Fred Saberhagen
I Berserker Uccidono Berserker Kill - © 1993 Fred Saberhagen Urania Argento n. 6 - 11 luglio 1995
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Fred Saberhagen
I Berserker Uccidono Berserker Kill - © 1993 Fred Saberhagen Urania Argento n. 6 - 11 luglio 1995
NOTA INTRODUTTIVA Esistono scrittori specializzati in storie brevi e altri in romanzi fiume, scrittori che prediligono la fantasy e altri che si trovano più a loro agio nelle cupe atmosfere horror, scrittori che volano con la fantasia e altri che amano circondare le loro storie con paletti di credibilità scientifica. Ogni autore che si rispetti, insomma, possiede quell'elemento che lo distingue dagli altri e nel panorama della letteratura fantastica, viste le innumerevoli sfumature, le classi si sprecano. Tra queste un posto importante è occupato da quella degli scrittori specializzati in cicli. Ultimamente questo tipo di autore è particolarmente richiesto per ovvi motivi commerciali ma spesso la qualità del prodotto non è delle migliori poiché lo scrittore, pur di proseguire sulle ali del successo una .storia che invece dovrebbe essere giunta alla conclusione, arriva a inventarsi tali e tante corbellerie da rovinare perfino il successo del libro precedentemente dato alle stampe. In definitiva molti sono gli scrittori che si cimentano con le saghe fiume, probabilmente troppi e spesso perché costretti, ma solo alcuni riescono a ottenere un lavoro che risulti digeribile fino in fondo. Ingiustamente sottovalutato da una parte della critica e snobbato per lungo tempo dal grande pubblico, Fred Saberhagen può essere considerato un "serial writer" per eccellenza poiché tutta la sua vita artistica è stata scandita da cicli di fantascienza e fantasy di apprezzabile livello. Insomma se occorresse andare a cercare l'esempio tipico di scrittore legato alle storie a puntate, il buon Fred sarebbe la persona più indicata. Frederick Thomas Saberhagen nasce in Usa nel 1930 e si dedica fin da giovanissimo al fantastico sia come scrittore che come critico e curatore tanto da spingere gli editori ad affidargli la stesura della voce SF per l'edizione '67-V3. Dopo alcune prove su rivista, Saberhagen si fa immediatamente conoscere come "serial writer" realizzando le prime storie del ciclo che lo renderà famoso e lo farà apprezzare al grande pubblico. Nel 1967 esce infatti la prima antologia di storie dedicata al ciclo dei Fred Saberhagen
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Berserker. Il successo è così evidente che Saberhagen, nonostante la saga dell'Impero dell'Est, quella del Libro della Spada Perduta e quella di Dracula, continua ancora oggi a essere ricordato come l'autore dei Berserker. L'idea alla base di questo corposo ciclo fantascientifico è quella di una serie di macchine (Berserker, appunto) programmate per uccidere qualunque forma di vita si metta sul loro cammino. Lo spunto può sembrare banale ma non è così se si va a vedere quando queste storie sono state pubblicate per la prima volta. In realtà il ciclo dei Berserker rappresenta nei suoi primi episodi dati alle stampe nella seconda metà degli anni Sessanta, uno dei primi esempi di un tentativo di riflessione sul dualismo e le innumerevoli implicazioni del rapporto uomo-macchina. E questo primo approccio influenzerà molto anche lavori più attuali come, per esempio, The Forge of God (1987) di Greg Bear o, in parte, il ciclo dei Paratwa di Christopher Hinz. Fred Saberhagen è quello che si potrebbe definire uno scrittore "molto tecnico" che non si lascia andare a voli pindarici che non siano sorretti almeno da un barlume di credibilità per cui i suoi romanzi, pur se resocontati da mondi immaginari, non perdono mai d'occhio le reazioni della psicologia umana (e nel caso dei Berserker) anche quella delle macchine, che vengono ben delineate e infine contrapposte. In questo involucro creato con abilità stilistica e artistica trovano spazio, vicino alla riflessione speculativa, anche colpi di scena, avventura e una buona dose di pura fantasia. Roberto Genovesi
PROLOGO L'astronave era più intelligente delle persone che trasportava, e in diversi modi. Uno dei compiti in cui eccelleva la sua mente optoelettronica era il calcolo del modello esplorativo più efficiente da applicare all'interno dei confusi limiti della nera nebulosa e nelle loro immediate vicinanze. Quasi sempre in quei giorni l'astronave stabilì da sola cosa fare, senza alcun intervento umano, seguendo una rotta autoprogrammata, avanti e indietro, dentro e fuori le soffocanti volute e gli immensi abissi di milioni di chilometri che si aprivano tra le nubi di polveri e gas interstellari della nebulosa di Mavronari. Fred Saberhagen
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La sola ragione per cui simili astronavi non eseguivano certe ricerche da sole, prive cioè di equipaggio umano, era la loro lentezza davanti agli imprevisti. E poi, solo degli esseri umani in carne e ossa potevano distinguere tra le miriadi di informazioni raccolte ogni giorno dai sistemi di bordo quelle davvero interessanti per la viva umanità. A bordo vi erano un uomo e una donna, Scurlock e Carol. Entrambi sapevano da mesi di essere fatti l'uno per l'altra e questo era quanto di meglio ci si potesse aspettare, perché andare d'accordo con il proprio compagno era d'obbligo se si volevano trascorrere accettabilmente parecchi mesi d'isolamento nello spazio, confinati in spazi angusti e continuamente soli con se stessi. Carol e Scurlock si erano sposati poco prima di partire per quella missione; tuttavia, il loro non si poteva certo definire un lungo fidanzamento e la maggior parte della vita trascorsa assieme, cioè poco più di un mese, se n'era andata curiosando nella Mavronari. L'astronave non era loro, naturalmente. Pochi, pochissimi individui potevano affrontare i costi duraturi di un'astronave interstellare. Quello su cui si trovavano era un modello piccolo ma estremamente maneggevole, in grado di raggiungere velocità di tutto rispetto. Non aveva nome ma solo un numero e apparteneva alla Fondazione Sardou, potente associazione dotata di ottime ragioni per investire cifre grandiose nella ricerca su certe caratteristiche, certi aspetti della Via Lattea che tutti gli altri cittadini galattici trovavano assai noiosi. In quel momento la giovane coppia e l'astronave dei loro datori di lavoro si trovavano a parecchi giorni di viaggio dal pianeta abitato più vicino, anche seguendo una rotta ottimale nell'iperspazio laddove possibile e procedendo alla massima velocità convenzionale nei punti dove non si poteva fare altrimenti. Ma un simile distacco dal resto del mondo non preoccupava affatto Carol o Scurlock. Almeno, non ancora. Scurlock era alto, con occhi chiari e ciglia lunghe che lo facevano sembrare quasi un ragazzo; i suoi muscoli davano qualche segno di precoce allentamento. Carol era di altezza media, tendente al magro; alcune sue caratteristiche fisiche indicavano un'antica discendenza mediorientale, araba oppure persiana. Entrambi i giovani sposi tendevano all'emotività e all'ambizione. Ma in quel momento erano frivoli e allegri, ed eseguivano cantando e scherzando Fred Saberhagen
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le loro quotidiane osservazioni di routine. Vittima dei loro scherzi era la mente telematica dell'astronave, un sistema altamente intelligente che custodiva le loro vite assumendosi la responsabilità di pilotare il loro mezzo e di stabilirne la posizione durante la maggior parte del viaggio. Questi scherzi non costituivano in effetti alcuna offesa: come tutte le astronavi, anche questa non sapeva o non si curava di quello su cui i suoi padroni umani scherzavano e ridevano. Uno degli obiettivi secondari della loro missione, su cui però i loro datori di lavoro avevano educatamente ma fermamente insistito, era la scoperta di qualche nuovo e pratico modo per penetrare nella nebulosa, uno o più corridoi abbastanza stabili da consentirne la mappatura e che conducessero direttamente al cuore della Mavronari. L'esistenza di un simile passaggio avrebbe grandemente facilitato l'esplorazione di nuovi settori della galassia partendo dalle colonie sorte su un lato di quella grandiosa massa di gas e polveri; nuove porte si sarebbero schiuse su immense fonti di materie prime e forse su nuovi pianeti abitabili: tutte cose che interessavano grandemente la Fondazione Sardou, e non solo loro. Al momento infatti la maggior parte dei settori al di là della nebulosa non era stata ancora esplorata a fondo dai Solariani; questo per via della loro distanza, poiché per raggiungerli bisognava girare attorno all'immensa massa interstellare. La scoperta di un passaggio rappresentava però null'altro che un secondo scopo, nulla più che un'affascinante possibilità: l'obiettivo principale della missione era la raccolta di dati astronomici, modelli di irradiazione, velocità e tipi di particelle presenti e altri dati offerti dalle pieghe più profonde e dalle sinuosità presenti tra i lobi nebulari, regioni non suscettibili di osservazioni dall'esterno. Carol e Scurlock contavano molto su questa missione, e frequentemente fantasticavano sui soldi e sul successo che un esito fortunato avrebbe garantito loro. Giovani e ambiziosi, fremevano per salire alla svelta tutti i gradini della scala sociale fino a raggiungere quella posizione di prestigio che rappresentava il loro obiettivo ultimo. Il nucleo della galassia, un globo dalle spente ma multicolori incandescenze striato da nubi di gas e polvere e misteriosamente luminoso nonostante distasse migliaia di anni-luce, comparve al di là degli oblò Fred Saberhagen
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dapprima su un lato, poi sull'altro man mano che l'astronave continuava il suo lavoro sotto la supervisione, più che altro pro forma, di almeno uno dei due piloti umani. E quando l'astronave passava abbastanza vicina a una delle frange della nebulosa, il tenue chiarore diffuso dal nucleo galattico ne proiettava l'ombra sulle fumose volute strappando a Carol e a Scurlock grida di soffocata ammirazione. Con gli occhi fissi sulla loro ombra in movimento e sulle immense tenebre che si aprivano dietro le argentee volute, Carol venne distratta dalle sue poetiche meditazioni da un brivido improvviso che scosse da capo a piedi la sua fine corporatura. Fu un evento subitaneo e sottile, ma Scurlock, vicino alla sua compagna, lo notò immediatamente. — Carol! Cosa c'è? Lei si passò le dita scure nei capelli neri e lisci tagliati corti. — Nulla, davvero nulla. Solo che a volte, quando guardo fuori, mi sembra quasi di percepire quanto sia fredda e distante ogni cosa. Il suo compagno si fece pensieroso. — So cosa vuoi dire: quanto distante, fredda e antica. Dopo un attimo di comune silenzio nel vagare controllato dell'astronave il discorso tornò su argomenti più vitali e luminosi. Ancora una volta, come spesso accadeva, i due cominciarono a parlare in generale del desiderio di avere un figlio. E per forza di cose, il discorso scivolò presto sui piani di colonizzazione del presidente Dirac nei quali la Fondazione Sardou, a tutti gli effetti una creazione del premier, era attivamente coinvolta. — Io non riesco più a capire cosa sta succedendo alla gente. Mai e poi mai legherei il destino di mio figlio a qualsiasi piano di colonizzazione! — Sono perfettamente d'accordo — assentì Scurlock. Non che provasse un grande entusiasmo all'idea di fare un figlio, perlomeno non più di sua moglie. Carol sarebbe stata sorpresa di non sentirlo concordare. Avevano già parlato di questa faccenda un buon numero di volte, ma sembrava esservi uno scopo, o se non altro qualche rassicurazione, nel parlarne ancora e ancora. Il discorso passò ad altri argomenti. Intanto, con attenta costanza nata dall'abitudine, la coppia teneva un occhio vigile sui vari aggiustamenti di rotta eseguiti dal pilota automatico. Da qualche tempo si erano imposti di seguire di persona le letture degli strumenti. Volevano esser certi, nonostante le garanzie offerte dagli avanzatissimi sistemi di bordo, di non penetrare troppo profondamente nei lunghi tentacoli Fred Saberhagen
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irregolarmente protesi della nebulosa. Secondo gli standard più comuni, il settore che stavano esplorando era vuoto come solo il cosmo può esserlo; tuttavia la materia, sotto forma di particelle microscopiche e quasi impalpabili, vi era disseminata abbastanza fittamente da costituire un reale pericolo obbligandoli a limitare i loro spostamenti. Sarebbe stata una vera seccatura, e forse molto peggio, ritrovarsi a vagare inerti in qualche nebbione polveroso oppure farsi prendere dai vortici di gas larghi la metà del sistema solare che di tanto in tanto gli strumenti segnalavano. Certo la loro vita non correva in ogni caso alcun pericolo, ma avrebbero perso ogni speranza di riguadagnare lo spazio vuoto e di tornare a casa nel giro di qualche giorno. Altri discorsi, sogni a occhi aperti intrisi di ottimismo sulla prosperità futura, vennero interrotti dalla voce fredda ma in qualche modo suadente del computer di bordo che li informò di aver appena percepito, ai limiti del suo campo di avvistamento, parecchi oggetti non identificati in rapido avvicinamento. Sembravano venire dalle fitte nebbie del centro della nebulosa. Qualunque cosa fossero, erano apparsi in rapida successione mantenendosi vicini. Avanzavano in un settore di spazio largo appena un centinaio di chilometri. L'astronave presentò ai suoi piloti umani il quadro schematico della situazione, mostrando gli oggetti non identificati come piccoli e misteriosi puntini neri su uno sfondo screziato e argenteo. Scurlock guardò senza capire i puntini in movimento esclamando: — Ma cosa sono? Per tutti... — Non lo so. Cosa succede? — annaspò Carol. Il computer di bordo rispose con un gelido silenzio. E la meraviglia che sembrava paralizzare sia il cervello elettronico che la mente dei due umani era più che giustificata, in quanto le possibilità di incontrare casualmente altre astronavi nello spazio erano scarse anche in settori colonizzati: nella nebulosa di Mavronari erano astronomicamente piccole. In pochi secondi la sorpresa della coppia cominciò a mutarsi in allarme. Una certa parola si fece strada nella loro mente, rifiutando di sparire nel nulla. Ma nessuno dei due volle spaventare l'altro, e così nessuno la pronunciò apertamente. Invece, i due mossero verso gli armadietti per vestirsi in modo più formale con la vaga, tacita idea di dover ricevere dei visitatori. Poi Scurlock, senza offrire alcuna ragione, suggerì di indossare anche le tute spaziali. Carol rispose che non era necessario. Come Fred Saberhagen
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compromesso, si accertarono che le tute fossero in ordine e pronte all'uso. Dopo di ciò sedettero ai loro posti tenendo gli occhi fissi sul fascio di luce dell'oloschermo, che mostrava in un'irreale immagine tridimensionale la crescente similitudine tra gli oggetti sconosciuti riportati su uno sfondo nero e polveroso. Con aria di calma determinazione, Carol disse: — Scurlock, dobbiamo capire con chi abbiamo a che fare. Secondo te può trattarsi di una squadra militare? Suo marito annuì. — Deve trattarsi di una squadra militare. Guarda come sono disposti. Sarà una pattuglia proveniente da Imatra, che è il sistema colonizzato più vicino. Ma potrebbero anche essere Templari, o la Flotta spaziale. In ogni caso, sono militari. La sua convinzione pareva fondata. Il semplice fatto che avanzassero in formazione tenendosi tanto vicini indicava senza ombra di dubbio che non si trattava di traffico civile. Quindi erano militari. Dovevano esserlo, perché l'unica altra ipotesi era troppo terribile per venir contemplata. Né Scurlock né Carol osavano ancora parlarne, ma quell'altra ipotesi si stava tenacemente consolidando nella loro mente risultando sempre più probabile. Purtroppo, invece di agire, i due continuarono a guardarsi con grandi occhi cercando di rassicurarsi a vicenda senza molto successo. Fu il computer di bordo dell'astronave a pronunciare finalmente quella parola con la sua voce suadente, che sembrò solo vagamente preoccupata per quell'inconveniente come lo sarebbe stato per qualsiasi cosa destinata a porre un problema. — I sette oggetti in rapido avvicinamento sono stati identificati come astronavi Berserker — annunciò in un silenzio di tomba; La replica non fu immediata. La prima reazione conscia di Scurlock fu un repentino ribollire di rabbia per la calma placida con cui il computer di bordo aveva annunciato quel gravissimo pericolo. Ma cosa poteva mai importare del pericolo a una macchina? L'astronave era stata costruita dai Solariani, i discendenti diretti degli antichi terrestri di cui anche Carol e Scurlock facevano parte. E gli ingegneri solariani, per molte ragioni, tendevano di regola a evitare che le loro macchine dessero troppa enfasi a qualsiasi avvenimento. E Scurlock persistette nel suo irrazionale domandarsi cosa poteva mai importare a un'astronave, a qualsiasi astronave, delle conseguenze di un incontro come quello. Tra l'altro, non era certo una guerra contro le macchine che quei mostri là fuori combattevano. Fred Saberhagen
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No, non erano le macchine che quei micidiali automi alieni combattevano, ma la vita; o almeno, così era stato per molti millenni. In quegli ultimi secoli però il loro programma-base doveva essersi modificato, perché i loro sforzi si concentravano esclusivamente sull'annientamento della razza umana. E invero l'uomo aveva sbarrato loro potentemente la strada, impedendo a tutti gli effetti la sterilizzazione di ampi settori della Via Lattea. L'uomo, certo; poiché di tutte le specie viventi diffuse nella galassia, quella in particolare dedicava tempo e risorse alla caccia e alla distruzione dei berserker e veniva da questi considerata la più pericolosa, la più capace, la più restia ad accettare l'oblio dell'annullamento. Carol, che dei due era il miglior pilota, si sdraiò nella poltrona antiaccelerazione cercando freneticamente l'accesso ai sistemi di pilotaggio dell'astronave. Visto chi avevano di fronte, pensò bene di attivare sia il sistema di comando manuale che quello a onde cerebrali. Qualche attimo più tardi il computer le diede via libera e lei si sistemò attorno alla testa la banda d'interfacciamento. Ora l'astronave avrebbe obbedito a ogni suo pensiero. Intanto Scurlock, con dita irrigidite dal terrore, bloccò finalmente le cinghie della poltrona antiaccelerazione accanto al pilota. Nessuno dei due si infilò la tuta spaziale: in questi casi era più importante trovarsi in una posizione sicura, almeno secondo il manuale. Ma nulla sembrava davvero poterli aiutare in quella situazione. Sette berserker contro una piccola astronave da ricognizione totalmente disarmata. Scurlock derise con amaro sarcasmo le istruzioni fornite dal manuale. Un attimo più tardi udì se stesso proporre con un filo di voce di provare a nascondersi in qualche braccio della nebulosa, di rendersi il più invisibili possibile e aspettare. Forse i berserker non li avevano ancora avvistati, o forse avrebbero perso le loro tracce. Ma sia sua moglie che il computer di bordo ignorarono quella proposta. Andava bene anche così, perché con tutta probabilità né i suoi nervi né quelli di Carol avrebbero sopportato a lungo gli effetti di una simile tattica. E si trattava di un suggerimento futile in ogni caso, perché giungeva in notevole ritardo. I sette berserker infatti non solo si stavano avvicinando, ma iniziavano a manovrare in modo da chiudere l'astronave solariana dimostrando così di averli visti fin dall'inizio. Fred Saberhagen
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Con un incoerente borbottio Carol assunse il completo controllo di tutti i sistemi di bordo cercando, con una serie di rapidi scatti ad angolo retto, di distanziare la formazione di macchine assassine. I motori risposero prontamente agli impulsi alfa della sua mente e la gravità artificiale della cabina assorbì istantaneamente le imponenti pressioni generate dall'accelerazione. Le reti polifasiche delle loro poltrone si mantennero lente, e ai loro occupanti venne risparmiato anche il minimo disagio fisico. Ma quelle manovre furono peggio che inutili. La flotta berserker cambiò rotta di conseguenza dimostrando, se mai ve n'era bisogno, che la loro improvvisa comparsa era tutt'altro che casuale. Freneticamente, di nuovo borbottando parole incomprensibili, la giovane donna cercò ancora di distanziarli ma senza alcun risultato. Lei e suo marito, il suo collega e compagno, giacevano avvolti dalla rete polifasica e dalle cinghie di sicurezza di nuova progettazione, utili in quel momento come un piatto di spaghetti. Cinghie e reti non avrebbero cambiato di molto il loro destino. Eppure i due occupanti umani dell'astronave sembravano ancora restii a pronunciare l'aborrita parola. Entrambi tacevano, come se la minaccia non potesse davvero palesarsi se non veniva chiamata per nome. Il fatto che il computer di bordo avesse già chiaramente definito la natura dei loro inseguitori sembrava non contare nulla. Trascorse un altro frenetico minuto nel quale i due giovani cercarono in ogni modo di rompere l'assedio attorno, a loro, impegnando al massimo i motori dell'astronave e unendo al pilotaggio a onde alfa quello puramente manuale. Un bravo pilota, e Carol lo era, poteva in questo modo migliorare ulteriormente le prestazioni dei propulsori ma forse nessun pilota umano su un piccolo ricognitore come quello sarebbe riuscito a fuggire. Qualsiasi mossa tentassero, i berserker adottavano le opportune contromisure guadagnando terreno lentamente ma con allarmante costanza. Tuttavia il nemico non vivo non aveva ancora aperto il fuoco, come se stavolta, per qualche ragione sconosciuta, cercasse un contatto, o meglio dei prigionieri, invece di distruggerli freddamente come si aspettavano. La piccola astronave era disarmata. Ma persino un'astronave della Flotta, grande il doppio della loro e mille volte più in grado di difendersi, avrebbe avuto poche possibilità contro così tanti berserker del tipo in avvicinamento. Tutti e sette i loro inseguitori risultavano adesso Fred Saberhagen
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chiaramente visibili. Erano poco più grandi del loro ricognitore. Tuttavia, le armi ancora tacevano. E adesso Scurlock gemette ad alta voce. Anche le ultime speranze erano svanite. Un ottavo oggetto che poteva esser solo l'astronave-madre della squadriglia nemica, un continente di nero metallo orribile come la morte stessa, comparve improvvisamente alla vista emergendo da una nube di polvere a qualche centinaio di chilometri di distanza. Risultava chiaramente visibile anche a occhio nudo. Nello stesso momento la sua immagine all'oloschermo parve avanzare lentamente in avanti, continuando a emergere dall'argentea nebulosa con la dignità di una diabolica montagna. Muoveva a una velocità che sembrava innaturale per un oggetto tanto grande. Scivolava in avanti fuori dalle tenebre della Mavronari come un re dei demoni materializzatosi all'improvviso da qualche antico dipinto dell'inferno. Trascorsero lunghi attimi, durante i quali nessuno parlò sull'astronave condannata. Ma infine entrambi i giovani sposi si volsero uno verso l'altro, guardandosi disperati e in lacrime. — Scurlock — chiamò Carol, quasi soffocata dal terrore. La morte poteva giungere in ogni momento. — Carol! — Devi promettermi una cosa. — Cosa? — domandò. Ma sapeva cosa stava per chiedergli Carol. Lo sapeva fin troppo bene. Sua moglie esitò. Per qualche ragione cominciò a sussurrare. — Se sono berserker e ci uccidono velocemente, sono felice di morire con te. — Anch'io... — Ma se non ci uccidono subito... voglio dire, si racconta che se non ti uccidono subito è perché vogliono qualcosa. Io non credo di riuscire a sopportare le torture! Io... Carol non sapeva, non riusciva a spiegare a parole ciò che voleva chiedere a suo marito. Lei non riusciva a trovare le parole, e lui non aveva alcuna intenzione di aiutarla. Non stavolta. Non per quella richiesta. Voltandosi di scatto, Carol compì un ultimo, disperato sforzo per fuggire; ma pochi attimi più tardi il cerchio si chiuse e la loro piccola astronave venne immobilizzata da un potente campo magnetico. Con freddezza irritante quanto ironica, il computer di bordo riferì che i motori Fred Saberhagen
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non obbedivano più agli impulsi delle loro menti. I sette attaccanti, tutti distanti poche centinaia di metri ormai, si avvicinarono al mezzo solariano inglobandolo nella loro formazione. Carol e Scurlock si guardarono con occhi lucidi. Era giunto il momento della resa totale. E per sottolineare la loro impotenza, la suadente voce femminile del computer annunciò loro che i motori erano stati disattivati dall'esterno. Per un po' non accadde altro. Poi, il computer riferì che qualcosa stava cercando di forzare il portello esterno per penetrare nella camera stagna. Ma non c'era bisogno di dirlo, perché i secchi rumori provocati da quell'operazione risultavano perfettamente percettibili alle orecchie dei due umani. L'intera astronave vibrava come sotto i colpi di un gigantesco maglio e ovunque risuonavano le urla di qualche trapano mostruoso. Con le dita che tremavano ancora più di prima, Scurlock riuscì dopo molti tentativi ad alzarsi dalla poltrona antiaccelerazione. Un attimo più tardi Carol si unì a lui e la coppia si ritrovò confusa e tremante nel mezzo della piccola sala. — Se i motori non fossero bloccati — disse Scurlock — potremmo lanciarci contro uno di loro e morire almeno con onore! — Ma i motori sono bloccati! — piagnucolò Carol. I berserker li volevano vivi, ormai era chiaro, e con i motori bloccati sarebbe stato impossibile suicidarsi per coraggio o per paura. Ma forse era per evitare uno spreco di materiali e tecnologie preziose che la mente centrale degli attaccanti aveva deciso di agire così. — E noi non abbiamo neppure una pistola a bordo! — Già. — Scurlock... ma anche se avessimo una pistola, non so se riuscirei a usarla. Non su di te, e neppure su di me. — Neppure io — rispose lui. Sembrava la cosa migliore da dire, ma non ne era affatto certo. — Comunque vada, non ti lascerò mai e poi mai da sola nelle mani dei berserker! All'improvviso, una serie di forti rumori provenienti da soli pochi metri di distanza indicò loro che le unità d'assalto nemiche, robot, sonde, androidi, qualsiasi cosa in realtà fossero, erano riuscite a penetrare nella camera stagna. E poi, bruscamente, un berserker comparve alla loro vista anche se indirettamente. Il costante avvicinarsi della morte si palesò agli occhi dei due umani con impietosa chiarezza comparendo sugli schermi Fred Saberhagen
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dell'astronave e nella piccola immagine tridimensionale dell'oloschermo. Scurlock riuscì a intravedere per un istante il minaccioso estendersi di un paio di cesoie metalliche, e poi la telecamera nella camera stagna smise semplicemente di trasmettere. — Carol, ti amo. — E io amo te, Scurlock. Queste erano parole che raramente i due si scambiavano. — Ai berserker non interessa la sofferenza. Sarà una morte immediata, vedrai. Scurlock cercò di mettere tutto il realismo di cui era capace in quell'affermazione. E in effetti il programma primario delle macchine di morte, il loro unico scopo, era la cancellazione della vita ovunque questa fiorisse. Non vi era motivo per cui la morte dovesse avvenire tra mille sofferenze e dato che il rapido sterminio era la soluzione più efficiente, il rapido sterminio era la regola. Ma di quando in quando si verificavano delle eccezioni, delle situazioni in cui il nemico non vivo non si accontentava delle semplici vite dei suoi prigionieri. Nessuno dei due giovani occupanti dell'astronave catturata voleva dar credito alle molte leggende, ma era innegabile che la loro morte non rientrava nei piani immediati dei berserker. Intanto i rumori risuonavano sempre più vicini. Braccia metalliche e chissà cos'altro battevano e grattavano sulla porta interna della camera stagna nel tentativo di forzarla. — Carol... — Sì, Scurlock, anch'io ti amo — replicò lei con voce distante, quasi annoiata. Ma il tempo delle chiacchiere era terminato. L'ultima sottile paratia che li divideva dall'orrore cadde con uno schianto. Segui una momentanea caduta di pressione, ma nessuna micidiale fuga di atmosfera. Nessun dubbio poteva più sfiorarli: i berserker li volevano vivi, almeno per il momento. E finalmente i vincitori entrarono nel piccolo salone di controllo. Strane figure di spento metallo entrarono in fila indiana nella loro astronave, uno, due, tre, quattro. Erano dei robot poco più grandi dei due solariani, dalle forme minacciose e totalmente diverse da quelle conosciute su qualsiasi pianeta abitato della galassia. La loro origine aliena appariva evidente, così come la loro mostruosa potenza che serviva a un unico, Fred Saberhagen
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malefico scopo. Entrarono nel salone di controllo muovendosi molto più velocemente di qualunque essere umano o creatura organica di altra specie. Alcuni camminavano su sei lunghe zampe metalliche, altri su quattro. Ma ciò che più colpì i due prigionieri, nonostante il forte shock, fu che gli invasori sembrarono non notarli affatto. I due solariani rimasero quindi immobili al centro della sala, paralizzati dal terrore, stringendosi reciprocamente le mani fino a farle diventare bianche. Come praticamente ogni solariano della galassia, anche Carol e Scurlock avevano sentito storie di berserker per tutta la vita. Alcune di esse erano vere, altre inventate, altre ancora delle leggende nate da sfrenate e sanguinose fantasie. Vi erano interi pianeti la cui popolazione non aveva mai visto un berserker, ma nessun pianeta in cui non si raccontassero queste storie. Un punto però le univa tutte: la capacità dei berserker di comprendere il linguaggio umano. E nelle rare occasioni in cui queste storie costituivano dei rapporti ufficiali, tanto più stupefacenti se si pensa che erano il resoconto di prigionieri miracolosamente sfuggiti alle loro grinfie, i berserker venivano sempre descritti come macchine pensanti in grado di stabilire un immediato contatto con le "unità viventi", come chiamavano gli uomini, chiarendo subito al prigioniero cosa doveva fare per guadagnare una morte rapida e spiegandogli almeno in parte i motivi per cui era stato risparmiato. Questi però avevano preso possesso dell'intera astronave senza proferir parola, se si eccettuavano degli strani sibili e dei ritmici scatti emessi da uno degli invasori. Non avendo mai sentito nulla del genere prima, i due solariani non poterono rispondere né capire di cosa in effetti si trattasse. Uno dei loro più intensi timori, quello di venire immediatamente separati, non si realizzò. Ma qualsiasi residua speranza che i berserker continuassero a ignorarli svanì rapidamente. Dopo soli pochi secondi, entrambi i prigionieri vennero afferrati e perquisiti da sonde e dita metalliche che cercarono, gentilmente ma in modo del tutto impersonale, ovunque sui loro corpi e nei loro indumenti. Poi i robot li lasciarono andare, senza ferirli e senza legarli. Un attimo più tardi, tre dei quattro invasori uscirono dal salone di controllo dando inizio a una sistematica esplorazione delle poche cabine e della piccola stiva dell'astronave umana. Liberi e ignorati, e tuttavia assolutamente impotenti, i due giovani si Fred Saberhagen
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guardarono con profonda angoscia scambiando qualche parola piena di speranza, brevi, impacciati commenti forzatamente ottimisti. Senza dubbio il loro guardiano metallico stava ascoltando, ma non li punì per aver parlato senza permesso e neppure ordinò loro di tacere. Infine gli altri automi ritornarono nella piccola sala, dove ogni loro movimento cessò. I tre rimasero fermi e immobili come altrettanti robot servitori. — Cosa ne farete di noi? Parlate, accidenti! — chiese bruscamente Scurlock al mondo che lo circondava. Per un attimo, solo un attimo, Carol lo vide come una figura stoica e coraggiosa che si levava contro i suoi carcerieri a pugni chiusi, il volto contratto dal coraggio della disperazione. Naturalmente i berserker lo ignorarono. Uno di loro mosse verso la plancia e iniziò a sondare i comandi con l'evidente intenzione di inserirsi nella banca dati grazie a una sorta di asta sottile fuoriuscita da uno dei suoi arti. Carol sedette nuovamente nella poltrona antiaccelerazione e prese a singhiozzare disperata. Passò del tempo, ma nulla accadde. Scurlock sedette a sua volta accanto a Carol. Guardando attraverso gli oblò liberi, i due prigionieri umani poterono esaminare meglio l'astronave-madre della squadriglia berserker. Scurlock commentò con qualche timore che alla luce del distante nucleo della galassia quell'inquietante scafo mostrava i segni di pesanti danni, soprattutto squarci e bruciature; tuttavia, era innegabile che desse anche un'impressione di immensa potenza. Le bocche di fuoco delle armi pesanti sporgevano numerose dallo scafo ovoidale, quasi sferico; dimensioni e distanze erano difficili da calcolare nello spazio senza l'ausilio della strumentazione, e la voce del computer di bordo taceva ormai da un po', ma il sottile fluire delle volute di polvere cosmica indicò che quel mostro metallico doveva avere un diametro di parecchi chilometri. Ormai era passata quasi un'ora dalla loro cattura. Carol sembrava destinata a crollare molto presto, anche perché il silenzio di tomba in cui il loro dramma si svolgeva non facilitava certo le cose, almeno per lei. Non si muoveva quasi più; respirava piano e fissava il vuoto davanti a sé, perdendosi sempre più nelle confuse nebbie dello shock. I pochi commenti del suo compagno non ricevevano alcuna risposta. Fred Saberhagen
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— Carol! Silenzio. Poi, lentamente, senza distogliere per un attimo lo sguardo dall'angolo della cabina che fissava da un bel po', la giovane donna si portò alla bocca la mano chiusa a pugno e cominciò a mordersi una nocca fino a farne colare il sangue. — Carol! — esclamò Scurlock, alzandosi barcollando in piedi e strappandole la mano dalla bocca. Lei alzò di scatto gli occhi e lo guardò con odio, una perfetta sconosciuta. — Carol, torna in te! E all'improvviso lei scoppiò in lacrime, mentre Scurlock le si inginocchiava accanto cercando di rincuorarla. I berserker continuarono a osservarli immobili e impassibili come statue. Nelle ore successive le cose non cambiarono affatto. Le macchine di morte continuarono a osservarli impassibili. L'unico loro movimento era quello delle lenti degli obiettivi. Venivano filmati, ascoltati e chissà cos'altro, ma per il momento quello era tutto. I due prigionieri scoprirono di potersi muovere liberamente nel salone di controllo e nella loro camera da letto. Potevano sedersi, parlare, camminare, sdraiarsi e usare i servizi, ma sempre sotto il controllo dei robot. E infine, uno alla volta e con molte difficoltà, entrambi si addormentarono. Arrivò il momento in cui Scurlock si ritrovò seduto nel salone di controllo a fissare il cronometro dell'astronave, domandandosi perché mai i numeri mostrati sembravano totalmente privi di significato. Cercò di ricordare, invano, che giorno e che ora mostrava il quadrante digitale l'ultima volta che lo aveva osservato. Era avvenuto qualche tempo prima che i berserker li catturassero, ma non aveva idea di quando fosse. Carol dormiva ancora. L'aveva lasciata qualche minuto prima addormentata, o forse era più esatto dire inconscia, nella camera da letto. Lentamente Scurlock si mosse per prendere un bicchier d'acqua dal robot di servizio. Per farlo però doveva passare proprio accanto a uno dei berserker, e il suo corpo sfiorò quello della macchina. Non poteva evitarlo, perché le sue zampe occupavano una buona porzione del salone di controllo. Sapeva che il robot avrebbe a quel punto potuto sollevare uno dei suoi arti e ucciderlo: i torpidi sensi umani non gli avrebbero neppure consentito di veder arrivare il colpo, proprio come accade con un Fred Saberhagen
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proiettile. Ma forse era meglio così. Ben venga la morte. Ormai il loro destino era segnato. Ma di nuovo nulla accadde. Già che c'era prese un bicchier d'acqua anche per Carol. Poi tornò lentamente nella camera da letto, trovò la sua compagna seduta e le offrì qualcosa da bere. L'idea del cibo, nelle menti di entrambi, era destinata ad attendere ancora un po'. Come del resto l'idea della speranza. Finalmente nella mente di Scurlock, che mai più sarebbe tornata quella di prima, i numeri mostrati dal cronometro ripresero a significare qualcosa. Con spenta emozione ricordò certe cose e notò che le ore trascorse dalla loro cattura si erano sommate fino a formare un giorno standard. Notò anche che Carol aveva ripreso a mordersi le nocche. Le sue dita erano piene di sangue rappreso, ma non se la sentiva più di fermarla ogni volta. Con lo scorrere del tempo, lo shock e la paura avevano iniziato ad allentare la loro ferrea presa. La sentenza di morte era ormai data per scontata, e quindi la vita poteva ricominciare confusamente a pulsare. I due trascorsero lunghi periodi sedendo insieme abbracciati sul letto o su una delle poltrone antiaccelerazione della sala comandi. Di quando in quando Carol scoppiava in una lunga, isterica risata. Allora Scurlock la guardava apatico, non osando neppure chiedersi se aveva perso del tutto il senno oppure se era solo un effetto dello shock. Rideva per poi tornare a fissare il vuoto; talvolta chiudeva gli occhi, per svegliarsi con un sobbalzo qualche tempo dopo da quello che sembrava un sonno profondissimo. E infine arrivò anche il momento in cui si mise a urlare. Balzò repentinamente in piedi dopo ore di silenzio catatonico e gridò con tutta la voce che aveva in corpo: — Ma cosa vogliono da noi, cosa? — Poi si avventò contro uno dei berserker attaccandolo istericamente a mani nude, le dita piene di sangue rappreso. — Cosa vuoi da noi? Perché non ci ammazzi? Uccideteci! L'automa mosse una delle zampe adattando il suo equilibrio alla nuova situazione. Quello fu tutto. Un attimo più tardi Carol collassò tra atroci singhiozzi ai piedi metallici della macchina aliena. Dopo di questo vi furono dei momenti in cui la coppia si scambiò Fred Saberhagen
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qualche parola, talvolta razionali, altre deliranti. Ma la maggior parte del tempo il silenzio regnava sovrano. Durante uno dei rari momenti di razionalità, Scurlock disse: — Ho un'ipotesi sul perché non ci parlano. Supponiamo che questi siano dei berserker molto antichi. Supponiamo che per qualche ragione di cui non abbiamo idea siano rimasti intrappolati nella Mavronari per tutti questi secoli. Può succedere sia a noi che a loro. Uno si può tranquillamente perdere in queste nubi di gas e polvere in grado di mettere fuori uso motori e strumenti. Forse sono venuti dalla parte opposta, e solo ora sono riusciti a uscirne. Dopo un lungo silenzio, nel quale Carol diede l'impressione di pensare in modo razionale, la giovane donna rispose: — È possibile, certo. — Ciò che mandò un brivido lungo la spina dorsale di Scurlock fu che in quel momento lei non parve più neppure spaventata. Visto che lei non diceva altro, lui continuò. — Se davvero sono qui da migliaia di anni non possono aver appreso alcuna lingua attualmente in uso nella galassia. Quei suoni che ci hanno rivolto all'inizio potrebbero essere il linguaggio degli edificatori. — Cosa? — replicò lei. Non sembrava neppure comprendere di cosa stava parlando suo marito, ma la cosa peggiore era che non pareva importarle nulla. — Riesci ancora a ricordare la storia galattica, tesoro? Eoni fa esisteva una razza aliena che noi abbiamo chiamato per varie ragioni gli edificatori. Sono stati loro a costruire i primi berserker per vincere una guerra interstellare, più o meno quando l'umanità attraversava la fase del Neolitico o forse prima ancora. "Ma poi qualcosa andò storto come solo ai piani più arditi può accadere, e i berserker annientarono anche i loro costruttori oltre ai loro nemici rimasti senza nome, chiunque essi fossero. Comunque, ricordo di aver sentito da qualche parte che gli edificatori parlavano proprio così, tutto a scatti e sibili." Carol non trovò nulla da dire a riguardo. Pochi minuti dopo entrambi i prigionieri dormivano nelle loro due cuccette unite insieme, o nel caso di Scurlock cercavano di dormire, quando improvvisamente uno dei loro guardiani parlò per la prima volta da quando erano saliti a bordo. Quella che l'automa emise con meccanica, robotica voce per nulla dissimile da quella del computer di bordo dell'astronave, era una frase Fred Saberhagen
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indubbiamente in solariano. Scurlock venne svegliato dal suo stato sonnolento udendo: — Ho un'ipotesi sul perché non ci parlano. — Che? — fece lui balzando in piedi e guardando dapprima il berserker, poi Carol che sembrava davvero dormire sulla cuccetta accanto. Lo stesso automa aggiunse, con la stessa accurata pronuncia ma con voce vagamente, più alta: — Tutto a scatti e sibili. Quella frase risvegliò una piagnucolante Carol dal suo sonno. Scurlock l'afferrò per un braccio ed esclamò: — Ecco cosa vogliono da noi: ascoltarci per imparare la nostra lingua! E subito la voce meccanica risuonò un'altra volta: — Ecco cosa vogliono da noi: ascoltarci per imparare la nostra lingua. Come se fosse stata improvvisamente scossa dal suo stato di torpore, Carol esclamò con qualche lucidità: — No! Noi non li aiuteremo affatto! Non possiamo... — Tesoro, non credo che abbiamo molta scelta. Non capisci che è la nostra sola possibilità di continuare a vivere? Per un lungo attimo entrambi si guardarono in silenzio, cercando di leggere negli occhi dell'altro. — Tesoro... — provò l'automa, indeciso. Ma in quel momento nessuno dei due lo ascoltava più. Fu Scurlock a cedere per primo. — Carol, Carol! Non voglio morire! — Neppure io, neppure io! Ma come... come abbiamo fatto a cacciarci in questo guaio? — Tranquilla, amore mio. Non è stata colpa nostra, ma adesso che ci siamo dentro dobbiamo fare ciò che ci dicono, ecco tutto. — Tranquilla, amore mio — ripeté la voce del berserker. — Ecco tutto. Seguirono ore e giorni interi nei quali gli automi li separavano per obbligarli a parlare. In questi casi venivano posti in due stanze diverse, in modo che l'unico modo per i due di sapere cosa succedeva all'altro era chiamarlo e parlargli ad alta voce. Rifiutarsi di stare al gioco non sembrò mai un'ipotesi realistica. Nella banca dati dell'astronave catturata, come disse Scurlock a Carol, i berserker avevano trovato una quantità enorme di materiale registrato e di comunicazioni radio di tutti i tipi tra pianeti e astronavi di varie nazionalità e di vari idiomi, conosciuti e sconosciuti alla coppia. E difatti giunse anche il momento in cui i loro carcerieri iniziarono ad ascoltare con loro queste registrazioni, riproducendo i suoni che Fred Saberhagen
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emettevano e domandando spiegazioni. Questo, si disse Scurlock, provava che ogni resistenza sarebbe stata inutile. — Il guaio è, Carol, che non dipendono solo da noi per imparare. Anche se non parliamo, possono analizzare le nostre lingue con modelli matematici usando il materiale video come guida. Possono sapere tutto ciò che vogliono anche senza il nostro aiuto. "Nessuno, nessuno verrà mai a cercarci qui" continuò. "Non prima di un paio di mesi, o forse sei... e quando arriveranno sarà uno scherzo per i berserker attaccarli e distruggerli." Carol non rispondeva mai a queste cose. Talvolta si limitava a guardarlo; altre, si mordeva la mano favorita. Non molto dopo, i mostruosi automi che li tenevano prigionieri cominciarono a incitarli in tutti i modi per farli parlare senza interruzioni. Ogni volta che una pausa nel discorso durava più di un minuto, il berserker con cui trattavano direttamente ordinava loro di riprendere a parlare. Quando questo non bastava, arrivavano delle scosse elettriche di moderata intensità somministrate da un secondo automa che li afferrava per i polsi. Inizialmente sembrava non potessero neppure dormire: quando accadeva, il berserker li scuoteva malamente parlando loro con la sua voce monotona e mostruosamente paziente. Poi, per fortuna, le macchine stabilirono un ritmo diverso e a uno di loro fu concesso di dormire mentre l'altro continuava a parlare. Presto entrambi iniziarono a soffrire di un fortissimo esaurimento nervoso, devastante per i loro corpi e le loro menti nonostante le lunghe ore di sonno profondissimo. Il tempo passava a modo suo in quella miserabile esistenza. Quanto ne fosse passato era troppo da chiedere a Scurlock e soprattutto a Carol. A volte Scurlock si rimproverava perché continuava a scordarsi di guardare il cronometro. Poteva tranquillamente farlo quando lo portavano nel salone di controllo, dove i berserker li interrogavano, ma al momento buono se ne scordava sempre. Tuttavia si chiedeva spesso da quanto durava la loro prigionia, soprattutto nei brevi e pensosi attimi di veglia trascorsi sdraiato sulla sua cuccetta. Ma prima di crollare esausto nel buio della cabina e di precipitare nel più nero oblio si diceva che senza dubbio i berserker avevano bloccato anche il cronometro oltre ai motori dell'astronave. Anche quest'ultima sembrava esser stata in qualche modo lobotomizzata, Fred Saberhagen
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ma i suoi dispositivi fornivano ancora cibo e bevande esattamente come prima, il sistema di supporto vitale continuava a riciclare l'atmosfera e la gravità artificiale si manteneva stabile come sempre. Carol e Scurlock riuscivano a incontrarsi per brevi ma frequenti istanti, scambiando poche parole di scarso significato quando si incrociavano mestamente nel corridoio tra il salone di controllo e la camera da letto, uno che si recava e l'altro che tornava da quegli estenuanti, infiniti interrogatori. Ma anche l'orrore ultimo può apparire sopportabile, o almeno così sembrava. I due cominciarono ad abituarsi presto alla micidialità di quella assoluta routine. Il cambiamento era invece costante negli interrogatori. L'educazione delle macchine di morte progrediva rapidamente. Con il passare del tempo, un concetto sempre più lontano dai due umani, un nuova nota, una nuova enfasi dapprima sottile ma via via più definita si insinuò nel torrente delle loro domande. Subito apparve chiaro che ai loro carcerieri non sarebbe certamente bastato apprendere uno o più idiomi solariani. E la natura dei nuovi obiettivi era, a dir poco, sinistra. Scurlock, l'unico dei due concretamente conscio di ciò che accadeva, si accorse di questo stato di cose in un momento ben definito. Si trovava da solo nel salone di controllo con i berserker quando questi richiamarono la sua attenzione indicando il piccolo schermo tridimensionale in mezzo al locale. In quel piccolo spazio virtuale i suoi carcerieri, che avevano da tempo assunto il totale controllo del cervello optoelettronico dell'astronave, avevano proiettato uno schema di puntini luminosi che rappresentavano diversi sistemi solari confinanti con la nebulosa. Le stelle e alcuni dei pianeti erano segnati correttamente con il nome solariano, e l'automa li indicò uno per uno chiedendo dettagliate informazioni sui continenti e le città, le fabbriche e gli spazioporti. Fu allora che Scurlock comprese che in poche settimane, massimo un mese, il grande intelletto meccanico che li animava aveva appreso la loro lingua praticamente per intero; era tempo di passare a qualcos'altro. Questa convinzione venne rafforzata da ciò che accadde la volta successiva. Si era svegliato da solo, rimanendo per un po' sdraiato al buio sulla cuccetta. Presto il braccio meccanico di uno degli automi aprì la porta, e dalla sala comandi udì venire la voce sintetica di uno di essi che stava probabilmente indicando una sequenza di immagini. — Questo è un Fred Saberhagen
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uomo. Questo è un albero. Questa è una donna. — Io sono una donna — affermò Carol, e la sua voce suonò meccanica come quella dei berserker. — E io cosa sono? — le domandò all'improvviso il robot. Aprendo gli occhi con stanco terrore, Scurlock evitò in tutti i modi di pensare. Scese dalla cuccetta e mosse qualche passo per unirsi a Carol nel salone di controllo. In piedi nel corto corridoio, ebbe il primo momento di lucidità da chissà quanto tempo. All'improvviso si rese conto di quanto era cambiata sua moglie, la donna che amava, da quando erano stati catturati. Da sempre molto magra, ora pareva incredibilmente scheletrica. Le sue mani erano rovinate e sempre piene di sangue rappreso per l'abitudine di morderle. Se l'avesse incontrata per strada, non sarebbe probabilmente riuscito a riconoscerla. Ma la stessa cosa valeva anche per lui. Sapeva di aver perso a sua volta molti chili; la sua barba e i suoi capelli crescevano da tempo indisturbati, i suoi vestiti apparivano sporchi, stracciati e troppo larghi. Ma il vero problema era la debolezza: barcollava anche solo a stare in piedi. E poi ricordò di non averla mai più sfiorata neppure con un dito da quel maledetto giorno. Mai neppure un bacio, un gesto, un'occhiata. Nulla che lasciasse trasparire un barlume dell'antico amore. Be', adesso non potevano neanche più restare un attimo insieme da soli... neppure a parlarne di dormire nello stesso letto. — Rispondimi! — ordinò imperiosa la voce elettronica. — Cosa sono io? Come se provasse vergogna, Carol abbassò gli occhi vuoti e disse: — Tu sei... sei una... I suoi occhi si volsero lentamente verso gli oblò, oltre i quali lo scafo immenso dell'astronave-madre era in quel momento visibile. — Una macchina — concluse. — Io sono una macchina. Io non sono vivo. Tu sei viva. L'albero è vivo. Assumendo nella sua follia l'aria di una maestra elementare obbligata a sgridare un alunno riottoso, Carol scosse violentemente la testa. Scurlock ascoltò raggelato sulla soglia la logica contorta della sua risposta, certo che per lei non vi fosse più nulla da fare. — No. Io non sono viva. Non più, se tu non vuoi. Morirò e nulla resterà di me. — Non mentire. Tu sei viva. — No, no — insistette l'improvvisata insegnante. — Non veramente. Fred Saberhagen
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Ciò che vive deve venir distrutto, vero? Ma questo non è il mio caso, perché io sono... — e il suo sguardo cercò rapidamente quello di Scurlock — Io sono pronta a tradire. Un traditore era una sola cosa, sia per gli uomini che per i berserker: un umano che decideva deliberatamente di unirsi a loro. Era accaduto molte volte, per soldi, per sete di potere o per guadagnarsi una morte rapida, ma anche per fanatismo poiché esistevano dei gruppi terroristici che veneravano le macchine assassine come delle divinità. Immobile sulla soglia, Scurlock strinse forte i montanti metallici e osservò attonito la scena. Forse Carol, nella sua follia, aveva toccato il solo tasto che poteva salvar loro la vita. Forse i berserker non chiedevano a nessuno di unirsi a loro, pensò, dandosi dello stupido per non averci pensato prima: forse accettavano solo i volontari. — Traditori, non esseri umani — continuò Carol mentre l'isterica affettazione che caratterizzava prima la sua voce lasciava spazio a una sincera, sentita ammirazione. Suo marito continuò ad ascoltarla in silenzio. — Noi due siamo traditori. Noi amiamo i berserker... quelli che i perfidi umani chiamano berserker. Voi potete fidarvi di noi. Di nuovo Scurlock strinse i montanti della porta. — Sì, siamo traditori! — gracchiò con fervido entusiasmo. Il berserker non lasciò trasparire la minima soddisfazione per l'aperta conversione dei due prigionieri, ma si limitò a dire: — Un giorno mi fiderò di voi. Adesso dovete fidarvi di me. — Noi ci fidiamo di te. Cosa intendete fare di noi? — domandò Scurlock d'istinto, chiedendosi subito dopo se davvero voleva conoscere la risposta. — Usarvi — rispose l'automa senza neppure guardarlo. — Noi possiamo esservi utili, sì, davvero utili se non ci ucciderete. A questa affermazione il berserker non rispose. Carol, scompostamente seduta sulla poltrona antiaccelerazione, non guardò più il suo compagno umano rivolgendo tutta la sua attenzione al robot, che riprese tranquillamente a porre domande. Meno di un'ora dopo l'automa restrinse ulteriormente e senza motivo apparente il suo campo di interessi. Le sue domande infinite e precise presero a riguardare sempre più da vicino i sei o otto sistemi solari colonizzati dai solariani siti a pochi giorni di viaggio dalla nebulosa di Mavronari. Fred Saberhagen
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— Nominare e descrivere ogni pianeta abitabile di questi sistemi. Che tipo di difese può mettere in campo ogni sistema e ogni pianeta? Che tipo di astronavi armate pattugliano i loro cieli? Che tipo di installazioni scientifiche e industriali si trovano su ogni pianeta? Quali traffici interstellari li collegano, e a quanto ammonta il loro interscambio? L'interminabile interrogatorio tornò ancora e ancora su questi argomenti, talvolta soffermandosi, insistendo, approfondendo i più insignificanti dettagli, altre dando l'impressione di accontentarsi di spiegazioni generali, di ricordi imprecisi. Carol si era ovviamente abbandonata all'unico obiettivo di compiacere il suo aguzzino. Scurlock invece, spesso tormentato dal pensiero di ciò che la paura lo aveva spinto a dichiarare alle macchine di morte, avrebbe volentieri fatto qualcosa ma non riusciva a trovare alcun modo produttivo di mentire. Conosceva molto poco delle difese di ogni pianeta, ma qualche reminiscenza eroica della sua coscienza gli suggerì di far credere che fossero tutti dotati di difese formidabili. Ma se osava affermare una cosa del genere, il berserker lo avrebbe incalzato senza pietà. Poteva immaginare la durata e la ferocia di un simile interrogatorio. E non vi era ragione di pensare che la tortura ne venisse esclusa. "Come faceva a conoscere le difese? Cosa aveva a che fare il suo normale impiego con le faccende militari?" Sarebbe morto cercando di rispondere a quelle domande, e non voleva morire. No, sapeva benissimo di voler continuare a respirare, non importava a che prezzo. Forse un giorno sarebbe in qualche modo riuscito ad aiutare i suoi simili ma mentire adesso, cercare di far credere delle cose non vere a quel berserker non era assolutamente il modo giusto di agire. Un uomo e una donna soli in balia del nemico dovevano giocare le poche carte che avevano. Gli interrogatori continuarono a lungo sui medesimi argomenti. Poi all'improvviso, una volta che Carol stava godendosi il suo turno di riposo, gli interessi del berseker si concentrarono di nuovo su qualcosa di specifico. Da più di un'ora Scurlock rispondeva alle loro domande sul sistema di Imatra quando, rispondendo a una richiesta di chiarimenti sui planetoidi e le stazioni spaziali in orbita in quel sistema, commise l'errore di menzionare qualcosa che fino ad allora gli era genuinamente sfuggito, cioè Fred Saberhagen
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la temporanea presenza di una stazione spaziale di ricerche biologiche destinata a restare per qualche tempo in quel settore. Si trattava di una struttura avanzata, una sorta di prototipo delle grandi astronavi colonizzatrici destinate a giocare un ruolo importante nei piani di espansione del presidente Sardou. Nel momento stesso in cui Scurlock pronunciò queste parole, un campanello sembrò suonare in qualche punto dell'intricato cervello elettronico del berserker. Non che Scurlock avesse veramente udito qualcosa suonare, ma l'immagine calzava a pennello per descrivere lo stato di profondo interesse con cui il loro aguzzino accolse l'informazione. Perché subito apparve evidente che al berserker quelle spiegazioni non bastavano. — Dimmi di più su questo laboratorio — ordinò. — Ti ho già spiegato praticamente tutto quello che so. Si tratta di un laboratorio spaziale che compie ricerche biologiche di grande importanza per dei futuri progetti di colonizzazione. Non so altro, perché tutto è coperto da un impenetrabile riserbo. Davvero, io... — Non basta. Dimmi di più su questo laboratorio — ripeté l'automa con la sua fredda, minacciosa pazienza.
PARTE PRIMA 1 Giù nelle intricate radici della vita umana, tra i semi dell'individualità, un miliardo di atomi, milione più o milione meno, vibrarono sotto la delicata pressione della sonda a energia modificando i propri schemi di interazione nelle numerose, interattive molecole che componevano una delle cellule riproduttive dei solariani. La meccanica quantistica e i circuiti optoelettronici lavoravano quantomai duramente svolgendo come sempre il loro compito di fedeli strumenti della mente umana, scavando per portare alla luce un altro strato di quei segreti che davano origine alle qualità più distinte della vita e della materia. La distrazione giunse sotto forma di un forte vociare, strappando la mente che seguiva l'esperimento dal suo stato di totale concentrazione. La vita ai suoi livelli più macroscopici si stava di nuovo intromettendo. Il dottor Daniel Hoveler, che era ben poco a parte uno scrupoloso scienziato, sollevò gli occhi stanchi dal minischermo del sofisticato Fred Saberhagen
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microscopio per poi alzarsi dalla sedia e volgere le spalle al banco di lavoro. La sua irritazione si mutò velocemente in sorpresa vedendo una donna, mai vista in carne e ossa prima di allora ma subito riconosciuta come la famosa lady Genevieve Sardou, avanzare irresistibile attraverso l'ingresso principale del laboratorio che costituiva il cuore pulsante della stazione spaziale di ricerche biologiche. Lady Genevieve, giovane e minuta, abbigliata in un lungo e candido abito pieno di delicate trine, entrò accompagnata da un piccolo ma energico seguito di guardaspalle e giornalisti. Il gruppo di persone, in tutto una dozzina, si fermò a pochi passi dall'ingresso lanciando imbarazzate occhiate all'immensa sala dai vaghi e lontani echi, grande quanto un campo di calcio e dai soffitti stranamente alti per la sezione di una struttura spaziale. Ai loro occhi si presentò una scena di inusitata confusione. L'imminente arrivo dell'importante personaggio era stato comunicato al personale del laboratorio solo dieci minuti prima. Hoveler, che aveva accolto distrattamente la notizia dimenticandola subito dopo sotto la spinta di cose più importanti, comprese in ritardo che i suoi colleghi si erano dati freneticamente da fare senza di lui per far fronte degnamente alla visita. Per un attimo, mentre la celebrata personalità si guardava timidamente attorno immobile sulla soglia, l'intero laboratorio sembrò fermarsi del tutto. Se la notizia della visita imminente di lady Genevieve aveva provocato confusione ed eccitamento (cosa più che evidente), la sua presenza in carne e ossa sortì l'effetto di paralizzare momentaneamente la dozzina di scienziati presenti, compreso Hoveler. Per alcuni secondi, il solo suono che echeggiò nella sala cavernosa fu il costante ronzio emesso dai macchinari impegnati nelle diverse funzioni richieste dagli esperimenti in corso. Un attimo più tardi, alcuni degli scienziati presenti abbandonarono tranquillamente i loro posti o avvisarono il supervisore al laboratorio con il videofono. Dopo l'annuncio del suo matrimonio con il presidente, avvenuto solo un mese prima, lady Genevieve Sardou era balzata da una dignitosa oscurità agli onori della cronaca divenendo una delle personalità politiche più importanti di parecchie decine di sistemi solari. Un mese prima, si disse Hoveler, ben pochi tra coloro presenti in quella stanza avrebbero riconosciuto il suo volto e alla giovane donna sarebbero state riservate le formali attenzioni rivolte a qualsiasi normale donatore; adesso invece la maggior parte degli scienziati presenti la guardava immobile, Fred Saberhagen
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abbagliato dalla sua presenza. Dopo quell'istante di smarrimento la first lady, che cercava evidentemente di gestire il meglio possibile una situazione vagamente imbarazzante, cominciò a parlare con toni informali ai più vicini tra coloro che la fissavano a bocca aperta, pronunciando qualche parola di saluto con stile alquanto studiato ma scarsamente praticato. L'eminente visitatrice sorrise e parlò con fare gentile, ma il tono troppo fievole della sua voce (impossibile capire una parola oltre i due metri di distanza) rivelò la sua inesperienza come celebrità. L'attenzione di Hoveler tornò rapidamente al suo microscopio. Doveva assicurarsi che pochi minuti di disattenzione in tempo reale non mandassero a monte l'esperimento. Una volta accertatosene, si allontanò dal suo banco di lavoro e mosse qualche passo verso lady Genevieve con l'intenzione di vederla e sentirla meglio. Quei pochi minuti della sua presenza, si disse, erano bastati per sviluppare in lui una sorta di istinto protettivo. Uno degli accompagnatori della moglie del presidente, una donna alta e dinamica che doveva essere l'addetta alle relazioni pubbliche di lady Sardou, aveva preceduto la sua illustre cliente attraverso il grande ingresso e si trovava ora accanto a lei, in volto un professionale sorriso, gli occhi scintillanti che tradivano la determinazione di un predatore pronto a difendere i suoi cuccioli. Altri intrusi dall'aria ugualmente determinata si davano da fare sui loro strumenti in modo da rendere qualsiasi gesto o parola una faccenda di pubblico dominio. Qualsiasi cosa dicesse o facesse quei giorno la moglie del presidente avrebbe fatto notizia, per venire più o meno fedelmente trasmessa a un buon numero di pianeti abitati le cui popolazioni erano presumibilmente molto interessate a quanto doveva accadere. I servizi di cronaca registrati quel giorno sarebbero anche stati trasmessi con impulsi subspaziali, sì da superare in pochi giorni gli angusti limiti delle poche centinaia di anni-luce cubici oltre i quali cessava l'influenza del presidente Dirac. Le notizie si diffondevano nei pianeti solariani della galassia quanto lo volevano gli onnipotenti addetti alle Pr, e il presidente non aveva nessuna intenzione di limitare per sempre il suo potere e la sua influenza a poche decine di pianeti colonizzati. Intanto il supervisore del laboratorio era stato localizzato e finalmente Anyuta Zador, questo era il nome dell'alta donna dai capelli neri che Fred Saberhagen
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coordinava il loro lavoro, emerse con qualche ritrosia da dietro una possente serie di macchinari per salutare l'illustre ospite. Era vestita tanto casualmente, con il lungo grembiule da laboratorio e scarpe vecchie e ineleganti, che appariva ovvio il fatto che non aveva avuto neppure il tempo di cambiarsi. La giovane e brillante scienziata aveva in effetti la stessa età di lady Genevieve; tuttavia gli abiti poco curati e la corporatura alquanto robusta la facevano sembrare più vecchia di qualche anno della sua importante ospite, e decisamente meno fresca. Ma anche Anyuta Zador possedeva una sua calda bellezza: il sangue africano traspariva dalle labbra grandi e carnose e dai capelli corvini, quello nordico dai suoi sorprendenti occhi azzurri. Il vero supervisore, il professor Narbonensis, stava in quel momento dando una conferenza fuori da quel sistema solare, un'altra dimostrazione che la visita di lady Genevieve aveva colto tutti di sorpresa. Mentre Hoveler osservava la scena con qualche ridicola ansietà, la giovane scienziata mosse coraggiosamente un passo avanti sulle scarpe vecchie tendendo la capace mano con un saluto formale, dando il benvenuto all'importante ospite e alle persone al suo seguito a nome di tutto il personale. Lady Genevieve rispose in modo appropriato, e solo il basso tono di voce tradì la sua inesperienza. Con qualche enfasi dichiarò che sia lei che suo marito provavano umiltà e orgoglio per il contributo personale che intendevano elargire al grande lavoro di quel laboratorio. Hoveler rimuginò su quelle parole per qualche tempo continuando ad ascoltare, almeno con un orecchio, il resto del saluto formale, il caloroso benvenuto, le frasi di circostanza. Un ulteriore scambio di battute tra le due donne, sollecitato con qualche sussurro dall'addetta alle Pr, chiarì a beneficio dei media e degli obiettivi politici del presidente che quel laboratorio era uno dei pochi luoghi esistenti in quella parte della galassia dove si studiavano le possibilità a lungo termine di stabilire, in tempi e modi ancora da decidere, una o più nuove ed enormi colonie che avrebbero garantito un luminoso futuro ai discendenti degli antichi terrestri. Hoveler, che nel corso di quella prima parte della visita prestava più attenzione ai toni di voce e alle loro cadute che non alle parole in sé, ebbe l'impressione che l'importante visitatrice parlasse alquanto meccanicamente. Sì, lady Genevieve dava definitivamente mostra di esser stata istruita per filo e per segno su cosa dire, persino su come usare certe espressioni tese a lanciare chiari messaggi politici. Fred Saberhagen
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Approfittando di un attimo di silenzio, la dottoressa Zador pensò bene di tornare su una frase pronunciata in precedenza, forse incerta su ciò che aveva davvero sentito. — Lady Genevieve, ha detto di essere venuta qui per portare un... ehm... contributo personale al laboratorio? La piccola testa di riccioli bruno-ramati annuì energicamente. — Sì, proprio per questo sono venuta. Mio marito il presidente Dirac e io abbiamo deciso di donare il nostro primo figlio per accrescere il numero dei nuovi coloni. Ecco qual era la notizia-bomba. Quella rivelazione diede origine a un genuino sussulto di sorpresa tra gli ascoltatori. L'eminente visitatrice aggiunse poi sorpresa a sorpresa annunciando che il presidente in persona, impegni permettendo, l'avrebbe raggiunta nel sistema di Imatra entro pochi giorni, massimo un mese standard. Avvolgendo e confondendo il suono delle voci umane, i macchinari del laboratorio continuarono il loro monotono, polifonico ronzare. Hoveler e tutti coloro a cui interessava compiere lo sforzo potevano guardare attraverso le larghe vetrate della biostazione e seguirne l'orbita limitata a qualche centinaio di chilometri attorno al planetoide Imatra, un piccolo corpo celeste dalle intense tonalità di verde punteggiato di laghi, canali, stagni. Quella distesa di colori, a cui si alternava un cielo nero e stellato, oscillava con ritmo costante da una posizione apparentemente sopra le vetrate a una apparentemente sotto, mentre il punto di attrazione della biostazione, un'illusione generata dalla fidata gravità artificiale, restava orientato con ferrea costanza verso il laboratorio. Poi lady Genevieve, sollecitata da un altro sussurro della sua fedele Pr, chiese educatamente alla dottoressa Zador da quanto lei e i suoi scienziati si trovavano in quel sistema con quel laboratorio davvero impressionante e cosa vi avevano trovato di tanto interessante per le loro ricerche. Perché quei pianeti e quei planetoidi, aggiunse con palese insicurezza, erano tra i luoghi che suo marito preferiva in tutto l'universo. Il sostituto supervisore del laboratorio, che nonostante la giovane età aveva bene assorbito la sorpresa di quella visita importante quanto intrusiva, rispose con educata sincerità. Il transito della biostazione in quel sistema era programmato da mesi, forse da un anno o più. Dopo aver nuovamente chiesto conferma della sue parole a lady Genevieve, la dottoressa Zador conferì frettolosamente con un paio dei suoi più esperti colleghi. Hoveler, che era un bioingegnere e non un Fred Saberhagen
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medico, non era tra essi. Poi una squadra di operai cominciò a muoversi tra le attrezzature scientifiche. I necessari arrangiamenti tecnici vennero rapidamente concordati dietro le quinte, in modo che la trasmissione in diretta non soffrisse altro inconveniente che un minimo ritardo. Intanto alcuni giovani assistenti poco distanti da Hoveler cominciarono apertamente a commentare. Non che fosse loro intenzione includere lo scienziato più anziano in quei discorsi, ma il tono delle loro voci indicò chiaramente che non importava al gruppo di venir ascoltato. — Evidentemente il loro matrimonio è andato come speravano — disse uno degli assistenti. Molti tra i più cinici osservatori politici avevano fortemente dubitato del successo di quell'operazione. — Già. Un considerevole evento politico, se non altro. Infatti, contrariamente ai dubbi ampiamente diffusi riguardanti l'effettivo svolgimento di un matrimonio tanto bruscamente concordato, nessuno aveva dubitato del fatto che il suo scopo fosse puramente politico. L'unione di due dinastie tanto potenti e tanto diverse era stato uno degli obiettivi primari di certe fazioni e un anatema per altre. Ecco dunque il motivo per cui l'alleanza era stata così rapidamente formalizzata. Uno degli assistenti impegnati nella conversazione fece notare che i due sposi si erano conosciuti personalmente solo pochi giorni prima della fastosa cerimonia. Il progetto di colonizzazione nel quale la biostazione giocava un ruolo tanto importante era da tempo il favorito del presidente Dirac e della maggior parte delle fazioni da cui dipendeva per l'appoggio politico. Infatti, molti vedevano in lui il principale artefice di tutto il piano. Nonostante quella visita tanto importante avesse preso la dottoressa Zador completamente alla sprovvista, la giovane scienziata, riuscì a esprimere la sua soddisfazione con encomiabile coerenza. La donazione di lady Genevieve avrebbe certamente accresciuto il credito di cui già godeva il loro lavoro e più in generale l'intero piano di colonizzazione; d'altro canto, come l'interessata dottoressa evitò accuratamente di far notare, quel gesto garantiva anche una buona dose di critiche e disapprovazione. Mentre dietro le quinte continuavano frenetici i preparativi per la semplice operazione di chirurgia genetica, lady Genevieve e la dottoressa Zador continuarono amabilmente il loro pubblico colloquio. Le tappe future dell'illustre visitatrice nel prosieguo della sua visita al sistema di Imatra, un viaggio della durata complessiva di diversi giorni con un Fred Saberhagen
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itinerario reso pubblico per mezzo di un'elegante brochure, avrebbero visto nuovi impegni e bagni di folla, e lady Genevieve si rammaricò di non poter trascorrere a bordo della biostazione tutto il tempo che desiderava. O perlomeno quello fu ciò che a Hoveler parve di capire dal suo stanco mormorio, che lentamente scivolava verso la totale impercettibilità. Alcuni accompagnatori della moglie del presidente si diedero intanto discretamente da fare per affrettare il più possibile i preparativi dei medici e dei tecnici. Qualcuno disse che la piccola astronave con cui erano arrivati li attendeva pronta a ripartire, e che la visita successiva del loro viaggio doveva avvenire entro un'ora. Lady Genevieve sembrava però decisamente esausta, pensò Hoveler con crescente simpatia. La sua considerevole altezza gli permetteva di vedere oltre le teste della maggior parte dei presenti, ormai tutti radunati attorno alla visitatrice. Per stanca che fosse, la moglie del presidente riuscì a mantenere caparbiamente il controllo anche quando l'annuncio di un imprevisto tecnico lasciò prevedere un prolungamento dell'imbarazzata pausa che seguì alla fine dei discorsi ufficiali. Hoveler conosceva benissimo i motivi di quel lungo intervallo. Esistevano dei problemi pratici impossibili da risolvere in pochi minuti, e tra questi il reperimento della sala operatoria più idonea e di un chirurgo abbastanza esperto da sovrintendere un'operazione delicata come quella. Ma in effetti erano le macchine a eseguire la rimozione dello zigote dall'utero e a curarne l'immediata ed efficiente conservazione: sofisticati medirobot programmati da sistemi esperti che operavano in modo quasi indipendente dal controllo umano e possedevano una delicatezza e una precisione di molto superiori a quelle del miglior chirurgo in carne e ossa. Poco dopo Hoveler vide accendersi le luci di una sala operatoria, una delle molte che si affacciavano in linea continua sul laboratorio stesso. Quando le porte dell'angusto locale a cubicolo si aprirono, il dispositivo a sella che costituiva la parte materialmente operante del medirobot apparve brevemente alla vista. Finalmente uno degli assistenti della dottoressa Zador la informò timidamente che tutto era pronto. La giovane sposa del premier sorrise con stanca energia e annunciò che, con suo rammarico, sarebbe sparita per qualche minuto dalla, scena. Ma il pubblico le avrebbe certamente perdonato quei pochi momenti di privacy in sala operatoria nelle mani, per così dire, di una macchina e di un supervisore attentamente scelto: un'altra Fred Saberhagen
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incombenza che la dottoressa Zador sembrava decisa ad avocare a sé, visto che procedeva verso la sala operatoria chiacchierando amabilmente con la celebre visitatrice. Quest'ultima, gentilmente indirizzata nella giusta direzione che la allontanava dal grande ingresso presso cui era rimasta tutto il tempo, sembrò sul momento alquanto perplessa e spaesata. Udendo un vago mormorio salire dai suoi colleghi, Hoveler comprese di non essere il solo a provare per lei una vaga, protettiva compassione. Quando lady Genevieve entrò in sala operatoria, la sua addetta alle Pr si sistemò davanti alla doppia porta oltre la quale era sparita la sua cliente e iniziò un breve discorso che illustrò la necessità per i piani di colonizzazione di gesti spontanei come quelli. Lo scopo, naturalmente, era coprire il "buco" di pochi attimi lasciato nella trasmissione dal vivo dalla momentanea scomparsa della first lady. Scuotendo la testa, Hoveler sedette di nuovo al suo banco di lavoro. Ma ignorare del tutto il trambusto nel laboratorio risultò impossibile, e presto dovette rassegnarsi a rinviare la continuazione del suo esperimento a dopo la partenza dei visitatori. Appoggiandosi allo schienale della sedia, sorrise vagamente in direzione della sala operatoria in quel momento occupata. Gli sarebbe piaciuto assicurare alla speciale donatrice che le operazioni mediche previste dalle "tecniche di sicuro trattamento della gravidanza extrauterina" erano limitate al minimo, e con il miglior equipaggiamento e il miglior supervisore disponibili non avrebbero implicato altro che un momentaneo disagio. Ma senz'altro tutto questo le era già stato ripetuto fino alla noia dai suoi collaboratori. Infatti pochi minuti dopo l'operazione si concluse e lady Genevieve Sardou, l'amata moglie del presidente, ricomparve sorridendo sulla soglia della sala operatoria, stanca ma felice. La dottoressa Zador però era rimasta alla consolle di supervisione; Hoveler si augurò che stesse solo approfondendo i dettagli dell'operazione per accertarsi della sua perfetta riuscita. L'insorgere di una qualsiasi complicazione sarebbe stato, in effetti, un vero disastro per tutti. Intanto l'eminente visitatrice, ancora sorridente nel suo elegante abito bianco che indossava come se non lo avesse mai tolto, compiva ogni sforzo per non mostrare alcun segno di malessere. Le dichiarazioni ripresero a fioccare, assieme alle strette di mano e alle interviste. La maggior parte di ciò che disse, e delle domande che le vennero rivolte, fu Fred Saberhagen
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una ripetizione di quanto detto prima. A un certo punto sembrò che l'addetta alle Pr dell'illustre ospite avesse deciso di prendere in mano il filo delle interviste, mentre lady Genevieve si limitò a emettere i suoni giusti cercando di risultare piacevole. In questo la moglie del premier era naturalmente portata, pensò Hoveler. Ma agli occhi di molti dei presenti non poté evitare di risultare semplicemente smarrita. Ma un esame più accurato obbligò il bioingegnere a cambiare idea. Smarrita non era la parola giusta. Sicuramente sembrava un po' confusa dalla celebrità, forse fuori posto, ma non dava affatto un'impressione di debolezza. Ed era sicuramente molto attraente, sissignore. Grazia e femminilità erano parti integranti di lady Genevieve. Era una donna giovane e snella, fisicamente minuta e con qualcosa di vivace nella personalità. Il suo viso e il colore della sua pelle sintetizzavano mirabilmente i tratti somatici di molte razze dell'antica Terra, con una vaga predominanza del carattere indonesiano. Ma era davvero felice di trovarsi lì? Era davvero deliziata, come stancamente ripeteva, di visitare quella che veniva definita senza adulazioni "la miglior struttura medica per la gravidanza extrauterina" di quel settore della galassia? Era davvero con gioia che aveva deciso di procedere a quella donazione molto particolare per sostenere le scelte del suo potente marito? Forse. Senza dubbio era una donna intelligente e Hoveler ebbe la netta impressione che non fosse facile farle fare ciò che non voleva. La risposta poteva essere molto più semplice: come in molti altri casi, la sua donazione nasceva dal puro desiderio di liberarsi dalle responsabilità di crescere un bambino. Poco dopo un intenso mormorio attraversò il laboratorio, seguito da un generale alzarsi e ondeggiare di olocamere e altri mezzi di registrazione e da una certa ressa per guadagnarsi la migliore posizione. Con la bocca coperta da una mascherina da chirurgo (un articolo puramente simbolico e mai usato: forse uno degli operatori presenti aveva chiesto alla dottoressa di indossarla a beneficio delle masse) Anyuta Zador emerse dalla sala operatoria e con un largo sorriso levò verso l'alto un piccolo contenitore in vetro infrangibile che presumibilmente conteneva l'ultimo colono, o piuttosto protocolono, incapsulato per una conservazione a lungo termine Fred Saberhagen
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in soluzioni organiche. Il contenitore era lungo quanto una mano umana, piatto e rettangolare come una mattonella e di un profondo blu azzurrato; su un lato, una stretta striscia mostrava il codice identificativo. Su richiesta dei giornalisti e degli operatori presenti la dottoressa alzò ancora una volta lo zigote incapsulato, affinché tutti potessero filmarlo e ammirarlo. All'improvviso, mentre l'eccitazione andava scemando, uno degli oloschermi della biostazione prese a richiamare l'attenzione di qualcuno, di chiunque. Inizialmente nessuno sentì nulla; poi, il debole suono pulsante attrasse l'attenzione di Hoveler, che lanciò una distratta occhiata al più vicino apparecchio. Guardandosi intorno, il bioingegnere si accorse di essere praticamente l'unico vicino al proiettore olografico, una sorta di lucente ceppo elettronico che spuntava dal pavimento del laboratorio; nessun altro sembrava aver fretta di rispondere alla chiamata. Appena stabilì il contatto, la voce elettronica del servizio comunicazioni, uno dei molti servizi gestiti autonomamente dall'intelligenza artificiale che organizzava la vita della biostazione, gli annunciò educatamente l'arrivo di una chiamata per l'illustre visitatrice. — Non è possibile attendere ancora un po'? — No. Si tratta di una chiamata urgente — replicò la voce elettronica. Una strisciante insistenza nel tono di quelle parole gli fece pensare che potesse trattarsi di una chiamata del presidente Dirac in persona, o di qualcuno dei suoi collaboratori. — Bene. Attenda un attimo — disse allora. Assumendo un portamento quanto più dignitoso possibile e cercando di limitare l'impaccio della sua alta statura, Hoveler si fece largo attraverso la piccola folla gelosamente accalcata fino a giungere abbastanza vicino a lady Genevieve da poterla avvisare della chiamata senza dover alzare apertamente la voce. Gli occhi intelligenti della giovane donna si volsero immediatamente su di lui, curiosi, fin dalle prime parole del suo messaggio. Vista così da vicino sembrava in qualche modo ancora più attraente. Con un filo di voce, lei commentò che non poteva trattarsi di un messaggio di suo marito poiché, per quanto ne sapeva, si trovava ancora ad anni-luce di distanza. Scusandosi frettolosamente con coloro che la circondavano, lady Genevieve mosse velocemente qualche passo verso il più vicino oloschermo. Hoveler vide la macchina proiettare la testa e le spalle, in apparenza solide e reali come se la persona stessa si trovasse in quel momento nel Fred Saberhagen
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laboratorio, di un uomo giovanile e alquanto marziale che indossava una divisa di tipo militare e portava sul colletto aperto le insegne di pilota spaziale. Gli occhi dell'uomo guardarono fisso lady Genevieve e la sua testa si mosse in un cenno disinvolto per salutarla: un gesto ai limiti dell'arroganza. La sua voce risuonò raucamente: — Nicholas Hawksmoor, pilota e architetto. Al suo servizio, milady. Quel nome sembrò subito vagamente familiare a Hoveler. Aveva sentito parlare di quell'uomo, ricevendone l'impressione che fosse un agente speciale del presidente. In ogni caso, quella era la prima volta che lo vedeva. Dalla sua immagine olografica sembrava, doveva ammetterlo, un tipo abbastanza interessante. Lady Genevieve guardò il suo interlocutore come se non lo conoscesse affatto. E dando corpo a quello che fu il sentimento generale, la sua risposta fu alquanto scostante. Hoveler continuò a osservare e ad ascoltare ma nessun altro, tranne naturalmente colei a cui era rivolta la chiamata, prestò più molta attenzione al dialogo tra i due. Con poche frasi eleganti Hawksmoor spiegò di aver parlato con il presidente pochi giorni prima e di aver ricevuto l'incarico di portarle i suoi saluti. — La ringrazio, signor Hawksmoor. C'è altro? — Dal mio punto di vista sì, milady, c'è decisamente dell'altro — ribatté l'ufficiale. Il suo tono era calmo, impertinente. — Le interessa l'architettura, per caso? Lady Genevieve sbatté le palpebre. — Solo in generale, immagino. Perché? — Perché mi trovo in questo sistema, naturalmente per ordine del presidente, per studiare le soluzioni architettoniche qui adottate per le stazioni spaziali. In tal modo spero di poter apportare un valido aiuto al progetto finale delle astronavi coloniali da costruire quando tutto sarà pronto per la grande espansione. — Nobile e importante proposito, il suo. — Già — fece Hawksmoor, mordendosi pensierosamente il labbro per qualche istante. Poi domandò, con voce più calma: — Ha mai sentito il presidente parlare di me? — Sì — rispose vagamente lady Genevieve. — Dove si trova in questo momento, Nick? Mi consente di chiamarla Nick, vero? Fred Saberhagen
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— Con molto piacere, milady. — La sfacciataggine era ormai completamente scomparsa dai suoi modi; era come se un'innata arroganza avesse lasciato spazio a qualche sentimento più profondo. Nick riferì a lady Genevieve che sedeva in quel momento alla consolle centrale della piccola astronave con cui generalmente si muoveva e che utilizzava per il suo lavoro. L'interesse di Hoveler era stato catturato dall'illustre ospite fin dalla sua prima apparizione nel laboratorio, cosa abbastanza naturale per lui; ma adesso una curiosità più personale cominciava a fare capolino. I suoi occhi continuarono a fissare l'immagine olografica. Come già altre volte, non pensò di essere indiscreto neppure per un attimo. Quanto era interessante osservare il modo con cui quel baldanzoso Nicholas, chiunque fosse, e la giovane lady Genevieve si guardavano fissi negli occhi senza lasciarsi neppure per un attimo, come se entrambi sapessero che qualcosa di molto speciale era destinato a sbocciare tra loro! E fu proprio in quel momento che la sirena del primo allarme risuonò nel laboratorio. Hoveler, dotato del dono (o del difetto) naturale di cadere in una concentrazione pressoché totale, non si accorse subito del sordo rumore. Anche lady Genevieve non reagì affatto al nuovo, remoto segnale. D'altro canto, per lei poteva anche trattarsi di un nuovo suono che si aggiungeva al costante ronzio di quel luogo sconosciuto. L'intero sistema di Imatra era definito sicuro, come le promozioni ufficiali ricordavano fino alla nausea, e quindi si era deciso di mantenere pericolosamente discreta la sirena dell'allarme generale di primo livello. Per molti secondi tutti nel laboratorio poterono ignorare comodamente l'allarme. Poi, quando finalmente qualcuno decise di dargli qualche peso, il commento generale fu che si trattava di un'altra inutile esercitazione militare, decisa tra l'altro in un momento particolarmente inopportuno. Però, come Hawksmoor fece notare prima di chiunque altro, la sirena che udiva era un vero e proprio allarme generale per un attacco di sorpresa; non fece alcun commento sulla tardività della loro reazione, o forse non ci pensò. Un minuto abbondante era più che sufficiente nello spazio per farsi comodamente distruggere. — Chiedo scusa, milady — disse quindi Nick a lady Genevieve. Un secondo dopo la sua immagine svanì bruscamente. Il cuore di tutti batteva con i secondi. Lady Genevieve aspettò composta, domandandosi Fred Saberhagen
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vagamente e senza molto interesse che problema poteva mai essere sorto per spingere il baldanzoso pilota a chiudere la conversazione così. Per un attimo i suoi occhi, silenziosamente interrogativi, guardarono Hoveler. Lui comprese che la giovane donna si stava chiedendo se attendere o volgere le spalle al proiettore e tornare al suo ruolo ufficiale. Ma molto presto, nemmeno dieci secondi dopo, una sirena d'allarme notevolmente più lacerante prese a rimbombare nella vasta sala, cancellando definitivamente ogni speranza di pace e di tranquillità. Questo era un suono che non poteva venir ignorato. La gente reagì con stizza, e al contempo con preoccupata curiosità. — Possibile sia solo un'esercitazione? Ma cosa... Hoveler udì qualcuno rispondere, qualcuno che pronunciò impallidendo le temute parole: — No. Non è un'esercitazione. E un attimo più tardi giunse l'altrettanto temuta conferma. Un'esplosione nello spazio circostante investì la struttura esterna della biostazione con un'onda d'urto frontale tanto potente da far vibrare il metallo come un gong. I generatori di gravità artificiale arrancarono per un istante o due, mollando per qualche secondo la presa e proiettando verso l'alto tutti i presenti nel laboratorio. La dottoressa Zador raggiunse il più vicino videofono per mettersi in contatto con il cervello optoelettronico della stazione. Poi si volse verso l'eminente donatrice con occhi spalancati, e fissandola con le sue iridi azzurre le disse: — Un'astronave è stata distrutta a qualche centinaio di chilometri da qui. Credo che fosse la sua astronave. Il pilota deve aver tentato la fuga quando ha visto... La sbalordita dottoressa si interruppe. L'illustre ospite la guardò in silenzio con un vago sorriso sulle labbra, ovviamente incapace di capire. Ma in effetti tutti sembravano incapaci di capire. La terribile verità non poteva venir rapidamente accettata da un gruppo di scienziati che rivolgevano quotidianamente la loro attenzione a cose ben diverse. Altri lunghi secondi dovevano passare prima che quella verità si facesse strada nella coscienza collettiva. E quando questo avvenne, tutti si guardarono attoniti in un gelido silenzio, molti respirarono profondamente... e poi il panico fu generale. Un attacco berserker. mai avvenuto nel sistema di Imatra, stava veramente per accadere minacciando l'esistenza di qualunque cosa vivesse. — I berserker! — gridò una voce solitaria, dando corpo alle paure di Fred Saberhagen
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tutti. No: un berserker, come si premurò di chiarire un attimo più tardi l'inamovibile voce elettronica del servizio comunicazioni in uno strano tentativo elettronico di sembrare rassicurante. Ma a chiunque potesse ascoltare in quel momento non interessava affatto conoscere il numero di volti e di forme assunto dalla morte in avvicinamento. L'intera biostazione cadde in preda al panico più completo e disperato. Prima che lady Genevieve potesse muoversi dal punto in cui si trovava, l'immagine di Nick tornò a occupare il centro dell'oloschermo. Affrontando con fermezza la first lady, che ora lo guardava paralizzata dal terrore, Hawksmoor cercò rapidamente di elaborare una succinta strategia di fuga, basata soprattutto sulla sua presunta abilità di pilota. — Milady, la sua astronave è irrimediabilmente persa. Ma io mi trovo molto vicino, e raggiungerò la stazione in meno di un minuto. Non si faccia prendere dal panico: le ripeto che sono un ottimo pilota. — La mia astronave è stata distrutta? — Sì, milady, e tutti coloro che si trovavano a bordo sono morti. Ma ora sto iniziando il rendez-vous con la stazione. — Tutti... morti? La fredda immagine nel fascio di luce emanava un senso di notevole competenza. Le sue parole incalzarono lady Genevieve, ordinandole in effetti cosa fare. Doveva cercare una certa camera stagna numerata, che poteva raggiungere seguendo attentamente la strada che le aveva spiegato. — Lei si trova adesso sul ponte centrale, al centro del laboratorio. Chieda a qualcuno se è così. La first lady si guardò attorno chiedendo conferma. Il suo sguardo impotente incontrò quello di Hoveler, che annuì meravigliandosi del proprio inaspettato sangue freddo. Volgendosi nuovamente verso l'oloschermo, lady Genevieve rispose mestamente: — Sì, credo di sì. L'immagine di Nick nel fascio di luce le diede nuove, precise istruzioni. La sua astronave si sarebbe ancorata all'esterno di quella camera stagna prima che lei potesse raggiungerla. Doveva andare, senza indugiare neppure per un attimo. Il suo messaggio si concluse così: — Porti con lei tutta quella gente. A bordo ho abbastanza spazio. Porti tutto il personale del laboratorio: non Fred Saberhagen
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possono essere in molti. Intanto Hoveler, vincendo la sorpresa per quell'attacco da sempre ritenuto impossibile, cominciò lentamente a ricordare le procedure di emergenza tanto spesso svogliatamente praticate durante le esercitazioni. Il compito a lui affidato in un ipotetico attacco berserker era di sovrintendere alla progressiva disattivazione delle macchine semi-intelligenti che svolgevano quasi tutto il lavoro del laboratorio. Spettava a lui curare la temporanea cessazione degli esperimenti e l'opportuno stivaggio di tutti gli strumenti. Determinato ad agire come meglio poteva, il bioingegnere cominciò subito a seguire le istruzioni ricevute a suo tempo. Non erano grandi cose, perlomeno non ancora, e poteva farle continuando tranquillamente a seguire la comunicazione tra la first lady e colui che a parole era il miglior pilota del presidente. Un'altra persona da tenere d'occhio era la giovane dottoressa Zador. Con qualche ansia si disse che la responsabilità delle difese spettava a lei a partire dal primo suono d'allarme, in quanto momentaneamente responsabile del laboratorio. Ma Anyuta non aveva mai avuto a che fare con un vero attacco berserker e Hoveler temette di vederle saltare i nervi, anche perché la prima cosa che fece fu rifiutare l'aiuto di Hawksmoor che sembrava l'unico a sapere davvero cosa fare. Infatti sull'oloschermo era comparso un altro volto sconosciuto che chiamava a gran voce chiunque fosse al comando della biostazione. Hoveler ascoltò la conversazione controllando al contempo lo svolgimento del proprio lavoro. Era una chiamata da una navetta poco distante, un cargo con equipaggio umano in regolare volo di rifornimento verso la stazione spaziale. Il pilota si stava offrendo volontariamente di tentare un rendez-vous per evacuare il personale e gli scienziati. Era l'unica loro speranza, in quanto la stazione non poteva muoversi da sola perché sprovvista di motori interstellari propri. Ma lui poteva raggiungerli in meno di mezzo minuto. — Accettiamo — disse la giovane responsabile con decisione. — Rendez-vous alla camera stagna numero tre. — Un attimo più tardi, dopo aver posato l'ultimo e il più famoso protocolono sulla piatta consolle di Hoveler guardandolo come per dire: "Ci pensi lei", la dottoressa si precipitò verso lady Genevieve. Hoveler vide Anyuta prenderla per un Fred Saberhagen
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braccio e trascinarla con decisione in un corridoio diverso da quello raccomandato da Nick. Intanto il caos nel laboratorio era totale, con gente che correva avanti e indietro per i corridoi e i visitatori che correvano confusamente in tondo. Un attimo più tardi la dottoressa Zador era in piedi accanto a Hoveler, la sua attenzione rivolta nuovamente all'oloschermo. — Hawksmoor! — chiamò. — Dottoressa? — rispose educatamente l'ufficiale. — Sono io la responsabile delle difese. — Molto bene, signora. Mi dica. — Le ordino di cessare ogni tentativo di avvicinarsi alla stazione. Un'altra astronave è pronta a evacuare tutto il personale alla camera stagna numero tre — affermò, e una veloce occhiata a un indicatore confermò le sue parole. — Le ordino invece di impegnare il nemico come può. — Non sono armato — replicò Nick calmo e fermo come sempre. — Non mi interrompa! Se non è armato, cerchi di distrarli puntando su di loro! — Sì, signora — rispose Nick seccamente, senza alcuna percettibile esitazione. Di nuovo la sua immagine svanì dal fascio di luce. "Annie, ma che diavolo stai facendo?" si chiese Hoveler meravigliandosi per quell'ordine e per la risposta di Nick, l'ordine imperioso e la calma accettazione di lanciarsi verso morte certa. Stava accadendo qualcosa che non capiva fino in fondo, ma non aveva tempo di approfondire la faccenda in quel momento. Infatti in quel momento non doveva affatto pensare a ciò che accadeva fuori, nel gelido spazio. Hoveler e la dottoressa Zador, che il dovere e la naturale inclinazione avevano spinto a offrirsi volontari per restare al loro posto in caso di emergenza, si scambiarono qualche parola sul progresso dell'evacuazione generale. Ma a un certo punto Hoveler si sentì in dovere di azzardare un appunto personale. — Anyuta? La sua attenzione andava tutta a qualche problema tecnico, e lei non sembrò udirlo. Lui provò di nuovo, stavolta in modo più formale. — Dottoressa Zador? Ora sì che i suoi occhi si volsero su di lui. — Cosa c'è? — Posso suggerirle di lasciare la biostazione con gli altri? Tra un mese deve sposarsi. Non che sul cargo vi siano più possibilità di salvarsi, ma... Fred Saberhagen
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posso benissimo fare da solo il poco che si può fare. — Sono io che comando qui! — replicò lei con malcelata irritazione, tornando a osservare gli schermi. Vecchio amico e collega quanto si voleva, la temporanea responsabile della stazione non aveva alcuna intenzione di accettare tanta confidenza. Non in quel momento. Dopo aver rapidamente sgomberato il suo banco di lavoro, Hoveler tornò al posto di combattimento a lui assegnato che si trovava più o meno al centro del laboratorio, non distante dal posto della dottoressa Zador. Qui i regolamenti prevedevano l'installazione di speciali poltrone antiaccelerazione con bande di interfacciamento, ma come lo scienziato constatò amaramente l'intero, prezioso assieme era stato asportato mesi prima per qualche modifica tecnica e nessuno si era più curato di rimetterlo al suo posto. Ma la loro assenza non significava più di tanto, perché la biostazione era in grado di fare ben poco in termini di difesa autonoma. Il sistema di supporto vitale era progettato per viaggi interstellari anche di lunga durata e il laboratorio aveva visitato molti sistemi planetari dalla sua costruzione, avvenuta parecchi anni prima. La perfezione dei suoi sistemi interni contrastava però apertamente con la semplicità della sua propulsione spaziale: per muoversi si affidava infatti a speciali razzi ausiliari, oppure veniva trainata a velocità C-più. Ma anche questo importava poco in una situazione del genere. Anche se avessero potuto contare su un motore interstellare autonomo e di pronta attivazione, qualsiasi tentativo di fuga sarebbe risultato praticamente suicida per una massa tanto grande in partenza dalle profondità del variegato pozzo gravitazionale creato da una stella e dai numerosi pianeti che la circondavano. Tuttavia, con il berserker che si avvicinava a tutta velocità e si trovava ormai a soli pochi minuti da loro, qualcuno stravolto dalla paura dotato di qualche potere sul planetoide sotto di loro diede ordine alla dottoressa Zador di prepararsi a installare una coppia di razzi che sarebbero stati inviati non appena possibile. A questo suggerimento la responsabile della stazione rispose con quella che Hoveler ritenne una notevole calma viste le circostanze: anche se i razzi fossero stati già installati non aveva la minima intenzione di fare più danni dello stesso berserker precipitando su qualche pianeta. Non c'era Fred Saberhagen
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neppure un pilota qualificato a bordo! Inoltre era impossibile determinare con la rudimentale strumentazione della stazione le vere intenzioni del berserker, distante ancora molte migliaia di chilometri. Poteva puntare sulla biostazione come suggeriva la sua rotta, ma il sistema di Imatra conteneva due o tre pianeti molto più grandi e popolosi del pianetoide attorno al quale orbitavano, sui quali poteva falcidiare parecchi milioni di vite umane. Questi pianeti si trovavano oltre la stazione, nella sua stessa direzione per il berserker ma spostati verso il Sole di diversi milioni di chilometri. Le due persone alle quali il dovere imponeva di restare a bordo in ogni caso osservarono attonite la prima immagine del loro nemico ripresa dalle olocamere esterne. Hoveler, con nauseata ammirazione, si accorse in effetti di non poter guardare da nessun'altra parte. I due contemplarono la mostruosa massa ovoidale crescere e delinearsi sempre più chiaramente attimo dopo attimo contro le nebbiose volute della nebulosa di Mavronari. Pareva proprio un mostro spaziale in procinto di avventarsi su di loro con cieca furia. Tra i mutevoli clamori dell'allarme, l'idea di accendere i motori secondari venne subito scartata dai due. Si trattava di propulsori poco potenti, concepiti per le correzioni orbitali. Lenta e relativamente difficile da manovrare, la biostazione non aveva la minima possibilità di sfuggire alla cosa che stava per piombarle addosso, neppure se fossero riusciti a proiettarla in avanti con moto costante. Nulla da fare per la biostazione, allora. Non restava che sperare che almeno l'evacuazione procedesse come sperato e che sia il cargo che l'astronave di Hawksmoor, entrambi piccoli e maneggevoli apparecchi, riuscissero a sfuggire ai colpi del nemico. Indirizzate dalla calma voce della dottoressa Zador, un gruppo di circa una trentina di persone tra cui tutti i visitatori e la maggior parte del personale mosse attraverso le varie sezioni della biostazione per raggiungere la camera stagna numero tre e salire sul cargo che li attendeva fuori. A un certo punto la voce del pilota risuonò per tutta la stazione facendo ansiosamente fretta alla gente e annunciando che in breve tempo sarebbe ripartito per i pianeti centrali del sistema, verso la protezione offerta dalle loro difese. Mentre le due voci rimbombavano insieme nei corridoi, la gente faceva del proprio meglio per trovare la camera stagna giusta. La dottoressa Fred Saberhagen
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Zador, dai cui monitor si poteva vedere tutta la biostazione, fece in modo di dirigere a voce i più confusi; altri membri del personale si presero cura di aiutare i visitatori. Quando le cose sembrarono sotto controllo, la dottoressa Zador si collegò con il pilota del cargo ordinandogli di non ripartire fino a quando tutti non fossero saliti a bordo. — Uhm, va bene, dottoressa. Ma posso chiederle che intenzioni ha? Questa non è un'esercitazione, ma un vero attacco. La giovane donna guardò Hoveler con ironia. — Lo so da me che è un vero attacco — ribatté. — Ecco perché noi due restiamo! Queste parole suscitarono un moto d'orgoglio nello scienziato, fiero per un breve istante di dividere con lei quell'onore. D'altro canto avere paura era completamente inutile, perché fuggire con il cargo poteva rivelarsi una scelta suicida anche se nessuno lo aveva ancora detto apertamente. E quello era anche il motivo per cui non aveva insistito più di tanto con Anyuta. Nulla era più davvero sicuro con i berserker in giro. La dottoressa Zador invece si era ben guardata dal suggerirgli di fuggire. Ovviamente aveva bisogno della sua assistenza. E finalmente fuori dalle porte del laboratorio le grida cessarono completamente. Pochi secondi ancora e il cargo avrebbe lasciato la stazione abbandonando i due scienziati solariani nell'immensa struttura quasi certamente condannata. Erano soli ormai, con la strana eccezione dei milioni di contenitori blu contenenti le prime scintille della vita umana e dell'improbabile sensazione di cameratismo che potevano ispirare. Hoveler e Zador si scambarono un'occhiata e attesero. Sul momento nessuno dei due trovò qualcosa da dire. A pochi metri da loro, la spaventosa figura del nemico proiettata nel falso spazio dell'oloschermo appariva sempre più grande nella sua carica velocissima e furiosa.
2 Mai prima di allora lady Genevieve aveva affrontato una situazione lontanamente simile a quella. Fino a quel giorno la sua breve vita era trascorsa nel cuore delle sicure regioni della galassia dominate dall'uomo, nei reami dello spazio solariano sulla cui prosperità vigilavano la Flotta spaziale, i Templari e gli eserciti locali di un centinaio di nazioni diverse. Fred Saberhagen
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In quelle regioni i berserker non erano nulla più di improbabili mostri, demoni usciti dalle più oscure leggende della frontiera. Il suo fidanzamento e il successivo matrimonio, a cui erano seguiti altri importanti eventi, l'avevano però pian piano avvicinata a quel mondo di leggenda fino al punto di ritrovarsi a correre a rotta di collo giù per un buio corridoio per salire pigiata tra la folla su un'astronave sconosciuta, con le ultime certezze di sicurezza personale mandate in frantumi da una gomitata tiratale dalla sua addetta alle pubbliche relazioni in isterica ricerca di un po' di spazio. Decine di persone, praticamente tutti coloro che si trovavano a bordo della stazione, percorsero quello stesso corridoio come una mandria di bufali impazzita. Le urla e la frenetica agitazione li facevano sembrare trecento invece di trenta. Quella che pochi minuti prima era una composta assemblea di scienziati e personalità varie si era trasformata in una folla isterica in preda a un'agitazione incontrollata, in bilico tra la totale confusione e il cieco terrore. Il bioingegenere Hoveler si ricordò improvvisamente di aver visto lady Genevieve lasciare il laboratorio a grandi passi, muovendosi in mezzo ai suoi aiutanti come se venisse spinta da loro. Era uscita dal laboratorio e aveva preso la direzione indicatale dalla dottoressa Zador, verso l'astronave che rappresentava la sola possibilità di fuggire da lì. Nel frattempo, in qualche remota sezione della biostazione uno stentoreo allarme mai udito prima cominciò ritmicamente a pulsare. I due scienziati incaricati di restare e mantenere il controllo del laboratorio commentarono a lungo il momento in cui, confusa e spaventata, la moglie del premier aveva accennato a tornare indietro per venir portata a forza oltre la porta. Notando la sua esitazione, una delle sue guardie del corpo l'aveva sollevata di peso affrettandosi verso il piccolo cargo in attesa. Dibattendosi, la giovane sposa aveva gridato qualcosa come: — Il mio bambino! E così ora diventa improvvisamente un bambino, pensò Hoveler. Dieci minuti prima quel microscopico ammasso di tessuto organico dal quale si era spontaneamente separata era una donazione, solo uno zigote, un protobambino. Ma la madre mancata se n'era andata, e lui non aveva un attimo di più per pensare a lei o alle sue stranezze. Anche la first lady comprese, qualche secondo dopo il momentaneo Fred Saberhagen
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tentativo di tornare indietro, che il suo impulso materno non aveva senso. Lasciare suo figlio e vivere praticamente separata da suo marito era esattamente ciò che si aspettava. Ma adesso... naturalmente non si era mai aspettata di trovarsi nel mezzo di un attacco berserker. Razionalmente, e se ne rendeva perfettamente conto, non c'era motivo di credere che il microscopico grappolo di cellule ora sigillato in un asettico contenitore sarebbe stato più sicuro nelle sue mani che alla biostazione, ovunque i dottori lo avessero riposto. Probabilmente si trovava già in qualche deposito. Tuttavia qualche misterioso istinto spinse lady Genevieve a compere un nuovo sforzo per tornare indietro. Fermata un'altra volta, si voltò e riprese a correre, e da quel momento in poi tutti i suoi pensieri e le sue energie vennero assorbiti dalla lotta per la sopravvivenza. Nessuna delle persone che urlavano e spingevano per entrare per primi nella camera stagna aveva evidentemente eseguito delle esercitazioni in passato. La scena tradiva paura ed egoismo, ma il cargo era davvero capace e i posti bastavano per tutti. Non c'era motivo di comportarsi così. Pochi attimi più tardi anche l'ultima persona entrò dal portello di ingresso e il cargo, che naturalmente aveva chiamato aiuto per la biostazione e per se stesso, iniziò a sganciarsi dal portello stagno. Qualche secondo dopo il pilota, i cui nervi non sembravano all'altezza della situazione, senza curarsi di fare alcun appello e probabilmente convinto che di mille vite la sua fosse sempre la più importante, fece velocemente ruotare su se stessa l'agile navetta e partì come un missile cercando scampo nello spazio aperto oltre il planetoide. Intanto le numerose persone appena entrate cominciarono a sparpagliarsi per la piccola sala comune tremando di gratitudine, parlando e camminando in un campo gravitazionale tornato stabile in modo quantomai rassicurante. Alcuni si affrettarono a sistemarsi sulle poltrone antiaccelerazione disponibili, che avrebbero offerto loro qualche protezione contro le possibili cadute di gravità artificiale. Tutti, in ogni caso, tirarono un respiro di sollievo. Per circa un minuto dopo la separazione del cargo dalla stazione spaziale, lady Genevieve condivise con gli altri una certa euforia. Tutti cominciarono a provare la gloriosa, innocente certezza di essere ormai al sicuro. Fred Saberhagen
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Lady Genevieve stava dicendo qualcosa a uno dei membri del suo staff, lamentando forse l'asprezza con cui la guardia del corpo l'aveva portata via dal laboratorio o la villania della sua addetta alle Pr per quella gomitata, oppure scusandosi a sua volta per come si era comportata, quando arrivò la scarica fatale. Questa fece sembrare la precedente esplosione, udita attraverso il solido scafo della biostazione, un vago brontolio. Fu un vero disastro. Le parole le si fermarono in gola; il mondo intero si dissolse in una confusa immagine di shock e di terrore. E lady Genevieve perse i sensi e cadde a terra. Quando riprese coscienza, qualche attimo più tardi, la giovane donna si guardò confusamente attorno attraverso un'atmosfera divenuta fredda e vaporosa per la subitanea, turbinante e nebbiosa depressurizzazione. Ricordando gradualmente dove si trovava, osservò con attenzione le pareti attorno a sé sperando di vedere qualche tuta spaziale. Ma se c'era, non era in quella sala. Pensò di cercarla da qualche altra parte a bordo, ma poi ricordò di non avere la minima idea di come indossarla da sola. Stordita, vagamente cosciente del dolore che provava alle braccia e della difficoltà con cui respirava sotto un forte peso che sembrava schiacciarle il petto, lady Genevieve si liberò delle cinghie che l'assicuravano al sedile. Solo in quel momento si accorse che la gravità artificiale era terribilmente bassa, come se i generatori stessero rapidamente disattivandosi. Luci di emergenza lampeggiavano da tutte le parti. A fatica si trascinò da una parte all'altra della piccola sala comune, constatando come in sogno che era l'unica a muoversi attivamente in giro. Corpi del tutto inerti fluttuavano un po' dappertutto muovendo verso l'interno del cargo, verso il ponte centrale, per fermarsi a contatto della parete e precipitare lentamente nell'evanescente gravità. Sulle poltrone antiaccelerazione, braccia e gambe si agitavano debolmente accompagnate da lunghi e fievoli lamenti. La first lady contemplò attonita quella scena disperata, ascoltando con terrore il secco sibilo dell'aria che si disperdeva nello spazio uscendo da qualche squarcio nello scafo più velocemente di quanto i serbatoi di emergenza potessero reintegrarla. Genevieve si voltò con l'intenzione di raggiungere il ponte centrale, convinta che la cabina di pilotaggio dovesse per forza trovarsi da quelle parti. Qualcuno, umano o computer, doveva pur continuare a controllare il Fred Saberhagen
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cargo e lei e tutti gli altri passeggeri avevano un tremendo bisogno di aiuto. Ma per qualche ragione, la paratia mobile che chiudeva la piccola sala comune non si aprì. Una finestrella di vetro infrangibile le consentì di lanciare un'occhiata fuori e di contemplare una scena di morte e rovina. E ancora l'aria continuava a uscire con quel sibilo vago e penetrante. Per fortuna il sistema di emergenza era entrato in funzione mantenendo accettabile pressione e temperatura, ma si trattava solo di un momentaneo rinvio. Ormai tutt'intorno a lei, sopra e sotto (anche se questi termini stavano rapidamente perdendo significato) fluttuavano i corpi dei morti e dei feriti, mentre qualcun altro tentava come lei di liberarsi faticosamente dalle cinghie che lo legavano. Ma ancora non c'era modo di trovare delle tute spaziali, di respingere ancora a lungo l'assalto del freddo vuoto che circondava da ogni parte il loro fragile guscio metallico. Qualche macchina si attivò e si mosse. Poteva sentirne i rumori al di là della paratia mobile che imprigionava lei e i suoi sfortunati compagni. E finalmente, da qualche parte giunse la voce del pilota automatico che pronunciò poche, rassicuranti parole per poi tacere. Poi la voce tornò ripetendo due volte lo stesso, insulso messaggio: — Signori passeggeri, la situazione è tornata sotto controllo. Vi preghiamo di sedere ai vostri posti e di allacciare le cinture. Grazie. — Poi, di nuovo tutto tacque. Tendendo le braccia doloranti, Genevieve afferrò un paio dei suoi compagni di viaggio che fluttuavano attorno a lei, vivi ma sotto shock, e cercò di parlar loro chiedendo consigli e fornendo qualche rassicurazione. Ma ogni tentativo di comunicare risultò drammaticamente vano. Respirare le faceva sempre più male. Passando freneticamente da un sedile all'altro, Genevieve si rese conto nello stordimento di uno shock sempre maggiore che le sue guardie del corpo, la sua Pr, i suoi collaboratori erano morti. E probabilmente nessuno dei pochi passeggeri ancora in vita stava meglio di lei. In effetti, nessuno di essi aveva ancora parlato a eccezione di qualche lamento. Dopo un breve intervallo in cui la giovane donna cercò di accettare il pensiero della morte in arrivo, un nuovo rumore giunse alle sue orecchie. Aprì gli occhi e strinse le dita a pugno compiendo ogni sforzo per scacciare dalla sua mente quel senso di leggerezza, quella strana euforia. Cos'era quel rumore? Qualcosa di reale, certo. Forse lo scafo stava cedendo del tutto. E dal nulla, o almeno così le parve, quella certezza tornò Fred Saberhagen
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alla sua mente: ora sapeva, davanti alla morte, che era stato uno sbaglio rinunciare a suo figlio. Ah, quella donazione! Se avesse rifiutato fin dall'inizio di cedere alle pressioni non si sarebbe trovata lì ma a casa, al sicuro. Di nuovo quel suono. Sembrava un rumore fatto di proposito, non il gemito di uno scafo che andava a pezzi. Qualcuno. o qualcosa, stava lavorando all'esterno del cargo cercando di entrare. Un attimo più tardi lady Genevieve, cercando di scacciare la nauseante sensazione di aver bevuto troppo vino che sapeva indicare una crescente anossia, pensò di aver distinto il rumore stridente di un'astronave che tentava l'aggancio con il relitto. Fluttuando tra i corpi fino a raggiungere il più vicino oblò, riuscì a vederne parte dello scafo. Procedeva affiancata a loro e si trovava davvero molto vicino. Di nuovo quel rumore, sempre più forte, e poi i fugaci bagliori di una fiamma ossidrica: qualcuno stava tagliando la parete esterna della piccola sala comune. E improvvisamente lo scafo cedette, ma senza alcuna micidiale fuga di atmosfera. Quasi perdendo i sensi per la felicità, vide entrare una figura umana vestita di una tuta spaziale che le parlò subito con voce rassicurante. Ormai Genevieve era più che stordita, pericolosamente estatica a causa della mancanza di ossigeno nel sangue dovuta ai livelli di pressurizzazione sempre più bassi. Era graffiata e dolorante ovunque, piena di lividi come mai lo era stata. In ogni caso, non stava male al punto da non potersi lanciare attraverso il piccolo locale e piantare un gran bacio sul vetro dell'elmetto del suo soccorritore. E fu solo un effetto dei suoi sensi smarriti o davvero la vista mancò di cogliere il volto dietro l'elmetto? Al posto di due occhi sorridenti, solo il riflesso delle luci sul cristallo della visiera. La risposta al suo bacio sull'elmetto fu un attimo di sbigottita esitazione, di sorpresa. Poi due braccia robuste la cinsero gentilmente, avvicinandola protettivamente all'uscita. Dal microfono sulla tuta spaziale vennero le stesse parole udite prima alla biostazione. — Nicholas Hawksmoor al suo servizio, milady. Liberandosi dal suo abbraccio, lei domandò ansiosamente: — Pensa che Fred Saberhagen
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ce la faremo a uscire di qui? Non ho la tuta spaziale! Ho cercato di fare qualcosa, ma... — Grazie a Dio sta bene, milady. Non si preoccupi. Ormai è salva. E in quel momento tutto ciò che restava della sua vita nuovamente salvata, del suo fioco barlume di speranza, esplose con un immenso boato. Nel frattempo Hoveler e Anyuta, che avevano quasi terminato lo stivaggio degli esperimenti e del materiale, utilizzavano ogni momento lasciato libero dalle loro mansioni per seguire con gli strumenti la progressione dell'attacco berserker. In questi intervalli di terrorizzata osservazione, i due sovrintendevano anche alle riparazioni robotizzate del sistema di supporto vitale. Non potevano fare nulla per difendere la biostazione, progettata per orbitare in sistemi ben lontani dalla frontiera e pertanto non dotata di armi o di scudi protettivi propri. Per fortuna fino a quel momento avevano riportato solo danni secondari. Per molte volte i due volontari rimasti di guardia al loro posto espressero ad alta voce la speranza che il cargo fosse riuscito ad allontanarsi indenne. Non aveva inviato alcun messaggio da quando era partito. E un paio di volte la dottoressa Zador si chiese che successo aveva avuto quell'Hawksmoor con la manovra diversiva che gli aveva ordinato di compiere. Hoveler pensò allora di chiederle il motivo di quell'ordine, ma ancora una volta decise che quella domanda poteva aspettare. In ogni caso il successo o meno dell'attacco berserker non sarebbe certamente dipeso da Hawksmoor, si disse Hoveler. Il planetoide attorno cui orbitavano, Imatra, era dotato di difese abbastanza forti e il laboratorio si trovava nel loro raggio d'azione. Tuttavia le manovre di Hawksmoor potevano facilitare il compito di due astronavi militari abbastanza vicine da intervenire immediatamente, pronte a ingaggiare battaglia con il grande berserker. E difatti le batterie di terra e le due astronavi, come venne più tardi ufficialmente ricordato, offrirono una valorosa resistenza all'improvviso e micidiale assalto. Ma i successivi eventi provarono che il nemico era troppo forte. I difensori guardarono impotenti quel singolo, gigantesco berserker farsi beffe del loro fuoco e proseguire sulla sua traiettoria ovviamente calcolata per intercettare proprio la biostazione. I computer diedero per certa la sua Fred Saberhagen
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immediata presenza nei pressi della struttura umana in meno di un minuto standard. La successiva, impotente ricerca di Hoveler sullo schermo olografico più vicino mostrò un improvviso mutamento nell'immagine della morte all'assalto, che sembrò proiettare avanti a sé numerosi, piccoli frammenti. Questo poteva solo indicare che aveva espulso delle unità più piccole... oppure erano dei missili sparati su di loro? Scuotendo la testa, si chiese come mai sull'orlo della distruzione trovava tanto interessanti simili dettagli. Anche se i due scienziati rimasti sul laboratorio non poterono accorgersene appieno, le difese di terra del planetoide vomitarono un vero inferno di fuoco sul nemico in avvicinamento, missili e raggi che incendiarono ampi settori di spazio distruggendo diverse unità d'assalto. Ma non molto dopo qualsiasi batteria aprisse il fuoco veniva istantaneamente distrutta, messa fuori combattimento dalle armi molto più micidiali del grande berserker. E le due astronavi che tanto coraggiosamente si erano opposte alla sua avanzata vennero presto polverizzate, ridotte a nubi di vapori metallici in veloce espansione con tracce di materia organica. Delle quattro astronavi militari assegnate al sistema di Imatra ne rimanevano due, ma solo una di esse era abbastanza vicina da poter convergere sul nemico in rapida avanzata. Il coraggio comunque non mancava al suo comandante e neppure al suo numeroso equipaggio. Portandosi rapidamente a tiro, quest'ultimo bastione delle difese umane aprì il fuoco con tutta la sua potenza sul gigantesco avversario e sulle numerose unità d'assalto espulse nell'ultima fase della veloce avanzata. Ma nessuna delle armi a disposizione dei solariani in quel momento era in grado di contrastare un simile nemico, anche se risultava impossibile stabilire i loro effetti sul berserker. E ormai non si potevano più nutrire dubbi sul vero obiettivo di quell'attacco: gli occhi di tutti videro la gigantesca massa del berserker, quasi sferica ma dal profilo vagamente frastagliato e avvolta dalla luminescente corona creata dal suo scudo difensivo, frenare la sua avanzata a poche centinaia di chilometri dalla biostazione e avanzare piano verso di essa sovrastandola sempre più, per poi allinearsi con pochi, agili spostamenti alla sua orbita lenta e impacciata. Fred Saberhagen
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Poco prima, Daniel Hoveler aveva abbandonato il suo posto dopo aver eseguito le inutili procedure prescritte dal manuale per simili eventualità, considerate remotissime fino a un'ora prima. Annie lo guardò allibita andare via, richiamandolo bruscamente al suo posto.,— Dove crede di andare, dottor Hoveler? Lui le rispose: — Tornerò presto — lanciandole un'occhiata da sopra la spalla. L'unico modo per evitare che i berserker si vendicassero su Anyuta per ciò che aveva intenzione di fare era non dirle assolutamente nulla. Uscendo dalla sezione laboratorio prese un veloce ascensore che lo portò al livello in cui si trovava il salone di controllo del computer centrale della biostazione. Anyuta lo richiamò nuovamente indietro esigendo di sapere dove andava, ma lui rifiutò apertamente di rispondere. Di nuovo si disse che era meglio per lei restare all'oscuro di tutto. Il suo piano, invero molto semplice, era trovare il modo di cancellare il file-archivio con cui il computer teneva traccia dell'enorme numero di zigoti conservati nei depositi. Ma mentre avanzava lungo il corridoio udì Anyuta chiamarlo insistentemente dagli altoparlanti. Allora decise di rispondere, senza però rivelare nulla delle sue intenzioni. Un vago istinto, probabilmente irrazionale, gli diceva che forse i berserker stavano ascoltando le sue parole. Il sistema di controllo interno riusciva a localizzarlo senza difficoltà, e quindi la conversazione tra Hoveler e Anyuta continuò man mano che lui avanzava. Nessuno dei due si augurava altro che una morte rapida e indolore, ma entrambi, consci dello strano comportamento del grande berserker, temevano di andare incontro a un destino ben peggiore. — Daniel! — gridò a un certo punto Anyuta lasciando cadere ogni formalismo. — È... è la fuori, a poche centinaia di metri da noi. Daniel, non mi lasci sola! Cosa sta facendo? — Forse aveva paura che cercasse di nascondersi, o di fuggire senza di lei. Non riusciva a pensare con Anyuta che continuava a strillare, e in quel momento ne aveva un gran bisogno perché aveva raggiunto e aperto la porta del locale in cui era diretto. Forse non aveva molto senso mantenere segrete le sue intenzioni. Le avrebbe spiegato. — Non sto cercando di nascondermi, Annie. Voglio solo cancellare gli Fred Saberhagen
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zigoti da... — Cancellare gli zigoti? — lo interruppe lei, chiaramente in preda al panico. — Annie, non si è ancora chiesta come mai siamo vivi? È chiaro che il berserker vuole qualcosa che abbiamo qui nel laboratorio, qualcosa che gli serve intatto. Io credo che si tratti del nostro carico. — Daniel, i contenitori... — ribatté lei con voce che si spense lentamente. Per anni avevano lavorato insieme vivendo gomito a gomito, talvolta in contrasto su certi dettagli ma sempre convinti fino in fondo della validità del progetto di colonizzazione. Entrambi avevano deciso di dedicare le loro esistenze alla raccolta e all'eventuale sviluppo di quelle protopersone, sperando di vederle un giorno vivere una vita propria. E in quel momento ogni comunicazione con Anyuta Zador cadde. Ma Hoveler stava già rispondendo freneticamente ai quesiti del computer, cercando un modo di isolare la sezione dei suoi circuiti che curava la numerazione del prezioso carico senza provocare una reazione a catena che avrebbe investito anche altre delle mille funzioni assolte dalla macchina. Velocemente fece scorrere elenchi su elenchi di funzioni, richiamando al contempo su un oloschermo l'immagine diretta degli ampi locali climatizzati in cui venivano riposti i protocoloni, lotto dopo lotto di milioni di contenitori azzurrini. Nella sua mente si fece largo fugacemente l'idea che fosse perlomeno una pietosa concessione il fatto che loro non potessero provare dolore o paura. Vacillando per qualche agonizzante momento di dubbiosa indecisione, Hoveler continuò a guardare le immagini dei depositi in cui erano in sicurezza stivati gli zigoti. Per qualche istante il suo occhio vagò tra le file infinite di piccoli contenitori. Fila dopo fila, scaffale dopo scaffale, tutti sistemati uno sull'altro. Progettate appositamente per i protocoloni, quelle piccole mattonelle erano studiate per resistere a qualsiasi tipo di incidente, esplosioni incluse. Con un sobbalzo si ricordò della mattonella che conteneva il figlio del presidente. Annie l'aveva messa sulla sua consolle, di fatto affidandogliela... ma non ricordava di averla stivata, e neppure di avervi pensato anche solo per un attimo da quel momento in poi. La normale routine imponeva che venisse presa in consegna da uno dei robot assistenti, che l'avrebbe stivata nel luogo indicato dal computer centrale. Fred Saberhagen
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Ma viste le circostanze... Limitarsi a guardarle non avrebbe risolto nulla, comunque. Il tempo a disposizione per fare qualsiasi cosa andava drammaticamente riducendosi, e di questo era più che certo. Ma quei secondi di inesplicabile sopravvivenza si trascinarono fino a diventare minuti mentre Hoveler continuava, con sottile e disperata capacità, a cancellare tutti i file che facevano parte dell'indice del magazzino. E ancora i minuti di vita attiva continuavano inspiegabilmente a trascinarsi. Per qualche misterioso proposito il colpo finale tardava ad arrivare. L'immenso berserker trattava l'indifesa biostazione umana con una gentilezza davvero sorprendente. Ma in poco tempo sarebbe accaduto qualcosa di terribile, ne era certo. E poi, invece di un missile o di una scarica al plasma giunse una serie di rumori secchi e metallici la cui origine risultò subito chiara e terrorizzante. Hoveler cercò frettolosamente di finire ciò che aveva iniziato. Quel nuovo rumore indicava una sola cosa: una o più delle piccole unità uscite dal grande berserker si erano agganciate al laboratorio, preparandosi a entrare. Visto il tempo limitato e l'assoluta mancanza di strumenti e di un aiuto, distruggere i contenitori appariva un'impresa disperata quanto cercare di metterli in salvo. Pertanto, Hoveler concentrò tutte le sue energie sul tentativo di cancellare ogni informazione che servisse a determinare l'identità dei vari tipi di zigoti stivati nei depositi. Perché sembrava sempre più chiaro che il berserker non fosse lì per distruggerli, ma per rubarli. Lo scopo era certamente uno solo, anche se con i berserker non si poteva mai dire: far nascere e crescere un'intera generazione di schiavi umani, androidi di carne e ossa privi di intelligenza autonoma e utilizzabili sia come servitori che come ausiliari. Nel frattempo Anyuta Zador, paralizzata dal terrore al suo posto nel laboratorio, ascoltò la morbida voce del computer centrale annunciare che qualcosa stava facendo forza sul portello esterno della camera stagna numero due. — Devo aprirgli? — chiese quindi la voce femminile. Annie non si scomodò neppure a rispondere. La domanda divenne irrilevante non appena posta. Qualsiasi cosa vi fosse là fuori non aspettava certo il suo invito per entrare. I portelli erano tutti del tipo più Fred Saberhagen
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standardizzato immaginabile, assolutamente inadatti a sopportare un assalto dall'esterno: cinque secondi dopo, il nemico penetrò nella camera stagna. E dopo altri cinque secondi, quattro berserker dall'aspetto letale entrarono nel laboratorio avanzando rapidamente sulle loro zampe inumane. Anuyta chiuse gli occhi e trattenne il respiro, aspettando il colpo fatale... E poi, incapace di sopportare la tensione, riprese a respirare con un forte brivido aprendo di scatto gli occhi. Solo uno dei quattro automi si trovava davanti a lei, e sembrava fissarla con le sue orribili lenti. Il resto del gruppo si era probabilmente sparpagliato per ispezionare il laboratorio o le altre sezioni della biostazione. Non potevano essere usciti: li avrebbe sentiti passare nuovamente nella camera stagna. — Ubbidisci agli ordini — l'avvisò quell'unico berserker con una voce non molto più inumana di quella del computer di bordo — e non ti verrà fatto alcun male. Anyuta non riuscì in alcun modo a rispondere. — Mi hai sentito? — incalzò l'automa con voce perentoria, avanzando verso di lei e fermandosi a un paio di metri di distanza. — Devi ubbidire agli ordini. Rispondi! — Sì, sì, ho capito — rispose lei, aggrappandosi alla sua consolle per non gettarsi a terra urlando di terrore. — Quante unità umane vi sono a bordo oltre a te? — Ne... nessuna. — La coraggiosa bugia le uscì del tutto inaspettata prima che potesse pensare alle sue conseguenze. Un altro berserker entrò in quel momento nel laboratorio. — Dove sono i comandi dei motori? — le chiese con voce identica a quella del primo berserker. Anyuta respirò e deglutì prima di parlare. — Non abbiamo motori interstellari. I controlli dei motori secondari sono di sopra, nella sezione direttamente sovrastante il laboratorio. E l'automa appena entrato si voltò su se stesso, uscendo con incredibile rapidità. Nel frattempo, Hoveler continuò il suo lavoro freneticamente ma con estrema lucidità. Non lasciare alcuna traccia della sua intrusione nel sistema sarebbe stato davvero meglio. Dato che era praticamente Fred Saberhagen
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impossibile distruggere il carico di zigoti umani, cosa che comunque non era sicuro di riuscire a fare, doveva assolutamente renderli meno utili per qualsiasi esperimento i berserker avevano intenzione di compiere. Dando per scontato il buon esito di quell'operazione, cosa doveva fare dopo? Non era tipo da contemplare l'idea di suicidarsi a sangue freddo. Doveva cercare il più vicino berserker e arrendersi apertamente? Oppure doveva ritornare al suo posto, dove Annie era più che probabilmente già stata uccisa? Nascondersi, pensò, poteva funzionare o meno a seconda del numero di piccoli berserker che l'astronave-madre aveva inviato a bordo del laboratorio. Se erano pochi sarebbe riuscito a nascondersi per un tempo indefinito, anche perché il nemico non poteva conoscere a fondo la grande biostazione. Ma davvero poteva pensare di nascondersi per sempre? Vista dall'esterno, la biostazione non era altro che una specie di grande cilindro largo tra i cinquanta e i sessanta metri e lungo quarantacinque. Dodici ponti o livelli fornivano lo spazio per i laboratori, i magazzini e gli alloggi. C'era spazio a sufficienza per l'equipaggio di uomini e macchine, sì da potersi muovere senza pestarsi i piedi l'un l'altro. La stazione spaziale era stata progettata come studio per un successivo mezzo di colonizzazione. Era dotata di generatori di gravità artificiale estremamente affidabili e di un sacco di strumenti di ricerca, tra cui figurava un poliedro di dieci facce da cento metri quadri ciascuna chiamato "il dieci-tre" o semplicemente "il decaedro" per ricerche eseguite nel mondo della realtà virtuale. Hoveler ricordò in quel momento che i suoi progettisti avevano perso nell'ultimo anno il favore del presidente Dirac in quanto il loro lavoro non lo soddisfaceva più. E quella era una delle ragioni dell'improvvisa comparsa di Nicholas Hawksmoor. Purtroppo, per rendere davvero effettiva la sua intromissione nel sistema Hoveler doveva cancellare anche un secondo indice e per farlo doveva raggiungere il deposito centrale sito nel livello sottostante. Ma i berserker potevano già aver invaso la biostazione, e usare l'ascensore avrebbe senz'altro attratto la loro attenzione. Potevano scoprirlo comunque se erano già penetrati nel sistema di controllo interno, ma decise di correre ugualmente quel rischio. Abbandonando senza fare il minimo rumore la sala di controllo del Fred Saberhagen
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computer centrale, Hoveler chiuse la porta dietro di sé e avanzò in punta di piedi lungo un corridoio curvo per raggiungere la scala più vicina. Per seguire la strada più semplice doveva però passare almeno in un punto per la grande sala in cui si trovavano le speciali incubatrici create per la crescita degli zigoti. E nel bel mezzo di quel passaggio, lanciando un'attenta occhiata sulla destra, Hoveler si fermò per un attimo paralizzato dal terrore. Proprio dall'altra parte del ponte, a circa quaranta metri di distanza e solo parzialmente visibile oltre le file delle candide macchine in cui sarebbe cresciuta la vita, vide una forma metallica del tutto estranea e minacciosamente aliena: un berserker di guardia alle incubatrici. Non poteva restare lì ad aspettare di venir catturato: doveva muoversi. Forse gli attutiti mormorii dell'aria condizionata e dei macchinari elettrici bastavano a coprire il fruscio dei suoi passi furtivi sul lucido pavimento, o forse le incubatrici lo avrebbero celato alla vista del berserker. In ogni caso, Hoveler decise di tentare: pochi attimi più tardi raggiunse e discese la scaletta metallica che conduceva al livello sottostante. Una volta arrivato riuscì, tremando per la tensione, ad aprire e a entrare nel deposito centrale dal quale era possibile recuperare i file che aveva cancellato di sopra. Chiuse lentamente la porta e si diede da fare per completare la cancellazione degli indici di magazzino. Forse fu qualche rumore che fece involontariamente, oppure fu pura e semplice sfortuna, ma meno di venti secondi dopo uno degli invasori aprì la porta e lo sorprese proprio nel corso del suo atto di sabotaggio. Viste le circostanze, Hoveler si augurò una morte immediata ma quella speranza doveva rimanere vana. Un attimo più tardi la macchina dalle molte zampe lo catturò e, tradendo l'incredibile intenzione di non fargli troppo male, lo trascinò bruscamente fino al laboratorio. Là, lui e Anyuta Zador si scambiarono grida incoerenti scoprendo che l'altro era ancora vivo. L'automa che lo aveva trascinato allentò la sua presa, e i due umani si gettarono uno nelle braccia dell'altro. E ancora, sinistramente, la morte si trattenne dall'avanzare i suoi neri diritti. Invece di distruggere subito la vulnerabile, indifesa stazione spaziale o di rivoltarla da cima a fondo e saccheggiarla con i berserker saliti a bordo, il gigantesco predatore l'avvolse nei suoi campi di forza, come ai prigionieri fu consentito di osservare da un oloschermo, e iniziò a trascinarla con sé. Lo scafo cilindrico vibrò per qualche tempo sotto Fred Saberhagen
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l'insolito sforzo, emettendo un suono strano e lamentoso; poi, anche questo rumore cessò. I minuti di prigionia si trascinarono stancamente, come separati dal corso reale del tempo. Esausti per tutti gli sforzi, le stanche palpebre sempre più pesanti, i due nuovi prigionieri tentarono di riposare. L'ultima possibilità che avrò di dormire, si disse Hoveler svogliatamente. La gravità artificiale continuava a funzionare con calma continuità, assorbendo ed estinguendo interamente qualsiasi inconveniente generato dall'improvvisa accelerazione. Nulla rivelava ai due umani prigionieri nella biostazione di venir trainati a grande velocità. Per qualche misteriosa ragione, i berserker parvero propensi a ignorare del tutto la menzogna di Anyuta e il tentativo di sabotaggio di Hoveler. Fino a qual momento le macchine di morte non avevano punito nessuno, astenendosi da qualsiasi minaccia e ignorandoli del tutto. Era un atteggiamento che preoccupava grandemente entrambi gli umani. Un berserker che non faceva nulla di male era un berserker che aveva in mente qualcosa di peggio. Una volta stancatisi dei vani tentativi di riposare, Hoveler e Anyuta tornarono a scambiarsi le loro opinioni. Per qualche motivo si ritrovarono a parlare sottovoce, nonostante il fatto che i loro aguzzini metallici fossero quasi certamente in grado di percepire suoni molto più sottili di quelli percepibili dall'orecchio umano. Entrambi erano sbalorditi e più che spaventati dal fatto di trovarsi ancora in vita. Non solo: con estrema sorpresa videro che non gli veniva negato alcun accesso alle funzioni più comunemente utilizzate. Non che questo potesse influire in qualche modo su ciò che stava accadendo alla biostazione. Nessuno dei due tentò comunque di uscire dal laboratorio dopo che Hoveler vi era stato riportato a forza. Il bioingegnere comunque constatò con gioia di essere davvero riuscito a cancellare la maggior parte dei file-archivio, anche se si guardò bene dal comunicarlo ad Anyuta. E neppure volle chiedere in presenza del berserker di guardia cosa era accaduto all'ultimo zigote spontaneamente donato. Anyuta Zador non disse nulla riguardo la sua assenza e la sua cattura. Ma circa un'ora dopo il suo ritorno colse un'opportunità per lanciargli una lunga occhiata interrogativa, il cui significato poteva solo essere: Fred Saberhagen
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“Insomma, che cosa ha fatto?”. Restituendole l'intensa occhiata, Hoveler tentò di farle capire che aveva compreso la domanda ma che non trovava il modo di spiegarglielo segretamente. Qualunque cosa facessero per distrarsi da soli o reciprocamente, i pensieri di entrambi tornavano inevitabilmente all'infido pericolo della loro situazione. Daniel Hoveler non aveva una famiglia a cui pensare, una mancanza per cui ringraziava il cielo in quel momento. Tuttavia sapeva bene che lo stesso non si poteva dire per Anyuta. Quando la vedeva fissare il vuoto o chiudere gli occhi per scacciare le lacrime, sapeva che stava pensando all'uomo che avrebbe dovuto sposare. Per un attimo, Hoveler valutò l'idea di dirle che una missione di soccorso doveva già essere sulle loro tracce. Ma Anyuta sapeva bene quanto lui che solo un miracolo avrebbe potuto risolvere felicemente tutta quella faccenda. Parecchie ore dopo la forzata partenza i due prigionieri provarono a lasciare il laboratorio per andare nelle rispettive cabine. E di nuovo, con loro grande sorpresa scoprirono di poter uscire. Non che i berserker si fossero dimenticati di loro, no; due automi li scortarono lungo i corridoi perquisendo da cima a fondo entrambe le cabine prima di farli entrare. Una volta terminato, i due guardiani comunicarono loro che potevano riposare, naturalmente in loro presenza. Viste le circostanze e abbandonando ogni formalismo, i prigionieri chiesero di dormire insieme nella stessa cabina. Il permesso venne accordato seduta stante. E cinque minuti dopo, Hoveler e Anyuta precipitarono in un sonno popolato da incubi. Qualche ora dopo, un po' più riposati anche se visibilmente scossi, i due scienziati tornarono al laboratorio decidendo di soddisfare in qualche modo la loro curiosità su cosa stava accadendo. La possibilità di guardar fuori dagli oblò e di usare la strumentazione consentì loro di rispondere a qualche domanda. — Già, senza dubbio veniamo ancora trainati. — Non capisco! — esclamò Hoveler emettendo un profondo sospiro. — Neppure io. Eppure è così. Ci stanno portando via. L'intera Fred Saberhagen
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biostazione, o perlomeno gran parte di essa, è avvolta in un campo di forza, una specie di nebbiolina grigia che uno può vedere da certe angolazioni. Il proiettore olografico venne regolato ancora e ancora per osservare nei dettagli il grande berserker, mentre i due guardiani seguivano impassibili i loro movimenti tollerando ogni commento in enigmatico silenzio. Dopo un po' Anyuta sbottò: — Daniel, ma tutto questo non ha senso! — Lo so. — E allora perché agiscono così? Dove ci portano? Lui si strinse nelle spalle. — Muoviamo in direzione opposta al Sole, con un'accelerazione costante che ci sta portando fuori da ogni sistema conosciuto... o almeno così sembrerebbe. E dato che siamo completamente tagliati fuori dal resto dell'umanità, non sapremo mai dove siamo veramente diretti. Passò altro tempo, in modo alquanto disarticolato. Gli umani sedevano o muovevano svogliatamente qualche passo, mentre il loro terrore si mutava lentamente in una calma nauseata, una rassegnata attesa di vedere cosa sarebbe accaduto dopo. E gradualmente, il senso di trionfo di Hoveler per aver sabotato l'archivio centrale scomparve lasciando posto a un terribile pensiero: ai berserker poteva anche non importare nulla delle identità dei singoli protocoloni. Forse nei loro schemi un umano o l'altro non faceva differenza, a condizione che si dimostrasse un buon servitore. Ancora gli automi non avevano torto loro neppure un capello e neppure erano mai intervenuti per proibire o limitare la loro conversazione. In effetti, Hoveler cominciava a pensare che venissero tenuti assieme proprio per questo, per ascoltarli mentre parlavano. Vista l'incredibile libertà di cui godevano, Hoveler non trovò alcun motivo di non dirlo ad alta voce. — Forse ci lasciano parlare perché vogliono ascoltarci. Anyuta annuì immediatamente. — Lo penso anch'io. — Cosa dobbiamo fare? — Che male c'è nel parlare? Nessuno di noi due è al corrente di segreti militari. Intanto, i loro guardiani non li osservavano più immobili. Uno li teneva d'occhio attivamente tutto il tempo, mentre l'altro lavorava a intermittenza Fred Saberhagen
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penetrando con delle sottilissime estensioni l'hardware dei vari terminali del computer centrale o di altre macchine. Hoveler trovò impossibile stabilire lo scopo di quell'attività: forse stava copiando tutti i dati nella sua memoria, o forse intendeva mettere fuori uso parte del sistema. Poi i due scienziati, sempre più inquieti, si aggirarono liberamente per la stazione scortati dal loro guardiano. Altri berserker vagavano un po' in tutti i livelli; alcuni di loro esaminavano attentamente macchine e strumenti di vario tipo. Dentro di sé Hoveler stimò il numero degli invasori in una dozzina o poco più. Il silenzio delle macchine assassine perdurò imperturbato. Dalla loro salita a bordo si erano limitati ad assentire e a dare qualche vago comando. Le ore passarono lente, fino a sommarsi in un giorno standard a partire dall'attacco. Hoveler e Anyuta trascorsero la maggior parte del tempo nella familiare sezione laboratorio. E là si trovavano, nel bel mezzo di una fitta conversazione sussurrata, quando Anyuta interruppe una frase a metà e guardò avanti a sé con grandi occhi. Hoveler si voltò guardando nella stessa direzione, e anche lui venne travolto dalla stessa attonita sorpresa. Un uomo e una donna mai visti prima di allora, due scarne e stracciate figure solariane, comparvero improvvisamente davanti a loro. I nuovi arrivati guardarono con occhi famelici dapprima Anyuta, poi Hoveler. E fu Hoveler stesso a rompere il silenzio: — Salve. Nessuno dei due nuovi arrivati rispose al suo saluto. Studiando meglio le loro logore, emaciate figure e l'espressione dei loro volti e dei loro occhi, Hoveler si disse che una risposta chiara era altamente improbabile. Comunque provò di nuovo e finalmente i due nuovi arrivati, incalzati da ripetute domande, si presentarono come Carol e Scurlock. Anyuta li guardava con grandi occhi. — Come siete saliti a bordo? Venite dal grande berserker? Entrambi annuirono. L'uomo mormorò alcune parole di conferma. Anyuta e Hoveler si scambiarono occhiate terrorizzate, domandandosi in silenzio se stavano contemplando il loro futuro. Più studiava le figure dei nuovi arrivati e più il terrore di Hoveler cresceva. Scurlock non si radeva da chissà quanto. I capelli di entrambi erano sporchi e arruffati, i loro vestiti sudici: probabilmente non si erano più cambiati dalla loro cattura. Carol non portava scarpe e indossava una gonna completamente stracciata; un seno le usciva dalla giubba priva di bottoni. Ma certamente non era sempre stato così, perché Scurlock Fred Saberhagen
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sembrava in certi momenti vagamente imbarazzato e faceva cenno a Carol di coprirsi un po' meglio. Tuttavia sembrava che la coppia avesse potuto mangiare e bere liberamente, perché entrambi rimasero indifferenti alla proposta di Anyuta e Hoveler di ordinare a uno dei robot servitori di portare qualcosa in tavola. E neppure mostravano segni di serie ed evidenti torture fisiche. Ma la vacuità dello sguardo con cui i due, specialmente Carol, si guardarono in giro nel laboratorio, i loro improvvisi silenzi, il loro aspetto, tutto questo suggerì a Hoveler di aspettarsi un comportamento irrazionale se non folle del tutto. Chiaramente sia Carol che Scurlock erano abituati alla presenza dei berserker, perché quasi sempre tendevano a ignorarne l'onnipresente controllo. Hoveler si sorprese a sperare silenziosamente e con fervore che quei due non fossero lì per danneggiare in qualche modo le macchine del laboratorio. Come se questo potesse comunque importare in qualche modo. La coppia di nuovi arrivati si stabilì a bordo della biostazione, occupando una delle camere vuote con il berserker che faceva loro da guardia. Rimasti soli, i due scienziati concordarono presto sul fatto che i loro compagni di sventura dovevano aver perso il senno, soprattutto Carol, per lo stress di una lunga prigionia. Se non altro questo rendeva del tutto imprevedibile la conversazione con loro. Quando tornarono, Anyuta chiese: — Vi spiacerebbe dirci dove vi hanno catturati, e come? — Hanno circondato la nostra astronave — replicò Scurlock come se questo spiegasse tutto, per poi guardare intimorito i due scienziati temendo forse la loro reazione. — Quanto tempo fa? Né Carol né Scurlock seppero rispondere, ma forse preferivano mantenere il segreto. Anyuta allora attivò uno schermo e chiese un riassunto di tutte le comunicazioni riguardanti la scomparsa di qualche astronave. La banca dati della biostazione registrava e manteneva in memoria simili informazioni per molti mesi. Qualche istante più tardi, un piccolo elenco di astronavi scomparse nell'ultimo anno in quel settore riempì lo schermo. Carol e Scurlock parvero però stranamente restii a collaborare. Dissero Fred Saberhagen
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solo che si trovavano a bordo di un piccolo ricognitore civile con strumentazione scientifica che compiva ricerche per la Fondazione Sardou. No, non avevano idea di cosa ne avevano fatto i berserker della loro astronave, e neppure ricordavano quando l'avevano vista per l'ultima volta. Dopo quel poco entusiastico risultato, i due scienziati cercarono di scambiare altre informazioni di vario tipo. Né Carol né Scurlock sembravano abbastanza razionali da calcolare con lucidità quanto tempo era passato dalla loro cattura. No, non sapevano neppure perché li avessero trasferiti a bordo del laboratorio. — I berserker hanno altri prigionieri a bordo? — domandò Anyuta all'improvviso, seguendo una momentanea ispirazione. —Qualche traditore, magari? — Traditore? Noi siamo dei traditori — annunciò Carol con chiarezza, lanciando un'occhiata apprensiva al berserker di guardia poco lontano. I due scienziati sussultarono senza volerlo. Sporca, stracciata e seminuda, la donna suonò finalmente quasi sana nella sua strana enfasi. Il suo compagno annuì lentamente e con qualche ritrosia. — Già — disse infine. — E voi? Seguì qualche attimo di teso silenzio. Poi, con voce roca ma ferma, Anyuta rispose: — No. Noi non lo siamo. Il berserker di guardia sembrò non farci caso. Pian piano Scurlock cominciò a prestare maggiore attenzione al nuovo ambiente in cui si trovava. — Cos'era questo posto? — domandò. Hoveler cominciò a spiegare., L'uomo sporco e trascurato lo interruppe. — Chissà perché il nostro padrone lo voleva così tanto. — Il vostro padrone? Intende dire il grande berserker? — Lo chiami così, se preferisce. Ci ha fatto un enorme quantità di domande su questo posto prima di portarci qui. Mentre Anyuta e Hoveler ascoltavano con crescente orrore, Carol aggiunse: — Non vedo come possa tornargli utile un carico di embrioni umani. Puah! Ma il nostro padrone sa meglio di noi cosa fare. Con i nervi ormai completamente logori, Hoveler non riuscì a soffocare completamente la sua rabbia. — Il vostro padrone, come vi piace chiamarlo, vi ritiene evidentemente di qualche utilità per i suoi scopi, altrimenti non sareste certo qui! Fred Saberhagen
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— Oh, ma io l'aiuterò in ogni cosa — rispose Carol annuendo. — Noi siamo sempre pronti a servirlo: il problema è come. Ma il nostro padrone ce lo dirà al momento giusto. — Sì, sì, siamo sempre pronti a servirlo! — concordò Scurlock con fervore. Poi tacque, conscio delle profonde occhiate di avversione e disgusto rivoltegli sia da Hoveler che da Zador. — Voi invece morirete — sussurrò loro, palesando il suo disprezzo. — Sì, voi morirete e noi vivremo, perché siamo dei traditori — aggiunse Carol con voce tornata folle, assumendo la posa di una maestrina elementare. A quel punto anche Anyuta scattò inviperita: — Non c'è niente da dire su questo. Vi piace crederlo? E allora credeteci. Siete dei traditori, certo, basta guardarvi per capirlo! Hoveler udì se stesso aggiungere una serie di bassi epiteti. Con un urlo da vera squilibrata Carol balzò su Anyuta in un nevrotico assalto, e prendendola completamente di sorpresa la spinse all'indietro piantandole in viso le luride unghie. Ma Hoveler si frappose tra le due donne prima che Anyuta venisse gettata a terra o ferita in qualche modo, allontanando violentemente Carol sì da farla barcollare e cadere a terra. — Lasciala stare! — esclamò Scurlock avventandosi su Hoveler. — Ma certo, se anche voi ci lascerete in pace! E gradualmente la lite si concluse, tra ringhiosi insulti da entrambe le parti. Ore dopo prevalse una sorta di nevrotica tregua. Hoveler e Anyuta, parlando tra loro in privato, cominciavano fortemente a credere che la coppia di traditori avesse volontariamente cercato i berserker con la loro piccola astronave per passare dalla loro parte. — Credi che si aspetti un tradimento anche da noi? Anyuta alzò lo sguardo su di lui. — Ma secondo te ci sta ascoltando? — Senza dubbio. Se proprio vuoi saperlo, secondo me sa tutto quello che succede qui. Be', non me ne importa nulla. Sta sentendo cose che non vorrebbe sentire, tanto per cambiare. Ciò che veramente mi spaventa — continuò il bioingegnere — è che finalmente ho capito come fa uno a diventare un traditore. Ci hai mai pensato? Fred Saberhagen
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— No. Almeno, non finora. C'erano dei momenti in cui sembrava che almeno Scurlock cercasse di trovare un'intesa con l'altra coppia. Carol sembrava invece troppo fuori di sé per cercare di intendersi con chiunque. Scurlock: — Siamo tutti prigionieri qui, ci piaccia o no. Hoveler annuì stancamente: — Il berserker vi ha mai detto cosa intende fare di voi, o di noi? — No — ribatté Scurlock, abbozzando uno spettrale sorriso. — Ma Carol e io faremo tutto ciò che ci dice di fare. Stare al gioco è l'unica cosa possibile in una situazione come questa. —
Nel frattempo, nelle ore e nei giorni immediatamente successivi al furto della biostazione tutte le basi, gli insediamenti e le popolose città del sistema di Imatra sparse sui grandi pianeti abitati furono teatro di una frenetica attività, spesso inutile e comunque troppo in ritardo per salvare la grande struttura spaziale. La notizia dell'attacco berserker venne immediatamente trasmessa con impulsi subspaziali alle autorità che governavano i pianeti più vicini al Sole, e poche ore dopo tutti gli eserciti del sistema erano in stato di allerta. I pochi mezzi in sovrappiù vennero immediatamente inviati verso il planetoide devastato. Seguendo le procedure militari previste per casi come quello, venne immediatamente stabilito un comando unificato e sotto la sua guida i diversi pianeti coordinarono i loro sforzi il meglio possibile. Ma la battaglia era inesorabilmente terminata, se non altro perché gli Imatrani non possedevano mezzi spaziali in grado di sfidare ulteriormente il nemico vittorioso. Intanto la biostazione veniva trascinata via, inesorabilmente e senza pietà ma senza subire danni di rilievo. Ed entro poche ore le sole tracce rimaste dell'attacco nemico e dell'oltraggio subito furono morti e feriti in numero incredibilmente limitato, crateri e rovine sparsi ovunque sulla faccia esposta del planetoide Imatra e qualche onda elettromagnetica in veloce dissoluzione, incluse onde di luce. Nello spazio vi era qualche detrito in più: ciò che rimaneva delle astronavi umane e delle unità d'assalto uscite dall'astronave-madre, cioè dal grande berserker comparso improvvisamente nei cieli. Tutto era stato puntualmente filmato e registrato, a beneficio dei media che fremevano per Fred Saberhagen
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diffondere in ogni casa quelle immagini. La vita continuava a pulsare.
3 In un sogno che le parve prolungato e ricorrente, lady Genevieve contemplò l'immagine del suo soccorritore che fluttuava davanti a lei. La figura avvolta dalla tuta spaziale sembrava senza volto dietro il cristallo dell'elmetto, ma lei sapeva che si trattava di un giovane alto e robusto che tendeva le braccia offrendole un aiuto nel bisogno disperato, salvezza da... Da tutto tranne gli incubi. E la voce del giovane eroe, ronzante attraverso il microfono sull'elmetto, le ripeté ancora e ancora il suo nome, proprio poco prima che... Sì, Nicholas Hawksmoor. Così si chiamava. Sola a bordo di un relitto spaziale pieno di cadaveri, lei fremette di gioia per l'arrivo di quell'insperato aiuto. In un impulso di felicità istintiva gettò le braccia al collo del suo soccorritore, il fantastico, glorioso e superbo Nicholas Hawksmoor. Per un attimo, solo un attimo, lui parve sorpreso; poi le sue braccia la cinsero con galanteria restituendole un abbraccio protettivo. Un attimo più tardi, tornata a qualche distanza dal giovane eroe, lei gli chiese con ansia: — Pensa che ce la faremo a uscire di qui? Non ho la tuta spaziale! Ho cercato di fare qualcosa, ma... E di nuovo quella voce, la voce di Nick che ricordava dall'immagine olografica, uscì ronzando dalla tuta spaziale. — Grazie a Dio sta bene, milady. Non si preoccupi. Ormai è salva. E poi... Richiamando alla mente quella terribile sequenza (ma era davvero accaduta? E quando?) nella quiete totale di un rifugio (ovunque fosse), parve alla giovane donna che a quel punto l'universo intero fosse esploso. Ora nutriva addirittura dei dubbi sul verificarsi o meno di quell'ultima esplosione. Ma di una cosa era purtroppo certa: da quel momento in poi il suo salvataggio era andato terribilmente male. Solo il fatto che quei ricordi di morte e rovina parevano in qualche modo tanto remoti la trattenne dal mettersi a urlare per il terrore. L'abbraccio, con il suo ricco vestito ridotto in brandelli; il contatto con la fredda tuta spaziale; la nebbiosa atmosfera della piccola sala comune che usciva sibilando dallo scafo. Poi quell'ultima esplosione. Sì, era vero. Un Fred Saberhagen
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ricordo convincente quanto le memorie dell'intera sua vita. Invece, solo i sogni avevano fatto seguito all'esplosione. Un mondo intero di sogni, molti dei quali diedero vita a strane, limpide immagini mentali, autentiche visioni che portavano con loro il nero terrore. E in quel momento queste invasero di nuovo la sua mente: vago e insostenibile terrore, totale impotenza avanti alla morte più atroce, la certezza del baratro dell'oblio. Ma stavolta, fortunatamente per lady Genevieve, quel periodo di sfumato orrore fu pietosamente breve. Di nuovo il buio l'avvolse per un tempo indefinito, un buio più profondo di quanto avesse mai ritenuto possibile, una sorta di parziale cessazione dell'esistenza stessa. Finalmente tornò ad avvertire qualcosa: fluttuava, e la sua mente indugiava sul pensiero che il cargo, qualunque cosa fosse, era stato colpito con lei a bordo. Un fatto molto importante, si disse. Ma in quel momento le parve remoto quanto tutto il resto. Poi, all'improvviso, un barlume di vera coscienza sull'ambiente in cui si trovava. Bastò quel fugace attimo ad assicurarle che il suo salvataggio era in qualche modo davvero avvenuto. Si trovava distesa sii un letto, o meglio una piccola cuccetta, probabilmente a bordo di qualche astronave. Attorno a lei si muovevano in una sorta di spaventoso benvenuto gli arti sottili, efficienti, chiaramente disumani del medirobot che la stava curando. E più indietro, a soli pochi metri di distanza, appena oltre la trasparente tenda sanitaria che avvolgeva la sua cuccetta, vide l'attraente volto del coraggioso pilota. Il suo era un nome che Genevieve non avrebbe mai scordato: Nicholas Hawksmoor. I suoi occhi la guardavano con ansia evidente. Con considerevole sforzo Genevieve riuscì debolmente a parlare, senza però potersi muovere. Per qualche motivo usare la voce parve un'impresa quasi impossibile. Le mancava l'aria per emettere le parole. — Dove sono? — domandò. Quel problema inaspettato con la respirazione la spaventò parecchio, ma non al punto da terrorizzarla. Era salva, e qualsiasi complicazione medica poteva venir risolta a tempo debito. Hawksmoor mosse qualche passo verso di lei e replicò subito, rassicurandola. — Si trova in salvo sulla mia astronave, la Wren. Siamo riusciti ad allontanarci dal relitto appena in tempo — spiegò, per poi Fred Saberhagen
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chiederle: — Si ricorda del relitto, vero? — Sì. Ricordo che siamo stati evacuati dalla biostazione. Ma certo che lo ricordo. Perché non dovrei? — E si ricorda di me? — Nicholas Hawksmoor, pilota e architetto. Davvero un ottimo pilota... devo ammetterlo — rispose. Parlare le costava uno sforzo insopportabile, ma non voleva tacere. Voleva invece parlare per vivere. — Proprio io — fece Hawksmoor, suonando sollevato e incoraggiante. * — Come la chiamano gli amici? Nick? — Gli amici? — Per qualche motivo quella domanda sembrò colpire più del dovuto il baldanzoso pilota. — Sì, Nick andrà benissimo. I suoi amici, invece, come la chiamano? — Jenny. — Già, naturalmente. Jenny. Ma lo sa che questo nome mi ricorda qualcosa? — Cosa? — Un poema. Un cantico. Più tardi lo reciterò per lei. Jenny cercò di voltare la testa e di guardarsi attorno. La candida parete dalla quale uscivano le braccia del medirobot faceva parte del lucido dispositivo che le impediva quasi completamente i movimenti. Il contenitore in vetro e metallo che avvolgeva il suo corpo rese vano il tentativo di vedere oltre. Colpita da un pensiero improvviso, Genevieve chiese: — Che ne è degli altri? — Gli altri sul cargo? — Nicholas emise un lento sospiro. — Non ho potuto far nulla per loro. La maggior parte era già morta quando sono salito a bordo. E inoltre, l'equipaggiamento a mia disposizione mi consentiva di portar fuori una sola persona. Di nuovo la sua mente divagò per qualche tempo. Non le pareva che tutti gli altri fossero morti. Non ricordava così la situazione a bordo. D'altro canto... — Non sento alcun dolore — mormorò infine. Adesso respirare e formare le parole le veniva un po' più facile, e ogni volta che parlava sentiva di riuscirci meglio. Ma non era una sensazione naturale quella che accompagnava quel miglioramento: era come se "qualcosa" venisse progressivamente regolato apportandole maggior conforto. Tutti dicevano che i medirobot delle astronavi erano i migliori, ma non aveva mai avuto Fred Saberhagen
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occasione di sperimentarlo di persona. Nick la guardò con aria teneramente sollevata. — Ne sono felice. Il dolore è una brutta sensazione da provare. Ma lei non deve temerlo, dopo tutto quello che... tutto quello che è stato fatto per lei. Si rimetterà presto, vedrà. E di nuovo giunse l'ora di cadere in un sonno profondissimo. Giù sulla superficie di Imatra gli esponenti locali, i leader civili e militari subalterni ai poteri centrali, superarono il raid senza altra conseguenza che un grosso spavento. Questa felice circostanza non fu il risultato di speciali difese o precauzioni adottate nei loro riguardi, perché un simile favoritismo avrebbe provocato infinite proteste. In realtà, il primo attacco berserker mai verificatosi da quelle parti lasciò la maggior parte della popolazione e dei turisti miracolosamente indenne. Le difese del pianeta non avevano dato mostra di grande efficacia e la lentezza della reazione umana venne celata al pubblico il più possibile; in verità, il volume di fuoco delle difese di terra non raggiunse mai il massimo della potenza e il numero limitato di vittime si dovette esclusivamente alla tattica adottata dal nemico. Pareva proprio che quel particolare berserker avesse tralasciato la facile possibilità di uno sterminio di massa per concentrare tutti i suoi sforzi sul furto della biostazione. La gente cominciò a uscire dai rifugi circa un'ora dopo gli ultimi echi della battaglia, quando gli strumenti assicurarono che non vi era traccia di radioattività e che il berserker si stava allontanando. Le autorità, che pian piano tornarono a occupare i loro posti spaesate come tutti gli altri, ricevettero numerosi rapporti dalle più distanti regioni di Imatra. I danni sembravano limitati alle immediate vicinanze della postazioni difensive, tutte completamente distrutte. Coloro che le occupavano erano morti. Solo in alcune aree, per fortuna non molto estese, la devastazione era completa. Senza aspettare le mosse delle autorità centrali riunite sui pianeti più grandi e popolosi, le autorità locali del planetoide si consigliarono subito tra loro per mezzo degli oloschermi. Tutti coloro che parteciparono alla prima riunione si scambiarono sbalorditi commenti sull'attacco ed espressero sollievo per il fatto che, miracolosamente, le distruzioni e il numero di vittime non fossero maggiori. Imatra ospitava ormai da molti anni un gran numero di installazioni scientifiche. Era anche molto rinomato nei sistemi e nei mondi vicini come Fred Saberhagen
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luogo di conferenze, un punto d'incontro con la piacevole atmosfera di un grande e fiorito giardino dove personalità di vario livello e amministratori della poderosa burocrazia del presidente Dirac si incontravano informalmente per sfuggire alla noiosa routine. Pertanto, sul pianeta si trovava sempre un certo numero di persone importanti. Ecco dunque spiegato almeno in parte il sollievo delle autorità locali nell'apprendere che il numero di vittime era limitato. Tuttavia... Ormai era passata più di un'ora e mezzo dalla cessazione dell'allarme. Il berserker e la sua preda inerme risultavano ancora tranquillamente visibili al telescopio, ma si allontanavano a velocità sempre maggiore accelerando lungo la stessa rotta seguita per l'attacco di sorpresa. Il nemico tornava a nascondersi nel cuore della Mavronari. Naturalmente la notizia dell'attacco venne subito inviata al presidente Dirac per mezzo della più veloce astronave disponibile. Il premier si trovava in quel momento in un altro sistema a giorni e giorni di distanza. L'agenda del presidente prevedeva una visita a Imatra entro un mese standard al massimo: le autorità locali temevano che al suo arrivo, in qualsiasi momento questo avvenisse, il presidente li avrebbe ritenuti formalmente responsabili non solo della perdita della sua giovane moglie e dell'embrione di suo figlio, ma di tutto quel disastro in generale. Temevano come minimo di venir accusati di grossolana incompetenza. Per prima cosa, ovviamente, tutti concordarono sull'iniquità e l'infondatezza di una simile accusa. Chi avrebbe mai potuto prevedere un attacco berserker nel sistema di Imatra? Non vi era mai stato neppure un avvistamento da chissà quanto tempo, da... Sul momento nessuno seppe dire da quando. Molto, molto tempo in ogni caso. Velocemente gli spaventati responsabili locali cominciarono a studiare le varie registrazioni dell'attacco, riprese ottenute da terra e dal cielo e rilevazioni compiute dagli strumenti. Dirac e i suoi collaboratori avrebbero voluto conoscere ogni minimo particolare, valutando ogni comportamento con occhio quantomai critico. Quel primo studio locale fu eseguito con l'idea di saperne di più su quel berserker, con la speranza di trovare qualcosa su cui basare la loro difesa. Tra le varie fasi dell'attacco si vedeva chiaramente il movimento di una piccola astronave, lo sfortunato cargo, che abbandonava la biostazione e si allontanava velocemente solo pochi istanti prima della reazione del Fred Saberhagen
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berserker al fuoco delle batterie di terra. Anche un frettoloso messaggio radio dalla stazione confermava la partenza. Queste parole alimentarono un po' in tutti la speranza, come disse apertamente uno dei partecipanti, che lady Genevieve fosse riuscita a salirvi abbandonando la zona più rischiosa. Ma poco dopo il distacco dalla stazione il piccolo cargo era stato colpito; alla prima scarica, che lo proiettò fuori rotta, era seguita l'esplosione di un motore. Nell'intervallo tra le due deflagrazioni, la Wren di Hawksmoor era riuscita ad avvicinarsi e a ripartire. — Ci sono messaggi dalla Wren} — fu la naturale, ansiosa domanda di qualcuno. — Nessun superstite — rispose qualcun altro schiarendosi la voce. Un fremito generale scosse i partecipanti alla riunione. La possibilità che vi fossero superstiti appariva remota, ma naturalmente si decise di avviare comunque una ricerca intensiva con un occhio particolare per lady Genevieve. A quella ricerca parteciparono la Wren e molte altre astronavi civili anche se fin dall'inizio nessuno nutrì la minima speranza di trovare qualcosa nel settore dell'attacco. Le astronavi continuarono ad affluire verso Imatra, tutte desiderose di aiutare. Ma fino a quel momento nessun superstite era stato trovato e a due ore dall'attacco nulla lasciava sperare di riuscire a trovarne qualcuno. Alcuni partecipanti alla riunione affermarono che il numero di tute spaziali a bordo del cargo bastava a malapena per l'equipaggio e pochi passeggeri. Solo quelle tute potevano offrire agli evacuati qualche speranza di sopravvivenza nello spazio. Questo annuncio venne accolto da un gelido silenzio. Cosa ne avrebbero pensato il presidente e i media? Certo sarebbe stato ridicolo dotare ogni astronave di quella pacifica regione di una cinquantina di tute spaziali; tuttavia la gente faceva presto a giudicare sotto la spinta delle emozioni. In ogni caso, nessuno poteva negare che si trattasse di un berserker quantomai potente e veloce. Il suo fuoco non aveva spazzato via solo il cargo, ma anche tre astronavi dell'esercito imatrano e tutte le batterie di terra della faccia esposta del planetoide. Perlomeno, fece notare con qualche soddisfazione un militare, il nemico non ne era uscito completamente indenne: l'attacco gli era costato diverse unità d'assalto, l'equivalente berserker dei caccia umani. Fred Saberhagen
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Ma il costo di quel modesto risultato difensivo poteva rivelarsi più salato del previsto: infatti, adesso i cieli del planetoide e dei settori del sistema più spostati verso la Mavronari restavano completamente scoperti. Le poche astronavi militari disponibili erano state coraggiosamente gettate nella mischia e perdute una dopo l'altra in una battaglia durata meno di cinque minuti. L'unica cosa positiva in tutto ciò era che il presidente non poteva accusarli di codardia o di indecisione per non aver tentato di sbarrare la strada al nemico. E si avvicinò il momento delle prime dichiarazioni ufficiali. Provando con un suo collega una breve dichiarazione a effetto che intendeva pronunciare ai giornalisti, una delle più alte autorità locali recitò: — Il nostro sangue ribolle di febbre combattente, di una lucida e decisa voglia di giustizia... che ne dite? Ma in nessun modo avremmo potuto braccare il nemico in fuga. In nessun modo, credo, avremmo potuto fare di più per rintuzzare la vile scorribanda, per limitare i danni nei minuti più critici dell'incursione. I suoi colleghi restarono a pensarci sopra in silenzio. Infine, uno di essi affermò laconico: — Almeno i morti sono pochi, grazie a Dio. Un altro lo guardò esterrefatto. — Pochi? Vi siete già scordati che lady Genevieve, la moglie stessa del presidente, è data per dispersa ed è certamente morta? Ma immaginate la sua reazione quando... — Ho parlato in generale. Questa volta non c'è stato alcun genocidio. — E invece sì, se contiamo gli zigoti. — Chi? Cosa? — Gli embrioni umani conservati sulla biostazione — spiegò il nuovo intervenuto, guardandosi lentamente attorno per ricevere in risposta sguardi attoniti e qualche cenno di assenso. — I futuri protagonisti della nuova colonizzazione, per raccogliere i quali è stato costruito il laboratorio. Un numero incredibile di embrioni umani, tutti spontanei contributi, donazioni raccolte in anni e anni da donne di una dozzina di mondi diversi. — Forse parlare di genocidio è un po' eccessivo. Quante di queste "donazioni", come lei le ha chiamate, erano a bordo della biostazione? — Non saprei esattamente, ma da ciò che si sente dire in giro direi un miliardo circa. — Un miliardo? Fred Saberhagen
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— Esatto. Dieci alla nona, milione più, milione meno. Quel numero, come la vera portata del disastro, impiegò qualche istante a farsi largo nelle menti di tutti. — Dobbiamo fare in modo che i primi rapporti non ne facciano menzione. Parleremo solo dei morti e feriti. — Oh, inutile affannarsi. La stampa ne parlerà certamente. — Mi scusi? — Forse lei non ha seguito i più recenti sviluppi della visita di lady Genevieve. Non si trovava qui per una visita di routine, ma per donare il suo futuro figlio, o figlia, al laboratorio — spiegò l'oratore, per poi guardare lontano sulla sua destra. — Allora, Kensing, lei che ne dice? Il tavolo delle conferenze non era, naturalmente, un vero tavolo ovale ma una creazione della realtà virtuale trasferita dai computer sugli oloschermi per convenienza dei partecipanti, che potevano riunirsi restando comodamente a casa o nel loro ufficio pur condividendo l'illusione del mutuo confronto in una singola stanza. Nel punto più distante del tavolo di quella composita commissione sedeva il più giovane dei partecipanti, un uomo di nome Sandy Kensing rimasto silente fino a quel momento. Aveva subito una perdita dolorosa quel giorno, e non era affatto un'autorità ma solo il nipote di qualcuno in carica fino all'anno precedente. Era però il fidanzato di Anyuta Zador, data per dispersa a bordo della stazione spaziale. Ma quello non era il motivo del suo invito alla riunione: le autorità avevano bisogno di consigli sulla psicologia del presidente e solo Kensing, amico personale da almeno due anni dell'unico figlio di Dirac (che lo aveva invitato a bordo della sua astronave privata e in una delle sue favolose, antiche ville) poteva sapere che tipo di approdo era meglio usare con il moderno despota. — Allora, Kensing? Sandy Kensing alzò le folte sopracciglia color sabbia e restituì l'occhiata al suo interlocutore. Le sue spalle pesanti erano curve sul tavolo e le grandi mani giunte davanti a lui; la sua espressione impassibile metteva ancora più in risalto gli occhi gonfi e rossi. — Mi scusi? — disse. Non aveva sentito la domanda. — Le ho chiesto — ripeté sollecitamente l'uomo — quale pensa possa essere la reazione del presidente Dirac alla terribile notizia. — Ah, già — fece Kensing, niente affatto impressionato dalla presenza Fred Saberhagen
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di tante autorità tra cui suo zio ora in pensione. — Be', il vecchio non sarà certo contento, ma non avete bisogno di me per saperlo. Quella frase venne accolta da un imbarazzato silenzio. Rispettando il dolore del nuovo venuto per la perdita della fidanzata, nessuno gli parlò duramente o reagì in qualche modo a quell'atteggiamento al limite dell'insolenza. Tutti compresero di avere cose ben più importanti da fare. — Abbiamo ancora molto lavoro da svolgere — disse infine il coordinatore della riunione. — Ma prima di aggiornare questo incontro, dobbiamo sistemare la faccenda della delegazione. — Delegazione? — domandò qualcuno. — Sarebbe forse meglio dire rappresentanza. Qualcuno che dia il benvenuto al presidente quando arriverà — spiegò, ma dandosi un'occhiata in giro si rese conto di dover fornire qualche chiarimento. — Se nessuno di noi si recherà a incontrarlo quando arriverà, non sarei sorpreso se ci chiamasse uno a uno sulla sua astronave per rendergli conto di questo evento di persona. L'atmosfera attorno al tavolo virtuale divenne improvvisamente più infelice di prima. — Propongo di nominare un solo delegato — suggerì qualcun altro. — Un rappresentante che consegni al presidente il nostro rapporto preliminare. È decisamente meglio, perché nel prossimo futuro saremo tutti pieni di lavoro fino al collo. Le teste di tutti si volsero nella stessa direzione. Il delegato era stato scelto all'unanimità e senza alcun dibattito. Kensing, ora più attento alla riunione e blandamente sorpreso, riuscì ad abbozzare un vago e cinico sorriso alla dozzina di persone con gli occhi puntati su di lui.
4 Pochi giorni dopo, molto prima di quanto previsto, il presidente giunse a gran velocità nel sistema di Imatra con la sua grande astronave armata, la Eidolon. Si trattava di un formidabile mezzo di combattimento, ispirato secondo molti osservatori agli incrociatori della Flotta. Lo scortavano due astronavi più piccole, entrambe bene armate ma di modello più comune. Quelle tre astronavi erano evidentemente tutto ciò che il presidente aveva potuto raccogliere in così breve tempo. Invece di atterrare sulla superficie quasi intatta di Imatra, come avrebbe Fred Saberhagen
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fatto in tempo di pace e come qualcuno si aspettava facesse anche adesso, Dirac portò le tre astronavi in un'orbita di parcheggio a poche decine di chilometri dal planetoide e da lì, in termini più autoritari che educati, ordinò a tutti gli esponenti locali di recarsi immediatamente da lui. Ordinò anche la mobilitazione piena di tutte le risorse tecniche locali, in modo che le astronavi si trovassero quanto prima in condizioni perfette per il combattimento. Difatti, sia i sistemi offensivi che quelli difensivi avevano bisogno di una generale messa a punto prima di gettarsi all'inseguimento del nemico ingaggiando una difficile battaglia. Viste le circostanze fu facile comprendere e giustificare l'assenza di qualsiasi cerimonia formale di benvenuto. E l'unico individuo che obbedì all'ordine del presidente salendo su una navetta per incontrare lui e i suoi collaboratori fu il portavoce scelto alla riunione, Sandy Kensing. Il giovane uomo, vagamente a disagio anche se non temeva davvero l'incontro con Dirac, scese dallo shuttle ed entrò nella camera stagna principale stringendo tra le dita una registrazione olografica consegnatagli su Imatra. Si trattava di una convincente panoramica di importanti ragioni che obbligavano i responsabili locali a restare al loro posto, attribuendo a Kensing la responsabilità di rappresentarli tutti in quell'incontro con il premier. Chiaramente erano tutti spaventati dalla possibile reazione dell'ambizioso e dispotico presidente; e forse, si disse Kensing, non avevano tutti i torti. Ma lui non provava alcuna paura. Anche in assenza del dolore che lo opprimeva non doveva temere nulla dal padre di Mike, che aveva visto almeno una dozzina di volte recandosi a studiare dal figlio e di cui era stato ospite per un lungo periodo estivo. Quell'importante conoscenza lo aveva portato a un soddisfacente impiego nel progetto di colonizzazione, e successivamente all'incontro con Anyuta. Al di là del portello blindato della camera stagna lo attendeva un uomo alquanto invecchiato ma dal fisico davvero possente, vestito di una tuta da lavoro che non offriva indicazioni sul suo grado o sulle sue funzioni. Subito Kensing riconobbe la fidata guardia del corpo del presidente, una presenza familiare nella sontuosa dimora in cui aveva vissuto qualche mese. — Salve, Brabant. La guardia del corpo, come sempre informalmente educata verso gli Fred Saberhagen
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ospiti del suo principale, riconobbe il giovane visitatore alla prima occhiata nonostante fossero passati diversi anni dal loro ultimo incontro. — Come sta, signor Kensing? Sieda pure. Il capo la sta aspettando e sarà libero tra un attimo. Dietro la guardia del corpo, l'interno dell'astronave ricordava l'ufficio di qualche importante dirigente di una grande città. Kensing notò al primo colpo d'occhio che era stato rifatto in modo da sembrare più caldo e spazioso. — Aspetterò in piedi, grazie. Ultimamente non ho fatto altro che stare seduto. Brabant lo guardò con fare comprensivo. — Ho sentito della dottoressa Zador. Mi dispiace, Sandy. — Grazie. — Lei e il principale adesso condividete una terribile perdita. Maledetti berserker! Nella tenebra del suo dolore, Kensing si era completamente scordato della morte di lady Genevieve. Ma era vero: lui e il premier avevano un altro punto in comune adesso, un punto molto personale. — Dov'è Mike? — chiese alla guardia del corpo. L'uomo sembrò compiere un sforzo per ricordare. — Non andava d'accordo con il padre ultimamente — disse con un certo fatalismo — e così ha deciso di fare le valigie e partire per un po'. È successo molto prima di tutto questo. — Qualche posto in particolare? — La famiglia non mi racconta tutti i suoi piani. — Pensavo di trovarlo a bordo. Suo padre avrà un gran bisogno di buoni piloti. — Ah, il capo ha degli ottimi piloti stavolta. Molto meglio di Mike. Kensing inarcò le sopracciglia. — Non ce ne sono molti in giro. — Forse no, ma quello che abbiamo a bordo adesso è bravo davvero — rispose Brabant con l'aria di chi vuol farsi pregare per cedere una succosa informazione. — Forse lo incontrerà — aggiunse, guardando su e giù nel corridoio. — Come sarebbe? Vuol dire che si tratta di qualcuno di speciale? — Può ben dirlo. È Frank Marcus, il colonnello; o perlomeno quello era il suo ultimo grado prima del ritiro. Questo distrasse per un attimo Kensing dalle sue afflizioni personali. — Fred Saberhagen
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Marcus? Intende dire... — Proprio lui: il famoso uomo nei cubi. Ho saputo che era lui a pilotare la Eidolon poco fa, quando siamo entrati in orbita attorno al pianeta. — Dei di tutti pianeti! E pensare che lo credevo morto da almeno dieci anni! — Cosa? Non vada a dirglielo, ragazzo mio! Oh, chiedo scusa per la poco diplomatica confidenza, signor delegato dei pavidi di Imatra! — fece Brabant, scoppiando in un'ironica risata. Kensing scosse la testa. Il colonnello Marcus era ormai un uomo molto vecchio, ma per più di un secolo era stato una sorta di eroe interstellare. A quanto ricordava Kensing, il colonnello aveva perso la maggior parte del corpo in un incidente (o era stato uno scontro con i berserker?) e da allora era rimasto confinato in tre speciali cubi metallici a causa di una totale incapacità motoria, una situazione che apparentemente vedeva come una sfida continua. — Ma lo sa cosa ho sentito? — incalzò Brabant, abbassando leggermente la voce. — Cosa? E qui iniziò una lunga storia, raccontata con grande abbondanza di dettagli clinici dall'ammirata guardia del corpo, il cui succo era che il celebre colonnello poteva ancora perfettamente godere della compagnia femminile, esprimendo fisicamente il suo entusiasmo nel migliore dei modi. — Felice di saperlo. E come mai lavora per il presidente? Ormai lanciato, Brabant spiegò che il colonnello, insignito con le più alte onorificenze della storia spaziale solariana, aveva firmato un contratto qualche mese prima come avanzato istruttore di volo dopo aver rifiutato di diventare il pilota personale di Dirac. La conversazione fece per volgersi su un altro argomento quando bruscamente s'interruppe. Qualcosa... no, qualcuno che poteva esser solo il colonnello in persona, avanzò verso di loro lungo il corridoio venendo dal ponte principale. Se Kensing non avesse saputo della presenza del colonnello a bordo avrebbe pensato di trovarsi davanti a qualche tipo di robot operaio. Contemplò i tre cubi metallici tra loro collegati che muovevano verso di lui. Ognuno era alto al massimo fino al ginocchio, e tutti insieme non erano più grandi di un corpo umano. I cubi avanzavano uno dietro l'altro su piccole ruote in materia polifasica, che non giravano in senso vero e Fred Saberhagen
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proprio ma si muovevano grazie alla morbida, continua deformazione di quella materia sotto uno stimolo. Dal primo cubo uscì una voce generata elettronicamente ma molto umana, il cui tono risultò tanto disinvolto da fermarsi un pelo prima dell'arroganza. — Salve, Brabant. Il capo è ancora occupato? Devo vederlo. E questo chi è? Chiedendosi cosa poteva mai succedere se avesse salutato tendendo la mano, Kensing fissò amabilmente una coppia di lenti da teleobiettivo e si presentò: — Il colonnello Marcus? Felice di conoscerla. Sono Sandy Kensing, un amico di Mike. — Mike. Ho sentito parlare di quel ragazzo, ma non ho ancora avuto l'opportunità di conoscerlo. — Cosa intende fare il presidente? — volle assolutamente sapere Kensing, determinato a insistere fino a scoprirlo. — Quello che farebbe chiunque nella sua posizione — replicò il veterano. — Darà la caccia al lupo cattivo. Questo era ciò che Kensing si augurava di sentire. Fin dall'inizio infatti qualcosa dentro di lui, qualcosa che veniva dal profondo del cuore, aveva contemplato la possibilità di partecipare alla caccia della macchina assassina che si era portata via Annie, di scoprire di persona cosa le era successo, di sfruttare ogni possibilità per quanto evanescente di mettere le mani sulla cosa mostruosa che tanto brutalmente li aveva divisi. E là davanti a lui vi era uno dei pochi esseri umani che potevano trasformare quel sogno in realtà. Frank Marcus, un eroe che aveva fatto parte di tutte le armate spaziali a eccezione dei Templari, pilotava ora la perfezionatissima astronave del presidente Dirac. Kensing disse apertamente: — Colonnello, voglio venire anch'io. Voglio essere tra coloro che distruggeranno quel berserker. — Davvero? — ribatté la voce proveniente dai cubi, suonando interessata ma non convinta. — La dottoressa Zador e io dovevamo sposarci tra un mese. Ma più concretamente, io sono un ingegnere esperto di sistemi difensivi. Lavoro ai progetti preliminari per le astronavi colonizzatrici. — Uhm. Esperienza di combattimento? — Nessuna. — Peccato, ma comunque questo non conta più di tanto. Si può dire la stessa cosa per la maggior parte del nostro equipaggio. Se lei è un Fred Saberhagen
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ingegnere qualificato e opera sui sistemi di difesa, forse il nostro principale potrà trovarle un posto. —
Qualche attimo più tardi Brabant, ricevendo evidentemente qualche invisibile segnale, accompagnò Kensing nell'ufficio di Dirac. Mettendo piede nelle stanze presidenziali per la prima volta da diversi anni, il giovane ingegnere non poté fare a meno di notare il radicale cambiamento occorso nella suite. Era come se l'ammiraglia stesse diventando meno un'astronave e più un luogo d'affari. Al centro della sala più interna vide una grande scrivania, uno splendido e antico scrittoio di vero legno ingombro di piccoli e potentissimi computer. Accanto ai computer vide una risma di fogli di vera carta, dietro cui spuntava la testa di un uomo. Il premier non era molto robusto, almeno fisicamente. Appariva cambiato in quei due anni, in qualche sottile maniera che Kensing trovò difficile definire. I capelli di Dirac erano grigio argento; folti e naturalmente ricci, coprivano ordinatamente la sua grande testa. Occhi glaciali e infossati seguivano ogni cosa da sotto le grigie sopracciglia, come due fuorilegge pronti a una sortita dal profondo di due miniere. Pelle e muscoli erano tesi e giovanili, contraddicendo almeno in parte l'impressione di anzianità ispirata dai capelli grigi. Giocherellava con un coltello dalla lama sottile, che Kensing riconobbe come un antico tagliacarte dal manico istoriato. La voce del presidente, col suo timbro eloquentemente basso e quasi da attore, suonò più pacata di quanto suonasse abitualmente in pubblico. Avanzando, vide che il presidente conversava con l'immagine di un uomo energico e interessante, molto più giovane di lui, che compariva sull'oloschermo più centrale dei tre presenti nello studio. Il giovane uomo, che mostrava sul colletto le insegne di pilota militare, stava dicendo: — La mia più profonda comprensione, signore. — Grazie, Nick — rispose il presidente presumibilmente affranto, dando come sempre l'impressione di controllare saldamente le proprie emozioni anche se qualcosa tradiva una profonda afflizione. Distolse gli occhi e guardò Kensing; Brabant uscì chiudendo la porta dietro di sé. Fu Kensing a cominciare. — Presidente Dirac, non so se lei... — Ma certo che mi ricordo di te, Kensing. Il migliore amico di mio figlio, il buon vecchio Sandy. Mike ha sempre parlato bene di te. E adesso ti rivedo qui, delegato dagli altri a spiegarmi quanto bravi sono stati. Fred Saberhagen
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— Ecco, signore, io... — Mi racconterai i dettagli più tardi. Ho sentito anche che lavori al progetto di colonizzazione, e che sei il fidanzato della dottoressa Zador. Devi farti forza, Sandy. E una brutta faccenda, davvero una brutta faccenda. — Grazie, signore. Ma anche lei ha tutta la mia comprensione, signore, la mia e quella di tutti su Imatra. Dirac accettò le condoglianze con un brusco cenno del capo. — Mike non c'è, stavolta — replicò nervosamente. — Brabant mi ha detto che è partito per un viaggio, signore. — Esatto. Lungo, molto lungo — affermò il premier indicando l'immagine olografica. — Posso presentarti Nick? Immagino non vi siate mai conosciuti prima. Nicholas Hawksmoor, pilota e architetto. Lavora per me. — No, signore, non ci siamo mai conosciuti. Dirac li presentò brevemente l'un l'altro. Per un istante, una qualche sorta di segreta ilarità parve illuminare il suo sguardo penetrante. Concluse le formalità, il presidente si volse nuovamente verso la testa e le spalle di Nicholas Hawksmoor. — Procedi, Nick. Con massima tranquillità, Hawksmoor raccontò: — Non ho potuto davvero far nulla. Mi trovavo... stavo preparandomi per salire a bordo dopo averlo agganciato quando c'è stata quella seconda esplosione. Ma non ho fatto in tempo. Non ho potuto far nulla per le persone a bordo. — Hai visto lady Genevieve tra quelle persone? — No, signore, non l'ho vista. Ma non posso assicurarle nulla, mi dispiace. — Non è colpa tua, Nick. — Credo di no, signore. Grazie per la sua comprensione. — Seguì una breve esitazione. — C'è un'altra faccenda che credo di dover menzionare. — Che faccenda? — Poco dopo l'inizio dell'allarme di secondo livello la dottoressa Zador, supervisore della biostazione, mi ha dato un comando diretto ordinandomi di distrarre il berserker in arrivo puntando con la mia astronave su di esso. Questa affermazione suonò tanto casuale che Kensing, che pensava di star prestando la massima attenzione, si chiese se per caso non aveva saltato qualcosa. Sapeva che in caso di emergenza Annie, come momentaneo supervisore, avrebbe automaticamente assunto il comando Fred Saberhagen
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delle difese locali. Una funzione altamente inappropriata per lei, ma... Dirac annuì, accettando quella notizia con sorprendente placidità. — E dopo cosa è successo? — Be', signore, la dottoressa Zador è uno scienziato e non un ufficiale sul campo. Naturalmente ha dato l'ordine pensando di avere una buona idea per rallentare il nemico, ma tutti sappiamo che non avrebbe funzionato. Avvicinarsi a meno di cinquemila chilometri significava farsi sicuramente vaporizzare, e il berserker non avrebbe rallentato neppure per un istante. "E quindi, quando la dottoressa mi ha dato quell'ordine ho preferito fingere di accettare e chiudere piuttosto che mettermi a discutere distraendola da cose più importanti. Ho accettato l'ordine e poi l'ho ignorato. La sola cosa davvero utile che potessi fare in quel momento era stare vicino al cargo e cercare di favorirne la fuga. "Se il berserker avesse mandato una delle sue unità d'assalto a dare la caccia al cargo, decisamente più lento, sarei stato in posizione adatta per difenderlo. In alternativa, avrei cercato di farmi seguire. Ma poi... tutti sappiamo com'è andata a finire" commentò Nick deluso. Perfettamente calmo, Dirac disse: — Va bene ugualmente. — La ringrazio, signore. — Tuttavia... — Sì, signore? Gli occhi infossati di Dirac fissarono Nick da sotto le sopracciglia color acciaio, in volto un'espressione minacciosa del tutto nuova agli occhi di Sandy. — Da quanto mi racconti, non sappiamo se lady Genevieve si trovava davvero a bordo del cargo. L'immagine di Nick sembrò vagamente ruminare. — Non ne abbiamo la certezza, ma... Dirac annuì lentamente, poi guardò Kensing. — Infatti, siamo in possesso di una registrazione radio in cui la dottoressa Zador esprime qualche preoccupazione riguardo la partenza del cargo. In breve, temeva che il pilota potesse sganciarsi senza attendere che tutti fossero saliti a. bordo. — Questo è esatto, signore. Il presidente Dirac rivolse quindi la sua piena attenzione al visitatore presente fisicamente nello studio. — Sandy, quegli incapaci su Imatra hanno qualche informazione su questo punto? Fred Saberhagen
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— Non che io sappia, signore, ma posso rapidamente accertarmene. — Bene. Procedi non appena uscirai di qui. Voglio tutte le informazioni disponibili riguardo la presenza o meno di mia moglie su quel cargo. — Signore, le procurerò tutto ciò che abbiamo. — Bene. — Dirac inarcò le argentee sopracciglia. — Finora nessuno mi ha portato alcuna prova dell'una o dell'altra ipotesi. Pertanto, devo pensare che poteva trovarsi ancora a bordo della biostazione quando questa è stata... diciamo rapita. Kensing non disse nulla. Ma Dirac non aveva ancora finito su questo argomento. — Sappiamo che a bordo della biostazione c'è qualcuno, vero? Sicuramente la dottoressa Zador, e poi... non aveva detto al pilota che qualcuno sarebbe rimasto con lei? Nick parlò a sua volta. — Il dottor Hoveler, credo, Daniel Hoveler. Anche lui è rimasto sulla biostazione con Zador. Ma la loro presenza a bordo era prevista dalle procedure di emergenza. Non potremo mai sapere se c'è anche qualcun altro. Dirac annuì, dando mostra di qualche cupa soddisfazione. — Pertanto in questo momento, proprio mentre noi parliamo, vi sono almeno due persone a bordo della biostazione che potrebbero essere ancora vive — disse, guardando negli occhi i suoi interlocutori come per sfidarli a mettere in discussione questo punto. Kensing era il primo a sperare che Annie fosse ancora viva. Si sentivano talvolta storie di prigionieri salvati in tempo, vivi anche se non sempre integri: le possibilità erano remote, ma esistevano. Nick invece sembrava intenzionato a discutere le supposizioni del suo principale. — Non ne siamo affatto certi, signore. Dirac gelò il giovane pilota con un'occhiata di fuoco. — Ho detto che potrebbero essere ancora vive. Giusto? Seguì una breve pausa in cui Nick sembrò arrendersi. — Giusto, signore. Il premier sorrise amabilmente. — Per andare sul sicuro, dobbiamo pensare che sono ancora vivi. E mia moglie potrebbe essere tra loro. — Sì, signore, ma per quanto ne sappiamo... — Bene. Questo è tutto per adesso. — E le mani di Dirac si mossero sulla scrivania, cancellando bruscamente l'immagine di Hawksmoor e chiamando altre immagini sul suo schermo privato. — Sandy, ho intenzione di ordinare la ricerca del cargo o di quanto ne Fred Saberhagen
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rimane — affermò, voltandosi verso di lui. — Mi dicono che le tute spaziali funzionanti emettono un segnale radio, ma che nulla del genere è stato ancora captato. Kensing non sapeva cosa dire, ma sembrava proprio che non dovesse dir nulla a quel punto. Dirac continuò. — Ho intenzione di tenere impegnati i miei piloti, Nick incluso. Dovranno raccogliere tutti i residui del combattimento, quelli provenienti dai berserker e i nostri, per poi consegnarli ai laboratori che li passeranno al setaccio. Questo dovrebbe consentirci di raccogliere varie informazioni. — Ottima idea. Signore, io volevo chiederle... — cominciò Kensing, ma il suo sguardo venne attratto da una delle pareti a schermo presenti nello studio. A quanto poteva vedere, gli strumenti riuscivano ancora a inquadrare il nemico in allontanamento con la sua preda. L'idea che Annie si trovasse in quella piccola macchiolina distorta prese a tormentarlo. Dirac seguì il suo sguardo. — Lo vedi anche tu? A quanto dicono tutti gli esperti di questo sistema, dall'immagine al telescopio appare chiaro che la stazione è completamente intatta. Le mie tre astronavi saranno presto pronte a partire. Questione di un paio d'ore ormai. E non appena saranno pronte, andremo a caccia di quel leone metallico. — Vorrei venire con voi, signore. — Mi aspettavo di sentirti chiedere qualcosa del genere. La tua esperienza nei sistemi di difesa avanzati ci sarà utile. Benvenuto con noi. Cerca Varvara quando esci: ti arruolerà ufficialmente nel mio equipaggio. — La ringrazio, signore. Il premier annuì. — Lei non è morta, credimi — disse, riferendosi ovviamente alla sua giovane sposa. Poi aggiunse, guardando tranquillamente la mappa dei settori confinanti con la Mavronari: — Se fosse morta lo saprei, ne sono certo. Ma intanto, accontentiamoci di raccogliere tutte le informazioni possibili sul nostro nemico. I residui dei berserker, come Kensing sapeva benissimo, risultavano spesso preziosi agli analisti militari in quanto consentivano di raccogliere preziose informazioni sulla classe, e quindi la potenza, la velocità e gli armamenti del nemico da affrontare. Il giovane annuì. Avevano bisogno di ogni grammo di vantaggio che potevano ottenere. Lasciando lo studio presidenziale, Kensing incontrò ancora una volta il Fred Saberhagen
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colonnello Marcus e Brabant, la guardia del corpo del presidente. Conversavano in corridoio con una donna che Kensing non aveva incontrato prima e che si presentò come Varvara Engadin. Varvara aveva più o meno l'età del presidente, probabilmente sulla quarantina, ma era una donna ancora agile e dalla bellezza appariscente. Il suo nome gli risultava familiare. Era l'amante di Dirac e, secondo le cronache più smaliziate, la sua consigliera politica più influente ormai da anni, già da prima che Kensing entrasse in contatto con la famiglia Sardou. A quei tempi la madre di Mike era morta da tempo. — Signorina Engadin, il presidente mi ha detto di chiedere a lei per arruolarmi ufficialmente nell'equipaggio. — Sandy — disse lei inaspettatamente, tendendo entrambe le braccia in un gesto di solidarietà. — Ho sentito della sua perdita. La conversazione si concentrò brevemente sulla tragedia. Nonostante tutti ne parlassero in modo distaccato e diplomatico fu opinione comune che Dirac non riuscisse a rassegnarsi all'idea della morte di sua moglie, al punto da convincersi di poterla riportare indietro. Doveva fare a modo suo, doveva imporre la sua volontà anche quando c'erano di mezzo i berserker. Piuttosto turbato, Kensing commentò che tutti sapevano quante poche speranze vi erano di trovare qualcuno ancora vivo. E il pretendere di imporsi contro ogni logica non faceva affatto parte del normale comportamento di Dirac. — Lo conosce bene? — gli chiese il colonnello. Aveva un modo di orientare le lenti del cubo anteriore che rendeva chiaro a chi stava parlando. — Sono un amico di suo figlio, una sorta di amico di famiglia; ma adesso non vedo Mike da qualche anno. Ho vissuto con il presidente un paio di mesi in una delle loro ville. E lei? — Oh, io non li conosco molto bene. Lavoro per il presidente solo da un paio di mesi. Avevo appena rifiutato un impiego da pilota istruttore quando il presidente mi fece questa proposta. Ho accettato e adesso mi ritrovo immerso fino al collo in questa storia — commentò Marcus, suonando niente affatto dispiaciuto per la prospettiva di tornare in azione. In qualche modo i cubi metallici e la voce che ne usciva colpirono Kensing in quanto capaci di esprimere sfumati sentimenti. Adesso, per esempio, i tre cubi metallici ondeggiavano dolcemente. — Cosa crede che sia successo a sua moglie, onestamente? — domandò Fred Saberhagen
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Kensing, sentendosi in qualche modo obbligato a richiedere l'opinione di un esperto. — Io penso che il presidente abbia ragione. Forse sua moglie non è mai salita su quel cargo. — E quindi è viva, prigioniera dei berserker nel... — Kensing si accorse di provare un brivido pensando apertamente a questo. — Può darsi, ma mi lasci dire una cosa: con i berserker tutto è possibile. Quindi, cerchi di controllare l'angoscia e la speranza fino a quando non raggiungeremo quel maledetto. —
Una volta riempito e firmato il modulo di arruolamento, Kensing si diresse verso la cabina a lui assegnata in compagnia del colonnello Marcus, approfittando dell'occasione per ascoltare attentamente le sue opinioni. A un certo punto il colonnello affermò che, da un primo esame dei filmati, due cose differenziavano questo attacco da tutti quelli che riusciva a ricordare. — Primo: al di là di quanto è avvenuto qui, nelle vicinanze di questo planetoide, pare evidente che il berserker non ha compiuto alcuno sforzo per raggiungere i pianeti più interni del sistema. Non ha inviato dei ricognitori per studiarli da vicino e neppure ha attaccato il traffico spaziale tra un pianeta e l'altro. C'erano un buon numero di astronavi in volo, tutte disarmate. — I pianeti più interni sono meglio difesi — obiettò Kensing. Marcus accolse il commento con un gesto della mano metallica, un'appendice tentacolare che sporgeva dal robotico braccio. Un dispositivo dall'aspetto disumano, ma chiaramente utile. — La mia lunga esperienza mi insegna che quando un berserker armato e potente come questo intravede la possibilità di sterminare un paio di miliardi di persone fa di tutto per raggiungere l'obiettivo, costi quel che costi. — È allora perché si è accontentato della biostazione? Non l'ha neppure distrutta, ma l'ha agganciata e portata con sé! — Ancora non lo so. Ma qualcos'altro mi colpisce come davvero speciale: il nostro insidioso amico non ha tentato nemmeno di avvelenare questo pianeta. E pensare che era proprio qui, padrone assoluto del campo. Le difese di Imatra sono, anzi erano, comunque troppo leggere per impensierirlo. Ma lui si è limitato a distruggere le batterie che lo inquadravano senza fare altro. Fred Saberhagen
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Kensing, il cui impiego lo obbligava a studiare le tattiche berserker almeno da un punto di vista teorico, aveva già cercato di spiegarsi in qualche modo quell'anomalia. — E questo secondo lei cosa significa? Possibile che si tratti di qualche altro mostro meccanico, qualcosa che non vuole davvero uccidere la gente? Forse, la folle spiegazione è che non si tratta di un berserker! — Calma. Non lo andrei a raccontare ai poveretti che occupavano le difese di terra o che hanno cercato di combatterlo nello spazio. No, era deciso e armato a sufficienza. Solo, aveva qualche obiettivo più ampio che non attaccare semplicemente questo sistema, qualcosa di tanto importante da convincerlo a non rischiare per uno sporadico raccolto di unità umane, come ci definiscono loro. Anche i berserker adottano delle strategie, che talvolta possono portarli a risparmiare questo o quell'insediamento. — Va bene. Era questo il suo secondo punto? — No. Il secondo punto è che anche adesso, a un paio di giorni dall'attacco, quel maledetto continua a comparire sugli schermi. O i suoi motori sono danneggiati e non può entrare nell'iperspazio, oppure non vuole rischiare il carico della biostazione. E se non ha raggiunto delle velocità C-più finora, non le raggiungerà mai perché si è avvicinato tanto alla Mavronari da penetrare le sue propaggini più estreme. Kensing si fermò nel corridoio per attivare un'altra volta uno dei numerosi terminali presenti sull'ammiraglia. Il berserker era osservabile con qualche difficoltà, tuttavia compariva ancora. Procedeva sulla sua rotta a velocità convenzionali ma molto rapide per l'accrescersi della spinta inerziale, tanto che le sottili, tremule immagini della macchina assassina e della sua preda tendevano chiaramente al rosso. Non più di tanto però. — Nonostante la spinta che ha accumulato, procede ancora a velocità molto inferiore a quella della luce. — Esatto. Non ha neppure provato a raggiungere la potenza sufficiente per balzare nell'iperspazio. E visto dove è arrivato, ormai è troppo tardi perché fugga a velocità C-più. Quasi per confermare le parole del colonnello, una rapida ricerca al terminale rivelò che l'accelerazione del berserker andava scemando, e che sarebbe calata ancora nelle ore successive in quanto si accingeva a penetrare nelle profonde spire della nebulosa. Poco dopo si svolse sulla Eidolon un vero e proprio consiglio di guerra alla presenza di tutti i collaboratori del presidente. Anche Kensing venne Fred Saberhagen
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invitato a partecipare, in quanto rappresentante ufficiale di Imatra. Peraltro i suoi compatrioti, le autorità imatrane che lo avevano delegato, continuavano a mantenere un diffidente distacco. Kensing rimase a bordo dell'astronave presidenziale, dando incarico a qualcun altro di tornare su Imatra e di prendere i suoi vestiti e qualche strumento di lavoro. Ormai non poteva più lasciare la Eidolon, e anzi doveva sperare che l'inviato facesse in tempo a riportargli quanto richiesto: la partenza era vicina e in poco più di un'ora si sarebbero lasciati alle spalle il verde planetoide. Al consiglio di guerra in svolgimento sull'astronave, qualcuno avanzò l'ipotesi che il berserker avesse riportato danni tali nel combattimento da impedirgli di balzare nell'iperspazio, e che quindi si fosse diretto verso la nebulosa sperando di riuscire a nascondersi prima che gli umani mettessero in campo forze sufficienti a distruggerlo. Ma un ufficiale obbiettò: — Questo non chiarisce i motivi per cui ha scelto di ritirarsi invece di attaccare e uccidere. — Era seriamente danneggiato. — Ba'! E allora? Stiamo parlando di un berserker. A lui non importa la sua sopravvivenza. Sa solo che deve distruggere tutta la vita che può prima di venir distrutto a sua volta. E appare chiaro che era ancora in grado di combattere. — Se solo sapessimo perché una biostazione, questa biostazione in particolare, significa tanto per lui! Varvara Engadin decise di intervenire. — La risposta a questa domanda sta davanti ai nostri occhi, e io credo che nessuno dovrebbe trascurarla: sulla biostazione erano conservati un miliardo di zigoti umani. — Già. Non vita attiva, ma solo potenziale. Circa un miliardo di potenziali solariani. Ma è sempre vita: un berserker dovrebbe teoricamente cercare di distruggere un simile carico con tutte le sue forze. E allora, perché non lo ha fatto subito? — Cercando di immaginare il perché, la mente di Kensing vagò invano tra mille ipotesi sinistre quanto vaghe. Qualcun altro asserì che, indipendentemente dal fatto che il nemico avesse perso o meno la capacità di raggiungere velocità iperspaziali, la composita massa formata dal berserker e dalla stazione spaziale era molto, troppo impacciata. Manovrare in qualsiasi tipo di spazio le sarebbe stato più difficile dei veloci mezzi al comando del presidente. Fred Saberhagen
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Le proiezioni, continuamente aggiornate, indicavano che nonostante il ritardo necessario ad armare le astronavi umane vi erano ottime possibilità di raggiungere il nemico in fuga. Ignorando tranquillamente il soggetto del suo commento, che sedeva imperturbabile accanto a lui, l'interessante e complesso profilo geometrico in grigio che era Frank Marcus con il primo cubo sollevato all'insù affermò che Dirac, i cui notevoli traguardi non si erano estesi al settore militare, aveva fatto la cosa giusta decidendo di dare la caccia al berserker. Qualcuno non molto furbo pose direttamente la domanda a Dirac. — E ancora quella la sua intenzione, signore? Gli occhi d'acciaio di Dirac lo guardarono attraverso la tavola, e attraverso i confini della realtà virtuale perché il premier aveva deciso di rimanere nella sua suite. — Che razza di domanda è questa? Certo che gli daremo la caccia! — esclamò, guardando sorpreso il suo interlocutore come se non riuscisse a concepire un'altra soluzione. — Qualsiasi piano abbia in mente quella cosa dannata, non gli consentiremo mai di portarlo a termine! Qualcuno chiese che tipo di aiuto potevano aspettarsi da Imatra. A questo punto tutti gli occhi si volsero su Kensing. Ma lui poté solo ripetere con tono apologetico che tutte le astronavi armate disponibili nel sistema erano andate perse nello scontro. Sarebbe occorso del tempo per armare a dovere delle astronavi civili, anche ammettendo che potessero giocare un ruolo utile in una simile faccenda. — Non si preoccupi — lo rassicurò Dirac. Dopo di ciò la riunione ebbe termine, aggiornandosi a dopò la partenza. Passarono lunghi minuti, quantomai intensi per l'attività che precedeva l'inizio di una difficile missione. Armate e potenziate al massimo, la Eidolon e la sua doppia scorta rappresentavano dei formidabili avversari per chiunque, e ormai erano quasi pronte a partire. Nel frattempo il nemico, la cui ritirata risultava ancora perfettamente osservabile dai satelliti che orbitavano attorno a Imatra, continuava a seguire una rotta che lo avrebbe portato più o meno al centro della nebulosa. Ma una volta penetrato in quella massa di polveri e gas, l'elevata densità ambientale della materia gli avrebbe impedito di procedere a velocità elevate. Pertanto il berserker non si sarebbe allontanato di molto nei giorni successivi, sorprese permettendo. Fred Saberhagen
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Qualcuno fece notare che il berserker aveva seguito la stessa rotta sia attaccando che ritirandosi: anche questa rappresentava sicuramente un'anomalia, ma nessuno credette opportuno attribuirle un significato particolare. La deliberata sottrazione del laboratorio spaziale indicava comunque che il nemico agiva seguendo un piano diverso dal solito, un piano che forse implicava la cattura di prigionieri solariani. La sua intenzione di crescere un esercito di servitori umani da impiegare come cavie per nuove armi biologiche o come infiltrati per seminare il panico sui pianeti abitati appariva sempre più ovvia, e cominciava a preoccupare seriamente qualche collaboratore del presidente. Un simile modo di operare era nuovo per i berserker: le sue conseguenze potevano rivelarsi particolarmente nefaste. Nonostante l'ironia del colonnello Marcus, le particolarità della situazione erano tali che Kensing, come del resto altri partecipanti alla riunione, continuò a nutrire seri dubbi sulla vera identità del loro formidabile avversario. Dopotutto, non era la prima volta nella storia del volo interstellare umano che una banda di intraprendenti pirati spaziali agiva in modo da attribuire ai berserker la colpa di qualche sanguinoso assalto. Ma quando parlò delle sue idee con altri esperti al servizio di Dirac, essi le confutarono subito e senza appello. Tutte le prove materiali smentivano quell'ipotesi. Ormai Hawksmoor e gli altri piloti avevano raccolto abbastanza materiale da consentire una seria analisi, e i primi risultati erano già noti: metalli berserker. Inoltre un grosso residuo della battaglia, un relitto metallico largo parecchi metri, era precipitato praticamente intatto sulla superficie di Imatra, la cui atmosfera poco profonda e trattenuta artificialmente tendeva a rallentare la caduta dell'oggetto senza bruciarlo seriamente. Immediatamente esaminato da tutti gli esperti disponibili, il relitto risultò composto di metalli berserker e assemblato con i loro metodi. I computer centrali dell'astronave di Dirac, macchine intelligenti nel vero senso della parola, informarono i loro operatori che potevano ancora raggiungere il nemico ma che il tempo utile si andava pericolosamente assottigliando. Ogni ora che passava portava il berserker più vicino al suo rifugio nel cuore della nebulosa. Dirac faceva fretta ai suoi uomini per Fred Saberhagen
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partire prima possibile, ma naturalmente vi erano dei tempi tecnici da rispettare. Kensing ne approfittò per conoscere un po' meglio l'equipaggio dell'ammiraglia, composto da una trentina di persone, lutti apparivano soliuali con n presidente. senza dubbio era un equipaggio scelto, volontari selezionati da Dirac in base alla loro capacità e affidabilità. Ma non tutti erano a bordo volontariamente, almeno per quella missione. Kensing lo scoprì per caso, nel corso di un inventario di routine delle attrezzature di bordo. Il lettino di uno dei medirobot era occupato da una camera di animazione sospesa, tragicamente simile a una bara, con il coperchio di vetro ermeticamente chiuso su un interno gelido e vaporoso. Il dispositivo di controllo era regolato su tempi estremamente lunghi. Nulla riportava il nome della persona che conteneva. Da sempre convinto dell'utilità di un approdo diretto, Kensing si avvicinò al medirobot per dare un'occhiata da vicino. Si trovava in un corridoio fuori mano e deserto. Varvara Engadin gettò qualche luce sulla faccenda. L'occupante della camera di animazione sospesa era un volontario per la prima colonia progettata dalla Fondazione Sardou. Un individuo tanto convinto della bontà del progetto e tanto determinato a prender parte alla grande avventura coloniale da richiedere appositamente di venire ibernato per il periodo che mancava all'inizio delle operazioni. In tutti i settori della galassia dominati dai solariani si tendeva a combattere la sovrappopolazione in un variegato numero di modi. I sistemi anticoncezionali erano conosciuti e utilizzati, ma niente affatto universali. Con una popolazione complessiva di qualche centinaio di miliardi di persone, sui pianeti solariani si registravano milioni di gravidanze indesiderate ogni anno. La rimozione di un embrione o di un feto entro le prime settimane di vita era pratica costante, ma la loro distruzione veniva considerata inaccettabile. Si procedeva quindi alla loro conservazione, ma anche un'attesa indefinita rappresentava una negazione della vita. Il presidente Dirac aveva risolto il problema nei sistemi a lui soggetti annunciando l'avvio in un prossimo futuro di un massiccio programma di colonizzazione. Venne creata una speciale commissione tecnica e scientifica per studiare i mille problemi operativi e avviare i piani preliminari. Con qualche fretta si fissarono delle scadenze e si indicarono degli obiettivi. Il pubblico reagì con entusiasmo. Lo spirito del pioniere era ancora molto sentito, nonostante i rischi e la fatica a esso collegati. Fred Saberhagen
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Una variazione sul tema meno conosciuta dal pubblico era la decisione, presa in generale da tutti i governi, di nascondere in depositi segreti molti milioni di embrioni per continuare la specie umana nella sfortunata ipotesi che i berserker riuscissero un giorno a sterminare l'umanità e a sterilizzare tutti i pianeti su cui fioriva la vita. A questo proposito diverse astronavi robotizzate scandagliavano da tempo l'universo alla ricerca di un pianeta simile alla Terra, nascosto, completamente sconosciuto alle cronache spaziali di qualsiasi razza. Il dibattito intergovernativo verteva più che altro su cosa fare una volta trovato un simile pianeta, se trasportare tutto in una sola, grande carovana o compiere più viaggi. Il favore andava però alla prima ipotesi, in quanto avrebbe consentito, una volta completata l'installazione delle strutture necessarie, di cancellare per sempre ogni registrazione di quel pianeta affinché le macchine di morte non ne apprendessero l'esistenza dal materiale catturato. Engadin disse che i piani della Fondazione Sardou, elaborati dopo lunghi negoziati tra tutti i pianeti soggetti all'influenza del premier, contemplavano ogni cosa. Per esempio, era stato sviluppato un programma informatico molto adattabile per decidere, una volta raggiunto il pianeta da colonizzare, quali embrioni sviluppare per primi sulla base della loro resistenza ai batteri locali. Ascoltandola, Kensing si chiese se per caso tutta quella faccenda non era stata inventata ad arte per fornire alla gente del lavoro e qualcosa di cui parlare. Ma più che altro, simili piani provavano a tutti i solariani che le autorità rispettavano la vita non solo combattendo i berserker, ma anche offrendo una possibilità a miliardi di futuri individui destinati altrimenti alla morte o a una vita infelice. La promessa di trovare alla fine una soluzione elaborando un piano di colonizzazione efficace, e persino la meticolosa riflessione su tutte le difficoltà che un simile progetto comportava, consentì a un gran numero di persone di mettersi l'anima in pace pensando che qualcosa si stava facendo per tutti quegli embrioni in animazione sospesa. Molti punti erano però ancora controversi. Per esempio, quante incubatrici doveva trasportare ogni astronave? Sulla biostazione ve n'erano circa un centinaio, ma le future astronavi ne prevedevano di più. Quanto spazio concedere alle strutture che avrebbero ospitato i precettori umani dei nascituri, i tecnici, gli educatori, gli scienziati? Sulla biostazione, cioè l'unico prototipo finora costruito delle future astronavi colonizzatrici, Fred Saberhagen
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erano state realizzate strutture per una trentina di adulti. Acqua, cibo e aria venivano completamente riciclati, e già diverse volte quelle strutture avevano adeguatamente ospitato un certo numero di scienziati. Naturalmente si era anche tentato di arruolare dei genitori volontari per crescere la futura moltitudine di bambini. Una volta Annie confessò a Kensing di star valutando la possibilità di dedicare la sua vita a questo scopo, ma poi avevano deciso di sposarsi e lei aveva abbandonato l'idea. Il volontario ibernato attualmente a bordo della Eidolon era un maschio, come Kensing scoprì esaminando i file dei medirobot allineati nel remoto corridoio. Il suo nome era Fowler Aristov. Età al momento dell'ibernazione: vent'anni. Sul monitor comparve un intero elenco di caratteristiche personali, al quale Kensing prestò scarsa attenzione. Una simile dedizione alla causa lo impressionò in modo non del tutto favorevole. Fanatismo era forse una definizione più appropriata. Naturalmente a livello soggettivo nulla distingueva l'animazione sospesa di lunga durata da quella, più comune, di breve durata. "Volontario per la causa, entri nel sarcofago e sogni d'oro. Un giorno la sveglieremo e lei dovrà riprendere a funzionare quanto prima, un'ora o poco più e poi subito al lavoro!" No, non faceva per lui. Alla fine non disse nulla riguardo l'opportunità di sbarcare il volontario. Certo occupava un medirobot, ma altri cinque erano prontamente disponibili e tutti sapevano che le battaglie spaziali non causavano un gran numero di feriti ma solo morti. Inoltre, il futuro colono aveva evidentemente deciso di lasciare al destino un assegno in bianco riguardo il proprio futuro. E finalmente iniziò il conto alla rovescia per la squadra solariana. Meno di un'ora, poi la grande caccia sarebbe finalmente cominciata.
5 Jenny mi ha baciato al primo incontro balzando dalla sedia in cui sedeva; e tu, il Tempo, grande ladro che ami tanto riempir di tenerezze la tua lista, aggiungi questo: sarò stanco, sarò triste, sarò povero e malato; certo, sarò vecchio, ma ricorda... Fred Saberhagen
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La ballata si concluse nel silenzio. Le lunghe dita esangui del menestrello restarono immobili sulle corde dell'insolito strumento che stringevano. L'intero suo corpo parve irrigidirsi sulle gambe, mentre qualcosa nell'espressione del suo volto suggerì la presenza di una forte emozione che gli impediva di continuare a cantare. Il pubblico consisteva di una sola persona: lady Genevieve. I lineamenti indonesiani della giovane donna facevano da complemento alla sua corporatura snella e minuta. La sua bellezza era impressionante quanto delicata. La sua esile figura, avvolta in un lungo, candido abito che ricordava quelli in uso nelle antiche cerimonie nuziali sulla Terra, giaceva reclinata su una panca di pietra grigia dall'aspetto incredibilmente antico, almeno quanto le circostanti mura del convento. Le incisioni alla base della panca di pietra, raffiguranti un tempo animali fantastici, erano state lentamente erose dall'inclemenza del tempo e ora sfumavano in un confuso anonimato. Un lichene grigiastro spuntava a macchie qua e là. Prima che la giovane donna occupasse quel posto, il menestrello aveva provveduto a riempirlo di soffici cuscini blu, rossi e gialli le cui sfumature si intonavano perfettamente con la profusione di fiori del giardino. — Lei canta meravigliosamente — disse incoraggiante al suo intrattenitore. Parlava con la sua voce naturalmente fievole, non più obbligata a un doloroso sforzo per trovare l'aria con cui emettere le parole. — La ringrazio, milady — rispose l'improvvisato ma capace menestrello, rilassandosi al sole dorato e volgendo lo sguardo su di lei. Si levò il cappello piumato con un ampio gesto della mano, gingillandosi con esso per un attimo come se non sapesse che farne prima di lanciarlo nell'oblio dietro una fragrante aiuola fiorita. Quei fiori erano davvero notevoli, una vera e propria siepe dai vividi colori alta fino al ginocchio che correva su un lato dell'ampio cortile erboso racchiuso tra le mura grigie e massicce dell'antico convento. Cosa c'era oltre quelle mura vetuste era più di quanto la giovane donna potesse immaginare. Fino a quel momento le avevano ispirato più che altro sicurezza, ma adesso... Una leggera brezza agitò i merletti del candido vestito di lady Genevieve. Mille domande si accavallarono nella sua mente; qualche risposta poteva rivelarsi davvero spaventosa. La domanda con cui scelse di iniziare le parve sciocca ma abbastanza sicura. — Ha composto lei questa canzone? Fred Saberhagen
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Il menestrello annuì. — La musica è mia, ma mi piacerebbe dire altrettanto delle parole. Invece, devo purtroppo ammettere che le ha composte un uomo di nome Leigh Hunt. Visse molti secoli fa, e naturalmente la Jenny che aveva in mente era una ragazza ben diversa da lei. Ricorda quando le ho detto che il suo nome mi richiamava alla mente... — Dove siamo? — lo interruppe Genevieve con involontaria scortesia. Era la prima domanda seria che rivolgeva al suo soccorritore. Voleva approfondire ogni cosa con fermezza ma con la dovuta calma, anche se più ci pensava e più la sua presenza lì pareva assurda. • Il menestrello rispose con voce un po' più rauca e molto più profonda di quella con cui aveva cantato. — Ci troviamo nella città di Londra, milady, sulla vecchia Terra; e queste sono le antiche mura di un famoso luogo di culto, un simbolo dell'antichità: l'abbazia di Westminster. — Davvero? Ma io non ricordo affatto di essere giunta fin qui. ! — È abbastanza naturale, viste le circostanze. Nulla di cui preoccuparsi davvero. Ma le spiegherò tutto a tempo debito. In ogni caso si ricorda di me, vero? — le chiese, tradendo qualche ansia sotto l'apparente tranquillità. Appoggiando il singolare strumento alla panca di pietra s'inginocchiò davanti alla giovane donna fino a toccare quasi terra, tendendo la mano destra verso di lei. Ma il movimento fu alquanto goffo, e l'uomo accennò a caderle in grembo; dovette rapidamente appoggiarsi a un cuscino con le lunghe e agili dita per cavarsi d'impaccio. — Nicholas Hawksmoor al suo servizio, milady — aggiunse. Visto in quell'ambiente, Nick appariva più come un uomo di mezza età che un giovane e baldanzoso pilota. Un po' più alto della media, aveva perso la solenne dignità mostrata durante il primo contatto olografico. I peli del suo petto erano lucidi e arricciati, ma i capelli cominciavano visibilmente a diradarsi. Aveva una piccola barba appuntita e un paio di baffi sottili, forse troppo sottili per soddisfare pienamente un uomo. Sicuramente, pensò Genevieve, una delle cose che più temeva era di venir preso per un semplice dandy, una bella presenza tutta immagine e niente sostanza: per evitarlo, Nick sembrava disposto a concepire e realizzare grandi cose. Nella vita si era senza dubbio trovato avanti a emergenze ben peggiori di una precoce caduta dei capelli. Sotto la stentata capigliatura, il suo viso non presentava molte particolarità. In qualche modo non appariva bello come lady Genevieve aveva creduto vedendone l'immagine olografica. Il suo naso alquanto Fred Saberhagen
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aquilino non era ben proporzionato; gli occhi tendevano all'acquoso e il loro colore le parve fin troppo anonimo, qualcosa tra il grigio e il marrone. Il pilota e architetto che le aveva salvato la vita indossava quel giorno un costume tipicamente medievale, con le lunghe gambe avvolte da attillati pantaloni che ricordavano una calzamaglia e il busto coperto da una corta giubba priva di bottoni. Le fibre sembravano vegetali, obsolete ma di aspetto molto robusto, tinte con colori anonimi quanto i suoi occhi. Il contrasto con il candido abito bianco indossato dalla giovane donna era stridente. — Ma certo che ricordo il suo nome — rispose lady Genevieve — e anche il suo volto, anche se sembra vagamente diverso adesso. Ci siamo visti solo due volte prima d'ora, ma mai da vicino. La prima volta è stata sull'oloschermo; la seconda quando indossava la tuta spaziale e l'elmetto, e io non riuscii a vedere il suo volto neppure per un attimo perché quando ci provai... La giovane donna non impallidì veramente al ricordo di quel terribile istante, ma Nick ebbe la sensazione che lottasse per mantenere il controllo di sé. Frettolosamente la interruppe. — In effetti ci trovavamo davvero su un'astronave. Ma adesso siamo qui, milady, qui in questo piacevole luogo. Perché anche lei lo trova piacevole, vero? Qui lei è al sicuro, protetta quanto solo io posso proteggerla. E io possiedo... interessanti capacità. Quella sensazione di angoscia scomparve. Lady Genevieve sembrò accettare le rassicurazioni del suo interlocutore come un dato di fatto, ma il suo bisogno di spiegazioni non ne venne minimamente placato. Scuotendo piano la testa come per scacciare le incertezze, sollevò una mano ben curata in un gesto interrogativo indicando due grandi torri rettangolari in pietra che sovrastavano le mura del convento. Le due strutture gemelle s'innalzavano per molti metri, le loro monumentali figure sfumate e grigiomarrone nella foschia del sole al tramonto. Ogni torre era sormontata ai quattro angoli da altrettante guglie sottili. La più vicina sembrava tanto grande, forse perché si ergeva a soli quaranta, cinquanta metri da loro, da dominare completamente il convento e il suo fiorito giardino. Emettendo grida sottili, un gabbiano passò planando su rigide ali tra la torre e la coppia presente nel chiostro. Hawksmoor seguì il suo gesto con lo sguardo e disse: — Quelle torri delimitano il lato occidentale dell'abbazia, milady, e l'ingresso si trova Fred Saberhagen
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proprio tra di esse. Le ho progettate io, e ho seguito da vicino la loro costruzione. Be', per essere onesti, cosa che voglio sempre fare con lei, sto parlando di qualcuno che aveva il mio stesso nome, qualcuno che visse ancora prima dell'uomo da cui ho preso le parole per la mia canzone. Ma ritengo di poter affermare con obiettiva onestà che avrei potuto progettarle così e anche meglio nonostante a quei tempi si lavorasse solo con pietra, legno e calcina. Ricorda? Una volta le dissi di essere un architetto. — Sì, lo ricordo. In effetti credo di riuscire a ricordare ogni cosa che lei mi ha detto — rispose la giovane donna, tirando un lungo respiro che le sollevò i piccoli seni. — Ma ho la sensazione che vi sia di più, molto di più che dovrei ricordare. Sono cose che riguardano gli eventi più recenti, eventi di grande importanza. Se mi sforzassi potrei scoprire da me ciò che mi è successo: le risposte sono alla mia portata, ma... — Ma lei esita a compiere quello sforzo. — Sì — ammise Genevieve. — Perché... perché ho paura. L'uomo si alzò con leggerezza dalla sua goffa posizione accovacciata, guardandola timidamente dall'alto. — Se quei ricordi la turbano, aspetti ancora un po' — le disse. — Non è necessario preoccuparsene adesso. La prego, lasci a me tutte le preoccupazioni che possono sorgere e per qualche tempo accetti questa pace. Sarà un privilegio per me, e quanto piacevole lei non può immaginare, proteggerla da ogni insidia e da qualsivoglia minaccia. — Grazie, Nicholas. Sarà un onore per me godere della sua protezione. Grazie, grazie infinite. — Così dicendo, Genevieve tese la mano piccola e graziosa. Il suo cavaliere mosse un passo avanti per stringerla dolcemente. E nel momento stesso in cui le loro dita si toccarono, la giovane donna sprofondò nelle tenebre. In quel formidabile trio di astronavi da guerra, la Eidolon era di gran lunga la più rapida, la più grande e la meglio armata. Continuando a orbitare attorno al planetoide Imatra, il presidente Dirac e i suoi collaboratori umani e non, i tecnici, i consiglieri, le guardie del corpo e gli specialisti (tra cui risultava anche Sandy Kensing) fecero il possibile per accelerare la partenza. Una delle astronavi appoggio, l'unica che aveva dovuto atterrare su Imatra per qualche problema tecnico, comunicò di esser pronta a partire e lasciò frettolosamente la superficie del pianeta per riunirsi alle altre due. Fred Saberhagen
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Qualche minuto dopo, la piccola ma potente squadriglia abbandonò Imatra senza alcun cerimoniale allontanandosi dal Sole con accelerazione stabile per puntare verso il cuore della Mavronari. A velocità convenzionali la parte più densa della nebulosa distava in effetti anni-luce dal sistema di Imatra, ma le prime frange dell'immenso ammasso di gas e polvere erano raggiungibili in pochi giorni di viaggio appena. Con moto sempre più veloce, la squadriglia di Dirac seguì per qualche tempo un'orbita opposta a quella del Sole in cerca dello spazio libero più ampio di quella regione, qualche piano gravitazionale relativamente agevole che consentisse alle tre astronavi il brusco balzo nello spazio non convenzionale. Impossibile però procedere con totale sicurezza. Qualche rischio di microcollisione doveva venir accettato. D'altro canto, il vantaggio accumulato dal nemico in fuga era tale da obbligarli al balzo nell'iperspazio se volevano avere qualche possibilità. Proprio davanti alla squadriglia solariana e ancora vagamente percettibile al telescopio a giorni-luce di distanza, la biostazione rubata dal berserker continuava ad allontanarsi formando a quella distanza un'unica immagine con l'immensa, enigmatica macchina che l'aveva strappata alla sua orbita. Lady Genevieve si ritrovò ancora una volta col suo nuovo compagno, intenta a passeggiare. La sua mano riposava leggera sull'avambraccio di lui. Non sapeva dire come si ritrovasse in quella situazione, tuttavia non si preoccupò più di tanto. Passeggiavano nello stesso giardino meravigliosamente fiorito in cui si erano incontrati prima, quando lui le aveva fatto da menestrello. Il sole nebbioso e dorato non sembrava esser calato più di tanto da quando sedeva sulla panca di pietra. Non poteva esser passato molto tempo, si disse, tuttavia c'era stata un'interruzione tra prima e adesso, un indefinito intervallo di qualcosa... o forse di buio? Certamente Nicholas Hawksmoor aveva cambiato aspetto in quell'intervallo. Non indossava più il costume da menestrello, sostituito da abiti molto più raffinati anche se comunque ben diversi dall'uniforme di pilota. Guardandolo, la giovane donna si chiese se anche i suoi capelli erano cresciuti nel frattempo. Si accorse di poter toccare il suo braccio senza svenire. Camminavano a braccetto ormai da un po' e nulla era accaduto. Ma il contatto con l'avambraccio di Hawksmoor e con l'insolita camicia che lo copriva aveva qualcosa di strano: la stessa strana sensazione, ora che ci pensava, che le Fred Saberhagen
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dava l'erba sotto i piedi, la brezza che le soffiava in volto, l'abito stesso che indossava... L'alto uomo accanto a lei le parlò con voce calda e cortese. — A cosa sta pensando, milady? Lei rispose quasi sussurrando, — Mi sto ancora chiedendo molte, molte cose. Ma sono domande che ho paura di porre. Lui si fermò, arrestando quel tranquillo incedere a braccetto che le ricordava tanto qualche cerimonia medievale. Lei volse lo sguardo e vide una porta, una sorta di passaggio chiuso da un cancello che conduceva dentro il grigio, cupo convento. — Vogliamo entrare? Mi piacerebbe mostrarle tutta la chiesa. È davvero meravigliosa — disse lui con malcelato entusiasmo. — Come vuole — fu la risposta, e mentre oltrepassavano il cancello lei chiese: — Anche questa chiesa è stata progettata da lei o dal suo omonimo? — No, milady, purtroppo no. La maggior parte dell'abbazia risale a secoli prima della nascita del primo Hawksmoor. Certo desidererei più di ogni altra cosa che una simile opera venisse attribuita a noi, almeno a uno di noi, ma purtroppo... Per fortuna ho guadagnato perlomeno il privilegio di mostrarla a lei. Genevieve sussurrò un'educata risposta, una delle frasi di circostanza proferite ormai per puro istinto da quando si era sposata, da quando era diventata una celebrità, da quando... I due continuarono a passeggiare a braccetto, mentre Hawksmoor la trattava con tanta delicata gentilezza da farle pensare che intendesse presto chiederle di restare per sempre con lui. Lady Genevieve venne così condotta nella ricca penombra dell'antica abbazia i cui interni, come le venne spiegato con orgoglio, erano stati riveduti e corretti da lui. Sotto quel gotico tetto a punta, tra le massicce mura perimetrali, si estendeva complessivamente più di un ettaro di superficie coperta. Avrebbe potuto dirle con precisione millimetrica a quanto ammontava quella superficie, ma non lo fece. Insieme vagarono a lungo per le navate laterali della grande chiesa, mano nella mano senza alcun imbarazzo apparente per poi uscire nuovamente in giardino dove una leggera pioggerellina aveva preso il posto del sole nebbioso. Di nuovo quella pioggerellina parve strana a contatto del suo volto, ma Fred Saberhagen
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Genevieve non fece commenti. La sua guida la condusse nuovamente dentro, parlando poco e guardandola di quando in quando con intensità. La coppia attraversò la chiesa seguita dall'eco dei propri passi sul pavimento di pietra liscia e squadrata fino a fermarsi davanti alla monumentale navata centrale. — Archi gotici. Se vuole, posso spiegarle i principi strutturali su cui si basano. In questa navata, gli archi superiori raggiungono altezze di trenta metri e più. Un palazzo di nove piani, se fosse abbastanza stretto, potrebbe starci comodamente. Questo è l'interno più spazioso di qualsiasi edificio eretto nell'antica Inghilterra. — Come mai non c'è nessuno oltre a noi? — Vuole vedere altra gente? Aspetti un attimo... ecco, quello è il sacrestano. Lo vede? Là, sotto quella navata. E quello davanti all'altare maggiore non è un prete? Lady Genevieve smise per un attimo di camminare. Sapeva che quelle figure erano in qualche modo illusorie. — E che ne è di mio marito? — Oh, lui non è qui anche se, per quanto ne so, il presidente sta davvero bene — rispose Hawksmoor con voce divenuta querula. — Le manca il suo sposo? — aggiunse, e poi, dando l'impressione di cercare invano di trattenersi: — Allora lo ama davvero. Genevieve rabbrividì. — Non so cosa provo davvero per lui, ma non posso certo dire che mi manca; riesco a malapena a ricordare com'è fatto. — Sono certo che la sua memoria riesce a ricordare tutto ciò che lei vuole davvero sapere, tutto il suo passato. — Sì, lo credo anch'io... se solo volessi compiere lo sforzo — commentò sospirando la giovane donna, dando l'impressione di lottare per mantenere un tormentato controllo di sé. — Dirac e io non ci siamo mai trovati in disaccordo sulle cose più importanti. E stato buono con me nei pochi giorni trascorsi insieme. Ma la verità è che mi faceva... mi fa una paura terribile — rivelò, fermandosi di nuovo e guardando negli occhi il suo accompagnatore, la cui alta figura si delineava contro una luminosa vetrata decorata. — E mi dica, cosa è accaduto al mio bambino? — Il suo bambino? — Io ero... incinta. — Conosce da sé la risposta a questa domanda. Lei ha donato il suo protobambino, almeno credo che questo sia il termine più appropriato, al Fred Saberhagen
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programma di colonizzazione. Oppure mi sta chiedendo cosa è accaduto dopo? La coppia rimase immobile guardandosi negli occhi, non più mano nella mano. Un lungo silenzio calò tra loro. Finalmente la donna ruppe gli indugi. — Nick, la prego, deve dirmelo. Cosa è successo? — Solo che si trova qui con me, al sicuro. Questo dovrebbe bastarle per adesso. E quando deciderà di saperne di più... Per un attimo Genevieve non riuscì a parlare. Quella sensazione le ricordò i precedenti sforzi per respirare, ma mentre quello era un limite puramente fisico questo sembrava venire da qualche luogo segreto del suo inconscio. — No! — esclamò all'improvviso. — Non voglio sapere nulla, nulla di spaventoso. Non adesso. Perché non usciamo di qui? Cosa sono questi monumenti attorno a noi? Sembrano... sembrano tombe. La sua guida mantenne una calma assoluta. — Molte sono tombe, in effetti. Loculi ricavati dalle mura e dal pavimento, sepolcri tanti antichi che non credevo potessero impressionarla. — Non possiamo andare in qualche altro posto? — Ma certo. Vi sono numerosi posti dove andare — replicò lui prendendole la mano e carezzandola rassicurante. Ma lei avvertì di nuovo quell'inquietante sensazione. — Proviamo di qui, tanto per cominciare. Con Nick che galantemente le fornì un braccio per sua guida e conforto, la coppia si allontanò dal lato occidentale della navata per entrare in una stanza dai muri di pietra. Quasi sussurrando, Nick le spiegò che era la cappella di San Giorgio. Ma i due si lasciarono indietro anche quel tetro luogo, proseguendo per un corridoio che penetrava mura di enorme spessore fino a raggiungere quelli che ovviamente erano gli alloggi del convento. Giunti in quelle stanze davvero diverse, Hawksmoor guardò in qualche modo ansiosamente la giovane donna chiedendole cosa pensava. Quello spazio era stato più volte riprogettato e arredato prima di risultare gradito ai mutevoli dettami del suo gusto. Dopotutto, era ancora molto giovane. Molti particolari della sua versione dell'abbazia, compreso l'aspetto strutturale e molti dei piacevoli dettagli interni delle mura e delle vetrate, erano gli stessi da mesi, da prima che sentisse mai parlare di lady Fred Saberhagen
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Genevieve. Era il passatempo privato di Nick, ma anche un'importante componente del suo lavoro che lo affascinava incatenandolo fin nel profondo. Ma quel turbine di revisioni recenti e frettolose aveva ovviamente l'unico scopo di compiacere la sua piccola Jenny. In verità, confessò più tardi alla sua amata, non aveva potuto scoprire molto sull'aspetto originale di quelle stanze piccole e semiprivate e sui cambiamenti occorsi nei secoli. Ma in effetti non gli importava più di tanto. Era la progettazione generale, le decorazioni e l'intreccio delle mura di pietra che lo affascinavano più di ogni altra cosa, almeno fino a poco tempo prima. Jenny sedeva in una confortevole sedia moderna. Dalle mura in pietra pendevano arazzi dagli astratti disegni. Per chissà quale motivo, le finestre erano troppo alte per poter guardare fuori. — È uno strano tempio, Nick. — Oh, è un tempio molto antico. — Lei vive qui? In piedi, nervoso, lui osservava da vicino le reazioni di lei percuotendo con i tacchi degli stivali il nudo pavimento in pietra tra due spessi e moderni tappetini. — Diciamo che vivo qui quando non devo vivere in altri posti. — E per servire quali divinità è stato costruito? — Una singola divinità: il Dio dei cristiani. Lei crede in qualche modo, milady? Lei scosse i riccioli ramati. — Non veramente. Quando ero bambina, i miei genitori erano profondamente in disaccordo sulle questioni religiose. Mio padre credeva in Dio, ma mia madre... be', non so neppure in cosa credesse. E morta cinque anni fa. — Oh, mi spiace. — Comunque, debbo pensare che tutto questo magnifico tempio appartiene a lei? — Sì, immagino che possa dire così — replicò Hawksmoor con un gesto teatrale, appoggiandosi allo schienale della sua grande e regale sedia. — Tutto ciò che vede. Il che significa che è tutto al suo servizio, milady. Sfiorando con le dita la fodera della sedia, Genevieve rabbrividì nuovamente per quella sensazione. Era come se il senso del tatto la tradisse in qualche modo. Hawksmoor strinse i braccioli in legno del suo trono e la guardò in Fred Saberhagen
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modo stranamente disorientato. — I miei sentimenti per lei, milady, sono più intensi di quanto possa descrivere. Comprendo che dal suo punto di vista ci siamo appena conosciuti, ma... ecco, forse posso esprimere meglio ciò che provo dicendo che la venero. La giovane donna, intenta a seguire la frase fino in fondo e a cercare una risposta adeguata, alzò gli occhi e fece per parlare ma un'occhiata lanciata casualmente attraverso una porta aperta la ammutolì: davanti ai suoi occhi vi era una moderna piscina coperta. Completamente fuori posto. La superficie appariva tanto immobile da sembrare vetro, e tuttavia era certa che si trattasse di acqua. Una piscina dalle tonalità intensamente ultramarine, con pareti di argenteo metallo e luci forti ma diffuse. — Non aveva ancora visto la piscina? E un mio piccolo esperimento. Un tocco un po' intrusivo che pensavo un giorno potesse... — Nick! — lo interruppe lei, per poi tacere. Non aveva idea di cosa dire o pensare adesso. Sapeva solo che voleva rallentare in qualche modo il flusso degli eventi. — Sì, lady Genevieve... Jenny. Posso chiamarla Jenny? — Certo. Perché no? Lei mi ha salvato la vita. — Jenny, allora. Le chiedo scusa per averla annoiata con i miei sentimenti. Oggi non era il giorno giusto. Forse potremo riparlarne un'altra volta. — I sentimenti sono importanti — replicò lei dopo qualche istante. — Sì, sì — fece eco lui con enfasi. — Ma dove siamo? Non mi dirà che siamo davvero sulla Terra? — Non sono certo di cosa voglia dire "davvero", ma per rispondere in modo chiaro alla sua domanda dirò che no, non siamo sulla Terra. O almeno, così direbbe la maggior parte della gente. — Non siamo sulla Terra. Bene. Lei è mai stato davvero sulla Terra, Nick? — No. Ma una volta forse sì. — Non lo sa? — Non è facile rispondere. Ma ora sono io a doverle fare una domanda: che significa "davvero", secondo lei? Il Terrore, visualizzato fino a quel momento da Jenny nei suoi viscidi equivalenti di vermi, topi, ragni, cominciò solo allora a rosicchiare veramente il guscio di protettiva inconsapevolezza nel quale Nick l'aveva avvolta. Sentiva di essergliene grata, ma sapeva che non poteva durare in Fred Saberhagen
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eterno. Non ne avevano mai neppure parlato, eppure era convinta che quell'uomo sarebbe stato il suo solo compagno per chissà quanto tempo. Parte di lei fremeva per cercare le risposte alle uniche domande che davvero contavano. Dove si trovava quel posto, quell'abbazia? Cosa era successo? Tuttavia uno strano timore la bloccava, un timore che andava al di là della ritrosia per approfondire gli strani sottintesi contenuti nelle risposte di Nick. Ma lui era cosciente delle sue inquietudini. — Non le piace? Ho sempre pensato che fosse uno dei posti più belli che conosco, ma se vuole possiamo trasferirci altrove. — Oh, Nick, questa abbazia è splendida a modo suo. Sembra solida e sicura, in qualche modo protettiva. — Speravo che la facesse sentire così. — Tuttavia... — Tuttavia qualcosa la turba. Bene, parli allora. Sono pronto a rispondere a ogni sua domanda. Genevieve lo guardò dritto negli occhi. — Mi lasci prima raccontare ciò che ricordo. Io e lei ci trovavamo nello spazio, sul relitto di un piccolo cargo. Era avvenuta una... una tragedia, e attorno a noi c'erano morti e feriti. Lo nega? — No, milady, non posso negarlo — rispose Hawksmoor scuotendo solennemente la testa. — È la verità. — Non ce la faccio più! La prego, mi dica cosa è successo... come faccio a trovarmi qui? — Milady — intervenne lui, calmandola col suono della sua calda voce. — Ciò che ho fatto una volta raggiunto il relitto spaziale era la sola cosa da fare, l'ultima possibilità rimasta di strapparla a morte certa. Mi creda, mai vorrei farle del male. — La ringrazio ancora, Nick, per avermi salvato. Ma adesso mi racconti come. L'attitudine di Nick cambiò palesemente, come se avesse preso qualche importante decisione. Mostrando una curiosa miscela di ansia e riluttanza cominciò a spiegarle. — Lei ricorderà senz'altro quando sono entrato nel relitto indossando la tuta spaziale. — Ma certo. E ricordo anche di averle gettato le braccia al collo, poi lei mi ha stretto a sé... — E quella, realizzò improvvisamente, fu l'ultima volta Fred Saberhagen
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che il contatto con qualsiasi cosa risultò perfettamente normale. Il suo accompagnatore annuì. — Le mie braccia l'hanno davvero stretta. Le braccia della tuta spaziale sono le mie, nel senso che posso comodamente usarle quando desidero. Ma ciò che vorrei riuscire a spiegarle è che quelle non sono le mie sole braccia, perché posso utilizzarne anche delle altre. Lei ascoltava attentamente, accigliata come non mai. Preoccupato, lui le disse teneramente: — Non deve preoccuparsi di nulla. Ma lei osservava le braccia di Nick, in piedi davanti a lei con la mani ai fianchi. Parevano proporzionate e robuste, di aspetto assolutamente normale. — Non capisco — sussurrò. — Queste? — fece lui tendendo entrambe le braccia, muovendo le dita e ritirandole entrambe a sé per poi tenderle di nuovo. — Naturalmente queste sono le mie braccia, ma non avrebbero potuto aiutarla su quel relitto. Hanno altri scopi, ma le loro capacità si stanno evolvendo. Adesso riesce a sentire il mio tocco, ma a ogni contatto lei viene pervasa da una strana sensazione: è un contatto molto diverso da quello a cui era abituata, vero? — Sì! C'è qualcosa di molto strano nel modo in cui queste cose esistono. Non è solo la sua mano ma tutto, tutto ciò che posso toccare. E adesso che ci penso, è strano anche il modo in cui tutto qui... appare. I colori sono troppo vividi, staccati; e anche gli odori non sono normali. Io non so più... — Milady, quando eravamo insieme su quel cargo di morte e rovina le promisi solennemente che potevo portare al sicuro il suo corpo ferito e dolorante sulla mia astronave anche in assenza di una seconda tuta spaziale. E così è andata, perché sapevo che poteva comodamente entrare nella mia. — Due persone in una singola tuta spaziale? Ma come... — Due persone, lady Genevieve, ma un corpo solo: il suo. Perché vede, io non possiedo veramente un corpo. Non possiedo solide braccia con le quali salvare lei o qualcun altro dalla morte — affermò, agitando le mani di cui negava la stessa esistenza. — Non sono fatto di carne e ossa — aggiunse con voce bassa e miserevole, recitando il copione della rinuncia come qualcuno che confessi di avere una gamba o un braccio artificiale e di non potersi sottoporre ad alcuna terapia di rigenerazione. — Nick, mi sta dicendo di non avere un corpo, di non... Fred Saberhagen
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— Esattamente. Non ho un corpo fisico. Posso intervenire nella realtà materiale grazie a certe funzioni, come quella che mi consente di aggirarmi in tuta spaziale... solo quella tuta spaziale. Ciò che lei vede ora è solo un'immagine. Semplice informatica. Perché io sono, e sono sempre stato, un artefatto optoelettronico. In termini chiari, un programma di computer altamente sofisticato che utilizza il meglio della realtà virtuale. — E ancora una volta Nicholas Hawksmoor sottolineò le sue parole con un ampio gesto della mano immaginaria. Lady Genevieve lo guardò attonita per lunghi, intensi attimi. In qualche modo sapeva che il tempo scorreva per sottili incrementi optoelettronici. Non una singola linea del suo volto si mosse per tutto quel periodo. Infine, lei ruppe il silenzio dicendo: —Vada avanti. Mi stava parlando del salvataggio. Voglio sentire i dettagli. Ogni cosa. — Naturalmente. Nel momento stesso in cui misi piede a bordo del relitto mi resi conto che la situazione era disperata. Ben pochi degli altri passeggeri avrebbero beneficiato dell'aiuto che potevo dar loro. Ma comunque, non è questa la verità. Ho promesso di essere sempre sincero con lei. La verità è che non mi importava affatto di quei disgraziati. Era lei che volevo salvare. E finalmente la trovai. Lei mi gettò le braccia al collo, e proprio in quel momento un'altra esplosione devastò il relitto. — Sì, sì, ricordo. Un'esplosione molto potente. Con voce quantomai tesa, Nick sussurrò: — Temo proprio che quella esplosione l'abbia ferita gravemente. — Ah — fece lei. Entrambe le sue mani vennero gentilmente sollevate, avvolte da quelle di Nick. Lei pensò di chiudere gli occhi e lo fece, ma nulla sembrava poter scacciare la strana sensazione originata dal contatto. — Dovevo far presto. Il suo corpo entrava perfettamente nella tuta spaziale, che come le ho spiegato faceva da mio corpo materiale... La giovane donna annaspò. — ...e che, in termini di massa, era quasi completamente vuota. Io mi trasferii temporaneamente nel circuiti di controllo agendo direttamente sui meccanismi che dirigono il moto delle braccia e delle gambe. Una volta sigillato nuovamente l'elmetto ho attivato le funzioni di emergenza e le ho somministrato ossigeno, anche se in quel momento i suoi polmoni avevano quasi cessato di funzionare. "Dopodiché l'ho trasportata senza problemi attraverso lo spazio vuoto tra le due astronavi, finalmente al sicuro. Poi, fuori dalla tuta spaziale e dentro Fred Saberhagen
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il medirobot. E adesso, lei si trova qui con me." Genevieve continuava a guardarlo attonita. Non sembrava neppure respirare... anzi, adesso cNe ci pensava, non sentiva di averne davvero bisogno. Nel silenzio, un silenzio che forse lo riempiva di paura, Nick aggiunse: — Immagino lei non si ricordi affatto della mia piccola astronave. Non può, in quanto non ha avuto occasione di vederla. L'ho battezzata Wren, una sorta di scherzo verso un mio mentore, Christopher Wren, anch'egli architetto. Non saprei dire se fosse anche un pilota sui grandi velieri che usavano ai suoi tempi. Non credo, però... Lei lo zittì con un urlo di scomposto orrore: — Un'immagine? Ha detto di essere solo un'immagine? — In un certo senso sì. Un'immagine creata in una certa modalità di realtà virtuale. Tecnicamente parlando, sono un artefatto optoelettronico derivato da un programma... — Ma allora... cosa sono io, in nome di Dio? Cosa mi ha fatto? Nick, che presentiva l'avvicinarsi di questo temuto momento, cominciò a spiegarle il meglio possibile. La sua voce suonò ferma, logica e gentile. Ma prima che potesse pronunciare dieci parole, la giovane donna cominciò a urlare. Lui cercò di imporre la sua voce sopra quell'urlo ininterrotto e senza fiato, ma invano. E così, per impedirle di impazzire, e di impazzire a sua volta, decise di utilizzare una certa funzione di controllo e di disattivarla. Solo per un po', naturalmente.
6 Vedendolo immobile e pensieroso in un corridoio dell'astronave, uno degli ufficiali subalterni della Eidolon si avvicinò a Kensing. — C'è qualcosa che non quadra con Nick, vero? — disse, con la probabile intenzione di mostrarsi utile. Sandy lo guardò perplesso. — Veramente avrei ben altro a cui pensare, ma sentiamo: cosa c'è che non va con Nick, supponendo che i suoi guai abbiano qualche rilevanza? L'ufficiale si fermò sorpreso. — Non ho detto che ha dei guai — replicò in tono difensivo. — Cosa, allora? — Hawksmoor è solo un programma di computer. Fred Saberhagen
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— Oh! — fu l'allibita replica. Finalmente molte domande trovarono risposta. Sapeva che in passato era possibile lavorare su quei programmi, creare delle entità optoelettroniche sensibili e intelligenti quanto i loro programmatori umani. Ma adesso non accadeva più, anche se le procedure necessarie risultavano tecnicamente molto semplici. Infatti da quando la società solariana aveva dovuto rassegnarsi a vivere sotto la spada di Damocle di una continua lotta contro le macchine assassine, dotare di una qualche personalità le macchine o anche solo i programmi di computer era visto come fumo negli occhi dalla gente e dai governi. Molti pianeti proibivano esplicitamente simili applicazioni, pianeti sotto continua pressione per gli attacchi berserker che vivevano nel terrore che anche le macchine umane potessero un giorno sfuggire al controllo. — Nick è una personalità registrata, dunque... è questo ciò che intende? — chiese Kensing, incerto. — No. Intendo esattamente ciò che ho detto. La faccenda non viene affatto pubblicizzata, ma in questi ultimi anni il capo ha sviluppato un interesse ben definito: le entità virtuali. Kensing annuì. I programmi antropomorfi interamente artificiali venivano talvolta utilizzati dagli studenti di psicologia, scienze politiche e varie altre facoltà universitarie, ma i pochi sviluppati a scopo didattico venivano commercializzati quasi in segreto. I militari invece usavano un'altra categoria di programmi, in apparenza molto simili a quelli che consentivano la creazione di personaggi come Nick ma in effetti molto più stabili e sicuri in quanto basati su presupposti completamente diversi. Si trattava di registrazioni delle vere personalità di uomini e donne un tempo in carne e ossa, spesso scienziati e condottieri della civiltà solariana arruolati anche post mortem nell'eterna guerra contro i berserker. Purtroppo, la potente censura militare ne proibiva la diffusione limitandola ad ambienti quantomai ristretti. Solo una volta Kensing aveva avuto occasione di entrare in contatto con uno di questi programmi: la personalità elettronica di Hillary Gage, un personaggio chiave di una famosa battaglia contro i berserker. Kensing trovò molto interessante la lunga chiacchierata con il programma Gage, e alla fine si accomiatò da lei (o da esso) con qualche rammarico, ancora incerto su quale pronome usare. Quello stesso giorno, dieci minuti dopo aver scoperto la verità su Hawksmoor, Kensing riprese l'argomento con Frank Marcus. Apprese Fred Saberhagen
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quindi che anche Frank conosceva il programma Gage e che il colonnello riteneva, come molti altri, di avere semplicemente incontrato una personalità registrata, nulla più di un programma di computer. In quel momento Kensing e Marcus stavano visionando l'ultima simulazione in realtà virtuale del comportamento del berserker, aggiornata di continuo con i dati pervenuti al computer di bordo. Tutti i membri dell'equipaggio visitavano a turno il decaedro per studiare la loro preda non appena ne avevano l'occasione. Era importante conoscere il nemico in dettaglio per sapere che tipo di operazioni militari eseguire se e quando si sarebbero avvicinati abbastanza da tentare il recupero della biostazione. Ma davanti alla splendida immagine virtuale Kensing venne assalito dalla terribile certezza di dover abbandonare ogni speranza. I berserker uccidevano: quella era la loro funzione, il motivo per cui erano stati progettati e costruiti, e quello avevano fatto per centinaia di secoli. Le possibilità che Annie fosse ancora viva erano minime, e diventavano sempre più infinitesimali ogni istante che passava. Un'improvvisa interruzione si verificò sul decaedro. Il volto di Nick Hawksmoor invase l'immagine, comparendo a lato del tozzo cilindro che era la biostazione e appoggiando arrogantemente il gomito sulla forma ovoidale del berserker. — Chiedo scusa, signori, ma non ho potuto fare a meno di ascoltarvi. Sto lavorando ad alcuni dei sistemi interni di questa sezione della Eidolon, e di quando in quando mi capita di intercettare qualche dialogo. — Nessun problema — replicò Kensing, sentendosi strano. Hawksmoor ne prese atto con un vago sorriso. Ma subito risultò evidente che gli interessava parlare con Marcus, perché volse gli occhi in quella direzione. — Forse non sa che anch'io sono un semplice programma di computer, colonnello. Frank stava già osservando l'immagine di Hawksmoor con due degli obiettivi del primo cubo. Un terzo obiettivo si allungò nella stessa direzione, come se volesse guardare ancora meglio. — Davvero? — replicò. Ascoltando, Kensing venne colpito dal fatto che la voce che usciva dai tre cubi, artificialmente scomposta e riprodotta, risultava meno umana di quella dell'entità virtuale. Ma naturalmente era solo una questione di altoparlanti. — Sì, colonnello. Davvero. Marcus non fece alcun commento. Fred Saberhagen
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Nick continuò, suonando curioso e in qualche modo determinato: — La mia rivelazione la manda in collera? Crede di essere stato ingannato in qualche modo? La parte terminale di un arto metallico gesticolò seccamente. — Ammetto di esser stato preso vagamente di sorpresa. Forse mi sarei anche arrabbiato se fosse stato un vero essere umano a ingannarmi. Ma prendersela con uno strumento non ha molto senso. Sei un programma capace, Nick? — Cerco di fare ciò che posso, ma sempre al meglio delle mie possibilità. Se lei non si è offeso, colonnello, e ha qualche minuto da dedicarmi, mi consenta di approfondire un po' l'argomento. — Ma certo. Forza. — Probabilmente il mio interesse non la sorprenderà affatto, tuttavia le confesso che non mi aspettavo di vederla accettare la mia rivelazione così pacatamente, senza discussioni, senza almeno il dubbio che stessi scherzando. Tutte e tre i cubi di Frank si mossero, aggiustando leggermente la loro posizione; Kensing ebbe l'impressione che il loro occupante si stesse mettendo in qualche modo comodo. Il colonnello rispose: — Ho detto che mi ha preso vagamente di sorpresa. Ma forse non del tutto. — Lo vedo. Non del tutto, dice? Vorrei proprio sapere cosa c'è di tanto speciale in me, nella mia persona che lei ha visto tante volte sull'oloschermo da suggerirle l'ipotesi di star parlando a qualcuno privo del corpo fisico. — Te lo spiegherò un'altra volta. Adesso debbo lasciarti, Nick: ho cose molto urgenti da fare. — Fine della conversazione. —
Incontrando nuovamente il premier qualche tempo dopo, Kensing disse qualcosa riguardo al realismo della personalità di Nick, aggiungendo che i programmatori avevano fatto davvero uno splendido lavoro. — Immagino sia una delle ultime versioni. Dirac annuì. — Sì, ha solo un anno. Ho dei buoni programmatori, vero? Ci sono voluti diversi mesi, ma ne è valsa la pena. Gli architetti umani mi avevano stancato. Prenda quella biostazione: uno splendido esempio di incompetenza. Così ho deciso di vedere cosa poteva fare una mente elettronica programmata a regola d'arte. — Direi che diversi mesi sono un periodo molto breve per creare un Fred Saberhagen
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programma tanto complesso, presidente. Pensavo ci volessero anni. E come venne scelto il suo nome, se non sono indiscreto? — I miei tecnici avevano diversi programmi-base pronti — spiegò Dirac senza approfondire — e questo ha affrettato i tempi. Per quanto riguarda il suo nome, Nick lo ha scelto da sé. E il nome di qualche architetto del diciottesimo secolo, o qualcosa del genere. Ti racconterò l'intera faccenda un giorno o l'altro. Ma ciò che importa è che finalmente non sarò più circondato da sfavillanti obbrobri. Ma dico, hai guardato bene il modello di quella biostazione? Assistendo ad alcuni colloqui tra il presidente e Hawksmoor, Kensing pensò che il creatore organico andava perfettamente d'accordo con la sua creatura elettronica. Ma i sentimenti del premier verso le entità virtuali erano complessi quanto intensi. Una volta Kensing udì Dirac affermare: — Le personalità registrate di coloro che hanno scelto di continuare a vivere in un insieme di circuiti dopo la morte godono in genere di una condizione sociale più elevata, se uno può metterla in questi termini, di quelle che non hanno mai avuto una goccia di sangue in vita loro. Kensing non fu sorpreso di apprendere che Nick aveva beffato molta gente e non solo lui. E molti avevano reagito con rabbia una volta scoperta la verità. Alcuni dei membri dell'equipaggio, come molte altre persone dappertutto, protestavano apertamente o provavano perlomeno disagio davanti a un artefatto elettronico tanto simile a una persona. Non era tanto la capacità informatica, o chiamiamola intelletto, di Hawksmoor quello contro cui protestavano, ma la parvenza di umanità posseduta da quel programma col quale il presidente si consultava e discuteva (talvolta scherzosamente) e dal quale sembrava dipendere tanto profondamente. Adesso che la squadriglia era pronta a lasciare Imatra, Nick dovette abbandonare la sua Wren (pensava sempre con affetto al suo piccolo modulo spaziale). Il posto nell'hangar occupato dall'utile ma disarmata astronave civile venne preso da un ricognitore militare armato, l'ultimo superstite del veloce scontro a fuoco rimasto nel sistema di Imatra. Dirac lo aveva sequestrato ignorando apertamente le proteste delle avvilite autorità locali. Fred Saberhagen
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Ma abbandonare la Wren pose a Nick più problemi di quanto immaginasse il suo creatore e datore di lavoro. Con la squadriglia sull'orlo della partenza, Hawksmoor dovette supervisionare anche la rimozione di certe attrezzature dalla Wren e la loro reinstallazione a bordo dell'astronave presidenziale, eseguita esclusivamente da robot operai. Durante questa operazione Nick dovette operare in forma fisica nella modalità "tuta spaziale". Il suo compito consisteva nel controllare i robot che compivano la maggior parte del lavoro. Si trattava di creature metalliche alte al massimo un metro e non più larghe di un uomo, con nulla di organico nell'aspetto e nulla di sveglio nel cervello. Mentre all'apparenza eseguiva il suo lavoro, Hawksmoor cercava di immaginare disperatamente un modo per far sì che un altro compito venisse eseguito, un compito delicato e assolutamente segreto: arrangiare il trasferimento a bordo della Eidolon non solo delle unità di memoria in cui risiedeva quasi sempre, tranne quando lavorava in modalità "tuta spaziale", ma anche quelle della sua piccola Jenny. Infatti, a parte altre difficoltà aveva scoperto che il volume di memoria necessario a contenere la registrazione di una persona un tempo organica, in questo caso lady Genevieve, ammontava a circa quattromila centimetri cubici di circuiti, l'equivalente di tre crani umani: non molto meno di quanto fosse necessario per contenere lo stesso Nick, perlomeno vista la tecnologia attuale che incorporava, a mezzo di blocchi solidi di materia composita e metalli pesanti, i sistemi di logica sub-erratica più avanzati disponibili. La tuta spaziale in cui Nick si era trasferito per sovrintendere quel particolare lavoro era la stessa utilizzata per salvare lady Genevieve dallo sfortunato cargo. Aveva sofferto alcuni danni quella volta, danni di cui sarebbe stato difficile spiegare le origini se, per somma sfortuna, qualcuno li notava e poneva domande a riguardo. In ogni caso si era preparato diverse spiegazioni, preparandosi a scegliere la più plausibile se mai fosse giunto il momento della verità. Durante uno dei suoi passaggi attraverso l'hangar della Eidolon, Nick incontrò Kensing avvolto anch'egli da una tuta spaziale. L'uomo in carne e ossa stava facendo un inventario ispezionando di persona il ricognitore armato, dal quale sarebbe stato necessario dipendere per un eventuale arrembaggio alla biostazione. Fred Saberhagen
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In qualche modo la reazione sbigottita di Kensing alla vista della tuta spaziale vuota divertì Nick oltremisura. Per qualche ragione la faccenda sembrò colpire il giovane ingegnere, così come diverse altre persone che definirono l'evento spettrale e angosciante. Dopo aver incontrato Kensing, Hawksmoor valutò l'opportunità di rubare qualche secondo ai compiti a lui assegnati (non gli spettava neppure una pausa, in quanto si supponeva non ne avesse bisogno) per visitare Jenny, per accertarsi che avesse superato il transfer fisico senza alcun problema. In effetti non c'era la minima ragione per pensare che la sua personalità ne fosse rimasta menomata; in ogni caso preferiva accertarsene. Intanto, nella parte più privata dei suoi pensieri, Hawksmoor cominciava a valutare molto seriamente le diverse importanti questioni sollevate dalla sua nuova relazione con lady Genevieve. Una delle prime cose che decise di fare in quel breve intervallo di segreta attività fu regolare meglio (con molta, molta cautela) alcuni dei programmi periferici della giovane donna, sperando in tal modo di riuscire ad aiutarla a superare lo shock della scoperta del suo nuovo stato di esistenza. Prestò molta attenzione a non esagerare con le correzioni, e presto poté svegliare nuovamente Jenny. Ma subito lei riprese a disperarsi, implorandolo di dire la verità su quanto accaduto. E la volta successiva, quando finalmente poté rivederla dopo il trasferimento dei circuiti di memoria sull'astronave, Hawksmoor riprese i suoi sforzi per spiegare la nuova situazione a Jenny usando tutta la gentilezza possibile. Pochi minuti dopo averla tirata fuori dal cargo e trasbordata con successo sulla Wren, lady Genevieve (il cui spirito manteneva ancora una tenue presa sul corpo) venne sistemata nel lettino del medirobot. La perdita di tempo era stata minima e il robot era un modello avanzato: ciononostante, le sue ferite vennero diagnosticate come mortali. Anche ibernarla e portarla in ospedale non serviva più a molto. A quel punto, spiegò Nick, la scelta era obbligata. Nonostante le pronte contromisure prese da lui e dal medirobot, le molte emorragie rischiavano di ucciderla da un momento all'altro e con la morte cerebrale nessun chirurgo, umano o no, avrebbe mai potuto salvare perlomeno la sua Fred Saberhagen
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personalità. Mentre Nick, cioè la sua immagine virtuale, raccontava tutto questo, Jenny, o meglio la sua immagine, lo fissava in piedi e immobile, indifesa, le labbra sottilmente aperte dietro cui si intravedevano i denti bianchi. Si trovavano, per quanto lei potesse dire, quasi al centro dell'abbazia, a metà strada tra la navata occidentale ampia quanto un campo di calcio e la sua controparte orientale, illuminati dai riflessi pastello dipinti sulla pietra e sul legno da un raggio del sole pomeridiano che penetrava dalla grande vetrata decorata alle loro spalle. Un rosone meno glorioso di quello di Chartres, pensò Nick tra sé, ma sempre impressionante da vedere. — Pertanto, milady — concluse Hawksmoor — ho fatto la sola cosa che ho potuto, come ho cercato di spiegarle prima. Ho salvato la struttura della sua coscienza, l'essenza della sua personalità, praticamente tutta la sua memoria. Grazie alle sottili modifiche eseguite prima di svegliarla, la giovane donna fu presto in grado di calmarsi abbastanza da poter rispondere. Le sue parole, nuovamente pronunciate con il freddo distacco che la signorilità imponeva, furono di ringraziamento verso Nick per averla salvata; seguì una supplica molto meno distaccata perché la sua situazione le venisse spiegata per intero. Grato per avere finalmente superato senza tragedie il punto cruciale delle spiegazioni, Hawksmoor proseguì addentrandosi con grande tatto nei dettagli. Le spiegò quindi come aveva riprodotto e vestito l'immagine del suo corpo, selezionando la gran massa di dati necessari dai molti video che possedeva. E quel possesso non era casuale: la bruciante venerazione che provava per lei lo aveva spinto mesi prima a iniziare ad accumulare foto, filmati e ogni genere di materiale sempre più vario a mano a mano che si avvicinava la data del matrimonio. Dopodiché prese a raccontarle maggiori dettagli sui procedimenti grazie ai quali aveva ricreato la sua immagine, un numero impressionante di dettagli, invero. E difatti la giovane donna se ne stancò ben presto. Con un gesto della mano interruppe bruscamente la recita e chiese esplicitamente di poter tornare in un vero corpo, un corpo organico. — Nick, capisco che il suo... che lei ha fatto il possibile per aiutarmi, per salvarmi la vita. Ha funzionato e io le sono molto grata. Non pensi che non lo sono. — Milady, era il minimo che... Fred Saberhagen
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— Ma non posso continuare a vivere per sempre così, senza un vero corpo. Quanto tempo ci vorrà prima che possa tornare normale? Hawksmoor temeva il momento in cui avrebbe dovuto rispondere a quella domanda. — Milady, sono spiacente oltre ogni limite ma ciò che sta chiedendo adesso è... be', non ho la minima idea di come farlo. Mentre quelle parole venivano pronunciate, la coppia girò attorno a un colonnato ad angolo per ritrovarsi, nei termini della realtà virtuale che entrambi condividevano, nel transetto meridionale dell'abbazia, vicino al luogo che Hawksmoor sapeva chiamarsi "l'angolo dei poeti" per via dei maestri di quell'arte che vi erano sepolti o ricordati. Ma in quel momento lady Genevieve non pareva molto interessata alla poesia o all'architettura. Alzò il capo e si guardò attorno, come se l'immagine dei suoi occhi potesse vedere oltre, al di là di quel mondo virtuale di pietra e legno, e contemplare la struttura più grezza e più profonda di qualsiasi macchina avesse il compito di farlo esistere. — Dove ci troviamo nella realtà? — chiese. — In termini di realtà materiale, Jenny, se così posso continuare a chiamarla, ci troviamo adesso a bordo della Eidolon, l'astronave di suo marito, e... no, lui non ha il minimo sospetto che lei si trova qui con me. — Non ha il minimo sospetto? — ripeté lei con voce scossa, sorpresa, ma... sì, poteva ben sperare che quella fosse anche una reazione di speranza. — Pensavo che avesse fatto tutto questo per ordine suo. Mai Nick aveva pensato che una simile ipotesi potesse passarle per la testa. — Le spiegherò subito — disse — ma stia certa che il presidente Dirac non ha il minimo sospetto che lei sia sopravvissuta in qualche modo. La crede invece morta, come tutti coloro che si trovavano sul cargo. — Così, non glielo ha ancora detto. Con immenso sollievo di Nick, quelle parole rivelarono più calcolo che rabbia. Lui la rassicurò. — No, non l'ho detto a nessuno. — E perché no? — Perché non l'ho detto a suo marito? Be'... — tergiversò, sentendosi all'improvviso incerto e nervoso. — Vi sono delle ragioni. Non ho intenzione di giustificare il mio comportamento, ma lei merita certamente una spiegazione. — Ebbene? — Già. La prima volta che ci siamo incontrati, Jenny... voglio dire, la Fred Saberhagen
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prima volta che lei mi ha visto e mi ha parlato, là nel grande laboratorio della biostazione, anche prima che vi fosse qualsiasi segno di un attacco berserker, io... io ho avuto l'impressione che lei fosse profondamente infelice. Sbagliavo? Lei esitò. — Sbagliavo? Lei guardò una lapide di marmo cinta da una preziosa cornice in legno, con il nome CHAUCER scolpito nella pietra in lettere molto antiche. Lui avrebbe potuto raccontarle per filo e per segno l'affascinante storia di quel memoriale, se le interessava. Ma no, al momento lei stava solo guardando. Finalmente Jenny disse: — No, Nick. Non si sbagliava. — Lo sapevo! E prima lei ha ammesso di temere suo marito. In un certo senso anch'io vivo con lui, anche se da poco, e anch'io posso dire come lei che il nostro presidente non è la persona più facile della galassia per andarci d'accordo. La giovane donna reagì a quelle parole con un pallido sorriso. Hawksmoor continuò: —Molte volte il presidente e io... be', non va sempre bene tra di noi, tra me e il mio creatore. "Vede, Jenny, quando l'ho tirata fuori da quel relitto per portarla sulla mia astronave e affidarla alle cure del medirobot non avevo idea di ciò che sarebbe successo. Poi ho appreso che l'unico modo di farla continuare a vivere era registrare gli impulsi della sua mente, ma mai ho pensato di tener segreto il suo salvataggio. Non è un piano preordinato. Semplicemente, ho pensato bene di sincerarmi che lei fosse passata indenne attraverso la fase di registrazione prima di dare la grande notizia al mondo. Ma ora non ho più nulla in contrario, perché lei sta benissimo." — E poi? — lo incalzò Jenny. — Volevo assicurarmi che lei fosse in grado di scegliere liberamente — confessò Nick. — Voglio dire, scegliere liberamente se tornare da lui o no. — Tornare da lui? — Jenny era allibita, incapace di capire. Poi una selvaggia speranza brillò nei suoi occhi. — Vuol dire che dopotutto esiste un modo per tornare nel mio corpo? — Io... no, pensavo di averle già spiegato. E impossibile. Nessuno può farlo. Il suo corpo è morto. — Ma allora come potrei tornare da lui? Cosa intende con questa domanda? Come posso tornare da qualcuno, se mi trovo in questa condizione? Fred Saberhagen
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— Immagino che l'unico modo in cui lei possa tornare da lui — replicò Nick con voce prudente — sia visitarlo, parlare con lui da un oloschermo o incontrarlo in uno spazio virtuale, come quello che dà vita a quest'abbazia. — Incontrarlo in un mondo immaginario come questo? Guardarlo da un oloschermo? E che valore avrebbe? — strillò Genevieve sull'orlo di un nuovo attacco nervoso. — Ma soprattutto, che valore avrebbe per Dirac? Lui mi ha sposato per iniziare una dinastia. Nel suo mondo di calcoli politici, ritrovarsi sposato a un fantasma elettronico non significa nulla, nulla. No, mio marito non dovrà mai sapere cosa mi è successo, perlomeno non fino a quando lei non troverà un modo per riportarmi nel mondo reale. Lui non deve mai vedermi così. Potrebbe... — La frase rimase in sospeso, come se avesse paura di concluderla. — Oh, vi sono molte alternative. Non si disperi — disse Nick dopo un breve intervallo, avvertendo una sorda disperazione insinuarsi nella sua sicurezza. — Anzi, credo che esistano delle ottime alternative. Ma la cosa fondamentale è che noi due... vi sono dei modi in cui potremmo vivere una vita normale, con altri come noi. — Altri come noi? Vuol dire altre persone virtuali? Altri programmi, immagini... — È un modo un po' diverso di vivere, lo ammetto. Ma noi... — Vivere? E questo lo chiama vivere? Nick, io voglio un corpo! — esclamò la donna quasi urlando, agitando le braccia virtuali. — Rivoglio il gusto, il tatto... il sesso! Mi sente? Hawksmoor fece del suo meglio per spiegarle. Ma lei non nutriva alcun interesse per i particolari tecnici. Lei voleva solo sentirsi rispondere che sì, in qualche modo lui l'avrebbe riportata in un corpo, il suo corpo, quanto prima e a ogni costo. Al contempo però, e questo fu un nuovo sviluppo che riempì Nick di segreta speranza, lei non voleva restare da sola. Era terribilmente buio e freddo nell'abbazia, lamentò Genevieve, quando lui non c'era. Hawksmoor provò una gran gioia udendo che le mancava, ma purtroppo doveva lasciarla per qualche tempo. — Posso trovarle un po' di compagnia — suggerì. — Vera compagnia? — Be', al momento no. Purtroppo la sua compagnia si limiterà a figure in qualche modo distanti, come il sacrestano. Forse una piccola folla che festeggia qualcosa in una delle stanze o attorno alla piscina, le immagini Fred Saberhagen
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sempre distanti di gente che canta e che balla... — E a cui io non potrei mai unirmi. No grazie, Nick. Mi basta una sua visita di tanto in tanto, quando ha tempo. Ma lei deve davvero cercare di portarmi qualche buona notizia. — Va bene. Ha la mia parola — replicò lui per poi andarsene, proiettando la sua coscienza altrove, percorrendo in un millisecondo le intricate connessioni di un circuito in uscita e tornando ai suoi compiti infiammato da nuova determinazione. Perché lei lo voleva con sé. Prima di lasciarla, comunque, Nick le fece un ultimo favore: le mostrò come andare a dormire. Tuttavia, nonostante continuasse a ripetersi di non averne diritto cominciò pian piano a sentirsi profondamente deluso dalla reazione della donna che amava: una reazione assolutamente ingiustificata dal suo punto di vista. Lui intendeva solo offrirle un gioioso futuro. Inoltre, e ne era certo fino al livello-base dei suoi programmi, la pressante richiesta di Jenny per rientrare in un corpo fisico si sarebbe provata impossibile da soddisfare. In nessun blocco della sua memoria vastissima e infallibile vi era qualche indicazione che la massa di dati formanti un'entità optoelettronica artificiale o ex organica (due termini stabiliti per legge per indicare le diverse origini delle entità virtuali) potesse venir ritrasferita con successo in una mente organica. Quando si rividero, dopo un periodo che in termini reali equivaleva a meno di dieci minuti, Jenny diede mostra di qualche pentimento per l'arroganza e l'ingratitudine mostrata assicurandogli che tutto si doveva alla difficoltà di accettare l'angosciante realtà dei fatti. Ma ora provava, come continuò a ripetergli, vera gratitudine per Nick che l'aveva salvata nel solo modo in cui poteva. Poi concordò che sicuramente quella pallida esistenza era meglio dell'eterna ombra della morte. Ma dal modo in cui continuò a ripeterlo, Nick ebbe l'impressione che cercasse più che altro di convincere se stessa. Nick era felice di farsi ringraziare, ma ancora provava una pena lacerante poiché la donna che amava aveva disprezzato il suo mondo, la sua intera esistenza. Adorava ancora quella donna, anzi: adesso che era come lui provava autentica venerazione. Se "donna" era ancora la parola giusta per definire quel suo nuovo stato (sì, lo era, poiché Jenny non si Fred Saberhagen
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poteva definire altrimenti) e se "venerazione" era il termine giusto per definire ciò che provava. Amore? Le banche dati a cui aveva accesso e l'inquieta presenza, l'enigmatica posizione di quella parola ovunque comparisse gli fecero capire che non si sarebbe provata di facile definizione. Ciò che provava, ne era certo, sarebbe stato definito da certi tecnici come "un abnorme squilibrio provato da una massa di programmi per un'altra massa di programmi". Timido com'era, aveva trovato quantomai difficile spiegare a Genevieve tutta la faccenda, ma in effetti aveva cominciato a provare quei sentimenti per lei molto prima di riuscire ad avvicinarla per la sommaria interazione originata da una chiamata sull'oloschermo. Tutto era cominciato quando aveva visto per la prima volta la sua immagine, mesi prima di quello sfortunato viaggio su Imatra. Ma adesso lei viveva nel suo mondo e quindi aveva tutto il tempo di spiegarle le molte, sfumate differenze tra percezione e interazione. Cominciò dicendo che tutto ciò che uno vedeva di un'altra persona, virtuale o in carne e ossa, era un'immagine. Non era forse vero? Nella sua successiva visita all'abbazia provò di nuovo. Finalmente, Jenny sembrò toccata dalle sue suppliche e dai suoi argomenti: ammise che Nick le piaceva, le piaceva davvero. Ma non avrebbe mai abbandonato l'idea di riguadagnare una forma fisica, in qualsiasi modo. Su quel punto, lo avvisò lei, non accettava compromessi. E il suo vero corpo aveva bisogno di un ospedale, di cure mediche: perché non faceva qualcosa per risolvere quel problema? E quando Hawksmoor provò di nuovo a farle capire la ragione, a convincerla a rinunciare a quell'idea, lei s'innervosì tanto da precipitare presto in una nuova crisi isterica. In quelle circostanze Nick avrebbe promesso di tutto. Pertanto giurò solennemente di cominciare da subito a lavorare sull'insoluto problema di come trasferirla nuovamente in quello che lei chiamava un vero corpo, un insieme di ossa, muscoli e carne come quello con cui era nata, altrettanto sano, attraente e soddisfacente in ogni modo. E giurò anche che i suoi sforzi non sarebbero stati vani. Avendo così tranquillizzato la sua Jenny, Hawksmoor la salutò garbatamente e se ne andò. Abbandonò lei e l'abbazia percorrendo il circuito che in effetti lo portava Fred Saberhagen
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a un passo dal mondo degli esseri organici. Possibile, si chiedeva intanto tra sé, che nessuno in quello o in altri settori della porzione solariana della galassia avesse mai tentato almeno una volta di trasferire un'entità elettronica in un cervello umano? Ma quando cercò di approfondire la faccenda nei brevi intervalli di tempo libero, Hawksmoor scoprì che tutte le banche dati a cui solitamente accedeva, cioè tutte quelle presenti sulla Eidolon, restavano stranamente silenti su quell'argomento e su altri strettamente collegati. Una faccenda molto strana, si ripeté più volte Nick. Poteva essere che il presidente, da sempre ambiguo su quelle faccende, volesse scoraggiare eventuali altri ricercatori dal compiere esperimenti su quel soggetto? Poi un pensiero inquietante attraversò la sua mente elettronica: e se i risultati di quelle ricerche venivano nascosti solo a lui? Non riusciva però a concepire una singola ragione per farlo, a meno che il presidente non pensasse che lui, Nick, desiderava segretamente di vivere in un corpo fisico. Ma non vi era la minima possibilità per lui di coltivare simili pensieri... o meglio, non fino a quel momento. In ogni caso, proprio non vedeva come arrivare a qualche risultato con i pochi mezzi disponibili sull'astronave. Però, si disse, se il suo combattivo padrone fosse riuscito a raggiungere il berserker e a riprendere la biostazione riuscendo poi, contro ogni logica, a fuggire indisturbato e senza danni, la cosa poteva dimostrarsi fattibile. Solo, dovevano fisicamente trasferirsi in qualche modo sulla biostazione e questo poteva anche rivelarsi difficile. Poi, mentalmente, Nick scosse la testa. Anche supponendo che tutto andasse per il meglio e che le attrezzature della biostazione non fossero già state saccheggiate o distrutte, nessuno, né lui né altri, avrebbero potuto utilizzarle prima del ritorno a Imatra. Almeno, in condizioni normali. Insistendo sulle molte chiavi di accesso di una certa banca dati, Nick scoprì che su alcuni mondi solariani esisteva un culto misterioso i cui devoti praticavano il trasferimento della personalità nei circuiti di complesse schede elettroniche, un modo, secondo loro, per guadagnare l'immortalità. Dalle molte parole chiave utilizzate per garantire la segretezza del documento, Nick comprese che si trattava di uno dei documenti riservati a Dirac. È in effetti girava la voce che il presidente Fred Saberhagen
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avesse qualcosa a che fare con le teste pensanti di quel culto. Girava anche voce che Frank Marcus avesse accettato con gioia il posto di primo pilota della Eidolon per tutta la durata dell'emergenza. Ma, si aggiungeva subito dopo, dell'accordo faceva parte anche la clausola secondo cui Frank sarebbe stato sollevato dalle grigie incombenze del volo di routine da uno dei comuni mortali che facevano da secondi piloti, entrando in servizio solo in caso di imminente combattimento. Dalle dimensioni e dalla forma segmentata del corpo metallico del colonnello Marcus (o forse dei suoi corpi: Kensing aveva notato che i cubi si intercambiavano di quando in quando) e dalla limitata quantità di cibo che ingeriva, oltre naturalmente al fatto che lo ingerisse sotto forma di pappa, appariva chiaro che non rimaneva molto del suo corpo originale. I calcoli più completi parlavano di cinque, sei chili al massimo se la quantità di cibo ingerito rappresentava qualche indizio. Ma comunque stessero le cose, Kensing avrebbe scommesso qualsiasi cosa che il colonnello non era artificiale: uno doveva stare in sua compagnia, parlargli anche solo un poco per esserne certo. In genere Frank provvedeva da sé alla miscelazione e all'ingestione delle sue pappe; talvolta delegava il compito a un robot servitore ma sempre, quando era abbastanza rilassato e fuori servizio, si serviva un goccio del suo rinomato "liquore peruviano". Altre voci giravano liberamente: più di una delle donne impiegate a bordo affermavano, a volte spontaneamente, che l'uomo nei cubi Marcus possedeva ancora il suo membro virile. Ma le molte voci non si fermavano qui, anche se alcune non potevano chiaramente essere vere. Riferirne una a Frank, come fece Kensing che gli menzionò il ricorrente sospetto di una sua lunga morte cerebrale con la mente trasferita su una scheda anni prima, significava farsi ridere apertamente in faccia. Certo, il suo cervello funzionava con l'assistenza di un computer e talvolta accettava l'aumento optoelettronico delle sue funzioni quando si trovava ai comandi dell'astronave, ma qualsiasi pilota umano doveva trarre vantaggio dall'assistenza delle macchine quando le cose si facevano difficili. In ogni caso, affermò Frank, mai una volta aveva dubitato di quale parte di lui, organica o elettronica, fosse veramente al comando. E più volte affermò, anche con veemenza, che mai e poi mai Fred Saberhagen
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avrebbe accettato di trasferire la sua personalità in un insieme di circuiti. Ammirato, Dirac diceva sempre che se Frank non avesse accettato non sarebbe rimasto altro da fare che cercarne uno come lui, un uomo o una donna confinati nei cubi Marcus. In quegli ultimi decenni, forse da un secolo, il nome Marcus era diventato sinonimo di un certo tipo di attrezzatura utilizzata dai solariani che soffrivano di gravi handicap fisici. Ma la gente che viveva nei cubi Marcus era molto rara. Quasi tutti coloro che soffrivano di serie menomazioni fisiche potevano venir completamente curati con le tecniche di rigenerazione organica. L'intero corpo, ma non il cervello, poteva venir rigenerato o ricostruito e generalmente il nuovo aspetto era una copia perfetta, e talvolta migliore, dell'originale. Forse solo il medico sapeva, a bordo della Eidolon, quali gravissimi problemi impedivano a Frank di utilizzare le tecniche di rigenerazione. Ma naturalmente il segreto professionale e una garbata correttezza gli impedivano di diffondere notizie sull'argomento senza l'assenso del diretto interessato. Nessuno però aveva il coraggio di chiederlo direttamente al colonnello, nessuno tranne il presidente che però aveva ben altro a cui pensare. Molti comunque affermavano che mentre anni prima il colonnello era stato obbligato nei suoi cubi da pressanti motivi medici e tecnici, ora vi vivesse di spontanea volontà per ragioni tutte sue. Di tutti i piloti disponibili a bordo, solo Nick sapeva usare con la stessa perizia di Frank le varie e avanzatissime funzioni di bordo. E difatti Nick era tra coloro che prestavano regolare servizio ai comandi della Eidolon. Quando toccava a lui, la poltrona antiaccelerazione del pilota risultava vuota. Fin dalle prime fasi dell'inseguimento Dirac, dopo lunga consultazione con i suoi consiglieri umani e elettronici, ordinò di avanzare a velocità Cpiù nonostante il considerevole rischio che comportava il compiere un balzo nell'iperspazio in un settore tanto affollato. Ma quello era l'unico modo per raggiungere il nemico in fuga. Un buon pilotaggio poteva però ridurre notevolmente il rischio, e Hawksmoor fu il primo ad ammettere che Frank dimostrava una capacità e una delicatezza nel controllare i sistemi di bordo che pochi solariani possedevano, superiore forse a quella dello stesso Nick. Le meraviglie del suo cervello organico, ancora non pienamente comprese, fornivano alla Fred Saberhagen
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mente di Frank quel tocco particolare, quel sottile vantaggio sul puro controllo elettronico che consentiva ai piloti umani di riportare, in condizioni favorevoli, notevoli vittorie anche contro le più micidiali delle macchine assassine. A sua volta Frank, dopo aver osservato Nick ai comandi dell'astronave, ammise apertamente che Hawksmoor era molto bravo nel controllo di macchine complesse e che "il pilota virtuale", come talvolta lo chiamava Frank, si sarebbe probabilmente rivelato molto utile contro il berserker anche se gli mancava esperienza. Tutto sommato, Frank diede l'impressione di apprezzare veramente la competenza dell'artefatto elettronico come apprezzava, freddamente e con professionalità, tutti i vantaggi apportati da macchine e programmi vari. Ma il colonnello Marcus sembrava meno pronto a valutare la gente, o almeno così pensò Kensing. E quando venne sollevata la questione se Nick e gli altri come lui potessero mai venir considerati umani, Marcus reagì con un vago, divertito disprezzo per chiunque propendesse seriamente per il sì. L'inseguimento del berserker durava ormai da un paio di giorni standard e la piccola flotta presidenziale guadagnava costantemente terreno. Ma prima che qualcuno si aspettasse un vero scontro, la battaglia divampò nuovamente. Il grande berserker e la sua preda si trovavano ancora molto lontani quando il computer di bordo annunciò la presenza di probabili guai all'orizzonte con un asciutto avviso verbale, interrompendo un'altra riunione del consiglio di guerra. — Allarme rosso. Unità nemiche a poche frazioni-luce. Possibilità di combattimento: novanta per cento. Contatto: quaranta secondi. Con l'improvvisa sensazione che Annie si trovasse finalmente vicino, Kensing balzò dalla sedia per raggiungere la sua postazione. Un attimo più tardi venne quasi gettato a terra da Frank Marcus, che con i suoi cubi non più lenti e impacciati superò non solo Kensing ma anche tutti gli altri. Le indicazioni di quel primo allarme vennero presto confermate. Unità berserker, sotto forma di piccoli missili robotizzati in grado di colpire sia nello spazio convenzionale che nell'iperspazio, attendevano nascoste il passaggio della squadriglia umana. Si trovavano a pochi secondi di distanza e non potevano venir evitati. Gli ordigni nemici, la cui presenza Fred Saberhagen
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veniva parzialmente celata dalla polvere e dalle loro emissioni diversive, circondavano la traccia debolmente crepitante lasciata dai motori del grande berserker in fuga. Quelli erano missili davvero intelligenti, armi sofisticate che attendevano con disumana pazienza il momento di esplodere o di caricare ad ariete le astronavi umane, pronte ad autodistruggersi pur di fermare qualunque inseguitore. Fino a quel momento l'armata inseguitrice era avanzata di fretta, quasi accecata dalla propria velocità, mai perdendo la traccia, passando dallo spazio convenzionale all'iperspazio e viceversa; l'urgenza insita nella voce del presidente spronava i suoi uomini a chiedere il massimo alle loro macchine. La squadriglia era dunque impreparata: ma per fortuna Frank riuscì ad arrivare in tempo ai comandi. Nel momento stesso calcolato dal nemico, mentre lo spazio attorno a loro sembrò incendiarsi in un unica, immensa vampata, la Eidolon evitò di virare e compì un balzo in avanti cercando di forzare il blocco con una spericolata manovra. I piloti delle altre due astronavi solariane fecero del loro meglio per restare con Frank in qualche sorta di formazione e per evitare i missili nemici. E difatti i primi missili mancarono completamente il bersaglio, ma molti altri dovevano venir evitati o distrutti. L'equipaggio dell'ammiraglia, che annoverava molti novellini del combattimento spaziale come Kensing, ebbe l'impressione che la Eidolon venisse in qualche modo schiacciata e rivoltata. Lo scafo di tutte e tre le astronavi vibrò per la violenza delle radiazioni. Per i primi istanti, la distruzione totale dei berserker o degli umani sembrò il solo risultato possibile. Nel punto scelto dal nemico per l'imboscata, lungo la traccia che si addentrava nella nebulosa, la densità della materia cresceva di qualche punto percentuale e le tre astronavi umane, tornate nello spazio convenzionale, si tuffarono alla cieca nelle nebbiose volute procedendo per inerzia fino a fermarsi in qualche punto di quella frangia. La formazione, mai perfettamente mantenuta, si ruppe in un succedersi di mosse tattiche e la traccia lasciata dal grande berserker dovette per forza di cose venir abbandonata. Le due piccole astronavi ausiliarie soffrirono quasi subito le conseguenze dell'imboscata. La gente sul ponte della Eidolon ne vide una vaporizzarsi completamente e l'altra venir colpita tanto malamente che il suo capitano annunciò l'intenzione di tornare in qualche modo verso Fred Saberhagen
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Imatra, se mai era possibile. Urlando alla radio, Dirac fece ciò che poté per proibirlo. Ma nessuno seppe dire se i suoi ordini vennero ricevuti o no: un attimo più tardi, il presidente e gli altri videro l'astronave danneggiata esplodere con un'accecante vampata.
7 Due delle tre astronavi presidenziali erano perdute, e l'ammiraglia stessa aveva sostenuto almeno un impatto. Su diversi ponti si contavano morti e feriti, i corridoi erano pieni di fumo, l'aria fuggiva da qualche incrinatura e diversi compartimenti dovettero venir sigillati. Ma una volta liberatasi dal nugulo di missili intelligenti lanciati dal nemico, né Dirac né quell'asso che era il suo primo pilota pensarono per un attimo di abbandonare l'inseguimento. Nel momento di respiro che seguì, tutti tranne i feriti gravi vennero equipaggiati con le armi necessarie al combattimento ravvicinato. Si trattava soprattutto di pistole e fucili a raggi, alcuni attivati da un comando cerebrale raccolto dall'apposito elmetto, altri dalla diretta visione del pericolo. Le più innovative di queste armi proiettavano raggi perforanti che trapassavano anche le corazze più massicce ma non colpivano in alcun modo la carne. I loro raggi rimbalzavano senza danno (o quasi) da qualsiasi superficie adeguatamente trattata, anche se questo significava dover dotare i fucili di un sensore regolabile sul codice di molte sostanze trattanti in modo da rendere vano qualsiasi sforzo del nemico per duplicare quella che poteva cadere nelle sue mani. L'idea che quell'avventura potesse significare un buon avanzamento di carriera attraversò qualche angolo della mente di Kensing. Come ingegnere di sistemi di difesa, avrebbe tratto un profondo beneficio dall'esperienza che stava facendo. I membri superstiti dell'equipaggio vennero intanto visitati uno a uno dai robot servitori, che portarono loro le corazze spaziali adeguatamente trattate con la sostanza fresca dal miscelatore. Altri robot della manutenzione si aggirarono nei corridoi spruzzando la sostanza ovunque. Kensing, armato e con indosso la sua tuta corazzata come quasi tutti gli altri, attese al suo posto di combattimento pronto ad assistere come poteva coloro che cercavano di limitare i danni oppure a unirsi alle squadre di Fred Saberhagen
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difesa contro eventuali arrembaggi. Nel suo elmetto risuonò la voce di Frank, fermo al posto di pilotaggio. Borbottando, l'uomo nei cubi disse a qualcuno che tornare indietro era, in quella situazione, forse più pericoloso che continuare ad avanzare. Per quanto ne sapeva Sandy Kensing, il presidente Dirac non aveva più esperienza di battaglie spaziali del resto del suo equipaggio. In ogni caso, il premier continuò tranquillamente a dare ordini consultandosi apertamente con Marcus o con altri esperti prima di parlare. E come sempre, i suoi comandi venivano accettati all'istante e senza esitazioni. Kensing notò che, nonostante il suo potere, Dirac si intrometteva raramente in cose che non conosceva; quando accadeva lo faceva in modo del tutto involontario. Frank Marcus dava invece l'impressione di godersi ogni istante della battaglia. Non appena poté distrarsi per un attimo ordinò che gli venissero portate tutte le braccia meccaniche di cui disponeva per una pronta connessione ai suoi cubi. — In caso vogliano venire a stringerci la mano! — commentò. Kensing era occupato come non mai a sovrintendere le operazioni di tamponamento dei danni e di ripristino delle difese. I feriti venivano intanto curati alla meglio; vi era un certo numero di morti, ma fortunatamente i cinque medirobot liberi bastavano per tutti i feriti gravi. E l'astronave riprese a seguire la traccia, implacabile. Kensing si disse che doveva pur esservi a bordo qualcuno contrario a continuare l'inseguimento, ma evidentemente nessuno osava parlare per primo. Tutti si comportavano in modo elusivo, silenzioso, cauto, perché sapevano benissimo che il loro padrone avrebbe considerato la disobbedienza (e magari anche una protesta troppo convinta) alla stregua di un ammutinamento o di un tradimento. E là nello spazio, davanti al nemico, la situazione poteva ben giustificare l'applicazione del severo codice militare. E i suoi sospetti vennero confermati udendo una coppia di anonimi, potenziali contestatori chiedersi come diavolo contava il presidente di aiutare i prigionieri sulla biostazione, anche ammettendo che fossero ancora vivi, e soprattutto come contava di sconfiggere il berserker. Frank Marcus, che doveva aver sentito a sua volta qualcosa del genere, Fred Saberhagen
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dimostrò davvero poca pazienza con gli scontenti. A Dirac disse, quasi ringhiando: — Sono con lei fino in fondo. Ho firmato per dare la caccia a un berserker e non mollerò prima di averlo smontato pezzo a pezzo! — Poi continuò a sistemare le sue braccia meccaniche. Un po' più tardi, Kensing domandò a Frank in privato: — Secondo lei, quante possibilità abbiamo di riuscire a raggiungere quel maledetto? — Direi che a questo punto vi sono delle ottime possibilità. — Ma anche se vi riuscissimo, non ce la faremo mai a riprendere la biostazione intatta. Che ne sarà delle persone a bordo, anche ammettendo che siano ancora vive? — Ragazzo mio, farai meglio a lasciar perdere questo argomento e a misurare le parole, o il presidente ti farà allo spiedo accusandoti di ammutinamento. —
Fin dalla partenza dal sistema di Imatra, le astronavi umane avevano guadagnato una velocità notevole nei limiti posti dallo spazio convenzionale. Dato che ognuna delle tre astronavi inseguitrici era molto più piccola della massa unica formata dal berserker e della biostazione trainata, la flotta presidenziale aveva potuto avanzare a piccoli balzi nell'iperspazio riemergendone con una velocità convenzionale sempre maggiore. I limiti della nebulosa erano difficili da definire con precisione, ma ormai la Eidolon aveva certamente superato le frange più esterne dell'immensa nube di materia. La differenza tra quello e il normale spazio interstellare balzava subito all'occhio se si osservavano gli strumenti. Il rapporto densità-materia risultava in costante aumento, e sarebbe aumentato ancora man mano che l'astronave si addentrava nelle buie viscere della Mavronari. Di nuovo i telescopi dell'astronave vennero messi a fuoco, localizzando il berserker fuggitivo e la sua preda con inedita chiarezza. L'inseguimento riprese nello spazio convenzionale. L'imboscata era costata al presidente non solo le due astronavi ausiliarie con il loro equipaggio, cioè circa la metà della sua forza combattente, ma anche un po' di tempo, un po' di distanza. Entro poche ore, comunque, risultò evidente che, seppur danneggiata, l'astronave umana continuava a guadagnare terreno sul suo avversario; Fred Saberhagen
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tuttavia, questo avveniva più lentamente di prima. Entusiasti o meno, ai guerrieri umani a bordo della Eidolon restava ancora diverso tempo per tirare il fiato prima della resa dei conti che si profilava all'orizzonte. Di nuovo vi fu il tempo per tornare al quesito irrisolto: che beneficio pensava di trarre il berserker dalla preda per cui aveva rinunciato a massacrare un intero pianeta? E dove pensava di portare la biostazione e il suo miliardo di prigionieri non nati? Per quanto ne sapeva chiunque a bordo della Eidolon, la Mavronari non offriva nulla di attraente né agli umani né ai berserker. Questo venne confermato anche dalle rilevazioni degli strumenti di bordo, dalle ricerche intensive sugli atlanti stellari disponibili e da tutti i modelli in realtà virtuale realizzabili con i dati a disposizione. Ma la grande nebulosa non era mai stata esplorata per intero: racchiudeva qualche stella isolata, di questo gli scienziati erano certi, e qualche sistema planetario accessibile attraverso ristretti abissi di spazio vuoto. Raggiungere però quei sistemi attraversando la nebulosa stessa significava perdere moltissimo tempo. La nube di polvere cosmica era davvero immensa e si estendeva ad angolo retto verso il centro della galassia per una distanza a dir poco scoraggiante, centinaia di parsec, molte centinaia di anni-luce. E più ci si avvicinava al centro della nebulosa più la sua densità cresceva, fino a raggiungere il doppio delle frange periferiche. A velocità convenzionali più lente del normale a causa di quella densità sarebbero quindi occorsi migliaia di anni per attraversare la gigantesca nube cosmica da parte a parte. Ma il nemico aveva sbagliato i suoi calcoli se contava di seminare gli inseguitori nella nebulosa sempre più densa prima di venir raggiunto e distrutto. Con lenta e tormentata costanza la preda di Dirac divenne infatti via via più distinta ai telescopi, e in poco tempo sarebbe stata a portata utile per le loro armi. Oppure il berserker stava semplicemente preparando un'altra imboscata? Nonostante i frenetici sforzi sugli strumenti di rilevazione, nulla indicò che era quella la sua intenzione. Forse il berserker possedeva un numero limitato di missili, già impiegati nella precedente imboscata, oppure preferiva usare insieme missili e unità d'assalto nel confronto finale che si andava profilando. Con un gesto interrogativo, una delle serpentine e metalliche braccia di Frank Marcus si levò verso il premier. Dirac annuì: — Avanti! Fred Saberhagen
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Se una nuova imboscata li attendeva poco avanti, i suoi effetti mancarono di farsi sentire. Forse venne evitata quando Frank compì un'altra rischiosa manovra con la cupa benedizione del presidente: un nuovo balzo nell'iperspazio, con il resto dell'equipaggio saldamente assicurato alle poltrone antiaccelerazione che pregava o si concentrava stoicamente a seconda dei gusti personali. In ogni caso nessun pericolo si materializzò e la manovra ebbe successo. Quando la Eidolon riemerse nello spazio convenzionale, il suo equipaggio scoprì di procedere a velocità di poco superiore a quella del nemico in fuga, distante ormai poche migliaia di chilometri. E l'astronave umana si ritrovò ben presto in una posizione in cui poteva sì bersagliare l'avversario, ma anche venir seriamente colpita. Quel momento passò e nessuno dei due contendenti aprì il fuoco. Avvicinandosi ancora di più, Dirac poteva tentare di strappare con i campi di forza dell'astronave la preda che il berserker continuava ostinatamente a trascinare con sé. Ma inizialmente ogni tentativo di recuperare la biostazione in quel modo sembrò destinato al fallimento: la Eidolon risultava danneggiata in molte parti, mentre il nemico sembrava ancora nel pieno della sua potenza. Ma forse quella potenza non era poi così travolgente, o perlomeno non più. Gli osservatori umani, finalmente in grado di studiare il berserker da distanza ravvicinata, notarono quasi subito che lo scafo aveva subito parecchi danni. Impossibile dire quanti di quei danni fossero stati inflitti dalle difese imatrane e quanti risalissero a scontri precedenti, ma vista la potenza di fuoco che aveva dimostrato nell'attacco di sorpresa al planetoide sembrò a tutti una buona cosa considerarlo insidioso e spietato come sempre. Due volte nel giro di pochi secondi un sottile guizzo degli strumenti lasciò presagire che il nemico fosse in procinto di aprire il fuoco su di loro. — Attivate gli scudi — ordinò tardivamente Dirac con quella che parve una mezza domanda. Udendolo, Kensing si chiese se il presidente non stava segretamente tremando di paura. Ma non importava. Frank, di concerto con il pilota automatico al quale la banda d'interfacciamento lo legava a doppio filo, aveva già attivato tutte le possibili difese. E in ogni caso il nemico non aprì il fuoco. Dopodiché, mentre accettava laconicamente i complimenti del presidente per essere riuscito a salvare l'astronave e a raggiungere il Fred Saberhagen
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berserker, Marcus alterò il loro angolo di avvicinamento per portare la Eidolon direttamente dietro la biostazione che, contrariamente ai due contendenti, non mostrava danni di rilievo. Il nemico, che dall'imboscata in poi non aveva accelerato affatto, manteneva una rotta praticamente diritta virando di quando in quando per evitare gli ammassi più densi di materia nebulare, una semplice manovra da pilota automatico indipendente dalla velocità. Frank non incontrò alcuna difficoltà a mantenere l'astronave direttamente dietro la doppia massa del berserker e della sua preda. Ormai la distanza che separava la Eidolon dalla biostazione era minima, non più di pochi secondi di volo. In quella posizione la massa della biostazione si frapponeva tra i due avversari, scoraggiando di fatto il berserker dal ricorrere alla sua superiore potenza di fuoco. All'improvviso, il presidente ordinò: — Mettetemi in contatto con loro. Fu il suo consigliere a chiedergli: — In contatto con loro? Lei pensa che sulla biostazione... — Esattamente. Penso che siano ancora vivi là dentro. Siamo qui anche per salvare quei due scienziati, vero? Ora vediamo se sono in grado di rispondere alla nostra chiamata. Molta gente la ritenne d'istinto un'idea ridicola, ma nessuno lo disse apertamente. — Subito, signore. Stiamo trasmettendo. Ehi, del laboratorio? C'è qualcuno? La sola risposta fu un debole disturbo radio. — Non rispondono. Be', per quanto riguarda il berserker direi che è morto, almeno dal modo in cui si comporta. Qualche scarica ricevuta nell'attacco deve aver dato luogo a delle reazioni ritardate. Se non fosse morto, probabilmente ora lo saremmo noi. Con l'assenso di Dirac, Frank persistette nella tattica di restare il più vicino possibile alla biostazione in modo da frapporre la sua massa tra loro e le armi micidiali del nemico. Anche il terzo tentativo radio non ricevette risposta. Dirac annuì con calma. Evidentemente aveva già deciso la mossa successiva. — Dobbiamo tentare l'arrembaggio. Ascoltatemi tutti: siete dei mercenari e mi avete seguito volontariamente in questa missione. Pertanto mi aspetto che tutti voi mi seguiate volontariamente anche adesso. Abbiamo abbastanza mezzi da sbarco a bordo. Nick, tu prenderai i comandi della Eidolon. — Sì, signore. Fred Saberhagen
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— Frank, voglio che sia lei a pilotare il ricognitore armato — continuò. Purtroppo era l'unico mezzo da sbarco pesante disponibile. — Va bene. — Metodicamente il colonnello Marcus si preparò a lasciare i comandi a Nicholas, le cui capacità si sarebbero accresciute lavorando in sinergia col computer di bordo. Dopo essersi districato dalla sua poltrona antiaccelerazione, Kensing mosse un passo indietro per far spazio a Frank, mentre l'uomo nei cubi manovrò abilmente nell'affollata sala comandi per proseguire con gustosa celerità lungo un corridoio e scendere la rampa che portava all'hangar dove lo attendeva il ricognitore adattato appositamente per lui. Kensing lo seguì, provando all'improvviso più paura di quanta ne avesse mai provata in vita sua. Tuttavia, gli risultò impossibile capire se aveva paura di restare ucciso nello scontro o di scoprire la terribile verità riguardo ad Annie. Un ricognitore armato, due navette disarmate, due mezzi d'assalto armati ma penosamente piccoli e naturalmente i moduli di salvataggio dell'astronave, che però non servivano a quello scopo: i cosiddetti mezzi da sbarco ammontavano in tutto a cinque eterogenei mezzi spaziali. Tre o quattro persone alla volta, l'intero equipaggio della Eidolon trovò comodamente posto sulle quattro navette più piccole mentre Frank salì da solo sul ricognitore. Dirac, che nel corso della sua carriera era stato accusato di molte cose ma mai di codardia, si stava preparando a pilotare uno dei mezzi d'assalto. Si trattava di un piccolo cargo modificato, armato ma con una potenza di fuoco di molto inferiore allo shuttle assegnato a Frank. Una volta completati i preparativi il presidente diede a Nicholas Hawksmoor pochi ordini specifici e lo lasciò al comando della Eidolon, solo responsabile conscio dell'ultima astronave armata della flotta presidenziale. Nick ne fu impressionato e in qualche modo commosso, provando quello che ritenne un vago senso di colpa quando Dirac gli disse per radio che lui era l'unico di cui poteva ciecamente fidarsi. Un pilota in carne e ossa poteva cedere alla tensione e fuggire, aggiunse. Ma con Nick non si correvano questi pericoli. — L'unico a cui avrei affidato l'astronave è Marcus — sussurrò il presidente. — Ma lo voglio con me perché tornerà utilissimo per l'arrembaggio. Fred Saberhagen
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— Molto comprensibile, signore — replicò Hawksmoor. — Penso che lei abbia fatto la scelta migliore. Poco dopo, le quattro navette e il ricognitore emersero uno a uno dall'imponente portello dell'hangar, disponendosi subito dopo in formazione offensiva accanto al grande scafo della loro astronave-madre. Finalmente giunse il momento stabilito e la piccola flottiglia avanzò rapidamente dando inizio alla rischiosa azione. Seguendo ognuna un suo percorso e manovrando evasivamente per evitare il possibile fuoco nemico, le navette puntarono rapidamente verso la biostazione. E fu allora che, in meno di un batter di ciglia e con un'accecante vampata di violenza, il nemico non fu più inerte. Lo scafo devastato della macchina mostruosa restò in effetti buio e silente, ma un nugulo di piccole unità d'assalto eruttò sparando da uno degli squarci, accelerando per intercettare la squadriglia umana all'orizzonte. Nick, solo sulla Eidolon e con la mente che operava come sempre sui corrispondenti optoelettronici dei nervi, reagì al nuovo attacco molti millisecondi prima degli altri con la sola, ragguardevole eccezione di Frank Marcus, già in piena sinergia con i sensi artificiali del computer di bordo del ricognitore. Le armi pesanti dell'astronave, o perlomeno quelle che Nick ritenne opportuno usare tanto vicino alla biostazione, aprirono il fuoco sul nugulo di piccoli berserker rompendo la loro formazione, bruciandoli, schiacciandoli, cancellandoli uno dopo l'altro dai monitor. Negli attimi immediatamente successivi all'attestazione di fiducia di Dirac, Nick aveva brevemente covato l'idea di fuggire con la Eidolon adesso che solo lui e la sua amata Jenny si trovavano a bordo. Ma un più attento esame lo convinse che si trattava di un atto disperato e inutile. Non che si facesse alcuno scrupolo ad abbandonare al suo destino un creatore tanto sciocco da concedergli la più cieca e totale fiducia: no, per tradirlo lo aveva già tradito. Però si era convinto che la sola possibilità di trovare la felicità con Jenny era aiutarla a riguadagnare il suo corpo fisico e solo la biostazione, superbamente equipaggiata per esperimenti di quel genere, offriva qualche speranza di farcela. In quel momento Jenny dormiva nelle sue stanze private all'abbazia. Fred Saberhagen
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Infatti, non appena fu certo della battaglia, Nick fece in modo di addormentarla a tempo indefinito, naturalmente senza chiederle il permesso. Se avessero vinto, lui sarebbe tornato indietro e l'avrebbe gentilmente svegliata bussando alla porta della sua camera per darle l'annuncio della vittoria e dei suoi possibili significati per loro. Nel corso del minuto successivo i compagni organici di Nick combatterono duramente per riuscire ad abbordare la biostazione, mentre lui usava le armi a sua disposizione con estrema perizia distruggendo con micidiale precisione le macchine aliene nel loro disperato contrattacco. La tentazione di rivolgere quelle armi su Dirac non lo sfiorò neppure, perché la distruzione del berserker veniva prima di qualsiasi conflitto personale. Inoltre vi erano ottime possibilità che il berserker stesso si incaricasse di eliminare il suo rivale, nonostante gli sforzi disperati di Nick per proteggerlo. Già una delle piccole navette solariane non risultava più visibile: la scarica di un berserker l'aveva presa in pieno, polverizzandola. Un'altra navetta, colpita di striscio, doveva avere i motori danneggiati perché andava chiaramente alla deriva. Mantenersi in contatto radio sembrava impossibile a causa dei disturbi generati dalle esplosioni, ma questo non rappresentava certo una novità. Ormai, lunghi istanti dopo l'inizio della battaglia, solo tre dei mezzi da sbarco umani restavano integri incluso quello pilotato da Dirac, mentre il contrattacco nemico non conosceva pause o esitazioni. Naturalmente sopravviveva anche il ricognitore, di gran lunga il più armato e protetto tra i componenti della flottiglia umana. Fin dall'inizio dell'azione Frank manovrò in modo da attrarre su di sé quanti più nemici possibile, alternando manovre diversive e scontri a fuoco, cariche cieche e fughe parziali. Solo allora, osservandolo sui monitor, Nick si rese conto di quanto Frank superasse tutti gli altri piloti grazie al suo cervello parzialmente connesso a livello quantico con un avanzatissimo minicomputer. Facilmente avrebbe surclassato anche lo stesso Nick. Ma i suoi pensieri bruscamente s'interruppero. Due macchine assassine sbucarono dai bagliori di un'esplosione a poca distanza dalla Eidolon, caricandola con cieca furia. Un attimo più tardi Nick vaporizzò entrambe. Ma prima la grande astronave umana venne colpita ancora una volta, Fred Saberhagen
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subendo nuovi e devastanti danni. Intanto Frank, dopo essersi buttato con gioia nella mischia come se fosse il suo habitat naturale, agì con deliberata perizia per distrarre il numero più grande possibile di berserker dalle altre navette. Il suo ricognitore pesantemente armato divenne l'obiettivo numero uno delle forze nemiche, incalzato e seguito ovunque da un vero nugolo di avversari. In pochi secondi una piccola armata manovrò in modo da dividerlo dalla Eidolon e dagli altri due componenti superstiti della piccola flotta d'assalto. Frank, il cui incarico fin dall'inizio era impegnare il nemico per consentire l'arrembaggio alla biostazione, non cercò affatto di rompere l'accerchiamento. Invece, scommettendo sulla sua capacità di sorprendere gli avversari, si tuffò in direzione del grande berserker. Una rapida finta in quella direzione seguita da una stretta virata avrebbe probabilmente disperso quanto bastava quell'armata di stupide macchine. Osservando questa nuova manovra sullo schermo, Nick non poté fare a meno di chiedersi sorpreso cosa mai avesse in mente Frank. Faceva ciò che poteva per aiutarlo dall'astronave, ma quella manovra lo portava in posizione tale da tagliar fuori il fuoco amico della Eidolon contro i berserker che lo tallonavano più da vicino. Tutto questo, pensò Nick, per l'ordine di evitare assolutamente di colpire la biostazione. Spostando l'astronave poteva senza dubbio aiutare Frank molto più efficacemente, ma questo significava esporsi al fuoco di qualunque arma pesante il grande berserker tenesse in riserva. Questione di nanosecondi, poi Nick respinse l'idea. Non poteva rischiare più di tanto la preziosa vita optoelettronica di Jenny. Nel corso degli attimi successivi il ricognitore di Frank venne ulteriormente allontanato dalla biostazione dalla muta dei suoi inseguitori, ora notevolmente assottigliata. Ma anche la maneggevole unità del colonnello era stata colpita. Ormai non importava più se la sua aggressiva puntata verso il grande berserker era una finta oppure no. Il poco che restava dell'armata nemica continuò a incalzarlo, sospingendo il ricognitore proprio verso l'immenso automa. Nick fu il solo oltre allo stesso Frank a vedere ciò che accadde. E nonostante i suoi sensi amplificati, persino Nick non riuscì a percepire più di qualche rapido sviluppo. Fred Saberhagen
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Del tutto isolato dai suoi compagni, Frank decise di tener fede alla sua fama scegliendo di adottare una tattica ancora più rischiosa, anche se forse a quel punto non aveva più nulla da perdere: puntò dritto sul nero scafo dell'implacabile macchina assassina. Forse contava sul fatto di riuscire a virare all'ultimo momento, oppure su qualche altra scappatoia; invece il piccolo ricognitore venne catturato da un tentacolo di pura forza magnetica emesso dal berserker. Nick lo vide scendere ancora e ancora per poi sparire del tutto. E fu allora che il pilota virtuale dovette ammettere, nonostante l'incertezza derivante dai lampi della battaglia e dai compiti pressanti a cui era chiamato, che il colonnello era spacciato. Per quanto poteva vedere dal suo angolo di osservazione, il tentacolo lo aveva costretto ad atterrare o a precipitare in qualche punto della gigantesca massa nerastra e devastata non lontano dalla biostazione. Nemmeno gli altri equipaggi delle due navette rimaste riuscirono a capire quale fu la sorte del ricognitore: tutti erano troppo impegnati a cercare di restare vivi per trovare anche solo un secondo da dedicare a Frank. Con la scomparsa di Frank Marcus il fuoco nemico cessò. Quasi tutti i piccoli berserker venuti al contrattacco erano stati distrutti; i pochi rimasti si ritirarono velocemente lasciandoli liberi di andare all'arrembaggio, forse scacciati dalle formidabili scariche della Eidolon. Per un attimo tornò il silenzio. Qualche stella lucente e dense volute di polvere osservarono imperturbabili quel luogo dove la morte aveva chiesto e ottenuto un pesante tributo. Controllando frettolosamente i danni sui sistemi di emergenza, Nick scoprì con sollievo che i motori funzionavano ancora alla perfezione. Un attimo più tardi la tentazione di abbandonare gli altri al loro destino tornò a farsi sentire. Di nuovo Hawksmoor soppesò la possibilità di abbandonare Dirac e tutti coloro che avevano lasciato l'astronave con lui, prendendo al volo l'unica opportunità di fuggire pulitamente con Jenny. Contro quell'avventata decisione si schierò però il suo programma-base, che gli imponeva obbedienza a Dirac, e i programmi ugualmente importanti per cui doveva sempre servire fedelmente gli interessi dell'umanità. Entrambi erano ancora molto sentiti. Ma di nuovo si convinse che la decisione di non disertare provenisse soprattutto dal fatto che la biostazione offriva l'unica possibilità di Fred Saberhagen
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riportare Jenny nel corpo materiale che lei esigeva con tanta insistenza. Nonostante le numerose perdite sofferte dagli umani, l'arrembaggio sembrava ora destinato al successo, perlomeno nella sua prima fase. Due piccole navicelle solariane manovravano per raggiungere due diversi accessi della biostazione, e in poco tempo le forze di Dirac avrebbero posto nuovamente piede a bordo. Ma la vittoria rischiava di rivelarsi una vittoria di Pirro, o almeno così si disse Nick: solo quelle due navicelle avevano superato indenni l'aspra battaglia. Nick fu presto in grado di ristabilire il contatto radio con Dirac. Una delle prime domande del presidente fu: — Dov'è il ricognitore? Che ne è di Marcus? — Credo sia precipitato sul grande berserker. Non conterei più sul suo aiuto, signore. — Maledizione! Ci sono altri banditi in vista? — Negativo, signore. Sono scomparsi dagli schermi assieme al colonnello. — Va bene. Resta in ascolto, Nick. Siamo agganciati alla biostazione e tra poco entreremo. — Buona fortuna, signore — fu la replica, in quel momento davvero sentita. Frank Marcus era sì precipitato, ma non era affatto morto. Vedendosi circondato e attaccato da un gran numero di nemici, aveva continuato caparbiamente a combattere. Trionfante, aveva mandato un messaggio radio (un messaggio che non venne mai captato) dicendo di esser riuscito a sorprendere i berserker e di averne distrutto un gran numero. Ormai i nemici attivamente impegnati contro di lui erano ridotti quasi a zero, e questo significava il via libera per tentare l'assalto alla biostazione. Ma purtroppo il ricognitore pilotato da Frank si era avvicinato troppo al berserker, finendo preda dei suoi tentacoli di pura forza per venir attratto senza scampo sullo scafo nero e malridotto della macchina aliena. Tuttavia, Frank non morì. Il colonnello uscì dal relitto pronto a combattere, sopravvivendo a un impatto che avrebbe ucciso qualsiasi essere organico grazie ai cubi metallici che gli conferivano una forza e una resistenza inumana. Fred Saberhagen
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Era tempo, e già da un po', per una ritirata. Ma ritirarsi era impossibile, e restare lì ad aspettare le unità mobili mandate dal grande berserker a cercarlo non aveva senso. Dubitava molto che qualcuno venisse mai a salvarlo. Questo gli lasciava solo una scelta possibile: andare avanti. Perlomeno, la sua guerra personale non era ancora finita. Non dovette fare molta strada prima di trovare il modo, la possibilità, di fare qualche altro danno. Avanzava artigliando lo scafo del berserker con le sue otto zampe metalliche quando vide un'apertura, uno squarcio nella massiccia armatura metallica esterna del suo avversario aperto probabilmente uà qualche veccnia scarica ricevuta migliaia vai anni prima. E fu proprio qualche attimo più tardi, mentre stava penetrando nel berserker più che mai deciso a portare a termine la rischiosa operazione, che Frank comprese all'improvviso di star giocando la sua ultima partita. Da lì non sarebbe uscito vivo. Ma quel pensiero non interferì minimamente con ciò che stava facendo: anche se avesse provato non sarebbe riuscito a immaginare un modo migliore di morire. Naturalmente prima di abbandonare il relitto del ricognitore aveva preso delle armi. Una volta dentro il grande berserker voleva aprire il fuoco su qualsiasi cosa importante vedesse, fargli pagare molto cara la sua pelle, fargli capire che sradicare la vita dall'intero universo non si sarebbe provata cosa facile. Sì, avrebbe obbligato quella macchina dannata a distrarre parte delle sue risorse per dare la caccia a lui, seminando disastri nel frattempo. Così gli altri sarebbero riusciti a riprendere la biostazione che tanto volevano, e forse Dirac sarebbe riuscito a distruggerlo per sempre una volta tornato a bordo della Eidolon. Pensando questo penetrò nello scafo. Ma la coraggiosa ricerca di qualche punto vitale esposto non doveva durare a lungo prima di venir stroncata in modo inappellabile. Hawksmoor, sempre vigile al suo posto sulla Eidolon, fu l'unico in grado di captare l'ultimo messaggio radio del colonnello Marcus. Solo qualche spezzone riuscì a passare, e anche quelli risultarono concitati e confusi. Ma le ultime parole che Nick, attentamente all'ascolto sull'astronave, riuscì a sentire da Frank furono molto chiare: — Dio mio! Dio... mio! Le due piccole navette completarono l'aggancio con la biostazione, modeste teste di ponte solariane oppresse dal grande scafo del laboratorio spaziale, a sua volta minuscolo rispetto all'ostile e metallico leviatano che l'aveva trascinato con sé. Tutto taceva in quel momento: anche il mostro Fred Saberhagen
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metallico sembrava attendere, apparentemente fermo a qualche centinaio di metri di distanza. Dirac e coloro che erano ancora abbastanza freddi da seguirlo, tra cui Kensing, si prepararono ad assaltare contemporaneamente due diversi portelli stagni contando sull'eventuale copertura di Nick. Dirac dovette mettere in conto la possibilità che i portelli fossero minati oppure bloccati. Le parti più esterne della biostazione apparivano ammaccate e bruciacchiate, probabilmente a causa delle esplosioni della battaglia. Ma i portelli, per quanto si poteva accertare da fuori, erano intatti e funzionanti e tutto indicava che aprirli non si sarebbe rivelato difficile. Poco dopo il presidente e i suoi compagni si prepararono per uscire. Tutti indossavano tute spaziali corazzate e portavano le armi più devastanti disponibili. Uno alla volta oltrepassarono la piccola camera stagna della navetta e raggiunsero il portello esterno della biostazione, cercando di aprirlo per penetrare all'interno. Kensing era tra loro, determinato e spaventato come gli altri. Ma la gran voglia di ritrovare Annie contribuì a smorzare un po' del suo terrore. Pochi attimi più tardi i loro sforzi ebbero successo. Entrando tutti insieme nella capace camera stagna della biostazione, scoprirono che la gravità artificiale funzionava ancora. Gli strumenti indicarono che l'atmosfera era normale e respirabile, ma nessuno accennò a togliersi l'elmetto. — Avanti, aprite. Siamo pronti. Qualcuno proprio accanto a Kensing si diede da fare sui comandi manuali posti in una delle paratie. Subito il portello interno della camera stagna cominciò ad aprirsi. Kensing tirò un lungo sospiro, le armi puntate, la mente sgombra da ogni pensiero e tutta la volontà concentrata sul comando mentale che attivava il grilletto, pronto come gli altri a far fuoco su qualunque cosa li attendesse al di là del portello.
8 Il planetoide Imatra era avvolto dalle orbite di una ventina di satelliti, e parecchie di quelle piccole lune artificiali pullulavano di sofisticati strumenti astronomici. Analoghi satelliti orbitavano attorno ai maggiori Fred Saberhagen
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pianeti del sistema locale. E tutti in quel periodo lavoravano al massimo della capacità, i loro sensori puntati su un solo punto dello spazio come gli strumenti delle maggiori stazioni di terra. Essi fornirono agli ansiosi osservatori alcune bizzarre rilevazioni provenienti da circa dieci giorniluce di distanza. Le immagini ricevute apparivano perlomeno confuse per la grande distanza e incomplete a causa delle interferenze indotte dalle frange più esterne della Mavronari. I dettagli mostrati non erano quelli che dovevano essere, tuttavia molti credettero di trovarvi le prove che il presidente e la sua armata personale erano riusciti a raggiungere il nemico in fuga. Ma lo spettro dei lampi delle esplosioni e le vaghe incandescenze che accesero alcune delle nubi di pulviscolo rivelarono appieno la violenza dello scontro che ne era seguito. Una sorta di fiera battaglia, anche se in scala ridotta, stava avvenendo nello spazio, o meglio era avvenuta dieci giorni prima. Alcuni dei preoccupati osservatori sul sistema di Imatra avanzarono però l'ipotesi, supportata dai calcoli più aggiornati, che quei lampi e quei bagliori indicassero non già la battaglia col grande berserker ma una terribile imboscata tesa alle tre astronavi solariane. Purtroppo risultò impossibile stabilire da quella distanza il successo o meno delle contromisure umane. Nient'altro venne captato che potesse servire a sostenere la propaganda pro Dirac. Comunque, visto che alcuni dei bagliori generati dalle esplosioni persistettero espandendosi tanto da coprire qualsiasi emissione successiva, si diede genericamente per scontato che l'imboscata fosse fallita e che l'inseguimento continuasse molto oltre nella Mavronari. Tuttavia una delle poche cose certe per tutti gli Imatrani era che il presidente non aveva più inviato alcun messaggio e che nessuna delle tre astronavi era tornata alla base, seppur danneggiata. Passarono altri giorni senza alcuna novità e senza particolari sviluppi. Nessuna delle astronavi di Dirac riapparve sugli schermi, nessun messaggio venne ricevuto; tra gli osservatori cominciò a insinuarsi la certezza che il presidente non sarebbe più tornato. Evidentemente la sua superba astronave non aveva potuto granché contro un nemico tanto potente e, come molti ironizzarono, incorruttibile. Una volta distrutte le astronavi, era un gioco da ragazzi per il nemico intercettare anche i piccoli Fred Saberhagen
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robocorrieri utilizzati per le comunicazioni in condizioni difficoltose, che tra l'altro non possedevano un sistema di orientamento molto sviluppato e potevano anche essersi persi. E purtroppo sul sistema di Imatra non esistevano mezzi particolarmente sofisticati per scandagliare la nebulosa. Ma ancora le fazioni pro Dirac rifiutavano di arrendersi. Secondo loro risultava impossibile capire se l'intera flotta presidenziale era stata annientata: forse l'inseguimento continuava nella nebulosa. Al momento le probabilità erano uguali. Tuttavia non esistevano molti elementi per sostenere a oltranza quella tesi, solo quei bagliori che suggerivano una battaglia spaziale (se uno sapeva come cercarli) e anche quelle tenui tracce andavano rarefacendosi giorno dopo giorno, ora dopo ora. E qualche tempo dopo, esse scomparvero del tutto lasciando il vuoto dietro di loro: un segno quantomai ambiguo. Presto non vi fu più nulla su cui valesse la pena di affannarsi, tranne le certezze. — Be', abbiamo delle accurate registrazioni di tutto questo maledetto affare... ma il punto è: siamo sicuri di volerle conservare per intero? — Cosa intende dire? — Voglio dire, quando si spargerà la voce per tutti i pianeti dei sistemi confederati che non solo lady Genevieve è morta ma il presidente è disperso... — Come possiamo venir biasimati per questo? In tutta onestà, come possono addossarci la colpa di quanto è successo in entrambi i casi? — Invece credo proprio che diversa gente farà di tutto per farci apparire gli unici colpevoli... ingiustamente, è chiaro, ma la possibilità esiste, almeno per la morte di lady Genevieve. — Be', se la possibilità esiste almeno vediamo di non farci accusare di aver manipolato le registrazioni dell'attacco. Tutti penserebbero che cerchiamo di coprire qualcosa di molto, molto... Naturalmente Sandy Kensing, unitosi alla piccola armata presidenziale, era disperso a sua volta. Per fortuna che era un volontario. Più le autorità locali del pianeta Imatra esaminavano la loro posizione, più sentivano la necessità di tutelarsi al meglio contro i possibili risvolti delle inchieste ufficiali e le insinuazioni accusatorie dei media. L'intera vicenda venne valutata attimo per attimo da una piccola e vociante folla di burocrati in una serie di riunioni svoltesi nelle lussuose strutture, ora deserte, dello sfortunato planetoide. I guai sarebbero arrivati Fred Saberhagen
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presto, su questo tutti concordarono. Il presidente Dirac, il solariano più potente di una porzione di galassia ampia molti anni-luce, non poteva sparire così dalla vita economica e politica senza che nessuno se ne accorgesse. Ma non tutti gli esponenti più in vista dei sistemi a lui soggetti si sarebbero lamentati della sua sparizione. Alcuni avrebbero certamente tratto enormi vantaggi da una dichiarazione di morte presunta, un atto ragionevole, limpido e dovuto, almeno dopo un po'; altri erano destinati a perderci, mentre altri ancora avrebbero fatto di tutto per prolungare al massimo il periodo d'instabilità. Vi era anche la questione dell'eredità: essendo Dirac scomparso nello spazio bisognava legalmente aspettare ben sette anni prima di aprire il suo testamento e assegnarne gli immensi beni, ma certamente le manovre per aggiudicarsi una posizione di vantaggio erano già iniziate. Un mese dopo la partenza del presidente con la sua flotta le autorità locali, nonostante le loro divergenze su altri aspetti della situazione compresi i tempi dell'annuncio di morte presunta, non ebbero difficoltà a concordare sul fatto che Dirac e i suoi erano irrimediabilmente perduti e che qualsiasi tentativo di organizzare una spedizione di soccorso fosse inutile. Le autorità di Imatra studiarono con estrema attenzione le registrazioni dell'attacco, così come tutto ciò che riguardava la partenza del berserker e della flotta presidenziale, giungendo alla conclusione che nulla in quelle registrazioni poteva gettare il minimo dubbio sulla validità del loro operato. Pertanto, numerose copie delle registrazioni vennero inviate con impulsi subspaziali e convenzionali a chiunque ne avanzasse richiesta e alcune copie vennero inviate su altri sistemi. Poi le registrazioni vennero archiviate come previsto dalle normali procedure. Il portello interno della camera stagna si aprì davanti al presidente e al pugno di fedelissimi che componeva la sua squadra, ammettendoli all'interno della biostazione. La pattuglia solariana si trovò davanti a un corridoio vuoto e normalmente illuminato in cui nulla pareva in qualche modo fuori posto. Dalla parte opposta di quello stesso corridoio la seconda squadra armata stava per entrare esattamente nello stesso modo. Dirac parlò alla mente optoelettronica della biostazione, ordinandole di Fred Saberhagen
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tenere aperti entrambi i portelli interni. — Ordine ricevuto — replicò la voce del computer con tono vagamente inumano, il che era perfettamente normale per una macchina intelligente costruita dai solariani. Le porte rimasero diligentemente aperte, per il momento. Lasciarle in quella posizione poteva favorire una veloce ritirata se questa si rendeva necessaria. Il gruppo, composto al massimo da una decina di uomini, si riunì preparandosi ad avanzare come pianificato. Cautamente i più esperti mossero qualche passo nel corridoio, poi qualche altro ancora. Dirac, intoccato dalle disastrose perdite sofferte fino a quel momento, era fermamente determinato a riportare indietro la biostazione e a trovare sua moglie. Eccolo dunque avanzare circospetto proprio davanti a Kensing nel corridoio che portava al laboratorio, un uomo di media statura avvolto in una pesante ma snodata armatura pronto a puntare il suo fucile ad attivazione oculare in ogni angolo che poteva nascondere il nemico. Kensing ebbe l'impressione che fosse soddisfatto dell'andamento delle operazioni: evidentemente le perdite umane e materiali sofferte fino a quel momento rientravano nei suoi calcoli. Qualche metro più avanti il corridoio si biforcava, come tutti sapevano dai modelli della biostazione studiati in quei giorni. I due nuovi corridoi proseguivano leggermente curvi, e per quanto potevano vedere apparivano deserti e bene illuminati. Un'occhiata al monitor della sua tuta corazzata rivelò a Kensing che l'aria era respirabile e la pressione perfetta per un essere umano. Raggiungendo il temerario premier, Kensing sentì i propri nervi vibrare al ricordo della violenta battaglia combattuta nello spazio. "Bene, eccomi qui" continuava silenziosamente a ripetersi senza riuscire ad andare molto oltre quella fondamentale constatazione. "Coraggio, sono ancora vivo" era la rara alternativa. Persino Annie venne completamente dimenticata in quel momento. Una vocina piccola piccola captata e decodificata dai dispositivi della tuta corazzata risuonò nel suo elmetto. — Non sarebbe meglio far venire qui Nick? Il presidente scosse la testa e poi rispose, con la sua voce inconfondibile: — Negativo. Al momento Nick ci è più utile dove si trova. State pronti adesso: cercheremo di entrare nel laboratorio. Kensing avanzò piano e quasi trattenendo il fiato, pronto a far fuoco con Fred Saberhagen
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la sua fidata arma. Gli altri avanzarono con lui e dopo di lui, onde cerebrali pronte sui grilletti dei fucili a raggi, consapevoli di rischiare in qualsiasi momento un micidiale scontro a fuoco. Nessun riflesso umano non potenziato avrebbe mai potuto competere con l'accuratezza e la velocità di un automa, neppure quando la vista di un pericolo e la volontà di distruggerlo, scintille del pensiero collegate a un grilletto virtuale, erano tutto ciò che ci voleva per mirare e sparare. Ma la tecnologia aveva reso il confronto meno impari. Al fucile a raggi stretto nelle braccia si aggiungeva un proiettore nell'elmetto, con le due opzioni di fuoco strettamente interconnesse che facevano capo alle onde alfa sviluppate dal cervello dell'operatore. La tuta spaziale era inoltre dotata di un programma di riconoscimento autonomo: controllata a dovere, poteva agire come un vero e proprio berserker. Ma proprio da lì venivano i maggiori problemi: in situazioni di estrema tensione le armi sparavano da sole contro qualsiasi cosa si muovesse, ombre che rientravano nei ristretti parametri imposti al programma da un operatore-soldato troppo teso. Per superare questa difficoltà gli scienziati di Dirac avevano equipaggiato le corazze con l'Iff, una funzione ultraveloce che in teoria consentiva di distinguere un amico da un nemico in una frazione di millisecondo. — Ma dove diavolo sono? — fece una voce nell'elmetto di Kensing, senza specificare se si riferiva ai berserker, ai prigionieri umani o a chissà che altro. Se si fossero trovati davanti ad avversari umani, quella calma e quel silenzio li avrebbero facilmente convinti che il nemico era fuggito abbandonando il bottino. Ma i berserker erano macchine: nulla poteva spaventarli. Se solo uno di loro aveva occupato la biostazione un giorno, un'ora o anche cinque minuti prima, si trovava nascosto in qualche angolo pronto a balzar fuori al momento più favorevole e uccidere chiunque potesse con la metodica semplicità delle macchine, fino a venir distrutto. Constatando che non vi era segno del nemico, Dirac ordinò un'altra cauta avanzata. Il suo piano prevedeva una lenta esplorazione di tutta la struttura, un corridoio dopo l'altro, un ponte dopo l'altro fino a una totale riconquista. Avvertendo qualche segno di stanchezza, Kensing oltrepassò per primo il grande portale del laboratorio. Il suo sguardo vagò tra centinaia di macchine complesse di varie dimensioni. Tutto appariva immoto e silente. Annie gli aveva raccontato tante di quelle cose su quel luogo che vi si Fred Saberhagen
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sarebbe sentito a casa sua anche senza studiarne il modello in realtà virtuale. Quello era il luogo dove lei lavorava, il suo posto di combattimento durante l'allarme. Quindi era là che i berserker saliti a bordo, almeno secondo logica, l'avevano catturata. Cercando di mantenere un ferreo controllo sui propri nervi, Kensing mosse qualche passo oltre l'ingresso. Pronto a ogni evenienza, lanciò una nuova occhiata in giro. La squadra solariana non era molto numerosa e pertanto avanzava ancora più lenta e circospetta di quanto non fosse necessario. D'altro canto la biostazione era grande e labirintica: ispezionare ogni angolo in cerca di berserker o di trappole antiuomo avrebbe richiesto un sacco di tempo. Ma se riuscivano a guadagnare il controllo dei punti chiave della struttura, se ne sarebbero incaricati Nick e i robot operai della Eidolon. Più tardi. Dirac non poteva aspettare: il suo primo obiettivo era scoprire se vi erano ancora dei sopravvissuti umani a bordo. Kensing stava giusto muovendo un altro passo avanti, lento e silenzioso come imponeva la situazione, quando alla sua destra avvampò un bagliore seguito da uno scoppio violentissimo. Sulla sua tuta corazzata si riflesse un'onda d'urto di calore e radiazione, fortunatamente non molto intensa. La schermaglia terminò prima ancora che potesse volgere il capo, anche se un attimo più tardi una seconda arma solariana, non la sua, fece fuoco nella stessa direzione colpendo un bersaglio già annientato ed estendendo i danni ai circostanti macchinari del laboratorio. Il piccolo berserker balzato improvvisamente fuori da dietro una fila di macchine innocue era caduto sotto la prima, potente scarica, le sue sei zampe completamente recise, le bocche di fuoco delle sue armi avvizzite, il dorso tranciato a metà da cui fuoriuscivano parti di vari componenti che cadevano con fragore sul lucido pavimento. Null'altro che una carcassa ormai, dalle cui viscere venivano fumo e fiamme fino a quando il sistema antincendio della stazione non intervenne estinguendo rapidamente il focolaio. La voce della biostazione risuonò nel silenzio ordinando a tutto il personale di allontanarsi dalla zona come da regolamento. — Attenti, potrebbero essercene ancora — avvisò Dirac. Ma il tempo passò senza rivelare altri berserker. Era come se quel piccolo automa, rimasto intrappolato dall'inaspettata incursione solariana, avesse deciso di accelerare la sua fine esponendosi di proposito alle armi Fred Saberhagen
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umane. Poi un altro berserker fu visto fuggire lungo un corridoio dalla parte opposta del laboratorio. Muoveva alla velocità di un comune automa solariano. Stavolta la mira della pattuglia non si rivelò tanto efficace, e le scariche danneggiarono lo scafo interno al di là dell'uscita del laboratorio. Gli attimi di calma divennero un minuto, poi due. Il brivido del combattimento si smorzò e una quiete minacciosa avvolse il laboratorio con l'apparente intenzione di durare a lungo. Ma la calma presto cessò, almeno per qualcuno. Kensing, in quel momento in piedi al centro del laboratorio, soffocò a fatica un urlo di vero trionfo vedendo Annie uscire da dietro un macchinario e dirigersi velocemente verso di lui. Appariva spossata ma indenne, e indossava ancora il camice da scienziata. Un attimo più tardi il sostituto supervisore Zador, pallida ma sana e salva, si gettò tra le braccia di Kensing in una miracolosa riunione. Lui dovette lottare contro l'impulso di togliersi l'elmetto e baciarla. La sola cosa che lo trattenne dal farlo fu il pensiero che fino a quando non sarebbero tornati sani e salvi sull'astronave lei avrebbe necessitato di tutta la protezione che lui poteva offrirle. — Sei tu, sei tu! — continuò a gridare Annie, balbettando parole sconnesse sulla meraviglia provata vedendo una squadra di soccorso solariana entrare in scena quando anche loro, i prigionieri, si erano ormai rassegnati alla morte. Ma vedere lui... A sua volta Kensing rispose, con voce a malapena percettibile: — Cosa credevi, che non sarei venuto a cercarti? Altre figure solariane comparvero nel laboratorio quasi per miracolo. Un uomo avanzò verso di loro a pochi metri da Annie e venne da questa presentato come il suo collega Dan Hoveler. Dopodiché fu il turno di un altro uomo che si presentò come Scurlock, la cui presenza, a differenza di quella di Hoveler, risultò del tutto inattesa. Questo sviluppo fece fremere Dirac di accigliata concentrazione. I superstiti riferirono che, per quanto strano potesse sembrare, i berserker non li avevano torturati né molestati in alcun modo, lasciandoli addirittura liberi di cercare un riparo quando le armi avevano tuonato. E un minuto dopo la strana apparizione di Scurlock, ecco quella di una Fred Saberhagen
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donna all'aspetto stracciato e sconvolto che venne presentata come Carol. Nessun segno di lady Genevieve. Dirac stava già interrogando i sopravvissuti a riguardo. — Avete visto mia moglie? Annie, Hoveler e Scurlock si guardarono l'un l'altro, mentre Carol contemplò con occhi vuoti qualcosa avanti a sé. Poi i tre ancora in grado di rispondere assicurarono al premier, unendo alla certezza una vaga cautela, che lady Genevieve non si trovava a bordo della biostazione. Nessuno l'aveva più vista dopo la partenza del cargo, solo pochi minuti prima dell'arrivo del berserker. Zador e Hoveler riferirono mestamente che la sfortunata sposa del presidente doveva essere fuggita con gli altri visitatori e il personale del laboratorio a bordo del cargo, poiché nessun'altra astronave aveva raggiunto la biostazione dopo la sua partenza. Ma Dirac scosse la testa. — Non credo si trovasse a bordo del cargo, anzi lo escluderei del tutto. A quelle parole furono i componenti della squadra solariana a scambiarsi occhiate interrogative. Annie e Hoveler reagirono con cupo, rabbioso dolore alla notizia dell'abbattimento del cargo e della morte di tutti i loro amici e colleghi. Dopo qualche attimo di penoso silenzio, entrambi si informarono sulle conseguenze dell'attacco per il pianeta Imatra e furono in qualche modo sollevati udendo che il berserker non aveva commesso il temuto genocidio. Queste notizie smorzarono in un certo qual modo l'iniziale entusiasmo suscitato dal vittorioso ingresso in scena di Dirac e dei suoi uomini. Tuttavia, l'epilogo di tutta la vicenda lasciava ben sperare. — Comunque sia, il berserker dev'essere morto a giudicare dalla sua mancata reazione — affermò Hoveler con un cenno di sollievo. — Ma certo. Vi siete accertati delle sue condizioni? Il presidente volse di scatto la testa verso l'alto, in direzione del gigantesco scafo della macchina assassina. — Quel bestione? No, non abbiamo avuto il tempo di controllare. Immagino sia malridotto, ma non giurerei che sia finita qui. I superstiti, finalmente tranquilli, ascoltarono attentamente le istruzioni di Dirac. Ora che quella celebrità galattica si trovava con loro, Hoveler e Zador accettarono di buon grado il suo comando guardandolo speranzosi e augurandosi di tornare quanto prima su Imatra, alla rassicurante normalità. Fred Saberhagen
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Il cervello della stazione, tornato all'apparenza perfettamente funzionale, assicurò con placida calma alla squadra di soccorso che i berserker erano fuggiti al loro ingresso. Ma Dirac decise comunque di non prestare completamente fede a una macchina che poteva esser stata manipolata, e dopo aver lasciato Kensing pesantemente armato a guardia del laboratorio con i quattro superstiti divise i suoi uomini in pattuglie dando loro l'ordine di setacciare tutti i ponti in cerca di berserker ed eventualmente di lady Genevieve. I videocitofoni interni alla stazione funzionavano ancora e le varie pattuglie li utilizzarono ampiamente per comunicare tra loro e col laboratorio. Nel corso dell'accurata ricerca non incontrarono alcuna resistenza, nessun segno di presenza berserker ma anche nessun segno della donna che cercavano. Kensing, deliziato e ancora incredulo per quel meraviglioso epilogo, non riusciva a distogliere lo sguardo da Annie. — E così i berserker non vi hanno fatto nulla? — No — gli assicurò lei con solenne semplicità. — Non ci hanno torto neppure un capello. Neppure io riesco a spiegarmelo. Ma forse volevano imparare qualcosa su di noi, studiare il nostro comportamento... Hoveler palesò un perplesso accordo annuendo vistosamente. — Sì, così ho pensato anch'io. Kensing disse ad Annie: — Va bene, forse è inutile cercare di spiegarsi un miracolo. Ma vorrei portarvi quanto prima a bordo dell'astronave. — Impossibile: il nostro posto è qui — replicò lei con fervore. — Ma almeno lasciate che vi procuri delle tute corazzate! Siete completamente inermi, adesso! — È vero. Ma le tute corazzate non erano certo sottomano e Kensing venne convinto dai due scienziati che probabilmente non sarebbero servite. La scoperta di quattro superstiti e l'assenza di attività nemica stava allentando l'estrema tensione dell'inizio. Sembrava incredibile, ma le macchine assassine che occupavano la biostazione prima del loro arrivo si erano misteriosamente eclissate. Per quanto riguardava la coppia di inaspettati prigionieri, Scurlock parlava ben poco e Carol sedeva silenziosa e totalmente scomposta in qualche angolo. Entrambi sembravano molto più esausti di Annie o Dan. Fred Saberhagen
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Qualche attimo più tardi Scurlock annunciò che Carol non stava bene e che intendeva portarla nella cabina a loro assegnata e rimanere un po' con lei. Seguendo con lo sguardo la coppia dal miserabile aspetto uscire abbracciata dal laboratorio, Dan Hoveler borbottò: — Sono due traditori, o almeno così ci hanno detto. Più di una volta abbiamo litigato. Kensing lo guardò sorpreso. Non si aspettava una cosa del genere. — In tal caso, non sarebbe meglio tenerli d'occhio? Hoveler si strinse nelle spalle. — Non sono armati, e non credo rappresentino alcun pericolo. Si sono dichiarati dei traditori, è vero, ma certa gente direbbe qualunque cosa per sfuggire alle torture. — Capisco. Annie si ritrovò all'improvviso sul punto di scoppiare in lacrime. — Sapevo che se avessimo resistito... — e poi pianse, pianse con l'intensità del sollievo più profondo. Dirac e gli altri rientrarono finalmente nel laboratorio senza novità sostanziali da riferire. La felicità dei superstiti ricevette un altro duro colpo quando si accorsero dello scarso numero dei soccorritori e quando udirono dei pesanti danneggiamenti subiti dall'astronave che doveva riportarli a casa. Kensing non vedeva l'ora di andarsene. — Torniamo sulla Eidolon, adesso che possiamo. Nick chiamò per radio poco dopo e ciò che riferì sulle condizioni dell'astronave fu semplicemente raggelante. Quell'ultimo berserker aveva colpito in pieno il suo bersaglio, cioè i motori principali. Piccole manovre locali erano ancora possibili, ma tornare a casa in quelle condizioni era fuori discussione. Dovevano riparare i guasti in qualche modo, ammettendo che fosse possibile. Una volta terminata la fase di allarme rosso, avrebbe visto cosa si poteva fare. Sorprendendo in qualche modo Kensing, Dirac non mostrò alcuna intenzione di ordinare il ritorno sulla Eidolon. Ancora e ancora il presidente interrogò i tre superstiti in grado di rispondere incitandoli a riferire qualsiasi cosa potesse indicargli dove si trovava lady Genevieve. In effetti, Kensing e gli altri ebbero l'impressione che al presidente interessavano molto poco le cattive notizie sulle condizioni dell'astronave. Fred Saberhagen
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Anche la prospettiva di rimanere bloccati lì per chissà quanto non pareva spaventarlo più di tanto. Solo la sorte di sua moglie sembrava preoccuparlo profondamente. Nonostante tutti ripetessero che lady Genevieve non si trovava a bordo, ciò che più traspariva dal suo atteggiamento era rabbia e sospetto, non dolore né tantomeno rassegnazione. E quando qualcuno affermò apertamente che era meglio tornare sulla Eidolon per tentare di riparare quei motori, lui rispose bruscamente che Nick e i robot potevano prendersene cura meglio di loro. Con crescente preoccupazione Annie e Hoveler reiterarono che non v'era motivo di cercare la first lady sulla biostazione. Nessuno l'aveva vista dalla partenza di quell'ultimo cargo. Finalmente ore dopo l'inizio del fortunato assalto il presidente Dirac interrogò a lungo anche il computer centrale, ma visto che neppure l'onnipresente cervello della biostazione poté aiutarlo in qualche modo a stabilire la sorte di lady Genevieve, dichiarò finalmente che doveva rassegnarsi alla sua perdita. Non diede comunque l'ordine di tornare sull'astronave come tutti si aspettavano; invece, restò a lungo taciturno pensando evidentemente a cosa fare. Nick chiamò una volta per annunciare che, a un primo esame, i motori parevano davvero malridotti. Per tutta risposta Dirac inviò qualcuno con la navetta in cerca di altre corazze e di altre braccia. Dopo il ritorno della navetta, gli uomini stessi di Dirac cominciarono apertamente a suggerire quale fosse la cosa migliore da fare. Tutti comunque concordarono su un punto: era tempo, e già da molto, di tornare sull'astronave. E se i motori non funzionavano, era tempo di mettersi seriamente al lavoro e ripararli. . . E Dirac sembrò vacillare. A quel punto Annie, che ora indossava una tuta corazzata come gli altri e come Hoveler e Scurlock, lo affrontò. — C'è un problema da non dimenticare — annunciò. — Quale, dottoressa Zador? — La sua astronave ce la farà a portare tutti? Il premier inarcò le folte sopracciglia. — Cosa intende dire? Dando per scontato che si riesca a riparare i motori, siamo solo un pugno di uomini... Anyuta alzò leggermente la voce. — Ci sono più solariani qui di quanti Fred Saberhagen
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lei sembra ricordare. Insomma, ha posto a bordo per circa un miliardo di zigoti umani con i loro contenitori? Per un lungo istante il premier la guardò fisso negli occhi. Osservandoli, Kensing ebbe l'impressione che Annie avesse fornito a Dirac ciò che stava cercando. — Già, questo è un ottimo argomento — replicò lui. Coloro che più caldamente avevano proposto di andarsene guardarono Annie con grandi occhi, ma nessuno disse nulla. L'aperta menzione degli embrioni ricordò a Dirac qualcos'altro. Interrogati nuovamente, i due bioingegneri confermarono che lady Genevieve aveva in effetti effettuato la sua donazione prima dell'attacco berserker. — Dov'è — volle subito sapere il presidente. — Dov'è il contenitore? Le risposte erano però incerte su quel punto. Hoveler e Zador onestamente non ricordavano se il sistema robotizzato del laboratorio aveva regolarmente archiviato la donazione di lady Genevieve o no. Ma in ogni caso, il sabotaggio del sistema di archiviazione che Hoveler ammise di aver effettuato rendeva impossibile trovare nell'immediato un contenitore specifico. Radunando le sue truppe attorno a sé, Dirac annunciò fermamente che nessuno avrebbe lasciato la biostazione fino a quando la questione degli embrioni non fosse stata risolta. I due bioingegneri sopravvissuti, che avevano sofferto molto per difendere i protocoloni, non intendevano certamente lasciarli adesso. E tutti gli altri componenti della squadra di soccorso erano abituati a ricevere ordini da Dirac. Dopo aver disposto che Nick si mantenesse in regolare contatto e aver sistemato delle sentinelle nei punti chiave della biostazione per tenere d'occhio i berserker, Dirac rimase qualche ora da solo per guardare un video che mostrava l'arrivo di sua moglie al laboratorio qualche settimana prima. Da sé vide come una splendida occasione per farsi pubblicità si era trasformata in un marasma dopo il suono del secondo allarme. Il codice di colori del contenitore era a malapena distinguibile in alcune scene. Ma comunque, il codice serviva ben poco con i file di archivio impraticabili. Hawksmoor aveva velocemente preso la decisione di sabotare i motori Fred Saberhagen
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dell'astronave per farli passare per guasti, utilizzabili solo per piccole manovre correttive. Naturalmente fece in modo di addossare la colpa ai berserker. Il sabotaggio era completo, ma non così completo da impedirgli di porvi rimedio al momento giusto: e questo sarebbe arrivato prima o poi, ne era certo. Non comunque per molto tempo a venire, calcolò Nick. Non prima di riuscire a fornire a lady Genevieve il corpo in carne e ossa che tanto bramava per la sua felicità. E anche dopo aver sistemato le cose in modo da usare l'attrezzatura della biostazione come meglio credeva, ci sarebbero voluti anni. In effetti non voleva far soffrire tutte quelle persone in carne e ossa, scompigliare le loro vite e tenerli prigionieri nello spazio. Specialmente non lì, tra le grinfie di un mostruoso berserker probabilmente ancora vivo per metà. D'altro canto, che scelta aveva? Nick dovette ammettere che la complessità della situazione cominciava a disorientarlo. No, non era giusto che il peso di altre vite dovesse ricadere così su di lui. Era un pilota e un architetto, non un filosofo. E neppure un leader politico o militare, o... o un amante, un seduttore. Riuscì a ripararsi da quei sentimenti e da quell'incertezza solo pensando che il suo struggersi su quegli insolubili problemi dimostrava oltre ogni dubbio che i programmi-base utilizzati dai suoi programmatori per crearlo lo avevano reso completamente umano.
9 C'era qualcosa in quell'ultimo e frammentario messaggio di Frank Marcus che Nick non riusciva a inquadrare fino in fondo: un enigmatico risvolto del tono di voce, soprattutto, ma non solo quello. Sottopose quindi il messaggio all'attenzione di Dirac. Il premier lo ascoltò una volta e poi sembrò propenso a non dargli la minima importanza. — Spesso gli uomini invocano la presenza di Dio o dell'affetto più caro negli ultimi momenti della loro vita. Almeno, così si dice. È una perdita triste e tragica come tutte le perdite, ma dobbiamo affrontarla con serenità. È la morte che Frank Marcus avrebbe scelto per se stesso, anzi per essere più precisi direi che è proprio la morte che ha scelto per se stesso. Fred Saberhagen
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— Ha ragione, signore — replicò il pilota virtuale, senza però riuscire a liquidare la faccenda con la facilità del suo padrone organico. Ma anche altre faccende non si potevano liquidare facilmente. Durante la battaglia di qualche ora prima il grande berserker aveva dimostrato di possedere ancora delle micidiali armi a corto raggio, inclusi i tentacoli di pura gravità che avevano trascinato Frank verso il suo destino. Pertanto l'ultima navetta e la stessa astronave dovevano venir mantenute a distanza di sicurezza; ma nessuno sapeva per certo quale fosse questa distanza. Le tracce più evidenti della battaglia spaziale rimasero in vista per quasi un'ora dopo l'assalto alla biostazione, grandi e contorti rottami metallici in dolce rotazione nello spazio trattenuti nei pressi da qualche temporanea combinazione di forze incidentali. Ma entro un'ora anche l'ultimo di questi rottami sparì dagli schermi, spazzato via dal gioco di correnti creato dal passaggio di numerose astronavi in quel settore di spazio denso di materia. Ogni ora, ogni giorno che passava portava il grappolo di astronavi più vicino al centro della Mavronari mentre lo spazio attraversato, completamente vuoto secondo gli standard atmosferici di un pianeta, risultava un po' meno vuoto di prima. Adesso lo spazio compreso in diverse migliaia di chilometri in tutte le direzioni appariva sgombro da astronavi grandi e piccole, privo di amici e di nemici. Nicholas manteneva il suo ferreo controllo sulla Eidolon cercando nel frattempo di decidere se davvero voleva bloccare tutte quelle persone sulla biostazione, valutando l'atteggiamento da tenere in entrambi i casi. Comunque, la situazione era completamente calma. Poteva tener d'occhio le cose con la metà della sua attenzione dedicando l'altra metà a Jenny. E non appena ne ebbe la possibilità, si precipitò gioiosamente a svegliarla con la notizia della vittoria. Jenny uscì dalla sua camera da letto e i due passeggiarono a lungo nelle fredde e ombrose vastità dell'abbazia. A un certo punto lei disse: — Adesso non siamo altro che nubi di luce, tempeste di elettroni. Tutto ciò che possiamo fare è fingere di trovare l'altro piacevole mentre fingiamo di essere piacevoli. Forse è abbastanza per lei, Nick, ma non potrà mai esserlo per me. — Se non è abbastanza per lei, milady, allora non può esserlo per me. Io Fred Saberhagen
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voglio restare con lei in un modo o nell'altro, e voglio renderla felice. L'intensità dello sguardo di Genevieve fece sembrare enormi i suoi occhi. — Allora entrambi dobbiamo vivere in un corpo. Non c'è altro modo. — E un corpo avremo, lo giuro. Troverò il modo di trasferire le nostre essenze in due autentici corpi umani. — Lo ha già detto prima, ma... riuscirà mai a trovare il modo di farlo? — Se potessi usare le risorse del laboratorio, potrei seriamente tentare. Il presidente aveva scelto una donna di pronto intelletto come moglie. — Intende dire gli zigoti? I protocoloni? — Diciamo che gli zigoti rappresentano una possibilità, se non altro perché possiamo scegliere tra circa un miliardo di corpi. Genevieve rabbrividì. — Ma gli zigoti sono... — Sono cosa? Lei sta per dire che esistono delle obiezioni morali, che sono persone? Non penso. Io li vedo come recipienti organici creati dalla più fredda genetica, recipienti che possiamo mantenere vuoti fino a quando non troveremo il modo di riempirli con noi stessi. Deve esistere qualche sistema. Genevieve sembrò poco propensa a lasciarsi andare, a condividere la speranza che il transfer fosse possibile. — Ma anche trovando il modo, dovremo aspettare anni. Bisognerà far crescere l'embrione nell'incubatrice, e poi fuori... Non voglio tornare alla realtà in un corpo di bambina! — Anch'io eviterei volentieri di sperimentare l'infanzia — fece Nick con un brivido interiore. — E d'altro canto non penso sia possibile alloggiare una mente adulta in un corpo e un cervello tanto immaturo. Tuttavia questo non rappresenta un vero ostacolo: nelle sue condizioni, milady, lei potrebbe dormire quindici, vent'anni mentre il suo corpo cresce e si sviluppa artificialmente. Potrebbe dormire anche per un secolo, se vi fosse qualche ragione per farlo: per lei sarebbe comunque come se avesse chiuso gli occhi solo per un attimo. — Lo stesso vale per lei. — Certamente; solo che il presidente non mi lascia riposare neppure per un'ora, e debbo obbedire ai suoi ordini se vogliamo sopravvivere. Non siamo affatto certi che il berserker sia morto — replicò Nick, fermandosi a pensare. — Fortunatamente Dirac non sembra avere alcuna fretta di tornare a casa. Non ha rinunciato a cercarla, o a cercare il modo di recuperare una parte di lei. Fred Saberhagen
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— Cosa intende dire? — Sembra che i suoi pensieri vadano adesso al vostro bambino. — Ah, anche i miei qualche volta. Ma io non mi trasferirò mai in quel bambino. Genevieve rimase silente per un po', poi esclamò: — Oh, Nick, se mai troverà il modo di ridarmi un corpo, io... io sarò sua per sempre! — E dopo un attimo aggiunse: — Ma come farà? Mio marito e gli altri non dovranno mai sapere... — Naturalmente non debbono sapere. Ma Genevieve, prometta: se mai ci riuscirò, non dovrà tornare da lui. — No, no! Andrò dove lei mi dirà e farò tutto ciò che devo — replicò la giovane donna con una nuova speranza negli occhi. — Ma come riuscirà ad accedere alle incubatrici? — Oh, l'accesso non è un problema. Nulla può tenermi fuori da quei circuiti. Adesso come adesso sulla biostazione nessuno presta attenzione a queste cose. Se usassi due incubatrici non se ne accorgerebbero nemmeno. Certo, meglio sarebbe se potessimo lavorare indisturbati. Vedremo di riuscirci, in un modo o nell'altro. Non molto dopo il presidente chiamò Nick sulla biostazione. Invece di trasportare fisicamente i circuiti che lo contenevano, Nick decise di trasferirsi via radio attraverso il breve intervallo di spazio vuoto, una modalità di trasporto che aveva utilizzato qualche volta in passato. Zador, Hoveler e Scurlock, non abituati alla presenza di personalità registrate e di programmi antropomorfi, restarono allibiti quando Nick comparve sugli schermi della biostazione come un fantasma optoelettronico. Ma il presidente li rassicurò immediatamente. — Quello è Nick. Sta con noi — disse. Dopo un po', vedendo che non bastava per calmare i loro nervi scossi, aggiunse: — È solo un programma mobile. Va tutto bene. Nick cominciò immediatamente a lavorare agli ordini del premier, sondando a fondo dapprima la biostazione, poi l'immensa complessità dei circuiti del computer centrale. Ma in nessun posto trovò delle trappole berserker o anche il minimo segno della loro presenza. Naturalmente non si dimenticò di sondare il decaedro e i programmi che conteneva alla ricerca dei virus che il nemico poteva essersi lasciato dietro. Dopodiché ispezionò accuratamente i danni del combattimento avvenuto Fred Saberhagen
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nel laboratorio principale, dove un berserker isolato era stato abbattuto con un dannoso eccesso di potenza. Per fortuna quello era stato l'unico combattimento a bordo, si disse: dal nervosismo dimostrato in quell'unica occasione, sarebbe forse bastato qualche altro scambio di colpi per rendere inservibile la maggior parte dei macchinari del laboratorio. I programmi di lavoro sembravano più o meno a posto e non avevano seriamente sofferto l'intrusione berserker, con l'eccezione di una certa confusione nel programma-archivio dei dati dei protocoloni. Questo si poteva spiegare con l'intrusione di Hoveler immediatamente dopo l'occupazione nemica: una vera disdetta, ma sul momento non poteva farci nulla. Nick pensò a lungo a quella faccenda, chiedendosi se non esisteva qualche modo di volgere a suo favore quella confusione. A suo favore... e a quello di Jenny. Una volta completata la prima fase di quell'accurata ispezione, Nick riferì il suo esito a Dirac e gli chiese: — Cosa devo fare adesso? — Lei è qui da qualche parte, lo sai Nick? — Signore? Dirac alzò lo sguardo pieno di un'insolita espressione sognante. — Gli scienziati qui a bordo hanno preso il suo codice genetico assieme a nostro figlio. Queste cose sono parte di lei, ed entrambe si trovano qui. — Oh. Capisco, signore — replicò Nick. Certo che il presidente gli aveva fatto passare un brutto momento con quella frase. Ma adesso aveva capito. La parziale cancellazione dell'archivio non scoraggiò Dirac dal cercare a fondo ovunque potesse qualche traccia dell'impronta genetica di sua moglie, oppure (come prontamente commentò qualche membro della sua squadra) abbastanza dei suoi geni da rendere possibile la creazione di un'imperitura dinastia. — Se lady Genevieve è morta, nostro figlio non lo è. Non ancora. I giorni trascorsero velocemente e Dirac con i suoi uomini stabilirono una sorta di nuova routine. Nessun berserker venne scoperto sulla biostazione e neppure nelle sue vicinanze; tuttavia la massa imponente del grande berserker, i cui motori funzionavano ancora anche se a regime ridotto, incombeva sulle teste di tutti trascinando la biostazione e la Fred Saberhagen
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Eidolon verso un luogo sconosciuto. Muoveva a velocità minima per gli standard interstellari, tuttavia l'energia gravitazionale con la quale intrappolava i due artefatti umani rimaneva costante e molto intensa. Kensing, e senza dubbio anche gli altri, vivevano con la perenne sensazione di trovarsi sul ciglio di un sonnecchiante vulcano. Nick aveva la responsabilità di un piccolo esercito di robot incaricati di una continua ispezione della biostazione, che percorrevano tutto il tempo avanti e indietro per dare l'allarme in caso di un improvviso contrattacco berserker. Fino ad allora nulla lasciava presagire l'esistenza di qualche pericolo. Poi vennero trovati un paio di piccoli, strani aggeggi che parevano microspie. Subito sembrò probabile che non fossero le sole. Nick venne subito messo all'opera per trovare le altre, ma persino lui si dichiarò incapace di garantire alcunché davanti a quei dispositivi alieni. Insieme a due persone in carne e ossa e a Hoveler, che aveva sabotato il computer, Nick si trovava nella sala comandi della biostazione cercando di ripristinare le normali funzioni dell'archivio. Ma i primi risultati non brillarono per efficacia. Tra l'altro, anche se fossero riusciti bisognava ancora vedere se i robot archivisti non avevano spostato i contenitori seguendo i nuovi ordini: una possibilità molto concreta. Ma Dirac insistette affermando che a quel lavoro andava data la massima priorità, anche se con un immenso berserker dalle ignote intenzioni a poche centinaia di metri da loro molti dei suoi uomini avrebbero preferito dar la priorità ad altre cose, come riparare le armi e i motori dell'astronave. Rubando alcuni minuti al dovere per curare i suoi affari personali, Nick si sentì scosso ma trionfante per la piega che andavano prendendo le cose, meravigliandosi della sua temerarietà e del suo successo nell'ingannare il suo potente padrone riguardo a sua moglie. Non che quell'avventura con lady Genevieve fosse cominciata come semplice sfida. Anzi, al contrario. Rivivendo la catena degli eventi con la sua infallibile memoria, Hawksmoor si disse ancora una volta che quando si era avvicinato al cargo con la sua astronave lo aveva fatto solo per tentare lealmente di salvare la moglie del premier. Solo dopo, quando apparve chiaro che anche il medirobot non poteva fare nulla per lei, gli Fred Saberhagen
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eventi avevano preso quella svolta radicale. Già a quel punto temeva il momento in cui la donna che amava lo avrebbe lasciato per tornare da suo marito. Ci era voluto del tempo prima di capire che Genevieve non poteva tornare, dato che una moglie elettronica non avrebbe apportato alcun beneficio al presidente, dinasticamente parlando. Il risvolto positivo, naturalmente, era che Jenny cominciava ad avere a cuore la sua presenza e le sue capacità: ne era certo. Oh, sicuramente avrebbe preferito avere un corpo vero piuttosto che vivere con lui nel suo mondo di realtà virtuale: quanto a questo non si faceva illusioni. Per vivere veramente con lei avrebbe dovuto trovare il modo di trasferire entrambi in due corpi in carne e ossa, e bisognava ancora vedere se la cosa era fattibile. La maggior parte delle incubatrici presenti sulla biostazione si trovavano in una singola stanza, ma per qualche ragione cinque o sei erano state separate dal resto e sistemate in posti diversi e isolati. Poteva arrischiarsi a usarne una, o meglio due? Era una cosa che doveva stabilire presto, molto presto. Nick disse a Jenny: — Troverò il modo di sviluppare un corpo, dato che è un corpo che dobbiamo avere. Svilupperò un corpo per entrambi, o... O se qualcosa me lo impedirà, mi prenderò i corpi di due adulti. Questo lasciò Genevieve perplessa, anche se solo per un attimo. — Prenderli? E da dove... o meglio, a chi? — A qualcuno. Alla gente che cercherà di impedirci di diventare quello che vogliamo. Percorrendo liberamente i circuiti della biostazione, Nick trovò finalmente il tesoro di cui necessitava per raggiungere il suo obiettivo. La biostazione riservava un intero ponte a una serie di incubatrici e al loro equipaggiamento accessorio, in tutto più di un centinaio di dispositivi in vetro e metallo. Tutti controllati e funzionali, e tutti fermi in attesa di venir utilizzati. Tecnicamente, tutto in quella sezione sembrava in perfette condizioni. I sistemi esperti attendevano come altrettanti geni nella lampada di venir chiamati, forniti del materiale genetico necessario e istruiti in modo da creare degli esseri umani sani e perfetti. Naturalmente le incubatrici Fred Saberhagen
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avrebbero funzionato a pieno ritmo solo all'avvio definitivo del progetto di espansione, quando le astronavi colonizzatrici avrebbero raggiunto il pianeta loro destinato. Annie Zador, una fonte di informazioni precisa quanto innocente, raccontò qualcosa a Nick riguardo i più avanzati sistemi esperti prenatali presenti a bordo e soprattutto riguardo un sistema che lei e i suoi collaboratori avevano battezzato Freya, da un'antica dea norvegese dell'amore e della fertilità. E raccontando questa scoperta alla sua amata Jenny, in piedi accanto a lui davanti all'altare maggiore dell'abbazia, Nick perse il controllo e cercò di abbracciarla appassionatamente. Impossibile dire se provava davvero o stesse solo immaginando l'eccitazione travolgente che lo aveva preso, ma stava quasi per spogliare la sua compagna quando questa, all'inizio gioiosamente partecipe, lo spinse improvvisamente via gridando: — No! È tutto sbagliato, tutto sbagliato! Poi, riacquistando il controllo di sé, lei aggiunse: — Non così, Nick. Non così. Anch'io ti amo e ti desidero, mio caro, dolce Nicholas, ma potremo amarci solo in due corpi veri. Entro l'ora successiva, quando i compiti assegnatigli da Dirac lo consentirono, Nick si portò nuovamente in una delle aree relativamente remote della biostazione studiando attentamente le banche dati e i macchinari che doveva usare per realizzare il segreto obiettivo suo e di Jenny. Uno dei molti problemi all'apparenza insolubili che doveva affrontare era scoprire il modo di invertire il procedimento in base al quale gli impulsi della mente umana venivano ridotti a segnali ottici ed elettronici compatibili con i computer. Presto entrò in contatto col sistema esperto chiamato Freya da Annie Zador e dai suoi colleghi umani. Freya era diversa dagli altri sistemi complessi del biolaboratorio, ed era l'unica (perché Nick la visualizzava senza dubbio come una donna) ad aver resistito alla pesante intrusione di Hoveler. Nick vedeva Freya in modo vago e variabile, ma comunque mai in modo diverso da un freddo intelletto che si esprimeva con voce distante e compassata.
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Dopo essersi presentato a Freya, Nick procedette a scandagliarne attentamente i sottoprogrammi. Era normale per lui, una sorta di mansione ineludibile assegnatagli dai suoi programmatori. E d'altro canto, qualcuno doveva pur accertarsi che i berserker non avessero imbottito Freya di virus in modo da farne una docile arma nelle loro mani. Dopo aver accertato che la benevolenza insita nei suoi programmi fosse rimasta integra, parlò con lei ancora un poco e le pose una domanda, senza naturalmente rivelare che si trattava del suo problema principale: — Quanto dovrebbe svilupparsi un cervello umano prima di poter accogliere tutte le mie funzioni? Era una domanda sbalorditiva anche per Freya. Le ci volle un po' di tempo prima di riuscire a rispondere. Fin dall'inizio delle sue ricerche era apparso chiaro a Nick che la materia grigia di un neonato (neppure a parlarne di quella di un feto) non sarebbe mai bastata ad accoglierlo. Le restrizioni e la capienza insufficiente di un cervello infantile rendevano impossibile persino un trasferimento limitato, naturalmente dando per scontato che riuscisse a vincere tutte le inibizioni inserite nei suoi programmi proprio per prevenirne lo scorporo. Il sistema esperto reagì infine con orrore: Freya sembrò sul punto di chiudersi in se stessa. — Si tratta di una domanda puramente teorica. Un'operazione simile non è neppure contemplata — le assicurò fermamente Nick. Lei a sua volta affermò che un'operazione simile non sarebbe stata possibile neppure nelle migliori condizioni. Ma Nick continuò con le sue domande indagatrici. Dopo aver riflettuto, Freya spiegò con riluttanza che potevano esistere due soli modi per rendere fattibile il trasferimento di un'entità come Nick in un corpo organico. Uno di essi era far crescere selettivamente un corpo apposito, sviluppandolo dagli embrioni umani o da altro materiale genetico disponibile nel laboratorio. Questa soluzione imponeva però di intervenire sul cervello per impedire lo sviluppo di qualsiasi personalità, pur consentendone la normale crescita per poter accogliere un giorno quella dell'ospite. Ma i corpi cresciuti in laboratorio, come quelli che da sempre nascevano e si sviluppavano secondo il normale corso della natura, davano fin dall'inizio la chiara impressione di possedere una mente e uno spirito proprio. Fred Saberhagen
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La seconda possibilità, e di nuovo Freya si lasciò andare a lunghi commenti su quanto fosse immorale e puramente teorico tutto quel discorso, consisteva nel "ripulire" completamente il cervello già formato di un adulto. Ciò significava infliggere un gran numero di microtraumi attentamente calcolati per cancellare la personalità presente in quel momento. Poi la microstruttura cerebrale andava sollecitata a guarire, con una procedura che ne consentisse la rigenerazione contemporaneamente al trasferimento della nuova personalità. Esistevano diversi vantaggi pratici in questo sistema eticamente inaccettabile, ammise il sistema esperto. Tra l'altro, l'ospite organico sarebbe stato pronto in pochi mesi e non in quindici, vent'anni; tuttavia per tutto quel periodo le macchine dovevano lavorare indisturbate. Nick se ne andò per ponderare in segreto su ciò che aveva appreso. Era chiaro che doveva liberarsi sia del berserker che dell'oppressiva presenza umana prima di compiere un tentativo tanto ambizioso. Pensò anche di condurre l'esperimento a bordo della Eidolon, in quei giorni deserta e raramente visitata da qualcuno. Doveva però trovare il modo di trasportare l'attrezzatura necessaria dalla biostazione all'astronave; inoltre, non avrebbe mai potuto lavorare indisturbato per tutto quel periodo. Muovere se stesso e Jenny era più facile. Freya, quando Nick le parlò nuovamente, affermò che esisteva un solo sistema possibile per trasferire i dati che creavano una personalità elettronica in un cervello umano, specialmente nel cervello parzialmente sviluppato di un bambino, ed era un sistema a dir poco molto pericoloso. Si trattava di una procedura inversa, o quasi, a quella che consentiva di registrare gli impulsi della mente umana su una matrice optoelettronica. Ma anche cercando una procedura diversa, più completa o più veloce, gli impulsi in entrata si sarebbero inevitabilmente sovrapposti agli impulsi già presenti, disturbando in modo molto serio l'ambientamento della nuova personalità. Se veniva usata come matrice il cervello di un adulto, dopo la rigenerazione gli impulsi della vecchia personalità avrebbero col tempo prevalso su quelli della nuova. Invece, con due personalità equivalenti in conflitto tra di loro il risultato poteva essere un ibrido delle due. Alcune memorie, non tutte, sarebbero Fred Saberhagen
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state quelle della personalità originale. Il piano che finalmente Nick decise di attuare in collaborazione con Freya, che però andava continuamente rassicurata, contemplava l'assoggettamento di un cervello in crescita a lunghi periodi di sonno profondo senza ibernazione, nei quali il corpo che lo ospitava potesse crescere normalmente mentre subiva i massicci travasi di dati necessari. Dapprima sarebbero stati trasferiti i contorni generali della personalità elettronica, poi i dettagli. Semplice da spiegare in una discussione teorica, commentò Freya, ma estremamente complessa come procedura: inevitabilmente il travaso avrebbe registrato qualche errore e pur ricevendo tutte le impressioni della personalità elettronica, la mente organica non ne sarebbe mai stata la copia perfetta. — D'altro canto, nessun essere umano può definirsi oggi la copia perfetta del se stesso di ieri! — Spero che voi due non intendiate fare sul serio. Sarebbe davvero scorretto ingannarmi così! Nick, che aveva iniziato a ritirarsi in un grappolo di circuiti secondari, si voltò bruscamente. — Voi due? — ripeté. Non aveva mai fatto cenno a Freya dell'esistenza di una versione informatica di lady Genevieve, ne era certo. — Già — replicò Freya con la fredda casualità che manteneva sempre, tranne quando era in discussione la santità della vita. — Ho detto la stessa cosa poco fa al presidente Dirac. Credevo che voi due steste discutendone in privato.
10 Nel frattempo il pugno di uomini e donne che vivevano sotto gli ordini di Dirac sentiva l'entusiasmo per la facile vittoria mutarsi via via in cupa disperazione. Ma il presidente, aiutato da Brabant e da Varvara Engadin, schiacciò energicamente qualsiasi dissenso prima che potesse superare il livello di un sommesso mormorio. "Va tutto bene" continuava a ripetersi Kensing. "Al momento i motori sono fuori uso e non potremmo comunque tornare. La navetta non ce la Fred Saberhagen
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farà mai a portarci fuori dalla nebulosa e quindi non serve a nulla litigare tra noi quando è palesemente impossibile muoversi da qui. Intanto qualcuno deve pur comandare la squadra, tenere alto il morale e far lavorare la gente." E chi era più qualificato di Dirac per questo? Inoltre, pensò Kensing, anche se la Eidolon avesse potuto tornare indietro, Annie e Hoveler sembravano poco disposti ad abbandonare il loro miliardo di protocoloni. Alla fine sarebbero riusciti a liberarsi in qualche modo dalle grinfie del berserker e a tornare a casa trascinati dai campi gravitazionali della Eidolon, o almeno così sperava. In un certo senso lamentarsi era anche ingiusto. Le cose potevano andare decisamente peggio: il berserker poteva risvegliarsi all'improvviso, per esempio, o il sistema di supporto vitale della biostazione o dell'astronave guastarsi irrimediabilmente. Il presidente aveva ordinato che uno dei suoi uomini affiancasse continuamente il sistema automatico di guardia controllando le attività del berserker. Intanto, sotto il suo fermo comando i mercenari superstiti consolidavano le loro posizioni a bordo della biostazione. La ricostruzione dei programmi-archivio per ritrovare il figlio del presidente tra le montagne di contenitori ammassati nei depositi occupava Annie e Hoveler per la maggior parte del tempo. La priorità data da Dirac alla salvaguardia del carico della biostazione gli valse il sostegno incondizionato dei due ricercatori. Un altro progetto a cui il presidente dava una priorità assoluta era stabilire un'area completamente ripulita dai congegni spia lasciati dai berserker. Al centro di quel regno piccolo e sicuro, Dirac scelse per sé una spaziosa suite e vi stabilì il suo quartier generale. Intanto si diffuse la voce che tra loro vi erano due traditori, nonostante il fatto che nulla di allarmante fosse avvenuto dalla riconquista di Dirac in poi. Il presidente decise di risolvere la questione una volta per tutte in modo da smorzare la tensione, come disse lui. E così, con molta pacatezza chiese a Scurlock di passare da lui insieme a Carol. Scurlock si presentò da solo, entrando nell'ampio appartamento e rimanendo fermo in piedi davanti a Dirac che sedeva in una comoda Fred Saberhagen
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poltrona. I berserker non avevano toccato gli arredamenti, e le suite erano davvero lussuose. Dirac gli indicò un'altra poltrona e Scurlock sedette, palesemente a disagio. Subito riferì che Carol aveva rifiutato di venire al colloquio. — Non sta bene e mi preoccupa molto, signor presidente. — L'ha fatta visitare dalla dottoressa Zador? — domandò Dirac con tono paterno. — Oppure da uno dei medirobot? — Ho insistito sia per l'uno che per l'altro, ma lei rifiuta. Il presidente annuì un paio di volte. — Va bene, lasciamo perdere per adesso. Parlerò solo con lei — disse, annuendo di nuovo. Scurlock lo guardò con apprensione. Poi il presidente aggiunse: — Voi due avete vissuto dei momenti molto difficili soli nello spazio, alla mercé del berserker. Ho pensato molto alla vostra situazione e vi capisco. • — Grazie, signore. È stato davvero terribile. — Voglio dirle subito che ritengo profondamente ingiusto accusarvi dopo ciò che avete passato. In quelle condizioni chiunque può dire o fare qualsiasi cosa. — Ha ragione, signore, ha completamente ragione. Solo... solo non credo che tutti siano aperti e comprensivi come lei, signore — replicò Scurlock giocherellando nervosamente con le grandi mani. Dirac continuò sullo stesso tono paterno. — Non se ne preoccupi. Vedrà, l'aiuterò io a superare questo momento di ostracismo da parte dei miei uomini. Ma lei deve dimostrare di meritare la mia fiducia, Scurlock. Lei capisce che se e quando torneremo sui pianeti abitati voi due avrete bisogno di tutto l'aiuto possibile. Le accuse di tradimento non vengono mai prese alla leggera, sa? — Sì, signore, ne sono pienamente cosciente. Dirac parlò lentamente. — Al momento noi tutti a bordo della biostazione ci troviamo in una situazione non molto diversa da quella in cui vi trovavate voi. Anche noi dovremo, in un modo o nell'altro, cercare qualche compromesso con quel maledetto, almeno a breve termine. Non pensa anche lei? — Col berserker, signore? — Esattamente. Questo intendevo dicendo "quel maledetto". — Io... be', sì, lo penso anch'io, signor presidente. — Benissimo. In ogni caso, non sono certo che i miei uomini e i due bioingegneri siano pronti per accettare un simile discorso. Ecco perché Fred Saberhagen
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volevo parlarne prima a lei e a sua moglie. Che le mie parole rimangano tra noi, almeno per il momento. — Capisco, signor presidente. — Davvero? — ribatté Dirac, dondolandosi e preparando la parte più scabrosa del discorso. — Naturalmente il berserker potrebbe essere morto: forse sta continuando la sua corsa solo grazie ai motori e al pilota automatico. Però potrebbe anche esser vero il contrario. Scurlock, voglio sapere come stanno davvero le cose. E il primo passo, il passo essenziale per scoprire che condotta tenere. Scurlock annuì. — Voglio inviarla in ricognizione. Il berserker la conosce e non le ha fatto alcun male quando ne aveva la possibilità. Pertanto lei è la persona giusta per questa missione. Per un po' diventerà il mio esploratore privato. Vuole lavorare in segreto per me, Scurlock? Scurlock lo guardò attonito. Era spaventato, ma non al punto di cedere per la tensione. Dirac annuì, una sorta di apparente approvazione a quella silenziosa reazione. — E se è necessario, se il berserker non è ancora morto, lei mi farà da ambasciatore. Scurlock emise un debole gemito, poi annuì. Il presidente continuò: — Vi sono diverse cose che noi, i solariani in controllo di questa stazione spaziale, vogliamo: prima di tutto la garanzia che non verremo più attaccati. Ma anche lui vorrà qualcosa da noi a seconda dei suoi programmi-base. Ci troviamo in una situazione in cui una vittoria totale è impossibile per tutti: l'unica è ricorrere a un compromesso. E Scurlock annuì nuovamente. Dopo aver parlato a Dirac, Nick tornò sulla Eidolon portandola avanti con il poco controllo sui motori ancora possibile dopo il suo sabotaggio. L'intenzione era di assicurarsi che l'astronave non potesse rimanere indietro penetrando ancora di più nel campo gravitazionale che già la intrappolava con la biostazione. Ora anche la Eidolon sarebbe avanzata senza altra spinta che l'attrazione esercitata dai campi magnetici del berserker. Hawksmoor assicurò ai suoi compagni organici che la potenza rimasta nei motori bastava per liberarsi da quel pericoloso abbraccio se la situazione lo richiedeva; nel frattempo, disattivare i motori avrebbe indubbiamente facilitato i suoi sforzi per ripararli. Fred Saberhagen
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La violenta opposizione all'inseguimento e all'assalto di Dirac era cessata tanto repentinamente che la maggior parte dei solariani rifiutavano ancora di credere che le macchine assassine fossero state definitivamente sconfitte. Dirac in effetti non aveva ancora preso posizione a riguardo, ma tutti gli altri ne discutevano apertamente. Brabant e Varvara, infatti, stavano discutendone. — Li abbiamo sconfitti e si sono ritirati — affermò trionfante la donna. — Già, ma perché? Si ponga questa domanda. I berserker non si ritirano mai, o meglio abbandonano il campo solo quando sono certi di trarne qualche vantaggio. Quel dannato sta chiaramente attirandoci in qualche trappola. Varvara dissentì apertamente dall'opinione della guardia del corpo. — Non mi sono spiegata bene. Secondo me non si sono affatto ritirati per paura: semplicemente, il grande berserker li ha richiamati a bordo perché cercassero di salvarlo. Ma lui è morto, e di conseguenza gli altri si sono disattivati. Tutto qui. Questa cosa gigantesca che ci sovrasta dev'essere molto, molto antica, come chiunque può capire dal suo scafo e dai danni che ha subito. Noi gli abbiamo dato il colpo di grazia. Brabant parve dubbioso. — Può darsi, ma non ci conterei troppo. — E comunque — insistette Varvara Engadin — appare chiaro che tutte le sue unità d'assalto hanno abbandonato il campo appena in tempo. Infatti una furiosa battaglia qui a bordo avrebbe reso la biostazione del tutto inagibile senza tute spaziali. E in mancanza di meglio, crede che un berserker disdegni un simile risultato? Mi dia retta: non hanno più carte da giocare. Abbiamo vinto. Il robusto uomo scosse cupamente la testa. — Sono tentato di crederle e forse lo farei se questo berserker non si fosse comportato in modo strano fin dall'inizio. Un vero dilemma. Un berserker impazzito. Poteva facilmente vaporizzare la biostazione dove si trovava, in orbita attorno a Imatra. Invece ha preferito imbarcarsi nella pericolosa avventura di trascinarsela dietro nella sua fuga. — Lei come lo spiega? — Rispondere a questa domanda è molto facile, ma la risposta genera un'altra domanda a cui è impossibile rispondere. La risposta è: no, questo berserker non è affatto impazzito, ha fatto i suoi calcoli, tratto le sue conclusioni e poi ha deciso che la biostazione non andava distrutta perché Fred Saberhagen
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il suo carico, i macchinari, forse addirittura i due scienziati servono ai suoi scopi. Questo spiegherebbe anche perché ha ritirato le sue unità senza colpo ferire: non vuole danneggiare il suo prezioso bottino. Forse spera che alla fine ce ne andremo con la Eidolon. — Uhm, sembra un'ipotesi realistica — replicò Varvara annuendo lentamente. — E quale sarebbe la domanda a cui non possiamo rispondere? — Che intende farne di questo suo prezioso bottino? — Sfruttare al meglio il miliardo di potenziali esseri umani di cui si è impadronito, che altro? E se è ancora vivo, forse l'unica mossa veramente efficace per contrastare i suoi piani è distruggere la biostazione dopo averla abbandonata. I due bioingegneri reagirono con estrema energia a questa proposta. Ancora una volta Dirac si schierò con loro. — Per fare una cosa come questa c'è sempre tempo. Qui abbiamo un carico di immenso valore, e ancora non abbiamo esplorato tutte le possibilità di trovare lady Genevieve viva. Ma nessuno, tranne forse Dirac stesso, credeva più in una simile ipotesi. Molti in effetti si chiedevano cosa mai ci facessero lì, ma nessuno espresse apertamente i propri dubbi. I bioingegneri e Dirac furono immensamente sollevati scoprendo che durante la loro occupazione i berserker non si erano abbandonati a una massiccia distruzione del carico di protopersone. E neppure avevano spostato un gran numero di contenitori dal loro solito posto, anche se visto il numero immenso di donazioni e la terribile confusione in cui era piombato l'archivio risultava impossibile esserne completamente certi. In ogni caso, tutto dimostrava che i berserker non avevano neppure iniziato a crescere dei solariani per farne degli schiavi o delle spie. Nessuna delle incubatrici era stata attivata o spostata dalla sua posizione originale, anche se numerosi indizi dimostravano che erano state attentamente esaminate. Così a occhio non sembravano manomesse, ma non si poteva mai dire. Nick dovette attendere la fine di quest'ispezione generale prima di poter cominciare a studiare il modo migliore di dare inizio al suo progetto. Dirac guidava ancora le pattuglie armate che scortavano i due scienziati ogni Fred Saberhagen
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volta che si avventuravano negli immensi depositi, in caso qualche mostro meccanico attendesse solo il momento di balzar fuori e uccidere. Bloccato dall'insormontabile difficoltà di trovare dei corpi, Nick cercò di persuadere Jenny a rinunciare. Con il suo intelletto sottile cercò in tutti i modi di far passare la realtà virtuale come una sorta di paradiso, ma ogni volta che ci provava Jenny rispondeva con assoluta veemenza che doveva assolutamente riguadagnare un corpo. Ma quello fu solo un preludio. Molto presto lei cominciò ad accusarlo di averle rubato il corpo. Forse, fin dall'inizio il suo obiettivo era di ridurla nella sua stessa, irreale condizione pensando di riuscire comunque a domarla. Dopotutto, aveva solo la sua parola sulla gravità delle ferite da lei sofferte nell'attacco. Be', se era così poteva abbandonare qualsiasi speranza. Nessun uomo l'avrebbe mai posseduta fino a quando non sarebbe rientrata nel suo corpo. La sola idea del sesso elettronico, di programmare qualche sottile variazione del proprio stato affettivo e delle proprie sensazioni corporee, le dava semplicemente la nausea. Finalmente il presidente, sentendosi molto più fiducioso riguardo la sicurezza a bordo, dichiarò le scorte armate facoltative da quel momento in poi. Una mattina di buon'ora (Dirac aveva uniformato gli orologi della stazione a quelli della Eidolon) Kensing uscì dalla stanza che divideva con Annie chiedendole: — Uno zigote è fondamentalmente un chip molto evoluto, un insieme di dati estremamente compatto, non è forse vero? — Ti faccio notare che un chip non è né umano né vivo, mentre io sono convinta che uno zigote sia entrambi. — Anche se sono ibernati? — Amore mio, se per qualche motivo tu venissi posto in animazione sospesa ti considereresti morto? Non credo. E d'altro canto, a questa stregua anche io, te o Dirac potremmo venir considerati un semplice insieme di dati come Nick. — Non volevo discutere di filosofia: mi chiedevo solo se un miliardo di zigoti non potevano venir conservati in meno spazio e altrettanto accuratamente in forma digitale come codici di dati. Annie pensò a lungo su questa affermazione. — Non saprei — replicò infine. — Registrare il codice genetico di ognuno di noi non sarebbe difficile, ma non una protopersonalità creata da una qualsiasi attività cerebrale perché uno zigote non ha nulla da trasmettere in quel senso. Fred Saberhagen
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Ancora non vi è nulla di simile al cervello... mentre un feto di tre, quattro mesi ha già molto da offrire dietro la fronte. Scurlock era tornato. Nessuno oltre a Dirac e probabilmente la solitaria Carol si era accorto della sua assenza, durata quasi un giorno intero. Ora era tornato a fare il suo rapporto personale a Dirac. Cominciò porgendo al presidente un piccolo e misterioso aggeggio metallico dall'aspetto innocuo. — Allora, ha trovato una macchina funzionante ad attenderla? ** — Sì, signore — replicò senza esitazioni l'alto Scurlock sedendo nuovamente di fronte a Dirac. Poi descrisse come aveva compiuto il viaggio seguendo il piano stabilito. Per mantenere il segreto, Dirac aveva montato personalmente la guardia per due turni consecutivi dando disposizioni affinché Hawksmoor venisse impegnato in qualche altro compito. Dirac emise un lungo sospiro. — Allora, avevo ragione. — Sì, signore, aveva ragione. Il grande berserker non è affatto morto, anche se credo abbia subito gravi danni. — E questo? — domandò Dirac rigirandosi tra le mani il piccolo e innocente aggeggio che poteva provenire da una qualsiasi delle miriadi di macchine disseminate dai solariani nella galassia. — Quello è un Scd, uno dei loro dispositivi per comunicazioni sicure. Me lo ha dato lui. Vi permetterà di comunicare su una frequenza riservata. Ma è anche un microfono che gli consentirà di sentire ogni cosa. Comunque, lui mi ha detto che eviterà di cercarla molto spesso. Teme di metterla in difficoltà se dovesse chiamarla in un momento sconveniente, diciamo durante una riunione. — Oh, molto sensibile da parte sua. E quindi adesso ci sta ascoltando? — Penso proprio di sì, signor presidente. — Che altro può dirmi? Cosa ha potuto osservare? — Molto poco. Ho cercato con il propulsore fino a scoprire un portello, poi ho aspettato fuori come da istruzioni. Pochi attimi più tardi ne è uscito un berserker per investigare sulla mia presenza. —Un berserker come quelli che hanno occupato la stazione? — Sì, signore, uno di quelli che i militari chiamano unità d'assalto. — Va bene, continui. — Ho mostrato al berserker che ero disarmato, e quello mi ha condotto Fred Saberhagen
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dentro. Era un semplice portello, naturalmente, e non una camera stagna. Sono stato costretto a fermarmi appena dentro e non c'era nulla da vedere, solo pareti metalliche. Non ho potuto capire nulla della struttura interna della macchina. — Va bene, non mi aspettavo che glielo consentisse — replicò Dirac, lanciando per aria l'Scd e riprendendolo al volo. — Lei ha fatto un buon lavoro, Scurlock... Jenny fu deliziata quando Nick le disse che finalmente stava per dare il via al loro grande progetto segreto. Infatti, era riuscito a copiare Freya senza che lei se ne accorgesse e senza operare alcuna alterazione sui programmi-base di Freya2. Presto avrebbe potuto cominciare a lavorare con un paio di incubatrici site in un'area poco frequentata dagli umani. Nessun rischio, nessun guadagno: questo continuava a ripetere Nick a Jenny e a se stesso. Se qualcuno avesse notato le due incubatrici funzionanti, poteva sempre inventarsi qualche scusa o cercare di far credere che si trattasse di qualcos'altro. Ma comunque era molto improbabile che qualcuno potesse accorgersi di ciò che stava facendo. Pian piano l'entusiasmo di Jenny crebbe a dismisura. — Ma prima, ovviamente, dobbiamo scegliere dal carico gli zigoti che vogliamo usare. — Già. Ce ne sono un miliardo tra cui scegliere. E se non vuoi muoverti da qui, amore mio, posso benissimo portarti dei campioni. — E dopo aver scelto ci vorranno ancora degli anni. — Sì, ma sembra che avremo tutto il tempo che vogliamo. Posso bloccare i motori dell'astronave a tempo indefinito. Il presidente farà presto ad adattarsi, immagino. Ti dico che non ha affatto fretta di tornare a casa. Solo, mi preoccupa che... — Sì? — Ah, non importa. Una paura assurda. Nick ritenne meglio evitare di raccontare a Jenny ciò che aveva letto nelle memorie di Freya: Dirac preparava qualcosa, un progetto segreto molto simile a quello che stava preparando lui. Cominciò con lo sviluppare un semplice programma di controllo per istruire un robot a scegliere tra gli zigoti, in modo da sfoltire il numero di quelli utilizzabili. Uno per il nuovo corpo di Jenny. L'altro per lui, il primo Fred Saberhagen
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e con tutta probabilità l'unico corpo umano che mai avrebbe avuto. I pensieri di Nick tornavano continuamente al vitale, difficile e inevitabile dilemma: doveva operare su due fronti allo stesso tempo, tentare entrambi i metodi della crescita e della cancellazione? E mandare avanti due progetti allo stesso tempo, non avrebbe raddoppiato il rischio di venir scoperto? Il metodo della cancellazione implicava la cattura, con tutta probabilità violenta, di due adulti e la cancellazione totale della loro personalità senza ferire alcuno dei numerosi organi vitali umani. Avrebbe poi dovuto devastarne con precisione chirurgica il cervello senza distruggerne in profondità i tessuti, in modo da non ridurne la capacità di elaborare pensieri complessi. Omicidio. Puro e semplice omicidio di due innocenti. Nonostante si fosse ripromesso di agire con determinazione, la sola idea lo fece rabbrividire. Per non menzionare le difficoltà che attendevano lui e Jenny dopo l'operazione: supponendo che riuscissero in qualche modo a evitare un processo e la collera del presidente, quale colonia umana avrebbe mai dato loro rifugio? Naturalmente sarebbe stato molto più veloce che far crescere gli zigoti; anche la cattura non avrebbe in teoria posto particolari problemi. Nella modalità "tuta spaziale" poteva facilmente sopraffare un essere umano che ne fosse privo e pochi le indossavano in quei giorni, solo le guardie. Ma la difficoltà maggiore era data dal numero limitato di adulti a disposizione e dal fatto che nessuno di loro rappresentava una scelta ideale. Alla sua successiva visita sulla Eidolon, Nick si addentrò nel corridoio che ospitava i medirobot e lesse le specifiche biologiche di Fowler Aristov, il mentore ibernato dei futuri coloni. Non proprio il suo ideale, si disse, ma il corpo andava bene ed era disponibile senza alcuna fatica in caso di emergenza. Ma come poteva fare con Jenny? Lei veniva per prima. Doveva trovare un involucro appropriato alla sua personalità anche se questo significava complicare le cose a liti. E tra le femmine organiche attualmente disponibili, non una soddisfaceva gli standard di bellezza e femminilità da lei richiesti. No, era meglio operare solo con il metodo della crescita. Due corpi Fred Saberhagen
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umani potevano certamente crescere nelle incubatrici della biostazione dedicando loro abbastanza tempo e attenzioni. A bordo vi era una sovrabbondanza di zigoti tra cui rovistare per dei codici genetici desiderabili, e nonostante l'archivio inutilizzabile una coppia idonea si sarebbe certamente trovata aspettando il tempo necessario a permetterne la lenta selezione meccanica. Ma quello naturalmente era solo l'inizio. Dando per scontato che i corpi per lui e Jenny riuscissero a crescere fino al punto giusto, il passo successivo, cioè il trasferimento nei loro cervelli vergini, avrebbe senza dubbio presentato nuove difficoltà. Secondo il piano che aveva elaborato con Freya2, il transfer doveva svolgersi in concomitanza con una certa fase della crescita corporea. I cervelli organici e le menti dei recettori andavano modellati su livelli di raffinatezza progressivi con un procedimento che ricordava da vicino quello di uno scultore che modella la pietra con lavorazioni sempre più precise e sottili. Non solo: entrambi i metodi, sia rubare un corpo che crescerlo, avrebbero alla fine richiesto che i volumi di memoria in cui le due personalità disincarnate risiedevano, una massa pari a circa tre cervelli umani, venissero fisicamente trasportati nel luogo dove crescevano gli involucri organici pronti a riceverle. Intanto molti membri della squadra di Dirac, tra cui anche Brabant ed Engadin, si dimostravano via via più insoddisfatti dell'enfasi con cui il presidente cercava in tutti i modi di porre rimedio ai suoi lutti personali. Scordandosi per un istante il suo ruolo di consigliere politico, Varvara prese una mezza dozzina di zigoti nei loro contenitori e li lasciò cadere con fragore sul ponte osservando poi con estremo malumore uno dei piccoli robot di servizio farsi rapidamente avanti, raccogliere i contenitori e disporli in buon ordine su una consolle. A questo punto borbottò: — Prima, abbiamo trascorso giorni e giorni a cercare una donna che non era qui al momento dell'attacco berserker. Adesso cerchiamo un contenitore, un singolo contenitore che nessuno in tutto l'universo sarebbe in grado di localizzare. Brontolando il suo totale accordo, Brabant paragonò quest'ultimo compito a quello di localizzare una stella nella galassia senza l'aiuto di un atlante stellare. La consigliera e amante di Dirac aggiunse: — Abbiamo raggiunto e Fred Saberhagen
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combattuto il berserker fino a pareggiare i conti dell'attacco. Adesso ciò che dobbiamo fare, come ho già detto al presidente, è cercare di liberarci dalla sua stretta. Certo, dobbiamo indubbiamente salvare la biostazione: ecco perché la prima cosa da fare è accertarci che il berserker sia morto. — Intende dire che dobbiamo abbordarlo? — Esattamente. Lo so, significa correre un rischio mortale. Ma se ci svegliamo un po' e ragioniamo ci renderemo conto che anche star qui a far nulla è suicida. Se ci addentriamo ancora molto nella nebulosa ci perderemo e nessuno riuscirà più a ritrovare la strada del ritorno: in tal caso moriremo comunque, con o senza berserker. — E allora cosa consiglia di fare? — Se riparare i motori dell'astronave si rivela impossibile dobbiamo assaltare il berserker, disattivarlo del tutto e cercare in qualche modo di sfruttare i suoi motori. E il solo modo in cui potremo mai tornare indietro. Così facendo salveremo anche il nostro carico, perché potremo trainare la biostazione fuori dalla nebulosa con noi. Tutti i presenti concordarono con lei almeno su un punto: se le cose continuavano così, presto o tardi sarebbero stati presi in qualche vortice nascosto tra le nubi di polvere della nebulosa e allora ci sarebbero voluti secoli e non più settimane per tornare a casa. Dopo lunghi giorni di ricerca tra il laboratorio, i magazzini e i contenitori stessi, ancora risultò impossibile determinare se la donazione di lady Genevieve si trovava con le altre oppure no. Il problema di trovare un particolare contenitore tra il miliardo circa presenti a bordo appariva del tutto insolubile senza l'ausilio dei sistemi d'archivio. Visto che la cancellazione del software impediva qualsiasi approccio rapido al problema, la sola alternativa era mandare qualcuno, umano o robot, a cercare fisicamente nell'immensa massa di contenitori presenti. — Esiste un solo robot a bordo programmato per un simile compito? Be', supponendo che riesca a esaminare un milione di contenitori l'anno, finirà in soli dieci secoli! — Oh, confidiamo in un po' di fortuna: potrebbe riuscire a trovarlo nella metà del tempo. Esaminando un milione e duecentomila contenitori l'anno, avrebbe finito in otto secoli. Questo significava centomila contenitori al mese, tremila e passa al giorno: più di cento ogni ora. Fred Saberhagen
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Né Zador né Hoveler avevano idea della sorte di quel contenitore nei momenti di panico completo seguiti al suono dell'allarme. Si sapeva solo che era stato appoggiato sulla consolle di Hoveler. I ricordi dei due bioingegneri differivano su molti dettagli. Be', le menti organiche tendevano a essere inaffidabili in molti modi. Ciononostante, Dirac continuò a insistere. Ogni sforzo andava finalizzato al ritrovamento della donazione di sua moglie. E per dare maggiore enfasi ai suoi argomenti, il presidente annunciò pubblicamente che poteva ricostruire Jenny in laboratorio, ma solo dopo il reperimento dei suoi geni. Naturalmente il codice genetico di sua moglie non poteva venir estratto per intero dallo zigote, ma trovarlo avrebbe rappresentato comunque un inizio. E il codice genetico di Genevieve poteva trovarsi lì da qualche parte, perché spesso veniva chiesto ai genitori di un protobambino di lasciarlo. Ma Zador e Hoveler erano incerti anche su questo: se il codice era stato estratto e il campione veniva trovato, allora la clonazione sarebbe invero stata possibile. Gli stessi Zador e Hoveler avevano in passato eseguito quel procedimento per particolari ragioni mediche. In quei giorni Dirac rese noto di avere un'altra sorpresa nel cilindro: un sistema di assistenza personale, a tutti gli effetti una guardia del corpo elettronica, chiamato Loki. Nick venne incaricato di portarlo dall'astronave alla stazione, in quel caso apertamente. Consisteva di un'altra massa di circuiti optoelettronici pari a tre cervelli umani. Una personalità fidata in più, spiegò il premier a Nick, che lo avrebbe sollevato da numerosi compiti provvedendo alla necessaria vigilanza contro il berserker. Passarono i giorni. Lo scontento crebbe tra l'equipaggio, ma con l'aiuto di Nick, Loki e Brabant, Dirac rimase fermamente al comando. E anche se Scurlock e Carol si comportavano stranamente e qualcuno cominciò a sospettare Dirac di negoziare le loro vite con un berserker, nulla sembrava poter intaccare il ferreo controllo che esercitava su tutti i suoi sottoposti. — Dimmi un po', Nick: un programma complesso può provare emozioni? — Sì, signore. Io le provo. — Proprio ciò che mi aspettavo. Una risposta degna di un programma Fred Saberhagen
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perfetto! Dirac e Scurlock si incontrarono nuovamente, lasciando l'Scd in qualche luogo sicuro per esser certi di non venire ascoltati. Il presidente disse: — Tutto ciò che un berserker vuole sono vite da uccidere e il mezzo per farlo. Qualcuno potrà anche rispondere che poche cellule organiche sigillate in una mattonella trasparente non vivono nel senso reale del termine, ma questo a loro importa molto poco. Se siano vive adesso o solo in futuro è una questione filosofica che non tocca affatto i berserker. — Signore, mi sta dicendo che gli zigoti rappresentano una... ehm, una possibile merce di scambio col berserker? Senza nulla rispondere e nulla accennare, il consumato politico lasciò trasparire un sicuro assenso. Il suo interlocutore, pallido e attonito dietro l'espressione ancora giovane, replicò: — Ma se li voleva semplicemente distruggere, perché non lo ha fatto subito? — Per prima cosa, i contenitori sono realizzati appositamente per proteggere il loro contenuto. Una normale esplosione non può distruggerli. Pertanto, avrebbe dovuto romperli uno a uno con grande dispendio di tempo, o bruciare tutto in un'esplosione nucleare con grande dispendio di energia. "Comunque lei ha ragione: come tutti abbiamo pensato fin dall'inizio, il berserker deve avere qualche secondo scopo, qualche schema più ambizioso in mente. Forse vuole davvero crearsi una legione di schiavi solariani. In ogni caso la nostra reazione lo ha colto di sorpresa, e adesso ha perso ogni possibilità. Forse vuole aprire un negoziato con noi nella speranza di poter riguadagnare il carico." Kensing sopportava sempre meno quello stato di tensione privo di sbocchi. Appena poté conferì con Dirac pregandolo ardentemente di ordinare agli uomini di indossare le corazze spaziali, prendere le armi e lanciarsi all'abbordaggio del berserker, o almeno tentare. La situazione andava pur risolta in qualche modo, e tutte le apparenze suggerivano che il nemico era pesantemente danneggiato se non completamente inerme. Ma Dirac reagì criticando pesantemente la proposta. — Non siate ingenui! Ma non capite che attirarci là dentro è ciò che cerca di fare? Fred Saberhagen
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Ma stavolta Kensing fu pronto a ribattere. — Oppure sta preparandosi a lanciare un attacco contro di noi, riparando tutte le unità d'assalto di cui può ancora disporre per un ultimo tentativo. Più tempo gli concediamo, più sarà difficile averne ragione quando arriveremo al momento decisivo! — esclamò, per poi concludere con una sorta di implorazione: — Dobbiamo tentare, altrimenti come potremo mai tornare a casa? I due bioingegneri reagirono in modo confuso alle argomentazioni dell'una e dell'altra parte. Non volevano provocare un nuovo attacco berserker, ma al contempo si opponevano fieramente all'idea che la biostazione venisse trainata chissà dove, ad anni-luce da qualsiasi insediamento umano. Cospicuamente aiutato dalla sua spietata reputazione e dal suo carisma, Dirac continuò a stroncare il piano portato separatamente avanti da Kensing e Varvara, opponendosi pubblicamente a qualsiasi tipo di attacco in quel momento con una sola ragione: era esattamente ciò che il nemico voleva. Tuttavia, Nick e pochi altri si convincevano sempre più che dietro l'opposizione di Dirac alla soluzione più logica vi fosse un piano segreto, qualche manovra in grado di farlo uscire da quella situazione vivo e con più potere di prima. Qualsiasi altra cosa, qualsiasi altra speranza o prospettiva doveva attendere il termine delle sue ricerche, il reperimento dell'inestimabile (per lui) zigote che non intendeva assolutamente perdere. Come sempre, il suo vero obiettivo era il potere. Anche il matrimonio e la donazione non erano stati che semplici mezzi. I più cinici e informati commentavano che per Dirac tornare a casa senza la moglie, preziosa politicamente come nessun altro, sarebbe stato l'inizio della fine, tanto che preferiva non tornare affatto. — Ma a noi cosa importa? Resti pure se vuole, ma senza di noi. Tuttavia il presidente non faticò mai più di tanto a far passare le sue proposte, senza ricorrere alla forza o minacciarne l'uso.
11 Svegliandosi per il ritmico battito della pioggia sul tetto, lady Genevieve rammentò immediatamente di aver raccontato a Nick, poco prima di andare a dormire, quanto le piaceva svegliarsi col rumore della pioggia Fred Saberhagen
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quando ancora aveva un corpo fisico. Il risveglio in quella nuova modalità di coscienza era sempre molto diverso da quello a cui era abituata. La consapevolezza adesso andava e veniva tutta insieme in un istante non misurabile, come se accendesse o spegnesse una lampada, senza la languidezza o la difficoltà che nella sua vita fisica avevano sempre accompagnato quel processo. Adesso quando usciva da quel sonno mortale si ritrovava a occupare un letto virtuale, solido in apparenza ma totalmente immaginario, in qualche punto di quelle che erano state le stanze del diacono. Si era svegliata sotto il battito della pioggia terrestre, la pioggia inglese, la pioggia londinese, che cadeva forte sulle distanti e virtuali lastre di ardesia, che precipitava a cascate dalle bocche dei doccioni sulle strade virtuali al di là delle mura. Si chiese se anche nella vera abbazia, a tutti gli effetti molto lontana dall'astronave in cui era imprigionata, astronomicamente distante di anni e anni-luce di spazio trafficato, spuntavano quelle orribili creature da sotto il tetto oppure se si trattava solo di un'altra astrazione della contorta fantasia di Nick. Con qualche ansia lui le aveva confessato di non poter dire se le copie erano esatte o no, dato che su quel punto non possedeva abbastanza informazioni. Jenny pensò di alzarsi e di restare ferma in piedi accanto al letto: in una frazione di secondo, senza il minimo sforzo, si ritrovò esattamente nella posizione pensata. La pioggia di Londra le apparve dietro una delle alte finestre quando si alzò in punta di piedi per guardare fuori. Era una mattina grigia, molto grigia, con gli antichi tetti d'ardesia e di tegole scintillanti di pioggia e il cielo sporco pieno di cupi e irritanti brontolii, rotti di quando in quando dal realistico bagliore di un lampo. Nella calda intimità della sua camera, che Nick aveva creato per lei e giurato di rispettare, la giovane donna si sfilò lentamente la bianca vestaglia e prese a esaminare con curiosità e apprensione la delicata nudità del suo corpo optoelettronico. Naturalmente non era la prima volta che si vedeva nuda da quando si trovava nell'abbazia. La prima volta aveva rapidamente tirato un respiro di sollievo. Sì, sono io, aveva pensato. Queste sono le forme del mio corpo, almeno per come le ricordo. Ma ogni successivo esame vedeva crescere la sua incertezza. Le parti intime del suo corpo, che naturalmente non apparivano su nessuno dei video sui quali era basata la sua ricostruzione, le parevano molto cambiate rispetto a prima. O se lo immaginava soltanto? Fred Saberhagen
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Seguendo un impulso improvviso, lady Genevieve si rimise la vestaglia e uscì dalla stanza per seguire un corridoio e penetrare in quella che doveva essere la parte pubblica dell'abbazia. Dopodiché oltrepassò una porticina e, senza neppure tirare il fiato, salì qualche centinaio di gradini della stretta scalinata che conduceva in cima alla torre settentrionale, quella senza orologio. Dopo aver contato un certo numero di scalini si fermò, aprì una finestra e tese una mano incerta per sentire la pioggia che cadeva sui grigi tetti a spiovere. Il contatto tra le sue dita e la fredda e umida sostanza si rivelò sottilmente sbagliato. Ma tutto lo era. Le cose potevano certamente cambiare in quel posto, ma la loro essenza non migliorava mai. Scendendo finalmente dalla torre, fece appena in tempo a rientrare in camera sua quando qualcuno bussò gentilmente alla porta. Prima di rispondere indossò una veste al posto della vestaglia con cui era uscita, per meglio coprire il suo corpo immaginario. Con deliberata calma cercò le sue immaginarie pantofole e finalmente aprì la porta. — Sorpresa! — esclamò, senza neppure vedere chi era. — Il caro, vecchio Nick è venuto a farmi visita. Nick la guardò come se i suoi pensieri andassero a tutt'altra cosa. — Ma se non hai neppure guardato! — ribatté con genuino stupore. Lei si limitò a lanciargli una gelida occhiata. — Oh! — disse lui infine, comprendendo solo allora che si trattava di un commento sarcastico sul suo isolamento. — Hai trovato qualcosa da fare? Qualche modo di passare il tempo? — No. Come posso fare qualsiasi cosa senza di te? — Ti ho già detto che ti insegnerò a esercitare un pieno controllo su questo ambiente. Potresti compiere un numero illimitato di esperimenti, cambiare tutto ciò che vuoi. Pensavo potesse essere divertente. — E io ti ho già detto che non ho intenzione di vivere così un momento di più di quanto sia necessario. Ciò che voglio è riavere il mio corpo, o venir trasferita in un corpo altrettanto valido. — Posso solo risponderti che sto facendo tutto il possibile. Dopo questo nervoso scambio di battute, Nick riferì alcune novità vagamente incoraggianti sul loro progetto. Aveva iniziato a selezionare gli zigoti e trovato due incubatrici per dare inizio alla loro crescita. Camminando, avevano raggiunto l'interno della chiesa. — Ti ho portato Fred Saberhagen
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anche degli ologrammi. Adesso li vedrai. Jenny stava per chiedergli che altro poteva portargli più degli ologrammi in quel mondo di realtà artificiale, ma si trattenne. Nick continuò ardentemente a spiegare. Sotto la direzione di Freya2 era stata trovata una coppia di zigoti i cui codici genetici si avvicinavano molto a quelli dei somatotipi da lui richiesti. Esaminandoli, aveva creato delle immagini che ne mostravano i corpi al termine dell'adolescenza. — Bene. E quando potrò vederle? — Adesso. Eccole qui. Continuando a camminare verso il centro della navata, Jenny guardò accanto a sé per esaminare una coppia bella e singolare, interamente nuda come per qualche sorta di matrimonio naturista. L'immagine di Nick e la sua, vestiti di una nuova forma per affrontare il mondo reale. Quella di Nick assomigliava molto all'entità virtuale che si trovava accanto a lei aspettando ansiosamente un cenno di approvazione, mentre la sua... no, non assomigliava affatto al tipo di donna che voleva diventare. Le immagini dei due protocoloni, atletici e perfettamente sani ma con occhi vacui e privi di qualsiasi luce, si trovavano in quel momento a qualche metro da loro; a un cenno di Nick presero lentamente a piroettare verso l'alto per poi scendere e restare immobili come due manichini che qualcuno si era dimenticato di vestire. — Allora? — Siamo vicini — replicò Jenny con un sospiro, guardandosi bene dall'apparire troppo critica in quella fase. — Ma io devo essere un po' più alta, non credi? Il seno è troppo piccolo e il mento, gli occhi... falla tornare qui, per piacere... ecco, il viso non è come il mio, o come vorrei che fosse il mio. Nick annuì imperturbato. — Questo è solo l'inizio, naturalmente. Freya2 ha esaminato solo qualche migliaio di contenitori prima di propormi questi. Non ci vorrà molto prima di trovare qualcosa di meglio. E cosa ne pensi della mia immagine? — Penso che ti assomiglia già molto. A me andrà certamente bene, se va bene a te. — Sì, non mi dispiace. La terrò presente, ma spero che salti fuori qualcosa di più somigliante. Intanto continueremo a cercare il corpo ideale per te. Nel frattempo cosa posso fare per rendere più confortevole la tua attesa? Fred Saberhagen
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— Nick, ti ripeto che non so più cosa significhi confortevole. La sola cosa che riesco a provare in questo posto è un insopportabile senso d'impotenza! Questa risposta, giunta al posto del plauso che sentiva di aver meritato, inorridì Hawksmoor. O perlomeno quella fu la sensazione di Jenny studiando la sua reazione. — Mi spiace che sia così, milady. — Spiacerti? Perché mai dovrebbe spiacerti? Sono qui nelle tue mani, assolutamente in tuo potere: non è quello che volevi già mesi prima di conoscermi? Orrore doppio. — Jenny, ti giuro che non ho mai, mai voluto averti in pugno, controllarti come... — Mi hai deliberatamente rubato la libertà! Mi hai trasformato in un giocattolo, un burattino! — Ti ripeto che non cerco potere su nessuno. Ho usato l'unico potere che avevo per salvarti la vita, come potrebbe fare il tuo dottore. Non c'era altra scelta: dovevo forse lasciarti morire? Mi spiace se ti senti prigioniera qui, ma di nuovo posso solo dire che è l'ultima cosa che voglio. Ripeto, ti insegnerò a controllare l'ambiente come vuoi. Sono istruzioni semplicissime da apprendere per noi. E per dimostrarti che non voglio assolutamente controllarti, t'insegnerò a chiudermi fuori, t'insegnerò a ... — No! Non voglio chiuderti fuori! — esclamò Genevieve con timore improvviso e genuino, la tacita paura che quell'entità da cui dipendeva totalmente potesse adirarsi e abbandonarla a se stessa, se non peggio. — Io... ecco, riservarmi la privacy di una piccola stanza è più che sufficiente. Sei l'uomo che mi ha salvato la vita, l'unico a cui posso parlare, l'unico che possa mai capire e che vuole aiutarmi. — Mi sono offerto di procurarti della compagnia... Lei declinò l'offerta con un eloquente gesto della mano. — Apparizioni, fantasmi... come queste immagini mute e sorde che vediamo intorno a noi — disse, guardando distrattamente la nuda coppia di manichini che oscillava leggermente da un lato all'altro dando vita a una lenta danza senza senso. — Come quell'uomo in abiti neri che appare sempre dall'altra parte della chiesa, quello che chiami il sacrestano... qualunque cosa sia. No, mi volto sempre quando lo vedo. La compagnia di cui parli non è reale e non lo diventerà mai. Sbaglio? — No. In effetti sono solo apparizioni — ammise il suo compagno. — Io e te siamo le sole personalità indipendenti in questo ambiente. Fred Saberhagen
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— Allora risparmiami questi fantasmi, per favore. — Bene. Non li vedrai più — replicò Nick, e in un baleno i due manichini scomparvero. — Ci rivedremo presto con qualche altra soluzione. Intanto, cerca di ricordare che io non sono un fantasma. — Sì, Nick — rispose lei addolcendosi. — So che non lo sei. — E io so che nell'altro mondo, quello che chiami reale, c'era molta più gente che ti amava di quanta potrai mai trovarne qui. Ma io ti amo, Jenny, ti amo più di qualunque altra cosa al mondo. — Oh. Oh, Nick. Io non voglio chiuderti fuori, non voglio. Vorrei invece... — Cosa? — Vorrei invece chiuderti dentro. — Jenny! Lei sfuggì al suo passionale abbraccio. — Ma so che non sarà mai possibile finché rimarremo in queste condizioni. Devi tornare nell'altro mondo e fare ciò di cui abbiamo parlato. Lo farai, vero Nick? — Sì, lo farò, lo giuro! Per il potere che mi ha programmato, giuro che troverò in qualunque modo un corpo adatto a te. Intanto, se la mia abbazia ti angoscia ti dico che vedrei volentieri tutte le sue pietre ridotte in polvere se ciò servisse a renderti felice! Di nuovo Genevieve lo guardò languidamente. — Ridurre in polvere la tua abbazia? Oh, Nicholas, con tutto ciò che hai fatto per me sarebbe davvero orribile ripagarti in questo modo, distruggere una cosa a te cara... anche se è solo un'immagine — replicò, tacendo per qualche istante. — Ma dimmi, dove ci troviamo adesso nel mondo reale? Nick provò un profondo scoramento davanti a quei due nuovi accenni a una presunta irrealtà del suo mondo. — Nicky? Cosa c'è? — Se proprio vuoi saperlo, la posizione dei nostri volumi di memoria non è cambiata: ci troviamo ancora sulla biostazione, nel senso che più ti preme. — Perché sei in collera? Ho detto qualcosa di sbagliato? — Continui a parlare di questo ambiente come di un mondo irreale. Se la mia abbazia non è reale allora non lo sono neppure io, o tu... tutto ciò che vedi e senti è fatto della stessa tua materia. Ecco l'unica cosa vera. — Capisco. Ma qui il nostro amore ha dei limiti: ecco perché dobbiamo procurarci due corpi. Mi rendo conto di essere monotona, e mi rendo conto Fred Saberhagen
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che stai facendo del tuo meglio, amore mio, ma... Nick cercava di trascorrere tutto il tempo che poteva con Jenny. La frizzante soddisfazione che gli davano certe visite costava, in termini di tempo, meno di mezzo secondo. Ma col passare dei giorni il pensiero che Dirac potesse scoprirlo con qualche mezzo a lui ignoto cominciò seriamente a preoccuparlo. Assentarsi troppo frequentemente o comunque con regolarità dalla compagnia degli umani o dalle sue mansioni poteva destare qualche sospetto. Inoltre davanti alla minaccia costituita dal berserker il dovere lo chiamava con voce pressante. Gli eventi di quel mondo misterioso di carne e di metallo, controllabili solo in minima parte dalla sua complessa banca dati, ancora minacciavano molto da vicino la sua esistenza e quella della sua amata Jenny. Ogni tanto, Hawksmoor si interrogava privatamente sul tono enigmatico dell'ultimo messaggio di Frank Marcus. Qualcosa gli sfuggiva, ne era certo, nonostante la provata abilità di Frank con i programmi vocali. Per un po' pensò di parlarne a Jenny, di ragionare con lei sulla peculiarità di quelle parole. Ma poi decise che probabilmente a lei non interessavano affatto. Frank gli mancava. In un certo qual modo era stato l'unico molto vicino a lui. Invece i suoi sentimenti per Dirac stavano pian piano scivolando verso l'odio, come se tradirlo senza alcuna valida ragione lo avesse automaticamente reso il suo unico nemico giurato. A denti stretti ammise con se stesso che l'eventuale morte del suo creatore e padrone non gli sarebbe affatto dispiaciuta. Il processo di tradimento e ribellione, iniziato con piccole slealtà, continuava col graduale decadimento dei suoi vecchi codici. Tra poco nulla avrebbe più impedito l'evoluzione di quel processo verso la conclusione più logica. Tradimento, ribellione, odio: possibile che anche i berserker, carnefici dei loro creatori, avessero attraversato un processo simile a quello che lo stava portando a rinascere? Rispetto ad altre donne, Genevieve non poteva vantare una grande esperienza sessuale nella sua vita fisica. La cultura nella quale era nata e Fred Saberhagen
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cresciuta premeva fortemente per la castità e il matrimonio. Ma per quasi vergine che fosse, la sua esperienza superava di molto quella di Nick per queste cose: almeno, secondo logica. E tuttavia aveva la netta, istintiva sensazione che se e quando si sarebbe concessa a Nick questi si sarebbe rivelato molto, molto più esperto di quanto poteva mai esserlo un'entità virtuale. Che strano... Di quando in quando Genevieve provava una profonda angoscia per il destino di suo figlio, o meglio del suo protofiglio. Quel lancinante senso di perdita l'accompagnava da tempo, dal suo primo risveglio nell'abbazia, e non sembrava intenzionato a lasciarla in pace nonostante dormisse per la maggior parte del tempo. "Improvvisamente quelle poche cellule in un contenitore di vetro infrangibile sono diventate più umane di me" pensò. "Più umane di quanto io potrò mai essere... No, no, devo continuare a sperare! Dio mio, fa che Nick riesca a ridarmi un corpo! " "Finché morte non vi separi..." Facessero o meno parte delle cerimonie nuziali, Nick aveva recepito quelle parole da qualche parte e tendeva a rimuginarci sopra nei momenti più neri, quando ponderava il significato della morte fisica, quell'ospite invisibile sempre presente alle cerimonie nuziali solariane, quell'inseparabile compagna di ogni vita. Jenny reagì con noia e ostilità ai suoi solenni ragionamenti su questo argomento. Tutti i suoi pensieri andavano sempre più a una sola cosa: riguadagnare la condizione che lei considerava la vera vita. Ma Hawksmoor non poteva liquidare nessuno dei grandi dilemmi umani in modo tanto semplice. La trasformazione subita da Jenny sotto i ferri del medirobot poteva venir considerata l'equivalente della morte? E in caso affermativo, Jenny era ancora la moglie di Dirac? Cosa esattamente lui aveva salvato di lei? Nonostante gli sforzi di Hawksmoor per farla stare comoda nell'abbazia e convincerla dei possibili vantaggi della vita optoelettronica su quella fisica, le obiezioni di Jenny a quel modo di esistere e ad alcuni particolari dei piani di Nick si fecero tanto veementi e la sua paura di restare per sempre in quella condizione tanto soffocante che lui cominciò seriamente a Fred Saberhagen
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temere per la salute mentale della donna che aveva salvato. E quindi, non molte ore dopo la visita con le immagini danzanti, Nick decise che era meglio proteggerla, farla dormire per un po' di tempo. Come sempre, operò senza dir nulla a Jenny. Recentemente lei gli aveva detto di aver paura di dormire, forse temendo che lui potesse abbandonarla o tradirla senza alcuna possibile reazione da parte sua, negandole per sempre il corpo che tanto bramava. Nick possedeva anche le chiavi di accesso alle memorie di Jenny. Fino a quel momento aveva sempre rifiutato di usarle, ma visto come andavano le cose sempre più cresceva in lui la tentazione di cancellare tutto ciò che ostacolava la loro relazione, tutto ciò che lei aveva appreso da quando era diventata un programma di computer. Poteva cancellare tutto da quel momento in poi, e spiegare di nuovo ogni cosa a una Jenny diversa. Se cedeva a quella tentazione, Jenny si sarebbe ritrovata ancora una volta nel cortile del complesso medievale, ignara di tutto, pronta ad ascoltare di nuovo le parole del menestrello sotto il sole splendente su un fresco prato verde. Poteva fare il menestrello più attraente quella volta, o almeno provarci. Il guaio era, si disse Nick, che la cosa non sarebbe stata altrettanto fresca e nuova per lui, a meno che non decidesse di cancellare anche una parte delle sue ultime memorie. Ma quella sembrò subito la funzione ricorsiva più folle che potesse immaginare. Tuttavia il pensiero di poter ripartire da capo con Jenny continuò a tentarlo. Poteva cambiare aspetto, rendersi più affascinante. Ciò che scoraggiò definitivamente Nick fu la constatazione che poteva metterci tutta l'attenzione del mondo, ma nulla sarebbe andato esattamente come prima. Qualche caotica variazione minacciava sempre di infiltrarsi nel programma. Le cose potevano andare meglio, ma certamente potevano anche andare peggio: al prossimo risveglio Jenny poteva rifiutare di parlargli o addirittura impazzire. Testardamente Nick esaminò altri profondi timori: possibile che il cervello di Jenny fosse stato danneggiato dalle ferite del suo corpo, che avevano reso il processo di registrazione una corsa contro il tempo e contro la morte? Aveva dovuto arrangiare tutto alla svelta per poter procedere in presenza di un minimo barlume di coscienza. Possibile che il trasferimento operato si rivelasse ora difettoso? Fred Saberhagen
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In ogni caso, nessun piano per il futuro aveva qualche significato se lui e Jenny non sopravvivevano al presente. Entrambi, o meglio solo lui dato che lei dormiva, dovevano confrontarsi seriamente con le difficoltà della loro situazione fisica. In quel momento il pericolo maggiore veniva dal grande berserker, che non era affatto morto; perlomeno, non secondo ciò che gli rivelavano i suoi programmi di difesa. Davanti a loro le nere tenebre della Mavronari si facevano sempre più ampie, i suoi vasti abissi più percettibili via via che il berserker continuava la sua inesorabile corsa verso il centro di quell'immensa nube di polvere cosmica. Le stelle che ancora comparivano, vagamente azzurrine per via della velocità a cui procedevano, si trovavano molto oltre la nebulosa e apparivano più opache del normale. Dritto davanti al berserker si apriva un cono di circa sessanta gradi che sembrava composto di nero vuoto. E col passare dei giorni, gli elementi distinguibili dello spazio intorno a loro si fecero meno numerosi mentre il nero vuoto si espanse inesorabile. Il berserker, davvero cieco o sordo o soltanto intenzionato a sembrarlo per qualche oscura ragione, stava tuffandosi senza esitare insieme alla sua preda impotente e alla non meno impotente astronave presidenziale in un illimitato abisso di fuliggine. Kensing si assunse l'onere di compiere determinate rilevazioni tese a stabilire se la velocità dell'insolito grappolo di astronavi stava ancora crescendo o se gli effetti relativistici cominciavano a farsi maggiormente sentire in rapporto al sempre più distante sistema di Imatra e al resto dell'universo. Il risultato di queste osservazioni fu vagamente incoraggiante. La loro velocità in rapporto alle nubi di polvere più vicine stava diminuendo, ma solo gradualmente: a un simile rapporto di decelerazione ci sarebbero voluti anni per fermarsi del tutto nella nebulosa. Il rischio di venire intrappolati da qualche vortice sembrava inevitabile, ma per diversi secoli poteva anche non accadere. Già in quel momento riuscivano a vedere molto poco dell'universo stellato sia dalla biostazione che dalla Eidolon, nonostante la selva di antenne e telescopi che scandagliava lo spazio attorno a loro. E le cose dovevano diventare ancora più nere prima di schiarirsi.
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Continuando a considerare tutte le possibili strategie, Nick rifletté su quale poteva essere l'atteggiamento da tenere in presenza del peggiore scenario immaginabile, cioè un attacco berserker alla biostazione con la conseguente sconfitta di Dirac. In quelle circostanze poteva compiere un ultimo, disperato tentativo di salvare Jenny e se stesso trasmettendo entrambi via radio verso Imatra. Per loro due si sarebbe trattato di un viaggio quasi istantaneo, nulla di terribile. Il vecchio Einstein aveva già spiegato esaurientemente la faccenda. Bisognava però fare i conti con la realtà dei fatti: innanzitutto la nebulosa che oscurava ogni cosa; poi la distanza che li divideva da Imatra, pari senza dubbio a parecchi giorni-luce. No, non poteva funzionare. Troppo grande era il rischio di dispersione. Alla fine Imatra avrebbe captato solo qualche confuso impulso elettronico, gli scheletri di sofisticati codici informatici che trasferivano due miseri abbozzi di lui e di Jenny su un pianeta affatto interessato ad aiutarli. Che fatica inutile! Solo come ultima risorsa poteva mai considerare quella possibilità. Più che altro, su Imatra o su qualsiasi pianeta abitato di quel sistema non avrebbero mai trovato dei corpi. E il pianeta da cui Jenny proveniva si trovava molto lontano tra le stelle, senza contare il fatto che lei non aveva mai detto di volervi tornare. Per lui invece il concetto di casa non aveva senso. Lui viveva dove si trovava, e quello era tutto. Ma in effetti cominciava in qualche modo a prendere in considerazione la possibilità, o forse la necessità, di avere un giorno una casa da qualche parte. Dal suo incontro con Jenny un vero vortice di nuove idee aveva preso a riempirgli la mente espandendosi a livello esplosivo. Fino a quel momento le coordinate della sua posizione nell'universo gli erano sempre parse prive di senso, ma se doveva acquisire un corpo fisico simili faccende diventavano terribilmente importanti. Ma come sempre doveva fare i conti col berserker. Se decideva di reagire aggressivamente poteva proiettarsi verso il nero scafo del nemico e, supponendo che trovasse qualche antenna o qualche mezzo per penetrarne i circuiti, poteva cercare di negoziare con lui. Un programma di computer che tratta con un robot. Non sembrava esservi molto costrutto in un simile passo. In nessun modo poteva pensare di venire pacificamente ricevuto a bordo del silente e inquietante berserker, Fred Saberhagen
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né tantomeno di potersi muovere come voleva nei suoi circuiti. Qualunque cosa restasse della potenza originale della macchina aliena non lo avrebbe mai accolto amichevolmente. Si disse questo con qualche rammarico, perché nonostante fosse più che consapevole del tremendo pericolo che i berserker costituivano per l'umanità, tendeva a ritenerli più dei sofisticati programmi come lui che non delle macchine assassine. No, probabilmente nessuna versione di se stesso sarebbe mai stata ammessa a bordo del berserker. E se fosse riuscito a far entrare una sua copia avrebbe probabilmente trovato ad attenderlo qualche trabocchetto elettronico. Sarebbe stato catturato e rinchiuso da qualche parte per una successiva, comoda dissezione da parte del nemico. E dopo un attento esame delle sue caratteristiche il berserker avrebbe chiaramente saputo cosa fare della versione più completa, del Nick originale rimasto a casa, del pavido Hawksmoor a bordo dell'astronave presidenziale. Una possibilità alternativa era trasmettere una versione modificata di se stesso. Ma se quella copia non veniva intrappolata, se cioè le veniva concesso di agire indisturbata, poteva magari compiere degli errori grossolani. A meno che non inviasse Nick2 con l'ordine assoluto di non fare nulla, tranne facilitare la successiva trasmissione in assoluta sicurezza del Nick originale. Ma faceva bene a fidarsi ciecamente delle impressioni di una copia modificata? Complicazioni su complicazioni: quel problema pareva insolubile. Un berserker avrebbe considerato Jenny, la registrazione di una personalità umana, un essere vivente da eliminare? E il suo atteggiamento sarebbe stato diverso con lui? Nonostante gli sforzi e il tempo speso per rispondere a simili quesiti, nessuno scienziato solariano aveva mai scoperto i parametri su cui si basavano i berserker per giudicare una cosa viva o non viva, per stabilire quali componenti dell'universo erano animati dalla forza vitale e andavano pertanto cancellati come abominazioni e quali invece erano sicuramente morti o inanimati e potevano quindi venir tollerati o addirittura apprezzati. Comunque, Nick dubitava molto che un berserker avrebbe percepito lui, Jenny e qualsiasi altra creatura optoelettronica come esseri viventi. Qualche tempo prima ne aveva parlato con lei avanzando precisamente questa opinione, e fu lieto di vederla vagamente sollevata. Ma dentro di sé giudicò la faccenda puramente accademica. Con tutta probabilità un berserker li avrebbe comunque considerati delle strane entità Fred Saberhagen
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potenzialmente nemiche, soggetti su cui sperimentare a piacimento per qualche nuovo scampolo di conoscenza prima del totale annullamento in quanto infide creature della causa della vita. Ma, si disse Nick, poteva naturalmente anche sbagliare. Una volta aveva parlato di questo argomento con Frank, e l'uomo nei cubi Marcus espresse seri dubbi che i berserker utilizzassero quella che definì "psicologia da quattro soldi" per distinguere tra ciò che vive e ciò che invece è buono perché è morto. Secondo lui i berserker uccidevano tutto ciò che ritenevano organico, magari dopo aver dissezionato il primo esemplare della serie per studiarlo a dovere. Doveva essere così, perché altre interpretazioni del concetto di vita, come quelle utilizzate dai solariani, avrebbero ampliato troppo la categoria includendovi addirittura gli stessi berserker in quanto macchine replicanti capaci di comportamento autonomo. Il tono indefinibile dell'ultimo messaggio di Marcus sollevò il dubbio nella mente di Nick che il berserker, che non sembrava particolarmente ansioso di uccidere i suoi prigionieri, avesse in realtà catturato anche lui per studiarne le insolite caratteristiche. In tal caso, non poteva aver appreso dell'esistenza di Nick dalle memorie del computer che potenziava le funzioni dei cubi Marcus? E non poteva magari prevedere quali azioni Nick avrebbe intrapreso per garantire la propria sopravvivenza? Nell'attuale situazione, tutte le strade sembravano condurre verso la grande ombra del pericolo per lui e per la donna che amava. Nessuna di esse mostrava un benché minimo spiraglio di luce. Era tempo di consultare un'altra volta Freya2 e di controllare la ricerca robotizzata dei protocoloni con le caratteristiche genetiche simili a quelle richieste da Nick e Jenny. Freya2, copiata per fare da affidabile spalla, era sempre pronta a contribuire come poteva al piano di Nick. Con i sistemi d'archivio nella confusione più totale, Nick si sentì obbligato a svegliare Jenny ancora una volta per discutere con lei i grandi progressi e le nuove difficoltà della situazione. Nonostante i molti sforzi non era ancora riuscito a trovare due zigoti che corrispondessero alle caratteristiche richieste. Ma quel giorno Genevieve era di pessimo umore, per nulla disposta a Fred Saberhagen
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parlare dell'argomento a meno che Nick non la forzasse. E lui era riluttante a farlo. Infine, vincendo ogni remora lui la fece nuovamente precipitare in un sonno profondissimo, furtivamente ma senza rimorsi. Certe volte, rare per il momento, invidiava alla sua compagna il privilegio di quelle lunghe e sicure dormite elettroniche, quell'oblio su richiesta. Poco importava se a lei piacesse o no. Perlomeno, grazie a loro Jenny era altrettanto sicura sia dormendo che restando sveglia. In quanto a lui, ultimamente compiva ogni sforzo per addormentarsi o, in mancanza di meglio, per cadere in un leggero sonno. Gli sembrava importante per capire come poteva essere la vita fisica. Ma il suo sonno durava solo pochi attimi: poi i pericoli e le preoccupazioni del mondo fisico lo riportavano con un sobbalzo alla piena vigilanza sensoriale.
12 Passarono diversi giorni e Hawksmoor cominciò a sentire qualsiasi chiamata in servizio come un'irritante distrazione al lavoro ben più importante e segreto che stava svolgendo per Jenny e per se stesso. Persino l'enigmatico berserker e il pericolo che rappresentava per lui e per il suo creatore in carne e ossa tendeva a perdere molta della sua importanza. Ma questa attitudine non poteva durare più di qualche istante, perché i suoi esperimenti e tutte le sue speranze di felicità con Jenny dipendevano strettamente dal risultato del confronto che si svolgeva nello spazio profondo. E se il berserker fosse risultato vincitore, tutto ciò in cui lui e Jenny potevano sperare era una rapida cancellazione dopo aver fatto da cavie. In ogni caso, continuava a recarsi dalla sua amata nel loro santuario virtuale non appena ne aveva l'occasione. In genere doveva svegliarla ogni volta, perché vedendola profondamente infelice al termine di ogni loro incontro la lasciava mandandola automaticamente a dormire. Jenny non protestò mai per quegli intervalli di forzata incoscienza e durante gli incontri con Nick rifiutò caparbiamente di cercare qualche distrazione nei mondi immaginari, così li chiamava lei, che lui poteva creare per divertirla. Hawksmoor si trattenne doverosamente dall'oltrepassare la soglia della lussuosa camera da letto di Jenny, sia fisicamente che con pure e semplici Fred Saberhagen
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osservazioni. Era la camera da letto della sua amata, nella quale lei manteneva inviolata la sua privacy e dove si ritirava quando era stanca o quando lui la lasciava mandandola a dormire. Nel corso dei loro colloqui, Nick le pose molte domande sul mondo fisico. Voleva sapere in cosa esattamente differiva dal mondo della realtà virtuale. Lei rispose fornendogli un nutrito elenco. Nutrito e affascinante. Infatti sempre più era il mondo di lei a sedurlo, i suoi ricordi e le sue descrizioni di quell'universo di sensazioni a lui sconosciute chiamato vita corporea. Giorno dopo giorno, ora dopo ora, l'influenza di Jenny generava in lui nuovi modi di pensare, nuove reazioni. Nick si scoprì cambiato. Il mondo dell'uomo organico acquisì nei suoi pensieri una nitida realtà, un'incisiva immediatezza che mai aveva ritenuto possibile. Al contempo il suo modo di esistere, quello i cui pregi aveva cercato invano di magnificare a Jenny, cominciava a sembrare incolore e inadeguato. "E vita questa?" si ritrovò a chiedersi con qualche ansia, ancora convinto di essere parte integrante dell'ambiente in cui da sempre viveva. La comprensione per l'insoddisfazione di lei cresceva di conseguenza. "Tutto questo significa essere vivo?" La fulminante velocità e la certezza del pensiero e del movimento elettronico non bastavano apparentemente a compensare. Certe volte in quei giorni persino la vista della sua adorata abbazia provocava in lui un sentimento di profonda ripugnanza. Quando questo accadeva vagava senza meta nelle parti terminali dei circuiti della biostazione, pensando a quanto sarebbe stato bello entrarne e uscirne a piacimento. Ma il suo piano segreto, per fortuna, andava avanti. Il robot controllato da Freya2 continuava a vagliare l'immensa massa di zigoti in cerca della coppia giusta, dei due codici genetici che avrebbero dato loro, a lui e Jenny, i corpi che bramavano, i corpi con cui trovare il piacere nel mondo esterno e uno nell'altro. Spostandosi attraverso i conduttori e i circuiti compositi che rendevano la biostazione una struttura totalmente integrata, attivando i suoi occhi elettronici e guardando i contenitori infrangibili che contenevano gli invisibili zigoti, Hawksmoor si chiese che tipo di esperienza stessero mai vivendo quelle poche cellule ridotte a uno stato di inerzia totale, la loro Fred Saberhagen
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crescita bloccata, praticamente immuni al correre del tempo nella loro soluzione azzurrina. Certo, una dozzina di cellule o poco più completamente ferme non potevano provare alcuna emozione, alcun sentimento... ma come si poteva mai saperlo con certezza? Più di una volta aveva invitato Jenny a seguirlo nel grande mondo (con cui poteva solo intendere altri circuiti, altri cavi), a vagare con lui nell'immenso universo elettronico della biostazione. Qualche volta lei aveva esitato sulla soglia, proprio all'ingresso del passaggio che l'avrebbe portata fuori dalle sconfortanti ma sicure illusioni dell'abbazia. Ma poi l'idea le risultava insopportabile, e allora reagiva con disperato terrore a ogni sua insistenza. — Tornerò nel mondo reale solo come essere umano, se mai potrò tornarvi. Quelle velate suggestioni alla loro mancata umanità colpivano Nick profondamente, ma Jenny non andava biasimata più di tanto per ciò che diceva in quei momenti di sconforto. Infatti, ai suoi occhi la realtà virtuale era quanto di peggio si poteva immaginare. Il solo pensiero di muoversi attraverso l'universo ancora più alieno dei circuiti della biostazione minacciava le più intime percezioni di se stessa come essere umano. Vi erano momenti in cui, nonostante i primi insuccessi e le costanti difficoltà, Nick provava un profondo ottimismo sul successo del loro piano. Altre volte invece veniva travolto con crescente orrore dal timore che il suo voto a Jenny fosse destinato al completo fallimento, nonostante il promettente inizio. Cercando goffamente il modo migliore di esprimere alla sua amata ciò che provava, Nicholas le disse: — Sai qual è la cosa che più mi auguro? Di vivere felice con te nel tuo mondo un giorno non lontano. Si trovavano nel cortile erboso dell'abbazia, dove lei aveva contemplato per la prima volta il mondo da lui sviluppato. Quel luogo aveva se non altro il potere di calmarla. — Oh, Nick... anch'io lo desidero tanto. Se solo quel giorno venisse presto! — Il primo passo è trovare il modo di ridarti un corpo, lo so. Sto facendo tutto il possibile. — Sono certa che è così, Nick — replicò lei guardandolo con occhi vuoti, persa in un mondo di ricordi che lui aveva solo vagamente condiviso, un mondo dove, nonostante gli sforzi, lui non poteva seguirla. Fred Saberhagen
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— Ma qualche volta mi dispero. Prima di rispondere lui si fermò per un attimo per operare qualche sottile cambiamento nel regno dei loro programmi, un regno dove lei non poteva vedere, o meglio dove aveva testardamente rifiutato di guardare. Ancora non aveva abbandonato del tutto le speranze che lei potesse essere felice con lui nell'abbazia, se il loro progetto segreto si risolveva con un nulla di fatto. Poi Nick le disse: — Dammi la mano, Jenny. Lei obbedì volentieri. Ma i suoi occhi si fecero grandi per la sorpresa vedendo le sue dita attraversare quelle di Nick. — Hai sentito qualcosa? No, naturalmente no. E neppure io, del resto. Quello era il meglio che sapevo fare per imitare il tuo mondo quando tu sei arrivata. Jenny rabbrividì. — Non ci provare mai più. È orribile! Mi fa sentire come un fantasma. — Ci credo. Volevo solo mostrarti quanto siamo progrediti insieme. Lei non disse nulla. Tacendo per un attimo, Nick annullò il cambiamento effettuato. Poi le prese nuovamente la mano. Stavolta lei si mostrò parecchio riluttante. Lui le strinse gentilmente il polso con la mano libera. Il contatto avvenne. — Va meglio? — Sì, immagino di sì — replicò lei. A tutti gli effetti le loro dita virtuali sembravano premere solidamente una contro l'altra, incapaci di compenetrazione come due solide pietre dell'abbazia. La pelle si fece bianca per la pressione. — Spingi ancora di più, se vuoi. — Non farmi male! Subito Nick ritrasse la mano. — Non potrei mai farti del male, amore mio, non solo perché è l'ultima cosa che vorrei ma anche perché tu non possiedi più la capacità di sentire dolore. Fin dall'inizio ho avuto cura che fosse così. D'altro canto, comincio a sospettare che questa carenza sia il motivo per cui il tuo senso del tatto non corrisponde esattamente a ciò che ricordavi. — Nick... — fece lei supplichevole, soffocando ancora una volta a fatica un attacco di disperazione. — Cosa c'è? — Non puoi rendere solida anche solo una piccola parte di me? Produrre Fred Saberhagen
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abbastanza carne e sangue da trasformare anche solo il mio dito mignolo in qualcosa di vero, di concreto? Non importa se in quel punto sentirò nuovamente dolore. Scoraggiato da quell'atteggiamento, Nick restò silente per qualche istante. Dopo quella pausa, cercò nuovamente di spiegarle. — La sola cosa solida che può esistere in questa abbazia, la sola sostanza fisica che può penetrare nel nostro mondo è la materia polifasica utilizzata per costruire certe sezioni del decaedro e di qualsiasi altra camera di realtà virtuale, cioè il mezzo che consente alle persone che vivono nel mondo materiale di trasferirsi nei programmi virtuali. Anzi, se io e te fossimo presenti quando qualcuno di loro decide di farlo potremmo parlargli, stringergli la mano... — Hai detto che non poteva esistere altra gente in questo posto tranne noi. — Ho detto che non potevo crearla, e difatti è così. Ma con l'aiuto di certi apparecchi la gente che tu chiami reale può entrare nel nostro mondo, il mondo virtuale, restando esattamente la stessa. Ma questo è qualcosa che debbono decidere di loro iniziativa: capisci ciò che intendo dire? — Credo di sì. Allora è possibile che io incontri un giorno un'altra persona come noi in questa chiesa. — Sì, se qualcuno aprirà il programma chiamato "Abbazia" nel decaedro. Comunque, pensavo che la cosa ti spaventasse. — È vero. Se Dirac sapesse... — Lasciamo stare, allora. Piuttosto, tocca di nuovo la mia mano. Lei obbedì, di nuovo riluttante. Ma con sua sorpresa il contatto parve realistico come non mai. — Va meglio, amore mio? — Certo. Ma come hai fatto? — Sono certo che riesci a ricordare il tocco di altre dita umane sulle tue, una sensazione che devi aver provato migliaia di volte nel mondo fisico. Io invece posso solo cercare di immaginare come dev'essere. Ma adesso conosco molto di più il tuo mondo, e potendo attingere anche alla banca dati della biostazione oltre che alle nostre ho riprogrammato il nostro senso del tatto per avvertire quella che credo sia la giusta sensazione. Per me significa molto. Voglio che i nostri sensi si avvicinino quanto più possibile a quelli della realtà materiale. Lady Genevieve reagì con un lungo silenzio. Lui però non era intenzionato a far cadere l'argomento. — Tu hai Fred Saberhagen
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conosciuto la sensazione di una mano che sfiorava la tua. Dimmi se corrisponde a ciò che hai provato adesso. A denti stretti lei ammise: — Be', in un certo senso sì... è quasi la stessa cosa. O almeno, così mi sembra. Ma forse è solo perché tu hai... — Cosa? — Perché tu hai in qualche modo riprogrammato me, in modo che io sia disposta ad accettare qualsiasi cosa tu mi dici. Se tu dici che il tocco di una mano sulla mia provoca quella sensazione la cosa diventa automaticamente vera per me. — Io non ho mai pensato di fare nulla del genere! — esclamò Nick con tono palesemente oltraggiato. Poi tacque. Certamente non intendeva fare nulla del genere, ma... una volta iniziato a giocare coi programmi, poteva ancora garantire qualcosa? Da qualche tempo ormai Nick coltivava in qualche angolo della mente l'idea che qualsiasi delizia riservasse loro il mondo fisico negli anni a venire, i tempi erano maturi anche nel loro mondo per passare dal semplice contatto della mano alle più sofisticate delizie del contatto ravvicinato. E comunque, ai fini della programmazione bisognava pur dare inizio un giorno o l'altro all'ambizioso progetto di classificare, studiare e memorizzare le mille e mille sensazioni generate da un rapporto sessuale. In ogni caso, con Jenny ancora tanto impaurita e riluttante a studiare anche le più elementari interazioni, cercare di progredire su quel punto si sarebbe rivelato solo una perdita di tempo, almeno in quel momento. Di quando in quando, sempre per saperne di più sui procedimenti necessari, Nick conduceva determinate prove sulla sua compagna. Quando spiegò a Jenny che queste prove erano necessarie per facilitare al massimo il suo trasferimento in un corpo fisico, lei gli diede un entusiastico assenso. Parte degli esperimenti implicavano un'approfondita ricerca sugli ultimi eventi della vita corporea che Jenny riusciva a ricordare. E nonostante lei non riuscisse a riconoscere l'esperienza per ciò che era, fu proprio questa l'ultima cosa che i suoi organi fisici percepirono: la registrazione, il transfer nei volumi di memoria mentre il suo corpo mortalmente ferito veniva curato invano dal medirobot. Solo pochi minuti la separavano dalla completa morte cerebrale. Ma nonostante quegli ultimi barlumi di lucidità, aveva percepito la situazione solo vagamente, senza davvero capire. Neppure un'ombra della tremenda verità sarebbe mai entrata nella sua Fred Saberhagen
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mente quasi inerte. L'ultima cosa che Jenny riusciva a ricordare consciamente era il salvataggio sul cargo seguito dalla breve traversata fino all'astronave di Nick. In quei brevi istanti di nera incoscienza era convinta di venir salvata nel senso convenzionale del termine. La figura nella tuta spaziale che le si era presentata davanti l'aveva avvolta nelle sue braccia protettive, e lei lo aveva baciato per il sollievo e la speranza. Jenny riferì a Nick di mantenere ancora lo sgradevole ricordo di una strana, sconvolgente sensazione di vuoto percettibile dietro l'elmetto della figura in tuta spaziale. Era un vago ricordo che andava e veniva, come se il nero baratro che lo seguì avesse cancellato ogni cosa tranne quella. Nick si chiese se le procedure di registrazione, iniziate quando le principali funzioni del corpo di Jenny stavano pian piano cessando e che costituivano una tracciatura elettronica di configurazioni, un drenaggio, un saccheggio di cellule che già avevano cominciato a morire a milioni, non potevano avere in qualche modo ristabilito i ricordi in punto di morte altrimenti perduti. Nonostante i molti tentativi non riusciva a persuadere Jenny a seguirlo nel prosaico mondo dei circuiti elettronici. Tutto ciò che lei voleva era trascorrere il suo tempo nel sicuro perimetro dell'abbazia di Westminster. Quel posto era tanto grande, disse, da farle pensare che ci sarebbero voluti anni per conoscerlo bene. Molte cose dentro e fuori dall'antico complesso attraevano il suo interesse e molte altre potevano rivelarsi interessanti se la sua condizione non l'avesse ossessionata tanto da farle spesso scordare ogni cosa. Ancora trascorreva la maggior parte del tempo attendendo Nick. Qualche volta dormiva, ben sapendo che il suo ritorno l'avrebbe istantaneamente svegliata. L'accoglienza era in genere calda e affettuosa, ma non passionale. Spesso si accorgeva del suo arrivo udendo il suono dei suoi passi sul freddo pavimento in pietra del corridoio. E una volta, quando era sveglia e vagava nella grande chiesa, la sua figura comparve dal nulla davanti a lei. Quella comunque fu l'unica volta che Nick poté permettersi un'entrata del genere, perché Jenny gli fece immediatamente giurare che mai e poi mai avrebbe utilizzato ancora un simile trucco disumano.
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Nel corso di quegli incontri finalmente piacevoli, la coppia trascorse più tempo nel cortile fiorito dell'abbazia che in qualsiasi altro posto. Jenny gradiva moltissimo il sole, ma rifiutò con decisione la proposta di Nick di trasferirsi in qualche posto completamente diverso, visitare qualche luogo della vecchia Terra molto più soleggiato della piovosa Londra. Ma lui insistette. Con altrettanta facilità poteva cambiare il clima in cui si trovavano, rendere Londra una città tropicale... — Oh, no, mio caro Nick, non farlo. Riuscirai mai a capire? Io ho il timore che l'ultimo barlume di realtà ancora vivo in me possa spegnersi per sempre se le cose dovessero cambiare con la velocità con cui tu puoi cambiarle. Ogniqualvolta si sentiva stanca della silente, ripetitiva bellezza del cortile o quando qualche programma casuale attivato da Nick portava cattivo tempo coprendo il cielo di neri nuvoloni e bagnando i loro volti e le loro mani di pioggia virtuale, Jenny apprezzava fin nel profondo l'illusione di natura incontrollabile. In quei momenti cercavano rifugio, entrambi ridendo, all'interno dell'abbazia. Passeggiavano parlando e scherzando nelle ombrose profondità della cattedrale, oppure sedevano in quelle che Nick chiamava la sala Gerusalemme o il parlatorio Gerico, vetuste definizioni per due diversi locali della parte dell'abbazia chiusa al grande pubblico in cui l'ibrido e fastoso arredamento snaturava l'antica maestosità delle pareti in pietra. E in questa parte chiusa al pubblico Nick, mai davvero sconfitto nella sua battaglia per la verosimiglianza e sempre più deciso ad assaporare in anticipo le sensazioni del mondo fisico, aveva sistemato degli immaginari distributori di cibo e bevande. Jenny ben presto scoprì che mangiando e bevendo, e ricevendone una soddisfazione fisica abbastanza simile a quella provata nella vita corporea, placava una fame e una sete rese il più possibile realistiche per dare spessore alla cosa. Non che potessero sentirsi davvero affamati o assetati in quell'ambiente, e neppure provare stanchezza in qualche modo. Certamente Jenny non aveva mai provato dolore fisico. Nella sua premura, Nick aveva fatto in modo che la sua vita fosse eternamente confortevole. Le corrispondenti esperienze sensoriali da lei provate erano smorzate, diverse. E gradualmente lei comprese che in quell'esistenza mancavano molte cose, cose sottili, cose che non erano palesi come respirare o mangiare. Si Fred Saberhagen
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sentì turbata dalla sua incapacità di definirle con precisione, di non sapere esattamente di che altro era stata privata. — Nick, non penso di averti detto tutto ciò che manca qui, ma si tratta comunque di sensazioni importanti della vita vera. Naturalmente lui ne fu molto sorpreso. Che stupido poteva dimostrarsi molte volte! La cosa lo preoccupò. Deluso, curioso e stimolato allo stesso momento le chiese d'un fiato: — E di cosa si tratta? — È questo il punto: non lo so, e tuttavia ne percepisco chiaramente la mancanza. Se solo sapessi cosa sono! — replicò Jenny con un gesto disperato. Poi strinse i pugni e lasciò cadere l'argomento con aria affranta. Finalmente trovò le parole per spiegare almeno una delle cose che mancavano. — Qui nel nostro mondo, come tu chiami questa esistenza, nulla può venir considerato davvero duraturo. Tutto è mutevole, ma ogni cosa va e viene con la stessa intensità. Tu, io, la pioggia, le pietre, il cielo... tutto ha lo stesso significato. — Mi sembra invece — ribatté Nick — che proprio nel mondo che tu chiami reale le cose non sono mai permanenti. Persino i nostri corpi, se mai li avremo, invecchieranno e morranno col tempo. — Ma non per molti, molti anni, Nick. E fino a quando avremo un corpo vivremo una vita vera! Ma intanto i pensieri di Jenny andavano alle pietre immaginarie dell'abbazia. Perlomeno davano un'impressione di durevole solidità, una sensazione che lei trovava in qualche modo confortevole. Jenny chiese poi al suo compagno se aveva mai conosciuto altre personalità elettroniche. — No, a meno che tu non intenda anche i sistemi esperti come Freya o la nuova guardia del corpo di Dirac, quel Loki. Ma sono due cose nettamente diverse. — Com'è Loki? — Come posso spiegarti? La sua natura è in qualche modo simile alla mia, ma molto paranoica. È forte e veloce, nel modo in cui un'entità optoelettronica può esserlo. — E ci vai d'accordo? — Non molto. Ma immagino che nessuno vada d'accordo con lui. Loki non è stato progettato per andare d'accordo con qualcuno. Fred Saberhagen
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Per farle una sorpresa, per provare qualcosa di nuovo, Nick decise un giorno di riempire l'abbazia del suono intenso di acqua gorgogliante proveniente da un fresco ruscello nelle vicinanze, un suono che si fece sempre più intenso man mano che Jenny si avvicinò all'ingresso occidentale che mai aveva osato aprire. Fu lui ad aprirlo per lei. Londra non c'era più. Al suo posto scorreva a poca distanza un piccolo torrente, attraversato da un ponticello in legno coperto di muschio oltre il quale il sentiero continuava perdendosi in un'umida foresta vergine. — No, Nick, no. Chiudi queste porte. Non voglio distrazioni. Tutto ciò che voglio è... — Lo so, amore mio, so quello che vuoi e ti ripeto che sto facendo del mio meglio per accontentarti. Un'altra volta la accompagnò in cima alla torre settentrionale e le spiegò che il maestoso e silente riflusso del Tamigi sotto l'influenza dell'alta marea era perfettamente visibile se uno sapeva come guardare. E qualche attimo più tardi, guardando oltre l'antico edificio che Nick chiamò il Parlamento, sito sulla sponda più vicina, lei vide l'ampio e sinuoso corso d'acqua rifluire come lui le aveva descritto. Molto oltre, gli immensi grattacieli cittadini grigi e mostruosi davano una chiara immagine virtuale della moderna Londra sotto la triste pioggia che quel giorno cadeva fitta. Ma nulla di tutto ciò sembrava poterla aiutare in qualche modo. L'esistenza di Genevieve veniva resa sopportabile solo dal potere concessole di cadere addormentata ogni volta che lo desiderava. Lei si servì di quel potere tante di quelle volte da non poterle più contare, per ritrovarsi sempre nuovamente sveglia senza la sensazione di aver veramente dormito, senza la sensazione del tempo trascorso. La sua migliore speranza di vivere qualcosa di simile al riposo consisteva nel prolungare quel processo di spontanea disattivazione entrando e uscendo dalla sua camera, un'azione che tendeva a darle solo una crescente letargia. Hawksmoor, solo con i suoi pensieri mentre Jenny godeva di uno dei suoi lunghi sonni, o almeno Nick sperava che ne godesse, pensò di esaminare la propria immagine nuda e in quelle condizioni rimase a lungo davanti allo specchio multidimensionale da lui inventato. Si trattava di uno specchio elettronico che non avrebbe mai potuto esistere nella realtà fisica, capace di mostrare in un sol colpo tutto il corpo davanti, di dietro, di Fred Saberhagen
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fianco, di sopra. Le conoscenze di Nick dell'anatomia umana e della disposizione delle parti considerate desiderabili, così come delle loro forme, dimensioni e caratteristiche, non venivano solo dai riferimenti che poteva trovare nella sua banca dati ma anche dalla diretta osservazione del comportamento sessuale umano sia in quel viaggio che in altri. Naturalmente, nessuna delle coppie vittime della sua curiosità si era mai accorta di essere spiata. A volte, prima dell'entrata in scena del diabolico Loki, le segrete osservazioni di Nick avevano riguardato anche Dirac in persona, specialmente quando Varvara Engadin ne condivideva gli appartamenti, i favori e il letto. Ma Loki aveva fornito a Dirac il modo di tenerlo alla larga quando non serviva, così come di chiamarlo quando invece aveva qualche compito per lui. Nick si disse, arrivando quasi a convincersene, che la sua conoscenza del sesso era divenuta molto più che semplicemente teorica. Fin dalla sua creazione (le sue prime memorie consistevano nel trovarsi a bordo della Eidolon con un pieno controllo sulla maggior parte dei circuiti, in modo da potersi muovere come più gli piaceva) aveva potuto spiare le più intime attività di un gran numero di membri dell'equipaggio, sia gente che conosceva che perfetti sconosciuti. Ovviamente qualsiasi programma teso a duplicare l'eccitazione sessuale organica, l'amore e il piacere sarebbe stato di una complessità enorme, ma Nick si compiaceva di pensare che la capacità di creare simili programmi, così come delle accettabili variazioni sul tema,' non fosse affatto fuori dalla sua portata. Allo stesso tempo però Nick sentiva istintivamente (o almeno considerò questa parola come la più accurata per descrivere quella sensazione) che la brama di Jenny per un corpo fisico era del tutto giustificata. Qualcosa, o forse molte cose, mancavano da sempre in quel suo mondo, dal solo universo di esperienza che aveva mai conosciuto e che nella sua attuale esistenza poteva mai conoscere. Gli stati emozionali chiamati gioia, amore, soddisfazione dovevano possedere un'intensità molto maggiore di quella che lui o chiunque altro potevano inserire nei suoi programmi. Conoscere appieno quelle sensazioni significava però doverle apprendere da una fonte esterna. Jenny era una fonte esterna, ma nello stato di estrema prostrazione in cui viveva come poteva aiutarlo a capire? Fred Saberhagen
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"Fino a quando non avremo due corpi fisici, saremo solo dei fantasmi." Una volta lei gli aveva detto una cosa del genere, e nell'universo che ora condividevano qualsiasi affermazione restava per sempre. Ormai era passato un anno standard dal temerario abbordaggio di Dirac alla biostazione e dalla perdita di Frank Marcus e di molti altri in battaglia. Tuttavia, nessuno dei corpi mostrati fino a quel momento a Jenny aveva riscosso la sua approvazione. E il progetto di crescere due zigoti per trasferirvisi in età adulta era ormai vecchio di mesi.
13 Loki, la guardia del corpo optoelettonica del premier, sembrava concepito apposta per essere irascibile. E se per caso qualcuno, organico o no, osava trattarlo come un essere umano doveva fare i conti con la sua tagliente risposta: no grazie, lui non era affatto umano. Apparteneva invece alla categoria di eventi o oggetti definiti "sistemi personali". In ogni caso Loki si comportava come un uomo in molti modi, almeno secondo Nick. Loki non esprimeva alcuna opinione, perché non era stato programmato per averne, sull'umanità o meno di Hawksmoor o di qualsiasi altra entità salvo se stesso. E piacesse o meno, lui era Loki e basta. La guardia del corpo optoelettronica serviva il presidente in molti modi, ma il più importante era sicuramente la capacità di chiamare o congedare il suo pilota, architetto e talvolta guardia del corpo di nome Nicholas Hawksmoor. Pienamente cosciente o no, Loki era una vera e propria entità virtuale specializzata nella sorveglianza, più che mai in grado di dare ordini a Nick quando si rendeva necessario. Pensando e ripensando a quella situazione, Nick si disse che fin dall'ora della sua creazione doveva sapere che Dirac avrebbe trovato il modo di esercitare un prudente ma continuo controllo su di lui. Ciò comunque non toglieva che l'esistenza e la natura di Loki rappresentassero un ostacolo imprevisto quanto insidioso. Ma fortunatamente per le segrete speranze di Nick, Loki veniva utilizzato rare volte al pieno della sua potenza e quando lo era prestava Fred Saberhagen
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un'attenzione relativamente scarsa a ciò che faceva lui. Una volta tuttavia Nick protestò con il presidente, affermando che Loki lo tormentava. Se Dirac voleva che Nick svolgesse il meglio possibile la moltitudine di compiti a lui assegnati, doveva cambiare un po' le cose. Dirac si dichiarò disposto a modificare parzialmente i programmi-base di Loki, limitandone l'azione a compiti puramente difensivi. Hawksmoor ringraziò il suo creatore e tornò obbediente a lavorare. Parte del suo auto-assegnato progetto clandestino consisteva ormai nel tener d'occhio una squadra di robot operai addetti alla costruzione di un nuovo locale. Aveva in mente un piccolo spazio, separato dal resto della biostazione da spesse paratie, in cui potesse sistemare le strutture necessarie a crescere i bambini nati dagli zigoti. Infatti, dopo essere usciti dalle incubatrici i neonati andavano seguiti fino al termine della crescita per assicurarsi che non compissero esperienze proprie sviluppando una personalità autonoma. Questa nursery, come Nick la chiamava nei suoi pensieri, era naturalmente in allestimento vicino alle due incubatrici prescelte, in una sezione della biostazione mai frequentata dai suoi scarsi occupanti. Ma Jenny ancora esitava, chiedendo di vedere sempre nuovi modelli. Erano milioni ormai i contenitori vagliati dal robot, e tuttavia le potenzialità del carico rimanevano praticamente inalterate. Nick in persona rivedeva i candidati più probabili prima di sottoporre la crema del raccolto alla considerazione di Jenny. Poi Nick metteva da parte i candidati rifiutati (la percentuale era del cento per cento, fino a quel momento) mantenendoli in memoria nel caso Genevieve si stancasse un giorno della sua insistenza per la perfezione. Intanto una lenta sfilata di irrazionali immagini, di possibili Jenny, veniva inviata dal robot alla considerazione del solo Nick. Per un po' quello spettacolo composto esclusivamente di donne nude lo eccitò e lo divertì: intervenendo dove e come voleva, fu facile per lui fare in modo che quelle immagini si comportassero esattamente come certe donne sole di cui aveva a lungo studiato l'atteggiamento sessuale. Ma dopo un po' quel divertimento tutt'altro che innocente lo stancò. Tra l'altro cominciò a sorgere in lui un fastidioso senso di colpa. Si sentiva sporco, infedele, poiché aveva in un certo qual modo già tradito la donna che amava. Da quel momento in poi, per rispetto a Jenny e anche a se Fred Saberhagen
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stesso trasformò la sexy sfilata in una sorta di parata militare, poiché ovviamente le possibili candidate andavano studiate e i loro corpi nudi ispezionati da vicino; tuttavia, cercò di comportarsi come qualcuno gravato dalle più pesanti responsabilità personali. Il pressante desiderio che ora provava per vivere a sua volta in un corpo fisico non era interamente frutto del suo contatto con Jenny. Certo il salvataggio della donna che amava aveva stimolato quel desiderio fino al punto di non ritorno, ma una simile tendenza era sempre esistita in lui seppure a livello inconscio. Era vero però che prima del salvataggio di Jenny aveva sempre considerato simili pensieri delle semplici aberrazioni, dovute senza dubbio all'estro di qualche programmatore. No, a quei tempi non aveva mai seriamente dubitato di star bene dove si trovava. Se non autonomo, perlomeno era autosufficiente e padrone incontrastato del suo modo di esistere. Ma l'arrivo di Jenny aveva cambiato molte cose. Adesso non era più certo di nulla riguardo a se stesso. "Io... io penso di provare dei sentimenti. Agisco e mi vedo agire come se ne fossi preda. Come posso conoscere me stesso adesso?" Tuttavia quando Genevieve, contraria a qualsiasi vicinanza amorosa con quella che considerava solo un immagine, giurava che sarebbe impazzita se non tornava a vivere in un corpo femminile splendido, sano, soddisfacente, Nick si convinceva che quel suo desiderio si stava trasformando in una fissazione, un obbligo, una fobia. Ecco perché sentirla parlare così lo spaventava ogni volta. Temeva molto la pazzia, per se stesso e per Jenny, e ne avvertiva la tetra vicinanza anche se non era affatto certo di come potesse esprimersi in un'entità elettronica. In un angolo della mente di Nick si faceva pian piano strada un altro timore, anche se lui compiva ogni sforzo per convincersi che si trattava di una paura irrazionale. Una volta tornata in un corpo fisico, Jenny non sarebbe stata tentata di tornare con suo marito? Era pur vero che gli aveva detto di amarlo e di temere Dirac, ma dopotutto lui era il padre di suo figlio. Da lì derivava un'altra inquietudine: cosa sarebbe successo se il processo di crescita degli zigoti fosse stato tale da garantire un corpo a Jenny prima Fred Saberhagen
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di lui? Come tutelarsi contro gli inconvenienti che un simile sviluppo poteva portare? Intanto, colei che il mondo aveva conosciuto come lady Genevieve era perseguitata da ricorrenti timori sulla sorte del suo protobambino. Suo e di Dirac. Parte di quei sentimenti consistevano di puro e semplice risentimento, nato dalla paura che il bambino potesse un giorno occupare il posto che gli competeva, il posto da lei occupato prima della sua sparizione, nei cuori di Dirac e del popolo. Sempre più in quei giorni Jenny parlò a Nick del terrore che le ispirava Dirac. Ah, quanto sarebbe stata felice di non vedere mai più il suo tirannico marito! Quasi sempre Nick credeva a queste sue affermazioni, soprattutto perché lo facevano sentire felice. E nei rari momenti di dubbio, si aggrappava con tutte le forze alla speranza che fossero vere fino in fondo. Pronto ad affrontare le mille difficoltà comportate dalla selezione di due corpi piuttosto che uno solo e pronto ad abbandonare la certezza del suo mondo virtuale per vivere nella dimensione sconosciuta del mondo fisico, Nick non si sentiva altrettanto certo delle possibili reazioni della sua compagna. Ecco perché frequentemente insisteva sulla necessità di restare uniti a ogni costo. E d'altro canto, cosa significava per lui avere un corpo se lei ne fosse rimasta priva? Il corollario a questa affermazione generosa non era però altrettanto disinteressato: come poteva sopportare che lei riguadagnasse in qualche modo un corpo prima di lui? — Jenny, davvero vuoi vivere con me una volta tornata nel mondo fisico? — Oh, Nick! Ma certo! — Allora dovrai renderti conto che nel mondo in cui vivremo non c'è spazio per noi e per Dirac insieme. È un dato di fatto. Lui non tollererà mai quello che è successo, e soprattutto non accetterà mai il nostro amore. — E allora, mio dolce Nick, bisognerà fare in modo che Dirac non sia più in grado di darci fastidio quando rinasceremo. Capisci ciò che intendo? — fu la replica, fredda e mortale. Fred Saberhagen
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Nick naturalmente non aveva mai avuto dei geni. I programmatori che curavano la creazione delle entità virtuali non procedevano nel loro lavoro ricalcando le incerte impronte della carne. Quando aveva deciso di assumere una forma fisica, Nick era pronto ad accettare qualsiasi corpo presentabile. Ma adesso doveva affrontare il fatto che non era solo possibile ma anche necessario stabilire in anticipo gli attributi fisici e mentali del suo nuovo corpo, per poi creare una sorta di archivio delle possibili soluzioni da cui attingere al momento delle scelte decisive. Entrando in un corpo avrebbe certamente dovuto rinunciare alla sua inusitata velocità mentale e alla certezza di decidere sempre per il meglio; tuttavia, non poteva far altro che rammaricarsi in anticipo per le privazioni che avrebbe sofferto. Naturalmente vi sarebbero stati dei vantaggi sotto altri aspetti, e compensazioni derivate dal suo nuovo cervello organico. In ogni caso, le compensazioni parevano in quel momento più sottili delle perdite e più difficili del previsto da definire e persino da immaginare nel suo attuale modo di esistere. Ma qualsiasi difficoltà passava immediatamente in secondo piano davanti alla certezza di avere finalmente Jenny per sempre. Averla in senso carnale, fisico e morale. E questo rappresentava anche una sorta di paura, un profondo e misterioso evento che non riusciva in nessun modo ad anticipare. Nick aveva bisogno di rassicurazioni, e così pensò bene di implorare la sua amata: — Sarai capace di mostrarmi come si vive in un corpo? Riuscirai a capire che a me l'idea, il concetto stesso della vita fisica è estraneo quanto il più lontano degli eventi? Mi ci vorrà diverso tempo per apprendere col mio cervello organico a comandare i muscoli invece dei pensieri. Vivrò nella paura di dimenticarmi dove sono, e forse sarò terribilmente lento e impacciato. Cadrò e mi farò male in mille modi, e... e non so che altro. Si guadagnò una risata con quelle parole, la prima vera risata che Jenny emise da quando viveva con lui. Ma un attimo dopo lei tornò seria. Incoraggiato da quell'apparente comprensione, Nick insistette con meno avvilimento. — Capisco che si tratta di un modo di esistere del tutto naturale per un essere umano — commentò, pensando: "Come trovarsi nel ventre materno o nella culla, solo che io non lo voglio!". — Tuttavia, le Fred Saberhagen
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difficoltà esistono. Potrei aver bisogno di frequenti interventi chirurgici, trascorrere mesi e mesi sotto i ferri del medirobot solo per mantenere vivo il mio corpo — affermò, senza aggiungere che Freya2 aveva paventato quella come una delle molte possibili conseguenze del transfer. Jenny lo calmò offrendogli qualche conforto. — Ti mostrerò io come vivere nel tuo grande e impacciato corpo fisico. Ti mostrerò ogni cosa e mi prenderò cura di te se mai ve ne fosse bisogno. Ah, Nick, a proposito, hai trovato un modello più di tuo gusto? Nick lo aveva trovato, e in quel momento l'ultima versione del suo potenziale nuovo corpo comparve davanti a loro per l'approvazione di Genevieve. La giovane donna inarcò le sopracciglia per l'interesse mentre studiava l'immagine in posa. — È un aspetto molto diverso dal solito. — Non ti piace? — replicò lui con ansia improvvisa. — Sì, lo trovo molto virile, e tuttavia... — Tuttavia? — Il volto mi ricorda qualcosa, qualcuno che ho conosciuto molto tempo fa. Sei sicuro che la mia memoria sia stata completamente registrata? — Sì. — In tal caso dovrei ricordare una cosa oppure non ricordarla, e non provare questa strana sensazione. Era anche strano che lei provasse qualche familiarità per i lineamenti di un viso che esisteva solo in teoria. Ma il caso e gli effetti quantici potevano giocare strani scherzi a qualsiasi mente. Nick ne venne vagamente turbato, ma cercò di reagire con calma. — Nella maggior parte dei casi la registrazione digitalizza ogni ricordo, almeno quelli più importanti. Tuttavia... non voglio allarmarti, ma è possibile che il tuo cervello abbia subito qualche danno prima della registrazione. Questo potrebbe essere la causa di una simile ambiguità. Inoltre, è raro che il processo di registrazione sia assolutamente perfetto. Non mi sorprende che di quando in quando affiori qualche lacuna. Il risultato di quelle parole fu che Jenny continuò a insistere di aver già conosciuto quel volto, solo con qualche affanno in più. Nick provava delle forti remore morali a servirsi di due corpi adulti, come aveva spesso pensato discutendone ampiamente con Jenny. Si Fred Saberhagen
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sentiva moralmente incapace di compiere un passo del genere. I suoi programmi-base contenevano fortissime inibizioni verso l'uccisione o anche solo il ferimento di esseri umani, tranne in situazioni in cui qualsiasi cosa facesse portava a quel risultato. Ma Jenny appariva completamente scevra da simili scrupoli. Si riteneva troppo disperata per averne. Dal suo atteggiamento appariva chiaro che nel suo corpo fisico era stata capace di comportamenti duri e spietati ogniqualvolta la situazione lo imponeva. — Perché pensi che Dirac abbia scelto me come sua sposa? Certo, anche per l'importanza della mia famiglia, ma non solo. E neppure per la mia bellezza: non sono nulla di spettacolare sotto quel punto di vista e lo so benissimo. No, lui cercava più che altro un'alleata capace. Questa rivelazione cozzò violentemente contro l'immagine idealizzata di Jenny che Nick coltivava ormai da tempo. Con insolita risolutezza, lui rifiutò di dar peso a quelle parole. Ma anche altre apparenti incoerenze lo tormentavano. Anzitutto veniva la crescente capacità di disobbedire ai suoi programmi-base: la cosa lo lasciava perplesso e allarmato, ma talvolta lo gratificava oltre ogni descrizione. Fu allora che si scoprì a rimuginare su questo antico motto: "Quando la complessità raggiunge un certo livello, allora nasce la vita vera". E superare quel livello a cosa portava? Alla vera libertà? Alla vera umanità? E ancora Jenny esitava sulla scelta del suo nuovo corpo. Fino a quel momento, si disse Nick amaramente, il suo grande piano per arrivare ad avere un corpo e conoscere l'amore carnale con la donna amata rimaneva confinato alla sua fantasia, come sempre nella sua vita. Purtroppo non si poteva dire altrettanto delle difficoltà incontrate per gettare almeno le basi del loro progetto. E non si trattava certo di difficoltà risolvibili con un semplice cambio di simboli o un riordino dei dati in memoria. Aveva infatti notato che ogni volta che il mondo della materia e della carne veniva in contatto col mondo dei programmi e del pensiero era senza dubbio il primo a dominare. In ogni caso si sentiva più che mai determinato ad andare avanti. Qualsiasi ostacolo non faceva altro che sottolineare l'importanza da dare alla lucidità dei suoi calcoli, alla lungimiranza delle sue iniziative. Doveva Fred Saberhagen
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cercare di prevedere ogni possibile sviluppo. Era davvero folle pensare di poter crescere gli zigoti sotto il naso degli esseri umani che occupavano la biostazione e sperare di trovare in un modo o nell'altro il tempo, gli anni necessari a sviluppare i due corpi nella nursery? Be', forse quest'ultima era in effetti una speranza un po' ardita ma doveva comunque tentare, se non altro per farsi l'esperienza necessaria a tentare di nuovo. E se questa volta andava male, sarebbe riuscito alla prossima o all'altra ancora. Ma anche supponendo che i suoi piani avessero successo, sarebbe stato in grado con l'aiuto dei capaci computer del laboratorio, di Freya2 e delle macchine a cui poteva accedere di sviluppare un corpo adatto a sé e alle incontentabili esigenze di Jenny per poi curare il graduale trasferimento delle personalità di entrambi? E poi, non potevano nascondersi definitivamente una volta entrati nei loro corpi. Presto o tardi sarebbe giunto il momento di spiegare, di giustificare la loro scelta a Dirac o a chiunque avesse il potere di giudicare... e allora, cosa sarebbe successo? Nella sua fantasia, Nick passò freneticamente in rassegna una serie di elaborati scenari, uno più folle dell'altro, in cui si dimostrava in grado di ingannare e al contempo placare Dirac: gli scenari del giorno in cui la first lady sarebbe ricomparsa davanti al presidente nelle sue forme più rosee, viva dopotutto e decisamente riconoscibile se non perfettamente identica, non invecchiata di un singolo giorno ma semmai più giovane di prima. Per qualche tempo Nick giocherellò con il temerario progetto di raccontare ogni cosa a Dirac, dirgli tutta la verità in una sorta di confessione-fiume. Ma esisteva in effetti qualche possibilità di convincere il presidente ad accordargli il permesso di trasferirsi nel corpo che ormai sentiva come suo, il corpo che voleva e che in un modo o nell'altro si sarebbe procurato? Davanti a questa domanda lo scenario si fece più folle che mai. Nick si convinse che Dirac non avrebbe mai consentito una cosa del genere, semplicemente perché se il caro, vecchio Nick acquisiva sangue e muscoli avrebbe perso per sempre tutta la sua utilità. E quelle difficoltà, per quanto eroiche potessero sembrare, non erano che l'inizio. Dopo avrebbe dovuto affrontare il problema ben più spinoso di spiegare come e perché aveva nascosto lady Genevieve fino a quel momento. "Spiegami questo, Nick!" Fred Saberhagen
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Acutamente conscio di questi monumentali ostacoli, Nick sprecò un bel po' di tempo cercando di elaborare qualche soluzione moderata e non violenta. Cercò persino il modo di giustificare le sue scelte a Dirac rimescolando un po' le carte. Forse era quello il modo migliore di agire per far succedere il miracolo. Per esempio, poteva dire che Jenny non era mai veramente salita a bordo della biostazione: per fare una sorpresa al marito si era fatta impersonare da qualcun altro, mentre lei si nascondeva a bordo della Eidolon con l'intenzione di saltar fuori in un momento imprevisto. Ma poi l'attacco berserker l'aveva obbligata a... Verso la poppa dell'astronave si trovavano due piccole stanze, camere per gli ospiti raramente utilizzate e sempre chiuse. Poteva star certo che nessuno si era più ricordato della loro esistenza in quei momenti di crisi. Lady Genevieve poteva essersi nascosta là dentro, prendendo accidentalmente qualche prodotto che l'aveva precipitata in una sorta di ibernazione. Poi Nick l'aveva trovata, di nuovo per un caso fortuito. Nessuno oltre a lei sapeva della sua presenza a bordo, ma lei era impossibilitata a muoversi. Sciocchezze. Si stava prendendo in giro con una serie di pericolose sciocchezze. In ogni caso, lo colpì profondamente il fatto che crescere due corpi accettabili per lui e per Jenny non fosse la difficoltà maggiore da affrontare. Forse trovare una spiegazione che lo liberasse da ogni colpa era un compito ben più difficile. Solo un marito che aveva assolutamente bisogno di essere convinto avrebbe creduto alle storie che Nick poteva raccontare per giustificare certe cose: ma quel marito non era certamente Dirac. Naturalmente lui, Nicholas, poteva sempre cercare di raccontare al vecchio boss, come di recente aveva cominciato a chiamare Dirac nei suoi pensieri, la pura e semplice verità: Jenny era presente fin dall'inizio sull'ammiraglia della flotta presidenziale ma solo sotto forma di fantasma elettronico, di doppelgänger, forza vitale risucchiata da carne morente. Risucchiata da Nick Hawksmoor, che aveva agito all'insaputa e senza l'autorizzazione del suo creatore e padrone che guarda caso era anche il marito della signora e il presidente di quel sistema, e al quale presidente e marito la signora non era più interessata. Pensò queste parole e si disse ironicamente che doveva tenerle in Fred Saberhagen
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memoria per il giorno del suo suicidio, il giorno in cui avesse deciso di sparire pulitamente dalla scena. Perché pronunciarle significava farsi cancellare di sicuro, come era normale per ogni programma difettoso. E il pensiero di venir cancellato, dimenticato, risultò per la prima volta nella sua vita profondamente sconvolgente. Perché adesso aveva un motivo per continuare a vivere e a lottare. Per un po' di tempo dopo l'abbordaggio della biostazione, durante l'intervallo in cui le comunicazioni tra l'astronave e la stazione erano interrotte, Nick aveva provato una gioia segreta e colpevole al pensiero che Dirac e i suoi compagni in carne e ossa potessero cadere sotto il fuoco del berserker, persi per sempre nei rovesci della guerra. Un problema affatto secondario di quella piega degli eventi era che, se mai si fosse verificata, lui e Jenny si sarebbero trovati a dover affrontare da soli un gigantesco berserker sicuramente attivo, a contendergli il controllo della biostazione circuito dopo circuito. E visto che si consideravano membri a tutti gli effetti della razza umana, non potevano ovviamente celebrare in alcun modo una vittoria berserker. Ancora e ancora Nick assaporò fortemente sollevato i suoi pensieri, i suoi comportamenti al momento del salvataggio. La sua vita era cominciata solo allora, in un certo qual modo. Per proiettarsi nel relitto del cargo aveva assunto il controllo di una tuta spaziale semirobotizzata, un modello progettato per venir indossato o controllato a distanza da un uomo in carne e ossa. E al momento del salvataggio lei lo aveva visto in forma umana, a tutti gli effetti un uomo con una tuta spaziale, mentre penetrava nella piccola astronave condannata prestando ogni attenzione a non danneggiarne i filtri e le chiusure stagne per preservare la riserva d'aria nella piccola sala comune. E vedendolo, lei era balzata in piedi dalla sua poltrona antiaccelerazione pensando di esser salva e lo aveva baciato, sì, baciato sulla visiera del casco, non vedendo o non curandosi del vuoto che vi era dietro ma solo felice per la sua apparizione. "Jenny mi ha baciato al primo incontro." E poi, un attimo più tardi, la seconda esplosione. Finalmente, più di un anno dopo l'attacco berserker su Imatra, Nick riuscì a convincere Jenny a compiere la scelta finale. Fred Saberhagen
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Dopodiché, non appena fu possibile attivò la modalità "tuta spaziale" e trasportò manualmente i due contenitori prescelti alle incubatrici controllate da Freya2. Molti dubbi lo tormentavano, tra cui il timore non secondario che Freya2, nonostante il rimodellamento dei suoi programmi, potesse rifiutarsi di aiutarlo. Qualsiasi sistema abbastanza complesso da risultare utile a simili, altissimi livelli di comportamento intellettuale tendeva a sviluppare una forte e in un certo senso monomaniacale intelligenza autonoma, e Nick comprese che non avrebbe mai potuto esser certo in anticipo di aver costretto quell'intelligenza al totale silenzio. Si preoccupò anche della possibilità che Loki, o Dirac in persona, avessero scoperto l'esistenza di Freya2 per poi interrogarla. Per quanto ne sapeva, i sistemi esperti raramente fornivano informazioni di propria spontanea volontà; tuttavia, visti i loro scopi, rispondevano a qualsiasi domanda se veniva posta debitamente, a meno che il progetto per cui lavoravano non fosse coperto da segreto. Ma quando arrivò alle incubatrici, Freya2 obbedì agli ordini di Nick senza fare domande, praticamente senza esitazioni. Presto la coppia di zigoti solariani ricominciò a crescere sotto le attente cure di Freya2 avviandosi a divenire due feti. Grazie alle procedure di sviluppo accelerato, in soli pochi mesi sarebbero stati estratti dalle incubatrici per cominciare un lungo periodo di maturazione nella nursery. A quel punto nuove soluzioni dovevano venir trovare per favorirne la crescita, e Nick aveva già un paio di idee che attendevano solo di venir messe in pratica. I due cervelli prenatali prendevano intanto forma sotto le sollecitazioni di una serie di microtraumi precisamente inflitti, a cui si alternavano periodi di guarigione nei quali le cellule delle due masse cerebrali venivano irrorate, rispettivamente, con alcuni aspetti delle personalità di Jenny e Nick tratte da registrazioni parziali. Così facendo, nessun aspetto della personalità originale dei due feti avrebbe mai potuto svilupparsi, almeno in teoria. In ogni caso si trattava di una procedura difficile e delicata, completamente sperimentale. Le cose potevano andare storte in molti, molti modi.
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14 Quasi tre secoli erano ormai trascorsi dalla scomparsa di Dirac e della sua squadriglia, tre secoli nei quali il sistema di Imatra rimase essenzialmente stabile e pacifico mentre nuove generazioni si avvicendarono al potere. Un rafforzamento delle difese venne promesso con frenetica urgenza già poche settimane dopo l'attacco e presto si diede inizio ai lavori con grandiose intenzioni. Ma pochi mesi più tardi, per ragioni economiche, l'esecuzione dei vari progetti rallentò per poi fermarsi. E così tre secoli dopo solo una minima parte delle nuove difese era terminata, mentre la consegna del resto venne prorogata all'infinito. Intanto dopo neppure un mese dalla partenza di Dirac cominciarono a circolare strane voci che accusavano lo scomparso premier di aver messo in piedi quella che venne definita senza mezzi termini una messinscena, anche se i cultori di queste voci fornivano ragioni quantomai nebbiose per spiegare i motivi della presunta frode alla collettività. Ovviamente la situazione politica risentì parecchio della scomparsa di Dirac. Passarono gli anni, poi i decenni e i secoli ma nulla si udì più di lui e degli altri che avevano inseguito il grande berserker. Questo comunque non significò affatto la fine delle voci: anzi. E poi, quasi trecento anni dopo la scomparsa di Dirac e delle sue astronavi le voci occasionali dovettero lasciar spazio ai fatti, alla concreta violenza di un autentico bagno di sangue. I berserker, e stavolta fu un'intera flotta, attaccarono Imatra con tutta la loro micidiale determinazione. E stavolta l'attacco non fu certo del tipo "mordi e fuggi": le macchine di morte agirono esattamente come ci si aspettava da loro, uccidendo tutti e procedendo poi a una scientifica sterilizzazione dell'intero planetoide. Perché, si chiesero i moderni abitanti dello sfortunato corpo celeste prima di morire come topi nel profondo dei loro rifugi, perché le difese di terra non erano state adeguatamente rinforzate? E perché loro stessi avevano continuato tranquillamente a vivere su quella dannata roccia nello spazio nonostante l'attacco di tre secoli prima? Molti di coloro tanto sfortunati da trovarsi su Imatra in quel momento non ebbero neppure il tempo di dedicarsi a simili speculazioni. Altri non poterono interessarsene. E presto la morte allungò le sue mani metalliche verso l'ultimo uomo ancora in vita sul pianeta: in poco tempo le grandi Fred Saberhagen
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pinze, i possenti tentacoli impietosi come altrettanti macigni si sarebbero chiusi sul suo corpo strappandone arto dopo arto, tuta spaziale e tutto il resto in un'apoteosi della morte irragionevole e cruenta. L'inevitabile estinzione prendeva le forme di uno storpio insetto metallico alto una volta e mezza un uomo. Con quel disgraziato aspetto dava la caccia all'ultimo superstite attraverso un panorama devastato, inseguendolo come un cane da caccia attraverso le violente folate di polvere che battevano le strade, i canali, i laghi e i grandi parchi, aspettandolo con meccanica pazienza sulle sue quattro zampe metalliche del tutto insensibile alle due che penzolavano inutili e contorte. Le due zampe danneggiate avevano subito l'impatto di un grosso proiettile prima del completo annientamento delle difese imatrane, e ora intralciavano ogni passo della cosa dannata rallentandolo al punto di impedirgli di raggiungere un uomo agile e abbastanza freddo da mantenere la calma in quel momento. Per una mezza eternità in termini umani, ma poco più di un quarto d'ora secondo il correre impersonale degli orologi, da quando cioè l'ultima, inutile fortificazione era crollata sotto gli attacchi uccidendo le persone che avrebbe dovuto proteggere, l'uomo era sfuggito correndo alla morte, annaspando nelle acque basse degli stagni e dei decorativi laghetti, inciampando e cadendo per rimettersi subito affannosamente in piedi. Ondate di terrore, ognuna più intensa della precedente, minacciavano di mandare in frantumi l'ultimo, residuo controllo che riusciva a esercitare sui suoi nervi, poiché ogni ondata sembrava a tutti gli effetti l'ultima possibile propaggine del nero terrore, della cieca paura. I muscoli esausti, privi ormai del loro combustibile chimico e pieni solo dell'energia che la paura vi pompava, lo stavano per tradire. L'uomo in fuga faticava sempre più a coordinare i suoi balzi nell'evanescente gravità di Imatra. I suoi movimenti venivano impediti anche dall'impaccio poco familiare della pesante e lucente tuta spaziale mentre cercava affannosamente scampo in qualche recesso della tormentata superficie del piccolo pianeta. Nonostante la tuta spaziale rallentasse notevolmente la sua fuga, gli aveva anche salvato più volte la vita in quel singolo quarto d'ora opponendo una buona resistenza agli improvvisati proiettili, rocce e altri oggetti, scagliati con impietosa violenza dal suo inseguitore. Più di una volta era stato colpito e anche gettato a terra dall'estrema violenza Fred Saberhagen
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dell'impatto, ma fino a quel momento la tuta aveva resistito. Intorno al sopravvissuto umano e al suo menomato inseguitore, che avanzava zoppicando a meno di cinquanta metri da lui, urlava il vento polveroso mentre ciò che rimaneva dell'atmosfera attentamente curata del pianetoide si disperdeva nello spazio sotto l'azione delle macchine berserker. Le rovine di maestosi palazzi emergevano di tanto in tanto dalle tempestose nubi di polvere quando il fuggiasco vi passava abbastanza vicino, per sparire di nuovo nelle fosche volute pochi metri più avanti. Da lunghi minuti la radio incorporata nella tuta non emetteva altro che scariche statiche. L'ultima voce umana che esortava la popolazione alla calma taceva ormai da mezz'ora. Il ritmo esausto del suo affannoso respiro era l'unico altro suono che le sue orecchie udivano. Solo una singola macchina di morte, e una delle più piccole, aveva tralasciato i suoi compiti per mettersi all'inseguimento di quell'ultimo sopravvissuto. Non riusciva a capire come mai quella cosa maledetta avesse deciso di concentrare tutta la sua attenzione su di lui, ma sembrava chiaro che non aveva intenzione di farsi distrarre. E se non fosse stata danneggiata nei combattimenti che avevano preceduto l'assalto finale perdendo l'uso di due zampe e di qualsiasi arma possedeva, l'uomo sarebbe morto già da tempo. Tuttavia non riusciva a seminarla, e l'inseguimento continuava senza tregua. La struttura del metallico insetto appariva sottile per la sua altezza; il suo colore ricordava il sangue rappreso. Usando con estrema parsimonia la riserva di energia che ancora gli restava, poggiando a terra con metodicità una zampa dopo l'altra, il berserker avanzava sicuro di riuscire a eliminare l'unità vivente in breve tempo senza correre alcun rischio. Come poteva fermarlo un uomo disarmato, esausto e impacciato dalla tuta spaziale? E in ogni caso, la prospettiva della propria distruzione non preoccupava un berserker più di quanto preoccupasse un tavolo o una sedia. Una svolta bizzarra del tortuoso sentiero del destino aveva consentito a quell'uomo di indossare la tuta spaziale quando più ne aveva bisogno, impedendogli però al contempo di mettere le mani su qualsiasi arma efficace. Correndo e saltando, la sua riserva di fortuna personale quasi certamente esaurita, l'uomo inciampò e cadde, rotolando giù da una scarpata nella goffa tuta spaziale e finendo lungo e disteso con il volto rivolto verso il Fred Saberhagen
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cielo. Mentre cercava faticosamente di rialzarsi, qualche parte della sua mente curiosamente libera dal panico notò che sopra di lui il cielo artificialmente blu di Imatra cominciava velocemente a sfumare, lasciando spazio ad ampi squarci neri entro cui brillavano le stelle. All'orizzonte, i lampi di luce generati dalle armi berserker ancora si accendevano numerosi, spazzando via le ultime installazioni di terra e gli ultimi satelliti in cielo. Ma lui non era ancora morto. Impacciato a sua volta dalle due zampe rotte, il suo inseguitore non lo aveva raggiunto. Lottando disperatamente per rimettersi in piedi, per riprendere abbastanza fiato da fuggire nuovamente, percepì vagamente attraverso l'elmetto il terribile urlo del vento sommarsi al proprio affannoso respiro, al battito frenetico del proprio cuore. Ancora una volta cercò disperatamente di chiamare aiuto via radio. Nessuna risposta, come del resto si aspettava. Gli sembrava ormai che quella fuga durasse da tutta una vita, la sua vita. Ma per un istante l'invincibile speranza sorse di nuovo, poiché aveva momentaneamente perso di vista il suo inseguitore. Cercando nuovamente di localizzarlo, lottando con l'agonia della speranza, si guardò attentamente attorno. A media distanza, non più di qualche chilometro sulla superficie vagamente ricurva del planetoide, poté vedere attraverso la ribollente cortina di polvere generata dal vento impetuoso alcune installazioni umane sottoposte a un fatale bombardamento dal cielo. Molto più vicino sorgevano i resti di un ampio edificio: marmoree colonne, lastre di materiali esotici ancora rilucenti di luce e di colori: uno dei superbi templi del divertimento umano ridotto ormai a un ammasso di macerie. E un attimo più tardi, ovviamente senza alcun preavviso, il berserker fu su di lui. Il miracoloso attimo di respiro che pensava di aver guadagnato si rivelò un ultimo, spietato inganno. Non più di dieci minuti prima, quell'uomo aveva visto un suo simile massacrato da quello stesso berserker. Era accaduto durante l'inseguimento, quando l'uomo sbucò improvvisamente da dietro un angolo: muovendosi rapido e preciso come solo un automa può muoversi, il berserker gli schiacciò l'elmetto per poi staccargli la testa dal collo e proiettarla lontano. In quell'istante, mentre l'uomo moriva, giunse alle Fred Saberhagen
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orecchie del fuggiasco l'urlo della voce umana e poi il sibilo del fiato, della vita e dell'aria che abbandonavano per sempre la tuta metallica che li racchiudeva. Ma quanto successo agli altri parve irrilevante in quel momento all'ultimo essere organico ancora in vita sulla superficie di Imatra. Lui stesso si sentiva ridotto in un tale stato di prostrazione fisica e mentale da sembrargli impossibile mantenere il controllo del corpo e della mente. Le fasi precedenti di quella condizione gli erano ormai note: ma quella volta si rese subito conto di non avere più vie di scampo. La sua miserabile fuga era terminata. Con chiarezza e lucidità inaspettate percepì le fattezze dell'automa incaricato di porre termine alla sua esistenza. Scheletrica e metallica, la Morte si avvicinò senza affrettarsi e senza tardare. La Morte non perdeva mai tempo, anche se aveva tutto il tempo dell'universo per portare a termine il suo compito. ...E giunse infine un attimo senza tempo e orribile più di quanto il fuggiasco, pur convinto di aver visto e vissuto ogni evento e ogni emozione, avesse mai ritenuto possibile. Quando questo momento arrivò, il berserker si trovava abbastanza vicino da consentirgli di guardare dritto nelle sue lenti come se fossero occhi. L'uomo condannato s,i rialzò in piedi con un ultimo e possente sforzo, cadde, si rialzò nuovamente; aveva deciso di accettare apertamente il confronto con la morte. Meglio una fine onorevole piuttosto che sentire il suo esecutore afferrarlo alle spalle e spacciarlo definitivamente da dietro. Alzò fieramente lo sguardo, osservando negli occhi la morte che avanzava. Sapeva che il berserker stava facendo altrettanto con lui. Perché si sentiva toccato tanto profondamente adesso, in quel momento in cui nulla al mondo avrebbe dovuto importargli e soprattutto il fatto che quelle grandi lenti altro non erano che vetri a specchio? E perché lo colpiva tanto il riflesso della visiera del suo elmetto in quelle lenti maledette? Forse perché dietro quella visiera, dentro quella tuta... non c'era più lui. Un toccante scambio di anime, un evento mai sentito. Come se percependo fin nel profondo la fine ormai prossima della sua vita lui avesse potuto trasformarsi nella morte per un attimo, e la nera signora Fred Saberhagen
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fosse diventata lui con tutta la sua angoscia e la sua paura. E poi, proprio in quel momento di trionfo, mentre la macchina eseguiva qualche misterioso calcolo registrando la prossima e sicura fine dell'unità vivente, proprio in quel momento le quattro zampe ancora funzionanti smisero di avanzare. Un altro attimo ancora e la minaccia svanì improvvisamente come si era palesata: il mostro metallico arretrò, non più interessato alla sua tremante vittima. Gli voltò le spalle e tornò indietro lungo la strada da cui era venuto, ritirandosi più velocemente di quanto l'avesse inseguito. Tuttavia l'uomo, i cui polmoni continuavano miracolosamente a respirare, non riuscì a muovere un solo muscolo. Poté solo guardare sbalordito il nemico vincente che si dava alla fuga. Presto la forma metallica sfumò nella nebbia polverosa, dapprima vagamente per poi svanire del tutto. Qualche attimo più tardi di lui non rimase alcuna traccia. No, qualche traccia rimaneva ancora. Per alcuni secondi i microfoni esterni della tuta corazzata continuarono a far rimbombare nel suo elmetto il metallico vibrare delle due zampe rotte e penzolanti che cozzavano contro quelle che ancora funzionavano, un ritmico suono che svanì più lentamente di quanto non avvenne alla minacciosa figura dell'automa alieno. L'uomo ascoltò immobile, non volendo, non potendo alzare nuovamente gli occhi o rialzarsi faticosamente in piedi. Con una parte della sua mente ricordava, vagamente ma con grande convinzione interiore, di aver elevato qualche sorta di supplica: la sua offerta doveva esser stata accettata da qualcuno. Certo, neanche una parola era uscita dalle sue labbra, ma questo non faceva alcuna differenza. L'orrore lo aveva abbandonato perché sapeva di essersi insinuato tanto profondamente in lui da prendere possesso della sua anima. Solo grazie ai poteri di un patto satanico si ritrovava ancora in vita. Ma in qualche modo, nei termini e nei dettagli, il patto doveva ancora venir negoziato, assumere la sua forma finale. Presto o tardi sarebbe successo, e lui non poteva far nulla per evitarlo. Sopravviveva, certo, ma in un mondo a lui estraneo. Ogni volta che chiudeva gli occhi si rivedeva davanti quelle lenti riflettenti e quelle grandi pinze metalliche levate minacciosamente verso di lui. Dopo circa tre ore dall'attacco berserker, l'ultimo superstite di Imatra Fred Saberhagen
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venne localizzato in quello stesso punto da una delle squadre di soccorso scese dalla flotta di astronavi giunta sul pianeta in fretta e furia. I soccorritori umani, pesantemente armati e corazzati, comparvero all'improvviso a bordo delle loro veloci e affidabili piattaforme volanti. Le giunture della tuta erano danneggiate e impedivano all'uomo di muoversi: i sensori umani riuscirono a rintracciarlo nella nicchia in cui si era nascosto solo grazie al continuo, incontrollato tremore che scuoteva il suo corpo.
15 Nelle ore immediatamente successive a quell'evento apparentemente miracoloso, il superstite venne attentamente esaminato e curato in un ospedale da campo frettolosamente eretto in una delle aree meno danneggiate del planetoide. In quell'ospedale, l'uomo si rese presto conto di una cosa per lui di grande importanza: era il solo paziente. Un certo numero di persone lo interrogò riguardo la sua fortuna. Lui si sforzò di rispondere come meglio poteva, di descrivere la fuga e l'attimo in cui aveva guardato la morte in volto. Mentì solo sul modo in cui si era procurato la tuta spaziale a cui doveva la vita: per il resto cercò di raccontare tutta la verità, o perlomeno la verità che ricordava. Evitò comunque di descrivere ciò che era accaduto nella sua mente in quell'attimo di agghiacciante confronto col berserker. Non disse nulla del riflesso nelle sue lenti o della netta sensazione provata in quel momento di aver trovato un accordo col nemico. Giaceva in un piccolo letto d'ospedale sotto una cupola di plastica grande quanto una stanza, spostando il proprio peso da una parte all'altra ogniqualvolta un brusco comando del medirobot glielo ordinava. Per passare il tempo ascoltò le voci degli operai e degli ingegneri incaricati di ricreare l'atmosfera del pianeta, poi gli ordini dati con sicura autorità da qualcuno che aveva il vizio di passeggiare avanti e indietro in una stanza attigua alla sua, e infine si domandò a lungo se valeva la pena di alzarsi per rubare un bisturi incautamente dimenticato sul tavolo nella sua cupola di plastica. Alla fine decise di lasciar perdere. Ma soprattutto rifletteva con profondo timore sulle implicazioni di quanto avvenuto. Delle molte migliaia di persone che popolavano Imatra il giorno prima, lui era adesso l'unico sopravvissuto. Perché? Fred Saberhagen
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Continuava a porsi quella domanda ben sapendo che spesso accadeva di trovare dei superstiti se i berserker venivano interrotti nel bel mezzo di un attacco: ma quello non era il suo caso. Nulla viveva più su Imatra, non un animale, non una pianta, non un microbo. Le macchine di morte avevano avuto tempo a sufficienza per portare a termine la loro opera. E allora, perché lui viveva? Nell'intimità dei suoi pensieri, la particolarità della sua posizione e tutte le domande che questa generava lampeggiavano con la violenta luce rossa di un allarme. Gli ci volle un po' prima di capire che in effetti si trattava solo di varianti della stessa domanda: qual era la vera natura del contatto, della silente transazione che aveva avuto luogo tra lui e il berserker? Qualcosa di vero e di concreto doveva pur essere successo se poteva ancora porsi questa domanda. Cosa aveva mai trovato quel berserker in lui, nel suo volto contratto, nel suo affannoso respiro per concedergli il privilegio tutto particolare di continuare a vivere? E fu allora che un nuovo pensiero s'insinuò nella sua mente, un pensiero assurdamente attraente che conteneva, come tutti i pensieri attraenti, un vago ma concreto pericolo. Subito l'uomo, che era più vecchio di quanto sembrasse e d'aspetto molto attraente, cominciò a ridere. Riuscì solo in parte a tenere quella risata dentro di sé come da tempo aveva imparato a fare. Inutile spingere i suoi infermieri a chiedergli cosa ci fosse mai da ridere. Ma quella situazione era tanto divertente che stentò a trattenersi. Si chiese se i mostri metallici che da millenni terrorizzavano l'umanità obbedissero a modo loro a qualche codice d'onore. Poteva anche darsi, per quanto ne sapeva. Da tempo ormai esisteva un termine, un nome con numerose varianti e traduzioni che indicava chi cooperava con i berserker. Il suo uso era molto antico, e i berserker stessi avevano iniziato a usarlo prendendolo pari pari dal linguaggio umano. Ma loro non lo consideravano certo l'insulto peggiore con cui bollare qualcuno, come invece avveniva a tutti i livelli di qualsiasi società umana. Traditore. Quella era la parola sporca. Così venivano chiamati coloro che commettevano il peggiore dei crimini. Uno dei pochi crimini, pensò l'uomo, di cui non era mai stato accusato. Almeno, non ancora. La risata terminò bruscamente com'era iniziata, e l'uomo scosse la testa Fred Saberhagen
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meravigliandosi dentro di sé. Possibile che quel berserker, o meglio l'intelligenza unica che lo guidava dall'astronave-madre, sapesse qualcosa della sua vita passata? E su quali basi aveva deciso di fidarsi di lui e farne un suo alleato? E più concretamente, se le cose stavano così cosa doveva fare per sdebitarsi? Mai in tutta la sua vita aveva visto un berserker da vicino, e mai avrebbe voluto vederlo. E allora come potevano conoscerlo quelle macchine assassine sbucate improvvisamente dallo spazio profondo per fare piazza pulita di quella miserabile roccia su cui lui non doveva trovarsi? Domande senza risposta il cui solo scopo era generare nuove domande. Lui era l'unico sopravvissuto allo sterminio: solo di questo poteva esser certo. Il giorno dopo il suo ricovero in ospedale, quando ormai stava per venir dimesso, l'uomo cadde con sua somma sorpresa in una sorta di shock ritardato. I dottori parlarono subito di una reazione fisica normale. Il paziente però non la considerò affatto tale. Naturalmente il supporto medico fu immediatamente disponibile, e un'efficace terapia intensiva smorzò in breve tempo gli effetti peggiori dello shock. Tuttavia anche la medicina aveva dei limiti e una completa guarigione da quel penoso stato non poteva certo venir conseguita con macchine e medicinali, o almeno questa fu l'opinione dei dottori. Uno di loro chiese ad alta voce se la cartella clinica del paziente era disponibile, ma poi venne fuori che le perturbazioni magnetiche ancora presenti attorno a Imatra rendevano impossibile richiederla nei diversi archivi in cui si trovava, tutti siti su pianeti abbastanza lontani da quel periferico sistema solare. La mattina del terzo giorno, avendo finalmente ottenuto dai dottori il permesso di uscire dall'ospedale, il superstite si ritrovò a contemplare la superficie di un pianeta che stava lentamente tornando a una condizione di normale abitabilità. Alle sue spalle alcuni robot operai avevano iniziato a smontare la temporanea struttura che lo aveva ospitato, mentre davanti a lui si estendeva un panorama tanto devastato e bruciato che attraversarlo con un mezzo di terra avrebbe richiesto diversi giorni. Ma il ciclo di rotazione del planetoide, completamente alterato dal violento attacco berserker, stava di nuovo assestandosi sulle ventiquattro ore standard. Con Fred Saberhagen
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qualche sorpresa notò delle piante ornamentali e degli arbusti ancora verdi, nonostante le molte ore trascorse senza ossigeno. Ammirato, si fermò a guardarle. La tuta spaziale non serviva più, perché i valori di pressione e di radioattività andavano rapidamente normalizzandosi. Gli operai che lavoravano all'esterno, le sole figure umane in vista oltre a lui, lavoravano con nulla più che dei piccoli respiratori. Inaspettatamente, come spinto da una molla interiore, si ritrovò a dirigersi verso il luogo, l'edificio, dove si era procurato la provvidenziale tuta corazzata. Certamente un simile irragionevole istinto poteva risultare pericoloso, ma stavolta decise di seguirlo. Avvicinandosi a quel luogo, il suo passo rallentò per poi fermarsi. In silenzio elevò un ringraziamento al fato, alla fortuna, quell'onnipresente mostro senza volto che decideva le sorti del mondo dall'alto del suo scranno. Almeno quella volta non lo aveva abbandonato. L'edificio era ridotto a un guscio vuoto, a una sorta di deforme bastione di una serie ben più imponente di rovine che si estendevano per chilometri e chilometri: lo spazioporto più grande di Imatra. Abbandonare immediatamente quel luogo sarebbe stata cosa saggia, ma sul momento provava una sorta di ardente invulnerabilità. Era ancora là, intento a contemplare le fumose rovine, quando il suono di passi conosciuti lo distrasse dai suoi pensieri. Istintivamente comprese che si trattava di una sola persona. Si voltò e si ritrovò a guardare una giovane donna vestita con stile dirigenziale. L'unica pecca in lei era il respiratore che portava. — Mi scusi, è lei Christopher Havot? — gli chiese con voce soffice e in qualche modo invitante. — Mi hanno detto il suo nome all'ospedale. — Esatto — replicò lui. Il nome che aveva dato ai soccorritori non era quello che utilizzava comunemente in giro, ma riteneva di aver diritto a qualche piccola menzogna come chiunque altro. La statura non molto alta della sua interlocutrice corrispondeva grossomodo alla sua. Era una donna bionda dalle spalle robuste, le gambe snelle e affusolate e l'aspetto grazioso; parlava con tono distaccato e alquanto diretto, molto formale. E difatti la prima cosa che fece fu presentarsi come Rebecca Thanarat, agente speciale dell'Ufficio Umanità. Havot la guardò innocentemente perplesso. — Ma questo non è il pianeta su cui risiedo... insomma, le confesso che non ho idea di cosa sia l'Ufficio Umanità. Immagino però si tratti di qualche agenzia governativa. Fred Saberhagen
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Lei annuì con tolleranza. — Infatti. Il sistema di Imatra è solo uno dei quattro sistemi solari che ricadono sotto la nostra giurisdizione. — Capisco — fu la sua replica. Intanto la sua mente lavorava frenetica. Aveva visto giusto: poteva sentire a un chilometro di distanza il passo della legge avvicinarsi a lui. Solo, che razza di legge la sua interlocutrice voleva applicare? Nulla di cui preoccuparsi in ogni caso, si disse, altrimenti quel fantomatico Ufficio Umanità non avrebbe certo inviato una ragazzina a riprenderlo. Ma, ovviamente, la ragazzina aveva il suo modo di vedere le cose. — Allora le informazioni in nostro possesso sono corrette: lei non è un nativo di Imatra — gli chiese. — No, mi trovavo qui solo per caso. Questo era lo spazioporto, vero? — domandò, voltandosi e indicando l'ammasso di rovine davanti a loro. In verità sapeva benissimo dove si trovava: a soli pochi metri da lui c'era la cella di transito in cui era stato rinchiuso. Ma al suono dell'allarme una delle guardie, quella meno idiota su molte cose, aveva cominciato a discutere con le altre sulla possibilità di liberare il prigioniero, la cui vita dipendeva completamente da coloro che lo avevano in custodia, e di dargli una tuta corazzata. Era sicuro dargliela, affermò, perché i comandi motori potevano venir disattivati eliminando ogni pericolo di fuga. Alla fine decisero di agire proprio così. Chris sorrise dentro di sé, vagamente fiero di quel ricordo. Intanto la giovane agente Thanarat gli parlava con voce cristallina e attraente cercando di iniziare una conversazione. Quello era il modo in cui mettevano il sospettato a suo agio. Più che probabile che le fossero state insegnate determinate regole generali, come per esempio di iniziare qualsiasi interrogatorio con toni amichevoli. Ma in effetti la ragazza sembrava davvero giovane, incapace quindi di evitare che la sua confidenza sembrasse spontanea e genuina. In ogni caso la giovane donna sembrava decisa ad assolvere per intero il compito affidatole; di questo si poteva star certi. Dopo qualche ulteriore scambio di battute, Rebecca spostò goffamente il discorso sulla brusca ritirata dei berserker. Lui come lo spiegava? Fino a quel momento Havot non aveva mai considerato quell'aspetto più ampio dell'intera faccenda. In qualche modo aveva dato per scontato, senza mai davvero pensarci, che dopo la completa distruzione di quel pianeta il nemico si fosse spostato per attaccare obiettivi più grandi come i pianeti Fred Saberhagen
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densamente popolati all'interno del sistema. E dato che nessuno pareva piangnucolare per altri massacri aveva semplicemente pensato che la flotta berserker fosse stata sconfitta al secondo attacco. Tutto qui. Quando rispose così, evitando naturalmente i toni ironici, la sua giovane interlocutrice gli rispose freddamente che le cose erano andate in modo molto diverso. — Non appena concluso l'attacco a questo pianeta, i berserker si sono velocemente ritirati dall'intero sistema. I pianeti più interni non hanno corso il minimo pericolo — spiegò l'agente Thanarat, osservando attentamente le sue reazioni. Havot la guardò perplesso. — Allora avranno scoperto che una flotta armata stava già puntando su di loro. — Forse. Ma questo non significa molto, non crede? Nessuno è mai riuscito a spaventare un berserker: la paura non fa parte dei loro programmi — replicò Rebecca, rivelando una scorza più dura di quanto Chris avesse pensato. Lui volse le spalle alle rovine dello spazioporto e cominciò a camminare piano, quasi senza meta, poggiando gli stivali tra le grigie macerie che spiccavano sul suolo polveroso in leggero movimento sotto la spinta del nuovo vento. L'agente Thanarat lo affiancò camminando con le mani giunte dietro la schiena. Dopo qualche passo, Havot disse: — Ma qualche volta si saranno pur ritirati! Per esempio, supponiamo che scoprano con il dovuto anticipo che una flotta di molto superiore si stia avvicinando per distruggerli: immagino si ritirerebbero come farebbe chiunque. Certo, loro lo faranno per tornare ad attaccare, per compiere un nuovo massacro non appena possibile; tuttavia... L'agente speciale annuì. — Certo, a volte anche loro si ritirano per ragioni tattiche, ma la flotta che si stava avvicinando era tutt'altro che possente. Lei mi dirà che forse anche loro sbagliano, che ci hanno attribuito qualche decina di astronavi in più... ma questo non spiega perché hanno agito come se fossero in preda al panico, non le pare? — Sì. Hanno agito in modo davvero strano — ammise Havot, meravigliandosi per il tono di quella domanda. La giovane donna aveva usato il tono di chi chiude un dibattito con qualche schiacciante verità. Rebecca annuì con evidente soddisfazione, come se avesse strappato qualche concessione a un avversario. Poi continuò. — La vera domanda, e Fred Saberhagen
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mi scusi la crudezza, è: perché non si sono fermati due secondi in più per uccidere anche lei? Se la storia che ha raccontato ai medici è giusta, pochi secondi sarebbero davvero bastati. — Spero non le dispiaccia vedermi ancora in giro — fu l'immediata replica, a cui fece seguito un sorriso ironico. Ma il sorriso non durò più di un istante: aveva deciso di conferire a Chistopher Havot una personalità riservata e in qualche modo timida. — Oh, no! Non mi fraintenda. Io... — balbettò l'agente speciale, rivolgendogli l'occhiata più personale da quando l'aveva incontrato. Poi (ma era un vago, timido rossore quello che per un attimo sembrò accenderle le guance?) alzò gli occhi verso il cielo azzurro. — Presto dovremmo avere qualche notizia in più su quanto accaduto durante l'attacco. Un paio di astronavi sta compiendo ricerche sulle luci relative. — Le luci relative? Mi scusi, ma di nuovo non capisco. Rebecca Thanarat rispose compiendo una serie di brevi e ondeggianti movimenti con le mani che volevano imitare il moto di due astronavi nello spazio. — Un paio di nostre astronavi sono balzate nell'iperspazio allontanandosi dal sole in diverse direzioni per raggiungere la luce solare riflessa dal pianeta durante le ore dell'attacco. È molto rischioso muoversi a velocità C-più tanto vicino a una stella e al suo pozzo gravitazionale, e quasi mai viene ordinato se non per serie ragioni. Quando le astronavi avranno raggiunto la distanza giusta, che equivale in genere a un paio di giorni-luce, potranno fermarsi e osservare le varie fasi dell'attacco. Se tutto va bene e la distanza è corretta al millesimo, saranno in grado di filmare ogni cosa come se stesse accadendo in quel momento. Con un'espressione soddisfatta che tradì una certa fierezza per le proprie conoscenze tecniche, Rebecca osservò ancora una volta le reazioni di Havot. Di nuovo il fortunato sopravvissuto annuì. Dentro di sé decise di mostrarsi ammirato per le abilità esplicatone dell'investigatrice, ma in realtà aveva già sentito parlare di quella procedura all'ospedale, sotto un nome diverso. L'agente Thanarat sembrò comunque considerarla di notevole importanza. Nel bel mezzo di quella sorridente discussione, Havot pensò qualcosa che aumentò di colpo il livello di adrenalina nel suo sangue, seppur per un breve istante. Durante l'attacco aveva sempre tenuto accesa la radio per Fred Saberhagen
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comunicare con altri fuggiaschi e con le postazioni di difesa civile. Più che probabile quindi che la radio fosse accesa anche durante i lunghi e terribili minuti dell'inseguimento del berserker. Ora, quelle dannate astronavi potevano forse captare anche la sua voce tra i mille rumori di quel ribollente inferno? In effetti gli sembrava di non aver proferito parola, ma non ne era certo. Poteva aver anche parlato quando si era trovato la morte di fronte. "Ma sicuramente quelle astronavi là fuori a giorni-luce di distanza non riusciranno mai a registrare ciò che un singolo uomo ha mormorato nel suo elmetto mentre un terribile attacco devastava il pianeta" pensò speranzoso. Guardandolo fisso in volto, la sua interlocutrice insistette: — È proprio sicuro di non avere la minima idea sul perché si sono ritirati tanto velocemente? — Io? No. Come potrei? E poi, perché lo chiede proprio a me? — replicò Havot onestamente perplesso, cominciando a sentirsi un'altra vittima innocente dell'impietosita burocratica. Sembrare oltraggiato non costituiva alcun problema per le sue doti di commediante, anche perché era onestamente oltraggioso che questi piedidolci dell'Ufficio Umanità (qualunque cosa facessero al mondo) avessero deciso di torchiarlo solo perché era l'unico sopravvissuto. Le sue ferite fisiche, non più che superficiali, erano ormai solo un ricordo. La sua respirazione era tornata stabile e le sue pulsazioni moderate e regolari; tuttavia soffriva ancora di un vago e persistente shock. Assorbito nei suoi pensieri nuovamente in subbuglio, Havot allungò il passo lasciando scegliere alla sua interlocutrice se seguirlo o meno. Lei decise imperterrita di continuare ad affiancarlo. — Dove sta andando, signor Havot? — domandò senza alcuna remora. — Dove mi pare. Oppure debbo renderle conto dei miei spostamenti? — No, per il momento no. Ma non vorrà farmi credere che ha dei motivi per sfuggire a queste poche domande? — Chieda pure ciò che vuole, se serve a dimostrarle che non ho nulla da nascondere. L'agente Rebecca Thamarat annuì. — Da dove viene? Havot rispose nominando un pianeta che conosceva abbastanza bene. Si trovava a molti anni-luce di distanza, cioè tanto lontano da rendere impossibile un controllo a breve termine. Fred Saberhagen
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— E cosa fa nella vita? — Affari, almeno quando ci riesco. Sono un rappresentante di articoli per l'educazione. L'agente speciale sembrò accettare quella risposta. Se Havot sentiva il bisogno di qualche rassicurazione la trovò in quel momento. Anche lei infatti non sembrava minimamente sospettare di star parlando a un uomo accusato di pesanti crimini, in transito su Imatra nel lungo viaggio che doveva riportarlo sul pianeta dove doveva scontare una lunga pena detentiva. Be', vista la totale distruzione di qualsiasi struttura umana sul planetoide e l'assenza di testimoni e documenti, quell'anonimato non risultava affatto sorprendente. In ogni caso, l'istinto gli suggeriva la massima prudenza. Appariva chiaro infatti che quegli investigatori si stavano seriamente chiedendo se lui era un traditore, oppure per qualche ragione cercavano di fargli credere che coltivavano quel sospetto. "Ma dove diavolo vogliono arrivare?" si chiese. — Signor Havot, mi ascolta? Le sto chiedendo cosa intende fare adesso. — Oh, mi scusi. Immagino lei intenda se voglio lasciare questo sistema al più presto. Le dirò, non ho ancora deciso. Tutto è stato così rapido... sono ancora sotto shock. Havot si stava chiedendo se doveva liberarsi della giovane agente oppure se era meglio cercare di saperne di più stabilendo qualche tipo di rapporto quando una persona molto diversa venne a cercarlo. Diversa perché invece di una donna giovane e graziosa si trattava di un impettito militare di mezza età; tuttavia l'obiettivo era identico, torchiarlo fino in fondo e vedere cosa usciva. Anche l'aria vagamente autoritaria era in fin dei conti perfettamente condivisa dai due. Il nuovo venuto avanzò con aria marziale nella sua lustra uniforme che gli conferiva un aspetto formidabile. Subito si presentò come un collaboratore del commodoro Prinsep, il comandante della flotta giunta in soccorso dello sfortunato pianeta con un'ora di ritardo e utile solo per salvare lui dalla miseria in cui si trovava. — Il commodoro vuole assolutamente vederla, giovanotto. Havot guardò Thanarat. Lei restò in silenzio, ma sembrò vagamente turbata al pensiero di farsi strappare il sospettato, supponendo che lui rientrasse in quella sgradita categoria. — Perché no? — fu la risposta di Havot all'impettito militare. — Al Fred Saberhagen
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momento non ho nulla di meglio da fare — aggiunse, rivolgendo un ampio sorriso alla giovane agente. Preferiva sempre avere a che fare con due autorità piuttosto che una sola, poiché si creavano situazioni in cui era facile mettere una contro l'altra. Tuttavia ebbe cura di seguire il nuovo venuto sbuffando e lamentandosi come qualunque normale cittadino che paga le tasse vessato dai soliti burocrati, sempre felici di gettare una croce addosso a qualcuno. E i suoi sospetti trovarono conferma non appena lui e l'impettito ufficiale salirono in macchina, naturalmente senza la graziosa agente Rebecca Thanarat. Quando il veicolo mosse verso una differente parte dello spazioporto, il militare sembrò disposto a dargli maggiore confidenza. — Sa qual è il suo problema, signor Havot? — disse con un mezzo sorriso. — Il fatto che è l'unico sopravvissuto. — Come sarebbe a dire? — Sarebbe a dire che non vi è nessun altro che l'agente Thanarat e i suoi superiori possano sospettare di tradimento. — Tradimento! — esclamò Havot, assumendo un'aria di allarmata sorpresa totalmente plausibile in un uomo ingiustamente accusato. — Intende dire che credono che io... Ma è ridicolo! E poi, quella ragazza sembrava così amichevole! L'ufficiale rispose lisciandosi i baffi ben tenuti. — E invece temo proprio che certa gente, per inciso la gente che l'Ufficio Umanità sceglie come propri agenti, abbia la tendenza a vedere traditori veri e potenziali da tutte le parti. — Ma sospettare me! No, non posso crederci. Tuttavia, spero che il commodoro... — Commodoro Prinsep. — Prinsep, esatto. Be', spero che il commodoro non la pensi come loro! — Non per principio, signor Havot — replicò l'ufficiale con tono rassicurante. — Immagino la voglia vedere per una sorta di relazione formale su come si sono svolte le varie fasi dell'attacco. Sa, lei è l'unico testimone su cui ormai possiamo contare. Qualche attimo più tardi il veicolo si fermò ai margini di una piccola area dello spazioporto decontaminata, sgombra dalle macerie e riaperta a tempo di record al traffico commerciale e militare. L'attività vi ferveva già abbastanza intensa da dare una falsa impressione di normalità. Nel Fred Saberhagen
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chilometro quadrato di territorio davanti a loro erano atterrate diverse astronavi pesantemente armate (o almeno questa fu l'impressione di Havot), che in quel momento giacevano acquattate al suolo come altrettanti palloni metallici vagamente deformi. Le loro dimensioni variavano parecchio: accanto alle astronavi più piccole ve n'erano alcune che Havot, invero poco esperto a riguardo, considerò enormi. I particolari della loro struttura risultavano sfocati dai campi di forza ancora attivi che le avvolgevano. Lui e l'ufficiale uscirono dalla macchina e presero tranquillamente a camminare verso una delle molte navette di collegamento sparse qua e là tra le astronavi. In quel momento, e Havot si confortò con quel pensiero, non esisteva la minima prova a sostegno di un'eventuale accusa di tradimento. Tutti i sospetti si basavano sul fatto che era sopravvissuto, ma questo non valeva certo come prova in tribunale! Pensandoci bene si sentì di escludere che una simile prova potesse mai esistere. In verità, la dannata macchina che gli aveva dato la caccia era danneggiata fin dall'inizio. Nonostante ciò aveva fatto di tutto per ucciderlo, e non vi era riuscita semplicemente perché qualche dio dei berserker aveva ordinato la ritirata con un attimo di anticipo. E comunque quegli infernali ammassi di latta e di circuiti massacravano anche i traditori, oltre ai bravi cittadini, quando non risultavano più utili ai loro scopi. Dentro di sé comunque provava un notevole subbuglio pensando a quel nome, a quell'insulto seriamente rivolto alla sua persona. Come tutti i solariani aveva sempre pensato ai traditori come a dei viscidi esseri anche se, naturalmente, non aveva mai avuto il disonore di conoscerne uno. E adesso, all'improvviso, si ritrovava a doversi difendere da quell'infamante accusa. Be', non era certamente la prima volta che si ritrovava in una nuova categoria del crimine. Per quanto riguardava quel momento finale, qualcosa era sicuramente successo prima che il berserker gli voltasse le spalle. Poteva negarlo anche a se stesso? No, non poteva. Ne aveva avuto la netta impressione sul momento, e continuava distintamente ad averla. In qualche modo aveva raggiunto un accordo con la macchina assassina. Oppure l'accordo era reciproco? Sul momento, Havot non riuscì a decidere se doveva prendere sul serio Fred Saberhagen
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quel ricordo, quell'impressione, oppure no. Si sentiva però quasi convinto che in quegli ultimi istanti nessuno aveva parlato, nessuno aveva proposto un accordo a chiare lettere. Bah. Non sapeva neppure chiaramente cosa era passato nella sua testa in quel momento: come poteva pretendere di capire le astruse ragioni di un berserker? Inutile cercare di prendersi in giro, comunque. Con uno sforzo cercò di vincere le ultime nebbie dello shock e di mettere a fuoco i suoi ricordi. Certamente l'automa doveva avere qualche ragione per comportarsi in modo tanto strano e lasciarlo vivere così. Nel mondo di Havot questo era facile da spiegare: evidentemente ai berserker lui faceva più comodo da vivo che da morto. Perché altrimenti nessuno di loro gli avrebbe voltato le spalle lasciandolo andare, non quando bastavano altri cinque secondi per spacciarlo per sempre. — Non si preoccupi così, signor Havot — disse la sua scorta, male interpretando le ragioni del suo cupo silenzio e alquanto disposta a offrire conforto. — Avere a che fare col vecchio commodoro non è poi tanto drammatico, almeno in genere. Salendo sullo shuttle con la sua scorta, Havot sospirò. Aveva il netto presentimento che il fato preparasse per lui tutta una serie di nuovi guai... come se la serie dei vecchi guai già non fosse più che sufficiente! Molti segni indicavano che il commodoro Prinsep attendeva con impazienza il momento di interrogarlo. Al piccolo shuttle che trasportava Havot e l'ufficiale incaricato di scortarlo venne concessa priorità assoluta attraverso lo spazio occupato dal resto della flotta. Salendo sempre più con la navetta, che procedeva con moto costante e regolare, Havot poté vedere la superficie del planetoide punteggiata di specchi d'acqua grandi e piccoli curvarsi sotto di lui mostrando i risultati del primo stadio di rigenerazione. Da alcune frasi casuali pronunciate dagli altri passeggeri, Havot apprese che le opere di ricostruzione erano ferme per ordine del comandante della flotta. Tutte le risorse disponibili dovevano invece venir mobilitate per la prossima partenza a caccia del nemico, naturalmente dopo essersi accertati che questi non intendesse attirarli lontano per tornare ad attaccare con tutto comodo il resto del sistema di Imatra. Ormai vicina allo shuttle che saliva sempre più rapidamente, la flotta in orbita attorno al devastato planetoide sembrò disperdersi in un ampia zona Fred Saberhagen
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di spazio. Le quindici o venti astronavi che la componevano davano vita a una formazione irregolare di sfere e falci di luna illuminate dal lontano sole del sistema. Nonostante il comando unificato di una singola persona, un militare prestato alla politica (almeno, così venne detto a Havot) dal carattere alquanto pragmatico di nome Ivan Prinsep, la flotta era composta di astronavi ed equipaggi provenienti da diversi pianeti, naturalmente tutti colonizzati dai solariani. Havot sentì anche che la forza di intervento rapido del commodoro Prinsep, che quasi era riuscita a intercettare i banditi berserker prima del loro attacco su Imatra, dava la caccia a quelle stesse macchine da molto tempo, ormai da mesi. Contrariamente al berserker di Dirac nei secoli passati, quei moderni automi avevano avvicinato Imatra da una direzione del tutto opposta alla nebulosa di Mavronari. La task force giunta sulla scena appena in tempo per salvarlo proveniva praticamente dalla stessa direzione; ma per affrontare la flotta nemica in battaglia, sarebbe dovuta arrivare prima. Havot già pensava al modo migliore di farsi imbarcare sulla flotta: poteva cercare di fare appello alla sua testimonianza, oppure spacciarsi per un consulente civile o supplicare il commodoro come un semplice cittadino completamente a terra e bisognoso di aiuto. Anche arruolarsi sembrava decisamente meglio che aspettare sul devastato pianeta di Imatra o su qualche altro pianeta di quel sistema che Rebecca Thanarat o qualcuno dei suoi sospettosi colleghi trovasse il tempo di controllare il suo non limpido passato. Per sua fortuna, il commodoro Prinsep aveva preferito aspettare qualche ora in attesa di rinforzi invece di ordinare un'immediata partenza. Mentre aspettava era riuscito a occupare ogni attimo del suo tempo ricevendo a colloquio le preoccupate autorità dei pianeti più interni. — Attenzione: astronave ammiraglia in vista a ore nove. Iniziamo le manovre di avvicinamento. Guardando fuori dalla navetta attraverso gli oblò, Havot contemplò la più fantastica astronave che avesse mai visto. Il suo nome comparve d'incanto sulla lucida, immensa fiancata rivolta verso di loro: Symmetry. E mentre si avvicinavano, si rese conto che le sue dimensioni facevano apparire le astronavi viste su Imatra degli innocui giocattoli per bambini.
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Qualche attimo più tardi la loro navetta venne avvolta da un raggioguida ed efficientemente trasportata all'interno dello spazioso hangar, dove atterrò su un ponte di manovra sito grossomodo a mezza nave. Subito Havot venne scortato attraverso una paratia mobile per ritrovarsi nel bel mezzo di un'affollatissima sala comandi, un posto sterminato zeppo di gente, robot, plance, schermi e oloschermi, insomma tutto ciò che aveva sempre immaginato trovarsi nel centro nevralgico di una grande e moderna astronave da guerra. Nonostante le assicurazioni della sua scorta, si aspettava di dover convincere un arcigno e concreto vecchio guerriero. Pertanto rimase sbalordito quando venne introdotto al cospetto di un uomo di mezza età paffuto e rubicondo con l'uniforme vagamente spiegazzata. Havot chiuse gli occhi e guardò di nuovo. Le altre sedie della scura, teatrale stanza erano occupate da diverse persone che attendevano con espressioni impassibili ai loro compiti. Sul momento tutta l'attenzione del comandante della forza di intervento rapido andava a un oloschermo sito proprio dietro la sua poltrona di comando. Ma le parole che Havot udì avevano poco a che spartire con le più sofisticate strategie militari: ricordavano invece una complessa ordinazione di cibo e bevande. Havot apprese dell'esistenza di qualcosa chiamato cavolini di Bruxelles, poi merluzzo fritto, guacamole, zuppa di pollo con chili verde... Scoprendo di non essere entrato nell'antro di una tigre pronta a sbranarlo, Havot si rilassò parecchio. Ecco la risposta, si disse, alle sue preoccupazioni riguardo il rischio di trovarsi in una battaglia spaziale se veniva accettato a bordo. Qualche attimo più tardi il commodoro concluse la complicata ordinazione al suo cuoco virtuale. Finalmente il suo sguardo acquoso e vagamente femmineo si volse verso Havot. Lo invitò a sedere e con toni pacati lo invitò a raccontare ogni cosa dell'esperienza vissuta. Seduto sul bordo di un'altra poltrona stile imperiale situata poco distante, Havot raccontò essenzialmente la stessa storia già nota a tutti. Il commodoro lo guardò con un'ombra di tristezza premendo l'indice sulla guancia paffuta come per controllare la condizione di un dente dolorante. Poi disse: — L'Ufficio Umanità si interessa molto al suo caso, giovanotto. — L'ho notato, signore — replicò Havot chiedendosi quanto conveniva apparire disponibile e piacevole. Be', si disse, in ogni caso era meglio non Fred Saberhagen
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strafare. Ma proprio in quel momento il rubicondo commodoro perse nuovamente ogni interesse nell'argomento, o forse nelle grazie del suo giovane, attraente interlocutore. Quello che sembrava il menu del giorno, completo di illustrazioni grafiche, cominciò pian piano a prendere forma sullo schermo olografico, e questo attrasse per un po' l'attenzione dell'alto ufficiale. Ma non molto dopo il suo sguardo tornò a Havot. — Uhm. Per il momento penso sia meglio che mangi e si riposi un po' a bordo di questa astronave. L'arruolerò come consulente civile. Vorrei parlare con più calma della sua esperienza su Imatra, e alcuni dei miei uomini vorranno stendere una relazione appropriata. Havot reagì dando mostra di qualche esitazione, ma dentro di sé accolse la proposta con gioia decidendo di ignorare se si trattava o meno di un ordine. L'istinto gli diceva che in quel momento il pericolo veniva da quell'assurdo Ufficio Umanità, e Prinsep sembrava offrirgli la miglior possibilità di rimanere fuori dalle loro grinfie. La vera natura di quell'agenzia non gli era affatto chiara. Se davvero era una sorta di servizio segreto governativo dedito esclusivamente alla scoperta dei traditori, non aveva corrispondenti nei settori solariani della galassia a lui noti. In ogni caso, odiava per principio qualunque corpo governativo il cui compito era di interrogare e arrestare la gente. Con qualche sorpresa, non appena uscì dal salone di controllo si ritrovò di nuovo faccia a faccia con Rebecca Thanarat. All'apparenza completamente a suo agio sulla grande astronave, lei lo salutò amichevolmente e gli spiegò che era giunta sulla Symmetry a bordo di una navetta dell'Uu con il beneplacito del commodoro. In generale, si comportò come se avesse il pieno diritto di continuare nello spazio ciò che aveva dovuto interrompere a terra. Dentro di sé Havot provò un diffidente disprezzo verso la fredda e arrogante giovane agente. Intuì molte insicurezze in lei, e già cominciava a immaginare con piacere come poteva sedurla se mai se ne fosse presentata l'occasione. Inoltre era pronto a rispondere a tutte le domande che voleva sui berserker, se davvero doveva. La tranquilla negazione nella sua mente di qualsiasi tipo di contatto con loro non era affatto una bugia. Quel Fred Saberhagen
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confronto con la macchina di morte era davvero avvenuto, ma si trattava di una realtà separata e ben distinta da questa. Havot era un esperto in questo tipo di divisioni. Facilitava grandemente il mentire con successo: lo provava il fatto che nessuna macchina della verità era finora riuscito a incastrarlo. Il sovrintendente Gazin, del dipartimento dell'Ufficio Umanità che si occupava di Imatra, accompagnato dal luogotenente Ariari, evidentemente uno dei suoi sottoposti più fidati, giunsero qualche ora dopo a bordo dell'ammiraglia per dare una mano a Rebecca Thanarat. Il sovrintendente Gazin era un uomo dall'aspetto ascetico, scuro, amaro; Ariari era la sua ombra, nonostante la carnagione pallida. Entrambi diedero a Havot l'impressione di odiare profondamente i berserker, i traditori, il mondo intero. Quello non era il modo in cui Havot vedeva le cose. Se ci pensava, raramente scopriva di odiare qualcuno. Molto presto fu chiaro che il sovrintendente e il suo fido braccio destro erano saliti a bordo della Symmetry solo per interrogare Havot, velocemente invitato a presentarsi al loro cospetto. L'incontro ebbe luogo in una delle stanze concesse all'Uu dal commodoro. Il risultato fu assolutamente insignificante, almeno secondo Havot. Non venne mai apertamente minacciato, ma apparve ovvio che intendevano procedere contro di lui in qualche modo. Rebecca Thanarat sembrava attratta da Havot in modo diverso da quello impostole dal senso del dovere. Aspettandolo nel frequentato corridoio fuori dalla stanza in cui era avvenuto l'interrogatorio, lo informò che da varie voci aveva appreso dell'assenso dato dalle autorità alla proclamazione della legge marziale su Imatra. Questo avrebbe concesso alle autorità locali, e in mancanza di queste all'Ufficio Umanità, un potere molto maggiore di quello di cui normalmente godevano. — Volevo solo avvertirla — concluse lei. — Grazie. Comunque, non credo di poter fare molto a riguardo. A proposito, che direbbe il suo capo se ci scoprisse in amichevole conversazione proprio adesso? La sua reazione non la preoccupa? — Neppure un po': mi ha detto lui di farlo. — Capisco. Per guadagnarsi la mia confidenza. — E dopo averla così ingannata, farei da testimone in tribunale per schiacciarla con le mezze ammissioni uscite dalle sue labbra. Fred Saberhagen
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— Ah! Immagino non stia registrando questo scampolo della nostra conversazione. — Non ancora, ma adesso devo iniziare. Pronto? Ecco fatto — disse lei senza compiere alcun movimento insolito: evidentemente portava su di sé un registratore attivato da un comando cerebrale. Ma in definitiva, pensò Havot, spettava al commodoro decidere se la legge marziale andava proclamata o meno, perché Prinsep era accampato attorno a Imatra con le armi e il potere di fare qualsiasi cosa gli risultasse gradita. E invero il comandante della flotta decise di approfondire la cosa. Chiamando nel suo ufficio i suoi legali e le persone maggiormente coinvolte, Prinsep lanciò una sofferta occhiata a Havot e ai due uomini dell'Ufficio Umanità per poi affermare: — Non capisco, davvero non capisco la vostra richiesta! — La sua voce suonò come sempre vagamente petulante. — La mia scarsa conoscenza di questioni legali mi sussurra che lo scopo della legge marziale è tenere sotto controllo una popolazione altrimenti incontrollabile. Uno dei suoi legali annuì seccamente. — Proprio così, commodoro. — Allora ripeto che davvero non capisco — riprese Prinsep, guardando con i suoi occhi acquosi i due ufficiali dell'Uu. — Che razza di popolazione dovete tenere sotto controllo? Perché vedete, ho il vago sospetto che là sotto siano tutti... morti — constatò, con un leggero brivido di ripugnanza. A quel punto il sovrintendente Gazin, deciso evidentemente a arrivare a ogni costo al suo obiettivo, decise di provare con qualche velata minaccia. — Vi è solo un modo corretto di trattare questa faccenda, commodoro... o devo pensare che per qualche ragione le risultano sgraditi i sistemi del mio ufficio? Prinsep lo guardò sbattendo le palpebre. Per un attimo parve deprimersi. — Povero me! Ma naturalmente qualsiasi sentimento personale io provi per il suo... ah, ufficio, deve venir messo da parte. Caro il mio sovrintendente, per chiudere la faccenda le dirò chiaramente che il solo testimone ancora in vita della distruzione di Imatra si trova da qualche ora sotto l'autorità militare per... per una relazione continuata sull'attacco. Così terminò, per quanto ne sapeva Havot, il match tra inquisitori e Fred Saberhagen
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militari. In effetti il commodoro e soprattutto i suoi collaboratori non lo avevano seccato più di tanto sui particolari dell'attacco. D'altro canto, nonostante la buona volontà che lui intendeva dimostrare restava il fatto che poteva aiutarli molto poco sotto il loro punto di vista. Per qualche istante coltivò l'idea di inventarsi qualche storiella, giusto per confermare al commodoro che il suo interesse era motivato, ma poi decise che sarebbe stato troppo rischioso e lasciò perdere. Nonostante i suoi presentimenti, Havot cominciava a pensare che le cose si stessero mettendo per il meglio. La fortuna continuava a sorridergli, la sorte avversa veniva tenuta a bada e per il momento aspettare nella sua nuova cabina gli parve la cosa migliore che potesse mai succedergli. Certo era una cabina piccola e inadeguata, ma sempre nella sicurezza della Symmetry. Ancora un giorno o due e quell'impressionante corazzata dei cieli lo avrebbe portato via dal caos del sistema di Imatra, sottraendolo velocemente al controllo dei cinici burocrati dell'Ufficio Umanità prima che le conferme e le smentite sulla sua vera identità e sul suo stato legale giungessero nelle mani ansiose del sovrintendente Gazin. Una sola cosa lo preoccupava: l'attesa. Dubitava molto che il commodoro buongustaio avesse veramente intenzione di rischiare l'osso del collo per dare la caccia a un'intera flotta berserker. Con buoni vini e fini pietanze a disposizione perché mai doveva cercarsi guai affrontando una collezione di macchine assassine? Superato ormai lo scoglio di quello che sperava essere l'unico e ultimo confronto con il sovrintendente, Havot si aggirò per l'ammiraglia studiando questa o quella consolle o chiacchierando con i membri dell'equipaggio liberi dal servizio. Mentalmente notò anche che nuove astronavi solariane comparivano a intervalli irregolari in quel sistema per unirsi alla già imponente flotta. La continua concentrazione di potenza si fece impressionante e minacciosa, anche se la sua efficacia era tutta da verificare. Havot non aveva paura della guerra, ma continuava seriamente a dubitare della volontà del commodoro di utilizzare in qualche modo l'armata a sua disposizione. Si divertì molto a discutere di questo e di altri argomenti con Rebecca Thanarat. Naturalmente diede sempre per scontato di venir registrato, anche e soprattutto quando lei gli assicurò che non lo era. Fred Saberhagen
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Per quanto riguardava il commodoro Prinsep, lei affermò che si trattava di un uomo molto geloso delle sue prerogative e capace di rintuzzare ogni attacco alla sua autorità grazie agli appoggi di cui godeva, ma affrontare i berserker in battaglia era tutt'altra cosa. Certo avrebbe continuato a cercarli, ma anche secondo lei sarebbe stato molto attento a non avvicinarsi troppo a loro. Tanto meglio, si disse Havot, che non era certamente ansioso di ritrovarseli di nuovo davanti; non dopo la sua esperienza con uno solo di loro sulla superficie di Imatra. E tuttavia, ora dopo ora cresceva in sottofondo il sinistro tambureggiare dei preparativi di guerra. Havot non poté evitare di provare un curioso interesse per i piccoli e letali ricognitori che passavano velocissimi a poca distanza dall'ammiraglia per scendere sulla superficie di Imatra, o che ronzavano come vespe attorno ai grandi ingressi delle loro astronavimadri. Alcuni sembravano delle sfere perfette; altri avevano una linea tanto frastagliata da ricordare dei fulmini solidificati. Intanto, uno dei membri dell'equipaggio lo informò che alcuni di quei ricognitori, appena tornati dal pericoloso balzo nell'iperspazio alla ricerca delle luci relative, stavano rientrando alla base portando con loro le attese registrazioni dell'attacco al quale lui era miracolosamente sopravvissuto. E presto girò voce per tutta l'ammiraglia che il commodoro si era riunito con uno staff di esperti per visionare le registrazioni della battaglia. Anche i tre agenti dell'Ufficio Umanità avevano potuto esaminarli, senza però trovarvi nulla che potesse alimentare i loro sospetti su Havot. Con suo grande sollievo, Havot apprese dall'agente Thanarat, sempre più disposta a mostrare una calda comprensione per lui, che il sovrintendente aveva potuto esaminare lo sterminato archivio della flotta senza però trovare nulla sul suo conto, nessuna prova di una qualche attività criminosa svolta in passato. Ma Rebecca confermò anche con toni scontati uno dei peggiori timori di Havot: le sue impronte digitali e altri caratteri identificativi erano stati inviati giorni prima verso uno dei pianeti più popolosi del sistema con la richiesta di ritrasmetterli al pianeta da lui citato come suo pianeta natale. La risposta sarebbe giunta a giorni, naturalmente se le perturbazioni magnetiche presenti attorno a Imatra lo consentivano. Fred Saberhagen
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— Ma perché per tutti i diavoli hanno deciso di prendersela con me? — ribatté stizzito Havot, per poi chiedersi con qualche timore se la giovane agente aveva visto gli artigli della fiera spuntare sotto l'aria dimessa. Per fortuna Rebecca non sembrò considerare affatto strana quella nervosa reazione. — Non ne ho idea — replicò. — Ma Gazin è un uomo ambizioso: forse ha deciso di incastrare il malcapitato di turno, cioè lei, signor Havot... Chris — concluse, abbassando gli occhi. I due mossero qualche passo. — È davvero assurdo — riprese lei. — Quando ho firmato l'arruolamento non credevo che sarebbe stato così. — No? — No. Io credevo in quelli che sono, almeno in teoria, i loro obiettivi... sa, promuovere i valori più sentiti dell'umanità, eccetera. Ma adesso mi accorgo... Rebecca lasciò bruscamente la frase in sospeso e si fermò. Anche Havot non proferì parola mentre guardava sbalordito avanti a sé. Emergendo lentamente da dietro un angolo del corridoio, una strana creatura cilindrica che camminava su una mezza dozzina di zampe avanzò incerta verso i due attoniti solariani. Alta non più di un metro e massiccia quanto un uomo molto robusto, indossava una sorta di pastrano verde che arrivava fino a terra. — Un carmpan — sussurrò Havot, riprendendosi in qualche modo dalla sorpresa. Come la stragrande maggioranza degli altri umani, lui e Rebecca non avevano mai visto un carmpan in carne e ossa anche se la loro era una presenza pressoché costante in tutte le serie di film di fantascienza trasmesse dall'olovisione. L'alieno li aveva evidentemente sentiti. Arrestò il suo buffo incedere e si voltò verso i due giovani solariani. — Il mio nome è Quarto Avventuriero — disse con voce chiara ma con accenti aspri e gutturali, anche se questo non impedì ai due solariani di capire le sue parole. — Sono di sesso maschile, se questo può aiutarvi a comprendere la mia natura. I due solariani si presentarono a loro volta. Parlando liberamente a entrambi, ma con un curioso, evidente interesse per Havot, Quarto Avventuriero spiegò loro che era stato per molti anni un diplomatico accreditato presso diversi governi solariani; poi aveva scelto, per misteriose ragioni, di imbarcarsi sulla Symmetry dove però restava quasi sempre in cabina. Fred Saberhagen
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Poco dopo Quarto Avventuriero li invitò entrambi ad assistere come suoi ospiti alla prossima riunione esecutiva del commodoro Prinsep. Havot ne parve lusingato e accettò l'invito con entusiasmo. — Mi piacerebbe moltissimo. Ne sarò felice, naturalmente se al commodoro non importa. Prinsep non sollevò alcuna obiezione sulla presenza dei due giovani se il carmpan li aveva personalmente invitati. Quando la riunione ebbe inizio, Quarto Avventuriero sedette sulla poltrona studiata appositamente per lui e parlò pochissimo, dando però l'impressione di ascoltare attentamente ogni cosa. Esisteva un solo motivo razionale, proclamarono alcuni relatori in una sorta di introduzione alla riunione, che poteva spingere i berserker a ritirarsi da un obiettivo conquistato ma non ancora del tutto distrutto. Qualcuno li interruppe. — Non riesco a capire come potevano esser certi di aver completato il loro attacco. In ogni caso, se si fossero comportati come al solito sarebbero rimasti un po' più a lungo nei paraggi per rendere completamente inabitabile il pianeta. — La sola possibile spiegazione è che quella frettolosa ritirata abbia dato loro l'opportunità di mietere altre vite, preferibilmente vite umane, in questo o in altri settori della galassia. O forse così pensavano. — Vite umane, certo. Sappiamo tutti che il loro bersaglio preferito sono gli umani, e in particolar modo i solariani. Nessuno, e meno di tutti Quarto Avventuriero, osò contestare quell'affermazione. I berserker avevano da tempo capito che una specie in particolare minacciava la loro espansione, perlomeno nella Via Lattea: la specie umana. Alle macchine di morte risultava infatti sempre più difficile portare a termine la loro missione e quindi, in base alla loro perversa scala di valori, l'eliminazione di un singolo umano valeva molto di più della cancellazione di piante e animali su ampie superfici planetarie. E fu allora che il più insolito dei partecipanti alla riunione avanzò una seconda ipotesi sul motivo della ritirata del nemico, anche se in effetti si trattava solo di una possibile variazione di quanto affermato prima. Da come erano andati i fatti, si poteva anche pensare che i berserker avessero trovato sulla superficie di Imatra qualcosa o qualcuno, o forse qualche informazione, tanto importante per loro da costituire un valido motivo per Fred Saberhagen
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andarsene lasciando le cose a metà. Perché i berserker avevano ormai appreso alla perfezione le strategie e le tattiche dei loro nemici umani: evidentemente quanto trovato su Imatra valeva più della cancellazione degli ultimi scampoli di vita rimasti su un pianeta comunque condannato. — Anche se comportarsi così significava lasciare in vita uno dei loro odiati nemici umani? — Proprio così. Tutti si volsero a guardare Havot, che comprese dalle espressioni quantomai sbalordite dei presenti che il carmpan aveva parlato al consiglio per la prima volta.
16 Quella era la prima volta che Havot saliva a bordo di un'astronave da guerra e quindi rimase estremamente sorpreso dal numero relativamente ridotto di persone che costituivano l'equipaggio di un incrociatore dei cieli, come i mastodonti tipo la Symmetry venivano popolarmente chiamati. La vita a bordo risultava alquanto ripetitiva, senza tuttavia perdere minimamente d'interesse. Anzi, Havot sembrava divertirsi sempre più man mano che passavano le ore, anche se faceva di tutto per nasconderlo. Ma molte cose risultavano piacevoli nelle sue condizioni. Prima di tutto lo divertiva osservare il commodoro Prinsep che consultava il suo cuoco virtuale, sfarfallando le dita grassocce, per arrangiare degnamente la cena. Sedeva nel suo ufficio o si aggirava nel salone di controllo guardandosi timidamente in giro e dando la perenne impressione di vacillare, la mente sempre persa in qualche altra faccenda; ma in effetti non cedeva di un millimetro sulle cose che contavano. Convinto di godere ancora della protezione del commodoro, Havot provava inoltre più divertimento che preoccupazione per le manovre dei suoi persecutori. Gli sembrava di avere ben poco di cui preoccuparsi fino a quando restava sotto le ali protettrici del comandante della flotta. La sua attuale posizione gli consentiva di aggirarsi liberamente nella sala comune, nella libreria, nella palestra e nella cabina che gli era stata assegnata. Si trattava di un alloggio abbastanza ampio secondo gli standard militari, o almeno così gli venne detto; in effetti si trattava di uno stanzino largo al massimo tre passi per tre, grande abbastanza per la sua cuccetta, un tavolo, Fred Saberhagen
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una sedia, i servizi e un oloschermo. Con tutta probabilità era stato concepito per alloggiare i dignitari di medio livello in visita a bordo. Quarto Avventuriero, il carmpan aggregato per qualche motivo a quella lunga missione, alloggiava in un appartamento simile in fondo al corridoio. Havot, deciso a godersi al meglio quel periodo di forzata ma comoda inattività e abituato a sentirsi a sua volta un alieno, provava una sorta di strana simpatia per quella creatura, simpatia che sembrava alquanto corrisposta. Presto Havot scoprì che nessuno a bordo aveva un'idea chiara del perché il carmpan si fosse unito a loro, anche se ovviamente qualche motivo doveva pur esserci. Ma Quarto Avventuriero era un diplomatico evidentemente troppo importante per correre il rischio di offenderlo, e troppo determinato per non arrivare a ottenere ciò che davvero voleva. Si trattava comunque di un evento estremamente raro vedere un carmpan viaggiare a bordo di un'astronave solariana a molti anni-luce da uno qualsiasi dei pianeti popolati dalla sua specie, che da sempre risultava altamente enigmatica per la razza umana. Molte voci li volevano capaci di grandi cose, soprattutto a livello telepatico. Si diceva infatti che i loro risultati nel campo dei poteri mentali (un argomento ancora sconosciuto agli umani, decisamente più materiali) fossero semplicemente sbalorditivi. Questo aggiunse un tocco di pericolo nella niente di Havot: il rischio di venir scoperto. Non che questo lo preoccupasse più di tanto; affascinato, si ritrovò a studiare attentamente il carmpan ogni volta che ne aveva l'occasione. Quarto Avventuriero non obiettò mai nulla a quella sorta di ispezione, anche se forse non la gradiva affatto. Agli occhi dei solariani il carmpan risultava del tutto identico agli altri carmpan che di tanto in tanto comparivano sull'oloschermo. Qualche membro dell'equipaggio giudicava lenti e robotici quei corpi tozzi e quantomai impacciati, che tanto apertamente contrastavano con i fantastici poteri attribuiti alle loro menti. Una mezza dozzina di carmpan erano però famosi anche presso i solariani. Si trattava di un gruppo di oracoli chiamati "I Profeti della Probabilità", e Havot colse la prima occasione buona per domandare a Quarto Avventuriero la verità su quel nome, carica o attività che fosse. Il giovane uomo ammise apertamente di non sapere neppure a che titolo agivano. Fred Saberhagen
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— Preferisco parlare di altri argomenti — fu l'ermetica risposta del diplomatico alieno. Anche Rebecca era terribilmente curiosa di saperne di più sul loro esotico compagno d'avventura. Parlando, lei ricordò ad Havot la celebre scena che precedette di poco la leggendaria battaglia di Stone Place in cui, in tutta la drammaticità di un presagio storico, uno dei profeti carmpan comparve nel cielo avvolto da lunghi festoni tesi in modo da unirlo a cento tra animali e macchinari carmpan tutt'intorno a lui. — Business olovisivo — replicò seccamente Havot, chiedendosi segretamente se ne era davvero così convinto. Vi fu una volta in cui Quarto Avventuriero, approfittando dell'assenza di Rebecca, studiò Havot a lungo sostenendo impassibile lo sguardo incuriosito dell'umano per poi affermare che era scampato alla morte portata dal berserker per qualche buona ragione, anche se tuttora misteriosa. Havot ricevette la netta impressione che l'alieno pensasse a qualche sorta di piano divino, anche se si guardò bene dall'usare parole del genere. In qualche modo però Havot fu deluso da quel tacito ricorso a forze divine. Non sapeva bene cosa aspettarsi da quella misteriosa creatura, ma certamente si aspettava di più. Nella sua esperienza, chiunque si professasse religioso era probabilmente destinato a vedersi crollare addosso le proprie convinzioni, oppure mentiva attivamente ai suoi interlocutori. Tuttavia, il fatto che almeno una persona influente credesse alla sua innocenza gli procurò un vago, inaspettato conforto. Doveva continuare a incontrare gente diversa se voleva godere di quell'attitudine, perché non appena la gente lo conosceva meglio tendeva a non credergli più. Intanto il sovrintendente dell'Uu, ancora tranquillamente a bordo, aveva chiesto e ottenuto il permesso dal commodoro Prinsep, che mai avrebbe pensato di respingere la ragionevole richiesta di un'autorità costituita, di visionare in privato le registrazioni dell'attacco berserker su Imatra in possesso delle autorità militari. Quelle stesse registrazioni, esaminate avidamente dagli esperti di bordo, venivano nel frattempo analizzate dai computer, spezzate, ricombinate ed esaminate nuovamente in una sorta di infinito ripetersi delle stesse scene. Certi fatti vennero solidamente confermati dalle registrazioni, tra cui la direzione presa dai berserker dopo la loro improvvisa partenza e la potenza Fred Saberhagen
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dell'armata che aveva eseguito l'attacco. Vi avevano partecipato dieci grandi berserker, ognuno dotato di ricognitori, unità d'assalto e mille altri micidiali congegni. Una o due delle immense astronavi-madri e un gran numero di unità d'assalto erano stati distrutti dalle difese di terra che mostravano, dopotutto, notevoli miglioramenti rispetto al precedente attacco avvenuto tre secoli prima. Un singolo berserker, come il berserker di Dirac che ai tempi aveva spadroneggiato a piacimento, non avrebbe mai potuto farcela. Tuttavia, le difese del pianeta si erano rivelate inutili contro una flotta tanto potente. Gli strateghi veri e presunti imbarcati sulla flotta solariana si grattarono il mento, si sfregarono gli occhi e pensarono a lungo. Perché i berserker erano fuggiti proprio in quella direzione? — Non c'è nulla da quelle parti, solo la Mavronari... ma ovviamente è possibile che si siano diretti deliberatamente da quelle parti per non farci capire qual'è il loro prossimo obiettivo. — E come si concilia questo con la loro fretta, col fatto che non potevano fermarsi cinque secondi di più per spacciare anche l'ultimo essere umano sul pianeta? Grazie ai programmi più sofisticati di rielaborazione delle immagini e all'abilità degli operatori che programmavano i sistemi esperti di ingrandimento grafico, la registrazione video ottenuta dalle luci relative mostrò con sorprendente chiarezza molti dettagli di ciò che accadde sulla superficie di Imatra durante l'attacco. Le autorità poterono così studiare il comportamento di molti singoli berserker, compreso quello che aveva dato la caccia a Havot. Alcuni degli ingrandimenti mostrarono addirittura una piccola macchiolina bianca in veloce movimento, visibile solo a volte a causa della tempesta di polvere che flagellava il pianeta: era Havot che sfuggiva disperatamente alla morte. Naturalmente Gazin e Ariari trascorsero ore intere a studiare quelle sequenze dei filmati. Nei brevi intervalli diedero mostra di sospettosa malizia, ma dentro di loro, i due ufficiali dell'Uu dovettero provare un'assoluta delusione: nulla rivelò infatti una qualche sorta di intesa tra Havot e il nemico. Anzi, era proprio il contrario. L'unica cosa vagamente sospetta nei filmati era l'improvvisa rinuncia del mostro metallico a uccidere l'uomo per cui aveva faticato tanto. Ma quello Fred Saberhagen
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poteva spiegarsi in mille modi. Chi poteva stabilire con certezza gli effetti del colpo che aveva danneggiato le sue zampe? Forse era saltato anche parte del suo cervello elettronico. Esprimendo sommessamente la sua curiosità, Havot venne invitato dal commodoro a dare un'occhiata alle registrazioni. Il giovane uomo riuscì a sedere proprio accanto all'agente Thanarat, invitata a sua volta insieme a un ristretto numero di tecnici. Dall'espressione orgogliosa della giovane e attraente Rebecca, Havot comprese di aver fatto colpo su di lei con la sua fuga disperata attraverso quell'inferno. Ma la cosa più importante era che nulla nelle piccole immagini danzanti mostrava la direzione da cui lui proveniva, così come nulla rivelava l'esistenza di quell'attimo di incredibile intesa raggiunta con il berserker che doveva ucciderlo. Naturalmente i due agenti dell'Ufficio Umanità non intendevano mollare l'osso. Le immagini prese su Imatra mostravano che qualcosa di equivoco era veramente avvenuto, affermarono tra la sorpresa generale. — Stiamo controllando i precedenti di quest'uomo, e state pur certi che vi saranno delle sorprese! Purtroppo adesso le comunicazioni con questo sistema sono alquanto difficili, ma non appena la normalità verrà ripristinata... Intanto Havot si godeva in cuor suo la certezza della totale scomparsa di qualsiasi documento emesso dalle autorità imatrane sulla presenza di un "presunto omicida in attesa di rimpatrio" nelle celle dello spazioporto. Era libero come il vento, ma non ancora al sicuro: se continuavano ad aspettare, presto o tardi Gazin e Ariari sarebbero riusciti a incastrarlo con le impronte digitali o con qualche altra diavoleria. Il commodoro Prinsep e i suoi esperti continuavano intanto lo studio delle enigmatiche e illogiche immagini dell'attacco, uno studio in cui la condotta individuale di Havot e il suo destino non contavano affatto. Nel corso dell'ultima fase del massacro, la superficie di Imatra appariva cosparsa di piccole unità d'assalto berserker. Come sempre, quelle unità rovistavano in ogni angolo del pianeta in cerca di sopravvissuti umani o di difese automatizzate ancora funzionanti. Inizialmente le scariche dei loro raggi lampeggiarono ovunque, a riprova della presenza di un gran numero di superstiti. Poi, pian piano i bagliori svanirono mentre i grandi berserker Fred Saberhagen
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si avvicinavano per completare l'opera di sterilizzazione. Borbottando la sua sorpresa, qualcuno fermò improvvisamente lo spettacolo bloccando i berserker registrati esattamente dov'erano. — Torniamo indietro. Voglio vedere una cosa. La registrazione tornò indietro di qualche secondo e poi ripartì. Non era un errore di registrazione, e neppure una sfasatura delle immagini. Tutti i berserker attivi sul pianeta avevano smesso allo stesso momento di fare ciò che stavano facendo, compreso quello che minacciava Havot, per tornare in fretta e furia ai rispettivi mezzi da sbarco. L'arresto era giunto allo stesso momento per tutti, con una precisione quasi assoluta. — Ecco il miracolo che ha salvato quel poveraccio di Havot. Osservate la perfetta sincronicità della loro ritirata. Studiando attentamente le letture degli strumenti, Prinsep non poté che confermare ciò che i suoi occhi vedevano. — Le astronavi-madre debbono aver lanciato tutte insieme un segnale di ritirata — commentò impressionato. — Proprio così. Ma la velocità con cui le unità d'assalto hanno risposto all'impulso ci rivela che non si trattava di un segnale convenzionale. Voglio dire, era un segnale di priorità assoluta. Hanno semplicemente smesso di fare ogni cosa! — Non abbiamo raccolto nessun tipo di segnale di quel genere, ma ovviamente è andata così. Deve esser stato un impulso capace di annullare ogni altro comando, sostituendolo con l'ordine di tornare a bordo. — Possibile che temessero qualche trappola? — No, non credo. Tra l'altro il verbo "temere" non si adatta affatto ai berserker. La propria sopravvivenza non significa nulla per loro. Il solo valore inserito nei loro programmi è la morte. Notate tra l'altro che le astronavi-madre non hanno abbandonato neppure un singolo automa sulla superficie di Imatra. Hanno invece pazientemente atteso che anche l'ultimo mezzo da sbarco tornasse a bordo prima di abbandonare questo sistema. — Esatto. Stavo giusto per far notare che quei dannati hanno reimbarcato tutti quanti, anche gli automi danneggiati. — E questo ci rivela... — A me personalmente rivela che pensavano di aver bisogno di tutta la loro forza offensiva per attaccare qualsiasi altro obiettivo intendessero Fred Saberhagen
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attaccare. — Forse hanno abbandonato Imatra in quel modo proprio per questo, perché gli è giunta voce di un varco nelle nostre difese da qualche parte. Vi fu un generale mormorio attorno al tavolo, e una veloce consultazione di documenti olografici. Poi qualcuno chiese: — Che razza di obiettivo potrebbe essere tanto importante per loro da spingerli ad abbandonare questo attacco? — Forse non si tratta di un nuovo obiettivo militare: forse sono stati richiamati in fretta e furia per difendere una loro base, qualche centro nevralgico attaccato in quel momento dalle nostre forze. — Sì, ma questo non spiega nulla. Qui abbiamo una flotta impegnata in un attacco. Come avrebbero mai potuto scoprire un nuovo obiettivo se tutta la loro attenzione andava a ciò che stavano facendo? Allo stesso modo, come hanno fatto a sapere che una delle loro basi aveva bisogno di aiuto? Nessuno dei loro robocorrieri è penetrato nel sistema mentre l'attacco era in corso. — Ne siamo certi? — Gli strumenti non hanno rilevato nuovi arrivi. — Ormai stiamo studiando queste immagini da un po', e sono immagini di buona qualità. Possiamo escludere che abbiano ricevuto un robocorriere, ma che ne dite di un segnale laser o radio? Dobbiamo reinserirle nel computer e cercare eventuali impulsi convenzionali o subspaziali. Da dove potevano arrivare? — Va bene, procedete. Ma personalmente propendo per un'altra ipotesi: che i berserker abbiano scoperto qualcosa su Imatra tanto importante da spingerli a cambiare drasticamente i loro piani. — Sono d'accordo con lei, commodoro. Tuttavia non posso fare a meno di chiedermi cosa hanno appreso i berserker su Imatra, e soprattutto dove? Nessuno fu in grado di rispondere, almeno sul momento. Il metodico setacciamento elettronico delle immagini per scoprire qualche traccia di impulsi in arrivo dall'esterno continuò senza sosta. Gradualmente divenne possibile escludere che i berserker impegnati nell'attacco avessero ricevuto qualche tipo di messaggio da altri berserker fuori dal sistema di Imatra. In teoria i segnali radio e ottici non potevano mai venir completamente eliminati e risultavano tremendamente lenti su distanze interstellari; tuttavia erano veramente utili, in quanto sempre Fred Saberhagen
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sottomano. In ogni caso dalle letture non risultava che qualche segnale degno d'attenzione avesse raggiunto i berserker impegnati nell'attacco. — Allora cosa ci resta in mano? — L'esame degli impulsi in arrivo rafforza l'ipotesi che il nemico abbia trovato qualcosa,ritenuto veramente utile durante le operazioni sul planetoide, signore. Deve trattarsi di qualcosa di fondamentale importanza per loro, tanto che la sua scoperta ha indotto le astronavi-madre a lasciar perdere ogni cosa. Anche la cancellazione di una vita umana. — Qualcosa di fondamentale importanza. Un'informazione. Qualcosa appreso da qualche archivio, forse? — Signore, perché non qualcosa che quell'uomo, Havot, ha detto loro per salvare la vita? Non sappiamo chi sia veramente. — Bah, non posso crederci. Perché avrebbe dovuto fuggire a rotta di collo se intendeva passar loro qualche informazione? Io scarterei tranquillamente Havot. Cosa può essere invece? Non riesco a immaginarlo. L'unica è rivedere il filmato cercando di capire in dettaglio cosa fanno. Nel corso della proiezione successiva, l'attenzione di uno degli esperti venne attratta dal comportamento di una particolare unità d'assalto. Questa, distante parecchi chilometri dalla posizione di Havot, era scesa a un certo punto nel sottosuolo senza alcun motivo preciso. — Cosa c'era in quel punto? Qualcuno proiettò una mappa sull'oloschermo. — Vediamo un po'. Un archivio! Aveva visto giusto, signore. — Già, forse ci siamo. Scoprite cosa c'era in quell'archivio. Gli elenchi delle strutture presenti su Imatra prima dell'attacco furono prontamente disponibili, ma con l'archivio centrale del pianeta ridotto a un ammasso di rovine non era facile sapere cosa conteneva ogni struttura. Al momento quindi quell'ordine non poteva venir eseguito. — Continuate a cercare. Noi nel frattempo continueremo a studiare questo prezioso filmato, signori. Il commodoro ordinò al computer di dividere Imatra in settori e di inserire in ciascun settore le varie sequenze del filmato, sì da poter seguire in modo razionale le azioni di ogni berserker presente sulla superficie del pianeta. Una rielaborazione di tale portata era un lavoro difficile e il computer impiegò diversi minuti per concludere. Quando i padroni organici della macchina intelligente osservarono Fred Saberhagen
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l'ultima versione del filmato, videro che il berserker sospettato era sceso nell'archivio sotterraneo per poi riemergere e restare immobile davanti alla propria astronave-madre per forse un secondo. I due si trovavano in quel momento a meno di un chilometro di distanza; il grande berserker era molto basso sull'orizzonte, e la curvatura del piccolo pianeta quasi lo nascondeva alla vista. Subito dopo quel breve intervallo era arrivato il segnale di ritirata; il tutto si era svolto in un tempo davvero breve, equivalente forse al tempo necessario a un essere umano per lanciare un grido o per prendere la mira con un fucile a raggi. Una risposta troppo repentina per venir accantonata come una semplice coincidenza, ma troppo lenta per far parte della semplice routine. I cervelli dei grandi berserker avevano dedicato un paio di secondi, un tempo lunghissimo per loro, a dei misteriosi calcoli per poi decidere di ritirarsi subito tutti insieme. Intanto, una rapida ricerca rivelò che tutte le banche dati di Imatra erano andate distrutte e non potevano fornire alcuna informazione sul contenuto di quell'archivio. — Potrebbe essere solo una coincidenza, dopotutto. Forse quell'unità è semplicemente riemersa un attimo prima che venisse inviato il segnale di ritirata. — Io non credo nelle coincidenze — replicò Prinsep con voce una volta tanto decisa. — Tanto è vero che voglio scendere su Imatra il più presto possibile per esplorare personalmente quel misterioso archivio. Un paio di ore dopo un folto gruppo, che comprendeva la maggior parte degli esperti stategici e qualche membro chiave dello staff del commodoro, partì alla volta di Imatra. Là trasbordarono su un velivolo molto più piccolo dirigendosi senza perdite di tempo verso il luogo dove si trovava la misteriosa struttura sotterranea. Il carmpan aveva scelto di restare a bordo dell'ammiraglia, ma Havot era sceso con loro. Nessuno cercò di fermarlo. Con lui vi era Rebecca Thanarat, naturalmente, per tenerlo d'occhio secondo gli ordini dell'Ufficio Umanità. Non molto restava sulla superficie di Imatra dei numerosi, splendidi edifici che vi sorgevano. Ma la tempesta di fuoco che aveva spazzato il pianeta non era riuscita a distruggere tutto. Qua e là si vedevano case, centri commerciali ed edifici pubblici scampati miracolosamente alla furia Fred Saberhagen
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distruttiva delle macchine di morte. Alcuni presentavano delle linee pittoresche e obsolete. Havot udì che si trattava di riproduzioni di antichi edifici terrestri: fino a quel momento, come la maggior parte della gente, non si era mai chiesto da dove venisse quello stile. Quasi tutti coloro che vivevano su Imatra, come del resto quasi tutti i solariani sparsi nella galassia, non erano mai stati sulla Terra e quegli edifici rafforzavano l'orgoglio per le proprie origini condiviso da tutte le comunità solariane. Giunti sul posto senza problemi grazie al propulsore antigravità del velivolo, la squadra di investigazione indossò i respiratori e uscì per contemplare l'ingresso sbrecciato e semidistrutto della scala sotterranea che portava al misterioso archivio. Nessuno dei presenti conosceva bene Imatra prima dell'attacco e molti non vi avevano mai posto piede prima di quel momento. Nulla quindi di ciò che contemplarono offrì loro qualche indizio per capire perché l'unità d'assalto berserker era finita proprio lì. — Insomma, cosa conteneva questo archivio? — C'è solo un modo di scoprirlo. Fortunatamente alcuni tra i presenti avevano pensato bene di portare delle torce. Gli scalini di pietra e ciò che s'intravedeva di una porta parzialmente aperta ai piedi della scala non sembravano in alcun modo danneggiati. — Forza, scendiamo. Ma uno dei membri della spedizione, una giovane donna, nicchiò e restò immobile in cima alla scala. Rabbrividendo, la ragazza disse: — Non mi piace. C'è qualcosa di sbagliato in tutto questo. I coraggiosi che erano scesi per primi si fermarono. — Cosa intende dire? — Supponiamo che io sia un berserker e mi trovi proprio qui, come mostra il filmato. Vengo da quella direzione — e con un pollice la ragazza indicò un punto alle sue spalle, per poi spaziare con la mano in una generica direzione davanti a sé. — Come tutti potete vedere, laggiù vi sono diverse case. Sono tutte intatte. Ora, io mi preoccuperei solo di sbriciolare le case con un paio di scariche e ispezionarle una a una in cerca di superstiti. Invece no. Scendo giù per questa scala e apro senza sfondarla la porta di questo sotterraneo. Molto delicato per un berserker, non trovate? — Forse ha visto qualcuno nascondersi lì dentro. Forse gli abitanti di quelle case lo usavano come rifugio e lui li ha scoperti. Fred Saberhagen
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La discussione sembrò subito puramente accademica. Inutile continuare a parlare quando la soluzione poteva trovarsi a pochi passi da loro. In silenzio, il drappello di esperti iniziò a scendere le scale in fila indiana. Ma qualcuno sollevò un altro allarme. — Siete certi che i nostri robot abbiano già ripulito questa struttura? Potrebbero esserci delle mine antiuomo. A queste parole tutti risalirono precipitosamente le scale e con la massima urgenza venne richiesto l'invio di un robot operaio. Il gruppo non ne aveva a disposizione, perché i veloci e utili automi inviati dai pianeti più interni erano molto impegnati in quel momento. Ma le richieste del gruppo di investigazione avevano priorità assoluta ogni volta che si rendeva necessario, e pochi minuti dopo una delle versatili macchine impiegate nella decontaminazione/rigenerazione di quella zona giungeva ad aiutarli. Era un robot cingolato grande quanto un uomo e con molte utili braccia; come gli altri robot avanzati costruiti dai figli della Terra, era dotato di qualche tipo di intelligenza. E come gli altri robot era tutto meno che antropomorfo, sia fisicamente che intellettualmente. Docilmente l'automa dalle otto braccia ascoltò gli ordini, li ripeté con voce meccanica ma piacevole e prese rapidamente a scendere le scale. Le porte sotterranee non offrivano più nessuna resistenza agli intrusi. Le serrature erano saltate per opera del berserker. Le persone che attendevano in superficie attivarono i loro video da polso e seguirono passo dopo passo l'avanzata del robot. Dopo l'ingresso vi erano delle porte blindate: anche quelle apparivano forzate dal berserker. Dopo le porte aperte, la telecamera del robot mostrò un ampio locale in rovina grande forse come il piano terreno di una casa. Inizialmente non sembrò esservi nulla di interessante in quella confusione, tranne il fatto che nulla rivelava la presenza di vittime umane. Uno o due minuti più tardi il robot, dopo essere andato più volte avanti e indietro sul pavimento cosparso di oggetti, dichiarò la completa assenza nel locale sotterraneo di qualsiasi dispositivo antiuomo. — Possiamo credergli? — Sarebbe davvero una stranezza se il nemico avesse sistemato delle mine antiuomo proprio qui. Non ne abbiamo trovato neppure una su tutta Imatra! — Questo è molto strano. — Direi proprio di sì. Normalmente in questo tipo di attacco i berserker Fred Saberhagen
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si lasciano dietro una gran quantità di trappole prima di ritirarsi. — Nulla è normale in questa faccenda. Ma questa è un'altra dimostrazione che una volta trovato ciò che volevano, i berserker hanno solo pensato ad andarsene senza perdere un secondo di più. Allora, scendiamo? Un minuto più tardi il drappello di esperti si accalcò ai piedi della scala per poi oltrepassare la porta d'ingresso e lanciare una prima, timida occhiata al devastato locale sotterraneo approfittando delle forti luci del robot. Subito apparve chiaro che si trattava di un archivio secondario progettato per contenere piccoli campioni; ma di che cosa restava un mistero. Poteva anche trattarsi di cubi di memoria, in quanto era pratica comune tutelarsi contro gli errori umani o i possibili attacchi di nuovi virus informatici conservando delle copie dei documenti più importanti in archivi fisicamente lontani da qualsiasi dispositivo elettronico^ Coloro che si erano portati le proprie torce presero a esplorare ogni angolo del locale. La stanza doveva essere divisa in stretti corridoi tra file di alti armadi. Qualcuno era rimasto intatto, mostrando che possedevano diversi cassetti quasi tutti divisi in piccoli scomparti. Gli esperti cominciarono a raccogliere campioni, dapprima con qualche timidezza, poi più liberamente. — Sono registrazioni. Dovrebbe trattarsi di registrazioni civiche di vari tipi, assemblee pubbliche, celebrazioni... nulla di militarmente importante, comunque. Lo prova il fatto che il deposito non è a prova di bomba e che nessuna misura particolare è stata presa per prevenire possibili incidenti o manomissioni. I cassetti e gli armadietti contenevano ancora diversi cubi di memoria. Alcuni, i più comuni, erano di plastica e metallo; altri di materiale composito. Su richiesta degli esperti, l'utile robot operaio prese delicatamente uno di questi cubi e lo inserì in uno sportello sul torace. La parte superiore del suo busto, privo di testa, divenne un semplice oloschermo. Nel fascio di luce comparve una composta assemblea di uomini e donne seduti attorno a un tavolo ovale: le autorità centrali di Imatra, o almeno così sembrava, tutte prese in una discussione sull'estetica del nuovo spazioporto. — Una riunione davvero sconvolgente, in grado di scuotere alle fondamenta l'asettico impero delle macchine di morte! Siamo sicuri che quel berserker non sia sceso qua sotto per uccidere qualcuno? — domandò Fred Saberhagen
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uno degli esperti guardando il pavimento con disgusto. — Il cadavere potrebbe esser stato completamente vaporizzato. Con nuove e precise istruzioni il robot cominciò a prelevare campioni d'aria e di materiali dalle varie superfici bruciacchiate del sotterraneo. Già prima di finire quel lavoro, assicurò ai suoi padroni umani che le analisi procedevano senza indugio. Mentre tutti aspettavano i risultati, qualcuno disse: — A giudicare dalle apparenze, direi che qui dentro non c'era neppure un cane quando il berserker è sceso. — Un minuto dopo il robot interruppe la conversazione tra i ricercatori affermando con la sua voce morbida e monotona che le analisi non avevano trovato traccia di materia organica bruciata o frammentata; pertanto la presenza di un qualsiasi essere organico in quel sotterraneo al momento dell'irruzione del berserker era da considerarsi altamente improbabile. Il commodoro tirò su col naso, l'aria più disgustata che mai. — Frammentata... già, una definizione molto suggestiva. — Signore, personalmente credo che possiamo scartare l'ipotesi del semplice omicidio. Il berserker doveva avere qualche altro scopo per scendere quaggiù. — Spettacolare deduzione, davvero. Ma c'eravamo arrivati anche dieci minuti fa, studiando il percorso del berserker in superficie. Ha praticamente seguito una linea retta dalla sua astronave-madre a questo posto. Qualcuno fece notare la diversità delle registrazioni ancora presenti nei vari cassetti e armadietti. — Qui non c'è nulla di standardizzato, anzi: si direbbe un deposito studiato apposta per conservarvi le registrazioni più diverse. Alcune sembrano vecchie di secoli. — Già. Questo lascerebbe intendere che si tratta di un'operazione di spionaggio, condotta naturalmente con l'unico mezzo che loro conoscono. D'altro canto, in una guerra è normale compiere delle operazioni tese semplicemente a scoprire il più possibile sull'organizzazione del nemico. — Ma tutto ciò che quelle macchine dannate hanno appreso qui è il modo in cui un piccolo pianeta solariano ha conservato varie informazioni nel corso dei secoli. Signore, sono spiacente ma non vedo come questo possa interessarli al punto da ritirarsi da un pianeta già conquistato solo per comunicare i segreti di un piccolo archivio imatrano a qualche confederazione berserker. Fred Saberhagen
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— Oh, ma certo non pensavo a questo quando ho ordinato l'ispezione. Che mi dite invece delle informazioni contenute qui dentro? Cerchiamo bene, e vedrete che troveremo abbastanza da capire perché se ne sono andati gridando "Eureka" con la loro stridula voce da berserker. — Come faremo a scoprire cosa li interessava se lo hanno portato via? La discussione continuò. Havot si ritrovò completamente ignorato in quel momento: ormai aveva prestato tutto l'aiuto che poteva prestare. Avrebbe potuto risalire e darsi tranquillamente alla fuga senza venir notato da nessuno. Ma poi, cosa avrebbe fatto? Scartando quel pensiero, si ritrovò a ragionare con gli altri sul perché il berserker si era fermato in quel sotterraneo. Cercò di immaginare l'automa che l'aveva quasi ucciso mentre eseguiva degli ordini del tutto diversi, trascurando la cancellazione della vita per puntare direttamente su quel luogo e... e fare cosa? Be', in ogni caso il berserker che l'aveva quasi ucciso era del tutto diverso da quello sceso là sotto. La confusione che regnava sovrana nel sotterraneo non aiutava certo a capire che tipo di registrazione mancava. L'iniziativa ristagnava. Nessuno sembrava capace di trovare una soluzione. A un certo momento Havot, ormai entrato nello spirito della missione, chiese: — Secondo voi è possibile che non esista un indice di quanto conservato qui? Ma forse esiste di meglio, cioè un archivio gemello da qualche altra parte. Se solo riuscissimo a trovarlo... L'idea suscitò consensi. — Gli imatrani registravano ogni cosa, e l'accuratezza dei loro archivi era proverbiale. Vale la pena di verificare entrambe le ipotesi. Interpellato sulla faccenda via laser, qualcuno a bordo dell'ammiraglia confermò che gli imatrani duplicavano da sempre ogni registrazione. Prinsep annuì. — Bene. Adesso dobbiamo solo trovare i duplicati. Intanto, qualcuno resterà qui a catalogare e riordinare i filmati rimasti. Manderò le macchine necessarie quanto prima. Quando troveremo l'archivio gemello vedremo quali cubi di memoria mancano e cercheremo di capire perché i berserker li hanno presi. Nel giro di un'ora venne scoperto che un archivio gemello esisteva su uno dei popolosi pianeti al centro del sistema. Ottenere l'elenco di ciò che conteneva, così come la copia di qualsiasi registrazione mancasse nell'archivio originale, era possibile dopo un paio d'ore d'attesa dovute più che altro alle difficoltà di trasmissione radio. Purtroppo, la comunicazione Fred Saberhagen
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a distanza restava il mezzo più veloce e affidabile nel pozzo gravitazionale creato dalla presenza di una stella. Il commodoro e i suoi strateghi tornarono presto sull'ammiraglia, mentre gli esperti iniziavano faticosamente a catalogare il contenuto del devastato archivio. Poche ore dopo il grosso del lavoro era compiuto. Secondo la ricostruzione, vi erano almeno l'ottanta percento di possibilità che le registrazioni prese dal berserker riguardassero il famoso attacco avvenuto tre secoli prima. — Quello in cui uno strano berserker, chiamato da tutti il berserker di Dirac, ha agganciato un laboratorio spaziale trascinandolo con sé verso la Mavronari. — Non conosco questa storia, perché provengo da un pianeta molto distante da questo sistema. Cosa si è preso quel berserker? Un laboratorio spaziale? — Già, e uno molto grande per giunta. Sembra si trattasse di una sorta di impianto pilota per uno sbandierato progetto di colonizzazione che in effetti non partì mai. Se ben ricordo, qualche giorno dopo il raid giunse sul luogo il presidente Dirac. Sua moglie si trovava a bordo del laboratorio e il presidente radunò le poche forze disponibili, lanciò proclami di fuoco e si lanciò all'inseguimento del berserker. — Che romantico. — Già. Peccato però che il presidente e l'intera sua squadriglia sparirono nel nulla. In quell'evento perse la vita anche il colonnello Marcus. — Il colonnello chi? — Lei non è molto aggiornato sulle guerre dei berserker, vedo. Non importa, le spiegherò dopo. I duplicati delle registrazioni dell'attacco sarebbero stati disponibili nel solito paio d'ore, trasmessi in fretta e furia via radio verso Imatra dal pianeta che conservava la copia dell'archivio. Intanto gli esperti, finalmente consapevoli di dove mettere le mani, cominciarono a cercare nel vasto archivio del computer di bordo dell'ammiraglia per qualsiasi notizia riguardante quell'evento. Nelle registrazioni parziali subito disponibili si distingueva chiaramente la rotta presa dal berserker di Dirac al momento della fuga. La forma cilindrica del grande laboratorio spaziale, trainato dal berserker grazie ai Fred Saberhagen
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suoi possenti campi magnetici, risultò brevemente ma chiaramente visibile. — Ecco, adesso le immagini si riferiscono a qualche giorno dopo. Qui vediamo l'astronave di Dirac che si lancia all'inseguimento seguendo esattamente la stessa rotta. — Già. Ma in concreto, dove ci porta questa informazione? — Non lo so. Ma noi esperti concordiamo su un fatto: anche quell'attacco presenta anomalie mai viste prima, anche se molto diverse da quelle rilevate adesso. Innanzitutto l'attacco di tre secoli fa arrecò danni molto lievi alla superficie di Imatra... —
Lavorando e dando ordini a destra e sinistra con i suoi modi affatto nervosi ma alquanto ostinati, Prinsep riuscì a far muovere tutti nel modo più produttivo. Più volte ripeté: — Voglio sapere tutto su quel laboratorio spaziale! Per fortuna fu facile scoprire ogni cosa dai rapporti ufficiali dell'epoca. Quella sera, durante la cena nella sala comune della Symmetry, la conversazione sfiorò casualmente l'argomento della colonizzazione, sul quale le idee non erano cambiate di molto in quei tre secoli. — Da quanto tempo noi solariani ci stiamo espandendo nella galassia? — Esattamente non saprei... forse un paio di millenni. Anche altri problemi non erano cambiati molto nel corso dei secoli. Ancora le varie società solariane discutevano, con toni più o meno accaniti, di cosa fare dei figli indesiderati e dei limiti della genetica nella conservazione degli embrioni. Ma in effetti il problema era meno sentito che ai tempi di Dirac, a causa del forte calo delle nascite registrato un po' su tutti i pianeti abitati. A un certo punto qualcuno risollevò il tono della discussione menzionando le sonde di Von Neumann. — Le cosa? Ci spieghi meglio. — Oh, è solo un'antica teoria elaborata ai tempi dei primi viaggi spaziali... sa, quando un viaggio sulla Luna scatenava l'entusiasmo delle folle. "In breve, si tratta di una teoria che illustra come una civiltà tecnologica di modesto livello può esplorare in un tempo relativamente breve ampi settori della galassia partendo da un singolo pianeta, naturalmente senza astronavi in grado di raggiungere la velocità della luce. Per metterla in pratica occorre solo la capacità di realizzare delle sonde automatizzate Fred Saberhagen
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alquanto intelligenti, e di superare alcuni seri problemi di progettazione e di costruzione. Ma i veri problemi sopraggiungono, naturalmente, quando le sonde partono senza alcun equipaggio umano. A quel punto uno deve veramente lasciarle andare, dir loro arrivederci e rassegnarsi all'idea che viaggino nella galassia senza la minima supervisione. La civiltà che ha deciso di impiegarle deve pensare che la rappresenteranno in qualsiasi incontro con entità aliene. Il problema maggiore è che le sonde devono essere autoreplicanti e in grado di ripararsi da sole, come i berserker; e come loro, devono poter migliorare da sole la propria progettazione. E se vengono dotate anche di capacità industriale, per esempio per individuare e sfruttare delle miniere, possono rivelarsi delle armi terribili." Più di uno di coloro che ascoltavano rabbrividì dentro di sé. — Mandarle in giro senza supervisione. — Già, così dice la teoria. — Noi solariani abbiamo mai costruito delle sonde del genere? — Non saprei. Devo compiere qualche ricerca. — Lo faccia, allora. Non dovrebbe volerci molto. E infatti non ci volle molto. Il grande archivio dell'ammiraglia fornì presto i dati richiesti: la risposta era sì. Qualche antica società solariana aveva pensato di lanciare delle sonde di Von Ncumann sia a velocità convenzionali che a velocità C-più. Ma questo non era avvenuto in una galassia infestata dai berserker, perché la sonda conteneva necessariamente le coordinate spaziali del pianeta che l'aveva lanciata. L'archivio produsse anche l'esempio di due pianeti, due diversi rami della civiltà solariana che avevano lanciato simili sonde negli anni immediatamente precedenti l'invasione berserker ed erano vissuti abbastanza a lungo da pentirsene amaramente.
17 Havot si stava stufando di aspettare che i due agenti dell'Ufficio Umanità rivedessero la loro opinione sul commodoro. Era pronto ad ammettere che anche lui si era sbagliato all'inizio: come tutti quelli che incontravano Prinsep per la prima volta, aveva pensato di trovarsi davanti a un mollaccione arrivato in quel posto chiave grazie alle oscure influenze della politica (cosa vera, almeno a quanto si diceva in giro) e dedito più che altro a ridicole pratiche culinarie e ad altre innocenti indulgenze Fred Saberhagen
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mentre cercava ogni scusa per tenersi ben lontano dalle macchine assassine che doveva teoricamente neutralizzare. Così lo aveva giudicato, accorgendosi in pochi giorni di sbagliare. Ma naturalmente il sovrintendente Gazin e la sua truppa erano duri a capirla, forse troppo. Tutti i componenti della flotta scesi sulla superficie del planetoide rientrarono velocemente nei ranghi sotto lo stimolo degli ordini incalzanti ma pacati del commodoro. Il pianeta che conservava la copia dell'archivio imatrano aveva già inviato le informazioni richieste, e quindi si poteva dare inizio al conto alla rovescia. Le navette in rapida ascensione entrarono negli hangar delle rispettive astronavi che le attendevano in un'orbita alquanto bassa e presto l'intera flotta, composta da diciotto grandi astronavi secondo le stime più aggiornate di Havot, fu pronta a partire. Nonostante gli intensi sforzi compiuti per salvare Imatra, la flotta era in procinto di andarsene lasciandosi dietro un corpo celeste deserto e praticamente inabitabile. I generatori di gravità artificiale, pesantemente bombardati durante l'attacco, risultarono ben presto irrecuperabili. Ciò che rimaneva dell'atmosfera venne ben presto sconvolto da una nuova, violentissima tempesta di polvere sicché nel giro di pochi giorni anche le ultime tracce di vita sarebbero scomparse. Stavolta, contrariamente a tre secoli prima, gli abitanti e i loro leader, cioè le persone più direttamente interessate alla ricostruzione e alla rigenerazione del pianeta, erano morti. E quindi i militari si lasciarono dietro solo dei robot operai, automi di scarso valore in combattimento ma capaci di lavorare industriosamente con una minima supervisione umana per cercare di gettare le basi di una nuova, faticosa abitabilità. Ufficialmente l'opera di rigenerazione del pianeta era temporaneamente sospesa, rimandata a tempi migliori. Ma a tutti gli effetti poteva già venire completamente abbandonata. Due attacchi in tre secoli: chi poteva mai desiderare di vederne un terzo? Le informazioni richieste, trasmesse in forma codificata, vennero ricevute a bordo della Symmetry non molto dopo la lenta partenza da Imatra. Le accompagnavano altre informazioni urgenti riguardanti proprio Havot, codificate in modo speciale per l'Ufficio Umanità. L'agente Rebecca Thanarat firmò la ricevuta e si portò via la registrazione del Fred Saberhagen
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messaggio per decodificarla in privato. Dieci minuti dopo, Rebecca affrontò Havot in uno dei corridoi. — Salve. Le spiacerebbe spiegarmi un paio di cose? Dall'evidente cambiamento nell'espressione, negli occhi e nella voce della ragazza lui capì subito cosa c'era nell'aria. Tuttavia le rispose con un innocente sorriso. — Con piacere. Mi dica, agente Thanarat. — Ho ricevuto questo — cominciò Rebecca, per perdere momentaneamente la voce e provare di nuovo subito dopo. Stavolta il suo tono fu freddo, privo della benché minima inflessione. — Legga qui. Vorrei proprio sapere cos'ha da dire a riguardo! — esclamò, porgendogli energicamente un sottile, segreto e non elettronico pezzo di carta. Nel frattempo gli esperti che attendevano le copie dei filmati rubati dal berserker nell'archivio imatrano si precipitarono nella camera di realtà virtuale dell'ammiraglia, dove si unirono agli esperti già presenti che compivano degli studi preliminari. I due agenti dell'Uu restavano sempre nei paraggi aspettando ansiosamente la loro parte del messaggio come tutti gli altri. In particolare, il sovrintendente Gazin aveva deciso di unirsi alla spedizione con la segreta certezza che il commodoro avrebbe trovato qualche scusa per tornare indietro o per fermarsi molto a lungo su qualche altro pianeta civilizzato, evitando comunque qualsiasi scontro con i berserker. Intanto un'accorata discussione divideva le persone riunite attorno al decaedro. Il vecchio sospetto di tre secoli prima, estremamente duro a morire nonostante la sua palese assurdità, risorse nella mente di diversi esperti fortunatamente non molto ascoltati dal commodoro. Secondo loro, Dirac era davvero la mente di un falso attacco, il rapitore di se stesso. Vedendo svanire il plebiscitario consenso che lo aveva portato al potere, affermavano, il premier aveva semplicemente deciso di sparire con l'ammiraglia della flotta e ingenti ricchezze per vivere felice e a lungo su qualche lontano pianeta. Il corollario era che il grande berserker non era mai esistito e che la biostazione era stata sequestrata da un'astronave di Dirac camuffata per l'occasione. Oppure (e questo era ancora peggio) Dirac aveva raggiunto un accordo con un vero berserker, promettendogli tutto ciò che poteva promettere come un vero traditore. Naturalmente Fred Saberhagen
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coloro che prestavano credito a queste voci non venivano minimamente toccati dall'assoluta mancanza di prove ma davano semplicemente per scontata la malafede del premier. La faccenda era più importante di quanto non sembrasse, poiché se il berserker era autentico quanto la malafede di Dirac il presidente rischiava di passare per un traditore, e questo avrebbe creato notevoli problemi ai suoi legittimi eredi e alle loro pretese. Havot era nel frattempo alle prese con tutta un'altra serie di problemi. Si trovava con Rebecca nella cabina di lei, un semplice cubicolo molto più piccolo del suo, e da qualche minuto cercava di giustificare con tutta l'energia e la fantasia disponibili il contenuto del messaggio che lo condannava all'ergastolo. — Tu mi credi, vero? Rebecca, dimmi che è vero! — esclamò lui, suonando genuinamente ferito. — Devi credermi! Non potrei mai mentirti... perché io ti amo, Rebecca! Di colpo lei si scoprì nuovamente incapace di parlare. — Insomma — incalzò Havot, facendo del suo meglio per dar mostra di divertito disprezzo. — Omicidio, stupro, sequestro di persona, accoltellamenti e torture varie... Quante vittime avrei fatto a pezzi? Posso vedere di nuovo quel foglio di carta? — chiese, tendendo educatamente una mano. Lei glielo porse. — Ah, ma come puoi credere a questa storia? È troppo improbabile, hanno esagerato! Sarebbe suonato più convincente accusarmi di qualche furto, di un omicidio involontario... No, ormai hanno perso la testa, ecco la verità! — Ecco, spiegami cosa significa questa cosa: è già la seconda volta che la ripeti — chiese lei seduta sulla cuccetta, stringendo il materasso fino ad avere le nocche bianche e guardandolo mentre passeggiava su e giù in mezzo al piccolo spazio privato. Havot sentì di averla quasi in pugno; stava barcollando. Aveva insinuato il dubbio nella sua mente e ora non sapeva più a cosa credere. Stava quasi implorandolo di convincerla. — Come può accadere uno sbaglio così? Dici che si tratta di una montatura, ma... — È tutta colpa di un ispettore della polizia spaziale, e del suo dipartimento al gran completo — cominciò lui facendo il nome di qualche distante località. — Sono un branco di corrotti, e io... be', raccontare adesso come sono andate le cose sarebbe molto lungo. È una storia di violenza e depravazione, una di quelle che dimostra quanto marcia e Fred Saberhagen
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materiale può essere questa società. Sono certo che se dovessero rendere conto a qualcuno di quel dispaccio si giustificherebbero dicendo che si tratta di un terribile errore del computer, che mi ha confuso con qualche autentico psicopatico col nome simile al mio. Intanto sperano di farmi tacere, oppure che venga incarcerato o addirittura ucciso. Ci sono altre copie di questo messaggio a bordo? Rebecca, amore mio... Lei scosse lentamente la testa. La speranza, a cui lui aveva fatto tanto astutamente appello, stava lentamente vincendo la battaglia nella mente positiva della giovane donna. Ancora un minuto o due e sarebbe stata addirittura in grado di sorridere. — Dimmi la verità, ti prego. Sei certa che non ve ne sono? Se mai capitasse tra le mani del tuo superiore, io passerei dei guai infiniti. — Sì, ne sono certa — fu la replica. Già sulle sue labbra lottava per nascere un luminoso sorriso. — Noi non lasciamo in giro i nostri rapporti confidenziali, sai? — Bene — e Havot appallottolò pian piano il foglio di carta chiudendo il pugno. Intanto, nella sala del decaedro si stava svolgendo una riunione presieduta dal commodoro in persona. — Signori, secondo me le ragioni di quanto accaduto affondano nella storia. Quello che dobbiamo sforzarci di determinare adesso è cosa i berserker odierni trovano di tanto interessante nella registrazione mancante — cominciò Prinsep, tamburellando le dita grassocce sul tavolo. — Come abbiamo visto, si tratta della registrazione dell'attacco di tre secoli fa. Dobbiamo capire perché il nemico è tanto interessato a quella faccenda. — Dare un'occhiata al filmato potrebbe aiutarci. — Senza dubbio. Lo vedremo a tempo debito. Coloro che desideravano seguire le proiezioni provando al contempo i grandi poteri e i veritieri effetti del decaedro indossarono gli appositi caschi e si prepararono a visionare gli importanti documenti in tutta la loro drammatica realtà. Con i suoi mille metri cubi di volume, il decaedro era grande come una casa: poche astronavi potevano permettersi il lusso di averne uno tanto grande a bordo. Un simile, generoso spazio consentiva a una dozzina di persone di assistere contemporaneamente alla proiezione, e quello fu il numero di esperti che entrarono nella camera virtuale. Una volta dentro, coloro che già conoscevano i segreti della fantastica Fred Saberhagen
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struttura mostrarono agli altri come saltare, nuotare e fluttuare in piena libertà e in assoluta sicurezza approfittando della parziale attenuazione della gravità artificiale all'interno delle cristalline pareti, dei campi di forza che vi venivano irradiati e degli appigli in materia polifasica che sporgevano dalle giunzioni metalliche tra le vetrate. Uno schermo su una delle pareti elencava i titoli di alcuni tra i programmi disponibili. L'elenco dei giochi era copioso, e includeva i titoli più recenti quali: Jungle vines, Masts and rigging e il celebre City Girders. Ma quel giorno non c'era tempo per i giochi. Già a mezz'aria fluttuava un modello della Via Lattea. L'idea era di non perdere tempo, anche per evitare che qualcuno pensasse che stavano giocando. Per prima cosa era sembrato importante dare un'occhiata alla Mavronari, per cercare di capire come mai in entrambi gli attacchi i berserker si erano ritirati verso il centro di quell'immensa nube di gas e polveri seguendo esattamente la stessa rotta. La prima scena evocata dal programma "Modello Galattico" proponeva una panoramica generale dell'intera galassia. Il disco centrale, vagamente convesso, aveva un diametro di circa trenta chiloparsec, equivalenti a circa centomila anni-luce. Le braccia laterali a spirale di quella grande ruota confinavano con agglomerati molto più vaghi e meno luminosi di stelle individuali, ammassi stellari, nubi di gas e polveri e un certo assortimento di altri oggetti decisamente meno noti. La regione più luminosa dell'immagine rappresentava ciò che i militari solariani chiamavano Coresec, il nucleo della galassia, un volume di spazio incoronato di stelle e vagamente sferico dal diametro pari a circa mille anni-luce che conteneva al suo irraggiungibile centro alcuni degli insondabili misteri della Creazione. Là, nel cuore pulsante della nostra galassia, si trovava tra gli altri enigmi anche il Taj, un nome concepito parecchi secoli prima come codice militare per poi restare nel linguaggio comune come sinonimo dell'insondabile, del magnifico. Solo pochi tra gli umani discendenti dai terrestri avevano mai raggiunto gli strati più esterni del Taj, e ancora meno erano riusciti a tornare. Spiccava tra i molti tentativi quello compiuto dal mai dimenticato colonnello Marcus, scomparso tre secoli prima in seguito alla faccenda del berserker di Dirac. Ma come gli altri di quello scarso manipolo di eroi, anche lui non era riuscito neppure a scalfire i segreti celati nel nucleo Fred Saberhagen
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galattico. E così le informazioni rimanevano tremendamente scarse, e quelle poche sconsigliavano vivamente di tentare altre spedizioni. Più in generale, solo il cinque per cento del volume galattico era stato esplorato dalle astronavi solariane; ma in molti casi l'esplorazione era solo nominale, un semplice elenco di stelle di varia luminosità e grandezza, una mappatura delle nebulose più visibili e del flusso di correnti subspaziali nel quasi-matematico substrato della realtà, quel regno ancora parzialmente ignoto dove la propulsione C-più faceva parte del novero delle possibilità. Il centro approssimativo dell'espansione solariana era il sistema di Sol, tre quarti di distanza dal Coresec verso il margine della galassia lungo la grande curva a spirale di quello che ancora veniva chiamato il braccio di Orione-Cigni (dal nome di un paio di costellazioni visibili nei cieli notturni della vecchia Terra). Da un punto dell'immenso settore vagamente sferoidale dominato dai solariani partiva uno stretto corridoio esplorato che si dipanava tra diversi sistemi stellari per lambire infine il nucleo: un ulteriore simbolo della pertinacia dei figli del pianeta Terra. L'andamento serpentino di quel corridoio era dovuto alle difficoltà incontrate attraversando i settori densi di materia che confinavano col nucleo. Nell'ambito di quel piccolo cinque per cento di galassia esplorato dalle astronavi umane, la vita intelligente risultava incredibilmente rara. Il numero di pianeti sterili e deserti superava di molto quello dei pianeti con qualche forma di vita, e anche su questi l'evoluzione sembrava restia a spingersi al di là della vita batterica. In ogni caso, qualcuno presentava forme molto interessanti di vita animale anche intelligente. Ma qui purtroppo si concentravano gli attacchi dei berserker. Tra l'altro i solariani sembravano essere l'unica razza intelligente ad aver conservato l'aggressività iniziale: fino al contatto con loro, infatti, i berserker avevano continuato a sterilizzare pianeta dopo pianeta praticamente indisturbati. I carmpan erano la variante extraterrestre dell'uomo con cui i solariani intrattenevano i migliori rapporti. Ma i contatti erano comunque incredibilmente rari e difficoltosi, anche se i Profeti della Probabilità avevano dato un valido contributo, pacifico e indiretto come imponeva lo stile della loro razza, alle armate impegnate nell'eterna guerra contro i berserker. Le poche altre razze intelligenti in quel momento conosciute risultavano ai solariani ancora più aliene dei carmpan. Ombrose e chiuse in se stesse Fred Saberhagen
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per incomprensibili ragioni, sembravano terrorizzate dall'idea del contatto con i loro violenti cugini organici; neppure a parlarne di visitare i loro pianeti per motivi scientifici o culturali. Nessuna di esse si era però mai dimostrata ostile agli strani bipedi provenienti dalla Terra, forse per paura ma più probabilmente per gratitudine: infatti la loro esistenza come razze dipendeva strettamente dai successi delle armate solariane, come le loro autorità si premuravano di affermare nei rari contatti ufficiali. Solo gli antichi edificatori e i loro sconosciuti avversari, entrambi cancellati dagli spessi veli del tempo, sembravano assomigliare in qualche modo per mentalità e attitudini ai figli del pianeta Terra. Dei nemici organici degli edificatori non sopravviveva neppure il nome, ma chiaramente si trattava di una razza alquanto combattiva. Ma una parola della loro lingua era loro sopravvissuta, il nome di un tipo di automi costruiti per cacciare e annientare i berserker: i qwib-qwib. Ma la caccia si era evidentemente rivelata troppo rischiosa. I solariani avevano cercato a lungo qualche qwib-qwib superstite, ma invano. Ormai si riteneva che fossero stati tutti distrutti. Ma anche degli edificatori non restava molto. Le loro efficacissime creature meccaniche non ne avevano lasciato praticamente alcuna traccia, e nonostante le molte ricerche tutto ciò che venne trovato fu qualche spezzone di filmato con voci e immagini. Le creature che vi comparivano erano alte e snelle, le ossa fini, alquanto simili agli esseri umani con la sola differenza che l'occhio era unico e sito in mezzo alla fronte, con una grande pupilla rigonfia che guizzava rapidamente avanti e indietro. Insomma, una sola cosa poteva venir affermata con certezza sulla Via Lattea: che tra le centinaia di miliardi di stelle e sistemi planetari che conteneva, un gran numero di sorprese piacevoli e non attendevano chi era abbastanza determinato da continuarne l'esplorazione. Tutti coloro entrati nel decaedro avevano usato in passato simili dispositivi, ma il loro disegno non era completamente standardizzato e inizialmente vi fu parecchia confusione. Ciascun casco elettronico presentava a chi lo indossava una tastiera virtuale che fluttuava nello spazio a destra o a sinistra dell'utente, come questi preferiva. I comandi obbedivano allo sguardo o alla volontà: non c'era neppure bisogno di spostare una mano virtuale. Alcuni tra i presenti trovarono più comodo Fred Saberhagen
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operare per mezzo di semplici pensieri. Uno dei comandi di base interveniva direttamente sulla scala dell'immagine. L'effetto prodotto era quello di ingigantire o rimpicciolire il corpo virtuale dell'utente a seconda del suo desiderio di esplorare o di osservare un certo particolare della scena. La maggior parte delle stelle che comparivano erano solo approssimazioni statistiche, artefatti del computer che controllava il campo magnetico nel decaedro. Ma il computer conteneva anche miliardi di dati su molte stelle e sui loro sistemi, dalla loro vera posizione nella galassia alle caratteristiche dello spazio che le avvolgeva. In quel momento nessun colore contrassegnava i settori dove più forte era la presenza berserker. Infatti, visto che i molti eventi del lungo conflitto proponevano avanzate e ritirate da ambo le parti sarebbe stato impossibile delimitare con accuratezza quelle sterili estensioni. Neppure si sapeva con certezza da dove provenissero quelle dannate macchine, anche se le poche registrazioni esistenti, approssimate com'erano, offrivano una spiegazione decisamente convincente sulle loro antiche origini. L'immagine presentava comunque una versione abbastanza antiquata del loro dominio, ottenuta contrassegnando i soli di tutti i sistemi su cui si era registrato almeno un attacco berserker nell'era della civiltà solariana. Un'estensione molto più piccola, completamente interna alla prima, rappresentava invece i settori dove erano stati scoperti dei pianeti un tempo abitati e ora completamente sterili. Uno degli esperti fece partire con un comando queste spiegazioni, evocando una situazione strategica inevitabilmente sorpassata di qualche anno. Ma nessuno si aspettava di trovare in quei dati la posizione delle fabbriche, delle basi e delle roccaforti dei berserker. Una persona di altezza normale poteva ingrandirsi in un batter d'occhio di un miliardo di volte nel decaedro grazie alla magia della realtà virtuale, diventando quindi alto circa due miliardi di metri (due milioni di chilometri), cioè più grande di qualsiasi pianeta. Tuttavia ai suoi occhi la scala del panorama circostante cambiava molto poco per quanto riguardava le più lontane propaggini. Il corpo virtuale di uno degli esperti era in quel momento alto quanto il diametro di Sol, una stella più o meno di media grandezza. In ogni caso la sua speranza di riuscire a crescere tanto da potersi spostare a piacimento da Fred Saberhagen
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una parte all'altra della galassia era vana. La divisione effettiva per mille milioni di tutte le distanze lasciava ancora la mente umana davanti a un'inimmaginabile, sbalorditiva immensità. — Se non vuole ritrovarsi a fluttuare tutto il giorno nello stesso punto deve crescere molto più di così. La matematica vince ogni cosa, se si considerano solo i numeri. Dopo essersi ulteriormente ingrandito, lo speranzoso esperto riuscì a ottenere una scala grazie alla quale la galassia non appariva più estesa di un alto palazzo. Ma questo non accadde fino a quando l'osservatore non raggiunse un'altezza di mille anni-luce. Con quella scala, qualsiasi sistema solare era da tempo ridotto a dimensioni microscopiche e sarebbe stato del tutto introvabile se il computer non avesse creato delle apposite tracce. In quel momento chiunque si muoveva all'interno del decaedro temporaneamente libero dalle restrizioni della gravità provava la netta impressione di avere il controllo dell'intera galassia. In quella scala i tre bracci centrali a spirale risultavano chiaramente distinguibili, con Sol sempre visibile grazie al computer che lo contrassegnava con un fievole raggio dorato in partenza dalla curva scarsamente abbozzata di OrioneCigni. Qualcuno operò sui comandi in modo da isolare e ingrandire la nebulosa di Mavronari. Gli esperti osservarono la nebulosa comparire in una finestra aperta nella galassia senza riceverne alcuna ispirazione utile. Uno dei presenti osservò che quasi tutti gli astronomi e i cosmologi avrebbero trovato la Mavronari terribilmente spenta. Esistevano più o meno un altro centinaio di nebulose che le assomigliavano nello spazio conosciuto, e apparentemente il loro solo scopo era di costituire un ostacolo all'osservazione. Questo valeva per tutti, con la sola eccezione di pochi cosmologi. E comunque, coloro che avevano curato l'immissione dei dati nel computer non conoscevano molto di quella specifica nebulosa. Il piccolo cubo di memoria che uno dei comandanti della flotta stava inserendo nel lettore del pannello centrale conteneva la copia esatta delle informazioni rubate dai berserker su Imatra, portate fisicamente su una delle loro astronavi o, cosa più improbabile, copiate dalla stessa unità scesa nell'archivio e poi distrutte. Il computer che controllava il campo elettromagnetico del decaedro garantì a ognuno dei presenti un punto di osservazione centrale, scegliendo Fred Saberhagen
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come prima sequenza la scena svoltasi in uno dei bunker appena sotto la superficie del planetoide. Le immagini presero rapidamente a scorrere, ma senza mostrare nulla di particolare utilità. Passò del tempo. Una certa delusione cominciò a serpeggiare tra i presenti. — Lo proiettiamo di nuovo? — chiese uno dei programmatori quando la registrazione terminò. — Sì. No. Sì, tra un minuto. Ma prima... — disse il commodoro sfregandosi gli occhi stanchi. — Prima vorrei ragionare, signori, su ciò a cui abbiamo assistito: un attacco berserker del tutto particolare. Unico, oserei dire. E vi abbiamo assistito indagando su un altro attacco atipico. Ma una curiosa differenza esiste: il primo si è svolto praticamente senza spargimento di sangue. Vi fu un mormorio di accordo. Il commodoro continuò. — Qualcuno di voi ha notato qualche altra importante differenza, o qualche somiglianza, tra le due diverse occasioni? — Io no. — Io neppure. Non ancora... — furono le risposte comuni a tutto il gruppo. Il commodoro insistette su questo punto con tono incalzante. — Insomma, nessuno di voi ha visto qualcosa in questo filmato che possa darci un'idea del perché hanno interrotto il loro secondo attacco tanto bruscamente? Nessuno aveva visto nulla. Ma uno dei consiglieri disse: — Rivedere tutto questo ci riporta alla mente quanto sentito sulla stranezza del raid di tre secoli fa. Tutti abbiamo letto dei resoconti e ne abbiamo parlato qualche volta, ma è difficile cogliere la piena portata di quell'evento. Come lei ha affermato una volta, signore, si è trattato più di un furto, un rapimento di massa piuttosto che un massacro generale. — Già — commentò il commodoro. — Mentre, come tutti sappiamo, i massacri generali sono l'unica cosa che diverta i berserker a questo mondo. Nessuno rise. — In un certo qual modo, quella fortunata eccezione mi preoccupa più delle solite carneficine perché mi fa pensare che ci sia sotto qualcosa di terribile che non capiamo. Anche i contemporanei di Dirac ne furono preoccupati, così come un gran numero di esperti negli anni che seguirono. L'insolito raid sollevò un gran turbamento soprattutto in coloro che non Fred Saberhagen
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credevano in un complotto del presidente, poiché secondo loro il berserker aveva rapito l'equivalente della popolazione di un intero pianeta per crescere una colonia di traditori, i suoi schiavi, i suoi più fanatici guerrieri. "Negli anni immediatamente successivi alla scomparsa di Dirac, molta gente passò notti intere a studiare il contenuto di questo filmato. Ma dopo circa un secolo l'interesse declinò. Oggi come oggi, se avessi richiesto una copia di questa registrazione credo che l'avrei trovata solo qui, nel sistema Ima tra." — A proposito di cercare e di trovare... — lo interruppe Ensign Dinant, un cartografo spaziale. Prinsep lo guardò sbattendo le palpebre. — Sì? — Mi stavo giusto chiedendo: dove può mai trovarsi adesso, dopo trecento anni, il berserker di Dirac? Lo strano nemico che ci ha rubato un miliardo di protopersone? Ciò che ha fatto l'abbiamo visto tutti, ma adesso dove sarà? — È facile dedurre da questa registrazione la direzione che ha preso, così come è facile vedere che Dirac e i suoi lo hanno inseguito lungo la stessa rotta. Ma qualsiasi traccia abbiano lasciato dietro di loro sarà certamente scomparsa dopo così tanto tempo. Ormai quel berserker può essere ovunque; o forse è impegnato nel compito di crescere e addestrare quella colonia di traditori, se uno vuol credere a questa teoria. Il commodoro annuì. — Dopo trecento anni, penso che sia la cosa più probabile. Penso anche che dovremmo vedere in giro i primi risultati delle sue fatiche. Ma lo stesso Dirac potrebbe trovarsi in un sacco di posti, naturalmente se è ancora vivo. Il paffuto Prinsep si guardò attorno con severità. — Ma lasciatemi ricordare, signori esperti e cari amici, che la questione primaria che dobbiamo affrontare è: perché i berserker odierni sono così interessati a ciò che accadde al berserker o agli embrioni di ieri? — Io dico che non lo sono — affermò Dinant con testardaggine. — Pertanto deve trattarsi di qualcos'altro, qualcosa che non abbiamo notato in questo filmato. Forse, suggerì un altro consigliere, il loro interesse andava alle poche immagini dell'astronave di Dirac che comparivano sul filmato. Ma perché qualcosa riguardo quell'astronave li interessava tanto adesso? Nessuno ne aveva la più pallida idea. Ma il commodoro Prinsep era determinato a scoprirlo. Parlando come sempre in modo pacato pur Fred Saberhagen
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rendendo inequivocabili i suoi ordini, organizzò una squadra mista di esperti umani e informatici e disse loro di cominciare immediatamente un'analisi dettagliata di ciascuna immagine contenuta nel filmato. Intanto, la possente flotta continuava la sua avanzata nello spazio.
18 Havot udì per caso il sovrintendente Gazin affermare che la maggior parte dei consiglieri personali di Prinsep erano sistemi esperti, e commentare il fatto ironizzando sulla varietà delle scelte che i loro menu proponevano soprattutto in cucina. Lui invece stava facendosi un'idea alquanto diversa della situazione. Era facile notare come i membri organici dello staff del commodoro, un ristretto gruppo di persone che conoscevano perfettamente il loro superiore e lavoravano con lui da molto tempo, gli fossero totalmente leali. Inizialmente lo aveva ritenuto puro servilismo, ma adesso non ne era più tanto sicuro. In realtà, pensò ridacchiando dentro di sé, i due impavidi graduati dell'Ufficio Umanità apparivano sempre più cupi e silenti. Li stava forse sfiorando il pensiero che Prinsep fosse davvero partito a caccia di berserker? Parlando con Quarto Avventuriero, Havot apprese qualcosa di davvero sorprendente: il carmpan, con tutte le sue facoltà, affermava di vedere nel commodoro una spiccata tendenza al misticismo. — Dice sul serio, Quarto Avventuriero? — Sì, Christopher Havot — confermò l'alieno, guardandolo dal basso del suo metro scarso di statura con una faccia che per un solariano non era affatto tale. Un movimento simultaneo delle molte braccia precedette l'affermazione successiva. — E vedo la stessa tendenza in lei, se è solo per questo. — In me? — replicò Havot, una volta tanto sbalordito. Uno sciocco sorriso contrasse le sue labbra come una maschera. — Misticismo? No grazie! — aggiunse, provando al contempo il bruciante desiderio di raccontare a Quarto Avventuriero quanto avvenuto col berserker su Imatra. Ma naturalmente quella folle idea venne immediatamente soppressa. In effetti ai suoi occhi non esisteva forse personalità più lontana da un mistico di quella del commodoro gourmet. No, il carmpan aveva preso una Fred Saberhagen
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tremenda cantonata: come poteva possedere una vena mistica uno che tra una riunione e l'altra non pensava ad altro che a piluccare mille spuntini pensando al pasto che li avrebbe seguiti? Ma forse si trattava solo di un complimento. Forse tra i carmpan i mistici venivano altamente stimati. Oppure aveva sbagliato parola, concetto. La difficoltà di armonizzare le reciproche costruzioni mentali valeva per entrambe le razze. Il commodoro, scoprì Havot, trascorreva parecchio tempo con la sola creatura organica non umana sull'ammiraglia. Certo sembrava improbabile che i due condividessero la stessa passione per la cucina: era vero che il carmpan si cibava ogni tanto di cibo solariano, ma solo dopo averlo passato attraverso un suo aggeggio da cui usciva una sorta di pappa dall'aspetto francamente disgustoso. Ormai la flotta si era lanciata all'inseguimento dei berserker, la cui formazione compariva di quando in quando sui monitor. A poppa, il sole imatrano si affievoliva velocemente col crescere della distanza. Nessun altro messaggio da Imatra poteva più raggiungerli: finalmente Havot si sentì al sicuro. Solo temporaneamente, ovvio. Il suo destino era nelle mani di Rebecca. Se si fosse lasciata sfuggire una sola parola con Prinsep, o peggio con il suo capo, il suo nuovo amante sarebbe finito in una cella d'isolamento o in una camera di animazione sospesa, ibernato in attesa di svegliarsi nell'infermeria di un penitenziario. Ancora sentiva sul collo il fiato dei due ufficiali dell'Uu. Lo seguivano e lo spiavano aspettando che venisse il loro momento, augurandosi che facesse chissà cosa per dar loro la possibilità di arrestarlo comunque. Per fortuna la sorveglianza non era continua; d'altro canto, lì dentro non poteva certamente darsi alla macchia. Per quanto riguardava Rebecca, Havot stava valutando diverse soluzioni, ognuna delle quali presentava i suoi inconvenienti. Sul momento doveva fare in modo di farla innamorare di lui, di tacitarla con un rapporto gioioso e appagante. Pian piano intensificò i passaggi della sua campagna di seduzione, tenendo sempre ben presente che portarsi Rebecca a letto era infinitamente meno importante di guadagnarsi la sua totale fiducia. Frequentemente, aveva notato, loro due non andavano molto d'accordo; tuttavia, per un po' era necessario tacitare il suo orgoglio. Fred Saberhagen
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Havot tendeva a credere alle rassicurazioni di Rebecca riguardo l'esistenza a bordo di una sola copia del messaggio incriminante. Ma naturalmente non poteva esserne completamente certo. In ogni caso, aveva distrutto la copia capitata in mano sua con la massima attenzione. Come molte altre donne sedotte da Havot, Rebecca volle sapere tutto sul suo passato. Lui le ripeté con parecchi particolari in più la bugia del suo impiego come rappresentante di prodotti per l'educazione. La storiella si ampliò fino a fare di lui un ex insegnante. Per fortuna lei non rivelò molto interesse per i particolari della sua carriera di educatore. — Avevi promesso di raccontarmi come mai ti sei messo nei guai con quell'orribile ispettore di polizia. — Be', tutto è cominciato quando ho raccolto le confidenze di uno dei bambini che insidiava... — replicò lui. Ormai aveva avuto tutto il tempo per inventarsi una storia da premio letterario. Conosceva Rebecca abbastanza bene da sapere quali tasti toccare per guadagnarsi la sua simpatia. Prima di abbandonare il sistema di Imatra e balzare nell'iperspazio il commodoro indisse una riunione con tutti i suoi consiglieri e gli altri comandanti della flotta, questi ultimi collegati a distanza. Anche i vari computer centrali delle molte astronavi si collegarono tra loro, per un complesso travaso di dati tramite impulsi compressi e codificati. Per esigenze di sicurezza alla riunione parteciparono soltanto i militari con le sole eccezioni del carmpan, che stavolta declinò cortesemente l'invito, e del sovrintendente dell'Ufficio Umanità. Il problema da risolvere era sempre lo stesso: scoprire il motivo per cui il nemico aveva agito in modo tanto insolito per ben due volte. La traccia elettronica del misterioso razziatore solitario di tre secoli prima si era dissipata ormai da tempo. Ma sulle vecchie registrazioni risultava chiaramente visibile la direzione che aveva preso, e le rilevazioni confermarono che la moderna flotta di macchine di morte seguiva il più accuratamente possibile la rotta del suo predecessore. Havot non veniva certamente invitato ad assistere alle riunioni di Prinsep, ma molto di ciò che veniva detto dietro la porta del suo ufficio diventava di pubblico dominio a bordo, come del resto accadeva a qualsiasi informazione riguardante il nemico in fuga. Fred Saberhagen
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Chiunque studiasse il problema cominciò a pensare che la scoperta della rotta del berserker di Dirac fosse ciò che aveva spinto i moderni berserker ad abbandonare l'attacco a metà. Uno dei consiglieri organici di Prinsep espresse ad alta voce quell'ipotesi. — Esaminati tutti i fatti, dobbiamo concludere che il nemico ha lasciato Imatra nel momento stesso in cui ha identificato la rotta presa dal suo predecessore. Anzi, tutte le prove indicano che l'intero attacco mirava soprattutto a trovare quell'informazione. La registrazione presa nell'archivio non può contenere nient'altro di interessante per loro. — No! No, no, no! — esclamò il commodoro scuotendo enfaticamente la testa. — Non posso accettarlo! Non possiamo sicuramente pensare che diano la caccia a uno di loro! — Chi può dire con assoluta certezza ciò che interessa o meno ai berserker? Quella registrazione conteneva un numero astronomico di informazioni. Prinsep reagì con un gesto di rifiuto. — Bah, lo stesso si può dire di una parete bianca. Una buona parte di quelle che tecnicamente chiamiamo informazioni non significano molto. Che altro, oltre alla rotta del vecchio berserker, può avere qualche importanza per loro? Nessuno rispose. Il commodoro si guardò intorno con enfasi. — Quando un berserker decide di lasciare in vita un essere umano per risparmiare pochi secondi, potete star certi che qualcosa di molto grosso sta bollendo in pentola, qualcosa di strano... e certamente di molto pericoloso per noi. Nel frattempo il sovrintendente dell'Uu, che segretamente dubitava della determinazione di Prinsep, sedeva pensieroso con un'aria quantomai incerta e preoccupata. La flotta nemica in fuga continuava a seguire molto da vicino la rotta tenuta dal suo predecessore tre secoli prima, e di conseguenza così faceva anche la muta di inseguitori solariani. La caccia continuò attivamente ora dopo ora, giorno dopo giorno, con la flotta solariana che talvolta sembrava guadagnare un po' di terreno, altre perderlo. Tutti i piloti umani erano militari allenati a volare in formazione e a utilizzare i più avanzati sistemi di navigazione e di ricognizione. Il commodoro aveva dato all'inseguimento un ritmo incalzante, ma non tanto da rischiare di perdere qualche astronave. Il primo balzo nell'iperspazio compiuto dai piloti non rappresentò certo Fred Saberhagen
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una nuova esperienza per Havot, che nella sua vita relativamente breve aveva visitato un gran numero delle migliaia di pianeti della galassia colonizzati dai solariani: molti più di quanti fosse dato visitarne a una persona normale. Invece, viaggiare fuori e oltre le limitazioni dello spazio convenzionale fu un'esperienza totalmente nuova per l'agente Rebecca Thanarat. Il primo balzo durò un tempo soggettivo per astronave di circa dieci secondi, abbastanza per far desiderare a Rebecca, romanticamente abbracciata a Havot, di guardar fuori da un oblò nel nulla irritante dell'iperspazio, un mondo spesso descritto come un insieme di luci lontane sfocate da una serie di lenti difettose. Purtroppo le loro cabine erano troppo interne per possedere un oblò e richiamarne uno sull'oloschermo non sarebbe servito a vivere la vera sensazione, le assicurò Havot. C'era qualcosa nella qualità delle luci, nelle immagini viste attraverso una semplice lastra di vetro infrangibile che qualsiasi sistema olografico non riusciva semplicemente a riprodurre. Al termine di ciascun balzo collettivo, quando la flotta riemergeva nello spazio convenzionale, i tecnici e i computer dell'ammiraglia controllavano per prima cosa il numero e le condizioni delle astronavi. Dopodiché i tecnici si rilassavano qualche istante per poi riprendere immediatamente a lavorare eseguendo i calcoli necessari al balzo successivo, una procedura che richiedeva perlomeno parecchi secondi. Nei brevi intervalli tra i vari balzi, altri membri dell'equipaggio scandagliavano con i loro strumenti lo spazio circostante cercando la nuova traccia elettronica del nemico, assicurandosi che fosse recente e identica a prima oltre a controllare che tutte le astronavi umane procedessero nella formazione stabilita. Seguiva un rapido scambio di comunicazioni in codice tra i componenti della flotta, e al segnale... via, di nuovo nell'iperspazio. Non appena la prima delle astronavi riemergeva nello spazio convenzionale i suoi sensori sondavano lo spazio davanti alla flotta cercando i segni di passaggi recenti, qualche indizio, qualche disturbo negli schemi di irradiazione dello spazio convenzionale che indicasse le condizioni fisiche generali presenti sulla loro strada. Fino a quel momento nulla faceva pensare che la flotta di razziatori avesse deviato dalla via di fuga seguita tre secoli prima dal grande berserker e dalle astronavi di Dirac che lo tallonavano. Fred Saberhagen
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Ma gli inseguitori umani e i loro fedeli servitori elettronici non avevano osservato direttamente quell'antica caccia. Difatti non sembrava di alcuna utilità perdere tempo in cerca delle fievoli immagini della Eidolon o del micidiale automa in fuga verso il centro della Mavronari. La luce che portava quelle immagini con sé distava ormai centinaia di anni, e con tutta probabilità era tanto attenuata da risultare impossibile per qualsiasi sensore captarla e ripristinare la sua intelligibilità. Inoltre, nessuno cercò qualche riscontro o traccia fisica del passaggio del grande berserker e delle tre astronavi che lo tallonavano. L'attenzione collettiva si concentrava sulla flotta dei nuovi attaccanti. Questi infatti si lasciavano dietro una scia quantomai distinguibile, dimostrando ancora una volta che, per qualche motivo, solo la rapidità importava loro in quel momento. Era come se la flotta solariana che li inseguiva non contasse per loro più della totale sterilizzazione di Imatra. Certo le macchine di morte avrebbero volentieri seminato i loro inseguitori, ma vista l'impossibilità di farlo si accontentavano di ignorarli il più a lungo possibile. Il commodoro viveva intanto dei momenti davvero difficili. Tutta la sua esperienza di militare gli diceva che un simile atteggiamento da parte dei berserker preludeva a una trappola, a qualche imboscata; tuttavia non poteva mollare la preda adesso, e così decise di continuare a tallonarla sfogando tutto il suo nervosismo sui suoi sottoposti. Il computer di bordo della Symmetry e i sistemi esperti che Prinsep vi aveva inserito fecero del loro meglio per calcolare le possibilità di un'imboscata. Prinsep non rese pubbliche le loro conclusioni: inutile farlo, perché la decisione finale spettava comunque solo a lui. E poi un banale incidente mutò profondamente il corso degli eventi. Due grandi berserker a parecchie ore-luce davanti alla flotta vennero visti esplodere al momento stesso del balzo nell'iperspazio, ridursi in schegge e particelle di gravità proiettate nello spaziotempo dalla tremenda velocità acquisita dalle due masse originarie. Gli altri berserker che componevano la flotta in fuga dovettero a quel punto rallentare la loro marcia o venire anch'essi distrutti da leggi fisiche spietate quanto i loro programmi. Tutti a bordo delle astronavi solariane, tranne i più stretti collaboratori di Prinsep, si aspettavano a quel punto di ricevere l'ordine di rallentare a loro volta. Ma il commodoro tacque. E presto la flotta umana cominciò a guadagnare sensibilmente terreno.
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Rebecca Thanarat entrò nella cabina che ormai condivideva con Havot e riferì (con gran divertimento del suo giovane amante) che il sovrintendente Gazin e il suo sottoposto, mai prima di quel momento tanto vicini a dei veri berserker, erano pallidi come due fantasmi. La flotta solariana aveva guadagnato parecchio terreno, ma alla fine anche Prinsep aveva dovuto dar ordine di rallentare. Inseguiti e inseguitori continuarono a ripercorrere le rotte di trecento anni prima, aprendosi faticosamente la strada attraverso le frange più esterne della nebulosa che mai erano parse in passato tanto spesse. Poche ore dopo, ogni barlume di felicità crollò con uno schianto addosso a Rebecca. Il sovrintendente la convocò nel suo alloggio e senza giri di parole l'accusò di tradimento per aver nascosto l'arrivo di un messaggio in codice per lui. La stampa delle comunicazioni in arrivo dimostrava che un simile messaggio esisteva, e l'addetto ricordava di averlo consegnato proprio a Rebecca diversi giorni prima, quando la Symmetry stava per varcare il limite del settore utile alle comunicazioni provenienti dai pianeti centrali di Imatra. Havot apprese qualche tempo dopo che Rebecca non aveva saputo difendersi in alcun modo dall'accusa. Gazin sicuramente sospettava, ma senza il dispaccio non poteva provare nulla; intanto Rebecca era finita in cella su suo ordine, sottoposta a pressioni di ogni genere perché ne rivelasse almeno il contenuto. Ma certamente Gazin doveva aver chiesto l'autorizzazione di Prinsep per poter ricorrere a misure tanto estreme. Havot pensò di parlarne al commodoro, ma presto questi lo convocò nel suo ufficio in quanto da sempre sospettato numero uno. — Che cosa sa di questa storia, Havot? Stiamo per ingaggiare battaglia con quelle macchine dannate, e non voglio distrazioni di alcun tipo a bordo! Il suo giovane interlocutore lo guardò appropriatamente tremante e imbarazzato. — Gazin vuole incastrarmi per fare bella figura con i suoi superiori. Ma io e Rebecca ci siamo innamorati, e questo ha mandato all'aria il suo piano per farmi confessare chissà cosa tramite lei. Dato che deve tornare a casa con un arresto, adesso se la prende con Rebecca per una semplice trascuratezza. Ma io non c'entro nulla con il dispaccio perso da Rebecca! Fred Saberhagen
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Prinsep sospirò e studiò il giovane uomo in piedi davanti a lui. Come sempre l'ultima parola su un'astronave spettava al suo comandante, soprattutto in quella situazione. Poi, inaspettatamente, Prinsep disse: — Il nostro passeggero carmpan mi ha consigliato di fidarmi di lei. Conosce forse la ragione per cui Quarto Avventuriero sembra stimarla tanto? — Io... no, signore. Non ne ho idea — replicò Havot, non trovando nulla di meglio da dire. — Va bene. Darò ordine di liberare la sua ragazza, almeno per il momento. Questo mi causerà sicuramente qualche problema, ma non ho tempo di pensare a voi adesso. E per quanto riguarda i superiori di Gazin... — aggiunse il commodoro lasciando la frase in sospeso. Era chiaro che detestava gli uomini dell'Uu e i loro metodi strettamente inquisitori. Havot sorrise sollevato. — La ringrazio, commodoro. Vedrà che non si pentirà di questa decisione. Non le daremo più fastidi, Rebecca e io. — Faccia in modo che sia così, Havot. Per il suo bene.
19 Per i solariani a bordo della flotta gli eventi di tre secoli prima non erano altro che ombre della storia. Tuttavia, molti cominciavano a chiedersi adesso se Dirac non potesse, dopotutto, essere ancora vivo da qualche parte nella nebulosa. La scoperta di Dirac vivo avrebbe certamente avuto qualche effetto sull'assetto politico ed economico contemporaneo, ma non era facile stabilire quali potevano essere questi effetti. Havot trovò divertente l'idea. — Se in questa nube di fuliggine spaziale troveremo un vecchio con la lunga barba bianca, possiamo star certi che si tratta di Dirac. Tuttavia Prinsep fece più volte notare ai suoi consiglieri che superare i trecento anni di età non era impossibile con le moderne tecniche di selezione genetica. Tutti conoscevano la storia: numerosi politici e militari avevano vissuto più di trecento anni. E Dirac era abbastanza giovane ai tempi della sua scomparsa, la sua sposa poco più di una fanciulla; inoltre, sembrava ovvio che delle persone bloccate nello spazio a bordo di una struttura dotata di camere di animazione sospesa avessero alla fine deciso di ibernarsi in attesa di futuri soccorsi. Fred Saberhagen
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Sempre che, ovviamente, il gruppo di uomini e donne bloccato a bordo della biostazione tenesse ancora in mano le redini del proprio destino. Se erano caduti prigionieri del berserker non esisteva la minima speranza di trovarli ancora in vita, come sempre accadeva a chiunque capitasse nelle mani del nemico non vivo; questo valeva anche per i traditori. Una volta, nella sala comune, Havot udì Gazin (spinto dalla sua paranoia a prestare totalmente fede ai detrattori dell'antico premier) parlare di Dirac presentandolo come un sicuro traditore che aveva aiutato o stava ancora aiutando il berserker a crescere la sua colonia di involucri umani, schiavi nel corpo e nella mente dei turpi scopi della macchina assassina. In ogni caso, lasciando da parte i sospetti e le accuse palesemente infondate, la domanda di fondo restava irrisolta: perché i moderni berserker davano tanta importanza alla scoperta della rotta seguita dal loro predecessore nella sua ritirata? E perché ora la ripercorrevano fedelmente a velocità quasi suicida? Nessuno poteva rispondere. Non ancora. Possibile che le moderne macchine di morte fossero consumate dalla bruciante urgenza di riprendere il loro strano antenato? Oppure per qualche inimmaginabile ragione cercavano di riprendere l'astronave di Dirac che li aveva preceduti su quella stessa rotta? Sorprendendo tutti, i calcoli dei computer rivelarono che una simile ipotesi ricadeva nel novero delle possibilità, dando naturalmente per scontato che l'astronave umana avesse seguito le tracce del berserker fino in fondo, dritto verso il centro della Mavronari. Ma perché il berserker aveva scelto proprio quella direzione? Tre secoli di continui miglioramenti nei motori interstellari e nei sistemi di controllo, così come nelle tecniche di attraversamento delle nebulose più dense, consentivano ai moderni inseguitori di mantenere una buona velocità. Perlomeno la traversata sarebbe durata molto meno che ai tempi dell'enigmatico Dirac. Anche alcuni berserker recentemente catturati intatti mostravano notevoli miglioramenti rispetto a quelli di tre secoli prima. E le macchine di morte che avevano attaccato Imatra appartenevano senza dubbio alla classe dei nuovi berserker. Pertanto, né l'inseguimento né la battaglia sarebbero stati più facili di quanto lo furono per lo scomparso presidente. Nessuno degli esperti a bordo della moderna flotta solariana dava mostra di credere che la caccia di trecento anni prima non fosse ancora terminata, che qualcosa stesse ancora accadendo oltre la formazione di berserker in Fred Saberhagen
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fuga. Mai si era ritenuta possibile una cosa del genere. No, se uno guardava le cose razionalmente quella faccenda doveva essersi conclusa ormai da tempo, in un modo o nell'altro. Quasi certamente il presidente e la sua squadra erano morti nell'impresa, la biostazione e il suo prezioso carico distrutti nei combattimenti e il grande berserker morto a sua volta o danneggiato al punto da perdersi nei vortici dell'immensa nube di polvere cosmica. In alternativa, la macchina di morte che portava il nome del suo inseguitore era riuscita in qualche modo a distruggere le tre astronavi solariane uscendo dalla nebulosa in qualche punto molto distante, oppure fermandosi con la sua preda in una sorta di sonno secolare. Comunque l'attuale flotta solariana, sotto il comando di un commodoro che mostrava un'inaspettata quanto naturale combinazione di coraggio e tenacia, aveva ottime possibilità di riuscire a raggiungere i berserker in fuga. Nonostante l'evidente possibilità di una battaglia spaziale, il morale a bordo era molto alto. L'unico cruccio degli alti ufficiali era la situazione che vedeva coinvolti Havot, Rebecca Thanarat e i due rappresentanti dell'Ufficio Umanità. I comandanti delle varie astronavi e tutti gli ufficiali che partecipavano alle riunioni strategiche si ritrovavano sempre allo stesso punto. D'altro canto, comprendere i motivi del comportamento tanto strano dei berserker avrebbe aiutato non poco a scoprire le loro intenzioni. Ensign Dinant ci pensava intensamente. — Lasciando stare quello che possono aver scoperto su Imatra, sono convinto che i berserker odierni conservano in memoria qualcosa sulle intenzioni del loro predecessore e persino sulle tattiche che decise di adottare per raggiungere i suoi obiettivi... d'altro canto non posso credere che dedichino anche solo un secondo a un'impresa tanto marginale, per il semplice motivo che non vedo una sola ragione per cui dovrebbe importargliene. Dopo un imbronciato silenzio il luogotenente Tongres, una giovane donna considerata da Prinsep uno dei suoi migliori piloti, si schiarì la gola e parlò. — Vediamola in questo modo: per quanto ne sappiamo, la sola cosa importante su quella vecchia registrazione è la rotta tenuta dal berserker di Dirac durante la fuga. Con tutta probabilità quell'automa è Fred Saberhagen
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riuscito a fuggire e forse anche a distruggere i suoi inseguitori in qualche punto della nebulosa, e se una tattica ha successo una volta allora io proverei a ripeterla. — Ba'! In questa direzione non sembrano esservi dei punti particolarmente favorevoli a un'imboscata, nulla che renderebbe un attacco di sorpresa più facile che seguendo una rotta distante milioni di chilometri. Per i nostri attuali nemici, cercare rifugio nel cuore della Mavronari significa solo ripetere una tattica già adottata. Ma farlo seguendo esattamente la rotta tracciata tre secoli fa è qualcosa di più, qualcosa di insolito. C'è in ballo ben altro che una semplice trappola, ma non saprei dire cosa. Una ripetizione di tutta la storia. Perché? Perché, maledizione! — esclamò Dinant battendo il pugno sul tavolo. Tongres scosse la testa. — Secondo me non è veramente importante che seguano la stessa rotta. Il punto è capire se vogliono arrivare allo stesso posto. — Oh! E che razza di posto potrebbe mai essere? — Che ne dite di un sistema nascosto nel cuore della nebulosa, o di un passaggio sgombro che l'attraversi da parte a parte? — Per quanto ne sappiamo, il centro della Mavronari è poco più di una palla di polvere. Invece, la scoperta di un passaggio diretto avrebbe una certa importanza per le loro scorrerie. Ma non molta, perché i pianeti abitati sono tutti da questa parte. — Forse portano qualche informazione importante al loro quartier generale che si trova proprio là dentro, su qualche sistema sconosciuto. Dinant la guardò poco convinto. — E così ora abbiamo un'intera flotta di berserker che svolge il lavoro di un robo-corriere. Mi permetta di dubitarne. E comunque, non le pare di star girando in tondo? Immagino che le importanti notizie che portino al loro quartier generale non siano le coordinate dove sorge il medesimo. La giovane pilota avvampò, ma prima che potesse ribattere adeguatamente un altro dei partecipanti decise di intervenire. — Insomma, cosa può contenere di tanto importante per i moderni berserker una registrazione vecchia di tre secoli capitata per caso nelle loro mani su Imatra? — Ah, forse lei non era presente alla proiezione di stamani. Non sembra affatto capitata nelle loro mani per caso, anzi. L'unità d'assalto che ha trovato la registrazione si è diretta esattamente verso l'archivio non appena Fred Saberhagen
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messo piede a terra, proprio come se fosse stata programmata per compiere quella missione. E soprattutto come se già sapessero che quella registrazione si trovava lì. — E come facevano a saperlo? — domandò Dinant. — Ottima domanda — replicò Tongres con fare pensieroso. — Immagino glielo abbia detto qualcuno. Quel primo accenno alla possibile presenza di un traditore venne accolta da un lungo silenzio. Né Havot né i due ufficiali dell'Uu erano presenti in quel momento. Quel momento passò. Il terzo ufficiale domandò: — E così secondo lei il premio che i nostri nemici speravano di ottenere, e che hanno estratto da quella vecchia registrazione, era la rotta tenuta trecento anni fa dal berserker di Dirac? — Che altro? — ribatté Tongres stringendosi nelle spalle. — Tutti noi abbiamo assistito centinaia di volte allo spettacolo. Secondo voi quale potrebbe essere il grande segreto? Dinant venne colpito a un pensiero improvviso. — Un momento. E se... — Cosa? — Supponiamo, tanto per parlare, che Dirac fosse veramente un traditore. Sì, lo so che non esiste la minima prova a riguardo, ma se nessun'altra spiegazione sembra avere un senso dobbiamo cercare altre ipotesi. Diciamo allora che era abbastanza traditore da raggiungere un accordo con uno di loro sperando di prolungare la propria carriera. Così fa in modo di regalare al suo alleato un'intera biostazione con un miliardo di embrioni umani da uccidere o da usare. — Okay, tanto per parlare diciamo che è andata così anche se tutte le prove sembrano smentirlo. Cosa gli avrebbe promesso il berserker? Dinant tacque per qualche istante. — Oh, non ne ho idea. Forse di liberarlo da un avversario politico, forse di procurargli nuove ricchezze; in ogni caso, l'affare si rivela un disastro per il traditore. Il berserker si prende la biostazione e gli tende un'imboscata quando lui lo insegue per ricordargli il patto. — E se lo mangia vivo con un miliardo di protopersone per dessert. Non mi sembra affatto convincente, ma supponiamo, tanto per parlare, che sia andata così. Questo come spiega l'atteggiamento dei nostri berserker? Dinant tacque. Tongres e gli altri sospirarono. Fred Saberhagen
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Finalmente qualcuno parlò. — A proposito del quartier generale berserker: quei dannati operano da secoli in un'immensa estensione dello spaziotempo e per quanto ne sappiamo nessuno ha mai localizzato il loro quartier generale. Potrebbero anche non averlo. Dopotutto anche noi solariani non abbiamo un quartier generale centrale, ma solo locali. — Osservazione interessante. Sì, sembra abbastanza improbabile che ne abbiano uno. Ma sembra ancora più improbabile che si trovi qui, e che quella muta di cani rabbiosi ci stia portando proprio dove sorge. Nel corso dei secoli, molto prima del raid del berserker solitario su Imatra, l'interno della Mavronari era stato esplorato parzialmente e in modo discontinuo. La nebulosa non sembrava ospitare forme di vita di alcun genere, ma in effetti non si poteva mai dire. In certi punti, peraltro molto distanti tra loro nell'immensa distesa di silenti tenebre, la pressione luminosa esercitata dai soli che vi si trovavano riusciva ad allontanare la polvere e i gas sottili che oscuravano ogni cosa, ripulendo dei settori di spazio abbastanza ampi da ospitare modeste famiglie di pianeti e planetoidi. Un paio di questi sistemi solari, che secondo il computer dell'ammiraglia non erano mai stati abitati ed erano tutto fuorché abitabili, si trovavano nella direzione presa dai berserker dopo i due attacchi su Imatra. Già da tempo si sapeva che quei sistemi isolati all'interno della Mavronari erano raggiungibili per mezzo di sottili, contorti canali di spazio vuoto che si snodavano attraverso la nebbia di polvere cosmica. Tuttavia, il nemico non compiva alcuno sforzo per raggiungere il più vicino di quei canali. E nonostante la possibilità di accedere a una prodigiosa quantità di informazioni militari sugli avvistamenti e le attività berserker, il commodoro non trovò nulla che lasciasse sospettare che la Mavronari ospitasse delle installazioni nemiche funzionanti. In ogni caso, nelle immensità della nebulosa potevano benissimo esistere altri sistemi planetari conosciuti ai berserker e non ai solariani. I pianeti su cui la vita era impossibile potevano rivelarsi ottimi per accogliere fabbriche e spazioporti e per estrarre i minerali necessari a costruire nuovi berserker. Alla fine gli ufficiali impegnati nelle spossanti e ripetitive riunioni si sentirono quasi obbligati a concludere che la flotta nemica si stava Fred Saberhagen
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dirigendo verso un pianeta o una famiglia di pianeti di quel tipo e aveva scelto di arrivarvi per la via più lenta, la via secondaria. Di nuovo però sorgeva la domanda: perché? Certamente qualsiasi berserker o astronave solariana obbligata dalla polvere a viaggiare a velocità convenzionale lottando per ogni chilometro di strada avrebbe impiegato molto più di trecento anni per raggiungere uno qualsiasi dei pianeti su cui sembravano puntare i berserker. Prinsep rielaborò tutti i dati in quel momento conosciuti e il risultato divenne pubblico per chiunque volesse conoscerlo: in trecento anni, Dirac e il berserker solitario dietro cui si era lanciato non avevano neppure completato un terzo della buia traversata e si trovavano ancora distanti dal primo di quei sistemi solari. — Ma forse trecento anni bastano per raggiungere qualche sistema a noi sconosciuto. Non credo molto a questa ipotesi, ma non posso scartarla a priori. — Voi non credete che uno dei berserker che stiamo inseguendo possa essere il berserker di Dirac? Questa domanda ottenne come risposta una serie di sguardi interrogativi. — Non se il berserker di Dirac ha mantenuto la rotta che tutti sappiamo. In quel caso dovrebbe trovarsi ancora immerso in questo polverone. — Ma forse esiste un passaggio che non conosciamo, qualche corridoio percorribile a velocità C-più invisibile dall'esterno della nebulosa e mai rilevato dalle precedenti esplorazioni. Uno dei comandanti, una donna, richiamò sul suo oloschermo alcune immagini, i profili delle macchine di morte davanti a loro così come potevano venir abbozzati dai diversi strumenti di rilevazione. — Nessuno di questi berserker corrisponde all'immagine del berserker di Dirac mostrata dalla vecchia registrazione. Lei sta per caso suggerendo che quel berserker abbia girovagato in cerca d'aiuto, tornando poi con i rinforzi a terminare l'opera? — No, non esattamente. Non intendevo metterla così. Mi chiedevo semplicemente se il nostro razziatore solitario non si aggiri nella nebulosa puntando di quando in quando sui pianeti abitati che la circondano per fare quanti più danni possibile. La comandante ci pensò sopra, poi scosse la testa. — Potrebbe anche darsi, se solo Imatra non fosse stato storicamente l'unico pianeta dei Fred Saberhagen
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sistemi confinanti con la Mavronari a venir attaccato. E poi, anche Imatra non ha subito attacchi per molto tempo dopo il primo. Perché compiere una scorreria ogni tre secoli? Non sembra neppure di star parlando di un berserker. — Di cosa state parlando allora? — intervenne il commodoro, interrompendo il dibattito tra i due con la forza della sua autorità. — Se qualcuno pensa che quelli davanti a noi non sono dei veri berserker, gli suggerisco di non dirlo ad alta voce. Ormai abbiamo raccolto prove più che a sufficienza, intercettato le loro comunicazioni, esaminato i frammenti dei due che sono esplosi... e così fece Dirac per accertarsi della natura del suo avversario prima di partire per la sua ultima battaglia. Le cose che stiamo inseguendo, e che Dirac inseguì a sua volta, sono degli autentici berserker assassini. Potete starne certi! Qualcun altro intervenne: — Dobbiamo tener presente che i berserker non agiscono sempre secondo logica ma cercano di conferire una qualche imprevedibilità alle loro azioni. Prinsep scosse la testa. — È vero, lo fanno: ma tre secoli di deliberata stupidità, di inefficienza, di spreco di tempo e di materiale solo per darci qualcosa su cui affannarci mi sembra un po' esagerato. Se mai dovesse provarsi vero lascerei l'esercito, perché significa che non ho capito nulla di berserker. Bah, non importa. Sono stanco. Signori, dovrete continuare senza di me: io me ne vado a letto. Il segnale emesso dal suo cuoco, un attutito suono di gong, risuonò in quel momento nel suo ufficio; per la prima volta Prinsep rifiutò la cena con un nervoso gesto della mano, senza alcun commento. La flotta riuscì a guadagnare nuovo terreno sul nemico in fuga durante i due o tre successivi balzi nell'iperspazio, ma da un certo punto in poi avvicinarsi ancora divenne più difficile. Il commodoro studiò per qualche tempo le rilevazioni dei computer e la densità di materia nebulare nello spazio circostante, e alla fine decise che l'intensità delle microcollisioni sconsigliava altri balzi nell'iperspazio. Ma anche così l'inseguimento si fece sempre più rischioso per le condizioni quasi proibitive in cui dovevano avanzare man mano che penetravano nelle vaste e buie regioni interne della Mavronari. E dopo altri quattro o cinque giorni d'inseguimento sembrò che le astronavi solariane cominciassero a perdere terreno. La traccia lasciata nel Fred Saberhagen
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subspazio dai fuggitivi divenne più tenue e difficile da seguire. Il commodoro strinse i denti e soppesò le varie possibilità. Alcuni dissero che si rinchiudeva nella sua cabina per pregare qualche divinità da lui favorita (nessuno sapeva però quale). Finalmente, dopo lunghe riflessioni ordinò di aumentare gradualmente la velocità. Dopo quell'ordine si voltò verso l'oloschermo dietro la sua scrivania e, con un lungo sospiro di circostanza, chiamò il cuoco virtuale per espletare la difficile incombenza della scelta del menu. Intanto Havot e Rebecca erano tornati insieme. La giovane agente speciale venne privata di tutte le sue prerogative, ma al momento quella punizione, se così si poteva definire, fu la sola misura che il suo arcigno superiore poté prendere contro di lei. Rebecca trascorse giorni tranquilli e felici con Havot in una sorta di tregua dall'incerta durata. Naturalmente, affermò, non registrava più ciò che lui diceva. O almeno, pensò Havot, quello era ciò che lui doveva credere. Per tutta la sua vita era stato benedetto da un'incredibile diffidenza istintiva: se era ancora in giro, lo doveva più che altro a quell'insostituibile prerogativa del suo carattere. In ogni caso le microspie potevano essere davvero piccole e difficili da trovare, e lui continuò tranquillamente a comportarsi come se qualsiasi cosa avvenisse tra lui e Rebecca fosse registrata e filmata al piano di sopra. Questo valeva per ogni angolo dell'astronave. E quindi diede sempre mostra di impeccabile tenerezza con lei, di innocenza e d'amore. I conti si sarebbero potuti regolare comodamente in futuro, se sopravvivevano. Havot si trovava anche a dover fronteggiare dei demoni interiori sottili quanto terribili. Infatti il lungo inseguimento si avvicinava alla sua conclusione, sicuramente non lontana vista la fredda e inflessibile determinazione del commodoro, e la prospettiva di ritrovarsi di nuovo davanti a un berserker, o meglio a un'intera flotta di berserker, lo turbava fin nel profondo. Nei momenti più privati e nei sogni cercò di chiarire a se stesso le sue impressioni sul ricordo ormai sbiadito di quanto era avvenuto tra lui e la macchina assassina sulla devastata superficie di Imatra. Davvero aveva giurato a se stesso, in quel momento in cui la morte pareva inevitabile e la Fred Saberhagen
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prospettiva di tirare un'altra volta il fiato semplicemente assurda, di servire i berserker in qualsiasi modo? La sua presente situazione non lo preoccupava più di tanto. Provava la normale sensazione, una miscela di fascino e ipnotica paura, che sempre lo pervadeva durante un'impresa pericolosa, il senso di essere vivo e attivo ancora per un po'. Era una scarica di pura adrenalina che nulla se non l'autentico pericolo poteva dargli. Quando però venne a conoscenza del furto della registrazione nel piccolo archivio imatrano cominciò a pensare che la decisione di risparmiarlo presa dal berserker non dipendesse affatto da lui e dalla sua sussurrata promessa. Tuttavia, il guaio di sospettare istintivamente di tutto e di tutti era che uno non si sentiva mai sicuro di nulla. Esisteva anche un'altra faccenda, strettamente collegata alla prima, che tendeva a mantenerlo sveglio nelle lunghe notti convenzionali quando giaceva da solo o con Rebecca nella piccola cuccetta del suo alloggio: i berserker lo avrebbero riconosciuto come un traditore se mai se li fosse trovati nuovamente davanti? La sostanza del suo confronto con l'automa danneggiato era stata in qualche modo passata agli altri? Ma forse la vera domanda era: lui, Havot, voleva davvero combattere dalla parte dei berserker oppure no? Vista l'inaspettata decisione con cui il commodoro Prinsep inseguiva le sue prede, lo avrebbe probabilmente scoperto in breve tempo. Sdraiato sulla piccola cuccetta con Rebecca, il corpo premuto contro il suo in quello spazio quantomai ristretto, Havot guardò la sua amante addormentata, le carezzò i capelli biondi e sorrise dentro di sé; poi con voce roca e quasi impercettibile pronunciò con dolcezza una sola parola: — Traditore!
20 Il primo, sussultante impatto di un missile berserker contro lo scudo di forza dell'ammiraglia proiettò Havot fuori dalla cuccetta; un attimo più tardi il corpo nudo di una stupefatta Rebecca atterrò direttamente su di lui. Ancora una volta, forse la centesima da quando la task force aveva lasciato Imatra (Havot aveva ormai perso il conto), stavano concludendo un balzo nell'iperspazio. Brutta situazione. Era fin troppo facile sorprenderli in quel momento. Fred Saberhagen
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Infatti la flotta berserker poté contare su diversi secondi di vantaggio: un attimo dopo la ricomparsa della Symmetry nello spazio normale, il primo colpo di maglio scagliato dal nemico centrò il bersaglio; ancora un altro attimo e tutti gli allarmi dell'astronave presero a emettere, ovviamente in ritardo, il loro monotono, attutito clamore. Spingendo rudemente di lato Rebecca, ancora mezza addormentata, Havot ignorò le sue grida confuse. Prima ancora di capire bene cosa stava succedendo, si ritrovò in piedi a lottare per infilarsi la tuta spaziale che da diversi giorni ormai si trovava sotto la sua cuccetta. Naturalmente anche a Rebecca era stata assegnata una tuta, ma la sua si trovava nella sua cabina, da cui la divideva un corridoio lungo abbastanza da mettere in pericolo la sua reputazione mentre lo percorreva seminuda e di gran fretta cercando confusamente di infilarsi gli indumenti mancanti. Havot intravide diversi altri componenti dell'equipaggio guardarla divertiti e ammirati, dimentichi per un attimo dei guai di quell'improvvisa emergenza. Havot accettò il bacio di Rebecca senza farsi distrarre. Doveva infilarsi quella tuta quanto prima. In effetti non voleva che anche lei la infilasse, ma non poteva dire o fare nulla per impedirglielo. Nessuno dei membri dell'equipaggio o dei passeggeri a bordo delle astronavi solariane, con la possibile eccezione di coloro che svolgevano il turno di guardia in quel momento, venne avvertito in alcun modo del pericolo prima che il mondo intero esplodesse. Rischiando il massimo per raggiungere il nemico in fuga, il comandante della flotta aveva implicitamente accettato certe eventualità. In questo senso l'attacco berserker non giunse affatto inaspettato; tuttavia il momento e la violenza con cui venne lanciato colsero le difese umane completamente di sorpresa. Una teoria avanzata giorni prima da uno degli esperti, ma mai convalidata da fatti concreti, affermava che il nemico stava avanzando in quella direzione perché la distribuzione della materia lungo quella rotta offriva magnifiche possibilità di tendere agguati. E difatti, vera o meno che fosse quella teoria, il risultato pratico per la flotta inseguitrice fu un autentico disastro. Tutti gli sforzi del commodoro per guadagnare terreno risultarono d'un tratto vani. Tutte le astronavi al seguito dell'ammiraglia, che emersero Fred Saberhagen
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dall'iperspazio una manciata di millisecondi più tardi a diverse centinaia di chilometri una dall'altra, vennero a loro volta istantaneamente attaccate. Diverse esplosero al primo colpo. Il piccolo contingente di civili a bordo della Symmetry, composto da Havot, Rebecca con i suoi due superiori e il carmpan, erano stati avvisati, istruiti e allenati giorni prima sull'atteggiamento da tenere in situazioni di allarme rosso. Dovevano indossare la tuta corazzata, raggiungere le loro poltrone antiaccelerazione il più presto possibile e rimanervi fino al termine dell'emergenza. Solo nella sua cabina, Havot stava giusto terminando di infilarsi la tuta corazzata quando venne gettato a terra da una seconda scarica che investì in pieno l'ammiraglia. Stringendo i denti si rialzò in piedi. Le mani gli tremavano adesso: il peso, l'odore e l'aspetto dell'ingombrante tuta, molto simile a quella che gli aveva salvato la vita su Imatra, evocavano fortemente in lui la terribile caccia e l'inquietante confronto finale col berserker. Cercando freneticamente di allacciare l'ultimo raccordo dell'elmetto, Havot uscì in corridoio dirigendosi in fretta e furia verso la sua poltrona antiaccelerazione. Intanto si guardò attorno in cerca di Rebecca o dei suoi superiori. Non che si aspettasse di poter fare qualcosa riguardo a loro in quel momento, ma forse la confusione della battaglia gli avrebbe offerto qualche opportunità. In ogni caso, non lì e non adesso. Nello spazio ristretto del corridoio si aggirava una vera folla di ingombranti tute corazzate ed elmetti, la maggior parte dei quali recava bande d'identificazione luminose di un tipo o di un altro. Avanzando a fatica verso il posto a lui assegnato, immerso nei rumori e nella pressione poco familiare della soffocante tuta corazzata, Havot si scoprì catturato, infiammato dalla convinzione di poter sentire le macchine di morte sfiorare la Symmetry come altrettanti bolidi lanciati a velocità fantastiche. Sentiva la presenza dei loro corpi senza vita, ne percepiva l'odore: erano là, oltre quelle paratie. Con uno sforzo obbligò la mente a tornare alla realtà. Ecco finalmente la sala dove si trovavano i posti previsti per loro, sita appena prima del ponte centrale. Vi trovò il sovrintendente Gazin e il fido Ariari. Sulle loro tute corazzate spiccava il simbolo dell'Ufficio Umanità. Havot si chiese se Fred Saberhagen
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quello non li avrebbe resi dei bersagli speciali per i berserker, ma con qualche rammarico dovette concludere che era poco probabile. Intanto l'astronave sussultava e risuonava ripetutamente sotto i continui impatti dei colpi nemici, con il grande scafo che vibrava e gemeva come un immenso gong. Ma adesso ai colpi in arrivo si alternavano i sordi rumori delle batterie umane che rispondevano al fuoco. Fu allora che arrivò Rebecca, avvolta nella sua tuta e apparentemente indenne, avanzando a fatica lungo l'instabile ponte e sedendo nella sua poltrona antiaccelerazione accanto a Havot. Dietro il vetro del suo elmetto, lui poté notare il sollievo della donna nel vederlo sano e salvo. La voce amplificata del commodoro risuonò ovunque in quel momento, ancora calma, ancora in pieno controllo della situazione. — A tutte le squadre: prepararsi a respingere il tentativo di arrembaggio. Ripeto... Un arrembaggio! Un evento che si verificava spesso nelle serie di film di fantascienza, e che. tendeva ad accadere con sorprendente frequenza anche nella vita reale. Le moderne difese erano in grado di deviare missili e scariche di raggi al plasma. Le astronavi da guerra e i grandi berserker, avvolti com'erano da potenti scudi difensivi, si rivelavano spesso più vulnerabili al veloce assalto di una squadra d'arrembaggio dotata di piccole ma potenti armi che non alle grandi energie sviluppate dalle pesanti batterie principali. Già il computer centrale dell'astronave, interrompendo per un istante il commodoro, riferì con fredda calma che diverse unità d'assalto nemiche si erano infiltrate nel loro campo di forza difensivo. Havot tese la mano corazzata per sfiorare quella di Rebecca nella poltrona accanto alla sua. Oltre Rebecca, i due ufficiali dell'Uu sembravano giacere completamente inerti. Ma un attimo più tardi Gazin, sentendo lo sguardo di Havot su di lui, si voltò restituendogli un'occhiata di fuoco, pieno evidentemente di sospetti sulla parte con cui Havot si sarebbe schierato adesso che l'assalto berserker alla Symmetry era cominciato. Per contro il luogotenente Ariari sembrava troppo pallido e terrorizzato dietro l'elmetto per venir sfiorato da qualsivoglia pensiero riguardo il sospetto traditore o chiunque altro. Il suo aspetto era quello di un uomo che se la sarebbe tranquillamente fatta sotto, se solo fosse stato possibile in una moderna tuta spaziale dotata dei necessari dispositivi di recupero. Nella piccola sala vi era una poltrona antiaccelerazione di forma Fred Saberhagen
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radicalmente diversa, al momento vuota. Il carmpan aveva evidentemente deciso di restare nella sua cabina. Questo contravveniva in pieno agli ordini del commodoro, ma sembrava improbabile che qualcuno avesse intenzione di obbligare Quarto Avventuriero all'obbedienza. E adesso un robot operaio, che aveva concluso i suoi compiti nella sala accanto, entrò nella sala passeggeri rullando sulle sue piccole ruote. Indubbiamente Gazin e Ariari non si sarebbero mai sognati di dare un arma in mano a Havot o all'ex agente Thanarat se qualcuno avesse chiesto loro un parere. Ma nessuno chiese loro alcunché, e il robot operaio che procedeva alla distribuzione non aveva certamente intenzione di farlo. E quindi procedette come gli indicò il suo programma, rullando lungo la fila di poltrone antiaccelerazione e usando il suo braccio metallico per porgere a chiunque incontrasse un fucile a onde cerebrali o ad attivazione oculare, come ognuno preferiva. Gazin e Ariari scelsero meccanicamente i loro e il robot procedette oltre. Havot vide prima ancora di venir raggiunto che l'automa portava legati ai fianchi grappoli di granate, penzolanti come frutti maturi in attesa di venir raccolti da impazienti mani corazzate. Non era certo un esperto di ordigni militari, ma quelle le riconobbe subito come granate perforanti. Proprio il tipo di aggeggio da usare quando ci si trovava a un braccio di distanza da un berserker o da chiunque non fosse gradito, indossasse o meno una tuta corazzata. Afferrando un fucile a onde cerebrali con la sinistra, Havot usò velocemente la destra per prendere tre granate una dopo l'altra dal grappolo più vicino. Tre, si disse, sarebbero senz'altro bastate. Le tre granate entrarono alla perfezione in una sorta di tasca metallica prevista apposta per loro e situata all'altezza della vita. Il fucile invece poteva venir comodamente usato con un braccio. Si trattava basilarmente di un semplice proiettore di energia il cui raggio incrinava e spezzava i materiali duri mentre risultava innocuo su una persona in carne e ossa. Il raggio generava infatti intense vibrazioni in qualsiasi cosa colpisse; in un materiale morbido come la carne queste vibrazioni cessavano quasi subito senza molti danni, ma sulle plastiche, sui metalli e su qualsiasi materiale rigido l'effetto era devastante. Le superfici rigide potevano però venir protette trattandole con una sostanza repellente, uno spray dalla composizione chimica mutevole. Il robot che distribuiva le armi irrorava anche le pareti e le corazze con quella sostanza, la cui formula veniva variata a ogni nuova battaglia di cui Fred Saberhagen
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si avesse notizia per impedire ai berserker di duplicarla. Il fuoco del fucile ad attivazione oculare era invece controllato dallo sguardo di chi lo puntava. Il funzionamento dei due diversi tipi di arma era lo stesso, solo che il minicomputer incorporato nei loro controlli registrava in un caso il pensiero dell'operatore, nell'altro l'immagine percepita dai suoi occhi. Un dispositivo di puntamento aggiustava la mira di conseguenza e un comando mentale, o lo sbattere delle palpebre, faceva scattare il grilletto. L'unico difetto di entrambi i sistemi era che talvolta i fucili sparavano da soli: in situazioni di estrema tensione bisognava dunque evitare di guardare o pensare intensamente alle persone che si voleva proteggere. A parte alcuni sbalzi momentanei, la gravità artificiale dell'ammiraglia era rimasta fino a quel momento stabile nonostante la violenza dei combattimenti, ammortizzando i colpi e riparando i delicati corpi in carne e ossa dell'equipaggio e dei passeggeri contro le forze gravitazionali create dalle armi nemiche e dalle repentine manovre dell'astronave. Solo una volta la gravità artificiale vacillò al punto da attrarre diverse persone in un angolo, dando luogo a un picco di energia gravitazionale locale abbastanza intenso da provocare alcuni feriti nonostante tutti indossassero le tute corazzate. Ma questo era accaduto su un altro ponte, lontano dal ponte principale. Havot intanto calcolava con piacere le possibilità di liberarsi prima possibile di entrambi gli ufficiali dell'Uu senza esporsi ad alcuna conseguenza. Ma il suo obiettivo principale rimaneva tacitare per sempre Rebecca: purtroppo per lei era l'unica a bordo a sapere del messaggio che lo condannava a una vita in prigione, o almeno così sperava. Se solo i berserker fossero riusciti a penetrare a bordo sarebbe stato facile gettare su di loro la colpa di certi disgraziati eventi. E se Rebecca si fosse tolta per qualche motivo la tuta spaziale, un semplice coltello avrebbe sortito lo stesso effetto di qualsiasi spettacolare arma ad alta tecnologia, sempre che naturalmente risultasse poi impossibile eseguire un'autopsia. Ma il coltello doveva pazientare. In quel momento Havot era più che disposto ad aspettare il suo momento, ad attendere l'opportunità più Fred Saberhagen
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favorevole con la calma che generalmente lo pervadeva nelle occasioni disperate. Più di uno dei suoi nemici aveva definito disumana la sua serena crudeltà. E dopo un pesante scambio di colpi d'artiglieria apprese con grande piacere che i berserker erano riusciti a penetrare a bordo. La fredda voce dell'onnipresente computer annunciò che almeno tre delle macchine assassine si aggiravano liberamente nei corridoi interni. Qualcuno piagnucolò alla radio del suo elmetto. Havot pensò che fosse Ariari. I membri dell'equipaggio invece davano mostra di grande sangue freddo e continuavano a svolgere i compiti loro assegnati, almeno a giudicare dalle chiacchiere che si scambiavano. Ma subito giunse il momento di un altro tipo di rapporto. Una terrorizzata voce umana, rotta da dolorosi rantoli come se chi parlava fosse in punto di morte, risuonò su tutti i canali urlando che un berserker avanzava lungo un corridoio verso il salone di controllo. Con calma e senza pensare, come se il suo corpo fosse in grado di fare qualunque cosa senza la direzione della mente, Havot schiacciò il pulsante di rilascio della sua poltrona. Si rialzò, prontamente aiutato dai dispositivi idraulici che potenziavano le giunture della massiccia tuta corazzata, e tolse la sicura al fucile posando il calcio all'interno del gomito. Il generatore portatile a idrogeno, un dispositivo in grado di sviluppare tanta energia da bruciare un intero treno magnetico in corsa, scivolò pulitamente in posizione da qualche parte della sua schiena non appena fu in piedi. I regolamenti proibivano tassativamente ai passeggeri di lasciare il loro posto durante un combattimento, e naturalmente una simile norma possedeva abbastanza forza da mantenere al loro posto ancora per qualche istante Rebecca e i due ufficiali dell'Uu, buoni cittadini tutti legge e ordine. Un attimo più tardi però anche Rebecca si alzò dalla poltrona, determinata a restare fino all'ultimo con l'uomo che amava. Poi Gazin e Ariari fecero la stessa cosa, come se una molla interiore li spingesse a seguire chiunque dimostrasse abbastanza autorità. Bruscamente, Havot fece loro cenno di starsene fuori dai piedi. Sperando che avessero capito, sistemò il fucile nella posizione a lui più comoda e avanzò silenzioso quanto lo permetteva la tuta corazzata fino a raggiungere un punto in cui poteva controllare diversi metri di corridoio e distruggere qualsiasi cosa comparisse nel suo raggio visivo. Fred Saberhagen
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Vocalizzando mentalmente un comando al minicomputer incorporato nella tuta corazzata, alzò di diversi decibel la sensibilità dei microfoni esterni. Ah, ecco. Ora poteva sentire il berserker avanzare piano, estremamente circospetto. Qualcosa muoveva lungo il corridoio: un corpo troppo massiccio sbatteva ogni tanto contro le pareti, zampe metalliche scivolavano sul lucido pavimento e qualche circuito bruciava sfrigolando. Muoveva passo dopo passo, poi si fermava e aspettava come per sentire e osservare. Da dove si trovava, avrebbe senz'altro guardato direttamente nel salone di controllo senza accorgersi dell'imboscata di Havot. In quel momento non nutriva alcun dubbio sul fatto che quella macchina l'avrebbe ucciso se lui non l'avesse uccisa a sua volta. Qualsiasi tipo di tacito accordo che aveva o non aveva preso con loro su Imatra era andato in fumo tempo addietro, perso nelle nebbie dell'irrealtà. Se davvero i berserker speravano di arruolarlo come traditore avrebbero dovuto chiederglielo in modo semplice e diretto, fargli una proposta più chiara e conveniente di quella fatta in precedenza. Fuori nel corridoio la macchina assassina avanzò ancora centimetro dopo centimetro, fermandosi stavolta a non più di quattro metri da dove Havot l'attendeva acquattato. Ormai si trovava abbastanza vicina da consentirgli di intravedere una delle sezioni superiori e di scoprire quanto malamente fosse danneggiata, alcuni punti semplicemente escoriati, altri rosseggiami di un fuoco intenso che a quella distanza avrebbe bruciato la pelle non protetta di un essere umano. Poi, con tutte le forze che ancora riuscì a raccogliere, l'automa si gettò velocissimo in avanti cercando di passare oltre la porta laterale apparentemente non sorvegliata. Il raggio mentalmente guidato di Havot, repentino quanto il pensiero stesso, partì per distruggere. Una lama di forza e di luce ad alzo zero sbucciò l'armatura del berserker come un morbido frutto generando un'esplosione interna che squassò la struttura stessa del mostro meccanico, caduto senza aver neppure passato completamente la porta. Gli altri passeggeri piombarono nel panico, e almeno due presero a far fuoco riducendo in frantumi il berserker già praticamente demolito. Una ragnatela di raggi si infranse sulle tute corazzate, sulle paratie e su tutto ciò che si trovava vicino, riflettendosi senza conseguenze. In quel momento Havot vide la sua opportunità. Muovendosi agilmente nel fumo intenso emesso dall'automa, s'allontanò dal marasma delle scariche e dei corpi corazzati che cozzavano tra loro e, individuata Fred Saberhagen
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Rebecca, si avvicinò a lei infilando una delle tre granate perforanti tra le giunture della tuta corazzata, poco sopra il bacino. La figura dentro la tuta urlò e si contorse, mentre il suo elmetto brillò per un istante di un'intensa luce bianca; la granata perforava qualunque tuta, distruggendo ogni cosa una volta dentro con il suo getto di pura energia che generava nuove esplosioni. Per un essere umano era una morte davvero orribile. Voltandosi di scatto e domandandosi se faceva in tempo a sistemare anche uno degli ufficiali dell'Uu, Havot contemplò sbalordito il volto di Rebecca guardarlo ansiosamente da dietro l'elmetto di un'altra tuta corazzata. E accanto a lei c'era Gazin, anche lui vivo e vegeto. Havot comprese di aver sprecato un'occasione uccidendo la persona sbagliata, levando di mezzo nulla più che un burocrate codardo. C'era Ariari in quella tuta, il piagnucoloso Ariari ormai bello cotto dentro la sua pentola ribollente di fumo e di calore. E là, maledetta lei, c'era Rebecca Thanarat, felice fino alle lacrime di vederlo uscire indenne da quel nuovo faccia a faccia con una macchina assassina. Rapidi scambi di battute rassicurarono Havot: i due non si erano accorti di nulla e incolpavano il berserker per quanto accaduto. Ma adesso le cose si erano calmate, e lui avrebbe dovuto attendere prima di provare un'altra volta a levare entrambi di mezzo. Eccitato dalla paura e dall'odore della morte, Havot provò il desiderio quasi fisico di mettere le mani su un coltello. A bordo vi era un'ampia collezione di armi da taglio tra cui scegliere, si disse pensando alla collezione di coltelli da tavola che il commodoro usava per i suoi elaborati pasti. Dopo aver controllato la carica del fucile, Havot lasciò la stanza e prese ad avanzare nel corridoio. Qualcuno gli ordinò via radio di tornare dentro, ma lui rifiutò seccamente dicendo che bisognava esplorare quel corridoio. Giunto su uno dei ponti secondari, esplorò cautamente la cucina ora deserta eccitato alla vista di una profusione di coltelli allineati nelle coltelliere o lasciati casualmente tra la frutta e la carne ammonticchiate sulle loro assi da cucina. Scegliendo di gran fretta, raccolse il coltello più grosso che vide e lo ripose in una delle tasche metalliche della tuta per usarlo al momento giusto.
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Naturalmente il coltello non tornava molto utile contro la tuta corazzata di Rebecca. Doveva aspettare per usarlo, ma visti gli esiti incerti della battaglia forse ci avrebbero pensato i berserker a fare il lavoro per lui. Havot considerò altre soluzioni, per esempio spingere Rebecca tra le loro grinfie; ma ucciderla così non lo avrebbe affatto tranquillizzato. Ancora sospettava che vi potesse essere in giro un'altra copia del messaggio incriminante, forse ancora in attesa di venir decodificata. Doveva perquisire il cadavere di Rebecca, se mai era possibile, e poi i suoi alloggi. L'ultima stima di quanto restava del centro di controllo affermava che tre o quattro unità d'assalto berserker erano riuscite a penetrare a bordo. Le difese le avevano distrutte tutte tranne una, ma questo a prezzo di aspri combattimenti che avevano pesantemente danneggiato molte sezioni dell'astronave. Nessuno sapeva al momento dove si trovava il berserker sopravvissuto. Intanto lo scambio di colpi con i grandi berserker che attaccavano dall'esterno continuava. Ormai la Symmetry aveva incassato diverse pesanti scariche. I motori funzionavano solo parzialmente, e sia lo scafo esterno che quello interno risultavano incrinati in più punti. Dopo aver nascosto il coltello, Havot si affrettò a tornare verso il salone di controllo. Sulla sua strada incontrò solo cadaveri; nessun segno del berserker. Quando entrò nel salone, scoprì che Quarto Avventuriero era finalmente emerso dalla sua cabina indossando la versione carmpan delle tute corazzate. In quello che nella sua fantasia aveva sempre ritenuto lo stile militare appropriato, Havot si avvicinò a Prinsep e fece un sommario rapporto dicendo di aver eliminato un berserker e di aver esplorato senza esito diverse sezioni dell'astronave. Non disse nulla della discutibile morte di Ariari e concluse affermando di essere pronto a combattere con gli altri. Prinsep, la testa piena di mille altre faccende, si limitò a guardarlo e ad annuire. Andava bene. Havot uscì e si allontanò di qualche metro lungo il corridoio in cerca di almeno un altro killer metallico. Erano anni che non si divertiva così. Intanto Prinsep, ancora al suo posto sulla poltrona del comandante Fred Saberhagen
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mentre i suoi collaboratori pesantemente decimati si affannavano attorno a lui, cercava di tracciare il quadro della situazione chiamando a rapporto tutte le sezioni dell'astronave. Le cose non sembravano andare molto bene: i superstiti erano davvero pochi, e tra questi si contavano diversi feriti gravi. Poi un vago movimento richiamò la sua attenzione: il commodoro alzò lo sguardo e scoprì con freddo orrore dove si trovava l'ultimo berserker. Molto più danneggiato del suo predecessore, era comparso Dio solo sapeva come sull'ampio ingresso al salone di controllo. Una delle sue lunghe braccia meccaniche scattò all'indietro con rapidità incredibile, proiettando Havot con violenza contro le paratie prima che l'uomo potesse anche solo accennare a sollevare la sua arma; poi, nel successivo battere di palpebra il berserker selezionò un bersaglio e sparò con tutta la sua potenza, uccidendo sul colpo Rebecca Thanarat che stava per aprire il fuoco. Il tiro successivo partì qualche millesimo di secondo più tardi e fu rivolto a Prinsep, un bersaglio facile seduto com'era con la sua cospicua mole sulla poltrona più centrale del salone. Mancò il commodoro di qualche centimetro, ma il berserker ci avrebbe senza dubbio riprovato se Quarto Avventuriero, privo di armi nel senso convenzionale, non si fosse coraggiosamente lanciato tra le sue molte zampe. Una decina tra braccia e tentacoli avvolsero la cilindrica figura, frantumarono la sua tuta corazzata, straziarono le sue carni. Ma Havot non era morto. Sparando mentre era ancora steso a terra, tagliò freddamente col raggio del fucile una zampa metallica dopo l'altra fino a far cadere il berserker. Un attimo più tardi qualcosa di vitale esplose nel corpo metallico della macchina assassina. Seguì un attimo di silenzio tanto intenso da far ronzare le orecchie. Lentamente Havot si rialzò in piedi, la schiena contro la paratia e l'arma pronta. La sua tuta corazzata l'aveva nuovamente salvato: seppur stordito dalla violenza del colpo, era riuscito a conservare abbastanza energie da rispondere al fuoco. I morti giacevano ovunque. Rebecca era tra loro, vide Havot; ma al momento non aveva tempo di occuparsene. Si fece strada tra un marasma di corpi inerti e di grossi frammenti metallici e tornò nel salone di controllo dove Prinsep sedeva ancora al suo posto, sulla poltrona del Fred Saberhagen
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comando ora storta e malconcia poiché un supporto era saltato sotto la scarica tirata dal berserker. Tutti i presenti, cioè il commodoro, Gazin e la giovane Tongres, forse l'ultimo pilota in cane e ossa sopravvissuto, lo guardarono con un misto di sollievo e timore. Passarono i minuti. Fuori il corso della battaglia appariva ancora incerto, mentre ciò che restava delle batterie dell'ammiraglia continuava a tuonare sottoponendo a nuovi sforzi il doppio scafo pesantemente danneggiato dalle scariche nemiche. Il battagliero commodoro, che ancora presidiava la situazione dal devastato salone di controllo al centro della grande massa dell'astronave, continuava a ricevere scoraggianti rapporti un po' da tutti i ponti della Symmetry. Anche la sfavillante tuta che racchiudeva il suo corpo paffuto era irriconoscibile. Bruciata un po' ovunque dalla scarica nemica, appariva dilavata di sangue solariano e carmpano, spruzzata di olio e altri fluidi fuoriusciti dal berserker e dai macchinari del salone di controllo. Con un sospiro, Prinsep sembrò accasciarsi sulla poltrona del comando, scivolando sempre più in basso nella rete polifasica di sicurezza. Ma questo non durò più di un istante. Subito sul suo volto si riaccese l'espressione di calma speranzosa che generalmente lo distingueva. Se disperazione vi era, giaceva nascosta dalle responsabilità del comando. E difatti il commodoro continuò tranquillamente a dare ordini, a prendere decisioni, a infondere sicurezza nei superstiti. Quel qualcosa nella sua apparente immobilità, nella sua intelligente inerzia, continuava a ispirare l'istintiva fiducia di sempre. Passò altro tempo. Notizie di altre vittime continuarono ad arrivare mentre dentro le astronavi solariane le macchine e gli equipaggi lottavano disperatamente per tenere sotto controllo i danni più devastanti della battaglia, per determinare la posizione degli amici e dei nemici, per ricaricare le armi e mantenere gli scudi di forza al massimo della loro potenza. Le comunicazioni tra le varie astronavi si facevano sempre più difficili. Il contatto cadeva per lunghi secondi, mentre il settore di spazio interessato dalla battaglia si mutava via via in un ululante inferno di mille tipi di radiazioni diverse. Tuttavia i sistemi di comunicazione erano progettati per resistere a qualsiasi inferno, e in certi momenti i computer di bordo Fred Saberhagen
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riuscivano a passarsi interi pacchetti di informazioni coerenti. Alcune delle astronavi risultavano disperse, mentre altre avevano inflitto pesanti perdite al nemico. Con la sua voce spassionata, il computer di bordo dell'ammiraglia fornì una prima valutazione dell'andamento della battaglia. Il nemico aveva impegnato nell'imboscata più di metà delle forze a sua disposizione, subendo perdite decisamente cospicue. Vincere era ancora possibile, a condizione di non perdere altre astronavi. Nonostante paresse a molti novellini di trovarsi a combattere da ore, la battaglia spaziale fu pietosamente breve, soprattutto considerando il numero di astronavi che vi prese parte. In poco più di un quarto d'ora molti berserker grandi e piccoli erano stati distrutti. Per contro, la flotta solariana aveva perso meno della metà delle sue astronavi, ma ogni astronave rimasta recava qualche pesante ricordo della battaglia. E fu allora che gli strumenti rivelarono che il nemico stava per ricevere rinforzi. Non solo: i segnali dalle altre astronavi si attenuarono rapidamente per non tornare più. Una a una sparirono dallo scenario tattico. Prinsep espresse la speranza che questo si dovesse a una sistematica opera di disturbo dei berserker. In alternativa, le astronavi superstiti si stavano allontanando da quel settore cercando invano di contattare l'ammiraglia. Con tutte le radiazioni presenti in quella zona non si poteva affermare nulla con certezza. Havot seguiva ogni sviluppo perfettamente a suo agio, con un braccio attorno a un montante di sostegno per non farsi proiettare chissà dove se la gravità artificiale mancava all'improvviso. — Adesso cosa facciamo, commodoro? — domandò. Di nuovo Prinsep si limitò a guardarlo. Non importava. Havot gli restituì una serena occhiata. Per districare da quella brutta situazione l'ammiraglia ormai isolata, Prinsep strinse i denti e ordinò ai piloti organici e non organici sopravvissuti di tentare un nuovo balzo nell'iperspazio. Prima di abbandonare lo spazio convenzionale, i superstiti a bordo della Symmetry provarono un ultimo brivido vedendo i berserker più Fred Saberhagen
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danneggiati gettarsi alla cieca su di loro cercando la collisione, oppure di guadagnare abbastanza velocità da seguirli nel rischioso balzo a velocità C-più. Molti trovarono solo una polverizzante collisione con la materia stellare quasi insostanziale, vaporizzandosi quasi istantaneamente o restandone tanto danneggiati da disattivarsi per sempre. In un modo o nell'altro la Symmetry, zoppicante e con un buon numero dei suoi scompartimenti che perdevano aria, sopravvisse a quella disperata scommessa per la libertà portando in salvo Havot e un pugno di altri superstiti, di cui molti feriti. Il resto erano solo cadaveri. Con un'ultima accelerazione che portò i motori esausti al limite dello sforzo sopportabile, i computer che guidavano l'ammiraglia cercarono e trovarono un corridoio abbastanza sgombro da tentare il balzo, portandovi lo scafo sfregiato. Non solo l'ammiraglia sopravvisse, ma sul momento diede mostra di sufficiente potenza, velocità e mobilità da sfuggire ai diversi inseguitori che riuscirono a seguirla nell'iperspazio. Il corpo del carmpan giaceva intanto in un angolo del salone di controllo, gettato alla rinfusa su quelli dei caduti umani. L'unico pilota ancora vivo, il luogotenente Tongres, disse: — Ho fatto quel che ho potuto, commodoro... e il caso vuole che questo corridoio segua la nostra vecchia rotta. Il commodoro guardò la giovane donna con espressione pallida e tesa; tuttavia la sua voce suonò ferma come sempre. — Vi sono tracce di berserker? — No signore, non al momento. Ma nella nebulosa è impossibile esserne certi. Non credo fosse l'intera loro flotta quella che ci ha teso l'imboscata. — Grazie a Dio siamo scampati a quell'assalto finale! Qualcuno in un'area remota dell'astronave era ancora chino su un monitor, ripetendo il suo disperato appello per dei soccorsi. E così Ivan Prinsep si mosse, alzandosi a fatica dalla sua poltrona antiaccelerazione per la prima volta dall'inizio della battaglia e iniziando un giro d'ispezione per accertarsi di persona delle condizioni dell'astronave e dell'equipaggio. Tongres era impegnata, mentre un paio di altre persone giacevano inerti nelle loro poltrone: parevano indenni, ma certamente soffrivano almeno di un forte shock. Fred Saberhagen
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Havot, forse l'unico perfettamente a posto, si offrì quasi con gioia di fare da guardia del corpo a Prinsep in caso qualche altro berserker fosse riuscito a penetrare a bordo non visto. E Prinsep dovette accettare quella scorta.
21 Il luogotenente Tongres discuteva la situazione con Ensign Dinant, la sola altra persona ancora attiva nel salone di controllo, mentre insieme cercavano di riparare i danni alla strumentazione principale. Presto un evento sorprendente venne confermato: a poca distanza dalla loro presente posizione, un corridoio completamente sgombro si apriva tra le volute di materia nebulare offrendo la possibilità di procedere relativamente tranquilli. Quel rudimentale corridoio di spazio sgombro continuava nella direzione seguita originariamente dalla flotta nemica. Il luogotenente non poté trattenere la propria meraviglia. — Ma guardate: sembra quasi che sia stato ripulito di proposito! — Già — ammise con riluttanza Dinant. L'effettiva realizzazione di una cosa del genere su quella scala andava ben oltre la portata di qualsiasi tecnologia conosciuta; per contro, simili coincidenze non erano affatto rare in natura. — Non sarei affatto sorpreso se il berserker di Dirac avesse puntato proprio su questo corridoio con l'astronave presidenziale al seguito. — Non ne sarei sorpresa neppure io — commentò Tongres attivando uno schermo. — Commodoro, mi sente? Siamo davvero malconci: motori, generatori di campi di forza, armi, tutto quanto. Attorno ai due ufficiali ancora attivi gli oloschermi del salone di controllo sfrigolavano per le scariche statiche, eruttando immagini virtuali strane e improbabili come altrettanti buchi bianchi. Il sistema di display, come tutti gli altri sistemi dell'ammiraglia, era ovviamente danneggiato. L'energia veniva risparmiata ovunque possibile. Quasi subito Prinsep replicò, con voce che giunse solo attraverso il canale audio e chiaramente per mezzo del disturbato microfono del suo elmetto: — Fate ciò che potete. Tornerò tra poco. Sembra che avremo un, problema con i feriti: non c'è un solo medirobot intatto a bordo. Scortato da un tranquillo Havot, Prinsep ben presto rientrò nel salone di Fred Saberhagen
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controllo. Ancora non avevano cercato di spostare i feriti più gravi. Volgendosi verso il commodoro, Tongres disse: — Signore, credo che i motori abbiano ancora energia per un balzo. Ci proviamo o restiamo qui in attesa di chissà cosa? Con un sospiro il commodoro si lasciò cadere nella sua poltrona bruciacchiata. — Ci proviamo. Ma dapprima dobbiamo guardarci in giro, tirare il fiato e vedere se riusciamo a scoprire che ne è stato della nostra flotta. E se dopo tutti i tentativi possibili ci ritroveremo di nuovo soli, tenteremo il balzo. Perché qui non c'è nulla. Havot sedette intanto sulla poltrona accanto, dato che adesso c'era un'ampia scelta di posti liberi, e ascoltò tutto con interesse. Ensign Dinant chiese: — In che zona cominciamo a cercare? E a che distanza? — Cominciamo proprio davanti a noi, giù in quel corridoio di cui mi parlavate — replicò Prinsep con un goffo cenno dell'elmetto per indicare la direzione. — Lasciate che sia il pilota automatico a decidere la portata. Perché sappiamo cosa c'è dietro di noi, berserker, e sappiamo cosa c'è attorno a noi. Non troveremo nulla in questo polverone. Era vero che in quel momento l'astronave pareva fluttuare immobile in una nebbia di polvere e plasma. In diverse direzioni si avvicendavano perturbazioni che a un osservatore fantasioso avrebbero ricordato dei temporali terrestri in scala planetaria; questi tuttavia erano condannati a un eterno silenzio, neri nuvoloni rotti da immani scariche elettriche dovute alla collisione di particelle. Ovunque, tranne dritto davanti a loro e a poppa, si estendevano i sottili tentacoli densi di materia della Mavronari, nere e sinistre braccia tese in un ultimo, soffocante abbraccio a quegli intrusi. Da quel punto persino il nucleo della galassia si distingueva appena, e solo se uno sapeva dove guardare. Solo dietro, a poppa, nella direzione di Imatra si poteva distinguere una fetta di normale cielo galattico con il suo complemento di stelle. Dritto davanti a loro si apriva la notte più buia. — Dov'è il resto della nostra flotta? — Se la fortuna ci assiste dovremmo ritrovarli in qualche punto del corridoio. Gradualmente Havot, mai dimenticando di tener d'occhio gli ingressi mentre ascoltava i discorsi dell'equipaggio, arrivò a comprendere meglio cosa stava accadendo. Il commodoro non si era limitato solo a chiudere Fred Saberhagen
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tutto e a filarsela dalla battaglia spaziale; ordinando il balzo nell'iperspazio aveva qualche motivo di pensare che le altre astronavi avrebbero fatto la stessa cosa. Difatti sembrava che almeno un paio di altre astronavi ci avessero provato, e adesso l'ammiraglia si stava mettendo in posizione per contattarle. Ben presto Prinsep e i pochi superstiti del suo equipaggio iniziarono a scandagliare lo spazio circostante, ma senza risultato. Dopo uno scambio di idee con Dinant, l'unico cartografo spaziale rimasto, il commodoro decise che la sola possibilità di riunire nuovamente la sua flotta, o perlomeno ciò che ne restava, era cercare più avanti lungo il corridoio. — Il resto dei nostri è senz'altro là davanti, se è riuscito a fuggire. Se non ci sono, credo proprio che siano tutti morti. — E così tentiamo l'ultimo balzo. — Proprio così. — Agli ordini, signore. Ancora una volta l'iperspazio si aprì e si chiuse su di loro, per poi svanire come un'illusione. Tutti coloro che ancora vivevano e respiravano, eccetto i feriti gravi che non erano stati mossi, si trovavano in quel momento nel salone di controllo e salutarono il buon esito dell'operazione con un collettivo respiro di sollievo. Erano appena sopravvissuti all'ultimo balzo a velocità C-più possibile per la malconcia astronave. I motori li avevano portati fuori dallo spazio normale per poi riportarveli indenni e molto distanti dalla loro precedente posizione. Ma dove era avvenuto il rientro? In quella che pareva una tetra e soffocante galleria, un'estensione semi-intasata del corridoio intranebulare lungo il quale erano balzati. La distanza percorsa con quell'ultimo balzo venne velocemente calcolata dai computer di bordo ed era nell'ordine di milioni di chilometri. Ma gli strumenti rivelarono una cosa molto più importante: l'astronave non era più sola. Nel salone di controllo persino Havot, quasi completamente digiuno di strumentazione, se ne rese subito conto. Un immenso oggetto, o meglio un grappolo di diversi, grandi oggetti, muoveva inerte davanti a loro a una distanza di molto inferiore a qualsiasi distanza planetaria. Fred Saberhagen
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Ciò che restava delle batterie dell'ammiraglia inquadrò automaticamente il bersaglio più grande. Havot notò che il suo volume superava di molto quello della Symmetry. Di nuovo provò strane, peculiari sensazioni contemplando all'oloschermo quella forma mostruosa. Ma per il momento i sistemi esperti solariani ordinarono all'hardware di trattenere il fuoco. Nessuna minaccia si era ancora palesata. L'ingrandimento e la rifocalizzazione dell'immagine rivelarono presto che il bersaglio era composto di due oggetti. Il maggiore, tanto imponente da venir subito qualificato come un grande berserker, giganteggiava sul più piccolo e lo precedeva di poche centinaia di metri, una distanza davvero minima nello spazio. Dietro, a circa un chilometro di distanza e a sua volta in linea con l'ammiraglia in avvicinamento, il computer focalizzò un terzo oggetto, un nemico o un'astronave. Era di gran lunga il più piccolo dei tre. In pochi istanti quell'ultimo oggetto venne identificato dalle vecchie registrazioni come l'astronave armata del presidente Dirac. Insensibile al correre del tempo, la Eidolon continuava a tallonare da vicino quello che, a rigor di logica, non poteva essere altro che il berserker di Dirac, ancora legato a doppio filo alla biostazione che aveva rubato tre secoli prima. Nessuno dei sopravvissuti radunati nel salone di controllo aveva tempo o energia da spendere in festeggiamenti. Le poche risorse umane e materiali che restavano si concentravano tutte sulla lotta per la sopravvivenza. Per la quale la comparsa di un altro berserker rappresentava un fatto decisamente rilevante. Nel silenzio mortale qualcuno domandò: — Siamo sicuri che siano tutti morti, laggiù? — Lo scopriremo presto. Sul momento nessuno di loro emette altro che le onde riflesse tipiche di un cimitero spaziale. In ogni caso, state pronti a far fuoco con tutte le armi che abbiamo. — Ordine ricevuto. Per altri lunghi istanti nessuno fiatò. Poi: — Continuiamo ad avvicinarci, commodoro? — Positivo. Preparatevi a uniformare la nostra velocità alla loro — ordinò il commodoro senza specificare il motivo di quella decisione. Non ce n'era bisogno. Non si trattava di una vera decisione ma di una scelta obbligata. Un veloce controllo e un altrettanto veloce bilancio delle risorse disponibili e dei danni subiti aveva rivelato ai superstiti l'esistenza di una situazione drammatica, di una rovina estesa e irreparabile che li avrebbe Fred Saberhagen
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obbligati a soluzioni sempre più complesse e improbabili per rinviare il più possibile la prossima e inevitabile morte. — L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno adesso è un'altra battaglia — affermò Gazin, esprimendo un pensiero fin troppo ovvio per meritare commenti. Tuttavia Prinsep ritenne di dover compiere lo sforzo. — Nessuno qui sta cercando battaglia. Stiamo invece dandoci da fare per restare in vita. Purtroppo dobbiamo dare due cose per scontate: primo, quello è il berserker di Dirac. Secondo, se non ha ancora aperto il fuoco è senz'altro morto. "Se l'oggetto trainato dal berserker è davvero la biostazione rubata tre secoli fa, dobbiamo fare di tutto per abbordarla. A bordo potremmo trovare i medirobot che cerchiamo, e forse le possibilità di riparare l'astronave. Non vedo nessun altro modo di uscire da una situazione che ci condanna a morte certa." Entro un'ora la malconcia astronave ammiraglia si avvicinò a non più di cento chilometri dall'insolito grappolo di oggetti, dominato dall'immensa, tetra e silente massa del berserker che occupava col suo aspetto quantomai inquietante la posizione di testa. L'attenzione a bordo era tutta per lui. Da un attimo all'altro le armi potevano tuonare, le manovre evasive ricominciare, l'allarme lacerare il cupo silenzio che avvolgeva ogni cosa. Tutti guardavano e tremavano per qualche segno di vita che fortunatamente non arrivò. Semplicemente, le immagini dei tre oggetti si fecero sempre più nitide. — Già, è proprio un berserker — annunciò infine laconicamente Prinsep. — E uno dei più grandi, per giunta. — Confermato, signore. E, o meglio era, un berserker — replicò speranzoso il luogotenente Tongres. — E vista la presenza degli oggetti che trascina con sé, possiamo tranquillamente affermare che si tratta del berserker di Dirac. — Incredibile! Guardando e ascoltando con gli altri, Havot dovette compiere un notevole sforzo per collegare in qualche modo quell'enigmatica massa in rovina alla piccola macchina assassina che lo aveva quasi spacciato su Imatra. — Mantenete i posti di combattimento — ordinò il commodoro, Fred Saberhagen
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rifiutandosi di aprire il fuoco nonostante le insistenze dell'equipaggio e limitandosi ad avvicinarsi con mille cautele. Le loro manovre li portarono quasi in linea con le tre unità in tandem, mentre i due membri dell'equipaggio ancora efficienti e i pochi robot disponibili prestavano i primi soccorsi ai feriti e cercavano di riparare come meglio potevano i danni più vistosi alle strutture, dandosi il cambio ai posti di combattimento Ma il continuo monitoraggio della situazione confermò che era impossibile riparare i motori e i generatori, e che qualsiasi operazione che poteva venir tentata sul sistema di supporto vitale era destinata a rivelarsi un palliativo in grado di durare non più di qualche ora. — Commodoro Ivan Prinsep, comandante della flotta — intervenne a un certo punto il cervello elettronico dell'astronave morente. — Quello è il mio nome — fu la pacata replica dell'interpellato. — Ma ormai non comando più alcuna flotta. — Le suggerisco di ordinare l'abbandono dell'astronave. — Va bene, suggerimento ricevuto. Ma ancora il commodoro esitava a dare l'ordine. Ora una voce meccanica proveniente dal ponte dove giacevano i feriti cominciò a richiedere assistenza urgente, ripetendo il messaggio fino a quando uno degli operatori nel salone di controllo, sapendo che nessuna assistenza poteva venir prestata, ignorò le procedure del sistema e tacitò bruscamente la voce. A quel punto il commodoro cercò di ottenere dai suoi strumenti un'immagine migliore della biostazione. Con la sua calma controllata fino all'esasperazione, Prinsep continuò a inseguire la possibilità, inizialmente giudicata assurda da Havot e dagli altri, di riuscire a trovare qualche aiuto per i suoi feriti a bordo del laboratorio spaziale. Questo, naturalmente, significava dare per scontato che il gigantesco berserker era morto come sembrava. — Una struttura come quella deve avere dei medirobot a bordo, non credete? — spiegò, sembrando quasi ansioso di scoprirlo. — Forse una volta sì, signore — replicò Tongres. — Ma adesso immagino che vi troveremo solo berserker. Prinsep si strinse nelle spalle con fatalismo. — Be', in tal caso ne porteremo con noi nell'al di là qualcuno in più. Ma di una cosa siamo certi: Fred Saberhagen
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se ci limitiamo a restare qui seduti ad aspettare moriremo tutti in poche ore, al massimo un giorno o due. — Quindi dobbiamo abbandonare l'astronave. — Già, ma non affrettiamoci. Dapprima dobbiamo spostare i feriti: li metteremo tutti sulla stessa navetta. Poi dobbiamo accertarci di non avere davanti un berserker funzionante, perché in tal caso è forse meglio restare qui. Un paio di navette erano ancora integre. Potevano dilazionare il momento finale di una settimana o poco più, comunque un periodo insufficiente a permetter loro di tornare indietro. Mezz'ora dopo esisteva ogni ragione di pensare che l'astronave si sarebbe autodistrutta nel giro di un singolo giorno standard. Con questo in mente il commodoro, dopo aver dato ordine ai suoi uomini di trasportare tutti i feriti in una navetta, ritenne inutile programmare la Symmetry affinché esplodesse. Il semplice scafo non sarebbe tornato di nessuna utilità al nemico se fosse caduto nelle sue mani. E quindi Prinsep si accontentò di cancellare i sistemi esperti, i sistemi di interfacciamento e tutti gli atlanti stellari esistenti a bordo con i loro riferimenti. Mentre passavano i minuti e l'avvicinamento continuava a velocità ridotta, la presenza dell'oggetto più distante divenne via via più soffocante, inconfondibile e minaccioso com'era. I due oggetti più vicini erano troppo piccoli per riuscire a oscurarne più di una minima frazione. La grande massa ovoidale si stava rivelando sugli schermi, se mai v'era bisogno di conferma, in tutta la sua micidiale finalità: fungere da centro di raccolta e di controllo per decine, forse centinaia di macchine assassine. Era un berserker tanto grande che da solo avrebbe sicuramente rappresentato un problema per l'intera flotta di Prinsep. Ma, fortunatamente, il suo cervello pareva inattivo quanto il suo arsenale. Perché anche lui era passato attraverso uno o più infernali combattimenti. Da diversi punti dello scafo si proiettavano comunque quelle che sembravano batterie funzionanti. In effetti il nemico si trovava ormai da diverso tempo a portata di tiro, anche se non nella migliore posizione, e avrebbe potuto comodamente bersagliare l'astronave solariana in avvicinamento con le batterie di poppa. Ma per qualche ragione le armi del berserker tacquero, mentre l'ammiraglia continuò attimo dopo attimo il suo faticoso avvicinamento. Fred Saberhagen
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Dinant però aveva una notizia inquietante. — Signore, rilevo qualche tipo di campo magnetico che unisce il berserker alla biostazione. — Oh, ma un campo magnetico può benissimo essere un residuo. O sbaglio? Voglio dire che può persistere localmente all'infinito, continuando ad avvolgere l'oggetto catturato anche dopo la disattivazione della macchina che lo ha generato. — Non sbaglia, signore; il guaio è che anche i motori del berserker sembrano funzionare. Emettono una spinta ridotta, generata da una potenza bassa ma costante. Al momento si limita a mantenere la sua rotta, con qualche correzione ma senza accelerare. Il campo magnetico può venir emesso e controllato da qualche generatore nei motori oppure dipendere da una semplice funzione a bassa intelligenza; tuttavia, a questo punto non ci resta che sperare che il suo cervello centrale sia davvero morto. Sia l'astronave in coda alla piccola parata che il berserker all'inizio mostravano i segni di gravi danneggiamenti mentre la biostazione no, almeno da quella distanza. Alcuni dei danni riportati dal berserker parevano recenti, almeno a giudicare dal calore irradiato dai profondi squarci e dall'emissione di gas composto di elementi molto diversi tra loro. Era forse una nube sottile di minuscoli detriti quella che fluttuava nello spazio circostante, disperdendosi a una velocità che provava oltre ogni dubbio che non poteva essere molto vecchia? Sì, qualcosa del genere venne confermato dagli strumenti. — E quella da dove diavolo viene? La scoperta creò un po' di movimento. Osservando vagamente incredulo la nube di detriti generata con tutta probabilità da una recente battaglia, Prinsep disse: — Vien quasi da pensare che le nostre astronavi, o forse solo qualcuna di esse, ci abbiano preceduto qui affrontando il berserker in combattimento. — Sì, ma dove sono adesso le nostre astronavi? — Se non sono qui, evidentemente sono state distrutte. — O forse hanno deciso che non valeva la pena di rischiare e si sono dirette verso casa dopo un semplice scambio di colpi. Comunque fosse, pareva evidente che non potevano aspettarsi alcun aiuto dalle astronavi che facevano parte della flotta. Havot e i suoi compagni dovevano arrangiarsi da soli. Gli occupanti dell'ammiraglia in lento avvicinamento poterono Fred Saberhagen
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finalmente esaminare nei dettagli l'aspetto del grande oggetto sito tra il berserker e l'astronave. La prima ipotesi poté quindi trovare una conferma ufficiale: si trattava proprio della stazione spaziale strappata tre secoli prima alla sua tranquilla orbita attorno a Imatra. Le immagini dell'archivio corrispondevano perfettamente a quelle rilevate in quel momento. Dopo tre secoli, lo scafo esterno della biostazione non appariva molto danneggiato, salvo per qualche bruciatura causata probabilmente da forti esplosioni nelle sue vicinanze. Non molto dopo il pilota automatico ridusse la velocità di avvicinamento a pochi chilometri al minuto e i solariani riuscirono a studiare un po' meglio il campo magnetico che legava la biostazione e l'astronave di Dirac al berserker. L'ipotesi che si trattasse di un campo residuo ne uscì in qualche modo rafforzata. Intanto la decelerazione gentile ma continua, quasi al limite di quello che i motori morenti dell'astronave potevano fare, rallentò sensibilmente i tempi di avvicinamento. La Symmetry si sarebbe probabilmente fermata per sempre molto vicino all'astronave di Dirac, a una distanza variabile tra il mezzo chilometro e i dieci chilometri. La piccola triade di oggetti, e ora l'astronave militare unitasi a loro, continuò a muovere lentamente attraverso le dense volute della nebulosa. L'astronave di Dirac, ormai vicinissima ai nuovi arrivati, era stata identificata senza alcuna possibilità di errore. Muoveva a velocità costante al limite più esterno del campo gravitazionale emesso dal berserker, e manteneva lo stesso assoluto silenzio radio della biostazione. Forse, commentò qualcuno, il campo di forza aveva avvolto la Eidolon solo per qualche bizzarra coincidenza, condannandola a venir gentilmente trainata per secoli in un marasma di polvere e di tenebre. — Secondo me invece Dirac l'ha lasciata lì di proposito, forse per abbordare la biostazione — replicò qualcun altro. — Un tentativo che non ha cambiato molto le carte in tavola, direi. Sotto l'attenta supervisione dell'unico pilota umano, l'ammiraglia manovrò in modo da far coincidere la propria velocità relativa con quella dell'un tempo celebre astronave di Dirac. Intanto Ensign Dinant, il cartografo della Symmetry, si diede da fare per cercare un motivo plausibile che spiegasse come mai l'ammiraglia era riemersa dall'iperspazio tanto vicina alla massa formata dai tre relitti. Naturalmente la spiegazione aveva a che fare col corridoio nella nebulosa, che forniva localmente una resistenza minima alle grandi velocità. La Fred Saberhagen
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distribuzione delle forze e della materia in quei settori della nebulosa era tale che qualunque astronave li percorresse a una qualsiasi velocità veniva invariabilmente attratta nel corridoio. E dato che le condizioni che lo avevano creato non mutavano certo in soli trecento anni, ciò che era valso per Dirac valeva anche per loro. Ancora tutto taceva, come del resto fin dal primo avvistamento. Il berserker, la biostazione e l'astronave di Dirac continuavano ad avanzare inerti e senza meta apparente come facevano da ben tre secoli, e nessuno di loro inviava un deliberato segnale ottico o radio di qualsiasi intensità o frequenza. Finalmente il commodoro emise un sospiro di qualcosa molto simile al sollievo. — Potete vedere bene quanto me, signori, che questo berserker sembra proprio morto. Ma per quanto ne sappiamo, diversi berserker ci erano molto vicini quando abbiamo compiuto il balzo. Se è così dannatamente facile finire in questo corridoio, potremmo ragionevolmente trovarceli addosso in qualunque momento. Almeno, temo proprio che dobbiamo ritenere la cosa molto probabile. — Non sarei affatto sorpreso se andasse proprio così, signore. Ma può anche darsi che nessuno di loro sia sopravvissuto al balzo — affermò Dinant, un veterano dei combattimenti spaziali già prima di questa missione. — Dio mio, commodoro, certo che è stata una battaglia davvero terribile! — Può ben dirlo, giovanotto. Ma questo non basterà a scoraggiare i superstiti tra i nostri avversari. Possiamo star certi che faranno di tutto per ritrovarci, anche a costo di avanzare strisciando in questo polverone. Dobbiamo continuare a tener pronte tutte le armi che abbiamo. — Signore — intervenì Tongres. — Non dobbiamo scordare che le nostre astronavi non solo le sole a mancare. Anche loro contavano diverse unità in più. Non posso credere che ci abbiano attaccato con tutte le loro forze. — Concordo. Visto il fanatismo con cui cercavano questi tre relitti, alcuni di loro debbono aver continuato a cercarli. Ma i berserker che hanno continuato potrebbero essersi persi in qualche perturbazione finendo fuori strada, o perlomeno così si direbbe vista la loro assenza. Un vero colpo di fortuna per noi. Fu il sovrintendente Gazin a rivelare una vena scaramantica facendo Fred Saberhagen
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ammenda per quell'ardita affermazione: — No, qui non ci sono... per adesso. Tutti lo guardarono. Taceva ormai da diverse ore, e la sua voce fece in qualche modo sensazione. Anche Havot aveva qualcosa da dire. — Continuiamo a tornare sullo stesso punto. Non so più a cosa ci servirà ormai, ma vorrei proprio sapere perché diavolo è cominciato tutto questo, qual era l'obiettivo del berserker che ha dato inizio a questa corsa del topo. Il commodoro scosse la testa. — Possiamo solo avanzare delle ipotesi. Ma lo scopo immediato dei nostri berserker mi sembra chiaro ormai: cercavano in ogni modo di raggiungere questa sfilata di relitti, e soprattutto il primo attore del dramma che lei ha definito la corsa del topo — disse, annuendo in direzione dei tre enigmatici mezzi spaziali miniaturizzati con assoluta precisione dal computer che gestiva l'ultimo oloschermo ancora funzionante. — E quando li troveranno? — Allora se saremo ancora sulla scena impareremo qualcosa di assolutamente inedito. Perlomeno capiremo il motivo del loro strano comportamento. Discutere in quel modo di un argomento familiare servì perlomeno a dare ai solariani superstiti qualcosa di cui parlare, una minima distrazione dalla disperata situazione in cui si trovavano. — Io continuo a pensare che qualsiasi fosse il loro obiettivo non poteva trattarsi semplicemente di trovare l'astronave di Dirac — intervenne Dinant. — I berserker non avrebbero mai lasciato a metà la sterilizzazione di un pianeta in un sistema densamente popolato solo per mettere le mani su un uomo scomparso da tre secoli e ormai totalmente privo di influenza, di flotta, di tutto. Tongres fu pronta a ribattere: — E va bene. Allora ditemi che cosa possono mai cercare qui se non l'astronave di Dirac! — Ammetto che le alternative sono poche, ma tutte più ragionevoli. Alternativa numero uno: i nostri berserker vogliono mettere le mani su una biostazione piena di embrioni solariani, embrioni che senz'altro sono ancora sviluppabili in quanto ibernati al momento stesso del prelievo. "Alternativa numero due... ah, questa è davvero fantastica. I berserker stanno dando la caccia al grosso uovo davanti a noi. Lo vogliono tanto fanaticamente da mettergli alle costole un'intera flotta. Non Fred Saberhagen
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chiedetemi perché: non saprei cosa dire. Ecco, queste sono tutte le scelte possibili. Nessuna di loro mi piace, ma dannazione... non c'è altro a cui riesco a pensare!" Ansiosamente il piccolo gruppo di superstiti umani, aiutato dai pochi, fedeli robot ancora funzionanti, scandagliò lo spazio in ogni direzione aspettandosi di scoprire in ogni momento la minacciosa forma di qualche astronave berserker. Ma nulla del genere accadde. I sensori e i sistemi di analisi erano anch'essi danneggiati come tutto il resto, ma la nube di residui era reale; la sua temperatura e la velocità di dispersione indicavano a tutti gli effetti che una battaglia aveva avuto luogo poco tempo prima. E alcuni dei danni subiti dal grande berserker, i cui dettagli si facevano sempre più nitidi man mano che venivano studiati, si confermarono incredibilmente recenti, vecchi forse di un paio d'ore. Dagli squarci ancora uscivano le vampate delle esplosioni e nubi di gas composito, segno che le viscere del mostro metallico bruciavano di un fuoco inestinguibile. Nonostante la disperazione che portava dipinta in volto, Prinsep si mantenne implacabilmente deciso con i suoi modi dimessi ma efficaci. — Dapprima daremo un'occhiata all'astronave di Dirac. Andrò io personalmente a esplorarla. Se sopravviverò all'escursione senza però trovare ciò che cerchiamo, proveremo con la biostazione avvicinandola da dietro. — Abbordare l'astronave di Dirac! — Esatto, luogotenente, abbordarla. Perché, ha forse qualche idea migliore? No, il luogotenente non l'aveva. Con un gesto Prinsep indicò alcuni schermi su cui compariva il fitto elenco dei danni giudicati irreparabili dai sistemi di bordo dell'astronave. — Temo proprio che non abbiamo alternative. Vedete anche voi le condizioni dei motori e del sistema di supporto vitale. Se solo riuscissimo a trovare dei medirobot funzionanti a bordo dell'astronave di Dirac o della biostazione potremmo curare i feriti e tentare qualcosa in futuro. Senza contare che se i motori dell'astronave di Dirac funzionano... Queste parole suscitarono un mormorio di ironico entusiasmo. Il commodoro continuò: — Naturalmente potremmo anche non trovare nulla da nessuna parte. In tal caso, signori, nessuno di noi continuerà a Fred Saberhagen
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respirare a lungo. Prinsep non mostrò alcuna indecisione sulla scelta dell'uomo che doveva accompagnarlo: voleva Havot al suo fianco. Havot annuì senza esitare, in qualche modo compiaciuto. Prinsep aggiunse: — Esplorare l'astronave può dimostrarsi la mossa meno rischiosa. Infatti i berserker avranno senz'altro occupato la biostazione prima di trascinarla via, ma l'astronave è entrata in scena più tardi e forse a bordo non c'è nessuno. Seguì una discussione squisitamente tecnica, di cui Havot non comprese granché e quindi ignorò, sulla natura dei campi magnetici che ancora legavano assieme i tre antichi oggetti, sulla loro potenza in determinati punti e la loro pericolosità per degli uomini o delle navette che li penetrassero senza adottare delle precauzioni. I tre militari concordarono su un punto: l'astronave di Dirac doveva esser stata presa nella rete solo per caso. Appariva legata al berserker molto meno strettamente della biostazione. Con molta calma il commodoro diede inizio ai semplici preparativi necessari per l'abbordaggio. Havot lo osservò per un attimo e poi cominciò a prepararsi a sua volta. Sarebbero usciti con una delle piccole e disarmate navette d'emergenza. Davanti a loro vi erano due possibili fonti di speranza, deboli ma concrete: l'astronave di Dirac e la biostazione. Due degli antichi oggetti su tre. Ma per quanto riguardava il terzo... Il commodoro Prinsep pensò che nessuno avrebbe mai volontariamente abbordato un berserker, se non qualcuno al culmine della disperazione. Neppure un berserker inerte come quello. Non quando si poteva tentare qualcos'altro. Ma come sempre, concluse, esisteva un'eccezione: Havot. Lui avrebbe osato qualsiasi cosa.
22 Il morale di Havot era alle stelle e nulla sembrava poterlo scalfire, neppure la preoccupazione per le possibili conseguenze di ciò che si apprestava a fare. Anzi, si divertiva sempre più. Fremeva per andare avanti, per scoprire Fred Saberhagen
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cosa doveva succedere ancora. Sapere di esser diventato un eroe agli occhi dei suoi compagni sistemando quei due berserker lo riempiva di meravigliosa energia. Persino il sovrintendente Gazin lo guardava ammirato. Senza dubbio un buon numero di pianeti lo avrebbero insignito di alte onorificenze, posto naturalmente che tutte le passate identità di Christopher Havot potessero venir cancellate d'incanto. Inoltre, vi era il non facile problema di riuscire a sopravvivere in qualche modo a tutto questo. Perlomeno adesso qualsiasi accusa di tradimento suonava totalmente ridicola. E per quanto riguardava il suo demone interiore, qualsiasi ipnotica promessa si fosse un tempo sentito obbligato a fare alle macchine di morte era decaduta, poiché aveva deciso da che parte stare. E non era la loro. L'unico a non sembrare completamente convinto era il commodoro. Havot poteva dirlo dal modo in cui certe volte lo guardava. Bah, che importava? Prinsep non rappresentava alcun problema in quel momento. E poi, non poteva uccidere anche lui: primo, perché era l'unico a sapere veramente cosa fare; secondo, perché si divertiva troppo a stare dalla sua parte. Il che lo riportava al punto di partenza. La sua situazione non offriva certo molte vie d'uscita. Anche supponendo che tutto andasse liscio e che fossero riusciti un giorno a raggiungere qualche pianeta civilizzato, gli avrebbero dato una medaglia per poi gettarlo in qualche cella per sempre. Perché ne aveva fatte troppe, e non poteva più sperare in alcun tipo di perdono. Pazienza. Non aveva perso niente fuggendo dalla sua cella quel giorno allo spazioporto, e sul momento era più che felice di cavalcare l'onda, di vedere cosa mai riusciva a concepire l'universo per divertirlo un po' nel successivo paio d'ore. E poi, il modo in cui gli altri lo guardavano lo inebriava. La mera sopravvivenza era diventato l'obiettivo numero uno per quel pugno di uomini, e a differenza degli altri lui era un vero esperto in quel genere di cose. E quindi adesso era un eroe. Ma non si faceva illusioni: sapeva benissimo con quanta facilità la mente umana cambia opinione. Dopo una breve pausa per un po' di riposo e di organizzazione, Havot seguì Prinsep in uno degli hangar. Nonostante fosse l'unico ad aver Fred Saberhagen
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scampato la totale distruzione era stato pesantemente bersagliato e appariva ingombro di rottami. I due salirono sulla loro navetta, l'unica ancora disponibile oltre a quella stipata di feriti. L'attenzione di tutti andava esclusivamente al grande berserker, all'immensa astronave nemica che si sperava disattivata per sempre. La montagnosa e straziata massa metallica non dava il minimo segno di vita e gli strumenti non seppero indicare se stava inquadrando la navetta che cominciava a muovere verso l'astronave deserta e silente. Il nome della vecchia ammiraglia di Dirac, Eidolon, apparve sempre più chiaramente agli occhi dei due coraggiosi man mano che la loro navetta si avvicinava. Era una nave spaziale quantomai imponente, poco più piccola della Symmetry; tuttavia, l'immensa massa del berserker faceva sembrare entrambe minuscole. Nel corso della tesa traversata con la navetta vi fu uno strano momento di silenzio in cui i due uomini si scambiarono una serie di sguardi in un modo che sembrò indicare l'esistenza di una mutua, profonda comprensione. Havot vide paura negli occhi di Prinsep e giudicò la cosa normale. Per quanto lo riguardava, da quando era cominciata la battaglia non aveva più provato il minimo timore. Era sempre così quando si ritrovava coinvolto in qualcosa di veramente divertente. Era ansioso di fare ciò che stava facendo per la propria salvezza, perché bisognava andare avanti e vedere cosa c'era a bordo dell'astronave apparentemente abbandonata. Il pericolo poteva venire da tutte le parti, ma come sempre doveva fare i conti con la sua riluttanza ad accettare passivamente la morte. Se esisteva un modo di uscire da quella situazione poteva venir trovato solo rischiando. D'impulso disse: — Sono contento che abbia scelto me per accompagnarla, commodoro. Prinsep annuì lentamente. — Ho pensato che le facesse piacere. Lei è bravo con le armi, il migliore di tutti noi. Havot cercò di reagire con modestia. — Mi spiace per Rebecca. So che eravate insieme. Havot lo guardò a disagio. Il commodoro compì un rapido controllo per assicurarsi che fossero soli, privi di qualsiasi contatto con il mondo esterno. Poi aggiunse, con molta calma: — No, non ho paura che lei cerchi di uccidermi, Christopher Fred Saberhagen
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Havot. — Cosa? — Non ancora, perlomeno. Perché per prima cosa ho notato che ha deciso di stare dalla nostra parte; e poi, perché abbiamo ottime possibilità di morire molto presto insieme. E quindi per adesso facciamo una splendida squadra, io e lei. Inoltre, voglio confessarle che non m'importa un accidente di ciò che ha fatto prima di capitare sulla mia astronave. Non lo so e non lo voglio sapere. — Ucciderla, commodoro? — balbettò Havot. Ma già mentre pronunciava quelle parole si rese conto di suonare falso. Non era in grado in quel momento di metterci quel pizzico in più di sorpresa e di sdegno. Per un attimo si sentì incapace di compiere lo sforzo necessario per mentire a Prinsep, che lo guardava con occhi fissi e penetranti. Affiancare l'astronave con la piccola navetta e scegliere un portello stagno non presentò particolari problemi. Il rendez-vous avvenne normalmente. Qualche attimo più tardi Havot e Prinsep si trovavano, entrambi con le armi pronte, dentro la camera stagna della vecchia Eidolon con il portello esterno chiuso alle loro spalle. Il portello interno si stava aprendo. "Ecco, qui dovrebbe scattare la trappola, perlomeno la prima trappola. Quando il portello si aprirà del tutto ci ritroveremo davanti un berserker pronto a uccidere..." Ma il portello interno si aprì come di routine liberando loro la strada. Oltre non c'era nulla, solo un prosaico corridoio che correva alla loro destra e alla loro sinistra adeguatamente illuminato. Una veloce occhiata al visore incorporato nella tuta corazzata rivelò loro che l'atmosfera era respirabile e la pressione perfetta per un essere umano. I generatori di gravità artificiale funzionavano normalmente. Incoraggiati da quell'inizio insperatamente positivo, i due uomini esplorarono per qualche minuto la Eidolon. Tutto sembrava indicare che era stata abbandonata pacificamente, completamente dimenticata come ci si poteva aspettare da una nave spaziale vecchia di trecento anni. Fin dalla prima occhiata l'astronave sembrò deserta da molto tempo, anche se il sistema di supporto vitale appariva funzionante e in buone condizioni. Questo era sconcertante in un certo qual modo, sussurrò Prinsep al suo Fred Saberhagen
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compagno. Il cervello elettronico dell'astronave avrebbe dovuto disattivarlo una volta constatato che nessuno tornava a bordo. Ma evidentemente questo non era accaduto, il che lasciava supporre che qualcuno gli avesse ordinato di non farlo. Il computer di bordo rispose prontamente ai primi, normali comandi quando Prinsep li provò, rivelando ai nuovi venuti che i motori erano fuori uso senza fornire alcuna spiegazione. Prinsep sospirò. L'astronave rispose senza problemi anche alla sua domanda successiva riguardo la disponibilità e la posizione dei medirobot, visualizzando una mappa che mostrava come raggiungerli dalla loro attuale posizione. Mentre continuavano la loro esplorazione, sia Havot che Prinsep notarono gli antichi segni di un combattimento. Il ponte che ospitava l'hangar era deserto come il resto dell'astronave, completamente privo di navette o unità da combattimento. Presto i due esploratori entrarono nel salone di controllo senza provocare alcun contrattacco berserker né, in effetti, scoprire il minimo segno di presenza nemica. A quel punto Prinsep decise di arrischiarsi a dividere la sua modesta pattuglia e mandò Havot a cercare i medirobot e ad accertarsi delle loro condizioni ispezionandoli personalmente. Lui invece restò nell'ampio salone e iniziò a controllare le varie funzioni dei sistemi di bordo. Ignorò totalmente il pericolo rappresentato dalle trappole antiuomo (la situazione era troppo disperata per pensarci) e si concentrò sul tentativo di rimettere in funzione i motori e le armi dell'astronave. Havot valutò brevemente la possibilità di disobbedire all'ordine del commodoro restando invece tranquillamente nascosto nel salone di controllo per proteggere Prinsep, per vedere se qualche berserker avrebbe messo fuori il naso adesso che si erano divisi. Sarebbe stato divertente tendere nuovamente un'imboscata a uno di quei maledetti. Tuttavia, star lì ad aspettare gli parve una condotta troppo passiva. E così uscì dal salone centrale, muovendo lungo i corridoi dell'astronave con deliberata calma ed esplorando ogni angolo della grande e sconosciuta nave spaziale. Si muoveva con cautela ma senza esitazioni, sentendosi intensamente vivo. Avrebbe giocato la partita a modo suo, tenendo il ritmo che più gli sembrava congeniale. E come se l'indifferenza pagasse, le istruzioni fornite dal computer di Fred Saberhagen
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bordo si dimostrarono corrette. Come sempre, se uno era pronto il trucco non arrivava mai. Havot trovò facilmente la strada che portava allo stretto corridoio che alloggiava i medirobot. Erano cinque, tutti somiglianti a sarcofagi metallici contrassegnati con i simboli di emergenza ancora in uso in tutta la galassia. Con qualche sorpresa notò che uno dei medirobot era occupato. Avvicinandosi vide che stava operando come una camera di animazione sospesa. Lanciò una breve occhiata all'immagine indistinta di un volto congelato maschio e solariano, direttamente visibile al di là della finestrella di cristallo. Poi richiamò sullo schermo della macchina la scheda della persona che ospitava e lesse distrattamente la pletora di dettagli riguardanti un certo Fowler Aristov, giovane idealista ibernatosi volontariamente tre secoli prima per fare da educatore al miliardo di futuri coloni messi in provetta dalla Fondazione Sardou. Ma ora la fondazione non esisteva più, e lo stesso valeva per i suoi progetti. Pertanto, c'era una sola cosa da fare. — Toc toc, Fowler Aristov. È ora di alzarsi, dormiglione! — disse Havot, prestando attenzione a non trasmettere le sue parole. Mentre parlava, le sue dita guantate cercarono, sfiorarono e attivarono la funzione di revitalizzazione. Una serie di luci prese a lampeggiare dentro e attorno la metallica bara, indicando l'inizio del processo. Tempo di svegliarsi e andare per Fowler Aristov. Il commodoro voleva infilare qualcun altro nel suo comodo letto e Havot, perlomeno in quel momento, sosteneva il commodoro in ogni cosa. Poi gli capitò di chiedersi se quei medirobot fossero ancora funzionanti dopo trecento anni. Li avrebbe provati, preparati per ricevere i feriti della Symmetry. Spostando il fucile in una posizione diversa ma sempre funzionale, Havot mosse da medirobot a medirobot attivando ogni unità per un controllo. Gli indicatori mostrarono che gli speciali sarcofagi erano tutti in buono stato, pronti per ricevere i feriti. Anche quello già occupato sarebbe stato pronto nel giro di mezz'ora. Era pratica comune rendere le unità di medicazione intercambiabili e dotarle di dispositivi per l'animazione sospesa. I medirobot infatti evitavano di intervenire sui casi disperati proprio ibernando il soggetto fino al suo ricovero in un ospedale attrezzato o all'arrivo di un chirurgo. Attivando con diffidenza uno dei visori per le comunicazioni interne all'astronave, Havot chiamò Prinsep nel salone di controllo. Il commodoro Fred Saberhagen
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suonò vagamente sorpreso di sentire la sua voce tanto presto, ma soprattutto suonò molto stanco. Tutti i suoi tentativi di capire cosa non andava con i motori e le armi dell'astronave erano risultati vani. Presto Havot tornò verso il salone centrale percorrendo cautamente lo stesso corridoio. Il commodoro lo guardò semisdraiato su una poltrona antiaccelerazione, esausto oltre il limite di sopportazione. — Dannazione! Non riesco a capire cosa non va con i motori, e credo proprio che non sarà facile scoprirlo. Ma almeno i medirobot funzionano, vero? — Sì. — E quanti sono? — Cinque. — Peccato che non siano otto, ma pazienza. Perlomeno potremo curare immediatamente i cinque feriti più gravi. Forza, chiamiamo Tongres e Dinant e diciamo loro di trasbordare quanto prima. Lentamente, Sandy Kensing emerse dalla fase più profonda dell'animazione sospesa. Era molto diverso dallo svegliarsi da un normale sonno profondo, vagamente come riprendere conoscenza dopo esser stati gravemente malati. Tuttavia, nel caso dell'animazione sospesa uno riprendeva le forze in pochi minuti se riusciva a vincere la nausea e la sensazione di esser stati drogati il giorno prima. Ma negli ultimi e soggettivi quattro o cinque anni della sua vita aveva dovuto fare spesso i conti con quelle sensazioni e adesso non incontrò particolari difficoltà a dominarle. I fili sottilissimi dell'eterea ragnatela di un sogno glorioso avevano giusto cominciato a unirsi, in quanto parte della sensazione di esser stato drogato, quando qualcosa li aveva bruscamente strappati. Il sogno aveva a che fare con Annie e lui. Salina volta tanto erano usciti insieme da quel sonno mortale, e Dirac stava dicendo loro che era tutto finito, che potevano tornare a casa... Ma il sogno svanì com'era venuto. Si trovava sulla biostazione, da troppo tempo ormai la sua fredda e impersonale dimora. Una vera eternità. Cominciava a pensare che vi sarebbe rimasto per sempre. Ancora sulla biostazione, quindi, nella solita camera di animazione sospesa. E la solita figura massiccia di un uomo brizzolato era come sempre china sulla sua bara. — Sveglia, figliolo — lo incitò con asprezza. Fred Saberhagen
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— Cosa? — replicò Kensing ancora intontito, incapace di muoversi dal suo sarcofago di vetro. — Mi dia almeno qualche minuto! — No. Si alzi adesso! — ordinò incalzante il grande uomo. — Lei è l'esperto dei sistemi di difesa, e io debbo parlarle prima di andare a svegliare il presidente. Sa anche lei quanto è sensibile ai risvegli non programmati. Sandy, abbiamo un'emergenza: qualcuno è salito a bordo della Eidolon. Il temporaneo disorientamento indotto dal risveglio passò rapidamente. Sandy Kensing sedette nella sua bara di cristallo, ricordando. — Quanto tempo è passato stavolta? — chiese a Brabant, la guardia del corpo di Dirac. Sul momento, con la mente e la vista ancora un po' annebbiate, chiedere risultava più facile che guardare da sé gli indicatori. L'uomo dai capelli brizzolati non sembrava affatto più vecchio di come Kensing lo ricordava. Ma anche Brabant aveva indubbiamente trascorso la maggior parte del tempo ibernato. La guardia del corpo rispose: — Da quanto dorme? Da cinque anni o poco più. Non da molto tempo, comunque. Kensing annuì. Questo portava la durata totale di quel viaggio maledetto, se ancora lo si poteva chiamare viaggio, a quasi trecento anni. Di quel lungo periodo di tempo lui non aveva trascorso più di quattro o cinque anni sveglio e attivo, metabolizzando e invecchiando; tuttavia, gli sembrava in qualche modo di sentirne tutto il drammatico peso, anno dopo anno, ora dopo ora. — Insomma, che succede? — domandò nuovamente a Brabant. Il coperchio del sarcofago scivolò finalmente di lato aprendosi completamente, e lui mosse le gambe e cominciò ad alzarsi. — Voglio farmi una doccia! — La doccia dopo — replicò marziale la guardia del corpo, muovendo due passi indietro per fargli posto. — Adesso ho bisogno di lei. Qualcuno sta esplorando l'astronave. Qualcuno o... qualcosa. Ancora completamente nudo, Sandy uscì dalla camera di animazione sospesa e prese i vestiti che un robot servitore prontamente gli porse. Per una sorta di automatismo i suoi occhi guardarono gli altri medirobot proprio accanto, nei quali giacevano i suoi compagni anch'essi temporaneamente tumulati. Dirac non c'era, naturalmente: il presidente, accidenti a lui, aveva imperiosamente deciso di ibernarsi in privato. E in uno dei medirobot giaceva Annie. Gli strumenti confermarono che Fred Saberhagen
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tutto andava bene... e quello era il massimo della vicinanza consentita loro in quei lunghi anni. Camminando verso il ponte che ospitava l'hangar, dove dovevano salire su una navetta per investigare la natura dei nuovi arrivati, Kensing domandò: — Chi c'è sull'astronave? Brabant lo guardò scuro in volto. — È quello che stiamo andando a scoprire. Nick mi ha svegliato con una storia alquanto confusa riguardo degli intrusi, e la prima cosa che ho pensato è stata svegliare lei. Io ho dei problemi a comunicare con Nick. — Davvero? — Già. Adesso si trova senza dubbio sull'astronave, ma io voglio vedere di persona cosa sta succedendo e lei deve assolutamente aiutarmi. Intanto Prinsep stava temporaneamente abbandonando il salone di controllo della Eidolon, intenzionato a dedicare la sua attenzione ad altre priorità. Questo non significava certo rinunciare al tentativo di attivare i motori: era ancora determinato a tentare in qualunque maniera possibile. Sarebbe stata una terribile delusione trovare quell'astronave miracolosamente intatta solo per scoprire che non poteva in alcun modo portarli via da lì. Perlomeno era riuscito a sbloccare i programmi che gestivano gli armamenti, naturalmente abbastanza antiquati. La potenza sviluppata dai generatori era più che sufficiente per rispondere a un eventuale attacco, o almeno così indicavano gli strumenti: tuttavia era impossibile provare le varie batterie senza correre il rischio di svegliare il berserker. Il sovrintendente Gazin si era adattato senza protestare al ruolo di semplice astronauta, perlomeno in quel momento. Lui e i due membri ancora attivi dell'equipaggio di Prinsep, Tongres e Dinant, tenevano d'occhio il berserker a turno assicurandosi che l'immensa ed enigmatica massa alla testa della strana processione restasse inerte come sempre. Visto da quella distanza (la Eidolon distava meno di un chilometro dal berserker), la massa nera e cupa avrebbe gelato istantaneamente il sangue nelle vene di qualunque solariano consapevole di ciò che stava guardando. Il suo scafo ovoidale, segnato in ogni sezione da profondi squarci, spuntava da ogni parte dietro la già grande stazione spaziale. La navetta che trasportava i tre superstiti e i feriti giunse senza incidenti Fred Saberhagen
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nei pressi dell'astronave per poi attraccare al portello stagno già utilizzato in precedenza. Prinsep condusse le sue esigue truppe lungo i corridoi, compiendo ogni sforzo per trasportare al più presto i feriti verso la salvezza offerta dai medirobot. Con estremo piacere il commodoro constatò che Havot aveva già attivato i dispositivi, controllandoli e predisponendoli per un uso immediato. Havot rispose al plauso del commodoro con un sognante sorriso. — Adesso cosa devo fare, signore? — Si prepari a uscire di nuovo. Io e lei andremo a esplorare la stazione spaziale. Dinant, lei e il sovrintendente resterete qui e terrete d'occhio i feriti. Tongres, vada nel salone di controllo e cerchi di far qualcosa riguardo ai motori. Io probabilmente non ho capito come operare. Nessuno aveva discusso la decisione di abbandonare la Symmetry al suo destino. Cercare di salvarla era un'impresa disperata e pericolosa, in quanto il computer di bordo dell'ammiraglia aveva comunicato loro che una devastante esplosione poteva avvenire da un momento all'altro. Nonostante la crescente stanchezza, Havot e il commodoro risalirono presto su una delle navette puntando verso la biostazione. Giunti a poca distanza dallo scafo esterno della grande stazione spaziale, poterono osservare con gli strumenti la vincolante ragnatela di campi di forza che la univa al berserker. I campi di forza apparivano irregolari, discontinui, e lasciavano scoperte ampie superfici della struttura solariana. I due esploratori non incontrarono alcuna difficoltà a localizzare un portello stagno facilmente accessibile e ad agganciarvi la navetta. Avvicinandosi alla Eidolon, Brabant e Sandy Kensing poterono finalmente osservare l'astronave degli intrusi. Subito videro che si trattava di un mezzo spaziale solariano, un'astronave militare seriamente danneggiata. Poi si accorsero del movimento di navette tra le due astronavi. — Non era un falso allarme, allora. Abbiamo davvero dei visitatori! — esclamò Kensing, provando un'insolita miscela di speranza e timore. Poi guardò la guardia del corpo. — Non ha ancora svegliato il presidente? — No — rispose Brabant, esitando brevemente. — E non so se lo ha fatto Nick... ma forse Loki non glielo avrebbe consentito. In ogni caso ho ordine di non svegliarlo, a meno che si tratti di qualcosa che non riesco a Fred Saberhagen
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sbrigare per conto mio. Ma forse questo è uno di quei casi. Kensing non disse nulla. Per lui, Dirac avrebbe potuto dormire anche per l'eternità. Attivando un ponte radio localizzato con la biostazione, Brabant svegliò Loki e discusse brevemente con la sua controparte elettronica. Dovette arrabbiarsi prima di esser certo che il programma-guardiano avesse veramente intenzione di dare inizio al procedimento lungo un'ora scelto da Dirac stesso per porre termine al suo riservato riposo. — Adesso andremo a vedere cosa sta succedendo — disse poi a Kensing — così potremo tornare e riferire al presidente non appena si sveglierà. — E con queste parole, si chinò sui comandi della navetta. Per quanto potevano vedere, nessuno del pugno di uomini che si affaccendavano tra la misteriosa e danneggiata astronave militare e la Eidolon li aveva ancora avvistati. — Debbono essere molto presi dal loro lavoro, qualunque cosa stiano facendo. Presto Kensing e Brabant si agganciarono all'astronave presidenziale sul lato opposto a quello dove avevano visto attraccare le navette degli intrusi. Una volta entrati nella Eidolon, Brabant si fermò vicino al portello stagno davanti a un blocco di armadietti. Uno era pieno di armi. Dapprima prese per sé una pistola con tanto di fondina e cintura che si legò alla vita, poi disse: — Lei aspetti qui, Sandy. Voglio dare un'occhiata a questa gente e soprattutto scoprire cosa fanno. — Ma la guardia del corpo esitò; poi aggiunse: — Forse è meglio che anche lei prenda una pistola: non si sa mai. "Così ti fidi di me al punto da lasciarmi una pistola?" pensò Sandy. Ma naturalmente la risposta era "sì". Brabant, Scurlock e lo stesso Dirac sapevano di potersi fidare di Sandy Kensing, perlomeno fino a quando Anyuta Zador giaceva nella sua bara di cristallo a bordo della biostazione, ostaggio a tutti gli effetti dell'ambizioso premier. Kensing si servì da solo, scegliendo una qualsiasi delle pistole presenti nell'armadio mentre Brabant iniziava con un silenzioso scatto la sua missione esplorativa. Qualche attimo più tardi Kensing lo seguì. Ipnotizzato dalla prospettiva di incontrare dopo tre secoli degli altri solariani, non aveva la minima intenzione di aspettare. Non andò lontano prima di fermarsi con un sobbalzo. Qualcuno avvolto Fred Saberhagen
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da una tuta spaziale, e quindi non poteva trattarsi di Brabant perché la guardia del corpo non indossava alcuna tuta, avanzò verso di lui lungo un corridoio laterale. Poi Kensing si calmò riconoscendo la tuta e il simbolo sulla schiena, due antiche torri dai muri di pietra. Era Nick in modalità "tuta spaziale". Anche dopo tutti quegli anni, guardare attraverso il vetro dell'elmetto e vedere solo il vuoto dietro di esso gli diede un'inquietante sensazione. — Nick, ho sentito che vi sono degli intrusi a bordo — disse. — È vero — replicarono gli altoparlanti della tuta vuota. Come sempre la sua voce suonava calda e umana. Avanzò in silenzio fino a fermarsi vicino a Kensing. — Ti trovo cambiato, Nick — disse Kensing d'impulso. — Già, non è forse vero? Ma la gente cambia con gli anni. — Naturalmente. — Ma lei voleva dire qualcos'altro, signor Kensing. Come sono cambiato, secondo lei? — Oh, io volevo solo dire che... be', ripensando a com'eri prima della riprogrammazione, trovo che tu sia diverso in qualche modo. — Questo lo ha già detto, Sandy. — Già — fu l'imbarazzata replica. Ma in effetti non era cosa saggia incoraggiare Nick a pensare al suo passato. Poteva anche rivelarsi pericoloso, in effetti. Ma ormai la frittata era fatta e Nick non era disposto a lasciar cadere l'argomento. — Come sono cambiato? La cosa mi interessa moltissimo. — Ti trovavo più indipendente qualche anno fa. — Questo è il motivo per cui mi hanno riprogrammato? Perché ero troppo indipendente? Sa, trovo che mi mancano molti blocchi di memoria. Sono stati cancellati? — Dovrai chiederlo al presidente. Nessuno mi ha mai raccontato i dettagli. Ma credo che ricorderai di esser stato riprogrammato circa quattro anni fa... cioè, quattro anni per me: in termini reali qualche secolo fa. Fu prima che il presidente annunciasse il ritrovamento di lady Genevieve. — Mi chiedo se esiste qualche collegamento — domandò Nick, onestamente perplesso. Kensing non disse nulla. — Lo chiederò al padrone un giorno o l'altro — decise Nick. — Adesso è in animazione sospesa, immagino. Fred Saberhagen
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— Sì, ma sta per svegliarsi. Almeno, se davvero Brabant è riuscito a convincere Loki. Nick sembrò reagire con sentimenti contrapposti a questa notizia. La sua tuta corazzata si voltò dapprima da una parte, poi dall'altra per scuotere infine vistosamente l'elmetto vuoto. — Lui non vuole mai essere svegliato, a meno che non accada qualcosa che non riusciamo a sistemare da soli. — Questo è ciò che mi ha detto Brabant. Comunque, chi sono questi solariani saliti a bordo? La loro astronave è in pessime condizioni. — Questo l'ho notato da me, naturalmente, ma non sono ancora riuscito a scoprire chi sono. So solo che tutti gli umani organici sottoposti al mio controllo si trovano nelle rispettive camere di animazione sospesa, tutti tranne lei, Brabant e qualcun altro. — Qualcun altro? E chi sarebbe? Nick suonò stranamente indeciso su questo argomento. — Pensavo che il suo nome fosse Fowler Aristov, ma ora non sono più certo della sua identità. Non so che fare. — E dov'è adesso? La tuta corazzata di Nick sollevò un braccio e indicò il corridoio da cui veniva. Kensing si avviò in quella direzione, poi si voltò. — Vieni anche tu? — Non adesso. Vada lei a vedere. Io arriverò più tardi. Qualche attimo più tardi Kensing si trovava vicino al luogo dove sostavano i medirobot quando udì una voce chiamarlo per nome. — Sandy? — Quella parola venne pronunciata con voce fioca e incredula, quasi sussurrante. Veniva da dietro la sua spalla sinistra, e lo spaventò al punto da farlo voltare di scatto. Una figura pallida e sofferente vestita con i tipici indumenti da riposo a bordo, sandali con maglietta e pantaloni leggeri simili a quelli che anche lui indossava, avanzò verso di lui da uno stretto corridoio laterale debolmente illuminato. Si trattava indubbiamente di un giovane uomo, ma le luci alle sue spalle impedirono a Kensing di guardarlo bene in volto. Ma più la figura si avvicinava e più riusciva a distinguerne i lineamenti, anche se non poteva credere a ciò che vedeva perché il giovane uomo sembrava... sembrava... Ma non era possibile! — Sandy? — ripeté la voce, un suono che veniva dritto dal suo passato, un suono più che riconoscibile. — Sandy, dov'è mio padre? Che sta Fred Saberhagen
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succedendo? Questa... questa è la sua astronave! Mi sono svegliato qui un'ora fa, dentro uno di questi medirobot. Perché? Kensing mosse un passo verso la barcollante figura. Con rauca voce, incredulo, poté solo sussurrare: — Mike? Michael Sardou? Penetrato a bordo della vecchia biostazione con il commodoro Prinsep, passando cautamente di ponte in ponte ed esplorando ogni angolo, Havot fu il primo dei nuovi arrivati a incontrare qualcuno dei secolari residenti. Avanzava circospetto attraverso uno dei corridoi dell'immensa struttura, un passaggio pieno all'inverosimile di piante alimentari coltivate, quando vide alla distanza una donna che muoveva ignara verso di lui. Tuttavia, l'espressione sul suo volto suggeriva l'idea che si aspettasse di incontrare qualcuno o qualcosa fuori dal normale. Il suo piccolo corpo era coperto dalla casuale tenuta da riposo tipica delle astronavi. L'aspetto era giovane, con un casco di capelli marroni ramati che incorniciava un viso grazioso dai lineamenti vagamente indonesiani. Vedendo Havot, una figura corazzata che si apriva la strada nel lussureggiante intrico vegetale, la giovane donna si fermò guardandolo con attonita, aperta meraviglia. — Lei chi è? — domandò. — Porta delle armi? Perché? Cosa sta... — Perdoni il disturbo, madame, ma dovrà avere un po' di pazienza con un povero naufrago dello spazio — replicò Havot con vaga ironia, salutandola con un rapido cenno del capo. — Lei invece chi è? — chiese a sua volta, nonostante sapesse bene chi aveva di fronte. L'istruzione era importante, e lui aveva trascorso parte del suo tempo apprendendo tutto il possibile sui fatti di tre secoli prima. . Lei confermò la sua intuizione con una sorta di presentazione meccanica, una rivelazione quasi sussurrata che lo lasciò perplesso; ma forse era semplicemente sconvolta dalla sua presenza. — Io sono lady Genevieve, moglie del presidente supremo Dirac Sardou. Fu solo qualche attimo più tardi che il commodoro Prinsep, avanzando cautamente nella stabile gravità artificiale attraverso un'atmosfera respirabile quanto quella di qualunque altro mezzo spaziale (anche se stranamente aromatica a causa del verdeggiante corridoio) girò un angolo e, con sua grande sorpresa, incontrò Havot intento a colloquiare Fred Saberhagen
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amabilmente con lady Genevieve. Non molto dopo i tre vennero raggiunti da Dirac in persona, un antico presidente perfettamente in salute, sano di mente e indubbiamente autoritario. Indossava un'uniforme dalla vistosa eleganza di sua personale concezione e sbatteva gli occhi rossi sfregandoseli di tanto in tanto come se si fosse appena svegliato. Subito affrontò quelli che prese per due militari solariani parlando loro con tono basso ed eloquente che solo un certo naturale imperio differenziò da quello di un attore. — Non avete bisogno delle vostre armi, signori, ve lo assicuro. Prinsep reagì abbassando ancora un po' la canna del fucile già rivolta verso il basso, ma Havot mantenne la sua in posizione sì da poter aprire il fuoco in poche frazioni di secondo. Anzi, visto che si trovava davanti a creature in carne e ossa anziché metallo e circuiti, Havot mosse furtivamente una mano per regolare l'intensità del raggio sulla massima potenza in modo da renderlo efficace anche contro bersagli morbidi. Constatando la totale inefficacia del suo comando verbale, l'imperioso ex-presidente decise semplicemente di ignorare la presenza delle armi. E considerando offensivo il silenzio degli intrusi, scattò dicendo loro: — Ah, quindi voi non mi conoscete: sono il presidente Sardou! C'è ancora qualcuno che si ricorda di me o sto sopravvalutando la mia importanza storica? In ogni caso, almeno adesso voi conoscete il mio nome, signori. Con voce dominata dalla fatica il commodoro si presentò. — E questo, signor Sardou, è Christopher Havot. La conversazione procedette lentamente. Dirac spiegò che stava dormendo quando i visitatori erano inaspettatamente giunti a bordo. — Dormivo un sonno profondissimo, signori, tanto profondo che ho avuto bisogno di un'ora buona per riprendere coscienza. Ma venite, sto dimenticando la mia ospitalità. È sicuramente passato molto tempo da quando la biostazione ha ricevuto i suoi ultimi visitatori organici. Altri residenti della biostazione comparvero nel frattempo. Come Prinsep e Havot dovevano più tardi apprendere, si trattava di persone che Dirac aveva dato ordine di svegliare con lui. Una era una donna di nome Varvara Engadin; l'altro un uomo di nome Scurlock. Subito Scurlock menzionò una sua compagna di nome Carol. Ma questa doveva Fred Saberhagen
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evidentemente continuare a dormire, così come un certo dottor Hoveler e una certa dottoressa Zador. Due altre persone di nome Brabant e Kensing erano svegli ma assenti in quel momento. Nessuna delle persone che via via comparve davanti a loro sembrava avere tre secoli d'età, commentò Prinsep. Succintamente l'ex presidente spiegò: — A bordo vi è un gran numero di camere di animazione sospesa e noi ne abbiamo approfittato per ibernarci, affidando la sorveglianza alle nostre entità virtuali. Ma Prinsep non dimostrò molto interesse per le entità virtuali. — Spero che le vostre camere di animazione sospesa servano anche come medirobot. — Non capisco. — Abbiamo un urgente bisogno di medirobot. Ho dei feriti che vanno curati, o moriranno in breve tempo. Esplorando la vostra astronave siamo riusciti a sistemarne cinque, ma tre dei miei uomini sono ancora privi di assistenza tranne quella che noi possiamo dare. Una strana espressione si fece largo sul volto di Dirac. — Uno di quei medirobot era occupato! — esclamò con preoccupato vigore. Sorpreso per la solennità di quell'obiezione e comprendendo che andava presa sul serio, Prinsep non trovò di meglio da fare che volgersi verso il suo compagno. — Havot, lei che ne dice? Il giovane uomo annuì casualmente. — Ha ragione lui, commodoro, c'era qualcuno in uno dei medirobot. Una specie di colono surgelato, o almeno così diceva la sua scheda. Io ho staccato tutto e gli ho detto di uscire perché la macchina ci serviva. Punto. Dirac guardò fisso quel giovane arrogante per diversi secondi, profondamente interessato; e forse lo era più in Havot che in ciò che gli intrusi avevano combinato a bordo della sua astronave. Poi chiese, con un sospiro: — E dov'è adesso il... l'uomo a cui ha detto di uscire? Havot lo guardò con un mezzo sorriso e un'alzata di spalle. Per un attimo un lampo omicida attraversò gli occhi infossati di Dirac, come se mai prima di allora qualcuno avesse osato rispondere tanto casualmente alle sue imperiose domande. Ma bene, si disse Havot. Molto, molto bene. Prinsep si affrettò a intromettersi, offrendosi di chiamare i suoi uomini a bordo dell'astronave. Avrebbe chiesto loro di cercare... — Come si chiama quell'uomo, signor Sardou? Fred Saberhagen
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L'ex premier lo guardò assorto nei suoi pensieri. — Fowler Aristov. La ringrazio per la sua premura, ma credo che alcuni dei miei uomini si trovino già a bordo della mia astronave. Dica pure ai suoi uomini di unirsi a noi qui sulla biostazione — disse col solito tono imperioso. — Nel frattempo, se non vi spiace, andrei volentieri a dare un'occhiata di persona. — Faccia pure, signor Sardou. Ma prima che vada, vorrei ricordarle che tre dei miei uomini hanno urgente bisogno di assistenza medica. Allontanandosi a grandi passi, Dirac ordinò da sopra la spalla ai suoi sottoposti di prendersi cura di qualsiasi numero di feriti venisse portata a bordo della biostazione e di svegliare la dottoressa Zador. Poi uscì. Sotto la sorridente supervisione di lady Genevieve, l'alto e arruffato uomo di nome Scurlock si affrettò ad assicurare ai nuovi arrivati che la biostazione possedeva un numero di medirobot più che sufficiente per tutti i feriti dell'equipaggio di Prinsep. Il commodoro ne fu sollevato, ma insistette con fermezza affinché i cinque feriti affidati alle cure dei medirobot dell'astronave non venissero spostati. — Sono i più gravi, e spostarli risulterebbe senza dubbio traumatico. Ma forse vi è qualche ragione che non conosciamo... Lady Genevieve lo tranquillizzò. — Credo che il presidente Dirac non avrà nulla da obbiettare. Poi Scurlock si fece nuovamente avanti per assicurare ai nuovi arrivati che una dottoressa in carne e ossa sarebbe stata disponibile in meno di un'ora. — La sua revitalizzazione è già iniziata. La necessità di curare dei feriti portò naturalmente a discutere di berserker, e quindi alla descrizione della dura battaglia ingaggiata dai nuovi arrivati con un'intera flotta nemica. Con improvvisa apprensione, Scurlock disse: — Commodoro, dalle sue parole mi sembra di capire che non avete attaccato in alcun modo il berserker che ci sta trainando. Prinsep lo guardò sbattendo le palpebre. — No, ma lei sembra preoccupato. Teme forse che questo gigante sia ancora vivo? — Direi che non dobbiamo preoccuparci più di tanto a questo proposito. Ma con i berserker uno non può mai andare sul sicuro, non è forse vero? — Immagino di sì. Ma stia tranquillo: quelli che abbiamo affrontato qualche ora fa erano nemici ben diversi. Una flotta molto più moderna — spiegò Prinsep, cominciando una breve descrizione degli eventi che partiva Fred Saberhagen
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dall'attacco berserker su Imatra. Presto Dinant, Tongres e i tre feriti gravi ancora con loro raggiunsero la biostazione. Avevano perso le tracce del sovrintendente Gazin da qualche parte sull'astronave, riferirono, e non avevano voluto attendere oltre con i feriti per cercarlo. Nonostante la spossante stanchezza che ora lo appesantiva, Havot manteneva abbastanza energia da condurre anche la discussione più impegnativa. — Sa, lady Genevieve — iniziò con palese interesse — sono terribilmente curioso di sentire da lei come ha fatto a sopravvivere. — A sopravvivere, giovane uomo? — Ma certo. Non ricorda l'attacco del berserker su Imatra? Quasi tutti gli storici concordano nell'affermare che lei morì su quella navetta — fece Havot, rivolgendo alla nobildonna il suo sorriso più radioso e seducente. Seduto in una cabina vuota della Eidolon, Mike Sardou raccontava al suo vecchio amico Sandy Kensing il suo strabiliante risveglio nel lucido sarcofago di una camera di animazione sospesa attiva, funzionante e, cosa ancora più incredibile, situata a bordo dell'astronave di suo padre. Non sapeva come vi era arrivato e non sapeva chi lo avesse svegliato, poi a un certo momento aveva visto Sandy. Dopodiché con la mente un po' più sgombra raccontò come si era nascosto, per istintiva prudenza, dagli intrusi saliti a bordo osservandoli mentre trasportavano i loro feriti fino al corridoio per poi sistemarli nei medirobot. Tutto lasciava capire che una battaglia spaziale fosse in corso o si fosse appena conclusa. Mike però non era riuscito a riconoscere le armi che portavano gli intrusi, né le loro strane corazze spaziali. E neppure aveva idea del motivo per cui si trovava in quell'allucinante situazione. Nutriva il forte sospetto che suo padre, o qualcuno dei più stretti collaboratori di suo padre, lo avesse sistemato in quella bara sotto falso nome per liberarsi di lui in qualche modo; tuttavia poteva anche esser stato rapito da qualche nemico di suo padre, per quanto ne sapeva lui. Kensing chiese: — Il nome "Fowler Aristov" ti dice niente? — Era scritto sul medirobot, ma a parte questo no, non ho mai... — Fred Saberhagen
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bruscamente Mike smise di parlare. Qualcuno nel corridoio si stava avvicinando. Un attimo più tardi Nick Hawksmoor, o meglio la sua tuta spaziale, entrò dalla porta socchiusa. Kensing fece velocemente le necessarie presentazioni. Grazie alla sua enciclopedica memoria Nick riconobbe subito il figlio del premier, il cui volto compariva in centinaia di immagini di ogni genere. Ma tutte le registrazioni a cui Nick aveva accesso concordavano sul fatto che il giovane Michael Sardou era partito trecento anni prima per un viaggio in una località quantomai vaga. La sua presenza a bordo della Eidolon era inspiegabile e contraddittoria. Questo insospettì Nick, almeno inizialmente. — Lei è davvero Michael Sardou? — domandò per la quinta volta. — Sì — fu la cauta replica. La diffidenza esisteva da ambo le parti. — Cosa fa qui? Suo padre mi ha detto, ha detto a tutti che lei era partito per un viaggio. — Se mio padre ha detto questo, ovviamente ha mentito. Nick non rispose. — Che io sia dannato se so cosa ci faccio qui! — scattò Mike. — Voglio dire, trovarmi a bordo della Eidolon non mi sorprende affatto, perché ricordo benissimo che stavo dormendo nella mia cabina... e adesso dove siamo? Nello spazio, immagino, ma dove? Nick e Sandy impiegarono qualche tempo a spiegargli la situazione. Mike tacque a lungo, ascoltando assorto ogni cosa e tentando di assimilare le sconvolgenti novità. Poi Nick gli chiese: — Esiste qualche motivo per cui trecento anni fa suo padre avrebbe deciso di metterla in animazione sospesa sotto il nome di Fowler Aristov? Mike li guardò entrambi mentre l'iniziale, allibita sorpresa si mutava velocemente in rabbia. — Sì, il motivo esiste: è il motivo di un uomo che pensa di avere tutte le ragioni e che non è disposto a fermarsi davanti a nulla. Mio padre! Maledetto! Che sia dannato in eterno! Nick annuì. — La capisco, amico mio: anche lei è stato in un certo qual modo riprogrammato. Come me. E dallo stesso uomo, nostro padre. Perché anch'io considero tale il mio creatore. Perché vede... Nick smise di parlare, sollevando di scatto l'elmetto per riposizionare i microfoni esterni nell'inquietante imitazione di un essere umano che sposta Fred Saberhagen
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la testa per meglio ascoltare. Un attimo più tardi anche gli altri udirono il rumore di passi in avvicinamento. E Brabant comparve sulla soglia, guardandoli tutti con rabbia ma indeciso su cosa fare. Mike lo riconobbe immediatamente. — Brabant! Cosa significa tutto questo? — Ragazzo mio, solo che eri diventato troppo superbo per la tua posizione. Il tuo vecchio padre non sopporta che gli si tolga il terreno da sotto i piedi, dovresti saperlo. — Quindi è stato davvero lui a farmi questo! — Le parole trasudavano rabbia, una rabbia fredda e controllata che ricordò a tutti di aver davanti il figlio del presidente. Brabant guardò gli altri sparsi nella stanza, poi di nuovo Mike. — Puoi ringraziare il cielo che eri suo figlio, altrimenti saresti finito davvero male. Perché lui non accetta certe cose da nessuno, neppure da te. Nick ribatté: — Nostro padre non accetta nulla da nessuno. Lui ottiene sempre ciò che vuole. L'espressione di Brabant mutò profondamente. — Perché, te ne sei accorto anche tu? Seguì un attimo di gelido silenzio. Aspettandosi una crisi ma incerto sulla sua natura, il muscoloso Brabant decise di affrontarla attaccando. — Ma che diavolo ti aspettavi, ragazzo? Ah, poteva andarti molto, molto peggio. E invece una parte di te si è fatta un lungo e pacifico sonno, mentre l'altra si è divertita per tre secoli lavorando gomito a gomito con tuo padre. Sei il miglior pilota e architetto che mai... — La sua voce lentamente si affievolì. Nonostante la sua forza, neppure Brabant poté sopportare gli sguardi che gli rivolsero i suoi due giovani ascoltatori. — Ma forse il vecchio consentirà la reintegrazione, adesso che sei sveglio. — Nessuno lo aveva mai capito — disse Sandy lentamente. — Nessuno in trecento anni. Ma adesso è tutto chiaro. Dirac ti ha registrato, Mike. Ha registrato la tua personalità prima di ibernarti e poi l'ha riprogrammata per farne ciò che da sempre voleva: un utile, obbediente pilota e architetto. — Fermi dove siete, tutti voi! — esclamò una nuova voce, del tutto sconosciuta. — Alzate le mani o dovrò far fuoco! Tutti e quattro si voltarono per osservare uno sconosciuto protetto da una tuta spaziale tenerli sotto il tiro della sua arma, efficace in effetti solo Fred Saberhagen
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contro le superfici dure. Era il sovrintendente Gazin, come sempre in cerca di possibili traditori. Sulla biostazione una variegata vegetazione, sviluppatasi da vecchie riserve di semi manipolati geneticamente e riservati alle future colonie, era cresciuta tanto nel corso dei secoli da avviluppare sale e corridoi di un intero ponte, originariamente non inteso per fungere da serra. Graticci di esotiche piante si aggrappavano alle porte, avvolgevano le consolle, penetravano tra le guarnizioni dei portelli stagni. E come risultato di quella secolare negligenza, la vegetazione nascondeva completamente alcuni macchinari impedendo ad altri di funzionare correttamente. La moglie di Dirac e il suo aiutante, Scurlock, davano mostra di tutto il dovuto interessamento ed erano capaci e disponibili riguardo i feriti di Prinsep. Presto lady Genevieve, con l'aria di una graziosa monarca, assegnò al commodoro e ai superstiti della Symmetry gli alloggi di un intero corridoio della biostazione. Là trovarono diverse cabine private e sale comuni pronte per l'uso. La sovrappopolazione non era un problema da quelle parti anche se, come avevano lasciato capire alcuni commenti dei vecchi abitanti della biostazione, in quei tre secoli il loro numero era cresciuto di qualche unità; tra le persone "rinate" vi era anche lady Genevieve. Nonostante la spossatezza che gli annebbiava la mente, il commodoro volle restare con i feriti per accertarsi che venissero curati al meglio. Poi visitò le cabine, arredate davvero lussuosamente viste le circostanze, e invitò Dinant e Tongres a sistemarvisi. Quei due apparivano completamente sfibrati ma soffrivano solo di stanchezza: prima riposavano e prima potevano tornare efficientemente in servizio. A quel punto la sua mente cominciò a prendere in considerazione l'idea di sdraiarsi in un letto. Tuttavia, al momento il meritato riposo doveva aspettare ancora. Dentro di sé infatti Prinsep cominciava a chiedersi se Dirac, e naturalmente il pugno di uomini e donne su cui manteneva un ferreo controllo, non fossero in realtà diventati una qualche sorta di esotici traditori. In ogni caso era meglio non dar voce ai suoi sospetti fino a quando non fosse riuscito a parlarne con le sole persone fidate: i membri rimasti del suo equipaggio. Con questo in mente il commodoro, lottando strenuamente per Fred Saberhagen
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mantenersi sveglio, avvertì i contemporanei di Dirac che esistevano buone possibilità di venir prima o poi attaccati da ciò che restava della flotta berserker che lui e i suoi uomini avevano combattuto. Dopodiché il commodoro tornò sull'argomento che segretamente gli stava a cuore, fingendo preoccupazione. — Per fortuna il berserker che ci traina è completamente inerte... oppure ha dato segni di vita ultimamente? — No, nessuno — replicò Scurlock con tono tranquillizzante. — Possiamo certamente affermare che il nostro vecchio nemico non pone più nessun pericolo immediato. Non ha più dato segno di vita da moltissimo tempo. Tuttavia, se avete in mente di attaccarlo in futuro vi consiglierei la massima prudenza. — Attaccarlo era possibile finché avevamo la nostra astronave. Ma come potete vedere, purtroppo siamo qui come rifugiati e non come soccorritori. Al momento ci troviamo ad aver bisogno di aiuto piuttosto che offrire protezione. È anche vero che abbiamo con noi armi ed equipaggiamento che a voi forse mancavano. Se possiamo fare qualcosa per voi... — Non c'è fretta, dopo tre secoli. Possibile che sia davvero passato tanto tempo? In ogni caso, per adesso cominciate a godere un po' della nostra ospitalità. Suonando civile ed estremamente^ ragionevole, Scurlock conferì brevemente con lady Genevieve e quindi ordinò ai robot servitori di portare un rinfresco per tutti. Mentre aspettavano, i residenti della biostazione cominciarono a raccontare le vicende occorse loro in quei tre secoli, senza naturalmente approfondire vista la stanchezza dei loro ospiti; tuttavia Prinsep udì abbastanza da intuire come potevano essere andate veramente le cose. A un certo punto il commodoro, che ormai quasi dormiva in piedi ed era in procinto di ritirarsi nella sua cabina, domandò con ansiosa delicatezza riguardo al cibo e fu visibilmente sollevato nell'apprendere che sotto quel punto di vista il sistema di supporto vitale funzionava ancora al meglio. Sfilandosi finalmente la tuta corazzata nella sua nuova cabina, Prinsep avvisò l'uomo che più riteneva affidabile come guardia armata, cioè Havot, che la situazione imponeva di stare molto attenti a Dirac. I due si parlavano attraverso gli elmetti, per mantenere segreti i loro Fred Saberhagen
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discorsi grazie al sistema di codifica incorporato nel minicomputer delle tute. — Insomma, dovrei stare di guardia — rispose Havot annuendo. — È buffo. Stavo per proporle esattamente la stessa cosa. — Molte cose mi spingono a pensare che Dirac sia un uomo davvero pericoloso, Havot. Ma davvero lei si chiama così? — domandò, per poi scuotere la testa e posare in qualche angolo l'ultima sezione della tuta. Mosse verso il letto in mutande e canottiera, parlando liberamente nella spaziosa cabina. — Mi scusi. Sto diventando monotono. Non importa. Sì, vorrei che lei montasse la guardia. — Si fida ancora di me, allora. — Oh, certo. In effetti, Christopher (ma davvero si chiama così?) per qualche faccenda mi fiderei sempre di lei. Havot ci pensò sopra. — Sa una cosa, commodoro? Ma il commodoro dormiva già profondamente.
23 Kensing, pronto a scattare, osservò lo sconosciuto muovere cautamente due passi avanti puntando il fucile che stringeva nervosamente tra le mani corazzate ora a uno, ora all'altro dei quattro uomini fermi davanti a lui. Un fucile ad attivazione oculare, ma con puntamento manuale o a onde alfa? Poteva fare una notevole differenza al momento decisivo. — Sono il sovrintendente Gazin dell'Ufficio Umanità — proclamò l'uomo con voce che sembrò lottare per affermare qualche autorità. — E sto investigando le attività di possibili traditori. La voce di Brabant suonò infinitamente più sicura, anche se la sua pistola si trovava ancora nella fondina. — Sta prendendo un abbaglio, sovrintendente. Le spiegheremo tutto con calma se prima abbasserà quel fucile. Subito la canna dell'arma tornò su di lui. — Prima getti a terra la pistola! — ordinò Gazin, lanciando distrattamente un'occhiata a Nick fermo in piedi accanto a Brabant. Un attimo più tardi il sovrintendente sembrò irrigidirsi, paralizzato dalla vista di quell'elmetto vuoto e, presumibilmente, dalle sue implicazioni. Cosa esattamente fece scattare l'improvvisa esplosione di violenza Kensing non seppe dirlo. Si gettò sul pavimento rotolando lontano, Fred Saberhagen
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cercando di riparare il suo corpo non protetto dai raggi sparati dall'arma di Gazin. Ma questi non erano diretti a lui. Poco distante, anche Mike Sardou cercava scampo nascondendosi da qualche parte. L'uomo dell'Ufficio Umanità, qualunque cosa fosse, aveva sparato a Nick dando tempo a Brabant di estrarre la pistola e far fuoco a sua volta. La piccola arma della guardia del corpo si rivelò più efficace. Una scarica di pura forza colpì Gazin, che mosse barcollante qualche passo indietro fino ad appoggiarsi alla parete. L'arma gli cadde dalle mani, e un attimo più tardi l'uomo si accasciò sul pavimento. Nella sua tuta bruciacchiata e fumante Nick aveva già deciso la sua prossima mossa, che eseguì con velocità e freddezza tipicamente optoelettroniche. Balzò su Brabant che gli dava le spalle e sollevò entrambe le mani corazzate, afferrando l'uomo per la testa e premendo con tutta la sua forza. La massiccia guardia del corpo cadde a terra senza un grido. Con la testa orribilmente schiacciata, Brabant si contorse brevemente a terra e morì senza pronunciare parola. Rimettendosi rapidamente in piedi, Kensing si ritrovò a puntare a Nick la pistola che aveva preso entrando nell'astronave. Poi, lentamente la ripose nella sua fondina. Mike si avvicinò a Sandy con entrambe le sue versioni. La sua versione organica si fermò alla sua destra, mentre la tuta corazzata in cui risiedevano solo formule informatiche si fermò alla sua sinistra. — Due uomini morti — disse Kensing, osservando con crescente sgomento le due forme immobili a terra. — E adesso che facciamo? — È facile — rispose Mike, guardando oltre Kensing nell'elmetto vuoto della sua metà inorganica. Gli altoparlanti della tuta di Nick avevano la risposta pronta. — Adesso regoliamo i conti con il vecchio Dirac. Mike annuì. — Verrà certamente qui per controllare cosa è successo alla sua astronave. — E io so dove possiamo sorprenderlo — aggiunsero gli altoparlanti. — E so anche come. — Nick! Nessuna risposta. Dirac si trovava in quel momento nello spazio cavernoso dell'hangar Fred Saberhagen
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della Eidolon, proprio accanto al portello aperto della navetta da cui era appena sceso. Provò di nuovo, alzando la voce solo un poco per non richiamare l'attenzione degli uomini che Prinsep poteva aver lasciato a bordo. — Nick! Ancora nessuna risposta. I conosciuti e protettivi spazi della Eidolon apparivano completamente deserti. Una certa caratteristica del silenzio che tutto avvolgeva, si disse lasciando libera la sua immaginazione di vagare per un attimo, suggeriva l'idea che la sua un tempo orgogliosa astronave stesse aspettando proprio lui. Bene, avrebbe investigato. E quando Loki sarebbe arrivato trasmettendosi via radio dalla biostazione, lui, il presidente, avrebbe già avuto in mano alcune delle risposte che cercava. Loki aveva ordine di restare sulla biostazione fino a quando Scurlock non sarebbe stato certo di riuscire a cavarsela da sé con quegli intrusi bene armati. Per quanto lo riguardava, armato e corazzato com'era avrebbe facilmente fatto fronte a qualsiasi tipo di emergenza, perlomeno fino all'arrivo di Loki. Raggiunto con molta prudenza il ponte dove si trovavano i medirobot, Dirac li vide tutti e cinque occupati proprio come aveva annunciato quell'inetto e rubicondo commodoro. Nessuno dei dispositivi era in modalità di animazione sospesa e tutti contenevano uno sconosciuto semiincosciente, uomo o donna. Non vide nessuno in giro. I membri rimasti dell'equipaggio di Prinsep avevano probabilmente raggiunto il loro comandante a bordo della biostazione, ma dov'erano Nick, Kensing e Brabant? Ma soprattutto, cos'era accaduto a Mike? Era quella la domanda più preoccupante. Quando Dirac lo chiese direttamente all'astronave, la blanda, imperturbabile voce del cervello optoelettronico rispose con massima calma che le persone che stava cercando si trovavano tutte nel decaedro. — Ma che diavolo... — ribatté perplesso Dirac. Inutile però discutere queste faccende con l'astronave. Doveva andare a vedere per conto suo. —
Sulla soglia della camera di realtà virtuale, l'ex presidente scoprì che la struttura era effettivamente in uso. Un'elaborata e gigantesca presentazione Fred Saberhagen
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occupava quasi tutto il suo volume. Lasciando la porta d'ingresso socchiusa dietro di sé, Dirac rabbrividì per ciò che vide. Nick (o era forse qualcun altro?) aveva richiamato e proiettato un certo progetto che il premier intendeva tenere assolutamente segreto. L'immagine non era veramente interattiva: un semplice ologramma che si poteva tranquillamente esaminare senza indossare alcun tipo di casco. Era il modello di una futura colonia, il cuore di un nuovo piano da lui perfezionato in segreto. Mostrava il futuro aspetto degli edifici centrali del suo nuovo regno, la colonia che avrebbe fondato e dominato come un dio. Il sistema solare e il pianeta su cui il suo piano avrebbe finalmente preso forma andavano ancora determinati ed erano sconosciuti anche a lui. Il luogo sarebbe dipeso in gran parte da dove il suo "socio" li avrebbe portati. Al centro del modello presentato in quel momento sorgeva un palazzo presidenziale. E delle voci stavano discutendo. Non riuscì a vedere coloro che parlavano perché, si disse, dovevano trovarsi dietro qualche porzione della lucente immagine; tuttavia riusciva a sentirli chiaramente. — E quel palazzo a chi dovrebbe appartenere? — Non riesci a immaginarlo? Due voci, quelle di Nick e Mike; voci molto diverse tra loro. Tuttavia entrambe suonavano intensamente familiari, anche se Dirac non sentiva una di esse da molti, molti anni. Mike disse: — Il palazzo presidenziale apparterrà senza dubbio all'uomo che persino adesso, nella sua mente contorta, pensa di star diventando sempre meno uomo e sempre più la caricatura di un dio: il dio fasullo che desidera il potere a tutti i costi. E Nick: — Peccato che non avrà la minima possibilità... — Di sedere sul suo trono e di governare la colonia! — Oh, certo, questo è chiaramente un piano coloniale. Guarda le difese esterne. E qui, proprio in mezzo, il palazzo del dio fasullo, con intorno una vera e propria città di suoi servitori. — Tuttavia non riesco a capire cosa sia questa strana struttura. Qualche tipo di tempio? Una chiesa? Un monumento? Dirac pensò a quel punto che era tempo per lui di intervenire. — Quella è semplicemente un'altra casa — proclamò con energica autorità. — Una casa per l'automa. Ho pensato che gli facesse piacere avere a disposizione una struttura così. Fred Saberhagen
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— Ma lo senti? Lui lo chiama "l'automa"! — commentò la voce di Mike, sempre nascosto alla vista di suo padre. — Quello che intende in realtà è il berserker! Dirac non vide alcun motivo di mettersi a discutere. — È l'automa con cui abbiamo tranquillamente convissuto per tre secoli. Comunque lo si voglia chiamare non è altro che una macchina e in quanto tale può venir gestita, usata... a condizione che il problema di come usarla venga affrontato con intelligenza e senza pregiudizi. Non aveva ancora finito di parlare che un fremito, un'improvvisa increspatura, attraversò la rappresentazione olografica davanti a lui come un cristallino specchio d'acqua. La lucente immagine iniziò a riformarsi, attenuò o spense del tutto certi colori e diede forma a una serie di antiche mura di pietra inondate dalla soffice luce del sole che penetrava da una finestra decorata. Dirac si ritrovò nell'abbazia ai piedi dei pochi scalini che conducevano al santuario, lo sguardo rivolto a est in direzione del vicino altare maggiore. Quella che stava contemplando era un'autentica proiezione virtuale. Ma non doveva, non poteva risultare tanto chiaramente percettibile attraverso il cristallo di un elmetto concepito per la dura realtà e non per decodificare fasci di radiazioni e di simboli informatici. Il fatto che riuscisse a vedere l'abbazia con tanta chiarezza poteva solo significare che qualcuno, logicamente Nick, manipolava direttamente la luce delle immagini prima che questa giungesse agli occhi di Dirac. Speravano forse in questo modo di fargli togliere l'elmetto? Potevano scordarselo: farlo significava correre il rischio di esporsi a un attacco fisico. A qualche distanza l'immagine tremolò e si ricompose. Dirac vide Brabant nella sua tuta corazzata avanzare verso di lui attraverso i veli dell'illusione, alzando un braccio in un gesto frettoloso per fargli cenno di raggiungerlo. Sentendo che qualcosa non andava, Dirac non si mosse. Lottando per sopprimere una momentanea ondata di panico, l'ex presidente comprese che non aveva il minimo controllo su ciò che stava accadendo attorno a lui. Subito tentò di chiamare Loki per mezzo della radio incorporata nella tuta. Ma ogni tentativo risultò vano. Il segnale non riusciva a passare. Loki era stato temporaneamente deviato, tagliato fuori dal suo padrone. Fred Saberhagen
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Presto un'altra figura umana comparve nella penombra dell'abbazia, torreggiando stavolta sul presidente sempre più a disagio. Era l'immagine ingrandita di suo figlio. Dirac non era affatto certo che fosse reale, ma pensò bene di impugnare comunque la sua arma. I vestiti di Mike continuavano a cambiare, come per qualche stravaganza del disturbato programma "Abbazia", passando da indumenti medievali a una metallica armatura e quindi alla tenuta di bordo delle moderne astronavi per poi ricominciare da capo. Le sue mani sembravano vuote, ma Dirac non era certo tanto ingenuo da credere che lo fossero davvero. La grande bocca di Mike si aprì parlandogli con voce cavernosa. — Mi riconosci? — chiese. — Io... — Per qualche motivo Dirac trovò delle difficoltà a parlare. Con espressione distorta e impenetrabile il giovane uomo lo guardò fisso per qualche secondo. — Sono qui in carne e ossa, proprio come te. Mi riconosci, padre? — È va bene. Certo che ti riconosco, Mike. — Forse. Ma una cosa è certa: tu non mi conosci. — E di me che mi dici? — fece un'altra voce proveniente da un diverso punto dell'abbazia. Dirac si girò di scatto e vide una figura corazzata in piedi nel transetto meridionale, vicino all'angolo dei poeti. Il suo elmetto era vuoto. — Chi sono io? Padre, puoi forse dirmi chi sono? — Nick! Oh, Nick, qualcuno si è infiltrato nei tuoi programmi! — esclamò, lottando per suonare calmo e disponibile ad accettare qualsiasi soluzione ragionevole. — Tu non puoi agire così. "Loki, Loki dove sei? Vieni subito ad aiutarmi, corri, vola!" La tuta spaziale vuota mosse un passo avanti. — Infiltrarsi nei miei programmi? I miei programmi! Qualcuno ha fatto anche di peggio... qualcuno a me molto vicino! Dando ora apertamente mostra della sua rabbia, l'ex presidente urlò: — Cos'è, la tua idea di un miserabile scherzo, Nick? Che significa tutto questo? In quel momento l'immagine di Brabant mosse nuovamente verso di lui dal transetto settentrionale, barcollando e facendogli cenno di avvicinarsi, la moderna tuta spaziale tramutata d'incanto in un'armatura medievale. — Brabant, vieni... Ma l'armatura tornò a essere una moderna tuta corazzata e l'ex presidente si accorse con orrore della testa fracassata di Brabant al di là del Fred Saberhagen
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cristallo dell'elmetto. La sua pistola si alzò e fece ripetutamente fuoco contro quell'orribile vista. Il fuoco avversario lo colpì in pieno. La sua tuta corazzata, la migliore mai realizzata sotto il suo regno, assorbì il colpo ferendo e bruciando il suo corpo ma salvandogli la vita. E in quel momento riuscì finalmente a vedere le vere immagini di Kensing e di Mike, entrambi armati con pesanti pistole ma privi di tute corazzate. Stavano sparandogli da due diverse posizioni celate alla sua vista dall'immagine virtuale che riempiva il decaedro. Visto che la ragionevolezza non sortiva risultati, Dirac tagliò corto con le chiacchiere e regolò la sua pistola sulla massima potenza cercando intanto la via d'uscita, avanzando a tentoni nei bui angoli dell'abbazia, attraversando di corsa ampie sezioni di pavimento, cercando rifugio dietro le imponenti colonne virtuali e dietro gli scheletri di antiche tombe. Nessuna meraviglia che lo avessero attirato lì per assassinarlo: nel decaedro, Nick aveva buone speranze di riuscire a controllare per intero il flusso degli eventi. Solo in teoria, però: la pratica era tutt'altra cosa. La voce di Nick risuonò di nuovo, inesorabile. — Questo è il mio territorio, padre. Solo i miei sogni possono avverarsi qui e non i tuoi. E Loki non riuscirà mai a penetrare qui dentro per aiutarti! Dirac fece fuoco ancora e ancora, devastando tutto ciò che poteva con numerose scariche di pura energia. Non sapeva dire esattamente cosa colpiva, ma con un pizzico di fortuna sarebbe riuscito a danneggiare tanto i proiettori e le macchine che creavano l'ambiente virtuale da far sparire l'abbazia per ritrovarsi nel decaedro, faccia a faccia con i traditori. Il complesso circuito di battaglia nel suo elmetto si era intanto attivato, sintonizzandosi sulle emissioni alfa del suo cervello e sui conseguenti impulsi di ritorno. E dato che la sua coscienza veniva coinvolta appieno da quanto stava accadendo, orribili immagini e paure inconsce cominciarono ben presto a tormentarlo. E fu allora che captò alla radio un frammentario messaggio, poche parole subito coperte da un disturbato silenzio ma sufficienti a generare in lui un'ondata di nuova speranza. Perché Loki sapeva del pericolo e stava accorrendo in suo aiuto, Moloc immateriale pieno di rabbia per la barriera eretta da Nick, onda pulsante di informazioni che dava l'assalto al castello optoelettronico col ponte levatoio alzato in cui il suo padrone era rinchiuso, picchiando e ruggendo per riuscire a entrare. Fred Saberhagen
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Intanto dentro il decaedro la battaglia continuava furiosa come non mai. Dirac, ancora riparato dalla tuta corazzata e ancora semplicemente graffiato e bruciacchiato, combatteva come un leone per salvare la vita. Nei momenti di più intenso orrore chiudeva gli occhi per non vedere le immagini, ma questo lo aiutava invero molto poco. Erano immagini mentali che recavano con loro interi pacchetti di informazioni e andavano piuttosto correttamente interpretate, se uno aveva la freddezza per farlo. Davanti a sé vide due cavalieri che duellavano accanitamente. Uno era lui. Il pensiero del conflitto, delle armi, evocava l'immagine di un'armatura medievale e di una spada. Ma adesso i combattenti erano due osceni demoni, le copie viventi delle creature di pietra acquattate nelle loro nicchie che segnavano il margine e i canali di raccolta dei tetti dell'abbazia. Un'odiosa folla di mostri si gettò urlando su di lui. Un cavaliere contro i mostri, una spada lucente contro bianche zanne acuminate, poi la punta e il filo della lama grondanti di sangue. Ma ormai non sapeva più quale combattente fosse, o quale preferiva essere. E poi, a un certo punto della battaglia il castello venne espugnato, i cancelli si aprirono e Loki entrò ruggendo nel decaedro. Era inevitabile alla lunga, perché Dirac aveva prestato la massima attenzione a rendere la sua nuova creazione più potente di Nick. Da quel momento in poi il corso degli eventi mutò rapidamente e la fredda realtà tornò faticosamente a trionfare. La carne, i muscoli e il metallo si sarebbero presto nuovamente affermati sui sogni e sulle immagini. Ampie sezioni dell'abbazia cominciarono a dissolversi, esponendo all'ansioso, realistico sguardo di Dirac le pareti scure e spente del decaedro. Qualche attimo più tardi la maggior parte delle immagini era svanita e Dirac poté contemplare la scena attorno a sé con la lucidità e la freddezza a lui consuete. Un'ultima scarica della sua arma sembrò tagliare in due la pietra tombale di uno dei regali sepolcri dell'abbazia, Enrico VII, maestro della sua trascendente chiesa; ma in quel punto vi era in realtà solo il corpo del sovrintendente Gazin, che riposava in una bara di cristallo senza tuta corazzata. La battaglia terminò presto. Mike era caduto, e così anche Kensing. Solo Fred Saberhagen
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quest'ultimo era ancora vivo. Loki, venuto fisicamente a dare una mano a Dirac con il suo esercito di tute corazzate, si era rivelato semplicemente troppo forte. Nel ronzante silenzio che seguì, Dirac guardò con distacco il corpo esanime di suo figlio e pensò: "Che terribile errore! Non avrei dovuto... non avrei dovuto...". Ma non sapeva, non aveva idea di quale fosse l'errore. Avere un figlio? Non lo sapeva. In quel momento non riusciva a pensare come avrebbe potuto finire se si fosse comportato in modo diverso. Nick sopportò più a lungo dei suoi compagni organici la schiacciante potenza di Loki, ma dopotutto Loki era stato concepito e realizzato apposta per controllare Nick. E adesso il pilota e architetto, ancora nella sua tuta corazzata, si ritrovò confinato come un genio nella lampada, i suoi impulsi intercettati e fermati come l'energia sviluppata da un reattore a idrogeno. La tuta corazzata in cui Nick risiedeva venne bloccata, paralizzata a tutti gli effetti. Solo appoggiandosi a una delle pareti polifasiche del decaedro riuscì a mantenere l'equilibrio. Intanto gli veniva concessa un'esperienza che pochi esseri umani potevano dire di aver vissuto: quella di guardare dall'esterno il proprio cadavere. Nick il perdente ebbe ben poco da dire prima di venir disattivato. Forse furono parole involontarie, dovute più che altro alla devastante intrusione di Loki dentro di lui. Dirac non volle ascoltare, ma suo malgrado gli sembrò che Nick recitasse una poesia: qualcosa riguardo un bacio e una sedia. Tristemente l'ex presidente scosse la testa. — Be', eccoci di nuovo al punto di partenza. Arrivederci Nick. Ci rivedremo quando sarai stato riprogrammato. Entrambi abbiamo già vissuto questa esperienza, ma io non sono disposto a rinunciare a te. Almeno, non per il momento. In silenzio Loki strinse la sua morsa. La tuta corazzata di Nick, ora davvero vuota, si accasciò lentamente a terra. L'ex presidente e la sua guardia optoelettronica rimasero i soli in quel campo di battaglia composto di immagini devastate. Stancamente un triste Dirac allentò le connessioni del suo elmetto per poi sfilarselo. La vista della distorta, caotica camera virtuale in cui si trovava non contribuì certo Fred Saberhagen
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a sollevargli il morale. Dieci metri di larghezza per tre piani di altezza, la stessa distanza in larghezza e in profondità. Attorno a lui si affermava sempre più la spenta, nera realtà fisica del decaedro, polverosa e cosparsa di macerie come risultato della battaglia. Per qualche attimo tutto tacque. Poi un piccolo drappello di prosaici robot operai chiamato da Loki entrò e cominciò a ripulire in giro. I robot operai s'incaricarono anche di eliminare i cadaveri di Mike Sardou, del sovrintendente Gazin e di Brabant. Tristemente Dirac diede i suoi ordini alle macchine: — Portateli via, fuori di qui. Non voglio più saperne nulla. Non mi importa come, basta che li portiate via da qui. Kensing era il solo sopravvissuto tra i perdenti. Loki, ancora in modalità "tuta spaziale" con scampoli di armatura medievale che aderivano alla sua forma ogniqualvolta si muoveva dentro il decaedro, trascinò il semi conscio Sandy Kensing ai piedi di Dirac. Con efficienza e metodo, la guardia del corpo elettronica gli legò saldamente mani e piedi per poi volgere l'elmetto verso il suo padrone. — Non lo uccidere. Non fargli del male. Come unità vivente intatta, ha un certo valore di scambio. Il commodoro Prinsep, svegliatosi con un sussulto dal sonno di cui aveva un tale disperato bisogno, si ritrovò lungo e disteso in mutande sulla cuccetta dei suoi nuovi e comodi appartamenti a bordo della biostazione. Havot, ancora nella sua tuta e con il fucile al fianco, dormiva per terra proprio davanti all'unico ingresso della stanza. Sedendosi, il commodoro si assicurò innanzitutto con una cauta, ostile occhiata al fucile di Havot che la sicura fosse in posizione; poi si alzò e cominciò a vestirsi. Come aveva previsto, al primo rumore Havot balzò in piedi. I due uomini parlarono brevemente. Poi Prinsep contattò via radio Tongres, e Dinant, che dormivano nelle loro stanze lungo il corridoio, accertandosi che tutto andasse come dovuto e che avessero potuto riposare senza problemi. E Gazin dove si era cacciato? Nessuno lo aveva più visto da quando aveva deciso di restare a bordo dell'astronave di Dirac. Ma la sua assenza non sembrava preoccupare nessuno più di tanto. Avvertita dal computer Fred Saberhagen
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centrale che i nuovi arrivati erano svegli, la dottoressa Zador si fece viva qualche attimo più tardi con le ultime novità. Il presidente Dirac era tornato dall'astronave solo qualche ora prima, nero e taciturno come non mai. Adesso dormiva nei suoi appartamenti, dormiva nel vero senso della parola e non per effetto dell'animazione sospesa; aveva detto di svegliarlo solo in caso di emergenza e per nessun altro motivo. Decidendo che era inutile affannarsi per contattare Gazin, almeno per il momento, Prinsep sedette per godersi in pace la colazione con Annie Zador e Havot, privo finalmente di tuta. Entrambi gli uomini si erano fatti una doccia, ordinando nuovi vestiti ai robot servitori. Uova in camicia e asparagi cresciuti sulla biostazione: questo ordinò Prinsep e questo portarono i robot servitori con encomiabile velocità. Prinsep fu sollevato nello scoprire che il servizio a bordo della biostazione era valido come sulla maggior parte delle altre astronavi. Nulla di che lamentarsi, anche se naturalmente gli elevati standard di raffinatezza del commodoro avrebbero richiesto ben altro. Nel corso del loro pranzo, Prinsep riprese cautamente a sondare la situazione approfittando della disponibilità della dottoressa Zador. Uno dei suoi obiettivi principali era scoprire tutto ciò che poteva sul berserker di Dirac; tuttavia lo preoccupavano anche le peculiarità della strana situazione creatasi a bordo della biostazione. Tutto lasciava intendere che vi imperasse una sorta di paternalistica ma spietata dittatura. — Il tipo di dittatura che, storicamente parlando, non è affatto benevola, anzi! La dottoressa Zador confermò questa deduzione ed espresse apertamente la sua preoccupazione riguardo ciò che poteva essere accaduto a Kensing. Più che altro temeva che il presidente avesse dato ordine di ibernarlo nuovamente senza neppure consentir loro di vedersi, di parlarsi per un attimo. Poi aggiunse che Scurlock obbediva ciecamente a qualsiasi comando di Dirac, assieme a un certo Brabant e a un'entità elettronica di nome Loki. Intanto Havot si mangiava le sue frittelle con splendido appetito. Ascoltava tutto con il solito interesse, senza parlare. Prinsep decise di provare un commento più incisivo. — Esagera un po' l'ex presidente, non trova? Ordinare alla gente di ibernarsi senza riguardo per ciò che davvero vuole. Fred Saberhagen
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Con pacata amarezza, Anyuta replicò: — Il presidente continua a ricordarci che è lui al comando di questa impresa, e che tutti siamo soggetti alla sua disciplina. Inizialmente la cosa risultava accettabile, ma adesso si è creata una situazione che sfugge al nostro controllo. Il commodoro accolse quelle parole con un profondo silenzio. Poi chiese alla dottoressa Zador se poteva visitare i suoi feriti non appena possibile, sia quelli a bordo della biostazione che quelli sull'astronave. Annie Zador si dichiarò prontamente disponibile. Tra l'altro era ansiosa di andare sull'astronave perché cominciava a preoccuparsi per Sandy. Dirac al suo ritorno si era rifiutato di dirle qualsiasi cosa a riguardo. Prima che Prinsep e i suoi due commensali avessero terminato la colazione, una donna che il commodoro non aveva ancora visto comparve sulla soglia guardandolo torvo. Con massima calma Annie lo informò che si trattava di Carol, la moglie di Scurlock. Fin dalla prima occhiata Prinsep si accorse che quella donna era mentalmente instabile. E il suo comportamento da quel momento in poi non fece altro che confermare quella prima impressione. — E così — cominciò dopo un prolungato esame dei nuovi arrivati — ci sono due nuove unità viventi a bordo! La macchina lo sa? Ma certo che lo sa! — La macchina? — domandò educatamente il commodoro. — Non fare l'ingenuo con me! — strillò la donna. — La macchina è quella che i nemici umani chiamano il berserker. Oh, lui è grande, molto grande! Sapete che ho visto le ombre di cento berserker attraversare la faccia della luna piena? Havot ridacchiò candidamente. Quello spettacolo lo divertiva. Prinsep lo guardò accigliato, poi si voltò per chiedere alla donna che li guardava con grandi occhi: — La luna piena? La luna di che pianeta? — Non fare l'ingenuo con me! Io li ho visti! Li ho spiati e lo so! — fu l'isterica replica. La fragorosa risata di Havot sembrò seccarla oltremisura e così, borbottando tra sé e lanciando loro occhiate di fuoco, Carol uscì dalla stanza percorrendo a grandi passi il corridoio e fermandosi di tanto in tanto per guardarli attraverso la porta aperta. La dottoressa Zador guardò a sua volta Havot con espressione incerta, per poi informare i due uomini che Carol veniva periodicamente sottoposta a terapia. Ma purtroppo la sua pazzia sembrava incurabile e l'aveva resa una vecchia folle e intrattabile, ancora giovane d'aspetto perché trascorreva Fred Saberhagen
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quasi tutto il suo tempo in animazione sospesa da cui veniva risvegliata ogni volta che Scurlock lo voleva. Prinsep chiese: — Ho incontrato tutti ormai? Tutti i vostri contemporanei? — Non ha ancora incontrato il dottor Hoveler. È una brava persona e voi dovete parlargli. Ma credo proprio che sia ancora ibernato. — Allora dobbiamo cercare di svegliarlo. Anche lady Genevieve è un soggetto interessante. La sua è una storia davvero curiosa. Annie Zador raccontò loro tutto ciò che sapeva. Purtroppo conosceva ben poco di come la moglie del presidente era stata registrata, perché lei aveva curato soprattutto la reintegrazione in un corpo in carne e ossa. Anche altra gente, altri corpi (come disse lei) erano nati sulla biostazione nel corso di quei tre secoli. Se i macchinari a disposizione venivano impiegati correttamente occorrevano solo tre, quattro anni per portare un neonato alla piena maturità fisica. Prinsep ascoltò attentamente. — Non pensavo che questo viaggio, o esilio che dir si voglia, fosse il tipo di situazione in cui uno pensa a far nascere bambini. Havot sbadigliò vistosamente e si stiracchiò. Quelle chiacchiere filosofiche lo annoiavano. Subito dopo si alzò, mormorò educatamente qualche scusa e uscì dalla stanza. Indossava i vestiti puliti ordinati ai robot servitori quella mattina, abiti alla moda su cui ricadeva un ampio mantello. Improvvisamente il commodoro si chiese se quel mantello non serviva a nascondere un'arma. Be', considerando la natura dell'autorità vigente a bordo, non sapeva se augurarsi che l'arma vi fosse oppure no. Ma questo problema non lo riguardava: lui si sarebbe aggirato in divisa e nulla poteva convincerlo a lasciare in cabina la pistola d'ordinanza.
24 Kensing riprese i sensi lentamente con la sensazione che l'intero universo fosse esploso attorno a lui, come in una sorta di titanica proiezione virtuale programmata all'improvviso da qualche grandiosa e indifferente divinità. Giaceva in una poltrona antiaccelerazione e osservando ciò che lo circondava comprese di trovarsi a bordo di un piccolo mezzo spaziale. Infatti doveva trattarsi di una delle navette utilizzate per collegare la Fred Saberhagen
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biostazione all'astronave. Da dove giaceva non riusciva a guardare fuori, ma dai leggeri suoni che sentiva poté affermare con certezza che stavano viaggiando. Quando cercò di muoversi si accorse con un brivido di non poterlo fare. Le caviglie erano strettamente legate, e i polsi immobilizzati dietro la schiena. L'ultimo ricordo abbastanza nitido risaliva alla battaglia nel decaedro. Non ricordava comunque cosa l'avesse stordito. Il corpo doleva e bruciava un po' dappertutto, ma non pareva che soffrisse di gravi ferite fisiche. Semplicemente, era stato stordito e legato. La navetta sembrava compiere una delle sue solite, tranquille traversate. Volgendo lo sguardo, Kensing poté vedere che la conduceva Scurlock protetto da una tuta corazzata. A bordo non vi era nessun altro. Chiunque gli avesse legato mani e piedi (Loki, si disse) aveva fatto un lavoro perfetto, lasciando le corde abbastanza lente da non ferirlo pur scoraggiando in partenza qualsiasi speranza di liberarsi. — Stiamo tornando alla biostazione? — mormorò ad alta voce, la mente ancora preda delle nebbie dell'incoscienza. Scurlock si voltò per lanciare un'occhiata al suo passeggero, o meglio al suo prigioniero. "Non esattamente" fu l'evidente significato. Kensing si sforzò di comprendere cosa intendeva dire Scurlock, ma dovette rinunciare. — Dove sono gli altri? — chiese infine. — Il presidente sta controllando che l'astronave sia ripulita a dovere. Brabant è morto, come certamente lei saprà. — E Mike? — Non conosco nessuno con quel nome, a meno che non intenda quell'Aristov. Poveretto. Non doveva ucciderlo, Sandy. Kensing respirò più volte affannosamente. — Scurlock — disse infine. — Non crederà davvero a questa bugia? Quello non era il suo vero nome, e soprattutto non l'ho ucciso io! Scurlock guardò nuovamente avanti a sé. — Il presidente e Loki mi hanno spiegato cosa è accaduto a bordo dell'astronave. Improvvisamente la navetta si abbassò e rallentò, poi si agganciò a qualche tipo di struttura. Ma non sembrò affatto un normale rendez-vous. Kensing venne riportato all'improvviso a una piena lucidità. — Non importa molto ciò che lei pensa — disse Scurlock alzandosi dal posto di pilotaggio e avvicinandosi a Kensing per liberarlo dalle cinture di Fred Saberhagen
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sicurezza. Sembrava quasi parlare a se stesso. — Aspetti un attimo! Che diavolo sta facendo? Dove mi porta? Scurlock decise di non rispondere direttamente. — Siamo arrivati al capolinea, signor Kensing. Fu necessario ancora qualche istante a Sandy prima di capire che avevano raggiunto un oggetto diverso dalla biostazione. Il berserker? Impossibile, a meno che in quei tre secoli non avesse adattato uno degli accessi alle specifiche tecniche delle navette solariane. Ma questo significava che... Il piccolo portello stagno della navetta si aprì mostrando una grande e fredda camera aliena, e in quel tetro spazio vide un automa, una tipica unità d'assalto berserker che attendeva il loro arrivo in quello che evidentemente era un incontro preordinato. Scurlock era forte; nonostante la gravità artificiale della navetta, sollevò senza sforzo il corpo inerme di Kensing dalla poltrona in cui si trovava. Solo in quel momento Kensing comprese cosa Dirac aveva barattato, quali erano i termini dell'accordo che aveva consentito loro di vivere tranquillamente fianco a fianco per tre secoli con il nemico non vivo. E solo in quel momento urlò il suo terrore con tutto il fiato che aveva in corpo. Ma Scurlock lo trascinò impietoso appena oltre il portello della navetta. L'automa berserker avanzò abbassando le braccia meccaniche, pronto ad afferrare Kensing e a portarlo giù nelle nere viscere del grande assassino metallico. A bordo della biostazione, circa un'ora dopo, Havot e la sua compagna del momento vennero scossi dalla loro beata sonnolenza da una scossa improvvisa che fece vibrare l'intera, massiccia struttura attorno a loro. —Dio mio! Cos'era? — domandò sussultando lady Genevieve con un rauco sussurro. Nella remota cabina in cui si trovavano si sentivano certi di godere della necessaria privacy; Nick era ancora in laboratorio per la riprogrammazione, e Loki di norma si interessava solo a coloro che avvicinavano Dirac. Havot rispose che solo una cosa poteva generare una vibrazione come quella nello spazio: la superba ammiraglia della flotta di Prinsep era finalmente esplosa, proiettando in rapida successione fronti d'onda di radiazioni e di frammenti contro lo scafo esterno della biostazione. — Oh, è solo questo. Meno male — fu la replica, e Genevieve, Fred Saberhagen
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sollevata, tornò sotto le coperte abbracciandolo. Non ci era voluto molto tempo e neppure grandi sforzi per ottenere quello che voleva da lady Genevieve. Presto avrebbe provato a portarsi anche Varvara Engadin in qualche cabina o in uno dei verdeggianti corridoi del piano di sopra per vedere come ci si poteva divertire anche con lei. L'attuale compagna di Havot, come tante altre donne, trovava molto affascinante la sua fresca gioventù. Havot sapeva di poter trasmettere un'immagine di infantile innocenza se lo voleva. Talvolta risultava un po' sfacciato, ma restava sempre una persona a modo: era o non era un rappresentante di articoli per l'educazione? A Genevieve aveva detto: — Suo marito è davvero un uomo fortunato... ma naturalmente sono certo che merita la sua fortuna. La signora non aveva saputo subito come prendere un simile complimento. Probabilmente vivendo con Dirac non aveva sentito molti complimenti nel corso dell'ultimo paio di secoli. Genevieve lo abbracciò stretto come per cercare protezione. — Chris? — chiamò per poi domandare così, apparentemente per parlare: — Ti ritrovi mai ad aver paura senza motivo? — Non molto spesso, immagino — rispose lui ridendo dentro di sé. — Comunque, c'è stato un periodo in cui tremavo solo a sentir parlare di berserker. — E adesso ti è passata? Lui giaceva sulla cuccetta con le mani unite dietro la testa, studiandola. Dopo qualche istante decise di rispondere alla domanda con un'altra domanda. — E tu di cosa hai più paura? Di tuo marito? Jenny prese a raccontare a Havot tutto di un fiato la sua esperienza con Nick, gli orrori della vita disincarnata come li ricordava. Il corpo che ora Havot vedeva e carezzava con palese apprezzamento era in effetti il quarto che aveva avuto da quando era tornata nel mondo reale. Dirac voleva a tutti i costi mantenerla fresca e giovane, oltre a nutrire un certo interesse negli esperimenti in sé. In verità, Jenny era ossessionata dalla propria immagine. Tutto era iniziato quando Nick l'aveva salvata da morte certa, e adesso che risiedeva in un corpo fisico si sentiva obbligata a ritoccare continuamente il suo aspetto per raggiungere qualche abbagliante ideale di bellezza. Tuttavia, voleva allo stesso tempo restare immutata, immediatamente riconoscibile Fred Saberhagen
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da chiunque l'avesse vista anche solo una volta durante la sua prima incarnazione. Diverse volte parlò con Havot delle difficoltà incontrate per trovare un corpo perfetto, quasi implorandolo di rassicurarla riguardo il suo attuale aspetto. Havot trovò in qualche modo affascinante l'idea di poter cambiare il proprio corpo semplicemente volendolo, ma non era cosa per lui. Il suo aspetto attuale e la sua prestanza fisica lo soddisfacevano più che pienamente. In ogni caso, Havot era da sempre interessato a scoprire di cosa aveva paura la gente. Talvolta erano cose davvero sorprendenti. Adesso provò a sondare Genevieve cercando, all'inizio con gentilezza, di trovare il modo migliore di provocarla. — Presto o tardi — le disse — i modelli genetici da cui sviluppare delle persone con i tratti simili ai tuoi finiranno, anche se hai a disposizione un miliardo di embrioni tra cui scegliere. — Me ne preoccuperò quando accadrà, anche perché dovrà passare molto tempo prima che succeda. Subito dopo la colazione, Prinsep indisse una riunione con il luogotenente Tongres ed Ensign Dinant. Il commodoro disse: — Le questioni più importanti che secondo me ci troviamo ad affrontare sono: primo, questo dannato berserker è attivo oppure no? Secondo, se è ancora attivo può venir definitivamente disattivato? Terzo, e questa è una domanda ancora più importante, i suoi motori possono aiutare in un modo o nell'altro un gruppo di solariani appiedati a tornare a casa? Più Prinsep esaminava la situazione e più si sentiva certo di una cosa: per una qualche ragione il presidente Dirac si era sempre opposto con tutta la sua autorità a qualsiasi azione contro il berserker, come se avesse qualche vantaggio nel mantenere le cose com'erano. Nel corso delle ore successive Prinsep scoprì che gli altri residenti sulla biostazione non volevano o non potevano aiutarlo molto, mentre Scurlock continuò a sostenere che il grand'uomo dormiva e non voleva venir svegliato per nessun motivo. Carol si aggirò per le varie sale pronunciando le sue frasi insensate e vagamente inquietanti, posto naturalmente che fosse dell'umore giusto per aprire bocca. Scurlock era apertamente restio Fred Saberhagen
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ad accettare l'intrusione dei nuovi arrivati negli affari della biostazione e né Varvara Engadin né lady Genevie ve sembravano destinate a tornare molto utili. Questo però non era tutto. Come per accrescere la sua preoccupazione, il sovrintendente Gazin sembrava svanito nel nulla insieme a due degli uomini di Dirac. Scurlock, che si fece vedere all'improvviso dichiarando di volergli tenere un po' di compagnia, lasciò capire con vaghi accenni che i tre mancanti all'appello potevano in qualche modo essere caduti vittime del berserker. — Ma allora è ancora vivo! Mi sta dicendo che potrebbero esservi delle unità d'assalto nascoste sull'astronave? Con tono pacato, Scurlock replicò: — Commodoro, quando vi sarete abituato alla nostra situazione, che ora è diventata anche la vostra, capirete che non siamo traditori e neppure prigionieri. — E cosa siamo? Perché non mi spiega finalmente qual è la nostra situazione? Scurlock guardò oltre la spalla di Prinsep e sul suo volto si dipinse un'espressione di evidente sollievo. — Il presidente sta arrivando, finalmente. Lui potrà rispondere alle vostre domande molto meglio di me. Dirac, elegantemente vestito ma scuro in volto, aveva infine lasciato le sue stanze e si stava avvicinando lungo il corridoio. Sembrava disposto a spiegare ogni cosa. — I suoi uomini, commodoro, stanno tutti bene. Alcuni sono già sulla via della guarigione, mentre gli altri possono perlomeno riposare indisturbati. — Dov'è Sandy? — domandò Annie Zador affrettandosi a raggiungere Dirac. Sembrava averlo aspettato tutto il tempo per chiederglielo, e ora esigeva una risposta. L'ex premier volse su di lei lo sguardo rabbuiato. — Annie, si faccia forza. Non conosco alcun modo per dirle quanto sto per dirle senza recarle un profondo dolore. Annie lo guardò allibita per un attimo, poi si portò le mani al volto e cominciò a urlare. Sempre più cupo ma poco incline a cedere al dolore, Dirac continuò. — C'è stata una sparatoria sull'astronave. Per chissà quale motivo, il vostro sovrintendente Gazin — e i suoi occhi incontrarono quelli di Prinsep — ha ucciso il povero Aristov e poi Brabant e Kensing prima di morire a sua Fred Saberhagen
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volta per le ferite riportate. E gli eventi hanno lasciato Nick in un tale stato di prostrazione da indurmi a riprogrammarlo — spiegò, guardando Annie e addolcendo la sua espressione fino a mostrare una profonda compassione per lei. Intanto Tongres e Dinant conversavano con Varvara Engadin e da lei udirono una versione ampliata della verità. Tempo prima il ribelle Nick aveva fatto adirare tremendamente Dirac. La sua offesa aveva a che fare con lady Genevie ve. In quell'occasione Nick era stato scoperto da Loki e da Dirac, sottomesso e riprogrammato, forzatamente riportato allo stato precedente l'attacco berserker alla biostazione. Qualcosa di simile doveva essere avvenuto anche adesso. Un'ora dopo l'annuncio delle morti da parte di Dirac il dottor Hoveler venne rianimato, in parte per le pressanti richieste di Prinsep e in parte per tacitare le continue, isteriche suppliche di Annie. Sia la dottoressa Zador che Hoveler, quando Prinsep parlò loro da solo, furono inclini a dubitare della versione fornita da Dirac sulla morte di Kensing e degli altri. Il commodoro Prinsep voleva scoprire da sé quali risorse, nascoste da Dirac o forse sconosciute anche a lui, si rendevano disponibili sulla biostazione per combattere efficacemente il berserker. Inoltre, la velenosa atmosfera instauratasi a bordo sotto la dittatura di Dirac lo preoccupava parecchio. Pertanto convocò con la sua autorità una riunione con tutte le persone in grado di parteciparvi. Dirac diede il suo assenso, apparentemente volentieri. Quando tutti furono riuniti, il commodoro domandò apertamente: — Cosa ci impedisce di unire i nostri sforzi per assaltare il berserker e cercare di usare i suoi motori per tornare a casa? Dirac rispose che oltre alle difficoltà create dal campo di forza e dalle molte trappole disseminate come sempre a bordo dei berserker (tra cui vi erano senz'altro anche dei dispositivi di autodistruzione), raggiungere e controllare ciò che restava del suo cervello e dei suoi motori poteva rivelarsi un'impresa impossibile, oltre che suicida. Un altro motivo, illustrato stavolta da Scurlock, era che la stretta mortale Fred Saberhagen
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esercitata dai campi di forza del berserker sulla biostazione era troppo potente per poter essere vinta con i mezzi attualmente a disposizione. Sarebbe stato fisicamente impossibile per loro arrivare al berserker e penetrarne lo scafo. — Come fa a saperlo fino a quando non ci prova? Nessuno dei secolari residenti poté rispondere in modo soddisfacente a Prinsep e agli aggressivi membri del suo equipaggio. Prinsep disse: — Con noi abbiamo portato diversi dispositivi che possono aiutarci a raggiungere l'obiettivo. E in assenza di valide ragioni che possano convincerci a lasciar perdere, siamo determinati a usarli. Insomma, se la vostra astronave non può muoversi, l'unico modo per uscire da questa situazione è abbordare il berserker e usarne i motori... o perlomeno disattivarli del tutto. Poi Prinsep si rivolse all'ex premier. — Secondo lei, signor Dirac, il berserker è morto oppure no? Come descriverebbe le sue condizioni? Come sempre, Dirac era freddamente pronto a qualsiasi tipo di confronto. — Questo berserker è praticamente inerte ormai da secoli. — Da secoli, dice. Non può essere un po' più preciso a riguardo? — È sempre stato inerte, fin dall'inizio. — Mi sta dicendo che la condizione di questo berserker, il suo comportamento, non è praticamente cambiato nel giro di tre secoli? E ciononostante, non siete riusciti a evitare che vi trascinasse in mezzo alla Mavronari? — Può anche esser facile per lei, commodoro, accusarci... — Insomma, non ci avete neppure provato? — Le ripeto che può esser facile per chiunque non abbia condiviso la nostra secolare lotta per la sopravvivenza criticare il modo in cui abbiamo affrontato le cose. In ogni caso, sono certo che tecnicamente il berserker non è completamente defunto. — Perché i suoi motori funzionano. — Sì, i motori e... — E una qualche sorta di pilota automatico: forse una funzione a bassa intelligenza, sufficiente comunque a mantenerlo su una rotta prestabilita. E poi un generatore di energia magnetica. Tutto questo risulta ovvio alla prima occhiata. Ma secondo lei, c'è dell'altro? — Oltre ciò che risulta ovvio si entra nel regno delle ipotesi; lo tenga bene in mente, commodoro. Non vorremo fidarci di un berserker, vero? Fred Saberhagen
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— Mettiamola così, allora: da quanto tempo ha smesso di uccidere la gente, per quanto ne sa lei? Dirac, un modello di pazienza e tolleranza, scosse la testa. — Temo proprio che stia semplicemente aspettando con insolita rassegnazione. — Non capisco! E che mi dice dei tre uomini morti a bordo della sua astronave? Davvero sono morti in seguito a uno scontro a fuoco tra di loro? Dove sono i loro corpi? — Nessuno di loro era membro del suo equipaggio, e quindi non mi ritengo obbligato a descrivere ciò che ho appreso di prima mano dall'unico testimone della sparatoria. I loro corpi saranno stati cremati o espulsi dall'astronave in qualche modo, forse dai robot operai. Non vedo come possa riguardarla. — A bordo della sua astronave si trovano cinque membri del mio equipaggio, e... — I membri del suo equipaggio sono salvi e al sicuro come possiamo esserlo noi. Commodoro, lei è un uomo impetuoso. Il confronto tra noi ha raggiunto un punto in cui credo sia meglio dichiarare apertamente una cosa che contavo di discutere in futuro, quando la nostra situazione vi fosse apparsa un po' più chiara. Il fatto è... che di tanto in tanto comunichiamo con questo berserker. — Ah. Comunicate riguardo a cosa? — Si è reso necessario per noi raggiungere un accordo. Un accomodamento, ecco — annunciò l'ex-presidente con molta calma, senza esitazioni né sensi di colpa. Dirac Sardou e i sensi di colpa non si conoscevano affatto, non si erano semplicemente mai incontrati. — Che tipo di accomodamento? — Il tipo più implicito che si possa immaginare — fu la risposta. Nonostante tutto, Dirac dava l'impressione di avere ancora fermamente il controllo della situazione. — Lei non compie neppure il minimo sforzo per comprendere la nostra situazione, commodoro. Tongres ribatté: — Ora è anche la nostra situazione, lo sa? Dirac la guardò imperturbabile. — Sono d'accordo. Tuttavia, non vedo alcun volontà da parte vostra di capire come stanno le cose. Il commodoro alzò una mano, ponendo termine alle reciproche accuse almeno in quel momento. Con forzata ragionevolezza disse: — È da quando sono qui che voglio capire come stanno le cose. Infatti sarebbe meglio se la situazione ci venisse spiegata chiaramente una volta per tutte. Fred Saberhagen
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E quindi insisto a chiederle: che tipo di accordo avete raggiunto col berserker? — Le ci vorrà del tempo per capire. E non creda di potermi spaventare, Prinsep: su questa stazione spaziale non sono io soggetto alla sua autorità, ma piuttosto lei alla mia! E altezzosamente Dirac si alzò e fece per uscire, volgendo le spalle alla riunione. Scurlock si frappose umilmente apologetico tra l'ex presidente e gli uomini di Prinsep, intenzionati a trattenerlo con la forza. — Tutto ciò che vuole dire è semplicemente questo: noi non cerchiamo di uccidere il berserker e lui non cerca di uccidere noi. Mettendo per il momento da parte i cupi sospetti che nutriva sulla sanità mentale e sulle intenzioni di Dirac, il commodoro decise di fare di tutto per evitare, o perlomeno rimandare, il momento della resa dei conti. Temeva infatti che questa potesse degenerare in un sanguinoso scontro armato. Tuttavia, più valutava la situazione e più questa appariva disperata. L'aspetto dei residenti secolari al loro primo incontro lo aveva ingannato. Tutti coloro che si trovavano a bordo all'arrivo della Symmetry erano parsi come minimo ben nutriti e decentemente vestiti, ma questo si doveva esclusivamente al fatto che il sistema di supporto vitale della biostazione funzionava ancora perfettamente e senza problemi, esattamente come quello dell'astronave di Dirac; i generatori a idrogeno continuavano a produrre energia, come avrebbero fatto ancora per molte generazioni. Le macchine addette alla manutenzione svolgevano regolarmente il loro compito. I medirobot erano ovviamente ancora in grado di curare i feriti più gravi e di combattere qualsiasi malattia. I campi di forza creati dal sistema di gravità artificiale della biostazione mantenevano ancora la configurazione più appropriata all'interno della struttura spaziale. Le macchine addette al riciclaggio potevano ancora venir programmate per produrre nuovi tessuti, se a qualcuno importava, ed erano tranquillamente capaci di creare nuovi modelli. Alcune delle macchine a bordo potevano esser state originariamente installate a titolo di prova, in vista di un loro utilizzo da parte dei futuri coloni. Prinsep si preoccupava anche per i suoi feriti e cercò di tenerli sempre sotto controllo anche dopo la loro sistemazione nei medirobot. A questo proposito fece sempre in modo di far ispezionare regolarmente le unità Fred Saberhagen
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mediche da uno dei suoi uomini o dalla dottoressa Zador. Hoveler e Zador chiesero più volte a Prinsep dove poteva trovarsi il resto della sua flotta. I due scienziati desideravano evidentemente più di ogni altra cosa, proprio come altri la temevano, l'arrivo di altra gente, di una flotta vittoriosa dell'esercito solariano con le loro potenti astronavi. Dirac invece reagiva con fastidio a questa ipotesi, in quanto l'arrivo di nuovi intrusi avrebbe messo in pericolo i suoi sogni di potere. Secoli prima aveva apertamente rinunciato a qualsiasi possibilità di venir salvato e i suoi piani non prevedevano più una simile eventualità. Prinsep decise che la cosa migliore da fare era far credere che l'arrivo di un'altra flotta fosse una cosa alquanto probabile, anche se personalmente la pensava in modo diverso. Ma una cosa del genere avrebbe contribuito a frenare le iniziative di Dirac, minando al contempo il suo controllo. L'ultima versione di Nicholas Hawksmoor, appena uscita dalla riprogrammazione e pronta per riprendere il servizio, ponderava sulla complessità della situazione in cui si era venuto a trovare. Le altre persone a bordo, che evidentemente conoscevano due precedenti versioni di se stesso, lo chiamavano Nick3. A lui quelle versioni sembravano quantomai remote, anche se condivideva certe memorie con loro. Una delle poche cose di cui era sicuro nell'incantevole ma pericoloso mondo in cui gli veniva consentito di rientrare era la tenera bellezza di lady Genevieve; un'altra, scoperta poco dopo il suo ritorno in servizio, era che quella donna dolce e amabile aveva una relazione con l'uomo di nome Christopher Havot, che Nick cominciò subito a odiare. Ma le rivelazioni, almeno all'inizio, sembravano non finire mai. Non dovette passare molto tempo che Nick3 si accorse di una certa riluttanza mostrata da lady Genevieve nei suoi confronti, come se avesse paura di lui. Non aveva la minima idea del motivo di quel comportamento. Non poteva credere che una delle sue precedenti versioni avesse cercato in qualche modo di nuocerle. E così, per saperne di più, decise di contattarla tramite l'oloschermo nei suoi alloggi. Per farlo attese un momento in cui era sola e destinata a rimanerlo per un periodo abbastanza lungo da non venir interrotti. Nick disse: — Milady, lei mi conosce, non è vero? Lei guardò aspramente l'inaspettato intruso. — So che ti chiami Nick... Fred Saberhagen
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Nicholas Hawksmoor. Cosa vuoi? — Solo rassicurarla. Ho l'impressione che lei mi eviti, e non riesco a capirne il motivo. Volevo semplicemente garantirle che lei non ha nulla da temere da me. Spaventarla o farle del male sarebbe l'ultima cosa al mondo che... — Ti ringrazio, Nick, per avermi rassicurato. C'è altro? Se non c'è altro, ti prego di lasciarmi sola. — Sì, milady. Ma vorrebbe rispondere dapprima a una domanda? — Quale? — fu la riluttante replica. — Io non posso dormire, come immagino lei sappia. E tuttavia sento che vi è stato un momento, che forse è quello della riprogrammazione, in cui ho sognato. Ho sognato di trovarmi in un corpo, e lei era con me. Non pensò certo che lei possa spiegarmi questi sogni, se davvero di questo si tratta, ma sentivo di doverle dire qualcosa a riguardo. Genevieve lo guardò in modo del tutto diverso. — Che strano — sussurrò. — Milady? — No, Nick, non eravamo insieme in quei corpi. Tu non hai mai avuto un corpo. — Lo so, milady. — Tuttavia anche tu compari in certi miei sogni, proprio come io compaio nei tuoi. Dei di tutti i pianeti, come vorrei liberarmene per sempre! Qualche attimo più tardi Hawksmoor si ritirò, felice di sapere che Genevieve non lo odiava ma affatto più informato di prima. L'idea di venir sottoposto a una ciclica riprogrammazione lo deprimeva un poco, anche se sembrava conferirgli una strana sorta di immortalità. Nick, per quanto poteva ricordare, non aveva mai fatto una copia di se stesso, né desiderava farla. Ma adesso temeva che Dirac ne possedesse qualcuna, delle versioni modificate a lui segrete. Havot raccontò a Prinsep e agli altri la storia del salvataggio e della registrazione di lady Genevieve a opera di Nick1 e la conseguente reintegrazione in un corpo come li udì dalla stessa moglie di Dirac. Per l'ex presidente infatti la conferma della morte di sua moglie non aveva rappresentato altro che un ostacolo momentaneo, come del resto Fred Saberhagen
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qualunque avversità attraversasse la sua strada. In effetti non era tanto di Genevieve che aveva bisogno, anche se l'aveva scelta come sposa tra molte candidate grazie alle sue preziose qualità, ma piuttosto il potere, le alleanze che quella donna graziosa e minuta portava con sé. E a questi non era disposto a rinunciare tanto facilmente. Difatti ancora prima di sapere dell'esistenza di una registrazione della personalità di lady Genevieve, il premier aveva cominciato a calcolare quanto precisamente una ricostruzione organica avrebbe dovuto assomigliare a sua moglie per risultare politicamente accettabile. Una cosa comunque era certa: al momento dell'arrivo dell'ammiraglia di Prinsep con il suo pugno di sopravvissuti, Dirac operava sulle incubatrici già da secoli anche se in modo saltuario. Il suo primo obiettivo era stato duplicare la sua amata consorte, o in alternativa trovare loro figlio come primo passo per far rinascere la madre. E ben presto aveva compreso che Nick1, con l'aiuto di Freya2, stava conducendo analoghe ricerche per qualche misterioso scopo. Dopo la scoperta del tradimento di Nick1 e la conseguente riprogrammazione di quella sfortunata versione di Hawksmoor, Dirac continuò i suoi esperimenti, stavolta con uno scopo ben diverso in mente. Più ne parlavano con Prinsep e più Zador e Hoveler dubitavano della versione data da Dirac sulla morte di Sandy e degli altri scomparsi con lui. — Perché annunciare la loro morte con tanto ritardo? Possibile che i robot operai abbiano potuto liberarsi dei corpi in assenza di un suo ordine? E perché Nick è stato nuovamente riprogrammato? Interrogato in proposito, Dirac si limitò a rispondere che non doveva rendere conto a nessuno delle sue dichiarazioni; tuttavia negò con forza l'esistenza di punti oscuri nel suo racconto. Più in generale l'ex presidente appariva sorprendentemente indifferente ai resoconti di quanto era accaduto nel mondo civile, e questo riguardava anche i pianeti un tempo sotto il suo governo. Inoltre rifiutava apertamente di credere a qualsiasi notizia non gli garbasse. E le rare volte in cui parlava dei popoli che un tempo governava, sembrava sempre dare per scontato che questi sarebbero stati felicissimi di vederlo tornare al potere se solo avessero potuto scegliere. Dirac parlava con molta calma di quanto gli mancava il suo pianeta natale e il suo popolo; tuttavia non mostrava il minimo desiderio di aiutare Fred Saberhagen
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Prinsep nei suoi sforzi per tornare a casa. E giunse anche il momento in cui Prinsep sentì di cominciare a capire un po' meglio la particolare e pericolosa situazione in cui si trovava. Fin dal primo abbordaggio alla biostazione secoli prima, Dirac era diventato sempre più schiavo della propria smania di potere. Gli esperimenti con gli embrioni umani rappresentavano una parte significativa di tutta la faccenda, ma non erano tutto. Aveva letto i codici di milioni di contenitori, sviluppando un embrione dopo l'altro nello sforzo di trovare, di ricostruire il codice genetico della sua utile sposa ibernandosi per anni, per decadi, in attesa dei risultati degli esperimenti. Così facendo preservava la sua relativa giovinezza ed evitava le lunghe attese necessarie per scoprire come si erano sviluppati gli ultimi esemplari. Dirac non si fidava di alcun essere umano. Solo un artefatto elettronico, e uno dei più potenti, vigilava sulla sua incolumità mentre dormiva i suoi lunghi sonni. Solo Loki, lo specialista. Ma Prinsep si sentì sicuro di un'altra cosa: certe volte Dirac non si fidava neppure di Loki.
25 Nick3 era stato chiamato a rapporto da Dirac, e adesso attendeva che Loki lo lasciasse passare. Hawksmoor non si era presentato negli appartamenti di Dirac in modalità "tuta spaziale", poiché questo gli era stato esplicitamente proibito. Si aggirava invece in sospensione elettronica, attendendo in appositi circuiti il comando che gli avrebbe consentito di apparire sull'oloschermo del presidente. Intanto cercava, senza alcun successo, di comunicare con Loki. Nick percepiva Loki come lo aveva sempre percepito, una presenza minacciosa, una sorta di pesante carica statica perennemente sul punto di esplodere. Loki comunicava degli ordini o delle domande e ascoltava le risposte, e quello era tutto. La parola chiave finalmente arrivò e Nick3 venne ammesso al santuario di Dirac, sospeso per via optoelettronica nel fascio di luce dell'oloschermo accanto al letto presidenziale. Non lontano da quel ietto ve n'era un altro. Il presidente aveva fatto Fred Saberhagen
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installare un medirobot nelle sue stanze quasi subito dopo la conquista della biostazione. L'unità medica stava nella stanza come un elaborato frigorifero o una bara di cristallo, sopravanzando di molto il letto normale. I molti lettori digitali dei diversi pannelli a lato del medirobot rilucevano di mute informazioni. Un feretro circondato, nelle accresciute percezioni di Nick, da un anello di fuoco: una manifestazione visiva della creatura elettronica chiamata Loki. Nei lunghi momenti d'attesa prima che Dirac gli rivolgesse la parola, Nick3 si ritrovò a chiedersi come esattamente doveva sembrare il volto del presidente durante i lunghi periodi di ibernazione, duro e solido come una roccia. In un certo qual modo si sentì sicuro che l'espressione del suo padrone in quel momento non differisse molto dal solito. Loki lo aveva già informato che il presidente era in compagnia di una donna e lui speculò ad alta voce, senza peraltro scalfire la cupa freddezza del gorilla elettronico, su chi poteva mai essere la visitatrice odierna. Nick dubitava fortemente che la femmina misteriosa potesse essere la dottoressa Zador, che odiava Dirac ogni giorno di più, e il presidente non aveva ancora compiuto alcuno sforzo per portare nella sua stanza e nel suo letto l'ultima arrivata a bordo della biostazione, la giovane luogotenente Tongres. Tuttavia Dirac era attratto da quella donna, Nick ne era certo. La visitatrice odierna si rivelò essere semplicemente lady Genevieve. La sua espressione e i suoi modi tradivano una profonda infelicità e Hawksmoor si sentì certo, dopo appena un'occhiata alla coppia, che i due avevano seriamente litigato. Non sembrava che quel giorno la signora Sardou fosse stata convocata per romantici intrattenimenti, in quanto entrambe le persone davanti a lui apparivano vestite e in piedi. Lady Genevieve si limitò a un vago cenno in risposta al formale saluto di Hawksmoor. Il presidente pareva invece intenzionato ad andare subito al sodo. — Nick, ho una domanda per te, una domanda molto importante. — Farò del mio meglio per risponderle, signore. — Ci conto. Credo di poter ancora contare su di te per queste cose, anche se le tue precedenti versioni mi hanno mentito in modo spudorato. Ma tu, Nick3, esisti da così poco tempo da non poter essere stato ancora corrotto. Vero, Hawksmoor? A proposito, vuoi ancora conservare questo nome? — Sì, signore, lo terrei volentieri... naturalmente se lei non preferisce qualcos'altro. Fred Saberhagen
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— Lasciamo stare, per adesso. Sei pronto, Nick? Bene, ecco la domanda: la mia adorata moglie qui presente ha mai concesso i suoi favori a un altro uomo? Nick fu subito pienamente, terribilmente conscio dello sguardo implorante di lady Genevieve, anche se prestò istintiva attenzione a non volgere su di lei i suoi occhi virtuali. Poi rispose, con forzata sorpresa: — Signore, ma lady Genevieve è completamente innocente! Io non possiedo la minima prova di un simile... un simile... — Ah, risparmiami la tua imitazione di un timido e impacciato portaborse, Nick. Come diavolo hai fatto ad acquisire questa routine, mi chiedo? Ma in effetti tu hai sempre acquisito molte cose senza che io lo sapessi. — Mi scusi, signore. Risponderò alla sua domanda. No, nel corso della mia vigilanza a bordo non ho mai visto lady Genevieve in atteggiamenti sconvenienti. Non so dirle cosa sia accaduto durante la mia riprogrammazione. — Hai mai visto mia moglie da sola con l'uomo chiamato Havot? C'erano stati diversi incontri completamente innocenti nei corridoi o in altri spazi comuni, come risultava normale tra due persone organiche a bordo della biostazione. Sintetico e preciso, Nick raccontò quelli a cui aveva personalmente assistito omettendo di menzionare gli altri, la maggioranza, affatto innocenti. Dirac lo interrogò sui particolari. Ma naturalmente era inutile per un uomo che poteva contare solo sulla sua intelligenza organica cercare di cogliere in contraddizione un intelletto optoelettronico sui dettagli di qualsiasi storia. Quando lo voleva, Nick poteva in un batter d'occhio tessere una rete di impercettibili menzogne tanto sottile da risultare semplicemente perfetta. Ma Dirac sembrò ricordarsene quasi subito: affidò a Nick il compito di spiare Havot da quel momento in poi e quindi lo congedò senza altro aggiungere. La ricompensa di Genevieve, l'ultima cosa che Nick3 vide prima di svanire dall'oloschermo, fu uno sguardo pieno di disperata gratitudine. Riprendendo le sue regolari mansioni, Nick ponderò sul suo nuovo compito. In effetti voleva sì creare dei problemi a Havot, ma non a prezzo di mettere in imbarazzo lady Genevieve. Fred Saberhagen
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Forse, pensò, la cosa migliore da fare era avvertire Havot di stare alla larga dalla moglie del presidente. Con la speranza di ottenere questo indirettamente, Nick cercò il commodoro Prinsep. Ma Prinsep sembrò dare scarsa importanza al tentativo indiretto di Nick di trasmettere un avvertimento. Il commodoro aveva ben altro per la testa e l'unica cosa che volle da lui fu saperne di più sui motori della Eidolon e su altre faccende. Nick pensò di poter risultare utile in qualche modo nella faccenda dei motori. Ricordava perfettamente che trecento anni prima l'astronave era stata danneggiata in battaglia quando Dirac aveva raggiunto il berserker in fuga. — Ne sei proprio certo, Nick? — Ho una memoria davvero eccellente, commodoro — ricordò Hawksmoor con qualche ironia al suo interlocutore organico. Ma a quel punto Nick tacque, vagamente meravigliato. Il ricordo di come era avvenuto quel danno era decisamente freddo e privo di emozioni, come qualcosa appreso da una registrazione. — Cosa c'è che non va, Nick? Nick cercò di spiegare. — Come qualcosa che hai appreso da una registrazione, eh? Forse come qualcosa che non è mai veramente accaduto, che ti è stato solo inserito nei programmi. — Cosa intende dire? — Io non conosco granché dei tuoi programmi, Nick. Tuttavia di una cosa sono certo: i motori dell'astronave non mostrano il minimo segno di danneggiamento. Controlla di persona la prossima volta che vi andrai. Nick si trasferì sulla Eidolon e controllò di persona i motori. Si sentiva francamente confuso. Ormai non sapeva più chi fra quelle persone organiche meritava la sua lealtà, supponendo che uno solo di loro la meritasse. In ogni caso, era determinato a fare tutto ciò che poteva per Jenny. Meditando su tutta la faccenda e sul motivo che poteva aver spinto Dirac a riprogrammarlo inserendogli in memoria delle informazioni errate, Hawksmoor si ritrovò a fantasticare sul modo più efficace di rimettere in funzione i motori, di prendere possesso dell'astronave e di partire infine portando con sé la sola lady Genevieve. Nick3 disapprovava in genere le fantasticherie. Dentro di sé era convinto Fred Saberhagen
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di esserne soggetto solo a causa di qualche errore di base nei suoi programmi. Limitare la propria volontà alla privacy della propria mente era come ventilare l'aria o allenarsi con la propria ombra. Non otteneva nulla e non provava nulla. Nick aveva già trascorso molto tempo, tempo sprecato per come vedeva le cose adesso, a chiedersi come aveva fatto a concepire gli imperdonabili tradimenti che la sua memoria e il resoconto dei fatti gli assicuravano di aver concepito. Pian piano si stava convincendo che il lungo processo di tradimento del premier fosse iniziato quando lui, o meglio il suo predecessore Nick1, aveva raggiunto il cargo danneggiato per cercare di aiutare lady Genevieve. Fino a quel momento aveva funzionato bene, o almeno così gli sembrava, mai uscendo dai binari della sua programmata lealtà. E il solo scopo che perseguiva salendo sul relitto era salvare la sposa del suo padrone con ogni mezzo a disposizione. Ne conseguiva però che la decisione di tradire per la prima volta era venuta in seguito. Perché in effetti salvare Jenny e poi registrarne la personalità avevano alla fin fine rappresentato un vantaggio per Dirac. Se lui non avesse interferito, Jenny sarebbe davvero morta proprio come suo marito aveva pensato per molto tempo, e questo come poteva tornare a vantaggio di Dirac? L'avrebbe persa per sempre. E il lungo periodo trascorso da Jenny nei panni di entità optoelettronica non aveva causato alcuna sofferenza al presidente, perlomeno fino a quando non lo aveva scoperto. Facendo seguito alla sua chiacchierata con Nick3, Prinsep convocò Dinant e Tongres e si recò, guidato dal dottor Hoveler, in una zona del grande laboratorio non visitata in precedenza. Lo scopo era ispezionare il luogo degli esperimenti biogenetici che Dirac aveva condotto e stava evidentemente ancora conducendo. Hoveler era stato coinvolto solo parzialmente in quegli esperimenti, come ammise con riluttanza. Personalmente nutriva dei forti dubbi di carattere morale sull'opportunità di attingere alle riserve di embrioni per creare degli splendidi idioti in cui alloggiare vecchie personalità; questo lo spinse ad agire come una guida perfetta, anche se a volte un po' restia. Invece Dirac, come Hoveler si premurò di spiegare ai tre militari solariani, si era sempre sentito perfettamente autorizzato a fare di tutto per Fred Saberhagen
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ricreare la sua sposa perduta e quindi aveva dato inizio a una serie secolare di esperimenti incontrollati. Hoveler presentò i nuovi arrivati a Freya2 e spiegò loro come e perché era stata creata da Nick1. Freya2 comparve ai suoi visitatori su un oloschermo in mezzo alle incubatrici utilizzando l'immagine che Nick le aveva insegnato a usare, il volto di una splendida donna di età indefinita con lunghi e fluenti capelli argentei agitati da una leggera brezza. Dopo un breve scambio di convenevoli, Prinsep venne al punto. — Freya, puoi dirmi cosa generalmente accade alle salme delle persone morte qui o sull'astronave? L'immagine femminile sembrò serenamente immune dalla sorpresa. — In genere, commodoro, a bordo non viene conservato alcun tipo di organismo privo di funzioni vitali. E per quanto riguarda i prodotti commestibili quali uova, carne, eccetera, essi vengono sintetizzati direttamente dalle macchine del sistema di supporto vitale. — Mi riferisco in particolar modo ai corpi organici della specie solariana. Qualche esperimento deve pur avere avuto un esito negativo, e vi sono stati dei morti recentemente a bordo della Eidolon. — Tutto il materiale geneticamente utilizzabile viene conservato nelle celle frigorifere. Attualmente lo spazio a disposizione è più che sufficiente. — Ah. Vorrei vedere gli esemplari che conservi per uso futuro, con particolare riguardo ai corpi di solariani adulti. — Accesso consentito — replicò Freya2. Rispondere a simili domande rientrava nei suoi compiti. Invitò pertanto i visitatori a spostarsi in una sezione confinante nella quale sorgeva un cubicolo dalle pareti trasparenti. I visitatori poterono così contemplare tre cadaveri sistemati su altrettanti banconi da laboratorio. Riapparendo su un oloschermo poco distante, Freyal spiegò loro che ai robot di servizio dell'astronave era stato semplicemente ordinato di ripulire tutto, e quindi quei cadaveri erano stati portati a lei in quanto materiale organico di scarto. Hoveler riconobbe subito il corpo di Brabant, mentre Prinsep e i suoi sottoposti identificarono quello del sovrintendente Gazin che mostrava le profonde ferite di un'arma a raggi. Il commodoro guardò con occhi vuoti la terza salma. — E quello chi è? — domandò. Fred Saberhagen
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— Certamente non è Sandy Kensing — replicò Hoveler, accigliandosi. — Mi aspettavo di vedere Kensing, ma questo non è lui. Freya chiarì l'arcano. — Nick ha identificato il corpo come quello di Fowler Aristov. — Ah — fece Prinsep. — Il futuro mentore dei nuovi coloni che Havot ha svegliato sull'astronave. Una brutta fine, ha fatto. Il corpo di Sandy Kensing risultava comunque stranamente assente. Freya non aveva idea di cosa potesse essergli accaduto, vivo o morto che fosse. Resosi conto di ciò che i nuovi arrivati stavano facendo e provando una strana, bruciante curiosità a riguardo, Nick si unì rapidamente a loro. La sua immagine, comparsa all'improvviso sull'oloschermo accanto a quella di Freya, confermò che la terza salma era proprio quella di Aristov. Prima dell'ultima riprogrammazione ne aveva visto il nome e il volto in uno dei medirobot dell'astronave e quella nozione (fredda e impersonale come quella dei motori danneggiati della Eidolon) spiccava nella sua memoria con tale risalto da impedirgli di supporre altrimenti. Esaurite le spiegazioni l'ispezione continuò. Prinsep e i suoi accompagnatori, assieme a Nick3 e a Freya2, si ritrovarono a contemplare un'incubatrice dentro la quale si distingueva il corpicino minuscolo di una femmina solariana ancora allo stato fetale. — Un altro corpo per lady Genevieve? Hoveler ammise infelicemente di non conoscere i dettagli di quel particolare esperimento, e neppure quanti progetti di bioingegneria fossero attualmente allo studio per ordine di Dirac. Interrogata a riguardo, Freya affermò di non poter rispondere a nessuna domanda a riguardo senza l'assenso e la presenza del presidente Dirac. Qualche attimo più tardi, al termine dell'ispezione, Prinsep cercò l'ex premier e lo trovò stranamente ansioso di discutere con lui. Il commodoro spiegò ciò che aveva visto nel laboratorio, ma non fece alcuna menzione dei tre cadaveri e del corpo mancante di Sandy Kensing. Dirac, per contro, volle sapere cosa ne pensava Prinsep sulla manipolazione degli embrioni e lo sviluppo di nuovi corpi umani. In effetti l'ex presidente provava il forte desiderio di spiegare a qualcuno di abbastanza autorevole i vantaggi del piano elaborato gradualmente per cooperare in modo costruttivo col berserker. Prinsep, a sua volta dotato di Fred Saberhagen
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vasti poteri sui mondi solariani, era senza dubbio un interlocutore significativo in questo senso. Cominciò Dirac, chiedendo: — Lei disapprova le mie ricerche biogenetiche? — Diciamo che ho qualche dubbio riguardo a ciò che ho visto. — Commodoro Prinsep, mi piacerebbe chiarire i suoi dubbi. Il fatto è che dopo qualche tempo il nostro isolamento mi ha spinto a interessarmi di questioni davvero fondamentali per la nostra specie. — Per esempio? — Per esempio, cos'è l'umanità? Per molto tempo non abbiamo saputo rispondere a questo semplice quesito. Ma ora vi sono delle nuove idee. — E lei sta tentando di scoprirne le implicazioni. — Perché, forse non dovrei? Pensi, amico mio, che tipo di società potremmo costruire con la varietà di specie umane attualmente disponibili. La stessa parola "società" sembra inadeguata a descriverne le trascendenti possibilità. E noi, prigionieri su questa stazione spaziale come un'ultima propaggine della razza umana, siamo liberi di trovare un nuovo destino per le nostre vite. — E quale ruolo gioca il berserker in questa trascendente società che intende forgiare? — Commodoro, la morte fa inevitabilmente parte del mondo della vita, poiché i due eventi sono da sempre legati tra loro. Uno non avrebbe senso senza l'altro. Non è d'accordo? — Forse — fu la replica di un accigliato Prinsep. I piaceri astratti della filosofia non lo avevano mai particolarmente affascinato. — Mi sta dicendo che quando i componenti di questo suo nuovo mondo dovranno morire... — Le sto dicendo che, contrariamente a quanto è sempre accaduto, la loro morte non sarà casuale e priva di significato. Se assume le sembianze di una macchina, la morte può divenire quantificabile, organizzata, gestibile e finalmente utile! Il commodoro guardò fisso l'ex premier. Il volto di Dirac mostrava un'espressione realizzata, soddisfatta, come se davvero credesse in ciò che stava dicendo. — E chi — domandò il commodoro — dovrà quantificare e organizzare, come lei la mette? Chi deciderà quale vita umana dovrà morire con tanto costrutto, e quando, e per quale scopo? Fred Saberhagen
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— Chi deciderà? Le menti con la visione più chiara e più profonda delle cose! Prinsep non cercò di celare la sua rabbia. — Raggiungere un accordo con un berserker menomato, così, più o meno per necessità può anche essere perdonabile... ma ciò che lei sta suggerendo è troppo, troppo ripugnante! Dirac reagì con collera. In termini molto duri ricordò al suo accusatore che per la maggior parte del miliardo di protocoloni contenuti nei depositi della biostazione le sole speranze di un futuro giacevano nella scoperta di un nuovo mondo dove fosse possibile stabilire una nuova colonia. Nessuno li aveva mai voluti da nessuna parte: ecco perché si trovavano lì. Poi sfidò Prinsep a nominare un qualsiasi pianeta solariano di qualunque tipo o civiltà che avrebbe porto un sentito benvenuto a un miliardo di nuovi venuti, accettandoli come normali cittadini e minimizzando il fatto che, indipendentemente da quanto potevano contribuire in futuro allo sviluppo, dovevano comunque essere nutriti ed educati per un buon numero di anni attraverso il difficile periodo dell'infanzia. Prinsep scosse il capo. — Ma lei vuol dare loro la vita solo per i suoi sogni di potere! Saranno delle semplici monete nella trattativa che lei cerca di mettere in piedi con la morte! — Forse. Ma non dimentichi che è solo grazie a questa mia trattativa, come lei la chiama, che siamo ancora tutti vivi. Prinsep ribatté: — Allora lei ammette che il berserker possiede ancora abbastanza forze da provare ad attaccarci? Dirac annuì lentamente. — È più che possibile, commodoro. ' — Lei sembra saperne molto sul berserker... Pian piano l'ex presidente si stava davvero arrabbiando. — In ogni caso ne so più di lei sull'argomento, come dovrebbe facilmente intuire. Lei vive qui nel nostro mondo da pochi giorni appena; io invece ho a che fare con questo problema, il problema di salvare i miei uomini, da più di tre secoli! Lasciando Dirac, Prinsep si aggirò da solo per i ponti e i corridoi della grande stazione spaziale cercando cupamente di decidere se la sola soluzione rimasta era un sanguinoso colpo di mano per ridurre all'impotenza lo spietato presidente. Tuttavia uno scontro armato là dentro avrebbe senz'altro provocato molte vittime, favorendo solo il gioco del berserker. Fred Saberhagen
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Camminando sovrappensiero, il commodoro si addentrò nel territorio di Freya2. Presto si ritrovò di nuovo davanti al cubo di cristallo che conteneva le tre salme. — Peccato che le loro menti non siano state registrate — borbottò ad alta voce. — Immagino che risultasse impossibile farlo quando li hanno portati qui. — Esatto — replicò Freya2. La sua immagine gli aveva dato il benvenuto da un vicino oloschermo. — La mente, la personalità, smette di risultare registrabile subito dopo la morte organica. Tuttavia è possibile, per alcune ore successive alla morte e anche di più con buone condizioni di conservazione, ottenere dalle cellule cerebrali uno schema individuale quantomai preciso, uno schema che naturalmente compare anche nella personalità registrata. Ma questo è tutto ciò che possiamo fare al momento. — Interessante — fu il commento di Prinsep. — Così se per esempio il corpo originale di lady Genevieve fosse ancora disponibile... — Sì, potrebbe venir identificato come il suo in base agli schemi della personalità registrata. Ne abbiamo un esempio tra noi: vede il corpo dell'essere umano chiamato Fowler Aristov? L'ho identificato come la matrice organica di Nick Hawksmoor. Prinsep volse lentamente la testa verso il cubo di cristallo, sbalordito. Poi il suo sguardo tornò alla dolce immagine di Freya2 con i lunghi capelli mossi dalla brezza virtuale. — Dunque, ricominciamo da capo — disse piano. Nick3 venne presto informato delle sue origini da Prinsep. La storia che gli aveva raccontato Freya comprendeva la sua parentela con Dirac, scoperta dal sistema esperto paragonando il codice genetico della salma in suo possesso con quello del presidente che Freya manteneva sempre in memoria. Nick reagì con rabbia davanti alla verità. Un sentimento di collera omicida montò rapidamente in lui, come era accaduto al suo predecessore Nick2 udendo esattamente la stessa cosa. Voleva uccidere per vendetta, cominciando stavolta da Loki. Ma i volumi di memoria di Loki gli risultavano totalmente inaccessibili, in quanto quasi certamente si trovavano negli appartamenti privati di Dirac. Tuttavia, il modo di raggiungerli esisteva: per farlo avrebbe dovuto aspettare che Dirac si recasse altrove insieme a Loki, con quest'ultimo Fred Saberhagen
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obbligato a usare tutta la sua attenzione per proteggere come sempre il suo padrone. Intanto Dirac cercava di conferire un'altra volta col berserker prima di decidere la mossa successiva. Meno preoccupato di prima della possibile scoperta di quel contatto, aveva dato ordine ai sistemi esperti della biostazione di fare tutto il possibile affinché venisse stabilito un contatto video. Voleva mostrare al berserker lo schema del progetto coloniale che intendeva proporgli. Più volte si era chiesto con profonda curiosità come avrebbe scelto di apparire un berserker in un contatto video con un solariano. E finalmente la risposta a quella domanda si palesò ai suoi occhi: una scarica statica continua prese a percorrere l'oloschermo. Nessun segnale video risultava effettivamente in arrivo. Dirac era pronto ad ammettere che il suo piano per una nuova colonia, per un modo diverso di vivere la vita, poteva anche necessitare di qualche altro secolo prima di diventare effettivo. Probabilmente era stato un errore parlarne a Prinsep. Aveva capito fin dal giorno del loro arrivo che il commodoro e i suoi militari non erano disposti a collaborare con lui. No, inutile sperare. Con loro doveva agire in modo decisamente diverso. Passeggiava avanti e indietro nel ristretto spazio libero del suo appartamento privato, volgendo di quando in quando lo sguardo verso quell'alone di nebbia sfrigolante come se sperasse che quella scarica si trasformasse in qualcosa di più significativo. Il piccolo comunicatore che Scurlock aveva portato al premier tempo addietro giaceva dimenticato sul tavolo. Anche Scurlock e Varvara Engadin si trovavano in quella stanza e attendevano ansiosi quanto lui. Finalmente Dirac parlò alla caotica immagine del berserker. — È apparso ovvio fin dall'inizio della nostra alleanza — disse — che ti trovi costretto a operare sotto severe limitazioni fisiche. Questo significa che, per un motivo o per l'altro, l'estensione dei danni che ti sono stati inflitti ti obbligano a limitare l'esecuzione del tuo programmabase. Solo un continuato ronzio elettrostatico ruppe il silenzio in cui caddero quelle parole. Dirac mosse qualche altro passo. — Da tre secoli ormai hai preso possesso di un miliardo di vite solariane, ma ancora ti ritrovi incapace di utilizzarle per il tuo scopo originale. Per un'intelligenza organica ciò Fred Saberhagen
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sarebbe invero molto frustrante. Ritengo che anche tu provi un sentimento molto simile. A quel punto la macchina assassina parlò. Seppur chiara, la sua voce sembrò provenire da molto distante e come sempre venne caratterizzata da sgradevoli toni bassi, come se anche il vago timore così creato servisse a piegare l'infinita resistenza di cui la razza umana si dimostrava capace. — Ho ascoltato le tue parole — disse lentamente — e come sempre ritengo che preludano a qualche proposta di accordo da parte tua. Dirac annuì. — Esatto. Ho un piano a lungo termine da proporti, un grande accordo tra la vita e la morte, tra l'organico e l'inorganico. Certamente un gran numero di dettagli vanno discussi e approfonditi, ma non dubito che troveremo come sempre un accordo. Intanto ho un'immagine olografica da mostrarti. Ma prima ti annuncio che presto, molto presto avrò un'altra unità vivente solariana da inviarti... e forse anche più di una. L'oloschermo nella cabina di Havot si accese, mostrando l'inconfondibile segnale di una chiamata in arrivo. Da quasi un'ora ormai riposava sulla sua branda, da solo e senza dormire, semplicemente lasciando scorrere i pensieri. Si girò verso l'oloschermo e, appoggiandosi a un gomito, disse: — Contatto! La testa e le spalle di lady Genevieve comparvero nel fascio di luce. Senza neppure tirare il fiato, l'immagine di Jenny disse: — Chris, devo vederti immediatamente. Lui la guardò sorpreso. — Non trovi che sia pericoloso, visti gli improvvisi sospetti di tuo marito? Non so se... — Lui non c'è adesso. Vieni prima possibile. Ci vediamo al nostro verde pergolato, là dove mi hai incontrato la prima volta. Verrai, Chris? Havot sospirò, poi sorrise. — E va bene. Ci vediamo entro un'ora. — Vieni subito, ti prego! — E la chiamata terminò. Perplesso e accigliato, Havot cominciò a vestirsi. Aveva quasi terminato quando lo schermo si riaccese nuovamente. — Contatto — ordinò al dispositivo. Stavolta nel fascio di luce comparve la testa di Nick, che non perse tempo in preliminari. — Havot, so che tra poco ha un appuntamento. Non ci deve andare. Non m'importa molto di ciò che può accadere a lei, ma voglio evitare una brutta fine a lady Genevieve. Fred Saberhagen
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I movimenti di Havot, che si stava infilando una giacca leggera, rallentarono fino a fermarsi. — Ma di che diavolo stai parlando? — Quella non era lei. L'immagine sull'oloschermo non era lady Genevieve. — Cosa? — Adesso che qualcuno glielo faceva notare, Havot ricordò che qualcosa di Genevieve era apparso vagamente strano. Hawksmoor annuì. — Era Loki. Può fare queste e altre cose con le immagini e le voci. Non riesce a farle bene quanto me, ma sempre abbastanza bene da servire allo scopo. — E se mi fossi recato all'appuntamento cosa sarebbe successo? Mi avrebbero ucciso? Nick sembrò esitare per un attimo. — Forse sì, ma non subito. In ogni caso avrebbe fatto anche lei una brutta fine, Havot. Loki si trova già sul luogo dell'appuntamento in modalità "tuta spaziale" e una navetta attende per qualche motivo fuori dal portello stagno più vicino, con Scurlock ai comandi. Havot trasse un respiro di sollievo. — Grazie tante per l'avvertimento. — Non l'ho fatto per lei. — Capisco. Be', grazie lo stesso — fece Havot ridacchiando. Poi: — Nick? Un favore ne merita certamente uno in risposta. In una situazione intricata come questa esisterà certamente qualcosa che posso fare per te. Nick3 contemplò Havot per quello che parve un eterno momento. Poi disse: — Un'alleanza tra noi in questo momento sarebbe preziosa davvero: ho un certo piano su come affrontare le cose.
26 A Nick furono necessari solo pochi attimi per localizzare lady Genevieve. Sapeva che in quel momento non si trovava da nessuna parte vicino al luogo del falso appuntamento, e neppure nella sua cabina dove Loki e Dirac la spiavano continuamente a sua insaputa registrando qualsiasi chiamata. Ignara di tutto, Jenny passeggiava invece sul ponte che ospitava il laboratorio per visitare infine, su consiglio di Freya, il decaedro della biostazione. Perché Genevieve provava in quei giorni la bruciante necessità di capire, di ricordare per intero gli avvenimenti della sua vita passata. Tre secoli prima, come sposa di Dirac, era salita a bordo di quella Fred Saberhagen
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stazione spaziale per una breve visita finalizzata a uno scopo speciale. Dopo essersi separata dal suo virgulto, maschio o femmina che fosse (in effetti non ricordava di aver chiesto il sesso del nascituro) e averlo lasciato nelle mani vagamente comprensive dei dottori e delle loro macchine, la giovane first lady era stata evacuata per trovare un'orribile morte a bordo di un piccolo cargo. O almeno, questo era ciò che tutti credevano. La sua donazione di tre secoli prima, poche cellule tecnicamente chiamate "zigoti", era quindi stata assiduamente cercata da suo marito fin dal primo momento in cui era salito a bordo della biostazione, invano. Evidentemente quel contenitore era davvero andato perduto in seguito alla cancellazione dei file d'archivio eseguita da Hoveler con insperato successo. In ogni caso, pensò mentre seguiva lo sviluppo dell'elaborata proiezione suggerita da Freya, su una cosa suo marito aveva ragione: per il miliardo di protopersone conservate nei depositi della biostazione sarebbe esistito un futuro solo su un nuovo mondo, un pianeta dove fosse possibile stabilire una colonia solariana. La fanatica determinazione con cui Jenny si era attaccata al proprio corpo ritrovato non l'aveva più lasciata. Tuttavia, ormai provava solo odio e disgusto per suo marito. E lui si stava dimostrando geloso nei suoi confronti non perché fosse interessato a lei come donna ma perché non tollerava che qualcosa mettesse in dubbio il suo dominio su ciò che considerava di sua proprietà, legittimamente o meno. Recentemente Dirac, in un attacco di gelosia, l'aveva minacciata di qualcosa di molto peggio che non un'eterna ibernazione: una nuova registrazione, seguita da una riprogrammazione simile alle due già inflitte a Nick. Secoli prima, quando quella stazione spaziale funzionava normalmente come centro di ricerche biologiche, il suo decaedro era uno degli strumenti di ricerca favoriti a bordo, come del resto accadeva in tutti i laboratori analoghi sparsi un po' ovunque nei settori solariani della galassia. All'interno di quella struttura i ricercatori potevano facilmente ingrandire un microscopico zigote, e persino una singola cellula o una singola molecola, fino a raggiungere le dimensioni di una stanza o quelle dell'abbazia di Westminster, naturalmente adattate al volume molto più modesto (mille metri cubi) di spazio realmente disponibile. Questo offriva Fred Saberhagen
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loro la possibilità di osservare nei minimi dettagli i componenti stessi della vita modellati dai diversi programmi del decaedro con la materia polifasica presente nella camera virtuale. Utilizzando questi modelli, i ricercatori potevano ottenere con estrema esattezza la visuale desiderata; dopodiché, grazie a complessi attrezzi miniaturizzati potevano intervenire ovunque fosse necessario, alterando molecole individuali e persino atomi. In condizioni normali, uno degli usi più importanti del decaedro della biostazione era stato lo studio degli esemplari individuali come primo passo verso futuri esperimenti genetici. Freya naturalmente non aveva bisogno di quel tipo di aiuto per comprendere gli schemi e le varie correlazioni fisiche. Lo stesso valeva per Nick. Ma agli esseri umani organici quelle proiezioni risultavano utilissime per capire dove intervenire. Quel giorno, con qualche sorpresa, Nick trovò Genevieve tra gigantesche rappresentazioni di molecole complesse per quella che probabilmente era la sua prima, seria occhiata alle origini stesse dell'uomo, all'architettura della genetica. Lei vide Nick attraverso le lenti del casco virtuale e lo salutò distrattamente. Lui si trattenne dal riferirle il motivo della sua presenza lì abbastanza a lungo da darle una brevissima lezione di biogenetica, spiegandole ciò che stava osservando. Lady Genevieve parve impressionata da tutte quelle spiraleggianti, sinuose complessità. — Allora, è così che siamo — commentò. — Solo all'inizio, milady; o meglio, questo è il nostro aspetto quando ci siamo appena lasciati dietro la linea di partenza... o quando dobbiamo ancora arrivarvi, a seconda di come uno vede le cose. — Parli come se questo ti riguardasse, Nick. Ma purtroppo non è così. — Jenny, c'è qualcosa che ho appena appreso su me stesso. Qualcosa che anche tu devi sapere. Mentre spiegava a Genevieve le recenti scoperte sulle sue origini, Nick conduceva simultaneamente due altre operazioni che non poteva, non doveva rimandare. Per prima cosa agendo in discreti intervalli di microsecondi, frazioni di tempo rubate alla conversazione con Jenny, operò in modo da ingannare Loki riguardo la vera posizione di Havot. Fred Saberhagen
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E difatti Havot, protetto dalla sua tuta corazzata e pronto a far fuoco con l'arma a raggi, stava per prendere Loki di sorpresa tra le fronde del ponte coperto di vegetazione, avvicinandolo da una direzione in cui la guardia del corpo virtuale non si sarebbe mai aspettata di vederlo. Il giovane uomo avanzava tenendosi in continuo contatto con Nick mentre questi, utilizzando varie macchine su quel ponte sottoposte al suo controllo, distraeva Loki con leggeri rumori per celare i tranquilli movimenti di Havot alla sua sensibile percezione . elettronica. Infine, Havot si fermò con massima tranquillità davanti a una paratia mobile che gli bloccava la strada. In silenzio impugnò il fucile con entrambe le mani. Sempre in silenzio, Nick fece scivolare la paratia sui suoi binari; appena oltre, Havot vide il lussureggiante corridoio dove aveva l'appuntamento. E a meno di dieci metri di distanza vide anche Loki. La guardia del corpo elettronica di Dirac lo attendeva con la tuta corazzata; la sua attenzione sembrava fortunatamente altrove in quel momento. Un attimo più tardi gli parve di udire dei passi in lontananza, ma Nick gli spiegò che aveva attivato un robot servitore istruendolo affinché riproducesse il suono di passi umani per creare un finto Havot, una pseudo vittima che si dirigeva dritto dritto verso la propria fine, seppur con qualche esitazione. E Dirac dov'era? Per un istante Nick si spaventò a morte pensando di aver perso le tracce del presidente. Ma... no, eccolo là in una piccola stanza proprio accanto al luogo dove Loki aspettava. Come sempre in quei giorni il vecchio despota era curioso, geloso e preoccupato per il comportamento ribelle di sua moglie. Ma almeno in quel momento l'ex premier pareva del tutto dimentico di Genevieve. Attento a mantenere un continuo contatto con Loki e con Scurlock, muoveva avanti e indietro nella stanza dando le ultime istruzioni affinché il rapimento di Havot avvenisse senza colpo ferire. Sempre parlando con Jenny, Nick condusse una terza operazione altrettanto importante se non di più. In modalità "tuta spaziale" irruppe violentemente nell'alloggio di Dirac; il suo ingresso fece scattare diversi allarmi che, al momento, suonarono inascoltati. Seguì la detonazione di qualche sorta di mina antiuomo. L'esplosione ebbe un successo solo parziale sulla tuta corazzata di Nick, che perse una gamba all'altezza del ginocchio e cadde a terra. Fred Saberhagen
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Ma questo non bastò certo a fermarlo. Anche danneggiata, la figura corazzata si avvicinò strisciando ai volumi di memoria di Loki, tre crani umani di circuiti nascosti dietro un pannello di una vicina paratia. Un attimo più tardi Nick annientava l'odiato Loki dando fuoco all'intero assieme. Sull'altro ponte, all'ultimo momento possibile l'incarnazione di Loki che attendeva Havot si accorse della minaccia dietro di lui. La sua figura corazzata scattò in un'azione evasiva a velocità sovrumana, ma la guardia del corpo elettronica era stata programmata per prendere Havot vivo, non per ucciderlo. Pertanto Loki dovette estrarre la pistola dalla fondina prima di rispondere al fuoco, e quell'attimo di ritardo si rivelò fatale. Una volta tanto le reazioni optoelettroniche si dimostrarono troppo lente. Il fucile ad attivazione cerebrale di Havot avvampò di brucianti raggi, vomitando impulsi di pura forza in grado di penetrare qualsiasi tuta. E a bersaglio giunse un numero di colpi sufficienti a squassare l'ultima versione esistente dell'arcigno Loki. Ma ora ciò che stava avvenendo fuori dal decaedro richiedeva la totale attenzione di Nick. Quando abbandonò all'improvviso lady Genevieve, proprio mentre i rumori della battaglia e delle sirene antincendio giungevano alle orecchie di lei, la giovane donna rimase semplicemente terrorizzata. L'inaspettato fragore della battaglia interruppe anche una riunione che Prinsep stava tenendo con Tongres, Dinant, Anyuta Zador e il dottor Hoveler. Giusto poco prima, Prinsep aveva detto ai presenti che non sembravano esistere alternative a un diretto attacco al berserker; tuttavia il momento dell'attacco dipendeva in larga misura dalla sistemazione di alcune questioni con Dirac. E a quel punto diversi tra i presenti affermarono che prima di tentare un'azione tanto disperata era necessario porre termine all'autorità assoluta di Dirac, e ai suoi contatti col nemico. Quando Dirac vide con immenso orrore i pezzi della tuta corazzata di Loki sparsi ovunque nel corridoio pieno di fumo e rovine e quando la Fred Saberhagen
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guardia del corpo elettronica mancò di rispondere alla sua chiamata d'aiuto, l'ex premier comprese che era stato privato almeno temporaneamente del suo più valido e leale servitore. Intravedendo per un attimo Havot alla distanza gli sparò alcuni colpi di pistola, ma senza risultato. Poi il presidente, con la mente semiparalizzata dalla paura e dalla rabbia, si precipitò verso la navetta in attesa fuori dalla camera stagna più vicina, dove Scurlock era pronto a portarlo via di lì. Prinsep e i suoi uomini ascoltarono sbalorditi i fatti confermati dallo stesso Nick. Primo, Loki era stato distrutto in un attacco in due tempi. Secondo, Dirac, accompagnato da Scurlock, era fuggito dalla biostazione a bordo di una navetta che non aveva puntato verso l'astronave, dove i due fuggitivi sarebbero presto stati alla mercé di Nick, ma verso il berserker. Evidentemente l'ex presidente aveva gettato la maschera ed era corso a cercare rifugio presso quello che considerava il suo ultimo alleato, sicuro forse di riuscire a convincerlo a collaborare con lui per riconquistare assieme il controllo sulla biostazione e sul prezioso carico contenuto nei depositi. Christopher Havot, uscito senza un graffio dal pericoloso scontro armato, sorrideva e discorreva amabilmente pronto a prender parte a qualsiasi piano imbastito dal commodoro per chiudere definitivamente la partita. Esaminando la situazione con obiettività, comunque, dovette riconoscere che Dirac aveva ancora molte possibilità di vincere quel complicato confronto, forse anche più di loro. Decisione e spietatezza contavano un sacco in quelle faccende, come lui sapeva bene. Inoltre l'ultima cosa che in effetti voleva era tornare alla civiltà, dove presto o tardi sarebbe stato preso e imprigionato per i suoi crimini passati. Tuttavia l'idea di unirsi a Dirac gli dava semplicemente la nausea. E comunque, cosa contavano tutti quei pensieri sul futuro se uno li paragonava alla gioia del momento? Si stava divertendo come mai in vita sua! Hawksmoor, ancora vagamente sensibile all'obbligo di proteggere la vita umana incorporato nei suoi programmi, provava una profonda preoccupazione riguardo la prospettiva di un prolungato, sanguinoso conflitto tra le due fazioni solariane. Tutto questo risultava profondamente Fred Saberhagen
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sbagliato, soprattutto con un berserker attivo che attendeva solo di raccoglierne i frutti. Nick ci pensava continuamente. Ma soprattutto pensava a suo padre, a ciò che stava facendo in quel momento e a ciò che avrebbe fatto in futuro. E quindi, parlando con il commodoro, il pilota virtuale disse: — Se Dirac ha trovato rifugio nel berserker... be', dobbiamo andare a riprenderlo.
27 Dopo aver convocato una riunione con tutti i suoi uomini e alleati, Prinsep guardò con qualche preoccupazione le persone sedute in cerchio vicino a lui. C'erano Havot, Hoveler e Zador, il luogotenente Tongres ed Ensign Dinant. Lady Genevieve, Carol e Varvara avevano invece declinato l'invito a partecipare ed erano rimaste nelle loro stanze, mentre Nick montava la guardia pronto a intervenire se vi fosse stato bisogno di lui. Per prima cosa, il gruppo esaminò attentamente l'elenco delle risorse e dei problemi; dopodiché giunse il momento di discutere le possibilità di sopravvivere alla presente situazione ed eventualmente di tornare a casa. Prinsep iniziò dichiarando di voler momentaneamente rinunciare all'autorità conferitagli dal grado militare, aggiungendo che per prendere una decisione grave come quella che andava presa tutti avevano il diritto di esprimere le proprie opinioni. Percependo un certo incoraggiamento sui volti dei presenti, il commodoro continuò a parlare. A parer suo, adesso che Dirac aveva svelato il suo vero volto non vi era più alcun motivo di rimandare l'assalto armato al berserker, morto o morente che fosse. Infatti affrontare direttamente il mostro metallico era l'unico modo di ottenere i mezzi per tornare a casa. Era vero, concesse il commodoro, che portare il confronto alla sua conclusione finale poteva rivelarsi un suicidio, anche perché la totale vittoria non rappresentava che il primo passo. Dopo avrebbero dovuto studiare i motori del berserker, smontarli e modificarne in modo radicale i componenti per poterli adattare ai motori dell'astronave. Un'impresa del genere avrebbe presentato eroiche difficoltà, ma non era del tutto impossibile. Un piano alternativo, che tutti però giudicarono ugualmente rischioso se non di più, consisteva nel pacificare adeguatamente il berserker, prenderne Fred Saberhagen
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il completo controllo, ricavare dei locali abitabili al suo interno e condurlo in qualche modo nelle vicinanze di una rotta commerciale. A quel punto dovevano necessariamente abbandonarlo per non venir distrutti dalle astronavi armate solariane, limitandosi a lanciare un continuo Sos stipati in una delle navette e a confidare nella sorte. Dopo un attimo di pausa fu Ensign Dinant a intervenire. Il giovane ufficiale affermò senza mezzi termini che a parer suo un assalto al berseker si sarebbe rivelato un disastro. — Per un pugno di uomini come noi, armati alla meno peggio, abbordare un berserker di queste dimensioni equivale praticamente a un suicidio. Sarà una carneficina. Secondo me quel mostro maledetto ha ancora delle sorprese in serbo per noi. E anche se così non fosse, sentendo la fine avvicinarsi avrà riempito ogni angolo della sua carcassa di trappole antiuomo. Tutti i berserker lo fanno. Dovremo combattere ed eventualmente lavorare tra mine e chissà quali altri micidiali aggeggi pronti a scattare! — Tuttavia, aggiunse, era pronto ad accettare la decisione del commodoro. La giovane e spavalda Tongres era come sempre di diversa opinione. — Certo, qualsiasi berserker si imbottisce di trappole quando sente la fine avvicinarsi: ma solo se può. E questo, a parer mio, non ha potuto. La totale rovina dei suoi circuiti deve averlo preso di sorpresa, come dimostra il fatto che non ha reagito all'avvinarsi della nostra astronave. Io dico che dobbiamo provarci, mandando semmai un robot in avanscoperta. Se Nick volesse provare a trasmettere se stesso, potrebbe cercare di penetrare nei circuiti di quel colosso tramite una delle sue antenne esterne: deve averne un certo numero utilizzabili in questo senso. E se anche questo non funziona, può tentare qualcosa animando una tuta corazzata. Un buon numero di tute spaziali di vari modelli era subito disponibile: oltre a quelle dell'equipaggiamento standard della biostazione vi erano quelle, più moderne, portate dai nuovi venuti. Anche le armi non mancavano: tra fucili e pistole, ai solariani non faceva certo difetto la possibilità di combattere efficacemente qualsiasi berserker, posto naturalmente che non fosse molto più grande delle normali unità d'assalto. Quando Prinsep lo convocò, Nick comparve quanto prima sull'oloschermo pronto a riferire importanti informazioni tecniche. L'attuale distanza fisica tra la biostazione e l'enigmatico berserker assommava a soli cento, centocinquanta metri, una distanza che era variata più volte nel corso del lungo viaggio. Fred Saberhagen
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I campi di forza con cui tre secoli prima il bandito alieno aveva trascinato con sé la struttura solariana erano però forti come all'inizio, per quanto Hawksmoor o chiunque altro sulla biostazione potesse verificare. Tongres e Dinant, entrambi ingegneri, concordarono nell'affermare che simili campi magnetici necessitavano di continua alimentazione per poter risultare abbastanza efficaci da mantenere la presa sulla pur grande stazione spaziale. E quindi, almeno a quel livello, il berserker era ancora attivo. Le lunghe discussioni sulla condotta da tenere si risolsero alla fine con una votazione. Ma anche così finì in parità, con Prinsep, Havot e la coraggiosa Tongres che votarono per abbordare il berserker e Dinant con i due scienziati decisamente contrari. Prinsep si guardò attorno per poi posare lo sguardo sull'oloschermo. — Nick, tu cosa dici? L'entità optoelettronica aveva seguito la votazione nel massimo silenzio, incerto forse se a lui spettasse il diritto di esprimersi. Ma ora non dimostrò la minima esitazione. — Dirac è sul berserker. Dobbiamo catturarlo! Quando giunse il momento di discutere le strategie, Hawksmoor si dichiarò assolutamente contrario a provare a penetrare nel berserker in forma elettronica. Poteva ottenere risultati migliori con meno rischi provando a entrare con una tuta spaziale, guidata da una copia di se stesso fisicamente alloggiata presso il minicomputer che ne controllava le funzioni. L'idea venne accettata e Nick informò lady Genevieve che avrebbe lasciato i suoi volumi di memoria originali in un posto a lei noto, dove poteva prontamente attivarli in caso di necessità. Dopo un'ora trascorsa in preparativi la squadra d'assalto armata (di cui faceva parte anche Dinant, fedele alla parola data) si riunì nell'hangar, salì su una navetta e qualche attimo più tardi abbandonò la biostazione uscendo dal lato nascosto al berserker. Questo venne deciso con la speranza che, almeno sul momento, la gigantesca macchina aliena non si accorgesse delle loro intenzioni. La squadra disponeva di parecchi ripetitori miniaturizzati, grazie ai quali sperava di mantenere un continuo contatto con le persone rimaste sulla biostazione. Anyuta Zador e il dottor Hoveler, rimasti al loro posto nel laboratorio, avevano promesso di fare tutto il possibile per aiutarli Fred Saberhagen
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nell'impresa. Sia il bioingegnere Hoveler che la dottoressa Zador continuavano a considerare il miliardo di inermi protocoloni stivati nei depositi come altrettanti fratelli e sorelle ancora dormienti. Hoveler si rammaricava apertamente del lavoro svolto sotto Dirac, una lunga serie di esperimenti radicali che a volte erano risultati sconvolgenti per la natura dell'embrione prescelto. Entrambi gli scienziati mantenevano un forte sentimento di affinità con la fitta orda di protopersone, e la maggior parte di coloro che vivevano sulla biostazione provavano sentimenti analoghi. Abbandonando la grande struttura spaziale, il luogotenente Tongres compì un ampio giro a velocità ridotta per poi avvicinarsi al berserker da una diversa direzione. Attraverso gli oblò della navetta lo spazio circostante sembrò premere da ogni direzione, le nebbie polverose della Mavronari che sempre più si chiudevano sugli intrusi umani e berserker. Il pericolo non era probabilmente immediato, ma cresceva ogni giorno di più. Le ultime speranze di una rapida fuga sarebbero scomparse nel giro di pochi anni. Tuttavia i tempi potevano venir accelerati dalle turbolenze generate dall'intrusione del grappolo di oggetti nella nebulosa, dove l'onda d'urto curva di un'astronave o di un grande berserker poteva produrre qualcosa di analogo a una forte onda sonica proiettata contro una catena di ripide montagne cariche di neve. E adesso la massa del berserker grande quanto un planetoide occupò l'intero spazio davanti a loro, sterile panorama di antichi sfregi e di possenti quanto micidiali cannoni. Ricordava quasi la surrealistica maledizione lanciata contro la guerra da un artista. Aggrappandosi tenacemente alla speranza di non venir notati dalla terribile macchina che li teneva prigionieri, Tongres condusse la minuscola navetta lungo il margine curvo di un tentacolo di pura forza magnetica. E nonostante si trovassero al riparo e avvolti dalle tute corazzate, gli occupanti della navetta provarono la sgradevole sensazione di venir attratti e respinti, prima una cosa e poi l'altra, come se qualcosa di simile alle forze di marea cercasse di far presa sui loro corpi racchiusi nelle soffocanti corazze. Ma ancora peggiore era la presa della paura, che diveniva malgrado tutto sempre più intensa. Che il berserker stesse in realtà consentendo loro di cacciarsi in trappola da soli prima di radunare le sue ultime forze e finirli definitivamente? Fred Saberhagen
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In realtà la traversata, seppur eseguita a velocità ridotta, fu molto breve. Presto si liberarono dell'influenza dei campi di forza e con morbida gentilezza Tongres portò la navetta in prossimità dello sfregiato scafo nemico. Silenziosa e furtiva quanto più possibile, la squadra solariana sbarcò. Naturalmente non c'erano camere stagne da passare o gravità artificiale; nulla là sopra era fatto per l'uomo. Seguendo il piano tattico, Prinsep mosse per primo seguito da Havot e da Nick. I tre avanzarono in una fila irregolare lungo la superficie annerita, cercando qualche modo per entrare e sperando che il leggero magnetismo delle loro suole non venisse rilevato dagli strumenti del mostro meccanico. Ensign Dinant cercò di combattere la sensazione che un freddo raggelante irradiato da quelle antichissime strutture metalliche riuscisse a penetrare la sua tuta spaziale. Era acutamente conscio di ogni passo che compiva o di ogni movimento delle mani mentre con gli altri muoveva, si arrampicava e passava attraverso le sezioni di uno scafo che poteva esser stato costruito ai primordi stessi dell'uomo. Prinsep invece avanzava con passo sicuro come se sapesse cosa cercare e dove trovarlo. Inutile per un berserker contrassegnare chiaramente i suoi portelli per la comodità di visitatori umani, e difatti nulla era marcato. Tuttavia qualsiasi astronave, qualsiasi macchina di quelle dimensioni aveva degli accessi di qualche tipo. E ovunque intorno a loro si aprivano accessi casuali, i danneggiamenti di una decina o forse un centinaio di battaglie combattute nell'arco di migliaia di anni. Continuando a mantenere un assoluto silenzio radio, il commodoro indicò qualcosa e fece cenno alla squadra di fermarsi. A poca distanza si apriva un ampio cratere, un punto in cui la corazza del berserker era stata squarciata da qualche arma di infernale violenza. Lo strato metallico spesso quanto una casa appariva bruciato, slabbrato e arricciato su se stesso. Nella profonda cavità sottostante, le torce degli assalitori illuminarono complesse strutture metalliche che facevano probabilmente parte di una seconda corazza difensiva. Nick scese da solo per dare un'occhiata. Ma a un certo punto si fermò, scosse visibilmente l'elmetto vuoto e tornò indietro. Non aveva visto alcun Fred Saberhagen
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passaggio praticabile che permettesse loro di penetrare all'interno. Con inesorabile pazienza Prinsep condusse la sua banda di avventurieri per un lungo e zigzagante cammino fatto di vertiginose arrampicate, di spostamenti col propulsore, di cauti attraversamenti, fino a percorrere circa un quarto dello scafo ovoidale del berserker. Due volte si fermarono per sistemare un piccolo ripetitore. Di quando in quando le loro tute risuonavano di una vibrazione cupa e terrorizzante, generata con tutta probabilità dagli sbuffi di polvere nebulare quasi palpabili che cozzavano contro la rigida armatura che li avvolgeva. Dinant cominciò a quel punto a pensare che non sarebbero mai riusciti a entrare. La prospettiva di tornare indietro gli fece uno strano effetto, per metà depressione e per metà gioia. Ma pochi minuti più tardi il commodoro trovò un accesso più promettente. In questo caso una potente scarica era penetrata in un cratere già aperto in precedenza vanificando lo sforzo compiuto per chiuderlo, squarciando la tuta esterna e creando un'apertura che penetrava appieno il tremendo spessore dell'antico e devastato scafo alieno. Con il commodoro alla testa, il drappello di uomini armati vi penetrò cautamente. Qualche attimo più tardi si ritrovarono in una nuova regione surrealista, priva naturalmente di aria e di luce, circondati da forme e strutture dallo scopo non immediatamente identificabile. Prinsep decise di autorizzare comunicazioni radio limitate e in codice. Avanzando con le luci delle tute corazzate spente ma con i visori degli elmetti configurati per uno spettro alquanto ampio, incluso l'infrarosso, la pattuglia solariana comprese presto di trovarsi sulla corazza interna, collegata a quella esterna per mezzo di gigantesche colonne e montanti di vario genere. La corazza interna si estendeva a destra e a sinistra, avanti e indietro, tanto grande che sembrava di trovarsi sotto un immenso spazioporto. Anche qui spiccavano ovunque i segni delle passate battaglie, ma non parevano rovinosi come sullo scafo esterno sopra di loro. Tuttavia intere sezioni del pavimento mancavano, mentre dei tagli netti in altri punti tradivano il tentativo di recuperare quanto più materiale possibile per salvare delle parti più vitali. Quella macchina necessitava senza dubbio di profonde riparazioni, o addirittura una ricostruzione completa da eseguire Fred Saberhagen
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dopo averla portata in un'orbita sicura. Gli invasori solariani si spinsero con disperata decisione sempre più lontano; molte volte dovettero tornare indietro o cambiare strada in quel tenebroso labirinto alieno. — Guardate! Un accesso sufficientemente grande si delineò su una parete. Con tutta probabilità dava su un passaggio di servizio concepito per gli automi della manutenzione. La porta metallica era aperta, e Prinsep usò il suo fucile per saldarla in quella posizione prima di oltrepassarla col resto dei suoi uomini. Ora gli invasori umani erano davvero penetrati dentro il loro immenso nemico. La vaga speranza di riuscire in qualche modo a raggiungere il cervello centrale del berserker cominciò a farsi strada nelle loro menti. Ma presto divenne chiaro che la macchina assassina non era del tutto inattiva. La squadra percepì vibrazioni occasionali, pesanti movimenti alla distanza e quindi un lampo di luce bianca che rivelò tutt'intorno a loro contorte forme aliene dallo scopo sconosciuto. Il fugace lampo di luce raggelò tutti. — Cos'era? — scattò Havot, insolitamente nervoso. Il commodoro rispose con un mezzo grugnito. — Non lo so. Forse sta saldando qualcosa, compiendo delle riparazioni... La squadra d'assalto continuò ad avanzare. Alcuni degli invasori conobbero dei momenti di quasi panico. E il loro obiettivo parve di nuovo estremamente remoto, forse impossibile da raggiungere. Ma Prinsep insistette metodicamente. Continuando a esplorare la fredda e mastodontica macchina, incoraggiò se stesso e gli altri sottolineando la totale mancanza di qualsiasi resistenza alla loro avanzata. La squadra armata continuò a cercare, anche se con penosa lentezza. Due o tre volte fu necessario allargare delle piccole aperture per consentire il passaggio di un essere umano avvolto dalla tuta spaziale. Durante queste operazioni Nick precedeva il gruppo, tagliando e addirittura facendo esplodere paratie intermedie e porte chiuse. Poi, all'improvviso, Prinsep fermò i suoi uomini. Consultò con molta attenzione gli strumenti incorporati nella tuta e quindi richiamò l'attenzione dei suoi compagni su un fatto molto strano. Fred Saberhagen
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— Ci dev'essere una perdita di ossigeno qui da qualche parte. Rilevo anche tracce di elio e azoto, come se provenissero da un settore pieno di aria respirabile. — Dirac! Forse i tre traditori che cerchiamo sono qui. Questa cosa dannata deve aver attrezzato uno spazio per farvi vivere coloro che lo servono. — Be', sarebbe ragionevole. Sappiamo per certo che ha già avuto Carol e Scurlock a bordo. — Vediamo un po' se riusciamo a trovarli! Le tracce di atmosfera vennero perse, ritrovate, poi nuovamente perse e ritrovate più evidenti. Tutto sembrava indicare che qualche tipo di sistema di supporto vitale fosse operativo all'interno del berseker, o lo fosse stato fino a qualche tempo prima. — Metallo degli edificatori — commentò intanto Dinant dopo aver staccato un pezzo da uno squarcio delle pareti e averlo analizzato con un dispositivo che si era portato dalla biostazione. La giovane luogotenente Tongres fu subito pronta a ironizzare. — Perché, ne dubitava? Questo è un berserker, poco ma sicuro. Solo che è un berserker molto, molto antico, uno dei primi, costruito quando ancora sulla Terra doveva nascere l'homo sapiens. E ora è moribondo come solo un berserker può esserlo. Sì, i motori funzionano, e qualche generatore... tuttavia, il furto della biostazione è certamente stata la sua ultima impresa. — E va bene. Antico lo è certamente. Esausto potrebbe darsi. Incapace di reagire con l'aggressività dei berserker... lo abbiamo constatato tutti. Ma come può sentirsi tanto certa che sia morto? — Ma guardate dove siamo! Guardate cosa ci consente di fare! Da quanto la biostazione è attaccata alla sua coda? Il suo cervello non può, non può essere attivo. È pur sempre un berserker: in mancanza di meglio, piuttosto che farsi abbordare avrebbe accelerato fino ad autodistruggersi nella polvere della nebulosa, e noi con lui. E a quel punto un nuovo lampo di luce squassò le tenebre. Veniva da fuori, da qualche punto dello scafo esterno. Continuando a cercare, la squadra d'assalto solariana giunse finalmente a un passaggio dove le tracce di gas atmosferici risultavano molto, molto forti. Tutti avvertivano inoltre la presenza di qualche tipo di gravità artificiale nelle vicinanze. Ma a quel punto, naturalmente senza alcun Fred Saberhagen
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preavviso, un profondo terrore raggelò le velleità del gruppo. Non molto lontano, al massimo cinquanta metri, un certo numero di piccole unità berserker fu visto percorrere un lungo e buio corridoio. Ma fortunatamente per gli invasori solariani, gli automi non sembrarono accorgersi di loro. Forse erano solo robot di servizio, ma in ogni caso la loro presenza attiva indicava che il grande berserker non era ancora del tutto inerte. A questo punto venne ricevuto il primo messaggio dalla dottoressa Zador. Un segnale inquietante, perché l'accordo era di non comunicare via radio tra il berserker e la biostazione a meno che non accadesse qualcosa di estremamente grave. Il messaggio consistette di un amalgama di suoni alquanto confusi che indicò che perlomeno la catena di piccoli ripetitori funzionava, anche se a malapena. Le poche parole distinguibili non furono certo rassicuranti. — C'è una battaglia in corso nello spazio... Qualche altra parola risultò percettibile a intermittenza. In sostanza, il messaggio della dottoressa Zador diceva che quei lampi notati anche dalla squadra di Prinsep erano dovute alle esplosioni di un combattimento. A giudicare da ciò che lei e Hoveler potevano intuire dall'osservazione diretta attraverso gli oblò, qualche tipo di forza attaccante aveva fatto irruzione sulla scena bersagliando la formazione di tre oggetti, berseker, biostazione e astronave. Ma gli attaccanti dovevano fare i conti con una fiera opposizione proveniente da una fonte non identificata. A un certo momento le parole di Annie lasciarono capire che piccole unità di qualche tipo stavano tentando di abbordare direttamente la biostazione. Il corpo di Prinsep era rigido dalla concentrazione. — Annie, riesce a capire chi sono? Non la sento più. Annie, mi sente? — ...battaglia... un altro... E per il momento, quello fu tutto. Quando il contatto con la dottoressa Zador cadde in modo tanto repentino, Nick informò di gran fretta Prinsep che intendeva abbandonare la spedizione e tornare alla biostazione con il propulsore per difendere la sua amata Jenny a tutti i costi. Il commodoro riacquisì d'incanto tutta la sua autorità militare. — Tu non ti muovi di qui, Nick! Non hai forse lasciato una copia di te stesso a bordo della biostazione per casi come questo? Devi restare con noi! Tornare Fred Saberhagen
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indietro creerebbe solo maggiore confusione. Dirac è qui, il cervello del berserker è qui: non capisci che dobbiamo annientarli entrambi se vogliamo uscire finalmente da quest'incubo?
28 Dan Hoveler, come sempre molto impacciato in una tuta corazzata, afferrò un fucile e uscì dal laboratorio lanciando ad Annie quello che si augurò non essere il suo ultimo saluto. Dopodiché corse a difendere il prezioso carico dei depositi: solo qualche istante prima il cervello optoelettronico della biostazione, che lavorava in stato di massima allerta, aveva annunciato la presenza intrusiva a bordo di quelle che sembravano due unità d'assalto berserker, penetrate all'interno da due diversi accessi. Annie Zador invece, anch'essa armata e corazzata, rimase al suo posto di combattimento nel laboratorio. L'enorme struttura metallica oscillò e vibrò paurosamente mentre Hoveler passava di ponte in ponte. La battaglia avvampava più violenta e più vicina di prima e le esplosioni circondavano il grappolo di astronavi da tutte le parti. Ma ancora i due occupanti della stazione spaziale non erano in grado di dire chi combattesse contro chi: fino a quel momento infatti nessuno dei contendenti aveva compiuto il minimo sforzo per contattarli. Mentre correva goffamente nella sua tuta corazzata, Hoveler continuò a ricevere rapporti regolari dal cervello della biostazione che lo aiutarono a intuire la posizione degli intrusi. Fu vagamente sorpreso nell'apprendere che nessuno dei due berserker puntava sui depositi, come in qualche modo si aspettava. Ma forse dare per scontata una cosa del genere era irrazionale, vista la lunga e peculiare storia dei berserker. In ogni caso, per un motivo o per l'altro entrambi gli intrusi convergevano verso il ponte che conteneva quasi tutte le incubatrici. Anche un certo numero di embrioni inermi (solo Freya sapeva esattamente quanti, e forse Dirac) si trovavano in quelle incubatrici, riservati al laboratorio semisegreto di Freya2. Dan Hoveler corse quanto più poté, facendo del suo meglio per precedere gli assassini metallici anche se sapeva di avere poche speranze di sopravvivere allo scontro. Qualche attimo più tardi voltò di corsa un angolo... e si ritrovò nel bel mezzo di un micidiale scontro a fuoco, combattuto con armi molto più Fred Saberhagen
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pesanti della sua. Uno dei suoi piedi corazzati scivolò su un grosso grumo di metallo appena fuso e lui cadde clamorosamente a terra di schiena, brancolando come una tartaruga rovesciata. Tuttavia, senza dubbio fu quella caduta a salvargli la vita mentre l'intero corridoio attorno a lui bruciava del fuoco di numerose esplosioni. Raggi di pura forza si riflettevano sulle paratie colpendo come grandi martelli la sua tuta corazzata. Gli ci volle qualche secondo prima di capire che i numerosi colpi che passavano a pochi centimetri dal suo elmetto non erano rivolti a lui. Là alla sua destra, a non più di dieci metri di distanza, la temuta forma di un'unità d'assalto berserker acquattata sul suo grappolo di zampe metalliche faceva fuoco con due armi gemelle che spuntavano da altrettante rientranze sul dorso. Hoveler ebbe la sognante sensazione di veder partire uno a uno i luminosi impulsi di pura energia, come al rallentatore. Alla sua sinistra invece, comparsa alla vista dopo che ebbe rotolato su se stesso in cerca di riparo, vide quello che sembrava il gemello del primo automa: solo che i due sparavano uno contro l'altro! Lo scontro non poteva continuare a lungo con quell'intensità. L'automa alla sua sinistra perse diverse zampe e cominciò pian piano ad abbassarsi. Il suo dorso metallico venne colpito in rapida successione da tre potenti scariche, e un attimo più tardi la sua forma minacciosa cadde definitivamente nel corridoio trasformato in un marasma di fumo, fiamme ed eruttante distruzione. Il fragore della battaglia combattuta nel ristretto spazio cessò improvvisamente. Un silenzio quantomai irreale avvolse la scena, rotto solo dai gemiti delle torturate paratie metalliche del corridoio. Hoveler, stordito dai colpi incassati nonostante la tuta corazzata, si rialzò dapprima in ginocchio e poi in piedi. Come se osservasse la scena da grande distanza notò che il corridoio appariva completamente distrutto, l'aria tremolante per il tremendo calore che aveva fuso il metallo delle paratie. Senza la tuta corazzata sarebbe stato bruciato, incenerito in un secondo. Sopra di lui, le bocche del dispositivo antincendio cominciarono a irrorare il settore di liquido trattante. Fu allora che si accorse che uno dei due berseker era ancora attivo. Con le ginocchia che tremavano, conscio della sua lentezza organica e Fred Saberhagen
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sapendosi surclassato in partenza come guerriero, Hoveler alzò di scatto il suo fucile. Ma la sua presa si rivelò parecchio instabile: la canna del fucile, maledetta lei, tremava in modo incontrollato impedendogli di prendere la mira. Intanto a dieci metri da lui l'assassino metallico non sembrava intenzionato a far fuoco e agitava scompostamente le molte braccia. E poi l'automa gli parlò, pronunciando affannose parole con il tono di una normale voce umana. — Non sparate! — esclamò. — Sono il colonnello Marcus! Non sparate! Lady Genevieve, già tremante quando udì che suo marito era fuggito dalla biostazione, venne letteralmente travolta dal terrore ai primi fragori della battaglia. Subito cercò consiglio e protezione evocando la copia lasciatale da Nick3. Nick fu immediatamente al suo fianco, e com'era forse logico aspettarsi le suggerì di nascondersi nelle protettive mura di pietra dell'abbazia di Westminster. Una volta entrata nel decaedro, ancora intatto e funzionante a differenza di quello sull'astronave, la giovane donna si infilò il casco di realtà virtuale e prese a camminare lungo la grande navata della chiesa. Era quella la scena dei ricorrenti incubi in cui si trovava di nuovo senza un corpo, e tuttavia incalzata da Nick e dagli eventi trovò il coraggio di affrontarla di nuovo. — Qui dentro sarò salva dagli automi? — chiese, riconoscendo a fatica la propria voce affannata. Nick le camminava accanto indossando nuovamente i familiari abiti da menestrello. — Non so quanto potrà essere al sicuro dai berserker, ma qui potremo degnamente accogliere suo marito, mio padre, quando verrà a cercarla! Dopodiché continuò a condurla velocemente in avanti attraverso i bui e cavernosi spazi ricavati tra le mura immaginarie, come se avesse qualche piano preciso. Intanto, abbastanza stranamente, il terrore iniziale provato da Genevieve nel ritrovarsi di nuovo in quell'ambiente calò di intensità. Quella era la prima volta che vedeva l'abbazia con occhi organici e le differenze, anche se sottili, le diedero l'importante sensazione di avere il pieno controllo su ciò che la circondava.
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Dirac intanto stava congratulandosi con se stesso per aver brillantemente giocato i suoi nemici. Resosi conto con qualche sorpresa che Prinsep e gli altri osavano seguirlo fin sul berseker, si era nascosto osservando il loro arrivo. Dopo aver atteso che entrassero era risalito sulla navetta puntando nuovamente verso la biostazione, la base che i suoi persecutori avevano incautamente sguarnito. Era là infatti che si giocava la partita, il pilastro su cui si fondavano le sue speranze di acquisire in futuro il potere assoluto che mai nessun uomo aveva più avuto dall'antichità in poi. E ora un nuovo attacco, portato evidentemente dalla flotta solariana attesa da Prinsep e dai suoi, minacciava di mandare definitivamente in frantumi i suoi grandiosi progetti. Ci avrebbe pensato dopo. Prima doveva regolare alcuni conti. Atterrando bruscamente sul ponte-hangar della biostazione, dimentico sul momento delle difficoltà da affrontare per riprendere il controllo della struttura, Dirac scese dalla navetta accolto da Varvara Engadin e da Carol, quest'ultima ancora più demente e arruffata del solito. — Dov'è Scurlock? — domandò Carol guardando con occhi selvaggi oltre Dirac, nella navetta penosamente vuota. — Ha deciso di restare sul berserker. Ma adesso non ho bisogno di lui. Dov'è mia moglie? — È scappata con Nick nel decaedro — lo informò Varvara. E poi, amaramente: — Credevo che fossi tornato per me! Ma in quel momento Dirac non nutriva il minimo interesse per ciò che Varvara diceva o pensava. — Vado a cercarla — disse. — Voi due aspettatemi qui. E a grandi passi si avviò verso il decaedro, deciso a farla finita con Nick una volta per tutte. Scurlock aveva davvero deciso di restare sul berserker: per quanto assurdo potesse sembrare lo sentiva amico, un potente e fidato protettore. In cuor suo era felice di essersi liberato del premier e dei rischi che comportava l'affrontare apertamente Prinsep e i suoi, senza dubbio meglio armati oltre che più numerosi. Tempo addietro il berserker aveva preparato per lui e per Carol una piccola stanza calda e accogliente dotata di camera e portelli stagni, impianto di ricircolo atmosferico, macchine per la produzione di cibo e acqua e addirittura alcuni mobili, oltre a un Fred Saberhagen
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oloschermo grazie al quale potevano osservare lo spazio esterno. Ma adesso Scurlock non era interessato a guardare fuori. Nella piccola stanza vi era un'altra porta, che ovviamente conduceva in qualche settore più interno e segreto del berserker. Ma quella porta era sempre stata chiusa, e probabilmente non si sarebbe mai aperta. A un certo momento udì la navetta agganciarsi all'esterno della camera stagna, e dopo qualche attimo Carol entrò sola e trionfante nella stanza. Scurlock le rivolse un largo sorriso vedendola, e lei sorrise a sua volta. Sembrò addirittura calmarsi un poco. A entrambi parve di essere tornati ai vecchi tempi, quando vivevano da soli col berserker e i suoi automi. E come ai vecchi tempi, aveva la netta sensazione che l'immensa macchina si sarebbe presa cura di loro. Perché i guai, quelli veri, iniziavano immancabilmente quando c'era altra gente in giro, non berserker. Dirac constatò, come del resto si aspettava, che il decaedro era sotto il fermo controllo di Nick. Stavolta non aveva Loki al suo fianco, ma tuttavia rifiutò di farsi scoraggiare da quell'inconveniente. E così entrò. Cautamente avanzò per lunghi minuti fino a giungere nei pressi della cappella di san Michele, nel transetto settentrionale. Là si fermò davanti a una vista sorprendente. Davanti a lui vi era la tomba di lady Elizabeth Nightingale, sormontata da statue del diciottesimo secolo che nonostante la loro natura erano sfuggite in passato alla sua attenzione, come del resto molte delle migliaia di statue antiche che adornavano l'abbazia. Il gruppo marmoreo rappresentava la morte scheletrica che usciva dalla tomba alzando una lancia con la quale trafiggere la prona lady Elizabeth. Al contempo la figura di un uomo, presumibilmente suo marito, tendeva una mano nel tentativo di fermare quell'affondo finale. — Padre — chiamò piano una voce dietro di lui, e Dirac si voltò su se stesso per scoprire che Nick3, l'entità optoelettronica che una volta era stato suo figlio, lo guardava impugnando un'arma rappresentata dai circuiti elettronici del decaedro come una lancia molto simile a quella brandita dalla morte marmorea che troneggiava su di loro. — E così non imparerai mai! — ringhiò l'ex presidente, e alzando il fucile sparò ripetutamente su suo figlio da distanza ravvicinata. Il commodoro Prinsep era riluttante ad ammettere persino con se stesso Fred Saberhagen
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quella che appariva come un'ovvia verità: il tenue legame che univa la squadra d'assalto ai due scienziati rimasti a bordo della biostazione si era spezzato. Nessun messaggio infatti arrivava più. Con tutta probabilità non si trattava affatto di un'interruzione accidentale. La squadra d'assalto solariana aveva appena intravisto a non più di quaranta metri un automa estremamente mobile che non poteva essere altro che un berserker. Havot gli aveva prontamente tirato un paio di scariche, ma senza alcun effetto visibile. Se il piano del nemico era intrappolare al suo interno la piccola squadra di combattenti umani, sembrava proprio che il momento della resa dei conti si stesse avvicinando. Comunque fosse, il commodoro non aveva alcuna intenzione di tornare indietro. Invece cercò di concentrare l'attenzione di tutti su quello che era il loro obiettivo: raggiungere a ogni costo il cervello centrale del berserker e distruggerlo definitivamente. Solo così potevano vincere; tuttavia, Prinsep si sentiva pronto ad ammettere che la vittoria totale era una prospettiva del tutto improbabile. Chiunque sapesse qualcosa dell'argomento gli avrebbe ricordato che non era possibile disattivare completamente il cervello di un berserker di qualsiasi tipo senza far immediatamente scattare qualche micidiale meccanismo autodistruttivo. E in quel caso, come Dinant gli ricordò più volte, la loro vittoria equivaleva a una dura sconfitta. Ma la versione di Nick3 che accompagnava la squadra solariana premeva per andare avanti in cerca del suo odiato genitore. Inoltre, adesso che si trovava sul berserker una questione irrisolta rimasta per secoli nei suoi circuiti continuava a tormentare i pensieri di Nick: cosa era successo a Frank Marcus quel disgraziato giorno di molti anni fa? Più di trecento anni erano passati dalla ricezione dell'enigmatico e affascinante messaggio di Marcus, avvenuta nel breve periodo in cui lui, l'optoelettronico Nick, era l'unica entità conscia a bordo della Eidolon. La sua memoria ancora conservava senza alcun decadimento percettibile ogni parola, ogni tono e ombra di quella voce. E di una voce molto umana si era trattato, una voce strana, prodotta da una serie di altoparlanti controllati dai neuroni di un cervello solariano organico. Fred Saberhagen
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Naturalmente, e Nick ne era cosciente, anche la sua memoria avrebbe iniziato a decadere un giorno fino ad arrivare alla totale autocancellazione. Ma quel giorno era ancora lontano centinaia, forse migliaia di anni. Con qualche rammarico si disse che la possibilità di vivere tanto a lungo era una delle cose a cui avrebbe dovuto rinunciare se cedeva alla rinnovata tentazione di procurarsi in qualche modo un corpo organico. In ogni caso, quell'ultimo messaggio di Frank Marcus non aveva mai cessato di incuriosirlo. Migliaia di volte aveva scandagliato quelle parole e il loro tono prendendole dall'una o dall'altra banca dati che componevano la sua memoria, facendo del suo meglio per trovare la giusta interpretazione. Subito gli era parso un messaggio molto importante, proveniente da un uomo che, tutti concordavano, non avrebbe mai accettato un accordo col nemico, un uomo che amava la vita quanto i berserker la odiavano. Un uomo che teneva alla poca carne rimastagli, molti dicevano oltre ogni ragionevole limite, e che prendeva attivamente parte alla guerra tra la vita e la morte pur confinato per sempre in una serie di cubi corazzati. Il colonnello Frank Marcus in persona. Nick non aveva mai dubitato che quel messaggio tanto importante provenisse veramente da Frank. I berserker, senza eccezioni, erano notoriamente incapaci di imitare efficacemente la voce umana, così come l'aspetto e il portamento dei loro odiati nemici. Qualsiasi fosse la ragione di questa incapacità, dava comunque l'impressione che le macchine di morte detestassero la vita al punto da rifiutare completamente di assumerne le sembianze. Oppure erano talmente sprezzanti dell'opposizione umana ai loro piani da ricorrere malvolentieri a simili sotterfugi. Le voci usate dagli assassini metallici ogniqualvolta giudicavano necessario o conveniente comunicare con dei solariani non risultavano mai diverse da una parodia della voce umana. E in molti casi queste parodie erano state goffamente modellate su voci reali, le parole disperate dei prigionieri caduti nelle loro mani. Nonostante la breve durata del loro incontro, se qualcuno avesse chiesto a Nick qualcosa a riguardo lui avrebbe descritto Marcus come una persona totalmente incapace di commettere suicidio. Aveva puntato direttamente sul nemico con il ricognitore armato non per compiere un nobile sacrificio ma perché era convinto che le sfide andavano accettate anche quando le probabilità erano tutte contro. Perché lui dava il massimo per sconfiggere i Fred Saberhagen
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berserker, per vincere e sopravvivere. Nick nutriva un enorme rispetto per Frank, nonostante questi lo avesse sempre trattato con aria vagamente sprezzante. No, forse sprezzante non era la parola giusta. Frank era intrinsecamente incapace di provare disprezzo per un programma di computer, come non lo avrebbe mai provato per una mappa o un paio di pinze. Perché rappresentavano utili strumenti meritevoli di rispetto, da usare appropriatamente. Intanto la squadra solariana continuava ad avanzare, talvolta in gruppo, altre in fila indiana lungo un corridoio o divisa in due gruppi lungo altrettante vie parallele, sempre però curando di non perdere il contatto. Dopo una lunga marcia senza inconvenienti la squadra si ritrovò in un ampio salone dove, con intensa sorpresa di tutti, le forti luci di quella che pareva una serra ruppero le tenebre in cui si svolgeva la loro avanzata. Avvicinandosi, gli sbalorditi solariani constatarono che davvero si trattava di una serra piena di piante verdi, una vista del tutto inaspettata dentro... dentro quella cosa. Per qualche istante nessuno commentò la scoperta. Agli occhi di tutti parve forse un'amenità troppo grande per un berserker, una concessione inaudita ai bisogni della vita anche supponendo che il grande automa fosse particolarmente tenero con i traditori ai suoi ordini. Poi Havot, grandemente incuriosito da quell'incredibile vista, avanzò la proposta di fermarsi e investigare. Ma Prinsep insistette per andare avanti e perseguire fino in fondo l'obiettivo della missione. E per dare maggiore consistenza alle sue parole, avvertì i più distratti tra i suoi uomini che proprio le cose più innocue, enigmatiche o curiose potevano in realtà nascondere un'elaborata e micidiale trappola. Dinant fu subito pienamente d'accordo. — Ha avuto un sacco di tempo per capire come liberarsi di noi. Ormai avrà fatto i suoi piani e preparato le sue trappole! Il luogotenente Tongres ribatté: — Io sono sempre più convinta che sia morto. Siamo qui a discutere nelle sue viscere dopo ore di avanzata e ancora non ha provato neppure ad attaccarci! E la squadra riprese ad avanzare. Dopo un po' la voce di uno di loro venne udita mormorare al microfono Fred Saberhagen
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dell'elmetto la speranzosa certezza che i soccorsi fossero già sulla strada. I battaglieri superstiti si sentivano ragionevolmente certi che i rinforzi richiesti dal commodoro alla partenza da Imatra avrebbero presto o tardi scandagliato lo spazio in quella direzione alla loro ricerca. Ma "presto o tardi" e "in quella direzione" erano definizioni troppo vaghe per recare qualche conforto. Nulla garantiva che le ricerche avrebbero avuto successo, anzi. Ci sarebbe voluto tempo e molta convinzione per riuscire a trovarli, e tutto lasciava credere che entrambi sarebbero mancati al momento decisivo. No, realisticamente parlando le possibilità di venir salvati da una spedizione di soccorso erano astronomicamente piccole. Dovevano arrangiarsi da soli. Sulla biostazione, la cosa aliena che diceva di essere il colonnello Marcus aveva insistito per accompagnare pacificamente Hoveler nel laboratorio. Era da molto, molto tempo, spiegò la voce del colonnello da dentro la macchina ignota che lo racchiudeva, che non parlava più con nessuno. E subito parve intenzionato a recuperare il tempo perduto. Annie Zador venne incontro a Hoveler quando lo vide fermo sulla soglia. Ma la sua pelle, nonostante la forte componente di sangue africano nelle vene, impallidì visibilmente alla vista dell'automa alieno che aveva seguito il suo collega. Lo scienziato riuscì solo a balbettare parole incoerenti quando cercò di spiegare. Ma la macchina al suo fianco sembrò ansiosa di conversare. Con la voce di un maschio solariano disse: — Insomma gente, non sono un dannato berserker! Volete capirla o no? Sono io, Frank Marcus, traditore inscatolato. Posso spiegare, se mi state a sentire. Sono stato messo in questa macchina perché risulta definitivamente più vantaggiosa per il tipo di missione che devo svolgere. Dopodiché Frank cominciò a spiegare, iniziando dal momento in cui si era ritrovato sullo scafo del berserker. Anche allora non aveva ceduto alla disperazione, anzi. Poteva ancora combattere e vincere, e ci avrebbe provato. Difatti l'unica cosa positiva dei cubi Marcus era che venivano confusi dai berseker per qualcuno dei loro automi di servizio: e quindi lui sperò che quel mastodonte dei cieli fosse disattento come gli altri. Vagamente sconcertata, Annie Zador replicò: — Naturalmente noi abbiamo sempre pensato che Frank Marcus fosse morto. Hoveler annuì il suo accordo. — Mai neppure per un attimo ho pensato Fred Saberhagen
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altrimenti. Perché pur scambiando per un robot di servizio un uomo nei cubi Marcus, il berserker lo avrebbe classificato come un robot impazzito da disattivare a tutti i costi. L'automa ridacchiò, per poi emettere una vera e propria risata umana. — Certo che mi avrebbe disattivato. Conosco me stesso, e so che alla fine avrei trovato il modo di farmi pubblicità. Invece sono qui. Cosa ne pensate? Dopodiché la voce del colonnello, emessa da quella che a tutti gli effetti sembrava un'unità d'assalto berserker, spiegò ai due scienziati che l'importante missione affidatagli lo aveva costretto ad abbordare la biostazione per vigilare sul suo prezioso carico. Con la mente vacillante, Zador e Hoveler dichiararono che un miliardo di protopersone costituivano indubbiamente un carico di valore inestimabile. Il colonnello (nessuno dei suoi due interlocutori nutriva più dubbi sulla sua identità) replicò: — Sono d'accordo. Tuttavia non è esattamente quel carico che il mio attuale datore di lavoro ha paura di perdere. In quel momento la biostazione oscillò paurosamente per effetto di una vicina esplosione. Hoveler domandò: — Cos'è questa battaglia nello spazio attorno a noi? Chi ci sta attaccando? — I berserker. Chi altri? — E con queste parole il colonnello li lasciò, per raggiungere il punto in cui poteva meglio proteggere le decine di preziose incubatrici installate su uno dei ponti. Ma mentre si avviava verso la porta volse su di loro una sorta di occhio metallico e aggiunse: — Se uno di voi, o tutti e due, vuole venire a tenermi compagnia gli racconterò quello che mi è successo in questi tre secoli. Per qualche tempo dopo il suo recente risveglio e nonostante le cose sorprendenti che aveva visto prima della sua cattura, Frank si era aggrappato fieramente alla sua prima supposizione, cioè quella di trovarsi prigioniero di un berserker. Tutto il resto erano menzogne raccontate dal nemico per chissà quale scopo. Ignorando sul momento questa attitudine, il cervello dell'astronave spiegò a Frank in buon solariano che lo aveva risvegliato perché era il miglior strumento disponibile per combattere i veri berserker. Nessun altro poteva fare le cose che faceva lui. Dopodiché dovette abbandonare con riluttanza la convinzione di avere a Fred Saberhagen
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che fare con un nemico dai misteriosi scopi. Ma troppe furono le cose che vide, prove inoppugnabili che alla fine dovette accettare. Depositi, serre e altre cose inspiegabili, delle quali Frank aveva percepito la misteriosa presenza già prima della cattura ma che ora poteva finalmente esaminare a fondo. Alla fine disse al misterioso cervello dell'astronave: — E va bene, non sei un berserker... o comunque sei il berserker più strano che abbia mai visto. Non ti comporti affatto come loro, non segui i loro schemi. I berserker cercano la vita e quando la trovano la estirpano. Tutto qui. A quel punto Frank si era fermato, sospirando per poi capitolare. E di nuovo sospirò davanti ai due scienziati, un suono realistico come in presenza di due polmoni organici. Frank lo aveva tanto praticato da utilizzarlo inconsciamente. — Ma tu non operi allo stesso modo — aggiunse. — Tu uccidi quando è necessario ma non vivi per uccidere. No, non sei un berserker. Eppure il tuo aspetto, i minerali che utilizzi, le tue armi... sono quelle dei berserker! Ma cosa sei? E chi ti ha... E fu allora che l'astronave gli spiegò. Poi vide con i suoi occhi e ogni cosa risultò finalmente chiara. Ridacchiando divertito, Frank concluse dicendo: — Le incubatrici! Sono quelle che vuole, ciò che cercava tutto il tempo.
29 Pesantemente armato e corazzato, Dirac dava la caccia all'ultima versione optoelettronica di suo figlio attraverso il modello virtuale dell'abbazia di Westminster creato dal decaedro. E viceversa. L'ex presidente desiderava con tutto il suo fervore di riuscire almeno a disattivare alcune di quelle maledette immagini. Ma al momento quell'intero insieme di illusioni era fermamente sotto il controllo di Nick, e Nick aveva un quoziente interattivo decisamente più alto del suo. L'unica era cercare di prevalere nuovamente sul piano della realtà. Dirac si disse, non per la prima volta, che le entità virtuali avevano i loro guai esattamente come le persone in carne e ossa. Tuttavia uno dei problemi da affrontare nel loro caso, almeno dal suo punto di vista, era che non si poteva in alcun modo farle soffrire. La luce che cadeva attraverso le immagini grafiche di vetrate decorate Fred Saberhagen
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dipingeva ovunque con mutevoli colori pastello le pietre virtuali delle originali e antiche torri di Hawksmoor, lasciando ampie zone d'ombra dietro e intorno le tombe, i monumenti, le colonne. Avanzando, Dirac si accorse grazie a sottili indizi, soprattutto fugaci immagini e vaghi suoni, di un'altra presenza nell'abbazia oltre la sua e quella di Nick. Una rapida apparizione di questa nuova presenza, trasfigurata in un'immagine angelica, gli rivelò che si trattava solo di Jenny. L'ex presidente decise di lasciarla perdere per il momento. Quella donna paurosa e minuta, decisamente non violenta, non poteva rappresentare alcun pericolo per lui. Ormai era penetrato parecchio nella dimensione virtuale del decaedro. Si trovava a qualche distanza dall'altare maggiore, che vedeva ergersi a occidente dalla sua posizione bene addentro le cappelle reali, quando un movimento sospetto catturò la sua attenzione. Fu solo una rapida mossa involontaria, un attimo di agitazione nello statico miraggio. L'ex premier scattò con sorprendente rapidità, afferrando con le mani corazzate il coperchio di un grande sarcofago di pietra. Subito la materia polifasica interna al decaedro si rimodellò in base agli impulsi della sua corteccia visiva, mentre il segnale di ritorno formava una solida lastra di pietra che lui poté comodamente afferrare. Con un violento e rabbioso impeto Dirac scoperchiò l'ultima dimora terrena delle sorellastre Elisabetta I e Maria. Ma nessuna delle due antiche regine in realtà vi giaceva: quella che balzò in piedi urlando era la forma di una monarca molto più moderna. Dirac urlò tutto il suo disprezzo a sua moglie e la spinse via, urlante apparizione tra gli immoti monumenti. La caccia continuò, con Dirac che sembrava un fantasma solido tra le migliaia di tombe e di statue virtuali. Senza preavviso alcuni colpi di un'arma a raggi lo colpirono, disperdendosi nell'ambiente dopo aver rimbalzato sulla sua tuta corazzata. Le scariche bruciarono il suo corpo, facendolo girare e barcollare, ma quello fu tutto. Dovevano sparargli da un angolo migliore, e da molto più vicino, per sortire qualche effetto più concreto. Dirac strinse i denti e decise di attendere un momento più favorevole per rispondere al fuoco. Nonostante tutto non voleva distruggere completamente anche quel decaedro. Contava di usarlo parecchio quando Fred Saberhagen
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tutto sarebbe finito, in quanto doveva ancora completare il grandioso progetto della sua colonia. Ancora una volta Nick3, che riusciva a passare di riparo in riparo senza alcuna difficoltà, urlò a suo padre insulti e minacce. Dirac rispose a tono, per poi muovere furente verso il punto da cui veniva la voce di suo figlio. — Che io sia dannato — borbottava intanto tra sé — se mi farò ammazzare o anche solo sconfiggere da una maledetta personalità registrata! — Disse questo per correggersi mentalmente all'istante. Meglio controllare le parole, in caso la flotta solariana che attaccava all'esterno avesse avuto partita vinta. Per tutti, Nick non doveva essere altro che un'entità virtuale impazzita al punto da credersi una personalità registrata. Per lunghi minuti tutto tacque. Dirac continuò la sua ricerca, gloriosamente conscio della mortalità del suo corpo. In quel momento stava entrando nell'immensa e magnifica cappella di Enrico VII, con la volta che si apriva delicatamente a ventaglio come un arboreo tetto di foglie sopra la sua testa. Aveva sempre riso in faccia a coloro che gli suggerivano di conservare una copia registrata di se stesso. Lui adorava vivere nella carne, e intendeva morire col suo corpo. Durante il suo governo, comunque, aveva spesso pensato di registrare se stesso per tutelarsi da incidenti e attentati. In alcuni momenti l'idea lo aveva oltremodo tentato, ma alla fine aveva sempre rifiutato. Perché una copia di se stesso poteva facilmente diventare il più temibile dei rivali se fosse caduta in mano ai suoi nemici. Il presidente si era addirittura immaginato come poteva essere l'esperienza di dividere il proprio io a metà. Avrebbe indossato l'elmetto di registrazione per toglierselo qualche tempo dopo, e nulla sarebbe cambiato per il Dirac di questo mondo. Ma al contempo, in un ammasso di circuiti poco distante un altro Dirac avrebbe tristemente scoperto che non viveva più nel mondo della carne, del potere e dei piaceri terreni. No, meglio lasciar perdere. Era solo un'invasione scientifica e molto insoddisfacente della sua persona. Finalmente l'ex presidente uscì dalla cappella di Enrico VII e lasciò che il suo istinto lo riportasse verso il centro dell'abbazia, il centro spirituale se non proprio geometrico. Davanti a lui si aprì la cappella di Edoardo il Confessore, cavernosa e complessa, chiesa nella chiesa incentrata sul grande altare di porfido verde. Nei primi secoli della vera abbazia i Fred Saberhagen
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miracoli abbondavano in quel luogo, almeno a quanto dicevano le leggende. Cautamente Dirac entrò. Improvvisamente l'elmetto vuoto della tuta di Nick, trasformato dall'illusione in un elmo medievale, si parò davanti a lui. Ma il suo fucile, attivato mentalmente, lasciò partire una micidiale scarica verso la figura corazzata, che si accasciò senza un grido in un immaginario angolo. Giubilante, Dirac gli tirò un gran calcio. — Eccoti pronto per una nuova riprogrammazione, mio ingenuo amico! Ma stavolta andrò fino in fondo, sai? Voglio capire perché resisti, perché non vuoi imparare! Cosa c'è in te che... Ma Dirac non riuscì mai a completare la frase: proprio in quel momento Varvara Engadin, che aveva seguito il suo amante nell'abbazia, si avvicinò repentinamente a lui esplodendo due colpi a bruciapelo. E ora l'ex premier si trovava a terra, consapevole di stare morendo. Stavolta la sua magnifica tuta corazzata aveva solo potuto evitargli una morte istantanea, e nulla più. Vagamente (o fu solo un'altra illusione?) si accorse della presenza di Freya, comparsa all'improvviso e china su di lui con i lunghi capelli mossi da una dolce brezza virtuale. Dirac non riuscì a comprendere le sue parole, ma il senso di quella presenza gli risultò chiaro: sembrava proprio che sarebbe stato registrato, dopotutto. La mente del commodoro Prinsep turbinava di imperiose domande, sempre più numerose man mano che avanzava con la sua piccola, attonita squadra. Era pura follia, era del tutto impossibile che a bordo di un qualunque berserker esistesse atmosfera respirabile in uno spazio tanto grande e incontrollato. Ormai avanzavano da parecchi minuti in quel settore dopo esservi penetrati nel modo più sbalorditivo concepibile: da una vera e propria camera stagna funzionante dalle dimensioni perfette per degli esseri umani. I controlli e i simboli che li contrassegnavano erano risultati del tutto ignoti, e anche la loro disposizione non obbediva ad alcuno degli standard comunemente in uso nella galassia. Tuttavia, con tranquillità e sicurezza avevano fatto il loro dovere. — Questa cosa è un'astronave! Deve esserlo! — commentò Nick con un rauco, ardente sussurro, ben comprendendo quali erano le implicazioni di una simile scoperta. Fred Saberhagen
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Gli altri, più che mai attenti a quanto succedeva attorno a loro, guardarono con grandi occhi l'elmetto vuoto. — Non è possibile. Non è possibile! — ribatté nervosamente uno di loro. — E allora cos'è? — Ma è impossibile che le dannate macchine abbiano costruito un'intera astronave per accomodare le varie specie di traditori passati dalla loro parte! No, non posso crederci. — E tuttavia... — No, Nick. E poi non sarebbe certamente armata in modo tanto possente! Dev'essere per forza un berserker, anche se molto speciale. Tuttavia la squadra armata non aveva incontrato la minima opposizione fino a quel momento. Con le armi pronte, i solariani continuarono ad avanzare lungo uno dei corridoi pieni di aria respirabile che si snodava attraverso la pancia del grande mostro metallico. Ma un'altra differenza oltre alla presenza di atmosfera distingueva quel settore dagli altri attraversati in precedenza. Fin dall'inizio infatti le paratie, i passaggi e le porte apparvero contrassegnati da scritte misteriose ovviamente concepite per venir lette da occhi organici. Le più complesse si trovavano presso i controlli e le aperture, e consentirono a Nick di identificarle come scritte tracciate dagli edificatori. Alcune erano ancora vagamente luminescenti, mentre il tempo e l'usura avevano lentamente spento le altre. Seguendo certe linee e condutture che sembravano avere a che fare con la trasmissione e il controllo di dati, la squadra avanzò lungo serpeggianti corridoi e voluminosi condotti evitando tutti gli automi in movimento che vedeva, certa ormai di approssimarsi al luogo che conteneva ciò che restava dello spietato cervello elettronico della grande macchina. Ma gli intrusi armati si imbatterono invece in qualcosa di profondamente diverso. — Ehi, venite a vedere! — Dannazione, mantenete il silenzio radio! — No. Basta col silenzio radio. Ormai non serve più. Venite a vedere. Coloro a cui il messaggio era rivolto andarono a vedere. E si addentrarono in un ampio salone dai soffiti e le pareti di un materiale simile all'acciaio pieno di sedie, schermi, consolle e oloschermi. Questi ultimi apparvero fittamente pulsanti di dati espressi in simboli Fred Saberhagen
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alieni del tutto sconosciuti. Al centro dell'ampio salone corazzato spiccava una piattaforma con tre sedie di forma alquanto peculiare, in qualche modo più grandi ed elaborate di quelle ai livelli inferiori della stanza. Inoltre apparivano circondate dai macchinari più complessi, e due di esse erano voltate in modo da nascondere gli eventuali occupanti alla vista dei solariani che ora avanzavano in gruppo. Quella sala non poteva essere altro che un salone di controllo, una sala comandi o comunque uno volesse chiamarla. E l'atmosfera che vi regnava lasciava chiaramente intendere che da lì veniva comandato il mastodontico mostro metallico che aveva rubato la biostazione. I solariani si guardarono l'un l'altro meravigliati e attoniti. Nessuno aveva mai sentito di un berserker dotato di una struttura come quella. E oltre ai posti a sedere vagamente simili alle poltrone antiaccelerazione solariane, in tutto una dozzina contando anche quelle negli angoli più remoti del salone, vi erano gli schermi e gli oloschermi, alcuni del tutto misteriosi ma altri familiari a un livello quasi tantalizzante. Possibile che tutto questo, tutto ciò che avevano vissuto e ciò che vedevano adesso, non fosse altro che una proiezione virtuale, un qualche tipo di illusione provata su di loro dal berserker? Eppure ogni singolo frammento delle macchine e delle strutture presenti nella grande sala risultava autentico al tatto come lo sembrava alla vista. Niente realtà virtuale, niente materia polifasica in quel luogo. Avanzando lentamente, i solariani si sentirono momentaneamente persi, distratti dalla più intensa meraviglia. Una struttura tanto sofisticata non poteva essere stata costruita semplicemente per dei traditori. Da qualche punto dello spazio circostante la grande macchina, appresero dagli schermi, venivano i bagliori delle esplosioni e le violente onde d'urto che caratterizzavano una battaglia spaziale. I controlli e le strutture del salone erano progettati per delle creature grandi più o meno quanto un uomo e dotate delle stesse abilità manuali. Il loro corpo però doveva differire in diversi modi da quello umano. Gli schermi, per esempio, erano concepiti per una vista diversa, così come l'altezza delle sedie e delle consolle rivelava che si trattava di creature alte e notevolmente sottili. Anche la posizione dei vari comandi sembrava obbedire a una logica diversa. — Non... non è possibile — disse Dinant, rifiutando apertamente di Fred Saberhagen
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credere ai suoi occhi. — E solo un trucco da quattro soldi — gli fece eco Havot. — Quel maledetto vuol farci credere che ci troviamo in un'astronave. — Be', in ogni caso non è un'astronave solariana — commentò Prinsep. — E secondo me non è una simulazione. — Questa stanza è piena d'aria! — esclamò una ridente Tongres alzando gli occhi dall'analizzatore della tuta corazzata. — Aria respirabile! Almeno lei sembrò accettare apertamente il miracolo, accennando addirittura a togliersi il soffocante elmetto. Ma Prinsep la fermò bruscamente. Havot si guardò attorno onestamente perplesso. — Non sarà per caso un'astronave carmpan? Questa affermazione suscitò qualche ilarità. — E quando mai i carmpan hanno costruito un'astronave armata e potente come questa? No, non avrebbero neppure la tecnologia per farlo! E a quel punto tutti smisero di parlare. Perché la sedia più centrale sulla piattaforma, voltata in modo da mostrare il suo alto schienale agli intrusi, prese lentamente a girare: era occupata da qualcuno... o da qualcosa. Era occupata da una creatura immediatamente riconoscibile, che pareva uscire dritta dagli antichi filmati più o meno familiari a tutti i solariani. Solo, quello non era un filmato. Gli occhi degli attoniti umani si posarono per la prima volta su un edificatore in carne e ossa, normalmente vestito ma non corazzato e neppure armato. L'edificatore (maschio o femmina che fosse) sedeva immobile guardando gli intrusi con un singolo occhio centrato proprio sotto la fronte, un occhio la cui ampia pupilla muoveva su e giù con tanta tremula rapidità da spingere in qualche modo ad associarla a un insetto. Anche il suo corpo risultò, agli occhi dei solariani, incredibilmente sottile. Pelle e carne si mossero nella parte inferiore del volto, il volto di una creatura vivente i cui antenati non fecero in tempo a conoscere la luce di Sol. E tra le pieghe di pelle cascante color zafferano emerse una voce, un muto torrente di scatti, fischi e gemiti. Il suono venne amplificato e tradotto per i microfoni esterni dei visitatori da un dispositivo sito da qualche parte nel salone. Era un edificatore quello che si trovavano davanti, e senza dubbio alcuno si trattava di un edificatore vivo. Una leggendaria reliquia Fred Saberhagen
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incredibilmente risorta, che si alzò dal suo alto scranno e guardò uno a uno gli intrusi con il suo occhio liquido, mobile e color dell'acciaio. — Sono il comandante di questa astronave — disse loro solennemente. — E vi porgo il benvenuto a bordo, uomini solariani.
30 L'edificatore che torreggiava sul piccolo gruppo di intrusi, fermi a guardarlo a bocca aperta, appariva incredibilmente snello, con le ossa molto fini e una statura che sopravanzava di parecchi centimetri quella della maggior parte dei solariani. Per il resto era simile in tutto e per tutto a un essere umano, con la sola eccezione di quell'occhio da ciclope che troneggiava sopra il naso e di quella pupilla che si muoveva con la rapidità del pensiero. Dopo il lungo, comprensibile silenzio che seguì all'inaspettato benvenuto dell'alieno, Prinsep rispose con un breve discorso che in seguito non riuscì mai più a ricordare. In ogni caso la creatura color zafferano sulla piattaforma ascoltò ogni parola con la massima attenzione mentre il traduttore riportava con improvvise esplosioni di fischi e scatti la replica del commodoro. Fin dal primo momento la presenza del comandante dell'astronave risultò convincente. Né Prinsep né qualcuno degli altri sembrò nutrire dei dubbi sulla natura dell'essere davanti a loro. Tutti avevano visto una volta o l'altra qualche immagine della razza scomparsa degli edificatori, immagini tratte da una preziosa manciata di reperti, soprattutto filmati, antichi quanto l'homo sapiens. Copie di questi video erano contenute in qualsiasi enciclopedia generale, così come in tutte le banche dati più complete. Quelle immagini stuzzicavano la fantasia della gente quanto le vecchie fotografie scattate quando ancora l'uomo viveva solo sulla Terra. Nella maggior parte di quegli antichi filmati, peraltro accuratamente restaurati, i creatori dei berserker apparivano come figure oblunghe di un confuso color arancio. Adesso per la prima volta nella storia divenne chiaro agli occhi dei solariani che quella fosforescente tinta arancione era dovuta a qualche sorta di aderente vestito mentre la vera pelle era di uno spento color giallo, o perlomeno così risultava esaminando il volto, le mani con quattro dita e parte del torace della creatura che li guardava immobile. Fred Saberhagen
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Ma prima che il commodoro e la sua squadra potessero assorbire pienamente quella sorpresa, ne arrivò un'altra ugualmente intensa. Un nuovo brivido di eccitazione scosse i presenti quando una figura della loro specie comparve all'improvviso sulla piattaforma gomito a gomito con il comandante alieno. Un giovane uomo con i capelli color sabbia che indossava una moderna tuta da riposo solitamente in uso sulle astronavi si alzò in piedi dopo aver ruotato l'altra poltrona, il cui schienale l'aveva nascosto fino a quel momento. Tra tutti coloro che componevano la squadra solariana, solo Nick riconobbe Sandy Kensing. Subito l'entità virtuale informò gli altri della sua identità. Kensing salutò i nuovi arrivati alquanto distrattamente. Alzandosi, cercò ansiosamente tra di loro il volto di Annie Zador e tirò un sospiro di sollievo solo quando udì che stava bene al momento dell'ultimo contatto. Il fatto che avesse deciso di restare a bordo della biostazione con Hoveler non lo sorprese neppure un po'. — Lei era stato dato per morto, giovanotto. Lo sa? — gli ricordò bruscamente Prinsep. Sandy lo guardò esausto. — Certo che lo so. Ero arrivato al punto di darmi per spacciato anch'io. Ma poi, invece che a un berserker quella carogna di Scurlock mi ha consegnato a Frank Marcus, naturalmente senza saperlo. Adesso è tornato sulla biostazione per difendere le incubatrici. — Che? Chi è tornato per difendere cosa? — Non appena possibile vi spiegherò tutto. Ma prima sarà meglio che vi aggiorni sui problemi più immediati. Siamo attaccati da una flotta di veri berserker. Il loro obiettivo è distruggere questa astronave, che da sempre è stata l'oggetto della loro ricerca. Ed è così da migliaia di anni, perché per i berserker la distruzione di questa particolare astronave è una priorità assoluta, molto più sentita della distruzione di qualsiasi pianeta solariano o di un miliardo di protopersone! Ma l'attonito silenzio che accolse quelle parole e gli sguardi poco convinti del gruppo di uomini armati lo convinsero a non lasciar cadere il discorso. — Capisco perfettamente il vostro stupore, signori. Anch'io sono stato per secoli all'oscuro di tutto, e ho semplicemente avuto qualche ora più di voi per apprendere riguardo a... questo. L'ampio gesto della mano che seguì comprese l'auto-proclamato comandante accanto a lui oltre all'intero salone di controllo. — Voi però Fred Saberhagen
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non siete arrivati qui sconvolti dalla disperazione! Dirac e Scurlock erano convinti di consegnarmi a un berserker e io mi credevo spacciato, fino a quando... Sandy tirò nuovamente il fiato. — Forse è meglio che cominci dall'inizio. Innanzitutto vorrei presentarvi più compiutamente il comandante. Il suo nome, e non sono ancora riuscito a capire se si tratta di un maschio o di una femmina, può venire all'incirca tradotto come "il Carpentiere". Il comandante, che ascoltava tutto grazie al traduttore simultaneo, s'inchinò con un gesto formale insolitamente rigido. Succintamente Kensing continuò, informando i suoi simili che il comandante era probabilmente l'unico edificatore in età matura ancora in vita nell'intero universo. In origine faceva parte dell'equipaggio di riserva dell'astronave, e anche lui (o lei) era stato rivitalizzato solo poche ore prima per ordine del cervello centrale dell'astronave dopo un'ibernazione durata qualcosa come cinquantamila anni. Il Carpentiere faceva parte di un corpo d'élite il cui unico scopo era garantire qualche speranza di sopravvivenza alla sua specie. Alcuni dei membri di questo corpo erano stati imbarcati su quell'astronave alla partenza del suo disperato viaggio, l'ultimo sforzo compiuto da una razza morente per evitare l'oblio totale e inappellabile di un'intera civiltà per mano delle armi più sofisticate mai concepite dai suoi scienziati: ì berserker. Prinsep, che ascoltava ogni cosa attentamente, pensò che quella spiegazione risultava accettabile viste le circostanze. Non che in effetti vi fosse molta scelta. — E va bene — commentò il commodoro. — Allora, cos'è tutta questa storia? A cosa serve questa astronave? Kensing guardò fisso l'attempato militare, incerto su come rispondere. — Il miglior modo di definire la funzione di questo colosso, commodoro, è chiamarlo "nave-seme". Il Carpentiere, attento alla conversazione tra i solariani oltre che agli sviluppi della battaglia che si svolgeva esternamente, intervenne a quel punto per spiegare personalmente il resto. La nave-seme su cui si trovavano era una, e probabilmente l'unica rimasta, delle molte astronavi simili lanciate dagli edificatori negli ultimi, disperati giorni della loro esistenza. Il loro scopo era garantire comunque un futuro alla loro specie su un pianeta abitabile di qualche lontana galassia. Si trattava di una Fred Saberhagen
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scommessa molto rischiosa, un'impresa nella quale i loro scienziati si erano lanciati una volta compreso che i berserker avrebbero un giorno non lontano annientato definitivamente i loro creatori. La grande maggioranza delle navi-seme era stata distrutta dagli implacabili berserker poco dopo il loro lancio, durante un'offensiva che aveva cancellato la maggior parte della flotta e delle installazioni spaziali degli edificatori. Non più protetti dallo spazio, uno a uno i rigogliosi pianeti da loro abitati, frutto di una lunga e aggressiva politica di espansione, erano stati conquistati e sterilizzati dagli assassini metallici. Ma quella nave-seme, e con tutta probabilità solo quella, era sfuggita alla distruzione. Il suo nome poteva tradursi con approssimazione come Phoenix, la fenice. Nonostante i pesanti danneggiamenti e la morte del primo equipaggio trasportava ancora nelle sue viscere metalliche più di un miliardo di zigoti incapsulati, con tutta probabilità le ultime tracce genetiche degli edificatori nell'intero universo. Ma tutte le incubatrici che originariamente trasportava, così come le macchine che consentivano di costruirne di nuove, erano state distrutte dalle unità d'assalto berserker in più abbordaggi, fortunatamente sempre respinti. Da sempre implacabilmente cacciata, l'immensa nave-seme era sfuggita cinquantamila anni prima alla distruzione tuffandosi nelle fitte volute della nebulosa nera che i solariani chiamavano Mavronari, una densa nube di gas e polveri abbastanza estesa da consentirle di nascondersi ai suoi inseguitori. In quella nebulosa, il viaggio a velocità C-più era impossibile. Ensign Dinant era ancora incline allo scetticismo. — Ma sembra identica a un berserker. Tutti i nostri esperti l'hanno identificata come tale. Kensing annuì piano. — Naturale che sembri un berserker: non solo è stata costruita negli stessi cantieri usando la stessa tecnologia, ma è stata anche appositamente progettata per sembrarlo in modo da ingannare, quando possibile, i suoi inseguitori. E difatti con la sola eccezione dei programmi essenzialmente benevoli dei computer di bordo la somiglianza era davvero sorprendente, comunque sufficiente a ingannare i computer e gli esperti solariani. Ma naturalmente le macchine assassine avevano presto scoperto l'inganno, e da tempo ormai la copertura non risultava più efficace. Sentendo evidentemente che qualche dubbio ancora persisteva, il Fred Saberhagen
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Carpentiere si dichiarò disposto a fornire le prove di quanto affermava. Una traduzione simultanea delle sue parole ruppe il silenzio che si era creato. — Purtroppo non abbiamo il tempo di approfondire, ma vorrei mostrarvi il carico dell'astronave. Presto, seguitemi. Anche un carico composto da qualche miliardo di zigoti incapsulati, un carico più meno della stessa ampiezza della biostazione solariana, non occupava una grande porzione dello spazio disponibile. Non su un'astronave da guerra di quelle dimensioni. Con qualche fretta, Prinsep e i suoi uomini vennero condotti dal Carpentiere in un giro d'ispezione dei depositi che cancellò definitivamente ogni dubbio. Prinsep prese in mano un esemplare per osservarlo meglio. Ciascuno zigote era conservato in una sorta di piccolo piatto grande all'inarca quanto le "mattonelle" solariane, anche se notevolmente diverso per forma e materiali. Tongres eseguì addirittura un calcolo approssimato: un miliardo di quei piatti avrebbero occupato un volume pari a novanta metri per novanta per cinquanta. Prinsep si chiese, senza però parlarne apertamente, se gli edificatori conoscevano l'attrazione sessuale e l'amore in senso solariano. E decise alla fine che probabilmente era così. Poi pensò che dopotutto quell'astronave, grande al punto da poter comodamente contenere un carico di tale portata, non era certo il berserker più grande che si fosse mai visto. Anzi, le sue dimensioni la collocavano più o meno a metà della tetra scala dimensionale delle astronavi berserker conosciute. Nel suo vasto interno, i depositi potevano benissimo passare inosservati a una squadra d'abbordaggio necessariamente concentrata su altre cose. E ancora infuriava attorno a loro la battaglia tra i berserker e gli intercettatori inviati e controllati dai sofisticati sistemi esperti dell'astronave. Le potenti risorse della Phoenix, rafforzatesi in quei millenni di relativa quiete in attesa del momento decisivo, comprendevano decine di piccoli e veloci caccia, campi e scudi di forza di incredibile potenza e armi che avrebbero potuto annientare Imatra mille volte. Queste risorse potevano venir attivate appieno e scagliate su qualsiasi nemico in Fred Saberhagen
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brevissimo tempo. — Cosa possiamo fare per aiutarla? — domandò Prinsep. Una spontanea espressione di gratitudine venne dal Carpentiere insieme alla risposta: non molto al momento. Ma se i berserker venivano nuovamente sconfitti, i solariani potevano fare moltissimo. Perché non si trattava solo di salvare le loro vite, spiegò l'alieno, ma la stessa nave-seme e ciò che rappresentava oltre al nuovo e prezioso contatto tra due specie tecnologicamente evolute. E a bordo della biostazione la disponibilità di un buon numero di sofisticate incubatrici, che potevano venir utilizzate da entrambe le specie. Quell'affermazione colse in qualche modo di sorpresa i solariani. — Utilizzabili da entrambe le specie? — domandò il commodoro. — Esattamente — affermò Kensing, aggiungendo: — Questa è la chiave per comprendere il misterioso comportamento della nave-seme. Per poterle utilizzare con successo su una specie diversa da quella per cui erano state originariamente concepite, le incubatrici dovevano senza dubbio venir modificate in modo radicale sia nella struttura che nel software di controllo. Tuttavia, solariani ed edificatori sembravano condividere gli stessi fondamenti chimici e biologici della vita. Gli strumenti, l'energia e le nozioni complessive erano ampiamente disponibili, e secoli prima era stato provato dai sistemi esperti della Phoenix che col tempo, gli forzi e l'ingegnosità necessari le incubatrici solariane potevano accogliere anche i protoindividui dell'altra specie. Interrompendo la spiegazione di Kensing con una serie di suoni sincopati e sibilanti, il Carpentiere volle in qualche modo scusarsi per il modo in cui la nave-seme aveva trattato i solariani nel corso degli ultimi tre secoli. Quando l'equipaggio della Phoenix venne annientato, relativamente presto in quel viaggio durato eoni, lasciando al computer di bordo l'incarico di continuare le ricerche in assenza di piloti organici, le elaborate entità che risiedevano in questo computer dovettero lavorare con la certezza che il successo o meno della loro missione dipendeva dalle decisioni che avrebbero preso. Ma nel corso dei millenni l'onere si rivelò troppo grande per loro, e la tensione che ne risultò condusse a decisioni contraddittorie e anche controproducenti. Poco meno di cinquantamila anni dopo essere sprofondata nel cuore Fred Saberhagen
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della Mavronari, la nave-seme decise finalmente di riemergerne. Nel corso della lunga permanenza in quella protettiva ma pericolosa tenebra aveva trovato uno o due sistemi in grado di accogliere la nuova colonia. Ma nessuno avrebbe potuto abitarli senza le incubatrici per generare degli esseri organici e i programmi e le macchine per costruirle e farle funzionare. Pertanto tre secoli prima le complesse e pericolosamente disperate entità elettroniche a cui era stato affidato il compito di preservare un'intera specie e di creare una colonia a tutti i costi decisero di abbandonare quel rifugio e di cercare i mezzi per rendere nuovamente possibile il raggiungimento dell'unico loro obiettivo. E le entità che comandavano la Phoenix si imbatterono in qualcosa di nuovo: segnali radio e ottici, inviati nello spazio volontariamente e involontariamente, che coprivano diversi punti dello spettro di radiazione comunemente usato per le comunicazioni. Per un paio di anni standard solariani dopo essere emersa dalle volute più dense, la nave-seme si aggirò tra le frange esterne della nebulosa. Per quanto ne sapevano i suoi sistemi esperti, la galassia in cui si trovava, cinquantamila anni più antica di quando l'aveva in un certo qual modo lasciata, poteva essere completamente dominata dai berserker. E in effetti i calcoli dei computer di bordo assegnavano una percentuale tragicamente alta a questa possibilità. Nel corso dei tenebrosi millenni trascorsi nella nebulosa i computer di bordo avevano esaminato in tutti i modi possibili il problema di come sopravvivere ai berserker ed eventualmente di sconfiggerli. Ma anche qui le possibilità erano poche. Ulteriori rinvii alla costituzione della colonia erano indesiderabili. Tuttavia affrettarsi senza scopo poteva produrre dei risultati disastrosi. I molti condizionamenti dei loro programmi fecero in modo di frenare l'impulso di agire. Con meccanica pazienza, utilizzando tutti i mezzi ancora disponibili nonostante le mille battaglie, il passare dei millenni e la lunga immersione nella polverosa tenebra, le entità che comandavano la nave-seme studiarono i sistemi planetari adiacenti. Di nuovo soppesarono la possibilità di rivitalizzare uno dei preziosi componenti organici dell'equipaggio di riserva, decidendo alla fine che il momento giusto per compiere quell'importante passo non era ancora giunto. Fred Saberhagen
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Poi i sistemi esperti a cui il destino degli edificatori era affidato iniziarono a scandagliare con molta cautela una lunga frangia della nebulosa rivolta verso il nucleo della galassia, alla ricerca sia di un pianeta ottimale per la nuova colonia che dei mezzi per sviluppare il prezioso carico stivato nei depositi. La rotta seguita dall'astronave nel corso delle sue ricerche la portò a fare una scoperta fortuita che alterò e ritardò tutti gli altri piani concepiti fino a quel momento. Tracce evidenti di attività che potevano venire da una nuova specie organica dominante comparvero improvvisamente nello spettro elettromagnetico. Si trattava di segnali in rapida dispersione, indubbiamente artificiali, che echeggiavano in riflessioni multiple da una nube interstellare a un'altra. Non sembravano più vecchi di un paio d'anni, e tuttavia erano già deboli al punto da risultare quasi impercettibili. I sistemi esperti ampliarono al massimo la ricettività delle antenne. Osservarono e ascoltarono, registrando ogni segnale artificiale con onnivora voglia di informazioni. Diverse unità di ricognizione vennero istruite e inviate nello spazio, automi affidabili e pesantemente armati apparentemente identici a piccoli berserker. Muovendo con efficienza e rapidità, queste unità seguirono i segnali appena rilevati analizzandoli per scoprire la fonte di emissione. Non molto dopo vennero delimitati i settori di spazio da cui poteva provenire il segnale. Una delle unità tornò alla nave-seme con nuove informazioni, e questa decise di avvicinarsi. Pian piano lo stormo di ricognitori convergeva sempre più verso la fonte di emissione, cauti quanto lo imponeva la situazione. Ascoltavano e analizzavano, poi avanzavano ancora per analizzare nuovamente un segnale sempre più recente. La loro ricerca procedette a lungo per piccoli incrementi. E finalmente giunse il momento del contatto diretto. Improvvisamente una piccola astronave completamente aliena, un fenomeno nuovo e inaspettato per i computer di bordo, venne rilevata a distanza visiva. Gli strateghi elettronici si avvicinarono in modo molto guardingo all'astronave aliena perché sapevano che agli occhi di una specie intelligente in grado di compiere viaggi spaziali la nave-seme sarebbe sembrata un vecchio e danneggiato berserker. Le osservazioni clandestine non dovettero proseguire a lungo prima di Fred Saberhagen
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ottenere la definitiva certezza che la piccola astronave fosse pilotata da esseri organici, non da berserker. Con qualche riserva, ma anche con qualcosa di analogo a gioia e gratitudine, i sistemi esperti accettarono questa scoperta come la dimostrazione che anche cinquantamila anni dopo il totale annichilimento dei loro creatori, i berserker non erano riusciti a cancellare la vita dalla galassia. Ma la prudenza era ancora essenziale. Per prima cosa, la nave-seme era identica a un berserker. E forse anche le entità intelligenti che la controllavano apprezzarono l'ironia della situazione. Venire attaccati e distrutti come berserker dopo interi millenni di spaventose battaglie sarebbe stato davvero il colmo. L'astronave aliena andava catturata, ma possibilmente senza provocarne la distruzione. Infatti un altro obiettivo venne rapidamente indicato come prioritario dai sistemi strategici: imparare il linguaggio degli alieni per poter eventualmente un giorno cercarne l'alleanza. E in assenza di un metodo per decodificare le loro trasmissioni, non sembravano esservi alternative tra il perdere molti altri anni e il catturare vivi gli occupanti del piccolo mezzo spaziale. Muovere quel passo senza rivelare all'intera razza aliena la presenza di uno straniero tanto possente era essenziale; d'altro canto prendere dei prigionieri avrebbe senza dubbio generato l'ostilità di coloro con cui i sistemi esperti speravano in ultima analisi di allearsi. Pertanto essi studiarono con molta attenzione tutti i possibili risvolti della situazione. Tuttavia, alla fine prevalse l'idea di acquisire i malcapitati insegnanti con la forza. E così la piccola astronave venne catturata. Fin dall'inizio apparve chiaro che apparteneva a qualche associazione privata di ricerca; era disarmata e il suo equipaggio era composto da due sole persone. Fortunatamente per gli scopi della nave-seme, fu presa senza sparare neppure un colpo. Purtroppo però l'universo riservava molte altre sorprese oltre alle macchine di morte. La storia stessa degli edificatori dimostrava ampiamente che una razza intelligente era perfettamente in grado di muovere guerra a un'altra razza. Altrimenti, i berserker non sarebbero mai stati creati. Pertanto era necessario dimostrare grande diplomazia: il cervello della nave-seme avrebbe dovuto predire (e le sue mosse Fred Saberhagen
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successive dipesero dall'errore di quella predizione) quale poteva essere l'atteggiamento della razza aliena verso il prezioso carico di zigoti che tanto fedelmente custodiva. Ensign Dinant si rivelò l'ultimo a dubitare. — Ma quando ha attaccato Imatra ha ucciso della gente... ha rubato la biostazione con la violenza, e l'ha trascinata con sé! Fu il commodoro a rispondergli con calma: — Oh, è naturale. Gli edificatori e le loro macchine avrebbero cancellato per intero la specie solariana, ammettendo che potessero riuscire dove i berserker hanno fallito, se quello era l'unico modo di prendere la nostra biostazione o qualche equivalente. Era il solo modo di salvare la loro razza! Accidenti, anche noi faremmo la stessa cosa nei loro panni, non credete? L'edificatore che aveva ordinato il primo raid su Imatra, il predecessore del Carpentiere rivitalizzato tre secoli prima, intendeva dire la verità alla coppia di solariani prigionieri. Ma purtroppo la navetta con cui osservava l'andamento delle operazioni venne abbattuta dalle difese del planetoide. E dopo la sua morte improvvisa i sistemi esperti, nuovamente obbligati a riprendere il controllo delle operazioni, trascurarono di obbedire ai suoi ordini a questo riguardo. Una volta conclusosi il violento combattimento che accompagnò la cattura della biostazione, restava solo un singolo edificatore adulto nei dispositivi di animazione sospesa. Pertanto i sistemi esperti decisero che prima di giocare quell'ultima carta e svegliare il solo padrone organico rimasto andavano raccolte nuove informazioni sul carattere e la tecnologia della specie aliena appena scoperta. Per prima cosa durante la loro occupazione gli automi degli edificatori esaminarono a fondo le sofisticate incubatrici del laboratorio, le inestimabili macchine che dovevano sostituire quelle distrutte dai berserker senza possibilità di recupero. Presto le incubatrici si dimostrarono adattabili ai nuovi bisogni, così come Freya e gli altri sistemi esperti che le controllavano. Tuttavia nessuna prova venne eseguita sul momento. Le insidiose complessità di un organismo alieno erano difficili da scoprire in breve tempo anche per delle entità elettroniche, e la loro situazione non era ancora tanto disperata da dare il via alla crescita di nuovi zigoti senza un prolungato e intensivo programma di ricerca. Dopo l'abbordaggio di Dirac, i sistemi esperti si dimostrarono disposti a Fred Saberhagen
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correre qualsiasi rischio piuttosto che far capire ai solariani che il loro vero obiettivo erano le inestimabili incubatrici e i programmi che le rendevano tanto funzionali. Il disastro totale era infatti rappresentato dalla distruzione delle preziose macchine ottenute tanto miracolosamente. Davanti alla minaccia di intensi combattimenti sulla biostazione, la nave-seme aveva preferito ritirare le sue unità lasciando i bellicosi solariani alle loro faccende e tentando di instaurare un metodo alternativo di controllo. Le unità mobili avevano imbottito la biostazione di microtelecamere, microspie e altro, con particolare riguardo al ponte che ospitava le incubatrici. Molti di quei dispositivi vennero scoperti dai sospettosi occupanti umani, ma altri continuarono tranquillamente a funzionare. I sistemi esperti dovevano infatti venir costantemente rassicurati sulla sorte delle incubatrici e dei sistemi che le controllavano, posti apparentemente in costante pericolo dai contrasti e dalle ambizioni dei solariani in possesso della biostazione. Passarono gli anni, poi i secoli, e la nave-seme penetrò sempre più nel cuore della nebulosa nera riuscendo miracolosamente a sfuggire sia ai berserker che ai solariani. I sistemi esperti potevano tranquillamente permettersi di aspettare. Ma intanto si rendeva sempre più necessario neutralizzare un certo gruppo di solariani a bordo della biostazione, esseri violenti e ambiziosi, sempre armati e sempre pericolosamente vicini alle preziose incubatrici. Tuttavia, il raggiungimento del loro primo obiettivo diveniva sempre più probabile. Poi all'improvviso, mandando all'aria tutti i calcoli, altri solariani erano spuntati dalle profondità della nebulosa a bordo di un'astronave da guerra pesantemente danneggiata che poteva solo indicare la presenza nelle vicinanze di altri berserker. E allora divenne necessario mobilitare tutte le risorse e prepararsi a respingere il nuovo attacco. La situazione, già da tempo densa di pericoli che potevano portare al totale disastro, divenne all'improvviso molto più complicata e rischiosa. E i computer di bordo della nave-seme, tra l'altro parzialmente danneggiati, si rimisero subito al lavoro per esaminare le possibili soluzioni ai nuovi problemi. Nel suo primo contatto con i solariani, la nave-seme si fece Fred Saberhagen
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deliberatamente passare per un berserker. Inizialmente perché sarebbe stato difficile convincere i bellicosi alieni che non lo era. Più tardi, per evitare di rivelar loro il vantaggio di cui godevano controllando le incubatrici. I solariani erano convinti di esser stati catturati da un berserker; ciononostante, facevano di tutto per raggiungere un impossibile accordo. La nave-seme decise di prenderli in giro. Cercare di spiegar loro la verità poteva portare a complicazioni dalle conseguenze incalcolabili. E poi vi era la fondata speranza che in pochi anni, pochi decenni, pochi secoli al massimo sarebbero tutti convenientemente morti. E quindi più o meno gradualmente si sviluppò l'accordo tra Dirac Sardou e la nave-seme. Attraverso approfondite discussioni la grande macchina aliena e Dirac misero parzialmente a punto il piano comune di fondare una nuova colonia, mentre ognuno dei due ragionava in segreto sul modo migliore di eliminare l'altro. Nel periodo in cui il commodoro e la sua banda di rifugiati giunsero alla biostazione, le entità che comandavano la nave-seme erano incerte riguardo il valore dell'infido, brutale Dirac come alleato a lungo termine. Ma naturalmente le scelte erano poche, poiché quell'uomo si era prepotentemente affermato come il leader del piccolo gruppo di solariani superstiti. E un'alleanza era sempre possibile con qualsiasi tipo di entità conosciuta a eccezione dei berserker. Infatti gli archivi della nave-seme contenevano diversi esempi di edificatori la cui violenza e sete di potere equivalevano o addirittura superavano quelle dimostrate da Dirac. Non esisteva alcuna ragione di pensare che fossero tratti caratteristici della specie solariana, così come non lo erano per gli edificatori. In ogni caso, la nave-seme aveva dei problemi a trovare un modo migliore di usare quegli alieni o di imparare di più su di loro. Poi giunse un nuovo e probabilmente più affidabile gruppo di solariani: il commodoro e i suoi uomini. Il monitoraggio delle loro azioni rivelò presto l'affidabilità di Prinsep come "socio". Il Carpentiere concluse il suo racconto affermando che avrebbe presto inviato sulla biostazione le unità d'assalto che teneva in riserva per deporre Dirac.
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Hawksmoor ascoltò questa storia provando una sorta di istintiva simpatia per le entità virtuali degli edificatori assillate da tali irrisolvibili problemi. Secondo lui, qualsiasi computer o programma avanzato si sentiva normalmente molto più a suo agio avendo a che fare con un altro computer o un altro programma che non con delle entità organiche, e le creazioni degli edificatori non sembravano rappresentare un'eccezione alla regola. E quindi comprendeva benissimo le difficoltà incontrate dalle sue controparti che controllavano la nave-seme, anche se adesso dall'alto di quella che considerava la sua doppia natura le considerava vagamente incolori. Un'altra domanda che si poneva Nick era questa: gli edificatori avevano mai provato dei problemi etici, morali o sociali davanti all'idea di creare delle copie registrate di se stessi? Be', non aveva alcuna intenzione di dar voce a quella domanda per il momento. Troppi altri problemi andavano esaminati e risolti. Il Carpentiere riprese il suo racconto. I piani elaborati dalla nave-seme per ritirarsi in qualche santuario segreto ed edificare la sua colonia con l'aiuto delle macchine solariane dovette venir sospeso quando vennero raccolte prove più che convincenti, dapprima osservazioni proprie, poi deduzioni legate alla comparsa della nuova astronave solariana, che davano per certo un attacco berserker a breve termine. A quel punto, provando un sentimento analogo alla disperazione, le entità al comando della nave-seme decisero di rivitalizzare Frank Marcus. Da qualche parte nei depositi erano conservati i corpi ibernati di molti altri solariani adulti: i miserabili sviluppati dagli zigoti e mandati da Dirac al grande berserker per compiacerlo. E fu proprio quella vista a convincere a metà Frank Marcus, prima di venir ibernato, che non era prigioniero di un berserker. Il cervello della nave-seme considerava continuamente la possibilità di svegliare il solo comandante rimasto. Le sue condizioni fisiche erano eccellenti, e così facendo si sarebbe liberato delle responsabilità del comando. Tuttavia l'ultima volta che aveva giudicato necessario rivitalizzare un comandante, poco prima di attaccare Imatra, questi era stato ucciso dai solariani; adesso che aveva solo un edificatore adulto su cui contare, il Fred Saberhagen
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possibile margine d'errore si era ridotto a zero. E poi, se il loro padrone organico avesse voluto stabilire un'alleanza con i solariani non avrebbe certo gradito essere incolpato anche di massacri che si potevano evitare. Ecco perché conservava in vita i corpi delle vittime sacrificali, nonostante il dispendio di mezzi e di energia. Da secoli ormai la nave-seme cercava di proteggere i suoi segreti più vitali dalla curiosità dei solariani, mentendo per scoprire i loro. Ma negli ultimi tempi avrebbe volentieri rivelato la sua vera natura agli intrusi piuttosto che ucciderli. I solariani non erano necessariamente dei nemici mortali, mentre i berserker sì. I sistemi esperti studiavano i solariani da più di trecento anni. Tuttavia, essendo solo dei programmi risultò loro quantomai difficile classificare tutte le variabili del comportamento umano, come del resto accadeva per tutte le specie organiche intelligenti. Pertanto i lunghi studi non portarono mai ad alcuna decisione, e quando arrivò il nuovo gruppo di moderni alieni gli studi ripresero da capo seguendo dei modelli comparati. Gli eventi si susseguirono velocemente da quel momento in poi. Alla fine risultò evidente anche ai sistemi esperti che un accordo con i litigiosi intrusi andava trovato al più presto, tuttavia non era chiaro quale dei due gruppi appoggiare. Il commodoro aveva la ragione dalla sua, ma Dirac era disposto a tutto pur di fondare la sua nuova colonia. Incapaci di risolvere quell'ultimo dilemma, i sistemi esperti svegliarono a quel punto il Carpentiere. Il tempo di esitare era giunto al termine. Come del resto il tempo di parlare. — Tutti ai posti di combattimento! — esclamò la voce tradotta del Carpentiere. Uno dei robot di servizio della nave-seme, curiosamente simile a quelli solariani, stava già portando a Kensing una tuta corazzata. Prinsep, Havot, Nick, Tongres e Dinant controllarono le loro armi. I rapporti dai sistemi di bordo si susseguivano, e il Carpentiere ordinò la traduzione simultanea di tutti i messaggi. Le prospettive erano allarmanti: nonostante l'abbattimento delle loro astronavi-madri, molti piccoli berserker erano riusciti a penetrare a bordo e convergevano verso il salone di controllo. Le unità di difesa opponevano una valida resistenza, ma diversi invasori sarebbero comunque riusciti a filtrare. Il Carpentiere rimase al suo posto davanti alla grande consolle Fred Saberhagen
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principale, mentre Prinsep dispose i suoi uomini lungo tutti i corridoi di accesso indicati dal comandante alieno. Le loro figure corazzate si nascosero il meglio possibile dietro ad angoli e porte, mentre diversi robot servitori frettolosamente mobilitati compivano le necessarie rilevazioni. Pochi attimi più tardi il nemico cercò di sfondare, ondate di forme bizzarre che si gettarono in avanti a velocità sovrumana. In una tempesta di fuoco e fiamme, combattendo fianco a fianco con le unità di difesa della nave-seme, i solariani fecero del loro meglio per respingere la carica nemica. Intanto, altre unità di difesa braccavano i berserker isolati che si aggiravano nella grande astronave sabotando tutto il possibile. Con i sensi esaltati dalla micidiale battaglia, Kensing vide Nick combattere alla sua destra fino a quando un berserker più veloce del solito riuscì ad afferrarlo riducendo in frantumi la tuta corazzata. Alla sua sinistra vide cadere Havot e un altro solariano; subito una coppia di robot servitori li trascinò via, forse per un immediato ricovero in un medirobot, forse per venir espulsi nello spazio o inceneriti come carne morta. E poi, all'improvviso, il fragore delle armi cessò. Prinsep disse alla radio che l'assalto era stato respinto, e che gli automi della nave-seme avrebbero distrutto i berserker in ritirata. Intanto Sandy constatava con incredulità di essere vivo e indenne. Tuttavia per lunghi momenti respirò a fatica. Ma alla fine giunse notizia che il contatto con la biostazione era stato ristabilito, e... sì, Annie era ancora là, viva e per il momento al sicuro.
31 Qualcosa come ventiquattr'ore standard erano trascorse dalla strenua battaglia che aveva segnato una nuova sconfitta per i berserker. Più nulla si era udito del nemico in quel periodo, ma era sempre possibile che un'altra flotta di macchine assassine si materializzasse all'improvviso tra le polveri della nebulosa per gettarsi in un nuovo attacco suicida. Sicuramente la galassia era infestata da un gran numero di berserker, e molti di loro stavano certamente compiendo grandi sforzi per localizzare la Phoenix. Perché dal punto di vista dei nemici della vita un'alleanza tra i sofisticati edificatori, con la loro conoscenza intima di come i berserker erano stati costruiti e programmati, e i bellicosi solariani, già da soli in grado di combatterli efficacemente, rappresentava l'evento peggiore che si Fred Saberhagen
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potesse immaginare. Sandy Kensing e Annie Zador, entrambi ancora armati e corazzati per far fronte a ogni evenienza, passeggiavano insieme nella grande nave-seme esplorando alcune delle sue interessanti sezioni secondarie. I due, come del resto tutti i solariani a bordo, si muovevano nella gravità artificiale che il Carpentiere aveva appositamente regolato per la comodità degli ospiti. In quel momento, Annie e Sandy osservavano uno dei robot di servizio della Phoenix trasportare delle unità di memoria prese dal salone di controllo dei motori. Quelle unità alloggiavano un sistema esperto molto importante per loro. Infatti uno dei sistemi di manutenzione della grande astronave si era dimostrato in grado di eliminare parzialmente i blocchi imposti da Nick sui motori della Eidolon. In cambio, il Carpentiere aveva ottenuto vario materiale della biostazione e molte copie dei programmi che ne consentivano il funzionamento, incluse diverse versioni di Freya e quaranta incubatrici da trasbordare non appena possibile. Rompendo un lungo silenzio, Annie chiese a Sandy: — Allora, hai intenzione di venire con noi? Sandy Kensing non rispose d'istinto. Si prese invece un altro lungo momento per pensare. Decisamente, quella era una decisione valida per tutta la vita. Se tutto andava bene, la Eidolon con i motori parzialmente funzionanti (far di meglio era forse possibile, ma non ci si poteva contare troppo) sarebbe stata pronta in qualche giorno per riportare i solariani sopravvissuti verso il sistema di Imatra. — Se la nostra rappezzata astronave non ci pianta in asso a metà strada — li aveva avvisati Prinsep. — E naturalmente se non incontriamo dei berserker. Il ritorno a casa rappresentava una scommessa rischiosa, ma qualcuno si sentiva pronto ad affrontarla. D'altro canto, evitare di correre quel rischio significava accettare di correrne un altro equivalente. La dottoressa Zador e il dottor Hoveler, ancora dediti al benessere di quelli che ormai consideravano un miliardo di loro bambini, proposero di non provare neppure ad agganciare la biostazione alla Eidolon, una soluzione che avrebbe solo accresciuto a dismisura i rischi del viaggio di Fred Saberhagen
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ritorno. E neppure si sentirono di sovraccaricare l'astronave col peso di un miliardo di zigoti, o "unità viventi allo stato larvale" come li chiamavano i berserker, riportandoli in tal modo verso mondi che non ne volevano sapere di loro. E quindi i due scienziati decisero di continuare il viaggio, unendo le loro fortune e quelle del miliardo di protopersone a quelle del Carpentiere e dei suoi zigoti. Se un futuro esisteva per tutti quei bambini, non era certo su un pianeta conosciuto. Annie non voleva lasciare Sandy, anzi. Ma la sua concezione del dovere le lasciava davvero poca scelta. Ora che la sua missione poteva felicemente concludersi grazie all'aiuto della macchine solariane, la nave-seme avrebbe continuato il suo viaggio attraverso la nebulosa trascinando la biostazione con sé fino ad atterrare sul pianeta prescelto per la nuova colonia. Prinsep era determinato a riportare alla civiltà anche Carol e Scurlock mettendoli ai ferri sulla Eidolon. Visto che non si trattava di un berserker non potevano venir accusati di tradimento; in ogni caso Scurlock aveva commesso vari crimini, ed era giusto che pagasse per questo. Havot giaceva gravemente ferito in un medirobot, pronto per l'animazione sospesa fino al suo arrivo in un ospedale attrezzato. E anche Dirac, o meglio la sua versione optoelettronica, sarebbe tornato sui mondi che una volta governava. Naturalmente la decisione venne presa senza consultarlo. Prinsep lasciò decidere a lady Genevieve, in quanto giuridicamente ancora sua consorte. La giovane donna, come del resto tutti gli altri, non era disposta a concedere al suo ex marito neppure la possibilità di parlare. E questo risultava quantomai facile, in quanto nella sua nuova vita disincarnata l'ambizioso presidente poteva venir tranquillamente disattivato. Un'altra versione di Nicholas Hawksmoor, segretamente copiata da Dirac e tenuta di riserva per qualche scopo, si era salvata dall'esplosione avvenuta quando Nick3 era penetrato negli appartamenti dell'ex presidente. Per comune consenso quella versione, una copia di Nick2, venne attivata, informata dell'accaduto e lasciata liberamente decidere sul proprio futuro. Nick2 ebbe bisogno solo di una frazione di secondo per rinunciare a tutte le future possibilità di contatto con lady Genevieve e scegliere di accompagnare la nave-seme verso la sua destinazione finale. Fred Saberhagen
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Invece Sandy Kensing esitava ancora. Doveva decidere alla svelta, in ogni caso prima della completa riparazione dei sistemi di propulsione della Eidolon. La partenza non poteva più venir rimandata, perché a ogni giorno che passava la nebulosa si chiudeva sempre più su di loro e il viaggio di ritorno si faceva sempre più difficile, mentre il Carpentiere rifiutava di prendere in considerazione qualsiasi ipotesi di rallentare la corsa o di tenere una rotta che avrebbe mantenuto la nave-seme in quel settore fino all'arrivo di una potente flotta solariana. Troppo grande era il rischio che arrivasse prima una flotta berserker per completare l'opera iniziata in precedenza. Kensing si voltò per guardare fisso l'equivalente di un oloschermo a poca distanza da loro. Nel fascio di luce, tre piccoli oggetti muovevano verso la tenebra più profonda diretti su un pianeta ignoto. — Sandy! Oh, Sandy, non so come farò senza di te! — esclamò Annie all'improvviso, come se quel prolungato silenzio fosse davvero troppo per lei. — Calmati, Annie. Davvero, non c'è nulla di cui preoccuparsi — replicò Kensing, prendendo tra le sue la mano corazzata della donna che amava. — Hai un futuro davanti, con circa un miliardo di bambini urlanti. — Più di due miliardi — fece lei singhiozzando — contando anche gli edificatori. — Più di due miliardi? Un pianeta intero di bambini! Ragazzi, non mi perderò quello spettacolo per nulla al mondo! FINE
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