Suroth entrò con eleganza, i capelli neri in una cresta orgogliosa che scendeva dietro la schiena, la gonna a pieghe bianca come la neve e la sopravveste riccamente decorata che, chissà come, non era stata toccata dal fango all'esterno. Miraj pensava che fosse ancora a Ebou Dar. Doveva essere arrivata con un to'raken. Era accompagnata da un corteo più piccolo del solito. Due Guardie della Veglia Funebre con il nastro nero sulla spada tenevano aperta la tenda e altre erano visibili all'esterno, uomini dal volto di pietra vestiti di rosso e verde. L'incarnazione della volontà dell'Imperatrice, che potesse vivere per sempre. Persino il Sangue notava la loro presenza. Suroth veleggiò oltre i due soldati come fossero servitori comuni alla stregua della da'covale dal corpo lussureggiante, con scarpette ai piedi e un abito bianco quasi trasparente addosso, i capelli biondo miele acconciati in una moltitudine di piccole trecce con le perline e tra le mani lo scrittoio dorato della Somma Signora, dalla quale si teneva a due umili passi di distanza. La Voce del Sangue di Suroth, Alwhin, era una donna minacciosa vestita di verde, con la parte sinistra del capo rasata e il resto dei chiari capelli castani legato in una treccia austera, e seguiva da presso la sua signora. Quando Miraj scese dalla pedana, si rese conto con stupore che la seconda da'covale dietro a Suroth, bassa, capelli scuri e corpo magro avvolto in una veste diafana, era una damane! Non si era mai sentito che una damane vestisse con tale eleganza, ma la cosa ancor più strana era che a portarla per l'a'dam c'era Alwhin. Il capitano generale non lasciò affatto trasparire il suo sgomento mentre
si piegava su un ginocchio mormorando: «Che la Luce splenda sulla Somma Signora Suroth. Ogni onore alla Somma Signora Suroth.» Tutti gli altri si prostrarono sul telo che copriva il terreno, sguardo fisso a terra. Miraj era del Sangue, anche se di rango troppo basso per rasarsi i lati della testa come Suroth. E poteva laccarsi solo le unghie dei mignoli. Fin troppo umile per potersi mostrare sorpreso se una Somma Signora permetteva alla sua Voce di continuare a comportarsi come una sul'dam dopo essere stata elevata al rango di so'jhin. Strani tempi per una terra strana, dove si aggirava il Drago Rinato e le marath'damane erano libere di uccidere e schiavizzare la gente ovunque volessero. Suroth a malapena guardò Miraj prima di studiare la tavola della mappa, e se i suoi occhi neri si tesero per ciò che vide, ce n'era ogni motivo. Sotto di lei, gli Hailene avevano ottenuto più di quanto fosse possibile sognare, reclamando grandi distese di quelle terre rubate. Erano stati mandati solo in esplorazione, e dopo quanto era successo a Falme alcuni avevano pensato che nemmeno quello fosse possibile. Suroth tamburellò nervosamente con le dita sul tavolo, e le lunghe unghie laccate di blu su indice e medio ticchettarono. Se avesse continuato con i suoi successi, avrebbe potuto rasarsi completamente la testa e laccare una terza unghia per ogni mano. L'adozione nella famiglia Imperiale non era un evento inaudito per conquiste così grandi. E se faceva il passo più lungo della gamba si sarebbe trovata con le unghia tagliate e infilata in una veste trasparente per servire qualcuno del Sangue, se non l'avessero venduta a un contadino come aiuto per lavorare i campi o destinata alle fatiche in qualche deposito. Nel peggiore dei casi, Miraj si sarebbe solo dovuto tagliare le vene. Continuò a osservare Suroth in paziente silenzio, ma era stato un tenente degli esploratori, un morat'raken, prima di essere promosso al Sangue, e non poteva fare a meno di notare tutto intorno a sé. Un esploratore viveva o moriva a seconda di ciò che vedeva o no, e da questo dipendevano anche le vite degli altri soldati. Alcuni degli uomini stesi con la faccia a terra intorno alla tenda respiravano appena. Suroth avrebbe dovuto prendere in disparte il capitano generale e lasciare che quelli continuassero a fare il loro lavoro. Una messaggera in quel momento venne respinta dai soldati all'ingresso. Quanto gravi erano le notizie se quella donna aveva cercato di farsi strada oltre le Guardie della Veglia Funebre? La da'covale con lo scrittoio tra le braccia catturò l'attenzione di Miraj. Il suo grazioso volto di bambola si accigliava di continuo, e lo sguardo non restava mai basso per più di qualche istante. Una proprietà che mostrava la
propria rabbia? E c'era dell'altro. Lo sguardo del capitano generale guizzò verso la damane, che se ne stava a capo chino ma continuava a guardarsi intorno con curiosità. La da'covale con gli occhi castani e la damane con gli occhi azzurri chiari erano assai diverse una dall'altra, eppure c'era qualcosa in loro. Qualcosa nei loro volti. Qualcosa di strano. Non era possibile stabilire quanti anni avessero. Per quanto rapidi fossero i suoi sguardi, Alwhin se ne accorse. Con uno scatto dell'argenteo guinzaglio dell'a'dam, fece stendere la damane faccia a terra. Schioccando le dita, indicò il telo ai suoi piedi con la mano libera dal braccialetto dell'a'dam, poi fece una smorfia quando la da'covale dai capelli color del miele non si mosse. «Giù, Liandrin!» sibilò quasi in un sussurro. Con un'occhiataccia ad Alwhin - un'occhiataccia! - la da'covale cadde in ginocchio, i lineamenti atteggiati in un broncio. Stranissimo. Ma a malapena importante. Impassibile in volto, ma comunque fremente per l'impazienza, Miraj aspettava. Impazienza e non poco disagio. Era stato innalzato al Sangue dopo aver cavalcato per ottanta chilometri in una sola notte con tre frecce in corpo per portare la notizia di un'armata ribelle in marcia contro la stessa Seandar, e la schiena ancora gli dava noie. Alla fine, Suroth si distolse dalla tavola della mappa. Non gli diede il permesso di alzarsi, tanto meno lo abbracciò come si conveniva a uno del Sangue. Non che lui si fosse aspettato qualcosa del genere. La sua posizione era molto inferiore a quella della Somma Signora. «Sei pronto a marciare?» gli chiese lei con calma. Almeno non gli aveva parlato attraverso la sua Voce. Davanti a così tanti dei suoi ufficiali, una vergogna del genere lo avrebbe fatto camminare a occhi bassi per mesi se non anni. «Lo sarò, Suroth» rispose con calma, incontrando il suo sguardo. Per quanto bassa la sua posizione, era comunque del Sangue. «Loro non possono riunirsi in meno di dieci giorni, e ce ne vorranno almeno altri dieci prima che escano dalle montagne. Molto prima di allora io...» «Potrebbero essere qui domani» scattò lei. «Oggi! Se vengono qui, Miraj, arriveranno tramite l'antica arte del Viaggiare, e sembra molto possibile che accada.» Il capitano generale sentì gli uomini che cambiavano posizione sul ventre senza riuscire a trattenersi. Suroth che perdeva controllo delle sue emozioni e blaterava leggende? «Ne sei sicura?» Le parole gli uscirono di bocca prima che potesse fermarle. E capì che prima si era sbagliato pensando che la Somma Signora avesse
perso il controllo. Lo perse in quel momento. Gli occhi divamparono. Le mani si strinsero sulla veste ricamata di fiori tanto forte da far sbiancare le nocche tremanti. «Metti in dubbio la mia parola?» ruggì Suroth incredula. «Ti basti sapere che ho le mie fonti di informazione.» Ed era furiosa con loro, oltre che con lui, si rese conto Miraj. «Se arrivano, ci saranno almeno cinquanta di questi Asha'man col loro nome pomposo, ma non più di cinque o seimila soldati. A quanto pare erano così pochi anche all'inizio, non importa cosa i volatori abbiano detto.» Miraj annuì lentamente. Cinquemila uomini che si spostavano usando in qualche modo l'Unico Potere; questo spiegava molte cose. Quali erano le fonti di Suroth, come faceva a conoscere con tanta precisioni i numeri del nemico? Non era tanto idiota da chiederglielo. Di sicuro aveva Ascoltatori e Cercatori al suo servizio. Che controllavano anche lei. Cinquanta Asha'man. La sola idea di un uomo che incanalava gli faceva venir voglia di sputare per il disgusto. Secondo le voci, si stavano raccogliendo da ogni nazione sotto gli ordini del Drago Rinato, questo Rand al'Thor, ma Miraj non si sarebbe mai aspettato che fossero così tanti. Il Drago Rinato poteva incanalare, così si diceva. Questo forse era vero, ma si trattava comunque del Drago Rinato. Le Profezie del Drago erano conosciute a Seanchan sin da prima che Luthair Paendrag desse inizio al Consolidamento. In una forma corrotta, così si diceva, molto diversa dalla versione pura portata da Luthair Paendrag stesso. Miraj aveva visto diversi volumi di Il Ciclo Karaethon stampati in quelle terre, e anche questi erano corrotti - nessuno parlava del Drago al servizio del Trono di Cristallo! - ma le Profezie rinsaldavano la mente e il cuore degli uomini. Non pochi speravano che il Ritorno arrivasse subito, e quelle terre fossero reclamate prima di Tarmon Gai'don, così il Drago Rinato avrebbe vinto l'Ultima Battaglia per la gloria dell'Imperatrice, che potesse vivere per sempre. Di sicuro l'Imperatrice avrebbe voluto che le mandassero al'Thor, per poter vedere com'era l'uomo che la serviva. Non ci sarebbero stati problemi con al'Thor, una volta che si fosse inginocchiato al suo cospetto. Erano pochi quelli che riuscivano a scrollarsi di dosso il timore riverenziale quando si inginocchiavano davanti al Trono di Cristallo, con la sete di obbedire che seccava la lingua. Ma era evidente che infagottare quel tizio e metterlo su una nave sarebbe stato un altro paio di maniche se la soluzione del problema Asha'man - problema che doveva essere senza dubbio risolto - avesse atteso che al'Thor fosse in viaggio sull'Oceano Aryth diretto a Seandar.
E questo riportò Miraj al problema che, si rese conto con un sussulto interiore, aveva finora cercato di evitare. Non era tipo da fuggire dalle difficoltà, meno che mai le ignorava ciecamente, ma questa era diversa da tutte quelle che aveva mai affrontato. Aveva combattuto in una ventina di battaglie con damane usate da entrambi gli schieramenti: sapeva come gestirle. Non era solo una questione di colpire con il Potere. Le sul'dam esperte potevano in qualche modo vedere cosa facevano le damane o le marath'damane, e le damane a loro volta lo comunicavano alle altre, quindi potevano anche essere usate come difesa. Ma una sul'dam era in grado di vedere anche cosa faceva un uomo? Peggio ancora... «Mi lascerai le sul'dam e le damane?» chiese. Dopo aver tratto un lungo respiro del quale si vergognò, aggiunse: «Se sono ancora malate, il combattimento sarà breve e sanguinario. Per noi.» La sua frase fece di nuovo agitare gli uomini stesi a terra. Una storia su due di quelle che giravano nell'accampamento era sulla malattia che aveva confinato sul'dam e damane nelle loro tende. Alwhin reagì piuttosto apertamente, cosa assai impropria per una so'jhin, e gli rivolse un'occhiataccia. La damane trasalì di nuovo, e cominciò a tremare. Cosa strana, anche la da'covale dai capelli color miele trasalì. Sorridendo, Suroth veleggio verso la da'covale in ginocchio. Perché sorrideva a una servitrice male addestrata? Cominciò anche a carezzare le treccine di quella donna, le cui labbra a bocciolo di rosa si incresparono in un broncio. Forse in passato era una nobile di quelle terre? Le parole di Suroth parvero sostenere questa ipotesi, ma erano palesemente dirette a lui. «I piccoli fallimenti hanno piccoli costi; i grandi fallimenti hanno costi dolorosamente alti. Avrai le damane che ti servono, Miraj. E farai capire a ognuno di quegli Asha'man che avrebbero dovuto restarsene a nord. Li cancellerai dalla faccia della terra, gli Asha'man, i soldati, tutti. Fino all'ultimo uomo, Miraj. Così comando.» «Sarà come desideri, Suroth» rispose lui. «Verranno eliminati. Fino all'ultimo uomo.» Al momento, non c'era altro che potesse dire. Tuttavia, era tristemente consapevole del fatto che la Somma Signora non gli aveva detto se sul'dam e damane erano ancora malate o no. Rand fece girare Tai'daishar vicino alla sommità della spoglia collina rocciosa per osservare gran parte del suo piccolo esercito che si riversava fuori da altri buchi nell'aria. Lui teneva stretta la Vera Fonte, così stretta che gli pareva tremasse nella sua presa. Con il Potere in sé, le punte acu-
minate della Corona di Spade gli sembravano al contempo più pungenti e completamente smussate, il freddo di metà mattina era insieme più rigido e inesistente. Le ferite inguaribili sul fianco erano un dolore lontano e confuso. Lews Therin pareva ansimare incerto. O forse impaurito. Forse dopo essere arrivato così vicino alla morte il giorno addietro, adesso non era più così desideroso di morire. D'altronde non lo era sempre. La sola costante in quell'uomo era il desiderio di uccidere. Che accidentalmente includeva anche uccidere sé stesso, piuttosto di frequente. Ci saranno uccisioni a sufficienza per tutti, tra poco, pensò Rand. Per la Luce, gli ultimi sei giorni sono stati sufficienti a disgustare un avvoltoio. Erano passati solo sei giorni? Lui, però, non era toccato da quel disgusto. Non se lo concedeva. Lews Therin non gli rispose. Sì. Era giunto il tempo del ferro. Cuori di ferro. E stomaci di ferro, anche. Rand si piegò un attimo a toccare il lungo oggetto avvolto in un panno e infilato sotto la cinghia della sua staffa. No. Non era ancora il momento. Forse non lo sarebbe stato mai. L'incertezza scintillò nel Vuoto, e forse c'era qualcos'altro. Rand sperava che non arrivasse mai il momento di usare quell'oggetto. Incertezza, sì, ma l'altra cosa non era paura. No! Metà delle basse colline tutto intorno erano coperte da alberi di ulivo bassi e nodosi chiazzati dalla luce del sole, tra i quali cavalcavano i lancieri per assicurarsi che non ci fosse nessuno. Non c'erano tracce della presenza di agricoltori tra quei frutteti, nessuna fattoria, nessuna struttura di alcun tipo in vista. Qualche chilometro a ovest le colline erano più scure, boscose. Giù in basso, le fila dei Legionari entrarono di corsa nella visuale di Rand, già schierati e seguiti dal quadrato irregolare dei volontari illianesi, ora arruolati nella Legione. Non appena ebbero formato i ranghi, si spostarono tutti a passo di marcia per far spazio a Difensori e Compagni. Il terreno sembrava per lo più fatto di argilla, e stivali e zoccoli scivolavano allo stesso modo sul sottile strato di fango. Cosa strana, però, c'erano poche nuvole, bianche e leggere. Il sole era una sbiadita sfera gialla. E in cielo non c'era nessuna creatura più grande di un passero. Dashiva e Flinn erano tra gli uomini che tenevano aperti i passaggi, e con loro c'erano anche Adley e Hopwil, Morr e Narishma. Alcuni di quei portali erano fuori dalla visuale di Rand, al di là delle colline. Voleva che tutti li varcassero quanto prima possibile, e a eccezione di una manciata di Soldati che tenevano d'occhio i cieli, ogni uomo in giubba nera che non era in esplorazione aveva l'incarico di tenere la tessitura di un passaggio. Anche Gedwyn e Rochaid, per quanto avessero accolto l'ordine guardandosi a
vicenda e poi girandosi verso Rand con una smorfia. Forse non erano più abituati a dover fare una cosa tanto ordinaria come tenere aperto un passaggio perché altri lo potessero usare. Bashere risalì il pendio al piccolo galoppo, tranquillo in groppa al suo piccolo baio. Il mantello gli svolazzava dietro malgrado il freddo del mattino, non intenso come sulle montagne ma comunque invernale. Salutò Anaiyella e Ailil con un distratto cenno del capo, e loro ricambiarono con sguardi duri. Bashere sorrise sotto i folti baffi simili a corni ricurvi, un sorriso non del tutto piacevole. Sospettava delle due donne almeno quanto Rand. Loro ne erano al corrente, quanto meno delle riserve di Bashere. Distogliendo rapidamente lo sguardo dal Saldeano, Anaiyella tornò a carezzare il manto del suo castrone; Ailil stringeva le redini con eccessiva rigidità. Le due nobili non si erano più allontanate da Rand sin dal giorno dell'incidente sul crinale, e la notte precedente avevano persino fatto erigere le loro tende vicino alla sua. Sull'erba marrone del fianco di una collina di fronte a quella dove si trovava Rand, Denharad cambiò posizione mentre studiava gli armigeri delle due nobili, schierati insieme alle sue spalle, poi tornò rapidamente a osservare Rand. Con ogni probabilità voleva tenere d'occhio Ailil, e forse Anaiyella, ma senza dubbio il suo sguardo era rivolto anche a Rand. Questi non sapeva se avevano ancora paura di essere accusati della sua morte o semplicemente volevano assistervi. Era sicuro di una cosa sola: se lo volevano morto, avrebbe fatto di tutto per non accontentarli. Chi conosce il cuore di una donna? Lews Therin ridacchiò beffardo. Sembrava in uno dei suoi momenti di maggiore sanità mentale. Di solito le donne lasciano tranquillamente passare un'offesa per la quale un uomo ti ucciderebbe, e ti uccidono per motivi che un uomo lascerebbe tranquillamente passare. Rand lo ignorò. L'ultimo passaggio in vista si chiuse. Gli Asha'man in sella ai loro cavalli erano troppo lontani per poter capire se erano ancora in contatto con saidin, ma non contava finché lui continuava a esserne pieno. Il goffo Dashiva provò a salire rapidamente in sella e quasi cadde due volte prima di riuscirci. Quasi tutti gli uomini in giubba nera ancora visibili cominciarono a cavalcare verso nord o sud. Gli altri nobili si raccolsero velocemente con Bashere sul pendio poco al di sotto di Rand, quelli più potenti e di rango più elevato raggiunsero le posizioni frontali dopo qualche lieve spintone per risolvere i casi di incerta
precedenza. Tihera e Marcolin tennero i loro cavalli sulle frange, ai lati opposti della massa di nobili, i volti cautamente inespressivi; potevano sentirsi richiedere un parere, ma sapevano che le decisioni finali spettavano agli altri. Weiramon aprì bocca con fare pomposo, senza dubbio per lanciarsi in un'altra magniloquente perorazione sulla gloria di seguire il Drago Rinato. Sunamon e Torean, abituati ai suoi discorsi e abbastanza potenti da non dovergli mostrare troppo rispetto, fecero avvicinare uno all'altro i loro cavalli e cominciarono a parlare sommessamente. Il volto di Sunamon mostrava un'insolita durezza, e Torean sembrava un contadino pronto a bisticciare per una linea di confine tra due campi, nonostante le strisce di raso rosso sulle maniche della giubba. Bertome con la sua mascella quadrata e alcuni altri Cairhienesi non erano affatto sommessi, si raccontavano storielle e ridevano. Nessuno ne poteva più delle grandiose dichiarazioni di Weiramon. Tuttavia, lo sguardo di Semaradrid si faceva più cupo ogni volta che si posava su Ailil e Anaiyella - non gli piaceva il fatto che fossero rimaste vicino a Rand, soprattutto la sua conterranea quindi forse la sua amarezza aveva altre radici oltre alla verbosità del Tarenese. «A circa quindici chilometri da qui,» disse Rand a voce alta «almeno cinquantamila uomini si stanno preparando a marciare.» Lo sapevano già, ma quella dichiarazione attirò su di lui ogni sguardo e zittì ogni discorso. Weiramon chiuse di scatto la bocca; quell'uomo era davvero innamorato della propria voce. Gueyam e Maraconn, lisciandosi le barbe oliate, sorrisero con anticipazione; idioti. Semaradrid aveva l'aria di chi ha appena mangiato una ciotola intera di prugne marce; Gregorin e i tre lord del Consiglio dei Nove che erano insieme a lui avevano un'espressione di cupa determinazione. Loro non erano idioti. «Gli esploratori non hanno visto segni della presenza di sul'dam o damane,» proseguì Rand «ma anche senza di loro e nonostante i nostri Asha'man, il nemico è abbastanza numeroso da uccidere molti di noi se qualcuno di voi dimentica il piano di attacco. Ma nessuno lo dimenticherà, ne sono sicuro.» Niente cariche senza aver ricevuto ordini, questa volta. Con un discorso duro come la pietra, aveva fatto in modo che fosse chiaro come il sole. E nessuno doveva attaccare perché credeva di aver visto chissà cosa. Weiramon sorrise, riuscendo a sembrare in tutto e per tutto untuoso come Sunamon. Il piano era semplice, a suo modo. Avrebbero proseguito verso ovest in cinque colonne, ognuna con i suoi Asha'man, per provare ad abbattersi sui
Seanchan da tutti i lati contemporaneamente. I piani semplici erano i migliori, come aveva insistito a dire Bashere. 'Se proprio non ti accontenti di un'intera portata di grassi maialini,' aveva mormorato il maresciallo generale 'e devi per forza correre tra i boschi alla ricerca della vecchia scrofa, allora non usare strategie troppo complesse o lei ti sventrerà.' Nessun piano di battaglia sopravvive al primo contatto col nemico, disse Lews Therin nella testa di Rand. Per un attimo, parve ancora lucido. Per un attimo. C'è qualcosa di sbagliato, ringhiò all'improvviso. La voce crebbe d'intensità, ed esplose in una folle e incredula risata. Non può esserci nulla di sbagliato, eppure c'è. Qualcosa di strano, qualcosa di sbagliato, che sbanda, salta, si contorce. Le risate stridule si trasformarono in pianto. Non è possibile! Devo essere pazzo! Poi Lews Therin svanì prima ancora che Rand potesse zittirlo. Che fosse folgorato, non c'era niente di sbagliato in quel piano, altrimenti Bashere ci si sarebbe avventato come un'anatra su uno scarafaggio. Lews Therin era senza dubbio pazzo. Ma finché Rand al'Thor restava sano di mente... Che bello scherzo per il mondo, se il Drago Rinato fosse impazzito prima ancora che l'Ultima Battaglia avesse inizio. «Ai vostri posti» ordinò Rand, facendo cenno con lo Scettro del Drago. Dovette sforzarsi per non ridere di quello scherzo. Il grosso gruppo di nobili si separò al suo comando, assumendo le dovute formazioni con mormorii e un po' di agitazione. In pochi avevano gradito il modo in cui Rand li aveva divisi. Anche se le barriere tra di loro erano cadute dopo lo stupore della prima notte tra le montagne, erano state rialzate quasi immediatamente. Weiramon era accigliato per l'orazione che non aveva potuto fare, ma dopo un elaborato inchino nel quale puntò la barba aguzza su Rand come una lancia, cavalcò verso nord seguito da Kiril Drapaneos, Bertome, Doressin e alcuni lord minori di Cairhien, tutti col volto di pietra perché un Tarenese era stato messo davanti a loro. Gedwyn galoppava al fianco di Weiramon quasi fosse lui al comando, e fingeva di ignorare le occhiatacce del Sommo Signore. Gli altri gruppi erano altrettanto eterogenei. Anche Gregorin si avviò verso nord, con un imbronciato Sunamon che cercava di fingere di aver preso per caso la stessa direzione, e Dalthanes li seguì accompagnato anche lui da lord minori cairhienesi. Jeordwyn Semaris, un altro dei Nove, seguì Bashere a sud insieme a Gueyam e Amondrid. Loro tre avevano accettato la guida del Saldeano quasi con gioia per il semplice fatto che non si trattava, a turno, di un Tarenese, un Illianese o un Cairhiene-
se. Rochaid cercava di riproporre con Bashere la stessa scena che Gedwyn aveva fatto con Weiramon, ma il maresciallo generale non gli prestava alcuna attenzione. Poco distante dal gruppo di Bashere, Torean e Maraconn cavalcavano uno vicino all'altro, con ogni probabilità per dilungarsi su quanto fossero scontenti di dover seguire Semaradrid. Quanto a ciò, Ershin Netari continuava a lanciare occhiate verso Jeordwyn, e si alzava sulle staffe per girarsi indietro e guardare Gregorin e Kiril, anche se era difficile che riuscisse ancora a vederli una volta superate le colline. Semaradrid, la schiena dritta come un bastone di ferro, sembrava imperturbabile come Bashere. La divisione dei gruppi seguiva lo stesso criterio che Rand aveva usato sin dall'inizio. Si fidava di Bashere, e credeva di potersi fidare di Gregorin, e gli altri non potevano nemmeno pensare di tradirlo visto che erano circondati da così tanti stranieri, tanti vecchi nemici e pochi nuovi amici. Rand rise piano, guardandoli dalla sua collina mentre cavalcavano via. Avrebbero combattuto per lui, e avrebbero combattuto bene, perche non avevano alternative. Non più di quante ne avesse lui. Follia, sibilò Lews Therin. Rand spinse via con rabbia quella voce. Non era solo, ovviamente. Tihera e Marcolin avevano disposto quasi tutti i ranghi di Difensori e Compagni tra gli alberi di ulivo sulle colline ai lati dell'altura dove Rand aspettava in sella a Tai'daishar. Gli altri erano schierati come schermo in caso di un attacco a sorpresa. Una compagnia di Legionari in giubba blu attendeva paziente nella conca sotto lo sguardo di Masond, e in coda c'era un gruppo di uomini altrettanto numeroso le cui armi e armature erano le stesse che avevano quando si erano arresi in quella brughiera illianese. Cercavano di emulare la calma dei Legionari - ora loro commilitoni - ma con scarso successo. Rand lanciò uno sguardo ad Ailil e Anaiyella. La Tarenese gli rivolse un sorriso ammiccante, che tuttavia vacillò leggermente. La Cairhienese aveva in viso un'espressione glaciale. Rand non poteva dimenticarsi di quelle due, o di Denharad coi loro armigeri. La colonna di Denharad occupava la posizione centrale ed era un po' più numerosa e forte delle altre. Appena un po'. Flinn e gli uomini che Rand aveva scelto dopo i Pozzi di Dumai stavano risalendo la collina verso di lui. Il vecchio quasi calvo era come sempre al comando, anche se tutti tranne Adley e Narishma ora portavano la spilla col drago oltre a quella con la spada, e Dashiva l'aveva conquistata per primo. In parte Flinn comandava perché i più giovani lo rispettavano per la
lunga esperienza di portabandiera nella Guardia della regina dell'Andor. E in parte perché Dashiva non sembrava interessato al ruolo di capo. Pareva solo divertito dagli altri. Quando non era troppo impegnato a parlare da solo, ovviamente. Il più delle volte, si sarebbe detto che non vedeva quasi nulla al di là del proprio naso. Per questi motivi, fu piuttosto sbalorditivo vederlo spronare goffamente il suo magro cavallo per portarsi avanti agli altri. Il volto semplice, così spesso vacuo o perso in misteriosi pensieri, era fissato in un cipiglio di preoccupazione. E la sorpresa fu anche maggiore quando Dashiva afferrò saidin appena ebbe raggiunto Rand e intessé intorno a loro due una barriera contro l'ascolto esterno. Lews Therin non sprecò fiato - ammesso che una voce incorporea avesse fiato - con mormorii sulle uccisioni: scattò verso la Fonte ringhiando suoni inarticolati e cercò di strappare a Rand il controllo del Potere. Poi, altrettanto bruscamente, si zittì e scomparve. «C'è qualcosa di anormale in saidin qui, qualcosa di sbagliato» disse Dashiva, e non sembrava affatto vago. In effetti pareva piuttosto... preciso. E irascibile. Un insegnante che dava lezioni a un allievo particolarmente lento. Puntò persino un dito contro Rand. «Non so di che si tratta. Niente può distorcere saidin, e se anche fosse possibile avremmo dovuto percepirlo anche sulle montagne. Be', in effetti c'era qualcosa, ieri, ma così lieve... Qui, invece, lo sento chiaramente. Saidin è... bramoso. Lo so, lo so che saidin non è un essere vivente. Ma qui... pulsa. È difficile da controllare.» Rand si costrinse ad allentare la presa sullo Scettro del Drago. Era da sempre sicuro che Dashiva fosse pazzo quasi quanto Lews Therin stesso. Ma di solito manteneva un certo controllo, per quanto precario. «Io incanalo da prima di te, Dashiva. Stai semplicemente diventando più consapevole della contaminazione.» Non riuscì a addolcire la propria voce. Per la Luce, lui non poteva impazzire, ma nemmeno loro! «Torna al tuo posto. Stiamo per partire.» Gli esploratori sarebbero tornati tra poco. Anche in quel territorio più pianeggiante, e nonostante l'ordine di non coprire distanze maggiori del loro campo visivo, non ci avrebbero messo molto a percorrere quindici chilometri, Viaggiando. Dashiva non accennò neppure a obbedire. Aprì invece bocca con rabbia, poi la richiuse di scatto. Tremando visibilmente, trasse un profondo respiro. «Lo so benissimo da quanto tempo incanali,» disse con voce glaciale e quasi sprezzante «ma di sicuro puoi avvertirlo anche tu. Provaci, accidenti! Non mi piace la parola 'strano' applicata a saidin, e non voglio morire o... o veder bruciare la mia capacità di incanalare solo perché tu sei cieco! Guar-
da la mia barriera! Guardala!» Rand sgranò gli occhi. Che Dashiva si fosse fatto avanti era abbastanza strano, ma che addirittura si mostrasse furioso... E poi Rand guardò la barriera. La guardò davvero. I flussi avrebbero dovuto essere saldi come i fili in un telo ben tessuto. Invece vibravano. La barriera era solida come doveva essere, ma i singoli flussi di Potere tremolavano. Morr aveva detto che saidin era strano a Ebou Dar e per un centocinquanta chilometri tutto intorno. E adesso loro erano a meno di centocinquanta chilometri dalla città. Rand si concentrò nella percezione di saidin. Era sempre consapevole del Potere - non esserlo significava morire o peggio - eppure si era ormai abituato alla lotta. Combatteva per la sua vita, ma la lotta era diventata naturale come la vita stessa. La lotta era la vita. Si concentrò nella percezione di quella lotta, della sua vita. Un freddo tale da sbriciolare la pietra. Un fuoco così ardente che poteva farla evaporare. Una lordura in confronto alla quale un pozzo nero marcito era un giardino pieno di fiori. E... una pulsazione, come se qualcosa si stesse dibattendo nella sua mano. Non era come il battito che aveva sentito a Shadar Logoth, quando la contaminazione di saidin aveva echeggiato la malvagità di quel luogo facendo vibrare saidin stesso. Adesso la contaminazione era sempre forte, ma stabile. Era saidin stesso che pareva pieno di correnti e ondate. 'Bramoso', aveva detto Dashiva, e adesso Rand capiva perché. Giù dal pendio, dietro Flinn, Morr si grattava la testa guardandosi nervosamente intorno. Flinn cambiava di continuo posizione sulla sella e allentava la spada nel fodero. Narishma, che aveva il compito di controllare l'arrivo nel cielo di quelle creature volanti, sbatteva le palpebre troppo di frequente. Un muscolo guizzava sulla guancia di Adley. Tutti mostravano qualche segno di nervosismo, e non c'era di che stupirsi. Rand si sentì inondare dal sollievo. Non erano ancora impazziti, dopo tutto. Dashiva sorrise, un sorriso storto e compiaciuto. «Non capisco come hai fatto a non accorgertene prima.» Nel suo tono c'era qualcosa di molto simile alla derisione. «Sei aggrappato a saidin praticamente giorno e notte da quando abbiamo cominciato questa folle spedizione. Questa è una semplice barriera, ma all'inizio non voleva formarsi, poi l'ha fatto all'improvviso, come sfuggendomi di mano.» Lo squarcio bianco e azzurro di un passaggio ruotò in cima a una delle colline spoglie, meno di un chilometro a ovest, e ne uscì un Soldato con al seguito un cavallo che montò in tutta fretta. Era tornato un esploratore. Anche a quella distanza, Rand riuscì a distinguere il debole tremolio delle
tessiture intorno al passaggio prima che svanissero. L'uomo a cavallo non aveva ancora raggiunto il fondo della collina quando un altro passaggio si aprì sulla cresta, e poi un terzo, un quarto e altri ancora, uno dopo l'altro, giusto il tempo per chi arrivava di togliersi di mezzo e fare spazio per l'apertura del prossimo portale. «Ma si è formata» disse Rand. E lo stesso valeva per i passaggi degli esploratori. «È vero, saidin è difficile da controllare, ma è sempre così, e in ogni caso continua a fare ciò che desideri.» Ma perché lì era più difficile? Una domanda per un altro momento. Per la Luce, quanto avrebbe voluto che Herid Fel fosse ancora vivo; forse il vecchio filosofo avrebbe saputo rispondere. «Torna con gli altri, Dashiva» comandò, ma l'altro si limitò a fissarlo stupito, e solo dopo che lui ebbe ripetuto l'ordine Dashiva lasciò svanire la barriera, fece girare di scatto il cavallo e, senza nemmeno salutare Rand, spronò la bestia e ridiscese il pendio. «Problemi, mio lord Drago?» chiese Anaiyella con fare lezioso. Ailil si limitò a guardarlo con occhi vuoti. Quando videro i primi esploratori che tornavano da Rand, gli altri si aprirono a ventaglio verso nord e verso sud, dove si sarebbero uniti alle altre colonne. Rintracciarle nel modo tradizionale sarebbe stato molto più rapido che aprendo passaggi qua e là. Dopo aver fatto fermare il cavallo davanti a Rand, Nalaam si batté un pugno sul torace - aveva forse gli occhi un po' sgranati? Non era importante. Saidin continuava a fare ciò che desiderava chi lo intesseva. Nalaam salutò e fece rapporto. I Seanchan non erano più accampati a quindici chilometri da lì, si trovavano a circa otto chilometri e marciavano verso est. E avevano decine di sul'dam e damane. Rand impartì i suoi ordini mentre Nalaam galoppava via, e la sua colonna cominciò a muoversi verso ovest. I Difensori e i Compagni cavalcavano sui due fianchi. I Legionari marciavano in coda, subito dopo Denharad. Erano un promemoria per le due nobili e i loro armigeri, in caso fosse necessario. Di sicuro Anaiyella si girava indietro abbastanza spesso, e Ailil si tratteneva palesemente per non imitarla. Rand costituiva la punta d'attacco della colonna, Rand, Flinn e gli altri, e lo stesso era per tutte le altre colonne. Gli Asha'man per colpire, e i soldati per guardar loro le spalle mentre uccidevano il nemico. Il sole doveva ancora viaggiare molto per arrivare al picco di mezzogiorno. Niente era cambiato abbastanza da dover modificare il piano. La pazzia aspetta per alcuni, sussurrò Lews Therin. E striscia addosso ad altri.
Miraj cavalcava quasi in testa alla sua colonna in cammino verso est lungo una strada fangosa che serpeggiava tra oliveti collinari e macchie boschive. Non in testa. Un intero reggimento, costituito per lo più da Seanchan, lo separava dagli esploratori dell'avanguardia. Aveva conosciuto generali che volevano cavalcare sempre in prima linea. Erano quasi tutti morti. E quasi tutti avevano perso le battaglie in cui erano morti. Il fango teneva già la polvere, ma su qualsiasi terreno le notizie di un esercito in movimento si diffondevano come un incendio incontrollato nella Piana di Sa'las. Qua e là tra gli ulivi Miraj intravide una carriola capovolta o un gancio per la potatura abbandonato, ma gli agricoltori erano da tempo spariti. Con un po' di fortuna, avrebbero evitato anche l'esercito nemico, oltre che il suo. Con un po' di fortuna, senza i raken, il nemico si sarebbe accorto troppo tardi che lui gli era ormai addosso. Ma a Kennar Miraj non piaceva fare affidamento sulla fortuna. Oltre ai sottufficiali pronti a fornire mappe o a copiare gli ordini e ai messaggeri pronti a trasportarli, insieme a Miraj cavalcavano solo Abaldar Yulan, abbastanza basso da far sembrare immenso il suo castrone bruno in realtà piuttosto ordinario, un uomo coraggioso, con le unghie dei mignoli dipinte di verde e un parrucchino nero per celare la calvizie, e Lisaine Jarath, una donna dai capelli grigi che veniva da Seandar stessa e aveva un volto pallido e paffuto e occhi azzurri che erano il ritratto della serenità. Yulan non era calmo; il Capitano dell'Aria di Miraj aveva spesso un'espressione più scura della giubba che indossava, contrariato dalle regole che di rado ormai gli permettevano di stringere le redini di un raken, ma quel giorno il suo cipiglio era ancora più torvo. Il cielo era limpido, il clima perfetto per i raken, ma per ordine di Suroth nessun volatore avrebbe volato, non lì. C'erano troppo pochi raken con gli Hailene per metterli a repentaglio quando non era necessario. Ma Miraj era più preoccupato per la calma di Lisaine. Oltre a essere la più anziana der'sul'dam sotto il suo comando, era un'amica con la quale aveva condiviso più di una tazza di kaf e più di una partita a sassolini. Era una donna vivace, che traboccava sempre di entusiasmo e gioia. E adesso mostrava una calma glaciale, era silenziosa come tutte le altre sul'dam che lui aveva provato a interrogare. Nel suo solo spazio visivo c'erano venti damane che fiancheggiavano la cavalleria, ognuna a piedi accanto alla sella della sua sul'dam. Le sul'dam ondeggiavano in groppa ai loro cavalli, si piegavano a poggiare una mano sulla testa di una damane e si raddrizzavano solo per poi tornare a carez-
zarla. A Miraj le damane sembravano abbastanza stabili, ma era evidente che le sul'dam erano tese come la corda di un arco. E l'esuberante Lisaine cavalcava silenziosa come una pietra. Più avanti apparì un torm che correva verso la colonna. Lontano e di lato, sul limitare dei frutteti, ma lo stesso i cavalli nitrirono e scalpitarono quando la creatura dalle scaglie di bronzo li superò con la sua rapida andatura sinuosa. Un torm ben addestrato non attaccava i cavalli - almeno finché la frenesia assassina non aveva la meglio, ragion per cui i torm erano inutili in battaglia - ma i cavalli addestrati a restare calmi in presenza di un torm erano rari come i torm stessi. Miraj mandò un ossuto sottotenente chiamato Varek a prendere il rapporto di esplorazione del morat'torm. A piedi, e che la Luce folgorasse Varek se credeva di aver perso sei'taer. Miraj non era disposto a sprecar tempo per fargli imparare a controllare una delle bestie prese in quelle terre. Varek tornò correndo ancor più veloce di quando era andato e fece un rigido inchino, cominciando a parlare prima ancora di essersi raddrizzato del tutto. «Il nemico è a meno di otto chilometri a est, signor capitano generale, e marcia nella nostra direzione. È disposto in cinque colonne, posizionate una a circa un chilometro e mezzo dall'altra.» Alla faccia della fortuna. Ma Miraj aveva già provato a chiedersi come avrebbe attaccato quarantamila soldati guidandone solo cinquemila, più cinquanta damane. Subito i suoi uomini si lanciarono al galoppo con l'ordine di schierarsi in modo da contrastare una manovra di accerchiamento, e i reggimenti alle sue spalle cominciarono a deviare verso i boschi, accompagnati dalle sul'dam a cavallo con le loro damane. Mentre si stringeva nel mantello contro un'improvvisa raffica di vento freddo, Miraj notò una cosa che lo raggelò ancora di più. Anche Lisaine stava osservando le sul'dam che svanivano tra gli alberi. E aveva cominciato a sudare. Bertome cavalcava con naturalezza, lasciando che il vento gli facesse sventolare di lato il mantello, ma osservava la campagna boscosa più avanti con malcelata intensità. Dei quattro connazionali che lo seguivano, solo Doressin aveva un reale talento nel Gioco delle Casate. Weiramon, quello stupido cane tarenese, era un'idiota. Bertome guardò la schiena di quel pomposo buffone. Weiramon cavalcava molto più avanti degli altri ed era
immerso in una conversazione con Gedwyn, e se c'era bisogno di altre prove a sostegno dell'ipotesi che il Tarenese avrebbe sorriso anche al vomito di una capra, bastava vedere come tollerava la presenza di quel giovane mostro dagli occhi di fuoco. Bertome si rese conto che Kiril gli stava lanciando occhiate furtive e guidò il suo grigio lontano da quell'uomo così alto. Non aveva particolari rancori verso l'Illianese, ma odiava gli uomini che torreggiavano su di lui. Non vedeva l'ora di tornare a Cairhien, dove non sarebbe più stato circondato da tutti quei goffi giganti. Kiril Drapaneos non era un'idiota, però, nonostante l'altezza spropositata. Anche lui aveva inviato una decina di esploratori in avanscoperta. Weiramon ne aveva mandato uno solo. «Doressin,» disse piano Bertome, poi, a voce un po' più alta: «Doressin, specie di scorfano!» L'uomo ossuto sobbalzò in sella. Come Bertome, e come gli altri tre, si era rasato e incipriato la parte anteriore della testa; la tendenza a seguire gli usi dei soldati era diventata piuttosto di moda. Doressin avrebbe dovuto rispondere dandogli del rospo, come facevano sin da ragazzi, ma invece spronò il castrone per farlo affiancare a quello di Bertome e si sporse verso di lui. Era preoccupato, e lo dava a vedere, la fronte era segnata da solchi profondi. «Ti rendi conto che il lord Drago ha intenzione di farci morire?» sussurrò, guardando la colonna che si snodava alle loro spalle. «Fuoco e sangue, io ho solo dato udienza a Colavaere qualche volta, ma è da quando lui l'ha uccisa che so di essere un uomo morto.» Per un attimo, Bertome osservò la colonna di armigeri che si snodava tra le colline ondulate. Gli alberi lì erano radi rispetto al terreno più avanti, ma erano comunque sufficienti a nascondere un nemico finché non lanciava l'attacco. L'ultimo oliveto era un chilometro e mezzo più indietro. Gli uomini di Weiramon cavalcavano in testa, ovviamente, con quelle ridicole giubbe dalle maniche rigonfie a strisce bianche, seguiti dagli Illianesi di Kiril con abbastanza verde e rosso da far vergognare un Calderaio. La sua gente, invece, decentemente vestita di blu sotto i pettorali, era ancora fuori dalla sua visuale, insieme ai soldati di Doressin e degli altri, più avanti solo della compagnia di Legionari. Weiramon era parso sorpreso di vedere che la fanteria teneva il passo, anche se aveva stabilito un'andatura tutt'altro che sostenuta. In realtà, Bertome non stava guardando davvero gli armigeri. Sette uomini cavalcavano davanti anche a Weiramon, sette uomini con il volto duro e gli occhi freddi e letali, tutti con addosso la giubba nera. Uno aveva
una spilla a forma di spada d'argento sull'alto colletto. «Un modo complicato per ottenere la nostra morte» rispose seccamente Bertome a Doressin. «E dubito che al'Thor avrebbe mandato quei tizi con noi, se voleva solo usarci come carne da macello.» Con la fronte ancora corrugata, Doressin aprì di nuovo bocca, ma Bertome disse: «Devo parlare col Tarenese.» Gli dispiaceva vedere il suo amico d'infanzia in quello stato. Al'Thor lo aveva sconvolto. Assorti nella loro conversazione, Weiramon e Gedwyn non sentirono arrivare Bertome. Gedwyn giocherellava distrattamente con le redini e aveva in volto un'espressione di freddo disprezzo. Il Tarenese era paonazzo. «Non mi importa chi sei,» disse all'uomo in giubba nera con una voce bassa e dura, sputacchiando: «non correrò altri rischi senza un ordine che viene direttamente dalle labbra del...» A un tratto i due si accorsero di Bertome, e Weiramon chiuse di scatto la bocca. Guardò Bertome come se volesse ucciderlo. L'onnipresente sorriso dell'Asha'man sparì. Il vento era freddo e tagliente ora che le nuvole stavano passando davanti al sole, ma mai quanto l'improvviso sguardo torvo di Gedwyn. Con lieve stupore, Bertome si rese conto che anche l'Asha'man avrebbe voluto farlo fuori in quello stesso istante. La glaciale espressione assassina di Gedwyn non cambiò, ma il volto di Weiramon subì un'impressionante trasformazione. Il rosso che lo colorava sbiadì lentamente, sostituito da un sorriso repentino, un sorriso untuoso con appena una traccia di beffarda condiscendenza. «Ho pensato molto a te, Bertome» disse il Sommo Signore in tono caloroso. «È un peccato che al'Thor abbia strangolato tua cugina. A mani nude, ho sentito dire. Sinceramente, sono rimasto sorpreso quando hai risposto alla sua chiamata. Ho visto come ti guarda. Temo che per te abbia in mente qualcosa di più... interessante... che lasciarti a battere i piedi sul pavimento mentre ti stringe le dita intorno alla gola.» Bertome trattenne un sospiro, e non solo per la rozzezza di quell'idiota. Molti credevano di poterlo manipolare con la morte di Colavaere. Era stata la sua cugina preferita, ma aveva nutrito un'irragionevole ambizione. La casata Saighan aveva una buona posizione per tentare l'ascesa al Trono del Sole, ma Colavaere non avrebbe potuto resistere contro i Riatin o i Damodred, men che mai contro le due casate insieme, non senza l'aperto sostegno della Torre Bianca o del Drago Rinato. Ma era stata comunque la sua preferita. Cosa voleva Weiramon? Di sicuro non quello che sembrava volere. Nemmeno quello zotico tarenese poteva essere così ingenuo.
Prima che Bertome riuscisse a formulare una qualsiasi risposta, un cavaliere uscì al galoppo dagli alberi più avanti e si diresse verso di loro. Un Cairhienese, e quando tirò bruscamente le redini per fermare il cavallo, che si sedette sulle zampe posteriori, Bertome riconobbe uno dei suoi armigeri, un uomo con qualche dente mancate e cicatrici da ustione su entrambe le guance. Doile, gli pareva si chiamasse. Dal palazzo di Colchaine. «Mio signore Bertome» ansimò il soldato, inchinandosi velocemente. «Ci sono duemila Tarabonesi alle mie calcagna. E hanno con sé delle donne! Coi fulmini sui vestiti!» «Alle sue calcagna» mormorò sprezzante Weiramon. «Vedremo cosa avrà da dire il mio esploratore quanto tornerà. Per adesso non vedo nessun...» Le grida improvvise che si levarono più avanti lo interruppero, subito seguite dal tuonare degli zoccoli dei cavalli, e poi apparvero i lancieri al galoppo, una carica che si allargava tra gli alberi. Diretta contro Bertome e gli altri. Weiramon rise. «Uccidi chi vuoi, ovunque vuoi, Gedwyn» disse, estraendo la spada con uno svolazzo. «Io ho i miei metodi e li uso, tutto qua!» Galoppò verso i suoi armigeri, e agitò in alto la spada urlando «Per Saniago! Per Saniago e la gloria!» Non fu una sorpresa se non aggiunse un grido per la sua patria a quelli per la sua casata e per il suo più grande amore. Spronando il cavallo per andare nella stessa direzione, anche Bertome chiamò a gran voce: «Per Saighan e Cairhien!» Al momento non c'era alcun bisogno di agitare la spada. «Per Saighan e Cairhien!» A cosa aveva mirato Weiramon con quel discorso su Colavaere? Il tuono rombò, e Bertome guardò perplesso il cielo. C'erano un po' più di nuvole rispetto a prima. No; Doile - o Dalyn? - aveva menzionato quelle donne. E poi Bertome dimenticò tutte le preoccupazioni sul discorso di quello stupido Tarenese quando i Tarabonesi col velo d'acciaio si riversarono sulle colline boscose verso di lui, dal terreno sbocciò il fuoco e dal cielo piovvero i fulmini. «Per Saighan e Cairhien!» gridò. Si alzò il vento. I cavalieri si scontrarono tra gli alberi e il pesante sottobosco, dove le ombre erano più scure. La luce sembrava indebolita, forse le nuvole si addensavano nel cielo, ma era difficile dirlo con il fitto tetto vegetale della foresta. Le esplosioni ruggenti quasi coprivano il clangore dell'acciaio, le
grida degli uomini e gli acuti nitriti dei cavalli. A volte il terreno tremava. A volte il nemico lanciava le sue urla di battaglia. «Per Den Lushenos! Per Den Lushenos e le Api!» «Per Annallin! Attaccate per Annallin!» «Per Haellin! Per Haellin! Per il Sommo Signore Sunamon!» Quest'ultima frase fu l'unica che Varek riuscì in qualche modo a capire, anche se a parer suo tutti i nobili del posto che si facevano chiamare Sommo Signore o Somma Signora non si meritavano neppure l'occasione di prestare il Giuramento. Disincagliò con uno strattone la spada che aveva affondato nell'ascella del suo avversario, appena al di sopra del pettorale, e lasciò cadere quell'uomo piccolo e pallido. Un pericoloso combattente, finché non aveva commesso l'errore di sollevare troppo in alto la sua arma. Il baio di quell'uomo fuggì attraverso il sottobosco, e Varek si concesse un momento di rimpianto. Il cavallo sembrava molto migliore del pomellato dalle zampe bianche che lui era costretto a cavalcare. Fu solo un momento, poi Varek riprese a scrutare tra i fitti alberi, dove sembrava che da alcuni rami penzolassero viticci e da quasi tutti pendessero grumi di una qualche pianta grigia dall'aspetto piumoso. I rumori della battaglia venivano da ogni direzione, ma sulle prime lui non riuscì a vedere nessun movimento. Poi una decina di lancieri Altarani apparvero a cinquanta passi, facevano camminare i cavalli e si guardavano nervosamente intorno, anche se il modo in cui parlavano a voce alta tra di loro giustificava pienamente le linee rosse incrociate che portavano sui pettorali. Varek raccolse le redini, con l'idea di mettersi alla guida di quei soldati. Una scorta, anche composta da quell'indisciplinata marmaglia, poteva essere decisiva per aiutarlo a consegnare al generale di bandiera Chianmai il messaggio urgente che portava. Strisce di nero saettarono dagli alberi, svuotando le selle degli Altarani. I cavalli scattarono in ogni direzione, e rimasero solo una decina di cadaveri sparsi sull'umido tappeto di foglie morte, tutti con almeno un quadrello di balestra ficcato in corpo. Niente si muoveva. Varek rabbrividì, per quanto cercasse di evitarlo. Quei fanti in giubba blu erano sembrati un facile bersaglio, all'inizio, visto che non avevano picche dietro le quali trincerarsi, ma non uscivano mai allo scoperto, si nascondevano tra gli alberi e nelle fosse del terreno. Ma c'era di peggio. Dopo aver preso parte alla frenetica ritirata verso le navi, a Falme, Varek era convinto di aver visto quanto di peggio c'era da vedere: la disfatta dell'Esercito Sempre Vittorioso. Meno di
mezz'ora addietro, però, aveva visto cento Tarabonesi affrontare un solo uomo in giubba nera. Cento lancieri contro uno, e i Tarabonesi erano stati fatti a pezzi. Letteralmente fatti a pezzi, uomini e cavalli che esplodevano uno dopo l'altro in rapida successione; il massacro era continuato anche dopo che i Tarabonesi si erano dati alla fuga, era andato avanti finché l'ultimo di quei lancieri era rimasto visibile. Forse morire a quel modo non era in realtà peggio di quando ti esplodeva il terreno sotto i piedi, ma almeno le damane lasciavano qualcosa da seppellire. L'ultimo uomo col quale era riuscito a parlare in quei boschi, un veterano brizzolato, un Seanchan alla guida di cento picchieri dell'Amadicia, gli aveva dato le indicazioni per raggiungere Chianmai. Davanti a sé, Varek individuò dei cavalli legati agli alberi, e gli uomini a piedi. Forse avrebbero potuto dargli altre indicazioni. E lui avrebbe ricambiato con una bella strigliata per come se ne stavano lì impassibili, mentre intorno infuriava la battaglia. Quando andò da loro, si dimenticò della sfuriata. Aveva trovato quello che cercava, anche se non era quello che voleva trovare. Una decina di cadaveri bruciati erano stesi in fila. Uno, il volto dalla pelle ambrata ancora intatto, era Chianmai. I sopravvissuti erano tutti stranieri, genti di Tarabon, Amadicia e Altara. Alcuni di loro erano feriti. La sola Seanchan era una sul'dam dal volto teso che consolava una damane in lacrime. «Che è successo qui?» domandò Varek. Gli Asha'man non gli parevano tipi da lasciare dei superstiti. Forse la sul'dam aveva avuto la meglio. «Follia, mio signore.» Un grosso Tarabonese spinse via l'uomo che gli stava spalmando un unguento sulle ustioni del braccio sinistro. La manica era bruciata fino al pettorale, eppure nonostante le bruciature l'energumeno non faceva neppure una smorfia. Il suo velo in maglia d'acciaio pendeva da un angolo dell'elmo conico con la piuma rossa, lasciando scoperto un volto duro con folti baffi grigi che quasi nascondevano la bocca, e lo sguardo era abbastanza diretto da risultare oltraggioso. «Un gruppo di Illianesi, ci sono piombati addosso senza che ce ne accorgessimo. All'inizio andava tutto bene. Non c'era nessun giubbanera con loro. Lord Chianmai, lui ci ha guidati con coraggio, e la... la donna... ha incanalato i fulmini. Poi, proprio quando gli Illianesi si sono dati alla fuga, i fulmini, i fulmini hanno colpito anche noi.» Si interruppe con uno sguardo significativo rivolto alla sul'dam. Lei scattò subito in piedi, agitò la mano libera chiusa in un pugno e avanzò impetuosa contro il Tarabonese tendendo al massimo il guinzaglio
attaccato al polso dell'altra mano. La sua damane giaceva a terra e piangeva. «Non voglio sentire nemmeno una parola contro Zakai da questo cane! Lei è una brava damane! Una brava damane!» Varek fece un gesto rassicurante verso la donna. Aveva visto sul'dam che facevano ululare di dolore le damane disobbedienti, e in rare occasioni le aveva viste storpiare quelle più recalcitranti, ma quasi tutte avrebbero reagito con rabbia persino contro uno del Sangue, se avesse denigrato una delle loro favorite. Quel Tarabonese non era del Sangue e, a giudicare dall'aspetto, la tremante sul'dam era pronta a ucciderlo. Se quell'uomo avesse espresso chiaramente la ridicola accusa che aveva solo insinuato, Varek credeva che la sul'dam l'avrebbe ammazzato lì su due piedi. «Le preghiere per i morti devono attendere» disse bruscamente. Quello che stava per fare poteva anche consegnarlo nelle mani dei Cercatori, ma lì non era rimasto in vita neppure un Seanchan, a parte la sul'dam. «Adesso assumo io il comando. Dobbiamo abbandonare gli scontri e andare a sud.» «Abbandonare gli scontri!» abbaiò il Tarabonese dalle spalle larghe. «Ci vorranno giorni per abbandonare gli scontri! Gli Illianesi combattono come tassi messi in un angolo, e i Cairhienesi come furetti chiusi in una scatola. I Tarenesi, loro non sono duri come avevo sentito, ma magari c'è una decina di questi Asha'man, no? Non so più nemmeno dove sono finiti tre quarti dei miei uomini, in questo lupanare!» Incoraggiati dal suo esempio, anche gli altri cominciarono a protestare. Varek li ignorò. Ed evitò di chiedere cosa fosse un 'lupanare'; guardando l'intrico della boscaglia tutto intorno, sentendo il clamore della battaglia, i boati delle esplosioni e il crepitare dei fulmini, poteva immaginarlo. «Raccogli i tuoi uomini e comincia la ritirata» disse ad alta voce, interrompendo le loro chiacchiere. «Non troppo in fretta, muovetevi all'unisono.» Gli ordini che Miraj aveva dato a Chianmai dicevano 'alla massima velocità' Varek li aveva imparati a memoria, in caso succedesse qualcosa alla copia che portava nelle bisacce da sella - ma agendo 'alla massima velocità' adesso si sarebbero lasciati indietro metà degli uomini, per la gioia del nemico che li avrebbe maciullati. «Forza! Ricorda che combattete per l'Imperatrice, che possa vivere in eterno!» L'ultima frase era di quelle che si dicevano alle reclute fresche di leva, eppure quegli uomini scattarono come se li avesse colpiti col frustino. Dopo una serie di inchini rapidi e profondi, con le mani sulle ginocchia, quasi volarono verso i cavalli. Strano. Adesso a lui toccava trovare le unità seanchan. Alla guida di una di queste ci sarebbe di sicuro stato qualcuno con
un grado superiore al suo, e Varek avrebbe potuto passargli la responsabilità. La sul'dam era in ginocchio e carezzava i capelli della damane ancora in lacrime e le cantava una melodia in tono sommesso. «Cerca di calmarla» le disse Varek. Alla massima velocità. E gli era anche parso di vedere una nota di ansia nello sguardo di Miraj. Cosa poteva rendere ansioso Kennar Miraj? «Credo che a sud dipenderemo da voi sul'dam.» Ora, cosa c'era in quella frase per giustificare l'improvviso pallore della donna? Bashere era appena dietro il limitare del bosco, accigliato per quello che vedeva attraverso la visiera dell'elmo. Il suo baio gli toccò una spalla con il muso. Bashere teneva chiuso il mantello contro il vento. Ma per evitare che si muovesse e attirasse l'attenzione, non per il freddo che pure gli mordeva le carni. A confronto coi venti della Saldea, quella sembrava una brezza primaverile, ma i mesi passati in quelle terre meridionali lo avevano rammollito. Il sole, lucente tra le nuvole grigie che scorrevano veloci, non era ancora arrivato al picco di mezzogiorno. E si trovava davanti a lui. Si poteva cominciare una battaglia rivolti verso ovest, ma non era detto che la si finisse in quella stessa direzione. Di fronte a lui si stendeva un ampio pascolo dove greggi di capre bianche e nere brucavano l'erba marrone con gran naturalezza, come se tutto intorno a loro non stesse imperversando la battaglia. Anche se lì non ce n'erano segni. Per il momento. Un uomo rischiava di essere fatto a pezzi attraversando quel prato. E tra gli alberi, che si trattasse di una foresta, un oliveto o un boschetto, non sempre si riusciva a vedere il nemico prima di ritrovarselo addosso, nonostante gli esploratori. «Se dobbiamo attraversare,» mormorò Gueyam, passandosi la grande mano sulla testa calva «allora facciamolo. In nome della Luce, stiamo perdendo tempo.» Amondrid chiuse di scatto la bocca; probabilmente il Cairhienese dalla faccia simile a una luna piena stava per dire più o meno la stessa cosa. Ma avrebbe appoggiato le parole di un Tarenese quando i cavalli avessero cominciato ad arrampicarsi sugli alberi. Jeordwyn Semaris sbuffò. Quell'uomo avrebbe dovuto farsi crescere la barba per nascondere la sua mascella così aguzza. Lo faceva somigliare al cuneo di un boscaiolo. «Io dico di fare il giro» mormorò. «Ho già perso abbastanza uomini per colpa di quelle damane maledette dalla Luce e...» Lasciò a metà la frase, con uno sguardo nervoso verso Rochaid. Il giovane Asha'man se ne stava in disparte, con un'espressione tirata, e
passava le dita sulla spilla del drago che aveva sul colletto. Forse chiedendosi se ne valeva davvero la pena, a giudicare dal suo aspetto. Non aveva più quella sua aria saccente, era solo torvo e preoccupato. Tirando Rapido per le redini, Bashere andò verso l'Asha'man e si allontanò dagli altri insieme a lui. Dovette spingerlo. Rochaid si accigliò, e andò con riluttanza. Era abbastanza alto da torreggiare su Bashere, ma per il Saldeano questo non aveva nessuna importanza. «Posso contare sulla tua gente la prossima volta?» chiese, tirandosi un baffo per l'irritazione. «Senza ritardi?» Rochaid e gli altri parevano diventare sempre più lenti a reagire ogni volta che si trovavano contro le damane. «So quello che faccio, Bashere» ruggì il ragazzo. «Non ne stiamo uccidendo abbastanza, secondo te? Da quello che posso vedere, ce l'abbiamo quasi fatta!» Il maresciallo generale annuì lentamente. Non per quell'ultima frase. C'erano ancora tanti soldati nemici, quasi dappertutto se uno si sforzava di guardare bene. Ma era vero che ne erano morti un bel po'. Bashere aveva adattato i suoi spostamenti in base a quello che aveva studiato sulle Guerre Trolloc, in cui le forze della Luce erano raramente alla pari con quelle del nemico. Colpire ai fianchi e fuggire. Colpire le retrovie e fuggire. Colpire e fuggire, e quando il nemico si lanciava all'inseguimento, raggiungere il terreno scelto sin da prima, dove i legionari erano schierati con le balestre, per poi girarsi e attaccare finché non arrivava il momento di ricominciare a fuggire. O finché il nemico non si disperdeva. E già solo in quel giorno, Bashere aveva fatto disperdere Tarabonesi, soldati dell'Amadicia e dell'Altara e i Seanchan con le loro strane armature. Aveva visto più nemici morti che in qualsiasi altro scontro sin dalla Neve di Sangue. Ma se lui aveva gli Asha'man, dall'altra parte c'erano le damane. Un buon terzo dei suoi Saldeani giacevano morti lungo i chilometri che lui si era lasciato alle spalle. Complessivamente, erano morti quasi metà degli uomini sotto il suo comando, e lì fuori c'erano ancora altri Seanchan con le loro donne maledette, e Tarabonesi, Altarani e Amadiciani. Continuavano ad arrivare, non appena lui aveva finito con un plotone nemico ne arrivava un altro. E gli Asha'man cominciavano a... esitare. Dopo esser balzato in sella a Rapido, Bashere tornò da Jeordwyn e gli altri. «Facciamo il giro» ordinò, ignorando allo stesso modo il cenno di assenso di Jeordwyn e gli sguardi torvi di Gueyam e Amondrid. «Triplicate il numero degli esploratori. Voglio tenere un passo serrato, ma preferisco
non inciampare in una damane.» Nessuno rise. Rochaid aveva raccolto intorno a sé gli altri cinque Asha'man, uno solo dei quali portava la spada d'argento appuntata sul collare. Quel mattino ce n'erano anche altri due senza nessuna spilla, ma se gli Asha'man sapevano come uccidere, lo sapevano anche le damane. Rochaid agitava le braccia con rabbia, sembrava stesse discutendo coi suoi uomini. Il ragazzo era paonazzo, gli altri cocciutamente inespressivi. Bashere sperava solo che Rochaid riuscisse a non farli disertare. Quel giorno era già stato abbastanza arduo, non c'era bisogno di aggiungere il pericolo di uomini del genere che vagavano incontrollati. Cadeva una pioggia leggera. Rand guardava accigliato le dense nuvole nere che si raccoglievano nel cielo, cominciando già a oscurare un sole pallido ormai a metà strada nella sua discesa verso l'orizzonte. Per il momento la pioggia era leggera, ma si sarebbe ingrossata proprio come quelle nuvole! Irritato, Rand tornò a studiare il territorio davanti a sé. La Corona di Spade gli punzecchiava le tempie. Con il Potere a riempirlo, vedeva quella zona chiaramente come se fosse una mappa. Più o meno. Le colline cominciavano ad abbassarsi, alcune coperte di boschetti o alberi di ulivo, altre di erba o solo di pietra e sterpaglie. Ebbe l'impressione che qualcosa si muovesse sul limitare di un bosco ceduo, poi di nuovo tra gli alberi di un oliveto su un'altra collina a un chilometro e mezzo da quel bosco. Ma un'impressione non era sufficiente. I chilometri di terreno alle sue spalle erano cosparsi di morti, di nemici morti. Anche donne, lo sapeva, ma si era tenuto lontano dai cadaveri di sul'dam e damane, si era rifiutato di vedere i loro volti. Quasi tutti pensavano che fosse per odio verso chi aveva ucciso così tanti dei suoi seguaci. Tai'daishar fece qualche passo sulla cima della collina prima che Rand lo fermasse con un deciso movimento delle redini e stringendogli le ginocchia sui fianchi. Bella cosa se una damane individuava i suoi movimenti. I pochi alberi all'intorno non potevano nascondere granché. Rand si rese vagamente conto che non ne conosceva neppure uno. Tai'daishar scrollò il capo. Rand infilò lo Scettro del Drago nelle bisacce da sella, ne fuoriusciva solo l'impugnatura istoriata, per tenere entrambe le mani libere e poter meglio controllare il castrone. Poteva togliere la stanchezza al cavallo con saidin, ma non era capace di costringerlo a obbedire con il Potere. Non capiva come Tai'daishar avesse ancora energie. Lui era pieno di saidin, se lo sentiva ribollire dentro, ma il suo corpo - che percepiva come
distante da sé - gli pareva pronto ad accasciarsi esausto. In parte era dovuto alla grande quantità di Potere che aveva maneggiato nel corso della giornata. In parte alla lotta per spingere saidin a fare quello che lui voleva. Saidin doveva sempre essere conquistato, costretto, ma mai era stato così resistente. Le ferite parzialmente guarite e incurabili che aveva sul fianco sinistro erano un'agonia, quella più vecchia sembrava una trivella che cercava di perforare la superficie del Vuoto, la più recente un incendio di fiamme crudeli. «È stato un incidente, mio lord Drago» disse Adley all'improvviso. «Lo giuro!» «Stai zitto e guarda» gli rispose duramente Rand. Lo sguardo di Adley sprofondò per un attimo sulle redini che teneva tra le mani, poi il ragazzo si tolse dal viso i capelli bagnati e alzò di scatto la testa per obbedire. Quel giorno, lì, controllare saidin era più difficile che mai, ma lasciarselo sfuggire era letale, sempre e ovunque. Adley se l'era lasciato sfuggire, e molti uomini erano stati uccisi da selvagge esplosioni di fuoco, non solo gli Amadiciani ai quali lui aveva mirato, ma anche quasi trenta degli armigeri di Ailil e altrettanti di quelli di Anaiyella. Se non fosse stato per quell'errore, Adley sarebbe stato con Morr, nei boschi un chilometro a sud insieme ai Compagni. Narishma e Hopwil erano con i Difensori, a nord. Rand voleva tenere d'occhio Adley. Si erano verificati altri 'incidenti', senza che lui lo sapesse? Non poteva controllare sempre tutti. Il volto di Flinn era cupo come quello di un vecchio cadavere, e Dashiva, tutt'altro che vago, sembrava sudare per la concentrazione. Continuava a mormorare tra sé, a voce così bassa che Rand non riusciva a sentirlo nonostante il Potere, ma si asciugava continuamente la pioggia dal viso con uno zuppo fazzoletto di lino dai bordi merlettati che col passar del giorno si era fatto sempre più sudicio. Rand non credeva che qualcuno di loro si fosse lasciato sfuggire saidin. In ogni caso, né loro né Adley avevano più afferrato il Potere. Né lo avrebbero afferrato senza un suo ordine. «È finita?» gli chiese da dietro Anaiyella. Senza più curarsi di chi poteva vederlo, Rand fece girare Tai'daishar per poterla guardare. La Tarenese sobbalzò in sella, e il cappuccio del suo mantello riccamente decorato le ricadde sulle spalle. Le guizzò un muscolo in una guancia. Gli occhi sembravano pieni di paura, o di odio. Al suo fianco, Ailil teneva con calma le redini nelle mani coperte dai guanti rossi. «Che altro puoi volere?» chiese la donna più piccola con voce fredda. Una lady che si comportava cortesemente con un servo. A malapena. «Se
le dimensioni di una vittoria si basano sul numero dei nemici morti, credo che la sola giornata di oggi sia sufficiente a far entrare il tuo nome nella storia.» «Ho intenzione di respingere i Seanchan verso il mare!» scattò Rand. Per la Luce, doveva finirli adesso che ne aveva l'occasione! Non poteva combattere contemporaneamente contro i Seanchan, i Reietti e solo la Luce sapeva chi o cos'altro! «L'ho già fatto, e lo rifarò!» Hai il Corno di Valere nascosto in una tasca questa volta?, chiese scaltro Lews Therin. Rand gli ruggì mentalmente contro. «C'è qualcuno più sotto» disse all'improvviso Flinn. «Viene da ovest, e cavalca verso di noi.» Rand fece girare di nuovo il cavallo. I Legionari circondavano i fianchi della collina, anche se erano nascosti così bene che di rado si intravedeva una giubba blu. Nessuno di loro aveva un cavallo. Chi poteva essere il cavaliere che stava arrivando? Il baio di Bashere trottò sul pendio quasi come se fosse un terreno pianeggiante. L'elmo penzolava dalla sella, e il Saldeano sembrava stanco. Senza preamboli, parlò con voce piatta. «Qui abbiamo finito. Parte della capacità di combattere sta nel sapere quando andar via, ed è arrivato il momento. Mi sono lasciato dietro quasi cinquecento morti, e due dei tuoi Soldati come condimento. Ne ho mandati altri tre a cercare Semaradrid, Gregorin e Weiramon e a dirgli di venire subito da te. Dubito che siano in condizioni migliori delle mie. E a quanto ammonta il conto del tuo macellaio?» Rand ignorò la domanda. I suoi morti superavano quelli di Bashere per quasi duecento unità. «Non avevi diritto di mandare ordini agli altri. Finché resteranno vivi cinque o sei Asha'man - finché resterò vivo io! - la nostra forza è sufficiente! Ho intenzione di trovare ciò che resta dell'esercito seanchan e distruggerlo, Bashere. Non permetterò che aggiungano l'Altara a Tarabon e Amadicia.» Bashere si passò le nocche sui folti baffi con una risata beffarda. «Li vuoi trovare. Guarda laggiù.» Indicò con una mano guantata le colline a ovest. «Non so indicarti il punto in particolare, ma ci sono dieci, forse quindicimila soldati nemici abbastanza vicini da poterli vedere, se non ci fossero quegli alberi. Ho dovuto danzare con il Tenebroso per arrivare da te senza che mi scoprissero. Ci saranno un centinaio di damane. Forse di più. E di sicuro ne stanno arrivando altre, insieme ad altri soldati. A quanto pare il loro generale ha deciso di concentrarsi su di te. Immagino che esse-
re un ta'veren non sia sempre rose e fiori...» «Se sono lì...» Rand scrutò le colline. La pioggia era diventata più forte. Dove aveva visto quei movimenti prima? Per la Luce, quanto era stanco. Saidin continuava a martellarlo. E lui, senza rendersene conto, sfiorò l'involto infilato sotto la cinghia della staffa. La mano scattò via, come muovendosi da sola. Diecimila, forse persino quindicimila... Quando fosse arrivato Semaradrid, e Gregorin, e Weiramon... Cosa ancor più importante, quando fossero arrivati gli Asha'man rimasti in vita... «Se sono lì, è lì che li distruggerò, Bashere. Lì colpirò da ogni lato, come avevamo pianificato all'inizio.» Accigliato, il maresciallo generale fece avvicinare il cavallo fin quasi a sfiorare le ginocchia di Rand con le sue. Flinn si allontanò, ma Adley era troppo concentrato a guardare attraverso la pioggia per accorgersi di quello che succedeva così vicino, e Dashiva, che continuava ad asciugarsi senza sosta il viso, fissava con aperto interesse. Bashere abbassò la voce a un mormorio. «Non stai ragionando. Quello era un buon piano, all'inizio, ma il loro generale pensa in fretta. Ha fatto allargare i suoi uomini per vanificare i nostri attacchi e impedirci di accerchiarlo. Gli abbiamo comunque inflitto grandi perdite, a quanto pare, e adesso lui sta rimettendo insieme le forze. Non lo coglierai di sorpresa. Lui vuole che tu gli vada contro. È lì che ti aspetta. Con o senza gli Asha'man, se andiamo faccia a faccia con quel tizio temo che gli avvoltoi ingrasseranno e nessuno tornerà a casa.» «Nessuno sta faccia a faccia col Drago Rinato» ruggì Rand. «Persino i Reietti potrebbero dirlo a questo generale, chiunque egli sia. Ho ragione, Flinn? Dashiva?» Flinn annuì incerto. Dashiva trasalì. «Credi che non lo possa cogliere di sorpresa, Bashere? Guarda!» Liberò l'involto dalla cinghia e strappò via il panno che lo avvolgeva, poi ascoltò gli uomini sussultare quando le gocce di pioggia si riflessero su una spada che pareva fatta di cristallo. La spada che non è una spada. «Vediamo se Callandor nelle mani del Drago Rinato può coglierlo di sorpresa, Bashere.» Con la spada trasparente poggiata nella piega di un braccio, Rand fece avanzare Tai'daishar di qualche passo. Non ce n'era motivo. Non aveva guadagnato una visuale migliore. Solo che... Qualcosa si stendeva come una ragnatela sulla superficie esterna del Vuoto, una tremolante ragnatela nera. Rand aveva paura. L'ultima volta che aveva usato Callandor, che l'aveva usata davvero, aveva cercato di riportare in vita i morti. Si era sentito sicuro di poter fare qualsiasi cosa, all'epoca, qualsiasi cosa. Come i pazzi che pensano di poter volare. Ma lui era il Drago Rinato. Poteva davvero
fare qualsiasi cosa. Non lo aveva dimostrato più e più volte? Si protese verso la Fonte attraverso la spada che non è una spada. Saidin parve balzare in Callandor prima ancora che lui avesse tempo di toccare la Fonte. Dal pomello dell'elsa alla punta della lama, la spada di cristallo si accese di una luce bianca. Prima Rand si sbagliava quando aveva creduto di essere pieno di Potere. Adesso ne conteneva più di quanto potessero maneggiarne senza supporto dieci uomini, cento uomini; non sapeva nemmeno quanti. I fuochi del sole; che gli incendiavano la testa. Il freddo di tutti gli inverni di tutte le Epoche, che gli mangiavano il cuore. In quel torrente, la contaminazione era come tutte le fosse nere del mondo riversate nella sua anima. Saidin cercava ancora di ucciderlo, di sfuggirgli, di bruciarlo, di raggelarlo, di eliminare ogni suo frammento, ma Rand combatteva, e visse per un altro istante, e poi un altro, e un altro ancora. Gli venne da ridere. Adesso sì che poteva fare qualsiasi cosa. Una volta, brandendo Callandor, aveva creato un'arma capace di trovare la progenie dell'Ombra in tutta la Pietra di Tear, di colpire il nemico e fulminarlo ovunque fosse, ovunque fuggisse. Di sicuro poteva usare qualcosa del genere anche adesso. Ma quando invocò Lews Therin, ebbe in risposta solo dei gemiti angosciati, come se quella voce incorporea temesse il dolore inflitto da saidin. Con Callandor che gli splendeva in mano - non ricordava nemmeno quando se l'era sollevata sopra la testa - Rand fissò le colline dove si nascondevano i suoi nemici. Erano grigie adesso, con la pioggia sempre più forte e le dense nuvole nere che coprivano il sole. Com'era quella frase che aveva detto a Eagan Padros? «Io sono la tempesta» sussurrò - un urlo nelle sue orecchie, un ruggito per poi incanalare. Nel cielo, le nuvole ribollirono. Quelle che erano nere come fuliggine assunsero il colore della mezzanotte più buia. Rand non sapeva cosa stesse incanalando. Succedeva spesso, malgrado gli insegnamenti di Asmodean. Forse Lews Therin lo stava guidando, nonostante quei suoi gemiti. I flussi di saidin si avvolsero nel cielo, Vento e Acqua e Fuoco. Fuoco. Dal cielo piovvero letteralmente fulmini. Cento saette per volta, centinaia di saette per volta, lance biforcute bianche e azzurre che si abbattevano rapide al suolo. Le colline davanti a lui esplosero. Alcune si sgretolarono sotto il torrente di fulmini come formicai presi a calci. Il fuoco si accese nei boschi, alberi trasformati in torce sotto la pioggia, fiamme che correvano tra gli oliveti.
Qualcosa lo colpì forte, e Rand si accorse che stava provando a rialzarsi da terra. La corona gli era caduta dalla testa. Callandor ancora riluceva nella sua mano, tuttavia. Era vagamente consapevole di Tai'daishar che si dibatteva ai suoi piedi, tremante. E così pensavano di contrattaccare, eh? Spingendo in alto Callandor, Rand urlò contro i nemici. «Venite, se avete coraggio! Io sono la tempesta! Vieni, se hai coraggio, Shai'tan! Io sono il Drago Rinato!» Un migliaio di fulmini sfrecciarono sfrigolando dalle nuvole. E di nuovo qualcosa lo fece finire a terra. Rand provò ancora una volta a rialzarsi. Callandor, sempre splendente, giaceva a un passo dalla sua mano protesa. Il cielo era scosso dai fulmini. All'improvviso lui si rese conto che il peso che sentiva addosso era Bashere, e il Saldeano lo stava scuotendo. Doveva essere stato lui a buttarlo giù! «Smettila!» urlò il maresciallo generale. Il sangue gli si apriva a ventaglio sul viso uscendo da una ferita alla testa. «Ci stai uccidendo tutti! Smettila!» Rand si girò, e un'occhiata fu sufficiente a stordirlo. I fulmini divampavano tutto intorno, in ogni direzione. Una saetta si abbatté sul fianco opposto della collina, dove c'erano Denharad e i due gruppi di armigeri, e da lì si levarono le urla degli uomini e i nitriti dei cavalli. Anaiyella e Ailil erano in piedi e cercavano inutilmente di placare le loro due cavalcature, che si impennavano, ruotavano gli occhi e cercavano di liberarsi dalle redini. Flinn era piegato su qualcuno, non lontano da un cavallo morto con le zampe già irrigidite. Rand lasciò andare saidin. Lo lasciò andare, ma per un attimo saidin continuò a fluire in lui, e i fulmini imperversarono. Poi quel flusso diminuì, cessò e scomparve. Al suo posto, arrivò l'ondata delle vertigini. Il cuore gli batté tre volte mentre lui continuava a vedere due Callandor lucenti sul terreno e i fulmini non la smettevano di cadere. Poi calò il silenzio, interrotto solo dal crescente tamburellare della pioggia. E dalle urla che venivano da dietro la collina. Lentamente, Bashere gli si tolse di dosso, e Rand si alzò da solo su gambe malferme, sbattendo le palpebre mentre la vista gli tornava normale. Il Saldeano lo guardava come se avesse davanti un leone rabbioso, e teneva una mano sopra l'elsa della spada. Anaiyella vide Rand di nuovo in piedi e svenne; il suo cavallo fuggì via, con le redini penzolanti. Ailil, che ancora si sforzava di calmare il suo animale imbizzarrito, lanciò a Rand appena qualche occhiata. Lui per il momento lasciò Callandor dove si trovava.
Non era sicuro di avere di coraggio per raccoglierla. Non ancora. Flinn si raddrizzò, scuotendo il capo, poi rimase in silenzio mentre Rand barcollando andava a mettersi accanto a lui. La pioggia cadeva sugli occhi ormai ciechi di Jonan Adley, che sporgevano in una maschera di orrore. Jonan era stato uno dei primi. Le urla da dietro la collina sembravano tagliare in due la pioggia. Quanti altri?, si chiese Rand. Tra i Difensori? Tra i Compagni? Tra... La pioggia spessa come un sipario nascondeva le colline tra le quali era appostato l'esercito dei Seanchan. Li aveva almeno colpiti, con quel suo folle e cieco attacco? O erano ancora tutti lì, in attesa, insieme alle loro damane? In attesa di vedere quanti altri dei suoi seguaci Rand poteva uccidere al posto loro. «Posiziona le guardie che ritieni necessarie» disse Rand a Bashere. La sua voce era di ferro. Uno dei primi. Il suo cuore era di ferro. «Quando arriveranno Gregorin e gli altri, Viaggeremo più in fretta possibile verso il posto dove ci aspettano i carri.» Bashere annuì senza parlare, e andò via sotto la pioggia. Ho perso, pensò debolmente Rand. Sono il Drago Rinato, ma per la prima volta ho perso. All'improvviso Lews Therin gli esplose dentro, lasciando da parte tutte le sue scaltre frecciatine. Io non sono mai stato sconfitto, ruggì. Io sono il Signore del Mattino! Nessuno mi può sconfiggere. Rand si sedette sotto la pioggia, rigirandosi la Corona di Spade tra le mani, guardando Callandor nel fango. E lasciò esplodere la rabbia di Lews Therin. Abaldar Yulan piangeva, lieto per l'acquazzone che nascondeva le sue lacrime. Qualcuno doveva dare l'ordine. Prima o poi, qualcuno avrebbe dovuto scusarsi con l'Imperatrice, che potesse vivere in eterno, e forse con Suroth prima ancora. Ma non era per questo che lui piangeva, e nemmeno per la morte di un commilitone. Strappandosi con forza una manica dalla giubba, la poggiò sugli occhi aperti di Miraj affinché non ci battesse sopra la pioggia. «Inviate l'ordine di ritirata» comandò Yulan, e vide trasalire gli uomini intorno a sé. Per la seconda volta su quelle spiagge, l'Esercito Sempre Vittorioso aveva subito una devastante sconfitta, e Yulan credeva di non essere l'unico a piangere.
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Uno sgradito ritorno Seduta dietro il suo scrittoio dorato, Elaida sfiorava con le dita l'avorio scurito dagli anni di una statuina che rappresentava uno strano uccello col becco lungo quanto tutto il corpo, e intanto ascoltava con un certo divertimento le sei donne in piedi dall'altro lato del tavolo. Le Adunanti delle sei Ajah si guardavano furtivamente in cagnesco, strusciavano i piedi nelle scarpette sul tappeto dai colori accesi che copriva gran parte del pavimento in piastrelle rosso scuro, davano strattoni agli scialli decorati con ricami di viticci facendone danzare la frangia colorata e, in generale, sembravano un gruppetto di stizzose servitrici che avrebbero voluto avere il coraggio di saltare una alla gola dell'altra in presenza della loro padrona. I riquadri di vetro delle finestre erano coperti di brina, così era quasi impossibile vedere la neve che vorticava all'esterno, ma di tanto in tanto si udiva il vento che ululava con gelida rabbia. Elaida si sentiva piuttosto riscaldata, e non solo per i grossi ciocchi di legno che ardevano nel camino di marmo bianco. Che quelle donne lo sapessero o meno - be', Duhara lo sapeva di sicuro, e forse anche qualcun'altra - lei era davvero la loro padrona. L'elaborato orologio coperto d'oro che Cemaile stessa aveva commissionato ticchettava scandendo il tempo. Alla fine, l'antico sogno di Cemaile si sarebbe avverato: la Torre restituita alla sua gloria. E ben salda nelle abili mani di Elaida do Avriny a'Roihan. «Non è mai stato trovato un ter'angreal che possa 'controllare' una donna che incanala» disse Velina con una voce fredda e precisa ma acuta quasi come quella di una ragazzina, una voce che si addiceva ben poco al suo naso adunco come il becco di un'aquila e ai penetranti occhi oblunghi. Era l'Adunante delle Bianche, ed era il perfetto modello di un'Aes Sedai Bianca, in tutto tranne che nel fervore del suo portamento. Il suo semplice e candido vestito sembrava rigido e freddo. «E ne sono stati trovati pochissimi che svolgano la funzione di una donna che incanala. Quindi, secondo logica, se mai si dovesse trovare un ter'angreal del genere, o più d'uno, per quanto la cosa sia improbabile, non potrebbero comunque essercene a sufficienza per controllare più di due o tre donne al massimo. Ne consegue
che i rapporti su questi cosiddetti Seanchan sono largamente esagerati. Non nego che questo popolo abbia preso Ebou Dar, Amador e forse qualche altra città, ma sono chiaramente solo una creazione di al'Thor, forse per spaventare la gente perché si muova in gregge verso di lui. Come quel suo Profeta. È una semplice questione di logica.» «Sono molto lieta che almeno non neghi i fatti di Amador ed Ebou Dar, Velina» disse seccamente Shevan. E sapeva davvero essere secca. Alta come la maggior parte degli uomini, nonché magra come un chiodo, l'Adunante delle Marroni aveva un volto spigoloso con il mento lungo, tutt'altro che abbellito dalla matassa di capelli ricci. Si sistemò lo scialle con dita ossute simili a zampe di ragno, lisciò le gonne di scura seta dorata, e parlò con un pungente tono divertito. «Io sono a disagio quando si tratta di decidere cosa e possibile e cosa no. Per esempio, non molto tempo fa, tutti 'sapevano' che solo uno schermo intessuto da una sorella poteva impedire a un'altra donna di incanalare. Poi arriva una semplice erba, la radice biforcuta, e chiunque ti può offrire un tè che ti lascia assolutamente incapace di incanalare per ore. Utile con le selvatiche indisciplinate o in occasioni del genere, suppongo, ma è stata una piccola e brutta sorpresa per chi credeva di sapere tutto, no? Forse tra un po' qualcuno imparerà di nuovo a costruire i ter'angreal.» Elaida strinse le labbra. Non le interessavano le cose impossibili, e se nessuna sorella era riuscita a recuperare quell'arte in tremila anni di tentativi, allora nessuna l'avrebbe mai fatto, e non c'era altro da aggiungere. La sua rabbia era dovuta alle informazioni che le erano sfuggite di mano mentre lei voleva tenerle segrete. Nonostante tutti i suoi sforzi, ogni singola iniziata della Torre era ormai venuta a sapere della radice biforcuta. E a nessuna di loro la notizia era piaciuta. A nessuna piaceva sapersi improvvisamente vulnerabile contro chiunque conoscesse le erbe e avesse un po' di acqua calda. Quella notizia era peggio del veleno, come era chiaro guardando le Adunanti. Sentendo parlare di quell'erba, i grandi occhi scuri di Duhara si fecero nervosi, e la donna dal volto ramato si irrigidì ancor più del solito, le mani avvinghiate su gonne rosse così scure che parevano quasi nere. Sedore addirittura deglutì, e le dita si strinsero sulla cartella di pelle lavorata che Elaida le aveva consegnato, nonostante la Gialla dal viso rotondo di solito mostrasse una gelida eleganza. Andaya tremava! E si avvolse convulsamente addosso lo scialle dalla frangia grigia. Elaida si chiese cosa avrebbero fatto se avessero appreso che gli A-
sha'man avevano riscoperto come Viaggiare. Già adesso erano a malapena in grado di parlare di quegli uomini. Almeno era riuscita a non far diffondere quella notizia al di fuori di una manciata di sorelle. «Credo faremmo meglio a preoccuparci per le cose che sappiamo essere vere, no?» disse con fermezza Andaya, di nuovo padrona di sé stessa. I capelli castano chiari, spazzolati fino a risplendere, fluivano lungo la schiena e il vestito blu screziato d'argento era tagliato secondo lo stile andorano, ma l'accento di Tarabon era ancora forte nella sua parlata. Pur non essendo particolarmente bassa o magra, a Elaida ricordava sempre un passero sul punto di saltellare su un ramo. Un aspetto poco probabile per una negoziatrice, che però si era guadagnata tutta la fama di cui godeva. Sorrise alle altre, in modo poco piacevole, e anche in quel momento sembrò un passero. Forse era per il modo in cui teneva piegata la testa. «Le ipotesi oziose sono una perdita di tempo. Non ho voglia di sprecare ore preziose cianciando di una presunta logica o chiacchierando su cose che sanno anche gli idioti e le novizie. Qualcuna di voi ha qualcosa di utile da dire?» Le sue parole erano molto più acide del cinguettio di un passero. Velina divenne paonazza, e Shevan si adombrò. Rubinde storse le labbra rivolta alla Grigia. Forse l'aveva inteso come un sorriso, ma non era molto diverso da una smorfia. Con capelli corvini e occhi come zaffiri, la Mayenese sembrava di solito pronta a camminare attraverso un muro di pietra, e in quel momento, con le mani piazzate sui fianchi, pareva pronta a sfondarne due. «Ci siamo occupate dei problemi che per il momento possiamo risolvere, Andaya. Della maggior parte, almeno. Le ribelli sono bloccate nel Murandy dalla neve, e faremo in modo che il loro inverno sia così bollente che a primavera torneranno strisciando, chiederanno scusa e imploreranno una penitenza. Ci prenderemo cura di Tear non appena scopriremo dov'è finito il Sommo Signore Darlin, e di Cairhien quando avremo stanato Caratine Damodred e Toram Riatin dai loro nascondigli. Al'Thor per adesso ha la corona di Illian, ma stiamo lavorando anche su questo. Quindi, a meno che non abbiate un piano per rapire al'Thor e portarlo alla Torre o per far sparire questi cosiddetti Asha'man, preferirei occuparmi degli affari della mia Ajah.» Andaya si raddrizzò, le piume tutte arruffate. Anche Duhara serrò gli occhi: sentir parlare di uomini in grado di incanalare le accendeva sempre un fuoco nella testa. Shevan fece schioccare la lingua come per riprendere delle bambine che bisticciavano - anche se era sembrata contenta di vederlo succedere - e Velina si accigliò, convinta chissà perché che Shevan ce
l'avesse con lei. La situazione era divertente, ma stava andando fuori dai binari. «Gli affari delle Ajah sono importanti, figlie.» Elaida non aveva alzato la voce, ma tutte si girarono nella sua direzione. Lei rimise la statuina d'avorio tra le altre della sua collezione in una grande scatola coperta di rose e volute d'oro, aggiustò con cura la posizione dell'astuccio da scrittura e della scatola per la corrispondenza in modo da allineare sul tavolo tutti e tre i contenitori e, quando il silenzio delle Adunanti fu totale, proseguì: «Gli affari della Torre sono più importanti, però. Sono sicura che metterete prontamente in atto i miei decreti. Vedo troppa accidia nella Torre. Temo che Silviana si ritroverà molto occupata se la situazione non migliora in fretta.» Non pronunciò altre minacce. Si limitò a sorridere. «Come comandi, Madre» mormorarono sei voci, meno ferme di quanto avrebbero voluto le sei donne cui appartenevano. Persino Duhara era pallida in viso quando fece la riverenza insieme alle altre. Già due Adunanti erano state private della loro poltrona, e cinque o sei avevano ricevuto come penitenza diversi giorni di Fatiche - cosa abbastanza umiliante nella loro posizione da essere anche una Mortificazione dello Spirito; Shevan e Sedore di sicuro si adombravano ancora al ricordo fin troppo vivo dei pavimenti strofinati e del lavoro nella lavanderia - ma nessuna era stata mandata da Silviana per la Mortificazione della Carne. E nessuna lo desiderava. La maestra delle novizie riceveva due o tre visite a settimana da sorelle cui era stata assegnata una penitenza dalle loro Ajah o da loro stesse - le cinghiate, per quanto dolorose, erano molto più rapide rispetto al dover rastrellare per un mese i vialetti del giardino - ma Silviana era notevolmente meno compassionevole con le sorelle che con le novizie e le Ammesse di cui si occupava. Più di un'Aes Sedai avrebbe trascorso i prossimi giorni chiedendosi se un mese di rastrello non era poi in fondo preferibile. Le sei donne si affrettarono verso la porta, ansiose di andar via. Adunanti o meno, nessuna avrebbe messo piede così in alto nella Torre senza la diretta convocazione di Elaida. Questa, carezzando la stola a strisce, lasciò che il suo sorriso diventasse compiaciuto. Sì, era la padrona nella Torre Bianca. Ed era solo giusto, trattandosi dell'Amyrlin Seat. Prima che il gruppetto di Adunanti in corsa ebbe raggiunto la porta, il battente di sinistra si aprì ed entrò Alviarin, con la stretta stola bianca da Custode che quasi spariva su un vestito di seta che faceva sembrare sporco quello di Velina. Elaida sentì che il sorriso le si torceva e cominciava a scivolarle via dal
viso. Alviarin aveva un unico foglio di pergamena nella mano affusolata. Strano, quello che si riusciva a notare in momenti del genere. Quella donna era via da quasi due settimane, sparita dalla Torre senza una parola o un biglietto, senza che nessuno la vedesse partire, ed Elaida aveva cominciato a nutrire dolci pensieri di Alviarin stesa in un banco di neve, o spazzata via dalla corrente di un fiume, il corpo alla deriva sotto la superficie gelata. Le sei Adunanti, confuse, si fermarono di scatto quando Alviarin non si spostò per farle passare. Nemmeno una Custode potente come Alviarin poteva sbarrare la strada alle Adunanti. Eppure Velina, di solito la donna più controllata di tutta la Torre, trasalì. Alviarin lanciò una sola, fredda occhiata a Elaida, studiò le Adunanti per un momento, e capì tutto. «Credo che dovresti lasciare quello a me» disse a Sedore con un tono appena più caldo della neve all'esterno. «Come sai, alla Madre piace riflettere con cura sui suoi decreti. Questa non sarebbe la prima volta che cambia idea anche dopo aver apposto la sua firma.» Protese una mano sottile. Sedore, la cui arroganza era notevole anche per le Gialle, esitò appena prima di darle la cartellina di cuoio. Elaida digrignò i denti per la furia. Sedore aveva odiato i cinque giorni passati con le braccia fino ai gomiti nell'acqua calda per strofinare i panni. Elaida avrebbe trovato qualcosa di ancor più sgradevole la prossima volta. Forse l'avrebbe mandata da Silviana, dopo tutto. O magari a pulire le latrine! Alviarin si spostò di lato senza dire una parola, e le Adunanti uscirono sistemandosi lo scialle, mormorando tra loro e riconquistando la dignità del loro ruolo. Alviarin chiuse energicamente la porta alle loro spalle e andò verso Elaida sfogliando le pagine nella cartellina. I decreti che lei aveva firmato sperando che Alviarin fosse morta. Ovviamente non si era limitata a sperare. Non aveva parlato con Seaine, in caso qualcuno potesse vederla e dirlo ad Alviarin al suo ritorno, ma di sicuro Seaine stava lavorando secondo le sue istruzioni, risaliva il percorso del tradimento che senza dubbio l'avrebbe portata ad Alviarin Freidhen. Ma Elaida aveva sperato. Oh, quanto aveva sperato. Alviarin mormorava tra sé mentre frugava nella cartella. «Questo può andare, immagino. Ma questo no. E nemmeno questo. E sicuramente non questo!» Accartocciò un decreto, con la firma e il sigillo dell'Amyrlin Seat, e lo lanciò con spregio sul pavimento. Si fermò accanto alla sedia d'oro di Elaida, con la Fiamma di Tar Valon in pietre di luna in cima all'alto schienale, e sbatté sul tavolo la cartellina e il foglio di pergamena che aveva con
sé. Poi schiaffeggiò il volto di Elaida così forte da farle vedere i puntolini neri. «Credevo che avessimo risolto questa faccenda, Elaida.» La voce di quella donna mostruosa faceva sembrare calda la bufera di neve all'esterno. «So come salvare la Torre dai tuoi errori, e non ti permetterò di farne altri alle mie spalle. Se continui così, stai pur certa che ti farò deporre, quietare e ululare sotto i colpi della frusta davanti a tutte le iniziate e anche alla servitù!» Con uno sforzo, Elaida riuscì a non portarsi una mano sulla guancia colpita. Non aveva bisogno di uno specchio per sapere che era rossa. Doveva fare attenzione. Seaine non aveva trovato ancora nulla, o sarebbe tornata. Alviarin poteva andare davanti al Consiglio e rivelare tutto sul disastroso tentativo di rapimento del giovane al'Thor. Sarebbe bastato quello per farla deporre, quietare e frustare, ma Alviarin aveva un'altra freccia al suo arco. Toveine Gazai era alla guida di cinquanta sorelle e duecento soldati della Guardia della Torre e doveva attaccare una Torre Nera che Elaida, quando aveva dato l'ordine, credeva contenesse non più di due o tre uomini capaci di incanalare. Eppure, malgrado le centinaia di Asha'man - centinaia! Nonostante Alviarin che la guardava freddamente dall'alto in basso, Elaida si sentì annodare lo stomaco al solo pensiero - lei credeva che per Toveine ci fossero ancora speranze. Aveva avuto una Premonizione nella quale la Torre Nera veniva distrutta con fuoco e sangue e le sorelle ne percorrevano il terreno. Di sicuro significava che, in qualche modo, Toveine avrebbe trionfato. Inoltre, il resto di quella Premonizione le aveva detto che la Torre Bianca sarebbe tornata all'antica gloria sotto il suo comando, e che lo stesso al'Thor avrebbe tremato per la sua rabbia. Alviarin aveva sentito le parole uscire fuori dalla sua bocca, quando lei aveva avuto la Premonizione. E poi le aveva dimenticate, quando aveva cominciato a ricattarla, e non si rendeva conto del suo destino. Elaida aspettava, paziente. Avrebbe ripagato quella donna, restituendole ogni sofferenza triplicata! Ma poteva essere paziente. Per ora. Senza curarsi di nascondere una smorfia di derisione, Alviarin spinse la cartella da parte e mise davanti a Elaida quel foglio di pergamena. Aprì di scatto l'astuccio verde e d'oro, intinse la penna di Elaida nell'inchiostro e gliela porse bruscamente. «Firma.» Elaida prese la penna chiedendosi quale follia avrebbe siglato col proprio nome questa volta. Un ulteriore incremento nelle Guardie della Torre, quando le ribelli sarebbero state sistemate prima ancora che i soldati en-
trassero in azione? Un altro tentativo di costringere le Ajah a rendere pubblico il nome delle sorelle che le guidavano? Quello era stato senza dubbio un fallimento! Quando diede una rapida scorsa sentì un nodo di ghiaccio stringerle il ventre per poi continuare a crescere. Dare a ogni Ajah l'autorità definitiva su qualsiasi sorella che si trovava nei suoi quartieri, anche se apparteneva a un'altra Ajah, era stata finora la peggiore follia - com'era possibile salvare la Torre strappando proprio il tessuto di cui era composta - ma questo... *
*
*
Il mondo interno ormai sa che Rand al'Thor è il Drago Rinato. Sa che è un uomo in grado di toccare l'Unico Potere. Gli uomini come lui sono sottoposti all'autorità della Torre Bianca da tempo immemore. Il Drago Rinato ha la protezione delle Torre, ma chiunque provi ad avvicinarlo se non tramite la Torre Bianca sarà accusato di tradimento contro la Luce, e sarà maledetto ora e per sempre. Il mondo intero può riposare tranquillo perché sa che la Torre Bianca guiderà il Drago Rinato fino all'Ultima Battaglia e all'inevitabile trionfo. Automaticamente, senza pensare, Elaida aggiunse 'della Luce' dopo 'trionfo', ma poi la sua mano si bloccò. Riconoscere pubblicamente al'Thor come il Drago Rinato era tollerabile, visto che lo era davvero, e forse avrebbe portato molti ad accettare le dicerie che lo volevano già in ginocchio al suo cospetto, cosa che si sarebbe rivelata utile, ma per il resto era difficile credere che un danno così grande potesse essere contenuto in così poche parole. «Che la Luce abbia pietà» sospirò con fervore. «Se questo editto verrà proclamato, sarà impossibile convincere al'Thor che il suo rapimento non era autorizzato dalla Torre.» Sarebbe stato già abbastanza difficile senza l'editto, ma aveva già visto persone convincersi che eventi concreti e reali non si erano invece mai svolti, persino mentre gli eventi in questione erano ancora in atto. «E lui sarà estremamente in guardia contro un altro tentativo. Alviarin, nel migliore dei casi spaventeremo qualche suo seguace abbastanza da farlo allontanare da lui. Nel migliore dei casi!» Molti probabilmente si erano inabissati talmente insieme al Drago che non osavano neppure tentare da soli il viaggio di ritorno. Soprattutto se credevano di essere ormai già maledetti dalla Torre Bianca! «Tanto vale che dia fuoco alla
Torre con le mie stesse mani se devo firmare questo foglio!» Alviarin sospirò, spazientita. «Non hai dimenticato il tuo catechismo, vero? Ripetilo per me, come te l'ho insegnato.» Le labbra di Elaida si tesero come se fossero dotate di vita propria. Uno dei piaceri dovuti all'assenza di quella donna - non il maggiore, ma comunque molto sentito - era stato non essere più costretta a ripetere ogni giorno quell'odiosa litania. «Farò come mi viene detto» recitò infine, con voce piatta. Ma lei era l'Amyrlin Seat! «Pronuncerò le parole che tu mi dirai di pronunciare, e solo quelle.» La Premonizione voleva il suo trionfo, ma, oh, che la Luce la facesse avverare in fretta! «Firmerò quello che mi dici di firmare, e nient'altro. Io...» Si strozzò su quell'ultima frase. «Io obbedisco alla tua volontà.» «Mi sembra sia necessario ricordarti quanto tutto ciò è vero» disse Alviarin con un altro sospiro. «Suppongo di averti lasciata sola troppo a lungo.» Batté sulla pergamena un dito perentorio. «Firma.» Elaida sospirò, trascinando la penna sul foglio. Non poteva fare altro. Alviarin aspettò a malapena che la punta della penna si sollevasse prima di strappar via l'editto. «Lo sigillerò io stessa» dichiarò andando verso la porta. «Non avrei dovuto lasciare il sigillo dell'Amyrlin in un posto dove potevi trovarlo. Più tardi voglio parlarti. Ti ho decisamente lasciata sola troppo a lungo. Fatti trovare qui quando ritorno.» «Più tardi?» chiese Elaida. «Quando? Alviarin? Alviarin?» La porta si chiuse alle spalle della Custode, ed Elaida rimase sola e fumante di rabbia. Farsi trovare lì al suo ritorno! Confinata nei suoi quartieri come una novizia nelle celle di punizione! Per un po', Elaida restò a sfiorare la sua scatola della corrispondenza, con i falchi d'oro che combattevano tra le nuvole in un cielo azzurro, ma non se la sentiva di aprirla. Senza Alviarin, quella scatola aveva ricominciato a contenere lettere e rapporti importanti, non solo gli avanzi e gli scarti che lei le lasciava, ma ora che la Custode era tornata tanto valeva che fosse vuota. Alzatasi, Elaida cominciò a risistemare le rose nei loro vasi bianchi poggiati su piedistalli di marmo, uno per ogni angolo della stanza. Rose blu, le più rare. E a un tratto si rese conto di star fissando lo stelo di una rosa stretto tra le sue mani, spezzato in due. Un'altra mezza dozzina di fiori punteggiava le piastrelle del pavimento. Elaida fece un gutturale verso di irritazione. Aveva pensato di stringere le mani intorno alla gola di Alviarin. Non era la prima volta che prendeva in considerazione l'idea di uccidere quella donna.
Ma di sicuro Alviarin aveva preso le sue precauzioni. Documenti sigillati, da aprire in caso le accadesse qualcosa di sospetto, erano di sicuro stati lasciati a sorelle la cui identità Elaida non avrebbe mai potuto indovinare. Era stata questa la sua maggiore preoccupazione durante l'assenza di Alviarin, che qualcuna potesse crederla morta e farsi avanti con le prove che avrebbero tolto a lei la stola di Amyrlin. Prima o poi, però, in un modo o nell'altro, Alviarin avrebbe incontrato il suo destino, sicuro come era sicuro che quelle rose erano.... «Non hai risposto alla mia bussata, Madre, così sono entrata» disse rudemente una donna alle sue spalle. Elaida si girò, pronta a sferzare verbalmente la sua ospite, ma quando vide la donna robusta e dal volto squadrato in piedi appena oltre la soglia e con addosso uno scialle dalla frangia rossa, si sentì impallidire. «La Custode ha detto che volevi parlarmi» spiegò Silviana con una certa irritazione. «A proposito di una penitenza privata.» Nemmeno a cospetto dell'Amyrlin si premurò di celare il suo disgusto. Silviana credeva che le penitenze private fossero una ridicola affettazione. La penitenza doveva essere pubblica, solo le punizioni avevano luogo in privato. «Mi ha anche chiesto di ricordarti una cosa, ma è andata via prima di dirmi quale.» Chiuse la frase con uno sbuffo. Qualsiasi cosa la distogliesse dal suo ruolo con Ammesse e novizie era per lei un'inutile perdita di tempo. «Credo di ricordarlo io» rispose fiocamente Elaida. Quando alla fine Silviana se ne andò - dopo appena mezz'ora, a giudicare dai rintocchi dell'orologio di Cemaile, eppure era stata un'eternità senza fine - Elaida non convocò immediatamente una seduta del Consiglio per chiedere che ad Alviarin fosse tolta la stola di Custode solo perché era sicura della sua Premonizione e che Seaine sarebbe riuscita a far risalire il tradimento fino ad Alviarin. E perché sapeva fin troppo bene che nel confronto con il Consiglio Alviarin poteva o meno cadere, mentre lei stessa sarebbe caduta senza alcun dubbio. E così Elaida do Avriny a'Roihan, la Custode dei Sigilli, la Fiamma di Tar Valon, l'Amyrlin Seat, la sovrana più potente al mondo, giaceva a faccia in giù sul suo letto e piangeva a dirotto col viso affondato nei cuscini, troppo dolorante per indossare la biancheria che giaceva sul pavimento, e sapeva con certezza che Alviarin, al suo ritorno, avrebbe insistito perché lei rimanesse seduta per tutta la durata del loro colloquio. Piangeva, e tra le lacrime pregava che la rovina di Alviarin giungesse in fretta.
«Io non ti avevo ordinato di far... picchiare Elaida» disse quella voce dai toni di cristallo. «Ti sei presa delle libertà?» Alviarin, che era in ginocchio, si lanciò distesa sul ventre davanti alla donna che pareva fatta di ombre scure e luci d'argento. Afferrò il bordo della veste di Mesaana e lo inondò di baci. La tessitura di Illusione - doveva essere questo, anche se lei non riusciva a vedere un singolo flusso di saidar, né era in grado di percepire la capacità di incanalare nella donna che ora la sovrastava - non rimase del tutto stabile mentre lei agitava freneticamente quel lembo di gonna. Si intravidero guizzi di seta color bronzo con un bordo sottile di intricate volute di ricami neri. «Vivo per servirti e obbedirti, Grande Padrona» ansimò Alviarin tra un bacio e l'altro. «So che sono tra le più infime creature, un verme al tuo cospetto, e prego solo per un tuo sorriso.» Era già stata punita una volta per essersi 'presa delle libertà' - non per aver disobbedito, grazie al Sommo Signore delle Tenebre! - e sapeva che per quanto forti potevano essere gli ululati che Elaida stava lanciando in quello stesso momento, non lo sarebbero mai stati quanto i suoi. Mesaana lasciò che continuasse a baciarle il vestito per qualche tempo, poi le segnalò di smettere alzandole il viso da sotto il mento con la punta di una scarpina. «L'editto è partito.» Non era una domanda, ma Alviarin si affrettò a rispondere. «Sì, Grande Padrona. Alcune copie erano al Porto di Nord e a quello di Sud prima ancora che io costringessi Elaida a firmare. I primi corrieri sono già in viaggio, e nessun mercante lascerà la città senza qualche copia da distribuire.» Mesaana lo sapeva già, ovviamente. Sapeva tutto. Alviarin avvertì un crampo alla base del collo, piegato in quella scomoda posizione, ma non si mosse. Gliel'avrebbe detto Mesaana, quando poteva farlo. «Grande Padrona, Elaida è un guscio vuoto. In tutta umiltà, non sarebbe meglio agire senza il bisogno di usarla?» Trattenne il respiro. Le domande potevano essere pericolose, con i Prescelti. Un dito d'argento con l'unghia fatta d'ombra batté su labbra anch'esse d'argento e increspate in un sorriso divertito. «Sarebbe meglio se tu indossassi la stola dell'Amyrlin, vero, bambina?» chiese infine Mesaana. «Un'ambizione abbastanza piccola, adatta a una come te, ma tutto a suo tempo. Per adesso, ho un compito da assegnarti. Malgrado tutte le barriere nate tra le Ajah, le donne a capo delle Ajah stesse pare si incontrino tra di loro con sorprendente frequenza. E fanno sembrare che accada per caso. Tutte tranne le Rosse; è un peccato che Galina si sia fatta uccidere, o a-
vrebbe potuto dirci che stanno combinando. Con ogni probabilità si tratta di una sciocchezza, ma voglio che tu scopra perché si mostrano i denti in pubblico e poi parlottano in privato.» «Ascolto e obbedisco, Grande Padrona» rispose prontamente Alviarin, lieta che Mesaana desse poca importanza a quella faccenda. Il grande 'segreto' su chi guidava le Ajah non era tale per lei - ogni sorella Nera aveva l'obbligo di riferire al Consiglio Supremo tutte le voci che giravano all'interno della sua Ajah di copertura - ma tra quelle donne solo Galina era stata una Nera. Questo significava interrogare le sorelle Nere tra le Adunanti, che a sua volta significava superare tutti gli strati tra loro e lei. Ci sarebbe voluto tempo, e il successo era tutt'altro che assicurato. Tranne Ferane Neheran e Suana Dragand, che erano anche alla guida delle loro Ajah, le Adunanti di solito non sapevano neppure cosa pensavano le donne al capo delle loro Ajah, a meno che queste non scegliessero di dirglielo. «Te lo farò sapere non appena lo scopro, Grande Padrona.» Ma tenne per sé una ghiotta informazione. Che fossero o meno questioni importanti, Mesaana non sapeva tutto quello che succedeva nella Torre Bianca. E Alviarin avrebbe tenuto gli occhi aperti in cerca di una sorella con le gonne di bronzo decorate con volute nere lungo il bordo. Mesaana si nascondeva nella Torre, e la conoscenza era potere. 26
Quel passo in più Seaine percorreva a grandi passi i corridoi della Torre con una sensazione di smarrimento che diventava più forte a ogni svolta. La Torre Bianca era molto grande, certo, ma lei era impegnata in quella ricerca da ore. Aveva davvero voglia di tornarsene al calduccio nelle sue stanze. Nonostante tutte le finestre avessero i battenti chiusi, gli ampi corridoi pieni di arazzi erano frustati da raffiche di vento che facevano tremolare la luce delle lampade sui loro alti sostegni. Raffiche fredde e difficili da ignorare quando le si infilavano sotto le gonne. Le sue stanze invece erano calde e comode, e sicure.
Le cameriere e i servitori che si lasciava dietro le facevano inchini e riverenze che lei vedeva solo per metà e ignorava del tutto. Quasi tutte le sorelle erano nei quartieri delle rispettive Ajah, e le poche in giro si muovevano con accortezza e orgoglio, spesso in coppie, sempre della stessa Ajah, lo scialle steso da un gomito all'altro ed esibito come uno stendardo. Seaine sorrise e rivolse un amichevole cenno del capo a Talene, ma la bionda e statuaria Adunante ricambiò con uno sguardo duro, il viso di una statua di ghiaccio, e andò via impettita con uno strattone allo scialle dalla frangia verde. Era troppo tardi ormai per chiedere a Talene di far parte della ricerca, anche se Pevara fosse stata d'accordo. Ma Pevara le aveva consigliato di usare cautela, e in effetti lei era più che disposta a darle retta, viste le circostanze. Solo che Talene era sua amica. O almeno lo era stata. E non era neppure la peggiore. Diverse sorelle tiravano sonoramente su col naso in sua presenza. In presenza di un'Adunante! Nessuna di loro era dell'Ajah Bianca, ovviamente, ma questo non avrebbe dovuto essere importante. Qualsiasi cosa stesse succedendo nella Torre, certi valori andavano rispettati. Juilaine Madome, una donna alta e attraente con corti capelli neri eletta Adunante per le Marroni da meno di un anno, la sfiorò passandole accanto senza nemmeno un mormorio di scuse e se ne andò per la sua strada con quella sua camminata da uomo. Saerin Asnobar, un'altra Adunante delle Marroni, rivolse a Seaine una torva occhiata e sfiorò il pugnale ricurvo che portava sempre dietro la cintura prima di scomparire in un corridoio laterale. Saerin era dell'Altara, con leggere spruzzate di bianco sui capelli scuri che enfatizzavano la sottile cicatrice bianca sbiadita dal tempo su una guancia olivastra, e solo un Custode poteva paragonarsi a lei quanto a occhiate torve. Forse Seaine avrebbe dovuto aspettarsi questo tipo di reazioni. Di recente c'erano stati diversi sfortunati incidenti, e nessuna sorella era disposta a dimenticare facilmente di essere stata cacciata via senza cerimonie dai corridoi dei quartieri di un'altra Ajah. E questa non era neppure la cosa peggiore che poteva capitare. Secondo le dicerie diffuse nella Torre, un'Adunante - un'Adunante, anche se non si sapeva chi - si era vista rovinare ben più che la sola dignità dalle Rosse. Era un vero peccato che il Consiglio non potesse ostacolare il folle decreto di Elaida, ma una per volta le Ajah si erano avventate sulle loro nuove prerogative, poche Adunanti erano disposte a rinunciare a quelle acquisite una volta elette, e il risultato era una Torre divisa quasi in una serie di fazioni armate. Un tempo le pareva che
l'aria che tirava nella Torre fosse come una tremolante, calda gelatina densa di sospetti e ripicche; adesso era una tremolante, calda gelatina densa di sospetti e acidi attacchi. Facendo schioccare la lingua per il nervosismo, si sistemò lo scialle dalla frangia bianca mentre Saerin spariva nel corridoio laterale. Era illogico trasalire per lo sguardo torvo di un'Altarana - nemmeno Saerin sarebbe andata oltre, certo che no - e ancor più illogico era preoccuparsi per cose che non poteva cambiare mentre aveva un compito da svolgere. E poi, dopo tutte le ricerche del mattino, fece un singolo passo e vide la sua ambita preda che andava verso di lei. Zerah Dacan era una ragazza magra dai capelli neri e il portamento fiero, dovutamente controllata e palesemente non toccata dalle torride correnti che da qualche giorno attraversavano la Torre. Be', non era proprio una ragazza, ma Seaine era sicura che non indossasse lo scialle dalla frangia bianca da più di cinquant'anni. Era inesperta. Relativamente inesperta. E questo poteva essere utile. Zerah non fece nulla per evitare un'Adunante della sua stessa Ajah, e chinò il capo in segno di rispetto quando Seaine le si affiancò. Un complesso ricamo d'oro piuttosto abbondante si arrampicava sulle maniche del suo candido vestito e disegnava un'ampia fascia lungo il bordo della gonna. Un'insolita esibizione di eleganza, da parte di una Bianca. «Adunante» mormorò. Nei suoi occhi c'era forse una lieve ansia? «Ho bisogno di te per una cosa» le disse Seaine con più calma di quanta in realtà ne sentisse. Con ogni probabilità aveva proiettato i propri sentimenti negli occhi di Zerah. «Vieni con me.» Non c'era nulla da temere, non nel cuore della Torre Bianca, ma Seaine dovette fare un grande sforzo per tenere le mani conserte in vita senza stringerle troppo. Come aveva immaginato - e sperato - Zerah la seguì con appena un altro mormorio, questa volta di acquiescenza. Veleggiò al suo fianco con una certa grazia mentre scendevano l'ampia scalinata di marmo e le larghe rampe ricurve, e si limitò ad accigliarsi lievemente quando Seaine aprì una porta al pianterreno che dava su una stretta scala a chiocciola che si tuffava nell'oscurità. «Dopo di te, sorella» disse Seaine, incanalando una piccola sfera di luce. Secondo il protocollo, sarebbe dovuta andare lei per prima, ma non era riuscita a farlo. Zerah scese senza esitare. Logicamente, non aveva niente da temere da un'Adunante, un'Adunante delle Bianche. Logicamente, Seaine poteva dirle cosa voleva da lei al momento opportuno, e non si sarebbe trattato di
niente di straordinario. Illogicamente, lo stomaco di Seaine si agitava come un'immensa farfalla. Per la Luce, lei era piena di saidar, mentre l'altra donna no. E, in ogni caso Zerah era più debole. Non c'era niente da temere. Ma questo non era sufficiente a calmare le ali che le frullavano nel ventre. Scesero, sempre più giù, superando porte che davano su seminterrati e sotterranei, finché non raggiunsero il piano più basso, più basso persino di quello in cui si svolgevano gli esami delle Ammesse. Il corridoio buio era illuminato solo dalla piccola sfera di Seaine. Le due donne tennero alte le gonne, ma per quanto cautamente camminassero, con le scarpine alzavano piccole nuvole di polvere. Lungo le lisce pareti di pietra erano allineate semplici porte di legno, molte delle quali avevano grandi grumi di ruggine al posto di cardini e serrature. «Adunante,» chiamò Zerah, mostrando infine qualche dubbio «cosa mai possiamo fare quaggiù? Credo che non ci venga più nessuno da anni ormai.» Seaine sapeva per certo che la sua visita di qualche giorno addietro a quel piano sotterraneo era stata la prima nell'ultimo secolo circa. Questo era uno dei motivi per cui Pevara aveva scelto quel posto. «Da questa parte» si limitò a dire lei, aprendo una porta che si mosse con appena un lieve cigolio. Per quanto olio ci avessero versato non erano riuscite a eliminare tutta la ruggine, e i tentativi di usare il Potere erano stati inutili. Lei era più abile di Pevara con Terra, ma questo voleva dire ben poco. Zerah entrò, e sbatté le palpebre per la sorpresa. In una stanza per il resto vuota, Pevara sedeva dietro un tavolo massiccio anche se consumato, con tre piccole panche sistemate intorno. Portare quei pochi mobili fin laggiù era stato difficile - soprattutto visto che non potevano fidarsi dei servitori. Togliere la polvere era stato meno faticoso anche se non più piacevole, e cancellare le loro tracce nella polvere lungo il corridoio all'esterno, cosa necessaria dopo ogni visita, era stato semplicemente oneroso. «Non ne potevo più di starmene qui seduta al buio» ringhiò Pevara. Fu circondata dal bagliore di saidar quando prese una lanterna da sotto il tavolo e incanalò per accenderla, e la stanza dalle pareti in pietra nuda si illuminò di una luce fioca adatta al magazzino che un tempo era stata. Piuttosto paffuta e di solito graziosa, l'Adunante delle Rosse sembrava un orso con due denti cariati. «Vogliamo farti un paio di domande, Zerah.» Mentre Seaine chiudeva la porta, lei schermò l'altra donna. Zerah, il volto ancora nell'ombra, rimase esteriormente calma, ma deglutì sonoramente. «A che proposito, Adunanti?» C'era anche un lieve tremo-
re nella sua voce. Ma poteva essere dovuto anche solo all'atmosfera generale della Torre. «L'Ajah Nera» rispose seccamente Pevara. «Vogliamo sapere se sei un'Amica delle Tenebre.» Stupore e oltraggio mandarono in frantumi la calma di Zerah. Per molti quello sarebbe stata una risposta sufficiente anche se lei non fosse scattata dicendo: «Non sono costretta ad accettare un'accusa del genere da te! Voi Rosse create falsi Draghi da anni! Se lo vuoi sapere, non credo che ci sia bisogno di andare oltre i quartieri delle Rosse per trovare le sorelle Nere!» Il volto di Pevara si scurì per la furia. La sua fedeltà verso l'Ajah Rossa era forte, non c'era neppure bisogno di dirlo, ma, cosa peggiore, aveva perso la sua intera famiglia per mano degli Amici delle Tenebre. Seaine decise di intervenire prima che Pevara ricorresse alla forza bruta. Non avevano prove. Non ancora. «Siediti, Zerah» disse con tutto il calore umano che riuscì a mettere insieme. «Siediti, sorella.» Zerah si girò verso la porta come se potesse disobbedire all'ordine di un'Adunante - un'Adunante della sua stessa Ajah! - ma alla fine si sistemò su una delle panche, rigidamente, sedendosi sul bordo. Prima ancora che Seaine prendesse posto in modo di mettere Zerah tra di loro, Pevara poggiò il Bastone dei Giuramenti d'avorio bianco sul malconcio ripiano del tavolo. Seaine sospirò. Erano Adunanti, e avevano ogni diritto di usare qualsiasi ter'angreal volessero, ma era stata lei a sgraffignare il Bastone dei Giuramenti - proprio non riusciva a illudersi che non si era trattato di un furto, visto che non aveva osservato le dovute procedure - e mentre l'aveva fatto era stata sicura, in un recesso della mente, che si sarebbe girata per trovarsi davanti a Sereille Bagand, in realtà morta da tempo, pronta a portarla per un orecchio dalla maestra delle novizie. Una paura irrazionale, ma non per questo meno concreta. «Vogliamo essere sicure che tu ci dica la verità,» dichiarò Pevara, ancora simile a un orso infuriato «quindi adesso presterai giuramento e poi io ti rifarò la domanda.» «Non dovrei essere sottoposta a tutto ciò» disse Zerah con uno sguardo d'accusa rivolto a Seaine «ma ripeterò tutti e tre i Giuramenti se è questo che serve. E poi pretenderò le scuse di entrambe.» Non sembrava affatto una donna schermata e posta davanti a un'accusa così grave. Quasi con spregio, allungò una mano verso il bastone corto e sottile che splendeva nella fioca luce della lanterna.
«Devi giurare di obbedire a noi due nel modo più totale» le disse Pevara, e Zerah ritrasse di scatto la mano come se avesse visto una vipera. Pevara proseguì senza pause, e addirittura fece scivolare il Bastone dei Giuramenti verso l'altra donna usando due dita. «In quel modo, potremo ordinarti di rispondere con la verità sapendo che lo farai, e se la risposta non sarà quella giusta saremo sicure che sarai obbediente e ci aiuterai a dare la caccia alle tue sorelle Nere. Il Bastone può anche essere usato per liberarti da questo giuramento, se la risposta sarà quella giusta.» «Per liberarmi?» esclamò Zerah. «Non ho mai sentito di qualcuna che venisse sciolta da un giuramento prestato con quell'oggetto.» «Per questo stiamo prendendo così tante precauzioni» le spiegò Seaine. «Logicamente, una sorella Nera deve essere capace di mentire, e questo significa che si è liberata almeno di uno dei Giuramenti, e con ogni probabilità di tutti e tre. Io e Pevara ci abbiamo provato, scoprendo che il procedimento è più o meno lo stesso di quando si giura.» Non le disse, tuttavia, che era stato abbastanza doloroso da lasciarle tutte e due in lacrime. Né le disse che non l'avrebbero liberata dal giuramento, qualsiasi risposta avesse dato, non prima che la ricerca dell'Ajah Nera fosse giunta a una conclusione. Innanzitutto non potevano permettere che Zerah se ne andasse in giro a lamentarsi di quell'interrogatorio, cosa che avrebbe fatto quasi di sicuro, e con ogni diritto, se non era una delle Nere. Se. Per la Luce, Seaine avrebbe preferito trovare una sorella di un'altra Ajah che corrispondesse ai criteri che avevano stabilito. Una Verde o una Gialla le sarebbe andata davvero bene. Quelle donne erano arroganti nei momenti migliori, e di recente.... No. Non poteva cadere anche lei preda della malattia che si stava diffondendo nella Torre. Eppure non riuscì a zittire i nomi che le saettarono nella mente, una decina tra le Verdi e il doppio tra le Gialle, tutte sorelle che da tempo avrebbero dovuto scendere di qualche gradino nella scala gerarchica della Torre. Come avevano osato tirare su col naso in presenza di un'Adunante? «Vi siete liberate da uno dei Giuramenti?» Zerah sembrava sconvolta, disgustata, nervosa, tutto insieme. Reazione perfettamente comprensibile. «E poi li abbiamo di nuovo prestati» mormorò Pevara con impazienza. Afferrò il sottile bastone, incanalò un po' di Spirito in una sua estremità continuando a tenere Zerah schermata, «In nome della Luce, giuro di non pronunciare parola che non sia vera. In nome della Luce, giuro di non creare armi con le quali un uomo possa ucciderne un altro. In nome della Luce, giuro di non usare l'Unico Potere come arma se non contro la progenie
dell'Ombra, o in difesa della mia vita, di quella del mio Custode o di un'altra sorella.» Non fece alcuna smorfia quando menzionò la parte del Custode; le nuove sorelle destinate all'Ajah Rossa la facevano quasi sempre. «Non sono un'Amica delle Tenebre. Spero che adesso sarai contenta.» Mostrò i denti a Zerah, ma era difficile capire se si trattava di un sorriso o un ringhio. Anche Seaine recitò da capo i Giuramenti, ognuno dei quali le fece avvertire una leggera pressione dallo scalpo alla pianta dei piedi. In realtà, quella pressione era difficile da individuare, con la pelle ancora troppo tesa da quando aveva dovuto riprestare il Giuramento contro le menzogne. Dichiarare che Pevara aveva la barba e le strade di Tar Valon erano lastricate di formaggio era stato stranamente esilarante per un po' - persino Pevara aveva ridacchiato - ma non credeva ne fosse valsa la pena. Secondo lei, non sarebbe stato necessario quell'esame. Era logico che dovesse funzionare. Dire che non era una Nera le fece contorcere la lingua - era una cosa oscena anche solo da negare - ma passò il Bastone dei Giuramenti a Zerah con un risoluto cenno del capo. La donna magra cambiò posizione sulla panca e si rigirò tra le dita il levigato bastone bianco, deglutendo convulsamente. La pallida luce della lanterna la faceva sembrare malata. Guardò con occhi sgranati prima un'Adunante poi l'altra, infine strinse le mani sul Bastone e annuì. «Devi ripetere esattamente le mie parole,» ringhiò Pevara, incanalando di nuovo Spirito nel bastone «o continuerai a giurare finché non avrai pronunciato quelle giuste.» «Giuro di obbedire a voi due nel modo più totale» disse Zerah con voce tesa, poi rabbrividì quando il giuramento le si impresse dentro. Era sempre più forte, all'inizio. «Chiedetemi dell'Ajah Nera» pretese. Le mani strette sul Bastone tremavano. «Chiedetemi dell'Ajah Nera!» Quel fervore rivelò a Seaine la risposta prima ancora che Pevara rilasciasse il flusso di Spirito e ponesse la domanda che esigeva la completa verità. «No!» quasi urlò Zerah. «No, non sono dell'Ajah Nera! E adesso toglietemi questo giuramento! Liberatemi!» Seaine si accasciò avvilita sul tavolo, poggiando i gomiti sul ripiano. Certo, non aveva desiderato che Zerah rispondesse di sì, ma era sicura di aver scoperto che quella donna aveva già mentito. Una menzogna trovata, o così le era sembrato, dopo settimane di ricerca. Quanto ancora avrebbe dovuto continuare a cercare? E a guardarsi le spalle da quando si svegliava fino a quando andava a dormire? Le volte in cui riusciva a dormire, alme-
no. Pevara puntò un dito d'accusa contro Zerah. «Hai detto in giro di essere venuta da nord.» Zerah sgranò di nuovo gli occhi. «Ed è vero» disse lentamente. «Ho cavalcato lungo la riva dell'Erinin fino a Jualdhe. Ora liberatemi da questo giuramento!» Si leccò le labbra. Seaine la guardò torva. «Sulla gualdrappa del tuo cavallo sono stati trovati semi di spina d'oro e lappola rossa, Zerah. Queste piante non crescono per centinaia di chilometri a sud di Tar Valon.» Zerah balzò in piedi, e Pevara scattò: «Seduta!» La donna ricadde sulla panca con un tonfo sonoro, ma non trasalì neppure. Stava tremando. Molto forte. Teneva la bocca chiusa, altrimenti Seaine era sicura che avrebbe battuto i denti. Per la Luce, quella faccenda di nord e sud la spaventava più dell'accusa di essere un'Amica delle Tenebre. «Da dove eri partita,» chiese lentamente Seaine «e perché...» Aveva intenzione di chiederle perché avesse fatto un giro così largo - cosa che evidentemente aveva fatto - solo per nascondere la direzione dalla quale veniva, ma le risposte uscirono da sole dalla bocca di Zerah. «Da Salidar» squittì la donna. Non c'era bisogno di dire altro. Con le mani ancora strette sul Bastone dei Giuramenti, la sorella Bianca tremava sulla sua panca. Le lacrime colavano dagli occhi, occhi sgranati al massimo e fissi su Pevara. Le parole ripresero a scorrere, anche se adesso i denti battevano davvero. «Sono v-venuta per a-assicurarmi che le sorelle qui sapessero tutto sulle R-Rosse e Logain, e potessero d-deporre Elaida per far tornare di nuovo integra la T-Torre.» Crollò con un gemito e, la bocca aperta in un urlo, continuò a fissare la Sorella Rossa. «Bene» disse Pevara. Poi di nuovo, in tono più truce «Bene!» L'espressione del suo volto era serena e controllata, ma il luccichio negli occhi scuri era assai diverso dalla malizia che Seaine ricordava dai tempi in cui erano novizie e Ammesse. «E così sei tu la fonte di quella... diceria. Dovrai presentarti davanti al Consiglio e dichiarare che è una bugia! Ammetti che è una menzogna, ragazza!» Se gli occhi di Zerah prima erano sgranati, adesso parvero voler uscire dalle orbite. Il Bastone dei Giuramenti le cadde di mano per rotolare sul ripiano del tavolo, e la donna si strinse la gola. Un suono strozzato usciva dalla sua bocca all'improvviso spalancata. Pevara la fissò sbalordita, ma a un tratto Seaine capì. «Che la Luce abbia misericordia» sussurrò. «Non devi mentire, Zerah.»
Zerah agitò le gambe sotto il tavolo come se stesse cercando di alzarsi senza però riuscirci. «Diglielo, Pevara. Lei crede che sia vero! Quindi le hai ordinato di dire la verità e di mentire. Non guardarmi in quel modo! Lei crede che sia vero!» Le labbra di Zerah assunsero una sfumatura bluastra. Le palpebre tremolarono. Seaine fece di tutto per restare calma. «Pevara, tu le hai dato l'ordine quindi evidentemente devi essere tu a richiamarlo, o morirà soffocata davanti ai nostri occhi.» «È una ribelle.» Il mormorio di Pevara investi quella parola di tutto il disprezzo che poteva contenere. Ma poi la Rossa sospirò. «Non è ancora stata processata. Non devi... mentire... ragazza.» Zerah ricadde in avanti e rimase con una guancia premuta contro il ripiano del tavolo, prendendo grandi boccate d'aria tra un gemito e l'altro. Seaine scosse il capo per lo stupore. Non avevano preso in considerazione la possibilità che più giuramenti entrassero in conflitto. E se l'Ajah Nera non si limitava a eliminare il Giuramento contro la menzogna, ma lo sostituiva con uno nuovo? E se sostituiva tutti i Tre Giuramenti? Lei e Pevara dovevano fare molta attenzione se trovavano una sorella Nera, o rischiavano di ucciderla prima che potessero capire qual era il conflitto tra i vari giuramenti. Dovevano forse imporre una rinuncia di tutti i giuramenti non c'era modo di agire con più accortezza senza sapere quali erano quelli dell'Ajah Nera - per poi far prestare di nuovo i Tre delle Aes Sedai? Per la Luce, il dolore di essere liberati da tutto in una volta sola sarebbe stato di poco inferiore a quello di un interrogatorio con la tortura. Forse niente affatto inferiore. Ma di sicuro un'Amica delle Tenebre si meritava questo e anche di peggio. Se mai ne avessero trovata una. Pevara guardò in cagnesco la donna ansimante senza nemmeno un'ombra di compassione sul viso. «Quando subirà il processo per la ribellione, ho intenzione di far parte della corte.» «Quando sarà processata, Pevara» disse pensierosa Seaine. «Sarebbe un peccato perdere l'aiuto di una donna che sappiamo non essere un'Amica delle Tenebre. E visto che è una ribelle, non dovremo preoccuparci più di tanto se la useremo.» Erano nate molte discussioni tra loro due sul secondo motivo per il quale avrebbero lasciato attivo il nuovo giuramento nelle donne che interrogavano, e nessuna di quelle discussioni aveva portato a una qualche conclusione. Una sorella che giurava di obbedire poteva essere costretta - Seaine cambiò nervosamente posizione; sembrava fin troppo simile alla proibita e maligna Coercizione - poteva essere indotta ad aiutarle nella caccia, purché loro due fossero disposte a costringerla a correre dei
rischi anche contro la sua volontà. «Non posso credere che ne abbiano mandata solo una» proseguì. «Zerah, quante di voi sono venute a diffondere questa storia?» «Dieci» mormorò la donna ancora riversa sul tavolo, poi si drizzò di scatto, guardandole con aria di sfida. «Non tradirò le mie sorelle! Non...» Si interruppe bruscamente, le labbra contorte in una smorfia amara, quando si rese conto di averle appena tradite. «I nomi!» abbaiò Pevara. «Dammi i loro nomi, o mi prenderò la tua pelle in questo stesso istante!» E i nomi si riversarono dalle riluttanti labbra di Zerah. In risposta al comando, sicuramente, più che alla minaccia. Guardando il truce volto di Pevara, tuttavia, Seaine fu sicura che la Rossa aveva bisogno di una minima provocazione per frustare Zerah come fosse una novizia sorpresa a rubare. Stranamente, lei non provava quello stesso rancore. Si sentiva disgustata, sì, ma non con la stessa intensità. Quella donna era una ribelle che aveva contribuito a spezzare la Torre Bianca mentre una sorella doveva accettare di tutto pur di tenerla unita, eppure... Molto strano. «Sei d'accordo, Pevara?» chiese quando l'elenco fu completo. Quella testarda di una Rossa le rispose solo con un feroce cenno del capo. «Molto bene. Zerah, questo pomeriggio porterai Bernaile nei miei appartamenti.» C'erano due ribelli per ogni Ajah tranne l'Azzurra e la Rossa, a quanto pareva, ma era meglio cominciare con l'altra Bianca. «Le dirai solo che desidero parlare di una faccenda privata. Non le darai alcun avvertimento con parole, opere o omissioni. Poi te ne starai tranquilla e lascerai che io e Pevara facciamo ciò che è necessario. Adesso sei impegnata in una causa più meritoria della tua fuorviata ribellione, Zerah.» Certo che era fuorviata. Non importava quanto Elaida fosse diventata pazza con il potere acquisito. «Ci aiuterai a dare la caccia all'Ajah Nera.» Zerah annuì con riluttanza a ogni ordine, con un'espressione sofferta, ma trasalì nel sentir parlare di una caccia all'Ajah Nera. Per la Luce, doveva davvero aver perso il cervello a causa delle recenti esperienze se non si era accorta di certe cose! «E la smetterai di diffondere quelle... storie» aggiunse con durezza Pevara. «Da questo momento, non pronuncerai mai più le parole 'Ajah Rossa' e 'falsi Draghi' nella stessa frase. Hai capito?» Sul volto si Zerah calò all'improvviso una maschera di torva ostinazione. Ma la sua bocca rispose: «Ho capito, Adunante.» Poi la sorella Bianca parve pronta a ricominciare a piangere per la mera frustrazione.
«Allora scompari dalla mia vista» le disse Pevara, lasciando andare allo stesso momento schermo e saidar. «E ricomponiti! Lavati la faccia e pettina i capelli!» Quest'ultima frase la disse guardando la schiena della donna che era già sfrecciata via dal tavolo. Zerah dovette togliersi la mano dai capelli per aprire la porta. E quando la porta si richiuse con un cigolio, Pevara sbuffò. «Sarebbe stata perfettamente capace di andare da questa Bernaile conciata come una sciattona nella speranza di poterla mettere in allerta.» «Buona idea» ammise Seaine. «Ma chi allerteremo noi se cominciamo a guardare in cagnesco quelle donne? Quanto meno attireremo l'attenzione.» «Per come stanno le cose, Seaine, non attireremmo l'attenzione nemmeno prendendole a calci nei giardini della Torre.» Da come ne aveva parlato, Pevara doveva trovare allettante quell'idea. «Sono ribelli, e se una di loro fa anche solo il pensiero sbagliato la punirò così duramente da farla piangere!» Continuarono a discutere su quell'argomento. Seaine insisté nel dire che era sufficiente dare gli ordini con cura, senza lasciare scappatoie. Pevara sottolineò che stavano permettendo a dieci ribelli - dieci! - di passeggiare impunite nei corridoi della Torre. Seaine dichiarò che prima o poi avrebbero affrontato la loro punizione, e Pevara ringhiò che prima o poi non era abbastanza presto. Seaine aveva sempre ammirato la forza di volontà dell'altra donna, ma a volte si trattava in realtà solo di cocciutaggine. Il lieve cigolio di un cardine fu il solo avvertimento che Seaine ebbe prima di afferrare il Bastone dei Giuramenti e metterselo in grembo, nascondendolo tra le pieghe della gonna mentre la porta veniva spalancata. Lei e Pevara abbracciarono la Fonte quasi all'unisono. Saerin entrò con calma reggendo una lanterna, e si fece da parte per lasciar passare Talene, che fu seguita dalla piccola Yukiri con un'altra luce, e da Doesine, magra come un ragazzo e alta per una Cairhienese, che chiuse la porta con una certa fermezza e vi si poggiò con la schiena come per impedire che qualcuno andasse via. Quattro Adunanti, in rappresentanza delle altre restanti Ajah della Torre. Parvero ignorare il fatto che Seaine e Pevara avessero abbracciato saidar. All'improvviso Seaine ebbe l'impressione che la stanza fosse piuttosto affollata. Uno scherzo dell'immaginazione, una cosa irrazionale, ma... «Strano vedervi insieme» disse Saerin. Poteva anche avere un'espressione serena, ma passava di continuo le dita sull'elsa di quel pugnale ricurvo che portava dietro la cintura. Sedeva sulla sua poltrona di Adunante da
quarant'anni, più a lungo di ogni altra nel Consiglio, e tutte avevano imparato a fare attenzione al suo caratteraccio. «Potremmo dire lo stesso di voi» rispose seccamente Pevara. Lei certo non si faceva mai intimorire dal carattere di Saerin. «O forse siete venute quaggiù per aiutare Doesine a ritrovare un po' della sua dignità?» Un improvviso rossore fece sembrare il volto della Gialla ancor più simile a quello di un bel ragazzo malgrado il portamento elegante, e svelò a Seaine quale Adunante era andata troppo vicino ai quartieri delle Rosse con pessimi risultati. «Non avrei pensato che bastasse quello a mettervi insieme, però. Le Verdi sono contro le Gialle, le Marroni contro le Grigie. O magari le hai portate qui solo per un duello silenzioso, giusto Saerin?» Seaine cercò freneticamente di capire quale motivo poteva davvero aver trascinato quelle quattro donne giù nelle fondamenta rocciose di Tar Valon. Cosa poteva tenerle insieme? Le loro Ajah - tutte le Ajah - erano una contro l'altra. Tutte e quattro avevano ricevuto penitenze da Elaida. A nessuna Adunante piacevano le Fatiche, soprattutto quando tutti sapevano esattamente perché la vedevano strofinare pentole o pavimenti, ma quello non era un vero legame. Che altro? Nessuna di loro era nobile. Saerin e Yukiri erano figlie di locandieri, Talene di contadini, mentre il padre di Doesine era stato un coltellinaio. Saerin era stata addestrata in un primo momento dalle Figlie del Silenzio, l'unica di quel gruppo che aveva poi ottenuto lo scialle. Una sciocchezza assolutamente inutile. All'improvviso, Seaine ebbe una sorta di rivelazione, e le si seccò la gola. Saerin, con quel suo caratteraccio spesso mal controllato. Doesine, che era fuggita via ben tre volte da novizia, anche se era riuscita ad arrivare appena ai ponti. Talene, che forse aveva ricevuto più punizioni di qualsiasi altra novizia nell'intera storia della Torre. Yukiri, sempre l'ultima delle Grigie a adeguarsi all'opinione delle sue sorelle quando era diversa dalla sua, l'ultima a adeguarsi alle decisioni del Consiglio, quanto a ciò. Tutte e quattro erano considerate ribelli, in un certo senso, ed Elaida le aveva umiliate tutte. Possibile che pensassero di aver commesso un errore decidendo di deporre Siuan e sostituirla con Elaida? Possibile che loro avessero già scoperto tutto su Zerah e le altre? E in tal caso, che avevano intenzione di fare? Mentalmente, Seaine si preparò a intessere saidar, anche se non nutriva grandi speranze di poter fuggire. Pevara era forte quanto Saerin e Yukiri, ma lei era la più debole di tutte lì, dopo Doesine. Si preparò, e Talene fece un passo avanti e mandò in frantumi tutte le sue deduzioni logiche. «Yukiri ha notato che voi due vi incontrate di nascosto, e noi vogliamo
sapere perché.» Nella sua voce sorprendentemente profonda c'era del fuoco nonostante il ghiaccio di cui pareva fatto il viso. «Le comandanti delle vostre Ajah vi hanno assegnato una missione segreta? In pubblico, le donne alla guida delle Ajah mostrano di odiarsi più di quanto non odino tutte le altre sorelle, ma anche loro si incontrano e chiacchierano nell'ombra, a quanto pare. Qualsiasi cosa stiano tramando, il Consiglio ha diritto di saperlo.» «Oh, dacci un taglio, Talene.» La voce di Yukiri era ancor più sorprendente di quella di Talene. Dall'aspetto sembrava una regina in miniatura, vestita con seta color argento scuro e merletti d'avorio, ma parlava come una donna di campagna. E sosteneva che il contrasto la aiutava nelle trattative. Sorrise a Seaine e Pevara, una monarca che forse non sapeva quanto dovesse mostrarsi graziosa. «Vi ho viste annusare in giro come due furetti vicino a un pollaio,» disse «ma ho tenuto la bocca chiusa - forse siete amanti, e quindi quegli incontri erano affari vostri e di nessun altro. L'ho tenuta chiusa finché Talene non ha cominciato a guaire sulle donne che si nascondono nell'ombra. Io stessa ne avevo viste un bel po', e suppongo che alcune di queste donne possano anche essere a capo delle loro Ajah, così... Sei più sei a volte è uguale a dodici, ma altre volte è uguale a un disastro. Parlate adesso, se potete. Il Consiglio ha diritto di sapere.» «Non ce ne andremo finché non ci avrete detto tutto» aggiunse Talene, ancor più infervorata di prima. Pevara sbuffò e incrociò le braccia. «Se la comandante della mia Ajah mi avesse detto anche solo due parole, non vedrei motivo per riferirle a voi. Per come stanno le cose, quello di cui io e Seaine ci stiamo occupando non ha niente a che vedere con le Rosse o le Bianche. Andate a fare le ficcanaso da qualche altra parte.» Ma non rilasciò saidar. Né lo fece Seaine. «Inutile, accidenti, e accidenti a me perché lo sapevo» mormorò Doesine ancora accanto alla porta. «Perché mi sono lasciata convincere da voi... Dannazione, sarà meglio che nessuno lo venga a sapere, o finiremo con la faccia spalmata di linguapecora e daremo spettacolo davanti a tutta la maledetta Torre.» A volte parlava anche come un ragazzo, un ragazzo che avrebbe dovuto lavarsi la bocca col sapone. Seaine si sarebbe alzata per andar via, se non avesse temuto che le cedessero le gambe. Pevara invece si alzò, e inarcò impaziente un sopracciglio guardando le donne tra lei e la porta. Saerin sfiorò l'elsa di quel suo pugnale e le guardò perplessa, senza muoversi di un passo. «Un rompicapo» mormorò. All'improvviso veleggiò
in avanti, la mano libera scattò verso il grembo di Seaine così veloce che lei sussultò. Provò a tenere nascosto il Bastone dei Giuramenti, ma l'unico risultato fu che Saerin strinse in una mano il bastone all'altezza della vita mentre lei reggeva l'altra estremità insieme a una manciata del tessuto della sua stessa gonna. «Mi piacciono i rompicapo» disse Saerin. Seaine lasciò la presa e si sistemò il vestito; non c'era molto altro che potesse fare. La comparsa del Bastone scatenò una certa confusione perché quasi tutte cominciarono a parlare nello stesso istante. «Fuoco e sangue» ringhiò Doesine. «Ma state allevando nuove sorelle quaggiù, dannazione?» «Oh, lasciale perdere, Saerin» disse ridendo Yukiri quasi coprendo la voce di Doesine. «Qualsiasi cosa stiano facendo, sono affari loro.» E, coprendo entrambe, Talene abbaiò: «Per quale altro motivo dovrebbero starsene qui nascoste insieme - insieme! - se non ha a che fare con le comandanti delle Ajah?» Saerin agitò una mano, e dopo un po' ottenne il silenzio. Tutte le donne in quella stanza erano Adunanti, ma lei aveva il diritto di parlare per prima nel Consiglio, e i suoi quarant'anni di anzianità contavano qualcosa anche in quel momento. «Questa è la soluzione del rompicapo, credo» disse carezzando con un pollice il Bastone dei Giuramenti. «Perché l'hanno preso, dopo tutto?» A un tratto fu avvolta anche lei dal bagliore di saidar e incanalò Spirito nel ter'angreal. «In nome della Luce, non pronuncerò parola che non sia vera. Non sono un'Amica delle Tenebre.» Nel silenzio che seguì a quelle parole, lo starnuto di un topo sarebbe sembrato fragoroso. «Ho ragione?» chiese Saerin rilasciando il Potere. Porse a Seaine il Bastone. Per la terza volta, Seaine formulò il Giuramento contro le menzogne, e per la seconda volta ripeté di non appartenere all'Ajah Nera. Pevara fece lo stesso con gelida dignità. E occhi penetranti come quelli di un'aquila. «Questo è ridicolo» disse Talene. «Non esiste nessuna Ajah Nera.» Yukiri prese il bastone da Pevara e incanalò. «In nome della Luce, non pronuncerò parola che non sia vera. Non appartengo all'Ajah Nera.» La luce di saidar che la avvolgeva si spense, poi lei passò il Bastone dei Giuramenti a Doesine. Talene si accigliò, disgustata. «Togliti, Doesine. Io non ho intenzione di sopportare queste meschine insinuazioni.»
«In nome della Luce, non pronuncerò parola che non sia vera» disse Doesine quasi riverente, con il bagliore intorno a lei simile a un'aureola. «Non appartengo all'Ajah Nera.» Nelle situazioni serie, la sua bocca era abbastanza pulita da soddisfare qualsiasi maestra delle novizie. Protese verso Talene il Bastone dei Giuramenti. La bionda arretrò come se fosse un serpente velenoso. «Già il fatto che me lo chiediate è una calunnia! Peggio di una calunnia!» Qualcosa di ferino le si agitava negli occhi. Una cosa irrazionale da pensare, forse, ma Seaine non poté fare a meno di notarlo. «Adesso togliti» comandò Talene parlando con tutta l'autorità di un'Adunante. «Me ne vado!» «Non credo proprio» disse a bassa voce Pevara, e Yukiri annuì lentamente. Saerin smise di carezzare l'elsa del pugnale; la strinse così forte che le nocche della sua mano diventarono bianche. Cavalcando tra le profonde nevi dell'Andor, arrancando in realtà, Toveine Gazai maledisse il giorno in cui era nata. Bassa e un po' paffuta, con la pelle liscia e ambrata e lunghi capelli corvini, era sembrata graziosa a molti nel corso degli anni, ma nessuno l'aveva mai definita bella. E di sicuro nessuno l'avrebbe fatto adesso. Gli occhi scuri che un tempo erano diretti ora parevano trivellare tutto ciò su cui si posava il suo sguardo. Quando non era arrabbiata. E quel giorno lo era. Quando Toveine era arrabbiata, anche i serpenti fuggivano via. Altre quattro Rosse cavalcavano - arrancavano - dietro di lei, seguite da venti soldati della Guardia della Torre in giubba e mantello scuri. Nessuno di quegli uomini gradiva il fatto che le loro armature fossero sui cavalli da soma, e tutti e venti guardavano il bosco ai lati della strada come se si aspettassero un attacco da un momento all'altro. Toveine, però, proprio non capiva come potevano immaginare di attraversare circa cinque chilometri di terreno andorano senza farsi notare se indossavano giubba e mantello con sopra la Fiamma di Tar Valon. Il viaggio era quasi finito, tuttavia. Tra un giorno, forse due con le strade coperte da un manto di neve che arrivava alle ginocchia dei cavalli, si sarebbe unita ad altri nove gruppi identici al suo. Non tutte le altre sorelle erano Rosse, purtroppo, ma questo non la turbava più di tanto. Toveine Gazai, un tempo Adunante per l'Ajah Rossa, sarebbe entrata nella storia come la donna che aveva distrutto la Torre Nera. Di sicuro Elaida credeva che lei fosse grata per quella opportunità: richiamata dall'esilio e dalla disgrazia, le era stata offerta un'occasione di ri-
scatto. Toveine rise amaramente, e se un lupo avesse potuto guardare sotto il profondo cappuccio del suo mantello avrebbe guaito. Quello che era stato fatto vent'anni addietro era stato necessario, e che la Luce bruciasse tutti quelli che mormoravano che l'Ajah Nera aveva messo lo zampino in quegli eventi. Era stato necessario e giusto, ma Toveine Gazai aveva perso la sua poltrona nel Consiglio ed era stata costretta a ululare e implorare pietà sotto i colpi della frusta, con le sorelle riunite a guardare, e persino le novizie e le Ammesse convocate a testimoniare come anche le Adunanti erano soggette alla legge, anche se non era stato loro spiegato quale fosse questa legge. E poi, vent'anni addietro, Toveine era stata spedita a lavorare sulle Colline Nere, nell'isolata fattoria di comare Jara Doweel, una donna per la quale un'Aes Sedai che scontava in esilio la sua penitenza non era affatto differente da tutti gli altri suoi aiutanti che faticavano con la neve o sotto il sole. Toveine mosse le mani sulle redini; sentiva ancora i calli. Comare Doweel - persino adesso non poteva pensare a quella donna senza il titolo di cortesia che lei aveva sempre preteso - dava molta importanza al lavoro duro. E a una disciplina rigida quanto quella affrontata dalle novizie! Non aveva nessuna pietà per chiunque provasse a sottrarsi dalle massacranti fatiche cui lei per prima si sottoponeva, e meno ancora ne aveva se una donna sgattaiolava via per consolarsi con un bel ragazzo. Questa era stata la vita di Toveine negli ultimi quindici anni. Mentre Elaida l'aveva fatta franca e aveva continuato i suoi balletti fino a raggiungere il seggio dell'Amyrlin che un tempo Toveine sognava di occupare. No, non era grata. Ma aveva imparato ad aspettare il suo momento. Improvvisamente, un uomo alto in giubba nera coi capelli scuri che gli ricadevano sulle spalle spronò il cavallo uscendo dal bosco e raggiunse la strada davanti a lei, alzando spruzzi di neve. «Non c'è motivo di lottare» annunciò con fermezza, sollevando una mano infilata in un guanto. «Arrendetevi senza opporre resistenza, e nessuno si farà male.» Non fu né la sua comparsa né il suo discorso il motivo per cui Toveine tirò le redini e fermò il cavallo, lasciando che le altre sorelle si raccogliessero dietro di lei. «Prendetelo» disse con calma. «È meglio se vi unite in un circolo. Mi ha schermata.» E così uno di quegli Asha'man l'aveva colta di sorpresa. Peggio per lui. A un tratto si rese conto che non stava succedendo niente, e distolse gli occhi dall'uomo per guardare torva Jenare. Il volto chiaro e squadrato della donna sembrava completamente esangue. «Toveine,» disse con voce tremula «anche io sono schermata.»
«Anche io» sussurrò incredula Lemai, e le altre le fecero eco, sempre più agitate. Tutte schermate. Altri uomini in giubba nera comparvero tra gli alberi, su cavalli che camminavano piano, tutto intorno a Toveine, che smise di contare arrivata a quindici. I soldati della Guardia mormoravano con rabbia, aspettando l'ordine di una sorella. Non sapevano ancora niente, credevano di essere caduti nell'imboscata di qualche brigante. Toveine fece schioccare la lingua, irritata. Certo, quegli uomini non potevano essere tutti capaci di incanalare, ma evidentemente ogni Asha'man in grado di farlo si era mosso contro di lei. Non si lasciò prendere dal panico. A differenza di alcune delle sorelle con le quali viaggiava, Toveine aveva già affrontato uomini in grado di incanalare. Il tizio alto cominciò a cavalcare verso di lei, sorridendo, palesemente convinto che avessero obbedito a quel suo ridicolo ordine. «Al mio comando,» disse piano Toveine «ci sparpaglieremo in tutte le direzioni. Non appena sarete abbastanza lontane perché gli uomini perdano il controllo dello schermo» gli uomini pensavano di dover vedere le tessiture per poterle mantenere, e ne erano così convinti che senza contatto visivo erano incapaci di fare qualsiasi cosa «tornate indietro e aiutate le Guardie. Preparatevi.» Alzò la voce in un urlo: «Guardie, all'attacco!» Ruggendo, i soldati scattarono in avanti, agitando le spade e senza dubbio pensando di circondare e difendere le sorelle. Toveine fece girare verso destra la sua giumenta e le affondò i talloni nei fianchi, poi si piegò sul collo di Cinciarella che cominciò a scartare tra le Guardie sbalordite, poi tra due giovanissimi uomini in giubba nera che la guardarono a bocca aperta per lo stupore. E infine Toveine si ritrovò tra gli alberi, spronando ancor di più l'animale nella neve che schizzava tutto intorno, senza curarsi del pericolo che Cinciarella si rompesse una zampa. Le piaceva quella giumenta, ma quel giorno sarebbe morto ben più di un cavallo. Alle sue spalle, le urla. E una voce, che ruggiva più forte di ogni clamore. La voce dell'uomo alto. «Prendetele vive, per ordine del Drago Rinato! Fate del male a un'Aes Sedai e ne risponderete a me!» Per ordine del Drago Rinato. Per la prima volta Toveine provò paura, un punteruolo di ghiaccio che le si insinuava nel ventre. Il Drago Rinato. Frustò il collo di Cinciarella con le redini. Era ancora schermata! Ma ormai c'erano abbastanza alberi tra lei e quei maledetti uomini per impedire che la vedessero! Oh, per la Luce, il Drago Rinato!
Grugnì quando qualcosa la colpì al ventre, un ramo anche se in vista non c'erano rami, e si ritrovò strappata via dalla sella. Rimase lì sospesa a guardare Cinciarella che andava galoppando in tutta quella neve. Lei rimase sospesa. A mezz'aria, le braccia intrappolate lungo i fianchi, i piedi che penzolavano a più di un palmo dal terreno. Deglutì. Doveva essere la metà maschile del Potere a tenerla in aria. Non era mai stata toccata da saidin. Poteva sentire le grosse mani fatte di nulla che la stringevano in vita. E le sembrava di poter sentire la contaminazione del Tenebroso. Tremò, cercando di trattenere le grida. L'uomo alto fece fermare il cavallo davanti a lei, e Toveine fluttuò fino a ritrovarsi seduta di lato davanti alla sua sella. Quel tizio, però, non sembrava particolarmente interessato all'Aes Sedai che aveva catturato. «Hardlin!» urlò. «Norley! Kajima! Uno di voi giovani zoticoni venga qui, dannazione!» Era molto alto, con spalle larghe quanto il manico di un'ascia. Così l'avrebbe descritto comare Doweel. Quasi di mezza età, affascinante in un modo cupo e selvaggio. Assai diverso dai ragazzi graziosi che piacevano a Toveine, premurosi, grati e tanto facili da controllare. Una piccola spada d'argento decorava un lato dell'alto colletto della giubba nera, mentre sull'altro c'era una particolare creatura d'oro e smalto rosso. Un uomo che poteva incanalare. E l'aveva schermata e fatta prigioniera. Lo strillo che le esplose dalla gola sorprese persino lei. L'avrebbe trattenuto se avesse potuto, ma un altro balzò fuori dalla sua bocca subito dopo, e ancora un altro ancor più acuto, e poi un altro, e un altro ancora. Scalciando all'impazzata, Toveine cercava di lanciarsi da una parte e dall'altra. Inutile, contro il Potere. Lo sapeva, ma solo in un minuscolo recesso della mente. Tutto il resto del suo essere ululava a squarciagola, ululava inarticolate suppliche perché la salvassero dall'Ombra. Strillando, Toveine si dibatteva come un animale impazzito. Era solo lontanamente consapevole del cavallo dell'uomo che si agitava e scalpitava man mano che lei continuava a colpirlo coi piedi. E solo lontanamente sentì le parole del cavaliere: «Piano, sacco di carbone a quattro zampe, piano! Calmati, sorella. Non ho intenzione di... Piano, stupido mulo! Per la Luce! Le mie scuse, sorella, ma così abbiamo imparato a farlo» disse, e poi la baciò. Toveine ebbe solo un istante per accorgersi che le loro labbra si stavano toccando, poi le si spense la vista, e si sentì inondata di calore. Ma era più che semplice calore. Le sembrò di essere piena di miele fuso, miele ribol-
lente che però continuava a correre verso il bollitore. Era una corda d'arpa che vibrava sempre più veloce, fino a diventare invisibile, e poi ancora più veloce. Era un minuscolo vaso di cristallo, che tremava sul punto di frantumarsi. La corda d'arpa si spezzò. Il vaso si ruppe. «Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!» Sulle prime Toveine non si rese conto che quel suono era uscito dalla sua bocca spalancata. E non riusciva a pensare con coerenza. Ansimando, fissò il volto maschile che la sovrastava chiedendosi a chi appartenesse. Sì. L'uomo alto. L'uomo che poteva... «Avrei potuto farlo anche senza quel passo in più,» sospirò lui, dando una pacca sul collo del cavallo; l'animale sbuffò, ma aveva smesso di agitarsi «ma immagino che nel tuo caso sia necessario. Sei pessima come moglie. Calmati. Non cercare di fuggire, non attaccare nessuno con la giubba nera, e non toccare la Fonte se non te ne do il permesso. Ora, come ti chiami?» Se non le dava il permesso? Che sfacciataggine! «Toveine Gazai» rispose lei, e sbatté le palpebre. Ora, perché gliel'aveva detto? «Eccoti qua» disse un altro uomo in giubba nera in groppa a un cavallo che andava verso di loro alzando schizzi di neve. Questo le sarebbe piaciuto di più - se non poteva incanalare anche lui, almeno. Dubitava che quel ragazzino con le guance rosa dovesse radersi più di un paio di volte a settimana. «Per la Luce, Logain!» disse il giovane grazioso. «Ne hai preso un'altra? È la seconda! Il M'Hael non sarà contento! Non credo che gli piaccia neanche quando ne prendiamo solo una! Forse però non succederà niente, visto quanto voi due siete amici e tutto il resto.» «Amici, Vinchova?» ribatté Logain. «Se il M'Hael avesse potuto fare come voleva, io starei zappando le rape con gli altri ragazzi nuovi. O sarei sepolto sotto il campo» aggiunse in un mormorio, e secondo Toveine non voleva che qualcuno lo sentisse. Qualsiasi cosa avesse sentito, però, il bel ragazzo rise con scettica incredulità. Toveine lo udì a malapena. Stava fissando l'uomo che incombeva su di lei. Logain. Il falso Drago. Ma era morto! Domato e morto! E la teneva distrattamente davanti alla sua sella con una mano. Perché lei non stava urlando? Perché non lo colpiva? Anche il pugnale che portava alla cintura sarebbe andato bene, da così vicino. Eppure Toveine non provava alcun desiderio di impugnare l'elsa d'avorio. Si accorse che avrebbe potuto. Quella fascia intorno alla sua vita non c'era più. Quanto meno poteva sci-
volare giù dal cavallo e provare a... Ma non ne aveva voglia. «Che mi hai fatto?» chiese. Con calma. Almeno era riuscita a mantenere la calma! Facendo girare il cavallo per tornare verso la strada, Logain le disse cosa le aveva fatto, e lei poggiò la testa conto il suo ampio torace, senza curarsi di quanto fosse grosso quell'uomo, e pianse. Giurò che l'avrebbe fatta pagare a Elaida. Se Logain gliel'avesse mai permesso. Questo fu un pensiero particolarmente amaro. 27
L'accordo Seduta a gambe incrociate in una poltrona dalle pesanti dorature e con lo schienale alto, Min provava a perdersi nelle pagine rilegate in cuoio del libro di Herid Fel, Razionale e Irrazionale, che teneva aperto sulle ginocchia. Non era facile. Oh, il libro in sé era ipnotizzante; gli scritti di mastro Fel la lanciavano sempre in mondi di pensiero che non aveva mai neppure sognato quando lavorava nelle stalle. Le dispiaceva davvero tanto che quel dolce vecchio fosse morto. Sperava di trovare un indizio nei suoi libri per capire perché era stato ucciso. I ricci neri oscillarono quando scosse il capo e cercò di concentrarsi. Il libro era affascinante, ma quella stanza la opprimeva. La piccola sala del trono di Rand nel Palazzo del Sole era piena di dorature, dai grandi cornicioni agli alti specchi sulle pareti che sostituivano quelli che Rand aveva distrutto, dalle due file di poltrone come quella in cui sedeva lei al palco davanti alle file, per finire con il Trono del Drago in cima al palco. Una mostruosità, realizzato in quello che gli artigiani di Cairhien credevano fosse lo stile di Tear, poggiato sulla schiena di una coppia di Draghi, con altri due Draghi per braccioli e altri ancora che si arrampicavano sullo schienale, tutti con grandi pietre di sole al posto degli occhi, e con l'intera struttura rilucente d'oro e smalto rosso. L'immenso Sole Nascente d'oro coi raggi ondulati incastonato nel pavimento di marmo lucidato non faceva che incrementare quella sensazione di pesantezza. Almeno i fuochi accesi
nei due grandi camini, alti abbastanza perché lei potesse camminarci dentro, davano un piacevole tepore, soprattutto vista la neve che fioccava all'esterno. Quelle erano le stanze di Rand, e la consolazione di quel solo pensiero era più forte di qualsiasi senso di oppressione. Una cosa davvero irritante. Essere innamorata di un uomo sembrava consistere soprattutto in tantissime, opprimenti confessioni a sé stessa! Cambiando posizione nell'inutile tentativo di rendere comoda la dura poltrona, Min provò a leggere, ma i suoi occhi continuavano ad andare verso le alte porte, entrambi i battenti con la loro bella fila di Soli Nascenti in oro. Sperava di veder entrare Rand; temeva di vedere Sorilea, o Cadsuane. Inconsciamente, si aggiustò la giubba azzurra, sfiorando i piccoli fiordineve ricamati sul bavero. Altri si intrecciavano lungo le maniche e sulle gambe del paio di brache più comodo nel quale era riuscita a infilarsi. Non un gran cambiamento rispetto a come si era sempre vestita. Non proprio. Ancora riusciva a evitare gli abiti da donna, per quanti ricami fosse costretta a sopportare, ma temeva davvero che Sorilea avesse intenzione di ficcarla in un vestito, e a quel fine le Sapienti erano anche disposte a strapparle gli indumenti che indossava. Quella donna sapeva tutto su lei e Rand. Tutto. Min sentì caldo al viso. Sembrava che Sorilea stesse cercando di decidere se Min Farshaw era o meno una... amante adatta per Rand al'Thor. Quella parola la faceva sentire stupidamente frivola; lei non era una ragazzina con la testa piena di tuffa! Quel pensiero le fece venire l'impulso di girarsi colpevolmente per vedere se dietro di lei c'erano le zie che l'avevano cresciuta. No, pensò beffarda, non hai il cervello pieno di sabbia. La sabbia è intelligente in confronto a te! O forse Sorilea voleva capire se Rand era adatto a Min; a volte dava questa impressione. Le Sapienti avevano accettato Min come fosse una di loro, o quasi, ma nelle ultime settimane Sorilea l'aveva spremuta come un'oliva al torchio. La Sapiente dal volto coriaceo e i capelli bianchi voleva sapere tutto su Min, e ogni cosa su Rand. Voleva sapere anche se c'era polvere in fondo alle sue tasche! Per due volte Min aveva provato a prendere tempo in quell'interminabile interrogatorio, e in entrambe le occasioni Sorilea aveva tirato fuori un bastone! Quella terribile vecchia l'aveva semplicemente gettata sul tavolo più vicino, e poi le aveva detto che forse quello le avrebbe fatto venire in mente qualche altra informazione. E nessuna delle altre Sapienti aveva mostrato un minimo di compassione! Per la Luce, cosa si doveva sopportare per un uomo! E Min non poteva neanche
averlo solo per lei! Cadsuane era tutta un'altra faccenda. Sembrava che alla contegnosa Aes Sedai, capelli grigi come quelli di Sorilea erano bianchi, non importasse un fico secco di Min o Rand, ma passava un bel po' di tempo nel Palazzo del Sole. Evitarla del tutto era impossibile; andava ovunque volesse. E quando Cadsuane la guardava, fosse anche solo per un istante, Min non poteva fare a meno di pensare che quella donna sarebbe riuscita a insegnare la danza ai tori e il canto agli orsi. Continuava ad aspettarsi che le puntasse contro un dito per annunciarle che era giunto il suo momento, che Min Farshaw doveva imparare a tenere una palla in equilibrio sul naso. Prima o poi Rand avrebbe dovuto confrontarsi di nuovo con Cadsuane, e il pensiero di quell'incontro le faceva annodare lo stomaco. Si costrinse a piegarsi di nuovo sul libro. Una delle porte fu spalancata, e Rand entrò senza fretta, con lo Scettro del Drago poggiato nella piega di un braccio. Aveva in testa una corona d'oro, uno spesso cerchietto di foglie d'alloro - doveva essere la Corona di Spade di cui parlavano tutti -, comode brache che lasciavano vedere parte delle gambe e una giubba in seta verde ricamata d'oro che gli stava magnificamente. Lui era magnifico. Segnando la pagina col biglietto in cui mastro Fel aveva scritto che lei era 'troppo graziosa', Min chiuse con cura il libro e con cura lo depose sul pavimento accanto alla sua poltrona. Poi intrecciò le braccia e attese. Se si fosse alzata avrebbe potuto battere anche un piede a terra, ma non voleva che quell'uomo pensasse che scattava in piedi solo perché lui si era finalmente fatto vivo. Per un attimo Rand rimase fermo a sorriderle, tirandosi chissà perché il lobo di un orecchio - sembrava che stesse canticchiando! -, poi di scatto ruotò su sé stesso girandosi verso le porte. «Le Fanciulle lì fuori non mi hanno detto che eri qui. Non mi hanno detto neanche una parola. Per la Luce, sembravano pronte a velarsi quando mi hanno visto.» «Forse sono sconvolte» rispose lei con calma. «Forse non sapevano dove eri finito. Come me. O forse loro erano preoccupate che fossi stato ferito, che fossi malato, che avessi freddo.» Come me, pensò con amarezza. E lui sembrava confuso! «Ti ho scritto» disse lentamente, e Min tirò su con il naso. «Due volte! E la lettera l'hai fatta consegnare da un Asha'man. Hai scritto due volte, Rand al'Thor, se quello me lo chiami scrivere!» Rand barcollò come se lei gli avesse dato uno schiaffo - no, come se gli avesse dato un calcio al ventre! - e sbatté le palpebre. Min si sforzò di con-
trollarsi e si poggiò allo schienale della poltrona. Mostrando compassione a un uomo nel momento sbagliato si rischiava di perdere tutto il terreno guadagnato. Una parte di lei voleva abbracciarlo, consolarlo, tirar fuori tutte le sue pene, lenire tutti i suoi mali. Ne aveva così tanti, e si rifiutava di ammetterne anche uno solo. Ma Min non sarebbe scattata in piedi per correre da quell'uomo, smaniosa di sapere cos'era andato storto o... Per la Luce, lui doveva stare bene. Qualcosa la prese con delicatezza dietro i gomiti e la sollevò dalla poltrona. Con gli stivali blu che penzolavano in aria, Min fluttuò verso Rand. Lo Scettro del Drago fluttuò via da lui. E così Rand pensava di poter ridere? Pensava che un bel sorriso fosse sufficiente a calmarla? Min aprì bocca per dirgliene quattro. E nessuna di quelle quattro sarebbe stata piacevole! Cingendola tra le braccia, Rand la baciò. Quando Min poté respirare di nuovo, lo scrutò tra le ciglia degli occhi socchiusi. «La prima volta...» Deglutì per schiarirsi la voce. «La prima volta, Jahar Narishma è venuto qui guardando tutti in quel suo modo che sembra voglia vedere cosa c'è dentro il cranio della gente, e poi è scomparso dopo avermi consegnato un pezzetto di pergamena. Lasciami ricordare. Diceva, 'Ho preso il trono di Illian. Non ti fidare di nessuno fino al mio ritorno. Rand.' Non direi che è una grande lettera d'amore.» Lui la baciò di nuovo. Questa volta, ritrovare il fiato fu un po' più difficile. Non stava affatto andando come Min aveva immaginato. D'altro canto, non stava andando nemmeno troppo male. «La seconda volta, Jonan Adley mi ha consegnato un foglietto che diceva 'Tornerò quando qui avrò finito. Non ti fidare di nessuno. Rand.' Adley è entrato mentre mi facevo il bagno,» aggiunse «e non ha avuto remore a darmi una lunga occhiata.» Rand cercava sempre di fingere che non era geloso - come se esistesse al mondo un uomo che non lo era - ma Min aveva notato come si imbronciava quando gli uomini la guardavano. E, dopo, il suo considerevole ardore era ancora più ardente. Si chiese come sarebbe stato il prossimo bacio. Forse doveva proporgli di ritirarsi con lei in camera da letto? No, non sarebbe stata così diretta, non importava quanto... Rand la mise giù, il volto improvvisamente inespressivo. «Adley è morto» disse. La corona si staccò dalla sua testa e volò ruotando su sé stessa come se qualcuno l'avesse scagliata via. Quando lei pensò che si sarebbe schiantata contro il Trono del Drago, o forse attraverso, il grosso anello d'oro si fermo e scese lentamente sul seggio.
Min si sentì mozzare il fiato in gola quando guardò Rand. Il sangue riluceva tra gli scuri ricci rossi sopra il suo orecchio sinistro. Lei tirò fuori un fazzoletto col bordo di trine da una manica e si allungò verso la sua tempia, ma Rand le afferrò il polso. «L'ho ucciso io» le disse in un sussurro. Min tremò al suono della sua voce. Silenziosa, come una tomba. Forse quella della camera da letto era davvero una buona idea. Non importava se era troppo diretta. Atteggiando il volto a un sorriso - e arrossendo quando vide che le veniva facile, al pensiero di quel letto immenso - Min lo prese per la camicia, preparandosi a strappargli gli abiti di dosso in quello stesso istante. Qualcuno bussò alla porta. Le mani di Min scattarono via dalla camicia di Rand. Anche lei scattò via. Si chiese con irritazione chi poteva essere. Le Fanciulle annunciavano i visitatori quando Rand era lì o li lasciavano semplicemente entrare. «Avanti» disse Rand a voce alta, rivolgendole un mesto sorriso. E di nuovo lei arrossì. Dobraine aprì e si affacciò oltre la soglia, poi entrò e si chiuse la porta alle spalle quando vide loro due lì in piedi. Il lord cairhienese era basso, poco più alto di Min, con la parte anteriore della testa rasata e il resto dei capelli per lo più grigi lunghi fino alle spalle. Strisce di bianco e blu decoravano fin oltre la vita il davanti della sua giubba quasi nera. Ancor prima di guadagnarsi il favore di Rand era stato uno dei potenti di quella terra. Adesso era lui a governarla, almeno fin quando Elayne non avesse potuto reclamare il Trono del Sole. «Mio lord Drago» mormorò inchinandosi. «Mia lady Ta'veren.» «Uno scherzo» mormorò a sua volta Min quando Rand la guardò inarcando un sopracciglio. «Forse,» disse Dobraine, scrollando appena le spalle «eppure metà delle nobili in città adesso vestono di colori accesi per imitare lady Min. Brache che lasciano vedere le gambe, e spesso giubbe che non coprono nemmeno i...» Fece un discreto colpo di tosse quando si accorse che la giubba di Min non le copriva nemmeno i fianchi. Lei pensò di dirgli che aveva delle gambe molto belle, anche se erano decisamente nodose, ma cambiò subito idea. La gelosia di Rand poteva anche essere una fiamma meravigliosa quando erano da soli, ma non voleva che si lanciasse contro Dobraine. E temeva che l'avrebbe fatto. Inoltre, pensava che davvero il Cairhienese avesse solo fatto un errore; lord Do-
braine Taborwin non era tipo da fare nemmeno la più lieve delle battute. «E così anche tu stai cambiando il mondo, Min.» Sogghignando, Rand le batté con un dito sulla punta del naso. La punta del naso! Come se fosse una ragazzina divertente! Peggio ancora, Min sentì che, come una perfetta idiota, stava ricambiando il sorriso. «E meglio di come lo sto facendo io, si direbbe» proseguì lui, e quel sorriso infantile svanì come nebbia. «Va tutto bene a Tear e nell'Illian, mio lord Drago?» chiese Dobraine. «Sì, a Tear e nell'Illian sì» rispose cupamente Rand. «Cos'hai per me, Dobraine? Siediti, amico. Siediti.» Indicò la fila di poltrone, e ne prese una per sé. «Ho eseguito gli ordini di tutte le tue lettere,» rispose Dobraine, sedendosi di fronte a Rand «ma ho poco di buono da riportare, temo.» «Prendo qualcosa da bere» disse Min con voce tesa. Lettere? Non era facile camminare impettita con gli stivali dal tacco alto - ormai ci era abituata, ma quelle maledette calzature la facevano ondeggiare anche quando non voleva - non era facile, ma con la giusta rabbia si poteva fare di tutto. E così Min andò impettita verso il tavolino dorato sotto uno degli immensi specchi, un tavolino sul quale erano poggiati brocca e calici d'argento. Si tenne occupata versando il vino alle spezie, e schizzandolo furiosamente fuori dai calici. I servitori portavano sempre dei bicchieri in più, in caso ci fossero visite, ma lei raramente versava il vino se non per Sorilea o un gruppo di stupide nobildonne. Il vino era a malapena tiepido, ma per quei due andava più che bene. Lei aveva ricevuto due lettere, ma scommetteva che a Dobraine ne erano arrivate dieci! Venti! Sbattendo calici e brocca, tese l'orecchio. Che avevano tramato quei due alle sue spalle con le loro decine di lettere? «A quanto pare Toram Riatin è scomparso,» disse Dobraine «anche se in giro si dice che sia ancora vivo, purtroppo. E si dice anche che Daved Hanlon e Jeraal Mordeth - Padan Fain, come lo chiami tu - lo abbiano abbandonato. A ogni modo, ho sistemato la sorella di Toram, lady Ailil, in generosi appartamenti, con servitori... fidati.» A giudicare dal tono, era chiaro che erano fidati per lui. Quella donna non avrebbe nemmeno potuto cambiarsi d'abito senza che Dobraine lo venisse a sapere. «Capisco la necessità di portare qui lei, lord Bertome e gli altri, ma perché anche il Sommo Signore Weiramon o la Somma Signora Anaiyella? Ovviamente, non c'è neanche da dirlo, anche i loro servitori sono fidati.» «Come fai a sapere quando una donna ti vuole uccidere?» rifletté Rand. «Quando sa il tuo nome?» Non sembrava che Dobraine l'avesse intesa
come una battuta. Rand piegò di lato la testa, pensoso, poi annuì. Annuì! Min sperò che non fosse perché sentiva ancora quelle voci nella mente. Rand fece un gesto come per mettere da parte le donne che volevano ucciderlo. Una cosa pericolosa, con Min nei paraggi. Lei di sicuro non voleva ucciderlo, ma non le sarebbe dispiaciuto se Sorilea gli avesse fatto assaggiare quel suo bastone. Le brache non attutivano affatto i colpi. «Weiramon è un idiota che fa troppi errori» spiegò Rand a Dobraine, che annuì compassato. «Ho sbagliato a pensare di poterlo usare. In ogni caso, sembra abbastanza contento di poter stare vicino al Drago Rinato. Che altro?» Min gli passò un calice, e lui le sorrise nonostante il vino che gli si riversò sul polso. Forse pensava che fosse un incidente involontario. «Poco altro e troppo altro» disse Dobraine, poi si spinse all'indietro sulla poltrona per evitare gli schizzi di vino quando Min gli porse il secondo calice. Non le era piaciuto il breve periodo di lavoro come cameriera in una taverna. «Grazie, mia lady Min» mormorò con eleganza il nobile, ma la tenne d'occhio mentre prendeva il calice. Lei tornò con calma al tavolino per versare il vino anche per sé. Con calma. «Temo che lady Caraline e il Sommo Signore Darlin siano nel palazzo di lady Arilyn, qui nella Città,» proseguì il lord cairhienese «sotto la protezione di Cadsuane Sedai. Forse 'protezione' non è la parola giusta. Non mi è stato permesso di entrare e vederli, ma ho saputo che hanno provato a lasciare la Città e sono stati riportati indietro come sacchi. In dei sacchi, secondo una versione della storia. E avendo conosciuto Cadsuane, ci posso quasi credere.» «Cadsuane» mormorò Rand, e Min rabbrividì. Non le era sembrato spaventato, non esattamente, ma di sicuro più che a disagio. «Min, tu cosa credi che dovrei fare con Caraline e Darlin?» Min, che si stava accomodando a due poltrone di distanza da lui, trasalì per quell'improvvisa domanda. Guardò mestamente il vino che stava inzuppando la sua miglior blusa di seta color crema, nonché le brache. «Caraline sosterrà Elayne per il Trono del Sole» disse cupa. Per essere vino riscaldato, sembrava molto freddo, ma temeva che quella macchia sulla blusa non sarebbe mai più venuta via. «Non ho avuto una visione, ma le credo.» Non aveva guardato Dobraine, ma lui annuì saggiamente. Tutti ormai sapevano delle sue visioni. E l'unico risultato era stato un flusso di nobildonne che volevano conoscere il loro futuro e se ne andavano imbronciate quando lei diceva di non poterlo rivelare. Quasi nessuna sarebbe stata contenta di quel poco che lei aveva visto; niente di tragico, ma nemmeno le
abbaglianti meraviglie tipiche degli indovini che si incontravano alle fiere. «Quanto a Darlin, a parte il fatto che sposerà Caraline dopo che lei lo avrà ben strizzato e steso ad asciugare, posso dire solo che un giorno sarà un re. Ho visto la corona sulla sua testa, un oggetto con una spada sul davanti, ma non so a quale paese appartiene. E, oh, sì. Morirà nel suo letto, e lei gli sopravviverà.» Dobraine si strozzò col vino, sputacchiando e asciugandosi le labbra con un semplice fazzoletto di lino. Molti di quelli che sapevano non ci credevano. Piuttosto contenta di sé, Min bevve quel poco di vino che restava nel suo calice. E fu lei a strozzarsi e annaspare, prendendo con foga il fazzoletto dalla manica per pulirsi la bocca. Per la Luce, si era versata i sedimenti del vino! Rand si limitò ad annuire, scrutando nel proprio calice. «E così vivranno abbastanza da crearmi problemi» mormorò. Un suono molto soffice per parole di pietra. Era diventato duro come una lama, il suo pastore. «E che devo fare con...» A un tratto si girò sulla poltrona, verso le porte. Una si stava aprendo. Aveva davvero un ottimo udito. Min non aveva sentito niente. Nessuna delle due Aes Sedai che entrarono era Cadsuane, e Min sentì la tensione che le abbandonava la schiena mentre infilava di nuovo il fazzoletto nella manica. Mentre Rafela chiudeva la porta, Merana rivolse una profonda riverenza a Rand, ma gli occhi color nocciola della sorella Grigia videro anche Min e Dobraine e ne archiviarono la presenza. Poi anche Rafela, una donna dal viso rotondo, allargò le gonne blu in una riverenza. Nessuna si alzò finché Rand non diede il permesso con un cenno. Andarono verso di lui, vestite di calma e serenità oltre che dei loro abiti. Anche se la paffuta sorella Azzurra sfiorò per un attimo lo scialle come per ricordarsi chi era. Min aveva già visto quel gesto, fatto da altre sorelle che avevano giurato fedeltà a Rand. Non doveva essere facile per quelle donne. Solo la Torre Bianca comandava le Aes Sedai, ma Rand piegava un dito e loro andavano verso di lui, lo stendeva e loro si muovevano nella direzione indicata. Le Aes Sedai parlavano con re e regine come se fossero loro pari, se non leggermente superiori, eppure le Sapienti le chiamavano allieve e si aspettavano che obbedissero a loro ancor più in fretta di quanto non facevano con Rand. Ma niente di tutto questo traspariva dal volto di Merana. «Mio lord Drago» disse con rispetto. «Abbiamo appena appreso del tuo ritorno, e pensavano che potessi essere ansioso di sapere come è andata con gli Atha'an
Miere.» Lanciò a Dobraine appena un'occhiata, ma il lord si alzò immediatamente. I Cairhienesi erano abituati a vedere gente che voleva parlare in privato. «Dobraine può restare» disse bruscamente Rand. Aveva esitato? Era rimasto seduto. Gli occhi simili a ghiaccio azzurro, impersonava il Drago Rinato come meglio gli riusciva. Min gli aveva detto che quelle donne gli erano davvero leali, che tutte e cinque quelle che lo avevano accompagnato alle navi del Popolo del Mare erano assolutamente fedeli al giuramento prestato e quindi obbedivano alla sua volontà, eppure lui sembrava avere difficoltà a fidarsi di un'Aes Sedai. Min lo capiva, ma Rand doveva imparare a fidarsi di quelle donne. «Come desideri» rispose Merana, chinando per un attimo il capo. «Io e Rafela abbiamo fatto un accordo con il Popolo del Mare. L'Accordo, così lo chiamano loro.» L'iniziale maiuscola fu chiaramente percepibile nella sua voce. Le mani ancora poggiate sulle gonne verdi screziate di grigio, la donna trasse un profondo respiro. Ne aveva bisogno. «Harine din Togara Due Venti, Maestra delle Onde del Clan Shodein, parlando a nome di Nesta din Reas Due Lune, Maestra delle Navi degli Atha'an Miere alla cui autorità è soggetto tutto il Popolo del Mare, ha promesso tutte le navi di cui il Drago Rinato ha bisogno, navi che partiranno quando e da dove egli desidera, per qualsiasi scopo voglia perseguire.» Merana aveva una certa tendenza a pontificare, quando non c'erano Sapienti nei paraggi; le Sapienti non glielo permettevano. «In cambio, io e Rafela, parlando a tuo nome, abbiamo promesso che il Drago Rinato non cambierà nessuna legge degli Atha'an Miere, come invece ha fatto tra i...» Per un attimo si interruppe, incerta. «Perdonami. Sono abituata a riferire gli accordi negli stessi termini in cui vengono fatti. La parola che hanno usato loro era 'terricoli', ma si riferivano a quello che hai fatto a Tear e a Cairhien.» Una domanda apparve nel suo sguardo, ma subito sparì. Forse l'Aes Sedai si chiedeva se Rand aveva fatto lo stesso in Illian. Non aveva mai nascosto il suo sollievo per il fatto che non avesse fatto niente nella sua patria, l'Andor. «Immagino di poterlo accettare» mormorò Rand. «Come secondo punto,» intervenne Rafela, intrecciandosi in vita le mani paffute «devi concedere agli Atha'an Miere un miglio quadrato di terra sulle coste di ogni città che si affaccia su acque navigabili ed è o sarà sotto il tuo controllo.» Era sembrata meno pomposa della sua compagna, ma di poco. E non doveva essere molto soddisfatta di ciò che stava dicendo. Era Tarenese, dopo tutto, e pochi porti esercitavano sul loro commercio un
controllo più stretto del porto di Tear. «All'interno di quelle aree, le leggi degli Atha'an Miere devono venire prima di tutte le altre. Questo accordo deve essere accettato anche da chiunque abbia autorità su quei porti affinché...» Adesso fu lei a interrompersi, e le sue guance scure persero un po' di colorito. «Affinché l'accordo sia valido anche dopo la mia morte?» chiese Rand in tono asciutto. Abbaiò una risata. «Posso accettare anche questo.» «In ogni città sull'acqua?» esclamò Dobraine. «Cioè anche qui?» Balzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro, versando più vino di Min. Ma non sembrò notarlo. «Un miglio quadrato? E sotto le loro leggi, che solo la Luce sa quanto sono bizzarre? Io ho viaggiato su una nave del Popolo del Mare, e già quelle sono strane! Senza contare che se ne stanno scalzi! E che ne sarà dei dazi doganali, delle tariffe portuali e...» All'improvviso si girò verso Rand. Guardò accigliato le due Aes Sedai, che lo ignorarono, ma fu a Rand che parlò, in un tono che era quasi rude. «Rovineranno Cairhien entro un anno, mio Lord Drago. Rovineranno tutti i porti dove permetterai che siano loro a comandare.» Min era d'accordo, anche se non lo disse, ma Rand si limitò ad agitare una mano e rise di nuovo. «Forse le loro intenzioni sono queste, Dobraine, ma ho notato una cosa. Non è specificato chi sceglie la terra da concedere, quindi non dovrà essere per forza sull'acqua. Dovranno comprare cibo da voi, e sottostare alle vostre leggi al di fuori di quel miglio quadrato, quindi non potranno essere troppo arroganti. Nel peggiore dei casi potrai riscuotere i tuoi dazi doganali quando le merci escono dalla loro... riserva. Quanto al resto... se lo posso accettare io, lo puoi accettare anche tu.» Non rideva più, e Dobraine chinò il capo. Min si chiese dove aveva imparato tutte quelle cose. Sembrava un re, un re che sapeva il fatto suo. Forse gliele aveva insegnate Elayne. «'Come secondo punto' significa che ce ne sono altri?» chiese Rand alle due Aes Sedai. Merana e Rafela si guardarono, si aggiustarono inconsciamente gonna e scialle, poi Merana parlò in tono niente affatto pomposo. In effetti, era fin troppo leggero. «Come terzo punto, il lord Drago accetta di tenere sempre con sé un ambasciatore scelto dagli Atha'an Miere. Harine din Togara si è personalmente proposta. Sarà accompagnata dalla sua Cercavento, il suo Maestro della Spada e la sua scorta.» «Cosa?» ruggì Rand, alzandosi di scatto. Rafela intervenne parlando tutto d'un fiato, come temendo che lui potes-
se interromperla. «E, quarto punto, il lord Drago accetta di rispondere prontamente alla convocazione della Maestra delle Navi, ma non più di due volte ogni tre anni.» Concluse ansimando leggermente, cercando di far apparire quell'ultima aggiunta come un'attenuante. Lo Scettro del Drago volò dal pavimento accanto a Rand, che lo afferrò a mezz'aria senza guardare. I suoi occhi non erano più di ghiaccio. Erano incendi azzurri. «Un'ambasciatrice del Popolo del Mare appiccicata addosso?» urlò. «Rispondere alle convocazioni?» Agitò la punta di lancia intagliata verso le due donne, con il fiocco verde e bianco che frustava l'aria. «Lì fuori c'è un popolo che vorrebbe sottometterci tutti, e forse ci riuscirà! Ci sono i Reietti lì fuori! E il Tenebroso che aspetta! Già che c'eravate potevate accettare anche che io pulissi gli scafi delle loro navi!» Di solito Min provava a calmarlo quando si adirava a quel modo, ma questa volta rimase seduta e guardò in cagnesco le due Aes Sedai. Era perfettamente d'accordo con lui. Avevano dato via tutta la stalla pur di vendere un cavallo! Rafela vacillò letteralmente sotto quella foga, ma Merana si raddrizzò, con gli occhi che erano una decente imitazione di un fuoco marrone screziato d'oro. «Stai richiamando noi due?» scattò, con una voce gelida quanto gli occhi erano caldi. Era un'Aes Sedai già quando Min, da ragazzina, l'aveva conosciuta, sovrana tra le regine, potente tra i potenti. «Tu eri presente all'inizio, ta'veren, e li avevi rigirati a tuo piacimento. Avresti potuto farli inginocchiare tutti al tuo cospetto! Ma te ne sei andato! E loro non sono stati contenti di sapere che avevano danzato sulla musica di un ta'veren. Chissà come, hanno imparato a intessere gli schermi, e prima ancora che tu fossi sceso dalla loro nave io e Rafela ci siamo ritrovate isolate dalla Fonte. Così non potevamo acquisire vantaggi con il Potere, questo ci hanno detto. Più di una volta Harine ci ha minacciato di appenderci al sartiame per le dita dei piedi finché non ci tornava il buon senso, e io personalmente credo che l'avrebbe fatto davvero! Ritieniti fortunato se hai le navi che volevi, Rand al'Thor. Harine te ne voleva dare solo una manciata! Ritieniti fortunato se non ha chiesto anche i tuoi stivali nuovi e quel tuo orrendo trono! Oh, a proposito, ti ha formalmente riconosciuto come il Coramoor, che ti possa venire un crampo allo stomaco!» Min la guardò a occhi sgranati. Anche Rand e Dobraine la fissavano, il Cairhienese a bocca aperta. Rafela la fissava, muovendo le labbra senza produrre alcun suono. Quanto a ciò, il fuoco si spense negli occhi della stessa Merana, che li sgranò sempre più come se si fosse solo in quel mo-
mento accorta di quello che aveva detto. Lo Scettro del Drago tremava stretto nel pugno di Rand. Min aveva visto la sua furia gonfiarsi e quasi esplodere per molto meno. Pregò per qualcosa che impedisse l'esplosione, ma non gliene veniva in mente nessuna. «A quanto pare,» disse lui alla fine «le parole che un ta'veren tira fuori alla gente non sono sempre quelle che vorrebbe sentire.» Sembrava... calmo; no, Min non stava per pensare 'sano di mente'. «Avete fatto un buon lavoro, Merana. Vi ho assegnato un compito difficile, ma tu e Rafela avete fatto un buon lavoro.» Le due Aes Sedai vacillarono, e per un attimo Min pensò che potessero sciogliersi in pozze sul pavimento per il mero sollievo. «Almeno siamo riuscite a non far arrivare tutti i dettagli a Cadsuane» disse Rafela, lisciandosi le gonne con mani tremanti. «Non c'era modo di impedire che tutti sapessero che avevamo raggiunto un qualche tipo di accordo, ma almeno le abbiamo nascosto il resto.» «Sì» disse Merana col fiato corto. «Ci ha persino teso un'imboscata sulla via del ritorno. È difficile nasconderle qualcosa, ma ci siamo riuscite. Pensavamo che tu non volessi...» La voce le si smorzò per l'espressione dura come roccia che aveva assunto Rand. «Di nuovo Cadsuane» disse lui con voce piatta. Guardò accigliato la lancia spezzata che stringeva in pugno, poi la gettò su una poltrona quasi temesse quello che poteva fare se l'avesse tenuta in mano. «È nel Palazzo del Sole, vero? Min, di' alle Fanciulle qui fuori di portare un messaggio a Cadsuane. Deve presentarsi dal Drago Rinato in tutta fretta.» «Rand, non credo» cominciò Min a disagio, ma lui la interruppe. Non duramente, ma con fermezza. «Fallo, Min, per favore. Questa donna è come un lupo che osserva l'ovile. Ho intenzione di scoprire cosa vuole.» Min ci mise tempo ad alzarsi, e strascicò i piedi fino alle doppie porte. Non era l'unica a credere che quella fosse una pessima idea. O almeno a voler essere altrove quando il Drago Rinato si fosse trovato faccia a faccia con Cadsuane Melaidhrin. Dobraine la superò diretto anche lui all'uscita, fermandosi appena per rivolgerle un frettoloso inchino, e persino Merana e Rafela uscirono prima di lei, anche se non mostrarono alcuna fretta. Almeno finché rimasero all'interno della stanza. Quando Min si affacciò nel corridoio, le due sorelle avevano già raggiunto Dobraine e stavano quasi correndo. Cosa strana, le cinque o sei Fanciulle che si trovavano fuori dalla porta
quando era arrivata Min adesso erano cresciute di numero, allineate lungo le pareti in entrambe le direzioni fin dove il suo sguardo poteva arrivare, donne alte dal viso duro vestite col grigio e il marrone del cadin'sor, lo shoufa avvolto intorno alla testa con il lungo velo nero che penzolava. Molte di loro imbracciavano le lance e lo scudo in pelle di toro come se si aspettassero una battaglia. Alcune facevano quel gioco chiamato 'sasso, carta, coltello', e le altre guardavano con attenzione. Non abbastanza da non vedere lei, però. Quando riferì il messaggio di Rand, il linguaggio dei gesti guizzò lungo le file, poi due allampanate Fanciulle andarono via al trotto. Le altre tornarono prontamente al gioco, quelle che lo giocavano e quelle che osservavano. Grattandosi la testa per la perplessità, Min tornò nella stanza. Le Fanciulle la rendevano spesso nervosa, eppure avevano sempre una parola per lei, a volte rispettosa, come se si rivolgessero a una Sapiente, a volte scherzosa, anche se il loro umorismo era quanto meno strano. Ma non l'avevano mai ignorata a quel modo. Rand era in camera da letto. Questo bastò a farle galoppare il cuore. Si era tolto la giubba, e la camicia bianca come la neve era sbottonata al collo e sfilata dai pantaloni. Sedendosi a piedi del letto, Min poggiò la schiena contro uno dei pesanti sostegni del baldacchino di palissandro e tirò su le gambe, incrociando le caviglie. Non aveva mai avuto modo di guardare Rand mentre si spogliava, e voleva godersi la scena. Invece di continuare, però, lui rimase lì a guardarla. «Cosa mai potrebbe insegnarmi Cadsuane?» chiese all'improvviso. «A te e a tutti gli Asha'man» rispose Min. Era stata una sua visione. «Non lo so cosa, Rand. So solo che dovete impararlo. Tutti voi.» Non pareva intenzionato ad andare oltre la camicia penzolante. Sospirando, Min proseguì «Hai bisogno di lei, Rand. Non ti puoi permettere di farla adirare. Non ti puoi permettere di cacciarla via.» In realtà, pensava che neppure cinquanta Myrddraal e mille Trolloc potessero cacciare via Cadsuane, ma il punto non era questo. Gli occhi di Rand parvero persi nel nulla, e dopo un attimo lui scosse il capo. «Perché dovrei dar retta a un pazzo?» mormorò quasi tra sé. Per la Luce, credeva davvero che Lews Therin Telamon parlasse nella sua testa? «Se lasci sapere a qualcuno che hai bisogno di lui, Min, gli darai potere su di te. Gli darai un guinzaglio, col quale potrà trascinarti dove vuole. Non mi metterò il giogo sul collo per nessuna Aes Sedai. Per nessuno in assoluto!» Lentamente, riaprì i pugni. «È di te che ho bisogno, Min» disse sem-
plicemente. «Non per le tue visioni. Ho bisogno di te.» Che io sia folgorata!, pensò Min, ma quest'uomo può togliermi il terreno da sotto i piedi con poche parole! Con un sorriso bramoso come quello di lei, Rand prese il bordo inferiore della camicia e si piegò per cominciare a sfilarsela dalla testa. Min, con le dita intrecciate sul ventre, tornò a poggiarsi al sostegno per guardarlo. Le tre Fanciulle entrate a passo di marcia non portavano più lo shoufa che, quando erano nel corridoio, copriva i loro corti capelli. Erano a mani vuote, e non avevano più nemmeno quei grossi coltelli alla cintura. Min ebbe tempo di notare solo questo. Rand aveva ancora la testa e le braccia coperte dalla camicia, e Somara, capelli biondo chiaro e alta anche per una Aiel, afferrò il lino bianco e lo torse, intrappolandolo. Quasi nello stesso istante, gli diede un calcio tra le gambe. Con un ruggito strozzato, Rand si piegò ancora di più, vacillando. Nesair, capelli di fiamma e bella nonostante le cicatrici bianche su entrambe le guance abbronzate, gli piantò un piede nel fianco destro abbastanza forte da farlo cadere di lato. Con un urlo, Min si lanciò dal letto. Non sapeva che follia stava succedendo, non riusciva nemmeno a immaginarlo. Dalle maniche estrasse agilmente i pugnali, e si lanciò contro le Fanciulle urlando: «Aiuto! Oh, Rand! Qualcuno mi aiuti!» O meglio, aveva intenzione di urlare: la terza Fanciulla, Nandera, si girò come un serpente e Min si ritrovò un piede nello stomaco. Il fiato le uscì dai polmoni in un sibilo. I pugnali le volarono dalle mani intorpidite, e il calcio della Fanciulla dai capelli grigi le fece fare una capriola. Atterrò di schianto sulla schiena, e le uscì fuori anche quel poco di aria che le rimaneva nei polmoni. Cercò di muoversi, di respirare - cercò di capire! - ma non riuscì a fare altro che restare lì stesa a guardare. Le tre donne furono molto brutali. Nesair e Nandera tempestarono Rand di pugni mentre Somara lo teneva piegato in due e intrappolato nella sua stessa camicia. Uno dopo l'altro e poi ancora, i colpi ben mirati si susseguivano sul ventre di Rand, sul suo fianco destro. Se avesse avuto fiato in gola, Min sarebbe esplosa in una risata isterica: stavano cercando di picchiarlo a morte e si premuravano di non colpirlo sul fianco sinistro, dove la vecchia cicatrice non del tutto guarita era attraversata da uno squarcio solo in parte richiuso. Min conosceva benissimo il corpo di Rand, sapeva quanto era forte, ma nessuno poteva resistere a tutti quei colpi. Lentamente lui piegò le gambe,
e quando si inginocchiò sul pavimento di piastrelle Somara lasciò andare la camicia. Rand cadde faccia a terra. Min lo sentì ansimare, sentì che cercava di trattenere i gemiti che però venivano comunque fuori. Inginocchiandosi a sua volta, Somara gli rimise giù la camicia quasi con tenerezza. Lui rimase steso con una guancia schiacciata sul pavimento, gli occhi in fuori, il fiato corto. Nesair si chinò a prenderlo per i capelli e con uno strattone gli fece alzare la testa. «Noi abbiamo vinto il diritto per fare questo,» ringhiò «ma tutte le Fanciulle desideravano metterti le mani addosso. Io ho lasciato il mio clan per te, Rand al'Thor. Non ti permetto di sputarmi addosso!» Somara mosse una mano come se volesse spostare i capelli dal viso di Rand, poi la ritirò di scatto. «Questo è il trattamento che riserviamo a un fratello primo se ci disonora, Rand al'Thor» disse con fermezza. «La prima volta. La prossima useremo le cinghie.» Nandera si mise davanti a Rand con le mani piantate sui fianchi e il volto di pietra. «Tu porti l'onore delle Far Dareis Mai, figlio di una Fanciulla» disse cupa. «Hai promesso di chiamarci a danzare le lance per te, poi sei andato in battaglia e ci hai lasciate qui. Non lo farai mai più.» Lo scavalcò per uscire a grandi passi dalla stanza, e le altre due la seguirono. Solo Somara si girò a guardare, e nonostante la sfumatura di compassione nei suoi occhi azzurri, la sua voce era ferma quando disse «Non obbligarci a farlo di nuovo, figlio di una Fanciulla.» Rand si era già messo carponi quando Min riuscì a strisciare verso di lui. «Devono essere pazze» gracchiò lei. Per la Luce, quanto le faceva male il ventre! «Rhuarc farà...» Non sapeva cosa avrebbe fatto Rhuarc. Ma non sarebbe mai stato abbastanza. «Sorilea.» Sorilea le avrebbe impalate sotto il sole! Per cominciare! «Quando glielo diremo...» «Non lo diremo a nessuno» dichiarò Rand. Sembrava quasi aver ritrovato il fiato, anche se gli occhi erano ancora un po' sporgenti. Come aveva fatto? «Avevano diritto. Se lo sono guadagnato.» Min conosceva fin troppo bene quel tono. Quando un uomo decideva di essere testardo era capace di sedersi nudo su un cespuglio di ortiche e dire che non gli pungeva il fondoschiena! Fu quasi contenta di sentirlo gemere quando lo aiutò a mettersi in piedi. Be', quando si aiutarono a vicenda. Se aveva intenzione di comportarsi da stupido, si meritava qualche livido! Rand si adagiò sul letto, poggiandosi ai cuscini, e lei gli si rannicchiò accanto. Non quello che aveva sperato, ma era sicura che non sarebbero andati oltre.
«Non è così che avevo sperato di usare questo letto» mormorò lui. Min non sapeva se quella frase era rivolta a lei o se Rand aveva solo pensato a voce alta. Rise. «I tuoi abbracci mi piacciono quanto... il resto.» Stranamente lui le sorrise, quasi sapesse che era una bugia. Zia Miren le aveva detto che quella era una delle tre bugie alle quali un uomo avrebbe sempre creduto. «Se interrompo qualcosa,» disse una fredda voce di donna dalla soglia «immagino di poter tornare in un momento più opportuno.» Min si allontanò di scatto da Rand come se scottasse, ma quando lui la tirò di nuovo a sé tornò a rannicchiarsi contro il suo corpo. Aveva riconosciuto l'Aes Sedai in piedi sulla soglia, una piccola e paffuta Cairhienese con quattro sottili strisce di colore sul grosso seno e striature bianche sulle gonne scure. Daigian Moseneillin era una delle sorelle arrivate con Cadsuane. E, secondo Min, era prepotente quasi quanto la stessa Cadsuane. «Chissà come ti comporti quando sei a casa tua» disse pigramente Rand. «Non ti hanno insegnato a bussare?» Min però si rese conto che il braccio che la teneva era duro come una roccia. La pietra di luna che penzolava sulla fronte di Daigian attaccata a una sottile catenina d'argento oscillò quando la donna scosse il capo. Chiaramente, non era contenta. «Cadsuane Sedai ha ricevuto la tua richiesta,» disse con voce ancor più fredda di prima «e mi ha chiesto di comunicarti il suo rammarico. È molto impegnata a finire il ricamo al quale sta lavorando. Forse potrà vederti un altro giorno. Se riesce a trovare il tempo.» «È questo che ha detto?» chiese Rand minaccioso. Daigian tirò su con il naso in segno di spregio. «Vi lascerò a... quello che stavate facendo.» Min si chiese se poteva passarla liscia dopo aver dato uno schiaffo a un'Aes Sedai. Daigian la guardò con occhi di ghiaccio, quasi avesse sentito il suo pensiero, poi si girò per andare via. Rand si drizzò a sedere con un'imprecazione soffocata. «Di' a Cadsuane che se ne può anche andare al Pozzo del Destino!» urlò dietro alla sorella. «Dille che può anche marcire!» «Non va bene così, Rand» sospirò Min. Sarebbe stato più difficile di quanto aveva pensato. «Tu hai bisogno di Cadsuane. Non è lei ad aver bisogno di te.» «Ah, no?» disse lui piano, e Min rabbrividì. Prima le era parso minaccioso, ma adesso... Rand si preparò con cura, indossò di nuovo la giubba verde e mandò
Min a portare alle Fanciulle i messaggi che dovevano diffondere. Questo, almeno, erano ancora disposte a farlo. Le costole sul lato destro gli facevano male quasi quanto le ferite sul lato sinistro, e gli sembrava che gli avessero bastonato il ventre con un'asse di legno. Aveva fatto una promessa alle Fanciulle. Quando fu da solo nella sua stanza da letto afferrò saidin, non voleva che nemmeno Min lo vedesse vacillare. Poteva tenere almeno lei al sicuro, in qualche modo, ma come avrebbe fatto Min a sentirsi al sicuro se lo avesse visto barcollare? Doveva essere forte, per lei. Doveva essere forte, per il mondo. Il mucchio di emozioni in fondo alla sua mente che rappresentava Alanna gli rammentò qual era il prezzo da pagare quando si era incauti. In quel momento Alanna era imbronciata. Forse aveva esagerato con una Sapiente, perché anche se stava seduta era scomoda. «Penso ancora che questa sia una follia, Rand al'Thor» disse Min poggiandogli attentamente sul capo la Corona di Spade. Non c'era bisogno che quelle piccole spade lo ferissero di nuovo, adesso. «Mi stai ascoltando? Be', se intendi andare fino in fondo, sarò al tuo fianco. Hai ammesso di aver bisogno di me, e se così più che mai in questa occasione!» Pugni sui fianchi, piede che batteva a terra, occhi quasi fuori dalle orbite: gli stava offrendo la scena completa. «Tu resti qui» le disse Rand con fermezza. Non era ancora sicuro di cosa volesse fare, non del tutto, ma non voleva che lei lo vedesse vacillare. E temeva davvero che avrebbe vacillato. Ma era sicuro che Min si sarebbe opposta a quella sua decisione. Lei lo guardò torva, e smise di battere col piede. La rabbia che le accendeva il viso diventò preoccupazione che svanì in un batter d'occhi. «Be', immagino che sei grande abbastanza da attraversare il cortile della stalla senza nessuno che ti tenga per mano, pastore. Inoltre, sto rimanendo indietro con le mie letture.» Lasciandosi cadere in una delle alte poltrone dorate, piegò le gambe sotto di sé e raccolse il libro che stava leggendo al suo arrivo. Dopo qualche istante, parve totalmente assorta dalle pagine che aveva davanti. Rand annuì. Era quello che voleva; Min lì, al sicuro. Eppure, non c'era bisogno che si dimenticasse di lui a quel modo. C'erano sei Fanciulle accovacciate nel corridoio fuori dalla porta. Lo fissarono con sguardi inespressivi, senza parlare, Nandera più impassibile delle altre. Anche se Somara e Nesair quasi la eguagliavano. Rand pensò che Nesair era una Shaido; avrebbe dovuto tenerla d'occhio. Anche gli Asha'man erano in attesa - nella testa di Rand, Lews Therin
riprese coi suoi cupi mormorii omicidi - e tutti tranne Narishma avevano sul colletto anche il drago oltre alla spada. Bruscamente, lui ordinò proprio a Narishma di fare la guardia ai suoi appartamenti, e l'uomo eseguì bruscamente il saluto, con una lieve espressione di accusa in quei suoi occhi troppo grandi e troppo perspicaci. Rand non credeva che le Fanciulle potessero sfogare anche su Min il loro malcontento, ma non aveva intenzione di correre rischi. Per la Luce, aveva detto tutto a Narishma sulle trappole che aveva intessuto nella Pietra quando l'aveva mandato a prendere Callandor. Quell'uomo si immaginava le cose. Che io sia folgorato, pensò Rand, quello sì che è stato un rischio folle. Solo i pazzi non si fidano mai. Lews Therin sembrava divertito. E piuttosto pazzo. Le ferite sul fianco di Rand pulsavano; sembravano risuonare una con l'altra in un distante ritmo di dolore. «Portatemi da Cadsuane» ordinò. Nandera si mise agilmente in piedi e si avviò senza neppure voltarsi indietro. Lui la seguì, e gli altri si accodarono, Dashiva e Flinn, Morr e Hopwil. Rand impartì loro rapidi ordini mentre camminavano. Flinn, proprio lui tra tutti gli altri, provò a protestare, ma Rand lo zittì; non c'era tempo per nessun ripensamento. Il brizzolato ex soldato della Guardia era l'ultimo dal quale si sarebbe aspettato quelle proteste. Le aveva temute forse da Morr, o da Hopwil. Anche se non erano più esattamente ingenui erano ancora abbastanza giovani da poter tenere spesso da parte il rasoio. Ma Flinn no. I morbidi stivali di Nandera non facevano nessun rumore; i loro passi invece riverberavano fino all'alto soffitto a volta, facendo fuggir via chiunque avesse motivo di temerli. Le ferite pulsavano. Tutti nel Palazzo del Sole conoscevano ormai di vista il Drago Rinato, e sapevano anche chi erano gli uomini in giubba nera. I servitori in livrea nera facevano profondi inchini e riverenze e poi sparivano rapidamente. I nobili erano quasi altrettanto veloci a mettere una certa distanza tra sé e cinque uomini in grado di incanalare, e se ne andavano tutti via con l'aria di chi ha un impegno da svolgere. Ailil li guardò passare con in viso un'espressione indecifrabile. Anaiyella sorrise ammiccante, come suo solito, ma quando Rand si girò vide che lo guardava con un volto simile a quello di Nandera. Bertome sorrise mentre si inchinava, un sorriso scuro senza gioia né piacere. Nandera non parlò neppure quando giunsero a destinazione, si limitò a indicare la porta chiusa con una delle sue lance, girò sui talloni e tornò indietro a grandi passi. Il Car'a'carn senza neppure una Fanciulla a fargli la
guardia. Pensavano che quattro Asha'man fossero sufficienti a tenerlo al sicuro? O il fatto che Nandera era andata via era un'altra dimostrazione di scontento? «Fate come vi ho detto» ordinò Rand. Dashiva trasalì come se fosse appena tornato in sé, poi afferrò la Fonte. Le ampie porte, incise a linee verticali, si spalancarono con un tonfo, colpite da un flusso di Aria. Gli altri tre Asha'man si avvinsero a saidin e seguirono Dashiva oltre la soglia, cupi in volto. «Il Drago Rinato,» la voce di Dashiva risuonava forte, leggermente amplificata dal Potere «il re di Illian, il Signore del Mattino, viene in visita alla donna, Cadsuane Melaidhrin.» Rand entrò, tenendosi ben dritto. Non riconobbe l'altra tessitura creata da Dashiva, ma l'aria sembrava ronzare minacciosa dando la sensazione di qualcosa di inesorabile e imminente, incombente. «Ti avevo mandata a chiamare, Cadsuane» disse Rand. Non usò saidin, la sua voce era già abbastanza dura e piatta. La sorella Verde era seduta con in mano un cerchio per il ricamo e accanto a lei c'era un tavolino dal lucido ripiano sul quale poggiava un cesto aperto, con matasse di filo colorato che si riversavano da uno dei tanti scompartimenti. Cadsuane era esattamente come la ricordava. Il volto forte sormontato da una crocchia di capelli grigio ferro decorata con piccoli ninnoli dorati, pesci e uccelli, stelle e lune. Occhi scuri, che sembravano quasi neri al contrasto con il volto chiaro. Occhi freddi e penetranti. Lews Therin gemette e fuggì alla vista di Cadsuane. «Be',» fece lei, poggiando il ricamo sul tavolo «devo dire che ho visto di meglio senza pagare. Con tutto quello che ho sentito su di te, ragazzo, mi aspettavo quanto meno rombi di tuono, squilli di trombe e luci abbaglianti nel cielo.» Con calma, osservò i cinque uomini dal volto di pietra e capaci di incanalare, una vista che avrebbe dovuto far trasalire ogni Aes Sedai. Con calma, osservò il Drago Rinato. «Spero che almeno uno di voi farà dei giochi di prestigio» disse. «O magari sputerà fuoco. Mi è sempre piaciuto guardare i menestrelli che sputano fuoco.» Flinn abbaiò una risata prima di riuscire a trattenersi, ma dopo si passò comunque una mano tra i pochi capelli faticando a non mostrare il proprio divertimento. Morr e Hopwil si guardarono, perplessi e non poco adirati. Dashiva fece un sorriso sgradevole e la tessitura che stava mantenendo divenne più forte, finché Rand sentì quasi il bisogno di girarsi dietro per scoprire cosa si stava per abbattere su di lui.
«Ti basti sapere chi sono» disse Rand a Cadsuane. «Dashiva, tu e gli altri mi aspetterete nel corridoio.» Dashiva aprì bocca come per protestare. Quello non faceva parte degli ordini ricevuti, ma era evidente che non stavano incutendo timore a quella donna. Tuttavia Dashiva obbedì, mormorando tra sé. Hopwil e Morr furono addirittura solerti a uscire, e lanciarono occhiate furtive a Cadsuane. Flinn fu l'unico a ritirarsi con dignità, malgrado la zoppia. E sembrava ancora divertito! Rand incanalò, e una pesante seda con un intagliato si allontanò dalla parete e fluttuò nell'aria verso di lui, ruotando su sé stessa più volte prima di poggiarsi leggera come una piuma di fronte a Cadsuane. Nello stesso tempo una grossa brocca d'argento si staccò da un tavolo coperto da un drappo e attraversò in volo la stanza, emettendo un lieve tintinnio quando fu all'improvviso riscaldata; col vapore che usciva dal becco, si capovolse ruotando su sé stessa come una lenta trottola, mentre una coppa d'argento sfrecciava a raccogliere il liquido scuro senza versarne una goccia. «Troppo caldo, forse» disse Rand, e i battenti di vetro delle strette finestre si spalancarono. I fiocchi di neve entrarono portati da una gelida raffica, e la coppa veleggiò fuori da una finestra, tornò indietro e atterrò dritta nella sua mano mentre lui si sedeva. Quanto sarebbe riuscita a stare calma quella donna con un pazzo che la fissava? Il liquido scuro era tè, troppo forte dopo la bollitura, e abbastanza amaro da fargli digrignare i denti, ma la temperatura era perfetta. La pelle gli si accapponò per le folate che ululavano nella stanza e facevano sbattere gli arazzi contro le pareti, ma nel Vuoto era una sensazione lontana, la pelle era quella di qualcun altro. «La Corona di Alloro è più graziosa di molte altre» disse Cadsuane con un leggero sorriso. I ninnoli nei suoi capelli ondeggiavano ogni volta che si alzava il vento, e piccole ciocche frustavano l'aria libere dalla crocchia, ma la sua unica reazione fu di afferrare il cerchio del ricamo prima che volasse via dal tavolo. «Io preferisco quel nome. Ma non ti puoi aspettare che io sia impressionata da una corona. Ho sculacciato il fondoschiena di due re e tre regine mentre erano ancora in carica. Per circa un giorno non sono tornati sul trono, capisci, quando ho finito con loro, ma ho ottenuto la loro attenzione. Puoi capire quindi perché le corone non mi impressionino.» Rand rilassò la mascella. Digrignare i denti non serviva a niente. Sgranò gli occhi, sperando di sembrare pazzo e non semplicemente furioso. «Quasi tutte le Aes Sedai evitano il Palazzo del Sole» le disse. «Tranne quelle che mi hanno giurato fedeltà. E quelle che io tengo prigioniere.» Per la Lu-
ce, cosa doveva fare con loro? Finché le Sapienti gliele tenevano fuori dai piedi, andava abbastanza bene. «A quanto pare gli Aiel pensano che io possa andare e venire come desidero» rispose distrattamente Cadsuane, guardando il cerchio che teneva in mano come se stesse pensando di riprendere con l'ago. «Per via di un irrilevante aiuto che ho dato a un qualche ragazzo. Anche se davvero non capisco perché qualcun altro a parte sua madre dovrebbe ritenermi degna di tale considerazione.» Rand fece un altro sforzo per non digrignare i denti. Quella donna gli aveva salvato la vita. Lei e Damer Flinn, e molti altri ancora, inclusa Min. Ma era comunque in debito con Cadsuane per quello. Che fosse folgorata. «Voglio che tu sia la mia consigliera. Adesso sono il re di Illian, e i re hanno Aes Sedai tra i loro consiglieri.» Lei guardò la corona come se fosse un oggetto qualsiasi. «Assolutamente no. Troppo spesso, almeno per i miei gusti, una consigliera deve stare a guardare mentre il suo sovrano combina guai. E deve anche obbedire agli ordini, cosa per la quale sono particolarmente negata. Non potresti chiederlo a qualcun'altra? Alanna, magari?» Pur non volendo, Rand si alzò di scatto. Quella donna sapeva del legame? Merana aveva detto che era difficile nasconderle qualcosa. No; si sarebbe occupato dopo di scoprire quante cose le sue 'fidate' Aes Sedai stavano rivelando a Cadsuane. Per la Luce, quanto avrebbe voluto che per una volta Min si sbagliasse. Ma era più facile pensare di poter respirare sott'acqua. «Io...» Non riusciva a dirle che aveva bisogno di lei. Nessun giogo! «E se non ti chiedessi di fare alcun giuramento?» «Immagino che così potrebbe funzionare» disse lei dubbiosa, lanciando un'occhiata a quel maledetto ricamo. Poi alzò lo sguardo per incontrare il suo. Meditabonda. «Sembri... a disagio. Non mi piace dire a un uomo che ha paura, nemmeno quando farebbe bene ad averne. Sei a disagio perché una sorella che non sei riuscito a addomesticare ti mostra i denti? Vediamo un po'. Posso farti delle promesse; forse ti daranno un minimo di tranquillità. Mi aspetto che tu mi dia retta, ovviamente - fammi sprecare il fiato e te ne pentirai - ma non ti costringerò a fare ciò che non vuoi. Non tollererò nessuna menzogna, da nessuno, poco ma sicuro - un'altra cosa che decisamente ti metterà a disagio - ma non mi aspetto neanche che tu mi confessi i più segreti desideri del tuo cuore. Oh, già. Qualsiasi cosa faccio sarà per il tuo bene; non per il mio, né per quello della Torre Bianca, ma per il tuo bene. Ora, basta questo per alleviare le tue paure? Perdonami. I tuoi disa-
gi.» Chiedendosi se non era forse il caso di ridere, Rand la fissò. «Ve lo insegnano, a fare così?» chiese. «A formulare una promessa in modo che sembri una minaccia, voglio dire.» «Oh, capisco. Vuoi delle regole. Quasi tutti i ragazzi le voglio, qualsiasi cosa dicano. Molto bene. Vediamo un po'. Non sopporto la scortesia. Quindi sarai dovutamente cortese con me, i miei amici e i miei ospiti. Questo include non incanalare contro di loro, in caso tu non l'abbia capito, e tenere a bada i nervi, e mi rendo conto che sarà un'impresa memorabile per te. E riguarda anche i tuoi... compagni con quelle giubbe nere. Sarebbe un peccato se dovessi sculacciarti per qualcosa che hanno fatto loro. È abbastanza? Posso stabilirne altre, se hai bisogno.» Rand poggiò la coppa accanto alla sedia. Il tè era diventato freddo, oltre a essere amaro. La neve cominciava ad accumularsi in strisce sotto le finestre. «Io sono destinato a impazzire, Aes Sedai, ma tu sei già pazza.» Si alzò, e andò a grandi passi verso la porta. «Spero che tu non abbia provato a usare Callandor» disse dietro di lui Cadsuane in tono compiaciuto. «Ho saputo che è sparita dalla Pietra. Sei riuscito a scamparla una volta, ma forse a un secondo tentativo...» Rand si fermò di scatto, girandosi a guardarla. Quella donna stava spingendo il suo maledetto ago attraverso la stoffa tenuta tesa dal cerchio! Il vento soffiò e le fece vorticare intorno la neve, ma lei non alzò neppure la testa. «Che significa 'scamparla'?» «Cosa?» Cadsuane continuava a fissare il suo ricamo. «Oh. Pochissimi persino alla Torre sapevano cosa fosse Callandor prima che tu la estraessi, ma ci sono cose sorprendenti nascoste negli angoli più ammuffiti della biblioteca della Torre. Io ci sono andata a rovistare qualche anno fa, quando ebbi per la prima volta il sospetto che tu stessi succhiando il latte al seno di tua madre. Fu appena prima che decidessi di ritirarmi di nuovo. I bambini sono creature strane, e non vedevo come trovarti prima che smettessi di gocciolare da un'estremità o dall'altra.» «Che significa 'scamparla'?» chiese lui rudemente. E allora Cadsuane alzò lo sguardo e, con i capelli che sventolavano e la neve che le si poggiava sul vestito, sembrò una regina. «Ti ho detto che non sopporto la scortesia. Se chiederai di nuovo il mio aiuto, mi aspetto che tu lo faccia con gentilezza. E mi aspetto delle scuse per il tuo comportamento di oggi!» «Cosa volevi dirmi su Callandor?»
«È difettosa,» rispose bruscamente l'Aes Sedai «non ha la barriera che rende gli altri sa'angreal sicuri da usare. E a quanto pare amplifica la contaminazione, spingendo la mente verso la pazzia. Finché a usarla è un uomo, almeno. Il solo modo sicuro in cui puoi servirti della Spada che non è una spada, il solo modo in cui puoi usarla senza rischiare di ucciderti o di finire col fare solo la Luce sa quali pazzie, è legandoti con due donne e lasciando che sia una di loro a guidare i flussi.» Cercando di non piegare le spalle, Rand si allontanò da lei. E così non era stata solo la stranezza di saidin intorno a Ebou Dar a uccidere Adley. Lui stesso l'aveva assassinato nel momento in cui aveva mandato Narishma a prendere quell'arma. La voce di Cadsuane lo inseguì. «Ricorda, ragazzo. Devi chiedere con molta grazia, e scusarti. Potrei anche accettare le tue scuse, se mi sembreranno davvero sincere. Rand la sentì appena. Aveva sperato di usare di nuovo Callandor. Di trarne la forza necessaria. Ora gli rimaneva una sola occasione, che lo terrorizzava. Gli sembrò di sentire la voce di un'altra donna, una donna morta. Potresti sfidare il Creatore. 28
Spinarossa Non sembrava affatto lo scenario dell'esplosione che Elayne temeva. Ponte Harlon era un villaggio di media grandezza, con tre locande e abbastanza case perché nessuno dovesse dormire in un fienile. Quando Elayne e Birgitte scesero nella sala comune quel mattino, comare Dill, la rotonda locandiera, sorrise con calore e si esibì nella migliore riverenza che le concedeva la sua mole. E non solo perché Elayne era un'Aes Sedai. Comare Dill era così contenta di avere la locanda piena, con le strade coperte di neve, che si inchinava quasi per tutti. Al loro ingresso, Aviendha ingollò gli ultimi bocconi di pane e formaggio della sua colazione, spazzolò via le briciole dal vestito e prese il mantello scuro per poi raggiungerle.
Fuori il sole si stava appena affacciando all'orizzonte, una bassa cupola color giallo chiaro. Solo poche nuvole segnavano il bel cielo azzurro, ed erano bianche e lanuginose, non foriere di neve. Sembrava un giorno meraviglioso per viaggiare. Solo che Adeleas si stava scavando un sentiero nella strada innevata, e la canuta sorella trascinava per un braccio una donna della Famiglia, Garenia Rosoinde. Garenia era una Saldeana dai fianchi sottili che aveva trascorso gli ultimi vent'anni come mercante anche se sembrava appena più grande di Nynaeve. Di solito il grosso naso adunco le dava un aspetto forte, l'aria di una donna che avrebbe mercanteggiato duramente senza tirarsi indietro. Adesso gli scuri occhi oblunghi erano sgranati, e dalla bocca spalancata usciva un lamento inarticolato. Un gruppo sempre più numeroso di altre donne della Famiglia seguiva Adeleas e Garenia. Le gonne tenute in alto per la neve, sussurravano tra di loro mentre altre ancora correvano da ogni dove per raggiungerle. Reanne e le altre del Circolo della Maglia erano in testa al gruppo, tutte cupe in volto tranne Kirstian, che sembrava persino più pallida del solito. C'era anche Alise, con un'espressione assolutamente impassibile. Adeleas si fermò davanti a Elayne e spinse Garenia così forte da farla cadere carponi nella neve. Dove la donna rimase, continuando a gemere. Quelle della Famiglia si raccolsero alle sue spalle, e altre continuarono ad arrivare. «L'ho portata da te perché Nynaeve è impegnata» disse a Elayne la sorella Marrone. Significava che Nynaeve era da qualche parte a godersi un po' di tempo da sola con Lan, ma per una volta le labbra di Adeleas non furono toccate nemmeno dall'accenno di un sorriso. «Stai zitta, bambina!» scattò contro Garenia. Che prontamente si zittì. Adeleas annuì soddisfatta. «Questa non è Garenia Rosoinde» disse. «Alla fine l'ho riconosciuta. Zarya Alkaese, una novizia che fuggì dalla Torre poco prima che io e Vandene decidessimo di ritirarci per scrivere la nostra storia del mondo. Lo ha ammesso, quando l'ho accusata. Mi sorprende che Careane non l'abbia riconosciuta prima; sono state novizie insieme per due anni. La legge è chiara, Elayne. Una fuggitiva deve tornare a indossare il bianco finché non potrà essere rispedita alla Torre per l'idonea punizione. Così non le verrà più in mente di scappare!» Elayne annuì lentamente, cercando di pensare a qualcosa da dire. Che Garenia - Zarya - pensasse o meno di fuggire di nuovo, non ne avrebbe avuto occasione. Era molto forte nel Potere: la Torre non l'avrebbe lasciata
andar via nemmeno se ci avesse messo tutta la vita a guadagnarsi lo scialle. Ma Elayne si stava ricordando una cosa che le aveva sentito dire quando l'aveva incontrata per la prima volta. All'epoca il significato non le era stato chiaro, ma adesso sì. Come avrebbe fatto Zarya a sopportare di nuovo il bianco da novizia dopo settant'anni vissuti da donna libera? Peggio ancora, i sussurri che si scambiavano le donne della Famiglia cominciavano a sembrare più simili a ruggiti. Non ebbe molto tempo per pensare. All'improvviso Kirstian cadde in ginocchio, afferrando con una mano le gonne di Adeleas. «Confesso» disse con calma, un tono che stupiva visto il pallore del suo volto esangue. «Fui iscritta nel registro delle novizie quasi trecento anni fa, e fuggii meno di un anno dopo. Confesso e... imploro pietà.» Adesso fu la canuta Adeleas a sgranare gli occhi. Kirstian stava sostenendo di essere fuggita dalla Torre Bianca quando lei era ancora una bambina, se non prima ancora che nascesse! La maggior parte delle sorelle non credeva davvero all'età che le donne della Famiglia dichiaravano di avere. In effetti Kirstian sembrava a malapena una donna matura. Ciò nonostante, Adeleas si riprese subito. Per quanto vecchia potesse essere quella donna, lei era Aes Sedai da più tempo di tutte le altre sorelle viventi. Aveva un'aura di esperienza e autorità. «Se è così, bambina,» la voce le vacillò appena su quella parola «temo che dovremo far indossare il bianco anche a te. Sarai comunque punita, ma con una certa clemenza visto che hai confessato.» «Per questo l'ho fatto.» L'effetto del tono saldo di Kirstian fu in qualche modo rovinato quando la donna deglutì sonoramente. Era forte quasi quanto Zarya - nel Circolo della Maglia nessuna era debole - e anche lei avrebbe ricevuto molte attenzioni dalla Torre. «Sapevo che mi avreste scoperto prima o poi.» Adeleas annuì come se quello fosse chiaramente ovvio, anche se Elayne proprio non riusciva a capire come avrebbero potuto scoprire quella donna. Dubitava che Kirstian Chalwin fosse il suo vero nome. Tuttavia, quasi tutte nel Circolo della Maglia credevano che le Aes Sedai fossero onniscienti. O quanto meno l'avevano creduto. «Sciocchezze!» La voce roca di Sarainya Vostovan superò il mormorio della Famiglia. Pur non essendo abbastanza forte da diventare Aes Sedai né abbastanza vecchia da avere una posizione molto elevata nella Famiglia, si fece comunque avanti con aria di sfida «Perché dovremmo cederle alla Torre Bianca? Abbiamo aiutato quelle donne a fuggire, e abbiamo fat-
to bene! Non fa parte delle nostre regole questa cosa di restituirle!» «Controllati!» la richiamò Reanne. «Alise, occupati di Sarainya per favore. A quanto pare ha dimenticato troppe di quelle regole che sostiene di conoscere.» Alise guardò Reanne, il volto ancora indecifrabile. Alise, che faceva rispettare le regole della Famiglia con mano ferma. «Non fa parte delle nostre regole restituire le fuggitive, Reanne» disse. Reanne trasalì come se l'avessero colpita. «E come suggerisci di tenerle con noi?» chiese infine. «Abbiamo sempre tenuto nascoste le fuggitive finché non eravamo sicure che nessuno dava più loro la caccia, e se venivano scoperte prima lasciavamo che le sorelle le prendessero. Questa è la regola, Alise. Quale altra regola proponi di violare? Vuoi che ci mettiamo addirittura contro le Aes Sedai?» L'assurdità di quell'idea trasudava dalla sua voce, eppure Alise rimase a guardarla in silenzio. «Sì» urlò qualcuna dal gruppo della Famiglia. «Noi siamo tante, e loro poche!» Adeleas guardò quelle donne con espressione di incredulità. Elayne abbracciò saidar, anche se sapeva che chi aveva parlato aveva ragione - la Famiglia era troppo numerosa. Sentì che anche Aviendha abbracciava il Potere, e Birgitte si preparava all'azione. Scuotendosi come se fosse appena tornata in sé, Alise fece qualcosa di molto più pratico, e sicuramente molto più efficace. «Sarainya,» disse ad alta voce «verrai a fare rapporto da me quando ci fermeremo per la notte, con un bastone che tu stessa avrai tagliato prima che partiamo stamattina. Anche tu, Asra: ti ho riconosciuta!» E poi, con voce altrettanto alta, disse a Reanne: «Quando ci fermiamo stanotte, mi sottoporrò al tuo giudizio. Come mai non vi vedo ancora fare i preparativi?» chiese a tutte le altre. E la Famiglia si disperse rapidamente, le donne corsero a raccogliere le loro cose, eppure Elayne vide che alcune continuavano a parlare tra di loro a bassa voce. Quando cavalcarono sul ponte che superava il torrente ghiacciato che serpeggiava accanto al villaggio, Nynaeve, incredula per quello che si era perso, si guardava torvamente intorno cercando qualcuno con cui sfogarsi; Sarainya e Asra avevano con sé i bastoni - e anche Alise -, mentre Zarya e Kirstian avevano indossato, sotto i mantelli scuri, abiti bianchi trovati in tutta fretta. Le Cercavento le indicavano e ridevano con grande spasso. Ma molte donne della Famiglia continuavano a parlare in piccoli gruppi, zittendosi ogniqualvolta una sorella o una del Circolo della Maglia le guardava. E quando loro guardavano le Aes Sedai lo facevano con un'ombra scura negli occhi.
Altri otto giorni ad arrancare per le strade innevate quando il cielo era sereno, e a digrignare i denti in una locanda quando invece nevicava. Altri otto giorni a notare le espressioni cupe della Famiglia, gli sguardi duri lanciati alle sorelle, a sopportare l'altezzosità con cui le Cercavento si rivolgevano ugualmente alla Famiglia e alle Aes Sedai. La mattina del nono giorno, Elayne cominciò a sperare che tutte quelle donne saltassero semplicemente una alla gola dell'altra. Si stava appena chiedendo se sarebbero riusciti a coprire gli ultimi quindici chilometri fino a Caemlyn senza nessun omicidio, quando Kirstian bussò alla porta e sfrecciò dentro senza aspettare una risposta. Il suo semplice abito di lana non era della sfumatura di bianco adatta a una novizia, e lei aveva ritrovato buona parte della sua dignità, come se conoscere il proprio futuro le avesse reso più semplice il presente, ma poi eseguì una frettolosa riverenza, rischiando di inciampare nel suo stesso mantello, gli occhi quasi neri pieni d'ansia. «Nynaeve Sedai, Elayne Sedai, lord Lan dice che dovete venire subito» comunicò col fiato corto. «Mi ha ordinato di non parlare con nessuno, e neanche voi dovete farlo.» Elayne e Nynaeve scambiarono sguardi con Aviendha e Birgitte. Nynaeve ringhiò qualcosa contro quell'uomo che non sapeva distinguere il privato dal pubblico, ma fu evidente, prima ancora che arrossisse, che non lo pensava davvero. Elayne sentì Birgitte che si concentrava, una freccia scoccata che dava la caccia al suo bersaglio. Kirstian ignorava cosa volesse Lan, sapeva solo dove doveva condurle. Il piccolo capanno fuori da Valico di Cullen dove la notte prima Adeleas aveva portato Ispan. Lan era fuori dalla porta, gli occhi freddi come l'aria di quel giorno, e non lasciò passare Kirstian. Quando Elayne entrò ne comprese il motivo. Adeleas era per terra, su un fianco, accanto a uno sgabello caduto, con una tazza sul ruvido pavimento di legno non lontana dalla sua mano protesa. Gli occhi erano sgranati, e una pozza di sangue congelato si allargava dallo squarcio profondo nella sua gola. Ispan era stesa su un piccolo giaciglio, gli occhi vuoti fissi sul soffitto. Le labbra ritratte e rigide le scoprivano i denti, e gli occhi sporgenti sembravano pieni di terrore. E doveva averne provato tanto, dal momento che un'asta di legno spessa quanto un polso le spuntava tra i seni. Il martello che era stato chiaramente usato per conficcarla giaceva accanto al lettino, sul bordo di una chiazza scura che proseguiva sotto il giaciglio stesso. Elayne si costrinse a smetterla di pensare a quanto era forte l'impulso di
vomitare in quello stesso istante. «Per la Luce» sussurrò. «Per la Luce! Chi può averlo fatto? Com'è possibile che qualcuno abbia potuto farlo?» Aviendha scosse il capo, stupita, e Lan non fece neppure quello. Si limitò a guardare in tutte le direzioni nello stesso tempo, quasi si aspettasse che chiunque o qualsiasi cosa aveva commesso quell'omicidio potesse entrare passando da una delle due piccole finestre, se non direttamente attraverso le pareti. Birgitte estrasse il pugnale che portava alla cintura, e a giudicare dal suo volto era amaramente pentita di non avere con sé l'arco. Quella freccia scoccata era più forte che mai nella mente di Elayne. Sulle prime, Nynaeve rimase semplicemente immobile, studiando l'interno della casupola. C'era poco da vedere, a parte l'ovvio. Un secondo sgabello a tre zampe, un tavolo rudimentale con sopra una lampada tremolante, una teiera verde con un'altra tazza, un rozzo camino di pietra con ceneri fredde nel focolare. Tutto qua. Il capanno era così piccolo che con un solo passo Nynaeve raggiunse il tavolo. Dopo aver intinto un dito nella teiera, lo sfiorò con la punta della lingua, poi sputò e svuotò tutta la teiera sul tavolo in un'onda di tè e foglie di tè. Elayne sbatté le palpebre, perplessa. «Cos'è successo?» chiese freddamente Vandene dalla porta. Lan fece per sbarrarle la strada, ma lei lo fermò con un gesto appena accennato. Elayne provò a cingerla con un braccio, e fu anche lei respinta da una mano alzata. Gli occhi di Vandene erano fissi su sua sorella, occhi calmi in un viso che era il ritratto della serenità da Aes Sedai. La donna morta sul giaciglio era come se non esistesse, per lei. «Quando vi ho visti venire tutti da questa parte, ho pensato... Sapevamo che non ci restavano molti anni, però...» Anche la sua voce era la personificazione della serenità, ma nessuno si sarebbe stupito sapendo che era tutta una maschera. «Che hai scoperto, Nynaeve?» La compassione sembrava strana sul volto di Nynaeve. Schiarendosi la voce, indicò le foglie di tè senza toccarle. «Questa è radice di spinarossa» disse, cercando di sembrare pratica e distaccata ma senza riuscirci. «È dolce, quindi chi non la conosce potrebbe non accorgersi che è nel tè, soprattutto se lo prende con molto miele.» Vandene annuì, senza mai distogliere lo sguardo da sua sorella. «Adeleas aveva sviluppato una passione per il tè dolce a Ebou Dar.» «In piccole quantità elimina il dolore» disse Nynaeve. «Così tanto... Così tanto elimina chi lo beve, ma lentamente. E bastano pochi sorsi.» Dopo aver preso un lungo respiro, aggiunse: «Potrebbero essere rimaste coscienti
per ore. Incapaci di muoversi, ma coscienti. Chiunque abbia fatto ciò non voleva correre il rischio che qualcuno arrivasse troppo presto con un antidoto - non che io ne conosca uno, per una dose così forte - oppure voleva che una delle due vittime sapesse chi la stava uccidendo.» Elayne trasalì per quella brutalità, ma Vandene si limitò ad annuire. «Ispan, credo, visto che a quanto pare si sono presi molto più tempo con lei.» Sembrava che la Verde dai capelli bianchi stesse pensando a voce alta, cercando di risolvere un rompicapo. Tagliare la gola a una persona era molto più rapido che conficcarle un paletto nel cuore. La calma di quella donna fece accapponare la pelle di Elayne. «Adeleas non avrebbe mai accettato di bere qualcosa portata da uno sconosciuto, soprattutto non qui con Ispan. Questo ci dice chi è stato a ucciderla, in un certo senso. Un'Amica delle Tenebre, una del nostro gruppo. Una di noi.» Elayne avvertì due brividi, il suo e quello di Birgitte. «Una di noi» concordò Nynaeve. Aviendha cominciò a provare la lama del suo pugnale su un pollice, e per una volta Elayne non ebbe nulla da obiettare. Vandene chiese di restare da sola con sua sorella per un po', e si sedette sul pavimento a cullare Adeleas tra le braccia prima che fossero tutti usciti. Jaem, il vecchio e nodoso Custode di Vandene, aspettava all'esterno con una tremante Kirstian. All'improvviso, nella capanna, esplose un lamento, l'urlo a squarciagola di una donna che piangeva la perdita di ogni cosa. E Nynaeve, tra tutti gli altri, si girò per tornare indietro, ma Lan le mise una mano su un braccio e Jaem si piazzò davanti alla porta con occhi non molto più caldi di quelli di Lan. Non c'era niente da fare se non lasciarli da soli, Vandene a urlare il suo dolore, Jaem a farle la guardia. E a condividerlo, comprese Elayne, sentendo il nodo di emozioni nella sua mente che le ricordava Birgitte. Tremò, e la sua Custode le cinse le spalle con un braccio. Aviendha fece lo stesso dall'altro lato, e indicò a Nynaeve di raggiungerle, cosa che lei fece dopo un istante di indecisione. L'assassinio al quale Elayne aveva pensato con tanta leggerezza c'era stato davvero, tra di loro c'era un'Amica delle Tenebre e il giorno sembrava a un tratto abbastanza freddo da frantumare le ossa, ma c'era tepore nella vicinanza delle sue amiche. Per coprire gli ultimi, funerei quindici chilometri fino a Caemlyn ci vollero due giorni di viaggio nella neve, e persino le Cercavento ebbero la decenza di placarsi. Ma non diedero alcun respiro a Merilille. Né le donne della Famiglia smisero di parlare, zittendosi non appena si avvicinava una
sorella o una del Circolo della Maglia. Vandene, seduta a cavallo con la sella lavorata in argento appartenuta a sua sorella, sembrava serena come lo era stata accanto alla tomba di Adeleas, ma negli occhi di Jaem c'era una silenziosa promessa di morte che senza dubbio riempiva anche il cuore della Aes Sedai. Elayne non sarebbe potuta essere più felice di vedere le mura e le torri di Caemlyn nemmeno se in quello stesso momento le avessero dato la Corona di Rose e Adeleas fosse tornata in vita. Nemmeno a Caemlyn, una delle città più grandi al mondo, si era mai visto un gruppo come quello e, una volta superate le mura alte quindici metri, Elayne e gli altri attirarono l'attenzione di tutti mentre attraversavano la Città Nuova con le sue grandi strade piene di fanghiglia e brulicanti di persone, carri e calessi. I negozianti si fermavano sulla soglia delle loro botteghe e restavano a guardarli a bocca aperta. I conducenti dei carri facevano fermare i cavalli per fissarli a occhi sgranati. I torreggianti Aiel e le alte Fanciulle parevano lanciare occhiate da ogni angolo di strada. La gente non sembrava far caso agli Aiel, ma Elayne sì. Voleva bene ad Aviendha quanto a sé stessa, se non di più, ma non poteva essere contenta se un esercito di Aiel armati si aggirava per le vie di Caemlyn. La Città Interna, circondata da mura e torri bianche e striate d'argento, era una delizia mai dimenticata, ed Elayne cominciò finalmente a sentirsi di nuovo a casa. Le strade seguivano le curve delle colline e ogni salita presentava una nuova visuale di parchi coperti di neve e monumenti disposti in modo da essere ammirati dall'alto oltre che da vicino, di torri rivestite di piastrelle luminose che splendevano di cento colori sotto il sole pomeridiano. E poi il Palazzo Reale si stagliò davanti a loro, uno spettacolo di guglie chiare, cupole dorate ed elaborati intarsi nella pietra. La bandiera dell'Andor ondeggiava da quasi ogni sporgenza, il Leone Bianco in campo rosso. Sulle altre garrivano la bandiera del Drago o quella della Luce. Giunta alle alte porte d'oro del Palazzo, Elayne avanzò da sola con addosso il vestito verde da cavallerizza segnato dal viaggio. Tradizione e leggenda volevano che se una donna si avvicinava per la prima volta al Palazzo coperta di splendore era destinata al fallimento. Elayne aveva chiarito agli altri che doveva andare da sola, ma quasi le dispiaceva che Aviendha e Birgitte non fossero riuscite a farle cambiare idea. Le venti guardie davanti ai cancelli erano per metà Fanciulle e per metà uomini in elmo e giubba blu con il Drago rosso e dorato sul torace. «Sono Elayne Trakand» annunciò lei con voce alta, sorprendendosi per la calma che riusciva a mostrare. Le sue parole si diffusero, e nella grande
piazza la gente smise di fissare i suoi compagni di viaggio per concentrarsi su di lei. L'antica formula fluì con naturalezza dalle sue labbra. «In nome della casata Trakand, per diritto di discendenza da Ishara, sono venuta a reclamare il Trono del Leone di Andor, se la Luce vorrà concedermelo.» I cancelli si spalancarono. Non sarebbe stato tutto così facile, ovviamente. Nemmeno essere padrona del Palazzo era sufficiente a detenere il trono di Andor. Dopo aver affidato i suoi compagni alle cure di una sbalordita Reene Harfor - compiacendosi nel vedere che il Palazzo era ancora nelle abili mani della brizzolata prima cameriera, paffuta e regale come qualsiasi sovrano - e di un gruppo di servitori in livrea rossa e bianca, Elayne andò subito alla Grande Sala, la stanza del trono di Andor. Sempre da sola. Questo non era parte del rituale, non ancora. Avrebbe dovuto andare a cambiarsi d'abito, per indossare quello di seta rossa col corpetto decorato di perle e i leoni bianchi sulle maniche, ma si sentiva come obbligata ad agire in quel modo. E questa volta nemmeno Nynaeve ebbe da ridire. Lungo i lati della Grande Sala marciavano colonne bianche alte venti passi. La stanza del trono era vuota, per il momento. Ma non lo sarebbe rimasta a lungo. La chiara luce del pomeriggio che veniva dai battenti di vetro delle alte finestre lungo le pareti si mischiava con quella colorata che filtrava dai grandi lucernari nel soffitto, dove il Leone Bianco di Andor si alternava con scene di vittorie andorane e ritratti delle prime regine, a cominciare dalla stessa Ishara, scura di pelle come una Atha'an Miere e autoritaria come un'Aes Sedai. Nessuna sovrana di Andor poteva venir meno al suo ruolo sotto lo sguardo delle donne che l'avevano preceduta e avevano forgiato quella nazione. Elayne aveva paura di trovarsi davanti l'immensa mostruosità di un trono, fatto tutto di Draghi dorati, che aveva visto sul palco in fondo alla Sala nel tel'aran'rhiod. Non c'era, grazie alla Luce. E il Trono del Leone non era più su un alto piedistallo come fosse un trofeo, ma occupava il suo posto sul palco; una grossa poltrona, con incisioni e dorature, ma calibrata sulle dimensioni di una donna. Il Leone Bianco, rappresentato con pietre di luna su un campo di rubini, avrebbe sovrastato il capo della donna che si fosse seduta. Nessun uomo poteva sentirsi a suo agio su quel trono poiché, come narrava la leggenda, avrebbe saputo di aver segnato il proprio destino. Elayne credeva fosse più verosimile che chi aveva realizzato il trono aveva fatto in modo che nessun uomo ci potesse stare comodo. Saliti i gradini in marmo bianco del palco, Elayne poggiò una mano su
un bracciolo del trono. Non aveva il diritto di sedersi, non ancora. Prima dovevano riconoscerla come regina. Ma giurare sul Trono del Leone era un'usanza vecchia quanto l'Andor. Dovette resistere al desiderio di cadere in ginocchio e piangere sul seggio. Poteva anche essersi riconciliata con la morte di sua madre, ma quella sala aveva fatto riemerge tutto il dolore. Non poteva arrendersi proprio adesso. «In nome della Luce, renderò onore alla tua memoria, madre» disse piano. «Renderò onore al nome di Morgase Trakand, e cercherò di portare solo onore alla nostra casata.» «Ho ordinato alle guardie di tenere lontani i curiosi e la gente in cerca di favori. Ho pensato che forse volevi restare qui da sola per un po'.» Elayne si girò lentamente verso Dyelin Taravin, che stava percorrendo la Grande Sala verso di lei. Dyelin era stata una delle prime ad appoggiare la pretesa al trono di sua madre. C'era più grigio nei suoi capelli di quanto Elayne ricordasse, più rughe agli angoli degli occhi. Era ancora molto bella. Una donna forte. E potente, come amica o nemica. Si fermò ai piedi del palco e alzò lo sguardo. «Sono due giorni che sento dire che sei viva, ma finora non ci avevo creduto davvero. E così sei venuta per accettare il trono dal Drago Rinato?» «Lo reclamo per diritto, Dyelin, da sola. Il Trono del Leone non è un gingillo da riceve in regalo da un uomo.» Dyelin annuì come se quella fosse una verità scontata. E lo era, per gli Andorani. «Come ti schiererai, Dyelin? Con i Trakand o contro? Ho sentito fare spesso il tuo nome mentre venivo qui.» «Visto che reclami il trono per tuo diritto, sono con te.» Poche persone sapevano essere altrettanto asciutte. Elayne si sedette in cima ai gradini e fece cenno all'altra di raggiungerla. «Ci sono degli ostacoli, ovviamente» proseguì Dyelin mentre raccoglieva le gonne blu per sedersi. «Come forse sai, si sono già fatti avanti diversi pretendenti. Naean ed Elenia le ho già rinchiuse. Con un'accusa di tradimento che la maggior parte della gente pare disposta ad accettare. Per il momento. Il marito di Elenia si dà ancora da fare per lei, anche se con poco clamore, e anche Arymilla ha reclamato il trono, quella stupida oca. Sta raccogliendo qualche consenso, a modo suo, ma niente di cui preoccuparsi. I tuoi veri problemi - a parte gli Aiel in tutta la città che aspettano il ritorno del Drago Rinato - sono Aemlyn, Arathelle e Pelivar. Per il momento, Luan ed Ellorien saranno con te, ma potrebbero passare dalla loro parte.» Un elenco molto stringato, recitato in un tono adatto a discutere dell'e-
ventuale compravendita di un cavallo. Elayne sapeva di Naean ed Elenia, anche se ignorava che Jarid credeva ancora che la moglie potesse salire al trono. Arymilla era davvero un'oca se pensava di poter essere accettata, quali che fossero i suoi appoggi. Gli ultimi cinque nomi, però, erano preoccupanti. Erano stati tutti forti sostenitori di sua madre, come Dyelin, ed erano tutti a capo di casate potenti. «E così Arathelle e Aemlyn vogliono il trono» mormorò. «Ellorien non credo che si muoverà, non per sé stessa.» Forse Pelivar agiva a favore di una delle sue figlie, ma Luan aveva solo nipoti, nessuna abbastanza grande. «Hai detto che potrebbero unirsi, quelle cinque casate. Per appoggiare chi?» Quella sarebbe stata una minaccia terribile. Sorridendo, Dyelin si tenne il mento con una mano. «Sembrano convinti che dovrei salirci io sul trono. Ora, che hai intenzione di fare col Drago Rinato? È un po' di tempo che non viene, ma a quanto pare è capace di spuntar fuori dal nulla.» Elayne chiuse forte gli occhi per un momento, ma quando li riaprì era ancora seduta sui gradini del palco nella Grande Sala, e Dyelin le stava ancora sorridendo. Suo fratello combatteva per Elaida, e il suo fratellastro era un Manto Bianco. Lei aveva portato a Palazzo un gruppo di donne che potevano rivoltarsi una contro l'altra in qualsiasi momento, per non parlare del fatto che una di loro era un'Amica delle Tenebre, forse persino una sorella Nera. E il pericolo maggiore che doveva affrontare nella sua salita al trono, un pericolo molto grande, era rappresentato da una donna che diceva di essere dalla sua parte. Il mondo era impazzito. Tanto valeva che Elayne ci mettesse del suo. «Ho intenzione di legarlo a me, sarà il mio Custode» disse, e proseguì prima che Dyelin potesse fare altro che sbattere le palpebre per lo stupore. «Spero anche di sposarlo. Tutto questo però non ha niente a che vedere con il Trono del Leone. Per prima cosa io...» Mentre lei continuava a parlare, Dyelin cominciò a ridere. Elayne avrebbe tanto voluto sapere se rideva perché era deliziata dai suoi piani o perché vedeva il proprio cammino verso il Trono del Leone farsi sempre più semplice. Almeno, però, adesso lei sapeva cosa doveva affrontare. Cavalcando nelle strade di Caemlyn, Daved Hanlon non poté fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato bello saccheggiare quella città. Negli anni passati da soldato aveva visto tanti villaggi e paesi depredati e una
volta, venti anni addietro, anche una grande città, Cairhien, dopo che gli Aiel erano andati via. Era strano che tutti quegli Aiel avessero lasciato Caemlyn così evidentemente intatta, ma d'altronde anche a Cairhien si poteva capire che la città era stata invasa solo perché le torri più alte bruciavano. Lì a Caemlyn c'era oro in abbondanza, tra le altre cose, che aspettava solo di essere preso, e tanti uomini per prenderlo. Quasi gli sembrava di vedere le grandi strade piene di cavalieri e gente in fuga, grassi mercanti che davano via le loro fortune, prima che il pugnale li toccasse, nella speranza di avere salva la vita, ragazze magre e donne paffute così impaurite che quando venivano trascinate in un angolo riuscivano a malapena a squittire, men che mai a combattere. Daved Hanlon aveva già visto scene simili e vi aveva anche preso parte, e sperava di poterlo fare di nuovo. Non a Caemlyn, però, ammise con un sospiro. Se avesse potuto disobbedire agli ordini che lo avevano inviato in quella città, sarebbe andato in posti dove il bottino non era forse così ricco, ma decisamente più facile da raccogliere. Le istruzioni che aveva ricevuto erano chiare. Dopo aver lasciato il cavallo nelle stalle di Il toro rosso, nella Città Nuova, camminò per un chilometro e mezzo fino a un'alta casa di pietra in una stradina secondaria segnata da un piccolo sigillo dipinto sulle porte, un cuore rosso su una mano dorata. L'energumeno che lo fece entrare non era affatto un domestico, con quelle sue nocche incavate e lo sguardo cupo. Senza dire una parola, l'omone lo guidò nella casa e poi giù, nel seminterrato. Hanlon allentò la spada nel fodero. Tra le tante altre cose, aveva visto uomini e donne che, dopo aver fallito, venivano condotti al patibolo per elaborate esecuzioni. Lui non credeva di aver fallito, ma d'altronde non aveva neanche avuto un grande successo. Aveva seguito gli ordini, però. Che non sempre era abbastanza. Nello scantinato di pietra nuda, illuminato da lampade dorate messe tutto intorno, il suo sguardo andò subito a una donna graziosa con un abito di seta scarlatta bordato di trine, le mani coperte da una rete di merletto vaporoso. Non sapeva chi fosse questa lady Shiaine, ma aveva l'ordine di obbedirle. Le fece il suo migliore inchino, sorridendo. La donna si limitò a guardarlo, come aspettando che si accorgesse di cos'altro c'era in quel seminterrato. E difficilmente Hanlon avrebbe potuto mancare di notarlo, visto che a eccezione di qualche botte la stanza conteneva solo un tavolo grosso e pesante, decorato in modo assai strano. Due cerchi ovali erano stati tagliati nel ripiano, e da uno sporgevano la testa e le spalle di un uomo, il capo
spinto all'indietro contro la superficie di legno e bloccato con cinghie di cuoio inchiodate al tavolo e legate a un blocco di legno infilato tra i suoi denti. Una donna, conciata allo stesso modo, decorava l'altro ovale. Sotto il tavolo, i due erano in ginocchio con i polsi legati alle caviglie. Quasi certamente erano lì per soddisfare un qualche tipo di piacere. L'uomo aveva un tocco di grigio tra i capelli e il viso di un lord ma, cosa poco sorprendente, gli occhi profondi erano sgranati e ruotavano impazziti. I capelli della donna, stesi sul ripiano, erano scuri e lucenti, ma il viso era un po' troppo lungo per i gusti di Hanlon. All'improvviso vide davvero quel volto, e la mano andò alla spada prima che lui potesse fermarla. Lasciò l'elsa con uno sforzo, che si premurò di celare. Quello era il volto di un'Aes Sedai, ma un'Aes Sedai che se ne stava immobilizzata a quel modo non poteva rappresentare una minaccia. «Così hai un minimo di cervello» disse Shiaine. A giudicare dall'accento era una nobile, e di sicuro aveva un'aria di comando mentre girava intorno al tavolo per guardare in faccia l'uomo legato. «Ho chiesto al Grande Padrone Moridin di mandarmi un uomo con un po' più di cervello. Il povero Jaichim ne aveva davvero poco.» Hanlon si accigliò, poi fece subito sparire il suo cipiglio. I suoi ordini venivano da Moghedien in persona. Per il Pozzo del Destino, chi era questo Moridin? Non era importante. I suoi ordini venivano da Moghedien; bastava questo. L'energumeno passò un imbuto a Shiaine, e lei lo incastrò in un foro trivellato nel blocco di legno tra i denti di Jaichim, i cui occhi parvero pronti a balzar fuori dalle orbite. «Il povero Jaichim, qui, ha fallito totalmente» disse Shiaine, sorridendo come una volpe davanti a una gallina. «Moridin vuole che sia punito. Al povero Jaichim piace l'acquavite.» Shiaine si fece indietro, non tanto da non poter vedere chiaramente, e Hanlon sobbalzò quando l'omone si avvicinò al tavolo con una delle botti. Lui forse l'avrebbe potuta sollevare senza aiuti, ma quel bestione la inclinò col minimo sforzo. L'uomo legato lanciò uno strillo, poi un torrente di liquido scuro si riversò dalla botte nell'imbuto, trasformando le altre grida in gorgoglii. L'odore pungente di pessima acquavite riempì l'aria. Pur bloccato a quel modo, l'uomo si dibatté, lanciandosi da una parte e dall'altra, e riuscì persino a sollevare il tavolo da un lato, ma l'acquavite continuava a scorrere. Nell'imbuto cominciarono a comparire delle bolle quando lui provò a gridare o strillare, ma il torrente non accennò neppure a diminuire. E poi l'uomo cominciò a dibattersi più lentamente, finché non si fermò. Gli
occhi sgranati e vuoti erano fissi sul soffitto e l'acquavite gli colava dalle narici. L'energumeno, tuttavia, non si fermò finché non uscirono le ultime gocce dalla botte svuotata. «Credo che il povero Jaichim abbia finalmente bevuto tutta l'acquavite che voleva» disse Shiaine, e rise deliziata. Hanlon annuì. Immaginava che fosse così. Si chiese chi era stato quel Jaichim. Shiaine non aveva ancora finito. A un suo cenno, il suo grosso aiutante strappò una delle cinghie che tenevano fermo il pezzo di legno nella bocca dell'Aes Sedai. Hanlon pensò che forse quel blocco aveva allentato qualche dente uscendo dalla bocca, ma se anche era successo la donna non perse tempo con gemiti o lamenti. Cominciò a farfugliare prima ancora che l'energumeno lasciasse andare la cinghia. «Ti obbedirò!» ululò. «Obbedirò, come comanda il Grande Padrone! Lo schermo che mi ha lanciato contro è fatto apposta per dissolversi affinché io possa obbedire! Me l'ha detto lui! Dammi un'occasione! Striscerò per te! Sono un verme, e tu sei il sole! Oh, ti prego! Ti prego! Ti prego!» Shiaine soffocò le parole, ma non i gemiti, mettendo una mano sulla bocca dell'Aes Sedai. «Come faccio a sapere che non fallirai di nuovo, Falion? L'hai già fatto, e Moridin ha affidato a me la tua punizione. Mi ha dato un'altra Aes Sedai; che me ne faccio di due? Potrei darti una seconda occasione per perorare la tua causa, Falion - forse -, ma se lo faccio dovrai convincermi. Mi aspetto un reale entusiasmo.» Non appena Shiaine tolse la mano, Falion ricominciò a urlare le sue suppliche, prodigandosi in promesse, ma ben presto fu ridotta alle lacrime e costretta a lanciare strilli inarticolati quando il bavaglio di legno fu rimesso al suo posto, la cinghia di nuovo inchiodata al tavolo, e l'imbuto di Jaichim piazzato nel blocco che teneva aperta la sua bocca. Il bestione mise un'altra botte sul ripiano accanto alla testa dell'Aes Sedai. Questa parve impazzire, gli occhi sporgenti presero a ruotare, e cominciò ad agitarsi sotto il tavolo tanto da farlo tremare. Hanlon era impressionato. Spezzare un'Aes Sedai doveva essere più difficile che spezzare un grasso mercante o la sua figliola dalle guance rotonde. Eppure quella donna aveva avuto il sostegno di uno dei Prescelti, così sembrava. Quando si rese conto che Shiaine lo stava guardando, smise di sorridere a Falion. La prima regola nella sua vita era non offendere mai quelli che i Prescelti mettevano al di sopra di lui. «Dimmi, Hanlon,» gli chiese Shiaine «ti piacerebbe mettere le mani su
una regina?» Nonostante tutto, lui si leccò le labbra. Una regina? Quello non l'aveva mai fatto. 29
Un calice di sonno «Non fare l'idiota, Rand» disse Min. Costringendosi a restare seduta, incrociò le gambe e prese a scalciare oziosamente, ma non riuscì a non parlare in tono esasperato. «Vai da lei! Parlale!» «Perché?» scattò Rand. «Adesso so a quale lettera credere. È meglio così. Lei ora è al sicuro. Da chiunque voglia colpire me. È al sicuro da me! È meglio così!» Ma, in maniche di camicia, continuò a fare avanti e indietro tra le due file di poltrone davanti al Trono del Drago, i pugni stretti e le nocche sbiancate, uno sguardo nero come le nuvole che fuori dalle finestre stavano stendendo un nuovo manto di neve su Cairhien. Min scambiò uno sguardo con Fedwin Morr, in piedi accanto alle porte con sopra inciso il sole. Le Fanciulle adesso lasciavano entrare chiunque non fosse chiaramente un nemico, ma quel mattino gli ospiti indesiderati venivano respinti dal giovane robusto. Sul colletto aveva sia la spilla del drago che quella della spada, e Min sapeva che aveva già visto più battaglie - e orrori - di quasi tutti gli uomini tre volte più grandi di lui, ma era comunque un ragazzo. E quel giorno, poiché continuava a lanciare occhiate nervose a Rand, sembrava più giovane che mai. La spada che portava in vita sembrava fuori luogo addosso a lui, secondo Min. «Il Drago Rinato è un uomo, Fedwin» gli disse. «E come tutti gli uomini è dispiaciuto perché crede che una donna non voglia vederlo mai più.» Gli occhi sgranati, il ragazzo trasalì come se lei gli avesse dato una pacca sul sedere. Rand si fermò per rivolgerle uno sguardo torvo. E se Min non rise fu solo perché sapeva che lui stava nascondendo un dolore reale come ogni ferita da coltello. Per questo, e per la consapevolezza che avrebbe sofferto altrettanto se la donna in questione fosse stata lei. Non che Min avrebbe mai avuto occasione di strappare le sue bandiere, ma il punto
non era questo. Sulle prime, Rand era rimasto sbalordito dalle notizie che Taim aveva portato da Caemlyn all'alba, ma non appena quell'uomo se ne era andato lui aveva smesso di sembrare un bue stecchito e aveva cominciato con... questo! Min si alzò, si aggiustò la giubba color verde chiaro, incrociò le braccia al petto e lo affrontò direttamente. «Quale altro può essere il motivo?» gli chiese con calma. Be', provò a chiederglielo con calma, e quasi ci riuscì. Lo amava, ma dopo una mattinata del genere aveva voglia di riempirlo di ceffoni. «Non hai quasi parlato di Mat, e non sai nemmeno se è vivo.» «Mat è vivo» ruggì Rand. «Lo saprei se fosse morto. Che significa che sono...» Serrò la mascella, come se non riuscisse a ripetere quella parola. «Dispiaciuto» lo aiutò lei. «E presto sarai imbronciato, come un ragazzino. Alcune donne credono che gli uomini siano più graziosi quando mettono il broncio. Io non sono fra queste.» Be', era meglio cambiare argomento. Rand si era scurito in volto, e non stava arrossendo. «Non ti sei forse fatto in quattro per assicurarti che lei avesse il trono di Andor? Che le appartiene di diritto, aggiungerei. Non dicevi di volere che avesse un Andor integro, non distrutto come Cairhien o Tear?» «Certo!» ruggì Rand. «E adesso è suo, e lei vuole che me ne tenga alla larga! Bene così, dico io! E non dirmi un'altra volta che devo smetterla di urlare! Non lo sto...» Si rese conto che lo stava facendo e chiuse di scatto la bocca. Un basso ringhio veniva dal fondo della sua gola. Morr prese a studiare uno dei suoi bottoni, piegandolo avanti e indietro. Lo aveva fatto un sacco di volte, quel mattino. Min cercò di mantenere un'espressione serena. Non aveva intenzione di prenderlo a schiaffi, ed era troppo grosso per poterlo sculacciare. «L'Andor è suo, proprio come volevi tu» gli disse. Con calma. Quasi. «Nessun Reietto le andrà contro ora che ha abbassato le tue bandiere.» Una luce minacciosa si accese in quegli occhi grigio-azzurri, ma lei insisté: «Proprio come volevi tu. E non puoi certo credere che si sia schierata con i tuoi nemici. L'Andor seguirà il Drago Rinato, e lo sai. Quindi l'unico motivo per cui hai perso le staffe è perché pensi che non ti voglia più vedere. Vai da lei, idiota!» Quello che veniva dopo fu più difficile da dire. «Prima ancora che potrai pronunciare una parola, lei comincerà a baciarti.» Per la Luce, amava Elayne quasi quanto amava Rand - forse senza quasi, anche se in modo assai diverso - ma come poteva una donna competere con una bellissima regina dai capelli d'oro che aveva una nazione intera ai suoi piedi? «Io non sono... arrabbiato» disse Rand con voce tesa. E ricominciò a
camminare avanti e indietro. Min prese in considerazione l'ipotesi di dargli un calcio nel sedere. Forte. Una delle porte si aprì ed entrò la coriacea e canuta Sorilea, che spostò Morr di lato mentre lui ancora guardava Rand per capire se doveva o meno lasciarla passare. Rand aprì bocca - arrabbiato, per quanto potesse piacergli sostenere il contrario - e cinque donne con pesanti vesti nere zuppe di neve sciolta seguirono la Sapiente nella stanza, le mani incrociate, lo sguardo basso, i cappucci profondi che non nascondevano del tutto i loro volti. I piedi erano avvolti in stracci. Min si sentì pizzicare lo scalpo. Ai suoi occhi, aure e immagini danzavano, sparivano e si susseguivano intorno alle sei donne, come intono a Rand. Aveva cominciato a sperare che lui potesse dimenticare l'esistenza di quelle cinque. In nome della Luce, che stava combinando quella vecchia maledetta? Sorilea fece un unico cenno in un tintinnare di bracciali d'oro e avorio, e le cinque donne si disposero rapidamente in linea sul dorato Sole Nascente incastonato nel pavimento. Rand camminò lungo quella fila, abbassando i cappucci, scoprendo facce che fissò con occhi glaciali. Le donne in veste nera erano sporche, i capelli schiacciati e zuppi di sudore. Elza Penfell, una sorella Verde, ricambiò il suo sguardo con ansia e con una strana espressione di fervore sul viso. Nesune Bihara, una magra Marrone, lo fissò con la stessa concentrazione con la quale Rand fissava lei. Sarene Nemdahl, così bella, nonostante il sudiciume che la mancanza dei segni dell'età in lei sembrava naturale, era avvinta con le unghie alla freddezza tipica dell'Ajah Bianca. Beldeine Nyram, che aveva conquistato lo scialle da poco e non aveva l'aspetto senza tempo, abbozzò un sorriso incerto che si disciolse sotto lo sguardo di Rand. Erian Boroleos, chiara di pelle e bella quasi quanto Sarene, trasalì e poi fece uno sforzo visibile per guardare in quegli occhi di ghiaccio. Anche queste ultime due erano Verdi, e tutte e cinque erano state tra le sorelle che avevano rapito Rand per ordine di Elaida. Alcune avevano anche preso parte alle torture che lui aveva subito mentre cercavano di portarlo a Tar Valon. Di tanto in tanto, Rand ancora si svegliava sudato e ansimante, e mormorava di quando l'avevano rinchiuso, di quando l'avevano picchiato. Min sperò di non vedere nessuna luce omicida nei suoi occhi. «Queste donne sono state dichiarate da'tsang, Rand al'Thor» disse Sorilea. «Penso che adesso sentano il loro disonore fin nelle ossa. Erian Boroleos è stata la prima a chiedere di essere percossa come lo sei stato tu,
all'alba e al tramonto, ma poi l'hanno fatto tutte. E la loro richiesta è stata esaudita. Tutte hanno chiesto di servirti, in qualsiasi modo. Il toh per il loro tradimento non potrà mai essere compensato,» la sua voce si incupì per un attimo - per gli Aiel, il rapimento in sé era ben peggiore di quello che avevano fatto dopo - «ma conoscono il loro disonore, e desiderano provarci. Abbiamo deciso di lasciare a te la scelta.» Min si accigliò. Lasciare a lui la scelta? Raramente le Sapienti lasciavano agli altri le scelte che potevano fare loro. E Sorilea non lo faceva mai. La nodosa Sapiente si sistemò lo scialle scuro con fare distratto, e osservò Rand come se la questione non avesse alcuna importanza. Ma lanciò a Min uno sguardo che era ghiaccio azzurro, e lei fu all'improvviso sicura che, se avesse detto la cosa sbagliata, la vecchia l'avrebbe scuoiata viva. Non era una delle sue visioni. Ma ormai conosceva Sorilea meglio di quanto avrebbe voluto. Si concentrò a studiare le immagini che comparivano e scomparivano intorno a quelle donne. Un compito non facile, visto che erano così vicine da non poter stabilire con certezza se una visione era relativa a una di loro o a quella subito accanto. Per lo meno le aure erano sempre inconfondibili. Luce, pensò Min, aiutami a capire almeno qualcosa di ciò che vedo! Rand prese con serenità l'annuncio di Sorilea, all'apparenza. Si strofinò lentamente le mani, poi esaminò pensoso gli aironi che gli marchiavano i palmi. Ed esaminò uno per volta i visi delle Aes Sedai. Alla fine, si concentrò su Erian. «Perché?» le chiese con voce pacata. «Ho ucciso due dei tuoi Custodi. Perché?» Min trasalì. Rand era molte cose, ma di rado era pacato. Ed Erian era tra le poche che lo avevano percosso più di una volta. La pallida Illianese si raddrizzò. Le immagini danzarono, le aure divamparono per poi scomparire. Min non riuscì a trarre alcun senso. Sporca in viso e con i lunghi capelli neri appiattiti sulla testa, Erian chiamò a raccolta la sua dignità di Aes Sedai e sostenne con fermezza lo sguardo di Rand. «Abbiamo sbagliato a catturarti. Ci ho pensato a lungo. Tu devi combattere l'Ultima Battaglia, e noi dobbiamo aiutarti. Se non vorrai accettare il mio aiuto lo capirò, ma se me lo permetti ti sosterrò facendo qualsiasi cosa mi chiederai.» Rand la fissò, inespressivo. Fece la stessa domanda, una sola parola, a tutte le altre, e le risposte furono diverse quanto lo erano tra di loro quelle donne. «Le Verdi sono l'Ajah da battaglia» gli rispose con fierezza Beldeine, e
nonostante le macchie sulle guance e i cerchi neri intorno agli occhi sembrava davvero una regina guerriera. «Quando andrai a Tarmon Gai'don, le Verdi dovranno essere con te. Io ti seguirò, se lo accetterai.» Per la Luce, quella donna avrebbe legato a sé come Custode un Asha'man! Come... No, adesso non era importante. «Quello che abbiamo fatto era logico all'epoca.» La fredda serenità che Sarene manteneva così a fatica scivolò nella preoccupazione, e la donna scosse il capo. «L'ho detto per spiegare, non per discolparmi. Le circostanze sono cambiate. Per te la decisione più logica potrebbe essere...» Trasse un respiro decisamente tremante. Immagini e aure; una turbolenta relazione d'amore, tra tutte le cose che poteva vedere! Quella donna era di ghiaccio, nonostante la bellezza. E non serviva a niente sapere che un uomo l'avrebbe fatta sciogliere! «Farci restare prigioniere,» proseguì Sarene «o persino giustiziarci. A me la logica dice che ti devo servire.» Nesune piegò di lato la testa, e quei suoi occhi quasi neri parvero voler immagazzinare ogni dettaglio della figura di Rand. Un aura di colore rosso e verde parlava di fama e onori. Un immenso edificio apparì e scomparve sopra la sua testa. Una biblioteca che la donna avrebbe scoperto. «Io ti voglio studiare» si limitò a dire Nesune. «E difficilmente posso farlo se devo trasportare pietre o scavare buche. Certo, queste attività mi lasciano un sacco di tempo per pensare, ma servirti mi sembra un prezzo onesto in cambio di quello che potrei apprendere.» Rand sbatté le palpebre per la sua schiettezza, ma per il resto la sua espressione non cambiò affatto. La risposta più sorprendente venne da Elza, per come la diede più che per le parole. Cadendo in ginocchio, alzò su Rand uno sguardo febbrile. Tutto il suo viso pareva splendere di fervore. Le aure divamparono intorno a lei e le immagini si susseguivano senza sosta, e senza che Min potesse capirci alcunché. «Tu sei il Drago Rinato» disse Elza col fiato corto. «Devi essere presente all'Ultima Battaglia. E io devo aiutarti ad arrivarci. Farò tutto quello che è necessario!» E si gettò faccia a terra, premendo le labbra sulle pietre lucidate davanti ai piedi di Rand. Persino Sorilea parve sorpresa, e Sarene rimase a bocca aperta. Morr la guardò imbambolato, poi tornò in tutta fretta a torcere quel suo bottone. A Min sembrò di sentirlo ridacchiare nervosamente, un suono appena percettibile. Girando sui talloni, Rand si avviò altezzoso verso il Trono del Drago, dove il suo scettro e la corona dell'Illian erano poggiati sulla giubba rossa con i ricami d'oro. Aveva un'espressione così dura che Min sentì l'impulso di correre da lui senza curarsi delle donne presenti, ma continuò a studiare
le Aes Sedai. E Sorilea. Non aveva mai visto apparire niente di utile intorno a quella megera dai capelli bianchi. A un tratto Rand si girò di nuovo e andò verso la fila di donne camminando così velocemente che Beldeine e Sarene arretrarono. A un brusco cenno di Sorilea, però, ripresero le loro posizioni. «Accettereste di essere rinchiuse in una cassa?» La sua voce era gracchiante, come pietre gelide strofinate una contro l'altra. «Rinchiuse tutto il giorno, e percosse prima di entrare e dopo essere uscite?» Era quello che avevano fatto a lui. «Sì» gemette Elza contro il pavimento. «Farò qualsiasi cosa!» «Sì, se è questo che desideri» riuscì a dire Erian, tremando, e le altre annuirono lentamente, atterrite. Min guardava sbalordita, i pugni stretti nelle tasche della giubba. Era naturale che Rand pensasse di vendicarsi trattandole come era stato trattato, ma lei doveva trovare il modo di fermarlo. Lo conosceva meglio di quanto non si conoscesse egli stesso; sapeva dove era duro come una lama di coltello e dove era vulnerabile, per quanto si sforzasse di negarlo. Non si sarebbe mai perdonato se avesse fatto una cosa del genere. Ma come poteva impedirglielo? Il viso distorto dalla furia, Rand scosse il capo come faceva quando discuteva con quella voce che sentiva nella mente. Borbottò una sola parola a voce abbastanza alta perché la sentisse anche Min. Ta'veren. Sorilea se ne stava con calma al suo posto, e lo studiava attentamente come Nesune. Nemmeno la minaccia della cassa aveva scosso la Marrone. Tranne Elza, che ancora gemeva e baciava il pavimento, le altre avevano tutte lo sguardo distante, come se si stessero immaginando piegate in due e legate come avevano legato lui. Tra tutte le immagini che scorrevano intorno a Rand e le donne, all'improvviso si accese un'aura, blu e gialla punteggiata di verde, che li racchiuse tutti. E Min ne conobbe il significato. Ansimò, metà per la sorpresa e metà per il sollievo. «Ti serviranno, Rand, ognuna a modo suo» disse rapidamente. «L'ho visto.» Sorilea l'avrebbe servito? A un tratto Min si chiese cosa esattamente significava 'ognuna a modo suo'. Le parole venivano con la comprensione, ma non sempre lei sapeva cosa significassero. Eppure quelle donne l'avrebbero davvero servito: questo era chiaro. La furia sparì dal volto di Rand, che studiò in silenzio le Aes Sedai. E alcune di loro guardarono Min inarcando le sopracciglia, palesemente stupite per il grande peso che avevano avuto le sue poche parole; ma per lo
più fissarono Rand, e sembrava che nemmeno respirassero. Persino Elza alzò il capo per guardarlo. Sorilea rivolse a Min una rapida occhiata e un cenno del capo appena percettibile. Un cenno di approvazione, pensò lei. E così la vecchia fingeva che non le importasse niente, eh? Alla fine, Rand parlò. «Potete giurarmi fedeltà come hanno fatto Kiruna e le altre. O tornerete dove finora vi hanno tenuto le Sapienti, ovunque sia. Non accetterò nulla di meno.» Nonostante una sfumatura di autorità nella voce, sembrava che neanche a lui importasse nulla, braccia incrociate, occhi impazienti. Il giuramento che aveva preteso arrivò subito, in un torrente. Min non si aspettava certo che quelle donne si mettessero a cavillare, non dopo la visione che aveva avuto, ma rimase comunque sorpresa quando Elza si alzò per inginocchiarsi e le altre si abbassarono per fare altrettanto. In un coro sfilacciato, altre cinque Aes Sedai giurarono in nome della Luce e per la loro speranza di salvezza che avrebbero servito fedelmente il Drago Rinato fino all'Ultima Battaglia. Nesune pronunciò le parole come esaminandole una per volta, Sarene come se stesse esponendo un principio di logica, Elza con un ampio sorriso di trionfo, ma tutte giurarono. Quante Aes Sedai si sarebbero riunite intorno a Rand? Dopo il giuramento, lui parve perdere ogni interesse. «Trova loro dei vestiti e mettile con le altre vostre 'allieve'» disse distrattamente a Sorilea. Era accigliato, ma non per lei o le Aes Sedai. «Quante credi che saranno, alla fine?» Min quasi sobbalzò per quell'eco dei suoi stessi pensieri. «Quante ne servono» rispose seccamente Sorilea. «Penso che ne arriveranno altre.» Batté una volta le mani e fece un cenno, e le cinque sorelle scattarono in piedi. Solo Nesune parve sorpresa per la loro alacre obbedienza. Sorilea sorrise, un sorriso molto compiaciuto per una Aiel e, secondo Min, dovuto non alla docilità di quelle donne. Annuendo, Rand si girò. Ricominciò subito a camminare avanti e indietro, ricominciò subito ad accigliarsi pensando a Elayne. Min tornò di nuovo alla sua poltrona, rammaricandosi di non avere uno dei libri di mastro Fel da leggere. O da lanciare a Rand. Be', uno di mastro Fel da leggere, e uno di qualcun altro da lanciare. Sorilea guidò il suo gregge di donne vestite di nero fuori dalla stanza, ma si fermò con una mano sulla porta e si girò a guardare Rand, che si allontanò da lei andando verso il trono dorato. La Aiel increspò pensosamente le labbra. «Quella donna, Cadsuane Melaidhrin, è anche oggi sotto questo tetto» annunciò infine parlando alla sua schiena. «Penso sia convinta
che tu hai paura di lei, Rand al'Thor, per come la eviti.» Detto questo, uscì. Per un lungo istante, Rand rimase a fissare il trono. O forse qualcosa al di là del trono. Poi si scosse all'improvviso, coprì a grandi falcate il resto della distanza e raccolse la Corona di Spade. Sul punto di mettersela in testa, però, ebbe un'esitazione, poi la ripose. Indossò la giubba, e lasciò stare scettro e corona. «Ho intenzione di scoprire che vuole Cadsuane» dichiarò. «Di sicuro non viene tutti i giorni a palazzo perché le piace camminare nella neve. Mi vuoi accompagnare, Min? Forse avrai una visione.» Lei si alzò ancor più in fretta di quelle Aes Sedai. Probabilmente, una visita a Cadsuane sarebbe stata piacevole come una a Sorilea, ma era comunque meglio che restare lì da sola. Inoltre, forse avrebbe davvero avuto una visione. Fedwin si accodò a lei e Rand con un'espressione di allerta negli occhi. Le sei Fanciulle nel corridoio dall'alto soffitto a volta si alzarono, ma non li seguirono. Somara era l'unica che Min conoscesse; la Aiel rivolse a lei un rapido sorriso e a Rand un duro sguardo di disapprovazione. Le altre erano torve. Le Fanciulle avevano accettato la sua storia su come era partito senza di loro affinché tutti credessero quanto più a lungo possibile che era ancora a Cairhien, ma pretendevano ancora di sapere perché poi non le aveva mandate a chiamare, e Rand non aveva risposte. Mormorò qualcosa tra sé e aumentò l'andatura, così Min dovette camminare a lunghe falcate per tenere il passo. «Osserva Cadsuane attentamente, Min» le disse Rand. «E anche tu, Morr. Ha di sicuro in mente qualche piano da Aes Sedai, ma che io sia folgorato se riesco a capire quale. Non so. C'è...» Un muro di pietra parve colpire Min alle spalle e a lei sembrò di sentire schianti e boati. Poi Rand la stava girando - era stesa sul pavimento? - e la guardava con la prima espressione di paura che lei avesse mai visto in quegli occhi azzurri come il cielo al mattino. Un'espressione che si affievolì solo quando Min si alzò a sedere, tossendo. L'aria era piena di polvere! E poi vide il corridoio. Le Fanciulle davanti alla porta di Rand erano sparite. La porta stessa era sparita, insieme a gran parte della parete, e in quella opposta c'era un buco frastagliato quasi altrettanto grande. Nonostante la polvere, Min poteva chiaramente vedere l'interno degli appartamenti di Rand, poteva vederne la devastazione. Enormi cumuli di macerie giacevano ovunque, e il soffitto era una bocca spalancata verso il cielo. La neve scendeva vorticando sulle
fiamme che danzavano fra i detriti. Uno dei massicci sostegni del baldacchino sporgeva, bruciato, da un mucchio di pietre, e Min si rese conto che riusciva a vedere anche fuori dalla stanza, fino alle torri circondate da gradini e spolverate da un velo di neve. Era come se un immenso martello si fosse abbattuto sul Palazzo del Sole. Se loro fossero rimasti nella stanza, invece di andare da Cadsuane... Min rabbrividì. «Cosa...» cominciò a dire con voce malferma, poi scartò quell'inutile domanda. Qualsiasi idiota poteva vedere cosa era successo. «Chi?» chiese invece. Coperti di polvere, i capelli sparati in ogni direzione e le giubbe strappate, sembrava che Rand e Fedwin si fossero rotolati nel corridoio, e forse era successo davvero. Min aveva l'impressione che fossero tutti e tre ad almeno dieci passi da dove si trovavano prima dell'esplosione. Nessuno dei due uomini le rispose. «Posso fidarmi di te, Morr?» chiese Rand. Fedwin resse il suo sguardo con franchezza. «Puoi affidarmi anche la tua vita, mio lord Drago» rispose semplicemente. «Ed è proprio quello che voglio fare» disse Rand. Sfiorò con le dita una guancia di Min, poi si alzò di scatto. «Proteggila al costo della tua vita, Morr.» Dura come l'acciaio, la sua voce. Cupa come la morte. «Se sono ancora nel Palazzo, se ne accorgeranno se cerchi di aprire un passaggio e colpiranno prima che tu possa finire. Non incanalare per niente al mondo, a meno che non sei costretto, ma tieniti pronto. Portala negli alloggi della servitù, e uccidi chiunque o qualsiasi cosa cerchi di arrivare a lei. Senza eccezioni!» Con un'ultima occhiata a Min - oh, per la Luce, in qualsiasi altra circostanza Min avrebbe pensato che poteva morire felice, dopo aver visto quell'espressione nei suoi occhi - Rand andò via di corsa, lontano da quel disastro. Lontano da lei. Chiunque avesse cercato di ucciderlo, gli avrebbe dato la caccia. Morr le diede una pacca su un braccio con una mano polverosa e le rivolse quel suo sorriso infantile. «Non ti preoccupare, Min. Mi prenderò cura di te.» Ma chi si sarebbe preso cura di Rand? 'Mi posso fidare di te?', aveva chiesto a quel ragazzo, che era stato uno dei primi ad arrivare con la richiesta di poter imparare. Per la Luce, chi avrebbe tenuto lui al sicuro? Svoltato un angolo, Rand si fermò con una mano contro una parete per
afferrare la Fonte. Una cosa stupida, non volere che Min lo vedesse vacillare quando qualcuno aveva cercato di ucciderlo, ma era così. E non si trattava semplicemente di 'qualcuno'. Un uomo, Demandred, o forse Asmodean che alla fine era tornato. Magari entrambi; aveva avvertito qualcosa di strano, come se le tessiture arrivassero da direzioni differenti. Ma se ne era accorto troppo tardi per poter fare qualcosa. Sarebbe morto, se si fosse trovato nelle sue stanze. Era pronto a morire. Ma non voleva che morisse anche Min, no, Min no. Era un bene che Elayne fosse lontana, che si fosse rivoltata contro di lui. Oh, per la Luce, contro di lui! Afferrò la Fonte, e saidin gli si riversò dentro con ghiaccio fuso e calore raggelante, con vita e dolcezza, lordura e morte. Gli si rivoltò lo stomaco, e il corridoio davanti a lui si sdoppiò. Per un attimo, gli parve di scorgere un volto. Non con gli occhi, ma nella mente. Un uomo, lucente e irriconoscibile, che subito sparì. Fluttuava nel Vuoto, pieno di Potere. Non vincerai, disse a Lews Therin. Se muoio, morirò essendo me stesso! Avrei dovuto mandar via Ilyena, sussurrò di rimando Lews Therin. Sarebbe sopravvissuta. Spingendo via quella voce e al contempo spingendosi via dal muro, Rand si aggirò nei corridoio del Palazzo con tutta la furtività possibile, camminando con passi leggeri, tenendosi vicino alle pareti coperte di arazzi, aggirando le ceste lavorate in oro e gli armadietti dorati pieni di statuine d'avorio e di fragili porcellane anch'esse dorate. Si guardava intorno, in cerca di chi lo aveva attaccato. I nemici non sarebbero stati soddisfatti se prima non trovavano il suo cadavere, ma si sarebbero avvicinati con grande cautela alle sue stanze, in caso fosse sopravvissuto per qualche scherzo del suo destino di ta'veren. Avrebbero aspettato, per vedere se si muoveva. Nel Vuoto, Rand era quasi tutt'uno col Potere, fuso insieme per quanto un uomo poteva farlo senza morire. Nel Vuoto, come quando maneggiava una spada, era tutt'uno con ciò che lo circondava. Da ogni direzione si levavano rumori e urla frenetiche, qualcuno gridava per sapere cosa era successo, altri strillavano che il Drago Rinato era impazzito. Il grumo di frustrazione nella sua mente che era Alanna gli fornì una lieve consolazione. L'Aes Sedai era fuori dal Palazzo, sin dal mattino, forse persino fuori dalle mura cittadine. Rand avrebbe voluto che lo fosse anche Min. Di tanto in tanto vedeva uomini e donne nei vari corridoi, per lo più servitori in livrea nera che correvano, cadevano, si rialzavano e ricominciavano a correre. Loro non vedevano lui. Pieno di Potere, Rand riusciva a sentire ogni sussurro. Anche il rumore di piedi infilati in morbidi
stivali che correvano con passo leggero. Poggiando la schiena contro una parete accanto a un lungo tavolo coperto di porcellane, Rand intessé rapidamente Aria e Fuoco intorno a sé e rimase immobile, avvolto in Luce Ritorta. Arrivarono le Fanciulle, un torrente di donne velate che corsero via senza vederlo. Verso i suoi appartamenti. Non poteva permettere che lo accompagnassero; aveva promesso, ma di lasciarle combattere, non di guidarle al massacro. Quando lui avesse trovato Demandred e Asmodean, le Fanciulle non avrebbero potuto fare altro che morire, e c'erano già altri cinque nomi da imparare e aggiungere all'elenco. Tra i quali quello di Somara dei Daryne Cima Piegata. Una promessa che era stato costretto a fare, e che doveva mantenere. Già solo per quella promessa meritava di morire! Aquile e donne possono essere tenute al sicuro solo in una gabbia, disse Lews Therin come citando un proverbio, poi scoppiò a piangere quando sparì l'ultima delle Fanciulle. Rand proseguì, perlustrando il palazzo in lenti archi che si allontanavano gradualmente dalle sue stanze. Luce Ritorta richiedeva poco Potere - così poco che nessun uomo si sarebbe accorto dell'uso di saidin a meno di; non arrivargli addosso - e Rand se ne serviva ogni volta che qualcuno pareva accorgersi di lui. Quelli che l'avevano attaccato non avevano colpito i suoi appartamenti per caso. Avevano occhi e orecchie nel Palazzo. Forse era stato il suo influsso di ta'veren a farlo uscire da quelle stanze, posto che un ta'veren potesse operare su sé stesso, o forse era stata solo una coincidenza, ma Rand sperava che la sua capacità di dare strattoni al Disegno potesse portargli i nemici a tiro mentre loro lo credevano morto o ferito. Lews Therin rise soddisfatto per quell'idea. Rand poté quasi sentirlo mentre si strofinava le mani per l'attesa. Altre tre volte dovette nascondersi col Potere mentre le Fanciulle lo superavano di corsa, e in corridoio vide Cadsuane che avanzava con non meno di sei Aes Sedai alle calcagna, tutte a lui sconosciute. Sembravano a caccia. Rand non aveva paura della sorella dai capelli grigi, non precisamente. No, certo che non ne aveva paura! Ma aspettò che lei e le sue amiche fossero sparite prima di lasciar andare la sua tessitura. Lews Therin non ridacchiò per Cadsuane. Osservò un silenzio mortale finché non fu andata via. Rand si allontanò dalla parete, una porta si aprì accanto a lui, e Ailil si affacciò nel corridoio. Non si era reso conto di essere vicino alle stanze
della nobile. Dietro di lei c'era una donna scura con spessi cerchi d'oro alle orecchie e una catenina piena di medaglioni che le attraversava la guancia sinistra fino all'anello infilato nel naso. Shalon, Cercavento di Harine din Togara, l'ambasciatrice degli Atha'an Miere che si era trasferita a palazzo con il suo seguito subito dopo che Merana gli aveva parlato dell'accordo. Ed era insieme a una donna che forse lo voleva morto. Sgranarono entrambe gli occhi quando lo videro. Rand fu quanto più possibile delicato, ma doveva agire in fretta. Pochi istanti dopo stava infilando una piuttosto malconcia Ailil sotto il letto accanto a Shalon. Forse non c'entravano nulla con quello che stava succedendo. Forse. Ma sicuro era meglio che dispiaciuto. Guardandolo torve, con in bocca le sciarpe di Ailil ripiegate, le due donne si agitarono contro i lembi di lenzuola arrotolati che lui aveva usato per bloccarle ai polsi e alle caviglie. Lo schermo che aveva legato su Shalon avrebbe resistito per un giorno o due prima di sciogliersi, ma qualcuno le avrebbe trovate e avrebbe tagliato quegli altri legacci molto prima. Preoccupato per quello schermo, Rand aprì la porta quanto bastava per controllare il corridoio, e quando vide che era deserto uscì rapidamente. Non poteva lasciare la Cercavento libera di incanalare, ma schermare una donna richiedeva una gran quantità di Potere. Se uno dei suoi nemici era vicino... Ma non vide nessuno nemmeno nei passaggi laterali. A cinquanta passi dalle stanze di Ailil, il corridoio si apriva su una balconata di marmo azzurro, con il parapetto squadrato e scale a entrambe le estremità che portavano a una sala quadrata con un alto soffitto a volta che terminava in un'altra balconata dello stesso tipo. Arazzi lunghi dieci passi erano appesi alle pareti, uccelli che si innalzavano in cielo seguendo rigidi schemi. Dabbasso c'era Dashiva, che si guardava intorno leccandosi le labbra con un'espressione incerta. E con lui c'erano Gedwyn e Rochaid! Lews Therin strillò di ucciderli. «...ripeto che io non ho percepito nulla» stava dicendo Gedwyn. «È morto!» Poi Dashiva vide Rand, in cima alle scale. L'unico avvertimento fu l'improvviso ghigno che distorse il volto di Dashiva. Poi l'Asha'man incanalò, e senza nemmeno pensare Rand creò la sua tessitura - come spesso succedeva, non sapeva cosa fosse; qualcosa recuperato dagli abissi della memoria di Lews Therin: non era nemmeno sicuro se stava creando da solo quella tela o se Lews Therin gli aveva sottratto il controllo di saidin - e si avvolse in Aria, Fuoco e Terra. Il fuoco lanciato
da Dashiva esplose, frantumando il marmo e respingendo Rand nel corridoio, rimbalzando e rotolando sul suo bozzolo. Quella barriera poteva tener fuori qualsiasi cosa tranne il fuoco malefico. Inclusa l'aria per respirare. Rand la rilasciò ansimando, e strisciò sul pavimento con lo schianto delle esplosioni che ancora risuonava nell'aria, la polvere che non si era ancora posata e frammenti di marmo che continuavano a rotolare. Rand aveva lasciato andare quella tessitura non solo per respirare, ma perché la barriera resisteva agli attacchi del Potere sia dall'esterno che dall'interno. Non aveva ancora smesso di scivolare che già incanalò Fuoco e Aria, ma intrecciati in modo molto diverso dalla tessitura di Luce Ritorta. Dalla mano destra gli partirono sottili filamenti rossi, che si aprirono a ventaglio passando attraverso la pietra diretti verso il punto in cui prima si trovavano Dashiva e gli altri. Dalla sinistra sfrecciarono sfere di fuoco, Fuoco intessuto con Aria, tanto veloci da non poterle neppure contare, e fusero la pietra fino a esplodere nella grande sala. Un continuo, assordante boato fece tremare il Palazzo. La polvere caduta tornò ad alzarsi, e i pezzi di marmo rimbalzavano sul pavimento. Quasi all'istante, però, Rand si alzò e corse via, tornò indietro, superò gli appartamenti di Ailil. Chi colpiva e restava nello stesso posto stava chiedendo di morire. Lui era pronto a morire, ma non ancora. Ruggendo senza emettere suoni, si lanciò in un altro corridoio, scese le strette scale della servitù e arrivò al piano di sotto. Fu molto cauto mentre tornava dove aveva visto Dashiva, tessiture letali pronte a scattare al primo avviso. Avrei dovuto ucciderli tutti sin dall'inizio, ansimò Lews Therin. Avrei dovuto ucciderli tutti! Rand lo lasciò sfogare. La grande stanza sembrava aver subito un'inondazione di fuoco. Degli arazzi restavano solo frammenti carbonizzati lambiti dalle fiamme, e per terra e nelle pareti il fuoco aveva scavato buchi larghi un passo. Le scale sulle quali si era fermato Rand finivano a metà strada dal pavimento. Dei tre uomini non c'era segno. Non potevano essersi consumati del tutto. Qualcosa sarebbe rimasto. Un servitore in giubba nera si affacciò piano da una porticina accanto alle scale dall'altro lato della sala. Gli cadde lo sguardo su Rand, gli occhi ruotarono all'insù e l'uomo si accasciò. Un'altra domestica si sporse da un corridoio, poi raccolse le gonne e tornò indietro, strillando a squarciagola che il Drago Rinato stava uccidendo tutti quelli che si trovavano nel Palaz-
zo. Rand andò silenziosamente via da quella sala con una smorfia dipinta in viso. Era davvero bravo a spaventare la gente che non poteva fargli alcun male. Davvero bravo a distruggere. Distruggere o essere distrutto, rise Lews Therin. Quando ti resta solo questa scelta, cosa conta tutto il resto? Da qualche parte nel Palazzo, un uomo incanalò abbastanza Potere da creare un passaggio. Dashiva e gli altri che fuggivano? O volevano farglielo credere? Rand avanzò camminando nel Palazzo, senza più prendersi la briga di nascondersi. Lo facevano già tutti gli altri. I pochi servitori che vide fuggirono urlando. Corridoio dopo corridoio, Rand andò a caccia, pieno di saidin fin quasi a scoppiare, pieno di fuoco e ghiaccio che provavano ad annientarlo come aveva fatto Dashiva, pieno della contaminazione che gli si insinuava nell'anima. Non aveva bisogno delle sguaiate risa e dei vaneggiamenti di Lews Therin per essere invaso dal desiderio di uccidere. Lo scorcio di una giubba nera poco più avanti, e le sue mani scattarono in alto, fuoco, saette, esplosioni, squarci nelle pareti ad angolo dove due corridoi si incontravano. Rand lasciò che la tessitura si placasse, ma non la eliminò del tutto. Li aveva uccisi? «Mio lord Drago,» urlò una voce da dietro il muro distrutto «sono io, Narishma! E con me c'è anche Flinn!» «Non vi avevo riconosciuti» mentì Rand. «Venite qui.» «Temo che il tuo sangue sia un po' troppo caldo» rispose a gran voce Flinn. «Credo che forse dovremmo aspettare che tutti si calmino un po'.» «Sì» disse lentamente Rand. Aveva davvero cercato di uccidere Narishma? Non pensava di poter usare Lews Therin come scusante. «Sì, forse è meglio. Aspettiamo un po'.» Non ci fu nessuna risposta. Aveva sentito rumore di passi in fuga? Si costrinse ad abbassare le mani e prese un'altra direzione. Perlustrò il Palazzo per ore senza trovare traccia di Dashiva e gli altri. I corridoi e le grandi sale, persino le cucine, tutto era deserto. Non scoprì nulla, non apprese nulla. No. Si rese conto che una cosa l'aveva appresa. La fiducia era un pugnale, e il manico era affilato come la lama. Poi scoprì il dolore. La piccola stanza dalle pareti di pietra si trovava nelle profondità del Palazzo del Sole ed era tiepida nonostante non ci fossero camini, ma Min
sentiva freddo. Tre lampade dorate sul piccolo tavolo di legno davano abbastanza luce. Rand aveva detto che da lì poteva farla fuggire anche se qualcuno provava a sradicare il Palazzo dal terreno. E non le era sembrato che stesse scherzando. Con la corona di Illian in grembo, Min lo osservava. Osservava Rand che osservava Fedwin. Le mani si strinsero sulla corona, e si allargarono immediatamente per la puntura di una delle piccole spade nascoste tra le foglie di alloro. Strano come corona e scettro erano sopravvissuti mentre lo stesso Trono del Drago era ridotto a un ammasso di schegge dorate sepolto dalle macerie. Una grande saccoccia di cuoio accanto alla sua sedia, contro la quale era poggiato il cinturone di Rand con la spada infilata nel fodero, conteneva gli altri oggetti che lui era riuscito a recuperare. Scelte strane per la maggior parte dei casi, secondo il giudizio di Min. Stupida smidollata, si disse. Ignorare quello che hai davanti agli occhi non lo farà scomparire. Rand sedeva a gambe incrociate sul nudo pavimento, ancora coperto di polvere e graffi e con la giubba strappata. Il suo volto sembrava quello di sua statua. Guardava Fedwin senza sbattere nemmeno le palpebre. Anche il ragazzo era seduto sul pavimento, a gambe larghe. La lingua stretta tra i denti, Fedwin si stava concentrando per costruire una torre con dei ceppi di legno. Min deglutì forte. Ricordava ancora il terrore provato quando si era accorta che il ragazzo incaricato di 'proteggerla' aveva ormai la mente di un bambino. Anche la pena era ancora ben presente - per la Luce, era solo un ragazzo! Non era giusto! - ma Min avrebbe comunque preferito che Rand lo schermasse. Non era stato facile convincere Fedwin a giocare con quei ceppi invece di sradicare le pietre dal muro col Potere per costruire 'una grande torre dove tenerti al sicuro'. E poi lei si era seduta facendo al guardia a lui fino all'arrivo di Rand. Oh, per la Luce, quanto aveva voglia di piangere. Per Rand, ancor più che per Fedwin. «Ti nascondi in profondità, a quanto pare.» La voce cupa che veniva dalla soglia non ebbe neppure il tempo di concludere la frase che già Rand era in piedi, girato verso Mazrim Taim. Come al solito, l'uomo dal naso adunco indossava una giubba nera con Draghi blu e d'oro che si avvolgevano a spirale sulle maniche. A differenza degli altri Asha'man, non aveva la spilla con la spada né quella col drago sul colletto. Il volto scuro era inespressivo quasi quanto quello di Rand. In quel momento, però, con lo sguardo fisso su Taim, Rand cominciò a digri-
gnare i denti. Min allentò furtivamente un coltello nella manica. Immagini ed aure danzavano intorno a entrambi, ma non fu questo a metterla improvvisamente in allarme. Aveva già visto un uomo intento a decidere se ucciderne o meno un altro, e lo stava vedendo anche in quel momento. «Vieni qui pieno di saidin, Taim?» chiese Rand, con voce fin troppo calma. Taim allargò le braccia, e Rand disse: «Così va meglio.» Ma non si rilassò. «Temevo solo di finire pugnalato per sbaglio,» spiegò Taim «mentre venivo qui passando per corridoi zeppi di quelle Aiel. Sembrano agitate.» I suoi occhi non lasciarono mai Rand, ma Min era sicura che l'avesse vista quando aveva sfiorato il pugnale. «Cosa comprensibile, ovviamente» proseguì Taim con naturalezza. «Non posso descriverti la mia gioia nel trovarti vivo dopo quello che ho visto di sopra. Sono venuto a fare rapporto su dei disertori. In circostanze normali non mi sarei preso la briga, ma in questo caso si tratta di Gedwyn, Rochaid, Torval e Kisman. A quanto pare erano scontenti di come sono andate le cose in Altara, ma non avrei mai pensato che potessero spingersi a tanto. Non ho visto nessuno degli uomini che avevo lasciato con te.» Per un attimo, lo sguardo guizzò verso Fedwin. Solo per un attimo. «Ci sono state... altre... perdite? Se desideri, questo qui lo porto con me.» «Ho ordinato io agli altri di tenersi lontano dalla mia vista» disse Rand con voce dura. «E mi prenderò io cura di Fedwin. Fedwin Morr, Taim, non 'questo qui'.» E si spinse anche indietro verso il tavolino per prendere il calice d'argento poggiato tra le lampade. Min trattenne il fiato. «La Sapiente del mio villaggio era capace di curare qualsiasi cosa» disse Rand mentre si inginocchiava accanto a Fedwin. In qualche modo, riuscì a sorridere al ragazzo senza distogliere lo sguardo da Taim. Fedwin ricambiò con gioia il sorriso e provò a prendere il calice, ma Rand lo tenne in mano e gli diede da bere. «Conosce le erbe meglio di chiunque io abbia mai incontrato. Ho imparato alcune cose da lei, certe sono sicure, altre no.» Fedwin sospirò quando lui gli tolse il bicchiere e se lo strinse al petto. «Dormi, Fedwin» mormorò Rand. E sembrava davvero che il ragazzo si stesse addormentando. Chiuse gli occhi. Il torace si alzò e poi scese più lentamente. Più lentamente. Fino a fermarsi. Il sorriso non lasciò mai le sue labbra. «Un po' nel vino» disse lievemente Rand mentre adagiava Fedwin. Min si sentiva bruciare gli occhi, ma non avrebbe pianto. Non avrebbe pianto! «Sei più duro di quanto pensassi» mormorò Taim.
Rand gli sorrise, un sorriso duro e ferino. «Aggiungi Corlan Dashiva al tuo elenco dei disertori, Taim. La prossima volta che vengo alla Torre Nera mi aspetto di vedere la sua testa su quel tuo Albero del Traditore.» «Dashiva?» ruggì Taim, gli occhi sgranati per la sorpresa. «Sarà fatto. Entro la tua prossima visita alla Torre Nera.» Si riprese subito, tornando ad assumere quel suo studiato aspetto da pietra levigata. Min avrebbe davvero voluto riuscire a capire le visioni che aveva su di lui. «Torna alla Torre Nera, e non venire più qui.» Alzandosi, Rand fronteggiò l'altro uomo da sopra il corpo di Fedwin. «Per un po' di tempo potrei spostarmi di continuo.» L'inchino di Taim fu appena accennato. «Ai tuoi ordini.» Quando la porta si chiuse alle spalle di quell'uomo, Min emise un lungo sospiro. «Non ha senso perdere tempo, e non c'è tempo da perdere» mormorò Rand. Inginocchiandosi davanti a lei, prese la corona e la infilò nella saccoccia insieme agli altri oggetti. «Min, pensavo di essere io il branco di segugi e di dare la caccia ai lupi uno dopo l'altro, ma a quanto pare sono il lupo.» «Che tu sia folgorato» sospirò lei. Avvinghiandosi con entrambe le mani ai suoi capelli, lo guardò dritto negli occhi. Ora azzurri, ora grigi, il cielo del mattino all'alba. E asciutti. «Puoi piangere, Rand al'Thor. Non diventi più debole se piangi!» «Non ho tempo neanche per le lacrime, Min» disse lui con delicatezza. «A volte i segugi prendono il lupo e se ne pentono. A volte il lupo gli si rivolta contro, o tende un'imboscata. Ma prima, il lupo deve fuggire.» «Dove andiamo?» chiese Min. Non lasciò i capelli. Non l'avrebbe mai lasciato andare. Mai. 30
Inizi Tenendosi chiuso con una mano il mantello foderato di pelliccia, Perrin lasciava che fosse Resistenza a decidere l'andatura. Il sole di metà mattino
non dava alcun tepore, e la neve piena di solchi sulla strada che portava ad Abila rendeva complicato il viaggio. Lui e la sua decina di compagni dividevano il cammino con appena due carri traballanti tirati da buoi e una manciata di contadini in semplici abiti di lana. Arrancavano tutti a testa bassa, stringendosi il cappello o la cuffia ogni volta che il vento soffiava più forte ma per il resto concentrati sul terreno sotto le loro scarpe. Dietro di lui, sentì Neald fare una battuta sconcia ad alta voce; Grady reagì con un grugnito, e Balwer tirando stizzosamente su con il naso. Nessuno di quei tre sembrava influenzato in alcun modo da ciò che avevano visto o sentito negli ultimi mesi dopo aver varcato il confine dell'Amadicia, né si preoccupavano per ciò che li aspettava. Edarra stava riprendendo duramente Masuri che si era lasciata scivolare via il cappuccio. Edarra e Carelle portavano entrambe lo scialle avvolto intorno alla testa e alle spalle oltre al mantello, ma anche dopo aver accettato la necessità di andare a cavallo si erano rifiutate di cambiarsi quelle gonne pesanti, così le gambe infilate nelle calze scure erano scoperte fin sopra al ginocchio. Il freddo non sembrava infastidirle minimamente, solo la stranezza della neve le turbava. Carelle cominciò ad avvertire con voce sommessa Seonid su cosa sarebbe successo se non si teneva il volto ben nascosto. Ovviamente, se Seonid avesse lasciato vedere troppo presto il suo volto, una dose di cinghiate sarebbe stato l'ultimo dei suoi problemi, come lei e la Sapiente ben sapevano. Perrin non aveva bisogno di girarsi indietro per scoprire che i tre Custodi delle sorelle, in fondo al gruppo e vestiti con normali mantelli, erano pronti a estrarre le spade da un momento all'altro per farsi strada a suon di fendenti. E quello era il loro stato d'animo sin da quando all'alba erano partiti dall'accampamento. Lui stesso passò un pollice coperto dal guanto lungo l'ascia che gli penzolava dalla cintura, poi richiuse il mantello prima che una raffica improvvisa lo facesse sventolare. Se quella loro spedizione andava per il verso sbagliato, forse i Custodi si sarebbero ritrovati ad aver ragione. A sinistra, vicino a dove la strada attraversava un ponte di legno su un torrente ghiacciato che piegava lungo il confine della città, dei tronchi carbonizzati sporgevano dalla neve in cima a una grande piattaforma quadrata fatta di pietra, con macerie ammassate intorno alla base. Lento a proclamare la sua lealtà al Drago Rinato, il lord del posto era stato fortunato a cavarsela solo con qualche frustata e con la confisca di ogni suo bene. Un gruppo di uomini fermi presso il ponte seguì l'arrivo del gruppo a cavallo. Perrin non vide traccia di elmi o armature, ma ognuno di quei tizi stringeva
una lancia o una balestra quasi con la stessa forza con la quale lui si teneva addosso il mantello. Non parlavano tra di loro. Si limitavano a osservare, con le nuvolette di vapore del respiro che si arricciavano davanti ai loro volti. C'erano altre guardie raggruppate in tutta la città, a ogni strada che portava fuori, a ogni spazio tra due edifici. Quella era la terra del Profeta, ma i Manti Bianchi e l'esercito di re Ailron ne detenevano ancora una grossa fetta. «Ho fatto bene a non portarla con noi,» mormorò Perrin «ma comunque me la farà pagare.» «Certo che te la farà pagare» sbuffò Elyas. Per aver viaggiato a piedi durante gran parte degli ultimi quindici anni, guidava bene il suo castrone color topo. Aveva guadagnato un mantello foderato di pelliccia di volpe nera, giocando a dadi con Gallenne. Aram, che cavalcava dall'altro lato di Perrin, guardava Elyas cupamente, ma l'uomo barbuto lo ignorava. Quei due non si piacevano. «Un uomo la paga sempre, prima o poi, con tutte le donne, che sia giusto o meno. Ma avevo ragione, o no?» Perrin annuì. Malvolentieri. Ancora non gli sembrava giusto ricevere consigli su sua moglie da un altro uomo, per quanto questi glieli desse con delicatezza e in modo indiretto, eppure funzionavano. Ovviamente alzare la voce con Faile era difficile come non alzarla con Berelain, ma Perrin era riuscito abbastanza spesso a non urlare con quest'ultima e diverse volte a urlare con sua moglie. Aveva seguito i consigli di Elyas alla lettera. Be', quasi tutti. Come meglio poteva. L'odore speziato di gelosia ancora divampava da Faile a ogni apparizione di Berelain, ma d'altro canto quello dell'offesa era svanito nel corso del loro lento viaggio verso sud. Eppure Perrin era a disagio. Quando aveva detto con fermezza a Faile che quel mattino non l'avrebbe portata con sé, lei non aveva sollevato la minima protesta! E nel suo odore c'era... compiacimento! Tra le altre cose, compreso lo stupore. E come faceva a essere compiaciuta e insieme arrabbiata? Niente di tutto questo le si era visto in faccia, ma il fiuto di Perrin non sbagliava mai. Più cose imparava sulle donne, meno le capiva! Le guardie al ponte si accigliarono e giocherellarono con le armi quando gli zoccoli di Resistenza risuonarono cupi sulle tavole di legno. Erano la solita bizzarra accozzaglia che seguiva il Profeta, uomini dal viso sporco con giubbe di seta troppo grandi, picchiatori col volto sfregiato e garzoni dalle guance imberbi, ex mercanti e artigiani che sembrava dormissero da mesi nei loro abiti di lana un tempo eleganti. Tuttavia, le loro armi sembravano ben curate. Alcuni di quegli uomini avevano uno sguardo febbrile;
altri mostravano volti guardinghi e inespressivi. Oltre che di sporco, il loro odore sapeva di brama, ansia, fervore, paura, tutto mischiato insieme. Non accennarono a sbarrare il passaggio, guardavano e basta, senza quasi sbattere le palpebre. Da ciò che Perrin aveva sentito, gente di ogni tipo dalle lady vestite di seta ai mendicanti coperti di stracci - andava dal Profeta nella speranza che sottomettendosi a lui di persona si potesse guadagnare un'ulteriore benedizione. O forse un'ulteriore protezione. Per questo anche lui era lì, con appena una manciata di compagni di viaggio. Era disposto a metter paura a Masema se necessario, posto che fosse possibile spaventare Masema, ma pensava fosse meglio provare ad arrivare da lui senza combattere una battaglia. Si sentì gli occhi delle guardie puntati sulla schiena finché lui e gli altri non ebbero attraversato il piccolo ponte di legno per imboccare le strade di Abila. La scomparsa di quella sensazione pressante, tuttavia, non portò alcun sollievo. Abila era una città di notevoli dimensioni, con diverse alte torri di guardia e molti edifici a quattro piani, tutti coi tetti di ardesia. Qua e là, cumuli di pietre e pezzi di legno riempivano lo spazio vuoto tra due edifici dove era stata abbattuta una locanda o la casa di qualche mercante. Il Profeta disapprovava allo stesso modo la ricchezza guadagnata col commercio e la baldoria o, come la chiamavano i suoi seguaci, il comportamento lascivo. Disapprovava molte cose, e rendeva noti i suoi sentimenti con duri esempi. Le strade erano affollate, ma Perrin e i suoi compagni erano gli unici a cavallo. La neve calpestata si era da tempo ridotta a una poltiglia alta fino alle caviglie di un uomo. Molti carri tirati da buoi si facevano lentamente strada tra la folla, ma i calessi erano pochi e non c'era neppure una carrozza. Tutti erano vestiti con scialbi abiti di lana, tranne quelli che indossavano scarti o indumenti probabilmente rubati. Gli abitanti andavano per lo più di fretta ma, come la gente incontrata per strada, camminavano a capo chino. Gli unici a non trottare erano gli sparsi gruppi di uomini armati. Nelle vie della città, l'odore era soprattutto di sudiciume e paura. Faceva rizzare i capelli a Perrin. Almeno, nella peggiore delle eventualità, uscire da una città senza mura non sarebbe stato più difficile che entrarci. «Mio signore» mormorò Balwer quando arrivarono a fianco di uno di quei cumuli di macerie. Aspettò a malapena il cenno del capo di Perrin prima di far girare il suo cavallo dal muso a schiacciato e avviarsi in un'altra direzione, accasciato in sella e col mantello marrone stretto addosso. Perrin non era preoccupato se quell'uomo inaridito se ne andava in giro da solo, neppure lì ad Abila. Per essere un segretario riusciva ad apprendere
un sorprendente quantitativo di notizie in quei suoi vagabondaggi. Sembrava sapere il fatto suo. Togliendosi Balwer di mente, si concentrò su quello che lui doveva fare. Bastò una domanda, rivolta a un uomo allampanato con una luce estatica sul viso, per scoprire dove alloggiava il Profeta, e altre tre alla gente in strada per trovare la casa della mercante, quattro piani di pietra grigia con modanature e cornici alle finestre in marmo. Masema disapprovava quelli che accumulavano denaro, ma era disposto ad accettare di sistemarsi presso le loro dimore. D'altro canto, Balwer gli aveva detto che aveva dormito altrettanto spesso in una fattoria e ne era stato altrettanto soddisfatto. Beveva solo acqua, e ovunque andasse assumeva una povera vedova e mangiava il cibo preparato da lei, buono o cattivo, senza mai lamentarsi. Masema aveva reso vedove troppe donne perché questa carità potesse contare qualcosa agli occhi di Perrin. La folla che altrove riempiva le vie era assente davanti all'alto edificio, ma il numero di guardie armate come quelle al ponte era quasi altrettanto notevole. Fissarono Perrin con occhi cupi, quando non con sguardi di derisoria insolenza. Le due Aes Sedai tennero il capo chino e il volto nascosto nei profondi cappucci, col respiro che saliva in nuvole bianche. Con la coda dell'occhio, Perrin vide che Elyas passava un dito sull'elsa del suo lungo pugnale. Gli fu difficile non carezzare a sua volta l'ascia. «Sono venuto a portare un messaggio per il Profeta dal Drago Rinato» annunciò. Nessuno di quegli uomini si mosse, e lui aggiunse: «Mi chiamo Perrin Aybara. Il Profeta mi conosce.» Balwer l'aveva sconsigliato di chiamare Masema per nome, o di menzionare Rand con appellativi diversi da 'lord Drago Rinato'. Era pericoloso, e lui non era lì per iniziare una rivolta. Il fatto che conoscesse Masema parve accendere una scintilla nelle guardie. Si scambiarono sguardi a occhi sgranati, e uno di loro andò di corsa nella casa. Gli altri rimasero a fissare Perrin come se fosse un menestrello. Pochi istanti dopo, una donna venne alla porta. Bella, con le tempie striate di bianco e vestita con un abito di lana azzurra alto fino al collo ed elegante anche se disadorno, poteva anche essere la mercante in persona. Masema non buttava per strada quelli che gli offrivano ospitalità, ma i loro servi e fattori di solito finivano in una delle bande che 'diffondevano la gloria del lord Drago'. «Se tu e i tuoi amici vorrete seguirmi, mastro Aybara,» disse con calma la donna «vi porterò dal Profeta del Lord Drago, che la Luce illumini il suo
nome.» Per quanto potesse sembrare calma, odorava di terrore. Dopo aver detto a Neald e ai Custodi di occuparsi dei cavalli fino al loro ritorno, Perrin seguì la donna insieme agli altri. L'interno della casa era buio, con poche lampade accese, e non faceva molto più caldo di fuori. Persino le Sapienti parvero impressionate. Non odoravano di paura, ma ci andavano vicino quasi quanto le Aes Sedai, mentre Grady ed Elyas emanavano prudenza, l'odore di pelle accapponata e orecchie spinte all'indietro contro la testa. Cosa strana, l'odore di Aram era bramoso. Perrin si augurò che quell'uomo non provasse a estrarre la spada che portava dietro la schiena. La grande stanza dove li condusse la donna, col pavimento coperto di tappeti e il fuoco acceso nei camini alle due estremità, sembrava lo studio di un generale: tutti i tavoli e metà delle sedie erano coperti di mappe e cartine e faceva abbastanza caldo perché Perrin spingesse indietro il mantello pentendosi di aver messo due camicie sotto la giubba. Ma, come limatura di ferro con un magnetite, la sua attenzione fu immediatamente calamitata da Masema, in piedi in mezzo alla stanza, un uomo cupo e torvo con la testa rasata e una cicatrice triangolare sbiadita su una guancia, giubba grigia spiegazzata e stivali logori. Gli occhi profondi erano accesi di un fuoco nero, e il suo odore... L'unica definizione che Perrin poteva dare a quell'odore, duro come l'acciaio, tagliente come una lama e vibrante di una selvaggia intensità, era follia. E Rand credeva di poterlo tenere al guinzaglio? «Così sei tu» ringhiò Masema. «Non pensavo che avresti osato mostrare la tua faccia in giro. So cos'hai in mente! Hari mi ha parlato di te più di una settimana fa, e da allora mi sono tenuto al corrente!» Un uomo cambiò posizione in un angolo della stanza, un tizio con occhi stretti e naso sporgente, e Perrin si rimproverò per non averlo notato prima. La giubba in seta verde di Hari era molto migliore di quella che indossava quando aveva negato di collezionare le orecchie della gente che uccideva. Si strofinò le mani e rivolse a Perrin un sorriso malvagio, ma rimase in silenzio mentre Masema continuava a parlare. La voce del Profeta diventava più cocente a ogni parola, non per la rabbia, ma come se volesse imprimere a fuoco ogni sillaba nella carne di Perrin. «So di come hai ammazzato uomini che si erano votati al lord Drago. So che stai cercando di ricavarti un tuo regno personale! Sì, so del Manetheren! Delle tue ambizioni! Della tua brama di gloria! Hai voltato le spalle a...» All'improvviso gli occhi di Masema parvero voler uscire dalle orbite, e
per la prima volta la rabbia divampò nel suo odore. Hari fece un verso strozzato e provò ad arretrare attraverso la parete. Seonid e Masuri avevano abbassato i cappucci e se ne stavano a viso scoperto, calme e serene, due inequivocabili Aes Sedai per chiunque ne conosceva l'aspetto. Perrin si chiese se avevano abbracciato il Potere. Era pronto a scommettere che le Sapienti l'avevano fatto. Edarra e Carelle guardavano con calma in ogni direzione e, volti sereni o meno, Perrin non aveva mai visto qualcuno più pronto a combattere. Quanto a ciò, Grady era l'immagine stessa della prontezza; forse anche lui aveva afferrato il Potere. Elyas era poggiato contro la parete vicino alle porte aperte, all'apparenza composto come le sorelle, ma il suo odore parlava di zanne pronte a mordere. E Aram guardava Masema a bocca aperta! Per la Luce! «E così anche il resto era vero!» scattò Masema, sputacchiando saliva. «Con quelle odiose storie che si diffondono sul sacro nome del lord Drago, tu osi cavalcare con queste... queste...» «Hanno giurato lealtà al lord Drago, Masema» lo interruppe Perrin. «Gli obbediscono e lo servono! E tu? Il lord Drago mi ha mandato qui per mettere fine alle uccisioni. E per portarti da lui.» Nessuno gli stava offrendo una sedia, così ne liberò una da una pila di carte e si accomodò. Si augurò che gli altri facessero altrettanto; era più difficile mettersi a urlare quando si stava seduti. Hari lo guardò con gli occhi in fuori, e Masema stava praticamente tremando. Perché si era preso una sedia senza chiedere? Ah, già. «Io ho abbandonato i nomi degli uomini» disse freddamente Masema. «Sono semplicemente il Profeta del lord Drago, che la Luce lo illumini e il mondo si inginocchi al suo cospetto.» A giudicare dal suo tono, il mondo e la Luce si sarebbero ugualmente pentiti se non l'avessero fatto. «C'è ancora molto da fare, qui. Grandi opere. Tutti devono obbedire quando il lord Drago chiama, ma in inverno i viaggi sono sempre lenti. Un ritardo di poche settimane non avrà un gran peso.» «Posso farti arrivare a Cairhien oggi stesso» disse Perrin. «Quando il lord Drago ti avrà parlato, potrai tornare qui allo stesso modo, passeranno pochi giorni.» Se Rand l'avesse mai lasciato andare. Masema si ritrasse fisicamente. Snudando i denti, guardò in cagnesco le Aes Sedai. «Qualche artificio del Potere? Non mi lascerò toccare dal Potere! È una blasfemia che dei mortali possano toccarlo!» Perrin rimase quasi a bocca aperta. «Il Drago Rinato incanala!» «Il lord Drago benedetto non è come gli altri uomini, Aybara!» ruggì
Masema. «Egli è l'incarnazione della Luce! Risponderò alla sua convocazione, ma non mi lascerò toccare dalla lordura di quelle donne!» Accasciandosi sulla sedia, Perrin sospirò. Se quell'uomo reagiva così male alle Aes Sedai, che avrebbe fatto una volta saputo che Grady e Neald potevano incanalare? Per un istante valutò l'ipotesi di colpire semplicemente Masema in testa e... Degli uomini passarono nel corridoio e si fermarono a lanciare un'occhiata nella stanza prima di proseguire rapidamente. Bastava che uno di loro lanciasse l'allarme per trasformare Abila in un mattatoio. «Allora andremo a cavallo, Profeta» disse con amarezza. Per la Luce, Rand gli aveva chiesto di agire in segreto finché non portava Masema davanti a lui! Come poteva riuscirci se doveva cavalcare fino a Cairhien? «Ma senza ritardi. Il lord Drago è molto ansioso di parlare con te.» «Anche io sono ansioso di parlare con il lord Drago, che il suo nome sia benedetto dalla Luce.» Gli occhi di Masema guizzarono verso le due Aes Sedai. L'uomo cercò di nasconderlo, rivolgendo addirittura un sorriso a Perrin. Ma il suo odore era... truce. «Sono davvero molto ansioso.» «La mia signora desidera che chieda a uno degli addestratori di portarle un falco?» chiese Maighdin. Uno dei quattro falconieri di Alliandre, uomini magri come gli uccelli che addestravano, si fece salire sul braccio protetto da un grosso guanto il falco pellegrino con la testa coperta da un cappuccio piumato che stava sul trespolo di legno davanti alla sua sella, poi sollevò verso di lei il grigio volatile. Il falco reale, con le ali dalla punta azzurra, era aggrappato al guanto verde sul polso di Alliandre. Quell'uccello era riservato a lei, purtroppo. Alliandre aveva accettato il ruolo di vassalla, ma Faile capiva il suo desiderio di voler tenere per sé l'animale preferito. Si limitò a scuotere il capo, e Maighdin si inchinò sulla sella e portò via la sua giumenta roana, abbastanza lontano da Rondine da non intralciarlo e abbastanza vicino da poter rispondere a una chiamata di Faile senza che lei dovesse alzare la voce. Quella dignitosa donna dai capelli biondi si era dimostrata un'ancella in tutto e per tutto valida come Faile aveva sperato, capace e sapiente. O meglio, si era rivelata tale dopo aver appreso che, quali che fossero le loro rispettive posizioni con la padrona di prima, Lini era a capo delle servitrici di Faile e non aveva remore a usare quella sua autorità. Cosa sorprendente, la gerarchia si era ristabilita dopo un episodio con un bastone, ma Faile fingeva di non saperlo. Solo una stupida metteva in imbarazzo le sue servitrici. C'era, ovviamente, ancora il problema di Mai-
ghdin e Tallanvor. Era sicura che ormai quei due dormivano nello stesso letto, e se ne avesse trovato le prove li avrebbe fatti sposare, al costo di scatenare Lini contro di loro. Quelli, però, erano grattacapi irrilevanti, e non potevano rovinarle la gioia di quel mattino. Andare a caccia coi falchi era stata un'idea di Alliandre, ma Faile non aveva niente in contrario a una cavalcata in quel rado bosco, dove la neve aveva steso un manto ondulato e si era poggiata pesante e bianca sui rami spogli. Il verde degli alberi che ancora avevano qualche foglia sembrava più nitido. L'aria era frizzante, e sembrava nuova e fresca. Bain e Chiad avevano insistito per accompagnarla, ma erano accovacciate lì nei paraggi, lo shoufa avvolto intorno alla testa, e la osservavano con malumore. Sulin aveva chiesto di potersi unire al gruppo con tutte le Fanciulle, ma visto che ormai giravano centinaia di storie sulle scorrerie di quel popolo, la vista di un Aiel era sufficiente perché la maggior parte degli abitanti dell'Amadicia fuggissero o impugnassero una spada. Doveva esserci un fondo di verità in quelle storie, altrimenti la gente non sarebbe stata in grado di riconoscere così facilmente gli Aiel, ma solo la Luce sapeva chi erano o da dove erano saltati fuori quelli che depredavano i villaggi; tuttavia, persino Sulin era d'accordo nel sostenere che, chiunque fossero, dovevano aver proseguito verso est, forse verso l'Altara. In ogni caso, così vicino ad Abila, venti soldati di Alliandre e altrettante Guardie Alate di Mayene fornivano una scorta sufficiente. I fiocchi sulle loro lance, rossi o verdi, sventolavano come festoni quando si alzava la brezza. La presenza di Berelain era l'unica macchia. Anche se guardarla rabbrividire nel suo mantello coi bordi di pelliccia, spesso quanto due trapunte, era di sicuro uno spasso. A Mayene non c'era un vero inverno. E quel giorno era come verso la fine dell'autunno in Saldea, dove il freddo del cuore dell'inverno poteva congelare la carne fino a renderla dura come legno. Faile prese un lungo respiro. Le veniva da ridere. Per qualche miracolo, suo marito, il suo lupo adorato, aveva cominciato a comportarsi come doveva. Invece di urlare contro Berelain o fuggire da lei, Perrin adesso tollerava le lusinghe di quella donnaccia, le tollerava palesemente, come avrebbe fatto con una bambina che per gioco messa si fosse a correre sotto le sue gambe. E, cosa migliore di tutte, Faile non aveva più bisogno di sedare la sua rabbia quando voleva scatenarla. Quando lei urlava, Perrin faceva altrettanto. Faile sapeva che suo marito non era un Saldeano, ma era stato davvero difficile all'inizio, quando era convinta in
fondo al cuore che la ritenesse troppo debole per tenergli testa. Un paio di notti addietro, a cena, Faile era stata lì lì per fargli notare che Berelain sarebbe scivolata direttamente fuori dal vestito se si sporgeva ancora un po' sulla tavola. Be', non poteva davvero spingersi a tanto, non con Berelain; la sgualdrina era ancora convinta di poterlo conquistare. E quella stessa mattina Perrin era stato autoritario, le aveva con calma fatto capire che non avrebbe tollerato nessuna obiezione, era stato il tipo d'uomo con il quale una donna sa di dover essere forte, per esserne degna, per essergli pari. Ovviamente, Faile gliel'avrebbe fatta pagare. Un uomo autoritario era meraviglioso, purché non cominciasse a credere di poterlo essere sempre. Ridere? Aveva voglia di cantare! «Maighdin, credo che dopo tutto...» Maighdin fu subito al suo fianco con un sorriso di attesa, ma Faile si interruppe alla vista di tre cavalieri che correvano tra la neve spingendo al massimo i loro animali. «Almeno ci sono lepri in abbondanza, mia signora,» disse Alliandre, facendo camminare il suo alto castrone bianco accanto a Rondine «ma avevo sperato... Chi sono?» Il falcone si agitò sul grosso guanto, facendo suonare i campanellini sul geto che gli teneva ferme le zampe. «Diamine, sembra siano i tuoi seguaci, mia signora.» Faile annuì cupa. Li aveva riconosciuti anche lei. Parelean, Arrela e Lacile. Ma che ci facevano lì? I tre si fermarono davanti a lei, e i cavalli sbuffarono nuvole di vapore. Parelean aveva gli occhi sgranati come quelli del suo chiazzato. Lacile, il viso chiaro quasi nascosto dal cappuccio del mantello, stava deglutendo nervosamente, e il viso scuro di Arrela sembrava grigio. «Mia signora,» disse Parelean con trasporto «pessime notizie! Il Profeta Masema si incontra con i Seanchan!» «I Seanchan!» esclamò Alliandre. «Di sicuro non può credere che loro si voteranno al lord Drago!» «Forse la questione è più semplice» disse Berelain, spronando la sua giumenta bianca troppo appariscente per portarsi dall'altro lato di Alliandre. Senza Perrin in giro da dover impressionare, portava un abito blu dal taglio piuttosto sobrio, col colletto chiuso fino al mento. Ma tremava comunque. «Masema disprezza le Aes Sedai, e i Seanchan tengono prigioniere le donne capaci di incanalare.» Faile fece schioccare la lingua per l'irritazione. Pessime notizie sul serio, se era tutto vero. E poteva solo sperare che Parelean e le altre due avessero abbastanza cervello da fare almeno finta che avevano semplicemente senti-
to per caso quelle storie. Ciò nonostante, lei doveva essere sicura, e alla svelta. Forse Perrin era già da Masema. «Quali prove hai, Parelean?» «Abbiamo parlato con tre contadini che hanno visto atterrare una grande creatura volante quattro giorni fa, mia signora. Portava una donna che è stata condotta da Masema ed è rimasta con lui per tre ore.» «Siamo riusciti a seguire le tracce del suo passaggio fino alla casa ad Abila dove risiede Masema» aggiunse Lacile. «Quei tre uomini erano convinti che la creatura fosse una progenie dell'Ombra,» intervenne Arrela «ma per il resto sembravano abbastanza affidabili.» Detto da lei, se un uomo che non apparteneva alla Cha Faile era abbastanza affidabile significava che era degno di ogni fiducia. «Credo che sia necessario andare ad Abila» disse Faile impugnando le redini di Rondine. «Alliandre, porta Maighdin e Berelain con te.» In qualsiasi altro momento, le labbra tese di Berelain sarebbero state divertenti. «Parelean, Arrela e Lacile mi accompagneranno...» Un uomo gridò, e tutti si girarono di scatto. A cinquanta passi da loro, uno dei soldati di Alliandre in giubba verde cadde dalla sella, e un attimo dopo una Guardia Alata crollò con una freccia conficcata in gola. Tra gli alberi comparvero gli Aiel, che correvano velati e con gli archi pronti. Caddero altri soldati. Bain e Chiad scattarono in piedi, i veli scuri che nascondevano il loro volto fino agli occhi; avevano infilato le lance nelle cinghie che reggevano la custodia dell'arco dietro la schiena e scoccavano frecce con gran rapidità, ma lanciavano anche occhiate verso Faile. C'erano Aiel tutto intorno, sembravano centinaia, un grande cappio che cominciava a stringersi. I soldati a cavallo abbassarono le lance, arretrarono in cerchio attorno a Faile e le altre, ma nella formazione si aprirono subito dei varchi quando le frecce degli Aiel cominciarono ad andare a bersaglio. «Qualcuno deve portare queste notizie a lord Perrin» disse Faile a Parelean e alle due donne con lui. «Uno di voi lo deve raggiungere! Cavalcate veloci come il vento!» Il suo sguardo incluse Alliandre e Maighdin. E Berelain. «Tutti quanti, veloci come il vento, o morirete qui!» Senza neanche aspettare i loro cenni di assenso, mise in pratica le sue stesse parole e affondò i talloni nei fianchi di Rondine, lanciandosi attraverso l'inutile anello di soldati. «Via!» urlò. Qualcuno doveva portare le notizie a Perrin. «Via!» Bassa sul collo di Rondine, spronò forte la sua nera giumenta. Gli zoccoli schizzavano neve mentre Rondine correva, leggera come l'uccello che le dava il nome. Per un centinaio di falcate, Faile pensò che sarebbe riuscita a
fuggire. Poi Rondine nitrì e incespicò, piegandosi in avanti con il secco schiocco di una zampa spezzata. Faile volò in aria e ricadde pesantemente, quasi incapace di respirare per quel tuffo nella neve. Boccheggiando, si rialzò ed estrasse il pugnale che portava alla cintura. Rondine aveva nitrito prima di cadere, prima di quel terribile schiocco. Un Aiel velato parve materializzarsi dal nulla e la colpì al polso con una manata. Il pugnale cadde dalle sue dita all'improvviso intorpidite, e prima che lei potesse provare a estrarne un altro con la sinistra, l'uomo le fu addosso. Faile combatté, con pugni, calci e persino morsi, ma l'Aiel era grosso quanto Perrin e di un palmo più alto. E sembrava anche altrettanto forte, vista l'inutilità dei suoi colpi. Faile avrebbe potuto piangere di frustrazione per la facilità con cui quell'uomo prima le tolse tutti i pugnali infilandoseli dietro la cintura e poi ne usò uno per tagliarle via i vestiti. Quasi senza rendersene conto, Faile si ritrovò nuda nella neve, i gomiti legati insieme dietro la schiena con una delle sue calze, l'altra stretta intorno al collo a mo' di guinzaglio. Non aveva altra scelta che seguire l'Aiel, tremando e incespicando nella neve. Il freddo le fece venire la pelle d'oca. Per la Luce, come aveva potuto credere che quel giorno il clima fosse meno che glaciale? Per la Luce, se solo qualcuno fosse riuscito a fuggire per portare a Perrin la notizia su Masema! E per fargli sapere che sua moglie era stata catturata, certo, ma lei poteva comunque provare a scappare. L'altra era più importante. Il primo corpo che vide fu quello di Parelean, steso sulla schiena con la spada in una mano e sangue su tutta l'elegante giubba con le maniche a strisce di raso. C'erano anche tanti altri cadaveri, Guardie Alate coi loro pettorali rossi, soldati di Alliandre con gli elmi verdi, uno dei falconieri, con il falco pellegrino incappucciato che agitava inutilmente le ali contro il geto che gli intrappolava le zampe sul pugno dell'uomo morto. Tuttavia, Faile rimase aggrappata alla speranza. I primi prigionieri che vide in ginocchio tra gli Aiel, uomini e Fanciulle col velo che pendeva sul torace, furono Bain e Chiad, entrambe nude, le mani slegate poggiate sulle ginocchia. Il sangue scorreva sul volto di Bain e le appesantiva i capelli rosso fuoco. Chiad aveva la guancia sinistra scura e gonfia e gli occhi grigi sembravano leggermente storditi. Erano in ginocchio, a schiena dritta, impassibili e senza vergogna, ma quando il grosso Aiel spinse Faile perché si inginocchiasse accanto a loro, si alzarono entrambe.
«Questo non è giusto, Shaido» borbottò con rabbia Chiad. «Lei non segue il ji'e'toh» abbaiò Bain. «Non potete prenderla come gai'shain.» «I gai'shain devono stare zitti» disse distrattamente una Fanciulla con i capelli quasi grigi. Bain e Chiad rivolsero a Faile sguardi pieni di tristezza, poi tornarono alla loro calma attesa. Rannicchiata su sé stessa, cercando di nascondere con le ginocchia la propria nudità, Faile non sapeva se piangere o ridere. Le due donne che avrebbe scelto per farsi aiutare a fuggire da qualsiasi situazione non erano disposte neppure a provarci per via del ji'e'toh. «Te lo ripeto, Efalin,» mormorò l'uomo che l'aveva catturata «questa è un'idiozia. Siamo lenti in questa... neve.» Pronunciò goffamente l'ultima parola. «E ci sono troppi uomini armati qui. Dovremmo spostarci verso est, non prendere altri gai'shain che ci rallenteranno ancora di più.» «Sevanna vuole altri gai'shain, Rolan» rispose la Fanciulla brizzolata. Ma era accigliata, e nei suoi duri occhi grigi parve balenare per un attimo un'aria di disapprovazione. Tremante, Faile sbatté le palpebre quando quei nomi le arrivarono alla mente. Per la Luce, il freddo le stava intorpidendo anche i pensieri! Sevanna. Shaido. Dovevano essere al Pugnale del Kinslayer, il posto più lontano da lì, a meno di non voler attraversare la Dorsale del Mondo! Eppure, chiaramente non erano al Pugnale. Era necessario che Perrin sapesse anche questo, un altro motivo per cui lei doveva scappare al più presto. Ma non le sembrava di vedere chissà quali possibilità di fuga, accovacciata nella neve a chiedersi quale parte del suo corpo si sarebbe congelata per prima. La Ruota si stava vendicando del suo divertimento per i brividi di Berelain. E lei ormai non vedeva l'ora di indossare le spesse tuniche di lana dei gai'shain. Gli Aiel, però, non accennavano a muoversi. C'erano altri prigionieri da portare lì. La prima fu Maighdin, nuda e legata come Faile, che opponeva resistenza a ogni passo che era costretta a fare. Finché la Fanciulla che la stava spingendo non le fece lo sgambetto. Maighdin cadde a sedere nella neve, e sgranò talmente gli occhi che Faile avrebbe riso se non avesse provato pena per quella donna. Poi arrivò Alliandre, piegata quasi in due nel tentativo di coprirsi, e quindi Arrela, che sembrava paralizzata dalla propria nudità e veniva quasi trascinata da una coppia di Fanciulle. E infine apparve un altro Aiel assai alto con una furiosa e scalciante Lacile infilata sotto un braccio come fosse un pacco.
«Gli altri sono morti o fuggiti» disse, lasciando cadere la piccola Cairhienese accanto a Faile. «Sevanna si dovrà accontentate, Efalin. Dà troppa importanza alla cattura di questa gente vestita di seta.» Faile non reagì neppure quando la spinsero in piedi, e cominciò ad arrancare nella neve davanti agli altri prigionieri. Era troppo stordita per combattere. Parelean morto, Arrela e Lacile catturate, come Alliandre e Maighdin. Per la Luce, qualcuno doveva avvertire Perrin su Masema. Qualcuno. Fu il colpo finale. Lei era lì, tremava e digrignava i denti per impedire che battessero, faceva del suo meglio per fingere di non essere nuda e legata, e andava incontro a una prigionia della quale non sapeva nulla. E, come se non bastasse, doveva sperare che quella gatta sfuggente quella smorfiosa sgualdrina! - di Berelain fosse riuscita a scappare e potesse raggiungere Perrin. Nonostante tutto il resto, questo sembrava peggio. *
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Egwene fece camminare Daishar lungo la colonna di iniziate, le sorelle a cavallo tra i carri, Ammesse e novizie a piedi nonostante la neve. Il sole splendeva in un cielo quasi sgombro di nuvole, ma dalle narici del suo castrone salivano comunque sbuffi di vapore. Sheriam e Siuan cavalcavano dietro di lei, discutendo a voce bassa sulle informazioni apprese dagli occhi e le orecchie di Siuan. Egwene aveva sempre saputo che la donna dai capelli di fiamma sarebbe stata un'ottima Custode una volta capito che non poteva fare le veci dell'Amyrlin, ma col passare dei giorni Sheriam era diventata ancor più assidua nello svolgimento dei suoi doveri. Chesa seguiva il gruppo in sella alla sua grassoccia giumenta, in caso l'Amyrlin avesse bisogno di qualcosa, e stava facendo una cosa insolita per lei: continuava a lamentarsi su Meri e Selame che erano fuggite, maledette ingrate, lasciandola a fare il lavoro di tre donne. Cavalcavano lentamente, ed Egwene faceva molta attenzione a non guardare verso la colonna. Un mese di reclutamento, un mese in cui il registro delle novizie era stato aperto a chiunque, aveva portato un sorprendente risultato, un torrente di donne ansiose di diventare Aes Sedai, donne di ogni età, alcune venute da posti lontani centinaia di chilometri. Adesso le novizie erano il doppio di prima. Quasi mille! Molte non sarebbero mai arrivate allo scialle, eppure il loro numero aveva fatto sgranare gli occhi a tutti. Alcune avrebbero potuto rappresentare anche dei problemi, e una, una vecchietta di nome Sharina con un potenziale persino superiore a quello di Nynaeve, aveva di
sicuro sbalordito tutti, ma Egwene non stava cercando di non vedere lo spettacolo di una madre che litigava con la figlia perché questa sarebbe diventata più forte, o delle nobili che cominciavano a pentirsi di aver deciso di sottoporsi a quell'esame, e nemmeno tentava di evitare gli sguardi fastidiosamente diretti di Sharina. La donna dai capelli grigi obbediva a tutte le regole e mostrava il dovuto rispetto, ma aveva guidato la sua nutrita famiglia con la sola forza della sua presenza, e persino alcune delle sorelle camminavano in punta di piedi quando lei era nei paraggi. Eppure, la vista che Egwene stava cercando di evitare era quella delle due donne unitesi al gruppo due giorni addietro. Le quattro sorelle che le avevano portate erano state più che sorprese di scoprire che lei era l'Amyrlin, ma le due donne avevano semplicemente rifiutato di crederci, l'Amyrlin non poteva essere Egwene al'Vere, la figlia del sindaco di Emond's Field. Lei non voleva ordinare altre punizioni, ma avrebbe dovuto se quelle due le facevano di nuovo le linguacce. Anche Gareth Bryne aveva schierato il suo esercito in un'ampia colonna, fanti e cavalleria in gran tenuta che sparivano tra gli alberi. Il pallido sole si rifletteva su elmi, pettorali e punte di picca. I cavalli scalpitavano impazienti nella neve. Bryne, in sella al suo grosso baio, andò incontro a Egwene prima che lei raggiungesse le Adunanti che la aspettavano a cavallo in un'ampia radura davanti alle due colonne. Le sorrise tra le sbarre della visiera. Un sorriso rassicurante, pensò lei. «Una buona mattina per farlo, Madre» disse. «Qui.» Egwene si limitò ad annuire e il generale si accodò, accanto a Siuan. Che non cominciò subito a dargli addosso. Egwene non sapeva quale accordo Siuan avesse raggiunto con quell'uomo, ma ormai borbottava raramente su Bryne se lei era a portata d'orecchio, e mai in sua presenza. Egwene era felice che Gareth Bryne fosse lì, in quel momento. L'Amyrlin Seat non poteva far sapere al suo generale che aveva bisogno della sua rassicurante presenza, ma quel mattino era così. Le Adunanti coi loro cavalli erano disposte in riga sul limitare del bosco, e altre tredici sorelle sedevano in sella poco lontano e le guardavano con cautela. Romanda e Lelaine spronarono le loro cavalcature quasi nello stesso momento, e a Egwene quasi sfuggì un sospiro quando le vide arrivare, i mantelli che sventolavano dietro di loro, gli zoccoli dei cavalli che alzavano schizzi di neve come se fossero lanciati alla carica. Il Consiglio le obbediva perché non aveva scelta. Sulle questioni concernenti la guerra
contro Elaida, le Adunanti accettavano la sua volontà, ma, per la Luce, quanto erano brave a cavillare su cosa concerneva o meno la guerra. Quando decidevano di no, ottenere qualcosa da loro era come voler staccare i denti a un'anatra! Se non fosse stato per Sharina, avrebbero trovato il modo per non dover più accettare donne di tutte le età. Persino Romanda era impressionata da Sharina. Le due Adunanti si fermarono davanti a Egwene, ma lei parlò prima che potessero aprir bocca. «È il momento di andare avanti, figlie, e non c'è tempo da sprecare con chiacchiere inutili. Procedete.» Romanda tirò su con il naso, ma non molto sonoramente, e anche Lelaine sembrava che volesse farlo. Girarono i cavalli all'unisono, poi si guardarono in cagnesco per un istante. Gli eventi degli ultimi mesi avevano solo acuito il loro reciproco disprezzo. Lelaine piegò rabbiosamente il capo concedendo la precedenza, e Romanda sorrise, un lieve curvarsi delle labbra. Anche Egwene fu lì lì per sorridere. L'animosità tra quelle due donne era tuttora il suo maggior punto di forza nei confronti del Consiglio. «L'Amyrlin Seat vi ordina di procedere» annunciò Romanda, levando la mano in un gesto solenne. La luce di saidar si accese intorno alle tredici sorelle vicino alle Adunanti, avvolgendole tutte insieme, e un grosso squarcio di luce argentea apparve al centro della radura e roteò trasformandosi in un passaggio alto dieci passi e largo cento. Gli ordini si levarono tra i soldati, e la cavalleria pesante fu la prima ad attraversare. La neve che vorticava dall'altro lato era troppo fitta per poter vedere cosa c'era oltre, eppure a Egwene parve di poter distinguere le Mura Lucenti di Tar Valon e la stessa Torre Bianca. «È cominciato, madre» le disse Sheriam, e sembrò quasi sorpresa. «È cominciato» concordò lei. E, se voleva la Luce, presto Elaida sarebbe caduta. Egwene avrebbe dovuto aspettare che Bryne le dicesse che erano passati abbastanza soldati, ma non riuscì a trattenersi. Affondò i talloni nei fianchi di Daishar e cavalcò verso la neve che cadeva, sulla pianura dove il Monte Drago saliva nero e fumante verso un cielo bianco. 31
Poi I venti e le nevi dell'inverno rallentavano lo scorrere del commercio quando non lo fermavano del tutto in attesa della primavera, e su tre piccioni inviati dai mercanti due finivano uccisi dai falchi o dal maltempo, ma le navi continuavano a fare vela dove il ghiaccio non copriva i fiumi, e le dicerie volavano più veloci del fulmine. Migliaia di dicerie, e ognuna gettava un migliaio di altri semi che germogliavano e crescevano nella neve e nel ghiaccio come nel terreno più fertile. A Tar Valon, secondo alcune storie, si erano scontrati grandi eserciti e il sangue scorreva per le strade, e le Aes Sedai ribelli avevano infilato la testa di Elaida a'Roihan su una picca. No; Elaida aveva avuto la meglio e le superstiti tra le ribelli strisciavano ai suoi piedi. No, non c'erano mai state ribelli, nessuna divisione nella Torre Bianca. Era stata la Torre Nera a spezzarsi, distrutta dai piani e dal potere delle Aes Sedai, e gli Asha'man si davano l'un l'altro la caccia da una nazione all'altra. La Torre Bianca aveva frantumato il Palazzo del Sole di Cairhien, e il Drago Rinato in persona era adesso legato all'Amyrlin Seat, suo strumento e marionetta. Secondo alcune leggende erano le Aes Sedai a essere legate a lui, legate agli Asha'man, ma pochi ci credevano, e questi pochi erano messi in ridicolo. Le armate di Artur Hawkwing erano tornate a reclamare il suo impero da tempo defunto, e i Seanchan stavano spazzando via ogni nemico, avevano persino costretto il Drago Rinato a ritirarsi sconfitto dall'Altara. No, i Seanchan erano venuti a servirlo. No, il Drago li aveva gettati in mare, distruggendo completamente il loro esercito. I Seanchan avevano portato via il Drago Rinato, perché si inginocchiasse al cospetto della loro Imperatrice. Il Drago Rinato era morto, e c'erano celebrazioni e lutti in egual misura, lacrime e urla di gioia. Le storie si diffondevano tra le nazioni come ragnatele su ragnatele, e uomini e donne pianificavano il loro futuro, convinti di sapere la verità. Pianificavano, e il Disegno assorbiva i loro piani, tessendo verso l'inevitabile futuro. Fine dell'ottavo libro de La Ruota del Tempo
Glossario
Nota sulle date Il Calendario Tornano (ideato da Toma dur Ahmid) fu adottato circa due secoli dopo la morte dell'ultimo Aes Sedai e registrava gli anni dopo la Frattura del Mondo (d.F.). Molti documenti andarono distrutti durante le Guerre Trolloc, tanto che nacquero diversi disaccordi circa l'anno esatto della fine dei conflitti secondo l'antico sistema. Tiam di Gazar propose un nuovo calendario che celebrava la liberazione dalla minaccia dei Trolloc registrando ogni anno come Anno Libero (A.L.). Nel giro di vent'anni dalla fine delle guerre, il calendario gazarano fu ampiamente accettato. Artur Hawkwing tentò di istituire un nuovo calendario basato sulla fondazione del proprio impero (FI., Fondazione dell'Impero), ma gli storici sono gli unici a farvi riferimento. Dopo le morti e le distruzioni causate dalla Guerra dei Cento Anni, un quarto calendario fu ideato da uno studioso del Popolo del Mare, Uren din Jubai Gabbiano che Vola, e promulgato dal Panarca Farede di Tarabon. Il calendario faredese, che partiva dalla data arbitrariamente stabilita della conclusione della Guerra dei Cento Anni e registrava gli anni della Nuova Era (N.E.), è quello di uso corrente. Armigeri: Soldati fedeli o leali a un singolo nobile, sia questi un lord o una lady. Asha'man: Nella Lingua Antica, 'Guardiani' o 'Difensori', a indicare che si tratta dei difensori della verità e della giustizia. È il nome assunto dagli uomini che si sono recati alla Torre Nera, vicino a Caemlyn in Andor, per imparare a incanalare. Il loro addestramento si concentra sui modi in cui l'Unico Potere può essere usato come un'arma. Come ulteriore distinzione dalle tradizioni della Torre Bianca, una volta imparato ad afferrare saidin, la metà maschile del Potere, a questi uomini è richiesto di svolgere ogni compito o mansione con l'uso del Potere. I nuovi arruolati hanno il rango di Soldato e indossano una semplice giubba nera a collo alto, secondo la moda andorana. La promozione a Dedicato dà diritto a una spilla d'argento
a forma di spada che viene appuntata sul colletto della giubba. Il passaggio finale, quello in cui si diventa un vero Asha'man, è contraddistinto da una spilla d'oro e smalto rosso che rappresenta il Drago, appuntata anch'essa sul colletto della giubba, dal lato opposto della spada. Sebbene molte donne, incluse le stesse mogli degli Asha'man, fuggano alla sola vista di un uomo in grado di incanalare, molti di quelli alla Torre Nera sono sposati e usano una versione del legame tra Aes Sedai e Custodi per unirsi alle loro consorti. Questo stesso legame, alterato in modo da poter imporre obbedienza alla donna, viene di recente usato anche con le Aes Sedai prese prigioniere. Balwer, Sebban: In passato si spacciava per segretario di Pedron Niall, ma era in realtà il capo della sua rete di spionaggio. Ha aiutato Morgase a fuggire dai Seanchan ad Amador per suoi motivi privati, e ora è impiegato come segretario di Perrin t'Bashere Aybara e Faile ni Bashere t'Aybara. Capitano della Lancia: In gran parte delle terre, normalmente le nobili non guidano di persona i loro armigeri in battaglia. Assumono invece un soldato di professione, quasi sempre un cittadino comune, che ha il compito di addestrare e comandare i loro armigeri. A seconda della terra, quest'uomo può avere il titolo di capitano della Lancia, capitano della Spada, Maestro dei Cavalli o Maestro delle Lance. Sono piuttosto diffuse storie, forse inevitabili, su relazioni tra le nobili e questi uomini più intime di quelle consone tra una lady e un servitore. A volte sono vere. Capitano della Spada: Vedi capitano della Lancia. Cha Faile: Nella Lingua Antica, 'Artiglio del Falco'. Nome assunto dai giovani cairhienesi e tarenesi che tentano di seguire il ji'e'toh e hanno giurato fedeltà a Faile ni Bashere t'Aybara e la servono, in segreto, come esploratori e spie. Circolo della Maglia, il: Le donne a capo della Famiglia. Visto che le donne della Famiglia non hanno mai saputo come le Aes Sedai gestiscono la propria gerarchia - una conoscenza tramandata solo alle Ammesse che si conquistano lo scialle -, non danno alcuna importanza alla forza nel Potere e attribuiscono un grande peso all'età, e le più anziane hanno sempre posizioni superiori rispetto alle giovani. Il Circolo della Maglia (titolo che,
come la Famiglia, fu scelto perché innocuo) di conseguenza è costituito dalle tredici donne della Famiglia più anziane residenti a Ebou Dar, la più grande delle quali ottiene il titolo onorifico di Anziana. Secondo le regole, tutte e tredici devono cedere la carica quando arriva il loro momento di lasciare la città, ma finché restano a Ebou Dar hanno autorità suprema sulla Famiglia, a un livello che farebbe invidia a qualsiasi Amyrlin Seat. Vedi anche Famiglia, la. Compagni, i: La migliore formazione militare illianese, attualmente comandata dal primo capitano Demetre Marcolin. I Compagni sono la guardia del corpo del re di Illian e proteggono i punti chiave della nazione. Inoltre, vengono di solito usati in battaglia per assalire le più potenti postazioni del nemico, per sfruttarne le debolezze e, se necessario, per coprire la ritirata del re. A differenza di molte altre formazioni belliche parimenti blasonate, gli stranieri (a eccezione degli abitanti di Tear, Altara e Murandy) non sono solo i benvenuti, ma possono anche assurgere ai ranghi più elevati; cosa che possono fare anche i cittadini comuni, e questo è altrettanto insolito. L'uniforme dei Compagni è costituita da una giubba verde, un pettorale decorato con le nove api di Illian e un elmo conico con la visiera a sbarre. Il primo capitano ha tre anelli di galloni dorati sui risvolti della giubba, e tre piume d'oro con la punta verde. I tenenti hanno due anelli sui risvolti e due sottili piume verdi, i sottotenenti un anello e una piuma verde. I portabandiera sono contrassegnati da due anelli di galloni gialli spezzati sui risvolti e una sola piuma anch'essa gialla, gli uomini di pattuglia da un singolo anello giallo spezzato. Consolidamento, il: Quando le armate di Artur Hawkwing guidate da suo figlio Luthair approdarono nel continente di Seanchan, scoprirono uno scacchiere sempre mutevole di nazioni in guerra tra loro, spesso governate da Aes Sedai. Senza nessun equivalente della Torre Bianca, le Aes Sedai usavano il Potere per ottenere potere. Si univano in piccoli gruppi che tramavano continuamente uno contro l'altro. E furono soprattutto questo costante complottare e le conseguenti guerre tra la miriade di nazioni che permisero alle armate venute da est dell'Oceano Aryth di cominciare a conquistare un intero continente, conquista portata a termine dai discendenti di quei soldati. Questa impresa, nel corso della quale i discendenti di quelle armate diventarono Seanchan oltre a conquistare Seanchan, richiese più di novecento anni ed è chiamata Consolidamento.
Corenne: Nella Lingua Antica 'Ritorno'. Nome dato dai Seanchan sia alla flotta di migliaia di navi che alle centinaia di migliaia di soldati, artigiani e altri individui trasportati da quelle stesse navi, che seguiranno i Predecessori per riprendersi le terre rubate ai discendenti di Artur Hawkwing. Vedi anche Hailene. da'covale: Nella Lingua Antica, 'colui che è posseduto' o 'la persona che è una proprietà'. Tra i Seanchan il termine è spesso usato, oltre che per le proprietà, anche per gli schiavi. La schiavitù ha una storia lunga e insolita tra i Seanchan, presso i quali gli schiavi possono raggiungere posizioni di grande potere e diretta autorità, anche sulle persone libere. Vedi anche so'jhin. der'morat-: Nella Lingua Antica, 'capo addestratore'. Tra i Seanchan il prefisso viene usato per indicare un esperto e assai talentuoso addestratore di creature esotiche, uno che insegna anche agli altri addestratori, come in der'morat'raken. I der'morat possono raggiungere una posizione sociale piuttosto elevata, e tra loro il primato spetta alle der'sul'dam, le addestratrici delle sul'dam, che sono pari agli alti ufficiali militari. Vedi anche moratDifensori della Pietra, i: La migliore formazione militare di Tear. L'attuale capitano della Pietra (comandante dei Difensori) è Rodrivar Tihera. Solo i Tarenesi possono far parte dei Difensori, e di solito gli ufficiali sono nobili, anche se spesso provenienti da casate minori o da rami minori di casate potenti. I Difensori hanno il compito di proteggere la grande roccaforte chiamata Pietra di Tear, nella città di Tear, e di fornire lo stesso servizio altrove svolto dalla Guardia Civile o corpi simili. I loro doveri li portano di rado lontano dalla città, tranne che in tempi di guerra. In tal caso, come per ogni formazione di spicco, costituiscono il nucleo intorno al quale viene formato l'esercito. L'uniforme dei Difensori è costituita da una giubba nera con maniche rigonfie striate in nero e oro e risvolti neri, pettorale brunito, elmo bordato di rosso con visiera a sbarre. Il capitano della Pietra ha tre piccole piume bianche sull'elmo e, sui risvolti, tre galloni d'oro intrecciati su una fascia bianca. I capitani hanno due piume bianche e una sola linea di galloni d'oro sui risvolti bianchi, i tenenti una piuma bianca e semplici risvolti bianchi. I portabandiera hanno i risvolti delle giubbe dorati, gli uomini di pattuglia a strisce nere e d'oro.
Donna Sapiente: Titolo onorifico usato a Ebou Dar per donne famose per le loro incredibili capacità di guarire quasi ogni ferita o malanno. Una Donna Sapiente è per tradizione contraddistinta da una cintura rossa. Mentre alcuni hanno notato che molte, in effetti moltissime, Donne Sapienti di Ebou Dar non sono nemmeno dell'Altara, e men che mai della stessa Ebou Dar, quello che è stato a lungo ignoto, ed è comunque noto solo a pochi, è che tutte le Donne Sapienti sono in realtà membri della Famiglia che usano varie versioni della Guarigione, somministrando erbe e impacchi solo come copertura. Con la fuga della Famiglia da Ebou Dar dopo che i Seanchan hanno preso la città, lì non è rimasta più nessuna Donna Sapiente. Vedi anche Famiglia, la. Fain, Padan: In passato Amico delle Tenebre, ora molto peggio di un Amico delle Tenebre, è un nemico dei Reietti oltre che di Rand al'Thor, che odia con grande trasporto. Nella sua ultima apparizione si faceva chiamare Jeraal Mordeth, e consigliava lord Toram Riatin nella sua ribellione contro il Drago Rinato a Cairhien. Famiglia, la: La Torre aveva continuato a osservare le proprie regole persino durante le Guerre Trolloc, più di duemila anni fa (1000-1350 d.F. ca.), mandando via le donne che non superavano gli esami. Alcune di queste donne, per paura di tornare a casa nel mezzo della guerra, fuggirono a Barashta (nei pressi della zona dove oggi sorge Ebou Dar), quanto più lontano dai combattimenti era possibile arrivare a quei tempi. Si diedero il nome di Famiglia e si nascosero, offrendo riparo alle altre donne che venivano cacciate dalla Torre. Nel corso del tempo, la vicinanza con le espulse portò la Famiglia in contatto con le fuggitive, e sebbene i motivi non potranno mai essere noti, la Famiglia cominciò ad accettare anche loro. Facevano in modo di impedire che queste ragazze venissero a sapere qualcosa sul loro gruppo finché non erano sicure che le Aes Sedai non sarebbero tornate a riprenderle. In fondo, tutti sapevano che le fuggitive venivano sempre catturate, prima o poi, e le donne della Famiglia sapevano che, se non restavano nascoste, sarebbero state severamente punite anche loro. Ma non sapevano che le Aes Sedai nella Torre erano al corrente della loro esistenza sin quasi dall'inizio, ma con la guerra non avevano avuto tempo di occuparsene. Terminato il conflitto, la Torre si rese conte che eliminare la Famiglia poteva non essere una mossa saggia. Cosa principale,
all'epoca, molte fuggitive erano davvero riuscite a dileguarsi, per quanto la Torre dichiarasse il contrario, ma da quando la Famiglia aveva cominciato ad aiutarle, le Aes Sedai sapevano dove quelle ragazze si dirigevano, e riuscivano a riprenderle quasi tutte. Visto che le donne della Famiglia entravano e usciva da Barashta (in seguito, Ebou Dar) per celare la loro esistenza e il loro numero, senza mai restare più di dieci anni nello stesso posto affinché nessuno notasse che invecchiavano troppo lentamente, la Torre si convinse che fossero poche, e di sicuro la Famiglia non faceva niente per contrastare tale convinzione. Così, per poterla usare come trappola contro le fuggitive, la Torre decise di lasciare libera la Famiglia, a differenza di quanto aveva fatto con tutti gli altri gruppi simili nel corso della storia, e rese l'esistenza di quelle donne un segreto noto solo alle Aes Sedai, mantenendolo tale anche nei confronti di novizie e Ammesse. La Famiglia non ha leggi ma regole, basate in parte su quelle di novizie e Ammesse alla Torre Bianca e in parte sulla necessità di mantenere l'anonimato. Come forse è immaginabile date le origini stesse della Famiglia, le regole vengono fermamente imposte a tutti i membri. I recenti contatti diretti tra Aes Sedai e donne della Famiglia, sebbene noti solo a poche sorelle, hanno dato vita a una serie di stupefacenti sorprese, incluso il fatto che la Famiglia è due volte più numerosa delle Aes Sedai e alcuni dei suoi membri hanno almeno un secolo più di qualsiasi sorella mai vissuta sin dai tempi delle Guerre Trolloc. Gli effetti di queste rivelazioni, sulle Aes Sedai quanto sulla Famiglia, sono ancora argomento di speculazione. Vedi anche Figlie del Silenzio, le; Circolo della Maglia, il. Figlie del Silenzio, le: Nella storia della Torre Bianca (più di tremila anni), diverse donne espulse dalla Torre stessa si sono rifiutate di accettare il loro fato e hanno provato a unirsi tra loro. Questi gruppi - quasi tutti, almeno - sono stati dispersi dalla Torre Bianca non appena venivano scoperti, con punizioni pubbliche e severe che fungessero da esempio per tutti. L'ultimo gruppo a essere sciolto si faceva chiamare le Figlie del Silenzio (794-798 N.E.). Le Figlie erano rappresentate da due Ammesse espulse dalla Torre e ventitré donne da loro trovate e addestrate. Tutte furono riportate a Tar Valon e punite, e le ventitré donne vennero segnate nel registro delle novizie. Solo una di loro riuscì a ottenere lo scialle. Vedi anche Famiglia, la. Guardia della Veglia Funebre, la: La migliore formazione militare
dell'Impero Seanchan, che comprende sia umani che Ogier. Gli uomini della Guardia della Veglia Funebre sono tutti da'covale, nati come proprietà e scelti da giovani per servire l'Imperatrice, cui personalmente appartengono. Leali fino al fanatismo e fieri fino alla ferocia, mettono spesso in mostra i corvi tatuati sulle spalle che li contrassegnano come da'covale dell'Imperatrice. Hanno elmo e armatura laccati di verde scuro e rosso sangue, scudi neri e lance con fiocchi neri. Vedi anche da'covale. Hailene: Nella Lingua Antica, 'coloro che arrivano prima', o i 'predecessori'. Il termine viene usato dai Seanchan per indicare l'enorme forza di spedizione inviata al di là dell'Oceano Aryth per esplorare le terre dove un tempo regnava Artur Hawkwing. Attualmente sotto il comando della Somma Signora Suroth e rimpolpati dal reclutamento nelle terre conquistate, gli Hailene sono andati ben oltre i loro obiettivi originari. Hanlon, David: Un Amico delle Tenebre, in passato al comando dei Leoni Bianchi al servizio del Reietto Rahvin quando questi controllava Caemlyn sotto il nome di lord Gaebril. Da lì, Hanlon ha portato i Leoni Bianchi a Cairhien con l'ordine di promuovere la rivolta contro il Drago Rinato. I Leoni Bianchi sono stati distrutti da una 'bolla di male' e Hanlon ha ricevuto l'ordine di tornare a Caemlyn per scopi ancora ignoti. Ishara: La prima regina di Andor (994-1020 A.L. ca). Alla morte di Artur Hawkwing, Ishara convinse suo marito, uno dei migliori generali dello stesso Hawkwing, a cessare l'assedio di Tar Valon e accompagnarla a Caemlyn con tutti i soldati che poteva staccare dall'esercito. Mentre altri tentavano di ghermire l'intero impero di Hawkwing e fallivano, Ishara prese fermamente possesso di una piccola parte ed ebbe successo. A oggi, quasi in ogni singola casata nobile di Andor scorre in parte il sangue di Ishara, e il diritto di reclamare il Trono del Leone dipende sia dalla diretta discendenza da Ishtar sia dal numero di suoi discendenti ai quali si è collegati. Legione del Drago, la: Una grossa formazione di fanteria fedele al Drago Rinato e addestrata da Davram Bashere secondo criteri stabiliti da egli stesso insieme a Mat Cauthon, criteri che si discostano nettamente dal consueto utilizzo dei fanti. Mentre molti uomini si arruolano come volontari, il numero dei Legionari è incrementato anche dai gruppi di reclutamento della Torre Nera, che per prima cosa raccolgono tutti gli uomini di una deter-
minata regione disposti a seguire il Drago Rinato, e solo dopo averli riportati vicino a Caemlyn tramite un passaggio selezionano quelli ai quali può essere insegnato a incanalare. Gli altri, una parte assai maggiore, vengono mandati ai campi di addestramento di Bashere. Maestro delle Lance: vedi capitano della Lancia. Maestro dei Cavalli: vedi capitano della Lancia. marath'damane: Nella Lingua Antica, 'coloro che devono essere incatenate'. Termine usato dai Seanchan per designare le donne che possono incanalare ma che non sono ancora state catturate e messe al guinzaglio per diventare damane. Mera'din: Nella Lingua Antica, i 'Senza Fratelli'. Nome adottato come società dagli Aiel che hanno abbandonato clan e setta per andare dagli Shaido perché non potevano accettare Rand al'Thor, un abitante delle terre bagnate, come Car'a'carn, o perché non potevano accettare le sue rivelazioni sulla storia e le origini degli Aiel. Disertare clan e setta, quali che siano i motivi, è un grave peccato tra gli Aiel, di conseguenza le società guerriere tra gli Shaido non hanno voluto accogliere questi rinnegati, che hanno formato una loro società, i Senza Fratelli. Morat-: Nella Lingua Antica, 'addestratore'. Tra i Seanchan, il termine è usato per chi addestra creature esotiche, come i morat'raken, che addestrano e cavalcano i raken e vengono chiamati anche col nome informale di 'volatori'. Vedi anche der'morat-. Popolo del Mare, gerarchia: Gli Atha'an Miere, il Popolo del Mare, sono governati dalla Maestra delle Navi degli Atha'an Miere. Questa è assistita dalla Cercavento della Maestra delle Navi e dal Maestro delle Lame. Dopo di loro vengono le Maestre delle Onde dei vari clan, ognuna con la sua Cercavento e il suo Maestro della Spada. Poi vengono le Maestre delle Vele (le capitane delle navi) dei vari clan, ognuna assistita da una Cercavento e un Mastro del Cargo. La Cercavento della Maestra delle Navi ha autorità su tutte le Cercavento delle Maestre delle Onde, che a loro volta hanno autorità sulle Cercavento dei loro clan. Allo stesso modo, il Maestro delle Lame ha autorità sui Maestri della Spada e questi sui Mastri del Car-
go del loro clan. Il rango non è ereditario nel Popolo del Mare. La Maestra delle Navi viene scelta, a vita, dalle Prime Dodici degli Atha'an Miere, le dodici Maestre delle Onde più anziane. La Maestra delle Onde di ogni clan viene scelta dalle dodici Maestre delle Vele più anziane, chiamate semplicemente Prime Dodici, termine usato anche per designare le Maestre delle Vele più anziane in qualsiasi gruppo. La Maestra delle Onde può anche essere rimossa dalla sua carica su votazione delle Prime Dodici. In effetti, tranne la Maestra delle Navi, tutti posso essere degradati, finanche a scendere alla posizione di marinaio semplice, per atti illeciti, vigliaccheria o altri crimini. Inoltre, alla morte della Maestra delle Navi o di una Maestra delle Onde, la Cercavento al loro servizio dovrà, per forza di cose, servire una donna di rango inferiore, scendendo a sua volta più in basso nella scala gerarchica. Precursori, i: Vedi Hailene. Profeta, il: Più formalmente, il Profeta del lord Drago. Conosciuto in passato come Masema Dagar, un soldato shienarese, ha avuto una rivelazione e ha deciso di essere stato chiamato a diffondere la parola del Drago Rinato. Crede che nulla - nulla! - sia più importante che riconoscere il Drago Rinato come l'incarnazione della Luce e farsi trovare pronti quando il Drago Rinato chiama, così lui e i suoi seguaci sono disposti a usare ogni mezzo per costringere gli altri a cantare la gloria del Drago Rinato. Rifiuta qualsiasi nome tranne 'il Profeta' e ha portato il caos in Ghealdan e Amadicia, nazioni che ora controlla in gran parte. Pugni del Cielo, i: Fanteria leggera dei Seanchan portata in battaglia a bordo delle creature volanti chiamate to'raken. Uomini e donne, sono tutti di piccola corporatura, principalmente per via del peso limitato che un to'raken può reggere sulle lunghe distanze. Considerati tra i soldati più duri, vengono usati soprattutto per le incursioni, gli assalti a sorpresa su postazioni alle spalle del nemico e nelle situazioni in cui è essenziale far arrivare rapidamente le forze sul campo. Reietti, i: Nome dato a tredici dei più potenti Aes Sedai mai conosciuti, uomini e donne, che si votarono al Tenebroso durante l'Epoca Leggendaria e furono rinchiusi insieme con il Tenebroso quando la sua prigione venne di nuovo sigillata. Anche se si è a lungo creduto che solo quei tredici ab-
bandonarono la Luce nel corso della Guerra dell'Ombra, in realtà lo fecero anche altri: loro erano semplicemente quelli di rango più elevato. I Reietti (che tra di loro si chiamano Prescelti) hanno visto ridursi il loro numero da quando si sono svegliati in questo presente. I superstiti conosciuti sono Demandred, Semirhage, Graendal, Mesaana, Moghedien e altri due, che si sono reincarnati in corpi nuovi e hanno avuto nuovi nomi, Osan'gar e Aran'gar. Di recente è comparso un uomo che si fa chiamare Moridin, ma potrebbe anche essere uno dei Reietti riportato in vita dal Tenebroso. La stessa possibilità esiste anche per la donna che si fa chiamare Cyndane, ma visto che Aran'gar era un uomo fatto rinascere come donna, le ipotesi sull'identità di Moridin e Cyndane rischiano di essere futili finché non si avranno altre informazioni. Ritorno, il: Vedi Corenne. Sangue, il: Termine usato dai Seanchan per designare i nobili. Si può nascere del Sangue o essere innalzati al Sangue. sei'mosiev: Nella Lingua Antica, 'occhi bassi' o 'sguardo calato'. Tra i Seanchan, quando qualcuno diventa sei'mosiev significa che ha perso la faccia e l'onore. Vedi anche sei'taer. sei'taer: Nella Lingua Antica, 'occhi dritti' o 'sguardo diretto'. Tra i Seanchan il termine è collegato all'onore, alla possibilità di guardare gli altri dritto negli occhi. Si può 'essere' o 'avere' sei'taer, nel senso che si può essere onorevoli ma anche acquisire o perdere onore. Vedi anche sei'mosiev. Shen an Calhar: Nella Lingua Antica, 'la Banda della Mano Rossa'. 1) Un leggendario gruppo di eroi che ebbero numerosi successi e alla fine morirono per difendere il Manethern quando quella terra fu devastata durante le Guerre Trolloc. 2) Una formazione militare messa insieme quasi per caso da Mat Cauthon e organizzata secondo i criteri militari in voga ai tempi considerati il massimo momento di sviluppo dell'arte bellica, i giorni di Artur Hawkwing e i secoli immediatamente precedenti. so'jhin: La traduzione dalla Lingua Antica più fedele sarebbe 'un'altezza nel basso', anche se alcuni preferiscono, tra le tante interpretazioni possibili, quella di 'cielo e valle insieme'. So'jhin è il termine usato dai Seanchan
per indicare i servitori ereditari di rango superiore. Sono da'covale, proprietà, ma occupano posizioni di comando e, spesso, potere. Persino il Sangue si muove con cautela nei riguardi dei so'jhin della famiglia imperiale, e parla con quelli dell'Imperatrice in persona come con dei pari. Vedi anche Sangue, il; da'covale. Sondare: 1) Usare l'Unico Potere per diagnosticare la condizione fisica di una persona e individuare eventuali malattie. 2) Trovare depositi di minerali di metallo usando l'Unico Potere. Il fatto che quest'ultima capacità sia rimasta a lungo perduta tra le Aes Sedai può essere il motivo per cui il nome è passato a designarne un'altra. FINE