Norberto Bobbio Eguaglianza e libertà
Lo,( 3b2:f26-
Einaudi
Indice
p.
IX
Prefazione
Eguaglianza e Libertà Eguagl...
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Norberto Bobbio Eguaglianza e libertà
Lo,( 3b2:f26-
Einaudi
Indice
p.
IX
Prefazione
Eguaglianza e Libertà Eguaglianza r.
Eguaglianza e libertà
2.
Eguaglianza e giustizia
s
3.
Le situazioni di giustizia
ro
+
I criteri di giustizia
13
5.
La regola di giustizia
16
6.
L'eguaglianza di tutti
19
7.
L'eguaglianza di fronte alla legge
s.
L'eguaglianza giuridica
3 6
22
24
ISBN
88-06·13922-3
L'eguaglianza delle opportunità
ro.
L'eguaglianza di fatto
30
rr.
L'egualitarismo
r2.
L'egualitarismo e il suo fondamento
36
13-
Egualitarismo e liberalismo
39
14.
L'ideale dell'eguaglianza
33
© 1995 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino
9-
26
Bibliografia
x
INDICE
Libertà 1.
Libertà negativa
48
2.
Libertà positiva
50
3.
Libertà di agire e libertà di volere
52
4.
Determinismo e indeterminismo
54
5·
Libertà dell'individuo e libertà della collettività
56
6.
«Libertà da» e «libertà di»
6o
7·
Libertà degli antichi e libertà dei moderni
6-,
8.
Liberalismo e democrazia
65
9·
Quale sia la «vera» libertà
p. 45
w.
Due ideali di società libera
71
r1.
La storia come storia della libertà
74
r2.
La storia della libertà
77
r3.
Linee di tendenza di questa storia
so
r4.
Dalla libertà dallo Stato alla libertà nella società
68
83
r5.
Totalitarismo e tecnocrazia
88
r6.
Le forme attuali della non-libertà
93
r7.
I problemi attuali della libertà
95
r8.
Considerazione conclusiva
97
Bibliografia
Prefazione
I due valori della libertà e dell'eguaglianza si ri chiamano l'uno con l'altro nel pensiero politico e nella storia. Sono radicati entrambi nella considera zione dell'uomo come « persona ». Appartengono entrambi alla determinazione del concetto di perso na umana, come essere che si distingue o pretende di distinguersi da tutti gli altri esseri viventi. « Libertà » indica uno stato, « eguaglianza » un rapporto. L'uo mo come « persona », o, per essere considerato come persona, deve essere, in quanto individuo nella sua singolarità, libero, in quanto essere sociale, deve es sere con gli altri individui in un rapporto di egua glianza. « Liberté et Egalité ». La « Fraternité » appartiene a un altro linguaggio, piu religioso che politico. « Eguaglianza » viene spesso sostituito con « Giusti zia » nel binomio « Giustizia e Libertà». Ma in que sto binomio « Giustizia » precede « Libertà ». Solo per ragioni di migliore assonanza? La precedenza dell'una o dell'altra parola dipende anche dal conte sto storico. Le vittime di un potere oppressivo chie dono prima di tutto di essere liberi. Rispetto a un po tere arbitrario invocano giustizia. Di fronte a un po tere dispotico, che sia insieme oppressivo e arbitra rio, la richiesta di libertà non può andar disgiunta da quella di giustizia.
XII
PREFAZIONE
Affermare la libertà e l'eguaglianza come valori vuoi dire che sono rispettivamente uno stato dell'in dividuo e un rapporto tra gl'individui, generalmente desiderabili . Gli uomini desiderano essere liberi piuttosto che schiavi . Desiderano essere trattati giu stamente piuttosto che ingiustamente. Tant o piu che nelle società storiche gl'individui non sono mai tutti liberi né tutti eguali fra loro. La società di liberi ed eguali è uno stato ideale o ipotetico, soltanto imma ginato. Immaginato ora all'inizio ora alla fine della storia, secondoché del corso storico dell'umanità si abbia una visione regressiva o progressiva. È una so cietà ove ogni uomo è libero in quanto non ubbidi sce che a se stesso, e, per il fatto che questa libertà spetta a ognuno, tutti sono eguali per lo meno nel l' essere liberi. Diversamente, una società storica può essere costituita da uomini liberi ma non eguali nelle rispettive sfere di libertà, cosi come da eguali nel non essere liberi, o, piu brevemente, diseguali nella liber tà o eguali nella schiavitu. Libertà ed eguaglianza sono i valori che stanno a fondamento della democrazia. Fra le tante definizio ni che si possono dare di democrazia, una definizio ne che tenga conto non solo delle regole del gioco, ma anche dei principi ispiratori, è quella secondo cui la democrazia è, non tanto una società di liberi e di eguali, perché, come ho detto, questa è solo un idea le-limite, ma è una società regolata in modo che gl'individui che la compongono sono piu liberi ed eguali che in qualsiasi altra forma di convivenza . La maggiore o minore democraticità di un regime si mi sura proprio dalla maggiore o minore libertà di cui godono i cittadini e dalla maggiore o minore egua-
PREFAZIONE
XIII
glianza che esiste tra loro. Caratteristica della forma democratica di governo è il suffragio universale, cioè l'estensione a tutti i cittadini, o, per lo meno, alla stragrande maggioranza (l'universo giuridico è l'uni verso del press'a poco e del per lo piu) del diritto di voto . Il suffragio universale è un'applicazione del principio di eguaglianza, in quanto rende eguali ri spetto ai diritti politici, che sono i diritti eminenti in uno stato democratico, gli uomini e le donne, i ricchi e i poveri, i colti e gl'incolti. Nello stesso tempo è an che un'applicazione del principio di libertà, intesa la libertà, in senso forte, come il diritto di partecipare al potere politico, cioè come autonomia. I cittadini di uno stato democratico diventano, attraverso il suffragio universale, piu liberi e piu eguali. Dove il diritto di voto è ristretto, gli esclusi sono insieme me no eguali e meno liberi. Che libertà ed eguaglianza siano mete general mente e congiuntamente desiderabili, non vuoi dire che gli individui non desiderino anche mete diame tralmente opposte. Gli uomini desiderano essere li beri piuttosto che schiavi, ma desiderano anche co mandare piuttosto che ubbidire. L'uomo ama l'e guaglianza, ma ama anche la gerarchia, se si trova a essere sui gradini piu alti. Ma fra i valori della libertà e dell'eguaglianza e quelli del potere e della gerar chia c'è una differenza. I primi, pur essendo irrealistici piu dei secondi, non sono contradditori. Non è contraddittorio im maginare una società di liberi ed eguali, anche se di fatto, cioè nella pratica attuazione, non può mai ac cadere che tutti siano egualmente liberi e liberamen te eguali. È contraddittorio, invece, immaginare una società in cui tutti siano potenti o gerarchicamente
XIV
PREFAZIONE
superiori. Una società che s'ispira all'ideale dell'au torità è necessariamente divisa tra potenti e non po tenti. Una società ispirata al principio della gerar chia è necessariamente divisa tra superiori e inferio ri. In una situazione originaria in cui tutti ignorano quale sarà la propria posizione nella società futura, e quindi non sanno se saranno dalla parte di coloro che comandano o di coloro che sono obbligati a ob bedire, e se si troveranno in alto o in basso nella scala sociale, l'unico ideale che può loro sorridere è quello di essere il piu possibile liberi rispetto a chi detiene il potere ed il piu possibile eguali fra di loro. Possono desiderare una società fondata sull'autorità e sulla gerarchia soltanto alla condizione non prevedibile di essere dalla parte dei potenti e non degli impotenti, dei superiori e non degli inferiori. Nonostante la loro desiderabilità generale, libertà ed eguaglianza non sono valori assoluti. Non c'è principio astratto che non ammetta eccezioni nell'applicazione. La differenza tra regola ed ecce zione sta nel fatto che l'eccezione deve essere giusti ficata. Là dove la libertà è la regola, deve essere giu stificata la sua limitazione. Dove la regola è l'egua glianza, deve essere giustificato il trattamento diver so. Ma il punto di partenza può anche essere oppo sto, come nella scuola o in una caserma, dove la re gola è la disciplina e l'eccezione la libertà. Che cosa sia piu normale, la libertà o la disciplina, l' eguaglian za o la gerarchia, non lo si può decidere una volta per sempre. Libertà ed eguaglianza sono piu normali che disciplina e gerarchia soltanto in senso normati vo, nell'universo del dover essere. Non mi risulta che tra i vari vagheggiamenti di città ideali, ve ne sia uno
PREFAZIONE
xv
in cui i cittadini non siano né liberi né eguali, anche se una società di liberi ed eguali non ha né tempo né luogo. NORBERTO BOBBIO Agosto 1995.
Ringrazio il Direttore dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, prof. Vincenzo Cappelletti, per avermi consentito di pubblicare presso l'edi t
Un lessico civile
Perché un «lessico» e un «lessico civile»? Un lessico è qualcosa di piu della sequenza amorfa di un vocabolario. È una combinazione di espressioni e di significati che si legano l'uno all'altro e generano un effetto d'insieme. Un lessico è fatto di testi in un contesto. Tuttavia, è qualcosa di meno di una lingua, con le sue regole e i suoi principì impe rativi da cui non si può sgarrare. Il contesto non è dominato dall'autorità ma è lasciato alla libertà. I testi legati insieme nel nostro lessico nascono in un momen to in cui il loro contesto non è già bell'e dato. È divenuto un problema o, meglio, un compito. Nel terreno del dibattito pub blico attuale si sono aperte crepe profonde, che rendono difficile la comunicazione e la comprensione. Chi si riteneva affine, si ri trova estraneo. Vecchie tematiche scompaiono d'un tratto e ca tegorie acquisite appaiono improvvisamente inutilizzabili; teo rie e credenze collettive che si pensavano radiate si ripresentano con una forza completamente nuova; giudizi che si credevano inconfutabili vengono rovesciati ed è da prevedersi l'apparizione di parole-chiave, parole d'ordine, concetti e categoriefinora non pensati o impensabili. È il «nuovo che avanza» e che, partendo dalla politica e dall'economia, ha invaso ormai anche il campo della cultura, creando per ora una babele delle lingue con l'ap parenza di un accentuato pluralismo, ma ponendo probabil mente le basi per una prossima ricomposizione conformistica nella quale la cultura sia chiamata ad essere soltanto un'ancella.
VI
PREMESSA
La ricostruzione di un proprio contesto è ciò per cui le forze della cultura devono oggi lavorare. Qui si tratta per loro di di fendere e dimostrare la loro autonomia e indipendenza tanto dagli interessi politici quanto da quelli economici, sia gli uni che gli altri interessati, congiuntamente o separatamente, alla determinazione di un contesto ideologico conforme alle loro aspettative. Il nostro lessico si denomina poi «civile», perché vuole porsi problemi dal punto di vista della società civile. Ciò non per ali mentare insostenibili contrapposizioni, ma per cercare di equi librare il baricentro dell'elaborazione culturale che da tempo è venuto spostandosi - attraverso gli strumenti di comunicazio ne di massa, il loro anomalo assetto e la riduzione dei prodotti della cultura a merce in mezzo alle altre merci - dalla parte dei poteri politici ed economici piu forti. Ciò che sta avvenendo può essere conforme a una visione demagogica della vita collet tiva nella quale alla società, mossa dall'esterno e dall'alto ma incapace di pensare e volere da sé, sia attribuita una funzione soltanto reattiva. Ma non è certo conforme a una visione de mocratica, che presuppone al contrario una società attiva, do tata di propri strumenti di elaborazione culturale e capace cosi di svolgere una funzione direttiva o, almeno, correttiva sulla politica e sull'economia. Questi sono gli intenti. Che cosa poi effettivamente sia un progetto editoriale è sempre un'affermazione possibile solo ex post factum. E poi, qualora anche si riesca ad agire conforme mente ai desideri, si tratterà soltanto di una goccia nell'oceano. Si. Ma che cosa d'altro ci è dato di fare? Del resto, l'oceano non è /atto di gocce? GUSTAVO ZAGREBELSKY
Eguaglianza
L
Eguaglianza e libertà.
L'eguaglianza, come valore supremo di una con vivenza ordinata, felice e civile, e quindi, da un lato come aspirazione perenne degli uomini viventi in so cietà e dall'altro come tema costante delle ideologie e delle teorie politiche, viene accoppiata spesso con la libertà. Come 'libertà' 'eguaglianza' ha prevalen temente nel linguaggio politico un significato emoti vo positivo, cioè designa qualche cosa che si deside ra, anche se non mancano ideologie e dottrine auto ritarie che pregiano p ili l'autorità che la libertà, e ideologie e dottrine inegualitarie che pregiano piu la diseguaglianza che l'eguaglianza. Ma, per quel che riguarda il loro significato descrittivo, mentre rispet to al termine 'libertà' la difficoltà di stabilirlo sta so prattutto nella sua ambiguità, avendo nel linguaggio politico almeno due significati diversi, la difficoltà di stabilire il significato descrittivo di 'eguaglianza' sta soprattutto nella sua indeterminatezza, cosicché il dire che due enti sono eguali senz' altra determina zione non significa nel linguaggio politico nulla, se non si specifica di quali enti si tratti e rispetto a che cosa siano eguali, cioè se non si sia in grado di ri spondere alle due domande: a) 'eguaglianza tra chi?', e b) 'eguaglianza in che cosa?' Piu precisamente, mentre la libertà è una qualità o proprietà della persona (non importa se fisica o mo-
4
EGUAGLIANZA
rale) , e quindi i suoi diversi significati dipendono dal fatto che questa qualità o proprietà può essere riferi ta a diversi aspetti della persona, prevalentemente alla volontà o all'azione, l'eguaglianza è puramente e . semplicemente un tipo di relazione formale, che può essere riempita dei p ili diversi contenuti. Tanto è ve r� che mentre 'X è libero' è una proposizione dotata d1 senso, 'X è eguale' è una proposizione senza sen so, e anzi rinvia, per acquistare un senso, alla rispo sta alla domanda 'eguale a chi?' Donde l'effetto irre sistibilmente comico e, nell'intenzione dell'autore satirico, del celebre motto orwelliano: «Tutti son� eguali ma alcuni sono piu eguali degli altri », mentre sarebbe perfettamente legittimo dire che in una so cie�à tutti sono �iberi ma alcuni sono piu liberi, per c� e vorr�bbe d1re semplicemente che tutti godono d! c�rte h�ertà e un gruppo piu ristretto di privile giati gode moltre di alcune libertà particolari. D'al tra parte, mentre è senza senso la proposizione 'X è eguale', è una proposizione sensata, anzi usatissima, ancorché estremamente generica 'tutti gli uomini so no eguali', proprio perché in tale contesto l'attributo �ell' egu�glianza si riferisce non a una qualità dell uomo m quanto tale, com'è o può essere in certi c�ntesti la libertà, ma a un certo tipo di rapporto tra . g�1 �?tl che fanr:o parte de�a categoria astratta 'uma nlta . Il che puo anche spiegare perché la libertà in qu�nto val<;>re, cioè in quanto bene o fine da perse . . gm:e, �l� d1 sohto considerata un bene o un fine per un md�v1duo o per un ente collettivo (gruppo, clas se, naziOne, Stato), concepito come un super-indivi duo, mentre l'eguaglianza è considerata come un be ne o un fine per i singoli componenti di una totalità
5 in quanto questi enti si trovino in un determinato ti po di rapporto tra loro. Prova ne sia che, mentre la li bertà è in genere un valore per l'uomo in quanto in dividuo, donde le teorie politiche fautrici della liber tà, cioè liberali o libertarie, sono dottrine individua listiche, tendenti a vedere nella società piuttosto un aggregato d'individui che non una totalità, l'egua glianza è un valore per l'uomo in quanto ente generi co, cioè in quanto è un ente appartenente a una de terminata classe, che è appunto l'umanità, donde le teorie politiche propugnatrici di eguaglianza, o egualitarie, tendono a vedere nella società una totali tà di cui occorre considerare quale tipo di rapporti esista o debba essere istituito tra le diverse parti del tutto . A differenza del concetto e del valore della li bertà, il concetto e il valore dell'eguaglianza presup pongono per la loro applicazione la presenza di una pluralità di enti di cui si tratta di stabilire quale rap porto esista tra loro: mentre si può dire, al limite, che possa esistere una società in cui uno solo è libero (il despota) , non avrebbe senso asserire che esiste una società in cui uno solo è eguale. L'unico nesso social mente e politicamente rilevante tra libertà ed egua glianza si riscontra là dove la libertà viene considera ta come ciò in cui gli uomini, o meglio i membri di un determinato gruppo sociale, sono o debbono essere eguali, donde la caratteristica dei membri di questo gruppo di essere 'egualmente liberi' o 'eguali nella li bertà': nessuna miglior riprova del fatto che la liber tà è la qualità di un ente, l'eguaglianza un modo di stabilire un determinato tipo di rapporto tra gli enti di una totalità, anche se poi l'unica caratteristica co mune di questi enti sia il fatto di essere liberi.
6
EGUAGLIANZA
2.
Eguaglianza e giustizia.
Mentre 'libertà' e 'eguaglianza' sono termini con cettualmente e assiologicamente molto diversi, an che se spesso ideologicamente congiunti, il concetto e anche il valore dell'eguaglianza mal si distinguono dal concetto e dal valore della giustizia nella maggior parte delle sue accezioni, tanto che l'espressione 'li bertà e giustizia' viene usata spesso come equivalen te all'espressione 'libertà ed eguaglianza'. Dei due significati classici di giustizia risalenti ad Aristotele, l'uno è quello che identifica 'giustizia' con 'legalità', onde si dice giusta l'azione compiuta in conformità delle leggi (non importa se siano leggi positive o naturali), giusto l'uomo che osserva abi tualmente le leggi, e giuste le stesse leggi (per esem pio, le leggi umane) in quanto corrispondano a leggi superiori, come le leggi naturali o divine; l'altro è quello che identifica 'giustizia' per l'appunto con 'eguaglianza', onde si dice giusta un'azione, giusto un uomo, giusta una legge che istituisce o rispetta, una volta che è istituito, un rapporto di eguaglianza. L'opinione comune che ritiene di poter distinguere i due significati di giustizia riferendo il primo preva lentemente ad azione e il secondo prevalentemente a legge, onde un'azione è giusta in quanto è conforme a una legge e una legge è giusta in quanto è conforme al principio di eguaglianza, non è esatta: tanto nel linguaggio comune quanto in quello tecnico, si suole dire, senza che quest'uso susciti la minima confusio ne, che un uomo è giusto non solo perché è osservan te della legge ma anche perché è equanime, come, d'altra parte, che una legge è giusta non solo perché
E
GIUSTIZIA
7
è egualitaria ma anche perché è conforme a una leg
ge superiore. Non è difficile del resto ricondurre uno dei due significati all'altro: il punto di riferimen to comune a entrambi è quello di ordine o di equili brio o di armonia o di concordia delle parti di un tut to. Sin dalle piu antiche rappresentazioni della giu stizia, questa è sempre stata raffigurata come la virtu o il principio che presiede all'ordinamento in un tut to armonico o equilibrato tanto delle società umane quanto del cosmo (l'ordine del cosmo, del resto, è concepito, nella visione sociomorfica dell'universo, come una proiezione dell'ordine sociale). Ora, affin ché regni l'armonia nell'universo o nella civitas è ne cessario: a) che ognuna delle parti abbia assegnato il proprio posto secondo ciò che le spetta, il che è l' ap plicazione del principio suum cuique tribuere, massi ma espressione della giustizia come eguaglianza; b) che, una volta che a ogni parte è stato assegnato il proprio posto, l'equilibrio raggiunto sia mantenuto da norme universalmente rispettate. Cosi l'instaura zione di una certa eguaglianza tra le parti e il rispetto della legalità sono le due condizioni per l'istituzione e la conservazione dell'ordine o dell'armonia del tut to che è, per chi si metta dal punto di vista della tota lità, e non delle parti, il sommo bene. Queste due condizioni sono entrambe necessarie per attuare la giustizia, ma soltanto insieme sono anche sufficienti. ID, una totalità ordinata l'ingiustizia può essere intro dotta sia dall'alterazione dei rapporti di eguaglianza sia dall'inosservanza delle leggi: l'alterazione dell'e guag1ìanza'èuna sfida alla legalità costituita, cosi co me l'inosservanza delle leggi stabilite è una rottura del principio di eguaglianza cui la legge si è ispirata. A ogni modo l'eguaglianza consiste soltanto in un
8
EGUAGLIANZA
rapporto: ciò che dà a questo rapporto un valore, ne fa un fine umanamente desiderabile, è l'essere giu sto. In altre parole, un rapporto di eguaglianza è un fine desiderabile nella misura in cui è considerato giusto, ove con 'giusto' s'intenda che tale rapporto ha in qualche modo a che vedere con un ordine da istituire o da restituire (una volta turbato), cioè con un ideale di armonia delle parti di un tutto, perché, tra l'altro, solo un tutto ordinato si ritiene abbia la possibilità di durare. Si può ripetere in conclusione che la libertà è il va lore supremo dell'individuo rispetto al tutto, mentre la giustizia è il bene supremo del tutto in quanto composto di parti. In altre parole, la libertà è il bene individuale per eccellenza e la giustizia è il bene so ciale per eccellenza (in questo senso virtu sociale, co me diceva Aristotele) . Volendo coniugare i due valo ri supremi del vivere civile, l'espressione pili corretta è 'libertà e giustizia' anziché 'libertà ed eguaglianza', dal momento che l'eguaglianza non è di per se stessa un valore ma è tale soltanto in quanto sia una condi zione necessaria, se pur non sufficiente, di quell' ar monia del tutto, di quell'ordine delle parti, di quel l' equilibrio interno di un sistema, che merita il nome di «giusto ».
3 · Le situazioni di giustizia. Che due cose siano eguali tra loro non è né giusto né ingiusto, cioè non ha di per se stesso né social mente né politicamente alcun valore. Mentre la giu stizia è un ideale, l'eguaglianza è un fatto. Non è di
LE SITUAZIONI DI GIUSTIZIA
9
per se stesso né giusto né ingiusto che due palle di bi liardo siano perfettamente eguali tra loro. La sfera di applicazione della giustizia, owero dell'eguaglianza socialmente e politicamente rilevante, è quella dei rapporti sociali, o degli individui o gruppi tra loro, o degli individui col gruppo (e viceversa) , secondo la distinzione tradizionale risalente ad Aristotele tra giustizia commutativa (che ha luogo nei rapporti tra le parti) e giustizia distributiva (che ha luogo nei rap porti tra il tutto e le parti, o viceversa) . Piu specifica mente, le situazioni in cui è rilevante che vi sia o non vi sia eguaglianza sono soprattutto due: a) quella in cui ci si trova di fronte a un'azione di dare (o fare) , di cui si debba stabilire la corrispondenza antecede�te mente con un avere o susseguentemente con un nce vere, onde la sequenza avere-dare-ricevere-avere; b) quella in cui ci si trova di fronte al problema di asse gnare vantaggi o svantaggi, benefici o oneri, in ter mini giuridici diritti o doveri, a una pluralità di indi vidui appartenenti a una determinata categoria. Nel primo caso la situazione è caratterizzata da un rap porto bilaterale e reciproco; nel secondo caso, da un rapporto multilaterale e unidirezionale. Nel primo caso il problema dell'eguaglianza si presenta come problema di 'equivalenza' di cose (ciò che si dà deve essere equivalente a ciò che si ha, ciò che si riceve a ciò che si ha) ; nel secondo, come problema di 'equi parazione' di persone (si tratta per esempio di equi parare nel rapporto tra coniugi la moglie al marito o nel rapporto di lavoro gli operai agli impiegati) . Ognuno vede la differenza tra l'eguaglianza che vie ne invocata quando si richiede che vi sia corrispon denza tra la merce e il prezzo e l'eguaglianza che vie ne invocata quando si chiede che i diritti (e i doveri)
IO
EGUAGLIANZA
della moglie corrispondano a quelli del marito, op pure che lo stato giuridico degli operai sia equipara to a quello degli impiegati. Le due situazioni del re sto corrispondono ai due tipi fondamentali di rap porti che è dato riscontrare in ogni sistema sociale, i rapporti di scambio e i rapporti di convivenza. Vo lendo dare un nome alle due situazioni di giustizia si può parlare nel primo caso di giustizia retributiva, nel secondo di giustizia attributiva. Mentre non è possibile, specificare ulteriormente i casi tipici di giustizia attributiva, tante e tanto im prevedibili sono le situazioni in cui si richiede un eguagliamento nei rapporti tra individui, i casi piu ti pici di giustizia retributiva, cioè di eguaglianza tra ciò che si dà (o si fa) e ciò che si riceve, sono i quattro seguenti: rapporto tra merce e prezzo, rapporto tra mercede e lavoro, rapporto tra danno e indennizzo, rapporto tra delitto e castigo. Di questi quattro casi i primi due sono di retribuzione di un bene con un be ne, gli altri due, di un male con un male. Anche in questi casi il linguaggio comune riconosce il nesso tra i due concetti di giustizia e di eguaglianza, par lando rispettivamente di 'giusto prezzo' , di 'giusto salario', di 'giusto indennizzo', di 'giusta pena' . 4·
I criteri di giustizia.
Una volta delimitata la sfera di applicazione della giustizia come eguaglianza, non si è detto ancora nulla su ciò che distingue un'eguaglianza giusta da una ingiusta, che è poi la differenza essenziale in un discorso politico tra l'eguaglianza desiderabile e quella che non è tale. Non si è detto ancora nulla in-
I CRITERI DI GIUSTIZIA
II
torno a ciò che rende desiderabile che due cose o due persone siano eguali. A questo punto il proble ma dell'eguaglianza rinvia al problema dei cosiddet ti criteri di giustizia, cioè a quei criteri che permetto no di stabilire situazione per situazione in che cosa due cose o due persone debbano essere eguali affin ché l'eguaglianza tra di loro possa essere considerata giusta. Due cose o due p�rsone J?Ossono essere �gua li o eguagliate sotto molti aspetti: la loro eguaglianza o il loro eguagliamento ha a che fare con la giustizia solo quando corrisponde a un determinato criterio (che viene chiamato criterio di giustizia) , in base al quale si stabilisce quale degli aspetti debba essere considerato rilevante al fine di distinguere un' egua glianza desiderabile da un'eguaglianza non deside rabile. Che il malum passionis sia eguale al malum ac tionis non è di per se stesso né giusto né ingiusto: di venta giusto se si elegge a criterio di giustizia penale il criterio dell'egual sofferenza, cioè se si accetta il principio che delitto e castigo debbano essere egua�i nella sofferenza (rispettivamente procurata e subi ta) . Se si adotta un altro criterio, per esempio quello che ispira la legge del taglione, secondo cui il castigo deve eguagliare il delitto non nella sofferenza, ma piu rozzamente e materialmente nel tipo di mutila zione, l' eguagliamento del castigo al delitto avviene in modo diverso. Ancora piu evidente è il caso del rapporto di eguaglianza tra lavoro e mercede: . vi so no tanti modi di considerare la mercede corrispon dente al lavoro, e quindi di ritener rispettato il rap porto di eguaglianza tra l'una e l'altro, quanti sono i criteri di retribuzione che vengono di volta in volta adottati. Che il salario debba corrispondere alla ne cessità della riproduzione della forza-lavoro, è un
12
LA REGOLA DI GIUSTIZIA
EGUAGLIANZA
criterio retributivo che viene perfettamente soddi sfatto quando sia rispettata l'eguaglianza fra l' am montare di ciò che riceve l'operaio in cambio del suo lavoro e ciò che egli deve spendere per il suo sosten tamento. Cambiando criterio, quel che era giusto col primo criterio diventa ingiusto col secondo . Non vi è teoria della giustizia che non analizzi e discuta alcuni dei piu comuni criteri di giustizia, che di solito vengono presentati come specificazioni del la massima generalissima e vuota: 'a ciascuno il suo'. Per fare qualche esempio: 'a ciascuno secondo il me rito', 'secondo la capacità', 'secondo il talento', 'se condo lo sforzo', 'secondo il lavoro', 'secondo il ri sultato', 'secondo il bisogno', 'secondo il rango', e via enumerando. Nessuno di questi criteri ha valore assoluto, né è perfettamente obiettivo, anche se vi siano situazioni in cui venga applicato prevalente mente l'uno piuttosto dell'altro: nella società fami liare il criterio prevalente è quello del bisogno (e cu riosamente anche nella società comunistica secondo Marx), nella scuola (quando abbia finalità essenzial mente selettive) il criterio del merito; in una società per azioni quello delle quote di proprietà; nella so cietà leonina quello della forza (la comunità interna zionale è in gran parte una società leonina) , eccetera . Anche se la scelta di questo o quel criterio è in parte determinata dalla situazione obiettiva, dipende spesso, e talora in ultima istanza, sebbene non sem pre consapevolmente, dalle diverse concezioni gene rali dell'ordine sociale, come dimostrano a sufficien za dispute ideologiche del tipo: se sia piu giusta la società in cui a ciascuno sia dato secondo il merito o quella in cui a ciascuno sia dato secondo il bisogno . Nelle situazioni concrete i vari criteri sono spesso
arietà di contemperati l'uno con l'altro : si I? et? si a�la � or criteri con cui vengono selezionati d1 soht� 1 conc cola 1e s1 e ov , iego , renti a concorsi di pubblico imp . ? � �el 10 cnte l ; no, si sovrappongono e �i confo�do�o, � anzl � eli � o ; lter c 11 , gno biso del llo � merito con que uno 1� nità con quello del rango . . La .massm� a a c1asc de d1 suo' non enuncia alcun cnteno, ma h compren volta in volt a, e tollera, tutti. ·
5 · La regola di giustizia . Al di là delle due forme di giustizia retributiva e attributiva esaminate nei capitoli precedenti, l'e guaglianza ' ha a che fare con la giu.stizia anche in u� altro senso, cioè rispetto alla cosiddetta 'regola d1 giustizia'. Per 'regola di giustizia' s' �ntend� � a regola secondo cui si debbono trattare gh eguah m modo eguale e i diseguali in modo diseguale. Superfluo sottolineare quale sia l'importanza che ass�me una . regola siffatta nei riguardi della determmaz10ne del . la giustizia, concepita come il val? re ch� pres1�de al la conservazione dell'ordine sociale. C1o, che . mv�� e . conviene sottolineare è che alla regola d1 gms.tlzia non si riduce sino ad esaurirsi, come in genere nten gono i giuristi, il problema � ell� �i� stizia come valo . re sociale. La regola della gmsuz la mf�ttl presuppo . ne che siano già risolti i problemi che n�ntr��o nella . sfera della giustizia retributiva e della gmst1� 1a aw;r� butiva, presuppone cioè che siano già stati scelti l criteri per stabilire quando due cose debbono essere considerate equivalenti e quando due persone deb bono essere considerate equiparabili. Solo dopo eh� questi criteri siano stati scelti, interviene la regola d1
EGUAGLIANZA
giustizia a stabilire che vengano trattati nello stesso modo coloro che si trovano nella stessa categoria. Se non fosse stabilito in anticipo come debba essere trattata questa o quella categoria, non avrebbe senso alcuno affermare che gli appartenenti alla categoria debbono essere trattati in modo eguale. Chi confon d.e il problema o meglio i vari problemi della giusti-' Zia come eguaglianza con la regola di giustizia non sembra rendersi conto che il primo compito di colui che intende fare opera di giustizia è di stabilire come un determinato individuo debba essere trattato per essere trattato giustamente. Soltanto dopo che si è stabilito il trattamento sorge l'esigenza di provvede re a che l'egual trattamento venga riservato a coloro che si trovano nella stessa situazione. La regola di giustizia insomma riguarda il modo con cui il princi pio di giustizia dev'essere applicato: è stata chiamata infatti correttamente la giustizia nell'applicazione. S'intende dire, nell'applicazione del principio di giustizia accolto ovvero, poiché questo o quel princi pio di giustizia costituiscono generalmente il conte nuto di leggi, nell'applicazione della legge. Da que sto punto di vista il rapporto tra la giustizia retributi va e attributiva da un lato, e la regola di giustizia dal l'altro, può essere precisato in questo modo: la pri ma è costitutiva o ricostitutiva dell'eguaglianza so ciale; la seconda tende a mantenerla nei modi e nelle forme in cui è stata stabilita. Poiché la regola di giu stizia non dice quale sia il trattamento migliore ma si limita a richiedere l'applicazione eguale di un deter minato trattamento qualunque esso sia, viene chia mata anche giustizia formale, in quanto prescinde completamente da qualsiasi considerazione del con tenuto. Si può dare il caso, e si dà infatti frequente-
LA REGOLA DI GIUSTIZIA
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mente in ogni ordinamento giuridico ove le norme invecchiano e diventano ingiuste, che una norma in giusta venga applicata giustamente, e non è certo l'applicazione ingiusta che vi pone rimedio ma se mai soltanto la disapplicazione. Pur avendo un valore subordinato al valore in staurato dalla giustizia retributiva e attributiva, an che la giustizia formale ha di per se stessa, cioè indi pendentemente dal valore di giustizia della norma, e pur nel caso di norma ingiusta, un valore sociale, che è quello di garantire l'ordine vecchio sino a che non sarà sostituito dal nuovo. Ha anche la funzione di rendere meno urtante l'ingiustizia in quanto condi visa ('mal comune mezzo gaudio'). Si può ancora os servare che lo strumento piu idoneo a far rispettare la regola di giustizia è l'emanazione, da parte di colui che detiene in una determinata società il potere legi slativo, di norme generali e astratte che stabiliscano come debba essere trattata un'intera categoria di soggetti. Qualora vi siano norme siffatte, e la mag gior parte delle leggi formali sono tali, il rispetto del la regola di giustizia, cioè della giustizia formale, si risolve puramente e semplicemente nell'applicazio ne scrupolosa e imparziale della legge: applicando infatti una legge scrupolosamente e imparzialmente a tutti i soggetti che rientrano nella categoria dalla legge regolata e secondo il trattamento previsto, si osserva anche la regola della giustizia che vuole siano trattati in modo eguale gli eguali. Da questo punto di vista l'applicazione della regola di giustizia coincide col rispetto della legalità, anche se non bisogna con fondere l'attuazione della regola di giustizia attra verso il rispetto della legalità, da un lato, con la giu stizia come legalità, cui abbiamo accennato nel par.
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2, e, dall'altro, col principio di legalità, il quale è po sto a difesa non dell'eguaglianza, ma della certezza del diritto. La regola di giustizia richiede per la sua applicazione la virtu dell'imparzialità nei riguardi dei destinatari della legge, il principio di legalità piuttosto quella della lealtà nei riguardi del legisla tore.
6.
L'eguaglianza di tutti.
Contrariamente a quello che si potrebbe desume re da ciò che si è detto sin qui sul rapporto tra giusti zia ed eguaglianza, in cui 'giustizia' è sempre appar so come termine assiologicamente significante ed 'eguaglianza' come termine assiologicamente neu trale, oltre che descrittivamente indeterminato, nel dibattito politico l'eguaglianza costituisce un valore, anzi uno dei valori fondamentali cui le filosofie e le ideologie politiche di tutti i tempi si sono ispirate. Ma ciò dipende dal fatto che in tutti i contesti in cui l'eguaglianza viene invocata (e naturalmente anche in quelli in cui viene condannata), l'eguaglianza di cui si tratta è sempre un'eguaglianza determinata o secundum quid, che riceve il suo contenuto assiologi camente rilevante proprio da quel quid che ne speci fica il significato. Certamente, una delle massime politiche piu cari che di significato emotivo è quella che proclama l'e guaglianza di tutti gli uomini, la cui formulazione piu corrente è la seguente: 'Tutti gli uomini sono (o nascono) eguali' . Questa massima corre e ricorre en tro l'ampio arco di tutto il pensiero politico occiden tale, dagli stoici al cristianesimo primitivo, per rina-
DI TUTTI
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scere con nuovo vigore durante la Riforma, assume re dignità filosofica in Rousseau e nei socialisti utopi sti, ed essere espressa in forma di vera e propria re gola giuridica nelle dichiarazioni dei diritti, dalla fi ne del Settecento a oggi. Ma di solito non si pone mente al fatto che ciò che attribuisce una carica emo tiva positiva all'enunciazione, che in quanto propo sizione descrittiva o è troppo generica o addirittura falsa, non è la proclamata eguaglianza ma l'estensio ne dell'eguaglianza a 'tutti'. Non può sfuggire infatti il significato polemico e rivoluzionario di questo 'tutti', che viene contrapposto a situazioni o ordina menti in cui non tutti, anzi pochi o pochissimi, frui scono di beni e diritti, di cui gli altri sono privi. In al tre parole, il valore della massima sta non nel fatto che evochi il fantasma dell'eguaglianza, che ha sem pre rotto il sonno dei potenti, ma nel fatto che l'e guaglianza evocata, di qualsivoglia natura essa sia, dovrebbe valere per tutti, dove per 'tutti' non è detto s'intenda la totalità degli uomini, perché basta s'in tenda la totalità degli appartenenti a un determinato gruppo sociale, in cui sino allora il potere è stato te nuto nelle mani di pochi. Inoltre, poiché, come si è detto, una qualsiasi massima di giustizia deve ri spondere a entrambe le domande della 'eguaglianza fra chi' e della 'eguaglianza in che cosa' per avere un contenuto specifico, va osservato che la massima dell'eguaglianza di tutti risponderebbe apparente mente solo alla prima domanda quando la s'inter preti letteralmente. In realtà, il significato assiologico della massima dipende anche dalla qualità, sebbene sottintesa, ri spetto alla quale si chiede che gli uomini, tutti gli uo mini, siano considerati eguali. In nessuna delle acce zioni storicamente importanti la massima può essere
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interpretata come richiedente che 'tutti' gli uomini siano eguali in 'tutto'. L'idea che la massima esprime è che gli uomini siano considerati eguali e trattati da eguali rispetto a quelle qualità che secondo le diver se concezioni dell'uomo e della società costituiscono l'essenza dell'uomo,ovvero la natura umana distinta dalla natura degli altri esseri,come il libero uso della ragione,la capacità giuridica,la libertà di possedere, la 'dignità sociale' (come recita l'art. 3 della Costitu zione italiana),o, piu brevemente, la 'dignità' (come recita l'art. I della Dichiarazione universale dei dirit ti dell'uomo) e via discorrendo. In questo senso la massima non ha un significato univoco ma ha tanti significati quante sono le risposte alla domanda: «Tutti eguali, sf, ma in che cosa?» Una volta inter pretato il suo significato specifico attraverso l'analisi delle idee morali, sociali e politiche della dottrina che l'ha formulata, il suo significato emotivo dipen de proprio dal valore che ogni dottrina attribuisce a quella qualità rispetto a cui si esige che gli uomini siano trattati in modo eguale. Anche il campione dell'egualitarismo,].-]. Rousseau,non chiede che af finché sia instaurato il regno dell'eguaglianza tutti gli uomini siano eguali in tutto: all'inizio del Discorso sull'origine dell'ineguaglianza tra gli uomini distin gue le diseguaglianze naturali da quelle sociali,quel le prodotte dalla natura e in quanto tali benefiche,o per lo meno moralmente indifferenti,e quelle sociali prodotte da quel groviglio di rapporti di dominio economico,spirituale e politico, di cui è intessuta la civiltà umana. Ciò cui egli mira è l'eliminazione delle seconde, non delle prime. In uno dei passi decisivi del Contratto sociale scrive: «Invece di distruggere l'eguaglianza naturale, il patto fondamentale sosti-
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tuisce al contrario un'eguaglianza morale e legittima a quanto la natura aveva potuto mettere d'inegua glianza fisica tra gli uomini» (I, 9). 7· L'eguaglianza difronte alla legge. Delle varie determinazioni storiche della massima proclamante l'eguaglianza di tutti gli uomini,l'unica universalmente accolta, quale che sia il tipo di costi tuzione in cui è inserita e quale che sia l'ideologia che vi è sottintesa, è quella che afferma che 'tutti gli uo mini sono eguali di fronte alla legge',o,con altra for mulazione, 'la legge è uguale per tutti'. Il principio è antichissimo e non può non essere ricollegato,anche se il collegamento è infrequente,al concetto classico dell"isonomia', che è concetto fondamentale, oltre che ideale primario, del pensiero politico greco, co me risulta a meraviglia illustrato da queste parole di Euripide: «Nulla v'è per una città piu nemico d'un tiranno,quando non vi sono anzitutto leggi generali, e un uomo solo ha il potere, facendo la legge egli stesso a se stesso; e non v'è affatto eguaglianza. Quando invece ci sono leggi scritte, il povero e il ric co hanno eguali diritti» (Supplici, 429-34). Moder namente il principio si trova enunciato nelle Costitu zioni francesi del I79I,del 1793 e del 1795; poi via via nell'art. I della Carta del I8I4, nell'art. 6 della Costi tuzione belga del I83o, nell'art. 24 dello Statuto al bertino. Mentre il XIV emendamento della Costitu zione degli Stati Uniti (I868) vuole assicurare a ogni cittadino«l'eguale protezione delle leggi»,il princi pio viene ripreso e ripetuto, nel primo dopoguerra, tanto dall'art. I09, comma I, della Costituzione di
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Weimar (1919), quanto dall'art. 7, comma r, della Costituzione austriaca (1920); nel secondo dopo guerra, per fare esempi tratti da costituzioni ispirate a diverse ideologie, tanto dall'art. 71 della Costitu zione bulgara (1947) quanto dall'art. 3 della Costitu zione italiana (1948). Nonostante la sua universalità, anche questo prin cipio è tutt'altro che chiaro e ha dato luogo a diverse interpretazioni. Prescindo in questa sede dalla di sputa, che interessa piu propriamente la teoria giuri dica, circa la destinazione del principio: se cioè esso sia rivolto ai giudici o anche al legislatore. Nel primo caso non aggiungerebbe nulla alla regola di giustizia che prescrive l'imparzialità nel giudizio; nel secondo caso finisce per cambiare completamente natura, perché da principio che prescrive l'eguaglianza 'di fronte' alla legge si trasformerebbe in un principio del tutto diverso e ben piu pregnante che prescrive l'eguaglianza 'nella' legge. Il principio ha prima di tutto un significato storico. Ma, per intenderne il si gnificato storico, bisogna ricollegarlo non tanto a quello che afferma quanto a quello che nega, biso gna cioè intenderne il valore polemico. Il bersaglio principale dell'affermazione che tutti sono eguali di fronte alla legge è lo Stato di ordini o di ceti, quello Stato in cui i cittadini sono divisi in ca tegorie giuridiche diverse e distinte, disposte in ordi ne gerarchico rigido, onde le superiori hanno privi legi che le inferiori non hanno, e queste hanno al contrario oneri da cui quelle sono esenti: il passaggio dallo Stato per ordini allo Stato liberale borghese ri sulta chiaro a chi consideri la differenza tra il Codice prussiano del 1794 che contempla tre ordini in cui è divisa la società civile, i contadini, i borghesi e la no-
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biltà, e il Codice napoleonico del r8o4, dove vi sono soltanto cittadini. Nel Preambolo della Costituzione francese del 1791 si legge che i costituenti hanno vo luto abolire «irrevocabilmente le istituzioni che feri vano la libertà e l'eguaglianza dei diritti», e tra que ste istituzioni sono annoverate tutte quelle che ave vano caratterizzato il regime feudale. La frase con cui il Preambolo si chiude, «Non vi sono piu per al cuna parte della nazione, né per alcun individuo, al cun privilegio o eccezione al diritto comune di tutti i Francesi», illustra a contrario, meglio di qualsiasi commento, il significato del principio dell'egua glianza di fronte alla legge. Ovunque all'enunciazio ne del principio seguano una o piu specificazioni del contenuto, il valore polemico risulta evidente. Nel l'art. 24 dello Statuto albertino all'enunciazione del principio segue questa precisazione: «Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibi li alle cariche civili e militari, salvo le eccezioni deter minate dalle Leggi». Nulla di piu storicamente con dizionato che l'ammissibilità alle cariche civili e mili tari (perché no, all'istruzione e ai diritti politici?): ciò contro cui questa prescrizione reagisce è la di scriminazione in base alla nascita, che è il criterio su cui sono fondate le aristocrazie. Altre forme di di scriminazione ne restano fuori. Se si prescinde da questo significato polemico, espresso o tacito, che occorre di volta in volta rileva re, il principio dell'eguaglianza di fronte alla legge è anch'esso, come tutte le formule egualitarie, generi co. La communis opinio infatti lo interpreta come prescrivente l'esclusione di ogni discriminazione a� bitraria sia da parte del giudice sia da parte del legi slatore, ove per 'discriminazione arbitraria' s'inten-
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da quella introdotta o non eliminata senza una giu stificazione, e, piu brevemente, una discriminazione non giustificata (e in questo senso 'ingiusta'). Ma ba sta addurre ragioni perché una discriminazione pos sa considerarsi giustificata? Qualsiasi ragione o non piuttosto certe ragioni piuttosto che certe altre? Ma in base a quali criteri si distinguono le ragioni valide da quelle invalide? Esistono criteri oggettivi, criteri cioè che riposino sulla cosiddetta 'natura delle co se'? L'unica risposta che si possa dare a queste do mande è che vi sono, tra gli individui umani, diffe renze rilevanti e differenze irrilevanti rispetto al loro inserimento in questa o quella categoria. Ma questa distinzione non coincide con la distinzione tra diffe renze obiettive e non obiettive: tra Bianchi e Neri tra uomini e donne vi sono certo differenze obiettive, ma non è detto che siano anche rilevanti. La rile vanza o l'irrilevanza è stabilita in base a scelte di va lore. In quanto tale, è storicamente condizionata. Basta considerare le giustificazioni che sono state addotte di volta in volta per i successivi allargamenti dei diritti politici, per rendersi conto che una diffe renza ritenuta rilevante in un determinato periodo storico (per escludere certe categorie di persone dai diritti politici) non è piu stata considerata rilevante in un periodo successivo. '
8. L'eguaglianza giuridica. . Occorre ulteriormente distinguere l'eguaglianza dt fronte alla legge dall'eguaglianza di diritto, dall'e guaglianza nei diritti (o dei diritti, secondo le diver se formulazioni), e dall'eguaglianza giuridica. L'e-
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spressione 'eguaglianza di diritto' viene usata in con trapposizione a 'eguaglianza di fatto', e corrisponde quasi sempre alla contrapposizione tra eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale o materiale, su cui si veda oltre (cfr. sotto, par. ro). L'eguaglianza nei diritti (o dei diritti) significa qualcosa di piu che la mera eguaglianza di fronte alla legge come esclu sione di ogni discriminazione non giustificata: signi fica l'eguale godimento da parte dei cittadini di alcu ni diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, come risulta da alcune celebri formulazioni: «Gli uomini nascono e rimangono liberi ed uguali nei di ritti» (Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del citta dino, 1789), «Tutti gli uomini nascono liberi ed uguali in dignità e diritti» (Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, 1948). La differenza tra egua glianza di fronte alla legge ed eguaglianza nei diritti è sottolineata in alcune formulazioni, come quella dell'art. 21 della Costituzione iugoslava in cui si dice che gli uomini sono eguali «dinanzi alla legge e nei diritti». Mentre l'eguaglianza di fronte alla legge è soltanto una forma specifica e storicamente determi nata di eguaglianza di diritto o dei diritti (per es. nel diritto di tutti di accedere alla giurisdizione comune, o alle principali cariche civili e militari, indipenden temente dalla nascita), l'eguaglianza nei diritti com prende, oltre il diritto di essere considerati eguali di fronte alla legge, tutti i diritti fondamentali enume rati in una costituzione, quali sono i diritti civili e po litici, generalmente proclamati (il che non vuoi dire riconosciuti di fatto) in tutte le costituzioni moder ne. Infine, per eguaglianza giuridica s'intende di so lito l'eguaglianza in quel particolare attributo che fa di ogni membro di un gruppo sociale, anche dell'in-
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fante,un soggetto giuridico,cioè un soggetto dotato di capacità giuridica. Mentre l'eguaglianza nei diritti ha un ambito pili vasto dell'eguaglianza di fronte alla legge, l'eguaglianza giuridica ha un ambito pili ri stretto: il bersaglio polemico del principio dell'egua glianza di fronte alla legge è originariamente,come si è detto,la società di ceti,mentre il bersaglio polemi co dell'eguaglianza giuridica è la società schiavistica cioè quella società in cui non tutti i suoi membri so� no persone giuridiche. In una società di ceti tutti P?s�o1_1o essere soggetti d� diritto, hanno capacità gmndtca,anche se non tuttl sono eguali di fronte alla legge (nel senso che ogni ordine è regolato da leggi _ dtverse), e a maggior ragione non tutti sono eguali nei diritti fondamentali.
9 · L 'eguaglianza delle opportunità. Discorso non molto diverso è da farsi rispetto al l'altro principio di eguaglianza che viene considera to uno dei cardini dello Stato di democrazia sociale cosi come il principio dell'eguaglianza di fronte all� legge ha rappresentato uno dei cardini dello Stato li berale: il principio dell'eguaglianza delle opportuni tà, o delle chances, o dei punti di partenza. Anche questo principio non è meno generico del preceden te, qualora non ne venga precisato il contenuto con riferimento a situazioni specifiche e storicamente d�terminate. Di per se stesso il principio dell'egua ghanza delle opportunità astrattamente considerato non è nulla di particolarmente nuovo: esso non è al tro che l'applicazione della regola di giustizia a una situazione in cui vi siano piu persone in competizio-
, DELLE OPPORTUNITÀ
. ne tra loro per il raggiungimento di un obiettivo uni co,cioè di un obiettivo che non può essere raggiunto che da uno dei concorrenti (come il successo in una gara, la vittoria in un gioco o in un duello, la vincita di un concorso e cosi via). Non vi è nulla di partico larmente progressivo o regressivo nel fatto che i gio catori di scopa o di tarocchi abbiano in partenza lo stesso numero di carte o i giocatori di scacchi lo stes so numero e lo stesso tipo di pedine, che i duellanti siano forniti della stessa arma, i corridori partano dalla stessa linea, o i partecipanti a un concorso ab biano lo stesso titolo di studio, debbano portare al l'esame gli stessi libri, siano tutti quanti messi nella condizione di non conoscere il tema che dovranno svolgere. Ciò che ancora una volta fa di questo principio un principio innovatore negli Stati socialmente ed eco nomicamente avanzati è il fatto che esso sia stato enormemente esteso per effetto del prevalere di una concezione conflittualistica globale della società, per cui tutta intera la vita sociale viene considerata un'immensa gara per il conseguimento di beni scar si. Questa estensione è avvenuta almeno in due dire zioni: a) nel richiedere che l'eguaglianza dei punti di partenza venga applicata a tutti i membri del gruppo sociale senza alcuna distinzione di religione, di raz za,di sesso,di classe,ecc.; b) nel comprendere tra le situazioni in cui la regola deve essere applicata situa zioni economicamente e socialmente ben altrimenti importanti che non siano quelle dei giochi o dei con corsi. Tali sono, per fare qualche esempio, la gara per il possesso dei beni materiali, per il raggiungi mento di mete particolarmente desiderabili da tutti gli uomini,per il diritto di esercitare certe professio-
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ni. In altre parole, il principio dell'eguaglianza delle opportunità elevato a principio generale mira a met tere tutti i membri di quella determinata società nel la condizione di partecipare alla gara della vita, o per la conquista di ciò che è vitalmente pili significativo, partendo da posizioni eguali. Superfluo aggiungere che, quali siano da considerare le posizioni di par tenza eguali, quali le condizioni sociali e materiali che permettano di considerare i concorrenti eguali, varia da società a società. Basta porsi domande di questo genere: è sufficiente il libero accesso a scuole eguali? Ma quali scuole, di quale grado, sino a quale anno di età? Poiché alla scuola si accede dalla vita fa miliare, non sarà necessario eguagliare anche le con dizioni di famiglia in cui ciascuno si trova a vivere sin dalla nascita? Dove ci si ferma? Non è superfluo in vece richiamare l'attenzione sul fatto che proprio al lo scopo di mettere individui diseguali per nascita nelle stesse condizioni di partenza, può essere neces sario favorire i piu disagiati o sfavorire i piu agiati, cioè introdurre artificialmente, ovvero imperativa mente, discriminazioni altrimenti non esistenti, co me avviene del resto in certe gare sportive in cui ai concorrenti meno provetti viene assicurato un certo vantaggio nei riguardi dei piu provetti. In tal modo una diseguaglianza diventa strumento di eguaglian za per il semplice motivo che corregge una disegua glianza precedente: la nuova eguaglianza è il risulta to del pareggiamento di due diseguaglianza. Io. L'eguaglianza di/atto. Dal principio dell'eguaglianza di fronte alla legge e da quello dell'eguaglianza delle opportunità si di-
DI FATTO
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stingue l'esigenza o l'ideale dell'egua�lia�za r�al� o sostanziale o, come si legge nella Cost1tuz1�ne Italia na, «di fatto ». Che cosa s'intenda gene�Icame�te per 'eguaglian_za di �atto' è a?bas�anza c!n�ro: s m. tende l'eguaglianza rispetto a� b�m mat�nal�, � egua glianza economica, la quale si v�en� �osi a dist�ngue re dall'eguaglianza formale o gmridi�a, e dali egua glianza delle oppo�tunità o sociale. E tutt'alt�o. che chiaro, invece, anzi e, molto controverso, quali �1ano le forme e i modi specifici con cui questa eguagl�anza si ritiene possa essere pretesa e att�ata. �guaglianz� rispetto ai beni materiali. Ma qual� bem ? E J? erche . no anche i beni spirituali o culturali? Se si defimsc� ' no i beni rispetto ai bisogni che essi te�do� o a so?�l sfare la domanda intorno alla determinaziOne d1 cio, che � un bene e di ciò che non lo è rinvi� �Ila d?m.an da intorno alla determinazione di quali sia?o � b1so� gni degni di essere soddisf �tti e �e� r�guard1 de� quali si considera 'giusto' che gli uomm1 siano eguali. Tut� ti i bisogni o soltanto alcuni? E poiché r:on ��mbra si possa rispondere 'tutti' - e neanche Il pm c�n�e guente e fanatico egualitario ha mai dato �na s1mlle risposta - qual è il criterio in � ase �l qu�l.e si po�sono distinguere bisogni meritevol.I e � 1so�m Im;n�r�t�vo li di essere soddisfatti? Forse Il criterio dell utilita s? � ciale, per cui si distinguono. �isogni so�ial�ente utili e bisogni socialmente nocivi? O d_ cnterio, ancor� piu vago, della corrisponden�a alla ,' natu�a', � ��e �I _ naturali da b1so m rtlficiali, _ distinguono b1sogm � � bisogni spontanei da bisogni pr�wocatl d.al produt tori di beni di consumo? Il bisogno d1 asc? l�are _ ctale, una sinfonia di Beethoven è natura�e o artlf � spontaneo o provocato? E qu�llo d1 an?ar.e m va; canza, o di portare scarpe, o dt leggere tl giornale.
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Da questo punto di vista nulla di piu indeterminato della formula 'a ciascuno secondo i suoi bisogni', usata anche da Marx, e poi diventata l'ideale-limite della società comunista, nel noto scritto Critica al programma di Gotha. Una volta determinata la natura dei beni rispetto ai quali gli uomini dovrebbero essere eguali, il pro blema dell'eguaglianza non è ancora risolto: occorre anche stabilire in quali modi gli uomini entrino e ri mangano in rapporto con questi beni. È necessario il possesso o è sufficiente l'uso? È sufficiente il godi mento o è necessaria la disponibilità? O vi è ancora ur� 'altra distinzione da fare, tra un tipo di beni, come gh strumenti di produzione, di cui dovrebbe essere lecita soltanto la proprietà collettiva, e altri beni, co me i prodotti, di cui sarebbe lecito anche il possesso ��ividuale ed eventualmente anche la libera dispo sizione? In terzo luogo, non sembra che chi sostiene una dottrina egualitaria possa sfuggire a una ulterio re domanda: dopoché è stato determinato il tipo di beni di cui è rilevante l'eguaglianza affinché una so cietà possa essere considerata giusta, dopoché è sta to stabilito il tipo di rapporto che deve sussistere tra i m�mbri del gruppo e questi beni, affinché l'egua glianza sostanziale sia assicurata, l'eguaglianza invo cata sarà assoluta o relativa? O per riprendere la no ta distinzione aristotelica, aritmetica o geometrica? In altre parole, i beni da distribuire saranno distri buiti secondo la formula 'a ciascuno in parti eguali' oppure secondo la formula 'a ciascuno in proporzio ne di... ', cioè con una formula che permetta una di versa distribuzione secondo il diverso grado con cui ogni individuo possiede il requisito richiesto? Nulla
' impedisce che venga considerata eg.ualitaria. una ' dottrina che difende una formula dt eguaglianza proporzionale. . E da notare infine che tra gh stessi prmc1p1 dt giUstizia comunemente considerati alcuni sono piu egualitari di altri: un principio è tanto piu egualitari� quanto minori si pres.um.e siano le differe�ze . tr.a �h uomini rispetto al cnterto adottato. Il prmc1p1o a ciascuno secondo il bisogno' è considerato fra tutti il principio piu egualitario (non per nulla vi si ispira la dottrina comunistica), perché si ritiene che gli uomi ni siano piu eguali tra loro (o meno diversi) rispetto ai bisogni che non, per esempio, rispetto alle capaci tà. Dal che segue che il carattere egualitario di una dottrina non sta nella richiesta che tutti siano trattati in modo eguale rispetto ai beni rilevanti, ma che il criterio in base al quale questi beni vengono distri buiti sia esso stesso massimamente egualitario. Ma vi è poi un criterio, se non oggettivo per lo meno comu nemente condiviso, per distinguere i principì di giu stizia in base al loro maggiore o minore egualitari smo? Ancora una domanda cui non sembra facile dare una risposta univoca. Del resto, se la determi nazione di ciò che devesi intendere per eguaglianza sostanziale non sollevasse tante domande, non sa rebbero state proposte lungo tutto il corso storico che ci è noto tante forme diverse di dottrine egualita rie, spesso in conflitto tra loro, e, poich� l'egualitari smo è l'aspetto piu costante e caratterizzante delle dottrine comunistiche e socialistiche, non ci trove remmo di fronte a tanti diversi comunismi e sociali smi di cui alcuni totalmente, altri parzialmente, al cun.'i assolutamente, altri relativamente, egualitari. .
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II.
L'egualitarismo.
A ogni modo, quali che siano le differenze specifi che, ciò che caratterizza le ideologie egualitarie ri spetto a tutt� le altre ideologie sociali, che pur am �ettono ? esigono questa o quella forma particolare dt eguaglianza, è la richiesta di un'eguaglianza anche n:ateriale, in quanto distinta dall'eguaglianza dinan ZI alla legge e dall'eguaglianza delle opportunità. Co me sarebbe ambiguo definire il liberalismo la dottri na che pregia su tutti i valori il valore della libertà si no a che non si definisca quali siano le libertà �he formano generalmente il contenuto minimo della dottrina liberale (e sono le libertà personali e civili), cosf sarebbe generico definire l'egualitarismo la dot tr�na che pregia su tutti i valori il valore dell' egua . g�tanz� , s11:o a che non si precisi di quale eguaglianza �l t�attl, e m quale misura debba venire applicata. Si e gta, detto che, per ?eterminare il significato specifi . co dt un rapporto dt eguaglianza, occorre rispondere almeno a due domande: 'eguaglianza tra chi?' ed 'eguaglianza in che cosa?' Limitando il criteri� di spec�fi ��zione alla coppia tutto-parte, le risposte possibili sono quattro: a) eguaglianza fra tutti in tut to; b) eguaglianza fra tutti in qualche cosa; c) egua �lianza fra alcuni in tutto; d) eguaglianza fra alcuni l� qualche cosa. L'ideale-limite dell'egualitarismo si riconosce nella prima risposta: eguaglianza di tutti gli uomini sotto tutti gli aspetti. Ma appunto si tratta di un ideale-limite praticamente irraggiungibile. Si può tutt'al piu ridefinire l'egualitarismo come la ten �enza al raggiungimento di questo ideale per succes sive approssimazioni. Storicamente, una dottrina
L'EGUALITARISMO
egualitaria è una dottrina che sostiene l'eguaglianza per il maggior numero di uomini nel maggior nume ro di beni. Dal momento che l'eguaglianza assoluta intesa come l'eguaglianza di tutti in tutto è un ideale limite cui si può tendere con successive approssima zioni, è lecito parlare di dottrine piu egualitarie di al tre. Di egualitarismo parziale o limitato si può parla re invece a proposito di dottrine che sostengono l'e guaglianza in tutto limitatamente a una categoria di persone, come è la dottrina platonica nei riguardi della classe dei guerrieri, o come sono alcune regole di ordini religiosi. S'intende che l'egualitarismo par ziale o limitato è perfettamente compatibile con una concezione inegualitaria dell'intera società. Le altre due possibili risposte, l'eguaglianza di tutti in qual cosa, e l'eguaglianza di alcuni (appartenenti a una determinata categoria) in qualche cosa possono dirsi richieste egualitarie solo se eliminano una disegua glianza precedente. Cosf si chiama egualitaria una legge che estenda il suffragio alle donne, o un'altra che elimini una discriminazione razziale. Ma né la prima né la seconda risposta sono tipiche di una con cezione egualitaria della società. Isolatamente consi derate, non possono dirsi risposte caratteristiche di forme storiche di egualitarismo. La richiesta dell'e guaglianza giuridica, intesa come eguaglianza di tut ti nella capacità giuridica, è certo una richiesta egua litaria rispetto alle società in cui gli uomini si divido no in liberi e in schiavi; ma è l'espressione dell'ideo logia liberale, non ancora di un'ideologia egualitaria. Ciò che contraddistingue le ideologie egualitarie è generalmente l'accento posto sull'uomo come essere 'generico', cioè come essere appart a un de
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EGUAGLIANZA
terminato genus, e quindi sulle caratteristiche comu ni a tutti gli appartenenti al genus, piuttosto che sui caratteri individuali per cui un uomo si distingue dall'altro (che è al contrario ciò che contraddistin gue le dottrine liberali), non importa poi se l'accento cada sulle caratteristiche negative dell'uomo ('gli uo mini sono tutti peccatori') oppure su quelle positive ('l'uomo è un animale naturalmente socievole'). Di questa comune natura degli uomini si è data storica mente un'interpretazione religiosa - gli uomini sono tra loro fratelli in quanto figli dello stesso Padre - e un'interpretazione filosofica, che si fonda general mente sull'idea di una eguaglianza sostanziale primi tiva, o 'naturale', corrotta e pervertita dalle istituzio ni sociali che hanno introdotto e perpetuato la dise guaglianza tra ricchi e poveri, tra governanti e gover nati, tra classe dominante e classe dominata. Spesso nella stessa dottrina egualitaria si ritrovano mescola te e rafforzantisi l'una con l'altra entrambe le inter pretazioni: l'appello religioso procede di pari passo con l'argomento filosofico, l'ideale della rigenera zione morale con quello della rivoluzione sociale. Secondoché l'accento venga posto sulle disegua glianze economiche o su quelle politiche, e quindi il fine ultimo dell'eguaglianza venga perseguito attra verso l'eliminazione della proprietà privata (comu nismo) o attraverso l'eliminazione di ogni forma di potere politico (anarchismo), le dottrine egualitarie si distinguono in socialistiche (o comunistiche) e anarchiche. Le prime perseguono l'eguaglianza poli tica attraverso quella economica, le seconde percor rono il cammino inverso.
:' L'EGUALITARISMO E IL SUO FONDAMENTO
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L'egualitarismo e il suo fondamento.
Se è vero che storicamente il punto di partenza delle dottrine egualitarie è prevalentemente la consi derazione della comune natura degli uomini, questo ,punto di partenza non è logicamente sufficiente a giustificare il principio fondamentale dell'egualitari smo secondo cui tutti o quasi tutti gli uomini deb . bon� essere trattati in modo eguale in tutti o quasi tutti i beni desiderabili. Pure ammesso che sia fat tualmente vero che tutti gli uomini sono, almeno co me genus, piu eguali che diseguali, se paragonati ad altre specie di esseri viventi, non ne discende, per la inderivabilità di una proposizione normativa da una proposizione descrittiva, che tutti gli uomini ?e�b� no essere trattati in modo eguale. Questo prmc1p1o etico fondamentale deriva non già dalla pura e sem plice constatazione che gli uomini sono d� fatto, a� meno come genus, eguali, ma dalla valutaz10ne posl tiva di questo fatto, cioè dal giudizio di valore: 'l'e guaglianza (la maggior possibile �guaglianza) tra. gli uomini è desiderabile'. Prova ne s1a che una dottnna inegualitaria come quella hobbesiana, che considera come scopo supremo degli uomini viventi in soc�età non la maggior eguaglianza possibile, ma escluslVa mente la pace sociale, e fonda quest'ultima pro� rio sulla rinuncia all'eguaglianza naturale e sulla costltu zione di un ordinamento in cui viene tracciata una netta linea di demarcazione tra coloro che hanno il dovere di comandare e coloro che hanno solo il dirit to di ubbidire, parte dalla constatazione che gli uo mini nello stato di natura sono eguali. Ma, a differen za dei teorici dell'egualitarismo, Hobbes non dà un
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EGUAGLIANZA
giudizio di valore positivo dell'eguaglianza naturale; anzi considera l'eguaglianza materiale degli uomini quale si riscontra nello stato di natura una delle cau se del bellum omnium contra omnes, che rende intol lerabile la permanenza in quello stato e costringe gli uomini a dar vita alla società civile. La maggior parte dei teorici dell'egualitarismo e Hobbes partono dal la stessa verità di fatto, ma arrivano a conseguenze pratiche opposte, perché valutano quella stessa real tà di fatto in modo opposto. Le conseguenze prati che opposte derivano non da una constatazione ma da una valutazione. A rigore, la constatazione dell'eguaglianza natu rale degli uomini non solo non è sufficiente a fonda re l'egualitarismo ma non è neppure necessaria. Si può benissimo considerare la massima eguaglianza come un bene degno di essere perseguito senza pe raltro prendere le mosse dalla constatazione di un'e guaglianza naturale o primitiva o originaria degli uo mini. Il marxismo è una dottrina egualitaria, che ha ormai abbandonato completamente i presupposti naturalistici delle forme piu ingenue di socialismo: la proposizione normativa 'l'eguaglianza è un bene de gno di essere perseguito' non deriva in questo caso surrettiziamente dal giudizio di fatto 'gli uomini so no nati o sono per natura eguali', ma dal giudizio di valore 'la diseguaglianza è un male', beninteso, quel la diseguaglianza che è dato osservare nella storia concreta degli uomini, che è storia di società divise in classi antagonistiche e quindi profondamente di seguali. Se pure in una forma estremamente sempli ficata, il procedimento mentale che presiede alla co stituzione di una teoria come questa è perfettamente l'opposto di quello hobbesiano: per Hobbes gli uo-
' L EGUALITARISMO E IL SUO FONDAMENTO
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mini sono di fatto eguali ma debbono essere dise guali; per i teorici del socialismo scientifico, gli uo mini sono stati di fatto sinora diseguali ma debbono essere eguali. Non diversamente dalle dottrine egua litarie, le dottrine inegualitarie presuppongono non già la considerazione della fondamentale e invincibi le diseguaglianza umana, ma l'apprezzamento posi tivo di questa o quella forma di diseguaglianza, sia essa tra individui piu o meno dotati dalla natura in forza fisica o in intelligenza o in abilità, sia essa tra razze o stirpi o nazioni; presuppongono in altre pa role un giudizio di valore opposto a quello delle dot trine egualitarie, ovvero il giudizio che questa o quella forma di diseguaglianza è giovevole o addirit tura necessaria al migliore assetto della società o al progresso civile, e pertanto l'ordine sociale deve ri spettare, non abolire le diseguaglianze tra gli uomi ni, o almeno quelle diseguaglianze che vengono con siderate socialmente e politicamente utili al progres so sociale. Dal momento che le società sinora esistite sono di fatto società di diseguali, le dottrine ineguali tarie rappresentano di solito la tendenza a conserva re lo stato di cose esistente: sono dottrine conserva trici. Le dottrine egualitarie, al contrario, rappresen tano di solito la tendenza a modificare lo stato di fat to: sono dottrine riformatrici. Quando poi l' apprez zamento delle diseguaglianze giunge sino al punto da far desiderare e promuovere il ristabilimento di diseguaglianze ormai cancellate, l'inegualitarismo diventa reazionario; l'egualitarismo diventa invece rivoluzionario, quando prospetta il salto qualitativo da una società di diseguali, quale è storicamente si nora esistita, a una società futura di eguali.
EGUAGLIANZA
1 3 . Egualitarismo e liberalismo. Mentre egualitarismo e inegualitarismo sono to talmente antitetici, egualitarismo e liberalismo sono solo parzialmente antitetici, il che non toglie che sto ricamente, nella lotta politica, siano considerati ge neralmente dottrine antagonistiche e alternative. Mentre l'inegualitarismo nega la massima dell'egua litarismo, secondo cui 'tutti gli uomini debbono es sere (al limite) eguali in tutto', rispetto alla totalità dei soggetti, in quanto afferma che solo 'alcuni' uo mini sono eguali, o al limite 'nessun' uomo è eguale all'altro, il liberalismo nega la stessa massima non ri spetto alla totalità dei soggetti ma alla totalità (o qua si totalità) dei beni o dei mali riguardo ai quali gli uo mini dovrebbero essere eguali, cioè ammette l'egua glianza di tutti non in tutto (o quasi tutto) ma soltan to in qualche cosa, e questo 'qualche cosa' sono di solito i cosiddetti diritti fondamentali, o naturali,o, come si dice oggi, umani. Questi diritti altro non so no che le varie forme di libertà personale, civile e po litica, enumerate via via dalle varie costituzioni degli Stati nazionali dalla fine del Settecento a oggi, e ti confermate, dopo la seconda guerra mondiale, in documenti internazionali, come la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1948) e la Conven zione europea dei diritti dell'uomo (1950). L'ideale dello Stato liberale, qual è espresso in modo para digmatico da Kant,è l'ideale dello Stato in cui tutti i cittadini godano di un'egual libertà, cioè siano egualmente liberi, o eguali nei diritti di libertà. Tuttavia il liberalismo è una dottrina solo parzial mente egualitaria: tra le libertà protette è generai-
EGUALITARISMO E LIBERALISMO
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mente compresa anche quella di p�s�edere e d� ac�� . mulare senza limiti beni economici a tl�ol� mdivi duale e la libertà d'intraprendere operaz1om ec�no mich� (la cosiddetta libertà d'iniziativa econ�r�uca), da cui hanno avuto e continuano ad a_vere ongme l.e . . grandi diseguaglianze sociali nelle società c �pltahstl che piu avanzate, e tra le società econom1camente . piu sviluppate e quelle del Terzo Mondo. Le do�tr� ne egualitarie hanno del resto sempre ac�usato ll h . beralismo di essere fautore e protettore d� �ma socie tà economicamente, e quindi anche pol�tlc�n:ente� inegualitaria: per Marx l'eg':lag�ia�za gmr!dica di . . . . proda tutti i cittadini, senza d1stmz1om d1 � rdm1, : . mata dalla Rivoluzione francese, non e stata �� realta . che uno strumento di cui la classe b�rghe�e � � e servi ta allo scopo di liberare e rendere d1spombll� l� for za-lavoro necessaria allo sviluppo del cap1tahsmo nascente, attraverso l'utile finzion� del contratt� �o lontario tra individui egualmente hber1. . Da�a cntlca delle dottrine egualitarie contro la concezl�me e l� . pratica liberale dello Stato sono nate le nch1este de1 diritti sociali che hanno trasformato profondamente il sistema dei rapporti tra l'individuo e lo S�ato � l� stessa organizzazione dello �tato, a?che ne1 reg1m� che pur si considerano contmuator1, senza brusch1 capovolgimenti, dell� t�adizi�:me liberale del secolo scorso. D'altra parte, 1 hberah hanno s�n:pr� �ccusa . to gli egualitari di �acri�i�are la hbert a md1v1dual�, . , che si nutre della diVerslta delle capaclt.a e de�e atti tudini all'uniformità e al livellamento lfo!1POS!l dal�� . neces;ità di rendere gli individui conv1_vent1 Il pm . possibile simili: nella trad�zio�e del �ens1e�o l�berale l'egualitarismo diventa smo�1mo d1 app1at�1ment? delle aspirazioni, di compressione forzata de1 talentl,
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EGUAGLIANZA
di eguagliamento improduttivo delle forze motrici della società. Liberalismo ed egualitarismo affonda no le loro radici in concezioni della società profon damente diverse: individualistica, conf1ittualistica e pluralistica quella liberale, totalizzante armonica e monistica quella egualitaria. Per il liberale il fine principale è l'espansione della personalità indivi d�ale, astratta�ente. co1_1sidera�a come un valore per se stante; per l eguahtano, lo sviluppo armonico del la com�nità. J?�versi sono i modi di concepire la na tura e 1 �o�p1�1 .dello Stato: limitato e garantista lo Stato de1 prtmt; mterventista e dirigista lo Stato dei ' secondi.
Q��sta �ivers�tà non preclude peraltro la propo sta dt smte�t teo�tche e solu�ioni pratiche di compro mess tra hberta ed eguaglianza, nella misura in cui que�tt d.ue va�ori f�:mda�entali (insieme con quello dell �rdme) dt ogm conviVenza civile vengano consi derati non soltanto come antinomici ma, in parte an che, come complementari. La Costituzione italiana per citar�e una f�a tante, stabilisce all'art. 3, comm� 2, che < e co ptto della Repubblica rimuovere gli � . � ostacoli dt ordme economico e sociale che limitan do di fatto la libertà e l'eguaglianza dei citt� dini im pediscono il pieno sviluppo della persona um;na e l'�ffett.iva part��ipazione di tutti i lavoratori all'orga mzzaztone polltlca, economica e sociale del paese». Pur tenendo nel debito conto l'immenso divario che sussiste sempre tra simili solenni dichiarazioni e la realtà di fatto, è significativo che nello stesso testo li b�rtà ed eguaglianza vengano congiuntamente no mmate come beni indivisibili e solidali tra loro.
' ' L IDEALE DELL EGUAGLIANZA
14.
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L'ideale dell'eguaglianza.
La spinta verso una sempre maggiore eguaglianza
è come aveva già osservato o paventato nel secolo
s�orso Tocqueville, irresistibile: l'egualitarismo, no nostante l'avversione e la resistenza accanita che es so �uscita a ogni svolta della storia, è una delle grandi molle dello sviluppo storico. L'eguaglianza intesa come eguagliamento dei diversi è un ideale perma nente e perenne degli uomini viventi in società. Ogni superamento di questa o quella discriminazion� �ie ne interpretato come una tappa del progresso �tvtl�. Mai come nella nostra epoca sono state messe m di scussione le tre fonti principali di diseguaglianza tra gli uomini: la razza o piu in generale l'appartenenza a un gruppo etnico o nazionale, il sesso e la classe so ciale. Dopo la tragedia del razzismo hitler�ano � qu.as.i a riscatto delle nefandezze da esso compmte, l opmto ne pubblica mondiale si è ridestata al richiamo di quel grande moto verso l'egua.gli�nz� che è il s�pera mento dell'odio e della discnmmazrone razztale. Il razzismo sta diventando sempre piu per chi lo eser cita o soltanto lo tollera un marchio d'infamia. Nes sun uditorio studentesco nel mondo potrebbe oggi ascoltare senza rivoltarsi la lezione sull'uomo negro (« l'uomo naturale nella sua totale barbarie e sfrena tezza») che Hegel, il grande Hegel, impartiva dalla sua cattedra di Berlino. Come è stato piu volte osservato, la rivoluzione si lenziosa del nostro tempo, la prima rivoluzione non cruenta della storia, è quella che conduce ali� l�nta ma inesorabile attenuazione, sino alla totale ehmma-
' ' L IDEALE DELL EGUAGLIANZA
EGUAGLIANZA
zione, della discriminazione tra i sessi: la parificazio ne ?e�e do��e agli t;tomini, J?;ima nella piu piccola societa familiare, poi nella pm grande società civile attraverso l'eguaglianza in gran parte richiesta e in parte, se pure in piccola parte, già conquistata nei r�PP?;t.i econo�ici � politici, è uno dei segni piu cer ti e pm Incoraggianti della marcia della storia umana verso l' eguagliamento dei diseguali. . D � piu di un secolo l'idea comunista agisce nella dire�IOne. d�lla lo�ta contro la diseguaglianza delle classi sociali, considerata come la fonte di tutte le al tre diseguaglianze, verso il fine ultimo della società senz� �lassi, un� società«nella quale il libero svilup P? dt c�ascuno sia la condizione per il libero sviluppo di tutti». . Non diversamente dalla libertà, anche l'egua glianza appare sempre piu come un 't'Éì,oç. Come 't'É Àoç e insieme come ritorno all'origine allo stato di natura dei giusnaturalisti, o piu indietr� ancora all'e tà dell'oro,. a 9uel re�no di Sa turno, «re cosi giusto che sotto di lm non vi erano schiavi né proprietà pri vata, ma tutte le cose appartenevano a tutti in comu ne indivise, come se tutti gli uomini avessero un solo patrimonio». Be� piu che la libertà, l'eguaglianza, proprio l'e t;taghanza sostanziale, l'eguaglianza degli egualitari ? e Il tratto comune e caratterizzante delle città ideali degli utopisti (cosi come una feroce e inflessibile di seguaglianza è il segno ammonitore e premonitore delle ut�pie a rovescio del nostro tempo), tanto di quella dt Thomas More, il quale scrive che «finché essa [la proprietà] perdura, graverà sempre sulla parte �i gran .l�n�a maggiore e di gran lunga miglio re dell umamta il fardello angoscioso e inevitabile
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della povertà e delle sventure», quanto di quella di Tommaso Campanella, la cui Città del Sole è abitata da«filosofi» che«si risolsero a vivere alla filosofica in commune». Ispira tanto le visioni millenaristiche delle sette ereticali che lottano per l'avvento del Re gno di Dio, che sarà il regno della fratellanza universale, quanto gli ideali sociali delle rivolte contadine, onde Thomas Mi.inzer, che, secondo Melantone, in segnando che tutti i beni avrebbero dovuto essere in comune, «aveva reso la folla cosi malvagia che non aveva piu voglia di lavorare», si ricollega a Gerard Winstanley che predicava: «Il governo del re è il go verno degli scribi e dei farisei, che non si considera no liberi se non sono padroni della terra e dei loro fratelli; ma il governo repubblicano è il governo del la giustizia e della pace che non fa distinzione fra persone». Costituisce il nerbo del pensiero s� ciale dei socialisti utopisti, dal Codice della natura d1 Mo relly alla società della 'grande armonia' di Fourier. Anima e agita e rende temibile il pensiero rivoluzio nario di Babeuf: «Siamo tutti eguali, non è vero? Questo principio è incontestato, perché, a meno di essere colpiti da follia, non si potrebbe dire seria mente che è notte quando è giorno. Ebbene, preten diamo anche di vivere e di morire eguali come siamo nati: vogliamo l'eguaglianza effettiva o la morte». Dal pensiero utopico al pensiero rivoluzionario l'egualitarismo ha percorso un lungo tratto di stra da: eppure la distanza tra l'aspirazione e la realtà è sempre stata e continua a essere tanto grande che, guardandosi attorno e indietro, qualsiasi persona as sennata deve non solo seriamente dubitare se mai possa essere interamente colmata ma anche doman darsi se sia ragionevole il proporsi di colmarla.
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Libertà
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Libertà negativa.
.�i: Nonostante quel che è stato detto infinite volte w:· circa la varietà e la molteplicità dei significati di 'li \ bertà', e quindi circa la difficoltà o addirittura la va ,:;� nità
di una sua definizione, i significati rilevanti nel linguaggio politico, che qui viene preso in particola re considerazione (ma non soltanto nel linguaggio politico, come vedremo tra poco), sono soprattutto due,e pertanto la determinazione del concetto o dei concetti di libertà non è, per quanto difficile, vana. I due significati rilevanti si riferiscono a quelle · due forme di libertà che si sogliano chiamare, con sempre maggiore frequenza, 'negativa' e 'positiva'. Per 'libertà negativa' s'intende, nel linguaggio politi co, la situazione in cui un soggetto ha la possibilità di agire senza essere impedito, o di non agire senza es sere costretto,da altri soggetti. Con questa avverten za: il fatto che nel linguaggio politico la libertà sia una relazione tra due soggetti umani non esclude che il concetto ampio di libertà comprenda anche una relazione in cui uno d�i due soggetti o tutti e due non sono soggetti umani. E perfettamente lecito dire che l'uomo ha conquistato la propria libertà emanci' , pandosi non solo dalle restrizioni derivanti dalla ;· :r soggezione dell'uomo all'uomo, ma anche dalla sot (J, tomissione alle forze naturali, cosi come si può dire che un fiume (ente naturale) è libero di seguire il
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LIBERTÀ
proprio corso quando non ne è impedito da un argi ne o da una diga (che sono opera dell'uomo). La libertà negativa si suole chiamare anche 'liber tà come assenza d'impedimento o di costrizione': se per 'impedire' s'intende il non permettere ad altri di fare alcunché, e se per 'costringere' s'intende l'ob bligare altri a fare alcunché, entrambe le dizioni so no parziali, dal momento che la situazione di libertà denominata 'libertà negativa' comprende tanto l'as senza d'impedimento, cioè la possibilità di fare, quanto l'assenza di costrizione, cioè la possibilità di non fare. Si considera che goda di una situazione di libertà tanto colui che può esprimere le proprie opi nioni senza incorrere nei rigori della censura, quanto colui che è esentato dal servizio militare (per es., là dove l'obiezione di coscienza è legalmente ricono sciuta): il primo può agire perché non vi è nessuna �orma che vieti l'azione che egli ritiene desiderabile, Il secondo può non agire perché non vi è nessuna norma che imponga l'azione che egli ritiene non de siderabile. Siccome i limiti alle nostre azioni in socie tà sono posti generalmente da norme (siano esse consuetudinarie o legislative, siano sociali o giuridi che o morali), si può anche dire, com'è stato detto per lunga e autorevole tradizione, che la libertà in questo senso, cioè la libertà che un uso sempre piu diffuso e frequente chiama 'libertà negativa', consi sta nel fare (o non fare) tutto ciò che le leggi, intese le leggi in senso lato, e non solo in senso tecnico giuridico, permettono, ovvero non proibiscono (e in quanto tali permettono di non fare). Quando Bob bes afferma che la libertas consiste nel silentium le gis, mostra di aver ben chiara in mente questa idea di libertà, che illustra in questi termini: « [ . ] poiché . .
non tutti i movimenti e le azioni dei cittadini sono re golati dalle leggi, né, per la loro varietà, potrebbero esserlo, vi saranno necessariamente infinite attività che non risulteranno né comandate né proibite, e che ciascuno potrà svolgere o non svolgere a suo ar bitrio. Qui si può dire che ogni cittadino goda di una certa libertà, intendendo per libertà quella parte del diritto naturale che viene rilasciata ai cittadini in quanto non è limitata dalle leggi civili» (De cive, XIII, 1 5 ) . Non diversamente Locke: « [. ] la libertà degli uomini sotto un governo consiste [ . . ] nella li bertà di seguire la mia propria volontà in tutto ciò in cui la norma non dà precetti, senza esser soggetto al la volontà incostante, incerta, sconosciuta e arbitra ria di un altro» (Secondo trattato sul governo, IV, 22) . La formulazione classica di questa accezione di libertà fu data da Montesquieu: «La libertà è il dirit to di fare tutto ciò che le leggi permettono» (De l'e sprit des lois, XII, 2). Che nella maggior parte delle definizioni tradizio nali della libertà negativa la libertà venga definita pili in relazione all'assenza d'impedimento che non al l'assenza di costrizione, si spiega con la considera zione che le libertà storicamente piu importanti, nel periodo in cui il problema della libertà negativa di venta politicamente rilevante, in genere tutte le li bertà civili, rappresentano il risultato di una lotta contro precedenti impedimenti piuttosto che contro precedenti costrizioni. Di qua anche l'uso invalso di chiamare questa forma di libertà 'libertà come non impedimento', anziché 'libertà come non costrizio ne', mentre la dizione pili comprensiva sarebbe 'li. bertà come non impedimento e non costrizione' . ..
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LIBERTÀ
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Libertà positiva.
Per 'libertà positiva' s'intende nel linguaggio poli tico la situazione in cui un soggetto ha la possibilità di orientare il proprio volere verso uno scopo, di prendere delle decisioni, senza essere determinato dal volere altrui. Questa forma di libertà si chiama anche 'autodeterminazione' o, ancor piu appropria tamente, 'autonomia'. 'Negativa' la prima forma di libertà perché designa soprattutto la mancanza di qualche cosa (è stato notato che nel linguaggio co mune 'libero da' è spesso sinonimo di 'senza di', tan to che il modo piu comune di spiegare che cosa si gnifichi che io ho agito liberamente consiste nel dire che ho agito senza... ); 'positiva' la seconda, perché indica, al contrario, la presenza di qualche cosa, cioè di un attributo specifico del mio volere, che è appun to la capacità di muoversi verso uno scopo senza es sere mosso. Beninteso, si suole chiamare 'libertà' an che questa situazione, che potrebbe essere chiamata piu appropriatamente 'autonomia', nella misura in cui nella definizione si fa riferimento non tanto a ciò che c'è quanto a ciò che manca, come quando si dice che autodeterminarsi significa non essere determi nati da altri, o non dipendere per le proprie decisioni da altri, o determinarsi senza essere a nostra volta determinati. Conducendo alle estreme conseguenze questa osservazione verrebbe fatto di dire che, es sendo 'libertà' un termine indicante, nella moltepli cità delle proprie accezioni, mancanza di qualche cosa, l'espressione 'libertà positiva' è contraddit toria. Della libertà positiva la definizione classica fu da-
POSITIVA
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ta da Rousseau, per il quale la libertà nello stato civi le consiste nel fatto che quivi l'uomo, in quanto par te del tutto sociale, come membro dell"io comune', non ubbidisce ad altri che a se stesso, ovvero è auto nomo nel senso preciso della parola, nel senso che dà leggi a se stesso e non ubbidisce ad altre leggi che a quelle che si è dato: «L'obbedienza alla legge che ci siamo prescritti è la libertà» ( Contrat social, I, 8). Ta le concetto di libertà fu ripreso, per influsso diretto da Rousseau, da Kant, dove peraltro si trova anche il concetto di libertà negativa. Nel saggio Per la pace perpetua, nel momento stesso in cui Kant esclude che la libertà giuridica possa essere definita «come la facoltà di fare tutto ciò che si vuole pur di non re care ingiustizia ad alcuno» (si tratta della definizio ne di libertà accolta nelle Dichiarazioni dei diritti: art. 4 della Dichiarazione del 1789, art. 5 della Di chiarazione del 1793), precisa che«meglio è definire la mia libertà esterna (cioè giuridica) come la facoltà di non obbedire ad altre leggi esterne, se non a quel le cui io ho potuto dare il mio assenso» (nella nota al primo articolo definitivo). Non altrimenti nella Me tafisica dei costumi, ove la libertà giuridica viene de finita come«la facoltà di non obbedire ad altra legge che non sia quella a cui i cittadini hanno dato il loro consenso» (II, 46). Il filosofo che ha celebrato la li bertà come autonomia, disdegnando la libertà nega tiva, è stato Hegel, secondo il quale la libertà p Jlitica si realizza soltanto nello Stato, attraverso la manife stazione della sua volontà razionale, che è la legge: «Giacché la legge è l'oggettività dello spirito e la vo lontà nella sua verità; e solo la volontà che ubbidisce alla legge è libera: ubbidisce infatti a se stessa, è pres so se stessa, e dunque è libera» (G. W. F . Hegel, Le-
LIBERTÀ
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zionisulla/iloso/ia della storia, vol. i, Firenze 197 2, p. 109) .
3 · Libertà di agire e libertà di volere. Meglio di ogni altra considerazione, ciò che �e� mette di distinguere nettamente le due forme d1 h bertà è il riferimento ai due diversi soggetti di cui es se sono, rispettivamente, il predicat?. La Jiber�� ne: gativa è una qualifica dell'azione, la h� erta posltlva .e una qualifica della volontà. Quando d1co che sono 1.1bero nel primo senso voglio �ire . che una cert� m1a azione non è ostacolata, e qumd1 posso comp1erla; quando dico che sono lib �r� nel se�o�do se?so vo glio dire che il mio volere e hbero, c1oe non e deter minato dal volere altrui, o piu in generale da forze estranee al mio stesso volere. Piu che di libertà nega tiva e positiva sarebbe forse piu approt: riato parlar� di libertà d'agire e di libertà di volere, mtendendos1 per la prima 'azione non impedita o non . costrett a', per la seconda 'volontà non eterodeterm �na� a ? a� todeterminata' . In un certo senso propno ti nfen mento alla 'assenza di . . . ' in entrambe le definizioni serve a spiegare, meglio della �ualifi�az�one di · �ega tivo' e di 'positivo', come mal t�nto Il lmguagg�o co mune quanto quello tecnico usmo per le due d1verse accezioni lo stesso termine. Nello stesso tempo la netta distinzione del campo di riferimento delle due libertà serve anche a spiega re perché le due nozioni debbano esser� r�go:osa mente distinte, e perché la loro mancata d1st�nz�o �e, o meglio la mancanza di un criteri? �etto d1 dlstlt� zione (come quello che ha dato ongme alle due d1-
DI AGIRE E DI VOLERE
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zioni 'libertà negativa' e 'libertà positiva'), provochi deplorevoli confusioni, e quindi sterili controversie. Che un'azione sia libera vuoi dire, secondo la defini zione di libertà negativa come non impedimento, che questa azione può essere compiuta senza trovare ostacoli, come il fiume di Hobbes che segue il suo corso naturale, perché nessuna diga lo interrompe. Ma tale azione può dirsi libera indipendentemente dal fatto che sia stata voluta, e ancor piu che sia stata voluta da una volontà libera. Non è affatto contrad dittorio il dire che io godo della libertà religiosa an che se non ho scelto liberamente la religione che li beramente professo. Cosi come non è affatto ridon dante il dire che io sono libero riguardo all'attività religiosa, per il fatto che ho scelto liberamente la reli gione da professare, e sono libero di professarla per ché vivo in uno Stato che riconosce e garantisce la li bertà religiosa. Che la volontà sia libera secondo la definizione di libertà positiva vuoi dire che questa volontà si determina da sé, è autonoma. Ma che una volontà sia autonoma non implica affatto che l' azio ne che eventualmente ne derivi sia libera (cioè non impedita o non costretta) . Non è affatto contraddit torio dire che io ho scelto liberamente la religione che professo ma non sono libero di professarla per ché vivo in uno Stato confessionale. Cosi come non è . ridondante il dire che io non sono religiosamente libero perché la religione che professo è la religione dei padri accettata passivamente, e perché nella si . tuazione storica in cui mi trovo non mi è riconosciu . to il diritto di professarla. Che le due libertà siano diverse tanto da poter essere indipendenti l'una dal l' altra non vuoi dire che siano incompatibili e che quindi non si possano integrare vicendevolmente. . ·
LIBERTÀ
Anzi, come vedremo, nella sfera politica una società o uno Stato liberi sono una società o uno Stato in cui alla libertà negativa degli individui o dei gruppi si ac compagna la libertà positiva della comunità nel suo complesso, in cui un certo ampio margine di libertà negativa degli individui o dei gruppi (le cosiddette li bertà civili) è la condizione necessaria per l'esercizio della libertà positiva dell'insieme (la cosiddetta li bertà politica) .
4 · Determinismo e indeterminismo. Senza voler entrare nella controversia tradiziona le tra deterministi e indeterministi, e continuando a restare nel campo della libertà sociale, non sembra fuori luogo precisare che i due significati di libertà sin qui illustrati corrispondono ai due significati di libertà prevalenti nelle discussioni dei filosofi, cioè alla libertà come l'intendono i deterministi e alla li bertà come l'intendono gl'indeterministi. I primi in fatti negano generalmente la libertà del volere ma non escludono la libertà di agire, se ad essa si attri buisce il significato di libertà negativa; i secondi af fermano principalmente e con assoluta priorità su ogni altra forma di libertà la libertà di volere, che corrisponde alla cosiddetta libertà positiva e non comporta necessariamente la libertà di agire. Quan do un determinista parla di libertà, ne parla per desi gnare quella situazione in cui il corso naturale degli eventi non è ostacolato nel suo svolgimento necessa rio, come libertas a coactione, secondo la definizione di Hobbes : « La libertà è l'assenza di tutti gli impedi menti all'azione, che non siano contenuti nella natu-
DETERMINISMO E INDETERMINISMO
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ra e nella qualità intrinseca dell'agente. Cosi, ad esempio, si dice che l'acqua discende liberamente, o che ha libertà di scendere per il letto del fiume, per ché non c'è impedimento lungo quella direzione, ma non di traverso, poiché gli argini sono impedimenti » ( 0/ liberty and necessity, in English works, vol. IV, pp. 2 73 - 74) . Per un indeterminista, invece, la libertà consiste nella capacità che hanno alcuni soggetti, co, me il soggetto umano nel pieno possesso delle sue fa , coltà, se pure entro certi limiti e in date circostanze, e in sommo grado Dio, di autodeterminarsi: come li bertas a necessitate. Non diversamente dalla libertà politica di un Rousseau o di un Hegel, la libertà co me autodeterminazione nel linguaggio filosofico qualifica non una volontà assolutamente indetermi nata ma una volontà che si determina non in base a impulsi o a moventi sensibili, ma ai dettami della ra gione, sia essa la ragione divina o quella cosmica. Della quale quindi si può dire altrettanto bene che non consiste nel non essere sottoposti a nessuna leg ge bensf nell'essere sottoposti alla legge della ragio ne. Allo stesso modo che libertà negativa e libertà po sitiva non si implicano e non si escludono, come ab biamo visto, cosf non si implicano né si escludono la libertà dei deterministi e la libertà degli indetermini sti. Per ammettere la libertà come non impedimento del corso naturale delle cose non è affatto indispen sabile postulare che la volontà sia libera nel senso che possa autodeterminarsi. Per altro verso, l'inde terminista riconosce che la volontà può essere libe ra ma l'azione che ne discende può essere ostacola ta o addirittura impedita (si pensi all'esempio ricor rente del paralitico che vuole e non può) , tanto è vero che anche il piu intransigente sostenitore della
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LIBERTÀ
libertà del volere ammette in molti casi l' attenuazio ne o addirittura la completa estinzione della respon sabilità personale. Anche se le dispute sulle libertà civili e politiche non si sono presentate di solito come il riflesso della disputa teologica e filosofica tra deterministi e inde terministi, e anzi si sono svolte prescindendone, si può osservare che, da un lato, le richieste di libertà negativa sono state sostenute in base all'argomento secondo cui bisogna dar libero corso alla natura (umana) , non ostacolare con provvedimenti artifi ciosi e costrittivi la libera esplicazione delle forze na turali (per es. nei rapporti economici) , e hanno fatto consistere il pregio della libertà non nell' affermazio ne del libero arbitrio, ma nel riconoscimento e nel l' accettazione della necessità naturale contro le de formazioni provocate dalle leggi civili; e che, d'altra parte, la richiesta della libertà positiva corrisponde all'esigenza, se non al postulato, degli indetermini sti, che la volontà sia posta in grado di autodetermi narsi, se pure con particolare riguardo alla volon tà collettiva, alla volontà del tutto, alla cosiddetta volontà generale, piu che alla volontà dei singoli in dividui.
5· Libertà dell'individuo e libertà della colletti vità. Nella teoria politica, le due forme di libertà si pos sono distinguere anche in base al diverso soggetto storico che dell'una o dell'altra è portatore. Quando prendiamo in considerazione la libertà negativa, il soggetto storico cui ci riferiamo è generalmente l'in-
DELL'INDIVIDUO E DELLA COLLETTIVITÀ
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dividuo singolo; quando l'oggetto del nostro discor so è la libertà positiva il soggetto storico, cui essa di solito viene riferita, è un ente collettivo. Le libertà ci vili, prototipo delle libertà negative, sono libertà in dividuali, cioè inerenti all'individuo singolo : storica mente, infatti, sono il prodotto delle lotte per la dife sa dell'individuo considerato o come persona mora le, e quindi avente un valore di per se stesso, o come soggetto di rapporti economici, contro l'invadenza di enti collettivi come la Chiesa e lo Stato; filosofica mente, sono una manifestazione di concezioni indi, vidualistiche della società, cioè di teorie per cui la so cietà è una somma d'individui e non un tutto organi co. La libertà come autodeterminazione, invece, è generalmente attribuita, nel discorso politico, a una volontà collettiva, sia questa volontà quella del po polo o della comunità o della nazione o del gruppo etnico o della patria: ciò vuoi dire che per la teoria politica il problema storicamente rilevante non è tanto quello dell'autodeterminazione dell'individuo singolo (che è problema teologico o filosofico o mo rale) quanto quello dell' autodetermin�zione del cor po sociale di cui l'individuo è parte. E significativo infatti che per la prima libertà si usi spesso la formu la 'libertà dallo Stato', che richiama l'attenzione sul la libertà dell'individuo nei riguardi dello Stato, per la seconda si usi la formula 'libertà dello Stato', ove il soggetto della libertà è l'ente collettivo 'Stato'. Le ' teorie che di questa libertà si fanno banditrici, a co minciare da quella paradigmatica di Rousseau, per finire con quella di Hegel, hanno una concezione non atomistica ma organica della società, e hanno di mira la libertà non dei singoli individui ma del tutto. Altro modo di esprimere questa differenza è il chia-
LIBERTÀ
mare la libertà negativa libertà del borghese, la liber tà positiva, libertà del cittadino: dove per 'borghese' s'intende l'individuo singolo con la sua sfera privata di aspirazioni e d'interessi, e per 'cittadino' l'indivi duo in quanto parte di una totalità ed esso stesso promotore delle deliberazioni che da essa derivano. Non bisogna peraltro confondere una distinzione storicamente rilevante con una distinzione concet tuale. Che storicamente la libertà negativa sia preva l�ntet?ente un �ttributo dell'individuo, e quella posi tiva sia un attnbuto prevalente di quella collettiva non vuoi dire affatto che concettualmente le due li � bertà si distinguano in base al diverso soggetto che ne sarebbe il beneficiario . Dal punto di vista concettuale si può parlare, anche in contesti politicamente rile van.ti, di libertà negativa in favore di un soggetto col lettivo, come accade, per fare un esempio che è sem pre di grande attualità, nel caso di una guerra di 'libe razione' nazionale ( ove è chiaro che la libertà cui ci si riferisce è la libertà negativa) ; cosi come è appropria to parlare di libertà positiva con riferimento a un in dividuo singolo, anche se il problema dell' autodeter n:ir:azio�� individ��le sia un �roblema morale (e giu ndico) piu che politico . Resta Il fatto che non impedi mento o non costrizione, da un lato, e autodetermi nazi��me dall'altro, sono, astrattamente parlando, si ; tuazioni che possono essere entrambe riferite tanto all'individuo singolo quanto a un ente collettivo.
6. 'Libertà da' e 'libertà di'.
È invalso l'uso di chiamare la libertà negativa 'li bertà da' (dall'inglese /reedom /rom) , espressione che mette immediatamente in rilievo l'elemento ne-
' 'nA' E ' nr
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gativo della situazione cui si riferisce: la libertà nega tiva è, come abbiamo visto, quella situazione in cui non si è soggetti a limiti, come sono quelli che pro vengono da norme restrittive di questa o quella auto rità sociale, cioè è 'libertà da' questo o quel limite. Vi sono autori che distinguono la 'libertà da' dalla 'li. bertà di' (dall'inglese /reedom to) , comprendendovi tutte le situazioni designate con espressioni quali 'li ,. bertà d'opinione', 'libertà d'iniziativa economica', . . 'libertà di riunirsi, di associarsi, di votare', ecc., e in •·. tendendo cosi mettere in rilievo, accanto al momen to negativo della situazione di mancanza di limita zioni, cui si riferisce il termine 'libertà', anche il mo . mento positivo consistente nell'indicazione delle ' , concrete azioni che da questa mancanza di limiti so1, no 'liberate' e quindi rese possibili. Per quanto la di ·. stinzione tra 'libertà da' e 'libertà di' esprima la distinzione tra aspetto negativo e aspetto positivo di una situazione chiamata 'libertà', non è da confon dere, come spesso avviene, con la distinzione tra li bertà negativa e libertà positiva, quale sinora è stata illustrata. Abbiamo visto che la differenza tra la libertà co me 'assenza d'impedimento o di costrizione' e la li bertà come 'autodeterminazione' o 'autonomia' sta nel fatto che la prima qualifica l'azione umana, la se conda la volontà. Orbene, tanto la 'libertà da' quan to la 'libertà di' qualificano l'azione. In quanto tali non designano due situazioni diverse ma due aspetti (che possiamo benissimo chiamare negativo e positi vo purché da questa denominazione non nasca un'ulteriore confusione) della stessa situazione. Mentre le due libertà di cui abbiamo sinora parlato sono storicamente connesse ma non si implicano, dal momento che un soggetto può essere libero in
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LIBERTÀ
uno dei due sensi di libertà senza essere libero nel l' altro senso, la 'libertà da' e la 'libertà di' si implica no nel senso che, essendo due aspetti della stessa si tuazione, l'uno non può stare senza l'altro o in altre parole, in una situazione concreta nessuno può esse re 'libero da' senza essere 'libero di' e viceversa. Qua?do io dico, per esempio, che sono 'libero di' espnmere le mie opinioni, dico, e non posso non di re, �e�o � tesso tempo che sono 'libero da' una legge eh� lstl�msce la censura preventiva . Cosi come quan do lo dtco che sono 'libero da' qualsiasi norma che li miti il mio diritto di voto, dico e non posso non dire nello stesso tempo che sono 'libero di' votare . La stessa cosa si può enunciare anche in quest'altro mo do: non vi è 'libertà da' che non liberi una o piu 'li bertà di', cosi come non vi è una 'libertà di' che non sia una co�seguenza di una o piu 'libertà da'. Questi du� aspett1 della nostra libertà di agire (che conti nUiamo a tener ben distinta dalla nostra libertà di vo lere) sono cosi connessi tra loro che le due espressio ni 'libertà da' e 'libertà di' possono essere in qualche caso interscambiabili. ?e non sono sempre interscambiabili dipende umcamente dal fatto che la libertà da una sola restri zione può liberare piu libertà di fare, e viceversa una sola libertà di fare può essere stata liberata dalla eli minazione di piu limitazioni. Esemplificando da un l �to l'eliminazione delle norme sulla censura �reven tlva �pre la st�ada � var�e libertà, come quella di par lare m pubblico, di scrivere, di_ stampare, di rappre sentare la realtà con le piu diverse forme espressive· d'altro lato, la libertà di stampa può dipendere dali� mancanza o dall'abolizione di norme sulla censura preventiva, di norme penali che prevedano reati di
59 io della opinione, di norme restrittive circa l'eserciz osta s In . tera �za, se _ professione del giornalist� , ecce dalla rta hbe a libertà di stampa non eqmvale sempre dal fatto censura (e viceversa), ciò dipende non già libertà da che la libertà di stampa non implichi la nte dal ame unic ma a), qualche restrizione (e vicevers ' aboli dall vare fatto che la libertà di stampa può deri limi altre zione non solo della censura ma anche di la strada tazioni e la libertà dalla censura può aprire altre li non soÌo alla libertà di stampa ma anche ad one gazi spie altra i bertà. Ma ciò che meglio di ogn rtà libe tra serve a non confondere la distinzione r libe e ne come non impedimento e non costrizio e 'libertà tà come autodeterminazione, da un lato, , di fat ente icam stor che da' e 'libertà di', dall'altro, è di' che rtà 'libe to non vi può essere richiesta di una 'li una n n�n implichi anche una richiesta di �lme ? en end bert à da' e vicevers a, mentre analoga mterdlp ativa neg rtà libe di ieste rich za non esiste rispetto alle que che si, , esso e di libertà positiva. Abbiamo amm pa� pari di ste due libertà procedono storicamente ben dl so ma le richieste dell 'una e dell'altra sono ppi politi sti�te e ne son o quasi sem pre portatori gru 'inter dell ova ripr una ci diversi. Se si vuole ancora e 'li da' rtà 'libe scambiabilità delle due espressioni d� ate clam . ber tà di', si pensi alle quattro libertà pro l Stat degh Roosevelt nel messaggio al Congresso rtà di �ulto! Uniti il 5 gennaio 194 1 . Esse sono: la libe e la hbe:t.a ore terr la libertà di parola, la libertà dal e come h ulat dal bisogno. Le prime due sono form Eppure ap bertà di' le ultime due come 'libertà da' . e libe:tà dj parteng�no tutte quante alla classe dell con la h� ert_a agire, e non hanno niente a che vedere so nei pncome autodeterminazione. L'accento mes
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LIBERTÀ
mi due casi sull'azione da liberare, negli altri due sul l'impedi�e_nto � � eliminare, dipende da ragioni di opportumta pohtrca che è dal punto di vista concet tuale irrilevante . 7·
Libertà degli antichi e libertà dei moderni.
In seguito al celebre saggio di Benjamin Constant sulla .libertà �egli antichi comparata a quella dei mo derm, alla drfferenza tra le due libertà è stata fatta corrispondere una distinzione storica secondo cui la libertà negativa sarebbe la libertà dei moderni e la libertà positiva quella degli antichi. Com'è noto Constant distingue due forme di libertà: la libertà del godimento privato di alcuni beni fondamentali per la. sjcurezza della vita e per lo sviluppo della per sonahta umana, come sono le libertà personali, la li bertà d'opinione, d'iniziativa economica' di movi mento, di riu�i�:me e s�mili, e la libertà di p artecipare al P ?tere pohtrco. Dr queste due libertà, la prima cornsponde alla defir:izione corrente di libertà nega . uva, la seconda cornsponde alla definizione altret tanto corrente di libertà positiva; ed è chiaro altresi che, mentre la prima è un bene per l'individuo e af fonda le radici in una concezione individualistica della società, la seconda è un bene per il membro di una comunità, nel momento in cui questa comunità il tutto d� �ui �l sing
LI ANTICHI E DEI MODERNI
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egli scrive città antiche: « Lo scopo degli antichi tutti i citta. era la distribuzione del potere sociale fra mavano chia essi sto : dini di una medesima patria: que godi nei a rezz . libertà. Lo scopo dei moderni è la sicu nzie gara menti privati: ed essi chiamano libe�tà le . nti » (De la concesse dalle istituzioni a questi godrme ernes, in liberté des anciens comparée à celle des mod a le sue avev t Oeuvres, vol. VII, p . 253 ) . Constan e, per uter ' buone ragioni, che qui non è il caso di disc , nettan:en sovrapporre alla distinzione concettuale egnazione te delineata una distinzione storica : l'ass positiva lla que di e della libertà negativa ai moderni e ri chi � � ur:_ con agli antichi gli serviva, oltreché per hberta, an cetto difficile e confuso come quello dr er� posi: che per esprimere un giudizio di val�)fe, che er la hb.erta tivo per la libertà negativa e negativo .p avversione pna pro pos itiva, e per mostrare tutta la avevano per Rousseau e in specie per Mably, che isce la seconda e trascurato la prima. Si cap : esaltato storia, come che in una concezione progressiva della ' moderno : di o e epit l' � quella cui s'isp irava Constant, quello dr e, esprimesse un giudizio di approvazion 'antico' un giudizio di condanna. cui Con Pur rendendo omaggio alla lucidità con non siamo stan t fissò la distinzione tra le due libertà, il giudi né re, valo tenuti ad accettarne il giudizio di o che le ver è zio storico che questo presuppone . Se uo con libertà civili, intese come libertà dell'individ nte attraver tro il potere dispotico, garantite legalme base d�llo so quei meccanismi giuridici che sono alla oscmte scon o Stato costituzionale moderno, eran uta la osci agli antichi, anche se non e�a aff�tto scon ralzs natu est definizione di libertà negativa (lzbertas
si quid vi facultas eius quod cuique facere libet, nisi
LIBERTÀ
aut iure prohibet�r, cosi un passo del Digesto, Fr.
4,
�r., D, I, 5), non e altrettanto vero che la libertà posi uva fosse una caratteristica delle società antiche Nella storia della formazione dello Stato costituzio � nale m.ode�no la richiesta della libertà politica pro cede dt part passo con la richiesta delle libertà civili anche se, bisogna riconoscerlo, il conseguiment� delle seconde, o almeno di alcune di esse, prima fra _ tutt� la �tbertà religiosa, la libertà di opinione e la li berta dt stampa, precede i� pieno conseguimento _ Nell tdea locktana del governo civile della prtma. non s� pu� staccare il principio della protezione di alcum bem fondamentali, come la libertà la vita e la pro�rietà, dalla partecipazione del popo'Io alla for maztone. delle le�gi, sebbene il popolo sia costituito _ classe di proprietari. Nello sta da �na. rtstret�tsstma _ to dt dtrttto dt Kant, che ha per fine la garanzia della ma�sim� li� ertà .di �iascuno compatibile con la egua le hberta dt tutti glt altri, la libertà politica è ricono _ soltant� a coloro che godono dell'indipen scmta denza economtca e preclusa, oltre che alle donne ai lavoratori dipendenti. La Costituzione francese del 179 1 , che garantisce i principali diritti di libertà li m ita il diritto di voto a coloro che pagano un c�rto _ e ne esclude coloro che si trovano « in uno trtbuto stato di domesticità, cioè di lavoro salariato ». Da questi esempi appare, contrariamente alla tesi del li berale non democratico autore del Cours de politi que constitutionnelle, che, se la libertà negativa è mo�erna, la libertà positiva, intesa come la parteci paz!
E DEMOCRAZIA
8. Liberalismo e democrazia. so Nella storia dello Stato moderno le due libertà do che si , esse conn inter no strettamente collegate e a li ve cade l'un a cade l'altra. Piu precisamente, senz , ione opin di bertà civili, come la libertà di stampa e e part come la libertà di associazione e di riunione, la nno ; inga un è tico poli re pote cipazione popolare al tà liber le re pote al e ma senza partecipazione popolar Men re. dura civili hanno ben poche probabilità di a ssari tre le libertà civili sono una condizione nece politi per l'esercizio della libertà politica, la libertà è tico, poli re pote del e ca, cioè il controllo popolar pri to men egui una condizione necessaria per il cons i. Si ma e per la conservazione poi delle libertà civil del tratt a, com e ogn un ved e, del vecchio problema ocrazia. Se vi sono . rapporto tra liberalismo e dem t, che stati scrittori liberali, come appunto il Constan ali da liber tà hanno ritenuto di poter separare le liber sse pote quelle democratiche, e credere che le prim e secon ro stare senza un pieno riconoscimento delle o in stess ento mom nel de, e come Tocqueville che, r libe alla tivo posi cui attribuiva un valore altamente par r pote tà negativa, che definiva come « la gioia di il solo lare, agire, respirare senza coartazioni, sotto del ento l'avv a ntav pave », e freno di Dio e della legg la livel del colo peri la democrazia in cui vedeva il ti ocra dem tori mento, vi sono stati d'altra parte scrit n volo ci, come Rousseau, che, nell'esaltazione della ne azio tà generale come espressione della partecip liber le o urat trasc o hann collettiva al corpo politico, rale gene ntà volo la che tà negative sino ad affermare 'esidall tata limi non ha limiti, non è in particolare
QUALE SIA LA 'VERA' LIBERTÀ
LIBERTÀ
stenza di diritti precostituiti; o come Mazzini, tanto fiduciosamente democratico quanto sospettoso libe rale, che rimetteva la soluzione del problema politi co nazionale assai piu all'instaurazione della sovrani tà popolare che alla difesa dei diritti civili (che consi derava come il prodotto delle teorie politiche indivi dualistiche e utilitaristiche, da cui egli aborriva) . Di ceva, infatti, della libertà (intendi della libertà nega tiva) che « è una negazione, non costruisce nulla; distrugge, non fonda ». Lungo tutta la storia politica dell'Ottocento le due correnti si svolgono spesso l'u na indipendentemente dall'altra, talora scontrando si e avversandosi: il liberale accusa il democratico di preparare la strada a un nuovo dispotismo, il demo cratico accusa il liberale di favorire sotto specie di li bertà l'interesse dei beati possidentes e di minare l'u nità sociale. Ma oggi nessuno piu dubita che il puro liberali smo e il puro democratismo siano posizioni unilate rali. Almeno sino alla svolta provocata dalla Rivolu zione sovietica, l'evoluzione dello Stato rappresenta tivo moderno è stata caratterizzata da una lotta inin terrotta, pur con ascese e ricadute, per l'allargamen to delle libertà civili e della libertà politica. Dalla li bertà di opinione, limitata in un primo tempo alla libertà religiosa, alla libertà di stampa; dalla libertà di riunione alla libertà di associazione sino al ricono scimento di associazioni specificamente indirizzate alla formazione della volontà politica, come sono i partiti. Dal suffragio ristretto al suffragio universale ed eguale, dal rafforzamento del sistema rappresen tativo attraverso l'eliminazione, per esempio, della seconda camera ereditaria o di nomina regia alla creazione di istituti di democrazia diretta, come la
petizione popolare e il referendum. La verità è che le due libertà non sono affatto incompatibili, checché ne dicessero i rigidi fautori dell'una o dell'altra. Non solo non sono incompatibili ma si rafforzano l'una con l'altra. Le dittature moderne si sono del resto incaricate egregiamente di dimostrarcelo, senza troppe disquisizioni sulla libertà degli antichi o dei mo derni, abolendo tanto l'una che l'altra. Una dittatura non è una buona dittatura, ma soltanto un regime piu o meno autoritario, se lascia sopravvivere alcune libertà civili e non distrugge totalmente, ma si limita ' a indebolire, il sistema rappresentativo. Al contra rio, la lotta contro un regime dispotico si muove ai tempi nostri sempre su due binari, quello della ri , conquista delle libertà civili e quello di una nuova e piu ampia partecipazione popolare al potere.
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Quale sia la 'vera' libertà.
Il non considerare che la libertà come autodeter minazione è un attributo della volontà e non dell'a zione, e in quanto tale si distingue dalla libertà come non impedimento e non costrizione, conduce spesso alla vana ciiscussione su quale delle due sia la vera li bertà, ovvero la libertà buona, degna di essere perse guita quando non c'è e difesa quando c'è. La lezione di Constant, secondo cui vera o buona libertà è sol tanto la seconda, è stata spesso seguita e ripetuta an che da scrittori recenti col solito argomento che, se la vera libertà è assenza di costrizione, non si vede come si possa chiamare libertà una situazione in cui vi è costrizione se pure di sé a se stesso, onde la co siddetta libertà positiva sarebbe il contrario della li-
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LIBERTÀ
bertà, e quindi, se la libertà è un bene, la libertà posi tiva non essendo un bene non sarebbe da promuove re. Un'obiezione di questo genere deriva proprio dal non tener conto che la libertà positiva qualifica non l'agire umano ma la volontà, e che ciò che può valere per l'agire non è detto che valga anche per la volon tà. Infatti, ciò che rende non libera un'azione è un impedimento (o una costrizione) , mentre ciò che fa di una volontà una volontà non libera è l'essere gui data o diretta da un soggetto diverso dal soggetto del volere, cioè l'essere eteroguidata o eterodiretta. Nei riguardi dell'azione la non libertà si presenta sotto forma di una qualunque 'nomia' , il cui contrario è una situazione di 'non-nomia' (in cui consiste ap punto la libertà negativa) ; nei riguardi della volontà la non libertà si presenta sotto forma di 'eterono mia', il cui contrario è !"autonomia' (in cui consiste appunto la libertà positiva) . Mentre in una situazio ne di libertà negativa è corretto dire che io posso (nel senso che mi è lecito) compiere una determinata azione, in una situazione di libertà positiva non solo non è corretto ma non avrebbe alcun senso dire che io posso (nel senso che mi è lecito) volere. Il che ser ve a riaffermare quello che si è detto sin qui: affinché si possa dire che un'azione è libera basta il fatto ne gativo di non essere impedita o costretta; affinché si possa dire che è libera la volontà occorre non già il fatto negativo di non essere determinata, ma il fatto positivo di essere autodeterminata. Se una difficoltà esiste rispetto alla libertà positi va, non sta tanto nell'intendere correttamente il si gnificato dell'espressione e nel trovare l'esatto crite rio per distinguerla dalla libertà negativa, quanto
QUALE SIA LA 'VERA' LIBERTÀ
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nell'individuare il momento in cui si possa dire che una volontà si è determinata da se stessa. In filosofia ' si ricorre generalmente alla distinzione tra due di versi 'Io', uno piu profondo, il vero io, e uno piu su perficiale, o io apparente e fittizio, tra l'io razionale e l'io istintivo, e si considera libera la volontà che ub bidisce al primo anziché al secondo. Nella teoria po litica si ricorre alla distinzione tra la volontà colletti . va, o 'generale' (per usare l'espressione rousseauiana) che sarebbe la vera volontà del corpo sociale, e ·• la v'olontà individuale, cioè dei singoli cittadini indi vidualmente presi; e si considera libero il singolo so . lo quando ubbidisce alla prima, cioè alla volontà ge . nerale, che egli stesso contribuisce a formare. Ciò spiega la lunga serie di definizioni della libertà (posi tiva) come obbedienza alle leggi, in quanto le leggi sono, o si presume che siano, la piu alta e chiara espressione della volontà collettiva, o addirittura co. me obbedienza alla volontà dello Stato, dove lo Sta to è innalzato, come accade in tutto il filone del l'hegelismo politico, a momento supremo della vita organizzata di un popolo. L'obiezione dei fautori della libertà negativa, secondo cui la libertà positiva viene definita in termini di obbedienza, e cioè, per chi consideri esclusivamente la libertà negativa, in termini di non libertà, non ritiene di dover tener conto della differenza tra obbedienza ad altri e ob bedienza a se stessi. Si potrà mettere in dubbio l' op portunità di chiamare con lo stesso termine 'libertà' due situazioni diverse, l'una definita in termini di non impedimento (o non costrizione) e l'altra in ter mini di obbedienza, che appaiono situazioni con traddittorie, ma non si può disconoscere la validità della distinzione tra l'obbedienza ad altri e l' obbe-
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LIBERTÀ
dienza a se stessi. Dal momento che di fatto esistono situazioni in cui l'individuo è libero di fare o non fare alcunché, e altre in cui lo stesso individuo ha l' obbli go di obbedire, la libertà positiva caratterizza quella situazione di obbedienza in cui colui che obbedisce obbedisce a una norma quanto piu possibile confor me alla sua stessa volontà, in modo che obbeden<.lo a quella norma sia come se obbedisse a se stesso. La vera difficoltà sta se mai nell'individuare storica mente e nel progettare praticamente una volontà collettiva tale che le decisioni da essa prese siano da accogliersi come la massima e la migliore espressio ne della volontà di ogni singolo, in modo che ciascu no « obbedendo a tutti », per dirla con Rousseau, « non ubbidisca a nessuno e sia libero come prima ». Si tratta peraltro di una difficoltà politica, non di una difficoltà concettuale. Che politicamente la libertà positiva come autodeterminazione collettiva sia un ideale-limite, non toglie che sia un ideale continua mente riproposto, e che sia lecito considerare un re gime tanto p ili desiderabile quanto p ili vi si awicina. ro. Due ideali di società libera. A ulteriore conferma della distinzione ricorrente in tutta la storia del pensiero politico tra le due for me di libertà sin qui illustrate, si considerino alcune delle principali teorie che pongono come fine ultimo della convivenza sociale il fine della libertà, e dise gnano le linee generali di una ideale 'società libera' . Per quanto il problema non abbia richiamato l'at tenzione che merita, un esame di queste teorie rivela che le società ipotizzate corrispondono a due diversi
IDEALI DI SOCIETÀ LIBERA
· di società libere e che la loro diversità consiste
fatto che ciascuna di esse persegue, e conduce alestreme conseguenze, una delle due forme di li à e una sola; ed è in sostanza l'idealizzazione di s� cietà in cui una delle due forme di libertà sia pienamente e universalmente raggiunta. In . al parole, una società libera può essere conc�prta, è stata di fatto concepita anche se gli auton non sono consapevoli, in due modi: o come regno del libertà negativa o come regno della libertà positi ' finalmente o l'una o l'altra, realizzate. un esempi� classico della prima forma ideale di ·. società libera è la comunità giuridica universale di ' Kant: ciò che Kant intende per società libera è una . società in cui sia garantita a ciascuno (individuo o ' Stato) la libertà esterna, cioè la libertà di fare tutto ciò che è compatibile con l'eguale libertà di tutti gli altri una società insomma in cui vi sia il massimo . pos ;ibile di libertà negativa, cioè di 'libertà da' (s'in tende, precipuamente, degli individui dallo Stato, e � :· nell'ambito internazionale, di ciascuno Stato da tutti ' gli altri) . Nell'ideale kantiano una società è tanto pili perfetta quanto piu estesa è quella libe�tà che. c?nsi ste nell'assenza d'impedimento e dr costnz10ne . Non diversamente accade in altri scrittori della tra .: dizione liberale, come John Stuart Mill, secondo cui ' lo Stato deve intervenire con le sue leggi punitive il meno possibile e soltanto per impedire !� az�oni �el . l'individuo che rechino danno ad altn_ mdrvrdm, o come Spencer, che considera come una ca�att;eri�t � ca delle società industriali, rispetto alle soCieta mrhtari l'accrescersi della libertà dell'individuo nei con fro �ti dello Stato sino al quasi completo deperimen to di questo. ·
LA STORIA COME STORIA DELLA LIBERTÀ
LIBERTÀ
Tutt'altra è la società libera ideale presente nella tradizione di pensiero politico che, per distinguerla da quella liberale, possiamo chiamare libertaria, e comprende Rousseau, gran parte del pensiero anar chico (come quello di Proudhon) , il marxismo nel suo volto utopistico mirante all'estinzione finale del lo Stato, attraverso il salto qualitativo dal regno della necessità al regno della libertà. Uno dei tratti comu ni a tutti questi scrittori è certamente il maggior ap prezzamento della libertà positiva rispetto alla liber tà negativa, se non addirittura l'esclusiva considera zione della prima a scapito della seconda. La società ideale di Rousseau è quella del contratto sociale ove ciascuno è libero non già per l'estensione della sfera di libertà negativa di cui gode, ma nella misura in cui obbedisce alla legge che egli stesso attraverso la for mazione di una volontà generale si è data. Nella tra dizione del pensiero anarchico società ideale è quel la in cui si attua nella forma piu ampia l' autogover no, che è appunto la libertà come autodeterminazio ne a tutti i livelli e in tutte le dimensioni. Si pensi a Proudhon e al suo principio della realtà e della vita autonoma dell'essere collettivo, eretta contro la co strizione esterna e disumanizzante del potere statale, che è per sua natura sempre eteronomo. Né si di mentichi che, interpretando la Comune di Parigi co me la prima manifestazione di una nuova forma di Stato che contiene già il germe della dissoluzione dello Stato, Marx parla di autogoverno dei produt tori, ed Engels, prevedendo la fine dello Stato quan do sarà cessato per opera della rivoluzione proletaria l'antagonismo di classe, invoca l'avvento di una « li bera ed eguale associazione di produttori ». La libertà della tradizione liberale è individualisti-
ca e trova la sua piena attuazione nella riduzione ai minimi termini del potere collettivo, impersonato storicamente dallo Stato; la libertà della tradizione ' libertaria è comunitaria e si attua totalmente soltan . to nella massima distribuzione del potere sociale in modo che tutti vi partecipino in egual misura. La so cietà ideale dei primi è una comunità di individui li beri, quella dei secondi una comunità libera di indi , vidui associati.
rr. La storia come storia della libertà. Quando all'inizio del Contra! social Rousseau scrisse le fatidiche parole: « L'uomo è nato libero ma dovunque è in catene », indicò nella liberazione dal le catene, nell'ideale della libertà, il "t'ÉÀoç, e quindi il senso, della storia. Di questo ideale la Rivoluzione francese sarebbe apparsa ai grandi contemporanei la prima entusiasmante, se pur non sempre piena e giu sta (con tutti i suoi esecrandi orrori), attuazione. Da allora, la filosofia della storia, che aveva tratto il pro prio alimento, nonché il proprio oggetto, dalle teorie del progresso, che, nate con l'illuminismo, si proil tema . trassero per tutto il sec. XIX, scopri e propagò : fondamentale, cui Hegel avrebbe impresso il suo suggello, della storia come storia della libertà. Nelle concezioni teologiche della storia la vera storia era soltanto la storia della salvezza (individuale) da cui la storia reale degli uomini con le sue lotte, le sue scon fitte e i suoi trionfi (effimeri) riceveva il proprio sen so: non già che la salvezza non fosse essa stessa una forma di libertà o meglio di liberazione; ma era liber tà o liberazione dal peccato, un ritorno alla purezza '.
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originaria, e riguardava pur sempre l'individuo sin golo, non l'umanità nel suo complesso. Il definire in vece la storia come storia della libertà voleva dire as segnare un "t'ÉÀoç alla storia umana in quanto tale, prescindendo da qualsiasi duplicazione di essa in una storia divina, ovvero considerare la stessa storia umana come storia divina; voleva dire che la storia era non pili un coacervo di accadimenti senz' ordine e senza scopo ma una serie ordinata di eventi orien tati a un fine . La storia insomma aveva un senso e questo senso era la conquista di una sempre piu am pia libertà. Identificato in ciò che si cominciò a chia mare progresso lo sviluppo della storia verso un fine desiderato, la teoria del progresso e la filosofia della storia come libertà venivano a essere strettamente connesse. Il progresso consisteva in un graduale e continuo processo di liberazione, in un avvicina mento, ora piu rapido ora piu lento ma inesorabile, verso il fine piu altamente desiderato dall'uomo su questa terra, fine che è appunto la libertà. Questo capovolgimento radicale del senso della storia era nato dalla crisi della coscienza religiosa ap prodata attraverso la Riforma all'Illuminismo, quin di protrattasi e aggravatasi nell'Ottocento con le varie filosofie positivistiche e scientistiche; dallo straordinario sviluppo della scienza e delle applica zioni tecniche che erano seguite e rendevano possi bile al di là di ogni previsione il dominio sulla natura preconizzato da Bacone; dalla formazione di una classe avventurosa e intraprendente che la crisi dei tradizionali valori religiosi aveva reso piu spregiudi catamente volta al proprio utile e cui il progresso scientifico e tecnico aveva fornito mezzi via via sem pre piu potenti di espansione delle proprie ambizio ni e delle proprie capacità. In questo rovesciamento
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·. di valori, la libertà, nelle sue molteplici forme, come 1 libertà di professare una religione secondo i dettami della propria coscienza, di esprimere liberamente le proprie opinioni e di propagarle attraverso la stam pa, di dissentire dal governo senza correre il rischio di essere messi fuori legge e condannati come ribelli, e soprattutto di rompere i vincoli morali e giuridici che ostacolavano l'iniziativa economica, era apparsa . il maggior bene cui gli uomini potessero aspirare in :. questo mondo. La libertà, anzi le varie libertà, erano la condizione stessa dello sviluppo di tutti gli altri va lori. In questa prospettiva la storia apparirà come storia della libertà non solo in quanto ha la libertà come "t'ÉÀoç, ma anche in quanto la libertà, intesa co me la precondizione del massimo sviluppo delle fa coltà superiori dell'individuo e della specie, è il prin cipio motore del progresso (è in questo secondo sen so che Croce parlerà della storia come storia della li bertà senza peraltro distinguerlo dal primo) . La sto' ria ha la libertà come "t'iJ.oç, perché ha la libertà co me principio motore; la libertà insomma è fine e principio, causa finale e causa efficiente. Ancora una volta questa duplicità di sensi della storia come li. bertà è possibile perché il concetto di libertà usato nella prima e nella seconda interpretazione è diver . so. A guardar bene ci si imbatte anche qui nei due concetti di libertà illustrati nella prima parte: la li . bertà come "t'iì,oç è la libertà negativa, è la libertà : quanto piu ampia possibile, al limite la libertà asso luta delle nostre azioni, mentre la libertà come prin cipio motore è la libertà positiva, cioè la possibilità di autodeterminazione, che rende possibile al sog getto umano ogni forma di innovazione, sino al limi te dell'autodeterminazione assoluta che appartiene
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LIBERTÀ
STORIA DELLA LIBERTÀ
soltanto a Dio e che, una volta ammessa, farebbe della storia l'opera della creazione divina. La storia insomma è il prodotto della libertà umana, come au todeterminazione, e ha per scopo la libertà umana come il massimo di non impedimento e di non co strizione. 12. La storia della libertà. Il concetto di libertà come -rÉÀoç della storia esige una risposta alla domanda: libertà da che cosa? Ma una risposta una volta per sempre non si può dare. La libertà in quanto liberazione da un ostacolo pre suppone l'ostacolo. Tante libertà nella storia quanti gli ostacoli di volta in volta rimossi. La storia della li bertà procede di pari passo con la storia delle priva zioni della libertà: se non ci fosse la seconda non ci sarebbe neppure la prima. Non vi è stato un regno della libertà totale al principio, come avevano ipotiz zato i teorici dello stato di natura (l'uomo nato libero di Rousseau), né vi sarà un regno della libertà totale alla fine, come preconizzeranno e predicheranno gli utopisti sociali. Non c'è né una libertà perduta per sempre né una libertà per sempre conquistata : la storia è un intreccio drammatico di libertà e oppres sione, di nuove libertà cui fanno riscontro nuove op pressioni, di vecchie oppressioni abbattute, di nuo ve libertà ritrovate, di nuove oppressioni imposte e di vecchie libertà perdute. Ogni epoca è contraddi stinta dalle sue forme di oppressione e dalle sue lotte per la libertà. Cosi accanto alle due interpretazioni della formula 'la storia come storia della libertà', di cui abbiamo discorso, dove la libertà appare una voi-
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ta come il soggetto stesso della storia, un'altra volta come il fine, ve n'è una terza, che è anche la meno compromessa con postulati metafisici, residui in fin dei conti equivalenti di concezioni teologiche della storia dure a morire: la storia come un continuo e rinnovato tentativo degli individui e dei gruppi (po poli, classi, nazioni) di allargare la propria libertà d'azione (libertà negativa) e di affermare il principio dell'autodeterminazione contro il ripetersi, il ripro dursi, l'atteggiarsi nelle piu diverse guise, delle forze oppressive, o, com'è stato ancor recentemente chia rito, come una serie di risposte alla sfida sempre ri tornante della illibertà (cfr. Matteucci, 19 7 2). Questa interpretazione ha il vantaggio di conside rare libertà e illibertà unite in un rapporto d'integra zione reciproca. Senza l'una non c'è l'altra, e dove c'è l'una c'è l'altra. Storicamente la illibertà nasce continuamente dal seno stesso della libertà almeno per due ragioni: 1) tranne in quel regno ideale dove la mia libertà è perfettamente compatibile con l'eguale libertà di tutti gli altri, nel regno della storia la conquista di una libertà concreta da parte di un indi viduo o di un gruppo si risolve sempre in una illiber tà di altri: la libertà dalla tortura implica la non libertà dei torturatori, cosi come la libertà dallo sfruttamento implica la non-libertà degli sfruttatori; 2) la conquista della libertà è sempre una condizione necessaria (se non sufficiente) per la conquista della potenza e la potenza degli uni si afferma e non può non affermarsi a scapito della libertà degli altri. Non già che basti essere liberi per essere potenti. Ma tutti i potenti prima di essere potenti sono stati liberi. La libertà di oggi è la potenza di domani. E la potenza di domani sarà una nuova fonte di illibertà per coloro
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LINEE DI TENDENZA DI QUESTA STORIA
LIBERTÀ
che a questa potenza sono soggetti. Attraverso la consi? erazione � ialettica di libertà e illibertà, questa terza mterpretaztone della storia come storia della li bertà �vita i due scogli della libertà come principio e della hbertà come fine: il principio, owero la molla della storia, può essere tanto la libertà quanto la illi bertà, cosf come il fine. Chi ci assicura che la storia abbia un 't'ÉÀoç e questo 't'ÉÀoç sia una libertà finale e universale? E se la storia umana finisse, come nella fantasia di tanti scrittori cosiddetti apocalittici in un sistema di servitu ge?-eraliz zata? Che cosa ne s �ppia mo? Accanto all'estgenza della libertà gli uomini h�nno mostrato in tutti i tempi anche l'indifferenza dt fronte alla libertà e, perché no?, la paura della li bertà. Quale di questi atteggiamenti è destinato a preval�re? Il bisogno, l'indifferenza o la paura ? Bemnteso, at?-che quest a interpretazione, pur es . sendo meno rtgtda e anch e piu utile come schem a di comprensione storica, è idealizzant e: attribuisce alla libertà un valore P <;> sitivo e al suo contrario, la poten za, �n valo�e n��attvo. Si può benissimo concepire la stona e qmndt il d�stino dell'uomo dal punto di vi . sta, an�1che_ della hbertà, della potenza, che è il suo rovesc10. Alla fine del secolo che era cominciato con la 'religione della libertà', qualcuno scriverà : « Si vuole la libertà finché non si ha ancora la potenza. Quando si ha la potenza, si vuole il predominio ; se . non lo �1 consegue (se si è ancora troppo deboli per esso) , �1 vuole la giustizia, ossia una potenza pari » (Fr. Ntetzsche, Frammenti postumi r887- r888, Mila no 197 1 , p. r5o) .
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1 3 . Linee di tendenza di questa storia.
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Se è vero che non si può dire una volta per sempre da che cosa l'uomo voglia (abbia bisogno, esiga di) essere libero, si possono indicare schematicamente alcune linee di tendenza, considerando la potenza come l'opposto della libertà, nel senso che la poten za di uno implica sempre la non-libertà di un altro cosf come la libertà di uno implica sempre la non potenza di un altro. Ogni forma di potenza si può configurare come l'instaurazione di uno di stato di non-libertà, cosf come ogni instaurazione di uno sta to di libertà si può configurare come la soppressione di una forma di potenza. Si possono distinguere tante forme di liberazione, e quindi d'instaurazione di libertà, quante sono le forme tipiche che assume di volta in volta nella storia la potenza. Intendendo per rapporto di potenza quel rapporto in cui un soggetto condiziona e in questo senso rende non-libero il comportamento dell'altro, il miglior modo per distinguere le varie forme di po tenza è quello di prendere in considerazione i mezzi principali con cui viene operato tale condiziona mento. Questi mezzi sono: a) le idee, gli ideali, le concezioni del mondo (condizionamento psicologi co) ; b) il possesso della ricchezza (condizionamento attraverso l'offerta di una ricompensa per il lavoro prestato) ; c) il possesso della forza (condizionamen to attraverso la coazione) . Di qua la distinzione fra tre forme tipiche di potenza, che generalmente si corroborano l'una con l'altra: la potenza ideologica, la potenza economica e la potenza politica, che cor rispondono alle tre strutture di potere che si ri-
LINEE DI TENDENZA DI QUESTA STORIA
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trovano in tutte le società, ovvero il sistema cultura le, il sistema di produzione, il sistema politico. Quando con le teorie del progresso apparve per la prima volta con particolare risalto l'interpretazione della storia come storia della libertà, la lotta per la li bertà fu concepita in questa triplice direzione: a) co me liberazione dalla superstizione religiosa, in gene re da ogni forma di dogmatismo delle idee che osta cola l'avanzamento della filosofia rischiaratrice e della scienza liberatrice, e impedisce il libero svilup po delle opinioni, l'accrescimento del sapere, la rea le conoscenza della posizione che l'uomo ha nel mondo; b) come liberazione dai vincoli di una strut tura economica che difende privilegi storici ormai anacronistici, raffrena l'iniziativa del capitalismo na scente, la libera espansione di nuovi ceti volti alla produzione di nuovi beni, alla conquista di nuovi mercati, lo sviluppo delle nuove forze produttive; c) come liberazione da un sistema politico e legislati vo concentrato in una ristretta cerchia di dominanti che si trasmettono il potere ereditariamente, incon trollato, arbitrario, dispotico, accentrato, di fronte al quale il singolo individuo non gode di alcuna garan zia contro l'abuso di potere. Libertà di pensiero con tro la Chiesa e le Chiese; libertà di disposizione dei beni e libertà di commercio contro il sistema feuda le; libertà civili e libertà politica contro lo Stato asso luto; o, se si vuole, lotta contro il dispotismo sotto la triplice forma di dispotismo sacerdotale, feudale e principesco. L'Encyclopédie fu l'impresa intellettua le in cui queste libertà furono rivendicate e trovaro no il terreno propizio alla loro fecondazione; la Ri voluzione francese fu l'impresa politica attraverso cui i frutti della filosofia rischiaratrice furono raccol-
ti e diffusi nel mondo. ·.
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Il secolo che segui fu chiamato
il secolo della libertà. Croce descrivendone l'inizio
quando ormai la libertà, quella libertà, era perduta, ed esaltandosi nel rievocarla, scrisse che « la storia non appariva piu deserta di spiritualità e abbando nata a forze cieche o sorretta e via via raddrizzata da forze estranee, ma si dimostrava opera e attualità dello spirito, e, poiché spirito è libertà, opera della li bertà » (Storia d'Europa nel secolo decimonono, Bari 1932, p. 14) . Il piu grande filosofo dell'età della Re staurazione, che aveva sentito potentemente l'influs so della Rivoluzione francese, concepf la storia come l'incedere o il procedere della libertà nel mondo: « Lo spirito è libero; e il fine dello spirito del mondo nella storia è di appropriarsi effettivamente questa sua essenza, di raggiungere questa sua prerogativa [ . . ] . Ogni singolo nuovo spirito di popolo è un gra do nella conquista dello spirito del mondo, nell' ac quisto della sua coscienza e libertà » (Filosofia della storia cit . , vol. I, p . 59) . E del resto lo stesso Marx sa lutò l'avvento della borghesia come uno dei grandi momenti liberatori della storia: « Solo la borghesia ha dimostrato che cosa possa compiere l'attività dell'uomo » (Manifesto del partito comunista, cap. I) . Due dei maggiori scrittori politici del tempo, Alexis de Tocqueville e John Stuart Mill, furono scrittori li berali nel piu alto senso della parola: difesero la li bertà individuale contro le varie forme di tirannia, a cominciare dalla tirannia della pubblica opinione (nuova forma di potenza ideologica dopo il declino del potere sacerdotale ) , e indicarono l'unico possibi le rimedio nell'estensione dell'autogoverno. Carlo Cattaneo, il maggiore scrittore politico italiano del l'Ottocento, contrapponendo i sistemi aperti ai si.
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DALLO STATO, NELLA SOCIETÀ
LIBERTÀ
sterni chiusi, contraddistinse i primi in base alla libe ra circolazione delle idee, alla libera iniziativa econo mica, al governo diffuso e proveniente dal basso. Circola in tutti gli scrittori politici, liberali e non li berali, la contrapposizione tra l'Europa libera e il re sto del mondo assopito in un sonno che dura da se coli, tra la civiltà europea in continuo movimento grazie all'azione benefica della libertà e le civiltà sta zionarie, retrograde, immobili, dei continenti ex traeuropei. Da Montesquieu sino a Mill sino a Cat taneo, sino a Marx, la categoria storie� con cui si contraddistingue tutto ciò che non è europeo è il di spotismo. L'Europa è libera perché è riuscita a trion fare dell'oppressione religiosa, dell'oppressione economica e dell'oppressione politica : è una civiltà s�c
r 4 . Dalla libertà dallo Stato alla libertà nella cietà.
sc
Ma siccome ogni libertà è sempre una libertà con creta, una libertà rispetto a una precedente servitu,
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non è mai la libertà definitiva, il secolo della libertà fu in realtà il secolo della libertà o delle libertà che si era conquistata la borghesia contro le classi feudali, o, piu precisamente, fu il secolo non della libertà ma del liberalismo, cioè di un certo modo d'intendere e di attuare la libertà che, nello stesso tempo in cui rompeva catene antiche, altre, e ancor pili dure e for ti, ne forgiava e ne ribadiva. Il secolo della libertà era destinato a finire, lo si chiuda con la prima guerra 1 mondiale o con la Rivoluzione sovietica, in quella che fu chiamata l'ère des tyrannies. Si suole ripetere il detto di Ma dame de Stael, secondo cui « la libertà è antica e il dispotismo è moderno ». In realtà si do vrebbe dire che il dispotismo è antico come la liber tà, e la libertà è moderna come il dispotismo. In altre parole, la libertà è antica ma i suoi problemi sono sempre nuovi e si rinnovano continuamente in rispo sta alle sempre nuove forme di oppressione che ap paiono all'orizzonte della storia . L'idea che la libertà, o meglio la liberazione del l'umanità, fosse, ancorché graduale, inesorabile, fu l'effetto, oltre che dell"entusiasmo morale' suscitato , dalla Rivoluzione francese, anche del rovesciamento del rapporto tradizionale tra società civile e Stato e ' della scoperta della preminenza della società civile sullo Stato, che seguirono alle prime riflessioni sulla incipiente società industriale. Tanto nella corrente apologetica del capitalismo moderno, che va da Smith a Spencer, quanto nella corrente critica, che va da Proudhon a Marx, è costante e ferma la con vinzione che lo Stato, sino allora esaltato come il 'ra zionale in sé e per sé' , come il dio terreno (da Bob bes a Hegel) , è soltanto un riflesso della società civi le, e pertanto una volta liberata la società - libezione .·
LIBERTÀ
che avviene a un livello precedente a quello dello Stato, al livello appunto delle strutture della società civile -, la potenza dello Stato sia destinata ad affie volirsi se non addirittura a estinguersi, anche se poi tra l'una e l'altra corrente ci sia una profonda diffe renza rispetto alla valutazione delle cause e dei tempi di questo affievolimento o di questa estinzione. Oggi appare sempre piu profetica l'idea di Saint-Simon che la vera rivoluzione del tempo non era stata la Ri voluzione francese, rivoluzione soltanto politica, ma la rivoluzione industriale, onde soltanto nel pieno sviluppo della società industriale (e non nella sosti tuzione di un regime politico a un altro) si può realiz zare 'la vera libertà', cioè quella cui si perviene col massimo sviluppo delle potenze materiali e intellet tuali dell'uomo, e che consiste nello sviluppare 'sen za catene e con tutta l'estensione possibile' una capa cità materiale e teorica utile alla vita collettiva. Su una sponda i !iberisti e liberali, da Cobden a Spen cer, ritennero che fosse già venuto il momento in cui l'esplosione delle forze produttive avrebbe reso sempre meno indispensabile il potere coattivo dello Stato. Sulla sponda opposta Proudhon contrappo neva allo Stato come potenza alienante la società economica, al principio dell'autorità impersonato dallo Stato il principio della libertà realizzabile sol tanto nella società dei produttori. E già in uno dei suoi primi scritti (La questione ebraica) Marx aveva affermato che l'emancipazione soltanto politica non era ancora l'emancipazione umana, e che l'emanci pazione umana doveva cominciare dalla società civi le. Nonostante la loro diversa immagine della società futura, apologeti e critici ebbero in comune l'idea che, nel passaggio inevitabile dalle società arcaiche
TOTALITARISMO E TECNOCRAZIA
alle società industriali, il potere politico avrebbe perduto prima o poi gran parte della sua funzione si no alla totale scomparsa.
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Totalitarismo e tecnocrazia.
Oggi sappiamo che mai errore di previsione è sta to piu grande. Con la crescita della società capitali della sua espansione il . stica e dell'ambito mondiale , · potere politico - lo Stato-potenza - non solo non è diminuito ma si è enormemente accresciuto, e dove lo sviluppo è stato minacciato o ostacolato non ha esitato ad assumere la forma delle piu spietate ditta, ture. Nei paesi poi dove sono avvenute le prime rivo luzioni comuniste, il cosiddetto Stato di transizione, , che avrebbe dovuto preparare la strada alla società senza Stato, al rovesciamento dello Stato nella sode . tà civile, si è trasformato in un nuovo Leviatano. Ri . spetto al problema dello Stato, considerato sia dalle correnti liberali sia dalle correnti socialistiche (e anarchiche) l'ultima fortezza che si sarebbe dovuta espugnare per liberare gli uomini dalla schiavitu, :. tanto gli apologeti che i critici della società civile . (borghese) si erano fatti molte illusioni. Quest'ulti . . ma fortezza non solo non è stata espugnata ma ha esteso in situazioni catastrofiche il proprio dominio. 1 È nato nel ventennio tra le due guerre coi regimi fascisti e nel periodo staliniano dello Stato sovietico il ·• nuovo tipo di Stato cui è stato dato il nome non usur . pato di Stato totalitario. Il totalitarismo è la versione , aggiornata, riveduta, corretta e aggravata, del dispo · ' tismo: ciò che lo caratterizza rispetto a tutte le form e tradizionali di assolutismo politico è il massimo di e di unificazione delle tre potenze .·
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LIBERTÀ
attraverso cui si esercita il potere dell'uomo sull'uo mo : il totalitarismo è un dispotismo non soltanto po litico ma anche economico e ideologico. Nella for mazione dello Stato moderno il potere ideologico, che appartenne tradizionalmente alla Chiesa, costi tu! per secoli un potere separato dal potere politico, e spesso in lotta con esso: uno degli strumenti di do minio dell'odierno Stato totalitario è il monopolio dell'ideologia. L'ideologia di Stato, proprio come la religione di Stato, che caratterizza gli Stati confessio nali reintroduce la distinzione tra ortodossi ed ereti ci e permette di considerare come deviazione o addi rittura come tradimento ogni divergenza dalla dot trina ufficiale. Per quanto le classi economicamente in ascesa abbiano sempre cercato di dare la scalata al potere politico, detenuto dalle classi tradizionali, co m'è avvenuto nella lotta della borghesia mercantile contro l'aristocrazia feudale, o della moderna classe imprenditoriale contro la vecchia classe dei proprie tari della terra, l'identificazione tra classe economi camente dominante e classe politica non è mai stata, né nello Stato di ceti, né nella monarchia assoluta, né nello Stato parlamentare, completa : la versione mo derna del dispotismo tende invece attraverso il pro cesso di statalizzazione dell'economia alla congiun zione del potere politico col potere economico. Quali che siano i caratteri del totalitarismo messi in rilievo da vari punti di vista, su cui non è il caso di soffermarsi, è importante sottolineare il fatto che il totalitarismo non è soltanto un tipo di sistema politi co, ma è un tipo di sistema sociale, nella sua globali tà, o, se si vuole, è un tipo di Stato solo nel senso in cui, essendo cancellata la distinzione tra società civi-
TOTALITARISMO E TECNOCRAZIA
le e Stato da cui è stata contraddistinta la storia dello Stato moderno, la società intera si risolve nello Stato, è una società integralmente statalizzata. Anche là dove non è avvenuta la trasformazione della società in un universo totalitario, e le libertà tradizionali, le libertà della tradizione liberale e de mocratica, sono formalmente garantite, nuovi pro blemi di libertà, sia di libertà negativa sia di libertà positiva, sono sorti e vengono continuam�nte rip t;� posti alla riflessione e alla conseguente az1one pohu ca riformatrice. Via via che nuove richieste di libertà vengono soddisfatte, nuove ne sorgono, ponendo l'uomo il problema della propria liberazione su livel li sempre piu profondi. Dopo l'emancipazione ideo logica seguita all'Illuminismo e all' emanci� azione economica di cui fu protagonista la borghesia nella lotta contro la struttura feudale della società, il livel lo su cui la dottrina della libertà del secolo scorso, il liberalismo, ripropose il problema della libertà (del la libertà dei moderni, appunto, come la invocava Constant) fu principalmente il livello del potere po litico. L'antitesi classica del pensiero liberale si raffi gura nelle due forme contrapposte di Stato : lo Stato assoluto e lo Stato di diritto; per il liberale il proble ma della libertà si risolve soprattutto nella formazio ne di un nuovo tipo di Stato, che è lo Stato garantista e rappresentativo; i rimedi che egli propone sono es senzialmente di carattere costituzionale. Infatti il maggior prodotto del suo pensiero e d�lle �ue lo�t � sono le costituzioni. Non a caso uno de1 testi class1c1 del pensiero liberale è il Cours de politique con�titu tionnelle di Constant. Insomma, una volta raggmnta l'emancipazione umana nella sfera della creazione intellettuale e della produzione della ricchezza, sem-
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brava che le minacce alla libertà potessero provenire soltanto dall'unico monopolio di cui la società non �ra riuscita ancora a fare a meno, che era il monopo h.o della forza. Al contrario, il problema della libertà s1 l?one o�gi a un livello piu profondo, che è il livello d �t .poten. de�la socfetà civile. Non importa che l'in dtvtduo s1a hbero dallo Stato' se poi non è libero 'nella società'. Non importa che lo Stato sia liberale se p �� la �o�ietà s�m.ostante è dispotica. Non importa che l md1v1duo s1a hbero politicamente se non è libe ro �ocialmente. Al di sotto della illibertà come sog gezione al potere del principe, c'è la illibertà come s?ttomissione all'apparato produttivo. E allora per gmngere al cu�xe. del problema della libertà bisogna fare un passo md1etro: dallo Stato alla società civile. Il problema della libertà riguarda non piu soltanto l' ?rgat?izzazione dello Stato ma soprattutto l' orga mzzazlone della produzione e dell'intera società· in ; vest� non il cittadino, cioè l'uomo pubblico, ma l uo mo m quanto essere sociale, in quanto uomo . In que s�o senso � em� r� che la direzi?ne dello sviluppo sto neo non s1a pm, dallo Stato dtspotico allo Stato libe rale' , ma 'dallo Stato liberale alla società liberata' . Come ognuno può facilmente capire, alludo in questo contesto ai problemi di libertà che nascono nella società tecnocratica, in quella « ormai inevita bile amministrazione economica generale della ter ra » (di cui già parlava Nietzsche) . Brevemente, il problema della libertà nelle società industrialmente avanzate, il vero problema della libertà dei moderni non è piu quello della libertà dallo Stato o nella so � cietà politica, bensi quello della libertà nella società globale. �e discuss.ioni piu interessanti e anche piu drammatiche che s1 svolgono intorno alla libertà dei
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moderni sono ormai quelle che vertono intorno alla risposta 'liberale' o 'libertaria' alla 'sfida tecnologi ca'. Un punto è chiaro: se in una società tecnocratica nasce un problema di libertà, questo non nasce al l'interno del sistema politico strettamente inteso ma ! dal sistema sociale nel suo complesso . Il livello piu profondo su cui si pone il problema si rivela nel fatto che le libertà di cui l'uomo è privato nella società tec nocratica non sono le libertà civili o politiche, ma è la libertà umana nel senso piu ampio della parola, la li tutte le risorse della propria na, bertà di sviluppare tura. Ciò che caratterizza la società tecnocratica non è l'uomo schiavo, l'uomo servo della gleba, l'uomo suddito, ma il non-uomo, l'uomo ridotto ad automa, a ingranaggio di una grande macchina di cui non co nosce né il funzionamento né il fine. Per la prima volta si guarda con angoscia allo svilupparsi di un processo non di asservimento o di proletarizzazione, , ma piu in generale di disumanizzazione. Anche la potenza da cui la società tecnocratica è contrasse gnata è diversa da tutte le potenze precedenti: non è la potenza che si serve delle idee, né quella che si ser ve del dominio economico, né quella che si serve del la forza coattiva. È la potenza scientifica, la potenza della conoscenza che assicura il dominio piu incon trastato sulla natura e sugli altri uomini, ed è nello stesso tempo la potenza p ili impersonale e perciò p ili spersonalizzante, piu universale e perciò piu livella, trice, piu razionale e quindi piu razionalizzatrice. Nell'universo tecnocratico, considerato come lo sta dio limite di una tendenza, cosi come è uno stadio li mite della tendenza opposta la società senza Stato o la società anarchica, la mancanza di libertà a livello ideologico si presenta come conformismo di massa,
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a livello economico come mercificazione o reifica zione di ogni forma di lavoro, anche del lavoro intel lettuale, a livello politico come esclusione da ogni forma di partecipazione attiva alla direzione sociale. Ma a differenza delle società sinora esistite questa mancanza sarebbe sentita non piu come una priva zione ma come l'appagamento di un bisogno, il biso gno appunto di non essere liberi: quel che in altri tempi era la fuga dalla schiavitu si convertirebbe nel suo contrario, nella 'fuga dalla libertà' .
16. Le forme attuali della non-libertà. Non è possibile indicare neppure per sommi capi temi e problemi della non-libertà nella società con temporanea, tanto ampia, varia, complessa e a volte contraddittoria è la discussione intorno ad essa. Ma servendoci ancora una volta della tripartizione delle forme di potere, e cercando d'isolare le dottrine che appaiono al centro della discussione in questi anni, mi pare di poter individuare tre temi fondamentali (che enumero nell'ordine della loro emergenza stori ca) : a livello economico il tema dell'alienazione di derivazione marxiana, a livello politico il tema della burocratizzazione (o razionalizzazione del potere le gittimo nella forma del potere legale) , di derivazione weberiana, a livello ideologico il tema della manipo lazione dell'opinione attraverso le comunicazioni di massa, che ha avuto la sua prima e contestata formu lazione nella teoria critica della Scuola di Francofor te. Tutti e tre i temi sono nati in forma di critica al l'interno della società capitalistica, come riflessioni sullo sviluppo o sulla natura del capitalismo moder-
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no; ma la loro importanza risiede nel fatto che valgo no e sono continuamente applicati alla critica delle società socialistiche. Ciò che hanno in comune ri spetto alla critica liberale delle società dispotiche è una tendenza a considerare le situazioni di non libertà come un prodotto di strutture oggettive piu che di forze storiche . Per quanto la categoria dell'alienazione venga usata spesso nel dibattito attuale in un senso generi co, nel senso di perdita della propria personalità, di diventar altro da sé, o nel senso filosofico hegeliano di non-essere-presso-di-sé, essa ha nel linguaggio marxiano, non solo nelle opere giovanili, come pur è stato sostenuto, ma anche negli scritti della maturità, un significato tecnico preciso con un riferimento specifico alla natura del lavoro salariato, cioè del lavoro che caratterizza la società capitalistica. Anche se Marx non collega questo tema direttamente con quello della libertà, la proprietà che ha il lavoro sala riato di essere 'alienato' è la proprietà per cui « l'atti ' vità dell'operaio non è la sua propria attività perché essa appartiene ad altro: è la perdita di sé », o, pili , precisamente, « l'alienazione dell'operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all'esterno, ma che esso esiste fuori di lui, indipendentemente da lui, a ' lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per sé stante » (Manoscritti economico-fi'loso/ici del I844 , Torino 1 968, p. 7 2 ) : una potenza cui è soggiogato, che lo sottomette, di cui diventa schiavo . Ancor piu precisamente in un'opera della maturità: « La ricchezza da esso [dal lavoratore salariato] creata si contrappone come ricchezza altrui, la propria forza produttiva come forza produttiva del suo prodotto,
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il suo arricchimento come impoverimento di se stes so, la sua forza sociale come forza della società su di esso » (Storia delle teorie economiche, vol. III, Torino 1 954, p. z8o) . Ciò che l'alienazione cosi intesa ha di singolare e di pregnante come forma di non-libertà è il fatto che l'operaio si rende per cosi dire schiavo con le proprie mani. Poiché l'operaio moderno, a differenza dello schiavo delle civiltà antiche, è for malmente libero, è la sua stessa libertà che si conver te in schiavitu o è il presupposto stesso dell'essere sostanzialmente non-libero; in secondo luogo, es sendo la forza-lavoro per l'operaio tutto quello che possiede, l' alienazione che egli fa 'liberamente' del prodotto del proprio lavoro, finisce per essere un'a lienazione totale, cioè proprio quell'alienazione to tale che per Rousseau stava a fondamento della schiavitu e che perciò egli riteneva illecita, salvo che fosse fatta a se stessi: una privazione totale della pro pria essenza di uomo. La differenza tra il suddito di uno Stato dispotico e l'operaio della forma di produ zione capitalistica sta, secondo Marx, nel fatto che il primo è non-libero politicamente di fronte a un sog getto storico ben definito (ma è magari libero econo micamente e ideologicamente) , il secondo è magari libero politicamente e ideologicamente ma è non libero nel sistema globale della società, è non-libero di una non-libertà che può essere riscattata solo con un rovesciamento del sistema. Delle tre forme di potere legittimo descritte da Max Weber quella che corrisponde alla società capi talistica è la forma del potere legale o razionale, la cui legittimità deriva dal fatto che gli atti di potere ven gono compiuti in base a norme generali prestabilite, a differenza di quel che accade nella forma di potere
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tradizionale (propria delle società precapitalistiche), ove il potere è esercitato in base a tra�izioni cu.i i� principe non è strettamente vincolato, e 1 rapporti dr potere sono rapporti personali,, .non fissati � re�e�ti vamente in modo vincolante . L Impresa caprtahsuca non può svilupparsi se non sulla base del calcolo ra zionale delle utilità, e quindi ha bisogno di una strut tura di potere che consenta il massimo di prevedibi lità delle azioni e ammetta il minimo spazio all' ar bitrio individuale. Il sistema statale cui dà vita la for ma di potere legale è il sistema caratterizzato da un grande apparato burocratico, il quale, come una grande rete, racchiude l' attivi� à �ei funzio�ari e ne impedisce il movimento dehmrtand�ne ng� xo.sa� mente i ruoli e fissandone la gerarchia. Qumdr si estende a poco a poco su tutta la società rendendosi indispensabile o provvedendo direttamente all'or ganizzazione di tutte le attività che vi si svolgono, da quella economica a quella scolastica: in q�anto 'spi rito rappreso' questa grande macchma (dr nuovo l� machina machinarum di Hobbes) ha la potenza dr costringere gli uomini a mettersi al suo. servizio. Il destino delle società moderne carattenzzate dalle grandi imprese, non solo delle società capitalisti�he ma anche, come Weber prevede, e anzi con maggior celerità, di quelle che si avviano al socialismo, è la corsa verso la burocratizzazione, e quindi la trasfor mazione in 'gusci d'acciaio', in cui saranno sepolte le illusioni dei liberali del sec. XIX e dei socialisti del sec. xx. Nelle pagine ormai classiche di T�.. W. �d? rn? sull'industria culturale sono contenuti l temi pnncl pali, sublimati nell'opera marcusiana, e quindi ripe tuti, amplificati, dogmatizzati nella letteratura sulle
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contraddizioni delle società piu avanzate, relativi al l'universo repressivo originato dalle comunicazioni di massa. Attraverso le comunicazioni di massa an che l'arte, ciò che dovrebbe essere piu irripetibile e piu creativo, diventa un prodotto come tutti gli altri, riproducibile all'infinito, consumabile, una merce che il pubblico compra o è indotto a comprare con la stessa mancanza di gusto personale con cui compra una saponetta o un paio di scarpe. Di fronte al pro dotto dell'industria culturale l'individuo non deve lavorare di propria testa: il prodotto è smerciato già tutto finito e pronto per l'uso. Non deve pensare ma divertirsi, non deve essere turbato, scosso, tormen tato, ma deve essere distratto, ammansito, pacificato con se stesso e con la società. L'effetto è un generale ottundimento, un livellamento dei gusti e delle aspi razioni, una compiuta e incruenta spersonalizzazio ne, l'eliminazione della silenziosa privatezza in cam bio di una spudorata e chiassosa pubblicizzazione: « L'industria culturale ha perfidamente realizzato l'uomo come essere generico. Ognuno è piu solo ciò per cui può sostituire ogni altro : fungibile; un esem plare » (M. Horkheimer e Th. Adorno, Dialettica dell'illuminismo, Torino 1 966, p. 1 57 ) . In questa si tuazione parlare ancora di libertà può apparire una bestemmia, un modo di nominare il nome di Dio in vano; una parola troppo solenne per un mondo cosi dimesso e accontentabile, dove al posto dell'intelli genza personale c'è la ripetizione, l'imitazione, l'a dattamento, l'accettazione incondizionata della logi ca del dominio . Il protagonista, se si può ancora ado perare questa parola d'altri tempi, della società do minata dall'industria culturale è il servo sublimato e soddisfatto, proprio il contrario del cittadino di Rousseau, che era « costretto ad essere libero ».
PROBLEMI ATTUALI DELLA LIBERTÀ
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1 7 . I problemi attuali della libertà. Come la non-libertà nasce continuamente nel se no stesso della libertà, a egual titolo si può dire che la libertà rinasce continuamente nel seno stesso della non-libertà. Sembra quasi che a un intensificarsi del le nuove forme di dominio corrisponda un acuirsi del bisogno di libertà. Nello stesso tempo, quanto piu si moltiplicano le insi?ie d_el potere ta�to p�� si fortificano le difese della hberta. In una rapida visto ne d'insieme dei problemi della libertà nella società contemporanea, mi pare si possano individuare due temi principali: da un lato l'emergere di richieste di libertà completamente nuove, dall'altro nuove for me di difesa delle vecchie . In tema di libertà negativa il problema nuovo è il problema della libertà dal lavoro. Va da sé che un problema di questo genere non poteva essere posto se non in un'epoca come la nostra di vertiginosi pro gressi tecnici. Tradizionalmente la maggior parte delle richieste di libertà negativa, rivolte com'erano contro l'oppressione politica e sacerdotale, contro le due grandi istituzioni che inglobavano tutta la vita dell'uomo, restarono circoscritte nell'ambito sovra strutturale. Sul piano strutturale la libertà economi ca significò libertà di possedere, d'intraprendere operazioni economicamente redditizie, di accumll: lare beni senza limiti, non mai libertà dal lavoro: il non lavorare poteva se mai essere una conseguenza del diritto all'accumulazione indefinita, non un pre supposto; fu sempre considerato un privilegio e non un diritto. Il lavoro fu sempre giustificato come una ineluttabile necessità o addirittura esaltato come un
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dovere. Solo oggi comincia ad affacciarsi il proble ma del diritto non piu soltanto al lavoro ridotto al minimo indispensabile ma al limite all'eliminazione del lavoro faticoso, ingrato, alienante, attraverso il progresso dell'automazione. La nuova immagine della società libera che oggi si affaccia alle menti de gli utopisti sociali non è p ili quella della società senza schiavitu politica, ma quella della società senza la schiavitu del lavoro. Anche la libertà positiva fu con cepita sino a oggi quasi esclusivamente come allarga mento della sfera di autodeterminazione nella sfera politica. Una delle novità di questi ultimi anni è che le richieste di autodeterminazione vengono fatte va lere, con un'audacia che sarebbe stata sino a qualche . anno fa Impensabile, in quelle istituzioni che sem bravano incrollabilmente, necessariamente, fondate sul principio dell'autorità e dell'obbedienza assolu ta: la chiesa, la scuola, la fabbrica, persino l'esercito. Vengono discusse, criticate, contestate le cosiddette istituzioni totali, come i manicomi e le carceri la cui funzione eccezionale, come eccezionale è s�mpre stato giudicato il comportamento anormale o de viant�, l� avev� s�mp�e tenute al riparo da ogni ri vendicaziOne dt hberta. Per un'età che per la prima volta nella storia è stata testimone dei campi di ster minio, la contestazione delle istituzioni totali 2: una sfida che può sembrare persino troppo spavalda o troppo ingenua, ma è uno di quegli episodi che mo strano piu di ogni altra considerazione la realtà pro fonda del nesso dialettico tra libertà e non-libertà. In tema delle nuove forme di difesa delle vecchie li bertà, occorre segnalare la tendenza manifestatasi subito dopo la seconda guerra mondiale a una prote zione internazionale dei diritti dell'uomo, cui si ri-
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CONSIDERAZIONE CONCLUSIVA
chiama, sin dal Preambolo, lo Statuto delle Nazioni Unite. Con la Dichiarazione universale dei diritti dell'u omo, approvata dall'Assemblea delle Nazioni Unite il ro dicembre 1 948, è stato fatto il primo ten tativo di universalizzare, cioè di estendere a tutti i popoli della terra, quei principì di libertà che erano stati afferm ati dalle prime costituzioni liberali entro i limiti di ogni singolo Stato nazionale. Questa, sol tanto enunciata e solennemente proclamata, univer salizzazione dei diritti dell'uomo avrebbe dovuto es sere il naturale presupposto della loro garanzia in ternazionale. Per quanto il problema non sia stato praticamente risolto, salvo l'ancor timida e gracile istituzione della Commissione europea dei diritti dell'uomo, la linea di tendenza che esso esprime non può essere sottovalutat a. La garanzia dei diritti del l'uomo contro la violazione perpetrata dallo stesso Stato che dovrebbe esserne il protettore è una rispo sta a un livello pili alto all'eterna domanda: Quis cu stodie! custodes? Ogni nuovo tentativo di risposta a questa domanda, ancorché imperfetto e incompleto, è, nella misura in cui propone nuove forme di con trollo del potere, una risposta a una domanda di li bertà.
r8. Considerazione conclusiva. Nessuno può pretendere di conos cere il destino della libertà nel mondo. Chi si limita a fare l'osserva tore di ciò che accade è tentato di fare ancora una ri flessione. Nel secolo scorso, come ho detto alla fine della prima parte, fiorirono le piu diverse escogita zioni utopistiche di una società finalmente liberata; il stino deled era ben radicata la convinzione che /v' STUD; / )/ ,òo !:! 1fvt-�M.�1J>I. S 1/
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l'umanità fosse la libertà. Poi è accaduto quel che è accaduto : è accaduto che in fronte ai campi di schia vitu e di sterminio sia stato scritto, con una diabolica contraffazione, « Il lavoro rende liberi ». In questo secolo non conosco utopie, ideazioni fantastiche della società futura, che non descrivano universi di cupo dominio e di desolato conformismo. L'unica speranza è che anche questa volta gl'incauti profeti abbiano torto.
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