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PATRICIA CORNWELL AL BUIO (The Front, 2008) A Ursula Mackenzie, il mio brillante editore in Gran Bretagna 1 Win Garano posa due bicchieri di plastica su uno dei tavoli da picnic di fronte alla John F. Kennedy School of Government. È un soleggiato pomeriggio di metà maggio e Harvard Square è piena di gente. Win si siede a cavalcioni su una panchina, accaldato e sudato: ha un completo Armani nero e scarpe di Prada nere, che ha comprato usati. Ha avuto la sensazione che il precedente proprietario fosse morto, perché la commessa dell'Hand Me Ups gli ha proposto quell'abbinamento per novantanove dollari sostenendo che era "praticamente nuovo". E dopo gli ha fatto vedere un'altra serie di abiti, scarpe, cinture, cravatte e persino calzini. Tutti firmati: DKNY, Hugo Boss, Gucci, Hermès, Ralph Lauren. Tutti di "un personaggio famoso di cui non posso farle il nome". A Win è venuto in mente che poco tempo prima era morto in un incidente stradale un giocatore dei Patriots. Uno e ottantacinque, ottanta chili di peso, muscoloso ma non gigantesco. In altre parole, lo stesso fisico di Win. Resta lì seduto ad aspettare, sempre più nervoso. Agli altri tavoli da picnic ci sono studenti e dipendenti dell'università, in jeans, maglietta, zainetto sulle spalle. Chiacchierano, e Win sente alcuni commenti negativi sulla conferenza che il procuratore distrettuale Monique Lamont ha appena concluso al Forum. "Non lasciamo indietro i nostri vicini." Win l'aveva avvertita che era un titolo poco chiaro, oltre che un tema un tantino banale per un convegno così prestigioso. Ma lei non accetta consigli da lui. E lui non accetta di farle da schiavo anche il suo giorno libero. Monique Lamont lo comanda a bacchetta, lo sminuisce costantemente. Prenda nota di questo, prenda nota di quello. Mi chiami il tale. Mi vada a prendere un caffè da Starbucks, macchiato, con latte parzialmente scremato. E lo fa aspettare fuori al caldo, mentre lei se ne sta tranquilla nel Littauer Center, dove c'è l'aria condizionata. La vede uscire, scortata da due agenti in borghese della polizia di Stato del Massachusetts. Anche lui fa parte della polizia di Stato, è un ispettore
della Omicidi attualmente al servizio del procuratore distrettuale della Middlesex County. In altre parole, al servizio di Monique Lamont. Ieri sera Monique l'ha chiamato a casa e gli ha comunicato di averlo sospeso dal servizio, con decorrenza immediata. «Le spiego domani, dopo la conferenza al Forum. Ci vediamo lì alle due.» Senza aggiungere nessun'altra spiegazione. Si ferma a parlare con un giornalista della ABC, e poi con un altro della NPR. Parla con i reporter del "Boston Globe", della Associated Press, e infine con Cal Tradd, lo studente di Harvard che scrive per il "Crimson" ma si comporta come se fosse del "Washington Post". I giornalisti adorano Monique. Adorano detestarla. Non si può restare indifferenti alla bellissima e potentissima Monique Lamont, procuratore distrettuale. Oggi si è messa un tailleur verde brillante. Escada, collezione primavera-estate di quest'anno. Win ha notato che da un po' di tempo a questa parte sfoggia un abito diverso ogni volta che la vede. Continuando a parlare con Cal, Monique attraversa sicura la piazza fra grandi azalee, rododendri e sanguinelle bianche e rosa. Il bel Cal, biondo con gli occhi azzurri, sempre compito, sempre controllato, sempre sorridente, prende appunti. Dice qualcosa, Monique annuisce. Lui continua a parlare, lei ad annuire. Win vorrebbe che Cal facesse qualche stupidaggine, si facesse mandare via da Harvard. Sarebbe bellissimo, se lo espellessero dall'università. È una persona detestabile. Monique si congeda, fa segno agli agenti di lasciarle un attimo di privacy e si va a sedere di fronte a Win, gli occhi nascosti dietro gli occhiali con le lenti grigie. «Mi sembra sia andato tutto bene.» Prende il suo caffè macchiato, senza nemmeno dirgli un grazie. «Il pubblico non era numerosissimo, ma lei ha detto quel che doveva dire» osserva Win. «Nessuno capisce la gravità del problema. Nemmeno lei, Win.» Con il tono seccato di quando viene offesa nel suo narcisismo. «Lo sfaldamento dei rapporti di buon vicinato è potenzialmente distruttivo quanto il riscaldamento globale. I cittadini non rispettano più le forze dell'ordine e sono sempre meno propensi ad aiutare il loro prossimo. Pensi che lo scorso weekend ero a New York e, mentre camminavo in Central Park, ho notato uno zaino abbandonato su una panchina. Crede che qualcuno si sia premurato di avvertire la polizia? Ci sarebbe potuta essere una bomba dentro, no? Eppure tutti passavano oltre senza far niente. Probabilmente pensavano so-
lo ad allontanarsi prima possibile, per non rimanere coinvolti in un eventuale attentato.» «Il mondo sta andando in malora, Monique.» «Il disinteresse è totale. Ma io voglio fare qualcosa» dichiara lei. «La scena è già pronta. Lo spettacolo sta per iniziare.» Con Monique Lamont, tutto è spettacolo. Giocherella con il bicchiere, osserva intorno per controllare chi la sta guardando. «Come scuotere persone ormai chiuse in se stesse, anestetizzate di fronte a qualsiasi tragedia, e coinvolgerle nella lotta contro la criminalità? Ormai siamo tutti abituati alla malavita, alla droga, ai furti: c'è bisogno di un dramma che riscuota la gente dal torpore, senza però coinvolgerla in prima persona.» «Non credevo che la gente avesse bisogno di altri drammi.» Nota una giovane donna, magrissima, con i capelli rossi, che ciondola vicino a un acero non distante da loro. È vestita come Raggedy Ann, la bambola di pezza, con tanto di calze a righe bianche e rosse e scarpe nere. L'ha già vista la settimana scorsa, nel centro di Cambridge, dalle parti del tribunale. Forse aspettava di essere chiamata a qualche udienza. Magari è una ladruncola. «Un omicidio a sfondo sessuale mai risolto» dice Monique. «Commesso il 4 aprile 1962 a Watertown.» «Stavolta non scaviamo nella storia, ma nella preistoria» replica Win, osservando Raggedy Ann. «Mi stupisco che lei sappia dov'è Watertown.» È nella Middlesex County, sotto la sua giurisdizione, insieme a un'altra sessantina di piccoli comuni che le interessano poco o niente. «Un piccolo centro, trentacinquemila abitanti, di etnie molto diverse» dice Monique. «Si dà il caso che questo delitto perfetto sia stato commesso nel luogo ideale per la mia iniziativa. Il capo del dipartimento di polizia le affiancherà il suo uomo di punta. Anzi, la sua donna di punta. Quella che si presenta sulle scene del crimine a bordo di un mostruoso laboratorio mobile: ha presente? In questo momento mi sfugge il nome...» «Stump.» «Giusto. Mi dica: la chiamate Stump perché è bassa e grassa?» «No, perché ha una protesi alla gamba. Le è stata amputata appena sotto il ginocchio.» «Voi poliziotti siete così privi di tatto! Immagino vi conosciate bene, voi due. Se non erro, lei va spesso a comprare nella salumeria dove questa signora svolge il suo secondo lavoro. È un'ottima cosa, che siate amici, visto
che d'ora in avanti passerete parecchio tempo insieme.» «È una gastronomia piuttosto elegante ed è di sua proprietà. E non siamo amici.» «Com'è sulle difensive! Vi siete frequentati fuori del lavoro e non ha funzionato? Perché questo potrebbe essere un problema.» «No, non siamo mai usciti insieme. E non abbiamo nemmeno mai lavorato insieme» risponde Win. «Voi sì, presumo, visto che a Watertown la criminalità è diffusa e avete più o meno la stessa età.» «Stump le ha parlato di me?» «No, di solito parliamo di formaggi.» Monique Lamont guarda l'ora. «Be', vediamo i fatti. Janie Brolin.» «Mai sentita nominare.» «Inglese, non vedente, decide di passare un anno negli Stati Uniti e sceglie Watertown, probabilmente per via della Perkins, la scuola per ciechi più famosa del mondo. Quella dove andò anche Helen Keller.» «La Perkins non era a Watertown, ai tempi di Helen Keller. Era a Boston.» «Come fa a sapere queste cose, lei?» «Mi tengo informato. Evidentemente è da un pezzo che ha in mente questo "dramma": come mai non me ne ha parlato prima?» «È una cosa delicata, che va gestita con la massima discrezione. Immagini: cieca, si rende conto che in casa c'è qualcuno. Una vicenda da film dell'orrore. E poi... penso che lei arriverà a dimostrare che Janie Brolin fu la prima vittima dello Strangolatore di Boston.» «Non ha parlato di aprile 1962?» Win si acciglia. «Lo Strangolatore di Boston colpì per la prima volta nel giugno di quell'anno, due mesi dopo.» «Non è detto che fosse la prima volta. I suoi precedenti omicidi potrebbero semplicemente non essere stati attribuiti a lui.» «Come pensa di poter dimostrare che fu lui a uccidere Janie Brolin, o le sue altre tredici vittime, visto che non fu mai identificato?» «Abbiamo il DNA di Albert DeSalvo.» «Non venne mai provato che fosse lui lo Strangolatore di Boston. Inoltre, abbiamo il DNA del caso Brolin, per confrontarlo con il suo?» «Questo deve verificarlo lei.» Win capisce che non c'è nessun DNA e che Monique lo sa benissimo. Perché dovrebbero aver conservato le prove materiali per quarantacinque anni? Negli anni Sessanta la prova del DNA non esisteva ancora. Win non pensa di poter arrivare a dimostrare un bel niente.
«Non è mai troppo tardi per fare giustizia» sentenzia Monique Lamont. «È importante che cittadinanza e forze dell'ordine siano unite nella lotta contro il crimine. È importante che la gente torni a fare vita di quartiere, qui come nel resto del mondo.» Sono le stesse cose che ha detto poco prima durante la conferenza. «Creeremo un modello che farà epoca.» Raggedy Ann sta mandando SMS dal suo cellulare. Harvard Square è piena di barboni e fuori di testa. L'altro giorno, Win ha visto un tipo che leccava il marciapiede davanti alla cooperativa dell'università. «Ovviamente, i media non sapranno nulla finché non arriveremo alla soluzione del caso. E, a quel punto, sarò io a informarli. È troppo caldo, per essere maggio» si lamenta Monique, alzandosi. «Domattina alle dieci in punto abbiamo appuntamento con il capo del dipartimento di polizia di Watertown.» Se ne va, lasciando che sia lui a buttare il bicchiere di plastica ancora mezzo pieno nel bidone della spazzatura. Un'ora dopo, mentre sta per finire la terza ripetizione alla leg press, Win sente ronzare il suo iPhone. Lo prende, si asciuga la faccia nell'asciugamano e si infila l'auricolare. «Scusa, ma io non ci sto» dice Stump, rispondendo al messaggio che le ha lasciato in segreteria. «Ne parliamo in un altro momento.» Non ha nessuna intenzione di discutere di quell'argomento nella palestra del Charles Hotel, un lusso che non potrebbe mai permettersi, ma che gli lasciano usare in cambio delle consulenze e dei servizi professionali che offre alla direzione. Va nello spogliatoio, si fa una doccia veloce e si rimette i vestiti con cui è arrivato, ma invece delle scarpe si infila gli stivali da motociclista, prende il casco, la giacca con le protezioni e il paraschiena e i guanti. Ha lasciato la moto, una Ducati Monster rossa, nel suo posto riservato davanti all'albergo, protetta da coni spartitraffico. Mentre infila la sacca da ginnastica nel portabagagli, vede avvicinarsi Cal Tradd. Dice: «Immaginavo che la Superbike fosse tua». «Davvero? E perché?» Non riesce a trattenersi. In realtà non ha nessunissima voglia di mettersi a discutere con quel moccioso viziato. Cal l'ha preso alla sprovvista, però: Win non pensava che si intendesse di moto, né tantomeno che fosse in grado di riconoscere una Ducati 1098 S Superbike. «Ho sempre desiderato una moto» dice Cal. «Una Ducati, una Moto Guzzi, una Ghezzi-Brian. Me se a cinque anni cominci a prendere lezioni
di piano, ti devi scordare persino lo skateboard.» Win è stufo di sentirsi ricordare che Cal è stato un enfant prodige che si esibiva al pianoforte già all'età di cinque anni. «Quando andiamo a farci un giro insieme?» domanda Cal. «Perché non accetti i no? Non porto nessuno a fare giri in moto e detesto la pubblicità. Te l'avrò già detto cinquanta volte...» Cal prende un foglio dalla tasca dei calzoni e glielo porge. «I miei numeri. Mi sa che l'ultima volta che te li ho dati li hai buttati via. Chiamami, dài. Dammi una chance. Come ha detto Monique alla conferenza, polizia e cittadinanza dovrebbero collaborare nella lotta contro la criminalità. E ce n'è davvero un sacco in giro.» Win se ne va senza nemmeno salutare, diretto al Pittinelli's Gourmet Market. Neanche quello potrebbe permettersi, in realtà, ma un paio di mesi fa si è fatto coraggio e ha cercato un accordo con Stump, di cui aveva sentito molto parlare ma che non aveva mai conosciuto personalmente. Non sono amici e forse non si sono neppure troppo simpatici, ma hanno trovato un accordo che soddisfa entrambi. Stump gli fa un po' di sconto perché è un poliziotto e lavora a Cambridge, dove lei ha il negozio. Così i suoi fornitori evitano di beccarsi una multa ogni volta che sostano per più di dieci minuti nei posteggi riservati alle operazioni di scarico merci. Win apre la porta della gastronomia e si trova di fronte Raggedy Ann con una lattina in mano. La butta nel cestino della spazzatura e fa per uscire. Si comporta come se non l'avesse visto, esattamente come prima, alla School of Government. Ora che ci pensa, Win si rende conto che Raggedy Ann ha fatto finta di non vederlo anche la settimana scorsa, nei pressi del tribunale quando lui le è passato vicino e le ha persino chiesto permesso. Odora di borotalco, ma forse è tutto il trucco che si dà sulla faccia. «Cosa succede?» le dice, fermandosi di fronte a lei, bloccandole la strada. «Continuiamo a incontrarci, noi due.» La donna passa oltre senza dire niente. Cammina veloce, si infila in una traversa e sparisce. Stump sta mettendo alcune bottiglie di olio d'oliva sugli scaffali. L'aria profuma di formaggi d'importazione, prosciutti e salami. Il negozio è vuoto, a parte il commesso dietro il bancone, uno studente universitario che lavora lì part time, immerso nella lettura di un libro. «Perché me la ritrovo sempre fra i piedi?» domanda Win. Stump, che è seduta per terra, alza la testa verso di lui e gli porge un fiasco. «Frantoio Gaziello. Extravergine, non filtrato, con un lieve retrogusto
di avocado. Apprezzerai.» «Adesso la incontro nel tuo negozio quando parlavo con Monique Lamont vicino alla School of Government era lì che ciondolava e prima l'avevo vista nei pressi del tribunale. Un po' eccessivo, non ti pare?» Osserva la bottiglia di olio cercando il prezzo. «Non vorrei mi facesse la posta.» «È una poveretta che vive per strada e si veste come una bambola di pezza. Credo dorma in un ricovero» dice Stump. «Viene spesso qui: compra la solita bibita e se ne va.» «Se la scola subito. Oppure butta via la lattina mezza piena. Mentre usciva, ho visto che la gettava nel cestino.» «Lo fa sempre. Si guarda in giro, beve la sua bibita e poi esce. Non fa male a nessuno, poveretta.» «Io comincio a trovarla inquietante, a dire il vero. Come si chiama, lo sai? E in che ricovero dorme? Voglio prendere qualche informazione.» «Non so niente di lei, a parte il fatto che è un po' tocca.» Si batte la punta dell'indice sulla tempia. «Senti, da quanto tempo sai che Monique mi ha assegnato a Watertown?» «Dunque, fammi fare due calcoli...» Guarda l'ora. «Mi hai lasciato un messaggio un'ora e mezza fa, dico bene? Lo so da un'ora e mezza.» «Come pensavo. Non ti ha avvertito nessuno. Così Monique poteva stare tranquilla che avremmo fatto fatica a lavorare insieme fin dal principio.» «Guarda, lascia perdere. Ti ha mandato a Watertown per una missione segreta? Non ti venire a lamentare con me.» Win le si accuccia accanto. «Conosci il caso Janie Brolin?» «Lo conoscono tutti a Watertown. Anche se è passato mezzo secolo da allora. Al tuo procuratore distrettuale interessa solo la politica: è una donna senza scrupoli.» «Ti ricordo che è anche il tuo procuratore distrettuale. A meno che Watertown non si sia improvvisamente staccata dalla Middlesex County.» «Senti, non è un problema mio» dice Stump. «Non me ne frega niente degli intrighi del procuratore e del capo della polizia. Io non c'entro.» «A rigore, essendo il reato avvenuto a Watertown, e non essendo caduto in prescrizione, se il caso viene riaperto tu c'entri eccome. E il caso è stato riaperto.» «A rigore, gli omicidi commessi nel Massachusetts sono di competenza della polizia di Stato, con l'eccezione di Boston. Come voi avete modo di ricordarci ogni volta che venite a rompere le scatole quando noi facciamo
il nostro lavoro, fregandovene di tutto e di tutti. Scusa, ma io mi tiro fuori.» «Per favore, Stump, non fare così.» «Stamattina c'è stata un'altra rapina in banca.» Stump continua a mettere a posto le bottiglie di olio. «La quarta in tre settimane. Più i furti nelle case, nei negozi, nelle automobili, i furti del rame e un sacco di altri reati. Non si finisce mai. Sono troppo occupata per potermi dedicare a casi che risalgono a prima che io nascessi.» «Quello delle banche è sempre lo stesso rapinatore?» «Pare proprio di sì. Dà un bigliettino al cassiere, si fa consegnare i soldi e scappa. L'allarme viene diramato via radio alla rete di emergenza della Boston Area e le forze dell'ordine convergono tutte sul luogo della rapina a sirene spiegate. Sembra una parata. E così il nostro uomo sa che sono tutti lì e si nasconde altrove.» Smette di parlare perché entra un cliente. «Quanto costa?» chiede Win, riferendosi alla bottiglia di olio. Entrano altre persone. Sono quasi le cinque e la gente esce dal lavoro. Nel giro di poco tempo il negozio sarà pienissimo. Evidentemente Stump non lavora in polizia per lo stipendio. Win si chiede come mai non si licenzi. «Per te, prezzo di costo.» Va a prendere una bottiglia di vino e gliela porta. «Questo è appena arrivato: dimmi che cosa ne pensi.» È un pinot nero Wolf Hill del 2002. «Va bene» risponde. «Grazie. Ma perché sei così gentile con me, tutto a un tratto?» «Hai bisogno di consolazioni, se lavori per quella serpe.» «Già che sei tanto ben disposta nei miei confronti, mi daresti anche un pezzo di gruviera, cheddar, asiago, qualche fettina di roast-beef, una vaschetta di insalata di riso e due baguette? Ah, e due chili di sale kosher.» «Gesù. Cosa te ne fai di tutta 'sta roba? Dai una festa?» Stump si muove senza problemi e Win fa fatica a ricordarsi che ha una protesi. «Dài, mi fai pena: ti offro da bere» gli dice. «Voglio darti un consiglio da poliziotto a poliziotto.» Raccolgono gli scatoloni vuoti e li portano nel magazzino sul retro. Stump apre la cella frigorifera, prende due bibite e gli dice: «Prima di tutto, devi cercare di capire la sua motivazione». «Dell'assassino?» chiede Win. Si siedono a un tavolino pieghevole, fra casse di vino, olio, aceto, senape e cioccolato. «No, di Monique Lamont.» «Dovete aver lavorato a molti casi insieme in questi anni, eppure si
comporta come se non ti conoscesse» dice Win. «Non stento a crederlo. Immagino non ti abbia raccontato di quella sera in cui era talmente sbronza che ho dovuto ospitarla a casa mia e dormire sul divano.» «Mi sembra impossibile. Non dà confidenza ai poliziotti, figuriamoci se ci si sbronza insieme.» «Un tempo lo faceva» replica Stump, che deve avere almeno cinque anni più di lui. «Ai bei tempi, prima che un alieno si impossessasse del suo corpo, era un procuratore d'assalto, faceva i sopralluoghi sulle scene del crimine, usciva con noi. Una sera, dopo un omicidio-suicidio, ci siamo ritrovate insieme da Sacco's, ci siamo fatte un tot di bicchieri di vino e alla fine eravamo così ubriache che abbiamo dovuto lasciare lì la macchina e tornare a piedi a casa mia. Come ti ho detto, ha dormito da me. Il giorno dopo avevamo un mal di testa terrificante e non siamo neanche andate a lavorare.» «Stai parlando di un'altra persona.» Win non riesce a capacitarsene, e prova uno strano senso di inquietudine. «Sicura che non ti confondi con qualcun altro?» Stump scoppia a ridere. Poi dice: «Che cosa pensi? Che abbia l'Alzheimer? Purtroppo la Monique che conosci tu non mette piede sulla scena di un crimine a meno che non ci siano due o tre telecamere, non va in tribunale, non si rapporta ai poliziotti se non per dar loro ordini e non dimostra il minimo interesse per la giustizia, ma solo per il potere. Anche la Monique che ho conosciuto io era piena di sé, ma si poteva anche capire: laurea a Harvard, bellissima, intelligentissima. Era una brava persona, però». «Mi riesce difficile credere che sia mai stata una brava persona.» Win non capisce il motivo della rabbia che lo ha preso all'improvviso e non riesce a trattenersi dal dire: «Mi sembra che tu soffra della sindrome di Walter Mitty. Può darsi che tu sia cambiata molto con gli anni, ma sappi che la persona con cui sto bevendo io ora, secondo Monique Lamont, è bassa e grassa». Stump non è né bassa né grassa, però. Anzi, Win nota che ha un bel fisico: deve fare parecchia ginnastica. Ed è tutt'altro che brutta, anche se un tantino mascolina. «Preferirei che non mi guardassi le tette in quel modo» gli dice. «Non ti offendere, per favore: lo dico a tutti gli uomini con cui vengo a bere qualcosa nel retrobottega.» «Non pensare che io voglia provarci con te» replica Win. «Non ti offen-
dere: lo dico a tutte le donne con cui mi ritrovo a tu per tu. E pure agli uomini, se necessario.» «Non ti facevo così arrogante. Okay, che te la tiri un po' si vede, ma...» Lo guarda intensamente, bevendo la sua bibita. Ha gli occhi verdi, con pagliuzze dorate, denti bellissimi e labbra sensuali. Qualche rughetta, però. «C'è un'altra cosa che vorrei mettere in chiaro: ho due gambe.» «Per la miseria, non ho nemmeno nominato la tua gamba.» «Appunto. La mia gamba? Ne ho due. E ti ho visto che mi guardavi.» «Se vuoi che la tua protesi passi inosservata, com'è che ti fai chiamare Stump? Perché tolleri quel soprannome?» «Non ti è mai venuto in mente che potesse risalire a prima del mio incidente in moto?» Win non risponde. «Visto che vai in moto anche tu, lascia che ti dia un consiglio» dice Stump. «Sta' attento a non farti spingere contro il guardrail da un cafone su un pick-up.» Win si concentra sulla sua bibita. Ne beve un sorso. «Un altro consiglio?» Stump lancia la lattina verso il cestino, che è a sei metri di distanza, e lo centra. «Lascia perdere le allusioni colte: prima di entrare in polizia ho insegnato lettere. Walter Mitty non aveva tante personalità diverse, era un sognatore.» «Perché ti chiami Stump, se non è per via della gamba? Mi hai incuriosito.» «Perché proprio Watertown? Di questo dovresti incuriosirti.» «Evidentemente il delitto fu commesso lì» risponde Win. «Forse Monique ti conosce bene, anche se si comporta come se non ti conoscesse per niente. Magari un tempo eravate pure amiche. Prima che tu diventassi bassa e grassa.» «Non sopporta che io l'abbia vista ubriaca e sappia un sacco di cose su di lei, per via di quella sera. Non importa. Non ha scelto Watertown per via di quel caso. Ha scelto quel caso per via di Watertown.» «Ha scelto quel caso perché era vecchio e irrisolto» ribatte Win. «Purtroppo, i media ci sguazzeranno. Una donna inglese, non vedente, aggredita, violentata e uccisa...» «Certamente Monique sfrutterà al massimo la situazione. Ma per scopi tutti suoi. Che vanno al di là di quelli dichiarati.» «Come sempre.»
«Riguarda il FRONT» dice Stump, il Friend, Resources, Officers Networking Together: amici, risorse, forze dell'ordine uniti nella lotta. «Quest'ultimo mese si sono uniti alla rete altri cinque dipartimenti» continua Stump. «Siamo in sessanta, ormai. Abbiamo accesso a K-9, SWAT, antiterrorismo, CSI... Abbiamo persino un elicottero. Non funzioniamo ancora al meglio, ma avremo sempre meno bisogno della polizia di Stato.» «Mi sembra una buona cosa.» «Non è vero che ti sembra una buona cosa. Voi della polizia di Stato detestate il FRONT. Monique Lamont in particolare, e non è una coincidenza che la sede del FRONT sia a Watertown. Ti manda qui, cerca di farci fare una figuraccia e di dare a te la parte del supereroe, che salva tutti quanti dal disastro. Così può ricordare al mondo l'importanza della polizia di Stato e chiedere fondi e finanziamenti. La ciliegina sulla torta è che in mezzo a tutto questo se la prende pure con me, che so troppe cose.» «Che genere di cose?» «Sul suo conto.» È evidente che non vuole aggiungere altro. «Non capisco perché pensi che se la voglia prendere con te. E perché il FRONT dovrebbe fare una brutta figura, se noi due risolvessimo il vecchio caso?» «Noi due? Io mi tiro fuori, te l'ho già detto.» «E poi ti chiedi come mai la polizia di Stato non vede di buon occhio... Lasciamo perdere.» Stump si protende in avanti, lo guarda negli occhi e dice: «Sto cercando di darti delle dritte e tu ti rifiuti di ascoltarmi. Monique Lamont farà di tutto per mettere il FRONT in pessima luce, che il caso venga risolto o meno. Ti sta strumentalizzando. Non te ne rendi conto? Be', rifletti su questa cosa: se il FRONT comincia a funzionare come si deve, voi la smetterete di fare i gradassi». «Non facciamo i gradassi: seguiamo le leggi dello Stato, esattamente come voi» ribatte Win. «Che poi questo sistema sia giusto o meno, è un altro paio di maniche.» «Giusto? Questo è il conflitto di interessi peggiore di tutti gli Stati Uniti! Voi avete autorità assoluta su tutti i casi di omicidio. Le prove materiali vanno ai vostri laboratori, siete persino nell'Istituto di Medicina legale e in procura. Il procuratore distrettuale, nella persona di Monique Lamont, risponde al procuratore generale, che a sua volta risponde al governatore. Perciò il governatore ha di fatto il controllo su tutti i casi di omicidio del Massachusetts. Non voglio avere niente a che fare con questa cosa. Sarà un
disastro totale.» «Il tuo capo sembra pensarla diversamente.» «Non importa cosa pensa il mio capo: deve fare quello che Monique Lamont gli dice di fare. E in ogni caso la colpa non ricadrà su di lui, ma su qualcuno sotto di lui. Da' retta a me: tirati indietro finché puoi» gli dice Stump. 2 Monique Lamont ha approfittato della rielezione lo scorso autunno per licenziare tutto il suo staff. Voleva un nuovo inizio. È una sua ossessione. Usa il prossimo finché le serve e poi, quando ritiene che "abbia perso vitalità", lo mette da parte, cambia. Pur considerando l'introspezione una perdita di tempo, si rende conto di non essere capace di mantenere rapporti duraturi e sa che questo potrebbe darle dei problemi, sempre più gravi quanto più avanzano gli anni. Suo padre era un uomo di grande successo, bello e affascinante, ma l'anno passato è morto a Parigi completamente solo e il suo cadavere è stato scoperto soltanto dopo giorni. Quando Monique ha disfatto la sua casa, ha trovato regali mai aperti, fra cui alcuni oggetti di cristallo che gli aveva donato lei. E così ha capito come mai non l'aveva mai ringraziata. Il palazzo di giustizia della contea è alto, di mattoni, circondato da altri edifici che ospitano uffici governativi. L'ufficio del procuratore distrettuale è al primo piano. Uscendo dall'ascensore, Monique vede che la porta dell'unità investigativa è chiusa e questo non le piace. Win non sarà al suo posto di lavoro per chissà quanto tempo: ora che lo ha assegnato a Watertown, non è più a sua completa disposizione. «Cosa c'è?» chiede al responsabile del suo ufficio stampa, Mick, che parla al cellulare seduto sul divano nel suo ufficio. Gli fa segno di chiudere la chiamata all'istante. E lui ubbidisce. «È successo qualcosa? Non sono proprio dell'umore» dichiara. «Avremmo un problemino» dice Mick, che è nuovo ma promettente. È un bel ragazzo dall'aria pulita, che fa quello che gli si dice di fare e si presenta bene. Monique si siede alla scrivania con il piano di cristallo, nel suo ufficio pieno di vetri, che Win chiama "la reggia di ghiaccio". «Se fosse davvero un problemino, non sarebbe qui ad aspettarmi» replica. «Mi dispiace. Non voglio dirle che l'avevo avvertita, ma...»
«Non me lo dica, allora.» «Avevo espresso alcune perplessità riguardo al suo amico giornalista.» Si riferisce a Cal Tradd. Monique non ha voglia di starlo a sentire. «Cercherò di esprimermi nel modo più delicato possibile» dice Mick. Monique non si agita facilmente, ma riconosce i sintomi: oppressione al petto, sensazione di gelo sulla nuca, alterazione del battito cardiaco. «Che cosa le ha detto?» domanda a Mick. «Che cosa gli ha detto lei, piuttosto. Ha fatto qualcosa che può averlo irritato?» le domanda, diretto. «In che senso?» «Ho l'impressione che lei possa aver detto o fatto qualcosa che lo ha turbato. Per esempio, rilasciare l'intervista al "Globe", il mese scorso, anziché a lui.» «Perché avrei dovuto rilasciarla a lui? Scrive per un giornale studentesco.» «Be', le viene in mente qualche altro motivo per cui potrebbe avercela con lei?» «Spesso non c'è bisogno di un motivo.» «YouTube. Postato da poche ore. Francamente, non so cosa ci conviene fare.» «Le ricordo che il suo lavoro è proprio stabilire che cosa ci conviene fare nelle diverse circostanze» ribatte Monique. Mick si alza dal divano e le si avvicina, digita sulla tastiera del computer, si collega a Internet e va su YouTube. Breve filmato. Sulle note di You're So Vain cantata da Carly Simon, Monique Lamont entra in una toilette, si ferma davanti allo specchio, apre la borsa e si ritocca il trucco, osservandosi con cura prima il viso e poi tutto il resto. Valuta quanti bottoni della camicia lasciare slacciati, si aggiusta la gonna, si sistema le calze di nylon, spalanca la bocca, si esamina i denti. Si sente lo slogan della sua ultima campagna elettorale: "Il mio obiettivo? Fermare la criminalità. Monique Lamont, procuratore distrettuale della Middlesex County". Se il video elettorale si concludeva con lo scatto delle manette, il filmato di YouTube finisce con Monique che chiude la bocca. «Perché pensa che sia stato Cal?» Severa. «Su cosa basa la sua accusa?» «La segue come un'ombra, è sempre con lei. È immaturo. E questa è una goliardata da studente...»
«Prove inconfutabili, vedo.» Sarcastica. «Meno male che il procuratore sono io e non lei.» Mick la guarda con gli occhi spalancati. «Lo difende...?» «Non può essere stato lui» ribadisce Monique. «È stato girato in una toilette pubblica. Deve per forza essere stata una donna.» «Cal non avrebbe difficoltà a farsi passare per una...» «Mick. Ha detto che Cal mi segue come un'ombra, no? È sempre stato con me alla School of Government. Non avrebbe avuto il tempo materiale per travestirsi da donna e nascondersi nella toilette delle signore.» «Non sapevo che...» «Infatti. Lei non c'era e quindi non può sapere. Ma su una cosa ha ragione: prima di tutto, bisogna identificare il traditore.» Passeggia nervosamente. «La cosa più probabile è che sia stata una studentessa che era nella toilette, che mi ha visto entrare e mi ha ripreso con il suo cellulare. È il prezzo della notorietà, purtroppo. Ma nessuno lo prenderà sul serio.» Mick la guarda sbalordito. «Inoltre la cosa principale è che non faccio una brutta figura» continua Monique. «Anzi, direi che sono venuta piuttosto bene.» Fa ripartire il filmato, rassicurata nel vedere il proprio bel viso, la dentatura perfetta, le gambe affusolate, il petto prosperoso. «Prenda nota, Mick: funziona così.» «Non saprei» replica lui. «Ha chiamato il governatore.» Monique si ferma di botto. Il governatore non chiama mai. «Per YouTube» spiega Mick. «Vuole sapere chi c'è dietro.» «Vediamo... Devo averlo scritto da qualche parte.» «Be', è comunque imbarazzante. E se si espone alle critiche lei, finisce nel mirino anche lui che...» «Che cosa ha detto, con esattezza?» lo interrompe Monique. «Non gli ho parlato direttamente.» «No, certo che non gli ha parlato direttamente.» Riprende a camminare nervosa. «Nessuno parla direttamente con il governatore.» «Nemmeno lei.» Come se ci fosse bisogno di ricordarglielo. «Dopo tutto quello che ha fatto per lui, non la riceve, non le risponde al telefono...» aggiunge Mick. «Potrebbe essere l'occasione giusta» lo interrompe di nuovo Monique. I suoi pensieri sono come palle da biliardo, che si scontrano e vanno in buca. «Ma sì, certo! La miglior vendetta è il successo. Che cosa facciamo, allora? Usiamo il filmato a nostro vantaggio. Le mie chance di farmi dare udienza da Sua Altezza aumentano considerevolmente, e così le possibilità
di ottenere il suo sostegno per la mia iniziativa contro la criminalità. Sono certa che gli potrà tornare utile, e questo lo interesserà.» Ordina a Mick di mettersi in contatto telefonico con il capo dello staff del governatore. Subito. È importante che il governatore Howard Mather la riceva immediatamente. Mick le suggerisce di adottare un atteggiamento umile e Monique gli intima di evitare di darle quel genere di consigli. Tuttavia ammette che riconoscere l'autorità di Mather potrebbe avere un effetto positivo. Ha bisogno di lui. È in una situazione spinosa, teme che ciò possa avere ripercussioni negative anche sulla sua persona, eccetera eccetera. «Se gliela metto giù così, non potrà dire di no» conclude. «E se lo facesse? Come ci comportiamo?» «La smetta di chiedere a me. È il suo lavoro!» sbotta Monique. La casa in cui Win è cresciuto con la nonna è in una zona molto diversa di Cambridge. È una villetta malconcia, coperta di edera, con il giardino pieno di piante, fiori e alberi, con vaschette per gli uccellini e parecchi nidi di pipistrello. Il vialetto non è asfaltato e la moto slitta e sobbalza sulle buche. Win la lascia vicino alla vecchia Buick di Nana. Appena si toglie il casco, sente tintinnare le campane a vento, come magici canti lontani, come se tutto intorno alla casa abitassero spiriti benevoli che, secondo sua nonna, scacciano quelli malvagi. Fra loro, riflette Win, ci sono anche i vicini egoisti, maleducati e dalle vedute ristrette, che litigano per il parcheggio sotto casa e guardano in cagnesco le persone che la vanno a trovare. Infila il casco dentro il bagagliaio della vecchia Buick che Nana non ha chiuso neanche stavolta, apre la porta di servizio e sta attento a non calpestare la striscia di sale kosher per terra. Nana è seduta in cucina, intenta a rivestire di scotch foglie di alloro, con la TV accesa, sintonizzata su un canale di musica classica. Miss Dog, la cagna cieca e sorda che Win ha praticamente sequestrato alla padrona che la maltrattava, russa pacifica sotto il tavolo. Win posa sul bancone la sacca da ginnastica e una borsa della spesa, si china a baciare la nonna sulla guancia e dice: «Come al solito, non hai chiuso la macchina, hai lasciato la porta aperta e non hai inserito l'allarme». «Tesoro mio.» Nana ha gli occhi vivaci e i lunghi capelli bianchi raccolti. «Raccontami: come è andata la giornata?»
Win apre il frigo e la credenza, mette via la spesa e dice: «Le foglie di alloro non mandano via i ladri. Per questi, ci sono gli allarmi e le serrature. Almeno di notte ti chiudi in casa?». «Ai ladri non interessano le vecchiette senza niente da rubare. E poi io mi proteggo a modo mio.» Win sospira: discutere non serve a niente. Prende una sedia e si posa le mani in grembo perché il tavolo è strapieno. Ci sono cristalli, candele, statuette, icone, talismani e portafortuna. Nana gli porge due foglie di alloro già rivestite, facendo tintinnare i suoi numerosi braccialetti. Ha anche un anello per dito. «Mettile negli stivali, tesoro» gli dice. «Una nel destro e una nel sinistro. Non fare come l'altra volta.» «Perché? Cosa ho fatto l'altra volta?» Si mette le foglie in tasca. «Non le hai messe nelle scarpe. E hai visto cosa ti ha fatto quella là?» Si riferisce a Monique Lamont. «Ti ha affidato un lavoraccio. Pericoloso, per giunta» continua Nana. «L'alloro è la pianta di Apollo. Quando lo metti nelle scarpe, hai la vittoria ai tuoi piedi. E fa' attenzione che la punta sia rivolta verso le dita e il picciolo verso il tallone.» «Be', mi ha affidato un altro lavoraccio.» «Bugie, bugie» dice Nana. «Sta' attento a ciò che fai perché non è ciò che sembra.» «Lo so. È un gioco di potere ambizioso e ipocrita, che mi farà del male, mi danneggerà...» Nana taglia un altro pezzetto di nastro adesivo. «Giustizia è ciò che occorre in pensieri, parole e azioni. Vedo un segnale stradale, segni di frenata sull'asfalto. Cosa sono?» Win pensa all'incidente di Stump e risponde: «Non ne ho idea». «Stai molto attento, tesoro. Specie in moto. Vorrei tanto che la smettessi di andare in giro su quel bestione.» Applica lo scotch su un'altra foglia. Quando il prezzo della benzina ha toccato i tre dollari al gallone, Win ha venduto l'Hummer e si è comprato la Ducati. Caso vuole che la settimana dopo Monique Lamont venisse fuori con una nuova trovata: soltanto gli investigatori in missione possono portare a casa l'auto di servizio. «Stasera ti accontento, Nana: devo farti il pieno» le dice. «Te la riporto domani. Dovresti smettere di guidare, sai?» Non può obbligarla, però. Può solo evitare che resti bloccata chissà dove senza benzina. Perché Nana tende a non pensare alle cose pratiche, tipo fa-
re il pieno, controllare l'olio, accertarsi di avere il libretto di circolazione, chiudere le portiere, fare la spesa, pagare le bollette. Lei pensa ad altro. «Lavo io le tue cose. Come sempre, tesoro mio.» Indica la sacca da ginnastica sul bancone della cucina. «Ciò che sfiora la tua pelle dà inizio alla magia.» Win la asseconda anche in quella piccola mania: Nana insiste per lavargli la roba da ginnastica a mano, con un intruglio speciale che profuma di erbe aromatiche. Poi avvolge tutto quanto in carta bianca e lo ripone nella sua sacca. Ogni volta. È uno scambio di energia, dice. Lui espelle negatività con il sudore e contemporaneamente assorbe le erbe degli dèi. Contenta lei... Sono cose che non sa nessuno. Miss Dog si stiracchia, gli posa il muso sui piedi. Nana appoggia una foglia su una striscia di nastro adesivo. Prende una scatola di fiammiferi, accende una candela dell'arcangelo Michele in un bicchiere di vetro colorato e dice: «Chi è troppo curioso pagherà. A caro prezzo». «È normale che sia curiosa: è il suo lavoro» dice Win. «Non parlo di lei, ma di qualcun altro. Non umano.» Non si riferisce ad animali o vegetali. Per Nana essere non umano significa non avere la capacità di amare o di pentirsi dei propri sbagli. Non è umano chi non sa relazionarsi al resto del mondo, insomma. «Mi viene in mente una persona» dice Win. «No, non è lei» ribatte Nana. «Ma è in pericolo.» Win gira intorno al tavolo per prendere le chiavi della Buick, che sono appese al braccio di una statuetta egizia di ceramica e dice: «Almeno non si annoia». «Non esci di qui senza prima esserti sistemato quelle due foglie negli stivali, tesoro mio.» Win si toglie gli stivali e ci mette dentro le foglie di alloro nella posizione corretta, come gli ha raccomandato Nana. «Oggi è il giorno della dea Diana, che governa su argento e rame. Il rame è il metallo della luna. È un conduttore di energia spirituale, calore ed elettricità. Ma bisogna fare attenzione, perché i malvagi lo usano anche per i loro imbrogli. Ecco perché tanti lo rubano, di questi tempi. Perché regna la falsità. L'oscuro spirito dell'odio e della menzogna domina questo pianeta, ormai.» «Guardi troppo Lou Dobbs.» «Mi piace tantissimo! La verità sarà la tua corazza, mio tesoro.» Si infila una mano nella tasca della lunga gonna, prende un astuccio di pelle e glie-
lo mette in mano. «E questa la tua spada.» Win scioglie il nodo e lo apre. Contiene una monetina luccicante da un penny e un piccolo cristallo. «Tienili sempre con te» gli raccomanda Nana. «Insieme, sono una bacchetta di cristallo.» «Bene» risponde lui. «Così magari trasformo Monique Lamont in un bel rospo.» Poco dopo che Win se ne è andato, Nana porta di sopra una scatola di sale kosher ed entra nel bagno, dove specchi ottagonali appesi negli angoli mandano via la negatività che arriva dall'esterno. Va' via, malvagia corrente, ti restituisco al mittente. Non va mai a letto senza lavarsi, nel caso le spiacevolezze della giornata si perpetuino nei suoi sogni. Inquietudine, turbamento. Percepisce la presenza del non umano. Infantile, traboccante cattiveria e risentimento, malvagità e orgoglio. Versa il sale sul fondo della vasca e apre l'acqua, recitando un altro incantesimo: Tramonta il sole, s'alza la luna, il mio lavoro mai terminerà, respiro e luce portan fortuna, cavalier di giustizia, accorri qua. Il sale sotto i piedi trascina via dal corpo l'energia negativa. Nana finisce il bagno sciacquandosi con l'acqua in cui quella mattina ha fatto bollire prezzemolo, salvia, rosmarino e timo in una pentola di ferro. Serve a tenere pulita l'aura. Nana è a contatto con tante personalità diverse, non tutte buone. Questa specialmente. Quella del non umano. Del giovane che le gira intorno, che adesso è vicinissimo e vuole qualcosa da lei, qualcosa cui lei tiene molto. «Il mio strumento più potente è il mio essere» dichiara ad alta voce. «Ti prendo fra le dita!» avverte. In camera da letto apre un cassetto, prende una bustina di seta rossa in cui conserva chiodi di ferro e se la mette nella tasca sinistra dell'accappatoio bianco e pulito. Poi si siede sul letto vicino a Miss Dog e scrive sul suo
diario alla luce di candele bianche. Annota le solite riflessioni riguardo alla magia e agli incantesimi. È un diario spesso, rilegato in pelle, con tante pagine scritte nel corso degli anni con la sua bella grafia angolata. Vinta dalla stanchezza, spegne le candele e si corica. Ma qualcosa la riscuote dal sonno in cui sta dolcemente scivolando. Afferra la bustina con i chiodi e la scuote, facendo rumore. Miss Dog, che è sorda, continua a ronfare tranquilla. Si odono dei passi sul pavimento di legno nel corridoio, fra la cucina e il salotto. Nana salta giù dal letto, sempre scuotendo i chiodi, ed esce dalla stanza. «Ti punirò secondo la regola del tre volte tre!» grida. I passi si fanno più rapidi, la porta della cucina si chiude. Nana guarda dalla finestra e vede un'ombra che corre portando via qualcosa. Scende le scale di corsa e la segue fuori, muovendosi furtiva nel giardino fra i tintinnii delle sue campane a vento, agitata, furibonda. Sente il vuoto di ciò che c'era e ora non c'è più. Poi sente il rumore di una macchina e, in lontananza, vede brillare le sue luci posteriori, rosse come gli occhi del diavolo. 3 Nel laboratorio mobile del FRONT, Stump esamina il foglio che il rapinatore ha consegnato alla cassiera della banca, senza però trovare nessun indizio che possa aiutarla a identificarlo. Rilevare impronte digitali è molto più difficile di quanto sembri nei telefilm e il rapinatore evidentemente sta molto attento a non lasciarne. Si interrompe nel sentire arrivare una macchina. Le squilla il cellulare. «Sono io» annuncia la voce baritonale di Win. «Organizzi visite guidate? Sono qui fuori.» Stump si toglie i guanti di lattice e gli apre. Win sale, entra e strizza gli occhi per la luce abbagliante. Stump richiude la porta pesante, getta i guanti nella spazzatura e ne tira fuori un paio pulito. «Come facevi a sapere che ero qui?» gli chiede. «So che c'è stata un'altra rapina.» Si avvicina al piano di lavoro. «Non eri al negozio, ho chiamato in centrale e ho chiesto dove potevo trovarti.» «Sei offensivo, presuntuoso e per nulla divertente.» Si infila i guanti, un po' a fatica. «Cos'hai?» Stump detesta i belloni che sembrano usciti da una pubblicità di Calvin Klein e che credono di poter far girare la testa a qualsiasi donna. Be', lei è
impermeabile al fascino di Win. Peraltro, conviene anche a lui. «Non ho proprio niente, purtroppo» risponde, irritata. «È come se quel bastardo avesse i guanti, anche se so che non li ha.» «Sicura? Come fai a dirlo con certezza?» Si avvicina. Stump sente il suo profumo intenso, mascolino, speziato. Chissà quanto costa. Win è uno che ama le cose costose. «Ti scioccherà» gli annuncia. «Ma lo vedo, se uno porta i guanti oppure no.» Riavvolge il filmato delle telecamere a circuito chiuso e gli dice: «Guarda». La porta della banca si apre. Entra un uomo, bianco - ma potrebbe essere sudamericano - tranquillissimo, a proprio agio, vestito di blu, abiti larghi, capelli scuri, berretto dei Red Sox calato sul viso. Sa dove sono le telecamere ed evita di farsi vedere in faccia. Non ci sono altri clienti, c'è solo uno sportello aperto. La cassiera sorride, l'uomo si avvicina e le passa un foglietto. Lei lo legge, senza toccarlo, e assume un'aria terrorizzata. Armeggia con il cassetto, riempie una borsa. L'uomo scappa via. «Fammi rivedere le mani» dice Win. Stump riavvolge il nastro e lo fa ripartire, fermando l'immagine in maniera che Win possa vedere le mani del rapinatore quando spinge il foglietto sotto il vetro della cassa. Sente la vicinanza di Win, quasi emanasse calore. «Sì, è senza guanti» concorda lui. «Anche nelle altre rapine?» «Sì. Finora, almeno.» «Strano.» Il foglietto usato nell'ultima rapina è posato sul bancone, sopra un pezzo di carta pulita. Win lo guarda a lungo, come se stesse leggendo un articolo di giornale e non un messaggio di sette parole. Lo stesso di tutte le altre rapine: SVUOTA LA CASSA NELLA BORSA. SONO ARMATO! Stump spiega: «Scritto a matita, ordinato, su un foglio dieci per quindici strappato da un notes. Esattamente come negli altri tre casi». «Watertown, Somerville e adesso Belmont» dice Win. «Che fanno parte del FRONT, a differenza di Cambridge, che non è ancora entrata nel tuo amato club...» «Perché, secondo te?» lo interrompe Stump. «Perché Monique lavora a Cambridge e il suo amato club si chiama Harvard, che come club è piutto-
sto potente. Non credi sia per questo che Cambridge non ha ancora aderito al FRONT e probabilmente non lo farà mai?» «Stavo per dire che il rapinatore non ha ancora colpito neanche a Boston» replica Win. «Watertown, Somerville e Belmont sono vicinissime a Cambridge. E anche Boston. Le banche non mancano né a Cambridge né a Boston, però il tuo rapinatore le ha evitate. Pensi che sia una coincidenza?» «Magari la prossima volta colpirà lì.» Stump non capisce dove voglia arrivare. «Nel caso, io verrò esclusa dalle indagini. Faranno tutto gli ispettori di Cambridge e Boston, dai sopralluoghi alle analisi delle prove materiali.» «È proprio lì che volevo arrivare» dice Win. «Il dipartimento di polizia di Boston ha i suoi laboratori e quello di Cambridge arriva prima ai laboratori della polizia di Stato per via di Monique.» «E siccome Cambridge non ha aderito al FRONT, chi ne fa parte viene punito. Manco fossimo rei di alto tradimento.» È brusca. Non sa perché, ma Win sembra tirare fuori il peggio di lei. «Se io fossi un rapinatore intelligente, sceglierei banche in città in cui la polizia ha risorse limitate, in maniera che i risultati delle analisi sulle prove materiali richiedano tempi più lunghi, sempre che vengano fatte.» «Ovvero nella maggior parte della Middlesex County. Continuo a non capire dove vuoi arrivare.» «Penso che dovresti prendere in considerazione i luoghi che esclude, invece di concentrarti su quelli che sceglie. Diciamo che evita Boston e Cambridge. Perché? Forse per i motivi che dicevo io. O magari perché è di lì e ha paura che qualcuno lo riconosca.» «Okay, allora magari sei tu. Mi risulta che abiti in uno splendido appartamento di Cambridge.» «Chi te l'ha detto?» «Quando ho a che fare con qualcuno, prendo informazioni» risponde Stump. «E ho l'impressione che per vivere come vivi tu debba rapinare banche. Non ce la faresti, altrimenti.» «Non sai come vivo. Pensi di saperlo, ma non è vero.» Stump indica il biglietto con il dito protetto dal guanto e dice: «Sempre le stesse parole, la stessa punteggiatura. Tutto maiuscolo, stampatello». «Dovresti usare guanti di cotone. Il lattice può provocare sbavature, su inchiostro e matita. Il foglio è stato strappato dallo stesso bloc notes?» domanda. «Wow. Vedo che sei preparato.»
«Hai provato a vedere se ci sono solchi lasciati da scritture precedenti?» «Non ci posso credere! Conosci anche la tecnologia ESDA? Complimenti. Ma dimmi: secondo te abbiamo le apparecchiature?» ribatte, irritata. «Avremmo potuto chiedere a voi, naturalmente, e magari nel giro di una decina di anni ci avreste fatto avere i risultati. Comunque non ce n'è bisogno: basta mettere il foglio controluce e si vede a occhio. Su ogni foglio ci sono i segni dello scritto precedente.» «Dunque vuole che noi sappiamo che è sempre lui» conclude Win. «Noi chi? Quante volte te lo devo ripetere, Win? Io e te non lavoriamo insieme. Non voglio prendere parte a questa campagna pubblicitaria.» «Janie Brolin non sarebbe molto contenta di vedere che consideri le indagini sul suo assassinio una campagna pubblicitaria.» Stump si augura che Win se ne vada al più presto. Gli conviene, è per il suo bene. Dice: «Perché il rapinatore vuole che sappiamo che è lui, secondo te?». «Magari si sente un grande. Gli piacciono le emozioni forti, lo eccitano.» «O magari invece è soltanto un cretino che non si rende conto che ogni volta che scrive lascia un solco sul foglio di sotto» dice Stump. «Niente impronte digitali? Neanche sugli altri fogli?» «No. Niente di niente. Nemmeno parziali.» «Okay, allora non è un cretino» osserva Win. «Altrimenti non riuscirebbe a farla franca. Colpisce in pieno giorno, non lascia impronte e... hai provato con la ninidrina?» La ninidrina, che reagisce agli aminoacidi e ad altri componenti del sudore e dei grassi secreti dall'epidermide, è poco costosa e molto usata per rilevare impronte digitali su superfici porose, come la carta. Stump gli risponde che non ha dato risultati su nessuno dei foglietti, come peraltro le sorgenti luminose con bande diverse e filtri speciali. «E i cassieri non toccano il foglio» dice Win. «No, lo lasciano lì dove lo mette lui. Insomma, non abbiamo niente di niente. E, a meno che 'sto stronzo non abbia guanti magici invisibili all'occhio umano, non c'è spiegazione logica all'assenza di qualsiasi prova materiale sui quattro foglietti. Magari insufficiente all'identificazione, ma qualche impronta se non usi i guanti non puoi non lasciarla. Anche solo una sbavatura, una parziale del palmo, una laterale...» «Ed è stato ripreso dalle telecamere a circuito chiuso in tutti e quattro i casi.»
«È vestito in maniera diversa, ma secondo me è sempre lui» gli risponde Stump. «Ti scoccia se ti faccio una domanda personale?» «Probabilmente sì.» «Perché hai smesso di insegnare?» «Non lo so. E tu perché hai l'orologio d'oro? Hai tolto una multa a qualche riccastro, gli hai permesso di andare impunemente a trecento all'ora sulla sua Ferrari? O hai davvero rapinato una banca?» «È di mio padre. E, prima di essere di mio padre, era di mio nonno. E prima ancora di Napoleone Bonaparte. No, scherzo, benché anche a lui piacessero i Breguet» risponde Win, mostrandole il polso. «La leggenda familiare vuole che sia stato rubato. Pare che alcuni dei miei antenati nel Vecchio Continente fossero del genere I Soprano. Hai presente?» «Non sembri italiano.» «Mia madre era italiana. Mio padre, invece, era nero, insegnava a Harvard e scriveva poesie. Mi incuriosisce quando sento di gente che ha fatto l'insegnante e poi ha smesso. È raro che uno abbia questa passione; e se fa tutta la trafila, cosa lo spinge poi a mollare la cattedra?» «Ho insegnato due anni in un liceo. I ragazzi al giorno d'oggi sono insopportabili: preferisco arrestarli.» Apre alcuni armadietti, mette a posto boccette di reagenti, polveri, apparecchiature luminose e fotocamere. Sembra nervosa, un po' maldestra. «Non ti ha mai detto nessuno che fissare la gente è da maleducati? Perché mi guardi in quel modo?» protesta, chiudendo il foglietto lasciato dal rapinatore in una busta. «Proveremo a cercare il DNA. Secondo me, non troveremo un accidente.» «Se non ha lasciato tracce di sudore, difficile che abbia lasciato DNA. A meno che non abbia starnutito sul foglio. O che gli si sfogli la pelle» dice Win. «Già. Be', vorrà dire che la polizia di Stato perderà un po' di tempo. Sono due anni che aspetto i risultati dei test sulla ragazzina violentata al Boneyard, il cimitero vicino alla Watertown High School. E non chiedo molto: solo un tossicologico per vedere se fumava hashish. E sono tre che aspetto i risultati per il ragazzo gay massacrato di botte in Cottage Street. Lasciamo perdere le rapine dai parrucchieri e tutto quello che sta succedendo a Revere, Chelsea e così via. Nessuno ci prende sul serio, finché non incominciano a spuntare morti ammazzati a destra e a manca» si lamenta. Escono sulla piattaforma di acciaio del furgone, Stump abbassa la sara-
cinesca e chiude a chiave. Win la accompagna alla sua Taurus, che è piena di graffi e ammaccature. Stump si siede al posto di guida, controllando se lui le guarda la protesi, aspettandosi che le chieda come fa a guidare con un piede finto. Ma Win è distratto, osserva la sede del dipartimento di polizia, vecchia e troppo piccola. La maggior parte dei dipartimenti sotto Monique Lamont sono troppo piccoli, senza i fondi per poter lavorare decentemente. Stump mette in moto e dice: «Non voglio avere niente a che fare con il caso Brolin». «Fai quello che credi.» «Infatti.» Win si avvicina e le dice dal finestrino: «Io ci lavorerò». Stump sistema le ventole con mano leggermente tremante, indirizzandosi il getto d'aria fresca sul viso. Poi dice: «Monique Lamont apre bocca e tu salti subito sull'attenti. Quella donna riesce sempre ad avere ciò che vuole. Le va sempre tutto bene». «Mi sorprende che tu dica questo, dopo quello che ha passato l'anno scorso» dice Win. «Guarda che il problema è proprio questo» ribatte Stump. «Non ti perdonerà mai di averle salvato la vita, ti punirà per il resto dei tuoi giorni. Perché l'hai vista... be', lasciamo perdere.» Non vuole pensare a ciò che Win ha visto quella notte. Parte, osservando Win nello specchietto retrovisore, chiedendosi come mai vada in giro su quella Buick scassata. Le squilla il cellulare. Risponde con il cuore in gola, pensando che potrebbe essere lui. Ma non è Win a chiamarla. «Fatto» le dice l'agente speciale McClure, dell'FBI. «Devo festeggiare?» replica Stump. «Proprio come temevo. Conviene che io e te ci incontriamo di nuovo. Stai cominciando a fidarti di lui.» «No. Mi è antipatico» risponde Stump. Sono le dieci e venti quando Win parcheggia di fronte al tribunale, sorpreso di vedere l'auto di Monique nel suo posto riservato, vicino all'ingresso di servizio. Evidentemente ha deciso di lavorare fino a tardi. Che sfortuna! Adesso penserà che lui non sia andato lì a quell'ora per prendere delle cose dalla sua scrivania, ma per qualche altro motivo. È talmente vanitosa che po-
trebbe addirittura pensare che sia andato lì per lei, perché non sopporta di starle lontano. Non può farci niente, però: ha bisogno di quelle pratiche, dei propri appunti, delle proprie cose. Dovrebbe portarsi via tutto, lasciarle il dubbio che se ne voglia andare per sempre. Mentre abbassa il finestrino, gli suona il cellulare. È Nana. È la seconda volta che lo cerca nel giro di mezz'ora. Adesso, risponde. «A quest'ora di solito sei già a dormire» le dice. Sua nonna segue orari strani, fa sempre una doccia con il buio e va a letto presto, poi si alza verso le due o le tre e gira per casa come una falena. «L'essere non umano ha rubato la tua essenza» gli annuncia. «Dobbiamo agire speditamente, tesoro mio.» «Se ti riferisci a lei, ci prova da anni, ma non è mai arrivata alla mia essenza.» Osserva l'ultimo piano del palazzo di giustizia, dove le luci sono accese perché ci sono le celle. Non riesce a non pensare a Monique Lamont. «Non ti preoccupare, Nana. La mia essenza è al sicuro.» «Sto parlando della tua sacca da ginnastica.» «Non ti preoccupare nemmeno per quella. Se non riesci a fare il bucato, poi ci penso io.» Non vuole farsi accorgere che è spazientito, perché non vuole offenderla. «Non so se riesco a passare domani, comunque. A meno che non ti serva la macchina.» «Stavo per addormentarmi, quando l'essere non umano è entrato nella mia casa. L'ho scacciato, ma è riuscito a portare via la tua sacca per rubare la tua essenza, per indossare la tua pelle!» gli dice. «Sei nei guai. Più di quanto tu creda.» «Aspetta un momento» esclama, improvvisamente attento. «Mi stai dicendo che è entrato qualcuno in casa a rubare la mia roba della palestra?» «L'essere non umano. Io sono scesa in giardino e poi sono corsa in strada, ma lui è scappato in macchina prima che io riuscissi a intrappolarlo nel mio cerchio magico.» «Quando è successo?» «Era appena scesa la notte.» «Vengo subito.» «No, tesoro, non è il caso. Non puoi fare niente, ormai. Ho pulito la maniglia e tutta la cucina per scacciare l'energia malvagia che emanava da...» «Non avrai davvero...» «Non potevo tollerare quell'energia impura e malvagia! Bisogna proteggersi dal male.» E comincia a elencargli una serie di riti protettivi. Sale kosher e croci
greche, candele rigorosamente bianche, specchi ottagonali a tutte le finestre. Gli raccomanda di disegnare un pentacolo sopra una sua foto e di tenere sempre il telefono sull'orecchio destro e mai sul sinistro, perché l'orecchio destro respinge l'energia negativa e quello sinistro la attrae. Conclude: «Accadrà qualcosa di brutto alla persona che ti ha fatto questo!». E scoppia in un'allegra risata. Nana è sempre stata un po' eccentrica, ma certe volte le sue stranezze lo irritano. Quando si lancia in premonizioni, incantesimi e maledizioni, per esempio. O quando fa risorgere antiche inquietudini, sensi di colpa e di sfiducia. Quando fa la maga. Se è tanto brava a prevedere il futuro, come mai non è riuscita a impedire la tragedia che li ha colpiti? Tante promesse riguardo al fausto destino che lo aspettava, come se lui potesse arrivare ovunque, fare qualsiasi cosa, avere il mondo ai suoi piedi. I suoi genitori non avevano voluto altri figli perché lui era speciale, non c'era bisogno di nessun altro. Ma poi, quella sera fatale, Nana non vide nulla, non capì nulla, non impedì che succedesse il peggio. Quella fredda sera in cui lo portò in una delle sue missioni segrete, senza la minima premonizione che stesse per consumarsi un dramma. Com'è stato possibile? Non se lo aspettava, non lo intuì neppure quando al loro ritorno aprirono la porta e vennero accolti dal silenzio più terribile che lui avesse mai sentito. All'inizio, Win pensò che fosse uno scherzo, un gioco. Che i suoi genitori, e il cane, lì nel salotto, facessero solo finta di essere morti. Dopo quella volta, non ha più accompagnato Nana nelle sue missioni segrete, e non manifesta il minimo interesse per i magici suggerimenti che tante altre persone le chiedono. La gente fa la fila per andare da Nana a farsi consigliare. Disperati, derelitti, sconsolati, spaventati, malati. Tutti le lasciano qualcosa, un obolo, un regalo: roba da mangiare, vestiti, disegni, fiori, frutta, verdura, oggetti confezionati con le loro mani, piccoli servizi, come acconciature o persino cure mediche. Non importa quanto, né cosa, basta il gesto. Ma per Nana è importante che lo scambio energetico sia reciproco. È convinta che nel disequilibrio fra dare e avere risieda la radice di tutti i mali del mondo. Senza dubbio, è al cuore del problema fra lui e Monique Lamont. Perché il rapporto che c'è fra loro è tutt'altro che improntato alla reciprocità. Osserva la sua Mercedes nera decappottabile da centoventimila dollari, lucente come ossidiana, nuova di zecca. Monique Lamont non bada a spese, non chiede sconti, adora potersi permettere qualsiasi cosa a prezzo di listino.
Win cerca di immaginare che cosa voglia dire essere un avvocato, un procuratore, un governatore, un senatore, e avere un sacco di quattrini, una moglie straordinaria e figli orgogliosi del padre. Non gli succederà mai. Non riuscirebbe a laurearsi in Giurisprudenza o Economia nemmeno se si chiamasse Kennedy o Clinton, nemmeno in un'università meno prestigiosa di Harvard. Non è riuscito a iscriversi a un college decente e la sua domanda a Harvard probabilmente ha scatenato le risate della commissione, benché suo padre avesse insegnato lì. Ancora grazie che i suoi genitori erano già morti quando il tutor, al liceo, aveva osservato che, "seppure intelligente", Win aveva ottenuto punteggi "incredibilmente bassi" agli esami. Monique Lamont esce dalla porta di servizio del tribunale, di corsa, con la ventiquattrore in una mano e le chiavi della macchina nell'altra, auricolare e cellulare acceso. Win non sente che cosa dice, ma è evidente che sta litigando con qualcuno. Sale sulla sua Mercedes, parte rapida e gli passa accanto senza nemmeno vederlo: non ha motivo di riconoscere la vecchia Buick di Nana. Win prova una strana sensazione e decide di seguirla. Lascia diverse auto fra la sua e la Mercedes lungo Broad Street, Memorial Drive e Harvard Square. In Brattle Street vede svoltare la Mercedes nel vialetto di una stupenda villa vittoriana. Calcola che, tenuto conto della grandezza e della posizione, dovrà valere sei, otto milioni di dollari. Le luci sono tutte spente e sembra che non ci sia nessuno. Avrebbe bisogno di un po' di manutenzione, benché il giardino sia curato. Win fa il giro dell'isolato e parcheggia a un paio di strade di distanza. Prende la torcia che tiene sempre nel vano portaoggetti della Buick e torna alla villa a piedi. La siepe e il prato sono bagnati: l'impianto di irrigazione deve essere stato in funzione fino a poco prima. Si accende una luce dietro una tenda, un lieve bagliore soffuso. Una candela? Win si muove silenziosamente, senza farsi vedere e si blocca nel sentire la porta sul retro che si apre e poi si chiude. Potrebbe essere Monique, o forse qualcun altro. Forse Monique non è sola. Silenzio. Win rimane lì, in attesa, prende in considerazione l'ipotesi di entrare per controllare che Monique non corra pericoli, in preda a un inquietante senso di déjà vu. Ripensa all'anno passato, alla sera in cui ha trovato la porta di Monique socchiusa, una tanica di benzina nascosta fra i cespugli, e poi, al piano di sopra... Monique sarebbe morta, se non fosse intervenuto lui. E c'è chi dice che forse, se fosse morta, avrebbe sofferto di meno.
Aspetta. La casa è buia, silenziosa. Passa un'ora. Quando è lì lì per fare qualcosa, sente la porta sul retro che si chiude, un rumore di passi. Si nasconde dietro un alto cespuglio e osserva l'ombra che piano piano acquista le fattezze di Monique. La vede andare verso la macchina con qualcosa in mano e aprire la portiera dalla parte del passeggero. Le luci nella macchina si accendono. Monique posa sul sedile alcune lenzuola piegate in fretta e furia. Win la guarda mettere in moto e andare via. Non vede la persona che è con lei e gli vengono in mente strani pensieri. Che Monique sia coinvolta in qualche traffico illecito? Droga? Criminalità organizzata? Ultimamente spende e spande: che accetti bustarelle? E se questo lavoro che gli ha affidato non fosse soltanto una delle sue tante manovre politiche? Se ci fosse dietro qualcosa? Forse è per questo che non lo vuole più fra i piedi, che l'ha mandato altrove. Rimane lì nascosto ancora un po', poi gira a piedi intorno alla casa, puntando la torcia sul perimetro della villa, dove le grondaie sembrano essere state staccate di recente, e lungo il tetto, anch'esso danneggiato. C'è una patina verdastra sulla facciata e intorno al tetto: le gronde dovevano essere di rame. Dalla finestra vicino alla porta sul retro Win vede il pannello dell'impianto di allarme. La spia è verde. È disinserito. Spacca un vetro con la torcia, infila dentro un braccio stando attento a non tagliarsi e apre la porta. Osserva attentamente il pannello dell'impianto. È obsoleto e disattivato, la spia verde indica semplicemente che c'è ancora corrente. Aleggia odore di muffa, la cucina è malridotta, gli elettrodomestici sono semidistrutti, ci sono tubi di rame sparpagliati dappertutto. Va verso la stanza in cui pensa fosse prima Monique, puntando la torcia sul parquet polveroso. Ci sono impronte dappertutto, alcune ben visibili, forse perché chi le ha lasciate aveva camminato sull'erba bagnata del giardino prima di entrare in casa. Si china a guardare quelle più lisce, di forma vagamente triangolare, lasciate da scarpe da donna con il tacco alto. Monique. Le altre sono più grandi, punta rotonda, suola antiscivolo dal disegno inequivocabile: Prada. Per un attimo, confuso, si chiede se non sia stato lui a lasciare quelle impronte. Ma no, non è possibile. Tanto per cominciare, ha ai piedi gli stivali da motociclista. Gli viene in mente che ha dimenticato le scarpe di Prada nella sacca da ginnastica. Quella che Nana gli ha detto essere stata rubata. Ci sono anche altre impronte, delle stesse dimensioni ma diverse, lasciate da scarpe da ginnastica, o da trekking. Tutte di persone diverse, o forse sempre delle stesse due, ma in diverse occasioni. Sposta la torcia, guarda
meglio, scatta foto con il suo iPhone da tre angolazioni, usando una cartuccia da nove millimetri presa dalla pistola come scala di riferimento. Calcola che le scarpe di Prada devono essere del 42 o del 43, il suo numero. Controlla in giro, puntando la torcia verso modanature e stucchi eleganti, elaborati, probabilmente antichi. Trova la stanza che cercava, che un tempo doveva essere stata un soggiorno. Ci sono impronte dappertutto, alcune identiche a quelle che ha visto prima. Al centro della stanza c'è un materasso, vicino al quale ci sono una candela ancora tiepida, consumata, e una bottiglia di vino rosso. Pinot nero Wolf Hill del 2002: lo stesso vino, della stessa annata, che gli ha dato Stump qualche ora prima, quando è andato nel suo negozio. Lo stesso che ha lasciato nella sacca da ginnastica, insieme con le scarpe di Prada. Scatta ancora qualche fotografia, torna in cucina e nota un particolare sul bancone, che lo incuriosisce. È l'involucro, strappato, di una macchina fotografica usa e getta Solo H2O, con flash. Potrebbe essere del perito di una compagnia di assicurazioni venuto a documentare i danni, ma è un po' poco professionale usare un apparecchio usa e getta per una perizia. Win apre sportelli, fruga nella credenza e trova un vecchio pentolone e due teglie di alluminio. Facendo molta attenzione, posa la bottiglia nella pentola, la candela in una delle teglie e l'involucro della macchina fotografica nell'altra. Dà un'ultima controllata e nota una finestra socchiusa: la polvere è smossa sia di qua sia di là del vetro. Sistema la torcia e scatta alcune fotografie, ma non vede impronte ben definite. La pittura, tutta scrostata, è caduta per terra, come se qualcuno avesse forzato la finestra dall'esterno e fosse entrato scavalcando il davanzale. Stump risponde al telefono con voce distratta. Quando si rende conto che è lui, rimane sconcertata. «Credevo di essere stata chiara: non voglio avere niente a che fare con questa storia» dice, autoritaria, come se volesse arrestarlo. «Il pinot Wolf Hill del 2002» dice Win. «Mi chiami a quest'ora per dirmi cosa pensi del vino?» «Dicevi che era appena arrivato. L'ha comprato qualcuno? Sai se ci sono altri negozi che lo vendono?» «Perché me lo domandi?» Cambia tono, come se non fosse sola. A Win scatta un campanello d'allarme nella testa e sta attento a quello che dice. «Così, mi interessava sapere i prezzi» risponde, cercando una scusa. «L'ho assaggiato: è straordinario. Volevo prenderne una cassa.»
«Hai una bella faccia tosta, sai?» «Mi è venuto in mente che potremmo berne una bottiglia insieme» dice Win. «Preparo una bella cenetta e vieni da me. So fare ottime costolette di vitello.» «Non rientra nelle mie abitudini mangiare cuccioli di toro» risponde lei. «E non ho voglia di venire a cena da te.» 4 La Buick di Nana sussulta e borbotta quando Win la spegne. La portiera fa un rumore stridulo che pare il verso di un uccello preistorico. Win si infila la chiave in tasca e si domanda come mai Farouk, il suo padrone di casa, sia seduto sulle scale con la sigaretta accesa. Non sapeva che fumasse e gli risulta che sia vietato in tutto il condominio. È un palazzo ottocentesco che in origine era una scuola e dopo la ristrutturazione è abitato da inquilini facoltosi. Win non potrebbe permettersi quel lusso, se non lavorasse per Farouk. È mezzanotte passata. «O hai preso un brutto vizio, o è successo qualcosa» dice Win. «È venuta la tua pupa. Bruttina, devo dire» risponde Farouk. È seduto su uno strofinaccio, forse per non macchiarsi il completo bianco troppo largo. «Si è definita lei la mia pupa o sei tu che la chiami così?» chiede Win. «Lei, lei. Io non so cosa vuol dire "pupa".» «Fidanzata, ragazza. Nel gergo della malavita» spiega Win. «Ecco! Lo sapevo che era delinquente! Ecco perché mi sono agitato. Non voglio delinquenti qui, faccio di tutto perché non ci sono» protesta, con il suo forte accento straniero. «Se queste persone del tuo lavoro vengono ancora, io ti devo mandare via. Se i vicini lamentano, io perdo gli affitti...» «Calmati, Farouk.» «No! Io ti lascio abitare qui per bassissimo prezzo perché tu mi proteggi dai delinquenti e poi i delinquenti vengono qui, invece che tu li mandi via?» Agita l'indice in direzione di Win. «Per fortuna l'ho vista solo io. I delinquenti vengono qui, tu non mi proteggi? Te ne vai.» «Me la descrivi, per favore? Mi dici cosa è successo?» gli si siede vicino. «Torno a casa dopo cena e questa donna spunta all'improvviso, bianca come un fantasma...» «Dove? Qui sul retro? Eri seduto qui a fumare quando l'hai vista?»
«Io mi sono agitato e così sono andato da José, qui di fronte, a bere birra e vedere se lui sapeva qualcosa di questa pupa, se l'aveva mai vista. Ma lui dice di no. E mi dà da fumare. Io fumo solo quando sono agitato, per stress, capisci. A me dispiace se tu vai via, capisci.» «Che ore erano? Tu dov'eri quando l'hai vista? In casa tua?» ritenta Win. «Ero appena tornato da una cena, penso più o meno le nove, e tu sai che io entro sempre da dietro. Mentre faccio questa scala la vedo spuntare come un fantasma dei film dell'orrore. Forse era lì che aspettava. Io non l'avevo mai vista, non la conoscevo. Lei mi dice: "Dov'è il poliziotto?". E io: "Quale poliziotto?". E lei: "Geronimo".» «Ti ha detto così? Geronimo?» Pochi conoscono il suo soprannome. In genere, colleghi. «Giuro» risponde Farouk. «Descrivimela.» «Ho visto poco. È difficile, no? Devo mettere più luci. Berretto, pantaloni grossi, maglia. Magra magra.» «Perché hai pensato fosse una delinquente?» «Per come parla. Come i neri, capisci, però è bianca. Da dura, da strada, tante parolacce.» Ne ripete qualcuna. «E quando io dico che non conosco nessun poliziotto Geronimo, perché io ti proteggo, lei continua e dice che lo sa che abiti qui e mi dà questa.» Tira fuori una busta dalla tasca della giacca. «Quante volte ti ho detto di non toccare niente di sospetto?» gli dice Win. «Per questo motivo ti ho preso le impronte digitali, ricordi? Perché avevi toccato quell'altra cosa che mi aveva recapitato quel matto.» «Io non sono mica di CSI, come alla TV.» «Dalla carta si possono ricavare impronte e altri indizi» gli rammenta Win. Ma sa che è inutile: Farouk non si ricorda, non gliene importa niente. Non è la prima volta che qualcuno gli recapita colli indesiderati a casa, o che si presenta senza essere stato invitato. Lo svantaggio dell'abitare lì è che mantenere segreto il suo indirizzo è impossibile. In genere chi si presenta senza invito non diventa una minaccia: ragazze incontrate chissà dove, gente che ha letto di un caso particolare, ha visto qualcosa, sa qualcosa e chiede in giro finché non scopre dove abita. A volte lo vanno a trovare dei paranoici che vogliono la protezione della polizia, oppure qualcuno gli lascia un messaggio o un pacchetto con quelle che ritiene essere prove importanti. Ma Win non ha mai visto Farouk così agitato. Prende la busta per gli angoli, con la punta delle dita, e torna in macchi-
na a recuperare le prove raccolte nella villa, attento a non farle cadere. Farouk lo guarda, fumando. «Se la rivedi, avvertimi» gli dice Win. «La prossima volta che viene qualcuno a cercarmi, non metterti a fumare aspettandomi al buio per ore.» «Non voglio delinquenti in giro. Non voglio droga. Non voglio spari» ribadisce Farouk. Nel palazzo non ci sono ascensori. Nell'era vittoriana, quando a scuola si imparava ancora a leggere, scrivere e far di conto, non usavano. Win sale tre piani di scale con pentola e teglie in equilibrio precario e arriva a casa sua, che è formata da due ex aule, cui sono stati aggiunti cucina, bagno e un impianto di condizionamento. Siccome Win abitava lì già durante i lavori di ristrutturazione, aiutando Farouk a tenere d'occhio la situazione, ha potuto scegliere alcune cose, per esempio di conservare i vecchi pavimenti in legno, i soffitti a volta e persino le lavagne, che usa per la lista della spesa e per appuntarsi le cose da fare o i numeri di telefono. Posa le prove sul tavolo, chiude la porta a chiave, tira il chiavistello e si guarda in giro, come fa di solito, per controllare che sia tutto a posto, sempre più di malumore. Dopo una giornata insieme a Monique e a Stump, si sente peggio del solito. Depresso, osserva il tappeto orientale, il tavolo Thomas Moser, il divano in pelle con le poltrone spaiate e gli scaffali con i libri che ha comprato per poco o niente e che non ha mai tempo di leggere. Tutto di seconda mano o di seconda scelta, comprato nei mercatini, su eBay, negli outlet. Merce difettosa, rovinata, scartata. Posa la pistola sul tavolo da pranzo, si toglie la giacca, si sbottona la camicia e si siede davanti al computer. Si collega a un database e digita l'indirizzo della villa vittoriana di Cambridge. Stampa l'elenco degli ultimi trentacinque proprietari e possibili parenti. Continua a cercare e scopre che l'ultimo passaggio di proprietà è avvenuto lo scorso marzo, quando la villa è stata acquistata per 6,9 milioni di dollari da una società a responsabilità limitata che si chiama FOIL. Tutto maiuscolo, dev'essere una sigla. La cerca su Google. Non trova niente di che, solo poche occorrenze: una band di San Diego, un centro di formazione, un sito di diritto internazionale, un forum indiano, un gioco da tavolo. Non pensa che qualcuno di essi possa essere collegato alla villa di Brattle Street e per un attimo gli viene la tentazione di chiamare Monique Lamont e chiederle direttamente spiegazioni. Potrebbe dirle che l'ha vista,
che sa dove si trovava, farle paura e costringerla a confessargli che cosa ci faceva lì. Poi gli vengono in mente il materasso, la candela, l'involucro della macchina fotografica. Pensa a come era stata ridotta la villa, al fatto che vi è stato rubato del rame. E, soprattutto, pensa alla bottiglia di vino e alle impronte delle scarpe di Prada. Che qualcuno stia cercando di incastrarlo? Ma perché? Se così fosse, come potrebbe Monique non essere coinvolta? Copre il tavolo con un foglio di carta pulito e si infila un paio di guanti di lattice. Versa cristalli di iodio in un sacchetto di plastica chiudibile con la zip, ci infila dentro la busta, chiude il sacchetto e lo agita delicatamente. Due minuti dopo, toglie la busta e ci soffia sopra senza preoccuparsi del DNA, perché la zona migliore per ricavarlo è la striscia incollante. Il suo respiro, caldo e umido, provoca una reazione chimica e sulla carta appaiono diverse impronte, che si scuriscono a mano a mano che lui soffia. Apre la busta, tira fuori un foglio di carta bianca piegato e legge, scritto in stampatello con un evidenziatore rosa: "Domani mattina, ore 10, al parco giochi del Filippello Park. Tua, Raggedy Ann". Il giorno dopo alle tre, ora di Greenwich, nella sede di Scotland Yard, l'ispettore Jeremy Killien guarda dalla finestra l'insegna triangolare che gira lentamente davanti al leggendario edificio grigio. In genere quella vista lo aiuta a trovare la giusta concentrazione. Ma oggi è nervoso, ha voglia di fumare e, come se non bastasse, il commissario gli ha scaricato una grana senza fine. Il suo ufficio, al quinto piano, nel dipartimento Crimini speciali, è pieno di ricordi e oggetti personali. Libri, pratiche, carte che prima o poi dovrà riordinare, foto che lo ritraggono insieme a Margaret Thatcher, Tony Blair, la principessa Diana, Helen Mirren, e poi mostrine, cappelli e persino un manichino con la divisa di un Bobby vittoriano, dalla cui sigla, 452H, si capisce che faceva la ronda a Whitechapel ai tempi di Sherlock Holmes e Jack lo Squartatore. Vorrebbe tanto accendersi una sigaretta. Una. È chiedere troppo? È un'ora che cerca di non pensarci, ma lo disturba che, dopo anni e anni di onorato servizio presso la Metropolitan Police, non possa neanche fumare in pace alla sua scrivania. Ormai è vietato in tutto il palazzo e bisogna uscire nel cortile che puzza di spazzatura per accendersi una cicca. Come i barboni. Apre un cassetto, si mette in bocca un altro chewing gum alla nicotina e cerca di calmarsi.
Con grande senso del dovere, si rimette a leggere dell'omicidio irrisolto commesso in Massachusetts nel 1962. Bizzarro. Il commissario deve essere ammattito, per accettare un simile incarico. Un omicidio commesso quarantacinque anni fa, e per giunta fuori del Regno Unito? Winston Garano, detto Win o Geronimo. Senza dubbio perché di razza mista. Bell'uomo, bisogna ammetterlo. Pelle color caffè, capelli neri e ondulati, naso diritto, da imperatore romano. Trentaquattro anni, mai sposato, orfano dall'età di sette anni. I suoi genitori sono morti per avvelenamento da monossido di carbonio, avevano la stufa difettosa. Anche il cane, Pencil. Strano nome, per un cane. Vediamo, vediamo. Cresciuto dalla nonna, detta Nana. Oh, questa è bella. Professione: fattucchiera. Una strega, insomma. E collezionista di multe: ne ha prese un sacco. Per sosta vietata, eccesso di velocità, perché è passata con il rosso, ha fatto inversione dove non si poteva... Le hanno persino ritirato la patente per un periodo. Ossignore, ecco lì. Tre anni fa è stata arrestata, poi la denuncia è stata ritirata: aveva gettato novecentonovantanove monetine da un penny nuove di zecca nel giardino del governatore del Massachusetts Mitt Romney. E questa? Ancora meglio: pare abbia scritto il nome del vicepresidente Dick Cheney su una pergamena che ha poi infilato in un sacchetto pieno di "popò di cane" e seppellito in un cimitero. Colta sul fatto entrambe le volte, ha dichiarato di voler "lanciare loro una maledizione". Be', maledire il prossimo non è reato. Avrebbero dovuto darle una medaglia, a dire il vero. L'ispettore Win Garano risulta attualmente sospeso dal normale servizio e assegnato al caso di Watertown. Molto strano. Che sia una punizione? Deve aver fatto qualcosa che ha indispettito il suo capo, Monique Lamont, procuratore distrettuale della Middlesex County. Costei, nonostante il forte sostegno dei cittadini, si è ritirata dalle elezioni alla carica di governatore nel 2006. È passata nel Partito repubblicano e si è ricandidata alla carica che attualmente ricopre, vincendo con largo margine. Mai sposata, apparentemente single. Killien guarda a lungo la sua fotografia: mora, occhi scuri, bella donna. Di famiglia bene, antenati francesi. Gli squilla il telefono. «Si è informato sulla situazione del Massachusetts?» gli chiede il commissario, senza convenevoli. Situazione? Strana parola. Killien apre una busta marrone, tira fuori altre foto, verbali di polizia e referti autoptici. Impiega un momento prima di rendersi conto con un certo stupore che si tratta di nuovo di Monique La-
mont. L'anno scorso è stata vittima di violenza carnale e tentato omicidio. «Pronto? Ispettore Killien?» dice il commissario. «Stavo guardando proprio ora il materiale» risponde Killien, schiarendosi la voce. L'aggressione è avvenuta nella camera da letto dell'abitazione del procuratore a Cambridge, Massachusetts. L'aggressore è stato ucciso dal detective Winston Garano. E che cosa ci faceva lui nella camera da letto di Monique Lamont? Ah, ecco: allarmato dalla conversazione con lei avuta per telefono, si recava alla di lei abitazione, trovava la porta di casa aperta, sorprendeva l'aggressore e sparava, uccidendolo. Foto dell'aggressore riverso sul pavimento della camera da letto in un lago di sangue. Foto di Monique Lamont e delle lesioni riportate: lividi su polsi, caviglie, seno... «Mi sente, ispettore?» chiede il commissario, con voce autorevole. «Sissignore.» Killien guarda dalla finestra l'insegna rotante. «La vittima, come avrà notato, era cittadina britannica. Nata a Londra» continua il commissario. Killien non è ancora arrivato a leggere il rapporto ma, se lo ammette, il commissario protesterà. Quindi evita di rispondere, ponendo un'altra domanda: «Non fu aperta un'indagine dalla Metropolitan Police, all'epoca?». Muove i fogli sul tavolo. «Perché non ho trovato niente che...» «Evidentemente non venimmo contattati. La cosa suscitò scarso interesse in Gran Bretagna. Il principale indagato fu il compagno della vittima, che era americano. Fu anche presa in considerazione l'ipotesi che l'assassino fosse il famigerato Strangolatore di Boston. Insomma, non c'era motivo di richiedere la nostra collaborazione.» «Lo Strangolatore di Boston?» «La teoria del procuratore distrettuale è proprio questa.» Killien sparge sul tavolo le foto scattate all'ospedale, dove Monique Lamont fu sottoposta a una visita per accertare la violenza subita. Immagina i suoi colleghi oltreoceano di fronte a quelle foto: come possono parlare con il procuratore senza rivedersela in quello stato? Come fa Monique Lamont a sopportare una cosa simile? «Farò quello che mi chiede, certamente» dice. «Ma perché tutta questa urgenza?» «Ne parliamo davanti a un bicchiere» propone il commissario. «Ho un impegno al Dorchester. Mi raggiunga là alle cinque in punto.» Filippello Park, a Watertown, è deserto.
I tavoli da picnic sotto gli alberi sono vuoti, nei campi da gioco non c'è anima viva e i barbecue sono tutti spenti. Win va a sedersi su una panchina vicino agli scivoli e alla piscinetta. Non vede nessuno fino alle dieci e otto, quando sente arrivare un'auto lungo la pista ciclabile. Ci sono solo due categorie di persone capaci di percorrere una pista ciclabile in macchina: i poliziotti e gli idioti, che andrebbero arrestati. Si alza in piedi, vede una Taurus blu che si ferma e Stump che abbassa il finestrino. «Hai appuntamento con qualcuno?» Sembra furibonda, come se lo detestasse. «L'hai fatta scappare tu?» chiede Win, un po' alterato anche lui. «Non saresti dovuto venire.» «Siamo in un luogo pubblico, no? Tu, piuttosto, cosa ci fai qui?» «Il tuo appuntamento è saltato. Ho pensato di venirti ad avvertire di persona. Perché voglio essere corretta, nonostante quel che hai fatto.» «Cosa ho fatto? E chi ti ha detto che...» «Sei venuto all'unità mobile senza che io ti avessi detto niente» lo interrompe Stump. «Ci sei stato un'ora, fingendo di essere una persona perbene, disponibile. Poi mi hai chiamato e mi hai invitato a cena. E nel frattempo hai cercato di fregarmi!» «Fregarti?» «Piantala, è meglio. Sali in macchina. Ho riconosciuto la tua bagnarola nel parcheggio. La verrai a prendere poi. Non penso che tu possa aver paura che te la rubino.» Procedono molto lentamente lungo la pista ciclabile. Stump ha gli occhiali scuri e guarda la strada. Ha un abbigliamento casual, al limite della sciatteria. Camicia kaki fuori dei calzoni, probabilmente per nascondere la fondina sul fianco, o sulla schiena. Jeans larghi, morbidi, sbiaditi, lisi in più punti e molto lunghi, probabilmente perché non si veda la fondina alla caviglia. La sinistra, o forse la destra: Win non è sicuro. Non si intende di protesi, ma le osserva la coscia e si domanda come faccia a mantenersi così tonica. Forse fa esercizi specifici, magari su una macchina fatta apposta, con i pesi sotto il ginocchio. Lui probabilmente non si darebbe tanta pena se fosse senza una gamba. Stump inchioda, sposta il sedile all'indietro e appoggia il piede destro sul cruscotto. «Ecco» dice, furiosa. «Guardatela bene. Sono stufa delle tue occhiatine da guardone.» «Belle scarpe» fa lui. «Lowa, suola Vibram, ammortizzate, stabilissime.
Se non fosse per il bordo rigido appena visibile sotto la rotula, che spunta da sotto i jeans solo ed esclusivamente perché hai la gamba in questa posizione, non mi accorgerei mai che hai una protesi. Non è un problema, per me. Sono curioso, d'accordo. Ma tutt'altro che guardone.» «Sei un grandissimo manipolatore, ecco che cosa sei. Che perde chissà quanto tempo a vestirsi come un damerino. Perché ti interessa solo l'esteriorità. Non mi sorprende, narcisista come sei. Non so che cosa tu abbia in mente, ma non è questo il modo migliore. Prima di tutto, avevi appuntamento con il capo alle dieci. Stai già dimostrando una preoccupante mancanza di rispetto.» «Gli ho lasciato un messaggio.» «Secondo, non mi va che tu faccia casino con persone che non c'entrano niente con quello che devi fare.» «A chi ti riferisci?» «Alla signora che hai minacciato perché venisse qui stamattina.» «Io non ho minacciato proprio nessuno. È stata lei a lasciarmi un biglietto a casa mia, ieri sera tardi, firmato Raggedy Ann. C'era scritto che dovevamo vederci al parco giochi stamattina.» È soltanto raccontandolo che si rende conto di quanto suona ridicolo. «Sta' lontano da lei.» «Pensavo che fosse un'innocua un po' tocca che viveva per strada. Sembra che tu la conosca bene, invece.» «Non me ne frega niente di quello che pensavi.» «Come facevi a sapere che avevamo appuntamento?» Stump riporta il sedile in posizione e riparte. «Sai una cosa?» dice Win. «Non devo sopportare per forza le tue sfuriate. Gira qui e riportami alla mia macchina.» «Troppo tardi. Ti accontenterò e passeremo un po' di tempo insieme, oggi. Così forse riuscirò a convincerti che è meglio che te ne torni al tuo lavoro e lasci perdere Watertown.» «Prima che mi scordi: ieri sera mi hanno derubato.» Non vuole parlare di Nana, specificare che in realtà è stata lei a essere derubata. «Stamattina scopro che una pazzoide che si veste come una bambola va in giro a raccontare balle sul mio conto. Poi spunti magicamente tu al posto suo...» «Come ti hanno derubato?» Stump smette di fare la dura per un istante. «In casa?» «No, al Watergate.» «E cosa ti hanno preso?»
«Effetti personali.» «Ovvero?» «Preferisco non entrare nei particolari, visto che in questo momento non mi fido di nessuno. Nemmeno di te.» Silenzio. Stump svolta in Arlington, poi in Elm, ed entra in un posteggio del Watertown Mall, fra due SUV. «I furti nelle auto» dice a Win, come se niente fosse. «Quei bastardi legano un gruppo di magneti a un cordino e lo trascinano lungo la portiera per sbloccare la chiusura. Oppure fanno un buco in una pallina da tennis e la schiacciano con forza contro la serratura in maniera che l'aria compressa la faccia scattare. Naturalmente, adesso quel che tira di più sono i GPS.» Apre il vano portaoggetti e prende un Magellan Maestro 4040 con il supporto a ventosa rotto. Infila il caricatore nell'accendino e fa passare il filo intorno allo specchietto retrovisore. Il navigatore satellitare rotto penzola come un animaletto di peluche. «La gente è così cretina che li lascia in macchina, in bella vista. E io ho pensato bene di lasciare questo sulla macchina che usano anche i miei colleghi, quando non sono di servizio. Voi siete abituati ad auto ben diverse, presumo: Crown Vic con GPS incorporato, cellulari con minuti illimitati. Sai cosa succede a me, quando supero i minuti che mi danno? Pago le telefonate di tasca mia. E mica mi posso portare a casa l'auto, sai?» «Neanch'io. Altrimenti non andrei in giro con quella bagnarola, come l'hai diplomaticamente definita tu.» «Di chi è, a proposito? Non mi sembra vada d'accordo con i tuoi abiti firmati e l'orologio d'oro.» Win non risponde. «Vedi quella vecchietta che sta aprendo la portiera della sua auto?» continua Stump. «Potrei buttarla per terra e scappare con la sua borsa in un attimo. Per lei sarebbe una tragedia, poveraccia. Per gente come te, un reato che non vale neanche la pena denunciare.» «Evidentemente non mi conosci.» «Oh, ti conosco. Ti conosco.» Lo guarda in faccia. «Sei peggio di quanto pensassi. Che cosa hai intenzione di fare? Girare di ricovero in ricovero finché non la trovi? Vuoi metterle di nuovo paura?» «Te l'ho già detto: è stata lei a venirmi a cercare...» «Può anche darsi. Ma solo perché tu le stavi appresso, le mettevi ansia, sfruttavi il fatto che fosse squilibrata.» Stump è sempre meno convincente. Win non sa perché, ma ha l'impressione che stia recitando una parte. E
neanche tanto bene. «Chi è?» le chiede. «E perché si veste come Raggedy Ann?» «È chi le pare, che ci creda veramente o no. Non lo so. E comunque non importa.» «Sì che importa. C'è differenza fra essere psicotici ed essere eccentrici.» Osserva le persone che tornano alle loro macchine con i sacchetti della spesa. Nessun ladro di GPS in vista. Stump dice: «Sostiene che tu l'hai minacciata, che le hai detto che, se non si fosse fatta trovare al parco stamattina, l'avresti fatta rinchiudere». «Ti ha dato una spiegazione plausibile per queste minacce?» «Dice che volevi portartela a letto.» «Se le hai creduto, vuol dire che la psicotica sei tu» replica Win. «E perché? Perché uno come te può avere tutte le donne che vuole e quindi non cercherebbe di portarsi a letto una come lei?» «Ma dài, Stump! Se mi conosci davvero come dici, sai benissimo che non ho quel genere di reputazione.» «Evidentemente non sai che cosa si dice in giro di te. Non ti rendi conto dell'immagine che dai.» «La gente dice un sacco di sciocchezze. A cosa ti riferisci?» «Cos'è successo in camera da letto di Monique, quella sera?» Win resta senza parole. Non riesce a crederci. «Chissà come sono andate veramente le cose» insiste Stump. «Non mi provocare» le risponde Win a bassa voce. «Ti sto dicendo che la gente mormora. E i poliziotti in particolare. Tanti sono convinti che tu fossi già a casa sua, quando è arrivato il tipo. In camera da letto, per la precisione. E che avresti potuto benissimo evitare di fargli la pelle, a parte il fatto che così il vostro piccolo segreto sarebbe inevitabilmente diventato di dominio pubblico.» «Riportami alla macchina.» «Ho diritto di sapere se avete mai...» «Tu non hai diritto di sapere proprio niente!» ribatte Win. «Se dobbiamo instaurare un rapporto di fiducia reciproca...» «Se la fiducia dev'essere reciproca, comincia tu a meritarti la mia.» «Ho bisogno di sapere la verità.» «Anche se fosse? Che te ne importa? Lei è single, io sono single, siamo entrambi adulti e vaccinati.» «Grazie della confessione.» Fredda. «Perché è così importante, per te?»
«Significa che vivi una menzogna, che sei un bugiardo. Che vai a letto con il tuo capo. Adesso capisco perché ti ha mandato a Watertown. Avrai i tuoi vantaggi, tanto più se la vostra relazione continua. E probabilmente continua. Scusa, ma io con gente come te non voglio avere niente a che fare.» «Per la verità penso che tu stia cercando in tutti i modi di non avere a che fare con me» ribatte Win. «Mi chiedo perché. Sembra che tu voglia a tutti i costi autoconvincerti che sono un pezzo di merda.» «Tipico, che tu esca fuori con una cosa del genere. Il classico narcisista.» «Io e Monique Lamont non siamo mai andati a letto insieme» dichiara. «Sei contenta, ora?» Stump mette in moto l'auto in silenzio, senza guardarlo. «Ti dirò, avrei anche potuto» aggiunge. «E non lo dico per tirarmela. Dopo il fatto era molto... Come dire? Vulnerabile.» «E adesso?» Stump inserisce una destinazione nel suo GPS mezzo scassato. «Dopo quello che le è successo, resterà sempre vulnerabile» risponde Win. «Il problema è che non lo ammette e così fa un errore dopo l'altro. Sembra tanto sicura di sé, ma in realtà non fa che scappare da se stessa. Con tutta la sua intelligenza, riguardo a sé è di un'ottusità spaventosa.» «Non è questo che intendevo.» «Dove stiamo andando?» «Devo farti vedere una cosa» risponde Stump. 5 Il Dorchester Hotel è per capi di Stato e personaggi famosi, non per gente come Killien, che lì dentro può permettersi al massimo una tazza di tè. Vede due posteggiatori dell'albergo salire su una Ferrari e un'Aston Martin, mentre il taxi lo molla in mezzo a un gruppetto di arabi con la kefiah, che non si spostano di mezzo millimetro per farlo passare. Devono essere parenti del sultano del Brunei, il proprietario dell'albergo, pensa entrando nell'atrio, fra colonne di marmo, stucchi dorati e vasi pieni di fiori freschi. Uno dei lati positivi del suo lavoro è che sa muoversi in qualsiasi posto come se fosse un habitué. Si abbottona la giacca un po' sgualcita ed entra nel bar, ostentando la massima indifferenza per i vetri soffiati rossi, i mogani, le sete porpora e
oro e gli arabi, gli asiatici, gli americani e gli italiani che sorseggiano i loro drink. Non vede neanche un inglese a parte il commissario, che è seduto da solo a un tavolino rotondo in un angolo, con la schiena verso il muro e gli occhi sulla porta. È pur sempre un poliziotto, dopotutto. Un poliziotto che ha fatto le scelte giuste nella vita, a cominciare dal matrimonio con una baronessa. Sta bevendo un whisky liscio, probabilmente Macallan. Sembra non aver neanche toccato le arachidi e le patatine nelle vaschette d'argento. È impeccabile nel suo gessato grigio, camicia bianca, cravatta di seta bordeaux, baffi curatissimi, occhi azzurri. Ha lo sguardo un po' assente, come se fosse preoccupato. In realtà, non gli sfugge nulla. Killien si siede e immediatamente gli si avvicina un cameriere. Ordina una pinta di birra scura: ha bisogno di restare lucido. «Volevo dirle qualcosa a proposito del caso americano» esordisce il commissario, che non è tipo da convenevoli. «Immagino si sia chiesto come mai è una priorità.» «Infatti» risponde Killien. «Non ho ancora capito di cosa si tratti veramente, ma ci sono alcune cose che mi hanno incuriosito. Monique Lamont, per esempio...» «Donna potente e controversa. Oltre che piuttosto bella.» Killien ripensa alle foto. Anche il commissario deve averle viste. Si chiede se ha avuto anche lui la stessa reazione e ne è rimasto turbato. Non è professionale guardare foto relative a un crimine violento e soffermarsi su particolari che non siano strettamente connessi alle indagini. Invece Killien non riesce a dimenticarsi le curve generose del procuratore, i suoi... «Mi sta ascoltando, Jeremy?» gli chiede il commissario. «Sì, certamente.» «La vedo distratto.» «No, affatto.» Il commissario prosegue: «Allora. Alcune settimane fa, mi ha telefonato e mi ha chiesto se ero al corrente del fatto che una cittadina britannica poteva essere una delle presunte vittime dello Strangolatore di Boston. Mi ha spiegato che il caso era stato riaperto e mi ha pregato di collaborare alle indagini.» «Francamente, non vedo che cosa possiamo fare noi, a parte sondare un po' dietro le quinte. Mi sembra una manovra politica.» «Lo è, difatti. Monique Lamont ha già pianificato la sua singolare campagna pubblicitaria, comprendente uno speciale della BBC, che mi ha
promesso di mandare in onda se le garantiamo la nostra collaborazione eccetera eccetera. Sopra le righe, a dir poco: crede davvero che abbiamo bisogno del suo aiuto per mandare in onda uno speciale della BBC?» «Non so come possiamo aiutarla a dimostrare che la sua teoria è giusta, dal momento che lo Strangolatore di Boston non è mai stato identificato e, presumibilmente, mai lo sarà» dice Killien. Il commissario beve il suo whisky. «I programmi politici di Monique Lamont ci interessano relativamente. Ho capito il tipo. Normalmente, la ignoreremmo. Ma nel caso specifico c'è qualcosa che Monique Lamont non sa. Ed è proprio di questo che le voglio parlare.» Arriva il cameriere con la pinta di birra scura. Killien ne beve una lunga sorsata. «Quando mi ha contattato riguardo al vecchio caso, per dovere di cortesia io ho fatto due indagini e ho scoperto una cosa sul suo conto. Semplici controlli di routine, badi» precisa il commissario. «Ma ho trovato questo particolare che mi ha turbato. Non riguarda il caso, che in tutta franchezza mi interessa ben poco. Riguarda Monique Lamont e alcuni suoi movimenti di contanti e donazioni che hanno incuriosito il ministero del Tesoro statunitense. Insomma, viene fuori che il suo nome è nel database della DIA.» Killien posa il bicchiere di scatto. «Monique Lamont è sospettata di finanziare gruppi terroristici?» «Esattamente.» «La prima cosa che mi viene in mente è che sia successo qualche pasticcio burocratico. Avrà avuto motivi più che legittimi, per spostare ingenti somme di denaro...» suggerisce Killien. Succede più spesso di quanto si creda. Nel dossier è scritto che Monique Lamont ha diversi milioni di dollari che non ha guadagnato lei e che con ogni probabilità sposta con una certa frequenza. Paga in contanti sia in America sia all'estero, elargisce generose donazioni a vari enti benefici. Killien ricorda di aver letto che lo scorso autunno ha cambiato partito. Questo fatto, da solo, potrebbe giustificare una certa acrimonia e sete di vendetta da parte di chi si è sentito tradito dal suo voltafaccia. «In particolare ci preoccupa un ingente contributo a un fondo a favore dei bambini romeni. Sappiamo che alcune organizzazioni "benefiche" di questo tipo in realtà finanziano gruppi terroristici. Questa, nello specifico, è sospettata di fornire ad Al Qaeda piccoli orfani da indottrinare perché diventino kamikaze.» Mentre ascolta il commissario che spiega di come la stampa ha molto
parlato di questa donazione e dell'attenzione dimostrata da Monique Lamont per i minori in difficoltà, Killien ha sempre più l'impressione che il procuratore non volesse finanziare il terrorismo: ammesso e non concesso che l'associazione sia davvero legata ad Al Qaeda, il procuratore doveva esserne all'oscuro. Se l'avesse saputo, l'avrebbe dichiarato in una conferenza stampa? Alla fine, consapevole o meno, potrebbe aver comunque commesso un reato. Il commissario dice: «È nella lista No-Fly, ma probabilmente lo ignora, perché sono diversi mesi che non prova a prenotare un volo. Il giorno che lo farà, capirà di essere nel mirino dell'antiterrorismo. Per questo è necessario che agiamo con la massima urgenza». «Se le sono stati bloccati i fondi, si sarà già accorta di essere indagata.» «CIA, FBI e DIA spesso evitano di congelare i conti bancari, proprio per monitorarne i movimenti. Presumo che il procuratore Lamont non sappia nulla.» Killien prova un certo timore lui stesso: non si sa mai chi ti può guardare sul conto corrente bancario, nella casella di posta elettronica, nella cronologia del computer, nella cartella clinica o intercettare le tue telefonate. Un bel giorno ti svegli e scopri che non puoi più prendere un aereo o che ti è stato congelato il conto. O, peggio ancora, ti trovi davanti alla porta due agenti che ti chiedono di seguirli per un interrogatorio e magari ti ritrovi in qualche centro di detenzione supersegreto in un Paese che nega di far ricorso alla tortura. «Cosa c'entra tutto questo con l'omicidio di Janie Brolin e l'improvvisa urgenza di riaprire l'inchiesta?» chiede. Il commissario fa cenno al cameriere di portargli un altro whisky e dice: «È un'ottima scusa per indagare su Monique Lamont». La cupola della State House luccica sopra Boston come una corona d'oro. Monique Lamont la guarda dal finestrino fumé della Expedition nera della polizia di Stato e si chiede come mai sia stato usato oro a ventitré carati, anziché a ventiquattro. Quella sua curiosità irriterà senza dubbio il governatore Mather, che si considera un grande storico. Monique ha voglia di metterlo in difficoltà, quella mattina. Per fargliela pagare, visto che lui la snobba, e per ricordargli che lei ha un grandissimo valore. Finalmente ascolterà il suo progetto e si renderà conto di quanto è brillante la sua iniziativa. Il caso Janie Brolin e le sue enormi implicazioni a livello internazionale.
L'assistente che la accompagna ha voglia di chiacchierare, ma Monique no. Cammina svelta, orientandosi nel palazzo, fra la Camera del Consiglio e quella dove si riunisce il Gabinetto, le sale d'attesa con ritratti e pezzi d'antiquariato e, in fondo in fondo, l'ufficio del governatore. Tutto questo sarebbe dovuto essere suo. «Governatore?» annuncia l'assistente, facendo capolino dentro l'ufficio. «Il procuratore Lamont.» Mather è seduto alla scrivania e sta firmando delle carte. Non alza neppure lo sguardo. Monique entra. Dice: «Se c'è qualcuno che può togliermi questa curiosità, sei tu, Howard. La cupola della State House. Come mai ventitré carati e non ventiquattro?». «Dovresti chiederlo a Paul Revere.» Distratto. «Lui la rivestì di rame» replica Monique. Il governatore firma ancora un documento e poi mormora: «Come, scusa?». «Te lo dico, perché non voglio che tu faccia brutta figura: Paul Revere rivestì la cupola di rame, perché fosse impermeabile.» Si siede su una pesante sedia damascata. «Venne ricoperta in foglia d'oro solo un secolo più tardi. Curioso che tu abbia scelto il ritratto di William Phips.» Osserva il severo dipinto a olio appeso sopra il caminetto di marmo, dietro la scrivania di Mather. «Il governatore famoso per i roghi delle streghe di Salem» dice. Uno dei privilegi di quella carica è la possibilità di scegliere quale ritratto di governatore del Massachusetts appendersi nello studio. Probabilmente Mather avrebbe scelto volentieri il proprio, se fosse già stato dipinto. Il tetro e indignato William Phips la guarda di traverso. Monique osserva gli antichi soprammobili e gli stucchi alle pareti. Perché gli uomini, specie se repubblicani, hanno un debole per Frederic Remington? Il governatore ha una collezione di bronzi. Bronco Buster in sella a un cavallo imbizzarrito. Cheyenne su un destriero al galoppo. Rattlesnake che mette il morso a un cavallo. «Ti ringrazio di avermi ricevuta, Howard.» Mather riflette ad alta voce. «Perché rivestire la cupola della State House con oro a ventitré carati anziché ventiquattro? Io non lo sapevo, ma mi colpisce per il suo valore simbolico. Forse un monito, un modo per ricordare ai cittadini che il governo non è così puro.» Il governatore lo è, però: è un puro conservatore repubblicano. Bianco,
sessant'anni, bel viso pacioso dietro cui si intravede appena l'ipocrita spietato che è. Capelli radi, corpulento, maschera con i modi cordiali la propria prepotenza e falsità. Tutto il contrario di Monique, che viene subito considerata rompiscatole e bugiarda perché è bella, intelligente, illuminata, elegantissima, forte e manifesta grande tolleranza e benevolenza verso chi è meno fortunato di lei. In parole povere, Monique ha l'aspetto e i modi della democratica. Lo sarebbe ancora - anzi, sarebbe governatore - se non si fosse affidata a quel bastardo, che oltretutto è diretto discendente di Cotton Mather, altro paladino della caccia alle streghe. «Che cosa devo fare?» gli domanda Monique. «Lo stratega sei tu. Io sono una neofita, in fatto di politica.» «Ho riflettuto un po' su questa storia di You-Tube e, forse ti sorprenderà, sono arrivato alla seguente conclusione.» Posa la penna. «Non devi vederlo come un problema, ma come un'opportunità. Vedi, Monique, il fatto è che il tuo passaggio al Partito repubblicano non ha avuto gli effetti che speravamo. L'opinione pubblica ti vede come una donna liberal ed estremamente ambiziosa. Il classico tipo di donna in carriera che non pensa a sposarsi e ad avere dei figli...» «È risaputo che amo i bambini, però. E che mi occupo attivamente di loro, specie quelli più sfortunati, orfani...» «Sì, in luoghi remoti come la Lituania.» «Romania.» «Avresti dovuto scegliere bambini americani. Ce ne sono tanti in difficoltà anche qui. Le vittime dell'uragano Katrina, per esempio.» «Avresti potuto dirmelo prima che staccassi l'assegno, Howard.» «Capisci dove voglio arrivare, Monique?» «Al motivo per cui mi eviti da quando sei stato eletto. Penso che tu mi debba una spiegazione.» «Ricordi i discorsi che ci siamo fatti prima delle elezioni?» «Certo. Molto bene.» «Però li hai ignorati. Cosa che personalmente ritengo scorretta, oltre che poco saggia. Ma adesso, nel momento del bisogno, sei qui.» «Rimedierò, e so anche come...» «Se vuoi fare strada nel Partito repubblicano, devi rappresentare i tradizionali valori della famiglia» dice Mather, interrompendola. «Devi fartene portatrice, ricordarli a ogni piè sospinto. No all'aborto, no al matrimonio fra omosessuali, no al riscaldamento globale, no alla ricerca sulle cellule staminali... Insomma...» Giunge le mani. «Non sta a me giudicare, e la vita
privata delle persone non mi interessa.» «A tutti interessa la vita privata degli altri.» «Non sono un ingenuo e capisco che cosa significhi vivere un grave trauma. Come tu ben sai, sono stato in Vietnam.» Non è il discorso che Monique si aspettava, e si irrigidisce. «Dopo quello che hai passato, è normale che tu venga fuori come quella che deve dimostrare qualcosa. Aggressiva, arrabbiata, animata da sacro furore, forse addirittura un tantino squilibrata. Spaventata dall'intimità.» «Non credevo che il Vietnam ti avesse fatto questo effetto, Howard. Mi spiace che tu abbia paura dell'intimità. Come sta Nora, a proposito? Sai che non riesco ancora a vederla nel ruolo di First Lady?» È una vecchia casalinga, pensa, una sciattona con il quoziente intellettivo di un mollusco. «Io non ho subito violenza carnale, in Vietnam» replica Mather in tono neutro. «Ma conosco soldati che hanno vissuto questa tragica esperienza.» La guarda di traverso, come il governatore Phips. «La gente prova compassione per ciò che ti è capitato, Monique. Soltanto un mostro resterebbe insensibile di fronte all'evento che ti ha colpito.» «Evento?» Furibonda. «Lo chiami "evento"?» «Siamo realisti, però» continua lui, tranquillo. «La gente se ne frega dei nostri problemi, degli ostacoli che incontriamo nella nostra vita, delle nostre sofferenze. Odiamo tutti la debolezza, è nella natura umana. È un istinto animale. E non ci piacciono neppure le donne con caratteristiche troppo maschili. Forza e coraggio vanno bene, entro certi limiti, e purché si esprimano in modalità squisitamente femminili. Quello che ti voglio dire è che questo video su YouTube è una grande opportunità, per te. Ti fai bella allo specchio, cerchi di risultare attraente in un modo che gli uomini apprezzano e in cui le donne si riconoscono. È esattamente l'immagine che ti serve, in questo momento. Per ribaltare l'opinione secondo cui ciò che ti è accaduto ha minato le tue doti di leader. Sì, all'inizio godevi delle simpatie dell'opinione pubblica, eri molto ammirata, ma adesso la tendenza si è invertita e sei vista come una donna troppo dura, distante, calcolatrice.» «Non lo sapevo.» «I pericoli di Internet sono ovvi» prosegue il governatore. «Tutti si improvvisano giornalisti, autori, commentatori, produttori. I vantaggi, però, sono altrettanto evidenti. Anche noi possiamo fare lo stesso, rendendo pan per focaccia a questi sprovveduti... Mi viene in mente una parola soltanto, per definirli, e non voglio essere volgare come Richard Nixon. Possiamo farci i nostri video, postarli anonimamente e, dopo che l'opinione pubblica
si è chiesta chi può mai essere l'autore, lasciare il merito a qualche sfigato.» È esattamente quello che fa lui. Monique se ne è accorta ormai da tempo. «Che tipo di video?» gli chiede. «Non lo so. Mentre vai in chiesa con un aitante vedovo padre di un tot di figli, per esempio. Mentre parli con profonda emozione di un radicale cambiamento interiore, una sorta di illuminazione sulla via di Damasco, che ti ha fatto capire quanto è importante il diritto alla vita, per cui ora sei contraria all'aborto e favorevole a una riforma costituzionale volta a impedire il matrimonio fra omosessuali. Mentre evochi la tragica condizione di persone e animali dopo la devastazione dell'uragano Katrina, in maniera da distrarre l'opinione pubblica dai tuoi aiuti umanitari verso bambini non americani.» «I video di YouTube non sono così. Sono imbarazzanti, controversi, eroici, divertenti. Un bulldog sullo skateboard, per esempio...» «Okay, allora cadi dalle scale mentre scendi dal pulpito. E ti fai venire a soccorrere dal pastore, che nel tentare di sollevarti accidentalmente ti tocca le tette.» «Non vado in chiesa. Non ci sono mai andata. E lo scenario che mi proponi è degradante...» «Perché, controllarti la scollatura in un cesso pubblico non lo è?» «Hai appena detto che andava bene, che era un'opportunità, un modo per ricordare alla gente che sono una donna desiderabile e non una spietata tiranna.» «La cocciutaggine, però, non va bene per niente» la ammonisce. «Non hai tre anni per prepararti, prima che si metta in moto la macchina: la corsa è già partita.» «Motivo per cui ti ho chiesto ripetutamente di parlare del mio progetto.» Coglie la palla al balzo. «Un'iniziativa che sono certa ti interesserà moltissimo.» Apre la ventiquattrore, prende la sinossi del caso Janie Brolin e gliela porge. Lui la sfoglia, scuote la testa e dice: «Non mi interessa se il tuo Win Comesichiama risolve il mistero e trova il colpevole. Finirai in prima pagina per un giorno, massimo due. Nessuno si interesserà e nessuno se ne ricorderà». «Non è un semplice caso e basta. La posta è molto più alta. A proposito,
voglio che questa cosa rimanga fra noi ancora per un po'. Non può essere resa pubblica, mi raccomando. Te ne sto parlando in via assolutamente confidenziale.» Mather posa le mani sul tavolo. «Stai tranquilla, non dirò niente. Anche perché non mi interessa. Preferisco aiutarti nella tua opera di autodistruzione.» Frase a dir poco infelice. «Aiutarti a smettere di farti del male da sola» rettifica. Non è vero: Mather la disprezza, l'ha sempre detestata. Se alle ultime elezioni l'ha sostenuta, è stato solo per un motivo: i repubblicani avevano bisogno di vincere tutte le cariche possibili, specie quella di governatore, e l'unico modo per farlo era indebolire il Partito democratico all'ultimo minuto, facendo ritirare Monique dall'agone. Ufficialmente, il suo ritiro è stato "per motivi personali" ma in realtà lei e Mather hanno fatto un patto. Monique si è accorta solo in seguito che lui non ha nessunissima intenzione di rispettarlo, tuttavia: non diventerà mai senatrice o membro del Congresso, né tantomeno farà parte del Gabinetto se un domani lui dovesse vincere le presidenziali. Si è fatta fregare, perché all'epoca, diciamo la verità, era confusa, non pensava con lucidità. «Ascoltami bene, Monique» le dice Mather. «Questa iniziativa è futile e sciocca e l'ultima cosa di cui tu hai bisogno in questo momento è una pubblicità negativa. Ne hai già avuta abbastanza.» «Non conosci i fatti. Quando capirai come sono andate le cose, cambierai idea.» «Okay, parlamene. Vediamo se modifico la mia opinione.» «Non si tratta semplicemente di un omicidio commesso quarantacinque anni fa e mai punito» comincia Monique. «Ma di un'alleanza con la Gran Bretagna per risolvere uno dei più terribili misteri della storia criminale. Quello dello Strangolatore di Boston.» Il governatore si rabbuia. «Cosa c'entra la Gran Bretagna con una ragazza cieca violentata e uccisa a Watertown? E con lo Strangolatore di Boston?» «Janie Brolin era cittadina britannica.» «E chissenefrega! Manco fosse la madre di Bin Laden!» «Molto probabilmente fu uccisa dallo Strangolatore di Boston. Scotland Yard ha manifestato parecchio interesse. Ho parlato a lungo con il commissario.» «Non ci credo. Perché il commissario di Scotland Yard dovrebbe parlare
a lungo con un procuratore distrettuale del Massachusetts?» «Forse perché è un professionista serio, che crede in quello che fa» ribatte lei, astuta. «Teniamo conto che è vantaggioso sia per la Gran Bretagna sia per gli Stati Uniti stabilire un rapporto di collaborazione con un nuovo Primo ministro e la prospettiva di avere un nuovo presidente, che non sia...» Si ricorda appena in tempo che ha cambiato bandiera e deve stare attenta a ciò che dice. «Okay, ma su questioni come il terrorismo o l'Iraq» ribatte Mather. «Non per lo Strangolatore di Boston!» «Ti assicuro che Scotland Yard è interessatissima. Non spingerei, se non fosse così.» «Mi sembra incredibile...» «Senti, Howard, le indagini sono già partite. La macchina è già in moto. Questa è una delle coalizioni più straordinarie della storia. Gran Bretagna e Stati Uniti troveranno insieme il colpevole dell'omicidio di una povera donna indifesa, non vedente. Un donna come tante in un luogo come tanti: Watertown.» «Mi sembra un'assurdità.» Ma è interessato. «Se il mio piano avrà successo - e lo avrà - il merito sarà tutto tuo. Apparirai come un uomo di cuore che si batte per la giustizia. A livello internazionale, bada bene. Potresti finire sulla copertina del "Time" come uomo dell'anno.» Naturalmente Monique non permetterà che tutto il merito vada a Howard Mather. A finire sulla copertina del "Time" sarà lei e non il governatore. «Per quanto l'ipotesi che a uccidere questa povera ragazza inglese sia stato lo Strangolatore di Boston sia affascinante, non vedo proprio come riuscirai a dimostrarlo» dice il governatore. «Basta che non venga dimostrato il contrario. Il successo è assicurato.» «Spero che tu sappia quello che fai» la ammonisce. «Se dovesse finire male, andrai tu alla gogna, non io.» «Ragione di più per non dire nulla ai giornalisti, almeno per ora» ribadisce Monique. Mather lascerà trapelare subito la notizia. «Renderemo pubblica l'indagine solo se avrà i risultati sperati» dice Monique. Mather non aspetterà. «E, come dicevo, li avrà.»
Naturalmente, Mather legge fra le righe. Monique capisce a cosa pensa guardandolo negli occhi. Che essere spregevole e codardo! Vuole allertare i media perché nella sua ristrettezza mentale è convinto che, se l'iniziativa di Monique fallirà, per lei sarà un colpo talmente grosso che non si riprenderà più. Se invece dovesse avere successo, allora lui potrà farsi avanti e prendersi tutto il merito. Non si rende conto che così si rivelerà il politico cinico e disonesto che è. E che alla fine l'unica a vincere sarà lei, grazie a Dio. «Hai ragione» dice Mather. «Per ora manteniamo il massimo riserbo. Aspettiamo di vedere i risultati.» Percorrono Revere Beach Parkway, oltre il Richie's Slush con la sua insegna a forma di bastoncino di zucchero a righe, diretti a Chelsea. «Da non confondersi con la famosa Chelsea londinese» dice Stump. «È un'allusione colta?» chiede Win. «No, un'elegante zona di Londra. Un quartiere bellissimo.» «Non sono mai stato a Londra.» La Chelsea del Massachusetts, a tre chilometri da Boston, è una delle città più povere di tutto lo Stato, con la più alta percentuale di clandestini e di criminalità. La gente parla lingue diverse, ha culture diverse, vive in troppo poco spazio e con troppo poco denaro e non va d'accordo. Le differenze portano al conflitto, e il conflitto alla galera o al cimitero. Le bande imperversano, seminano violenza, furti e morte. «Un esempio di quel che succede quando la gente non si capisce» dice Stump. «Ho letto che da queste parti si parlano trentanove lingue diverse. Le persone non riescono a comunicare, un terzo di loro è analfabeta. Si fraintendono e poi si pestano, si pugnalano, si sparano in mezzo a una strada. Tu parli spagnolo?» «Conosco alcune parole importanti, come no. Che in spagnolo vuol dire no.» Il paesaggio peggiora di giorno in giorno: catapecchie con le assi alle finestre, negozietti dove si cambiano assegni, autolavaggi, misere botteghe. Stump si addentra nella cittadina, cupa e tetra, con il GPS che dondola dallo specchietto che le dice di svoltare a destra, poi a sinistra. Entrano in una zona industriale che ai tempi in cui la mafia era in auge era l'ideale per sbarazzarsi dei cadaveri. È piena di capannoni arrugginiti, magazzini, discariche. Stump gli dice che solo alcune delle attività che si svolgono a Chelsea sono legali e molte nascondono traffici di droga, smercio di roba
rubata e "smaltimento" di auto, camion, moto e piccoli velivoli. «Persino uno yacht, una volta» aggiunge. «Il proprietario voleva i soldi dell'assicurazione. Ha fatto denuncia di furto, l'ha trasportato qui e l'ha ridotto a un bel cubo di lamiera.» Gli suona l'iPhone. Il display dice "numero privato". Sarà Monique Lamont. Win risponde e riconosce la voce di Cal Tradd, il giornalista del "Crimson". «Come hai fatto ad avere il mio numero?» chiede Win. «Me l'ha dato Monique. Mi ha detto lei di chiamarti. Volevo chiederti qualcosa del caso Janie Brolin.» Maledizione a lei. Gli aveva promesso che i media sarebbero rimasti all'oscuro di tutto fino alla risoluzione del caso. «Senti, è importante» insiste Cal. «Vorrei che mi confermassi che te ne stai occupando tu e che c'è un legame con lo Strangolatore di Boston.» «Vaffanculo. Quante volte devo dirti che non parlo con i giornalisti...» «Non hai sentito la radio? Non hai visto la TV? Il tuo capo è furioso. La cosa è arrivata ai giornalisti e io ho il sospetto che la soffiata venga dall'ufficio del governatore. Non farò nomi, ma ti basti sapere che conosco un po' di deficienti che lavorano lì e...» «Io non confermo niente» lo interrompe Win. Chiude la comunicazione e dice a Stump: «La notizia è arrivata ai media». Stump non dice niente, continua a guidare e a imprecare contro il GPS, che le dice di fare inversione "appena possibile". 6 Stump parcheggia in un vicolo da cui si vede bene il parco rottami di DeGaetano & Sons, montagne di lamiere e pezzi di metallo dietro una recinzione protetta con il filo spinato. Dice a Win: «Hai visto dove siamo?». «Già da un po'. Pensi che passi le mie giornate nei caffè di Cambridge?» le risponde. Clienti con l'aria truce entrano a bordo di camion, auto e furgoni carichi di alluminio, ferro, ottone e, naturalmente, rame. Con lo sguardo furtivo, scaricano il metallo dentro carrelli da supermercato e lo portano all'interno del capannone, scomparendo in una rumorosa oscurità. «Una Taurus priva di contrassegni ferma in un vicolo?» continua Stump. «Tanto vale venire con un Boeing 747. Conviene che facciamo attenzione
a cosa succede qui in giro, perché sicuramente quelli fanno attenzione a noi.» «Non dovremmo farci notare in questo modo» suggerisce Win. «Il deterrente, per essere tale, deve essere visibile.» «Sì, come quando scacci gli scarafaggi: li spaventi, quelli si imbucano in un angolo e appena ti volti tornano dov'erano. Perché mi hai portato qui?» «Giusta, la metafora degli scarafaggi. È proprio quello che voglio fare: dare l'impressione di stare appresso ai ladruncoli, a quelli che lavorano nell'edilizia e rubacchiano metallo dai cantieri. Rottami, ma anche roba nuova. Lo portano qui, dove non gli viene chiesto né chi sono né da dove viene la roba e vengono pagati in contanti. I derubati non se ne accorgono nemmeno. Ricordami di non far fare ristrutturazioni in casa mia.» «Se vieni qui spesso, come mai usi il GPS?» le domanda Win. «Mi hai beccato: ho un pessimo senso dell'orientamento. Mi perdo con estrema facilità.» Da come lo dice, sembra la verità. «Ma preferirei che lo tenessi per te.» Win nota una persona magrissima, con abiti larghi e un berretto da baseball calcato sulla fronte, che scende da un pick-up pieno di lamiere, tubi e gronde in rame. «Criminalità disorganizzata, ecco come la chiamo» dice Stump. «Tutto diverso da quando ero piccola io. Allora a Watertown si conoscevano tutti; mafiosi e non mafiosi mangiavano negli stessi ristoranti, facevano gli auguri di Natale ai tuoi nonni e ti offrivano il gelato. La verità è che quando c'era la mafia, non c'era piccola criminalità. Ladri di appartamenti, stupratori, pedofili? Finivano tutti nel Charles River senza testa e senza mani.» Win si accorge che la persona magrissima che sta osservando è una donna. «La criminalità organizzata aveva i suoi vantaggi» continua Stump. «Perlomeno esisteva un codice. E quel codice non prevedeva che si potessero massacrare di botte le vecchiette, molestare i bambini, fregarti la macchina, irrompere in casa o spararti in testa per un pugno di monete. O anche per niente.» La donna magrissima spinge due carrelli verso il pick-up. «Rame. Al mercato nero cinese attualmente va sugli ottomila dollari la tonnellata.» Stump cambia improvvisamente discorso, e guarda dove sta guardando Win. «Stai cominciando a capire perché ti ho portato qui?» «Raggedy Ann» dice lui. «O come diavolo si chiama.» Sta riempiendo i carrelli di rottami di rame.
«Superladra» dice Stump. «Quella?» Win è incredulo. «Rubare ruba. Ma non è a lei che sto appresso. Io voglio il pesce grosso. Quello che porta via i tubi, le gronde, le lamiere. Che strappa chilometri di cavi elettrici, ruba nei cantieri e nei camion dell'azienda telefonica. Può darsi che con il rame finanzi qualche altro traffico, magari droga che poi rivende per strada. Magari OxyContin, che attualmente va a un dollaro il milligrammo. Dalla droga poi è un attimo passare ad altri reati, fino a violenza e omicidio.» «E tu pensi che la nostra Superladra rubi rame e lo porti qui» dice Win. «Da queste parti, sì. Questo dev'essere uno dei tanti posti con cui è in contatto.» Win osserva Raggedy Ann e dice: «Un'informatrice, immagino». «Ci stai arrivando, finalmente!» Raggedy Ann spinge il suo carrello con tutta la tranquillità del mondo, come se fosse abituata a quegli ambienti pericolosi. «Cosa ti fa pensare che sia una persona sola a compiere tutti i più grossi furti di rame?» chiede Win. «Un particolare: scatta foto. Ritroviamo sempre l'involucro di una macchina fotografica usa e getta, sempre della stessa marca. Solo H2O. Impermeabile, con flash; nei negozi costa circa sedici dollari, ma è difficile da trovare. Su Internet, la pigli per sei o sette. La lascia sempre lì, in bella vista.» La villa di Brattle Street. Mancavano gronde e tubi e in cucina c'era l'involucro di una Solo H2O usa e getta. Ed erano state lasciate delle prove che potevano portare a Win: roba sua, impronte delle sue scarpe. Gli viene la tentazione di dire a Stump che gli hanno rubato la sacca da ginnastica, ma si trattiene: non sa chi gli sta facendo questo. È impigliato in una ragnatela, e il ragno è Monique Lamont. Dice: «Avete rilevato qualche impronta sugli involucri delle macchine fotografiche?». «Macché. I reagenti normali non hanno funzionato sulla carta e la supercolla non ha dato risultati sulla plastica. Ma il fatto che non si vedano non significa che non ci siano: è possibile che i laboratori trovino qualcosa, avendo a disposizione strumenti un po' più sofisticati dei miei, che risalgono all'età della pietra. Sempre che ci si mettano, naturalmente.» Win fa per chiederle se conosce una società a responsabilità limitata che si chiama FOIL, ma non osa. Monique Lamont ha passato oltre un'ora in
quella casa vittoriana abbandonata. Con chi era? Che cosa faceva? «Posso farti una domanda, per pura curiosità?» dice a Stump. «Perché secondo te il ladro di rame scatta foto dei posti in cui ruba?» «La prima cosa che mi viene in mente è che ci provi gusto, si ecciti.» «Come il rapinatore che gode a lasciare tutte le volte lo stesso biglietto alle cassiere? Che vuole che sappiamo che è sempre lui ma non riusciamo a prenderlo perché non lascia nemmeno un'impronta parziale anche se dai filmati delle telecamere a circuito chiuso si vede benissimo che non porta i guanti?» «Dici che potrebbe trattarsi della stessa persona? Che le rapine in banca e i furti di rame potrebbero essere opera del medesimo ladro?» È scettica. «Non lo so. Ma non sono tanti i criminali che vanno in giro a sbandierare che sono stati loro. Adesso te ne ritrovi due che lo fanno nella stessa area geografica. Voglio dire, è un po' strano.» «Non sapevo che fossi anche un profiler, oltre a tutto il resto.» «Senti, sto solo cercando di darti una mano.» «Grazie, non mi serve.» «Perché mi hai fatto venire qui, allora? Avresti potuto dirmelo a voce, che Raggedy Ann era una tua informatrice. E io me ne sarei stato alla larga. Non c'era bisogno che me lo facessi vedere con i miei occhi.» «Così non hai dubbi.» «Mi dici come si chiama o devo chiamarla Raggedy Ann per il resto dei miei giorni?» «Non avrai a che fare con lei per il resto dei tuoi giorni, te lo assicuro. E non ti voglio dire come si chiama.» Guarda di là della strada. «Le regole sono queste: non l'hai mai vista in vita tua, lei non ha mai visto noi e non gliene frega niente. Siamo qui perché io ho fatto un salto da queste parti. Niente di che. Come ti dicevo, ogni tanto passo a dare un'occhiata.» «Immagino che anche tu farai finta di non conoscerla.» «Esattamente.» Raggedy Ann spinge il carrello dentro il capannone. «Quello che gestisce il parco rottami si chiama Bimbo ed è un ubriacone. Pensa che io sia sua amica. Vieni» dice Stump. Scendono dalla macchina e attraversano la strada, con mille occhi addosso. Il capannone è sporco e rumoroso. Gli uomini dividono il metallo, lo tagliano, eliminano viti, bulloni, chiodi e rivestimenti. Raggedy Ann spinge il carrello pieno di rame sulla bilancia, che è dello stesso tipo usato negli obitori per pesare i cadaveri. Da un cesso di ufficio esce un uomo
basso, con il gel nei capelli, grosso come una balla di fieno, muscoli da abuso di steroidi. Le dice qualcosa e Raggedy Ann esce dall'officina. Poi l'uomo fa segno a Stump. «Ohi, come va?» «Volevo presentarti un mio amico» dice Stump. «Mmh. Mi pare di averlo già visto. Sul giornale?» dice Bimbo. «Sì, l'avrai visto sul giornale, o alla TV. Perché è della polizia di Stato e l'anno scorso ha dovuto ammazzare uno.» «Sì, me lo ricordo. Quello che si trombava il procuratore.» «Tranquillo, se è qui vuol dire che va bene» dice Stump, riferendosi a Win. Bimbo lo squadra da capo a piedi, poi fa: «Se lo dici tu, ci credo». «C'è stato un problemino a Lincoln. Un altro colpo, due sere fa. Capisci cosa ti voglio dire?» gli spiega Stump. «Qui arriva di tutto» risponde Bimbo. «Che colpo?» «Una casa grande, da quattro milioni di dollari. Appena prima di intonacare, arriva uno e si porta via tutti i cavi. E così adesso, per evitare che succeda di nuovo, devono prendere qualcuno che sorvegli il cantiere ventiquattr'ore su ventiquattro.» «Cosa vuoi che ti dica?» Bimbo fa spallucce. «Il rame non parla. Fra ieri e l'altro ieri, cavi me ne sono arrivati un casino. Sono già tutti fusi, però.» Raggedy Ann arriva con un altro carrello di pezzi di rame e pesa anche quello. Non degna neppure di uno sguardo né Stump né Win. Come se non esistessero. Bimbo dice a Stump: «Starò attento. Non voglio grane, io. Voglio che sia tutto regolare». «Già. Tutto regolare» dice Stump mentre si allontana con Win. «L'unica cosa che non è rubata, qui dentro, è il capannone.» «Hai detto chi ero a quel delinquente» replica Win arrabbiato, mentre risalgono in macchina. «Qui non frega niente a nessuno chi sei, se non frega niente a Bimbo. E adesso Bimbo sta tranquillo, perché l'ho rassicurato io.» «Non mi va lo stesso. La prossima volta, prima me lo chiedi.» «Sei sul territorio del FRONT, adesso. Qui giochi secondo le nostre regole, non le tue.» «Ma se mi hai detto che non dovevo metter piede nel tuo territorio, che dovevo levarmi di mezzo e lasciarti in pace!» «Se ti ho presentato a Bimbo, è perché fa parte del gioco. Così lui pensa
che tu stia dalla mia parte e se ti rivede - te o qualcun altro - non fa casini.» «Perché dovrebbe rivedermi?» «Le probabilità che ammazzino qualcuno, da queste parti, sono abbastanza alte. Se te ne devi occupare tu, ti ho appena fornito un comodo lasciapassare. Non devi ringraziarmi, fa lo stesso. E, casomai non avessi capito, riguardo a Raggedy Ann dicevo sul serio: stalle alla larga.» «Dille di smettere di scrivermi bigliettini, allora.» «Già fatto.» «Hai detto che è una ladra. Quel rame è rubato, allora?» «Quello che le hai visto scaricare adesso no. Ho un amico che lavora nell'edilizia che mi fa un favore. Le dà abbastanza rottami da poter venire qui da Bimbo una o due volte la settimana.» «E il tuo amico sa che è per un'informatrice?» «Andrebbe tutto a farsi friggere, se lo sapesse.» «Lo sospetta, almeno? Lui o qualcun altro?» «Non vedo perché. Quella donna fa di tutto per raccattare un po' di quattrini. Una vergogna. È pure di buona famiglia, pensa tu. Ma come un sacco di altri ragazzi ha cominciato a drogarsi. Si impasticcava, si faceva di eroina. E così ha iniziato a prostituirsi e rubacchiare per pagarsi la dose. Si è fatta anche due anni di galera per aver pugnalato il suo protettore. Grave errore: avrebbe dovuto ammazzarlo. Appena uscita, ha ricominciato subito a bucarsi. L'ho fatta entrare in una comunità e pian piano è uscita dal tunnel. Insomma, per fartela breve: per me è importante e non voglio che muoia.» Mentre passano davanti ad altri capannoni arrugginiti, sobbalzando sui binari ferroviari, le suona il cellulare, ma Stump non risponde. «Un paio di Natali fa ho perso un'informatrice preziosissima» spiega a Win. «Me l'ha bruciata un tipo che lavorava in una task force, pensa. Ci stava insieme e ha fatto il suo nome in un affidavit perché nessuno le credesse, nel caso avesse cercato di sputtanarlo. Così l'ha sputtanata lui per primo, e lei si è beccata una pallottola nella testa, poveraccia.» Il cellulare riprende a suonare e Stump lo ignora. È la quarta volta che suona da quando sono usciti dal cantiere, e non ha neppure guardato chi è. L'Istituto di analisi forensi della polizia di Stato segue un protocollo molto semplice: le prove da sottoporre a perizie ed esami devono essere legate a un reato preciso. Quello che Win ha nei suoi sacchetti di carta marrone non è legato in
maniera incontrovertibile a un crimine, ma solo a sue paure personali: vuole scoprire se Monique Lamont è coinvolta in qualche attività illecita e ha intenzione di dare la colpa a lui. Benché l'immaginazione non gli manchi, non riesce a capire quali possano essere le motivazioni di un simile comportamento. Perché qualcuno avrebbe dovuto introdursi di soppiatto in casa di Nana e rubargli la sacca da ginnastica? Come faceva questo qualcuno a sapere che Win ha una nonna, la va a trovare quasi tutti i giorni e le lascia la roba della palestra da lavare? E che Nana non chiude la porta, non inserisce l'allarme, rendendo facilissimo rubare in casa sua? All'ingresso dei laboratori, Johnny guarda interessato lo schermo del suo computer. «Come va la vita?» gli chiede Win. «Hai visto che roba?» dice Johnny, indicandogli il monitor. «Incredibile, cazzo.» Gli mostra il filmato di Monique Lamont nella toilette. Win non ne sapeva niente e lo guarda interessato. Tailleur verde di Escada, borsa di Gucci coordinata alle scarpe con il tacco alto. La toilette dev'essere quella della Kennedy School of Government. Win ricorda che, al termine della conferenza, Monique gli ha ordinato di andarle a comprare un latte macchiato ed è sparita per un'ora. Ma è irrilevante, in fondo. Chiunque avrebbe potuto nascondersi nella toilette delle donne, se avesse pianificato prima tutta la faccenda, e aspettare che lei entrasse. Si tratta evidentemente di una trappola preparata con cura. La persona che l'ha ripresa deve aver atteso che i bagni fossero vuoti ed essersi appostata in una toilette. Una donna, o qualcuno che si è travestito da donna. O anche no: l'importante è che non si sia fatto vedere da nessuno. «Che stronzata, eh?» dice Johnny. «Se uno fa una roba così a mia moglie, lo ammazzo. È scoppiato un casino, mi par di capire. Mick era nell'ufficio del direttore manco un'ora fa, per... com'è che si chiama? La signora della scuola per i ciechi strangolata che è su tutti i giornali...» «Janie Brolin.» «Lei.» «Lo avrà mandato il procuratore per via delle eventuali prove, sempre che siano state conservate. Oppure per raccomandare a tutti quanti di non parlare con i giornalisti» dice Win. «O almeno così penso io.» «Io pure. Certo che è talmente antipatica che uno si dimentica che è un gran pezzo di... Non so se mi spiego. Ha un paio di...» «Tracy c'è?» lo interrompe Win.
«Te la chiamo.» Senza staccare gli occhi di dosso a Monique Lamont nella toilette. Tracy c'è e Win percorre il lungo corridoio, oltre la stanza in cui si lasciano le prove da analizzare, ed entra nel laboratorio. Tracy è seduta alla sua postazione e osserva due impronte digitali ingrandite sullo schermo, confrontandole. «Siamo nel bel mezzo di una discussione» gli dice, senza alzare gli occhi. Win posa i sacchetti di carta. Tracy sposta la freccetta del cursore sulla finestra a sinistra dello schermo e poi su quella a destra. «Il computer mi segnala tre creste, fra questi due punti. Io però ne conto quattro. Come al solito, al computer sfugge qualcosa che invece io vedo. Colpa mia, perché ero di corsa e non ho seguito la solita procedura e l'ho messo in modalità automatica. Dimmi, Win: cosa posso fare per te? Perché, quando ti vedo con quei sacchetti di carta, capisco che hai bisogno di me.» «Uno è un caso ufficiale, l'altro no. Insomma, ti sto chiedendo un favore.» «Ma va'?» «Non posso entrare nei particolari.» «Non voglio che tu lo faccia: preferisco mantenere la mia imparzialità e contrastare la mia tendenza a ritenere colpevoli tutti.» «Okay. Ci sono: una lattina che ho recuperato da un cestino dell'immondizia l'altro giorno. Un messaggio firmato Raggedy Ann, completo di busta. Non ridere, per favore. Sulla busta c'è qualche impronta, che però potrebbe essere del mio padrone di casa. Comunque è anche lui nel database, a scopo di esclusione. Non è la prima volta che mi contamina delle prove. Al foglietto non ho fatto niente e so chi me lo ha scritto, ma vorrei che mi facessi lo stesso qualche test. Se riesci, vorrei anche il DNA dalla lattina e l'adesivo della busta. Ti ho anche portato una candela, una bottiglia di vino - un pinot di classe - su cui potresti trovare impronte mie e della signora del negozio dove l'ho comprato. Anche lei è nel database, visto che lavora in polizia. Ho inoltre alcune foto di impronte di scarpe e la cartuccia nove millimetri che ho usato come scala di riferimento. Mi spiace, ma non avevo righelli a portata di mano.» «E cosa vorresti che facessi di queste impronte di scarpa?» «Per ora tienile e basta. Caso mai in seguito troviamo qualcosa con cui confrontarle.» Le scarpe di Prada che gli hanno rubato, per esempio, sem-
pre che le ritrovi. «Infine, c'è l'involucro di una macchina fotografica usa e getta» conclude. «Ce ne sono arrivati parecchi, ultimamente, da tutta la contea.» «Lo so. Gira voce che ve ne state disinteressando.» «Per quanto mi riguarda, è vero» risponde Tracy. «Se non hanno trovato niente i loro tecnici, cosa vogliono che troviamo noi? Sperano che abbiamo la bacchetta magica? Mi sa che guardano troppa televisione, pure loro.» «I tecnici del FRONT, dici?» «Be', anche.» «La persona che si è lamentata con me è una donna e non crede nelle bacchette magiche» dice Win. «Siccome l'involucro della macchina fotografica usa e getta che ti ho portato io è dello stesso tipo, potresti farli tutti insieme. Al più presto. Ho una mezza idea.» «Con te, è sempre tutto urgente. Sentiamo la tua idea.» «Cosa ti aspetti che abbia sulle mani un ladro di rame?» le domanda Win. «Un sacco di sporcizia. Perché tocca gronde ossidate, tetti, muri...» «A parte la sporcizia. Mi riferisco a particelle non visibili a occhio nudo» precisa Win. «Vuoi che esamini il tuo involucro al microscopio?» «No, preferirei il luminol» dice Win. «Vorrei che controllassi se c'è presenza di sangue.» Win si sente osservato, mentre ordina un caffè shakerato da Starbucks. Si volta e vede Cal Tradd. Almeno ha la decenza di non attaccare discorso in un luogo pubblico. Win paga, prende una manciata di tovagliolini di carta e una cannuccia ed esce ad aspettarlo vicino alla macchina. È ora che si parlino, che si chiariscano. Cal compare pochi minuti dopo, con un caffè con panna, cioccolato e ciliegina in cima. «Mi stai seguendo?» lo affronta Win. «Mi sento pedinato.» «L'hai notato allora.» Lecca la panna. Ha un paio di occhiali da sole molto belli, Maui Jim, da trecento dollari. «In realtà stavo andando al dipartimento di polizia. Come te, probabilmente. Altrimenti non ti faresti del male al sistema nervoso bevendo un caffè dietro l'altro da Starbucks. Ho visto la tua macchina e ho pensato che fossi qui.»
«Davvero? E come fai a sapere qual è la mia macchina?» «So dove abiti. Stavo per venire a stare anch'io in quel palazzo, il primo anno di università. Al secondo piano lato sud, con le finestre che davano sullo spiazzo dove Farouk ti lascia posteggiare la Ducati, la Harley, l'Hummer e anche quest'affare.» Indica la Buick. «Insomma, tutti i tuoi mezzi di trasporto privati.» Win lo fissa, occhiali da sole contro occhiali da sole. «Chiedi a Farouk. Si ricorda di sicuro di me» continua Cal. «Il biondino gracile con la madre iperprotettiva che ha deciso che il figlioletto non poteva stare in quella ex scuola. Non che il posto sia pericoloso, a dire il vero. Ma sai com'è la gente: giudica dall'aspetto, dalle apparenze. E io sono ricco, suono il piano, scrivo, prendo ottimi voti, sono vagamente efebico: insomma, tendo a passare per frocio. Il bersaglio ideale per qualunque bullo.» Lecca di nuovo la panna. «Ti ho visto, quel giorno, a proposito. Tu non puoi ricordartelo, ma mentre uscivi dal palazzo per andare alla tua Crown Vic ci sei passato davanti. E mia madre mi ha chiesto: "Chi è quel bell'uomo? Lo conosci?". Il mondo è piccolo, eh?» «Senti, lascia perdere. Non ho voglia di parlare con te» dice Win. «Non devi per forza parlare. Basta che ascolti.» Osserva il traffico lungo Mt. Auburn Street, la grande arteria che collega Watertown a Cambridge. Win apre la portiera. Cal beve con la cannuccia e dice: «Voglio scrivere un servizio sul furto del rame: è un problema grosso, come tu ben sai. Di portata internazionale. Be', c'è una tipa un po' matta, furba per certi versi e completamente andata per altri». Win immagina che si riferisca a Raggedy Ann. «L'ho vista in giro e mi si sono rizzate le antenne» continua Cal. «E un certo Bimbo. Un ladrone, se ce n'è uno. L'ho intervistato un paio di volte. Be', due o tre ore fa vado nel suo covo di ladroni e vedo che dà dei soldi alla tipa. La pazzoide che avevo già visto in Harvard Square vestita come una bambolina e che ronza intorno a Monique.» «Come, ronza intorno a Monique?» Win si appoggia alla macchina, con le braccia conserte. Cal fa spallucce, beve il suo caffè al cioccolato. «È sempre fuori dei centri congressi, sale conferenze, il tribunale, la facoltà. L'avrò vista cinque o sei volte, nelle ultime settimane. Calze a righe, scarpette da bambola. Non ho fatto mente locale finché non l'ho incontrata oggi al parco rottami, vestita in maniera completamente diversa, abiti larghi e berretto da baseball,
che vendeva rame. Insomma, te lo volevo dire.» «Non hai chiesto informazioni al tuo amico ladrone, come si chiama?» «Bimbo. Certo. E la sua risposta è stata quella che immaginavo: lui non sa niente. Il che significa che vende rame rubato, no?» «Okay. E allora?» «L'ho seguita per un po'. Ha un furgone Volkswagen dell'epoca di Woodstock, con le tendine: probabilmente ci dorme dentro. Non eravamo nemmeno arrivati al Mystic River che già avevo la sensazione di essere seguito pure io. Un altro furgone, tipo impresa edile. Può darsi che fosse da Bimbo anche lui, non so. E così a Charlestown ho lasciato perdere.» «L'intrepido giornalista si è arreso subito.» «Hai idea di che gente è quella che traffica in rame?» dice Cal. «Se gli fai uno sgarbo, non ci pensano due volte a tagliarti la gola.» 7 Un sergente accompagna Win in un locale umido e pieno di scaffalature di metallo con scatoloni e classificatori impolverati. Gli archivi del dipartimento di polizia di Watertown sono nell'ex caveau di una banca, al piano sottostante le celle. «Immagino non abbiate un vero e proprio sistema di archiviazione» dice Win. «Mi spiace, il bibliotecario oggi è malato e i suoi dieci assistenti sono in ferie. Tira pure giù quello che vuoi e guardalo, ma non fare fotocopie. È vietato anche fotografare. Ma puoi prendere appunti.» L'aria è spessa di polvere e puzza di muffa. Win ha già il naso chiuso. «Se trovo quello che cerco, posso venire a guardarlo su? Magari in una saletta della divisione investigativa?» chiede Win. «Mi spiace. I documenti devono restare qui: se li vuoi consultare, devi stare qui anche tu.» «Non c'è un'altra luce?» Ci sono soltanto due lampade al neon: una è morta e l'altra sta perdendo la voglia di vivere. «Non ci crederai, ma quelli della manutenzione sono in sciopero.» Il sergente scompare, con il suo grosso mazzo di chiavi. Win accende la torcia e passa il fascio di luce su una serie di registri che risalgono agli anni Venti. Non ce la farà mai, se non può fare fotocopie: è come pensare di attraversare la giungla senza un machete. In circostanze
normali, con un bel po' di tempo a disposizione, qualcosa riesce a tirare fuori, anche da pagine piene zeppe di testo. Quando gli va bene, è "talmente occupato" che chiede a qualcun altro di leggergli i testi ad alta voce e registrarli su CD. Così poi lui li ascolta in macchina, in palestra e persino quando va a correre, memorizzando tutti i dettagli. Sale su una scala a pioli, tira giù un registro relativo al 1962 e cerca uno spazio su cui appoggiarlo. Lo posa su un cassetto aperto e comincia a sfogliarlo. Starnutisce, gli bruciano gli occhi, sta malissimo. Il 4 aprile, trova la segnalazione scritta a mano dell'omicidio di Janie Brolin. Si appunta il luogo del delitto, ovvero l'indirizzo di casa della Brolin. Già questo cambia completamente tutto lo scenario. Non riesce a capire: possibile che non l'abbia notato nessuno? Come può essere stato lo Strangolatore di Boston? Riprende la ricerca, frugando nei cassetti. I casi non sono in ordine alfabetico: sono archiviati secondo un numero, le cui ultime due cifre si riferiscono all'anno. Il caso Brolin è il numero WT218-62. Controlla le targhette, apre quello che dovrebbe essere il cassetto giusto e trova talmente tanti documenti che ne deve togliere un po' per vedere che cosa c'è dentro. Tira fuori la pratica Brolin, ma guarda anche quelle vicine, avendo imparato che non è insolito che un documento finisca per sbaglio in una cartellina diversa. Dopo un'ora di prurito e starnuti, con la bocca impastata di polvere, trova una busta in fondo al cassetto, con su scritto il numero del caso Brolin. Contiene un articolo di giornale su un certo Lonnie Parris, ventisei anni, investito da un'auto mentre attraversava Massachusetts Avenue, a Cambridge, all'altezza del Chicken Delight. L'auto pirata lo ha ucciso alle prime ore del mattino il 5 aprile 1962, il giorno dopo l'assassinio di Janie Brolin. Tutto qui: un semplice articolo di giornale. Ma perché sulla busta c'è lo stesso numero della pratica Brolin? Win non riesce a trovare un dossier sulla morte di Lonnie Parris, probabilmente perché è di competenza di Cambridge. Frustrato, prende il suo iPhone, ma non riesce né a telefonare né a collegarsi a Internet perché in quell'antro non c'è segnale. Esce dall'archivio, sale le scale di corsa e si ritrova al piano delle celle. Nell'atrio ci sono telecamere, etilometri e manette appese al muro, probabilmente per mettere paura ai fermati e convincerli a comportarsi come si deve mentre aspettano di venire fotografati e di lasciare le impronte digitali. Maledizione, non c'è campo neanche lì. Prova il telefono sulla scrivania, ma non sa quale codice è necessario digitare per le chiamate esterne. «Stump? Sei tu?» chiede una voce tonante.
Una donna, da una cella. Probabilmente è una detenuta in attesa di essere trasferita nel carcere della contea. «Ne ho abbastanza per oggi, capito?» Di nuovo la stessa voce. «Sei tu?» Win passa davanti alle celle vuote, con le pesanti porte di metallo spalancate, e sente un lieve odore di ammoniaca: urina. La quarta cella è chiusa e sulla porta c'è il codice Q5+, quello dei detenuti a rischio di suicidio. «Stump?» «Gliela chiamo, se ha bisogno» dice Win. Sbircia dalla finestrella di rete metallica e non crede ai propri occhi. Raggedy Ann è seduta a gambe incrociate sulla branda, in una cella poco più grande di un armadio. «Le serve qualcosa?» le domanda. «Dov'è Stump? Ho bisogno di Stump.» Vicino alla porta c'è un telefono da cui i detenuti possono effettuare chiamate a carico del destinatario. Di fronte, sul davanzale della finestra, c'è una boccetta di disinfettante. «Ho fame!» grida la donna. «Perché l'hanno messa dentro?» «Geronimo» dice lei. «Io ti conosco.» Sentendola parlare, Win capisce le considerazioni che ha fatto Farouk: una bianca che parla come un nero. «Come fa a conoscermi? A parte che ci siamo visti per caso due o tre volte, in città.» In tono cortese. «Lasciami perdere. Non c'ho niente da dirti, a te.» «Posso portarle qualcosa da mangiare, se ha fame» dice Win. «Okay. Un cheeseburger, patatine e Coca-Cola Light.» «E di dolce?» «Non mangio dolci.» Coca-Cola Light, niente dolci: molto strano, per un ex tossicodipendente, pensa Win. In genere chi cerca di liberarsi dalla schiavitù dell'eroina è golosissimo di zuccheri. Dalla finestrella, può guardarla senza essere troppo sfacciato. Indossa gli stessi vestiti che aveva al parco rottami. Le scarpe da ginnastica hanno i lacci: inconsueto, se è a rischio di suicidio. La cella, naturalmente, non ha portasciugamani, sbarre alle finestre e neppure maniglie, nulla a cui appendere un eventuale cappio. Tuttavia, è strano che le abbiano lasciato tenere le stringhe delle scarpe. Quando non è vestita da bambola, sembra una donna di strada. Non sarebbe neanche male, se non avesse i capelli da tutte le parti. Ha modi ner-
vosi, da schizzata: si passa continuamente la lingua sulle labbra, si mangia le unghie, batte il piede per terra. Nonostante tutto quello che ha sentito sul suo conto, Win non può fare a meno di provare pena per lei. È convinto che a nessuno faccia piacere prostituirsi per procurarsi una dose o vivere per strada e rovistare fra i bidoni della spazzatura. Le anime più tormentate che fanno quella fine in genere nascono con il patrimonio genetico sbagliato, oppure sono vittime di abusi, o tutt'e due. E fanno una vita da cani. Tira su la cornetta del telefono rosso vicino alla porta, lo disinfetta e fa una telefonata a carico del destinatario. L'operatore comunica a Stump che ha una telefonata da Win Garano. Stump la accetta. «Mi chiami a carico mio?» lo aggredisce. «Dove sei?» «Nel tuo dipartimento, al piano delle celle. Ero in archivio.» Stump si irrigidisce. «Cos'è successo?» «Il telefono nell'archivio non prendeva e così sono salito al piano di sopra. E indovina chi ho trovato.» «Cosa ti ha detto?» «Che ha bisogno di vederti. E che gradirebbe un cheeseburger. Mi scusi.» Rivolgendosi a Raggedy Ann. «Come lo vuole?» Borbottio di sottofondo. Poi: «Ben cotto, senza maionese, doppi cetriolini». «Senti, adesso ho da fare. Forse ti sei scordato che ho anche un avviato esercizio commerciale.» Si tiene il telefono fra la spalla e l'orecchio e accende l'affettatrice. È l'orario di maggiore affluenza, quando davanti al banco della gastronomia i clienti fanno la fila. Una signora ha l'aria piuttosto impaziente e dietro di lei ci sono altre due persone. Stump ha la sensazione di essere sul punto di perdere il controllo sulla propria vita. Tutta colpa di Win, maledetto lui. Doveva proprio andare nelle celle per telefonare? Che iella! Da quando è arrivato lui, sembra che tutto vada a rotoli. «Si sta innervosendo» la informa Win. «Arrivo subito» replica Stump. Alla signora che evidentemente ha una fretta terribile dice: «Mi scusi. Sarò da lei fra un istante». «Quale vino mi consiglia con il salmone affumicato?» «Un Sancerre, oppure se preferisce un vino più abboccato un Moscato d'Asti. Lo trova sul terzo scaffale.» Torna a Win: «Dille che sto arrivando. Poi esci e aspettami fuori. Ti spiegherò tutto». «Non vuoi farmi una piccola anticipazione?»
«Motivi di sicurezza. Dopo che ti ho lasciato alla macchina, è sorto un piccolo problema.» Non ha pensato che lui sarebbe andato al dipartimento a fare una ricerca d'archivio. E comunque, anche se avesse preso in considerazione quella possibilità, mai più avrebbe immaginato che sarebbe andato a curiosare nelle celle. «Aspetta un secondo. Mi sta dicendo qualcosa. Sì, giusto. Vuole anche patatine e una Coca-Cola Light.» Sentire la voce di Win la inquieta. Win le provoca uno strano turbamento, che non sa come gestire. Non se l'aspettava. Pensava che fosse più facile, che lui arrivasse, lavorasse al caso affidatogli da Monique e se ne andasse. Anche il suo capo le ha detto di tenersene fuori, di non preoccuparsi, che non era affar suo. Gesù! All'inizio il problema era legato soltanto a Monique Lamont e Win era un mero personaggio secondario. Invece adesso è diventato il protagonista, quello che occupa tutta la scena. «Ci vediamo nel parcheggio fra venti minuti, mezz'ora» gli dice. Win è sulla macchina di Nana, quando gli si accosta una BMW 2002 rossa. «Sono impressionato» dice, mentre Stump abbassa il finestrino. «Sembra del 1973, con la carrozzeria e i paraurti originali. Rosso Verona? Ho sempre desiderato un'auto così. Anche gli interni in pelle nera sembrano originali. Hai cambiato soltanto i finestrini? Da qui sembra di sì. Da quanto tempo ce l'hai? Cinque, sei anni?» Nota il sacchetto del Wendy's sul sedile posteriore e le chiede: «Cos'è successo per cui hai dovuto rinchiudere la tua amichetta per motivi di sicurezza?». «Appena è andata via da Bimbo, è entrata al Filene's.» «A proposito, com'è che va in giro? Volevo già chiedertelo prima, ma poi mi sono scordato.» «Ha una vecchia Mini Cooper. Ti dicevo: è andata al Filene's e ha rubato un paio di trucchi e un walkman.» «Da questo hai dedotto che voleva suicidarsi?» «Q5+ sta a significare che bisogna prestare la massima attenzione: è instabile, basta niente a farla uscire di testa. In altre parole: è meglio evitarla.» «Non sei molto brava a dire le bugie, sai?» replica Win. «Filene's non vende elettronica. Non può aver rubato un walkman. E non credo nemmeno che guidi una Mini Cooper.»
«Perché non raccogli? Dovresti smetterla di farmi domande su cose che non ti interessano.» «Raccolgo, raccolgo. Anche perché mandi segnali che sembrano bang sonici. Ti do un consiglio, Stump: non parlare di posti che non conosci, come grandi magazzini che non hanno cabine di prova spaziose e staff capace di un po' di discrezione. Non so se tu debba toglierti la protesi per misurarti i pantaloni, ma immagino che tu preferisca servirti in negozi selezionati, boutique dove magari ti conoscono.» «C'è stato un problema, dopo che siamo andati via dal parco rottami» dice Stump. «Ha attirato l'attenzione della persona sbagliata, l'hanno seguita.» «Chi? Lo sai?» chiede Win, per vedere se gli dice la verità. «Un furgone, dice. Tipo edilizia. Si è spaventata. Ha avuto paura che qualcuno l'avesse riconosciuta e volesse vedere dove andava. Così mi ha chiamato e io l'ho fatta fermare da una volante e portare dentro.» «Per cosa?» «Ho detto che avevo un mandato d'arresto e che lei aveva telefonato per costituirsi. L'accusa è di furto di rame.» «Non mi hai detto che quel rame non era rubato? Che avevi un amico che ti faceva un favore? E non si può arrestare nessuno, senza l'originale del mandato...» «Senti, dovevo salvaguardare la sua incolumità e l'ho messa dentro, okay? Basta. Se davvero qualcuno la pedinava, ha visto la polizia che la fermava e la portava via in manette. Appena viene buio, la lascio andare.» «Questo significa che non potrà più andare al parco rottami.» «Non tornandoci confermerebbe gli eventuali sospetti. Penseranno che davvero collaborava con la polizia. Ammesso e non concesso che davvero qualcuno la stesse seguendo.» Win le riferisce il racconto di Cal. «Ottimo. Mi ci mancava solo un cazzo di reporter a far casino» replica lei. «Questa gente è spietata. Digli di stare attento, se non vuole lasciarci le penne. Che cosa fai tu qui?» A Win sembra più bella del solito, al volante della BMW rossa, nel sole del tardo pomeriggio. Le risponde: «Abbiamo poca memoria, eh? Ho l'incarico di indagare su un assassinio commesso quarantacinque anni fa che dicono essere opera dello Strangolatore di Boston. Anche se ho la certezza che non è così». «È sorprendente che tu ci sia arrivato tanto in fretta. Miracoloso, direi.
Ma come hai fatto a capirlo?» «Mi è bastato leggere i dossier. Tu sai come lavora la mafia, nella tua ridente cittadina?» «Come ho già avuto modo di dire, nella mia ridente cittadina si stava molto meglio quando c'era la mafia. Anche se ti prego di non andarlo a riferire in giro.» «Janie Brolin abitava in un palazzo in Galen Street, a due minuti dalla Piccolo's Pharmacy, che adesso non esiste più.» «E?» «Nel Southside, una zona che era in mano alla mafia. Nel palazzo di Janie e in quelli vicini abitavano un sacco di mafiosi, succedeva di tutto: scommesse, prostituzione, aborti illegali, traffico di gioielli. Tutto intorno alla Piccolo's Pharmacy, fra Galen e Watertown Street. All'epoca non c'era piccola criminalità, dico bene? Non ce n'era per niente.» «Ti vedo informato.» Stump spegne il motore. «Hai visto Il Padrino o cosa?» «Ho letto dei libri e sono stato a sentire la gente. Vado molto in macchina, ascolto audiolibri. Ho buona memoria. Janie Brolin è stata assassinata il 4 aprile, che era un mercoledì. E il mercoledì era il giorno in cui gli scagnozzi passavano a ritirare il pizzo. Quindi c'era un gran movimento, un'enorme attenzione. Perciò, riflettendo: com'è che Janie Brolin fu l'eccezione alla regola, l'unico omicidio commesso nel Southside all'inizio degli anni Sessanta, e soprattutto il giorno in cui il boss mandava i suoi uomini a ritirare il pizzo e c'era polizia dappertutto? Polizia e agenti federali. Allora, dimmi: secondo te, polizia e FBI non sapevano chi ha ucciso quella ragazza?» Stump scende dalla macchina. «Spero che tu non ti stia inventando tutto» dice. «Io ho la sensazione che lo sapessero. E che siano stati zitti. Conosci il detto "se pesti i piedi a un mafioso vuol dire che hai un amico nel clan rivale"?» «Ovverosia?» «Collusione, omertà. Janie Brolin non fu uccisa da un maniaco. Chi era il presidente degli Stati Uniti, nel 1962?» Si incamminano insieme verso la centrale di polizia. «Maledizione» fa lei. «Mi stai facendo venire la pelle d'oca.» «John Fitzgerald Kennedy. Che prima era senatore in Massachusetts e nacque proprio qui a Brookline. Tu conosci le teorie riguardo al suo assas-
sinio. Dicono che fu la mafia a eliminarlo. Probabilmente non lo scopriremo mai. Il punto è, però, che lo Strangolatore di Boston non avrebbe messo piede nel palazzo di Janie Brolin. E, se fosse stato così stupido da farlo, sarebbe finito nella baia di Dorchester con un'ascia nel petto. A pezzi.» «Capisco» dice Stump. Un'ora dopo sono in archivio e guardano il dossier di Janie Brolin. Stump legge, facendosi luce con la torcia, e Win prende appunti. «Perché non possiamo andare nel tuo ufficio?» protesta Win, che ha il naso e gli occhi che gli prudono. «Non capisci. L'ufficio è piccolo e siamo in quattro, più la talpa.» Si riferisce al funzionario amministrativo. «Tutti stanno a sentire tutti, prendono nota di quello che viene detto e poi chiacchierano, riferiscono. C'è bisogno che te lo dica io?» «Okay. Il tempo.» Win controlla i propri appunti. «Sappiamo com'era il tempo il 4 aprile 1962?» «Su questi rapporti non c'è niente.» Stump ha posato il dossier sul cassetto aperto, come aveva fatto prima Win, perché non c'è altro spazio. «Neanche sui giornali?» domanda lui. Stump controlla, aprendo le pagine con delicatezza, visto che sono rimaste piegate per oltre quarant'anni. «Qui dice che pioveva, quando arrivò la polizia intorno alle otto.» «Vediamo cosa abbiamo finora. Il ragazzo di Janie, Lonnie Parris, bidello e tuttofare alla Perkins, passava a prenderla tutte le mattine alle sette e mezzo. La mattina del 4 si presenta come al solito, ma lei non risponde alla porta. Visto che non è chiusa a chiave, lui entra, scopre il cadavere e chiama la polizia. Quando la polizia arriva, Lonnie però non c'è più. E questo attira i sospetti su di lui.» «Perché avrebbe chiamato la polizia, se l'avesse ammazzata lui?» dice Stump. «Torniamo ai fatti riportati nei rapporti. Un altro interrogativo.» Controlla le foto. «Quando arrivano gli agenti, piove. Perlustrano la casa, o perlomeno così dovrebbero fare. Noti niente di strano?» Stump osserva le fotografie e risponde pronta: «La moquette. È chiara, lo sporco si dovrebbe vedere. Piove, i poliziotti entrano ed escono, ma la moquette è pulita». «Infatti» concorda Win. «Forse i poliziotti erano meno di quanti supponiamo. O forse qualcuno ha fatto pulizia, per eliminare qualche prova. Andiamo avanti.»
«L'autopsia fu eseguita nell'obitorio di un'impresa di pompe funebri. Molto strano, non trovi?» dice Stump. «All'epoca forse non era così strano.» Gira pagina. «Causa del decesso: asfissia. La vittima venne strangolata con il suo stesso reggiseno» legge Stump. «Petecchie congiuntivali, emorragia laringea, tracce di midollo sulle vertebre cervicali.» «Coerente con l'ipotesi dello strangolamento» commenta Win. «Altre lesioni? Lividi, tagli, morsi, unghie rotte, fratture ossee?» Stump scorre il referto, studia i diagrammi e risponde: «Sembra avesse dei lividi sui polsi...». «L'avevano legata alla sedia.» «Sì, ma non solo. Qui parla di "lividi presumibilmente procurati dalla pressione di polpastrelli"...» «Vuol dire che l'aggressore l'ha afferrata per i polsi.» Win continua a scrivere sul blocco. «Janie oppose resistenza.» «Non potrebbero essere posteriori al decesso? Se l'ha trascinata da un posto all'altro e non l'ha uccisa dove poi venne ritrovata...» «Se si è formato il livido, vuol dire che il sangue circolava ancora» spiega Win. «Quando sei morto, i lividi non ti vengono più.» «Ecchimosi sulle braccia» continua Stump. «E sui fianchi, sulle natiche e sulle caviglie. Ovunque l'ha toccata, le ha procurato lividi.» «Va' avanti. Cos'altro dice?» «Hai ragione a proposito delle unghie rotte» dice Stump. «Si difese. Magari lo graffiò» osserva Win. «Spero che abbiano prelevato il materiale sotto le unghie. All'epoca il test del DNA non esisteva ancora, ma si poteva risalire al gruppo sanguigno.» Ci sono i referti di esami e analisi. Vennero effettuati diversi tamponi. Non si riscontrò traccia di liquido seminale. «Sotto le unghie, niente» dice Stump. Forse non guardarono neanche. Negli anni Sessanta si dava molto meno peso alle prove materiali. «Esame tossicologico?» domanda Win, continuando a prendere appunti che solo lui riesce poi a decifrare. «Alcol, droghe?» Stump cerca fra la documentazione e trova il referto di un laboratorio di analisi di Commonwealth Avenue, Boston. «Negativo. Niente alcol, niente droghe, però...» Alza un verbale di polizia. «Interessante. Qui parla di probabile consumo di sostanze stupefacenti.» «Forse perché trovarono qualcosa in casa» osserva perplesso Win. «Liquori, bottiglie?»
«Sto guardando» replica Stump. «Niente nel referto autoptico che indichi uso abituale di alcol o droghe?» «Non mi pare.» «Perché allora sospettavano che facesse uso di sostanze stupefacenti? Trovarono qualcosa nella spazzatura? O nell'armadietto dei medicinali? Che cosa venne ritrovato nel sopralluogo?» «Ecco qua» dice Stump. «Una siringa usata, con l'ago piegato, nel cestino del bagno. E nell'armadietto dei medicinali una fiala contenente una sostanza ignota.» «L'avranno pur analizzata, no? E anche la siringa, presumo. Controlla.» «Dunque, dunque» dice Stump, sfogliando le carte. «Sì, ai laboratori mandarono sia siringa sia fiala. Niente sostanze stupefacenti né nell'una né nell'altra. Ti leggo cosa dice a proposito del liquido nella fialetta: "Sostanza oleosa con particolato ignoto".» «Continua» dice Win, scrivendo più veloce che può. «Cos'altro recuperarono durante il sopralluogo?» «Gli abiti» legge Stump. «Gonna, camicetta, calze, scarpe... Ci sono le foto. Borsetta, portafogli... Portachiavi con medaglietta di san Cristoforo e due chiavi. L'ha protetta bene, poveraccia. Una chiave di casa, l'altra del suo ufficio alla Perkins. Erano vicino alla porta, per terra. Cadute dalla borsetta.» «Fammi vedere.» Win si fa dare tutte le foto e le osserva con attenzione, una per una. La scena del delitto, il cadavere all'obitorio. Nulla che non avesse già notato prima, ma lo scenario gli risulta sempre più insensato. Il letto è fatto e Janie Brolin sembra vestita per andare a lavorare. Una fialetta, una siringa, una sostanza ignota. Niente alcol, niente droghe. «Dermatite sul tronco. Aveva uno sfogo» legge Stump. «Che avesse una malattia a trasmissione sessuale? L'autopsia venne effettuata da tal dottor William Hunter, del dipartimento di Medicina legale di Harvard.» «L'università collaborava con la polizia di Stato negli anni Trenta e Quaranta» dice Win. «A cominciare fu Frances Glessner Lee, una donna straordinaria. Purtroppo il dipartimento da lei fondato non esiste più.» «Pensi che abbiano conservato qualcuna delle prove?» chiede Stump. «All'Istituto di Medicina legale di Boston?» «Non esisteva ancora, all'epoca» le risponde Win. «Venne fondato nei primi anni Ottanta. A occuparsi dei casi erano gli anatomopatologi dell'università. Se è rimasto qualcosa, sarà alla Countway Library of Medicine
di Harvard. Ma non credo che conservino vetrini. E comunque chissà quanto ci vorrebbe per trovare quelli che ci interessano.» Guarda le foto della camera da letto. I cassetti sono a soqquadro, ci sono vestiti sparsi ovunque. Sul comò, una spazzola, alcune boccette di profumo e un paio di occhiali scuri. Perplesso, Win chiede: «Perché i ciechi mettono sempre gli occhiali scuri?». Stump risponde: «Presumo che sia un modo per segnalare che non vedono. E per coprirsi gli occhi. Per imbarazzo». «Okay. Dunque non c'entra niente con il tempo. Con il fatto che piova o ci sia il sole» dice Win. «Non dico che gli occhi di un non vedente non siano sensibili alla luce. Ma non è per questo che portano gli occhiali scuri, giusto? Li indossano anche in casa.» Mostra a Stump una foto. «Se era pronta per andare a lavorare e aspettava che il suo ragazzo la venisse a prendere, come mai gli occhiali scuri sono ancora in camera sua? Perché non li aveva addosso? O nella borsa?» «Era una giornata grigia, piovosa...» «Ma abbiamo appena detto che non è per il sole che li mettono. L'hai detto tu stessa.» «Potrebbe esserseli dimenticati. Magari era in camera e stava per prenderli, quando è stata interrotta. Ci possono essere mille motivi.» «Forse» replica Win. «O forse no.» «A cosa stai pensando?» «Sto pensando che dovremmo mangiare qualcosa» le risponde. 8 Sono le nove di sera e nella sede dell'FBI di Boston l'agente speciale McClure sta usando lo sniffer della rete della Cyber Task Force per intercettare traffico Internet di interesse per le sue indagini. In particolare, cerca dati coerenti con il profilo delle e-mail inviate dall'indirizzo IP di Monique Lamont e ricevute da un altro indirizzo di Cambridge. Monique Lamont usa molto la posta elettronica e l'agente McClure deve controllare tutti i messaggi, anche quelli che non hanno nulla a che fare con il terrorismo e il sospetto che lei lo finanzi attraverso un ente di beneficenza a favore dei bambini romeni che potrebbe essere collegato a una organizzazione non profit a nome FOIL. L'FBI è sempre più convinto che esista una cellula terroristica a Cambridge e che Monique
Lamont la sostenga economicamente. L'agente McClure non si stupirebbe affatto, se fosse tutto vero. Harvard, Tufts e MIT sono pieni di studenti radicali che credono che la Costituzione consenta loro di dire e fare praticamente tutto quello che vogliono, anche se è antiamericano. Per esempio, manifestare contro la guerra in Iraq, chiedere la separazione tra Stato e Chiesa, mancare di rispetto alla bandiera e soprattutto attaccare con veemenza il Patriot Act, la legge che consente all'FBI di fare ciò che l'agente McClure sta facendo in quel momento, ovvero spiare i privati cittadini senza un mandato giudiziario, al fine di proteggere altri privati cittadini dalla minaccia del terrorismo. Si può sbagliare, questo è certo. È già successo che vengano analizzati nel dettaglio conti correnti, cartelle cliniche, caselle di posta e conversazioni telefoniche di gente che con il terrorismo non aveva nulla a che fare. Secondo l'agente McClure, tuttavia, quasi tutti quelli che sono nel mirino dell'FBI hanno qualcosa da nascondere. L'agente di commercio dell'Iowa John Deere, per esempio, che qualche mese fa si è improvvisamente trovato per le mani abbastanza denaro per saldare i cinquantamila dollari di debiti che aveva presso un certo numero di finanziarie. Gli è stato bloccato il conto corrente ed è venuto fuori che aveva una cugina di secondo grado che all'università divideva la stanza con una donna il cui nipote aveva una cognata la cui figlia acquisita aveva avuto una relazione omosessuale con una donna la cui migliore amica faceva la segretaria all'ambasciata iraniana di Ottawa. John Deere non sarà stato un terrorista, okay, ma era venuto comunque fuori che acquistava marijuana, anche se ufficialmente per uso terapeutico, ovvero per contrastare le nausee dovute alla chemioterapia. L'agente McClure legge un'e-mail spedita a Monique Lamont in tempo reale: Non mi tirerò indietro così facilmente. E tu come puoi farlo, dopo tutto quello che hai investito nell'unica passione vera e sincera che hai mai avuto in vita tua? Il problema è che tu pensi di poterla avere solo finché ti fa comodo, come se stesse soltanto a te decidere. Invece no. Questa volta non puoi controllare tutto. Ho un potere di distruzione che tu neanche immagini. È arrivato il momento di farti vedere di cosa sono capace. Domani sera alle dieci, al solito posto. Io
Monique risponde: Okay. L'agente speciale McClure invia le due e-mail a Jeremy Killien di Scotland Yard e scrive: Il progetto FOIL sta raggiungendo la massa critica. Poi ci ripensa. Chissenefrega di che ore sono in Inghilterra. L'FBI costringe i suoi agenti a lavorare giorno e notte: perché Scotland Yard dovrebbe fare diversamente? Perché Killien dovrebbe ricevere un trattamento speciale? Anzi, è un piacere disturbare l'ispettore Sherlock. Maledetti inglesi! Cos'hanno fatto, a parte concentrarsi su Monique Lamont dopo il suo ultimo exploit pubblicitario, grazie al quale hanno capito che era indagata? Così l'FBI ha dovuto accelerare i tempi, per evitare che gli inglesi si prendessero tutto il merito. Non sono mica stati loro a sospettare per primi che fosse legata al terrorismo, ma adesso sembra che abbiano fatto tutto loro. McClure telefona. Sente il tipico segnale inglese di libero, poi la voce assonnata di Killien. «Le ho mandato un'e-mail» gli annuncia. «Mi aspetti un secondo in linea.» Non molto gentile. Sente che va con il cordless in un'altra stanza, poi un rumore di tasti e Killien che bofonchia: «Uffa, com'è lento! Ancora un attimo. Ecco, ci sono. Uh, questa non mi piace. Non mi piace per niente». «Secondo me, conviene che ci muoviamo» suggerisce l'agente McClure. «Non vedo come possiamo restare ad aspettare. L'unico interrogativo è se lei vuole esserci. Capisco che il preavviso è poco. E la capirei se decidesse di non...» «Certo che ci sarò» dichiara Killien. «Mi organizzo e parto.» Win si scusa perché i pomodori non sono biologici. «Lo vedo» dice Stump, sedendosi a una certa distanza da lui. «Sono un'esperta, non te lo scordare. Anzi, ti ricordo che considero il negozio il mio primo lavoro. Mio padre lo tirò su dal niente e gli spezzerei il cuore se mollassi. Ti do una dritta: i pomodori migliori sono quelli della Verrill Farm, ma ci vogliono ancora due o tre mesi. Dipende da quanto piove. Lavorare in polizia mi piace, ma il negozio è un'altra cosa.»
In casa di Win le luci sono soffuse e si sta diffondendo un appetitoso profumino di pancetta fritta. Nonostante i pomodori siano del supermercato, il sandwich con pancetta, pomodoro e lattuga che Win le ha preparato è uno dei migliori che Stump abbia mai mangiato e lo Chablis che ha appena stappato è davvero buono. La vista dalla finestra è tipica di Cambridge: palazzi vecchi, tetti di ardesia, finestre illuminate. Quando Win le ha proposto di andare a mangiare, Stump ha dato per scontato che intendesse prendere qualcosa in un bar e non appena si è resa conto che invece lui intendeva portarla a casa sua si è agitata, ed eccitata, anche. Avrebbe dovuto rifiutarsi. Lo guarda mangiare il panino e sorseggiare lo Chablis e rimpiange di aver accettato l'invito. Quando Win ha acceso una candela e spento le luci, Stump ha capito di aver commesso un grave errore. Posa il piatto e dice: «Grazie. Adesso sarà meglio che vada». «Non è educazione scappare appena finito di mangiare.» «Ci sentiamo domani. Se hai bisogno...» Fa per alzarsi, ma le sembra di avere le gambe di pietra. «Hai paura di me, vero?» sussurra Win nella penombra. «Ti facevo paura ancor prima che ti tirassi dentro questo caso.» «Non ti conosco, Win. E sono sempre un po' impaurita quando mi muovo in un territorio sconosciuto. A maggior ragione se provo a mettere insieme i pezzi e non ci riesco.» «Quali pezzi?» «Da dove vuoi che cominci?» «Da dove vuoi. Poi ti dico quali pezzi di te non riesco a mettere insieme io.» Gli brillano gli occhi. «Sarà meglio che beva un altro bicchiere» dice Stump. «Stavo proprio per offrirtelo.» Si avvicina per versarle dell'altro vino. Stump sente il suo odore, il braccio che la sfiora, la sua presenza ingombrante, troppo vicina. Il suo magnetismo. «Mmh. Okay.» Beve un sorso. «Cominciamo dal perché la gente ti chiama Geronimo.» «Chi mi chiama Geronimo? Comunque, dài, prova a indovinare.» «Geronimo è un guerriero, sempre sul piede di guerra. Un tantino incosciente, a volte. Ti ricordi che da bambini, quando ci tuffavamo dal trampolino più alto, urlavamo Geronimo?» «Io non mi tuffavo, da bambino. Non potevo andare in piscina.» «Ti prego, risparmiami la lacrimevole storia della tua infanzia di piccolo e nero. Quando eri bambino tu, i neri in piscina ci potevano andare, ecco-
me.» «Non ho detto che non ci potevo andare perché ero nero. Non ci potevo andare e basta. A chiamarmi Geronimo fu mia nonna e non perché era un guerriero o perché era incosciente, ma perché disse che l'uomo non può essere inutile, visto che è stato Dio a crearlo. E che il sole, l'oscurità e i venti ascoltano ciò che l'uomo ha da dire.» Stump ha un groppo in gola. «Non vedo il collegamento» dice. «Fra queste parole e la persona che è seduta vicino a te? Potrei risponderti, ma ora tocca a te. Perché Stump? Dimmi la verità. Non capisco il motivo di questo soprannome.» «L'USS Stump era un cacciatorpediniere, nella Seconda guerra mondiale» risponde lei. «Lo pensavo.» «Davvero. Mio padre venne negli Stati Uniti per sfuggire a Mussolini e agli orrori di quel periodo buio della nostra storia. Spero solo che certe mostruosità non si ripetano, oppure la civiltà è spacciata.» «Sì, penso anch'io che siamo spacciati. Mi preoccupa come stanno andando le cose. Scapperei altrove, se ci fosse un posto migliore.» «Pensa a come si devono sentire gli anziani. Mio padre guarda i notiziari tre o quattro ore al giorno. Sostiene che se rimani attento a ciò che succede, forse le cose migliorano. È depresso, poveraccio. Va dallo psichiatra. Glielo pago io, perché... Be', l'assicurazione sanitaria non lo passa. Cominciò lui a chiamarmi Stump, da piccola. Per via dell'ammiraglio Felix Stump, che diede il nome al cacciatorpediniere. Pare fosse noto per il suo eroismo e la sua galanteria. E la nave a lui dedicata recava il motto "La tenacia è alla base della vittoria". Mio padre diceva sempre che il segreto del successo sta nel non arrendersi mai. Un bel messaggio da dare a una bambina.» «Dopo l'incidente non ti è venuta voglia di cambiare soprannome? Stump vuol dire moncherino.» «Come si fa a cambiare nome?» Lo guarda. Non sa perché, ma quello che le ha appena detto le fa male. «Vai da tutti quelli che è una vita che ti chiamano così a dirgli "Scusa, per piacere, adesso che mi hanno amputato una gamba preferirei che non mi chiamassi più Stump"? Se un giorno ti facessi prendere dalla depressione e ti cacciassi giù dalla finestra rimanendo paralizzato, tu andresti dai tuoi amici a dirgli di smettere di chiamarti Geronimo?» «Dovrei dedurre che avevi intenti suicidi quando sei finita contro quel
guardrail?» Stump prende il bicchiere e risponde: «Suppongo che Monique non abbia mai parlato del mio incidente. Tanto più che tu sostieni che non parli di me». «Non sono io che lo sostengo. Non ti ha mai nominato fino all'altra mattina, quando mi ha comunicato che avremmo lavorato insieme. Cosa che peraltro non era vera, visto che tu non avevi la minima intenzione di collaborare con me.» «C'è un motivo per cui non parla di me» replica Stump. «Così come c'è un motivo per cui probabilmente rimpiange che io non sia morta in quell'incidente.» Win resta zitto un momento a guardare dalla finestra e a sorseggiare il vino. Stump sente la sua distanza, come se l'aria fra loro si fosse improvvisamente raffreddata, e prova un moto di ansia, un improvviso senso di colpa. Sta sbagliando. Ha già sbagliato. Si alza in piedi. «Grazie di tutto» dice a Win. «Io ora vado.» Win non si muove, continua a guardare dalla finestra. Alla luce della candela, ha un profilo bellissimo. «Se hai bisogno di una mano, con quelle scartoffie... Be', chiamami pure» gli dice. Win si volta di scatto e la guarda. «Che cosa?» «Ti sto dicendo che non ho problemi a darti una mano, se hai bisogno.» I suoi piedi sembrano incollati per terra. «Ti sei scordato con chi stai parlando?» Ma perché non sta zitta? «Lo vedo quando uno ha problemi a leggere. Ed è un altro dei pezzi che non mi quadrano. Un altro dei tuoi inganni.» Sembra sul punto di scoppiare a piangere. «Non capisco perché tu abbia dovuto mentirmi. Proprio a me, che lo so da quando ti conosco. Credi che non mi sia accorta che mi fai tante domande, in negozio, perché non riesci a leggere gli ingredienti...?» Win si alza in piedi e le si avvicina con fare quasi minaccioso. «Devi accettarlo, fartene una ragione» gli dice. Per una frazione di secondo pensa che Win potrebbe farle del male. Forse lo sta provocando. Forse se lo merita, dopo quello che ha fatto. «Siamo handicappati tutti e due, allora» le dice Win. «Non usare quella parola, ti scongiuro. Né riferita a me, né a te.» Win la prende per le spalle, vicinissimo, come se stesse per baciarla, e a lei batte il cuore all'impazzata. «Che cosa c'è stato fra te e Monique?» le chiede. «Mi hai fatto la stessa
domanda. Adesso sono io che te lo chiedo.» «Non è come pensi.» «Cosa ne sai tu di quello che penso io?» «Lo so. So benissimo quello che può pensare uno come te. Voi uomini avete in testa una cosa sola: il sesso. Se succede qualcosa di cui non si può o non si vuole parlare, date subito per scontato che sia una faccenda di sesso. Nel caso specifico, il sesso c'entra, comunque.» Stump lo fa sedere sul divano, gli prende una mano e se la posa sulla gamba, dove la protesi produce un rumore sordo. «Non fare così» le dice Win, con la candela che spezza solo a tratti la penombra. Si tira su. «Non fare così.» «La sera che andammo da Sacco's Monique bevve un'intera bottiglia di vino e mi parlò di suo padre, il ricco aristocratico, l'avvocato di grido, che non l'aveva mai considerata. Mi disse che temeva di essere rimasta traumatizzata dall'assenza di suo padre, tant'è che faceva cose che non capiva e di cui poi invariabilmente si pentiva. E c'era questo tipo che la guardava, la corteggiava. Alla fine lei se lo portò a casa mia e io le lasciai la camera da letto e dormii sul divano.» Silenzio. Win si massaggia la nuca. «Era un cretino, un ignorante, un mezzo barbone. Sfortuna vuole che fosse un ex carcerato, che proprio Monique aveva condannato qualche anno prima. Naturalmente, non se lo ricordava. Con tutta la gente che aveva portato in tribunale, con tutti i processi di cui si era occupata, è ovvio che non si ricordasse tutti i nomi, o le facce. Lui però si ricordava benissimo di lei. Per questo la guardava nel bar.» «Okay, fece una stupidaggine» commenta Win a bassa voce. «E tu assistesti. Non è poi la fine del mondo.» «Quello voleva vendicarsi, fargliela pagare. Metterglielo in quel posto come lei lo aveva messo in quel posto a lui: così si espresse, la mattina dopo. E Monique? Riprese in mano la pratica del signore in questione, fece un paio di indagini, scoprì che aveva violato qualche norma della condizionale e lo rispedì dentro per sei mesi, un anno, non so più. Così, un giorno, lui e un paio di suoi amici mi vedono far benzina, mi seguono, cominciano a rompermi le scatole, a urlarmi di tutto, mi tagliano la strada e il tipo fa in modo che io lo veda bene in faccia prima di mandarmi a sbattere contro il guardrail.» Win la abbraccia e le posa il mento sopra la testa. «Monique lo sa?» le chiede.
«Certo che lo sa. Ma non ha potuto fare niente, no? Perché altrimenti sarebbe saltata fuori tutta la storia. Perché quel tipo se l'era presa con me? Perché avevo lasciato che Monique se lo scopasse in camera mia, perché mi sembrava più sicuro, piuttosto che farla andare chissà dove con uno appena incontrato in un bar. E così, per essere stata gentile e premurosa con lei, ci ho rimesso una gamba.» Win gliela accarezza. Prima la protesi, poi il ginocchio, poi la coscia. «Non è una faccenda di sesso, non nel senso in cui lo intendi tu. Monique non potrebbe farti del male. Nemmeno se volesse.» L'anatomopatologo che effettuò l'autopsia su Janie Brolin vive lungo il Sudbury River, in una casa vecchia e bizzarra circondata da un bizzarro giardino, maltenuto quasi quanto quello di Nana. Mancano delle mattonelle sulla terrazza e i muri sono completamente coperti di edera. In una vecchia canoa di legno crescono giunchiglie, violette e viole del pensiero. Win suona alla porta. È arrivato lì senza preavviso e la giornata è cominciata male, con una comunicazione arrivata dal laboratorio: Tracy ha trovato impronte digitali sull'involucro della macchina fotografica usa e getta che ha preso nella villa vittoriana. L'idea di provare con il luminol era corretta: è apparsa un'impronta latente. Questo significa che chi l'ha toccato aveva residui di rame sulle mani. Sia il rame sia il sangue assumono una colorazione fluorescente a contatto con il luminol. In genere, questo costituisce un problema. Stavolta, invece, per Win è stato un vantaggio. Purtroppo, però, l'impronta non corrisponde a nessuna di quelle che fanno parte del database AFIS. E le altre impronte? Quelle sulla bottiglia sono di Win e di Stump. Quelle sulla busta, di Farouk. E quelle sulla lattina e sul biglietto firmato Raggedy Ann non hanno alcuna corrispondenza nel database. Stump, dunque, ha mentito. Win non vuole pensarci, adesso. Scaccia dalla mente quel pensiero e aspetta che il dottor Hunter gli apra. Come ha potuto mentirgli? Fra le sue braccia, nel suo letto, fino alle quattro del mattino. Ha fatto l'amore con una bugiarda. «Chi è?» Win risponde: «Polizia di Stato». «Venga alla finestra e mi mostri i documenti» replica una voce forte dall'interno. Win si avvicina e appoggia il tesserino sul vetro. Un vecchio su una car-
rozzina a motore controlla prima il documento e poi Win, torna alla porta e gli apre. «Anche se da queste parti si vive discretamente tranquilli, ne ho viste troppe, nella vita. Non mi fido nemmeno dei boy-scout» dice, guidando Win nel salotto, che è tutto in legno e dà sul fiume. Ci sono una scrivania con un computer, un router e pile di libri e di carte. Hunter si piazza davanti al caminetto. Win guarda le fotografie del dottore, più giovane, insieme a una donna piuttosto graziosa, probabilmente la moglie. Momenti felici con familiari, amici, un ritaglio di giornale con un articolo corredato da foto di lui sul luogo di un delitto, fra agenti e poliziotti. «Forse so perché lei è qui» dice Hunter. «Per quel vecchio caso di cui si è tornati a parlare di colpo: Janie Brolin. Devo dire che lì per lì non mi pareva possibile. Dopo tutto questo tempo? Ma naturalmente il nostro procuratore è noto per le sue - come dire? - stranezze.» «Lei non ha mai pensato che potesse essere stato lo Strangolatore di Boston?» «Sciocchezze! D'accordo, anche lui stuprava e strangolava le sue vittime con i loro stessi vestiti, le lasciava in pose oscene e tutto il resto. Ma usare una sciarpa o una calza è un conto, un reggiseno è un altro. Per esperienza, questo succede quando l'assassino è in preda a un raptus, strappa i vestiti e... il reggiseno è l'indumento più vicino al collo, il più comodo da usare. E poi Janie Brolin non era il genere di donna che lasciava entrare in casa gli uomini, a meno che non li conoscesse molto, ma molto bene.» «Perché era cieca, intende?» «Anch'io ci sono vicino, sa? Degenerazione maculare» dice. «Ma capisco un sacco di cose dalla voce. Più di una volta. Se si perde un senso, gli altri diventano più acuti. I giornalisti erano più circospetti, nel 1962, o forse i suoi si chiusero nel silenzio, o alla stampa non interessava, non lo so. Fatto sta che nessuno disse che il padre di Janie era un medico, lavorava nell'East End londinese ed era abbastanza abituato ad avere a che fare con i criminali. Curò diverse vittime di delinquenti, capisce? E anche la madre. Lavorava in una farmacia che venne rapinata almeno due o tre volte.» «Dunque Janie non era un'ingenua» osserva Win. «Tutt'altro. Era una donna tosta. Tant'è che ebbe il coraggio di prendere e venire negli Stati Uniti per un anno, tutta sola, a Watertown.» «Scelse Watertown per via della Perkins. Era cieca e voleva lavorare con i ciechi.»
«Così dissero.» «Lei parlò con i genitori?» «Con il padre, una volta sola e piuttosto brevemente. Come lei saprà, in genere i parenti non parlano volentieri con l'anatomopatologo. Se lo fanno, chiedono sempre la stessa cosa.» «E cioè se il loro congiunto ha sofferto.» «Infatti» risponde Hunter. «Anche il dottor Brolin me lo chiese. Volle una copia del certificato di morte, ma non il referto autoptico. Né lui né la moglie vennero negli Stati Uniti. Fecero tornare in patria il corpo con i pochi effetti personali. Come dicevo, Brolin non volle conoscere i dettagli.» «Strano. In fondo era un medico.» «Era prima di tutto un padre.» «Cosa gli rispose quando le chiese se Janie aveva sofferto?» «Gli dissi di sì. Io non mento mai. Non si può mentire.» Win pensa a Stump. «Se gli dici quello che si vuole sentir dire, e cioè che non ha sofferto, poi in tribunale come lo giustifichi?» spiega Hunter. «Alla fine rischi di passare per bugiardo, anche se per una buona causa. E la tua credibilità ne risente. Comunque. Posso darle quello che ho, che non è molto.» La carrozzella emette un lieve ronzio mentre Hunter va verso la porta. «Quando ho sentito che avevano riaperto il caso, sono andato a ripescare il dossier. Immaginavo che qualcuno sarebbe venuto a farmi qualche domanda. E difatti...» Percorre il corridoio. «Ho un tale disordine nei miei armadi, ho persino roba sotto i letti.» Dopo un po' riprende: «Di quell'epoca però ho poco o nulla. Era tutto diverso, allora». Torna con una scatola di cartone in grembo e ferma la carrozzina. Dice: «In primo luogo, Harvard non era molto entusiasta del suo dipartimento di Medicina legale. Altrimenti esisterebbe ancora. E poi eravamo in pochi medici a svolgere anche la parte investigativa. "I medici del crimine" ci chiamavano. Tenevamo noi la documentazione, il materiale, le cose più importanti da usare nei corsi. Sapevamo che tanto alla generazione dopo di noi non sarebbe importato niente. A proposito, l'ha vista su YouTube?». Monique Lamont. E a Win torna in mente Stump. «Non posso crederci, sa? Di cosa non è capace la gente al giorno d'oggi...» esclama Hunter. «Guardi, sono contento di non avere la sua età. Non mi dispiace essere sul viale del tramonto, per come vanno le cose. Questi filmati messi in rete da sconosciuti... Sa, ho una nipote in Iraq. E dovrei essere in una casa di riposo con i miei amici. Quelli che ci sono ancora. Mi
hanno chiamato dopo cinque anni di lista d'attesa, ma ho dovuto rifiutare, perché non potevo permettermi la retta senza vendere la casa e la mia casa non riesco più a venderla. E pensi che fino a poco tempo fa bisticciavano, per averla.» Indica il computer sulla scrivania. «È un'epidemia, questa. Si aprono le cateratte e poi... ecco lì cosa succede.» «Mi spiace...» «Mi riferivo a Monique Lamont. Il secondo è peggio del primo.» Fa di nuovo segno verso il computer. «Ho impostato Google perché mi segnali tutto quello che ha a che fare con il procuratore, crimini vari, consiglio comunale... Mi piace tenermi informato a livello di contea. Visto che ci vivo, sa com'è.» Win si avvicina al computer, si collega a Internet e trova l'ultimo filmato su Monique Lamont. I Commodores cantano "She's a brick house..." Monique Lamont, elmetto sulla testa, circondata da funzionari e muratori, controlla tonnellate di cemento armato in un tunnel vicino all'aeroporto di Boston. La voce di uno dei suoi vecchi spot elettorali dice: "Andiamo fino in fondo perché vogliamo giustizia" mentre Monique si china a controllare una trave tutta deformata e le si alza il tubino sul sedere. Il dottor Hunter commenta: «È il crollo dell'estate scorsa. Sa, quando è venuta giù la galleria ed è morta una donna a bordo di un'automobile. Devo dire che Monique Lamont non mi è mai stata tanto simpatica, ma adesso comincia a farmi pena. Non è giusto fare queste cose alla gente. Ma non è per questo che siamo qui. Se sapessi chi ha ammazzato Janie Brolin, il caso sarebbe già stato risolto. La mia opinione rimane la stessa, comunque. L'assassino la conosceva bene. Ma fece finta che fosse un reato a sfondo sessuale». «Pensa al fidanzato, Lonnie Parris?» «Se non ricordo male, i vicini dissero di averli sentiti litigare. Magari quella mattina lui passò a prenderla, ricominciarono a bisticciare e lui la strangolò. Poi la messinscena, per far finta che fosse entrato un maniaco che la voleva violentare, e quindi la fuga, conclusasi tragicamente con un incontro ravvicinato con un'autovettura.» «Ho trovato un articolo di giornale che riferiva il fatto, ma nessun dossier sul caso. Forse è a Cambridge. Fece lei l'autopsia?» «Sì. Traumi multipli. Come prevedibile, visto che gli erano passati sopra con la macchina.» «Gli erano passati sopra con la macchina? Mentre era a terra?»
«Diverse macchine, per la verità. Alcune quando era già morto. Rimase sull'asfalto parecchio tempo, penso, e venne travolto da un certo numero di veicoli. Finché qualcuno non decise che era meglio fermarsi e dare un'occhiata. Era notte, era buio.» «È possibile che fosse già morto quando venne travolto dalla prima vettura?» «Che anche l'incidente fosse una messinscena, intende? Sì, certo che è possibile. Però non gli avevano sparato, e non l'avevano nemmeno accoltellato. Aveva riportato traumi estesi, specie alla testa. Mentre era ancora vivo.» «È strano che abbia chiamato la polizia da casa di Janie, dicendo di essere appena entrato e di averla trovata morta» dice Win. «E che sia sparito subito senza aspettare l'arrivo degli agenti per poi venire ritrovato cadavere anche lui meno di ventiquattr'ore dopo, in mezzo a una strada, travolto da molte macchine.» «Facevamo quel che potevamo, a quei tempi. Mica avevamo le stregonerie che avete voi adesso.» «Nessuna stregoneria, dottor Hunter. Ma è vero che disponiamo di risorse che all'epoca non esistevano. Mi chiedevo...» continua, indicando la scatola di cartone. «Che cosa ha conservato?» «Molta sarà roba che avrà già visto, immagino. Compresa la documentazione di Cambridge. Ma ho qualcosina che... be', le parrà strano che mi sia portato via certa roba, quando sono andato in pensione. Però... Sono reperti biologici. Il dipartimento di Medicina legale venne chiuso negli anni Ottanta e i vetrini che erano rimasti lì vennero certamente buttati via. Mi spiace non aver preso anche gli occhi di Janie Brolin. Straordinari. Li facevo vedere ai colleghi, ma nessuno arrivò mai a darmi una spiegazione plausibile.» «Perché, cosa avevano di strano?» «Durante l'autopsia li esaminai per vedere se riuscivo a capire il motivo della sua cecità. E notai queste pagliuzze marroncine, brillanti, che sospetto fossero legate alla patologia che l'aveva resa ipovedente. O forse soffriva di una degenerazione neurologica mai diagnosticata che le provocava una distribuzione disuniforme della pigmentazione. Non scoprii il mistero, purtroppo. Ma a lei non interessa, immagino. È una curiosità squisitamente medica.» «Posso?» Win si avvicina e fa per prendere la scatola. «Prego.»
Win la porta vicino al caminetto e apre il coperchio. Contiene le carte e le foto che prevedeva, più un contenitore di plastica per alimenti, sottovuoto. «Tupperware. I migliori» decreta il dottor Hunter. «Non so come avremmo fatto senza, in obitorio.» Sul coperchio c'è un'etichetta con il numero del caso, che Win ormai conosce a memoria: WT218-62. Dentro, ci sono una siringa con l'ago piegato e una fialetta, che Win alza verso la luce. Contiene un residuo oleoso e pagliuzze color rame. 9 Win fa un salto ai laboratori per lasciare la siringa e la fialetta, quindi passa a trovare Nana. «Ti ho riportato la macchina» le dice, a voce alta. «La porta era aperta, l'allarme disinserito. Almeno ho qualche certezza in un mondo dominato dal caos, eh?» Porta la spesa in cucina, senza rendersi conto che Nana non è sola. È andata a trovarla la povera signora Murphy di Salem. È buffo che Nana abbia clienti che vengono dalla "città delle streghe", il cui dipartimento di polizia ha uno stemma che raffigura una strega che vola a cavalcioni di una scopa. Non è una battuta, è vero. «Scusa, non sapevo che fossi in compagnia.» Posa le borse e comincia a mettere via la spesa. È andato in un minimarket, dove ha pagato tutto a prezzo pieno. «Come sta, signora Murphy?» chiede. «Insomma...» «Mi sembra dimagrita.» «Appena appena.» La tetra signora Murphy peserà centocinquanta chili. Dice di avere un problema ghiandolare, e non riesce a guarire. Se fa quello che Nana le dice, per un po' sta meglio. Poi i vampiri ritornano e le succhiano forza vitale mentre lei dorme, così si sente di nuovo stanchissima e depressa e non riesce a fare altro che mangiare. «Lo so. Ognuno ha i suoi. Io ci lavoro per uno di questi vampiri, e le assicuro che non è facile.» La signora Murphy scoppia a ridere e si batte la mano sulla coscia enorme. «Sei proprio spiritoso, sai? Riesci sempre a strapparmi un sorriso» gli dice. «Dovresti lasciarla perdere, quella. Te l'ho già detto. Hai visto i fil-
mati su Internet? Com'è che si chiama quel sito? YouTwo? Comunque io seguo sempre le tue vicende sui giornali. Ho visto che ti stai occupando di un caso importante. Me lo ricordo benissimo. Tu?» Chiede a Nana. «Sembrava una specie di Helen Keller giovane, a parte che Helen Keller non l'ha mai uccisa nessuno, grazie a Dio.» «Sì, grazie a Dio» le fa eco Nana. «Come in un film di Hitchcock... Lo dicevano tutti. O come Gli occhi della notte. T'immagini essere cieca e cercare di telefonare, di chiamare aiuto, senza vedere né il telefono né l'assassino in agguato? Non sai da che parte scappare, perché non vedi. Terrore puro, te lo dico io. Be', ora vado, così stai un po' con tuo nipote» dice a Nana. Win la aiuta ad alzarsi. «Un bravo ragazzo, così educato.» La signora Murphy apre la borsa, prende una banconota da venti dollari e la posa sul tavolo. Poi alza un dito in direzione di Win. «Ti ricordi che ho una figlia, vero? Lily. In questo momento non è fidanzata.» «Lavoro troppo, signora Murphy. Non ho tempo per le belle signorine come sua figlia.» «Che ragazzo educato!» ripete lei. Chiama qualcuno sul cellulare: «Sto uscendo adesso. Come? No, no, aspetto davanti a casa. Sono troppo stanca per fare il giro dell'isolato, tesoro». Se ne va, e Nana apre il frigo e guarda che cosa ha comprato Win. «Quante cose buone, tesoro mio» osserva. Apre uno sportello, osserva la spesa. «Cos'è successo alla tua amica?» «Mi veniva più comodo fermarmi da Whole Foods. Il pollo arrosto è del rosticciere e l'insalata di riso l'ho presa perché ti fa bene. Ci sono anche le noci, dentro. Ah, ti ho fatto controllare l'olio e ho fatto il pieno. Sei a posto.» «Siediti un momento» gli dice Nana. «Vedi questo?» Indica il medaglione che ha appeso al collo insieme ad altre catenine e ciondoli portafortuna di cui Win non conosce il significato. «Qui dentro c'è una ciocca di capelli tuoi, di quando eri piccolo. Adesso ci ho messo anche una ciocca mia. Energia materna, tesoro. La nonna che protegge il nipote. Gli angeli sono in mezzo a noi: non devi aver paura.» «Se incontri un angelo, mandamelo.» Le sorride. «Cos'è successo alla tua amica?» «Quale amica? Perché dovrebbe esserle successo qualcosa?» «Quella che ti rabbuia il cuore. Ma non è come pensi tu, tesoro mio.»
«Niente è mai come penso io» dice Win. «E questo rende la vita interessante, no? Devo andare, adesso.» «Inghilterra» dice Nana. Win si ferma sulla soglia. «Sì, Janie Brolin era inglese.» È su tutti i giornali. Monique Lamont e Scotland Yard, un binomio molto dinamico. Chissà, magari salveranno ciò che resta del mondo. «No» esclama Nana, con enfasi. «Non dicevo per quella povera ragazza.» Win si avvicina alla moto e si prepara per salirci sopra, mentre la signora Murphy lo guarda, tenendo stretta la borsa in finta pelle. «Sembri uno dell'equipaggio di "Star Trek"» gli dice. «Quanto mi piaceva il capitano Kirk... Adesso fa quelle pubblicità di viaggi. Non è buffo? Il capitano Kirk fa la pubblicità ai viaggi. Immagino stia in hotel dove nessun uomo è mai stato prima.» Ride. «Per novantanove dollari. Non fa ridere nessuno tranne me.» Win si allaccia il casco e dice: «Le do un passaggio io?». La signora Murphy ride. «Ossignore! Vuoi che me la faccia nelle mutande? Una balena come me? In moto?» «Forza, salti su!» Posa la mano sul sellino. «La porto fino alla sua macchina.» La signora Murphy fa una faccia sconsolata: ha capito che Win dice sul serio. «Ecco Ernie» risponde, vedendo arrivare una Toyota. Quando Win esce dall'ascensore, Monique Lamont è nel suo ufficio. Non ci vuole un detective per capirlo: la sua auto è nel parcheggio riservato, la porta del suo ufficio è chiusa e da dietro proviene un rumore di voci sommesse. Probabilmente sta parlando con il suo nuovo segretario, che assomiglia a Ken, il fidanzato di Barbie. Win entra nell'unità investigativa senza parlare con i suoi colleghi, che lo guardano incuriositi, visto che Win non dovrebbe essere lì, ma a risolvere un caso di importanza internazionale. Forse ha bisogno del suo spazio, del suo telefono, del suo computer. Win posa sulla scrivania i documenti che gli ha dato il dottor Hunter e controlla l'orologio di suo nonno. A Londra sono quasi le nove di sera. Si collega a Internet, trova il numero di Scotland Yard e si presenta alla centralinista come un ispettore della Omicidi del Massachusetts che ha urgente bisogno di parlare con il commissario.
Si rende conto che è un po' come chiamare la Casa Bianca e chiedere del presidente degli Stati Uniti. Dopo una serie di passaggi, si ritrova a parlare con una donna abbastanza gentile della divisione investigativa e scopre che l'uomo che cerca è l'ispettore Jeremy Killien. Peccato che però sia fuori sede. «Sa come posso fare a rintracciarlo?» «Che io sappia, è partito per gli Stati Uniti. Se prova a richiamare domani, in orario di ufficio, magari parla con un assistente del commissario.» Gli dà l'interno. Non può essere per il caso Janie Brolin. È inimmaginabile che il capo della divisione investigativa di Scotland Yard sia partito per gli Stati Uniti per quello. Win riflette, prende tre Advil contro il mal di testa che lo attanaglia e che quasi sicuramente è causato dal fatto che non sta dormendo abbastanza, non sta mangiando abbastanza e non è più andato in palestra. Comincia a leggere la documentazione di Hunter, che per la maggior parte è un doppione di quello che lui e Stump hanno trovato nell'archivio di Watertown. Non ha intenzione di chiederle aiuto, adesso. Legge appunti e rapporti lentamente, frase per frase, finché non si imbatte in un nome che gli fa venire la pelle d'oca. J. Edgar Hoover. Altri nomi, di boss mafiosi che ricorda vagamente, riportati nella grafia quasi illeggibile del dottor Hunter, appunti di una conversazione avuta il 10 aprile con un giornalista dell'Associated Press. Si collega a Internet, fa una serie di ricerche. Il giornalista in questione ha vinto alcuni premi per un servizio sulla criminalità organizzata. Win comincia a stampare i suoi articoli. Li legge lentamente e, come prevedeva, scopre che il giornalista è morto da anni. Può scordarsi di parlargli. Verso le cinque, suona il telefono. È Tracy, del laboratorio. «Niente di utile dal DNA. Nessuna corrispondenza nel CODIS. Ma avevi ragione» dice. Win le ha chiesto di prelevare un campione da siringa e fialetta e di esaminare il residuo oleoso al microscopio elettronico a scansione e ai raggi X, per determinarne la composizione chimica, con l'idea che le strane pagliuzze marroncine fossero di materiale inorganico, per esempio rame. «Sono metalliche» conferma Tracy. «Che cosa può contenere rame? Perché si iniettava particelle di rame?» «Non è rame» lo corregge Tracy. «È oro.»
Quello che sta cominciando a prendere forma è un episodio di violenza che, come la maggior parte delle altre tragedie a cui Win ha lavorato, affonda le sue radici nel caso, nella sfortuna. A volte sono incidenti insignificanti a portare a una morte orribile e brutale. Non riuscirà mai a dimostrarlo, perché non c'è più nessuno che possa parlare, ma sembra che meno di quarantotto ore prima del proprio assassinio Janie Brolin abbia messo in moto il meccanismo che l'avrebbe portata alla morte semplicemente uscendo fuori di casa per continuare il litigio con il suo ragazzo, Lonnie Parris. Win si alza dalla scrivania e si rende conto di essere stato seduto lì cinque ore. Passa davanti agli uffici dei suoi colleghi, ormai tutti vuoti. Dall'altra parte del corridoio ci sono gli uffici dei procuratori, fra cui quello di Monique Lamont. Monique è ancora lì. Win percepisce la sua forte energia, intensa ed egoista. Bussa ed entra, senza aspettare che lei gli risponda. Chiude la porta. Monique è in piedi dietro la scrivania di cristallo perfettamente ordinata e sta preparandosi la ventiquattrore. Alza gli occhi e assume un'espressione di lieve disagio. È questione di un attimo, poi torna impassibile come sempre. Indossa un tailleur azzurro polvere e una camicetta di un verde che tende al nero: un abbinamento che non può che essere Armani. Win si siede e le dice: «Ho bisogno di parlarle». «Mi spiace, ma sto andando via.» Chiude la valigetta, facendo un rumore secco. «Pensavo volesse essere informata prima di Scotland Yard e di Jeremy Killien. A proposito, quando coinvolge anche altri nelle mie indagini, sarebbe educato avvertirmi.» Monique si siede e replica: «Lei sa bene che anche Scotland Yard sta indagando». «Lo so adesso. Da quando ha lasciato trapelare la notizia alla stampa.» «Non sono stata io. È colpa del governatore.» «Davvero? Chissà da chi l'ha saputo. Avrà ricevuto una soffiata da qualcuno.» «Non voglio parlare di questo» dice, come se dipendesse solo da lei. Le sue non sono osservazioni, ma ordini. «Mi pare di capire che ci sono novità. Positive, spero.» «Non credo ci possa essere nulla di positivo in questo caso. Non per lei comunque. Anzi, se Jeremy Killien non fosse già in viaggio per gli Stati Uniti, le suggerirei di riferirgli che farebbe bene a non sprecare tempo a...»
«Killien sta venendo negli Stati Uniti? Come fa lei a saperlo, scusi?» «Me lo ha detto una sua collega di Scotland Yard. È già partito, ma non sono riuscito a capire né quando né perché.» «Sarà per qualche altro motivo, presumo. Non per il nostro caso.» Non sembra granché sicura, però. «Non penso proprio che sia partito senza prima avvisarmi.» Accende una lampada di cristallo. La finestra dietro di lei è buia e le luci nei palazzi vicini si perdono nella nebbia. Sta per piovere e Monique Lamont detesta la pioggia. La detesta talmente tanto che Win pensa sia gravemente meteoropatica e una volta, per Natale, le ha regalato una lampada che in teoria avrebbe dovuto simulare la luce del sole e sollevare l'umore. Non ha mai funzionato, e Monique non l'ha minimamente gradita. Il brutto tempo è un brutto momento per darle brutte notizie. «Probabilmente Janie Brolin soffriva di artrite reumatoide da quando era piccola» inizia Win. «Suo padre, che era medico, sperimentò su di lei un trattamento innovativo a base di aurotiomalato di sodio. Sa di che cosa si tratta?» «No» risponde lei spazientita, come se dovesse andare da qualche parte e fosse nervosa. «Sali d'oro. Vengono usati contro l'artrite cronica. Difficile stabilire il dosaggio, tuttavia. Probabilmente, fra i dieci e i cinquanta milligrammi alla settimana. Forse anche meno, per periodi più lunghi. Somministrati con iniezioni intramuscolari. Controindicazioni: disturbi circolatori, dermatiti, turbe della coagulazione - il che spiegherebbe la presenza di ecchimosi diffuse - e crisiasi della cornea...» Monique fa spallucce, confusa. Lo tratta come se fosse uno stupido e la annoiasse. Sempre più tesa, guarda continuamente l'orologio di Murano appeso al muro di fronte alla scrivania. «Un'alterazione della pigmentazione causato dall'oro. Sulle cornee. Non provoca disturbi e non influisce sulla vista. Ma, a un esame ravvicinato, le cornee presentano piccole macchie di un bruno metallico. Il medico che effettuò l'autopsia le notò, difatti.» «E allora?» «E allora Janie Brolin molto probabilmente non era cieca, ma solo fotosensibile, altro effetto collaterale dell'assunzione di sali d'oro. Chi è fotosensibile tende a usare occhiali scuri» spiega Win. «E allora?» «E allora Janie Brolin non era cieca.»
«E allora?» «Non vuole sentirselo dire, vero?» «Dire cosa? Lei mi sembra alquanto confuso nella sua esposizione. E io non ho tempo.» «Ritengo che Janie Brolin sia stata uccisa dalla mafia. Sia lei sia il suo fidanzato, Lonnie Paris. Abitava in un quartiere di mafiosi e vedeva tutto ciò che le accadeva intorno, perché non era cieca. Vide anche chi bussò alla sua porta la mattina del 4 aprile. Che pertanto doveva essere una persona che conosceva, e di cui si fidava abbastanza da invitarla a entrare. Non credo fosse il suo ragazzo, Lonnie. Non la uccise lui. E neppure lo Strangolatore di Boston. Io credo che quando Lonnie passò a prendere Janie per accompagnarla alla Perkins, la trovò davvero morta. Entrò in casa e si accorse di ciò che era successo.» Monique dice: «Vorrei sapere su cosa basa queste sue teorie. E anche capire se hanno un senso, e quale». «Due giorni prima, il 2 aprile, un mafioso che abitava di fronte a Janie utilizzò alcuni suoi contatti alla Motorizzazione per risalire da un numero di targa all'indirizzo di un certo giurato che si opponeva al proscioglimento dell'imputato in un certo processo. Uno dei suoi uomini, accusato di omicidio. Questo giurato, oltre a dimostrarsi ben poco collaborativo, aveva fatto anche un commento alquanto sfortunato, che il boss mafioso aveva preso come un vero e proprio insulto. Controlli pure: la stampa ne parlò diffusamente.» Monique lo guarda fisso, imperturbabile. «Questo sfortunato commento riguardava un possibile legame di amicizia fra il boss in questione, J. Edgar Hoover e un alto funzionario dell'FBI. Non è che non si fosse mai accennato a questa sorta di ménage à trois prima di allora, ma nel caso specifico il vicino di Janie si stizzì e così mandò i suoi scagnozzi a casa del giurato e se lo fece portare, non tanto per convincerlo a cambiare opinione, quanto per vendicarsi. Il malcapitato morì, venne caricato nel bagagliaio di qualche macchina e non venne mai più ritrovato. Che fece questa fine venne ricostruito in seguito, mettendo insieme testimonianze, soffiate di informatori eccetera eccetera.» «Che cosa c'entra tutto questo, scusi?» «La sera del 2 aprile, secondo alcuni rapporti e documenti di cui sono entrato in possesso, Janie e il suo ragazzo vennero sentiti litigare a casa di lei. Il litigio proseguì anche fuori di casa, quando lui uscì per prendere la macchina e andare via.»
«Sarò ottusa, ma...» interviene Monique. «Fu proprio quella sera che nella casa di fronte il giurato venne ucciso e caricato nel bagagliaio di una vettura. Janie Brolin non era cieca e chi la conosceva doveva saperlo benissimo. Non scopriremo mai cosa accadde veramente, ma è molto probabile che la mattina del 4 aprile alla porta di Janie Brolin abbia bussato un uomo del clan che forse abitava lì nei pressi e che lei conosceva. Janie gli aprì e fece la fine che fece. L'assassino mise tutto a soqquadro perché si pensasse a un maniaco o a un ladro. Lonnie, senza presentire nulla, si recò a prendere la sua fidanzata e, vedendo che cosa era successo, chiamò la polizia. A quel punto gli scagnozzi del boss presero anche lui.» «Perché?» «Una possibilità è che avesse visto anche lui qualcosa che non doveva vedere, la sera del 2 aprile, e che fosse pericoloso quanto Janie. Oppure doveva fare da capro espiatorio: forse i mafiosi volevano far ricadere la colpa su di lui, far finta che avesse ucciso Janie nel corso di una lite e poi fosse scappato, ma nella fuga fosse finito sotto una macchina. Peccato, però, che non venne semplicemente investito. Aveva traumi multipli, da cui si deduceva che gli fossero passati sopra diversi veicoli. Certo non si può escludere che fosse svenuto in mezzo a una strada, però...» «Magari era ubriaco.» «Dalle analisi tossicologiche non risulta avesse assunto né droghe né alcol. Insomma, un ottimo piano. La morte di lei è spiegata, quella di lui anche. Fine.» «Fine? Cosa vuol dire?» «Vuol dire che la sua teoria che a uccidere Janie Brolin sia stato lo Strangolatore di Boston è errata, purtroppo. Le conviene chiamare il governatore e Scotland Yard. E magari indire pure una conferenza stampa, visto che il suo caso internazionale è già stato strombazzato su giornali e TV e che gli inglesi non c'entrano nulla a parte il fatto che la vittima di un clan mafioso era una cittadina britannica negli Stati Uniti per un anno. Povera Janie Brolin, sarebbe stato meglio se fosse stata cieca davvero.» «Come mai queste cose non si scoprirono all'epoca? Come mai non venne fuori che non era veramente cieca?» domanda Monique. «La gente dà troppe cose per scontate. Evidentemente nessuno controllò oppure lo ritennero un dettaglio irrilevante. E comunque è chiaro che la polizia collaborava con la mafia.» «Se non era cieca, perché lavorava con loro?» chiede Monique.
«Con i ciechi, intende?» «Se lei vedeva, perché?» «Soffriva di una malattia che le causava grande sofferenza, che aveva un forte impatto sulla sua vita e la limitava. Doveva farsi quotidianamente forza, essere molto coraggiosa. Il tocco di re Mida, miracoli sperati ma che mai si verificarono. È abbastanza comprensibile che volesse occuparsi del prossimo in difficoltà.» «Non ne valeva la pena. Questo è certo» dichiara Monique. «Ma resta una bella storia. Dipende molto da come la mettiamo giù, intendo. Non facciamo i modesti. Meglio che non arrivi da una conferenza stampa o da un comunicato, a cui non crede nessuno. L'opinione pubblica ha bisogno di qualcosa di più. Specie di questi tempi.» Sorride, riflettendo. «Ci vuole un giornalista alle prime armi. Uno studente universitario.» «Non starà dicendo sul serio, spero.» «Sono serissima» dice Monique, prendendo la valigetta in mano. «Non da me, ma da lei, Win. Parli con Cal Tradd.» «Vuole che questa storia appaia sul "Crimson"? Un insulso giornaletto studentesco?» «Cal ha lavorato con lei, con noi, e l'articolo sarà stupendo. Una storia bellissima, del genere che il pubblico ama perché vuol dire che tutti possono farcela, tutti possono diventare una star. TV verità, YouTube, l'uomo della strada che diventa un eroe. Ma certo... Naturalmente i media raccoglieranno, ne parleranno anche loro. Insomma, tutti contenti.» Win esce dopo di lei, si sfila l'iPhone dalla cintura e si ricorda del foglietto che ha messo nel portafogli. Lo prende, lo apre e digita il numero di Cal. Mentre le porte dell'ascensore si chiudono, portando Monique nel garage sotterraneo, nota una cosa strana. Alza il foglietto verso la luce, lo inclina da una parte e dall'altra e vede i solchi nella carta, deboli ombre sotto le cifre ordinate scritte da Cal. VU, SS e poi TO, seguito da un punto esclamativo. Win rientra di corsa nel suo ufficio, prende un foglio dalla stampante e una penna. Ripensa alle cose che gli ha detto Stump all'interno del laboratorio mobile, il giorno in cui esaminava il messaggio lasciato in banca dall'autore dell'ultima rapina. Uguale identico a quello mostrato ai cassieri nelle tre rapine precedenti. In bella grafia ordinata, a matita, su un foglio di carta bianca dieci per quindici. Prende una riga e disegna un rettangolo dieci per quindici: le dimensioni del foglio che gli ha dato Cal. Prova a ricordare la scritta sul messaggio che Stump gli ha mostrato:
SVUOTA LA CASSA NELLA BORSA. SONO ARMATO! Le immagini riprese dall'impianto a circuito chiuso. Il rapinatore era alto più o meno come Cal, ma sembrava più grosso. Non è un problema: basta indossare più strati di vestiti e coprire il tutto con una bella tuta larga. Pelle più scura, capelli scuri. Anche qui, le possibilità sono tante: tinture, per esempio. È un vecchio trucco, e si toglie in pochi minuti. Piccola ricerchina sul NCIC, il National Criminal Information Center. Cal Tradd. Data di nascita, fedina penale pulita. Questo spiega come mai le sue impronte non sono nel database. Non che ne abbia lasciate molte. Ma c'è quella sull'involucro della macchina fotografica usa e getta, in cui i residui di rame hanno reagito al luminol come fossero di sangue. Rapine nelle banche, furti di rame. In tutta la zona eccetto Cambridge, dove Cal studia. E di Boston, dove è nato. Fa il numero di Monique, ma gli risponde la segreteria. O è al telefono, oppure l'ha spento. Prova Stump. Stessa cosa. Non lascia messaggi a nessuna delle due. Corre fuori, si infila il casco, sale in moto e parte. Mentre guizza fra le auto verso Cambridge, la pioggia gli batte sulla visiera e rende scivoloso l'asfalto. 10 L'auto di Monique Lamont è nel vialetto della decrepita villa vittoriana di Brattle Street. Le luci sono spente, non c'è segno di vita. Win posa la mano sul cofano della Mercedes. È caldo e il motore emette il fievole ronzio di quando è stato appena spento. Gira intorno alla casa, senza farsi vedere, con le orecchie tese. Niente. Passano i minuti. Le finestre sono buie e non perché lui ha portato via la candela dalla stanza con il materasso al centro. Sta succedendo qualcosa, se lo sente. E trova conferma guardando dalla finestra che ha rotto la volta scorsa: l'impianto di allarme è spento, non c'è nemmeno la lucina verde. Continua a girare intorno alla casa, cerca di capire se sono stati tagliati i fili della luce o come mai non c'è più corrente, ma non trova nulla. Torna verso la porta sul retro. Non è chiusa a chiave. La apre e sente un rumore di passi sui pavimenti di legno e un premere impaziente di interruttori. Qualcuno sta passando da una stanza all'altra provando ad accendere la luce. Win fa sbattere la porta alle proprie spalle, in maniera che la persona dentro casa capisca che è ap-
pena entrato qualcuno. I passi sono più vicini, adesso. La voce di Monique domanda: «Cal?». Win si dirige verso di lei. «Cal?» chiama di nuovo Monique. «Non funzionano più le luci? Cosa è successo? Dove sei?» Rumore di interruttore nella stanza dietro la cucina, che forse un tempo era la sala da pranzo. Win accende la torcia e la punta verso il basso, per non abbagliarla. «Non sono Cal» dice, puntando il fascio di luce verso il muro, illuminando l'ambiente. Sono a due metri l'uno dall'altra, al centro di una stanza vuota, con il pavimento in legno e ricche modanature alle pareti. «Cosa ci fa lei qui?» esclama Monique. Win spegne la torcia. Piombano nel buio più totale. «Che cosa vuol fare?» Sembra spaventata. «Ssst» sussurra Win. Le si avvicina, la prende per un braccio. «Dov'è Cal?» «Mi lasci andare!» Win la spinge delicatamente contro il muro, le bisbiglia di stare lì ferma, di non muoversi e di non fare rumore. Poi va verso la porta, che è a pochi metri da lei ma sembra lontanissima, in attesa che arrivi Cal. Dopo quella che gli pare un'eternità si sente un rumore. La porta sul retro si apre. Il fascio di luce della torcia arriva prima della persona che la tiene in mano. C'è un momento di confusione, in cui Win afferra una persona. Una breve colluttazione, poi un rumore di passi. Stump lancia un grido. Torna il silenzio. «Tutto a posto?» «Win?» «Win?» Win apre gli occhi. Le luci sono accese e sopra di lui c'è Raggedy Ann, vestita in maniera diversa dal solito. Polo, calzoni larghi, pistola alla cintura. Ci sono anche Stump, Monique e un uomo grande e grosso, capelli folti, grigi, abito scuro. «È casa mia. Ho tutti i diritti di venirci quando voglio» dice Monique. Win ha un mal di testa terribile. Se la tocca e scopre un bernoccolo gigantesco. Gli si sporcano le mani di sangue. «Sta arrivando l'ambulanza» gli comunica Stump, accucciandosi vicino a lui. Win si tira su a sedere e per un attimo vede tutto nero. «Mi hai dato tu
'sta botta o devo ringraziare qualcun altro?» «Sono stata io» dice Raggedy Ann. Si presenta: agente speciale McClure, FBI. L'uomo in abito scuro è Jeremy Killien, di Scotland Yard. Adesso che Win conosce tutto il cast, propone di allestire una nuova messinscena: Aspettando Cal Tradd. Il quale è presumibilmente un rapinatore di banche, un ladro di rame e un ricattatore, che ha dato appuntamento nella villa a Monique per minacciarla e tentare di farsi dare dei soldi. Lui e Monique hanno deciso di tendergli una trappola, ma adesso è andato tutto in fumo. Monique lo lascia parlare, senza contraddirlo. Non un'ombra di gratitudine nella sua espressione, però, nonostante Win la stia tirando fuori da un grosso guaio. «Quale trappola?» domanda l'agente McClure, perplessa. Win si massaggia la testa e risponde: «Io e Monique gli stavamo dietro da un pezzo. Cal Tradd mi seguiva, seguiva anche lei, era ossessivo nel riportare i reati di cui noi lo sospettavamo colpevole. Insomma, la tipica condotta del sociopatico. Un ragazzo di neanche diciassette anni, cresciuto in un ambiente iperprotettivo, che alla fine lascia per andare all'università, il ragazzo prodigio, il più giovane di tutti». Monique resta impassibile, ma Win non ha dubbi sul fatto che non lo sapeva. Non si sarebbe abbassata a fare sesso con un minore, se è questo che facevano, quando lei e Cal si davano appuntamento nella villa nottetempo. Cal probabilmente rubava il rame, scattava fotografie, raccoglieva souvenir come negli altri posti. Criminale per gioco. Non aveva bisogno dei soldi, ma delle emozioni, dell'ebbrezza che gli dava rubare. E poi scriveva dettagliati articoli sui propri crimini, faceva comunella con coloro che indagavano su di lui e si portava pure a letto il procuratore distrettuale. Davvero un ragazzo prodigio. «Imbarazzante» dice Killien, disgustato. «Di chi è stata la brillante idea di togliere la luce?» domanda Win, rivolto all'agente McClure. «Di voi federali? Che cosa volevate fare?» Si massaggia il bernoccolo. «Chiamerete la società elettrica per farla riattaccare? Bello avere i contatti giusti, eh?» Poi guarda Stump. «Non ho bisogno dell'ambulanza.» Si tocca di nuovo la testa. «Anzi, mi sento ancor meglio di prima. Non dicono che dopo una botta in testa a volte si diventa più intelligenti?» «Quale trappola?» chiede Stump. Non è per niente divertita. Non lo è nessuno. Anzi, lo guardano con la faccia scura. «Non mi hai mai parlato di nessuna trappola» dice Stump.
«Neanche tu mi hai detto proprio tutto tutto. Per esempio, tu mi hai taciuto dell'agente speciale Raggedy Ann.» «McClure» rettifica questa. «Ho rilevato un'impronta da una lattina» dice Win a Stump. «E una dal biglietto che mi ha recapitato a casa. Nessuna corrispondenza nell'AFIS, a significare che la persona che le ha lasciate non è mai stata in galera per aver accoltellato il suo protettore. Non ha precedenti penali. Adesso che scopro che è un agente dell'FBI che lavora sotto copertura, non mi sorprende che le sue impronte fossero state eliminate da tutti i database.» «Non potevo dirtelo» risponde Stump. «Certo» replica Win. «Non potevi dirmi che Raggedy Ann, ladruncola nonché informatrice della polizia, in realtà era un'agente dell'FBI che mi teneva d'occhio perché in realtà teneva d'occhio il procuratore distrettuale.» «Non dovrebbe agitarsi tanto, con la botta che ha preso» interviene Killien. Stump spiega: «Quando ho visto che eri deciso a raccogliere informazioni sul suo conto, mi sono dovuta inventare l'appuntamento al Filippello Park, con tanto di messaggio recapitato a domicilio e compagnia bella, per poter tirar fuori la storia dell'informatrice e convincerti a lasciar perdere prima che scoprissi che era dell'FBI. Sai benissimo anche tu come funzionano queste cose. Non si parla degli informatori. Se te l'avessi detto subito, tu ti saresti insospettito. Dovevo inventare qualcosa di più complesso. Dovevo far succedere qualcosa per cui io fossi "costretta" a svelarti che collaborava con la polizia. Perché era indispensabile che tu stessi alla larga da lei». Si guardano negli occhi un lungo istante. «Mi dispiace» dice Stump. «Allora, perché siamo tutti qui?» chiede Win rivolgendosi ai presenti. «Non per Janie Brolin. E nemmeno per Cal Tradd.» «La risposta è facile: siamo qui per il procuratore distrettuale» risponde Killien. «E gli orfani romeni a cui ha donato somme ingenti. Questi sostanziosi trasferimenti di denaro hanno allertato l'FBI e la Sicurezza nazionale. E, infine, anche Scotland Yard.» «Dovrei denunciarvi tutti quanti» replica Monique. Interviene l'agente McClure: «Le sue comunicazioni via e-mail con...». «Cal Tradd.» Monique entra nella parte che le è più congeniale, quella del procuratore. «Credo che l'ispettore Garano abbia spiegato chiaramente
la nostra posizione, a fronte delle rapine in banca e dei furti di rame avvenuti di recente nella nostra contea. La trappola che abbiamo teso a Cal Tradd prevedeva che io comunicassi con lui.» «Tu sapevi che il procuratore comunicava via e-mail con Cal Tradd?» chiede Stump all'agente McClure. «No, non avevamo identificato il destinatario dei messaggi. Sapevamo solo che l'indirizzo IP era di Harvard. E l'indirizzo fisico non serve a nulla, se non si trova il computer con cui confrontarlo...» «So come funziona» la interrompe Stump, dura. Probabilmente preferiva l'agente McClure quando vestiva i panni di Raggedy Ann. «L'ultimo messaggio indicava un possibile incontro con il destinatario della e-mail...» comincia l'agente McClure. «Cal Tradd» la interrompe Monique. «Alle dieci al solito posto. Cioè qui.» «Ma lui non si è presentato» fa notare Killien. «Avrà visto un certo affollamento e avrà deciso di lasciar perdere» dice Win. «È comprensibile che cerchi di evitare le forze dell'ordine. E ha dimostrato di essere piuttosto bravo a captare il pericolo. Avete mandato a monte un lavoro che il procuratore e io stavamo portando avanti da mesi. È il problema delle intercettazioni, peraltro, no? Specie quando un agente sotto copertura controlla la corrispondenza di un'altra persona che opera sotto copertura e tende una trappola a chi sta tendendo un'altra trappola. Insomma, alla fine si finisce tutti quanti in un'unica, grossa, trappola.» Due sere dopo, all'Harvard Faculty Club. Palazzo di epoca georgiana, pareti rivestite di legno, dipinti a olio, lampadari in ottone, tappeti persiani e fiori freschi dappertutto. È un ambiente che Win conosce e che lo mette a disagio. Ma la colpa è più di Monique Lamont che di Harvard. Monique gli dà appuntamento lì quando vuole sentirsi potente, più potente del solito. Forse lo fa perché in fondo in fondo è un'insicura, e ha bisogno di lui. Win è sul divano antico e rigido su cui si siede sempre ad aspettare. La grossa pendola gli indica con il suo ticchettare che Monique è in ritardo. Di un minuto, due minuti, tre, dieci. Win osserva la gente che va e viene, accademici, professori, dignitari in visita, famiglie importanti che valutano se iscrivere lì i loro amati rampolli. Se c'è una cosa che gli piace di Harvard, è che è come un capolavoro dell'arte: nessuno la può possedere e nessuno la merita, tutti la possono ammirare, ma solo per un po'. Si può
diventare migliori, dopo essere venuti a contatto con un'opera d'arte, anche se questa non lo sa, non ha idea di chi tu sia. Questa riflessione lo porta a pensare al motivo per cui Monique Lamont non gli piace e gli ispira sentimenti di disprezzo. Monique Lamont è avida, insaziabile, mai contenta. Entra, chiude l'ombrello, si toglie il cappotto bagnato di pioggia e va a portarlo nel guardaroba. «Ha notato che tutte le volte che ci vediamo qui piove?» le dice Win mentre entrano nella sala da pranzo e si siedono al solito tavolo vicino alla finestra che dà su Quincy Street. «Voglio bere qualcosa» dice Monique. «Lei cosa prende?» Ha un sorriso teso, lo guarda appena. Non deve essere facile per lei. Chiama il cameriere e ordina una bottiglia di vino. Win preferisce rosso o bianco? «Fa lo stesso» risponde lui. «Perché lo ha fatto?» gli chiede, sistemandosi il tovagliolo bianco sulle ginocchia, versandosi un bicchiere d'acqua. «A proposito, questa è l'ultima volta che affronteremo l'argomento. Anzi, questo argomento non è mai stato affrontato.» «Perché?» dice Win. «Perché invitarmi a cena e non parlare? O meglio, parlare di non parlare? O quello che ha appena detto adesso lei, insomma.» «Mi risparmi i giochi di parole, per favore. Non sono dell'umore.» «Parli lei, allora. La ascolto.» «La Foundation of International Law è una delle creature di mio padre.» «Sappiamo che cos'è la FOIL, ormai. O cosa è diventata, perlomeno: una società a responsabilità limitata, una facciata dietro cui poter comprare un immobile di epoca vittoriana da diversi milioni di dollari che ci vorranno anni per ristrutturare. Peccato che non abbia scelto un nome diverso. È interessante che abbia voluto usare un nome legato a un padre che dice assente e poco...» «Non è nella posizione per poter parlare di mio padre. La prego.» Arriva il cameriere con un secchiello d'argento pieno di ghiaccio e una bottiglia di Montrachet. La stappa e fa assaggiare il vino a Monique. Lei annuisce, il cameriere riempie i due bicchieri e se ne va. Monique apre il menu. «Non ricordo mai cosa prende, qui.» Cambia discorso. Win ritorna a bomba. «Io credo di poter parlare di suo padre, invece. Perché alla fine dei conti, Monique, è stato lui a metterla in una situazione potenzialmente molto pericolosa, che avrebbe potuto...»
«Non voglio sentire la sua versione di cosa sarebbe potuto succedere.» Beve un sorso di vino. «La sorprende che io abbia comprato un'altra casa? Non capisce perché non volessi più stare in quell'altra? Io invece trovo comprensibilissimo che preferisca passarci il minor tempo possibile, sa? Ho preso una suite al Ritz, ma andare e venire da Boston è faticoso.» «Capisco benissimo perché non voglia più stare nella vecchia casa e abbia voluto comprarsene un'altra, Monique. Anzi, trovo sia stata molto coraggiosa a tornarci, dopo quello che è successo.» Fa attenzione a come si esprime. «Ma cerchiamo di capire che cosa è accaduto e quali spinte emotive l'hanno portata a esporsi in una maniera che sarebbe auspicabile non si ripetesse più.» Monique si guarda intorno per accertarsi che nessuno li possa ascoltare. Guarda la pioggia, i lampioni e il lastricato lucido, bagnato. Per un attimo, assume un'espressione molto triste. «Suo padre è morto l'anno scorso» comincia Win a voce bassa, proteso verso di lei, con i gomiti poggiati sul tavolo. «E le ha lasciato la metà del suo patrimonio. E lei, che già prima male non stava, si è ritrovata con quella che molti considererebbero una fortuna. Ma questo non spiega il comportamento che ha tenuto. Pur non essendosi mai fatta mancare niente, dopo la morte di suo padre ha cominciato a spendere e spandere in maniera compulsiva e forse esagerata. Centinaia di migliaia di dollari in abiti, un'automobile e chissà quante altre cose, tutte pagate in contanti. Una casa da diversi milioni di dollari, pur essendo già proprietaria di un immobile di grande valore, la suite al Ritz... Contanti qui, contanti là, trasferiti da una banca francese a una banca di Boston e chissà quante altre.» «Mio padre aveva conti correnti a Londra, Los Angeles, New York, Parigi, e in Svizzera. Come posso muovere quel denaro, se non tramite bonifico? Le valigie piene di banconote non usano più. E ho sempre avuto l'abitudine di pagare in contanti vestiti e automobili: non si compra a rate qualcosa che comincia a deprezzarsi appena usciti dal negozio. Quanto alla casa di Brattle Street, tenuto conto dell'andamento del mercato, è stata un affare. Si immagina quanto varrà, una volta che l'avrò fatta ristrutturare? Tanto più se la nostra economia si riprenderà. Non avevo bisogno di accendere mutui e comunque, se non le dispiace, non voglio entrare nei dettagli delle mie scelte finanziarie con lei.» «Esaminiamo i fatti. Lei ha spostato ingenti somme di denaro, ha fatto grossi acquisti in contanti, ha speso come mai io l'avevo vista fare, e la conosco da un pezzo. Ha elargito donazioni a enti che non ha controllato ab-
bastanza. Poi si è legata a...» «Niente nomi, per cortesia.» Alza la mano. «È comodo possedere una casa in cui non si risiede e dove non compare il proprio nome» dice Win. «È l'ideale per incontrare una persona una volta o due. O anche tre o quattro. Molto meglio che ricevere al Ritz, o in una casa in cui si abita, dove i vicini possono vedere o sentire qualcosa. E più sicuro che farsi ricevere in un dormitorio universitario.» Beve un sorso di vino. «Da uno studente universitario.» Alza il bicchiere. «Ottima scelta.» Monique distoglie lo sguardo. «Che cosa verrà fuori in tribunale?» «Nessuno avrebbe mai detto che era minorenne. Io non l'avrei certo immaginato.» «Mi ha mentito.» «E lei non ha controllato.» «Perché avrei dovuto?» «A proposito di controlli, non ha mai notato i buchi sulle mani? Sulle dita, sui palmi?» «Sì.» «Non si è incuriosita?» «Mi ha detto che faceva iniezioni di botulino per non far sudare le mani» risponde Monique. «Suo padre è chirurgo estetico, lo sa anche lei. Mi raccontò che aveva cominciato quando dava concerti, per evitare che gli scivolassero le mani sui tasti.» «E lei gli ha creduto.» «Perché non avrei dovuto?» «Non lo so» dice Win. «Forse ci sarei cascato anch'io. Se non hai già qualche sospetto... Peraltro, non l'avevo mai sentita. Iniezioni di botulino nelle dita? Devono fare un male cane.» «Non penso diano una sicurezza totale» osserva Monique. «Non si ha mai la sicurezza totale. Ma se entri in una banca e infili un biglietto sotto lo sportello con le mani pulite e asciutte, è meno probabile che lasci impronte.» «Come farà a dimostrarlo?» «Ho un'impronta di rame, non so come altro chiamarla. Sull'involucro di una macchina fotografica usa e getta stupidamente lasciata nella sua casa nuova. O vecchia, come preferisce. Non si preoccupi, il nostro uomo resterà dentro un bel po'» dice Win. «Che cosa succederà?» «Non capisco la domanda.»
Monique lo guarda male. «Ma certo che la capisce.» Si avvicina il cameriere, ma Monique gli fa segno di tornare dopo. «È un bugiardo patologico» dice Win. «L'ha mai visto nessuno? No? Allora non è mai stato lì. Sì? Gli eventuali testimoni non sapevano che gli stavamo tendendo una trappola. Trappola che spiega una serie di messaggi di posta elettronica che comunque federali e compagnia preferiranno mantenere segreti, visto che il Patriot Act è popolare quanto la peste bubbonica.» «Lei c'era già stato, vero?» gli domanda Monique. «Nella casa. Mi ha visto tornare alla macchina, ha visto che cosa avevo in mano. Ha visto tutto.» «Indimostrabile. E comunque non ho visto con chi era, Monique. Benché mi prema sottolineare che non mi piace che qualcuno indossi la mia pelle. Faceva parte del gioco? Che rubasse le mie cose e...» «Voleva incastrarla, forse.» «No, voleva rubarmi l'anima» la corregge Win. «Probabilmente per via di un commento che pare avesse fatto sua madre una volta, quando vennero a vedere un appartamento nel mio palazzo, che lo fece sentire inadeguato e aumentò un risentimento che già covava. Comunque, immagino che, dal suo punto di vista, indossare la mia pelle e camminare nelle mie scarpe lo facesse sentire più potente di me. Non avete bevuto il vino che mi ha rubato, però.» «Non ero dell'umore» dice Monique, lanciandogli un'altra occhiataccia. «Non ero dell'umore per fare niente, per la verità. Mi ero stufata subito, ma questa cosa non era bene accetta. Non so se mi spiego.» «I ragazzini vengono presto a noia.» «Preferirei non facesse commenti di questo tipo.» «Dunque, quella sera le cose non andarono granché bene. L'ho vista uscire dal tribunale piuttosto agitata, mi sembrava che litigasse al cellulare. L'ho seguita.» «Sì, stavamo litigando. Io non volevo andare, ma lui è stato molto convincente. Aveva diverse cose in mano, che mi rendevano difficile rifiutare. Voglio essere sincera: non sapevo come tirarmene fuori. E non so come ho fatto a ficcarmi in quel pasticcio.» «Sarò sincero anch'io e le dirò come sono andate le cose secondo me» replica Win. «Quando ci sembra di perdere potere, facciamo ciò che ci fa sentire di nuovo potenti. Curiamo l'aspetto, l'abbigliamento, la casa, la macchina. Spendiamo, paghiamo in contanti, facciamo tutto quello che
possiamo per sentirci desiderabili, sexy. A volte questo sconfina nell'esibizionismo.» Si interrompe, poi riprende. «Provo a indovinare: è stata lei a mettere in rete quei filmati, vero? Lui ha solo fatto le riprese, ma l'idea è stata sua. E questa era una delle cose che lui aveva in mano.» Il silenzio di Monique è più che eloquente. «Devo riconoscerlo: lei è una delle persone più astute e machiavelliche che io abbia mai conosciuto.» Monique beve un sorso di vino. «Se lo dicesse? Magari alla polizia? O, peggio ancora, al processo?» «Cioè se laverà o non laverà i panni sporchi fuori della famiglia? Lei non ha lasciato panni sporchi in giro, dico bene?» «Se decidesse di parlare, di dire quello che è successo» lo interrompe Monique. «È un bugiardo.» Con una scrollata di spalle. «È vero. È un grandissimo bugiardo.» «Un'altra delle cose che facciamo quando ci sembra di perdere potere è sceglierci persone che ci danno sicurezza.» «Questa persona non mi dà alcuna sicurezza.» «Vogliamo sentirci desiderabili, ma al sicuro» insiste Win. «Se lui è molto giovane e lei più matura, potente, può sentirsi adorata ma al sicuro, con il pieno controllo della situazione. Chi può dare più sicurezze di un ragazzo intelligente e artistico che ti segue come un cagnolino?» «A lei Stump dà sicurezza?» chiede Monique, facendo un cenno al cameriere. «Che cosa intende dire?» «Sa benissimo che cosa intendo dire.» Monique ordina carpaccio di tonno con salsa wasabi e verdure alla vinaigrette. Win la solita bistecca con insalata e senza patate. «Siamo amici» risponde Win. «Andiamo d'accordo sul lavoro e fuori del lavoro.» È evidente che Monique vuole sapere due cose, ma non sa come chiederle. Vuole sapere se Win è innamorato di Stump e se questa gli ha raccontato che cosa è successo tanto tempo fa, la sera in cui si sono ubriacate insieme a Watertown. «Glielo chiedo una seconda volta: le dà sicurezza?» «Glielo ripeto: siamo amici. Mi sento al sicuro. E lei, Monique?» «Da lunedì lei torna nell'unità, Win» sentenzia. «Non so se lavorerete ancora molto insieme. A meno che, naturalmente, non venga commesso un
omicidio e lei si presenti con quel ridicolo laboratorio mobile. A proposito, un'ultima cosa: l'organizzazione che Stump ha messo su.» «Il FRONT.» «Che cosa facciamo?» «Non credo ci sia nulla da fare» risponde Win. «Esiste, è operativo. Non possiamo fermarlo.» «Non dicevo questo» ribatte Monique. «Mi stavo chiedendo se possiamo fare qualcosa per contribuire al progetto. Sempre che Stump sia d'accordo.» «Stump?» «Sì. Vorrei che fosse felice. E che si sentisse al sicuro.» «Sì, penso che le farebbe piacere» risponde Win. «Molto piacere.» FINE