Wilbur Smith DOVE FINISCE L'ARCOBALENO
PER Jake Barton le macchine erano femmine, con tutto il fascino, le astuzie e la...
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Wilbur Smith DOVE FINISCE L'ARCOBALENO
PER Jake Barton le macchine erano femmine, con tutto il fascino, le astuzie e la puttaneria femminili. Così appena le vide, allineate dietro lo scuro fogliame delle piante di mango, esse divennero subito per lui le signore di ferro. Ce n'erano cinque, e spiccavano un po' discosto dalle pile di altro materiale che il Governo di Sua Maestà metteva in vendita. Benché fosse maggio, la stagione più fresca tra i monsoni, il caldo in quel mattino senza nuvole a Dar-es-Salam stava aumentando come in una fornace sovralimentata. Jake si infilò grato fra i manghi, all'ombra, per cominciare più da vicino l'esame delle vecchie dame. Si guardò intorno e si accorse che, nel recinto, era l'unico a interessarsi dei cinque veicoli. La folla dei potenziali acquirenti si ammassava intorno alle pile di picconi e badili rotti, carriole scassate, e altri cumuli di scarti indefinibili. Tornò a dedicarsi alle sue dame sfilandosi la giacca tropicale di leggerissimo panno e appendendola a un ramo di mango. Erano nobili decadute che avevano conosciuto tempi migliori. I loro lineamenti duri ma piuttosto dissoluti erano offuscati dalla vernice qua e là scrostata e rigata, dove affioravano cancerose macchie di ruggine. I pipistrelli dal muso volpino che dormivano appesi a testa in giù ai rami dei manghi le avevano lordate di escrementi; grasso e morchia colavano dalle vecchie giunture bruttando di righe nere la polverosa vernice. Jake conosceva però il loro lignaggio e la loro storia e, nello stendersi a terra accanto alla borsa di tela che conteneva i suoi attrezzi, vi ripensò brevemente. Ecco cinque bei pezzi di tecnologia meccanica che arrugginivano sulla costa delle febbri del Tanganica. Carrozzeria e telaio costruiti dalla Schreiner. Torretta alta e solida, che sembrava guatare con l'orbita vuota da cui era stata smontata la mitragliatrice Maxim, cofano squadrato, inclinato, costellato di grossi bulloni per fissare la potente corazza destinata a proteggere il motore; radiatore con paratie mobili d'acciaio, che si potevano calare al momento di affrontare il fuoco nemico. Le vecchie autoblindo stavano lì alte sulle loro ruote metalliche cerchiate di gomma piena, e Jake si sentì cogliere da un vago. malessere al pensiero che toccava proprio a lui cavarne i motori e gettar via, glorioso ma inservibile, tutto il resto. Non meritavano un trattamento simile, queste ferree dame guerriere che in gioventù avevano inseguito l'astuto comandante tedesco von Lettov Vorbeck per tutte le pianure e le montagne dell'Africa Orientale. Questa storia accidentata si leggeva in tutte le ammaccature che la fucileria nemica aveva prodotto sulla corazza delle autoblindo, mettendone a nudo l'acciaio . Quelli erano stati i loro tempi eroici, quando si gettavano nella mischia coi vessilli al vento (vessilli ancora di Cavalleria) alzando nuvole di polvere, sobbalzando su formicai e termitai, con la mitragliatrice che sgranava tuoni e fulmini e gli ascari tedeschi che scappavano dappertutto, terrorizzati, davanti a loro. Dopo di che, i motori originali erano stati sostituiti dai nuovi, ottimi Bentley da seimila e cinque, e per loro era cominciato il lungo declino del servizio di pattuglia alla frontiera, dietro le bande di ladri di bestiame, strapazzate da legioni di guidatori brutali che le avevano infine condotte alla condizione attuale di essere liquidate dal Governo in quel torrido maggio dell'anno di grazia 1935. Ma Jake sapeva che nemmeno i selvaggi abusi a
cui erano state indubbiamente esposte potevano aver distrutto del tutto i motori, e questo era ciò che gli interessava. Si tirò su le maniche come un chirurgo, accingendosi a esaminarle. Che siate pronte o no, ragazze , brontolò, arriva il vecchio Jake. Era un uomo alto, dall'ossatura potente, quello che s'infilò nell'abitacolo della prima autoblindo; ci stava appena, ma prese a lavorare in uno stato d'animo così vicino all'estasi da non accorgersi nemmeno della scomodità. La sua bocca larga e amichevole era contorta nella smorfia che gli consentiva di fischiare tra i denti, ininterrottamente, le prime battute di Tiger Rag, ripetendole sempre da capo, con gli occhi strizzati per meglio vedere nella penombra dell'interno. Lavorava spedito, controllando i comandi, seguendo i tubi dell'alimentazione dal serbatoio montato sul retro, scoprendo con soddisfazione le valvole sotto il sedile del guidatore. Strisciò fuori della torretta e saltò giù, di fianco all'autoblindo, asciugandosi il sudore che dai capelli neri e ricci gli colava per le tempie e le guance. Poi sbloccò i fermi della corazza e la sollevò per dare un'occhiata al motore. Oh, mio caro, caro! sussurrò alla vista dei tratti armoniosi del vecchio Bentley sotto uno strato di morchia polverosa. Levò una mano dalle grosse palme quadrate, dalle spesse dita a spatola, e toccò il motore con un gesto carezzevole. Quei bastardi ti hanno conciato male, bellezza , sussurrò. Ma presto tornerai a cantare come prima, è una promessa. Tirò fuori l'astina dell'olio e ne saggiò una goccia fra i polpastrelli. Merda! imprecò disgustato, avvertendone la consistenza sabbiosa. Rimise a posto l'astina. Staccò le candele e, per uno scellino, indusse un africano che oziava nei pressi a girare la manovella dell'avviamento mentre lui controllava la compressione col palmo della mano. Passò in fretta da una macchina all'altra, valutandone lo stato; e quando giunse all'ultima della fila sapeva che era in grado di farne ripartire almeno tre, e forse quattro su cinque. Solo una era conciata proprio da buttar via. Nel blocco motore c'era una fenditura tale che si poteva passarci a cavallo. I pistoni erano così incrostati nei cilindri che nemmeno azionando la manovella in due Jake e il suo aiutante riuscirono a farli muovere. A due delle autoblindo mancava il carburatore, che però si poteva recuperare da quella rovinata. Continuava dunque a mancarne uno, ed era un'impresa disperata trovarlo a Dares-Salam. Così, quelle che poteva contare con certezza di rimettere in marcia erano solo tre. A centodieci sterline l'una, faceva trecentotrenta sterline. Meno le spese, stimabili cento sterline, rimaneva un guadagno netto di duecentotrenta sterline. Senz'altro infatti non gli sarebbe toccato tirar fuori più di venti sterline a testa per quelle carcasse. Jake provò un dolce e diffuso senso di soddisfazione nel lanciare all'aiutante africano lo scellino promesso. Duecentotrenta sterline costituivano una bella somma in quei tempi magri e affamati. Un rapido sguardo all'orologio l'informò che mancavano ancora due ore all'inizio dell'asta. Era impaziente di cominciare a lavorare su quei motori Bentley. . . non solo per i soldi. Per Jake, sarebbe stata una fatica d'amore. Quella in mezzo sembrava suscettibile di garantire i risultati più rapidi. Piazzò la borsa degli attrezzi sul parafango e scelse una chiave da tre ottavi di pollice. Immediatamente fu assorbito dal lavoro. Dopo mezz'ora tirò fuori la testa dal cofano, si pulì le mani con uno straccio di cotone e corse davanti all'automezzo. I muscoli del braccio gli guizzarono mentre girava la manovella nel tentativo di avviare il pesante motore con azione ritmica e regolare. Dopo un minuto di sforzi, lasciò andare la manovella e si pulì il sudore in faccia con lo straccio, che gli segnò le guance di morchia nera.
Ansimava un po' . Appena ti ho messo gli occhi addosso ho capito che sei una troia bizzosa , brontolò. Ma farai a modo mio, carina, stai tranquilla. Ancora una volta la testa affondò nel vano motore, e si udirono i colpi della chiave inglese sul metallo e le prime note di Tiger Rag ripetute ininterrottamente per una decina di minuti. Dopo di che Jake andò un'altra volta alla manovella. Farai a modo mio, carina. . . e vedrai che ti piacerà. Girò la manovella e il motore sobbalzò, sparò, e scagliò indietro la manovella con forza sufficiente a staccargli il pollice, se fosse stato tanto malaccorto da impugnarla stretta. Gesù! sussurrò Jake. Un vero gatto selvaggio! Si arrampicò nella torretta, scese nel vano del guidatore e risistemò l'accensione. Al tentativo successivo il motore tossì, fiammeggiò, sputò, rombò, e ricadde in un pulsare regolare, che faceva tremare l'automezzo sulle sospensioni rigide, ma era indubbiamente un segno di vita. Jake fece un passo indietro, stanco e tutto sudato, ma con gli occhi verde-scuro scintillanti per la delizia. Vai, bellezza , incitò. Dai, vai, vai, bellezza. Ma che bravo , disse una voce alle sue spalle, e Jake sobbalzò e si voltò in fretta. Concentrandosi sulla macchina si era dimenticato di non essere l'unico uomo sulla terra, e ora si sentiva in imbarazzo come se fosse stato osservato nel corso di qualche funzione fisiologica intima e privata. Accigliato, guardò la figura elegante di un uomo appoggiato con stile al tronco del mango. Ottimo lavoro , disse lo sconosciuto, e bastò il suo accento a far accapponare la pelle a Jake. Era un accento ricercato da snob inglese. L'uomo era vestito d'un completo color crema di costoso lino, e portava scarpe bicolori bianche e marrone. In testa aveva una paglietta candida dall'ampia tesa che gli teneva la faccia in ombra. Ma Jake vide che l'uomo aveva un sorriso amichevole e un atteggiamento cortese. Era bello, di una bellezza convenzionale, con lineamenti nobili e regolari: un volto che aveva evidentemente destato molte emozioni femminili, e che si accompagnava molto bene alla voce. Probabilmente era un alto funzionario del governo, o un ufficiale di qualche reggimento britannico di stanza a Dar-es-Salam. Apparteneva alla classe dirigente , si vedeva anche dalla cravatta regimental, con cui gli inglesi rendono noto d'acchito in quale esclusivo college sono stati educati e a quale alto gradino hanno diritto nella gerarchia sociale. Non ci ha messo molto a rimetterla in funzione. L'uomo si appoggiava vezzosamente al mango, con i piedi incrociati e una mano in tasca. Sorrise ancora, e -stavolta Jake distinse più chiaramente nei suoi occhi la presa in giro e la sfida. L'aveva giudicato male: non era uno di quei damerini di cartone, aveva occhi da pirata, da lupo, irridenti, pericolosi come lo scintillio di una lama nella penombra. Le altre saranno certo in condizioni migliori , disse il tipo ben vestito. Più che una constatazione pareva una domanda. Mi sa che si sbaglia di grosso, amico. Jake provò una fitta di irritazione. Era assurdo che quel damerino nutrisse un reale interesse per i cinque automezzi: ma se così era, ecco che Jake gli aveva appena dato una generosa dimostrazione del loro vero valore. Questa qua è l'unica che va, ma è quasi scoppiata anche lei. Senta che rumore fa il motore, sembrano martellate di un carpentiere pazzo. Infilò la testa nel cofano e staccò un contatto. Nell'improvviso silenzio del motore esclamò: Che carcassa! e sputò per terra vicino alla ruota anteriore. . . non sopra. Non era capace di fare una cosa del genere. Quindi raccolse gli attrezzi, li rimise nella borsa di tela, l'arrotolò e, senza più guardare l'inglese, si diresse deciso all'uscita. Lei dunque non ha intenzione di partecipare all'asta, vecchio mio? Lo sconosciuto aveva
lasciato il comodo appoggio del mango e lo stava seguendo. Oh, mio Dio, no! rispose Jake cercando di riempire la voce di disprezzo. Perché, lei sì? E che me ne farei di cinque scassatissime autoblindo? L'uomo rise silenziosamente, poi proseguì . Lei è americano, eh? Del Texas, se non sbaglio. Mi ha letto la posta? Ed è meccanico? Mi arrangio, mi arrangio. Posso offrirle da bere? Dia qua i soldi, piuttosto. . . ho un treno da prendere. L'elegante sconosciuto rise ancora, una risatina amichevole. Buon viaggio, dunque, vecchio mio , disse, e Jake uscì'in fretta dai cancelli nelle vie polverose e roventi di Dar-es-Salam sul mezzogiorno, allontanandosi senza voltarsi, sperando di dar l'impressione, col passo deciso e le spalle quadrate, che la sua partenza fosse definitiva. Dietro l'angolo c'era un bar, e Jake ci si infilò per aspettare di nascosto l'ora dell'asta. La birra Tusker che ordinò era caldissima, ma la bevve lo stesso, preoccupato dell'inglese. Aveva mostrato un interesse troppo preciso perché fosse pura curiosità. D'altro canto, tuttavia, poteva magari spingersi oltre le venti sterline preventivate a pezzo. Estrasse dalla giacca il portafoglio di cinghiale tutto liso che conteneva ogni sua fortuna al mondo e, servendosi del piano del tavolo per nascondersi prudentemente agli sguardi indiscreti, contò il mazzo di banconote. Cinquecentodiciassette sterline della Banca d'Inghilterra, trecentoventisette dollari americani, quattrocentonovanta scellini dell'Africa orientale Britannica. Non era un gran che in confronto ai mezzi che presumibilmente aveva quel signorino. Comunque Jake si scolò la birra calda, strinse i denti e guardò un'altra volta l'orologio. Mancavano cinque minuti a mezzogiorno. Il maggiore Gareth Swales fu un po' accontrariato , ma niente affatto sorpreso di vedere il grosso americano rientrare di soppiatto nel recinto dell'asta. Gli ricordava un Jack Dempsey che cercasse di entrare senza farsi notare nel salotto di una vecchia signora per il té. Gareth Swales sedeva all'ombra dei manghi su una carriola rovesciata, su cui aveva steso un fazzoletto di seta per non sporcarsi il vestito immacolato. Si era tolto la paglietta rivelando una capigliatura perfettamente pettinata, coll'onda, di quel raro colore tra il biondo e il ramato, con una spruzzata d'argento alle tempie. I baffi, dello stesso colore, seguivano accuratamente la curva del labbro superiore. Il volto era molto abbronzato a causa del sole tropicale, color della noce di cocco, sicché era ancora più rilevante il contrasto con gli occhi azzurri, pallidi e penetranti, mentre guardava Jake Barton attraversare lo spiazzo per unirsi ai compratori sotto le piante di mango. . Sospirò con rassegnazione e tornò a dedicare la propria attenzione alla busta piegata su cui stava facendo i suoi calcoli finanziari, Era davvero in bolletta. I diciotto mesi precedenti l'avevano messo a terra. Il cargo affondato dai giapponesi sul fiume Liao, quando mancavano solo poche ore all'arrivo a Mukden e alla consegna delle armi al comandante cinese della piazza (con conseguente, immediato pagamento), gli aveva spazzato via il capitale accumulato in dieci anni. C'era voluto tutto il suo ingegno, e una buona dose di agilità finanziaria, per raccogliere la merce ora immagazzinata al deposito numero 4 dei dock di Dar-es-Salam. Nel giro di una dozzina di giorni sarebbero arrivati i compratori; e le cinque autoblindo avrebbero potuto coronare degnamente il pacchetto. Autoblindo! Perdio, poteva farsele pagare quello che voleva. Soltanto degli aerei sarebbero stati più desiderabili per il suo cliente. Quando Gareth le aveva viste, quella mattina, sfasciate com'erano, aveva subito scartato l'idea; e stava giusto andando via allorché aveva notato le gambe di quel tipo uscire dal motore e aveva sentito diffondersi nell'aria le
note di Tiger Rag. Così, adesso sapeva che almeno una era in grado di marciare. Una mano di vernice, una mitragliera Vickers nuova montata sulla torretta, e le cinque autoblindo avrebbero fatto un magnifico effetto. Gareth a questo punto sarebbe stato in grado di tirare uno dei suoi famosi bidoni. Avrebbe messo in moto l'unico motore che andava, avrebbe sparato una raffica dalla torretta e. . . perdio! il vecchio principe, quel nababbo, avrebbe messo mano alla borsa e cominciato a spargere sovrane d'oro dappertutto. L'unico problema. era quel dannato yankee. Gli sarebbe costato qualche scellino in più del previsto sbatterlo fuori gioco, ma Gareth non se ne preoccupava troppo. Dall'aspetto, era uno che faceva fatica a mettere insieme gli spiccioli per la birra. Gareth spazzò via dalla manica con un colpetto un immaginario granello di polvere, si rimise in testa il cappello di pa glia e, prima di avviarsi, controllò quant'era lunga la cenere del sigaro. Poi si infilo nel gruppo di compratori. Il banditore era un indiano sikh dall'aria di folletto, con addosso un vestito di seta nera, la barba arricciata sotto il mento, e un gran turbante bianco arrotolato in testa. Si era arrampicato sulla torretta dell'autoblindo più vicina come un corvo nero, e con voce lamentosa aveva preso a rivolgersi agli astanti che lo guardavano con facce stolide e inespressive. Su, signori, fatemi sentire una dolce voce che dice 'dieci sterline'. Sento già 'dieci sterline', dieci sterline appena per una di queste magnifiche vetture? Piegò la testa e si portò una mano all'orecchio, non sentendo altro se non la brezza meridiana che stormiva fra le foglie dei manghi. Nessuno si mosse, nessuno parlò. Be', allora cinque sterline, forza signori, c'è fra di voi qualcuno così saggio da offrire cinque sterline? Facciamo due e mezzo. . . per appena cinquanta scellini, signori, queste macchine regali, queste belle, queste magnifiche. . . Si interruppe, abbassò gli occhi, e passò sul sopracciglio corrugato una manina color cioccolato. Una cifra, signori, una cifra. Fatela VOi. Una sterlina! Era la voce del texano. Per un attimo il sikh non si mosse, poi alzò la testa con drammatica lentezza e fissò Jake, che torreggiava in mezzo alla folla. Una sterlina? sussurrò l'indiano. Venti scellini l'una, per queste belle, queste magnifiche macchine. . . Si interruppe scuotendo la testa, addolorato. Una sterlina, mi si offre. Sento forse qualcuno offrirne due? Nessuno aumenta l'offerta? Dovrò proprio darle via per una sterlina? Gareth Swales avanzò, e la calca si aprì miracolosamente intorno a lui. Due sterline. Aveva parlato a voce bassa, ma chiarissima. La corpulenta massa di Jake si irrigidì, e sulla nuca gli si diffuse una chiazza color vino. Lentamente si voltò a fissare l'inglese che frattanto aveva raggiunto la prima fila. Gareth sorrise e si toccò il cappello salutando Jake. L'istinto commerciale del sikh si destò subito, cogliendo la rivalità fra i due, e il suo umore migliorò. Mi offrono due sterline , cinguettò. Cinque , sbottò Jake. Dieci , mormorò Gareth, e Jake provò un impulso di rabbia che gli si diffondeva dalle budella. Conosceva bene quell'impulso e non riusciva ma a dominarlo. Lo inondava, come una marea rossa e selvaggia che finiva per sommergergli la ragione. La folla ondeggiò, eccitata, e tutti si voltarono a guardare l'americano alto Quindici , disse Jake, e tutti si girarono a guardare l'inglese smilzo Gareth inclinò vezzosamente il capo Venti , flautò e eliziato il sikh. Mi offrono venti. Più cinque. Confusamente, fra le nebbie dell'irritazione, Jake capì che mai e poi mai avrebbe permesso a quello snob di andarsene con le autoblindo. Se non poteva comprarle lui, le bruciava. Il sikh guardò Gareth con occhi di gazzella. Trenta, signore? Gareth annuì a
suo agio, agitando il sigaro con gesto disinvolto. Cominciava a preoccuparsi. . . da un po' avevano superato quello che credeva fosse il limite massimo per lo yankee. Più altre cinque. Nel tono di Jake si avvertiva l'offesa: erano sue; anche se avesse dovuto sborsare tutto quello che aveva nel portafogli o, dovevano essere sue. Quaranta. Il tono di Gareth cominciava a farsi un po' sforzato. Era ormai vicinissimo al proprio, di limite. Le condizioni dell'asta erano o contanti, o assegni circolari. Ma era un pezzo che aveva esaurito le sue fonti di contanti, e, quanto . io agli assegni, aveva già fatto perdere il posto a quattro o cinque funzionari di banca. Quarantacinque. Il tono di ~Jake era duro e per nulla conciliante. Stava avvicinandosi alla cifra per cui avrebbe poi dovuto lavorare gratis, senz'altra so: soddisfazione che quella di fregare il damerino. Cinquanta. Più cinque. Sessanta. Più altre cinque. Jake era al limite. Ancora un po' , e avrebbe dovuto aggiungere gli scellini dell'Africa Orientale Britannica. Settanta , gorgogliò Gareth Swales. Era il suo limite. Con dispiacere scartò la speranza di fare un buon affare. Trecentocinquanta sterline erano tutti i suoi contanti: non poteva offrire di più. E va bene, la maniera facile non aveva funzionato. Ma c'erano un'altra dozzina di maniere, e in un modo o nell'altro Gareth Swales sarebbe riuscito ad averle. Perdio, il principe le avrebbe pagate anche mille sterline l'una, e lui non era tipo da rinunciare a un profitto simile per mancanza di quattro sporche sterline in contanti. Settantacinque , disse Jake, e la folla mormorò, con gli occhi fissi sul maggiore Gareth Swales. Allora, gentili signori, chi dice ottanta? chiese avido l'indiano. La sua commissione era il cinque per cento. Vezzosamente, ma con disappunto, Gareth scosse la testa. No, mio caro. Era solo un capriccio, in fondo. Sorrise a Jake. Se le goda lei , disse, e si avviò al cancello. Non c'era chiaramente nulla da guadagnare ad avvicinare l'americano adesso. Era troppo arrabbiato. . . e Gareth lo giudicava tipo da dar sfogo immediato alle sue emozioni a pugni. Molto tempo prima, Gareth Swales era giunto alla conclusione che solo gli stupidi si battono, mentre i furbi si limitano a fornirgli gli strumenti per farlo. . . a pagamento, s'intende. Passarono tre giorni prima che Jake Barton rivedesse l'inglese. Tre giorni in cui aveva trasportato le dame di ferro al proprio accampamento ai margini della città, lungo un torrentello, in uno spiazzo circondato da alberi di mogano africano. Con l'aiuto di rami tagliati dai mogani aveva sollevato i cinque motori dai vani e si era messo a lavorarci fino a notte, alla luce fumosa di una lampada controvento. Coccolando e accarezzando le macchine, cambiando e aggiustando le parti difettose, forgiandone altre a mano sul braciere a carbone, e continuamente fischiettando fra sé, era riuscito a farne marciare tre entro il pomeriggio del terzo giorno. Nelle sue mani, su quei banchi di prova improvvisati, i motori avevano riacquistato qualcosa del loro lustro originario. Gareth Swales arrivò al campo di Jake nella sonnolenta calura del terzo pomeriggio. Giunse in risciò, trainato da un negro mezzo nudo e tutto sudato: lui se ne stava disteso sul sedile posteriore con la disinvoltura di un leopardo e l'aria fresca e riposata di un principe. Jake si alzò dal motore che stava mettendo a punto. Era nudo fino alla cintola e aveva le braccia nere di grasso fino ai gomiti. Il sudore gli colava dalle spalle al torace e sembrava unto d'olio. Non si fermi nemmeno , disse Jake educatamente. La strada continua per di là. Gareth gli fece un bel sorriso e sollevò un secchiello d'argento da champagne pieno di ghiaccio, da cui spuntavano i colli di una dozzina di birre Tusker. Sono venuto a far la pace, vecchio mio , disse Gareth, e la gola di Jake si
contrasse in uno spasimo di sete, sì che per un momento non riusci nemmeno a parlare. Cos'é, un regalo? Senza fregature annesse? Anche in quel caldo umido, Jake Barton era stato così assorbito dal lavoro che in tre giorni non aveva quasi bevuto liquidi: non parliamo poi di birra bionda, frizzante e gelata, 'come quella che ora vedeva con gli occhi offuscati dal desiderio. Gareth scese dal risciò e si fece avanti col secchiello da champagne sotto il braccio. Swales , si presentò. Maggiore Gareth Swales e porse la mano. Barton. Jake , disse l'americano stringendogliela, con gli occhi incollati alle birre. Venti minuti dopo, Jake sedeva in un mastello di ferro cromato all'ombra dei mogani, con l'acqua fumante fino al petto. Con la bottiglia di birra a portata di mano, stava insaponandosi le ascelle e il torace peloso. Il guaio è che siamo partiti col piede sbagliato ~, stava dicendo Gareth, bevendo a canna da una bottiglia di birra. Sembrava che sorseggiasse Dom Pérignon da una flute di cristallo. Era seduto sull'unica sdraio di Jake, sotto la veranda della sua vecchia tenda sbiadita dal sole. Caro mio, a momenti il piede sbagliato te lo ritrovavi sull'osso sacro. Ma la minaccia di Jake era detta senza convinzione, affogata nella birra. Capisco la sua irritazione , disse Gareth. Ma allora lei mi ha dettò che non intendeva partecipare all'asta. Se mi avesse detto la verità, avremmo potuto metterci d'accordo. Jake sporse una mano insaponata e afferrò la bottiglia di birra. Prese due bei sorsi, poi ruttò. Salute ~, disse Gareth, e proseguì : Non appena mi sono accorto che faceva sul serio, mi sono ritirato. Sapevo che lei e io avremmo sempre potuto accordarci in seguito in maniera vantaggiosa per entrambi. E così eccomi qua, a bere birra con lei e a proporle un affare . L'ascolto. Molto bene , disse Gareth tirando fuori la scatola dei sigari. Ne scelse uno con cura, e si chinò per piazzarlo nelle labbra gioiosamente protese di Jake. Accese un fiammifero sulla suola degli stivali e lo porse all'americano. Mi sembra evidente che lei ha già un compratore per gli automezzi, no? Continuo ad ascoltarla , disse Jake emettendo una nuvola di fumo, con visibile piacere. E avrà già fissato un prezzo. Bene, io sono pronto a pagare di più. Jake si tolse il sigaro di bocca e per la prima volta guardò Gareth negli occhi. Lei vuole i cinque automezzi a quel prezzo nello stato in cui sono? sì , confermò Gareth. E se io le dicessi che solo tre sono in condizione di andare? Due sono praticamente dei rottami. Ciò non muta la mia offerta. Jake riprese in mano la bottiglia di birra. Aveva un contratto aperto con la Anglo-Tanganika Sugar Company per fornire motori a scoppio per frantoi di canna da zucchero a un prezzo prefissato di centodieci sterline l'uno. Da quelle macchine poteva ottenere tre propulsori, per un ricavo di trecentotrenta sterline. L'offerta dell'inglese era per tutte e cinque, a un prezzo da stabilirsI. Ho già fatto un sacco di lavoro su quei motori , disse Jake. Lo vedo bene. Centocinquanta sterline l'una, per tutte e cinque. Fa settecentocinquanta sterline. Lei rimonterà i motori e rivernicerà gli automezzi. Certo. Affare fatto , disse Gareth. Sapevo che ci saremmo messi d'accordo. Si guardarono soddisfatti. Stenderò subito l'atto di vendita , continuò Gareth tirando fuori il libretto degli assegni, e le firmo un assegno per l'intero ammontare. Un che? Jake non aveva già più l'aria soddisfatta. Un assegno sul mio conto presso la banca Coutis di Piccadilly. Era vero che Gareth Swales aveva un conto in banca da Coutis. Solo che, stando all'ultimo estratto, era in rosso per diciotto sterline, diciassette scellini e sei penny. L'ultima lettera del direttore, piuttosto pepata, era scritta appunto con l'inchiostro rosso. Sicuro come la Banca
d'Inghilterra , disse Gareth sventolando il libretto con gesto elegante. Ci volevano cinque settimane perché l'assegno potesse essere presentato all'incasso a Londra, e rimbalzasse sul soffitto. A quell'epoca sperava di essere già sulla via di Madrid. Gli risultava che ci fosse un certo movimento laggiù, e per allora avrebbe avuto il capitale necessario a sfruttarlo. Non mi sono tanto simpatici, gli assegni , dichiarò Jake togliendosi il sigaro di bocca. Se per lei fa lo stesso, accetterò le settecentocinquanta sterline in contanti. Gareth fece una piccola smorfia. Molto bene, non sarebbe stato così facile. Dio mio , disse. Ci vorrà un po' più di tempo allora. Non c'è fretta , sorrise Jake. Basta che i soldi arrivino entro mezzogiorno di domani. i~ la data della consegna al mio cliente originario. Lei viene coi soldi prima di quell'ora, e le autoblindo sono tutte sue. Si alzò di colpo dal bagno fra rivoli d'acqua e sapone, mentre il suo servitore accorreva con la salvietta. Ha impegni per cena? domandò Gareth. Credo che Abou, qui, abbia cucinato il suo famoso stufato ammazzaleoni. Vuol'essere mio ospite al Royal? Ho bevuto la sua birra, posso mangiare anche il suo cibo , disse in tono ragionevole Jake. La sala da pranzo al Royal Hotel'aveva il soffitto alto e grandi finestre protette da zanzariere. I ventilatori appesi al soffitto agitavano l'aria calda e umida creando un surrogato di frescura. Gareth Swales si dimostrò uno splendido anfitrione. Il suo fascino era irresistibile, e la sua capacità di scegliere cibi e vini produssero in Jake un tale benessere che dopo un po' stavano chiacchierando come vecchi amici. Scoprirono di avere un sacco di conoscenti comuni - in genere barman e maitresse in varie parti del mondo - e che avevano fatto esperienze parallele. Mentre Gareth faceva affari con un leader rivoluzionario in Venezuela, Jake lavorava per quel governo a costruire una ferrovia. Mentre Jake faceva il capomacchinista su un cargo che effettuava servizio di cabotaggio lungo le coste della Cina, Gareth vendeva armi ai guerriglieri comunisti sul Fiume Giallo. Erano stati in Francia nello stesso periodo, e quel terribile giorno ad Amiens, quando le mitragliatrici tedesche avevano accelerato la promozione di Gareth Swales da subalterno a maggiore nel giro di sei ore, Jake si trovava a otto chilometri di distanza sullo stesso fronte, come sergente carrista del Royal Tank Corps, aggregato alla 3a Armata americana. Scoprirono di avere circa la stessa età. Nessuno dei due aveva ancora compiuto i quaranta, ma in quel volgere di anni entrambi avevano fatto un sacco di esperienze e vagabondaggi. Riconobbero entrambi, nell'altro, la stessa irrequietezza che li spingeva a sempre nuove avventure, senza mai consentir loro di stare in un posto abbastanza a lungo da mettervi radici, liberi da possessi, mogli e responsabilità, portati a lanciarsi in ogni nuova avventura con impeto, per lasciarla poi senza esitazioni né rimpianti. Sempre andare avanti, mai guardare indietro. Comprendendosi un po' , cominciarono a rispettarsi a vicenda. A metà cena, non facevano già più caso alle loro differenze. Nessuno pensava più all'altro come al damerino o allo yankee: ma ciò non significava che Jake avesse deciso di accettare l'assegno di Gareth, o che Gareth avesse rinunciato al proposito di comprare le cinque autoblindo. Alla fine, Gareth scolò le poche gocce di brandy rimaste nel bicchiere e diede un'occhiata all'orologio. Le nove. troppo presto per andare a letto. Cosa facciamo adesso? Jake espresse un suggerimento. Ci sono due nuove ragazze da Madame Cecile, arrivate col postale. Gareth scartò la proposta. Più tardi magari, subito dopo cena non mi va. Che ne diresti di una partitina a carte? Di solito al club c'è un bel tavolo da poker ogni sera. Ma non possiamo andarci. Non siamo mica soci. C'è un accordo di reciprocità
col mio club di Londra, vecchio mio. . . sarò io a farti entrare. Giocavano da un'ora e mezzo. Jake si stava divertendo. Gli piaceva lo stile del club: di solito giocava in paraggi meno salubri, il retro di un bar, una cesta da frutta capovolta sulla caldaia principale in sala macchine, una cassa in qualche magazzino portuale. Questa invece era una sala dai tendaggi di velluto, le pareti rivestite di tek, scuri quadri a olio e trofei: leoni dalla criniera sbiadita, bufali dalle corna abbassate che guardavano dai muri con occhi di vetro. Dai tre biliardi veniva il cozzo discreto delle palle d'avorio, mentre una mezza dozzina di giocatori in camicia, cravatta e pantaloni neri le giacche da sera riposte per la durata della partita - si chinavano sul panno verde per tirare il loro colpo. C'erano tre tavoli di bridge, da cui venivano le dichiarazioni e controdichiarazioni nei toni sommessi usati allo SCOPO dalla classe dirigente inglese. Tutti i giocatori erano vestiti da pinguini come diceva Jake: cioè in bianco e nero, in abito da sera. Fra i tavoli i camerieri si muovevano silenziosamente a piedi nudi, in tuniche bianche lunghe fino alla caviglia e fez, come sacerdoti di qualche antica religione, portando vassoi pieni di bicchieri di cristallo scintillante. C'era un solo tavolo da poker, una massiccia struttura di tek con portacenere d'ottone fissati nel legno, nicchie e vassoi per i bic'chieri di whisky e le fiches d'avorio. Al tavolo sedevano cinque giocatori, e solo Jake non era in abito da sera. Gli altri tre erano proprio il tipo di pokeristi che Jake si sarebbe augurato di tenere sottochiave per suo esclusivo uso e consumo. C'era un nobilotto inglese, venuto in Africa per la caccia grossa. Era arrivato di recente dall'interno, dove un cacciatore bianco era rispettosamente rimasto al suo fianco con un fucile di grosso calibro, mentre l'aristocratico falciava schiere di bufali, leoni e rinoceronti. Questo gentiluomo aveva un tic nervoso all'occhio destro, che ballava ogni volta che aveva un tris o qualcosa di meglio in mano. Nonostante ciò, una fenomenale serie di belle carte gli aveva consentito di essere l'unico in vincita al tavolo oltre a Jake. C'era un piantatore di caffé, molto abbronzato, con la faccia tutta piena di rughe. Costui, allorché aveva una buona mano, emetteva un specie di sibilo involontario tra i denti. Alla destra di Jake stava un anziano funzionario statale, in procinto di diventare calvo, con, una carnagione giallastra per le febbri che luccicava di sudore ogniqualvolta credeva di essere sul punto di impossessarsi di un piatto, il che peraltro gli accadeva raramente. In un'ora di gioco attento, Jake aveva vinto poco più di cento sterline, e si sentiva alquanto soddisfatto là dove stava digerendo la buona cena. L'unico elemento della sua vita che non lo tranquillizzava appieno era il suo nuovo amico e sponsor. Gareth Swales sedeva a proprio agio, conversando col nobile da pari a pari, mostrando una leggera condiscendenza col piantatore e commiserando il funzionario statale per la sua sfortuna. Non aveva né vinto né perso, tuttavia maneggiava le carte con una destrezza impressionante. In quelle lunghe dita affusolate, dalle unghie ben curate, le carte viaggiavano con una velocità che sfidava l'occhio e inquietava. Jake osservava attentissimo, senza mostrarlo troppo, tutte le volte che il mazzo passava al maggiore Gareth Swales. Non c'è assolutamente modo, per un baro, di predisporre un mazzo senza guardar le carte mentre si mescolano: e Gareth non le guardava mai. Neanche un'occhiata al mazzo, mentre le sue dita agili lo maneggiavano, ma chiacchierava con questo e quello senza abbassare gli occhi dal loro viso. Jake cominciò a rilassarsi un po. Il piantatore gli servì quattro carte dello stesso seme, e al cambio gli entrò il colore col sei di cuori. Il funzionario statale, che era dotato di una
curiosità insaziabile, andò a vedere il suo rilancio di venti sterline e pagò brontolando mentre l'altro si impossessava del piatto e impilava ordinatamente le fiches d'avorio davanti a sé. Cambiamo mazzo , sorrise Gareth, alzando un dito per chiamare il cameriere e speriamo di far girare un po' la fortuna. Gareth fece girare il nuovo mazzo perché tutti potessero verificare i sigilli, poi l'aprì col pollice e tirò fuori le carte vergini dal dorso a doppia ruota di bicicletta. Tolse i jolly e iniziò a mescolare, cominciando a raccontare, contemporaneamente, la storiella molto buffa e molto oscena di un vescovo entrato per errore nella toilette delle signore alla stazione di Charing Cross. Ci vollero un paio di minuti per raccontare la barzelletta; e nelle sghignazzate che seguirono Gareth cominciò a distribuire le carte, facendole scivolare sul tappeto verde con lanci perfetti che creavano davanti a ciascun giocatore ordinati mucchietti. Solo Jake notò che, durante le tormentose disavventure del vescovo nella toilette delle signore, Gareth si era fermato di quando in quando nel mescolare le carte, e per un breve momento, nel sollevare i due mezzi mazzi, li aveva voltati quanto bastava per sbirciare le carte sottostanti. Sghignazzando come un matto, il baronetto prese le proprie carte e le guardò. La sghignazzata si interruppe di colpo, e la palpebra cominciò a sobbalzare come se stesse facendo l'amore col naso. Dall'altra parte del tavolo, intanto, risuonava il sibilo del piantatore, che richiuse subito le carte e le coprì con ambo le mani come un tesoro. Alla destra di Jake, la carnagione del funzionario statale brillava, gialla come avorio lucente, e un rivoletto di sudore prese a colargli giù dalla testa pelata sul naso e sulla camicia, mentre guardava le carte con occhi sbarrati. Jake aprì a ventaglio le proprie e diede un'occhiata alle tre donne servite. Sospirò e cominciò a raccontare lui una storiella. Quand'ero capomacchina sulla vecchia Harvest Maid ancorata a Kowloon, il capitano una sera portò a bordo un damerino e ci mettemmo a giocare. Le puntate. continuavano a salire sempre più, e poco dopo mezzanotte questo damerino servì una mano infernale. Nessuno pareva ascoltare la storia di Jake, erano tutti troppo assorti nelle loro carte. Il capitano aveva poker di re, io di fanti, e il medico di bordo un full d'assi. Jake risistemò le donne in mano e interruppe la storia, mentre Gareth Swales serviva due carte al funzionario statale, che tante ne aveva cambiate. Il damerino cambiò una carta e si cominciò a rilanciare da pazzi. Ciascuno gettava sul piatto tutto ciò che aveva al mondo. Grazie, amico, anch'io cambierò due carte. Gareth gli lanciò due carte attraverso il tavolo, e Jake scartò le proprie prima di prenderle. Come dicevo, ognuno puntava anche le mutande. Io ero già sotto di mille dollari più o meno. . . Jake aprì le carte, e durò fatica a non sogghignare: le regine c'erano tutte, stavolta. Quattro donne occhieggiavano civettuole dalle sue manone. Firmammo cambiali, impegnammo lo stipendio, e il damerino si limitò a starci dietro, senza rilanciare. Gareth servì una carta al baronetto e una a se stesso. Adesso tutti ascoltavano, con gli occhi erranti dal viso di Jake alle carte che avevano in mano. Be', quando si andò a vedere, in mezzo a noi c'era una pila di soldi che arrivava al soffitto . Vinse il damerino con una scala reale. Me lo ricordo come se fosse adesso: di fiori, minima. Ci vollero dodici ore prima che il capitano e io ci rimettessimo dallo shock, ma poi calcolammo le probabilità che una combinazione simile avvenisse naturalmente. Era una su sedici milioni circa. Le probabilità accusavano il damerino, e andammo a cercarlo. Lo trovammo al vecchio Peninsula Hotel, che spendeva i nostri soldi duramente guadagnati. Stavamo preparandoci a salpare: le caldaie erano ancora fredde. Lo mettemmo a sedere sopra la
caldaia, e poi l'accendemmo. Naturalmente dovemmo legarcelo. Dopo qualche ora aveva le palle arrostite come castagne. Perdio , disse il baronetto. Terribile. Proprio così , concordò Jake. C'era una puzza, in sala macchine! Un silenzio carico di tensione piombò sul tavolo: tutti sapevano che stava per accadere qualcosa di esplosivo, che una accusa ben precisa era stata mossa, ma non tutti capivano quale fosse, e a chi era rivolta. Tenevano in mano le carte come scudi, e si guardavano con occhi carichi di sospetto. L'atmosfera era così tesa che si diffuse per tutta la sala: anche i giocatori degli altri tavoli si interruppero e alzarono gli occhi dalle carte. Ritengo , disse Gareth Swales con voce chiara, che arrivò in tutti gli angoli della sala, che il signor Barton stia cercando di dire che qualcuno bara. Quella parola in quel luogo era così perturbante, così carica di funeste conseguenze, che molti inghiottirono e impallidirono. Un baro. . . in quel club! Molto meglio un adultero, o anche un assassino! Devo dire che sono pienamente d'accordo con il signor Barton. I gelidi occhi azzurri di Gareth Swales lampeggiarono di folgori irate, fulminando l'incredulo membro della Camera dei Lord che gli sedeva accanto. Mi chiedo se avrà la bontà di informarci, signore, dell'esatto ammontare del nostro denaro vinto da lei. La voce sferzava come un frustino, e per un attimo il nobile lo guardò senza capire. Poi divenne tutto rosso in volto e disse con voce strozzata per la rabbia: Signore! Come osa. . . buon Dio, signore! . . . e si alzò di scatto, tremando per l'offesa. Prendetelo! gridò Gareth, rovesciando il pesante tavolo di tek con un gesto a due mani. Il piantatore e il funzionario statale ci rimasero incastrati sotto. Carte e fiches finirono dappertutto; nessuno avrebbe mai più potuto ricostruire la mano servita da Gareth Swales nell'ultima notevole smazzata. Ha barato! Ah! L'ho sorpreso! disse Gareth, chinandosi sulla massa di giocatori che si dibattevano e tirando al baronetto un secco cazzotto sotto l'orecchio destro. Costui ruggì come un toro infuriato e rispose con una sventola. Gareth si limitò a spostare leggermente la testa per schivarla e ci andò di mezzo il segretario del club, prontamente accorso, che la ricevette dritta in mezzo agli occhi. Scoppiò una baruffa generale. Tutti i membri del club corsero in aiuto del segretario. Jake cercò di raggiungere Gareth nell'improvviso parapiglia. Non è lui il baro, sei tu! disse stringendo i pugni minacciosamente. Ma c'erano quaranta soci del club in quella sala, tutti vestiti da sera, e solo uno era vestito diversamente: Jake, appunto, con la sua giacchetta di panno leggero. Il branco si gettò su di lui. Guardati le spalle, vecchio mio , gli disse amichevolmente Gareth mentre Jake lo prendeva per il bavero. Jake lo lasciò andare e si voltò. Il cazzotto preparato per il maggiore Swales rimbombò nel folto dei soci all'attacco. Due caddero a terra, ma gli altri si fecero avanti. Giù botte! l'incoraggiò allegramente Gareth. E boia chi dice basta! Come per magia, appariva ora armato di una stecca da biliardo. A questo punto Jake era sommerso da una marea di abiti da sera. Ne aveva tre appesi al collo, due alle gambe, e due sotto le braccia. Non c'entro niente, idioti! Il baro è lui , disse cercando di additare Gareth. Ma non aveva dita disponibili, né mani né braccia quanto a questo. vero! disse Gareth. Dannato baro! e tirò un colpo di stecca, dalla parte dell'impugnatura, in testa ai gentiluomini ben vestiti appesi al collo di Jake. Caddero giù come pere mature e Jake, libero del loro peso, si voltò un'altra volta verso Gareth. Senti un po' , tu , ruggì avanzando verso di lui nonostante i corpi inerti in cui inciampava continuamente. Sento sì , disse Gareth alzando la testa. Era il fischietto di un agente. Dietro la porta a
vetri comparvero delle uniformi. Cribbio, i poliziotti! esclamò Gareth. Meglio filare Seguimi, vecchio mio. Con due colpi ben assestati della stecca ruppe il vetro della finestra più vicina e scivolò indisturbato nel buio del giardino. Jake camminava per il sentiero oscuro sotto gli alberi di jacaranda, diretto al proprio accampamento sulle rive del torrente. Da un pezzo si era lasciato dietro, nella notte, le urla e i fischi della polizia. Gli era sbollita anche la rabbia, e una volta era scoppiato a ridere da solo al ricordo del baronetto congestionato e offeso. A un tratto, alle sue spalle, senti cigolare le ruote di un risciò e avvertl'il battito di piedi nudi sul sentiero. Ancor prima di voltarsi seppe chi era che lo seguiva. a Credevo di averti perso , disse Gareth in tono disinvolto, coi nobili lineamenti illuminati dalla brace del sigaro e il capo mollemente posato sul cuscino. Sei filato via come un levriero dietro una cagna in calore. Sono rimasto impressionato. Corri forte! Jake non disse niente e proseguì verso la sua tenda. Non è possibile che te ne vada già a letto. Il risciò affiancava Jake. La notte è appena cominciata. Chissà quanti pensieri profondi e quali notevoli imprese può ancora riservarci. Jake cercò di non mettersi a ridere e continuò a camminare. Madame Cecile? propose Gareth insinuante. Le vuoi a tutti i costi, quelle autoblindo, eh? Mi offende che tu attribuisca moventi grossolanamente interessati a tutte le mie proposte amichevoli. Chi paga? domandò Jake. Naturalmente sarai ospite mio. Bene, ho bevuto la tua birra, mangiato la tua cena. . . che senso avrebbe fermarsi adesso? Si avvicinò al risciò. Su, gira che si torna indietro , disse al guidatore. Mentre costui voltava, Gareth infilò un sigaro fra le labbra di Jake. Cosa ti eri servito? domandò Jake, fra gli sbuffi fragranti di fumo. Scala reale? Poker d'assi? Preferisco ignorare questa domanda, per l'implicita insinuazione a proposito della mia onestà che è specchiata. Per un po' proseguirono in silenzio e poi fu Gareth a romperlo. Non gli avrete mica arrostito le palle per davvero, a quel poveraccio, eh? No , ammise Jake. Ma così la storia è migliore. Raggiunsero la porta del bordello, situato discretamente in un giardino cinto da un muro. Sopra il cancello ardeva una lampada a gas. Gareth si fermò con la mano sul battiporta. Sai, credo di doverti delle scuse. . . ti avevo giudicato male. Ci siamo fatti due risate. Credo che sarà meglio essere onesti d'ora in poi. Non so se riuscirò a superare lo shock. Si sorrisero a vicenda, mentre Gareth gli tirava un pugno scherzoso sulla spalla. Sei sempre ospite mio, comunque. Madame Cecile era così alta, sottile e senza seno che sembrava sempre sul punto di cadere come un bastone da passeggio. Indossava un abito scuro da sera dal taglio severo, che spazzava il pavimento, molto accollato e con le maniche lunghe. Portava i capelli a crocchia sulla nuca, e aveva sempre una espressione di disapprovazione arcigna in volto. Essa si addolcl'un tantino quando li fece entrare nel salotto. Maggiore Swales, è sempre un piacere. Signor Barton, non la vedevamo da un bel po' . Temevo che se ne fosse andato dalla città. Beviamo una bottiglia di champagne, mia cara , disse Gareth porgendo la sciarpa di seta alla cameriera. Ha sempre quel Pol Roger del 1923? Ma certo, maggiore. Dobbiamo far quattro chiacchiere prima di vedere le ragazze. ~; libero il salottino? Gareth si accomodò in una delle grandi poltrone di cuoio, con un bicchiere di champagne in una mano e un sigaro nell'altra. Venne subito al dunque. Il Duce sta per attaccare l'Etiopia. Sa Dio cosa spera di guadagnarci, dicono tutti che è la più desolata distesa di deserti e montagne che ci sia. Tuttavia, Mussolini la vuole. Forse ha visioni imperiali, sogni di gloria. Il vecchio prurito napoleonico, sai. Come fai a
saperlo? Jake si era sdraiato sul divano capitonné. Non beveva lo champagne. Non gli piaceva. il mio mestiere sapere queste cose, vecchio mio. Sento l'odore di una guerra ancora prima che lo sappiano quelli che la combatteranno. E questa è sicura al cento per cento. Il Duce sta passando attraverso tutti i classici stadi di proclamazione d'intenzioni pacifiche, mentre si arma a tutto vapore. Le altre grandi potenze - la Francia, i miei compaesani e i tuoi - gli hanno già strizzato l'occhio: via libera! Naturalmente squittiranno come scimmie impazzite, faranno ogni sorta di proteste alla Società delle Nazioni, ma nessuno muoverà un dito per impedire al vecchio Benito di papparsi l'Etiopia in un solo boccone. Hailé Selassié, l'il re dei re, lo sa benissimo, come lo sanno tutti i suoi principi, i ras e perfino i buffoni. Stanno disperatamente cercando di preparare qualche difesa. qui che intervengo io, caro amico. E perché dovrebbero comprare da te, ai prezzi che mi hai detto? Sicuramente conviene loro rifornirsi presso i fabbricanti stessi. Mio caro, dimentichi che c'è l'embargo. La Società delle Nazioni l'ha appena proclamato contro l'Eritrea, la Somalia e l'Etiopia. Niente più importazioni di armi da guerra in quest'area. un provvedimento inteso a ridurre la tensione, ma naturalmente funziona in un solo senso. Mussolini non ha mica bisogno del mercato internazionale per armarsi. Ha già tutti i cannoni, gli aerei e i camion che gli servono in Eritrea, pronti a partire; mentre il vecchio re dei re ha soltanto qualche fucile antiquato e un sacco di quegli spadoni che si impugnano a due mani. Sarà un bel mateh. . . ma non bevi il tuo champagne? Credo che andrò a prendermi una birra. Torno subito. Jake si alzò e andò alla porta, mentre Gareth scuoteva tristemente il capo. Che razza di gusti. La birra, mentre io gli sto offrendo champagne d'annata! Ma era più per avere ag~io di riflettere sulla propria posizione e pianificare le proprie mosse che Jake si era allontanato per andare al bar. Appoggiato al banco, nella sala affollata, ripensò a quanto gli aveva detto Gareth Swales. Cercò di capire fino a che punto si trattava di fatti e fino a che punto era fantasia. Poi esaminò le possibilità di quei fatti di trasformarsi in un guadagno per lui. Aveva quasi stabilito di non farsi immischiare nell'affare - c'erano troppe spine in quel sentiero - per attenersi al programma originale di vendere i motori allo zuccherificio, quando rimase vittima di una di quelle coincidenze troppo nette per non essere considerate un segno del destino. Anzi, un vero scherzo da prete del destino. Accanto a lui, al bar, c'erano due giovanotti vestiti da impiegatucci, ognuno con una ragazza al braccio che accarezzavano distrattamente conversando con voce sicura e tonante. Jake era troppo immerso nei suoi pensieri per starli a sentire, ma un nome catturò la sua attenzione. A proposito, hai sentito che la Anglo Sugar è fallita? Macché, non ci credo! E vero. L'ho sentito con le mie orecchie in tribunale. Un fallimento da mezzo milione di sterline. Buon Dio. . . è la terza grossa ditta in questo mese! Sono tempi di crisi. Chissà quanti ometti farà colare a picco questa qua. Jake concordò in silenzio, versò la birra nel bicchiere, ~e tornò nel salottino. Erano tempi duri davvero. In pochi mesi era la seconda volta che pigliava una simile fregatura. La nave su cui era arrivato a Dar-es-Salam era stata sequestrata dal tribunale come garanzia in un processo per bancarotta Gli armatori di Londra erano falliti, ma la nave non bastava certo a pagare i loro debiti. Jake era sbarcato con tutti i suoi beni racchiusi nel sacco che portava in spalla, senza la minima speranza di riscuotere sei mesi di arretrati, né i contributi per la pensione che aveva versato nel fondo della società. Aveva appena cominciato a rimpannucciarsi con quel contrattO di fornitura di motori
per lo zuccherificio, e ancora una volta l'onda lunga della crisi, che spazzava tutto il mondo, l'aveva raggiunto. Tutti erano destinati ad andare in malora, piccoli e grossi, e ora Jake Barton si ritrovava proprietario di cinque autoblindo per le quali, sul mercato, non restava che un solo acquirente. Gareth era alla finestra e osservava lo spettacolo del porto, dove le luci delle navi tremolavano sulle acque nere. Si voltò a guardare in faccia Jake e proseguì la conversazione come se non fosse stata nemmeno interrotta. Visto che abbiamo deciso di essere disgustosamente onesti almeno fra noi, lasciami dire che stimo gli etiopi capaci di pagare quegli automezzi mille sterline l'uno. Naturalmente a patto che siano un po' rimessi in sesto, verniciati, e con una bella mitragliatrice montata sulla torretta. Ti ascolto sempre , disse Jake tornando a sdraiarsi sul divano. Dunque, io ho i compratori, e le mitragliatrici Vickers, senza le quali le macchine non valgono il becco di un quattrino. Tu hai le macchine e la capacità di rimetterle in funzione. A questo punto Jake vedeva in Gareth Swales un uomo del tutto diverso. Non notava più l'eloquio affettato e i modi da dandy: in compenso, negli occhi, coglieva il barbaglio piratesco. Non ho mai avuto soci prima d'ora. Me la sono sempre cavata molto meglio da solo. Ma ho avuto modo di conoscerti un po' , e credo che questa potrebbe essere la volta buona. Tu che ne pensi? Se mi freghi, Gareth. . . è la volta che le palle te le arrostisco sul serio. Gareth lanciò la testa all'indietro e si mise a ridere, divertito. Credo proprio che saresti capacissimo di farlo, Jake! Attraversò la stanza e gli porse la mano. Parti uguali: tu ci metti le autoblindo, e io il resto, poi si fa a metà di tutto, d'accordo? disse, e Jake gli prese la mano. Si fa a metà di tutto , concordò. Be', basta con gli affari per stasera. Andiamo dalle ragazze. Jake suggerì che Gareth, come socio alla pari, poteva dargli una mano ad aggiustare i motori, o almeno a riverniciare le autoblindo. Gareth impallidì e accese un sigaro. Ascoltami, vecchio mio, non è il caso di prendere proprio alla lettera questa storia del socio alla pari. Sai, il lavoro manuale non è affatto il mio genere. Be', allora dovrò assumere qualche aiutante. Non fare complimenti, assumi pure chi ti serve , disse Gareth agitando magnanimamente il sigaro. Io devo andare al porto a distribuire qualche bustarella e roba del genere, capisci. Poi stasera ceno dal governatore, per prendere contatti che potrebbero riuscirci utili, m'intendi? Gareth ricomparve all'accampamento l'indomani, in risciò, col solito secchiello pieno di bottiglie di birra e ghiaccio. Trovò una mezza dozzina di negri che lavoravano agli ordini di Jake. Il colore che Jake aveva scelto per le autoblindo era un grigio-nave da guerra: una aveva già ricevuto la prima mano. L'effetto era miracoloso. Il veicolo, che prima sembrava un vecchio catorcio in rovina, ora aveva l'aspetto di una formidabile macchina bellica. Per Giove , esclamò entusiasta Gareth. Sono rimasto impressionato anch'io. Il vecchio etiope diventerà matto. Passò in rassegna la fila di macchine, e si fermò alla fine. Ne stai verniciando soltanto tre, come mai? Perché non diamo una mano anche a queste due? Te l'ho spiegato, solo tre sono in grado di marciare. Dammi retta, vecchio, non è il caso di far tanto i difficili. Dai una mano di vernice anche a quelle e le infilo nel pacchetto. Mica le vendiamo con la garanzia. Gareth fece un bel sorriso a Jake e gli strizzò l'occhio. Tanto, prima che arrivino i reclami, ce ne saremo già andati. . . e senza lasciare indirizzo. Non si accorse che la battuta aveva offeso l'orgoglio artigiano di Jake finché non vide l'irrigidimento delle spalle, che ormai ben conosceva, e il rossore che gli saliva su per il collo.
Mezz'ora dopo stavano ancora discutendo. Ho una reputazione nei tre oceani e nei sette mari e non intendo macchiarmela per un paio di vecchie carcasse come queste , urlò Jake, dando un calcio alla più rovinata delle autoblindo Nessuno deve poter dire che Jake Barton gli ha tirato un bidone. Gareth si era fatto in fretta un'idea del caratterino del suo uomo. Capì per istinto che erano sul ciglio della violenza fisica, e all'improvviso cambiò atteggiamento. Ascolta, vecchio mio, non c'è sugo a urlare fra noi. . . Io non sto urlando , gridò Jake. Ma no, certo , lo consolò Gareth. Ho capito benissimo quello che intendi dire. E hai ragione, anch'io la penso esattamente così. Solo un po' rabbonito, Jake aprì la bocca per continuare a protestare, ma non poté perché Gareth gli infilò in bocca un sigaro e l'accese. Adesso cerchiamo di usare il cervello, va bene? Dimmi perché queste due non sono in grado di andare, e che cosa è necessario fare perché vadano. Un quarto d'ora dopo erano seduti sotto la veranda della tenda di Jake, bevendo birra gelata, e, grazie alla diplomazia di Gareth, l'atmosfera era tornata di amichevole collaborazione )ne. Un carburatore Smith-Bentley? ripeté Gareth pensosamente. Ho già interpellato tutti quelli che potevano averlo. Il concessionario locale ha perfino telegrafato a Città del Capo e Nairobi. Bisognerà farlo venire dall'Inghilterra, e ci vorranno come minimo otto settimane. Calma, calma, vecchio mio. Si tratterà di affrontare un destino peggiore della morte. . . ma, per il bene della ditta, io lo farò. Il governatore del Tanganica aveva una figlia di trentadue anni, zitella nonostante la grande fortuna e l'importante carica del padre. Gareth la sbirciò con la coda dell'occhio e capì fin troppo bene come mai. Il primo aggettivo che veniva alla mente per definirla era cavallina , ma non era quello giusto, stabilì Gareth. Andava corretto piuttosto in cammellina , se la lingua fosse stata abbastanza duttile da consentirlo. Un cammello rincoglionito, pensò intercettando lo sguardo di adorazione che ella gli rivolse mentre sedevano l'uno accanto all'altra sui lussuosi sedili di cuoio. Sei stata un tesoro a lasciarmi prendere l'auto di papà per fare questa passeggiata, cara. Ella gongolò, scoprendo i denti gialli sotto il grosso naso, felice del complimento. Al mio ritorno in patria me ne comprerò non c'è nulla di meglio di una bella Bentley. Gareth, alla guida della lunga limousine nera, imboccò la litoranea che correva fra le palme dietro la spiaggia. Un poliziotto vide il gagliardetto sventolare sul parabrezza e scattò sull'attenti. Gareth restituì il saluto toccandosi il cappello in una sorta di saluto militare, poi si rivolse alla compagna che, dalla partenza dalla residenza del governatore, non toglieva gli occhi dal suo volto nobile e abbronzato. C'è un bel posticino panoramico in cima a quella collina. Si vede il golfo, è molto bello. Avevo pensato che magari ci saremmo potuti fermare un po' là. Ella annuì con veemenza, troppo emozionata anche per parlare. Gareth ne fu lieto. La sua voce era un terribile squittio. Le sorrise di gratitudine: un sorriso radioso, irresistibile, e la ragazza arrossì. Aveva dei begli occhi, cercò di convincersi Gareth: per coloro ai quali piacciono gli occhi di cammello. Erano grandi pozzi di malinconia, contornati da lunghe ciglia. Si sarebbe concentrato sugli occhi, cercando di dimenticare i denti. Gli nacque una certa qual preoccupazione nell'animo. E se al momento critico mi morde? Con quelle zanne può anche infliggermi una ferita mortale. Per un attimo ebbe la tentazione di abbandonare il progetto. Poi si costrinse a immaginare una pila di mille sterline d'oro, e il coraggio gli tornò. Gareth frenò la Bentley e andò a cercare il pertugio; era nascosto dal sottobosco ma lo trovò quasi
subito. Risalì in macchina e la spinse lentamente nel varco fra la vegetazione, sotto un tunnel di palme. Ed eccoli in una radura riparata dai cespugli. Bene, mi pare che ci siamo , disse tirando il freno a mano. Ecco laggiù il golfo, se fai tanto di guardar di là. Si chinò un tantino per indicarglielo, e con un salto convulso la figlia del governatore gli balzò al collo. L'ultimo pensiero cosciente di Gareth fu di evitare i denti. Jake Barton aspettò che la grossa Bentley cominciasse a rollare e beccheggiare sulle sospensioni cornee una scialuppa nel mare in tempesta, prima di uscire claì cespugli e scivolare, con la borsa degli ATTREZZI in mano, fino al cofano. Il rumore che fece per aprirlo fu coperto dagli urli e mugolii di passione che provenivano dall'interno dell'auto. Jake diede un'occhiata dal parabrezza e colse un'orribile visione della figlia del governatore, o meglio dei suoi arti bianchi, informi, lunghi e nodosi che scalciavano come le zampe d'un cammello impazzito contro il tettuccio della Bentley. Affondò subito la testa nel motore. Cercò di fare in fretta, fischiando mentalmente Tiger Rag dietro le labbra serrate. Ma il carburatore andava su e giù mentre dall'abitacolo della vettura provenivano sempre più forti esortazioni mugolate a un sempre maggiore e più ritmato impegno. Il risentimento che aveva provato nei confronti di Gareth Swales, allorché si era rifiutato di dare una mano a dipingere le signore di ferro, sbollì del tutto molto rapidamente. Adesso Gareth era impegnato al massimo, e i suoi sforzi per lo scopo comune facevano impallidire il più penoso dei lavori manuali. Mentre Jake asportava l'intero blocco della carburazione dal motore e lo infilava nella borsa degli attrezzi, ci fu un ultimo urlo lacerante nell'interno della Bentley, che subito dopo si immobilizzò di colpo, mentre un profondo silenzio calava sul palmeto. Jake Barton scivolò per il sottobosco abbandonando il suo socio assordato e impigliato in una pania di membra sgraziate e costosa biancheria francese. Credi pure che, nelle mie condizioni indebolite, è stata dura tornare a casa a piedi. E anche convincere la signorina che non dovevamo considerarci fidanzati. Ti daremo una medaglia , gli promise Jake, emergendo dal vano motore di un'autoblindo. Con abnegazione e sprezzo del ridicolo il maggiore Gareth Swales teneva duro, faceva breccia, e martellava il nemico nei più muniti penetrali. . . Terribilmente divertente , borbottò Gareth. Ma, sai anch'io come te avrei una reputazione da difendere. In determinati circoli sarei molto imbarazzato se si risapesse una cosa del genere, vecchio mio. Quindi acqua in bocca, d'accordo? Hai la mia parola d'onore , gli disse serio Jake, e andò alla manovella dell'avviamento. Il motore partì subito e si stabilizzò su un ritmo regolare che Jake stette ad ascoltare un momento prima di sorridere soddisfatto. Sentila come va, questa bellezza! esclamò rivolgendosi a Gareth. Non ne valeva la pena, per sentire una canzone così? Gareth roteò gli occhi, sopraffatto da tristi ricordi, e Jake proseguì. Quattro, quattro belle e brave signore di ferro! Cosa vuoi di più dalla vita? Ne voglio cinque , disse subito Gareth, e Jake fece una smorfia. Ci mettiamo su il mio nome , implorò Gareth. La tua reputazione non ne soffrirà minimamente! Ma l'espressione di Jake era già una risposta. No? sospirò Gareth. Prevedo che la tua mentalità antiquata e sentimentale ci caccerà in grossi guai, tutti e due. Possiamo separarci subito. Eh no, caro mio. Sai, quegli etiopi non scherzano affatto. Sarebbe stato anche un po' rischioso rifilargliene una matta: ma se ci ritiriamo adesso. . . Hanno quegli spadoni che si impugnano a due mani, hai presente? E non ti tagliano solo la testa, ho sentito dire. . . va be', ci accontenteremo di fornirgliene quattro. Il 22 di maggio il Dunnottar Castle gettò l'ancora nel
porto di Dar-es-Salam e fu immediatamente circondato da una flotta di barchette. Era l'ammiraglia della Union Castle Line, che collegava regolarmente Southampion a Città del Capo, Durban, Lourenco Marques, Dar-es-Salam e Gibuti. Due appartamenti e dieci cabine matrimoniali di prima classe erano occupati da Lij Mikhael Wasan Sagud e dal suo seguito. Il Lij era un membro della casa reale etiopica, che asseriva di discendere addirittura da Salomone e dalla Regina di Saba. Era un influente consigliere dell'imperatore e assieme a suo padre governava, per conto di Hailé Selassié, una ESTENSIONE di deserti e montagne nel nord dell'Etiopia più grande della Scozia e del Galles messi insieme. Il ras stava tornando in patria dopo sei mesi di missione presso i governi della Gran Bretagna e della Francia, a chiedere invano l'aiuto di queste potenze, e della Società delle Nazioni a Ginevra, contro le mire aggressive di Mussolini nei confronti di quel grande impero africano. Era un uomo disilluso quello che sbarcò dalla nave, assieme a quattro dei suoi consiglieri anziani, e salì sulle auto noleggiate per lui e il suo seguito da Gareth Swales. Gli autisti avevano già avuto precise istruzioni. Adesso, vecchio mio, lascia parlare me , consigliò Gareth Swales a Jake, mentre camminavano nervosamente su e giù per le cavernose estensioni del magazzino n. 4 ai dock. Questa è la mia parte dello spettacolo. Tu limitati a mantenere un'aria marziale e a fare le dimostrazioni. Vedrai che impressione faremo al vecchio etiope. Gareth sfolgorava con l'abito tropicale azzurro e un bel garofano all'occhiello. Portava la camicia a righine della sua vecchia scuola, si era messo la brillantina e non aveva un capello fuori posto: quella mattina era anche andato a farsi regolare i baffetti. Diede un'occhiata critica al suo socio e ne rimase moderatamente soddisfatto. Il vestito di Jake non era stato tagliato in Savile Row, con tutta evidenza, ma era adatto all'occasione, pulito e stirato. Le scarpe erano state appena lucidate, e i riccioli troppo abbondanti bagnati e pettinati a dovere. Era perfino riuscito a togliersi ogni traccia di grasso dalle mani e dalle unghie. Vedrai, non parleranno nemmeno inglese , disse Gareth. Dovremo esprimerci a gesti. Ah, se mi avessi lasciato fare a modo mio! Gli avremmo rifilato anche la quinta. Devono essere un'accolita di selvaggi, che vanno in visibilio davanti a un sacchetto di sale e di perline. . . Fu interrotto dal rumore delle auto. Devono essere loro. Non dimenticare quello che ti ho detto. ) Due auto scoperte si fermarono fuori della porta, nel sole, e scaricarono i passeggeri. Quattro indossavano i lunghi sciamma bianchi, tuniche lunghe fino ai piedi, drappeggiate intorno alle spalle come toghe romane. Sotto le tuniche indossavano calzoni da equitazione di gabardine nero, e ai piedi dei sandali. Erano tutti uomini anziani, coi capelli folti e crespi spruzzati di grigio e i volti pieni di rughe. In dignitoso silenzio si raccoglievano intorno al più giovane e più alto, che indossava un vestito scuro di foggia occidentale, ed era entrato per primo nella penombra fresca del magazzino. Lij Mikhael'era alto più di uno e ottanta, e aveva le spalle un po' curve di chi ha passato troppo tempo sui libri. La sua pelle era color miele-scuro, barba e capelli corti incorniciavano un volto dai tratti fini. I suoi occhi erano riflessivi e aveva il classico naso a becco dei semiti. Benché fosse un po' curvo, camminava con la grazia di uno spadaccino, e quando sorrideva i suoi denti bianchissimi balenavano nel viso scuro. Per Giove , disse il Lij con un accento molto simile a quello di Gareth. Ma questi è Scorreggia Swales! La compostezza del maggiore Swales sembrò disintegrarsi. Egli annaspò nel tentativo di inquadrare mentalmente chi poteva aver usato un soprannome che non udiva più da vent'anni.
Era stato marchiato così quando un improvviso attacco di flatulenza l'aveva colto proprio nella cappella affollata del college. Aveva tanto sperato di non udirlo più, quel nomignolo, e ora ecco che il suo uso inopinato lo riportava a quella nuda cappella di pietra, agli sguardi divertiti, alle risate soffocate dei suoi compagni che lo avevano colpito quasi come pugni. Ora il principe rideva, toccandosi il nodo della cravatta. E anche Jake si accorse che colori e righine diagonali erano identici a quelli della cravatta di Gareth. Eton 1915, al Waynflete. Io ero Captain of the House. Una volta ti ho punito perché fumavi al gabinetto. Non ti ricordi più? Buon Dio , balbettò Gareth. Toffee Sagud! Mio Dio. Non so proprio che dire. . . Prova a esprimerti a gesti , gli mormorò Jake sfottente. Sta' buono, dannazione! sibilò Gareth, e con un immenso sforzo ripescò il sorriso che illuminava quel buio magazzino come il sole che sorge. Sua Eccellenza. . . Toffee. . . caro compagno. . . Si precipitò avanti con la mano tesa. Quale grande e inatteso piacere! Si strinsero la mano ridendo, e le nere facce solenni degli anziani consiglieri si rallegrarono. Lascia che ti presenti il mio socio, il signor Jake Barton del Texas. Il signor Barton è un bravissimo meccanico e finanziere. Jake, ti presento Sua Eccellenza Lij Mikhael Wasan Sagud, vicegovernatore dello Shoa, un vecchio e caro amico mio. La mano del principe era ossuta, fresca e salda. Il suo sguardo rapido e penetrante radiografò Jake in un attimo prima di tornare a t~osarsi su Gareth. Quando fosti espulso? Nell'estate del 1915, mi pare. Ti hanno bexato a letto con una cameriera, se non sbaglio, no? Buon Dio, no! Gareth sembrava orripilato. Mai con la servitù! Era la figlia del rettore. Ah già, adesso ricordo. Eri famoso. . . te ne sei andato in un'aureola di gloria. Si parlò di te per mesi. Si disse che eri andato a combattere in Francia col Duca, e che ti eri comportato molto bene. Gareth fece un gesto di deprecazione, e Lij Mikhael proseguì: Da allora cos'hai combinato, vecchio mio? Domanda quanto mai imbarazzante per Gareth. Fece alcuni vaghi gesti col sigaro. Oh, questo e quello, sai, una cosa e l'altra. Affari. Import-export: comprare, vendere. . . Il che ci riporta al presente, non è vero? disse gentilmente il principe. Certo, è proprio così , concordò Gareth prendendo sottobraccio il dignitario. Adesso che so chi è il compratore, sono ancora più contento d'essere riuscito a mettere insieme una fornitura veramente straordinaria. Le casse di legno erano ammucchiate ordinatamente lungo una parete del magazzino. Quattordici mitragliatrici Vickers, in gran parte nuove di fabbrica. . . mai sparato un colpo. . . Sfilarono lentamente lungo le casse fino all'estremità, dove una mitragliatrice era stata montata e piazzata sul treppiede. Come vedi, si tratta di roba di prima qualità. I cinque etiopi~ erano tutti guerrieri, di antichissima stirpe guerriera, e del vero guerriero avevano l'amore e il rispetto per le armi. Si affollarono impazienti intorno alla mitragliatrice. Gareth strizzò l'occhio a Jake e proseguì: Centoquarantaquattro fucili da fanteria Lee-Enfield, ancora nel grasso. . . Mezza dozzina erano stati puliti, montati, e appoggiati sulle casse. Il magazzino numero 4 era una specie di caverna di Aladino per gli ospiti. Gli anziani dignitari dimenticarono la loro dignità e si scagliarono sulle armi come un branco di corvi, fra esclamazioni in amarico al primo tocco del freddo acciaio oliato. Calpestandosi i lembi dello sciamma, si affollarono intorno alla mitragliatrice montata, l'impugnarono e la puntarono tutti felici qua e là, facendo ta-ta-ta-ta-ta come scolaretti, falciando immaginarie orde di nemici. Perfino Lij Mikhael dimenticò i suoi modi di Eton e si unì all'ispezione, scostando un dignitario settantenne alla mitragliatrice e
sparando subito una raffica di commenti chiassosi ai suoi cortigiani. Gareth intervenne con diplomazia. Sai, Toffee, vecchio mio, non è tutto qua quello che ho per te. . . neanche per sogno! Ho tenuto il meglio in serbo. Con l'aiuto di Jake, riunì il barbuto e pittoresco gruppo di etiopi e, staccandoli a fatica dalle armi in esposizione, li condusse di nuovo alle auto in attesa fuori del magazzino. Il piccolo corteo, con Gareth, Jake e il principe sulla vettura di testa, imboccò sobbalzando il sentiero sterrato che conduceva nella foresta di mogani e si fermò davanti a un lussuoso tendone da cerimonia, che aveva sostituito la tenda militare di Jake nello spiazzo accanto al torrente. Gareth aveva ordinato un banchetto al Royal Hotel, nonostante le proteste di Jake per il costo di quel servizio. Allunghiamogli una bottiglia di birra e una scatoletta di fagioli , diceva, ma Gareth scuoteva la testa: Solo perché si tratta di selvaggi non abbiamo il diritto di comportarci da barbari, vecchio mio. Stile ci vuole, stile, è questo il segreto nella vita. Stile e tempestività. Li riempiamo di champagne, e poi li portiamo alle autoblindo nella radura in fondo al sentiero. . . Così, ora li aspettava un plotone di camerieri in tunica bianca e fez rosso. Sotto il tendone, lunghi tavoli apparecchiati di ogni ben di Dio: porchette decorate, aragoste, un salmone affumicato, mele e pesche importate dal Sudafrica. . . e casse su casse di champagne, già al fresco nei secchielli d'argento. In questo caso, Gareth era stato convinto da Jake a rinunciare alla grande annata per ripiegare su un Veuve Clicquot senza pregi particolari. Il principe e il suo seguito, scendendo dalle auto, furono accolti da una salva di tappi di champagne, e si avvicinarono al tendone con letizia. Gareth aveva colto nel segno, perché gli etiopi amano feste e banchetti, e hanno un forte senso dell'ospitalità. Era proprio la cosa giusta da fare per accattivarsi la simpatia dei suoi ospiti. Mio caro Swales, hai avuto davvero una buona idea , disse il principe. Col suo innato senso della cortesia, aveva poi sempre evitato di chiamare il vecchio compagno di scuola col soprannome di Eton. Gareth gliene fu grato e, quando tutti ebbero in mano una coppa, proclamò il primo brindisi a gran voce: A Sua Maestà, Negusa Nagast, Re dei Re, l'Imperatore Hailé Selassié, Leone di Giuda . Tutti scolarono la coppa in un sol sorso, e per non sbagliare Gareth e Jake li imitarono. Dopo di che si gettarono sul cibo, dando modo a Gareth di sussurrare a Jake: Pensa qualche altro brindisi, dobbiamo farli bere . Ma non era il caso di preoccuparsi, perché intervenne il principe: A Sua Maestà Britannica Giorgio v, Re d'Inghilterra e Imperatore dell'India . Appena i bicchieri scolati furono riempiti di nuovo, fece un breve inchino a Jake e alzò la coppa: Al Presidente degli Stati Uniti d'America, signor Franklin D. Roosevelt . Per non sfigurare, ogni cortigiano, a turno, propose un incomprensibile brindisi in amarico, presumibilmente al principe, a suo padre, a sua madre, alle zie e ai nipoti, e numerosi bicchieri furono così scolati. I camerieri non facevano che correre a stappar bottiglie. Al Governatore della Colonia Britannica del Tanganica , disse Gareth alzando il bicchiere con un brivido impercettibile. E alla sua graziosa figliola , mormorò sarcastico Jake. Ciò provocò un altro giro di brindisi degli invitati in tunica, e Gareth e Jake cominciarono a intravedere la follia di voler stare al passo con quegli uomini avvezzi a bevande ben più forti, quale il tej che si beve in Etiopia. Come stai? mormorò Gareth ansiosamente a Jake, faticando a mettere a fuoco lo sguardo. Magnificamente , gli sorrise beato Jake. Perdio, questi bevono come cammelli. E tu insisti con lo champagne, Scorreggia! Prima o poi vedrai che ce la fai. Con un gesto della coppa indicò
il sorridente, ma niente affatto ebbro, gruppo di dignitari. Ti sarei grato se evitassi di usare quel nomignolo, vecchio mio. di cattivo gusto, non trovi? Non ha il minimo stile. Gareth gli tirò un'amichevole pacca sulla spalla~ ma quasi lo mancò. Un'espressione preoccupata gli si dipinse in viso. Come ti sembro? Mi sembri allegrotto come me. Meglio andar via di qua prima che ci stendano. Oh Dio, si ricomincia! esclamò allarmato Gareth, mentre il principe alzava la coppa di cristallo, guardandoli con aspettazione. Alla tua, mio caro Swales , disse incontrando lo sguardo di Gareth. Onoratissimo , replicò Gareth, e non poté fare a meno di tracannare l'ennesimo bicchiere. Poi si lanciò a bloccare il cameriere che stava già accorrendo a riempire la coppa del principe. Toffee, amico mio, adesso vorrei farti vedere la piccola sorpresa che ti ho preparato. Afferrò il principe per il braccio che reggeva la coppa e destramente gliela tolse. Venite tutti! Per di qua, compari , convocò. Fra i notabili dalla barba grigia si notò una certa riluttanza a lasciare il tendone, e Jake dovette venire in aiuto a Gareth. In due, allargando le braccia e facendo sciò-sciò, riuscirono dopo un poco a far imboccare al gruppo il sentiero nella foresta di mogani, che dopo una ventina di metri portava a una radura dell'ampiezza di un campo di polo. Un grande silenzio calò sul gruppo alla vista delle quattro autoblindo perfettamente allineate, fiammanti nella nuova vernice grigia, con le mitragliatrici Vickers dalle grosse canne raffreddate ad acqua sporgenti dalla torretta corazzata e già insignita delle bande orizzontali verdi, gialle e rosse del tricolore etiopico. Come sonnambuli, i dignitari si lasciarono condurre alla fila di sedie già preparate sotto gli ombrelloni, e vi si accomodarono senza staccare gli occhi dalle macchine belliche. Gareth si piazzò davanti a loro come un maestro di scuola, ma barcollando un po' . Signori, abbiamo qui una delle migliori macchine mai prodotte al mondo, quanto di meglio sia mai stato impiegato sul campo di battaglia dagli eserciti delle Grandi Potenze. . . e, mentre aspettava che il principe traducesse per i suoi consiglieri, rivolse un sorriso di trionfo a Jake. Metti'in moto, vecchio mio! Quando il primo motore rombò, gli anziani notabili etiopi si alzarono ad applaudire come il pubblico di un incontro di boxe. Millecinquecento ciascuna , disse fra sé Gareth. Andranno via a millecinque almeno. Lij Mikhael li aveva invitati a cena a bordo del Dunnottar Castle e, nonostante le proteste, Jake aveva dovuto indossare l'abito da sera confezionatogli in fretta e furia da uno dei sarti di Dar-es-Salam che consegnavano in giornata. Mi sembra di essere un pinguino , obiettò. Sembri un duca , lo contraddisse Gareth. Ti conferisce un po' di stile, amico mio . Stile, ricorda, stile ! Se hai l'aspetto di un barbone, la gente ti tratterà da barbone. Lij Mikhael Sagud indossava un meraviglioso robone ricamato in oro, scarlatto e nero, fermato al collo da una spilla su cui era incastonato un rubino grosso come una ghianda; pantaloni aderenti di velluto e pianelle intessute di fili d'oro a ventiquattro carati. La cena era stata ottima, e il principe sembrava di umore dolce. Dunque, mio caro Swales. I prezzi delle mitragliatrici e degli altri armamenti sono stati fissati mesi fa. . . ma alle autoblindo non si era mai fatto cenno. Tocca a te suggerire una cifra ragionevole. Eccellenza, io avevo in mente una cifra ragionevole, ma ora che so di trattare con te. . . Gareth si interruppe per fare un tiro dal sigaro avana offertogli dal principe, approfittandone per ricomporsi prima di gettar l'esca a cui contava di farlo abboccare. Che vuoi, mi rassegnerò a coprire le spese, accontentandomi di un modesto profitto per il mio socio e per me. Il principe espresse con un composto gesto della mano tutta
la sua approvazione. Duemila sterline l'una , aggiunse in fretta Gareth, legando una parola all'altra per rendere meno traumatizzante la cifra, ma Jake quasi si ingozzò di whisky e soda. Il principe annuì, pensosamente. Vedo , disse. Si tratta del quintuplo del loro valore reale. Gareth si scandalizzò. Eccellenza. . . Ma il principe lo tacitò con un gesto della mano. Nel corso degli ultimi sei mesi, ho passato gran parte del mio tempo a ispezionare e stimare armamenti. Mio caro Swales, ti prego di non insultare entrambi con le tue proteste. Ci fu un lungo silenzio e l'atmosfera nella cabina diventò tesa corne una corda di chitarra. Poi, il principe sospirò. Sono in grado di valutare il prezzo di queste armi, ma non sono in grado di comprarle. Le grandi potenze mondiali mi hanno negato questo diritto, il diritto di difendere il mio paese dall'aggressore. Nei suoi occhi scuri passò una nuvola di tristezza. Neri pensieri gli corrugarono la fronte. Il mio paese, come sapete, non ha accesso al mare: tutte le importazioni debbono passare per la Somalia francese o britannica, o per l'Eritrea italiana. L'Italia è il nemico: la Francia e l'Inghilterra sono i paesi che ci hanno sottoposti all'embargo. Lij Mikhael bevve un sorso dal bicchiere che aveva in mano, e vi affondò lo sguardo come se fosse una sfera di cristallo in cui leggere il futuro. Le grandi potenze sono pronte a consegnarci al tiranno fascista con le mani legate. Fece un altro profondo cospiro e poi guardò Gareth negli occhi, con tutt'altra espressione. Smise anche di dargli del tu: Maggiore Swales, lei mi ha offerto una partita di armamenti usati o superati a un prezzo parecchie volte superiore al loro vero valore. Io sono un uomo disperato, e devo quindi accettare la sua offerta e il prezzo che chiede . Gareth si rilassò un tantino e lanciò un'occhiata di sbieco a Jake. . Devo perfino accettare la sua richiesta che il pagamento sia effettuato in sterline. A questo punto, Gareth sorrise. Vecchio mio cominciò, ma il principe lo tacitò immediatamente ]evando una mano. A mia volta imporlo una condizione, una sola, ma irrinunciabile, per accettare la vostra offerta. Lei e il suo socio, il signor Barton, si occuperanno di far pervenire tutte le armi in Etiopia. Il pagamento sarà effettuato alla consegna del material'en ro i confini imperiali d Sua Maestà Imperiale Hailé Selassié Ma caro mio, che pretese! esplose Gareth. Ciò significa contrabbandare la merce per centinaia di chilometri in territorio ostile. E ridicolo. Ridicolo, maggiore Swales? Credo proprio di no. La sua mercanzia non ha alcun valore né per me né per lei a Dar-es Salam. Io sono il suo unico cliente, nessun altro al mondo sarebbe così stupido da comprare la sua merce. D'altra parte, qualunque mio tentativo di portare in patria queste armi sarebbe certamente impedito. Agenti delle grandi potenze mi sorvegliano di continuo. So benissimo che, al mio sbarco a Gibuti, sarò sottoposto a mille perquisizioni. E qui la sua mercanzia per me non vale niente. Si interruppe e guardò alternativamente sia Gareth sia Jake. Costui si stropicciò pensosamente il mento. Comprendo benissimo il suo punto di vista, Eccellenza , disse Jake. Lei è una persona ragionevole, signor Barton , replicò il principe, e tornò a rivolgersi a Gareth, ripetendo la sua ultima osservazione. Qui le sue armi non valgono niente. In Etiopia sono pronto a pagarle una fortuna. A lei la scelta. Le getti via, o le porti in Etiopia. Sono sconvolto , disse solennemente Gareth, camminando avanti e indietro. Voglio dire, dopo tutto si tratta di un mio vecchio compagno di Eton. Dio mio, stento a credere che si sia potuto rimangiare la parola spaventoso. Voglio dire, io mi fidavo di lui! Jake, stravaccato sul divano del salottino privato di \Madame Cecile, si era tolto la giacca dell'abito da sera, e aveva sulle ginocchia una ragazza
grassottella dal capelli biondi. Costei indossava un vestitino leggero color fiordaliso, ora sollevato sulle gambe, che rivelava le giarrettiere blu. Jake aveva in mano una delle sue grosse poppe e la soppesava con l'impegno di una massaia che scelga pomodori al mercato. La ragazza ridacchiava e gli si muoveva provocante in grembo. Dannazione, Jake, ascoltami! Ti sto ascoltando. E stato veramente offensivo protestò Gareth, e poi si distrasse un momento perché la compagna di Jake si era slacciata la camicetta. Per Giove, Jake, sono davvero deliziose, non trovi? Entrambi guardarono con interesse ciò che era messo in mostra. Tu hai la tua , brontolò Jake. Hai ragione , concordò Gareth, e si rivolse alla giunonica femmina che l'aspettava paziente sull'altro divano. Aveva i capelli neri sistemati in un'acconciatura alta ed elaborata, e occhi bruni grandi, intensi, che spiccavano sul volto bianco così come le labbra cariche di rossetto. Si accoccolò vicino a Gareth, passandogli languidamente un braccio intorno alle spalle. Sei proprio sicuro che non parlano inglese? chiese Gareth abbandonandosi all'esperto abbraccio di quei candidi arti. Sono tutte e due portoghesi , gli assicurò Jake. Comunque fa la prova Lu stesso. Molto bene. Gareth rifletté un momento. Ragazze, vi dico subito che non pagheremo un soldo per la vostra compagnia. Neanche un penny. Lo fate per simpatia. Nessuna delle due cambiò minimamente espressione, e i moti avvolgenti delle membra sinuose continuarono senza interruzioni. Mi sono convinto , disse Gareth. Possiamo parlare. Ma come, adesso? Abbiamo tempo solo fino al mattino per decidere che fare. Jake borbottò qualcosa che non si capì, e Gareth gli disse che non aveva sentito. Quel sempliciotto etiopico che dicevi tu ci ha proprio messi con le spalle al muro , ripeté Jake sardonicamente. Prima che potesse rispondere, Gareth si trovò la bocca tappata da un bacio di labbra rosse e piene come un frutto maturo. Ci fu un attimo di silenzio, poi Gareth riuscì a liberarsi con uno schiocco, col baffo scompigliato e la bocca impiastrata di rossetto. Jake, cosa diavolo facciamo? Jake glielo spiegò in un linguaggio marinaro che non las~ciava dubbi. Non dico cosa facciamo adesso con queste due qua, ma cosa facciamo domani col vecchio Toffee. Andiamo in Etiopia a consegnare la merce? La compagna di Gareth si impossessò nuovamente della sua bocca. Jake, per favore, concentrati un po' sul . problema anche tu , implorò Garet'n prima di cedere. Cosa credi, ci sto pensando anch'io , disse Jake senza interrompere le sue attività con la bionda. Come diavolo facciamo a sbarcare quattro autoblindo su una costa ostile, tanto per cominciare? E come facciamo poi a percorrere i quattrocento chilometri fino al confine etiopico? lamentò Gareth, parlando da un angolo della bocca. Subito dopo, qualcosa attirò la sua attenzione. . Ehi, dico, ma la tua amica non è una bionda naturale, sai? Incredibile. Jake lanciò uno sguardo di sbieco e sorrise. E la tua dev'essere scozzese, da quello che porta sotto la gonna , ridacchiò. Jake, dobbiamo deciderci. Andiamo o non andiamo? Prima l'azione, poi la decisione. Per il momento divertiamoci. Va bene , disse Gareth, finalmente convinto della futilità di una discussione in circostanze simili. Per un po' la conversazione languì. Riprese mezz'ora dopo, allorché si ritrovarono, sbracati, davanti a una carta geografica del Corno d'Africa procurata da Madame Cecile. Ci sono mille miglia di costa non sorvegliata , disse Gareth facendo scorrere l'indice lungo il Corno, reggendo la lampada a gas con l'altra mano. Poi tracciò una linea con l'indice verso l'interno. La carta dice che in questo punto è tutto deserto fino al confine. Non mi sembra probabile fare brutti incontri. Che s'ha da fare per campare, però , commentò Jake. Allora ci andiamo? chiese Gareth alzando gli occhi
dalla carta. Sai benissimo di sì. Sì , rise Gareth. Lo so bene. troppo grosso il mucchio di sterline d'oro che ci aspetta laggiù. Lij Mikhael'accolse la loro decisione con un cenno del capo e quindi domandò: Avete già pensato come fare? Forse posso aiutarvi. Conosco bene la costa, e quasi tutte le piste che portano all'interno . Fece cenno a uno dei propri consiglieri di portare una mappa e di stenderla sul tavolo. Jake gli spiegò il piano indicando le tappe principali dell'itinerario previsto. Abbiamo pensato di noleggiare un bastimento a chiglia piatta qui a Dar-es-Salam e sbarcare da qualche parte in quest'area. Poi caricheremo le armi sulle autoblindo e, con una adeguata scorta di carburante, punteremo direttamente verso il confine etiopico al di là de quale ci incontreremo coi vostri in qual-he punto prefissato. Sì , concordò il principe, come idea generale mi sembra che ci siamo. ì a io eviterei la Somalia britannica. C'è un efficace pattugliamento per impedire la tratta degli schiavi verso oriente. Ste e alla la ga, dunque. meglio attraversare quella francese. Si immersero nei piani della spedizione, e ben presto sia Jake sia Gareth si accorsero della leggerezza con cui si erano assunti quell'impegno. Non sembrava affatto facile quel viaggio: meno male che disponevano dei consigli del principe. Lo sbarco sarà uno dei momenti più crit ci. Su questa costa c'è una marea di sei metri, e un'inclina. ione sfavorevole del fondale. Tuttavia in questo punto, circa quaranta miglia a nord di Gibutl, esiste un vecchio porto eh~ si chiama Mondi. Non è nemmeno segnato sulla carta. Era il porto di schiavisti prima dell'abolizione della tratta, come Zanzibar e le isole di Mozambico. stato espugnato e distrutto dagli inglesi nel 1842. Il porto è privo di acqua dolce e per questo è stato poi abbandonato. Tuttavia assicura fondali sufficienti e un buon approdo. il luogo migliore per sbarcare i veicoli, un lavoro piuttosto complicato senza gru né banchine. Gareth prendeva appunti su carta da lettera intestata della compagnia di navigazione, mentre Jake studiava la carta geo grafica. Non girano soldati da queste pa ti? domandò Jake. Il principe si strinse nelle spalle. C'è un battaglione della Legione Straniera di stanza a Gibut Ogni tanto mandano una compagnia cammellata di pattuglia q, ma le probabilità di un incontro sono minime. Proprio le probabilità che preferisco;~ , mormorò Gareth. E una volta sbarcati che facciamo? Il principe appoggiò l'indice sulla carta geografica. Vi conviene spostarvi parallelamente al confine dell'Eritrea italiana, seguendo una rotta sud-ovest, fino alla regione paludosa dove il fiume Awash si interra nel deserto. Qui piegherete direttamente a ovest, attraverserete il confine della Somalia francese e vi troverete in Dancalia, cioè nell'impero d'Etiopia. Io far' in modo di incontrarvi qua. . . Si interruppe per confabulare con i propri consiglieri. Immediatamente nacque una conci tata discussione a voce alta, al termine della quale il principe tornò a rivolgersi ai due trafficanti, con un sorriso. Pare che siamo tutti d'accordo sul fatto che il posto migliore per l'appuntamento siano i Pozzi di Cialdi, ossia qui. Tornò a indicargli un punto sulla mappa. Come vedete, ci troviamo ben dentro il territorio etiopico. Si tratta di un luogo conveniente anche per il mio governo, perché le autoblindo saranno impiegate per la difesa della Gola di Sardi e della strada di Dessié, nell'eventualità di un'offensiva italiana in quella direzione. . . Il principe fu interrotto da uno dei consiglieri e lasciatò per alcuni minuti prima di annuire in segno d'assenso e tornare a rivolgersi ai due bianchi. Poiché il tragitto da Mondi ai Pozzi di Cialdi attraversa un tratto desertico e privo di piste, che presenta zone impossibili da superare per dei veicoli su ruote, mi è stato consigliato di
fornirvi una guida che conosce la regione. . . Sarà meglio , disse Jake con sollievo. Splendido, Toffee , concordò Gareth. Molto bene. Il giovanotto che ho scelto è un mio parente, un nipote. Parla inglese, avendo fatto fra l'altro tre anni d scuola in Inghilterra, e conosce bene l'area che dovrete attraversare perché è andato spesso a caccia di leoni da quelle parti, come ospite di un ras che vive in territorio francese. Parlò in amarico con uno dei consiglieri. L'uomo annuì e lasciò la cabina. L'ho mandato a chiamare. Si chiama Gregorius Maryam. Quando arrivò Gregorius, si vide che era un giovane sui venti, ventidue anni. Era alto quasi come lo zio, e aveva gli stessi lineamenti fieri da guerriero. Ma la sua carnagione era liscia e senza peli come quella di una ragazza, color del miele. Anche lui era vestito all'europea e aveva un'espressione seria e intelligente. Lo zio gli parlò brevemente e con calma in amarico ed egli annuì, dopo di che si voltò a guardare Jake e Gareth. Mio zio mi ha spiegato cosa mi si richiede, e sono onorato di prestarmi. Il suo tono di voce era chiaro e franco. Sa guidare un'automobile? gli chiese a un tratto Jal'e. Gregorius sorrise e annuì. Ma certo, signore. Ho una macchina sportiva ad Addis Abeba, una Morgan. Fantastico , disse Jake restituendogli il sorriso. Ma vedrà che un'autoblindo è una così un po' diversa. Gregorius farà subito i bagagli e si unirà a voi fin d'ora. Come sapete la nave salpa a mezzogiorno , osservò il principe, e il giovane nobil'etiope si inchinò allo~ zio e uscì dalla cabina. Adesso lei in deve un favore, maggiore Swales, e me lo renderà immediatamente. Lij Mikhael si r olse a Gareth, la cui espressione compiaciuta svaporò all'istante, per essere sostituita da un'altra di moderata angoscia. Gareth aveva sviluppato un salutare rispetto per l'abilità del principe nel condurre le trattative. Ascolta, vecchio mio. . . cominciò a protestare, ma il principe continuò senza curarsi dell'interruzione Una delle poche armi che il mio paese può impiegare è la coscienza del mondo civile. . . N il ci farei troppo conto , osservò Jaké Effettivamente non è un'arma molto efficace , disse tristemente il prmeipe. Tuttavia, se riusciamo a far sì che il mondo sia informato delle ingiustizie e delle aggressioni da n'i patite, forse potremo costringere le nazioni democratiche venirci in aiuto. Abbiamo bisogno di rendere popolare la nostra causa, di informare l'opinione pubblica. Se la gente sarà informata della nostra lotta, potrà magari costringere il proprio governo a intervenire. ~Ben pensato , concordò Gareth. Ora, viaggia con me una persona che ha una grandissima influenza sull'opinione pubblica americana una vera e propria stella del giornalismo del suo paese signor Barton. Ha centinaia di migliaia di lettori negli Stati Uniti come nel resto del mondo di lingua inglese. Ed è una persona di sentimenti democratici, solidale con gli oppressi; . Il principe fece una pausa Tuttavia, la sua reputazione- ci ha preceduti. Gli italiani sanno bene che la loro causa ne potrebbe essere danneggiata Se giornalisti di questo calibro cominciano a scrivere la verità sulle loro mire imperialistiche. . . Così hanno preso misure per impedirlo. Abbiamo saputo dalla radio, oggi stesso, che a questa persona è stato vietato il passaggio per i territori inglesi, francesi e italiani del Corno d'Africa: sicché le e stato praticamente negato ogni accesso all'Etiopia. Non solo ci impongono il blocco degli armamenti, dunque, ma impediscono ai nostri amici di venirci in aiuto. No , disse Gareth. Ho già abbastanza fastidi per mio conto, anche senza mettermi a fare il tassista per uno scribacchino. Che io sia dannato se lascerò mai. . . Sa guidare? lo interruppe Jake. Stiamo ancora cercando il conducente della quarta autoblindo. Se conosco bene i giornalisti, saprà
guidare al massimo il collo della bottiglia nel bicchiere , deprecò Gareth, di pessimo umore. Se è capace di guidare, possiamo fare a meno di assumere un autista. Sarebbe un bel risparmio , insisté Jake. e il malumore di Gareth sbollì un tantino. Questo è vero. Se sa guidare. Be', ora vediamo , disse il principe, e parlò brevemente con uno dei consiglieri che uscì subito dalla cabina. Gareth approfittò della pausa per prendere sottobraccio il prmeipe e tirarlo da parte. Ho fatto il calcolo delle spese extra che saremo costretti a sostenere, il nolo della nave, le provviste, il carburante eccetera. No. ci stiamo più dentro. Mi chiedo se non ti sia possibile ~venirci incontro con un gesto di buona volontà. Si tratta d poche centinaia di sterline. Maggiore Swales, ho già dato prova di buona volontà affidandovi mio nipote. . . e viceversa. Non che non l'apprezziamo. . . Gareth stava per sviluppare l'argomento, ma fu interrotto dall'aprirsi della porta della cabina e dall'ingresso della giornalista. Gareth Swales si rizzò, toccandosi il nodo della cravatta. Il suo sorriso sfolgorò nella cabina come il sole nascente. Jake Barton, seduto davanti alla carta geografica, stava accendendosi un sigaro, ma non terminò di farlo. Il fiammifero gli bruciò le dita, mentre fissava la nuova venuta. Signori , disse i] principe. Ho l'onore di presentarvi miss Victoria Camberweli distinta rappresentante della stampa americana e buona amica del mio paese. Vicky Camberwell non aveva ancora trent'anni, ed era una giovane donna nubile insolitamente attraente. Aveva imparato da tempo che gioventù e bellezza non erano un gran vantaggio nella professione che aveva scelto, e cercava, con pochissimo successo, di celarle entrambe. Adottava un abbigliamento severo e quasi virile. ~Una camicia di tipo militare, con spalline e taschini i cui bottoni venivano sollecitati dal suo abbondante e bel seno. Anche la gonna era color cachi, e aveva ancora più tasche della camicia: alla vita un cinturone di cuoio con una grossa fibbia. Ai piedi, su cui si levavano gambe lunghe e deliziose, portava scarpe allacciate in alto, quelle che le donne del tempo chiamavano pratiche . I capelli, accuratamente pettinati all'indietro e a crocchia, esponevano un lungo collo da cigno. Erano fini come seta, qua e là schiariti dal sole fino a diventare quasi bianchi: ma sulla fronte alta e liscia erano biondi come il grano, o le foglie in autunno. Fu Gareth a riprendersi per primo. Miss Camberweli naturalmente. Conosco il suo lavoro, la sua rubrica esce anche sull'Observer. Lei lo guardò con aria inespressiva, notevolmente immune agli effetti del suo celebre sorriso. I suoi occhi, notò Gareth, erano seri e intensi, di un verde che gli parve indicare saggezza, ma seminati di un pulviscolo d'oro. Jake, con le dita scottate dal fiammifero, imprecò. Ella si volse verso di lui, che si alzò in fretta. Non mi aspettavo una donna. Non le piacciono le donne? La sua voce era bassa e rauca, con toni che facevano accapponare la pelle. Difatti Jake si accorse che gli era venuta la pelle d'oca sugli avambracci. Anzil Vide che era alta, gli arrivava fino alla scella e che il suo fisico era atletico. Teneva la testa sollevata, il che sottolineava la bocca e il mento volitivo. Non mi viene in mente nessuno che mi piaccio di più. E qui lei sorrise, per la prima volta. Il suo sorriso aveva un insospettato calore, e Jake s'accorse che i denti anteriori avevano un piccolo difetto, nen erano perfettamente allineati, ma l'uno spingeva lievemente in fuori l'altro. La guardò affascinato per un momento, poi tornò a fissare gli occhi verdi, che lo stavano soppesando. : capace di guidare? le domandò serio, e il sorriso di lei si tramutò in una risata. -La macchina? chiese Vicky. : l'a certG. E so andare anche a cavallo, in bicicletta,
sugli SCI, piloto l'aeroplano, gioco a biliardo e a bridge, so cantare, ballare e suonare il piano. Credo possa bastare , rise con lei Jake. Credo possa proprio bastare. Vicky tornò a rivolgersi al principe. Di che si tratta, Lij Mikhael? gli domandò. Che cosa hanno a che fare questi due signori con i nostri progetti? Lo scafo torreggiante del Dunnottar Castle sfilò lentamente contro lo sfondo di palme e il cielo nuvoloso orlato di merletti di sole, quando la nave levò l'ancora e si diresse verso l'entrata del porto. Sul ponte superiore, l'alta figura del principe era attorniata dai dignitari in sciamma bianco. Mentre la nave prendeva velocità, infrangendo le prime onde schiumose, ! levò il braccio a salutare. Rapidamente la nave scomparve nello sconfinato oceano indiano, nel quale era destinata a inoltrarsi un po' prima di volgere la prua a nord. Le quattro figure sul molo attesero che fosse scomparsa osservando l'orizzonte affollato soltanto delle vele triangolari dei pescherecci. Jake parlò per primo. Bisognerà trovare una sistemazione per miss Camberwell. Al pensiero, sia lui sia Gareth fecero un gesto per afferrare la sua borsa e la macchina per scrivere nella custodia di pelle. Facciamo a testa o croce , suggerì Gareth, e lino dell'Africa Orientale gli comparve in mano. Croce , disse Jake. uno scel Che sfortuna, amico! lo commiserò Gareth dopo aver preso al volo lo scellino, rimettendolo lestamente in tasca. Mi occuperò io di miss Camberwell , proseguì, poi mi metterò subito a cercare la nave per risalire la costa. Nel frattempo ti CONSIGLIO di dare un'altra buona occhiata a quelle macchine. Così dicendo, fece segno a uno dei risciò che attendevano in fila sulla banchina. Ricordati che una cosa è arrivare fin qui al porto, e un'altra ben diversa è attraversare quattrocento chilometri di deserto. Meglio assicurarci di non dover tornare a casa a piedi , consigliò, aiutando la signorina a salire sul risciò. Avanti! ordinò al trasportatore e a fianco a fianco, con un allegro sventolio di saluti, Vicky e Gareth si avviarono verso la città. Pare che siamo rimasti soli, signore j disse Gregorius, e Jake borbottò, con gli occhi sempre incollati al risciò che si allontanava. Credo che andrò a cercarmi una sistemazione anch'io , disse ancora il giovane, e Jake si riscosse. Andiamo, andiamo, giovanotto. Puoi benissimo sistemarti nella mia tenda per i pochi giorni che ci restano prima di . partire. Poi sogghignò. Spero che non ti sia offeso solo perché avrei preferito dividere la tenda con la signorina Camberwell piuttosto che con te, Greg. Il ragazzo scoppiò a ridere. Comprendo i suoi sentimenti. . . ma forse russa, signore. Nessuna ragazza che abbia quell'aspetto può russare , gli disse Jake. E un'altra cosa. . . non chiamarmi più 'signore', mi innervosisce. Mi chiamo Jake. Prese uno dei sacchi di Greg. Andiamo a piedi , aggiunse. Ho l'orribile sensazione che non li rivedremo tanto presto. Presero a camminare sul ciglio polveroso della strada. Hai detto che hai una macchina sportiva, no? Una Morgan , chiese Jake. Sì, Jake. E sai cos'è che la fa muovere? Il motore a scoppio. Ma bravo! applaudì Jake. Cominciamo bene! Ti nomino secondo macchinista. Tirati su le maniche. Gareth Swales aveva una sua teoria della seduzione che in vent'anni non aveva mai avuto ragione di rivedere. Le donne amavano la compagnia degli aristocratici: erano tutte, fondamentalmente~ delle snob, la più fredda delle quali si scaldava alla semplice vista di uno stemma. Appena si furono accomodati sui cuscini imbottiti del risciò, egli cominciò a riversare su Vicky Camberwell'il torrente del suo spirito e del suo fascino. Ora, è impossibile farsi una reputazione internazionale nel giornalismo a ventinove anni se si manca di una certa sensibilità, o si ignorano le cose del mondo. In un minuto, quindi, Vicky
Camberwell si era fatta un'idea di Gareth. Ne aveva c'onosciuti altri come lui, con la stessa buona educazione. lo stesso aspetto elegante, lo stesso tono coltivato e lo stesso lampo d'acciaio nello sguardo. Un briccone, aveva stabilito fin dall'inizio: e ogni minuto di più in sua compagnia la confermava in questo giudizio. Ma era un briccone molto bello E anche divertente, con quell'accento esageratamente raffinatò e quel linguaggio ricercato che - se n'era accorta subito erano nient'altro che una posa. Lo ascoltò divertita mentre lui cercava di impressionarla col suo lignaggio. Come diceva sempre il colonnello. . . mio padre, anche in famiglia lo chiamavamo così. . . Effettivamente il padre di Gareth era morto colonnello, ma non in un reggimento illustre, come il grado sembrava suggerire. Lo era diventato con gli anni nei ranghi della polizia indiana, in cui era entrato come semplice agente. Naturalmente le proprietà di famiglia venivano dalla parte di mia madre. . . Sua madre era l'unica figlia di un fornaio fallito, e le proprietà comprendevano unicamente forno e bottega, ipotecati, a Swansea. Il colonnello è sempre stato un po' birbante. Come si suol dire, gli piacevano i cavalli difficili e le signore facili così ~dovette vendere le proprietà. Essi stessi vittime della società classista inglese, che non perdona, madre e padre si erano dedicati al compito di allevare il loro unico figlio al di là di quella invisibile barriera che divide la classe media da quella superiore. Ovviamente ho studiato a Eton, mentre mio padre prestava servizio in colonia. Ah, come vorrei averlo conosciuto meglio, quel diavolaccio! Dev'essere stato un gran personaggio. . . L'iscrizione a Eton era stata propiziata dal commissario di polizia, ex allievo del college. La piccola eredità di mamma, e gran parte dello stipendio di papà, se n'erano andate nel costoso progetto di trasformare il figlio in un vero gentleman. morto in duello, ci crede? Pistole all'alba: Ah, era un romantico, con troppo fuoco nelle vene. . . Quando il colera si era portato via sua madre, il salario del padre si era dimostrato insufficiente a pagare i conti che sconsideratamente il giovanotto, sempre in compagnia di figli di lord, si trovava a volte a dover pagare. In India la corruzione era la regola le bustarelle un modo di vita: ma il colonnello fu beccato Si trattò davvero di pistole all'alba: il colonnello entrò a cavallo nell'oscura GIUNGLA indiana con la pisto'a d'ordinanza Webley, e la sua giumenta baia tornò sola alla scuderia un'ora dopo, con la sélla vuota e le redini sul collo. Naturalmente dovetti lasciare Eton. Per forza. Fu una pura coincidenza che la sua affettuosa amicizia con la figlia del rettore fosse contemporanea all'ultima cavalcata del colonnello, ma almeno ciò consentì a Gareth di andarsene con l'aura di gloria ricordata anche da Lij Mikhael piuttosto che con la coda tra le gambe di una nullità che non poteva più pagar la retta. Entrò nel vasto mondo con l'accento, i modi e i gusti di un gentleman, ma senza i mezzi per sostenerli. Per fortuna c'era la guerra, all'epoca. . . e perfino un reggimento come quello del Duca di Edimburgo non stava tanto a sottilizzare sui mezzi dei suoi ufficiali. Eton costituiva una raccomandazione sufficiente, e, con l'aiuto delle mitragliatrici tedesche, le promozioni non si erano fatte aspettare. Tuttavia dopo l'armistizio le cose tornarono alla normalità e in quel reggimento un ufficiale doveva spendere tremila sterline l'anno per mantenere un tenore di vita consono alla propria posizione. Gareth Si congedò e da allora aveva continuato a cambiare. Vicky Cam~erwell lo ascoltava, affascinata suo malgrado. Sapeva che era la danza del cobra davanti al pulcino, e sapeva anche che parte del fascino che egli esercitava su di lei nasceva proprio dalla canaglieria che cila aveva
prontamente ravvisato nel tipo. C'erano stati altri come lui. Il suo lavoro la conduceva nei luoghi caldi del mor do, e uomini simili vi erano irresistibilmente attratti. Con loro c'era sempre eccitazione e pericolo, divertimento e brivido: ma, inevitabilmente, la dolorosa stangata alla fine. Cercò di non ascoltarlo, sperando che si arrivasse presto, ma lo spirito di Gareth era davvero irresistibile e, quando il risciO si arrestò davanti all'ingresso del Royal Hotel, Vicky faticava a controllarsi per non scoppiare a ridere come una matta Gettò indietro la testa, sciogliendo i capelli al vento, e si lasciò andare a una cordiale risata. Gareth aveva imparato anche a regolarsi sul tono della risata di una donna per verificare i propri progressi. Vicky rideva con una gaiezza spensierata, era na reazione fisica di retta che trovò rassicurante. Le prese possessivamente il braccio nell'aiutarla a scendere dal risciò. La accompagnò all'appartamento reale con aria da padrone. C'è un solo appartamento in tutto l'albergo. Il terrazzo dà sul giardino, e la sera ci arriva la brezza. E poi: l'unico bagno privato dell'albergo. C'è anche uno di quegli aggeggi francesi per rinfrescarsi le parti intime, mi capisce? E: Il letto è veramente straordinario. come addormentarsi su una nuvola e così via. Mai provato niente di simile al mondo . Starò qui? domandò Vicky, ostentando un'innocenza infantile . Be', pensavo che ci saremmo potuti arrangiare in qualche modo, ragazza mia. Non c'era il minimo dubbio circa il modo di arrangiarsi che aveva in mente Gareth Swales. Lei è molto gentile, maggiore , mormorò la ragazza, sollevando il telefono sul comodino. Parla la signorina Camberwell. Il maggiore Swales mi cede l'appartamento reale. Mandi un servitore a prendere la sua roba e lo sistemi in qualche altra camera. Ma, dico. . . balbettò Gareth, mentre lei copriva il microfono e gli faceva un bel sorriso. Poi si rimise in ascolto di ciò che le diceva il portiere. Oh, mio Dio! esclamò. Be', se è l'unica camera libera, bisognerà che si accontenti. Sono sicura che il maggiore ha sperimentato sistemazioni anche più scomode. Quando Gareth vide la camera che era diventata la sua, cercò onestamente : li ricordarsi una sistemazione peggiore: ma la prigione cinese a Mukden era più fresca e non direttamente soprastante un rumorosissimo bar, mentre la trincea ad Alras, nell'inverno del 1917, era più spaziosa e meglio arredata. Nei tre giorni seguenti Gareth Swales passò gran parte del suo tempo al porto, a bere té e whisky nell'ufficio della capitaneria, uscendo in barca col pilota incontro a ogni nuovo bastimento che compariva all'orizzonte, andando su e giù per la banchina in risciò per parlare con tutti i capitani di pontoni e chiatte, vecchi vaporetti e motonavi a nafia, remando verso le più scassate bagnarole ancorate nel golfo con una barca affittata. Le serate le trascorreva a corteggiare Victoria Camberwell col fascino, l'adulazione e lo champagne d'annata: tutte cose di cui ella sembrava avere un insaziabile appetito, oltre che una completa immunità. Lo ascoltava, rideva con lui e beveva il suo champagne, e a mezzanotte si scusava vezzosamente, ed eludeva agilmente tutti i suoi tentativi di attirarla contro un candido sparato della sua camicia o d'infilare un piede tra la porta dell'appartamento reale. La mattina del quarto giorno, comprensibilmente, Gareth Swales cominciava a essere un po' scoraggiato. Pensò di andare a trovare Jake al suo accampamento con un secchiello di birra nel ghiaccio, per consolarsi in compagnia del geniale meccanico americano. Tuttavia non gli sorrideva minimamente dover ammettere con lui il proprio fallimento. Così ancora una volta prese il risciò e si fece accompagnare al porto. Nella notte era arrivata un'altra nave. Si era ancorata in rada, piuttosto al largo, e
Gareth l'aveva osservata col binocolo. Lo scafo era incrostato, era vecchia e arrugginita, e aveva un equipaggio di straccioni: ma Gareth notò che l'alberatura sembrava solida. Era attrezzata a goletta, con alberi atti a reggere una gran quantità di vele, ma era anche munita di elica. Probabilmente all'interno dell'alta poppa era stato montato un motore diesel. Era la nave più adatta allo scopo che avesse visto fino a quel momento, e scendendo sulla banchina tutto allegro die de doppia mercede all'uomo del risciò. Saltò sulla barchetta che aveva preso in affitto e cominciò a remare verso la goletta. Più da vicino, vide che la nave era ancor più scalcinata di quanto apparisse da lontano. La vernice si scrostavi rivelando attraverso svariati strati di colori diversi che lo scafo era stato ridipinto a più riprese. Appariva ben chiara anche la situazione delle strutture igieniche di bordo: le murate erano zebrate di escrementi umani. Avvicinandosi ancor più, Gareth osservò che lo scafo era solido e compatto sotto l'esecrabile verniciatura, e la carena di rame, che Gareth scorgeva chiaramente attraverso l'acqua trasparente~ era priva delle solite incrostazioni di molluschi e alghe. Anche le manovre sembravano in ottimo stato, e le vele avevanO l'aspetto resistente e il colore giallo brillante della tela di canapa di ottima qualità. Il nome sulla prua era scritto in arabo e francese: Hirondelle. Batteva bandiera delle Seychelles. Gareth si domandò che razza di nave fosse. Era un purosangue truccato da ronzino. Quella grossa elica di bronzo era capace di spingerla sulle onde a tutta velocità, e anche la linea dello scafo appariva slanciata e ben adatta a tenere il mare. Nell'affiancarsi sentì il suo odore, e capì. Aveva già sentito quel tanfo di sentine infette e di umanità sofferente nel mar della Cina. Aveva sentito dire che si trattava di un odore impossibile da mandar via da uno scafo: nemmeno con sego sciolto in acqua salata bollente si riusciva a eliminarlo. Si diceva che in notti senza luna le motovedette riuscissero a individuare una nave carica di schiavi ancora dietro l'orizzonte, dalla puzza. Un uomo che si guadagnava il pane trafficando in schiavi non poteva far tanto lo schizzinoso per un po' di contrabbando d'armi, pensò Gareth, e cominciò a far segnali. Ehi, dell'Hirondelle! Ottenne una risposta ostile. Facce chiuse e scure da pirati lo guardarono dalla murata. Era una ciurma alquanto mista, c'erano arabi, indiani, cinesi e negri: nessuno rispondevà al suo saluto. In piedi sulla barchetta, Gareth unì le mani a megafono intorno alla bocca e con l'inconscia arroganza dell'inglese, che dà per scontato che tutti parlino la sua lingua, chiamò di nuovo. Voglio parlare al vostro capitano! Ci fu movimento a poppa e un uomo bianco si affacciò alla murata. Era scuro di pelle, abbronzatissimo, e così basso che la sua testa spuntava a malapena. Cosa volere? Tu polizia, eh? Gareth intuì che era un greco o un armeno. Aveva una benda nera su un occhio, e l'altro sfolgorava, azzurro e duro come un'agata bagnata. No polizia! lo rassicurò Gareth. Niente fastidi! Tirò fuori di tasca la bottiglia di whisky e la sventolò. Il capitano si sporse dalla murata e studiò Gareth. Forse riconobbe il lampo nell'occhio, o il piratesco ghigno che gli rivolse. Per riconoscere un pirata spesso ce ne vuole un altro. Comunque parve decidersi e abbaiò un ordine in arabo. Una scala di corda piovve lungo la fiancata. Tu viene , disse il capitano. Non aveva niente da nascondere. In questo viaggio portava solo balle di cotone da Bomhavi L e avrebbe scaricate a Dar-es-Salam per poi proseguire verso nord: da qualche parte, sul Corno d'Africa, avrebbe fatto scalo di notte per imbarcare un carico, ben più remunerativo, di esseri umani Finché i mercanti dell'Arabia, dell'India e dell'Oriente offrivano ingenti somme per le snelle ragazze dancale
o galla, uomini come quello avrebbero sfidato le navi da guerra inglesi e. i guardacoste per fornirle loro. Pensavo appunto di venir su a bere un whisky con lei, e parlare di soldi , disse Gareth mettendo piede sulla nave. Mi chiamo Swales, maggiore Swales. Il capitano, coi lunghi capelli neri unti d'olio profumato, si era fatto un bel codino che gli ricadeva sulle spalle. Evidentemente ci teneva proprio a sembrare un pirata. Io Papadopoulos , dichiarò ridendo per la prima volta e porgendogli la mano. Discorso soldi è musica per la mia orecchia. Gareth e Vicky Camberwell giunsero all'accampamento di Jake, nella foresta di mogani, carichi di doni. Ma che sorpresa , disse Jake sardonicam ~t~ nf l saldò con la fiamma ossi 'rica accesa in mano. Credevo che foste fuggiti insieme. Prima gli affari poi il piacere , disse Gareth aiutando Vicky a scendere dal risciò. No, no, mio caro Jake, abbiamo lavorato sodo. Vedo, vedo Hai proprio l'aria esausta- per il troppo lavoro. Jake spense la fiamma e prese il secchiello di birra in ghiaccio. Aprì immediatamente due bottiglie e ne passò una a Greg. Indossava solo un paio di calzoni corti color cachi. Bevve un lungo sorso dalla bottiglia e ghignò. Ma ti perdono, perché stavo morendo di sete. Ci avete salvato la vita, maggiore Swales e miss Camberwell , concordò Greg, salutandoli con un gesto della mano che impugnava la bottiglia di birra. Che diavolo è questa roba? chiese Gareth davanti alla massiccia costruzione a cui stavano lavorando Jake e Greg. Jake vi diede due orgogliosi colpetti con la mano. E una zattera. Fece il giro della complicata piattaforma di bidoni vuoti coperti di assi, magnificandola a gesti. Le autoblindo non sanno nuotare, e noi dobbiamo depositarle sul bagnasciuga. Come si fa, considerato che probabilmente la nave dovrà fermarsi al largo? Ci vuole una zattera. Vicky osservava le spalle e le braccia muscolose di Jake, il ventre piatto e il ciuffo di peli scuri che gli copriva il petto; Gareth era affascinato dalla rozza zattera. Ero venuto apposta per suggerirti di costruire qualcosa del genere per sbarcare gli automezzi , disse Gareth, mentre Jake, incredulo, alzava un sopracciglio. Tutto quello di cui dobbiamo assicurarci è che la nave abbia paranchi capaci di sollevarle fuori bordo. Quanto pesano? Cinque tonnellate l'una. Molto bene, l'Hirondelle ha i paranchi necessari. L'Hirondelle? La nave che ci porterà a Mondi. Ma allora è vero che hai lavorato , rise Jake. Non ci avrei mai creduto. Quando si salpa? Dopodomani all'alba. Caricheremo durante la notte per non farci troppa pubblicità, e alle prime luci prenderemo il largo. Non mi resta dunque molto tempo per insegnare alla signorina Camberwell'a guidare questi aggeggi. Jake si rivolse a lei, ora, e ancora una volta ebbe l'emozione di guardare in quegli occhi verdi e dorati. Dovremo stare insieme un bel po' . Il tempo non mi manca affatto, attualmente. Per Vicky, l'interludio a Dar-es-Salam era servito a rilassarsi dopo un'impegnativa missione a Ginevra presso la Società delle Nazioni. Compito sgradevole, corrispondenze tristi. Aveva passato gli ultimi due giorni a visitare il vecchio porto e a scrivere un articolo di duemila parole sulle origini e la storia della città. Si era goduta le avance di Gareth Swales, e le schermaglie per sottrarvisi. Ora si stava accorgendo dell'ammirazione di Jake Barton. Nulla di meglio che esser corteggiata da due uomini duri, forti e pericolosi per rilassarsi, pensò, e sorrise a Jake, godendosi la sua pronta reazione, e spiando Gareth con la : oda dell'occhio per vedere come la prendeva. Posso insegnare io, a Vicky, a guidare le vecchie carcasse. Non vorrei distrarti da compiti più importanti. Vicky non volse il capo, ma continuò a sorridere a
Jake. Credo sia competenza del signor Barton , disse la ragazza. Jake. Ma perché non ci diamo del tu? Hai ragione. Chiamami Vicky , disse la donna. . Le cose andavano abbastanza bene. C'era una bella storia da raccontare, una buona causa da difendere, e un'altra impresa ~;ta da aggiungere a quelle che già davano lustro alla sua ~utazione. Che lei sapesse, nessuno dei suoi colleghi aveva osato sfidare le sanzioni della Società delle Nazioni vioi~do le frontiere con una banda di trafficanti d'armi. . " 'In più, c'erano questi due maschi attraenti a farle compagnia! Era proprio una pacchia, almeno finché riusciva a contr~ollare la situazione e non permetteva alle sue emozioni di l~plodere per l'ennesima volta. h Imboccarono il sentiero fra i mogani ed ella sorrise segretamente a se stessa nel veder Jake e Gareth gareggiare per ~conquistare la posizione al suo fianco. Tuttavia, una volta arrivati alla radura, Gareth si fermò di colpo. ' E questo? domandò. I quattro veicoli erano stati ridipinti. Adesso erano vetture della Croce Rossa Internazionale, a giudicare dai simboli. ' Un'idea di Greg , spiegò Jake. Così ci penseranno due volte prima di spararci addosso. Noi tre saremo dottori, e Vicky infermiéra , disse Greg. Accidenti, che lavoro! esclamò Vicky impressionata. Dipinte di bianco, saranno anche molto più fresche nel deserto , disse Greg. Nella mia lingua, il suo nome significa 'Terra Infuocata'. Ho fatto dei portapacchi e ce li ho saldati, come potete vedere , spiegò Jake. Così ogni veicolo potrà portare due ~bidoni di benzina da quaranta galloni, e uno d'acqua dietro la torretta. Le casse di armi e munizioni saranno fissate per mezzO di corde ai ganci da me saldati alla corazza tutto intorno agli automezzi. Le casse di munizioni ci tradiranno subito , obiettò Gareth. Basta dipingerle di bianco e farci su una croce rossa: diventeranno casse di medicinali , replicò Jake; poi prese Vicky sottobraccio. Per te ho scelto questa: è la più docile e amichevole delle quattro. Perché, ognuna ha un suo carattere? lo sfotté Vicky, e rise sentendosi rispondere con gran serietà. Sono identiche alle donne, le mie signore di ferro , disse Jake sculacciando la più vicina. Questa che ti do é un vero tesoro, tranne che ha le sospensioni posteriori quasi scariche, così ancheggia un po' quando va forte. Niente di serio, intendiamoci, ma ecco perché l'ho chiamata miss Dondola. tua; vedrai che finirai per volerle bene. Jake andò avanti e tirò un calcio alla gomma della successiva. Questa qua, invece, è la puttana del gruppo. La primissima volta che ho cercato di metterla in moto a momenti mi spezzava il polso. Priscilla la Troia. Sono l'unico in grado di guidarla. Non mi ama, ma mi rispetta. Proseguì. Greg ha scelto questa e l'ha chiamata Tenastelin. Vuol dire 'Dio è con noi' e io lo spero vivamente, ma ne dubito. Greg è divertente in queste cose. Mi ha raccontato che un tempo voleva farsi prete. Gli strizzò l'occhio. Gareth, questa è la tua. Ha il carburatore nuovo di zecca. Credo sia fin troppo giusto che te la goda tu, visto che hai tutto osato per ottenerlo. Eh? chiese Vicky, con occhi che brillavano d'interesse, e orecchie ritte da segugio sempre in cerca di notizie. Che cos'è successo? è una storia lunga , ghignò Jake, che contempla fra l'altro una pericolosa galoppata in cammello. Gareth cominciò a tossire. Il fumo del sigaro gli era andato di traverso. Jake proseguì spietatamente: Ti basti sapere che si chiama Henrietta la Gobba, o anche solo la Gobba, per brevità . Pittoresco , commentò Vicky. Dopo mezzanotte i quattro veicoli si misero in moto, attraversando le vie buie e addormentate della città vecchia. Le corazze mobili erano state calate, sicché solo una stretta lama di luce dei fari si proiettava davanti e dietro. I motori borbottavano mentre le
autoblindo percorrevano le strade a passo d'uomo, sotto i rami delle piante le cui fronde estreme si confondevano con le stelle. I contorni delle autoblindo erano rotti dal carico che ognuna portava: casse e bidoni, rotoli di funi e reti, vanghe, picconi e attrezzatura da campo. Gareth Swales era in testa, lavato e sbarbato di fresco, con addosso un vestito di flanella grigia e, al collo, un foulard con i colori degli Zingari, una squadra di cricket di Oxford. Era un po' preoccupato che il proprietario del Royal Hotel potesse aver sentore della sua imminente partenza: doveva pagare il conto per le ultime tre settimane di permanenza, e al bar c'era una spaventosa risma di foglietti da lui sottoscritti con un elegante svolazzo in cambio di fiumi di champagne. Gareth non vedeva l'ora di trovarsi in mare aperto. Gregorius Maryam lo seguiva da presso. Il suo titolo ereditario era Gerazmach, Colui che comanda l'Ala Sinistra ; e il sangue guerriero gli scorreva impetuoso nelle vene, mischiandosi agli insegnamenti del Vecchio Testamento che aveva ricevuto, essendo stato educato alla religione cristiano-copta. Così, i suoi occhi brillavano di una luce mistica e quasi fanatica, e il suo cuore palpitava del fiero patriottismo d'un giovane inesperto, che ancora considerava lo sporco e sanguinoso affare che è la guerra un'impresa onorata e virile. Dietro di lui veniva Vicky Camberwell che guidava miss Dondola con competenza e precisione. Jake apprezzò il suo orecchio nel giudicare i giri del motore e la sua abilità nell'ingranare le marce di quel vecchio cambio ricorrendo a un'agile doppietta. Anche lei era eccitata dalla prospettiva dell'avventura e della novità. Quel pomeriggio aveva scritto il primo articolo, . raccontando i preparativi della spedizione, e l'aveva spedito al giornale utilizzando il nuovissimo servizio di posta aerea, che nel giro di dieci giorni l'avrebbe recapitato sul tavolo del suo editore a New York. Si trattava di cinquemila parole, in cui spiegava gli antefatti, denunciava la chiara intenzione di Benito Mussolini di mettere le mani sui territori etiopici, l'indifferenza del mondo, e l'embargo sugli armamenti. Non crediate , aveva scritto, che io gridi al lupo senza motivo: il lupo di Roma si è già mosso. Ciò che sta per accadere sui monti dell'Africa del nord farà vergognare il mondo civile. Dopo di che, si diffondeva a narrare i provvedimenti con cui le grandi potenze avevano invano cercato di tenerla lontana dal teatro della futura guerra. Così terminava la corrispondenza: Chi scrive ha eluso le restrizioni imposte ai suoi movimenti e alla sua integrità. Stanotte mi sono unita a un gruppo di prodi che rischieranno la vita per infrangere il blocco e portare all'Etiopia assediata quelle armi e quelle munizioni di cui ha disperato bisogno per combattere l'aggressore. Quando leggerete queste note, o avremo fallito e giaceremo morti sulle desolate coste dell'Africa o nel deserto che gli indigeni chiamano con terrore 'Terra Infuocata', oppure saremo riusciti nel nostro intento. Saremo sbarcati da un bastimento di piccolo cabotaggio, avremo attraversato centinaia di chilometri di territorio selvaggio e ostile, e saremo giunti nel luogo dell'appuntamento con un principe etiope nel cuore stesso del suo paese. Spero nel prossimo articolo di potervi descrivere questo viaggio: ma se gli dei del caso decideranno altrimenti. . . be', almeno ci avremo provato . Nel suo solito stile fiammeggiante. Bello l'accenno al viaggio misterioso, era un tocco di colore locale. Ma nell'articolo c'era proprio tutto: dramma, esotismo, e la vecchia storia di Davide contro Golia, che fa sempre il suo bravo effetto. Sapeva già che la serie completa di articoli sarebbe riuscita sensazionale, ed era tutta eccitata e impaziente. Dietro di lei, Jake Barton ascoltava distrattamente il pulsare del motore di Priscilla la Troia. Per
nessuna ragione in particolare, se non forse un'oscura premonizione di ciò che l'aspettava, quella sera l'autoblindo si era rifiutata per un pezzo di partire. Jake aveva girato la manovella fino a farsi venire i crampi al braccio. Aveva soffiato nel carburatore, controllato candele, puntine e ogni parte mobile che poteva essersi rotta. Poi, dopo un'altra ora di tentativi, era partita tranquillamente, senza dargli modo di capire cosa non andava prima. Con l'altra metà della sua attenzione, Jake pensava ai preparativi fatti. Sapeva che quelli erano gli ultimi momenti in cui si poteva rimediare a un'eventuale dimenticanza. Era un bel viaggio da Mondi ai Pozzi di Cialdi, e non c'erano stazioni di servizio né qui né là in mezzo. La zattera era stata caricata sull'Hirondelle nel pomeriggio, e ogni autoblindo trasportava il proprio carburante e le provviste necessarie al guidatore: un carico che sfidava le vecchie sospensioni e il telaio arrugginito. Così, la coscienza di Jake era tutta occupata, ma al di sotto di quel livello agiva un ricordo viscerale, che gli scaricava adrenalina in circolo. C'era stata un'altra notte come quella. I carri marciavano in colonna, col motore al minimo che gli accarezzava le orecchie. Ma poi c'erano state le esplosioni e i lampi degli shrapnels, le raffiche di mitragliatrice e le cannonate~ la puzza di fango e di morte. Contrariamente a Gregorius Maryam, là davanti, Jake Barton conosceva la guerra e tutte le sue glorie. Papadopoulos li aspettava sulla banchina, con una lanterna in mano e indosso un mantello che gli arrivava fino ai piedi e lo faceva sembrare uno gnomo. Segnalò alla colonna di farsi avanti, e la sua ciurma stracciona inondò la banchina di pietra a cui l'Hiro~tdelle era ormeggiata. Era chiaro che erano abituati a stivare strani carichi in silenzio nel bel mezzo della notte. Ogni autoblindo fu liberata delle sovrastrutture di casse e bidoni, che furono stivati a parte nelle viscere della nave. Poi i marinai infilarono massicci pallet di legno sotto i veicoli, e vi legarono le grosse funi di canapa. A un segnale di Papadopoulos, gli uomini agli argani avviarono i motori, e a uno a uno in men che non si dica i quattro grossi automezzi finirono sul ponte. Tutta l'operazione si svolse col minimo rumore possibile. Solo comandi a mezzavoce, grugniti degli uomini sotto sforzo, il borbottio in sordina dei motori degli argani, e il tonfo delle autoblindo che poggiavano sul ponte. Questi uomini conoscono il loro mestiere , sussurrò Gareth in segno d'approvazione, poi si rivolse a Jake. Vado dal commissario portuale a pagare la tassa di carico. Saremo pronti a partire fra un'ora o due. Scomparve nel buio in direzione degli uffici. Andiamo a vedere la sistemazione a bordo , disse Jake, e con Vicky salirono la passerella e misero piede sul ponte. Solo allora li raggiunse la prima zaffata che denunciava la nave schiavista. Quando Gareth tornò coi documenti, frutto di bustarelle e gabole nefande - aveva parlato di quattro autoambulanze dirette ad Alessandria d'Egitto -, gli altri tre avevano già avuto tutto il tempo di vedere le piccole fetide cabine che il capitano Papadopoulos aveva messo a loro disposizione, e di decidere di dormire in coperta, abbandonandole ai precedenti inquilini che erano cimici, pulci e scarafaggi. è una traversata di pochi giorni. Meglio stare sul ponte. Se piove, possiamo ripararci nelle autoblindo. Jake aveva parlato per tutti. Appoggiati al parapetto, guardarono le luci di Dar-es-Salam scivolar via nella notte, mentre sotto i piedi il motore diesel della goletta pulsava e la brezza fresca che veniva dal mare spazzava il ponte, scacciando dalle loro narici il terribile tanfo di schiavi. Vicky fu destata dal chiarore delle stelle. che le brillavano in volto. Aprì gli occhi e guardò in alto un cielo che splendeva delle meraviglie
del creato, con campi e mari di luci perlacee. Con calma si tolse di dosso le coperte e andò al parapetto. Il mare era rorida pece scintillante; ogni onda sembrava fusa in qualche prezioso e solido metallo, ingemmato di riflessi stellari, e in esso la scia della nave splendeva, fosforescente, come un sentiero di fuoco verde. La brezza marina era il tocco di un amante sulla pelle e fra i capelli. Sulla sua testa sbatteva leggera la grossa randa, e l'immensa bellezza della notte le dava una specie di dolore fisico al petto. Quando Gareth si alzò silenziosamente e, da dietro, le circondò la vita con le mani, non voltò nemmeno la testa, ma si appoggiò a lui. Non aveva nessuna voglia di stare a discutere e scherzare. Come aveva scritto ella stessa, nel giro di pochi giorni poteva esser morta, e la notte era troppo bella per lasciarla fuggire. Nessuno dei due parlò, ma Vicky sospirò e rabbrividì di piacere mentre le mani morbide ed esperte di Gareth scivolavano sotto la camicetta leggera di cotone. Il suo tocco, come la brezza, era leggero e carezzevole. Al di là degli abiti sottili ella sentiva il tepore e la compattezza della sua carne premuta contro di lei, sentiva il suo petto ansimare di desiderio. Si voltò lentamente sempre avvinta dal suo abbraccio e alzò il viso verso quello di lui, mentre egli si chinava, facendo aderire il suo corpo a quello di Gareth con un movimento in avanti dell'anca. Il sapore della sua bocca e il suo odore maschile di muschio accelerarono il desiderio di Vicky Ci volle tutta la sua decisione per staccar le labbra da quelle di Gareth, e sottrarsi al suo abbraccio. Tornò in fretta al giaciglio e raccolse le coperte con mano tremante. Le risistemò fra le scure forme supine di Gregorius e Jake e solo quando vi si fu adagiata di nuovo, cercando di controllare il respiro affannoso, si accorse che Jake Barton era sveglio Aveva gli occhi chiusi e il suo respiro era profondo e regolare, n. a seppe con indubitabile certezza che egli vegliava. Il generale Emilio De Bono guardava i tetti squallidi della città dalla finestra del proprio ufficio. L'Asmara si stendeva dinnanzi a lui, e oltre l'Asmara l'incombente massiccio dell'altopiano etiopico. Sembrava la groppa di un drago, pensò, e soffocò un brivido. Il generale aveva settant'anni, per cui ricordava benissimo che fine aveva fatto l'ultima armata italiana che si era avventurata su quell'imponente montagna. Il nome Adua era una macchia nella storia militare italiana, e dopo quarant'anni quella terribile e sanguinosa sconfitta di un moderno esercito europeo non era stata ancora vendicata. E adesso il destino aveva scelto proprio lui quale vendicatore, ed Emilio De Bono non era sicuro che il ruolo gli si confacesse. Avrebbe preferito di gran lunga che le guerre si potessero combattere senza che alcuno ne ricevesse danno. Il generale era disposto a tutto~ o quasi, per evitare di infliggere dolore o addirittura disagi. Evitava di dare ordini che potessero riuscire sgraditi a chi li riceveva. Muoveva severe obiezioni a qualunque operazione potesse mettere a repentaglio la vita di chicchessia, sicché da tempo i suoi ufficiali avevano imparato a non proporgliene più, di queste stravaganze. Il generale, in fondo al cuore, era un diplomatico e un politico, non un guerriero. Gli piaceva vedere intorno a sé visi sorridenti, e così sorrideva moltissimo anch'egli. Con la barbetta bianca appuntita, assomigliava a una vivace capretta raggrinzita. I soldati lo chiamavano appunto Barbetta: e lui si rivolgeva sempre ai suoi ufficiali con un bel caro ~, e ai soldati con l'appellativo di bambino . Voleva solo che l'amassero. Cosi continuava a sorridere. Tuttavia, adesso non stava sorridendo. Quel mattino aveva ricevuto un altro di quegli importuni fonogrammi in codice firmati Benito Mussolini. Il testo era ancora più perentorio del solito Il Re d'Italia
desidera ed io, Benito Mussolini, MINISTRO delle Forze Armate, vi ordino di. . . All'improvviso si sferrò un pugno sul petto coperto di medaglie Il suo aiutante di campo, il capitano Crespi, sobbalzò stupito. Quelli non capiscono! proruppe amaramente De Bono E comodo starsene a Roma a farci fretta! Gridare 'colpite! ' Non vedono il quadro che noi, invece, abbiamo sotto gli occhi. . . non vedono le formicolanti torme di nemici che si addensano al di là del fiume Mareb! Il capitano si accostò al generale e si mise a guardar fuori della finestra anche lui. L'edificio che ospitava il quartier generale dell'esercito coloniale all'Asmara era a due piani, e dall'ufficio del generale, al secondo piano, si godeva una vista dominante fino ai piedi delle montagne. Con un'occhiata di sbieco il capitano si rassicurò: le formicolanti torme non si vedevano. La terra era una distesa vuota e assolata. La ricognizione aerea che si spingeva ogni giorno fin nel cuore dell'Etiopia non aveva segnalato alcuna concentrazione di truppe, e una fonte dello spionaggio degna di fede aveva rivelato che l'imperatore Hailé Selassié aveva ordinato che nessuna delle sue rudimentali unità militari si avvicinasse a più di cinquanta chilometri dal confine, per non dare agli italiani alcun pretesto per avanzare. Non capiscono che devo consolidare le mie posizioni qui in Eritrea. Che devo disporre di una salda base e di una linea ferroviaria per i rifornimenti , piagnucolò De Bono. Era più di in anno che consolidava le posizioni e accantonava riserve. Il piccolo porto di Massaua, che un tempo riceveva soltanto qualche sperduto vapore e le navicelle dei mercanti di sale giapponesi, era stato completamente ricostruito. Magnifici moli di pietra si inoltravano in mare, spaziose banchine disseminate di gru, enormi magazzini e instancabili treni smaltivano le migliaia di tonnellate al mese di armamenti sbarcati a Massaua. Il canale di Suez restava aperto alle navi italiane che alimentavano l'avventura imperiale, e un flusso costante di esse si riversava a sud, infischiandosene dell'embargo imposto dalla Soaet' delle Nazioni sull'importazione di armamenti in Africa Orientale. Attualmente erano stati sbarcati più di tre miglior di tonnellate di merci varie, senza contare i cinquemila veicoli dell'esercito - camion per il trasporto di truppe, carri armati, aerei - già sul suolo eritreo. Per distribuirli era stata costruita una rete stradale che si diramava nell'interno, un sistema viario da fare invidia a quelli degli antichi imperatori romani. Il generale De Bono si tirò un altro pugno sul petto, facendo sobbalzare un'altra volta il capitano. Mi si intima di tutto osare. Non si comprer le che dispongo di forze insufficienti. Le forze di cui il generale si lagnava erano il più grande e potente esercito mai schierato sul continente africano. Egli infatti comandava trecentoses~santamila uomini, dotati dei più sofisticati strumenti di distruzione che il mondo conoscesse: dai Caproni Ca 133, trimotori in grado di trasportare due tonnellate di esplosivo ad alto potenziale in un raggio di novecento miglia, alle più moderr, e autoblindo, dai carri pesanti CV 3 armati di cannoni da 50 mm, alle batterie d'appoggio d'artiglieria pesante. Questa possente armata era accampata intorno all'Asmara e sulle colline che dominavano il fiume Mareb. Era composta di truppe diverse. C'era l'esercito regolare, in grigioverde ed elmetto; c'era la milizia fascista, in camicia nera, stivaloni, bandoliera e pugnale, col teschio o la folgore sulle mostrine; c'erano le truppe coloniali di somali ed eritrei, in fez e camicione stretto in vita dalla fascia coi colori del reggimento, con le gambe avvolte nelle mollettiere e i piedi nudi. C'erano poi le compagnie di volontari o bande , composte di predoni e tagliagole del deserto, attirati dalla
possibilità della guerra come i pescicani sono attirati dall'odore del sangue. De Bono sapeva, ma evidentemente non ponderava, che settant'anni prima il generale britannico Napier aveva marciato su Magdala con meno di cinquantamila uomini, incontrando e sconfiggendo per via l'intero esercito etiopico, per poi espugnare e distruggere quella fortezza sui monti liberando gli inglesi che vi erano rinchiusi. ritirandosi infine in buon ordine. Eroismi del genere non rientravano nemmeno nell'immaginazione del generale italiano. Caro. Il generale passò il braccio intorno alle spalle del suo aiutante di campo. Dobbiamo mettere insieme una riSposta per il Duce. Bisogna fargli capire le mie difficoltà. Gli diede due colpetti affettuosi sulle spalline d'oro e, mentre cominciava a dettare, il suo volto riprese l'espressione abituale. Mio caro e venerato Duce, nel porgere i sensi della mia incrollabile fedeltà a Voi e alla gloriosa Patria Italiana, posso garantirvi che notte e giorno mi prodigo instancabilmente. . . Ci vollero due ore di sforzi creativi perché il generale si dichiarasse soddisfatto del suo fiorito e magniloquente rifiuto di eseguire gli ordini del Duce. E ora , disse interrompendo il suo avanti e indietro per l'ufficio e sorridendo teneramente al capitano anche se non siamo ancora pronti per un'avanzata in forze, bisognerà iniziare i preparativi per l'offensiva meridionale, per placa lo un po' . Il piano d'invasione del generale era meticoloso e dettagliato come al solito. La necessità storica richiedeva che l'attacco principale fosse sferrato ad Adua. Nei magazzini c'era già un gran monumento di marmo di Carrara, con incisa l'iscrizione I morti di Adua sono stati vendicati. . . e la data ancora da scolpire. Tuttavia il piano comprendeva una direttrice secondaria d'attacco, ancora più a sud, per uno dei rari passi che conducono sull'altopiano centrale. Questo passo era la Gola di Sardi, una angusta fenditura che dal livello del deserto spaccava come un colpo d'ascia il precipite massiccio etiopico, e consentiva a un esercito di raggiungere l'altopiano a più di duemila metri di quota. La prima fase del piano d'attacco prevedeva la conquista dei dintorni dell'imbocco della Gola di Sardi, dove c'era l'acqua indispensabile alla sopravvivenza dei soldati in un deserto infuocato come quello. Il generale andò davanti alla vasta carta topografica appesa a una parete del suo ufficio, e con la bacchetta d'avorio indicò un punto nello spazio vuoto ai piedi delle montagne. I Pozzi di Cialdi , lesse ad alta voce. Chi ci mandiamo? Il capitano alzò gli occhi dal taccuino e guardò il punto indicato, che era tutto circondato dal giallo minaccioso e ostile che segnalava il deserto. Era in Africa da teml'o sufficiente per sapere cosa significa~ di spedire laggiù. Belli , disse. persona che si augurava Ah , esclamò il generale. Il conte Aldo Belli. . . il mangiatore di fuoco. Il pagliaccio , corresse il capitano. Su, caro , ammonì dolcemente il generale. Sei troppo duro. Il conte è un abile diplomatico, è stato per tre anni AMBASCIATORE a Londra. di antica e nobile famiglia, e anche molto, molto ricca. e un buffone , disse ostinatamente il capitano e il generale sospirò. è un amico personale di Mussolini . Il Duce è continuamente Suo ospite al castello. Politicamente ha un grosso peso. . . a Appunto. Spediamolo laggiù, dove non può far danno , disse il capitano, e il generale sospirò di nuovo. Forse hai ragione, caro. Mandalo a chiamare, se non ti dispiace. Il capitano Crespi sostava sui gradini del palazzo del quartier generale, sotto il portico con le colonne di finto marmo e l'affresco in cui un goffo pittore aveva raffigurato un'eroica congerie di italiani muscolosissimi di cui uno sconfiggeva i pagani, l'altro arava, l'altro mieteva, e tutti insieme dovevano dar l'idea di costruire un impero. Il
capitano stava guardando risentito l'enorme Rolls-Royce scoperta che avanzava sobbalzando sulle buche della strada principale. I fari accesi sembravano occhi mostruosi, e la vernice azzurra impolverata non scintillava più. Per comprare una macchina del genere ci volevano cinque anni di stipendio da capitano, e questa era una delle ragioni del risentimento di Crespi. Il conte Aldo Belli, uno dei maggiori latifondisti del paese, una delle cinque persone più ricche d'Italia, non si affidava ai mezzi di trasporto dell'esercito. Si era fatto progettare una Rolls-Royce fuoriserie apposta per la campagna africana. Quando il macchinone si arrestò dolcemente davanti al portico, il capitano notò lo stemma nobiliare del conte sulla portiera. Un lupo dorato rampante che reggeva uno scudo inquartato di argento e scarlatto. Sotto c'era il motto: M'arma ardimento. Appena l'auto si fermò, saltò giù un ometto bruno in uniforme da sergente che sedeva accanto all'autista. Si inginocchiò ai piedi dei gradini imbracciando una grossa macchina fotografica, per immortalare la discesa dalla vettura della personalità seduta dietro. Il conte Aldo Belli si sistemò con cura il berretto, tirò in dentro la pancia e si alzò in piedi, mentre l'autista correva ad aprirgli la portiera. Il conte sorrise. Era un sorriso dai denti candidi e dal possente carisma. Aveva gli occhi scuri e romantici, dalle ciglia lunghe come quelle di una signora alla moda, la carnagione abbronzata di un olivastro dorato e i riccioli lustri ridondanti sotto il berretto nero. Benché avesse già trentacinque anni, nemmeno un capello bianco corrompeva la sua splendida capigliatura. In quella posizione sembrava molto più alto, e torreggiava come un dio sugli ometti affaccendati intorno a lui. La bandoliera lucida sfolgorava, diagonale, attraverso il suo petto, e, sul berretto, brillava il teschio d'argento. Il pugnaletto aveva l'impugnatura tempestata di diamanti e perle su disegno del conte in persona, e il revolver dal calcio d'avorio gli era stato fatto a mano apposta dalla Beretta. La fondina era applicata a un cinturone strettissimo che cercava invano di tenere a bada la pancetta. Il conte si fermò a guardare il piccolo sergente. Allora, Gino? gli domandò. Va molto bene, signor conte. Alzate un tantino la testa per favore. Era il solito mento che dava grattacapi al fotografo e al conte. Da certe angolazioni mostrava l'allarmante tendenza a raddoppiare, come i cerchi concentrici quando si tira un sasso in uno stagno. Il conte lo alzò al cielo, come faceva spesso e volentieri anche il Duce, e la pappagorgia si stirò. Bellissimo! gridò Gino, e scattò. Il conte scese dalla Rolls, godendosi gli scricchiolii degli stivali a ogni passo finché, giunto alla distanza giusta dal capitano Crespi, infilò nella cintura il pollice della sinistra, e con la destra scattò nel saluto romano. Il generale vi aspetta, colonnello , gli disse Crespi. Sono accorso appena ricevuto l'ordine. Il capitano fece una smorfia. Sapeva benissimo che l'ordine gli era stato consegnato alle dieci del mattino, ed erano quasi le tre del pomeriggio. Era la toilette del conte che richiedeva tanto tempo. Infatti ora profumava come una rosa fiorita, reduce com'era da bagno, rasatura, manicure e massaggio. Buffone , pensò ancora una volta il capitano. Per giungere alla sua carica di aiutante di campo, a Crespi erano occorsi dieci anni di carriera senza macchia: mentre costui solo aprendo la borsa, invitando Mussolini a caccia nelle sue tenute ai piedi degli Appennini, aveva ottenuto la nomina a colonnello comandante di un intero battaglione. Quest'uomo non aveva mai sparato a nulla di più grosso d'un cinghiale, e fino a sei mesi prima non aveva mai comandato niente di più formidabile che qualche pattuglia di ragionieri, giardinieri, o sgualdrine nel suo letto. Pagliaccio , pensò amaramente il capitano,
facendogli strada con un bel sorriso. Fatti fotografare ad acchiappar mosche nel deserto dancalo, o a odorare la puzza di merda di cammello ai Pozzi di Cialdi , gli augurò mentalmente, seguendolo nel palazzo dello stato maggiore. Da questa parte, colonnello, se non Vi spiaCe. Il generale De Bono posò il binocolo mediante il quale, con crescente inquietudine, aveva studiato le pendici del massiccio etiopico, e quasi con gratitudine si voltò ad accogliere il colonnello. Mio caro , sorrise il generale, porgendogli ambo le mani mentre costui traversava il vasto salone dal pavimento di piastrelle dipinte a mano. Mio caro conte, avete fatto proprio bene a venire. Il conte si fermò in mezzo alla sala e scattò nel saluto fascista, bloccando il generale che stava venendogli incontro. Nessun sacrificio mi sembrerà eccessivo se compiuto per il mio Re e il mio Paese. Aldo Belli si beava delle proprie parole. Queste doveva segnarsele, potevano tornar buone ancora. Sì, certo , concordò in fretta De Bono. Qui nessuno la pensa altrimenti. Generale De Bono, sono ai vostri ordini e a vostra completa disposizione. Grazie, grazie, caro. Se prima bevessimo un bicchierino? suggerì. Un madera, un biscottino per addolcire il gusto amaro della medicina che stava per propinargli. Il generale si sentiva male alla sola idea di spedire qualcuno in Dancalia. Già all'Asmara faceva un caldo da morire, chissà laggiù. Il generale si pentì di aver accolto il suggerimento di Crespi. Era meglio scegliere qualcuno con meno influenza politica del conte. Be', comunque non l'avrebbe certo insultato venendo subito al dunque. Siete riuscito a sentire La traviata a Roma, prima di partire? Se ne dice un gran bene. Ah, fortunatamente sì, generale. Ho avuto l'onore di essere invitatO al seguito del Duce la sera della prima. Il conte si rilassò un tantino e fece un bel sorriso a De Bono. Il generale, versando il vino, sospirò. Ah, che nostalgia della civiltà, in mezzo a questi selvaggi. . . Era tardo pomeriggio allorché il generale si decise ad affrontare l'argomento. Sorridendo come per scusarsi, diede gli ordini necessari al colonnello. I Pozzi di Cialdi , ripeté il conte, e immediatamente un gran cambiamento ebbe luogo in lui. Saltò in piedi, rovesciando il bicchiere di madera, e cominciò a camminare maestosamente avanti e indietro per l'ufficio del generale, con gli stivali che scricchiolavano sulle piastrelle, la pancia in dentro e la pappagorgia stirata. Meglio la morte che il disonore , proruppe Aldo Belli, riscaldato dal madera. Speriamo di no, caro , mormorò il generale. Tutto ciò che vi chiedo è di presidiare dei pozzi incustoditi. Ma il conte sembrò non udirlo nemmeno. Vi sono molto grato di avermi dato l'occasione di distinguermi. Potete contare su di me fino alla morte! tuonò con l'occhio brillante. Poi dovette venirgli in mente qualcos'altro. La mia avanzata sarà coperta da reparti corazzati e aviazione? domandò, in ansia. Non lo reputo affatto necessario, mio caro. Il generale parlava con la massima calma. Tutti questi discorsi di onore e morte lo disturbavano un po' , ma non voleva certo offenderlo. Ritengo che non incontrerete alcuna resistenza. E se invece l'incontro? domandò il conte sempre più agitato, sicché il generale pensò bene di avvicinarglisi e rincuorarlo con una pacca sulla spalla. Avete la radio, no? Se necessario, chiederete rinforzi. Il conte ci pensò su un momento e gli parve una soluzione accettabile. Ancora una volta il fervore patriottico l'infiammò. A chi la vittoria? A noi! urlò, e il generale gli fece vigorosamente eco. Speriamo in bene, caro. Speriamo. All'improvviso il conte andò alla porta. La spalancò e gridò: Gino! Il piccolo sergente in camicia nera corse nella sala, regolando freneticamente l'enorme macchina
fotografica che portava a tracolla. Vi spiace, generale? domandò Aldo Belli conducendolo davanti alla finestra. C'è più luce qui. I raggi del sole al tramonto illuminarono i due di una luce teatrale, mentre il conte stringeva la mano a De Bono. Un po' più vicini, per favore. Un passo indietro, signor generale, così copre il signor conte. Mento in su. . . così! Bello! gridò Gino, e immortalò l'espressione sbalordita del generale al di sopra della bianca barbetta caprina. Il maggiore più anziano del battaglione di camicie nere Africa era un soldato di professione duro e incallito, con trent'anni di esperienza, un veterano di Vittorio Veneto e Caporetto, dove era stato promosso sul campo. Come militare di carriera, aveva accolto con disgusto il trasferimento dal reggimento prestigioso dell'esercito in cui prestava servizio a quella marmaglia di milizia politica. Aveva protestato in lungo e in largo, ma l'ordine veniva dall'alto dallo stesso comando di divisione. Il generale di divisione era un amico del conte Aldo Belli, e gli doveva parecchi favori. Sapeva anche che il conte, dentro di sé, capiva benissimo di aver bisogno di un vero soldato per guidarlo e consigliarlo. Il maggiore Castellani era probabilmente uno dei pochi veri soldati dell'esercito italiano. Una volta rassegnatosi al trasferimento, si era dedicato di buzzo buono all'adempimento dei suoi nuovi doveri, che consistevano principalmente nella io tale riorganizzazione della disciplina e dell'addestramento della milizia. Era un uomo grosso, col cranio grigio rasato e una faccia da mastino piena di rughe lasciate da una dozzina di campagne. Camminava con l'andatura dondolante di un marinaio o di un cavallerizzo, senza essere né l'uno né l'altro: la sua voce se tirava un po' di vento, si udiva a due chilometri di distanza Per merito quasi esclusivamente suo il battaglione si ritrovò in assetto di guerra un'ora prima dell'alba. Seicentonovanta uomini armati ed equipaggiati sfilarono così, stipati sui camion, per la strada principale dell'Asmara. I militi tacevano, avvolti nel pastrano grigio per difendersi dal freddo del mattino. I motociclisti fiancheggiavano la Rolls-Royce del comandante, su cui stava, con un'espressione lugubre in viso, il solo autista per nulla rallegrato dai gagliardetti che sventolavano sul cofano. Un senso di apprensione e d'incertezza attanagliava tutto quel battaglione: di guerrieri. Giravano voci poco allegre, da una mezza giornata in c~. la. Si diceva che il battaglione fosse stato scelto per qua'che missione disperata. La sera prima il maresciallo add~ tio alla mensa ufficiali aveva visto coi suoi occhi il signor conte color. nello Aldo Belli piangere nel brindare davanti agli ufficiali col motto del battaglione: Meglio la morte del disonore ~. Esso poteva magari suonar bene con la pancia piena di chianti, ma lasciava la bocca piuttosto amara alle cinque del mattino, davanti a una fetta di pane nero e a una gamella di caffé lungo. Il IIl Battaglione era dunque di pessimo umore allorché il sole sorse fiammeggiando scarlatto, costringendoli subito a levarsi il pastrano. Salì poi nel cielo blu, mentre i militi aspettavano con pazienza negli autocarri come buoi nelle stalle. Qualcuno ha detto una volta che la guerra è per il novantanove per cento noia, e per l'un per cento puro terrore. Il IIl Battaglione stava sperimentando il novantanove per cento di noia. Poco prima di mezzogiorno il maggiore Luigi Castellani mandò l'ennesimo messaggero alla residenza del colonnello, e stavolta ricevette la risposta che il comandante si era alzato e stava completando la propria toilette. In breve si sarebbe riunito al battaglione. Il maggiore si mise a bestemmiare con l'esperienza acquisita in innumerevoli campagne, e a camminare su e giù con la sua andatura spavalda e dondolante lungo la fila di camion coperti di tela e carichi di soldati che si
stavano squagliando nella calura meridiana, cercando di sedare gli sprazzi di ribellione che nascevano qua e là La colonna era lunga un chilometro. Arrivò il conte, radioso come il sole nascente, splendido e glorioso, affiancato da due capitani e preceduto da un alfiere col vessillo da lui personalmente disegnato per il battaglione. Si trattava dell'aquila delle legioni romane, con tanto di corte composta da altri uccelli da preda di minor conto, e frange di seta. Il conte veleggiava su una nuvola di bonomia e costosa acqua di colonia. Gino gli scattò qualche buona foto mentre abbracciava gli ufficiali più giovani, e tirava pacche sulle spalle ai più anziani. Ai militi semplici sorrideva come un buon papà, cancellando la loro nostalgia di casa con qualche opportuna omelia sul dovere e il sacrificio e il Duce. Gli ci volle una mezz'oretta per risalire tutta la colonna. Che bel nerbo di guerrieri , disse al maggiore. Mi vien voglia di intonare un canto. Luigi Castellani sbatté le palpebre. Al signor colonnello veniva spesso voglia di intonare un canto. In Italia aveva preso lezioni dai migliori maestri, e da giovane aveva considerato seriamente la possibilità di intraprendere una carriera nella lirica, come baritono. Si fermò, aprì le braccia, gettò all'indietro la testa e intonò il canto con voce baritonale. Si trattava di Giovinezza. Doverosamente tutti gli ufficiali si unirono in coro, e le possenti note dell'inno fascista si diffusero per l'aere rovente. Il colonnello iniziò il cammino a ritroso, pian piano, lungo la paziente colonna in attesa al sole, fermandosi quando c'era da prendere una nota più alta, con la sinistra che impugnava il pugnale e la destra a mezz'aria, con l'indice e il pollice uniti a formare un circoletto espressivo. La canzone finì e il colonnello gridò: Basta! è ora di mettersi in marcia. Dove sono le carte? Accorse un subalterno con la cassetta delle carte geografiche. Ehm signor colonnello. . . intervenne con tatto Luigi Castellam. La strada è ben segnalata, e ho due guide indi gene. . . Il conte lo ignorò e continuò a guardare uno degli ufficiali che stendeva la carta sul cofano della Rolls. Ah! Studiò la mappa con cura, poi alzò gli occhi e fece un cenno a due ufficiali. Venite al mio fianco , ordinò. Maggiore Vito, voi di qui! Cercate di assumere un'espressione marziale, per favore, e non guardate la macchina fotografica. Con un ampio gesto indicò in direzione di Johannesburg - a seimila chilometri di distanza - mantenendo la posa per il tempo necessario a Gino per immortalarla. Poi montò sulla Rolls e, in piedi, di nuovo indicò imperativamente la strada. che conduceva nel deserto della Dancalia. Il maggiore Luigi Castellani lo prese per l'ordine di avanzare. Emise una serie di urla belluine e tutto il battaglione, galvanizzato, cominciò a muoversi in frenesia. Come un sol'uomo tutti tornarono sui camion e si sedettero sulle panche col fuche fra le ginocchia e le cartuccere da cento pallottole a tracolla. Tuttavia, mentre i seicentonovanta uomini salivano sui camion, il colonnello scendeva nuovamente dalla Rolls. Fatalità voleva che essa si trovasse a sostare proprio davanti al casino. Il casino era un'istituzione statale sotto il cui auspicio GIOVANI donne venivano importate in colonia con un contratto di sei mesi per sopperire ai bisogni carnali di migliaia di giovani soldati in un territorio senza donne. Ben poche di queste donne, alla scadenza del termine, avevano l'energia per rinnovare il contratto, e nessuna lo riteneva necessario: fornite di una sostanziosa dote, tornavano in patria a cercar marito. Il casino aveva un tetto argenteo in lamiera ondulata e vezzosi balconcini dal parapetto in ferro battuto. Le finestre delle ragazze davano sulla strada. Le ospiti, che di solito si alzavano a metà pomeriggio, erano state svegliate in anticipo dagli ordini
urlati e dal clangore delle armi. Si erano raccolte sulla grande veranda al secondo piano, vestite di abiti colorati e leggeri, ed erano entrate rapidamente nello spirito dell'occasione, mettendosi a ridacchiare e a lanciar baci agli ufficiali. Una di loro aveva in mano una bottiglia di lacrima Christi, che, come sapeva per esperienza, era una delle bevande preferite del colonnello, e la stava sventolando. La bottiglia era appannata dal ghiaccio e visibilmente freschissima. Il colonnello si rese conto all'improvviso che tutta quell'eccitazione e il canto l'avevano assetato e affamato. ' Beviamoci il bicchiere della staffa , suggerì allegramente agli ufficiali, mollando una pacca sulla spalla al più vicino. La maggior parte lo seguì alacremente nel casino. Poco dopo le cinque del pomeriggio uno dei più giovani ufficiali subalterni emerse, leggermente ubriaco, dall'edificio con un messaggio del colonnello per il maggiore: Domani all'alba avanzeremo senza fallo . Il mattino seguente il battaglione prese le mosse dall'Asmara verso le dieci. Il colonnello era scocciato e disgustato. La sera prima, l'eccitazione gli era sfuggita di mano; aveva cantato fino a restar senza voce e aveva bevuto una gran quantità di lacrima Christi prima di andar di sopra con due ragazze. Gino, seduto accanto a lui sulla Rolls, gli reggeva il parasole sulla testa, mentre l'autista cercava di evitare le buche sulla strada. Il conte era pallido e sulle sopracciglia gli si formavano le goccioline di sudore tipiche della nausea. Il sergente Gino cercò di consolarlo. Non poteva vedere il conte in quelle condizioni, così provò a riaccendere lo spirito guerresco del giorno prima. Pensate, signor conte. Saremo i primissimi, nell'intera armata italiana, ad affrontare il nemico. I primi a incontrare il barbaro assetato di sangue, dal cuore crudele e le mani lorde. Il conte ci pensò, con crescente concentrazione e nausea. Di colpo si rese conto che, di tutti i 360. 000 uomini che componevano il corpo di spedizione italiano in Africa, lui, Aldo Belli, era il primo, la vera punta di lancia rivolta al cuore dell'Etiopia. Gli vennero in mente a un tratto le orribili storie che Si raccontavano a proposito del disastro di Adua. Un orrore superava tutti gli altri: gli etiopi castravano i prigionieri Senti il contenuto della nobile sacca che aveva fra le cosce contrarsi di colpo, mentre nuovo sudore gli si formava, malsano, sulla fronte. Ferma! gridò all'autista. Ferma, ferma subito! A quattro chilometri dall'Asmara, la colonna piombò in confusione per questo improvviso alt del veicolo di testa. Fra le urla e i tamponamenti evitati per un pelo, il maggiore Castellani corse in testa per apprendere la notizia che bisognava variare l'ordine di marcia. La Rolls del comandante avrebbe preso posto al centro esatto della colonna di camion, con sei motociclisti ai lati a protezione dei fianchi. Ci volle un'altra ora perché lo schieramento fosse così mutato, dopo di che finalmente la colonna poté riprendere la marcia in quella terra desolata e vuota, coi suoi orizzonti foschi e la volta del cielo infuocato sopra. Il conte Aldo Belli, più a suo agio, si distese sui sedili della Rolls, consapevole che ora davanti a lui c'erano trecentoquarantacinque paia di testicoli contadini su cui l'atroce barbaro ben poteva spuntare il filo della sua lama. La colonna si fermò a bivacco, quella sera, a cinquantatré chilometri dall'Asmara. Nemmeno il conte poteva far finta che Si trattasse di marce forzate per una colonna di fanteria motOrizzata ma c'era il vantaggio che si poteva mandare indietro un paio di motociclisti con un patriottico dispaccio per il generale De Bono, onde rassicurarlo del morale altissimo e dell'incrollabile fede fascista del IIl Battaglione: e, naturalmente~ nulla vietava che questi motociclisti, sulla via del ritorno, caricassero sul
sidecar alcune stecche di ghiaccio avvolte in paglia e sale, amorosamente preparate per il signor conte a cura della maitresse. Il mattino seguente il conte aveva recuperato molto del suo buonumore. Si alzò presto, verso le nove, e fece una bella colazione al fresco con i suoi ufficiali, all'ombra di un tendone. Dopo di che, dal sedile posteriore della Rolls, impartì a pugno chiuso, come si usa in cavalleria, l'ordine di avanzare. Nel bel mezzo della colonna, gagliardetti e vessilli al vento, la Rolls guadagnava terreno esattamente come i camion della truppa, e perfino il disilluso maggiore sperò in quel giorno di compiere un tragitto adeguato ai mezzi di trasporto di cui disponeva. La prateria ondulata scorreva quasi impercettibilmente sotto le ruote, e la corona blu delle montagne sulla destra si confondeva, in alto, con l'azzurro del cielo. La transizione dalla savana al deserto era graduale, talché poteva passare inosservata agli occhi d'un viaggiatore distratto. Gli intervalli fra url'acacia dall'ombrello piatto e l'altra si facevano sempre più lunghi, e gli alberi stessi avevano l'aria sempre più stentata, contorta e sofferente, finché un bel momento di acacie non se ne videro più. Le sostituì lo spinacristi a cespugli grigi, basSi e spinosissimi. Il terreno secco e crepato era interrotto da sprazzi d'erba camelina, e l'orizzonte sembrava assediarli. La terra era così piatta che sembrava un vassoio, con gli orli rialzati là dove si confondeva col cielo bianco di foschia. In quel paesaggio desolato, la strada era segnata come dall'impronta di un grosso carnivoro. I solchi delle ruote erano così profondi che il suolo, in mezzo, radeva il telaio della Rolls. Una nuvola di polvere rossa finissima restava sospesa in aria per un bel pezzo quando la colonna era passata. Il colonnello si annoiava a morte. Infatti era diventato chiaro perfino al conte che quelle plaghe desolate non celavano orde ostili. Così, il coraggio e l'impazienza gli tornarono. Va' in testa alla colonna , disse all'autista Giuseppe. Mentre la Rolls risaliva rombando la fila di camion, il conte salutò allegramente Castellani, che imprecò fra sé mangiando polvere. Quando Castellani lo rivide, due ore dopo, il conte, ritto sul sedile posteriore della Rolls, scrutava l'orizzonte col binocolo, saltando di gioia, mentre Gino, frenetico, montava il fucile da caccia grossa Manniicher fatto su misura per il signor conte. Calibro 9, 3, col calcio in radica, aveva le parti in acciaio decorate a scene di caccia prima incise, e poi rilevate a filo d'oro. Era un'arma perfetta, un vero capolavoro di artigianato. Senza posare il binocolo, ordinò a Castellani di inviare a De Bono un messaggio radio entusiasta e patriottico, magnificando il progresso dell'avanzata e assicurandolo che il battaglione fra breve avrebbe saldamente controllato ogni accesso alla Gola di Sardi. Il maggiore avrebbe anche avuto cura di arrestare la colonna e far mettere qualche bottiglia in ghiaccio, mentre il colonnello andava a effettuare una ricognizione nella direzione in cui stava scrutando col binocolo. Il branco di animali era a un paio di chilometri e si stava lentamente allontanando. Le lunghe corna risaltavano contro il cielo luminoso. Gino aveva caricato il Manniicher. Lo posò sul sedile posteriore, mentre il conte saltava davanti, di fianco all'autista. Sfilando di fronte agli ufficiali della colonna, fece il saluto fascista, aggrappandosi al parabrezza con l'altra mano. La Rolls schizzò avanti, abbandonò la strada e, sobbalzando sul terreno riarso, si diresse verso il lontano branco. Erano antilopi del deserto, belle bestie di taglia abbastanza grossa. Nel branco ce n'erano otto: la loro vista acutissima aveva già individuato il pericolo e, non appena la Rolls piegò verso di esse, cominciarono a scappare. Correvano leggere sul terreno accidentato,
confondendosi in esso per il colore mimetico del mantello. Ma le loro corna lunghe, affilate e nere si stagliavano contro il cielo come insegne guerresche. La Rolls, frattanto, guadagnava terreno. Il conte non faceva che gridare all'autista di accelerare, ignorando le righe che lo spinacristi tracciava sulle fiancate dell'auto. La caccia era una delle passioni del conte. Cervi e cinghiali erano allevati apposta nelle sue riserve, ma questa era la prima grossa selvaggina che vedeva dall'arrivo in Africa. Il branco di antilopi era guidato da due grossi maschi, che trottavano in testa, con le femmine e due giovani maschi dietro. La macchina rombante e sobbalzante raggiunse l'ultimo degli animali e gli corse a fianco a una distanza di quaranta me tri circa. L'antilope continuava a seguire il branco senza voltar la testa. Alt! gridò il conte e l'autista frenò. L'auto si fermò sbandando lateralmente in una nuvola di polvere. Il conte saltò giù col Manniicher in mano. Puntò e sparò immediatamente. Il primo colpo era alto e andò a sollevare una nuvola di polvere lontano, molto oltre la bestia. Il secondo la colpì sotto la groppa e l'antilope andò a zampe levate, restando a terra con gli arti scossi dai sussulti dell'agonia. Avanti! gridò il conte, saltando a bordo della Rolls. Il branco aveva preso qualche vantaggio, ma inesorabilmente l'auto lo colmò e affiancò le antilopi in fuga. Ancora una volta si udirono i colpi del fucile, e un'altra bestia fu abbattuta. Così proseguì la caccia, lasciandosi dietro le carcasse; finché restò l'ultimo maschio a correre solo. Era astuto, piegò a ovest ed entrò in un tratto particolarmente accidentato, dove fin dal primo momento aveva deciso di rifugiarsi. Molte ore e molti chilometri dopo, il conte perse la pazienza. Sull'orlo dell'ennesimo uadi fece fermare la Rolls e ordinò a Gino, che protestava timidamente, di mettersi sull'attenti offrendogli la spalla come appoggio per il fucile. Ormai l'antilope era esausta e trottava piano, ma la distanza era di quasi seicento metri. Il conte doveva puntare attentamente, disturbato dai cespugli e dalle onde di calore che distorcevano l'atmosfera vicino al suolo. La fucilata echeggiò nel deserto, e l'antilope continuò il suo trotto, mentre il conte la malediceva e ricaricava il fucile. Ormai la bestia era quasi fuori tiro, ma la pallottola successiva la centrò. Sparata con la parte posteriore del mirino alzata al massimo, descrisse una lunghissima parabola dopo la quale i cacciatori udirono distintamente il tonfo dell'impatto. Quando il rumore li raggiunse, però, l'antilope era già crollata fra i cespugli, diventando invisibile. Trovato un varco per superare l'uadi, ammaccando debitamente la Rolls, i tre giunsero infine al luogo in cui l'antilope giaceva sul fianco. Lasciando il fucile sul sedile posteriore il conte balzò impaziente giù dall'auto. Fammi una foto mentre le do il colpo di grazia , gridò a Gino, impugnando la Beretta dal calcio d'avorio e correndo verso l'animale ferito. La pallottola molle d'ottone aveva spezzato la colonna vertebrale dell'antilope poco sopra il bacino, sicché la bestia aveva le zampe posteriori paralizzate. Il sangue usciva a fiotti ritmici dal foro d'entrata e colava lungo il fianco della bestia, color sabbia; Il conte si mise teatralmente in posa, puntando la pistola alla testa magnificamente cornuta, sopra il muso color cioccolato. Nei pressi, Gino s'inginocchiava sulla terra soffice inquadrando la scena. Sul più bello, però, l'antilope riuscì a rizzarsi sulle zampe anteriori, e si mise a guardare in faccia il conte con occhi che roteavano per l'agonia. Quella razza di antilopi, chiamate beisa, è una delle più aggressive dell'Africa, capace di uccidere anche un leone adulto con una cornata. Quel vecchio maschio pesava più di duecento chili, era alto un metro e venti alla groppa, e, con le corna,
arrivava quasi a due. La bestia soffiò dal naso, e il conte, dimenticando di avere in mano una pistola carica già puntata, non pensò che a rifugiarsi nella Rolls. Con l'antilope infuriata alle calcagna, anche se mezzo paralizzata nella parte posteriore, il conte saltò con piglio atletico sul sedile posteriore dell'auto, coprendosi il volto con le mani mentre il beisa tempestava di cornate la fiancata della Rolls, ammaccando la portiera e strappando la vernice con le corna afffilatissime. ino stava cercando di sparire sottoterra, senza minimamente muoversi, emettendo un patetico guaito. L'autista aveva spento il motore, e sedeva gelato al posto di guida, mentre l'antilope scuoteva l'intera macchina facendogli sbatter la testa contro il parabrezza. Sparategli, signor conte! Per favore ammazzate quel mostro! Il posteriore del conte era rivolto al cielo. Era l'unica parte della sua anatomia ancora visibile sul sedile della Rolls, e stava gridando di passargli il fucile, ma guardandosi bene dall'alzar la testa per cercarlo. La pallottola che aveva spezzato la spina dorsale all'antilope, proseguendo, le aveva anche bucato un polmone. Le cornate violentissime le aprirono un'arteria: con un ultimo disperato muggito e uno sbocco di sangue dalle narici, l'antilope tirò le cuoia. Nel lungo silenzio che seguì, il volto pallido del conte si sollevò pian piano fino al livello dello sportello e, dubbioso, studiò la carcassa. La sua perfetta immobilità lo rassicurò. Cautamente cercò a tastoni il Manniicher, lo puntò lentamente e riversò un torrente di pallottole nel corpo inerte del beisa. Le mani gli tremavano tanto che diverse pallottole non colpirono la bestia, e anzi andarono a conficcarsi al suolo nei pressi di Gino, producendo nuovi guaiti e tentativi talpeschi di rendersi sotterraneo. Finalmente convinto che la bestia era morta, il conte scese dall'auto e si diresse pian piano verso il cespuglio più vicino. Il suo passo era stranamente arcuato e rigido, perché gli era appena capitato di sporcare un po' le sue magnifiche mutande cifrate di seta. Nel fresco della sera, un po' ammaccata, la Rolls raggiunse la colonna. Sul cofano portava le carcasse insanguinate delle antilopi uccise. Il conte accolse come un vero Nembrotte trionfante le congratulazioni della truppa. Lo attendeva un radiomessaggio del generale De Bono. Non era una reprimenda - mai il generale si sarebbe spinto a tanto--ma, nel congratularsi per gli sforzi operati fino a quel momento dal colonnello, per i suoi nobili sentimenti patriottici e la saldissima fede fascista, metteva in chiaro che adesso si aspettava che si attestasse senza ulteriore indugio sulle previste posizioni all'imbocco della gola presso i Pozzi di Cialdi. Il conte gli mandò un messaggio di cinquecento parole in risposta. A noi la vittoria , terminava il cablo: poi andò a festeggiare la giornata di caccia coi suoi ufficiali, e si mise a banchettare con loro a base di chianti e fegati d'antilope. Lasciando la responsabilità dell'Hirondelle al suo nostromo maomettano e alla ciurma lacera e fetente, il capitano Papadopoulos aveva trascorso i cinque giorni precedenti in cabina, a giocare a ramino con il maggiore Gareth Swales. Era stato Swales a suggerirgli questa distrazione, ma ora il capitano cominciava a chiedersi se le ottime carte che capitavano in continuazione al suo passeggero gli finissero davvero in mano per caso. Il trasporto delle quattro autoblindo e dei passeggeri gli aveva reso duecentocinquanta sterline, ma erano già ritornate nelle tasche del diabolico maggiore. Lisciandosi i bafh, Gareth Swales, con un bel sorriso, chiese a Papadopoulos se non era ancora stufo di giocare a carte. Perché non andiamo a sgranchirci sul ponte, vecchio Papa? recuperati i soldi del passaggio, Gareth aveva compiuto ciò che si era riproposto, e adesso era ansioso di
tornare all'aperto, dove Vicky Camberwell'e Jake stavano simpatizzando un po' troppo per i suoi gusti. Ogni volta che la natura l'aveva obbligato a recarsi sul ponte, a poppa, li aveva visti insieme che ridevano come matti, cosa che era sempre un gran brutto segno. Vicky era costantemente a due passi da Jake, a passargli gli attrezzi, confortarlo e incoraggiarlo mentre egli terminava la messa a punto dei motori e faceva gli ultimi controlli ai mezzi meccanici prima della traversata del deserto. Oppure eccoli là con Gregorius, a prendere quelle che parevano divertentissime lezioni di lingua amarica. Si domandò distrattamente cos'altro facessero. Tuttavia, Gareth era un uomo dalle idee chiare. Sapeva quello che voleva, cioè recuperare i soldi che aveva dato a Papadopoulos. Fatto ciò, poteva anche tornare a fare il cane da pastore di Vicky. Mi sono divertito un sacco, Papa. Si alzò dal tavolo, ficcando la mazzetta di banconote nella tasca posteriore del calzoni e raccogliendo le monete con la mano libera. Il capitano Papadopoulos frugò nelle pieghe del barracano arabo che indossava e tirò fuori un coltellaccio curvo dal manicO intagliato. Lo bilanciò leggiadramente in mano e fulminò Gareth coi lampi emessi dal suo unico occhio. Dare carte! intimò, e Gareth, sorridendo, tornò a sedersi al tavolo. Mescolò il mazzo, rassegnato, mentre Papadopoulos faceva sparire di nuovo il coltello fra le pieghe del barracanO, e si metteva a osservare con attenzione le rapide manovre del maggiore. Ma sì, in fondo ho voglia anch'Io di fare qualche altra MANO , disse in tono disinvolto. Fino ad ora ci siamo scaldati, eh? La goletta virò. Aveva doppiato i. caPo Guarda fuori, l'estrema punta del Corno d'Africa. Di fronte, nella sua nuova rotta, si stendeva il lungo imbuto del golfo di Aden: fino alla Somalia francese mancavano ancora cinquecento miglia. Il nostromo indù si affacciò alla cabina e parlò in tono preoccupato al capitano. Che cos'ha? chiese Gareth. Lui culo stringe per blocco inglese. Anch'io , disse Gareth. Non sarà meglio andar sul ponte adesso? Dare carte. Sotto di loro prese a vibrare il grosso motore diesel. Il nostromo aveva pensato bene di accelerare un po' , e ora la goletta filava, spinta dall'azione combinata della velatura, tutta spiegata, e della grossa elica di bronzo. Il sole al tramonto arrossava l'orlo delle formazioni cumuliformi che sempre accompagnano gli alisei. Il nostromo aveva scelto una rotta tale da condurli rapidamente nel mezzo del golfo, fuori vista sia dell'Africa a babordo sia dell'Arabia a tribordo. L'Hirondelle stava filando a venticinque nodi. L'aliseo soffiava fresco e allegro; nel giro di un giorno e due notti avrebbero superato lo stretto. In cima all'albero aveva comandato una delle migliori vedette La ciurma si chiedeva che cosa gli inglesi disapprovassero di più, se la vista di ragazze negre in catene, o le casse di mitragliatrici ora assicurate sul ponte. Probabilmente entrambi i carichi potevano avere conseguenze letali. Così era meglio avere un occhio di falco di vedetta. Il sole tramontava con lentezza esasperante, quasi di fronte alla prua; in compenso il vento rinfrescò, sospingendo l'Hirondelle verso la strozzatura pattugliata dalla flotta inglese Jake Barton alzò la testa dal motore di miss Dondola, e fece un ghigno a Vicky Camberwell che sedeva sul parapetto di fronte a lui, aggrappata a una sartia, dondolando pigramente le lunghe gambe, col vento fra i capelli e il volto già abbronzato dalla vita all'aria aperta. Era in perfetta forma e non aveva più le leggere occhiaie da superlavoro che le erano venute a Ginevra. Adesso sembrava una scolaretta, giovane, felice e spensierata. Meglio di così non si può , disse Jake, cominciando a pulirsi le mani con il detersivo all'ammoniaca Scrubbs. Va così bene che mi viene voglia di farla correre a Le Mans Le ginocchia di Vicky erano
all'altezza degli occhi di Jake, e la gonna si era sollevata. Egli senti che il cuore gli si fermava in petto vedendo la morbida, compatta carne delle cosce di lei. La sua carnagione sembrava quasi luminosa, come fatta di chissà quale sostanza preziosa. Vicky si accorse del suo sguardo e unì le ginocchia, sorridendo. Saltò giù dal parapetto con agilità, appoggiandosi al braccio muscoloso di Jake per via del rollio dell'Hirondelle. Che muscoli duri! Vicky apprezzava l'ammirazione degli uomini attraenti, e Gareth non faceva che starsene chiuso dentro la cabina del capitano. . . Sorrise a Jake. Era alto, ma i ricci neri che gli spuntavano da dietro le orecchie gli conferivano un'aria da ragazzino. Immediatamente cancellata, però, dalla mascella volitiva, e dalla rete di piccole rughe che gli partivano dall'angolo degli occhi. Si accorse a un tratto che egli era sul punto di chinarsi a baciarla, e provò un attimo di deliziosa indecisione. Il più piccolo incoraggiamento avrebbe messo Jake in rotta di collisione con Gareth, e ciò avrebbe potuto compromettere la loro missione, nonché il sensazionale reportage che aveva tanta voglia di fare. In quel momento notò per la prima volta che la bocca di Jake era larga e piena, e che le sue labbra erano finemente disegnate, in contrasto con la sua robustezza e pelosità. Mento e guance erano quasi blu della barba d'un giorno, e si figurò il contatto rasposo e quasi elettrico di quelle gote contro le sue, di pesca. All'improvviso le venne voglia di provarlo: alzò ap pena il mento, sapendo benissimo che egli le avrebbe letto negli occhi quella voglia. Un grido venne dalla cima dell'albero maestro, e immediatamente a bordo dell'Hirondelle si creò una frenetica agitazione. Il nostromo maomettano cominciò a strillare come un'aquila, col barracano al vento. Roteava gli occhi di qua e di là, urlando a bocca aperta con quanto fiato aveva in corpo. Siccome era senza denti, Jake vide perfino la glottide che gli vibrava in gola. Cosa succede? domandò Vicky, ancora con la mano appesa al braccio di Jake. Guai , rispose questi tristemente. Si voltarono e videro spalancarsi la porta della cabina di poppa. Papadopoulos si precipitò sul ponte col codino al vento e le carte ancora in mano Il suo unico occhio roteava guardando freneticamente in giro. Ero a un carta da fare ramino, porco me , imprecò, scagliando le carte al vento. Poi prese il nostromo per il barracano e si mise a gridargli in bocca, ancora aperta ma adesso silenziosa. Il nostromo gli indicò l'albero maestro. Papadopoulos lo lasciò andare e prese a gridare in arabo con la vedetta. Jake tese l'orecchio al rapido scambio di battute. Un cacciatorpediniere inglese , mormorò. Parli arabo? domandò Vicky. Jake la zittì con un gesto irritato, e si rimise in ascolto. Ci ha visti. Ha virato per intercettarci. Jake lanciò una rapida occhiata al disco del sole calante, e riprese ad ascoltare l'accalorata discussione in arabo che stava svolgendosi sul ponte con le rughine intorno agli occhi più corrugate che mai. Vi state divertendo, voi due? domandò Gareth Swales, sorridendo, ma con un lampo di fastidio negli occhi al veder Vicky ancora aggrappata al braccio di Jake. Era uscito silenzioso come una pantera dalla cabina di poppa. Vicky tolse immediatamente la mano, provando un certo senso di colpa, e subito se ne pentì. Non doveva proprio niente al signor Swales e si mise a guardarlo fiera, prima di tornare a voltarsi dalla parte di Jake. Ma Jake era sparito. Cosa succede, Papa? chiese Gareth al capitano. Papadopoulos imprecò. Tua marina di merda, ecco cosa, inglese! Levò il pugno e l'agitò rivolto all'orizzonte. Cacciatorpediniere Dal xntless, base Aden, a caccia di nave schiavi. Gareth cambiò subito espressione. Dov'é? chiese correndo al parapetto. Viene tutta forza, vedetta vede. A momenti anche tu vedi a orizzonte. Papadopoulos
voltò le spalle a Gareth e cominciò a dare ordini alla ciurma. Immediatamente i marinai si raccolsero attorno alla prima autoblindo, l'afferrarono - era Priscilla la Troia - e cominciarono ad agganciarla al paranco. Ehi, dico , esclamò Gareth. Cosa fate? Se beccare con armi, grandissimi guai , spiegò Papadopoulos. Niente armi, niente guai , continuò, mentre la ciurma finiva di agganciare il pesante veicolo bianco alla gru di bordo. Stessa cosa faccio con schiavi; catene tira subito a fondo. Ehi, un momento, ti ho pagato una fortuna per portare questo carico! Dov'è fortuna adesso, maggiore? chiese irridente Papadopoulos. Io niente in mie tasche, forse in tue , e si voltò a incitare gli uomini. All'improvviso la torretta di Priscilla la Troia si alzò e ne emersero la testa e le spalle di Jake Barton, che impugnava una mitragliatrice Vickers. Col braccio sinistro era attaccato alla sponda della torretta, con la destra reggeva l'impugnatura a pistola. La canna, col serbatoio del raffreddamento ad acqua, poggiava sull'incavo del braccio sinistro. A tracolla aveva un nastro di munizioni. Sparò subito una raffica dieci centimetri sopra la testa del capitano. Il greco si gettò bocconi sul ponte, in preda al terrore, e la ciurma si disperse come un branco di polli spaventati, mentre Jake li guardava benevolmente dalla dominante torretta. ~. meglio che ci capiamo subito, capitano. Nessuno tocca queste macchine. L'unica maniera che hai di salvare la nave è seminare gli inglesi , disse con calma. Nave guerra fa trenta nodi , protestò il capitano sempre con la faccia contro il ponte. Più parli più perdi tempo , gli disse Jake. Fra venti minuti è buio, possiamo farcela. Papadopoulos si alzò malcerto in piedi, sbattendo l'unico occhio e tormentandosi le mani. Alza le chiappe , lo incitò affabilmente Jake, sparandogli un'altra raffica sopra la testa. Il capitano si gettò ancora faccia a terra sul ponte, ma questa volta dando gli ordini necessari a virare e prendere la stessa rotta del cacciatorpediniere inglese che si stava avvicinando, per far come la lepre col segugio. Mentre la goletta correggeva la rotta, Jake chiamò Gareth accanto a sé e gli passò la mitragliatrice. Tieni a bada questo branco di bastardi mentre io mi lavoro il greco. Vi consiglio di infilarvi nelle autoblindo per un po' . Dove hai trovato quella mitragliatrice? Credevo che fossero tutte smontate nelle casse. Mi piace aver sempre una piccola polizza assicurativa a portata di mano , ghignò Jake, e Gareth gli infilò un sigaro acceSo fra i denti. Con i complimenti della direzione , disse. Sto cominciando a capire perché ti ho preso per socio. Jake fece un tiro di fumo azzurrino. Se hai delle buone maniglie nella Royal Navy, caro, è il momento di usarle. Jake si sistemò nel nido di tela all'incrocio degli alberi dove stava la vedetta, e vide ingrandirsi nel cannocchiale la silhouette grigia del cacciatorpediniere che li braccava. Benché la nave da guerra fosse solo a dieci miglia di distanza, già stava confondendosi nelle tenebre dell'imbrunire. Il sole, dietro le spalle di Jake~ stava tramontando nel mare imbiancato di spume dall'aliseo che rinforzava, e già gettava l'oriente in una misteriosa tenebra blu. A un tratto dalla nave da guerra si sprigionarono lampi di luce. Jake decifrò ridacchiando le segnalazioni: Che nave siete? Dichiaratevi . Qui non ci sono navi , rispose mentalmente. Si figurava però che dal cacciatorpediniere la goletta si vedesse benissimo, con la sua gran massa di vele che si stagliavano contro il rosso del cielo al tramonto. Ora si trattava di scegliere il momento giusto per barattare la velocità con l'invisibilità. Il cacciatorpediniere ricominciò a segnalare. Ammainate le vele o facciamo fuoco. Maledetti pirati , disse mandando un accidente al capitano del cacciatorpediniere. Poi mise le mani a coppa intorno
alla bocca e gridò al greco di far ammainare. Giù tutta la tela. Papadopoulos ripeté l'ordine in arabo alla ciurma. Era bianco come un lenzuolo. Jake tornò a guardare la sagoma scura del cacciatorpediniere nel cannocchiale. Vide il lampo rosso e rabbioso del pezzo di prua che, nell'infinito e tenebroso mare, faceva fuoco contro di loro. Ricordava benissimo quel lampo. Gli insetti della paura presero a strisciargli veloci sulla pelle mentre aspettava che la granata salisse su nel cielo, per poi ricadere, nel giro di eterni secondi, verso la goletta. La sentì passare fischiando sopra la testa. Tiro lungo. Una colonna d'acqua si alzò mezzo miglio di prua all'Hirondelle. Brillò negli estremi raggi del sole come marmo rosato, e fu subito dispersa dal vento. La ciurma, impietrita sulle manovre per il passaggio ululante della granata, si diede subito dopo a un'attività frenetica. Le vele vennero giù tutte in venti secondi scomparendo come le ali del cigno che si è appena posato sull'acqua. Jake guardò di nuovo la nave da guerra, e dovette cercarla per qualche secondo prima di tornare a distinguerla. Si domandò se la manovra avrebbe tratto in inganno il cacciatorpediniere. Avrebbe creduto che la goletta, ammainando le vele, si fosse fermata ad aspettarli? Non potevano sapere che aveva anche un motore diesel, che continuava ad andare. Probabilmente, con le vele ammainate, non li vedevano nemmeno più. Jake attese con impazienza che il buio calasse definitivamente, rendendo impossibile anche a lui di scorgere la nave da guerra, prima di dare gli ordini necessari a rimettere l'Hirondelle, a vele spiegate, sulla rotta originaria, onde scartare il cacciatorpediniere che accorreva. Jake fece mantenere quella rotta, mentre la notte tropicale cadeva sulle acque del golfo di Aden come una spessa cappa calda. Strizzava gli occhi nell'impenetrabile oscurità, atterrito dalla possibilità che il capitano del cacciatorpediniere avesse intuito le sue intenzioni, correggendo la rotta per tagliargli la strada. Ad ogni istante temeva di veder torreggiare lo scafo d'acciaio della nave da guerra sbucata dalle tenebre della notte all'improvviso, coi riflettori da battaglia accesi tutti insieme, e il corno da nebbia che urlava la sua perentoria sfida. E poi a un tratto, con sollievo, scorse le bianche dita dei riflettori frugare nella notte molto indietro, nel punto in cui avevano ammainato le vele dopo la cannonata. La nave da guerra era ad almeno sei miglia di distanza. Il capitano ci era cascato, credeva che l'Hirondelle si fosse fermata ad aspettarlo. Jake gettò indietro la testa e rise come un matto, prima di riprendersi e gridare nuovi ordini giù sul ponte, facendo portare la goletta al traverso, su una rotta opposta a quella seguita dal cacciatorpediniere. Cominciava la gara d'abilità, in cui l'Hirondelle doveva prendere e lasciare la sua vecchia rotta, mentre la nave da guerra si lanciava ciecamente a tutto vapore avanti e indietro per il golfo, frugando il mare coi riflettori da un miglio di portata, in cerca del nero e puzzolente veliero schiavista. Oppure poteva spegnerli, e lanciarsi a tutta forza, priva di luci, in una direzione, nella speranza di cogliere l'Hirondelle di sorpresa. E una volta il capitano del cacciatorpediniere quasi ci riuscì. Jake vide a un miglio di distanza un barlume fosforescente gli spruzzi di prua. Disperatamente gridò al greco di ammainare e spegnere il motore: immobili e in silenzio si appiattirono sulla nera superficie del mare, mentre la nave da guerra, coi motori che pulsavano come il cuore di un gigante, sfilava velocemente di prua senza vederli, per tornare a scomparire nella notte. Il sudore nervoso che bagnava la camicia di Jake gelò nel vento fresco della notte, mentre faceva cautamente riprendere la rotta all'Hirondelle. Due ore dopo rivide le luci del cacciatorpediniere,
molto lontano, a poppa. I riflettori balenavano come lampi di calore cercandoli dappertutto dove non erano più. Poi ci furono solo le stelle, e le lunghe ore di veglia prima che il chiarore dell'alba cominciasse a rischiarare di una luce d'acciaio il mare intorno alla goletta. Infreddolito fino all'osso dalla lunga guardia e dall'immobilità, Jake scrutò l'orizzonte da tutte le parti mentre la luce aumentava. Solo quando si fu convinto che non c'erano più tracce della nave da guerra, chiuse il cannocchiale e uscì tutto rigido dall'imbracatura di tela, per iniziare con cautela la lunga e lenta discesa dall'albero maestro. Papadopoulos l'accolse come un fratello, abbracciandolo e alitandogli zaffate d'aglio in faccia. Vicky stava trafficando alla cucina da campo. Gli portò una tazza di caffé denso come vernice, guardandolo con nuovo rispetto e ammirazione. Gareth scese dalla torretta dell'autoblindo, da cui per tutta la notte aveva tenuto a bada la ciurma con la mitragliatrice, e prese l'altra tazza di caffé che Vicky aveva in mano. Poi offrì un sigaro a Jake. I due andarono ad affacciarsi alla murata. Non faccio che sottovalutarti , sogghignò Gareth accendendo il sigaro a Jake. Sei così grosso, come si fa a non pensare che sei anche stupido? Vedrai che un giorno ce la farai , gli assicurò Jake. Per istinto si voltarono tutti e due a guardare Vicky, che stava rompendo le uova in padella. Si capirono immediatamente. Vicky li svegliò poco prima di mezzogiorno. Erano andati a dormire all'ombra di una delle autoblindo, per recuperare il sonno perduto durante la notte. La seguirono senza protestare a prua, e si misero a guardare la costa bassa~ color del mantello d'un leone, che si profilava appena sopra il frangente li candida schiuma, sotto la volta profondamente azzurra e luminosa del cielo che feriva gli occhi. Non c'era nessun chiaro confine fra terra e cielo. Era confuso e sfumato dalla foschia di polvere e onde di calore che si alzavano dalla terra e ne facevano ondeggiare il culmine proprio come la criniera di un leone. Vicky si domandò se aveva mai visto uno spettacolo così poco invitante, e stabilì di no. Cominciò mentalmente a comporre le parole con cui l'avrebbe descritto ai suoi letis)ri, che si contavano a decine di migliaia. Gregorius si unì al gruppo. Non indossava più gli abiti occidentali, aveva addosso il tradizionale sciamma e le braghe strette. Era tornato pienamente africano, e il suo volto color cioccolato, incorniciato dai ricci folti e neri, era illuminato di tutte le passioni dell'esiliato che ritorna. Le montagne non si vedono, c'è troppa foschia , disse. Ma qualche volta, all'alba, quando l'aria è più sottile. . . Guardò a ovest, con un'espressione nostalgica e impaziente chiaramente dipinta negli occhi e sulle labbra. La goletta si avvicinava alla costa, scivolando sui bassi fondali dove l'acqua era trasparente-come quella di un torrente di montagna. Venti metri sotto la chiglia si vedevano tutti i particolari del fondo roccioso, disseminato di splendidi coralli, e percorso da branchi di pesci che sembrava di poter afferrare con la mano. Papadopoulos fece accostare pian piano l'Hirondelle. Gradualmente i dettagli della linea costiera si risolvevano; si cominciavanO a vedere le spiagge di sabbia rossa incorniciate da capi rocciosi, dietro cui la terra si alzava a poco a poco, nuda e terribile, solo cosparsa di spinacristi ed erba camelina. Per un'ora proseguirono parallelamente alla costa, un centinaio di metri al largo, guardandola affascinati. Soltanto Jake si era allontanato dal gruppo per fare i preparativi dello sbarco: ma anch'egli tornò alla murata quando a un tratto una profonda insenatura si aprì davanti a loro. " La Baia delle Catene , disse Gregorius, ed era chiaro perché l'avevano chiamata così. Al riparo del capo, protetta dai venti prevalenti e dai flutti da una lunga lingua di terra, ecco
infatti le rovine dell'antico mercato di schiavi di Mondi. Gregorius le dovette indicare, perché non sembrava affatto una città: era semplicemente un'area di rocce spezzate e blocchi di pietra che digradava fino al mare. Ormai erano abbastanza vicini da distinguere l'impianto rozzamente geometrico delle vie e le case senza più il tetto. L'Hirondelle gettò l'ancora, inarcandosi appena. Jake finì i preparativi dello sbarco e raggiunse Gareth alla murata. Uno di noi dovrà nuotare fino a riva con una fune. Facciamo a testa o croce , suggerì Gareth, e, prima che Jake potesse protestare, tirò fuori la moneta. Testa , scelse Jake. Ah, che peccato, vecchio mio! Be', salutami tanto i pescicani. Gareth sorrise, aggiustandosi il baffo. Jake salì sulla zattera, che il paranco già stava calando fuori bordo. Si posò sull'acqua e prese a galleggiare con la grazia di un'ippopotama incinta. Jake fece un bel sorriso a Vicky che, affacciata al parapetto, stava guardando con interesse. Se non vuoi restare abbacinata, è meglio che chiudi gli occhi adesso , le gridò. Per un attimo lei non capì, ma poi, quando lo vide togliersi la camicia e sbottonarsi i calzoni, si voltò pudicamente dall'altra parte. Con un capo di cima leggera legato al polso Jake si gettò nudo in acqua e cominciò a nuotare verso la riva. A quel punto la curiosità spinse Vicky a occhieggiare timidamente fuori bordo. Un uomo senza pantaloni, pensò, ha sempre un aspetto così puerile e indifeso. ecco infatti affiorare le chiappe bianche di Jake. Era uno spunto che, adeguatamente sviluppato, poteva reggere un gustoso elzeviro. In quella vide Gareth Swales che, dando corda a Jake, la guardava con un sopracciglio beffardamente levato. Vicky arrossi'e corse via per assicurarsi che la macchina per scrivere e la valigia degli effetti personali fossero caricate su miss Dondola. Jake raggiunse la riva e ci salì, assicurando la cima a un grosso macigno. Già la prima autoblindo era montata sullo zoccolo di legno e il paranco la stava calando fuori bordo, sulla zattera. I marinai di Papadopoulos lavoravano bene. Una per volta le autoblindo furono caricate sulla zattera, legate, spinte a riva lungo la cima: appena la zattera approdava, Jake accendeva il motore, mentre Gregorius sistemava lo scivolo d'assi. Frattanto i marinai slegavano le ruote. Poi, mentre la zattera ondeggiava pericolosamente e il motore rombavaJ ecco l'autoblindo sbarcare sulla spiaggia, per poi guadagnare il terreno solido ben al di sopra della linea dell'alta marea. Quindi, la zattera veniva tirata nuovamente di fianco alla goletta per caricare un'altra autoblindo. Benché si lavorasse con la massima velocità compatibile con la sicurezza, le ore passavano in fretta: sicché lo sbarco fu completato nel tardo pomeriggio, con le ultime casse di armi e gli ultimi bidoni di benzina. Anche Vicky saltò sulla zattera, in mezzo al carico in equilibrio precario. Nell'attimo in cui la zattera si staccò dalla fiancata, il motore diesel dell'Hirondelle si mise in moto, la catena dell'ancora sferragliò contro la prua, e Papadopoulos tagliò con il coltello la cima che collegava la zattera alla nave. Mentre Vicky metteva piede sulla spiaggia, la nave stava già uscendo dalla baia, e alzava le vele per approfittare della brezza della sera. I quattro la guardarono allontanarsi dalla spiaggia nel crepuscolo. Nessuno sventolò la mano in segno di saluto, ma tutti si sentirono più soli. Quella puzzolente nave schiavista, con la sua ciurma di pirati, costituiva tuttavia l'ultimo legame con il mondo esterno. L'Hirondelle doppiò il capo e, in mare aperto, spiegò le vele al vento e sparì lasciandosi dietro una scia oleosa. Fu Jake a rompere l'incantesimo di silenzio e solitudine che li serrava. ~Bene, bambini, adesso ci accampiamo. Erano sbarcati sulla spiaggia fra le rovine della città morta e
il fondo della baia, e adesso il vento della sera li stava bersagliando di sabbia e detriti vegetali. Jake scelse uno spiazzo al riparo delle rovine e vi parcheggiò le autoblindo in cerchio. Avrebbero dormito lì in mezzo. Le antiche costruzioni della città erano semisepolte dalla sabbia e dai rovi che crescevano dappertutto per le strette vie. Mentre Jake e Gregorius controllavano che i serbatoi dégli automezzi fossero pieni di benzina, e i motori contenessero lubrificante sufficiente, Gareth pensò al fuoco da campo, appoggiando dei grossi sassi a un muro, e Vicky andò a fare un giretto per le rovine della città. Non andò lontano. Da quegli edifici bruciati quasi un secolo prima emanava un tangibile senso di minaccia e di umana sofferenza Le faceva accapponare la pelle; comunque imboccò un vic~olo che in breve la condusse a una piazza. Intuì che si trattava del mercato degli schiavi, e si figurò le lunghe file di esseri umani incatenati. L'aura della loro mi sera sorte permaneva, e la giornalista si domandò se sarebbe stata capace di descriverla adeguatamente ai suoi lettori. Nulla era cambiato, in realtà, da quel tempo: ancora una volta l'avidità stava per mettere una nazione in catene, ancora una volta centinaia di migliaia di esseri umani avrebbero sperimentato la stessa miseria prodotta da quella città. Questo doveva scrivere, stabilì: doveva catturare sul foglio lo stesso senso di oltraggio e disperazione che provava ora, e trasmetterlo ai popoli civili del mondo. Un rumore quasi impercettibile la distrasse ed ella abbassò gli occhi. Con un salto si allontanò dallo scorpione rosso, lungo un dito, che ad aculeo levato si stava avvicinando alla punta del suo stivale. Si voltò e tornò di corsa giù per il vicolo, rabbrividendo. La sensazione di orrore le rimase addosso, per cui fu consolata dal vivace fuoco di rovi che ora ardeva contro il muro dell'antico edificio in rovina. Gareth alzò gli occhi e la vide inginocchiarsi vicino a lui, stendendo poi le palme al calore del fuoco. Stavo per venirti a cercare. è meglio che tu non vada troppo in giro da sola, sai. So badare a me stessa , gli rispose in fretta, con il tono un po' secco che le stava diventando abitua'e. Ne sono convinto , sorrise Gareth, per placarla. Anche troppo; certe volte , insinuò. Poi si frugò in tasca. Mentre scavavo nella sabbia per preparare il fuoco ho trovato una cosa , proseguì. Estrasse un cerchietto di metallo irregolare che, vicino al fuoco, emanava un bagliore giallo. Era un braccialetto ritorto e intrecciato a forma di serpente. Vicky sentì la propria irritazione svanire di colpo. . Oh, Gary , disse prendendolo fra le mani. Com'è bello! Sarà d'oro? Credo proprio di sì. Se lo mise al polso e l'ammirò con un'espressione radiosa, muovendolo per farvi scintillare i riflessi di luce. Nessuna donna resiste a un regalo , pensò Gareth soddisfatto, guardando il viso di lei acceso dai barbagli del fuoco. Apparteneva a una principessa, che era famosa per la sua bellezza e la compassione che dimostrava nei confronti dei corteggiatori goffi , disse in tono lieve Gareth. Quindi penso che anche a te starà benissimo. Oh! ansimò Vicky. Per me! , E impulsivamente si chinò a baciargli la guancia. Dando prova di riflessi rapidissimi, Gareth voltò la testa e incontrò le sue labbra. Per un attimo la ragazza pensò di ritrarsi, poi decise che non ne valeva la pena. Dopo tutto era un braccialetto davvero molto bello. Alla luce della lampada controvento, Jake e Gregorius, frattanto, stavano studiando la carta geografica spiegata sul cofano di Priscilla la Troia. Gregorius stava tracciando la strada da fare fino alla palude dove si interrava il fiume Awash, e malediceva continuamente le inesattezze della mappa. Mio caro Jake, se ti fossi fidato di questa, ti saresti ce -- ciato in guai grossi. Jake alzò la testa dalla carta geografica
e, a trenta passi di distanza, vide le due figure presso il fuoco avvicinarsi e restare in quella posizione. Sentì che gli venivano le palpitazioni e che il sangue gli saliva alla testa. Facciamo un po' di caffé , borbottò. Aspetta un minuto , protestò Gregorius. Prima ti faccio vedere dove attraverseremo il deserto di sabbia. . . Puntò l'indice sulla carta geografica e tracciò l'itinerario da seguire, senza accorgersi che parlava da solo: Jake l'aveva piantato in asso per andare a interrompere l'azione che si svolgeva accanto al fuoco. Vicky si svegliò alle prime luci incerte dell'alba, accorgendosi che il vento era calato. Per tutta la notte aveva fischiato incessantemente. Ora, scostando la coperta, vide che era tutta piena di terriccio giallo e sabbia fine, che si sentiva anche fra i capelli e perfino fra i denti. Uno degli uomini stava russando sonoramente, ma non riuscì a capire chi fosse nel viluppo di coperte. Prese il necessaire, un asciugamano e un cambio di biancheria e scivolò fuori del campo, dopo di che corse alla spiaggia. L'alba era immota. La superficie della haia, ferma come un lenzuolo di satin rosa, doveva ancora ricevere il primo raggio di sole. Il silenzio era quello, assoluto, del deserto, non rotto da uccelli o animali, né da vento o frangente. Il disappunto che aveva provato il giorno prima svanirSi tolse gli abiti e corse sulla sabbia bagnata dalla marea durante la notte, liscia come una tavola, e si calò nelle acque rosate, ritraendo i muscoli ventrali per la frescura dell'acqua. Gemendo di piacere, si immerse fino al collo e cominciò a strofinarsi il corpo per purificarlo dalla sabbia e dal terriccio della notte. Quando tornò a riva, il sole stava appena lambendo l'orizzonte marino del golfo. La luce era completamente cambiata. Già le morbide tinte dell'alba stavano cedendo all'abbagliante splendore africano cui cominciava ad abituarsi. Si vestl'in fretta, avvolgendo la biancheria sporca nell'asciugamano, lasciò la spiaggia e si arrampicò sulla duna per far ritorno al campo. In cima alla duna rimase senza fiato, con lo sguardo rivolto a ovest. Come aveva detto Gregorius, l'aria fresca e sottile dell'alba e la luce particolare del sole nascente creavano un effetto spettacolare: abbreviavano centinaia di chilometri di piatto e uniforme deserto, e scagliavano a stagliarsi contro l'azzurro cupo del cielo occidentale il nitido massiccio dell'altopiano etiopico. Sembrava di poterlo toccare semplicemente stendendo una mano. Era viola-scuro, in quella luce; ma, mentre si alzava il sole, Vicky, che guardava a bocca aperta, lo vide cambiar colore più volte come un gigantesco camaleonte, assumendo tinte vivide e brillanti, e nel contempo retrocedere in fretta, finché divenne un pallido fantasma che si dissolse poi nel miraggio delle onde di calore. In quel momento si alzò il vento. Corse in fretta all'accampamento. Take alzò la testa dalla padella in cui stava friggendo uova e bacon. Colazione fra cinque minuti , annunciò. Poi le porse la sua razione. Avevo pensato di viaggiare di notte, ma è troppo rischioso con un terreno così accidentato , le disse. Vicky prese il cibo e cominciò a divorarlo con sollievo, interrompendosi solo per dare un'occhiata a Gareth Swales che arrivava perfettamente lavato e sbarbato, con una camicia immacolata elegantemente aperta sul collo e un paio di calzoni di tweed anti-spine. Quando Jake si mise a ridere, si aggiustò un baffo e alzò un sopracciglio. Gesù mio , disse Jake. Si va a giocare a golf? Ma dico! lo ammonì Gareth, guardando con occhio critico la sua tenuta sbiadita, gli stivaletti consunti e la camicia a scacchi strappata sulla manica. La tua mancanza di classe è evidente , continuò Gareth. Solo perché siamo in Africa, non c'è bisogno di imitare gli indigeni, no? Diede un'occhiata a Gregorius e fece il suo bel sorriso radioso. Senza offesa,
beninteso, ma in quella tenuta sei un vero pugno nell'occhio. Ravvolto nello sciamma, Gregorius alzò gli occhi dal piatto e gli restituì il sorriso. Una cosa è l'oriente, ben altra l'occidente , citò. Il vecchio Wordsworth sì che se ne intendeva , concordò Gareth, accingendosi a mangiare. I quattro automezzi, grottescamente carichi e distanziati di centocinquanta metri fra loro per non mangiar la reciproca polvere, scalarono le dune costiere e sboccarono sul vasto litorale battuto dal vento, che non riusciva però a dare il minimo sollievo dalla calura del mattino inoltrato. Jake guidava la colonna in una direzione lievemente più meridionale di quella che avrebbe scelto senza il consiglio di Gregorius. Cercavano di evitare le sparse buche insidiose. Per le prime due ore, la terra gialla lanuginosa non costituì un serio ostacolo al loro passaggio, tranne che, non essendo molto solida, cedeva sotto il peso delle ruote ricoperte di gomma piena, creando dei solchi che rallentavano la marcia dei pesanti mezzi. I vecchi motori stridevano, sempre nelle marce basse, e la velocità non superava i venti chilometri l'ora. Poi il terreno si fece più compatto, ma anche sassoso. Era cosparso di ciottoli neri levigati nel corso delle ere geologiche dal vento sabbioso: la loro grandezza variava da quella di una ghianda alle dimensioni di un uovo di struzzo. Su quella superficie micidiale la velocità del corteo diminuì ulteriormente. Le autoblindo sobbalzavano cigolando: i sassi neri arroventati le trasformavano in veri e propri forni semoventi. Tutti quanti si erano spogliati, anche Vicky, e guidavano in mutande, con tutti i portelli scoperchiati. Il metallo esposto al sole, benché dipinto di bianco, bruciava le mani al tocco: nell'abitacolo del guidatore, la puzza di olio bruciato e benzina diventava sempre più insopportabile man mano che il sole saliva. Un'ora prima di mezzogiorno Priscilla la Troia sparò via la valvola di sicurezza del radiatore. Una colonna di vapore bianco sfrigolante si levò dal cofano. Jake fermò immediatamente, tolse i contatti e salì nella torretta a guardarsi un po' in giro. La pianura era tutta distorta da onde di calore: non esistevano più orizzonti, la visibilità era di poche centinaia di metri. Perfino i veicoli che lo seguivano sembravano mostruosi e irreali. Aspettò che lo raggiungessero prima di dare l'alt. Spegnete i motori. Non possiamo andare avanti con questo caldo. L'olio sarà liquido come acqua, rischiamo di fondere. Aspettiamo il pomeriggio. Tutti contenti, i guidatori scesero dalle autoblindo, e si raggomitolarono all'ombra ansimando come cani. Jake distribuì l'acqua e poi si gettò sulla coperta di fianco a Vicky. Fa troppo caldo per tornare alla mia macchina , le spiegò, e lei la prese con buona grazia, limitandosi ad annuire e a chiudere un bottone della camicetta che si era prontamente infilata. Jake inumidì il fazzoletto nell'acqua e glielo porse. Grata, Vicky si tamponò il collo e il viso, sospirando di piacere. Fa troppo caldo per dormire , mormorò. Intrattieni mi, Jake. Con grande piacere! sogghignò lui. Vicky rise. Ho detto che fa troppo caldo. Chiacchieriamo. E di che cosa? Parliamo un po' di te, magari. Da che parte del Texas provieni? Tutte. Mio padre girava continuamente per lavoro. Cosa faceva? Il cowboy. Partecipava ai rodei. Pare divertente. Jake alzò le spalle. Io ho sempre preferito le macchine ai cavalli. E poi? Poi c'è stata la guerra, e avevano bisogno di meccanici per guidare i carri armati. E come mai non sei tornato a casa, alla fine della guerra? Pa' era morto. Gli era caduto addosso un torello. Non valeva la pena di tornare, per la sua vecchia sella e la sua coperta. Restarono zitti un momento, coricati sulle onde solide di calore che si sprigionavano da terra. a Parlami un po' del tuo sogno, Jake , disse la
ragazza dopo un po' . Il mio sogno? Tutti hanno un sogno. Sorrise. è vero, ce l'ho anch'io. . . Esitò. un mio progetto. Un motore, il motore Barton. tutto qui dentro disse picchiettandosi la fronte. Mi mancano solo i soldi per costruirlo. Sono dieci anni che cerco di metterli insieme. Un paio di volte ce l'avevo anche fatta, quasi. Dopo questo viaggio li avrai , suggerì Vicky. Forse. Scosse il capo. Ne sono stato sicuro troppe volte, ormai, per scommetterci. Parlami di questo motore , disse lei, e Jake lo fece, appassionatamente, per una decina di minuti. Era un motore di nuova concezione, leggero ed economico. a Può azionare qualunque cosa, pompe, seghe, motociclette e simili. Era tutto contento di parlarne. Mi serve solo un piccolo laboratorio per cominciare, da qualche parte in America. . . avevo pensato a Fort Worth. . . Si interruppe e guardò la ragazza. Oh, scusa. . . forse corro un po' . . . a No , disse lei in fretta. Mi piace ascoltarti. Spero che tu ci riesca, Jake. Egli annuì. Grazie. Restarono un altro po' in silenzio da amici, nel gran caldo. E qual è il tuo? le chiese alla fine. La ragazza ridacchiò. Su, dimmelo! insisté Jake. Scrivere un libro. Ho un romanzo in testa, ci penso da anni. Mentalmente l'avrò scritto un centinaio di volte. . . tutto quello che mi serve è un po' di tempo e un posto tranquillo per buttarlo giù. . . Si interruppe e scoppiò a ridere. E poi, naturalmente, sarà banale. . . ma vorrei avere dei bambini, una casa. . . è troppo tempo che viaggio. Capisco benissimo , annuì Jake. un buon sogno, mi pare. Anche migliore del mio , aggiunse pensoso. Gareth Swales sentì il mormorio della conversazione e si rizzò sul gomito. Per un po' pensò sul serio di percorrere i venti assolati metri che lo separavano da loro~ ma lo sforzo era eccessivo e ricadde supino. Un sasso gli straziò le reni - era grosso come un pugno - ed egli imprecò signorilmente. Erano le cinque quando Jake giudicò che potevano ripartire senza pericolo per i motori. Riempirono i serbatoi con la benzina delle taniche, e ancora una volta si misero in colonna e si avviarono con lentezza esasperante per il terreno accidentato, che sottoponeva veicoli e guidatori a terribili scossoni. Due ore dopo, quel terreno bruscamente finì per lasciar posto a un'area di rosse collinette sabbiose. Per fortuna Jake poté accelerare un po' , e così la colonna si diresse a buona andatura verso il tramonto infuocato dal cielo polveroso, che ben presto riempì di carminio, scarlatto e violetto metà della volta celeste. Il vento del deserto cadde; l'aria ferma mantenne, però, tutto il peso della calura del giorno. Ogni veicolo proiettava un'ombra lunghissima dietro, e alzava nell'aria una grossa salsiccia di polvere rossa. Cadde la notte con la repentina rapidità dei tropici, così allarmante per coloro che hanno conosciuto soltanto i lunghi crepuscoli dei continenti boreali. Jake calcolò che avevano coperto meno di quaranta chilometri in una giornata di viaggio, ed esitò a dare l'alt adesso che finalmente si viaggiava bene. Con la temperatura del motore abbassata dal freddo della notte, calava anche il cattivo umore dei conducenti. Jake scelse Orione per tener la rotta, una costellazione facile da individuare, e accese i fari, controllando nello specchietto retrovisivo che anche gli altri seguissero il suo esempio. I fari illuminavano il terreno per un centinaio di metri davanti al muso dell'autoblindo, consentendo di evitare comodamente i rovi e ipnotizzando ogni tanto qualche grossa lepre grigia del deserto. Gli occhi della lepre scintillavano davanti alle ruote, e la bestia dalle lunghe orecchie vibranti sembrava incapace di sottrarsi al fascio di luce, finché, all'ultimo momento, si voltava e sfuggiva alle ruote stritolatrici con il classico salto nel buio.
Stava giusto decidendosi a dare l'alt per fermarsi a mangiare e a dormire, quando le collinette terminarono digradando, e alla luce dei fari Jake vide di fronte a sé una superficie di sabbia bianca perfettamente liscia, invitante come un circuito per macchine da corsa. Per la prima volta quel giorno poté inserire una marcia alta, e il veicolo schizzò in avanti avidamente. Ma, dopo un centinaio di metri, il crostone di sale cedette, e il pesante veicolo affondò fino al telaio, bloccandosi immediatamente. Jake andò a sbattere con la faccia e la spalla contro l'acciaio della corazza. Il motore girava a più non posso, ma le ruote, sospese, non facevano più presa. Jake lo spense subito, e si arrampicò in torretta per segnalare agli altri di fermarsi. Poi scese tristemente a ispezionare il veicolo insabbiato. Gareth scese dal proprio veicolo e si avvicinò camminando sulla crosta di sale bianchissimo. Poi si mise a guardare in silenzio cos'era successo. Adesso dinne una delle tue , pensò Jake nei fumi della rabbia, stringendo i pugni fino a farli diventare grossi martelli ossuti. Un sigaro? disse Gareth offrendogli la scatola. La rabbia di Jake sbollì un tantino. E un ottimo posto per accamparci questa notte , proseguì Gareth. Domattina vedremo di tirarla fuori. Diede una pacca sulla spalla a Jake. Vieni che ti offro una birra calda. Se avessi detto qualunque altra cosa, ti avrei tirato un cazzotto , rise Jake, stupito del tatto di Gareth. Credi che non me ne sia accorto, vecchio? disse Garet~ restituendogli il ghigno. Vicky si destò alle ore piccole, quando la vitalità umana è al minimo. La notte era silenziosissima, a parte il lieve russare di uno degli uomini. Riconobbe lo stile della notte prima, e cercò di capire chi fosse. Cose del genere possono ben influire sulla decisione di una ragazza da marito, pensò. Provate a immaginare di dover dormire per tutta la vita in una se~heria. Ma non era stato quel rumore a svegliarla. Forse il freddo. La temperatura, come suole nel deserto, era precipitata. La ragazza si ravvolse nelle coperte e cercò di riprender sonno. Ma il rumore si ripeté, e Vicky si rizzò a sedere di scatto, tutta irrigidita. Era un suono lungo, lacerante, cupo, diverso da qualunque altro avesse mai udito. Arrivava a un'acutezza snervante. e terminava con una serie di brontolii profondi, tali da rivoltar ]e viscere Era un suono così minaccioso, così spaventoso, che si senti gelare l sangue nelle vene. Voleva svegliare gli altri, ma non aveva il coraggio di muoversi e allora restò lì, immobile, in attesa che si ripetesse. Va tutto bene, signorina Camberwell. Vicky sobbalzò all'udire quella voce tranquilla. lontano parecchio, diversi chilometri. Non c'è da aver paura. Vicky si voltò e vide il giovane etiope che la guardava. Dio mio, Greg. . . cosa diavolo é? Un leone, signorina Camberwell , le spiegò Gregorius, sbalordito che non avesse riconosciuto un rumore così ovvio. Un leone? Era il ruggito di un leone? Non aveva idea che potesse risuonare in tal modo. Al mio paese si dice che anche un uomo coraggioso è spaventato tre volte da un leone. La prima volta è quando lo sente ruggire. Lo credo , sussurrò la ragazza. Lo credo bene. Raccolse le coperte e andò dove dormivano Jake e Gareth. che non si erano svegliati. Si stese con cautela in mezzo a loro, considerando che così il leone avrebbe avuto un po' di scelta, ma non riuscì più a riaddormentarsi. Il conte Aldo Belli si era ritirato in tenda con il più sincero e il più saldo proposito di ripartire, l'indomani, per i Pozzi di Cialdi. Le implorazioni del generale avevano avuto effetto. Più nulla l'avrebbe fermato, decise, disponendosi a dormire. Si svegliò nelle prime ore del giorno, scoprendo che tutto il chianti che aveva bevuto a cena stava ora esercitando in lui una gran pressione interna. Laddove un uomo da meno si sarebbe limitato a scendere dalla
branda e uscire dalla tenda per prendere di petto quel piccolo problema, il conte Aldo Belli fece le cose in grande stile. Tornando a sdraiarsi, emise un unico urlo belluino, e immediatamente la notte si animò di un'attività frenetica. Nel giro di pochi minuti Gino arrivò con una lanterna, avvolto in un barracano di cammello, con gli occhi cisposi dal sonno. Era seguito dall'attendente del conte e dall'aiutante di campo, entrambi nello stesso stato di veglia stuporosa. Il conte palesò le proprie necessità fisiologiche e il volonteroso gruppetto si raccolse sollecito intorno alla sua branda. Gino lo sorresse come un invalido, l'attendente gli porse la vestaglia blu di seta cinese, ricamata a draghi rossi e poi si chinò a infilargli ai piedi le ciabatte di pelle di vitello, mentrel'aiutante svegliava a calci la sentinella di guardia alla tenda e la nutrita compagnia usciva all'aperto. Una processione armata fino ai denti e ben illuminata dalle lanterne si diresse alla latrina scavata per esclusivo uso e consumo del colonnello comandante, e protetta da un effimero baracchino di lamiera. Gino ci entrò per primo, a controllare che non vi fossero serpenti, scorpioni o briganti. Solo quando ne riemerse incolume, il conte avanzò. La scorta si mise sull'attenti e ascoltò con simpatia il copioso scroscio proveniente dall'interno del baracchino, finché sussultò il cielo, tremò la terra, e i cuori si fermarono per il terribile ruggito di un leone maschio. Santa Madre di Dio! gridò il conte schizzando fuori dal cesso, bianco come un lenzuolo. Cos'è stato, in nome di Pietro e tutti i santi? Nessuno seppe rispondergli, anche perché nessuno c'era più: la scorta armata del conte stava correndo a gambe levate verso il campo. Il colonnello comandante li imitò. -Una volta nella sua tenda, illuminata a giorno, affollata da gli ufficiali convocati in fretta e furia, il suo polso cominciò a ritornare pian piano normale. Uno degli ufficiali suggerì di chiedere lumi alle guide eritree, affinché spiegassero la naturadell'atroce boato che aveva piombato nella costernazione l'intero battaglione. Un leone? disse il conte, e subito dopo: Un leone! Istantaneamente il terrore notturno senza nome svaporò, dato anche che cominciava a spuntar l'alba, e i fieri istinti del cacciatore presero il sopravvento nell'animo del conte. L'interprete gli spiegò che la belva era stata richiamata dalle carcasse delle antilopi lasciate dal conte disseminate qua e là per il deserto. l'odore del sangue che l'ha attirato. Gino , abbaiò il conte. Portami il Manniicher e di' all'autista di venire immediatamente qui con la macchina. Signor colonnello , protestò il maggiore Castellani. a Voi stesso avete ordinato che il battaglione si muova all'alba. a Contrordine! ringhiò il conte. Già pregustava il magnifico trofeo davanti alla scrivania Luigi XIV, nel suo studio al castello. L'avrebbe fatto imbalsamare con le fauci spalancate e gli occhi di vetro giallo che mandavano lampi minacciosi. Nel figurarsi le zanne, però, gli tornò in mente il pericolo corso con l'antilope. Maggiore , ordinò. Voglio che mi accompagnino venti uomini armati su un camion, ognuno con cento pallottole. Il conte non aveva la minima intenzione di correre altri stupidi rischi. Il leone era un maschio adulto di circa sei anni, e, come molti dei suoi simili viventi nel deserto, era più grosso dei leoni della foresta. Era alto un metro alla spalla, e pesava più di due quintali. Il sole al tramonto gli accendeva la criniera rossiccia, conferendogli una specie di aureola dorata. La chioma era folta e lunga, e gli incorniciava la testa enorme e piatta, arrivandogli parecchio dietro la spalla; sotto, toccava quasi terra. Procedeva rigido, a testa bassa, ciondolando a ogni passo sforzato. Il respiro era molto rumoroso. Ogni tanto si fermava e agitava la testa per scacciare la nuvoletta blu di
mosche che gli si era formata sulla ferita al fianco. Poi la leccava. Era un buchetto nero umido di sangue sieroso. La lunga lingua arricciata, ruvida come carta vetrata, raspava il pelo attorno alla ferita, che appariva ora pallida e come rasata. La pallottola del Manniicher calibro 9, 3 l'aveva raggiunto nell'attimo in cui si voltava per scappare. Era penetrata quattro centimetri sotto l'ultima costola, con un impatto pari a nove tonnellate, che aveva atterrato il leone in una nuvola di polvere. Il proiettile di rame ricoperto d'una camicia di piombo si era aperto nel corpo della belva, lacerando le viscere e quattro grosse vene addominali. Anche le reni erano state entrambe ferite: così adesso, quando il leone si fermava a urinare, ruggiva come una banda di tamburi. Infine la pallottola si era fermata contro l'osso del bacino. Dopo il primo shock dell'impatto, la bestia si era rialzata e si era messa a correre, nascondendosi fra i cespugli di rovo. Altre dodici pallottole gli erano piovute accanto, una così vicino da lanciargli terriccio negli occhi, ma nessuna l'aveva più raggiunto. Il gruppo di leoni ne contava sette. C'era un altro maschio, più vecchio, dalla criniera più scura; due femmine, di cui una gravida, e tre cuccioloni. Quel maschio era l'unico sopravvissuto alla pioggia di fuoco, e ora procedeva a stento, minato dall'emorragia interna che ogni passo gli muoveva in corpo una massa gelatinosa di sangue sem~irappreso. Una pesante letargia rallentava i suoi movimenti, ma la sete lo spronava avanti. La sete era una terribile agonia che consumava tutto il suo organismo, e le pozze dove il fiume Awash si impaludava nel deserto erano ancora distanti una ventina di chilometri. Era l'alba. Priscilla la Troia era pesantemente appoggiata sul telaio: tutte e quattro le ruote avevano sfondato la crosta di sale seccato dal sole e ora affondavano nella poltiglia sottostante. Jake, a torso nudo, stava falciando ettari di rovi, che gli altri raccoglievano e portavano vicino all'auto insabbiata. Jake lavorava con furia autopunitiva, rabbioso per la stupidità che la sera precedente l'aveva indotto a premere l'acceleratore. Non aveva scuse: Gregorius l'aveva messo specificamente in guardia sui pericoli della vasta distesa salina. lavorava da un'ora prima dell'alba e, adesso che il sole era alto e il caldo bruciava, vicino a Priscilla c'era una montagna di cespugli spinosi. Sotto il motore, Gareth l'aiutò a sistemare un duro letto di sassi pratti e rami più grossi, su cui poi appoggiarono i cric. Pian piano riuscirono a sollevare le ruote anteriori di . Priscilla. Vicky e Gregorius ci ficcarono sotto altri cespugli di rovo. Il faticoso lavoro fu ripetuto anche con le ruote di dietro. A mezzogiorno passato, Priscilla poggiava su quattro bei mucchietti di rovi con le ruote di gomma piena, e il telaio non toccava PIU'. Che si fa adesso? domandò Gareth. Mettiamo in moto e cerchiamo di farla uscire? Un giro di ruota e tutta quella spazzatura vola via. Riusciremmo solo a farla affondare di più , brontolò Jake, asciugandosi il sudore dal petto con la camicia raggomitolata in mano. Guardò Gareth e provò un moto d'ira al vederlo ancora pulitissimo, e quasi pettinato, dopo cinque ore di fatiche. Lavorando sotto la direzione di Take, stesero un tappeto di rami di rovo sulla crosta salata, da Priscilla la Troia al terreno solido al limite dell-antico lago. Serviva a distribuire il peso del veicolo sul crostone, in modo che non tornasse a rompersi in un altro punto. Poi Vicky, su miss I~ondola, fece manovra e la arrestò sull'orlo del lago, in linea col tappeto di rami spinosi. Gli uomini agganciarono tre robuste funi di canapa attorcigliate da miss Dondola a Priscilla la Troia. Gareth si mise al volante, mentre Jake e Gregorius, impugnando i due rami più grossi, si prepararono a far leva sotto le ruote anteriori di Priscilla. Sei bravo a dire
le preghiere, Gary? gridò Jake. Mica tanto, vecchio mio. Be', provaci comunque , disse Jake prima di urlare a Vicky di tirare. La testa bionda della ragazza sparì nella torretta di miss Dondola. Si sentirono due o tre accelerate. La fune di canapa si tese. Miss Dondola stava tirando. Tieni le ruote dritte , gridò Jake a Gareth. Con Gregorius fece leva sui rami. Riuscirono a sollevare il veicolo quel tanto che bastava per far superare il gradino alle ruote dav~anti. Lentamente, goffamente, il pesante automezzo imboccò la corsia di rami di rovo, uscendo dalla fossa che si era scavato nel letto dell'antico lago salato. Quando raggiunse il terreno solido, i quattro emisero urla belluine di trionfo. Jake aprì due bottiglie di birra calda della sua riserva personale. Metà del liquido traboccò schiumando fuori della bottiglia. Ne rimase a malapena un sorso per ciascuno. Ce la facciamo ad arrivare alle paludi dell'Awash per stanotte? domandò Jake. Gregorius alzò gli occhi al cielo per vedere quant'era alto il sole. Se non perdiamo altro tempo, sì. In formazione a semicerchio, aggirando il lago salato, la colonna si diresse a occidente. A metà pomeriggio raggiunsero il deserto di sabbia, con le sue dune che sembravano balene e gettavano nelle valli sottostanti bellissime ombre liriche. Il colore della sabbia variava dal porpora-scuro al ro~sa più tenero, fino al giallo e al biancogesso. La sabbia era così morbida e fine che, dalla cresta di ogni duna, il vento spazzava lunghe nuvolette di granelli. La sabbia gialla che li aveva tormentati la prima notte a Mondi veniva da lì. Su consiglio di Gregorius virarono verso nord, e nel giro di mezz'ora raggiunsero il lungo ponte roccioso che bisecava il deserto di sabbia, formando una specie di solida autostrada in mezzo alle dune. L'imboccarono, seguendo il suo percorso tortuoso per una trentina di chilometri, col deserto sabbioso da entrambi i lati. Vicky pensò che era come il passaggio del Mar Rosso da parte degli Ebrei in fuga. Perfino le dune avevano l'aspetto di onde congelate, che in ogni momento potevano rimettersi in movimento e inghiottirli. La giornalista disperava di saper descrivere adeguatamente la meraviglia di quelle sabbie multicolori. Sbucarono alla fine, con sorprendente soluzione di continuità, nella savana ai piedi dell'altopiano etiopico. Finalmente si erano lasciati alle spalle il deserto vero e proprio, e, benché fosse una savana molto arida e aspra, ci cresceva almeno qualche raro cespuglio, oltre all'erba così secca, fine e polverosa, da aver perso ogni colore e luccicare argentea e rigida come per effetto della brina. Ma la cosa più consolante era la linea delle montagne che si stagliava netta in lontananza. Era come il raggio di luce di un faro che li attirava. Sull'erba corta e dura, i quattro veicoli rombarono gioiosamente, accelerando~ sobbalzando a tratti su qualche termitaio e schiacciando i bassi cespugli spinosi che non valeva la pena di evitare. Nell'ultima luce del giorno, poco prima che Jake decides se di dare l'alt, la terra sprofondò e di fronte a loro, quasi miracolosamente, si aprì un canyon in fondo al quale scorreva un fiume: l'Awash! Fermarono le autoblindo sul ciglio della scarpata e si affacciarono a guardare. A duecento metri, laggiù in fondo, comincia l'Etiopia ~, disse Gregorius, con gli occhi spalancati. Sono due anni che non tocco il suolo del mio paese. Restò zitto un momento e proseguì. Il fiume nasce sull'altopiano, presso Addis Abeba, e scende giù per una gola scoscesa. Si impaluda poco più a valle di qui. Le sue acque colano nelle sabbie del deserto e chissà dove vanno a finire. Qui siamo ancora in territorio francese, davanti a noi c'è l'Etiopia, e laggiù a settentrione l'Eritrea italiana. Quanto sono lontani i Pozzi di Cialdi? l'interruppe Gareth. Per lui era lì che finiva l'arcobaleno, con l'immancabile pignatta
d'oro. Gregorius alzò le spalle. Saranno a circa ottanta chilometri. Come si fa ad attraversare il fiume? borbottò Jake, guardando in fondo al burrone dove le acque dell'Awash luccicavano argentee. Un po' più a monte di qui c'è una vecchia carovaniera per Gibuti , gli disse Gregorius. Il guado dovrebbe essere praticabile anche per noi. Spero che tu abbia ragione , disse Gareth. Sai, sarebbe un po' lunga, tornare indietro. Durante la notte, le acque intraviste in fondo al canyon stregarono Vicky Camberwell. Sognò torrenti montani, cascatelle, pozze, massi arrotondati e coperti di muschio, salici piangenti sulle rive. Si svegliò prestissimo, madida di sudore, coi capelli incollati alla fronte. Pensò di essere l'unica già sveglia e scivolò nell'autoblindo per prendere salvietta e sapone. Ma, quando saltò giù, sentì una chiave inglese sbattere contro l'acciaio e vide Jake che lavorava curvo sul motore. Cercò di filar via non vista, ma all'improvviso Jake si alzò. Dove stai andando? le chiese. Figuriamoci! esclamò subito dopo, vedendole il sapone in mano. Senti un po' , Vicky, non mi va che te ne esca dal campo da sola. Jake Barton, sono così sporca che puzzo. Niente e nessuno mi impedirà di andare al fiume a lavarmi. Jake esitò. meglio che venga anch'io. Mio caro, queste non sono le Folies Bergéres , disse Vicky, e Jake aveva ormai imparato a non discutere con quella signora. La guardò filare al ciglio del canyon e scomparirvi dentro con qualche vago risentimento, peraltro privo di vere ragioni. Sassi e terriccio cedevano facilmente sotto i piedi, per cui Vicky tenne a freno la propria impazienza e scese con la massima cautela, guardando bene dove metteva i piedi. Dopo un po' incontrò un sentiero, forse tracciato dai cinghiali, che scendeva più dolcemente, e si mise a seguirlo con sollievo. I suoi passi silenziosi si stampavano sulla terra molle vicino alle impronte profonde, rotonde e pentaungulate, grosse come un piattino da té, di un animale pesantissimo. Ma Vicky non le notò, e, anche se le avesse viste, non le avrebbe forse riconosciute. Quelle pozze d'acqua luccicante, in fondo al canyon, l'attiravano irresistibilmente. Quando raggiunse il fondo della scarpata, scoprì che il fiume era già così impaludato che non scorreva più. Le pozze erano stagnanti, basse e ancora calde del sole del giorno precedente. Le piene dell'Awash avevano portato via il terriccio in fondo al canyon, scoprendo il nero basalto che ne costituiva il letto roccioso. Vicky si liberò in fretta dei vestiti madidi di sudore ed entrò in una delle pozze, sospirando per il piacere dell'acqua sulla pelle. Si sedette e cominciò a sguazzare, gettandosi l'acqua in volto e sul petto, lavando via tutta la polvere e il sudore salato del deserto. Poi tornò a riva e prese una bottiglietta di sciampo dalla borsa di tela cerata. Ben presto aveva tutti i capelli ruscellanti di candida schiuma. Si risciacquò i capelli e si avvolse in testa la salvietta come un turbante, prima di inginocchiarsi nella pozza e insaponarsi tutto il corpo. Era deliziata. Quand'ebbe finito, la luce era aumentata e opinò che gli altri, in cima al canyon, fossero impazienti di ripartire. Mise piede sulla piatta roccia nera che circondava la pozza e sostò un momento per godersi la brezza mattutina sulla pelle nuda. A un tratto ebbe la netta sensazione di essere osservata. Si voltò di scatto, coprendosi istintivamente seno e pube con le mani. Gli occhi che la fissavano erano di un selvaggio colore giallo-oro. Le pupille erano nere fessure scintillanti. Lo sguardo era saldo e non vacillava. La grossa bestia rossiccia era accucciata a mezza costa, su una roccia dall'altra parte della pozza. Giaceva con le zampe sotto il mento, immota. Era una visione che gelava il sangue, anche se Vicky non aveva capito cosa stava guardando. Poi, lentamente, il ciuffo scuro della criniera si eresse,
oscillando intorno alla grossa testa e magnificandola ancor più. Quindi la coda prese a spazzare la roccia con frustate regolari, da metronomo. All'improvviso Vicky si rese conto di che cos'era. Nella mente le riecheggiò il terribile ruggito della notte precedente, e cominciò a strillare. Jake aveva appena finito di regolare il motore di miss Dondola e aveva chiuso il cofano corazzato. Stava lavandosi le mani con il detersivo all'ammoniaca Scrubbs, ideale per sciogliere immediatamente il grasso, come diceva la pubblicità. Proprio in quella udì l'urlo di Vicky e si lanciò in corsa senza pensare. L'urlo di Vicky era un'espressione di terrore mortale, acuto e lacerante. Il cuore di Jake gli balzò in gola, e, allorché ne sentì un altro, se possibile ancora più atterrito, corse a balzi giù dalla scarpata. In pochi secondi arrivò alla roccia solida in fondo al canyon. Vide la ragazza nuda, accovacciata sull'orlo della pozza, con le mani alla bocca. Il suo corpo era snello e pallido, con le natiche piccole e tonde di un ragazzo e le gambe lunghe e aggraziate. Vicky , gridò, cosa c'é? Mentre la ragazza si voltava di scatto verso di lui, vide le sue poppe oscillare pesantemente, tonde e grosse, con i grandi capezzoli rosa eretti per il freddo e per lo shock. Anche in quella situazione di emergenza non poté fare a meno di lanciare un'occhiata al ventre piatto e vellutato, e al triangolo di pelo compatto alla base. Subito dopo, eccola correre verso di lui su quelle lunghe gambe da puledra, col volto bianco come un lenzuolo, e gli occhi verdi e dorati sbarrati per il terrore. Jake , gridò lei. Oh Dio, Jake! e in quella egli vide un movimento a mezza costa, sulla riva opposta del fiume. Durante la notte la ferita si era indurita, e ora il leone aveva la parte posteriore quasi paralizzata. Le viscere lacerate diffondevano nel suo organismo l'infezione. Per questo l'animale era intorpidito e come in letargo, e il riflesso aggressivo che sarebbe dovuto scattare immediatamen'e alla vista di una forma umana non fu abbastanza forte da indurlo alla carica. Tuttavia il suono della voce gli ricordò immediatamente i cacciatori che gli avevano inflitto la terribile ferita, e l'ira lo investì. Quando poi vide un secondo bipede accorrere, urlare e agitarsi davanti a lui, non ne poté più. Il leone si rizzò faticosamente sulle zampe e ruggi. Jake scattò incontro a Vicky, che gli gettò le braccia al collo, ma lui evitò l'abbraccio e la prese per il peloso con la sinistra, così forte da farlé male. Il dolore la fece tornare presente a se stessa. utilizzando l'impeto della sua stessa corsa, Jake la proiettò sul sentiero che risaliva la scarpata. Corri! le gridò. Non fermarti! E si voltò a fronteggiare la belva ferita, che dalla riva opposta scese nella pozza. Solo allora Jake si rese conto di avere ancora in mano la bottiglia di detersivo all'ammoniaca Scrubbs. Il leone cominciò a guadare la pozza dirigendosi verso di lui. Nonostante la ferita, il grosso felino avanzava nell'acqua sinuoso, agile e minacciosissimo. Era così vicino che Jake poteva distinguere ogni singolo baffo sul curvo labbro superiore, e udiva il raschio del fiato in gola alla belva. Lo lasciò avvicinarsi: voltarsi e scappare sarebbe stato un suicidio. All'ultimo momento arretrò come un lanciatore di baseball caricò il braccio e scagliò la bottiglia. Fu un'azione istintiva, che si giovava dell'unica arma, sia pure ridicola, che aveva a disposizione. La bottiglia colpì il leone sulla fronte, proprio mentre stava poggiando la zampa sulla riva rocciosa. Esplose in una nuvola di schegge di vetro. Il liquido biancastro dall'odore pungente fini negli occhi della belva, accecandola all'istante, e l'ammoniaca concentrata colatagli nelle fauci e nelle narici gli mise fuori uso anche l'odorato e inferse a tutto il suo organismo un colpo così violento che il leone perse l'appoggio e cadde
all'indietro, ruggendo di dolore per i globi oculari e la gola scottati dal liquido corrosivo. Finì a pancia in su nella pozza, dove pre se a dibattersi disperatamente. Jake corse verso il basso per approfittare dei secondi di vantaggio che si era assicurato. Si chinò a raccogliere una pietra di basalto nero grossa come un pallone da rugby e la levò alta sopra la testa, a due mani. Mentre si affacciava alla pozza, il leone recuperò l'equilibrio e tornò ciecamente alla carica. Jake scagliò la pietra con tutta la sua forza. Come una palla di cannone il masso colpì la belva sulla nuca, dove il solo mantello ricopriva la giuntura fra cranio e colonna vertebrale, e spezzò entrambi. La fiera orrendamente sconciata crollò e giacque sul fianco, metà in acqua e metà sulla roccia nera levigata. Per parecchi secondi Jake restò immobile a guardarla, ansimando per l'eccitazione e la paura. Poi si chinò e con l'indice toccò le ciglia del leone, sopra gli occhi gialli che il liquido corrosivo aveva già cominciato a sbiancare e a rendere opachi. Il leone non mosse le palpebre. La mancanza di tale riflesso convinse Jake che l'animale era davvero morto. Si voltò e scoprì che Vicky non aveva obbedito alle sue ingiunzioni di correre verso l'alto senza fermarsi. Era rimasta dove l'aveva lasciata, tutta nuda e indifesa, sicché gli si strinse il cuore e corse subito da lei. Con un singhiozzo ella si rifugiò fra le sue braccia, aggrappandosi a lui con forza sbalorditiva. Jake sapeva bene che quell'abbraccio era dovuto al terrore e non all'amore, ma, appena il suo cuore rallentò i palpiti e l'adrenalina che gli fiottava in circolo sbollì, gli venne in mente che si era assicurato un bel vantaggio. Se salvi la vita a una ragazza, ragiOnO, pOi per forza deve prenderti sul serio. Ghignò fra sé, ancora un po' sconvolto. Tutti i suoi sensi erano stati aguzzati dal recentissimo pericolo corso. Aveva ancora nelle narici il tanfo dell'ammoniaca, che si mischiava a quello del sapone di Vicky. Sentiva con torturante chiarezza la snella e compatta adesione del corpo di lei, e il morbido tepore della sua pelle sotto le mani. Oh Jake! sussurrò con voce rotta, e con un lampo improvviso di consapevolezza egli seppe che in quel momento era sua, doveva solo prenderla, possederla lì subito, sul nero basalto in riva all'Awash vicino alla carcassa ancor calda del leone. La sua certezza fu immediatamente confermata dalla risposta del corpo di lei alle sue carezze. La ragazza alzò il volto guardandolo con labbra tremanti, ed egli bevve il suo fiato. Cosa diavolo succede lì da basso? La voce di Gareth echeggiò nella gola. Si era affacciato sul ciglione sopra di loro. Aveva il fucile imbracciato (un Lee-Enfield del carico) e sembrava sul punto di scendere. Jake fece girare Vicky, nascondendola dietro il proprio corpo, e la coprì con la giacca della tuta. Le arrivava a metà coscia e, quanto a larghezza, Vicky ci ballava dentro. Stava ancora tremando come un gattino in una tempesta di neve, e il suo respiro era pesante e faticoso. Non ti preoccupare , gridò Jake a Gareth. Non sei arrivato in tempo per aiutarci, e adesso non c'è più alcun bisogno di te. Poi Jake si frugò in tasca, tirò fuori un gran faz~zoletto un po' spiegazzato e lo porse a Vicky che lo accettò con un sorriso, sia pur fra le lacrime e tremando dallo spavento. Soffiati il naso , le disse Jake. Poi mettiti i calzoni, prima che vengano giù tutti a darti una mano. Gregorius fu così impressionato che rimase senza parole per parecchi minuti. In Etiopia non si conosce maggior prodezza dell'uccisione di un leone da parte di un uomo solo. Il guerriero capace di tanto ne indossa poi la criniera, segno del suo coraggio, e si guadagna il rispetto di tutti. Chi uccide il proprio leone col fucile è rispettato, chi l'uccide con la lancia è venerato: ma Gregorius non aveva mai sentito di qualcuno che avesse ammazzato un leone con un
solo macigno e una bottiglia di detersivo all'ammoniaca. Gregorius scuoiò la carcassa con le proprie mani. Prima che finisse, già gli avvoltoi roteavano sopra di loro. Lasciò la carogna rosa nel letto del fiume e portò la pelliccia umida al campo, dove Jake stava ultimando i preparativi per riprendere il viaggio verso i Pozzi. Era quasi irriverente, nel suo disprezzo del trofeo, e Greg cercò di farglielo capire. Fra la mia gente acquisterai un grandissimo prestigio, Jake. Dovunque andraìt ti segneranno a dito. Bene, Greg, benissimo. Adesso per favore alza il culo e muoviamoci. Con la criniera ti farò fare un copricapo da combattimento , insisté Greg, legando la pelliccia del leone all'auto blindo di Jake. Pettinando i peli, farà una figura grandiosa. Non potrà che migliorare lo stile del suo taglio di capelli , osservò seccamente Gareth. Sono d'accordo, è stata una magnifica luna di miele, e lo sposino è un bel giovanotto, ma, come ha detto anche lui, muoviamoci, prima che cominci a sentirmi male. Si avviarono ai veicoli. Gregorius si avvicinò a Jake e tranquillamente gli mostrò la pallottola recuperata dall'osso del bacino del leone. Jake la esaminò minuziosamente, rigirandola sul palmo della mano. Nove millimetri, o nove virgola tre , sentenziò. è un fucile da caccia, non da guerra. Non credo che in Etiopia ci sia un solo fucile in grado di sparare una pallottola come questa , disse serio Greg. è il fucile di uno straniero. Non c'è bisogno di turbare gli altri per adesso , disse Jake restituendogli il proiettile. Ma noi due non dimentichiamocelo. Gregorius fece per voltarsi, poi disse timidamente: Jake anche se il leone era già ferito, è sempre la più grande prodezza di cui io abbia sentito parlare. Sono andato spesso a caccia di leoni, ma non sono ancora riuscito ad ammazzarne uno . Jake rimase commosso dall'ammirazione del ragazzo. Scoppiò a ridere e gli diede una pacca sulla spalla. Il prossimo lo lascerò a te , gli promise. Seguirono i meandri del fiume Awash nella savana, avvicinandosi alle montagne i cui picchi si stagliavano sempre più alti e nitidi contro il cielo. I roccioni e le pendici coperte di boschi si mettevano a fuoco pian piano, come una muraglia nel cielo. All'improvviso attraversarono la vecchia carovaniera, in un punto dove le rive dell'Awash diventavano meno scoscese. Il transito di uomini e bestie, nei millenni, aveva tracciato sentieri che si aprivano nella vegetazione come piaghe di terra rossa, evitando roccioni e dislivelli eccessivi. I tre uomini si misero a lavorare di badile e piccone, per adattare il sentiero più grande alle autoblindo. Qua spianarono, là allargarono, in una nuvola di polvere rossiccia, sotto il sole accecante. Tolsero i massi dal sentiero facendoli rotolare di sotto, nel letto del fiume. Quella notte dormirono il sonno di piombo dei fisicamente esausti, al punto da non sentire nemmeno più i muscoli e le giunture doloranti. La mattina dopo Jake li mise al lavoro alle primissime luci: di nuovo il badile, di nuovo il piccone, finché in qualche modo riuscirono a trasformare la pista dei transumanti in una rampa carrozzabile, ancorché duretta. Gareth fu il primo a passare. Affacciato alla torretta, riusciva a sembrare di buonumore e perfino elegante, sotto la mano di polvere rossa che lo copriva. Sogghignò a Jake e gridò fieramente: Noli illegittimi carboru~dum! per poi scomparire subito nelle viscere d'acciaio dell'autoblindo. Il motore rombò e il veicolo discese la ripida rampa di terra appena smossa, raggiunse il basalto della riva, attraversò il guado e, quando arrivò dall'altra parte, Jake e Gregorius si diedero a spingere non appena le ruote motrici affondarono nella terra rossa della salita. Riuscirono a malapena a mantenere il veicolo in movimento Lentissimamente l'autoblindo scalò la rampa quasi verticale: quando infine
tornò in piano, con uno scossone, Gareth spense il motore e scese ridendo felice. Bene, almeno adesso potremo rimorchiar su le altre con questa , disse e, per premio, tirò fuori i sigari. Cos'è che hai detto prima, in quella specie di latino? chiese Jake accettando il sigaro. il vecchio grido di guerra della famiglia , spiegò lareth. Fu urlato dagli Swales combattenti a Hastings ~. Agincourt, e in tutti gli altri macelli del mondo. Cosa vuol dire? Noli illegittimi carorundum? Gareth rise ancora, accendendo i sigari. Vuol dire non farti fregare da quei bastardi. Portarono le altre macchme giù al fiume, lo guadarono e si fermarono sulla riva opposta. Poi le agganciarono a quella già in alto. Una alla volta, con qualche spinta, le tirarono su. Ed eccole tutte sul suolo d'Etiopia, piatto e cotto dal sole. Era tardo pomeriggio All'ombra di miss Dondola, stanchi morti, bevvero un té. Gregorius li informò che ormai non c'erano più ostacoli davanti a loro. tutta pianura fino ai Pozzi di Cialdi, adesso. Sorrise ai compagni a tutti denti. Erano candidis simi, sullo sfondo del suo viso rilassato, color miele. Benvenuti in Etiopia! Francamente, amico mio, preferirei trovarmi seduto all'Harry's Bar in rue Daunou , disse Gareth con calma, il che è proprio quello che farò non molto tempo dopo che il caro Toffee Sagud mi avrà ficcato in mano una borsa d'oro. Jake balzò in piedi e si mise a scrutare all'orizzonte, fra le onde di calore che ancora si levavano dal suolo torrido. Poi corse in fretta alla propria macchina e cominciò a guardare dalla torretta col binocolo. Anche gli altri si alzarono e presero a osservarlo, sulle spine. Cavaliere , disse Jake. Quanti sono? domandò Gareth. E solo. Viene qua, al galoppo. Gareth andò a prendere il fucile e mise una pallottola in canna. Ormai lo vedevano tutti. Galoppava, distorto dal miraggio delle liquide onde di calore. Ora cavallo e cavaliere sembravano galleggiare a mezz'aria, ora ripiombavano indietro, lontani ora giganteggiavano come un elefante perché l'aria incurvata dalle radiazioni faceva da lente. Dietro il cavaliere si alzava una nuvola di polvere. Solo quando fu a un tiro di schioppo si stagliò netto nell'atmosfera. Allora Gregorius ruggì e si mise a correre, al sole, verso il nuovo venuto. Con una prodezza da esperto cavallerizzo lo sconosciuto fermò di colpo lo stallone bianco così che quello s'impennò, arretrando, con gli zoccoli anteriori che trinciavano l'aria. Lo sconosciuto saltò giù dal cavallo in un turbine di lembi di tunica e si gettò al collo di Gregorius. I due si abbracciarono appassionatamente. Ora lo sconosciuto sembrava piccolo e delicato, fra le braccia di Gregorius e lanciava grida di benvenuto acute, da uccellino. Mano nella mano, guardandosi in viso, si avvicinarono al gruppo in attesa presso i veicoli. Dio mio, un'altra ragazza! disse stupito Gareth, posando il fucile carico. Tutti quanti guardavano la snella giovane dagli occhioni neri con lunghe ciglia e dalla carnagione di seta. Era una ragazza che non aveva ancora vent'anni. Posso presentarvi Sara Sagud? disse Gregorius. E mia cugina, la figlia più giovane di mio zio, ed è anche senza alcun dubbio la fanciulla più carina d'Etiopia. Vedo , commentò Gareth. Veramente molto decorativa. Mentre Gregorius li presentava a turno, la ragazza sorrideva. Il suo volto lungo e aristocratico, che aveva la serenità di quello di una principessa egizia, i lineamenti delicati e il naso cesellato di una Nefertiti, si illuminò ben presto di bambinesca monelleria. Sapevo che avreste passato l'Awash qua, è l'unico punto. . . e così vi sono venuta incontro. Parla anche inglese , sottolineò Gregorius con orgoglio Mio nonno insiste perché tutti i suoi figli e nipoti imparinò l'inglese. E un grande ammiratore degli inglesi. Lo parla bene , si congratulò Vicky con Sara, benché in realtà il
suo inglese avesse un pesante accento, e la ragazza si rivolse a lei con un altro bel sorriso Me l'hanno insegnato le suore del Sacro Cuore a Berbela , spiegò, ed esaminò Vicky con franca e palese ammirazione. Lei è molto bella, signorina Camberwell. I suoi capelli hanno il colore dell'erba invernale sull'altopiano. L'abituale compostezza di Vicky si ruppe. Arrossì un tantino e . ise, ma l'attenzione di Sara era già stata attirata dalle autoblindo. Anchi queste macchine sono belle. . . non si parla d'altro, da quando si è sl'arsa la notizia che arrivavano. . . Si tirò su la tunica, scoprendo le brache aderenti e ricamate, e agilmente salì su miss Dondola. Con esse respingeremo gli italiani in mare. Nessuno potrà resistere al coraggio dei nostri guerrieri e a queste belle macchine da guerra. Aprì le braccia in gesto teatrale e poi si rivolse a Jake e Gareth. Sono onorata di essere la prima, della mia gente, a potervi ringraziare. Non parliamone neppure, mia cara ragazza , disse Gareth con un sussurro. Il piacere è nostro, gliel'assicuro. Si trattenne dal chiederle se suo padre si era ricordato di preparare i contanti, e le domandò invece: La sua gente ci sta aspettando ai Pozzi di Cialdi? E venuto mio nonno, con mio padre e tutti gli zii. Con lui ci sono la sua guardia personale e parecchie centinaia di guerrieri harari, con donne e animali. Buon Dio , borbottò Jake. Che comitato di ricevimento! Piazzarono l'ultimo campo sulle rive dell'Awash, sotto i raml'a ombrello di un albero, sedendo a parlare accanto al fuo co fino a tardi, al sicuro nel forte quadrilatero creato dalle masse di solido acciaio delle autoblindo accostate. Alla fine la conversazione cedette a uno stanco ma amichevole silenzio, e Vicky si alzò. Io vado a fare una passeggiatina e poi a letto. Sara si alzò -on lei. Vengo anch'io. La sua ammirazione per Vicky era sempre più evidente. La seguì fuori del campo come una bambolina fedele. Lontano, si accucciarono a fianco a fianco, con cameratismo, sotto una splendida volta stellata. Sara disse seria a Vicky: La desiderano tutti e due da pazzi, Jake e Gareth . Vicky scoppiò di nuovo a ridere, ancora una volta sorpresa dalla franchezza della ragazza. Ma andiamo! Oh sì~ quando le si avvicinano, sembrano cani che si giranO intorno tutti rigidi e pronti, si direbbe, ad annusarsi sotto la coda. Sara ridacchiò, e anche Vicky dovette sorridere. Quale sceglierà, signorina Camberwell? domandò Sara. - Oh, mio Dio, devo proprio? Vicky stava ancora ridendo. Oh, no , la rassicurò Sara. Può far l'amore con tutti e due. Io farei così. Faresti così? domandò Vicky Sì. Altrimenti come si fa a sapere chi ti piace di più? " Questo è vero. Vicky faticava a non scoppiare a ridere, ma era affascinata dalla sua logica. L'idea non era campata in aria, ammise fra sé. Io faro l'amore con venti uomini prima di sposare Gregorius. Così sarò sicura di non avere perso niente, e quando sarò vecchia non avrò rimpianti , dichiarò la ragazza. Perché proprio venti, Sara? chiese Vicky, cercando di mantenersi seria come la sua interlocutrice. Perché non ventitré o ventisei? Oh, no , disse Sara con decisione. Non voglio che la gente mi giudichi una ragazza facile. Vicky non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere. Ma tu. . Sara tornò al problema più immediato. Quale dei due Intendi provare per primo Scegli tu per me , l'invitò Vicky. è difficile , ammise Sara. Uno è molto forte e ha molto calore nel cuore, l'altro è molto bello e sarà molto abile. Scosse la testa e sospirò. molto difficile. No, non posso scegliere per te. Posso solo augurarti tanta gioia. La conversazione aveva turbato Vicky più di quanto credesse. Benché fosse molto stanca, non riuscì a dormire, ma giacque sveglia sotto la coperta, sul duro terreno ancor caldo, covando i pensieri maliziosi e
solo accarezzabili che la ragazza aveva seminato nella sua mente. Fu così che si trovò ancora sveglia quando Sara si alzò dal giaciglio accanto a lei, silenziosa come un'ombra, e attraversò il campo fino al posto dove si era sdraiato Gregorius. Si era levata la tunica, e aveva addosso solo le aderenti brachette di velluto ricamate d'argento. Il suo corpo era snello e lucente come ebano alla luce delle stelle e della luna appena sorta. Aveva seno alto e piccolo, e la vita sottile e ben tornita. Si chinò su Gregorius ed egli immediatamente Si alzò. Mano nella mano, portandosi dietro le coperte, la coppia scivolò fuori del campo, turbando Vicky più che mai. Giacque ascoltando i run. ori notturni del deserto. Una volta le parve di udire un gridolino soffocato nel buio, ma poteva anche essere solo il verso di uno sciacallo lontano. Quando infine Vicky si addormentò, i due giovani etiopi non erano ancora tornatiIl messaggio radio che il conte Aldo Belli aveva ricevuto dal generale De Bono nel settimo giorno di marcia dopo aver lasciato l'Asmara non era tale da rincuorarlo, bensì addolorarlo e fors'anche offenderlo. Quell'uomo mi tratta da subordinato , protestò coi propri ufficiali. Agitò il foglietto giallo del messaggio con rabbia prima di leggerlo con voce rotta. Vi ordino quindi espressamente. . . Scosse la testa con un'affettata espressione di incredulità. Non dice 'vi prego', non dice 'per favore', notate bene. Appallottolò il fonogramma e lo tirò contro la parete di tela della tenda. Poi si mise a camminare avanti e indietro con piglio deciso, con una mano sul calcio della pistola e l'altra sul manico del pugnale. Sembra che non capisca i miei dispacci. Dovrò andare a spiegarglieli di persona? Ci pensò con crescente entusiasmo. La scomodità del ritorno all'Asmara sarebbe stata molto ridotta dalle belle sospensioni disegnate dai signori Rolls e Royce: e anche dai passatempi che era lecito attendersi in quella città semicivilizzata. Un bel bagno nella vasca di marmo. . . biancheria pulita. . . camere fresche dai soffitti alti, ventilatori elettrici. . . gli ultimi giornali di Roma. . . le sue giovani amiche del casino tutto ciò gli parve improvvisamente irresistibile. Inoltre, avrebbe potuto esercitare la propria supervisione sulla preparazione dei trofei di caccia da spedire a casa. Era in ansia soprattutto per le pellicce di leone: sarebbero stati capaci di lavorarle al meglio, rammendando in maniera invisibile i numerosi buchi di proiettile? Anche l'idea di ricordare all'irriverente generale la sua prosapia illustre, la sua educazione, e le sue relazioni politiche gli sorrideva anzi che no. Gino! ruggì all'improvviso, e il sergente schizzò nella tenda, mettendo automaticamente a fuoco la macchina fotografica. Non ora! non ora! Il conte deviò con stizza l'obiettivo. Torniamo all'Asmara a conferire col signor generale. Dai le necessarie istruzioni all'autista. Ventiquattr~ore dopo, il conte tornò dall'Asmara di pessimo umore. L'incontro col generale era stato uno dei momentipiù penosi di tutta la sua vita. Non aveva nemmeno creduto alla minaccia del generale di rimandarlo a Roma, disonorevolmente esautorato, finché il generale non si era messo a dettare l'ordine a quel suo ridacchiante aiutante di campo, il capitano Crespi. Quella minaccia aleggiava ancora sulla testa ricciuta del conte. Aveva dodici ore di tempo per raggiungere e occupare i Pozzi di Cialdi: se no, una cabina di seconda classe a bordo della Garibaldi per Napoli gli era già stata prenotata. Il trasporto truppe era destinato a salpare da Massaua fra cinque giorni. Il conte Aldo Belli aveva mandato a Benito Mussolini un lungo ed eloquente cablogramma in cui descriveva l'atroce comportamento del generale De Bono nei suoi confronti, ed era poi tornato al battaglione di umore un po' migliore. Quel cafone di De Bono l'avrebbe pagata.
Il conte non sapeva però che De Bono, il quale non era nato ieri, aveva previsto la sua reazione e, intercettato il cablo, lo aveva tranquillamente buttato nel cestino. Il maggiore Castellani non prese sul serio l'ordine di avanzare. Si aspettava il contrordine da un momento all'altro. Quale non fu il suo stupore, quindi, allorché si ritrovò a bordo del camion di testa, a macinare incredulo gli ultimi chilometri di ondulato e polveroso deserto verso il sole al tramonto e i Pozzi di Cialdi. Le massicce precipitazioni che, dal cuore dell'altopiano etiopico, si incanalano per mille rivoli e cascate e calanchi giù dalle montagne, confluiscono o nel bacino del Nilo, per il sistema di paludi meridionali, sfociando poi nel Mediterraneo in Egitto, o in fiumi minori, come l'Awash, che dopo breve corso si estinguono nel deserto o addirittura evaporano prima di raggiungere la savana ai piedi delle montagne. La regola generale trova un'eccezione laddove un impervio mantello scistoso si di parte dal massiccio e forma un tavolato impermeabile di roccia sotto la terra rossa della pianura. Qui le acque di scolo provenienti dall'altopiano si raccolgono in una specie di cisterna sotterranea naturale, che si protende dalla Gola di Sardi come un dito puntato fino ai Pozzi di Cialdi, a oltre cento chiLometri di distanza nel bel mezzo dell'arida savana. Più vicino ai monti, l'acqua scorre a grande profondità, centinaia di metri sottoterra: ma, a mano a mano che aumenta la depressione della savana, il mantello di scisto impermeabile affiora, finché ai Pozzi di Cialdi si trova l'acqua a una dozzina di metri di profondità. Migliaia e migliaia di anni fa quel luogo costituiva un punto di raduno degli elefanti. I pachidermi, sentendo l'acqua con le loro ben note qualità rabdomantiche, avevano scoperto l'esistenza di quel lago sotterraneo. Con zoccoli e zanne erano stati loro a scavare i pozzi, raggiungendo la superficie dell'acqua. Da molto tempo i cacciatori avevano sterminato gli elefanti, ma i pozzi avevano continuato a essere utilizzati dagli altri animali: zebre, antilopi, cammelli e, naturalmente, dagli uomini che avevano annientato gli elefanti. E adesso i pozzi, una dozzina o giù di lì nel giro di cinque o sei chilometri quadrati, erano profonde caverne scavate nella terra rossa, dove tortuosi sentieri scendevano all'acqua, così ripidi che di rado il sole riusciva a illuminarne la superficie. L'acqua era molto mineralizzata. Verdastra, lattescente, aveva preso un pronunciato sapore di ruggine dal ferro che arrossava la terra in superficie. Tuttavia nei millenni quell'acqua aveva sostentato sterminate quantità di esseri viventi. Nei pressi anche la savana era più verde: con lunghissime radici, perfino le erbe riuscivano evidentemente ad abbeverarsi in profondità. Al di là dei pozzi, verso l'altopiano, si stendeva un'area di terreno accidentato, solcato da uadi ripidissimi anche se poco profondi, e disseminato di collinette quadrate che parevano pile di materiale edilizio. Nel corso dei secoli i pastori e i cacciatori che frequentavano le sorgenti avevano scavato di sentieri, tunnel'e trincee tutte le colline che ormai sembravano forme bucherellate di gruviera. Intorno ai pozzi la natura aveva decretato una specie dì armistiziO Qui uomini e animali affluivano insieme in una pace raramente violata. Tra i cespugli spinosi color grigioverde pascolavano insieme capre, cammelli, gazzelle, antilopi, gerenuk e kudu. A questa scena la colonna delle quattro autoblindo si affacciò dà oriente, nel silenzio del mezzodì. Il rombo lontano dei motori raggiunse con grande anticipo le moltitudini riunite ad aspettarle. Il primo della colonna come al solito era Jake, seguito da Vicky, poi Gregorius con Sara sulla torretta e lo stallone bianco legato al veicolo da una fune lasca. Di retroguardia stava Gareth. A un tratto Sara emise un urlo acutissimo, che
sovrastò il rombo dei motori, indicando la valle che si apriva sotto di loro, verdeggiante d'erba e d'alberi più alti e più fitti. Jake diede l'alt e si arrampicò sulla torretta. Al binocolo studiò il folto degli alberi, e quasi subito distinse, con un sobbalzo, l'orda che si avvicinava levando ali di polvere. Buon Dio , mormorò. Devono essere centinaia di persone. Provò una fitta di disagio: non avevano assolutamente un'aria amichevole. In quella fu distratto da un galoppo, e Sara sfrecciò davanti a lui. Era in groppa allo stallone bianco, senza sella, con le falde della tunica che volavano. Galoppando, gridava con intensità quasi isterica in direzione dei cavalieri che si avvicinavano, e il suo comportamento rassicurò Jake un tantino. Segnalò alla colonna di rimettersi in marcia. I primi ranghi arrivarono in una nuvola di polvere fitta e fine, su cammelli e cavalli. Guerrieri dal volto fiero e scuro in tuniche svolazzanti bianche e con pennellate di altri colori. Spronando gli animali con urla selvagge, brandendo gli scudi di bronzo e di ottone, si avvicinavano di gran carriera ai veicoli. Quando li raggiunsero, si aprirono in due ali, e in un attimo eccoli formare una muraglia intorno agli sbalorditi guidatori. La maggior parte degli uomini avevano la barba, e qua e là si vedeva qualcuno indossare con orgoglio la criniera di leone, che proclamava al mondo il suo valore. Le criniere garrivano al vento del galoppo, mentre i guerrieri incitavano le cavalcature con l'acuto Lu-lu-lu-lu tipico degli etiopici. Le armi che portavano colpitono Gareth. che~ essendo un esperto, riconobbe venti diversi modelli di fucili. Ognuno di essi era un pezzo da collezione. C'erano i vecchi Tower ad avancarica, coi cani esterni dalla forma particolare, c'erano vecchie carabine Martini Henry, vere spingarde a un sol colpo, che sprigionavano nuvoloni di fumo nero, e una vasta scelta di Mauser e Schneider, Lee-Metford, e modelli fuori produzione di tutte le marche del mondo. I cavalieri li circondarono sparando in aria contro il cielo al crepuscolo: le salve di fucileria si confusero con gli strilli e le urla di benvenuto. Dopo la prima ondata di cavalieri, eccone una seconda in groppa ad asini e muli. Andavano più piano, ma facevano altrettanto rumore. Subito dopo, ecco una folla di gente che correva a piedi, la fanteria, e in mezzo ai soldati le donne coi bambini in braccio, i cani che abbaiavano botoli giallastri tutti pelle e ossa - in una confusione indescrivibile. Frattanto l'avanguardia aveva fatto dietro front, e l'aggiramento della colonna era completo. I cavalieri si confusero con la massa di gente a piedi, e l'intera assemblea divenne una convulsa moltitudine di uomini, donne, bambini e animali. Jake vide una madre calpestata da un cammello: il bimbo che aveva in braccio rotolò per la terra sabbiosa. Ma già era passato, cercando di aprirsi un varco nel mare di umanità. Sara, davanti a lui, mulinava ferocemente uno staffile di pelle d'ippopotamo per fendere la folla, mentre i cavalieri si avvicinavano sparacchiando in aria, e qualcuno saltava sull'autoblindo in moto. Procedendo a passo d'uomo fra la gente urlante, guidati da Sara, entrarono in una folta macchia di alberi, dopo di che scesero in un uadi e qui ogni ulteriore tragitto divenne impossibile, tanto si era addensata la marea di persone. L'uadi era pieno di gente, che affollava anche le ripide rive e i bordi, in alto. Non mancava chi, disgraziato, spinto alle spalle dalla folla pressante, finiva a capofitto in testa a quelli che si trovavano sul fondo. Le urla di protesta erano però soffocate dallo strepito generale. Dalle torrette si affacciarono, timidamente, i quattro guidatori. Sembravano scoiattoli all'ingresso della tana. Cominciarono a farsi strani segnali a gesti, non avendo la minima speranza di riuscire a sentirsi in quel
baccano. Dalla groppa dello stallone Sara saltò sul parafango corazzato dell'autoblindo di Jake e da qui cominciò a tirar calci a quelli che ancora cercavano di montare sul veicolo. Jake notò che si stava divertenti da matti: gli occhi le scintillavano di battagliera fierezza, e ascoltava con vero godimento le urla dei colpiti dai calci e dalla frusta. Per un attimo pensò di trattenerla, ma subito scartò l'idea come estremamente pericolosa. Invece si guardò intorno in cerca di qualche altro modo di far finire quel rumoroso benvenuto, e per la prima volta notò l'ingresso di numerose caverne sulla scarpata dell'uadiDa molte di queste caverne uscivano plotoni di uomini con addosso una specie di uniforme: turbanti, bandoliere, tuniche cachi. Costoro si misero a mulinare il calcio del fucile in testa alla gente e, con maggiore efficacia di Sara, ottennero in breve uno spiazzo libero intorno ai quattro veicoli corazzati. Sono le guardie di mio nonno , spiegò Sara a Jake, ancora tutta accaldata e sorridente per l'esercizio fisico appena concluso. Mi spiace, Jake, ma ogni tanto la mia gente si eccita un po . Si , disse Jake, l'ho notato. Frattanto il rumore era notevolmente diminuito, avvicinandosi ora al rombo di una valanga di media taglia. I quattro guidatori scesero dalle autoblindo e si raccolsero in un gruppetto vagamente spaurito nell'esigua striscia di terreno sgombro fra le macchine e le caverne che si aprivano nella scarpata dell'uadi. Vicky Camberwell si piazzò strategicamente fra Jake e Gareth, dietro Gregorius avvolto nell'ampia tunica: e Si sentì ancor più sicura quando accanto a lei si insinuò Sara e le prese la mano. Non preoccuparti, su , le sussurrò. Siamo tutti amici. Meno male! esclamò stringendole la mano, grata, con un sorriso. In quella, dalle caverne uscì una processione guidata da quattro preti, neri come il carbone, della chiesa copta coi loro abiti sfarzosi, che intonavano inni sacri in amarico spargendo incenso e levando croci di bronzo istoriate, anche se fuse alla bell'e meglio. Subito dietro ai preti ecco una figura talmente alta e sottile da non parere che una caricatura dell'umano: un lungo sciamma a righe gialle e rosse era appeso a quello spilungone come a un attaccapanni. La testa scura dell'uomo era completamente calva, e neppure aveva sopracciglia e barba. Era tutto pelato e scintillante. I suoi occhi erano circondati di una ragnatela di rughe profondamente scavate nelle pieghe carnose della pelle seccata dal sole. Nel procedere, le gambe lunghe gli davano un'andatura un po' da struzzo bardato. La bocca era completamente priva di denti sicché il mento pareva circondare un buco. di gomma. Il personaggio sembrava vecchissimo, ma l'impressione era contrastata da. la grande mobilità che dimostrava. Tuttavia Gareth era pronto a scommettere che non aveva meno di ottant'anni. Gregorius si precipitò verso di lui e si inginocchiò brevemente davanti all'alto dignitario, mentre Sara sussurrava al gruppetto di occidentali: è mio nonno, ras Golam. Non sa l'inglese, ma è un gran signore, e anche un valorosissimo guerriero, il più valoroso che ci sia in Etiopia . Il ras lanciò un'occhiata al gruppo e scelse Gareth Swales, splendente in tweed antispine. Si chinò su di lui e, prima che Gareth potesse sottrarvisi, lo avviluppò in un abbraccio odoroso di potente tabacco indigeno, cenere, e altri odori tali da dare alla testa. Come va la vita? gridò il ras, le uniche parole che sapeva in inglese. Mio nonno è un grande estimatore degli inglesi , spiegò Gregorius, mentre Gareth si dibatteva nell'abbraccio del ras. Ecco perché ha mandato tutti i suoi nipoti a studiare in Inghilterra. Ha anche una decorazione che lo rende un milord inglese ~, disse loro orgogliosamente Sara, indicando il petto di suo nonno che sfolgorava di medaglie e nastri multicolori. Notando il gesto, il ras lasciò andare
Gareth e invitò gli astanti a dare un'occhiata alle proprie decorazioni. Sull'altro lato del petto, una rosetta di seta tricolore incorniciava una miniatura della vecchia regina Vittoria in persona. Formidabile, vecchio mio, assolutamente formidabile , disse Gareth annuendo e sistemandosi il bavero della giacca. Poi si ravviò anche i capelli. Da giovane, mio nonno rese un importantissimo servigio alla regina, e questo è il motivo per cui è stato insignito della decorazione , spiegò Sara, interrompendosi poi per ascoltare suo nonno e tradurre quanto diceva. Mio nonno vi dà il benvenuto in Etiopia, e dice che è orgoglioso di abbracciare un gentiluomo inglese così distinto. Ha sentito parlare da mio padre del suo coraggio, e sa che anche lei ha meritato la medaglia della grande regina. . . Veramente è la patacca di re Giorgio v, la mia , disse Gareth con modestia. In quel momento si affacciò sulla soglia della caverna, dietro al ras, l'imponente fìgura di Lij Mikhael Sagud. Mio padre riconosce un solo sovrano britannico, mio caro Swales , disse tranquillamente. del tutto inutile cercar di convincerlo che la regina Vittoria è morta da un pezzo. Il principe strinse le mani a tutti, con una parola di benvenuto per Jake e Vicky, e poi si mise ad ascoltare il ras. Mio padre vuole sapere se hai portato la tua medaglia. Desidera che tu la metta quando entrerete in battaglia a fianco a fianco. L'espressione di Gareth mutò di colpo. Un momento, un momento, amico mio. . . protestò. Non aveva nessuna intenzione di partecipare ad altre battaglie in vita sua, Gareth: ma già il ras si era distratto, e gridava ordini alle guardie. Subito i soldati presero a scaricare le casse di fucili e munizioni legate alle autoblindo. Le ammonticchiarono all'ingresso della caverna, tenendo lontani a colpi di calcio del fucile quelli che si avvicinavano troppo. I preti si fecero avanti a benedire le macchine e le armi da guerra, e Sara colse l'occasione per prender Vicky da parte e condurla senza farsi notare a una delle caverne. Le mie serve ti porteranno acqua per lavarti , le sussurrò. Devi essere bellissima alla festa. Forse decideremo allora chi dei due scegliere. Mentre cadeva la notte, tutto il seguito di ras Golam si riunì nell'uadi principale. Nella vasta caverna si sistemarono i più nobili, o quelli che spingevano di più: tutto intorno, gli altri. Ben presto lo stretto vallone fu pieno di gente sfarzosamente vestita, seduta, e illuminata dalla luce guizzante dei falò. I falò diffondevano nel cielo notturno un debole riflesso aranciato, che il maggiore Luigi Castellani non mancò di notare a una distanza di circa venti chilometri dai Pozzi di Ci~ldi. Diede l'alt alla colonna e si arrampicò sul tetto del primo camion per studiare il fenomeno, dapprima dubitando non fosse che un alone del tramonto appena concluso, ma ben presto convinto che non era così. Saltò giù dal tetto del camion, abbaiò all'autista di aspettarlo, e risalì in fretta la colonna di camion coperti dai teloni verso l'auto del comandante, nel mezzo. Signor colonnello , scattò Castellani salutando la figura del conte abbandonato sul sedile posteriore, con la mano infilata nella giubba come Napoleone sconfitto al ritorno da Mosca. Aldo Belli non si era ancora ripreso dallo shock inflitto al suo orgoglio e alla sua autostima dal generale. Si era quindi temporaneamente ritirato da questo mondo volgare, e non alzò la testa nemmeno per sentire le novità di Castellani. Fate ciò che reputate adeguato alle circostanze , farfugliò senza il minimo interesse. Badate solo a conquistare i pozzi prima dell'alba. Dopo di che, il conte ji voltò dall'altra parte, a domandarsi se Mussolini avesse già ricevuto il suo cablo. Castellani giudicò adeguato alle circostanze oscurare immediatamente l'autocolonna e dare l'allerta al battaglione. Non fu ammessa più nessuna luce,
per nessun motivo: fu intimato il più rigoroso silenzio. La colonna si avviò quasi a passo d'uomo, con gli autisti attentissimi a non far rombare il motore. Gli uomini in stato d'allarme vegliavano coi nervi tesi e le armi cariche. Quando alla fine le guide eritree indicarono a Castellani la valle poco profonda che si stendeva, piena di albeli, sotto di loro, c'era abbastanza luce (una falce di luna) perché Castellani potesse studiare il campo di battaglia con occhio da vecchio professionista. Nel giro di dieci minuti aveva già pianificato gli ordini da dare, aveva deciso dove parcheggiare gli automezzi e far campo, dove piazzare le mitragliatrici, dove piazzare i mortai, dove far scavare le trincee per la fucileria. Il colonnello grugnì la propria approvazione senza neanche alzar la testa. Tranquillamente il maggiore diramò dunque gli ordini in grado di portare a effetto il proprio piano, e il battaglione trascorse la notte al lavoro. Il primo che fa cadere il badile o starnuta lo strozzo con le sue budella , avverti guardando con apprensione il chiarore che cominciava appena a illuminare le basse e buie colline oltre i pozzi. Nella caverna principale, l'aria era così calda e spessa che sembrava posarsi sulla compagnia come una coperta di lana bagnata. Nella luce ineguale delle torce era impossibile vedere la caverna da un'estremità all'altra, con le sue pareti di roccia grezza e le colonne. L'instancabile folla di invitati e servi brulicava nella penombra oscura come una frotta di fantasmi. Di tanto in tanto si sentiva un urlo belluino, ma si trattava solo di qualche bue legato nell'uadi, fuori dell'ingresso della caverna. Del resto l'urlo cessava appena il macellàio, mulinando la lunga spada impugnata con ambo le mani, sopraggiungeva a troncarlo, e la bestia cadeva con un pesante tonfo, che pareva echeggiare in tutta la caverna. Un grande urlo di approvazione si levava allora dagli ospiti riuniti, e in un battibaleno una dozzina di scalchi balzavano addosso ai quarti posteriori e li trasformavano in striscioline di carne sanguinolenta che subito appoggiavano su grandi vassoi di terracotta. Vacillando sotto il loro peso, i servi portavano i vassoi nella caverna. La carne fumava, tremolava, sanguinava: gli ospiti, uomini e donne alla stessa maniera, vi si gettavano sopra con avidità. Ghermivano una striscia, la addentavano, e con un colpo di coltello la tagliavano delle dimensioni di un boccone, che per l'appunto rimaneva loro in bocca, mentre continuavano a impugnare il resto. La lama lampeggiante passava a pochi millimetri dalla punta del naso del commensale, mentre il sangue della bestia appena macellata gli ruscellava ignorato giù per il collo. Il boccone veniva inghiottito con un solo, convulso spasmo di gola. Quindi un buon sorso dell'ardente bevanda etiopica, il tej, valeva ad accompagnarlo nello stomaco. Si tratta di una specie di birra, fatta di miele d'api selvatiche; è un liquido di colore ambrato, che ha l'impatto di un toro che carica. Gareth Swales sedeva al posto d'onore, fra il vecchio ras e Lij Mikhael, mentre Jake e Vicky stavano a una dozzina di posti d'i distanza, fra i notabili di secondo piano. In considerazione dei gusti meno raffinati degli stranieri, invece del bue fresco fu loro servito quello spezzatino piccante di manzo, agnello, pollame e selvaggina noto sotto il nome generico di wat. Tale squisita, anche se bruciante specialità veniva loro offerta su sottili fette di pane azzimo poi arrotolate a mo' di sigaro e ingurgitate. Lij Mikhael mise in guardia gli ospiti dal tej, e invece offrì loro dello champagne Bollinger, da una bottiglia avvolta in panni bagnati per abbassarne la temperatura. C'erano anche bottiglie di Haig, gin, e una vasta scelta di altri liquori - Grand Marnier, Chartreuse gialla e verde, Benedictine, eccetera - che circolavano. Tali
beveraggi, così incongrui nel deserto, ricordarono agli ospiti che il loro anfitrione era ricco, molto più di un comune nababbo, che possedeva sterminate estensioni di terra ed era, sotto l'imperatore, signore e padrone di molte migliaia di esseri umani. Il ras sedeva a capotavola, con un copricapo da battaglia di criniera di leone a coprirgli la zucca pelata. Esso costituiva una parrucca veramente sbalorditiva, benché alquanto tarmata. Erano almeno quarant'anni che il ras aveva ammazzato il proprio leone, e i guasti del tempo si vedevano. Ed ecco che il ras, sghignazzando, fece un rotolo di pane non lievitato, pieno di wat fumante, grosso come un sigaro avana, e lo ficcò sbrodolante, all'improvviso, in bocca all'ignaro Gareth Swales. Devi inghiottirlo senza usare le mani , gli spiegò in fretta Lij Mikhael. E un gioco che mio padre adora. A Gareth stavano schizzando gli occhi fuori della testa. Era tutto rosso per mancanza d'aria e abbondanza di peperoncino. Ma riuscì virilmente a masticare l'ingozzo. Il ras sghignazzava sempre più felice e contento, perdendo bava dalla bocca sdentata, con la faccia raggiante percorsa da una elettrica ragnatela di rughe, incoraggiando Gareth con grandi urla di: Come va la vita? come va la vita? Finalmente, sudando e sbuffando, con la faccia tutta rossa, Gareth Swales riuscì a far scomparire il boccone giù per l'esofago, con dignità. Il ras lo abbracciò di nuovo come un fratello alla sua maniera espansiva, e Lij Mikhael versò a Swales un'altra coppa di champagne. Tuttavia Gareth, che non gradiva esser lo zimbello di nessuno, si divincolò, fece segno al servo di avvicinarsi e dal puzzolente vassoio scelse un grosso pezzo di carne al sangue. Era una striscia lunga, grossa e cruda come un avambraccio. Senza preavviSo, ne ficcò un'estremità nella bocca sdentata del ras. Succhiati questo, vecchio bastardo! gridò, e il ras lo guardò a occhi sbarrati, lucidi, iniettati di sangue. Poi, benché impossibilitato a sorridere da quella cosa lunga e rossa che gli pendeva dalla bocca come una lingua sesquipedale, le rughe del viso gli si corrugarono tutte insieme intorno agli occhi in un'espressione di contentezza. Le mandibole sembrarono dilatarSi come quelle di un pitone che ingurgiti una capra. Inghiottì e tre centimetri di carne gli scomparvero in bocca: inghiottì ancora e altri tre centimetri fecero la stessa fine. Gareth lo guardava sbalordito, mentre il pezzo rapidamente si accorciava. Nel giro di pochi secondi la bocca del ras fu vuota, ed egli abbrancò la tazza di tej e ne scolò mezzo litro in un sorso. Poi si pulì la bocca con la manica dello sciamma, fece un rutto fragoroso come lo scoppio di un geyser, quindi con una allegra risata in falsetto allentò a Gareth una sonora pacca fra ]e scapole. Agli occhi del ras, ora erano diventati come fratelli: entrambi erano aristocratici inglesi, guerrieri rinomati, e ognuno aveva mangiato dalla mano dell'altro. Gregorius Maryam aveva previsto esattamente l'effetto degli ospiti bianchi su suo nonno. La nazionalità di Gareth e le sue indubitate origini aristocratiche avevano fatto scomparire? ai suoi occhi, gli altri due. Ma se il ras non stimava che Swales, il giovane principe era giunto ad ammirare Take Barton fin quasi all'adulazione. Così non intendeva che l'ignorassero oltre. Scelse l'unico argomento che, come sapeva, avrebbe catturato l'attenzione piena di suo nonno. Scivolò inosservato fuori della rumorosa e sovraffollata caverna e quando tornò aveva in mano la pelle del leone di Jake, già seccata dal sole e dal vento del deserto. Benché la levasse alta sopra la testa, la pelle spazzava il terreno da una parte col naso e dall'altra con la coda. Il ras, con una mano sulla spalla di Gareth, alzò gli occhi con attenzione e sparò una raffica di domande al nipote, che gliela stava sciorinando davanti. Le risposte del nipote
eccitarono tanto il vecchio ras che saltò in piedi, lo prese per il braccio e cominciò a scrollarlo domandandogli sempre nuovi particolari. ('Jregorius prese a rispondere con tanta animazione, mimando la carica del leone, il lancio della bottiglia e del sasso, che tutti lo osservarono. Il silenzio era caduto nella caverna: tutti quanti - centinaia di ospiti - tendevano l'orecchio per sentir raccontare l'impresa. Poi il ras si alzò nel perfetto silenzio e si diresse verso Jake. Camminando senza guardare, rovesciò diverse tazze di tej e calpestò parecchi vassoi di carne: giunto davanti al grosso americano ricciuto, lo fece alzare in piedi dinnanzi a sé. Come va la vita? gli chiese con intensa emozione e oli occhi pieni di lacrime d'ammirazione per un uomo capace di uccidere un leone con le nude mani. Quarant'anni prima aveva consumato quattro lance prima di riuscire a conficcarne una nel cuore al proprio leone. Come meglio non potrebbe andare , borbottò Jake, pieno d'imbarazzo. Cordialmente il ras l'abbracciò e lo portò con sé a capotavola. Qui, a calci nelle costole, fece alzare uno dei suoi figli piccoli, che sedeva alla sua destra, e a questo posto d'onore destinò Jake. L'americano lanciò uno sguardo a Vicky, roteando gli occhi in segno di rassegnazione, mentre il ras già cominciava ad arrotolare un gigantesco sigaro di pane azzimo intorno a una generosa porzione di w~t. Il risultato fu un siluro capace di colare a picco qualunque corazzata. Jake trasse un profondo respiro e aprì la bocca più che poté, mentre il ras sollevava il boccone come un boia alzerebbe la scimitarra. Come va la vita? chiese e, con un affondo, ficcò il siluro in bocca a Jake. Il colonnello e gli ufficiali tutti del IIl Battaglione erano esausti per le lunghe ore di marcia forzata e, raggiungendo i Pozzi di Cialdi, solamente ansiosi di farsi rizzare le tende e andare a dormire. Così furono contentissimi che il maggiore si assumesse ogni iniziativa. Castellani piazzò le sue dodici mitragliatrici sui fianchi del la valle in posizione dominante. Più sotto fece scavare le trincee per i fucilieri. Nel terreno sabbioso gli uomini poterono lavorare facilmente e senza far rumore. Alla fine protessero i nidi di mitragliatrici e le trincee con sacchetti di sabbia. La compagnia coi mortai fu attestata ben dietro la linea delle trincee e delle mitragliatrici, in un punto da cui si poteva spazzare impunemente l'intera area dei pozzi. Mentre i suoi uomini sgobbavano, Castellani misurò personalmente~ a grandi passi, la distanza dei falsi scopi in metallo colorato per gli artiglieri, così che potessero puntare con la massima precisione. Poi andò a controllare che ogni mitragliatrice e ogni mortaio avesse vicino la sua brava pila di munizioni Per tutta la notte controllò, meticoloso e instancabile, che i suoi ordini fossero eseguiti alla perfezione: il milite che lasciava la pala per riposarsi un attimo rischiava di vederselo comparire davanti all'improvviso, massiccio e imponente, per prenderlo a calci e ringhiare le più atroci minacce ai lavativi, trattenendo a fatica il vocione. Alla fine tutte le mitragliatrici furono piazzate e Castellani verificò personalmente la linea di tiro di ciascuna, curando che non rimanessero tratti di terreno che l'una o l'altra non potessero coprire con le loro raffiche. Solo quando fu soddisfatto permise agli uomini di coricarsi per terra, mentre egli studiava la valle al chiar di luna e i cuochi arrivavano col rancio di minestra calda e pane nero. Gareth Swales, rimpinzato di cibo e un po' brillo per tutto lo champagne caldo che aveva scolato, stava accanto a Lij Mikhael'un po' intorpidito, mentre al suo fianco il ras e Jake avevano instaurato un rapporto tale da superare qualunque barriera linguistica. Il ras si era convinto che, siccome gli americani parlano inglese, sono inglesi, e che, avendo ucciso un leone, Jake era chiaramente un membro
dell'aristocrazia, sia pure onorario. Ogni volta che il ras scolava un'altra pinta di tej, Jake diventava socialmente più accettabile: e ormai il ras di pinte ne aveva scolate parecchie. L'atmosfera era così cordiale e piena di bonomia e cameratismo che Gareth si sentì autorizzato a far la domanda che da parecchie ore aveva sulla punta della lingua. Toffee, amico mio, è pronto il denaro per noi? Il principe parve non avere udito, ma riempi la coppa di Gareth di champagne, dopo di che si chinò per tradurre al padre una domanda di Jake. Gareth dovette prenderlo saldamente per il braccio. Se siete d'accordo, noi prenderemmo i soldi e toglieremmo immediatamente il disturbo. Ci allontaneremmo a cavallo nel tramonto, coi violini e tutto. Sono lieto che tu abbia sollevato l'argomento , disse Toffee annuendo pensosamente. Ci sono alcune cosette da chiarire. Ascolta, Toffee, vecchio mio, non c'è assolutamente niente da chiarire. è già stato chiarito tutto a suo tempo. Adesso non agitarti, mio caro , disse il principe etiope. Ma doveva essere nella natura di Gareth di agitarsi allorché uno che gli doveva dei soldi cominciava a discutere e chiarire. Il consueto argomento di discussione era come evitar di pagare, e Gareth stava per mettersi a protestare a gran voce quando il ras scelse proprio quel momento per alzarsi in piedi e fare un discorso. Si diffuse una certa costernazione, perché il ras, data la gran quantità di tej ingurgitata, aveva le gambe di gomma. Ci vollero gli sforzi di due soldati per tirarlo e tenerlo su. Tuttavia, ancora una volta, parlò con chiarezza e forza, mentre Lij Mikhael traduceva a beneficio degli ospiti bianchi. All'inizio, il ras parve divagare: citò i primi raggi di sole che illuminano la cima delle montagne, rievocò la sensazione del vento del deserto in fecia a mezzogiorno, ricordò agli astanti il primo vagito del primogenito e l'odore della terra rivoltata dall'aratro. Gradatamente un silenzio attento calò sull'insolito uditorio del ras: il vecchio aveva ancora un potere e un'energia capaci di incutere il massimo rispetto. Man mano che proseguiva, una gran dignità lo investì. Si scrollò di dosso le soccorrevoli mani delle guardie, e parve aumentare di statura. La sua voce perse il tremito querulo dell'età e assunse un tono fermo. Jake non ebbe bisogno della traduzione del principe per capire che stava parlando dell'orgoglio e dei diritti di un uomo libero, a cui corrisponde il dovere di difendere la propria libertà a prezzo della vita stessa, allo scopo di preservarla per i figli e nipoti. Ed ora è venuto un grande nemico a sfidare i nostri diritti di libertà. Un nemico potente e dotato di armi così terribili che perfino il. cuore dei guerrieri del Tigré e dello Scioa vacilla in petto come un frutto marcito. Adesso il vecchio ras stava ansimando. Sulle guance nere, da sotto la criniera leonina, gli colavano rivoli di sudore. Ma ora, figli miei, amici potenti sono venuti a schierarsi al nostro fianco. Ci hanno portato armi terribili come quelle dei nostri nemici. Non dobbiamo più temere! Jake si rese conto all'improvviso di quale esagerato conto facesse il ras dell'armamentario obsoleto che gli avevano portato Parlava addirittura di affrontare da pari a pari il possente esercito italiano. All'improvviso Jake fu colto da un forte senso di colpa. Sapeva che una settimana dopo che se ne fossero andati le quattro autoblindo non sarebbero state che amrnassi di rottami. In tutto il seguito del ras non c'era nessuno in grado di mantenere in efficienza i loro motori sfiatati. E, anche se le avessero impiegate in azione prima di scassare i motori, esse avrebbero costituito una vera minaccia solo per la fanteria. Appena avessero incontrato mezzi corazzati italiani, sarebbero state messe subito fuori combattimento, superate com'erano. Perfino i carri armati leggeri italiani CV 3 erano immuni
al fuoco delle Vickers che montavano le autoblindo, mentre essi potevano agevolmente forarne la corazza coi cannoni da 50 millimetri. Ma nessuno sarebbe certo andato a spiegarlo al ras, né a insegnargli come poteva fare il miglior uso del povero armamento che aveva. Jake si figurò la prima e verosimilmente ultima battaglia che avrebbe combattuto ras Golam: sprezzando tattica e strategia, avrebbe ~scagliato nella mischia tutte le sue forze - autoblindo, mitragliatrici Vickers, vecchi fucili e spade - in un singolo attacco frontale. Così aveva combattuto tutte le sue battaglie: solo che questa sarebbe stata l'ultima. Jake Barton sentì il suo cuore schierarsi con quel vecchio coraggioso, che stava ora gridando la propria sfida a una moderna potenza militare, pronto a difendere fino alla morte ciò che era suo. . . e Jake provò un impulso di temerità. Conosceva bene quel tipo di reazione: generalmente lo conduceva in situazioni di grave pericolo e guai. Lascia perdere , si disse con fermezza. la loro guerra. Prendi i soldi e scappa. Poi, all'improvviso, lanciò uno sguardo dall'altra parte della caverna male illuminata, verso il posto di Vicky Camberwell. Costei ascoltava il vecchio ras con gli occhi lucidi e l'espressione incantata. La sua testa d'oro, china contro quella nera e ricciuta di Sara Sagud, non perdeva una parola della traduzione. Si accorse che Jake la guardava, e gli sorrise, annuendo con veemenza. Pareva che gli avesse letto nel pensiero. Lasciare anche Vicky? si domandò Jake. Lasciar qua tutti e scappare con l'oro? Sapeva che nulla avrebbe indotto Vicky a venir via. La sua storia era lì: il coinvolgimento era completo e sarebbe rimasta fino alla fine, l'inevitabile fine. La cosa furba era andarsene, quella stupida restare a combattere la guerra degli altri, persa prima ancora di cominciare; la cosa stupida era puntare i ventimila dollari della propria parte e tutti i suoi progetti per il futuro, il motore Barton e la fabbrica per costruirlo, sulla remota possibilità di conquistare una donna che aveva tutta l'aria, una volta conquistata, di garantirgli una vita. di guai. Non sono mai stato un dritto, io , pensò in fretta Jake, e restituì il sorriso a Vicky. All'improvviso il ras tacque, ansimando per l'empito dei sentimenti e la difficoltà di esprimerli. I suoi ascoltatori magnetizzati, non riuscivano a distogliere lo sguardo da quella figura sottile, con in testa la criniera di leone. Il ras fece un gesto imperioso e una delle sue guardie gli porse la spada a elsa doppia, dalla lama lunga e nuda. Il ras Vi Si appoggiò, emise un altro comando, e vennero portati dentro i tamburi di guerra. I tamburi rituali del ras, che li aveva ereditati dagli antenati: tamburi che avevano suonato a Magdala, contro Napier, ad Adua, contro gli italiani, e in cento altre battaglie. Erano alti fino alla spalla di un uomo, di legno istoriato e pelle greggia: i suonatori li tenevano fra le ginocchia. Il più basso dava il ritmo, e gli altri si univano in variazioni sempre nuove e contrappunti. Era una musica che prendeva alle budella e scardinava la mente dal cranio. Il vecchio ras l'ascoltò a testa china sulla spada, finché il ritmo. non si impossessò di lui. Allora alzò le spalle e la testa. Con un balzo da uccello piombò nello spiazzo libero davanti ai suonatori. Ed ecco la grande spada roteare alta sopra la testa del ras, che aveva dato inizio alla danza di guerraGareth prese Mikhael Sagud per la manica e alzò la voce per vincere il frastuono dei tamburi. Riprese dal pun'o in cui l'avevano interrotto. Toffee, mi stavi parlando del denaro. Jake lo udì e si avvicinò per cogliere la risposta del principe, ma il principe tacque, intento a guardare il padre che saltava e piroettava nella sua danza intricata e acrobatica Abbiamo consegnato la merce, amico mio: i patti sono patti.
Quindicimila sovrane d'oro , disse pensoso. il principe. Esattamente , concordò Gareth. Somma pericolosa , mormorò il principe. Degli uomini sono stati uccisi per molto meno. I due non replicarono. Penso alla vostra sicurezza, ovviamente , proseguì il principe. Alla vostra sicurezza e alle probabilità di salvezza del mio paese. Senza un meccanico per la manutenzione delle autoblindo, e un soldato che insegni ai miei uomini a usare le armi nuove, saranno quindicimila sovrane buttate via. Me ne dispiace infinitamente , l'assicurò Gareth. Mi sanguinerà il cuore, cenando al Café Royal, davvero. . . ma ritengo che avreste dovuto pensarci prima. Oh~ ma io ci ho pensato, mio caro Swales, ti assicuro che ci ho pensato molto. Il principe si voltò a sorridergli. E ho concluso che nessuno può essere così scemo da caricarsi quindicimila sovrane d'oro indosso nel bel mezzo dell'Etiopia e cercare poi di uscire vivo dal paese. . . senza l'approvazione personale e la protezione del ras. Lo guardarono a occhi sbarrati. Ma vi immaginate la delizia degli sif tà, i predoni delle montagne, alla notizia che un simile tesoro attraversa il loro territorio senza scorta? Verrebbero a saperlo, lei dice? mormorò Jake. Ho paura che qualcuno potrebbe informarli , gli rispose il principe. E se cercassimo di tornare per dove siamo venuti? Attraversare il deserto a piedi? Il principe sorrise. Potremmo usare parte dell'oro per comprare dei cammelli , suggerì Jake. Immagino che trovereste solo cammelli inavvicinabili e ' riottosi. Inoltre qualcuno potrebbe sempre informare francesi e italiani dei vostri movimenti. . . per non parlare dei dancali, che sgozzerebbero la madre per una sola sovrana d'oro. Guardarono il ras. Stava facendo passare lo spadone due dita sopra la testa dei suonatori. Poi si lanciò in una serie di grottesche piroette. Dio! esclamò Gareth. E io che ho creduto alla tua parola! Toffee! La tua parola d'onore! che nella nostra vecchia scuola. . . Mio caro Swales, 'temo che qui non siamo sui campi da gioco di Eton. Comunque non avrei mai pensato che mi fregassi. Oh buon Dio, non ti sto mica fregando! Se vuoi, puoi avere i tuoi soldi anche subito. E va bene, principe , interloquì Jake. Ci dica cos'altro vuole da noi. Ci dica se c'è un modo per andarcene di qui con un salvàcondotto e i nostri soldi. Il principe fece un cordiale sorriso a Jake, chinandosi a dargli dei colpetti sul braccio. Ecco l'uomo pragmatico! Lei non perde tempo a strapparsi i capelli e battersi il petto, vero, signor Barton? Sputi fuori , incalzò Jake. Mio padre e io vi saremmo molto grati se firmaste con noi un contratto semestrale. Sei mesi? E perché? domandò Gareth. A quell'epoca tutto sarà finito, in un modo o nell'altro. Prosegua , l'invitò Jake. Per sei mesi lavorerete per noi. Ci insegnerete a difenderci nel miglior modo possibile da un esercito moderno. Manterrete in funzione e comanderete le autoblindo. E in cambio? domandò Jake. Avrete una paga principesca per questi sei mesi, un salvacondotto per uscire dall'Etiopia, e i vostri soldi depositati in una banca di Londra alla scadenza di questo periodo. E quale sarebbe un compenso adeguato per metter la testa nel cappio del boia? domandò amaramente Gareth. Il doppio. Altre settemila sterline a testa , disse il principe senza esitare. I due che gli sedevano a fianco si scambiarono uno sguardo e si rilassarono un po' . A testa? domandò Gareth. A testa , ripeté il principe. Vorrei che fosse qui il mio avvocato per stendere questo contratto , disse Gareth. Non è necessario , rise Mikhael, e scuotendo la testa tirò fuori da una tasca della palandrana due buste. Ne consegnò una a ciascuno. Sono assegni circolari garantiti dai Lloyds di Londra. Irrevocabili, ve l'assicuro. . . ma postdatati di sei mesi. Si potranno incassare dal 1 febbraio dell'anno
prossimo. I due uomini bianchi esaminarono i documenti con curiosità. Attentamente Jake controllò la data sul timbro della banca: 1 febbraio 1936; e poi lesse la cifra: quattordicimila sterline. Altro non c'era. Sogghignò. L'esatto ammontare, la data precisa. Scosse la testa ammiratO Aveva previsto tutto. Era settimane più avanti di noi. Buon Dio, Toffee , si lagnò Gareth, tutto mogio. Debbo dire che sono veramente scandalizzato. Amaramente sorpreso e deluso. Significa dunque che rifiùta, maggiore S~vales? Gareth lanciò un altro sguardo a Jake, e fra di loro passò un lampo d'intesa. Gareth sospirò teatralmente. Bene, veramente avevo un mezzo appuntamento a Madrid. C'è questa loro guerricciola che si sta preparando, ma. . . Diede un'altra occhiata all'assegno bancario. In fondo una guerra vale l'altra. Inoltre, mi hai appena dato una ottima ragione per rimanere. Gareth tirò fuori il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni e ci mise l'assegno. Tuttavia resto molto scandalizzato e deluso dal modo con cui hai trattato l'intero affare. E lei, signor Barton? domandò Lij Mikhael. Come ha appena rilevato il mio socio, quattordicimila sterline non sono esattamente briciole. Sì, io accetto. Il principe annuì, e subito la sua espressione cambiò. Divenne fredda e feroce. Debbo avvertirvi con la massima chiarezza di non tentare di lasciare l'Etiopia prima della scadenza del nostro accordo. La giustizia è cruda ma efficace sotto l'amministrazione di mio padre. In quella il gentiluomo in questione alzò la spada alta sopra la testa e la piantò profondamente nel terreno fra i piedi. La lasciò lì, con la doppia elsa che vibrava e scintillava al chiarore delle torce, e tornò barcollando esausto al suo posto fra Jakc e Gareth. Circondò loro le spalle col braccio ossuto ripetendo Come va la vita~ e Gareth gli lanciò uno sguardo interrogativo. Ti piacerebbe imparare a giocare a ramino, nonnino? gli domandò gentilmente. Sei mesi erano un bel po' di tempo da ammazzare, e forse c'era altro profitto da spremere da quella situazione. Il suono dei tamburi svegliò il conte Aldo Belli da un sonno profondo e indisturbato. Giacque ascoltandoli per un ~o' di tempo: il ritmo basso e monotono sembrava il Pulsare della terra stessa, e l'effetto era cullante e ipnotico. E poi all'improvviso il conte si ritrovò completamente sveglio, e l'adrenalina si riversò bollente nelle sue vene. Un mese prima di lasciare Roma aveva visto un film americano ambientato in Africa, pieno di animali feroci è indigeni assetati di sangue. Il suono dei tamburi era stato usato con grande abilità nella colonna sonora per dare un acuto senso di minaccia e di suspense. Il conte si era accorto che là fuori, nella notte, risuonavano gli stessi terribili tamburi. Saltò giù dalla branda con un ruggito che svegliò, nell'accampamento, quelli che ancora dormivano. Quando Gino accorse nella tenda, trovò il padrone nudo come un verme, con gli occhi di fuori, e in una mano la Beretta dal calcio d'avorio, nell'altra il pugnale dall'impugnatura tempestata di pietre preziose. Nell'attimo in cui i tamburi avevano cominciato a suonare, Luigi Castellani tornò di corsa al campo, perché sapeva benissimo quale tipo di reazione avrebbero indotto nel suo colonnello. Arrivò in tempo per vedere il conte in uniforme, che stava per salire sulla sua Rolls circondato da una guardia del corpo di cinquanta uomini. Il motore era già acceso e l'autista era altrettanto ansioso di partire del suo augusto passeggero Il conte non gradì affatto vedere la massiccia figura del maggiore balzar fuori dalle tenebre con l'inconfondibile vigore che gli era consueto. Invano aveva sperato di squagliarsela di soppiatto prima che Castellani potesse intervenire. Decise di passare all'offensiva. Maggiore, sto tornando personalmente all'Asmara a far rapporto al generale , gridò Aldo Belli, e
cercò di raggiunge re la Rolls. Ma il maggiore era troppo furbo per lui. Interpose la propria mole e scattò nel saluto militare. Signor colonnello, le opere di difesa sono state completate , disse. La zona è sicura. Nel rapporto dirò che siamo stati attaccati da forze soverchianti , gridò il conte, cercando di aggirare il maggiore. Ma costui prevenne la mossa con un passo a lato. Si ritrovarono ancora a pancia a pancia. Gli uomini si sono trincerati e il morale è alto. Vi do il permesso di ritirarvi in buon ordine sotto l'attacco del sanguinario nemico. Con la prospettiva della fuga, il conte sperava di rabbonirlo. Scartò di lato per salire sulla Rolls, ma il maggiore, con lo scatto di un mamba, gliela precluse ancora una volta. Frattanto tutto il corpo ufficiali del IIl Battaglione - vestiti in tutta fretta e preoccupatissimi per i tamburi notturni - si era riunito lì nei pressi e assisteva al grottesco balletto del conte e Castellani che, a pancia a pancia, saltellavano avanti e indietro come due galli da combattimento. Quasi tutti facevano il tifo per il colonnello. Nessuno spettacolo sarebbe loro piaciuto di più della Rolls-Royce che si allontanava: sarebbero stati liberi di seguirla in tutta fretta. Non credo che il nemico sia presente in forze. Castellani parlava ora a voce così alta che le proteste del conte non si sentivano più. Tuttavia è essenziale che il signor colonnello assuma personalmente il comando. Se incontriamo resistenza, nascerà un incidente diplomatico. Il maggiore premeva, avanzando di un centimetro per volta, inesorabile: alla fine i due nàsi quasi si toccavano. Non siamo in stato di guerra dichiarata. La vostra presenza è indispensabile per rinsaldare la nostra posizione. Il colonnello fu spinto al punto che non ebbe più scelta e dovette fare un passo indietro. Gli ufficiali presenti sospirarono con tristezza: era un atto di resa. La lotta delle volontà era terminata: benché il conte seguitasse a protestare debolmente, il maggiore lo condusse via dalla Rolls come un buon cane pastore fa col gregge. Tra un'ora sarà l'alba , disse Castellani, e con la luce potremo valutare la situazione. In quell'attimo i tamburi tacquero. Nella caverna, giù nella valle, il ras aveva terminato alfine la propria danza di sfida. Al conte quel silenzio non dispiacque affatto. Diede un'ultima occhiata nostalgica alla Rolls, quindi posò lo sguardo sui cinquanta uomini armati di tutto punto della sua guardia del corpo. Si rincuorò un tantino. Raddrizzò le spalle e sollevò la testa, gettandola all'indietro. Maggiore , abbaiò. Il battaglione resisterà, saldo sulle sue posizioni! Si rivolse agli ufficiali che lo guardavano. Tutti cercarono di assumere un'espressione indifferente, e di farsi piccoli piccoli, evitando lo sguardo del superiore. Maggiore Vito , ordinò il colonnello. Prendete il comando di questi uomini e andate avanti a tastare il terreno. Gli altri vengano qui intorno a me. Il colonnello lasciò al maggiore e ai suoi cinquanta prodi un bel vantaggio, così che potessero eventualmente distogliere il fuoco nemico da lui, e poi, circondato da uno schermo protettivo di novellini riluttanti e spinto avanti da Luigi Castellani, mosse cauto per il sentiero polveroso che scendeva giù perle pendici della valle verso le trincee dove l'avanguardia si era già brillantemente attestata. Il più giovane dei numerosissimi figli di ras Golam aveva quindici anni. Il giorno prima una delle giumente preferite del ras, a lui affidata, gli era sfuggita di mano mentre la conduceva a bere legata a una corda, ed era scappata nel deserto, galoppando imbizzarrita. Il ragazzo l'aveva seguita per tutto il giorno e metà della notte, finché la capricciosa creatura gli aveva dato la possibilità di avvicinarsi, riprendere in mano la corda, e riportarla al padre. Esausto per la lunga caccia e infreddolito dal vento gelido della notte,
il ragazzo si era rannicchiato poi in groppa alla giumenta lasciando che tornasse da sola, come sogliono le giumente, al campo vicino ai pozzi. Era mezzo addormentato, e stava su per mero istinto. Poco prima dell'alba, la giumenta penetrò nel perimetro dell'accampamento italiano. Una sentinella un po' nervosa gridò, e l'animale, spaventato, si mise a galoppare fra le tende più esterne. Il ragazzo do vette aggrapparsi ed era ben sveglio mentre sfilava di gran carriera lungo la fila di camion e le tende dei soldati. Vide i fucili accatastati, e l'elmetto di una seconda sentinella che diede l'allarme allorché uscirono dal campo dalla sua parte. Vide anche il lampo del colpo sparatogli dal soldato, che passò alto sulla sua testa, e incitò la giumenta con gran colpi di ginocchia e talloni. Quando il ragazzo arrivò giù al profondo uadi, il seguito del ras soccombeva agli effetti di una intera nottata di festeggiamenti Molti erano andati a dormire, molti si erano ravvolti nello sciamma e si erano stesi nel luogo stesso dove avevano appena mangiato. Solo i più resistenti stavano ancora mangiando e bevendo, cantando e conversando, o scolavano tej imbambolati davanti al fuoco, guardando le donne che cominciavano a preparare la colazione del mattino. Il ragazzo saltò giù dalla giumenta all'ingresso della caverna, sfuggì alle sentinelle che volevano fermarlo ed entrò di corsa nella grotta piena di fumo, di gente e di falò. Era tutto compreso della propria importanza, e ancor fresco dello spavento provato. Per un po' emise parole confuse e urlate, finché Lij Mikhael non lo prese per le braccia, scuotendolo, per farlo rientrare in sé. Allora il suo racconto divenne quanto mai comprensibile e grave. Quelli che erano a portata di voce informarono gli altri e nel giro di pochi secondi la storia, distorta e ingarbugliata, aveva fatto il giro della caverna e stava spargendosi per tutto il campo. Chi dormiva fu svegliato, si trattasse di uomo armato, donna o bambino. Tutti si riversarono fuori delle caverne e delle tende. Senza ordini, muovendosi come un branco di pesci senza capo, ma con una meta precisa, ridendo scetticamente o facendo commenti ad alta voce, brandendo scudi, lance e vecchi fucili, le donne coi bambini in braccio, e gli altri bimbi che correvano intorno o precedevano i guerrieri, la massa informe si rovesciò sul terreno accidentato e fuori dei buchi di gruviera dei pozzi, nella tondeggiante vallata. Nella caverna, Lij Mikhael stava ancora raccontando agli stranieri la storia del ragazzo, valutandone con loro e con suo padre le implicazioni e i dettagli. Fu Jake Barton a rendersi conto del pericolo. Se gli italiani kanno mandato un distaccamento a prendere i pozzi, è un calcolato atto di guerra. Stanno cercando rogne, principe. Meglio proibire alla gente di andare laggiù, almeno finché non abbiamo elementi per valutare meglio la situazione. Era troppo tardi, di gran lunga troppo tardi. Alle prime luci dell'alba, in quel barlume che tanti scherzi gioca agli occhi degli uomini, le sentinelle italiane che facevano capolino dalle trincee scorsero un formicolare di umanità che si riversava sul terreno buio e accidentato, e udirono il frastuono di centinaia di voci eccitate. Quando era cominciato il rullo dei tamburi, molte camicie nere erano addormentate al riparo delle trincee che avevano appena faticosamente scavato. Stanche per il viaggio e il lavoro notturno, non si erano nemmeno svegliate. Ora i sottufficiali le svegliarono a calci, le tirarono in piedi, e le spinsero ai posti di combattimento. Di qui i militi rivolsero sguardi assonnati alla valle sottostante. Con l'eccezione di Luigi Castellani, nel IIl Battaglione non c'era neanche un uomo che avesse già fronteggiato un nemico armato. Ed ecco questa esperienza nuova capitare a uomini esausti nelle prime ore del mattino, allorché la vitalità umanaal suo nadir. La truppa era
infreddolita e mezzo addormentata. Nella luce incerta, la massa che si riversava nella vallata sembrò loro terminata come la sabbia del deserto: ogni guerriero sembrò loro grande come un gigante e feroce come un leone ruggenteFu in quel momento che il colonnello Aldo Belli, ansimante per la camminata e la tensione nervosa, si affacciò dal camminamento alla trincea in prima linea. Il sergente che comandava la postazione lo riconobbe immediatamente ed emise un grido di sollievo. " Colonnello, grazie al cielo siete qui. Dimentico delle distanze, lo prese per il braccio. Aldo Belli dovette penare per divincolarsi, e fu così che, per qualche momento, non gettò l'occhio sulla vallata sottostante. Ma, quando lo fece, le budella gli si tramutarono immediatamente in gelatina, e le gambe cominciarono a tremargli. Santa Maria, Madre di Dio , invocò. Tutto è perduto. Ci sono addosso. Con dita incerte sbottonò la fondina della pistola, la tirò fuori e si inginocchiò. Fuoco! gridò. Aprite il fuoco! Rannicchiato ben al di sotto del bordo della trincea, scaricò la Beretta nel cielo dell'alba. Le trincee italiane erano occupate da quattrocento soldati. M questi, trecentocinquanta erano fucilieri, armati di carabine a ripetizione (il famoso fucile '91) mentre altri sessanta uomini, a gruppi di cinque, servivano le mitragliatrici piazzate con sagacia. La tensione era montata, per ogni uomo della truppa, a livelli sempre più alti, fin dal primo rullar dei tamburi di guerra: ed ecco pararsi loro davanti quello stuolo di figure minacciose. I militi si aggrappavano alle armi con dita rigide e l'occhio nel mirino. L'urlo del conte e i suoi colpi di pistola erano proprio quel che ci voleva per risolvere la tensione che li attanagliava. Il fuoco fu aperto dai soldati più vicini, che avevano potuto sentire il suo ordine. Una lunga linea di lampi si sprigionò dal bordo della trincea che costeggiava il fianco della valle. Ai moschetti dei soldati si unì un terzetto di mitragliatrici. Il suono lacerante delle loro raffiche coprì le scariche della fucileria e, descrivendo un arco teso, i proiettili traccianti cominciarono a piovere sulla scura e mobile marea di umanità sottostante. Presa sul fianco, la massa si ruppé convergendo verso l'altro lato della vallata, non battuto dal fuoco nemico. Lasciandosi indietro morti e feriti, i sopravvissuti si sparsero a macchia d'olio sul fondo della valle. Sull'altro lato, i soldati in agguato li videro avvicinarsi di corsa. Esitarono; poi, sentendosi minacciati, aprirono il fuoco anch'essi. Il ritardo ebbe l'effetto di permettere agli scampati alle prime scariche di portarsi ben dentro l'angolo di tiro accortamente determinato da Castellani. Tempestati di pallottole in campo aperto, gli etiopi cominciarono a correre qua e là senza meta, con le donne che strillavano stringendo a sé i bambini, dibattendosi come pesci abbandonati in una pozza dalla marea. Qua e là qualche guerriero si inginocchiava a rispondere al fuoco. I lampi rossi dei vecchi fucili a polvere nera erano però inefficaci contro un nemico trincerato al riparo. Servirono solo a intensificare la ferocia dell'attacco italiano. Ed ecco che la pazza corsa degli etiopi in preda al panico cessò. Disarmate, le donne ancora vive raccolsero intorno a sé i bambini, cercando di proteggerli con le falde degli indumenti, come fanno le galline coi pulcini, accovacciandosi a terra: e anche gli uomini si accovacciarono, sparando furiosamente, e ciecamente, contro le pendici della valle dove, ora che il sole si era alzato, impallidivano le vampe del fuoco nemico. Dodici mitragliatrici, ognuna delle quali sparava quasi settecento colpi al minuto, e trecentocinquanta moschetti riversavano sul fondovalle una gragnuola di pallottole. Il mortale martellamento continuava un minuto dopo l'altro, mentre la luce aumentava
esponendo sempre più crudamente al massacro i sopravvissuti. Lo stato d'animo degli attaccanti mutò. Da novellini nervosi e impauriti, si trasformarono in belve feroci che sparavano ridendo. I loro occhi scintillavano ora di voluttà piratesca: la consapevolezza di poter impunemente uccidere li rendeva baldi e crudeli. Il lampeggiare delle antiche spingarde giù nella valle era cosi rado, così impotente, che più nessuno dei militi lo temeva. Perfino il conte Aldo Belli adesso era in piedi che brandiva la pistola urlando istericamente con voce quasi femminile. Morte al nemico! Fuoco! Continuate a sparare! e cautamente alzò la testa un altro centimetro sopra il parapetto. Ammazzateli come cani! A noi la vittoria! Il fondovalle, quando i primi raggi del sole lo illuminarono, appariva coperto di uno strato di morti e feriti. Giacevano sparpagliati, a uno a uno o a gruppetti, disordinati ovvero in fila come pesci sul banco del pescivendolo, o addirittura a mucchi come i vestiti vecchi dallo stracciaiolo. Nel centro dei terreno di mattanza, c'era ancora qualche vita e movimento. Qua e là una figura si alzava e si metteva a correre: immediatamente le mitragliatrici la falciavano e ricadeva al suolo polveroso. I guerrieri che ancora imbracciavano i vecchi fucili, con i visi scuri rivolti alle pendia della valle, offrivano ora un buon esercizio ai fucilieri inesperti. Gli ufficiali italiani, a voce alta ed eccitata, dirigevano il fuoco sopra di loro: in breve caddero tutti uno dopo l'altro. Ormai il macello durava da una ventina di minuti. Erano rimasti pochissimi bersagli. Le mitragliatrici spaziavano, avide, sputando raffiche sui cumuli di morti e feriti investendoli di nuove pallottole nelle carni già martoriate, o alzavano nuvole di polvere intorno all'apertura delle caverne, da cui continuavano a partire sporadici colpi di risposta. Signor colonnello. Castellani toccò il braccio di Aldo Belli per attirarne l'attenzione: dopo un po' , il colonnello gli si rivolse con lo sguardo radioso e il sorriso sulle labbra. Ah, Castellani, che vittoria! Che grande vittoria, eh? Adesso non potranno più dubitare del nostro valore. Colonnello, debbo ordinare di cessare il fuoco? Il conte non parve sentirlo nemmeno. Tutti sapranno che razza di soldato sono. Questa brillante vittoria mi assicurerà un posto nel glorioso libro d'oro. . . Colonnello! Colonnello! Bisogna cessare il fuoco ora. Non è più una battaglia, è un macello. Ordinate il cessate il fuoco. Aldo Belli lo guardò, con la faccia che cominciava ad arrossarsi per la collera. Siete un fesso! gridò. La battaglia deve risultare decisiva, la vittoria inoppugnabile! Non smetteremo proprio adesso! A noi la vittoria! Finché tutta la zona sarà in mano nostra. Tremava di rabbia, indicando la vallata che si stendeva ai suoi piedi, disseminata di cadaveri. a Il nemico ha trovato riparo nelle caverne, bisogna stanarlo e distruggerlo. Castellani, fateli bombardare coi mortai! Aldo Belli non voleva che finisse. Era l'esperienza più intimamente soddisfacente di tutta la sua vita. Se questa era la guerra, ora capiva perché era tenuta in tanto onore dalle epoche e dai poeti. Era l'unica attività veramente degna di un uomo, e Aldo Belli si sentì nato per essa. Che fate? Osate discutere i miei ordini? squittì rivolto a Castellani. Fate il vostro dovere, immediatamente! Immediatamente , ripeté amaro Castellani, e per un attimo con gli occhi gelidi e fermi sostenne lo sguardo esaltato del suo superiore. Poi si voltò dall'altra parte. La prima granata partì alta nel chiaro cielo mattutino del deserto, raggiunse il culmine della propria parabola e ripiombò verticalmente nella valle. Esplose sulla soglia della caverna più vicina. Si alzò una piccola nube di fumo e polvere: lo shrapnel'emise una specie di acuto nitrito. La seconda bomba Si infilò di precisione nel profondo
buco circolare, scoppiando non vista nel sottosuolo. Il cratere eruttò fango e fumo. Subito dopo tre sparute figure, che sembravano spaventapasseri, corsero fuori della grotta in un turbinar di falde lacere. Le mitragliatrici le falciarono. Aldo Belli emise un fischio d'ammirazione. Era così felice, così bello! Le altre grotte, Castellani! gridò. Ripulitele tutte! I mortai entrarono in azione tutti insieme, concentrandosi su una buca per volta. Alcune erano deserte, ma altre piene di gente: il macello continuava. I sopravvissuti alle terribili esplosioni sotterranee erano spietatamente falciati dalle mitragliatrici, quando più morti che vivi uscivano all'aperto. Ormai il conte era così scatenato che si arrampicò sul parap tio della trincea, per veder meglio l'apertura delle grotte e dirigere il fuoco delle mitragliatrici. Il prossimo bersaglio era la grotta più vicina all'uadi in fondo alla vallata. La prima granata cadde vicino all'apertura, alzando una colonna di polvere e detriti. Una donna saltò fuori della grotta prima che cadesse la granata successiva e, trascinandosi dietro un bambino di due o tre anni, si mise a correre verso l'uadi con l'intenzione di rifugiarvisi. Il bambino era nudo e grassottello: non riusciva a correre veloce come sua madre, che lo tirava per la mano. In braccio la donna aveva un altro bambino piccolo che sgambettava freneticamente. Per alcuni secondi la donna che correva attardata da quei fardelli non attirò il fuoco nemico: poi una raffica di mitragliatrice la raggiunse. Una pallottola staccò il braccio che sorreggeva il neonato. La donna cominciò a strillare impazzita, correndo in circolo, agitando il moncherino come una pompa per innaffiare La raffica successiva la colpì al petto, facendo cadere anche il bambino che correva al suo fianco. La poveretta rotolò nella polvere come uno scoiattolo colpito da una doppietta. Le armi da fuoco tacquero di nuovo, e ancora tacquero quando il bambinetto si rialzò a fatica sulle gambe grassocce, con una collana di perline blu attorno alla pancia pienotta e il pene che puntava all'infuori come un piccolo dito bruno. Dall'imboccatura dell'uadi sbucò un cavallo al galoppo, uno stallone bianco ed enorme, che caracollava pesantemente sul terreno sabbioso, montato da una figuretta di adolescente aggrappata al suo collo, dallo sciamma che sventolava, nero, alle sue spalle. Il cavaliere guidò lo stallone verso il luogo dove il bambino si era fermato, piangente, e aveva quasi attraversato il campo aperto allorché i mitraglieri si resero conto di ciò che stava accadendo. La prima mitragliatrice sparò una raffica verso l'animale al galoppo, ma non lo centrò: le pallottole sollevarono nuvolette di polvere nella sabbia vicino agli zoccoli. Subito dopo lo stallone raggiunse il bambino e il cavaliere fermò di colpo l'animale, facendolo impennare sulle zampe posteriori, per poi subito chinarsi a raccogliere il bambino. In quell'attimo altre due mitragliatrici aprirono il fuoco contro il bersaglio fisso. Jake Barton si rese conto che c'era solo un modo di impedire uno scontro fra le truppe italiane apparse così silenziosamente e minacciosamente ai pozzi, e la massa indisciplinata di guerrieri e popolo che formava il seguito del ras. Ma non c'era nessuna possibilità a farsi ascoltare nel rombo di voci concitate e SCOppi di emozioni in amarico che lo circondava Il ras cercava invano di farsi sentire, urlando, mentre una cinquantina di suoi +++capitani cercava di fare esattamente lo stesso. Jake aveva bisogno di un interprete, e così si aprì la strada verso Gregorius Maryam, lo afferrò per un braccio e lo trascino fuori della caverna. Non fu facile, perché anche Grego rius, come tUtti gli altri, era intento a esprimere piani di guerra, suggerimenti e consigli. Jake restò sorpreso dalla luce che trovò fuori della caverna. Non credeva che fosse già passata la notte. L'alba era lì lì per
spuntare. C'era un'aria profumata e limpida in confronto all'atmosfera fumosa della caverna. Alla luce dei fuochi da campo e del cielo lividò, vide la fol la che correva per l'uadi diretta ai pozzi, eccitata e contenta come se andasse a un picnic. Fermali, Greg ~, gli gridò. Forza, dobbiamo fermarli! e corsero avanti anche loro. Ma che c'é, Jake? Dobbiamo impedire loro di andare al campo italiano. Perché? Se qualcuno comincia a sparare, sarà un massacro. Ma, Jake, non siamo in guerra. Non possono sparare. Non scommetterci un soldo, amico mio , borbottò amaramente Jake. La sua preoccupazione fu contagiosa. FacendoSl strada a calci e gomitate, si immersero nel fiume di persone avanzanti. Indietro, bastardi! gridava Jake. Tornate tutti indietro! E chiariva il significato delle proprie esortazioni in lingua straniera a pugni e calci. Con Gregorius sempre accanto, Jake raggiunse la stretta imboccatura dell'uadi, cioé il punto dove esso sboccava nella valle circolare dei pozzi. Lì i due cercarono di fermare il flusso di persone come una diga, ma Ci riuscirono solo per un minuto o due. Poi la pressione da dietro rischiò di spazzarli via, mentre l'umore della folla passava in fretta dalla curiosità alla rabbia, nel vedersi impossibilitata a congiungersi alla massa di compatrioti che avevano già potuto superare la strettoia e ora sciamavano per la vallata circolare. Nell'attimo in cui furono spazzati via, cominciò il fuoco dalle pendici della valle: istantaneamente la folla si gelò e si azditi. Nessuno più spinse avanti, e Jake poté girarsi e arrampicarsi per un tratto sul ciglione dell'uadi per meglio vedere quello che succedeva nella vallata. Da lì assistette al macello. L'osservò con un fascino morboso che gradualmente diventava rabbia, offesa, indignazione, man mano che le mitragliatrici continuavano a falciare la folla. Non si accorse nemmeno della piccola mano fredda che prese a stringere la sua, finché a un certo momento si voltò e vide la testa bionda di Vicky sulla sua spalla. Poi tornò a guartare il tragico massacro che aveva luogo davanti a lui. Era vagamente cosciente di Vicky che singhiozzava al suo fianco e gli affondava le unghie nel palmo della mano. Pur nella rabbia che l'accecava, Jake studiava il terreno alla ricerca delle postazioni italiane. Dall'altro lato, aveva Gregorius Maryam che pregava piano, col volto giovanilmente liscio, ora grigio dall'orrore. Le parole della preghiera gli uscivano stentate dai denti stretti, come l'ultimo respiro di un morente. Oh Dio , sussurrò Vicky con voce rotta, quando cominciò il bombardamento dei mortai sulle grotte dove si era rifugiata la gente cercando riparo. Oh Dio, Jake, cosa possia mo fare? Ma egli non rispose, e il bombardamento continuò. Ne patirono tutto l'orrore, impotenti, sotto il martellare dei mortai, finché la donna coi due bambini non corse allo scoperto a una trentina di metri da loro. Oh Dio, oh, per favore Gesù j, sussurrò Vicky. Fa' che non succeda. Fa' che tutto finisca in questo istante. Ma le raffiche falciarono la donna e la videro morire, videro il bambino rialzarsi e vagare sperduto e spaurito accanto al corpo della madre morta. Nell'uadi, alle loro spalle, risuonò il rumore degli zoccoli dello stallone bianco. Gregorius si voltò di scatto e gridò: Sara! No! mentre la ragazza li superava, aggrappata al collo della bestia. Montava a pelo, figuretta scura sul grande animale bianco. Sara! gridò ancora Gregorius, e si sarebbe lanciato dietro a lei sulla spianata mortale, se Jake non l'avesse tenuto fermo per un braccio, mentre il ragazzo si agitava maledicendolo in amarico. La ragazza passava illesa fra le scariche di mitraglia, ma era del tutto impossibile che riuscisse a raggiungere il bambino e tornare~ Era stupido, era stupido, pensò Vicky col cuore in gola, accecata dalla rabbia impotente: pure c'era qualcosa di così
commovente in quella fragile e bella fanciulla che galop pava verso la morte sicura, che Vicky fu colpita da una sensazione di estrema umiltà, di inadeguatezza: sapeva infatti di essere personalmente incapace, perfino in un momento come quello, di un simile sacrificio. Videro lo stallone impennarsi, la ragazza abbassarsi a raccogliere il bambino; videro la mitragliatrice cogliere alfine il bersaglio. Mentre lo stallone crollava in un turbinare di zoccoli con un disperato nitrito, facendo cadere sia la ragazza sia ii barr. bino, le pallottole continuavano a piovere sollevando polvere e colpendo con rumoroso impatto lo stallone che continuava a scalpitare. Gregorius non faceva che saltare e vociare, in preda all'orrore di questa visione, finché Jake non gli affibbiò un ceffone. Piantala! gli ringhiò, brutale per la rabbia e l'indignazione che sentiva. Chiunque va là si fa ammazzare per niente. La sberla parve calmare Gregorius. Tornò padrone di sé. Dobbiamo andarla a prendere, Jake. Per favore, Jake. Lasciami andare a prenderla. Lo faremo a modo mio , disse secco Jake. Il suo viso sembrava scavato nella pietra. Nei suoi occhi si leggeva la ferocia, e aveva i denti serrati per la rabbia. Rudemente spinse Gregorius giù nell'uadi, davanti a sé, tirandosi dietro anche Vicky. Ella cercò di resistergli, puntando i piedi, col viso rivolto verso la spianata del fondovalle, ma Jake la trascinava irresistibilmente via. Ma che fai, Jake? protestava, ma egli la ignorò. Monteremo le mitragliatrici. Non ci vorrà molto. Faceva piani di guerra, infuriato, trascinando i due come bagagli verso la caverna che si apriva nell'uadi, accanto alla quale erano parcheggiate le autoblindo. Vicky e Gregorius, sbatacchiati qua e là, facevano le spese della sua furia. Vicky, guiderai tu. Io starò alla mitragliatrice , le disse. Greg, tu guiderai per Gareth. Jake ansimava per la gran rabbia. Possiamo usare solo due macchine. Con una opereremo una diversione, tu e Gareth farete il giro da sud, dietro la cresta, e questo li terrà occupati per un po' di tempv. Intanto io e Vicky andremo a prendere Sara e tutti quelli che troveremo ancora vivi. I due lo ascoltarono, e si rimisero in moto con una nuova energia. Mentre correvano lungo l'uadi, una serie finale di raffiche di mitragliatrice e bombe di mortaio echeggiò nella vallata, lasciando il posto a un profondo silenzio dolente che subito dopo calò sul deserto. I tre fecero l'ultima svolta del corso dell'uadi e giunsero dove si stava svolgendo una scena di vero pandemonio. La depressione formicolava di sopravvissuti che cercavano di raccogliere i loro beni, tende, giacigli, bambini, polli, cammelli, muli e cavalli in preda al panico. Già centinaia di cavalieri fuggivano al galoppo, scalando le pendici dell'uadi o sparendo nel labirinto dei sentieri scavati nel terreno accidentato. Donne rimaste vedove da poco piangevano nella formidabile confusione, contagiando tutti con la loro disperazione, mentre i bambini singhiozzavano: su tutto si levavano miasmi blu di fumo dai fuochi da campo e polvere sollevata dal calpestio di migliaia di piedi. Le quattro autoblindo erano ancora dove le avevano lasciate, in fila, un po' isolate dalla massa di umanità frenetica che si accalcava nell'uadi: scintillavano nella loro bianca vernice dalle vivide croci rosse dipinte sulle fiancate. Jake si aprì la strada verso di esse, torreggiando sulla folla di tutta la testa: una volta raggiunta l'autoblindo più vicina, prese Vicky per il polso e la guardò con espressione un po' addolcita. Non è necessario che tu venga , disse. Credo di aver perso un po' la testa prima. Non c'è bisogno che guidi tu, possiamo andare io e Gareth con una macchina sola. Anche il volto di Vicky era mortalmente pallido. Aveva grosse occhiaie per la notte insonne e lo spettacolo del macello a cui aveva appena assistito. Le lacrime si
erano asciugate, lasciandole sulle guance delle strisce di polvere. Scosse la testa con fierezza. Vengo anch'io , disse. Guiderò per te. Brava, ragazza , disse. Aiuta Gregorius a far benzina dobbiamo avere i serbatoi pieni. Intanto io vado a prendere le Vickers. Si rivolse a Gregorius: Useremo miss Dondola e Tenastelin; Vicky ti aiuterà a fare rifornimento di ben'ina . Una squadra della guardia del corpo del ras stava già accorrendo con le casse di armi e munizioni dalla caverna che faceva da magazzino. Jake li incontrò all'ingresso della grotta. Ogni cassa era portata da quattro soldati che correvano ai cam melli e le caricavano sulle loro groppe non appena gli animalisi erano inginocchiati~ A questo scopo due grandi canestri erano stati assicurati ai due lati della gobba. Ehi, voi , disse Jake a un gruppo di soldati che stavano giusto uscendo con una Vickers già montata sul treppiede. Portatela laggiù. I soldati si fermarono, senza capire ciò che voleva Jake, il quale dovette spiegarlo. a gesti. Ma ecco intervenire di corsa un capitano delle guardie. Dopo uno scambio di urla, Jake si rese conto che la barriera linguistica era insuperabile. L'uomo era ostinato e il tempo prezioso. Scusami, amico , fece. Ma ho un po' fretta. Gli tirò una sventola che lo spedi tre metri indietro, fra le braccia di due subordinati. Venite qua. Jake spinse i soldati con la mitragliatrice verso le autoblindo. Il pensiero di Sara, che giaceva laggiù nella valle, lo stava facendo diventar matto. Se l'immaginava ferita, che lentamente si dissanguava a morte; vedeva il suo sangue giovane e brillante che scorreva nel terreno polveroso. . . Spinse ancora di più i due soldati etiopici attraverso la calca di uomini, donne, bambini e animali. Quando arrivarono, Gregorius stava avviando il motore con la manovella. Miss Dondola si avviò subito, efficacemente guidata da Vicky. Dov'è Gareth? gridò Jake. Non riesco a trovarlo , rispose Gregorius. Dovremo andare con una macchina sola. Ed ecco risuonare la risatina ironica dell'uomo che avevano appena nominato. Gareth Swales era appoggiato con noncuranza alla fiancata opposta dell'autoblindo, con l'aria immacolata e tranquilla di sempre, pettinatissimo e con l'abito di tweed stirato come se fosse appena uscito dalle mani del sarto. Dico io , sorrise Gareth, strizzando gli occhi per difenderli dal fumo azzurrino del sigaro che aveva in bocca. Il grosso Jake Barton e le sue due reclute impazienti di andare alla carica dell'intero esercito italiano! La testa di Vicky spuntò dall'abitacolo del guidatore. Ti abbiamo cercato come dei matti , gli gridò furiosa. Ah, bene , disse Gareth con calma. Allora, sentiamo il rapporto dell'Associazione delle Guide . C'è Sara là fuori , disse Gregorius correndo da Gareth. Stiamo andando a prenderla. Io e te useremo un'autoblindo, Vicky e Jake l'altra. Nessuno va da nessuna parte , disse Gareth scuotendo la testa. Gregorius lo prese per il bavero e cominciò a scrollarlo. C'è Sara! Non capisci? E la fuori, dobbiamo andare a prenderla. Ehi, dico, ragazzo, vuoi tenere giù le zampe? mormorò Gareth togliendosi dal bavero le mani di Gregorius. Sì, lo sappiamo che c'è Sara, ma. . . Dal vano dell'autista Vicky urlò: Lascialo andare, Gregorius. Non serve a niente uno che ha paura . Gareth si irrigidi bruscamente, con la faccia feroce e gli occhi che lampeggiavano. In vita mia sono stato chiamato in molti modi, mia cara signorina, alcuni dei quali anche giustificati, ma mai vigliacco, da nessunc. Be', c'è sempre una prima volta, damerino! gridò Vicky, con la faccia tutta rossa di collera, i capelli biondi scompigliati che le andavano a finire sugli occhi. Puntò l'indice contro Gareth: E questa è la prima volta per te! Si fissarono per un attimo in cagnesco, finché Lij Mikhael non si interpose fra di
loro, con il volto scuro composto e deciso. Il maggiore Swales agisce così per mio ordine esplicito, signorina Camberwell. Ho ordinato che mezzi blindati e truppe si ritirino immediatamente. Buon Dio! Che cosa mi tocca sentire! Vicky trasferì la sua rabbia da Gareth al principe. Ma c'è sua figlia che giace ferita laggiù! Sì , disse piano il principe. Mia figlia da un lato. . . la mia patria dall'altro. Non vi sono dubbi su che cosa io debba scegliere. Ma che assurdità , interloquì rudemente Jake. Nessuna assurdità. Il principe si voltò a guardarlo e l'americano lesse il tormento nei suoi occhi. Non posso fare una mossa ostile, e proprio quello che cercano gli italiani: una Scusa per attaccare in massa. Meglio offrir l'altra guancia per adesso, e cercare di utilizzare quest'atrocità per conquistare l'appoggiO dell'opinione pubblica mondiale. Ma c'è Sara! l'interruppe Vicky. Potremmo andare a prenderla in un minuto. No , si irrigidì il principe. Non posso mostrare al nemico le nuove armi che abbiamo. Devono restare celate fino al momento di colpire. Sara! esclamò Gregorius. Che ne sarà di Sara! Quando le autoblindo e le altre armi saranno ben lontane, sulla pista che porta alla Gola di Sardi, allora verrò io stesso a prendere il suo corpo, a cavallo ~, disse il principe con semplice dignità. Ma, fino a quel momento, viene prima il dovere. Una macchina , implorò Gregorius. Per amore di Sara. No, non posso usarne neanche una , ribadì il principe. Be', io sì , disse seccamente Vicky, e la sua testa bionda scomparve nella corazza dell'autoblindo. Il motore di miss Dondola rombò, facendo schizzar via uomini e animali, e il mezzo blindato avanzò curvando leggermente lungo il corso dell'uadi. Sola e disarmata, Vicky Camberwell stava andando ad affrontare mitragliatrici e mortai. Solo un uomo, fra gli astanti, reagì con prontezza. Jake spostò il principe con una spallata e scattò, mentre l'autoblindo svoltava. L'affiancò un attimo prima che imboccasse la discesa, si afferrò alla sbarra del portapacchi che lui stesso vi aveva saldato, e con un volteggio che quasi gli slogò la spalla balzò sul cofano a pancia in giù. Qui, saldamente aggrappato al ballonzolante veicolo, fece in modo di affacciarsi al vano del guidatore. Sei matta? ruggì. Vicky alzò gli occhi e gli rivolse un candido sorriso. Io sì~ e tu? Uno scossone mandò a sbattere il ventre di Jake con violenza contro la corazza per cui, senza fiato, egli non poté rispondere. Si arrampicò invece sulla torretta, rischiando di perder quattro dita quando il coperchio, a un ennesimo scossone dell'automezzo, ci si richiuse sopra. Con tutta la sua forza Jake riuscì a riaprirlo, a fissarlo e a infilarsi nella torretta. Giusto in tempo: proprio in quella, Vicky entrava a tutta velocità nella vallata circolare. Ormai il sole era più alto sull'orizzonte e spediva ombre lunghissime sul terreno sabbioso e giallo. La polvere e il fumo che si erano levati al bombardamento dei mortai erano ancora a mezz'aria. Nella nuda pianura i cadaveri erano sparsi dappertutto. Sul monocromatico deserto gli abiti delle donne costituivan brillanti macchie variopinte. Jake diede una rapida occhiata alle pendici e alla cresta e vide che molti soldati italiani avevano lasciato le trincee. Bighellonavano a gruppetti sull'orlo del terreno del massacro, con movimenti timidi e impacciati. Novellini, ancora disavvezzi alla cruda realtà delle ferite aperte e dei corpi contorti e martoriati. Quando i'automezzo sbucò fuori dal letto dell'uadi e si diresse verso il primo dei pozzi a tutta velocità, alzando due ali di polvere, restarono come congelati dallo stupore. Ci vollero parecchi secondi prima che si decidessero a correre verso le trincee che avevano appena abbandonato. Erano figurette in camicia nera, che schizzavano mulinando gambe
e braccia verso i ripari. Gira, gira! gridò Jake a Vicky. Fai vedere la croce rossa sulla fiancata! Vicky eseguì subito. Miss Dondola curvò su due ruote e, sbandando sulla sabbia, mostrò agli italiani il simbolo verniciato sul fianco. Dammi la camicia gridò ancora Jake. Era l'unico pezzo di stoffa bianca che avessero. Sventolerò bandiera bianca! Ma non ho sotto niente , gridò Vicky in risposta. Sono nuda, sotto! Vuoi morire per salvare il pudore? ruggì Jake. Da un momento all'altro cominceranno a spararci addosso. Guidando con una mano sola, Vicky cominciò a sbottonarsi. Si strappò di dosso la camicia e la passò a Jake nella torretta. Ogni volta che l'automezzo sobbalzava, le poppe di Vicky rimbalzavano come palle di gomma, vista che distrasse Jake per un centesimo di secondo prima che il dovere, e la cavalleria, riprendessero il sopravvento in lui. Si rizzò in piedi sulla torretta e, con le mani alte sopra la testa, si mise a sventolare la candida camicia della ragazza. Davanti alle centinaia di armati che si affacciavano alle trincee italiane, Jake sciorinava due segni di pace dall'impatto fortemente emotivo, la croce rossa e la bandiera bianca; abbastanza potenti da far esitare, con le dita irrigidite sul grilletto delle mitragliatrici, anche uomini infoiati al calor bianco nell'orgia di sangue del recente massacro. Funziona! squitti Vicky, e riportò l'autoblindo sulla rot ta originale, quasi sbalzando Jake dalla torretta, dove stavain precario equilibrio, in piedi, a braccia alzate. Jake lasciò andare la camicetta e si aggrappò al bordo, mentre il drappo volava via. Eccola là ~, gridò ancora Vicky. La carcassa dello stallone bianco giaceva più avanti. La ragazza vi giunse e frenò di fianco al cavallo morto, interponendo il mezzo corazzato fra i corpi a terra e gli italiani che guardavano dalle trincee. Jake entrò nell'autoblindo e andò ad aprire i portelli posteriori, gridando a Vicky di restarsene al riparo. Vengo ad aiutarti , disse invece la ragazza. Col cavolo , berciò Jake, strappando gli occhi dal suo florido petto. Tu stai li e fai il piacere di tenere il motore acceso. Le porte si aprirono e Jake rotolò giù dal mezzo a testa avanti. Sputando terriccio, strisciò fino al cavallo morto. Lì vicino il suolo era pieno di mosche, che si addensavano sulle brune chiazze di sangue. Sulla carcassa del cavallo i buchi delle pallottole erano come piccole bocche color rosso-scuro, in cui già banchettavano, deliziate, frotte di mosche di un blumetallico. Lo stallone giaceva pesantemente sopra la parte inferiore del corpo di Sara, tenendola schiacciata, con la faccia a terra. Il bambinello nudo era stato colpito da uno zoccolo dello stallone morente, che gli aveva sfondato il cranio. Sopra la tempia aveva un buco grosso come una palla da baseball. Non c'era nessuna probabilità che fosse ancora vivo, così Jake si occupò della ragazza. Sara , chiamò, ed ella si rizzò faticosamente sui gomiti, guardandolo con occhi terrorizzati. Aveva il voltò pieno di polvere, e una guancia scorticata là dove aveva strisciato contro il terreno. Dalla carne rosea della guancia stillavano goccioline di siero. Sei stata colpita? Jake la raggiunse. Non lo so , gli rispose con voce roca. Jake vide che sulle brache di seta c'erano macchie di sangue coagulato. Puntò entrambi i piedi contro la groppa dell'animale morto e cercò di spingerlo via dalle gambe di Sara, ma lo stallone era troPpo pesante. Doveva per forza alzarsi in piedi, sfidando i fucili puntati. Jake si alzò e sentì le gelide dita della paura corrergli leggere lungo la spina dorsale, mentre voltava le spalle alle trincee italiane. Si avvicinò al cavallo. Afferrò la coda e, puntandosi sui talloni, cercò di spostarlo all'indietro, per toglierlo dalle gambe e dal bacino di Sara. Ella, al primo sforzo, gridò di dolore, così acutamente che Jake si
fermò. La ragazza stava fargugliando preghiere in amarico, mentre lacrimoni di dolore le rigavano le guance sporche di polvere. Jake ansimava. Un'altra spinta. Mi spiace , e si dispose a rimettersi a tirare. In quella, dall'autoblindo, lo raggiunse un grido di Vicky. Jake, stanno venendo! Fa' in fretta, oh Dio mio, fa' in fretta! Jake si sporse con prudenza dalla fiancata dell'autoblindo. Alzando una lunga scia di polvere, un grosso veicolo scoperto pieno di uomini armati stava scendendo velocemente dalla cresta per una carrareccia. Dio mio , borbottò Jake, stringendo gli occhi contro i raggi abbaglianti del sole mattutino. Non può essere! Ma non poteva sbagliarsi, erano proprio le linee aggraziate e solenni di una Rolls-Royce. Jake fu attraversato da una sensazione di irrealtà. Possibile che fra tanto orrore comparisse un oggetto di simile bellezza? Sbrigati, Jake. La voce di Vicky lo spronò, ed egli corse nuovamente al cavallo morto. Afferrò le zampe posteriori e riprese a tirare, con l'accompagnamento delle terribili urla di dolore di Sara. Con sforzi quasi sovrumani riuscì a tirar su la carcassa finché fu in equilibrio instabile sulla groppa, con le zampe semirigide mollemente puntate verso il cielo del mattino. Udì il motore della Rolls che si avvicinava, e le voci lontane, ma eccitate, dei suoi occupanti. Si negò la tentazione di alzar lo sguardo e con un ultimo sforzo mandò l'animale a cadere pesantemente sull'altro fianco, liberando il fragile corpo della ragazzina. Ansimando per la fatica, Jake si inginocchiò accanto a lei. Era stata colpita alla coscia, lo vide subito: il foro d'entrata era dieci centimetri sopra il ginocchio. Quando la palpò abilmente per vedere se l'osso era rotto, un nuovo fiotto di sangue usci dalla ferita, macchiando i pantaloni di seta. Jake vide anche il foro d'uscita, all'interno della coscia, e per istinto ed esperienza seppe che l'osso non era stato toccato. Tuttavia la ragazza stava perdendo parecchio sangue. Mise il dito nel buco della pallottola sul tessuto e strappò le brache di seta fino alla caviglia. Poi scostò verso l'alto la parte superiore. La ferita era profonda, blu sulla carne lucida e scura. Con la striscia di seta che gli era rimasta in mano Jake legò strettamente la coscia sopra la ferita. Usando tutta la forza delle braccia e delle spalle riuscì a fare un nodo così stretto che il fiotto di sangue si interruppe subito. Quando alzò gli occhi, la Rolls-Royce stava fermandosi con una sbandata accanto all'autoblindo. Tra i suoi occupanti sembrava esserci una gran confusione e di nuovo Jake provò il senso d'irrealtà di prima. Davanti l'autista aveva il volante in una mano e il moschetto nell'altra che stringeva con dita bianche e tremanti per la tensione, come uno che abbia la febbre. La sua faccia cinerea era lucida di sudore, sempre come uno che soffra di una terribile febbre, o di un altrettanto terribile terrore. Sul sedile vicino a lui si acquattava una figuretta segaligna, anch'essa col fucile in spalla, e la faccia di scimmia olivastra e rugosa seminascosta da un'enorme Leica nera e puntata, dall'obiettivo smisuratamente grande. Sul sedile di dietro della Rolls c'era un uomo energico e massiccio, con un volto di granito e la padronanza di modi dell'uomo d'azione. Un uomo pericoloso, avvertì immediatamente Jake, e vide che si trattava di un maggiore. In mano aveva un fucile. Con l'altra stava aiutando ad alzarsi in piedi un altrocuomo, più piccolo e più bello, in una splendida uniforme di sartoria di gabardine nero luccicante di patacche e distintivi d'argento. In testa a questo ufficiale stava un elmetto nero senza un'ammaccatura, con un teschio d'argento e le tibie incrociate sul davanti, come un pirata da pantomima carnascialesca. Il suo volto mostrava però la stessa emozione dell'autista. Jake intuì che l'ultima cosa che quel valoroso
desiderasse era alzarsi in piedi, sia pur con l'aiuto di un altro. Infatti era arricciolato nel sedile in modo da offrire il minor bersaglio possibile, e scacciava con manate irose il braccio del maggiore che cercava di tirarlo su. Emetteva proteste così acute, agitando la pistola istoriata, che si capiva berssimo come la sua presenza su quell'auto non fosse affatto volontaria. Jake si chinò sulla ragazza e le passò una mano sotto le spalle e l'altra dietro le ginocchia, attento a non farle più male. La sollevò, mentre lei gli si aggrappava come una bimba. Quest'atto indusse il maggiore dal volto energico a dedicare tutta la sua attenzione a Jake, puntargli addosso il fucile e rivolgergli un ordine perentorio in italiano. Era con tutta chiarezza l'ordine di fermarsi lì dov'era. Guardando la canna del fucile e poi gli occhi, chiari e inespressivi, Jake si rese conto che quell'uomo non avrebbe esitato a sparargli se non avesse subito obbedito. Emanava un'aura di minaccia talmente mortale che un brivido gli corse su per la schiena e restò dov'era, con il corpo tiepido e leggero di Sara tra le braccia, cercando di recuperare il sangue freddo necessario per dire qualcosa a sua volta. Sono americano proferì infine con fermezza. Dottore americano. L'espressione del maggiore non cambiò, ma rivolse un'occhiata all'altro ufficiale che sembrò rilassarsi un tantino, si alzò quasi a sedere sul sedile, poi ci ripensò e tornò ad accovacciarsi al riparo della massa corporea del maggiore. Siete mio prigioniero , gridò, con la voce malferma, ma in un inglese perfetto. a vi pongo sotto la nostra protezione. è contro la convenzione di Ginevra. Jake cercò di far vibrare la voce d'indignazione, avvicinandosi di sghimbescio agli invitanti sportelli aperti dell'autoblindo. Mostratemi le vostre credenziali. L'uìficiale stava rapida mente riprendendosi dalla recente indisposizione. Nuovo colore illuminava il suo volto dalla bellezza classica, e nuovo interesse balenava nei suoi scuri occhi di gazzella. La morbida voce baritonale aveva acquistato forza e un bel timbro squillante. Sono il conte Aldo Belli e vi ordino di venire a rapporto, come colonnello comandante del corpo di spedizione italiano. Il suo sguardo cadde sulla grossa massa d'acciaio dell'autoblindo. Si tratta con ogni evidenza di un mezzo corazzato. Voi inalberate false insegne, signore. Mentre parlava, il conte si accorse però che né il grosso americano ricciuto, né il veicolo che torreggiava sulla RollsRoyce erano armati. Vedeva ora chiaramente che, sulla torretta, il vano della mitragliatrice era vuoto. Tutto il coraggio gli tornò di colpo. Balzò in piedi, a petto in fuori, con una mano sul fianco e l'altra che puntava la pistola contro Jake. Siete mio prigioniero! ripeté con enfasi, poi, con l'angolo della bocca, rivolto al sedile anteriore: Forza, Gino! Una foto mentre catturo l'americano! Subito eccellenza. Gino mise a fuoco l'obiettivo. Protesto , disse Jake, e fece altri quattro passettini verso l'invitante portello posteriore. Restate dove siete , berciò il conte guardando Gino. A posto? domandò, impaziente. Dite all'americano di spostarsi un po' più a destra , gli rispose Gino, sempre con l'occhio nel mirino della macchina fotografica. Spostatevi un po' a destra! ordinò il conte in inglese, e Jake obbedì, visto che ciò lo avvicinava alla sua meta, ma senza interrompere le sue altisonanti proteste: In nome dell'umanità, del diritto delle genti, e della Croce Rossa Internazionale. . . Oggi stesso manderò un cablo a Ginevra per controllare le vostre credenziali. . . gli gridò il conte. Sorridete, eccellenza , l'interruppe Gino. Il conte fece un radioso sorriso, girandosi verso l'obiettivo. . . . dopo di che vi farò fucilare! promise senza smettere di sorridere. Se questa ragazza morirà per
causa sua, io denuncerò il suo atroce e barbarico atto , gridò Jake. Il sorriso del conte svanì. E le vostre azioni, signore, vi qualificano per una spia! Basta con le chiacchiere, arrendetevi! Alzò minacciosamente la pistola, mirando al centro del petto di Jake. Jake provò un brivido di disperazione, vedendo il grosso maggiore rinforzar la minaccia puntandogli il moschetto al ventre e mettendo il colpo in canna con la leva a catenaccio. In quel critico momento, il coperchio del vano del guidatore dell'autoblindo si aprì con uno scatto metallico che fece sobbalzare tutti quanti, e Vicky Camberwell si alzò in piena vista, con la capigliatura bionda tutta spettinata e le guance rosse di rabbia. Sono un membro accreditato dell'Associazione della Stampa Americana , gridò a voce altrettanto alta degli altri, e vi garantisco che il vostro comportamento illegale sarà presto conosciuto in tutto il mondo. Vi avverto che. . . e via dicendo per un bel po' . La rabbia di Vicky era tale che non riusciva a star ferma. Saltava su e giù, smaniando, del tutto incurante, al momento, di esser nuda fino alla cintola. Non altrettanto incuranti si dimostrarono i passeggeri della Rolls. Erano sudditi di un regno dove la caccia alle belle donne era sport nazionale, e ognuno si considerava il campione d ItaliaMentre le tette di Vicky ballonzolavano agitate, agitatissime, i quattro italiani la guardavano con gli occhi fuori della testa, mezzo increduli e mezzo deliziati. Le armi puntate si abbassarono, dimenticate. Il maggiore cercò di alzarsi in piedi, per cavalleria, ma fu tenuto giù dal conte. Il piede dell'autista scivolò dalla frizione e l'auto fece un balzo in avanti, dopo di che il motore si spense. Gino fece schioccare la lingua in segno d'approvazione e alzò la macchina fotografica, scoprì che era finita la pellicola, e la cambiò senza guardare. Il rotolo gli cadde per terra e lo lasciò dov'era, rinunciando alla foto per non distogliere lo sguardo, sempre sorridendo beato a quella bionda apparizione. Il conte si scappellò, s'avvide d'avere in mano un elmetto, ricordò di essere un guerriero e scattò nel saluto romano, ma aveva in mano la pistola. Allora la passò nella mano dell'elmetto, avvicinando poi al cuore entrambi gli strumenti guerreschi di difesa e d oflesa. Madame , disse con un lampo negli occhi scuri e la voce più flautata che mai. Mia cara signora. . . In quella il maggiore cercò un'altra volta di alzarsi. Ancora il conte, col braccio, lo fece restare seduto. Intanto Vicky continuava la sua tirata senza alcuna diminuzione di fervoreJake fu completamente dimenticato dagli italiani. Fece quat tro passi di corsa e si tuffò nel retro dell'autoblindo, appoggiando Sara nello spazio delle munizioni, dietro il sedile del guidatore. Quasi proseguendo il tufifo, chiuse poi ermeticamente lo sportello. Parti! gridò a Vicky, di cui vedeva soltanto la schiena. Forza! La tirò giù con uno strattone, mentre continuava a urlare contro il nemico. Con un tonfo sonoro ella sbatté le chiappe contro il duro sedile di cuoio. Parti! gridò ancora più forte Jake. Portaci via di qui! La delusione degli italiani per l'improvvisa scomparsa di Vicky fu grande. Era sparita a un tratto, come in un pendolo il cucù Ciò li paralizzò per diversi secondi. Poi rombò il motore dell'autoblindo, che si mosse puntando dritta verso di loro. Girando all'ultimo momento li speronò di striscio, asportando un parafango e spaccando un fanale. Quindi li lasciò nella polvere, dirigendosi a tutta velocità verso il terreno accidentato oltre i pozzi. Il primo a reagire fu Castellani. Saltò a terra e corse alla manovella, gridando all'autista di accendere il motore. Partì al primo colpo. Il maggiore saltò sull'auto. Inseguili! gridò nelle orecchie all'autista, impùgnando il fucile. Ancora una volta il guidatore mollò la frizione e la
Rolls balzò in avanti così in fretta che il conte fu proiettato a gambe all'aria sul sedile di morbida pelle, l'elmetto gli scivolò sugli occhi, e il dito gli si contrasse involontariamente sul grilletto. La Beretta sparò con un maligno rimbombo e il proiettile passò a un centimetro dall'orecchio di Gino, che si gettò sul fondo dell'auto, sopra la macchina fotografica, gemendo di paura. Più forte! gridò il maggiore nell'orecchio dell'autista. Superali, costringili a tornare indietro! La sua voce era tonante e piena d'autorità. Voleva arrivare abbastanza vicino da tentare il tiro nei pochi punti vulnerabili dell'autoblindo, come la torretta, dove il vano per la mitragliatrice, vuoto, offriva un ghiotto pertugio, o la fessura del guidatore. Ferma! gridava invece il conte. Vi farò fucilare per questo! Ora i due veicoli correvano appaiati, a non piu di tre metri di distanza. Nell'autoblindo, Vicky vedeva soltanto una strisciolina di terreno davanti a sé. Vi si concentrò, gridando: Dove sono? ~Jake si rialzò dall'angolo in cui lui e Sara erano stati scagliati e mosse verso la torretta. Nella Rolls, che li aveva già affiancati, Castellani imbracciò il fucile e sparò. Pur vicino com'era, riuscì a spedire una sola pallottola su sei nella feritoia della torretta: le altre rimbalzarono sulla corazza d'acciaio con rabbiose scampanate, e si persero negli spazi del deserto. La pallottola che era entrata nel veicolo, però, si trovò intrappolata fra pareti corazzate. Più volte rimbalzò crepitando da una parte all'altra, gettando addosso ai tre occupanti piccole schegge di piombo rovente, sbattendo fra di loro come una cosa viva e furente, e sfiorandoli mortalmente pericolosa più volte prima di conficcarsi nel retro del sedile del guidatore. Jake tirò fuori la testa dalla torretta e vide la Rolls che gli correva a fianco, col massiccio maggiore intento a ricaricare freneticamente il fucile, e gli altri occupanti che sobbalzavano ~verdi e impotenti come sull'otto volante. Autista! gridò Jake. Tutto a destra! e provò un moto d'orgoglio e d'affetto allorché Vicky immediatamente eseguì. La grande autoblindo operò una conversione così brusca che il guidatore dell'altro mezzo non ebbe il tempo di rimediare, e i due veicoli cozzarono con rumor di ferraglia mentre volavano vetri da tutte le parti. Oh Madonna mia salvaci! squittì il conte. alla fine! La Rolls sbandò e perse terreno. Aveva la fiancata tutta sbrindellata. Castellani era saltato all'ultimo momento sul sedile di dietro, evitando cli farsi maciullare le gambe nell'urto. Intanto, però, aveva ricaricato il fucile. Vaglì sotto , gridò all'autista. Fammici sparare un alt~o caricatore! Ma il conte era riuscito finalmente a recuperare l'equilibrio e a rimettersi in testa l'elmetto. Fermati, imbecille! ordinò con voce chiara e concitata. Ci farai ammazzare tutti! L'autista frenò con evidente sol lievo, sorridendo per la prima volta quel giorno. Va' avanti, pezzo di scemo , ordinò Castellani duro, piazzandogli la canna del fucile dietro l'orecchio. Il sorriso dell'autista svanì, e il piede tornò a schiacciare l'acceleratore a tavoletta. " Ferma! urlò il conte, tirandosi su di nuovo, tenendosi l'elmetto in testa con una mano e puntando la Beretta nell'orecchio libero del guidatore. il tuo colonnello che te lo ordina! Va' avanti , ruggì Castellani. Il guidatore chiuse gli occhi con tutta la sua forza, senza osare muovere la testa, puntando dritto verso il costone di terra rossa che circondava l'uadi. Un attimo prima che la Rolls si infilasse col muso nel muro di terra cotta dal sole, il dilemma dell'autista fu risolto da qualcun altro. Gregorius, per mancanza d'altri alleati, si era appellato agli istinti guerreschi di suo nonno, e, nonostante la Bran quantità di tej che aveva bevuto, il vecchio aveva risposto nobilmente, raccogliendosi intorno la
guardia e correndo, alla loro testa, giù per il corso dell'uadi. Solo Gregorius riuSciva ancora a tenergli dietro quando sbucarono nel pianoro. Vi irruppero a fianco a fianco, e si trovarono davanti la Rolls e l'autoblindo che a tutta velocità puntavano contro di loro, sollevando due enormi nuvole di polvere. Era una vista da atterrire qualunque eroe. Gregorius si tuffò subito dietro il ciglione di terra rossa, nell'uadi. Ma il ras aveva ammazzato un leone, e non vacillò. Puntò il suo vecchio fucile Martini Henry e fece fuoco. Sembrò una cannonata: dalla canna uscì una vampa lunga due metri, e poi si alzò una nuvola di fumo bluastro. Il parabrezza della Rolls andò in mille pezzi. Una scheggia di vetro graffiò il mento al conte. Santa Maria, Madre di Dio, sono morto , gridò costui, e l'autista non pensò minimamente di metterlo in dubbio. Fece una stretta conversione a Ue si gettò rombando nella direzione opposta, incurante delle terribili minacce che gli ringhiava Castellani. Ne aveva abbastanza. Troppe gliene avevano fatte passare. Se ne tornava a casa. Buon Dio! sospirò di sollievo Jake, guardando la Rolls allontanarsi tutta ammaccata, sempre più in fretta, in direzione delle trincee italiane, còl suo carico di soldati intenti a discutere aspramente, gesticolando e sventolando le armi, con le voci isteriche che sfumavano in distanza. Il cannone del ras tuonò ancora, accelerandone la fuga. Vicky si fermò accanto al ras. Jake aiutò il vecchio nobiluomo a salire. Aveva gli occhi iniettati di sangue e puzzava come una birreria, ma sul suo volto pieno di rughe vi era una smorfia soddisfatta. Come va la vita? chiese con evidente sollievo. Non male, signore , lo rassicurò Jake. Niente affatto male. Poco prima di mezzogiorno la formazione di quattro autoblindo si fermò nella savana, a una quarantina di chilometri di distanza dai pozzi. L'alt era stato dato per consentire alla gran massa degli scampati al massacro d Cialdi di godere della loro protezione, e fu la prima occasione di guardare la ferita di Sara. Pensò Vicky a medicarla. Nell'ultima ora si era indurita, e il sangue aveva formato una grossa crosta scura. Sara non emise un lamento, divenne solo un po' grigiastra e il volto prese a imperlarlesi di sudore mentre Vicky puliva la ferita e ci versava sopra mezza bottiglia di acqua ossigenata. Cercò di distrarla sollevando l'argomento dei morti che si erano lasciati dietro sparsi per la vallata dei pozzi, uccisi dal fuoco delle mitragliatrici italiane. Sara alzò le spalle con filosofia. Centinaia di persone muoiono tutti i giorni di fame, malattia, o uccise dai briganti in montagna. Muoiono senza scopo, e senza ragione. Questi, invece, sono morti per una ragione. Sono morti perché il mondo si accorga di noi Aspirò una boccata d'aria fra i denti mentre il disinfettante le ribolliva nella ferita. Mi spiace , disse in fretta Vicky. Oh, non è niente , disse Sara, e rimasero in silenzio un momento. Poi Sara chiese: Tu scriverai tutto, è vero, Vicky? Come no , annuì tristemente Vicky. Scriverò tutto per bene. Dove si trova l'ufficio telegrafico? Ce n'è uno a Sardi , le disse Sara. Alla stazione della terrovia. Quello che scriverò farà bruciare in mano il giornale a chi lo leggerà , promise Vicky, e cominciò a fasciare la gamba con una benda sterile della cassetta del pronto soccorso. Bisognerà toglierti queste brache. Vicky si mise a ispezionare il vellutino macchiato e lacero con aria scettica. Sono così strette che è un miracolo che non ti abbiano già fatto venire la cancrena. Devono essere così strette , le spiegò Sara. Fu decretato dal mio bisnonno, ras Abullahi. Signore Iddio , disse Vicky, incuriosita. E perché mai? A quel tempo, le donne erano molto licenziose , proseguì spigliata Sara. E il mio bisnonno era un brav'uomo. Pensò di render le brache più difficili da togliere. Vicky rise,
divertita. E pensi che serva? le domandò, sempre ridendo. Oh, no , fece Sara, seria, scuotendo la testa. Anzi, lo rende più complicato. Parlava con un'aria da esperta. Rifletté un momento. Per toglierle non ci vuole poi molto. quandO te le devi rimettere in fretta che sono guai. Be', adesso l'unica cosa da fare è tagliarle. Vicky prese un grosso paio di forbici dalla cassetta del pronto soccorso e Sara sospirò di nuovo con rassegnazione. Erano molto belline prima che Jake le strappasse. Ora non importa più. E non mostrò alcuna emozione mentre Vicky, seguendo attentamente la cucitura, gliele tagliava via di dosso. Adesso riposati. Vicky la coprì con uno sciamma di lana, perché era rimasta nuda, e la stese comodamente su un sottile materasso di crine sul pavimento dell'autoblindo. Stai con me , le chiese timidamente Sara, quando Vicky prese la macchina da scrivere portatile e fece per uscire dai portelloni posteriori. Devo scrivere l'articolo. Puoi lavorare qui. Non ti disturberò. Me lo prometti? Te lo prometto. Vicky aprì la custodia e si mise la macchina da scrivere in grembo. Pensò un momento, poi le sue dita cominciarono a volare sulla tastiera. Quasi subito tutta la rabbia e l'indignazione le tornarono, e prese a trasferirle nitidamente sul sottile foglio di carta gialla. Le guance di Vicky fiammeggiavano, rosse più che mai, e ogni tanto ella ricacciava indietro i capelli biondi e fini che tendevano a coprirle gli occhi. Sara la guardava, immobile e silenziosa, finché Vicky si fermò per cambiare il foglio. Allora ruppe il silenzio. Ci ho pensato su, sai? disse. Ah sì? Vicky non alzò nemmeno gli occhi. Credo che dovrebbe essere Jake. Jake? Vicky le lanciò uno sguardo, disorientata dal brusco cambiamento dell'argomento dei suoi pensieri. Sì , disse Sara annuendo decisa. Prenderemo Jake come tuo primo amante. Lo faceva sembrare un progetto di gruppo Ah sì? Prenderemo lui? L'idea era già passata per la testa a Vicky, e ci aveva anche messo salde radici, ma alla convinta dichiarazione di Sara perse improvvisamente terreno. così forte. Sì! proseguì Sara. Credo proprio che sceglieremo Jake , e con questa frase ricacciò in alto mare le probabilirà del povero Jake Barton. Infatti Vicky, se non era proprio un bastian contrario, era una che amava prendere da sé le proprie decisioni. Con una pernacchietta sprezzante infilò il foglio e riprese a battere l'articolo. Il fiume di uomini e animali avanzava a cuneo per la savana arida e ondulata, ai piedi delle montagne. Su tutti aleggiava una nube di polvere fine come spruzzi di acqua marina in una giornata di vento. Il sole scintillava a tratti sugli scudi di bronzo e sulla punta delle lance. In testa arrivavano i cavalieri, soldati e nobili di cui si cominciavano a distinguere gli sciamma chiari nella nuvola di polvere. Sulla torretta di Priscilla la Troia, Jake riparava dal sole con l'elmetto le lenti del binocolo e cercava di vedere oltre la nube giallastra se gli italiani li inseguivano. Si sentì venir la pelle d'oca sulle braccia, e su su fino alla nuca, al pensiero di quella massa disordinata e sparsa sotto il fuoco incrociato di moderne mitragliatrici. Non vedeva l'ora che potessero montarle anche loro, ma attualmente erano disperse da qualche parte in mezzo a quell'esercito scalcagnato. Si sentì toccare sulla spalla e si voltò in fretta, scorgendo Lij Mikhael'al suo fianco. Grazie, signor Barton , disse calmo il principe, e Jake alzò le spalle e si rimise a scrutare la vasta pianura. Non è stata la cosa più opportuna, ma io la ringrazio lo stesso. Come sta? L'ho appena lasciata con la signorina Camberwell. Riposa, e io penso che guarirà perfettamente. Rimasero zitti per un po' , poi fu Jake a parlare. Sono preoccupato, principe. Siamo allo scoperto. Se gli italiani ci inseguono, sarà un'altra strage. Dove sono le
mitragliatrici? Dobbiamo montarle il più presto possibile sulle autoblindo. Lij Mikhael'indicò il fianco sinistro dell'orda che si avvicinava Sono laggiù. Jake notò per la prima volta i cammelli bardati. Erano quasi invisibili per la polvere e la distanza ma, essendo più alti dei cavalli che li precedevano, si potevano distinguere, anche se a fatica. Procedevano con la loro andatura stolida e ondeggiante verso il luogo dove le autoblindo aspettavanc, . Saranno qui in una mezz'ora. Jake annuì con sollievo. Cominciò a pianificare il rapido montaggiO delle mitragliatrici sulle torrette, sì da poter usare le autoblindo per opporsi a un nuovo attacco italiano, quando il principe interruppe il corso dei suoi pensieri. Signor Barton, da quanto tempo conosce il maggiore Swales? Jake abbassò il binocolo con un sogghigno. Ah, fin troppo, penso a volte! scherzò, e se ne pentl'immediatamente notando l'espressione preoccupata del principe. Ma no, era soltanto una battuta. Non è molto che lo conosco in realtà. Abbiamo controllato il suo stato di servizio molto scrupolosamente prima di. . . Il principe esitò. Prima di indurlo con l'inganno ad accettare questo affare , suggeri Jake, e il principe fece un debole sorriso, annuendo. Precisamente , concordò. Da ogni fonte risulta che non è un uomo scrupoloso, ma un ottimo soldato, molto abile ad addestrare le reclute. un buon istruttore, che conosce perfettamente uso e funzionamento delle armi moderne. Il principe fece una pausa. Basta non giocare a carte con lui. Seguirò il suo consiglio, signor Barton. Il principe sorrise brevemente e tornò serio. La signorina Camberwell gli ha dato del codardo. Non è così. Eseguiva i miei ordini, come deve un soldato. Ho capito , ghignò Jake. Vuol dire che io, invece, sono un indisciplinato e un lavativo. Il principe scacciò con gesto di fastidio simile affermazione. Probabilmente è un uomo molto migliore di quello che pensa lui stesso , disse Jake, e il principe annuì. Il suo ruolino di combattimento in Francia è impressionante. Decorato una volta con la Croce al valor militare. Tre menzioni d'onore. Principe, mi ha convinto , brontolò Jake. Era questo che voleva? No , rispose il principe con riluttanza. Speravo che lei fosse in grado di convincere , me. Risero entrambi. Ha preso informazioni anche su di me? gli chiese Jake. No , disse il principe. Ho sentito parlare di lei per la prima voIta a Dar-es-Salam. Lei e le sue strane macchine eravate un extra, un pacco-dono. Il principe fece un'altra pausa, poi parlò così piano da risultare quasi inaudibile: E forse la parte migliore dell'affare . Poi alzò di nuovo la testa, guardando Jake dritto negli occhi. Lei è ancora adirato, si vede. La sua indignazione è fortissima. Con sorpresa Jake si rese conto che il principe aveva ragio. . . . . , ne. Era ancora indignato e adirato. Non erano più le fiammedivoranti scoppiate in lui all'inizio della strage, no: ma una brace che ardeva, incandescente, dentro le sue viscere, alimentata dal ricordo incancellabile della folla mitragliata e bombardata, delle donne e dei bambini inermi massacrati senza pietà. Credo che ormai lei sia vincolato a noi , proseguì sottovoce il principe, e Jake restò sbalordito dalla sua capacità di penetrazione psicologica. Non aveva ancora riconosciuto quei vincoli egli stesso, e nondimeno c'erano: per la prima volta da quando era sbarcato in Africa, era motivato da qualcosa che non stava in lui. Seppe che ormai sarebbe rimasto a combattere col Lij e la sua gente finché avessero avuto bisogno di lui. Con un lampo di intuizione comprese che se questa gente semplice fosse stata resa schiava, tutta l'umanità - compreso lui, Jake Barton - sarebbe stata privata di una misura di libertà. Gli venne in mente un verso quasi dimenticato, che aveva imparato alla bell'e meglio tanto tempo prima,
senza capirlo, allora, fino in fondo: Nessun uomo è un'isola , disse, e il Lij annuì proseguendo nella citazione: . . . in se stessa racchiusa. Ogni uomo che muore diminuisce me, perché son parte dell'umanità . Gli occhi del Lij sfolgorarono. Sì, mister Barton: John Donne. Credo proprio di esser stato fortunato con voi due. Lei è di fuoco, e Gareth Swales di ghiaccio. Funzionerà, a favore della mia causa! Perché già c'è un legame fra di voi. . . Un legame? Jake rise, un breve, acido scoppio di risa. Ma poi s'interruppe e ripensò alle parole del principe. Quell'uomo aveva un'intuizione psicologica anche maggiore di quanto credeva, e una speciale abilità di cogliere le verità ancora nascoste. Sì. Un legame , ripeté il Lij. Fuoco e ghiaccio. Vedrà. Restarono in silenzio un momento, sull'alta torretta dell'autoblindo, a capo scoperto sotto il sole, ognuno immerso nei propri pensieri. Poi il Lij si riscosse e si voltò, indicando l'occidente. Laggiù è il cuore dell'Etiopia , disse. Sulle montagne. Alzarono entrambi lo sguardo alle eccelse vette, e alle amba, le montagne massicce e dalla cima piatta che caratterizzano l'altopiano etiopico. Ogni tavoliere era separato dall'altro da profonde spacca ture della roccia. Muraglie azzurre, in lontananza, remote come le nuvole in cui sembravano perdersi, separate dalle profondissime gole che fendevano la roccia come colpi d'ascia d'un gigante, precipitando per migliaia di metri fino al turbinoso torrente che scorreva in fondo. La montagna ci protegge. Per oltre duecento chilometri, di qua e di là, il nemico non può passare. Il principe aprì le braccia come a circondare l'azzurra muraglia di roccia che, sia a nord sia a sud, sbiadiva in distanza fino a confondersi con l'azzurro del cielo. Ma c'è la Gola di Sardi. Jake la vide: fendeva la parete rocciosa come una profonda crepa, larga circa trenta chilometri alla base, poi sempre più angusta e ripida fino all'eccelso altopiano. La Gola di Sardi , ripeté il principe. Una lancia puntata sul fianco esposto del Leone di Giuda. Scosse la testa, e ancora una volta comparve sul suo volto l'espressione tormentata, tesa dei momenti difficili. L'imperatore, il Negusa Nagast Hailé Selassié, ha riunito le sue armate nel nord. Centocinquantamila uomini pronti a resistere all'attacco italiano, la cui direttrice principale non può che giungere da settentrione, dall'Eritrea, attraverso Adua. I fianchi dell'imperatore sono protetti dalle montagne, salvo che quit dove si apre la gola. l'unico accesso all'altopiano percorribile da un moderno esercito meccanizzato. La strada della gola è ripida e accidentata, ma gli italiani sono grandi ingegneri. Fin dal tempo dei Cesari la loro abilità nel costruire strade è sempre stata leggendaria. Se riescono a impadronirsi della Gola di Sardi, nel giro di una settimana potremmo avere cinquantamila soldati nemici sull'altopiano. Levò il pugno alle lontane cime. Piomberebbero sulla retroguardia dell'imperatore, tagliandogli le comunicazioni con Addis Abeba, e avrebbero via libera sulla capitale. Per noi sarebbe la fine, e gli italiani lo sanno. La loro presenza ai Pozzi di Cialdi ha questo preciso significato. Ciò che abbiamo incontrato oggi non è che l'avanguardia dell'esercito nemico che si prepara ad attaccare la Gola di Sardi. Sì , concordò Jake. Sembra proprio così. L'imperatore mi ha incaricato della difesa della Gola di Sardi , disse con calma il principe. Ma mi ha anche ordinato di far confluire la maggioranza dei miei uomini nelle sue armate, che stanno riunendosi sulle rive del Lago Tana, quattrocento chilometri a ovest di qui. Saremo a corto di soldati, quindi, così a corto di soldati che, senza le armi e le autoblindo che mi avete portato, il mio compito sarebbe impossibile. ~- Non sarà uno scherzo nemmeno con queste quattro vecchie
carcasse. Lo so, signor Barton, e sto facendo tutto quello che posso per aumentare le nostre probabilità di vittoria. Sto perfino - negoziando con un tradizionale nemico degli harari per far fronte comune contro gli invasori. Si tratta di accantonare vecchie faide e convincere il ras dei galla a unirsi a noi per la difesa della Gola. Quell'uomo è un predone e un degenerato, e i suoi uomini sono tutti scifià, briganti delle montagne, ma sanno combattere, e attualmente ci serve ogni lancia contro il comune nemico. Jake si rendeva conto della fiducia che il principe gli dimostrava raccontandogli tutto ciò. Lo trattava come un suo gene. rale, e questo aumentò il suo impegno. Un alleato infido è peggiore di un nemico. Non riconosco la citazione. . . chi é? Jake Barton, meccanico. Jake sogghignò. Sembra che avremo parecchio da fare. Ciò che voglio da lei è che mi scelga dei ragazzi in gamba, a cui possa insegnare a guidare, o che Gareth possa addestrare come mitraglieri. Sì. Ne ho già parlato col maggiore Swales. Mi ha fatto la stessa richiesta. Sceglierò i migliori. Giovani , disse Jake, che imparino in fretta. Il ras sedeva come un vecchio avvoltoio nella striscia d'ombra lanciata dall'autoblindo di Gareth, la Gobba: aveva gli occhi socchiusi come un cecchino e parlava da solo, in preda all'eccitazione. Quando Gregorius si sporse per guardare le carte che il ras stringeva avidamente al petto, si beccò una rabbiosa sberla sulla mano, e una salva d'insulti in amarico. Gregorius ne fu molto offeso: in fondo, era l'interprete di suo nonnO. Si lamentò con Gareth, che sedeva di fronte al ras, anche lui con le carte strette al bavero della giacca con diffidenza. Non vuol più farsi aiutare , protestò Gregorius. Dice che ormai ha capito il gioco. Digli che ha un talento naturale per il ramino. Gareth disperse il fumo del sigaro che gli stava andando negli occhi. Digli che ormai potrebbe tranquillamente giocare al salon privé di Montecarlo. Il ras sorrise felice al complimento, e si mise ad aspettare con impazienza lo scarto di Gareth. Serve forse una donna? domandò costui con innocenza scartando la regina di cuori sulla cassetta di muniZiOni che fungeva da tavolo verde. Il ras fece un sobbalzo di mezzo metro e la ghermì. Poi tirò una scarica di colpi sulla cassetta di munizioni, come un banditore d'asta, mettendo giù le combinazioni che aveva in mano. Perdio, ha chiuso di nuovo! imprecò Gareth con grandi smorfie di disappunto, mentre il ras si fregava le mani annuendo e ridacchiando. Come va la vita? chiese in tono trionfante, e Gareth giudicò che il tacchino di Natale fosse abbastanza grasso da papparlo. Chiedi al tuo venerabile avo se, con la prossima mano, gradirebbe una piccola posta. Suggerirei una Maria Teresa al punto , disse Gareth, agitando fra pollice e indice una di quelle grosse monete d'argento per illustrare il suggerimento. Il ras accettò subito con gioia. Chiamò una delle sue guardie del corpo, che tirò fuori dalle pieghe dello sciamma una grossa borsa di pelle di leone, e l'aprì. Alleluia! esaltò Gareth, al veder comparire, nei recessi della borsa, non l'argentea puntata che aveva proposto lui, ma il giallo luccichio delle sovrane d'oro. lipollastro rilanciava. A lei le carte, illustrissimo! La controllata dignità del conte era stata modellata su quella del Duce in persona. Aveva il piglio aristocratico dell'uomo nato per comandare. I suoi occhi scuri lampeggiavano di sdegno, e la sua voce echeggiava bella profonda, sì da far venire i brividi su per la schiena anche a lui stesso. Un contadino, cresciuto in mezzo alla strada! Mi meraviglio che un simile bifolco sia riuscito a diventare addirittura maggiore. Un uomo come voi , sbraitò, agitando l'indice come fosse una pistola, un grandissimo nessuno, un villan rifatto! Colpa mia, colpa mia che mi sono fidato di voi al punto di affidarvi
una posizione di responsabilità ! Sì, biasimo me stesso! Che ho finora sottovalutato la vostra impudenza, la vostra ìnsubordinazione! Ma stavolta avete passato il segno, Castellani, stavolta vi siete scavato la fossa con le vostre mani! Vi siete rifiutato di eseguire un ordine del vostro colonnello comandante di fronte al nemico. assolutamente impossibile ignorare una simile fellonia! Il conte fece una pausa, e una nuvola di rincrescimento gli offuscò brevemente lo sguardo. Io non sono spietato, Castellani. . . ma sono un soldato! Per rispetto a questa uniforme che mi glorio di portare, non posso passar sopra alla vostra inqualificabile condotta. Voi sapete bene qual è la pena per ciò che avete commesso, insubordinazione di fronte al nemico. Fece un'altra pausa, ansimando con gli occhi neri che lampeggiavano. La pena, Castellani e la morte. E così dev'essere. Voi sarete un esempio per i miei militi. Stasera, al calar del sole, sarete degradato di fronte adun'intero battaglione; vi saranno strappate le spalline, l'ambita insegna del comando delle gloriose Camicie Nere, dopo di che incontrerete la giusta punizione davanti al plotone d'esecuzione. Piuttosto lunghetto, come discorso, ma il conte era un baritono allenato. Lo terminò drammaticamente, a braccia spa lancate. Dopo che ebbe finito mantenne la positura e andò a guardarsi, tutto soddisfatto, allo specchio a figura intera che teneva nella sua tenda. Perché lì, pur essendo solo soletto si sentiva come in presenza di uno sterminato pubblico plaudente. Di scatto si staccò dallo specchio, balzò all'ingresso della tenda e ne scostò le falde. Le sentinelle scattarono sull'attenti. Fate chiamare subito il maggiore Castellani Subito, signor colonnello , berciò la sentinella; e il conte lasciò ricadere le falde della tenda. Castellani arrivò nel giro di dieci minuti e, all'ingresso della tenda, Si irrigidì nel saluto. Mi avete convocato, colonnello? Mio caro Castellani. Il conte si alzò dalla scrivania, sorrise a tutti denti, candidi contro l'abbronzatura olivastra, e ando a prendere sottobraccio il maggiore. Una coppa di vino, amico mio? Aldo Belli era abbastanza realista per capire che senza l'occhio (e il braccio) professionale di Castellani, il battaglione si sarebbe afflosciato come un sufflé mal riuscito; anzi, più probabllmente gli sarebbe crollato in testa come una collina mi nata. Infliggergli la pena di morte- era valso a sfogarsi un po' , talché ora si sentiva piuttosto ben disposto nei suoi confronti. Sedetevi , disse, indicando la sedia da campo davanti alla sua scrivania. Nell'umidificatore vi sono dei sigari. Raggiava come un padre davanti al figlio maggiore. Gradirei che leggeste il mio rapporto e lo controfirmaste nello spazietto sottolineato. Castellani prese i fogli e cominciò a leggere, accigliato come un bulldog, con le labbra che formulavano silenziosamente le parole. Dopo qualche minuto ebbe un sobbalzo e alzò gli occhi al colonnello. Comandante, dubito che gli indigeni che ci hanno attaccato fossero quarantamila. Questione di opinioni, Castellani. C'era buio. Nessuno saprà mai con precisione quanti erano. Il conte scartò l'obiezione con un gesto disinvolto della mano. Non si tratta che di una prima stima. Andate avanti! Vedrete in quali termini lusinghieri parlerò della vostra condotta. Il maggiore continuò la lettura e ben presto impallidì. Comandante, le perdite nemiche furono di centoventisei morti, non dodicimilaseicento. Scrivendo il numero dev'essermi scappato qualche zero. Un lapsus calami. Prima di inoltrare il rapporto al quartier generale lo correggerò. Inoltre, signore, non fate alcun cenno al fatto che il nemico, a quanto pare, possiede un mezzo corazzato. Per la prima volta dall'inizio del colloquio il conte si accigliò. Mezzo corazzato, Castellani? Vorrete dire un'ambulanza. Belli aveva deciso
che era meglio dimenticare l'incontro con quella strana macchina. Non ridondava a credito di nessuno. Avrebbe anzi inserito nel fulgido rapporto una macchia stonata. naturale che anche il nemico organizzi una specie di servizio sanitario. Non è nemmeno il caso di parlarne. Ma leggete, leggete, carissimo, e sappiate che vi ho proposto per una decorazione. Il generale De Bono aveva convocato il proprio staff a un pranzo di lavoro per valutare la preparazione delle truppe che stavano per invadere l'altopiano etiopico. Tali conferenze erano settimanali, e gli ufficiali dello stato maggiore del generale non avevano tardato a capire che in cambio di quei pranzi superbi - il cuoco di De Bono aveva una reputazione internazionale - essi dovevano fornire sempre nuove pezze giustificative al generale per tener buono il Duce, infuriato a causa dei continui rinvii della data d'inizio dell'offensiva. Lo stato maggiOre era entrato pienamente nello spirito del gioco, e alcune sue elucubrazioni si rivelarono geniali. Tuttavia anche I immaginazione degli ufficiali più sbrigliati stava ormai cominciando a perder colpi. Il generale medico era giunto al punto di diagnosticare come sospetto vaiolo un banalissimo caso di gonorrea riscontrato in un fante, e aveva scritto un meraviglioso racconto dell'orrore sulla possibilità di un'epidemia: ma il generale non era troppo convinto di poterlo usare efficacemente. Ci voleva qualcosa di meglio. Ne stavano appunto parlando davanti ai liquorini, fumando toscani, quando la porta della sala da pranzo si aprì all'improvviso e il capitano Crespi corse a capotavola. Aveva la faccia tutta rossa, gli occhi fuori della testa, e nel complesso era così agitato che un silenzio carico di tensione cadde sulla sala piena di ufficiali molto anziani e un po' ubriachi. Crespi porse un cablo al generale. Era così alterato che ciò che intendeva fosse un sussurro esplose rimbombando come un'imprecazione. Il pagliaccio! ansimò. Il pagliaccio l'ha fatta grossa! Il generale, allarmato da questa enigmatica affermazione, ghermì il cablogramma e rapidamente lo scorse. Poi lo passò all'ufficiale più vicino, coprendosi il volto con le mani Quell'idiota! mugolò, mentre il messaggio passava di mano in mano, destando uno scoppio di commenti concitati Ma come, eccellenza, è una grande vittoria! gridò un comandante di fanteria, e l'umore dell'assemblea cambiò in un istante. I miei piani sono pronti, generale. Non aspettiamo che una parola per unirci alla vostra magistrale strategia , gridò i comandante della Regia Aeronautica, saltando in piedi. Il generale si tolse le mani dal volto. Era perplesso. Congratulazioni, signor generale , disse un alto ufficiale artiglieria. Si alzò barcollando, rovesciandosi del marsala suluniforme. Una possente vittoria! Oh Dio! Oh Dio! mormorava De Bono. Un'aggressione a tradimento da parte di un'orda di selvaggi! Crespi aveva ripreso in mano il cablo e leggeva ad alta voce la memorabile prosa di Aldo Belli. Validamente respinta dal fior fiore della italica gioventù. Oh Dio! ripeté De Bono un po' più forte, e si coprì di nuovo gli occhi. Quindicimila morti nelle file nemiche! gridò una voce. Un esercito di sessantamila uomini messo in fuga da un manipolo di eroiche camicie nere. Quale presagio di gloria per il futuro! Avanti fino alla vittoria! In marcia! In marcia! Il generale alzò gli occhi un'altra volta. Sì , disse. Credo che ora dovremo proprio muoverci. Il IIl Battaglione del reggimento di camicie nere Africa era schierato in ordine di parata sulla piana sabbiosa sopra i Pozzi di Cialdi. Il terreno era nettamente delimitato da meticolose file di tende perfettamente allineate e cippi di pietra bianca. In ventiquattr'ore, sotto la direzione del maggiore Castellani, il campo aveva perso ogni aria di provvisorietà. Altri due o tre giorni e ci sarebbero state
anche case e strade. Il conte Aldo Belli, sul sedile posteriore della Rolls (che, nonostante le amorose attenzioni di Giuseppe, l'autista, dava segni di logoramento ed era ancora un po' troppo ammaccata) si preparava al discorso. Giuseppe aveva pensato bene di offrire al battaglione la fiancata intatta, rivolgendo l'altra al deserto. L'aveva strofinata per ore con cera d'api e alcool metilico, e adesso scintillava come uno specchio sotto il gagliardo sole. Era riuscito a montare un parabrezza di fortuna e un fanale tolto a un camion della truppa. Camicie nere! urlò il conte. Ho da leggervi un messaggio radio giunto non più di un'ora fa. Il battaglione si irrigidì per la curiosità. un messaggio personale indirizzatomi dal Duce Benito Mussolini! Viva il Duce! Viva il Duce! Viva il Duce! rombò il battaglione all'unisono, come un'orchestra ben affiatata, e è conte alzò una mano per farli tacere, mentre cominciava a leggere. 'Il mio cuore vibra d'orgoglio nell'apprendere il glorioso fatto d'arme di cui si è reso protagonista il hor fiore della gioventù italica: i figli della Rivoluzione Fascista che voi comandate. . . ' La voce del conte tremava un po' . Quando il discorso finì, le camicie nere esultarono pazzamente, scagliando in aria gli elmetti. Il conte scese dalla Rolls e si mischiò a loro, piangendo, abbracciando un milite qua, baciandone un altro là, stringendo mani a destra e a sinistra e finendo per gridare A noi la vittoria! e Meglio la morte del disonore! agitando le mani strette a pugno sopra la testa come un pugile vittorioso. Tuttavia un bicchiere di grappa lo aiutò a recuperare la compostezza e a riversare tutto il disprezzo del guerriero vittorioso sul fonogramma del generale De Bono che accompagnava le congratulazioni del Duce. De Bono era un po' allarmato, e anche contrariato, di scoprire che colui che aveva giudicato un grandissimo fanfarone incapace si era improvvisamente trasformato in un fulmine di guerra. Dato il messaggio personale di congratulazione del Duce a Belli, non poteva richiamarlo sotto la sua ala protettiva al quartier generale senza votarsi ad atroci rappresaglie politiche, che il conte non avrebbe mancato di fargli scontare nelle sue nuove vesti di eroe oltre che cocco di Mussolini. Era dunque impossibile negargli di perseguire altre fenomenali iniziative del genere. Virtualmente, l'uomo era diventato un comandante indipendente dallo stato maggiore. Mussolini infatti aveva rimproverato De Bono perché temporeggiava e non andava mai all'offensiva, portandogli proprio l'esempio di abnegazione e senso del dovere offerto dal conte. Gli aveva quindi ordinato esplicitamente di appoggiare la marcia di Belli sulla Gola di Sardi, se necessario inviandogli rinforzi. La reazione di De Bono consisté in un lungo fonogramma per il conte, in cui lo esortava alla massima prudenza e lo implorava di avanzare solo dopo meticolosissime ricognizioni in profondità, e dopo essersi assicurato le spalle e i fianchi. Se avesse formulato tali consigli quarantotto ore prima, sarebbero stati accolti da Aldo Belli col massimo entusiasmo. Ma ora, dopo la vittoria ai Pozzi di Cialdi e il messaggio del Duce, il conte era un uomo profondamente mutato. Aveva gustato tutta la dolcezza degli onori conquistati sul campo di battaglia, e imparato quanto poteva esser facile meritarseli. Adesso sapeva di avere di fronte una tribù di negri primitivi in camicia da notte, con armi da museo, che cadevano e scappavano con bella prontezza quando i suoi uomini aprivano il fuoco. Signori ufficiali , cominciò. Ho appena ricevuto un messaggio di De Bono in codice. Le armate d'Italia sono in marcia! Tra centoventi ore esatte , disse guardando l'orologio, l'avanguardia dell'esercito italiano varcherà il fiume Mareò in soli dodici minuti e inizierà l'avanzata verso la capitale indigena di Addis Abeba. Noi ci troviamo, oggi,
sul fil di spada della storia. Lassù matura il campo della gloria , proseguì indicando l'altopiano etiopico, e io voglio con la più granitica volontà del mondo che il IIl Battaglione sia là in tempo per il raccolto! I suoi ufficiali emisero educati e non compromettenti sospiri. Cominciavano a preoccuparsi del cambiamento a cui era andato incontro il colonnello. C'era da sperare che si trattasse di retorica più che di vera risolutezza. Il nostro stimato comandante in capo mi ha esortato a usare ]a massima prudenza nell'avanzata verso la Gola di Sardi. Tutti sorrisero annuendo con sollievo, ma il conte scosse la testa, impaziente, facendo rimbombare la sua bella voce. Ma io non intendo star seduto inerte, mentre la gloria mi passa accanto! Un brivido di disagio corse fra gli ufficiali riuniti, come nella foresta i primi venti inverr. ali, e fu senza entusiasmo che si unirono al conte allorché intonò Giovinezza. Lij Mikhael'aveva accettato che una delle autoblindo caricasse Sara e la portasse sull'altopiano, nella città di Sardi, per la strada della gola. C'era là una missione cattolica, diretta da un vecchio medico tedesco. La ferita di proiettile alla gamba non stava affatto guarendo bene. Era un po' suppurata, causando le più vive preoccupazioni di Vicky. La benzina per le autoblindo era arrivata per la piccola ferrovia a cremagliera fino alla stazione di Sardi da Addis Abeba, ed era stata someggiata fino all'imbocco della gola per mezzo di muli e cammelli. Adesso era ad attenderli ai piedi della montagna, dove il fiume Sardi sboccava in una valle triangolare coperta di acacie, che lentamente si allargava fino a una trentina di chilometri prima di lasciare spazio al desertG. All'estremità della valle il fiume si interrava e cominciava il lungo corso sotterraneo fino ai Pozzi di Cialdi~ dove dava le ultime notizie di sé. Lij Mikhael'andò a Sardi con la macchina di Vicky, perché aveva appuntamento là col ras dei galla nella speranza di coordinare gli sforzi delle due tribù contro l'aggressore italiano. Ma a Sardi il principe trovò un aereo venuto da Addis Abeba per condurlo invece dall'imperatore, che aveva indetto un consiglio di guerra sulle rive del Lago Tana. Prima di partire parlò in privato con Jake e Gareth, camminando assieme a loro per un breve tratto sulla scoscesa strada della gola, che seguiva il rapido corso del fiume sulla riva rocciosa. Si fermarono insieme a esaminare la strada dove incontrava la prima dura rampa, accanto a una cascata formata dal fiume. Era piuttosto alta e bianca di spume, e gettava una fitta nebbia di goccioline sulla strada, facendovi crescere sopra del muschio verdissimo. Qua la strada è rugosa come la schiena di un coccodrillo , disse Jake. Ce la farà Vicky con l'autoblindo? Ho già messo al lavoro un migliaio di uomini, appena ho saputo che c'erano questi automezzi , rispose il Lij. La strada è brutta, sì, ma credo praticabile. Lo spero vivamente ~, mormorò Gareth. è l'unica via di fuga che abbiamo, per uscire dalla vezzosa trappola in cui ci siamo cacciati. Una volta che i Macaroni hanno bloccato l'ac cesso alla valle. . . Spazzò con un gesto della mano il panorama sottostante, poi sorrise al principe. Caro amico Toffee, siamo solo noi tre adesso. Sentiamo che ci dici. Cosa vuoi esattamente da noi? Quali sono gli obiettivi che intendi affidarci? Abbiamo forse il compito di sconfiggere tutto il dannato esercito italiano, se vogliamo la paga? No, maggiore Swales. Il principe scosse la testa. Credevo di essere stato chiaro. Siamo qui per coprire le spalle e i fianchi all'imperatore. Sicuramente dobbiamo aspettarci che a un certo punto gli italiani sfonderanno e raggiungeranno l'altopiano e la strada di Dessié e Addis Abeba. Non siamo in grado di fermarli indefinitamente, ma dobbiamo assicurare all'imperatore le spalle coperte almeno fino a quando non si sarà svolta la battaglia decisiva al
nord. Se l'imperatore vince, gli italiani si ritireranno da qui. Se perde, il nostro compito sarà finito. E quando si svolgerà la battaglia? Chi può saperlo? Jake scosse la testa, mentre Gareth si tolse il sigaro di bocca e prese a esaminarlo da vicino. Sto cominciando a pensare che siamo sottopagati , disse. Ma il principe sembrò non udirlo nemmeno, e continuò tranquillamente a parlare con un'intensità che monopolizzava l'attenzione. Useremo le autoblindo qui, sul terreno pianeggiante all'imbocco della gola, dove, appoggiate dalle truppe di mio padre, avranno il massimo effetto. Fece una pausa, e tutti e tre guardarono il campo delle forze del ras, fra gli alberi d'acacia. I profughi stavano ancora affluendo dalla savana intorno a Cialdi in lunghe file che nereggiavano sulla pista della pianura, scortati da amorfe formazioni di fanti. Se i galla si uniscono a noi, sono altri cinquemila combattenti che porterebbero la nostra forza a dodicimila o giù di lì. Ho mandato degli esploratori a vedere il campo italiano e mi hanno detto che sono meno di mille uomini. Anche se sono bene armati, dovremmo riuscire a trattenerli per parecchi giorni. . . A meno che non ricevano rinforzi, che certo riceveranno e carri armati, che certo arriveranno , disse Gareth. Allora ci ritireremo nella gola, distruggendo la strada alle nostre spalle, e resistendo ovunque il terreno ce lo permetta. Non potremo più usare le autoblindo fino a Sardi. Ma lassù, nel cerchio delle montagne, ci sono delle piane favorevoli, che offrono ampio spazio di manovra. anche l'ultimo punto dove possiamo sperare di bloccare efficacemente l'avanzata italiana. Tacquero di nuovo, udendo il rumore di un motore che si avvicinava. Guardarono l'autoblindo che raggiungeva l'imboccatura della gola e cominciava a rombare affrontando la salita a passo d'uomo, fermandosi spesso nei tratti più ripidi, veri e propri gradoni che riusciva a superare solo con l'aiuto di spinte. Il Lij si riscosse ed emise un sospiro che faceva pensare a un profondo abbattimento spirituale. Signori, debbo dirvi un'altra cosa. Mio padre è un guerriero di vecchio stampo. Non conosce la paura, e non immagina nemmeno l'effetto dell'armamento moderno, come ad esempio una mitragliatrice, su una massa di fanti all'assalto. Confido su di voi per frenare la sua esuberanza. Jake ricordò i cadaveri appesi come biancheria sporca al filo spinato in Francia, e un brivido freddo gli salì su per la schiena. Nessuno parlò più finché l'autoblindo, con le croci rosse ancora dipinte sulle fiancate, giunse dove si trovavano loro. Andarono a incontrarla. La testa di Vicky appariva al posto di guida, avendo alzato la celata. Doveva aver trovato modo di fare il bagno. I capelli biondi erano vaporosi di sciampo, e li teneva a posto un foulard di seta. Il sole li aveva sbiaditi ed erano color dell'oro, mentre la sua carnagione vellutata di pesca era stata trasformata dallo stesso sole in un'abbronzatura color miele scuro. Immediatamente Jake e Gareth le mossero incontro, insieme, perché dei due nessuno si fidava di lasciarla un at-timo sola con l'altro. Ma ella fu brusca, preoccupata solo della ragazza ferita che giaceva sul pavimento dell'autoblindo su un giaciglio improvvisato di coperte e pelli d'animale. Il suo commiato fu rapido e distratto una volta che il Lij fu salito dal portello posteriore. Ripartì per la strada ripida e accidentata, seguita da uno squadrone della guardia del principe, montata sugli sparuti cavallini della montagna, che sembrava un'accolita di tagliagole per via delle spade, dei fucili, e delle bandoliere incrociate. Jake li guardò finché non scomparvero alla vista. Si sentiva profondamente a disagio con Vicky in giro da sola per quelle selvagge montagne, lontana da ogni possibilità di protezione da parte sua. Togliti la fica dalla testa, che adesso ti servirà per i
Macaroni , gli consigliò cinicamente Gareth. Dai piedi della gola all'orlo dell'anfiteatro in cui sorgeva la città di Sardi la strada in poche decine di chilometri superava un dislivello di milleseicento metri. A Vicky occorsero sei ore per arrivarci. Le squadre del principe erano ancora al lavoro per rendere praticabile il tratturo. Si trattava di neri avvolti in sciamma sporchi di fango, che picconavano per allargarlo nei punti più stretti e cercavano di addolcire le pendenze più crude. Spesso gli uomini dovevano agganciare l'autoblindo e tirarla su con le funi. Una volta in particolare il passaggio fu pericoloso. La strada, strettissima, era a picco sul burrone in fondo al quale il fiume correva rapinoso: la salita aveva una pendenza da muli, e le ruote dell'autoblindo viaggiavano a cinque centimetri dall'orlo dell'abisso. A metà pomeriggio il sole scomparve dietro le montagne gettando il fondovalle nell'oscurità. Di colpo fece tanto freddo che Vicky, pur spasmodicamente impegnata nella guida del pesante automezzo, si mise a tremare. Il motore girava a un regime molto irregolare, spesso e volentieri battendo in testa per il cambio di pressione atmosferica man mano che salivano. Anche le condizioni di Sara parvero peggiorare rapidamente. Quando Vicky fece una breve sosta per riposare le braccia e la schiena affaticate, scoprì che Sara aveva la febbre alta. La sua pelle era secca e scottava, mentre gli occhi erano lucidi in una maniera strana. Tralasciò il riposo e si rimise subito al volante. La gola si stringeva sempre più drammaticamente. Il cielo non era più che un esiguo nastro azzurro in alto: i picchi sembravano quasi mascelle di granito che si preparassero a stritolare l'arrancante veicolo. Benché sembrasse impossibile, la penclenza addirittura aumentò, sicché le grosse ruote posteriori slittarono girando a vuoto, scagliando sulla scorta che seguiva da vicino ciottoli della grandezza di un pugno. E poi, a un tratto, Vicky superò la cresta sbucando fra portali di roccia in una conca spaziosa, un pianoro dolcemente ondulato completamente rinserrato fra pareti montagnose. Ampio quasi quaranta chilometri, il pianoro era pieno di campi coltivati e cosparso dei tipici tucul, le abitazioni di paglia e argilla dei contadini etiopici. Animali domestici, capre e qualche vacca da latte pascolavano lungo l'alto corso del fiume Sardi dove l'erba verde lussureggiava. Fitti boschi di cedri prosperavano sul precario appiglio delle rive rocciose. Quanto alla città, era un agglomerato di case di mattoni intonacati, dal tetto di lamiera ondulata che rifletteva gli ultimi raggi del sole che qua arrivava ancola, penetrando dal passo occidentale. Qui le montagne erano più lontane e la conca saliva dolcemente coprendo gli ultimi seicento metri di dislivello fino al valico che dava sul vero, grande altopiano etiopico. Per quel pendio scendeva con parecchi tornanti la ferrovia a cremagliera, che terminava in città in un ammasso di tettoie, magazzini e recinti per il bestiame. La missione cattolica si trovava oltre la città, sul pendio che, a ovest, saliva verso l'altopiano. Era un insieme fatiscente di baracche dal tetto di lamiera, raggruppato intorno a una chiesa pure costruita in malta e lamiera. Però la chiesa era imbiancata a calce. Passando con l'autoblindo davanti alla porta ap. rta, Vicky vide che le panche della chiesa erano deserte, ma che sull'altare ardevano candele e c'erano fiori rreschi. La chiesa vuota e l'abbandono delle altre costruzioni erano un riflesso del massiccio potere della chiesa copta su questa terra e queste popolazioni. Non si dava il minimo incoraggiamento ai missionari di altre fedi, ma ciò non impediva alla gente di fare uso delle cure mediche somministrate dalla mis. . . . sione. Infatti una cinquantina di pazienti sedevano sul pavimento della veranda che correva per tutta la lunghezza
dell'edificio ospedaliero, alzando gli occhi privi d'interesse su Vicky e I autoblindo appena parcheggiata davanti a loro. Il medico era un uomo massiccio, con le gambe corte arcuate e il collo taurino. I capelli grigio-argento erano tagliati cortissimi. Aveva gli occhi azzurri, molto chiari. Non parlava inglese e accolse Vicky con uno sguardo e un borbottio, dedicandosi subito a Sara. Due infermieri la caricarono su una barella e la portarono sulla veranda. Vicky voleva seguire la ragazza, ma il Lij glielo impedì. è in buone mani, e noi abbiamo altro da fare. L'ufficio telegrafico presso la stazione era chiuso, ma alle urla del principe il capostazione accorse trafelato lungo i binari. Riconobbe immediatamente Lij Mikhael. Trasmettere l'articolo di Vicky fu un affare molto celmplicato. Il capostazione e telegrafista ci mise un sacco di tempo. Non sapeva l'inglese e non trasmetteva mai messaggi di più d'una dozzina di parole. Lavorando, brontolava e mugugnava, e Vicky non poté fare a meno di chiedersi cosa sarebbe arrivato del suo ultimo capolavoro dell'arte giornalistica sulla scrivania del suo editore a New York. Il principe l'aveva lasciata ll'ed era andato con la scorta alla residenza ufficiale del governo, alla periferia della cittadina; quando il telegrafista batté l'ultima lettera del pezzo di quasi cinquemila parole, erano le nove passate. Vicky si accorse di aver le gambe malferme e il cervello offuscato per le fatiche della giornata. Uscì dall'ufficio nella notte della montagna: non c'erano stelle, la nebbia aveva riempito la conca e baluginava al chiarore dei fari men tre, brancolando, Vicky, sull'autoblindo, attraversava la cittàe infine trovava l'edificio governativo. Più che un edificio era un complesso di costruzioni dalla veranda bianca, intonacate e col tetto di lamiera, sotto un vero e proprio boschetto di alberi frequentati da un'infinità di pipistrelli che si lanciavano in picchiata a caccia di insetti davanti alle luci delle finestre dell'edificio principale. Ll di fronte, Vicky fermò l'autoblindo e si trovò circondata da un'attenta schiera di uomini scuri, tutti pesantemente armati come gli harari che già conosceva~ Ma questi erano altra gente. Non sapeva come mai, ma ne era convinta. Nel boschetto erano accampati altri. Vedeva i loro fuochi e sentiva i loro cavalli nitrire, udiva le voci delle donne, le risa degli uomini. La schiera si aprì davanti a lei e Vicky si trovò sulla veranda. Entrò in una sala affollata da numerosi uomini, illuminata dalle fumose lampade a cherosene appese al soffitto. La sala puzzava di sudore maschile, tabacco, cibo speziato e ~ej. Un silenzio ostile calò al suo ingresso, e Vicky esitò incerta sulla soglia, scrutata da un centinaio di scuri occhi sospettosi, finché Lij Mikhael si alzò da dov'era seduto, all'altro capo della stanza. ' Signorina Camberwell , disse quando le fu accanto, prendendole la mano. Stavo cominciando a preoccuparmi per lei. Ha mandato l'articolo? La condusse a sedere accanto a sé, prima di indicare con un gesto della mano l'uomo che stava seduto di fronte a loro. Le presento ras Kullah dei galla , disse, e, a dispetto della stanchezza, Vicky lo esaminò con vivo interesse. La prima impressione fu identica a quella che aveva ricevuto fuori, dagli uomini accampati nel boschetto, al buio. In quell'uomo una malcelata ostilità e freddezza conferivano ai suoi occhi, dalle ciglia che sbattevano di rado, un'aura da -rettile. Era giovane, meno di trent'anni forse, ma il viso e il corpo devastati dalla malattia o~ dalla deboscia avevano un'apparenza come di gelatina. La pelle era di un pallido color crema, malsana e molliccia, come se non avesse mai preso sole. Aveva le labbra piene, arrricciolate in una smorfia petulante, di un color rosso ciliegia sbalorditivo, che contrastava con i toni chiari della pelle. Quando il principe gliela presentò, egli guardò
Vicky con la stessa espressione assente di prima, senza dir parola, mentre il suo sguardo da serpente si posava, come una mano greve, su tutto il suo corpo soffermandosi sul seno e sulle gambe, prima di tornare a fissare Lij Mikhael. Le mani grassocce di ras Kullah portarono alla bocca rossa come una ciliegia una pipa di corno. Il ras tirò una profonda boccata, trattenendo a lungo il fumo nei polmoni prima di esalarlo lentamente. Quando Vicky sentì l'odore di ciò che stava fumando, capì la ragione dello sguardo spento del ras. Non ha mangiato niente in tutto il giorno , disse Lij Mikhael, e diede ordine di portarle del cibo. Ora mi scuserà, signorina Camberwell: il ras non sa l'inglese e i negoziati sono appena iniziati. Ho ordinato di prepararle una camera dove potrà andare a dormire appena avrà finito di mangiare. Probabilmente noi due parleremo tutta la notte , disse il Lij con un rapido sorriso, a dire molto poco, perché l'argomento del nostro colloquio è una faida sanguinosa che dura da oltre cent'anni. Tornò a rivolgersi al ras. E proseguì, interminabile, la discussione fra i d-- uomini: l'accordo doveva saltar fuori dalle -rlille . ele e dalle mille diffidenze di due implacabili nemici, avvicinati soltanto dal profilarsi di un pericolo peggiore e di un avversario di gran lunga più potente. A fianco di ras Kullah, a destra e a sinistra, sedevano due giovani donne galla dallo sguardo pacato e i lineamenti nobili e regolari. I capelli molto crespi formavano intorno alle loro teste una specie di cespuglio rotondo che ai bordi, per via delle lanterne accese, creava una specie di aureola luminosa. Sedevano impassibili, senza mostrare alcuna emozione, nemmeno quando il ras le degnava di una carezza distratta come quelle che si impartiscono ai cagnolini. Una volta soitanto allorché il ras prese fra le dita grassocce una poppa turgida e tonda e strizzò, la ragazza batté ciglio: e Vicky~ vedendo la camicia scarlatta bagnarsi tutt'intorno al capezzolo, comprese che quelle mammelle erano gonfie di latte. Ora quel falso senso di benessere che Vicky aveva appena provato stava sprofondando di nuovo sotto il peso della stanchezza. Intorpidita dal cibo nello stomaco, dall'atmosfera spessa e fumosa e dalla cadenza ipnotica dell'amarico, era sul punto di congedarsi dal principe e andare a dormire quando fuo ri della sala scoppiò un pandemonio. Grida acute di una vecchia, scalpiccio, ordini militari, voci indignate: la sala si riempì istantaneamente di tensione ed eccitazione, e ras Kullah parve riscuotersi, gridando ordini in tono querulo. Un ragazzo di circa diciannove anni fu trascinato nella sala da due guardie armate e presentato al ras di fronte al quale era stato lasciato libero in fretta un certo spazio. Le braccia del ragazzo erano legate strettamente da corregge che gli incidevano i polsi, e il suo volto era madido e lustro del sudore della paura. Gli occhi atterriti roteavano instancabili nelle orbite. Era seguito da una vecchia che squittiva continuamente, una figura scimmiesca e raggrinzita avvolta in uno sciamma nero molto ampio, rigido e verdastro per la sporcizia. Diverse volte costei cercò di aggredire il giovane prigioniero, mirando alla faccia con le grinfie adunche, la bocca sdentata aperta in una fessura incorniciata dalla sottile striscia rosa delle labbra, berciando e saltellando infuriata davanti al ragazzo terrorizzato, che ella continuava senza posa a cercar di dilaniare a unghiate, mentre le guardie sghignazzanti la spingevano via con allegre pacche e pedate senza mai lasciare andare il prigioniero. Il ras si protese a osservare la scenetta con improvviso interesse. I suoi scuri occhi torpidi si animarono d'impazienza nel fare qualche domanda alle guardie. La vecchia si precipitò davanti a lui e si profuse in un vertiginoso inchino. Cominciò quindi a raccontare una lunga storia con voce acutissima e querula, tentando nello
stesso tempo di afferrare i piedi del ras per baciarli. Il ras ridacchiava, pregustando quel che sarebbe seguito, allontanando a calci le mani della vecchia e facendo ogni tanto qualche domanda, cui ora le guardie ora la vecchia davano risposta. Signorina Camberwell , le sussurrò il principe. Le consiglio di andarsene. Non sarà una vista piacevole. Che sta succedendo? gli domandò Vicky, con l'istinto professionale ridestato di colpo. Cosa fanno? La donna accusa il ragazzo di aver assassinato suo figlio. Le guardie sono testimoni dell'accusa e il ras giudicherà. Tra poco emetterà la sentenza, che sarà immediatamente eseguita. h Qui? chiese Vicky, incredula. Sì, signorina Camberwell. La prego di andarsene, ora. La punizione è biblica, tratta dall'Antico Testamento, che è il fondamento della religione copta. Occhio per occhio, dente per dente. ~Vicky esitò a seguire il suggerimento del principe. Qualunque esperienza umana rientrava nel suo campo professionale, anche la più bizzarra: e, a un tratto, fu troppo tardi. Ridendo, il ras scacciò la vecchia con un calcio nel petto che la mandò a gambe all'aria sul pavimento di terra battuta dopo di che diede un ordine perentorio alle guardie che trattenevano l'accusato. Dibattendosi sul pavimento come un corvo ferito, la vecchia emise un mugolante strillo di trionfo come udì il verdetto, e cercò di rimettersi in piedi. Le guardie fecero un'altra sghignazzata e cominciarono a strappare gli abiti di dosso al condannato, che ben presto rimase nudo e legato. Ora la sala affollata ronzava d'eccitazione, pregustando il divertimento venturo. Dalle finestre si affacciavano, provenienti dall'accampamento nel boschetto, coloro cke non erano riusciti a entrare. Perfino le due madonne impassibili a fianco del ras si erano un po' animate, si sporgevano a chiacchierare piano fra di loro, sorridendo a tratti con aria di complicità mentre gli occhi di luna nuova emettevano neri barbagli e le mammelle colme oscillavano pesantemente sotto la stoffa sot tilissima che le copriva. Il disgraziato giovane piagnucolava, girando la testa da tutte le parti come in cerca di un'impossibile via di fuga, col corpo nudo snello e muscoloso dalla carnagione d'ambra scura lucida al chiaror delle lanterne, e le braccia strettamente legate dietro la schiena. Aveva le gambe lunghe, i muscoli duri, come scolpiti, e il nero cespo di peli, all'inguine, aveva l'aria folta e crespa. Il grosso pene circonciso pendeva flaccido e sembrava esprimere tutta la disperazione dell'uomo. Vicky provò a distogliere gli occhi, vergognosa di guardare un essere umano a cui avevano così brutalmente strappato ogni dignità, ma lo spettacolo la ipnotizzava. La vecchia donna saltellava e piroettava davanti al prigionierO, coi bruni lineamenti rugosi contorti in un'espressione di estrema malignità. Aprì la bocca sdentata e gli sputò in faccia. La saliva gli scivolò giù per il volto e sul petto. Su, adesso se ne vada, per favore ~, l'esortò il principe. Vicky cercò di alzarsi, ma le gambe parvero tradirla. Uno dei guerrieri galla che le sedevano di fronte estrasse dal fodero di cuoio che portava alla cintura il proprio pugnale a lama stretta. Gridò per attirare l'attenzione della vecchia, poi le gettò il pugnale, rasoterra. La vecchia ci saltò sopra con un alto strillo di trionfo e cominciò a saltabeccare davanti al ragazzo terrorizzato, brandendo il pugnale, mentre gli astanti le urlavano atroci incoraggiamenti. Il prigioniero legato prese a contorcersi e scalciare fissando il coltello con una smorfia di disperazione e terrore, ma le due guardie lo tenevano fermo con irrisoria facilità, sempre sohionazzando come orchi malvas~i anch~ r~- fissando il col La vecchia emise un ultimo acuto strillo e gli si avventòcontro col braccio ossuto e nero levato e il pugnale puntato al cuore. Ma non aveva abbastanza forza. La lama urtò l'osso e
rimbalzò di lato, sulle costole, aprendo una ferita che rivelò per un attimo il bianco dell'osso, prima di venire inondata dal sangue. Un urlo di gioia si levò dai galla riuniti, che si diedero a incitare la vendicatrice con motti sfottenti e ululati al pari d'un branco di sciacalli in foia. Parecchie volte la vecchia colpì col pugnale, mentre il condannato scalciava tentando di divincolarsi e le guardie ridevano e il sangue sprizzava dappertutto brillando davanti alle lucerne, lordando il braccio armato della vecchia e schizzandole sulla faccia squittente e malvagia. La delusione rese i suoi colpi di pugnale più deboli e più spietati. Incapace di pugnalarlo nel petto, rivolse l'attacco al viso. Un fendente gli staccò il labbro superiore e metà del naso, il successivo squarciò l'occhio, che istantaneamente si trasformò in un buco nero e insanguinato nell'orbita. Le guardie lasciarono cadere il prigioniero a terra. La vecchia gli saltò addosso e, aggrappata a lui come un enorme, grottesco vampiro, cominciò a segargli letteralmente la gola, finché alla fine tagliò l'arteria. La carotide esplose schizzando sangue dappertutto, mentre i due continuavano a rotolare sul pavimento di terra battuta e i galla che guardavano emettevano un boato d'approvazione. Solo allora Vicky riuscì a muoversi; saltò in piedi e a gomitate si aprì la strada verso la porta per correre fuori, nel fresco della notte. Si accorse allora che aveva la camicetta tutta madida del sudore freddo della nausea e si appoggiò altronco di un albero, cercando di non vomitare. Ma non ci riuscì e rigettò con violenti conati, sputando fuori tutto l'orrore di quella scena. L'orrore rimase con lei per molte ore impedendole il sonno che il suo corpo agognava. Giacque soia nella cameretta che Lij Mikhael le aveva fatto preparare, ascoltando i tamburi, lerisate e i canti dell'accampamento dei galla fra le piante. Quando alla fine si addormentò, non dormì a lungo. Si svegliò sentendosi solleticare la pelle, e con un fiero prurito al ventre. Disgustata, scostò la coperta e accese la candela. Sulla liscia superficie del suo ventre, come una cintura di perline di corallo, ecco le morsicature dei ripugnanti parassiti. Rabbrividì, mentre tutto il suo corpo si rivoltava al pensiero di cimici, pulci e pidocchi. Passò ciò che restava della notte scomodamente distesa sul pavimento dell'autoblindo. Il freddo della notte in montagna attanagliava l'acciaio di miss Dondola, e Vicky tremò fi no al mattino, grattandosi ferocemente le protuberanze sulla pancia. Quindi calmò le proteste dello stomaco vuoto con una scatoletta di carne presa dalle razioni d'emergenza sotto il sedile del guidatore, e si avviò alla missione tedesca dove dopo gli orrori della notte provò il primo sollievo dello spirito. Sara aveva reagito quasi miracolosamente alle cure che stava ricevendo: benché fosse ancora debole e attraversata da brividi, la febbre era calata, mettendola in grado di riversare ancora una volta tutti i benefici della sua vasta saggezza ed esperienza del mondo su Vicky. Vicky sedeva accanto a lei sulla brandina di ferro della corsia affollata dell'ospedale missionario, fra pazienti che tossivano e gemevano tutt'intorno, tenendole la mano arida e sottile da cui tutta la floridezza era sparita nel giro di poche ore. Alla ragazza Vicky raccontò gli orrori cui aveva assistito quella notte. Ras Kullah , disse Sara con una smorfia di disgusto. un degenerato, quello. Aveva con sé le sue vacche da latte? Vicky sulle prime non comprese, poi ricordò le due madonne. I suoi uomini battono le montagne sempre alla ricerca di giovani e graziose madri che allattano. . . ugh! Rabbrividì teatralmente e Vicky si senti rimescolare lo stomaco. Quello, e la sua pipa di hashish. . . e la vista del sangue. un animale. un popolo di animali. Sono nostri nemici fin dai tempi di Salomone. Mi vergogno che oggi siamo costretti a combattere a
fianco a fianco con loro. Quindi cambiò argomento con la solita disinvoltura. Oggi torni giù? Sì , rispose Vicky, e Sara sospirò. Il dottore dice che non posso venire con te. E non potrò ancora per parecchi giorni. Ti verrò a prendere appena sarai guarita. No. No , protestò Sara. più facile farla a cavallo, quella strada. Verrò giù appena potrò. . . ma, fino ad allora, di' a Gregorius che l'amo. Digli che il mio cuore batte con gran furia per lui, e che passeggia eternamente nei miei pensieri. Glielo dirò , assicurò Vicky, intenerita dal sentimento quanto dalla scelta delle parole. In quella, un giovane alto, in camice bianco, con la faccia nera d'un faraone e grossi occhi scuri, venne a provar la febbre a Sara, chinandosi con solerzia sopra di lei e mormorandole tenere parole in amarico mentre le sentiva il polso con la mano lunga e affusolata. Sara si trasformò immediatamente in una languida civetta, dagli sguardi assassini e la boccuccia sofferente. Ma, appena l'infermiere uscì, tornò se stessa, ridacchiando divertita nell'avvicinare a sé la testa di Vicky per parlarle all'orecchio. Non è bello come il sole? Studia da medico, e presto andrà all'università a Berlino. innamorato di me da stanotte. Appena mi farà un po' meno male la gamba, me lo prendo per amante. E, quando vide lo sguardo stupito di Vicky, continuò in fretta: Ma soltanto per un po' , naturalmente! Quando potrò di nuovo montare a cavallo. torno da Gregorius . Poi arrivò Lij Mikhael, col suo drappello di cavalieri tutti esaltati. Aspettarono fuori, al sole, mentre il principe entrava a salutare la figlia. Il suo umore malinconico parve rischiararsi un attimo quando abbracciò Sara e vide che era sulla via della guarigione. Poi disse alle due donne: Ieri a mezzogiorno, l'esercito italiano. comandato dal generale De Bono ha attraversato in forze il fiume Mareò iniziando l'attacco ad Adua e ad Amba Aradam. Il lupo è entrato nell'ovile. Ci sono già stati dei combattimenti e gli aerei italiani bombardano le città. Siamo in guerra . Non mi sorprende , disse Sara. ~'unica sorpresa è che ci abbiano messo tanto tempo. Signorina Camberwell lei deve tornare il più presto possibile da mio padre all'imbocco della gola, e avvertirlo di prepararsi a fronteggiare un attacco nemico. Tirò fuori un orologio da tasca d oro e lo consultò. Tra pochi minuti, atterrerà un aereo per condurmi dall'imperatore. Le sarei obbligato se mi accompagnasse al campo d'aviazione, signorina Camberwell. Vicky annuì, e il principe proseguì. Gli uomini di ras Kullah sono convenuti qui. Ha accettato di mandare centocinquanta cavalieri a dar man forte a mio padre: seguiranno lei. . . Non riuscì a continuare perché Sara lo interruppe con calore. La signorina Camberwell non deve essere lasciata sola con le iene di Kullah. gente che sgozzerebbe la propria madre. Il Lij sorrise e alzò la mano: La mia guardia del corpo la scorterà con l'ordine di proteggerla da qualunque aggressore . Non mi piace lo stesso , berciò Sara, prendendo la mano di Vicky. Andrà tutto bene, Sara. Vicky si chinò a baciare la ragazza, che per un attimo si aggrappò a lei. a Verrò prestissimo , le sussurrò Sara. Non far niente finché non ci sono anch'io. In fin dei conti, ho pensato che forse è meglio Gareth. Vicky ridacchiò. Mi stai facendo confondere. Sì per questo che voglio esserci anch'io: per consigliar ti per il meglio , disse Sara. Lij Mikhael'e Vicky, seduti l'uno accanto all'altra all'ombra di miss Dondola, guardavano, riparandosi gli occhi con la mano a visiera, l'aereo comparso fra le montagne di Sardi. Come pilota, Vicky era in grado di valutare la difficoltà dello scalo Sardi era incastonata in una conca profonda, fra pareti di roccia verticali che creavano pericolose turbolenze. Il sole aveva già spazzato via il freddo della notte, rendendo I aria di alta montagna ancora
più sottile e traditrice. Vicky riconobbe immediatamente il tipo d'aereo. Aveva preso il brevetto di pilotaggio proprio su un modello come quello. Era un Puss Moth, un piccolo monoplano ad ala alta propulso dal versatile motore De Havilland a quattro cilindri. Poteva portare il pilota e due passeggeri in una cabinetta da triciclo, col pilota più in alto, in un vano separato fra le ali. Vedere quel familiare velivolo le ricordò, con una breve ma dolorosa fitta di nostalgia, i tempi felici e dorati prima del tragico venerdì nero dell'ottobre 1929. Giorni idillici in cui era l'unica figlia di un uomo ricchissimo, adorata e viziata, e ricoperta di doni costosi quali automobili, motoscafi e aeroplani, appunto. Tutto ciò era stato spazzato via in una sola giornata, quella del grande crollo di Wall Strect. Tutto era finito in un lampo. Anche quella figura semidivina che era stato padre, ucciso dalla sua stessa mano suicida. Provò un'altra volta l'orrore quel senso di terribile perdita, e poi si sforzò di concentrarsi soltanto sull'aereo impegnato nella difficile manovra di avvicinamento. Il pilota entrò nella conca dal valico occidentale, fra le montagne. Poi virò e picchiò verso l'unico spiazzo di terreno che, nella conca, era privo di rocce, alberi e crepacci. Esso era adibito a deposito, terreno di gimeana e campo da polo all'occorrenza: al presente l'erba alta fino alla caviglia stava nutrendo un gregge di cinquanta capre. I cavalieri di ras Kullah le scacciarono dal campo al galoppo e, appena il Puss Moth toccò terra, cominciarono a galoppargli accanto alle ali, sparando in aria, gareggiando fra di loro ed esibendosi in acrobatici esercizi d'equitazione. Il pilota portò l'aereo accanto all'autoblindo e aprì la carlinga. Comparve un tipo massiccio e ricciuto, un uomo bianco dall'indefinibile accento coloniale, forse australiano, forse neozelandese o sudafricano. lei Lij Mikhael? gridò sovrastando il rombo del motore. Il principe strinse brevemente la mano a Vicky prima di saltar giù dalla fiancata dov'erano seduti. Con lo sciamma svolazzante al vento dell'elica corse all'aeroplano e si arrampicò nella stretta cabina. Il pilota, frattanto, guardava Vicky con vivo interesse dal finestrino laterale. Quando incontrò lo sguardo della ragazza fece schioccar le labbra e uni pollice e indice della mano destra nel segno universale d'approvazione. Il suo sorriso eracosì sincero e aperto che Vicky dovette ricambiarglielo. C'è posto per un altro passeggero! gridò il pilota, e la ragazza: Magari la prossima volta! Sarà un piacere, signora. Diede gas e decollò dalla pista erbosa e non troppo pianeggiante. Vicky rimase a guardare l'apparecchio che arrancava per guadagnare la quota dell'altopiano. Quando il ronzio del motore scomparve, un sentimento di terribile solitudine s'impadronì di lei, e cominciò a guardarsi intorno preoccupata. Un'orda di cavalieri neri come il carbone circondava l'autoblindo. Si rese conto a un tratto che nessuno di loro parlava la sua lingua e, oltre che dalla solitudine, si sentì attanagliare il basso ventre da una gelida morsa di paura. Bramò quasi con disperazione un qualunque contatto col mondo che conosceva, al posto di quei cavalieri selvaggi, abitatori dell'aspra, esotica montagna. Per un attimo pensò di andare all'ufficio telegrafico a sollecitare una risposta al proprio dispaccio, ma scartò subito l'idea. Non era assolutamente pensabile che il suo editore avesse già ricevuto l'articolo, per non parlare di una sua eventuale risposta. Si guardò intorno e individuò il manipolo delle guardie di Lij Mikhael, che però le parvero pochissimo diverse dalla massa dei galla, che del resto le soverchiavano. C'era poco da stare allegre dunque. Schizzò ratta nel corazzato vano del guidatore e inserì la prima. Sobbalzando sul terreno ineguale trovò la pista che portava, seguendo
il corso del fiume, all'imbocco della gola, dove sorgeva quella specie di portale roccioso che aveva notato all'andata. Era perfettamente consapevole della lunga colonna disordinata di uomini a cavallo che la seguivano da vicino ma già col pensiero era volata ai piedi delle montagne, all'altro capo della gola, dove si sarebbe finalmente riunita a Jake e Gareth. All'improvviso i due erano diventati le persone più importanti della sua vita: bramava rivederli, ciascuno ed entrambi, con un'intensità che si mostrava nelle nocche livide che stringevano il volante. La discesa della gola fu un'esperienza anche più terrorizzante della salita. Le rampe più ripide si aprivano davanti a Vicky come paurose chine da otto volante, e, una volta che il pesante automezzo le aveva imboccate, aveva un bel frenare, esso scendeva scodinzolando e sbandando per conto suo, quasi insensibile allo sterzo. Poco dopo mezzogiorno, Vicky aveva percorso più di metà della gola. Le venne in mente che il tratto finale era il più ripido, veramente terrorizzante, sempre sul ciglio del precipizio in fondo al quale, centinaia di metri più in basso, tumultuava incassato fra le rocce, il fiume. Aveva già i crampi alle braccia e alla schiena, per il continuo sforzo di controllare il mezzo: era madida di sudore coi capelli incollati alla fronte e alle tempie. Li allontanò dagli occhi con l'avambraccio e affrontò la discesa, frenando con decisione non appena l'autoblindo si affacciò sulla pendenza di trenta gradi. Le grandi ruote di gomma piena smossero terra e ciottoli che cominciarono a franare rimbalzando davanti al veicolo. A metà della rampa Vicky si accorse con terrore che lo sterzo non rispondeva più. L'autoblindo slittava, con la tendenza a mettersi di traverso. Le ruote posteriori si avvicinavano sempre più al ciglio del baratro. Avvertì un ondeggiamento quando la ruota posteriore esterna si sporse sull'abisso di duecento metri, e per istinto seppe che in quell'attimo l'autoblindo era sul punto di precipitare Ancora un centesimo di secondo e non avrebbe più potuto re cuperare. Agl senza riflettere. Lasciò andare il freno, girò il volante allineando le ruote anteriori alle posteriori e premé a fondo l'acceleratore. Mentre una ruota motrice annaspava nel vuoto l'altra trasmise al suolo, stridendo, tutta la potenza del motore. La greve carcassa d'acciaio balzò in avanti come una gazzella spaventata, allontanandosi dal burrone. Cozzò contro la parete rocciosa sparando scintille e per miracolo ne rimbalzò in linea di marcia. In fondo a quella discesa la strada pianeggiava. Vicky fece una gran frenata e si tirò fuori dall'abitacolo del guidatore. Si accorse che stava tremando irrefrenabilmente, e che doveva trovare per forza un posticino appartato fuori della strada, perché per reazione stava per vomitare e anche il controllo delle altre funzioni corporee era scosso dal mortale pericolo che aveva appena corso. Si era lasciata molto indietro i cavalieri, e sentiva appena le voci e il clamore degli zoccoli sulla strada pietrosa. Si arrampicò sulle pendici della gola fino a un boschetto di cedri nani dove poteva isolarsi. C'era una sorgente di acqua pura fra i cedri e, quando il suo corpo si fu purgato e Vicky tornò a controllarsi, si inginocchiò alla pozza e si lavò il viso e il collo. Usando poi la superficie dell'acqua come specchio, si pettinò e rimise in ordine gli abiti. Per reazione allo spavento, adesso era leggermente cuforica e distaccata dalla realtà. Uscì dal boschetto di cedri e discese nuovamente sulla strada, dove aveva lasciato l'autoblindo. I cavalieri galla erano arrivati e ora affollavano la zona per mezzo chilometro, fittissimi intorno all'automezzo. I più vicini erano smontati da cavallo. Quando cercò di farsi largo fino alla macchina, non si spostarono quasi, costringendola a strofinarsi contro di loro. Con un brivido di paura si rese conto che la
guardia del corpo di Lij Mikhael non era più lì. Si fermò e cominciò a guardarsi attorno, incerta, in cerca dei cavalieri che dovevano proteggerla. Frattanto un silenzio teso si era diffuso fra i galla, e tese, vide, erano anche le loro facce. I lineamenti dei guerrieri, nobili e fieri, col naso a becco rivolto verso di lei con l'impazienza rapace del falco in caccia, tradivano la stessa vivace emozione di quando avevano assistito alla sanguinaria performance della vecchiaccia della sera prima. Gli harari, dov'erano gli harari? Si guardò intorno sgo menta, ormai, ma non riuscì a vedere nemmeno un viso noto. Poi, nel silenzio, udì il risuonare lontano di zoccoli al galoppo molto più a valle, e comprese senza ombra di dubbio che la scorta l'aveva abbandonata: gli harari erano stati messi in fuga dalle minacce dei galla, loro tradizionali nemici, tanto più numerosi in quel momento. Era sola, dunque, e si voltò per tornare indietro, ma i guerrieri si erano stretti intorno a lei tagliandole la ritirata. Cominciarono addirittura a incalzarla, tutti con la stessa espressione minacciosa in viso. Doveva procedere, non c'era modo di tornare indietro. Si costrinse a camminare con calma verso l'autoblindo. A ogni passo un'alta figura drappeggiata le si parava davanti bloccandole il passo. Sapeva bene che non doveva mostrare nessuna paura; il minimo segno di debolezza da parte sua li avreò be scatenati. Con gli occhi della mente vide il proprio corpopallido e nudo spa}ancato sul terreno roccioso a far da balocco per mille guerrieri. Scacciò l'immagine con decisione e proseguì lentamente. All'ultimo momento i guerrieri si scostavano, ma ce n'era sempre un successivo, e si infittivano sempre più intorno a lei. Poteva quasi toccare il loro desiderio impaziente, poteva quasi fiutarlo nei vapori spessi di quei corpi ammassati. Lo leggeva anche sui vòlti, la guardavano con eccitazione sempre maggiore, sogghignando fra lampi di denti candidi e ansiti rochi e occhi che penetravano nella sua carne come rampini. Ed ecco che non poté più proseguire: una figura più alta e imponente delle altre le bloccò il passo. Era un uomo che aveva notato anche prima, un Gerazmach, vale a dire un alto ufficiale nella gerarchia militare dei galla. Indossava uno sciamma di seta blu-scuro drappeggiato intorno al collo, che gli arrivava alle ginocchia. I capelli crespi gli formavano un ampio alone intorno alla faccia magra dall'espressione crudele. Aveva una cicatrice dall'angolo dell'occhio alla punta del mento. Le disse qualcosa con voce alterata dalla foia, ed ella naturalmente non capì le parole, ma il significato era chiaro. La folla intorno a lei ondeggiò e si chiuse; ormai li sentiva respirare. Molto vicino un uomo si mise a ridere. C'era qualcosa di orribile in quella risata che la colpì come un pugno. Aveva voglia di urlare, di voltarsi e mettersi a graffiare per liberarsi, ma sapeva che era proprio quello che stavano aspettando. C'era bisogno soltanto di una provocazione così perché le si gettassero addosso. Raccolse tutta la fermezza che le rimaneva e la mise nella voce. Fuori dai piedi , scandì. L'uomo che le si parava davanti sorrise. Fu una delle cose più spaventose che avesse mai visto . Sempre sorridendo, il guerriero galla portò la mano ai genitali e scostò lo sciamma con un gesto talmente osceno che Vicky fece un passo indietro, mentre il sangue le affluiva, bruciante, alla gola e alle guance. Non c'era più alcun controllo nella sua voce quando gli ringhiò Ah porco, porco schifoso! e l'uomo fece un passo verso di lei, sempre con lo sciamma aperto. Quando ella arretrò, si trovò contro gli altri, che la spinsero avanti di nuovo. Risuonò quindi un'altra voce. Le parole erano banalissime, ma il tono aveva il sibilo di una scimitarra mulinante. Bene,
ragazzi, adesso basta con le sciocchezze. Vicky sentì allentarsi la pressione dei corpi attorno a lei, e si voltò con un singhiozzo verso la voce amica. Gareth Swales avanzava quasi con indolenza nel corridoio che si era aperto fra la massa di corpi avviluppati in sciamma. La sua andatura pareva distratta: la camicia bianca aperta sul collo circondato dal foulard era immacolata come sempre, ma Vicky non gli aveva mai visto l'espressione che ora egli aveva in volto. La pelle intorno alle narici era bianca come ghiaccio e i suoi occhi ardevano di furia controllata. Stava per gettarsi fra le sue braccia piangendo di sollievo, ma la sua voce echeggiò nuovamente. Ferma ll. Non siamo ancora fuori , e la ragazza si trattenne, alzò il mento e soffocò il singhiozzo successivo. Brava ragazza , disse Gareth senza distogliere gli occhi dal galla alto con la tunica blu, continuando a dirigersi decisamente verso di lui, prendendo Vicky per il braccio una volta che l'ebbe raggiunta. Ella sentì la forza delle sue dita attraverso la tela sottile della propria camicetta, e le parve che si riversasse dentro di lei, ricaricando le sue scorte esaurite e conferendo nuova fermezza alle sue ginocchia che ormai erano diventate di gelatina. Il galla era un capo e non si scostò quando Gareth lo rag giunse. P. r un tempo forse inferiore a cinque secondi, ma che parve a Vicky un'eternità, i due uomini si squadrarono in un duello di volontà. Occhi azzurri fiammeggianti contro braci di carbone. . . e all'improvviso il galla cedette, distolse lo sguardo a lato, alzò le spalle, ridacchiò, e si voltò a parlare ad altissima voce con l'uomo che gli stava di fianco. Senza fretta Gareth passò per il pertugio lasciato dal guerriero e si trovarono alla macchina. Sei in grado di guidare? chiese tranquillo Gareth aiutandola a salire al posto di guida. La ragazza annuì. Il motore è spento , imprecò Vicky. Non era assolutamente il caso di mettersi a girar la manovella. Meno male che siamo in discesa , disse Gareth, voltandosi a fronteggiare i galla, che si infittivano attorno a lui, col suo sguardo che non si abbassava mai. Prendi l'abbrivo e falla partire al volo. Mentre Vicky si sistemava al volante, Gareth si mise in bocca un sigaro e accese il fiammifero con l'unghia del pollice. Quel minimo atto distrasse per un istante il branco ostile. Lo guardarono accendere il sigaro e tirare una sbuffata di fumo verso di loro. Dietro di lui, l'autoblindo prese a muoversi pian piano. Col sigaro tra i denti Gareth ci saltò sopra agilmente, con un ironico gesto di saluto ai cavalieri galla, mentre il veicolo in discesa prendeva velocità. Nessuno dei due parlò per i cinque chilometri successivi, coperti con una certa fretta. Poi, senza togliere gli occhi dalla strada, Vicky disse a Gareth dietro di lei sulla torretta: Non hai neanche avuto paura. . . Me la facevo addosso, credimi, letteralmente addosso. E pensare che ti ho dato del codardo. Avevi proprio ragione! Come hai fatto ad arrivare così in fretta? Ero venuto su a cercare le migliori posizioni per attestarsi a difesa contro i Macaroni. Ho visto la tua fedele guardia del corpo che se la squagliava e sono venuto a dare un'occhiata. La strada, davanti a Vicky, si dissolse in una nebbia di lacrime, e la ragazza dovette dare una gran frenata. Dopo di che, senza nemmeno saper come, si ritrovò fra le braccia di Gareth, stringendosi a lui con tutta la sua forza, fra i singhiozzi. Oh Dio, Gareth, non so proprio come ringraziarti per quel che hai fatto per me! Sta' tranquilla, troveremo il modo , le mormorò stringendola in un esperto abbraccio, carezzevole e magnificamente sicuro. Vicky sentì allora che non voleva uscir mai più da quell'abbraccio. Alzò le labbra a incontrare quelle di lui e con un certo stupore gli vide in volto un'espressione di tenerezza che non si sarebbe mai
aspettata. Le sue labbra furono un'altra sorpresa. Erano tiepide, morbide e sapevano di uomo, e dell'amaro e aromatico fumo dei suoi sigari; ne si era mai accorta che fosse così alto, che il suo corpo fosse così sodo, le sue mani così forti. L'ultimo singhiozzo la scosse tutta, dopo di che però prese a sospirare voluttuosamente sperimentando fra dolci brividini la più intensa sensazione di risveglio fisico che avesse mai provato in vita sua. Per un momento, la giornalista in lei tentò di analizzare la sorgente di quell'improvvisa passione. Seppe quindi che era il prodotto degli orrori della notte precedente, della fatica e degli ultimi terrori. Ma ben presto non si chiese più niente e lasciò che la passione si diffondesse in tutto il suo corpo. L'accampamento delle truppe del ras ai piedi della Gola di Sardi si estendeva per otto chilometri nella foresta d'acacie, vasto agglomerato di cose viventi che ronzava tutto di vita, come un alveare a mezzogiorno. Già era inquinato di fumo azzurro e della miriade di odori umani e animali dell'ingestione e della deiezione. Il luogo scelto da Gareth e Jake per accamparsi era un po' discosto dal corpo principale dell'accampamento, dove il bosco di acacie era più fitto e ombroso, sotto un'alta cascata fra le rocce in cui il fiume Sardi, con un ultimo salto, guadagnava la pianura. Sotto la cascata c'era una pozza scura e turbinosa, dove Vicky si lavò via dal corpo e dalla mente tutto lo schifo della giornata. Era ormai quasi scuro quando tornò al campo coi capelli bagnati avvolti in un asciugamano, e la borsa da toeletta in mano. Gareth era seduto su un ceppo accanto al fuoco da campo che ardeva. Stava guardando cuocere le bistecche di un bue appena macellato sulla griglia alimentata dalla carbonella. Le fece un po' di posto sul ceppo e le offrì un whisky con ac qua tiepida nella gamella, che la ragazza accettò con gratitudine e che le sembrò quanto di meglio avesse mai bevuto. Sedettero insieme, in silenzio, sfiorandosi pur senza toccarsi, assistendo al rapido calar della notte africana. Erano soli e le voci lontane che provenivano dal grosso del campo più in basso non facevano che enfatizzare questa loro solitudineJake, il vecchio ras e Gregorius avevano preso due delle autoblindo e, assieme a una pattuglia cammellata, erano andati in ricognizione verso i Pozzi di Cialdi. Nello stesso tempo Jake si riproponeva di addestrare i due nuovi mitraglieri all'uso delle mitragliatrici Vickers. Gareth, quale esperto militare, era stato lasciato a guardia della gola col compito di studiare il terreno migliore per un nuovo fronte nel caso che gli italiani li costringessero a ritirarsi a una quota più alta. Questo appunto stava facendo, quando si era imbattuto in Vicky e nei cavalieri galla. Ora, seduta accanto al fuoco, sotto un cielo che a un tratto era diventato nerissimo anche grazie alle montagne incombenti che oscuravano gran parte delle stelle, Vicky provò un sentimento di totale abbandono, una specie di kismet arabo dello spirito, come se il destino le avesse ormai riservato una parte ben precisa che sarebbe stato troppo faticoso rifiutare. Erano soli, e così doveva essere. Quel profondo senso di risveglio fisico e di completo abbandono che aveva provato prima, subito dopo la fuga dalla minacciosa orda dei galla, permaneva in lei: ancora le riempiva il corpo e la coscienza d'un lucore etereo. Mangiò un po' di carne alla griglia senza nemmeno sentirne il sapore, senza guardare l'uomo che aveva accanto, ma rimirando l'adamantino barbaglio delle stelle fra le cime nere, oniricamente, e tuttavia ben consapevole della sua presenza elettrica presso di lei. . . della sua vicinanza, così prossima che, benché non si toccassero, ella avvertiva il calore emanato dal corpo di lui sul braccio, come una carezza del vento del deserto. Sentiva i suoi occhi che la guardavano tranquillamente. Il suo sguardo era così intenso che alla fine
dovette renderglielo: voltò la testa, incontrò i suoi occhi e li stette a guardare. Le braci rischiaravano i tratti lisci e regolari del suo viso di un chiarore purpureo, che incoronava di un barbaglio lucente l'oro rosso dei suoi capelli. In quel momento ella si convinse che Gareth era l'uomo più bello che avesse mai visto e dovette sforzarsi per distogliere gli occhi da lui. Alzandosi e andandosene, sentì il cuore martellarle in petto, come un animale selvaggio che cercasse di fuggire dalla gabbia, e il rombo del sangue nelle orecchie. L'interno della sua tenda era fiocamente illuminato dalla luce del fuoco proveniente da fuori. Non accese dunque la lampada, ma si svestì lentamente nella semioscurità, lasciando cadere i vestiti in disordine sullo sgabello pieghevole accanto all'ingresso. Quindi si coricò sulla stretta brandina. La rozza coperta di lana le pungeva la pelle nuda della schiena e delle natiche Ormai ogni respiro era uno sforzo; giacque tutta rigida, COl pugni serrati lungo i fianchi - quasi impaurita, quasi esultante - con la testa posata sul cuscino e fissò il proprio corpo, essendone consapevole come mai prima d'allora, contemplando con un senso di stupore come ogni respiro cambiava la forma del suo grosso seno tondo, e come i cal'ezzoli lentamente si indurivano e sporgevano in fuori, sempre più scuri, finché furono così gonfi e duri che le facevano male in una maniera squisita. Sentì i passi che si avvicinavano alla tenda, e le mancò il respiro. Con una certa sorpresa pensò che sarebbe anche potuta morire soffocata. Poi sentì sbatter la tela e la tenda si aprì. Lui entrò e restò fermo un attimo, mentre la falda tornava a chiudersi alle sue spalle. Istintivamente ella si coprì. Un braccio sul seno, una mano a riparare con dita protettive la collina di fine peluria alla base del ventre. Egli restò in silenzio, stagliandosi contro il riflesso del fuoco sulla tela, ed ella ricominciò a respirare~ ansimando. Pareva che volesse restare fermo là per sempre, in silenzio, a guardarla: ed ella sentì che, sotto quello scrutinio lento e minuzioso, le si accapponava la pelle. Quindi lui sbottonò la camicia e la lasciò cadere a terra. Il riflesso del fuoco danzava sulle sue braccia dalla bella muscolatura, conferendo a esse un alone d'oro rossastro, come di marmo bagnato, mentre si muovevano. Alla fine si avvicinò alla branda e restò in piedi a guardarla. Ella stupì che un corpo d'uomo potesse essere così snello e flessuoso, avere una linea cosi armoniosa e proporzionata: poi rammentò di aver sostato un giorno con lo stesso stupore davanti alla statua del David di Michelangelo. Allontanò le mani che coprivano il suo corpo e le levò in un gesto supplice, attirandoselo sopra. Durante la notte si svegliò. Il fuoco si era spento fuori della tenda, ma si era levata una gran luna bianca da dietro le montagne e ora splendeva sopra di loro, attraverso la tenda, illuminandoli di una luce argentea. Quella strana luce bianca spogliava il volto di Gareth di tutto il suo colore. Era pallido, ora, come una statua o un cadavere. Vicky provò un'improvviso senso di repulsione. In fondo alla sua mente gravava un piccolo, inerte peso. Quando l'ebbe esaminato dappresso scoprì che era un senso di colpa. . . e provò un empito di fredda rabbia contro quella società che l'aveva gravata di un simile fardello. Una società che le impediva di godersi un uomo, di usare il SllO corpo secondo natura senza quelle ripercussioni emozionali. Si alzò appoggiandosi sul gomito, attenta a non disturbare l'uomo accanto a lei, e studiò il suo volto, soppesando questo suo nuovo senso di colpa ed esaminando i suoi sentimenti per lui. Pian piano si accorse che si trattava di due emozioni inestricabilmente connesse. Non c'era alcuna vera profondità nei suoi sentimenti per Gareth Swales, era stata semplicemente trascinata dall'insidiosa
marea della stanchezza e della reazione alla paura e all'orrore. Il senso di colpa che provava proveniva proprio da questa mancanza di sostanza, e all'improvviso si sentì confusa e triste. Tornò a coricarsi accanto al lungo e bel COipO di lui, ma scostandosi ora leggermente per non toccarlo più. Sapeva che dopo l'amore tutti gli animali sono tristi, ma pensava che nel suo caso c'era qualcosa di più. A un tratto, senza davvero saper perché, le venne in mente Jake Barton. . . e la fredda profondità della sua tristezza aumentò. Penò a riaddormentarsi, ma in compenso dormì fino a tardi. Al risveglio il sole era già alto e fuori della tenda si udivano motori e voci. Si alzò a sedere in fretta, ancora mezzo addormentata, coprendosi il seno con la coperta di lana greggia. Gettò un'occhiata di fianco e scoprì di essere rimasta sola sulla branda. Tutto ciò che restava di quella notte era il tepore e il segno del corpo di Gareth sulla coperta accanto a lei, e quel sentimento profondo e doloroso dentro di lei, dove egli era stato. Quando Vicky, che si era vestita in fretta e furia, uscì dalla tenda spazzolandosi i capelli nel sole, fece in tempo ad assistere all'arrivo di una mesta processione. In testa c'era Priscilla la Troia, l'autoblindo di Jake, non più candida e insignita della Croce Rossa sulla fiancata. Era stata riverniciata in color sabbia, con macchie marroncine color terra per mimetizzarla camuffando la forma spigolosa su cui spiccava il netto rilievo della torretta. Da essa ora sporgeva la bellicosa protuberanza della mitragliatrice Vickers. Sopra la torretta, poi, garriva il tricolore verde, giallo e rosso dell'Etiopia, in compagnia del leone dorato in campo azzurro del casato del ras. Tutto era ricoperto da uno spesso strato di polvere rossastra. Subito dietro a Priscilla, rimorchiata per mezzo di un robusto cavo, veniva Tenastelin - l'autoblindo di Gregorius - similmente agghindata, armata e mimetizzata. Nonostante tutto però la macchina aveva un'aria desolata, ignobilmente rimorchiata com'era: o contribuiva parecchio alla desolazione lo stridente rumor di ferraglia che si sprigionava dal motore. Il bestiale concerto fece schizzar fuori seminudo dalla tenda Gareth Swales, che rivolse una rabbiosa domanda a Take, la cui testa sporgeva dal vano del guidatore di Priscilla. Cosa diavolo è successo? Il volto di Jake era rosso di collera e sdegno. Tutta colpa di quel vecchio. . . e, in mancanza di vocaboli ammissibili, indicò col pollice il ras che sedeva, tutto orgoglioso, sulla torretta dell'autoblindo sinistrata, senza mostrare il minimo rimorso, anzi rivolgendo a Gareth un radioso sorriso sdentato. Non contento di aver sprecato un migliaio di colpi di mitragliatrice, ha preso il posto di Gregorius al volante cacciandolo a calci e ci ha fatto vedere come si corre a Indianapolis. Oh mio Dio! esclamò Gareth. Come va la vita? gridò allegramente il ras, che aveva intuito che stavano parlando bene di lui. Ma perché non l'hai fermato? domandò Gareth a Jake. Fermarlo? Hai mai provato a fermare un rinoceronte che carica? Gli son corso dietro quasi fino al mare prima di beccarlo. . . Cosa ha scassato? Ha distrutto il cambio e la frizione, e forse anche l'asse dello sterzo, non ho ancora avuto il coraggio di guardare. Jake uscì stancamente dal vano del guidatore, in una cascatella di polvere rossa. Ce l'aveva nella barba, nei capelli e sui vestiti. Tirò su gli occhialoni e lo spazio protetto attorno ai suoi occhi apparve pallido e come nudo, conferendogli un'espressione attonita. Cominciò a vibrarsi delle gran pacche addosso per toglier la polvere dai vestiti, sempre berciando contro il ras che continuava a ridere tutto contento. Il vecchio bastardo è felice come un porcello nel brago. Guardalo in faccia! Altro che ricognizione in forze, è stato un numero da baraccone. In quel momento per la prima volta Jake notò
Vicky, e tutto il cattivo umore gli passò, sostituito da un'espressione di tale felicità che la ragazza si sentì tornare addosso il senso di colpa così in fretta~ e così profondamente, che provò addirittura una fitta di gelo alla bocca dello stomaco. Vicky! gridò Jake. Dio, com'ero in pensiero per te! Vicky riuscì a calmare il proprio senso di colpa occupandosi del pranzo, con bello show di domesticità. Servì agli uomini una grigliata mista con le ultime patate che si erano portati dietro da Dar-es-Salam, e una bella padellata di uova fritte delle galline locali, grosse come uova di piccione. Il tavolo da campo fu apparecchiato fuori, sotto le acacie, nella fresca luce del mattino. Mentre Vicky lavorava accanto al fuoco, Jake illustrava i risultati della ricognizione. Quando il ras si è stancato di sparare con la Vickers a tutte le rocce e le piante che incontravamo, poco prima, cioé, di terminare le munizioni, abbiamo potuto piegare a nord, tenendo bassa la velocità per non alzar polvere. Abbiamo trovato un bel posto per controllare la strada da Massaua ai Pozzi di Cialdi. C'era un po' di traffico, in genere trasporti con scorta motorizzata ma non abbiamo potuto restare molto, perché il ras, che Dio benedica la sua animuccia gentile, voleva assolutamente continuare a far pratica di tiro contro di loro. Abbiamo avuto un bel da fare per calmarlo. Siamo stati costretti a ritirarci, avvicinandoci di nuovo ai pozzi da ovest. Jake si interruppe per bere una sorsata di caffé e Gareth si rivolse a Vicky che trafficava, piegata sulle gambe e rosa in viso, davanti al fuoco. A che punto è la colazione, mia cara? chiese. Non le parole, né l'appellativo~ ma piuttosto il tono da padrone fece sì che Jake guardasse Vicky con espressione allarmata. Il tono di Gareth era quello che un uomo adopera con la propria donna. Per un secondo Vicky restituì lo sguardo a Jake poi riprese a badare alla colazione, e Jake affondò lo sguardo pensoso nella gamella di caffé fumante che aveva in mano. A che distanza siete riusciti ad avvicinarvi? chiese Gareth, a proprlo agio. Aveva notato lo scambio di sguardi fra Vicky e Jake, ed era rilassato e soddisfatto. Si allungò sulla sedia a sdraio, con il sigaro in mano. Abbiamo lasciato le macchine nascoste fra il terreno accidentato, e ho proseguito a pledi. Non volevo portare il ras tropl'o vicino. Ho potuto studiare la posizione dei Macaroni per un paio d'ore. Si sono attestati molto bene a difesa, con le mitragliatrici in posizioni astute lungo tutta la cresta. Sarebbe una pazzia attaccarli li Meglio aspettare che mettano il naso fuori. Vicky portò la roba da mangiare agli uomini e, quando si chinò a servire Gareth, egli le impartì una disinvolta carezza sul braccio. Vicky si ritrasse in fretta e andò a prendere la padella di uova fritte. Jake aveva notato il gesto, pure la sua voce rimase invariata e tranquilla nel proseguire il rapporto: Volevo aggirarli per valutare le possibilità di un attacco alle spalle, ma proprio in quella il ras si è stufato e ci ha dato una dimostrazione di guida infernale. Dio, che fame che ho . Jake si riempì la bocca di cibo, e poi chiese a bocca piena: E tu che hai combinato ieri, Gary? Su per la gola ci sono ottimi terreni difensivi. Ho già indicato al Genio Badilanti dove scavare le trincee sulle pendici della valle, e sono già al lavoro. Se vengono i Macaroni dovranno sudar sangue per passare. Be', intanto gli esploratori li tengono d'occhio. Gregorius ha affidato il compito a cento dei suoi, scelti fra i migliori. Appena cominceranno muoversi dai pozzi verremo a saperlo, ma quello che vorrei sapere io è quando lo faranno. Abbiamo bisogno di tempo per prepararci, decidere le tattiche da usare, addestrare i guerrieri harari al combattimento con armi moderne. . . Vicky venne a sedersi a tavola. Non c'è tempo , disse. Neanche un po' . Cosa
intendi dire? chiese Jake alzando gli occhi a guar darla. Ieri a mezzogiorno gli italiani hanno attraversato il fiume Mareò in forze. Hanno già cominciato a bombardare le città e le strade. la guerra. Jake fischiò. Ci siamo! esclamò, poi si rivolse a Gareth: Meglio che glielo dici tu al ras. Sei l'unico in grado di tenerlo buono . La tua fiducia mi commuove , mormorò Gareth. Sai, ho una mezza idea di quale sarà la reazione del ras Vorrà cominciare subito a menar le mani. Insisterà per far spazzar via subito dagli italiani tutta la sua tribù. Ti toccherà calmarlo un po' . E come mi suggerisci di farlo? Con un'iniezione di morfina o un colpo in testa? Fagli fare una partita a ramino , insinuò Jake maliziosamente. Si infilò in bocca le ultime due o tre uova e si alzò da tavola masticando ancora. Ottimo pranzo, Vicky, ma cre do che sarà meglio andare a dare un'occhiata ai danni che ilras ha fatto a Tenastelin, per vedere se è possibile rimetterla in marcia e farle sparare almeno qualche colpo ai Macaroni. Per due ore Jake lavorò su Tenastelin da solo, legando la borsa degli attrezzi a un grosso ramo di acacia e aprendo il rotolo in modo da farlo pendere a portata di mano. A una decina di metri di distanza Vicky sedeva a un tavolino di fronte alla propria tenda a scrivere l'articolo sulla portatile. Entrambi erano molto consapevoli della presenza dell'altro, ma facevano finta di niente, con la testa china sul lavoro. Alla fine Jake riuscì a estrarre la scatola del cambio e l'appese al ramo di acacia. Poi si pulì le mani sporche di morchia con una pezza imbevuta di benzina. Pausa caffé , disse avvicinandosi al fuoco. Versò due tazze del nero liquido fumante e le portò al tavolino di Vicky. Come va? chiese, lanciando uno sguardo al foglio infilato nel carrello della macchina per scrivere. Roba da premio Puliizer? Vicky rise, accettando il caffé. Il premio non va mai al migliore. Me ne sono accorto anch'io , disse Jake, sedendosi di fronte a lei. La ragazza ebbe un moto di fastidio. Jake era uno che andava al sodo in fretta. Che tu sia dannato, Jake Barton! Non ti devo nessuna spiegazione. Né a te né a nessun altro , disse freddamente. Giusto , concordò lui. Molto giusto. Sei una ragazza grande. Ma ricordati che stai giocando con dei ragazzi grandi, e c'è qualcuno che gioca molto duro. Qual è l'accusa, signor pubblico ministero? sfotté Vicky guardandolo dritto negli occhi. In quella vide il suo sguardo, e tutta la rabbia le sbollì. Non ho voglia di litigare con te, Vicky , disse egli piano. l'ultima cosa al mondo che ho voglia di fare. Inghiottì l'ultimo sorso di caffé. Bene , concluse, torniamo al lavoro. Ti dai per vinto in fretta, ch? Vicky non si accorse di quel che aveva detto finché le parole non furono tutte pronunciate. Allora desiderò ritirarle, ma ciò non è dato. Jake le rivolse uno sguardo di sbieco, con quel suo sorriso fanciullesco. Darmi per vinto? Si mise a ridere forte. Madonna, voi mi fate torto. . . è una grave ingiustizia. . . Si avvicinò pian piano al posto dove Vicky éra seduta e rimase in piedi accanto a lei. Ogni eco dello scherzo di prima era svanito dalla sua voce e dal suo sguardo quando parlò, rauco: Come sei bella. . . Jake. Lo guardò negli occhi. Vorrei poterti spiegare. . . ma io stessa non mi capisco. Egli le prese la guancia con la mano e si chinò su di lei. No, Jake, per favore non. . . disse la ragazza senza fare il minimo tentativo di evitare le sue labbra, ma, prima che il bacio scoccasse, ecco il suono di zoccoli al galoppo avvicinarsi rapido fra gli alberi. I due si staccarono lentamente, sempre guardandosi negli occhi, e Gregorius Maryam irruppe nel campo in sella a uno sparuto cavallino di montagna. Jake! gridò saltando giù di sella. scoppiata la guerra! Gli italiani hanno attraversato il Mareò. Gareth l'ha appena detto a mio nonno. Ah, il
messaggero tempestivo , disse Vicky a mezza voce, con un lieve sorriso. Sono venuta ad aiutarti ad aggiustare la mia autoblindo Jake. Dobbiamo essere pronti a combattere , gridò Gregorius gettando le redini al servo che lo seguiva. Al lavoro! C'è pochissimo tempo. Mio nonno ha convocato i comandanti a consiglio di guerra a mezzogiorno, e vuole che venga anche. tu. Gregorius girò sui tacchi e si affrettò verso Tenastelin. Per un momento ancora Jake restò vicino a Vicky, poi alzò le spalle rassegnato. Comunque ricordatelo , minacciò scherzosamente. Io non mi do per vinto. Dopo di che seguì Gregorius. Un'ora dopo avevano smontato la scatola del cambio, allineando gli ingranaggi su una pezza di tela pulita. Jake, accucciato sui talloni, si voltò verso Gregorius. Il nonnino l'ha fatta grossa , disse. Gregorius porse solenni scuse. Mio nonno è un gentiluomo molto impetuoso. E quasi mezzogiorno , disse Jake alzandosi. Andiamo a sentire cos'altro ha in serbo per noi, quel gentiluomo impetuoso. L'accampamento del ras era un po' separato dal corpo principale del suo esercito, e ospitava soltanto il suo seguito personale. C'erano almeno due acri di tucul'eretti in fretta e furia con rami, frasche, paglia e bidoni appiattiti a martellate. Per il campo giravano i bambini nudi, col moccio al naso, e le numerosissime donne del ras, assieme a un'infinità di capre, cani rognosi, asmi e cammelli. La tenda del ras sorgeva al centro di questa comunità. Era un vasto tendone, rappezzato così spesso che ben poco del tessuto originale era ancora visibile. All'ingresso stazionava ben fitta la sua guardia del corpo. Oltre la tenda del ras c'era un ampio spiazzo di terreno sabbioso su cui attendevano, accoccolati in lunghissime file, migliaia di guerrieri. Oh mio Dio , esclamò Jake. Ci vanno proprio tutti al consiglio di guerra. è l'usanza , gli spiegò Gregorius. Tutti possono andarci, ma solo i comandanti hanno diritto di patlare. Da una parte dello spiazzo, separati dalle truppe harari, più che da una stretta striscia di terra battuta, da secoli di feroce ostilità, si addensavano i galla, che Vicky indicò a Take. Visto che bel branco? gli sussurrò. Con alleati come quelli a che servono i nemici? Gregorius li accompagnò subito alla tenda del ras, dove le guardie si scostarono per farli passare. L'interno era buio e caldo, odoroso del forte tabacco locale e di cibo speziato. All'estremità più lontana della tenda un pugno di uomini si addensava in silenzio intorno a due fiume, il ras, avvolto in uno sciamma di lana nera, e Gareth Swales in flanella bianca e camicia di seta. Per un attimo Jake pensò che i due uomini al centro del gruppo fossero profondamente impegnati a escogitare le migliori strategie difensive per tenere la Gola di Sardi; poi scorse il mazzo di carte sul dorato tappeto afgano in mezzo a loro. Dio buono, mi ha preso in parola , disse Take. Gareth alzò lo sguardo dalle carte che aveva in mano. Meno male che sei arrivato! Sul suo volto si dipinse un'espressione di evidente sollievo. Ma era meglio se arrivavi un'ora fa. Che ti succede? Il vecchio bastardo bara! disse Gareth con la voce vibrante di offesa Stamattina mi ha vinto quasi duecento sterline. Debbo dire che sono amaramente disgustato e deluso. Questa gente non ha il minimo scrupolo! Alzò gli occhi su Giegorius Senza offesa, naturalmente. Ma bisogna ammettere che è una pugnalata a tradimento. Il ras annuì sogghignando felice, con gli occhi brillanti di trionfo, e fece segno a Jake e Vicky di sedersi vicino a lui, su una montagna di cuscini. Se bara, non giocare più con lui , suggerì Vicky, e Gareth assunse un'espressione sofferente. Tu non capisci, ragazza mia! Non sono ancora riuscito a scoprire come fa. Si vede che ha inventato un metodo nuovo affatto ignoto alla scienza delle bische di tutto il mondo. Sarà un imbroglione, ma è geniale. Non posso che continuare a
giocare finché non avrò capito il suo sistema. L'espressione dolente di Gareth divenne improvvisamente radiosa: E quando ci riuscirò. . . Montecarlo, a me! Scartò un sei di picche. Il ras ci saltò sopra con un mugolio di trionfo e cominciò a sciorinare le carte sul tappeto. Oh mio Dio! gemé Gareth. Ha chiuso di nuovo! Il folto gruppo di cortigiani e consiglieri del ras si mise ad applaudire e a congratularsi col vecchio capo, che accettava i complimenti con gioia, saltellando come un pugile vittorioso. Ridendo e fregandosi le mani, si chinò attraverso il tappeto e con un gran grido di: Come va la vita! tirò un pugno scherzoso al braccio di Gareth, che sobbalzò e prese a massaggiarselo teneramente. Fa così tutte le volte che vince. Ha una delicatezza da fabbro demente, sono tutto nero e blu. Come va la vita! gridò ancora il ras, più forte di prima, e si preparò a tirare un altro pugno a Gareth, che estrasse in fretta la borsa. Il ras si rilassò. -Continua a pestare finché non pago. Gareth contò le monete mentre il ras e il seguito guardavano trattenendo il fiato, concentrati~ per mettersi a ridere solo quando l'ammontare della pila di monete davanti a Gareth raggiunse la somma fissata. Non si fa credito a questo tavolo , spiegò Gareth, spingendo le monete verso il ras. O paghi in contanti, sull'unghia, o ti spezzano un braccio. Questo vecchio bastardo. . . Gareth guardò un'altra volta Gregorius . . . senza offesa, naturalmente Ma questo vecchio bastardo non si fiderebbe nemmeno di sua madre, e probabilmente a ragione. Sono assolutamente terrorizzato! Ne ho conosciuti di cattivi soggetti ai miei tempi, ma questo qua li batte tutti. C'era un profondo rispetto nel tono di Gareth, che si tramutò in un certo allarme quando il ras raccolse le carte e cominciò a mescolarle per fare un'altra mano. Gareth si rivolse a Gregorius. Per favore, spiega al caro nonno che, benché sia disposto a compiacerlo in un'altra futura occasione, ritengo sia meglio che attualmente si concentri, piuttosto, facendo uso di tutta la sua abilità, sul proposito di confondere il comune nemico. Le armate d'Italia lo stanno aspettando. Con riluttanza il ras posò le carte e, con un rapido discorso in amarico, dichiarò aperto il consiglio di guerra, dopo di che si rivolse subito a Jake Barton. Mio nonno vuol sapere lo stato delle sue forze corazzate. rimasto impressionato dalle autoblindo, ed è sicuro che potranno essere usate con grande vantaggio in combattimento. Digli che ha distrutto un quarto del parco automezzi. Ne restano solo tre in grado di marciare. Il ras non mostrò alcun rimorso, ma si rivolse ai propri comandanti lanciandosi in un lungo e vivido racconto delle sue prodezze come guidatore, descrivendo a grandi gesti la velocità e l'arditezza delle sue evoluzioni. Il racconto fu punteggiato dalle leali esclamazioni di stupore dei suoi ufficiali, e passò qualche minuto prima che il ras si rivolgesse nuovamente a Jake. Mio nonno dice che tre di quelle macchine meravigliose basteranno a ricacciare gli italiani in mare. Vorrei condividere la sua fiducia , disse Gareth, e Jake proseguì: C'è un altro piccolo problema, siamo a corto di equipaggi - guidatori e mitraglieri per le autoblindo. Ci vorrà una settimana o due per addestrare gli uomini . Il ras lo interruppe fieramente, come se avesse capito ciò che aveva detto Jake, e ci fu un mormorio bellicoso anche da parte dei suoi ufficiali. Mio nonno intende attaccare la posizione italiana ai Pozzi di Cialdi. Intende attaccare immediatamente. Jake lanciò uno sguardo a Gareth, che alzò gli occhi al cielo. Spiegaglielo tu , disse, ma Jake scosse la testa. Tocca a te questa volta. Gareth trasse un profondo sospiro e si lanciò in una lunga spiegazione di quanto fosse suicida un attacco frontale, anche con l'appoggio di mezzi corazzati, contro armi da fuoco trincerate in posizione dominante. Gli italiani devono
avanzare. è allora che avremo le migliori possibilità. Ci volle tutta l'eloquenza di Gareth per convincere il ras, sebbene con riluttanza, ad aspettare che il nemico facesse la prima mossa. Si decise di affidare agli esploratori il compito di avvertire le forze del ras quando gli italiani avessero lasciato le posizioni fortificate sopra i Pozzi di Cialdi, per colpirli nell'aperta savana dove sarebbero stati più vulnerabili. Una volta che il ras ebbe accettato, brontolando e contorcendosi, di aspettare così a lungo, Jake prese la parola e suggerì la tattica migliore da adottare. Di' per favore a tuo nonno che si torna alla mia precedente osservazione: ci vuol tempo per addestrare gli equipaggi, che attualmente non bastano per tre autoblindo. Io so guidare l'interruppe Vicky Camberwell accorgendosi all'improvviso che non contavano su di lei. Gareth e Jake si scambiarono un altro sguardo, e in un attimo furono d'accordo, ma fu Gareth a parlare: Una cosa è fare il tassista e un'altra guidare in combattimento, mia cara. Tu sei qui per scrivere della guerra, non per combatterla . Vicky gli rivolse uno sguardo deluso e prese di mira Jake. Jake , cominciò. Gareth ha ragione , tagliò corto Jake. Sono completamente d accordo con lui. Vicky si rassegnò con rabbia, sapendo che non serviva a niente discutere adesso. Avrebbe finto di accettare i loro decreti padronali, per poi tornare alla carica in qualche momento più opportuno. Ascoltò tranquillamente la discussione che toccava i più vari argomenti con gran versatilità. Jake, a esempio, spiegò come si potessero usare le autoblindo per cogliere di sorpresa il nemico e sfondarne le difese così che la cavalleria etiopica potesse poi lanciarsi nei varchi e battere sui fanti disorientati. Le proteste del ras cessarono, sostituite da un ghigno diabolico. I suoi occhi scintillavano come carboni neri incastonati nella carne scura e piena di rughe. Quando alla fine die de gli ordini, parlò col tono fermo e la decisiva autorità diun re guerriero, che non ammette ulteriori discussioni. Mio nonno decreta che il primo attacco sia sferrato non appena il nemico avanzerà oltre i Pozzi di Cialdi. Lo porteranno le cavallerie harari e galla, guidate da due autoblindo. La fanteria, le mitragliatrici Vickers e un'autoblindo saranno tenute in riserva qui all'imboccatura della gola. E quanto agli equipaggi delle autoblindo? chiese Jake. Tu e io, Jake, in una macchina; nell'altra il maggiore Swales guiderà e mio nonno azionerà la mitragliatrice. Non posso credere che stia capitando proprio a me , grugnì Gareth. Quel vecchio bastardo vaneggia come un pazzo furioso. una minaccia per se stesso e gli altri in un raggio di cento chilometri. . . Compresi gli italiani , concordò Jake. Fate bene a ridere voialtri! Non tocca a voi chiudervi in una scatola di latta con un maniaco. Gregorius, digli un po' che. . . No, maggiore Swales. Gregorius scosse la testa, con un'espressione gelida e remota in viso. Mio nonno ha dato gli ordini e le garantisco che non si discutono. Non gli tradurrò quindi le sue obiezioni. . . benché, se proprio insiste, potrei tradurgli gli epiteti di cui l'ha gratificato. . . Mio caro ragazzo , disse Gareth alzando le braccia in un gesto di resa. Considero un onore essere stato prescelto da tuo nonno. . . quanto alle mie restanti osservazioni, erano per ridere, te l'assicuro. Senza offesa, ragazzo, senza un'offesa al mondo. E assistette sgomento al gesto del ras che, raccolto il mazzo di carte, cominciò a distribuirle. Spero solo che i cari Macaroni si sbrighino ad avanzare. Non potrò permettermi queste partite ancora per molto. Il maggiore Luigi Castellani salutò dall'ingresso della tenda. Ai vostri ordini, signor colonnello. Il conte Aldo Belli si stava guardando allo specchio. Rispose al saluto regolamentare con un cenno del
capo e si rimise subito a studiare la propria immagine riflessa. Gino! berciò. C'è un granello di sporco sulla punta dello stivale sinistro. Il piccolo sergente si inginocchiò ai suoi piedi e, alitato sullo stivale, lo lustrò poi con sapienti circonvoluzioni dell'avambraccio coperto dalla camicia. Il conte alzò lo sguardo e vide che Castellani sostava ancora all'ingresso. Aveva un'espressione così lugubre e funerea che il conte si sentì riassalire dalla rabbia. La vostra faccia farebbe inacidire il vino, Castellani. Conoscete i miei brutti presentimenti, conte. Infatti! tuonò costui. Non fate che piagnucolare, da quando ho ordinato l'avanzata. Consentitemi di farvi rilevare ancora una volta che quell'ordine è in aperto contrasto con. . . Non ve lo consento! Il Duce in persona - Benito Mussolini! - ha posto la sua sacra fiducia in me, e io non intendo deluderlo. Signor colonnello, il nemico. . . Bah! Un lampo di disprezzo balenò negli occhi dalle lunghe ciglia del conte. Bah, dico io. Il nemico, voi dite. . . e io dico: selvaggi. . . Soldati, voi dite. E io dico marmaglia! Come desiderate, colonnello, ma quell'autoblindo. . . No! Castellani, no! Non era un'autoblindo, ma un'ambulanza! Il conte se ne era convinto sul serio. " Non lascerò che questo momento gravido di destino mi sfugga tra le dita. gli rifiuto di strisciare con la prudenza di una vecchia impaurita. Non è nella mia natura, Castellani, io sono un uomo d'azione, uno squadrista. nella mia natura balzare come un leopardo alla iugulare del mio nemico. Non è più tempo di chiacchiere ora, Castellani! scoccata per noi l'ora dell'azione! a Come desiderate, signor colonnello. Non c'entra ciò che io desidero, Castellani. Si tratta di ciò che decretano gli dei della guerra, a cui come guerriero io debbo obbedire. A una simile affermazione non v'era risposta. Il maggiore si fece da parte in silenzio mentre il conte usciva dalla tenda con passo marziale, petto in fuori e mascella al cielo. La forza d'urto di Castellani era pronta alle prime luci dell'alba: una colonna di cinquanta camion pesanti per trasporto truppe, in procinto di avanzare secondo i piani da lui formulati durante la notte. Alla fine aveva deciso di lasciare un'intera compagnia nelle posizioni fortificate sopra i Pozzi di Cialdi, al comando di uno degli ufficiali più giovani. Tutte le restanti truppe furono caricate sui camion. La possente e veloce colonna doveva piombare di sorpresa sull'accesso alla gola, impadronirsene e possibilmente aprirsi la strada verso l'altopiano. All'avanguardia Castellani aveva piazzato cinque camion di fucilieri; immediatamente dopo, le squadre di mitraglieri, che sapeva di essere in grado di gettare nella mischia nel giro di pochi minuti. Segulvano altri venti camion carichi di soldati di CUi dieci in retroguardia. L'artiglieria se l'era tenuta SOttomano. Nel caso che la colonna si imbattesse in qualche serio guaio contava che le camicie nere resistessero abbastanza da consentirgli di far entrare in azione i mortai. Col loro aiuto confidava di poter sganciare la colonna da qualunque pasticcio in cui era suscettibile di gettarla il novello coraggio del conte, coi suoi scatenati sogni di gloria. Confidava; non poteva esserne sicuro. Accanto a ogni camion fermo, autista e soldati erano sdraiati sul terreno sabbioso, a capo scoperto, con le camicie sbottonate e le sigarette accese. Castellani slanciò la testa all'indietro, gonfiò i polmoni ed emise un urlo belluino che parve echeggiare nel cielo alto e sereno del deserto. A posto! Le figure schizzarono in piedi, afferrarono i fucili, si aggiustarono l'uniforme e si misero in fila, ogni squadra accanto al proprio camion Figlioli , disse Aldo Belli, avviandosi lungo la fila di camicie nere. Ragazzi miei coraggiosi! Li guardò, senza veramente vedere le camicie/sbottonate, i volti
mal rasati, le sigarette spente in fretta e infilate dietro l'orecchio. La sua vista era annebbiata dal sentimento: con l'immaginazione li vestiva di corazze brunite ed elmi chiomati. Siete assetati di sangue? domandò il colonnello, poi gettò all'indietro la testa e fece una grassa, becera risata. Ve ne darò a secchi! disse. Oggi farete il pieno! Gli uomini a portata d'orecchio strisciarono le suole sul terreno e si guardarono fra di loro a disagio. Il fatto era che avevano una netta predilezione per il chianti. Il conte si fermò davanti a un milite smilzo che non aveva ancora vent'anni, col ciuffo nero che spuntava da sotto l'elmetto. Bambino mio , disse il conte. Il giovane alzò la testa sogghignando imbarazzato. Oggi farò di te un guerriero! E abbracciò il ragazzo. Poi lo trattenne alla distanza di un braccio teso, scrutandolo in volto. L'Italia dà il meglio della sua gioventù! Nessuno è troppo giovane o troppo nobile perché gli sia risparmiato il glorioso sacrificio sull'altare della guerra! Il sogghigno del ragazzo lasciò subitaneamente il posto a una espressione allarmata. Canta, ragazzo, canta! gridò il conte, e intonò egli stesso Giovinezza con la sua possente voce baritonale, mentre il milite, davanti a lui, mugolava incerto e un po' stonato. Il conte proseguì a passo di marcia, cantando, e raggiunse la testa della colonna giusto alla fine dell'inno. Fece un cenno a Castellani, troppo sfiatato per parlare, e il maggiore emise un altro dei suoi urli belluini. Sui camion! Le camicie nere ruppero le righe e in un turbine dì confusione saltarono sugli automezzi. La Rolls-Royce guidava orgogliosamente la colonna. Giuseppe stava al volante, Gino accanto a lui con la macchina fotografica pronta in mano. Il motore era acceso. Sul sedile posteriore c'era una massa di oggetti personali del conte: fucili da caccia, doppiette, cesto di bottiglie, binocolo, valige e l'alta uniforme a por tata di mano. Il conte salì in auto con dignità e si sistemò comodamente sul sedile di cuoio libero dai bagagli. Guardò Castellani. Maggiore, ricordatevi sempre che l'essenza della mia strategia è la sorpresa e la velocità. Come la folgore che schiatta precisa e spietata, così dev'essere il colpo inferto da mani d'acciaio al cuore del nemico. Seduto accanto all'autista sull'ultimo camion della colonna, mangiando la polvere dei quarantanove automezzi precedenti e già cominciando a sudare nel forno della cabina di lamiera, il maggiore Castellani guardò l'orologio. Santa madre di Dio , borbottò. Le undici passate. Ci toccherà accelerare, se vogliamo. . . In quella l'autista bestemmiò e piantò una gran frenata. Ancora prima che il camion fosse fermo, Castellani saltò giù col binocolo. Poi si arrampicò in cima alla cabina. Cosa succede? domandò all'autista del camion precedente. Non lo so, signor maggiore , gridò il milite in risposta. Tutta la colonna si era fermata, e Castellani, sicuro che si trattava di un'imboscata, si aspettò di udire da un momento all'altro la fucileria. Invece niente: domande urlate reciprocamente da un camion all'altro, commenti, soldati che si affacciavano a guardare, imprecazioni. Castellani mise a fuoco il binocolo, e proprio in quella sentì i colpi di fucile echeggiare nitidi nello spazio deserto. Aveva sulla punta della lingua l'ordine di scaricare i mortai, quando il binocolo inquadrò la Rolls-Royce. La grossa automobile era a una certa distanza dal fianco sinistro e correva nella savana pianeggiante: sul sedile posteriore il conte imbracciava la doppietta, puntandola alta sopra la testa dell'autista. Proprio mentre Castellani guardava, si alzò un nutrito volo di francolini bruni davanti alla Rolls lanciata. Lunghe nuvole di fumo sprizzarono dalle canne della doppietta, e due uccelli furono investiti dalla rosa di pallini e caddero in un turbinio di piume, mentre i sopravvissuti volarono via. La Rolls si
fermò in una nube di polvere. Castellani guardò Gino, il piccolo sergente, saltar giù dalla Rolls e correre a prendere gli uccelli per il conte. Dio bono! tuonò il maggiore, vedendo il conte posare con i francolini in mano e il fucile sul sedile posteriore della macchina, sorridendo orgogliosamente all'obiettivo. Nell'esercito del ras cresceva un senso di scoraggiamento e preoccupazione. Era dal mattino presto che aspettavano, in una giornata assolata e caldissima, e cominciavano ad annoiarsnGli esploratori avevano annunciato la sortita degli italiani alle dieci del mattino. Immediatamente le forze del ras erano andate a occupare le posizioni accuratamente prestabilite nel deserto davanti all'imbocco della gola. Gareth Swales aveva studiato per giorni e giorni il miglior modo di accogliere le truppe nemiche: ogni contingente di cavalieri etiopici era stato istruito mille volte sulla necessità di tenere a freno l'ardore guerriero e portare le imboscate nell'ordine da lui attentamente pianificato, con la massima disciplina. Il terreno prescelto era tra le ultime pendici della montagna, dove gli italiani erano obbligati a passare, nell'imbuto fra la costa rocciosa e lo sbocco del fiume in pianura, in cui di lì a poco si sarebbe interrato. Questo imbuto era però abbastanza largo, una ventina di chilometri. Bisognava quindi attirare gli attaccanti verso la montagna, sulle prime pendici della quale erano piazzate le mitragliatrici Vickers. Qui un torrentello si era scavato un letto nella roccia fino alla pianura, dove serpeggiava per dieci o dodici chilometri prima di sparire. Questo letto adesso era asciutto, ma abbastanza largo e profondo da nascondere un nutrito contingente di cavalieri harari e galla. Questi cavalieri avevano aspettato per tutto il giorno, seduti accanto alle bestie nella sabbia del torrente bianca come lo zucchero. Le due componenti erano state diplomaticamente separate. Gli harari erano davanti alle mitragliatrici Vickers, dove cominciava la montagna; i galla erano più avanti, nell'aperta pianura, sotto il comando dello sfregiato Gerazmach dallo sciamma blu. Erano acquattati in un punto del letto dove il torrente piegava bruscamente il suo corso in direzione dell'arida savana. In quel gomito le rive erano ancora abbastanza profonde da nascondere millecinquecento cavalieri. Questi, insieme ai tremila del rasi costituivano una formidabile forza d'attacco, spe cialmente se scagliati di sorpresa contro un nemico sbilanciato e confuso. L'umore degli etiopi, sempre piuttosto sanguinari, era peggiorato alquanto per le lunghe ore di snervante attesa sotto i raggi del sole accecante che si riflettevano sulla sabbia candida come su uno specchio ustorio. I cavalli cominciavano a innervosirsi per il caldo e la mancanza d'acqua, mentre i cavalieri erano addirittura inferociti. Gareth Swales aveva escogitato una trappola in cui, con l'aiuto naturale della curva del torrente, contava di far cadere la colonna italiana. Quattro chilometri più avanti del punto in cui ora si trovava - sulla torretta della Gobba - la pianura si corrugava leggermente. Dietro quella montagnola era nascosto il drappello di cavalieri destinato a far da esca. Aspettavano laggiù da quando gli esploratori avevano portato la prima notizia dell'avanzata degli italiani. Come gli altri, a quest'ora dovevano essere cotti, scocciati e stufi. Gareth si meravigliava che quella vasta compagine di montanari individualisti, indipendenti e fieri avesse resistito tanto a lungo compatta e in agguato. Per contro non si sarebbe stupito se, a quel punto, molti di loro avessero deciso di far fagotto e tornarsene a casa. L'unico che aveva qualcosa da fare e sembrava piuttosto soddisfatto era Jake Barton. Gareth posò il binocolo e guardò ciò che si vedeva di lui con una certa irritazione. La parte superiore di detto gentiluomo era completamente nascosta nelle viscere
di Priscilla la Troia, da cui sporgevano solo le gambe e il sedere. Anche le note di Tiger rag, continuamente fischiettate dall'americano, contribuivano all'irritazione di Gareth. Ehi, come va lì da te? gridò, solo per far finir la musica. La testa di Jake emerse. Aveva una guancia nera di morchia. Credo che sia a posto, adesso. C'era il carburatore un po' sporco. Si pulì le mani nella solita pezza di tela portagli da Gregorius. Ma cosa fanno i Macaroni? Credo che in proposito ci sia qualche piccolo problema , mormorò Gareth, rimettendosi a scrutare l'orizzonte col binocolo con espressione seria e intenta. Forse li ho sottovalutati, contando che venissero all'attacco senza neanche dare un'occhiata qua e là. Jake andò all'autoblindo di Gareth e si arrampicò vicino a lui. Le due autoblindo erano parcheggiate nel letto del torrente, all'estremo limite dell'ansa, dove la riva era ancora abbastanza alta da nascondere la massa metallica delle macchine. Poco più in là, il torrente si confondeva con la savana. Solo la torretta spuntava oltre il ciglione, permettendo di controllare la pianura: l'avevano però efficacemente mimetizzata con degli sterpi. Gareth passò il binocolo a Jake. Ho paura che ci sia capitato un dritto. Non ha fretta, il comandante italiano. Viene tranquillo e beato, pigliandosela con calma. . . Gareth scosse la testa, preoccupato. Non mi piace per niente. Si sono fermati ancora , disse Jake, osservando la lontana nuvola di polvere sollevata dalla colonna che avanzava. La nuvola di polvere stava lentamente posandosi. Oh mio Dio! grugnì Gareth, posando il binocolo. Quel bastardo ha in mente qualcosa, ne sono sicuro. la settima volta che la colonna si ferma senza nessuna ragione apparente. Gli esploratori non ci capiscono un cavolo, e neanch'io. Ho la brutta sensazione che ci troviamo di fronte a una specie di genio militare, tipo Napoleone, e sudo freddo. Jake sorrise e filosoficamente gli consigliò: Hai bisogno di una bella partita a ramino col ras. Allora sì che ti calmeresti . Come se avesse capito, il ras alzò la testa dalla cassa di munizioni all'ombra della fiancata, dove stava facendo un solitario, e guardò Gareth con aria vogliosa, insieme a parecchi del suo seguito che si affollavano intorno a lui. Sono circondato , borbottò Gareth. Non so chi sia il più pericoloso tra il vecchio bastardo qua sotto, e il vecchio bastardo là davanti. Alzò di nuovo il binocolo e spazzò il lungo orizzonte sotto le montagne. Non c'era più traccia della nuvola di polvere. Ma che cosa avrà in mente? In effetti quel settimo alt imposto alla colonna dal conte Aldo Belli doveva essere il più breve-della giornata, e pure uno dei più inevitabili. Si trattava infatti di un frangente della massima delicatezza e urgenza. Mentre la comoda personale del conte veniva scaricata in frelta e furia dal camion che trasportava i suoi effet ti personali, egli si contorceva sudando freddo sul sedile posteriore della Rolls dove Gino, l'attendente, cercava di confortarlo. E l'acqua di quei pozzi, eccellenza , diceva annuendo con saggezza. Allorché la seggetta fu piazzata davanti all'imponente panorama dell'altopiano, vi si alzo attorno una piccola tenda per nasconderla allo sguardo incuriosito dei cinquecento fanti in attesa. Il lavoro fu completato appena in tempo. Un rispettoso silenzio gravido di aspettativa calò sull'intera colonna, mentre il conte scendeva cautamente dalla Rolls e poi scattava come un atleta olimpionico verso la piccola struttura isolata, scomparendo dietro la tela. Silenzio e attesa durarono-quasi un quarto d'ora, rotti alla fine dalle grida del conte da dentro la tenda. Che venga il dottore! Cinquecento uomini assistevano in preda alla suspense più genuina, come un pubblico cinematografico. Ipotesi e voci rimbalzavano da un camion all'altro fino a raggiungere il maggiore Castellani all'estrema retroguardia.
Perfino lui, ormai convinto di averle viste tutte, non poté credere alla spiegazione ufficiosa di questo nuovo ritardo, e risalì la colonna per investigare. Quando giunse alla tenda, trovò il conte e i suoi consiglieri sanitari che, affollati intorno alla comoda, ne discutevano animatamente il contenuto. Il conte era pallido e fiero, come una madre il cui neonato sia al centro dell'attenzione generale. Quando apparve Castellani, alzò lo sguardo, e il maggiore arretrò istintivamente un tantino, temendo che il colonnello lo invitasse a unirsi all'esame. Salutò in fretta, poi fece un altro passo indietro. Eccellenza. . . avete ordini per me? Sono un uomo malato, Castellani. Il conte posava, spalle curve e testa china erano un po' esagerate. Poi, lentamente, Si drizzò alzando il mento: uno stentato sorriso gli tese le labbra. Ma ciò non ha nessuna importanza. Avanziamo, Castellani. Avanti! Dite agli uomini che godo di ottima salute Nascondete la verità. Se le camicie nere conoscessero la mia malattia, dispererebbero, cadrebbero forse in preda al panico. Castellani scattò di nuovo nel saluto. Come desiderate colonnello. Aiutatemi a raggiungere l'auto, Castellani , ordinò. Con qualche riluttanza il maggiore lo prese per il braccio. Il conte Si appoggiò pesantemente a lui lungo il breve tragitto verso la Rolls, rivolgendo un coraggioso sorriso agli uomini e salutando i più vicini agitando la mano. Poveri i miei arditi! mormorò. Non debbono sapere. Non mancherò loro proprio adesso. Ma che diavolo sta succedendo laggiù? berciò Gareth Swales, guardando ansiosamente Jake sulla torretta dell'altro automezzo. Niente! lo rassicurò Jake. Nessun segno di vita. Non mi piace per niente ~, ripeté Gareth, di pessimo umore. La sua espressione non migliorò affatto allorché il ras, con il solito urletto di trionfo, cominciò a sciorinare le carte s coperchio della cassa di munizioni. Neanche questo mi piace per niente , disse prendendo il portafoglio prima che il ras glielo ricordasse. Mentre il ras mescolava e serviva la mano, Gareth proseguì la conversazione con Jake. Notizie di Vicky? Niente di nuovo anche da quella parte? Assolutamente niente , lo rassicurò Jake. Ecco un'altra faccenda che non mi va affatto. L'ha presa troppo bene. Ho paura che da un momento all'altro ce la vediamo comparire davanti sull'altra macchina, nonostante i miei ordini. Non c'è nessuna traccia di miss Dondola , disse Jake con calma, ispezionando l'intero orizzonte. Vorrei tanto condividere la tua bella certezza , brontolò Gareth raccogliendo le carte. Ho l'incubo di trovarmela tra i piedi. Sai, non è da lei starsene al campo mentre qua si combatte. una da prima linea. Le piace stare dove succedono le cose. Lo so , disse Jake. Ho visto anch'io quello sguardo ipocrita quando ha accettato di rimanere al campo. . . Così mi sono accertato che non potesse usare miss Dondola. Ho tolto la barretta di grafite dallo spinterogeno. Gareth sorrise. l'unica buona notizia da stamattina. Già mi figuravo Vicky Camberwell gettarsi nella mischia sot io il fuoco nemico. Poveri italiani , osservò Jake, e risero entrambi. Qualche volta mi sorprendi, lo sai? continuò Gareth tirando fuori i sigari dal taschino della camicia e lanciandone uno a Jake sulla torretta. Grazie per esserti curato di ciò che m'appartiene , disse. Lo apprezzo molto. Jake staccò con un morso la punta del sigaro e gli rivolse uno sguardo perplesso accendendo un fiammifero sull'estetno della torretta. Lo fece bruciare un attimo fra le mani per far consumare tutto lo zolfo. La caccia resta aperta finché qualcuno non la marchia col suo nome. Così si fa con le manze al mio paese, vecchio mio , replicò, quindi accese il sigaro. Vicky Camberwell'aveva scelto quattro o cinque fra i servi più adulti del ras che badavano al campo, li aveva compensati con un
tallero d'argento di Maria Teresa, e li aveva quasi fatti schiattare a furia di girare la manovella dell'avviamento. Uno dopo l'altro si erano arresi, spompati, mentre Vicky, con gli occhi fiammeggianti, li incitava e li minacciava dall'alloggiamento del guidatore. Dopo un'ora di questa manfrina si convinse che si trattava di sabotaggio. Volevano tenerla alla larga dai pericoli. Cominciò allora a passare in rassegna gli organi interni di miss Dondola. Era una di quelle rare donne che ci tenevano a sapere come funzionano le cose, e per tutta la vita era stata un vero flagello per meccanici, boy-friend e istruttori con le sue domande. Non le bastava salire in macchina e mettersi al volante. Così, era diventata un'eccellente guidatrice e pilota, e si era ormai fatta un'idea abbastanza precisa del funzionamento del motore a scoppio. E va bene, signor Barton. Vediamo un po' che cosa hai combinato , brontolò di malumore. Cominciamo dall'alimentazione. Si tirò su le maniche e si legò un foulard strettamente intorno ai capelli. I suoi cinque aiutanti la guardarono con immenso stupore, quando alzò il cofano colazzato e si affacciò sul vano motore. Dovette. scacciarli a urlacci e gomitate, allorché accorsero tutti a dare un'occhiata. Poi poté cominciare il lavoro e vi si impegnò con gran concentrazione. Dopo una mezz'ora aveva controllato l'alimentazione, accertandosi che la benzina affluisse liberamente dal serbatoio ai tubi, al carburatore e ai cilindri, e che la pompa funzionasse normalmente. Bene, ora controlliamo l'impianto elettrico , mormorò fra sé, voltandosi irritata perché una mano insistente la toccava alla vita, rompendole la concentrazione. Sì, che c'é? chiese, e la sua espressione cambiò, illuminandosi, quando vide a chi apparteneva la mano. Sara! Abbracciò la ragazza. Come diavolo hai fatto a venire fin quaggiù? Sono fuggita, signorina Camberwell. Mi annoiavo da matti all'ospedale. Così mi sono fatta portare un cavallo dagli uomini di mio padre, sono saltata dalla finestra e giù per la strada della gola. E che ne è del tuo amico, il giovane dottore? domando Vicky, sempre abbracciando la ragazza, ella stessa sorpresa dell'affetto che provava per lei. Oh, quello! La voce di Sara era piena di delusione e diSprezzo Era la cosa più noiosa dell'ospedale. Altro che dottore! Non aveva la più pallida idea di come funzionasse un corpoho dovuto cercare di insegnarglielo io, e non è stato affatto un divertimento. E la gamba? domandò Vicky. Come va la gamba? Niente, niente. Quasi bene. Sara cercava di minimizzare la ferita, ma Vicky si accorse che zoppicava un po' . La difficile cavalcata per la ripida strada della gola doveva averla stancata moltissimo. La condusse con sé sotto le acacie, a sedersi. Ho sentito dire che ci sarà battaglia. E per questo che sono venuta. Ho sentito che gli italiani avanzano. . . Si guardò attorno vivacemente, accantonando il dolore. Dove sono Jake e Gareth? Dov'è Gregorius? Non dobbiamo perderci la battaglia, signorina Camberwell. proprio quello che stavo cercando di fare , disse Vicky, smettendo il sorriso. Ci hanno lasciate indietro apposta! Ma come! Lo sguardo vivace di Sara divenne bellicoso. Ascoltò con espressione offesa l'espediente con cui era stata messa da parte Vicky. Gli uomini! Non ci si può mai fidare di loro , berciò Sata. Se non stanno cercando solo di coricarti, è perché vogliono farti qualcosa di peggio. Ma noi non ci rassegniamo, vero? . Ah no , disse Vicky. Assolutamente no. Con Sara tra i piedi, era impossibile continuare il lavoro sull'autoblindo, però: la totale ignoranza della meccanica, nella ragazza etiope, era compensata dalla curiosità più scatenata e allorché Vicky volle ispezionare il magnete, si accorse invece di scrutare da un centimetro di distanza la testa riccia di Sara che si era bellamente
frapposta. Dopo averla spostata cinque o sei volte a gomitate, le domandò, esasperata: Sai sparare con la mitragliatrice Vickers? Sono una montanara , si vantò Sara. Sono nata col fucile in mano e il cavallo tra le gambe. Sì, altro che il cavallo fra le gambe , mormorò Vicky, e la ragazza sghignazzò maliziosamente. Ma hai mai sparato con la Vickers? No , confermò Sara con riluttanza, e poi si illuminò. Ma non mi ci vorrà molto per capire come funziona. Toh! disse Vicky indicandole la grossa canna raffreddata ad acqua che spuntava dalla torretta. Vediamo un po' che cosa combini. Mentre Sara si arrampicava sulla torretta, sempre trascinando un po' la gamba, Vicky tornò alla propria ispezione. Dopo un'altra mezz'ora esclamò: Ah, il porco! Ha tirato via la barretta di grafite dello spinterogeno! Sara si affacciò alla torretta. Chi è stato? Gareth? No , rispose Vicky. stato Jake. Non me lo sarei mai aspeLtato da lui. Sara scese faticosamente dalla torretta, e si mise a ispezionare il danno con Vicky. Sono tutti uguali. Dove l'avrà nascosta? Probabilmente ce l'ha in tasca. Che facciamo adesso? Sara si tormentò le mani. Ci perdiamo la battaglia! Vicky rifletté un momento e poi la sua espressione cambiò. Nella mia borsa, in tenda, c'è una pila. C'é anche un beautycase. Portameli tutti e due, per piacere. Una delle pile a secco della torcia elettrica, aperta dalla lama ricurva del pugnale che Sara portava alla cintura, rivelò un nucleo di grafite. Vicky lo modellò accuratamente con l'aiuto della limetta per le unghie finché non s'infilò perfettamente nell'albero del distributore. Il motore partì al primo colpo di manovella. Sei davvero in gamba, signorina Camberwell , disse Sara, con tale evidente e solenne sincerità che Vicky ne fu commossa. Sorrise alla ragazza, che sedeva con le spalle e la testa nella torretta, e le ginocchia intorno al sedile del guidatore. Credi di farcela a sparare con quella mitragliatrice? domandò Vicky, e Sara annuì, incerta, afferrando con le manine sottili la grossa impugnatura a pistola, rivestita di mogano, della mitragliatrice. Per guardare attraverso il mirino Sara doveva mettersi in punta di piedi. Basta che mi porti a tiro, signorina Camberwelll Vicky lasciò andare la frizione e portò l'autoblindo fuori del bosco di acacia, sul pietroso tratturo che conduceva all'imbocco della gola. Sono molto arrabbiata con Jake , dichiarò Sara, aggrappandosi da tutte le parti mentre l'autoblindo sobbalzava sulla strada ineguale. Non mi aspettavo che si comportasse così. Nascondere la barretta di grafite! più da Gareth. Mi ha fatto proprio inquietare! Davvero? Sì, e credo che dovremmo punirlo. Come? Scegliendo Gareth come~ tuo amante , stabilì Sara con fermezza. Credo che sia la maniera migliore di punire Jake. Lottando con il volante e dando colpi alterni a freno e frizione, Vicky pensò a ciò che aveva appena detto Sara. Pensò anche alle spalle larghe e quadrate di Jake, alle sue braccia museolose, ai suoi capelli ricci e al suo sorriso da ragazzo, che poteva mutarsi in un attimo in un terribile cipiglio. All'improvviso si rese conto di quanto desiderava star con lui, e di quanto le sarebbe mancato, se se ne fosse andato via. Debbo proprio ringraziarti per come sbrighi bene tutti i miei affari , gridò alla ragazza sulla torretta. Hai un non so che. . . E un piacere, signorina Camberwelll gridò Sara in risposta. che io capisco queste cose. Col passar del pomeriggio sulla montagna cominciarono ad addensarsi le nubi. In un cielo sterminato di azzurro zaffiro, tondeggianti masse argentee presero a veleggiare e accavallarsi con ponderosa maestà, molto in alto, scurendosi pian piano fino a diventare del colore dell'uva matura, o di un vecchio livido. Tuttavia sulla savana pianeggiante il cielo era ancora sereno, chiaro e alto,
e il sole scottava scaldando la terra al punto che l'aria in prossimità del suolo vibrava e danzava, distorcendo le immagini e le distanze. Ora le montagne sembravano così vicine da incombere sugli uomini in agguato, con la cima che rasentava il cielo: dopo un momento eccole remote e rimpicciolite dalla distanza. Il sole aveva così riscaldato la corazza delle autoblindo che, a toccarla, ci si scottava. Gli uomini in attesa si affollavano tutti, tranne Jake Barton e Gareth Swales, all'ombra dei veicoli, ammassati come sopravvissuti a chissà quale catastrofe, cercando sollievo dal sole micidiale. aceva così caldo che la partita a ramino era stata quasi su bito interrotta. I due uomini bianchi ansimavano come caniSulla loro pelle il sudore seccava istantaneamente creando una crosta sottile di bianchi cristalli salati. Gregorius guardò le montagne incoronate di nubi e disse piano: Presto pioverà . Alzò lo sguardo su Jake Barton, che sembrava una statua sul piedestallo della torretta di Priscilla la Troia. Si era avvolto la testa in uno sciamma bianco, per proteggersi dal sole, e teneva il binocolo sulle ginocchia, Ogni pochi minuti lo portava agli occhi e scrutava i trecentosessanta gradi dell'orizzonte con lenta cura, per poi ricadere nell'immobilità. Lentamente l'ombra si allargava a fianco delle autoblindo man mano che il sole si allontanava dallo zenit. Contemporaneamente esso perdeva parte del suo calore incandescente e i SUOl raggi diventavano sempre più dorati e rossastri. Ancora una volta Jake prese il binocolo, ma stavolta si fermò a metà del suo giro d'orizzonte. Nelle lenti la familiare forma della nuvola di polvere traballava piano sulla linea dove la chiarità del deserto si confondeva con quella, più intensa, del cielo. Restò a guardare per cinque minuti. Gli sembrava che la nuvola di polvere stesse allontanandosi, sbiadendo, mentre colonne di aria calda si alzavano distorcendo o impedendo la visione. Jake abbassò il binocolo e un fiotto caldo di sudore sgorgò dall'attaccatura dei capelli, ruscellò sulla fronte e gli finì negli occhi. Imprecò per il bruciore causato dai sali e asciugò le palpebre con un lembo dello sciamma. Sbatté le ciglia e sollevò di nuovo il binocolo. Il cuore gli balzò in gola e gli si rizzarono i capelli sulla nuca. Le mostruose correnti e i turbini d'aria calda si erano improvvisamente ralmati. La nuvola di polvere che pochi secondi prima sembrava allontanarsi sempre più era adesso così nitida e vicina da riempire le lenti, stagliandosi contro il cielo azzurro. Subito clopo, il suo cuore ebbe un altro sobbalzo. Sotto la nuvola vorticosa e mulinante ora distingueva benissimo le forme scure, come d'insetti, di numerosi veicoli lanciati a tutta velocità. All'improvviso, la densità dell'aria mutò di nuovo, e la forma della colonna che sopraggiungeva si alterò. Incombeva mostruosa, vicinissima, sotto la nuvola di polvere: ogni secondo plU vicina e minacciosa. Jake gridò e Gareth accorse in un istante. Ma sei impazzito? sbottò. Ci saranno addosso fra un minuto! Parti! berclò Jake. Fa' avviare i motori! e si infilò nel vano del guidatore. Intorno ai veicoli si creò un'improvvisa confusione. Con le manovelle, i motori riluttanti furono risvegliati alla vita fra botti, false partenze e colpi in testa perché la benzina, con quel calore, si era trasformata in vapore e faceva fatica ad alimentare correttamente i cilindri. Una dozzina di guardie sollevarono di peso il ras e lo infilarono nella torretta di Gareth, installandolo alla mitragliatrice Vickers. Fatto ciò, i guerrieri corsero verso i cavalli. Ma furono fermati dalle alte strida in amarico del ras. Egli indicava la propria bocca sdentata, abbastanza grossa da contenere un orso in letargo. Ci fu un momento di costernazione, finché il più anziano del seguito non estrasse una grossa scatola di legno di cedro dallo zaino e
corse a porgerla aperta, al ras. Tranquillizzato, il vecchio frugò nella scatola e ne estrasse una magnifica dentiera di porcellana, grossa, candida e abbastanza affilata da ben figurare in bocca a un cavallo del Derby, completa di gengive rosso-vivo. Dopo brevissima lotta riuscì'a infilarsela in bocca, per poi mordere come una trota che abbocchi alla mosca e subito dopo illuminarsi in un perfetto sorriso da teschio. Il seguito lo acclamò con entusiasmo, e Gregorius disse orgo gliosamente a Jake: Mio nonno porta la dentiera solo quando combatte o sta dando piacere a una signora , e Jake staccò un attimo lo sguardo dall'avanzante colonna italiana per ammirare la smagliante dentatura. Lo fa sembrare più giovane. Non dimostra un giorno di più di novant'anni , opinò. Poi diede un'accelerata e pian piano portò l'autoblindo in una posizione più riparata sotto la riva, da cui però poteva sempre sorvegliare le mosse degli italiani. Gareth lo seguì con la propria macchina e gli sorrise dal posto di guida con la celata ancora alzata. Era un ghigno maligno, e Jake si reste conto che l'inglese non vedeva l'ora di entrare in combattimento. Non era più necessario usare il binocolo. La colonna italiana era a circa quattro chilometri di distanza. Procedeva veloce lungo un percorso che l'avrebbe condotta parallelamente al letto asciutto del torrente, oltre le tenaglie dell'imboscata, nella striscia di pianura non presidiata che portava all'imbocco della gola. Altri quindici minuti di marcia a quella velocità e la colonna avrebbe aggirato gli etiopi sul fianco, avendo poi via libera verso la gola. Jake ne sapeva abbastanza per non sperare nemmeno nella possibillià di riorganizzare le file della cavalleria una volta che fossero state scompigliate. Sapeva per istinto che i cavalieri etiopi avrebbero combattuto come leoni finché la marea della carica li avesse condotti avanti, ma qualunque ritirata si sarebbe subito trasformata in rotta; già li vedeva sciamare sulle montagne come operai all'uscita dalla fabbrica. Erano abituati a combattere individualmente, evitando battaglie campali ma approfittando di ogni occasione favorevole; rapidi come avvoltoi, ma pronti a scappare altrettanto rapidamente di fronte alla soverchiante minaccia di un nemico organizzato. Forza! borbottò fra sé, tirandosi una manata sulla coscia con impazienza, provando la prima fitta di allarme della giornata. Se l'esca non si presentava al nemico entro pochi istanti. . . Ma, proprio perché combattevano da individui, e ognuno era generale di se stesso, Jake non aveva motivo di preoccuparsi. L'arte dell'imboscata e dell'agguato era naturale agli etiopi come la sensazione di avere un fucile tra le mani. Un drappello di cavalieri parve sorgere dal terreno accidentato e arroventato sotto il naso degli italiani. Galoppavano in un turbine di nere falde come uccellacci da rapina. Tagliarono obliquamente la strada alla colonna italiana, diretti a spron battuto verso il centro della ben nascosta cavalleria etiopica. Quasi istantaneamente un veicolo isolato si staccò dalla testa della colonna e prese a dirigersi sul drappello di cavalieri al galoppo. La velocità di questo automezzo era spaventosa e il drappello fu costretto a piegare verso il punto dove stavano nascoste le autoblindo. Dietro quel veicolo isolato, la colonna italiana perse un po' della sua rigida compattezza. La prima metà dei camion si diedero anch'essi all'inseguimento dei cavalieri, svoltando disordinatamente, pressoché appaiati. Erano veicoli molto più grossi, dalla copertura di tela, e andavano circa alla stessa velocità dei guerrieri a cavallo. Tuttavia il veicolo più piccolo guadagnava rapidamente terreno e Jake si alzò per vedere meglio aggiustando la messa a fuoco del binocolo. Riconobbe subito la Rolls-Royce scoperta che aveva già visto ai Pozzi di Cialdi. Le cromature scintillavano al sole, e la sua linea
bassa e filante dava l'impressione di velocità e potenza, mentre una nuvola di polvere si alzava turbinando dalle ruote posteriori. Mentre osservava, la Rolls frenò sbandando e alzando ancora più polvere sulla piana sabbiosa. Un uomo saltò giù dal sedile posteriore. Jake lo vide imbracciare il fucile da caccia grossa e sparare sette colpi in rapida successione (contò le nuvolette che uscivano dalla canna). La canna si alzava dopo ogni colpo per il forte rinculo, e, qualche attimo dopo, il rumore dello sparo raggiungeva Jake. I cavalieri stavano allontanandosi in fretta dalla Rolls, ma né le variazioni di distanza né il miraggio né la polvere ingannarono il tiratore. A ogni colpo un cavallo cadeva rotolando per terra con gli zoccoli al cielo, oppure si trascinava penosamente per qualche altro passo prima di cadere a terra e non muoversi più. Poi l'uomo col fucile saltò di nuovo sulla Rolls e continuò la caccia ai sopravvissuti, guadagnando rapidamente terreno, mentre il grosso dei camion arrancava dietro, avanzando con esasperante lentezza verso il luogo accortamente destinato da Gareth Swales al massacro di uomini e macchine. Bastardo! sussurrò Jake tra i denti, guardando la Rolls che si fermava con un'altra sbandata. L'italiano non correva certo il rischio di avvicinarsi troppo ai cavalieri: se ne stava alla larga, fuori portata delle loro armi antiquate, e li buttava giù upo alla volta, con il morbido stile di chi stia tirando al piccione. Infatti tutta la scena sembrava più un episodio di caccia che di guerra. Anche alla distanza di tre o quattrocento metri, Jake era in grado di cogliere la passione sanguinaria del tiratore italiano, la sua bruciante urgenza di uccidere per il solo gusto di dare la morte, per la profonda emozione che ciò comportava. Intervenendo subito, attaccando sul fianco la disordinata colonna, avrebbero magari salvato la vita a molti dei cavalieri che ora scappavano disperatamente bersagliati dallo spietato cecchino. Ma la colonna italiana non era ancora abbastanza avanti per cadere nella trappola predisposta da Gareth. In fretta, Jake cercò col binocolo gli ultimi camion della colonna, e si accorse che una dozzina di automezzi, in coda, non si eranO uniti alla pazza caccia ai cavalieri in fuga. Quel piccolo gruppO si era fermato, evidentemente per ordine di un comandante di polso, e si trovava ora a quattro chilometri da gli altri che procedevano a valanga, in una nuvola compositadi polverose scie. Jake non poté più prestare attenzione a quel gruppo perché nel frattempo era ricominciato il massacro del drappello di cavalieri, che avevano fatto da esca, da parte dello scatenato cecchino italiano della Rolls. La tentazione di intervenire ora travolse Jake. Sapeva che non era il momento giusto dal punto di vista tattico, ma si disse: Al diavolo, non sono mica un generale! Quei poveri bastardi là fuori hanno bisogno di una mano . Schiacciò l'acceleratore a fondo e il motore rombò, ma, prima che potesse schizzare in avanti e uscire dal riparo del ciglione, Gareth Swales, che aveva seguito tutto il gioco delle emozioni sul suo viso, invero chiarissimo, portò l'autoblindo a bloccargli il passo. Dico, vecchio, non facciamo gli idioti! gridò Gareth dal vano del guidatore. Calma il fiero petto, o rovini tutto lo spettacolo. Quei poveri. . . cominciò a gridargli Jake in risposta. Dovranno arrangiarsi , tagliò corto Gareth. Ti ho già detto una volta che le tue antiquate idee sentimentali ci metteranno nei guai tutti e due. La discussione era arrivata a questo punto quando il ras vi pose fine. Era in piedi sulla torretta sopra Gareth, armato dello spadone da impugnare a due mani. L'eccitazione era ormai troppa per lui, non si trattenne più: emise una serie di acutissime urla di guerra mulinando lo spadone sopra la testa. I raggi del sole scintillavano sul filo della spada e sulla porcellana dei denti, che
lampeggiavano come semafori. Egli però sottolineava i gridi di guerra con selvaggi calci al guidatore e incitamenti in amarico di balzare addosso al nemico Gareth si accoccolò tutto per sfuggire ai sovrani piedi scalpitanti. Un branco di pazzi! protestò schivarìdo un calcio in testa. Perché mi sono uniio a voi? Maggiore Swales! urlò Gregorius, incapace di restare filori della discussione un minuto di più. Mio nonno le ha ordinato di avanzare! E tu di' a tuo nonno di andare aff. . . ma la risposta di Gareth fu soffocata da un calcio nelle costole. Avanti! gridò Gregorius. Forza, muoviti, perdio! gridò Jake. Yahooo! ululò il ras, girando su se stesso nella torretta per incitare i suoi uomini all'attacco. Ma non avevano più bisogno di incoraggiamento: inondando le due autoblindo immobilizzatesi a vicenda, mulinando i fucili sopra la testa, sventolando le falde dello sciamma come bandiere al vento, salirono sul ciglione e si rovesciarono al galoppo contro il fianco della sparsa colonna italiana. Oh, mio Dio , sospirò Gareth. Ogni soldato un generale! Guarda! gli gridò Jake, indicandogli il letto asciutto del torrente, vicino alle prime pendici della montagna. Sembrava che le viscere della terra si fossero aperte. Una fiumana di cavalieri al galoppo si stava scagliando verso il nemico. Dove un attimo prima non vi vedevano che molli colline, vuote e silenziose, adesso era tutto un brulicare di uomini urlanti e cavalli, a centinaia e migliaia, che galoppavano ventre a terra in direzione dei camion italiani. La polvere aleggiava su tutta la scena, rotolando in avanti come schiuma rapita dal vento alla cresta dell'onda oceanica in pieno inverno, sicché uomini, cavalli e mezzi meccanici sembravano forme oscure e infernali nel buio di quella nuvola, dove soltanto a tratti il sole riusciva a penetrare baluginando su un fucile o una spada. Siamo in ballo , concordò amaramente Gareth, e a mar cia indietro fece spazio all'autoblindo di Jake, prima di lanciarsi faticosamente, con gran girare a vuoto delle ruote motrici sul terreno sabbioso, sull'erta del ciglione oltre il quale già la cavalleria si scontrava con gli italiani. Jake si scostò dall'altra autoblindo e affrontò la salita secondo un angolo più conveniente. Ed ecco i due automezzi sbucare affiancati sulla piana. Davanti a loro porgeva il fianco scoperto la colonna italiana, semplici camion con la truppa riparata soltanto da un telone, un bersaglio tra i più favorevoli che le vecchie autoblindo avessero mai avuto nella loro ormai lunga storia di strumenti di morte. Le due signore di ferro scattarono insieme in avanti, e parve a Jake di cogliere un rumore diverso nel mo ore della propria, come se i veicoli sentissero che, una volta ancora, stavano giustificando la ragione profonda della loro) meccanica esistenza. Jake lanciò una rapida occhiata alla G~bò l che avanzava al suo fianco. Il suo profilo spigolos(: , dalle superfici piatte e squadrate su cui si elevava l'alta torretta, era sempre quello familiare, un po' zitellesco: ma se il profilo era quello di sempie, nuova era la maestà dell'incedere COI gagliardetti al vento dei brillanti colori dell'Etiopia, e le grosse ruote dal sottile rivestimento di gomma piena spargevano sabbia dappertutto come gli zoccoli d'un focoso stallone. Priscilla avanzava con la stessa gagliardia, e Jake provò un caldo empito d'affetto per le due vecchie signore. Addosso, ragazze! gridò a squarciagola, e Gareth Swales con la testa che spuntava dal vano del guidatore, si voltò a guardarlo. Un sigaro appena acceso gli fumava all'angolo della bocca come se fosse spuntato da solo, e Gareth sogghignava tutt'intorno a esso. Noli illegitimi carborundum! Jake distinse appena le parole nel rombo del vento e del motore, poi dedicò tutta la sua attenzione alla guida, spingendo il mezzo a tutta velocità verso la breccia che si era
aperta nella colonna nemica. Il suo movimento era improvvisamente cambiato. I guerrieri italiani lanciati all'inseguimento si erano accorti che le parti si erano bellamente invertite. Il conte scelse un cavaliere, mirò e fece una leggerissima pressione sul grilletto, quasi un sospiro, essendo il Manniicher un fucile sensibilissimo e assolutamente preciso a quella distanza, che non superava i cento metri. Vide perfettamente di aver fatto centro: l'uomo sobbalzò in sella e ricadde aggrappandosi al collo del cavallo, mentre la vecchia spingarda gli sfuggiva di mano e, sempre attaccata per la cinghia al braccio, veniva trascinata a terra dal cavallo al galoppo. Il conte distinse perfettamente anche la macchia di sangue che si allargava sullo sciamma bianco in corrispondenza della spalla del cavaliere ferito. Sparò ancora, mirando all'attaccatura del collo del cavallo. Vide il potente impatto del proiettile buttare per terra il cavallo lanciato, che rovinò scalciando sul cavaliere ferito Pc~lln do dai polmoni bucati un alto nitrito d'agonia. Il conte rise, tutto eccitato. Quanti sono, Gino? Quanti sono con questo? Otto, signor colonnello. Tu conta, ch, continua a contare! l'incitò, e girò col fucile imbracciato alla ricerca di un altro bersaglio, scrutando l'aperta savana. E a un tratto si gelò, la canna del fucile tremolò e si abbassò fino a puntargli l'alluce, e contemporaneamente, quasi per simpatia, anche il mento gli ricadde sul pomo d'Adamo. Il recente disturbo, momentaneamente dimenticato nell'eccitazione della caccia, lo assalì di nuovo con una potenza che gli trasformò le viscere in acqua e le ginocchia in gelatina. Maria vergine! sussurrò. L'orizzonte intero si stava muovendo, una linea ininterrotta per tutto il suo campo visivo. Gli ci vollero parecchi secondi per assimilare ciò che stava vedendo, per rendersi conto che invece di quindici cavalieri sparuti ce n'erano adesso migliaia e migliaia che, anziché scappare, si muovevano verso di lui a una velocità che mai avrebbe ritenuto possibile. A occhi sbarrati vide file di nemici affacciarsi una dopo l'altra all'orizzonte, come nate dalle viscere della terra, e galoppare incontro a lui attraverso una fine cortina di polvere. Vide il sole al tramonto rosseggiare sanguigno sulle spade sguainate, e udì il rombo degli zoccoli al galoppo risuonare come una gigantesca cascata. In quel rombo di tuono, pure, debolmente si udivano le raccapriccianti urla di guerra dell'orda all'assalto. - Giuseppe , balbettò. Via di qua, subito! E a tutta ve locità! Era il genere di ordine che arrivava subito a destinazione, fin nell'imo cuore dell'autista. Schiacciò l'acceleratore Gon una tale pressione che il conte ricadde col sedere sul sedile di cuoio. Sparsi su un fronte di cinquecento metri dietro e sulle ali della Rolls alla testa dell'autocolonna, seguivano trenta camion Fiat verniciati in color sabbia. Nonostante tutti i loro sforzi, erano rimasti piuttosto indietro rispetto alla Rolls e adesso si trovavano a trecento metri di distanza. Tuttavia, l'emozione dell'inseguimento aveva contagiato i soldati, che si erano arrampicati sul tetto dei camion e aggrappati alle predelle a grappoli, e urlavano e suonavano i clacson per incitare il colonnello come battitori in una caccia alla volpe. La solida falange di veicoli, avanzando quasi a ruota a ruota sul terreno accidentato, a una velocità che avrebbe fatto venire i capelli bianchi all'ingegnere che li aveva progettati, si trovò all'improvviso nell'impellente necessità di fare dietro froni senza assolutamente rallentare. I guidatori dei due camion di testa, la cui urgenza era maggiore, risolsero il critico problema svoltando l'uno a destra e l'altro a sinistra. Così si scontrarono a una velocità risultante di ottanta chilometri l'ora. In una rombante nuvola di vapore, di vetri rotti e metallo fracassato, le camicie
nere finirono ruzzoloni per la savana, come sacchi di farina, o impalate da questa o quella sporgenza metallica degli automezzi. Inestricabilmente incastrati fra loro, i camion si adagiarono sulle sospensioni spezzate, e cominciava appena a posarsi la polvere quando la benzina uscita dai serbatoi squarciati prese fuoco con un boato raccapricciante e un'eruzione vulcanica di fiamme e fumo nero. Gli altri autocarri riuscirono in qualche modo a invertire la rotta senza serie collisioni e se la squagliarono a tutta forza nella loro stessa scia di polvere, inseguiti dall'orda di cavalieri urlanti. Il conte Aldo Belli non aveva nemmeno la forza di voltarsi a guardare. Era sicuro che avrebbe visto roteare un afiilato spadone a pochi millimetri dalla sua nuca accapponata. Così si chinò sull'autista, esortandolo ad accelerare un tantino con poderosi cazzotti sulla testa. Più forte! gridava il conte che, da un bel baritono, sembrava esser diventato un incerto contralto. Più forte, idiota o ti faccio fucilare! e giù un altro cazzotto dietro l'orecchio, accompagnato da un sospiro di sollievo al vedere che la Rolls aveva ormai raggiunto il disgregato gregge di camion in fuga disordinata. A questo punto giudicò sicuro voltarsi a guardare. Il sollievo divenne più intenso nell'accorgersi che la Rolls era perfettamente in grado di lasciarsi indietro un cavallo al galoppo. Così il conte sperimentò una calda ondata di novello ardim~ento. Dammi il fucile, Gino , gridò. Passami il fucile! Ma il sergente stava cercando di mettere a fuoco l'orda inseguitrice nell'obiettivo della macchina fotografica. Il conte gli tirò un cazzotto sulla testa. Idiota! Siamo in guerra, e io sono un guerriero! Qua il fucile! Giuseppe l'autista, udendolo, decise con riluttanza che era suo dovere rallentare un po' per consentire al onte di seguire le proprie inclinazioni guerresche. Ma, alla prima diminuzione di velocità, gli arrivò una mazzata in capo. La voce del conte era tornata un trillo. Idiota! squittì. Vuoi farci amazzare? Più forte, imbecille, più forte! Con indicibile sollievo, l'autista schiacciò l'acceleratore a tavoletta e la Rolls balzò di nuovo avanti come una pantera. Gino, accucciato ai piedi del conte, gli passò il Manniicher. carico, signor conte. Bravo, ragazzo! Il conte prese il fucile e cominciò a guardarsi intorno in cerca di bersagli. La cavalleria etiopica però, a quel punto, era piuttosto lontana, e la Rolls aveva superato buona parte dei camion della truppa, che ora si trovavano fra il conte e il nemico. Il conte stava considerando l'opportunità di ordinare a Giuseppe di portarsi sul fianco, per dar così campo libero al suo fuoco: soppesava il piacere di abbattere i cavalieri negri da una distanza di sicurezza contro la possibilità di far correre qualche piccolo rischio alla sua incolumità personale. Scrutò quindi nella direzione che intendeva far prendere all'autista e ciò che vide lo lasciò di nuovo a bocca aperta. Due massicce forme gibbute stavano attraversando la savana. Sembravano mostruosi cammelli che si avvicinavano rapidamente con un'andatura sobbalzante a un tempo comica e minacciosa. Il conte li guardò senza capire per un po' , finché, con un improvviso batticuore e con un nuovo fiotto di adrenalina che gli si scaricò nel circolo sanguigno, si rese conto che i due strani veicoli andavano abbastanza forte e nella direzione giusta per tagliargli la strada. Giuseppe! ululò, dandogli un colpo col calcio del Manniicher. Non si trattava poi di un gran colpo, era stato inferto semplicemente per attrarre l'attenzione, ma Giuseppe ne aveva già presi troppi e a quel punto era un po' stordito. Si attaccò al volante con le nocche illividite dalla tensione e svoltò inavvertitamente incontro al nuovo nemico. Giuseppe! ululò di bel nuovo il conte,
distinguendo all'improvviso i variopinti gagliardetti che sventolavano in cima alle autoblindo. Nello stesso istante scorse anche la tozza e minaccioSa canna della Vickers che sporgeva dalla torretta. All'estremità della camicia del raffreddamento ad acqua scorgeva il foro della canna sormontata dal mirino. Santa Maria misericordiosa! berciò allorché l'autoblindo sterzò leggermente e la tozza canna della mitragliatrice puntò nella sua direzione. Gira, coglione! Gira di là! urlò a Giuseppe, menandogli ancora. A un tratto, fra le lacrime di dolore, il fischio incessante che sentiva nelle orecchie, e il terrore accecante che lo attanagliava, Giuseppe scorse la forma a cammello che incombeva su di loro, e sterzò di colpo. In quella, la canna della Vickers eruttò fuoco e fiamme, e l'aria circostante fu lacerata da una raffica di sibili e spari. Il maggiore Castellani, sul tetto del proprio camion, scrutava con aria di disapprovazione quanto avveniva, seminascosto da una nuvola di polvere, a quasi un chilometro di distanza. C'era un tal movimento frenetico, un tal fumo, una tal polvere che anche col binocolo si capiva poco. Era un vorticoso mulinare di ombre, che sembrava del tutto senza scopo. C'era voluta tutta la sua energia per far rallentare i dieci camion che trasportavano i mortai e gli artiglieri e tenerli a disposizione: volevano assolutamente lanciarsi anch'essi all'inseguimento del drappello di cavalieri. Castellani stava quasi per dar l'ordine di ripartire e unirsi alla trionfale carica del conte all'assalto della storia e della gloria, quando alzò nuovamente il binocolo, e stavolta intravide qualcosa di ben diverso. Scorse l'inconfondibile sagoma di un camion Fiat uscire dal banco di polvere e puntare dritto verso di lui. Nelle sue lenti potentissime si distinguevano anche chiaramente le camicie nere, che guardavano tutte all'indietro, nella direzione opposta a quella che il camion aveva imboccato sfrecciando a tutta velocità. Pulì le lenti e vide un altro camion sbucare dalla polvere e venire verso di lui. Un soldato, sul tetto, stava sparando all'indietro, mentre i suoi commilitoni, aggrappati alla cabina, assistevano congelati dal terrore. In quel momento Castellani udì un rumore che riconobbe immediatamente con un brivido. Il crepitio di una mitragliatrice inglese Vickers. La cercò con gli occhi sul fianco destro della colonna italiana che, ormai completamente in vista, stava ritirandosi nel massimo disordine. Individuò subito l'alta sagoma gibbosa che si stagliava sulla savana piatta e avanzava arditamente, imbarcandosi come un cavallo a dondolo, contro il fianco del trasporto italiano dove un semplice telone riparava la truppa. Sganciate i pezzi , gridò Castellani agli artiglieri. nemico attacca con mezzi corazzati, preparatevi a respingerli. Nelle torrette delle autoblindo, le mitragliatrici Vickers erano montate su cuscinetti a sfere. La canna si poteva alzare e abbassare liberamente, ma non spostare di lato se non per un raggio di venti gradi, che costituiva il limite di puntamento oltre il quale doveva intervenire il guidatore sterzando. Il ras trovò tutto ciò quanto mai esasperante. Si sceglieva un bersaglio e lo indicava in chiaro e perfetto amarico al guidatore: ma Gareth Swales, non capendo una sola parola, ne aveva già scelto un altro e l'offriva al ras che, esercitando il suo sovrano diritto di scelta, si rifiutava di falciarlo vendicandosi a calcioni sulle costole del disgraziato autista. La conseguenza di tutto ciò fu che la Gobba seguì una rotta variabile e del tutto imprevedibile lungo la colonna italiana, sterzando per le più inattese tangenti mentre mitragliere e guidatore litigavano rinfacciandosi amare incomprensioni, quasi ignorando le gragnole di fucileria che si abbattevano, tem pestando sui fianchi corazzati, a bruciapelo, come grandine su un tetto di
lamiera. D'altra parte Priscilla la Troia stava perpetrando un vero massacro. Aveva mancato la prima raffica alla Rolls, che era subito sparita in una nuvola di polvere sfrecciando fra i camion della truppa: ma ora Jake e Gregorius stavano collaborando con tutta la precisione e l'aiuto reciproco che assicurava l'amicizia fiorita tra di loro. A sinistra, conducente, a sinistra, a sinistra! gridava Gregorius, traguardando col mirino il camion che filava sobbalzando una cinquantina di metri davanti a loro. Fatto; ce l'ho , gridava Jake inquadrandolo nel ristretto campo dello spioncino. Era una lastra d'acciaio perforata che consentiva solo la visione anteriore. Ma, una volta inquadrato il camion, egli rintuzzava tutti i suoi tentativi di sfuggirgli, guadagnando sempre più terreno fino a incalzarlo da non più di sei o sette metri di distanza. Il retro dell'autocarro era stipato di camicie nere. Alcuni scaricavano il fucile contro l'autoblindo inseguitrice, tempestandola di vani colpi, ma la maggior parte restavano aggrappati ai bordi del camion, bianchi in volto, guardando con gli occhi sbarrati l'autoblindo seminatrice di morte che inesorabilmente si avvicinava. Spara, Greg! gridava Jake. Anche nella fredda collera che lo attanagliava, era contento che il ragazzo obbedisse ai suoi ordini e sparasse solo quando glielo diceva. A così breve distanza non c'era spreco di munizioni. Ogni raffica investiva il camion, bucando tela, carne, ossa e lamiera al ritmo di settecento colpi al minuto. Il camion sbandava, si rovesciava, scagliando cadaveri da tutte le parti così come un cane che si asciuga sparge goccioline dappertutto. A destra, conducente! gridava subito Gregorius. Altro camion a destra, ancora un po' . . . bene ci siamo. E si mettevano rombando a dar la caccia a un aitro carico di italiani in preda al panico. A un centinaio di metri di distanza, frattanto, anche la Gobba coglieva il suo primo successo. Gareth Swales, non potendo più sopportare l'obbrobrio dei calci del ras e i suoi frenetici quanto incomprensibili ordini, lasciò andare il volante e gli tirò un irritatissimo cazzotto. Adesso piantala, vecchio coglione! berciò. Pigliatela con loro, cribbio, io sto dalla tua parte! Il veicolo, senza più controllo, deviò all'improvviso. Di fianco c'era un camion Fiat carico di italiani, il cui autista non si era ancora accorto che c'era un altro nemico da fronteggiare oltre all'orda di cavalieri etiopici che lo inseguiva. Guidava guardando indietro, con la testa avvitata sulle spalle a un'angolazione impossibile. I due veicoli senza guida cozzarono l'uno contro l'altro secondo un angolo acuto e alla massima velocità. Acciaio si scontrò con acciaio in un turbine di scintille, ed essi rimbalzarono lontano, su due ruote. Per un attimo sembrò che la Gobba si rovesciasse: traballando al limite estremo del proprio equilibrio, ricadde pesantemente sulle ruote con un colpo che mandò i suoi due occupanti a sbattere contro le pareti corazzate prima di continuare la propria corsa con Gareth che, tutto ammaccato, si sforzava di riprendere in mano il volante. Il camion Fiat era più leggero e aveva il baricentro più alto. L'autoblindo l'aveva urtato proprio sotto la cabina di guida. Non traballò nemmeno, si ribaltò di colpo, con le quattro ruote che continuavano a girare rivolte al cielo. La cabina e il telol'e posteriore furono strappati via in un istante, e il carico di uomini restò schiacciato fra il suolo e la lamiera. Era troppo per il ras: non poteva più sopportare la delusione di starsene chiuso in una scatola di metallo rovente, senza vedere niente, mentre intorno a lui centinaia di odiati nemici se la squagliavano nella più completa impunità. Scoperchiò dunque la torretta e tirò fuori testa e spalle, emettendo un acuto urlo di rabbia, eccitazione, sete di sangue e frustrazione. In quell'attimo
una Rolls-Royce scoperta azzurra e nera sfrecciò davanti a loro, tagliando la strada alla Gobba. Sul sedile posteriore sedeva un ufficiale italiano dal petto scintillante di medaglie. Immediatamente Gareth Swales e il ras si trovarono d'accordo: quello era un bersaglio veramente degno di loro. All'assalto, direi! gridò Swales, ottenendo in risposta un sgghiacciante: Come va la vita! una specie di bellicoso chicchirichi dalla torretta soprastante. Il conte Aldo Belli era in preda all'isteria. Il suo autista sembrava aver perduto ogni senso dell'orientamento. Ormai ben più che un po' stordito, stava attraversando ad angolo retto il fronte dei camion che si ritiravano. Era una manovra azzardata almeno quanto quella di lanciare un transatlantico a tutto vapore in mezzo agli iceberg. La nuvola di polvere aveva ridotto la visibilità a non più di trenta metri, e da quella nebbia nerastra le alte sagome dei camion emergevano di es~lpo, con gli autisti non troppo in grado di prodursi in abili schivate giacché guardavano più indietro che davanti. Ed ecco che di fronte a loro comparvero due sagome mostruose lanciate a tutta velocità. Uno era un camion italiano I altro un mezzo corazzato gibboso come un cammello che. oltre alla bandiera etiopica, inalberava una tozza mitragliatrice ~ickers. A un tratto l'autoblindo sterzò e andò pesantemente a sbattere contro la fiancata del camion, che subito si ribaltò. L'autoblindo sobbalzò sulle ruote, pun'ando direttamente contro la Rolls. Giunse così vicina, torreggiando minacciosamente su di loro, da entrare perfino nel limitato campo visivo di Giuseppe. L'effetto fu miracoloso. Giuseppe fece un salto sul sedile e, col tocco ispirato di un novello Nuvolari, fece fare alla Rolls una strettissima curva su due ruote, sfrecciando davanti all'autoblindo che li puntava proprio nel momento in cui si alzava il coperchio della torretta e una grinzosa faccia nera, piena dei denti più grandi, candidi e luminosi che il conte avesse mai visto, sbucava fuori della torretta emettendo un grido di guerra così acuto e raccapricciante che al conte si attorcigliarono le budella come a un pesce arpionato. La Vickers puntò la Rolls, il mitragliere etiopico scomparve nella torretta e la canna si alzò leggermente finché il conte si ritrovò a guardare stupidamente nel foro. . . ma Giuseppe, dopo la curva a U , guidava attento allo specchietto retrovisore e, al vedersi puntare dalla mitragliatrice, schizzò di lato come uno sgombro inseguito dal barracuda. La raffica alzò vulcanetti di polvere e terriccio sulla sinistra dell'auto del conte. L'autoblindo corresse pesantemente la rotta per inquadrare di nuovo la Rolls, tracciando sul terreno sabbioso un arco di colpi di mitraglia che si avvicinavano sempre più pericolosamente al bersaglio. Di fronte alla prospettiva di lasciarci la pelle, Giuseppe tentò il tutto per tutto. Fece una tal frenata che il conte venne catapultato contro il cruscotto, dove rimase, bestemmiando, in bilico con la pancia sullo schienale del sedile anteriore, sgambettando con gli stivali lustri e le chiappe nerovestite puntate al cielo nel tentativo di recuperare l'equilibrio. Ma la raìfica di pallottole uscita dalla canna oscillante della Vickers passò due dita sopra la Rolls. Subito Giuseppe sterzò dalla parte opposta, diede una potente accelerata e l'auto, dopo aver urlato con le ruote vorticanti a vuoto nella sabbia, morse il terreno e di scatto sfrecciò via. Il conte fu sparato contro lo schienale del sedile posteriore, dove si ritrovò in qualche maniera seduto, con l'elmetto sugli occhi. Ti faccio fucilare , balbettò cercando di sistemare l'elmetto. Ma Giuseppe aveva troppo da fare per starlo a sentire~ Le sue schivate avevano ingannato il mitragliere etiope, e la superiore velocità della Rolls li stava rapidamente allontanando dal pericolo. Ed ecco comparire un'altra volta, in
cima alla torretta, la testa avvizzita, ma sempre dotata di una splendida dentatura, del ras che voleva vedere dove fosse andata a cacciarsi la Rolls. Fatto ciò, scomparve di nuovo dentro la torretta. E di nuovo ecco l'autoblindo sterzare minaccìosamente verso di loro, e la torretta sputare un'altra raffica di proiettili destinati, a giudicare dagli spruzzi di terriccio, a incrociare in breve e con esito letale la rotta della Rolls. Poco più avanti dei due veicoli comparve la sagoma di un altro camion carico di camicie nere, che seguiva un tragitto parallelo al loro, ma andava a mezza velocità sotto il greve fardello dei soldati terrorizzati. Giuseppe girò il volante quel tanto che bas. ava a schivare la raffica, poi all'improvviso si buttò dall'altra parte. Appena I autobimdo svoltò per inseguirli, la Rolls si nascose dietro il camion, interponendo fra sé e la mortale mitragliatrice la sua alta e instabile massa. L'etiope continuò a sparare. Mentre la valanga di piombo si abbatteva sulla struttura di tela del trasporto, seminando la morte fra gli uomini ammassati a spalla a spalla dietro l'illusorio riparo, la Rolls, invisibile, Si dava alla fuga. Ben presto sbucò fuori dal nuvolone di polvere e Si trovò nell'aria pura del deserto, trasparente come cristallo. Davanti ormai si stendeva solo l'aperta savana, piatta fino all'orizzonte: quell'orizzonte che costituiva la meta agognata di ciascun passeggero della Rolls. I camion carichi di camicie nere erano rimasti molto indietro e il conte, in quel momento~ non aveva nessuna intenzione di fermarsi prima di aver raggiunto le munite difese fatte scavare da Castellani ai Pozzi di Claldi. Ma ecco che, all'improvviso, egli notò nella pianura dei cannoni Erano piazzati ordinatamente in formazioni triangoari, di tre pezzi l'una, coi serventi al posto di combattimento e le lunghe canne di grosso calibro già puntate verso la massa di veicoli che si avvicinavano. Nel piazzamento dell'artiglieria cera una tale aria di parata, più che di combattimento, che il conte alla vista di tanto ordine si sentì consolato, dopo l'incua CUi era appena Uscito. Giuseppe, ci hai salvati , singhiozzò. Ti darò una medaglia Si era già dimenticato che pochi minuti prima aveva promesso di farlo fucilare. Dirigi fra i cannoni, da br-vo. ai fatto un ottimo lavoro, un lavoro da prode, e vedrai che sapro ricompensarti. In quel momento, incoraggiato da simili discorsi di salvezza, Gino si alzò dal fondo dell'auto, dove era rimasto accucciato nel corso degli ultimi minuti. Guardò cautamente al di là del sedile posteriore della Rolls, e ciò che vide lo indusse a emettere un unico gemito soffocato e a ributtarsi giù. Alle spalle, l'autobiindo etiopica era sbucata dal nuvolone e stava puntando dritta verso di loro. Anche il conte lanciò un'occhiata in quella direzione, e riprese immediatamente a incoraggiare Giuseppe nel solito modo, tempestandolo sul cocuzzolo del cranio col pugno chiuso e duro come il martello di un giudice. Più forte, Giuseppe! strillava. Se ci ammazzano, ti faccio fucilare! La Rolls scattò verso la protezione dei cannoni. Pronti! ordinò il maggiore Castellani con gravità, cercando di far star calmi gli artiglieri col suo tono di voce. Pronti, ma calmi, ch, mi raccomando. Non sparate ancora, non sparate. Ricordatevi le esercitazioni, artiglieri , disse. Si fermò un momento accanto al più vicino, scrutando il campo di battaglia col binocolo, lentamente e con calma affettata. La nuvola di polvere stava avvicinandosi in fretta, ma non si capiva ancora con chiarezza cosa stesse succedendo. La carica è ad alto potenziale? domandò tranquillo il maggiore, e l'artigliere, nervosissimo, inghiottì e gli rispose di sì. Ricorda che il primo colpo è l'unico che si può mirare bene. Cerca di farlo andare a segno. Signorsì. La voce dell'uomo era malferma, e Castellani provò una fitta di rabbia e
disprezzo. Erano tutti mollaccioni, nervosi e spaventati. Era stato costretto a spingerli a calci al posto di combattimento, e a metter loro letteralmente in mano i proiettili. Si voltò di colpo e andò all'altra batteria. Pronti ragazzi. Lasciate venire il nemico a tiro e non sprecate i colpi. Si voltarono a guardarlo lividi di paura. Uno di loro sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. L'unica cosa di cui dovete aver paura sono io , tuonò Castellani. Azzardatevi a sparare prima del mio ordine e vedrete che vi faccio un. . . ? 'Un urlo l'interruppe. Era un servente che, in piedi sulla predella del pezzo, indicava un punto in mezzo alla savana. Prendete il nome di quel soldato , ordinò seccamente Castellani, e si voltò con calma, pulendo in modo ostentato le lenti del binocolo prima di alzarlo agli occhi. Il colonnello Aldo Belli stava guidando con entusiasmo la ritirata dei suoi. Li precedeva di buoni settecento metri. e ogni secondo che passava aumentava il distacco. Stava precipitandosi dritto in mezzo alle batterie, in piedi sul sedile posteriore della Rolls, sventolando le bracc;a e gesticolando come se fosse assalito da un nugolo di vespe. Mentre Castellani osservava, dal nero sipario di fumo e polvere dietro la Rolls sbucò un veicolo che egli riconobbe immediatamente, nonostante la riverniciatura e la strana arma che sporgeva dalla torretta. Non ebbe affatto bisogno di dare un'occhiata alla bandiera che batteva per capire che era l'autoblindo nemica. Molto bene, ragazzi , disse con la massima tranquillità. Vengono. Caricate con granate ad alto potenziale e aspettate il mio otdine per far fuoco. Non un stante prima. L'autoblindo lanciata sparò una lunga raffica crepitante e fragorosa. Troppo lunga. si disse Castellani con una certa amara soddisfazione. Quella mitragliatrice si sarebbe ben presto surriscaldata, e c'era da aspettarsi che si inceppasse. Un mitragliere esperto spara raffiche brevi, intervallate ed efficaci. . . anche il nemico aveva i suoi novellini, concluse Castellani. Pronti, ragazzi , berciò al vedere i propri artiglieri. sulle spine per il crepitare della lontana mitragliatrice, che si scambiavano sguardi nervosi. L'autoblindo sparò di nuovo, ed egli vide piovere i proiettili attorno alla Rolls alzando fontanelle di terriccio e polvere. Un'altra raffica troppo insistita, che di colpo si interruppe e non ricominciò. Ecco là! esclamò Castellani con soddisfazione. Ecco là che si è inceppata! I suoi tremuli artiglieri non sarebbero stati sottoposti ad alcun mitragliamento. Era un bene. I, i avrebbe induriti, avrebbe dato loro fiducia il fatto di poter sparare senza esser presi di mira a loto volta. Pronti ora, tutti pronti! Non c'è più molto da aspettare. Puntate La sua voce aveva perso l'aspro tono gracchiante, da carta vetrata al lavoro, per assumerne un altro carezzevole, di madre che canti la ninna nanna al proprio bambino. Aspettate ancora un po' , ragazzi. Calma, calma. Il ras non aveva capito che cosa era successo alla mitragliatrice, perché ora taceva, nonostante che egli l'impugnasse e schiacciasse i grilletti con tutta la sua forza. Il lungo nastro di munizioni pendeva dalla fessura dell'otturatore, ma non si muoveva piU. Il ras insultò la mitragliatrice, l'insultò sanguinosamente, in un modo che, se rivolto a essere umano, avrebbe provocato un duello all'ultimo sangue, ma la mitragliatrice restò inerte e zitta. Impugnando lo spadone con entrambe le mani, il ras si affacciò dalla torretta brandendolo sopra la testa. ~molto dubbio che sapesse che aspetto avessero tre batterie di moderni cannoni da campagna da cento millimetri di calibro visti dalla parte della volata, o che, qualora li avesse riconosciuti, avrebbe rinunciato a inseguire la Rolls che fuggiva. Sta di fatto che la sua ragione, come la sua vista, erano annebbiate dalle rosse brume del furore guerresco.
Non vide i cannoni che l'aspettavano. Sotto di lui, Gareth Swales, chino sul visore, guidava senza vedere quasi niente, come attraverso un colapasta. I suoi occhi nuotavano nel fumo di cordite, in quello degli scappamenti e nella polvere rossa, e continuava a sbatterli cercando di non perdere la sfrecciante, eterea sagoma della Rolls. Nemmeno lui vide, quindi, i cannoni in agguato. Spara, che Dio ti maledica! gridava. Guarda che la perdiamo! Ma sopra di lui la Vickers restava zitta e, dal suo basso livello di osservazione, le batterie di cannoni risultavano celate dalla piega del terreno che il maggiore Castellani aveva amorosamente prescelto per ripararvi la propria artiglieria. Gareth corse verso di essa, irresistibilmente attratto dalla filante vettura che gli danzava elusiva davanti agli occhi. Molto bene. Castellani si concesse un sorrisetto al vedere il nemico avanzare con tanta furia. Era già a una comoda distanza di tiro per un cannoniere esperto, ma lui sapeva che la distanza giusta per dei pivelli come i suoi si aggirava intorno alla metà di quella attuale. La Rolls, tuttavia, era ormai a soli duecento metri dalle batterie, e arrivava a una velocità di almeno cento all'ora. Tre facce gessose e terrorizzate, a bordo, lo fissavano imploranti, e tre voci gridavano al soccorso coprendo il rombo del motore. Il maggiore li ignorò e di nuovo fissò il nemico con occhio professionale. Era ancora a trecento metri ma si avvicinava in maniera sempre più promettente. Era sui punto di rivolgere ai propri artiglieri qualche altra parola rassicurante, quando la Rolls sfrecciò nello stretto passaggio fra le batterie. Il conte aveva temporaneamente recuperato il controllo dei propri piedi e del proprio elmetto. In piedi sull'auto la sua voce, potenziata dall'adrenalina e vibrante di terrore, raggiunse con grande chiarezza tutti i cannonieri. Aprite il fuoco! gridava il conte. Aprite immediatamente il fuoco o vi faccio fucilare tutti quanti! Dopo di che rendendosi conto che bisognava anche dir qualcosa per incoraggiarli a restare al loro posto a coprirgli la ritirata, aggiunse un ispirato: Meglio la morte del disonore! e sfrecciò via, sempre sui cento all'ora, verso il lontanissimo orizzonte. Il maggiore emise un ruggito belluino che voleva essere un contrordine, ma perfino i suoi polmoni nulla poterono contro il botto contemporaneo di nove pezzi da cento che spararono all'unisono come non erano mai riusciti a fare in addestramento. Ogni cannoniere prese in parola il colonnello, che aveva detto immediatamente , il che significava trascurare un po' i dettagli del puntamento e dell'alzo in favore della rapidità e del volume di fuoco. In tali circostanze fu un vero miracolo che una granata trovasse un bersaglio. E lo trovò in un camion Fiat adibito al trasporto delle camicie nere, che era appena sbucato dal polverone, seicento metri più indietro rispetto all'autoblindo etiopica. La granata era fabbricata per scoppiare con un ritardo di un millesimo di secondo sull'impatto. Il proiettile perforò il radiatore~ fracassò il motore, disintegrò l'autista. e scoppiò nel bel mezzo dei fanti terrorizzati~ ammassati dietro il telone, con la terrificante violenza dell'esplosivo ad alto potenziale Motore e ruote anteriori del camion proseguirono dritti per qualche secondo prima di mettersi a rotolare rimbalzan do sul terreno accidentato. Il resto del camion e venti camicie nere saltarono in aria, proiettati a quaranta metri d'altezza come una troupe di acrobati-pazzi. Solo una delle altre granate esplose vicino al nemico. Scoppiò dieci metri davanti all'autoblindo, creando un cratere del diametro di due metri eruttante fiamme, terra e ciottoli. La Gobba, lanciata, ci finì proprio dentro. Il ras, che si sporgeva dalla torretta con la testa, a occhi e bocca bene aperti, se li ritrovò tutti pieni di terra per l'esplosione. Le
sue urla di guerra cessarono di colpo, e cominciò a sputare per non restare soffocato e a fregarsi gli occhi per liberarli dalla sabbia. Anche Gareth si ritrovò la visibilità improvvisamente interrotta dalla colonna di fiamma e terriccio, e andò a finire nel cratere. Il sobbalzo lo scaraventò fuori del sedile, il volante lo urtò in mezzo al petto facendogli esalare in un istante tutta l'aria che aveva nei polmoni, prima di mandarlo a ricadere pesantemente sul pavimento d'acciaio dell'autoblindo. Con un altro sobbalzo la Gobba uscì traballando dal cratere, incoronata di polvere e fumo nero. Pendeva tutta da una parte perché l'urto aveva spezzato una delle balestre. Una ruota davanti era bloccata dall'acciaio della corazza che gravava sopra essa, ma, siccome il motore spingeva ancora a tutta forza, la Gobba prese a descrivere stretti circoli destrorsi, ostinata e stolida come un animale da circo. Senza fiato, Gareth si trascinò di nuovo al posto di guida, solo per scoprire che lo sterzo non esisteva più e l'acceleratore era bloccato al massimo. Rimase lì seduto per diversi secondi, ansimando senza saper che fare, scuotendo la testa per schiarirsi le idee, mezzo soffocato dal fumo e dalla polvere che riempivano il veicolo. Un'altra granata, esplodendo da qualche parte, molto vicino alla corazza, lo ridestò dallo stupore dello shock, sicché egli aprì la celata e sporse la testa all'aria libera. Allora vide le tre batterie di cannoni campali italiani che li stavano bersagliando pressoché a bruciapelo. Oh, mio Dio! esalò penosamente allorché un'altra granata scoppiò accanto al veicolo che girava impazzito. Lo spostamento d'aria gli fece sbattere i denti investendo i globi oculari con una raffica di brucianti granelli di sabbia. Filiamo! disse e, aggrappandosi ai bordi del vano del guidatore, si tirò su per uscire. Quell'atto gli salvò tutte le ossa delle gambe sotto il ginocchio, che, se avesse avuto ancora i piedi a contatto col pavimento dell'autoblindo si sarebbero fracassate in minutissimi frammenti. Frattanto Castellani faceva del proprio meglio per sedare il panico instillato dal conte nei suoi artiglieri. Costoro caricavano e sparavano con passione talmente cieca da dimenticare tutte le altre raffinatezze dell'arte loro. I puntatori non facevano nemmeno più finta di cercare bersagli. Le urla di Castellani non sortirono effetto alcuno sugli artiglieri, rincretiniti e quasi del tutto assordati. L'accenno del conte alla morte, più che al disonore, aveva fatto loro saltare i nervi ed erano ormai al di là del bene e del male. Castellani strappò dal sedile uno dei puntatori e si mise personalmente al pezzo. Imprecando amaramente per la qualità degli uomini che gli toccava comandare, azionò da esperto la pedaliera e l'alzo. La grossa canna si abbassò e giro finché nella lente di puntamento non comparve, ingrandita, la sagoma d'insetto dell'autoblindo nemica. Girava impazzita, chiaramente ingovernabile, e Castellani prese il ritmo del suo vorticare e, con un secco movimento del polso, spinse la leva di sparo. La canna scivolò all'indietro, al termine della corsa fu arrestata dal pistone idraulico antirinculo, e il proiettile esplosivo cilindrico da dieci chili venne sparato con una traiettoria bassa e tesa attraverso la-pianura. Era un pelo troppo corto. Scoppiò tra le ruote dell'autoblindo, sotto il posto di guida. La potenza dell'esplosione fu riflessa dal terreno contro il ventre del veicolo. Strappò il blocco motore dal suo vano, lacerò le ruote come ali d'un pollo arrostito e colpì il pavimento corazzato con la forza del martello di Thor. Se Gareth Swales avesse avuto i piedi a contatto col pavimento d'acciaio, l'onda d'urto si sarebbe trasmessa direttamente alle ossa delle gambe, ed egli sarebbe rimasto vittima della terribile e caratteristica menomazione dei carristi: sotto il ginocchio, le gambe gli si sarebbero trasformate in
sacchetti di ossa minutamente frammentate. Per sua fortuna, invece, era sospeso mezzo dentro e mezzo fuori, con le gambe che scalciavano a mezz'aria e il torso già fuori della corazza. L'onda d'urto salì come l'anidride carbonica in una bottiglia di champagne appena sturata. Solo che il tappo era lui che fu sparato fuori del portello mentre ancora scalciava. L'effetto sul ras fu lo stesso. Anch'egli fu sparato fuori della torretta, e, al culmine della sua traiettoria, si scontrò con Gareth. Arrivarono a terra contemporaneamente, col ras seduto tra le scapole di Gareth, e la cosa più sorprendente fu che nessuno dei due fini'impalato sullo spadone da battaglia del ras, saltato in aria con loro, che si piantò per terra a cinque centimetri dall'orecchio di Gareth, il quale giaceva faccia a terra, intontito, e cercava debolmente di togliersi di dosso il vecchio capo. Ti avverto, mio caro , cercò di dirgli seccamente, pur se sfiatato che se continui così prima o poi passerai il segno. Un rombo di motori al massimo dei giri rese il tentativo di Gareth di scrollarsi di dosso il ras più deciso ed efficace. Si rizzò a sedere sputando sabbia e sangue dalle labbra escoriate, e alzò lo sguardo scorgendo i superstiti camion italianì che puntavano in massa contro di loro come alla partenza del Gran Premio di Le Mans. Oh, mio Dio! invocò Gareth, uscendo all'istante dalle nebbie dello stordimento, e cominciò a strisciare spasmodicamente verso la carcassa sconquassata e fumante della Gobba raggrinzendosi tutto per non farsi védere, prima di accorgersi che il ras non era più con lui. Ras, rassino, rassuccio. . . vecchio scemo bastardo torna indietro! Vieni qua! tuonò, disperato. Il ras, barcollante, scosso dall'esplosione ma ancora in preda a furore guerresco, con lo spadone sguainato, non lasciava alcun dubbio circa le proprie intenzioni. Stava andando all'assalto dell'intera colonna motorizzata da solo, mulinando la spada e urlando insulti sanguinosi ai nemici. Gareth dovette fermarlo con una classica placcata da giocatore di rugòy, l'unico modo di avvicinarlo senza essere tranciato dallo spadone che roteava. Cascarono per terra. Lo trascinò urlante e scalciante al riparo della carcassa proprio mentre arrivava il primo camion. I passeggeri bianchi come lenzuoli, non li degnarono di uno sguardo: ii loro unico scopo era seguire il colonnello. E sta' zitto! ruggl Gareth, mentre il ras cercava invano di provocarli coi più sanguinosi insulti amarici. Alla fine dovette buttarlo per terra un'altra volta, avvolgergli la testa con lo sciamma e sedercisi sopra. Intanto i camion Fiat passavano rombando come una tempesta di sabbia. Quando il polverone si allontanò col rombo dei motori, a Gareth parve di scorgere la forma gibbosa di Priscilla la Troia, ed egli lasciò andare un momento il ras per mettersi a gridare e a far frenetici segnali, ma il veicolo scomparve quasi subito alle calcagna, se così si può dire, di un tozzo Fiat, mentre Gareth udiva chiaramente, sopra il rombo dei motori, le brevi e irose scariche della mitragliatrice Vickers. E all'improvviso furono soli, il rombo scemò, la polvere si posò. . . ma ecco un nuovo rumore, ancora piuttosto debole ma sempre crescente. Sebbene molti dei cavalieri harari e galla si fossero fermati a razziare i camion ita'iani capovolti o danneggiati, alcune centinaia degli animi più induriti proseguivano l'inseguimento. Quella sottile linea di cavalieri avanzava spazzando il terreno, ululando e qua e là sciabolando i sopravvissuti italiani che correvano a piedi davanti a loro. E va bene, rassuccio , disse Gareth liberando dallo sciamma la testa del capo. Puoi venire fuori adesso. Chiama i tuoi ragazzi, e di' loro di portarci via di qua. Nei pochi momenti di relativa calma fra un'ondata e l'altra di camion che attraversavano le batterie, il maggiore Castellani, correndo dall'una
all'altra, sferzava con le parole e col frustino gli artiglieri per vincerne il panico e riprendere in mano la situazione. Poi dal polverone, a un tiro di schioppo, improvvisa come un vascello fantasma, apparve la seconda autoblindo che, a differenza della prima, sputava fuoco e fiamme dall'irosa torretta armata di mitragliatrice. Ciò bastò a distruggere ogni parvenza di efficienza militare che Castellani, con mano pesante, era riuscito a infondere agli artiglieri. Mentre il mezzo corazzato passava fra i cannoni mitragliandoli a bruciapelo, i serventi buttarono i proiettili e si gettarono al riparo dello scudo dei pezzi, spesso e volentieri facendo cadere il puntatore dal sedile. Ecco dunque grappoli di camicie nere acquattate dietro gli scudi, senza osar nemmeno alz r la testa, mentre il guidatore dell'autoblindo, dopo il primo rapido passaggio tra i cannoni, si rituffava con una sterzata nella nuvola di polvere. Anche Jake era rimasto sbalordito al pari dei cannonieri. Stava mitragliando allegramente il ghiotto bersaglio d'un camion Fiat, e un attimo dopo si trovava minacciosamente circondato dalle grosse bocche da fuoco. Mio Dio, Greg , gridò Jake al ragazzo nella torretta~ A momenti gli andavamo proprio addosso. Bombardati e mitragliati. . . ti ricordi quel poema. . . Poesia in un momento come questo? ruggl Jake, schiacciando l'acceleratore a tavoletta. Dove andiamo? A casa, e prima ci arriviamo meglio é. Ci stanno puntando addosso argomenti poderosi. Jake. . . Gregorius cominciò a protestare, ma ecco un botto e una fiammata illuminare per un attimo il polverone, mentre una granata da cento millimetri passava appena a lato dell'alta torretta. Lo spostamento d'aria colpì i timpani dei due, il sibilo assordante fece loro accapponare la pelle, mentre le loro nari aspiravano l'ozono creato dall'elettricità della sfrigolante cannonata. La granata esplose un chilometro più in là, alzando una colonna di terriccio. Capisci cosa intendo? domandò Jake. Sì, Jake. . . Oh sì, sì. Mentre così diceva, il polverone si diradò, esponendoli spietatamente all'attenzione dei cannonieri italiani, assieme però a un altro allettante obiettivo: la cavalleria etiopica che continuava la carica. Sicché, dopo altre due o tre cilecche all'autoblindo in fuga, il maggiore Castellani si rassegnò all'incompetenza dei propri artiglieri e cambiò bersaglio. Mitraglia , comandò. Caricate a mitraglia! Corse da una batteria all'altra sottolineando gli ordini col frustino. Cambiamento di obiettivo; truppe ammassate di cavalleria alla distanza di mezzo chilometro. Dentro gli shrapnel'e fuoco a volontà! I cavalli etiopici sono bestie leggere, allevate per arrampicarsi a pié fermo sui dirupi più che per cavalcare a lungo carichi in pianura. Oltre a ciò, questi era- ormai da settimane che si cibavano dell'erba secca della savana, e di conseguenza la loro energia era quasi del tutto svanita. La prima granata caricata a mitraglia scoppiò quindici metri sopra la prima fila di cavalieri. Come un candido fuoco artificiale, si aprì nel cielo con improvviso e agghiacciante splendore. Immediatamente l'aria fu percorsa dai sibili delle schegge micidiali. Una dozzina di cavalli caddero sotto la prima esplosione, piroettando a testa in giù e disarcionando i cavalieri. Poi il cielo si riempi di quei mortali fiocchi di cotone, che falciavano cavalli e cavalieri, mentre coloro che sopravvivevano cercavano di ripararsi dietro il fianco dei cavalli. Qua e là qualche prode puntava sui compagni disarcionati levando i piedi dalle staffe e facendoli salire: i cavallini stentavano, fuggendo sotto quel duplice carico. Nel giro di pochi secondi tutto l'esercito etiopico--cioé un solo veicolo corazzato e la cavalleria si stava ritirando con la stessa fretta dell'autocolonna italiana ancora in viaggio per i Pozzi di Cialdi.
L'artiglieria di Castellani era rimasta completamente padrona del campo. . . con l'appiedato equipaggio della Gobba. Da dietro la carcassa, che aveva smesso finalmente di fumare, Gareth Swales vide ogni sua speranza di salvezza allontanarsi assieme alla cavalleria etiopica in rotta. Non prendertela con loro, poveracci , disse al ras, e poi guardò l'autoblindo che superava i cavalieri. Con lui invece me la prendo sì , borbottò. Ci ha visti, lo so bene. C'era stato un momento in cui Priscilla la Troia aveva puntato direttamente verso di loro, ma poi, arrivata a duecento metri, aveva cambiato di colpo direzione. Sai una cosa, rassuccio bello? Devono averci presi per una coppia di finocchi in camporella. Lanciò uno sguardo al ras, che giaceva accanto a lui come un vecchio cane da caccia esausto; il suo petto sobbalzava come la mano di un fabbro intento a martellare, e il respiro gli fischiava in gola. Meglio che ti tiri via quei dentoni dalla bocca, vecchio, se no finisci per mandarli giù. La guerra è finita per oggi, pigliatela comoda che stanotte dovremo scarpinare. E Gareth Swales dedicò tutta la propria attenzione all'autoblindo che stava scomparendo. Il generoso Jake Barton ci lascia qua e torna a casa a papparsi tutto il miele. Come si chiamava quel tipo a cui David fece lo stesso scherzo? Dai, rassino, sei tu l'esperto in Vecchio Testamento. . . non era Uria l'ittita? Scosse tristemente la testa. Gareth era già pronto a credere al peggio. Quasi quasi mi offendo, rassuccio, sai? Io magari avrei fatto lo stesso, bada bene. . . ma da un buon cittadino come Jake Barton, via, è offensivo. Il ras, oltre a non capire, non ascoltava. Era il solo componente dei due eserciti per cui la battaglia non fosse ancora finita. Stava solo facendo un riposino, com'era più che lecito a un guerriero della sua età. Ora, con un balzo, fu di nuovo in piedi e, mulinando la spada, corse verso le batterie italiane Gareth fu colto completamente alla sprovvista, sicché il ras poté percorrere quaranta metri, dei trecento necessari, prima che Gareth riuscisse a raggiungerlo. Fu una bella scalogna che un puntatore italiano proprio in quel momento stesse osservando attraverso le lenti del proprio congegno la carcassa derelitta della Gobba. La bellicosità degli italiani era inversamente proporzionale al numero e alla vicinanza dei nemici, e inoltre erano tutti contenti per l'inaspettata vittoria che aveva loro arrisoLa prima bomba piovve vicino alia carcassa della Gobba proprio mentre Gareth raggiungeva il ras. Gareth sìchinò a raccogliere un sasso rotondo, circa delle dimensioni di una palla da cricket. Mi dispiace molto, caro mio, ma non è possibile continuare così , disse col sasso in mano. Tenne nel debito conto la fragilità delle vecchie ossa del ras e con cautela, quasi teneramente, lo colpì dietro l'orecchio sulla curva nera e lucida del cranio pelatoLo sorresse mentre cadeva e poi lo prese in braccio come un bambino. Le bombe fioccavano tutt'intorno mentre filava col ras svenuto in braccio verso il riparo dell'autoblindo. Jake Barton udi i colpi di cannone e gridò a Gregorius: A chi stanno sparando? Gregorius si affacciò dalla torretta e guardò indietro. A quella distanza, la carcassa della Gobba era irriconoscibile giusto un altro cespuglio di rovi. Infatti l'avevano già vista un mucchio di volte senza riconoscerla. Ma furono le colonne di terriccio sollevate dalle granate ad attirare lo sguardo di Gregorius. C'è mio nonno! gridò, in ansia. Sono stati colpiti, Jake! Jake frenò. Si affacciò dal vano dell'autista, inforcò il binocolo e mise a fuoco le lenti. La sagoma dell'autoblindo distrutta gli balzò incontro, e subito riconobbe le due lontane figure vestite l'una di un tweed di sartoria, l'altra di uno sciamma svolazzante. Erano abbracciate, e per un attimo Jake pensò che stessero ballando un valzer di Strauss nel bel
mezzo di uno sbarramento d'artiglieria. Poi vide Gareth prendere in braccio il ras e portarlo al riparo dell'autoblindo colpita. Dobbiamo andare a salvarli, Jake , esclamò Gregorius appassionatamente. Se no li ammazzano. Forse era la trasmissione telepatica del sospetto di Gareth Swales, ma Jake sperimentò un'improvvisa tentazione. Ormai sapeva di amare Vicky Camberwell e quello era un modo facile di sgombrare il campo dal rivale. Jake! gridò ancora Gregorius, e a un tratto Jake si senti male per i suoi stessi pensieri di tradimento da provare la nausea. Sotto la lingua avvertì un fiotto di nuova saliva. Andiamo , disse, e si richiuse nel vano del guidatore. Sterzò bruscamente e indirizzò Priscilla la Troia direttamente sulla foresta di colonne di terriccio sollevate dalle esplosioni. Non attirarono il fuoco; evidentemente gli italiani erano troppo concentrati sul bersaglio fisso. Man mano che si facevano un'idea della distanza, miglioravano il tiro. Nel giro di pochi secondi avrebbero certo colpito in pieno la Gobba, e Jake schiacciò l'acceleratore a tavoletta, ma Priscilla la Troia scelse proprio quel momento per mostrare la sua vera natura. La sentì venir meno; il rombo del motore mutò, perse colpi, starnutì: poi all'improvviso riprese e a tutto gas continuò la corsa. Brava ragazza. Jake si chinò sul visore e piegò leggermente a sinistra, per avvicinarsi coperto dalla carcassa della Gobba e dalle stesse colonne di terra sollevate dalle bombe italiane. Una si alzò proprio davanti a loro, e Jake, da esperto, sterzò facendo descrivere al pesante automezzo il giro attorno al cratere fumante. Poi con un'ulteriore accelerata compì un testa-coda, pronto a ripartire in fretta per dove era venuto. Era proprio dietro la copertura della carcassa, quasi invisibile agli italiani, e a dieci passi dal luogo in cui Gareth Swales sedeva con il corpo del ras in grembo. Gary! gridò Jake, tirando fuori la testa dal portello. Gareth lo guardò con un'espressione assolutamente incredula. Era così assordato dalle cannonate che non li aveva nemmeno sentiti arrivare. Jake dovette ripetere il richiamo. Vieni, per l'inferno! Stavolta Gareth si mosse con una certa alacrità. Tirò su il ras come un fagotto di biancheria sporca e si mise a correre con lui in braccio verso la macchina. Una granata scoppiò così vicina che quasi lo gettò per terra ma riuscì a mantenere l'equilibrio sotto una pioggia di sassi e terriccio che investì anche la corazzatura di Priscilla. Gareth arrivò e depositò il ras nelle mani affettuose di suo nipote. Come sta? domandò ansiosamente. Ha preso un sasso in testa, starà benissimo , grugnì Gareth, e si appoggiò un istante contro la fiancata dell'autoblindo per riprender fiato. Ansimava parecchio, aveva baffiì e capelli pieni di polvere che, sulle guance, si rigava di fiumicelli di sudore. Alzò lo sguardo su Jake. Credevo che non saresti venuto a prendermi , gracchiò. Effettivamente ci ho pensato. Jake si chinò e gli prese la mano, tirandolo sul cofano. Gareth gliela strinse, trattenendola uno o due secondi più del necessario. Te ne devo una, vecchio. Mi farò vivo io, quando sarà il momento di ricambiare sogghignò Jake. Quando vorrai. Quando vorrai. In quella, Priscilla la Troia ruggi eroicamente, rispose con un gran botto dello scappamento alle cannonate italiane, rombò, singhiozzò, scoreggiò loffia e tacque. . . Ah no, figlia di puttana! ~, esclamò Jake con gran sentimento e passione. Non adesso! Per piacere, non adesso! Mi ricordo una ragazza che ho conosciuto in Australia. Dopo , disse Jake. Adesso va' alla manovella. Con piacere, amico. Una granata scoppiò molto vicino e lo fece cadere giù dal cofano d'acciaio. Gareth si tirò su da terra spolverandosi infastidito i vestiti e si avviò zoppicando verso la manovella. Dopo un minuto di inutili tentativi che lo fecero sembrare un
suonatore di organetto, Gareth si appoggiò di nuovo al cofano, ansimando. Sarà che sono un po' spompato , dichiarò. In fretta si scambiarono i posti. Jake scavalcò la manovella, ignorando le gianate che ormai cadevano tutte molto vicino, e cominciò a girarla coi muscoli guizzanti sotto la camicia. Niente da fare, si è guastata , gridò Gareth dopo un altro minuto di tentativi. Jake perseverò, con la faccia che gli diventava sempre più rossa e le vene del collo che sembravano funicelle blu. Alla fine anch'egli lasciò andare la manovella con una smorfia di disgusto e si appoggiò ansimante al cofano. La borsa degli attrezzi è sotto il sedile , disse. Non vorrai mica metterti ad aggiustarla adesso e qui? chiese Gareth incredulo, con un gesto comprendente il campo di battaglia, i cannoni italiani e le colonne di terra alzate dalle granate. Hai forse un'idea migliore? domandò brusco Jake, e Gareth si guardò attorno con l'aria abbattuta. All'improvviso raddrizzò le spalle cadenti, e la bocca amara si aprì nel suo solito sorriso allegro. Incredibile, ch? Ma é proprio così. . . Come un prestigiatore, gli additò l'apparizione sorta come per incanto dal denso nuvolone di cordite che li circondava. Miss Dondola si fermò sbandando accanto a loro ed entrambi i portelli si spalancarono. In uno apparve la testa nera di Sara e nell'altro quella bionda di Vicky. Vicky si sporse verso Jake, con le mani a megafono intorno alla bocca, urlando per farsi sentire in quella pioggia di cannonate: Che cos'ha Priscilla? E Jake, ansimante e sudato, con la faccia ancora tutta rossa: Uno dei soliti capricci . Agguanta la corda , lo istruì Vicky. Vi rimorchiamo noi. Il campo etiopico pullulava di guerrieri vittoriosi e festanti: le loro risate erano altissime e le voci tonanti. Le donne, piene d'ammirazione, li guardavano dai fuochi su cui stavano preparando il cibo per la festa di quella sera. L, e grossissime padelle di ferro sobbollivano, piene di una dozzina di qualità di waf, e sul fresco della sera gravava l'odore della carne e delle spezie. Vicky Camberwell seduta sotto la veranda della tenda, lavorava alla macchina per scrivere. Le sue agili dita affusolate vo lavano sulla tastiera mentre dal suo animo sgorgavano le parole meglio atte a descrivere il coraggio e le qualità guerresche di una gente che, armata solo di spade e destrieri, aveva messo in fuga un esercito moderno equipaggiato con tutte le armi più terribili che la tecnica moderna aveva saputo escogitare. Qua e là, nel suo volo letterario, Vicky dimenticò qualche dettaglio che rischiava di diminuire l'effetto drammatico della storia: come il fatto che i biblici guerrieri d'Etiopia fossero stati appoggiati, nella loro carica a cavallo, da mezzi corazzati dotati di mitragliatrici Vickers. Ignorati tali dettagli, Vicky così concluse: Ma per quanto tempo potrà ancora lottare questa gente fiera, semplice e valorosa, contro le avide e concup scenti schiere di un moderno Cesare che vuole costruirsi un Impero? Un miracolo è avvenuto oggi nella savana dancala, ma il tempo dei miracoli sta per finire, ed è chiaro anche a coloro che si battono per questa nobile terra d'Etiopia che il suo destino è segnato. . . a meno che la coscienza sopita del mondo civile non si riscuota, e la voce della giustizia internazionale non risuoni chiara a sfidare il tiranno tuonando: Giù le mani, Benito Mussolini! è magnifico, signorina Camberwelll disse Sara, piegandosi sul foglio a leggere le ultime parole, mentre Vicky ancora batteva. Mi fa venir voglia di piangere; è così triste e bello. . . Sono contenta che ti piaccia, Sara. Vorrei che fossi tu il mio editore. Vicky strappò il foglio dalla macchina e lo rilesse in fretta, qua cancellando e là aggiungendo una parola Poi, soddisfatta, piegò l'articolo, lo infilò in una spessa busta marroncina e leccò la striscia gommata. Dopo di che, chiuse la busta. I Sei
sicura che possiamo fidarci di lui? domandò Vicky a Sara. Oh sì, signorina Camberwell è uno degli uomini migliori di mio padre. Sara prese la busta e la diede al guerriero che aspettava da un'ora davanti alla tenda, seduto per terra vicino alla testa del cavallo già sellato. Sara gli parlò con grande ardore e passione, e l'uomo annuiva con veemenza alle esortazioni. Balzò quindi in sella e si diresse a spron battuto verso l'imboccatura della gola già immersa nel crepuscolo blu che tingeva le ripide pendici e le dirute rocce della montagna. Sarà a Sardi prima di mezzanotte. Gli ho detto di non fermarsi mai lungo il percorso. L'articolo sarà telegrafato ad Addis Abeba domani mattina all'alba. Grazie, cara Sara. Vicky si alzò dal tavolo da campo e coprì la macchina per scrivere. Mentre così faceva, Sara la guardò con aria un po' perplessa. Vicky si era fatta il bagno e si era messa l'unico vestito elegante che aveva portato con sé, un abitino di cotone irlandese celeste, tagliato alla moda, con la vita molto bassa e la gonna che arrivava appena sotto le ginocchia, mostrando i suoi bei polpacci e le fini e ben modellate caviglie che luccicavano nelle calze di seta sottile. Carino il tuo vestito! disse Sara, e poi, più piano: E i tuoi capelli sono talmente soffici e gialli. . . Sospirò. Vorrei esser bella come te. Vorrei avere una bella pelle bianca come la tua. E io vorrei avere una bella pelle dorata come la tua , replicò subito Vicky, e si misero a ridere insieme. Ti sei vestita così per Gareth? Gli piacerai molto quando ti vedrà. Andiamo a cercarlo. Ho un'idea migliore, Sara. Perché non vai tu a trovare Gregorius? Sono sicura che ti sta cercando. Sara ci pensò un momento, combattuta fra il dovere e il piacere. Sei sicura di essere in grado di cavartela da sola, signorina Camberwell? Oh, credo di sì, grazie, Sara. Se mi caccio nei pasticci, ti mando a chiamare. Verrò subito , le assicurò Sara. Vicky sapeva dove poteva trovare Jake Barton, e silenziosamente apparve accanto all'autoblindo. Si mise a guardarlo lavorare, completamente assorto e del tutto ignaro della sua presenza. Si domandò come aveva potuto esser così cieca da non vederlo prima, da non aver saputo scorgere dietro la sua freschezza di ragazzo la forza e la tranquilla sicurezza di un uomo maturo. Era un volto senza età, e sapeva che anche da vecchio l'apparenza della gioventù e della freschezza sarebbero rimaste in lui. Pure, c'era un'intensità in quegli occhi, una decisione d'acciaio in quel mento così marcato, che non aveva mai notato prima. Ricordò. il suo sogno, di cui una volta le aveva parlato: la fabbrica per costruirvi il suo mo tore; e in un flash di chiaroveggenza fu sicura che egli avevala forza e la decisione per trasformare il proprio sogno in realtà. Di colpo desiderò dividerlo con lui, e seppe che i loro due sogni, il suo libro e il motore di Jake, potevano stare insieme, potevano essere creati insieme, ognuno attingendo forza dall'altro, combinando la loro decisione e le loro energie creative. Pensò che valesse la pena di condividere I sogni con un uomo come Jake Barton. Forse quando si è innamorati si vedono le cose più chiaramente , pensò guardandolo con segreto piacere. O forse è semplicemente più facile ingannare se stessi , e si irritò che anche in un momento come quello il suo naturale cinismo prevalesse. No , decise infine, non è una finzione. E forte e buono, e tale rimarrà , e immediatamente pensò che stava cercando di convincere se stessa in maniera un po' troppo plateale. Involontariamente le tornò in mente la notte che così di recente aveva passato insieme a un altro uomo, e per un attimo rimase confusa e incerta. Cercò di metter da parte quel ricordo con decisione, ma esso continuava ad aleggiare in lei, che si ritrovò a paragonare i due uomini, ricordando le licenziose e perverse estasi che aveva provato, e dubitando, pur
speranzosa, di poterle mai ricatturare. Poi guardò più da vicino l'uomo che pensava di amare, e vide che, benché le sue braccia fossero enormi e scure di peli, e le sue mani grosse, callose e nodose, pure le sottili dita a spatola lavoravano con un'abilità e una leggerezza quasi sensuali, e cercò di immaginarsele sul proprio corpo. Se le figurò così bene che rabbrividi dal piacere, sospirando profondamente. In quell'istante Jake alzò gli occhi su di lei, passando rapido dallo sbalordimento al piacere e a un sorriso che lentamente si diffondeva, caldo, sul suo viso, mentre i suoi occhi correvano dalla cima dei capelli di seta di Vicky giù giù fino alle caviglie sempre coperte di seta. Ciao, ci siamo forse già incontrati da qualche parte? le domandò, e lei rise e compl'una piroetta, facendo ruotare la gonna. Ti piace il mio vestito? gli chiese. Egli annuì in silenzio e poi le disse: Andiamo in qualche posto speciale? La festa del ras, non lo sai? Non sono sicuro di essere in grado di reggere un'altra delle sue feste , rispose Jake. Non so cos'è più pericoloso fra un attacco italiano e la dinamite liquida che servono da lui. Non puoi mancare, sei uno degli eroi della grande vittoria. Jake borbottò e tornò a dedicare la propria attenzione agli organi interni di Priscilla la Troia. Hai trovato il guasto? No , sospirò Jake rassegnato. L'ho smontata e rimontata tutta ma non sono riuscito a capire che cos'ha. Si alzò di nuovo, scuotendo la testa e pulendosi le mani nella solita pezza di tela. Non so, non so proprio. Hai provato a rimetterla in moto? E inutile, finché non trovo e aggiusto il guasto. Provaci, dài , disse Vicky. Lui le sorrise. Non serve a niente. Ma per farti piacere lo farò. Andò alla manovella e Priscilla partì al primo colpo. Il motore attaccò e prese a girare al minimo, regolare, facendo le fusa come un grosso gatto gibbuto accanto al fuoco. Dio mio! esclamò Jake facendo un passo indietro. E assolutamente illogico! E una signora, no? disse Vicky. Lo sai bene. . . non c'è necessariamente della logica nel modo di comportarsi di una signora. Jake la guardò negli occhi e sogghignò con un'aria tale che Vicky dovette arrossire. Sto cominciando ad accorgermene , disse facendo un passo verso di lei, che alzò ambo le mani a difesa. Mi sporchi il vestito! E se prima facessi il bagno? Bagno , ordinò lei. E poi se ne riparla, mister. Negli ultimi istanti di luce, era arrivato un cavaliere da Sardi, con gran trepestio di zoccoli sul roccioso sentiero in discesa. Giunto al piano, si era lanciato al galoppo verso la tenda del ras. Sara Sagud prese il messaggio che portava il cavaliere e corse alla tenda di Vicky Camberwell sventolando il telegramma piegato. Entrò nella tenda senza sognarsi di annunciare il proprio arrivo. Vicky era stretta nell'abbraccio in cui Jake Barton l'aveva avviluppata pochi istanti prima, e l'interruzione ebbe luogo proprio allorché Vicky stava per abbandonarsi al piacere di quel momento. Jake torreggiava su di lei, appena ripulito e tutto odors, o di sapone di Marsiglia, coi capelli ancora bagnati e ben pettinati. Vicky si sciolse dall'abbraccio e si voltò inviperita verso la ragazza. Oh! esclamò Sara, col naturale interesse di una cospiratrice nata che scopra un nuovo intrigo. Sei occupata! Si che lo sono , disse seccamente Vicky, con le guance in fiamme per l'imbarazzo. Mi spiace, signorina Camberwell. Ma credo che questo messaggio sia molto importante. . . e l'irritazione di Vicky svanì vedendo il telegramma. Pensavo che avresti preferito vederlo subito. Vicky glielo strappò di mano, l'aprì e cominciò avidamente a leggerlo Mentre leggeva la rabbia sbolliva, e alla fine alzò gli occhi scintillanti di soddisfazione su Sara. Avevi ragione. Grazie, mia cara , disse, e tornò piroettando da Jake, abbracciandolo con un sorriso radioso.
Ehi! esclamò Jake scostandola da sé, imbarazzato per la presenza della ragazza. Che ti succede? è un telegramma del mio editore , gli spiegò. Il mio articolo sull'attacco ai Pozzi di Cialdi è stato uno scoop internazionale. Titoloni in prima pagina in tutto il mondo. . . e ci sarà una sessione straordinaria alla Società delle Nazioni sull'argomento! Sara le strappò il telegramma a propria volta, e si mise a leggerlo come se fosse suo diritto. E proprio quello che mio padre sperava da te, signorina Camberwell. . . per la nostra terra e il nostro popolo! Sara stava piangendo: grossi lacrimoni oleosi sgorgavano dai suoi occhi scuri di gazzella, impigliandosi nelle sue lunghe ciglia. Adesso il mondo sa. Adesso verranno a salvarci dalla tirannia dello straniero. La fede della ragazza nel trionfo del bene sul male era puerile. Staccò Vicky dalle braccia di Jake e abbracciò lei, strettamente. Oh, ci hai dato una nuova speranza! Te ne saremo eternamente grati. Le sue lacrime bagnavano la guancia di Vicky, e Sara si tirò indietro, tirando su col naso, per asciugargliele col palmo della nera mano. Non ti dimenticheremo mai , le disse, e poi, sorridendo tra le lacrime, dobbiamo andare a dirlo a mio nonno. Scoprirono però che trasmettere al ras l'esatto significato di quel passo avanti della causa etiopica era impossibile. Aveva un'idea troppo confusa del ruolo e dell'importanza della Società delle Nazioni, come dell'influenza e della potenza della stampa internazionale. Dopo le prime poche pinte di tej, si era convinto che, in qualche maniera miracolosa e mirabolante, la grande regina d'Inghilterra- la regina Vittoria, che l'aveva decorato - aveva sposato la loro causa, e che ben presto le armate della Gran Bretagna sarebbero scese in campo al suo hanco. Sia Gregorius sia Sara gli parlarono per un bel pezzo, cercando di spiegargli il suo errore, mentre lui sorrideva in modo benevolo senza esser minimamente scosso nelle sue convinzioni. Alla fine abbracciò Gareth Swales e fece un lungo e ardente discorso in amarico, salutandolo quale suddito ìnglese e compagno d'arme. Poi, prima della fine del discorsetto, il ras cadde addormentato a metà di una frase, a faccia avanti in una gran padella di wat di montone. La battaglia della giornata, l'eccitazione della notizia che aveva un nuovo e potente alleato, e la quantità di tej ingurgitato l'avevano messo in difficoltà. Quattro guardie lo tirarono su dalla padella e lo portarono in tenda che già russava sonoramente. Non preoccupatevi , disse Sara agli ospiti. Mio nonno non starà via molto. dopo un riposino tornerà qua con noi. Digli di prendersela pure comoda , mormorò Ga~reth Swales. Per conto mio, l'ho già visto abbastanza per oggi. La luce dei falò si rifletteva in cielo, facendo impallidire la luna che veleggiava fra i picchi montani. I suoi raggi facevano scintillare le grosse pile di armi catturate, fucili, pistole e munizioni accatastate trionfalmente nello spiazzo davanti al banchetto reale. Le scintille dei falò si alzavano dritte verso il cielo notturno, le risate e le voci degli ospiti diventavano sempre più chiassose~man mano che circolava il tej, in grandissimi orci di coccio. Poco più in là nella valle, sempre nel bosco di acacie, anche i galla di ras Kullah stavano festeggiando la vittoria. Giunge vano a tratti schiamazzi, risa di ubriachi, salve di fucileria daimoschetti catturati agli italiani. Vicky sedeva fra Jake e Gareth. Non l'aveva scelto lei, quel posto: avrebbe preferito starsene sola con Jake, ma Gareth si era dimostrato un tipo piuttosto coriaceo da seminare. Venne Sara, dal suo posto accanto a Gregorius. Attraversando il cerchio di ospiti accoccolati intorno alla roba da bere e da mangiare, si sedette sui cuscini accanto a Vicky fra lei e Gareth, dopo di che si chinò a parlarle all'orecchio. Però dovevi dirmelo ~, lamentò con qualche amarezza. Prima non sapevo
neanche che avevi deciso per Jake. Avrei potuto darti dei consigli. . . In quella, arrivò un suono dal campo dei galla. In sordina, semicoperto dalle esclamazioni più vicine degli harari in festa: pure, era un suono agghiacciante, che atterrì Vicky inducendola ad aggrapparsi al polso di Sara. Accanto a lei, anche Jake e Gareth si irrigidirono e tesero l'orecchio. Il grido divenne sempre più forte per poi terminare con qualche disperato singhiozzo. Cos'é, Sara? Cos'è stato? chiese Vicky scrollandole il polso. Ah! fece Sara con un gesto di sdegno e disprezzo. è quel grassone degenerato di ras Kullah che è disceso dal proprio nascondiglio per godersi il bottino, adesso che noialtri abbiamo vinto. è arrivato un'ora fa con le sue grasse vacche da latte e adesso banchetta e si diverte. Il grido si udì di nuovo. Era inumano, era uno strillo raccapricciante che lacerava i nervi. Diventava sempre più acuto finché Vicky fu costretta a tapparsi le orecchie con le mani perché aveva paura di perder la testa. Nel momento in cui divenne insopportabile, l'urlo cessò bruscamente. Un silenzio teso era calato sui guerrieri festanti tra i falò. Tutti ascoltavano, e quel silenzio durò qualche secondo anche dopo che l'urlo fu cessato. Poi ci fu un mormorio di commenti, e qua e là uno scoppio di risate spensierate e crudeli. Ma cos'é, maledizione, Sara? Cosa stanno facendo? Ras Kullah si diverte con gli italiani , disse tranquillamente Sara, e Vicky si rese conto di non aver più pensato ai prigionieri italiani catturati dopo la rotta dell'autocolonna. Si diverte, Sara? E come? Sara sputò come un gatto rabbioso, con grande disprezzo. Sono animali, quelle bestie di ras Kullah. Si divertiranno con loro tutta la notte, e domani mattina taglieranno loro via le cose da uomo. Sputò un'altra volta. Prima di sposarsi, debbono procurarsi cose da uomo. . . com'è che le chiamate, quelle due cose nel sacchetto? Testicoli , disse Vicky, roca, quasi strozzandosi sulla par ola. - Sì , a nuì Sara. Devono ammazzare un uomo e portare alla sposa i suoi testicoli. E la loro usanza: ma prima si divertiranno con gli italiani. Non possiamo fermarli? domandò Vicky. Fermarli? Sara assunse un'aria stupita. Sono soltanto degli italiani, e quella è l'usanza dei galla. Il grido si levò nuovamente, e ancora calò il silenzio sul - festino. Si alzò acuto nella silente aria del deserto, strillo dopo strillo, sicché pareva impossibile che potesse essere emesso da polmoni umani. L'anima loro si contraeva raccapricciata al pensiero di quali sofferenze mai potessero dar fiato a quel pinnacolo di suono angosciato. Oh Dio! Oh Dio! sussurrò Vicky, alzando gli occhi da quelli di Sara a quelli di Gareth Swales che sedeva accanto a lei. Costui taceva, immobile, con il viso mezzo voltato dall'altra parte, sicché ella ne scorgeva il profilo da dio greco, freddo e perfetto. Quando il grido di disperazione smorì, egli si chinò sul braciere, afferrò un tizzone e si accese il sigaro che stringeva fra i denti candidi. Aspirò profondamente, trattenendo il fumo, poi lo fece uscire pian piano dalle narici. Infine si voltò con decisione a guardare Vicky. Hai sentito cos'ha detto la signora. E la loro usanza. Parlò a Vicky, ma l'osservazione era diretta a Jake Barton: gli rivolse uno sguardo ironico, con un mezzo sorriso sulle labbra. I due uomini si guardarono, senza batter ciglio e senza espressione. L'urlo di disperazione ricominciò, ma stavolta più debole. Il tono squillante e dolente di prima era diventato un'eco singhiozzante nella notte. Jake Barton si alzò in piedi con un solo movimento fluido, e proseguendo lo stesso movimento andò alla pila di armi catturate agli italiani. Si chinò a raccogliere la pistola automati ca di un ufficiale, una Beretta calibro nove. Aprl la lucida fondina di cuoio ed estrasse l'arma, rigettando
nel mucchio fondina e cinturone. Controllò che il caricatore fosse pieno, tirò l'otturatore mettendo il colpo in canna e inseri la sicura. Poi si infilò la pistola nella tasca dei calzoni. Senza più guardare gli altri, si incamminò nelle tenebre in direzione dell'accampamento galla. Gliel'ho detto da un pezzo che essere sentimentali è un lusso antiquato. Costa troppo al giorno d'oggi, specialmente qui , mormorò Gareth guardando la cenere sulla punta del sigaro. Lo uccideranno se va là da solo , disse Sara in tono assolutamente oggettivo. Sono ancora assetati di sangue e uccideranno anche lui. Andiamo, non esagerare, su , disse Gareth con affettazione. Oh, sì. L'uccideranno , ripeté Sara e si rivolse a Vicky. Ma lo lasci andare? Sono soltanto degli italìani , osservò. Per un attimo le due donne si guardarono negli occhi, poi Vicky scattò in piedi e corse dietro a Jake, col vestito celeste che ondeggiava graziosamente sul suo corpo e la luce dei falò che riempiva i suoi capelli d'oro dai bronzei riflessi. Raggiunse Jake sul limitare del campo dei galla e gli si affiancò, costretta a far due passi per uno che faceva lui. Torna indietro , le disse piano, ma ella non rispose e restò con lui. Fa' quel che ti ho detto. No, vengo con te. Jake si fermò davanti a lei e si mise a fissarla: Vicky alzò il mento con espressione di sfida, gettando indietro le spalle ed ergendosi in tutta la sua statura, sicché ora gli arrivava alla spalla. Stammi a sentire. . . cominciò lui, ma si interruppe perché in quella il grido ricominciò. Era un suono gorgogliante e incoerente, tra il gemito e il singhiozzo, immediatamente seguito dalle risate gutturali di centinaia di persone, dal ringhio sanguinario di un branco di lupi, profondo e selvaggio. Vedi come sarà? disse Jake, distogliendo lo sguardo da lei e mettendosi accigliato in ascolto. Vengo anch'io , gli ripeté, ostinata, ed egli non replicò, ma si avviò verso i fuochi dei galla che, riflettendosi sui rami delle piante, davano all'accampamento l'aria di un'alta cattedrale. Non c'erano sentinelle e passarono inosservati attraverso i cavalli, i tucul rizzati in fretta e le tende di pelle di vacca, sbucando all'improvviso nel centro del campo dove ardevano i falò e dove i galla sedevano riuniti in un'ampia cerchia di figure accovacciate. La luce dei fuochi conferiva bronzei riflessi alle loro rapaci fisionomie da falchi. L'intera assemblea emetteva un mugolio soffocato, per la tensione repressa che sempre attanaglia chi assiste a uno spettacolo sanguinario. Jake rammentava di averla già avvertita durante un mateh di boxe cui aveva assistito al Madison Square Garden, e in un combattimento di galli che aveva visto all'Avana. La tensione cresceva, la foia di sangue anche, e dall'assemblea dei galla si alzava un ringhio sempre più forte, come da un branco di lupi. Ecco ras Kullah , sussurrò Vicky, tirando la manica a Jake e indicandogli un personaggio oltre lo spiazzo centrale in terra battuta. Kullah sedeva su una pila di tappeti e cuscini, con uno scialle di seta di una dozzina di colori brillanti avvolto intorno alla testa e alle spalle. Lo scialle gli metteva in ombra la faccia molliccia, ma negli occhi, al baluginare dei fuochi, scintillava una furia febbrile. Una delle sue mani grassocce color avorio la teneva in grembo, mentre con l'altro braccio circondava la vita della donna seduta accanto a lui. Con quella mano massaggiava e frugava la sua carne compiacente. La mano sembrava vivere di vita propria e si muoveva, pallida e oscena, come una grossa lumaca che pulsando mollemente divorasse i frutti gonh e maturi di quelle mammelle. Oltre i falò, dall'altra parte del cerchio, sulla terra battuta, si stringeva un gruppetto di tre prigionieri italiani atterriti, con le facce lucide e bianche come lenzuoli, e le mani legate dietro la schiena. Erano stati spogliati fino alla
cintola, e la pelle nuda della schiena e delle braccia era livida ed escoriata per le percosse. I loro piedi nudi erano gonfi e sanguinavano: chiaramente erano stati costretti a camminare scalzi per chilometri sul terreno sassoso. Gli occhi sbarrati dall'orrore eranO puntati sullo spettacolo che si svolgeva sulla scena di terra battuta illuminata dai falò. Vicky riconobbe la donna come una delle favorite di ras Kullah. L'aveva vista quella notte nella casa di Sardi. Adesso era inginocchiata e intenta al proprio lavoro, con le mammellone pendenti. La faccia tonda di madonna era illuminata da un'estasi quasi religiosa, le sue labbra carnose erano socchiuse e gli occhi scuri brillavano come quelli di una sacerdotessa che celebri qualche mistico rito. Tuttavia, più prosaicamente, le maniche dello sciamma erano arrotolate fino al gomito come quelle d'un macellaio al lavoro, e le sue mani erano lorde di sangue fino ai polsi. Manovrava il sottile pugnale ricurvo come un chirurgo, e la sua lama argentea, alla luce dei fuochi, era rossa e opaca. Ciò su cui ella era all'opera si contorceva convulsamente nei legacci, respirava e gemeva ancora, ma non era più riconoscibile quale uomo. Il pugnale aveva tagliato via ogni rassomiglianza. E mentre la folla attendeva impaziente, ondeggiando, ringhiando e sospirando, la donna lavorava con ostinazione canina attorno all'inguine già sbudellato, tagliando e strappando. La vittima urlava ancora, ma debolmente. Ed ecco che la donna balzò in piedi stringendo in mano, trionfalmente, il pezzo di carne che aveva appena asportato. Fece il giro dell'arena, tenendo alto il suo trofeo, ridendo, ballando con agili piedi, mentre il sangue le colava per l'avambraccio alzato gocciolando giù dal gomito. ~Stammi vicino , disse piano Jake, con un tono che Vicky non gli aveva mai sentito. Strappò lo sguardo orripilato dalla scena e notò che il suo visto era deciso e tirato, i denti serrati e gli occhi terribili. Jake estrasse dalla tasca la pistola e la tenne contro la coscia, poi mosse rapidamente in avanti, aprendosi con gran facilità la strada fra i corpi ammassati, a spinte e gomitate, con tanta energia che il varco restava aperto anche per lei che lo seguiva dappresso. Tutti i galla erano concentrati sullo spettacolo della donna che danzava, e Jake raggiunse ras Kullah completamente inosservato. Con la sinistra lo prese per il braccio, stringendo con dita d'acciaio la sua carne flaccida, e lo sollevò torcendogli il braccio dietro la schiena e sbilanciandolo in avanti con una ginocchiata. Poi lo tirò a sé premendogli la canna della pistola sul labbro superiore, appena sotto le grosse narici. Si fissarono per un attimo prima che ras Kullah distogliesse lo sguardo da quegli occhi lampeggianti, mugolando di dolore per le ferree dita che gli affondavano nella carne, e di paura per la pistola puntata in faccia. Jake riunì le poche parole in amarico che aveva potuto imparare in quei giorni da Gregorius. Gli italiani , disse piano. Per me. Ras Kullah lo fissò a occhi sbarrati, quasi non lo avesse neppure udito. Poi disse qualcosa e gli uomini più vicini oscillarono, avanzando come per intervenire. Jake fece ruotare la canna della pistola sul labbro di ras Kullah, torcendo e premendo la carne molle contro i denti. La pelle si spaccò e il labbro del ras cominciò a sanguinare. Tu muori , disse Jake, e l'uomo scosse la testa verso i suoi guerrieri. Costoro si fecero indietro con qualche riluttanza, con le mani sull'impugnatura dei pugnali e gli occhi attenti a cogliere la prima occasione favorevole per saltargli addosso. La donna dalle mani lorde di sangue si accosciò e sull'assemblea calò un profondo silenzio carico di aspettativa. Stavano accoccolati, immobili, tutti con lo sguardo rivolto a Jake e al ras. Nel silenzio, la cosa straziata e sanguinante accanto al gran falò gridò di nuovo,
un lungo urlo stridente e raccapricciante che diede sui nervi a Jake e rese la sua espressione ancora più feroce. Parla ai guerrieri ~, disse, con la voce spessa e roca di rabbia. La voce tremante di ras Kullah risuonò, acuta come quella di una ragazza, e i guerrieri intorno ai tre prigionieri italiani si scambiarono uno sguardo, ancora esitando, incerti. Jake affondò l'acciaio della canna ancora di più sul volto del ras, che ripeté l'ordine quasi strillando. Con riluttanza le guardie spinsero avanti il gruppetto atterrito dei prigionieri. Prendigli il pugnale , disse con calma Jake a Vicky, senza abbassare lo sguardo dagli occhi di ras Kullah. Vicky si avvicinò al ras e impugnò il manico istoriato dell'arma infilata alla cintola che circondava il pancione. Il pugnale era ricoperto da una lamina d'oro tempestata di ametiste rozzamente tagliate. La lama ricurva era scintillante e affilatissima. Scioglili , disse Jake e, nei pericolosi istanti in cui ella si allontanò dal suo fianco, aggravò la pressione brutale sul labbro del ras. Questi, con la testa piegata a un'angolatura impossibile e il labbro scostato dai denti in una smorfia fissa, roteava gli occhi nelle orbite fino a mostrare solo il bianco, e lacrime di dolore si rovesciavano liberamente giù per le guance, scintillando al chiarore dei fuochi come rugiada sui petali di una rosa gialla. Vicky tagliò le corregge che legavano i polsi degli italiani. Stringendosi fra di loro, presero a massaggiarsi gli arti intorpiditi e dolenti. I loro volti pallidi, sporchi di polvere e sangue coagulato, avevano sempre un'espressione quanto mai atterrita mentre guardavano senza capire. Vicky tornò svelta accanto a Jake e si piazzò di nuovo al suo fianco. In qualche modo, c'era sempre salvezza e sicurezza accanto a lui. Lo seguì mentre Jake spingeva ras Kullah, un passo dopo l'altro, attraverso lo spiazzo di terra verso il luogo dove giaceva quella cosa mutilata e semidistrutta che era stata un uomo e che ansimava con un gorgoglio penoso a ogni respiro. Jake si scostò leggermente da ras Kullah, continuando però a tenerlo stretto, e Vicky vide la compassione alterare per un attimo l'espressione fiera dei suoi occhi. Non capì cosa aveva intenzione di fare finché egli non allontanò la pistola dalla faccia del ras, puntandola a braccio teso verso il basso. Lo sparo echeggiò rimbombando nel silenzio, e la pallottola colpì l'italiano mutilato nel centro della fronte, producendo un buco blu scuro nella pelle bianca e lucida tra le sopracciglia. Le sué palpebre sbatterono come ali di colomba morente; il corpo inarcato e legato ebbe uno spasimo, poi si rilassò. Un lungo e impetuoso sospiro proruppe dalla sua gola torturata, il sospiro che può fare un uomo sulla soglia del sonno. Poi giacque immobile. Senza più guardare l'uomo a cui aveva dato pace, Jake tornò a puntare la pistola in faccia a ras Kullah, e con una nuova stretta al braccio lo avviò nella direzione opposta, lentamente. Con un brevissimo cenno del capo invitò i tre italiani a muoversi. Costoro li precedettero, sempre stringendosi e incamminandosi lentamente; poi Vicky li seguì, con una mano sulla spalla di Jake per farsi coraggio. Jake teneva ras Kullah sbilanciato, col braccio torto dietro la schiena, spingendolo avanti un passo per volta. Sapeva che non dovevano affrettarsi, che nòn dovevano mostrare alcun segno di debolezza, altrimenti i laschi vincoli che gelavano i galla si sarebbero spezzati, e al minimo incidente sarebbero saltati loro addosso tutti insieme, dapprima soffocandoli in una muraglia di corpi e poi facendoli a pezzi in un istante con i loro pugnali. Passo dopo passo, lentamente, con fermezza, si avviarono. Qgni tanto erano bloccati da masse di alti guerrieri che si paravano loro davanti, a spalla a spalla, con la mano sulle armi: allora Jake infieriva con la pistola sulla faccia del ras, costui gridava, e con riluttanza i galla si
aprivano onde farli passare~ per pOi richiudersi immediatamente dietro a loro e mettersi a seguirli da vicino, così da vicino che i primi erano a meno di un braccio di distanza. Usciti dalla folla ammassata Jake poté aumentare l'andatura, imboccando il sentiero sotto le acacie e spingendo avanti gli italiani come un gregge terrorizzato, sempre tenendo ben stretto ras Kullah. Che ne facciamo di loro? domandò Vicky ansimando. Non potremo tenere ras Kullah sotto la minaccia della pistola ancora per molto. Jake non le rispose. Non voleva che i galla che li seguivano avvertissero la sua incertezza dal tono. Però non voleva nemmeno che la ragazza si spaventasse, sotto i loro occhi attenti. Aveva ragione lei: adesso i galla li incalzavano con implacabile ostilità, premendoli dappresso con una sete di vendetta che riempiva le tenebre. Le autoblindo. . . disse Jake, ispirato. Mettiamoli dentro un'autoblindo. E poi? Una cosa alla volta! ringhiò Jake. Prima mettiamoli in macchina. Poco dopo, sempre sul sentiero, i galla cominciarono a premere con più decisione contro di loro. Uno degli altissimi guerrieri diede uno spintone a Jake, poi si mise a strattonarlo, per vedere le sue reazioni, sempre più violentemente. Jake reagì con dolcezza, attenuando l'effetto della spinta con un passo laterale. Compiendo un quarto di giro, gli tirò un violentissimo colpo sui denti con la canna della pistola. Agì troppo in fretta perché il galla potesse schivare il colpo: inoltre, anche se l'avesse visto arrivare, egli era premuto a propria volta dalla massa dei suoi compagni che spingevano. I denti del guerriero saltarono via di netto dalla gengiva superiore, e il contraccolpo si trasmise direttamente, attraver so i seni frontali, al cervello. L'uomo cadde senza un gemitoe fu immediatamente nascosto dagli altri che, sempre seguendo Jake, lo calpestarono. Ma adesso non l'incalzavano più come prima, e Jake rimise la pistola sul volto del ras. Tutto si era svolto in un lampo, troppo rapidamente perché il ras potesse gridare o cercar di liberarsi dalla stretta di Jake. Jake lo strinse ancor di più, sbilanciando ulteriormente il ras e costringendolo ad accelerare il passo. Davanti a loro, fra gli alberi, Jake vide stagliarsi le gibbute sagome delle autoblindo, grigio-argentee al chiar di luna, contro gli intermittenti barlumi dei fuochi. Vicky, prendiamo miss Dondola. Non voglio correr rischi con Priscilla stavolta , le sussurrò. Chiuditi dentro al posto di guida, e non preoccuparti di nient'altro che di arrivare dietro quel volante. E i prigionieri? Fa' quel che ti dico, non discutere, maledizione! Ormai erano a cinque o sei metri dalle macchine. Va' adesso, più in fretta che puoi! Vicky scattò, raggiungendo miss Dondola prima che qualcuno dei galla potesse intervenire, e saltandoci sopra con un solo agile balzo. In un attimo s'infilò nel vano del guidatore, scomparendovi. Chiuditi dentro , le gridò Jake, sentendo subito dopo i] rassicurante scatto del portello. I galla ringhiarono come un branco di lupi che si veda sfuggire la preda, e sciamarono avanti, circondando l'autoblindo. Jake sparò un colpo in aria, e ras Kullah urlò un ordine. A poco a poco i galla si ritirarono e cadde un improvviso siIenzio. Vicky, mi senti? gridò Jake, guidando i prigioni ri italiani vicino alla corazza dell'autoblindo. : Una conferma soffocata giunse da dentro l'automezzo. Apri le porte di dietro , le disse in fretta. Ma non spalancarle finché non te lo dico io. Fece fare il giro dell'autoblindo agli italiani, un lavoro complicato, perché erano confusi e rincretiniti dal terrore. Adesso! gridò Jake, bussando impaziente sui portelli con la canna della pistola. Si udì il catenaccio scattare e i portelli si aprirono verso l'esterno, bloccandosi subito, però, contro i corpi accalcati fuori.
Porcaccia miseria , ruggì Jake. Infilò la spalla dietro la porta e con una spinta la spalancò, mandando per terra due galla, e contemporaneamente spingendo a bordo uno degli italiani. Gli altri due, in preda al panico, si gettarono dentro a capofitto, e Jake poté chiudere le porte, appoggiandovi contro la schiena. Sentì scattare nuovamente il catenaccio e restò lì a fronteggiare le facce nere stravolte dall'odio, rintuzzando la pressione di cen'inaia di corpi. Dietro le prime file, si udivano grida. La violenza stava per esplodere: si erano visti sfuggire quasi tutte le prede sotto il naso, e ci voleva ben poco di più per far scattare nella massa il riflesso omicida. Jake si accorse di ansimare come se avesse corso per chilometri. Sentiva il cuore sobbalzargli in petto, ma continuava a tenere ben stretto ras Kullah. Cambiò la presa, dal braccio ai crespi e lunghi capelli della nuca, affondando tutta la mano in quel cespuglio e torcendogli la testa perché fronteggiasse i suoi guerrieri. Con l'altra mano gli spinse la canna della pistola nell'orecchio. Parla loro, bocca di rosa. Rese il proprio tono di voce quanto mai malvagio e minaccioso. Se no ti infilo dentro questa roba fino all'altro orecchio. Ras Kullah non capì le parole ma il tono sì, e sputò una raffica di isteriche frasi in amarico. I primi guerrieri si ritirarono di un passo, e Jake, strisciando sulla corazza, con la schie ra contro l'autoblindo e ras Kullah trattenuto per i capelli a coprirsi verso l'esterno, cominciò a fare il giro della macchina. La folla si muoveva con loro, tenendo il passo, con le facce che scintillavano al chiar di luna, rabbiose e crudeli, oscillando in precario equilibrio sull'orlo della violenza. Una voce echeggiò nel buio, una voce autoritaria, che incìtava all'azioGe. La folla emise un ringhio spaventoso, e ras Kullah fremette nella stretta di Jake, mugolando tremebondo. Il terrore del ras mise in guardia Jake. Troppo a lungo erano stati delusi, tra un attimo gli si sarebbero scagliati addosso. Vicky, sei pronta a partire? gridò in fretta, e la sua risposta si udì a malapena: Pronta . Ancora un passo e sentì contre il polpaccio l'ingombro della manovella. Proprlo in quell'attimo un urlo stridulo e lacerante si diffuse echeggiando fra ì rami d'acacia. Era una voce di donna, nelle ultime file. In quello strillo agghiacciante c'era tutta la sete di sangue del mondo, era l'invocazione della violenza a cui il cuore del guerriero africano non sa resistere. Sferzò le compatte file dei galla come una scarica elettrica: i loro corpi si contorsero e le loro voci tuonarono in un sanguinario boato di risposta. Oh Gesù, adesso vengono! pensò Jake, e con tutta la forza del braccio e della spalla scaraventò ras Kullah con una spinta tra le scapole contro la prima fila dei suoi uomini. Ne abbatté come birilli una mezza dozzina, intralciando la carica delle file successive. Jake si chinò in fretta e afferrò la manovella dell'avviamento. Per questo aveva scelto miss Dondola, sapendo che era la più gentile e ben intenzionata delle autoblindo. Non se la sentiva di porre la stessa fiducia in Priscilla. . . ma perfino lei, miss Dondola, al primo giro tossicchiò, esitando. Per favore, tesoro, per favore , implorò Jake disperato, e al giro successivo della manovella l'autoblindo sputò, tossicchiò e si avviò, cominciando a rombare regolarmente, in sordina. Jake balzò sul cofano blindato proprio mentre dall'alto gli calava addosso un fendente di spadone. Sentì il sibilo della lama come un volo di pipistrello nel buio e si chinò. La spada cozzò contro la corazza della macchina sprizzando una gran quantità di scintille. Jake si voltò e tirò un colpo di pistola al galla che alzava la spada per vibrare un nuovo fendente. Sentì la pallottola penetrare nella carne, con un tonfo sordo e l'uomo
proiettato all'indietro cadde giù dal cofano lasciando andare lo spadone. Ma da ogni parte ormai ombre avvolte negli sciamma si arrampicavano sull'autoblindo come formiche sulla carcassa di uno scarabeo, e il rombo delle voci urlanti sembrava un'onda di piena. Parti, Vicky! Parti per l'amor di Dio! gridò, calando la pistola sulla testa lanosa di un galla che gli era spuntata davanti. L'uomo cadde giù mentre il motore ruggiva e l'autoblindo balzava in avanti con un impeto che scaraventò metà dei galla giù dall'auto, e a momenti anche Jake, che riusci per un pelo ad aggrapparsi al portapacchi perdendo però la pistola nella massa di guerrieri sottostanti. Miss Dondola, spinta dal piede calcato di Vicky, caricò rombando la folla che si addensava davanti a essa. Ben pochi riuscirono a evitarla, andando a sbattere contro la lastra frontale d'acciaio, e gli urli guerreschi si trasformarono all'improvviso in gemiti di dolore e strida costernate, mentre la massa si fendeva tuffandosi nel buio e l'autoblindo, non più gravata e ostacolata, imboccava di slancio la discesa. Jake si tirò su e si attaccò alla torretta, inginocchiato sul cofano. Di fianco a sé vide un galla aggrappato come un tafano sulla groppa di un bue, che gemeva atterrito mentre lo sciamma gli sventolava sopra la testa nel turbine del vento relativo. Jake si sedette con la schiena contro la torretta; non visto, gli appoggiò il piede sulle chiappe e spinse forte. Il galla schizzò a capofitto giù dalla fiancata, mentre l'autoblindo accelerava sempre più, finendo a terra con uno scrocchiar d'ossa che si sentì anche sopra l'urlo del motore. ~- Jake strisciò sopra il cofano, beccheggiante e sobbalzante, e a pugni e calci lo spazzò dal carico di galla terrorizzati. Vicky scendeva giù dal pendio a tavoletta, ondeggiando pazzamente fra i rami degli alberi, e sbucando infine nell'aperta pianura illuminata dalla luna. Qui, finalmente, vibrando pugni sul coperchio dell'alloggiamento del guidatore, Jake riuscì a fermare la pazza corsa di Vicky, che impartì all'autoblindo una cauta frenata. Sbucò dal portello e lo abbracciò, con le mani strettamente avvinte intorno alla sua nuca. Jake non fece il minimo tenta tivo di evitare l'abbraccio, e sui due calò il silenzio, interrotto schianto dai loro respiri. Nella gioia di quel momento avevano entrambi quasi dimenticato i prigionieri, ma certi borbottii e scalpiccii nelle profondità dell'autoblindo li fecero tornare loro in mente. Lentamente si separarono, e Vicky lo guardò con occhi dolci e lucidi nel chiaro di luna. Poveretti , sussurrò. Li hai salvati da. . . e le parole le mancarono al rico, rdo di colui che non avevano fatto in tempo a salvare. Sì , disse Jake. Ma cosa diavolo ce ne facciamo adesso? Potremmo portarli al campo degli harari. Il ras li tratterebbe con giustizia. Non scommetterci , disse Jake scuotendo la testa. Sono etiopi anch'essi, e le loro regole del gioco sono diverse dalle nostre. Io non m'arrischierei proprio. Oh Jake, sono sicura che non permetterebbe che venissero. . . Comunque , la interruppe Jake, se li consegniassimo agli harari, dopo un minuto arriverebbe ras Kullah a reclamarne la restituzione per il suo divertimento. . . e, qualora glieli negassero, ecco che scoppierebbe una bella guerricciola tribale. . . No, non si può. Allora liberiamoli ~? , disse alla fine Vicky. Non ce la farebbero mai ad arrivare ai Pozzi di Cialdi. Jake guardò verso est, meditando nel contemplare la savana notturna. Il territorio, laggiù, brulica di esploratori etiopi. Si ritroverebbero con la gola tagliata nel giro di due chilometri. Dovremmo portarli , disse Vicky, e Jake la guardo fisso. Portarli? Con la macchina, fino ai Pozzi di Cialdi. Chissà come saranno contenti i Macaroni , grugnì. Hai dimenticato quei loro grossi cannoni? Sotto bandiera bianca , disse Vicky. Non c'è altro modo, Jake.
Davvero non c'é. Jake ci pensò in silenzio per un intero minuto e poi sospirò. Partiamo, allora. La strada è lunga. Andarono a fari spenti, per non attirare l'attenzione né degli italiani né degli esploratori etiopici: la luna era abbastanza luminosa per rischiarare loro il cammino, definendo cespugli e asperità con nette ombre nere. Ogni tanto le ruote potevano infilarsi, con un doloroso sobbalzo, nelle buche scavate dagli aardvarks, specie di formichieri notturni dal lunghissimo naso che divorano le abitatrici dei termitai. I tre superstiti italiani, seminudi, dormivano vinti dalla stanchezza e dai terrori della giornata nel retro dell'autoblindo: il loro sonno era così profondo che né il rombo del motore, né i sobbalzi dell'automezzo li disturbava. Giacevano abbandonati come corpi senza vita. Vicky Camberwell scese dalla torretta per sfuggire all'aria fredda della notte, e si accoccolò nello spazio accanto al guidatore. Per un po' parlottò tranquillamente con Jake, ma ben presto la sua voce divenne sonnolenta e alla fine cessò. Rannicchiata contro il suo fianco, dormiva, scaldandosi al calore del suo corpo, con la massa morbida dei capelli biondi sparsi sul suo petto: egli la guardò con un sorriso di tenerezza mentre continuava a gliidare nella notte verso oriente. Le sentinelle italiane spazzavano a regolari intervalli il pe rimetro del campo con un paio di potenti riflettori da contraerea, probabilmente per tema di un attacco notturno degli etiopi. Il raggio candido tracciava nel cielo del deserto mobili coni di luce. Jake vi si diresse rallentando un po' man mano che si avvicinava. Sapeva che nel silenzio della notte il rumore del motore si udiva a chilometri di distanza: ma a un basso regime di giri, sarebbe stato diffuso e impossibile da localizzare. Pensò di essere ormai arrivato a quattro o cinque chilometri dal campo italiano. Quasi a conferma che le sentinelleavevano udito avvicinarsi, ipersensibili com'erano diventati gli italiani al rumore di un motore Bentley, ecco un razzo alzarsi nel cielo notturno per trecento metri buoni ed esplodere in un flash azzurro-livido che illuminò il deserto come un palcoscenico per un raggio di parecchi chilometri. Jake - frenò e attese che il razzo lentamente precipitasse a terra. Non voleva attirare l'attenzione muovendosi. La luce svanì lasciando la notte più nera di prima, ma, accanto a lui, la fermata svegliò Vicky, che si rizzò insonnolita, allontanando i capelli dagli occhi e farfugliando: Cosa succede? Siamo arrivati , disse lui. Un altro razzo salì, illuminando il deserto e facendo impallidire la luna in cielo. Laggiù. Jake le indicò la cresta a semicerchio sopra i Pozzi di Claldi. Le sagome scure dei veicoli italiani erano allineate ordinatamente in fila: si videro chiaramente alla luce del razzo. Erano a una distanza di circa quattro chilometri. Ed ecco il crepitio di una mitragliatrice: una sentinella sparava alle ombre Subito dopo, una scarica di fucileria che sfumò poi in un silenzio teso. Pare che siano tutti svegli e piuttosto sul chi vive , osservò seccamente Jake. Più vicini di così non è consigliabile andare. Scivolò giù dal sedile del guidatore e andò dietro, dove i prigionieri giacevano ancora addormentati, ammonticchiati I uno sull'altro come bambole dimenticate in un angolo. Uno di loro russava come un leone asmatico. Jake dovette ricorrere alla punta dello stivale per riportarli alla coscienza. Si svegliarono lentamente, risentiti. Jake aprì gli sportelli posteriori e li fece uscire nell'oscurità. Restarono fermi, battendosi il petto con le palme delle ma ni per scaldarsi nel freddo della notte. Guardandosi in giro, cercavano di capire quale nuova disavventura li aspettava. In quell'istante un nuovo razzo si accese quasi sopra di loro, ed essi proruppero in esclamazioni di sconcerto, mentre Jake faceva loro segno di allontanarsi cercando di dirigerli verso la
cresta della vallata in mani italiane. Alla fine Jake ne prese uno per la collottola, gli voltò la testa dalla parte giusta e gli diede una spinta che lo fece correre a rompicollo in avanti per una decina di metri. Ed ecco che all'improvviso l'uomo riconobbe il proprio accampamento e le file di grossi camion Fiat alla luce del razzo. Emise un urlo di felicità e si diede a correre verso i suoi. Gli altri due guardarono un momento, increduli, e poi lo seguirono a tutta velocità. Fatti una dozzina di metri, uno si fermò e tornò da Jake, con un gran sorriso in volto: gli prese la mano e la strinse vigorosamente. Poi si rivolse a Vicky, prese anche le sue mani e le coprì di baci'umidi e rumorosi. L'uomo piangeva calde lacrime. Basta così , borbottò Jake. Gambe in spalla, amico e, voltato l'italiano, ancora una volta gli additò l'orizzonte e lo mise in cammino. La gioia spontanea degli italiani liberati si dimostrò contagiosa. Jake e Vicky tornarono indietro di ottimo umore, ridendo fra loro nel buio e rumoroso automezzo blindato. A metà strada per la Gola di Sardi, dopo una trentina di chilometri, quando alle loro spalle le luci del campo italiano non erano che un flebilissimo barlume in un trattino del cielo orientale, erano ancora tutti allegri e, a un'ennesima battuta di Jake, Vicky si chinò su di lui a baciarlo sul collo. Quasi di propria volontà miss Dondola rallentò e si fermò nel centro di un vasto spiazzo di terreno sabbioso, fra cespuglietti di rovi. Jake spense il motore e il silenzio echeggiò su di loro. Si voltò e abbracciò Vicky, attirandola a sé con forza improvvisa, tanto da farle mancare il fiato. Jake! protestò Vicky, leggermente contusa, ma le labbra di lui si posarono sulle sue e le proteste furono subito dimenticate grazie al gusto del suo bacio. Mento e guance di Jake erano ispidi di barba recente, peli duri, neri e ricci come i capelli che gli sporgevano dal colletto della camicia. Il suo odore di uomo era come il gusto della sua bocca. Egli sentì la morbidezza del suo corpo femminile agognare la durezza del proprio e vi si aggrappò, trovando piacere nella spigolosità del contatto, nella sensazione leggermente abrasiva della sua barba al bacio. Vicky sapeva che si stavano destando emozioni che ben presto sarebbero sfuggite al loro controllo, e questa consapevolezza la rese temeraria e ardita. Le venne fatto di pensare che aveva il potere di farlo impazzire dalla passione, e quest'idea la eccitò ancora di più, e immediatamente volle esercitare quel potere. Sentiva il suo ansimare nelle orecchie; poi si accorse che non era l'ansimare di Jake, bensì il proprio, e ogni boccata d'aria sembrava svellerle e bruciarle il petto. Non c'era molto spazio nell'abitacolo, e le loro mosse stavano diventando sempre più appassionate e frementi. Vicky si sentì troppo costretta, e piena di pruriti. Non aveva mai sperimentato sensazioni così violente: per un attimo le venne in mente l'abile, gentile minuetto di movimenti studiati che era stato il suo amplesso con Gareth Swales, e lo paragonò a questo tempestoso incontro di passioni: poi il pensiero fu spazzato via dall'ondata, dal bisogno di liberarsi di quei troppo angusti confini. Fuori della macchina, il freddo della notte nel deserto le accapponò la pelle della schiena, dei fianchi e delle cosce, e sentì che anche la fine peluria bionda degli avambracci le si rizzava. Jake distese sulla sabbia la coperta e le si avvicinò. Il calore del suo corpo fu uno shock fisico per lei. Sembrava bruciare di tutte le fiamme soffocate che ardevano nell'anima sua, ed ella gli si avvinse con il più completo abbandono, beandosi del contrasto fra la sua carne bruciante e il fresco della brezza del deserto sulla pelle nuda. Ora finalmente non c'era più nulla a ostacolare il libero movimento delle sue mani, e Vicky sapeva che su di lui avrebbero fatto l'effetto di gelide dita di
spettro: godette nel sentirlo gemere quando lo sfiorò e rise, una risata roca, di gola. Sì. . . rise ancora, quando egli la sollevò come una piuma e s'inginocchiò, con lei in braccio, sulla coperta, stringendosela al petto. Sì, Jake. Gli ultimi scrupoli l'abbandonarono. Presto, fa' presto. . . tesoro mio! Fu una folle galoppata di tutti i suoi sensi, una tempesta tumultuosa, quasi dolorosa, che alfine terminò. . . e il vasto e sibilante silenzio del deserto era così pauroso che si aggrappò a lui come una bambina e scoprì con sbalordimento che stava piangendo: le lacrime le uscivano calde dagli occhi, eppure sulle guance le sembravano gelide come brina. : Il primo cauto ma poderoso affondo del generale De Bono oltre il fiume Mareò, in Etiopia, incontrò un successo tale da lasciarlo stupefatto. Ras Muguletu, il comandante etiopico del nord, oppose una resistenza simbolica e si ritirò subito a sud, verso la fortezza naturale montana dell'Amba Aradam. De Bono percorse indisturbato centoquaranta chilometri ed entrò in Adua, trovandola deserta. Trionfalmente eresse il monumento ai caduti italiani, cancellando in tal modo la macchia della sconfitta dalle armi d'Italia. La grande missione civilizzatrice era cominciata. Il selvaggio andava domato e iniziato ai miracoli dell'uomo moderno: tra i quali il bombardamento aereo. La Regia Aeronautica Italiana sorvolava la torreggiante Amba, segnalando tutti i movimenti di truppe e scendendo a bombardare e mitragliare tutti i concentramenti. Le forze etiopiche erano sparpagliate e confuse sotto i loro comandanti tribali. Nel loro fronte c'erano almeno una dozzina di cunei che un comandante energico avrebbe potuto sfruttare: perfino De Bono se ne accorse, e fece un altro convulso balzo in avanti fino 5 Macallé. Tuttavia qui si fermò, impressionato dalla sua stessa audacia, e sbalordito dalla vastità del terreno conquistato. Ras Muguletu, frattanto, si nascondeva sull'Amba Aradam con i suoi quarantamila uomini, mentre ras Kassa e ras Seyoum cercavano faticosamente di far superare alle indisciplinate masse di guerrieri che costituivano le loro due armate i valichi montani per congiungersi all'esercito dell'imperatore sulle rive del lago Tana. rano truppe disordinate, vulnerabili, mature per essere disperse come farina: e il generale De Bono chiuse gli occhi, posò la fronte sul palmo della mano e si voltò dall'altra parte. La storia non avrebbe mai potuto accusarlo di impetuosa temerità. DA GENERALE DE BONO COMANDANTE CORPO SPEDIZIONE ITALIANO AT MACALLE AT S E BENITO MUSSOLINI PRIMO MlNISTRO D ITALIA AVENDO CONQUISTATO ADUA ET MACALLE REPUTO RAGGIUNTI MIEI OBIETTIVI IMMEDIATI STOP EST ORA INDISPENSABILE CONSOLIDARE TALI SUCCESSI FORTIFICANDO MIE POSIZIONI ET LINEE RIFORNIMENTO ET COMUNICAZIONE IN PREVISIONE CONTRATTACCO NEMICO DA S E BENITO MUSSOLINI PRIMO MINISTRO D ITALIA ET MINISTRO DELLA GUERRA AT GENERALE DE BONO COMANDANTE CORPO SPEDIZIONE ITALIANO IN AFRICA SUA MAESTA DESIDERA ET IO VI ORDINO AVANZARE SENZA ESITAZIONE SU AMBA ARADAM ET IMPEGNARE IN BATTAGLIA QUANTO PRIMA NUCLEO PRINCIPALE FORZE NEMICHE STOP RISPONDERE IMMEDIATAMENTE . . . '' DA GENERALE DE BONO AT PRIMO MINISTRO D ITALIA SALUTIET FELICITAZIONI URGE
SOTTOLINEARE A S E CHE OBIETTIVOAMBA ARADAM EST TATTICAMENTE SCONSIGLIABILE. . . NATU RA TERRENO FAVORISCE IMBOSCATE. . . AZIONE SCONSIDERATASFOCEREBBE CERl'O DISASTRO. . . CONDIZIONI STRADE PESSI ME. . . CONFIDATE MIO GIUDIZIO ET ESORTAZIONE RICONSIDE RARE QUESTIONE AT LUCE FATTO CHE SITUAZIONE MILITARE DEBET AVERE PRECEDENZA AS SOLUTA SU OGNI CONSIDERA ZIONE POLITICA DA BENITO MUS SOLINI AT MARESCIALLO DE BONO GIA COMANDANTE CORPO SPEDIZIONE ITALIANO IN AFRICA SUA MAESTA COMUNICAVI AT MIO MEZZO SUE FELICITAZIONI VOSTRA PROMOZIONE GRADO DI MARESCIALLO ESERCITO ET RINGRAZIAVI PER IMPECCABILE ADEMPIMENTO VOSTRO DOVERE CONQUISTA ADUA STOP CON RAGGIUNGIMENTO DETTO OBIETTIVO CoNsIDERo COMPIUTA VOSTRA MISSIONE AFRICA ORIENTALE STOP AVETE GUADAGNATO GRATITUDINE POPOLO ITALIANO PRECLARI MERITI MILITARI ET SALDO ADEMPIMENTO DIFFICILE COMANDO STOP DIREZIONE OPERAZIONI MILITARI AFFIDATA PIETRO BADOGLIO GIA IN VIAGGIO VERSO AFRICA STOP Il maresciallo De Bono accettò sia la promozione sia il richiamo in patria con tale buona grazia che, agli occhi di un os servatore disinformato, sarebbe potuto anche passare per profondo sollievo. La sua partenza per Roma fu organizzata con tale speditezza da sfuggire per un pelo al dar l'impressione di una fretta indecorosa. Il generale Pietro Badoglio era un combattente. Aveva piazzato il quartier generale davanti ad Adua, benché non avesse avuto a suo tempo nessuna responsabilità in quella sconfitta lui era un veterano di Caporetto e Vittorio Veneto. Credeva fermamente che lo scopo della guerra fosse colpire il nemico piu forte e più in fretta che fosse possibile, e con tutte le armi a disposizione. Sbarcò a Massaua con furia impaziente, irritato da tutto ciò che trovava, e quanto mai critico della politica e delle concezioni del suo predecessore: benché, per vero dire, ben raramente un comandante silurato avesse lasciato al proprio successore una situazione strategica così invidiabile. Badoglio ereditava un esercito numeroso e ben armato, col morale alle stelle, attestato su posizioni tatticamente dominanti e confortato da una magnifica rete logistica e di comunicazioni. La piccola ma ottimamente equipaggiata aviazione del corpo di spedizione italiano dominava i cieli etiopici, sorvolando indisturbata l'Amba e bombardando immediatamente ogni concentramento di truppe nemiche. Nel corso di una delle prime cene al nuovo quartier generale, un giovane tenente uno dei più arditi assi della Regia Aeronautica, intrattenne ii nuovo comandante in capo con i resoconti delle sue imprese aviatorie sul territorio nemico: e Badoglio, che in nessuna delle precedenti campagne aveva goduto dell'appoggio dell'aviazione, restò colpito e favorevolmente impressionato da questo nuovo e letale strumento guerresco. Ascoltò trasfigurato il giovane pilota che gli raccontava gli effetti del bombardamento aereo: particolarmente lo colpì il rapporto di un suo attacco a un gruppo di trecento o più cavalieri nemici guidati da un guerriero alto con uno sciamma scuro. Così gli disse il giovane
tenente: Da quota inferiore a cento metri ho sganciato una sola bomba da un quintale, che è caduta precisamente al centro del gruppo di cavalieri al galoppo. Si sono aperti come petali di una rosa che sboccia; l'esplosione ha proiettato il loro capo così in alto che ho temuto mi finisse sull'ala. Fu spettacolo di grande bellezza e magnificenza . Badoglio fu felice di avere ai suoi ordini anche giovani con tanto fuoco nelle vene. Da capotavola, lanciò uno sguardo sull'argento e sul cristallo scintillante, per posarlo poi sull'uniforme azzurro-cielo dell'aviatore. I suoi capelli neri e ricciuti, i suoi lineamenti classici lo facevano somigliare al giovane Marte come potrebbe vederlo un artista. Badoglio stava ora al centro del vasto ufllcio al secondo piano del quartier generale all'Asmara. Era troppo divorato dall'impazienza per sedere all'ampia scrivania e, mentre camminava avanti e indietro sul pavimento a mattonelle, il suo passo rimbombava sulla ceramica come un rullo di tamburi. I suoi occhi affondavano nell'oscura cavità dell'orbita come quelli di un cadavere, ma emanavano lampi di amara consapevolezza mentre egli scorreva la lista dei suoi comandanti di divisione e reggimento, valutandoli sulla base di un'unica domanda: è un uomo che si batte o no? Troppo spesso la risposta era no , o comunque incerta, sicché fu con vero piacere che vide nella lista anche un nome a lui ben noto, quello d'un combattente indomito su cui poteva assolutamente contare. Sì! annuì con veemenza. l'unico comandante operativo che abbia dimostrato un po' d'iniziativa, e abbia sempre cercato lo scontro col nemico. Fece una pausa per assestarsi meglio gli occhiali, sventolando i rapporti che teneva nell'altra mano. Ha combattuto una battaglia decisiva, infliggendo quasi trentamila perdite al nemico senza subirne. In sé questo è un successo che non ha avuto il debito riconoscimento. Quest'uomo dovrebbe fregiarsi almeno della croce dei santi Maurizio e Lazzaro. I buoni elementi devono essere individuati e ricompensati. Guardate qua. . . è tipico! Accortosi che il nemico disponeva di mezzi corazzati, è stato soldato al punto d'attirare le autoblindo nemiche fungendo egli stesso da esca, fino ai cannoni postati dell'artiglieria! Per un comandante di fanteria, un vero colpo da maestro, e anche particolarmente ardito. Meritava di riuscire! Se solo il comandante dell'artiglieria fosse stato uomo dai nervi egualmente d'acciaio, si sarebbe raggiunto l'obiettivo di distruggere in un sol colpo l'intero po tenziale corazzato del nemico. Non è colpa sua se gli artiglierihanno perso la testa facendo fuoco prematuramente. Il generale si interruppe per aggiustarsi ancora gli occhiali e guardare la foto del conte Aldo Belli che posava sulla carcassa fumante della Gobba come un cacciatore al safari. La carcassa era tutta bucherellata di raffiche, sparate dopo e da molto vicino: in secondo piano si scorgevano numerosi cadaveri in sciamma laceri e anch'essi sforacchiati, disposti con gusto da Gino per dare alla foto una certa drammaticità. Controvoglia e reprimendo i suoi violenti istinti di conservazione, il conte Aldo Belli si era lasciato convincere a tornare a posare per la foto solo dietro le più ampie garanzie del maggiore Castellani che il nemico aveva abbandonato il campo. Non è che il conte ci si fosse fermato poi molto: Gino si era sbrigato, condividendone in tutto e per tutto la fretta, dopo di che avevano fatto celermente ritorno ai Pozzi di Cialdi, da dove non si erano più mossi. Con tutto ciò le fotografie costituivano un impressionante aggiunta al rapporto ufificiale sullo scontro. Badoglio ruggiva come un vecchio leone infuriato. a Nonostante l'inesperienza dei suoi ufllciali meno anziani - e qui il mio cuore sanguina per lui -, quest'uomo ha spazzato via i mezzi corazzati nemici, come del resto metà della cavalleria attaccante.
Diede un fiero colpo al rapporto con gli occhiali. Questo si che è un combattente, un mangiafuoco! Li conosco io, quando li vedo. Un mangiafuoco! è questo il genere di esempio da incoraggiare. Chi ben si comporta va premiato. Convocatelo immediatamente via radio al quartier generale. Per il conte Aldo Belli la campagna aveva raggiunto un piacevolissimo interludio. Il campo ai Pozzi di Cialdi era stato trasformato dagli uomini del genio da un avamposto dell'inferno in una bella villeggiatura, con comodità quali ghiacciaie, latrine, lavatoi con acqua corrente e un perfetto sistema di fognature. Inoltre le difese erano state portate a un tal grado di efficienza da infondergli un piacevole senso di sicurezza. Come al solito, il genio aveva dato ottima prova: nelle trincee si camminava al riparo per tutta la cresta, e le mitragliatrici erano state piazzate da Castellani in modo da dominare qualunque direzione d'attacco. Adesso però c'erano anche vasti ed estesi cavalli di Frisia, con abbastanza filo spinato da impacchettare qualunque esercito. La caccia, nella zona, si poteva definire eccellente sotto qualsiasi aspetto: la selvaggina confluiva ai pozzi da chilometri e chilometri all'intorno. Di sera le pernici del deserto frastornavano i soldati a furia di frullare le ali, riempiendo il cielo e oscurando il sole al tramonto. C'era da divertirsi come non mai. Carnieri simili non si erano mai visti da nessun'altra parte. Nel bel mezzo di questa rilassante villeggiatura la convocazione del generale Badoglio esplose come una bomba d'aviazione da un quintale. La reputazione di Badoglio l'aveva preceduto: era un uomo inflessibile, non si poteva circuirlo con scuse o invenzioni. Era insensibile a considerazioni politiche di qualunque genere. . . si diceva perfino che, se a suo tempo gliene avessero dato l'incarico, sarebbe stato pronto a reprimere con la forza lo stesso movimento fascista. Aveva quasi un sesto senso nell'individuare inganni e sotterfugi, e non esitava a puntare l'indice accusatore contro lavativi e vigliacchi. Si diceva che la sua giustizia fosse rapida e spietata. Lo shock del conte fu notevole. Era stato scelto fra migliaia di suoi pari, per essere dato in pasto a quell'orco chiaroveggente. . . giacché non c'era da dubitare che le piccole licenze poetiche, le trascurabili deviazioni dalla realtà dei fatti sparse a piene mani nei rapporti illustrati diretti a De Bono fossero sfuggite anche per un solo istante alla verifica di quel pignolo. Si sentiva come uno scolaretto colto in fallo e in procinto di essere sottoposto a una punizione esemplare dal preside. Lo shock l'attanagliava alle viscere, il suo solito punto debole, causandogli una terribile recrudescenza dell'indisposizione che già lo aveva afflitto allorché si era abbeverato ai Pozzi di Cialdi, indisposizione da cui s'illudeva di essere ormai completamente risanato. Gli ci vollero dodici ore per raccogliere le forze necessarie a esser deposto dai premurosi famigli, bianco come un lenzuolo e rassegnato alla propria sorte, sul sedile posteriore della : E~olls. Avanti, Giuseppe , mormorò, come un aristocratico condotto al patibolo. Sulla lunga e polverosa via dell'Asmara il conte, privo di qualunque interesse per gli inameni seppur faunistici dintorni, si ritrovò troppo demoralizzato anche per tentar di approntare una qualsiasi difesa da opporre alle gravissime accuse che non dubitava gli sarebbero state mosse. Giaceva sulla soffice pelle del sedile in uno stato di abietta rassegnazione, consolandosi solo al pensiero di come avrebbe potuto, una volta tornato a Roma, farla pagar cara a quell'individuo. E gliel'avrebbe fatta pagare, non c'era dubbio. Politicamente, era del tutto in grado di rovinarlo: e ben gli stava, pensò con amara soddisfazione. Giuseppe, l'autista, che conosceva il suo uomo, fece la prima fermata sulla
strada principale dell'Asmara, davanti al casino. Qui almeno il conte Aldo Belli era trattato come un eroe, e il suo umore migliorò notevolmente quando le ragazze gli vennero addirittura incontro sul marciapiedeQualche ora dopo, rasato di fresco, con l;uniforme lavata e stirata, la testa imbrillantinata e cosparsa di una vera inondazione dell'acqua di colonia preferita da d'Annunzio, il conte era pronto a fronteggiare il suo tormentatore. Baciò le ragazze, trangugiò un ultimo bicchierino di cognac, fece quella sua risata allegra e ardita, schioccò le dita tanto per far capire in che conto teneva il contadino oggi a capo dell'esercito, serrò le chiappe per controllare l'indisposizione e marciò fuori del casino, nella via piena di sole, che doveva soltanto attraversare per entrare al quartier generale. Aveva appuntamento col generale Badoglio alle quattro, e l'orologio del municipio stava appunto battendole quand'egli marciò risoluto, seguendo un giovane aiutante di campo, nel buio e triste corridoio. Quando l'ebbero percorso tutto, l'aiutante di campo aprì le grosse doppie porte di mogano e si fece da parte per far passare il conte. Costui aveva ormai le ginocchia come spaghetti scotti. Lo stomaco borbottava, sul punto di rovesciarsi, le palme delle mani erano fredde e madide di sudore, né le lacrime erano lontane dal bagnargli il fiero ciglio allorché si ritrovò nel vasto salone dal soffitto altissimo e gravato di stucchi. Vide che era pieno di ufficiali, sia dell'esercito sia dell'aviazione. La sua disgrazia sarebbe stata resa pubblica, dunque. Si sentì mancare. Barcollando, con la bella testa grande che gli ciondolava, le spalle che si piegavano e il torace incavato, il conte si arrestò sulla soglia. Non osava nemmeno guardarli, così prese a contemplarsi miseramente gli alluci lustri e stivaluti. A un tratto fu raggiunto da uno strano e completamente inadeguato rumore. Alzò gli occhi sbalordito, e già pronto a difendersi da qualche aggressione fisica. Ma il salone pieno di ufficiali stava applaudendo. Ridevano e battevano le mani. Il conte barcollò, sogguardandoli, poi si voltò per vedere se per caso qualcuno non fosse comparso alle sue spalle. Ma l'inattesa accoglienza era proprio riservata a lui. Quando tornò a guardare davanti a sé, scorse la massiccia e spalluta figura di un generale dirigersi verso di lui. Il suo volto era duro e spietato, con bocca di squalo e occhi lampeggianti nel nero e abissale cipiglio dell'orbita. Se il conte fosse stato ancora padrone delle proprie gambe e delle proprie corde vocali, sarebbe fuggito urlando da quella stanza; ma, prima che riuscisse a tentare anche una sola mossa, il generale lo abbracciò in una stretta d'acciaio. Colonnello, sono sempre onorato di abbracciare un uomo coraggioso , ruggli il generale, stringendoselo al petto e investendolo con una zaffata di aglio e semi di sesamo, aroma che si mischiò in guisa indubbiamente interessante alla nube dannunziana che aleggiava olezzando sulla testa del conte. Le gambe del colonnello, a questo punto, quasi lo tradirono. Dovette aggrapparsi al generale per non cadere a terra. Ciò li squilibrò entrambi, ed eccoli volteggiare sul pavimento di ceramica, avvinti in un inestricabile abbraccio e lanciati in una specie di valzer elefantino, mentre il generale si dibatteva invano per liberarsi. Alla fine ci riuscì, e arretrò cauto dal conte, rassettando le medaglie e la propria dignità, mentre uno degli ufficiali cominciava a leggere da una pergamena e l'assemblea si azzittiva, attentissima, per ascoltare. L'encomio era fiorito e verboso, sicché il conte ebbe modo di raccapezzarsi. La prima parte andò perduta per via dello shock, che l'aveva lasciato in uno stato sognante, ma poi, all'improvviso, le parole cominciarono a raggiungerlo. Il mento gli si alzò automaticamente nel riconoscere brani di cui egli stesso era l'autore, piccole
gemme verbali estratte pari pari dai suoi rapporti: con alto senso del dovere, tutto abnegando fuorché l'onore. . . Gesù Giuseppe e Maria, roba sua era! Si mise ad ascoltare con la massima attenzione. Effettiva mente parlavano di lui. Sì proprio di Aldo Belli. Il torace incavato gli si spianò, ìl colore gli ritornò sulle guance, i sommovimenti intestinali cessarono e gli occhi ripresero a brillare. Perdio! Ma allora il generale si era reso conto che ogni frase, ogni parola, ogni virgola e punto esclamativo dei suoi rapporti erano la pura, purissima, anzi letterale verità. Ed ecco che l'aiutante di campo porgeva al generale Uh astuccio portagioie in pelle, e il generale si avvicinava di bel nuovo a lui - stavolta, però, con una certa cautela - e, levando alto sopra la sua testa il nastro di seta, gli metteva al collo la gran croce smaltata di bianco con al centro la stella di uno splendente verde-smeraldo: l'ordine dei santi Maurizio e Lazzaro (divisione militare) di terza classe. Tenendosi ben fuori portata delle sue grinfie, Badoglio gli sfiorò fretto;osamente le guance con due accenni di bacio e poi fece un rapido passo indietro, per unirsi all'applauso generale, mentre il conte se ne stava lì incantato e raggiante. D'ora in poi avrete ogni appoggio , gli assicurò il generale, apprendendo con irritazione come il suo predecessore avesse sempre lesinato al conte le forze necessarie a raggiungere i suoi obiettivi. Ve lo garantisco io. Si erano ritirati in tre - il generale, il suo consigliere politico e il conte - nel piccolo studio privato adiacente all'uflicio di rappresentanza. Fuori delle finestre era calata la notte e una sola lampada inondava di luce la carta geografica sciorinata sulla scrivania, lasciando in ombra i volti. Nei bicchieri di cristallo scintillava il cognac, e il fumo azzurrino dei sigari si alzava a spirale, denso come melassa, nel cono di luce della lampada. Mi serviranno dei carri armati , disse il conte senza esitare Le loro massicce sagDme blindate l'avevano sempre affasemato. Vi assegnerò uno squadrone di CV 3 leggeri , assicuròil generale prendendo un appunto sul taccuino. E anche l'appoggio dell'aviazione. I vostri uomini sono in grado di approntare ai Pozzi di Cialdi una pista d atterraggio? Il generale sottolineò la domanda con un colpetto sulla carta geografica. Il terreno è sgombro e pianeggiante. Non ci sarà la minima difficoltà , disse avido il conte. Aerei, carri armati e cannoni: tutto, gli davano! Alla fin fine, era diventato un vero e omandante. Mi farete sapere per radio quando la pista sarà pronLa: manderò una squadriglia di Caproni. Nello stesso tempo, per via terra, vi invierò un convoglio di benzina e munizioni per gli aerei. Debbo consultarmi con quelli dell'aeronautica, ma credo che le bombe da un quintale andranno benissimo: ad alto potenziale e a frammentazione. Sì, sì , concordò il conte, sempre più avidamente. ~r Bene. Il generale prese un altro appunto, mise da parte la matita, e poi alzò gli occhi sul conte. Il suo sguardo era così feroce che il conte ne restò atterrito, e le viscere gli si rimescolarono al modo consueto. Che generale! Stare con lui era come abitare sulle pendici di un vulcano infuriato. Pugno di ferro, Belli , abbaiò, e il conte si rese conto con sollievo che quell'empito d'ira era rivolto al nemico e non a lui. Immediatamente assunse un'espressione non meno bellicosa e feroce: arricciò il labbro e parlò quasi ringhiando. La lama alla gola del nemico, e fendere! Senza pietà , disse il generale. -- Fino alla morte , concordò il conte. Era sul suo terreno, adesso: gli si affollavano alla mente centinaia di slogan uno più sanguinario dell'altro, ma il generale, riconoscendo la superiorità dell'interlocutore, interruppe quel filo di conver. . . sazione che si stava ingrossando a valanga e cambiò
discorso. Vi sarete forse chiesto perché annetto tanta importanza ai vostri obiettivi, perché vi ho assegnato forze così potenti, . e perché ci tengo tanto a impadronirmi della Gola di Sardi edella strada per l'altopiano. Il conte non se l'era chiesto affatto. Stava solo sforzandosi di coniare una frase d'effetto a proposito di un guado nel sangue: accettò di malavoglia il cambiamento d'argomento e atI teggiò il volto a educata perplessità. Il generale agitò significativamente il sigaro in direzione delconsigliere politico. Signor Antolino. Il consigliere, ubbidiente, si chinò sulla carta geografica, entrando col volto nel cono di luce della lampada. Signori. Si schiarì la gola, e guardò prima l'uno e poi laltro con gli occhi nocciola dietro gli occhiali dalla montatura d'acciaio. Era un uomo sottile, quasi scheletrico, con ~d d'adamo, prominente, spiccava un po' decentrato fra i baveri. La cravatta di maglia di seta gli era scesa, col nodo, al secondo bottone: la testa quasi completamente pelata era incorniciata di capelli neri, lunghi e lucidi di brillantina. Portava i baffi impomatati a punta, ingialliti dalla nicotina: era di età indefinibile, più di quarant'anni e meno di sessanta, col colorito giallastro e malarico di un uomo sempre vissuto ai tropici. Da qualche tempo al ministero ci dedichiamo a prestabilire una appropriata forma di governo per i territori conquistati. . . chm. . . liberati dell'Etiopia. Venite al punto , disse brusco il generale. " è stato deciso di sostituire l'imperatore attuale, Hailé Selassié, con un uomo che simpatizzi per l'impero italiano e risulti accettabile alle popolazioni indigene. . . Al punto, al punto ~, taglìò corto di nuovo Badoglio. Le raffinatezze diplomatiche lo disgustavano. Era un uomo d'azione, non di chiacchiere. Dopo lunghe trattative, e - potrei aggiungere - la promessa di parecchi milioni di lire, abbiamo raggiunto un accordo: nel momento politicamente più opportuno un potente ras si schiererà dalla nostra parte, con tutta la sua influenza e i suoi guerrieri. Quest'uomo sarà poi a suo tempo dichiarato imperatore d'Etiopia e amministrerà il territorio per. nostro conto. Sì, sì, capisco , disse il conte. Attualmente costui governa su una parte dell'area che costituisce il diretto obiettivo della vostra colonna. Non appena avrete conquistato la Gola di Sardi occupando quella città, detto capo si unirà coi suoi guerrieri alle vostre truppe e, con la necessaria pubblicità internazionale, sarà dichiarato re d'Etiopia. E chi sarebbe costui? chiese il conte; ma il funzionarionon si lasciava mettere fretta. Sarà vostro compito incontrarvi con questo capo, allo scopo di concordare la sincronizzazione delle reciproche azioni. Spetterà a voi altresì procedere al promesso versamento di monete d'oro. Bene. Si tratta di un ras dinastico, che attualmente comanda una parte delle forze che vi si oppongono alla Gola di Sardi. Tuttavia, ben presto le cose cambieranno. . . disse il funzionario, tirando fuori dalla borsa una grossa busta. Era sigillata a ceralacca, con le aquile del Ministero delle Colonie. Questi sono i vostri ordini scritti. Firmatemi una ricevuta per favore. Esaminò con diffidenza la firma del conte, poi, finalmente soddisfatto, proseguì con lo stesso tono arido e distaccato. Un'altra cosa. Abbiamo identificato uno dei mercenari bianchi che lottano a fianco degli etiopici. Sì, coloro di cui si parla anche in un vostro rapporto, sulla base delle informazioni dei tre militi catturati e successivamente rilasciati. Il funzionario fece una pausa e tirò dal sigaro ormai quasi spento, ravvivandone la brace. La donna è una nota agente provocatrice, una bolscevica con simpatie radicali e rivoluzionarie. Si fa passare per giornalista, in un fogliaccio americano che è sempre stato violentemente
contrario all'impero. Alcuni scritti propagandistici e sovversivi di questa donna hanno già raggiunto il mondo esterno, con risultati alquanto imbarazzanti per il ministero. . . Aspirò un'altra boccata dal sigaro e continuò a parlare da dietro le volute di fumo. Se vi capitasse di catturarla - e spero che consideriate as solutamente prioritario l'obiettivo della sua cattura -, siete pregato di consegnarla immediatamente al nuovo imperatore etiopico designato. Comprendete? Voi non dovete esser coinvolto, ma non interferite nell'esecuzione di questa donna a o pera del ras. Capisco. Il conte si stava annoiando. Quel bla-bla politico non era affatto ciò che poteva tener desta la sua attenzione. Non vedeva l'ora di mostrare alle pensionanti del casino la nuova croce che gli ballonzolava sul petto a ogni mossa. Quanto all'uomo bianco, l'inglese responsabile della brutale esecuzione davanti a testimoni di un prigioniero italiano, è un terrorista assassino. Quando lo catturerete, fucilatelo senza complimenti. Ciò vale anche per tutti gli altri stranieri che combattono per il nemico: è nostro interesse scoraggiare questa specie di cose. Potete contare su di me , disse il conte. Non vi sarà quartiere per i terroristi. Mentre il generale Pietro Badoglio muoveva verso l'Amba Aradam, si ebbero solo scontri secondari, giacché il comandante italiano risparmiava le truppe per il colpo decisivo. Ad Abbi Addì e Tembién, però, egli poté già farsi un'idea del valore di un nemico che, a piedi nudi e armato solo di lance e fucili ad avancarica, non cessava di contrastarlo. Come scrisse egli stesso: Si battono con coraggio e determinazione. Contro i nostri attacchi, portati metodicamente e coperti dal fuoco di cannoni e mitragliatrici, le truppe nemiche hanno tenuto duro, impegnandosi poi in furiosi corpo a corpo; o addirittura hanno contrattaccato, incuranti della valanga di fuoco che rovesciavamo su di loro. Contro il fuoco organizzato dei nostri difensori, i soldati nemici - molti dei quali dotati solo di armi bianche - sono tornati più volte all'assalto, giungendo spesso ai cavalli di Frisia e tentando di troncare il filo spinato coi loro spadoni . Uomini coraggiosi, forse, ma spazzati via dalla possente macchina bellica italiana. E alla fine Badoglio si trovò di fronte ras Muguletu, il ministro della guerra etiopico in persona, con tutte le sue armate, in agguato come un vecchio leone negli anfratti e nelle precipiti balze della fortezza montagnosa naturale dell'Amba Aradam. Badoglio scagliò tutta la sua potenza contro il vecchio capo. I grossi trimotori Caproni rovesciarono rombando a ondate quattrocento tonnellate di bombe sulla montagna in cinque giorni di raid ininterrotti, mentre l'artiglieria sparava cinquantamila granate nelle gole e nelle grotte, finché l'intera Amba Aradam prese a fumare col profilo confuso da una nuvola rossa di polvere e cordite. Frattanto, ai Pozzi di Cialdi, il tempo passava piacevolmente per il conte Aldo Belli. I rinforzi avevano mutato la sua vita dal giorno alla notte, anzi viceversa. Oltre alla magnifica croce smaltata, gli avevano conferito una ben più elevata e confacente opinione di sé. Nel corso delle prime settimane, non si stancava mai di passare in rivista e manovrare le truppe corazzate. Le sei veloci macchine da guerra, con le loro sagome basse e minacciose, lo affascinavano. Filavano sul terreno più accidentato, sobhalzando sui cingoli, per la sua delizia. Come battitori di selvaggina, poi, erano l'ideale. Niente li fermava, e con il loro inconsueto ausilio il conte escogitò geniali strategie di caccia grossa. Affiancati, i sei carrl'armati dello squadrone potevano battere un'area di sessanta chilometri di deserto, convogliando . davanti a sé tutta la selvaggina fino al punto dove il conte aspettava, seduto sotto un ombrellone, con in mano il suo Manniicher. La caccia più divertente
che avesse mai fatto. Il raggio d'azione di queste battute era così vasto che non passarono inosservate nemmeno nelle illimitate estensioni del - deserto dancalo. Come il loro ras, i guerrieri harari erano gente di poca pai zienza. La lunga inattività li annoiava, e così ogni giorno piccoli gruppi di cavalieri, seguiti dalle mogli e dai muli da soma, partivano dal campo ai piedi della gola e iniziavano la ripida ? , A ascesa verso il più fresco e temperato clima dell'altopiano, gli affari e le comodità di casa. Ciascuno assicurava personalmente ! ; al ras che, in caso di bisogno, sarebbe tornato subito a com; battere: nonostante ciò, il ras assisteva con una certa preoccupazione al lento dissolversi del suo esercito mentre il nemico permaneva, invulnerabile e indisturbato, sul sacro suolo d'Etiopia. . La tensione montava nell'accampamento, con la forza e la passione di un'onda oceanica, quando all'orizzonte si accumulano nere nubi di tempesta. ~. In questa atmosfera di violenza repressa, nel sobbollire del. . . v le emozioni, si trovavano sia Jake sia Gareth. Ciascuno si era 77 giovato del periodo di inattività per mettere ordine nel campo di sua competenza. '; Jake era uscito di notte, scortato da un folto gruppo di cavalieri etiopi, e si era recato al campo di battaglia abbandonato, dove aveva recuperato il motore della Gobba. Lavorando alla luce di una lanterna schermata, e con l'aiuto di Gregorius, aveva smontato il grosso Bentley in pezzi abbastanza piccoli da essere someggiati dai muli, e li aveva riportati tutti all'accampamento base. Con quei pezzi di ricambio aveva aggiustato il motore di Tenastelin, distrutto dal ras nel primo empito d'entusiasmo. Poi aveva smontato e controllato pezzo per pezzo lf altre due macchine. Le forze armate etiopiche disponevano ora di una squadriglia di tre autoblindo, tutte in ordine. . . almeno quanto lo erano state negli ultimi vent'anni. Nel frattempo Gareth aveva scelto e addestrato serventi harari per le mitragliatrici Vickers, impiegandoli poi in manovre congiunte con la fanteria e la cavalleria, insegnando ai mitraglieri a stendere raffiche di sbarramento e copertura. I guerrieri appiedati impararono ad avanzare e ritirarsi di concerto con le Vickers. Gareth aveva anche trovato il tempo di completare la ricognizione della Gola di Sardi, segnandosi le postazioni migliori per le mitragliatrici e facendo scavare trincee nelle pendici rocciose della gola. Un'avanzata nemica su quei ripidi tornanti sarebbe caduta sotto il fuoco a ogni curva, mentre i fanti etiopici potevano sbucare dalle trincee nascoste e andare all'assalto della strada nei punti più vantaggiosi. La strada stessa era stata un po' spianata, e le pendenze ridotte per consentire alle autoblindo di ritirarsi facilniente verso Sardi una volta perdute le posizioni in pianura, dato il continuo ingrossarsi del già soverchiante contingente italiano. Ora aspettavano, relativamente pronti, e il lento trascorrere del tempo li snervava. Fu quindi con un certo sollievo che gli esploratori che sorvegliavano giorno e notte il campo italiano informarono il ras e il suo consiglio di guerra che una formazione di strani veicoli che Sl muovevano a grande velocità - senza l'ausilio né di zampe né di ruote - si erano aggiunti alla formidabile forza italiana schierata ai pozzi. Questi veicoli erano quotidianamente impiegati, dall'alba al tramonto, in una furiosa quanto insensata serie di scorrerie nelle sconnnate distese della savana. Senza ruote , scimmiottò Gareth alzando un sopracciglio, rivolto a Jake. " Sai anche tu di che cosa può trattarsi, no, vecchio mio? Ho paura di si , annui Jake. Ma sarà meglio andare a dare un'occhiata di persona. La mezzaluna che brillava in cielo era piu che sufficiente a illuminare le chiare ed evidenti tracce dei cingoli sul terreno morbido. Sembravano orme di un millepiedi gigànte. Jake Si
accucciò a guardarle meglio, di pessimo umore. Ora sapeva che ciò che aveva tanto temuto si era verificato. Avrebbe dovuto portare le sue amate macchine contro mezzi blindati di gran lunga superiori, dalla corazza invulnerabile alle mitragliatrici, dalla torretta girevole armata di annoncini a fuoco rapido che potevano agevolmente penetrare la sua corazza frontale, perforare il motore, entrare nell'abitacolo e far strage dell'equipaggio, per poi uscire da dietro e far lo stesso servizio all'autoblindo successiva. Carri armati , brontolò. Maledetti tank. Meno male che abbiamo fra noi un esperto , mormorò Gareth, comodamente seduto sulla torretta di Priscilla la Troia. Un novellino, chissà, avrebbe pensato ai dinosauri. Ma non si può ingannare Occhio-di-falco Barton, il figlio della prateria texana. Si sporse a spegnere il sigaro contro la torretta, gesto che, come ben sapeva, avrebbe irritato moltissimo Jake. Jake grugni e si rialzò. Per il tuo compleanno ti regalerò un portacenere. Il suo tono era scocciato. Non gli importava che alle sue adorate macchine sparassero con fucili, mitragliatrici e ora con cannoni; ma il minimo graffio di rovo, o di ghiaia scagliata dagli zoccoli di qualche cavallo, lo faceva montare su tutte le furie. Ora il gesto deliberato di spegnere il sigaro lo irritò proprio come era stato previsto e voluto da Gareth. Scusa, vecchio , disse costui con un dolce sorriso. Mi era uscito di mente. . . non succederà più. Jake saltò sull'autoblindo e si infilò nel vano del guidatore. Tenendo il motore a un bassissimo regime di giri, un mormorio dolce e caro alle sue orecchie più di un concerto di Bach, spinse piano Priscilla per la pianura rischiarata dalla luna. Quando Jake e Gareth si ritrovavano così, da soli, fuori in ricognizione o al lavoro insieme su per la strada della gola, la spina della rivalità si spuntava e collaboravano rilassati, punzecchiandosi ogni tanto moderatamente su questioni di precedenza-e posizione. Era solo in presenza di Vicky Camberwell che la punta si acuminava. Adesso, Jake ci pensava; pensava a loro tre, come gli capitava parecchie volte al giorno. Sapeva che, dopo quelia magica notte con Vicky, in cui si erano amati sulla dura terra del deserto, lei era la sua donna. Era un'esperienza troppo meravigliosa da dividere con un altro essere umano per non averli mutati entrambi molto profondamente. Tuttavia, nelle settimane successive, c'erano state ben po che occasioni di conferma: un solo-pomeriggio rubato presso i vapori di una cascata, su per la gola, su uno stretto sperone di roccia, ombroso e verde di muschio, al riparo da occhi indiscreti. Il muschio era soffice come un letto di piume: dopo, avevano nuotato insieme, nudi, nella pozza turbinante sotto ]a cascata. Nell'acqua scura, il corpo di lei era snello, pallido e grazioso. Poi, di nuovo, l'aveva vista con Gareth Swales: come rideva, o si chinava su di lui per ascoltare un commento sussurrato, e le risposte intrise di falso pudore ai suoi motti arditi col sorriso sulle labbra e negli occhi. Una volta gli aveva toccato il braccio, senza pensare, mentre chiacchierava con lui: un gesto cosi intimo e possessivo che Jake si era sentito travolgere dalla più nera gelosia. Non ce n'era motivo, Jake lo sapeva. Non poteva credere che lei fosse stupida o ingenua al punto di cadere neli visibile ragnatela che Gareth le stava tessendo: era la donna di Jake. Quello che avevano fatto insieme, il loro amore era stato cosi meraviglioso, cosi chiaramente da una volta sola nella vita , che non era nemmeno pensabile che gli voltasse la spalle per un altro. Pure tra Vicky e Gareth c'erano quelle risate, quegli scherzi condivisi. A volte li aveva visti insieme, su uno sperone di roccia sopra il campo, o a passeggio in qualche vicino boschetto, che chiacchieravano con grande intimità. Una volta (, due erano risultati
contemporaneamente assenti dal campo, anche per un'intera mattinata. Ma non voleva dir niente, lo sapeva. Certo, Gareth Swales le era simpatico. Poteva capirlo. Era simpal: ico anche a lui. Più che simpatico, in realtà, si rese conto: c'era fra di loro un sentimento di profondo cameratismo. Non si poteva restare indiflerenti al suo bell'aspetto, alla sua eleganza, al suo senso dell'umorismo, né si poteva dubitare che, sotto la vernice della buona educazione, e a dispetto del suo posare a cinica canaglia, ci fosse ben altra persona. Già. Jake fece un ghigno sardonico nell'oscurità, puntando il muso dell'autoblindo verso sud-est, dove lucevano i barbagli del campo italiano ai pozzi. Gli voglio bene anch'io Non mi fido di lui, ma gli voglio bene. . . finché tiene giù le mani dalla mia donna. il quella, Gareth si chinò su di lui dalla torretta e gli batté sulla spalla. C'è un valloncello avanti a sinistra. Dovrebbe andare , disse. Jake sterzò in quella direzione e poi si fermò. è abbastanza profondo , opinò. Dovremmo essere in grado di sporgerci appena oltre il ciglione e sorvegliare il terreno a est appena sorgerà il sole. Gareth indicò i riflettori italiani da una parte, e la distesa del ì deserto davanti a loro: Dey'essere qua che si divertono ogni giorno. Dovremmo essere in ottima posizione per vedere che cosa combinano. Be', adesso meglio mimetizzarci . Contavano di trascorrere l'intera giornata a studiare le mosse degli italiani, per poi sganciarsi col favore delle tenebre. Jake condusse Priscilla a marcia indietro fino a nasconderla , completamente sotto il ciglione, con solo la cima della torretta fuori, ma con il muso puntato verso ovest in una posizione da cui risultasse facile risalire il ciglione opposto qualora si fosse reso necessario tagliare la corda. Spense il motore. Si armarono di machete e andarono a racFx cogliere qualche fascina di rovo nel deserto, per poi decorar, ne la torretta di Priscilla in modo che, a trenta metri di distanza, si confondesse perfettamente col resto del paesaggio. Jake versò della benzina in un orcio di coccio, lo infilò in una buca in mezzo al vallone e diede fuoco al liquido. A quella stufa rudimentale. si scaldarono dall'aria fredda della notte nel deserto, approfittandone anche per fare il cafifé. Rimasero un po' in si;enzio, immersi nei propri pensieri, a berselo. Credo che abbiamo un problema , disse Jake alla fine, fissando il fuoco. Quando non ne ho avuti? Non me lo ricordo neanche più , replicò educatamente Gareth. Ma, a parte il fatto che ~- sono bloccato in mezzo a un deserto orribile, in compagnia di . selvaggi e di innamorati, con un esercito di Macaroni che vuol - farmi la pelle, completamente in bolletta a parte un assegno postdatato di dubbio valore, senza una bottiglia di champagne nel raggio di centinaia di chilometri, né immediate prospettive di fuga. . . be', a parte questo, sono in ottima forma. Stavo pensando a Vicky. Ah! Vicky. Sai che sono innamorato di lei. Mi sbalordisci. Gareth sogghignò diabolicamente al chiarore del. fuoco. Ah, era per quello che continuavi a starmi dietro con quell'aria da toro ingrugnito nella stagione degli amori? Buoi~ Dio, non l'avrei mai indovinato, amico mio. Sto parlando sul serio, Gareth. Questo, caro mio, è un problema tuo. Prendi tutto troppo sul serio. Sono pronto a scommettere tre contro uno che già pensi alla vecchia casetta coperta di edera, pullulante di terribili marmocchi. Proprlo così , lo interruppe Jake seccamente. proprio una cosa così seria, temo. Come la mettiamo? Gareth tirò fuori due sigari dal taschino, ne piazzò uno fra le labbra di Jake e glielo accese con un rametto preventivamente incendiato sul fuoco. La smorfia sarcastica era sparita di colpo dal suo viso, e la sua voce era diventata pensosa, ma l'espressione dei suoi occhi era difficile da
decifrare alla luce del focherello. Conosco un posticino in Cornovaglia. Settantacinque ettari. Vecchia e comoda cascina, naturalmente. Ci saranno dei lavori da fare, ma le stalle sono già in condizioni perfette. Mi è sempre piaciuto sognarmi nei panni del gentiluomo di campagna: andare a caccia fra un'aratura e una mungitura o che so io. E magari tirar su anche tre o quattro marmocchi, perché no? Con quattordicimila sterline, e una bella ipoteca, potrei anche farcela. Restarono in silenzio tutti e due, mentre Jake versava dell'altro caffé e spegneva il fuoco, per poi tornare ad accucciarsi di fronte a Gareth. una cosa piuttosto seria anche questa , commentò Gareth alla fine. Sicché non ci si può mettere d'accordo? Stipulare una tregua, un patto tra gentiluomini? mormorò Jake nella tazza. Temo che dovremo rivaleggiare , disse Gareth. Vinca il migliore; e al primo daremo nome Jake, te lo prometto Rimasero ancora in silenzio, ciascuno perso nei propri pensieri, sorseggiando il caffé e fumando. Uno dei due potrebbe dormire un po' , disse Jake alla fine. Testa o croce? chiese Gareth lanciando in aria un tallero d'argento e bloccan'iolo sul polso. Testa , dichiarò Jake. Sei proprio scalognato, mio caro commentò Gareth, infilandosi in tasca la moneta e gettando via quanto restava della sua tazza di caffé. Poi andò a stendere la coperta sul fondocabbioso del vallone~ sotto il telaio ai Primi~ Tr~ All'alba Jake lo scosse piano, facendogli segno di tacere con l'indice sulle labbra. Ga'reth si svegliò di soprassalto, sbattendo gli occhi e ravviandosi i capelli con ambo le mani, per poi ~altar su e seguir Jake sulla torretta di Priscilla. L'alba era un'esplosione silenziosa di rosso, oro e arancio ~che copriva metà del cielo orientale, infiammando le cime delle ondulazioni ma lasciando le bassure immerse in un lago di ~ombre grigio-azzurre. La mezzaluna al tramonto splendeva a occidente bianca come il dente di uno squalo. Ascolta , disse Jake, e Gareth voltò leggermente il ca~po per meglio cogliere il fremito di suono nel silenzio dell'alba. a Hai sentito? Gareth annuì alzando il binocolo. Lentamente spaziò sul panorama a tratti rischiarato dal sole. Laggiù , disse Jake secco, e Gareth puntò il binocolo nella direzione indicata. Ad alcuni chilometri di distanza, una fila di macchie scure ;indefinite stava attraversando una depressione del terreno leg germente ondulato. Sembravano grani di rosario; anche le sue potentissime lenti non riuscivano, a quella distanza, e a causa dell'ombra, a definirle meglio. Continuarono a guardarle, seguendo la linea sinuosa che serpeggiava di fronte a loro, finché la- macchia in testa non ragRiunse la cresta. Il sole d'oro la illuminò di colpo. Nell'aria ancora fresca non si davano miraggi, e l'illuminazione radente, drammatica, chiarl'in un baleno ogni dettaglio del profilo. Carri armati da cavalleria CV 3 , disse-Gareth senza esitare. Motori Alfa da cinquanta cavalli. Quindici millimetri ~di corazza frontale, velocità massima quaranta chilometri all'ora. Sembrava che leggesse un depliant, e Jake si ricordò qual'era il suo mestiere. C'è un equipaggio di tre persone: autista~ cannoniere e comandante. Hanno l'aria di montare gli Spandau da cinquanta millimetri. Sono precisi fino a un chilometro e sparano quindici colpi al minuto. Mentre parlava, il primo carro armato scollinò sparendo alla vista, seguito in rapida successione dagli altri cinque. Il rumOre dei motori smorì lentamente. I Gareth abbassò il binocolo e sogghignò. Eccoci surclas sati: quegli Spandau dispongono di torrette completamente rotanti. Siamo bell'e fritti. Noi però andiamo più forte , disse Jake, accalorato come una madre cui disprezzassero i figli. Sì, vecchio mio, ma è tutto qui , borbottò Gareth. E se facessimo un po' di colazione? C'è un sacco di tempo da
aspettare prima che faccia abbastanza buio da tornare a casa. Mangiarono una scatoletta di carne a testa, scaldata sul fuoco e accompagnata dallo spugnoso e non lievitato pane d'Etiopia: ci bevvero sopra del té forte e dolce per il latte condensato e lo zucchero bruno di canna. Finirono che il sole era già ben alto. Jake fece un piccolo rutto. Tocca a me dormire , disse, e si arricciolò come un grosso cagnone bruno all'ombra di Priscilla. Gareth cercò di mettersi comodo appoggiandosi alla torretta, e prese a contemplare il paesaggio, dove già i miraggi danzavano e fumavano nella calura sempre più torrida. Si congratulò con se stesso della buona scelta del verso della moneta: si era goduto delle ottime ore di sonno notturno, e gli restava da vegliare nel relativo caldo del mattino. Al pomeriggio, quando il sole fosse diventato veramente assassino, sarebbe toccata di nuovo a Jake, sull'acciaio incandescente della torretta. Guardiamo un po' , mormorò, e pigramente ispezionò l'orizzonte col binocolo. Non era possibile che una pattugli a italiana li sorprendesse lì. Aveva scelto il posto con l'occhio del soldato, e si congratulò di nuovo con se stesso per l'abile mimetizzazione. Tornando ad appoggiar la schiena alla torretta, si accese un buon sigaro. Bene , pensò. Come si fa a sbaragliare uno squadrone di carri armati senza disporre di artiglieria, campi minati e armi da fuoco in grado di perforarne la corazza? Lasciò vagare la mente su questo bel problema. Un paio d'ore dopo aveva concluso che un sistema c'era, anzi forse più d'uno, ma tutto dipendeva dal riuscire ad attirare i carri in trappola con la massima precisione, e cioé nel posto giusto, dalla direzione giusta e al momento giusto. Il che, naturalmente, è tutto un altro paio di maniche. Per risolvere anche questi indispensabili corollari ci vollero ulteriori prolungate riflessioni. Madopo un'altra ora sapeva, più o meno, che c'era una sola maniera di- indurre lo squadrone corazzato italiano a collaborare alla propria distruzione: Il vecchio trucco del bastone e della carota , pensò. Tutto quello che adesso ci serve è la carota. Istintivamente guardò giù dove Jake giaceva arricciolato. Non Si era mai mosso in tutto quel tempo, e solo il suo respiro un po' pesante testimoniava che era ancora vivo. Gareth provò una morsa d'irritazione al pensiero che si stesse godendo quella dormita indisturbato. Il caldo era una cappa pesante e opprimente che schiacciava la terra, battendo sulla testa di Gareth come un gong. Sulla sua pelle il sudore si asciugava quasi immediatamente, lasciando una spruzzata di sale cristallizzato. Si fregò gli occhi e si rimise a scrutare l'orizzonte. Era offuscato dall'incandescenza e dal fenomeno del miraggio. Anche le ondulazioni più vicine si celavano dietro la spessa cortina dell'aria distorta dal calore che sembrava addirittura acqua percorsa da correnti e mulinelli. Gareth sbatté gli occhi e scosse dalle ciglia le gocce di sudore. Guardò l'orologio. C'era un'altra ora prima del turno di Jake. Gli saltò in mente di mettere avanti l'orologio. Non si stava affatto bene sulla torretta adesso. Diede un'altra occhiata alla figura addormentata di Jake. Proprio in quella avvertl'un rumore nell'aria spessa e torrida, . un ronzio come d'api. Non c'era modo di distinguerne la provenienza, e Gareth cominciò a guardare da tutte le parti, tendendo l'orecchio. Andava e veniva, andava e veniva, ma stavolta con più potenza e maggiore chiarezza. La configurazione del terreno e la densità atmosferica giocavano brutti scherzi alla percezione auricolare. All'improvviso il volume di suono aumentò in fretta, trasformandosi in un rombo cupo che scuoteva la calura. Gareth puntò il binocolo a est. Il rombo sembrava emanare dall'intera curva dell'orizzonte orientale, come una risacca oceanica. Per un istante, la foschia del miraggio
si aprì a sufficienza perché egli distinguesse una forma enorme e distorta, un mostro incombente e grottesco alto come una casa di due piani su quattro zampe che sembravano trampoli. Poi l'aria tornò opaca e imperscrutabile, lasciando Gareth a fregarsi gli occhi allarmato e incerto di aver visto ciò che aveva visto. Ma ora il rombo echeggiava più forte. Jake! chiamò concitato. Gli rispose una piccola variazione del russare. Gareth strappò dalla mimetizzazione un ramo e lo gettò addosso alla figura accoccolata. Colpì Jake sulla nuca e lo svegliò immediatamente, col pugno già Istretto per difendersi. Cosa diavolo. . . ringhiò. Vieni su , tagliò corto Gareth. Non vedo un cavolo , brontolò Jake, scrutando a est, sulla torretta. Ormai il rumore era come un rombo di tuono, ma non Si riusciva ancora a vedere niente. Laggiù! gridò Gareth. Oh mio Dio! gridò Jake. L'enorme forma nera stava scagliandosi su di loro. Vicinissima, altissima, goniiata dalla distorsione a proporzioni gigantesche, la forma cambiava a ogni istante: ora sembrava un veliero a quattro alberi dalle vele nere, subito dopo un torreggiante drago nero che si contorceva nuotando come un girino nell'aria densa come brodo. Ma cosa diavolo è? domandò Gareth. Non lo so, ma fa il rumore di uno squadrone di carri armati italiani e sta venendo dritto dove siamo noi. Il capitano che comandava lo squadrone di carri armati italiani era un uomo irritato, frustrato e terribilmente deluso: un uomo divorato dal risentimento. Come tanti altri ufficiali usciti dalla tradizione della cavalleria, era un romantico, ossessionato dall'idea di se stesso quale aldito e nobile guerriero. L'uniforme del suo reggimento comprendeva tuttora brache attillate con una striscia di seta scarlatta all'esterno del gambale, stivali da equitazione in pelle morbid, e speroni d'argento, giacca aderente a ricami d'oro e grosse spalline, mantellina gettata con disin'oltura su una spalla e un grosso kepì nero. L'immagine che preferiva di sé era quella: tutto slancio ed eleganza. E invece eccolo in quel deserto partorito dal diavolo e maledetto da Dio, dove un giorno dopo l'altro lui e le sue amate macchine da guerra venivano spediti a cercare animali selvaggi da sospingere in un punto prefissato, in cuì un pazzomegalomane li aspettava col fucile spianato. Il danno che ciò arrecava ai suoi carri armati, il logorio dei cingoli lanciati a tutta velocità sul terreno accidentato e la sabbia abrasiva, dura come il diamante, non era nulla in confronto alle sofferenze inflitte al suo orgoglio. Era stato ridotto a guardacaccia, a vile battitore. Il capitano passava gran parte della sua giornata sull'orlo del pianto, in preda alla più profonda umiliazione. Ogni sera protestava in termini sdegnati col pazzo conte: e la mattina dopo si ritrovava di bel nuovo comandato a caccia grossa nel deserto. Finora il carniere, se così si poteva chiamare, consisteva in una dozzina di leoni e licaoni, e stuoli di grosse antilopi. Quando venivano recapitati al luogo dove aspettava il conte, erano quasi esausti, tutti coperti di sudore con la bava che colava dalle fauci: dopo la lunga scorrazzata nella savana, erano a malapena capaci di tenersi in piedi. Ma le condizioni della selvaggina non diminuivano affatto il piacere del conte. Al capitano era stato ordinato esplicitamente di stancare le prede, in modo di condurle docili e dome davanti al fucile. Dopo l'allarmante esperienza con la beisa del deserto, il conte non voleva correre inutili rischi. Qualche tiro facile e qualche bella fotografia erano tutto quello che chiedeva a una giornata di caccia. -Più grosso il carniere, maggiore il piacere. . . e il conte si era divertito immensamente, dall'arrivo dei carri armati. Tuttavia, la desolazione del deserto dancalo non era in grado di nutrire infiniti animali, sicché negli ultimi giorni le prede
avevano cominciato a scarseggiare, per la sistematica distruzione dei branchi. Il conte se ne rammaricava non poco. Se la prese col comandante dei mezzi corazzati, col risultato di inasprirne sensibilmente frustrazione e rancore. Il capitano dei carri armati si era imbattuto nel vecchio elefante maschio che se ne stava solo, in piedi, come un enorme monumento di granito, in mezzo all'aperta savana. Aveva le orecchie sbrindellate come vele di un vecchio veliero~ e gli occhietti crudeli avvolti da una ragnatela di profonde grinze. Una zanna era spezzata al labbro, ma l'altra era grossa, lunga e gialla, con la punta smussata dall'uso. Il capitano arrestò il carro a mezzo chilometro dall'elefante e l'esaminò col binocolo, intimorito dalla sua imponenza. Poi prese a ridere sotto i baffi, maliziosamente, emanando lampi dagli occhi scuri. Volevi selvaggina, colonnello? ringhiò a bassa voce. L'avrai! Badò di avvicinarsi all'elefante da est, spingendo il carro a un'andatura piuttosto allegra. Il vecchio pachiderma si voltò a guardarli. Aveva le orecchie aperte, grandissime: la lunga proboscide aspirava l'aria all'intorno per poi soffiarla, arricciolandosi all'interno, sulle ghiandole olfattive poste sul labbro superiore, nel tentativo di coglier l'usta di quella stranissima creatura. Era un vecchio maschio di pessimo carattere, rotto a tutte le avventure e temprato dal bracconaggio inflittogli per decenni e per migliaia di chilometri attraverso tutto il continente africano. Sotto la sua pellaccia piena di cicatrici si annidavano ancora punte di lancia, palle di schioppi ad avancarica e proiettili corazzati dei moderni fucili da caccia grossa che gli erano stati scagliati addosso invano. Adesso che era giunto a tarda età, tutto quello che voleva era esser lasciato in pace: non desiderava più la compagnia delle esigenti femmine, né i giochi importuni e rumorosi dei cuccioli, e soprattutto aborriva l'ostinata caccia degli umani che avevano in mente una cosa sola, le sua zanne d'avorio. Così era venuto nel deserto torrido e spoglio, in cerca di solitudine, ed ora stava dirigendosi a passo lento verso i Pozzi di Cialdi, la cui acqua aveva gustato l'ultima volta da bel maschio adulto venticinque anni prima. Stette un po' a guardare le cose rombanti che si avvicinavano e colse l'odore di petrolio fetido, che non gli piacque affatto. Scosse la testa sventolando le orecchie, con rumore di tela che sbatte, ed emise un barrito di avvertimento. Le cose rombanti continuarono ad avvicinarsi. Ripiegò la proboscide sul corpo e le orecchie all'indietro, ma il capitano dei carristi ignorò quei segnali di pericolo e continuò ad avanzare. Allora l'elefante caricò, veloce e massiccio, facendo risuonare gli zamponi sul terreno come su un tamburo cupo. Andava così forte e così dritto che mancò soltanto di poco il carro armato. Se lo avesse investito, l'avrebbe ribaltato senza nemmeno bisogno di far uso di tutta la sua forza mostruosa. Ma il guidatore era abile quanto lui, e riuscì a evitare con una sterzata la zanna protesa. Dopo di che schiacciò l'acceleratore a tavoletta per un buon chilometro prima che l'elefante rinunciasse all'inseguimento. Signor capitano, gli sparo con lo Spandau? domandò preoccupato il cannoniere. Non si era divertito molto. No! No! Il capitano invece sì. è una brutta bestia, feroce e pericolosa , osservò il cannoniere. Sì! rise felice il capitano, fregandosi le mani. un regalo speciale per il signor conte. Dopo la quinta volta che il carro armato gli si avvicinava, il vecchio elefante maschio si stufò di corrergli dietro inutilmente. Col ventre che borbottava fragorosamente, la coda che sferzava l'aria con irritazione, e il muschio delle ghiandole lacrimali che colava giù per le guance polverose, si rassegnò a farsi sospingere verso est dalla formazione di carri armati: ma era sempre un
elefante molto arrabbiato. Tu non ci crederai , disse piano Gareth Swales. E non sono sicuro di crederci neanch'io. Ma c'è un elefante che sta 'guidando i carri armati italiani contro di noi. Non ci credo , replicò Jake. Lo vedo, ma non ci credo. Come hanno fatto ad addestrarlo come un segugio? pos sibile, o sono diventato matto? Forse tutte e due le cose , disse Gareth. Comunque io suggerirei di muoverci. Mio caro; stanno avvicinandosi spaventosamente. Take saltò alla manovella, mentre Gareth si calò nell'abitacolo mettendosi al volante e preparandosi a far partire il motore. Sono pronto , urlò, guardandosi con ansia sopra la spalla. Il grosso elefante era a meno di un chilometro. Si avvicinava di gran carriera con quel trotto che gli elefanti sono capaci di tenere anche per cinquanta o sessanta chilometri senza mai rallentare o fermarsi. Ved'i di sbrigarti, ch? Jake girò la manovella. Priscilla non diede nessun cenno di risposta, nemmeno un colpo di tosse di incoraggiamento, mentre Jake continuava a girare freneticamente. DOPQ un minuto buono, Jake si accasciò per riprender fiato, esausto. Questa dannata macchina d'inferno. . . cominciò Gareth, ma Jake si rizzò con autentica preoccupazione: Non cominciare a insultarla, se no non parte più , disse rivolto a Gareth, e si chinò di nuovo alla manovella. Su, vieni adesso, bella , le sussurrò, e appoggiò tutto il suo peso alla manovella. Gareth lanciò un'altra rapida occhiata dietro. La bizzarra processione era più vicina, molto più vicina. Si sporse dal vano del guidatore e diede due colpetti affettuosi sulla corazza di Priscilla. Amore, amore mio , diceva teneramente. Parti, bella, parti. . . La comitiva di cacciatori del conte sedeva su sedie pieghevoli di tela al riparo di tendoni per proteggersi dal sole crudele. Gli a{tendenti servivano bevande ghiacciate e leggeri rinfreschi, e, quando la brezza gonfiava un po' i tendoni, si stava anche bene. Il conte era in vena di grandiosità. Aveva invitato una mezza dozzina dei suoi ufficiali: erano tutti senza uniforme, ma vestiti da caccia, armati con una selezione di fucili sportivi e qualche sporadico moschetto d'ordinanza. Credo che oggi ci divertiremo un po' di più. I battitori, dopo le mie gentili ammonizioni, ce la metteranno illiia. Sorrise strizzando l'occhio e i suoi ufficiali risposero doverosamente al sorrisetto. E quindi spero proprio che. . . Signor conte, signor conte. Gino irruppe. nel tendone come uno gnomo sfiatato. Arrivano. Li abbiamo visti dalla cresta. Ah! esclamò il conte con profonda soddisfazione. Andiamo a vedere cosa ci ha portato stavolta il nostro ardito capitano. Prese il bicchiere di vino bianco mentre Gino accorreva per aiutarlo ad alzarsi, per poi fargli strada verso il luogo in cui Giuseppe stava togliendo in fretta e furia i coprisedili alla Rolls. La piccola processione, guidata dalla Rolls-Royce del conte, discese il pendio della valletta hno al punto dove era stato preparato l'appostamento. Si trattava di piccole capanne di vimini, costruite da genieri in modo che, piantate nella terrarossa, non si elevassero dalla circostante vegetazione cespugliosa del deserto. Avevano comode feritoie per sparare sulla selvaggina sospinta fin lì, e sedie da campo per ingannare le lunghe attese fra una battuta e l'altra; non mancava un piccolo ma ben fornito bar, col ghiaccio nei secchielli, né una latrina isolata e riparata. Insomma, c'erano tutte le comodità in grado di far apprezzare ancora di più il divertimento. ? Il capanno del conte era al centro della fila. Era il più grande e il più lussuosamente rifinito, piazzato dove sarebbe passata la gran maggioranza delle bestie. Gli ufficiali più giovani I avevano ben presto appreso quanto fosse folle uccidere più 5 capi del comandante, o sparare a quelli che si stavano dirigendo verso il suo fucile.
Il primo contravventore si era ritrovato degradato da capitano a tenente, e non era più stato invitato a caccia, mentre il secondo era già a Massaua a compilare moduli di requisizione al quartier generale. Gino aprì al conte lo sportello della Rolls, e lo aiutò a scendere i gradini dell'appostamento. Giuseppe salutò e risalì sul, la Rolls, scomparendo in breve oltre la cresta. Il conte si accomodò nella sedia di tela. Con un sospiro si sbottonò la camicia, accettando la pezzuola umida che Gino gli porgeva per il volto. Mentre col fresco drappo di lino il conte si asciugava il sudore della fronte, Gino aprì una bottiglia di lacrima christi nel secchiello di ghiaccio e ne versò in un bicchiere di cristallo appannato dal gelo, posandolo su] ta, volino pieghevole vicino al gomito del conte. Poi caricò il Manniicher con lucenti proiettili d'ottone, presi da una scatola nuova. , l' Il conte gettò da parte la pezzuola e si chinò sulla sedia a ~' guardare dalla feritoia, oltre la quale si stendeva il deserto rotto da macchie di cespugli spinosi, che ondeggiavano nell'afa. Ho il presentimento che oggi ci divertiremo un mondo, ; Gino. Lo spero proprio anch'io, signor conte , disse il piccolo servente mettendosi sull'attenti dietro la sedia del conte con il Manniicher carico a bracciarm. Forza, tesoro, forza , gracchiava Jake col sudore che gli colava dalla fronte mentre girava la manovella per la centesima volta. Non lasciarci a piedi proprio adesso, tesoro! Gareth si affacciò sul fianco di Priscilla e diede una lunga e disperata occhiata indietro. Si sentì gelare le viscere e mancare il respiro. L'elefante era a cento metri, puntava dritto su di loro caracollando di buon passo, con le grandi orecchie nere che sbattevano mollemente e i piccoli occhi porcini che emettevano maligni bagliori. Subito dietro, a ventaglio dalle due parti, proprio alle calcagna del bestione, lo squadrone di carri armati italiani al gran completo. Il sole scintillava sulla corazza frontale lievemente arrotondata e sulle gagliarde insegne di cavalleria. Dalla torretta spuntavano le teste dei comandanti: col binocolo, Gareth riusciva a distinguere i lineamenti di ciascuno, tanto vicini erano. Nel giro di pochi minuti sarebbero stati raggiunti, e non c'erano speranze di passare inosservati. L'elefante stava guidando gli italiani proprio nel vallone, e la mimetizzazione non poteva ingannare nessuno a meno di un centinaio di metri. Non potevano nemmeno difendersi: la mitragliatrice Vickers era puntata in un'altra direzione, e la torretta non riusciva a ruotare abbastanza da puntare gli italiani. Gareth a un tratto fu colto da un accesso di rabbia nera e bruciante nei confronti di quell'ostinato catenaccio che aveva sotto i piedi. Vibrò un calcione terribile e dal profondo del cuore alla torretta d'acciaio. Puttana traditrice! ringhiò, e in quell'attimo il motore, senza neppure scaracchiare, prese a girare regolarmente. Jake balzò sull'autoblindo, facendo schizzare dappertutto goccioline di sudore. Rosso in volto disse a Gareth: Tu sì che ci sai fare . Quando ci vuole ci vuole. Sono tutte uguali , spiegò Gareth sogghignando con sollievo e infilandosi nella torretta mentre Jake si metteva al volante. Jake schiacciò l'acceleratore e Priscilla si scrollò di dosso i rametti della mimetizzazione. Le ruote girarono all'impazzata, sollevando nuvole di sabbia rossa, mentre l'autoblindo si lanciava sulla salita e sbucava all'aperto proprio sotto la proboscide estesa dell'elefante. Il vecchio maschio a questo punto aveva subìto provocazioni più che sufficienti per condurlo sull'orlo di una cieca furia. Occorreva soltanto quest'ultima rombante offesa per spingerlo al di là dell'orlo. Il passo spedito che aveva tenuto finora non aveva intaccato la sua monumentale forza e resistenza, e adesso barrì, un canto di
sfida che perforava i timpani ed echeggiava per le silenti distese del deserto come la tromba del giudizio universale. Le orecchie si ripiegarono ai lati del cranio, la proboscide si appiattì contro il petto, e il bestione si lanciò avanti in una terribile, sismica carica. Sul terreno accidentato era più veloce di PLiscilla la Troia, che prese a incalzare incombente e minaccioso come una grigia montagna di granito. Il capitano dei carri aveva fino a quel momento spinto avanti il bestione senza fretta. Non voleva stancarlo. Voleva recapitare al suo comandante un animale ai vertici della furia e delle capacità distruttive. Sedeva nella torretta ridacchiando e scuotendo la testa; pregustava il divertimento, perché l'appostamento dei cacciatori era a due soli chilometri di distanza. . . quando all'improvviso, proprio davanti a lui, il terreno si aprì eruttando un'autoblindo rombante in una nuvola di polvere rossa. Era un modello che il capitano aveva visto soltanto sui libri di storia dei mezzi blindati. Gli fece l'effetto di un fantasma del passato. Gli ci volle qualche secondo per credere a ciò che vedeva, poi, con un fremito dei nervi già tesi, riconobbe le insegne nemiche che la vecchia autoblindo inalberava. Avanti! urlò. Squadrone, avanti! e si toccò istintivamente il fianco, in cerca della spada, che non c'era. Caricate il nemico! Da entrambe le parti i suoi carri accelerarono rombando. In mancanza di una spada, il capitano si tolse l'elmetto e prese a sventolarlo sopra la testa. Carica! gridò. Addosso, addosso! Finalmente non era più un battitore. Era un guerriero che guidava i suoi uomini all'assalto. La sua eccitazione era così contagiosa, e il polverone sollevato dall'elefante, dall'autoblindo e dai cingolati così fitto, che i primi due carri non videro nemmeno il vallone, profondo cinque metri e con le coste perpendicolari. Avanzando affiancati, ci finirono dentro alla massima velocità e restarono distrutti come per effetto di una bomba d'aereo. Le ruote motrici furono strappate dall'impatto col terreno, e i cingoli rotti commeiarono a sferzare l'aria come cobra impazziti. Le torrette rotanti furono divelte dalle loro sedi, troncando di netto, alla vita, i comandanti dei carri, come per effetto di un gigantesco colpo di forbici. Aggrappato al parapetto della torretta, guardando indietro, Gareth vide i due ordigni bellici scomparire nella scarpata e alzare una grande colonna di polvere, che segnalava la loro completa distruzione. Meno due , gridò. Ce ne sono altri quattro , gli ricordò Jake, guidando Priscilla a tutta velocità sul terreno accidentato. Per non parlare di Jumbo. L'elefante, imbestialito dal rumore dei motori che lo incalzavano dietro (e dal fracasso dei due carri caduti nel vallone) quanto infuriato dalla rombante e sobbalzante autoblindo che aveva sotto il naso, aveva raggiunto una velocità incredibile per quel terreno. Ci ha raggiunti! gridò spaventato Gareth a Jake. Infatti il bestione era così vicino che Gareth doveva guardare verso l'alto, e protendeva la proboscite in direzione della torretta per coglierlo come un frutto maturo. Va' più forte che puoi, figlio mio, se no te lo ritrovi seduto sulla testa. Ho detto mille volte a quell'idiota di non portare la selvaggina davanti ai fucili così lanciata , berciò il conte con petulanza. Non è forse vero, Gino? Proprio così, signor conte. E all'inizio che bisogna stancare le bestie, ma negli ultimi due chilometri non bisogna esagerare. Il conte, irritato, bevve un sorso dal bicchiere. Quello è un fesso, un fesso insopportabile, e io non intendo essere circondato dai fessi. Avete ragione. Lo rimanderò a Massaua. . . il resto della minaccia si perse, perché il conte si rizzò all'improvviso, facendo scricchiolar la sedia. Gino. . . mormorò con disagio. Là fuori
sta succedendo qualcosa di molto strano. Entrambi guardarono ansiosamente dalla feritoia del baracchino di vimini. Un polverone si avvicinava a tutta velocità. Gino, è mai possibile? domandò il conte. No, signor conte , l'assicurò Gino, ma senza vera convinzione. un miraggio. Non è possibile. , Ne sei certo, Gino? La voce del conte si era fatta un po' stridula e acuta. Signornò , ammise l'attendente. . , , Neanch'io, Gino. Che cosa ti sembra che sia? ~- Sembra proprio. . . La voce gli si ruppe. Non vorrei nemmeno dirlo, signor conte. . . sussurrò. Mi par di impazzire. In quel momento il capitano dei carristi, i cui sforzi di tenere contemporaneamente a bada l'elefante imbestialito e l'autoblindo in fuga non sortivano effetto, decise di aprire il fuoco con lo Spandau da cinquanta millimetri. Ma, poiché non vedeva i bersagli, fece sparare nel polverone, dove ogni tanto si intuivano delle forme. A confondere ancor di più il cannoniere, la distanza aumentava continuamente, e l'autoblindo zigzagava per sfuggire al bestione infuriato che le stava alle calcagna. Inoltre anche il carro armato sobbalzava sul terreno accidentato. 'i? Fuoco! gridò il capitano. Aprire il fuoco! Il can noniere spedi una mezza dozzina di proiettili ad alto potenziale ad alzo zero nella savana. Gli altri carri sentirono i colpi e seguirono immediatamente, entusiasti, l'esempio. Una delle prime granate colpì il baracchino di vimini in cui stavano rannicchiati il conte e Gino, atterriti e in preda a stupore. La parete di frasche non fece scattare il detonatore e la granata quindi non esplose, ma passò a una trentina di centimetri dall'orecchio sinistro del conte, lasciandolo stordito per lo spostamento d'aria. Uscì poi dalla parete posteriore ~; e proseguì per un altro paio di chilometri, esplodendo nel de Se il signor conte non ha più bisogno di me. . . Gino saì~ lutò in fretta e, a pesce, si gettò fuori del buco aperto dal' proiettile nelle frasche della parete posteriore. Prima che il conte potesse fermarlo, era già lontano. Non era solo. Da tutti gli appostamenti saltavano fuori gli altri cacciatori, urlando istericamente ma non si udivano quasi, nel frastuono dei motori, dei furiosi barriti del vecchio pachiderma e delle cannonate a ripetizione degli Spandau. Il conte cercò di alzarsi dalla sedia, ma le gambe lo tradi rono, e non riuscì che a prodursi in una serie convulsa di salti. Aveva la bocca spalancata in mezzo a una faccia bianca come un lenzuolo, ma non riusciva a urlare. Era incapace di gridare, incapace di muoversi, col sedere incastrato nella sedia pieghevole. Riuscì solo a gettarsi per terra a faccia avanti, sul pavimento del capanno, che era ben al di sotto del livello de! suolo, dove giacque coprendosi la testa con gli avambraccnIn quell'istante l'autoblindo, sempre lanciata al massimo della velocità, sfondò la parete di vimini. Il capanno andò in mille pezzi e l'autoblindo balzò letteralmente sopra la trincea in cui stava acquattato il conte. Le ruote vorticanti ~li passarono una ventina di centimetri sopra la testa, sferzando la figura prostrata con un doloroso getto di sabbia e pietrisco. Poi, più nulla: l'autoblindo era passata. Il conte cercò di rimettersi a sedere, e c'era quasi riuscito quando l'enorme elefante infuriato devastò quanto rimaneva del capanno. Una delle sue zampe monumentali scalciò il conte di striscio, alla spalla, scaraventandolo a terra urlante come una sega a nastro. Qui il colonnello si afflosciò come una frittella, mentre il pachiderma si allontanava a grandi passi verso l'orizzonte, sempre inseguendo l'autoblindo in fuga. Ed ecco la terra tremare di nuovo per l'avvicinarsi di un'altra greve mole semovente. Il conte piantò la faccia per terra, ormai del tutto sordo, muto e paralizzato dal terrore, con la vaga speranza di scomparirvi come uno struzzo. In quella, il comandante dei
carri gli domandò cortesemente: La selvaggina è stata di vostro gradimento, signor colonnello? Mentre Gino, che era tornato ad aiutarlo, lo tirava su da terra, lo spolverava e l'accompagnava alla Rolls, un rosario di insulti acutissimi si riversò dalla strozza del conte all'indirizzo del capitano. Siete un degenerato e un codardo. Siete responsabile di abbandono di posto, mancato adempimento del dovere, tradimento della consegna e grossolana irresponsabilità. Ve li siete lasciati sfuggire, e mi avete messo in grave pericolo di vita. . . Il conte fu adagiato sui cuscini della Rolls. Quando l'auto partì, una nuova salva di insulti investì il capitano dei carristi. Siete un irresponsabile, un degenerato, un vigliacco e un bolscevico. . . comanderò personalmente il plotone di esecuzione che vi fucilerà. . . Le parole sfumarono in distanza, mentre la Rolls affrontava la salita verso il campo, ma, finché la vettura non scollinò, si vide il conte agitare il pugno col braccio illeso. L'elefante li inseguì per un buon tratto nel deserto anche dopo che lo squadrone di carri armati, lasciato indietro, abbandonò la caccia. Il vecchio maschio, però, a un certo punto cominciò a perdere terreno, e dopo un altro paio di chilometri lasciò perdere. Si fermò esausto, limitandosi a scuotere le orecchie e ad alzare la proboscite nel consueto, quasi umano gesto di sfida. Gareth lo salutò rispettosamente e l'abbandonarono, immobile come un alto monolito nero, nella savana arida e desolata. Quindi, accucciandosi nella torretta per proteggersi dal vento, Gareth accese due sigari e ne passò uno a Jake giù nell'abitacolo. stata una bella giornata di lavoro, vecchio. Ne abbiamo scrasciolati due, e abbiamo messo gli altri nella giusta disposizione mentale. Cosa intendi dire? chiese Jake, aspirando saporitamente il fumo del sigaro. " Che la prossima volta che quei carristi ci vedono, non staranno tanto a pensarci su, ma si getteranno all'inseguimento come una muta di levrieri dietro una cagna in calore. E questo sarebbe un bene? chiese incredulo Jake, spostando il sigaro all'angolo della bocca. un bene, è un bene , lo rassicurò Gareth. Non lo avrei detto. Continuò a guidare per qualche minuto in silenzio, verso le montagne, poi scosse la testa perplesso. Scrasciolare. Che razza di parola é? Boh, l'ho inventata adesso , rispose Gareth. Mi sembra espressiva, non ti pare? Il conte giaceva sulla branda a faccia in giù: indossava solo un paio di mutande di seta azzurra, con lo stemma di famiglia ricamato soDra. Il suo corpo era molle, pallido e grassoccio, con quell'incarnato lustro e paffuto per ottenere il quale occorre un sacco di soldi, di cibo e bevande giuste. Sulla pelle chiara i peli neri e ricciuti spiccavano come mazzetti di lattughina appena colta. Formavano una specie di leggera nube sulle spalle, per poi proseguire giù per la schiena e scomparire infine, come un fil di fumo, fra le burrose natiche che si vedevano cominciare, timidamente, appena sopra la vita degli slip. Ora la levigatezza del suo corpo era rovinata dalle brutte abrasioni rosse e dai lividi che gli fiorivano sulle braccia e sulle gambe. Grugniva con un misto di dolore e piacere mentre Gino, curvo su di lui, le maniche arrotolate fino ai gomiti, gli spalmava il linimento sulla spalla. Le sue dita scure e nervose affondavano profondamente nella carne liscia e pallida, e la puzza del linimento feriva gli occhi e le narici. Piano, piano, Gino. una brutta botta. Mi spiace, signor colonnello , si scusò questi, continuando a massaggiarlo iD silenzio, mentre il conte si contorceva mugolando sulla branda. Signor colonnello. . . potrei dirvi una cosa? No , grugnì il conte. La tua paga è fin troppo buona. No, Gino, ti retribuisco già in modo principesco. Signor colonnello, voi mi fate torto. Non intendevo certo parlare di un argomento così prosaico in
un momento come questo. Sono lieto di sentirtelo dire , grugnì il conte. Ah! Lì, lì! Quello è il punto! Lì! Gino lo massaggiò lì per qualche secondo. Se si studia la vita dei grandi generali italiani, Giulio Cesare e. . . Gino fece una pausa, cercando mentalmente, nella storia più recente, qualche altro grande generale italiano: ma il silenzio si protrasse un bel po' e Gino ripeté: Prendete Giulio Cesare, per esempio . Ebbene? Nemmeno Giulio Cesare impugnava la spada in battaglia. Il generale veramente grande si ritrae dal vero e proprio combattimento. Dirige, sovrintende, comanda i comuni mortali. Questo è vero, Gino. Qualunque cafone può impugnar la spada o sparare il cannone. Che cosa sono, se non animali? Anche questo è vero, Gino. Prendete Napoleone Bonaparte, o l'inglese Wellingion. Gino aveva rinunciato alla ricerca di un guerriero italiano vittorioso negli ultimi duemila anni o giù di li E allora, Gino? Quando combattevano, personalmente stavano ben lontani dagli scontri. Anche quando hanno combattuto fra di loro, a Waterloo, sono rimasti a chilometri di distanza, come due grandi maestri di scacchi, a dirigere, manovrare, comandare. . . Che cosa stai cercando di dire, Gino? Perdonatemi, signor conte, ma non vi siete forse lasciato accecare dal coraggio? Non vi siete forse troppo abbandonato alla iugulare del nemico? Non avete per caso un po' perso di vista il vero ruolo di un comandante. . . il dovere di stare alla larga dagli scontri, per sovrintendere alla battaglia da lontano? Gino attese'con trepidazione la reazione del conte. Gli ci era voluto tutto il suo coraggio per parlare, ma il timore reverenziale che gli incuteva il conte era nulla in confronto a quello di essere nuovamente sottoposto ai rischi che gli aveva già fatto correre. Il suo posto era al fianco del conte: ma se il conte intendeva continuare a sottoporre entrambi a tutti i terrori e gli orrori di quella terra desolata e ostile, Gino sapeva di non essere più in grado di resistere. Aveva i nervi a fior di pelle, sobbalzava continuamente, di notte era tormentato da incubi che lo destavano fra i sudori freddi. Sotto l'occhio sinistro un nervo aveva cominciato a ballare, incontrollabile. Stava rapidamente avvicinandosi al limite della sua forza nervosa. Ben presto, qualcosa in lui avrebbe potuto spezzarsi. Ve ne scongiuro, signor conte. Per il bene di tutti, voi dovete frenare il vostro impeto. ~'~ Aveva toccato una corda sensibile del suo padrone. Aveva ~' dato voce precisamente ai sentimenti dello stesso conte, sentimenti che, nel corso delle disperate avventure delle ultime settimane, erano maturati fino a diventare convinzioni profonde. Il colonnello cercò di rizzarsi su un gomito, alzò la nobile testa ricciuta e, inarcando un sopracciglio, guardò il piccolo sergente. Gino , gli disse. Sei un filosofo. Mi fate tropDo onore, signor conte. No! No! Dico sul serio. Hai una certa qual saggezza popolare, percepisci le intuizioni del volgo, sei un filosofo contadino. Gino non l'avrebbe affatto messa così, ma chinò la testa, umilmente. Sono stato ingiusto con i miei arditi , proseguì il conte, e tutto il suo atteggiamento mutò: divenne raggiante e intriso di buona volontà, come un prigioniero liberato sulla parola. Ho pensato solo a me stesso. . . alla mia gloria, al mio onore, e mi sono lanciato nel pericolo senza calcolare i costi. Ignorando il gravissimo rischio di privare i miei ragazzi del loro comandante, orfani senza un padre. Gino annuì con impeto. Chi mai potrebbe sostituirvi nel loro cuore, o alla loro testa? Gino. Il conte gli posò una mano paterna sulla spalla. Devo essere meno egoista in futuro. Signor conte, voi non sapete la felicità che mi date sentendovelo dire , proruppe Gino, tremando di sollievo e già pensando alle lunghe e oziose giornate che ben presto avrebbe
trascorso in pace e sicurezza dietro le trincee e le fortificazioni del campo ai Pozzi di Cialdi. Il vostro dovere è comandare! Pianificare! specificò il conte. Dirigere! incalzò Gino. Temo sia il mio destino. Anzi, il vostro dovere, per grazia di Dio. Gino lo aiutò a voltarsi sulla branda e, quando il conte fu di nuovo adagiato, riprese a massaggiargli la spalla contusa con rinnovato vigore. Gino , disse il conte alla fine. Quand'è stata l'ultima volta che abbiamo parlato della tua paga? Ah, parecchi mesi fa, signor conte. Be', parliamone un po' , continuò graziosamente il conte. Tu sei un gioiello senza prezzo. Diciamo altre cento lire al mese? Avevo pensato centocinquanta , mormorò rispettosamente Gino. La nuova filosofia militare del conte fu accolta dai suoi ufficiali con scatenato entusiasmo, quando a sera ne parlò loro nel tendone della mensa, davanti a sigari e liquori. L'idea di guidare dalla retroguardia apparve non solo pratica e sensata, ma addirittura ispirata. L'entusiasmo, però, durò soltanto fino al momento in cui il corpo ufficiali apprese che tale filosofia si applicava solo al colonnello. Tutti gli altri ufficiali del IIl Battaglione continuavano ad aver diritto in prima linea al supremo sacrificio per Dio, la Patria e Benito Mussolini. A questo stadio, la nuova filasofia perse numerosi sostenitori. Alla fine solo tre persone risultarono beneficiarne: il conte, Gino e il maggiore Castellani. Il maggiore fu così contento di avere ormai ricevuto il comando assoluto e operativo del battaglione che, per la prima volta dopo molti anni, quella sera si portò in tenda una bottiglia di grappa, e fece bisboccia ridacchiando col naso nel bicchiere. La mattina dopo, col mal di testa ultraterreno che solo la grappa sa donare, il maggiore prese il battaglione di petto. La notizia si sparse come un incendio nell'arida savana. I militi pulirono i fucili, attaccarono i bottoni mancanti e li chiusero fino al colletto, spensero le sigarette e cominciarono a tremare, mentre Castellani passava in rassegna tutto l'accampamento emanando una gran quantità di ordini sgradevoli, perseguitando i lavativi e raddrizzando spine dorsali a colpi di frustino. . Così, la guardia d'onore che quel pomeriggio accolse il primo aereo che atterrò sulla nuova pista era tutta lustra e scintillante: si mossero così bene che anche il conte Aldo Belli se ne accorse e li lodò. L'aereo era un bombardiere Caproni. Il trimotore si presentò da nord, virò e si posò sulla pista alzando una vaporosa nube di sabbia rossastra in corrispondenza delle tre eliche. Il primo personaggio ad affacciarsi al portello fu il consigliere politico dell'Asmara. Il signor Antolino, con la cera più giallastra e malsana che mai, e il solito vestito di lino candido tutto spiegazzato, contrastava con l'argentea e scintillante fusoliera del Caproni. In risposta allo scattante saluto fascista del conte, alzò la paglietta sulla crapa pelata; dopo di che i due si abbracciarono, ma brevemente, dato che il consigliere politico si trovava piuttosto in basso sulla scala sociale agli occhi del conte, che ben presto si rivoise al pilota. Mi piacerebbe farci un giretto. Il conte aveva perso ogni interesse per i carri armati. In verità, si sorprendeva a odiarli in una col loro capitano. Tornato in sé, si era trattenuto dai far fucilare l'ufficiale, e anche dal rispedirlo all'Asmara: si era limitato a stendere sulle sue note personali due pagine di considerazioni talmente negative da troncargli la carriera. Si trattava di una vendetta completa e soddisfacente, ma il conte aveva chiuso coi carri armati. Adesso aveva un aereo. Molto più eccitante e romantico. Sorvoleremo le postazioni nemiche , disse il conte, da una quota rispettabile. Col che intendeva fuori della portata dei fucili. Più tardi , interloquì il consigliere politico, con una tale aria di autorità che il conte
si raddrizzò e gli rivolse un'occhiataccia di fronte alla quale, come minimo, avrebbe dovuto liquefarsi. Sono latore di ordini personali e urgenti per voi da parte del generale Badoglio , continuò invece il funzionario, senza minimamente scomporsi. L'irrigidimento del conte vacillò e svani. Una coppa di vino, allora , disse affabile, e prese l'uomo sottobraccio, accompagnandolo alla Rolls in attesa. Il generale si trova ora ai piedi dell'Amba Aradam. Ha di fronte, sulla montagna, la principale concentrazione delle truppe nemiche, sottoposte a quotidiano bombardamento d'artiglieria e aviazione. Al momento buono sferrerà il proprio attacco, e non possono esserci dubbi su quale sarà l'esito. Perfettamente d'accordo , annuì con saggezza il conte. La prospettiva di combattimenti duecento chilometri più a nord lo riempiva della gloria riflessa delle armi italiane. Entro i prossimi dieci giorni, le armate etiopiche in rotta cercheranno di ritirarsi per la strada di Dessié allo scopo di congiungersi con le truppe di Hailé Selassié sul lago Tana: ma la Gola di Sardi è come un pugnale puntato sul fianco nemico. Voi conoscete dunque il vostro dovere. Il conte annul'ancora, ma con minor entusiasmo. Quella era gloria ben più prossima. Sono venuto qui per prendere gli ultimi contatti con il ras etiopico che si schiererà dalla nostra parte, il nostro alleato segreto, l'imperatore designato. necessario coordinare le mosse con lui, perché la sua defezione provochi la massima confusione possibile nei ranghi del nemico, e le sue truppe possano essere schierate nella maniera migliore per appoggiare il vostro attacco alla Gola di Sardi e alla strada di Dessié. Ah! Il conte emise un suono ambiguo, che non significava né consenso né dissenso. I miei agenti, che sono già al lavoro sulle montagne, hanno fissato un appuntamento con l'imperatore designato. Nel corso di tale incontro gli verrà versato il compenso pattuito per assicurarci la sua lealtà. L'agente fece una smorfia di disgusto. Che gente! esclamò, sospirando al pensiero di un uomo che vende il proprio paese per dell'oro. Poi scacciò il pensiero con un gesto infastidito della mano. L'appuntamento è per stanotte. Ho portato con me uno dei nostri agenti, che farà da guida. Il posto stabilito è a un'ottantina di chilometri da qui. Avviandoci al tramonto, avremo tutto il tempo di arrivarci per mezzanotte, che è l'ora fissata. Molto bene , concordò il conte. Vi mettero a disposizione i mezzi di trasporto. L'agente alzò una mano. Mio caro colonnello, sarete voi il capo della nostra delegazione presso il ras. Impossibile. Il conte non aveva nessunalintenzione di abbandonare così presto la sua novella filosofia. Il mio compito mi trattiene qui. Debbo preparare l'offensiva. Chissà quali orrori si celavano nelle tenebre notturne della Dancalia. La vostra presenza è essenziale per il successo delle trattative. La vostra uniforme farà colpo sul. . . Soffro di una fastidiosa ferita alla spalla, che non mi consente di affrontare il viaggio. Manderò uno dei miei ufficiali. Un capitano dei carristi, l'uniforme è assolutamente splendida. . . No. Il funzionario scosse la testa. Avrei anche un maggiore, uomo di gran bella presenza. Il generale ha espressamente assegnato l'incarico di guidare la delegazione a voi. Se ne dubitate, il vostro radiofonista può immediatamente chiedere conferma all'Asmara. Il conte sospirò, aprì la bocca, la richiuse, e con gran dispiacere sciolse il voto di non allontanarsi più dal campo di Cialdi per tutta la durata della campagna. Molto bene , concesse. Si parte al tramonto. Ma il conte non intendeva tornare a cacciarsi nei pericoli con gli occhi bendati. Il convoglio che quella sera lasciò Cialdi consisteva di due CV 3, carri armati leggeri, seguiti da quattro camion carichi di camicie nere e, dietro, una formidabile retroguardia
composta dagli altri due carri superstiti. Nel bel mezzo della colonna, stretta a sandwich, la Rolls. Il funzionario del ministero sedeva accanto al conte, coi piedi appoggiati alla pesante cassa di legno sul fondo dell'auto. La guida che Antolino aveva fatto sortire dal Caproni era un galla molto scuro e magro, con una pupilla opaca e giallastra per via dell'ofialmia tropicale, che gli conferiva un'espressione particolarmente inquietante. Era avvolto in uno sciamma già bianco e ora quasi nero di sporcizia, e puzzava come un caprone dopo un corpo a corpo con una puzzola. Il conte ne subì una zaffata e subito si portò al naso il fazzoletto profumato. Dite a quell'uomo di salire sul primo dei carri con il capitano , ordinò con un lampo di malizia negli occhi scuri, voltandosi a guardare la vittima. Nel carro armato, avete udito? Sul sedile accanto al vostro in torretta. Procedevano senza fari, scivolando nella pianura illuminata dalla luna, accanto alle nere montagne. Al luogo dell'appuntamento li aspettava un cavaliere solo. Era una forma scura all'ombra di un grande albero nero. Il funzionario pariò con lui in amarico e quindi si rivolse al conte. Il ras sospetta un tradimento. Dovremo lasciare qui la scorta e proseguire soli con quest'uomo. No! gridò il conte. No! No! Io mi rifiuto, puramente e semplicemente mi rifiuto. Ci vollero quasi dieci minuti di discussione, e ripetuti accenni al generale Badoglio, per far cambiare idea al conte. Mogio mogio, costui risalì sulla Rolls, e Gino gli rivolse uno sguardo tristissimo dal sedik anteriore di quell'auto che, senza s-orta, quanto mai vulnerabile, proseguiva al chiar di hin. al seguito di quel nero cavaliere selvaggio. In una vallata rocciosa tagliata fra le torreggianti moli delle montagne, dovettero abbandonare la Rolls e proseguire a piedi. Gino e Giuseppe con la cassa, il conte con la pistola in pugno, imboccarono uno stretto e franoso sentiero in salita. In un anfratto nascosto, quasi una grotta, al cui ingresso stavano minacciose sentinelle, era piazzata una gran tenda di pelle. Attorno erano stati legati molti cavalli. L'interno era illuminato da fumose lampade a cherosene, e affollato di guerrieri accovacciati. I loro visi erano così scuri, alla luce fievole, che solo il bianco degli occhi e dei denti si vedeva chiara. . . mente. La gente del ministero passò davanti al conte ed entrò nellacerchia interna, dove un tipo seduto su una pila di cuscini attendeva sotto un paio di lanterne, affiancato da due donne molto giovani ma prosperose, dalle mammelle gonfie e la pelle lucente, vestite di seta a brillanti colori e ingioiellate d'argento lavorato in maniera rudimentale ma non priva di fascino: tali erano ad esempio gli orecchini che pendevano dai lobi forati, paralleli al collo sinuoso e grazioso. Avevano occhi scuri e fieri, e in un'altra circostanza l'interesse del conte sarebbe stato intensamente risvegliato dalle due giovani. Ma ora aveva le ginocchia di gomma, e il cuore gli batteva in petto come un tamburo di guerra. L'agente dovette spingerlo avanti per il braccio. L'imperatore designato , sussurrò il funzionario, e ;l conte abbassò lo sguardo sul molle ed effeminato dandy adagiato sui cuscini, con le dita cariche di anelli e le ciglia truccate come quelle di una donna. Ras Kullah dei galla. Fategli dunque il vostro discorsetto , disse il conte, roco per la tensione. Il ras occhieggiò apprensivo il colonnello, mentre l'agente si lanciava in un lungo sproloquio fiorito. Il ras era rimasto colpito dall'imponente figura del conte nella sinistra uniforme nera. Alla luce delle lampade, i gradi scintillavano, i teschietti d'argento emanavano barbagli, e la croce smaltata appesa al suo serico nastro sul petto del conte sussultava non certo invisibile, irraggiando bagliori come un faro. Gli occhi del ras si abbassarono sul pugnale d'avorio
ingioiellato e sulla Beretta istoriata, armi di un ricco e nobile guerriero. Poi tornò a guardar negli occhi il conte. Anch'essi lucevano di fanatici barbagli. I suoi lineamenti regolari formavano un minaccioso cipiglio, era una faccia da sgherro micidiale. Ansimava come un toro infuriato. Il ras confuse quei segnali di fatica ed estremo terrore con l'estasi bellicosa di un feroce guerriero. Rimase quanto mai impressionato. Poi la sua attenzione fu irresistibilmente distolta dal conte, allorché Gino e Giuseppe entrarono barcollando nella tenda, sotto il peso della cassa che pprtavano. Ras Kullah si accomo dò in ginocchio per vedere meglio, con la pancetta ballonzolante e gli occhi di un rettile. Con un improvviso comando, troncò le chiacchiere dell'agente e fece segno ai due italiani di avvicinarsi a lui. Con sollievo, essi depositarono la pesante cassa davanti al ras, mentre dagli astanti si levava un teso brusio. Tutti si avvicinarono avidi di vedere il contenuto della cassa, e il ras aprì le chiusure con la punta del pugnale, sollevando il coperchio con le mani pallide e grassocce. La cassa era tutta piena di rotoli incartati che parevano candele. Il ras ne prese uno e, sempre con il pugnale, tagliò la carta. Dal pacchetto ci fu una silenziosa esplosione di dischetti metallici piatti. Caddero nell'ampio grembo del ras, emettendo barbagli dorati alla luce delle lampade. Il ras mugolò di piacere, raccogliendo una manciata di monete. Perfino il conte, col suo vasto patrimonio personale, rimase impressionato dal contenuto della cassa. Maria vergine , mormorò. Sovrane inglesi , dichiarò l'agente del ministero. Ma non è un gran prezzo per un territorio esteso come la Francia. Il ras ridacchiò e lanciò una manciata di monete ai vicini, che si gettarono carponi lottando fra di loro per impossessarsene. Poi il ras alzò lo sguardo al conte e diede un colpetto al cuscino, segnalandogli di sedersi, al che il conte ringraziò. La lunga camminata su per la valle e le febbrili emozioni gli avevano fatto venire le gambe molli. Dunque sedette e si mise ad ascoltare la lunga serie di ulteriori richieste formulate dal ras. Vuole fucili moderni e mitragliatrici , tradusse l'agente. Qual è la nostra posizione in proposito? domandò il conte. Ovviamente non possiamo darglieli. Nel giro di un mese o di un anno costui può ridiventare un nemico e non un alleato. Non si sa mai, con questi galla. Dategli la risposta adeguata. Egli vuole inoltre la vostra assicurazione che l'agente provocatrice e i due terroristi aggregati alle truppe harari saranno immediatamente consegnati alla sua giustizia dopo la cattura. Nulla vi si oppone? Direi che questo ci risparmierebbe un sacco di fastidi. E che sarà di loro? Sapete bene che sono responsabili della tortura e del massacro di alcune mie brave camicie nere. Il conte stava riacquistando fiducia e, con la fiducia, indignazione. Ho testimoni oculari circa le terribili atrocità commesse su prigionieri indifesi. L'uccisione di uomini legati merita una grave sanzione. Dev'essere fatta giustizia. L'agente sogghignò senza alcuna allegria. Vi assicuro, mio caro conte, che nelle mani di ras Kullah incontreranno una sorte peggiore di quella che potreste mai sognare nei vostri incubi più agghiaccianti. Dopo di che si rivolse al ras e in amarico disse: Avete la nostra parola. Sono vostri, fatene ciò che volete . Il ras sorrise come un gattone soddisfatto. La punta della lingua passò sulle labbra purpuree e molli, da un angolo della bocca all'altro. A questo punto, il conte aveva ripreso fiato, e accorgendosi che contrariamente alle sue aspettative il ras era amichevole ed egli non rischiava di ritrovarsi con la gola tagliata e i beni più personali rimossi a forza dallo scroto, riacquistò gran parte del suo solito aplornò Dite al ras che in cambio vogliamo da lui un rapporto completo
sulle forze nemiche: numero di uomini, fucili, mitragliatrici e mezzi corazzati che presidiano l'imboccatura della gola. Voglio conoscere lo schieramento di battaglia del nemico, l'esatta ubicazione di tutte le trincee e fortificazioni, e particolarmente voglio essere informato delle posizioni attualmente in mano galla. Voglio anche nomi e qualifiche di tutti gli stranieri che combattono a fianco del nemico. . . Continuò per un bel pezzo, elencando un dato dopo l'altro sulla punta delle dita, mentre il ras ascoltava con gli occhi sempre più sbarrati. Quello sì che era un guerriero. Dobbiamo pensare all'esca, adesso che c'è la trappola disse Gareth Swales. Lui e Jake Barton erano accucciati l'uno accanto all'altro all'ombra di Priscilla la Troia. Gareth aveva in mano un bastoncino che gli era servito per niustrare la strategia da contrapporre al rinnovato impeto offensivo degli italiani. Non serve spedire dei cavalieri. Ha funzionato una volta, . - non funzionerà più. Jake non disse niente, ma si mise a studiare, accigliato, i complicati disegni che Gareth aveva tracciato sulla terra sabbiosa. Abbiamo lavato il cervello al comandante dei carristi. Appena rivedrà un'autoblindo, si metterà a correrle dietro come. . . Come un segugio dietro una cagna in calore , concluse per lui Jake. Esatto , annuì Gareth. Stavo per dirlo io. L'avevi già detto , gli ricordò Jake. Manderemo fuori una macchina - basta una - e terremo l'altra di riserva, qua. Gareth toccò la mappa di sabbia. Se qualcosa va storto con la prima macchina. . . Tipo una cannonata nelle chiappe. Precisamente. In tal caso salta fuori l'altra macchina, così; e se li tira dietro lei. A sentir te si direbbe un'idea fenomenale. come mangiare una fetta di torta, ragazzo mio, facilissimo! Fidati del celebre genio degli Swales. E chi è che va sulla prima macchina? domandò Jake. Facciamo a testa o croce , suggerì Gareth, e un tallero d'argento di Maria Teresa gli apparve in mano come per magia. Testa , disse Jake. Che scalogna, vecchio mio. proprio uscita testa. La mano di Jake scattò come il morso di un mamba. Si chiuse sul polso di Gareth e trattenne la mano che stringeva la moneta. Ma dico! protestò Gareth. Non crederai mica che io sia capace di. . . Poi alzò le spalle, rassegnato. Senza offesa , gli disse Jake tirando a sé la mano e controllando. Bella donna, Maria Teresa , mormorò Gareth. Bellissima fronte alta, bocca molto sensuale. . . mi piacerebbe conoscerla. . . Jake gli lasciò la mano e si alzò, spolverandosi le braghe imbarazzato. Andiamo, Greg. Meglio prepararsi , gridò al giovane harari che stava sovrintendendo ai preparativi al di sopra dello spiazzo dov'erano parcheggiate le autoblindo. Buona fortuna, amico , gridò loro dietro Gareth. Tenete giù bene la testa! Jake Barton sedeva sull'orlo della torretta di Priscilla, Colì' le lunghe gambe che penzolavano nel vano d'ingresso, e guardava le montagne. Solo le prime pendici erano visibili: tutto il resto era incoronato ~la una gran massa di nubi. Si muovevano lentamente, seguendo i contorni rocciosi, viscosamente. Il mostro di nuvole aveva inghiottito le montagne, e ora si contorceva come per digerire la preda. Per la prima volta da quando erano entrati in Dancalia, non c'era il sole. nalle nuvole si sprigionava un'umidità fredda che faceva venir la pelle d'oca a Jake, il quale non ricordava più cosa fosse rabbrividire. Gregorius sedeva accanto a lui sulla torretta, anch'egli intento a guardare i nuvoloni temporaleschi, argentei e bluscuro, a naso in su. Tra poco cominceranno le grandi piogge. Qua? No, non quaggiù nel deserto, ma sull'altopiano pioverà come Dio la manda. Per qualche altro momento, Jake guardò i pinnacoli minacciosi ed enormi, poi si voltò e prese a osservare la piana ondulata e
punteggiata di alberi che si stendeva verso oriente. Non c'era ancora alcun segno dell'avanzata italiana che avevano annunciato gli esploratori, così tornò a voltarsi e puntò il binocolo sulle prime pendici della gola, nel punto in cui Gareth gli avrebbe segnalato i movimenti del nemico. Non c'era niente da vedere, se non roccioni diruti e ripidissimi declivi coperti di stenta vegetazione. Rivolse la propria attenzione più in basso, dove le ultime piccole dune di sabbia rossa si fermavano come piccole onde sul gran contrafforte di roccia della montagna. Erano grinze sulla superficie della pianura, qua e là coperte dell'erba arida della savana: negli avvallamenti si era però radicato un folto cespuglieto, abbastanza denso da celare le centinaia di harari che pazientemente, stesi pancia a terra, aspettavano lì nascosti. Gareth aveva escogitato il modo di fermare i carri armati italiani, e a questo scopo aveva mandato Gregorius fino a Sardi con una carovana di cento uomini e cinquanta cammelli. Sotto la direzione di Greg, essi avevano divelto le rotaie del binario morto, alla stazione, e con l'aiuto dei cammelli le avevano portate giù, per il periglioso sentiero, fino al livello del deserto. Gareth aveva spiegato come dovevano essere adoperate le rotaie, aveva diviso i suoi uomini in squadre di venti, facendoli allenare con i binari finché non ebbero raggiunto la migliore efficienza sperabile. Ora bastava solo che Priscilla la Troia attirasse i carri armati italiani fra le basse dune. Senza più i carri armati, Gareth stimava di poter trattenere gli italiani all'imboccatura della gola per almeno una settimana. I suoi piani di battaglia prevedevano gli harari al centro e all'ala sinistra, ben appostati in zone intersecantisi con i presidi galla sull'ala destra. Le mitragliatrici Vickers erano state piazzate in modo da rendere ogni attacco italiano di fanteria non appoggiata da mezzi corazzati un suicidio. Il nemico avrebbe dovuto farsi strada per la gola a furia di bombardamenti d'artiglieria o aerei. Per questo però era necessaria almeno una settimana, sempre se si riusciva a trattenere il ras, che aveva il sangue caldo, da qualche balorda controffensiva. Ras Golam, il vecchio guerriero, costituiva infatti un bel problema. Una volta forzata l'imboccatura della gola e sospinte le truppe etiopiche nella strozzatura, era da prevedersi che ci sarebbe voluta un'altra settimana di duri combattimenti per arrivare a Sardi. Anche qui, il problema sarebbe stato trattenere il ras. Con le autoblindo si poteva inchiodare il nemico per uno o due giorni sulla strada della gola, ma, una volta spese quelle, gli italiani sarebbero dilagati sull'altopiano, di cui Sardi era la porta. Sarebbe stato un gioco da ragazzi raggiungere la strada di Dessié e stringere la morsa della trappola escogitata da Badoglio: sperabilmente, dopo la fuga della preda. Gareth aveva raccontato tutto ciò a Lij Mikhael, raggiungendolo telegraficamente al quartier generale dell'imperatore al lago Tana. Il principe gli aveva risposto trasmettendogli la gratitudine dell'imperatore, e assicurandolo che nel giro di due settimane il destino d'Etiopia sarebbe stato deciso. TENETE GOLA PER DUE SETTIMANE ET VOSTRO DOVERE SARA TOTALMENTE ADEMPIUTO STOP SARETEVI MERITATI GRATITUDINE IMPERATORE ET TUTTI POPOLI ETIOPIABisognava dunque fermare gli italiani per una settimana in pianura, e tutto diPendeva dal primo incontro con i carri armati nemici. Dalle osservazioni di Jake e Gareth, confermate dagli esploratori, il numero dei carri che restavano era di quattro. Bisognava metterli fuori combattimento in una volta sola: tutta la difesa della gola si imperniava su questo. Jake si accorse che stava fantasticando. La sua mente vagava sui problemi che dovevano risolvere e i rischi da correre. Gregorius dovette scuoterlo con uno scrollone.
Jake! Il segnale. Rapidamente Jake tornò a guardare i primi contrafforti delle montagne. Non c'era nemmeno bisogno del binocolo. Gareth stava segnalando con un primitivo eliografo ricavato dallo specchietto per radersi. I lampi di luce ferirono gli occhi di Jake anche da quella rispettabile distanza. Stanno avanzando attraverso la valle, afffiancati, tutti e quattro, con l'appoggio della fanteria autotrasportata. Jake lesse il messaggio e saltò nel vano del guidatore, mentre Gregorius correva alla manovella. Te lo dirò sempre un attimo prima, quando sterzo per andare all'attacco , gli ricordò Jake. Sì, Jake. Gli occhi del ragazzo mandavano lampi d'ira, e Jake sogghignò. Cattivo come il suo nonnino. Lasciò andare la frizione. In breve acquistarono velocità e scollinarono oltre la cresta, lasciandosi dietro un polverone che non poteva assolutamente passare inosservato. La linea dei carri italiani avanzava direttamente verso l'imboccatura della gola, a una distanza di circa tre chilometri sulla loro sinistra. Ora attacco , gridò Jake. Pronto. Gregorius era alla Vickers, sulla torretta semifissa, già puntata, per quanto poteva, vagamente in direzione dei carri armati italiani, pronto a far fuoco appena fossero stati a tiro. Jake sterzò di botto e Priscilla si diresse verso le lontane sagome a scarafaggio dei carri armati italiani, puntando dritta ai loro musi. Sopra la testa di Jake la Vickers si fecé sentire, e i proiettili cominciarono a grandinare sulla corazza dei tank, mentre l'acre fumo della cordite gli faceva lacrimare gli occhi. Nel suo sguardo offuscato dalle lacrime si dipinsero i traccianti che, con lieve arco sopra l'aperta savana, andavano a schiacciarsi contro il carro di testa. Perfino a quella distanza Jake vedeva gli schizzi di polvere e terriccio sollevati dai proiettili sul mezzo blindato. Bravissimo , borbottò Jake. Era un tiro accurato, da un'autoblindo che sobbalzava e all'estremo limite della portata. Naturalmente non poteva causare alcun danno alla spessa corazza d'acciaio del CV 3, ma andava bene per fare 'arrabbiare l'equipaggio e indurlo alla rappresaglia. Proprio mentre cosi pensava, Jake vide la torretta del carro armato ruotare puntando dritta verso di lui, mentre il capitano indicava il bersaglio al cannoniere. La canna ingombrante dello Spandau si accorciò di colpo, poi scomparve. Jake guardava proprio nella volata. Contò piano fino a tre: tanto tempo sarebbe occorso al cannoniere per puntarlo; dopo di che gridò: Via! e fece fare una brusca sterzata a Priscilla, su due ruote, nel tentativo di sganciarsi dal nemico. Con la coda dell'occhio vide il lampo della volata del cannone, e quasi immediatamente dopo sentì il rombo del proiettile che passava. Figlio d'una bombarda, era vicina! mormorò, e aprì lo scudo visore. Non c'era alcun senso a proteggersi, quegli Spandau erano in grado di forare ogni punto della loro corazza come fosse di cartapesta, mentre per Jake era di vitale importanza vedere bene da ogni parte nel giro dei prossimi minuti decisivi. Correndo parallelamente alla linea italiana, diede un'occhiata e vide che ora tutti e quattro i carri armati stavano sparando. Per questo avevano un po' rotto la formazione, ogni tanto se ne presentava uno, sparava e riprendeva il proprio posto: sembrava che tenessero più a colpire Priscilla che a infrangere il blocco della gola. Forza! disse Jake. Venghino, venghino, tre colpi un dollaro, signori; ogni centro una noce di cocco! Era uno scherzo troppo vicino al vero per essere davvero divertente, ma rise ugualmente. Tiro a segno Jake Barton! Divertente e impareggiabile! Una granata gli scoppiò vicino, spedendogli nel portello aperto una doccia di ghiaia e detriti. Stavano aggiustando il tiro, era tempo di confonder loro nuovamente l'alzo. Sputò sabbia e gridò: Addosso! Priscilla piroettò agilmente puntando contro
gli italiani, scagliandosi addosso alla linea di carri col suo tipico beccheggio, arcigno e poco invitante come l'andatura di una matrona vittoriana. Erano vicini, spaventosamente e terribilmente vicini, al punto che Jake udiva la gragnola di colpi della Vickers sulla corazza nera del tank di testa. Gregorius l'aveva scelto per i gagliardetti più numerosi, e stava concentrando il fuoco su di esso. Buona idea , grugnì Jake. Fallo arrabbiare, quel bastardo. Proprio mentre così diceva, udì dietro la testa un clangore poderoso, come se un gigante avesse dato una gran martellata alla corazza d'acciaio. La macchina sussultò a quel colpo. Siamo stati colpiti , pensò disperato Jake, con le orecchie che fischiavano per l'impatto e le narici piene di puzza di vernice bruciata e metallo rovente. Sterzò e Priscilla rispose normalmente, sganciandosi di botto dalla linea italiana. Jake si sporse dal portello aperto e vide subito quanto erano stati fortunati. Il proiettile si era limitato a strappare il portapacchi che egli aveva saldato alla blindatura per trasportare le casse di armi e munizioni: evidentemente si era infilato tra il ferro del portapacchi e l'acciaio della corazza, svellendo la sovrastruttura senza nemmeno esplodere. La corazza era ancora intatta. Stai bene, Greg? gridò rimettendosi al volante. Ci stanno inseguendo, Jake , gli rispose il ragazzo, ignorando la sua domanda. Ci vengono dietro tutti quanti. Torniamo a casa dalla mamma , disse Jake, e sterzò nuovamente, confondendo ancora una volta le idee ai cannonieri nemici. Una granata esplose molto vicina, rimbombando loro nelle orecchie, e facendoli sussultare. Ci stiamo allontanando troppo, Jake , gridò Greg, e Jake, guardando in su, vide che egli aveva scoperchiato la torretta e vi si affacciava senza riparo. Facciamo un po' di scena , decise Jake con qualche riluttanza. Se lasciavano troppo indietro gli italiani, c'era pericolo che abbandonassero l'inseguimento. Un'altra granata scoppiò a fianco dell'autoblindo, coprendoli di polvere, e Jake finse d'essere stato colpito. Lasciò l'ac celeratore, rallentando di botto, e impartì a Priscilla un percorso balordo, come di uccello con l'ala spezzata. Stanno guadagnando terreno , gli comunicò Greg con gioia. Non esserne eccessivamente lieto , mormorò Jake, ma la sua voce fu coperta dall'esplosione di un'altra granata. Vengono, vengono , urlò Greg. E contmuano a sparare. Me ne sono accorto. Jake guardò avanti, sempre zigzagando follemente. La cresta della prima duna era a meno di un chilometro, ma gli parve che la salita sulla sabbia scivolosa durasse un'ora. Finalmente scollinaronoJake fermò Priscilla con una sbandata, come uno sciato e che esegua un cristiania, fermandosi al riparo della dura. Dopo di che fece marcia indietro fermandosi in modo da restare al riparo della sabbia, ma con la torretta sporgente. Così, Jake , gridò Greg tut'to contento, perché poteva continuare a sparare con la Vickers. Puntò ed esplose brevi raffiche contro i carrl'armati avanzant. Adesso che sparava da fermo, ogni raffica era un centro ed esasperava i temperamenti latim all'interno della corazza al pari di bufali tormentati dalla mosca ise-ise. Si sono avvicinati abbastanza , decise Jake, valutanclo freddamente la carica dello squadrone corazzato nemico. Erano a meno di mezzo chilometro, adesso, e già stavano vomitando granate che cadevano piuttosto vicino al pur piccolo bersaglio costituito dalla torretta. Tagliamo la corda. Schiacciò l'acceleratore e Priscilla si tuffò giù dalla duna, in mezzo ai cespugli. Mentre si apriva la strada fra la fitta e bassa vegetazione, Jake intravide gli uomini sdraiati, in agguato, fra i cespugli. Avevano addosso solo un lembo di stoffa intorno alle reni, e stavano in fila, impugnando le lunghe rotaie d'acciaio. Due di loro dovettero fare un salto per
evitare di essere arrotati da Priscilla. La forza d'inerzia, poi, la condusse in cima alla duna successiva, in una nuvola di polvere. Raggiunse la cresta e la superò di slancio, tuffandosi dall'altra parte come una carrozzina dell'otto volante. Jake spense il motore prima ancora che l'autoblindo fosse ferma, poi, con Gregorius, si lanciò fuori dal portello aperto e risalì faticosamente la duna, ansimando nella sabbia. Raggiunsero la cresta proprio nello stesso istante in cui i quattro carri armati italiani si affacciavano a quella della duna precedente. Coi cingoli vorticanti nella sabbia, scollinarono e si tuffarono nei cespugli sottostanti. Appena entrarono nel forteto, questo si rivelò brulicante di negri seminudi, che si scagliarono sui mostruosi scafi d'acciaio come formiche addosso a un grosso e lustro scarabeo. Ogni pezzo di rotaia era impugnato da venti uomini. Usandolo come un ariete, caricarono ciascun carro dai lati, ficcando un'estremità della rotaia nella ruota motrice dentata. La rotaia fu immediatamente presa nell'ingranaggio, e, con rumor di ferraglia, strappata dalle mani degli uomini che l'impugnavano, che furono proiettati da tutte le parti come fuscelli. All'orecchio di un meccanico, quello delle macchine cheandavano a pezzi sarebbe sembrato l'urlo d'agonia di un essere vivente, simile al terribile nitrito di un cavallo ferito a morte. Le rotaie d'acciaio svelsero dal perno delle ruote i cingoli che, strappati dalla loro sede, cominciarono a frustare l'aria in un inferno di polvere e cespugli sradicati. Tutto finì molto in fretta. Le quattro macchine si arrestarono, silenziose e grippate oltre ogni speranza di riparazione. Intorno a esse giacevano i corpi di venti o più combatten ti etiopici, colpiti dai cingoli impazziti. Erano straziati e mutilati, come se fossero capitati sotto gli artigli di qualche mostruoso predatore. I sopravvissuti, centinaia di figure seminude, si gettarono sui carri immobilizzati urlando selvaggiamente e colpendo la corazza a mani nude. I cannonieri italiani, sempre dentro i carri, si misero a sparare forsennatamente, ma ormai mancava la forza motrice e le torrette non giravano più. Non erano in grado di mirare. Erano anche ciechi, perché Jake aveva armato una dozzina di etiopi con barattoli di olio misto a terra, della consistenza di una densa morchia. Con questa miscela avevano riempito gli spioncini del guidatore e dei cannonieri. L'equipaggio dei carri armati era dunque imprigionato e indifeso, mentre gli attaccanti balzavano sugli scafi urlando come cavallette impazzite. Il chiasso era tale che Jake non sentì nemmeno avvicinarsi l'altra autoblindo. Si fermò sulla cresta della duna opposta a quella dove stava Jake. I portelli si aprirono e Gareth Swales saltò fuori assieme a ras Golam. Il ras era armato di spadone e si precipitò giù dalla china, per unirsi ai suoi uomini intorno ai carri fermi, roteandolo sopra la testa. Attraverso la valletta che li separava, Gareth indirizzò a Jake un saluto cavalleresco: ma, sotto il fare scherzoso, Jake senti che il rispetto era reale. Corsero entrambi giù nell'avvallamento e si incontrarono dove avevano sepolto dei bidoni di benzina da cinque litri sotto un leggero strato di sabbia e ramoscelli. Gareth trovò un secondo per dare una pacca a Jake. finito il tiro a segno, ch? Adesso la pagano. Si chinarono per estrarre i bidoni e ne portarono due a testa, attraverso i cespugli, fino ai carri immobilizzati. Jake passò un bidone a Gregorius, che era già salito sulla torretta di uno dei carri, mentre suo nonno cercava di scoperchiarla con lo spadone. Aveva gli occhi che lampeggiavano fra le rughe della nera testa pelata, e dai dentoni artificiali si sprigionava un bestiale urlo di guerra. Il ras era già in trance guerresca. Gregorius piazzò il bidone in cima al carro e lo bucò con il pugnale. Il liquido chiaro schizzò fuori della latta, per la
pressione dei gas prodotti dalla benzina stessa. Annaffialo bene! gridò Jake, e Gregorius sogghignò, inondando tutto lo scafo di benzina. Puzzava maledettamente evaporando in fretta a contatto del metallo surriscaldato. Jake corse al carro armato successivo, svitando il tappo della tanica mentre balzava sul mezzo blindato. Evitando con cura di passare davanti alla canna delle armi, si rizzò sulla torretta e versò benzina dappertutto. La sostanza infiammabile brillava al sole e, scendendo in mille rivoletti, penetrava in tutte le fessure colando nell'interno del carro. Via di lì! gridò Gareth. Tutti via dai catri! Aveva cosparso di benzina gli altri due tank e ora stava seduto sul pendio della duna con un sigaro spento infilato all'angolo della bocca e una scatola di fiammiferi in mano. Jake saltò agilmente giù dal carro, versando un rivolo di benzina dal bidone che recava in mano, e andando fino al punto in CUi era seduto Gareth. Forza, sbrigatevi! Tutti fuori dai piedi! gridò ancora Gareth. Anche Gregorius giunse lasciandosi dietro un fiumicello di benzina. Qualcuno vada a togliere di torno quel vecchio bastardo , urlò Gareth esasperato. Una figura isolata era rimasta sul carro, e saltava urlando e gesticolando con lo spadone. Jake e Gregorius buttarono via i bidoni vuoti e andarono a prenderlo. Chinandosi sotto lo spadone mulinante, Jake afferrò il vecchio ras e lo passò giù al nipote, disarmato. Lo cOndussero in salvo stretto fra di loro, che ancora urlava e smaniava. Gareth fregò un fiammifero e con disinvoltura lo accostò al sigaro che aveva in bocca. Quando fu ben acceso, unì le mani a coppa intorno al fiammifero per farlo ardere meglio. Addio ragazzi , mormorò, mettendosi a canticchiare una vecchia filastrocca: Guy Fawkes, Guy. Stick him in the eye. Hang him on a lamp post . Quindi gettò il fiammifero acceso al suolo intriso di benzina. . . . and leave him there io die. *Per un attimo non successe nulla, poi, con un boato che scosse i timpani, la benzina si accese. Istantaneamente i ce spugli si trasformarono in un inferno rosso e rombante, e le fiamme danzarono scoppiettando alte nell'aria del deserto, sommergendo i quattro carri armati immobilizzati in una pioggia di fuoco che oscurò le loro minacciose silhouette. Gli etiopi stavano a guardare dalle dune, attoniti dallo spettacolo di distruzione che avevano creato. Solo il ras ancora danzava ululando al limitare delle fiamme, con lo spadone che le rifletteva, rosse e cangianti. Si aprirono i portelli dei carri. Nell'aria rovente si intravidero tre figure in preda alle fiamme. Battendosi le uniformi, i tre occupanti del carro armato corsero, barcollando, verso la duna. Il ras si lanciò loro incontro, mulinando la spada. La testa del capitano dei carristi, spiccata dalle spalle carbonizzate, rotolò a terra scendendo dal pendio come una palla, mentre il resto del corpo decapitato cadeva in ginocchio e, dal collo, una spuma rossa sprizzava nell'aria come un getto di fontana. Il ras corse verso gli altri superstiti, e i suoi uomini lo se~ Guy Fawkes, Guy. Accecalo e impiccalo al lampione. Lascialo li a morire (N. d. T. ) guirono urlando. Jake mormorò una bestemmia e si mosse per fermarli. Calma, vecchio mio disse Gareth prendendolo per un braccio. Non è il momen o di fare il boy-scout. Dalla valletta si levava l'urlo dei guerrieri che si lanciavano sui sopravvissuti degli altri carri armati. Le urla, furono italiani laceravano i nervi di Jake. Che si arrangino. Gareth lo portò via. Non sono affari nostri, mio caro. A chi tocca tocca, sono le regole del gioco. Oltre la cresta della duna si accucciarono entrambi all'ombra di Priscilla. Jake ansimava per la tensione e l'orrore. Gareth trovò nel taschino un sigaro un po' curvo, lo raddrizzò con cura e lo piazzò tra le labbra di Jake. Te l'ho già detto, a furia di fare il
sentimentale ci metterai nei guai tutti e due. Ti avrebbero fatto a pezzi, se fossi sceso là in mezzo. Accese il sigaro a Jake. Bene, ragazzo mio. . . continuò cambiando diplomaticamente discorso. Ciò risolve il più grosso dei nostri problemi. Niente carri armati, niente preoccupazioni: è un vecchio motto della famiglia Swales. Ridacchiò. Adesso saremo perfettamente in grado di bloccarli per un'altra settimana ai piedi della gola. Non ci saranno difficoltà. A un tratto il sole si oscurò, e immediatamente la temperatura precipitò. Entrambi guardarono automaticamente il cielo buio e rabbrividirono. Nell'ultima ora, le masse nuvolose erano scese pian piano dalle montagne, cancellandole completamente alla vista, e si erano sparse sulle ultime propaggini del deserto della Dancalia. Da queste spesse e oscure coltri di nubi vorticanti, pallidi e fini rovesci di pioggia cominciavano a lambire la savana. Jake sentì una gocciolina sulla fronte e l'asciugò col dorso della mano. Ho idea che fra un po' pioviggini , mormorò Gareth, e, quasi a conferma, brontolò il tuono. Sulla montagna nascosta dai cumuli lampeggiarono folgori intrappolate nella cappa di nuvole, illuminandola di minacciosi barbagli. Ciò renderà le cose ancora. . . Gareth Sl'interruppe mirambi alzarono la testa. Davvero strano. Nell'aria tempestosa, sopra il brontolio dei tuoni, echeggiavano scarìche dì fucileria e rafiichedi mitragliatrice, rese indistinte dalla distanza e dalla sordina di nuvole. Dannatamente strano , ripeté Gareth. Non ci dovrebbero essere combattimenti lassù. Sembrava venissero dall'imbocco della gola, sulle prime pendici. Andiamo a vedere , disse Jake strappando il binocolo dalla torretta di Priscilla e scarpinando verso la cresta della più alta delle dune. Le nuvole e la pioggia oscuravano l'imboccatura della gola, ma ora il suono di fucileria era continuo. Non è una semplice scaramuccia , mormorò Gareth. un vero e proprio combattimento , concordò Jake, scrutando nel binocolo. Cosa succede, Jake? Gregorius li stava raggiungendo, seguito dal nonno. Il vecchio perdeva terreno, esausto e tutto rigido per l'età e le ceneri della passione guerriera. Non lo sappiamo, Greg , rispose Jake senza abbassare il binocolo. Non capisco proprio , disse Gareth scuotendo la testa. Qualunque attacco italiano da sud si sarebbe imbattuto nelle nostre posizioni ai piedi delle colline, e da nord nelle posi zioni dei galla. Ras Kullah è molto ben attestato lassù: avremmo sentito l'eco dei combattimenti. Non possono essere passati di là. E noi ci troviamo al centro dello schieramento , aggiunse Jake. Sappiamo che di qua non sono passati. Non ha senso. In quella, il ras raggiunse la cresta. Si ferrnò, stanco, e si tolse la dentiera. La avvolse con cura in un fazzoletto e la ripose in qualche recesso segreto dello sciamma. La faccia gli si afflosciò intorno alla bocca ridivenuta una grinza nera e vuota, e immediatamente il vecchio tornò a dimostrare tutti i suoi anni. In fretta Gregorius spiegò il nuovo fatto al vecchio che, mentre ascoltava, puliva lo spadone dal sangue raggrumato nell'erba e nella sabbia della duna. A un tratto parlò, con la sua voce acuta e tremula da vegliardo. Dice mio nonno che ras Kullah è un pezzo di merda secca di iena impestata , tradusse convulsamente Gregorius. Dice che mio zio Lij Mikhael ha fatto malissimo a trattare con lui, e che anche voi avete sbagliato a fidarvi. Sì, ma adesso cosa cavolo vuol dire tutto ciò? chiese Jake preoccupato, tornando a scrutare col binocolo l'imbocco della Gola di Sardi in fondo alla piana ondulata. Poi proruppe in un'altra esclamazione. Per l'inferno, tutto a rovescio! Cosa fa quella matta? Mi aveva giurato e spergiurato di starsene buona e fuori dei pasticci per questa volta. . . ed eccola ancora che arriva! Emergendo dalla cortina di pioggia, indistinta nel
mare di nuvole veleggianti, senza alzare la solita polvere sulla terra bagnata, la piccola sagoma color sabbia di miss Dondola si avvia ava ondeggiando nel suo tipico modo solenne. Jake riusciva perfino a distinguere, nella torretta alta e antiquata, la testol na nera di Sara. Jake corse giù dalla duna, incontro all'autoblindo. Jake! urlò Vicky sovrastando il rombo del motore. Poi si fermò, ~a testa bionda coi capelli scomposti dal vento, affacciata dal vano del guidatore. Lo guardava con gli occhi azzurri sbarrati. Cosa diavolo ti è saltato in mente? le gridò dietro Jake, arrabbiato. I galla! squitti Vicky. Se ne sono andatil Sono andati via tutti, fino all'ultimo uomo! Tuttil Saltò giù dalla macchina e corse fra le braccia di Jake. Come, se ne sono andati? domandò Gareth, sopraggiungendo in quel momento. Gli rispose Sara dalla torretta, con gli occhi neri che lampeggiavano. Se ne sono andati come fumo, da quei predoni della montagna che sono. Il fianco sinistro. . . esclamò Gareth. Non c'è più nessuno. Gli italiani sono passati senza sparare un colpo, a centinaia e centinaia. Sono già nella gola, hanno tagliato fuoril'accampamento. Jake, gli arabi rischiavano di rimanere accerchiati, sarebbe stato un massacro. A nome di suo nonno, Sara ha dato l'ordine di ritirarsi anche dal fianco destro. Oh Cristo santo! )~ Adesso stanno cercando di aprirsi la strada per la gola, ma gli italiani sono attestati all'imbocco con le mitragliatrici. terribile, Jake. Ah, il deserto è coperto di cadaveri. I Tutto è perduto. Tutto il tempo che avevamo guadagnato è perduto in un momento. Siamo stati noi a cadere in un tranello, hanno mandato i carri armati apposta per distrarci, l'attacco principale era sul fianco sinistro. Ma come facevano a sapere che i galla avevano disertato? Come dice mio nonno, mai fidarsi di un serpente o di un galla. Oh, Jake, dobbiamo sbrigarci. Vicky gli scosse un braccio. Ci taglieranno la ritirata! vero , berciò Gareth. Dobbiamo tornare subito nella gola e organizzarci a difesa più su, altrimenti avranno viaibera fino ad Addis Abeba. Si rivolse a Gregorius. Se cerchiamo di riportare su questi uomini , disse indicando le centinaia di harari seminudi e disarmati che in quel momento stavano affacciandosi alla cresta delle dune, per la strada della gola, saranno falciati dagli italiani all'imbocco. Sono in grado di andar su per conto loro lungo qualche sentiero? Sono montanari , rispose semplicemente Gregorius. Molto bene. Di' loro di tornare su in ordine sparso e radunarsi alla prima cascata. Là ci riuniremo, alla prima cascata. Tornò a rivolgersi agli altri. Noi invece siamo obbligati a seguire la strada della gola, è l'unico modo di salva re le autoblindo. Forzeremo l'imbocco in formazione chiusa, sperando che i Macaroni non abbiano ancora fatto in tempo a portar su l'artiglieria. Andiamo! Afferrò ras Golam per la spalla e se lo tirò dietro di corsa verso il luogo dove avevano lasciato la macchina, sulla cresta della prima duna. Torna in macchina , spiegò Jake a Vicky. Tieni il motore acceso, mentre noi portiamo qua le altre due autoblindo. Tu ti metti in mezzo a noi e si va come razzi senza fermarci finché non siamo su alla cascata. Non fermarti per nessunissimo motivo prima, intesi? Vicky annuì, mogia. Brava ragazza , disse lui, e stava per voltarsi e andar via, ma Vicky lo prese per il braccio e l'attirò a sé. Alzò la testa e lo baciò sulle labbra, con la bocca aperta e umida, morbida, dolce. Ti amo , gli sussurrò, rauca. Oh, mia cara, che brutto momento hai scelto per dirmelo. Me ne sono accorta adesso , gli spiegò, ed egli la strinse forte al petto. Magnifico! gridò Sara dalla torretta, sopra di loro. Molto bello! Batté le mani dalla gioia. A più tardi , sussurrò Jake. Adesso via di qui! La fece girare sui tacchi e la spinse verso miss Dondola.
Poi si voltò a propria volta e corse leggero fra le dune, col cuore che cantava. Oh, signorina Camberwell sono così contenta per te! disse Sara aiutandola a salire sull'autoblindo. Sapevo che era il signor Barton! Te l'avevo già scelto da un pezzo, ma volevo che fossi tu a scoprirlo da sola. Sara, tesoro, ti prego di non dire altro. . . Vicky l'abbracciò in fretta, prima di infilarsi nell'abitacolo. Se no, magari, cambio idea un'altra volta! Ras Golam era così stanco ed esausto che quasi non riusciva a scendere dalla duna. Gareth dovette tirarselo dietro di peso, mentre il ras trascinava a fatica lo spadone. All'improvviso si udì un rumore in cielo, sopra di loro, come se gli empirei fossero stati spezzati da tutti i venti dell'inferno. Si udì un sibilo lacerante e poi una colonna di terra si alzò in cima alla duna successiva, a cinquanta passi dall'autoblindo che si stagliava in cresta. I cannoni' imprecò Gareth. Meglio sbrigarsi, nonnino , disse preparandosi a scuotere il vecchio, ma non ce ne fu bisogno: il rombo del cannone aveva immediatamente ringiovanito il ras. Saltò per aria emettendo il suo agghiacciante urlo di guerra e frugando nelle pieghe dello sciamma per riguadagnare la dentiera. Ah no, ch! fece Gareth, temendo l'ennesima carica suicida del vecchio sovrano. L'abbrancò e lo trascinò, riluttante, all'autoblindo. Ma, ora che il ras aveva sentito il gusto del sangue, voleva gettarsi all'assalto a piedi, con la spada - come combattono i veri guerrieri e scrutava l'orizzonte con frenesia, alla ricerca dell'invisibile nemico. Gareth lo tratteneva a fatica. Un'altra granata piovve nell'avvallamento oltre la cresta. Il primo corto, il secondo lungo , mormorò Gareth, cercando di frenare i pazzi balzi del ras. Dove cade il terzo? Erano quasi arrivati alla macchina, quando sentirono arrivare la granata, lungo la sua parabola attraverso la vasta pianura color mantello di leone, sotto le basse nuvole grige, stridendo e fischiando nei cieli. Cadde ad angolo acuto, penetrando la corazza poco sotto l'innesto della torretta ed esplodendo sul pavimento d'acciaio dell'autoblindoil veicolo scoppiò come un sacchetto di carta. La torrettaintera fu divelta e sparata a grande altezza in una vampa di fuoco. Gareth si gettò a terra tirandosi dietro il ras e lo tenne giù mentre il torno a loro cadevano i pezzi d'acciaio della macchina. Durò pochi secondi, dopo di che il ras cercò di nuovo di alzarsi, ma Gareth lo trattenne: difatti nella carcassa scassata dell'autoblindo scoppiò il serbatoio della benzina, avvolgendola di fiamme, e le munizioni esplosero come fuochi artificiali volando pericolosamente dappertutto. Cio, invece, durò parecchio, e quando alfine lo scoppiettio cessò, Gareth s'arrischio ad alzare cauto la testa: immediatamente prese fuoco un nuovo nastro che prese a sparar dappertutto i suoi traccianti, costringendo i due ad abbassare il capo un'. ltra volta. Vieni con me, rassuccio , sospirò Gareth alla fine. Vediamo se ci danno un passaggio. In quel momento la brutta e cara sagoma di Priscilla la Troia scollinò rombando oltre : la cresta della duna, e si fermò con una sbandata accanto a loro. ~Buon Dio , gridò Jake dal vano del guidatore. Credevo che foste dentro, ero venuto a raccogliere i pezzi. Tirandosi dietro il ras, Gareth si arrampicò sulla fiancata dell'alta torretta. E due che te ne devo , grugnì Gareth. Sta diventando un vizio Ti manderò il conto , promise Jake, cercando poi di farsi piccolo piccolo perché un'altra granata arrivava fischiando in maniera agghiacciante verso di loro. Scoppiò così vicino da sbuffargli in volto terriccio e fumo. Ho lo strano presentimento che faremmo bene ad andar via di qua , suggerì tranquillo Gareth. Se non avete altri progetti, beninteso. Jake si tuffò giù dal pendio e, quando giunse sul
terreno più solido della pianura, sterzò dirigendosi verso l'imbocco della gola, nel punto più piovoso e nuvoloso. Vicky Camberwell li vide arrivare e si affiancò a loro con * r~: ss Dondola. A ruota a ruota, le due vecchie macchine at traversarono la pianura mentre qualche gocciolone cominciava a cadere rompendosi in spuma sulla blindatura. Un'altra granata cadde a una ventina di metri davanti a loro, costringendoli a deviare per aggirare il cratere. Riesci a vedere dov'è la batteria? gridò Jake, e Gareth si sporse a guardare, mentre la pioggia gli bagnava il volto e la Camicia bianca. Sono sul terreno abbandonato dai galla, probabilmente stanno adoperando le trincee da me scavate con tanta amorosa cura. Non si potrebbe andare a dargli una bella mitragliata? suggerì Jake. Temo di no, vecchio mio; le postazioni le ho studiate io stesso: impossibile arrivarci. Tira dritto per la gola, va' là. La nostra unica speranza è arrivare alla seconda linea di difesa che ho preparato alla prima cascata. Scosse la testa, addolorato, stringendo gli occhi contro gli sferzanti goccioloni. Tu e questo vecchio bastardo! disse guardando il ras accanto a lui. Sarete la mia morte! Ne sono sicuro. Il ras gli sorrise felice, convinto che stessero andando di nuovo all'attacco ed esaltato da quella prospettiva. Come va la vita? gracchiò, tirando un afEettuoso pugno sulla spalla a Gareth. Potrebbe andar meglio, nonno , l'assicurò Gareth. Potrebbe andare molto, ma molto meglio. Dopo di che si ripararono dentro, mentre un'altra granata passava poco sopra le loro teste. ~Quei ragazzi stanno facendo progressi , osservò Gareth con distacco. Sa Dio che ultimamente hanno fatto una gran pratica , gridò Jake, e Gareth alzò lo sguardo al cielo. La nuvolaglia si addensava. Almeno venisse un bel diluvio , disse Gareth. Istantaneamente tuonò e le nuvole si illuminarono internamente di lampi. I goccioloni si infittirono e in breve l'aria divenne lattescente di liquide colonne scroscianti. Sbalorditivo, maggiore Swales. Non ci avrei mai creduto , disse Gregorius Maryam dalla torretta, con la voce bassa per lo stupore. Niente ~di strano, caro ragazzo, quando si ha la linea diretta col padreterno , disse Gareth. L'atmosfera era diventata impenetrabile. Jake dovette infilarsi gli occhialoni, mentre i riccioli madidi gli si incollavano alla nuca. La pioggia si rovesciava giù dalle montagne e dai rocciosi portali della gola, sicché Jake doveva quasi guidare a memoria. I rovesci si abbattevano sullo scafo d'acciaio in corsa, riducendo la visibilità a una quindicina di metri. Il cannoneggiamento italiano cessò di colpo, perché gli artiglieri non li vedevano più. La pioggia si abbatteva su ogni centimetro di pelle esposta, frustandola dolorosamente, colpendoli in volto con un tale impatto che i denti dolevano nelle loro gengive, sicché cercavano di ripararsi come potevano accucciandosi dietro la torretta, sulla nuda corazza. Buon Dio, ma quanto durerà questa faccenda? protestò Gareth, sputando il sigaro bagnato. Quattro mesi , gli urlò in risposta Gregorius. Adesso pioverà per quattro mesi. O finché Gareth non ordinerà che smetta , ghignò Jake, lanciando un'occhiata all'altra macchina. Sara lo salutò con la mano, rassicurante, dalla torretta di miss Dondola, voltando la testa da parte per non prendersi l'acqua negli occhi. La capigliatura le si era incollata alla testa e alle spalle. La pioggia gelida le aveva imbevuto lo sciamma di seta che ora aderiva trasparente al suo corpo: il suo seno grassottello si vedeva come se fosse nudo e sobbalzava alle scosse dell'autoblindo. All'improvviso la cortina di pioggia davanti a loro si popolò di figure che correvano, vestite con i lunghi sciamma degli harari: con le armi in mano, correvano sotto la pioggia verso l'imboccatura della gola. Gregorius lanciò~ loro incoraggiamenti,
mentre li superavano, e poi tradusse in fretta. Ho detto che fermeremo il nemico alla prima cascata, e di passar parola. Tornò a girarsi per gridare altri incoraggiamenti ai guerrieri, quando all'improvviso Jake frenò e sterzò di colpo per evitare una pila di cadaveri che giacevano sulla strada. qui che li hanno falciati le mitragliatrici , gridò Sara dall'altra macchina. Come a conferma, si udirono le laceranti raffiche nell'aria piovosa. Jake girò attorno ai corpi e poi si voltò per vedere se Vicky lo seguiva. Cosa diavolo succede adesso? urlò, accorgendosi che erano rimasti soli. Quella donna! Quella pazza! imprecò frenando, innestando la retromarcia e tornando indietro finché non vide ricomparire la sagoma sgraziata di miss Dondola. No , disse Gareth. Non posso sopportarlo! Vicky e Sara erano scese dalla macchina e, chine sui guerrieri feriti, cercavano di caricarli sull'autoblindo dai portelloni posteriori. Coloro che erano stati feriti lievemente, intanto, strisciavano e saltellavano verso l'autoblindo, salendo a bordo. Vieni, Vicky! gridò Jake. Non possiamo lasciarli qua , gli urlò lei di rimando. Dobbiamo raggiungere la prima cascata! cercò di spiegarle. Dobbiamo cercare di interrompere la ritirata! Ma parlava inutilmente: le due donne si rimisero all'opera. Vicky! gridò disperatamente Jake. Se ci aiutate facciamo prima , replicò ostinata, è Jake alzò le spalle, sconfitto, prima di scendere a propria volta dalla macchina. Entrambe le autoblindo furono stipate di harari feriti e moribondi, mentre coloro che ne avevano la forza si aggrappavano ai portapacchi. Alla fine Vicky si ritenne soddisfatta. Abbiamo perso un quarto d'ora , disse Gareth dando un'occhiata all'orologio. Potrebbero bastare per farci ammazzare tutti quanti e perdere la gola. Ne valeva la pena , replicò Vicky, cocciuta, e si avviò di corsa alla macchina. Ancora una volta le autoblindo, sovraccariche, mossero verso monte. Ormai, però, dovevano ignorare gli strazianti appelli dei feriti che superavano. Giacevano nei loro stracci insanguinati, sotto la pioggia battente che non aveva perso la minima intensità, o si trascinavano penosamente in salita, gemendo e alzando mani imploranti verso di loro, mentre le macchine li superavano fra gli spruzzi. A un tratto la pioggia si diradò per il raggio di un pàio di chilometri all'intorno: il sole, occhieggiando mollemente tra le nuvole, illuminò di una luce quasi teatrale l'acciaio stillante delle corazze. Subito le mitragliatrici italiane aprirono il fuoco da una distanza di non più di centocinquanta metri. Le pallottole si abbatterono sulla massa dei feriti aggrappati all'esterno faeendQns cadere a terra urlanti una dozzina prima che la pioggia si richiudesse di nuovo su di loro, rendendoli ancora invisibili nel suo soffice seno protettivo. Giunsero all'accampamento principale ai piedi della gola, fra le acacie, e lo trovarono in preda a una terribile confusione. Era stato pesantemente bombardato e mitragliato, dopo di che la pioggia l'aveva trasformato in un putrido ammasso di tucul fatti a pezzi, tende spianate e infangate, salmerie devastate. Cavalli morti e cadaveri umani erano semisepolti dal fango, mentre qua e là un cane randagio o un bambino sperduto vagavano atterriti sotto la pioggia. Aspri combattimenti erano ancora in corso nei rocciosi dintorni del campo: sulle pendici videro balenare uniformi italiane e lampi di fucileria. Ogni pochi secondi una granata ululava nella pioggia e scoppiava violentemente da qualche parte, fuori vista. Tira dritto su per la gola, non fermiamoci qua , gridò Gareth, e Jake imboccò il sentiero che fiancheggiava il boschetto, piuttosto lontano dai combattimenti, sulle prime pendici rocciose. Poco più in là quel sentiero attraversava il fiume Sardi e si riuniva alla strada per l'altopiano. I miei uomini resistono!
gridò Gregorius con orgoglio; Stanno tenendo la gola! Dobbiamo andare ad aiutarli. Il nostro posto è alla prima cascata. Gareth alzò la voce per la prima volta. Non possono resistere qua, non quando gli italiani porteranno i cannoni. Dobbiamo attestarci alla prima cascata, se vogliamo avere qualche possibilità ~. Si guardò dietro, dove la seconda autoblindo avrebbe dovuto seguirlo, e imprecò. No! Oh, no, buon Dio, no! Cosa c'é? Jake si sporse allarmato dal portello. L'hanno rifatto. Chi. . . ? Ma Jake non avrebbe neanche dovuto chiedere. L'autoblindo successiva aveva lasciato il sentiero e ora stava filando fra le acacie in direzione del vecchio accampamento nel boschetto, passando fra i combattimenti. Raggiungila , disse Gareth. Portiamola via. Jake abbandonò il sentiero e si géttò zigzagando fra gli alberi, schizzando con le ruote posteriori fango rosso e acqua. Ma miss Dondola aveva un bel vantaggio e filava direttamente contro il cuneo nemico: scomparve in mezzo agli alberi e alla pioggia battente. Jake proseguì verso il vecchio campo e trovò miss Dondola parcheggiata nello spiazzo. Le tende erano state spianate, vestiti e vettovaglie erano sparsi dappertutto, nelle pozzanghere. Dalla torretta Sara stava sparando con la Vickers fra gli alberi del boschetto, da dove rispondevano al fuoco. Il crepitio della fucileria si udiva nelle pause delle raffiche e la corazza dell'autoblindo risuonava sotto la grandinata di pallottole. Jake intravide delle camicie nere in fuga e piazzò la macchina in modo da potersi unire al fuoco di Sara. Spara, Greg! gridò, e subito il ragazzo si fece sentire con una lunga l. ~ica che tempestò tra le foglie e i rami degli alberi e abbatté almeno uno dei militi che scappavano. Jake si sporse a vedere e rimase agghiacciato. Victoria Camberwell'era uscita dall'autoblindo e frugava nella poltiglia rossastra senza badare alle pallottole che le fischiavano attorno. Vicky! la chiamò disperato, proprio mentre lei si chinava a raccogliere qualcosa che poi sollevò con un grido di trionfo. E finalmente prese a correre curva verso miss Dondola, passando a pochi metri da Jake. Cosa diavolo ti é. . . protestò l'uomo. Macchina per scrivere e borsa da toilette , spiegò lei con aria ragionevole, scuotendo i propri trofei. Senza l'una non posso lavorare, senza l'altra non posso farmi bella. Sorrise come una bambolina, bagnata e stazzonata. Adesso possiamo andare , disse. La pista della gola era affollata di uomini e animali che si trascinavano faticosamente in salita, sotto l'acquazzone. Le bestie da soma scivolavano sul terreno viscido. Il sollievo di Gareth fu intenso, quando vide le forme tozze delle mitragliatrici Vickers caricate sulla groppa gobba di una dozzina di cammelli, assieme alle loro brave casse di munizioni. I suoi uominì avevano lavorato bene, salvando le mitragliatrici. Va' con loro, Greg , ordinò. Vedi che arrivino sane e salve alla prima cascata. Il ragazzo saltò giù per prendere il comando dei mitraglieri, mentre le due macchine si aprivano faticosamente la strada nella marea di uomini e bestie. Sono demoralizzati , disse Jake, guardando le nere facce scoraggiate dei guerrieri che si trascinavano in salita sotto la pioggia gelida, rabbrividendo. Combatteranno , replicò Gareth, dando di gomito al ras. Che ne dici, nonnino? Il ras fece un breve sorriso stentato e sdentato. Gli abiti gli pendevano dalle ossa come a uno spaventapasseri. Jake imboccò lo stretto e ripido tornante appena sotto la prima cascata. Accosta qua , gli disse Gareth, e poi scese con il ras. Mille grazie, vecchio. Guardò in faccia Jake. Porea le macchine a Sardi, e liberati di questi. . . non terminò la frase, ma indicò il mesto carico di feriti. Cerca di trovare un edificio che possa servir da ospedale. Fallo cercare da Vicky, almeno non avrà tempo di fare altre fesserie.
Altrimenti legala , aggiunse sogghignando, per tornar subito serio. Cerca di metterti in contatto con Lij Mikhael. Digli la situazione, digli che i galla hanno disertato e che sarà tanto se riusciremo a tenere la gola per un'altra settimana. Digli che ci servono armi, munizioni, medicine, coperte, vettovaglie. . . tutto quello che può inviarci. Chiedigli di mandare a Sardi un treno che poi possa portar via i feriti. Si interruppe e rifletté un momento. a Questo è tutto, credo. Fallo e torna giù con tutto il cibo che riesci a trasportare: temo che i viveri siano rimasti laggiù , disse indicando il nebbioso abisso della gola, e questa gente non può combattere a pancia vuota. Jake rimise l'autoblindo in strada. Ah, Jake, fammi un piacere, cerca di trovarmi qualche sigaro. . . Ho perso tutte le mie scorte laggiù, e non riesco a combattere senza fare un tiro o due. Sogghignò e sventolò la mano. Ciao, vecchio , gridò e, mentre le macchine se ne andavano, si voltò e si dette a fermare la colonna in ritirata, spingendo i guerrieri fuori della strada e verso le trincee già scavate sulle pendici rocciose della gola, osservando la lunga fila che arrancava nelle curve sottostanti, fino a perdersi nella nebbia del fondovalle Venite qua, ragazzi! gridava Gareth allegramente. Chi è che ha voglia di guadagnarsi un po' di gloria? DA GENERALE BADOGLIO COMANDANTE IN CAPO CORPO SPEDIZIONE ITALIANO AT AMBA ARADAM AT COLONNELLO CONTE ALDO BELLI UFFICIALE COMANDANTE COLONNA DANCALIA AT POZZI CIALDI ORA ATTUAZIONE NOSTRO PIANO EST SCOCCATA STOP FRONTEGGIO NUCLEO PRINCIPALE ARMATE NEMICHE SOTTOPOSTE AT CINQUE GIORNI BOMBARDAMENTO ININTERROTTO STOP ALBA DOMANI ATTACCHERO IN FORZE ET RICACCERO NeMICO DA ALTOPIANO SU STRADA DES SIE STOP AVANZATE SENZA INDUGIO SCOPO INTERROMPERLA ET TAGLIAtE RITIRATA NEMICO ONDE PRENDERLO TRA DUE FUOCHI ET DIS TRUGGERLOSull'Amba Aradam quarantamila uomini aspettavano rannicchiati nelle trincee e nelle caverne. Erano il nerbo delle armate etiopiche, e l'uomo che li comandava, ras Muguletu, era il più abile ed esperto dei signori della guerra. Ma anch'egli di fronte alla furia che si stava abbattendo su di loro, era impotente e incerto. Non aveva nemmeno immaginato che potesse accadere una cosa simile, e aspettava acquattato coi suoi uomini, immobile e stoico. Non c'era nessun nemico da combattere, nessun~ da colpire, perché i grossi bombardieri Caproni rombavano alti e irraggiungibili nel cielo, e i grandi cannoni che sparavano granate erano a chilometri di distanza, giù nel bassopiano. Tutto quello che potevano fare era avvolgersi nello sciamma polveroso, coprirsi la testa e cercar di resistere alle terribili esplosioni delle bombe e delle granate che devastavano le linee, seminando la morte nelle trincee e appestando l'aria ai sopravvissuti col fumo della cordite. Giorno dopo giorno la tempesta esplosiva si abbatté su di loro finché furono storditi e istupiditi, assordati e ormai indifferenti a tutto se non all'ostinato proposito di resistere: senza pensare, senza sentire, senza curarsi di null'altro che di resistere. La sesta notte tor~narono i grossi. trimotori, col loro rombo cupo, e gli uomini di ras Muguletu, affacciandosi prudentemente dalle trincee e dalle grotte, videro le loro sinistre sagome sorvolarli oscurando le stelle lucenti. Ancora una volta si prepararono allo
scoppio delle bombe, ma i bombardieri sorvolarono per parecchi minuti la cima piatta del massiccio dell'Amba Aradam e, di bombe, non ne scoppiarono. Poi i bombardieri virarono e se ne andarono. Il loro rombo pauroso smorì nelle lontananze del cielo, che cominciava appena a rischiararsi per l'alba. . Solo allora la soffice e insidiosa rugiada che avevano seminato cominciò a piovere nell'aria ferma e buia. Pian piano, come una nevicata, si posò sui volti scuri che scrutavano il cielo, negli occhi atterriti che guardavano in su, sulle mani nude che impugnavano gli antiquati fucili pronti a sparare. Bruciò la pelle esposta, ribollendo nella carne viva e corrodendola come una terribile cancrena; bruciò gli occhi nelle orbite, trasformandoli in lucidi globi rosso-ciliegia da cui defluiva un denso muco giallastro. Il dolore che essa infliggeva combinava la corrosione dell'acido concentrato all'incandescenza dei carboni ardenti. E all'alba, mentre migliaia di uomini di ras Muguletu urlavano e gemevano straziati dall'agonia, e i loro compagni confusi e sgomenti cercavano invano di portar loro aiuto, in quel terribile momento la prima ondata della fanteria italiana irruppe sul tavoliere e inondò le trincee etiopiche prima ancora che i difensori capissero che cosa stava accadendo. Le baionette italiane rosseggiarono ai primi raggi del sole che sorgeva. Sull'altopiano si- addensavano le nubi, nascondendo le vette, e la pioggia continuava a cadere in un diluvio incessante. Pioveva senza interruzione da due giorni e tre notti dopo la disastrosa giornata dell'Amba Aradam. La pioggia aveva salvato i trentamila superstiti dalla sorte toccata ai diecimila caduti sulla montagna. I bombardieri italiani sorvolavano irosamente la coltre di nuvole: Lij Mikhael li sentiva chiaramente, benché la spessa e soffice distesa nebulosa attutisse il potente rombo dei trimotori. Aspettavano soltanto una schiarita per gettarsi in picchiata a bombardare l'srmata che si ritirava. ~he ghiotta preda avrebbero scorto, se si fosse dischiuso uno spiraglio! La strada di Dessié nereggiava per più di venti chilometri delle truppe sconfitte che, sotto la pioggia battente, coperte solo di stracci, a piedi nudi nel fango, si ritiravano lentamente e disordinatamente verso il cuore dell'altopiano. Affamati, intirizzi ti e demoralizzati, i soldati proseguivano curvi sotto il pesodei fucili, che a ogni passo si facevano un po' più pesanti. Tuttavia, essi continuavano a marciare. La pioggia aveva impedito agli italiani di raggiungerli. I loro camion pesanti per il trasporto delle truppe si impantanavano continuamente nella fanghiglia traditrice, tutti i torrenti erano in piena, e da ogni calanco si riversava vorticosamente a valle un lutulento fiume d'acqua marrone. Qualunque rivolo doveva essere superato con l'aiuto dei pontieri, i camion dovevano essere spinti dai soldati fuori del fango. L inseguimento continuava. La stagione delle piogge aveva negato al generale Badoglio la vittoria schiacciante e decisiva. Sull'Amba Aradam gli erano sfuggiti di mano trentamila soldati etiopici. Sganciare questi trentamila uomini dalla morsa italiana era il compito che Hailé Selassié, il re dei re, aveva affidato personalmente a Lij Mikhael. Bisognava lasciarsi indietro Badoglio e unirsi all'armata meridionale, comandata dal Negus in persona, sulle rive del lago Tana. Altre trentasei ore e il compito sarebbe stato portato a termine con successo. Il principe sedeva sul sedile posteriore della sua infangata berlina Ford, avvolto nel pastrano, e - benché dentro la macchina facesse un bel calduccio, ed egli fosse esausto al punto di avere mani e piedi completamente intorpiditi, e occhi che bruciavano come se li avesse pieni di sabbia - non pensava nemmeno lontanamente a dormire un po' . C'erano troppe cose da organizzare, troppe eventualità da prevedere, troppi
particolari da mettere in conto. . . ed egli aveva paura. Un nero terrore pervadeva l'intero suo essere. La facilità della vittoria italiana sull'Amba Aradam lo colmava di preoccupazioni per il futuro. Sapeva che la colonna italiana della Dancalia stava avanzando per la Gola di Sardi e forse in quel momento si affacciava alla stessa città. Sapeva che le scarse forze di ras Golam erano state pesantemente sconfitte in pianura, ed erano quindi forse insufficienti per imbottigliare gli italiani nella gola. Temeva che da un momento all'altro potessero essere spazzate via, e che la colonna italiana gli piombasse ruggendo come un leone sulla retroguardia, tagliandogli la ritirata su Dessié. Ci voleva tempo, un po' plU di tempo, solo trentasei ore ancora a disposizione. Temeva inoltre i galla. All'inizio dell'offensiva italiana non avevano preso parte attiva ai combattimenti, limitandosi a scomparire sulle montagne, tradendo completamente la fiducia che i comandanti harari avevano riposto in loro. Adesso però che gli italiani cominciavano a ottenere sonanti vittorie, i galla si erano fatti più attivi, come avvoltoi roteanti sulla carogna abbandonata dal leone. La stessa ritirata dell'Aradam era stata disturbata dalle loro bande. L'infido ex alleato li lavorava ai fianchi, con pattuglie di guerriglieri nascosti nella macchia ai lati della strada di Dessié, approfittando di ogni occasione per piombare addosso alla colonna in lenta e confusa ritirata nei punti in cui era meno fitta. Era la classica tattica degli scifià, l'antichissima arte dell'imboscata - colpisci e fuggi -, qualche gola tagliata e qualche fucile rubato: ma rallentava la ritirata, la rallentava drasticamente mentre dietro premeva l'orda italiana e la colonna della Dancalia poteva sbucare in ogni momento sull'altopiano dalla Gola di Sardi per vietargli l'ultima via di scampo. Lij Mikhael si rizzò a guardare davanti a sé. Il tergicristallo andava ostinato e regolare da una parte all'altra del parabrezza, liberando dal fango e dall'acqua due ventagli di vetro. Il principe vide i binari della ferrovia che, poco più oltre, intersecavano la strada. Borbottò di soddisfazione, e l'autista spinse la Ford nella massa di umanità miserabile che avarizava lentamente ingombrando la strada. Essa si aprì di contraggenio davanti all'auto che suonava rabbiosamente il clacson, per richiudersi poi su bito dopo. Raggiunsero il passaggio a livello e Lij Mikhael'ordinò all'autista di fermarsi accanto a un gruppo di ufficiali. Scese a capo scoperto e immediatamente la pioggia gli inondò i capelli neri e crespi. Il gruppo di umeiali gli si fece intorno: ognuno era impaziente di raccontare la propria storia, elencare ciò che gli serviva, esprimere le proprie preoccupazioni. Tutti avevano cattive notizie da dare, notizie di disastri che minacciavano la loro stessa esistenza. Non avevano akun conforto per lui, e Lij Mikhael li ascoltò con un gran peso che gli gravava sul cuore. Alla fine, con una gesto, chiese silenzio. Funziona ancora la linea telefonica per Sardi? domandò. I ~alla non l'hanno ancora tagliata. Non segue la ferro via, ma scavalca lo sperone dell'Amba Sacal. Si vede che se lasono dimenticata. Mettetemi in contatto con la stazione di Sardi. Devo parlare con qualcuno laggiù, per sapere che cosa sta succedendo esattamente nella gola. Lasciò il gruppo di ufficiali accanto ai binari e si avviò per un breve tratto sullo sperone di Sardi. Laggiù, a pochi chilometri di distanza, i suoi cari - suo padre, i suoi fratelli, sua figlia - stavano rischiando la vita per guadagnare il tempo che gli serviva. Si domandò quale prezzo avessero già pagato, e a. l'improvviso gli balenò alla mente l'immagine della figlia. . . Sara, giovane, leggiadra e sorridente. Con fermezza accantonò l'immagine e si voltò a guardare l'infinita teoria di figure inzaccherate che sfilavano sulla strada
di Dessié. Non erano in condizione di difendersi. Erano inerrmi come bestiame: bisognava riorganizzarli, nutrirli, galvanizarli. Se gli italiani arrivavano adesso, era la fine. Eccellenza, la linea per Sardi è in funzione. Se vuol parlare. . . Lij Mikhael si voltò e andò dove un telefono da campo era stato collegato alla linea Sardi-Dessié. I fil; di rame pendevano dall'alto del palo. Li; Mikhael prese la cornetta che gli porgeva un ufficiale e parlò pacatamente nel r icrofono. A fianco dell'ufficio del capostazione, a Sardi, si stendeva il lun'o e cavernoso magazzino usato per il grano e le altre merci. Tetto e pareti erano di lamiera ondulata e galvanizzata, dipinta all'esterno di minio. Il pavimento era di cemento grezzo, e il vento freddo delle montagne fischiava tra i pertugi delle lamiere. In cento punti la pioggia colava dal soffitto dove la lamiera aveva perso la pittura e si era arrugginita e bucata. L'acqua formava gelide pozzanghere sul nudo pavimento di cemento. In questo bel riparo si affollavano quasi seicento fra feriti e moribondi. Non c'erano letti né coperte, solo sacchi vuoti per granaglie, stesi in lunghe file sul duro cemento. Il freddo saliva attraverso il sottile strato di juta, e la pioggia ci gocciolava sopia dall'alto soffitto. Non c'erano servizi igienici, non c'erano padelle, non c'era acqua corrente, e ben pochi dei feriti erano in grado di trascinarsi fuori a fare i loro bisogni. Così la puzza era qualcosa di solido e tangiò le che permeava gli abiti e restava appiccicata ai capelli delle persone per un bel pezzo anche dopo che erano uscite di lì. Non c'erano antisettici, non c'erano medicine, né alcool né aspirina. La piccola riserva che esisteva all'ospedale missionario era esaurita da quel dì. Il dottore tedesco lavorava, una notte dopo l'altra, senza anestetico e senza nulla per combattere le infezioni secondarie. La puzza delle ferite in cancrena era già quasi forte come l'altra. Le peggiori ferite erano quelle provocate dall'iprite. La sola cosa che si poteva fare era spalmare la carne scottata e corrosa con grasso da locomotive. Se ne erano trovati due bidoni nel capannone. Vicky Camberwell'aveva dormito tre ore due giorni prima. Da allora aveva lavorato senza posa nelle file di feriti gementi. Il suo volto era mortalmente pallido nella penombra del capannone, e gli occhi si erano infossati in grosse occhiaie nere. Aveva i piedi gonfi per esser stata ritta tanto tempo, e le facevano sordamente male le spalle e la schiena. Il vestito bianco era macchiato di sangue coagulato e d'altre secrezioni meno nobili, ma lei continuava a lavorare, disperata di poter fare tanto poco per le centinaia di feriti. Poteva portare l'acqua che qualche assetato chiedeva a gran voce, pulire coloro che giacevano nei loro escrementi, tenere quella mano che i moribondi levavano, nera e im ~lorante, verso di lei, e, quand'erano morti, coprirli col saccc di juta sul volto e segnalare agli infermieri esausti che si era l ~erato un posto per i feriti che già si affollavano in attesa fu ~i, sotto l'acqua, nello spiazzo davanti al capannone. Uno degli infermieri si chinò su di lei, scrollandole la spalla con urgenza, e le ci volle qualche secondo per capire che cosa voleva. Si sollevò rigida dal ferito accanto al quale si era inginocchiata, e rimase per un momento con le mani sui fianchi a drizzar dolorosamente la schiena, per riprendersi un tantino dal male che gliel'attanagliava, come del resto la testa, in una morsa feroce. Poi seguì l'infermiere fuori del magazzino, verso l'ufficio del capostazione. Alzò il ricevitore del telefono e rispose dichiarando il proprio nome con voce rauca e impastata. Signorina Camberwell . parla Lij Mikhael. La voce eragracchiante e lontanissima, talché ella capiva a stento le parole, per via della pioggia che tuttora batteva sul tetto di lamiera sopra la sua testa.
Sono al passaggio a livello sulla strada di Dessié. Il treno , disse Vicky, con la voce già più ferma. Lij Mikhael, dov'è il treno che ci avevate promesso? Abbiamo bisogno di medicine, antisettici, anestetici, capisce? Ci sono seicento feriti qui. Le ferite vanno in cancrena, muoiono come mosche. Avvertl'un'intonazione isterica nella propria ve e sì interruppe di colpo. Signorina Camberwell. Il treno. . . mi spiace. Io l'ho mandato. Con viveri e medicine, e un altro dottore. partito da Dessié ieri mattina, è passato qui dal passaggio a livello ieri sera, diretto a Sardi. . . E dov'è allora? domandò Vicky. Ci serve! Lei non sa in che stato siamo qua! Sono desolato, signorina Camberwell ma quel treno non arriverà. stato fatto deragliare dai galla a trenta chilometri da Sardi, in un'imboscata. Hanno massacrato tutti, interrotto la linea ferroviaria e bruciato le carrozze. Ci fu un lungo silenzio, solo scariche elettrostatiche sulla linea telefonica sfrigolavano e ronzavano. Signorina Camberwell è sempre ll? Sl. Capisce cosa sto dicendo? Sì, capisco. Il treno non arriverà. No. Ras Kullah controlla la strada da qui fino a Sardi. Sì. Nessuno può raggiungervi, e non ci sono vie di fuga da Sardi adesso che la strada è bloccata e la ferrovia interrotta. Ras Kullah ha a disposizione cinquemila uomini per tenerle. La sua posizione in montagna è imprendibile, può tenere a bada un esercito e immobilizzarlo sulla strada. Siamo tagliati fuori , disse Vicky con la voce un po' impastata. Davanti gli italiani, e dietro i galla. Un nuovo silenzio cadde fra di loro, poi Lij Mikhael domandò: Dove sono adesso gli italiani, signorina Camberwell? Sono quasi arrivati in cima alla gola, dove l'ultima cascata attraversa la strada. . . Si interruppe e si mise in ascolto, allontanando il ricevitore dall'orecchio. Poi l'avvicinò di nuovo. Ha sentito? Sono i cannoni italiani. Sparano continuamente ormai, sono molto vicini. Signorina Camberwell può trasmettere un messaggio al maggiore Swales? Sì. Allora gli dica che ho bisogno di altre diciotto ore. Se riesce a bloccare gli italiani fino a domani a mezzogiorno, non riusciranno a raggiungere l'incrocio dove mi trovo prima di buio, e questo mi farà guadagnare ancora un giorno e due notti. Se riesce a resistere fino a mezzogiorno, avrà adempiuto con onore ogni impegno che ha con me, e vi sarete meritati tutti e tre l'imperitura gratitudine dell'imperatore e dei popoli d'Etiopia: lei, il signor Barton e il maggiore Swales. Sì , disse Vicky. Ogni parola era uno sforzo. Gli dica che domani a mezzogiorno farò il possibile per farvi evacuare da Sardi. Gli dica di tener duro fino a mezzogiorno, dopo di che io farò di tutto per farvi venire via di lì sani e salvi. Glielo dirò. Gli dica che domani a mezzogiorno può ordinare alle restanti forze etiopiche di disperdersi sui monti, e che, sempre a quell'ora, io chiamerò di nuovo a questo telefono per spie garvi quali provvedimenti ho preso per la vostra salvezza. Lij Mikhael, e i feriti, coloro che non possono scappare in montagna? Altro silenzio, e poi la voce del principe, tranquilla ma gonfia di malinconia. Meglio che cadano nelle mani degli italiani che in quelle dei galla. Sì , disse subito Vicky. C'è un'altra cosa, signorina Camberwell. Il principe esitò, poi proseguì con fermezza. In nessun caso dovrete arrendervi agli italiani, nemmeno nelle circostanze più disperate. Qualunque cosa , sottolineò la parola con la voce, qualunque cosa sarebbe preferibile a ciò. Perché? . Le mie spie mi hanno informato che siete stati condannati a morte tutti e tre. Siete stati dichiarati agenti provoca tori e terroristi e, in caso di cattura, sarete consegnati a ras Kullah perché esegua la sentenza. Qualunque sorte è preferibile a questa. Capisco , disse Vicky piano, rabbrividendo al ricordo delle labbra rosse e
arricciate di ras Kullah, e delle sue mani grassocce. Se tutto il resto va storto, vi manderò un. . . Le sue parole furono troncate e sulla linea non si udirono più scariche, ma il silenzio di tomba del contatto interrotto. Per un altro minuto Vicky cercò di ristabilirlo, ma il ricevitore restò muto e il silenzio totale. Rimise la cornetta sulla forcella e per un attimo strinse forte gli occhi per rincuorarsi. Non si era mai sentita così sola, stanca e impaurita in tutta la sua vita. Attraversando lo spiazzo che conduceva al magazzino, Vicky si fermò a guardare il cielo. Non si era accorta di quanto fosse tardi. Restavano solo poche ore di luce, ma le nuvole sembravano voler dar luogo a una schiarita. La malinconica cappa grigia era più alta, copriva soltanto le vette, e c'erano squarci attraverso i quali il sole cercava di penetrare le nuvole. Pregò quietamente che ciò non accadesse. Due volte, durante le ultime disperate giornate, le nuvole si erano brevemente diradate, e sempre i bombardieri italiani erano venuti rombando a bombardare la gola. In entrambe le occasioni i terribili danni che essi avevano provocato avevano costretto Gareth ad abbandonare le trincee e a ritirarsi fino alla linea di difesa successiva, mentre un fiume di feriti e moribondi affluiva all' ospedale . Che piova , pregò. a Che piova e piova, oh Dio, ti prego. Chinò la testa e si affrettò verso il magazzino di lamiera, nella puzza e nel brusio di gemiti e lamenti. Vide che Sara era ancora ad aiutare al tavolo operatorio, un tavolaccio di legno mal riparato da una cortina di tela sbrindellata, illuminato da un paio di lampade Petromax. Il dottore tedesco stava amputando un arto maciullato, tagliando sotto il ginocchio, mentre il giovane guerriero harari si dibatteva debolmente, tenuto giù da quattro infermieri. Vicky attese che portassero via il paziente e poi chiamò Sara. Uscirono insieme e respirarono l'aria pura dei monti, affacciate alla veranda, vicine l'una all'altra. Quindi Vicky ripeté a Sara la conversazione che aveva appena avuto con Lij Mikhael. Poi c'è stata un'interruzione, la linea è saltata. Sì , disse Sara. Avranno tagliato i fili. C'è anzi da stupirsi che ras Kullah non l'abbia fatto molto prima. I fili passano sopra la vetta dell'Amba Sacal, forse è per questo che c'è voluto tanto per raggiungerli. Te la senti di scendere giù per la gola, Sara, a trasmettere il messaggio al maggiore Swales? Andrei giù io con miss Dondola, ma non ho quasi più benzina, e ho promesso a Jake di non sprecarla. Più tardi ce ne servirà ogni goccia. Tanto si fa più in fretta a cavallo , sorrise Sara, e potrò anche vedere Gregorius. Non ci vorrà molto , concordò Vicky. Ormai sono vicinissimi. , Tacquero entrambe, ascoltando i cannoni italiani. Gli scoppi delle granate cariche d'esplosivo ad alto potenziale echeggiavano sulle pareti delle montagne, abbastanza vicine da far tremare la terra sotto i piedi. Non vuoi che porti un messaggio al signor Barton? domandò maliziosamente Sara. Devo dirgli che il tuo corpo brama. . . No! tagliò corto Vicky, allarmata, ovviamente. Per l'amor di Dio, non andare a propinargli qualcuna delle tue invenzioni salaci. Cosa vuol dire salaci, signorina Camberwell? L'interesse di Sara era stato immediatamente risvegliato. Vuol dire libidinose, voluttuose. Salaci , ripeté Sara, per imparare la parola a memoria. una bella parola. Provò subito a usarla, con gran gusto. Il mio corpo ti brama con un grande anelito salace. Sara, se dici a Jake che io ti ho detto questo, ti strozzo con le mie mani , l'avvertì Vicky, sghignazzando per la prima volta dopo tanti giorni. Ma la sua risata fu interrotta da un terribile urlo di terrore, e dal rombo animalesco e selvaggio che seguì. All'improvviso il cortile del magazzino fu invaso da figure in corsa: si riversavano fuori del fitto bosco di cedri che afiìancava
la linea ferroviaria e attraversavano i binari con rapidi salti. Erano centinaia e si gettavano nel capannone di lamiera, piombando come un branco di lupi sulle file di feriti indifesi. I galla , sussurrò Sara atterrita, e per un attimo rimasero paralizzate dalla paura, guardando dentro la buia cavità del capannone. Vicky vide il vecchio dottore tedesco correre incontro all'ondata dei galla con le braccia spalancate in un appello di pace, per impedire il massacro. Fu trapassato da uno spadone. Colpito al petto, trenta centimetri di lama gli spuntarono come per magia tra le scapole. Quindi vide un galla armato di fucile a ripetizione correre lungo una corsia di feriti e sparare un colpo a bruciapelo nella testa a ciascuno. Ne vide un altro con un lungo pugnale che non si preoccupava nemmeno di tagliar la gola agli harari feriti prima di scoprirli con un sol gesto e sbudellarli a uno a uno. Vide il capannone riempirsi di figure in preda a frenesia sanguinaria, che mulinavano gli spadoni e sparavano sui corpi sdraiati, mentre le urla delle vittime risuonavano sul tetto di lamiera mescolandosi alle acute risate e agli strilli selvaggi dei galla. Sara tirò via Vicky, spingendola di corsa al riparo della parete di lamiera. Questo gesto ruppe l'incantesimo di orrore che aveva ipnotizzato Vicky, che si mise a correre a fianco della ragazza con le ali ai piedi. La macchina , ansimò. Se ce la facciamo a raggiungere la macchina. . . Miss Dondola era parcheggiata oltre l'edificio della stazione, davanti al capannone delle locomotive, al riparo di una tettoia. Correndo affiancate, Vicky e Sara svoltarono l'angolo del deposito delle locomotive e quasi caddero in braccio a una dozzina di galla che arrivavano di gran- carriera dalla direzione opposta. Vicky intravide le loro facce nere lucide di pioggia e di sudore, con le bocche aperte in cui lampeggiavano i denti lupeschi, e con occhi sbarrati e furiosi. Sentl'anche il loro odore, l'odore animalesco, caldo, eccitato del loro sudore. (girò sui tacchi e cambiò direzione, come una lepre che cerchi di sfuggire ai segugi. Una mano l'afferrò alla spalla, sentì che la camicetta si strappava, si liberò e continuò a correre, sempre però sentiva alle calcagna il risuonare dei loro passi di corsa, e le terribili urla di guerra che accompagnavano l'inseguimento. Sara correva assieme a lei, guadagnando un po' di terreno verso l'angolo della stazione. Alla loro sinistra si vide un lampo e poi si udì il colpo di fucile, la pallottola si conficcò nel muro dell'edificio, fra di loro. Con la coda dell'occhio Vicky vide altri galla che correvano, provenienti dalla strada principale della cittadina, con gli sciamma che sbattevano nell'aria mentre cercavano di tagliare la strada alle due ragazze. Sara guadagnava sempre più terreno. La ragazza correva con la grazia e la velocità di una gazzella, e Vicky non riusciva a starle dietro. Svoltò l'angolo della stazione dieci passi in testa a Vicky, e si fermò di colpo. Sotto la tettoia la forma spigolosa di miss Dondola era avvolta da petali furiosi di fiamme cremisi, mentre dai portelli si sprigionava un denso fumo nero e oleoso. I galla l'avevano raggiunta per primi. Chiaramente era uno dei loro obiettivi principali. Decine di guerrieri danzavano saltando intorno a essa mentre bruciava, per poi disperdersi tuffandosi da tutte le parti quando il fuoco raggiunse e fece scoppiare i nastri di munizioni della Vickers. Sara si era fermata solo per un secondo, ma fu sufficiente a Vicky per raggiungerla. La foresta di cedri , ansimò Sara, cambiando direzione, con una mano sul braccio di Vicky. La foresta era al di là dei binari, a meno di duecento me tri di distanza: era fitta e buia, e copriva il terreno irregolare sulla riva del fiume. Si misero a correre allo scoperto, e immediatamente un'altra ventina di galla si gettarono all'inseguimento, ululando come lupi. Il tratto
scoperto sembrava non finire mai, mentre Vicky continuava a correre coi galla alle calcagna. Il terreno era fangoso, sicché a ogni passo ella affondava fino alla caviglia. La mota rossastra le risucchiò una scarpa dal piede, così dovette continuare a correre sbilenca, con una scarpa sola e le ginocchia lievemente piegate. Sara invece continuava a correre con leggerezza, saltando i binari e volando sul fango. Il limitare della foresta era a una ventina di metri. Mentre cercava di saltare i binari, Vicky inciampò e finì con la faccia nel fango. Si tirò in ginocchio. Sul margine della fo -~$ resta Sara si voltò indietro, con gli occhi sbarrati e incredibilmente bianchi nel volto scuro e levigato. Scappa! gridò Vicky. Scappa! Dillo a Jake , e la ragazza scomparve nel folto, balenando per un attimo fra un cedro e l'altro come un cerbiatto. Il calcio di un fucile colpì sulle costole Vicky, che ricadde a terra con un gemito di dolore. Poi sentì mani che le strappavano i vestiti di dosso e cercò di difendersi, ma i capelli bagnati e infangati l'accecavano; era quasi fuori combattimento per il colpo che aveva appena ricevuto. La sollevarono e all'improvviso risuonò una voce autoritaria e sferzante. Le mani la lasciarono. Vicky alzò la testa, piegandosi sul fianco scorticato. Tra le lacrime e il fango rossastro riconobbe la faccia sfregiata del capitano galla. Portava sempre il solito sciamma blu, che adesso era madido di pioggia, e la cicatrice gli distorceva il volto, facendolo sembrare ancora più maligno e vizioso. La parte anteriore della trincea era stata rinforzata con sacchetti di sabbia e mimetizzata con rami. Attraverso il pertugio squadrato dell'osservatorio si poteva vedere benissimo la gola. Gareth appoggiò una spalla ai sacchetti di sabbia e diede un'occhiata giù. Jake Barton, affacciato alla feritoia vicina, lo guardava in volto. I vestiti solitamente impeccabili dell'inglese adesso erano macchiati di fango rosso, sudore, pioggia e sporcizia. Una spessa barba dorata gli copriva le guance come pelo di foca, e i baffi erano scomposti e troppo lunghi. Non aveva avuto la possibilità di farsi il bagno né di cambirasi nel corso dell'ultima settimana. Agli angoli della bocca gli erano nate nuove rughe, come pure sulla fronte e attorno agli occhi: rughe di preoccupazione e di dolore anche fisico; ma, quando alzò gli occhi e vide che Jake lo guardava, sorrise alzando un sopracciglio, con il solito raggio diabolico che gli balenava nello sguardo. Stava per dire qualcosa quando dal fondovalle un'altra granata salì per gli scuri meandri della gola, ed entrambi si fecero piccoli piccoli quando esplose, poco distante, ma nessuno dei due ne parlò. C'erano state centinaia di granate così negli ultimi giorni. Schiarisce, schiarisce di sicuro , osservò invece Gareth, ed entrambi alzarono lo sguardo alla striscia di cielo azzurro che si allargava fra le vette delle montagne. Sì , concordò Jake ma è troppo tardi. Fra venti minuti sarà buio. Sarebbe stato troppo tardi per i bombardieri, anche se fosse tornato davvero il sereno. Per amara esperienza sapevano al minuto secondo quanto tempo occorreva ai Caproni per arrivare lì dal campo d'aviazione dei Pozzi di Cialdi. Sarà sereno anche domani , rispose Gareth Domani è un altro giorno , replicò Jake, ma non riusciva a non pensare alle grosse e nere macchine volanti. L'artiglieria italiana, non appena si annunciava da lontano il rombo dei trimotori, sparava sulle loro trincee dei fumogeni che segnalavano il bersaglio ai Caproni. I bombardieri arrivavano molto bassi, con le ali che sembravano solleticare la montagna da una parte e dall'altra della gola. Il rumore dei loro propulsori aumentava sempre più fino a farsi insopportabile, e gli aerei giungevano così vicini che, dietro le bocce di cristallo che si protendevano dalla fusoliera, si vedevano i lineamenti degli avieri con
l'e metto. Quando poi li sorvolavano, dalla fusoliera si staccavano grossi oggetti neri. Le bombe da un quintale venivano giù dritte, stabilizzate dalle pinne, e allorché scoppiavano l'esplosione scuoteva la mente e intorpidiva il corpo. Al confronto, la deflagrazione di una granata d'artiglieria era un petardo. I contenitori dell'iprite, invece, non avevano stabilizzatori aerodinamici; cadevano roteando imprevedibili e, quando sbattevano contro le rocce, esplodevano in una nube di spruzzi giallastri che andavano a finire a decine di metri di distanza, in tutte le direzioni. Ogni volta che i bombardieri erano arrivati l'uno. dietro l'altro, senza fine, per ore, avevano lasciato i difensori così ridotti a mal partito che il successivo assalto di fanteria non aveva potuto essere respinto. Ogni volta avevano dovuto ritirarsi sulla linea di difesa successiva, un po' più su per la gola. E questa era l'ultima linea di trincee: tre chilometri a monte stavano i portali di granito che segnavano la fine della gola, oltre i quali era la conca di Sardi e la via libera per la strada di Dessié. Perché non cerchi di dormire un po? suggerì Jake, abbassando involontariamente lo sguardo sul braccio di Gareth. Era bendato con strisce strappate dalla camicia, e appeso al collo con un sistema altrettanto artigianale. Quel rozzo bendaggio era già macchiato dallo spurgo di siero e pus della ferita, e dal grasso di macchina che vi era stato spalmato sopra. Era già brutto a vedersi così, ma Jake quella ferita se la ricordava scoperta. La sostanza corrosiva aveva colpito il braccio di Gareth dalla spalla al polso, e pareva che fosse stato infilato nell'acqua bollente. Jake si chiese se il grasso di macchina era stato proprio una buona idea. Comunque, non c'era nient'altro per curare l'ustione, e almeno il grasso impediva all'aria di venire a contatto con la tremenda ferita. Aspetterò fino a buio , mormorò Gareth, portando il binocolo agli occhi col braccio illeso. Ho qualche brutto presentimento. troppo tranquillo laggiù. Restarono ancora in silenzio, il silenzio dell'estrema stanchezza. troppo tranquillo , ripeté Gareth, sobbalzando nel muovere il braccio. Non c'è tempo per battere così la fiacca. Devono continuare a premere, premere. E poi, distrattamente: Dio, darei un testicolo per un sigaro. Un Romeo y Juliette. . . Si interruppe di colpo, e tutti e due tesero l'orecchio. Senti anche tu quello che mi sembra di sentire? domandò Gareth. Credo di sl. Doveva capitare, è naturale , disse Gareth. C'è solo da stupirsi che ci abbiano messo tanto tempo. Be', c'è da dire che dall'Asmara a qua la strada è lunghetta. Comunque adesso sappiamo che cosa stavano aspettando. Nel silenzio profondo della gola il rumore era inconfondibile. Rimbombava da una parte all'altra fin su dov'erano loro. Sferraglianti cingoli d'acciaio. A ogni istante il rumore aumentava, e a un tratto distinsero anche il rombo dei motori. Il più agghiacciante rumore del mondo , disse Jake. Carri armati , disse Gareth. I maledetti tank. Non ce la faranno ad arrivare quassù prima di buio , azzardò Jake. Non si arrischieranno ad attaccare di notte. No , concordò Gareth. Attaccheranno domattina. Carri armati e Caproni al posto di uova al prosciutto? Gareth alzò le ipalle, esausto. Questo dev'essere il menù. Il colonnello conte Aldo Belli non era del tutto convinto della saggezza delle proprie azioni, e pensava che Gino non avesse torto di guardarlo con quegli occhi da spaniel carichi di rimprovero. Avrebbero potuto restarsene imboscati nelle formidabili trincee di Cialdi. Tuttavia, un certo numero di potenti stimoli l'avevano indotto ad avanzare di nuovo. Soprattutto i cablogrammi quotidiani di Badoglio che quotidianamente gli intimavano di tagliare la strada di Dessié prima che il pesce sfugga tra le maglie della
nostra rete . Tali cablogrammi si facevano di giorno in giorno meno urbani e più minacciosi, e venivano immediatamente trasmessi, con le ulteriori fiorettature del conte, al maggiore Luigi Castellani, il quale comandava la colonna che andava all'assalto della gola. Finalmente, ecco Castellani inviare al conte per radio la gradita notizia che si trovava attestato proprio in cima alla gola, e che il prossimo colpo d'ariete l'avrebbe catapultato addirittura nella città di Sardi. Dopo lunghe e penose meditazioni il conte si era deciso: una foto mentre entrava nella fortezza nemica al momento della sua presa valeva bene i pochi rischi da correre. La sua reputazione se ne sarebbe giovata immensamente. D'altra parte il maggiore Castellani gli aveva assicurato che il nemico era disperso e battuto, che aveva sofferto ingentissime perdite e non costituiva più una compagine organizzata e combattente. A questo punto il conte aveva con siderato accettabile la situazione. La circostanza finale che lo persuase a lasciare l'accampamento, ripudiando la sua nuova filosofia militare, e a inoltrarsi nell'insidiosa Gola di Sardi, fu l'arrivo della colonna di carri armati dall'Asmara. Tali macchine dovevano sostituire quelle che il nemico aveva subdolamente intrappolato e distrutto. Nonostante le insistenze e le rimostranze del conte, c'era voluta una settimana perché i carri armati giungessero in treno da Massaua all'Asmara e quindi attraversassero per proprio conto la Dancalia. Adesso, comunque, erano arrivati e il conte ne aveva immediatamente requisito uno quale suo veicolo personale di comando. Una volta dentro la spessa corazza d'acciaio, aveva provato un empito di coraggio e uno slancio tutto nuovo. Avanti, a Sardi, a Sardi, a scrivere col sangue una gloriosa pagina di storia! furono le parole che gli venne fatto di pro nunciare in quell'occasione. Sul viso di Gino ebbe ad aggravarsi l'espressione da spaniel. Ora, nelle ombre sempre più fitte della sera, macinando chilometri sulla strada incassata fra rocce incombenti e in ripida salita, dirigendosi verso lo spiraglio di cielo purpureo che a un tratto si era aperto in alto, dove erano diretti, il conte cominciava a dubitare della saggezza della sua forse troppo avventata decisione. Si affacciò dalla torretta del suo carro armato, che era quello di testa, e guardò fuori con gli occhi sbarrati e umidi dall'apprensione. Si calò sulle orecchie il lucido elmetto nero e strinse il calcio istoriato della sua Beretta fino a farsi venire le nocche livide. Ai suoi piedi, Gino si accoccolava come un riccio, ben al riparo del parapetto d'acciaio. In quella, una mitragliatrice aprì il fuoco davanti a loro, e la raffica echeggiò più volte sulle pareti incassate della gola. Alt! Ferma! Ferma qua! gridò il conte al proprio conducente. La mitragliatrice sembrava molto vicina. Questa sarà la sede del comando di battaglione, proprio qua , annunciò il conte; Gino si sporse un tantino e poi palesò, annuendo, il proprio completo accordo. Mandate a chiamare il maggiore Castellani e il maggiore Vito. Che vengano immediatamente a rapporto. Jake si destò. Qualcuno gli aveva appoggiato una mano sulla spalla, illuminandogli il viso con una lanterna. Lo sforzo di mettersi a sedere richiese tutta la sua forza di volontà. Lasciò cadere la coperta bagnata e si strofinò gli occhi abbagliati. Il freddo gli aveva irrigidito ogni muscolo del corpo, e si sentiva la testa leggera e annebbiata dalla stanchezza. Non riusciva a credere che fosse già mattina. Che c'é? Sono io, Jake. Scorse il viso nero e intenso di Gregorius dietro la lampada. Tirami via quell'affare dagli occhi. Dietro di lui, Gareth Swales balzò a sedere di scatto. Entrambi si erano messi a dormire completamente vestiti sulla stessa pezza di tela stesa sul fondo fangoso della trincea. Cosa succede? farfugliò Gareth, anch'egli mezzo morto di fatica.
Gregorlus spostò di lato la lanterna e la luce piovve sulla smilza figura accanto a lui. Era Sara, che tremava dal freddo negli abiti leggeri e bagnati. Rami e spine l'avevano riempita di escoriazioni; le braghe erano strappate e aveva righe di sangue là dove era rimasta grafffiata. Cadde in ginocchio accanto a Jake, ed egli si accorse che aveva gli occhi sbarrati per il terrore. Le labbra le tremavano incontrollabilmente, e la mano sottile che gli posò sul braccio era fredda come quella di una morta, pur se lo scuoteva con energia. La signorina Camberwell. L'hanno presa. . . esalò con un gemito strozzato. Tu dovresti rimanere qui , mormorò Jake, mentre correvano sulla salita in cima alla quale era parcheggiata Priscilla la Troia, un chilometro dietro il fronte. Domattina all'alba attaccheranno, ci sarà bisogno di te. No, vengo anch'io, Jake , replicò, tranquillo ma fermo, Gareth. Non puoi chiedermi di starmene qua mentre Vicky. . . Si interruppe. Bisogna pure che posi un occhio paterno su voi due, ragazzo mio , continuò scherzosamente. Il ras e i SUOi Si arrangeranno per stavolta. Mentre così parlavano, raggiunsero la sagoma spigolosa del l'autoblindo parcheggiata sul terreno accidentato sotto il valico. Jake cominciò a tirar via il telone che la ricopriva, e Gareth prese da parte Gregorius. Comunque vada, dovremmo essere di ritorno prima dell'alba. Se non arriviamo, sai cosa fare: sa Dio se negli ultimi tempi hai fatto abbastanza pratica. Gregorius annuì in silenzio. Resisti più che puoi. Poi ritirati sul valico per l'ultimo atto. Hai capito? Basta trattenerli fino a mezzogiorno, e, carri armati o no, possiamo farcela, non ti pare? Sì, Gareth, ce la faremo. Un'altra cosa, Greg. Io voglio bene a tuo nonno come a un fratello, lo sai. . . ma cerca di tenere il vecchio bastardo sotto controllo, intesi? Anche se ti tocca legarlo. Gareth diede una pacca sulla spalla al ragazzo, prese col braccio illeso un fucile catturato agli italiani e corse all'autoblindo, proprio men tre Jake sollevava Sara, la piazzava sul cofano e correva poialla manovella. Priscilla la Troia percorse l'ultimo chilometro di salita fino al valico, superando gruppi di harari al lavoro alla luce delle torce. Lavoravano a turni dalla sera prima, quando Jake e Gareth avevano udito i carri armati italiani che risalivano la gola. Benché tutte le sue preoccupazioni riguardassero Vicky, Gareth esaminò meccanicamente il lavoro e trovò che era stato fatto bene. Gli sbarramenti anticarro erano più alti di un uomo, e fatti con i massi più grossi che si potessero trasportare. In mezzo allo sbarramento era stato lasciato un varco appena sufficiente per passarci con l'autoblindo. Sara, di' loro di chiuderlo, adesso. Non riporteremo più l'autoblindo nella gola , l'istruì con calma Gareth mentre passavano. La ragazza tradusse all'ufficiale harari che, seduto in cima allo sbarramento, dirigeva il lavoro. Egli fece un gesto d'assenso e si voltò di nuovo a proseguire la supervisione. Jake guidò l'autoblindo fra i portali naturali di granito che chiudevano in alto la gola e, superato il valico, sbucò nella conca pianeggiante di Sardi. La città bruciava. A questa vista Jake fermò la macchina e si sporse dal portello del guidatore, guardando il terribile spettacolo che illuminava le montagne circostanti di un chiarore arancione. Sarà ancora viva? Fu Jake a dar v~ce alla paura di tutti, e fu Sara a rispondere: Se ras Kullah era là quando l'hanno catturata, adesso è morta . Un altro silenzio. I due uomini fissavano la notte rischiarata dalle fiamme che divoravano la città, rosi da una rabbia impotente. Ma se invece si nascondeva come al solito sulle montagne, aspettando la riuscita dell'attacco prima di metter fuori il paso , proseguì Sara sputando significativamente fuori della torretta, allora i suoi guerrieri non avranno osato procedere all'esecuzione
prima che lui potesse assistervi con le sue vacche da latte. Ho sentito dire che quelle due sono capaci di spellare completamente un essere umano, con dei coltellini minuti, dalla testa ai piedi, e che la vittima sopravvive ancora per molte ore. Jake rabbrividi per l'orrore. Se sei pronto, amico mio, direi di muoverci , disse Gareth. Con qualche sforzo Jake si riscosse e si mise al volante. Un presentimento d'alba rischiarava la stretta striscia di cielo fra le vette, quando Gregorius Maryam arrivò alle trincee in prima linea. Fra i difensori già c'era una certa attività, ed egli fu accolto da un soldato della guardia del ras che sorreggevà una lanterna. Lo salutò con sollievo. Il ras ti cerca , gli disse il soldato. Gregorius lo seguì giù per la trincea, camminando a fatica nella folla dei difensori che dormivano esausti nel fango del camminamento. Il ras sedeva, avvolto in una grigia coperta infangata, in uno dei rifugi più spaziosi scavati lungo la linea trincerata. Qui la trincea era stata coperta con un tetto di pelli recuperate da qualche tenda del primo accampamento: un hocherello stento fumava tra il ras e una dozzina di ufficiali della guardia che lo attorniavano. Quando Gregorius gli si inginocchiò davanti, egli alzò gli occhi. Gli uomini bianchi sono andati via? domandò il ras, e poi ebbe un accesso di tosse, la tossé convulsa di un vecchio . che gli scuoteva tutto il fragile corpo. Torneranno all'alba, prima dell'attacco nemico , li giu stificò in fretta Gregorius, e proseguì spiegando le ragioni del cambiamento di piani. Il ras annul, guardando il fuoco che danzava ai suoi piedi, e, quando Gregorius si interruppe, riprese a parlare con quella sua voce rauca e un po' chioccia. un segno, e così preferisco. Troppo a lungo ho ascoltato i consigli dell'inglese, troppo a lungo ho soffocato il fuoco che mi ardeva nelle viscere, troppo a lungo ho cambiato strada, come un cane, davanti al nemico. Tossi di nuovo, dolorosamente. Da troppo tempo ormai stiamo scappando. venuta l'ora di combattere. I suoi ufficiali rumoreggiarono furenti nell'ombra intorno a lui, e gli si fecero più vicini per non perdere le sue parole. Andate dai vostri guerrieri e svegliateli. Riempite i loro ventri di fuoco, e le loro mani di acciaio. r)ite loro che il segnale sarà quello di cento anni fa, di mille anni fa. Che diano ascolto ai miei tamburi di guerra! Un urlo di esultanza proruppe dagli ufficiali. Suoneranno fino all'alba e, quando taceranno, quello sarà il momento. Il ras si alzò in piedi a fatica, e restò nudo in mezzo a loro: la coperta era scivolata a terra, e il suo petto magro vibrava per la passione dell'ira che lo pervadeva. In quel momento io, ras Golam, mi lancerò all'attacco nella gola per ricacciare il nemico al di là del deserto e nel mare da dove è venuto. Chi si vanta di essere un harari e un guerriero mi seguirà. La sua voce fu coperta dal lacerante urlo di guerra dei suoi ufficiali. Il ras si mise a ridere, a ridere acutamente, quasi come un pazzo. Uno dei suoi uìiiciali gli porse una coppa di tej ardente e il ras la bevve in un sol fiato, poi la gettò sul fuoco. Gregorius balzò in piedi e cercò di trattenere il nonno prendendolo per una spalla ossuta. Nonno. . . Il ras traballò e si voltò a guardarlo con gli occhi iniettati di sangue e carichi di una nuova, immensa energia. Se hai da dirmi parole da femmina, inghiottile, e che ti si trasformino in veleno nelle viscere e in terra nei polmoni. Il ras fissava il nipote con occhi fiammeggianti e questi, a un tratto, comprese. Comprese quel che aveva in animo di fare il ras. Era un uomo abbastanza vecchio e abbastanza saggio da sapere che il suo mondo stava tramontando, che il nemico era troppo forte, e che Dio aveva voltato le spalle all'Etiopia, sicché, per quanto coraggiosi potessero dimostrarsi i suoi guerrieri in battaglia, non li aspettava che la
sconfitta, il disonore, la schiavitù. Il ras stava scegliendo un'altra strada, l'unica altra strada. Un lampo di comprensione scoccò tra il giovane e il vecchio, e gli occhi del ras si addolcirono mentre si chinava su Gregorius. Ma se il fuoco arde anche nelle tue vene, se quando taceranno i tamburi verrai all'assalto con me. . . allora inginocchiati a ricevere la mia benedizione. A un tratto Gregorius sentì svanire tutte le sue preoccupazioni e riserve, e ii suo cuore Si impennò come un'aquila, portato in alto, in alto, dall'antica e atavica gioia del guerriero. Cadde in ginocchio davanti al ras. Dammi la tua benedizione, nonno , proruppe, e il ras gli posò ambo le mani sopra la testa chin~ role bibliche. Una goccia tiepida piovve sul collo di lo sguardo stupito. Sulle guance grinzose e nere del ras scorrevano lacrime che egli non si curava di arginare. a mormorando le paGregorius, che alzòVicky Camberwell giaceva a faccia in giù sullo sporco pavimento di terra di un tucul'abbandonato alla periferia della città in fiamme. Il pavimento brulicava di pidocchi che le correvano su tutta la pelle, e i loro morsi le provocavano brucianti irritazioni. Aveva le mani legate dietro la schiena da corregge, e allo stesso modo era legata alle caviglie. Fuori, sentiva il crepitio della città che andava a fuoco e il rumore più forte dei crolli. Sentiva anche le urla esaltate dei guerrieri galla, ubriachi di sangue e di tej, e gli strilli agghiaccianti dei pochi prigionieri harari che erano stati risparmiati soltanto per far divertire i guerrieri nella lunga attesa che ras Kullah giungesse nella città conquistata. Vicky non sapeva da quanto tempo era li Le mani e i piedi erano intorpiditi al punto da non sentirli più, tanto le corregge erano strette. Le costole le facevano ancora male per il colpo infertole col calcio del fucile all'atto della cattura, e il gelo della notte in alta montagna aveva intirizzito tutto il suo corpo fino al midollo, sicché ora tremava incessantemente come se avesse la febbre. I denti le sbattevano irrefrenabilmente e le labbra erano serrate e livide, ma non poteva muoversi. Ogni tentativo di cambiare posizione era immediatamente rintuzzato con un pugno o un calcio dalle guardie che la sorvegliavano. Alla fine la sua mente si oscurò, non nel sonno, giacchésentiva ancora, sebbene ottusamente, il baccano fuori della capanna, ma in una specie di coma in cui il senso del tempo era perduto, e il disagio terribile del freddo e dei legami recedeva. Doveva aver passato parecchio tempo in quello stato di torpore quando un nuovo calcio nello stomaco la ridestò. Gemette e si contrasse per il dolore. Immediatamente avvertì un cambiamento nei rumori all'esterno del tucul. Adesso c'erano diverse centinaia di voci eccitate, come di folla al circo. Le guardie la rimisero in piedi senza complimenti, e una si chinò a tagliare la correggia che le impediva di camminare. Poi si rialzò per far lo stesso con quella ai polsi. Vicky gemette per il dolore del sangue che ricominciava a circolare nei piedi e nelle mani. Le cedettero le ginocchia e sarebbe caduta se mani forti non l'avessero sorretta, per poi spingerla rudemente verso la bassa porta della capanna. Fuori, la viuzza era affollatissima di figure nere e minacciose che le si stringevano intorno. Al suo apparire sulla soglia del tucul l'aveva accolta un boato agghiacciante di voci eccitate. Le guardie la spinsero avanti per la via, e la folla si mise a camminare assieme a loro, senza farsi' distanziare, sempre urlando come una tormenta invernale. Delle mani si protendevano a toccarla, e le guardie le allontanavano sghignazzando, spingendola avanti mentre le gambe le cedevano. La condussero nel cortile del magazzino della stazione, attraverso il cancello di ferro, oltre una pila alta come una montagna di corpi nudi e mutilati, tutto ciò che rimaneva degli uomini che
aveva aiutato a curare. Il cortile era illuminato dalle luci baluginanti di centinaia di torce, e fu solo quando arrivò vicino alla veranda del magazzino che riconobbe la figura mollemente adagiata sui cuscini disposti sul rialzo della veranda come su un palco da cui assistere all'esecuzione e dirigerla. Il terrore tornò a pervadere tutto l'essere di Vicky come un gelido fiume oscuro, e cercò disperatamente di divincolarsi dalle mani che l'attanagliavano. Ma queste la spinsero avanti e, a un tratto, la sollevarono. Nel terreno molle del cortile erano state piazzate tre lance legate insieme a formare una specie di tripode, con le punte d'acciaio in alto, all'apice della piramide. Con forza irresistibile le aprirono le gambe e le braccia, e ancora una volta si sentì'avvincere da forti corregge. Coloro che l'avevano legata si fecero indietro disponendosi in circolo attorno a lei, che si accorse di essere sospesa al tripode di lance come una stella di mare. Il suo stesso peso le faceva affondare le corregge nella carne viva. Alzò lo sguardo. Proprio di fronte a lei, sulla veranda di cemento, sedeva ras Kullah. Le disse qualcosa con la sua vocetta acuta e stridula, ma lei non capì le parole e si limitò a guardare, ipnotizzata dal terrore, le labbra tumide e molli del ras. Tra di esse comparve la punta della lingua, che scorse lenta da un angolo dellà bocca all'altro, come quella di un giallo e flaccido gattone. A un tratto egli ridacchiò e fece un cenno alle due donne che l'affiancavano, sedute sui cuscini. Costoro scesero giù in cortile, con i gioielli d'argento che tintinnavano e i vestiti multicolori di seta che splendevano alla luce delle lampade come il piumaggio di due bellissimi uccelli del paradiso. Come se avessero provato chissà quante volte i loro movimenti, si divisero e ognuna si avvicinò a Vicky, appesa al tripode di lance, da una parte diversa. Avevano il volto sereno, remoto e bello come un fiore esotico dischiuso in cima al lungo stelo dei loro colli aggraziati. Fu solo quando si avvicinarono tanto da poterla toccare che Vicky notò i piccoli coltelli d'argento che impugnavano, e si contorse freneticamente, voltando la testa da una parte e dall'altra per guardare le lame. Con movimenti esperti e sbrigativi le due donne tagliarono la stoffa dei vestiti di Vicky, dal colletto della camicia fino alla gonna, con un solo movimento. Gli abiti caddero come foglie d'autunno nel fango sottostante. Ras Kullah batté le mani con gioia. La folla di corpi neri ondeggiò, rumoreggiò, si strinse ancora di più intorno a lei. Sempre con gli stessi movimenti calmi e precisi, la seta del la biancheria intima di Vicky fu tagliata dai coltellini d'argento e aperta, e la donna restò lì appesa nuda e vulnerabile, impotente a coprire il proprio corpo pallido e liscio, dalle lunghe membra ben tornite spalancate e immobilizzate. Chinò la testa in avanti, così che la capigliatura bionda le coprisse il viso. Una delle donne galla le girò attorno fino a fronteggiarla. Spinse il coltellino d'argento avanti e con la punta della lama la toccò alla base del collo, dove una venuzza batteva visibilmente come un animaletto intrappolato: e piano, dolorosamente piano, incise verso il basso. Tutto il corpo di Vicky fu scosso da convulsioni. Ogni arto le si irrigidi, la schiena si arcuò tendendosi al punto che tutti i muscoli si rilevarono sulla sua carne liscia e immacolata. La testa di Vicky scattò all'indietro. Con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, urlò. La donna continuò a tagliare, scendendo tra il seno congestionato e teso. La bianca pelle si apriva sotto la lama affilatissima e attentamente maneggiata, e una vivida riga scarlatta segnò la lenta traccia della punta che procedeva inesorabilmente verso il basso. L'urlo della folla aumentò. Divenne un boato, un tuono, un rombo nero di tempesta; ras Kullah si sporse in avanti sui
cuscini. Aveva gli occhi che brillavano e le labbra rosa umide e socchiuse. Due cose accaddero contemporaneamente. Dall'oscurità oltre gli edifici della stazione, Priscilla la Troia balzò nella zona illuminata dalle torce. Fino al momento in cui Jake schiacciò l'acceleratore a tavoletta, il ronzio del motore al minimo era stato sovrastato dai boati della folla eccitata. Il pesante scafo d'acciaio, lanciato al massimo dalla potenza del suo vecchio motore Bentley, falciò la folla come una trebbiatrice in un campo di grano. Senza nemmeno rallentare, si aprì un sentiero nel fitto dei galla, in direzione dello spiazzo dove Vicky era appesa fra le tre lance. Nello stesso momento Gareth Swales balzò fuori dalla porta del magazzino, proprio dietro alla pila di cuscini su cui sedeva il ras. Aveva il fucile italiano poggiato sul braccio che portava al collo, e sparò senza nemmeno accostare il calcio alla spalla. La pallottola colpì al gomito la donna galla col coltello in mano, e il braccio scattò disarticolato all'indietro, come una frusta. Il coltellino d'argento le sfuggl di mano e la denna si abbatté strillando nel fango ai piedi di Vicky. La seconda donna si girò di scatto e levò la destra all'indietro, come una vipera in procinto di colpire, puntando la lama del pugnale in direzione del ventre di Vicky. Mentre stava per vibrare il colpo che avrebbe immerso tutta la lama nel corpo di Vicky, Gareth spostò la canna del fucile di una frazione di decimetro e fece fuoco un'altra volta. La greve palla colpì la donna esattamente al centro della fronte. Un buco nero vi fiorl come una terza orbita vuota, e la testa schizzò all'indietro come investita da un violentissimo urto. Mentre la donna cadeva, Gareth spostò di nuovo la canna del fucile di pochi centimetri. Ras nullah si stava dibattendo sui cuscini, cercando disperatamente di -alzarsiAveva la bocca spalancata e un grido strozzato gli gorgogliava in gola, dov'era puntata la canna del fucile di Gareth, che sparò nella profonda cavità rosea. La pallottola gli fracassò gli incisivi superiori, gli penetrò in gola e gli usci dietro il collo. Il ras crollò a gambe all'aria, contorcendosi come una rana galvanizzata. Gareth lo scavalcò e saltò agilmente giù dalla veranda. In cortile un galla gli corse incontro con lo spadone levato. Gareth sparò ancora senza alzare il fucile, scavalcò anche il suo corpo e raggiunse Vicky proprio mentre Jake Barton si fermava sbandando vicino a loro e saltava giù dal vano del conducente con un pugnale harari in mano. Dalla torretta, sopra di loro, Sara frattanto sparava lunghe rafffiche di mitragliatrice nel folto dei galla, investendoli di piombo per tutto l'arco di quaranta gradi concesso dalla manovrabilità dell'arma. La folla atterrita si disperse in tutte le direzioni. Jake tagliò le corregge che tenevano appesa Vicky e la ragazza gli cadde tra le braccia. Gareth si chinò a raccogliere i vestiti tagliati dal fango e se li ficcò sotto l'ascella del braccio ferito. Non sarà tempo di andarsene ora, vecchio? domandò affabilmente a Jake. Credo che il divertimento sia finito. Quindi sollevarono Vicky e la caricarono sull'autoblindo. I tamburi destarono il conte Aldo Belli da un sonno turbato da brutti sogni. Si rizzò a sedere di scatto sulla branda, cercando freneticamente la pistola. Gino! gridò. Gino! Non ci fu risposta. Solo quel terribile ritmo nella notte, che gli risuonava in testa a tal punto da fargli temere di diventare matto. Cercò di tapparsi le orecchie con le mani, ma il rumore penetrava ugualmente, come un pulsare gigantesco, il batticuore di quella terra selvaggia e crudele. Non ne poteva più. Strisciò nelle viscere del carro armato, raggiunse il portello posteriore e si affacciò con prudenza. Gino! Stavolta ottenne subito risposta. La testa del piccolo sergente spuntò fuori dal viluppo di coperte che aveva sistemato sotto il carro, fra i cingoli. Il conte sentì benissimo che
batteva i denti come una macchina per scrivere. Manda l'autista a chiamare immediatamente il maggiore Castellani. Subito. La testa di Gino sparì, e qualche momento dopo ricomparve cosi bruscamente che il colonnello gli puntò la pistola in mezzo agli occhi. Eccellenza. . . squittì Gino. Idiota! strillò il conte, con la voce roca dal terrore. Potevo ammazzarti! Non sai che ho dei riflessi da leopardo? Eccellenza, posso entrare nel carro? Aldo Belli ci pensò un momento, poi volle godere il piacere perverso di rifiutare. Fammi un caffé , ordinò. Ma, quando questo arrivò, egli scopri che l'incessante rullo dei tamburi gli aveva scosso i nervi al punto che non riusciva a regger la tazzina, la quale gli sbatacchiava irrefrenabilmente contro i denti. è piscia di capra! berciò il conte, sperando che Gino non avesse notato la sua mano malferma. Vuoi avvelenarmi , accusò, gettando lontano il liquido fumante. In quella, comparve la massiccia figura del maggiore, sbucato di colpo dal buio della gola. Gli uomini sono attestati, colonnello , disse. Tra un quarto d'ora sarà abbastanza chiaro da. . . Bene, bene , tagliò corto il conte. Ho deciso di tornare immediatamente alla base. Il generale Badoglio si attenderà che io. . . Eccellente, colonnello , interruppe a propria volta il maggiore. Le spie mi hanno informato che numerose e agguerrite bande nemiche si sono infiltrate dietro le nostre linee, con l'intento di attaccarci alle retrovie. Vi sono buone possibilità che voi le possiate incontrare e sgominare. Ormai Castellani conosceva benissimo il suo uomo. Tuttavia non sarà molto facile, con la limitata scorta che vi si potrà assegnare. D'altronde , replicò il conte in tono svagato, il mio cuore sta qui coi miei ragazzi, e mi domando se per un guerriero non venga il momento di seguire il proprio cuore e non la propria mente, prima o poi. Ve lo dico subito, Castellani, il mio sangue ardente anela a battersi. Certo, colonnello. Muoverò immediatamente all'assalto , annunciò Aldo Belli, guardando ansiosamente nelle buie profondità della gola. Già aveva deciso di piazzare il carro armato del comando nel centro della colonna corazzata, si che fosse protetto davanti e di dietro. Il rullo di tamburi continuava, tormentandolo incessantemente, fino a fargli venir voglia di mettersi a urlare. Sembrava emanare dal suolo stesso, dal declivio roccioso che gli incombeva sopra la testa: rimbalzava da un lato all'altro della stretta gola scagliandosi su di lui come un gigantesco martello sonoro. A un tratto il conte si rese conto che l'oscurità si dissolveva. Distingueva ora il tronco di un cedro abbattuto in quella che, fino a poco prima, era un'ombra confusa. L'albero sembrava un mostro orribile, e in fretta il conte ne distolse gli occhi e guardò un po' più su. Tra le montagne la stretta striscia di cielo era rosa-chiaro sopra le masse nere delle vette. Abbassò di nuovo lo sguardo. Le tenebre si stavano ritirando e l'alba sorgeva con la drammatica rapidità tutta africana. Quindi il rullo dei tamburi cessò. Smisero così bruscamente da sgomentare: fino a un attimo prima il frastuono di un oceano in tempesta, e ora la quiete perfetta di un'alba sulle montagne d'Africa. In preda a shock Aldo Belli si mise a guardare, trasfigurato, sbattendo gli occhi come un gufo, le pendici dei monti incombenti. Si udiva un altro rumore adesso, un suono sottile e alto come un battito d'ali d'uccelli notturni. Era una specie di ululato, continuo e suggestivo, che andava e veniva, talché gli ci vollero parecchi secondi per rendersi conto che si trattava dell'urlo di centinaia di voci umane. All'improvviso sobbalzò, e il mento gli si alzò di scatto. Santa Maria, madre di Dio , sussurrò guardando verso l'alto. Gli parve che la roccia gli crollasse addosso come un'immensa e rapida valanga nera, e l'urlo
aumentò di volume, divenendo ben presto un selvaggio e incessante boato. In fretta la luce aumentava e il conte si accorse che si trattava di una marea di nemici che si scagliavano a fiumi su di loro dalle trincee sovrastanti. Prega per noi peccatori , sospirò il conte, facendo rapidamente il segno della croce. In quella udi la voce di Castel lani, tonante come il muggito di un toro selvaggio, rimbombare nelle oscurate posizioni italiane. Istantaneamente le mitragliatrici aprirono il fuoco, tutte insieme, soverchiando ogni altro rumore. La marea di umanità sembrò fermarsi; come un'onda su uno scoglio, si infranse contro il fuoco delle mitragliatrici italiane, e prese a vorticare e a mulinare sulla barriera crescente dei corpi dei caduti. Adesso c'era più luce, abbastanza luce perché il conte vedesse chiaramente i vuoti aperti dalle mitragliatrici nella fitta massa dei guerrieri harari all'assalto. Cadevano a file, l'uno sull'altro, mentre le mitragliatrici spaziavano da una parte all'altra del fronte d'attacco. I cadaveri dei guerrieri si ammonticchiavano davanti alle posizioni italiane al punto che i sopravvissuti, per assaltarle, dovevano arrampicarsi sulle pile dei loro morti, finché alla raffica successiva anch'essi cadevano alla sommità del cumulo. Il terrore del conte fu dimenticato grazie al fascino di tale spettacolo. Le figure che si rovesciavano di corsa dalle pendici della stretta gola sembravano infinite, come le formiche che escono da un formicaio semidistrutto. Sembravano campi di grano semoventi, che le mitragliatrici falciavano una fila dopo l'altra e ammonticchiavano in grandi covoni. Tuttavia qua e là alcune della figure che correvano non cadevano falciate e raggiungevano il filo spinato fatto posare da Castellani. Lo abbattevano a colpi di spadone e lo superavano. Di coloro che riuscivano a superare il filo spinato, la maggior parte morivano sull'orlo delle trincee italiane, colpiti da fucilate a bruciapelo. Ma pochi, pochissimi riuscivano ad andare oltre. Un gruppo di tre saltarono i cavalli di Frisia in un punto dove vi si erano impigliati due cadaveri di Etiopi, e l'abbatterono creando una breccia per quelli che seguivano. Erano guidati da un'alta figura scheletrica in uno sciamma candido e svolazzante. Era un guerriero calvo, con la testa nera e lustra come una palla di cannone. In mezzo al suo volto luccicante di sudore spiccava una dentatura candida e perfetta. Portava soltanto una spada, lunga come due braccia aperte e larga di lama come un palmo di mano: la mulinava senza sforzo apparente sopra la testa e saltellava scendendo da quelle balze dirute con l'agilità di una capra. I due guerrieri che lo seguivano portavano vecchi fucili Martini-Henry, coi quali sparavano, ad altezza d'anca, nel correre giù dalle trincee. Ogni colpo eruttava un lungo fiotto di fumo azzurrino, fumo di polvere nera, mentre il loro capo mulinava lo spadone sopra la testa emettendo un agghiacciante urlo di guerra. Una mitragliatrice prese di mira il gruppetto e una breve raffica falciò due dei guerrieri. . . ma il capo, altissimo, continuò a correre verso le trincee italiane di gran carriera. Il conte, che sbirciava dalla torretta del carro armato, era così sbalordito della foga dell'attaccante da dimenticare per un attimo la sua stessa paura. Dal carro armato piazzato accanto al suo partì una rafffica di mitragliatrice, e stavolta l'alta figura avvolta nello sciamma candido fu colpita e barcollò. Aldo Belli vide le pallottole raggiungere il bersaglio, alzando nuvolette di polvere dagli indumenti del. guerriero e creando macchie di sangue sullo sciamma candido all'altezza del torace. Tuttavia, egli continuò a correre lanciando il proprio urlo di guerra, e scavalcò d'un balzo la trincea italiana, puntando dritto verso la fila di carri armati. Sembrava aver scelto, quale avversario particolare, proprio il conte. La sua carica
pareva diretta solo contro di lui, ed ecco che a un tratto egli fu vicino, molto vicino. Stando nella torretta, affascinato, Aldo Belli vide chiaramente i suoi occhi sbarrati nella faccia rugosa, e si accorse dell'incongruenza di quei denti perfetti in un uomo di quell'età. Il petto era tutto macchiato di sangue, ma lo spadone impugnato a due mani continuava a volteggiare sibilando nell'aria, e il sole scintillava sulla lama emanando lampi di luce. La mitragliatrice si fece sentire un'altra volta e il corpo del guerriero parve cadere a pezzi. Il conte vide lembi di sciamma e di carne schizzar via dal guerriero come una nuvola rossa; pure, incredibilmente, egli continuò ad avanzare, barcollando e trascinandosi dietro lo spadone. Con l'ultima rafffica che lo colpì, la spada gli volò di mano. rl vecchio cadde in ginocchio, ma continuò ad avanzare strisciando. Adesso anch'egli aveva visto il conte, e i suoi occhi erano puntati in quelli dell'uomo bianco. Cercò di gridare qualcosa, ma l'urlo fu soffocato da uno sbocco di sangue che improvvisamente gli uscì dalle labbra invece dei suoni. La figura mutila e strisciante raggiunse la corazza del carro armato fermo, e le armi italiane tacquero, come sbigottite da quella tenacia sovrumana. Laboriosamente il guerriero moribondo rizzò il proprio corpo devastato verso il colonnello, guardandolo con un'ira terribile, e il conte pasticciò nervosamente col calcio d'avorio della sua Beretta istoriata, cercando di infilare un caricatore nuovo nell'arma. Fermatelo, imbecilli! gridò. Uccidetelo! Non lasciatelo salire! Ma le armi tacevano. Con le mani che tremavano, il conte inserì il caricatore e alzò la pistola. Da una distanza di due metri e mezzo la puntò contro l'etiope che si arrampicava penosamente sul carro. In fretta scaricò il caricatore della Beretta contro lo strenuo assalitore. La serie di colpi frenetici echeggiò in rapida successione nell'improvviso silenzio che era calato sul campo di battaglia. Un proiettile colpì il guerriero nel centro della fronte lucida di sudore, creando un buchetto rotondo e nero in mezzo alla carne mora. L'uomo barcollò all'indietro e cadde giù dal carro, pervenendo infine al riposo. Atterrato sulla sch;ena, guardava con ciechi occhi sbarrati il cielo sempre più chiaro. Dalle labbra gli scivolò fuori la dentiera. La bocca ebbe un collasso verso l'interno. Il conte stava ancora tremando come una foglia. Ma subito una diversa emozione si impadronì di lui, con sua stessa sorpresa. Era un senso di coinvolgimento emozionale, quasi una pretesa di proprietà nei confronti dell'uomo che aveva ucciso. Voleva prendersene qualcosa, una specie di trofeo della propria impresa. Magari lo scaipo, oppure l'intera testa, da far imbalsamare per ricordare per sempre quel momento; ma, prima che riuscisse a muoversi, si udirono trilli di fischietto e una tromba cominciò affannosamente a suonare la carica. Sul pendio davanti alle camicie nere, solo i morti le aspettavano, a mucchi, mentre i pochissimi sopravvissuti all'assalto suicida scomparivano come fumo dietro le rocce. La strada di Sardi era aperta. Da quel duro professionista che era, Luigi Castellani colse l'occasione. Mentre la tromba squillava chiamando i fanti all'attacco, costoro si slanciarono in avanti, e anche la colonna di carri armati si mise in moto su per la salita. Il cadavere del vecchio guerriero harari giaceva proprio davanti al primo dei carri. I cingoli lo schiacciarono, passando sul terreno roccioso, come uno scoiattolo su qualche strada di campagna, mentre trasportavano il colonnello conte Aldo Belli trionfante su per la Gola di Sardi, verso la città e l'incrocio con la strada di Dessié. Davanti al muro di massi che ostruiva lo sbocco della gola nella conca di Sardi, la colonna di carri armati dovette fermarsi, proprio sull'orlo del valico. Quando la fanteria italiana, che era avanzata fin lì al
riparo dei carri armati, sciamò allo scoperto per minare l'ostacolo, incontrò un'altra ondata di difensori etiopici fino ad allora nascosti dietro il muro di massi. In un attimo si creò una mischia tale che l'artiglieria e le mitragliatrici italiane non poterono intervenire per paura di colpire i loro. Tre volte quel mattino la fanteria fu ricacciata dal muro, e il pesante bombardamento d'artiglieria a cui esso fu sottoposto non scalfì nemmeno i grandi massi di granito. Quando arrivarono i carri armati, sferragliando sui cingoli, alla ricerca di un pertugio, non ne trovarono. Fra le scintille, cercarono di salire sul bastione di rocce, ma era impossibile condurre le pesanti masse d'acciaio su una tale pendenza. Ci fu quindi una pausa di quasi mezz'ora. Gareth e Jake, a spalla a spalla, attendevano di là dal muro, appoggiati a uno dei grossi macigni di granito. Entrambi scrutavano il cielo, e fu Jake a rompere il silenzio. è azzurro. Una coltre di nubi mulinava ancora, protettiva, sulle vette, ma stava per essere dissipata dalla brezza secca del deserto. Un raggio di sole brillante penetrò nella valle, e un vivido arcobaleno sorse da una montagna all'altra. Che bello , mormorò piano Gareth, guardando in su. Jake tirò fuori l'orologio e lo consultò. Le undici e sette minuti. Si guardò le mani. Da un momento all'altro li avvertiranno per radio che c'è una schiarita. Saranno già sugli apparecchi, impazienti di venirci a bombardare. Rimise l'orologio in tasca. Fra trentacinque minuti saranno qui. Gareth si raddrizzò, allontanandosi dagli occhi il ciuffo biondo. Conosco uno che non sarà qui quando arriveranno. Diciamo pure due , corresse Jake. finita, vecchio mio. Abbiamo fatto la nostra parte. Il vecchio Lij Mikhael non starà a sottilizzare su un paio di minuti in più o in meno. E questi poveri diavoli? Jake indicò le poche centinaia di harari che si acquattavano con loro dietro il bastione roccioso: tutto ciò che rimaneva dell'armata di ras Golam. Appena si sentiranno arrivare i bombardieri, potranno squagliarsela. Via sulle montagne, come una muta di levrieri dietro. . . . . . una cagna in calore , finì Jake per lui, e sogghignò. Precisamente. Qualcuno dovrà spiegarlo loro. Vado a prendere la giovane Sara; sarà lei a dirlo loro. E strisciò via, al riparo del muro di massi. Cecchini italiani avevano preso posizione sulle alture sovrastanti. Priscilla la Troia era parcheggiata a un trecento metri, in un boschetto di cedri di fianco alla strada. Gareth si accorse immediatamente che Vicky era uscita dallo shock sopravvenuto in lei all'atto della sua liberazione. I suoi vestiti erano a brandelli, sporchi di fango e macchiati di sangue in corrispondenza del lungo taglio che le avevano inferto tra il seno. Stava aiutando Sara a curare il ragazzo che giaceva sul fondo dell'autoblindo, e alzò lo sguardo su di lui con nuova sicurezza e decisione. Come sta? chiese Gareth, affacciandosi ai portelloni posteriori. Il ragazzo aveva ricevuto due ferite, ed era stato riportato indietro dal luogo del massacro da due fedeli sudditi della tribù. Guarirà benissimo, credo , disse Vicky. Gregorius aprì gli occhi e sussurrò: Sì, guarirò . Non te lo meriteresti , grugnì Gareth. Ti avevo dato un incarico militare, non ti avevo detto di suicidarti. Maggiore Swales! esclamò Sara alzando gli occhi. protettivi come quelli di una madre, dal ferito. stato il più eroico. . . Meglio perderli che trovarli, gli eroi e gli onesti , berciò Gareth. Sono quelli che provocano tutti i guai del mondo. E, prima che Sara potesse ribattere, proseguì: Vieni con me, mia cara. Ho bisogno di un'interprete . Con riluttanza ella abbandonò Gregorius e scese dalla macchina. Vicky la seguì, e si fermò accanto a Gareth di fianco all'autoblindo. Stai bene? gli domandò. Mai stato meglio , le assicurò lui. Ma ora, per la prima volta, ella notò il
colorito innaturale delle sue guance e il brillio febbrile dei suoi occhi. Tese la mano in fretta e, prima che potesse impedirglielo, gli afferrò il polso ferito. Il braccio di Gareth era gonfio come un pallone, e aveva assunto un colorito malsano tra il purpureo e il verdastro. Si chinò ad annusare gli stracci luridi che lo ricoprivano ed ebbe un accenno di vomito per il puzzo dolciastro di putrefazione. Allarmata, levò la mano a toccargli la guancia. Gareth, scotti come una fornace! è la passione, bella mia. Il tocco della tua mano liliale. . . Fa' vedere il braccio , gli intimò. Meglio di no. Le sorrise, ma ella colse la sfumatura d'acciaio della sua voce. Lasciamo dormire il can. che dorme, ti pare? Non ci si può far nulla finché non si torna nella civiltà. Gareth. . . E allora, mia cara, ordinerò una gran bottiglia di champagne, e manderò a chiamare il pastore. Gareth, sii serio. Lo sono. Gareth le sfiorò la guancia con le dita della mano illesa. Era una proposta di matrimonio , disse, mentre Vicky sentiva le sue dita scottanti per la febbre. Oh Gareth! Gareth! Debbo arguire che è no; grazie. Ella annuì in silenzio, incapace di parlare. Jake? domandò lui, ed ella annuì un'altra volta. Oh be', potevi scegliere meglio. Me, ad esempio , e sogghignò, ma negli occhi gli si leggeva il dolore, acuto e piofondo, assieme alla febbre. D'altronde, potevi anche cascare molto peggio. Si rivolse di colpo a Sara, prendendola per il braccio. Vieni con me, mia cara . Poi a Vicky: Torneremo appena sentiremo arrivare i bombardieri. Preparati a tagliare la corda . E dove? gli gridò dietro lei. Non lo so , sogghignò Gareth. Ma cercheremo di farci venire in mente qualche bel posticino. Fu Jake a sentirli per primo, così lontani che sembravano calabroni in una giornata afosa. Subito il ronzio sparì di nuovo, schermato dalle montagne. Arrivano , disse e quasi immediatamente, come a conferma delle sue parole, un fumogeno cadde ai piedi del baluardo di massi, sparato dalla batteria italiana due chilometri più giù nella gola. Il fumo giallo formò una spessa colonna nell'aria ferma e assolata. Muovetevi! gridò Gareth, e con il fischietto d'argento emise brevi trilli acuti di comando. Quando giunsero dall'altra parte del baluardo di pietra, dopo essersi accertati che tutti gli harari avessero capito e si disperdessero nella vallata di Sardi per la foresta di cedri, il rumore degli apparecchi che si avvicinavano era già diventato molto più forte. Andiamo via! gridò Jake preoccupato, prendendo Gareth per il braccio buono. Si girarono e corsero verso il declivio che conduceva al valico. Quando lo raggiunsero, Jake si voltò a guardare. Il primo gigantesco bombardiere si presentò dall'imbocco della gola, e sembrò oscurare il cielo con le sue enormi ali nere. Sganciò due bombe: la prima troppo corta, la seconda a segno. L'esplosione li scagliò per terra entrambi. Quando Jake alzò di nuovo la testa, vide tra il fumo e la polvere che nel bastione si era aperta una breccia. Adesso la festa è finita sul serio , disse, aiutando Gareth a sollevarsi. Dove andiamo? gridò Vicky dall'abitacolo dell'autoblindo, ma né Gareth dalla torretta né Jake dal vano del guidatore le risposero. Andiamo verso Dessié , disse Sara, seduta a gambe incrociate sul pavimento dell'autoblindo, con la testa di Gregorius in grembo. Possiamo bene aprirci la strada con la mitragliatrice fra quei vigliacchi dei galla. Non abbiamo abbastanza benzina, nel serbatoio ce n'è al massimo per dieci chilometri. La cosa migliore è portarsi ai piedi dell'Amba Sacal , suggerì Gareth indicando la montagna che torreggiava svettando nel cielo meridionale. Lasciar lì la macchina e cercar di valicare la montagna a piedi. Vicky strisciò nella torretta accanto a lui, e si sporse a guardare. Insieme contemplarono le ripide pendici dell'Amba. E
Gregorius? domandò la ragazza. Dovremo portarlo in spalla. Non ce la faremo mai. Le montagne brulicano di galla. Hai forse un'idea migliore? chiese Gareth, e Vicky si guardò disperatamente in giro. Priscilla la Troia era l'unica cosa che si muoveva nella conca di Sardi. Gli harari erano spariti sulle pendici rocciose delle montagne, e dietro di loro i carri armati italiani non erano ancora riusciti a scollinare. Alzò di nuovo gli occhi al cielo, dove solo qualche lembo di nuvole ancora aderiva ai picchi, e all'improvviso il suo umore cambiò totalmente. Alzò il mento e nuovo colore le si dipinse sulle guance, mentre agitava freneticamente la mano indicando il cielo fra due vette. Sì! gridò. Si che ho un'idea migliore! Guardate là, guardate là! Il piccolo aereo azzurro fu illuminato dal sole, mentre virava tra i picchi granitici nella conca, e brillò traslucido come uno scarabeo in volo. italiano? Gareth alzò gli occhi a guardarlo. Macché! gridò Vicky scuotendo la testa. è l'aereo di Lij Mikhael, lo riconosco! è venuto a prendere il principe l'al tra volta! Rideva quasi istericamente, con gli occhi lucidi di piacere. Ecco cosa mi stava dicendo al telefono quando è saltata la comunicazione! Dove atterra? domandò Gareth, e Vicky scese nell'abitacolo per indicare a Jake la strada per il campo di polo, oltre la città bruciata che ancora fumava. Ed eccoli tutti col naso in su, tranne Gregorius, a guardare l'aeroplanino che roteava sopra il campo di polo, al limitare del quale Jake aveva fermato l'autoblindo. Cosa diavolo fa? domandò ~arrabbiato Jake. Prima che si decida arriveranno gli italiani! è nervoso , indovinò Gareth. Non sa cosa diavolo è successo quaggiù. Da dove si trova vede che la città è stata di strutta, e magari vede anche i carri armati e i camion che dicerto stanno venendo su per la strada della gola. Vicky li abbandonò e corse indietro alla macchina, montò sulla torretta e si mise a sventolàre le braccia. Al giro successivo, il piccolo Puss Moth azzurro si abbassò a tal punto che scorsero la faccia del pilota che si voltava a guardarli dal finestrino. Eseguì una stretta virata sopra la città fumante, puntandole contro verticalmente un'ala, e tornò verso di loro, stavolta a un'altezza di soli tre metri. Il giovane fissava Vicky. Con un tuffo al cuore ella riconobbe lo stesso pilota che era venuto a prendere Lij Mikhael. Anch'egli la riconobbe nel medesimo istante, e Vicky lo vide sorridere e salutarla con una mano mentre sfrecciava via. Al giro successivo era allineato al campo. Atterrò e si portò vìcino a loro con l'aereo. Quando si fermò, il gruppetto si affollò intorno all'abitaco]o. Il vento dell'elica li sferzava con violenza. Il pilota aprì il finestrino e gridò sopra il rombo del motore: Posso caricarne due grossi oppure tre piccoli . Jake e Gareth si scambiarono un solo rapido sguardo. Poi Jake aprì la porta dell'abitacolo e insieme stiparono le ragazze nello scarso spazio a bordo dell'aereo. Aspetta un momento , gridò Gareth nell'orecchio del pilota. Ce n'è un altro leggero. Trasportarono Gregorius con la massima delicatezza consentita dalla fretta che avevano. Il pilota stava già girando l'aereo controvento e lo rincorsero impacciati, sollevando il corpo del ragazzo nella porta aperta dell'abitacolo in movimento. Jake. . . gridò Vicky, con occhi sbarrati per il dolore. Non preoccuparti , urlò di rimando Jake, spingendo Gre gorius in grembo alle ragazze. Ce la caveremo. Basta che ti ricordi che ti amo. Anch'io ti amo gridò ancora Vicky con gli occhi pieni di lacrime. Oh Jake. . . Ma lui stava già cercando di chiudere la porta della cabina correndo assieme all'aereo che stava prendendo velocità per il decollo: un piede di Gregorius la teneva aperta. Jake si abbassò per spostarlo, e una fucilata gli passò sopra la testa, andando a forare la fusoliera di tela. Alzò
lo sguardo in tempo per vedere il colpo successivo infrangere il finestrino e colpire alla tempia il giovane pilota, che morì sul colpo-rovesciandosi di lato sul sedile, trattenuto soltanto dalla cintura di sicurezza. L'aereo, senza più controllo, curvò. Jake vide Vicky chinarsi sui comandi e togliere gas, mentre egli già tornava indietro di corsa con Gareth verso Priscilla la Troia. Altre fucilate alzarono polvere ai piedi dei due che correvano. Dove sono? gridò a Gareth. Sulla sinistra. Jake voltò la testa e vide gli italiani nella macchia di cespugli a centocinquanta metri di distanza, sul ciglio del campo di polo. Dietro di loro era parcheggiato il camion che li aveva portati fin lì precedendo i carri armati. Il motore di Priscilla era ancora acceso e Jake la lanciò contro i cecchini italiani acquattati tra i cespugli. Sopra di lui Gareth azionava la Vickers. Gli italiani si alzarono in piedi e schizzarono via come conigli. Una veloce passata li disperse e una raffica di mitragliatrice nel serbatoio fece incendiare il camion con un sordo boato. Poi Jake diresse l'autoblindo verso l'aeroplanino azzurro fermo sul bordo del campo di polo. Parcheggiò l'autoblindo in modo da ripararlo dalla fucileria nemica. Sara e Vicky avevano scaricato il cadavere del pilota. Era un uomo grande e grosso, con le spalle ampie e la pancia del bevitore. Dal foro nella tempia usciva un rivolo di sangue che si perdeva nell'erba del campo di polo, sotto l'ala dell'aereo. Vicky lo lasciò e si arrampicò sull'aereo, mettendosi alla cloche. Gesù! esclamò Jake, illuminandosi tutto per il sollievo. Mi aveva detto che sapevà pilotare! Un pallottola di fucile cozzò contro la blindatura di Priscilla e rimbalzò miagolando alto sopra le loro teste. Gareth guardò il corpo del pilota morto. Povero bestione. C'è posto per un'altra persona adesso , gridò Vicky dai comandi. Con tutti e due a bordo non riuscirei mai a superare i monti. Entrambi videro la tortura che le costavano quelle parole. Posso caricarne soltanto uno. Testa o croce? chiese Gareth, già corì il tallero d'argento di Maria Teresa in mano, ghignando a Jake. Testa , rispose Jake, mentre la moneta d'argento volava brillando al sole e Gareth la prendeva al volo con la mano illesa e controllava il risultato. Doveva venire il tuo turno, prima o poi. Gareth sogghignò con un'angolo della bocca. Bel colpo, vecchio. Accomodati. Ma Jake gli prese il polso e guardò la moneta. Croce berciò. Ho sempre saputo che sei un baro, brutto bastardo e, rivolto a Vicky: Vi coprirò il decollo, tenendo il più possibile Priscilla fra voi e gli italiani . Dietro di lui, Gareth si chinò a raccogliere una pietra grossa come un uovo d'oca. Scusami caro , mormorò, ma te ne debbo già due. Con una certa tenerezza colpì Jake sopra l'orecchio destro con il sasso nella coppa della mano, poi lasciò cadere la pietra mentre Jake stramazzava. Lo prese al volo sotto le ascelle e con un'abile ginocchiata nel sedere lo scaraventò, privo di sensi, nella già affollata cabina. Quindi chiuse la porta con l'apposita leva. Il fuoco di fucileria si abbatteva violento sulla corazza di Priscilla. Gareth cercò nella tasca interna ed estrasse il portafoglio di cinghiale. Attraverso il finestrino lo lanciò in grembo a Vicky, seduta ai comandi. Di' a Jake di incassare lui l'assegno del Lij, se il 1 febbraio non sarò là. Bevetevi una bottiglia di champagne alla mia salute, e, mentre bevi, ricorda che ti ho amato davvero. Prima che lei potesse rispondergli, si voltò, corse alla macchina e saltò al volante di Priscilla. A fianco a fianco, come due bovi aggiogati, l'autoblindo e l'aeroplanino azzurro sfilarono per il campo aperto, mentre il fuoco italiano si abbatteva senza danni sulla corazza d'acciaio del veicolo a quattro ruote. Poi pian piano l'aeroplanino sovraccarico cominciò a guadagnare terreno: a quel
punto era fuori portata dei fucili. Quando Vicky sentì il Puss Moth smettere di sobbalzare sul terreno ineguale, come tornando alla vita col carrello che non toccava più terra, si guardò rapidamente alle spalle. Gareth si sporgeva dall'abitacolo sventolando il braccio bendato in segno di saluto. Stava gridando qualcosa, perché intravide le sue labbra muoversi. Non udì le parole, ma gliele lesse sulle labbra. Noli illegitimi carborundum , dopo di che vide il lampo del vecchio sogghigno da pirata. Poi l'aereo si alzò e dovette dedicare tutta la sua attenzione al pilotaggio. Gareth fermò Priscilla al limitare del campo di polo e, in piedi, affacciato al portello, schermandosi gli occhi con la mano illesa, rimase a guardare l'aeroplanino azzurro prendere faticosamente quota nella sottile aria di montagna. Ancora una volta scintillò al sole, mentre eseguiva un'incerta virata verso il varco tra le montagne, dove il valico conduceva sull'altopiano. Tutta la sua attenzione era concentrata su quella tremolante macchiolina azzurra, sicché non vide nemmeno i tre carri armati CV 3 affacciarsi dalla strada principale di Sardi, a quattrocento metri di distanza. Stava ancora guardando in su quando i carri si fermarono e, ruotando dolcemente la torretta, gli puntarono contro la lunga canna degli Spandau. Non udì neppure la cannonata, perché il proiettile giunse a segno molto prima del rumore. Udi invece il tremendo impatto della granata su Priscilla, e immediatamente dopo la grossa esplosione che lo scaraventò fuori dell'abitacolo. Disteso a terra accanto all'autoblindo distrutta, tastò in basso con la mano buona, perché gli sembrava che qualcosa non andasse all'altezza del ventre. Dunque tastò, e non avverti nulla, solo un grosso buco in cui la sua mano penetrò come nella polpa tiepida e molle di un frutto marcio. Cercò di tirar via la mano, ma non riuscì a muoverla. Non controllava più i muscoli e tutto stava diventando buio. Cercò di aprire gli occhi, ma si accorse di averli spalancati e di fissare il cielo alto e chiaro. L'oscurità era nella sua testa; e, in tutto il suo corpo, il gelo. Nel buio e nel gelo udi una voce che diceva in italiano: morto . E, con una certa sorpresa, gli venne fatto di pensare: Si, sono morto. Stavolta sono proprio morto . Cercò di sogghignare, ma le labbra non si mossero; così continuò a fissare il cielo coi suoi pallidi occhi azzurri. morto , ripeté Gino. Sei sicuro? domandò il conte Aldo Belli dalla torretta del carro armato. Si che sono sicuro. Goffamente il conte scese giù dal carro. Hai ragione , concordò esaminando l'uomo. è davvero morto. Dopo di che si raddrizzò e tirò il petto in fuori. Gino , ordinò. Fammi una foto davanti al cadavere del mercenario inglese. E Gino fece qualche passo indietro, puntando la grossa macchina fotografica nera. ~Su un po' il mento, signor colonnello , istruì. Vicky Camberwell'imbroccò il valico e lo sorvolò da un'altezza di soli sessanta metri. L'aeroplanino sovraccarico era molto vicino al proprio limite massimo. Sotto di lei l'altopiano etiopico si stendeva a sud fino ad Addis Abeba. Vide la strada di Dessié che lo tagliava, nera, fangosa e deserta. L'esercito etiopico era già passato. Il pesce era sfuggito fra le maglie della rete: ma questo pensiero non le dava alcun piacere. Si voltò per lanciare un'occhiata indietro, al lungo e buio budello della Gola di Sardi. In cascate d'argento e cateratte fangose, l'acqua piovuta fino a poco prima turbinava a valle dai dirupi. Sembrava così che piangessero anche le montagne. Si sistemò meglio sul sedile, levò una mano dalla cloche e se la passò sul volto. Non stupì affatto di sentirlo scivoloso e bagnato di lacrime. fine