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ANNE McCAFFREY IL CANTO DEL DRAGO (Dragonsong, 1976) INTRODUZIONE Il mondo e la società di Pern sono diventati poco alla volta così complessi e affascinanti, fonti di avventure e brulicanti di personaggi, che Anne McCaffrey in quasi quindici anni, dal 1967 ad oggi, vi ha dedicato ormai sei romanzi, mentre un settimo è in preparazione: Dragonflight (1968), Dragonquest (1971) Dragonsong (1976), Dragonsinger (1977), The White Dragon (1978), Dragondrums (1980); e si attende l'ultimo il cui titolo dovrebbe verosimilmente essere Dragonstar. I sei romanzi, pur rientrando tutti in un'unica grande saga, fanno parte di due cicli paralleli, qualche volta intersecantesi fra loro: il principale comprende Dragonfligth e Dragonquest, le cui figure principali sono il F'lar e Lessa del Meyr di Benden; e The Withe Dragon imperniato sulle vicende del drago bianco Ruth e del suo giovane e anomalo cavaliere Jaxom, nonché il Maestro Arpista di Pern, Robinton. Il ciclo «laterale» (Dragonsong, Dragonsinger, Dragondrums), narra la storia di Menolly, che da ultima figlia del Proprietario di una Tenuta Marina, diventerà - come si conviene dopo molte peripezie - arpista e avrà un peso su molti avvenimenti successivi, come già si può vedere in The White Dragon. In realtà, i tre romanzi della serie «laterale» possono essere letti senza soluzione di continuità e quindi costituiscono un unico lungo romanzo di oltre settecento pagine. Inoltre, i primi due, essendo stati scritti fra la stesura del secondo (Dragonquest) e il terzo (The White Dragon) volume del ciclo principale, si inseriscono perfettamente nella vicenda complessiva senza stonature e contraddizioni. Per rendere meglio questa sensazione di completezza la McCaffrey ha pensato bene di effettuare alcuni brevi replay di episodi già narrati in precedenza, là dove la vicenda di Menolly scorre parallela e s'intreccia a quanto narrato in Dragonquest. Il lettore ha così la possibilità di osservare scene già note (come la Schiusa delle uova di Ramoth, la nascita «forzata» di Ruth, il volo di F'nor e Canth alla Stella Rossa, la crisi di Brekke) da un altro punto di vista, con gli occhi ed i sentimenti della giovane ap-
prendista. A stretto rigor di termini, Dragonsong dovrebbe essere considerato un juvenile per la protagonista quindicenne e la descrizione della sua vita, delle sue gioie, dei suoi dolori, dei suoi problemi, ho stesso allora dovrebbe dirsi di The White Dragon che ha al centro Jaxom (ma anche la stessa Menolly e il giovanissimo apprendista Piemur). In realtà, entrambi i romanzi (e gli altri due del ciclo «laterale»), per l'alto livello stilistico e inventivo, e per le intenzioni dell'autrice che vanno certo al di là di una semplice e disimpegnata storia fantastica, non lo sono affatto e possono venir letti con gusto ed apprezzati da tutti. Naturalmente da tutti coloro che si sono appassionati fin dall'inizio alle vicende dei Dragonieri di Pern, e non certo da coloro che sin da quel primo Dragonfligth le hanno al contrario trovate noiose, ripetitive e insulse. Oltre però a raccontare la storia affascinante di Menolly e del suo talento musicale, della sua escalation nella società pernese e dei problemi che fanno sorgere le lucertole di fuoco, a noi pare che Anne McCaffrey abbia voluto esporre (nemmeno del tutto inconsciamente) una tesi. Questa: gli artisti sono importanti nella organizzazione del mondo. A differenza di quel che pensava Platone per la sua Repubblica ideale, su Rem gli artisti non solo mantengono salda e viva la tradizione storico-culturale dell'intero pianeta, ma - come piano complessivo studiato da Robinton - difondono la conoscenza altrimenti troppo a compartimenti stagni e poco alla volta divengono gli artefeci di un rinnovamento, di un balzo in avanti della civiltà: «Gli arpisti», si legge ad un certo punto in questo Dragonsong che qui presentiamo, «non si limitavano semplicemente a cantare ed a suonare: erano gli arbitri della giustizia, i confidenti dei Signori e dei Maestri delle Arti... e plasmavano i giovani». Gli artisti, sembra insomma voler dire la scrittrice, devono essere i messaggeri della verità, del bello, della civiltà; i cantori dei sentimenti più profondi, delle tradizioni più radicate. Esattamente il contrario di quanto avviene oggi. MAPPA DI PERN
PREMESSA Rukbat, nel Settore del Sagittario era una stella dorata, della classe G. Aveva cinque pianeti, due fasce di asteroidi, e un mondo sbandato, che aveva attratto e trattenuto nei millenni più recenti. Quando gli uomini avevano colonizzato il terzo pianeta e l'avevano chiamato Pern, avevano badato appena al mondo estraneo che girava intorno al primario adottivo in un'orbita ellittica pazzamente irregolare. Per due generazioni i coloni prestarono poca attenzione al fulgido astro rosso, fino a che il percorso del vagabondo lo portò vicino al fratellastro, al perielio. Allora le spore che proliferavano con rapidità incredibile sulla superficie selvaggia della Stella Rossa si lanciarono nello spazio e superarono le distanze che la dividevano da Pern. Le spore cadevano sotto forma di fili esilissimi sul pianeta temperato e ospitale, e divoravano tutto ciò che incontravano di
organico, cercando di scavare tane nel suolo accogliente di Pern per generare altri Fili voraci. I coloni, all'inizio, subirono perdite gravissime: umani mortalmente ustionati, colture e vegetazione completamente annientate. Sulla terraferma, soltanto il fuoco uccideva i Fili, e soltanto la pietra e il metallo arrestavano la loro propagazione. L'acqua li annientava, ma i coloni non potevano vivere sui mari. I coloni smantellarono le loro astronavi da trasporto e, abbandonando il continente meridionale troppo scoperto, sul quale erano atterrati, si misero all'opera per rendere abitabili le grotte naturali di quello settentrionale. Idearono un piano in due fasi per combattere i Fili. La prima fase comportò l'allevamento di una varietà estremamente specializzata di esseri indigeni del loro nuovo mondo. I «draghi» (così chiamati in ricordo del mitico animale terrestre cui somigliavano) avevano due caratteristiche estremamente utili: potevano trasferirsi istantaneamente da una località all'altra mediante il teletrasporto; e quando masticavano pietre contenenti fosfina, potevano alitare un gas fiammeggiante. Poiché volavano, i draghi erano in grado d'incenerire i Fili a mezz'aria, sottraendosi alle devastazioni che causavano. Uomini e donne dotati di elevate doti d'empatia o d'innate facoltà telepatiche furono addestrati a usare ed a curare quegli animali straordinari, legandosi a loro in un rapporto intenso che durava tutta la vita. La prima Fortezza, quella di Fort, ricavata nella roccia sulla facciata orientale della grande Catena dell'Ovest, diventò ben presto troppo piccola per ospitare i coloni e i grandi «draghi». Fu creato un altro insediamento poco più a Nord, nelle vicinanze di un grande lago, annidato presso strapiombi di roccia crivellati di caverne. Anche la Fortezza di Ruatha si affollò in poche generazioni. Poiché la Stella Rossa sorgeva ad Est, venne deciso di creare un'altra fortezza nei monti orientali, se fosse stato possibile trovare una sistemazione accettabile. Gli antichi coni vulcanici delle montagne di Benden, ricchi di grotte, risultarono così adatti ai dragonieri e alle loro donne da indurli a cercare e a trovarne altri in tutto Pern (chiamandoli Weyr), e a lasciare la Fortezza di Fort e la Fortezza di Ruatha ai pastori e agli agricoltori. Tuttavia, la realizzazione di questi progetti consumò l'ultimo combustibile delle grandi scavatrici, destinate in ordine ad attività minerarie ben diverse, perché a Pern scarseggiavano i metalli, e in seguito le Fortezze ed i Weyr fu-
rono scavati a mano. I draghi e i loro cavalieri nei Weyr, e la gente nelle Fortezze delle grotte, continuarono a svolgere le loro diverse attività e gli uni e gli altri acquisirono abitudini che divennero usanze e si consolidarono in tradizioni, incontrovertibili come fossero leggi. Al Terzo Passaggio della Stella Rossa, s'era creata una complicata struttura sociale, politica ed economica per affrontare la ricorrente minaccia dei Fili. C'erano ormai sei Weyr, impegnati a proteggere tutto Pern: ogni Weyr aveva letteralmente sotto le sue ali un settore geografico del continente settentrionale. Il resto della popolazione, nelle Fortezze e nelle Tenute agricole che le circondavano, si era impegnato a pagare le decime per mantenere i Weyr, poiché i combattenti, i cavalieri dei draghi, non avevano terreni fertili nei loro rifugi vulcanici, e non avevano modo di praticare l'agricoltura, impegnati com'erano a difendere il pianeta dai Passaggi dei Fili. Le Fortezze e le Tenute circostanti si formavano dovunque si trovassero grotte naturali; alcune, ovviamente, erano estese o situate in posizioni strategiche presso corsi e specchi d'acqua e pascoli, mentre altre erano più piccole e piazzate in posizioni meno favorevoli. Era necessario un uomo forte per tenere sotto controllo la gente terrorizzata delle fortezze durante le Cadute dei Fili; ed era indispensabile un'amministrazione oculata per conservare le scorte di viveri per i tempi in cui era impossibile occuparsi delle coltivazioni. Vi erano misure eccezionali che controllavano la popolazione per mantenerla sana e produttiva fino al momento in cui cessava la minaccia. Spesso, i bambini di una Fortezza venivano allevati in un'altra, per diffondere il patrimonio genetico ed evitare alle Fortezze i rischi di unioni tra consanguinei. Tale consuetudine veniva chiamata «adozione», e veniva praticata tanto nelle Tenute quanto nelle Sedi delle Arti, che tramandavano specializzazioni come la lavorazione dei metalli, l'allevamento degli animali, l'agricoltura, la pesca e l'attività mineraria. Affinché nessun Signore delle Fortezze potesse negare alle altre i prodotti di una Sede dell'Arte situata nella sua giurisdizione, le Arti erano state dichiarate indipendenti dalle affiliazioni alle Fortezze, ed il Maestro Artigiano di ogni sede rispondeva esclusivamente al Gran Maestro della sua arte particolare, il quale, a seconda della necessità, accattava come figli adottivi gli allievi più promettenti. Escludendo il ritorno della Stella Rossa, che si verificava all'incirca ogni duecento anni, su Pern la vita era piacevole.
Vi fu un lungo periodo durante il quale la Stella Rossa, in seguito alla congiunzione dei cinque pianeti naturali di Rukbat, non passò vicino a Pern per lanciare le sue terribili spore, e gli abitanti di quel mondo alla fine dimenticarono il pericolo. La popolazione prosperava, diffondendosi sulle ricche terre, ricavando altre Tenute e Fortezze nella roccia e dedicandosi con tanto impegno alle proprie attività da scordare che vi erano soltanto rari draghi nei cieli, e che su Pern era rimasto soltanto un Weyr di dragonieri. Nel volgere di poche generazioni, i discendenti dei primi coloni cominciarono a dubitare che la Stella Rossa sarebbe ritornata. I cavalieri dei draghi caddero in disgrazia: perché tutto Pern doveva continuare a mantenerli, loro e le loro bestie fameliche? Le leggende degli eroismi passati e la ragione stessa della loro esistenza furono dimenticate e disprezzate. Ma nel corso naturale degli eventi, la Stella Rossa si riavvicinò a Pern, fissando l'occhio maligno sulla vittima predestinata. Solo un uomo, F'lar, cavaliere del drago bronzeo Mnementh, credeva alla verità delle antiche leggende. Il suo fratellastro, F'nor, cavaliere del marrone Canth, ascoltò le sue argomentazioni e si convinse a sua volta. Mentre l'ultimo uovo dorato d'una regina morente s'induriva sul Terreno della Schiusa del Weyr di Benden, F'lar e F'nor approfittarono della situazione per assumere il controllo del Weyr. Recatisi alla Fortezza di Ruatha, trovarono una giovane donna energica, Lessa, unica superstite del sangue orgoglioso della Fortezza di Ruatha. Lessa impresse lo Schema dell'Apprendimento a Ramoth, la nuova regina, e divenne Dama del Weyr di Benden. Ed il bronzeo Mnementh, il drago di F'lar, diventò il compagno della regina. I tre giovani dragonieri, F'lar, F'nor e Lessa, costrinsero i Signori delle Fortezze ed i Maestri delle Arti a rendersi conto del pericolo imminente, e a preparare il pianeta pressoché indifeso ad affrontare la minaccia dei Fili. Ma era dolorosamente ovvio che i duecento draghi del Weyr di Benden non erano abbastanza numerosi per difendere tutte le comunità sparse su Pern. Nei tempi antichi, quando le terre popolate erano assai meno vaste, erano stati necessari ben sei Weyr. Ma, imparando a guidare la sua regina in mezzo, tra un luogo e l'altro, Lessa scoprì che i draghi potevano teletrasportarsi anche nel tempo. Rischiando la propria vita e l'unico drago resina di Pern, Lessa e Ramoth ritornarono indietro nel tempo di quattrocento Giri, prima della misteriosa scomparsa degli altri cinque Weyr, subito dopo il compimento dell'ultimo Passaggio della Stella Rossa.
I cinque Weyr, che avevano come sola prospettiva il declino del loro prestigio e la noia dell'inattività dopo tutta una vita di combattimenti esaltanti, accettarono di aiutare Lessa e Pern e si trasferirono nel suo tempo. Il canto del drago ha inizio sette Giri dopo il trasferimento nel tempo dei cinque Weyr (1). (1) Cioè, le sue vicende sono contemporanee a quelle descritte in La cerca del drago, Fanucci, Roma 1978 (N. d. C). I Tu batti, tamburino, tu soffia, pifferaio; tu suona, arpista, e tu soldato, va'. Si scateni la fiamma, ardan tutte le erbe finché la Stella Rossa passerà. Come se persino gli elementi piangessero la morte del buon vecchio Arpista, il vento di Sud-Est soffiò per tre giorni, bloccando anche la chiatta funebre nella sicurezza della Caverna dell'Attracco. La tempesta lasciò al Proprietario della Tenuta Marina, Yanus, troppo,tempo per rimuginare sul suo dilemma. Gli lasciò il tempo di parlare con tutti gli uomini capaci di tenere il ritmo e il tono, e tutti gli diedero la stessa risposta. Loro non erano in grado di onorare degnamente il vecchio Arpista con un canto funebre: ma Menolly (1) avrebbe saputo farlo. Quando riceveva queste risposte, Yanus borbottava e se ne andava. Gli bruciava non poter esprimere il suo malcontento di fronte a tali parole, e la sua frustrazione. Menolly era soltanto una ragazza, e per giunta troppo alta e dinoccolata per essere una ragazza normale. Lo amareggiava moltissimo essere costretto ad ammettere che, purtroppo, lei era l'unica persona nell'intera Tenuta Marina del Semicerchio che sapesse suonare uno strumento con la stessa bravura del vecchio Arpista. Aveva la voce pura, le dita abili nell'arpeggiare sulle corde o nel suonare il flauto, e conosceva il Canto Funebre. A quanto ne sapeva Yanus, quella ragazza esasperante aveva incominciato a provare il canto da quando il vecchio Petiron era stato aggredito dalla febbre che poi l'aveva ucciso. «L'onore dovrà spettare a lei, Yanus,» disse Mavi, sua moglie, la sera in cui
la tempesta incominciò a placarsi. «L'importante è che Petiron venga accompagnato all'ultimo riposo dal canto che gli è dovuto. Non è necessario scrivere sulle Cronache ohi è stato a cantare.» «Il vecchio sapeva di essere prossimo alla morte. Perché non ha istruito uno degli uomini?» «Perché,» rispose Mavi con una sfumatura piuttosto brusca nella voce, «tu non gli avresti mai lasciato un uomo a disposizione, quando si doveva pescare.» «C'era il giovane Tranilty...» «Che tu hai mandato come figlio adottivo alla Tenuta Marina di Ista.» «E il ragazzo di Forolt non avrebbe potuto...» «Stava cambiando la voce. Rassegnati, Yanus, dovrà toccare a Menolly.» Yanus borbottò amaramente contro l'inevitabile, mentre s'infilava tra le coperte di pelliccia. «È quello che ti hanno risposto anche tatti gli altri, non è vero? E allora, perché prendertela tanto, se è necessario?» Yanus si sdraiò, rassegnato. «Domani farete buona pesca,» gli disse sua moglie, sbadigliando. Lei preferiva che andasse a pesca, piuttosto di vederlo aggirarsi per la Tenuta, reso più cupo e più critico dall'inattività forzata. Sapeva che lui era il migliore Proprietario che il Semicerchio avesse mai avuto: la Tenuta prosperava, e c'era sempre abbastanza merce da barattare, nelle grotte dei magazzini; e da parecchi Giri non avevano perduto una nave né un uomo, il che la diceva lunga sull'abilità e sulla conoscenza del tempo di Yanus. Ma Yanus, che si trovava a suo agio sul ponte di un'imbarcazione in mezzo al mare agitato, si sentiva sperduto quando, sulla terraferma, si trovava di fronte all'inaspettato. Mavi sapeva benissimo che Yanus era irritato con la figlia minore. Anche lei la giudicava esasperante. Menolly lavorava sodo, e sapeva usare bene le proprie mani: fin troppo bene, quando si trattava di suonare gli strumenti dell'Arte degli Arpisti. Forse, pensò Mavi, aveva sbagliato a lasciare che la ragazzina restasse sempre in compagnia del vecchio Arpista, dopo che aveva imparato tutti i regolamentari Canti dell'Insegnamento. Ma era stata una preoccupazione in meno, lasciare a Menolly il compito di curare il vecchio Arpista, e Petiron lo aveva tanto desiderato. Nessuno se la sentiva di respingere le richieste di un Arpista. Ah, bene, pensò Mavi, accantonando il passato, presto sarebbe arrivato un Arpista nuovo, e Menolly sarebbe stata assegnata ai com-
piti più adatti a una ragazza. L'indomani mattina, la tempesta s'era placata: i cieli erano sereni e il mare calmo. La chiatta funebre era stata preparata nella Caverna dell'Attracco, ed il corpo di Petiron era stato avvolto nei drappi azzurri, il colore degli Arpisti, e sistemato sulla tavola inclinata. L'intera Flotta e gran parte degli abitanti della Tenuta seguirono la chiatta spinta dai remi fino alla corrente rapida sopra la Fossa di Nerat. Menolly, sulla prua della chiatta, cantò la trenodia: e la sua voce limpida e forte giungeva sino alla Flotta del Semicerchio, mentre gli uomini facevano il controcanto, remando. All'ultimo accordo, Petiron andò al suo riposo. Menolly chinò la testa, e lasciò scivolare in mare il tamburo e le bacchette. Come avrebbe potuto servirsene ancora, dopo aver suonato l'ultimo canto per Petiron? Aveva dominato le lacrime, da quando era morto l'Arpista, perché doveva cantare la sua trenodia ed era impossibile farlo con la gola ostruita dal pianto. Ma adesso le lacrime le scorrevano sulle guance, mescolandosi agli spruzzi salsi del mare: i suoi singhiozzi erano sottolineati dalla nenia sommessa del timoniere, che ormai si stava spegnendo. Petiron era stato suo amico, suo alleato, suo mentore. Lei aveva cantato con il cuore, come lui le aveva insegnato: con il cuore e le viscere. Aveva sentito il suo canto, là dov'era andato? Menolly levò gli occhi verso le scogliere della costa, verso il porto di sabbia bianca tra i due bracci del Semicerchio. Il cielo aveva sparso tutte le sue lacrime, negli ultimi tre giorni, ed era stato un doveroso tributo. E l'aria era fredda. Menolly rabbrividiva nella pesante giubba di pelle di wher. Avrebbe trovato riparo dal vento, se fosse scesa giù, tra i rematori. Ma non poteva muoversi. All'onore si accompagnava sempre la responsabilità, e lei doveva restare al suo posto fino a quando la chiatta funebre avesse toccato le pietre della Caverna dell'Attracco. Ora, alla Tenuta del Semicerchio, lei avrebbe sentito più che mai la sua solitudine. Petiron aveva cercato di vivere fino a quando fosse giunto il suo sostituto. Aveva detto a Menolly che non ce l'avrebbe fatta a resistere per tutto l'inverno. Aveva inviato un messaggio al Maestro Arpista, Robinton (2), perché mandasse al più presto possibile un arpista nuovo. E inoltre aveva detto a Menolly di aver spedito a Robinton due delle sue canzoni. «Le donne non possono diventare arpiste,» aveva detto lei a Petiron, sgo-
menta e sbalordita. «Una su diecimila ha un'intonazione perfetta,» aveva risposto evasivamente Petiron. «Una su diecimila sa costruire una melodia accettabile con parole significative. Se tu fossi un ragazzo, non ci sarebbero problemi.» «Ebbene, resta il fatto che sono una ragazza.» «Saresti un ragazzo forte e magnifico, sicuramente,» era stata l'esasperante risposta di Petiron. «Ed è un male, essere una ragazza forte?» aveva ribattuto Menolly, in tono un po' scherzoso e un po' irritato. «No, sicuramente. No.» E Petiron le aveva stretto le mani, sorridendole. Quella volta, lei lo stava aiutando a mangiare, perché il vecchio aveva le mani così deformate che anche il cucchiaio di legno più leggero lasciava segni terribili sulle dita gonfie. «E il Maestro Arpista Robinton è un uomo giusto. Su Pern, nessuno può sostenere il contrario. E mi ascolterà. Conosce il suo dovere, e dopotutto io sono un membro anziano della Sede dell'Arte, e ho insegnato là prima di lui. E gli chiederò di ascoltarti.» «Gli hai mandato davvero le canzoni che mi hai fatto scrivere sulle tavolette cerate?» «Sì. Sì, questo l'ho fatto, per te, cara bambina.» Petiron l'aveva detto con tanta enfasi che Menolly aveva dovuto credergli. Povero vecchio Petiron. Negli ultimi mesi, lui non ricordava più neppure che Giro fosse, e tanto meno rammentava ciò che aveva fatto il giorno prima. Ormai era al di fuori del tempo, si disse Menolly, mentre le guance bagnate di pianto le dolevano per il freddo; e lei non l'avrebbe mai dimenticato. L'ombra dei due bracci delle scogliere del Semicerchio scese sul suo volto. La chiatta stava entrando nel porto. Menolly alzò la testa. Lassù, nel cielo, scorse la figura minuscola di un drago. Era magnifico. E come l'avevano saputo, al Weyr di Benden? No, il dragoniere stava solo effettuando un normale volo di ricognizione. Poiché i Fili cadevano nei momenti più inaspettati, spesso i draghi sorvolavano il Semicerchio che gli acquitrini isolavano dalla parte più alta della Baia di Nerat. Comunque, il drago era apparso sopra la Tenuta del Semicerchio al momento più appropriato: e per Menolly, quello era l'ultimo omaggio a Petiron, l'Arpista. Gli uomini sollevarono dall'acqua i pesanti remi, e la chiatta scivolò lentamente per fermarsi all'estremità più lontana dell'Attracco. Fort e Tillek pote-
vano vantare le più antiche Tenute Marine, ma soltanto il Semicerchio aveva una caverna abbastanza grande per ospitare l'intera flotta da pesca e ripararla dai Fili e dal maltempo. La Caverna dell'Attracco aveva ormeggi per trenta barche, e magazzini per le reti, le trappole e le lenze; supporti per arieggiare le vele, e un ripiano poco profondo dove si potevano riparare gli scafi e liberarli dalle incrostazioni. All'estremità dell'immensa Caverna c'era un cornicione roccioso dove i costruttori della Tenuta lavoravano quando c'era legname sufficiente per una nuova imbarcazione. Più oltre c'era la piccola grotta interna dov'era immagazzinato il preziosissimo legname che asciugava sugli alti sostegni o veniva modellato secondo le forme necessarie. La chiatta funebre toccò leggermente il molo. «Menolly?» Il primo rematore le tese la mano. Sorpresa da quella cortesia inaspettata, lei stava per saltar giù quando scorse negli occhi dell'uomo il rispetto che le era dovuto in quel momento. E la mano strinse la sua come per approvare in silenzio il modo in cui lei aveva cantato la trenodia per l'Arpista. Anche gli altri uomini, in piedi, attendevano che lei sbarcasse per prima. Raddrizzò le spalle, sebbene si sentisse la gola stretta dal pianto, e scese orgogliosamente sulla solida pietra. Mentre si voltava per dirigersi verso l'interno della Caverna, vide che le altre imbarcazioni scaricavano in fretta, silenziosamente, i loro passeggeri. La barca di suo padre, la più grande della Flotta del Semicerchio, era già ritornata bordeggiando nel porto. La voce di Yanus echeggiava sull'acqua, più forte degli scricchiolii del fasciame e delle voci smorzate. «E adesso sbrigatevi, uomini. Si sta alzando una brezza favorevole, ed i pesci abboccheranno, dopo tre giorni di tempesta.» I rematori precedettero frettolosamente Menolly, per salire a bordo dei pescherecci. Le sembrava ingiusto che Petiron, dopo tanto tempo dedicato alla Tenute del Semicerchio, venisse cancellato così in fretta dalle menti di tutti. Eppure... la vita continuava. Bisognava prendere molti pesci, in vista del magro inverno. Non si poteva sprecare una rara bella giornata durante i mesi freddi del Giro. Affrettò il passo. Doveva fare il giro della Caverna dell'Attracco, e aveva freddo. E poi, voleva raggiungere la Tenuta prima che sua madre si accorgesse che non aveva più il tamburo. Mavi non tollerava gli sprechi, come Yanus non ammetteva la pigrizia.
Sebbene fosse stata una grande occasione, era stata molto triste, e le donne e i bambini, e gli uomini troppo vecchi per partecipare alla pesca, uscivano a passo dignitoso dalla Caverna, formando piccoli gruppi mentre si dirigevano verso le loro abitazioni, nell'arco meridionale della scogliera protettiva del Semicerchio. Menolly vide Mavi organizzare i bambini in gruppi di lavoro. Ora che non c'era più l'Arpista per guidarli nei Canti dell'Insegnamento e nelle ballate, avrebbero avuto il loro daffare ripulendo la sabbia bianca delle spiagge dai detriti che la tempesta aveva gettato a riva. Il sole brillava nel cielo, ed il dragoniere stava ancora volteggiando lassù, sul dorso del suo drago marrone, ma il vento era gelido e Menolly cominciò a rabbrividire. Sentiva il bisogno del calore del fuoco acceso nel grande camino della cucina e di una tazza di klah bollente. La voce di sua sorella, Sella, le giunse portata dalla brezza. «Adesso non ha niente da fare, Mavi, perché deve toccare a me...?» Menolly si nascose dietro un gruppo di adulti, evitando lo sguardo della madre che la stava cercando. Era tipico di Sella, rammentare che adesso Menolly non aveva più il pretesto di assistere l'Arpista malato. Poco più avanti, una delle vecchie zie inciampò, e chiese aiuto con voce querula. Menolly le corse a fianco, sorreggendola e ricevendo rumorose proteste di gratitudine. «Ah, è stato soltanto per Petiron che ho trascinato queste mie vecchie ossa sul mare freddo, questa mattina,» continuò aggrappandosi a Menolly con inaspettata energia. «Sei una brava figliola, Menolly, sì, davvero. Ti chiami Menolly, no?» La donna alzò gli occhi, scrutandola. «Adesso aiutami a salire dal Vecchio Zio, così gli racconterò tutto, dato che non può lasciare il letto.» E così Sella dovette occuparsi dei bambini, e Menolly poté scaldarsi al fuoco, almeno quanto bastava per non tremare più. Poi la vecchia zia dichiarò che anche lo Zio avrebbe gradito un po' di klah, e quando Mavi entrò in cucina, cercando con gli occhi la figlia minore, vide Menolly doverosamente occupata a servire il vecchio. «Molto bene, Menolly, dacché ci sei, vedi di sistemarlo comodamente. Poi, potrai controllare i bruchi per le lampade.» Menolly si riscaldò bevendo una tazza di klah insieme al Vecchio Zio, e lo lasciò intento a discorrere malinconicamente di altri funerali del passato insieme alla zia. Controllare i bruchi delle lampade era sempre stato compito suo, da quando era diventata più alta di Sella. Era costretta a salire e scendere
ai diversi piani esterni e interni dell'immensa Tenuta Marina: ma Menolly aveva scoperto il sistema più rapido per sbrigare quel lavoro e riservarsi un po' di tempo libero prima che Mavi la cercasse di nuovo. Si era abituata a trascorrere quei minuti ben meritati esercitandosi insieme all'Arpista, e quindi non si stupì troppo quando finì per ritrovarsi davanti alla porta della stanza di Petiron. La sorprese, tuttavia, sentire voci che parlavano, in quella camera. Stava per spalancare irosamente la porta socchiusa e chiedere conto dell'intrusione quando sentì, chiara, la voce di sua madre. «La camera non richiederà molte modifiche per il nuovo Arpista, quindi è inutile darsi da fare.» Menolly arretrò nell'ombra del corridoio. Il nuovo Arpista? «Quello che voglio sapere, Mavi, è chi si occuperà dei bambini per istruirli, fino a quando lui arriverà.» Era la voce di Soreel, la moglie del Viceproprietario della Tenuta, e come tale portavoce delle donne presso Mavi, moglie del Proprietario. «Lei se l'è cavata piuttosto bene questa mattina. Devi assegnarle il compito, Mavi.» «Yanus manderà la nave a portare il messaggio.» «Ma non la manderà né oggi né domani. Non intendo criticarlo, ma è logico che le barche devono pescare, e non si può fare a meno dell'equipaggio della nave. Quindi passeranno quattro o cinque giorni prima che un messaggero raggiunga la Fortezza di Igen. E dalla Fortezza di Igen, se un dragoniere farà la cortesia di portare il messaggio... ma sappiamo tutti che tipi sono gli Antichi del Weyr di Igen (3), quindi diciamo pure che per comunicarlo mediante i tamburi degli Arpisti fino alla Sede dell'Arte, a Fort, occorreranno ancora due o tre giorni. E poi il Maestro Arpista Robinton dovrà scegliere un uomo e mandarlo qui, per terra e quindi per mare. E con i Fili che cadono quando vogliono, nessuno riesce a viaggiare veloce ed a coprire lunghe distanze in una sola giornata. Sarà primavera, prima di vedere un altro Arpista. I bambini dovranno restare per mesi e mesi senza insegnamento?» Soreel aveva sottolineato i suoi commenti con i suoni fruscianti della spolveratura, e nella stanza c'erano altri rumori, lo scricchiolio delle canne del letto che venivano raccolte. Poi Menolly udì il mormorio di altre due voci che sostenevano le argomentazioni di Soreel. «Petiron insegnava bene...» «E ha insegnato bene anche a lei,» disse Soreel, interrompendo Mavi.
«Quello dell'arpista è un mestiere da uomo...» «Sì, sarebbe giusto, se il Proprietario della Tenuta Marina avesse un uomo libero.» La voce di Soreel era quasi bellicosa, perché tutti sapevano già la risposta. «Per dire la verità, credo che la ragazza conoscesse le Saghe anche meglio del vecchio, durante quest'ultimo Giro. Sai bene che lui era diventato un po' rimbambito, Mavi.» «Yanus farà ciò che è giusto.» Il tono deciso di Mavi pose fine alla discussione. Menolly sentì i passi che attraversavano la stanza del vecchio Arpista e sgattaiolò in fondo al corridoio, girò intorno alla prima svolta e scese al piano della cucina. L'addolorava pensare che qualcuno, anche un altro Arpista, venisse a occupare la stanza di Petiron. Evidentemente, gli altri erano un po' preoccupati per la mancanza di un arpista: di solito, quel problema non si poneva. Ogni Tenuta poteva vantare un paio di uomini esperti nella musica, e incoraggiava il loro talento. Gli arpisti amavano avere altri suonatori che dividessero con loro il compito d'intrattenere gli abitanti delle tenute durante le lunghe serate d'inverno. Ed era inoltre molto saggio avere a disposizione un sostituto, nell'eventualità di una situazione d'emergenza come quella che si era verificata al Semicerchio. Ma la pesca rovinava le mani: il lavoro pesante, l'acqua fredda, il sale e l'olio di pesce indurivano le giunture e facevano incallire le dita nei punti sbagliati. Spesso i pescatori restavano lontani per giorni e giorni, durante le spedizioni più lunghe. Dopo un Giro o due passati fra le reti, le trappole e le drizze, i giovani perdevano l'abilità e riuscivano a suonare soltanto le melodie più semplici. Le Ballate dell'Insegnamento richiedevano dita agili ed esperte e un esercizio continuo. Mentre prendeva il mare per la pesca dopo il funerale del vecchio Petiron, Yanus credeva di trovare il tempo per meditare una soluzione alternativa. Senza dubbio la ragazza sapeva cantare bene e suonare bene, e quella mattina non aveva disonorato né la Tenuta né l'Arpista. Sarebbe stato necessario un po' di tempo per mandare a richiedere un nuovo Arpista e per farlo arrivare, ed i bambini non dovevano perdere i progressi già compiuti nell'apprendere le fondamentali Ballate dell'Insegnamento. Ma Yanus aveva molte riserve sull'opportunità di caricare una responsabilità tanto pesante sulle spalle d'una ragazza che non aveva neppure quindici Giri. E poi, c'era la sconvolgente passione di Menolly per la composizione di
nuove melodie. Poteva essere piacevole, di tanto in tanto, durante le lunghe sere d'inverno, sentirla cantare: ma prima c'era il vecchio Petiron che la teneva a freno. Yanus non era certo che lei avrebbe evitato d'includere nelle lezioni quelle sue sciocchezze. E come potevano capire, i bambini, che i suoi canti non erano quelli destinati alla loro istruzione? Il guaio era che le melodie di Menolly s'imprimevano nella mente, al punto che uno si ritrovava a canticchiarle o a fischiettarle senza pensarci. Quando le barche ebbero fatto buona pesca nella Fossa e tornarono bordeggiando verso casa, Yanus non aveva ancora trovato un compromesso. Non era una consolazione sapere che non avrebbe dovuto discutere con gli altri della Tenuta. Se Menolly avesse cantato in modo mediocre, quella mattina... ma non era andata così. Come Proprietario della Tenuta Marina del Semicerchio, era tenuto ad allevare i bambini nelle tradizioni di Pern, perché imparassero i loro doveri e sapessero cosa fare. Si riteneva fortunato, perché era vincolato al Weyr di Benden, e aveva come Comandante del Weyr F'lar, il cavaliere del bronzeo Mnementh, e come Dama del Weyr Lessa, la compagna della regina Ramoth. Perciò Yanus si sentiva profondamente obbligato a mantenere le tradizioni, al Semicerchio: ed i bambini avrebbero imparato ciò che dovevano, a costo di farli istruire da una ragazza. Quella sera, dopo che i pesci catturati durante il giorno furono puliti e salati, Yanus disse a Mavi di condurre sua figlia nella stanzetta accanto alla Sala Grande, dove lui dirigeva gli affari della Tenuta e dove erano custodite le Cronache. Mavi aveva riposto sulla mensola gli strumenti dell'Arpista, perché non si sciupassero. Yanus porse a Menolly il gitar di Petiron. Lei prese lo strumento con la dovuta reverenza, e questo fece comprendere a Yanus che la ragazza si rendeva conto della responsabilità. «Domani sarai esentata dai normali compiti del mattino, ed insegnerai ai bambini,» le disse. «Ma non ammetto che suoni ancora quelle tue sciocchezze.» «Cantavo le mie canzoni quando ero vivo Petiron, e allora non hai mai protestato...» Yanus la guardò, accigliandosi. «Allora Petiron era vivo. Adesso è morto, e obbedirai a me...» Dietro le spalle del padre, Menolly scorse la faccia aggrondata di sua madre, vide il cenno d'ammonimento e trattenne la risposta che le saliva alle
labbra. «Non dimenticare quello che ti ho detto!» Yanus si strinse la cintura. «Non devi comporre!» «Sì, Yanus.» «Allora incomincia da domani. A meno che, naturalmente, cadano i Fili, perché allora tutti dovranno mettere le esche alle lenze.» Yanus congedò le due donne e si accinse a comporre un messaggio per il Maestro Arpista; l'avrebbe spedito quando avesse avuto la possibilità di rinunciare per un po' all'equipaggio della piccola nave. L'avrebbero portato alla Fortezza di Igen. Comunque, era tempo che il Semicerchio ricevesse qualche notizia del resto di Pern. E lui avrebbe potuto spedire anche una partita di pesce affumicato. Non sarebbe stato un viaggio completamente sprecato. Nel corridoio, Mavi strinse con forza il braccio della figlia. «Non disobbedirgli, ragazza.» «Non c'è niente di male nelle mie canzoni, madre. Sai quello che diceva Petiron...» «Ti ricordo che il vecchio è morto. E questo cambia tutto ciò che è accaduto quando era in vita. Comportati bene, finché occupi un posto che spetta ad un uomo. Non comporre canzoni! Adesso a letto, e non dimenticare di girare le lampade-cesto. È inutile sprecare la luce, quando non serve a nessuno.» (1) La figura di Menolly viene ripresa dalla McCaffrey anche in Il drago bianco (Fanucci. Roma 1979), che è stato scritto, dopo i primi due romanzi del nuovo ciclo (N. d. C). (2) Il personaggio di Robinton appare in tutti e tre i romanzi del ciclo principale, ma balza in primo piano soprattutto in Il drago bianco, cit. (N. d.C). (3) Dopo l'aiuto fornito nella lotta contro i Fili, i dragonieri giunti con le loro bestie da quattrocento Giri nel passato, si erano stabiliti in alcuni Weyr abbandonati. Cfr. Volo del drago, Fanucci Roma 1975 (N. d. C). II Onora quelli che tengono i draghi nel pensiero e nell'opera in favore. Interi mondi son salvi o perduti e ciò dipende dal loro valore.
Dragoniere, e tu sfuggi ogni eccesso, dolore al Weyr porta l'avidità: se tu rispetterai le Antiche Leggi, il Weyr dei Draghi ognor prospererà. Fu abbastanza facile per Menolly, all'inizio, dimenticare le sue canzoni durante l'Insegnamento. Desiderava fare onore a Petiron, quando sarebbe arrivato il nuovo Arpista: non avrebbe trovato nulla da ridire sulla recitazione dei bambini. I piccoli stavano attenti: l'Insegnamento era sempre meglio che sbuzzare e salare il pesce, o rammendare le reti o mettere le esche alle lenze. E per giunta le tempeste invernali, le più tremende che si fossero viste da molti Giri, costringevano la flotta dei pescherecci a non lasciare gli ormeggi, e l'Insegnamento alleviava la noia. Quando la flotta era al Semicerchio, Yanus si fermava nella Sala Piccola, dove Menolly teneva le lezioni. La guardava dal fondo, facendo smorfie. Per fortuna si tratteneva poco, perché innervosiva i bambini. Una volta, lei lo vide addirittura battere il tempo con il piede: quando si accorse di quel che stava facendo, fece un'altra smorfia e se ne andò. Yanus aveva mandato la piccola nave alla Fortezza di Igen tre giorni dopo il funerale. L'equipaggio non portò notizie che avessero interesse per Menolly, ma gli adulti avevano l'aria cupa. Si trattava di qualcosa che riguardava gli antichi, ma Menolly non doveva preoccuparsene, e non se ne preoccupava. Gli uomini avevano portato anche una tavoletta con un messaggio indirizzato a Petiron, con il sigillo di Robinton, il Maestro Arpista. «Povero vecchio Petiron,» disse una delle zie a Menolly, sospirando e asciugandosi gli occhi con affettazione. «Attendeva sempre con tanta ansia i messaggi del Maestro Arpista. Ah, bene, resterà lì fino all'arrivo del nuovo Arpista. Lui saprà che farne.» Menolly impiegò un po' di tempo per scoprire dov'era la tavoletta: era posata sulla mensola del camino, nella Stanza delle Cronache di suo padre. Era sicura che quel messaggio riguardasse lei e le canzoni che Petiron aveva detto di aver spedito al Maestro Arpista. L'idea l'ossessionava al punto che trovò l'ardire di chiedere a sua madre perché Yanus non aveva aperto il messaggio. «Aprire il messaggio sigillato del Maestro Arpista ad un morto?» Mavi fissò la figlia con aria scandalizzata e incredula. «Tuo padre non farebbe mai
una cosa simile. Le lettere degli Arpisti sono per gli Arpisti.» «Ricordo che Petiron aveva mandato una tavoletta al Maestro Arpista. Pensavo che parlasse dell'arrivo di un sostituto. Voglio dire...» «Sarò ben contenta quando arriverà il nuovo Arpista, ragazza mia. Ti stai montando la testa con l'Insegnamento.» I giorni che seguirono furono per Menolly carichi di apprensione: pensava che sua madre cercasse di convincere Yanus a sostituirla come insegnante. Naturalmente, era impossibile per le stesse ragioni che avevano costretto Yanus a nominarla insegnante in via provvisoria. Mavi, però, le trovava sempre tutti i lavori più noiosi e fastidiosi e puzzolenti, quando lei aveva finito d'insegnare. E Yanus sembrava deciso a comparire sempre più spesso nella Sala Piccola. Poi venne un periodo di bel tempo, e l'intera Tenuta Marina fu occupata con il pesce. I bambini furono dispensati dall'Insegnamento e mandati a raccogliere le erbe marine buttate a riva dall'alta marea, e tutte le donne cominciarono a farle bollire per ricavarne il succo denso degli steli, utile nella cura di molte malattie e dei disturbi alle ossa. Almeno, così dicevano le vecchie zie. Ma quelle erano capaci di trovare qualcosa di buono nei mali peggiori, e qualcosa di cattivo in ogni fortuna. E la cosa peggiore delle erbe marine era l'odore, pensava Menolly, costretta a rimestare gli enormi paioli. I Fili caddero, e portarono una certa agitazione: la paura di restare rinchiusi nella Tenuta mentre i draghi spazzavano il cielo con i loro aliti di fiamma, carbonizzando le spore. (Menolly desiderava poter vedere un giorno quello spettacolo grandioso, invece di limitarsi a cantarlo e di sapere che si svolgeva al di fuori delle solide pareti di pietra e delle pesanti imposte metalliche della Tenuta.) Poi usciva insieme alle squadre armate di lanciafiamme, per cercare gli eventuali Fili sfuggiti al fuoco dei draghi. Non c'era molto da divorare, per i Fili, negli spogli acquitrini spazzati dal vento intorno alla Tenuta Marina del Semicerchio. Le nude scogliere che la formavano non portavano tracce di vegetazione, d'inverno e d'estate, ma era opportuno controllare le paludi e le spiagge. I Fili potevano seppellirsi negli steli dell'erba marina, o insinuarsi negli arbusti delle bacche palustri e dei prugnoli di spiaggia, per affondare nelle radici e moltiplicarsi e divorare tutta la vegetazione fino a denudare completamente la costa. Usare i lanciafiamme era un lavoro noioso, ma per Menolly era una gioia trovarsi all'aria aperta, fuori dalla Tenuta. La sua squadra si spinse a sud fino
alle Pietre dei Draghi. Petiron le aveva spiegato che quelle rocce, al largo tra le acque infide, un tempo avevano fatto parte della scogliera, e probabilmente erano crivellate di grotte come tutto quel tratto di costa. Per Menolly, la gioia più grande fu quando il Comandante del Weyr in persona, F'lar, sul bronzeo Mnementh, atterrò volando in cerchio per parlare con Yanus. Naturalmente, lei non era abbastanza vicina per sentire quanto dicevano i due uomini; ma lo era abbastanza per sentire l'odore di pietra focaia che esalava il gigantesco drago bronzeo, per vedere i bellissimi occhi che rispecchiavano tutti i colori del pallido sole invernale e i muscoli che si contraevano e si distendevano sotto la pelle morbida. Menolly si fermò, debitamente rispettosa, insieme agli altri della sua squadra. Ma ad un certo momento, quando il drago girò pigramente la testa per guardare nella sua direzione, gli occhi turbinarono di colori mutevoli, e Menolly fu certa che Mnementh stesse fissando proprio lei. Non osò neppure respirare: era così bello! Poi, all'improvviso, il momento magico fini. F'lar balzò con eleganza sulla spalla del drago, afferrò le cinghie e si issò sulla cresta del collo. L'aria sibilò intorno a Menolly e agli altri mentre il grande bronzeo spiegava le ali apparentemente fragili. Dopo un attimo, si lanciò nell'aria, sfruttando una corrente ascensionale, e batté le ali, continuando a salire. Poi, bruscamente, il drago scomparve. Menolly non fu la sola a sospirare. Vedere un dragoniere in volo era sempre un avvenimento: trovarsi accanto a un drago ed al suo cavaliere, assistere all'elegante partenza e al passaggio in mezzo era una meraviglia. Tutti i canti sui draghi e i dragonieri sembravano inadeguati a Menolly. Furtivamente, sgattaiolò nella stanzetta del dormitorio delle donne che divideva con Sella. Voleva restare sola. Aveva un piccolo flauto, tra le sue cose, un flauto mormorante di canna, e cominciò a suonare, una piccola melodia ispirata dalla sua emozione per l'evento straordinario di quel giorno. «Eccoti qui!» Sella entrò nella stanza, rossa in viso e ansimante. Evidentemente, aveva salito di corsa la scala ripida. «L'avevo detto a Mavi che ti avrei trovata.» Sella strappò il piccolo flauto dalle dita di Menolly. «E stai anche componendo!» «Oh, Sella. È un vecchio motivo;» mentì Menolly e riafferrò il flauto. Sella strinse rabbiosamente i denti. «Vecchio? Quello? Ti conosco, ragazza. E stai marinando il lavoro. Torna in cucina. C'è bisogno di te.» «Non sto marinando il lavoro. Ho insegnato questa mattina, durante la Caduta dei Fili, e poi sono dovuta uscire con le squadre.»
«La tua squadra è rientrata da mezza giornata o più, e tu hai ancora gli abiti sporchi di sabbia e puzzolenti, e stai appestando la stanza dove debbo dormire io. Scendi immediatamente, o dirò a Mavi che stavi componendo.» «Ah! Tu non sapresti riconoscere una composizione nuova neppure se ci strusciassi sopra il naso.» Ma Menolly si stava già togliendo in fretta gli abiti da lavoro. Sella era capacissima di riferire a Mavi (non a Yanus, perché lo temeva quanto lo temeva lei) che Menolly suonava il flauto in camera sua... un'azione già di per sé sospetta. Menolly, comunque, non aveva giurato di non suonare canzoni sue: aveva solo promesso di non farlo in presenza di altri. Comunque, quella sera tutti erano di buon umore: Yanus perché aveva parlato con F'lar, il Comandante del Weyr, e perché l'indomani la pesca sarebbe stata buona se il tempo si fosse mantenuto al bello. I pesci salivano sempre a galla per divorare i Fili annegati, e metà della Caduta era avvenuta sopra la Baia di Nerat. La Fossa sarebbe stata popolata di banchi di pesci. E dato che Yanus era di buon umore, gli altri abitanti della Tenuta Marina potevano rallegrarsi, perché nessun Filo era caduto sulla terraferma. Non fu strano, perciò, che chiedessero a Menolly di suonare per loro. Lei cantò due delle Saghe più lunghe sui draghi, e poi eseguì il Canto dei Nomi degli attuali comandanti del Weyr di Benden, in modo che alla Tenuta Marina tutti conoscessero i loro dragonieri. Si chiese se c'era stata una recente Schiusa di cui non avevano saputo nulla al Semicerchio, dato che era tanto isolato. Ma era certa che, se ci fosse stata, F'lar l'avrebbe riferito a Yanus. Ma Yanus lo avrebbe detto a lei? Menolly non era l'Arpista, perché queste cose le venissero dette per cortesia. Gli abitanti della Tenuta volevano che cantasse ancora, ma lei era stanca. Suonò quindi una canzone che loro cominciarono a cantare, mugghiando le parole con voci arrochite dal vento e dal sale. Vide che suo padre la guardava facendo smorfie, sebbene cantasse insieme agli altri, e si domandò se non voleva che lei, una ragazza, suonasse le canzoni da uomini. E questo l'amareggiò, perché le aveva suonate piuttosto spesso, quando era vivo Petiron. Sospirò al pensiero dell'ingiustizia. Poi si chiese che cosa avrebbe detto F'lar, se avesse saputo che la Tenuta Marina del Semicerchio doveva affidare ad un ragazza i compiti di un Arpista. Aveva sentito dire da tutti che F'lar era un uomo giusto e lungimirante ed un magnifico dragoniere. C'erano addirittura canzoni che parlavano di lui e della sua Dama del Weyr, Lessa.
Quindi Menolly le cantò, in onore della visita del Comandante del Weyr, e l'espressione di suo padre si rasserenò. Cantò fino a quando ebbe la gola tanto indolenzita da non poter produrre neppure una nota. Si augurava che ci fosse qualcun altro capace di suonare per darle un po' di riposo. Ma per quanto scrutasse le facce degli ascoltatori, non c'era nessuno che sapesse suonare in modo decente un tamburo, e tanto meno un gitar o un flauto. Perciò, l'indomani, ritenne opportuno incominciare ad insegnare a uno dei bambini il rullo del tamburo. C'erano molte canzoni che si potevano eseguire con quell'accompagnamento semplicissimo. E uno dei due figli di Soreel che seguivano ancora l'Insegnamento aveva la sensibilità necessaria per imparare il flauto. Qualcuno, probabilmente Sella, pensò amaramente Menolly, informò Mavi di quella attività. «Ti avevo detto di non comporre...» «Insegnare a suonare il tamburo non è comporre...» «Insegnare a suonare è compito dell'Arpista e non tuo, ragazza. Per tua fortuna, il Proprietario della Tenuta è fuori a pesca, altrimenti sentiresti sulle spalle la sua cintura. Basta con queste sciocchezze.» «Ma non sono sciocchezze, Mavi. Ieri sera un altro tamburino o un flautista avrebbe potuto...» Sua madre alzò la mano in un gesto d'avvertimento, e Menolly si morse le labbra. «Basta, Menolly.» Era definitivo. «E adesso, ragazza, vai a controllare le lampade, prima che rientri la flotta.» Quel compito condusse inesorabilmente Menolly alla stanza dell'Arpista, che era stata spogliata di tutti gli oggetti personali di Petiron. Menolly ricordò il messaggio sigillato sulla mensola della Sala della Cronache. E se il Maestro Arpista aspettava da Petiron notizie sul compositore delle canzoni? Menolly non era certa che la missiva non ancora aperta parlasse anche di lei. Del resto, pensarci era inutile, si disse tristemente. Ma questo non le impedì di passare davanti alla Sala delle Cronache di Yanus e di sbirciare la tavoletta tentatrice posata sul camino. Sospirò, allontanandosi. Ormai il Maestro Robinton doveva essere stato informato della morte di Petiron e avrebbe mandato un nuovo arpista. E forse
questi avrebbe potuto aprire la lettera e forse, se parlava di lei, forse se c'era scritto che le sue canzoni erano belle, Yanus e sua madre non avrebbero continuato a vietarle di comporre. Con il trascorrere dell'inverno, Menolly si accorse che il suo dolore per la perdita di Petiron diventava più profondo. Lui era stato l'unico, nella Tenuta Marina, che l'avesse incoraggiata a fare qualcosa: e soprattutto a fare ciò che adesso le era proibito. Le melodie continuavano a fiorirle nella mente e a fremerle nelle dita, appunto perché erano vietate. E Menolly non smetteva mai di comporle... e pensava che non fosse una vera e propria disobbedienza. Ciò che sembrava preoccupare soprattutto Yanus e Mavi si diceva Menolly, era il fatto che i bambini, ai quali lei doveva insegnare soltanto le Ballate e le Saghe tradizionali, pensassero che le melodie di Menolly fossero create dagli Arpisti. (Se i suoi motivi sembravano tanto belli ai suoi genitori, allora che cos'avevano di male?) Insomma, non volevano che lei suonasse le sue canzoni dove sarebbero state ascoltate e ripetute in momenti inopportuni. Quindi, Menolly non pensava ci fosse nulla di male nello scrivere melodie nuove. Le suonava in sordina nella Sala Piccola, quando i bambini se n'erano andati, prima d'incominciare i lavori pomeridiani, e nascondeva accuratamente le notazioni fra i testi dell'Arpista, sullo scaffale della Sala. Lì erano al sicuro perché nessuno tranne lei le avrebbe scoperte, lì, fino all'arrivo del nuovo Arpista. Quella leggera deviazione dall'obbedienza assoluta alle imposizioni di suo padre contribuiva molto ad attenuare la frustrazione e la solitudine di Menolly. Ma non si era accorta che sua madre la sorvegliava attentamente perché riconosceva in lei i segni della ribellione. Mavi non voleva che la Tenuta venisse in alcun modo disonorata, e temeva che Menolly, con la testa montata dall'evidente protezione di Petiron, non fosse abbastanza matura per l'autodisciplina. Sella aveva riferito che Menolly stava sfuggendo di mano: Mavi attribuiva in parte quelle affermazioni all'invidia tra sorelle. Ma, quando Sella le disse che Menolly aveva cominciato ad insegnare a un altro bambino come si suonava uno strumento, Mavi fu costretta a intervenire. Se Yanus avesse saputo della disobbedienza di Menolly, la ragazza si sarebbe trovata veramente nei guai. Stava per arrivare la primavera, e con la primavera sarebbe venuta la bonaccia. Forse il nuovo Arpista sarebbe giunto presto.
E poi la primavera giunse: una prima giornata bellissima. I dolci profumi del prugnolo delle spiagge e delle bacche palustri saturavano le brezze marine ed entravano dalle imposte aperte della Sala Piccola. I bambini cantavano a gran voce, come se gridando potessero apprendere più in fretta. Certo, stavano eseguendo una delle Saghe più lunghe, parola per parola, ma con un'esuberanza assai maggiore del necessario. Forse fu quell'esuberanza a contagiare Menolly ed a ricordarle una melodia che aveva cercato di mettere per iscritto il giorno prima. Non voleva disobbedire di proposito. Non sapeva che la flotta era rientrata in anticipo, dopo una buona pesca. E non si accorgeva neppure che gli accordi suonati da lei non appartenevano ufficialmente all'Arte degli Arpisti. E sfortunatamente, quella mancanza avvenne proprio mentre il Proprietario della Tenuta passava davanti alle finestre aperte della Sala. Yanus entrò quasi immediatamente nella Sala Piccola, mandando i bambini ad aiutare a scaricare le barche. Poi, in un silenzio che peggiorava l'attesa della punizione, si tolse l'alta cintura, indicò a Menolly di alzarsi la tunica sopra la testa e di piegarsi sopra lo sgabello dell'Arpista. Quando Yanus ebbe finito, Menolly era caduta in ginocchio sulle dure lastre di pietra e si mordeva le labbra per reprimere i singhiozzi. Suo padre non l'aveva mai picchiata così forte. Il sangue le rombava nelle orecchie, e non udì Yanus uscire dalla Sala Piccola. Passò molto tempo prima che potesse riabbassare la tunica sulla schiena dolorante. Solo quando si fu rialzata, lentamente, si accorse che lui aveva portato via il gitar e comprese che il suo giudizio era irrevocabile. È ingiusto! Lei aveva suonato solo le prime battute... canticchiando... e solo perché gli ultimi accordi della Ballata dell'Insegnamento s'erano modificati, nella sua mente, in un motivo nuovo. Sicuramente quelle poche note non avrebbero causato nulla di male! E i bambini conoscevano già tutte le Ballate dell'Insegnamento che dovevano imparare. Lei non aveva fatto apposta a disobbedire a Yanus. «Menolly?» Sua madre si fermò sulla soglia dell'aula, reggendo un sacco vuoto. «Li hai mandati via così presto? È opportuno...?» Mavi s'interruppe di colpo e la fissò, e una espressione di collera e di disgusto. «Dunque bai fatto di nuovo la stupida? Lo sapevi, e hai proprio dovuto comporre...» «Non l'ho fatto di proposito, Mavi. La canzone... mi è venuta in mente, ecco. Avevo suonato solo una misura...»
Era inutile cercare di giustificarsi con sua madre, in quel momento. La desolazione che aveva provato scoprendo che suo padre le aveva portato via il gitar s'intensificò di fronte alla fredda irritazione di sua madre. «Prendi il sacco. Abbiamo bisogno di verdura fresca,» disse Mavi con voce inespressiva. «E tutta l'erba venata di giallo che puoi trovare. Dovrebbe essercene un po'.» Rassegnata, Menolly prese il sacco e, senza riflettere, si passò la cinghia sulla spalla. Soffocò un grido quando il sacco le batté sulla schiena dolorante. Prima che Menolly potesse evitarlo, Mavi sollevò la tunica. Gettò un'esclamazione inarticolata. «Ci vuole un po' di intorpidaria.» Menolly si svincolò. «A cosa serve una battitura, se poi si toglie il dolore?» E si precipitò fuori dalla sala. A Mavi, tanto, non importava nulla che lei soffrisse: pensava solo che un corpo sano lavorava con maggiore impegno, più a lungo e più in fretta. I suoi pensieri e la sua desolazione la spinsero lontana dalla Tenuta: ogni passo le faceva dolere il dorso. Non rallentò, perché doveva percorrere tutto il lungo sentiero di fronte alla Tenuta. Era meglio che andasse in fretta, prima che qualche zia volesse sapere perché i bambini avevano lasciato così presto la lezione, e perché lei era fuori a raccogliere verdure, invece d'insegnare. Per fortuna non incontrò nessuno. Erano tutti alla Caverna dell'Attracco a scaricare il pesce, oppure s'erano dileguati per non essere costretti a quel lavoro. Menolly passò in fretta davanti alle abitazioni più piccole, scendendo lungo la strada della palude, e poi risalì il sentiero di destra, a Sud del Semicerchio. Voleva mettere la massima distanza possibile fra sé e la Tenuta Marina... del resto era lecito, poiché doveva trovare la verdura. Mentre procedeva lungo il sentiero sabbioso, cercava con gli occhi le pianticelle giovani, tentando di non farci caso allorché i tratti più accidentati la scuotevano dolorosamente. La schiena cominciava a bruciarle. Strinse i denti e continuò a camminare. Suo fratello Alemi, una volta, le aveva detto che lei sapeva correre più forte di tutti i ragazzi della Tenuta e che avrebbe potuto distanziarne la metà, in una gara prolungata. Se fosse stata davvero un ragazzo... Allora non avrebbe avuto importanza se Petiron fosse morto lasciandoli senza Arpista E Yanus non avrebbe percosso un ragazzo che avesse avuto l'ardire di cantare le proprie canzoni. La prima delle basse valli palustri era tutta rosea e gialla dei fiori dei pru-
gnoli e delle bacche, e leggermente annerita qua e là dalle regine che, volando rasenti al suolo, avevano inseguito i Fili sfuggiti agli alto draghi. Sì, e c'era la chiazza carbonizzata lasciata da un lanciafiamme: l'unica infestazione dei Fili che fosse riuscita a passare. Un giorno, si disse Menolly, lei avrebbe spalancato le imposte d'acciaio di una finestra e avrebbe visto i draghi che annientavano i Fili nel cielo Doveva essere uno spettacolo meraviglioso! E anche terribile, pensò: aveva visto sua madre curare gli uomini ustionati dai Fili. Sembrava che qualcuno avesse trapassato il braccio dell'uomo con un attizzatoio rovente, bruciando la pelle intorno all'orlo. Torly avrebbe portato per sempre quella cicatrice raggrinzita e arrossata. Le ustioni causate dai Fili non guarivano mai alla perfezione. Menolly dovette smettere di correre. Cominciava a sudare parecchio e la schiena le bruciava. Allentò la cintura della tunica, sventolando il lembo di cuoio sottile per rinfrescarsi le scapole. Superò la prima valle, superò il dosso roccioso e raggiunse quella successiva. Era meglio procedere con prudenza, lì in certi tratti l'acquitrino era profondo. Non c'era traccia delle erbe venate di giallo. L'estate precedente ne aveva visto un ciuffo due colline più avanti. Poi li sentì, e alzò atterrita gli occhi, nell'udire quei suoni inattesi nell'aria. Draghi? Si guardò intorno, convulsamente, cercando con lo sguardo il luccichio grigio dei Fili, a oriente. Il cielo verdazzurro era libero da quella temutissima foschia, ma c'era il battito delle ali dei draghi. Draghi? Non era possibile! Non svolazzavano così. I draghi volavano sempre in squadriglie ordinate, disegnando un motivo preciso sullo sfondo del cielo. Ma quelli sfrecciavano, guizzavano, si tuffavano e risalivano. Menolly si schermò gli occhi. Balenii azzurri, verdi, qualcuno marrone e poi... Certo, il sole si rifletteva aureo sul corpo sfrecciante che precedeva gli altri. Una regina! Una regina... così minuscola? Esalò il respiro che aveva trattenuto per lo sbalordimento. Una lucertola di fuoco regina? Sì, doveva essere. Solo le lucertole di fuoco potevano essere tanto piccole e avere l'aspetto di draghi. Non erano certamente wher. Ed i wher non si accoppiavano in volo. Eppure, era quello che Menolly stava vedendo: il volo nuziale di una lucertola regina, inseguita dai bronzei. Allora le lucertole di fuoco non erano una leggenda! (1) Sbalordita, Menolly ammirò quel volo veloce ed elegante. La regina aveva condotto il suo sciame così in alto che le lucertole più piccole, le azzurre, le verdi, le marro-
ni, erano state costrette a ridiscendere. Adesso volteggiavano a quote più basse, sforzandosi di mantenere la stessa direzione delle altre. Si tuffavano e sfrecciavano imitando la regina ed i bronzei. Dovevano essere lucertole di fuoco! pensò Menolly, e quasi il suo cuore si arrestò di fronte alla bellezza affascinante di quello spettacolo. Lucertole di fuoco! Ed erano veramente simili ai draghi. Ma molto, molto più piccole. Non per nulla, lei conosceva bene tutti gli insegnamenti: un drago regina era d'oro, e si accoppiava con il bronzeo in grado di seguire il suo volo. Ed era appunto ciò che stava accadendo ora con le lucertole di fuoco. Oh, erano bellissime! La regina s'era lanciata verso il so le e Menolly, sebbene avesse la vista acuta, riusciva appena a distinguere quel puntolino nero ed il gruppo che lo seguiva. Riprese a camminare, dietro al gruppo più numeroso delle lucertole di fuoco. Avrebbe scommesso qualunque cosa che sarebbe finita sulla costa presso le Pietre dei Draghi. L'autunno precedente suo fratello Alemi aveva affermato di avervi visto le lucertole di fuoco, all'alba, intente a nutrirsi di codamignoli, nelle acque basse. Il suo racconto aveva provocato un altro attacco di ciò che Petiron chiamava «la febbre delle lucertole». Tutti i ragazzi della Tenuta Marina avevano fatto progetti per prendere in trappola una lucertola di fuoco. Avevano tormentato a lungo Alemi perché ripetesse ciò che aveva visto. Per fortuna le rocce erano inavvicinabili. Neppure un barcaiolo esperto poteva sfidare quelle correnti infide. Ma, se qualcuno fosse stato sicuro che là c'erano le lucertole di fuoco.. Bene, da lei non l'avrebbe saputo nessuno. Anche se Petiron fosse stato vivo, decise Menolly, non l'avrebbe detto neppure a lui. Petiron non aveva mai visto una lucertola di fuoco, sebbene avesse confermato ai bambini che, secondo le Cronache quegli esseri esistevano davvero. «Le hanno viste,» le aveva detto più tardi. «Ma è impossibile catturarle.» E le aveva strizzato l'occhio. «La gente ha cercato di riuscirci fin dai tempi in cui si schiuse il primo uovo.» «E perché non si possono catturare?» «Non vogliono farsi prendere. Sono furbe. Spariscono...» «Vanno in mezzo come i draghi?» «Non è dimostrato,» aveva detto Petiron, un po' stizzito, come se lei fosse troppo presuntuosa a istituire un paragone fra le lucertole di fuoco e i grandi
draghi di Pern. «E dove potrebbero andare, altrimenti?» aveva chiesto Menolly. «Che cos'è in mezzo?» «Un luogo che non esiste,» le aveva risposto Petiron, rabbrividendo. «Non sei né qui né là.» E aveva indicato prima un angolo della Sala, poi la Caverna dell'Attracco, dall'altra parte del porto. «È freddo, è il nulla. Non si vede niente, non si ode niente, non ci sono sensazioni.» «Tu hai viaggiato a dorso di drago?» Menolly era rimasta molto impressionata. «Una volta. Molti Giri fa.» Petiron era stato scosso da un altro brivido, al ricordo. «Ora, dato che siamo entrati in argomento, cantami il Canto dell'Enigma.» (2). «L'Enigma è stato risolto. Perché dobbiamo impararlo anche ora?» «Cantalo per me, così saprò che lo sai, ragazza mia,» aveva ribattuto Petiron, irritandosi. Ma non era una ragione valida... Tuttavia Petiron era stato molto buono con lei; Menolly lo sapeva, e si sentì stringere la gola per l'angoscia della sua morte. (Era andato in mezzo? Come facevano i draghi quando perdevano i loro cavalieri o erano troppo malandati per volare? No, quando uno andava in mezzo, di lui non restava nulla. Petiron aveva lasciato il suo corpo, che era stato affidato al mare.) E Petiron aveva lasciato non soltanto il suo corpo: aveva lasciato a lei tutti i canti che aveva conosciuto, tutti i lamenti, le ballate, le saghe, gli arpeggi e le misure e i ritmi. Non c'era uno strumento a corde che lei non conoscesse, né una cadenza dei tamburi che non sapesse eseguire a tempo perfetto. Sapeva zufolare doppi trilli, come un Wherry, con la lingua e con il flauto. Ma forse c'erano state alcune cose che Petiron non aveva voluto o potuto dirle, del suo mondo. Menolly si chiedeva se era così perché era soltanto una ragazza e c'erano misteri che solo le menti maschili potevano comprendere. «Bene,» aveva detto una volta Mavi a Menolly e Sella, «vi sono enigmi femminili che nessun uomo può risolvere, quindi il conto è in parità.» «Ed ecco un punto in più per le donne,» disse Menolly, seguendo le lucertole di fuoco. Una ragazza aveva visto ciò che tutti i ragazzi e tutti gli uomini della Tenuta Marina avevano soltanto sognato... Le lucertole avevano rinunciato a seguire la regina e i bronzei e adesso si abbandonavano a giocose battaglie aree, lanciandosi di tanto in tanto in picchiata verso il suolo. A volte sembravano addirittura tuffarsi sottoterra. Poi
Menolly si rese conto che dovevano trovarsi sulla spiaggia. La sabbia era sdrucciolevole, sotto i suoi piedi. Un passo incauto poteva farla precipitare in una buca. Adesso sentiva il suono del mare. Cambiò direzione, tenendosi fra i ciuffi più folti delle ruvide erbe palustri. Là il terreno era più compatto, e lei sarebbe stata meno visibile per le lucertole di fuoco. Giunse ad una piccola altura, che scendeva scoscesa verso la spiaggia. Le Pietre dei Draghi erano laggiù, nel mare, un po' velate dalla foschia del caldo. Sentiva le lucertole di fuoco trillare e cinguettare. Si acquattò tra l'erba e poi, sdraiandosi carponi, salì strisciando fino al ciglio dell'altura, sperando di poter scorgere ancora le bestiole alate. Erano visibili... deliziosamente visibili. C'era bassa marea, e le lucertole erano indaffaratissime nelle acque basse strappavano le conchiglie chiamate «sassetti» dai macigni scoperti o sguazzavano sulla stretta battigia di sabbia rossa e bianca, facevano il bagno con entusiasmo nelle piccole pozze e spiegavano le ali delicate per asciugarle. Ogni tanto c'era un movimento frenetico, quando due lucertole di fuoco si disputavano lo stesso boccone. In questo soltanto, pensò Menolly, dovevano essere diverse dai draghi, non aveva mai saputo che i draghi si battessero tra loro, per qualunque ragione. Aveva sentito dire che lo spettacolo dei draghi che mangiavano con i branchi di corridori e di wherry era orribile. I draghi non si nutrivano molto spesso, ed era un bene, altrimenti tutte le risorse di Pern non sarebbero bastate a sfamarli. Chissà se i draghi gradivano il pesce? Menolly ridacchiò, chiedendosi se in mare esistevano pesci abbastanza grossi per soddisfare l'appetito di un drago. Probabilmente sì: quei pesci leggendari che sfuggivano sempre alle reti della Tenuta Marina. Il Semicerchio inviava le sue decime di prodotti marini, salati, affumicati o in salamoia, al Weyr di Benden. Qualche volta un dragoniere veniva a chiedere pesce fresco per un banchetto eccezionale, magari in occasione di una Schiusa. E le donne del Weyr venivano sempre, la primavera e l'autunno, a raccogliere le bacche o a tagliare i giunchi e le erbe. Una volta, Menolly aveva servito Manora, la sovrintendente delle Caverne Inferiori di Benden, una donna gentile e simpatica (3). Menolly non aveva potuto restare a lungo nella stanza perché Mavi aveva mandato fuori le figlie, annunciando che doveva parlare con Manora. Ma Menolly l'aveva vista abbastanza a lungo per concludere che era veramente simpatica. All'improvviso, l'intero sciame di lucertole s'innalzò, sorpreso dal ritorno della regina e del bronzeo che l'aveva accompagnata nel volo nuziale. I due si
posarono stancamente nelle tepide acque poco profonde, con le ali spiegate come se fossero troppo esausti per ripiegatile sul dorso. Il bronzeo intrecciò teneramente il collo intorno al collo della regina, e continuarono a galleggiare così, mentre gli azzurri, eccitati, offrivano alla coppia qualche codamignolo e qualche conchiglia-sassetto. Affascinata, Menolly le guardava dietro lo schermo d'erba marina. Poi, poco a poco, sole o appaiate, le lucertole di fuoco più piccole s'involarono verso la prima roccia cinta dal mare, e scomparvero alla vista di Menolly, nascondendosi nei piccoli crepacci che erano i loro weyr. Con elegante dignità, la regina e il suo compagno bronzeo si alzarono dall'acqua. Menolly non capiva come riuscissero a volare, con le ali lucenti tanto vicine. Sfrecciarono verso l'alto, poi planarono in una lenta spirale sulle Pietre dei Draghi, e sparirono agli occhi della ragazza. Soltanto allora lei si accorse che il sole caldo le batteva dolorosamente sulla schiena, e la sabbia s'infilava nella cintura dei calzoni e nelle scarpe e le aderiva alla faccia e alle mani sudate. Cautamente, si ritrasse dal ciglio dell'altura. Se le lucertole di fuoco avessero saputo che le aveva spiate, forse non sarebbero più ritornate in quella caletta. Quando ritenne di essersi allontanata abbastanza, si rialzò e corse via, stando curva. Si sentiva privilegiata, come se fosse stata invitata al Weyr di Benden. Batté i piedi, felice e poi, scorgendo nell'acquitrino ciuffi di grosse canne palustri, ne colse una, in riva all'acqua. Suo padre le aveva portato via il gitar: ma per creare la musica esistevano altri materiali, non soltanto le corde tese su una cassa. Menolly misurò la lunghezza adatta della canna e tagliò il resto. Praticò con destrezza sei fori in alto e due in fondo, come le aveva insegnato Petiron: e dopo pochi minuti stava suonando il suo flauto di canna. Era uno motivo vivace e gaio, perché lei era felice. Una melodia su una piccola lucertola regina, posata su una roccia nel mare lambente, che si faceva bella per l'estasiato bronzeo. Incontrò qualche difficoltà con le serie obbligate e si sorprese a cambiare le chiavi; ma, quando ebbe riprovato diverse volte il motivo, decise che le piaceva. Sembrava così diverso dalle melodie che le aveva insegnato Petiron, diverso dalla forma tradizionale. E poi, era più adatto alle lucertole di fuoco: agile, furtivo, un po' misterioso.
Menolly smise di suonare, perplessa. Chissà se i draghi conoscevano l'esistenza delle lucertole di fuoco? (1) Le lucertole di fuoco si rivelano essere anche loro una leggenda con basi reali in La cerca del drago, ed hanno una loro funzione in Il drago bianco (N. d. C). (2) Il canto che descriveva quel che avveniva al passaggio della Stella Rossa e quel che dovevano fare i Weyr, e il cui significato, dopo secoli, era stato dimenticato. Cfr. Volo di drago, parte II (N. d. C). (3) Cfr Volo di drago, parte II (N. d. C). III Signore, osserva; Proprietario, impara qualche cosa di nuovo ad Ogni Giro. Il più antico può essere il più freddo. Devi intuire il giusto: trova il vero! Quando Menolly ritornò finalmente alla Tenuta Marina, il cielo si stava oscurando. La Sala era animata dalla solita attività che concludeva il giorno. I più anziani apparecchiavano le tavole, riordinavano e chiacchieravano come se non si vedessero da molti Giri, invece di essersi incontrati soltanto quella mattina. Con un po' di fortuna, pensò Menolly, avrebbe potuto portare il suo sacco alle stanze dell'acqua... «Dove sei andata a prendere quelle verdure, Menolly? A Nerat?» Sua madre apparve all'improvviso davanti a lei. «Quasi.» Subito Menolly si accorse che quella risposta impertinente era intempestiva. Mavi afferrò sgarbatamente il sacco e guardò all'interno con aria critica. «Se non hai raccolto qualcosa di decente... Hanno avvistato una vela.» «Una vela?» Mavi chiuse il sacco e lo rimise tra le mani di Menolly. «Sì, una vela. Avresti dovuto ritornare da ore. Cosa ti ha preso di andare tanto lontano quando i Fili...» «Non c'erano verdure più vicine...»
«Quando i Fili possono cadere da un momento all'altro? Sei doppiamente stupida.» «Non c'era un grande pericolo. Ho visto un dragoniere che faceva la ronda...» Mavi sospirò soddisfatta. «Grazie al cielo siamo vincolati a Benden. Quello è un Weyr come si deve.» Spinse la figlia verso la cucina. «Porta le verdure e assicurati che le ragazze le ripuliscano bene dalla sabbia. Chissà chi sta arrivando?» Menolly attraversò il trambusto della cucina, mentre parecchie donne che vedevano in lei una possibile aiutante le gridavano ordini. Lei si limitò a mostrare il sacco e scese alle stanze dell'acqua. Là c'erano alcune donne, anziane ma ancora efficienti, che lustravano con la sabbia i piatti e i vassoi metallici più belli. «Ho bisogno di un bacile per le verdure, zie,» disse Menolly, accostandosi alla fila degli acquai di pietra. «Le verdure sono più adatte alle vecchie mani della sabbia,» disse una delle donne con voce tremula e stanca, e si affrettò a deporre la sua pila di piatti nell'acquaio vicino, togliendo il tappo. «C'è più sabbia nelle verdure,» commentò un'altra in tono acido. «Sì, ma dalle verdure si toghe,» replicò la prima. «Oh, e che belle erbe venate di giallo. Dove le hai trovate in questa stagione, figlia?» «Sono arrivata quasi a Nerat.» Menolly represse un sorriso nel sentire gli strilli sbigottiti delle donne. Quelle non si allontanavano mai dalla Tenuta, e ai massimo si spingevano sul cornicione di fronte, in una giornata di sole. «Con i Fili che cadono? Cattiva!» «Hai saputo della vela?» «Chi credi che sia?» «Il nuovo Arpista, chi altro?» Vi fu un coro di risate starnazzanti, seguito dalle ipotesi più fantasiose sul possibile aspetto del nuovo Arpista. «Qui ne mandano sempre uno giovane.» «Petiron era vecchio!» «È invecchiato. Come noi!» «E come puoi ricordarlo?» «Perché no? Ho visto molti più Arpisti di te, qui, ragazza mia.» «Non è vero! Io sono venuta dalle Sabbie Rosse di Ista...» «Sei nata al Semicerchio, vecchia sciocca, e io ti ho aiutata a venire al mondo!» «Ah!»
Menolly ascoltò la discussione tra le quattro vecchie fino a quando sentì la voce di sua madre che voleva sapere se le verdure erano state lavate. E dov'erano i piatti belli, e come poteva sperare che si sbrigassero i lavori, se tutte continuavano a spettegolare? Menolly trovò uno scolatoio abbastanza grande per contenere tutte le verdure lavate e le portò alla madre perché le esaminasse. «Bene, basteranno per la tavola principale,» sentenziò Mavi, rigirando con la forchetta il mucchio lucido. Poi fissò la figlia. «Non puoi presentarti così. Ecco, Bardie, prendi la verdura e preparala. Il condimento è nella fiasca scura sul quarto ripiano nella camera fredda. E tu, Menolly, fammi la cortesia di ripulirti dalla sabbia e di vestirti in modo decente. E devi occuparti del Vecchio Zio. Appena apre la bocca, rimpinzalo, o lo sentiremo protestare per tutta la notte.» Menolly gemette. Il Vecchio Zio puzzava e continuava a parlare e a parlare. «Sella è molto più brava di me, Mavi...» «Sella deve occuparsi della tavola principale. Tu fai quello che ti viene detto, e ringrazia ancora!» Mavi fissò con occhio severo la figlia ribelle, per ricordarle che era in disgrazia. Poi fu chiamata altrove a controllare una salsa per il pesce al forno. Menolly si diresse verso i bagni, cercando di convincersi che era fortunata a non venire completamente bandita dalla Sala, quella sera. Anche se occuparsi del Vecchio Zio era quasi peggio del bando. L'onore obbligava il Proprietario della Tenuta Marina a radunare tutti i suoi familiari per ricevere il nuovo Arpista. Menolly si tolse la tunica ed i calzoni sporchi e s'immerse nella vasca calda. Mosse le spalle perché l'acqua le ripulisse della sabbia e del sudore senza che la schiena le facesse troppo male. Anche i capelli erano sabbiosi, e se li lavò. Si sbrigò in fretta perché sapeva che avrebbe avuto parecchio da fare con il Vecchio Zio. Sarebbe stato meglio sistemarlo accanto al focolare prima che tutti si radunassero per la cena. Drappeggiandosi addosso gli abiti sporchi, Menolly si augurò che ci fosse poca gente in giro a quell'ora, nella parte alta della Tenuta, e salì correndo la scala semibuia che portava dai bagni ai piani delle camere da letto. Tutte le lampade-cesto del corridoio principale erano aperte, il che significava che l'Arpista, se si trattava veramente di lui, più tardi sarebbe stato accompagnato
a visitare la Tenuta. Menolly scese a precipizio la scaletta che portava ai dormitori delle ragazze e arrivò nella sua stanzetta senza che nessuno la vedesse. Quando, più tardi, giunse nella camera del Vecchio Zio, dovette lavargli la faccia e le mani e infilargli una tunica pulita sulle spalle ossute. Intanto, lui continuava a chiacchierare del sangue nuovo arrivato alla Tenuta e, ih-ih, chi avrebbe sposato il nuovo Arpista. Lui aveva qualcosa da dire all'Arpista, se ne avesse avuto l'occasione, e perché lei doveva essere così brusca? Gli dolevano le ossa. Senza dubbio, il tempo stava per cambiare, perché le sue vecchie gambe non mancavano mai di segnalarlo. Non li aveva avvertiti della grande tempesta, poco prima? Erano andate perdute due barche con gli equipaggi. Se avessero prestato attenzione al suo monito, non sarebbe mai successo. Suo figlio era peggio di tutti, perché non ascoltava mai i suoi consigli, lei perché gli faceva tanta fratta? A lui piaceva prendersela comoda. No, non poteva mettere la tunica azzurra? Quella che gli aveva fatto sua figlia e che aveva lo stesso colore dei suoi occhi, gli aveva detto. E perché Turlon non era venuto a vederlo, quel giorno, come lui aveva chiesto tante volte, ma ormai chi gli dava più ascolto? Il vecchio era così fragile che per una ragazza forte come Menolly non era un impaccio. Lo portò giù per le scale, mentre lui continuava a lagnarsi di persone morte prima ancora che lei nascesse. Il Vecchio Zio aveva una nozione del tempo molto confusa, le aveva detto Petiron. I ricordi più vividi, nella sua mente, erano quelli dei tempi andati, quando lui era il Proprietario della Tenuta Marina del Semicerchio, prima che la cima aggrovigliata di un peschereccio gli tranciasse le gambe sotto il ginocchio. Quando Menolly entrò con lui, la Grande Sala era già quasi pronta per ricevere gli ospiti. «Stanno entrando nella Caverna,» disse qualcuno mentre Menolly sistemava il Vecchio Zio sul suo seggio speciale accanto al fuoco. Lo avvolse nelle morbide pelli di wher e legò la cinghia che lo avrebbe tenuto diritto. Quando si agitava, il Vecchio Zio dimenticava spesso di non avere più i piedi. «Chi è che entra nella Caverna? Chi è arrivato? Cos'è tutto questo chiasso?» Menolly glielo disse, e al vecchio si calmò; ma dopo pochi istanti chiese in tono querulo se qualcuno gli avrebbe dato da mangiare o se avevano intenzione di lasciarlo senza cena. Sella, con indosso l'abito che aveva impiegato tutto l'inverno per confezio-
narsi, passò sgonnellando davanti a Menolly e le mise in mano un pacchetto. «Fagli mangiare questi, se diventa troppo noioso.» E scappò via prima che lei potesse dire una parola. Menolly aprì il pacchetto e trovò le palline dolci preparate con le alghe e insaporite con semi d'erba purpurea. Si potevano masticare per ore, e mantenevano la bocca umida e fresca. Non c'era da stupirsi che Sella riuscisse a tener buono il Vecchio Zio. Menolly ridacchiò, poi si chiese perché sua sorella era tanto premurosa. Avrebbe dovuto essere ben felice di apprendere che Menolly era stata spodestata come Arpista. O forse non lo sapeva? Mavi non doveva averglielo detto. Ma, ormai l'Arpista era arrivato. Adesso che aveva sistemato il Vecchio Zio, Menolly si lasciò vincere dalla curiosità e andò alle finestre. Non c'era traccia della vela nel porto, ora: ma poteva vedere il gruppo di uomini che, tenendo alte le lampade-cesto, giravano intorno alla spiaggia, dall'Attracco alla Tenuta. Sebbene avesse la vista acuta, Menolly non riuscì a distinguere le facce nuove. Il Vecchio Zio attaccò con voce acuta uno dei soliti monologhi, e Menolly si affrettò a tornare da lui prima che la madre si accorgesse che aveva abbandonato il suo posto. C'era un grande trambusto: chi posava i piatti sui tavoli, chi versava il vino del benvenuto, e tutti si preparavano ad accogliere gli ospiti. Nessuno badava a quello che faceva Menolly. Proprio in quel momento, il Vecchio Zio si scosse, con gli occhi lucidi puntati verso di lei. «Cos'è tutto questo movimento oggi, ragazza? Una buona pesca? Qualcuno che se ne va? Cosa succede?» «Tutti pensano che stia arrivando un nuovo Arpista, Vecchio Zio.» «Un altro?» Il Vecchio Zio era disgustato. «Gli Arpisti non sono più quelli di un tempo, quando io ero il Proprietario della Tenuta, neppure per sbaglio. Mi ricordo un Arpista che avevamo...» La sua voce risuonò chiara nell'improvviso silenzio della Sala. «Menolly!» La voce di Mavi era bassa, ma il tono era inequivocabile. La ragazza si frugò nella tasca della gonna, trovò due palline dolci e le mise in bocca al Vecchio Zio che s'interruppe per masticare i due grossi oggetti e cominciò a borbottare soddisfatto tra sé. I piatti erano stati portati in tavola, e tutti sedettero prima che Menolly riuscisse a dare un'occhiata ai nuovi arrivati. Era il nuovo Arpista. Sentì il suo nome prima di vederlo in faccia. Elgion, l'Arpista Elgion. Sentì dire che era giovane e di bell'aspetto, e aveva portato due gitar, due flauti di legno e tre
tamburi, chiusi nelle rispettive custodie di pelle di wher rigida. Sentì dire che aveva sofferto parecchio il mal di mare durante la traversata della Baia di Keroon, e non faceva onore al ricco pranzo preparato per festeggiarlo. Insieme a lui era venuto un maestro della Sede dell'Arte dei Fabbri per sbrigare i lavori della nuova nave e le riparazioni troppo difficili per lo specialista dei metalli della Tenuta Marina. Sentì dire che alla Fortezza di Igen c'era necessità urgente di pesce salato e affumicato che il Semicerchio avrebbe potuto fornire. Dal punto dove Menolly stava seduta insieme al Vecchio Zio, riusciva a scorgere le teste e le schiene dei commensali seduti al tavolo principale e, qualche volta, il profilo d'uno dei visitatori. Era esasperante. Ed erano esasperanti anche il Vecchio Zio e gli altri parenti anziani, ai quali l'età dava diritto ad un posto accanto al fuoco. Le zie, come al solito, litigavano per le porzioni migliori di pesce; e il Vecchio Zio decise di richiamarle all'ordine, ma in quel momento aveva la bocca piena e si soffocò. Le zie se la presero con Menolly, accusandola di rimpinzarlo fino a farlo morire prematuramente. Menolly non riusciva a sentire nulla, in quel vociare. Cercò di accontentarsi della prospettiva di sentir cantare l'Arpista: lo avrebbe fatto sicuramente, al termine di quel pasto interminabile. Ma era così caldo, accanto al camino, ed il calore faceva puzzare più del solito il Vecchio Zio, e lei era stanchissima dopo le fatiche della giornata. Si assopì, e fu destata dai tonfi improvvisi di pesanti stivali da marinaio battuti a tempo. Si svegliò completamente e vide l'alta figura del nuovo Arpista che si alzava alla tavola principale. Teneva tra le braccia il gitar e aveva assunto una posa disinvolta, con un piede sulla panca di pietra. «Siete sicuri che questa sala non ondeggi?» chiese, strimpellando qualche accordo per provare l'accordatura dello strumento. Gli fu risposto che la Sala era ben salda da molti, molti Giri, e non ondeggiava mai. L'Arpista finse di non essere troppo rassicurato mentre intonava la corda del sol un poco più alta (con grande sollievo di Menolly). Poi fece gemere il gitar come se soffrisse il mal di mare. Una risata echeggiò tra gli ascoltatori impazienti. Menolly si sporse per vedere come la prendeva suo padre. Il Proprietario della Tenuta Marina non era molto spiritoso. L'arrivo di un Arpista era un'occasione assai seria, e sembrava che Elgion non se ne rendesse conto. Spesso Petiron aveva detto a Menolly che gli Arpisti venivano scelti scrupolosamente a seconda della Tenuta o della Fortezza cui erano destinati. Nessuno aveva avvertito Elgion del ca-
rattere di suo padre? All'improvviso, il Vecchio Zio spezzò il delicato strimpellio con una sghignazzata. «Ah! Un uomo di spirito. Ecco di cosa abbiamo bisogno in questa Tenuta... un po' di allegria. Un po' di musica! Ne sentivo la mancanza. Sentiamo qualche melodia briosa, qualche canzone divertente. Cantaci qualcosa da tenerci la pancia per le risate, Arpista. Sai bene che cosa mi piace.» Menolly era sbigottita. Si frugò nelle tasche per prendere qualche pallina dolce, mentre faceva tacere il Vecchio Zio. Era appunto il tipo d'incidente che lei doveva prevenire. L'Arpista Elgion s'era voltato a quell'ordine imperioso, inchinandosi rispettosamente al vecchio seduto presso il camino. «Vorrei poterti accontentare, Vecchio Zio,» disse in tono cortese. «Ma questi sono tempi seri.» E le sue dita trassero note profonde e cupe dallo strumento. «Molto seri, e dovremmo accantonare la spensieratezza e l'ilarità e prepararci ad affrontare i problemi che ci attendono...» E subito attaccò una nuova esortazione ad obbedire al Weyr e ad onorare i dragonieri. Le palline dolci si erano riscaldate e appiccicate alla stoffa della tasca, ma Menolly riuscì finalmente a estrarne alcune e a metterle fra le labbra del Vecchio Zio. Lui masticò rabbioso, rendendosi conto che gli avevano tappato la bocca e inghiottì in fretta per poter ricominciare a lagnarsi. Menolly notò appena che la nuova melodia era energica, le parole esaltanti. L'Arpista Elgion aveva una bella voce da tenore, forte e sicura. Poi il Vecchio Zio cominciò a singultare, rumorosamente, ed a protestare, o meglio a cercare di protestare fra i singulti. Menolly gli sibilò di trattenere il respiro, ma lui era furioso perché non gli permettevano di parlare e cominciò a pestare il pugno sul bracciolo del seggio. I tonfi formavano un contrappunto fuori tempo al canto dell'Arpista, e dalla tavola principale molti lanciarono a Menolly occhiate fulminanti. Una delle zie le passò un po' d'acqua per il vecchio, e lui la rovesciò addosso a Menolly. Poi Sella comparve, indicandole che dovevano riportarlo immediatamente nel suo alloggio. Il Vecchio Zio stava ancora singultando quando lo rimisero a letto; e continuò a gesticolare e a protestare. «Farai bene a restare con lui finché non si sarà calmato, Menolly, altrimenti cadrà dal letto. Perché non gli hai dato le palline dolci? Lo fanno sempre tacere,» disse Sella.
«Gliele ho date. E lo hanno fatto singhiozzare.» «Non ne sai fare una giusta, vero?» «Ti prego, Sella. Resta tu con lui. Sei così abile a quietarlo. Io me ne sono occupata tutta la sera e non ho sentito una parola...» «Tu avevi il compito di tenerlo buono. E tu non l'hai fatto. Quindi rimani tu.» E Sella uscì in fretta dalla stanza, lasciando Menolly alle prese con il vecchio. Così ebbe termine il primo dei giorni difficili di Menolly. Passarono ore prima che il vecchio si calmasse e si addormentasse. Poi, quando tornò, stanchissima, nella sua stanzetta, sopraggiunse sua madre per rimproverarla severamente per la sua noncuranza che aveva permesso al Vecchio Zio di mettere in imbarazzo l'intera Tenuta. Menolly non ebbe neppure la possibilità di giustificarsi. Il giorno dopo caddero i Fili, costringendo tutti a restare rinchiusi per ore nella Tenuta. Quando la Caduta terminò, lei dovette uscire con le squadre armate di lanciafiamme. L'orlo della Caduta aveva sfiorato le paludi, e furono costretti a procedere per ore nell'acquitrino e nella sabbia viscida. Era già abbastanza stanca quando tornò indietro; ma tutti dovettero aiutare a caricare le grandi reti ed a preparare le barche per la pesca notturna. Stava sopraggiungendo la marea. Il giorno dopo, appena sveglia, Menolly dovette sbuzzare e salare il pesce. Lavorò per tutto il giorno e andò a letto così sfinita che fece appena in tempo a togliersi gli abiti sporchi e a gettarsi sulle coperte di pelliccia prima di addormentarsi. Il giorno successivo fu dedicato al rammendo delle reti; di solito era un compito piacevole, perché allora le donne chiacchieravano e cantavano. Ma suo padre voleva che le reti venissero riparate in fretta, per poter approfittare di nuovo della marea serale e pescare durante la notte. Tutte si misero all'opera senza avere il tempo per parlare o cantare, mentre il Proprietario si aggirava in mezzo a loro. Sembrava che sorvegliasse Menolly più delle altre, e lei si sentiva impacciata. Fu allora che incominciò a domandarsi se il nuovo Arpista aveva trovato da ridire sul modo in cui i giovani avevano imparato le Ballate e le Saghe. Molto spesso, Petiron le aveva detto che c'era un solo modo per insegnarle e, poiché le aveva apprese da lui, doveva averle trasmesse fedelmente. E allora, perché suo padre sembrava così irritato con lei? Perché la guardava così minaccio-
samente? Era ancora arrabbiato perché aveva lasciato parlare il Vecchio Zio? Menolly si preoccupò al punto di chiederlo a sua sorella, quella sera, quando le barche presero finalmente il largo e tutti poterono riposarsi un momento. «Arrabbiato per il Vecchio Zio?» Sella alzò le spalle. «Che cosa stai dicendo, ragazza? Chi se ne ricorda più? Pensi troppo a te stessa, Menolly, questo è il tuo guaio. Perché Yanus dovrebbe curarsi di te?» Il tono di Sella ricordò a Menolly che lei era soltanto una ragazza, troppo alta per essere accettabile, e la più giovane d'una famiglia insignificante anche se, per questa ragione, appariva meno probabile che suo padre si accorgesse di lei. O si ricordasse i suoi misfatti. Ma si era rammentato che lei aveva cantato ai bambini le sue canzoni. O Sella l'aveva dimenticato? Ma Sella lo sapeva? Probabilmente, pensò Menolly mentre cercava di assestarsi più comodamente sulle vecchie canne. Ma del resto, se Sella diceva che Menolly pensava solo a se stessa, questo valeva ancora più per lei, che si curava solo del proprio aspetto. Sella era abbastanza grande per sposarsi in modo vantaggioso per la Tenuta. Suo padre aveva al momento tre soli figli adottivi, ma quattro dei sei fratelli di Menolly erano presso altre Tenute Marine, a imparare il mestiere. Adesso che c'era di nuovo un Arpista a parlare per tutti, forse ci sarebbe stato qualche cambiamento. Il giorno dopo, le donne della Tenuta lavarono i panni. Poiché la Caduta dei Fili era passata ed era una bella giornata di sole, potevano contare che si asciugassero in fretta. Menolly sperava di avere la possibilità di parlare con sua madre, per sapere se l'Arpista aveva criticato il suo modo d'insegnare, ma l'occasione non si presentò. Invece, Menolly si prese un altro rimprovero da Mavi per lo stato dei suoi abiti non rammendati, delle coperte di pelliccia del suo letto che non erano state arieggiate e per i suoi capelli in disordine, la sua aria sciatta e la sua pigrizia. Quella sera, Menolly si accontentò di prendere una scodella di zuppa e di sparire in un angoletto buio della grande cucina, pur di non farsi notare ancora. Continuava a domandarsi perché era oggetto di tanta incomprensione. Ripensava incessantemente al peccato che aveva commesso, strimpellando qualche battuta della sua canzone, alla sua colpa di essere una ragazza, e l'unica capace di suonare e d'insegnare in assenza di un vero Arpista. Sì, concluse alla fine: era quella, la vera ragione dello sfavore generale.
Nessuno voleva che l'Arpista sapesse che i bambini erano stati istruiti da una ragazza. Ma, se non li aveva istruiti bene, allora Petiron le aveva insegnato tutto a rovescio. E questo era impensabile. E se il vecchio aveva veramente scritto di lei al Maestro Arpista, il suo successore non si sarebbe incuriosito, non l'avrebbe cercata? Forse le sue canzoni non erano belle come aveva pensato il vecchio Petiron. O probabilmente non le aveva mai inviate al Maestro Arpista. E quel messaggio non la nominava neppure. Comunque, adesso la missiva era sparita dalla mensola della Sala delle Cronache. E se le cose fossero continuate così, Menolly non sarebbe mai riuscita ad avvicinare Elgion, a presentarsi a lui. Sicuro come il fatto che sorgeva il sole, Menolly indovinava ciò che avrebbe dovuto fare l'indomani... raccogliere altre erbe e canne per imbottire di nuovo tutti i letti della Tenuta. Era il tipo di lavoro che sua madre avrebbe escogitato per qualcuna caduta in disgrazia. Ma si sbagliava. I pescherecci rientrarono in porto poco dopo l'alba, con le stive piene di striscegialle e di codatozza. Tutti, nella Tenuta, cominciarono a sbuzzarli, salarli e a preparare la caverna dell'affumicatura. Fra tutti i pesci del mare, Menolly detestava soprattutto il codatozza. Era un pesce orribile, pieno di spine aguzze, e secerneva un viscidume oleoso che ustionava le mani e faceva staccare la pelle. I codatozza erano quasi solo testa e bocca: ma se si tagliava la parte anteriore, si poteva staccare dalla spina la coda tozza e rotonda. Fresca, alla griglia, era squisita; affumicata, si poteva mettere a mollo, più tardi, per bollirla o cuocerla al forno, ed era saporita come il giorno della cattura. Ma i codatozza erano i pesci più duri, più difficili e puzzolenti da sbuzzare. A metà della mattinata, il coltello di Menolly scivolò sul pesce che stava tagliando, e le squarciò il palmo sinistro. Il dolore e il trauma furono così grandi che lei restò lì, immobile, a fissare stupidamente le ossa esposte, fino a quando Sella si accorse che non teneva il ritmo delle altre. «Menolly, stai sognando... Oh, per l'amor di... Mavi! Mavi!» Sella sapeva essere irritante, ma non perdeva facilmente la testa. Afferrò subito il polso di Menolly arrestando il fiotto di sangue che sgorgava dall'arteria recisa. Quando Mavi arrivò e la condusse lontana dagli altri che lavoravano furiosamente, Menolly si sentì pervadere da un senso di colpa. Tutti la guardavano male, come se si fosse ferita apposta per poter oziare. Erano l'umiliazione e quelle accuse silenziose a riempirle gli occhi di lagrime, non il dolore alla
mano. «Non l'ho fatto apposta,» balbettò a sua madre mentre entravano nell'infermeria della Tenuta. Sua madre la fissò. «E chi ha detto che l'hai fatto apposta?» «Nessuno! Mi guardavano però tutti in un modo...» «Ragazza mia, tu pensi troppo a te stessa. Ti assicuro che nessuno pensava una cosa del genere. Adesso tieni la mano così per un momento.» Il sangue fiottò quando Mavi allentò la pressione sul tendine del polso. Per un momento, Menolly pensò di essere sul punto di svenire, ma era decisa a non pensare più a se stessa. Finse che non fosse neppure sua, la mano che Mavi si accingeva a medicare. Mavi le fissò un laccio al polso e lavò la ferita con una pungente lozione d'erbe. La mano di Menolly s'intorpidì, accrescendo il suo distacco dalla ferita. L'emorragia cessò, ma Menolly non trovò il coraggio di guardare la piaga. Spiò invece l'espressione intenta di sua madre, mentre cuciva in fretta il vaso sanguigno reciso e chiudeva il lungo taglio. Poi spalmò una quantità di unguento sulla mano e l'avvolse in strisce di tela morbida. «Ecco fatto. Spero di aver estratto dalla ferita tutto il viscidume del codatozza.» Il dubbio e la preoccupazione fecero accigliare Mavi, e Menolly si spaventò. All'improvviso ricordò altri episodi, donne che avevano perduto le dita e... «La mano guarirà, vero?» «Speriamo.» Mavi non mentiva mai, e il nodo di fredda paura cominciò ad allentarsi nello stomaco di Menolly. «Dovresti farcela a usarla. Quanto basta a tutti i fini pratici.» «Cosa vorresti dire? A tutti i fini pratici? Non potrò più suonare?» «Suonare?» Mavi rivolse alla figlia una lunga occhiata dura, come se avesse detto qualcosa di proibito. «Hai finito di suonare, Menolly. Ormai non insegnerai più...» «Ma il nuovo Arpista ha canzoni nuove... la ballata che ha cantato la prima sera... Non l'ho mai sentita tutta. Non conosco gli accordi. Voglio imparare...» S'interruppe, atterrita dall'espressione chiusa del viso di sua madre, dalla sua occhiata di commiserazione. «Anche se le tue dita funzioneranno, dopo quel taglio, non suonerai più. Sii contenta che Yanus sia stato così indulgente mentre il vecchio Petiron era
morente...» «Ma Petiron...» «Basta con questi ma Su, bevi questo. Voglio che tu vada a letto prima che ti faccia addormentare. Hai perso parecchio sangue, e non posso lasciare che svenga mentre cammini.» Stordita dalle parole della madre, Menolly sentì appena il sapore amaro del vino alle erbe. Barcollando nonostante l'aiuto della madre, salì la scala di pietra che portava alla sua stanzetta. Aveva freddo nonostante le coperte di pelliccia, freddo nello spirito. Ma il vino era stato abbondantemente addizionato d'erbe, e lei non riuscì a resistere all'effetto. Il suo unico pensiero conscio fu doloroso: la consapevolezza di essere stata defraudata della sola cosa che le aveva reso sopportabile la vita. Ora sapeva cosa doveva provare un cavaliere privato del suo drago. IV Nero, più nero, nerissimo, più freddo del gelo stridente. Dov'è in mezzo quel tempo in cui niente vive oltre alle ali dei draghi? Sebbene sua madre avesse pulito accuratamente la ferita, la sera Menolly aveva la mano gonfia ed era febbricitante. Una delle vecchie zie l'assisteva, posandole pezze fredde sulla testa e sul viso e mugolando gentilmente quella che secondo lei era una canzone consolatrice. Ma si trattava di un'idea sbagliata perché, persino nel delirio, Menolly ricordava che adesso la musica le era vietata. Divenne ancora più irritata e irrequieta. Alla fine, Mavi le fece bere una dose abbondante di succo di fellis e di vino, e lei cadde in un sonno profondo. Fu una fortuna, per lei, perché la mano si era gonfiata al punto da rendere evidente che un po' del muco del codatozza le era arrivato nel sangue. Mavi mandò a chiamare una donna della Tenuta esperta in quelle cose. Fortunatamente per Menolly, dopo il consulto decisero di togliere i rozzi punti, per permettere un miglior drenaggio dell'infezione. Continuarono a far bere a Menolly pozioni soporifere e cambiarono ogni ora gli impiastri caldi sulla mano e sul braccio.
L'infezione dei codatozza era perniciosa, e Mavi temeva che sarebbero stati costretti ad amputare il braccio di Menolly, per impedire che si espandesse ancora di più. Era sempre al fianco della figlia, con una premura che avrebbe stupito e consolato Menolly se ne fosse stata cosciente. Ma poi, la sera del quarto giorno, le striature rosse sparirono dal braccio gonfio della ragazza. Anche la tumefazione si ridusse, ed i labbri del terribile squarcio assunsero il colore più sano della carne che si rimarginava. Nel delirio, Menolly continuava a supplicare tutti che la lasciassero suonare ancora, una volta soltanto; e il suo tono era così patetico che Mavi si sentiva spezzare il cuore al pensiero che la sorte l'aveva reso impossibile. La mano sarebbe rimasta storpiata per sempre. E in fondo era un bene, perché alcune delle domande del nuovo Arpista irritavano Yanus. Elgion voleva sapere chi aveva fatto imparare ai bambini i Canti e le Ballate dell'insegnamento. All'inizio, pensando che Menolly non fosse stata affatto abile come tutti avevano creduto, Yanus aveva detto a Elgion che quel compito se l'era assunto un figlio adottivo, poi ritornato alla sua Tenuta poco prima dell'arrivo dell'Arpista. «Chiunque fosse, aveva la stoffa di un buon Arpista,» disse Elgion al Proprietario. «Il vecchio Petiron era un insegnante eccellente.» Quella lode inaspettata inquietò Yanus. Non poteva rimangiarsi le sue parole, e non voleva ammettere di fronte a Elgion che si trattava di una ragazza. Perciò decise di lasciare le cose come stavano. Menolly era ormai troppo grande per frequentare le lezioni, e lui avrebbe provveduto a tenerla occupata fino a quando si fosse convinta che l'idea di suonare era stata un capriccio infantile. Almeno, lei non aveva disonorato il Semicerchio. Naturalmente gli dispiaceva che la ragazza si fosse ferita in modo tanto grave, e non soltanto perché era una buona lavoratrice. Comunque, l'incidente l'avrebbe tenuta lontana dall'Arpista fino a quando avesse dimenticato le sue sciocche manie. Ma un paio di volte, durante la malattia di Menolly sentì la mancanza della sua voce dolce e limpida nel controcanto, come lei aveva cantato insieme a Petiron. Comunque, scacciò quel pensiero. Le donne avevano ben altro da fare che starsene sedute a suonare. C'erano molte novità sensazionali nelle Tenute, nelle Fortezze e nei Weyr, secondo quel che gli aveva riferito privatamente Elgion. E c'erano anche guai, abbastanza preoccupanti per distogliere la sua mente dal pensiero d'una ragazza ferita.
Una delle domande che l'Arpista Elgion gli rivolgeva spesso riguardava la posizione della Tenuta Marina nei confronti del suo Weyr, Benden. Elgion voleva sapere se avevano contatti frequenti con gli Antichi del Weyr di Ista. Cosa provavano Yanus e i suoi nei confronti dei dragonieri? E nei confronti del Comandante e della Dama del Weyr di Benden? Si risentivano perché i cavalieri dei draghi andavano in Cerca di ragazzi e di ragazze nelle Fortezze, le Tenute e le Sedi delle Arti per farli diventare dragonieri a loro volta? Yanus o qualcuno della sua Tenuta aveva mai avuto occasione di assistere ad una Schiusa? Yanus rispondeva alle domande in modo laconico e, all'inizio, parve che questo soddisfacesse l'Arpista. «Il Semicerchio ha sempre pagato le decime al Weyr di Benden, anche prima che cadessero i Fili. Sappiamo qual è il nostro dovere verso il nostro Weyr, e loro fanno ciò che devono nei nostri confronti. Non un solo Filo è riuscito a scavarsi un tana da quando sono incominciate le Cadute, sette o più Giri fa (1). «Gli Antichi? Bene, dato che il Semicerchio è vincolato a Benden, non vediamo spesso quelli degli altri Weyr, assai meno di quanto li vedano gli abitanti di Keroon o di Nerat quando una Caduta supera i confini tra due Weyr. Siamo stati ben felici, quando gli Antichi hanno accettato di trasferirsi in mezzo per tanti Giri, per venire ad aiutarci. «I dragonieri sono sempre benvenuti al Semicerchio. In primavera e in autunno, le loro donne vengono qui, a raccogliere i prugnoli delle sabbie e le bacche palustri, e le erbe. Possono prendersi tutto quello che vogliono. «Non ho mai incontrato Lessa, la Dama del Weyr. La vedo di tanto in tanto volare, sul dorso di Ramoth, la sua regina, dopo una Caduta. Il Comandante del Weyr, F'lar, è un uomo straordinario. «La Cerca? Se trovassero un ragazzo adatto, qui al Semicerchio, per noi sarebbe un onore, e gli daremmo licenza di andare.» Quel problema, tuttavia, non aveva mai preoccupato il Proprietario della Tenuta Marina: nessuno, al Semicerchio, aveva mai risposto ad una Cerca. Ed era meglio così, pensava tra sé Yanus. Se un ragazzo fosse stato scelto, tutti gli altri della Tenuta avrebbero protestato per l'ingiustizia. E sui mari di Pern bisognava pensare al lavoro e non ai sogni. Era già un guaio che quelle dannate lucertole di fuoco apparissero di tanto in tanto presso le Pietre dei Draghi. Ma dato che nessuno poteva avvicinarsi a quegli scogli per catturarne
una, non era niente di male. Se il nuovo Arpista giudicava il Proprietario del Semicerchio un uomo privo d'immaginazione, lavoratore ma fossilizzato, era comunque preparato a quella situazione. Il suo problema era che aveva il compito di provocare un cambiamento, inizialmente sottile, nella realtà che aveva trovato, perché Robinton, il Maestro Arpista, voleva che i suoi artigiani inducessero i Signori, i Proprietari e i Maestri delle Arti a interessarsi a qualcosa di più, al di fuori degli interessi immediati delle loro terre, delle loro Sedi, della loro gente. Gli Arpisti non si limitavano semplicemente a cantare ed a narrare: erano gli arbitri della giustizia, i confidenti dei Signori e dei Maestri delle Arti... e plasmavano i giovani. Adesso più che mai era necessario modificare le mentalità sclerotizzate e indurre tutti quanti, partendo dai giovani per finire con i vecchi, a vedere Pern come qualcosa di più del tratto limitato di territorio che loro mantenevano libero dai Fili e dei problemi di quell'area particolare. C'erano molte vecchie consuetudini che avevano bisogno di uno scossone, di una revisione. Se F'lar del Weyr di Benden non avesse apportato qualche cambiamento rivoluzionario, se Lessa non avesse compiuto il suo fantastico volo quattrocento Giri nel passato per portare i dragonieri dei cinque Weyr scomparsi. Pern avrebbe agonizzato sotto la pioggia dei Fili, senza più vegetazione sulla superficie. I Weyr ci avevano guadagnato, e anche Pern. E anche le Fortezze, le Tenute e le Arti potevano guadagnarci, se erano disposte a prendere in considerazione idee nuove. Il Semicerchio poteva espandersi, pensava Elgion. Gli alloggi attuali erano troppo ristretti. I bambini gli avevano riferito che c'erano altre grotte nelle scogliere adiacenti. E la Caverna dell'Attracco poteva ospitare ben più della trentina di pescherecci che vi trovavano un rifugio sicuro. In generale, tuttavia, Elgion era piuttosto sollevato quando considerava la situazione, dato che quello era il suo primo incarico come Arpista. Aveva un appartamento ben arredato nella Tenuta, vitto a sufficienza, anche se la dieta a base di pesce avrebbe finito presto per disgustare un individuo abituato alla carne rossa; e gli abitanti della Tenuta Marina erano in generale abbastanza simpatici, anche se un po' tetri e austeri. C'era solo una cosa che lo sconcertava: chi aveva istruito così alla perfezione i bambini? Il vecchio Petiron aveva comunicato al Maestro Arpista che al Semicerchio c'era una persona probabilmente destinata a comporre canti, e aveva incluso due melodie che avevano molto impressionato Robinton. Inol-
tre, Petiron aveva avvertito che ci sarebbe stata qualche difficoltà, alla Tenuta Marina a causa di quella persona. Il nuovo Arpista - perché Petiron sapeva di essere prossimo alla morte quando aveva scritto a Robinton - avrebbe dovuto muoversi con moka prudenza. Era una Tenuta che stava molto sulle sue e osservava tutte le antiche consuetudini. Perciò Elgion non aveva parlato del compositore di canzoni, sicuro che il ragazzo si sarebbe fatto vivo. Era difficile reprimere la musica e, a giudicare in base alle due canzoni mostrate a Elgion, quel ragazzo aveva innegabili doti musicali. Tuttavia, se era un figlio adottivo e aveva lasciato la Tenuta, lui sarebbe stato costretto ad attenderne il ritorno. In breve tempo, Elgion era riuscito a visitare tutti i vari abitanti più piccoli della scogliera del Semicerchio, e aveva imparato a conoscere per nome parecchia gente. Le ragazze civettavano con lui o lo guardavano con occhi tristi e sospirosi quando suonava, la sera, nella Sala Grande. Elgion non avrebbe potuto assolutamente accorgersi che Menolly era la persona da lui cercata. Il Proprietario aveva detto ai bambini che l'Arpista si sarebbe irritato, se avesse saputo che erano stati istruiti da una ragazza, e quindi non dovevano dirglielo, per non disonorare la Tenuta. Dopo che Menolly si era ferita la mano tanto gravemente, si diceva che non avrebbe più potuto usarla, e quindi fu spiegato a tutti che sarebbe stata una crudeltà chiederle di cantare, la sera. Quando Menolly guarì dall'infezione e la ferita si rimarginò, pur lasciandole la mano irrigidita, nessuno commise la scorrettezza di parlarle della sua musica. E lei stava lontana dalla Sala Grande, quando vi si cantava. Inoltre, poiché non poteva usare bene la mano e tanti lavori, alla Tenuta, le richiedevano tutte e due, spesso veniva mandata lontano, durante il giorno, a raccogliere verdura e frutta, quasi sempre sola. Se anche Mavi era sconcertata dal mutismo e dalla passività della figlia minore, li attribuì alla lunga e dolorosa convalescenza, non alla perdita della sua musica. Mavi sapeva che ogni affanno e ogni dolore potevano venire dimenticati con il tempo, e quindi faceva di tutto per tenere occupata la ragazza. Mavi aveva sempre molto da fare, e Menolly le stava alla larga. Non le dispiaceva raccogliere verdure e frutta. Quel compito la teneva all'aperto, lontano dalla Tenuta e dalla gente. La mattina, mangiava in silenzio pane e pesce nella grande cucina, mentre tutte correvano qua e là per servire gli uomini del Semicerchio che partivano per la pesca o rientravano dopo a-
ver navigato l'intera notte. Poi Menolly prendeva qualche involtino di pesce per il pranzo, e si buttava sulle spalle una rete o un sacco. Diceva alla vecchia zia responsabile della dispensa che usciva a prendere questo o quello, e poiché la vecchia zia aveva una memoria molto labile, non ricordava che la ragazza aveva fatto la stessa cosa anche il giorno prima, e non capiva che avrebbe fatto altrettanto il giorno dopo. Quando la primavera riscaldò l'aria e fece brillare le paludi di verde e dei colori dei fiori, le zampediragno incominciarono a salire dal mare per deporre le uova nelle acque basse delle calette. Poiché quei grassi crostacei erano una leccornia, e affumicati e seccati aggiungevano sapore ad ogni piatto, i giovani della Tenuta - inclusa Menolly - venivano mandati a cercarli con trappole, pale e reti. In quattro giorni, le insenature più vicine vennero ripulite completamente dalle zampediragno e i giovani raccoglitori furono costretti a spingersi più oltre, lungo la costa, per trovarne altre. Poiché i Fili potevano cadere da un momento all'altro, era imprudente allontanarsi troppo dalla Tenuta, e perciò veniva raccomandato ai ragazzi di stare molto attenti. C'era un altro pericolo che preoccupava notevolmente il Proprietario della Tenuta: quel Giro, le maree erano insolitamente alte e impetuose. L'acqua nel porto aveva raggiunto un livello elevato, e non potevano fare entrare o uscire dalla Caverna dell'Attacco le due navi più grandi senza smontare gli alberi. Venivano misurati scrupolosamente i livelli dell'alta marea, e tutti scuotevano la testa nel vedere che erano di due spanne più alti di quanto si fosse mai registrato in precedenza. Le grotte più basse della Tenuta furono controllate, per scoprire eventuali infiltrazioni. Sacchi di sabbia vennero aggiunti contro le parti inferiori dei frangiflutti intorno al porto. Sarebbe bastata una tempesta perché i moli sopraelevati venissero sommersi. Yanus se ne preoccupò tanto da consultarsi a lungo con il Vecchio Zio, per scoprire se ricordava qualcosa del genere, dai tempi in cui era il Proprietario della Tenuta. Il Vecchio Zio ben felice di poter parlare, sproloquiò a lungo sull'influenza delle stelle; ma quando Yanus, Elgion e due dei più anziani capitani dei pescherecci ebbero analizzato ciò che aveva detto, non ricavarono molte nozioni utili. Tutti sapevano che erano le due lune ad influire sulle maree, e non le tre stelle luminose che splendevano in cielo. Tuttavia, inviarono un messaggio su quelle strane maree alla Fortezza di Igen, con la richiesta d'inoltrarlo al più presto alla principale Tenuta Marina,
a Fort. Yanus non voleva che le sue imbarcazioni più grandi venissero sorprese all'aperto, e perciò controllava attentamente le maree per lasciare le navi al sicuro nella Caverna dell'Attracco, se l'acqua fosse salita ancora di un'altra spanna. Quando i giovanissimi venivano mandati fuori a raccogliere le zampediragno, si raccomandava loro di tenere gli occhi bene aperti e di segnalare ogni elemento insolito, in particolare i nuovi livelli dell'acqua alta nelle calette. Soltanto il timore dei Fili impediva ai ragazzi più avventurosi di approfittare di quel pretesto per spingersi molto più lontano, lungo la costa. Menolly, che preferiva esplorare in solitudine i luoghi più distanti, rammentava di continuo agli altri il pericolo dei Fili. Poi, dopo la Caduta successiva, quando tutti vennero mandati fuori in cerca di zampediragno, Menolly si affrettò a distanziare i ragazzi, sfruttando al massimo la velocità delle sue lunghe gambe. Era piacevole correre così, pensava Menolly mentre metteva un'altra altura tra sé e i suoi inseguitori più vicini. Cambiò il passo, sul terreno accidentato: non voleva fratturarsi una caviglia. Anche una ragazza con una mano menomata poteva correre veloce. Menolly scacciò quel pensiero dalla mente. Aveva imparato un trucco per non pensare a nulla: contava. In quel momento, contava i suoi passi. Continuava a correre, guardando davanti a sé per non mettere un piede in fallo. I ragazzi non sarebbero riusciti a raggiungerla, ormai, ma lei correva per la gioia fisica di farlo, cantilenando un numero a ogni passo. Corse fino a quando provò una fitta al fianco e si sentì le cosce indolenzite. Rallentò, e si girò verso la brezza fresca che soffiava dal largo, aspirando a pieni polmoni il profumo del mare. Si stupì un poco nel vedere che si era spinta molto lontano. Le Pietre dei Draghi erano visibili nell'aria limpida, e soltanto allora lei rammentò la piccola regina. Purtroppo, ricordò anche la melodia che aveva composto quel giorno: l'ultimo, ora lo sapeva, della sua infanzia fiduciosa. Continuò a camminare, seguendo le linea delle alture, tenendo gli occhi bassi per cercare di scoprire i nuovi livelli dell'alta marea sulle scarpate di roccia. In quel momento la marea stava salendo, concluse. E sì... si vedevano le linee dei detriti lasciati dal mare: in certi punti erano piuttosto alti, sulla faccia della scogliera Eppure quella era sempre stata una caletta con una spiaggia molto profonda.
Un movimento nel cielo, un improvviso oscurarsi del sole, l'indusse ad alzare gli occhi. Un dragoniere in ricognizione. Sebbene sapesse benissimo che non poteva vederla, agitò energicamente il braccio, seguendo l'elegante planata mentre drago e cavaliere rimpicciolivano in lontananza. Una sera, mentre si preparavano ad andare a letto, Sella le aveva detto che Elgion aveva volato diverse volte a dorso di drago. E con un brivido di piacevole terrore, aveva giurato che lei non avrebbe mai avuto il coraggio di salire su un drago. Menolly pensava che Sella, tanto, non ne avrebbe mai avuto l'occasione. Quasi tutti i commenti ed i pensieri di Sella erano incentrati sul nuovo Arpista E non era l'unica Menolly lo sapeva. Quando Menolly ricordava che tutte le ragazze della Tenuta facevano le sciocche con l'Arpista Elgion, soffriva un po' meno pensando agli arpisti in generale. Ancora una volta, sentì le lucertole di fuoco prima di vederle. Gli squittii e i trilli eccitati indicavano che erano sconvolte. Si buttò carponi e strisciò fino al ciglio dell'altura, affacciandosi sulla spiaggetta. Ma della spiaggia non era rimasto molto, e le lucertole di fuoco volteggiavano su un punto della piccola striscia di sabbia, direttamente sotto di lei. Si avvicinò ancora di più all'orlo, per vedere meglio. Scorse la regina che si avventava contro le onde, come se cercasse di arrestarle con il battito violento delle ali. Poi tornava indietro sfrecciando, fuori dalla visuale di Menolly, mentre le altre continuavano a turbinare ed a tuffarsi, un po' come un branco di bestie spaventate accerchiate da wherry selvatici. La regina strillava con tutta la sua vocetta acuta, come se cercasse di indurre le altre a fare qualcosa. Incapace d'immaginare che cosa la agitasse sino a quel punto, Menolly si sporse un poco di più, e l'intero ciglio dell'altura cedette. Aggrappandosi disperatamente ai ciuffi d'erba, Menolly cercò di fermare la caduta. Ma l'erba tagliente le scivolò dalle mani, e lei slittò e precipitò. Piombò sulla spiaggia con un tonfo che la squassò, ma la sabbia umida assorbì in buona parte la violenza dell'urto. Restò immobile per qualche minuto, cercando di riprendere fiato. Poi si rimise in piedi per sfuggire ad un'ondata. Alzò lo sguardo verso l'altura, intimorita al pensiero di essere caduta da un'altezza forse addirittura superiore a una lunghezza di drago. E come avrebbe potuto risalire? Ma, mentre esaminava la parete, si accorse che non era inaccessibile come aveva temuto in un primo momento. Era quasi perpendicolare, sì, ma c'erano cornicioni e appigli abbastanza ampi che forse le a-
vrebbero permesso di scalarla. Si spolverò la sabbia dalle mani e si avviò verso l'estremità della caletta, per cercare sistematicamente la via più agevole per risalire. Aveva percorso soltanto pochi passi quando qualcosa si avventò verso di lei fra strilli furiosi. Alzò le mani per ripararsi il viso, mentre la piccola regina si lanciava in picchiata. Menolly ricordò lo strano comportamento delle lucertole di fuoco. La bestiola si comportava come se cercasse di proteggere qualcosa sia da lei che dal mare. Si guardò intorno. A poche spanne di distanza c'era una covata. «Oh, scusami. Scusami. Non l'avevo vista! Non arrabbiarti con me,» gridò Menolly mentre la piccola regina, si avventava di nuovo. «Ti prego! Smettila! Non la calpesterò!» Per dimostrare la sua sincerità, Menolly tornò indietro fino all'estremità opposta della spiaggia. Dovette chinarsi sotto una sporgenza di roccia. Quando si voltò a guardare, non vide più traccia della piccola regina. Ma il suo sollievo ebbe breve durata: come avrebbe potuto trovare il modo per arrampicarsi, se la lucertola di fuoco l'aggrediva ogni volta che lei si fosse avvicinata alle uova? Menolly si aggobbì, cercando di assestarsi più comodamente in quello stretto rifugio. Forse se si fosse tenuta lontana dalle uova... Alzò gli occhi verso la parete di roccia, e vide alcuni appigli. Si spinse un po' più lontano, tenendo d'occhio le uova, e allungò le mani verso il primo cornicione. Immediatamente, la lucertola di fuoco si avventò contro di lei. «Oh, lasciami in pace! Ah! Vattene. Sto cercando di...» Gli artigli della lucertola di fuoco le avevano graffiato la guancia. «Ti prego! Non voglio far male alle tue uova!» Al passaggio successivo, la bestiola mancò di pochissimo Menolly che era tornata a ripararsi sotto il cornicione. Il sangue sgorgava dal lungo graffio, e Menolly l'asciugò con l'orlo della tunica. «Ma non capisci niente?» domandò alla sua assalitrice, che adesso era invisibile. «Cosa posso farmene delle tue uova? Tientele pure. Io voglio solo tornare a casa. Non capisci? Voglio solo tornare a casa.» Forse se resto immobile si dimenticherà di me, pensò Menolly, acquattandosi con le ginocchia sotto il mento. Ma i gomiti e i piedi sporgevano dal riparo del cornicione.
All'improvviso, un piccolo bronzeo si materializzò al di sopra della covata, squittendo in tono d'allarme. Menolly vide la regina scendere in tuffo per raggiungerlo: quindi prima doveva essere posata sopra il cornicione, in attesa che Menolly uscisse da quel rifugio. E dire che avevo composto per voi una graziosa melodia, pensò Menolly mentre guardava le due lucertole librate sopra le uova. L'ultima melodia della mia vita. Siete ingrate, ecco quel che siete! Nonostante il disagio, provò l'impulso di ridere. Era una situazione impossibile... era tenuta bloccata sotto un cornicione da un essere non più lungo del suo avambraccio. Al suono della sua risata, le due lucertole di fuoco scomparvero. Avevano paura? Di una risata? «Un sorriso ottiene più di un cipiglio,» amava ripetere Mavi. Forse, se continuerò a ridere, capiranno che sono loro amica? Oppure si spaventeranno e resteranno lontane abbastanza a lungo perché io possa arrampicarmi? Salvata da una risata? Menolly cominciò a ridere più forte, perché aveva visto che la marea stava salendo piuttosto rapidamente. Uscì guardinga dal rifugio, si buttò il sacco sulle spalle e cominciò a inerpicarsi. Ma ridere e salire era impossibile: richiedeva troppo fiato. All'improvviso, la reginetta e il piccolo bronzeo ricomparvero per attaccarla, avventandosi contro il suo viso. Le ali, nonostante l'aspetto fragile, erano armi pericolose. Menolly smise di ridere e tornò a nascondersi sotto la sporgenza, domandandosi cosa poteva fare. Se una risata le aveva sorprese e impaurite, che risultato avrebbe ottenuto una canzone? Forse, se avesse fatto ascoltare alla coppia il ritornello della sua composizione, l'avrebbero lasciata andare. Era la prima volta che cantava da quando aveva visto le lucertole, e la sua voce suonava incerta e ruvida. Bene, le lucertole avrebbero compreso le sue intenzioni, si augurò: e cantò il motivetto vivace. Per nessuno. «Bene, con tanti saluti alla mia idea,» mormorò sottovoce. «Quindi, il disinteresse per la vostra canzone è assolutamente unanime.» Non aveva pubblico? Non c'era in vista neppure l'ombra d'una lucertola di fuoco? Più in fretta che poté, Menolly sgattaiolò dal rifugio e, per un secondo, si
trovò faccia a faccia con le due lucertole. Si chinò per schivarle, e quelle evidentemente sparirono perché, quando lei sbirciò di nuovo, guardinga, il cornicione dove prima stavano appollaiate era deserto. Ma aveva avuto l'impressione nettissima che avessero un'aria incuriosita e interessata. «Ecco, se potete sentirmi, dovunque siate... volete restare dove siete e lasciarmi andare? Quando sarò risalita, canterò per voi fino al tramontar del sole. Ma lasciatemi salire!» Cominciò a cantare, un canto tradizionale sui draghi, mentre emergeva ancora una volta dal suo rifugio. Era salita di cinque passi quando la lucertola regina riapparve, in compagnia. Fra squittii e strilli, Menolly fu costretta a ridiscendere. Sentiva lo strusciare degli artigli sulla pietra, sopra di lei. Adesso doveva avere un pubblico numeroso. Proprio quando non ne aveva bisogno! Alzò la testa, cautamente, e incontrò il turbinio affascinato di dieci paia d'occhi. «Ascoltate! Facciamo un patto! Vi canto una lunga canzone e voi mi lasciate salire? D'accordo?» Gli occhi delle lucertole vorticavano. Menolly dedusse che il patto era concluso e cantò. La sua voce suscitò un fremito di cinguettii stupiti ed eccitati; e si chiese se, per caso, le lucertole capivano che lei cantava delle Fortezze e delle Tenute riconoscenti che onoravano i dragonieri. All'ultima strofa uscì all'aperto, affascinata dalla vista della lucertola regina e dei nove bronzei che ascoltavano incantati. «Ora posso andare?» chiese, e posò una mano sulla roccia. La regina si lanciò in tuffo verso la mano, e Menolly la ritrasse di scatto. «Mi pareva che avessimo fatto un accordo.» La regina trillò pietosamente, e Menolly comprese che il suo gesto non era stato minaccioso: ma non le permetteva di salire. «Non vuoi che me ne vada?» chiese Menolly. Gli occhi della piccola bestia divennero più luminosi. «Ma devo andarmene. Se rimango, l'acqua salirà e annegherò.» E Menolly accompagnò le parole con gesti esplicativi. All'improvviso la regina gettò un grido stridulo, parve restare librata per un momento a mezz'aria e poi, seguita dai bronzei, planò verso la sabbia e la sua covata. Aleggiò sopra le uova, lanciando grida eccitate e convulse. Se la marea stava salendo tanto in fretta da minacciare Menolly, era anche
paurosamente prossima ad allagare il nido. I piccoli bronzei ripresero il lamento della piccola regina e alcuni, coraggiosamente, volarono intorno alla testa della ragazza e ritornarono verso le uova. «Posso venire lì, adesso? Non mi assalirete?» Menolly avanzò di qualche passo. Il tono delle grida cambiò, e Menolly procedette più in fretta. Quando raggiunse il nido, la piccola regina afferrò un uovo e, battendo faticosamente le ali, lo portò in alto. Era evidente che si trattava di uno sforzo enorme. I bronzei volteggiavano ansiosi, strillando preoccupati; ma, poiché erano molto più piccoli, non potevano aiutare la regina. Menolly vide che la base della scogliera, in quel tratto, era ingombra di gusci spezzati e dei corpicini di minuscole lucertole di fuoco, con le alticce semiprotese e lucide di albume. La bestiola aveva sollevato il suo uovo fino ad un cornicione che Menolly prima non aveva notato, a metà lunghezza di drago dalla base della scogliera. La vide posare l'uovo sul ripiano e farlo rotolare con le zampette anteriori verso un punto dove c'era probabilmente una breccia. Trascorse un lungo momento prima che la regina ricomparisse. Poi si tuffò verso le uova, librandosi sopra la cresta spumeggiante di un'onda che si avvicinava minacciosamente alla covata. Poi, con un movimento fulmineo, si librò davanti a Menolly, strillando come una vecchia zia. Sebbene non riuscisse a trattenere un sorriso a quel pensiero, Menolly si sentì pervadere da un senso di pietà e di ammirazione per il coraggio della piccola regina che, da sola, cercava di salvare le sue uova. Se le minuscole lucertole morte erano perfettamente formate, la covata stava per schiudersi. Non c'era da stupirsi se la bestiola stentava tanto a muovere le uova. «Vuoi che ti aiuti a spostarle, vero? Bene, vediamo cosa posso fare!» Pronta a balzare indietro nell'eventualità che avesse frainteso il comando imperioso della piccola regina, Menolly raccolse un uovo, con estrema prudenza. Era caldo e solido. Le uova di drago, lo sapeva, erano morbide appena deposte, ma s'indurivano lentamente sulle sabbie calde del Terreno della Schiusa, nei Weyr. E quelle, sicuramente, stavano per schiudersi. Stringendo delicatamente intorno all'uovo le dita della mano menomata, Menolly cercò e trovò gli appigli utili, e raggiunse il cornicione dove prima s'era posata la regina. Depose con cautela l'uovo, e la lucertola dorata apparve appoggiando imperiosamente la zampa anteriore sull'uovo. Era così vicina che il movimento fantastico degli occhi sfaccettati era perfettamente visibile.
Lanciò un cinguettio dolcissimo e poi, sbrigativamente, cominciò a rimbrottare Menolly, mentre faceva rotolare l'uovo al sicuro. La seconda volta, Menolly riuscì a prendere in mano tre uova. Ma era evidente che sarebbe stata una lotta contro il tempo, fra la marea che saliva rapida e il numero sorprendente delle uova della covata. «Se la breccia fosse più grande,» disse alla piccola regina mentre deponeva le tre uova, «qualcuno dei bronzei potrebbe aiutarti a farle rotolare.» La regina non le badò; era intenta a mettere al sicuro le uova, una dopo l'altra. Menolly sbirciò nel varco, ma il corpo della lucertola le ostruiva la visuale. Se la breccia fosse stata più ampia e il cornicione più largo, lei avrebbe potuto portare il resto delle uova dentro al sacco. Augurandosi di non far crollare la parete e di non seppellire la reginetta e le uova, Menolly tastò con cautela l'imboccatura del varco. La sabbia piovve a fiotti. La regina cominciò a rimproverarla freneticamente, mentre lei rimuoveva i detriti dal ripiano. Poi tastò l'apertura: sembrava che subito oltre ci fosse roccia compatta. Staccò le pietre smosse, fino a scoprire una galleria piuttosto ampia, con un'apertura leggermente più larga. Ignorando le proteste furiose della bestiola, Menolly ridiscese, e si sfilò il sacco dalla spalla appena toccò il suolo. Quando la lucertola aurea la vide riporre le uova nel sacco, divenne isterica, e cercò di colpirle la testa e le mani. «Stai a sentire!» disse severamente Menolly. «Non ti sto rubando le uova. Sto cercando di portarle tutte al sicuro, e in fretta. Con il sacco posso riuscirci, con le mani no.» Attese un momento, fissando la piccola regina che stava librata all'altezza dei suoi occhi. «Mi hai capita?» Menolly indicò le onde che investivano ancora più vigorosamente la stretta fascia di sabbia. «Sta salendo la marea. Neppure i draghi potrebbero fermarla.» E mise delicatamente un altro uovo nel sacco. Avrebbe dovuto fare comunque due o tre viaggi, per non correre il rischio di romperle. «Lo porto lassù,» disse, indicando il cornicione. «Hai capito, sciocca bestiola?» Evidentemente la creaturina capì, perché, crocidando ansiosamente, andò a piazzarsi sul cornicione, con le ali frementi e semiprotese mentre guardava Menolly che saliva verso di lei.
Usando tutte e due le mani, la ragazza poté arrampicarsi più in fretta, e rotolò cautamente le uova nell'interno della galleria. «Adesso dovresti farti aiutare dai bronzei, o le uova si ammucchieranno sul cornicione.» Menolly dovette fare tre viaggi e, quando salì l'ultima volta, l'acqua era arrivata ormai a un passo dal nido. La piccola regina aveva organizzato i bronzei perché l'aiutassero, e Menolly sentiva i suoi toni di rimprovero echeggiare in quella che doveva essere una grotta piuttosto ampia, in fondo alla galleria. Non era sorprendente, perché si sapeva che quelle scogliere erano piene di caverne e di passaggi. Diede un'ultima occhiata alla spiaggia: alle due estremità della caletta l'acqua doveva arrivare ormai all'altezza delle caviglie. Alzò gli occhi oltre il cornicione. Ormai era a metà della salita, e le sembrava di scorgere un numero sufficiente di appigli. «Addio!» Le rispose un coro di cinguettii, e ridacchiò, immaginando la scena: la regina che ordinava ai suoi bronzei di sistemare a dovere le uova. Menolly arrivò in cima alla parete dopo alcuni momenti d'ansia. Era esausta, quando finalmente si lasciò cadere sulle erbe marine, alla sommità, e la mano sinistra le doleva per lo sforzo cui non era più abituata. Rimase sdraiata a lungo, fino a che il cuore smise di martellarle contro le costole e il respiro ridivenne normale. La brezza le asciugò il volto sudato e la rinfrescò; ma questo le ricordò che aveva lo stomaco vuoto. Tutti quei movimenti avevano ridotto in poltiglia gli involtini di pesce che teneva nella borsa, e lei trangugiò i frammenti, in fretta. All'improvviso, la colpì l'enormità della sua avventura, e si sentì divisa tra l'ilarità e la reverenza. Per dimostrare a se stessa che aveva veramente fatto ciò che ricordava, si sporse con prudenza dal ciglio della scogliera. La spiaggia era del tutto sommersa dall'acqua. La depressione sabbiosa dove le uova erano rimaste a scaldarsi al sole era stata spianata dalla marea. I detriti che erano precipitati con lei, quando era caduta, erano stati assorbiti o spazzati via. Quando la marea si fosse ritirata, tutte le tracce degli sforzi che aveva compiuto per salvare se stessa e la covata sarebbero sparite. Vedeva la sporgenza di roccia lungo la quale la regina aveva fatto rotolare le uova, ma delle lucertole di fuoco non c'era traccia. Le onde battevano violente contro le Pietre dei Draghi, quando lei girò lo sguardo verso il largo: ma non c'erano guizzi colorati sullo sfondo degli scogli scuri.
Menolly si toccò la guancia. Il graffio era incrostato di sangue raggrumato e di sabbia. «Dunque è tutto vero!» Come ha fatto la reginetta a capire che potevo aiutarla? Nessuno aveva mai affermato che le lucertole di fuoco erano stupide. Certamente erano intelligenti, se per innumerevoli Giri erano riuscite a sfuggire alle trappole disposte per catturarle. Anzi, erano così astute che si dubitava persino della loro esistenza: di solito, erano ritenute il prodotto dell'immaginazione troppo esaltata. Tuttavia molti uomini degni di fede le avevano viste da lontano, come suo fratello Alemi che ne aveva scorte alcune intorno alle Pietre dei Draghi, e molta gente accettava come realtà la loro esistenza. Menolly avrebbe giurato che la piccola regina l'aveva compresa. Altrimenti, lei come avrebbe potuto aiutarla? E questo dimostrava che le bestiole erano intelligenti. Abbastanza per sfuggire ai ragazzi che cercavano di catturarle... Menolly era sgomenta. Catturare una lucertola di fuoco? Per tenerla rinchiusa? Comunque, pensò con sollievo, non sarebbe rimasta prigioniera a lungo: le sarebbe bastato andare in mezzo. Ma perché la piccola regina non era andata in mezzo con le sue uova, invece di cercare di trasportarle faticosamente una ad una? Oh, sì, in mezzo era il luogo più freddo che si conoscesse. E il freddo avrebbe danneggiato le uova. La covata sarebbe stata a posto, adesso, nella caverna umida? Chissà. Menolly guardò giù. Bene, se la regina era davvero dotata del buon senso di cui aveva già dato prova, avrebbe chiamato tutti i suoi seguaci perché si adagiassero sulle uova e le tenessero calde fino al momento della schiusa. Menolly rivoltò la borsa, sperando di trovare qualche briciola. Aveva ancora fame. Avrebbe potuto raccogliere abbastanza frutti primaticci e germogli succulenti di canna da mangiare, ma stranamente le dispiaceva lasciare quella scogliera. Tuttavia era improbabile che la regina ricomparisse, ora che aveva risolto il suo problema. Finalmente Menolly si alzò, indolenzita dallo sforzo al quale non era abituata. La mano le doleva, sordamente, e la lunga cicatrice era arrossata e un po' gonfia. Ma, quando flette le dita, le parve che la mano si aprisse più facilmente. Sì, era vero. Poteva tendere le dita quasi del tutto. Le doleva, ma era l'indolenzimento della tensione. Avrebbe potuto aprirla abbastanza per suonare ancora? Piegò le dita, come per un accordo. Il movimento era doloroso, ma ancora una volta il dolore era causato dalla tensione. Forse, se aves-
se esercitato molto la mano... Aveva cercato di muoverla il meno possibile, fino a quel giorno. D'ora in poi l'avrebbe usata per arrampicarsi e per portare pesi e per tutto. «Bene, anche tu hai fatto un favore a me, reginetta,» chiamò Menolly, parlando nella brezza e agitando in alto le mani. «Vedi? La mia mano sta meglio.» Non le rispose neppure un trillo o un cinguettio, ma soltanto il sibilo sommesso della brezza marina, il lambire delle onde ai piedi della scogliera. Tuttavia, Menolly volle credere che le sue parole fossero state udite. Si girò verso l'entroterra, sollevata e compiaciuta dell'attività di quella mattina. Adesso avrebbe dovuto affrettarsi e raccogliere verdure e bacche primaticce. Sarebbe stato inutile cercare di prendere le zampadiragno, con la marea così alta. (1) Cfr. Volo di drago cit. V O Lingua, dai voce alla letizia e canta la speranza sulle ali dei draghi. Come al solito, nessuno notò Menolly quando tornò alla Tenuta. Si presentò doverosamente al mastro del porto e gli riferì l'altezza della marea. «Non andare più così lontano, ragazza,» le disse lui, gentilmente. «I Fili cadranno da un giorno all'altro, lo sai. Come va la mano?» Lei mormorò una risposta, ma l'uomo non la sentì neppure perché uno dei capitani lo chiamò proprio in quel momento. Il pasto della sera fu affrettato perché tatti i capitani dovevano andare alla Caverna dell'Attracco per controllare le maree, gli alberi e le navi. Nel trambusto, Menolly riuscì a restare sola. Ci riuscì e si rifugiò nella sua stanzetta, nel suo letto, al più presto possibile. Ripensò all'incredibile esperienza della mattina. Era certa che la piccola regina l'aveva compresa. Come i draghi, le lucertole di fuoco sapevano cosa aveva nel cuore e nella mente una persona. Per questo scomparivano con tanta facilità quando i ragazzi cercavano di catturarle. E avevano apprezzato il suo canto.
Menolly strinse la mano, ignorando la fitta di dolore della ferita. Poi si tese, ricordando che i bronzei avevano atteso di vedere come si sarebbe comportata la regina. Lei era la più intelligente, la più audace. Com'era il detto che Petiron citava sempre? «La necessità produce la soluzione.» Le lucertole di fuoco comprendevano davvero gli umani, anche quando ne stavano lontane, dunque? Menolly se lo chiese ancora una volta. Certo, i draghi capivano ciò che pensavano i loro cavalieri; ma i draghi ricevevano da loro lo Schema dell'Apprendimento, alla Schiusa. Il legame non si spezzava mai, e il drago udiva soltanto quella persona, o almeno così le aveva detto Petiron. Come mai la piccola regina l'aveva capita? «Necessità?» Povera regina! Doveva essersi atterrita, quando s'era accorta che la marea avrebbe sommerso le sue uova! Probabilmente, chissà da quanto tempo era abituata a deporle in quella caletta. Quanto vivevano le lucertole di fuoco? I draghi vivevano quanto i loro cavalieri: non troppo a lungo, talvolta, adesso che cadevano i Fili. Alcuni dragonieri erano rimasti ustionati gravemente ed erano morti, ed erano morti anche i loro draghi. Forse le lucertole di fuoco vivevano più a lungo, perché erano più piccole e meno esposte ai pericoli? Gli interrogativi turbinavano nella mente di Menolly, come lucertole di fuoco sfreccianti, pensò lei, crogiolando si nel tepore delle coperte di pelliccia. L'indomani, forse, avrebbe cercato di tornare là, portando qualcosa da mangiare. Pensava che alle lucertole di fuoco dovevano piacere le zampadiragno: e forse avrebbe potuto conquistarsi la fiducia della regina. O forse sarebbe stato meglio se l'indomani non fosse ricomparsa? Sarebbe rimasta lontana per qualche giorno. E del resto, dato che i Fili cadevano così di frequente, sarebbe stato pericoloso allontanarsi tanto dalla sicurezza della Tenuta. Cosa sarebbe accaduto, quando si fossero schiuse le uova? Che spettacolo sarebbe stato! Ah! Tutti i ragazzi della Tenuta Marina parlavano di catturare le lucertole di fuoco e lei, Menolly, non soltanto le aveva viste, ma aveva parlato con loro e aveva maneggiato le loro uova! E se avesse avuto fortuna, avrebbe potuto anche assistere alla schiusa. Ah, sarebbe stato meraviglioso, come presenziare a una Schiusa dei draghi, in uno dei Weyr. E nessuno, neppure Yanus, era mai stato a una Schiusa! Considerando quei pensieri eccitanti, fu un miracolo se Menolly riuscì ad addormentarsi. La mattina dopo, la sua mano doleva e pulsava, e lei era tutta irrigidita per
la caduta e le arrampicate. Il vago proposito di tornare alle Pietre dei Draghi fu frustrato dal maltempo. Quella notte c'era stata una tempesta che aveva sferzato il porto con ondate martellanti. Persino le acque della Caverna dell'Attracco erano turbolente, e il vento spirava con tanta capricciosa violenza che era pericoloso andare dalla Tenuta alla Caverna. La mattina, gli uomini si radunarono nella Sala Grande, per riparare gli attrezzi e chiacchierare. Mavi organizzò le sue donne per ripulire a fondo alcune delle stanze interne della Tenuta. Menolly e Sella furono spedite così spesso al magazzino delle lampade-cesto che Sella giurava di non aver più bisogno della luce per trovare la strada. Menolly lavorava abbastanza volenterosamente, controllando le lampade di tutte le stanze della Tenuta. Lavorare era molto meglio che pensare. Quella sera non avrebbe potuto evitare la Sala Grande. Poiché tutti erano rimasti rinchiusi l'intera giornata, sentivano il bisogno di un po' di svago. Menolly rabbrividì. Bene, non c'era rimedio. Avrebbe dovuto ascoltare la musica, prima o poi. Non poteva evitarla in eterno. E almeno avrebbe potuto cantare insieme agli altri. Ma ben presto scoprì che non le sarebbe stato concesso neppure quel piacere. Quando l'Arpista cominciò a intonare il gitar, Mavi le rivolse un gesto imperioso. E quando Elgion invitò tutti, a cenni, a unirsi al ritornello, Mavi diede a Menolly un pizzicotto così forte da strapparle un'esclamazione. «Non ruggire. Puoi cantare sottovoce, come si addice a una ragazza della tua età,» disse Mavi. «O non cantare affatto.» Dall'altra parte della sala, Sella stava cantando, non molto bene e così forte da farsi sentire fino alla Fortezza di Benden; ma quando Menolly aprì la bocca per protestare, si prese un altro pizzicotto. Quindi non cantò e rimase seduta a fianco di sua madre, stordita e offesa: non riuscì neppure a godersi la musica. Pensava che Mavi era mostruosamente ingiusta. Non era già abbastanza terribile che lei non potesse più suonare, almeno per ora... ma perché proibirle di cantare? Tutti l'avevano incoraggiata a cantare quando era vivo il vecchio Petiron. E l'avevano ascoltata con piacere. L'avevano invitata a cantare, molte volte. Poi Menolly si accorse che suo padre l'osservava severamente, e batteva una mano non tanto per segnare il tempo della musica, quanto per indicare l'agitazione interna. Era suo padre, a non volere che lei cantasse! Non era
giusto! Non era giusto! Evidentemente lo sapevano, ed erano ben contenti che lei non fosse venuta prima. Non volevano che stesse lì. Si liberò con uno strattone dalla mano della madre e, sebbene Mavi le sibilasse di tornare indietro e di comportarsi bene, uscì furtivamente dalla sala. Quelli che la videro uscire pensarono che era un vero peccato che si fosse ferita la mano e che non volesse neppure cantare. Comunque, dato che era uscita in quel modo, Mavi sarebbe venuta a cercarla non appena ci fosse stata una pausa nei canti, quella sera. Perciò Menolly prese le sue coperte di pelliccia e una lampada e andò in una delle stanze interne vuote, dove nessuno l'avrebbe trovata. Si portò via anche gli abiti. Se la tempesta fosse cessata, l'indomani mattina sarebbe andata dalle lucertole di fuoco. A loro il suo canto piaceva. E la trovavano simpatica! Si alzò prima che gli altri si svegliassero. Trangugiò un boccale di klah freddo e mangiò un po' di pane, ne ripose un altro pezzo nella borsa, e se ne andò. Il cuore le batteva forte, mentre lottava con le grandi porte metalliche dell'ingresso della Tenuta. Non le aveva mai aperte, e non aveva immaginato che fossero tanto massicce. Naturalmente, non poteva rimettere le sbarre dall'esterno, ma non sarebbe stato necessario. La nebbia saliva dalle acque calme del porto, e le entrate della Caverna dell'Attracco erano visibili come chiazze più scure nel grigiore. Ma il sole incominciava a risplendere tra la nebbia, e Menolly comprese che ben presto il cielo sarebbe diventato limpido. Mentre scendeva l'ampia strada della Tenuta, la nebbia saliva turbinando, scostandosi davanti a lei. Le faceva piacere che qualcosa le cedesse il passo, anche se era qualcosa d'inconsistente come la nebbia. La visibilità era limitata, ma lei sapeva riconoscere il percorso dalle forme delle pietre lungo la strada, e ben presto cominciò a salire tra la nebbia carezzevole, verso l'altura. Si avviò verso l'entroterra, in direzione della prima palude. Un boccale di klah e un pezzo di pane non erano un nutrimento cospicuo, e Menolly ricordò alcuni cespugli di bacche palustri non ancora spogliati. Superò la prima collinetta gibbosa e all'improvviso la nebbia sparì, e il fulgore del sole primaverile quasi le ferì gli occhi. Trovò la macchia di bacche palustri e ne colse una manciata per mangiarla subito, poi un'altra che ripose nella borsa. Ora che poteva vedere dove andava, scese più svelta verso la costa, e finalmente giunse ad una caletta. Il livello della marea era l'ideale per prendere
le zampediragno. Sarebbero state un'offerta gradita per la lucertola regina, pensò mentre riempiva il sacco. O forse le lucertole di fuoco andavano a caccia anche nella nebbia? Quando ebbe portato il sacco pieno attraverso alcune lunghe valli e oltre varie colline gibbose, Menolly cominciò a rammaricarsi di non aver atteso un po', prima di catturare le zampediragno. Era accaldata e stanca. Ormai l'eccitazione per il suo comportamento non ortodosso era svanita, e lei si sentiva depressa. Naturalmente, era molto probabile che nessuno si fosse accorto della sua scomparsa. Nessuno avrebbe immaginato che era stata lei a lasciare aperte le porte della Tenuta, una colpa orribile contro le regole della sicurezza. Menolly non capiva perché fosse così... chi poteva aver voglia di entrare nella Tenuta Marina, se non aveva qualche affare da sbrigare? Ohi avrebbe percorso la lunga strada pericolosa attraverso le paludi? A che scopo? C'erano molte precauzioni, scrupolosamente osservate nella Tenuta Marina, che per lei non avevano senso: il fatto che le porte venissero sbarrate tutte le notti, e che le lampade-cesto non venissero mai lasciate aperte nelle stanze non occupate, anche se era lecito lasciarle aperte nei corridoi. I bruchi luminosi non bruciavano niente, e lasciando le lampade aperte nelle stanze si sarebbe evitato di sbucciarsi tanto spesso gli stinchi. No, nessuno si sarebbe accorto della sua scomparsa fino a quando non ci fosse stato un lavoro spiacevole o noioso da assegnare ad una ragazza con una mano sola. Quindi non avrebbero pensato che era stata lei ad aprire la porta della Tenuta. E poiché aveva l'abitudine di sparire durante il giorno, nessuno ci avrebbe fatto caso fino a sera. E allora, qualcuno si sarebbe chiesto dov'era Menolly. E allora si rese conto che non aveva nessuna intenzione di ritornare alla Tenuta. E l'audacia di quel pensiero bastò a farla arrestare di colpo. Non ritornare al Semicerchio? Non ritornare agli interminabili noiosissimi compiti? Sbuzzare, affumicare, salare, mettere in salamoia il pesce? Rammendare le reti, le vele, gli abiti? Pulire i piatti, i vestiti, le stanze? Raccogliere verdure, bacche, erbe, zampediragno? Non tornare ad accudire i vecchi zii e le vecchie zie, i fuochi, le pentole, i telai, le lampade-cesto? Poter cantare o gridare o suonare, se voleva? Dormire... ah, dove avrebbe potuto dormire? E dove sarebbe andata, quando cadevano i Fili? Menolly procedette più lentamente sulle dune sabbiose, e la sua mente rimuginava quelle idee rivoluzionarie. Tutti dovevano rientrare nella Tenuta, la
notte! In una Tenuta, o in una casa, in una Fortezza o in un Weyr. Da sette Giri i Fili cadevano dai cieli, e nessuno si allontanava mai molto dai rifugi. Ricordava vagamente che, quand'era bambina, c'erano carovane di mercanti che arrivavano attraverso le paludi, in primavera, in estate e nel primo autunno. Erano stati tempi piacevoli, allietati da canti e banchetti. Allora le porte della Tenuta non erano sbarrate. Sospirò: erano stati tempi felici... i bei tempi andati, quelli di cui parlavano sempre il Vecchio Zio e le zie. Ma quando i Fili avevano incominciato a cadere, tutto era cambiato... in peggio... o almeno quella era l'impressione generale che Menolly aveva ricavato dagli adulti della Tenuta. Un certo silenzio nell'aria, un vago disagio la indusse a guardarsi intorno con apprensione. Non c'era sicuramente nessuno in giro, a quell'ora. Scrutò il cielo. La nebbia che velava la costa si andava disperdendo rapidamente: la vide ritirarsi sull'acqua, verso Nord-Ovest. Ad Est, il cielo era illuminato dall'alba, eccettuate quelle che erano probabilmente alcune tracce della nebbia mattutina, a Nord-Est. Eppure qualcosa turbava Menolly, e sentiva che avrebbe dovuto sapere di che si trattava. Ormai era quasi arrivata alle Pietre dei Draghi, nell'ultima palude prima che il terreno degradasse dolcemente verso le alture che orlavano il mare. E mentre attraversava l'acquitrino identificò quel che c'era di strano: il silenzio. Sì, il vento continuava a spirare costante in direzione del mare, spingendo lontano la nébbia: ma gli animali palustri tacevano. Tutti i minuscoli insetti, le mosche, e i serpentelli, i rari stormi di wherry selvatici che facevano il nido tra i cespugli più fitti erano silenziosi. Le innumerevoli attività e i suoni minuti, di solito, incominciavano appena il sole si levava e cessavano soltanto poco prima dell'alba, perché gli insetti notturni erano chiassosi quanto quelli diurni. Era quel silenzio, come se ogni essere vivente trattenesse il respiro, che turbava Menolly. Inconsciamente affrettò il passo e provò l'impulso di voltarsi a guardare, verso Nord-Est... dove una chiazza grigia offuscava l'orizzonte... Una chiazza grigia? O argentea? Menolly cominciò a tremare, presa da una paura crescente, rendendosi conto di essere troppo lontana dalla Tenuta per raggiungerla prima che i Fili cadessero su di lei. Le pesanti porte metalliche, che aveva lasciato aperte con tanta negligenza, presto sarebbero state chiuse e sbarrate, impedendo l'ingres-
so ai Fili e a lei. E anche se si fossero accorti della sua scomparsa, nessuno sarebbe venuto a cercarla. Si mise a correre, e l'istinto la guidò verso l'orlo della scogliera prima ancora che lei ricordasse consciamente il cornicione della regina. Non era abbastanza ampio. Poteva tuffarsi in mare? I Fili annegavano, nell'acqua. Ma sarebbe annegata anche lei, perché non avrebbe potuto restare immersa per tutto il tempo che i Fili avrebbero impiegato a passare. Quanto ci sarebbe voluto perché l'orlo avanzato di una Caduta transitasse? Lei non ne aveva la più vaga idea. Era arrivata sul ciglio dell'altura, e guardava la spiaggia sottostante. Scorse il cornicione, sulla sinistra. Là c'era il tratto che aveva ceduto sotto il suo peso: era la strada più rapida per scendere, certo, ma lei non poteva correre di nuovo quel rischio, e non voleva. Si voltò per guardarsi alle spalle. Il grigiore si diffondeva sopra l'orizzonte. E adesso poteva scorgere i lampi, su quello sfondo cinereo. Lampi? Draghi! Vedeva i draghi che combattevano i Fili, bruciandoli a mezz'aria con l'alito ardente. Erano così lontani che i bagliori ammiccanti sembravano stelle smarrite, non draghi che lottavano per la sopravvivenza di Pern. Forse Porlo avanzato non si sarebbe spinto fin lì. Forse lei era al sicuro. Ma «i forse raramente si realizzano», come avrebbe detto sua madre. Nel silenzio, si fece sentire un nuovo suono: una vibrazione ritmica e sommessa, come il canticchiare stonato d'un gruppo di bambini. Ma era diverso. Il suono sembrava salire dal suolo. Menolly si lasciò cadere, premendo l'orecchio contro la pietra nuda. Il suono giungeva dall'interno. Ma certo! La scogliera era cava... per questo la lucertola regina... Carponi, Menolly esplorò il ciglio dello strapiombo, cercando il cornicione della regina. E lei aveva allargato l'entrata. C'era la possibilità di riuscire a ingrandirla ancora, per potersi infilare all'interno. La piccola regina avrebbe sicuramente accettato di ospitare chi aveva salvato la sua covata! E Menolly non era un'ospite che arrivava a mani vuote! Si girò sul dorso il sacco pieno di zampediragno. Afferrandosi ai ciuffi d'erba sul ciglio della roccia, incominciò a calarsi, lentamente. I suoi piedi cercavano a tentoni un appiglio: lo trovò, vi piantò le dita, cercando un altro punto con l'altro piede. A un certo punto sdrucciolò malamente, ma finì quasi subito a cavalcioni
su uno spuntone di pietra. Si appoggiò con il volto contro la parete, ansimando per ritrovare il fiato e il coraggio. Sentiva il canticchiare attraverso la roccia e, stranamente, quel suono la rincuorava. Aveva qualcosa d'immensamente eccitante e stimolante. La fortuna guidò il suo piede al cornicione della reginetta. S'era arrischiata a lanciare soltanto poche occhiate verso il basso... quella vista quasi bastava a farle perdere completamente l'equilibrio. Tremava così forte per la fatica che dovette sostare per riposarsi. Il canto sommesso proveniva indubbiamente dalla grotta della regina. Riuscì a infilare la testa nell'apertura, non di più. Cominciò a grattare convulsamente con le mani nude fino a quando ricordò il pugnale che portava alla cintura. La lama staccò di colpo un'intera sezione, facendole piovere addosso sabbia e frammenti di roccia. Dovette ripulirsi gli occhi e la bocca, prima di poter continuare. E poi si accorse di essere arrivata alla roccia viva. Riuscì a insinuarsi nel riparo soltanto fino olle spalle. Per quanto si girasse e si contorcesse, c'era una sporgenza che non riusciva a superare. Ancora una volta, si augurò di essere piccola come si addiceva ad una ragazza. Sella non avrebbe avuto difficoltà a insinuarsi in quel buco. Risolutamente, Menolly cominciò a scalpellare la roccia con il coltello: ma sebbene i colpi le riverberassero lungo il braccio fino alla spalla, non riuscì a intaccare la pietra. Si chiese, freneticamente, quanto tempo aveva impiegato per scendere fin lì, quanto tempo le restava ancora prima che i Fili cominciassero a piovere sul suo corpo indifeso. Il suo corpo? Non sarebbe riuscita a superare la sporgenza, con le spalle, ma... Cambiò posizione, e infilò senza difficoltà i piedi, le gambe, i fianchi e il busto, fino alle spalle, al sicuro nella solida roccia. La testa era coperta, appena appena, dall'inclinazione della scogliera. I Fili vedevano dove cadevano? Si sarebbero accorti di lei, incastrata in quella breccia? Poi Menolly vide la cinghia del sacco che aveva appeso al cornicione per tenerlo a portata di mano senza che l'intralciasse. Se i Fili fossero penetrati nelle zampadiragno... Si sporse dalla breccia quando bastava per lanciare un'occhiata verso il cielo. Non si scorgeva ancora il riflesso argenteo! Non c'era altro suono che il canto sommesso e vibrante. Non aveva nulla a che vedere con i Fili... o sì. La cinghia del sacco s'era incastrata nel cornicione, e Menolly faticò a liberarlo, strattonando con forza. Poi il sacco si staccò all'improvviso, e la forza
stessa dello strattone la trascinò indietro, facendole battere la testa contro la volta della galleria, mentre sotto le sue natiche la superficie incominciò a slittare, verso il basso. Menolly s'infilò a unghiate nella galleria, mentre il cornicione si staccava lentamente dalla parete e precipitava sulla spiaggia. Menolly si trasse indietro, rapida, temendo che l'imboccatura cedesse ancora, e all'improvviso si trovò in una grotta, ampia, alta, profonda, con il sacco stretto al petto e gli occhi sbarrati. Il mormorio era dietro di lei. Sgomentata da quella che poteva considerare soltanto come una nuova minaccia, si voltò di scatto. Le lucertole di fuoco erano appollaiate lungo le pareti, aggrappate agli spuntoni e alle cengie. Gli occhi scintillanti fissavano il mucchio di uova nel centro sabbioso della grotta. Il mormorio usciva dalle gole di tutte le bestiole, troppo attente alle uova per badare alla sua apparizione improvvisa. E nell'attimo in cui Menolly comprese che stava assistendo a una Schiusa, il primo uovo incominciò a oscillare, e nel guscio apparvero le prime incrinature. Oscillò così forte che cadde dal mucchio e, urtando il suolo, si spaccò. Dalle due metà del guscio uscì una creaturina minuscola, non più grande della mano di Menolly, lucida, marrone. Strillando per la fame, facendo ondeggiare avanti e indietro la testolina, avanzò sgraziatamente di qualche passo. Le ali trasparenti si spiegarono, batterono per asciugarsi, e Tesserino si tenne meglio in equilibrio. Lo strillo si mutò in un sibilo d'irritazione, e la piccola lucertola marrone si guardò intorno, con aria difensiva. Le altre lucertole di fuoco gorgogliarono, come l'incoraggiassero ad agire. Con uno strilletto furioso, il piccolo si lanciò verso l'imboccatura della grotta, passando così vicino a Menolly che lei avrebbe potuto toccarlo allungando la mano. La lucertola marrone si staccò dal ciglio eroso del cornicione, agitando freneticamente le ali per volare. Menolly represse un grido quando la vide cadere, e poi sospirò di sollievo quando riapparve per un attimo, battendo le ali, e s'involò verso il mare. Nuovi strilli attirarono la sua attenzione verso le uova. Altre lucertole di fuoco erano uscite dal guscio in quei brevi istanti. Ognuna scrollava le ali e poi, incoraggiata dagli adulti, si avviava zigzagando e saltellando verso l'uscita della grotta, indipendente e famelica. Parecchi verdi e azzurri, un piccolo bronzeo e un altro marrone uscirono
dal guscio e passarono oltre Menolly. E poi, mentre guardava una piccola lucertola azzurra che si lanciava in volo, Menolly urlò. Nell'istante in cui la bestiola si slanciava dal riparo della grotta, scorse i sottili, frementi Fili argentei che scendevano. In un attimo, la lucertola azzurra fu ricoperta dai letali filamenti. Lanciò uno strido terribile e scomparve. Era morta? O era andata in mezzo? Certo, doveva essere orrendamente ustionata. Altre due piccole lucertole di fuoco passarono davanti a Menolly: e questa volta lei reagì. «No! No! Non potete! Morirete tutte!» E si buttò sulla loro strada. Irritate, le piccole lucertole si avventarono contro il suo viso e, mentre lei si copriva, uscirono. Menolly gridò, quando le sentì urlare. «Non lasciatele uscire!» disse, rivolgendosi implorante alle adulte. «Voi siete più vecchie. Sapete che ci sono i Fili! Fermatele!» E corse verso la roccia dov'era posata la regina. «Digli di non andare! Ci sono i Fili, là fuori! Moriranno tutte!» La regina la guardò, roteando con violenza gli occhi sfaccettati. Cinguettò e poi gracidò quando un altro piccolo spiegò le ali e cominciò ad avanzare vacillando verso la morte sicura. «Ti prego, reginetta! Fai qualcosa! Fermale!» La gioia di assistere alla Schiusa delle lucertole di fuoco lasciò il posto all'orrore. I draghi dovevano essere difesi, perché difendevano Pern. In preda alla paura e alla confusione, Menolly sentiva che le piccole lucertole erano legate ai loro giganteschi cugini. Si rivolse alle altre lucertole, supplicandole di fare qualcosa. Almeno fino a quando fosse cessata la Caduta dei Fili. Disperatamente, si precipitò all'imboccatura della grotta e cercò di respingere con le mani e con il corpo le bestiole appena nate. Si sentì travolgere dalle fitte della fame, una fame che le torceva le viscere. Dopo un momento, comprese che a spingere le lucertole neonate era quella fame: era la fame che le faceva uscire insensatamente. Dovevano mangiare. Ricordava che anche i draghi dovevano mangiare, subito dopo la Schiusa, dovevano venire nutriti dai ragazzi che avevano impresso loro lo Schema dell'Apprendimento. Freneticamente, Menolly afferrò il sacco. Con una mano scacciò una lucertoletta che si avvicinava all'imboccatura, e con l'altra estrasse una zampadiragno. Il piccolo bronzeo lanciò uno strido e azzannò la zampadiragno dietro l'occhio, uccidendola di colpo. Battendo le ali, si liberò dalla stretta di Me-
nolly e, con una forza che lei non arerebbe mai immaginato in un esserino appena nato, portò in volo la preda in un angolo e cominciò a sbranarla. Menolly si mosse ciecamente e, con una certa sorpresa, si ritrovò nella mano l'unica reginetta della covata. Estrasse dal sacco due zampediragno con l'altra mano, le depose in un angolo insieme alla regina. Poi, rendendosi conto che non poteva imboccare l'intera covata, rovesciò il sacco, spargendo al suolo i crostacei. Le lucertolette di fuoco si lanciarono sulle zampadiragno. Menolly ne catturò altre due prima che raggiungessero l'imboccatura della grotta e le posò sul mucchio di cibo. Era intenta ad assicurarsi che ogni neonato avesse a disposizione un crostaceo quando sentì qualcosa punzecchiarle la spalla. Alzò gli occhi, sbalordita, e vide il piccolo bronzeo aggrappato alla sua tunica. Gli occhi rotondi roteavano: aveva ancora fame. Gli offrì una zampadiragno e lo rimise nel suo angolo. Ne gettò un'altra alla reginetta e ne afferrò ancora, per porgerle ai suoi protetti. Furono ben pochi i neonati che uscirono ancora, adesso che avevano a disposizione un mucchio di cibo. Menolly aveva raccolto parecchi crostacei, ma le lucertolette affamate non impiegarono molto tempo per divorare anche l'ultimo boccone. Strillavano ancora come se stessero per morire di fame, e si aggiravano inciampando nelle proprie zampe e nei gusci d'uovo, alla ricerca di qualche briciola dimenticata. Ma rimasero nella grotta, e le lucertole adulte le raggiunsero, strusciandosi contro di loro ed emettendo ciangottii affettuosi. Completamente esausta, Menolly si appoggiò alla parete, osservando quella scena convulsa. Almeno non erano morte tutte. Guardò preoccupata l'imboccatura e vide che i Fili non cadevano più. Scrutò più lontano. Non c'era neppure una traccia della minacciosa nébbia grigia, fino all'orizzonte. La Caduta doveva essersi conclusa. Appena in tempo. Adesso, Menolly riceveva i pensieri famelici di tutte le lucertole di fuoco. Era sconvolgente. Si rese conto di essere affamata anche lei. La vecchia regina cominciò a volteggiare nella grotta, squittendo un comando imperioso ai suoi seguaci. Poi sfrecciò fuori, e gli adulti la seguirono alla spicciolata. I piccoli, muovendosi goffamente, si lanciarono nel primo volo, e pochi attimi dopo, nella grotta erano rimasti soltanto Menolly, il suo sacco lacero, un mucchio di gusci di zampediragno e le uova spezzate. Quando le lucertole uscirono, la fame di Menolly si attenuò un poco. Ri-
cordò il pane che aveva riposto nella tasca. Con un po' di rimorso per quella scoperta ritardata, lo mangiò con sollievo fino all'ultima briciola. Poi scavò una depressione nella sabbia, si tirò sulle spalle il sacco vuoto, e si addormentò. VI O Signore della Fortezza, la tua roba è sol sicura tra muri spessi, porte metalliche e niente verzura. La Caduta dei Fili era terminata da un pezzo, le squadre armate di lanciafiamme erano rientrate sane e salve nella Tenuta del Semicerchio prima che qualcuno si accorgesse che Menolly non c'era. Se ne accorse Sella, perché non aveva nessuna voglia di assistere il Vecchio Zio. Lui aveva avuto un altro attacco, e qualcuno doveva vegliare al suo capezzale. «Tanto, ormai non è capace di far altro, quella,» disse Sella a Mavi, e poi si affrettò ad assumere un'aria innocente, sotto lo sguardo severo della madre. «Beh, non fa altro che trascinarsi di qua e di là, covandosi la mano come se fosse preziosa. Schiva tutto il vero lavoro...» La ragazza sospirò. «Abbiamo già avuto abbastanza guai, questa mattina, dato che qualcuno ha lasciato aperte le porte della Tenuta e poi sono caduti i Fili...» Mavi rabbrividì per l'orrore: l'idea dei Fili che scendevano, liberi di insinuarsi nella Tenuta, le rivoltava lo stomaco. «Vai a cercare Menolly e informala di quello che deve fare, se il vecchio avesse un altro attacco.» Sella impiegò quasi un'ora per accertare che Menolly non era nella Tenuta, e neppure tra quelli che mettevano le esche alle lenze. E non era uscita con le squadre armate di lanciafiamme. Anzi, nessuno ricordava di averla vista in tutto il giorno. «Non poteva essere uscita a raccogliere verdure come fa di solito,» disse pensierosa una vecchia zia, sporgendo le labbra. «La Caduta dei Fili è incominciata proprio mentre stavamo bevendo il klah, di prima mattina. E non l'ho vista in cucina a quell'ora. Eppure di solito è così pronta ad aiutate, anche con una mano sola, povera cara.» In un primo momento, Sella provò soltanto irritazione. Era tipico di Menolly, sparire quando c'era bisogno di lei. Mavi era troppo clemente. Bene, se non era rimasta nella Tenuta, quella mattina, era stata sorpresa dai Fili. Così
imparava. Poi, Sella si sentì un po' meno tranquilla. Cominciò a provare i primi fremiti di paura. Se Menolly era all'aperto durante la Caduta dei Fili, certamente sarebbe... sarebbe rimasto... qualcosa... che i Fili non avrebbero potuto divorare. Reprimendo la nausea, andò a cercare suo fratello Alemi, che dirigeva la squadra dei lanciafiamme. «Alemi, non avete visto niente... di strano... quando controllavate il terreno?» «Cosa vorrebbe dire "strano"?» «Sai bene... tracce...» «Di che cosa? Non ho tempo per gli indovinelli, Sella.» «Voglio dire, se qualcuno venisse sorpreso all'aperto quando cadono i Fili, come potresti accorgertene?» «Cosa stai cercando di dirmi?» «Menolly non è nella Tenuta, e neppure nella Caverna dell'Attracco, o altrove. Non faceva parte delle squadre...» Alemi aggrottò la fronte. «No, non c'era, ma credevo che Mavi avesse avuto bisogno di lei per qualche lavoro.» «... Ecco! E nessuna delle zie ricorda di averla vista questa mattina. E le porte della Tenuta non erano sbarrate!» «Credi che Menolly sia uscita molto presto dalla Tenuta?» Alerai si rendeva conto che una ragazza alta e forte come Menolly avrebbe potuto facilmente rimuovere le sbarre delle porte. «Sai com'è diventata, da quando si è ferita la mano continua a scappare via appena ne ha l'occasione.» Alemi lo sapeva, perché era affezionato a Menolly, e sentiva molto la mancanza del suo canto. Non condivideva le riserve di Yanus sulle sue doti, e non approvava la decisione paterna di tenerle nascoste all'Arpista, soprattutto ora che l'Arpista avrebbe potuto tenerla in riga. «Allora?» chiese irritata Sella, strappandolo ai suoi pensieri. «Non ho visto niente di strano.» «Ci sarebbe stato qualcosa? Se i Fili l'avessero colpita?» Alerai rivolse a Sella un'occhiata lunga e severa. Lei parlava come se si rallegrasse all'idea che Menolly poteva essere stata colpita. «Non sarebbe rimasto niente. Ma nessun Filo è riuscito a superare le squa-
driglie di Benden.» Poi Alemi girò sui tacchi e lasciò a bocca aperta la sorella. Stranamente, le sue parole non la consolarono affatto. Tuttavia, poiché era evidente che Menolly non si trovava, Sella poté provare una certa soddisfazione riferendolo a Mavi, e aggiungendo che, secondo lei, era stata proprio Menolly a commettere la colpa orrenda di lasciare senza sbarre le porte della Tenuta. «Menolly?» Mavi stava consegnando il sale marino e le spezie alla capocuoca, quando Sella venne a riferirle le notizie. «Menolly?» «Sì. Menolly. È scomparsa. Nessuno l'ha vista, ed è stata lei a lasciare senza sbarre le porte della Tenuta! Mentre cadevano i Fili!» «I Fili non cadevano ancora, quando Yanus ha scoperto che le porte erano aperte.» Mavi la corresse automaticamente. Rabbrividì al pensiero che qualcuno, e fosse pure quella sua figlia ribelle, fosse stato sorpreso all'aperto dalla pioggia argentea dei Fili. «Alemi dice che nessun Filo è sfuggito ai draghi, ma come può esserne certo?» Mavi non disse nulla, mentre chiudeva lo stipo dei condimenti. «Ne informerò Yanus. E parlerò anche con Alemi. Tu vai ad assistere il Vecchio Zio.» «Io?» «Lo so, non è un vero lavoro, ma è adatto al tuo temperamento e alle tue capacità.» Yanus rimase in silenzio per un lungo istante, quando fu informato della scomparsa di Menolly. Non gli piaceva che accadessero cose disdicevoli, per esempio che le porte della Tenuta non venissero sbarrate. Se n'era preoccupato moltissimo durante la Caduta e poi, più tardi, durante la pesca. E non era bene che il Proprietario di una Tenuta Marina si lasciasse distrarre dai suoi compiti immediati. Provò un certo sollievo, al pensiero che l'enigma fosse stato risolto, e poi irritazione e ansia per la ragazza. Aveva fatto una grossa sciocchezza... lasciare la Tenuta così presto. Era sempre rimasta imbronciata, dopo che lui l'aveva picchiata. E Mavi non l'aveva fatta lavorare abbastanza per toglierle dalla testa quella stupida idea di comporre musica. «Ho sentito dire che ci sono molte grotte, nelle scogliere lungo la costa,» disse Elgion. «Molto probabilmente, la ragazza si è rifugiata là.» «Sì, è probabile,» disse sbrigativamente Mavi, lieta che l'Arpista avesse avanzato quell'ipotesi così sensata. «Menolly conosce assai bene la costa, fino all'ultimo crepaccio.»
«E allora tornerà,» disse Yanus. «Lasciale il tempo di riprendersi dalla paura di essersi trovata all'aperto durante la Caduta dei Fili. Tornerà.» Consolato da quella teoria, Yanus passò ad occuparsi di questioni meno fastidiose. «È primavera,» disse Mavi, parlando più a se stessa che agli altri. Soltanto l'Arpista captò la nota ansiosa della sua voce. Due giorni dopo Menolly non era ritornata, e l'intera Tenuta Marina era in allarme per la sua scomparsa. Nessuno rammentava di averla vista il giorno della Caduta dei Fili. E nessuno l'aveva vista da allora. I bambini inviati a raccogliere bacche e zampediragno non avevano trovato le sue tracce, e non era stata in nessuna delle grotte che loro conoscevano. «È inutile mandare una squadra a cercarla,» disse uno dei comandanti, pensando che prendere i pesci era molto più facile che ritrovare le tracce d'una stupida ragazza... soprattutto di una ragazza con una mano menomata. «O è sana e salva e ha deciso di non tornare, oppure...» «Potrebbe essere ferita... ustionata dai Fili, o con una gamba o un braccio fratturato,» disse Alemi. «E nell'impossibilità di tornare indietro.» «Comunque, non avrebbe dovuto uscire senza dire a qualcuno dove andava.» Il comandante fissò Mavi, che non raccolse quell'implicita accusa di negligenza rivolta a lei. «Era abituata a uscire per raccogliere le verdure la mattina di buon'ora,» disse Alemi. Se nessuno era disposto a difendere Menolly, avrebbe parlato lui. «Portava un coltello? O una fibbia metallica?» chiese Elgion. «I Fili non intaccano il metallo.» «Già. Questo almeno lo avremmo trovato,» disse Yanus. «Se l'hanno colpita i Fili,» commentò oscuramente il comandante. Secondo lui, Menolly era finita in un crepaccio o era precipitata dalle scogliere per il terrore di trovarsi all'aperto mentre cadevano i Fili. «Il suo corpo verrà buttato a riva presso le Pietre dei Draghi. Da quella parte, la corrente getta sulla spiaggia ogni sorta di rifiuti.» Mavi si lasciò sfuggire un suono che sembrava un singhiozzo. «Non conosco la ragazza,» disse prontamente Elgion, guardando Mavi. «Ma se, come dite tutti, era abituata a stare spesso fuori, dovrebbe conoscere troppo bene la zona per essere precipitata dalle scogliere.» «La Caduta dei Fili può sconvolgere chiunque...» fece il comandante del peschereccio.
«Menolly non è stupida,» interloquì Alemi, con tanto slancio che tutti lo guardarono stupiti. «E conosceva abbastanza bene l'Insegnamento per sapere cosa doveva fare, se fosse stata sorpresa all'aperto.» «Giusto, Alemi,» disse bruscamente Yanus, e si alzò. «Se avesse avuto la volontà e la possibilità di ritornare, l'avrebbe fatto. Quelli che usciranno dovranno tenere gli occhi aperti, nell'eventualità di trovare qualche traccia. E questo include il mare, non soltanto la terraferma. Come Proprietario della Tenuta Marina, in coscienza non posso fare di più, date le circostanze. E la marea sta salendo. Alle barche.» Sebbene Elgion non avesse previsto che Yanus organizzasse una ricerca intensiva per una ragazza sperduta, quella decisione lo sorprese. Persino Mavi l'accettava, come se fosse soddisfatta, come se quella ragazza costituisse un imbarazzo. Il comandante del peschereccio era evidentemente compiaciuto dell'imparzialità del Proprietario. Soltanto Alemi sembrava risentito. L'Arpista accennò al giovane di trattenersi, mentre gli altri uscivano. «Ho un po' di tempo a disposizione. Tu dove mi consiglieresti di cercare?» La speranza balenò negli occhi di Alemi, subito velati da un'improvvisa cautela. «Direi che è meglio se Menolly resterà dov'è...» «Morta o ferita?» «Sì.» Alemi sospirò. «E le auguro buona fortuna e una lunga vita.» «Allora tu credi che sia viva e che abbia deciso di non ritornare alla Tenuta?» Alemi fissò l'Arpista. «Io credo che sia viva, e che stia meglio dov'è ora di quanto starebbe nel Semicerchio.» Poi il giovane seguì gli altri, lasciando l'Arpista sconcertato. Elgion non si trovava male al Semicerchio. Ma Robinton non aveva sbagliato quando aveva previsto che avrebbe dovuto apportare qualche modifica nella vita di quella Tenuta Marina. Sarebbe stata un'autentica sfida, gli aveva detto, cercare di allargare la mentalità ristretta e limitata di quell'isolata comunità. In quel momento, Elgion si domandava se il Maestro Arpista non aveva enormemente sopravvalutato le sue capacità, dato che non era riuscito neppure a indurre il proprietario e i suoi familiari a cercare di salvare una parente. Poi, ripensando ai toni di voce più che alle parole pronunciate, Elgion si rese conto che quella Menolly rappresentava un problema per la Tenuta, a parte
la mano storpiata. Elgion non ricordava assolutamente di aver mai visto la ragazza, sebbene fosse in grado di riconoscere tutti gli abitanti della Tenuta. Aveva trascorso parecchio tempo, ormai, in compagnia di ogni gruppo familiare, dei bambini nella Sala Piccola, dei pescatori in attività, dei vecchi. Si sforzò di rammentare quando aveva visto una ragazza con la mano ferita, e ricordò appena, fuggevolmente, una figura alta e dinoccolata che era fuggita dalla Sala una sera, mentre lui stava suonando. Non l'aveva vista in faccia, ma avrebbe riconosciuto la figura, se l'avesse riveduta. Era un peccato che la Tenuta del Semicerchio fosse così isolata che non c'era modo di inviare messaggi per mezzo dei tamburi. Come soluzione alternativa, avrebbe potuto chiamare il primo dragoniere che avesse visto, per avvertire il Weyr di Benden. I cavalieri che effettuavano i voli di ricognizione avrebbero potuto cercare la ragazza, e dare l'allarme alle Tenute oltre le paludi e lungo la costa. Elgion non sapeva immaginare come lei avrebbe potuto arrivare tanto lontana, con i Fili che cadevano: ma si sarebbe sentito più tranquillo se avesse fatto qualcosa per ritrovarla. E nel contempo, non era riuscito a scoprire l'identità del compositore. Il Maestro Arpista gli aveva raccomandato di portare il ragazzo alla Sede dell'Arte al più presto possibile, per poterlo istruire. I compositori dotati erano molto rari, e molto apprezzati. Ormai, Elgion aveva capito perché il vecchio Arpista s'era ben guardato dall'identificare il ragazzo. Yanus pensava soltanto al mare, alla pesca, al modo di sfruttare ogni uomo, ogni donna e ogni bambino della sua Tenuta nell'interesse del Semicerchio. Li aveva addestrati tutti alla perfezione. E certamente, avrebbe guardato male un ragazzo che passava troppo tempo a suonare ed a comporre. Anzi, non c'era nessuno che potesse aiutare Elgion, la sera, quando doveva suonare e cantare. C'era un ragazzo che aveva un buon senso del ritmo, ed Elgion aveva già incominciato a insegnargli a suonare il tamburo; ma in maggioranza i suoi allievi avevano le dita troppo goffe. Oh, conoscevano bene gli Insegnamenti, ma da un punto di vista musicale erano passivi. Non c'era da stupirsi che Petiron fosse stato tanto entusiasta dell'unico ragazzo veramente dotato fra tatti quegli incapaci. Purtroppo, il vecchio era morto prima di ricevere il messaggio di Robinton: altrimenti, il giovane avrebbe saputo di essere considerato un candidato più che accettabile per la Sede dell'Arte degli Arpisti. Elgion guardò la flotta dei pescherecci che usciva dal porto, poi chiamò un
gruppo di ragazzetti, si fece consegnare un carico di involtini di pesce da una zia, nella cucina, e partì ufficialmente, per guidare i giovani alla ricerca di verdure fresche. Come Arpista, li conosceva abbastanza bene; ma appunto perché era l'Arpista, i ragazzi lo guardavano con rispetto e lo tenevano a distanza. Appena disse loro che dovevano cercare Menolly, il suo coltello, se erano in grado di riconoscerlo, o la fibbia della sua cintura, la distanza crebbe inspiegabilmente. Tutti sembravano sapere - anche se Elgion dubitava che fossero stati informati dagli adulti - che Menolly mancava dalla Tenuta ormai da diversi giorni. E tutti sembravano egualmente riluttanti a cercarla, ed a suggerirgli le zone dove avrebbero potuto rintracciarla. Sembrava, si disse Elgion con rabbiosa frustrazione, che avessero paura che lui la ritrovasse. Perciò, cercò di riconquistare la loro confidenza spiegando che Yanus aveva stabilito che chiunque uscisse dalla Tenuta doveva tenere gli occhi aperti per cercare la ragazza scomparsa. Rientrò alla Tenuta insieme ai ragazzi, con un sacco pieno di bacche, di verdure e di zampediragno. L'unica informazione che i bambini gli avevano dato spontaneamente in tutta la mattinata, a proposito di Menolly, era stata che lei era capace di prendere più zampediragno di chiunque altro. Comunque, Elgion non dovette chiamare un dragoniere. Il giorno dopo, un comandante di squadriglia scese volteggiando con il suo bronzeo sulla spiaggia del Semicerchio, salutò affabilmente Yanus e chiese di parlare con l'Arpista. «Tu devi essere Elgion,» disse il giovane, alzando la destra in gesto di saluto. «Io sono N'ton, il cavaliere di Lioth. Ho saputo che sei venuto a stabilirti qui.» «Cosa posso fare per te, N'ton?» Senza parere, Elgion condusse il dragoniere bronzeo fuori dalla portata degli orecchi di Yanus. «Hai sentito parlare delle lucertole di fuoco?» Elgion fissò stupito N'ton, poi scoppiò a ridere. «È un vecchio mito!» «Non è un mito, amico,» disse N'ton. Nonostante la gaia espressione maliziosa dei suoi occhi, stava parlando sul serio. «No?» «No. Non sai se i ragazzi di qui ne hanno avvistata qualcuna, lungo la costa? Hanno l'abitudine di deporre le uova nella sabbia delle spiagge. Noi vogliamo le uova.»
«Davvero? Per la verità, non sono i bambini che le hanno viste, ma il figlio del Proprietario, un tipo che non si lascia suggestionare dalla fantasia, anche se non avevo creduto... Ne ha viste alcune intorno a certi scogli, chiamati Pietre dei Draghi. Più avanti, lungo la costa.» Elgion indicò la direzione. «Andrò a dare un'occhiata. Ma ecco quel che è accaduto. F'nor, il cavaliere del marrone Canth, è stato ferito» (1). N'ton fece una breve pausa. «E ha passato la convalescenza alla Fortezza Meridionale. Ha trovato, e le ha impresso lo Schema dell'Apprendimento...» Ancora una volta N'ton fece una pausa, come per sottolineare quelle ultime parole. «Una lucertola regina.» «Le ha impresso lo Schema? Credevo che soltanto i draghi...» «Le lucertole di fuoco sono assai simili ai draghi. Sono soltanto molto più piccole.» «Ma questo vorrebbe dire...» Elgion si perse nei suoi pensieri. «Sì Arpista, per l'appunto,» disse N'ton con un gran sorriso. «E adesso tutti vogliono una lucertola di fuoco. Non posso immaginare Yanus, il Proprietario del Semicerchio, che fa sprecare tempo ed energie ai suoi uomini per andare in cerca di covate di lucertola di fuoco. Ma se le lucertole sono state avvistate, allora qualunque caletta con la sabbia calda potrebbe nascondere le uova.» «Le alte maree di questa primavera hanno sommerso quasi tutte le calette.» «È un vero peccato. Guarda se riesci a organizzare i giovani della Tenuta per la ricerca. Non credo che opporrebbero resistenza...» «No, affatto.» Ed Elgion comprese che N'ton, sebbene adesso fosse un dragoniere, doveva aver nutrito nell'infanzia gli stessi progetti sulle lucertole di fuoco che lui stesso aveva avuto. «E quando troveremo le uova, cosa dovremo fare?» «Se le troverete,» disse N'ton, «alza la bandiera del segnale, e il cavaliere in volo di ricognizione lo riferirà. Se la marea minacciasse le uova, mettile nella sabbia calda, o avvolgile in pelli riscaldate.» «Se si schiudessero, tu hai detto che alle lucertole di fuoco si può imprimere lo Schema dell'Apprendimento...» «Ti auguro di avere questa fortuna, Arpista. In questo caso, sfama i piccoli. Rimpinzali fino a scoppiare, continuando a parlare con loro. È così che s'imprime lo Schema. Ma, del resto hai assistito a una Schiusa, no? Quindi sai come fare. Il principio è lo stesso.» «Le lucertole di fuoco.» Elgion era incantato da quella prospettiva.
«Non imprimere lo Schema a tutte, Arpista. Anch'io vorrei avere una di quelle bestiole.» «Ci tieni tanto?» «Sono simpatici animaletti da compagnia. Non sono intelligenti come il mio Lioth.» E N'ton sorrise affettuosamente al drago bronzeo che strusciava il muso sulla sabbia. Mentre si volgeva di nuovo verso Elgion, N'ton notò la fila dei bambini che, con aria piena di soggezione, stavano lungo il murazzo e seguivano attenti i movimenti di Lioth. «Non ti mancherà certo l'aiuto, prevedo.» «A proposito di aiuto, Comandante di Squadriglia, è sparita una ragazza della Tenuta Marina. È uscita la mattina della Caduta dei Fili, e da allora nessuno l'ha più rivista.» N'ton zufolò sommessamente e annuì, comprensivo. «Lo dirò ai dragonieri in servizio di ricognizione. Se aveva un po' di buon senso, probabilmente avrà trovato un rifugio. Le scogliere son piene di grotte. Fin dove l'avete cercata?» «Si tratta appunto di questo. Nessuno si è preso il disturbo di farlo.» Con una smorfia, N'ton girò la testa verso il Proprietario del Semicerchio. «Una ragazza? Di che età?» «Ora che ci penso, non lo so. Credo che sia la sua figlia minore.» N'ton sbuffò. «Nella vita non esiste soltanto il pesce.» «È quello che pensavo anch'io.» «Non amareggiarti tanto, Elgion. Sei ancora troppo giovane. Ci vedremo a Benden, per la prossima Schiusa.» «Ne sarei felice.» «Lo immagino.» Con un cenno di saluto, N'ton ritornò verso il suo drago bronzeo, lasciando Elgion con la coscienza più tranquilla e la prospettiva di un evento che avrebbe alleviato la monotonia della vita nella Tenuta Marina. (1) Vicecomandante del Weyr di Benden, fratello di F'lar (cfr. Volo di drago), scopre le lucertole di fuoco (cfr. La cerca del drago, cap. IV (N.d.C). VII Chi vuole, Può.
Chi tenta, Fa. Chi ama, Vive. Menolly impiegò quattro giorni per trovare le pietre adatte per accendere il fuoco. Prima aveva fatto seccare le alghe e aveva raccolto rami morti dei cespugli palustri per avere il combustibile, e aveva costruito un piccolo focolare in un angolo della grande grotta, dove un camino naturale portava il fumo verso l'alto. Aveva raccolto un grosso mucchio di erbe dolci di palude per farsi un giaciglio, e aveva disfatto la cucitura del sacco per ricavarne una coperta. Non era abbastanza lungo, a meno che lei si raggomitolasse, ma le lucertole di fuoco si ostinavano a dormirle accanto e addosso, e il calore dei loro corpi rimediava a quella carenza. Anzi, la notte stava comodissima. Con il fuoco acceso, le cose andavano anche meglio. Menolly trovò una macchia di alberelli di klah, e anche se la bevanda ricavata dalla corteccia era molto aspra, serviva magnificamente a svegliarla. Andò ai giacimenti d'argilla che venivano sfruttati dalla Tenuta del Semicerchio, e prese un quantitativo di creta sufficiente per farsi tazze, piatti e rozzi recipienti, che mise a cuocere tra le ceneri del fuoco. Poi tappò i fori di una pietra porosa a forma di piatto, e la usò per far bollire l'acqua. E poiché il mare era pieno di pesci, mangiava bene come avrebbe potuto mangiare alla Tenuta, o addirittura meglio. Ma sentiva la mancanza del pane. Si fece addirittura una specie di sentiero per scendere sulla spiaggia. Intagliò qualche gradino e piantò qualche paletto per aggrapparsi con le mani, per facilitare la salita e la discesa. E aveva compagnia. Era continuamente circondata da nove lucertole di fuoco. La mattina dopo la sua avventura frenetica, Menolly era rimasta sbalordita quando al risveglio s'era trovata tutto intorno quei corpicini caldi. E aveva avuto un po' di paura, fino a che le piccole creature s'erano svegliate irradiando pensieri di fame rinnovata ma anche d'affetto e d'amore per lei. Spinta dalla loro necessità, Menolly era scesa lungo la parete infida e aveva raccolto i codamignolo imprigionati nelle pozze poco profonde lasciate dalla marea. Non era riuscita a stanare le conchiglie-sassetto, ma quando aveva mostrato ad suoi protetti dove potevano estrarle con le lingue allungate e agili, le lucer-
tolette s'erano messe allegramente all'opera. Dopo aver sfamato i suoi piccoli amici, s'era sentita troppo stanca per andare in cerca di pietre e aveva mangiato crudo un pescepiatto. Poi, insieme alle lucertole, era risalita nella grotta, e s'era riaddormentata. Con il passare dei giorni, l'appetito delle bestiole spinse Menolly a fare cose che non avrebbe mai pensato di fare per se stessa. Di conseguenza, era sempre troppo indaffarata per preoccuparsi e per autocommiserarsi. Doveva sfamare, confortare e divertire i suoi amici. E doveva anche provvedere alle proprie esigenze, nella misura del possibile: scoprì che era in grado di fare assai più di quanto avesse mai immaginato. Anzi, incominciò a pensare meravigliata a molte cose che alla Tenuta venivano date per scontate. Aveva pensato automaticamente, come tutti, del resto, che venire sorpresa dai Fili senza un riparo significasse la morte certa. Nessuno aveva mai collegato il fatto che i dragonieri eliminavano quasi tutti i Fili nei cieli prima che toccassero il suolo - e quella era appunto la funzione dei draghi - con l'idea che, di conseguenza, pochissimi piovevano addosso a chi si trovava eventualmente allo scoperto. La mentalità della Tenuta s'era fossilizzata in una convinzione inamovibile... non avere un rifugio durante la Caduta dei Fili voleva dire morire. Nonostante la sua indipendenza crescente, tuttavia, se Menolly fosse stata sola si sarebbe pentita della sua avventatezza e sarebbe tornata alla Tenuta Marina. Ma la compagnia meravigliosa delle lucertole di fuoco le assicurava tutto lo svago di cui aveva bisogno. E amavano la sua musica! Non le fu difficile costruirsi un flauto di canna; e fu ancora più divertente metterne insieme cinque, formando una zampogna, per poter suonare una contromelodia. Le lucertole di fuoco adoravano i suoni, e stavano sedute ad ascoltare, dondolando le testoline eleganti al ritmo della musica. Quando lei cantava, cantavano a loro volta: all'inizio stonavano ma poi, poco a poco, il loro «orecchio» era migliorato, e avevano formato un dolce coro. Con divertita diligenza, Menolly cantava tutte le Ballate dell'Insegnamento, soprattutto quelle che parlavano dei draghi. Le lucertole capivano meno di un bimbetto di tre Giri, ma reagivano lanciando gridolini e battendo le ali a tutti i canti dei draghi, come se si rendessero conto che lei esaltava i loro giganteschi cugini. Menolly era certa che quelle creaturine incantevoli fossero imparentate con gli enormi draghi. Non sapeva come, e non se ne curava. Ma se le trattavi come gli uomini dei Weyr trattavano i loro draghi, le lucertole reagivano allo
stesso modo. A sua volta, lei incominciava a comprendere i loro umori e le loro esigenze e ad esaudirle, per quanto le era possibile. Durante quei primi giorni, le lucertole crebbero rapidamente. Così rapidamente che Menolly aveva un gran daffare per sfamarle. Non vedeva spesso gli altri piccoli, quelli che non aveva imboccato alla nascita o che aveva nutrito solo casualmente. Li scorgeva di tanto in tanto, mentre l'intero sciame mangiava le conchiglie-sassetto durante la bassa marea. La piccola regina e il suo compagno bronzeo spesso volteggiavano per osservare Menolly e il suo gruppetto. Qualche volta, la regina rimproverava Menolly, o forse la piccola lucertola che lei teneva in mano... la ragazza non riusciva a capirlo. E talvolta, la regina si avventurava addirittura contro una delle lucertole, percuotendola rumorosamente con le ali. Menolly non riusciva mai a comprendere il perché: ma i piccoli si sottomettevano docilmente. Spesso, Menolly offriva qualche boccone ad una delle altre lucertole, ma quelle non lo prendevano mai, se lei restava lì vicino. E lo stesso facevano quelle adulte, inclusa la regina. Menolly concluse che era meglio così, altrimenti sarebbe stata costretta a impiegare tutto il tempo per sfamarle. Era già abbastanza problematico saziare le nove alle quali aveva impresso lo Schema dell'Apprendimento. Quando vide la prima lesione sulla pelle della sua piccola regina, Menolly si chiese dove avrebbe potuto trovare l'olio. Ne avevano bisogno, tutte. Le crepe nella pelle potevano essere mortali per le giovani lucertole di fuoco, se fossero andate in mezzo. E poiché c'erano intorno tanti nemici naturali, come i wherry e i ragazzi delle vicine Tenute ansiosi di catturarle, potevano essere costrette ad andare in mezzo per salvarsi. La fonte d'olio più vicina nuotava nel mare. Ma Menolly non aveva una barca per catturare i pesci ricchi d'olio delle profondità, e perciò cercò lungo la costa, e trovò un codatozza morto, gettato a riva durante la notte. Tagliò cautamente la carcassa, tenendo sempre la lama rivolta lontano da lei, e spremette in un recipiente l'olio contenuto nella pelle. Non fu un lavoro piacevole e, quando ebbe terminato, aveva ottenuto appena una tazza di maleodorante liquido giallo. Tuttavia servì allo scopo. La reginetta puzzava, adesso, ma l'olio aveva ricoperto l'incrinatura. Per prudenza, Menolly spalmò anche gli altri piccoli amici. Quella notte, il fetore che regnava nella grotta era quasi insopportabile e Menolly si addormentò mentre cercava di escogitare una soluzione alternati-
va. Al mattino dopo, le possibilità si erano ridotte a una soltanto: addolcire l'olio di pesce con certe erbe palustri. Non poteva procurarsi l'olio puro e inodore che veniva usato nella Tenuta, perché arrivava da Nerat: veniva ricavato spremendo la polpa di un frutto dei climi caldi che cresceva abbondante in quelle foreste pluviali. I baccelli dai semi oleosi che crescevano in riva al mare sarebbero maturati soltanto in autunno; e anche se avrebbe potuto ricavare un po' d'olio dalle bacche nere palustri, avrebbe dovuto disporre di quantità enormi, e del resto lei preferiva mangiarle. Con la scorta alata delle sue lucertole di fuoco, Menolly si spinse a Sud e nell'entroterra, in territori poco frequentati dagli abitanti della Tenuta Marina in quel periodo, perché erano troppo lontani da ogni rifugio. Menolly partì al levar del sole, alternando l'andatura tra un passo allungato e una corsa tranquilla. Decise di spingersi lontano il più possibile, fino a quando il sole fosse giunto in mezzo al cielo: non poteva correre il rischio di farsi sorprendere dalla notte troppo lontano dalla sua grotta. Le lucertole di fuoco, eccitatissime, sfrecciavano di qua e di là, fino a che lei le rimproverò perché sprecavano troppe energie. Mangiavano già tanto, e tutto quel che si poteva trovare, in quella piatta zona paludosa, era rappresentato dalle bacche e da qualche prugna primaticcia. Le lucertole facevano a turno per aggrapparsi alla sua tunica e ai capelli; ma alla fine, quando il piccolo marrone cominciò ad esagerare, Menolly se le scrollò di dosso con un rimprovero. Ben presto si allontanò dalle zone che conosceva e cominciò a procedere più lentamente. Non voleva restare impantanata. Il meriggio la sorprese nella palude, intenta a cogliere bacche per sé, per i suoi amici e il suo canestro. Riuscì a trovare un po' delle erbe aromatiche che cercava, ma non erano sufficienti per il suo scopo. Aveva ormai deciso di ritornare verso le scogliere descrivendo un ampio cerchio, quando sentì le grida lontane. Anche la reginetta le udì: si posò sulla spalla di Menolly, lanciando strilli eccitati. Menolly le raccomandò di tacere, per poter sentire e, con sua sorpresa, la piccola regina obbedì prontamente. Anche le altre si calmarono, in attesa. E Menolly riconobbe le strida convulse di un wherry in difficoltà. Seguendo quel suono, oltrepassò il dosso che separava la successiva valle acquitrinosa e vide il wherry che sbatteva le ali e scrollava la testa, con le zampe e il corpo irrimediabilmente imprigionati dalle sabbie mobili.
Dimentica dell'agitazione delle lucertole di fuoco che avevano riconosciuto nel wherry un nemico, Menolly accorse, sguainando il coltello. L'uccello stava mangiando le bacche dai cespugli che ornavano le sabbie mobili e c'era finito dentro, stupidamente. Menolly si avvicinò guardinga, badando a posare i piedi sul terreno solido. Arrivò abbastanza vicina - l'uccello spaventato non se ne accorse neppure - e gli affondò il coltello nel dorso, alla base del collo. Un altro stridio di paura, e il wherry morì. Le ali inerti si posarono sulla superficie e sprofondarono rapidamente. Menolly si slacciò la cintura per farne un cappio. Si afferrò ai rami robusti di un cespuglio e si sporse quanto bastava per passare il nodo scorsoio intorno alla testa dell'uccello. Strinse e cominciò a tirare, lentamente. Non c'era soltanto carne di wherry per lei e le lucertole: lo strato di grasso sotto la pelle dura le avrebbe fornito l'unguento migliore per l'epidermide delicata dei suoi piccoli amici. Ancora una volta, con grande stupore di Menolly, la reginetta parve comprendere la situazione. Affondò gli artigli minuscoli in un'ala del wherry e ne estrasse la punta dalla fanghiglia. Chiamò gli altri, strillando e, prima che Menolly se ne rendesse conto, tutti avevano afferrato qualche parte del wherry e si sforzavano di trascinarlo fuori dalle sabbie mobili. Fu necessaria molta fatica, tra gli ordini strillati dalla piccola regina: ma riuscirono a estrarre il wherry ed a portarlo sul terreno solido. Il resto della giornata, Menolly lo trascorse segando la durissima pelle dell'animale per sventrare e preparare la carcassa. Le lucertole banchettarono con entusiasmo con le interiora e il sangue che sgorgava dal collo del wherry. Quello spettacolo diede a Menolly. un senso di nausea, ma strinse i denti e si sforzò di ignorare la voracità con cui i suoi compagni, solitamente così gentili, attaccavano quella leccornia inaspettata. Si augurò che quel pasto a base di carne cruda non cambiasse il loro temperamento; ma sapeva che i draghi non diventavano feroci, sebbene si nutrissero di carne viva, quindi era logico supporre che non lo sarebbero diventate neppure le lucertole di fuoco. E almeno, per quel giorno si erano saziate a dovere. Il wherry era piuttosto grosso, e senza dubbio proveniva dalle ricche zone basse di Nerat, perché lo strato di grasso era spesso e morbido. Non poteva provenire dal Nord. Menolly lo scuoiò, interrompendosi due volte per affilare il coltello. Staccò la carne dalle ossa, e la ripose dentro la pelle per portarla
alla grotta. Quando ebbe finito, si ritrovò con un pesante fardello, e le ossa non erano state spolpate a dovere. Era un peccato che non potesse indicare alla vecchia regina dove si trovavano. Menolly stava annodando la cintura per legare il fagotto quando all'improvviso l'aria si popolò di lucertole di fuoco. Con strilli di felicità, la vecchia regina e i suoi bronzei si posarono sulle ossa. Menolly indietreggiò in fretta, prima che le lucertole decidessero di assalirla per portarle via la carne. Durante la lunga, faticosa marcia di ritorno verso il mare, ebbe tutto il tempo di pensare alla loro apparizione improvvisa. Poteva credere facilmente che la piccola regina capisse ciò che lei pensava, e che lo capissero anche gli altri suoi protetti. Ma la giovane regina aveva avvertito le altre? O lei, Menolly, aveva un tenue contatto anche con la vecchia regina? Il suo gruppo non mostrava la minima inclinazione a restare con gli adulti: le teneva compagnia, e a volte scompariva o volteggiava pigramente nel cielo. Talora la reginetta si posava sulla sua spalla per un breve tratto, cinguettando dolcemente. Era ormai buio quando Menolly giunse al suo rifugio. Solo il chiaro di luna e la conoscenza della via d'accesso l'aiutarono a scendere dalla scogliera. Il fuoco s'era ridotto a poche braci e lei lo riattizzò, stancamente. Era così esausta che si limitò ad avvolgere un pezzo di carne di wherry in qualche foglia, infilandolo sotto la sabbia calda accanto al fuoco perché cuocesse per l'indomani mattina. Poi si avviluppò nel sacco e si addormentò. Per giorni e giorni lavorò per sciogliere il grasso, rimpiangendo di non avere una pentola adatta. Buttò erbe aromatiche nel liquido caldo e versò la mistura a raffreddare nei vasi d'argilla. La carne del wherry sapeva un po' di pesce: evidentemente, quello stupido uccello aveva fatto parte di uno stormo vissuto in riva al mare, anziché nell'entroterra o sulle montagne. Ma il grasso, ormai freddo, odorava d'erbe. Non che le lucertole di fuoco si curassero molto dell'odore, pensò Menolly, purché l'unguento servisse a calmare il prurito della pelle. I suoi piccoli amici amavano farsi ungere: si sdraiavano sul dorso, spiegavano le ali per tenersi in equilibrio, le stringevano la mano mentre lei spalmava la pelle delicata del ventre. Canticchiavano felici delle sue cure, e quando finiva di ungerne uno, quello le strusciava contro la guancia la testolina triangolare, roteando gli occhi che «brillavano dei colori dell'iride. Menolly incominciava a notare caratteristiche individuali nei suoi nove
protetti. La reginetta era esattamente come doveva essere: s'impicciava di tutto, dava ordini a tutti gli altri, ed era imperiosa ed esigente come un Proprietario. Tuttavia, ascoltava doverosamente Menolly, e ascoltava anche la vecchia regina. Ma non dava mai retta agli altri, e pretendeva che obbedissero a tutto ciò che diceva. E se si dimostravano riottosi, si affrettava a beccuzzarli. C'erano due bronzei, tre marroni, uno azzurro e due verdi. A Menolly, l'azzurro faceva un po' pena. Sembrava che gli altri lo escludessero o lo tiranneggiassero. Le due verdi lo rimbrottavano di continuo. Lei lo chiamò Zio, e le verdi divennero Zia Uno e Zia Due. Zia Due era un po' più piccola dell'altra. Poiché uno dei due bronzei preferiva andare a caccia di conchigliesassetto, mentre l'altro era abilissimo nel tuffarsi nelle pozze per catturare i codamignolo, i due diventarono rispettivamente Sassetto e Tuffolo. I tre marroni erano così simili che per un po' di tempo non ebbero un nome. Ma poco a poco, Menolly notò che il più grosso cadeva addormentato appena poteva, e lo chiamò Pigro. Il secondo era Mimo, perché faceva sempre quel che vedeva fare all'altro, e il terzo era Bruno, in mancanza di altre caratteristiche distintive. La reginetta si chiamava Bella, perché era bella e perché si impegnava moltissimo nel farsi toeletta, e richiedeva più cure e più unguento degli altri. Si forbiva continuamente gli artigli con i dentini, e li allargava per pulirsi la pelle tra le dita, si leccava la coda per eliminare ogni granello di polvere e si lucidava le creste del collo sulla sabbia e sull'erba. All'inizio, Menolly parlava con le sue lucertole soprattutto per sentire il suono della propria voce. In seguito, lo fece perché sembravano comprendere ciò che diceva. Senza dubbio, ascoltavano con aria intelligente, e ronzavano o ciangottavano in modo incoraggiante quando lei faceva una pausa. E pareva che non si stancassero mai di sentirla cantare o suonare la zampogna. Menolly non avrebbe potuto affermare che armonizzassero alla perfezione, ma canticchiavano sommessamente, ben intonate, quando lei suonava. VIII Ruotate e giratevi o sanguinate e bruciatevi. Volate in mezzo, azzurri e verdi.
Libratevi e tuffatevi, bronzei e marroni. I dragonieri devono volare quando i Fili sono in cielo. Alla fine, Alemi condusse Elgion con la barca fino alle Pietre dei Draghi, alla ricerca delle sfuggenti lucertole di fuoco. In una giornata ventosa, non molto tempo dopo la visita di N'ton, il giovane marinaio si spezzò una gamba, quando il mare agitato lo scagliò contro la timoneria del suo peschereccio. Stavano rientrando in porto, e l'alta marea rendeva le acque più turbolente di quanto lui avesse previsto. Yanus brontolò a lungo, perché Alemi era un marinaio esperto e non avrebbe dovuto avere simili incidenti, ma smise quando Mavi gli fece osservare che quella era l'occasione buona per accertare se il secondo di Alemi sarebbe stato in grado di assumere il comando della nave che veniva ultimata nella Caverna. Alemi si sforzò di prendere allegramente la sua menomazione; ma dopo quattro giorni passati a letto, quando il gonfiore sparì, cominciò ad annoiarsi e ad agitarsi. Insistette tanto che Mavi gli consegnò la gruccia che non aveva avuto intensione di dargli prima che fosse trascorso un altro settedì, e gli disse che se si fosse rotto anche il collo, avrebbe potuto prendersela solo con se stesso. Ma Alerai era un uomo di buon senso, e si aggirava adagio e con prudenza per le scale interne strette e buie, e quando era possibile preferiva le grandi scalinate esterne e le stanze più ampie della Tenuta Marina. Benché si potesse muovere, non aveva molto da fare quando la flotta dei pescherecci era in mare, e ben presto fu attratto dalle voci dei bambini che stavano imparando dall'Arpista una nuova ballata. Elgion lo vide e, con un gesto cortese, lo invitò a entrare nella Sala Piccola. Se anche i bambini si sorpresero nel sentire una nuova voce baritonale, che si associava al coro, avevano troppo rispetto per l'Arpista e si limitarono a lanciare un'occhiata di straforo, mentre la lezione proseguiva. Alerai scoprì con gioia che riusciva a imparare le parole e la melodia nuova con la stessa rapidità dei bambini, e si divertì molto: quasi si rammaricò quando Elgion li congedò tutti. «Come va la gamba, Alemi?» chiese l'Arpista, quando la Sala Piccola si fu svuotata.
«D'ora in poi, potrò contare su un doloretto che mi segnalerà i cambiamenti del tempo.» «È per questo che ti sei rotto la gamba?» disse Elgion con un gran sorriso. «Ho sentito dire che volevi assicurare a Tilsit l'occasione di poter comandare.» Alemi rise. «Sciocchezze. Non mi ero riposato dopo l'ultima tempesta durata cinque giorni. È molto bella, la ballata che stai insegnando.» «E tu l'hai cantata molto bene. Perché non provi più spesso? Cominciavo a pensare che il vento del mare portasse via la voce a tutti, quando compiono i dodici Giri.» «Avresti dovuto sentire mia sor...» E Alemi s'interruppe, arrossì e strinse le labbra. «E questo mi ricorda una cosa. Mi sono preso la libertà di chiedere a N'ton, il cavaliere di Lioth, di avvertire il Weyr di Benden della sua scomparsa. Può darsi che sia ancora viva, sai.» Alemi annuì, lentamente. «Voi della Tenuta Marina siete sorprendenti,» disse Elgion, deciso a passare ad un argomento meno doloroso. Andò allo scaffale delle tavolette incerate e prese le due che cercava. «Queste devono essere state composte dal figlio adottivo che ha preso il posto di Petiron, dopo la sua morte. Le altre tavolette sono tutte scritte con l'antico sistema di notazione, usato dal vecchio Arpista. Ma queste... Un ragazzo capace di comporre così sarebbe prezioso per l'Arte degli Arpisti. Tu sai dove si trova adesso, vero?» Alemi era diviso fra il dovere verso la Tenuta e l'amore per la sorella. Ma lei non era più al Semicerchio, ed il buon senso gli diceva che doveva essere morta se non era stata ancora trovata dopo tanto tempo, con i dragonieri che la cercavano. Menolly era soltanto una ragazza, quindi a che serviva, anche se le sue canzoni erano piaciute all'Arpista? E inoltre, Alemi non voleva smentire suo padre. Quindi, sebbene Elgion sembrasse impressionato favorevolmente dalle canzoni, dato che l'autore era irreperibile, Alemi rispose, sinceramente, che non sapeva dove si trovasse il «ragazzo». Elgion avvolse con cura le tavolette incerate e sospirò con evidente rammarico. «Comunque, le manderò alla Sede dell'Arte degli Arpisti. Robinton vorrà usarle.» «Usarle? Sono belle?» Alemi era sbalordito, e si rammaricava ancor più di aver mentito.
«Sono eccellenti. "Forse, se il ragazzo le sentirà, si farà avanti da solo.» Elgion rivolse al giovane marinaio un sorriso malinconico. «Dato che evidentemente, per qualche ragione, tu non puoi dirne il nome.» Rise della reazione di Alemi. «Su, andiamo: quel ragazzo è stato allontanato in disgrazia, no? Capita, come ogni Arpista dotato di buon senso sa molto bene. L'onore della Tenuta e tutto il resto. Non ti assillerò più. Si farà vivo, sentendo la sua musica.» Poi parlarono di altre cose, fino al ritorno dei pescherecci: erano due coetanei, ma erano cresciuti in ambienti diversi. Uno provava interesse per il mondo al di fuori della sua Tenuta Marina, e l'altro era ben lieto di soddisfare la sua curiosità. Elgion, anzi, era felice di non trovare in Alemi l'inflessibile ottusità di Yanus, e cominciava a pensare che, dopotutto, sarebbe riuscito a realizzare l'ambizioso progetto del Maestro Robinton e ad ampliare la comprensione oltre i confini di quella Tenuta. L'indomani, Alemi ritornò dopo che i bambini erano stati congedati, e ricominciò a fare domande. Alla fine s'interruppe a metà di una frase, scusandosi profusamente per il tempo che faceva perdere all'Arpista. «Ti dirò io che cosa faremo, Alemi. T'insegnerò tutto ciò che desideri conoscere, se tu m'insegnerai a navigare.» «Insegnarti a navigare?» Elgion sorrise allegramente. «Sì, insegnarmi a navigare. Anche il bambino più piccolo della mia classe ne sa più di me, e la mia posizione professionale è in gioco. Dopotutto, un Arpista dovrebbe sapere tutto. «Forse mi sbaglierò, ma non credo che tu abbia bisogno di tutte e due le gambe per governare una di quelle barchette che usano i bambini.» Alemi s'illuminò in viso, e batté entusiasticamente la mano sulla spalla dell'Arpista. «Certo che posso. Per il Primo Guscio, lo farò con piacere! Con piacere.» E Alemi decise di condurre immediatamente Elgion alla Caverna dell'Attracco per insegnargli gli elementi fondamentali della navigazione. Nel suo campo, Alemi era un istruttore competente quanto l'Arpista, ed Elgion riuscì a governare la barca attraverso il Porto già alla fine della prima lezione. Naturalmente, come fece notare Alemi, il vento soffiava dalla parte giusta, e il mare era calmo: le condizioni erano ideali. «E non sono molto frequenti vero?» chiese Elgion, ottenendo in risposta una risata tollerante. «Bene, la pratica rende perfetti, e sarà meglio che io im-
pari gli aspetti pratici.» «E anche la teoria.» La loro amicizia venne così cementata dagli scambi reciproci di conoscenza e dalle lunghe visite. Sebbene nelle loro conversazioni parlassero di molte cose, Elgion esitava ad affrontare il discorso delle lucertole di fuoco ed a spiegare che il Weyr lo aveva pregato di cercare le tracce di quelle sfuggenti creaturine. Tuttavia, aveva frugato gran parte della costa accessibile a piedi. C'erano alcune spiagge che si potevano raggiungere soltanto dal mare. Dato che Alemi gli insegnava a governare la barchetta, sperava di poterlo fare presto. Sapeva con certezza che Yanus avrebbe accolto con disprezzo l'idea di andare in cerca delle lucertole di fuoco, e l'Arpista non voleva coinvolgere Alemi in un progetto che avrebbe attirato sulla sua testa la collera del Proprietario. Alemi era già quasi in disgrazia perché si era fratturato la gamba. Una mattina luminosa, Elgion decise di mettere alla prova la sua soluzione. Congedò presto i bambini, poi andò a cercare Alami e gli disse che non soltanto era una bellissima giornata, ma il mare era abbastanza mosso per mettere alla prova la sua abilità. Alemi rise, lanciò un'occhiata esperta alle nubi, e rispose che nel pomeriggio il mare sarebbe stato calmo come una vasca da bagno, ma che un'uscita immediata sarebbe stata utile ai progressi di Elgion. L'Arpista si fece consegnare da una delle zie, in cucina, un grosso pacco d'involtini di pesce e di focacce alle spezie, e i due uomini partirono. Ormai, Alemi si destreggiava piuttosto agilmente con la gruccia e la gamba steccata, quando si muoveva sulla terraferma, ma era ben lieto di avere un pretesto per tornare sul mare. Appena oltre l'abbraccio protettivo del Semicerchio, il mare era reso turbolento dalla controcorrente e dal vento: sarebbe stato un vero esame per la bravura di Elgion. Alemi, che si preoccupava troppo delle abbondanti spruzzate quando la barchetta scendeva e risaliva le onde, faceva la parte del passeggero silenzioso, mentre l'Arpista lottava con il timone e la piccola vela per rimanere sulla rotta lungo la costa, come aveva deciso il suo compagno. Alemi si accorse che il vento stava cambiando qualche attimo prima di Elgion; ma - e questo tornava a onore della sua abilità d'insegnante - anche l'Arpista lo notò subito. «Il vento sta calando.» Alemi annuì, e si assestò il berretto secondo la nuova direzione del vento. Continuarono a navigare: la pressione sulla vela s'era attenuata, e la velocità
della barca era favorita più dalla corrente che dal vento. «Ho fame,» annunciò Alemi quando giunsero in vista delle tozze masse violacee delle Pietre dei Draghi. Elgion allentò la drizza, e Alemi ammainò la vela, imbrogliandola con distratta abilità sulla boma. Seguendo le sue istruzioni, l'Arpista legò il timone, in modo che la corrente li portasse adagio lungo la costa. «Non so perché,» disse Alemi, addentando un involtino di pesce, «ma sul mare il cibo è sempre più saporito.» Elgion si accontentò di annuire perché aveva la bocca piena. Anche lui aveva appetito, sebbene non avesse faticato troppo: si era limitato a governare il timone e a regolare di tanto in tanto la vela. «Ora che ci penso, molto spesso non ho tempo di mangiare, quando navigo,» aggiunse Alerai. Con un gesto, incluse la loro andatura tranquilla, la barchetta e quello spuntino. «Non ho mai oziato così, in mare, da quando sono cresciuto abbastanza per salpare una rete.» Si stirò, e spostò delicatamente la gamba steccata, con una smorfia. Poi all'improvviso si chinò per frugare nell'armadietto inserito nella curvatura dello scafo. «L'immaginavo.» Con un gran sorriso, estrasse una lenza, l'amo e le esche secche. «Non puoi proprio rinunciare?» «Cosa? Perché Yanus cominci a inveire contro i fannulloni?» Con destrezza, Alemi fissò l'amo alla lenza e lo innescò. «Ecco fatto. Potresti provare anche tu. Oppure il Maestro Arpista non approva gli scambi tra le Arti?» «Più Arti si conoscono e meglio è, dice sempre il Maestro Robinton.» Alemi annuì, tenendo d'occhio le correnti. «Sì. Mandare i ragazzi in altre Tenute Marine come figli adottivi non rappresenta la soluzione, vero?» Lanciò con destrezza la lenza, che finì lontana dalla barca e affondò. Elgion lo imitò con discreta abilità, e poi, come Alemi, si preparò ad attendere i risultati. «Che cosa potremmo prendere, qui?» Alemi strinse le labbra in una smorfia d'indifferenza. «Nulla, probabilmente. La marea è al massimo, la corrente forte, e siamo a metà giornata. I pesci mangiano all'alba, a meno che non cadano i Fili.» «È per questo che usi i vermi secchi? Perché somigliano ai Fili?» Elgion non riuscì a reprimere un brivido, a quel pensiero. «Infatti.» Sulla barca scese il silenzio tranquillo che spesso avvolge i pescatori.
«Uno striscegialle, se prenderemo qualcosa,» disse finalmente Alemi, rispondendo alla domanda che Elgion aveva quasi dimenticato. «Uno striscegialle, oppure un codatozza molto affamato. Quelli mangiano di tutto.» «Un codatozza? Sono squisiti.» «La lenza si spezzerà. I codatozza sono troppo pesanti.» «Oh.» La corrente, inesorabile, li stava trascinando più vicini alle Pietre dei Draghi. Ma, sebbene volesse indurre Alemi a parlare di quelle rocce, Elgion non riusciva a trovate un pretesto adatto. Quando s'era ormai convinto che avrebbe fatto bene a decidersi, prima che la corrente li mandasse a sbattere contro le Pietre, Alemi si guardò intorno casualmente. Erano arrivati a poche lunghezze di drago dal più esterno dei grandi scogli. L'acqua ne lambiva tranquillamente la base, scopriva alcune punte dentate della roccia sommersa, e defluiva turbinando intorno ad altre. Alemi spiegò la vela e tirò la drizza. «È meglio tenerci un po' lontani. Sono pericolose, con gli scogli sommersi. Quando cresce la marea, la corrente può trascinarti contro quelle rocce. Se verrai solo da queste parti, come presto sarai in grado di fare, cerca di tenerti a distanza.» «I ragazza dicono che una volta hai visto le lucertole di fuoco, là.» Elgion si accorse di aver pronunciato quelle parole prima di riuscire a trattenersi. Alemi gli rivolse una lunga occhiata divertita. «Mettiamola così: non so che altro potevano essere. Non erano wherry: troppo veloci, troppo piccole, e i wherry non sanno manovrare così. Ma... lucertole di fuoco?» Rise e alzò le spalle per esprimere il proprio scetticismo. «E se io ti dicessi che esistono? Che F'nor, il cavaliere di Canth, ha impresso lo Schema ad una di esse, nel Continente Meridionale, e cinque o sei dragonieri hanno fatto altrettanto? Che i Weyr vorrebbero altre covate di lucertole di fuoco, e mi hanno chiesto di cercarle sulle spiagge?» Alemi fissò stupito l'Arpista. Poi la barca ondeggiò sulle correnti. «Attento, tira il timone verso babordo. No, sulla tua sinistra!» Si lasciarono a poppa le torreggianti Pietre dei Draghi, prima di riprendere a parlare. «Si può imprimere lo Schema alle lucertole di fuoco?» Il tono di Alemi era incredulo, ma gli brillavano gli occhi, ed Elgion comprese di aver trovato un alleato. Gli riferì tutto ciò che sapeva. «Bene, questo spiegherebbe perché si vedono raramente gli adulti, e perché
si sottraggono alla cattura con tanta abilità. Ti sentono arrivare.» Alemi rise e scosse la testa. «Quando penso a tutte le volte che...» «Anch'io!» Elgion sorrise, ricordando i suoi tentativi infantili di preparare una trappola efficiente. «Dobbiamo cercare sulle spiagge?» «È quello che ha suggerito N'ton. Spiagge sabbiose, molto riparate, che i ragazzini troverebbero difficilmente. Qui ci sono molti punti dove una lucertola regina potrebbe nascondere una covata.» «No, con le maree così alte in questa stagione.» «Devono esserci spiagge abbastanza profonde.» Gli argomenti di Alemi spazientivano un po' l'Arpista. Il marinaio gli indicò di lasciargli il posto al timone, e cominciò a bordeggiare. «Ho visto le lucertole di fuoco intorno alle Pietre dei Draghi, e quelle rocce sarebbero ottimi weyr. Ma non credo che oggi avremo occasione di vederle. Mangiano all'alba: è stato a quell'ora che le ho viste. Però,» disse Alemi, ridacchiando, «credevo che i miei occhi m'ingannassero, perché stavo terminando un lungo turno di guardia, e all'alba è facile essere vittime d'illusioni ottiche.» Alemi portò la piccola imbarcazione assai più vicino alle Pietre dei Draghi di quanto avrebbe osato fare Elgion. L'Arpista dovette aggrapparsi alla murata, come se cercasse di sfuggire alle rocce torreggianti che la barca quasi sfiorava. Non c'era dubbio: le Pietre erano crivellate di brecce e crepacci, probabili rifugi delle lucertole di fuoco. «Non mi azzarderei ad avvicinarmi tanto se la marea non fosse al massimo, Elgion,» spiegò Alemi mentre passavano tra il grande scoglio più interno e la terraferma. «Già con la marea a metà, si rischia di sfondare lo scafo sulle rocce aguzze.» C'era un gran silenzio: le onde accarezzavano dolcemente lo stretto bordo di sabbia tra il mare e il faraglione. Il silenzio era tale che il suono inconfondibile di una zampogna giunse attraverso l'acqua all'orecchio di Elgion. «Hai sentito?» L'Arpista afferrò il braccio di Alemi. «Che cosa?» «La musica!» «Che musica?» Alerai si chiese di sfuggita se l'Arpista non avesse preso un colpo di sole. Ma tese l'orecchio e segui lo sguardo di Elgion che fissava le
scogliere della riva. «Musica? Assurdo! Le rocce sono piene di fori e di grotte. Quello che senti è il vento...» «Ora il vento non c'è...» Alemi dovette ammettere, perché aveva girato la boma e cominciava addirittura a chiedersi se il vento sarebbe stato sufficiente per aiutarli a passare oltre il lato settentrionale degli scogli. «E guarda là!» disse Elgion. «C'è un'apertura, nella parete di roccia. Scommetterei che è abbastanza larga per lasciar passare una persona. Alemi, non possiamo andare a riva?» «No, a meno che poi ritorniamo indietro a piedi, o aspettiamo di nuovo l'alta marea.» «Alemi! È musica! Non è il vento che soffia nei fori delle rocce! È qualcuno che suona la zampogna!» Un pensiero furtivo e imbarazzante si rifletté con tanta chiarezza sul volto di Alemi che Elgion pervenne ad una conclusione. All'improvviso, tutti i pezzi del rompicapo andarono a posto. «Tua sorella, quella che è scomparsa. È stata lei a scrivere le canzoni e ad istruire i bambini, non quel figlio adottivo ripartito tanto opportunamente!» «Menolly non può suonare una zampogna, Elgion. Si è tagliata la mano sinistra sbuzzando i codatozza, e non può più aprire e chiudere le dita.» Elgion ricadde a sedere, sgomento. Ma sentiva ancora il suono chiaro della zampogna. Una zampogna? Erano necessarie due mani sane per suonarla. La musica cessò e il vento, rinforzandosi quando la barca superò le Pietre dei Draghi, sommerse il ricordo di quella melodia illusoria. Poteva essere stata la brezza di terra che scendeva tra le scogliere a risuonare in mezzo ai crepacci. «È stata Menolly ad istruire i bambini, no?» Alemi annuì, lentamente. «Yanus credeva che sarebbe stato un disonore per la Tenuta Marina, se una ragazza avesse preso il posto di un Arpista.» «Un disonore?» Ancora una volta, Elgion restò sbalordito di fronte all'ottusità del Proprietario del Semicerchio. «Ma li ha istruiti benissimo! E sa comporre canzoni come quelle che ho visto io!» «Non può più suonare. Elgion. Sarebbe una crudeltà chiederglielo, adesso. Non voleva più neppure cantare, a sera. Se ne andava appena tu incominciavi a suonare.» Dunque non si era sbagliato, pensò Elgion: quella ragazza alta era Menolly. «Se è viva, è più felice lontano dalla Tenuta! Se è morta...» Alemi non con-
tinuò. Continuarono a navigare in silenzio e le Pietre dei Draghi si allontanarono dietro di loro, perdendosi nella foschia violetta. I due uomini evitavano di guardarsi. Adesso Elgion poteva capire la scomparsa di Menolly, comprendeva perché tutti, alla Tenuta, non volevano parlare di lei ed evitavano di cercarla. Non aveva dubbi che la ragazza fosse sparita di proposito. Una persona tanto sensibile da comporre simili melodie doveva aver trovato insopportabile la vita nella Tenuta Marina, tanto più che un tipo come Yanus era il Proprietario e suo padre. E poi... venire considerata un disonore! Elgion imprecò tra sé contro Petiron perché non aveva spiegato chiaramente come stavano le cose. Se avesse detto a Robinton che il musicista tanto promettente era una ragazza, lei avrebbe potuto arrivare sana e salva nella Sede dell'Arte prima di ferirsi con quel coltello. «Non possono esserci covate nella cala delle Pietre dei Draghi,» disse Alemi, interrompendo i pensieri malinconici di Elgion. «Con l'alta marea, l'acqua è arrivata fino alla scogliera. C'è un punto... ti porterò io, dopo la prossima Caduta dei Fili. È ad una giornata di navigazione, lungo la costa. Hai detto che si può imprimere lo Schema a una lucertola di fuoco?» «Metterò il segnale perché N'ton venga a parlare con te dopo la Caduta.» Per Elgion era un sollievo poter dire qualcosa per spezzare il silenzio che era sceso tra loro. «Evidentemente io e te possiamo imprimere lo Schema, anche se gli Arpisti di basso rango e i giovani marinai non saranno certo ai primi posti nell'elenco delle precedenze per le uova disponibili.» «Per la stella dell'alba, quando penso a tutte le ore che ho passato da bambino a...» «E chi non l'ha fatto?» sorrise Elgion, che pensava a sua volta con desiderio a quella possibilità. Adesso il loro silenzio era amichevole; e quando si scambiavano un'occhiata, rammentavano entrambi le fantasie infantili, le aspirazioni di catturare le sfuggenti, agognate lucertole di fuoco. Mentre rientravano nella Caverna dell'Attracco, a pomeriggio inoltrato, Alemi si rivolse improvvisamente all'Arpista. «Capisci perché non devi sapere che è stata Menolly a istruire i bambini?» «Non è un disonore per la Tenuta Marina.» Elgion sentì che Alemi gli stringeva il braccio, e annuì. «Ma non tradirò mai il segreto.»
Se quella risposta solenne rassicurò il marinaio, contribuì anche a rafforzare in Elgion la decisione di scoprire ahi aveva suonato quella zampogna. Era possibile suonarla con una mano sola? Era sicuro di aver sentito una musica, e non il vento che soffiava nei crepacci? Magari con il pretesto di cercare le lucertole di fuoco, doveva avvicinarsi quanto bastava per esaminare la grotta nella caletta delle Pietre dei Draghi. Il giorno seguente cadeva un'acquerugiola sottile e insistente che non scoraggiò i pescatori, ma dissuase Elgion e Alemi dall'affrontare una gita lunga e forse inutile con una barca scoperta. Quella sera, Yanus pregò Elgion di esentare i bambini dalle lezioni, l'indomani, perché dovevano raccogliere le alghe per la Grotta dell'Affumicatura. Elgion acconsentì, reprimendo l'impulso di ringraziare il Proprietario della Tenuta per quella giornata di libertà, e decise di alzarsi presto per andare in cerca della soluzione del mistero della musica. Si svegliò al levar del sole e arrivò per primo nella Sala Grande. Dovette togliere le sbarre alle porte metalliche, senza rendersi conto che così facendo seguiva un precedente inquietante. Con la borsa piena di involtini di pesce e di frutta secca, il flauto appeso sulle spalle ed una robusta corda avvolta alla cintura (poiché prevedeva di doversi calare da quella scogliera), Elgion s'incamminò. IX O Lingua, esprimi ora la gioia e l'esultanza! Sulle ali dei draghi giunge a noi la speranza. La fame delle lucertole di fuoco destò Menolly. Nella grotta non c'era nulla da mangiare, perché il giorno prima la pioggia aveva impedito loro di uscire. Vide che la marea era calata, e che la giornata era limpida. «Se ci sbrighiamo, possiamo scendere lungo la costa e trovare tante zampediragno. Presto se ne andranno,» disse Menolly ai suoi piccoli amici. «Oppure potremo cercare le conchiglie-sassetto. Vieni, Bella.» La reginetta canticchiò dai suo nido caldo tra le canne, e gli altri cominciarono a muoversi. Menolly si chinò a solleticare il collo di Pigro che giaceva ai suoi piedi. Lui le allungò una zampata, svegliandosi quanto bastava per sbadigliare. Sollevò le palpebre ed i suoi occhi brillarono di un rosso chiaro. «E adesso non prendertela con me. Ti ho svegliato perché dobbiamo anda-
re. Vi toglierete presto la fame, se ci sbrighiamo.» Mentre scendeva agilmente sulla spiaggia, circondata dai piccoli amici che si lanciavano in volo dalla grotta, Menolly vide alcune delle altre lucertole di fuoco che mangiavano nelle acque basse, e gridò un saluto. Si chiese, come faceva spesso, se le altre, ad eccezione della vecchia regina, si accorgevano davvero di lei. Pensava che fosse una scortesia non riconoscere la loro presenza, anche se non reagivano. Forse un giorno si sarebbero abituate a vederla e le avrebbero risposto. Scivolò sulle pietre umide, all'estremità della caletta, e rabbrividì quando una punta aguzza si fese sentire dolorosamente attraverso le suole quasi consunte degli stivali. Quello era un problema che avrebbe dovuto risolvere presto: un paio di suole nuove. Non poteva camminare scalza su quelle superfici tanto accidentate, e tanto meno arrampicarsi, perché non aveva i piedi di un wher da guardia. Doveva trovare un altro wherry, conciare la pelle delle zampe per indurirla. Ma come avrebbe fatto a cucire le suole nuove sulle vecchie? Si guardò i piedi, posandoli con attenzione, per risparmiare il cuoio. Condusse il suo sciame fino alla cala più lontana che avessero mai esplorato, molto più avanti lungo la costa: da lì le Pietre dei Draghi apparivano come protuberanze all'orizzonte. Ma valeva la pena di fare quella lunga camminata, perché le zampediragno correvano abbondanti su e giù per l'ampia spiaggia incurvata. In certi punti, la scogliera si abbassava ad un'altezza non superiore alla sua testa e, in fondo alla mezzaluna di sabbia, c'era un fiumicello che si gettava nel mare. Bella e gli altri si avventarono sulle zampediragno, lanciandosi in picchiata sulle prede e poi involandosi verso le scogliere per mangiarle Quando ebbe riempito la rete, Menolly cominciò a cercare i detriti buttati a riva dalle onde, per accendere il fuoco. E fu così che trovò la covata, coperta dalla sabbia quasi spianata. Ma lei scorse l'accenno del piccolo tumulo circolare. Scostò la rena e scoprì il guscio screziato di un uovo di lucertola di fuoco. Si guardò intorno, attentamente, chiedendosi se la regina era nelle vicinanze, ma vide soltanto i suoi nove compagni. Toccò delicatamente l'uovo scoperto: era molliccio. Si affrettò a ricoprirlo con la sabbia e ad allontanarsi. Il livello dell'alta marea, su quella spiaggia, era ben lontano dal minacciare le uova. Menolly pensò soddisfatta che quella cala era molto lontana da qualunque Tenuta, e che le uova di lucertola erano al sicuro. Raccolse una quantità di legno sufficiente, preparò un focolare rudimenta-
le, accese il fuoco, uccise con destrezza le zampediragno, le sistemò su una pietra piatta e, mentre si arrostivano, se ne andò in giro ad esplorare. Il fiumicello era piuttosto ampio: a giudicare dalla miriade di canali, s'erano formati e riformati molti banchi di sabbia. Menolly lo risalì verso l'interno, alla ricerca dei crescioni che spesso prosperavano nell'acqua dolce. Si vedevano anche sagome di pesci che risalivano la corrente, e lei si chiese se sarebbe riuscita a catturare uno dei grossi screziati. Alemi si vantava spesso di essere capace di afferrarli mentre lottavano con la corrente. Pensando alle zampediragno che arrostivano al fuoco, Menolly decise di rimandare ad un'altro giorno il tentativo. Aveva bisogno di un po' di verdura: i succulenti crescioni che lasciavano in bocca un curioso gusto piccante sarebbero stati un ottimo contorno per i crostacei. Li trovò molto più a monte dell'acqua della marea, dove il fiumicello era alimentato dai rigagnoli provenienti dalle piatte terre paludose che attraversava descrivendo un ampio giro. Si cacciò in bocca una manciata di crescioni, prima di osservare veramente i dintorni. In lontananza, all'orizzonte, si scorgevano lampi contro il cielo grigio. I Fili! La paura l'inchiodò al suolo. Quasi si soffocò con il crescione parzialmente masticato. Cercò di scacciare il terrore contando i lampi delle fiamme dei draghi che tracciavano nel cielo una fascia ampia e lunga. Se i dragonieri erano già all'opera, i Fili non sarebbero arrivati fin lì. Era molto lontana. Ma era al sicuro? Era appena riuscita a entrare nella grotta, prima dell'altra Caduta. Era troppo lontana, per quanto potesse correre svelta, per raggiungere il suo rifugio. Aveva il mare alle spalle. L'acqua! Il fiumicello era accanto a lei. I Fili annegavano, nell'acqua. Ma a quale profondità scendevano, prima di annegare? Si disse, con fermezza, che non era il momento di cedere al panico. Con uno sforzo, trangugiò il crescione. Poi si accorse che non riusciva a comandare alle sue gambe: la portarono via, e lei si mise a correre verso il mare, verso la sua grotta. Bella apparve sopra la sua testa, tuffandosi e strillando perché percepiva la sua paura. Sassetto e Tuffolo arrivarono, subito seguiti da Mimo. Sentivano il suo allarme e le volteggiavano intorno alla testa mentre correva, chiamandola con toni penetranti e tenorili, di sfida. Poi scomparvero tutti, e Menolly poté correre più agevolmente. Adesso poteva badare meglio dove metteva i piedi.
Tagliò diagonalmente verso la spiaggia, chiedendosi se non sarebbe stato più prudente seguire la riva. Così sarebbe stata molto più vicina all'incerta sicurezza dell'acqua. Arrivò ad un fossatello, e riuscì a mantenersi in equilibrio mentre il suo piede sinistro si torceva nel toccare il suolo; barcollò per qualche passo prima di riprendere lo slancio. No, sulla riva i sassi erano più numerosi, e avrebbero ridotto la sua velocità, accrescendo il rischio di storcersi una caviglia. Due regine brillarono auree nell'aria sopra di lei, e Sassetto e Tuffolo riapparvero, insieme a Pigro, Mimo e Bruno. Le due regine trillarono irosamente e i maschi, con grande sorpresa di Menolly, s'involarono per precederla, tenendosi abbastanza in alto per non intralciarla. Continuò a correre. Arrivò a un'altura, e la salita le mozzò il fiato. Raggiunse barcollando la cresta e dovette rallentare, stringendosi il fianco destro intorpidito, ma continuò ad avanzare. Davanti a lei, le Pietre dei Draghi apparivano più grandi, ma erano ancora troppo lontane per rassicurarla. Si voltò indietro e i lampi delle fiamme dei draghi, lassù nel cielo, le dissero che i Fili si stavano avvicinando. Riprese a correre, mentre le due regine planavano sopra la sua testa, e lei si sentì stranamente protetta. Aveva ripreso fiato, e sentiva di poter correre per sempre. Se fosse riuscita a correre abbastanza forte per tenersi fuori dalla portata dei Fili... Continuava a fissare le Pietre dei Draghi, rifiutandosi di guardare indietro: quella visione agghiacciante le avrebbe tolto il fiato che le serviva per fuggire. Correva il più possibile vicino alle scogliere. Era già scivolata una volta senza farsi male: avrebbe rischiato di nuovo, per buttarsi nell'acqua se fosse stato necessario. E corse, con un occhio sulle Pietre dei Draghi e l'altro sul terreno davanti a lei. Udì la raffica d'aria smossa, udì i cinguettii sbalorditi delle lucertole di fuoco, vide l'ombra e si gettò al suolo, coprendosi istintivamente la testa con le mani, tendendo i muscoli nell'attesa del morso bruciante dei Fili. Sentì l'odore della pietra focaia, e l'aria pesante contro il suo corpo. «Alzati, sciocca, e sbrigati! L'orlo anteriore dei Fili sta per raggiungerci!» Incredula, Menolly alzò gli occhi e vide gli occhi roteanti di un drago marrone che inclinò la testa e mormorò, incalzante. «Sali!» disse il cavaliere.
Menolly non perse tempo, dopo aver lanciato un'occhiata convulsa ai fiori di fuoco, alla lunga fila di draghi che scendevano in picchiata e scomparivano. Si rialzò, si avventò verso la mano tesa del dragoniere e ad una delle estremità delle cinghie, e balzò saldamente a cavalcioni del collo del drago, dietro all'uomo. «Aggrappati a me. E non aver paura. Devo portarti in mezzo a Benden. Sarà freddo e buio, ma ci sono io, con te.» Il sollievo di essere stata salvata proprio quando temeva che fosse giunta la fine era così grande da impedirle di parlare. Il drago bruno corse verso il ciglio della scogliera, si lasciò cadere brevemente per spiegare le ali, poi salì. Menolly si sentì schiacciata contro la pelle morbida e calda, e si aggrappò al dorso del salvatore, sforzandosi di aspirare una boccata d'aria per attenuare l'oppressione al petto. Intravide le sue piccole lucertole di fuoco che tentavano invano di seguirli, e poi il drago andò in mezzo. Il sudore si gelò sulla sua fronte e sulle guance, sul dorso, sui polpacci, negli stivali bagnati e laceri, sui piedi doloranti. Non c'era aria, e Menolly si sentì soffocare. Strinse convulsamente il cavaliere, ma non riusciva a sentire né lui né il drago. Adesso, pensò con la parte della mente che non era agghiacciata dal panico, adesso capiva quel Canto dell'Insegnamento. Lo comprendeva nel terrore. All'improvviso ritornarono la vista, l'udito, il tatto e il respiro. Stavano scendendo a spirale da un'altezza vertiginosa, sopra il Weyr di Benden. Per quanto il Semicerchio fosse grande, la base dei draghi e dei dragonieri era una volta e mezzo più ampia. L'immenso porto del Semicerchio sarebbe entrato comodamente nella Conca del Weyr. Mentre il drago volteggiava, Menolly vide le gigantesche Pietre della Stella, e la Roccia dell'Occhio, che annunciavano quando la Stella Rossa avrebbe compiuto i suoi fatidici Passaggi (1). Vide il drago di guardia fra le Pietre, lo udì gridare un saluto al marrone che la portava. Sentì, contro le gambe, il rombo di risposta del marrone. Mentre scendevano planando, vide parecchi draghi sul fondo della Conca, e la gente che li attorniava; vide la scalinata che portava al Weyr della regina, e l'imboccatura del Terreno della Schiusa. Benden era assai più grande di quanto avesse immaginato. Il marrone atterrò accanto agli altri, e Menolly notò che quei draghi erano stati ustionati dai Fili e venivano curati. Il drago marrone ripiegò a mezzo le ali, girando il collo verso i due umani che portava sul dorso.
«Adesso puoi mollarmi, ragazzo,» disse il cavaliere in tono di divertita tolleranza, mentre si slacciava le cinghie dalla cintura. Menolly ritrasse le mani di scatto, mormorando parole di scusa. «Non potrò mai ringraziarti abbastanza perché mi hai trovato. Credevo che i Fili stessero per uccidermi.» «Ohi ti ha lasciato uscire dalla Tenuta quando stavano per cadere i Fili?» «Ero in cerca di zampediragno. Avevo lasciato molto presto la Tenuta.» Il cavaliere accettò quella spiegazione frettolosa, ma Menolly cominciò a domandarsi come avrebbe potuto renderla plausibile. Non ricordava il nome della Tenuta più vicina al Semicerchio, dalla parte di Nerat. «Ora smonta, ragazzo. Devo ritornare alla mia squadriglia per terminare il lavoro.» Era la seconda volta che la chiamava «ragazzo». «Vai forte, tu. Hai mai pensato di fare il corridore?» Il cavaliere l'aiutò a scivolare dalle spalle del drago. Appena i suoi piedi toccarono terra, Menolly temette di svenire per il dolore. Si aggrappò convulsamente alla zampa anteriore del marrone, che le strusciò il muso sulla spalla con fare comprensivo, mormorando qualcosa al suo compagno. «Branth dice che sei ferito.» L'uomo scivolò prontamente al suo fianco. «I miei piedi!» Aveva consumato completamente le suole degli stivali, correndo, ed i piedi erano sanguinanti dalle dita al calcagno. «Ci penso io. Vieni!» Il cavaliere l'afferrò per il polso, la sollevò con una mossa esperta e se la caricò sulla spalla. Si avviò verso l'entrata delle Caverne Inferiori e gridò a qualcuno di portare un vasetto d'intorpidaria. Menolly fu sistemata a sedere. Il sangue le cantava negli orecchi. Qualcuno le appoggiò i piedi straziati su uno sgabello, mentre alcune donne accorrevano da varie direzioni. «Ehi, Manora, Felena!» gridò il cavaliere marrone, concitato. «Guardategli i piedi! Se li è scorticati correndo!» «T'gran, ma dove...» «L'ho visto mentre cercava di precedere i Fili, giù a Nerat. E per poco non c'è riuscito!» «Ma guarda com'è ridotto. Manora, hai un momento, per favore?» «Dobbiamo lavargli prima i piedi, oppure...» «No, prima una tazza di pozione,» suggerì T'gran. «Dovrete tagliare gli sti-
vali, per toglierli...» Qualcuno accostò una tazza alle labbra di Menolly, e lei la vuotò. Poiché aveva mangiato solo qualche foglia di crescione, il succo di fellis fece effetto così rapidamente che i volti intorno a lei divennero una chiazza confusa. «Santo cielo, quelli delle Tenute sono ammattiti, per uscire quando cadono i Fili.» Menolly ebbe l'impressione che fosse Manora a parlare. «È il secondo che abbiamo salvato, oggi.» Poi le voci divennero mormorii incomprensibili. Menolly non riusciva a mettere a fuoco lo sguardo. Le pareva di fluttuare a qualche spanna dal suolo: e le andava bene così, perché non voleva toccarlo con i piedi. Seduto ad un tavolo, nella parte opposta della cucina, Elgion pensò in un primo momento che il ragazzo fosse svenuto per il sollievo d'essere stato salvato. E poteva capirlo, perché anche lui era stato avvistato da un dragoniere mentre si precipitava verso il Semicerchio, sfiatato e ridotto alla disperazione. Adesso, con lo stomaco pieno dell'ottimo stufato del Weyr, di nuovo tranquillo e sereno, era costretto a rendersi conto che era stata una pazzia uscire dalla Tenuta quando stavano per cadere i Fili. E pensava con angoscia all'accoglienza che avrebbe ricevuto al suo ritorno al Semicerchio. Il disonore per la Tenuta Marina! E Yanus non avrebbe accettato facilmente la sua spiegazione, quando gli avrebbe detto che era andato in cerca d'uova di lucertole di fuoco. Persino Alemi, che cosa avrebbe pensato? Elgion sospirò e rimase a osservare mentre le donne portavano il ragazzo verso gli alloggiamenti. Si alzò a mezzo, chiedendosi se doveva offrire il suo aiuto. Poi vide la sua prima lucertola di fuoco e dimenticò tutto il resto. Era una reginetta aurea, che si lanciò in picchiata nella caverna, lanciando richiami patetici. Parve librarsi immobile a mezz'aria, e poi scomparve. Dopo un attimo, si tuffò di nuovo nella grande cucina, meno agitata, ma con l'aria di cercare qualcosa o qualcuno. Una ragazza uscì dalla caverna degli alloggiamenti, vide la lucertola di fuoco e tese il braccio. La reginetta si posò delicatamente, e strusciò la testolina contro la guancia della ragazza che, a quanto pareva, la stava rassicurando. La giovane donna uscì nella Conca. «Non ne avevi mai viste, Arpista?» chiese una voce divertita, ed Elgion emerse dalla trance per volgersi alla donna che gli aveva portato da mangiare. «No, mai.»
Felena (2) rise del suo tono malinconico. «Quella è Grall, la piccola regina di F'nor,» gli disse. Poi gli domandò se avrebbe gradito ancora un po' di stufato. Elgion rifiutò educatamente, perché ne aveva già mangiato due piatti: al Weyr, si servivano del cibo per tranquillizzare coloro che venivano tratti in salvo. «Per la verità, dovrei andare a chiedere se posso tornare alla Tenuta Marina del Semicerchio. Là si saranno accorti della mia assenza e...» «Non preoccuparti, Arpista, le squadriglie che combattono i Fili sono già state avvertite. Penseranno loro a far sapere al Semicerchio che sei qui sano e salvo.» Elgion espresse la sua gratitudine; ma non poteva fare a meno di pensare con allarme all'inevitabile indignazione di Yanus. Avrebbe dovuto dirgli chiaramente che aveva eseguito gli ordini del Weyr, perché il Proprietario obbediva sempre al Weyr. Tuttavia, l'idea di ritornare alla Tenuta Marina non gli sorrideva affatto. E non poteva neppure pretendere di ritornarvi quando voleva, perché i draghi che rientravano a Benden erano stanchi, dopo aver spazzato via i Fili di quella Caduta. Le peggiori apprensioni del giovane Arpista furono un po' alleviate da T'gellan, il comandante di squadriglia che aveva diretto le operazioni in quell'occasione. «Li ho informati io stesso che eri salvo, ed è stato un bene che lo abbia fatto. Stavano per organizzare le ricerche e questa, da parte di Yanus, è una concessione eccezionale.» Elgion fece una smorfia. «Immagino che non ci farebbe bella figura, se perdesse due Arpisti in così poco tempo.» «Sciocchezze. Yanus ti apprezza già più dei pesci! Almeno, così ha detto Alemi.» «Era infuriato?» «Chi? Yanus?» «No, Alemi.» «Perché? Direi che era ancora più contento di Yanus, quando ha saputo che eri salvo e illeso a Benden. Ma sentì, hai visto qualche covata di lucertola di fuoco?» «No.» T'gellan sospirò, togliendosi l'alta cintura e slacciandosi la pesante giubba
di pelle di wher. «Abbiamo un gran bisogno di quelle sciocche creaturine.» «Sono davvero tanto utili?» T'gellan gli rivolse una lunga occhiata. «Forse no. Lessa le considera una seccatura: ma hanno l'aspetto e il comportamento dei draghi. E possono dare a quegli insensibili, incartapecoriti Signori delle Fortezze un'idea di ciò che significa avere un drago. E questo renderà la vita e il progresso molto più facile, per noi dei Weyr.» Elgion si augurò che l'avessero spiegato chiaramente a Yanus: e stava per annunciare con discrezione che era pronto a ritornare alla Tenuta Marina quando il cavaliere bronzeo venne chiamato per andare a controllare l'ala ferita di un drago. L'Arpista giudicò molto istruttiva quell'ulteriore sosta. Decise che avrebbe sfruttato le sue osservazioni per rientrare nelle buone grazie di Yanus... perché aveva l'occasione di vedere la vita del Weyr, o meglio quella parte che non veniva cantata nelle Saghe e nelle Ballate. Un drago ferito gemeva pietosamente come un bambino, fino a quando le lesioni non venivano spalmate d'intorpidaria. Elgion vide lo spettacolo commovente di un drago verde che mormorava ansioso al cavaliere, appoggiato alla sua zampa anteriore, mentre le dorme del Weyr gli fasciavano il braccio ustionato dai Fili. Vide i ragazzi che lavavano e ungevano i loro giovani draghi, circondati dalle numerose lucertole di fuoco; vide i giovanissimi riempire i sacchi di pietre focaie in vista della prossima Caduta, e non poté fare a meno di notare che sbrigavano quel compito oneroso senza attribuirgli il peso che gli avrebbero dato i ragazzi della Tenuta Marina. Si avventurò persino a sbirciare il Terreno della Schiusa, dove l'aurea Ramoth stava raggomitolata intorno alle sue uova, come per proteggerle. Si affrettò ad allontanarsi, augurandosi che la regina non l'avesse visto. Il tempo trascorse così in fretta che Elgion si stupì nell'udire le donne della cucina che chiamavano tutti per il pasto. Si soffermò sulla soglia, domandandosi cosa doveva fare, sino a quando T'gellan lo prese per il braccio e lo sospinse verso un tavolo libero. «G'sel, vieni qui con quel tuo seccatore bronzeo. Voglio che l'Arpista del Semicerchio lo veda. G'sel ha una lucertola della prima covata, scoperta da F'nor nel Continente Meridionale,» (3) disse T'gellan, mentre seguivano con gli occhi un giovane robusto che si avvicinava fra i tavoli, portando in equilibrio sull'avambraccio una lucertola bronzea.
«Questo è Rill, Arpista,» disse G'sel, tendendo il braccio verso Elgion. «Rill, sii gentile: è un Arpista.» Con immensa dignità, il piccolo bronzeo tese le ali ed eseguì una specie d'inchino, osservando attentamente Elgion con gli occhi gemmei. Non sapendo come si dovesse salutare una lucertola di fuoco, Elgion provò a tendere la mano. «Grattagli le arcate sopraciliari,» suggerì G'sel. «Piace a tutti.» Con grande gioia e sorpresa di Elgion, la lucertola di fuoco accettò le sue carezze e poco dopo cominciò a socchiudere le palpebre per il piacere. «Ecco un altro convertito,» disse T'gellan, ridendo e accostando la sedia. Il rumore strappò alla sonnolenza il piccolo bronzeo, che sibilò sommesso contro il cavaliere. «E sono anche sfrontate, come vedi, Arpista, senza rispetto per il rango.» Evidentemente, quella era una vecchia battuta perché G'sel non vi badò; sedette, e indusse Rill a salirgli sulla spalla imbottita per poter mangiare in pace. «Sono molto intelligenti?» chiese Elgion, sedendo di fronte a G'sel per osservare meglio Rill. «A sentire quel che dice Mirrim (4) delle sue tre, capiscono tutto.» T'gellan rise, con bonaria derisione. «Posso chiedere a Rill di portare un messaggio in qualunque luogo dove è già stato. No, ad una persona che conosce, in una Fortezza o in un Weyr dove l'ho condotto. Mi segue dovunque vada. Persino durante le Cadute dei Fili.» Quando T'gellan sbuffò di nuovo, C'sel soggiunse: «Ti avevo detto di stare attento, oggi, T'gellan. Rill era con noi.» «Sì, ma adesso di' a Elgion quanto tempo impiega il tuo Rill a ritornare, dopo aver consegnato un messaggio.» «D'accordo, d'accordo,» disse ridendo G'sel, e accarezzò affettuosamente la lucertola. «E quando ne avrai una anche tu, T'gellan...» «Può darsi, può darsi,» rispose disinvolto il cavaliere bronzeo. «Ma se Elgion non ci trova un'altra covata, dovremo continuare a invidiarti.» T'gellan cambiò argomento e chiese notizie del Semicerchio. Erano domande di carattere generale che non imbarazzavano Elgion. Evidentemente, il dragoniere conosceva bene la reputazione di Yanus. «Se là ti senti troppo isolato, Arpista, alza il segnale, e ti porteremo qui a passare una serata.»
«Presto ci sarà la Schiusa,» soggiunse G'sel, sorridendo e strizzando l'occhio a Elgion. «Allora verrà certamente,» dichiarò T'gellan. Poi Rill strillò, chiedendo un boccone, mentre il cavaliere bronzeo rimproverava a G'sel di aver trasformato una lucertola di fuoco in un mendicante importuno. Elgion, tuttavia, vide che T'gellan offriva un pezzetto scelto di carne al minuscolo drago; e a sua volta porse un boccone a Rill, che lo prese elegantemente dalla punta del coltello. Prima che il pasto finisse, Elgion era deciso a sfidare la collera di Yanus, pur di trovare una covata e d'imprimere lo Schema dell'Apprendimento ad una lucertola tutta sua. E quella prospettiva fece diventare più rosea l'idea dell'inevitabile ritorno. «Sarà bene che ti accompagni io, Elgion,» dichiarò T'gellan, alzandosi. «E che ti accompagni in fretta. È inutile far irritare Yanus più del necessario.» Elgion non sapeva come interpretare quel commento e la strizzata d'occhio che l'aveva seguito, dato soprattutto che ormai era buio e che, a quanto sapeva lui, alla Tenuta le porte erano già sbarrate per la notte. Rimpianse di non essere ritornato appena i dragonieri erano rientrati dopo la Caduta. Ma in quel caso non avrebbe conosciuto Bill. Si levarono in volo. Elgion si godeva quell'esperienza, allungando il collo per vedere nella notte limpida. Scorse appena la catena del Benden Superiore, prima che T'gellan chiedesse a Monarth di portarli in mezzo. All'improvviso, il buio scomparve: il sole era a una spanna dall'orizzonte, sul mare splendente, quando irruppero nell'aria sopra il Porto del Semicerchio. «Te l'avevo detto che ti avrei riportato presto,» disse T'gellan, voltandosi a sorridere nell'udire l'esclamazione stupita dell'Arpista. «Non avremmo dovuto spostarci nel tempo, ma per una buona causa tutto si può fare.» Monarth scese volteggiando pigramente, e tutti gli abitanti della Tenuta Marina s'erano radunati sulla rampa quando atterrarono. Yanus precedette gli altri di pochi passi, mentre Elgion si guardava intorno per cercare Alemi. T'gellan balzò dalla spalla del drago bronzeo, e aiutò vistosamente Elgion a scendere, mentre tutti acclamavano a gran voce il felice ritorno dell'Arpista. «Non sono invalido né vecchio,» borbottò Elgion sottovoce, mentre Yanus si avvicinava. «Non esagerare.» T'gellan gli passò il braccio intorno alle spalle con fare cameratesco e sor-
rise raggiante al Proprietario della Tenuta. «Per niente,» disse storcendo la bocca. «Il Weyr approva!» «Proprietario, sono profondamente imbarazzato per il fastidio che...» «No, Arpista Elgion,» l'interruppe T'gellan. «È il Weyr che deve scusarsi. Tu hai insistito per ritornare immediatamente al Semicerchio. Ma Lessa ha voluto ascoltare il suo rapporto, e quindi abbiamo dovuto attendere, Yanus.» Ciò che Yanus stava probabilmente per dire all'Arpista vagabondo fu stroncato sul nascere dall'atteggiamento di T'gellan. Il Proprietario della Tenuta Marina si dondolò leggermente e batté le palpebre per riorganizzare le idee. «Bisogna segnalare al più presto possibile ogni eventuale traccia delle lucertole di fuoco,» continuò disinvolto T'gellan. «Allora la leggenda è vera?» chiese Yanus, con un borbottio incredulo. «Quegli... quegli esseri esistono?» «Esistono veramente, signore» rispose di slancio Elgion. «Ho visto, accarezzato e imboccato un piccolo bronzeo. Si chiama Rill. È grande all'incirca quando il mio avambraccio..» «Davvero? Davvero?» Alerai si era fatto largo tra la folla; ansimava per l'eccitazione e per lo sforzo che aveva compiuto per scendere claudicando la rampa. «Allora hai trovato qualcosa nella grotta?» «La grotta?» Elgion aveva dimenticato la sua destinazione di quella mattina. «Quale grotta?» chiese T'gellan. «La grotta...» Elgion deglutì e poi elaborò prontamente la menzogna cui T'gellan aveva dato l'avvio. «Ne ho parlato con Lessa. Senza dubbio anche tu eri nella stanza, in quel momento.» «Quale grotta?» chiese Yanus, avvicinandosi. Aveva un tono irritato, perché si sentiva escluso dalla conversazione. «La grotta che io e Alemi avevamo avvistato sulla riva, presso le Pietre dei Draghi,» disse Elgion, cercando di dare l'imbeccata agli altri due giovani. «Alemi,» continuò rivolgendosi a T'gellan, «è il marinaio che ha visto le lucertole di fuoco, la scorsa primavera, vicino alle Pietre dei Draghi. Due o tre giorni fa, abbiamo navigato lungo la costa e abbiamo notato la grotta. È là che, credo, troveremo le uova delle lucertole.» «Bene, allora, poiché sei di nuovo sano e salvo nella tua Tenuta, Arpista Elgion, posso ripartire.» T'gellan non vedeva l'ora di raggiungere il suo Mo-
narth. E la grotta. «Ci farai sapere se troverai qualcosa, vero?» gli gridò dietro Elgion. Per tutta risposta, il cavaliere bronzeo agitò il braccio prima di balzare sul dorso del suo drago. «Non gli abbiamo offerto ospitalità, per il disturbo che si è preso riaccompagnandoti qui,» disse Yanus, preoccupato e un po' infastidito dalla partenza precipitosa del dragoniere. «Ha appena mangiato,» rispose Elgion, mentre il drago bronzeo saliva in volo sopra le acque del porto arrossate dal tramonto. «Così presto?» «Ah, aveva combattuto i Fili. E poi, è comandante di squadriglia, e deve rientrare al Weyr.» La risposta fece colpo su Yanus. Drago e cavaliere scomparvero, strappando un'esclamazione di gioia e di stupore a tutti i presenti. Alemi guardò Elgion, e questi stentò a reprimere un sorriso: più tardi gli avrebbe raccontato tutto. Ma lo scherzo sarebbe ricaduto su di lui se, dopo tutte quelle mezze verità, T'gellan avesse trovato uova di lucertola... o un suonatore di zampogna in quella grotta. «Arpista Elgion,» disse con fermezza Yanus, indicando agli altri abitanti di scostarsi, e additando la porta della Tenuta. «Arpista Elgion, ti sarei grato se mi dessi una spiegazione.» «Certamente, signore, e ho molte cose da riferirti a proposito di quel che avviene nel Weyr.» Rispettosamente, Elgion seguì il Proprietario. Adesso sapeva come trattare con Yanus senza ricorrere ancora a evasività e menzogne. (1) Cfr. Volo di drago, parte III (N. d. C). (2) Vicesovrintendente del Weyr di Benden (N d. C ) (3) Cfr. La cerca del drago, cap. IV (N. d. C). (4) Figlia adottiva di Brekke, la compagna del dragoniere F'nor (cfr. La cerca del drago, cap. VII e segg.) (N. d. C). X Poi i miei piedi si mossero, e le gambe, ed il mio corpo fu obbligato a andare. Io, con la bocca piena di crescione
e con la gola tutta inaridita. Quando si svegliò, Menolly si trovò in un luogo buio e tranquillo. Qualcosa mormorava affettuosamente al suo orecchio. Sapeva che era Bella, ma si domandava come mai stava così al calduccio. Si mosse e sentì che i suoi piedi erano gonfi e indolenziti. Doveva aver fatto rumore, perché sentì un movimento lieve, e poi la lampada-cesto, nell'angolo della stanza, venne parzialmente aperta. «Stai comoda? I piedi ti dolgono molto?» Il calore accanto all'orecchio di Menolly sparì. Brava, Bella, pensò lei, dopo aver temuto per un istante che la sua reginetta venisse scoperta. Qualcuno si stava chinando su di lei e le assestava le coperte di pelliccia intorno alle spalle: qualcuno che aveva le mani delicate e gentili e odorava d'erbe aromatiche e anche, un poco, d'intorpidaria. «Soltanto un po',» rispose Menolly, mentendo, perché i piedi pulsavano così forte da farle temere che la donna potesse addirittura udirli. Il mormorio gentile e le mani delicate rifiutarono lo stoicismo di Menolly. «Avrai fame, sicuramente. Hai dormito tutto il giorno.» «Davvero?» «Ti abbiamo fatto bere il succo di fellis. Hai corso tanto da lacerarti i piedi...» La voce della donna esitò un attimo. «Guariranno entro un settedì. Non ci sono lesioni gravi.» Il tono si colorò di un lieve divertimento. «T'gran (1) è convinto che tu sia il più veloce... corridore di Pern.» «Non sono un corridore. Sono soltanto una ragazza.» «Non sei "soltanto" una ragazza. Vado a prenderti qualcosa da mangiare. E dopo, faresti bene a dormire ancora.» Rimasta sola, Menolly cercò di non pensare ai suoi piedi doloranti e al suo corpo appesantito e immobile. Era preoccupata: temeva che Bella o qualcuno degli altri arrivasse e si facesse scoprire dalla donna; e chissà cosa sarebbe successo a Pigro, dato che non c'era nessuno che lo inducesse ad andare a caccia e... «Io sono Manora,» (2) si presentò la donna, ritornando con una ciotola di stufato fumante ed un boccale. «Sai che ora ti trovi al Weyr di Benden? Benissimo. Puoi restare qui quanto vuoi, sai?» «Davvero?» Menolly si sentì pervadere da un sollievo intenso quanto il dolore che le tormentava i piedi.
«Sì, certo,» e la fermezza della risposta confermò l'inalienabilità di quel diritto. «Io mi chiamo Menolly...» S'interruppe, perché vide Manora annuire. «Come lo sai?» Manora le accennò di continuare a mangiare. «Ti ho vista al Semicerchio, e l'Arpista aveva chiesto al comandante di squadriglia di continuare a cercarti... dopo la tua scomparsa. Ora non parliamone, Menolly, ma ti assicuro che puoi restare a Benden.» «Ti prego, non dirlo a loro...» «Come vuoi. Finisci lo stufato e poi vuota il boccale. Hai bisogno di dormire, per guarire bene.» Uscì, silenziosamente com'era entrata, ma Menolly si sentì rassicurata. Manora era la sovrintendente del Weyr di Benden, e se diceva una cosa, era quella. Lo stufato era delizioso, con abbondanti pezzi di carne tenera insaporiti d'erbe. L'aveva quasi finito, quando sentì un lieve fruscio, e Bella ritornò, irradiando pietosamente la sua fame. Con un sospiro, Menolly spinse la ciotola verso la reginetta. Bella la ripulì, poi mormorò sommessamente e strusciò il muso contro la guancia di Menolly. «Dove sono gli altri?» chiese la ragazza, preoccupata. La reginetta mormorò di nuovo e si appallottolò contro la sua spalla. Non sarebbe stata tanto tranquilla se gli altri fossero stati nei guai, pensò Menolly mentre sorseggiava il succo di fellis. «Bella,» mormorò, accarezzando la regina, «se viene qualcuno, vattene. Non devi farti vedere qui. Capisci?» La reginetta agitò irritata le ali. «Bella, non devi farti vedere.» Menolly usò un tono severo, e la lucertola aprì un occhio roteante. «Oh, cara, non vuoi capirlo?» Bella ciangottò per rassicurarla e chiuse entrambe le palpebre. Il succo di fellis stava già togliendo il peso dalle membra di Menolly. Le tremende pulsazioni ai piedi si attenuarono. Mentre i suoi occhi si chiudevano irresistibilmente, un ultimo pensiero la sfiorò: come aveva fatto, Bella, a sapere dov'era? Si svegliò di nuovo, e sentì suoni vaghi di risate infantili, un'allegria contagiosa che la fece sorridere. Si chiese che cosa poteva causare tanta felicità.
Bella era sparita, ma il posto dove s'era acciambellata accanto alla sua spalla era ancora caldo. La tenda in fondo alla stanza si aprì, ed una figura apparve profilata contro la luce del corridoio. «Che cosa ti ha preso, Reppa?» chiese sottovoce la ragazza a qualcuno che Menolly non riusciva a scorgere. «Oh, va bene. Per il momento, sto meglio senza di te.» La ragazza si voltò e si accorse che Menolly la guardava. «Come ti senti, oggi?» Mentre apriva la lampada, Menolly vide che aveva all'incirca la sua età, i capelli scuri legati sulla nuca ed un viso triste, stanco, stranamente maturo. Poi sorrise, e l'espressione matura si dileguò. «Davvero hai attraversato correndo tutto Nerat?» «Per la verità no, anche se mi sento i piedi doloranti come se l'avessi fatto.» «Immagina! Nata e cresciuta in una Tenuta, e trovarti all'aperto durante una Caduta!» C'era un riluttante rispetto nella voce della ragazza. «Correvo per cercare un rifugio,» si sentì in dovere di spiegare Menolly. «A proposito di correre, Manora non ha potuto venire adesso per vedere come stavi, quindi sei affidata a me. Mi ha detto esattamente quel che devo fare.» La ragazza fece una smorfia così sentita che Menolly immaginò Manora mentre impartiva istruzioni meticolose. «Del resto, ho molta esperienza...» Un'espressione di dolore e di ansia le passò sul viso. «Sei la figlia adottiva di Manora?» chiese educatamente Menolly. Per un momento l'espressione divenne più profonda, e poi la ragazza l'annullò completamente, raddrizzando con orgoglio le spalle. «No, sono la figlia adottiva di Brekke. Mi chiamo Mirrim. Prima stavo al Weyr Meridionale» (3). Fece quell'affermazione come se bastasse per chiarire le idee a Menolly. «Vuoi dire nel Continente Meridionale?» «Sì.» Mirrim sembrava irritata. «Non sapevo che ci vivesse qualcuno.» Le parole le erano appena uscite dalle labbra quando Menolly ricordò le frasi frammentarie che aveva sentito in varie conversazioni fra Petiron e suo padre. «Dove sei stata per tutta la tua vita?» chiese Mirrim, esasperata. «Nella Tenuta Marina del Semicerchio,» rispose docile Menolly, che non voleva offendere la ragazza. Mirrim la fissò. «Non ne hai mai sentito parlare?» Adesso toccava a Menolly mostrarsi
condiscendente. «Abbiamo la più grande Caverna dell'attracco di tutto Pern.» Mirrim la guardò negli occhi: poi scoppiarono a ridere insieme, e in quel momento nacque la loro amicizia. «Senti, lascia che ti aiuti ad arrivare alla latrina, o scoppierai...» Mirrila scostò la coperta di pelliccia. «Appoggiati a me.» Menolly dovette appoggiarsi perché i piedi le. dolevano terribilmente, sebbene Mirrim la sorreggesse. Per fortuna, la latrina era a pochi passi dalla stanzetta. Quando Menolly s'infilò di nuovo nel letto, tremava. «Mettiti sdraiata sul ventre, Menolly. sarà più facile cambiarti le fasciature,» disse Mirrim. «Non ho curato molti piedi, in vita via, ma se non sei costretta a vedere quello che faccio, sarà meglio. Tutti, al "Weyr Meridionale, dicevano che ho le mani delicate, e ti coprirò i piedi d'intorpidaria. Oppure vuoi un po' di succo di fellis? Manora ha detto che puoi berlo.» Menolly scosse la testa. «Brekke...» A questo punto la voce di Mirrim si spezzò per un attimo. «Brekke mi ha insegnato a cambiare le fasciature incrostate perché io... Oh, povera me, i tuoi piedi sembrano due pezzi di carne cruda. Scusami, non avrei dovuto dirlo, ma è così. Comunque guariranno, l'ha detto Manora.» C'era tanta sicurezza in quell'affermazione che Menolly si sentì disposta a crederlo. «Ecco, le ustioni causate dai Fili sono molto brutte. Tu hai perso soltanto la pelle delle piante dei piedi, ecco tutto, ma credo che penserai che sia anche troppo. Scusami. Ti ho fatto male? Comunque, non rimarranno neppure le cicatrici quando crescerà la pelle nuova, ed è sorprendente la rapidità con cui ricresce. Almeno, io ho notato che avviene proprio così. Le ustioni dei Fili, quelle sì che sono difficili da guarire. Non spariscono mai. Sei stata fortunata, perché Branth, il drago di T'gran, ti ha vista mentre correvi. I draghi hanno la vista acuta, sai. Ecco, così dovrebbe andar meglio...» Menolly soffocò un'esclamazione mentre Mirrim le spalmava l'intorpidaria sul piede destro. Si era morsa le labbra per resistere al dolore mentre Mirrim, che aveva veramente le mani delicate toglieva le fasciature incrostate di sangue: ma adesso il sollievo era quasi traumatico. Se aveva soltanto perso la pelle dei piedi, perché le facevano più male di quanto le avesse mai fatto male la mano? «E adesso, resta solo il piede sinistro. L'intorpidaria fa bene, vero? Hai mai dovuto farla bollire?» chiese Mirrim con un gemito e poi, come al solito, non attese la risposta. «Per tre giorni digrigno i denti e mi tappo il naso e mi ripe-
to che sarebbe molto peggio se non avessimo l'intorpidaria. Immagino che sia come dice sempre Manora: il male si accompagna al bene. Comunque, ti farà piacere sapere che non c'è traccia di infezione...» «Infezione?» Menolly si sollevò sui gomiti e girò la testa. «Vuoi star ferma?» Mirrim le lanciò un'occhiata così autoritaria che Menolly si rilassò. Riusciva a scorgere soltanto i suoi calcagni, coperti d'unguento. «E sei veramente fortunata a non avere un'infezione. Dopotutto, hai corso senza scarpe sulla sabbia, le rocce e il cielo sa che altro ancora. Abbiamo impiegato un'eternità a ripulirti i piedi.» Mirrim schioccò la lingua con fare comprensivo. «Meno male che ti avevamo imbottita di succo di fellis.» «Sei sicura che non ci sia infezione, questa volta?» «Questa volta? Non avrai già fatto un'altra corsa simile, spero!» Mirrim aveva un tono scandalizzato. «No, non i piedi. La mano.» Menolly si girò sul fianco, tendendo la mano sfregiata. Lesse la pietà e la preoccupazione sul volto di Mirrim che esaminava la ferita. «Come te la sei procurata?» «Stavo sbuzzando i codatozza, e il coltello è scivolato.» «Sei stata fortunata a non tagliare i tendini.» «I tendini?» «Sì, vedo che usi le dita. Ma la cicatrice è un po' tirata.» Mirrim schioccò la lingua, con aria di disapprovazione professionale. «Non devono essere molto abili a curare le ferite, nella tua Tenuta.» «Il muco dei codatozza è pericoloso, a modo suo quanto le ustioni dei Fili,» balbettò Menolly, difendendo ostinatamente la sua Tenuta. «Sia come sia.» Mirrim finì di sistemare la fasciatura. «Provvederemo noi perché non capiti lo stesso ai tuoi piedi. Adesso ti porterò qualcosa da mangiare. Devi essere affamata...» Ora che la medicazione era terminata e che l'intorpidaria aveva alleviato di molto il dolore, Menolly si accorse di avere lo stomaco vuoto. «Torno subito, Menolly, e se dopo avrai bisogno di qualcosa, è sufficiente che gridi per chiamare Sanra. Lei è giù, al Piano, a badare ai piccoli, e sa che deve stare attenta alla tua chiamata.» Mentre Menolly affrontava l'abbondante pasto portato da Mirrim, cominciò a riflettere su varie verità piacevoli. Mavi aveva fatto capire che non avrebbe mai più potuto servirsi della mano ferita. Eppure era una guaritrice troppo e-
sperta per non capire che il coltello non aveva toccato i tendini delle dita. Aveva lasciato volutamente che la ferita si rimarginasse con la pelle tirata. Era dolorosamente chiaro, per Menolly, che Mavi, come Yanus, non aveva voluto che lei potesse tornare a suonare. Cupamente, Menolly giurò a se stessa che non sarebbe mai ritornata al Semicerchio. Le sue riflessioni la spinsero a dubitare della promessa di Manora, che lei sarebbe potuta rimanere al Weyr di Benden. Comunque, avrebbe potuto fuggire di nuovo. Poteva fuggire, e vivere sola. E l'avrebbe fatto. Avrebbe attraversato tutto Pern... E perché no? L'idea le piacque. Anzi, niente avrebbe fermato la sua corsa, fino a quando fosse giunta alla Sede dell'Arte degli Arpisti, alla Fortezza di Fort. Forse Petiron aveva veramente inviato le sue canzoni al Maestro Robinton... Forse erano qualcosa di più che sciocchezze. Forse... ma non sarebbe ritornata in nessun caso alla Tenuta del Semicerchio. Questo non l'avrebbe fatto mai. Il problema non si ripresentò durante i giorni che seguirono, mentre i piedi le prudevano - Mirrim diceva che era un sicuro segno di guarigione - e lei cominciava ad agitarsi, spazientita per la forzata immobilità. Era anche preoccupata per le sue lucertole di fuoco, adesso che non poteva provvedere a sfamarle. Ma la prima sera, quando Bella riapparve, girando gli occhi per accertarsi che lei fosse sola, non diede il minimo segno d'essere affamata. Accettò graziosamente i bocconcini che Menolly le aveva tenuto in serbo. Sassetto e Tuffolo apparvero mentre lei si stava addormentando. Si raggomitolarono subito per dormire contro la sua schiena, e non l'avrebbero fatto se avessero avuto fame. La mattina dopo i due bronzei erano spariti, ma Bella era rimasta; strusciò a lungo la testolina contro la guancia di Menolly fino a quando si sentì un passo nel corridoio. Menolly la mandò via, raccomandandole di restare insieme agli altri. «Lo so, è noioso essere bloccata a letto,» riconobbe Mirrim la terza mattina con un sospiro stanco, come volesse far capire a Menolly che avrebbe scambiato volentieri il posto con lei. «Ma serve per tenerti lontana da Lessa. Dopo... ecco,» Mirrim s'interruppe. «Ora che Ramoth sta a covarsi le sue uova, camminiamo tutti sulla sabbia bollente fino a quando si schiuderanno, e quindi è meglio che tu resti qui.» «Deve pur esserci qualcosa che posso fare, adesso che sto meglio. So usare anch'io le mani...» E anche Menolly si interruppe, incerta.
«Potresti aiutare Sanra con i piccoli, se vuoi. Sai raccontare qualche storia?» «Sì, io...» Menolly stava quasi per riferire quello che aveva fatto alla Tenuta Marina. «Almeno posso cercare di farli divertire.» I bambini del Weyr erano diversi da quelli della Tenuta, notò subito Menolly. Fisicamente erano molto più attivi, e animati da una curiosità insaziabile per tutti i dettagli che lei esponeva sulla navigazione e sulla pesca. Solo quando insegnò loro a costruire minuscole barchette con fuscelli e grosse foglie e li mandò a vararle nel lago del Weyr ebbe la possibilità di riposare un po', quella prima mattina. Nel pomeriggio, divertì i più piccini raccontando come l'aveva salvata T'gran. I Fili non spaventavano automaticamente i bambini del Weyr, che erano molto più interessati alla sua corsa e al salvataggio. Senza rendersene conto, lei cominciò a scandire il suo racconto metricamente, e poi si arrestò di colpo, accorgendosi che stava improvvisando una melodia. I bambini non vi fecero caso, per fortuna... e poi arrivò il momento di sbucciare i tuberi per il pasto serale. Era difficile reprimere quella piccola melodia, mentre lavorava. Aveva esattamente la cadenza della sua corsa... «Oh!» «Ti sei tagliata?» chiese Sanra, seduta dall'altra parte del tavolo. «No,» rispose Menolly sorridendo allegramente. Aveva appena scoperto una cosa importantissima. Non era più nella Tenuta Marina. E lì nessuno sapeva che aveva suonato. E nessuno avrebbe capito se erano sue, le canzoni che canticchiava quando ne aveva voglia. Perciò incominciò a canterellare la canzone della sua corsa, e si sentì doppiamente soddisfatta perché il ritmo segnava anche il tempo con il quale affettava le radici. «È un sollievo sentire qualcuno che è contento,» commentò Sanra, rivolgendole un sorriso incoraggiante. Menolly aveva notato vagamente che, per tutto il giorno, l'atmosfera nella caverna le aveva ricordato i momenti in cui la flotta dei pescherecci tardava a rientrare durante una tempesta e tutti «attendevano». Mirrim era preoccupatissima per Brekke ma non voleva dire il perché, e Menolly non osava assillarla con le sue domande. «Sono contenta perché i miei piedi migliorano,» disse a Sanra, poi soggiunse in fretta: «Ma vorrei che qualcuno mi spiegasse che cos'ha Brekke. So
che Mirrim è tremendamente preoccupata per lei...» Sanra la fissò per un attimo. «Vuoi dire che non hai saputo...» Abbassò la voce e si guardò intorno per accertarsi che nessuno potesse ascoltarle. «... delle regine?» «No. Nessuno dice mai niente alle ragazze, nella Tenuta Marina.» Sanra sembrò sorpresa, ma accettò la spiegazione. «Ecco, Brekke era al Weyr Meridionale, lo sapevi? Bene. E quando F'lar ha bandito laggiù tutti gli Antichi ribelli, i meridionali hanno dovuto trasferirsi altrove. T'bor è diventato il Comandante del Weyr di Fort. Kylara...» E la voce solitamente mite di Sanra s'indurì. «Kylara era la Dama del Weyr, e la sua regina era Prideh, e Brekke era compagna dell'altra regina, Wirenth...» Era evidente che il racconto angosciava Sanra, e Menolly pensò che era stato un bene che non l'avesse chiesto a Mirrim. «Wirenth si è levata per il volo nuziale, ma Kylara...» La donna pronunciò quel nome con odio intenso. «Kylara non aveva portato Prideth abbastanza lontano. Anche lei era prossima all'accoppiamento, e quando Wirenth ha preso il volo seguita dai bronzei, si è levata e...» (4). Sanra aveva gli occhi pieni di lacrime, e scrollò la testa, incapace di continuare. «Le due regine... sono morte?» Sanra annuì. «Ma Brekke è viva... no?» «Kylara ha perduto la ragione, e temiamo che la perda anche Brekke...» Sanra si asciugò le lacrime. «Povera Mirrim. È stata così buona con me!» Questa volta Sanra arricciò il naso, un po' indispettita. «Mirrim ama credere che tutte le cure del Weyr ricadano sulle sue spalle.» «Bene, ma continua a darsi da fare, anche se è tremendamente preoccupata, e questo merita più rispetto che se andasse a rifugiarsi in un angolo per autocommiserarsi.» Sanra fissò Menolly «Non c'è bisogno che te la prenda con me, ragazza mia; e se continuerai ad agitare il coltello in quel modo, finirai per tagliarti.» «Brekke potrà riprendersi?» chiese Menolly, dopo aver dedicato per qualche minuto tutta la sua attenzione ai tuberi. «È quel che speriamo.» Ma Sanra non sembrava molto fiduciosa. «Lo speriamo davvero. Vedi, le uova di Ramoth stanno per schiudersi, e Lessa è certa che Brekke potrebbe imprimere lo Schema dell'Apprendimento alla regina.
Vedi, lei può parlare con tutti i draghi, come Lessa, e Grall e Berd stanno sempre con lei... Oh, ecco Mirrim.» Menolly dovette ammettere che Mirrim, sebbene avesse soltanto il suo stesso numero di Giri, aveva un'aria molto ufficiale. E poteva capire che una donna più vecchia, come Sanra, se ne risentisse un po'. Menolly però non trovava nulla da criticare nelle cure di Mirrim. Si lasciò condurre nella stanzetta per la medicazione. «Sei stata in piedi tutto il giorno, e voglio assicurarmi che non sia entrato qualche granello di terra nelle croste,» disse Mirrim, energicamente. Menolly si sdraiò sul letto e poi suggerì timidamente che l'indomani avrebbe potuto cambiarsi le fasciature da sola, per risparmiare quel lavoro a Mirrim. «Non dire sciocchezze. I piedi sono molto fastidiosi, ma tu no. Avresti dovuto sentire, poco fa, i lamenti di C'tarel. È stato ustionato dai Fili durante l'ultima Caduta. A sentirlo, sembra l'unico al mondo che sia mai stato ustionato. E poi, Manora ha detto che devo curarti io. Con te è un piacere, tu non gemi, non brontoli, non ti lamenti e non imprechi come C'tare. E dunque, i tuoi piedi stanno guarendo benissimo. Anche se ti fanno male. Manora dice che i piedi dolgono sempre più di qualunque altra parte del corpo, eccettuate le mani. Ecco perché ti sembra che vadano peggio di quanto stiano in realtà.» Menolly non seppe cosa ribattere ed esalò un sospiro di sollievo quando la dolorosa medicazione terminò. «Sei stata tu a insegnare ai bambini a costruire le barchette, vero?» Menolly si voltò, sbalordita, chiedendosi se aveva fatto qualcosa di sbagliato, ma Mirrim sorrideva. «Avresti dovuto vedere i draghi che le spingevano a sbuffi sul lago!» Mirrim ridacchiò. «Era uno spasso. Da settimane non ridevo così. Ecco, adesso sei a posto!» E Mirrim corse via per occuparsi di qualche altro paziente. L'indomani, mentre Mirrim le stava accanto, Menolly camminò lentamente e non troppo dolorosamente attraverso la caverna degli alloggiamenti, fino alla cucina principale, per la prima volta. «Le uova di Ramoth stanno per schiudersi,» le disse Mirrim, facendola sedere a uno dei tavoli da lavoro, sul fondo dell'enorme caverna. «Le tue mani sono efficienti, e avremo bisogno di tutto l'aiuto possibile per il banchetto...» «E forse dopo Brekke migliorerà?» «Oh, deve essere così, Menolly, deve essere così» Mirrim si fregò le mani,
ansiosamente. «Altrimenti, non so che ne sarà di lei e di F'nor. È tanto angosciato. E Manora è preoccupata per lui non meno che per Brekke...» «Tutto si sistemerà, Mirrim, ne sono sicura,» disse Menolly, cercando di dare alla propria voce un tono fiducioso. «Oh, lo pensi davvero?» Mirrim abbandonò la sua posa d'indaffarata efficienza e per un attimo fu soltanto una ragazza sconvolta, bisognosa di sicurezza. «Assolutamente!» Menolly s'irritò al pensiero dei commenti aciduli di Sanra. «Oh, quando credevo che i Fili mi avrebbero uccisa, è apparso T'gran. E quando ho temuto che sarebbero stati tutti colpiti dai Fili...» Menolly si affrettò a tacere, cercando freneticamente qualcosa da soggiungere per rimediare. Era stata sul punto di raccontare a Mirrim come aveva salvato le lucertole di fuoco. «Devono appartenere a qualcuno,» disse a voce alta un uomo, in tono frustrato. Due dragonieri entrarono nella cucina, battendo i guanti impolverati contro gli stivali e slacciandosi le cinture. «Forse sono state attirate da quelle che abbiamo qui, T'gellan.» «Considerando che abbiamo un gran bisogno di quelle creaturine...» «Delle uova...» «È un bel guaio averne un intero sciame che nessuno rivendica!» E poi Bella apparve sopra la testa di Menolly, lanciò uno strillo atterrito e si posò sulla sua spalla. Le avvolse strettamente la coda intorno al collo e le nascose il muso tra i capelli. Sassetto e Tuffolo le si aggrapparono con gli artigli alla camicia, dibattendosi per rifugiarsi sotto le sue braccia. L'aria era piena di lucertole di fuoco spaventatissime che scendevano in picchiata verso di lei; e Mirrim, che non accennava a difendersi, la fissava sbalordita. «Mirrim? Allora sono tue?» gridò T'gellan, avvicinandosi al loro tavolo. «No, non sono mie.» Mirrim indicò Menolly, «Sono sue.» Menolly aveva perduto la voce, ma riuscì a trattenere Sassetto e Tuffolo. Le altre si appollaiarono in alto, sui cornicioni, irradiando paura e incertezza. Lei era confusa quanto le sue lucertole, e si chiedeva perché mai erano nel Weyr. E sembrava che al Weyr conoscessero le lucertole di fuoco e... «Sapremo presto di chi sono,» disse un'irosa voce femminile, nel silenzio. Una donna piccola e snella, vestita da cavaliere, avanzò a passo deciso. «Ho chiesto a Ramoth di parlare con loro...»
La donna era seguita da un altro dragoniere. «Qui, Lessa,» disse T'gellan, rivolgendole un cenno, senza distogliere gli occhi dagli occhi di Menolly. Nel sentire quel nome, Menolly si alzò faticosamente;, mentre le lucertole di fuoco strillavano e cercavano di restarle aggrappate. Menolly ricordava soltanto che le era stato detto di tenersi lontana da Lessa: ma inciampò nelle sedie urtò dolorosamente i piedi. Mirrim l'afferrò per il braccio, cercando di farla sedere, e all'improvviso intorno alla testa di Menolly cominciarono a volteggiare altre lucertole, più numerose di quelle che lei riconosceva come sue. «Qualcuno vuol decidersi a farle star zitte?» chiese la piccola donna bruna, fronteggiando Menolly con i pugni sui fianchi e gli occhi che lampeggiavano di rabbia. «Ramoth! Se volessi...» Di colpo, un silenzio assoluto scese nell'enorme cucina. Menolly sentì Bella tremare più forte che mai contro il suo collo, e i due bronzei le affondarono gli artigli nelle braccia e nei fianchi. «Così va meglio,» fece Lessa, con un bagliore negli occhi. «E tu chi sei? Sono tutte tue?» «Mi chiamo Menolly e...» Lei alzò nervosamente gli occhi verso tutte le lucertole di fuoco, appollaiate in silenzio sui cornicioni e aggrappate alla volta del soffitto. «E non sono tutte mie.» «Menolly?» La collera di Lessa sfumò nella perplessità. «Menolly?» Stava cercando di riconoscere quel nome. «Manora ti ha parlato di lei, Lessa,» interloquì Mirrim, e Menolly ammirò moltissimo il suo ardire. «T'gran l'ha salvata dai Fili. Ha corso fino a scorticarsi i piedi.» «Ah, sì. Dunque, Menolly, quante lucertole di fuoco hai?» Menolly stava cercando di capire se Lessa era irritata o compiaciuta, e si chiedeva se il fatto di avere troppe lucertole di fuoco poteva farla rimandare al Semicerchio. Sentì Mirrim darle una lieve gomitata nelle costole. «Queste.» Menolly indicò le tre che le stavano aggrappate, e sentì Mirrim darle un'altra gomitata. «E soltanto sei di quelle che stanno lassù.» «Soltanto sei di quelle che stanno lassù?» Menolly vide che Lessa tamburellava con le dita sull'alta cintura, sentì uno dei dragonieri soffocare un'esclamazione e, alzando gli occhi, lo vide che si tappava la bocca con la mano, ma aveva gli occhi ridenti. Poi osò guardare in
faccia Lessa e scorse il lieve sorriso sul volto della Dama del Weyr. «Quindi sono nove, mi pare.» fece Lessa. «Ma come hai fatto a imprimere lo Schema dell'Apprendimento a nove lucertole di fuoco, Menolly?» «Non l'ho fatto di proposito. Ero nella grotta, quando sono uscite dall'uovo, e loro avevano fame. Io avevo un sacco di zampediragno e glieli ho dati...» «Una grotta? Dove?» La domanda di Lessa era brusca, ma non sgarbata. «Sulla costa. Sopra Nerat, presso le Pietre dei Draghi.» T'gellan proruppe in un'esclamazione. «Vivevi tu in quella grotta? Ho trovato vasi e pentole... ma neppure un guscio d'uovo di lucertola.» «Non sapevo che le lucertole di fuoco deponessero le uova nelle grotte,» commentò Lessa. «C'era l'alta marea, e la covata sarebbe stata sommersa. Io ho aiutato la regina a metterle nella grotta.» Lessa guardò fissamente Menolly per un lungo istante. «Tu hai aiutato la lucertola regina?» «Sì. Vedi, ero caduta dalla scogliera, e loro... la regina e i bronzei della vecchia covata, non questi...» E Menolly indicò con il mento Bella, Sassetto e Tuffolo. «Loro non hanno permesso che mi allontanassi dalla spiaggia prima di averli aiutati.» T'gellan la fissava allibito, ma gli altri due cavalieri dei draghi sorridevano allegramente. Poi Menolly si accorse che anche Mirrim sorrideva. E la cosa più incredibile, in quella confusione, era il fatto che una piccola lucertola marrone stava appollaiata sulla spalla di Mirrim, e guardava intenta Bella che teneva la testa affondata nei capelli di Menolly. «Mi piacerebbe ascoltare tutta la storia nella debita sequenza, un giorno,» fece Lessa. «Ma ora, fammi il favore di tenere sotto controllo il tuo branco; e non permettere che si allontanino da te. Agitano troppo Ramoth e tutti gli altri. Nove, eh?» Lessa sospirò, voltandosi. «Quando penso dove potrei piazzare nove uova in modo tanto utile...» «Per favore... hai bisogno di altre uova di lucertole di fuoco?» Lessa si girò così in fretta che involontariamente Menolly arretrò d'un passo. «Certo che abbiamo bisogno di uova di lucertola! Dove hai vissuto finora per non saperlo?» Lessa si rivolse a T'gellan. «Tu sei comandante di squadriglia. Non hai informato tutte le Tenute Marine?» «Sì, Lessa.» E T'gellan guardò Menolly. «Più o meno quando lei è sparita
dal Semicerchio. Giusto, Menolly? I cavalieri in ricognizione hanno continuato a cercarla, da allora, ma lei era rintanata comodamente in quella grotta, con nove lucertole di fuoco.» Menolly chinò la testa, disperata. «Ti supplico, Dama del Weyr, non rimandarmi al Semicerchio!» «Una ragazza capace d'imprimere lo Schema dell'Apprendimento a nove lucertole di fuoco,» rispose Lessa in un tono brusco che costrinse Menolly ad alzare gli occhi, «non deve restare in una Tenuta Marina. T'gellan, fatti dire da lei dov'è quella covata, e vai immediatamente a prenderla. Speriamo che le uova non si siano già schiuse.» Con immenso sollievo di Menolly, Lessa le sorrise: ora sembrava di buon umore. «Ricorda di tener lontano da Ramoth quelle creature pestinenziali. Mirrim può aiutarti ad addestrarle. Le sue, adesso, sono molto utili.» Lessa se ne andò in fretta, lasciando tutti senza fiato. L'attività riprese in ogni angolo della cucina. Menolly sentì che Mirrim le premeva sulle spalle per farla sedere, e si abbandonò esausta. Si trovò fra le mani una tazza di klah e sentì che T'gellan l'esortava a bere. «Il primo incontro con Lessa è sempre un po' sconvolgente.» «È... è così minuta,» disse Menolly, stordita. «La statura non ha importanza.» Menolly si rivolse ansiosamente a Mirrim. «Diceva sul serio? Davvero posso restare?» «Se hai saputo imprimere la Schema a nove lucertole di fuoco, il tuo posto è qui. Ma perché non me ne avevi parlato? Hai visto le mie? Ne ho soltanto tre...» T'gellan; borbottò qualcosa, e Mirrim gli mostrò la lingua. «Ho detto alle mie di restare nella grotta...» «E noi eravamo qui a stillarci il cervello,» continuò Mirrim, «e ad accusare i cavalieri di arraffare le uova...» «Io non sapevo che aveste bisogno delle lucertole di fuoco...» «Mirrim, non prenderla in giro: è sconvolta. Menolly, bevi, e calmati,» disse T'gellan. Obbediente, Menolly sorseggiò il klah, ma si sentì in dovere di spiegare che i ragazzini, nella sua Tenuta Marina, non pensavano ad altro che a prendere in trappola le lucertole di fuoco, e che lei lo riteneva ingiusto, e non aveva riferito neppure di averle viste accoppiarsi.
«Date le circostanze, hai fatto benissimo, Menolly,» disse T'gellan. «Ma andiamo a prendere quella covata. Dove l'hai vista? Credi che fosse ormai vicina alla Schiusa?» «Le uova erano ancora molto morbide, quando le ho trovate, il giorno che T'gran mi ha salvata. È a una mezza mattinata di cammino dalle Pietre dei Draghi.» «Pochi minuti di volo a dorso di drago, ma... a Sud? A Nord? Dove?» «Ecco, a Sud, dove un fiumicello si getta nel mare.» T'gellan alzò gli occhi, esasperato. «Ci sono troppi luoghi che corrispondono alla descrizione. Sarebbe meglio se venissi con me.» «T'gellan,» intervenne scandalizzata Mirrim, «Menolly ha i piedi a pezzi...» «E sono a pezzi anche i nervi di Lessa. Ti avvolgeremo i piedi nelle pelli, ma dobbiamo prendere quelle uova. E tu non sei ancora sovrintendente, ragazza mia,» concluse T'gellan, agitando l'indice sotto il naso di Mirrim. Non ci volle molto tempo per preparare Menolly. Mirrim, come per farsi perdonare la sua aria ufficiale, le portò la sua giubba e il casco di pelle di wher, e un paio di stivali grandissimi che vennero infilati delicatamente sui piedi fasciati e doloranti e fissati alle gambe con cinghiette di cuoio. Sassetto e Tuffolo si lasciarono tranquillizzare da qualche pezzetto di carne, ma Bella rifiutò di staccare la coda dal collo di Menolly. Ciangottò ironicamente all'indirizzo di T'gellan quando lui, sorreggendola, portò Menolly da Monarth che attendeva paziente davanti alla cucina. T'gellan issò Menolly sulla spalla del drago, e lei si assestò sulle creste afferrandosi alle cinghie, urtando dolorosamente i piedi un paio di volte. Il cavaliere si accinse a sedere davanti a Menolly, ma Bella sibilò minacciosamente e allungò una zampa anteriore per graffiarlo con gli artigli sguainati. «Non si è mai comportata così male,» disse Menolly in tono di scusa. «Monarth, vuoi parlarle tu?» chiese bonariamente T'gellan. Dopo un attimo, Bella smise di sibilare, lanciò un trillo incerto, roteò meno freneticamente gli occhi, e allentò la coda che minacciava di strozzare Menolly. «Così va meglio. Che sguardo minaccioso ha!» «Oh, povera me!» «Scherzavo, Menolly. Senti, chiederò a Monarth di spiegare alle tue lucer-
tole di fuoco quello che faremo, così non s'infurieranno per la nostra partenza.» «Lo farai davvero?» «Sicuro...» T'gellan tacque un istante. «Ecco fatto. Andiamo!» Questa volta, Menolly poté godersi le sensazioni del volo. Non riusciva a capire perché a Petiron l'esperienza fosse sembrata tanto orribile. Non ebbe neppure paura dell'assenza di sensazioni, quando andarono in mezzo. Sentì il freddo tremendo nelle piante dei piedi doloranti, ma durò soltanto un secondo. All'improvviso, eruppero a bassa quota sopra le Pietre dei Draghi, arrivando dal largo. L'emozione del volo lasciò Menolly senza fiato. «C'è una possibilità che la prima regina deponga altre uova in quella grotta,» disse T'gellan, girando la testa. «Ma bisognerebbe sbarazzarla della tua roba.» Atterrarono sulla spiaggia. Monarth scrutò la caletta con aria di disapprovazione, mentre l'acqua gli lambiva dolcemente le zampe. Il gruppo di Menolly arrivò, volteggiando, felice della rimpatriata. Poi una lucertola di fuoco apparve più in alto, su un lato. «Guarda, T'gellan! La vecchia regina!» Ma quando il cavaliere alzò gli occhi, era già scomparsa. «Mi dispiace che ci abbia visti qui. Speravo... Dove erano le uova quando le hai portate al sicuro?» «Proprio qui.» Monarth si spostò. «Ha sentito quello che ti ho detto?» mormorò ansiosamente Menolly all'orecchio di T'gellan. «Sì, e stai attenta a come gli parli. È molto sensibile.» «Non ho detto nulla che possa averlo offeso, vero?» «Menolly!» T'gellan si voltò a guardarla con un gran sorriso. «Stavo solo scherzando.» «Oh!» «Uhm. Sì. Dunque, sei riuscita a scalare quella scogliera?» «Non è stato difficile. Se guardi bene, vedrai che ci sono parecchi appigli, e c'erano già prima che facessi una specie di sentiero.» «Un sentiero? Uh. Sì. Monarth, puoi portarci un po' più vicino, per favore?» Docilmente, Monarth si accostò alla scogliera e si alzò sulle zampe poste-
riori; e Menolly scoprì, stupefatta, che potevano scendere direttamente dalla spalla del drago alla grotta. Le sue nove lucertole entrarono sfrecciando, fra squittii e strilli che venivano ingigantiti dall'ampiezza della caverna. Quando Menolly e T'gellan la raggiunsero, la luce sparì di colpo. Lei si voltò e vide la testa di Monarth infilata nell'apertura, i grandi occhi che ruotavano pigramente. «Monarth, togli quel tuo testone dalla luce, ti dispiace?» disse T'gellan. Il drago batté le palpebre, sbuffo malinconicamente ma si scostò. «Perché non ti ha trovata nessuno in una Cerca, ragazza mia?» chiese il cavaliere, e lei si accorse che la scrutava attentamente. «Nessuno è mai venuto in Cerca nella Tenuta Marina del Semicerchio.» «Non mi sorprende. Dunque, dov'era la covata della vecchia regina?» «Proprio dove sei tu.» T'gellan si spostò con un balzo, lanciandole una seconda occhiata ammonitrice che Menolly non seppe interpretare; poi s'inginocchiò e passò le dita tra la sabbia, mormorando soddisfatto. «Avevi buttato via i vecchi gusci?» «Sì. Ho fatto male?» «Non credo.» «Pensi che la regina tornerà qui?» «Può darsi. Se l'acqua nella cala sarà ancora alta la prossima volta che si accoppierà. Per caso, non ricordi quando hai assistito al suo volo nuziale?» «Sì, lo ricordo, perché poco dopo sono caduti i Fili. Quella volta, l'orlo avanzato della Caduta ha colpito le paludi fin quasi a Nerat.» «Brava!» T'gellan inclinò all'indietro la testa, stringendo le labbra, e Menolly ebbe l'impressione che stesse facendo un rapido calcolo mentale. Anche Alerai faceva così, quando studiava una rotta. «Sì. E quando si sono schiuse?» «Ho perduto il conto dei settedì, ma si sono schiuse cinque Cadute fa.» «Magnifico. La regina si accoppierà di nuovo prima del culmine dell'estate, se le lucertole di fuoco seguono lo stesso ciclo tenuto dai draghi durante un Passaggio.» T'gellan girò gli occhi sugli oggetti che Menolly aveva fabbricato per poter vivere nella grotta. «Vuoi portar via queste cose?» «Non tutte,» disse Menolly e si lanciò verso la coperta. La zampogna era ancora lì, quindi T'gellan non l'aveva vista in occasione della prima visita alla grotta. Avvolse la coperta intorno allo strumento. «Il mio olio...» soggiunse,
prendendo il vaso. «Ne avrò bisogno.» «Non proprio,» commentò T'gellan con un sorriso. «Comunque portalo. Manora s'interessa sempre a queste cose.» Menolly raccolse anche le erbe secche, e ne fece un pacchetto per legarselo sulle spalle. Poi, implacabilmente, cominciò a buttare il rozzo vasellame dall'imboccatura della grotta. «Oh!» Spaventata, si precipitò a guardar fuori, in cerca di Monarth. «Non l'hai colpito! Ha abbastanza buon senso per non restare a tiro, quando si fanno le pulizie.» E T'gellan lanciò in aria la pentola. «È tutto, credo,» disse Menolly. «Andiamo!» Sulla soglia, Menolly si voltò a dare un'ultima occhiata alla grotta e sorrise tra sé. Non aveva mai pensato che l'avrebbe lasciata, certamente non per salire sul dorso di un drago. Ma del resto, non aveva mai previsto che sarebbe vissuta in una grotta e che avrebbe cavalcato un drago. Ora più nulla indicava che qualcuno vi aveva abitato. Persino la sabbia asciutta scivolava colmando le impronte lasciate dai loro passi. T'gellan le tese la mano per aiutarla a salire sul collo di Monarth, e presero il volo per cercare le uova di lucertola di fuoco. (1) Un dragoniere del Weyr di Benden (N. d. C). (2) Sovrintendente del Weyr di Benden (N. d. C.). (3) Sulle complesse vicende del Weyr Meridionale è impostato parte de La cerca del drago (N. d C). (4) Cfr La cerca del drago, cap. XII (N. d. C). XI La piccola regina tutta d'oro s'avventò sibilando verso il mare. Per tenerlo lontano e per scacciarlo, s'avventurò arditamente. Menolly e T'gellan recarono le trentun uova della covata al Weyr di Benden senza incrinare neppure un guscio, dentro al doppio sacco imbottito che
avevano portato per il viaggio in mezzo. Il loro ritorno fece sensazione, e gli abitanti del Weyr si affollarono per esaminare le uova. Prontamente informata, Lessa arrivò e ordinò in tono imperioso di mettere un cesto di sabbia calda dal Terreno della Schiusa. Lo fece sistemare presso il piccolo focolare delle salse e diede disposizioni perché venisse girato a intervalli regolari, per distribuire il calore in modo eguale. Poi sentenziò che, a giudicare dalla durezza, le uova si sarebbero schiuse non prima di un altro settedì. «Meglio così,» fece con quel suo tono asciutto. «Una Schiusa alla volta è già più che sufficiente. Meglio ancora, potremo regalare le uova ai notabili in occasione della festa.» Sembrava molto soddisfatta di quella soluzione; e sorrise a Menolly. «Manora dice che i tuoi piedi non sono ancora guariti, quindi ti affido la covata. E... Felena, togli alla bambina quegli stivali ridicoli e trovale qualche abito decente. Senza dubbio abbiamo qualcosa nei magazzini che potrà darle un aspetto meno penoso.» Lessa se ne andò, e Menolly si ritrovò oggetto di un'attenta ispezione. Felena, una donna alta e flessuosa dalle bellissime sopracciglia nere e dagli occhi verdi, la scrutò a lungo, poi mandò un'aiutante a scegliere un abito da uno stipo speciale, un'altra a chiamare il conciatore perché prendesse le misure per le scarpe di Menolly, e una bambina a portarle un paio di forbici perché i capelli di Menolly avevano bisogno di venire tagliati. Chi glieli aveva conciati così? Dovevano aver adoperato un coltello! Ed erano così belli! Aveva fame? T'gellan l'aveva portata via senza lasciarle il tempo di fiatare. «Portate qui quella sedia e spingete avanti quel tavolino! Non state lì a bocca aperta e andate a prendere qualcosa da mangiare per questa ragazza!» «Quanti Giri hai?» chiese Felena, dopo aver impartito la lunga serie di ordini. «Quindici, prego,» rispose Menolly che, stordita, si sforzava di non piangere. Aveva la gola stretta e non riusciva a credere a quello che le succedeva: c'era tanta gente che si preoccupava del suo aspetto e di quello che indossava... E soprattutto, Lessa le aveva sorriso perché era contenta di aver ricevuto la covata. E sembrava che non dovesse temere di venir rispedita al Semicerchio, poiché al Weyr le stavano ordinando un paio di scarpe e le procuravano un vestito... Menolly scoppiò in pianto. E questo provocò nuova confusione perché le sue lucertole di fuoco scesero in picchiata, sfiorando pericolosamente le teste dei presenti. Bella tentò di beccare Felena, che cercava soltanto di consolare
Menolly. «Cerchiamo di fare un po' d'ordine,» disse una voce nuova, autoritaria. Tutti, tranne le lucertole di fuoco, ammutolirono obbedienti, e fecero largo a Manora. «E zitta anche tu,» disse lei a Bella che squittiva. «Su,» continuò, rivolgendosi agli altri, «andate a mettervi seduti tranquilli da qualche parte. Perché Menolly sta piangendo?» «Sono felice, sono felice, sono felice,» riuscì a balbettare Menolly, sottolineando ogni ripetizione con un singhiozzo. «Ma certo,» disse Manora in tono comprensivo, e rivolse un cenno ad una delle donne. «È stata una giornata emozionante e faticosa. Su, bevi questo.» La donna era tornata portando un boccale. «Adesso tutti se ne andranno per i fatti loro e ti lasceranno riprendere fiato. Ecco, così va meglio.» Obbediente, Menolly sorseggiò la bevanda. Non era succo di fellis, ma era leggermente amara. Manora la esortò a berla tutta, e poco a poco Menolly sentì l'oppressione al petto allentarsi: la gola non le fece più male, e cominciò a rilassarsi. Alzò gli occhi e vide che Manora era rimasta sola con lei, seduta al tavolino con le mani serenamente intrecciate in grembo: irradiava un'aura di calma pazienza che era confortante. «Ti senti meglio? Adesso resta tranquilla e mangia. Non accettiamo molta gente nuova, qui, e perciò farai sensazione. Quante uova di lucertola di fuoco avete trovato in quella covata?» Menolly si accorse che le era facile parlare con Manora; poco dopo le mostrò l'olio e le spiegò come l'aveva preparato. «Penso che te la sia cavata splendidamente da sola, Menolly, ma non è questo che mi aspettavo da una ragazza addestrata da Mavi.» Menolly si sentì di colpo a disagio nell'udire il nome di sua madre. Si strinse involontariamente la mano sinistra, e il tessuto cicatriziale tirò dolorosamente sotto la pressione. «Non vuoi che mandi un messaggio al Semicerchio?» le chiese Manora. «Per comunicare che sei qui sana e salva?» «No, non voglio! Ti prego! A loro non servo.» Menolly mostrò la mano sfregiata. «E poi...» S'interruppe, perché stava per aggiungere «per loro sono un disonore.» «E invece, sembra che possa rendermi utile qui,» aggiunse in fretta, indicando il cesto delle uova. «Infatti, Menolly, infatti.» Manora si alzò. «Ora mangia la carne. Parlere-
mo più tardi.» Quando ebbe finito di mangiare, Menolly si sentì molto meglio. Era felice di starsene seduta accanto al focolare, a osservare le attività delle altre. Poco dopo, arrivò Felena con le forbici e le assestò i capelli. Poi qualcuno venne a sorvegliare le uova mentre Menolly indossava il primo abito nuovo che avesse mai avuto: aveva sempre portato quelli smessi, poiché era la più giovane d'una famiglia numerosa. Il conciatore venne a prenderle le misure per un paio di stivali, e prima di sera le portò un paio di morbide babbucce che calzavano benissimo sui piedi fasciati. Aveva cambiato aspetto al punto che Mirrim, passando accanto al suo tavolo poco prima del pasto serale, stentò a riconoscerla. Menolly temette che la evitasse apposta perché lei aveva nove lucertole di fuoco, ma i modi di Mirrim non erano affatto cambiati. Si lasciò cadere su una sedia di fronte a lei e approvò cordialmente il taglio dei capelli; l'abito e le babbucce. «Ho saputo della covata, ma ho avuto tanto da fare a correre di qua e di là e a sbrigare le commissioni di Manora che non mi è rimasto un momento libero.» Menolly represse un sorriso. Mirrim parlava esattamente come Felena. Poi Mirrim la guardò, inclinando la testa. «Sai sei così carina, vestita come si deve, che non ti avevo riconosciuta. E adesso, se riusciremo a farti sorridere, qualche volta...» In quel momento una piccola lucertola marrone si posò planando sulla spalla di Mirrim, le strusciò affettuosamente contro il collo e sbirciò Menolly. «È tuo?» «Sì, è Tolly, e ne ho due verdi, Reppa e Lok. E ti assicuro che tre mi bastano e avanzano. Come facevi a nutrirne nove? Sono sempre così affamate!» Abbandonando gli ultimi impacci nei confronti della sua nuova amica, Menolly le raccontò come s'era destreggiata con il suo piccolo sciame. Il pasto serale era pronto e, sebbene Menolly protestasse che era in grado di andare a prendere le sue razioni, Mirrim provvide per tutte e due. T'gellan sedette al loro tavolo e con grande sorpresa di Menolly, riuscì a indurre Bella ad accettare un po' di cibo, porgendoglielo sulla punta del coltello. «Non meravigliarti,» disse Mirrim a Menolly, con una sfumatura di condiscendenza. «Questi ingordi mangiano quello che gli offre chiunque. Ma ciò non significa che obbediscano a chi li sfama. E poi, dato che ne hai nove...» Roteò gli occhi con aria così espressiva che T'gellan rise.
«È invidiosa, sai, Menolly.» «Non è vero. Tre mi bastano, anche se... mi sarebbe piaciuto avere una regina. Vediamo se Bella viene da me. Grall lo fa sempre.» Mirrim si adoperò per indurre Bella ad accettare un pezzo di carne mentre T'gellan la prendeva in giro... ingiustamente, pensò Menolly. Ma Mirrim ribatté con commenti stizziti che Menolly non avrebbe mai osato rivolgere a un uomo più anziano, e tanto meno a un dragoniere. Era molto stanca; ma era piacevole starsene seduta nell'enorme cucina, ascoltare T'gellan e guardare Mirrim che cercava di attirare Bella, anche se alla fine fu Pigro che andò a prendere il cibo dalla sua mano. C'erano altri gruppetti che si erano trattenuti a chiacchierare; e le donne erano in numero eguale ai dragonieri. Menolly notò che venivano fatti passare alcuni otri di vino. All'inizio si stupì, perché alla Tenuta Marina il vino veniva servito solo nelle occasioni speciali. T'gellan mandò uno dei ragazzi a prendergli tre coppe e un otre e insistette perché bevesse anche Menolly. «Non si può rifiutare il buon vino di Benden,» le disse, riempiendole la coppa. «Su, non è il migliore che abbia mai assaggiato?» Menolly non gli disse che era la prima volta che beveva vino, se escludeva quello mescolato al succo di fellis. Senza dubbio, nel Weyr le regole di vita erano molto diverse. Quando l'Arpista del Weyr incominciò a suonare in sordina, più per il proprio piacere che per intrattenere i presenti, Menolly non si frenò, e batté il ritmo con le dita. Era una canzone che le piaceva molto, sebbene pensasse che gli accordi erano spenti; e cominciò a canticchiare l'armonia, quando non era in dissonanza con il suono. Non si accorse neppure di quel che faceva sino a quando Mirrim alzò la testa sorridendo. «È stato bellissimo, Menolly. Oharan? Vieni qui! Menolly ha un'armonia nuova per quella canzone.» «No, no, non posso.» «Perché no?» chiese T'gellan, versandole dell'altro vino nella coppa. «Un po' di musica ci rallegrerà. Ci sono certe facce, qui, più malinconiche di un Giro piovoso.» Dapprima timidamente, frenata dalla vecchia ingiunzione di non cantare in pubblico, Menolly unì la sua voce a quella baritonale dell'Arpista Oharan. «Sì, mi piace, Menolly. Hai un ottimo senso del ritmo,» disse Oharan, con un'approvazione così sincera che lei ricominciò a preoccuparsi.
Se Yanus avesse saputo che stava cantando nel Weyr... Ma Yanus non era presente, e non l'avrebbe mai saputo. «Senti, sai armonizzare su questa?» E Oharan attaccò una delle Ballate più antiche, una che lei aveva sempre eseguito in controcanto sulla melodia di Petiron. All'improvviso, altre voci si unirono alle loro, sommesse ma sicure. Mirrim si guardò intorno, fissò insospettita T'gellan, poi additò Bella. «Sta canticchiando. Menolly, come hai fatto a insegnarglielo? E gli altri... anche alcuni degli altri cantano!» Mirrim aveva sgranato gli occhi per lo stupore. Oharan continuò a suonare, accennando a Mirrim di tacere, e tutti poterono udire il canto delle lucertole di fuoco, mentre T'gellan allungava il collo, tendendo l'orecchio prima verso Bella, e poi verso Sassetto e Tuffolo e Bruno, che gli erano vicini. «Non ci credo,» dichiarò il dragoniere. «Non spaventarle! Lasciale fare,» disse Oharan a voce bassa, mentre modulava gli accordi di un'altra strofa. Finirono la canzone mentre le lucertole canticchiavano obbedienti, seguendo Menolly. Poi Mirrim volle sapere come era riuscita a insegnare a cantare ai suoi piccoli amici. «Suonavo e cantavo per loro nella grotta, sai, per farmi compagnia. Sono soltanto sciocchezze.» «Sciocchezze! Io ho le mie tre da molto più tempo, e non ho mai saputo che amassero la musica.» «Il che dimostra che non sai tutto, vero, giovane Mirrim?» la punzecchiò T'gellan. «Questo non è giusto,» s'intromise Menolly, e singhiozzò. Imbarazzatissima, singhiozzò di nuovo. «Quanto vino le hai fatto bere, T'gellan?» chiese Mirrim, aggrottando sdegnata la fronte. «Certamente non abbastanza per ubriacarla.» Menolly singhiozzò di nuovo. «Portale un po' d'acqua!» «Trattieni il respiro,» suggerì Oharan. T'gellan portò l'acqua e, sorseggiandola in fretta, Menolly riuscì a far cessare il singhiozzo. Continuò a sostenere che non sentiva gli effetti del vino,
ma era stanchissima. Se qualcuno avesse sorvegliato le uova... era così tardi... Premurosamente, T'gellan e Oharan l'aiutarono a raggiungere la sua stanza, mentre Mirrim li rimbrottava, accusandoli di essere due grossi stupidi senza un filo di buon senso. Menolly fu ben felice di sdraiarsi e di lasciare che Mirrim le sfilasse le babbucce e gli abiti nuovi e le drappeggiasse addosso la coperta. Si addormentò prima che le sue lucertole di fuoco si fossero disposte intorno a lei per passare la notte. XII Dragoniere, dragoniere, fra te e ciò che è tuo, spartisci con me quell'amore che è più grande del mio. La mattina dopo, Mirrim svegliò Menolly molto presto, azzittendo con impazienza le lucertole che sibilavano nel vederla scuotere la loro padrona. «Menolly, sveglia. Abbiamo bisogno di tutti, in cucina. Oggi si schiuderanno le uova, e hanno invitato mezzo Pern. Girati. Manora sta arrivando per dare un'occhiata ai tuoi piedi.» «Ahi! Sei troppo brusca!» «Di' a Bella... ahi... che non voglio farti male. Bella! Fai la brava o lo dirò a Ramoth!» Con grande sorpresa di Menolly, Bella smise di avventarsi contro Mirrim e, con uno squittio, si ritirò nell'angolo opposto della stanza. «Mi facevi male,» disse Menolly, troppo insonnolita per essere riguardosa. «Bene, e ti ho chiesto scusa. Uhm. Sembra davvero che i tuoi piedi vadano molto meglio.» «Oggi non useremo le fasce pesanti,» disse Manora che entrava in quel momento. «Le babbucce li proteggeranno a sufficienza.» Menolly girò la teste, sentendo le dita forti e delicate della sovrintendente che voltavano prima un piede e poi l'altro. «Sì, fasce più leggere, oggi, Mirrim, e unguento. E questa notte, niente bende. Le ferite hanno bisogno di prendere aria. Ma hai fatto un ottimo lavoro. Le uova delle lucertole di fuoco stanno benone, Menolly.»
Poi Manora se ne andò, e Mirrim cominciò la fasciatura. Quando ebbe terminato e Menolly si alzò per vestirsi, indugiando ad accarezzare le pieghe morbide della tunica, Mirrim si lasciò cadere sul letto con un sospiro esagerato. «Che cos'hai?» chiese Menolly. «Cerco di riposarmi finché posso,» rispose l'altra. «Tu non sai cosa sia una Schiusa, con tutti i rappresentanti delle Fortezze e delle Arti che gironzolano nel Weyr, e curiosano dove non dovrebbero e si spaventano e spaventano i draghi e i piccoli e i draghetti appena usciti dall'uovo. E come mangiano!» Mirrim roteò gli occhi. «Si direbbe che non abbiano mai visto il cibo e...» Si girò sul letto e cominciò a singhiozzare disperatamente. «Mirrim, cosa c'è? Oh, è Brekke! Non sta bene? Voglio dire, non imprimerà di nuovo lo Schema ad una regina? Sanra ha detto che Lessa lo sperava...» Menolly si chinò per confortare l'amica, sconvolta da quei singhiozzi strazianti. Le parole di Mirrim erano soffocate dal pianto, ma Menolly comprese che non voleva che la madre adottiva imprimesse lo Schema ad una nuova regina, anche se la ragione era oscura. Brekke non voleva vivere, e loro dovevano trovare il modo di convincerla. Perdere il suo drago era stato per lei come perdere metà di se stessa, e non era stata colpa di Brekke. Era così dolce e sensata, e amava F'nor, e chissà perché, anche questo sembrava irragionevole. Menolly la lasciò piangere: sapeva che il giorno prima il pianto era stato per lei un grande sollievo, e si augurava che quel giorno anche Mirrim avrebbe potuto piangere lacrime di gioia. Doveva essere così. Perdonava a Mirrim tutte le sue piccole pose, consapevole che se n'era servita per mascherare l'ansia e l'angoscia. La tenda della stanzetta frusciò con violenza, vi fu una protesta rabbiosa delle lucertole di fuoco e poi Tolly, il marrone di Mirrim, s'infilò sotto la tenda, roteando gli occhi per lo sdegno e la preoccupazione. Scorse Menolly che accarezzava i capelli di Mirrim, spiegò le ali e fece per avventarsi, quando dall'angolo Bella trillò bruscamente. Tolly scrollò le ali; ma quando balzò sul letto, si posò con delicatezza sul bordo e restò lì, fissando prima l'una e poi l'altra delle due ragazze. Dopo un attimo, entrarono le due verdi. Si posarono sullo sgabello, vigili ma discrete. Bella, dal suo angolo, li sorvegliava tutti. «Mirrim? Mirrim?» Era la voce di Santa che chiamava dalla Caverna degli
Alloggiamenti. «Mirrim, non hai ancora finito di medicare i piedi di Menolly? Abbiamo bisogno di voi due! Subito!» Mentre Menolly si alzava, obbediente, Mirrim le prese la mano e la strinse. Poi si alzò a sua volta, si assestò le gonne e uscì dalla stanza, seguita più lentamente da Menolly. Mirrim non aveva affatto esagerato tutto il lavoro che c'era da fare. Il sole era appena sorto, ma evidentemente le cuoche erano già alzate da ore, a giudicare dal gran numero di pani - dolci, acidi, alle spezie - che stavano raffreddando sui lunghi tavoli. Due uomini stavano preparando un'enorme bestia intera per lo spiedo, e accanto ai focolari più piccoli i wherry selvatici venivano puliti e farciti, per essere messi a cuocere più tardi. Per proteggerlo meglio nel trambusto della cucina, qualcuno aveva piazzato un tavolino sopra il cesto delle uova di lucertola. Erano sistemate benissimo, e la sabbia aveva un calore uniforme. Felena scorse Menolly, le disse di mangiare in fretta qualcosa al focolare delle salse e le chiese se sapeva preparare qualche piatto saporito con il pesce secco. Oppure preferiva aiutare ad affettare le radici? Subito Menolly optò per il pesce, e Felena le chiese di quali ingredienti aveva bisogno. Lei rimase un po' sgomenta, nel sentire la quantità che doveva preparare. Non sapeva che venisse tanta gente per la Schiusa: gli invitati erano più numerosi di tutti gli abitanti della Tenuta Marina del Semicerchio. Per insaporire la zuppa di pesce, il trucco consisteva in una cottura prolungata, e Menolly cominciò a preparare in fretta gli enormi paioli, perché avessero il tempo di sobbollire. Si sbrigò così presto che trovò ancora un grosso mucchio di radici da affettare. Nella cucina regnava la più grande eccitazione. Il mucchio di verdure che stava davanti a Menolly sparì rapidamente mentre lei ascoltava le chiacchiere delle altre ragazze e delle donne. Tutte facevano ipotesi sui ragazzi e sulla ragazza che sarebbero riusciti a imprimere lo Schema ai draghi destinati a uscire dal guscio quel giorno. «Nessuno ha mai re-impresso lo Schema a un drago,» disse malinconicamente una donna. «Credete che Brekke lo farà?» «Finora nessuno ne aveva mai avuto l'occasione.» «È un rischio che dovremmo correre?» chiese un'altra. «Non ci hanno interpellate,» disse Sanra, lanciando un'occhiataccia all'ultima che aveva parlato. «È un'idea di Lessa, ma F'nor e Manora non la pensa-
no così...» «Bisogna fare qualcosa per aiutarla,» disse la prima donna. «Mi strazia il cuore vederla lì sdraiata, immobile come se fosse morta. Mi ricorda il modo in cui se ne andò D'namal. Finì per... ecco... per dileguarsi.» «Se finisci in fretta di tagliare quella radice, potremo mettere la pentola sul fuoco,» disse Sanra, alzandosi. «Mangeranno tutto?» chiese Menolly alla donna seduta accanto a lei. «Sì, certo, e qualcuno chiederà se ce n'è ancora,» rispose quella con un sorriso compiaciuto. «I giorni dell'Impressione dello Schema sono giorni di festa. Oggi ho un figlio adottivo e un figlio di sangue sul Terreno della Schiusa,» aggiunse con comprensibile orgoglio. «Sanra!» gridò, voltandosi. «Per quel che è rimasto, basta una pentola un po' grande.» Poi cominciarono a tagliare a fette sottilissime le radici bianche, le coprirono d'erbette e le misero a cuocere in recipienti d'argilla. Il profumo della zuppa di pesce di Menolly meritò i complimenti di Felena, che sovrintendeva ai focolari e ai forni. Poi Menolly, invitata a non stare più in piedi, aiutò a decorare i dolci alle spezie. Rise insieme alle altre quando Sanra distribuì a tutte una torta a fette annunciando che dovevano pure accertarsi che la cottura fosse venuta a puntino, no? Menolly non dimenticò di girare le uova né di dar da mangiare ai suoi piccoli amici. Bella restava sempre vicina, ma gli altri erano stati visti mentre facevano il bagno nel lago e prendevano il sole, evitando scrupolosamente Ramoth, i cui muggiti erano echeggiati continuamente durante l'intera mattina. «Fa sempre così il Giorno della Schiusa,» disse T'gellan, fermandosi al suo tavolo per mangiare in fretta un boccone. «Senti, puoi convincere le tue lucertole di fuoco a cantare di nuovo con te, questa sera? Mi hanno dato del bugiardo perché ho raccontato che le hai abituate a cantare.» «Potrebbero intimidirsi e fare le difficili davanti a tanta gente, lo sai.» «Bene, aspetteremo che si faccia un po' di calma, e poi proveremo. Farò in modo che assista anche tu alla Schiusa. Sarà a metà del pomeriggio, direi, quindi fatti trovare pronta.» E invece Menolly non era pronta. Sentì la vibrazione del mormorio dei draghi, prima di udirlo. Lei e tutte le altre, nella caverna, interruppero il lavoro, rendendosi conto di quel suono intensamente eccitante. Menolly represse un'esclamazione, perché era un suono simile a quello che avevano emesso le
lucertole di fuoco quando stavano per schiudersi le loro uova. Non ebbe il tempo di tornare nella sua stanzetta per cambiarsi. T'gellan apparve sulla soglia della caverna, chiamandola a gesti. Lei corse, per quanto glielo consentivano i suoi piedi, perché aveva visto Monarth che attendeva davanti all'entrata. T'gellan le aveva già preso la mano per aiutarla a salire quando lei si accorse delle macchie di cibo che le deturpavano la tunica. «Te l'avevo detto di prepararti. Ti metterò in un angolo, piccola, e del resto, oggi nessuno bada alle macchie,» la tranquillizzò il dragoniere. Un po' risentita, Menolly notò che lui indossava un paio di calzoni nuovi, scuri, una bella tunica impunturata, una cintura ornata di fregi metallici e di gemme; ma non oppose resistenza. «Devo trovarti subito un posto, perché poi devo andare a prendere alcuni visitatori,» disse T'gellan, salendo agilmente davanti a lei sul collo di Monarth. «F'lar sta radunando nel Terreno della Schiusa tutti coloro che sono disposti ad andare in mezzo a dorso di drago.» Monarth s'innalzò obliquamente dal fondo della Conca verso un'immensa apertura nella parete del Weyr, che Menolly non aveva mai notato. Anche altri draghi si dirigevano da quella parte. Menolly si lasciò sfuggire un'esclamazione quando entrarono, con un drago che li precedeva e uno che li seguiva, così vicini da farle temere per un momento una collisione. Il tratto buio della galleria era rischiarato dall'estremità opposta, e all'improvviso si trovarono nel gigantesco Terreno della Schiusa. L'intero quadrante nord del Weyr doveva essere cavo, pensò Menolly sbalordita. Poi vide la lucente covata di uova di drago e restò a bocca aperta. Un po' in disparte c'era un uovo più grande, e accanto stava premurosa l'aurea Ramoth, dagli occhi incredibilmente fulgidi. Monarth si abbassò bruscamente, poi batté le ali all'indietro e si posò su un cornicione. «Eccoti arrivata, Menolly. È il posto migliore del Terreno. Dopo verrò a prenderti.» Menolly fu ben lieta di potersi sedere, dopo quel volo incredibile. Era sulla terza gradinata, presso la parete esterna, e quindi vedeva perfettamente il terreno della Schiusa e l'ingresso, dal quale incominciava a affluire molta gente. Erano tutti abbigliati con tanta eleganza che lei cercò invano di cancellare le macchie della tunica e incrociò le braccia sul petto per nasconderle. Almeno, il suo abito era nuovo.
Altri draghi arrivavano dall'entrata superiore, depositando i passeggeri, anche tre o quattro alla volta. Menolly guardava la fiumana ormai ininterrotta dei visitatori che passavano dall'entrata inferiore. Era divertente vedere le dame eleganti, talvolta troppo pomposamente agghindate, che erano costrette a raccogliere le pesanti gonne ed a correre a passettini goffi sulla sabbia calda. Le gradinate si riempirono rapidamente, e il mormorio eccitato dei draghi divenne così forte che Menolly stentò a restare seduta tranquilla. Un grido improvviso annunciò che alcune uova avevano incominciato a oscillare. Gli ultimi arrivati attraversarono la sabbia in fretta, e i posti accanto & Menolly vennero occupati da un gruppo di rappresentanti dell'Arte dei Minatori, riconoscibili dalle insegne rossobrune delle tuniche. Lei incrociò di nuovo le braccia, e poi le disincrociò, perché doveva sporgersi per vedere qualcosa al di là delle robuste figure dei minatori. Altre uova oscillavano, adesso: tutte, tranne un piccolo uovo grigio che chissà come era stato spinto indietro, contro la parete interna. Un altro batter d'ali, e questa volta entrarono i draghi bronzei, che portavano le candidate per l'uovo di regina. Menolly cercò di capire quale era Brekke, ma sembravano tutte sane e ben sveglie. Le donne del Weyr, quella mattina, non avevano detto che Brekke sembrava morta? Le ragazze si disposero in un cerchio ampio ma incompleto intorno all'uovo di regina, mentre Ramoth sibilava sommessamente. Poi, dalla Conca, entrarono i ragazzi, con l'aria decisa, le spalle dritte sotto le tuniche bianche, e si avvicinarono al resto della covata. Menolly non vide entrare Brekke perché stava cercando di indovinare quale delle uova che oscillavano violentemente si sarebbe schiuso per primo. Poi uno dei minatori gettò un'esclamazione e indicò l'entrata, la figura snella che barcollava, esitava e poi avanzava ancora, apparentemente insensibile al calore della sabbia su cui camminava. «Dev'essere quella. Dev'essere Brekke,» disse l'uomo ai compagni. «Il dragoniere ha detto che l'avrebbero mandata all'uovo di regina.» Sì, pensò Menolly, cammina come una sonnambula. Poi vide Manora ed un uomo che non conosceva, fermi all'entrata, come se avessero fatto tutto ciò che potevano per condurre Brekke sul Terreno della Schiusa. All'improvviso Brekke raddrizzò le spalle e scrollò la testa. Lentamente ma con passo fermo attraversò la sabbia, andò a raggiungere le cinque ragazze in attesa accanto all'uovo di regina. Una delle cinque si voltò e le indicò di met-
tersi nello spazio libero, per completare il semicerchio. Il mormorio cessò così bruscamente che i presenti furono scossi da un fremito d'eccitazione. Nel silenzio, si sentì lo scricchiolio lieve di un guscio, poi di altri. Prima un draghetto e poi un altro, sgraziati, brutti, lucidi, uscirono saltellando e rotolando dai gusci, squittendo e stridendo, con le teste a forma di cuneo troppo pesanti per i sottili colli sinuosi. Menolly notò che i ragazzi stavano immobili, storditi come era rimasta stordita lei nella piccola grotta mentre le minuscole lucertole di fuoco uscivano dai gusci, fameliche. Ora la differenza le appariva evidente: le lucertole di fuoco non si attendevano un aiuto, alla Schiusa, e l'istinto le aveva spinte a cercare cibo al più presto possibile per i loro stomaci attanagliati dai morsi della fame. Ma i draghi si guardavano intorno con aria d'attesa. Uno superò barcollando il primo candidato, che si scostò per lasciarlo passare. Cadde con il muso ai piedi di un ragazzo alto e bruno. Il ragazzo s'inginocchiò, aiutò il draghetto a rimettersi in equilibrio sulle zampe malferme, guardò gli occhi iridescenti. L'emozione strinse come un pugno il cuore di Menolly. Sì, lei aveva le lucertole di fuoco, ma imprimere lo Schema a un drago... Sorpresa, si domandò dov'erano Bella, Sassetto, Tuffolo e gli altri. Sentiva la loro mancanza, sentiva il bisogno delle affettuose carezze di Bella, persino della stretta quasi soffocante della sua coda intorno al collo. Lo scricchiolio dell'uovo aureo attirò l'attenzione di tutti. Si spaccò al centro, e la giovanissima regina, protestando per quella brusca nascita, cadde riversa sulla sabbia. Tre ragazze si mossero per aiutarla, la rimisero sulle quattro zampe e poi arretrarono. Menolly trattenne il respiro mentre si volgevano verso Brekke. Lei sembrava ignara di tutto. La forza che l'aveva sostenuta mentre attraversava la sabbia l'aveva abbandonata. Teneva le spalle curve, la testa piegata come se fosse troppo pesante per sorreggerla. Il piccolo drago regina si voltò verso Brekke, con gli occhi lucenti enormi nel grosso cranio. Brekke scrollò il capo come se si accorgesse d'essere osservata. Il piccolo drago mosse un passo incerto verso di lei. Menolly scorse con la coda dell'occhio un lampo bronzeo e, in un istante di disorientamento, pensò che fosse Tuffolo. Ma non poteva esserlo, perché il piccolo bronzeo aleggiava sopra la testa del draghetto, lanciando strilli di sfida. Era così vicino che la regina appena nata s'impennò con un urlo sgomento
e azzannò l'aria, spiegando istintivamente le ali davanti a sé per proteggersi gli occhi vulnerabili. I draghi appollaiati in alto, sopra il Terreno della Schiusa, gettarono muggiti d'avvertimento e Ramoth aprì le ali, ergendosi sulle zampe posteriori come per avventarsi sull'intruso. Una delle ragazze si mise tra la regina e il minuscolo aggressore. «Berd! No!» (1) Anche Brekke si mosse, tendendo il braccio verso l'irato bronzeo. Con uno strillo, il draghetto regina nascose il muso nella gonna della ragazza. Le due giovani donne si fronteggiarono per un momento, tese, preoccupate. Poi l'altra tese la mano a Brekke, e Menolly la vide sorridere. Il gesto durò solo un istante perché la giovane regina cozzò imperiosamente, e la ragazza s'inginocchiò, cingendole le spalle con le braccia per tranquillizzarla. Nello stesso istante Brekke si voltò. Non era più una sonnambula sprofondata nell'angoscia. Tornò verso l'entrata della Caverna, mentre la lucertola di fuoco bronzea le volteggiava intorno alla testa emettendo suoni che andavano dal rimprovero alla supplica, esattamente come Bella quando Menolly faceva qualcosa che la sconvolgeva. Menolly si accorse di piangere solo quando le lacrime le piovvero sulle braccia. Si voltò in fretta per vedere se i minatori l'avevano notato, ma quelli osservavano il grosso della covata. A giudicare dai loro commenti, un ragazzo era stato scelto durante una Cerca in una delle sedi della loro Arte, e attendevano con impazienza che imprimesse lo Schema a un drago. Per un momento, Menolly s'irritò con loro: non avevano visto la liberazione di Brekke? Non capivano che era stato un prodigio? Oh, come sarebbe stata felice Mirrim! Menolly ricadde esausta sulle pietre, svuotata da quel miracolo. E l'espressione del viso di Brekke, mentre passava sotto la volta dell'entrata! Manora era lì, radiosa, con le braccia tese in un gesto di gioia. L'uomo, che era sicuramente F'nor, sollevò Brekke tra le braccia, e il suo viso stanco rispecchiava sollievo e felicità. Accanto a lei, l'acclamazione dei minatori le disse che il loro ragazzo aveva impresso lo Schema a un drago, sebbene Menolly non riuscisse a capire di quale ragazzo si trattasse. Molti, ormai, si avviavano verso l'entrata, appaiati ai draghetti barcollanti che strillavano per la fame. I minatori incoraggiavano a gran voce il loro favorito; e quando passò un ragazzo magro e ricciuto che
rispose con un gran sorriso alle loro acclamazioni, Menolly vide che aveva ottenuto un risultato piuttosto notevole, un drago marrone. Esultanti, i minatori si voltarono per invitarla a condividere il loro trionfo, e lei reagì con prontezza: ma provò un senso di sollievo quando quelli si affrettarono a scendere per seguire i due fuori dal Terreno della Schiusa. Menolly rimase seduta, felice della resurrezione di Brekke, della decisione del Bronzeo Berd, che aveva trovato il coraggio di sfidare la collera di Ramoth in un simile momento. Ma perché, si chiese, Berd non aveva voluto che Brekke imprimesse lo Schema alla nuova regina? Comunque, l'esperienza aveva strappato Brekke al suo letargo. I draghi stavano ritornando, posandosi sul Terreno della Schiusa perché i loro cavalieri potessero aiutare i draghetti o accompagnare fuori gli ospiti. Le gradinate si stavano svuotando. Ben presto restò soltanto un uomo che portava i colori di una Fortezza, seduto in prima fila insieme a due ragazzi (2). L'uomo appariva stanchissimo. Poi uno dei ragazzi si alzò indicando il piccolo uovo sulla sabbia, che neppure oscillava. Oziosamente, Menolly pensò che non si sarebbe schiuso; ricordava l'uovo intatto rimasto sulla sabbia della grotta il mattino dopo la Schiusa delle sue lucertole di fuoco. Lei l'aveva scosso, e aveva sentito qualcosa di duro che risuonava all'interno. Qualche volta, nella Tenuta, un bambino nasceva morto, e quindi la stessa sorte poteva toccare anche ad altri esseri. Ora il ragazzo stava correndo lungo la gradinata. Con grande sbalordimento di Menolly, balzò sul Terreno della Schiusa e cominciò a prendere a calci il piccolo uovo. Le sue grida e le sue azioni attirarono l'attenzione del Comandante del Weyr e del gruppetto di candidati che non avevano impresso lo Schema a nessun drago. Il Nobile si alzò a mezzo, tendendo il braccio in un gesto d'ammonimento. L'altro ragazzo gridava qualcosa all'amico. «Jaxom, cosa stai facendo?» esclamò il Comandante del Weyr. Allora l'uovo s'incrinò, e il ragazzo cominciò a lacerare il guscio, strappandone grossi pezzi e scalciando fino a quando Menolly scorse il corpo del drago che premeva contro la robusta membrana interna. Jaxom tagliò la membrana con il coltello ed un piccolo corpo bianco, non più grande del busto del ragazzo, cadde sulla sabbia. Il ragazzo tese le braccia per aiutarlo a rialzarsi. Menolly vide il piccolo drago bianco alzare la testa e fissare gli occhi splendenti di verde e di giallo sul viso del ragazzo.
«Dice che il suo nome è Ruth!» gridò Jaxom, sbalordito e felice. Con un'esclamazione soffocata, il Nobile si lasciò ricadere sul sedile di pietra. Il suo volto era una maschera d'angoscia. Il Comandante del Weyr e gli altri che s'erano precipitati per impedire ciò che era appena accaduto si fermarono. Menolly si rese conto che l'impressione dello Schema del piccolo drago bianco da parte di Jaxom era sgradita e senza precedenti (3). E non riusciva ad immaginare perché: il ragazzo e il drago sembravano così radiosi... chi poteva disapprovare la loro unione gioiosa? (4) (1) Berd è la lucertola di fuoco bronzea di Brekke (N. d. C). (2) Sono il Nobile Reggente Lytol, il figlio di Lessa, Felessan; il No¬bile Jaxom: cfr. La cerca del drago (N. d. C). (3) Il motivo è che Jaxom essendo un Signore non poteva né possedere né tantomeno imprimere lo Schema ad un drago, diventando così nel contempo anche dragoniere (N. d. C). (4) L'episodio della Schiusa con le vicende di Brekke e Jaxom sono narrate da un altro punto di vista in La cerca del drago, cap. XIV, mentre le vicende di Ruth sono sviluppate ampiamente in Il drago bianco (N. d. C). XIII Arpista, il tuo canto ha un suono doloroso, sebbene la melodia sia scritta come gaia. La tua voce è triste e le tue mani lente, e gli occhi si distolgono dai miei. Quando Menolly si rese conto che T'gellan aveva dimenticato la promessa di ritornare, scese lentamente dalle gradinate e uscì dal deserto Terreno della Schiusa, camminando sulla sabbia calda. Bella l'accolse all'entrata, chiedendo di essere accarezzata e rassicurata. Gli altri la seguirono subito, ciangottando innervositi e sfrecciando qua e là per vedere se c'era Ramoth. Sebbene il tratto da percorrere sulla sabbia non fosse lungo, Menolly sentì il calore penetrare rapidamente attraverso le suole delle babbucce. Era in preda ad un acuto disagio, quando arrivò sul suolo più fresco della Conca. Si portò su un lato dell'entrata e si lasciò cadere seduta; le sue lucertole si rag-
grupparono intorno a lei mentre attendeva che il dolore si placasse. Poiché tutti erano sul lato della Conca dove c'era la caverna-cucina, nessuno la notò. Per Menolly fu un sollievo, perché si sentiva inutile, stordita. Sarebbe stata una lunga camminata, per raggiungere le cucine. Bene, l'avrebbe percorsa a piccole tappe. Sentì le grida fioche del bestiame all'estremità opposta della valle della Conca e vide Ramoth che aleggiava, preparandosi a uscire. Le donne del Weyr avevano detto che Ramoth non mangiava da dieci giorni, e anche quello contribuiva a renderla tanto irascibile. In riva al lago, i draghetti appena nati venivano nutriti e lavati, e ai loro compagni veniva insegnato come dovevano oliare le pelli delicate. Le tuniche bianche spiccavano tra le chiazze verdi, azzurre, marroni e bronzee. La giovane regina era un po' lontana dagli altri, vegliata da due draghi bronzei. Menolly non riuscì a scorgere dov'era il drago bianco. Sui cornicioni dei weyr che costellavano la parte interna della Conca, alcuni draghi stavano raggomitolati a godersi l'ultimo sole del pomeriggio. Sopra di lei, sulla sinistra, Menolly vide il grande bronzeo, Mnementh, sul cornicione del weyr della regina. Stava seduto, e guardava da lontano la sua compagna che si sceglieva il pasto. Menolly lo vide muoversi leggermente e lanciare un'occhiata sopra la spalla sinistra. Poi Menolly intravide la testa di un uomo che stava scendendo la scala del weyr della regina. La voce di Felena si levò più alta del brusio delle conversazioni, e riportò lo sguardo di Menolly verso la caverna della cucina, dove venivano montati i tavoli per il banchetto della sera. Erano i dragonieri che sbrigavano quel lavoro, perché le tuniche in continuo movimento erano le loro, vistosamente colorate, mentre i colori più sobri delle Fortezze e delle Arti sembravano raccolti in gruppi stazionari, a distanza di cortesia. L'uomo sceso dal weyr della regina aveva raggiunto il fondo della Conca, e Menolly, oziosamente, lo guardò mentre si avviava per attraversarlo. Zia Uno e Zia Due si tuffarono verso di lei, cinguettando per qualcosa che le aveva agitate e tendendo le testoline perché le rassicurasse. Avevano bisogno di essere unte, e Menolly provò rimorso per non essersi presa cura di loro come avrebbe dovuto. «Hai due verdi?» domandò una voce divertita. L'uomo alto stava davanti a lei e la guardava con espressione amichevole e interessata. «Sì, sono mie,» rispose Menolly, e gli tese Zia Due per mostrargliela, rea-
gendo istintivamente alla gentilezza e alla bonarietà di quel volto allungato. «Gli piace farsi grattare le arcate sopracciliari, con delicatezza, così,» aggiunse, mostrandogli come si faceva. L'uomo piegò un ginocchio sulla sabbia e accarezzò premurosamente Zia Due, che tubò e chiuse soddisfatta le palpebre. Zia Uno fischiò per attirare l'attenzione di Menolly e le piantò le unghie in una mano, ingelosita. «Finiscila, cattiva!» Bella si scosse, e anche Sassetto e Tuffolo reagirono: tutti e tre rimbrottarono così severamente Zia Uno che la piccola verde prese il volo. «Non dirmi che anche la regina e i due bronzei sono tuoi!» esclamò l'uomo, stupitissimo. «Temo proprio di sì.» «Allora devi essere Menolly,» disse lui, rialzandosi e inchinandosi con fare tanto cerimonioso che la ragazza arrossì. «Lessa mi ha appena comunicato che posso avere due uova della covata scoperta da te. Ho una preferenza per i marroni, sai, anche se per la verità non mi dispiacerebbe un bronzeo. Naturalmente le verdi, come questa damigella...» E rivolse un sorriso accattivante a Zia Due, che ciangottò contenta. «Sono così graziose e delicate. Tuttavia, questo non significa che non gradirei un azzurro.» «Non vuoi la regina?» «Ah, sarebbe pretendere troppo, no?» L'uomo si passò la mano sul volto con aria pensierosa e le rivolse un sorrisetto ironico. «Ma, tutto considerato, resterei molto imbarazzato se Sebell - il mio Artigiano che dovrà avere l'altro uovo - ottenesse una regina al posto mio. Però...» e alzò le lunghe mani sensibili per sottomettersi al caso. «Stai aspettando qualcuno? Oppure la confusione dall'altra parte della Conca è troppo grande per i tuoi piccoli amici?» «Dovrei essere là. Bisogna girare la covata; le uova sono nella sabbia calda accanto al focolare. Ma T'gellan mi ha portata nella Caverna della Schiusa e mi ha detto di aspettarlo...» «E a quanto pare ti ha dimenticata. Non è strano, considerando tutti gli eventi a sorpresa di oggi.» L'uomo si schiarì la gola e le tese la mano. Menolly accettò il suo aiuto, perché altrimenti non sarebbe riuscita ad alzarsi. L'uomo aveva percorso tre lunghi passi quando si accorse che non ce la faceva a seguirlo. Si voltò, cortesemente. Menolly si sforzò di camminare normalmente, e ci riuscì per tre passi soltanto: poi posò il calcagno su alcuni ciottoli, e il dolore le strappò un grido. Bella le volteggiò intorno rimprove-
randola con severità, e Sassetto e Tuffolo si agitarono a loro volta, complicando la situazione. «Prendi il mio braccio, ragazza. Sei rimasta in piedi troppo a lungo sulla sabbia calda? Ah, aspetta. Sei alta, ma non hai molta carne addosso.» Prima che Menolly potesse protestare, la sollevò tra le braccia, portandola di peso attraverso la Conca. «Spiega alla tua reginetta che ti sto aiutando,» le disse quando Bella gli scompigliò i capelli argentei, lanciandosi in picchiata verso di lui. «A ben pensarci, ti prego di darmi uova di lucertole verdi.» Bella era troppo frenetica per ascoltare Menolly, che dovette agitare le braccia intorno alla testa e al volto dell'uomo, per difenderlo. Non fu sorprendente che il loro avvicinarsi alla caverna della cucina attirasse l'attenzione: ma la gente si scostava così educatamente e s'inchinava con tanta deferenza che Menolly cominciò a domandarsi chi fosse quell'uomo. Portava una tunica di stoffa grigia con una banda azzurra, e quindi doveva essere un Arpista: probabilmente era vincolato al Weyr di Fort, a giudicare dall'insegna gialla sul braccio. «Menolly, ti sei fatta male ai piedi?» Felena comparve davanti a loro, incuriosita. «T'gellan si era dimenticato di te? È proprio uno smemorato, quello! Sei stato molto gentile ad aiutarla, signore!» «Non è nulla. Felena. Ho scoperto che è la custode delle uova di lucertola di fuoco. Tuttavia, se per caso potessi offrirmi una coppa di vino... Mi è venuta sete.» «Posso reggermi da sola, davvero, signore,» protestò Menolly, perché l'atteggiamento di Felena le diceva che quell'uomo era troppo importante per prendersi cura delle ragazze con i piedi doloranti. «Felena, non ho potuto impedirglielo.» «Sono soltanto accattivante come al solito,» le disse l'uomo. «E non divincolarti così. Sei troppo pesante!». Felena rise, e li precedette al tavolo di Menolly, sistemato sopra il canestro delle uova. «Sei proprio terribile, Maestro Robinton, davvero. Ma ti porterò il vino, mentre Menolly ti sceglierà le uova migliori della covata. Hai individuato quello di regina, Menolly?» «Dopo aver visto come mi ha attaccato la reginetta di Menolly, mi sentirei più sicuro con un altro colore, Felena. E ora, da brava, portami il vino che mi
hai promesso. Ho la gola secca.» Mentre l'uomo la deponeva gentilmente sulla sedia, Menolly sentì il commento scherzoso di Felena: «... terribile, Maestro Robinton... terribile, Maestro Robinton...» Lo fissò, incredula. «Cosa c'è, Menolly? La fatica mi ha riempito di macchie la faccia?» L'uomo si terse le guance e la fronte e si guardò la mano. «Ah, grazie, Felena. Mi hai salvato la vita. Avevo la lingua incollata al palato. Alla tua salute, reginetta, e grazie per la tua cortesia.» Alzò la coppa verso Bella, che si era appollaiata sulla spalla di Menolly avvolgendole la coda intorno al collo e lo guardava severamente. «Dunque?» chiese poi a Menolly in tono gentile. «Tu sei il Maestro Arpista?» «Sì, sono Robinton,» rispose lui, disinvolto. «E credo che anche tu abbia bisogno di bere un po' di vino.» «No, non posso.» Menolly alzò le mani per rifiutare. «Mi fa venire il singhiozzo. E mi addormento.» Non aveva avuto intenzione di ammetterlo, ma doveva spiegare perchè commetteva la scortesia di ricusare l'offerta. E adesso si vergognava della tunica macchiata, degli abiti e delle babbucce sporchi di sabbia, del suo disordine. Non era così che aveva immaginato il suo primo incontro con il Maestro Arpista di Pern, e chinò la testa, imbarazzata. «Io consiglio di mangiare sempre prima di bere,» commentò con garbo il Maestro Robinton. «Credo che il problema, ora, sia proprio questo.» E alzò la voce. «Felena, questa bambina sta svenendo per la fame.» Menolly scosse la testa per smentirlo e cercò di trattenere Felena, ma la donna stava già ordinando ad un ragazzo di portare il klah, un cestello di pani e un piatto di carne affettata. Mentre veniva servita come se fosse una Dama del Weyr, Menolly tenne la testa china sulla tazza, soffiando per raffreddare la bevanda. «Pensi che ce ne sia a sufficienza per un uomo affamato?» chiese il Maestro Robinton in un tono così fintamente lamentoso che Menolly lo guardò sorpresa. L'espressione di lui era tanto malinconica, accattivante e gentile che, nonostante il suo imbarazzo, lei sorrise. «Ho bisogno di forza per il lavoro di questa sera, e devo avere lo stomaco pieno, per poter bere,» soggiunse lui in tono sommesso e preoccupato, Menolly ebbe la sensazione che volesse farle condividere le sue responsabilità, ma si stupì di quella tristezza e di quell'ansia. Ma quel giorno, al Weyr, tutti dovevano essere felici! «Qualche fetta di carne su un pezzo di quel buon pane.,.» Robinton usò un
tono tremulo, da vecchio zio stizzoso. «E poi...» La voce riacquistò il tono baritonale. «Una coppa di buon vino di Benden per innaffiarli...» Quindi, con grande costernazione di Menolly, si alzò, tenendo con una mano il pane e la carne, e con l'altra la coppa di vino. Le rivolse un inchino dignitoso e, sorridendo, se ne andò. «Ma, Maestro Arpista, le tue uova di lucertola...» «Più tardi, Menolly. Verrò a prenderle più tardi.» L'alta figura che emergeva nel trambusto della cucina si allontanò. Menolly lo seguì con gli occhi fino a quando si perse tra i visitatori. Era frastornata, e pensava che non avrebbe potuto assolutamente chiedere al Maestro Robinton delle sue canzoni. Erano sciocchezze, l'avevano sempre detto Yanus e Mavi: troppo insignificanti perché un uomo come il Maestro Arpista di Pern le prendesse in considerazione. Bella ciangottò dolcemente e strusciò la testolina contro la guancia di Menolly. Sassetto, che era appollaiato su una sporgenza della parete le balzò sulla spalla, e si strofinò contro il suo orecchio, mormorando in tono consolatore. Mirrim la trovò così, e lei si scosse dalla sua apatia per rallegrarsi con l'amica. «Oh, sono così felice per te, Mirrim. Hai visto, è andato tutto bene!» Se Mirrim, con tutte le sue preoccupazioni, era stata capace di mostrarsi di buonumore, lei, Menolly, che aveva tanti motivi di gratitudine, doveva seguire il suo esempio. «Tu l'hai visto? Eri nel Terreno della Schiusa? Io ero così terrorizzata che non ho osato assistere,» disse Mirrim, e adesso non c'era più traccia di terrore sul suo viso raggiante. «Ho fatto mangiare Brekke, per la prima volta dopo tanti giorni. E lei mi ha sorriso. Menolly. Mi ha sorriso e mi ha riconosciuta. Si riprenderà completamente. E F'nor ha divorato fino all'ultima briciola il piatto di wherry arrosto che gli ho portato.» Ridacchiò, maliziosamente: non era più Mirrim-Felena o Mirrim-Manora. «E gli avevo portato le fette migliori del petto di wherry, condite con le spezie. E sai? Ha mangiato tutto! Probabilmente si rimpinzerà da star male anche al Banchetto. Poi gli ho detto di condurre a mangiare il povero Canth, perché quel drago è diventato trasparente per la fame.» Mirrim abbassò la voce, con reverente stupore. «Canth aveva cercato di difendere Wirenth da Prideth, sai? Lo immagini? Un marrone che difendeva una regina! È perché F'nor ama molto Brekke. E adesso
tutto è a posto. Veramente a posto. Quindi, raccontami.» «Cosa ti devo raccontare?» Un lampo d'irritazione passò sul volto di Mirrim. «Dimmi esattamente cos'è accaduto quando Brekke è entrata nel Terreno della Schiusa. Te l'ho spiegato, io non ho avuto il coraggio di guardare.» E così Menolly glielo disse. E lo ripeté, dopo aver risposto a tutte le domande dettagliate che Mirrim le rivolgeva. «E adesso, tu spiegami come mai tutti sono tanto sconvolti perché Jaxom ha impresso lo Schema al piccolo drago bianco. Gli ha salvato la vita, sai? Il draghetto sarebbe morto se Jaxom non avesse spaccato il guscio e tagliato l'involucro interno.» «Jaxom ha impresso lo Schema a un drago? Non lo sapevo!» Mirrim sgranò gli occhi costernata. «Oh! Ma perché quel ragazzo ha fatto una cosa tanto spaventosa?» «Perché spaventosa?» «Perché quel ragazzo deve diventare il Nobile Signore della Fortezza di Ruatha, ecco perché!» Menolly era un po' irritata dell'impazienza di Mirrim, e glielo disse. «Ecco, lui non può essere un Nobile Signore e dragoniere. Non hai imparato proprio niente, in quella tua Tenuta Marina? A proposito, ho visto l'Arpista del Semicerchio, mi pare si chiami Elgion. Devo dirgli che sei qui?» «No!» «Bene, non c'è bisogno che mi mangi la faccia!» E Mirrim corse via. «Menolly, vuoi perdonarmi? Avevo completamente dimenticato che dovevo tornare a prenderti,» disse T'gellan, accostandosi al tavolo prima che lei riuscisse a riprendere fiato. «Senti, il Maestro Minatore deve avere due uova. Non può trattenersi per il Banchetto, quindi dobbiamo trovare una sistemazione perché possa portarsi a casa le uova. E questo vale anche per tutti gli altri. No, non alzarti. Ehi, tu, vieni ad aiutare Menolly» ordinò, chiamando con un cenno uno dei ragazzi. Menolly trascorse gran parte della sera nella caverna-cucina, a cucire sacchetti di pelliccia per portare in mezzo le uova senza rischio di danneggiarle. Ma sentiva l'allegro chiasso che c'era fuori e, con uno sforzo non lieve, riuscì a godersi i canti. Cinque Arpisti, due tamburini e tre pifferi suonavano al Banchetto della Schiusa. Le sembrò di riconoscere la robusta voce tenorile di Elgion, in una canzone: ma era improbabile che lui venisse a cercarla in quel-
l'angolo della cucina. La voce di Elgion le diede per un attimo la nostalgia dei venti marini e del profumo dell'aria salmastra; e per un attimo, rimpianse la solitudine della sua grotta. Ma fu un rimpianto fuggevole: il Weyr era il suo posto. Presto i suoi piedi sarebbero guariti completamente, e non avrebbe più dovuto far la parte della vecchia zia seduta accanto al fuoco. Cosa avrebbe potuto fare, nel Weyr? Felena aveva già tante cuoche, e non era probabile che al Weyr, dove tutti erano abituati a mangiare la carne quando volevano, chiedessero spesso piatti di pesce, anche se lei conosceva tanti modi per prepararli. A ben pensarci, l'unica cosa in cui eccelleva era sbuzzare i pesci. No, non avrebbe più pensato alla musica. Comunque, doveva esserci qualcosa che avrebbe potuto fare. «Tu sei Menolly?» chiese un uomo, in tono incerto. Lei alzò gli occhi e vide uno dei minatori che avevano assistito alla Schiusa accanto a lei. «Io sono Nicat, Maestro Minatore della Fortezza di Crom. Lessa, la Dama del Weyr, ha detto che devi consegnarmi due uova di lucertola di fuoco.» Nonostante i modi rigidi dell'uomo, Menolly si accorse che era impaziente di ricevere le uova. «Infatti, signore, sono qui,» rispose lei, sorridendo con calore e indicando il canestro protetto dal tavolino. «Bene, parola mia!» L'uomo si sgelò visibilmente. «Vedo che sei molto prudente.» L'aiutò a spostare il tavolino e rimase a guardare, ansioso, mentre Menolly rimuoveva lo strato superiore della sabbia e scopriva le prime uova. «Potrei avere un uovo di regina?» chiese. «Maestro Nicat, Lessa ti ha spiegato che è impossibile distinguere le uova delle lucertole di fuoco,» disse T'gellan, avvicinandosi. «Certo, forse Menolly potrebbe saperlo...» «Davvero?» Il Maestro Minatore la guardò sorpreso. «Ha impresso lo Schema a nove lucertole, sai?» «Nove?» Nicat aggrottò la fronte, e Menolly non faticò a interpretare il suo pensiero: Nove per una ragazzina, e soltanto due per il Maestro Minatore? «Scegli per il Maestro Nicat due delle uova migliori, Menolly! Non vogliamo che rimanga deluso.» Sebbene il volto di T'gellan fosse serio, Menolly notò l'espressione dei suoi occhi.
Con la dovuta dignità, lei si diede un gran da fare, impegnandosi a cercare le uova più adatte al Maestro Minatore e dicendosi nel contempo che l'uovo di regina doveva assolutamente andare al Maestro Arpista Robinton. «Ecco, signore,» disse poi, porgendo a Nicat la borsa di pelliccia e il suo prezioso contenuto. «È meglio che le tieni dentro la giubba da viaggio, contro la pelle, durante il volo di ritorno.» «E poi che cosa devo fare?» chiese umilmente il Maestro Nicat, tenendo il sacchetto contro il petto con tutte e due le mani. Menolly guardò T'gellan, ma i due uomini stavano fissando lei. Deglutì. «Ecco, io farei esattamente quello che stiamo facendo qui. Tienile vicino al focolare, in un canestro solido, coperte di sabbia calda o di pellicce. La Dama del Weyr ha detto che si schiuderanno tra un settedì. Dai da mangiare alle piccole lucertole appena escono dal guscio, rimpinzale a dovere, e intanto parlagli di continuo. È importante...» Menolly s'interruppe: come poteva dire a quell'uomo dal viso duro che bisognava essere affettuosi e gentili? «Devi rassicurarle incessantemente. Appena nate sono molto nervose. Hai visto i draghi, oggi. Toccale e accarezzale...» Il Maestro Minatore annuiva, per imprimersi nella memoria le istruzioni. «Devono fare il bagno ogni giorno, e bisogna ungergli la pelle. Potrai accorgerti quando si forma una screpolatura, perché la pelle si squama. E continuano a grattarsi...» Il Maestro Nicat si rivolse a T'gellan con aria interrogativa. «Oh, Menolly sa quello che si deve fare. Ha persino addestrato le sue lucertole di fuoco a cantare con lei e...» Le disinvolte assicurazioni del dragoniere non parvero entusiasmare il Maestro Minatore. «Sì, ma come farò ad abituarle a venire da me?» chiese, puntiglioso. «Devi fare in modo che vogliano venire da te,» rispose Menolly con tanta fermezza da guadagnarsi un'altra smorfia da parte del Maestro Minatore. «La bontà e l'affetto, Maestro Nicat, sono gli ingredienti essenziali,» disse T'gellan, con identica forza. «Ecco, vedo che T'gran attende di accompagnare te e le tue uova a Crom.» E condusse via Nicat. Quando T'gellan tornò da Menolly, gli brillavano gli occhi. «Sono pronto a scommettere la mia tunica nuova che quello non riuscirà a tenere neppure una lucertola di fuoco. È uno zotico, ecco che cos'è. Stupido!» «Non avresti dovuto dire che le mie lucertole cantano con me.» «E perché?» T'gellan si stupì di quella critica. «Mirrim non è riuscita a tan-
to, con le sue tre, eppure le ha da più tempo. Ho detto... Ah, sì, Maestro dell'Arte, F'lar ci ha avvertiti che deve ricevere un uovo di lucertola di fuoco.» E la serata trascorse così: i fortunati delle Fortezze e delle Arti continuarono a presentarsi per ritirare le uova preziose. Quando nella sabbia calda del canestro restarono soltanto le uova per il Maestro Arpista, Menolly s'era ormai rassegnata a sentire T'gellan ripetere che lei aveva addestrato le sue lucertole a cantare. Fortunatamente, nessuno le chiese una dimostrazione, perché i suoi piccoli amici, stanchissimi, s'erano raggomitolati sulle sporgenze delle pareti. Non si erano mai svegliati, nonostante i canti e le risate che giungevano dalle tavolate nella Conca. L'Arpista Elgion si stava godendo il banchetto, Prima di quella sera, non s'era mai accorto di quanto fosse austero l'ambiente della Tenuta del Semicerchio. Yanus era un brav'uomo e un Proprietario efficiente, a giudicare dal rispetto che gli tributava la sua gente: ma di certo sapeva togliere ogni gioia della vita. Quando Elgion, nel Terreno della Schiusa, aveva visto i ragazzi imprimere lo Schema dell'Apprendimento ai draghi, aveva deciso di trovare una covata di lucertole di fuoco. Avrebbero alleviato la tetraggine del Semicerchio. Aveva saputo, da qualcuno che era seduto accanto a lui sulle gradinate, che le uova da distribuire quella sera ai più fortunati erano state trovate da T'gellan lungo la costa, non lontano dalla Tenuta Marina del Semicerchio. Elgion si era ripromesso di fare quattro chiacchiere con il dragoniere bronzeo, ma T'gellan aveva già due passeggeri sul dorso di Monarth, quando era andato a prenderlo alla Tenuta Marina, e quindi "non era stato possibile parlare. Elgion non l'aveva più rivisto, dopo la Schiusa. Ma l'avrebbe atteso al varco. Nel frattempo Oharan, l'Arpista del Weyr, l'aveva indotto a suonare il gitar insieme a lui per allietare gli ospiti. Elgion aveva appena terminato di eseguire una melodia insieme a Oharan e ad altri arpisti arrivati per la festa, quando scorse T'gellan che aiutava un rappresentante delle Arti a salire su un drago verde. Notò che gli invitati si stavano diradando e che la serata era prossima alla conclusione. Avrebbe parlato con T'gellan, e poi sarebbe andato in cerca del Maestro Arpista. «Vieni qui, amico,» disse, chiamando con un cenno il cavaliere bronzeo. «Oh, Elgion, una coppa di vino, ti prego. Ho la gola secca per il gran parlare. Anche se non servirà a molto, con quegli zotici. Non sono adatti alle lu-
certole di fuoco.» «Ho saputo che tu hai trovato le uova. Erano in quella grotta presso le Pietre dei Draghi, vero?» «Presso le Pietre dei Draghi? No. Molto più in giù, sulla costa.» «Allora nella grotta non c'era niente?» Elgion era così deluso che T'gellan lo fissò a lungo. «Dipende da quello che ti aspettavi. Perché? Cosa credevi che ci fosse in quella grotta, se non c'erano le uova di lucertola?» Elgion si chiese se, parlando, avrebbe tradito la fiducia di Alemi. Ma ormai era una questione d'onore professionale, scoprire se i suoni che aveva udito provenire da quella grotta erano stati emessi da una zampogna. «Il giorno che io e Alemi abbiamo visto la grotta dalla barca, avrei giurato di sentire una zampogna. Alemi sosteneva che era il vento che soffiava tra i crepacci, ma non era abbastanza forte, quel giorno.» «No,» disse T'gellan, approfittando dell'occasione per punzecchiare l'Arpista. «Hai sentito una zampogna. Io l'ho vista, quando ho frugato nella grotta.» «Hai trovato una zampogna? Dov'era chi la suonava?» «Siediti. Perché ti agiti tanto?» «Dov'è chi la suonava?» «Oh, è qui, al Weyr di Benden.» Elgion tornò a sedersi, così avvilito e deluso che T'gellan rinunciò a punzecchiarlo. «Ricordi il giorno che ti abbiamo salvato dai Fili? T'gran ha portato qui anche un'altra persona.» «Il ragazzo?» «Non c'era nessun ragazzo. Era una ragazza, Menolly. Era lei che viveva nella grotta... E adesso cosa ti prende?» «Menolly? Qui? Sana e salva? Dov'è il Maestro Arpista? Devo trovare il Maestro Robinton. Vieni, T'gellan, aiutami a cercarlo!» L'eccitazione di Elgion era contagiosa e, per quanto sconcertato, T'gellan lo aiutò nella ricerca. Poiché era più alto del giovane Arpista, avvistò Robinton che parlava fitto fitto con Manora, in un angolo della Conca. «Signore, signore, l'ho trovata!» gridò Elgion, correndo verso i due. «L'hai trovata? L'amore della tua vita?» chiese amabilmente il Maestro Robinton. «No, signore. Ho trovato l'apprendista di Petiron.»
«Una ragazza? L'apprendista del vecchio era una ragazza?» Elgion si godette lo sbalordimento del Maestro Arpista, e l'afferrò per la mano, deciso a trascinarlo con sé nella ricerca. «Era fuggita dalla Tenuta Marina perché non le permettevano di suonare, credo. È la sorella di Alemi...» «Perché state parlando di Menolly?» chiese Manora, bloccando Elgion prima che trascinasse via il Maestro Arpista. «Menolly?» Robinton alzò la mano per indicare a Elgion di tacere. «Quella deliziosa ragazza che ha nove lucertole di fuoco?» «Che cosa vuoi da Menolly, Maestro Robinton?» Il tono di Manora era così severo che quello si fermò. Trasse un profondo respiro. «Mia riverita Manora, il vecchio Petiron mi aveva mandato due canzoni composte dal suo "apprendista": due delle melodie più belle che io abbia ascoltato in tutti i Giri che ho vissuto come Arpista. Voleva sapere se erano apprezzabili...» E Robinton levò gli occhi al cielo con rassegnata pazienza. «Gli ho risposto immediatamente, ma nel frattempo il vecchio è morto. Elgion ha trovato il mio messaggio ancora chiuso quando è arrivato alla Tenuta Marina, e non è riuscito a rintracciare l'apprendista. Il Proprietario gli ha raccontato una frottola, gli ha detto che il compositore era un figlio adottivo ritornato nel frattempo alla sua Tenuta. Perché sei così preoccupata, Manora?» «Menolly. Avevo capito che quella ragazza aveva il cuore spezzato, ma non sapevo perché. Forse non può più suonare, Maestro Robinton. Mirrim dice che ha una cicatrice orribile alla mano sinistra.» «Può suonare,» dissero all'unisono T'gellan ed Elgion. «Io ho sentito il suono della zampogna provenire dalla sua grotta,» dichiarò in fretta Elgion. «E io l'ho vista nascondere la zampogna, quando abbiamo ripulito la caverna,» aggiunse T'gellan. «Per giunta, ha addestrato le sue lucertole di fuoco a cantare.» «Davvero!» Gli occhi del Maestro Arpista s'illuminarono. Si avviò a passo deciso verso la caverna-cucina. «Calmati, Maestro Arpista!» esclamò Manora. «Vacci piano con quella bambina!» «Sì, ho intuito anche questo, mentre parlavo con lei questa sera, e adesso comprendo che cosa la inibiva. Quindi dobbiamo procedere con cautela.»
Robinton aggrottò la fronte e fissò così a lungo T'gellan che il dragoniere bronzeo si domandò cosa avesse fatto di male. «Tu come sai che ha addestrato le sue lucertole a cantare?» «Oh, ieri sera hanno cantato insieme a lei e a Oharan.» «Uhm, questo è molto interessante. Ecco che cosa faremo...» Menolly era stanca, e quasi tutti i visitatori erano ripartiti. Il Maestro Arpista, però, non si era ancora presentato per ritirare le sue uova di lucertola. E lei non voleva andarsene prima di averlo rivisto. Era stato così buono con lei... Sorrise al ricordo del loro incontro. Quasi non riusciva a credere che il Maestro Arpista di Pern avesse portato in braccio lei, Menolly delle... Menolly delle Nove Lucertole di Fuoco. Posò i gomiti sul tavolo e appoggiò la testa sulle mani. Sentì la cicatrice ruvida contro la guancia sinistra, ma in quel momento non se ne curò. In un primo momento non udì la musica: era molto sommessa, come se Oharan stesse suonando per sé al tavolo vicino. «Vuoi cantare con me, Menolly?» chiese sottovoce Oharan, e lei, alzando gli occhi, lo vide prendere posto al suo fianco. Ecco, non c'era nulla di male a cantare. Sarebbe servito a tenerla sveglia fino all'arrivo del Maestro Robinton. Quindi si unì al canto. Bella e Sassetto si svegliarono al suono della sua voce, ma Sassetto si riaddormentò dopo aver lanciato uno strilletto di protesta. Bella, invece, le scese con un balzo sulla spalla, e unì il suo dolce trillo di soprano al canto di Menolly. «Canta un'altra strofa, Menolly,» la invitò Manora, emergendo dalle ombre della caverna quasi buia. Sedette di fronte alla ragazza. Aveva l'aria stanca, ma serena e soddisfatta. Oharan suonò gli accordi di transizione e attaccò la seconda strofa. «Mia cara, hai una voce così riposante,» disse Manora, quando l'ultimo accordo si spense. «Cantami un'altra canzone, e poi me ne andrò.» Menolly non poteva rifiutare: guardò Oharan come per chiedergli cosa doveva cantare. «Canta questa insieme a me,» disse l'Arpista del Weyr, fissandola mentre eseguiva l'accordo iniziale. Menolly conosceva la canzone: aveva un ritmo così trascinante che cominciò a cantarla prima di comprendere perché le era tanto familiare. Era stanca, e non si aspettava di venire messa in trappola da Oharan, e soprattutto da Manora. Per questo non comprese subito che cosa
stava suonando Oharan. Era una delle due canzoni che aveva trascritto per Petiron: quelle che il vecchio aveva detto di aver inviato al Maestro Arpista. S'interruppe. «Oh, non smettere, Menolly,» disse Manora. «È una melodia così bella.» «Forse dovrebbe suonarla, poiché è la sua canzone,» disse qualcuno che stava nell'ombra dietro Menolly: e il Maestro Arpista si fece avanti, porgendole il suo gitar. «No! No!» Menolly si alzò a mezzo, nascondendo le mani dietro la schiena. Bella lanciò uno strido di sgomento e le intrecciò la coda intorno al collo. «Ti prego. Non vuoi suonarla... per me?» chiese Robinton, supplicandola con gli occhi. Altre due figure emersero dall'ombra: T'gellan, con un sorriso che gli andava da un orecchio all'altro, ed Elgion! Come l'aveva capito? A giudicare dal sorriso e dagli occhi scintillanti, era compiaciuto e orgoglioso. Menolly si spaventò e nascose il volto, confusa. L'avevano raggirata! «Non aver paura, bambina mia,» disse prontamente Manora, prendendola per il braccio e spingendola gentilmente perché tornasse a sedere. «Non hai più nulla da temere, né per te, né per il tuo raro dono musicale.» «Ma non posso suonare...» Menolly mostrò la mano. Robinton la prese tra le sue, toccando delicatamente la cicatrice per esaminarla. «Puoi suonare, Menolly,» le disse sottovoce, guardandola negli occhi con gentilezza mentre continuava ad accarezzarle la mano come lei avrebbe accarezzato l'impaurita Bella. «Elgion ti ha sentita, mentre suonavi la zampogna nella grotta.» «Ma sono una ragazza...» balbettò lei. «Yanus mi aveva detto...» «In quanto a questo,» rispose il Maestro Arpista un po' spazientito, benché continuasse a sorridere, «se Petiron avesse avuto il buon senso di spiegarmi quale era il problema, tu ti saresti risparmiata molte sofferenze; e senza dubbio io mi sarei risparmiato il disturbo di cercarti per tutto Pern. Non vuoi diventare un'Arpista?» Robinton concluse in un tono così mesto e allarmato che Menolly si sentì in dovere di rassicurarlo. «Oh, sì. Sì. Amo la musica più di qualunque altra cosa al mondo...» Sulla sua spalla, Bella trillò dolcemente, e Menolly trattenne il respiro, sconvolta. «E adesso cosa c'è?» chiese Robinton. «Ho nove lucertole di fuoco. Lessa ha detto che il mio posto è nel Weyr.» «Lessa non sopporterà nove lucertole di fuoco canterine nel suo Weyr,»
disse l'Arpista in un tono che non ammetteva contraddizioni. «Ed il loro posto è la Sede della mia Arte. Devi insegnarmi un paio di trucchi, ragazza mia.» Le sorrise con tanta malizia negli occhi che Menolly lo ricambiò con un sorriso intimorito. «Dunque,» continuò Robinton, agitando un dito con scherzosa serietà, «prima che ti vengano in mente altre obiezioni e altri argomenti, fammi la cortesia di impacchettare le mie uova di lucertole, e poi prendi la tua roba, così andremo subito alla Sede degli Arpisti. È stata una giornata molto piena e molto faticosa.» Le strinse la mano per rassicurarla, esortandola con gli occhi ad acconsentire. Tutti i dubbi e le paure di Menolly si dileguarono in un istante. Bella lanciò una nota squillante, allentando la stretta della coda intorno al collo di Menolly. La piccola regina chiamò di nuovo, svegliando il resto dello sciame ed echeggiando nella sua voce la gioia di Menolly. Lei si alzò, lentamente, stringendo la mano dell'Arpista per cercare appoggio e sicurezza. «Oh, sono ben felice di venire con te, Maestro Robinton,» disse, con gli occhi velati da lacrime di gioia. E nove lucertole di fuoco trillarono in un armonioso coro di consenso! FINE DEL QUARTO VOLUME