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Livio Sichirollo
La dialettica
ISEDI Istituto Edito~iale Internazionale
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Prima edizione, maggio 1973. Prima ristampa, gennaio 1977. Copyright @ 1973 by ISEDI, Istituto Editoriale Internazionale Via Paleocapa, 6 - 20121 Milano (Italia). :B vietata la riproduzione, totale o parziale, della presente opera, con qualsiasi mezzo, compreso le copie fotostatiche e i microfilm. I relativi diritti sono riservati per tutti i Paesi. Stampato in Italia - Printed in ltaly.
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Indice
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Introduzione l. Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria 1.1. Premessa 1.2. Il verbo ~taÀÉyetv, ~taMye0'3at 1.3. Il sostantivo ì..6yoç 1.4. Un'interpretazione di Seno/onte· 1.5. Esempi di ~taÀÉyea3m in Omero, Erodoto e nell'uso attico
2. Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate 2.1. Oratoria e sofistica 2.2. Dialogo e dialettica. Il punto di vista di Aristotele 2.3. Dialettica e filosofia. lppia e Platone 2.4. Protagora e Gorgia. La dialettica nelle contraddizioni della retorica 2.5. L'esperienza socratica 3. Dìalogo, dialettica e filosofia in Platone 3.1. Premessa 3.2. Dialogo e dialettica 3.3. La dialettica come problema 3.4. La dialettica come "metodo " e come " scienza " (la Repubblica) 3.5. Dialettica e politica dopo la Repubblica
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4. Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele 4.1. Filosofia e coscienza comune: si}uazione della filosofia aristotelica 4.2. La " storia della dialettica " secondo Aristotele 4.3. Il rapporto sofistica, dialettica e filosofia (Retorica e Metafisica) 4.4. Dialettica e antologia (Topici) 4.5. Dialettica, storia, politica 5. Morte e trasfigurazione della dialettica antica. Dagli Stoici all'età moderna 5.1. Dialettica soggettiva e dialettica oggettiva 5.2. Qualche considerazione sulla " dialettica " degli Stoici 5.3. La dialettica, ·ula parte più nobile della filosofia " secondo Piotino 5.4. Figure, problemi e metodi della dialettica nel Medioevo. Gli intellettuali e il mondo delle città 5.5. Fiore e scorpione, scettro e serpente: la dialettica nell'iconografia 5.6. Fede e sapere 5.7. u Ars sermocinalis ": le Università e la Scolastica 5.8. La società civile e la dialettica delle cose. <·La ricchezza è potere " 6. Kant. La finitezza dell'uomo e l' "inevitabile " dialettica della ragione 6.1. Premessa. Kant e la tradizione 6.2. Analitica e dialettica 6.3. La dialettica come logica ·dell'apparenza. La finitezza dell'uomo e l'illusione trascendentale
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6.4. /ntellett() e ragione, fenomeni e noumeni 6.5. L'oggettività della contraddizione e l'inevitabile dialettica della ragione 6.6. La dialettica tra l'essere finito dell'uomo e la sua libertà 7. Da Kant a Hegel : ragione, storia, dialettica 7.l. Il dibattito sulla dialettica trascendentale kantiana 7.2. Fichte e Schelling oltre e contro Kant 7.3. Hegel contro Schelling. L'assoluto - realtà e ragione - come storia 7.4. La dialettica non è un metodo 7.5. Dialettica è la realtà effettuale, la storia 7.6. Il "mondo rovesciato" dell'uomo comune 7.7. Il razionale è reale, il reale razionale. "La dialettica non è semplice vanità o smania soggettiva " 8. Marx e Engels. La dialettica realizzata e la fine della dialettica 8.1. Il rapporto Hegel-Marx e la dialettica: uno pseudoproblema filosofico 8.2. Eric W eil: Marx e la Filosofia del diritto 8.3. Intermezzo dialettico con Marx e contro Marx 8.4. Storia, " blocco storico " e ideologia in Gramsci
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Epilogo
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Guida bibliografica
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a Eric Weil
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Introduzione
" Un grande dibattito ebbe luogo in terra greca, un dibattito determinante la direzione dell'intera storia del pensiero che più non si muove lontano dal cammino dell'uomo (Parmenidc, fr. I), ma lungo il sentiero stesso degli uomini. Noi dobbiamo restituire ai primi eroi di questa lotta, a Protagora
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Introduzione
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dialettica. Il sapere come visione viene dichiarato non-sapere, la morale aristocratica, " che .sorge da un trionfante dir di sì a se stesso", viene parimenti rifiutata. ,Non a caso abbiamo ricordato questo intervento dell'inizio degli anni sessanta, uno dei tanti momentì di restaurazione politica e culturale in Italia. Non a caso l'autore dal quale abbiamo preso le mosse polemizzava con Heidcgger e attraverso Heidegger con Nietzsche,' l'anti-Socrate della cultura contemporanea. Socrate, il dialettico, il figlio di uno scalpellino, colui che strappò la filosofia al cielo c la portò fra gli uomini (come rivelò subito Aristotele, ripreso e divulgato da Cicerone), avrebbe incarnato lo spirito della vendetta: " la dialettica è soltanto una forma della vendetta "; " con la· dialettica la plebe prende il sopravvento ". E Nietzsche chiamava i dialettici, cioè i predicatori dell'uguaglianza, " tarantole ": " Lo spirito della vendetta, questa è stata la migliore riflessione degli uomini... l'odio della volontà contro il tempo e contro quello che fu ". Sembra la cronaca dei nostri giorni, la citazione da un quotidiano ufficiale (o ufficioso). Aristotele darà ragione ai Sofisti e a Socrate, alle " tarantole ". Con la dialettica· rivendicherà l'importanza dell'opinione e conquisterà alla filosofia il mondo d~ll'uomo comune, cioè" quell'intelletto che voleva trovare una spiegazione per ogni cosa, tale che ognuno potesse comprenderla e portarla al mercato " - e questa definizione sulla penria di Heidegger non suona certamente approvazione o elogio. La figura dell'uomo comune, che si aggrappa alla sua ragione e vuole sostenerne le ragioni, che si sviluppa, quindi, accanto alla retorica, fino a confondersi con essa, accompagnerà l'intera storia dell'uomo, delle comunità umane raccolte nelle città. La città è il vero luogo d'origine della dialettica, e questo spiega la sua importanza anche nel pensiero medievale. Certo, qui è soprattutto tecnica della disputa, retorica appunto, ma difesa delle pretese della ragione e della scienza di fronte ad un ordine fondato o che si voleva fondato sulla fede. Poi nasce la scienza nuova da una parte, le tecniche della produzione daJI'altra come risultato dell'evolversi della vita delle città, del moltiplicarsi delle loro esigenze; esigenze dell'uomo, create dall'uomo - ma finiranno per averne ragione. E: l'industria, la società mercantile, il mondo delle cose. Alla dialettica come scienza o tecnica dei discorsi sulle cose va sostituendosi, proprio in un'epoca in cui di dialettica non si parla più (e. questo è particolarmente significativo), la dialettica delle cose. Filosofia, politica, storia, sociologia e antropologia si intersecano e si confondono nell'età che prepara e accompagna la rivoluzione industriale. E: un'epoca di grandi
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Introduzione
tensioni. Al suo compimento stanno la Rivoluzione francese da una parte e Kant .dall'altra. Notiamo solo che Kant riscopre la dialettica, la restituisce alla filosofia, ma è una dialettica trasfigurata: la dialettica è della ragione, è la ragione stessa, una sua opera necessaria e inevitabile, ma è insieme la dialettica della realtà, il segno della presenza di un mondo che non può non essere considerato come contraddizione e antitesi. Contraddizione e antitesi: il mondo, reale, dell'uomo e deUa sua città, ora società borghese, del cittadino lacerato dalla proprietà. In questo senso da Kant a Marx si chiude e si riapre ad un tempo quel grande dibattito che ebbe luogo in terra greca: quel mondo dell'antitesi, dell'alienazione, il solo mondo nel quale l'uomo può e deve vivere e lavorare - perché è il mondo che è - non un'invenzione dci filosofi - è veramente il mondo, la città dell'uomo, per l'uomo? Se l'uomo, alienato, vuole ritrovar se stesso, superare quel suo esser-altro, non potrà farlo che trasformando, spezzando la realtà storica che rende (necessariamente) possibile quella situazione. La dialettica delle cose (quindi anche della lotta di classe) impone la distruzione e ·la trasformazione delle cose: la costruzione di un mondo più umano lo richiede. Questo il risultato, il nodo storico della storia del pensiero tra la Rivoluzione francese e Marx: la filosofia riconosce la realtà dialettica, e riconosce questa realtà come disumanizzante; trasformanla significa fare appunto appello alla dialettica - e nello stesso .tempo sopprimerla. Non è affatto una tesi, più o. meno paradossale: realizzare quella filosofia che ha riconosciuto se stessa e la realtà come dialettica significa riconoscere che la dialettica non è più un problema meramente filosofico. Dopo Marx, infatti, altre mani hanno raccolto la filosofia - e lo afferma Engels quando riflette sulla genesi del " marxismo ", quando dichiara: " il proletariato è l'erede della filosofia classica tedesca ". Appunto il rovesciamento della dialettica, anzi il suo venir posta da parte. Se ci è consentito di anticipare qualcosa della conclusione della nostra storia, possiamo dire che, a ben guardare, .la dialettica esiste solo, oggi, per coloro che si pongono il problema della " dialettica " come problema filosofico. Oggi, ma non solo oggi, nella sua storia la dialettica apparirà come l'elemento di mediazione per quei filosofi che investono con un interesse positivo Ja politica e la realtà sociale, e se ne lasciano sollecitare. Proprio per questo, proprio per non essere un problema " filosofico ", quel dibattito che balzò fuori nel e dal mondo greco è ancora aperto
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Introduzione
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oggi. Ed è ancora ~l dibattito tra il sapere come visione e il sapere come comunicazione, tra la scolastica o meglio le scolastiche, cioè le filosofie che filosofano sulla filosofia (un fatto presente anche nel marxismo contemporaneo) e quell'intervento dell'uomo, politico o filosofo, che non riconosce la pretesa della coscienza privata di farsi inizio e di contenere il senso del filosofare, tra " l'idealismo " delle scolastiche (e della dialettica: ma in questo caso, se ha un senso e ciò che abbiamo detto e la storia che ci accingiamo a ricostruire, non si tratta affatto di dialettica), delle astratte metodologie, delle ricorrenti analisi sulle " strutture ", e quella ricerca che per tradizione continuiamo a chiamare filosofia in quanto essa si riconosce in una situazione; storica, reale, e della situazione di volta in volta mette allo scoperto le componenti (strutturali, sovrastrutturali, ideologiche), quella ricerca che solo in astratto è o filosofica o scientifica o storica, ma di fatto tiene ferma l'unità di queste differenze e determinazioni e si costruisce su questa unità. Marx ed Engels lo avevano indicato: la fine della " separazione " fra scienze umane e scienze natùrali, fra storia dell'uomo e storia della natura, fra dialettica come metodo per intendere Ja realtà a partire dal suo interno e filosofia come sistema, costruzione ideologica o itinerario personale posto come oggettivo. Ma, diciamo ~a verità, che cosa sappiamo, oggi, di loro, immersi nelle scolastiche, incapaci di opporci alle ricorrenti restaurazioni? Il dibattito contemporaneo, al quale brevemente accenneremo, dimostra e la verità, da una parte, e il non-senso, dall'altra, d~1le nostre inquietudini, delle nostre incapacità. Ma esso ci indica anche il cammino da percorrere. Allora, e solo in questo senso, possiamo affermare che è pur vivo lo spirito della dialettica, cioè quel bisogno di cui parlava Socrate, di vivere nella città, di non potersi soddisfare nella contemplazione
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l. Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria
1.1. Premessa " Dialettica " è una parola che soltanto Platone consegna alla storia della filosofia e attraverso la storia della filosofia alla cultura in generale. Per essere più precisi potremmo forse dire che tale operazione viene compiuta già da Socrate, ma dal momento che non ci ha lasciato nulla di scritto dovremmo fondarci sull'autorità di testimoni che erano troppo intelligenti, troppo colti e, per i loro grossi impegni politici e culturali, troppo accorti per essere del tutto oggettivi - troppo filosofi insomma. Ma non è facile mettere d'accordo Platone e Aristotele, Senofonte e Aristofane. D'altra parte a noi ora interessa il documento scritto, non la genesi di un atteggiamento che fu spontaneo, forse, prima di essere filosofico o meglio prima di essere interpretato come filosofico. A noi interessa non già l'inventore di un problema (e non ci interessa perché il filosofo, se è vero filosofo, non inventa mai i propri problemi, ma li trova, li individua nella realtà, nel divenire del mondo umano che egli fa oggetto della sua riflessione), bensì come un problema si è fatto tale per un filosofo, come un fatto è divenuto problema ed è stato successivamente interpretato. Cercheremo, dunque, di delineare la genesi linguistico-concettuale di lhaÀÉyecr{lm (dialettica), ma non ci occuperemo di presunte figure dialettiche o della dialettica che potremmo anche trovare nei più antichi autori. Una ricerca simile è destinata a muoversi su un piano assolutamente arbitrario e a condurre a risultati del tutto problematici. Infatti, o si deve accettare un generico concetto della " dialettica " (per esempio : lo spirito della contraddizione, la facoltà di rendere falso il vero e vero il falso, come ritenne anche Goethe; oppure: " ... caratteristica della dialettica è di non essere mai soddisfatta", dice R. Schaerer, storico e filologo classico), un simbolo da applicare con significati e sfumatu-
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Dialettica, la parola c la cosa: etimologia e preistoria
re diversi, oppure si assume come mezzo di interpretazione una delle figure storiche della dialettica (platonica, per esempio, o aristotelica... ). In entrambi i casi si dà per presupposto e risolto un problema che è ancora da chiarire nella sua genesi.
1.2. Il verbo atuÀ.Éysw,
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Il sostantivo Myoç
nello stesso Platone, dove è opposto a " contendere " o a " disputare " (ÈgftEtv), e vale disputare con reciproca comprensione e soddisfazione allo scopo di un comune miglioramento e approfondimento della cosa, conversare, insomma, nell'accezione più alta del termine; Platone lo oppone anche a &fj!J-T)YO!.JELV, parlare come pJ.Ibblico oratore, tener concione, ed è interessante ricordare qui la traduzione che Croiset propone di lhaJ,Ex-nr.&rtEQOV (nella sua traduzione, presso Les Belles Lettres, di un noto passo del Menone, 75CD): "in un modo più conforme allo spirito della conversazione ". Analizziamo ora la radice del verbo (ì,Ey /Àoy: ÀÉynv, cfr. Myoç). Ci limiteremo solo a qualche osservazione, a delineare i contorni di questo fenomeno linguistico che è uno dei più complessi e dei più studiati per le sue numerose connessioni con i vari campi della scienza dell'antichità. Il valore etimologico di Mynv è razionale e distributivo, indica, cioè, il calcolare e il modo di ripartire una quantità; solo in un secondo tempo il verbo acquista il suo noto valore dichiarativo indeterminato di parlare, e questo grazie anche al medio ÀÉyo~tw. (" intrattenersi, discutere "), nel quale è presente il valore distributivo della radice e l'idea di reciprocità del medio. Lo schema dell'evoluzione del verbo può essere questo: l) raccogliere, scegliere e, solo in greco, numerare, far di conto; 2) solo in latino percorrere in senso locale, quindi, nelle due Hngue, percorrere in senso figurato enunciativo: enumerare, raccontare, dire, parlare (in latino: leggere la lista dei senatori, cioè fare l'appello dei senatori). L'evoluzione compiuta da questo verbo in latino è caratteristica: lego, leggere, e lego, scegliere, sono diventati due verbi indipendenti; per un contemporaneo di Cicerone legere oleam e legere librum non hanno nulla in comune. Queste due idee hanno finito, dunque, per intrecciarsi nel significato di argomentare, dire qualcosa con ordine e simili, come vedremo fra poco.
1.3. Il sostantivo ì.oyo; Il sostantivo Myoç ci mostra un'evoluzione e un risultato analoghi. Àoyoç raccoglie l'eredità di· bwç e ~tv&oç che in un certo senso ad esso si contrappongono: il primo è parola, vocabolo, verbum, ma in senso assolutamente determinato e astratto, mentre il secondo significa pensiero che si esprime, opinione, lin-
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Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria
guaggio. Oltre, dunque, al valore etimologico, razionale puro, di calcolo, numero (donde poi la ragione matematica, la proporzione), sono ad un tempo impliciti in Myoç i significati di vox, parola, e ratio, ragione. Quest'ultima è la facoltà dell'intelligenza (in Democrito per es.), ma anche l'argomento, la spiegazione di cui l'intelligenza si serve; vox, parola, è l'espressione in generale, il. diseorso in particolare (la definizione come termine filosofico, il concetto in Aristotele), e in questo senso indica la forma e il contenuto dell'espressione, il tema e la sua esposizione. Omero, nei due soli luoghi in cui logos ricorre, al plura:le, è estremamente significativo. Odissea, I 59: Calipso cerca di far dimenticare ltaca a Odisseo con discorsi artificiali; Iliade, XV 393: con parole abili Patroclo distrae dal dolore Euripilo ferito. Sono dunque presenti gli espedienti oratori della sofistica e gli ulteriori sviluppi razionali. All'alba della sua storia logos evoca un calcolo, una stima, conto e profitto. Per finire e per chiarire ulteriormente si noti la contrapposizione A6yoç: taTOQ la : questo secondo termine è da ricondursi alla sfera della conoscenza empirica, della raccolta di notizie, annuncia la ricerca, la storia, secondo la celebre dichiarazione introduttiva di Erodoto: " Questa è la esposizione delle ricerche di Erodoto... " (I, l). Indipendentemente dalla loro complessa evoluzione, possiamo dire che, mentre dnEiv (o altro verbo di dire) indica j,J semplice parlare, il raccontare anche, ÀÉyav implica un parlare che raccoglie degli elementi per spiegare qualcosa, un parlare che argomenta. Di qui un'ambiguità, che non si ritrova affatto in d:n:Ei:v /ìtrtoç. Possiamo trovare esempi di questo genere: nella stessa proposizione qJl1at o ÀÉya può essere immediatamente seguito da un secondo ÀÉyn o ÀÉywv: col primo verbo vengono introdotte le parole effettivamente dette da chi parla o da chi sostiene qualcosa, mentre con il secondo viene presentata la loro interpretazione. Analogamente Myoç è parola e senso, significato e significante. La nostra lingua non offre l'equivalente e perciò dobbiamo di volta in volta precisare nella traduzione, mentre questa possibilità è offerta da altre ,lingue, dal tedesco per esempio, che con Sinn può rendere, almeno fino ad un certo punto, la complessa struttura di Myoç. L'ambiguità del termine risulta pienamente dal fr. l di Eraclito, dove è presente anche la sua accezione filosofica: "Questo logo, che pure è sempiterno non Io intendono gli uomini, e prima che n'odano e tosto udito ne abbiano; e pur tutto avvenendo secondo tal logo, inesperti ne sembrano... ". II testo è molto difficile, ma almeno questo· sappiamo, che Myoç in-
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Un'interpretazione di Senofonte
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dica: l) semplicemente ciò che dice Eraclito, 2) il senso di ciò che egli dice, 3) la legge, l'ordine cosmico, che Eraclito nelle e mediante le sue parole cerca di esprimere c di formulare 2•
1.4. Un'interpretazione di Senofonte Analizzate le componenti, ritorniamo al nostro ~wMyuv, ~ta Mywihll. Noteremo che nel ~mMynv permane il significato originario del verbo semplice, e quindi la traduzione può essere scegliere, trar fuori da un gruppo, raccogliere scegliendo. Ci sono almeno due ottimi esempi in Erodoto, dove si racconta della ritirata della flotta persiana dopo Salamina e del tradimento di Temistock: Scrse ordina a Mardonio " di scegliere dall'esercito gli uomini che voleva c di compiere per quanto possibile fatti pari alle parole" (8, 107, l); e poco dopo, avendo Mardonio deciso di svernare in Tessag1ia, " dagli altri alleati trascelse pochi da ciascuno, scegliendo quelli che erano belli e quelli dei quali sapeva che avevano compiuto qualche prodezza" (113, 3). Che si sappia, non c'è in questo verbo nessun particolare carattere filosofico, e neppure stmbra che abbia qualche rapporto col 5taÀéyr:a{}m, anche se un passo di Scnofontc, che di solito viene citato, può lasciar credere il contrario. Secondo Senofonte (Mem., IV, 5, 12) Socrate era solito usare il verbo awMyw&at per definire quella deliberazione che uomini convenuti insieme prendono in comune, discernendo (l)wÀéyov-raç) le cose secondo i generi loro; questo atteggiamento caratterizza l'uomo ottimo, capace di ragionare (ì'>w/,Éyw{}at) e di dominarsi: in una parola il " dialettico ". Il discorso, infatti, volgeva intorno alla temperanza. L'accostan;ento dei due verbi non è un'idea di Senofonte, ma forse di Socrate stesso, anzi si ritiene, in complesso giustamente, che il significato di 1'ìtaÀÉyr:m'tm nella tradizione preplatonica e del primo Platone sia adeguatamente determinato proprio dalla testimonianza di Senofonte, esaurendosi in essa: cruvt6naç xptvfi BotJAEtJr.a{}w, " trovarsi i]Jsicmc, incontrarsi e prender consiglio in comune ". Come si vede non è possibile tradurre direttamente in italiano il 5Laì.Éyea-1tat rendendone J.'interna complessità. Ad essa si avvi2 Per quanto sopra cfr. H. FoURNIER, Les verbes " dire " en grec ancien, Paris 1946, in partic. pp. 53-59, 211-224 e FRisK, op.cit., fase. 11 (1961), pp. 94-96.
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Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria
cinano invece il verbo e il sostantivo tedeschi (sich) auseinandersetzen e die Auseinandersetzung, anche questi difficilmente traducibili in italiano. In senso figurato, che è poi il più diffuso, il verbo indica "spiegarsi con qualcuno ", " discutere per venire ad una spiegazione ", con inclusa l'idea, viva anche nel sostantivo, che il risultato di taJ dibattito (dialogo fra due persone o gruppi di persone) sia di reciproca soddisfazione, porti al di là dei due punti di partenza.
1.5. Esempi di tico
l'\LaÀÉyEa{hn
in Omero, Erodoto e nell'uso at-
Per illustrare questa presentazione linguistica, un po' astratta, del nostro (\taMyEa{}m, vediamo attentamente qualche esempio tratto da Omero, Erodoto e dall'uso attico; ci caleremo così nella storia viva del termine, nella preistoria del suo senso e uso filosofico. Incominciamo da Omero. Nell'Iliade (XI 407) leggiamo questo verso: ?iA),à ·d ~ ~wt Taiim cp(ì,oç l'\tEÀ.É~aTa {h,~6ç, che in italiano possiamo rendere così: ma perché mai il mio cuore discute (pensa) queste cose? Il verso è un'antica formula, citata di solito, ma non discussa. Quando è stata presa in considerazione non si è notato che si tratta di un verso stereotipo, e questo è di notevole importanza. Ricorre, infatti, in altri quattro luoghi della stessa Iliade (XIX 97; XXI 562; XXII 122 e 385), ma non per questo il verso e il verbo perdono il loro valore; d'altra parte non è determinante l'altro fatto, che Eustazio commenti: 15tEÀf'ça'to sta senz'altro per dn~::, dice. Se osserviamo a fondo l'uso che della formula fa i1 poeta, cioè i luoghi, il momento in cui egli la introduce, ci apparirà qualcosa di più del semplice " dire ", ma addirittura un'anticipazione della sua storia, del suo valore filosofico. n verso ricorre sempre in un momento di estrema tensione del personaggio, al limite di una decisione che sta per prendere o che, inconsapevolmente deliberata, non si è ancora pienamente manifestata come coscienza o meglio come coscienza dell'opposizione, dell'alterità dell'uomo rispetto alla situazione e anche dell'uomo rispetto al dio o al fato. Si vorrebbe soggiungere che affiora qui il concetto della scelta e deUa libertà. In XI 407, Ulisse, lasciato solo dagli Achei in fuga, decide di restare a ogni costo saldamente al suo posto di combattimento. xrx 97 : la battaglia infuria intor-
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Esempi di ('HaMyEa{)-at in Omero, Erodoto e nell'uso attico
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no a Menelao e ai cadaveri di Patroclo e di Euforbo; Menelao vorrebbe porre in salvo Je armi di Patroclo quando sopraggiunge Ettore con i Troiani; egli sa che dovrebbe combattere e resistere, ma sa anche che non può opporsi al figlio di Priamo sospinto da un nume - e decide quindi di indietreggiare. XXI 562: Agenore deve affrontare· Achille sulle porte di Troia; divino nel suo immenso coraggio, nel momento dello scontro _si chiede se tentare una fuga, e come. Ma perché riflettere su queste possibilità che non offrono scampo? È più prudente accettare subito il combattimento. E infine xxn 122: forse, insieme al primo, il luogo più significativo: Ettore è in campo, solo, per la battaglia con Achille; dalle mura lo invitano a rientrare. Il magnanimo cuore adirato, e, come ci informerà il poeta poco dopo, in preda al terrore, egli va meditando. La sua riflessione si svolge su due piani: se cede alJe lusinghe dei suoi cari ne avrà onta eterna, ché troppi Troiani sono caduti anche per sua colpa; per il suo meglio non può dunque che affrontare Achille, e vincere o morire. L'altra possibilità è presentarsi ad Achille disarmato e concedergli favorevoli condizioni di pace, ma come può il suo cuore prendere in considerazione un'idea simile? Achille lo ammazzerebbe come una donna. È bene che si venga alla lotta. Se ricordiamo quanto abbiamo detto di /,r)yoç e /,f.yEtv, del loro significato etimologico originario (duplice: razionale e distributivo), non avremo difficoltà a riconoscere nel l:>w/,Éyo[Aat del verso omerico " la nozione di esame riflesso aJ.lo stato puro ", cioè quel senso logico di calcolare, pensare, cui la radice destinava il verbo, ma al quale il solo /,ÉyEtv in Omero non perviene. È caratteristico, ha seri tto un vecchio interprete, che in seguito a tale analisi ideale, alla selezione dei casi possibili, maturi sempre una decisione, sicché questa dialettica contiene, dunque, una riflessione c una deliberazione, accentuando la natura logica, intellettuale dell'uomo 3• Ma è ancora più caratteristico che per questo dibattito a più voci, per questa pluralità di " io " che si agitano nell'uomo e che conducono di volta in volta all'identificazione di sé, l'antico poeta abbia fatto uso di un verbo che riflette ancora soggettivamente e direttamente una situazione. Il suo significato apparirà in seguito oggettivato, fino a coincidere in un ' L'interpretazione che rivela un piano intellettualistico o meglio gnoseologico, dal quale vorremmo liberare il concetto, è di TEICHMULLER, Neue Studien zur Geschichte der Begrifje, r, Gotha 1876, pp. 173-4. EuCKEN nella sua Geschichte der phi/os. Terminologie, 1879 (rist. Hildesheim 1960) ricorda solo il concetto fra gli altri, ma non ne studia il problema.
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Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria
primo tempo con la situazione stessa (Socrate, Platone nel suo primo periodo), e successivamente, assolutizzato c astratto il fatto logico contenuto nell'azione espressa dal verbo (Aristotele), si viene con es:so a determinare un momento, una parte della filosofia - la dialettica. Diogene Laerzio, infatti, ci dice che la filosofia si occupò dapprima soltanto di un oggetto, la fisica; Socrate ne aggiunse un secondo, l'etica, e Platone intese dare ad essa compimento con la dialettica 4• A questo punto è inevitabile porsi la domanda se ci sia e quale una figura del ~taMyco-ltm (il verbo come tale non è attestato) nel dialogo della tragedia. Non è il caso di seguire le operazioni di Schaerer quando afferma: " per quanto grandi siano le qualità di spirito, di vivacità e d'ironia a cui s'accompagna la discussione dialettica, resta il fatto che si sforza di evocare un modello; in questo senso, è tragica ". Ma, dopo un preciso esame delle tesi in contrasto nell'ultimo ventennio (fra il 1915 e 1935 circa), quella tradizionale dell'unità psicologica e drammatica della tragedia, e l'altra che negava queLl'unità, sostenendo che i personaggi obbediscono a necessità di ordine tecnico, scenico, concludeva: "Non è dunque possibile ... paragonare individualmente i dialoghi alle tragedie. Sarebbe più esatto stabilire la corrispondenza tra certuni di essi e atti di tragedie; ma anche accostamenti di questo tipo esigono molta prudenza" 5• Il problema non. è questo. Qui ha visto bene Untersteiner: solo dopo aver ricostruito la genesi e il concetto del tragico, la genesi e la formazione delle parti tradizionali della tragedia (in particolare: doppio coro e àywv, composizione epirrematica, " logos contro logos ", stasimo e principio dell'unità binaria, della sizigia tragica, sticomitie ecc.), solo allora egli ritiene di poter interpretare come segue l'innovazione eschilea: " Eschilo introdusse H dialogo, perché la sua poetica Io richiedeva. La dialettica del tragico doveva portare facilmente alla necessità di fissare nella nuova forma d'arte, come suo elemento essenziale, il btaÀÉyé;a-ltat, il btw.oyoç. Possiamo aggiungere l'influsso del dialogo, dell'epos e • Vite dei filosofi, trad. it. a cura di M. Gigante, Bari 1962, m, 34, ma cfr. il Proemio, 13, dove la tripartizione rimane con Zenone iniziatore della dialettica, che è opinione aristotelica. 5 R. ScHAERER, La question platonicienne, Paris-Neuchatel 1938, pp. 219, 231 e cfr. L'homme antique et la structure du monde intérieur, Paris 1958, p. 110: "Mais le propre de la dialectique est de n'étre jamais sati· sfaite ". Sul tema dialogo-dialettica e dialogo-tragedia in particolare in Platone già HIRZEL, Der Dialog, Leipzig 1895, vol. I, pp. 200-218. Ma su Platone cfr. ora P. VICAIRE, Platon critique littéraire, Paris 1960.
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Esempi di
~taÀÉyEo{}m
in Ornerò, Erodoto e nell'uso attico
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del canto popolare, per quanto non qlJi, come si pretende, stia la radice del ()ta-Àoyoç (l'autore accenna al ()uJ.A.oyoç intellettuale fra due personaggi, e cita l'esempio di Eteocle e dell'osservatore nei Sette a Tebe di Eschilo, vv. 375-652). L'importanza di questo dialogo, che trova la sua forma più trasparente e più intensa nella sticomitia, è pertanto ovvia " 6 • Non crediamo che si possa andare più in là di questa conclusione se· manteniamo il discorso sul piano generale ()taÀÉyEo{}atdialettica-dialogo. Giustamente Untersteiner ha l'occhio esclusivamente al documento ed esercita la sua interpretazione là dove il testo e la tradiziçme lo consentono. Egli lascia pertanto cadere la notizia di Suda sù Laso di Ermione, che parve ad altri tanto suggestiva: "Si ritiene che per primo avesse scritto un'opera sulla musica e che fosse stato uno degli iniZiatori dell'eristica. All'influenza di Laso (quale che sia d'altronde il senso esatto di queste tradizioni) è da attribuire lo sviluppo dello spirito dialettico in Simonide? Se non rispondere, si può porre la domanda " 7• Dopo Omero e la tragedia ricordiamo i lirici, dai quali ()uxMè usato ma in frammenti troppo brevi e corrotti per paterne trarre qualche utile conseguenza. In Archiloco (fr. 108 Diehl), Saffo 134 e Alceo 129 (Lobel-Page) significa "parlare", "far discorsi". Notiamo Saffo: ta < •. > v ..d;af-lCI.V OVUQ ')(.1):rt(lOyÉvlla, " ti ho parlato in sogno, o Cip ride ". Esempi interessanti si trovano invece nella prosa erodotea e attica, dove balza evidente l'indicazione del dialogo, del gioco di domanda-risposta, lo scambio di opinioni fra due individui. E non solo di opinioni, vorremmo aggiungere, ché in Aristofane troviamo di ()taÀÉyEo{}a.t l'uso eufemistico per mJvouma~Etv (avere relazioni carnali), un significato, quindi, non del tutto estraneo alla nostra storia (Pluto, v. 1082; Donne a parlamento, v. 890 e cfr. Stephanus, Thesaurus linguae graecae, IV, 1211). Ma cominciamo con Erodoto e vediamo la descrizione delle regioni joniche (I, 142, 2): dice che in alcune città della Caria i cittadini parlano la stessa lingua: xa.-rà -.aù-rà ~tctÀ.EyopEvat. Va sottolineata l'idea del reciproco comprendersi, presente insieme all'idea della relazione che si istituisce fra diverse persone mediante il linguaggio. Non è un caso, o comunque può non esserlo, che nel medesimo luogo affermi che non in tutta la regione si paryw{}m
• M. UNTERSTEINER, Le origini della tragedia c del tragico, Torino 1955, pp. 331-2. 7 A. et M. CROISET, Ilistoire de la /ittérature grecque, Paris 1951 ' (ristampa) p. 379.
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Dialettica, la parola c la cosa: etimologia c preistoria
lava la stessa lingua, utilizzando un altro verbo: y'Awcrcrav <'IÈ. ou VEVO!_dxam. Altri passi di Erodoto non sono altrettanto significativi e si limitano a riproporre un'accezione già discussa. 3, 50-52: un figlio di Periandro, Licofrone, avendo avuto notizia che il padre aveva ucciso la madre, tanto si addolorò che non rivolgeva più la parola a suo padre e tWn gli rispondeva quando questi gli parlava. Periandro lo cacciò di casa e con un bando fece sapere che non gli si doveva prestare aiuto di sorta. In seguito a ciò nessuno voleva parlare con Licofrone. Nella Difesa di Palamede di Gorgia troviamo questa affermazione: " Io voglio, dopo questa dimostrazione, discutere direttamente col mio avversario", e segue, come ci si poteva aspettare, una domanda in seconda persona, una domanda che pretende una risposta. Si badi bene, però, che quando Palamede si rivolge ai giudici, dai quali non attende risposta alcuna, usa un altro verbo: EÌn:Eiv. Il significato vivo di " dialogo " in concreto, di fatto, ormai si impone; non solo, ma possiamo già cogliere una sfumatura preziosa per la successiva evoluzione del verbo. Esso vuole indicare non tanto il dialogare di fatto, quindi una variazione del parlare, quanto l'istituzione. del dialogo, la necessità dell'inizio del dialogo come mezzo di intendimento, come strumento per sostenere l'unione dci cittadini, per fondare ·la loro comunità sui concetti, in particolare su quelli morali e giuridici. Una figura nuova della coscienza sembra prender forma, nuova non nel senso che vada sostituendosi ad un'altra precedente, ma nel senso di un inizio assoluto - una coscienza che chiameremo socratica. Incontriamo qui per altre vie quel momento di crisi, quella emergenza di significato che abbiamo riscontrato sopra. esaminando in astratto il passo scnofonteo dei Memorabili: " ... il IStaì.ÉyEcrfrm, secondo Socrate, deve il suo nome alla pratica dell'incontrarsi per prendere decisioni in comune scegliendo e discutendo le cose una ad una ".
-r~v o:ùt~v
Parlare, o meglio pensare-dire; dialogare, cioè discutere, parlare con qualcuno dal quale è lecito attendersi risposta; voler discutere. Non si tratta di una vera e propria evoluzione, bensì di una stratificazione di significati, connessa alle possibilità linguistiche latenti in tale voce e portata in luce per successivi tentativi. Ma fino a che punto possiamo procedere oltre con questo metodo? Il risultato ora raggiunto - l'indica7ione di un dialogare che si pone come compito e che trascende quindi il suo senso Jetterale - non sembra superabile (o lo· sarà, ma farà parte della storia filosofica del nostro verbo) : dialettica e persuasione -
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Esempi di (haÀÉyEa-ltat in Omero, Erodoto e nell'uso attico
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una delle poche ragioni valide operanti all'interno della cosiddetta civiltà occidentale. Ebbene, non è violenza la nostra interpretazione. Questo rapporto, come indicazione contenuta nel (\taÌd~ywaw, è già presente in una pagina di Tucidide: " (fine dell'oligarchia, a. 411; i 400 e gli opliti del Pireo) ... parlavano loro, uomo ad uomo, e cercavano di persuaderne alcuni ... " (av~Q &v(\ QL (\tEÀÉyov-rò l:'E "/.al EJtEt{}ov ou;: 8, 93; cfr. anche 5, 59). Qui la preistoria del (ìw/.ÉyEa{}w ha fine. Anzi, se ne ripercorriamo i punti principali (le sue componenti, Omero, l'interpretazione senofontea e questi ultimi testi) non possiamo in senso stretto parlare di preistoria, ma dobbiamo riconoscere che questa aurora ha già in sé la piena maturità del giorno. Se il testo di Tucidide ha un senso, una validità reale - nel suo presentare immediatamente il rapporto dialettica-persuasione - ciò significa che
Opere, Firenze 1958, p. 862 (dagli Scritti vari). • Cratilo 390CD. Si presenta spontanea la domanda: Platone ha letto Tucidide? Non ci sono testimonianze: cfr. R. WEIL, L'archéologie de Pia. ton, Paris 1959, pp. 23 sgg. 8
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2. Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate
2.1. Oratoria e sofistica Studieremo ora la genesi filosofica e culturale di " dialettica ". Per individuarla non ci rivolgeremo soltanto alla storia della filosofia, ma al complesso delle vicende culturali del v secolo a.C. o almeno lo faremo agire sullo sfondo come motore della ricerca. Non si tratta di rispettare formalmente un canone interpretativo. Il canone è qui imposto dalla situazione di fatto. In primo luogo è bene tener presente che la filosofia non esaurisce (come certi manuali filosofici lasciano credere) la cultura del v secolo ateniese, pur manifestandosi come un fenomeno qualitativamente e quantitativamentc imponente. In un periodo in cui il livello culturale medio resta notevolmente basso e la diffusione della cultura molto limitata, circoscritta rigidamente a élites, non si può parlare di specializzazioni in senso moderno, di settori indipendenti nel mondo culturale - ma d'altra patie proprio per questo non si può neppure affermare che ci sia un'opinione pubblica, che manifestazioni e fenomeni culturali trovino profonda risonanza esterna. Tuttavia qualcosa che corrisponde alla " stampa" dell'epoca moderna c'è, quindi c'è uno Strumento che consente entro certi limiti di portare il dibattito al livello della coscienza comune: l'oratoria. Per spiegare l'importanza di questo fenomeno, che ci interessa direttamente, si legga questa bella pagina di Burckhardt: " ... l'oratoria ... anche qui dobbiamo ricordare anzitutto l'enorme potenza e adattabilità della lingua greca ad esprimere tutto ciò che si deve dire e comunicare ad altri - in netto contrasto per esempio con quella ebraica - ed inoltre il grande impulso che l'eloquenza ricevette daJJa quantità di occasioni che le si offrivano nella vita quotidiana, locale e bellica. E qui ci mancano i paralleli. Non sappiamo quanto anche i Fenici e i Cartaginesi sapes-
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Oratoria c sofistica
sero adoperare la loro lingua, non sappiamo nu1la della potenza oratoria degli antichi Germani ~ di quei popoli che effettuarono le invasioni barbariche, che dovevano avere anch'essi a disposizione la piena armonia della lingua tedesca (o dei dialetti tedeschi)... Invece a noi è stato conservato Omero. I discorsi dei suoi personaggi - uomini e dei - hanno una altissima forza e bellezza naturale, e in fondo sono concepibili solo in uno sviluppo già assai considerevole delle facoltà volitive della ;tÙÌw;. Ciò significa che già allora v'era un ambiente in cui si attribuiva la più alta importanza al raggiungimento di uno scopo per mezzo dell'eloquenza, ed era già in corso un potente svolgimento agonistico; dev'essere stato proprio questo che costrinse gli uomini a riflettere per la prima volta sul mezzo che avevano per riportar vittoria sulla parola [e qui l'autore annota: non deve essere trascurato l'effetto esercitato dal simposio sullo sviluppo dell'oratoria]. Con la completa evoluzione della ;tÙÀu; che portò alla democrazia, quando le sorti comuni si decisero nell'assemblea popolare e nel tribunale popolare, l'eloquenza doveva diventare tutto, e l'arte oratoria, divenuta ora improvvisamente oggetto di un insegnamento metodico, doveva diventare una questione di altissimo interesse, che ben presto si doveva coltivare in tutta la vita greca come uno degli elementi principali; e a questo punto cade opportuno un parallelo che può gettare luce completa sull'argomento, ossia il parallelo con la stampa moderna. Certamente l'influenza dell'oratoria greca era legata al luogo e alla persona e - malgrado ogni preparazione temporanea - al momento, e non permetteva una trasmissione a distanza; uno doveva essere presente in quel momento, al cospetto spesso di innumerevoli spettatori: doveva:-attenersi a quella determinata causa per cui egli e i suoi avversari si incontravano; certo non si poteva parlare, come per la stampa, di un'influenza sull'opinione pubblica da lontano ... Ma tuttavia non vi è nulla presso gli Elleni che corrisponda al potere della nostra stampa come il potere della loro oratoria in pubblico... Certo dobbiamo fin dal principio constatare un fatto importantissimo: senza dubbio l'oratoria, nell'in.diriZz.o che le fu dato, venne a trovarsi in concorrenza col pensiero, con la conoscenza e con l'indagine" 1• Entro tale orizzonte è da comprendere l'importanza e il diffondersi della sofistica, e non si intenda qui una scuola o un insieme di scuole filosofiche, ma un aspetto della naLilda greca, la 1
J.
BuRCKHARDT,
vol. n, pp. 33-34.
Storia della cultura greca, trad. it. Firenze 1955,
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Esperienze dialettiche tra i Solisti e Socratc
consapevolezza cioè dell'ideale educativo della :rro),tç, dell'&QET~ politica. È il tema che percorre le lezioni berlinesi di Hegel, in particolare sulla storia della filosofia: " I Sofisti sono i maestri della Grecia; essi portano in Grecia la cultura (Bildung) in generale ". Non è facile oggi comprendere questo fenomeno. I Sofisti ben presto non godettero buona fama e la tradizione rimase fedele alle ragioni della polemica platonica, che contrappose loro Socrate, il petulante uomo della strada, il filosofo per eccellenza. D'altra parte: " Se ai tempi della pace di Nicia uno straniero avesse in Atene chiesto a un cittadino del luogo quale fosse nella città il più famoso sofista, questi avrebbe risposto senza dubbio: Socrate " 2• Già in Platone dunque c'è un problema Socratc, che non potremo forse mai del tutto chiarire. Socrate infatti non scrisse nulla, le due maggiori testimonianze dirette non si accordano sull'essenziale della sua personalità, e Aristotele, che è la massima testimonianza indiretta, studia di Socrate soltanto il contributo logico alla storia della filosofia. II problema è allora quello delle fonti della filosofia platonica. Fino a che punto sono originali i temi socratico-platonici? Entro quali limiti i Sofisti (e chi di essi) agiscono nella genesi speculativa del platonismo? Che si sia pensato di negare l'esistenza di Socrate (s'intenda: la sua presenza decisiva nella storia ddla filosofia), di tracciare una storia della filosofia senza Socratc, di restituire ai Sofisti il contenuto del platon~smo nciie sue prime origini 3, tutto ciò· testi-
' W. NESTLE, Vom Mythos zum LoKos, Stut.tgart 1940, p. 529. Su a!Termazione confronta per es. EscHINE in V. EHRENDERG, L'Atene di Aristofnnt>, trad. it. Firenze 1957, p. 388. I Sofisti, praticamente assenti nelle storit della filosofia del '700 (per es. Stanley e Tennemann), appena ricordati d~ Kant (cfr. K. REICH, Kant und die Ethik der Griechen, Ttibingen 1935, p. 19), entrano gloriosamente nella storia della !Ìlosofia e della cultura con H egei: com'è noto, nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia (Werke, 1833, vol. xrv, p. 9; trad. it. Firenze 1932, vol. u, pp. 7 -8), egli li paragonò agli Illuministi: " I Sofisti sono i maestri della Grecia; con loro nacque in Grecia la cultura in generale (Bil~rmg~ ". Tale tesi divenne opinio recepta. Cfr. W. JAF.GER, Paideia, trad 1t. F1renze 1953, vol. r, pp. 459-563. Nestle, invece, che abbiamo citato, parla di una filosofia della çu/tura, che avrebbe avuto l'Illuminismo per risultato. ' TI primo punto è la tesi di O. GIGON, Sokrates, Bern 1947 (per la quale cfr. C.J. DE VoGEL, Il Socrate di Gigon, in «Antologia della critica filosofica», a cura di P. Rossi, Bari 1961); il secondo punto è la tesi di E. DUPRÉEL, La légende socratique et /e.1· sou~·ces dt' Platm!, ~ruxelles 1922 e Les Sophistes, Neuchatel 1948. Per altra via e del :utto !ndJ~cndcn temente, a risultati analoghi è giunto M. UNIERSTEINER: m ~ .SojÌs/1, Torino 1949 e nella sua edizione dei frammenti c delle testtmomanzc, Firenze 1949 sgg. que~ta
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Dialogo e dialettica. li punto di vista di Aristotele
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monia una volta di più la grandezza di quel tempo, ~la complessità dei pcrsonag&>i e soprattutto l'esiguità delle nostre informazioni.
2.2. Dialogo e dialettica. Il punto di vista di Aristotele L'epocà ha tentato le possibilità estreme: dalla filosofia come retorica di Protagora, dalla tesi " rendere più potente il discorso meno valido " - che è libera interpretazione, trascrizione nel nuovo linguaggio della parmenidea via dell'opinione, " ambito naturale dello sviluppo di una retorica " - all'ideale isocrateo delIa retorica come filosofia, come fondamento e compimento dell'educazione e della sapienza nell'uomo: basti ricordare che con cptÀocrocp(a lsocrate non intçnde una filosofia particolare, ma la cultura in generale, celebrata dagli Ateniesi. Va subito soggiunto che all'interno di questo arco anche la dialettica si prova nelle sue due estreme possibilità, bene individuate da antiche testimonianze: dialettica come dialogo, come l'autentico esercizio filosofico e dialettica come atteggiamento formale privo di risonanza umana. Platone per esempio fa dire a Socrate: " Protagora qui presente è capace di svolgere discorsi lunghi e belli (come l'esperienza dimostra), ma è capace anche, quando è interrogato, di rispondere .con brevi battute e, se è egli colui che interroga, di aspettare e, quindi, comprendere la risposta, abilità questa che da pochi è stata conquistata " - e di Gorgia: " E pur questa è una delle attitudini che mi riconosco: che nessuno potrebbe svolgere più brevemente di me i medesimi argomenti ". Ed ecco l'altra voce nel dibattito: " E, di poi, non diede Isocrate il nome di sofisti agli cristi e, come essi direbbero, ai dialettici, mentre definì se stesso filosofo e filosofi gli oratori e quelli che sono dediti alle attività politiche? Alcuni dei suòi contemporanei usano la terminologia in modo analogo " 4• 4 Protagora, 329 B (DIELS-KRANZ 80 A 7), Gorgia, 449 C (DIELS· KRANZ 82 A 20), Elio Aristide in Diels-Kranz 79, l (trad. Untersteiner). Vedi: il commento di G. CALOGERO alla sua edizione del Protagora platonico, Firenze 1948, pp. 62-63 e la voce Protagora nell'" Enciclopedia italiana" dove parla di un'arte dialettico-retorica; W. JAEGER, Paideia, cit., vol. m. cap. q: "La retorica di Isocrate come ideale di cultura", partic. p. 83, nota 2 (va appena ricordato che la stessa terminologia troviamo nella storia di Tucidide, n, 40, nel celebre capitolo che va sotto il titolo di Epitaffio di Peric/e); M. UNTERSTEINER, ] sofisti, cit., pp. 86-87 e nota 54.
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Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate
Siamo dunque nel vivo del problema. Da una parte veniamo a sapere, dallo stesso Platone, che il dialogo socratico, la cosiddetta esperienza dialettica di Socrate, l'interrogare e rispondere per domande c risposte brevi (xanl [3Qaxv) non è nato direttamente né esclusivamente da un Sokrateserlebnis; dall'altra che la dialettica platonica può essere interpretata, e lo era di fatto dai contemporanei (Isocrate appunto, tra i massimi), non già come la totalità del sapere, o meglio come il fondamento del sapere del legislatore, ma come eristica, un'educazione formale e parziale (àl)o/:~:ax(u xat f.LLX(>OÀoyfu): se non danneggiava i giovani, non promuoveva quel perfezionamento che i suoi cultori si ripromettevano. Oratoria e sofistica, retorica e dialettica sembrano richiedersi ed escludersi a vicenda, ma non offrono direttamente la possibilità di una distinzione dall'interno del dibattito. La stessa connessione, e dunque la. collocazione del problema della genesi della dialettica in una sfera culturale più ampia della sola filosofia, troviamo anche in Aristotele. Ma la situazione appare subito diversa. Aristotele, infatti, guarda al problema a evoluzione conclusa, e può considerarlo sine ira, con interesse meramente storico: il mondo della polis, che aveva generato, sorretto e giustificato lo scontro ideologico e le sue manifestazioni di cultura, è ormai crollato. Non dobbiamo mai dimenticarlo: non erano allora in questione i destini della filosofia, ma il senso e il futuro della polis. Altrimenti quale significato avrebbe la tarda dichiarazione di Platone, cittadino greco, ateniese, e aristocratico, che nel Sofista ritiene di aver trovato nella dialettica " la scienza degli uomini liberi " (253 CD)? I problemi della filosofia, della retorica o dialettica come rrutl'ldu, definiti e messi a punto nelle scuole di Platone o di Isocrate, venivano dibattuti sulla pubblica piazza, nell' uyoQa dove erano primamente sorti come problemi politici. Divenuti astratti, essi rientrano, con Aristotele, nel chiuso della scuola, vengono configurati storicamente e codificati nel sistema. Ma il punto di vista di Aristotele è proprio per questo interessante, perché agisce a un tempo sulla conclusione di un'esperienza storico-culturale e dell'evoluzione di una particolare problematica filosofica. Limitiamoci per ora a constatarne il risultato in quel primo capitolo del libro 1 della Retorica, che si deve ritenere una delle parti meno recenti dell'opera. È significativo anche il movimento dell'argomentazione, il suo stesso incedere: " La retorica fa riscontro (àni.a-rQocpoç) con la dialettica. L'una e l'altra, infatti, vertono su questioni che sono in. qualche modo alla portata di tutti, e non richiedono scienza determinata. Tutti
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Dialogo e dialettica. Il punto di vista di Aristotele
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vi partecipano, quindi, a gradi diversi: è di tutti fino a un certo punto discutere una tesi e sostenerla, accusare e difendersi. Ma i più lo fanno a caso, altri per pratica che dipende da un habitus ". Aristotele inizia, dunque, la sua ricerca sul piano stesso della retorica come piano della coscienza comune. B un inizio empirico, storico potremmo dire, che sarà successivamente giustificato, come lascia intendere subito con l'affermazione: " delle due possibilità si deve ricercare speculativamente la ragione" (1354 a 10). Esaminando le tecniche precedenti, i compiti delle varie figure di retori, Aristotele rileva che la retorica ha il suo fondamento in un tipo particolare di prova, di sillogismo, che la colloca ancora una volta nell'ambito deila dialettica: "Bisogna inoltre poter persuadere del contrario deiie proprie tesi, come nei sillogismi dialettici... nessuna delle altre arti deduce i contrari, la dialettica e la retorica sole possono farlo: entrambe, infatti, dei contrari si occupano ... " - è quindi chiaro perché Zenone eleatico fosse ritenuto da Aristotele l'inventore della dialettica: egli accettava le tesi dell'avversario, ma deduceva una conclusione opposta mediante una serie di appositi passaggi intermedi. B interessante notare che a questa figura logica, individuata da Aristotele, si fa corrispondere un atteggiamento umano e psicologico particolare. La tradizione non lascia dubbi su questo. Isocrate dice: " Zenone, che cerca di provare che le stesse cose sono insieme possibi,Ji e impossibili ... " - e un tardo commentatore: " Fu detto dalla duplice lingua non perché fosse un dialettico, come quello di Citio, o perché confutasse e dimostrasse ·vera la stessa cosa, ma perché era un dialettico nella vita, dato che diceva una cosa pensandone invece un'altra" 5• " Compito proprio della retorica non è dunque persuadere, ma riconoscere le condizioni della persuasione relative a ogni soggetto... riconoscere ciò che persuade e ciò che persuade solo in apparenza, come la dialettica, il sillogismo vero e quello apparente ". Ora, Aristotele conclude questa definizione per approssimazione della retorica e ci riconduce a quel piano storico che avevamo notato all'inizio della sua ricerca: " La sofistica, infatti, non si fonda sulla capacità, ma sull'intenzione; inoltre si sarà retore o per scienza o per intenzione, ma sofista per intenzione, e dialettico non per intenzione ma per capacità " ' A. PASQUINELLI, a cura di, l presocratici, Torino 1958, pp. 249 e 2.51. Per avere un'idea della forza di questa tradizione si pensi all'iconografia medievale, ricchissima, e si legga il noto colloquio di Goethe con Hegel, riferito da Eckermann, 18 ottobre 1827.
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Esperienze dialettiche tra i Sofisti c Socrate
dove per intenzione (ngoatQE
2.3. Dialettica e filosofia. lppia e Platone A questo punto è necessario che cerchiamo di individuare nel discorso aristotelico una situazione storica, alcune figure concrete. Non dimentichiamo che la storia della filosofia antica dìpende, nelle sue fonti, in gran parte da AristoteJe, ma già in Aristotele è fortemente condizionata dalla speculazione platonica: com'è noto essa si è particolarmente esercitata nell'attaccare le grandi personalità contemporanee e nell'investire polemicamente una situazione di cultura a tal punto che i suoi contorni sono apparsi ben presto indecifrabili. Si è potuto, pert~nto, ritenere che i problemi agitati da Platone nel momento ~ostdqetto socratico della sua evoluzione fossero in realtà sorti almeno mezzo
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Dialettica e filosofia. Ippia e Platone
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secolo prima e che molte tesi ritenute di Socrate potessero avere una ascendenza ben individuabile. Di questa interpretazione non è la sede per discutere i particolari - possiamo accettare almeno un punto, cioè quello che coincide con l'interpretazione aristotelica, il rapporto retorica-dialettica o meglio la genesi della dialettica da una polemica sul senso della retorica (che è poi un diverso modo di porre un problema tradizionale) 6• Platone ha rappresentato nei suoi personaggi un conflitto di uomini e di idee da intendersi anche e forse soprattutto come un'opposizione di generi letterari, che risale indietro nel tempo, già stabilita e accettata nell'età di Socrate - anzi, con qualche probabilità si tratta di un risultato estraneo al genio attico e a Socrate, se deve pur avere un significato la testimonianza di Diogene Laerzio, quando afferma: " Aristotele nel Sofista dice che Empedocle per primo inventò la retorica e Zenone la dialettica... Inoltre Satira nelle Vite riferisce che Empedocle fu anche medico e oratore illustre; egli ebbe infatti per scolaro Gorgia ... " (vn 5758). Questa tarda testimonianza acquista un valore particolare se la accostiamo ai Ragionamenti duplici (!'.taJ,É!;Etç), uno scritto anonimo in dialetto dorico di data incerta (circa 400 a.C. o decennio seguente). Esso investe direttamente la nostra questione: " Io credo che spetti aJla medesima persona e alla medesima arte avere la capacità di discutere con rapide risposte (xm;à ~guxù btaJ.ÉyHr8m), conoscere la verità delle esperienze, saper rettamente giudicare, possedere l'attitudine a fare discorsi politici, sapere l'arte deLla parola e insegnare intorno alla natura di tutto in relazione alle sue proprietà e alla sua origine. Anzitutto, colui che possiede una conoscenza intorno alla natura di tutto, come non sarà in grado anche di operare rettamente di fronte ad ogni situazione? Inoltre anche chi conosce l'arte della parola saprà parlare rettamente intorno a tutto. Infatti è necessario che chi si propone di parlare rettamente, parli intorno a ciò che sa. Di conseguenza egli si intenderà di tutto. Egli, infatti, conosce l'arte di ogni discorso e tutti i discorsi riguardano tutta la realtà" 7 • • Una conferma indiretta di provenienza sociologica di alcune opinioni del Dupréel si legga in B. FARRINGTON, Scienza e politica nel mondo antico, trad. it. Milano 1960, pp. 65 sgg., 75 sgg., 105 sgg. Sulle conseguenze che se ne possono trarre e sul metodo da seguire ha scritto M. Untersteiner, nella recensione alle ricerche del Dupréel (citate sopra, nota 3), in «Rivista critica d. st. d. filos. », 1950. 7 Sofisti. Frammenti t; testimonianze, trad. di Untersteiner, cit., vol. m, p. 187 sgg. Stato delia questione in op. cit., pp. 147-8 e l sofisti, cit., p. 364 sgg.; A. CAPIZZI, Protagora, Firenze, 1955, p. 337.
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Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate
Il testo dell'anonimo non si limita, dunque, a mettere in luce l'idea del xaTà ~Qa;<:Ù awÀÉyw{tcit, ma pone esplicitamente in relazione quest'arte con la conoscenza della verità delle cose, col saper giudicare: chi conosce l'arte della parola, egli dice, saprà rettamente parlare intorno a tutto. Ora, si noti: la paternità sofistica di quest'opera è fuori dubbio, anzi gli interpreti credono di poter individuare nel cap. VIII (che abbiamo riportato) il pensiero di Ippia, e in particolare una polemica sofistica, cioè la confutazione della retorica gorgiana a mezzo della dottrina di Ippia: egli aveva fatto valere l'esigenza di una scienza integrale rappresentata come capacità di rispondere in modo opportuno ad ogni interrogazione. Ancora una volta Platone ci aiuta a vedere chiaro, a suo modo, nel problema. Leggiamo questo passo del Fedro: "(Socr.) Ma, nel dir male della retorica, non ci siamo comportati, amico mio, più rozzamente che non si dovesse? La quale, forse, potrebbe dirci: ' Che son codestè sciocchezze, o ammirabili? Io non forzo nessuno che ignori la verità, a imparare a parlare; ma, se il mio consiglio è qualcosa, io gli dico che prima si acquisti quella, c solo allora pensi di acquistare anche me. Quel ch'io sostengo, ed è cosa di grande importanza, è questo, che senza di me, chi pure conosca il vero, non sarà mai capace di persuadere secondo arte'. (Fedro) E dirà giusto, se dirà così. (Socr.) Sì, purché i discorsi che le muovono contro, attestino ch'ella è un'arte. Ché già mi pare di udirne alcuni che s'avanzano e depongono ch'ella mentisce c non è arte ma nuda pratica. ' Una genuina arte del dire che non tocchi la verità, non c'è c non ci potrà essere mai' " (dove pare si debba intendere, secondo il Dupréel, una allusione a Ippia) (Fedro 260A-261A, trad. Diano, Laterza). Già qui possiamo intravedere la novità della polemica antiretorica nel Fedro rispetto a quella del Gorgia 6• A partire da questo punto il tema del dialogo è chiaramente definito, e Socratc generalizza il concetto e i compiti della retorica trovandosi nella necessità di indicare norme per opporre all'insegnamento formale dei retori discorsi sensati ben costmiti. Cade qui quella celebre definizione della dialettica, che viene comunemente indicata come metodo di analisi e sintesi; poi Socrate conclude : "Ed è di questo ch'io sono amante, o Fedro, di queste divisioni e unificazioni, per essere in grado . di parlare e pensare. E se alcuno v'è ch'io ritenga per sua natura capace di figger lo sguardo 8 Retorica e filosofia in Platone è un tema classico che viene discusso da tutti gli interpreti; vi si sofferma a lm1go W. JAEGER, Paideia, ci t., vol. II, cap. vr e vol. In, cap. VIII (sul Fedro).
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Dialettica e filosofia. Ippia e Platone
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nell'uno e. nei molti, io gli corro dietro, 'come sull'orme di un dio'. E quanti hanno la possibilità di far questo, io, finora, se a ragione o no lo sa dio, li chiamo dialettici. Quelli che sono venuti a imparare da te e da Lisia, dimmelo tu come li dovremo chiamare. O è proprio questa l'arte per la quale Trasimaco c gli altri son divenuti parlatori sapientissimi c tali fanno anche quanti si mostrino disposti a. onorarli di doni, come re? (Fedro). Son uomini, sì, regali, ma non hanno nessuna cognizione di quanto tu domandi. No; c a me pare che ben a ragione codesta tua specie tu la chiami dialettica; ma la specie retorica mi pare ci sfugga ancora (Socr.) Che vuoi dire? Sarà pure qualcosa di bello ciò che può fare a meno di questo c venir tuttavia colto da un'arte " (Fedro 266 B sgg.). Se confrontiamo questo passo del Fedro con quello sopra riportato dell'anonimo (o di Ippia), ci si accorge che Platone sta lavorando su una fonte, su un materiale offerto dalla tradizione o dal dibattito del suo tempo. Seguitando, Socrate analizza le componenti di un trattato di arte retorica c ne approfitta per citare alcuni retori famosi, che " han trovato la maniera di far discorsi brevissimi e lunghissimi su qualunque argomento ", c aggiunge: " A proposito di che, una volta, Prodico si mise a ridere e disse che egli solo aveva trovato l'arte di fare i discorsi come van fatti né lunghi né corti, ma in misura giusta. (Fedro) Parola sapientissima, o Prodico! (Socr.) E Ippia non Io nominiamo? Anche il nostro ospite eleo darebbe, credo, lo stesso voto. (Fedro) Perché no?". Solo in questo luogo è nominato Ippia: vuoi fare approvare Platone ciò che Fedro dice dal vero autore dell'idea enunciata? lppia famoso per la sua scienza della misura, Ippia che spiega il male come eccesso, avrebbe riconosciuto i giusti limiti dei discorsi 9• Nonostante l'interesse che la ricerca presenta, non è nostro compito stabilire le fonti del platonismo. Abbiamo accostato questi testi e ripercorso certi
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Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate
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è un eccezionale esempio. Dal Protagora e dal Gorgia e dalla citazione dei retori (Prodico, Ippia) nel Fedro risulta che, almeno in uno stadio originario, dialettica e xaTà ~guxù btaMyw·lh:u sono la stessa cosa. L'opposizione di dialettica e retorica è nata primamente come antitesi di " brachilogia " e "macrologia ". La situazione si è modificata nella seconda generazione dei Sofisti: dalla retorica come tecnica delle controversie giudiziarie e politiche, che doveva rappresentare una riduzione rispetto a una concezione molto più vasta e generica dell'oratoria, sorse l'idea di un'arte o di una tecnica particolari, che grazie a una capacità speciale fosse in grado di esercitarsi sulla verità indipendentemente dalle circostanze. Se rileggiamo il brano riportato dei Ragionamenti duplici, e teniamo presente uno dei tanti passi platonici sull'educazione e sulla formazione del retore-dialettico (per es. Fedro 269 DE: " Se l'essere eloquente è nella tua natura, sarai un buon oratore a condizione di aggiungervi scienza ed esercizio" - c discute poi la ne~ssità di perfezionarsi nella filosofia naturale), balza allora evidente che solo la capacità di pensare, di filosofare, è il fondamento della retorica, arte di parlare -- ma nel senso di saper esporre le cose per domande e risposte. La dialettica non è che questa nuova retorica filosofica.
2.4. Protagora e Gorgia. La dialettica nelle contraddizioni della retorica È difficile dire quando e come si sia verificato il passaggio da una forma all'altra, quando dall'antica figura si sia liberata la nuova. Abbiamo già ricordato la posizione di Tppia, il sofista che faceva valere l'enciclopedismo filosofico. Cerchiamo ora di studiare il problema portandoci all'interno della tcmatica dei primi Sofisti. Da una parte non dimentichiamo che· la dottrina del xc.ng6ç (opportunità, circostanza, occasione) era un caposaldo di tutta la tradizione retorica, in particolare della retorica formale nel suo massimo rappresentante, Gorgia. D'altra parte c'è la dottrina dell'antitesi, delle antilogic, che pure è antica ne)la tradizione di quest'arte, e che si diffuse in terra greca al punto di diventare un luogo comune. V a appena ricordato iJ celebre contrasto fra il discorso giusto e il discorso ingiusto personificati nelle Nuvole di Aristofane (pp. 889 sgg.) :· "Tu vuoi schiacciarmi? Chi sei? -Chi sono? Sono il discorso! - Da meno! -Buono per sopraffare te, che ti vanti da più! - Sì, come? - Trovando tanti
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Protagora e Gorgia
concetti nuovi! " Protagora scrisse un libro sistematico che porta appunto il titolo: Antilogie. Uno dei pochi frammenti (6a) pro· tagorei rimasti dice: " Intorno ad· ogni esperienza vi sono due logoi in contrasto fra di loro ". Non possiamo ripercorrew qui la genesi storica e culturale di questa affermazione di. Protagora, le sue ascendenze nella tradizione, le direzioni del ~uo valore polç. miço (contro Parmenide) e i suoi. rapporti con l'altra affenriazione sull'uomo-misura (fr. l). Riflctt;amo su quel contenuto delle Antilogie, che si ritiene di poter ricostruire: Gli dei- Il mondo fisico e la realtà dell'essere - Le leggi e lo stato - Le arti. " Il problema di dio, le concezioni metafisiche. la validità del diritto e delle leggi con le connesse questioni etiche, il fondamento teoretico delle arti: e{!co gli aspetti basilari della conoscenza che si trovano sottoposti al dominio dell'opinione " 10• L'antilogia non può che muoversi ed esercitarsi nella sfera del mondo dell'opinione, che è ora quello stesso mondo sacro dell'essere in quanto è stato ricondotto a una dimensione umana, alla sfera ddl"opinabile, del conflitto. del contrasto antinomico. Ma noi sappiamo che proprio su questo piano, della coscienza comune in sostanza, la dialettica ha mosso i suoi primi passi. A. questo punto non possiamo che avanzare un'ipotesi. Se un senso deve avere l'ulteriore evoluzione del dibattito, poco sopra delineato, è necessario ritenere che i due ideali, quello del Y.WQ<)ç c quello dell'antitesi siano ben presto entrati in conflitto, o meglio, abbiano finito per generare un conflitto. Infatti, la retorica del -xmQ<); rappresentava il t' .onfo della retorica formale nell<\ sua massima generalizzazione; mentre l'esercizio retorico legato alle antilogie teneva fermo a un contenuto di esperienze preciso, determinato. da motivarsi c da esaurirsi nei dibattito fra le ragioni contrapposte. Questo fatto può già aver opposto Gorgia e Protagora. Ma l'opposizione si radicalizzò c si irrigidì, come si è visto, con la seconda generazione di Sofisti, quando fu fatta valere l'esigenza della scienza. Sicché noi troveremmo all'interno della sofistica una doppia genesi della dialettica, una doppia direzione dd sno p1imo movimento, avendone individuato il punto di partenza, polemico, c i due momenti logici che si sono ad un tempo manifestati nella stessa situazione di cultura. Questa situazione può essere qui soltanto presupposta, ma si deve almeno ricordare che nelle contraddizioni della consolidata democrazia ateniese la sofistica rappresenta '' l'affermazione della superiorità della vita sociale, fondata sulle tecniche" (Bréhier), . 10
M.
UNTF.RSTETNER,
l sofìsti, cit., pp. 37-3"8.
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Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate
"l'esigenza di fondare l'areté sul sapere" (Jaeger). Se quest'ultimo ideale è conforme aJ,Ja tradizione aristocratica, va però messo in luce che è nuovo e più vasto il pubblico al quale la sofistica si rivolge. Atene è ora scossa dal contrasto lentamente maturatosi fra l'ideale scientifico e materialistico jonico, democratico, e l'ideale religioso-filosofico dorico, aristocratico (del quale sarà interprete sistematico Platone): al suo fondamento troviamo la sovrapposizione della nuova struttura dei demi alla antica organizzazione tribale 11 • Basta riflettere sulla tematica dei Sofisti per capire quale fosse lo scopo della loro azione, per comprendere quale dovesse essere il significato ultimo di una polemica interna sul senso della retorica - la possibilità cioè di agire sull'ordinamento sociale e a mezzo di esso. La dialettica, o meglio, ciò che verrà qualche decennio dopo chiamato dialettica, rappres'enta la coscienza politica, democratica della retorica. La sua doppia genesi, come si diceva, nasce sul piano della coscienza comune, ma si sviluppa nello stesso tempo (o quasi) sul piano del·la coscienza filosofica. Infatti, la polemica contro la generalizzazione retorica gorgian.a - almeno come questa risulta dal noto passo : " La parola è un potente sovrano, poiché con un corpo piccolissimo e del tutto invisibile conduce a compimento opere profondamente divine " (fr. 11, dall'Elogio di Elena, cap. vm) - fa valere, con la dottrina o le dottrine della antitesi, l'esperienza della coscienza comune (" que logoi possono sempre presentarsi intorno alla stessa cosa o esperienza "), cioè il fatto e la richiesta del dialogo, che oppone la ragione alla forza della persuasione formale. Il punto di arrivo è il r.a-rù ~Qaxv bwÀ.eyEcr&m, già presente, come sappiamo, nello stesso Gorgia. D'altra parte, a partire da questo risultato - ma ci si deve riferire, si badi, non al risultato in sé, ottenuto in un determinato momento, ma all'intera vicenda del suo costituirsi come tale - si fa innanzi l'esigenza della scienza, si configura nuovamente quella coscienza filosofica, che sembrava essere stata nientificata daiia prima sofistica, dal suo cosiddetto relativismo (Protagora) e nichilismo (Gorgia). " Così, con rapide risposte attorno ad ogni argomento, deve rispondere, quando sia interrogato; dunque, egli deve sapere tutto " (Dialexeis, vm, 13). Alle origini, dunque, tcori~ della scienza integrale (lp11 B. FARI·>r.NGTON, Scienza e politica nel mondo antico, 108; G. THoMsON, Eschilo e Atene, trad. it. Torino 1949, M. UNTERSTiiiNER, Fisiologia del mito, Milano 1946, pp. sgg. e in generale il saggio Le origini sociali della sofistica, filosofia in onore di R. Mondolfo». Rari 1950.
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cit., pp. 105~ pp. 291 sgg.; 241-242, 305 in «Studi di
L'esperienza socratica
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pia) e dialettica sono la stessa cosa; dialettica come dialogo, come il filosofare nel suo più profondo esercizio e dialettica come metodo e scienza particolari che innalzano la coscienza comune alla coscienza filosofica o che ricercano nel sapere filosofico una giustificazione della coscienza comune.
2.5. L'esperienza socratica 1:: interessante notare come la storia de1la dialettica ripresenti sempre le sue figure. La sua evoluzione, se di evoluzione si può parlare, descriverà ancora questa curva fondamentale. Solo il sistema filosofico nella sua totalità e chiusura ci offrirà qualche possibiJità di pervenire a una definizione particolare univoca, ma anche allora non verrà meno il pericolo di smarrime il senso nella definizione concettuale, nel sapere. Perché questo è il carattere della dialettica, di rappresentare nella genesi del sistema filosofico il momento della negazione, dyl no, del non-ancora - cioè quel fondamento reale del sistema,· quel punto di attacco della filosofia con la storia, che viene negato nella costruzione, nella universalità del discorso del filosofo. Se questo discorso sia a sua volta dialettico (storico universale) è quanto di volta in volta il filosofo deve provare e l'interprete pervenire a comprendere. Resta il fatto non superabile della alterità di situazione e dialettica, dialettica e filosofia, filosofia e situazione - alterità che riflette e ripete l'estraneazione originaria dell'uomo rispetto al mondo (il suo stupore e la sua protesta) e l'estraneazione ultima del filosofo nella violenza delle cose. Diciamo la alienazione, ma così abbiamo percorso l'intero circolo della dialettica, abbiamo evocato la figura di Socrate. :B giusto concludere con Socrate il capitolo sulle origini storiche della dialettica. Ma con questo non intendiamo, aggiungere un nostro contributo a più di due millenni di storiografia socratica. La dialettica socratica è un fatto irripetibile nella sua genesi e nel suo fondamento. Ora, è sufficiente notare che nella tragica figura di Socrate - tragica nel senso che coincide con la tragedia della storia quando un principio si erge come assoluto (il singolo, la coscienza comune, c i. suoi valori) di fronte a un altro principio, esso pure oggettivamente assoluto (la tradizione civile; la costituzione, la noÀtç 12) - la dialettica vive e si manifesta 11
È
l'interpretazione di Hegel, che si può leggere nelle lezioni sulla sto-
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in un momento di eccezionale equilibrio, di unità con la situazione, la storia, la vita. È l'uomo comune come coscienza della città non ancora posta come problema a se stessa. Per questo è un fatto unico e irripetibile. La risoluzione della situazione in ricerca dialettica, il suo storico modificarsi, porta inevitabilmente con sé il rifiuto e la distruzione della situazione stessa, la nascita, quindi, della collisione tragica. E a questa nascita la filosofia non può che essere estranea - la filosofia viene dopo. Socrate, il democratico, fu mandato a morte da un tribunale democratico, che faceva proprie accuse dettate dagli ideali aristocratici tradizionali. La contraddizione tragica della situazione non fu spiegata, ma soppressa da Platone, che idealizzò Socrate come l'uomo dell'oracolo - l'uomo che trascende la situazione. Di fronte a questa figura, che smarrisce continuamente nel mito i suoi contorni, preferiamo lasciare la parola, per illustrare il punto che ci interessa, ad un interprete che fu nei nostri tempi un socratico. " La dialettica. Come procede ora tale ricerca? Un atto, una situazione rimanda a un valore: a un principio generale di azione, all'idea di una virtù, a un criterio di giudizio. È chiaro questo valore alla coscienza? Sappiamo noi con certezza di che si tratta? "h questa la domanda elenctica, il problema che prova e mette in gioco la nostra sicurezza, con cui l'inchiesta si inizia. E sin dal primo esame risulta che il nostro sapere è in questo campo un'musionc, fondata su certe accezioni comuni che si riflettono in un nome comune, ed hanno bensì la loro base in una comune struttura etica - di ciò Socrate non dubita - ma che qui s'è astratta, confusa e resa ambigua, capace di accogliere ogni contenuto. Questa coscienza dell'ambiguità del linguaggio era stata già riconosciuta nelle ricerche siQònimiche di Prodico, ed era stata rilevata in tutta la sua importanza, come espressione della crisi etica, da Tucidide. Ma qui Socrate va ancora più a fondo: sotto l'ambiguità generica della parola, sotto l'astratta incctiezza della comune opinione, egli eccita, per così dire, la singolarità delle opinioni, impegna ciascuno in una detenninazione concreta di quel valore, e lo impegna a fondo, con la sua esperienza, con la sua vita. Perciò ogni opinione è presa ria della filosofia, ma anche in quelle sulla filosofia della storia: si vedano alcuni giudizi di Hegel nel Socrate di A. Banfi, Milano, 19442, pp. 333 sg~. (il brano che ora riportiamo è a p. 88 sgg.); poi K. LEESE, Die Geschichtsphi/osophie Hegels auf Grund... , Berlin 1922, p. 206 sgg.; J. KuP'FER, Die Aufjassung des Sokrates in Hegels Geschichtsphilosophie, Diss. L~ipzig 1927 c il nostro Antropologia e dialettica nella filosofia di Platone, m Storicità della dialettica antica, Padova 1966.
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L'esperienza sncratJ.ca
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con la massima serietà, proprio perché in essa deve esprimersi con la massima vigoria la situazione personale di fronte a quel problema, è chiarita in cgni suo presupposto, in ogni suo sviluppo, è rapportata sia all'esperienza personale come alla estensione obbiettiva riconosciuta di quel valore etico. E in tal processo si illuminanò i suoi limiti c il non sapere deHa persona stessa, la sua mancanza di chiarezza con sé, di coerenza interiore, l'ambiguità dei propri principi, prnprio là dove si esigerebbe il massimo di precisione; ed ecco nuove opinioni si affacciano, si contrastano, sono riprese a fondo e di nuovo le persone reagiscono e prendono coscienza di sé. Tutta' quella sfera etica è posta in movimento, messa in problema, e non un puro problema di sistemazione teoretica, ma un problema di vita e di partecipazione d'animo. Le reazioni, naturalmente, delle singole persone sono diversissime, e qui ha avuto luce la grande arte platonica; impassibile, sereno, comprensivo e insieme ironico è Socrate, che iqcessantcmente svolge. intreccia, approfondisce la ricerca, risolleva il discorso dalle facili affermazioni dogmatiche come dagli scoramenti. "Questo esame che corre continuo e si sviluppa sotto il dialogo è la dialettica socratica. Essa si differenzia sia dalla retorica sofistica, sia dall'eristica dei cinici, sia dalla dialettica speculativa di Platone. Per riguardo alla prima essa è in netta opposizione. Giacché la retorica sofistica è lo svolgimento armonico e persuasivamcntc coerente di un punto di vista, è l'univcrsalizzazione nel discorso di un'opinicnc, mentre la dialettica socraticu è proprio il conllitto delle opinioni, 1a distruzione della loro certezza, la risoluzione del loro apparente equilibrio. Quanto all'eristica cinica essa svolge uno dei motivi della dialettica socratica, i·l motivo negativo del non sapere, in senso puramente scettico: ciò che le importa e a cui usa tutti i mezzi di una retorica del dissuadere, è di distruggere le pretese dell'intcllettualismo a una legislazione della vita e di lasciar campo libero a.Jla virtù spontanea della natura umana. Infine, la dialettiCa platonica ha valore essenzialmente teoretico. Essa nasce sì dalla dialettica so-, cratica, ma, pur sviluppando un elemento della sua natura, ne modifica l'intenzione. Voglio dire che in Platone il movimento del pensiero, attraverso il caos confuso dell'opinione, mira a scoprire il sistema delle idee che vi soggiacc, superando via via la parzialità dì ogni posizione nell'ordine dei suoi rapporti c purificando quella in questi. 1:: insomma il regno universale e autonomo della verità che così è conquistato, in modo che il processo o il metodo dialettico si estende a tutti i piani c- le forme
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Esperienze dialettiche tra i Sofisti c Socrate
dell'esperienza. Pt:r Socratc la dialettica non è un metodo universale teoreticp: essa si riferisce solo al campo etico ed è il processo per cui questo si traspone sul piano della moralità. Giacché la dissoluzione della certezza dell'opinione, il riconoscimento della sua astrattezza o parzialità, il rilievo delle contraddizioni tra opinione e opinione e dell'inadeguatezza di ciascuna ad esprimere nella sua purezza e universalità il mondo etico, se non. si arrestaper Socrate alla constatazione scettica di Antistene, non procede neppure con Platone verso Ja definizione universalmente valida del concetto di quel valore. La dialettica ha per Socratc un fine essenzialmente pratico: essa mira a riportare i valori etici incerti nella crisi del costume a contatto con le esigenze e le situazioni personali, a trar queste fuori dal limite della loro egoistica sufficienza, a far sì che sul comune piano di problemi le singole persone riconoscano la loro comune umanità ... " La ricerca socratica ci dà il primo esempio spontaneo del metodo concettuale, pur senza averne in chiaro, date le sue finalità pratiche, l'efficacia teoretica. La reazione sofistica scettica verso la filosofia razionale dei fisici, è un ritorno alla validità deil'esperienza concreta e dell'opinione, con l'aspirazione pratica a creare un'opinione retoricamente così universale da valere come criterio di giudizio c di azione. Ma in Socrate l'esperienza, l'opinione, !ungi dall'essere astratta, è lasciata valere nella sua concretezza, è riconosciuta nella varietà della sua struttura e dei suoi rapporti, la cui unità limite è per l'appunto i1 concetto. La dialettica socratica è proprio questo metodo; solo che il suo interesse è pratico, non teoretico, la sua funzione è protreptìca, rivolta alla formazione della coscienza e della responsabilità personale. Perciò il metodo resta aperto, la dialettica senza soluzione, il concetto non è raggiunto, e il suo essere - tratto fuori dall'incertezza dell'opinione comune - è un limite della ricerca, e quindi né definito astrattamente in senso logico né realizzato metafi.sicamente come idea o come essenza sostanziale. Dal che risulta che proprio la finalità pratico-protreptica della dialettica socratica, la rende un tipico esempio di metodo concettuale aperto e progressivo, la pone, sia pure senza chiara coscienza del suo valore teoretico, all'inizio di quel razionalismo della ricerca, che dopo essersi espresso in Platone nella sua esigenza più profonda e definito e limitato sistematicamente in Aristotele, troverà nel pensiero moderno il suo più largo sviluppo" 13•
" A.
BANI'I,
.Socrare, cit., p. 88 sgg.
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3. Dialogo, dialettica e filosofia in Platone
3 .l. Premessa Tre fatti essenzialmente impediscono allo storico e all'interprete di accedere alla filosofia platonica con la stessa oggettività di cui sa o almeno può dar prova in altri casi e oserei dire in tutti gli altri casi: la forma letteraria, che Platone ha scelto per consegnare a noi il suo filosofare, il dialogo, il dibattito drammatico, che presuppone invenzione di personaggi, creazione di situazioni, e, diciamolo pure, mistificazione di uomini e di idee; la mediazione,· che egli ha voluto creare, tra sé, i personaggi e il lettore, inserendo nel . dibattito la persona di Socrate, sollecitatore della ricerca ma anche, ad un tempo, " figura dello schermo", centro dal quale sfuggono verso un'immaginaria circonferenza le linee di ~orza che quella ricerca ha messo in luce e determinato cori. calcolo e perizia~; e infine una specie di " doppia verità", messa in pratica da Platone, e cioè la filosofia contenuta nei dialoghi c la filosofia esposta nelle lezioni all'Accademia, dci cui limiti e rapporti oggi sappiamo ben poco, mentre i contemporanei non potevano non esserne al corrente. Per questi motivi l'interprete, sia esso filosofo o filologo, non può che scegliere un momento, una tesi, un problema della filosofia platonica presupponendo che tale tesi sia anche di Platone - e dare così per risolta una difficoltà che storicamente risolta non è - ricostruendo secondo questo punto di vista il sistema o una sua parte o la sua evoluzione. Dobbiamo insomma presupporre come nota una filosofia di Platone per· intendere in Platone la filosofia. Hegel stesso, che ha fondato nella Storia della .filosofia la sua magistrale ricostruzione del platonismo sulla Repubblica, ha così posto da parte il dato storico, che Aristotele non cita mai questo dialogo nella discussione dei problemi stret~ tamente filosofici o metafisici.
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Dialogo, dialettica c tilosofia in Platone
Le tre diflìcoltà di cui abbiamo parlato (forma dialogica, problema di Socrate c doppia verità) sono a più forte e a maggiore ragione presenti, si unificano, direi, nel problema della dialettica, nel senso però che· questo ne costituisce il fondamento, il loro tessuto connettivo. Infatti, la dialettica nasce dal dialogo, è il dialogo stesso almeno fino ad un certo punto, e si può sostenere che la forma dialogica era richiesta, per darne un'immagine phstica, dal dìalettizzare di Socrate o, se vogliamo, dall'interpretazione che Platone intendeva dare della filosofia socratica. Già per tale motivo problema di Socrate in Platone e dialettica sono tutt'uno. Qual è, infatti, la forma della dialettica socratica? In che si distingue dalla dialettica platonica? 't presente la distinzione in Platone, e, se c'è, a che punto e su quale piano ha essa inizio? Non ha grande importanza per noi, in questa sede, la questione delle " lezioni " platoniche, delle dottrine non scritte, ma è chiaro che non può non esserci una relazione con ciò che è stato l'anima di una lunga evoluzione, con quella dialettica che ritorna, trasfigurata, anche negli ultimissimi scritti, per esempio la Lettera VII. Abbiamo premesso queste osservazioni per sottolineare la natura particolare della ricerca platonica e addirittura la sua ecce~.:ionalità quando la si debba investire dal punto di vista della dialettica. l dati della questione, infatti, si presentano in modo tale che l'interprete si vede· costretto a esporre il problema della dialettica in Platone come se esso costituisse ad un tempo la parte c l'jntero di quella fi·losofia, il fatto c il problema, il presupposto del filosofare, il suo risultato e la prospettiva del filosofo. Stando così le cose, molti problemi, che il lettore si" sarebbe immaginato di veder qui accennati o risolti, saranno lasciati in ombra, altri, che la tradizione riteneva accolli o superati, verranno invece discussi a fondo. Ma tutto ciò, ormai lo si è detto più volte, dipende dalla filosofia di Platone, dai suoi limiti - che sono la sua stessa grandezza e la ragione del suo poter essere continumnente ripetuta. Per chiarezza cercheremo di separare e di tener separati questi piani, questi strati del platonismo, individuando prima una storia esterna del concetto di dialettica c proponendo in un secondo momento una interpretazione.
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Dialogo e dialettica
3.2. Dialogo e dialettica llw:MyEa1lcn inizia· la sua storia in Platone col significato di " intrattenersi in colloquio ", " discutere ", " domandare e rispondere " ecc. È l'uso degli scrittori attici intorno al 400 a.C. Il colloquio che viene con questo verbo indicato si svolge preferibilmente fra due persone, ma non necessariamente, perché al dibattito partecipano spesso numerosi interlocutori. Non ha grande importanza documentare questo dato preliminare. Basta sfogliare qualunque dialogo platonico per accertarsene. Per esempio: " Ed io non sono di quelli che pretendono denaro per parlare... " (Apol. 33B); poco più avanti: "Abbiamo avuto, infatti, voi ed io, troppo poco tempo per discutere ( =per venire ad una spiegazione) " (3 7AB). Nel Protagora questo verbo ricorre, dicono, 33 volte 1• Vediamone qualche esempio: "Ora ti farò una domanda sull'argomento intorno al quale poco fa tu ed io si discuteva " (339AB); una volta è usato il duale: "Bisogna infatti che coloro che assistono a tali dibattiti siano imparziali tra i due interlocutori " (337 AB); ancora: " ... nel vestibolo parlammo a lungo finché ci si mise d'accordo" (314CD). Nel F e do ne: " (perché il veleno faccia il suo effetto) è necessario che ti spieghi di parlare il meno possibile " (63DE); anche in un'opera tarda come le Leggi troviamo: "Avendo considerato questa potenza militare di cui stavo parlando ... " (m. 686DE), e: " In realtà il nostro colloquio è rivolto ad uomini, non a dei " (v. 732E-733A). Significative contrapposizioni illuminano in pieno, anche se indirettamente, l'uso di questo verbo in Platone, una accezione nient'affatto semplice perché di volta in volta Platone dà ad esso se non un particolare significato almeno una sfumatura diversa. Il discorrere, il conversare ordinatamente, la discussione onesta, pura da invidia e da spirito di emulazione (come il filosofo si esprimerà da vecchio nell'Epistola VII, cfr. 344BD), vengono opposti al disputare, al dibattito eristico, sottile, capzioso, formaJe (Repubbl. v. 454AB); alla contestazione oratoria, nel corso della quale è lecito scherzare ed ingannare, mentre nel dialogo ci si deve impegnare seriamente, aiutare l'avversario, mostrargli gli errori (Teet. 167D-168A); alla pubblica allocuzione nell'assemblea o nei tribunali, dove una parte deve schiacciare l'altra (per es. Gorg. 471E-472A); secondo un noto passo del Protagora: "Pen1,
1 W. MuRI, Das Wort Diaiektik bei Plato, in « Museum Helveticum 1944, n. 3.
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Dialogo, dialettica e filosofia in Platone
savo, infatti, (dice Socratc) che una conversazione tra persone che si sono date convegno e un discorso al popo~o fossero due cose distinte" (336BC) - e viene subito introdotto il noto tema del discorso breve e del discorso lungo, dell'indagine che procede per brevi domande-risposte e dell'esposizione continuata, sistematica potremmo dire, che avrebbe opposto prima i sofisti tra loro, poi, in Platone, i sofisti e Socrate. Vorremmo, infine, ricordare un luogo del Menone comunemente citato, che tuttavia ha per noi un valore addirittura paradigmatico, se ha senso tutto ciò che abbiamo detto e cercato di mostrare sulla genesi e sulla natura della dialettica, su questa costante dell'interpretazione platonica: " Se poi l'interrogante fosse uno di quei sapienti eristici e polemici, gli direi: ' Io ho parlato; se non ho detto bene, tocca a te riprendere l'argomento e confutarmi'. Ma quando due amici, come tu ed io siamo, hanno voglia di discutere insieme, allora dovrei rispondere un po' più dolcemente ed in modo più conforme allo spirito della conversazione. E questo significa non soltanto rispondere la verità, ma anche fondarla su ciò che l'interlocutore riconosce lui stesso di sapere" (75CE) (cfr. sopra 1.2). E così, lo vedremo subito, ritorniamo, perfezionandola, alla situazione del Protagora. È indubitabile, infatti, che questa accezione, la pm VIcma, come dobbiamo ritenere, al valore etimologico e semantico di llt.aMyw{hXL-dialettica, esaurisca aQche, nel suo complesso, il primo, socratico-platonico, significato di dialettica. Il fenomeno è già stato da altri accuratamente studiato, la tecnica del dialogo socratico attentamente esplorata 2• Sul cosiddetto procedimento elenctico si è innalzato addirittura un sistema, a torto secondo noi, perché in tal modo risulta annullata la libertà del procedimento socratico e platonico; il libero gioco della domandarisposta, dell'accettazione e della confutazione dell'ipotesi è stato determinato nelle sue forme dirette e indirette, induttive, sillogistiche, definitorie. A che scopo? Robinson alla fine del suo progetto di lavoro conclude: "L'Eì.eyxo; si trasforma in dialettica, il negativo in positivo, la pedagogia nella.rivelazione, la mo2 Soprattutto nelle interpretazioni degli storici e filologi inglesi, fra le più equilibrate nell'individuare nel platonismo il momento ·socratico e quello platonico. Vedi per esempio A.E. TAYLOR, Socrate, trad. it Firenze 1952 e ROBINSON, Plato's E.arlier Dialectic, Oxford 1953 2, parte r: "Elenchus ··, pp. 19 e 69 per le citazioni qui sotto. Stato della questione e bibliografia in V. DE MAGALIIAEs-VILHENA, Socrate et la légende platonicienne, Paris 1952.
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ralità in scienza ". L'elenco o confutazione non è, dunque, altro che una prima forma della dialettica, una dialettica, per usare la terminologia del Robinson, che non è ancora pervenuta al metodo, che non si sa ancora come metodo. Perché allora fare dell'elenco un metodo? Fra i luoghi in cui Platone fa reclamare a Socrate libertà di movimento e di procedimento, scegliamo questo, dal Teeteto, significativo perché abbastanza recente nell'evoluzione. Socrate, confutando Ja norma protagorea, riprende un'argomentazione dell'Eutidemo (287 A sgg.): se non possiamo ingannarci né con l'azione né con le parole né con il pepsiero, a chi, di grazia, .volete dare lezione? Per qual motivo Protagora sarebbe tanto saggio da poter insegnare agli altri se ciascuno di noi è misura della propria saggezza? - e aggiunge: "Come non dire che Protagora parla ad uso del popolino? Per ciò che riguarda me e la mia arte maieutica è meglio non parlare di tutto il riso che provocherebbe, e penso anche a tutta l'opera dialettica ... " (161 E-1-62A). Una volta esposta la situazione di fatto dobbiamo però porci una domanda. Come avviene in Platone la determinazione filosofica, la traduzione in valore concettuale di questo fenomeno linguistico, lessicale, e ad un tempo (non dimentichiamo Socrate e la prassi quotidiana del tempo) prammatico? Uno dei problemi più affascinanti della storia della dialettica, forse dell'intera storia del pensiero antico, è destinato a nostro avviso a rimanere senza soluzione, un enigma - ed esso racchiude la ragione, non ultima, del suo provocare continuamente gli interpreti. Le radici del problema, Ja sua genesi, o stanno semplicemente in quella storia che abbiamo cercato di tracciare - una storia alla quale Platone partecipa attivamente e si trova ad esserne /anche l'erede, un epigono - oppure esse affondano nell'intrico dei rapporti Socrate-Platone, in .un tessuto, dunque, dove ogni ipotesi è possibile, ma dove ogni interpretazione rischia di essere una violenza esercitata sui testi e sui documenti in nostro possesso. Abbiamo accennato ora, per star fermi al nostro ùtaMyecr{hu e per non coinvolgere temi dell'intera dottrina, all'interpretazione del Robinson, e abbiamo ricordato a suo tempo quella senofontea (cfr. sopra 1.4), senza eco, cioè non esplicitamente testimoniata, che si sappia, in Platone. A questo punto, per rispondere più direttamente alla domanda posta, che in modo più adeguato potremmo formulare così: Fra gli esempi riportati qual è la determinazione del btaì,iyun'tm che si impone come filosofica? vorremmo riprendere la tesi del Calogero, che proprio sul
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bwÀÉyfo{}m fonda la sua ricostruzione socratica: " ... e anche se la socratica volontà di dialogo si è qui (nel Fedro) già sensibilmente cristallizzata in ' arte dialettica ' (secondo quel processo che segna la storia interna del pensiero platonico, e .che a poco a -poco riduce Ja dialettica a non essere altro che una particolare dottrina, cioè un più o meno ragionevole logo nel dialogo), tuttavia il fatto che si inseriscano i ÀélyOL come semi fecondi, negli animi degli interlocutori continua ad èssere concepito come un processo ininterrotto che si ripete in sempre nuovi animi e con sempre nuovi ÀoyOL ... " 3 • Se riteniamo accettabile questa configurazione, la determinazione del bwi.Éyw-frat, che ha in sé immediatamente qualcosa di filosofico, è presente nel Protagora: qui per la prima volta Socrate . dirige il dibattito, nel senso che impone ad esso certe condizioni. Si tratta del lungo passo 328D-336C all'interno del quale cade la citazione, che abbiamo sopra riportato: elogio del discorso breve e di Protagora, che sa tenere " discorsi lunghi e belli ", ma sa anche, quando è interrogato, rispondere con concisione e, quando interroga, " attendere la risposta e accoglierla " per valutaria correttamente (la qual cosa, ironizza Socrate, " è data a pochi"); esposizione del procedimento come controllo dell'opinione sostenuta, sia essa quella degli interlocutori sia quella di altri fatta valere nel dibattito, ma anche esame e di chi la domanda pone e di chi risponde - insomma il metodo del domandare-rispondere in breve, attenendosi però al fatto, interpretando correttamente la domanda, rispondendo a tono, dandone ragione nella risposta a sé e agli altri. È un. momento del dibattito sul quale Platone insiste, e lo sottolinea usando espressioni " tecniche" (alcune di esse ritroveremo anche più tardi: per es. Resp. VII. 531E-532A e Politico 286A: "saper dar ragione di una cosa e intendeme ragione"): ~çn&.~uv (sottoporre ad esame), 1!/,qxoç (l'esame, la contestazione, e la dimostrazione che se ne dà), f),Érxnv (mettere in atto l'EÀFy;(oç), ÈÀÉYXfm'}cn (essere oggetto dell'EÀEyxoç); btW.Éyw{}m nella precisa accezione di rispondere riferendosi esattamente a ciò che è stato chiesto; Myov &ouvat (rispondere a tono), Aùyov 6É~aaftm (intendere la risposta c interpretarla opportunamente al fine di procedere nella conversazione) 4•
' G. CALOGERO, Socrate, in <
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La dialettica come problema
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3.3. La dialettica come problema Dovrebbe essere risultato chiaro che finora la dialettica come ataÀ.Éywihn è accettata e presentata nella filosofia platonica come un fatto. Platone lascia agire il awMywihu socratico nella sua li-
bertà, nel suo movimento, nei limiti non ben definiti delle sue norme. Dobbiamo ripetere che lasciamo del tutto aperta, o meglio non discussa a fondo, la questione se questo fatto della filosofia platonica coincida con la cosiddetta filosofia socratica, benché non sia possibile dubitare che esso coincide con la filosofia di Socrate in Platone. Il mondo intellettuale di allora, completamente diverso, com'è ovvio, dal nostro, si mostrava del tutto indifferente, si badi, al concetto e al senso della proprietà letteraria; di qui la buona fede degli autori dei cosiddetti plagi, delle contraffazioni, delle opere suppositizie; a maggior ragione non si può dubitare della buona fede della ·libera ricostruiione platonica. Con questo noi generalizziamo e semplifichiamo, per la necessità dell'esposizione, un'opinio r:ecepta, un dato sul quale si accordano storiografie di natura e ispirazione diversissime, che pur fanno valere riserve, difficoltà, indicazioni o lezioni particolari. A partire da questo risultato, dallo stesso Gorgia, che per ragioni interne ed esterne non può che collocarsi vicino al Pratagora, la concezione del 1haÀÉycoofrut entra in crisi nel senso che da esso si libera, rendendosi autonomo e acquistando forme determinate, il suo significato, diciamo pure, metafisica. L'accezione originaria resiste, certo, accanto alla nuova ricerca, e vi rimane ora semplicemente giustapposta ora invece come presupposta. Infatti, l'arco lungo il quale si distende il dibattito nel Gorgia va dall'affermazione di Socratc di fronte a Gorgia: " Se il tuo carattere è dunque simile al mio, se sci l'uomo cui piace confutare ed essere confutato, allora parliamo" (458AC) -fino alla regola che Socrate stabilisce con Callide: " ... se noi saremo d'accordo su un punto, riterremo questo punto provato a sufficienza e non avremo bisogno di altri esami. .. , il nostro consenso quindi significherà il compiersi della verità" (487E-488A): ma in mezzo sta quella ricerca sulla natura della retorica che è già in sé una ricerca sulla dialettica. n awJJywofrut, insomma, non è più il fatto della filosofia platonica (socratico-platonica), ma è posto ora come un suo problema. L'analisi della retorica (natura, significato, compiti) si presenta nelle sue linee generali secondo questa evoluzione. Nel-
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l'Eutidemo, in fom1a ironica e polemica, il retore e il sofista sono sostanzialmente identificati. Antifilosofi per vocazione e d'altra parte combattuti dai filosofi e da questi disdegnati, i retori occupano una posizione che " sta al limite tra la politica c la filosofia " (305CE). TI discorso va più a fondo nel Gorgia, dove alla natura della retorica è dedicato più ampio spazio, tutta la prima parte del dialogo. L'argomentazione platonica va determinandosi : già la tradizione non considerava scienza la retorica, e ne limitava la sfera d'azione al mondo dell'opinione; ora si tratta di negare che la retorica sia. un'arte: " ... non è un'arte ma un'empiria, perché rispetto alle cose che offre non sa rendere nessuna ragione di quale natura siano queste cose che offre, sì da non poter dare la spiegazione di ciascuna" (465AB). Per Platone, dunque, la retorica non è un'arte proprio perché è ciò che sostenevano i sofisti, cioè un'esperienza teorico-pratica, un'empiria. Possiamo comprendere allora la posizione nuova rispetto all'Eutidemo, la distinzione cioè della retorica dalla sofistica: esse sono ugualmente due forme di adulazione, due contraffazioni, ma " mentre la sofistica sarebbe contraffazione dell'arte della legislazione, la retorica sarebbe invece contraffazione dell'arte dell'amministrazione della giustizia " - affermazione che a Platone è consentita senza altre spiegazioni in quanto è implicita nel presupposto, comune all'età sua, dell'identificazione del saggio politico e del vero oratore. Il nuovo passaggio è rappresentato dalla negazione del compito della retorica gorgiana, la persuasione; ma tale negazione è tutt'uno con la formulazione del ~taì.ÉyFa&m socratico, che abbiamo già visto. Non c'è altra persuasione che quella sollecitata dalla pratica del dialogo, dalla disposizione della buona coscienza nel conversare c nel fare. Il circolo è, dunque, percorso, chiuso; la prima figura autonoma della dialettica si rivela e prende forma nel dibattito fra la retorica, la sofistica e la filosofia. La nuova risposta, e il punto finale di questa evoluzione, è nel Fedro. Ne esporremo brevemente il risultato, perché il Fedro ci porta molto al di là del problema che stiamo individuando. Non dimentichiamo che il Fedro ha alle sue spalle il Crati/o, il Simposio e soprattutto la Repubblica, cioè Platone parla dopo una grande esperienza di pensiero, di cultura e di vita morale, dall'alto di una posizione speculativa che egli considera sicura c provata anche se non definitiva; almeno per ora, dice, egli sa chi sono i dialettici (266BC) 5• Che cos'è, allora, la re' Per la datazione del Fedro v. la Notice premessa da L. Robin alla
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torica? Come è facile vedere, -il piano della precedente ricerca appare capovolto: non si cerca più la dialettica a partire dalla retorica; l'argomentazione si sviluppa secondo questo progetto: la critica della retorica di fatto, nelle sue opere e nell'insegnamento, dimostra che non c'è arte retorica autonoma, fondata sul sapere e quindi sulla possibilità di essere insegnata; si può, invece, affermare l'ideale di una retorica di diritto, che abbia il proprio fondamento nella filosofia, nella dialettica; un'arte di parlare e di pensare, retta dalla ricerca in comune e dal biso-· gno, dalla necessità della verità, vivi e fecondi nello spirito del maestro e del discepolo (agisce qui la celebre dottrina dell'amore); una retorica filosofica- la dialettica, compiuta come metodo e come techne (cfr. 269DE). Possiamo anticipare subito come essa si determini e quale sia il suo doppio movimento. Il primo, la sinottica, consiste nel ricondurre all'unità di una forma, di un'idea, diremmo noi, ciò che è diverso e molteplice, a mezzo di una intuizione, di una visione, di una comprensione della totalità; il secondo, la diairetica, mira invece a specificare l'unità definita in precedenza, cioè a riconoscere quali forme dipendono dalla natura di quell'unità, mediante una divisione di essa secondo le sue articolazioni naturali, cioè le sue specie. Si noti che in Platone il rapporto speciegeneri (dove specie= forme, idee) non è ben determinato e non corrisponde a quello presente nelle nostre lingue. L'unità naturale di cui si parla è paragonabile a quella di un essere vivente, che ha parti uguali a destra e a sinistra. Nei due discorsi sull'amore, che Socrate tiene in risposta al discorso di Lisia riferito da Fedro, si sostiene che l'amore è un delirio e in quanto tale viene una prima volta esaltato e la seconda vituperato, considerandone prima la specie sinistra poi la specie destra, il delirio umano e il delirio divino - operazione che deve continuare per ciascuna determinazione fino alla specie indivisibile o idea (cfr. 277AB): " Questi due processi, condizionantisi a vicenda, costituiscono tutta la dialettica. II che Platone rende chiaro col ricapitolare brevemente lo svolgimento e il risultato delle differenziazioni concettuali nel secondo dci due discorsi. Questa delucidazione delle due funzioni del metodo dialettico, la sinottica (avvaywy~) e la diairetica (btchQFmç) è quel che di più chiaro e penetrante Platone sua edizione per la coll. « Les Belles Lettres », Paris 1954', pp. m-rx. Sulle idee-specie-forme e sul rapporto col Fedone, citato avanti, pp. CLIV-CLVI.
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abbia mai detto su questo soggetto " 6 : " Amo, o Fedro, queste operazioni del dividere e dell'unificare· affinché mi sia possibile parlare e pensare. Se scorgerò poi qualcun altro capace di portare il suo sguardo sull'uno e sull'unità naturale di un molteplice, questi voglio inseguire, 'sulla traccia ch'egli lascia, come fosse quella di un dio'. E infatti coloro che sanno fare questo - se è giusto o no, dio lo sa - per ora io li citiamo ad ogni modo dialettici... " (Fedro 266BC). Il perché di questa definizione è dato come noto: la pratiéa del dialogo è a suo fondamento come il Fedone ha già: dimostrato (cfr. 73AB, 75DE c 78D: " Quest'essenza in se stessa dell'essere della quale noi diamo ragione interrogando e rispondendo ... ") - anche se le parole dialettico e dialettica non sono ancora state pronunciate come avviene invece nel Cratilo. e nel Menone. Che il dialogo sia indispensabile al primo dei due procedimenti lo hanno provato a sufficienza i dialoghi giovan~Iì con quelle induzioni che rappresentano lo scopo di una ricerca in comune. Se si pensa al Sofista e al Politico, ci si convince che il dialogo è altrettanto necessario al secondo procedimento illustrato dal Fedro. Eravamo partiti dal ~Ìlaì.Éyt{hu socratico-platonico, dalla posizione di Platone nel Protagora e nel Gorgia, e abbiamo trovato, nel Fedro, nel tentativo di individuare le componenti della polemica contro la retorica, la dialettica e il dialettico, in una delle loro figure più complesse o meglio in una sfera che appartiene già all'ultimo momento dell'evoluzione platonica. Se avessimo condotto innanzi la lettura del Fedro, ci saremmo imbattuti anche nella definizione del filosofo. Alla fine del dialogo, infatti, (278CE), il dialettico si identifica col fil9sofo in quanto filo-sofo: il nome di sojo sembra qui a Platone eccessivo come quello che " conviene soltanto ad un Dio ". Dal dialogo, dunque, alla dialettica e alla filosofia; dalla pratica del dialogo, che esaurisce i compiti del filosofare nel dar ragione della cosa a sé e agli altri la filosofia come quella persuasione che 8taMyw{}m promuove al metodo-techne della parola e del pensiero, la dialettica della divisione e dell'unificazione, che si fonda ora non più sul convincimento e sulla convinzione dei dialoganti, bensì sulla possibilità di un'intuizione dell'intero.
' W. W. J AEGER, Paideia, trad. it. Firenze 1959, vol.
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111,
p. 331.
La dialettica come " metodo " e come " scienza "
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3.4. La dialettica come "metodo" e come " scienza" (la Repubblica) Nel Fedro abbiamo per la prima volta colto il liberarsi di una figura sistematica _della dialettica (filosofia) dal (ha/.Éyw{}m (dialettica) di origine e ispirazione socratica. II linguaggio denuncia questo nuovo stato di fatto quando Platone pone i:ltaAÉyEm'}m senz'altro uguale a dialettica: " ... bisogna trattare con indulgenza coloro che noo conoscendo la dialettica (1:\tuÀfyw{}cu.) ... " (269 BC). Dobbiamo chiederci come sia avvenuta questa si~temazione concettuàle, perché a tale domanda abbiamo risposto solo in parte. Abbiamo, infatti, seguito la polemica antiretorica e notato che Platone aveva alle spalle un'esperienza culturale non trascurabile, e abbiamo anticipato così un risultato che ha le sue premesse o più precisamente la sua fondazione nella Repubblica, un'opera nella quale agiscono le preoccupazioni più dirette e immediate · del filosofare platonico. Non dimentichiamo che il dibattito retorica-sofistica-dialetticafilosofia non è in Platorte sollecitato dall'alto, a parte philosophiae. La Lettera VII, della cui autenticità è difficile ormai dubitare 7, è esplicita: ciò che ha indotto Platone a dedicarsi alla filosofia è la condanna di Socrate, dell'uomo più giusto che mai fosse apparso sulla terra; questo giudizio, questo scandalo che coin- . volge tutti nella stessa responsabilità, non deve ripetersi. Che fare? Combattere le cause della dissoluzione che hanno fatto della nostra città una città ingiusta e creare i presupposti della Città giusta, nella quale Socrate, il giusto, il filosofo, possa vivere e operare. Platone propone una riforma dello Stato e ad un tempo una riforma dell'educazione: d'altra parte, perché ciò sia possibile (in realtà è una contraddizione), dati l'ingiustizia e il disordine imperanti nelle nostre città, bisogna dare il potere ai filosofi o educare i re alla filosofia. Come la Repubblica, nella nostra configurazione, sta al centro dell'intero pensiero platonico così la " terza ondata ", il governo dci filosofi e la loro educazione, sta al centro di quella totalità sistematica che la Repubblica in sé rappresenta ed espone. Le due " ondate " precedenti, cioè massime difficoltà che nella costruzione della Repubblica dipendono dalla natura e dalla storia, sono rappresentate dalla necessità del servizio militare femminile e dalla comunità delle donne e dei bambini 7 G. PASQUALI, Le lettere di Platone, Firenze 1938, pp. 77-114 e si vedano le obiezioni di A. MADDALENA nella sua traduzione commentata: PLATONE, Le lettere, Bari 1948.
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Per la lettera del suo testo e per le sue implicazioni ideologiche quest'opera platonica è stata ed è tuttora fra le più discusse e le meno comprese. Naturalmente non possiamo qui analizzare una lunga tradizione di interpretazioni e neppure esporre la costruzione del lavoro nella sua complessità 8• Vediamo invece direttamente 11 posto che la dialettica occupa nell'educazione del perfetto custode (il filosofo che potrà governare al termine del tirocinio dialettico, all'età di cinquant'anni) e il suo compito. Il presupposto diretto, una volta stabilito il principio dei re-filosofi nei due suoi momenti della necessità e della possibilità (v. 471C sgg. e VI. 498D sgg.), è la dottrina dell'idea del bene (e della sua immagine: il sole), " l'oggetto della scienza più alta (~tÉyu:n:ov ~uHhwa) dalla quale la giustizia e le altre virtù traggono utilità e vantaggio " (VI. 505AB), termine del lungo periplo dell'educazione del filosofo. Dalla relazione tra il Sole e l'idea del Bene discendono altre corrispondenze, che sono state rappresentate sehematicamente così: Ton:oç o(laToç e Ton:oç vo'Y}-r6ç (si badi che nella forma greca è implicito il doppio aspetto " pensabile " e " pensato ", " visibik ".e " veduto ", il che non è senza significato filosofico), luce e verità, oggetti della vista (colori) e oggetti della conoscenza (idee), soggetto che vede e soggetto che conosce, organo della vi<>ta (occhio) e organo della conoscenza (voiiç), facoltà della vista e facoltà della ragione, esercizio della vista ed esercizio della ragione (intendimento, intellezione intuitiva, scienza). Non sarebbe possibile qui spiegare i singoli termini greci e i loro corrispondenti italiani. Abbiamo cercato di usare nel testo i più comuni e più immediatamente comprensibili al fine di chiarire Je operazioni della dialettica. Da quella dottrina dipende la divisione del conoscibile che Platone espone due volte, nell'allegoria della linea (VI. 509E sgg.) e nel giustamente celebrato e ripetutamente interpretato mito della caverna (vn. 514A sgg.). Il conoscibile, è noto, risulta diviso in un -r6n:oç og(m)ç e in un c6n:oç voYj-r6ç (un mondo o meglio un luogo dei visibili, veduto, e un mondo o luogo dei pensabili, pensato); il primo è a sua volta diviso in immagini e cose viventi, rispettivamente oggetti dell'opinione e della credenza, e il secondo in intelligibili inferiori c superiori, oggetti della conoscenza discorsiva (cioè delle scienze che non possono trascendere le ipotesi) e della pura intelligenza : " ad essi la ragione perviene ' Una eccezionale esposizione della Repubblica e delle motivazioni del dialogo socratico-platonico si veda in A. KoYRÉ, Introduzione alla lettura di Platone, Firenze (ma presso l'Università degli studi di Urbino) 1956.
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a ,mezzo della facoltà dialettica" (511AB), che mira al principio, considerando l'ipotesi come tale, cioè come un momento della sua ascesa. Ma che cos'è questa facoltà della quale fino a questo punto non sappiamo altro? Ritroveremo la dialettica una volta compiuta l'educazione scientifica del filosofo, una volta percorso il cammino verso l'alto che porta alla realtà che è (521CD), esaurite le scienze dette del preludio: aritmetica, geometria, stereometria, astronomia. Il primo contatto con la dialettica è una determinazione negativa: "Non penserai per caso che siano dialettici coloro che sono versati in queste scienze?! " (531DE). Platone richiama esplicitamente 'l'attenzione sul nesso della dialettica filosofica come capacità di afferrare l'essenziale concetto di qualche ·cosa con il vero e proprio domandare e rispondere, secondo l'antica e nota caratterizzazione del dialogo socratico: " Ma credi tu che persone incapaci di condurre e sostenere una discussione (di dare e intendere ragione di una cosa) sapranno mai qualcosa di ciò che noi riteniamo si debba sapere? " (531E532A). Dialogo, esercitazione suile scienze, visione del bene: ecco la sinfonia che la dialettica esegue (ivi). L'individuazione di ciò che dialettica è appare univoca nei suoi· due momenti: l'intero processo, che abbiamo seguito, è il metodo, la via dialettica, il solo che ·· superando di volta in volta 'le ipotesi si innalza fino al principio per assicurarne saldamente le conclusioni" (533CE). Ma dialettica è anche l'esercizio diretto intorno al bene, " questa meravigliosa trascendenza ... che per dignità e per potenza va molto al di là dell'ente e dell'essenza" (509BC). Due momenti, dunque, che costituiscono un'unicità, una totaJlità, come nel Fedro, come la via in su e la via in giù, di cui Platone parla ripetutamente facendo coincidere il movimento speculativo dell'intelligenza (511BC) e l'arco dell'educazione del filosofo, che deve ridiscendcre nella caverna per assicurare la giustizia nello Stato (519C sgg.). Infatti: " Dialettico è colui che mira al fondamento dell'essenza - ma per ciò che può rcnderne ragione a sé e agli altri " (534BC), c questa la sua " legge ": " ... dedicarsi soprattutto a quel tipo di educazione che dia la capacità di interrogare e rispondere il più scientificamente possibile " (534DE). Dialogo, scienze, dialettica - fondamento e fondato, presupposto e principio. È un monumento innalzato a Socrate, se è vero che l'intera costruzione della giustizia e del sapere trova possibilità e giustificazione nel l'na/,iywitm socratico - è il mas-
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simo riconoscimento storico e speculativo del pensiero e dell'opera di un maestro. Resta tuttavia il problema, si badi, della scelta dei futuri fùosofi, di quei giovani particolarmente dotati di qualità fisiche, spirituali e mentali (535A sgg.), degni pertanto di essere ammessi al lunghissimo noviziato. Due nonne rendono possibile e naturale la scelta: la libertà dell'azione e nell'insegnamento (536D-537 A) e la capacità sinottica (537BE). Improvvisamente la costruzione che abbiamo finora portato in luce viene rovesciata, quell'educazione che nell'esercizio dialettico doveva compiersi, presuppone altro che non il dialogo e la pratica delle scienze: " ... presenteremo Loro le scienze che nella giovinezza sono state insegnate senz'ordine, perché debbono essere condotti alla sinossi dei reciproci rapporti fra Je scienze e della natura dell'essere ... e questa è la massima prova della natura dialettica e di quella che non è tale: il sinottico, infatti, è dialettico, quello che non lo è, no " (537CD). Rovesciamento, si è detto; ma non è forse più giusto parlare di uno spostamento del piano dCilla ricerca o addirittura di un altro piano? Innanzitutto teniamo ben fermo il nuovo punto di vista: dialettica assume soltanto qui una sua propria autonomia, una configurazione speculativa assoluta. Nei testi che ora abbiamo esaminato compare, riteniamo, il sostantivo 1'1 ùta/,Exnx~ (534E-535A e 536DE): sono i soli casi della Repubblica e tra i pochissimi di tutta l'opera platonica della maturità. In quanto si fonda sulla sinossi, ci è presentata da Platone nel suo attuarsi, cioè nel suo essere ad un tempo il presupposto, il compito - c la via che il presupposto apre per accedere all'assoluta trascendenza del Bene, e per poterra quindi manifestare. Ancora un..; volta una relaziorte fra il soggetto e l'oggetto della costruzione: dialettica della sinossi è nelle soggettive possibilità del filosofo analoga all'idea del Bene nella oggettiva struttura della Città-stato pensata. Sinossi e idea del Bene vengono a trovarsi in un rapporto reciproco di condizione e conseguenza. Non c'è, allon, propriamente, un rovesciamento, ma anzi un approfondimento. La nuova figura della dialettica, infatti, era pur stata prcannunciata: ricordiamo l'azione momentanea dell'intellezione dell'anh11a (intuizione) nel suo procedere (dialettico) nella verità: " Quando l'anima si fissa là dove brilla la verità e ciò che è, essa d'un tratto intende e conosce e appare in possesso del voiiç (508DE) 9 ; ricordiamo nel testo sulla "linea" quella capacità dialettica che ci permette di cogliere la superiore 9
PASQUALI,
Le lettere di Pl., cit., pp. 91-92, che spiega bene, in ana-
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Dialettica e politica dopo la Repubblica
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sezione dell'intelligibile (511 BC) e, più avanti, la risposta di ·soera te a Glaucone che pretendeva di sapere quale fosse la natura della dialettica, quali le sue specie e vie (di ascoltare insomma l'intera " sinfonia " non soltanto il " preludio " - le scienze): " Non potresti seguirmi, mio caro, nonostante la mia buona volontà; tu allora vedresti non l'immagine del bene, bensì il vero in se stesso, almeno come· a me pare. Se è realmente così o no, non è questo il momento di dimostrarlo... La facoltà dialettica sola può manifestarlo a chi sia esperto nelle discipline ora esposte - in nessun. altro modo è possibile" (533AB). Nel suo ultimo risultato, dunque, in quanto essa ha nella sinossi e nella eccezionalità del suo oggetto la propria motivazione, la dialettica della Repubblica è ad un tempo dialogo e sinossi, presupposto e compito - e la via, il metodo, che ne stabilisce la relazione.
3.5. Dialettica e politica dopo la Repubblica Per concludere vorremmo spingere più a fondo l'interpretazione e poter indicare alcune conseguenze che l'analisi del concetto di dialettica nella Repubblica porta immediatamente con sé. Se la dialettica nelle sue parti e nel suo intero, nel movimento della sua azione, insomma, è da intendersi come ~ stata or ora descritta, allora quel riconoscimento (storico) della filosofia di Socrate (il ~tuì.Éyecn'hu come " presupposto " della dialettica e accesso ad essa) - quel monumento di cui abbiamo detto - ne rappresenta anche la negazione. In quanto Platone restituisce Socrate alla storia, e alla sua storia, se ne allontana definitivamente; in quanto ricerca e fonda nel &tar.Éyw·3-cu le possibilità del filosofare (che nella Repubblica è ancora filo-sofia), Platone parla da un punto di vista più alto, il punto di vista del sistema, chiuso nelJa sfera di una raggiunta sofia. Il sistema, il sapere è qui una idealità nella quale, non dimentichiamolo, la costruzione della filosofia coincide con la fondazione dello Stato. Possiamo comprendere, allora, come e perché la dialetticasinossi altro non sia che quel sapere, la superiore scienza del pensabile, del Bene - la coscienza del sofo alla quale, lo si è visto, si richiamerà il Fedro. La configurazione, l'azione di Platone è pienamente giustificata. La prassi del awHyE0"3-UL per logia con Lettera VII, 344BD, l'uso dei tempi, l'azione indicata e la natura di questo tipo di conoscenza.
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Dialogo, dialettica e filosofia in Platone
potersi manifestare c attuare richiede l'unità della coscienza comune, cioè il fatto del riconoscimento da parte dell'individuo dell'altro individuo, e da parte di tutti dei vaJ.ori oggettivi della Città. Ma l'epoca di crisi, di lacerazione delle coscienze nella quale vive Platone non lo consente, l'unità, non riconosciuta, è stata nella città ingiusta definitivamente spezzata perché Socrate è stato ucciso. Non c'è posto per il tìtaì.Éyw-&at, esso non può valere in assoluto se non nella Città giusta, nella Repubblica platonica, quando sarà " per noi e per voi una realtà e non un sogno " (520CD). Per ora, nella Città pensata, che progetta le condizioni della sua esistenza e indica le tappe del tirocinio dei filosofi-governanti, il l'ìr.aMyr.~t'tm non può che trovare la sua ragione ontologica nel principio stesso della Città, il Bene - non può che farsi dialettica, scienza-sinossi, che nel Bene ha il suo oggetto e il suo principio. L'unità-dualità di 1'ìtaMyw1'l'm-dialettica diviene chiaramente comprensibile e giustifica l'affermazione che il riconoscimento del filosofare socratico porta in se stesso, in Platone, la sua negazione. Ma così Socrate è ricondotto da Platone a quella storia che gli è propria, una storia che solo per astrazione è racchiusa nelle vicende della dialettica, perché essa è in realtà, di fatto, la storia delle città, dell'operare degli uomini. L'esposizione della dialettica platonica potrebbe trovare qui la sua conclusione; l'affermazione non deve suonare paradossale: con la Repubblica e il Fedro abbiamo già percorso, infatti, le posizioni più alte dell'evòluzione platonica, nel senso almeno che i grandi dialoghi successivi, le esercitazioni e sistemazioni dialettiche del Parmenide, Teeteto, Sofista e Politico, sono, limitatamente a quanto riguarda il concetto di dialettica, in gran parte anticipati nei risultati precedenti. Certo, c'è ancora uno svolgimento, e importantissimo, nel pensiero di Platone, ma in quanto esso non è decisamente e direttamente investito da quella luce, in quanto se ne rende indipendente, le figure della dialettica coincidono con l'intero della filosofia platonica, con il cosiddetto sistema delle idee o forme. Se le idee esistano come realtà a sé, separata: XÙ>QLç (Parm. 130BC, per es.), quali relazioni intercorrano fra le cose e le idee e quale sia l'interna comunanza dell'essenza e delle forme (xOlvcl)vla: cfr. Sof. 250-257), questo è il problema che Platone pone a sé e al lettore come problema speculativo c aperta _questione storica. La novità della ricerca platonica consiste appunto nel lasciare un margine notevole al dibattito storico, con l'eleatismo parmenideo e zenoniano, con il
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Dialettica e politica dopo la Repubblica
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socratismo e l'eleatismo della scuola di Megara, forse con i suoi stessi scolari. Non ha senso allora seguire taJi interpretazioni e costruzioni; esse non appartengono alla presente storia, giusto il principio, fatto fino ad ora valere, di individuare il concetto della dialettica nei suoi momenti di distinzione dalla filosofia, di determinarne il posto e il compito nel sistema, di coglierne insomma di volta in volta la genesi, rendendosi conto del perché della sua continua crisi. Il resto, il momento dell'identità, della sistemazione concettuale il Jettore può trovare in un buon manuale di storia della filosofia o in particolari monografie. Tuttavia è. bene fissare qualche punto dell'ultima fase della ricerca platonica che .può indirettan1ente iLluminare e approfondire il precedente dibattito. Il tema è esposto con forza in un passo del Parmenide: se si nega l'esistenza alle forme degli esseri, se non si pongono forme definite, se non si accetta che tali forme debbono mantenere eterna identità con se stesse, " allora va perduta del tutto ogni possibilità della dialettica " (135CD) 10• Che cosa Platone ora per dialettica intenda, al di là della contingente polemica svolta nel Parmenide, è detto nel Sofista, che ha a suo oggetto le forme nella loro connessione (cfr. per es. 257AB, 250BC): il discorso è possibile per noi solo se c'è reciproca connessione delle forme; se rimanessero estranee l'una all'altra come potremmo parlarne? (251 DE). Non è difficile scorgere la trasposizione, sul più alto piano del movimento meramente concettuale, del rapporto ~HaÌ,ÉyEcn'tm-dialettica, che abbiamo sempre tenuto in luce, e, quindi, di uno dei risultati della Repubblica. Se poi analizziamo la nuova forma della dialettica come è esposta dal Sofista, quell'azione è ancora più evidente: " Dividere per generi e la stessa forma non ritenerla per una diversa né una diversa per la stessa, non diremo questa l'opera della scienza dialetticà?" (253DE): una scienza ed una capacità straordinarie, poter vedere una forma unica spiegata in una pluralità di forme tra loro distinte, differenti, e a loro volta dall'esterno racchiuse in una fonna sola. Che nome dare a questo altissimo 10 Com'è noto Hegel definì il Purmenide " il più celebre capolavoro della dialettica platonica" (Lezioni sulla storia della filosofia, trad. it. Firenze 1932, vol. 11, p. 212). Ma .l'affermazione è difficile da sostenere. La dialettica del Parmenide è in realtà quella di Zenone: essa consiste nell'ottenere otto conclusioni tra loro contraddittorie, relative all'uno e al molteplice, poste le due premesse della realtà e dell'irrealtà dell'uno. Tra i dialoghi platonici il Parmcnide è forse quello. pitl variamente interpreta· · to e tormentato dalla cl'itica. Si veda il cap.: Il " Parmenide " platonico, in G. CALOGERO, Studi su/l'eleatismo, Roma 1932.
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Dialogo, diakttka e filosofia in Platont
esercizio, si è chiesto poco prima Platone? " Forse senza saperlo ci siamo imbattuti nella scienza degli uomini liberi? " E così abbiamo scoperto il filosofo e la filosofia, perché di quelle operazioni sarà capace unicamente " colui che lìlosofa con purezza e giustizia" (253C~254A). Non c'è bisogno di ricordare i·l Fedro e la Repubblica, ma va tuttavia sottolineato che della Repubblica viene ripreso qui il motivo più alto e più complesso, la scelta e la educazione del filosofo-dialettico, accettato semplicemente come un presupposto: il tema dialettica e libertà. Si deve ancora registrare, nel Politico, un impressionante ritorno socratico, non uno scarto nell'evoluzione, ma una nuova dimostrazione della continua presenza dei due phmi attraverso i quali si articola il concetto di dialettica. Nella digressione sulla "giusta misura " (283B sgg.), per altro pienamente giustificata all'interno della definizione del politico mediante il paradigma della tessitura, il Òt(l},~yEm'hu ricompare, non casualmente, non come mero ricordo o notazione esterna aHa costruzione del dialogo (come può sembrare in d'.le celebri passi del Teeteto e del Sofista: il pensiero come discorso, come dialogo, che l'anima tiene silenziosamente con se stessa - cfr. rispettivamente 189E190A e 263 E-264A), bensì nella sua originaria e forte apertura e disponibilità, una volta di più una crisi, ma ora all'interno della ben consolidata c presupposta dottrina delle forme. L'arte della misura, che si applica a tutto ciò che diviene (285AB), può dar ragione anche dei nostri discorsi: se sono troppo brevi o troppo lunghi, " non ne valuteremo le dimensioni nel loro reciproco rapporto, ma secondo quella sezione dell'arte della misura che prima abbiamo detto doversi tenere a mente, cioè la convenienza ... Quanto alla soluzione del problema posto, poterlo scoprire nel modo più facile e più breve, è secondario, non di prima importanza, come la ragione ci insegna, prescrivendoci di onorare invece assai di più e innanzi tutto quel metodo che rende capaci di distinguere secondo specie, e così coltivare quel discorso, anche se sia lunghissimo a tenersi, che rende più inventivo colui che l'ascolta, e non crucciarsi punto per la lunghezza, c così neanche se è troppo breve... Colui che biasima la lunghezza dei discorsi di questi convegni c non accetta i giri delle digressioni, non conviene affatto !asciarlo in libertà presto né subito appena ha biasimato il discorso come lungo, ma ritenere che egli sia in obbligo di mostrare che, se fosse stato più breve, avrebbe reso gli uditori più dialettici c atti a trovare col ragionamento la verità delle cose ... " (286D-287B).
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Dialettica e politica dopo la Repubblica
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La lunga citazione è giustificata, se è vero che dobbiamo intravedere in essa un'altra relazione, quella di lìtaì.ÉyEm'}m e Myo;, che abbiamo tradotto una volta con " ragione " e la successiva con "ragionamento"; un Myoç, che è poi la ricerca stessa, e il suo metodo, "che insegna a dividere per specie"; esso nient'altro è che la norma stessa, il nuovo canone del tìtaÀéyw-&m e di coloro che vi si esercitano. Se riteniamo dì aver così esaurito ndle sue linee essenziali la nostra descrizione (ma vorremmo dire: 'rassegna) de1le forme della dialettica platonica, tuttavia non possiamo separare-i da Platone se non indicando ancora un'antinomia, se non ponendo noi e illettorc di fronte ad un'ulteriore interrogazione: il lìwÀéyca-&m, è vero, ha ben presto scoperto in sé la necessità di una norma, di un principio - il Politico è soltanto la conclusione di una lunga storia -la dialettica può ripresentarsi come lìtaì.éyEa-frcu ma l'equazione tìtaÀiyEaflm = dialettica non è reversibile. La Repubblica lo ha dimostrato e la pagina ora citata del Politico lo conferma. Ma nella stessa pagina leggiamo: " (Lo straniero) : E che ne è allora della nostra ricerca intorno al politico? t:. stata proposta proprio per questo argomento o non piuttosto per diventare intorno ad ogni oggetto migliori dialettici? (Socrate il giovane): Anche questo è evidente, per diventare migliori dialettici intorno ad ogni oggetto. (Lo straniero): Possiamo ben dirlo, andare in cerca della definizione della tessitura per amore della tessitura nessun uomo dì senno vorrebbe farlo... Bisogna dunque esercitarsi nel saper dare ragione di ogni cosa e intenderla " (285D-286B). Precisamente il motivo dal quale avevamo iniziato. Un lungo percorso circolare, una lunga fatica, un lavoro che non ha fine (le espressioni sono di Platone: ~tax.gà :TE(ltolìoç, rco],/.ÌJ rcouyJ.lm:du, n:ci!-A:rro/.u ì!gyov, per cui cfr. Fedro 273E-274A, Repubblica VI. 504BC e VII. 531DE): come vorrebbe aver dimostrato l'intero corso della nostra esposizione - se ha colto l'anima o meglio le anime della dialettica platonica. In parte sarà consegnata alla storia come la dialettica, in parte ne sarà soltanto una figura, storica ed etema.
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4. Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele
4.1. Filosofia e coscienza comune: situazione della filosofia aristotelica Riprendiamo contatto con quel primo capitolo del libro I della Retorica che ci ha chiarito il dibattito nel cuore del v secolo (cfr. sopra cap. 2.2): " La retorica fa riscontro con la dialettica. L'una e l'altra, infatti, vertono su questioni che sono in qualche modo alla portata di tutti, e non richiedono scienza determinata. Tutti vi partecipano quindi a gradi diversi; è di tutti fino a un certo punto discutere una tesi e sostenerla, accusare e difendersi. Ma i più lo fanno a caso, altri per pratica che dipende da un habi·· tus" (1354 a l /7). Sul significato letterale del testo non ci sono dubbi. Da una parte retorica e dialettica mantengono lo stesso rapporto con la scienza: l'insegnamento e la dimostrazione scientifici, infatti, si fondano su verità necessarie razionalmente valide in ogni tempo e luogo, mentre le dimostrazioni del
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Filosofia e coscienza comune
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a 7 /Il) 1• Ma se questo è il problema nella sua configurazione esterna, c'è un suo senso che va al di là della posizione .stessa del problema. Questo rivolgersi, da parte della retorica e della dialettica, a questioni che sono in qualche modo alla portata di tutti, che non richiedono scienza determinata, vuol significare, da parte di Aristotele, non già un mero calare la--ricerca nell'empirico, un far valere il metodo sperimentale, bensì un far scaturire la ricerca da quel piano dell'esperienza storica, sul quale essa si era in origine e di fatto manifestata. Questa esperienza è per Aristotele quella dell'uomo comune. Comprenderla è il compito del filosofo. Aristotele lavora in un momento di smarrimento della coscienza speculativa, ma in un'epoca, si badi, di estrema lacerazione della coscienza umana. Il mondo della n6À.tç sta alle sue spalle. L'identità uomo-greco va perdendo il suo senso per essere sostituita da una più vasta determinazione dell'uomo e da un nuovo concetto dacché l'uomo deve ora trovare le ragioni del suo essere e del suo operare al di fuori dell'immediata struttura politica delIa città 2• Più che ad uno smarrimento si assiste alla nientificazione della coscienza comune, deHa coscienza della città come comunità umana significante: ciò che si era presentato finora come un fatto storico che poteva soltanto essere riconosciuto o non-riconosciuto dal filosofo, diviene il problema della filosofia, che ne deve ricostruire la figura per rendere possibile l'intendimento del suo discorso. Entro tale quadro potremo comprendere perché e come Aristotele rifiuti - non semplicemente limiti - il concetto platonico di dialettica. Vediamo le linee di fondo del nuovo punto di vista aristotelico: " La connessione di dialettica e politica è stabilita fin dagli inizi o quasi. Se non si può parlare di un interesse di Parmenide per i problemi della città, un tale interess~ è invece perfettamente riscontrabilc in Eraclito ... determina fortemente il pensiero dei Sofisti e diviene centrale in Socrate e Platone. La dialettica è chiamata a fondare l'unione dei cittadini sulla comunità dei concetti e in particolare dei concetti giuridici e morali "; " La dialettica aristotelica si pone così in modo del tutto naturale accanto alla retorica, mondo del verosimile, delle opinioni tramanda.I Cfr.- M. DUFOUR nell'Introduzione a ARISTOTE, Rhétorique, Paris 1960 (ed. Les Belles Lettres). vol. r, pp. 35-37. 2 In generale si vedano i saggi di A. KOJÈVE, 'Tirannide e saggezza (a cura di N. De Sanctis) e di H. KELSEN, La filosofia di A r. e la politica greco-macedone (a. cura di M. Massi) in "Studi Urbiuati ··, n.s.B., 1969, n. L
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Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele
te o sostenute con l'autorità di un gran nome, del dibattito pubblico con i suoi stratagemmi psicologici, botte e risposte, assalti e finte. Così essa perviene alla politica. Ma non è l'equivalente della scienza politica di Platone che fondava lo Stato sull'Essere e la scienza politica sull'antologia: ha a che fare con la tecnica dell'azione politica, tecnica· del condizionamento dei cittadini o dei giudici in vista di un risultato politico immediato. Una scienza politica aristotelica esiste, ma la terminologia di Aristotele esige che questa scienza del tutto pratica ma vera non sia dialettica (nel senso aristotelico): essa fa uso della dialettica (soggettiva) allo stesso modo e con la stessa intenzione di tutte le scienze filosofiche, come procedimento cioè di scoperta dei principi e dei problemi. Una semplice differenza di terminologia fra Aristotele e Platone, ma una differenza decisiva per la storia della parola, che da questo momento in poi indicherà uno strumento (òrganon), non una parte della filosofia " 3 .. Ma la connessione dialettica-politica (ne facciamo qui cenno come un presupposto che cercheremo di dimostrare) va tenuta in luce, fatta agire e continuamente scoperta accanto e insieme all'altra: dialettica e dosso grafia, cioè .una delle prime forme della storia della filosofia e della storiografia in generale. Infatti, è antica la constatazione che le opere scientifiche di Aristotele non fanno uso di sillogismi formali e che d'altra parte egli inizia le sue trattazioni con una storia del problema in oggetto. Ci si è appunto domandato: "Che cos'è quella dossografia così caratteristica del Liceo se non l'applicazione delle regole della critica (la dialettica dei Topicl) alle premesse storicamente proposte? ... Al contrario dello storico moderno della filosofia, Aristotele non si è mai chiesto che cosa queste tesi significassero per gli antichi, ma se le loro dottrine erano vere. E non l'ha fatto per mostrare la propria superiorità oppure il loro essere superate, ma perché c'è a suo avviso un diverso inizio della ricerca. Ogni insegnamento, ogni scienza discorsiva nasce da conoscenze preesistenti " 4• Insomma, la dialettica aristotelica " consente di trarre dalle tesi presenti nella storia del pensiero ciò che esse contengono di vero e i problemi che implicano, spesso senza enunciarli: si potrebbe parlare di un dialogo istituito dal filosofo con tutti i suoi predecessori e contemporanei allo scopo di Jiberare il conte3 E. WEIL, Pensiero dialettico e politica, in Filosofia e politica, Firenze 1965, pp. 21-22. 4 E. WEIL, La logica nel pensiero aristotelico, in .Filqsofia e politica. cit., p. 61.
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La " storia della dialettica " secondo Aristotele
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nuto di verità delle opinioni o universalmente accettate o proposte da un pensatore determinato" 5• In questa astrazione e limitazione in rapporto a Platone, ma nel senso, realmente, di uno spostamento del punto di vista nel quale il filosofo si colloca rispetto alla realtà e alla storia, Aristotele ricerca e prova una nuova dimensione del filosofare: il compito della filosofia come dialettica è ora la riconquista del passato, ricerca del senso della tradizione: storia, dialettica e politica si trovano allora connesse in una delle prime sistemazioni del filosofare.
4.2. La " storia della dialettica " secondo Aristotele Per esporre il problenia della dialettica in Aristotele è necessario, quindi, porsi all'interno del procedimento aristotelico, e chiedersi prima di tutto se e come Aristotele configuri una storia della dialettica, se e come egli individui dei predecessori nella ricerca. E quasi un luogo comune iniziare con il capitolo conclusivo dell'Organon, un passo no~o, di datazione incerta, ma importante sia per le notizie autobiografiche sia soprattutto per 11 suo presupporre in certo modo l'unità delle trattazioni logiche 6• Dopo aver brevemente riassunto il contenuto del libro, non resta, dice Aristotele, che richiamare alla memoria il nostro programma iniziale, aggiungere qualche parola c far punto (183 a 34/36). Quanto al programma ci interessa in questo momento la citazione di Socrate e della sofistica, che qui vengono distinti, ma nel senso che viene proposta una certa superiorità della sofistica sull'atteggiamento socratico. Quella capacità di ragionare in generale a partire da premesse il più possibile probabili che noi chiamiamo dialettica (183 a 37 /39) deve fondarsi ed esercitarsi non soltanto nella direzione, socratica, dell'interrogazione (183 b7 /8: · Socrate interrogava e non rispondeva, egli 5 E. WEIL, Pensiero dialettico ... , cit., pp. 20-21. • Cronologia e stato della questione in E. WEIL, La logica nel pensiero aristotelico, cit., pp. 53-56 e note. Per l'Organon ho tenuto presenti sia la traduzione francese di J. Tricot, Paris 1946-1950 sia la traduzione italiana di G. Colli, Torino 195'5. Per il testo greco delle opere aristoteliche ho seguito sia l'edizione Bekker, Berlin 1831 (recentemente ristampata: di questa edizione è universalmente accolta la numerazione per pagine, colonne e righe) sia l'edizione nei classici greci di Oxford e nella collezione Les Belles Lettres (edizioni non complete).
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Logica c dialettica, storia e filosofia in Aristotele
ammetteva, infatti, di non sapere), ma anche sulla capacità di rispondere e di difendere così la propria tesi - come se si conoscesse l'oggetto della discussione: questo in virtù della sua vicinanza alla sofistica (183 b1 / 6). Non dimentichiamo la definizione dei Topici, il trattato sulla " dialettica ": " Questo trattato è utile in tre modi: per l'esercizio, per le conversazioni con l'uomo comune e per le scienze connesse alla filosofia ... in virtù della sua natura ricercatrice la dialettica ci apre il cammino ai principi di tutte le scienze" (I 2. 10la25-b4). Per dar forza a questa argomentazione e alla sua conclusione, Aristotele riprende una tesi che ha più volte esposto nel corso di questo libro, cioè il rapporto della critica e della dialettica: la critica è una parte della dialettica (8.169b25, cfr. 11.171 b4, 172 a21 e il nostro testo: 34.183 a39); l'argomentazione o il ragionamento critico si propone l'interrogazione, nella risposta si limita al sì c al no e agisce in vista non già di colui che sa ma di colui che non sa c pretende sapere (171 b3/6); nei confronti di costui l'argomentazione dialettica può provare una falsa conclusione (I 69 b26). Ora, tenuto conto che né l'una né l'altra sono scienze di un oggetto detcnninato, ma si rivolgono in generale a qualunque cosa, e considerato che vi sono principi comuni alle diverse arti e scienze (172 a 28/30, cfr. Anal. post. 1 10. 76 a 37 sgg. e 11.77 a 26 sgg.), possiamo dire che il dialettico considera e discute tali principi nella loro applicazione all'oggetto del dibattito e il sofista fa la stessa cosa ma solo in apparenza (171 b6/7): dialettico è colui che critica a mezzo dell'arte sillogistica. Nella seconda parte del cap. 34, quando Aristotele denuncia in che consisterebbe la caratteristica del suo studio, " quale avvenimento costituisca questo nostro scritto " (183 bl6-17), egli ritorna sull'importanza della sofistica. Riportiamo i passaggi salienti del testo: il lento progresso che ha investito tutte le arti e scienze, sia quelle tramandate sia quelle oggetto di un'invenzione originale, sì che i contemporanei si trovano ad essere gli eredi di una lunga tradizione: esemplari i discorsi retorici (183 Q26j27); relativamente alla nostra ricerca non esisteva niente del tutto (183 b35/36): si potrebbero ricordare i discorsi eristici e Gorgia, ma in entrambi i casi non l'arte veniva insegnata ma i risultati, i prodotti dell'arte (184 a 2/3). La ricerca, insomma, non era stata innalzata al livello della scienza, ma lasciata alla contingenza empirica e pratica: " .. .intorno alle questioni retoriche molto e di antico era stato çletto, sui ragionamenti non c'era assolutamente nient'altro, e però il lavoro ha richiesto fatica e molto tempo" (184 a 8/b3).
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La " storia della dialettica " secondo Aristotele
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Gli elementi più importanti della conclusione, nella quale Aristotele quasi a sottolineare l'importanza di ciò che sta dicendo ritorna più volte sugli stessi temi, sono due: il parallelo retoricadialettica e l'esclusione di Platone da questa storia. Cominciamo dal secondo elemento e chiediamoci innanzitutto se al silenzio che qui avvolge il nome di Platone non contraddica .qualche altro testo aristotelico. È evidente che si pensa subito a quel luogo del primo libro della Metafisica dove Aristotele espone la distinzione di Platone dai Pitagorici: l'introduzione delle specie (in sostanza, le forme, le idee) fu possibile per il suo studio della logica, per il suo metodo delle definizioni: i predecessori non si erano occupati della dialettica (I 6.987 b32/34). Il passo sembra chiaro: i predecessori o sono i pitagorici o sono coloro che hanno filosofato prima di Platone in generale, quindi a Platone spetta la paternità dell'invenzione della dialettica. Si noti poi che l'espressione aristotelica ~tà T~v Èv Toiç ì..Oyotç .•. ax.Éljnv è intesa come definizione della dialettica dal commentatore Alessandro (a.l., ed. Hayduck, pp. 54, 26/55,4). Ma il problema non è risolto così, perché viene riproposto in un altro passo della Metafisica, di redazione posteriore 7 : è la celebre interpretazione di Socrate, che si sarebbe applicato allo studio delle virtù morali e per primo in queste ricerche avrebbe tentato la definizione universale ... : in quel tempo non c'era ancora il vigore dialettico sì da poter prendere in esame indipendentemente dall'essenza le opinioni contrarie e vedere se dei contrari la scienza è la stessa (XIII 4. 1078 b17/27). Anche se non è possibile, sul fondamento di questa testimonianza, asserire che ora Aristotele vede in Socrate l'inventore della dialettica, anche se qui Aristotele parla, forse 8 , con una certa ironia e fa uso dell'espressione vigore dialettico e del termine dialettica con un senso poco favo7 Per il problema della composizione e della datazione della Metafisica mi attengo a W. W. lAEGER, Aristotele, trad. it., Firenze 19472; P. AuBENQUE, Le problème de l'eire cltez Aristote, Paris 1952 (con bibliografia) e E. WEIL, Quelques remarques sur le sens et l'intelllion de la Métaphysique d'Aristate, in <<Studi Urbinati ~. n.s.B, 1967, nn. 1-2, t. n. ' ~ la tesi di D. Ross nella sua edizione della Metafisica, Oxford 1958, vol. I, p. 173. A proposito dell'intendimento di dialettica in Aristotele l'uso dell'espressione tecnica [ ay.é~~ç àv -rotç Mro~ç] è attestata da Alessandro d'Afrodisia. Ross indica. altri due luoghi della Metafisica dove la trattazione platonica degli universali come sostanze è caratterizzata in termini analoghi (xii, l. 1069a26 e xm 8. 1084b23). D'altra parte i platonici sono chiamati ot h -.olç ì.oyo-~ç in IX 8. 1050b36. Inoltre, la frase usata sembra abbastanza chiaramente una reminiscenza del Pedone (lOOAB): -ròv tv -rotç À6yo ~,. oxor.oup.svov 't~ 5nct, cioè Sperate che studia le cose
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Logica c dialettica, storia e filosofia in Aristotele
revole, resta il fatto che egli intende così affermare che già ai tempi di Socrate la dialettica esisteva sia pure in una fom1a non adeguata. L'affermazione è coerente con quanto abbiamo visto sopra discutendo il capitolo conclusivo dei Topici, ma lascia aperta però la questione dei rapporti fra Socrate e i Sofisti, determinati solo in quel capitolo, dove anziché situare Socrate semplicemente·· nel prolungamento della Sofistica, a noi sembra che Aristotele circoscriva l'azione socratica a vantaggio proprio della Sofistica, la quale avrebbe coltivato di fatto la dialettica, mentre il vigore dialettico di Socrate si sarebbe limitato all'esercitazione critica. Ma fra i due passi della Metafisica, se si guarda a fondo, la contraddizione è più apparente che reale. Infatti, stando ai risultati della critica evolutiva Aristotele scrive Metaph. I, 6 in un periodo in cui tende ad esagerare l'originalità del pensiero del maestro ed esprime quindi un giudizio sul quale più tardi sarebbe ·ritornato - e questo potrebbe spiegare la coincidenza del secondo passo con la conclusione dei Topici, dove il giudizio è più meditato perché viene formulato in un momento in cui Aristotele si accinge a ·rivendicare la completa originalità della propria ricerca. Ma la storia della dialettica rintracciabile nei testi di Aristotele ha almeno un altro capitolo. Esso ci chiarirà l'altro elemento della conclusione dci Topici, il parallelo retorica-dialettica. È noto, infatti, che nel giovanile Sofista, secondo un frammento riferito da Diogene Laerzio e Se.<>to Empirico, Aristotele afferma che Empedocle è stato l'iniziatore della retorica, Zenone della dialettica - "e questo è senza alcun dubbio sostanzialmente vero, sebbene gli inizi, almeno, di questo metodo dell'argomentazione siano stati contemporanei alla fondazione della scuola di Elea" 9• La citazione di Zenone non va, dunque, sopravvalutata e il suo valore storico è solo molto relativo. Riferisce infatti Sesto: " Non sembrerebbe che Parmenide fosse del tutto ignaro dell'arte dialettica, se Aristotele pensa che. il suo discepolo Zenone ne sia stato l'iniziatore ", c poco prima: " Aristotele dice col metodo della definizione e lo descrive. Aristotele discute la dialettica platonica e la . presenta col linguaggio platonico stesso. 9 J. BURNET, L'aurore de la philosophie grecque, trad. frane. Paris. 1952, p. 359. Poi cfr. Aristotelis Fragmenta se/ecta, ed. Ross, Oxford 1957, p. 15 e D!ELS-KRANZ, Fragmente der Vorsokratiker (ed. 1954), 29A10 e 31 Al9. L'intera questione (quindi anche l'attribuzione a Zenone dell'invenzione del dialogo) v. in Zenone. Testimonianze e frammenti, a cura di M. Untersteiner, Firenze 1963, pp. 7-10 e 62-64.
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La " storia della dialettica " secondo Aristotele
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che Empedocle ha per primo dato inizio aJia retorica ". È molto più importante a nostro avviso e più ricca di conseguenze non la semplice testimonianza su Zenone, ma l'intero contesto, cioè l'accostamento Empedocle-Zenone e quindi il parallelismo retoricadialettica (un caso tipico di interpretazione aristotelica, che farà scuola: Aristotele collocherà se stesso all'interno, e al limite, di una tradizione, della quale egli è ad un tempo la radice e un ramo, l'iniziatore e un momento dell'evoluzione). Con la sua citazione zenoniana Aristotele intende dire che Zenone ha creato la cosa, non il nome, e questa è la constatazione di un fatto, se è vero che retorica e dialettica sono le sole arti che hanno la possibilità di dedurre i contrari: l'eleatico accettava, infatti, le tesi dell'avversario, ma deduceva conclusioni opposte a mezzo di una serie di passaggi. L'individuazione aristotelica sorprende: Aristotele dovette ben presto (forse già all'epoca del suo discepolato presso Platone) aver chiaro il movimento della critica alla dialettica platonica. e quindi le linee del suo piano. Abbiamo già letto testimonianze diverse, da quella di lsocrate a quella di Elio Aristide (cfr. sopra cap. 2.2.). Se poi volessimo addirittura tener conto che da una parte Zenone, secondo Diogene Laerzio (m, 48), sarebbe stato anche il primo scrittore di dialoghi e che, dall'altra, l'attribuzione aristotelica della scoperta della retorica a Empedocle non può che essere posta in relazione con l'attività politica di questi 10 , ci è già possibile scorgere, sia pure dall'esterno e indirettamente, quelle connessioni di dialettica, storia e politica nell'ambito della retorica che noi crediamo appunto di poter mettere in .·luce interrogando o sollecitando i testi aristotelici. Ritornando ad essi chiediamoci: qual è, alla fine, il senso ultimo del frammento del giovanile Sofìsta? L'accostamento che vi compare di Zenone ed Empedocle, di retorica e dialettica, è soltanto la prima di una serie di testimonianze aristoteliche che ci è dato incontrare nella tradizione dossografica antica. Non può essere un caso, infatti, che Diogene Laerzio scriva, proprio all'inizio del libro dedicato ad Aristotele: " Insegnava ai discepoli ad esercitarsi su un tema determinato e insieme li allenava ai dibattiti oratori " (v l ,3). Come è stato giustamente sottolineato, Aristotele avrebbe condotto innanzi di pari passo la formazione dialettica e quella oratoria dei suoi scolari 11 • Ma è ancora più importante ritornare al te10
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J. BURNET, L'aurore ... , cit., p. 236. E. WEIL, La logica nel pensiero aristotelico, cit., p. 62, nota 21.
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Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele
sto del capitolo conclusivo dell'Organon, dove a chiare lettere si viene a sapere che le ricerche sulla retorica avevano preceduto quelle sulla dialettica e sulla logica in generale. Ricordiamo: intorno alle questioni retoriche molto e di antico era stato detto, ma sui ragionamenti non c'era assolutamente nient'altro, e però il lavoro ha richiesto fatica e molto tempo (184 a 8fb3). Una notizia autobiografica di grande valore. Essa non contraddice all'affermazione contenuta nel frammento giovanile e la giustifica in quanto la cosa è in quel punto in questione, non il nome. Ma ad un tempo ci indica che una tradizione aristotelica, cioè promossa da Aristotele stesso, si è inserita ed è stata conservata nella tradizione dossografica: un caso nel quale la dosso grafia sembra confermare il piano di un'evoluzione che proprio Aristotele aveva configurato.
4.3. Il rapporto sofistica, dialettica e filosofia (Retorica e Metafisica) Ritorniamo all'introduzione (cap. I) della Retorica. Ne abbiamo messo in luce il presupposto, l'analogia o meglio il contrappunto retorica-dialettica. Subito dopo, com'è noto, affermata la possibilità e la funzione di una techne, e la necessità delle argomentazioni (solo le prove, le argomentazioni, infatti, sono tecniche, tutto il resto è secondario- 1354 a 13/14), Aristotele rivendica ancora una volta, come alla fine dcll'Organon, roriginalità della sua ricerca: " Coloro che non ci dicono nulla intorno agli entimemi (gli autori delle tecniche dei discorsi) dedicano la maggiÒr parte dci loro trattati a questioni esterne all'oggetto.., (1354 a 14 l 16). La dichiarazione va sottolineata, tenendo soprattutto presente che viene ripresa (" Se le cose stanno così, è chiaro che gli autori di tecniche si occupano di questioni esterne, mentre definiscono tutto il resto ... "- 1354 b16/18) dopo la critica dei predecessori, che coltivarono quasi esclusivamente l'eloquenza giudiziaria; e come conclusione nuovamente il rapporto _ retorica-dialettica (1355 a 6 sgg.). Non ci deve meravigliare questa insistenza né il silenzio di Aristotele sui precedenti. Egli è consapevole di una scoperta che ha spostato il punto di vista della ricerca e della filosofia: " ...bisogna poter persuadere del contrario di una tesi come nei ragionamenti dialettici... delle altre arti nessuna deduce i contrari ... " (1355 a 29 sgg.); poi si passa dall'oggetto alla funzione: " Che,
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Il rapporto sofistica, dialettica e filosofia
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dunque, la retorica non appartenga a un genere determinato ... e che sia utile, è chiaro, e inoltre la sua particolare funzione non è persuadere, ma individuare i mezzi della persuasione relativi ad ogni oggetto ... " (1355 b7 sgg.), affermazione che ci riporta alle prime righe ael primo capitolo ("L'una e l'altra vcrtono su questioni che sono in qualche modo alla portata di tutti e non richiedono scienza determinata") dopo un'ampia argomentazione. Ma la ripetizione e la conclusione non sono casuali (cfr. sopra 2.2 e qui 4.2, all'inizio). Ora Aristotele, determinata l'autonomia della retorica, può configurarla sistematicamente. " È chiaro, inoltre, che ila retorica individua il persuasivo e il persuasivo apparente come la dialettica il sillogismo e quello apparente. La sofistica, infatti, non sta nella facoltà, ma nell'intenzione; però si sarà retore o per scienza o per intenzione; invece, sofista per intenzione e dialettico poi non per l'inten~ione ma per la facoltà" (1355 bl5/21): per intenzione (nqoa((>wu;) si deve intendere l'atteggiamento con il quale si affronta l'oggetto, la scelta, il tenore del genere di vita, e Mvfffllç, che abbiamo reso con facoltà, indica quell'arte che si perfeziona e si compie nella pratica. Aristotele intende inserire la dialettica nella partizione de-lla scienza o almeno tenta una partizione provvisoria, alla quale egli è costretto per due motivi: il primo è pienamente manifesto e corrisponde all'esigenza di rendere esplicita c definire la posizione nei confronti della sofistica, cui si è riferito indirettamente in precedenza e della quale abbiamo diffusamente parlato; mentre il secondo motivo risponderà alla necessità, esplicita solo nella Metafisica, di istituire un rapporto fra la dialettica e la filosofia: Aristotele cercherà di chiarire a se stesso l'oggetto e la natura di quella scienza ricercata, scienza oggetto della ricerca, che coincide di fatto con la ricerca esposta nei libri metafisici, ma che non sempre e non univocamentc coincide con la filosofia (scienza delle cause, dei primi fondamenti, scienza dell'essere in quanto tale, filosofia prima) 12• Questo momento va per ora appena accennato; vediamo come si pone il rapporto dialettica-filosofia (scienza) a partire dal testo stesso della retorica. l risultati di un'attenta lettura possono essere questi: la sofistica viene a cadere nell'orizzonte degli interessi della retorica in forza di quell'intenzione che ha un suo
" Questi problemi possono essere qui solo accennati. Cfr. sopra nota 8 e v. anche L. LUGARINI, Aristotele e l'idea della filosofia, Firenze 1961.
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Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele
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compito preciso nella retorica stessa. La sofistica non si fonda su1la facoltà, dice Aristotele, ma sull'intenzione. D'altra parte, nella retorica concorrono ugualmente l'intenzione e la scienza. Ma che cos'è scienza, qui, se non la facoltà, che la retorica si trova ad avere allora in comune con la dialettica? Alla dialettica partecipa, dunque, indirettamente la sofistica e direttamente la retorica. La costruzione, che sembra chiudere il circolo di retorica-sofistica-dialettica tra l'intenzione e la facoltà, avviene, non dimentichiamolo, su~ piano della retorica, che abbiamo chiamato piano della coscienza comune, nel senso del compito individuato dal filosofo per rendere intelligibile e comunicabile il proprio intervento, il proprio discorso. All'interno di questa costruzione sofistica e dialettica mantengono, tuttavia, una posizione particolare che ci porta al di là dell'orizzonte della retorica: infatti, per quanto riguarda la dialettica non possiamo sapere, stando a questo testo, che cosa sia Mva~w;, e d'altronde la sofistica, in forza dell'intenzione, ripropone sempre il suo sfuggire nell'ombra del nulla ( Plat., Soph. 254AB, cfr. 237 A sgg.). Il momento negativo, platoniCo, della sofistica è messo a fuoco nella Metafisica. Aristotele sta dimostrando che non c'è scienza degli attributi dell'essere, dell'essere per accidente, e dice: " ... l'accidente è infatti soltanto una specie di nome. Platone, dunque, non ebbe torto di collocare la sofistica nella sfera del non-essere" (VI. 2.1026 bl3/ 15). Con una terminologia appena mutata questo apprezzamento della sofistica si ritrova in un altro passo della Metafisica (Iv. 2.1004 b 17 /26), dove si rende anche ragione di quella lluva~tlç di cui abbiamo discorso e, per l'unica volta nell'opera metafisica, dialettica e filosofia vengono e risultano poste in relazione: " .. .i dialettici e i sofisti si mostrano nella figura del filosofo (la sofistica, infatti, è sapienza soltanto apparente c così i dialettici), disputano di tutto, c l'essere è comune a tutte le cose. ~ chiaro che discutono di tutto per ciò che questi sono gli oggetti propri della filosofia. Sofistica e dialettica si aggirano, infatti, intorno allo stesso genere di realtà della filosofia, ma la filosofia si distingue dalla dialettica per la natura della facoltà (n!} -rq6rr(p -rljç ()uvaJlHùç) e dalla sofistica per il tenore di vita (-roil ptou n:goatQÉO'Et). La dialettica è peirastica intorno a ciò che la filosofia conosce (yvroqtanxi]); la sofistica, invece, è apparente, non ha realtà (rpmvo~tÉ\'11, oùcra ()' ov)". Vediamo di spiegare letteralmente il testo, che ha già trovato, ovviamente, autorevoli commentatori a cominciare dagli antichi; per ciò che concerne la Metafisica seguiremo, infatti, Ales-
•n
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n rapporto
sofistica, dialettica e filosofia
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sandro che mostra di essere, com'è naturale (e· la cosa non andrebbe mai sottovalutata), più disinteressato di noi e più vicino alla problematica aristotelica (cfr. ed. Hayduck, 259, 24 sgg. 260, 22 sgg.). Da un confronto immediato dei due passi, della Retorica e della Metafisica, ci si accorge subito che la retorica è scomparsa dalle relazioni che la M eta fisica istituisce. La scomparsa è però solo apparente. Nella Retorica il sistema sofistica,. retorica-dialettica è retto dalle due costanti dell'intenzione e della facoltà, con la conseguenza che sofistica e retorica vengono assimilate in forza dell'intenzione e retorica e dialettica a partire dalla facoltà, scienza. Ora, è proprio questo rapporto, questo concetto della dialettica che comprende in sé la retorica (così come, d'altra parte, si è visto, la retorica mantiene un rapporto con la sofistica e la innalza al piano della considerazione filosofica) e la giustifica, la figura stessa della dialettica presente nella Metafisica. Qui, però, il sistema appare costruito secondo una prospettiva diversa: ,sofistica-dialettica-filosofia trovano la ragione del loro essere in rapporto nell'identità dell'oggetto (" sofistica e dialettica si aggirano intorno allo stesso genere di realtà della filosofia ", cioè " l'essere che è comune a tutte le cose "), ma i due clementi, intenzione e facoltà, entrano ugualmente in gioco: la dialettica e la filosofia si distinguono per la facoltà, e hanno quindi l'intenzione in comune (quella che Bonitz chiama disputandi facultas), per cui la dialettica è peirastìca e la filosofia conoscitiva; la sofistica e la filosofia si distinguono per l'intenzione: la sofistica è una specie di arte (XQlHtutwnxrJ) e il sofista un uomo che trae profitto da una saggezza apparente e non reale (cfr. El. Soph. 1.165 a 21/23 e 11.17 l b27/29) e a maggior ragione per la facoltà: la sofistica, infatti, è una saggezza apparente, essa stessa· non ha realtà anche se si aggira intorno all'essere. Ora, dal momento che l'intenzione porta la dialettica nei pressi della filosofia e la facoltà conoscitiva della filosofia colloca la dialettica in un ambito diverso, non rimane che avanzare_ l'ipotesi che quanto all'uso della facoltà dialettica e sofistica abbiano qualcosa in comune - un risultato che il testo della Retorica escludeva. Queste, allora, le conclusioni: la sofistica è ancora una volta riacquistata al movimento della speculazione per la sua parentela con la dialettica e la dialettica innalzata in dignità per la sua vicinanza alla filosofia; inoltre, anche qui non c'è soppressione o assimilazione di una di queste tre figure dcl sapere da parte di un'altra: ciascuna di esse mantiene la propria autonomia e determinatezza. Stando alla Retorica, secondo il metodo, anche il
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Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristo<ele
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sofista può essere un dialettico, ma se ne distanzia nettamente a mezzo dell'intenzione, la quale nel dialettico mira aJla cosa, mentre nel sofista ha a che fare solo con una parvenza di verità. La situazione verrebbe ad essere capovolta nella Metafisica, dove l'argomentazione si fonderebbe sulla distinzione di realtà (essere) e apparenza: la dialettica si contrappone così alla sofistica, collocandosi dalla parte della filosofia, ma da questa si distingue per il metodo, che invece l'avvicina senz'altro alla sofistica. "Con una affermazione più rigorosa potremmo azzardare di dire così: la posizione intermedia propria della dialettica si dimostra a partire dal suo metodo che la pone in prossimità della sofistica e dalla sua intenzione che essa ha in comune col filosofo" 13 • È un'interpretazione chiarificatrice, ma non possiamo accettare la vecchia tesi, che sembra qui riaffacciarsi, di una dialettica come philosophia minor, "metodo", rispetto ai quali la filosofia sola è la scienza, episteme. La dialettica, lo si è già visto, è altro.
4.4. Dialettica e ontologia (T o p ici) Vediamo di approfondire e di spiegarci alcune difficoltà del testo aristotelico. Teniamo presenti ,le due affermazioni dei Topici: " Sino a che si tratta di mettere in luce il luogo, la ricerca è comune al filosofo e al dialettico, mentre il successivo ordinamento c il porre domande è il compito proprio del dialettico " (VIII 1.155 b7/10). Ma d'altra parte topica e antologia "non sono che due aspetti della stessa realtà", come lascia capire Aristotele stesso in un capitolo degli Elenchi sofìstici: " Quanto al numero dei luoghi da cui dipendono le confutazioni, non bisogna cercare di stabilirli senza la scienza di tutte le cose. Ma questo non è di alcuna disciplina. Infinite, infatti, sono le scienze, sicché è chiaro che lo sono anche le dimostrazioni " (9 .170 a 20/23). Aristotele continua e spiega che ogni scienza particolare (la geometria, la medicina per esempio) possiede le sue dimostrazioni, vere e false, e quindi le sue confutazioni, vere e false, le une e le altre in numero infinito. " È chiaro, dunque, che non di tutte le confutazioni, ma soltanto di quelle che dipendono dalla dialettica, sono da detenninare i luoghi: questi ultimi, infatti, sono comuni ad ogni arte e capacità" (170 a 34/36). In altri 13
P.
WrLPERT,
Aristoteles und die Dialektik, in « Kant-Studien », 48,
1956-57, pp. 252-3.
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Dialettica e antologia
termini, sempre secondo il testo aristotelico, è il tecnico, lo scienziato (ÈmcrTr]~tw,•) che deve giudicare se l'argomentazione relativa alla scienza di cui si occupa è apparente o reale e perché, mentre l'esame di quelle confutazioni che riguard~ano i principi comuni e non una tecnica particolare spetta al dialettico. Un rinvio ai Topici, quindi, che hanno stabilito i luoghi dai quali dipendono i ragionamenti probabili intorno ad un oggetto qualsiasi: " Abbiamo così i luoghi da cui dipendono tutte le confutazioni di questo genere. Se abbiamo questo, abbiamo anche le soluzioni: le obiezioni a quelle confutazioni sono infatti soluzioni " (170 b3/5). A questo punto è bene fare intervenire il passo di Soph. El. 11, che ripete Metaph. IV 2. l 004 h22 sgg., ma che ora, dopo il commento al capitolo immediatamente precedente dell'Organon, acquista un senso nuovo e chiude in un certo senso il discorso lasciato aperto nella Metafisica: "È dialettico, dunque, colui che considera i principi comuni rispetto alIa cosa, mentre chi fa questo in apparenza è un sofista " ( 171 b6j7). Per riassumere: ancora una volta Aristotele si riporta alla sofistica nel cuore della ricerca metafisica; tuttavia, è vero che la dialettica, considerata nel centro della problematica dei Topici, non ha più nulla a che fare con la sofistica o almeno sembra mantenere con essa un rapporto esterno. Rispetto alla sofistica la dialettica aristotelica rappresenta la coscienza di un metodo, ma di un metodo, si badi, che non è più la platonica :rroQELa [viaggio, via], bensì una ricerca che motiva e giustifica se stessa accanto all'ontologia, alla scienza (nel significato sopra descritto). V orrcmmo ora notare : non va mai persa di vista, sul piano dell'interpretazione storica, la relazione istituita da Aristotele fra la propria ricerca (retorica, metafisica e topica) e la sofistica, al di là della dialettica platonica. Un unico leitmotiv accompagna la storia del pensiero antico, dall'idea della retorica gorgiana alle figure della dialettica aristotelica: l'ideale cioè di un sapere universale (retorico nel senso aristotelico), che non ha oggetto proprio, ma che ha in sé la possibilità di far valere le altri arti e tecniche, l'idea di una scienza sostanzialmente socratica, ma non socratico-platonica: " ... Aristotele ignora una forma di discorso che coinciderebbe con il movimento stesso a mezzo dci quale le cose si svelano c che sarebbe qualcosa come il linguaggio di dio. Con Aristotele il logos cessa di essere profetico; risultato di un'arte umana e strumento della comunicazione tra gli uomini è descritto come discorso dialettico, e la sua forma più alta sarà tutt'al più il di-
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Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele
scorso del professore (colui che giunge al massimo dell'astrazione, ma non del tutto, in relazione al comportamento dell'uditore)'". In aJtre parole: "l'universalità ricercata non può essere l'universalità di un sapere, reale o apparente, ma quella di una negazione, più precisamente di una critica o, come dirà Aristotele, di una :n:a!_lacrnxlj. Lo stesso uomo non può sapere tutto, ma può interrogare chiunque su qualunque argomento. Socrate scopre il solo potere che sia legittimamente universale: la domanda, la sola arte alla quale nessun'altra può contendere la superiorità, la priorità: l'arte di porre domande nel dialogo, cioè la dialettica " 14• E necessario, allora, esaminare un nuovo arco di testi aristotelici c studiare a partire da questo risultato come possa ulteriormente articolarsi la ricerca della Metafisica all'interno di quel rapporto con la storia, la politica e la dialettica, che abbiamo costantemente tenuto in luce.
4.5. Dialettica, storia, politica Vediamo Metafisica m 1.995 a 24/b4, quel testo sull'aporia (che, secondo la formulazione di Eth. Nicom. VII 4.1146 b7 /8, è già, neila sua soluzione, scoperta): " In vista della episteme intorno alla quale la ricerca verte è necessario determinare, in primo luogo, a proposito di quali cose principalmente si debbano rilevare le aporie (rbtoQflom), cioè le questioni sulle quali ·altri si siano espressi in modo diverso e quelle, inoltre, che eventualmente siano state trascurate. A chi vuole camminare bene (E-ùrroQflcrm) giova passare accuratamente attraverso le aporie (1harrogflam xaÀ
ç), poiché il successivo buon cammino (E"Ùrroefa) non è che lo scioglimento delle aporie rilevate in precedenza e non è possibile sciogliere un. nodo senza riconoscerlo. Ma la presenza di un nodo attinente alla cosa di cui si tratti è d'altronde manifestata dall'incepparsi della mente; la quale, trovandosi impedita di procedere, soffre in maniera simi,le a coloro che sono in catene, in quanto è impossibile per l'una e per gli altri il procedere oltre. Bisogna quindi avere considerato da prima tutte le difficoltà, sia per quanto si è detto, sia perché coloro che si pongono a cercare senza averle prima attraversate assomigliano· a chi non sa ove dirigersi, e ignorano se a un dato momento abbia14
P.
AUBENQUE,
Le problème de l'etre chez Ar., cit., pp. 115, 275.
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Dialettica, storia, politica
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no o no trovato ciò di cui andavano in c~rca : non è chiara, per loro, ,la meta, che invece lo è per chi abbia preliminarmente fissato le aporie (t({> :1l{lOlFWQEY..o·n). Inoltre, si trova necessariamente in condizione migliore per giudicare chi, come giudice di una contesa, ascolta anche tutte le ragioni opposte " 15• È noto che gli antichi commentatori vedevano in questo testo il vero inizio della Metafisica. L'espressione: le questioni sulle quali altri si siano espressi in modo diverso è così commentata da Alessandro: " Ciò potrebbe significare che o non convenientemente o in modo opportuno ma erroneamente o che alcuni in un modo altri in un altro si occuparono di tali questioni: infatti, offrono soprattutto difficoltà quelle cose di cui sono state date precedentemente opinioni· differenti da parte di coloro che le hanno trattate ... " (ed. Hayduck, p. 127). Non è necessario esaminare tutti i passi paralleli aristotelici. Uno,. però, resta fondamentale: " Ma costoro (i sostenitori dell'antica tradizione cosmologica di Talete) sembrano ricercare fino ad un certo punto, bensì non fin dove sussiste possibilità di dubbio (Mvm:ov -rfj; ù:rrog[aç). A noi tutti, infatti, questo è abituale, di non istituire la ricerca per la cosa in se stessa (n:gòç -rò n:gay!J.a), ma per colui che dice cose contrarie alle nostre (n:QÒ; -ròv nivun[u ì.éyovtu): infatti, noi stessi in noi ricerchiamo fino a che non è più possibile avere da ribattere. Per questo bisogna che chi vorrà effettuare bene una ricerca rimanga tenace di fronte a tutte le obiezioni appropriate al genere, ciò che deriva dal contemplare tutte le differenze" (De Coelo n 13.294 b6/13) 16• In primo ~uogo dobbiamo registrare come da Aristotele venga qui delineata l'istanza del metafisica, il punto di vista del sapere, che ora coincide con l'opera di fondazione della scienza intorno alla quale la ricerca verte. La scienza è e rimane oggetto della ricerca, ma proprio per questo Aristotele si innalza sopra la coscienza comune, proprio per questo egli enuncia e denuncia un sapere che è altro e da quello della coscienza comune e della filo-sofia della tradizione. Il ritmo dei due capitoli ini'" ·ziali del 1 libro dell'opera, il loro stesso avvio lo provano: " Tutti gli uomini per loro natura tendono al sapere " (I l. 980 a 21) 15 La traduzione è di L. Lugarini, in Aristotele e fidea della filosofia, cit., pp. 134-5. 16 Passi paralleli sono indicati da E. ZELLER, Die Philosop!zie der Griechen, Leipzig 1921•, vol. II, t. II, pp. 243-5, che è bene leggere anche per la configurazione del problema e del rapporto aporia-dialettica-filosofia. Altri passi paralleli: De Anima I 2. 403b20·24, De Coelo I 10. 279b4-12, Anal. post. 1 l. 71al-13.
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e " È dunque chiaro che la sapienza è scienza di certe cause e principi - poiché questa è la scienza che cerchiamo, dobbiamo vedere di quali cause e principi è scienza la sapienza" (I 1.982 a 1-6). · È la posizione che troviamo all'attacco del primo capitolo del libro terzo; ad esso è immediatamente collegato J'altro tema fondamentale, che si articola, appunto, sulla problematica storica del primo libro: l'esigenza storica della configurazione e istituzione di una tradizione (" il successivo buon cammino non è che lo scioglimento delle aporie rilevate in precedenza ") che renda comprensibile il proprio promuovere determinate questioni (altrimenti la men~e " soffre in maniera simile a coloro che sono in catene, in quanto è impossibile ... il procedere oltre"), coincide con l'esigenza dialettica, in noi abituale " di non istituire la ricerca per la cosa in se stessa, ma per colui che dice cose contra- · rie alle nostre ... " (De Coelo, cit.). Con Aristotele si fa strada un atteggiamento complesso, un ~ioç che il pensiero greco non ha ancora riconosciuto: la coscienza comune (i molti) diventa un problema, si. spezza l'identità filosofia (scienza)-dialettica (filo-sofia). Le ragioni di questo avvenimento sono esterne al filosofare, c sono da ricondursi ano smarrimento della immediata politicità della ricerca filosofica, all'assenza in essa di un valore pedagogico, assiologico in generale: il filosofo ha veramente perduto la sua anima o almeno la parte più viva di essa; ora la sua ricerca vale unicamente per il singolo, alla fine trova, se assolutamente imposta agli uomini, il grigio del silenzio. Cade a proposito un'osservazione che può avere qualche valore storico, un'interrogazione su un momento della riflessione che Aristotele compie sul significato della sua diaporetica 11 • Dalla necessità di considerare preliminarmente tutte le difficoltà questo risulta: " Perché coloro che si pongono a cercare senza prima aver attraversato tutte le difficoltà assomigliano a chi non sa ove dirigersi e ignorano se a un dato momento abbi·tno o no trovato ciò di cui andavano in cerca " (995 a 33/995 b 2). Indubbiamente, a nost>o avviso, una risposta al Socrate17 Con questo termine intendiamo, con Lugarini, la ricerca aristotelica nel libro m della 1\1elaJÌsica (esposizione dei problemi della filosofia o della filosofia per problemi) e che consideriamo come un momento continuamente operante della sua ricerca. Si può anche dire, con Ross, melOdo aporematico o con Tricot metodo diaporematico: questi evidentemente si basa sull'espressione usata da Aristotele stesso per indicare il libro III [tv "tOtç aLGtrrop"Jj:LG!CH: cfr. Metaph. XIII, 2. 1076bl, XIII, 10. 1086b15.]
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Platone del Menone, quando all'argomentazione sofistica dell'impossibilità della conoscenza sia di ciò che si sa sia di ciò che non si sa, nel primo caso perché non c'è bisogno della ricerca, nel secondo perché non è possibile (Men. 80 D/81 A) - un argomento, come è noto, che suona dolce alle orecchie degli uomini pigri (81 DE) - Platone oppone il mito della reminiscenza, che renderebbe gli uomini operosi e ricercatori (ib.): una operosità, si badi, che è sollecitata unicamente dalla coincidenza, nel sapere, della ricerca e del sapere (81 DE), il cui fondamento è da cogliere in quel sapere come mito che alla fine è estraneo alla ricerca e all'uomo. Se Aristotele risponde a Platone, è per tornare ancora una volta all'esperienza sofistica e socratica, per riconquistare lo spirito di una ricerca veramente operosa e quindi una misura più adeguata dell'uomo. Con l'osservazione che abbiamo sottolineato, egli tende a porsi dalla parte dell'argomentazione sofistica, la quale aveva trovato la propria verità e realk>t storica nella polemica contro l'assolutizzazione dell'essere, cqntro un essere che veniva detto in un modo solo. L'essere- non si stanca di ripetere Aristotele- si dice in molti modi (rtoÀÀax&ç HyE-raL n) ()v). Ma è chiaro che non si tratta di un ritorno puro e semplice. Aristotele, infatti, traspone l'argomentazione sofistica come figura logica sul piano dell'esperienza storica: lo dimostra proprio la pagina dell'Organon dove il passo del Menone viene esplicitamente citato e dove Aristotele afferma che l'individuo, del quale egli si occupa, " in un certo senso sa, ma in un certo altro senso non sa" (An. post., 1 l. 71 a 26). Anche in questo caso egli riprendeva Platone, il celebre tema di Diotima: "Forse che è ignorante colui che non è un saggio? Non credi tu forse, che tra scienza e ignoranza vi sia qualcosa di intermedio? " (Conv. 202 AB), un tema, tuttavia, che coincide col mito del quale è oggetto. Aristotele rifiuta il mito, accetta la situazione di fatto e la inserisce in un più profondo risultato storico. Il rapporto tra le due introduzioni alla Metafisica, storico-dialettica la prima, dialettico-diaporetica la seconda, risponde alla necessità ora descritta di fondare da una parte storicamente la scienza (potremmo quasi dire: di storicizzare la scienza, di porla all'interno di una coscienza che si sappia storica) e di offrire d'altra parte alla scienza in via di fondazione (la Metafisica) una intelligibilità che non può altlimenti spiegarsi se non nel circolo chiuso del sapere filosofico. In questa direzione uno dei significati e dei compiti della dialettica aristotelica coincide con ciò che è stata poi chiamata la stmia, la coscienza storica; con una ter-
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Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele
minologia più vicina alla problematica aristotelica potremmo definirla configurazione, storicizzazione della tradizione. Se ora riportiamo il testo del terzo libro all'interno del dibattito che abbiamo cercato di chiarire in Metaph. IV, 2, possiamo dire di aver raggiunto una conclusione n,uova o almeno di aver aggiunto qualcosa di nuovo alla precedente conclusione: quella filosofia che è yvwgto..nxf] è la scienza oggetto della ricerca, l'idea della scienza, quella scienza suprema, agxtxo,;dnl, di cui si fa discorso anche nel libro precedente (cfr. 1 2.982 b 4/5); ma la scienza in atto, il filosofare, del quale di volta in volta si parla nella Metafisica, è la dialettica, Jtft(lM'tlXfJ (cfr. Top. IX, 8 c 11): una figura della " scienza ", ma quella che si determina, storicamente, nel btan:ogYjom. Il filosofo, il suo sapere e la coscienza comune non si oppongono e d'altra parte non coincidono, di fatto, come per il passato, ma trovano nella storia il loro senso c la possibilità di riconosccrsi, perché uno è il sapere, ma ad esso non è estranea l'opinione. A questo punto, il nostro discorso potrebbe ricominciare da capo. Se siamo venuti in chiaro circa il senso della dialettica in Aristotele, dalle sue origini come sofistica e sistema delle opinioni, e quindi: l) teoria della coscienza comune c 2) motore, come storia, della ricerca metafisica, della determinazione della scienza filosofica dell'essere (un senso eminentemente politico per ciò che tiene fermo il proprio oggetto, i molti, pur apponendolo all'uno, oggetto della scienza), abbiamo lasciato aperto nella sua problematicità il concetto della scienza secondo quanto risulta dai testi aristotelici. Ne abbiamo indicato sopra le deterIninazioni fondamentali sulle quali hanno operato le grandi interpretazioni della storia, cioè la distinzione, e non il conflitto, ormai classici, tra una metaphysica generalis che riguarda l'ens commune e una metaphysica specialis che verte sul summum ens, Dio. Ma il conflitto, la contraddizione non risolta è già in Aristotele: " ... l'opposizione dell'antologia e della teologia come quella dell'opinione e della scienza, della retorica e del mestiere riproducono in realtà su un piano diverso il conflitto di aristocrazia e democrazia. Ci si deve meravigliare di ciò? Può destare meraviglia il fatto che la preistoria della metafisica ci conduca ad un nodo di problemi in cui politica, filosofia, riflessione sulla parola e suU'arte s'infrecciano e si scambiano di significato in un complesso indissociabile? Che il progetto di una scienza dell'essere in quanto essere, che sembrò subito astratto quando se ne smarrirono le risonanze umane, tragga la propria origine, e quasi
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la sua linfa, da un dibattito in cui era in gioco la condizione e la vocazione nello stesso tempo teorica, tecnica e politica dell'uomo in quanto uomo? ... n filosofo è l'uomo qualunque, l'uomo in quanto uomo oppure il migliore degli uomini? Il suo oggetto è l'essere comune, cioè l'essere in quanto essere oppure il genere più eminente dell'essere? L'essere appartiene a tutti e di volta in volta anche alla più umile delle nostre parole oppure si svela nella sua meravigliosa trascendenza unicamente nell'intuizione degli indovini e dei re? E infine: il discorso del filosofo è la parola di un uomo semplicemente uomo che avrebbe rinunciato ad apostrofare l'essere come teologo, fisico o matematico oppure è la parola distante di colui che, primo in. tutti i generi, sarebbe d'accordo con gli dei? " 18• ~ ancora il dibattito che aveva caratterizzato la sensibilità filosofica e politica degli uomini del v secolo. Vediamo di approfondire la questione e teniamo presente che è sempre buona norma metodica non solo lasciare aperte le contraddizioni individuabili in un filosofo, ma farle agire e sollecitarle: non sempre esse sono componibili nell'unità o nel circolo del sistema. Chiediamoci il senso dell'affermazione aristotelica nel primo libro dell'Etica nicomachea: posta la diversità degli scopi umani e uno scopo supremo e quindi un'unità di questi scopi, ci deve essere una scienza (EmaT~fll)) di questa unità, che sarà la più importante e la più architettonica (xt'(H(t>nhq, UQZt'tfXTovtxi)) - la " politica. Essa determina quali scienze sono necessarie nella città e quali ciascuno deve apprendere e fino a che punto. Vediamo, infatti, che anche le scienze più onorate si trovano sotto di essa, come la strategia, l'economia e la retorica. Dal momento che essa si serve delle altre scienze pratiche, e inoltre stabilisce che cosa bisogna fare e che cosa ·evitare, il suo fine potrebbe comprendere quello delle altre, cosicché sarebbe il bene umano " (1094 a 26/b7). Segue la fondamentale affermazione, che tiene in luce la differenza-relazione tra l'etica e la politica: se è identico il bene per il singolo e per la città, si deve scegliere e salvare quello della città, ché questo è un compito più bello e più divino. · ~ inutile sottolineare la concordanza di questo inizio dell' Etica nicomachea con quello ben noto della Politica 19• Lasciamo 18 P. AunENQUE, Le problème de l'ètre chez Ar., cit., pp. 279-280, ma cfr. E. WEIL, Quelques remarques ... , cit. sopra nota 7, pp. 844-49. " ARISTOTE, La politique, vol. I, Paris 1960 (coli. Les Belles Lettres), a cura di J. AUBONNET, p. 105. È molto importante l'introduzione all'edizione di questo testo aristotelico. Sulla Politica si ricordi almeno E. BARKER, The Politics oj Ar:, Oxford 1952; R. WmL, Ar. et l'histoire. Essai sur la" Politique ", Paris 1960, e la traduzione italiana a cura di C.A. VIANO,
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pure da parte, anche se la connessione non sarebbe ingiustifi.cata, l'elogio della città c della comunità politica che lo segue immediatamente, che ritorna nel trattato sull'amicizia (partic. vm 11) e che apre il libro sulla Politica. La chiave per intcnderlo si trova a nostro avviso nello stesso contesto: " A questo (scienze necessarie nella città, detenninazione del bene per il singolo e per la città), mira, dunque, il nostro trattato, che è politico. Sarà sufficiente che esso tratti chiaramente intorno alla materia proposta. Infatti, non bisogna cercare in tutte le discussioni una precisione uguale come neppure nelle professioni manuali ... Ci si deve accontent
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interpretazione? Non lo crediamo. Se è vero che queste funzioni della cultura sono proprio quelle che Aristotele assegna alla dialettica nei Topici - quella critica e quella peirastica che sottopongono a prova quel discorso che può sembrare un sapere " una disciplina che si può possedere anche senza avere la scienza e per cui è possibile, da parte di colui che la scienza non possiede, esaminare chi non ha scienza della cosa ,· (Soph. El. 11.172 a 22/24) - noi crediamo che debba avere un valore particolare, fondamentale, non semplicemente di metodo, il fatto che tale problematica ritorni in un testo che pretende di elaborare nella politica la scienza più importante e più architettonica. Per Aristotele la comunità politica rappresenta la comunità più comprensiva (Eth. nicom. VIII 11.1160 a 8/9 sgg., cfr. Poli t. T 1.1252 a 3/7); in essa sola ha un senso l'operare dell'uomo" un animale che per natura deve vivere in una città " in quanto "unico animale che abbia la parola" (Polit. I 2.1252 a 2/3 e 9/JO). Non è necessario insistere su questo punto, ma chiederci, come ci siamo chiesti, il perché, ora, del rapporto della cosiddetta metodologia dialettica - che abbiamo visto configurarsi come teoria e ideologia della coscienza comune - con la ricerca sulla politica come scienza eminente. Il senso di questo rapporto è da trovare in un passo della Retorica, l'opera dalla quale avevamo preso l'avvio: " .. .la retorica è come una ramificazione della dialettica e della scienza morale, che è giusto chiamare politica. Ed è per questo che la retorica prende la maschera della politica sia per mancanza di cultura sia per ostentazione sia per altre ragioni umane " (1 2.1356 a 25/30). II testo ci sembra prezioso: esso dimostra da una parte l'unità delle ricerche etiche e politiche, sulla quale pone l'accento il celebre capitolo finale della Nicomachea, le ultime righe in particolare che riassumono e ad un tempo rinviano alla scienza politica come quella che può mandare a compimento la filosofia dell'uomo (x 10. 1181 b 13/15), e d'altra parte come nell'evoluzione del pensiero aristotelico al parallelismo retorica-dialettica, che risale addirittura agli anni giovanili, si sia sostituito il parallelismo etica-politica - sostituzione però che si è manifestata e agisce in forza di quel risultato e da intendere a partire da esso. Nella partizione del sistema rimane ovviamente valida la configurazione deiia politica come scienza pratica (Eth. Nicom., VI 8.1141 b 26/27 e Metafisica, VI 1.1023 b 23/24): essa non esclude, anzi lascia liberamente e nuovamente operare la possibilità di comprendere questa direzione del pensiero aristotelico, una lettura politico-dialettica della M eta fisica, che coincide con la dimensione metafisica (della scienza) della Politica.
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Logica c di_alettica, storia e filosofia in Aristotele
Allora è chiaro il nuovo punto di vista di Aristotele e il nuo-vo piano della sua ricerca: la scienza politica, che pure si costruisce nella stessa sfera della retorica e della dialettica, all'interno, dunque, dell'orizzonte della coscienza comune, ne rappresenta ad un tempo l'espressione più alta e più adeguata, e come tale si pone come scienza o almeno pone la scienza come suo ideale. Non c'è possibilità di contraddizione né con la determinazione dialettica che circoscrive l'ambito reale entro il quale si trova ad operare la scienza, l'oggetto dell'intervento della scienza, né con il discorso sulla scienza esposto e ripetuto nella M etafisica, dove la ricerca è iniziata dal filosofo e per esso, in un rapporto con la realtà e con la storia che risulta da una continua mediazione. Aristotele dà alla filosofia e apre così alla tradizione, che sarà nostra, la possibilità di un discorso sulla scienza, e della scienza, nelle diverse dimensioni nelle quali di volta in volta si riconoscono il filosofo e l'uomo comune, il sapere e la coscienza comune: una differenza ideale che ha la sua motivazione in un fondamento reale, storico, quella figura della dialettica aristotelica che non rifiuta le opinioni, vuoi rendere ragione della molteplicità dei discorsi, ricondurre il bisogno della filosofia ad una misura umana e riconoscere a mezzo della scienza il destino dell'uomo e delle sue città - la storia. Allora la dialettica del re-filosofo - una potenza veramente più che umana (per dirla col Crati/o platonico, 438 CD) - appare veramente come la notte. E Aristotele, come ha scritto AE. Taylor, " un platonico che ha smarrito la propria anima. Anche Péguy ha parlato dell'evoluzione della filosofia greca come degradazione del mistico nel politico ". È, però, un fatto - e Aristotele lo ha conquistato alla filosofia. Un fatto che non cessa di porci in questione se crediamo ancora di poter filosofare, e riconoscerei nelle città, in un mondo che rifiuta il mito. Aristotele lo ho esplicitamente dichiarato (in un frammento giovanile): "Più io sono solitario e isolato, più amo i mi ti ".
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5. Morte e trasfigurazione della dialettica antica. Dagli Stoici all'età moderna
5 .l. Dialettica soggettiva e dialettica oggettiva Tra i Sofìsti e Aristotele, abbiamo avuto più volte occasione di notarlo, la dialettica esaurisce- sostanzialmente tutte le sue possibilità, presenti e future: è il dialogo e la sua tecnica, l'arte del discorso breve, della discussione, della persuasione; è la scienza, teoria o teoresi in senso greco, cioè la visione dell'intelligibile, ma è anche il cammino, il tirocinio che alla scienza conduce; lo strumento, quindi (ma solo in Aristotele), che consente di pervenire ai principi de.Ue scienze ed eventualmente di discuterli; la scienza-non-scienza senza un suo particolare oggetto, quindi un'arte, una tecnica, pure in senso greco, che pone l'uomo nelle condizioni di poter parlare di tutto, un tipo di educazione, come si esprimeva Aristotele, che fa dell'uomo comune un uomo colto e dello scienziato, dello specialista (cioè, in senso aristotelico, del professore che insegna) una persona capace di parlare con gli altri, con i non specialisti. Possiamo fare la stessa osservazione anche se ci esprimiamo con una terminologia moderna, estranea e ignota ai greci. Tra i Sofìsti e Aristotele la dialettica esaurisce o - se vogliamo essere più prudenti - fa un'esperienza irripetibile o ripetuta solo con l'aggiunta di qualche corollario, sia pure importante, delle sue due grandi possibilità, di quelle sue configurazioni dalle quali non si sarebbe più liberata: dialettica oggettiva cioè, grosso modo, la dialettica del dialogo come espressione o effetto delle contraddizioni della realtà, insomma la dialettica antologica, e dialettica soggettiva, diciamo così (anche qui grosso modo), la dialettica logica, in senso aristotelico, dove logico significa astratto o meglio vuoto, cioè senza un contenuto determinato, la dialettica del dialogo insomma o il dialogo come dialettica per mostrare come un discorso o un'argomentazione debole possa diventare forte, cioè
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Morte e trasfigurazione della dialettica antica
possa convincere l'interlocutore: da questo punto di vista Pratagora e Socrate non sostengono tesi diverse o comunque molto lontane fra loro. La dialettica soggettiva presuppone la pluralità delle opinioni, presuppone un mondo dell'opinione come una dimensione del reale, come un mondo che è quello che è, né vero né falso, ma che di volta in volta, nel dibattito, viene provato come vero o come falso: ammesso che se ne sia occupato, è la dialettica degli uomini dalla doppia testa di cui parlava Parmenide; è il movimento delle contraddizioni interne al discorso comune, e se ne occuperà Zenone. B, al fondo del pensiero dei Sofisti, che, lo abbiamo visto, la traggono fuori dalla gloriosa tradizione della retorica; la sua teoria è esposta da Aristotele nei Topici, e allora la dialettica (o topica) è il sistema degli Èvùoça, delle tesi divulgate o correnti, cioè quelle che sono accettate da tutti o dalla maggioranza o dai sapienti e tra questi o da tutti o dalla maggioranza o da quelli più illustri e più famosi per reputazione: è l'inizio della ricerca, la discussione delle tesi precedenti, non filosofia ma pro-· pedeutica. La dialettica soggettiva percorre tutta la tarda antichità postaristotelica (gli Stoici non vi aggiungono molto di nuovo quanto all'essenziale) e la così detta lunga notte del Medioevo (Hegel): dagli Stoici, per i quali si trova accanto alla retorica come scienza delle parole e del criterio della verità, agli Scolastici, per i quali è la pratica stessa del dialogo e della discussione, lo strumento che sorregge l'elaborazione dogmatica e conduce alla soglia del dogma senza per altro pervenirvi. Essa, di nuovo, ha una funzione sistematica tra le arti liberali, ma anche una funzione protrcptica, pedagogica, perché insegna la coerenza del discorso e quindi aiuta l'uomo a liberarsi dalla contraddizione c del discorso e della realtà, a superare i pericoli del dubbio e dello scetticismo: ancora, una propedeutica. Alla fine di un lungo dibattito, che in questa sede potremo soltanto sommariamente indicare, la dialettica soggettiva celebra la propria morte e trasfigurazione con Kant. Qui ci limiteremo a notare una sorprendente analogia con la ricerca aristotelica, persino la ripresa, nella Critica della Ragione Pura, della distinzione di analitica e dialettica, e la dialettica come discussione delle tesi correnti, delle tesi precedenti - ma la dialettica, soggettiva, non è più la propedeutica, non sta più sulla soglia della filosofia, bensì è collocata da Kant all'interno del sistema come fatto necessario e originario della ragione umana: è il prodotto - dice Kant - di una illusione trascendentale inevitabile e naturale, che ha lo
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Dialettica soggettiva e dialettica oggettiva
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scopo di " scoprire l'apparenza ingannevole delle non fondate pretese dell'intelletto e della ragione ". La dialettica, soggettiva, ma non più propedeutica, quest'opera necessaria della ragione (come Hegel non mancò di rilevare nella sua Scienza della logica)\ è una parte costitutiva della filosofia (e da questo momento anche la storia della filosofia rientra definitivamente nel sistema filosofico), è il fondamento della dialettica oggettiva intesa sia come dialettica della reàltà sia come quella dialettica oggettiva della soggettività che dell'intero della realtà è soltanto un aspetto. È la fine della filosofia moderna; l'inizio, con Hegcl, della filosofia contemporanea, ma anche - come vedremo - la fine della dialettica.
Le vicende della dialettica, sia pure 'di quella soggettiva, sono ben più complesse di questo breve schema preliminare. Per il semplice fatto, soprattutto, che _fin dalle origini (e lo abbiamo ampiamente mostrato) le due forme, quella soggettiva e quella oggettiva, nascono e si sviluppano insieme, si intrecciano, fino al punto che in certi autori è difficile e anche improprio distinguerle. Si pensi ad Eraclito. Ammesso che si sia occupato di dialettica (ma i suoi frammenti non lasciano dubbi sul senso del mondo concettuale che sarà indicato più tardi con quel termine), è certamente il primo pensatore che rileva una dialettica oggettiva, nelle cose, sebbene, poi, i nomi manifestassero in Eraclito una dialettica che è ad un tempo soggettiva e oggettiva. Si pensi a Platone, certamente il teorico della dialeHica oggettiva sia essa 'interna alle cose, immagine del mondo delle idee, sia essa interna al mondo delle idee stesso e loro propria: tuttavia, anche nei dialoghi più tardi (e ne abbiamo addotto esempi), egli non tradì mai il compito sofìstico-socratico (soggettivo) della dialettica, cioè il dovere,. da parte del filosofo, di imparare a rendere ragione a sé e agli altri dell'oggetto della sua visione, "meravigliosa trascendenza ". C'è una dialettica oggettiva anche in Aristotele, e basterà pensare alle opposizioni fondamentali della sua fisica e metafisica (atto e potenza, materia e forma ecc.): " ma Aristotele non indica mai la dialettica oggettiva col termine dialettica, e, fino a Kant compreso, la parola sarà presa nel senso datole da Aristotele o meglio col senso che Aristotele le ha restituito, poiché di fatto egli ' La citazione di KANT è in Critica della ragione pura, trad. it. a cura di G. Gentile e G. Lombardo Radice, Bari 1944, vol. r, p. 100, e cfr. i passi di HEGEL in Scienza della logica, trad. it. di A. Moni, Bari 1968, vol. I, pp. 38-39 c vol. n, pp. 943-945, per cui vedi avanti il cap. 7.1, nota 3 e 7.7, nota 29.
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Morte e trasfigurazione della dialettica antica
riprende soltanto e ristabilisce quell'uso che fu del giovane Platone" 1• Con la sola eccezione, forse, di Plotino, e di certi aspetti del pensiero di alcuni Padri della Chiesa, almeno là dove la tradizione platonica è più viva e forte. Infatti, la dialettica in Plotino è la pura scienza, quella nella quale prende fine il cammino irto di errori attraverso il sensibile: l'anima si muove liberata dall'errore nella sfera della verità, vede le idee e le distingue, e coglie l'essenza delle cose. È qualcosa di più e di diverso dalla
5.2. Qualche considerazione sulla " dialettica" degli Stoici Non è il caso di seguire nei particolari l'evoluzione del concetto di dialettica attraverso l'antichità postaristotelica e il Medioevo. " Le ricerche degli Stoici o di Plotino hanno apportato qualche arricchimento considerevole, talvolta essenziale, a quella tecnica. D'altra parte, però, il signifièato della parola non cambie2 E. WEIL, Pensiero dialettico e politica, in Filosofia e politica, Firenze 1965, p. 25.
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Qualche considcraziop.e sulla " dialettica ;, degli Stoici
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rà quasi per gli Stoici, che su questo punto seguono Aristotele: la dialettica è la scienza delle parole e del criterio delhi verità, cd essi la collocano accanto alla retorica che, per gli Stoici e per la loro epoca, diviene un esercizio formale, svuotato di ciò che essa in. Aristotele contiene di psicologia nell'accezione moderna del termine; d'altra parte, l'influsso del loro insegnamento (: stato indiretto ed ha agito soltanto sui particolmi (talvolta estremamente importanti) di una tecnica ormai costituita o considerata tale. Sarebbe possibile mostrare la persistenza di influssi stoici in numerosi momenti dell'evoluzione" 3• Questa indicazione a noi sembra giusta, soprattutto se si segue una interpretazione della dialettica aristotelica come quella che abbiamo qui proposto, cioè di una " logica " di tipo particolare, quella scienza-non-scienza (e lo abbiamo sottolineato) esposta nei Topici, autonoma rispetto agli Analitici, fondata, per semplificare al massimo e per mostrare le connessioni con l'evoluzione stoica deJla dialettica, su due caratteristiche fondamentali: la situazio. ne dialogica e il suo spirito competitivo, da una parte, e la sua parentela con la retorica, dall'altra; due caratteristiche che, in relazione all'ascendenza platonica, diventano una sola: da un lato c'è una continuità rispetto al platonismo, nella concezione di una dialettica come dialogo, come esercizio, come strumento dell'uomo comune, ma, dall'altro, si presenta una frattura, che non verrà più colmata, in quanto la dialettica non è più e non sarà più scienza, secondo una deHe accezioni del platonismo, ma una semplice propcdeutica della quale il filosofo e lo scienziato si servono, se e quando lo ritengano opportuno, per accedere ai principi delle scienze e per discuterli. Rispetto a questp risultato il problema non cambia anche se si ritiene che la dialettica stoica abbia una fonte diversa da Aristotele e da Platone e si rifaccia alla tradizione che risale ai circoli socratici, a)le discussioni sulla dialettica e sull'eristica, quindi,· sostanzialmente, ad una evoluzione della scuola megarica. È vero che ci sono alcuni punti fondamentali sui quali la dialettica stoica sì differei:lzia da quella aristotelica, come, per esempio, la scoperta di strutture logiche né vere né false, dell'indipendenza della struttura logica da quella metafisica della sostanza e quindi ' E. \VEIL,. art. ci t., p. 22, che qui ricorda la celebre Geschichte der Logik i m A bendiande (Storia della loxica in occidente) del Prantl (un'opera non ancora sostituibile per ampiezza e ricchezza, tradotta in italiano pres· so La Nuova Italia), tanto parziale verso la "vera" logica ari~totelica e ingiusta verso gli Stoici, l'influenza dd quali egli rivela, suo malgrado, nel corso di una pretesa lunga decadenza.
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Morte e trasfigurazione della dialettica antica
il riconoscimento del carattere ipotetico del ragionamento, del rapporto di necessità e insieme di contingenza tra una struttura logica e il suo carattere linguistico 4• Questi elementi consentono di sostenere, come appunto è stato fatto, quell'indipendenza e originarietà storica della dialettica stoica nei confronti dei due grandi predecessori, che, come abbiamo qui brevemente accennato, a noi sembra discutibile. La connessione, presso le scuole cinica e megarica di ispirazione socratica, della discussione sulla dialettica con la discussione del problema del linguaggio; le tesi dei megarici e dei cinici, presenti nel Cratilo ed esemplificate nell'Eutidemo, secondo le quali da una parte " tutti gli usi linguistici sono egualmente arbitrari " e dall'altra " tutti gli usi linguistici sono egualmente legittimi " e il loro corrispondente in una figura della dialettica, da una parte, "come strumento per l'eliminazione della possibilità di qualsiasi confutazione " e, dall'altra, come dimostrazione che " le regole linguistiche convenzionali conducono ad aporie e perciò non possono essere invocate per qualificare l'oggetto qual è " 5, rimangono operanti nello stoicismo; tuttavia, è altrettanto evidente che la dialettica aristotelica, che non è più quella platonica, ha il suo contrappunto nella retorica, e questa per Aristotele ha un'accezione ben più ampia di quella di filosofia o teoria del linguaggio: un parallelismo, fra retorica e dialettica, che indica (così almeno a noi è parso) quanto a fondo Aristotele avesse meditato su quelle discussioni e su quei risultati. D'altra parte, dobbiamo anche dire che la tesi qui riferita cade in gran parte fuori del quadro aristotelico che aveva tenuto fenna la distinzione della dialettica dalla logica e di questa dalla filosofia. Nella nostra ricostruzione della storia della dialettica ci siamo sempre soffermati sul momento della differenza della dialettica dalla logica, sui momenti di " autonomia " della dialettica per mostrai-ne appunto il carattere e la funzione particòlari. Per questo motivo di fondo riteniamo giusta la tesi secondo la quale il contributo degli Stoici a questa storia non è fondamentale e rientra se mai in un quadro che non è il nostro. Si deve poi aggiungere che Io stato dei testi è talmente frammentario, la tradizione tanto imprecisa e aperta su un arco di tempo talmente ampio che è difficile, se non impossibile, ricostruirla nei particolari con un minimo di coerenza sistematica. Si tenga presente, infine, il tipo di scuola fondata da Zenone, " costituita c ordinata come una 4 Vedi lo studio di C.A. VIANO, La dialettica stoica, in Studi sullr1 dialettica, Torino 1958, partic. pp. 110-111. 5 VIANO, art. cit., pp. 63, 73, 74.
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Qualche considerazione sulla " dialettica " degli Stoici
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corporazione, o addirittura come una famiglia, i cui membri non :tvevano in comune soltanto la scienza e la scuola, ma anche la vita " 6 - e questo implica, come del resto per altre scuole filosofiche antiche delle quali poco sappiamo, una difficoltà ancora maggiore nell'interpretazione del senso, dell'intenzione e della collocazione del frammento o della testimonianza. Insistiamo su questo punto. Certo, lo stoicismo (ma che dire dell'epicureismo?) è la sola filosofia antica che sia sopravvissuta all'antichità, ma grazie alle massime della sua etica tramandateci dalla cultura latina: Delle connessioni interne del sistema, c quiqdi della funzione della dialettica, non sappiamo quasi nulla. Non discutiamo qui la sua importanza, certamente grande almeno a giudicare dalla violenza· antidialettica di Aristone e da certe posizioni di Cleante; esse, però, non sembrano presupporre una concezione " nuova " della dialettica, ma quella tradizione sofistico-dialettica che Aristotele aveva storicamente configurato. Ricordiamo alcuni frammenti di Aristone: " I discorsi dei dialettici somigliano ai ragnateli, che non servono a niente, ma son fatti con arte mirabile"; " Quelli che si approfondiscono nella dialettica somigliano a coloro che masticano dei gamberi, che per poca polpa si affannano attorno a molti ossi .. ; " la dialettica è come il fango delle vie, che è inutile anch'esso, ma si attacca ai viandanti "; "L'elleboro preso in grani piuttosto grossi è purgativo, ma ridotto in polvere minuta, soffoca; e così la sottigliezza in filosofia " 7 • Essi trovano d'altra parte un contrappunto nello stesso Zenone, in un'affermazione generica come quella: " La dialettica è la scienza del discutere bene " o in quest'altra, più precisa: " Zenone raccomanda l'insegnamento della dialettica, come quella che mette in grado di scoprire e confutare i sofismi " : essa denuncia esplicitamente il rapporto eristica-dialettica c non esclude la possibilità di un uso o di un'intenzione..cristic.a, individuati nella loro parzialità c storicità da Aristotele, ma presenti anche a Zenone, al quale è pure attribuito il frammento: " le arti dei dialettici sono come misure di precisione adoperate per la paglia o per il letame, invece che per il frumento o per altre derrate di pregio " 8• Quanto a Cleante vorremmo ricordare quelle tre forme di attività del sapiente: legislativa. pedagogica (TÒ .rrmbn!Etv) e letteraria, al·' l frammenti degli Stoici antichi, a cura di N. Festa, Bari 1932-35, vol. II, p. 76. 7 op. cit., vol. II, p. 29. 8 ibid.
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le quali si contrapporrebbero tre attività analoghe non virtuose, cioè la demagogia, la sofistica (TÒ ao
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Qualche considerazione sulla " dialettica " degli Stoici
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ta ragione i dati dci sensi. La scienza stessa o è comprensione sicura, o è un abito di accogliere i sensibili in modo che la ragione non abbia niente a mutarvi. Senza lo studio della dialettica il sapiente non può essere sicuro nel ragionamento. Essa insegna a distinguere il vero dal falso, ad accertare i gradi della probabilità, a scoprire le ambiguità. Senza la sua guida, non è possibile procedere metodicamente nell'interrogare c nel rispondere ". La conclusione di Diogene, che definisce il compito della ·dialettica come la possibilità di procedere metodicamente nell'interrogare e nel rispondere, non ci dice nulla di nuovo, ma ci dà una caratteristica che nella dialettica degli Stoici era rimasta evidentemente ben viva. Infatti, in un altro passo egli afferma: "definiscono la retorica la scienza di dire bene su argomenti pianamente c unitariamente esposti e la d~alettic.a la scienza di discutere rettamente su argomenti per domanda e risposta. Perciò danno anche quest'altra de.finizionc: la scienza di ciò che è vero e ciò che è falso, e di ciò che non è né vero né falso ". Con questa citazione l'autore introduce un tema classico della dialettica stoica, la teoria degli indifferenti, che occupa nella filosofia stoica un posto di rilievo. Ora, a noi non interessa entrare nei particolari di questa dottrina. Vorremmo soltanto far notare che per quanto riguarda la dialettica è presente qui una tesi tipicamente aristotelica, se è giusta l'interpretazione che abbiamo dato della dialettica di Aristotele: le tesi correnti, le tesi sostenute dalla maggioranza degli uomini o dai più saggi non sono, appunto, né vere né false, oppure insieme vere c false, sono l'opinione comune della quale non si può non tener conto; può essere discussa, ma va presa per quello che è. A questa problematica sono riconducibili almeno due frammenti di Zenone di provenienza diversa: " l'opinione è una comprensione malferma mista di elementi falsi e ignoti "; " strettamente connesse tra loro sono la scienzà c l'opinione, e sul confine di entrambe, la comprensione. Se la comprensione è salda e sicura, sì che nessun argomento dialettico possa scuoterla, essa è scienza, se debole e incerta, è ignoranza". In questi testi è interessante far notare da una parte la definizione dell'opinione e il rapporto scienza-opinione, e. dall'altra la citazione dell'" argomento dialettico ", che ci riconducono proprio alla tradizione aristotelica. P-, chiaro che se l'opinione è una forma di comprensione e se scienza e opinione risultano " strettamente connesse ", il problema generale resta quello del discorso, e quindi del rapporto fra la dialettica e la retorica, cioè quel problema che Aristotele aveva saputo individuare. E Zenone non può non rico-:
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noscerlo se gli è attribuito questo passo: " Il discorso è di due maniere: ragionativo e oratorio. Sicché, o dialettica o retorica ". Il testo continua con una delle tante esemplificazioni che sono state attribuite a Zenone, e che ci riconducono alle considerazioni con le quali abbiamo iniziato la presentazione della dialettica stoica: " Col pugno chiuso Zenone so leva indicare il carattere conciso e serrato della dialettica, con la palma aperta e le dita tese l'ampiezza e la diffusione della retorica " 11 •
5.3. La dialettica, "la parte più nobile della filosofia" secondo Plotino Dedicare alcune pagine a Plotino in una storia della dialettica è pura convenzione. Gli interpreti riconoscono non solo la sua ascendenza platonica, ma il suo essere una elaborazione della dialettica di Platone. Anche se è apparsa tipica di una certa concezione della dialettica, quella " mistica " o " ascendente ", con i suoi significativi prolungamenti nei mistici tedeschi e attraverso questi fino a Hegèl 12, si deve però dire che tale elaborazione risulta piuttosto confusa. In primo luogo possiamo osservare che se la dialettica stoica, per riprendere lo schema delineato all'inizio di q ucsto capitolo, può essere senz'altro definita soggettiva, quella di Platino è una dialettica oggettiva e si identifica con la scienza: " ... procede con scienza e non opinando ... ella si ferma nel regno dello spirito ed esercita lassù il suo compito " 13• Tuttavia, c'è in questa figura plotiniana un elemento soggettivo, propedeutico. Infatti, Plotino afferma che la filosofia è " la cosa più nobile " e la dialettica si identifica con la filosofia nel senso che ne costituisce " la parte più nobile ", ma aggiunge: " non si deve affatto ritenere un semplice strumento del filosofo ", non si esaurisce in regole e teore11 l frammenti ... , cit., pp. 36 e 29 (il secondo dei frammenti qui citati è attestato anche da Sesto Empirico). 12 Si veda il capitolo su Plotino e i mistici nella storia della dialettica in G. GURWITCH, Dialectique et sociologie, Paris 1962. " PLOTINO, Enneadi, trad. it. a cura di V .. Cilento, Bari 1947 sgg: il capitolo m dell'Enneade r è dedicato alla dialettica; il capitolo è a sua volta diviso in sezioni e in paragrafi indicati col numero romano e col numero arabo, che d'ora in poi riporteremo direttamente nel testo. Si tenga inoltre presente che l'opera di Platino era il testo base dell'insegnamento e della scuola e che nella forma attuale è stata raccolta e redatta da Partìrio. La citazione corrisponde a IV, 11.
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La dialettica secondo Plotin.o
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mi - ma investe le cose stesse, " ha gli esseri, per così dire, come sua materia: eppure si avvicina agli esseri con un metodo tutto suo, perché possiede ad un tempo, insieme con i teoremi, anche le cose stesse" (n, 14). La dialettica è anche un metodo, dunque, sia pure di tipo particolare, ma è inoltre e nello stesso tempo una " scienza ausiliaria ", come si cura di dichiarare Platino nel capitolo successivo: " Se, quindi, la dialettica è la parte nobile, ciò vuol dire che la fìlosofia ha ancora altre parti: e, di fatti, specula nel campo fisico, attingendo dalla dialettica come da scienza ausiliaria né più né--meno delle altre scienze che si giovano pure dell'aritmetica " (vi, 16). 1:: difficile, come si vede, per non dire impossibile ricavare dal testo di Platino una definizione univoca della dialettica e del suo compito. Forse è meglio lasciare il termine nella sua ambiguità, non imputabile ad una intenzione di Plotino e neppure del redattore dell'opera; certamente essa dipende dalla complessità della tradizione che Plotino trovava di fronte a sé e della cultura della sua epoca. E quindi più opportuno rintracciare e rilevare altre caratteristiche, che ci appariranno non meno contraddittorie: le lasceremo nella loro apertura e problematicità. Prima di nominare l<j. dialettica, Platino parla dell'arte o metodo o vita che bisogna seguire, del cammino che si deve percorrere e del luogo dove si deve andare, della meta alla quale indirizzarsi; parla altresì di coloro che vorranno affrontare questa impresa, cioè un certo tipo di vita, che richiede una certa condotta per pervenire al " bene e al principio primo ", come egli dice, citando, si ritiene, Platone: costoro sono uomini predestinati ad essere filosofi, musici o amanti (I, 1-3). A noi sembra che la definizione, la funzione e il compito della dialettica si esauriscano qui; prima, si badi, che il termine dialettica sia da Platino pronunciato. Si tratta di una violenta schematizzazione e di un impoverimento del platonismo (basti pensare che scompare tutto il problema del tirocinio " dialettico ", aperto non soltanto ai predestinati e ai ben nati, come scompare anche il rapporto scienzedialettica-filosofia) - ma non c'è dubbio che questo " attacco " della digressione plotiniana sulla dialettica è interessante cd è una acuta interpretazione del platonismo stesso. Detto con altro linguaggio: può essere dialettico il mio discorso sulla dialettica? Caratteristico della dialettica è il suo escludere una teoria della dialettica. In una teoria della dialettica la dialettica si esaurisce e si spegne. Infatti, la dialettica viene nominata alla fine della descrizione della natura del filosofo, "già balzato verso l'alto "; "mal certo
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del cammino, ha bisogno solo di chi glielo additi"; "In verità, occorre dargli solo quegli insegnamenti che l'avvezzino a cogliere pienamente l'incorporeo e ad averne sicura fede... ed essendo egli spontaneamente virtuoso, bisogna elevarlo ad un perfezionamento di virtù e dargli, dopo le discipline matematiche, le dottrine della dialettica: farne, insomma, un dialettico " (m, 9). La citazione conferma le difficoltà che avevamo notato all'inizio: in sostanza o la filosofia e la dialettica coincidono come scienza oppure la dialettica è un semplice strumento oppure, ancora, la dialettica è le due cose insieme - tesi eminentemente platonica, che in Platino tuttavia resta da dimostrare. E Platino non lo dimostra affatto neppure nel capitolo IV quando cerca di definire la dialettica identificandone i contenuti e i compiti. Si può dire che egli riprende nello stesso tempo le immagini e le tesi della Repubblica e del Fedro: la dialettica procede verso il "regno dello spirito ", " dopo aver dato tregua al nostro vagabondaggio nel campo sensibile "; poi si esercita all'interno del " campo della verità ", un ritorno, esplicito perché dichiarato, de,l platonico mondo delle idee. A questo punto (Iv, li) non è più possibile comprendere nei particolari le operazioni della dialettica a meno che non si tratti del cosiddetto metodo dell'analisi e della sintesi, della divisione e della riunificazione, di cui parla il Fedro : con la differenza che mentre in Platone era conservato ed era vivo un rapporto fra le idee e le cose, in Platino l'esercizio dialettico si genera e si esaurisce nel " campo dello spirito " - quello stesso spirito che fornisce i principi alla dialettica, principi " evidenti, sol che uno sia in grado di coglierli, con l'anima" (v, 15). Qui c'è un'ennesima difficoltà o oscurità o contraddizione. Infatti, Platino aggiunge che la dialettica, alla quale lo spirito, suo campo d'azione, fornisce i principi - un atto del tutto incomprensibile perché si tratta realmente di un dono dello spirito (non dimentichiamo i predestinati a filosofare e il poter essere in condizione di cogliere i principi) - "interviene nelle conseguenze (dei principi), e le pone insieme, le intreccia, le separa sino a raggiungere lo spirito perfetto ". Se queste parole e se questa costruzione hanno un senso, quello di Platino è un caso paradigmatico d'identità o comunque di confluenza di dialettica soggettiva e dialettica oggettiva, che pur mantengono, o si sforzano di mantenere, una loro propria autonomia. Insomma, la dialettica è lo spirito, è nello spirito. A noi sembra che la tesi di Platino sia o diventi comprensibile
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Figure, problemi e metodi della dialettica nel Medioevo
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quando si tiene presente l'identità di dialettica e sapienza (VI, 17) : questa unità non rappresenta più un punto di vista per una costruzione teorica, ma il metro del valore e del significato delle virtù. Non ci interessa questa dottrina in particolare. Vorremmo solo far notare che nella sua connessione con la sapienza e la prudenza, la dialettica acquista ancora una volta in Platino una dimensione platonica, ma ormai legata ad un discorso interiore, personale, c_he ha smarrito qualsiasi contatto con la realtà e con la storia e in definitiva qualsiasi possibilità di comprenderle e di giustificarle - non c'è un filosofo che, percorsa la caverna, ritorni nel mondo degli_ uomini - " ... allora, poi, tenendosi tranquilla in una pace quale che sia, nel limite dello spirito - senza affannarsi più per nulla, raccolta in unità, guarda ... " (rv, 12).
5 .4. Figure, problemi e metodi della dialettica nel Medioevo. Gli intellettuali e il mondo delle città " La danza macabra che alla fine del Medioevo trascina i diversi stati, cioè i differenti gruppi della società, verso il nulla in cui si compiace la sensibilità di un'epoca al suo declino, accanto a re, nobili, ecclesiastici, borghesi e gente del popolo porta via spesso con sé un chierico che nòn sempre si identifica con i monaci e i preti. È il discendente di una stirpe caratteristica nel mondo occidentale medievale, quella degli intellettuali... Fra i tanti nomi: scienziati, eruditi, chierici, pensa tori (la terminologia del mondo del pensiero è sempre stata vaga), quello di intellettuale abbraccia un ambiente dai contorni ben definiti, quello dei maestri delle scuole. Si annuncia nell'alto Medioevo, si sviluppa nelle scuole urbane del XII secolo, fiorisce nelle università a partire dal. secolo decimoterzo. Esso indica coloro che per mestiere pensano e insegnano il loro pensare. E questa alleanza della riflessione personale e della sua diffusione nell'insegnamento caratterizzava appunto l'intellettuale. Prima dell'epoca contemporanea, l'ambiente degli intellettuali non fu mai, senza dubbio, così ben delimitato e non ebbe più chiara coscienza di sé cç>me nel Medioevo " 14• Le scuole e l'insegnamento, il dibattito filosofico e politico nella riconquistata dimensione delle città - è il mondo proprio della dialettica. Non c'è bisogno, a questo punto, di argomentare l'af" J. Ln GoFF, Genio del Medioevo, trad.
ii. Milano 1959,
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pp. 5-7.
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fermazione·. Non possiamo che rimandare ai capitoli precedenti di questa storia, in particolare ai Sofisti. Basterà sottolineare che secondo questa prospettiva l'intera storia della filosofia e in genere della cultura medievale si identificano con le vicende della dialettica, un'impresa, quindi, disperata quando se ne voglia tentare una ricostruzione. E questo vale anche se ci limitiamo allo schema interpretativo che abbiàmo talvolta seguito, d'individuare la dialettica nelle sue due forme o momenti, soggettiva o oggettiva. Certo, il Medioevo ci presenta in tutta la varietiì. delle sue manifestazioni, forme, figure, la dialettica soggettiva, la dialettica del dialogo c della discussione, e la pratica intensamente in perfetta coerenza col mondo delle scuole e delle città. Ma, come è stato giustamente detto, ·· enumerare i nomi di coloro che da Abelardo - c vi furono anche dei predecessori - fino alla fine del Medioevo, fino alle scuole cattoliche e protestanti del xvii secolo han~o insegnato e affinato il metodo, significherebbe redigere un catalogo tanto vano quanto inutile ... Che la dialettica formale c soggettiva rinvii a un'altra, oggettiva, è un fatto: sarebbe sorprendente che non fosse così in una tradizione in cui convivono platonismo, aristotelismo e tradizione paolina, tre dottrine dialettiche nei loro stessi principi, nei loro reciproci rapporti e conciliabili solo mediante uno sforzo che miri all'accordo del discorso teologico-metafisico non soltanto con se stesso ma anche con la realtà terrestre, la realtà soprannaturale e la grazia. Ma questa dialettica della realtà non deve presentarsi in senso stretto come dialettica, c la volontà di quel pensiero non mira a conciliare la contraddizione riconosciuta come reale, ma a coordinare (e quindi distanziare) i diversi piani dell'Essere e della verità. Anche là dove non si giunge alla concezione di una doppia verità, ciò che si vuoi determinare è la non-contraddizione di ciò che è soltanto diverso e che si limita a completarsi: la contraddizione non è superata, è evitata. La coerenza del discorso serve solo a preservare l'uomo dalla contraddizione e dalle contraddizioni della realtà c così deve proteggerlo dai pericoli del dubbio, dello scetticismo e della miscredenza come conseguenze di un discorso in se stesso duplice. Più la dialettica oggettiva diviene oggetto di timore, più acquista importanza la dialettica soggettiva come mezzo di svelare e quindi evitare le contraddizioni " 1'. " E. WEIL, Pensiero dialettico e politica, cìt., p. 25. Su questi punti, in partìcolare sulla pratica della dialettica, vengono qui ricordate le due celebri opere di M. GRABMANN. Dìe Gewlrichte der Sclwlus(ischen Metho-
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La dialettica nell'iconografia
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5.5. Fiore e scorpione, scettro e serpente: la dialettica nell'iconografia Se queste sono, dunque, le caratteristiche della dialettica del Medioevo, prima di presentare alcune sue configurazioni connesse alla storia del pensiero, ci sembra utile vedèrne qualche traccia nella vastissima iconografia dell'epoca. Anche questo è un fatto che non ha bisogno di spiegazioni: il mondo delle città e delle scuole è il mondo di un'imponente rinascita della vita pubblica e delle sue istituzioni; cattedrali, edifici pubblici e privati, intere città vengono costruite o ricostruite, e in questa opera trova spazio infinito la fantasia dell'uomo e la sua capacità di narrare e di illustrare. ~ inutile fare esempi. Il ciclo e le immagini delle arti liberali, e tra queste della dialettica, è un leitmotiv, diffusissimo, fra i più cari agli artisti. Le descrizioni fondamentali della dialettica, alle quali si può far risalire gran parte dell'iconografia, si leggono in un passo di Marziano Capella (v sec.) e in un brano di un poemetto di Alanus ab lnsulis o Alano di Lille (XII sec.) 16 • Sono abbastanza interessanti. Dice Marzi ano Capella: " ... al richiamo di Apollo si è presentata una donna un po' pallida, ma dall'aspetto risoluto e con gli occhi vibranti e continuamente mobili; i capelli apparivano sinuosi, arricciati con una piega elegante c intrecciati, ed essi poi disposti in ondulazioni progressive conferivano una struttura così circolare a tutta la testa tanto da pensare che non mancava nulla... aveva il velo e la veste di Atena, ma ciò che aveva in mano poteva sembrare inaspettato e inadatto a tutte le sue attività. Nella sinistra, infatti, teneva un serpente raggomitolato in enormi spire; nella destra alcune formelle o tavolette finemente lavorate, splendenti per la bellezza delle loro variopinte illustrazioni e trattenute da un amo nascosto; e mentre la sinistra nascondeva sotto il vestito quelle insidie viperine, la destra invece era offerta a tutti... ". de, Freiburg 1909-1911 e soprattutto Die Sophismataliteratur des 12. und l 3. Jahrhunderts, in « Beitragc zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters », 1940. 1 ~ MARTIANUS CAI'ELLA, De Nuptiis, Lipsia 1866, IV, 99 e ALANUS AB lNsuus, Anticlaudianus, m, l (Patrologia Latina, 21 O, 509). Seguo per questo paragrafo la voce "Dialektik " di L.H. Heydenreich, in ScHMITTGALL-HEYDENRETCH, Reallexikon zur deutschen Kunstgeschichte, Stoccarda 1954, m, pp. 1387 sgg.
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Leggiamo ora il testo di Alano: " ... l'abito, il comportamento, la magrezza, il pallore, rappresentano gli insonni moti del suo animo ed esorta la vigile Minerva e le attente guide a vigilare con lei. Nel dirimere una questione porta i capelli verso il basso e combattendo con se stessa lotta senza motivo; il pettine non cura i suoicapelli, né le forbici Ii tagliano ... mentre gli occhi contendono con le stelle, sembrano ardere; la vista dell'aquila non è così acuta e neppure quella della lince : i loro occhi si dichiarano vinti e temono il confronto. La mano destra tiene un fiore come un dono, mentre uno scorpione che avanza minaccia la sinistra con la punta della coda. La destra ha il sapore del miele, la sinistra del fiele, l'una promette sorrisi e l'altra invita al pianto; l'una attrae e l'altra respinge; quella accarezza e questa ferisce; l'una scoraggia e l'altra dà forza. Non giaceva nello squallore del sudiciume ma non era neppure avvolta da una superba luce, ma aveva qualcosa dell'uno e dell'altro modo, come una via di mezzo. Un nuovo pittore con un'arte nuova, pantomima della verità, insegna la battaglia delle confutazioni e il duello della logica ". Certo, a chi ha presente l'iconografia medievale oppure ha soltanto una certa consuetudine con i testi, queste descrizioni possono sembrare un po' di maniera, quasi delle images d'Epinal, ed effettivamente lo sono diventate nel corso dei secoli. Ma proprio per questo sono interessanti. Nelle due descrizioni è evidente in complesso una nota negativa : il pallore del volto (la dialettica è più pallida della grammatica), i capelli crespi stanno indubbiamente a indicare un esercizio, quello dialettico, acuto sì ma vano cd estenuante. I capelli possono però essere ordinati, anzi dare alla testa una " struttura circolare ", cioè perfetta, e questo potrebbe significare che la dialettiéa rappresenta, pur nella stra doppiezza, che è al centro in entrambi gli autori, uno strumento completo, capace, almeno in -sé, di un risultato compiuto. Gli occhi vibranti, l'acutezza dello sguardcr sarebbero il mezzo per raggiungere quel fine. Resta fondamentale la caratteristica comune della diversa funzione delle due mani: il serpente e lo scorpione da una parte, cioè la sottigliezza velenosa che si esercita verso gli altri ma anche verso se stessa, il fiore e le statuette o esche dall'altra: essi possono rappresentare sia il bene contrapposto al male e quindi la buona argomentazione contrapposta a quella capziosa (ma questa, forse, è un'interpretazione un po' schematica, ariche se non estranea allo spirito medievale) sia i contenuti, la materia dell'esercitazione esposta ai perico-
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li della sottigliezza e della doppiezza sillogistica 17• Non dimentichiamo - va appena accennato - il grande e drammatico dibattito, che ha percorso e scosso tutto il Medioevo e la sua visione teologica, teocratica della vita e dell'universo, sulla funzione, i modi, le forme, gli strumenti e i fini della ragione dell'uomo e delle sue capacità e possibilità. Questo spiega l'insistenza e la preminenza del tono e delle note negativi nelle due raffigurazioni letterarie. Vediamo ora qualche particolare. Oltre alle ciocche di capelli crespi, di cui parla Marziano Capella, divengono tipici il serpente, l'amo o canna da pesca e le "formulae ". Di queste ultime si sono date le più svariate interpretazioni, ma in genere si ritengono tavolette oppure vere c proprie formelle o anche piccole figurctte di cera che potrebbero rappresentare le esche di un amo. Rappresentazioni di questo tipo si trovano in un manoscritto di Marziano Capella alla Biblioteca Nazionale di .Parigi e nella cosiddetta Miniatura di Attavante in un codice latino della Marciana di Venezia. Altrettanto tipici gli attributi della dialettica secondo Alano: lo scorpione nella sinistra e il fiore nella destra, fedelmente rappresentati a S. Maria Novella, nella Cappella degli Spagnoli, e neiia chiesa di S. Francesco a Pistoia, Cappella Bracciolini. Nella Biblioteca Capitolare di Verona un manoscritto del xm secolo reca questa illustrazione, più rara: le Arti lavorano alla costruzione del carro deiia Phronesis c la dialettica è impegnata alla messa in opera dell'asse del carro. Stessa immagine, più insolita e più raffinata, in un manoscritto tedesco del xv secolo: la Loyca è una vergine che fora il mozzo della ruota (Salzburger Studienbibliothek). Ricordiamo, infine, per la sua celebrità l'archivolto del portale occidentale di Chartres: la dialettica sta sopra ad Aristotele, se non andiamo errati, e reca nella destra uno scettro fiorito, attributo proprio della sapienza o della filosofia, e nella sinistra il serpente - un'immagine che ha alle spalle, nelle illustrazioni dei codici italiani e stranieri, una lunga tradizione e che trae probabilmente da Alano il motivo del fiore. Gli attributi del serpente e dello scorpione sono i più frequenti e compaiono nel Medioevo nelle variazioni più diverse: nello sdoppiamento, per esempio nella Canzone delle virtù e delle scienze (xiv sec.), da intendersi come "opponens" e "respondens ", 11 È abbastanza interessante, e divertente, leggere, per comprendere letteralmente alcuni passaggi dei due testi, Remigii Antissiodorensis Commentum in Martianum Cape/lam, ed. Cora E. Lutz, Leiden 1965, libro IV, 150.16 sgg.
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"conflictus" o "logicae duellum "; nella rappresentazione della ratio come testa dinanzi al petto della dialettica secondo l'illustrazione di Agostino nel De Ordine, oppure con attributi secondari come la scimmia, il libro, la coppa, la lampada ecc. Ma vi sono altri motivi illustrativi, quindi interpretativi: il gesto del dito che argomenta o che conta nell'atrio della Cattedrale di Friburgo e sul sepolcro di Roberto d'Angiò a Napoli, un motivo che diventerà frequentissimo nel Rinascimento e nel Barocco: il serpente dalle cento teste, per esempio nell'Hortus deliciarum di Herrad von Landsberg: " argumenta sino concurrere more canino" [lascio gli argomenti in lizza, al modo di cani], un motivo antico, la " dialectica mordet " di un manoscritto latino anteriore al XII secolo (Parigi, Biblioteca Nazionale); la chiave, combinata con un animale dalle cento teste, come nel cosiddetto Boezio di Monaco (xiii sec.) : " pro me firmatur verum falsumque probatur " [grazie a me il vero è fortificato e il falso provato]; la bilancia, infine, individuabile a partire dal Rinascimento, è di sicuro una immagine medievale e presumibilmente un attributo della ratiÒ passato alla dialettica. Vediamo ora qualche illustrazione marginale, curiosa, medievale o del prin1o Rinascimento: su una cassettina di smalto, inglese, del XII secolo, al Victoria and Albert Museum di Londra, la dialettica è rappresentata con la freccia in bocca, simbolo evidente dell'acutezza dell'argomentare, insieme alle Arti liberali, collocate, e questo è interessante, tra la filosofia e la scienza della natura; un bassorilievo di Andrea Pisano nel Duomo di Firenze, campanile, raffigura la dialettica con le forbici, identificandola, forse, col diritto penale. Del tutto insolita, forse un'invenzione personale, è la miniatura, rozza e stilisticamente non bene individuabile, di un manoscritto di Boezio della Francia settentrionale (Parigi, Biblioteca nazionale), senza connessione col testo: la dialettica, con le solite ciocche di capelli, il serpente nella sinistra· e una fiaccola o più verosimilmente un fiore stilizzato nella destra, siede su un trono incorniciata da una mandorla; all'esterno della mandorla guerrieri con spade e ]ance la minacciano da ogni parte, ma sono tenuti a bada da- altre !ance che spuntano dalla mandorla stessa; dal cielo scendono uccelli. Le interpretazioni sono molte, ma non c'è dubbio che si vuoi mostrare la dialettica che combatte contro argomenti pericolosi, e gli uce~lli stanno ad indicare la falsa dottrina, cioè quegli "spiriti immondi" di cui parla l'Hortus deliciarum riprendendo un passo dell'Apocalisse.
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Fede e sapere
Altra rappresentazione curiosa è quella consegnata in un manoscritto di Boezio del XII secolo (Darmstadt, Landesbibliothek): la " dialectica domina " è una figura di donna incoronata che tiene nella sinistra il serpente e nella destra una specie di scettro: nella parte superiore è ornato con un fiore e una croce e nella parte inferiore reca come elemento ornamentale una serie di concetti: Substantia (corporea, incorporea), Corpus (animatum, inanimatum), Inanimatium corpus (sensibile, insensibile), Animai (rationale, irrationale), Animai rationale (homo, deus), lo stesso schema che si trova nel commento a Porfirio di Boezio (Patrologia Latina, 64, 103). La dialettica ha assunto chiaramente i tratti della sapienza o della filosofia e ai lati le stanno le figure di Platone, Aristotele, Socrate e un maestro Adamo. Una funzione particolare è attribuita alla dialettica nel candelabro di Hildesheim: la dialettica appare con la filosofia e la medicina (scienza naturale?); quindi non sembra trattarsi in senso stretto del motivo delle Arti liberali, ma della rappresentazione di un programma scientifico, tipico del XII secolo (Ugo di San Vittore tra gli altri). Infine, ben più recente, ricordiamo il Paolo Veronese nella Sala del Collegio del Palazzo ducale di Venezia: una donna (la dialettica) guarda una ragnatela: rivive qui, forse, la tradizione medievale secondo la quale i dialettici " muscas inanium verbulorum sophismatibus suis tamquam aranearum tendiculis includunt " [imprigionano importune mosche, parole inani, con i loro sofismi come in tela di ragno], e ritroviamo una illustrazione simile nel museo di Pesaro su una ceramica urbinate del XVI secolo. E si potrebbe continuare, all'infinito, a piacere, tanto ricca è stata la fantasia degli artisti, tanto noto e in1portante per tutti il tema delle Arti liberali, il dibattito che ne risultava promosso.
5.6. Fede e sapere Abbiamo visto che la dialettica è accolta nel Medioevo fra le sette Arti liberali. Abbiamo visto, in ·qualche caso, ma il fatto può essere generalizzato, ·che la sua illustrazione e trattazione è inseparabilmente connessa con questo tema e quindi tutte le questioni essenziali relative alla sua figura e alla sua evoluzione debbono venir considerate in questo contesto. In realtà, percorrendo rapidamente l'iconografìa, abbiamo visto alcuni ele-
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Morte c trasfigurazione della dialettica antica
menti propri, particolari della dialettica. Non dimentichiamo, infatti, che accanto alla grammatica e alla retorica la dialettica forma il Trivio delle Arti liberali, ed ha qui una coiiocazione tutta sua, perché, ben più delle arti sorelle, è stata esposta alle più diverse c sorprendenti metamorfosi. Fin dalle origini, nell'alto Medioevo, trovandosi come dottrina del pensiero accanto alla' retorica e, diciamo così, alla linguistica (ricordiamo la tradizione stoico-aristotelica), occupa subito un posto preminente in questa sorta di curriculum studiorum che è il Trivio. È inutile scegliere citazioni in una letteratura immensa. Basterà ricordare che una Dialectica di Eric d' Auxerrc (IX sec.) porta anche il titolo Tractatus de Trivio 18 : è una specie di somma teologica tratta dal pensiero di Sant'Agostino, il quale aveva sostenuto in una ricca serie di scritti dedicati alle arti liberali (in parte andati perduti) l'importanza della dialettica per l'esposizione, la fondazione e la difesa della dottrina cristiana. Abelardo è già evocato 19 • Abbiamo citato il De Ordine, ovc la dialettica è definita " disciplina disciplinarm:n ": " Haec docet docere, hacc docet discere: in hac seipsa ratio demonstrat atquc apcrit quae si t, quid velit, quid valeat. Scit scire: sola scientes facere non solum vult, sed ctiam potest" [Insegna a insegnare, insegna ad apprendere: in essa la ragione procede alle sue dimostrazioni, e fa palese ciò che essa è, vale, vuole. Sa di sapere: essa sola non soltanto vuole rendere sapienti, ma anche lo può] (Libro n, cap. 13, 38). Ma è ancora più interessante notare, a nostro avviso, come attraverso Sant'Agostino rimanga viva la tradizione platonica, almeno per un certo periodo, nella doppia accezione che la dialettica ha sempre in Platone: la dialettica è la scienza- delle scienze e il suo metodo - nel quale non si esaurisce - è il dialogo. Non a caso del dialogo si era servito Agostino, non a caso quel Tractatus de Trivio, che abbiamo ricordato, è in forma dialogica, e pure in forma dialogica è il De dialectica di Alcuino di York, " primo ministro intellettuale di Carlomagno ", come si espresse Guizot, che introdusse nelle scuole palatine lo studio del Trivio e dd Quadrivio 20 • A partire dal secolo XI la dialettica si determinò come metodo filosofico, acquistò un'importanza mai conosciuta prima, fu il soggetto e l'oggetto, come vedremo, dci ben noti dibattiti all'intemo della Scolastica e delle sue scuole. Questo spiega la mol" M. GRABMANN, Die Gescilichte der scho!astischen Methode, cit., vol.
186, 190. " M. GRABMANN, op. cit., vol. I, pp. 126-129. '" M. GRABMANN, op. cit., pp. 193-194.
I, pp.
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tcplicità e la varietà delle forme, degli attributi e ~ei significati con i quali venne rappresentata: simbolo dell'acutezza del pensiero, che è sottigliezza e sofisticheria, ma anche sofistica e forza sillogistica, in senso tanto eminente che la si potè identificare poi con la Logica (Alano: " moilstrat... logicaeque ducllum "; Gauthier de Metz: " dialectica sive logica ", una identificazione che sorregge tutta la grande ·sistematica di Anselmo di Canterbury, XI sec., un altro sostenitore della forma dialogica) 21 - e contrapporla, quindi, come filosofia mondana, alla Summa phi~ losophia o teologia come conoscenza compiuta. Ma leggiamo qualche testo. lnnanzitutto un brano dai Metalogico/l di Giovanni dì Salisbury (xn sec.) che dimostra il peso.
della presenza di Anselmo, la forza, ma anche la debolezza, della sua sistematica teologica fondata sulla ragione: " La logica, nel suo più ampio significato, è l'ordine del discorso o della discussione. Talora il significato è ristretto ad indicare solo le re~ gole dell'argomentazione. Ma, o insegni i metodi del ragionamento o dia la regola di ogni discorso, sono davvero stolti coloro che la dicono inutile, poiché l'una e l'altra cosa risultano con assoluta evidenza essere assolutamente necessarie ... Platone divise la logica in dialettica e retorica; ma coloro che misurano meglio la sua etlì.cacia distinguono in essa più parti. Le si subordinano infatti: dimostrativa, probabile, sofistica. La dimostrativa trae forza da principi rigorosamente intelligibili e di qui passa alle loro conseguenze; si muove nel campo del necessario e 4uando ha provato che una cosa deve essere così, poco si cura di come la pensi questo o quello. Questo si addice alla filosofica maestà di coloro che rettamente insegnano, poiché la filosofia è sostenuta dal suo giudizio, indipendentemente dall'assenso degli uditori. La logica del probabile verte intorno alle proposizioni ritenute vere da t~:~tti, o dai sapienti, note a tutti o ai più o alle più note c probabili e alle loro conseguenze. Questa comprende la dialettica c la retorica ... ·· 22 • Appunto, la dialettica fa parte della logica, fiorisce nelle scuole, è accolta nei testi " ufficiali ". Accolta fino ad un certo punto, se si pensa alla tragedia della vita c dell'insegnamento di Abelardo (XII sec.), che fu la voce più alta nella storia della dialet" Si \'Cda, nell'opera di Grabmann, tutto il capitolo dedicato al metodo sdcntifìco di Sant'Anselmo, alla fine del vol. 1, partic. pp. 316-317 e 322-323. " In Grand<: Amo/ogia Pilosojica, vol. lV, Milano 1954, pp. 718-719.
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tica. medievale. La sua è· una posizione, per dire così, kantiana: la dialettica è una necessità della ragione umana, fa parte della sua struttura. E lo dimostra nel lavoro, significativo anche nel titolo, Sic et non. Abelardo raccoglie in quest'opera un gran numero di veritates, ossia di sentenze dei Padri, e le raggruppa in. capitoli, mettendo in ogni capitolo sentenze pro e contra una determinata tesi. Per esempio il cap. rv è intitolato: Quod sit credendwn in Deo, et contra; il XVI: Quod Filius dicatur a Padre gigni, et contra; il xuv: Quod solus Deus incorporeus sit, et non, [Perché bisogna credere in Dio, e contro; Perché si dice il Figlio generato dal Padre, c contro; Perché solo Dio è incorporeo, e no]. Il fatto che Abelardo non dia la soluzione delle antinomie ha indotto alcmù a parlare di scetticismo di Abelardo. Interpretazione insostenibile se si pensa alla fede incrollabilc di Abelardo nel valore della ragione e della scienza teologica. La contrapposizione delle diverse sententiae ha invece uno scopo didattico, poiché suscita nello scolaro il problema c stimola .alla ricerca della verità. Dubitando enim ad inquisitionem venimus, inquirendo veritatem percipimus. [Attraverso il dubbio perveniamo alla ricerca, indagando percepiamo la verità] 23 • Veniamo ora all'antefatto, ascoltiamo un dibattito celebre sull'abuso e sul valore della dialettica, due brani di autori dell'xi secolo, il pdmo di Lanfranco di Pavia (De corpore et sanguine domini adversus Berengarium) e il secondo, di rimando, di Berengario di Tours (De sacra coena adversus Lanfrancum): " Abbandonate le sacre autorità, ti rifugi nella dialettica. In verità, quando debbo udire o insegnare qualcosa intorno a un mistero, preferirei udire e insegnare ciò che dicono le sacre autorità che non argomenti dialettici. Ma sarà mio impegno rispondere anche a questi ultimi, perché tu non abbia a credere che io non ti segua su questo terreno perché non conosco l'arte. Forse a qualcuno parrà iattanza, e si discuterà più per ostentazione che per necessità. Ma, mi è testimonio Dio, e la mia coscienza, nel trattare di verità divina, non avrei voglia di proporre questioni dialettiche né di rispondere ad esse o di considerare le loro soluzioni. Anche quando la materia della discussione è tale da poter essere meglio spiegata con le regole della dialettica, quando posso nascondo l'arte adoperando proposizioni equipollenti, affinché non paia che io confidi più nell'arte che nella verità dci 23
op. cit., p. 758.
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Santi Padri, sebbene S. Agostino in certi suoi scritti, e specialmente nel De doctrina christiana, lodi molto la dialettica e affermi che essa ha gran valore per farci approfondire ciò che riguarda la sacra dottrina ". " Quando osi scrivere che io abbandono le sacre autorità, se Dio mi aiuta farò vedere che quello che scrivi è una calunnia, non verità, quando, per la necessità di addurre le sacre autorità, è il momento opportuno di farlo; sebbene il procedere razionalmente nella conoscenza della verità sia incomparabilmente meglio (... ). Usare di argomenti dialettici per manifestare la verità non era un rifugiarsi nella dialettica, sebbene, se lo si vuoi chiamare rifugio, non mi pento di essermi rifugiato nella dialettica, dalla quale non abborre neppure la stessa virtù e sapienza divina, anzi con quest'arte vince i suoi nemici. Dice infatti (Matth. 12,27): Se io scaccio i demoni con l'aiuto di Bcclzebùb principe dei demoni,· i vostri figli con l'aiuto di chi li scacciano? E altrove (Matth. 22,45): Se David in ispirito chiama signore il Messia, in che modo è suo figlio? Di gran cuore mi rifugio nella dialettica in ogni questione, perché rifugiarsi nella dialettica vuole dire rifugiarsi nella ragione; e chi non si rifugia nella ragione, poiché l'uomo è fatto ad immagine di Dio per la ragione, rinuncia al suo onore, né può rinnovarsi di giorno in giorno ad im· magine di Dio " 24• Certo, la dialettica può condurre lontano e gli Scolastici, cioè i pensatori delle scuole c i redattori di summae teologicae, lo sa-
pevano bene, c vigilavano. Dante stesso .lo aveva visto e aveva colto da par suo Io spirito della dialettica, la sua doppia anima, cioè il suo carattere di metodo, di propedcutica, di esercizio, ma anche, proprio per il suo essere metodo cd esercizio della ragione dell'uomo, la sua capacità di mettere in crisi l'ordine e la certezza dci divini sistemi. Egli scrive nel Convivio: " E lo cielo di Mercurio si può comparare alla Dialettica per due proprietadi: che Mercurio è la più piccola stella del cielo... che più va velata de li raggi del Sole, che n.ull'altra stella. E queste due proprietadi sono ne la Dialettica: cM la Dialettica è minore in suo corpo, che null'altra scienza, ché perfettamente è compilata e terminata in quello tanto testo, che nell'Arte vecchia e ne la Nuova si truova; e va più velata, che nulla scienza, in quanto procede con più sofistici e probabili argomenti, più che altra " (n, 13: Dante allude ai Topici, un testo relativamente piccolo 24
op. cit., pp. 677-678.
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rispetto all'Organon, tradotto con opere di altri autori nei due testi citati dal poeta). Nella disputa fra quelli che sono stati chiamati gli iperdialettici e gli antidialcttici aveva qualche ragione Michele di Corbcil (xii secolo, fine) di affermare: " Inutilis inquisitio studium philosophiae " [È una ricerca inutile lo studio della filosofia125 • Questi sono i punti di riferimento fondamentali. Se una conclusione o meglio uno schema può essere tratto dalle vicende della dialettica medievale, possiamo sottoscrivere queste parole: " ... da un lato, la dialettica, accentuando la direzione logica si definisce come metodologia delle scienze; dall'altro, sottolineando il nesso con gli aspetti didattici c il discorso persuasivo, si identifica con la retorica. Nell'uno come nell'altro caso la dialettica celebra la sua natura di ars sennocinalis, legata indissolubihnente al discorso umano, alla ricerca, all'attività sia scientifica che pedagogica e morale ... un modo di Iaicizzare al massimo la vecchia formula della dialettica come ars artium, scientia scientiarum " 26•
5.7. "Ars sermocinalis ,; : le Università e la Scolastica Questa conclusione ci riconduce all'inizio, al mondo delle città e dei loro dibattiti, alla nuova funzione degli "intellct.tuali" e alla nascita delle università che avevamo indicato come caratteristici della vita medioevale: un'epoca " carica di contraddizioni e menzogna'', come disse Hegel, "una lunga terribile notte", ma ad un tempo una nuova vita. Vediamola, almeno per la parte che ci interessa, vediamo quali sono gli strumenti di cui si serve l'uom9 di cultura che non è più il monaco dell'alto Medioevo, isolato nel suo convento o nella sua abbazia, vediamo come funziona l'università, quali sono i suoi metodi e i suoi contenuti, assistiamo a questa apoteosi della dialettica che si celebra grazie anche ad un tipo finora sconosciuto di " industria ", della quale non possono fare a meno le comunità urbane e le " scuole ": il libro. E lasciamo parlare un grande storico 27 : " M. GRABMANN, Die Geschic!lle der sclwlastischen Methode, cit., vol. u, pp. 117 sgg., partic. p. 127 (la citazione è da un manoscritto). ' 6 E. GARIN, La dialet/ica dal secolo XII ai principì dell"età moderna, in Studi sulla dialettica, cit., pp. 136-137. " LE GoFF, Genio del Medioevo, cit., pp. 99-109.
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Il libro universitario è un oggetto del tutto diverso dal libro dell'alto Medioevo. Esso fa parte di un irrsicme tecnico, sociale ed economico affatto nuovo, è l'espressione di un'altra civiltà. La stessa scritturà cambia c si adatta alle nuove condizioni, come ha visto bene Henri P irenne: " Il corsivo risponde a una civiltà in cui la scrittura è indispensabile alla vita della collettività come a quella degli individui; la scrittura minuscola (dell'epoca carolingia) è una calligrafia appropriata alla classe letterata in seno alla quale l'istruzione si confina -e si perpetua. :B gr!indemente significativo rilevare che il corsivo riapparirà accanto ad essa nella prima metà del XIII secolo, vale a dire precisamente all'epoca in cui il progresso sociale e lo sviluppo dell'economia e della cultura laiche, generalizzeranno di nuovo il bisogno della scrittura". I begli studi del padre Destrez 28 hanno rivelato quale sia la portata della rivoluzione che si verifica durante il XIII secolo nella tecnica del libro e che ha per teatro il laboratorio universitario. Non sÒltanto gli autori in programma dovevano essere letti dai maestri agli. studenti, ma i corsi dei professori dovevano essere conservati. Gli studenti li fissavano nelle loro note (relationes), un certo numero delle quali sono in nostro possesso. Meglio ancora, questi corsi venivano pubblicati c dovevano esserlo rapidamente affinché potessero venire consultati al momento dcgli esami, e nello stesso tempo era necessario approntarne un certo numero di esemplari. La base di questo lavoro è la pecia. Leggiamo la descrizione di padre Destrez: " Una prima copia ufficiale dell'opera che si vuoi mettere in circolazione è fatta su quaderni di quattro fogli, lasciati indipendenti l'uno dall'altro. Ognuno di questi quaderni, fatti di una pelle di montone piegata in quattro, si chiama pecia (pezzo). Grazie a questi quaderni, che i copisti prendono in consegna l'uno dopo l'altro, e la riunione dei quali costituisce ciò che vien detto l'exemplar, lo spazio di tempo che sarebbe stato necessario a un solo copista per fare una sola copia diventa sufficiente, nel caso di un'opera che comprenda una sessantina di quademi, perché una quarantina di scribi possano operare ciascuno la propria trascrizione su un testo corretto sotto il controllo dell'Università e diventato in certo modo un testo ufficiale ". Questa pubblicazione del testo ufficiale dei corsi ha avuto nelle università un'importanza capitale. Gli statuti dell'Università di 28 La pecia dans les manuscrils unil'ersitaires du XIII' et du XIV• s., Paris, J. Vautrin, 1935.
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Padova dichiarano nel i 264: " senza esemplari non ci sarebbe Università ". L'intensificazione dell'uso del libro in seno alle università porta con sé tutta una serie di conseguenze. Progressi attuati nella confezione della pergamena permettono di ottenere fogli meno grossi, più morbidi e meno gialli di quelli dei manoscritti anteriori. ln Italia, dove la tecnica è più avanzata, i fogli sono sottilissimi c candidi. Il formato del libro cambia. Da principio era assai simile a quello dci nostri in folio. " Ma questa è una dimensione che può adattarsi a libri scritti in un'abbazia e destinati a rimanervi ". Ormai il libro è spesso consultato, trasportato da un luogo all'altro. Il suo formato si fa più piccolo, più maneggevole ... Lo sviluppo del mestiere intellettuale ha prodotto l'era dei manuali del libro mancggevole e che vien maneggiato; testimonianza innegabile di come si sia accelerata la rapidità di circolazione della cultura scritta e della sua diffusione. Una prima rivoluzione è fatta: il libro non è più un oggetto di lusso, è divenuto uno stm~mento. È una nascita, più ancora che una rinascita, nell'attesa della stampa. Divenuto strumento, il libro è diventato anche un prodotto industriale, un oggetto commerciale. All'ombra delle università si sviluppa un popolo di copisti - spesso si tratta di studenti poveri che guadagnano ·così di che vivere - e di librai (stationarii). Indispensabili al cantiere universitario, essi vi si fanno ammettere come operai di pieno diritto. Ottengono così di beneficiare dei privilegi della gente universitaria, dipendono dalla giurisdizione dell'Università. Aumentano gli effettivi della corporazione e la accrescono di un ampio margine di artigiani ausiliari. L'industria intellettuale ha le sue industrie annesse e derivate. Taluni di questi produttori e commercianti sono già dei grandi personaggi. A lato " degli artigiani la cui attività si riduceva alla rivendita di qualche opera d'occasione", altri " allargano la propria sino alla qualità di editore internazionale". Il metodo: la scolastica. - Oltre ai suoi strumenti, il tecnico intellettuale ha il suo metodo, la scolastica. Di questa illustri emditi, tra i quali in primo luogo figura monsignor Grapmann, hanno raccontato la costituzione e la storia. Il padre Chcnu nella sua Jntroduction à l'Etude de saint Thomas d"Aquin cc ne ha data una nitida esposizione. Cerchiamo ora di chiarire che cosa sia questa scolastica, vittima di denigrazioni secolari c tanto difficile da penetrare senza preparazione a causa.dcl suo aspetto tecni-
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co che sembra fatto per respingere il profano, e quale sia la sua portata. Una frase del padre Chenu deve servirei da filo conduttore: " Pensare è un mestiere le cui leggi sono state minuziosamente fissate ".
Vocabolario. - Prima di tutto, leggi del linguaggio. Se le famose controversie tra realisti e nominalisti hanno riempito il pensiero medioevale è perché gli intellettuali del tempo accordavano alle parole un giusto potere e si preoccupavano di definirne il contenuto. È essenziale per essi sapere quali rapporti esistano tra la parola, il concetto, l'essere. Non v'è nulla che più di questa preoccupazione sia opposto al verbalismo di cui fu accusata la scolastica e in cui d'altronde questa è caduta talvolta nel XIII secolo e sovente in seguito. I pensatori e i professori del Medioevo vogliono sapere di che cosa parlano. La scolastica è a base di grammatica. Gli scolastici sono gli eredi di Bernardo di Chartres e di Abelardo. Dialettica. - In secondo luogo, leggi della dimostrazione. TI secondo piano della scolastica è la dialettica, insieme di procedimenti che fanno dell'oggetto del sapere un problema, che lo espongono, lo difendono contro gli attaccanti, lo sciolgono e convincono l'ascoltatore e il lettore. Qui il pericolo è il ragionamento a vuoto - non più il verbalismo, ma la filastrocca. Bisogna dare un contenuto alla dialettica, un contenuto non di sole parole ma di pensiero efficace. I dottori universitari sono i discendenti di Giovanni di Salisbury, il quale diceva: "La logica da sola rimane esangue e sterile; essa non porta nessun frutto di pensiero se non concepisce al di là delle parole ". Autorità. - La scolastica si nutre di testi. Essa è un metodo d'autorità, cerca il proprio sostegno nel doppio apporto delle civiltà precedenti: il Cristianesimo e il pensiero antico arricchito dal. suo passaggio attraverso il mondo arabo. La scolastica è il frutto di un momento, di un rinascimento: essa digerisce il passato della civiltà occidentale. La Bibbia, i Padri, Platone, Aristotele, gli arabi, sono gli elementi del sapere, i materiali dell'opera. Qui il pericolo è costituito dalla ripetizione, dallo psittacismo, dall'imitazione servile. Gli scolastici hanno ereditato dagli intellettuali del xn secolo il senso acuto del progresso necessario e ineluttabile della storia e del pensiero. Con i materiali essi costruiscono la loro opera. Alle fondamenta sovrappongono piani nuovi, edifici originali. Essi sono della stirpe di Bernardo di Char-
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tres, saliti sulle spalle degli antichi per vedere più lontano. " Noi non troveremo mai la verità ", dice Gilberto di Tournai, " se ci accontenteremo di ciò che è stato già trovato ... Coloro che scrissero prima di noi non sono per noi dei signori ma delle guide. La verità è aperta a tutti, essa non è stata ancora posseduta per intiero ". Ammirevole slancio dell'ottimismo intellettuale, contrapposto al melanconico " tutto è stato detto c siamo arrivati troppo tardi...". Ragione: la teologia come scienza. - Gli è che alle leggi dell'imitazione la scolastica unisce le leggi della ragione, alle prescrizioni dell'autorità gli argomenti della scienza. Meglio ancora, ed è questo un progresso decisivo del secolo, la teologia fa appello alla ragione, diventa una scienza. Gli scolastici sviluppano l'invito implicito della Scrittura che incita il credente a render ragione della propria fede: " Siate sempre pronti a soddisfare chiunque vi interrogherà, a dar ragione di quello che è in voi grazie alla fede e alla speranza " (T Ptr., 3, 15). Essi rispondono all'appello di san. Paolo per il quale la fede è " l'argomento delle cose invisibili (argumentum non apparentium)" (Ebr. 11, 1). Da Guglielmo d'Alvcrnia, iniziatore in questo campo, a San Tommaso, che darà della scienza teologica l'esposizione più sicura, gli scolastici faranno ricorso alla ragione teologica, " ragione illuminata dalla fede (ratio fìde illustrata) ". La formula profonda di Sant'Anselmo " fides quaerens intellectwn, la fede si appella all'intelligenza " sarà illuminata quando San Tommaso avrà stabilito in linea di principio che "la grazia non fa scomparire la natura ma la compie (gratia non tollit naturam sed perficit) ''. Nulla è meno oscurantista della scolastica per la quale la ragione sfocia nell'intelligenza e i cui lampi trovano la loro perfezione facendosi luce. Così fondata la scolastica viene strutturandosi attraverso il lavoro universitario, con i propri procedimenti d'esposizione. Gli esercizi: quaestio, disputatio, quodlibet. - Alla base il commento dci testi, la lectio, analisi in profondità, la quale parte dall'analisi grammaticale che dà la lettera (littera), si eleva alla spiegazione logica che fornisce il senso (sensus) c si compie con la esegesi che rivela il contenuto in scienza c pensiero (sententia). Ma il commento fa nascere la discussione. La dialettica permette di andare al di là della comprensione del testo per trattare i problemi che esso solleva, lo fa scomparire dinanzi alla ricerca della verità. Tutta una problematica si sostituisce all'esegesi. Con
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procedimenti adatti la lectio si sviluppa in quaestio. L'intellettuale universitario nasce nel momento in cui comincia a discutere il testo che non è più se non un sostegno, in cui da passivo diventa attivo. Il maestro non è più un esegeta ma un pensatorc : offre soluzioni, crea la sua conclusione della quaestio: la determina/io, è opera del suo pensiero. La quaestio, nel XII secolo, si distacca anzi da qualunque testo. Esiste in sé. Con la partecipazione attiva dei maestri e degli studenti essa diventa oggetto di una discussione, è diventata la disputatio. Il padre Mandonnct 29 ne ha data una descrizione classica:
" Quando un maestro disputava, tutte le lezioni date nella mattinata dagli altri maestri c dai baccellieri della facoltà cessavano; soltanto il maestro che teneva la disptfa faceva una breve lezione per permettere agli ascoltatori d'arrivare in tempo; poi la disputa cominciava. Essa occupava una parte più o meno grande della mattinata. Tutti i baccellieri della facoltà e gli allievi del maestro che disputava dovevano assistere all'esercizio. Gli altri maestri e studenti, a quanto pare, erano liberi; ma non c'è da dubitare che presenziassero più o meno numerosi a seconcla della reputazione del maestro e dell'importanza dell'argomento in discussione. Il clero parigino, i prelati e altre personalità ecclesiastiche di passaggio nella capitale frequentavano volentieri questi tornei così appassionati. La disputa era la giostra dei chierici. La questione su cui si doveva disputare era fissata, in anticipo, dal maestro cui spettava di sostenere la disputa. Questa era annunciata, in un giorno fissato, nelle altre scuole della facoltà ... La disputa si svolgeva sotto la direzione del maestro; ma non era lui, per essere esatti, a disputare. Era il suo baccelliere che assumeva l'ufficio di mallevadore e cominciava così il suo tirocinio in questo genere di esercizi. In genere le obiezioni erano presentate in sensi diversi, prima dai maestri presenti, poi dai baccellieri c, finalmente, se era il caso, dagli studenti. Il baccelliere rispondeva agli argomenti proposti e, quando era necessario, il maestro gli prestava il suo concorso. Tale, sommariamente, era la fisionomia di una disputa ordinaria, ma questa ne era soltanto la prima parte, anche se la principale e la più movimentata. Le obiezioni proposte e risolte durante la disputa, senza un ordine prestabilito, presentavano alla fine una materia dottrinale 29
In « Revue Tbomiste », 1928, pp. 267·269.
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abbastanza disordinata. meno simile tuttavia agli avanzi di un campo di battaglia che ai materiali semilavorati di un cantiere di costruzione. Per tale ragione a questa seduta d'elaborazione ne succedeva una seconda, che portava il nome di determina::.ione magistrale. Il primo giorno leggibile, come si diceva allora, vale a dire il primo giorno in cui il maestro che aveva disputato poteva dare lezione, poiché una domenica, un giorno di festa, o qualche altro ostacolo potevano impedire che fosse il giorno immediatamente seguente, il maestro riprendeva nella sua scuola la materia disputata il giorno o qualche giorno prima. Egli cominciava col coordinare, per quanto la materia lo permetteva, in un ordine o in una successione logica le obiezioni presentate contro la propria tesi c dava loro una formulazione definitiva. Egli faceva seguire queste obiezioni da qualche argomento in favore della dottrina che stava per proporre. Dopo di che passava a un'esposizione dottrinale, più o meno estesa. della questione in discussione, che forniva la parte centrale ed essenziale della detenninazimze. Finiva poi rispondendo a ognuna delle obiezioni proposte contro la dottrina della propria tesi ... L'atto di determinazione, affidato alla scrittura dal maestro o da uno degli ascoltatori, costituiva quelle che noi chiamiamo le Questioni disputate c che sono il termine finale della disputa ". Infine, in questa cornice. si sviluppò un genere speciale: la disputa - se così sì può dire - quvdlibetica. Due volte all'anno i maestri potevano tenere una seduta durante la quale ofl"rivano di trattare un problema " posto da chiunque su qualunque argomento (de quolibet ad voluntatem cujuslihet) ". 11 padre Glorieux 30 descrive questo esercizio nei seguenti tem1ini. ·· La seduta comincia verso l'ora di terza, forse, o di sesta; in ogni modo, assai per tempo al mattino, perché può darsi che duri molto. Ciò che la caratterizza, infatti, è il suo andamento capriccioso, improvvisato, e l'incertezza da cui è dominata. Seduta di dispute, di argomentazione come tante altre; ma che offre questo carattere speciale: l'iniziativa sfugge al maestro per passare agli ascoltatori. Nelle dispute ordinarie, il maestro annuncia in precedenza gli argomenti di cui si occuperà, egli ha quindi riflettuto su di essi e si è preparato. In queste sedute, invece, chiunque può sollevare qualsiasi problem·a. E questo è per il maestro il grande pericolo. Le domande o le obiezioni possono venire da tutte le par;c La littérature quodlibétique, 1936.
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ti, ostili o curiose, o anche maligne, poco importa. C'è chi può interrogarlo in buona fede, per conoscere la sua opinione; ma può darsi vi sia anche qualcuno che tenta di metterlo in contraddizione con se stesso o di obbligarlo a pronunciarsi su argomenti scottanti che egli preferirebbe ignorare. Talvolta sarà uno straniero curioso o uno spirito inquieto; tal altra un rivale geloso o un maestro malizioso che tenterà di metterlo in imbarazzo. Qualche volta i problemi saranno chiari e interessanti, qualche altra le domande saranno ambigue e il maestro farà una certa fatica per afferrarne l'esatta portata e il vero senso. Certuni si trincereranno candidamente nel campo puramente intellettuale; altri invece nutriranno qualche scopo celato, politico o denigratorio ... Bisogna, dunque, che chi vuole tenere una disputa di tal genere possieda una presenza di spirito poco comune e una competenza quasi universale". Così si sviluppa la Scolastica, signora rigorosa, stimolatrice di un pensiero originale obbediente però alle leggi della ragione. Il pensiero occidentale doveva restarnc segnato per sempre, esso aveva fatto con la scolastica progressi decisivi.
5.8. La società civile c la dialettica delle cose. "La ricchezza è potere" Se ci è consentita una parola di commento al brano di Le Goff, parafrasando Platino (cap. 5.3.) possiamo solo aggiungere che in questo quadro la dialettica appare veramente la parte più riobile, l'anima della Scolastica, il suo riconoscersi in una dimensione non estranea alla ragione c alle ragioni degli uomini. Apoteosi o metamorfosi, nuova nascita o tramonto, la dialettica ancora una volta ha saputo rinnovare la sua tradizione, legata, come ha detto Garin, indissolubilmente, al discorso umano, alla ricerca, all'attività sia scientifica che pedagogica e morale. Poi una lunga decadenza - connessa anche alla decadenza della Scolastica. Di qui il disprezzo di Erasmo, Lutero e Rabelais, il disgusto di Malebranche. È un fatto. Siamo già entrati nella pienezza dell'età moderna, del mondo del lavoro che preannuncia l'industria. La scienza nuova è già nata. Dobbiamo allora cercare di comprendere la nuova situazione. La dialettica non trova e non desta interessi: " Questa tecnica della discussione perfettamente elaborata verrà profondamente disprezzata da coloro che sono e vogliono essere gli iniziatori della
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filosofia moderna. È notevole osservare che troviamo qui la stessa sollecitazione che già in Platone - velatamente, se non per lui stesso almeno per i suoi lettori - aveva determinato la trasformazione della dialettica soggettiva in oggettiva: non basta che si giunga all'accordo tra tutti i partecipanti alla discussione; potrebbe essere un accordo puramente verbale; bisogna inoltre che questo accordo riveli la realtà e ciò che è in verità. Più precisamente (c con una formula meglio rispondente al pensiero moderno) è necessario ritornare dal discorso alla realtà e fondare il discorso sulla realtà se si vuol pervenire ad un accordo definitivo, indipendente dalla buona o cattiva volontà degli individui in dialogo. Seguendo vie differenti, uomini del tutto diversi come Bacone e Cartesio, completamente in disaccordo sulla questione del metodo, appaiono tuttavia uniti nel loro rifiuto della dialettica: la verità non emergerà dalla considerazione delle parole e delle forme del giudizio. Le loro concezioni della scienza della natura sono diametralmente opposte; l'uno, empirista, pensa di trovare la realtà con l'osservazione, la raccolta e il confronto dci fatti, mentre l'altro, teoretico, discepolo e poi maestro della fisica matematica platonizzante, intende fondare questa scienza sulla geometria c, confidando solo nell'analisi, cerca non già uniformità qualitative, ma leggi meccaniche. Nonostante questa divergenza radicale, però, i due filosofi perseguono lo stesso fine, spezzare il velo del linguaggio, sbarazzarsi dell'apparato dialettico, delle nature costruite per garantire la coerenza del discorso, dci distinguo introdotti per evitare le contraddizioni. Da questo momento in poi arbitro dei dibattiti sarà la pratica, il potere dello scienziato sulla natura, il quale solo potrà dimostrare che la realtà è stata compresa: è vero non ciò che è coerente, ma ciò che agisce. Il termine dialettica assumerà un senso negativo e lo conserverà a lungo " 31. · Non solo un senso negativo tuttavia. La dialettica, come vedremo tra poco, sarà ospitata da una scolastica stanca ed esaurita, consegnata nei manuali, che non hanno più nulla a che vedere con le Università del Medioevo. Ma tra il Sei c Settecento prende forma una comunità nuova: è l'età moderna, l'antefatto diretto del nostro mondo, che nasce con la Rivoluzione Francese. L'Illuminismo, francese, e ben prima inglese, fanno tutt'uno anche se condizionati da situazioni storiche del tutto differenti per i loro problemi, ma anche per gli ormai possibili scambi di 31
E.
WEIL,
Pensiero dialettico e politica, cit., p. 24.
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informazioni, traduzioni, recensioni, incontri c scontri personali c oggettivi: il mondo della società civile, del lavoro, del commercio - quindi di una nuova pesante dialettica, la dinamica delle cose ancora non sperimentata: l'uomo, l'individuo della tradizione classico-umanistica, il letterato, lo stesso intellettuale del Medioevo, ormai un'ombra, finirà per esserne travolto. È la società borghese consapevole dì sé. Essa si vuole, giustamente, società industriale. È un mondo nuovo, già carico di ·contraddizioni, lacerato di fatto, tuttavia ancora unitario, compatto nella coscienza comune del tempo: un tempo in cui il lavoro è lavoro, la ricchezza ricchezza - cioè potere, come dice Smith, che cita Hobbes 32 l'uomo uomo, il bestiame bestiame. E qui l'uomo è anche " ricchezza " nel lavoro c " bestiame " nella durezza di quel meccanismo. È così. Tutti lo sanno. Il politico studia le mediazioni, l'economista matematizza il mercato, il filosofo riconosce la situazione. Tutti sono d'accordo: siamo al di qua delle mistificazioni ideologiche della cultura borghese quando sarà ben presto immersa .nella sua crisi. Pensiamo al Settecento inglese, che ci è stato recentemente riproposto 33 . Paradigmatici i temi delle nuove ricerche: filosofia e situazione, antropologia e sociologia, moralità concreta, società e Stato. Ricordiamo i nomi: dopo Mandevillc, c la sua non ancora del tutto esplorata Favola delle api (1714), l'eccezionale stagione speculativa della Scozia nella seconda metà del '700, un gruppo di filosofi " umanisti " impegnati con le tensioni del mondo commerciale: Steuart, Robertson, Smith, H urne, Fcrguson. Persuasi del destino mondano e politico della filosofia, individuano le terrificanti conseguenze del progressivo commercializzarsi della società sull'esistenza dell'uomo, individuano i diversi " " Wealth, as M r. Hobbes says, is Powcr ": in A. SMnu, Saggio sulla ricchezza delle nazioni (1776): The Works of A. Smith, ed. D. Stewart, ristampa Aalcn 1963, vol. n, p. 45. Cfr. P. SALvucci, La filosofia politica di A. Smitlz, Urbino 1966, del quale si raccomanda il capitolo su Hegel e Smith: il meglio nella bibliografia non vastissima sull'argomento. Per la presenza di quest'opera si veda di L. CoLLETTI, Mandet•ille, Rousseau e Smith, in Ideologia e società, Bari 1969. " Intorno al rinnovato interesse per l'Illuminismo in genere ricordiamo solo i nomi: Moravia, Merker, Di Crescenza, Landucci, e prima Diaz e Alatri; poi le nuove edizioni di testi presso l'UTET e Laterza, per non cita· re la dotta, attenta, vivacissima storiografia inglese contemporanea: presenti e fattivamente operanti in P. SAr.vucci, A. Ferguson. Socio/ogia e filosofia, Urbino 1972, che abbiamo seguito (le citazioni sono tratte da quesfo testo). Di FRRGUSON si veda ora, a cura di P. Salvucci, Sa[tgio sulla storia della società civile (1767), Firenze, Vallecchi, 1973 (con biografia critica e bibliografia di M. Massi).
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Morte e trasfigurazione della dialettica antica
livelli dell'alienazione umana, denunciano la corruzione eticopolitica, il particolarizzarsi senza fine delle professioni e delle arti, i pericoli dell'individualismo, la solitudine di una vita che non ha più spazio per legami viventi tra gli uomini, ma unicamente per relazioni con cose, quindi di dominazione o antagonismo: o avversari o strumenti da utilizzare, "come con il proprio bestiame o con il terreno in vista del profitto che può derivarne_", come dice appunto Ferguson. In questo quadro crolla l'immagine di Smith filosofo dell'ottimismo, avversario di ogni for111a di intervento politico nell'economia e quindi preteso assertore di un equilibrio sociale ed economico che si mantenga spontaneamente. Questo equilibrio non esiste, quell'ottimismo è frutto di una storiografia interessata (Hegel e soprattutto Marx non mancheranno di denunciarlo). Crolla in un certo senso anche il mito del buon selvaggio. La confutazione radicale della necessità del progresso economico appare per quella che è: una grande, giusta se si vuole, polemica moralistica. La diagnosi di Rousseau è corretta, ma le condizioni storicooggettive non gli consentono di penetrare addentro alta dialettica delle cose. " Per gli uomini moderni, in troppe nazioni d'Europa, il singolo è tutto e la comunità è un niente ": è ancora una citazione di Ferguson, evidentemente anti-Rousseau. Ferguson non rifiuta il progresso anche se ne riconosce le conseguenze alienanti (divisione del lavoro, povertà, sfruttamento, concentrazione della ricchezza). Egli interpreta così Smith e Rousseau - e passa oltre. Egli sa che Io sviluppo capitalistico è progresso e civiltà, e quindi cerca nella realtà i mezzi per intervenire. Ma proprio perché si mantiene fondamentalmente fermo al riconoscimento del carattere progressivo della natura umana, non assolutizza la società capitalistica, non la considera il termine della storia, ma soltanto uno stadio avanzato dello sviluppo progressivo dell'uomo di quell'essere fatto, secondo una sua definizione, " per la società e per le realizzazioni della ragione ". H egel prima (il solo, non dimentichiamolo, che in Germania prende criticamente coscienza del mondo del lavoro c della produzione, dell'economia " classica "), Marx poi rifletteranno attentamente su questi temi. Per questi pensatori immersi nelle contraddizioni della realtà non c'è posto per una riflessione " sulla " dialettica. Dialettica è la loro stessa riflessione, perché è alle prese, direttamente, con quella realtà, con la loro società, ne è investita e la coinvolge. La stessa filosofia, il suo modo di esprimersi o di costruirsi ha smarrito, inevitabilmente, i suoi contorni tradizionali: non più " siste-
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mi ", ma saggi, note di viaggio, storia e geografia, analisi morali ed economiche; non più la costruzione teoretica, ma l'esplorazione pragmatica del mondo, dell'uomo, della società. È tutta una opera cii trasformazione, di intervento sulle istituzioni e sulle cose. (E il discorso potrebbe trovare un contrappunto nelle analisi degli Enciclopedisti e del materialismo francese). Kant, il solo Kant, in una situazione storica, oggettiva ben diversa (non direttamente condizionata e investita dall'evoluzione industriale), guarda a tutto questo suo recente passato e lo interroga. Egli cerca di comprendere il senso della sua stessa giornata. E con Kant sarà restituito alla dialettica il suo posto nella storia della filosofia, moderna, e ormai contemporanea - in una storia della filosofia che non potrà essere più, per sempre, il regno chiuso della torre d'avorio, delle anime belle.
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6. Kant. La finitezza dell'uomo e l' "inevitabile" dialettica della ragione
6.1. Premessa. Kant e la tradizione L'età nuova, e ultima, della storia della dialettica ha inizio con Kant. Una stagione brevissima che si compie nel volgere di un cinquantennio o poco più. Concettualmente, come cercheremo di dimostrare, il J 7li.!_ (anno delia pubblicazione della prima edizione della Critica della ragion pura) segna la data dell'ultimo grande rivolgimento nella storia della dialettica. Questa affermazione non significa che dopo Kant il problema sia stato accantonato o non abbia subito una ulteriore profonda-evoluzione. Si vuole invece , affermare che, sbstanzial!nenté, la problcmatìca contemporanea si muove entro-T'orizzonte kantiano, non l'ha trasceso e non l'ha f.ID}0.~9. 1:: un fatto, non un giudizio, beninteso, sul valore o sui limiti di quella problematiea, e con esso dovremo fare i conti nel corso della nostra esposizione.
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Vediamo schcmaticamente come si presenta a Kant la tradizione culturale. Come sempre procederemo per grandi linee, per indicazioni di dati e risultati di qualche respiro culturale, rinviando il lettore alla bibliografia e ad altre letture per l'accertamento e la ricostruzione storica c filologica di quegli elementi. Come punto di partenza possiamo prendere gli anni che stanno a cavallo tra '500 e '600. Le polemiche sulla dialettica, tramandate da scuola a scuola, avevano ottenuto il risultato di lasciar cadere il titolo Topica anche presso gli aristotelici ortodossi e anche se l'uso propriamente aristotelico del termine era stato rafforzato da quegli umanisti aristotelici come Zabarella che polemizzavano con. la identificazione scolastica di dialettica e logica. Limiti e significato di dialettica nella storia della logica, la sua funzione, anche di fronte alla retorica, nella tradizione della logica aristotelica, il suo oscillare fra una direzione logica, che la
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Premessa
porta nei pressi di una metodologia della scienza, e un compito paideutico, didattico, che inevitabilmente la conduce, ancora una volta, nel corso di una polemica protrattasi nei secoli (e già presente - non lo si dimentichi! - nei testi di Platone e di Aristotele e prima ancora nel vivo della cultura delle rispettive età), ad identificarsi con la retorica, tutto questo dibattito è al centro dell'aristotelismo nella seconda metà del Cinquecento: Zabarella (con la sua Opera logica, 1586) ne è un protagonista principe: egli conclude, riassume, c riapre il dibattito. Inaugurando una tradizione, Filippo Canaye in un'opera del 1589, pubblicata a Ginevra nel 1627, introduce la distinzione di analitica c dialettica già nel titolo: L' m·gane, c'est à dire l'instrument du discours, divisé en deux parties, sçaivoir est, l'Analytique, pour discourir véritablement, et la Dialectique, pour discourir probablement. Ma dobbiamo ]imitarci alla Germania. Il ramismo aveva avuto uno straordinario sviluppo alla fine del secolo XVI, ma i seguaci furono poi perseguitati come calvinisti e si può dire che nel 1625 la scuola in Germania fosse già stata completamente estirpata c la sua attività limitata alla sola Svizzera (almeno secondo quanto afferma il Bayle alla voce Ramus del suo Dictionnaire). Lasciamo da parte le vicende della dialettica nel Seicento tedesco, il suo tradizionale identificarsi con la logica, il suo altrettanto tradizionale differenziarsene come topica 1• Ricordiamo invece Bohmer che, riprendendo il titolo di Canaye, nella sua Logica positiva sive dialectica et analytica (Jena 1637) tiene ferma la distinzione aristotelica dei termini, accentuandola, individua l'origine matematica del termine analitica e una serie di significati che esso può assumere: forma, nelle figure; materia, nelle cause; da ultimo ricerca, partizione. Mentre Fonseca e Zabarella venivano pubblicati e ripubblicati in Germania, nel 1711 appare l'edizione tedesca della storia della filosofia di Thomas Stanlcy; cd è importante perché ad essa seguono una serie di lessici filosofici che forniscono notizie dettagliate sulla storia della logica e sul significato dei termini 1 G. ToNELLI, Der historische Urspnmg der kantisclzen Termini "Analytik" und "Dialektik ", in « Archi v fiir Begriffsgeschichte », VII, Bonn 1962, pp. 128-132. Abbiamo seguito lo studio di Tonelli per la situazione tedesca prekanliana. In questo contesto si veda di ToNFLI.l: Zabarella inspirateur de Baumgarlen ... , in « Revue d'Esthétique », 1956; La tradizione delle categorie aristoteliche nella filosofia moderna fino a Kant, in «Studi Urbinati », XXXII, 1958 e il volume Elementi metafisici e metodologici in Kant, 1745-1768, vol. 1, Torino 1959 (anche per il rapporto Kant-Darjes e la scuola).
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in questione· (per es. Walch, Zedler, la storia della filosofia di Brucker e la stessa Encyclopédie francese) 2• Notiamo ancora l'opera del '32 (Jena) di Darjes, Introductio in artem inveniendi, seu logicam theoretico-practicam, qua analytica atque dialectica in usum ... , che per la prima volta in Germania presenta nel titolo la posposizione di dialettica ed analitica. " Logica probabilium " questa, " scientia de regulis inveniendi veritates cum certitudine " quella. Inoltre, la logica è appunto una " scientia inveniendi" (come per i wolffiani), una dottrina del metodo; l'analitica tratta i concetti, le definizioni e la loro origine a priori o a posteriori, i giudizi e principi, l'equivalenza delle proposizioni, le prove (dirette, apagogiche, ccc.... ); la dialettica tratta la verosimiglianza in generale e il modo di pervenire dialetticamente alla verità, le proposizioni teorctiche a priori e a posteriori, le ipotesi filosofiche, la vcrosimiglianza ermeneutica, critica, la probabilità delle opinioni degli altri. D'altra parte erano rimasti vivi in Gcmmnia indirizzi tradizionali, elementi conservatori: ricordiamo quella corrente cattolica che insiste nell'identificazione di dialettica e logica in generale, che trova un suo testo nel Dictionnaire de Trévoux (Parigi 1752 e sgg.) dei Padri gesuiti; ricordiamo ancora la tradizione tomasiana di Wolff e dei suoi scolari: tutti presi dalla polemica contro l'aristotelismo, restano estranei non già ai problemi logici, ma certamente a quelli della partizione della logica c quindi del senso e della funzione della dialettica. La filosofia, cioè la logica, è e resta dimostrativa. La dialettica, come Logica probabilium, non lÌa rilevanza 3• Kant era perfettamente a conoscenza di questa complessa situazione culturale. Egli la ereditava, ma non ne era condizionato. Conosceva pure, è evidente, quelle opere di Ch. Thomasius (per es. Einleitung zu der V ernunftlehre e la A usiibung der V ernunftlehre del 1691), di Ch. Wolfi e soprattutto il popolare manuale di S. Reimarus (rcs() famoso da Lessing: 1 ed. del 1756 e v ed. del 1790), che a Logica contrappongono " un serio concorrente: la V ernunftlehre o V ernunftkunst, teoria o arte del ragionare " 4• Lo attestano le sue opere, ovviamente, ma lo attestano ancor più e meglio le pagine c gli appunti inediti che egli ci ha lasciato a migliaia c soprattutto le sue V orlesungen (lezioni 2 Indicazioni bibliografiche in TONELLI, Der historische Ursprung ... , cit., pp. 134-5. ' G. TONELLI, Der historische Ursprung ... , cit., pp. 137-8. • H. ScHoLZ, Storia della logica, trad. it. Milano 1962, p. 39.
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Analitica e dialettica ·
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universitarie) da qualche anno finalmente accessibili 5• Kant conosce molto bene Darjes e la sua scuola; in alcuni particolari li aveva anche -seguiti. Inoltre, la storiografia contemporanea a Kant ci dà la certezza che ~gli 11sava il termine diqlettica c_op.JQrme-:mente alla tradizione
6.2. Analitica e dialettica Seguiamo letteralmente il testo di Kant nella Introduzione alla Logica trascendentale 6• Kant definisce la logica in generale come la scienza delle leggi dell'intelletto così come l'estetica è la scienza delle leggi della sensibilità in generale (p. 92). Una logica generale pura avrà, dunque, a che fare "soltanto con meri ' Come tutte le opere di Kant gli appunti inediti sono pubblicati dall'Accademia delle Scienze di Berlino (ed. De Gruytcr, Berlin) in un'edizione critica, storica c commentata, come terza parte delle Gesamme/te Schriften, col titolo: llandschriftliches Nachlass; l'edizione tuttora in corso delle lezioni (Vorlesungen: quarta -parte della raccolta delle opere) è stata uno degli avvenimenti culturali più notevoli del secondo dopoguerra. 6 E. inevitabile presupporre una conoscenza sia pure elementare della filosofia kanliana e della Critica della ragione pura. Si ricordi la partizione di quest'opera: Dottrina trascendentale degli elementi e Dottrina trascendentale del metodo (spieghiamo nel testo il significato di " trascendentale "). La prima si distingue in due grandi parti: Estetica trascendentale (analisi della sensibilità e delle sue forme pure a priori) e Logica .trascendentale, ripartita a sua volta in Analitica trascendentale (analisi dell'intelletto e delle sue forme pure a priori: i concetti) e Dialettica trascendentale (h\ ragione e le idee). La Dottrina trascendentale del metodo, poche decine di pagine, indica " le condizioni formali di un sistema completo della ragione " (vol. n, p. 536) e comprende una disciplina, un canone, un'architettonica e una storia della ragione pura. - Il testo della Critica viene citato secondo la traduzione italiana di G. Gentile e G. Lombardo Radice, Laterza, Bari 1909; cito dalla ristampa 1944-45.
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Kant
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principi a priori, cd è un canone dell'intelletto c della ragione, ma soltanto rispetto a ciò che vi è di formale nel loro uso sia qualsivoglia il contenuto " (p. 93). Insomma, la logica generale è la dottrina pura dcll'intelletto e della ragione, " interamente distinta da quella che costituisce la logica applicata " (ibìd.), cioè una " logica dell'uso speciale dell'intelletto ., che comprende, invece, " le leggi per pensare rettamente una specie determinata di oggetti" (p. 92). La logica generale pura presenta questa seconda caratteristica: essa " astrae da ogni contenuto dd la conoscenza intellettuale e dalla diversità dei suoi oggetti, e non tratta se non della .semplice forma del pensiero" (p. 93). Sebbene Kant non lo dica, la logica aristotelica, in particolare gli Analitici, vengono configurati in questa sfera: logica formale, come Kant, per primo, chiamò, e con successo, tutta la logica antecedente a quella trascendentale 7 • Ma vi è una logica che si occupa degli oggetti o meglio dell'origine della nostra conoscenza degli oggetti, ·• in quanto questa origine non può essere attribuita agli oggetti " (pag. 95): è una conoscenza pura a priori, cioè non ricostruita empiricamente, e trascendentale come .; quella onde conosciamo che e come certe rappresentazioni (intuizioni o concetti) vengono applicati o sono possibili esclusivamente a priori (cioè la possibilità della conoscenza o dell'uso di essa a priori) " (p. 95). Insomma, se tutte le forme trascendentali sono a priori, non tutti gli a priori sono trascendentali, ma soltanto quelli che rendono possibile la conoscenza di oggetti dell'esperienza, cioè " la possibilità che hanno di riferirsi a priori agli oggetti dell'esperienza" (ibid.). "Ncll'aspettazion~ dunque che si diano forse concetti che si possono riferire a priori ad oggetti, non come intuizioni pure o sensibili, ma semplicemente come funzioni del pensiero puro, e quindi come concetti, ma non di origine empirica né estetica, noi ci formiamo anticipatamente l'idea di una scienza dell'intelletto puro e della conoscenza razionale, onde pensiamo certi . oggetti completamente a priori. Una scienza siffatta, che determini l'origine, l'estensione e la validità oggettiva di tali conoscenze, si deve chiamare logica trascendentale, poiché essa riguarda semplicemente cd esclusivamente le leggi dell'intelletto c della ragione, in quanto si riferisce ad oggetti a priori ... " (pp. 95-96). Vorremmo qui solo far notare l'importante determinazione dei .<;.Q!!cetti_ç<;Hne funzioni del pensiero puro, che abbiamo appunto sottolineato nel testo. L'orizzonte aristotelico non soltanto è tra; H. ScHOLL, Storia della logica, ci t., p. 44.
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Analitica c dialettica
sceso, ma potremmo dire scomparso: se il concetto è una funzio~ ne dell'intelletto e del pensiero puro, se le categorie, come dirà Kant più avanti, sono regole, veicoli della conoscenza intellet~ tuale della realtà, c se non c'è altra realtà se non quella, empirica, resa possibile dalle forme intellettuali come funzioni 'del pensiero, allora è definitivamente scomparsa quella concezione', -i' della realtà dove la realtà fosse ancora intelligibile come proiezione antologica delle categorie e dove le forme del pensiero fos~ scro ricosLruibili per astrazioni successive dalla realtà. Tuttavia, perché questo chiarimento non venga immediatamente inteso co~ mc una definizione o giustificazione di Kant come padre e fonda~ tore dell'idealismo (per quanto egli di fatto lo sia) e perché alla pagina e alla problematica kantiana siano lasciate quella proble~ maticità e tensione che esse manifestano e quel fitto reticolo di contraddizioni che ne sono l'anima, e che il sisrema della Critica cerca di comporre, ricordiamo il fondamento che intero sorregge la ricerca critica e la sua partizione in una estetica e in una Io~ gica trascendentali: " la nostra conoscenza scaturisce da due fonti principali dello spirito, la prima delle quali è la facoltà di rice~ vere le rappresentazioni (la recettività delle impressioni) [cioè la nostra sensibilità], la seconda quella di conoscere un oggetto me~ diantc queste rappresentazioni (spontaneità dei concetti). Per la prima un oggetto ci è At!..lfJ; per la seconda esso è Q._e_n§g!_Q_ in rapporto con quella rappresentazione (come semplice determinazione dello spiriw) ·· (p. 91). Con queste parole si apre la Logica trascendentale. Che un oggetto sia dato alla sensibilità e pensato dall'intelletto, che la spontaneità umana risieda solo nell'intelletto e che la conoscenza sia geneticamente possibile solo in quanto l'uomo è primamente affetto, come dice Kant, da un contenuto, da una materia della scn~ sibilità, che il filosofo non può ùedlJ..rre perché costituisce il fatto stesso della possibilità della conoscenza, questo sta a significare che Kant tiene fermo a una figura dell'uomo come essere ff. . nito, immerso nella sensibilità e da questa condizionato. La logica trascendentale vuole, dunque, essere la scienza o la logica df questa finitezza. Come è accaduto e accade che l'uomo, essere condizionato e finito, può riconoscersi o pretende di riconoscersi in un mondo infinito c come è accaduto e accade che l'uomo ha fatto passare questa credenza nelle sue infinite possibilità, questo mondo ·chimerico, per un mondo reale scientificamente dimostrabile? A questa domanda risponde la Logica trascendentale nella ':ua partizione di analitica e dialettica. La prima, una par.\' consrruo::ns, mette capo alla costruzione del mondo dcll'cspe-
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ricnza e alla distinzione di tutti gli oggetti in gèncralc in fenomeni e n.oumcni; la seconda, una pars destruens, "logica dell'apparenza", restituisce all'uomo quel chimerico mondo assoluto e incondizionato delle idee che ha rappresentato per secoli il regno della sua estraneazione. Ma ritorniamo alle pagine kantiane. · Continuando, Kant accoglie la divisione, aristotelica e di una ; parte consistente deil'aristotelismo, della logica generale in analiUica e dialettica. Egli dà per presupposta la definizione nominale della verità come accordo della conoscenza con il suo oggetto (p. 96). Ma Kant non ritiene che la logica generale sia una logica della verità: " il criterio semplicemente logico della verità, cioè l'accordo di una conoscenza con le leggi gef1crali e fÒrmali dell'intelletto e della ragione, è ~cnsì una cmulitio sine qua non, quindi la condizione negativa di ogni verità; se non che la logica non può andare più oltre, e non ha pietra di paragone con cui possa scoprire l'errore, che tocchi non la forma ma il contenuto " (p. 97). Questa parte della logica, che serve da pietra di paragone, almeno negativa della verità, Kant accetta di chiamarla analitica, ed essa attende ancora di poter giungere ad una verità positiva, esaminando e valutando le conoscenze anche in rapporto con l'oggetto (p. 98).
6.3. La dialettica come logica dell'apparenza. La finitezza dell'uomo e l'illusione trascendentale La dialettica appare qui, secondo Kant, un'esasperazione o meglio una mìstìficazione dell'analitica. In questa sua configurazione, sulla soglia della logica trascendentale, non c'è nulla di aristotelico. Come sappiamo la dialettica aristotelica non ha nulla a che fare con l'eristica, non è una logica depauperata e non è, non può e non vuoi essere la giustificazione di una presunzione. Il senso vero della dialettica aristotelica verrà da Kant recuperato dopo il risultato dell'Analitica trascendentale, nella costruzione stessa della Dialettica trascendentale: qui egli ci offrirà anche, di Aristotele, una interpretazione molto profonda quanto poco nota. Egli per ora osserva: "C'è tuttavia qualcosa di così attraente nel possesso di un'arte tanto appariscente qual è quella di dare a tutte le nostre conoscenze la forma dell'intelletto - sebbene in relazione al loro contenuto si possa tuttavia restare vuotissimi e poverissimi - che quella logica generale, la quale è semplicemente un canone di valutazione, viene impiegata altresì come or-
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La dialettica come logica dell'apparenza
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garzo di effettiva produzione o almeno d'illusione di affermazioni oggettive; e quindi, in realtà, l'uso che ·se n'è fatto è stato abusivo. Ora, la logica generale, come tale preteso organo, si chiama dialettica " (p. 98). · A questo punto Kan.t si allontana ancora di più dalla significazione aristotelica di dialettica: egli ritiene che nonostante la varietà di significati di questa scienza o arte, dato l'uso che gli antichi di fatto ne fecero, essa " altro non fosse che la Logica dell' apparenza ". È molto importante ciò che Kant soggiunge: quest'arte sofistica che dava alla propria ignoranza e alle proprie volontarie illusioni la tinta delle verità, imitava quel metodo del pensare fondato che la logica generale prescrive; e quindi in generale " come un avvertimento sicuro e utile, si può osservare che la logica generale, considerata come organo, è sempre logica dell'apparenza, cioè dialettica ", poiché nulla dice del contenuto della conoscenza, ma, limitandosi alle condizioni formali dell'accordo con l'intelletto, ha la pretesa di servirsene come di uno strumento (organo) per allargare cd estendere le conoscenze (pp. 98-99). Dove si deve almeno notare un curioso rovesciamento della tradizione: alla tradizionale assimilazione della dialettica alla logica, Kant oppone la situazione opposta, e la motiva: se la logica generale si limita alle determinazioni delle condizioni formali della conoscenza, in quanto viene presentata come strumento, l'intera logica generale è dialettica. E conclude: " un tale insegnamento non si addice in nessun modo alla dignità della filosofia. E perciò si è attribuito questo nome di dialettica alla logica piuttosto come una critica dell'apparenza dialettica, e come tale lo vogliamo anche inteso " (ibid.). Come vedremo, ci avviciniamo a cogliere il senso della Critica della ragion pura nel suo intero: proprio perché ci troviamo già, così, al centro della dialettica trascendentale, che " intendiamo di svolgere dalle sue fonti, che sono profondamente celate dentro alla ragione umana" (p. 288). La divisione della Logica trascendentale in analitica e dialettica trascendentale è una conseguenza che ora non presenta problemi. " La parte dunque della logica trascendentale, che espone gli elementi della conoscenza pura dell'intelletto e i principi senza i quali nessun oggetto può assolutamente essere pensato, è l'analitica trascendentale, e insieme una logica della verità" (p.99). D'altra parte l'intelletto non riesce a sottrarsi alla seduzione di usare le sue forme e prijlcipi anche oltre i limiti dell'esperienza, indipendentemente dalla n\ateria, dagli oggetti che l'esperienza, sola, può darci; l'intelletto corre il rischio, e non può farne a meno, di giudicare indiffcrenr'emente gli oggetti che non ci sono e
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non possono in modo alcuno esserci dati. Non soddisfatto della sua natura di " canone di giudizio nell'uso empirico " l'intelletto corre l'avventura metafisica nelle vesti di un "organo di uso generale ed illimitato " (p. l 00): è la ragione, il mondo dei concetti razionali o idee, " il campo di queste lotte senza fine [che] si chiama Metafisica" (p. 5), al quale conduce, senza possibilità di uscita, l'uso dialettico dell'intelletto puro. "La seconda parte della logica trascendentale perciò deve essere una critica di questa apparenza dialettica, e si chiama dialettica trascendentale, non quasi un'arte che susciti dogmaticamente una tale apparenza (arte, purtroppo corrente, ·di svariate ciurmerie metafisiche), ma come critica dell'intelletto e della ragione rispetto al loro uso iperfisico " (p. l 00). Per approfondire questo testo dobbiamo allora portarci al di là dell'Analitica trascendentale, a quella breve introduzione alla Dialettica trascendentale che tratta dell'apparenza o illusione trascendentale e della sua sede, cioè la ragione pura. Kant comincia col distinguere apparenza e verosimiglianza: quest'ultima " è verità, p-~a conosciuta per via di principi insufficienti ... " (p. 277). A maggior ragione bisogna tener distinta l'apparenza dal fenomeno: "la verità infatti o l'apparenza non sono nell'oggetto, in quanto questo è intuito [dato alla e nella sensibilità], ma nel giudizio su di esso, in quanto è pensato " (ibid.). Non si tratta qui dunque dell'apparenza empirica, per esempio di quella ottica, che dipende da un uso legittimo dell'intelletto sviato dall'immaginazione c neppure dell'apparenza logica che trae origine, per imitazione della forma razionale, da un difetto di attenzione alle regole logiche. L'apparenza trascendentale, invece, è da collegarsi all'uso trascendentale dell'intelletto, cioè al suo essere vittima di principi reali che lo istigano a rovesciare tutte le barriere imposte dall'esperienza (entro questi limiti l'uso dell'intelletto è immanente; "l'errore del giudizio non convenientemente frenato dalla Critica dà luogo all'uso trascendentale o abuso delle categorie ") (p. 279). Se la Critica della ragion pura può arrivare a scoprire l'apparenza di quell'uso trascendente dell'intelletto e dci suoi pretesi principi, è anche vero che l'apparenza trascendentale "non cessa anche se altri già l'abbia svelata e ne abbia scorto chiaramente il niente mediante la critica trascendentale " (p. 280). È questo un punto fondamentale della Critica e di tutta l'istituzione kantiana. L'uomo è esposto al niente dell'illusione trascendentale. §g}i__è . ~SP_t?~()_a_gucst()_niente perché è finito. Fa parte della natura del..: la ragione umana e della finitezza dell'uomo scambiare regole e massime soggettive dell'uso della ragione per principi oggettivi,
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Intelletto e ragione, fenomeni e noumeni
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considerare la necessità soggettiva di certe connessioni dei nostri concetti, pur sempre immersi, condizionati e comprensibili solo nel mondo empirico, come una necessità oggettiva della determinazione della cosa in sé. Questo fatto non è superabile: " La dialettica trascendentale sarà paga di scoprire l'apparenza dei giudizi trascendentali e di prevenire insieme che essa non tragga in ingatmo; ma che questa apparenza anche si dilegui (come l'apparenza logica) e cessi di essere un'apparenza, questo è ciò che non può mai conseguire. Perché noi abbiamo a che fare con una illusione naturale e inevitabile, che si fonda essa stessa su principi soggettivi e li scambia,_ per oggettivi... essa ç dunque una dialettica _nat!u~l~ e:neçess~r!~ della ragion pura ... che è inscindibilmente legata all'umana ragione e che, anche dopo che noi [la Critica della ragion pura] ne avremo scoperta la illusione, non cesserà tuttavia di adescarla e trascinarla incessantemente in errori momentanei, che avranno sempre bisogno di essere eliminati " (p. 280).
6.4. Intelletto e ragione, fenomeni e noumeni Cerchiamo ora di approfondire dal suo interno, sia pure brevemente, il testo kantiano dell'analitica e della dialettica trascendentale. Anche in questo caso, è bene ripcterlo, procederemo sommariamente !imitandoci a presentare alcuni problemi. Non possiamo addentrarci, in questa sede, neppure per accenni, nelle grosse questioni filologiche, esegetiche e interpretative sollevate dalle due edizioni della Critica della ragion pura (1781 e 1787: profondamente diverse sia secondo i primi interpreti, che attaccarono il kan.tismo, vivo Kant, sia secondo la storiografia) 8• Se la Critica della ragion pura sia una semplice propedeutica, come scrive Kant nella Prefazione della seconda edizione dell'opera, o se invece non sia l'esposizione dell'intero sistema della filosofia trascendentale, come lo stesso Kant dichiarò, con sdegno e con un filo di rabbia, nel 1799 contro Fichte; se il compito della Critica della ragion pura sia quello di determinare i limiti dell'intel' La bibliografia è assai ampia. Si veda per tutte la monumentale opera in tre volumi di H.J. DE VLEESCHAUWER, La déduction transcendantale dans l'reul're de Kant, Paris 1934-1937. Inoltre: A. MAssoLo, Introduzione all'analitica kantiana, Firenze, 1946; L. LuèARINI, La logica trascendentale kantiana, Milano 1950; P.;Cmom, La deduzione nell'opera di Kant, Torino, Taylor, 1961; P. SALvuccr, L'uomo di Kant, Urbino 1963.
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letto e della ragione o non piuttosto quello dell'oggettività (universalità) delle nostre rappresentazioni (come alle nostre rappresentazioni - intuizioni e concetti - corrisponda un oggetto fuori ...di esse); se queste due ricerche, compresenti nella Critica, si conl dizionino o si escludano reciprocamente, e come; in che senso ed · entro quali limiti venga da Kant risolto oppure lasciato aperto il ; rapporto fra l'idealismo delle rappresentazioni e il realismo delle Lcose, e quindi qual significato si debba dare alla sua affermazio• ne, che sconvolse i contemporanei : " L'idealista trascendentale è ...l:>il;lmo.J).Init~ sintetica qrjgjl)aria della app~::rcezione, l:fq Pf:.fl~'(L (un termine kantiano che, grosso modo, corrisponde a ciò che gli idealisti chiameranno coscienza di sé), che accompagna tutte le mie rappresentazioni e che garantisce l'identità della coscienza in queste rappresentazioni stesse (p. 130 e sgg.); l'operazione ha bisogno, d'altra parte, di una mediazione : come è possibile applicare l'unità di una regola pura dell'intelletto al diverso delle intuizioni empiriche prodotte dalla sensibilità? Come conciliare questi due eterogenei? È la dottrina dello schematismo, che ha tanto affaticato gli interpreti. Abbiamo gli schemi e la loro facoltà, l'immaginazione, che fanno da ponte tra l'intelletto e la sensibilità. ·(Un solo esempio: " .. .lo schema puro della quantità, come concetto dell'intelletto, è il numero, il quale è una rappresentazione che' comprende la successiva addizione degli omogenei uno a uno. Cosicché il nu-
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Intelletto c ragione, fenomeni e noumcni
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mero non è altro che l'unità della sintesi del molteplice di una intuizione omogenea in generale, per il fatto che io produco il tempo stesso nell'apprensione dell'intuizione ", p. 162). "Noi abbiamo fin qui non solo percorso il territorio dell'intelletto puro esaminandone con cura ogni parte, ma l'abbiamoanche misurato, e abbiamo in esso assegnato a ciascuna cosa il suo posto. Ma questa terra è un'isola, chiusa dalla stessa natura entro confini immutabili. E la terra della verità (nome allettatore!), circondata da un vasto oceano tempestoso, impero proprio dell'apparenza, dove nebbie grosse e ghiacci, prossimi a liquefarsi, danno a ogni istante l'illusione di nuove terre, e incessantemente ingannando con vane speranze il navigante errabondo in cerca di nuove scoperte, lo traggono in avventure, alle quali egli non sa mai sottrarsi, c delle quali non può mai venire a capo. Ma, prima di affidarci a questo mare, per indagarlo in tutta la sua distesa, e assicurarci se mai qualche cosa vi sia da speraTL~, sarà utile che prima diamo ancora uno sguardo alla carta della regione. che vogliamo abbandonare, e chiederci anzitutto se non potessimo in ogni caso star contenti a ciò che essa contiene; o anche, se non dovessimo accontentarcene per necessità, nel caso che altrove non ci fosse assolutamente un terreno sul quale poterei fabbricare una casa; e in secondo luogo, a qual titolo noi possediamo questa stessa regione, e come possiamo assicurarla contro ogni nemica pretesa. Sebbene abbiamo già risposto sufficientemente a queste domande nel corso dell'Analitica, tuttavia una scorsa sommaria alle soluzioni di essa può rafforzare la nostra convinzione, riunendo i vari momenti di essa in un punto unico" (pp. 237-238). Tl "punto unico", al quale Kant fa cenno, è quello della distinzione di tutti gli oggetti in generale in fenomeni e noumeni: l'uso empirico dell'intelletto e delle sue categorie, l'esperienza saldamente ancorata entro i limiti della sensibilità. Quelli dell'intelletto, dunque, " sono semplicemente principi dell'esposizione dei fenomeni, c l'orgoglioso nome di Ontologia, che presume di dare in una dottrina sistematica conoscenze sintetiche a priori delle cose in generale, deve cedere il posto a quello modesto di semplice Analitica dell'inteltetto puro " (p. 244). Le cose in generale, oltre ai fenomeni, sono " altre cose possibili, ma che non sono punto oggetto dei nostri sensi, come oggetti pensatisempliccmcnte dall'intelletto, e li chiamiamo esseri intelligibili (noumena) " (p. 248) (dove è bene sottolineare quel pensati che rimanda alla funzione non empirica dell'intelletto, in opposizione al conoscere s
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che dell'intelletto è la funzione propria). II concetto di noumeno è, dunque, un concetto limite, e di uso quindi puramente negativo. Il noumeno può essere configurato anche in senso positivo, ma allora dobbiamo supporre che esso sia l'oggetto di una intuizione non sensibile, '' un'intuizione intellettuale, la quale però non è la nostra, e della quale non possiamo comprendere nemmeno la possibilità " (p. 249) - una potenza veramente più che umana, avrebbe detto Platone: ma dì questa potenza non si occupa, non può occuparsi la filosofia critica.
6.5. L'oggettività della contraddizione e l'inevitabile dialettica della ragione · " Ogni nostra conoscenza sorge dai sensi, indi va all'intelletto e finisce nella ragione, al di sopra della quale non c'è nulla di più alto per elaborare la materia dell'intuizione e sottoporla alla più alta unità del pensiero... Se l'intelletto può essere una facoltà deU'unità dci fenomeni mediante le regole, la ragione è la facoltà dell'unità delle regole dell'intelletto sottoposte a principi. Essa dunque non si indirizza mai immediatamente all'esperienza o a un oggetto qualsiasi, ma all'intelletto, per imprimere alle conoscenze molteplici di esso un'unità a priori per via di concetti; unità, che può dirsi unità razionale, ed è di tutt'altra specie da quella che può essere prodotta dall'intelletto " (pp. 281 e 283). Kant chiama l'unità a priori della ragione, che serve a _C'!!_!!!:Prendere, come i concetti dell'intèlletto a j_J_1[~rtc/er~(p. 289), secondo -ra-ferminologia tradizionale; anzi proprio perché quella terminologia fa capo a Platone, non c'è motivo di mutarla: " un concetto derivante da nozioni, e che sorpassa la possibilità dell'esperienza, è l'idea o concetto razionale " (p. 296). La dialettica trascendentale presenta il sistema delle idee trascendentali c di quei raziocini dialettici della ragion pura, la cui natura abbiamo più volte indicato. Kant tiene fermo il rapporto col mondo empirico come mondo del condizionato, e allora ritiene che, in generale, le idee della ragione abbiano a che fare con l'unità sintetica incondizionata di tutte le condizioni. Per analogia con le operazioni dell'intelletto e con i suoi elementi, Kant individua un ·soggetto, un oggetto e un oggetto pensato dal soggetto; configurando questi elem'enti in una dimensione, quella razionale, che per sua natura si sottrae alle condizioni e le annulla, Kant può ritenere che tutte le idee trascendentali si riducano a
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Oggettività della contraddizione e dialettica della ragione
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tre classi: ·· la prima comprende l'assoluta (incondizionata) unità del soggetto pensante, la seconda l'assoluta unità della serie delle condizioni del fenomeno, la terza l'assoluta unità della condizione di tutti gli oggetti del pensiero in generale. Il soggetto pensante è l'oggetto della psicologia; il complesso di tutti i fenomeni (il mondo), l'oggetto della Cosmologia; e la cosa, che contiene la condizione suprema della possibilità di tutto ciò che può esser pensato (l'essenza di tutte le essenze), l'oggetto della Teologia. La ragion pura dunque fornisce l'idea per una dottrina trascendentale dell'anima (psychologia rationalis), per una scienza trascendentale del mondo (cosmologia rationalis), e, infine, anche per una conoscenza trascendentale di Dio (theologia trascendentaTis). Lo stesso semplice disegno di una o dell'altra di queste scienze non proviene punto dall'intelletto, quand'anche esso si unisca al più elevato uso ·logico della ragione, ossia a tutti i raziocinii immaginabili per spingersi da uno de' suoi oggetti (fenomeno) a tutti gli altri. fino ai membri più remoti della sintesi empirica; ma è unicamente un puro c schietto prodotto o problema della ragion pura •·· (p. 305). Tali idee trascendentali della ragione, che pur contengono o esprimono una realtà trascendentale del tutto soggettiva, hanno dato luogo c continuano a rendere possibili diverse serie di raziocini dialettici, veri c propri sistemi aventi una loro coerenza e interna necessità; essi non contengono premessa empirica alcuna e nondimeno, per quell'inevitabile apparenza, di cui abbiamo fatto più volte discorso, attribuiamo loro una realtà oggettiva. Riportiamo ancora alcune righe di Kant, esemplari per il loro stile dimesso, per quel suo rispetto per la finitezza e la povertà dell'uomo, per il dramma che l'uomo continuamente vive a causa della lacerazione che la ragione produce e rappresenta in lui: " raziocini siffatti, rispetto al loro risultato, son dunque da dire sofismi, anzi che sillogismi, quantunque per la loro origine possono anche portare l'ultimo nome, perché essi non sorgono per finzione od a caso, ma derivano dalla natura della ragione. Sono sofisticazioni, non dell'uomo, bensì della stessa ragion pura, dalle quali il più savio non può liberarsi, c magari a gran fatica potrà prevenire l'errore, ma senza sottrarsi mai all'apparenza che incessantemente lo insegue e si prende gioco di lui" (p. 308). Non è il caso di seguire Kant nell'analisi dei paralogismi della ragion pura, falsi sillogismi della psicologia razionale, nella quale si parla dell'anima e della sua pretesa realtà; e neppure nella costruzione dell'ideale della ragion pura come risultato della critica delle varie prove dell'esistenza di Dio: " l'essere supremo re-
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sta per l'uso semplicemente specùlativo della ragione un semplice ma perfetto ideale ... la cui realtà oggettiva, è vero, non è dimostrata ma non può né anche essere contrastata" (p. 492); co- me è noto, lo ritroveremo, insieme alle altre due idee, l'anima e il mondo, come postulato della ragione pratica. Mette conto invece soffermarsi brevemente sull'antinomia della ragion pura, cioè quel sistema di raziocini cui dà luogo l'idea del mondo. Qui la _dialettica celebra se stessa in tutta la sua tradizione più gloriosa e, come antitetica della ragion pura (sistema delle antinomie), : apre la strada a quel nuovo intendimento o nuova figura della dia! lettica che sarà dell'idealismo - c poi di Hegcl. L'idea trascenlùentale del mondo produce quattro conflitti. l) Tesi: il mondo nel tempo ha un cominciamento, e, per lo spazio, è chiuso dentro limiti; Antitesi: il mondo non ha né cominciamento né limiti spaziali, ma è, così rispetto al tempo come rispetto allo spazio, infinito. 2) Tesi: ogni sostanza composta nel mondo consta di parti semplici, e non esiste in nessun luogo se non il semplice, o ciò che ne è composto; Antitesi: nessuna cosa composta nel mondo consta di parti semplici; e in esso non esiste, in nessun luogo, niente di semplice. 3) Tesi: la causalità secondo le leggi della natura non è la sola da cui possono essere derivati tutti i fenomeni del mondo. È necessario ammettere per la spiegazione di essi anche una causalità per libertà; Antitesi: non c'è nessuna libertà, ma tutto nel mondo accade unicamente secondo leggi della natura. 4) Tesi: riel mondo c'è qualcosa, che, o come sua parte o come sua causa, è un essere assolutamente necessario; Antitesi: in nessun luogo esiste un essere assolutamente necessario, né nel mondo, né fuori del mondo, come sua causa (pp. 348-375). Kant dedica molto spazio all'esame di queste tesi e antitesi attraverso minuziose analisi: senza fare nomi, ma limitandosi a citare per lo più correnti importanti di pensiero, è tutta la storia .della filosofia che entra in questo dibattito. E il dibattito posto in questa forma non ha soluzione oppure " l'antinomia della ragion pura nelle sue idee cosmologiche vien superata dimostrando che essa è meramente dialettica, è un conflitto di un'apparenza che nasce da questo, che si è applicata l'idea dell'assoluta totalità, che non ha valore se non come condizione delle cose in sé, ai fenomeni... " (p. 404) (ovviamente le opinioni dei filosofi consegnate nel~a storia della filosofia sono studiate anche a proposito dell'anima e di Dio).
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Dialettica tra l'essere finito dell'uomo e la sua libertà
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6.6 La dialettica tra l'essere finito dell'uomo e la sua libertà Giunti alla fine di questa esposizione, non possiamo non chiederci quale sia nel sistema la funzione delle idee trascendentali. Non sta al sistema rispondere in quanto per esso ha risposto già la dialettica trascendentale. Tuttavia Kant ne parla in un'appendice sull'uso regolativo delle idee della ragion pura e sullo scopo finale della dialettica naturale della ragione umana. L'uso regolativo delle idee è appunto c solo quello di indirizzare l'intelletto a un certo scopo per coPlerirgli la maggiore unità possibile con la maggior estensione, c la ragione è presente in questa operazione come l'elemento sistematico della conoscenza, cioè la connessione di essa secondo un principio (p. 494). Le idee della ragione possono rappresentare il limite della conoscenza, nella coscienza che l'intelletto non può giungere ad esse, non può rcalizzarle in una esperienza. E allora si può anche dire che le idee rappresentano, nella loro astratta formalità, il sistema ideale (in effetti semplicemente regolativo) di ogni conoscenza razionale. " Così la ragion pura, che da principio pareva prometterei nientemeno che l'estensione delle conoscenze di là dai limiti della esperienza, se noi la intendiamo bene, non contiene se non principii regolativi, che esigono bensì un'unità maggiore di quella che può raggiungere l'uso empirico dell'intelletto, ma appunto perché spingono tanto innanzi il fine dell'approssimarsi ad essa, portano al più alto grado, mediante l'unità sistematica, l'accordo di esso con se medesimo; ma se s'intendono male, e si tengono per principii costitutivi di conoscenze trascendenti, producono, con un'apparenza splendida sì, ma ingannevole, una convinzione e un sapere immaginario, e con ciò eterne contraddizioni e contrasti" (p. 531). Con la sua Critica Kant ci consegna un'immagine dell'uomo che non trova riscontro immediato nella cultura illuministica, nel suo ottimismo, nella sua credenza da un lato nel progresso delle scienze e delle lettere e dall'altro nella bontà originaria della natura umana. Nonostante la sua anunirazionc per Rousseau, uno dei pochi autori che Kant ha esaltato (c, forse, grazie a questa ammirazione), non c'è in Kant nessun mito del buon selvaggio. Anzi, se si bada alla Critica della ragion pura e se la si legge non soltanto come un testo speculativo o, come vogliono certi manuali, come il semplice risultato di una polemica tra razionalisti cd empiristi (una polemica inesistente anche se lo stesso Kant l'ha schematizzata nelle pagine della Introduzione alla CritÌC{J -
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le sole universalmente note e altrettanto universalmente fraintese), ma come un complesso intreccio culturale, una risposta ai problemi del tempo e quindi una critica di quella che poi si sarebbe chiamata l'ideologia, allora troviamo qui una dissacrazione di quel mito. L'uomo per Kant non è naturalmente né buono né cattivo: questo dipende dalla sua condotta morale, cioè dall'uso che l'uomo sa e vuoi fare della sua libertà. Infatti, non si dimentichi il primato della morale in Kant, nel senso, tra l'altro, sia dell'interesse tutto particolare che la vita morale aveva sempre suscitato in lui sia, in senso stretto, perché ciò che è primo, per Kant, è la vita morale. _Proprio l'analisi della conoscen:za ha indicato che l'uomo è un essere che agisce; e proprio in quanto. agisce- è. vlÌole. agire, costruisce quel mondo empirico, concreto, reso comprensibile c organizzato dai concetti e dalla ragione. È vero, la ragione non si esaurisce in questa attività perché è una facoltà che regola tutta la vita dell'uomo. Si può dire: .;t- J'uq_~_q_ è lib~_o p~rché si scopre conoscitivwnente_ fini~o. La Critica mostra che è vana la ricerca dell'incondizionato nella natura: ma questo incondizionato l'uomo e la sua ragione lo ritrovano immediatamente in se stessi, nel dovere. In quanto -pensa e si pensa l'uomo non può fare a meno di pensarsi come universale e come libero. Questo è il senso del rapporto fra l'analitica e la dialettica trascendentale, questo il senso del loro essere ancorate all'estetica, cioè alla sensibilità: la dialettica trascendcn. tale fQrrcia la Critim perché proprio l'essèrefinitodcl.Fiiomo- espo~ sto all'illusione di una conoscenza dell'incondizionato dipende dal suo essere immerso nella sensibilità c dal suo non aver riconosciuto, prima della Critica, che il mondo della conoscenza (empirico) non è il sapere. Dopo la Critica, dopo la dialettica trascendentale, critica dell'apparenza, l'intelletto c la ragione si trovano privati di quell'impero metafisica sul quale avevano orgogliosamente dominato. Si schiude loro il mondo della libertà morale, ma è un mondo da farsi, una conquista continua. Naturalmente l'uomo non è un essere morale. La pagina kantiana è umile; nulla è tanto estraneo a Kant quanto le magnifiche sorti e progressive. Dopo Kant non ci sarà dato facilmente di ritrovare questo senso di impotenza e di povertà che silenziosamente percorre, come altri ha scritto 9, non potenziato dal fiato di false divinità, tutta la sua opera: in polemica implacabile con l'ottimismo illuministico, essa ha a suo ulti• A.
MASSOLO,
Introduzione all"analitica kantiana, ciL, p. 48.
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Dialettica tra l'essere finito dell'uomo e la sua libertà
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mo fondamento una concezione sanamente pessimistica dell'uomo. Non c'è conoscenza infinita, non c'è dio, non c'è libertà co~ me qualcosa di dato. Il solo dato è l'essere dell'uomo nel mondo, in un mondo che ha un senso, se c'è l'uomo: ma questo senso deve essere scoperto. Questo spiega una certa fortuna di Kanf' nell'esistenzialismo, almeno nella sua parte più seria 10 • Riprendiamo e approfondiamo i temi della conoscenza, del sapere e della libertà, motori c oggetti della dialettica. Come è noto, su di essi è stato scritto praticamente tutto perché intorno ad essi si è svolto fino ai nostri giorni il dibattito delle filosofie postkantiane maggiori e minori e della cultura in generale. Ci sembra opportuno riportare la pagina di un filosofo contemporanco, che coglie il senso della problcmatica kantiana come si è cercato di delinearla nelle pagine precedenti: " Ogni conoscenza di ogni dato è condizionata e mediata; il sapere della libertà e del dovere è immediato e incondizionato. Così nasce questa nuova e doppia dialettica: come è possibile l'incondizionatczza della libertà in un mondo che non è mondo, se non in forza delle leggi determinanti e deterministiche della natura? E come può avere un senso la vita dell'uomo, se questo senso è dato dalla libertà e se nello stesso tempo la libertà non trova posto nel mondo? ... In generale Kant dirà: alla prima domanda basta rispondere che il problema stesso è dialettico in quanto vi si richiede una soluzione che va al di là dei limiti dell'uso empirico della ragione; l'incondizionato non è nel mondo, è il fondamento del mondo, e il mondo non può nulla contro di esso, non più di quanto l'incondizionato possa contro il mondo: la distinzione della conoscenza c del sapere, del relativo e dell'assoluto, è sufficiente per superare una difficoltà che si fa invincibile solo a partire dal momento in cui i due piani siano confusi. Quanto alla seconda domanda, la soluzione è positiva e non sta in una dissoluzione del problema: poiché (e in quanto) la ragione cerca l'assoluto, ma evita di collocarlo all'interno del mondo, le è perfettamente lecito credere in ciò che non potrebbe essere né confermato né infirmato da una conoscenza condizionata. Dio, la libertà, l'immortalità dell'anima, fino a che non saranno poste come ipostasi, non saranno introdotte nella esperienza in forma di forze agenti o di entità esistenti, sono i legittimi oggetti 10 In generale si veda L. PAREYSON, Studi sull'esistenzialismo, Firenze 1942 (recentemente ristampata e ampliata) e, tematicamente, di A. MAssoLO, i saggi e le note su Husserl, Heidegger, Jaspers e Kant in Logica hegcliana e filosofia contemporanea, Firenze 1967.
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della fede filosofica, consolazione e speranza del pensatore, il quale sa bene di non aver il diritto di fondare su di essi la morale, ma si è convinto della legittimità della sua speranza in una giustizia trascendente che indirizza il mondo secondo la volontà pura dell'universale e che ricompensa le intenzioni di quella coscienza morale che determina le proprie massime secondo la legge dell'universalità. Alla dialettica oggettiva della soggettività si sovrappone (poiché è fondata sulla prima) una dialettica oggettiva che si svolge tra la soggettività e il mondo da essa costituito, mondo del quale tenterà sempre di dimenticare la costituzione fondata sulla soggettività" 11 •
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E.
WEIL,
Pensiero dia/ellico e politica, in Filosofia e politica, Firen·
ze 1965, pp. 27-28.
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7. Da Kant a Hegel: ragione, storia, dialettica
7.1. Il dibattito sulla dialettica trascendentale kantiana La storia della filosofia dopo Kant può essere intesa, e lo è stata di fatto 1, come una storia della filosofia kantiana. Indipendentemente dai risultati e dalle interpretazioni dei singoli storici della filosofia non c'è ombra di dubbio che i grandi, anzi i grandissimi dell'idealismo tedesco (Fichte e Schelling) come, a maggior ragione, i cosiddetti minori (Reinhold, Jacobi, ecc., e lo stesso Schopcn.haucr) scrivono le loro opere più importanti e significative come risposta ai problemi che la filosofia di Kant aveva imposto al loro tempo. Non possiamo soffermarci su questo punto. Tuttavia, per esemplificare, ci permettiamo di affermare che il tardo idealismo religioso di Fichte come la filosofia della natura c della mitologia di Schelling, per quanto grande possa essere il loro peso nelle vicende culturali dell'epoca, restano accadimenti quasi insignificanti per il dcsti"no della filosofia dopo Kant. Oppure agiscono come semplici punti di riferimento storico (è il caso del cosiddetto secondo Schelling, appunto, con. i suoi motivi esistenzialistici) 2 • Lo stesso Hegel, che, a sentire i suoi compagni di studio, forse un po' maliziosi, non dedicava molte ore ai filosofi e preferiva leggere Shakespeare, Tucidide e i tragici greci, cominciò come kantiano commentando la Metafisica dei costumi e scrivendo una Vita di Gesù ispirata alla morale di Kant; e quando, più che tren.terme, si presenta al pubblico con il celebre saggio sulla Differenza dei sistemi filosofici di Fichte e di Schel1 Questa affermazione va intesa in senso stretto e quindi cade fuori di essa la cosiddetta storiografia idealistica e neohegeliana: Kroner per esempio e i nostri Croce, Gentile e De Ruggiero. 2 Su questo punto e per una interpretazione non idealistica dell'età kantiana cd hegeliana si veda K. LOWITH, Da Hegel a Nietzsche, trad. it., Torino 1949.
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Da Kant a Hcgcl
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/ing in rapporto ai contributi di Reinhold per una p1u semplice comprensione d'insieme dello stato della filosofia agli inizi del X I X secolo (180 l), Kant è ancora il suo nume tutelare. La Critica della ragion pura è al centro del dibattito, esplicitamente, c basterebbe citare i titoli delle opere di Reinhold, Jacobì, Maimon, del primo Fichte e del giovane Schclling. Tmplìcitamente (e si tratta di una storia ancora tutta da scrivere - o da riscrivcrc leggendo Hcgcl), la Dialettica trascendentale è al centro del dibattito sulla Critica della ragion pura. E questo per due motivi. In primo luogo: abbiamo notato la presenza, nella Dialettica trascendentale, di una serie di tesi, di una vera e propria storia della tì.losofia sui generis. È un sorprendente ritorno di Aristotele, è una interpretazione profonda della dialettica aristotelica, ignorata dalla storiogralìa. Nonostante la diversità della situazione storica c della impostazione filosofica dei problemi, resta il fatto, fondamentale, che per Kant, come per Aristotele, oggetto della dialettica non sono le cose, ma le opinioni sulle cose, c queste opinioni, inoltre, possono determinarsi come ragioni contrapposte. Posta, dunque, una certa identificazione, in Kant come in Aristotele, di dialettica e storia della filosofia, la distinzione comincia a partire dal fatto che nella dialettica kantiana le tesi sono riconosciute come necessitate da una situazione umana: la ragione esposta all'errore dell'illusione; in Aristotele, invece, sono lasciate nella loro assoluta contingenza. Quindi quella dialettica o topica o dibattito sulle tesi correnti che in Aristotele rappresentava la propedeutica al filosofare, rientra con Kant nel sistema, giustificato dalla struttura stessa della ragione dell'uomo. ·Va sottolineato: l'esame dei sistemi e delle tesi avviene come se non avessero dimensione temporale; senza contingenza né arbitrarietà alcuna esse costituiscono le tappe, non cronologiche, della storia necessaria della ragione (una storia filosofica ancora più astratta di quella aristotelica). E in questa sua necessità la ragione, lo abbiamo visto, manifesta una sua struttura: l'antitesi, la contraddizione. Non poteva sfuggire a H egei: " Kant pose la dialettica più in alto, ed è questo uno dei suoi meriti maggiori. Egli le tolse quell'apparenza di arbitrio, che ha secondo l'ordinario modo di rappresentarsela, e la mostrò come un'opera necessaria della ragione ... l'idea generale, che Kant pose per base e fece valere, è l'oggettività dell'apparenza, e la necessità della contraddizione appartenente alla natura delle determinazioni del pensiero... " 3• Questo fatto resti qui soltanto accennato: esso è appunto ' Ho seguito, talvolta parafrasandole, alcune pagine del saggio, fonda-
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Il dibattito sulla dialettica trascendentale kantiana
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il problema òeila filosofia dopo Kant. Come avviene che la ragione umana, nell'esame al quale sottopone se stessa, si manifesti come contraddizione e antitesi? Come nasce l'antitesi nei discorsi sulle cose? La dialettica, soggettiva, della ragione, costitutiva della filosofia, non sarà essa il fondamento di una dialettica oggettiva intesa sia come dialettica oggettiva della soggettività (razionale) sia come dialettica della realtà? Già questo interrogativo, presente ai contemporanei, indica come la filosofia critica non potèsse essere mantenuta nel suo equilibrio e come di fatto trascendesse il pensiero dello stesso Kant. Una dinamica a sua volta inevitabile, della quale non potevano essere responsabili né Kant né i suoi interpreti. Il sistema aveva prodotto i suoi effetti sul tempo e il tempo rispondeva con altre interrogazioni facendo violenza al sistema. In secondo luogo: la Critica della ragion pura apparve immediatamente ai contemporanei - ben più dotati e culturalmente più sensibili degli storici della fìlosofia loro successori - un edificio imponente, ma fragile. Le contraddizioni (ne abbiamo qui sopra indicata soltanto una, sia pure importante) sulle quali si reggeva, risultavano composte c in equilibrio, ma solo all'interno della filosofia kantiana: non potevano resistere all'interpretazione. Sensibilità (reccttiva) e intelletto (spontaneo), intelletto come facoltà dell'unità di un molteplice (sensibile) e ragione come facoltà dell'unità incondizionata, fenomeni come oggetto di conoscenza e noumeni come pensabili, la materia della sensibilità come dato non deducibile c le rappresentazioni (intuizioni, concetti, idee) come costruzione dell'attività conoscitiva umana, !'io penso come coscienza di sé, unità sintetica originaria, e l'uso meramentc empirico dell'intelletto, il realismo delle cose nello spazio e l'idealismo delle rappresentazioni, l'esistenza della materia accanto alla semplice coscienza di sé e l'idealismo della coscienza di sé rappresentante e unificante - contraddizioni sostanzialmente riconducibili ad una sola, cioè a quella, dichiarata dallo stesso Kant e già ticordata: " l'idealista trascendentale può essere un realista empirico, e, come si dice, un dualista" (p. 674), cioè l'ammissione, grosso modo, della coesistenza o non coesistenza nella Critica di due sistemi contrapposti. È la celebre interpretazione di Jacobi, che Fichtc farà propria, c che sì legge formulata comentale, di A. MASSOLO, Per una le/tura della 'Filosofia della storia' di llege/, in La storia della filosofìa come prohlema, Firenze 1967, pp. 171 sgg. La citazione hegeliana è tratta dalla Scienza della logica, trad it. di A. Moni, Bari 1968, vol. r, pp. 38-39 (i corsivi sono di Hegel).
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Da Kant a Hegel
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sì: " come è possibile accordare la presupposizione di oggetti esercitanti una impressione sui nostri sensi e in tal modo suscitanti una rappresentazione, con una dottrina che vuol mettere nel nulla tutti i fondanienti su cui questa prcsupposizione si fonda? " 4• Ma Fichtc andava oltre, esponendo il vero idealismo, cioè quel punto di vista trascendentale e speculativo dal quale il filosofo può osservare la deduzione che la coscienza empirica compie del proprio sistema del mondo 5• Non già, dunque, due sistemi contrapposti: la loro coesistenza ha un senso perché Kant avrebbe prefigurato l'idealismo come giustificazione del realismo. Di qui quella dialettica fichtiana di io e non io, di tesi, antitesi c sintesi, dalla quale avrà inizio una lunga evoluzione composta o conclusa da Hegel. Ma potremmo aggiungere una terza motivazione, che è poi alla base delle considerazioni precedenti. La filosofia kantiana è in quegli anni al centro di· un grande dibattito non soltanto per la sua potenza speculativa, ma soprattutto perché " i contemporanei ne avevano immediatamente avvertito l'interesse pratico-politico " 6• Essi penetravano facilmente nello spirito del sistema perché si servivano non soltanto delle grandi opere sistematiche, ma anche di quegli scritti cosiddetti minori, che poi per molto tempo sono stati ingiustamente trascurati. Basterebbe rileggere i due brevi saggi del 1784 e 1791: Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo (Aufklarung)? e Dell'insuccesso di ogni tentativo di teodicea, " per renderei consapevoli della facilità, per un suo contemporaneo, di cogliere il significato della sua Critica in funzione e a servizio della instaurazionc dell'uomo ". Proprio nell'interpretazione del'IIluminismo come " uscita dell'uomo da uno stato di minorità che egli non può che imputare a se stesso ", emerge la figura del criticismo "teso a garantire all'uomo non solo una realtà non ostile c non radicalmente estranea ma anche la possibili' Sull'idealismo trascendemale (1787), trad. it. a cura di N. Bobbio, in « Rivista di filosofia»; 1948, n. 3, p. 256. 5 È il tema dell'opuscolo fìchtiano: Seconda introduzione alla Dottrina
della scienza (1797), uno degli scritti, cosiddetti minori, con i quali Fichte, insieme a Schelling, partecipava fra il 1794 e il 1798 (anni in cui cadono le due maggiori esposizioni della Dottrina della scienza) al dibattito sulla filosofia kantiana. C'è una traduzione italiana con commento a cura di Massolo, pubblicata per gli studenti a Urbino, 1948, ora fuori commercio. Cfr. A MAssoLO, Il primo Schelling, Firenze 1953, Introduzione, partic. pp. 11-12. • A. MASSOLO, Sche/ling e l'idea/isn10 tedesco, in La storia della filosofia come problema, cit, p. 132. Da questo saggio sono tratte le altre citazioni che seguono.
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tà di essere un costruttore del proprio destino ". Proprio questo è il problema che troviamo al centro del dibattito, cioè come possa conciliarsi questa direzione del suo pensiero con la tesi secondo la quale all'uomo non è dato trascendere tutti quei dualismi, tecrizzati in ultima istanza dall'esposizione dell'uomo al nulla dell'illusione trascendentale, e ancora la contraddizione di una filosofia che voleva porsi come sistema stesso della libertà e che al tempo stesso denunciava l'impossibilità storica dell'uomo di porsi come uomo totale.
7.2. Fichte e Schelling oltre e contro Karit Per quanto la discussione sia fittissima, interessante e di grande levatura gli interventi e le repliche (libri, recensioni, opuscoli, giornali, fogli ufficiali, firmati o anonimi: non dimentichiamo che si va preparando quella che pochi anni dopo verrà definita l'epoca, l'età d'oro della filosofia, e in un certo senso, a ricostruirla oggi, vi siamo già immersi in pieno), non terremo conto dei cosiddetti postkantiani, cioè di coloro che, in definitiva, videro soltanto la contraddizione propria di un sistema e non della situazione, e credettero pertanto di eliminarla mediante una revisione del sistema stesso. Lo spirito del tempo è colto bene da Regel, giovanissimo, in una lettera a Schelling del gennaio 1795. Schelling non si dava ragione né pace della " miseria " dei professori di filosofia di Ttibingen che fraintendevano Kant, non capivano il primato della ragione pratica e della libertà e Io adattavano ad una nuova teologia con i suoi vecchi interessi di sempre. " Ciò che tu mi dici ", scrive Hcgel, " sulla filosofia di Tlibingen, non ha niente di straordinario. Non si può distruggere l'ortodossia sino a che la sua professione, legata ad interessi secolari, è inserita nello Stato. Questo interesse è troppo forte ". Hegel aveva capito l'impossibilità di rispondere a quella difficoltà rimanendo sul piano meramente filosofico e l'aveva riportata, quindi, sul suo piano vero, che è appunto quello praticopolitico. Di questi esempi non sapremmo trovarne molti. Gli stessi Fichte e Schelling, Schelling soprattutto, sfuggiranno ben ' presto al piano pratico-politico, rinunceranno a capirlo, ad esseme capiti. Vediamo allora Fichte. Con il nome di dialettica fichtiana si intende l'esposizione dei principi nella Dottrina della scienza del
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Da Kant a Hegcl
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1794, che si chiama propriamente Grundlage der Wis.\emchaftslehre. Fichte ha iniziato la sua ricerca prima della Critica del giudizio ed egli appare dominato dal primàto kantiano della ragion pratica. La ragion pratica dovrà costituire quel fondamento sul quale innalzare l'edificio solido, chiaro e coerente della filosofia: presupposto, e risultato, di questa filosofia è la reale possibilità dell'uomo di liberarsi da una situazione. Abbiamo indicato le caratteristiche dell'uomo, in Kant, lacerato dai dualismi. Poiché ne ignora la genesi, secondo Fichte, egli 11011 può libcrarsene: un passaggio che Kant, come abbiamo visto, non intendeva compiere per rimanere fedele alla sua immagine (settecentesca) dell'uomo. La vita, la volontà sono l'oggetto della Dottrina della scienza, c Fichte teorizzcrà la volontà di agire come sforzo infinito c questo come l'unica seria possibilità d'intendere il reale. Non c'è dubbio: sollecitato da Kant egli lo interpreta c ne elistrugge il sistema: vi abbiamo fatto cenno, non è possibile comporre le contraddizioni della filosofia e dell'uomo kantiani restando all'interno del suo sistema. Altri tempi corrono. L'8 gennaio 1800 Fichtc scrive a Rcinhold: " Il mio sistema dal principio alla fìne nient'altro è che l'analisi del concetto della libertà". Ma la libertà di cui parla Fichte non è un dato né psicologico né speculativo, ma è il segno, il fermento dci tempi nuovi, la libertà civile e politica affermata dalla Rivoluzione francese. Fin dall'aprile 1795 egli aveva scritto allo svizzero Baggesen queste parole che fanno da contrappunto a quelle che abbiamo sopra riportato di Hegel: " Il mio sistema è il primo sistema della libertà. Come la nazione francese ha liberato l'umanità da catene materiali, il mio sistema la libera dal giogo delle cose in sé e i suoi principi fondamentali fanno dell'uomo un essere autonomo. La Dottrina della scienza è nata nel corso degli anni in cui la nazione francese, a forza di energia, faceva trionfare la libertà politica; è nata in seguito ad una lotta intima con me stesso e contro tutti i pregiudizi ancorati in me, e proprio questa conquista ha contribuito a far nascere la Dottrina della scienza. Debho al valore della nazione francese di essere stato sollevato ancora piì1 in alto, di aver stimolato in me l'energia necessaria per comprendere quelle idee. Mentre scrivevo un'opera sulla Rivoluzione, i primi segni, i primi presentimenti del mio sistema sorsero in me come una specie di ricompensa " 7 • ' L'edizione migliore delle lettere di Fichte, delle quali purtroppo non c'è una traduzione italiana, è quella a cma di H. Schulz, Fichtes Briefwechse/, Leipzig 1925, in due volumi. L'opera sull~ Rivoluzione francese alla quale Fichte allude è Contributo per relli(icare il giudizio del p11bblico
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È giusto, dunque, affermare ·che Fichte, per primo, avrebbe constatato che la genesi, il fulcro della dialettica, in quanto movimento reale, risiede nella società 8• È ancora più giusto osservare che, proprio perché vera la constatazione precedente, non c'è in Fichte una teoria ddla dialettica, una riflessione sulla dialettica: con Fichte, per primo, la dialettica non è altro dal movimento della realtà; la realtà, non il pensiero, è dialettica oppure il pensiero è dialettico in quanto pensa la realtà: ma la realtà- questo il limite di Fichte - è l'Io. Solo con Hegel questo limite (letteralmente, cioè questa visione parziale della realtà) verrà superato. Una volta indicate le caratteristiche fondamentali, non ha interesse esporre nei particolari la filosofia, cioè la dialettica, fichtiana, esposizione facilmente reperibile presso i migliori interpreti e in qualche buon manuale 9• Limitiamoci a presentare lo schema contenuto nei tre principi fondamentali della Dottrina della scienza, la posizione dell'lo, la posizione del Non-io e la conquista o superamento del Non-io da parte dell'Io. L'Io agente è il fondamento di questa costruzione o produzione che non presuppone altro che l'Io: l'Io realizza se stesso mediante un atto libero, nel senso più forte del termine; la sua libertà è, infatti, anche un atto di autolimitazione: il Non-io è opposto all'Io dallo stesso Io in modo da avere quel contenuto che altrimenti gli mancherebbe. Il compito dell'Io - l'azione, il suo manifestarsi come volontà - e il suo contenuto coincidono. Da quello sdoppiamento l'Io procederà, ritornerà verso l'unità, che sarà una· nuova unità, superiore, concreta, di se stesso e del suo altro. Questo movimento, questa dialettica è estremamente complessa. Teniamo presente almeno che l'Io di cui parla Fichte non è l'Io individuale o della coscienza individuale e neppure un ipotetico Io dell'umanità. B un'astrazione, un lo puro (un termine che diventerà tecnico, anche nella filosofia italiana, soprattutto in. Gentile), nel quale non è possibile isolare il consapevole dall'inconsapevole, il finito dall'infinito, l'Io teorico dall'Io pratico, l'Io che agisce e produce c l'Io che osserva l'azione, la costruzione, e la descrive -l'Io del filosofo, insomma: il solo che può ricostruire e restituire quel fatto che è l'azione (Thathandlung in tedesco, che
sulla rivoluzione francese, 1793, ora in J.A. FrcHTE, Sulla Rivoluzione francese a cura di V.E. Alfieri, Bari 1966. 8 Così G. GuRWITCH, Dialectique et socio/ogie, Paris 1962, p. 58. 9 Per esempio: M. GUEROULT, Evolution et structure de la Doctrine de la Science, Paris 1930; A. MAssoLO, Fichte e la filosofia, Firenze 1948; L. PAREYSON, Fichte, vol. I, Torino 1950 e P. SALVUCCI, Dialettica e immaginazione in Fichte, Urbino 1963.
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Da Kant a Hegel
è una parola doppia, difficilmente traducibile: That-Handlung, azione-atto), che precede ogni coscienza e la fa nascere, sia essa collettiva o individuale o ancora, come si verifica anche storicamente, le due insieme. Questa dialettica, questa costruzione dell'Io è apparsa a Fichte " una storia prammatica dello spirito umano " 10• Gli strumenti di cui si serve l'Io nel fare la storia e il filosofo nel descriverla sono l'intuizione e l'immaginazione. È frequente incontrare nelle pagine di Fichte questa espressione: " la sola intuizione possibile è l'intuizione di noi stessi nel compimento dell'azione o la certezza immediata della libertà della ThatHandlung ottenuta nell'azione ". Nasce qui quella terminologia dell'in-sé e del per-sé, che sarà poi di Hegcl: l'in-sé come il fatto dell'azione dell'Io (del suo prodursi e del suo sdoppiarsi nel Non-io) che non può non coincidere, per acquistare consapevolezza e storicità, con il per-sé, cioè con il punto di vista del filosofo che rappresenta e rende possibile quella consapevolezza stessa. È la dialettica della tesi, antitesi, sintesi, una dialettica non della riflessione come in Kan.t: la costruzione dell'Io c del suo mondo, cioè la società e la storia sono la dialettica stessa. Tuttavia, per usare un'espressione che sarà rivolta da Marx contro Hegcl, potremmo dire che da una parte, con Fichte, si fa strada quel concetto della dialettica che sarà hegeliano, ma, d'altra parte, il mondo fichtiano apparirà a Hegel un mondo rovesciato: il reale, la società e la storia, non possono reggersi sull'astrazione dell'Io; non l'Io, e la sua dialettica, ma la realtà, sociale e storica, è il primo. Solo questa realtà può essere dialettica, cioè concreta, in senso fichtiano. Non sapremmo dire se la dialettica fìchtiana nella sua prima formulazione (quella della Dottrina della scienza del 1794, la sola che abbiamo preso qui in considerazione e la sola veramente degna di rilievo) u, sia una dialettica soggettiva o oggettiva. Certo, come abbiamo tentato di dimostrare, l'Io puro come principio è A. MASSOLO, Il primo Schelling, cit., p. 12. In realtà abbiamo qui interpretato la Dottrina della scienza del 1794 alla luce dell'esposizione che Fichte fece della Dottrina della scienza nelle lezioni tenute a Jena nel semestre invernale 1798-99, pubblicate da Jacob: FICHTE, Nachgelassene Schri/ten, vol. n (solo apparso), Berlin 1937 (cfr. ora la traduzione italiana a cura di A. Cantoni: J.G. FICHTE, Teoria della scienza "nova methodo ", Milano-Varese 1959). La storia dell'evoluzione della Dottrina della scienza è estremamente complessa: in genere si prende come fondamentale e definitiva (il che è contestabile, anche metodologicamente) la Dottrina della scienza del 1794 (trad. it. presso Laterza). 10 11
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ad un tempo soggettivo-oggettivo e il sistema che ne risulta sarà chiamato ideai-realismo 12• Ma se il principio è l'Io, l'atto, o, con un termine già in uso ma che diventerà tecnico solo con Schelling, l'Assoluto, rimane pur sempre soggettivo: la natura è un semplice oggetto della soggettività e la storia smarrisce ogni autonomia. Fiehte, infatti, studierà più in particolare i problemi del sentimento, della religione e della comunità storica, e li studierà proprio in dialogo o in polemica con Schelling. Fin dal principio (fin dalle sue opere del 1795: l'lo come principio della filosofia e Lettere sul dogmatismo e criticismo), Schelling aveva fatto valere una tesi più radicale: " l'uomo non è nato per la speculazione, ma per l'azione " (che è una tesi fkhtiana), ma nel senso che la filosofia non è teoria, ma oggetto della libertà 13 . Con questo Schclling intendeva affermare che il principio, l'Assoluto, unità del soggettivo e dell'oggettivo, è anche unità dello spirito e delta natura (comc verrà meglio precisando in opere successive, per esempio nelle Idee per una filosofia della natura del 1799), c che la tìlosofìa, se nasce c quando nasce, è una malattia, la nostalgia dello spirito stesso, mcmore di quella identità perduta, alla ricerca di una sua ricostruzione. Non è assolutamente possibile seguire Schelling lungo le infinite pagine delle sue meditazioni. Egli ha sempre pubblicato tutto ciò che pensava. Ha detto bene Hegel, nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia, che egli " ha compiuto la sua formazione filosofica al cospetto del pubblico. La serie dei suoi scritti filosofici è anche la storia della sua evoluzione speculativa " 14 • Schelling non ha svolto o costruito una forma particolare di dialettica. Egli ritiene di poter realizzare quella sintesi alla quale Fichte non. pervenne, di determinare l'identità' e la coincidenza del soggettivo e dell'oggettivo, conservando nello stesso tempo sia il principio della coscienza (l'Io) sia quello della natura (il Non-io). Su di lui agisce più direttamente la presenza della Critica del giudizio, una interpretazione del mondo dell'arte e della sua finalità: " la finali- . tà dell'arte mediante la quale l'uomo e la soggettività passano nella natura, e la finalità dell'organismo, nella quale la natura si manifesta alla soggettività come una specie di soggettività particola12 È la formula che usa Schelling, soprattutto per indicare la filosofia del suo Sistema dell'idealismo tra.w.:endentale (1800), contro Fichte. Cfr. le lettere Fichte·Schelling 1800- t 802, pubblicate in Appendice allo studio di A. MASSOLO, Il primo Schel/ing, cit. 13 A. MASSOLO, Schelling e l'idealismo tedesco, cit., p. 134. 14 G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, Firenze, 1944, vol. m, parte II, p. 376.
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Da Kant a Hegel
re -· questa doppia teleologia cesserà ora di appartenere alla sola riflessione, e ciò che in Kant fu giudizio sulla conoscenza diventerà conoscenza della realtà c nello stesso tempo contenuto di questa realtà: nella natura Io spirito va verso se stesso; nello spirito la natura si fa cosciente e si compie " 15•
7.3. Hegel contro Schelling. L'assoluto - realtà e ragione come storia Queste idee di Schelling, certamente fra le più geniali dell'epoca (anche perché investono campi da altri inesplorati come la filosofia della natura e le scienze naturali) non furono, però, mai da lui compiutamente elaborate. E anche questo è un segno dei tempi. Egli iniziò condizionato da Fichtc e da Kant (1794-95), tentò di intrecciare subito un dialogo con Fichte, che ha il suo punto culminante nello scambio epistolare del 1801-1802 16, una vera gigantomachia intellettuale, ma fu contemporaneamente investito dalle pubblicazioni di un Hegel che si atteggiava a schellinghiano, ma che in realtà aveva già intrapreso un suo proprio cammino: è lo H egei del 1801 -1802, dei saggi Fede e sapere e Differenza dei sistemi fichtiano e schellinghiano, che anticipano incredibilmente la Fenomenologia dello spirito c dove compaiono due tesi tipicamente anti-Schelling: il sapere filosofico, se è sapere, è totalità, quindi identità di riflessione e intuizione (cioè, più tardi, è la tesi del sapere come ragione che riflette sulla realtà che è data prima); e l'assoluto non è né soggettivo né oggettivo, ma unità dell'unità e della differenza, cioè l'assoluto non è né l'Io puro fichtiano né l'identità schellinghiana di spirito e natura, ma, se è possibile esprimersi così, quell'unità delle due posizioni che sola consente di cogliere, al suo interno, il movimento della storia. La posizione fichtiana viene da Hegcl, attraverso Schelling, rovesciata: la storia è l'Assoluto. Cioè, le differenze, le antitesi, sono la storia - l'assoluto rappresenta la possibilità di una loro comprensione, di una loro unificazione sul piano della ragione. :B la tesi della Fenomenologia: l'assoluto non è sostanza, ma soggetto; l'assoluto non è il primo, ma essenzialmente un risultato 17 • 15 E. W!òiL, Pensiero dialettico e politica, in Filosofia e politica, Firenze 1965, pp. 31-32. " Cfr. sopra nota 12. 17 Fenomenologia dello spirito, trad. it. a cura di E. De Negri, Firenze 1960, vol. 1, pp. 13 e 15.
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Hcgel contro Schelling
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Questa è la matrice speculativa della dialettica hegcliana. :B la sua prima formulazione. Anzi, la sua prima forma. Paradossalmente si potrebbe affermare che tutta la cosiddetta dialettica hegeliana sta in quelle due tesi anti-Schelling. La letteratura su questo punto è vastissima. Il punto di vista hegeliano è talmente semplice che merita di essere ancora una volta spiegato. E ricorreremo per questo a due delle sue immagini più correnti, banali, manualistiche. L'Assoluto (di Schelling) è come " la notte dove tutte le vacche sono nere " 18 : H egei polemizzava con il mondo notturno e lirico dci romantici di Jcna, ma intendeva soprattutto dire che nell'Assoluto come identità, appunto come nella notte, scompaiono e si annullano le differenze, cioè i vari aspetti della vita, le cose nella loro molteplicità e nel loro divenire, il mondo naturale e umano nelle loro contraddizioni, in una parola, la storia. L'Assoluto deve poter! a giustificare, spiegare o meglio comprendere, e allora non può essere che la storia stessa. Il filosofo c l'uomo comune, ciascuno secondo le sue possibilità c i propri concetti, debbono paterne discutere, parlarnc agli altri, comprenderla nonostante le sue infinite contraddizioni; e allora, grazie ad esse c all'infinità dei suoi aspetti, la storia, cioè la realtà, mostra di avere in sé un suo senso, una sua ragione: la storia è la ragione; ed è per questo che Hegel dice che l'Assoluto è soggetto e risultato: soggetto indica non il logico, il soggettivo, ma il movimento, lo sviluppo per forze proprie, perché così voleva la terminologia del suo tempo; risultato vuoi dire· che l'Assoluto, c la filosofia che ne è la comprensione, non è un primo, non sta all'inizio, non è il creatore della realtà, bensì è quel principio che la filosofia riconosce come tale, cioè principio, fondamento, proprio perché è apparso per ultimo, alla fine di una lunga evoluzione. Insomma, anche per Hegcl la filosofia è l'Assoluto, è il pensiero del mondo o, se si preferisce, il mondo pensato; ma, questo è più importante: " essa appare solo nell'epoca in cui la realtà effettuale [la realtà fatta dagli uomini] ha compiuto il suo processo eli formazione cd è bell'e fatta " (Prefazione alla Filosofia del diritto, 1821). Allora risulterà chiara anche l'altra posizione hegeliana, sull'intuizione di Schelling, paragonata ad un colpo di pistola. L'intuizione era per Schelling un perfezionamento di quella fichtiana, lo strumento per mezzo del quale l'Io potesse conoscere sé e la sua azione. Essa diventava in Schclling, come intuizione intellettuale, lo strumento principe della filosofia, il solo strumento che 18
Fenometwlogia delfo spirito, cit., p. 13.
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Da Kant a Regel
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consentisse al filosofo di poter cogliere (in senso platonico, cioè con un contatto immediato, quasi un vedere) l'Assoluto e il movimento delle cose nell'assoluto. L'intuizione non poteva quindi, così, rendere ragione di quelle infinite mediazioni attraverso le quali la realtà, le cose, la storia si compongono e si manifestano. Sostenendo le esigenze e le pretese della ragione che deve poter comprendere la realtà per il fatto stesso del suo esserci, e perché, se c'è, e può essere compresa, deve avere in sé qualcosa di ragionevole, Regcl, che pure polemizzò con Kant per tutto l'arco della sua vita, rende un omaggio a Kant: la ragione, non l'intuizione intellettuale, è lo strumento della conoscenza umana, e se la ragione riflette le contraddizioni della realtà, compito della ragione è soltanto quello di riconosecrle come proprie e di comprenderle. Al mondo notturno, schellinghiano e romantico, di un Assoluto nel quale scompaiono le differenze della storia e dove a tentoni si muove un uomo incerto dci propri strumenti conoscitivi qui egli può solo affidarsi all'arbitrio c al soggettivo di un'intuizione - Regel oppone il regno del giorno, della ragione che rende comprensibile all'uomo la ragionevolezza di se stesso e della sua storia. La storia, totalità e infinità di aspetti contrastanti come la vita, che ha nelle sue contraddizioni un suo senso, le sue ragioni, la sua verità, sia pure nascosta; la filosofia come unità, come coscienza del senso della storia, della ragione nella storia. Regel ha voluto comprendere, comprendere tutto: " c comprendere la verità totale nella sua unità: l'uomo in genere accetta (anche quando le nota) le contraddizioni dei discorsi e delle azioni, e si batte a favore della propria posizione; per Regel, invece, è la molteplicità di queste posizioni che costituisce un grande problema, il problema filosofico. Hegel vuoi essere filosofo. Ma essere filosofo non significa costruire un discorso coerente in più tra i molti altri discorsi coerenti, esplicativi, bensì comprendere la realtà una nell'unità della verità. Hcgel è il più sistematico dei filosofi, il più coscientemente sistematico. Tutto ciò che noi chiamiamo la verità ha per Regel un valore limitato, nessuna verità è la verità, e ogni verità particolare è anche falsa perché particolare. Senza dubbio vi sono verità incrollabili : nessuno metterà in dubbio che la battaglia di Isso è avvenuta nel 333 a.C. o che il peso molecolare dell'idrogeno è uguale a l; ma ,queste verità di fatto non hanno senso in sé: lo acquistano unicamente nel quadro della storia o in quello della scienza naturale, solo mediante concetti che organizzano i dati e li trasformano in fatti per la scienza. Ora: le verità concettuali, le sole che richie-
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La dialettica non è un metodo
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dono un senso, sì contraddicono, e nessun concetto sostiene se stesso: l'essere è essere in divenire, l'ordine, ordine di un disordine, la storia produce ciò che trascende il tempo, e l'eterno si rivela solo nella storia, la ragione è ragione dell'uomo appassionato. Ogni concetto, ogni verità, sono aspetti di una sola verità e realtà, ed ogni affermazione particolare diviene falsa quando, dimenticando che essa è soltanto un'astrazione c una delle considerazioni possibili e necessarie, esige che tutto si riduca ad essa. La verità è la struttura di tutte le verità, la struttura che le unisce, le pone in contatto e in contraddizione. Tale struttura però è quella della totalità: non una verità in più che si possa staccare o sottrarre: sarebbe altrettanto facile staccare dal corpo una parte che, accanto alle altre, ne rappresentasse l'organizzazione o il movimento. Hegel non vuole spiegare - c nulla è allo spirito umano più naturale delle spiegazioni. Con ingenuità commovente ha ritenuto sufficiente dire agli uomini che il compito della filosofia consiste nel comprendere, comprendere la scienza, comprendere la politica, la religione, la poesia, e comprendere il tutto nella sua unità e a partire da tale unità, senza mai voler comprendere l'unità da un punto dì vista esterno o superiore o più profondo. Egli vuoi comprendere la ragione, come ragione, ma nella sua concreta esistenza, con quelle sue contraddizioni che sono tali solo in quanto ogni tesi particolare pretende di essere l'intero della verità, ogni aspetto della realtà si pone come la realtà e si crede la realtà. La realtà è l'unità delle contraddizioni. II frutto è in contraddizione con il fiore perché è la morte del fiore, ma soltanto l'insieme del frutto e del fiore costituisce l'organismo vivente.
7.4. La dialettica non è un metodo " Questa è la cosidde{ia dialettica. Dialettica è unicamente la realtà che comprende se stessa. Misticismo? Lo si è detto spesso e Io si ripeterà sempre. La tentazione infatti è grande: basta considerare questa dialettica come un metodo, come un'astuzia del filosofo, un'invenzione, e subito si scopre il suo limitato valore rispetto ai metodi della scienza, della logica formale, dell'analisi attenta e prudente. Ma la dialettica non. è un metodo, il mondo non è il suo oggetto: essa è il mondo nel suo presentarsi nel discorso. In rapporto al mondo l'uomo non è l'altro, uno straniero in cerca di un accesso impossibile; non. è un fotografo che riprende ciò che gli sta sotto gli occhi. L'uomo è al centro della realtà,
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Da Kant a Hegcl
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nella realtà, è parte della realtà stessa; c il filosofo, che vuole comprendere, sa che la visione della totalità non è altro che la totalità degli aspetti della realtà: egli li sviluppa prendendoli sul serio, letteralmente, nel loro presentarsi - la contraddizione generata dai diversi aspetti della realtà resiste sino a quando si accettano alloro livello. Ma l'opposizione non è assoluta. Né la filosofia la annienta. Per la filosofia essa appare come opposizione di ciò che da ultimo è uno. C'è un presupposto comune, infatti, comune a tutte le posizioni: l'uomo può parlare della realtà, e la realtà si manifesta nel discorso degli uomini. Discorsi ragionevoli, almeno nel senso che non sono in contraddizione assoluta con la realtà: se non fosse così l'uomo non avrebbe più possibilità di inserirsi nella realtà - ne morirebbe e con la sua morte finirebbe l'umanità. Anche la realtà, dunque, è razionale. Non come l'uomo che, ragionevole (parzialmente), ne è inoltre cosciente, ma perché accessibile al pensiero e al discorso, perché genera discorso, che è quel discorso dell'uomo reale. La realtà ha una struttura: il reale è ragionevole, il ragionevole è reale. La dichiarazione hegeliana ha sorpreso; ma questa meraviglia è ancor più sorprendente, poiché nessuno ha mai dubitato della natura come insieme di leggi, della regolarità naturale, della descrizione ragionevole e razionale che può ordinare i fenomeni. L'uomo pub parlare di cib che è perché ne fa parte: ne rappresenta il linguaggio. Ma la manifestazione non si manifesta in un discorso unico. L'uomo non è puro spirito, sopra o fuori della natura. Parla perché agisce e agisce perché parla. Agisce e pensa insomma perché dispone di una piccola parola: no. L'uomo è nella natura. Ma non è natura come il minerale e l'animale: è scontento, insoddisfatto di ciò che è, e nel suo discorso parla di ciò che non è, di ciò che egli vuole introdurre nell'essere. In principio è la contraddizione. " La dialettica non è dunque altro che il movimento incessante tra il discorso che è azione e la rivelazione della realtà in questo discorso e in questa azione. La dialettica è questo movimento, non una costruzione dello spirito. Proprio perciò la dialettica finisce per sapere che essa è totalità non contraddittoria delle contraddizioni. Finisce per saperlo, c il suo sapere è il suo prodotto, il prodotto delia storia reale dove l'uomo ha agito, parlato, trasformato il mondo e se stesso con la parola e con la sua opera. Il discorso nella sua storia, nel suo farsi reale, è pervenuto al punto in cui non soltanto comprende ogni cosa, ma comprende anche se stesso. L'uomo può volgersi al passato, al cammino percorso, riconoscersi in ciò che nel mondo fu compiuto. La storia ha un senso. Non perché una Ragione, con lettera maiuscola, an-
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La dialettica non è un metodo
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teriore al tempo c alla storia ne avrebbe predeterminato senso e significato: è l'uomo invece che pensando e agendo col suo lavoro, ha dato un senso al mondo, sua attuale dimora. Solo l'uomo ha dato un senso a ciò che è stato prima di pervenire a quel punto di vista, dove il senso è divenuto comprensibile, ed è compreso infatti, e da dove tutto appare, com'è giusto e necessario, preparazione del risultato. Questo è la storia: n.egatività e discorso, e realizzazione del senso del no della parola e dell'azione. Comprendere significa comprendere ciò che è divenuto a partire dalla storia o meglio nella storia. La filosofia è innanzitutto comprensione del suo stesso divenire, del suo essere-divenuto " 19• Abbiamo riportato questa lunga citazione perché questa pagina ci sembra cogliere, più di un lungo commento, il senso e lo spirito della dialettica hegeliana. Allo stato attuale degli studi c della storiografia, c tenendo conto dell'interpretazione di Marx, che fu uno dei pochi a comprendere a fondo Hegel in tutto il corso del XIX secolo, non è più possibile tentare di ricostruire sui testi quella " figura " o quel " sistema " della dialettica, ai quali Hegel non pensò mai. B bene chiarire subito che la distinzione tra il metodo hegeliano, dialettico e quindi corretto, progressivo, storicistico, antimetafisico e aperto, " rivoluzionario ", e il sistema, conservatore, metafisica, chiuso e antistoricistico, distinzione che risale a Marx e Engels, voleva avere un valore critico c interpretativo: i due pensatori erano ben consapevoli che metodo e sistema in Hegcl fanno tutt'uno, e lo sapevano tanto bene, e compresero Hegcl così a fondo che accettarono il metodo hegeliano soltanto per rovesciarlo, per restituire alla storia l'immagine di un uomo che camminasse sulle gambe. 1:. un fatto storico. Chi non ha compreso Hegel o lo ha rifiutato, come Kicrkegaard, o ne ha tratto una scolastica come i teologi della destra hegeliana; chi lo ha capito, come Marx, non ha potuto che rovesciare il sistema. È questa una tesi, un risultato fondamentale del pensiero hegeliano che percorre tutto l'arco della sua meditazione: il sistema, cioè la filosofia e il suo metodo, è una presa di coscienza della realtà; questo intervento modifica la realtà c il sapere stesso che ne prende coscienza fino a scuotere e a spezzare il sistema che la rende possibile. Questa è la dialettica. Ed è la dialettica della realtà, che nel sistema hegcliano, pur sempre un sistema c quindi chiuso, risultava rovesciata, perché si fondava sulla coscienza, sul pensie,. E. WEIL, Jfegel, trad. it. con alcune pagine inedite a cura di Livio Sichirollo, Urbino 1962, pp. 13 sgg.
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Da Kant a Hegcl
ro e non sulla realtà. Marx rifiuta o meglio rovescia il sistema hegeliano proprio perché comprende il risultato di quel sistema: la realtà può essere modificata, trasformata - ma a partire dalla realtà. Ma non anticipiamo. Limitiamoci per ora a queste osservazioni, e ripetiamo ancora una volta che per tutti questi motivi è arbitrario racchiudere in una formula una definizione della dialettica. Teniamo presente che questa pretesa definizione nei testi hegeliani non c'è come risulta anche da un lessico della terminologia hegeliana 20 • Se mai, come esemplificazione o per tentare di cogliere lo spirito di ciò che intende Hegel con quel termine, si può riflettere sù questa affermazione e considerarla una definizione indiretta della dialettica: " compito della filosofia e della scienza è rendere fluidi i rigidi concetti, i duri pensieri (die festen Gedanken) " 21 • Ed è interessante notare che Hegel aveva individuato in Platone questo compito della filosofia c lo considerava appunto un merito immortale del suo pensiero (come si può rilevare dal capitolo dedicato a Platone e alla dialettica nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia). Non la dialettica come scienza o intuizione lo aveva affascinato nei dialoghi platonici, ma il movimento stesso dei concetti, le loro contraddizioni come movimento e contraddizione della realtà. Se la dialettica sia o no un metodo o anche semplicemente il metodo è, dunque, in Hegel, un falso problema. Molta parte della filosofia dell'Ottocento, e anche del Novecento, se ne occupò. Basterà ricordare Croce e Gentile. Essi parlarono e scrissero di una " riforma " della dialettica hegeliana come se un sistema filosofico fosse un fenomeno astratto dalla realtà, un immaginario mosaico che potesse essere restaurato. Proprio per questo non ci occuperemo di loro.
7.5. Dialettica è la realtà effettuale, la storia Vediamo, invece, i pochi passi nei quali Hegcl spiega che cosa intende per dialettica. Non è un caso che egli se ne occupi nella Enciclopedia delle scienze filosofiche (1817), la sola opera che contenga per intero una esposizione del sistema. E non è un caso che in quest'opera egli se ne occupi alla fine di una parte ìntro20 H. GLOCKNER, Het:el-Lexikon, 4 voli. presso Frommann di Stuttgart: fa parte di un'edizione delle opere di Hegel in 20 volumi. " Fenomenologia dello spirito, cit., vol. 1, p. 27.
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Dialettica è la realtà effettuale, la storia
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duttiva: infatti, si tratta di una chiarificazione a scopo didascalico, che cade sotto il titolo: " Concetto più pmiicolare e divisione della logica ". Teniamo ancora presente che la dialettica di cui Hegel parla in questi pochi paragrafi è uno dei momenti della logicità, cioè del movimento del pensiero, di quello stesso pensiero che riflette il movimento della realtà prendendone coscienza : si può quindi affermare, senza timore di far violenza al pensiero hcgcliano, che a questo movimento del pensiero corrisponde un movimento della c nella realtà (la realtà effettuale, come la chiama Hegel, la Wirklichkeit, la realtà storica come prodotto delle azioni e del pensiero degli uomini), c solo per comprendere, cioè per rendersi ragione di questo tipo di realtà, ha un senso quello che Hegel ci dice del movimento del pensiero. La logicità ha tre aspetti: "a) l'astratto o intellettuale; b) il dialettico o negativo razionale; c) lo speculativo o positivo razionale " 22 • Hegel aggiunge, per chiarire, che questi tre aspetti non sono tre parti della logica, ma tre momenti di ogni- atto logico reale, cioè di ogni concetto o di ogni verità in genere. Come sappiamo, il concetto e la verità hanno una loro realtà effettuale, storica, cioè sono da ritrovare nella storia e nella cultura degli uomini all'interno delle quali agisce il momento dialettico. Il loro movimento, le loro trasformazioni sono possibili grazie a questa considerazione della realtà, che è appunto dialettica. Infatti, con il termine intelletto Hegel intende il pensiero fermo c rigido in una sua posizione (Hegel dice determinazione), e nella differenza di questa posizione rispetto alle altre (§ 80): è come se una cosa, un fatto, un avvenimento venisse considerato a sé, in astratto, senza nessuna connessione con· le altre cose, fatti o avvenimenti. Questa connessione è possibile grazie al momento dialettico: " esso è il sopprimersi da sé di siffatte determinazioni finite e il loro passaggio nelle opposte" (§ 81). Il testo sembra difficile, ma non lo è se badiamo al senso delle parole e all'esempio che abbiamo fatto. Quella cosa, fatto o avvenimento, che abbiamo preteso di considerare a sé, come qualcosa di assoluto e di separato, quindi come un finito, come tale non può sussistere ed è incomprensibile: ogni cosa diviene, si trasforma, e così anche ogni fatto o avvenimento, che sono quello che sono e possiamo studiarli e parlarne e discuterne con gli altri proprio perché sono diventati 22 § 79. Seguiamo la traduzione di B. Croce, Bari 1963, che riproduce il testo della 2• ed. ampliata del 1827, in genere accolto come un testo definitivo. Per questa impostazione ed esposizione, cfr. J.N. FrNDLAY, Hegel oggi (1958), cap. 3, e la conferenza di E. WEIL, The Hegelian Dialectic (cfr. " Guida bibliografica ").
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quello che sono c non qualche cosa d'altro, cioè hanno soppresso e superato la propria astrazione c il loro essere finiti, evolvendosi. Lo schema del movimento interno della loro evoluzione è il loro porsi come qualcosa di opposto a se stessi. Non è possibile comprendere che cosa intenda Hegel per dialettica se non si arriva a capire la sua visione dinamica della realtà, che è poi una visione storica. Ma anche questa è una spiegazione inadeguata, perché non si tratta di vedere la .realtà dal di fuori, ma di comprenderla, nel suo movimento, dal suo interno. Hegel, infatti, commenta il § 81 e ci dice che la dialettica non è un'arte estrinseca che introduce nei concetti le contraddizioni: questa dialettica è quella dello scetticismo, "il quale contiene la mera negazione come risultato della dialettica". Essa è, invece, " la propria e vera natura delle cose e del finito in genere ", una " risoluzione immanente, nella quale la unilateralità e limitatezza delle detern1inazioni intellettuali si esprime come ciò che essa è, ossia come la sua negazione " - e non dimentichiamo che con determinazioni intellettuali Hegcl intende cose, concetti o fatti isolatamente considerati, cioè astratti. Egli conclude il commento affermando che la dialettica è l'anima motrice del progresso scientifico, il principio per cui la connessione immanente e la necessità (delle cose fra loro) entrano nel contenuto della scienza: e così si ha, dice Hegel, " la vera e non estrinseca elevazione sul finito". Qui Hegel parla della scienza, ma dobbiamo ricordare, comc abbiamo sottolineato, la connessione fra realtà e concetto o filosofia o scienza, cioè fra la realtà e la comprensione della realtà che è il principio fondamentale della filosofia hegeliana: noi parliamo di realtà perché c'è una realtà c perché possiamo comprenderla, e possiamo comprenderla solo a mezzo del pensiero e dei concetti. Senza questo principio non ci sarebbe per Hegel né realtà né concetti né linguaggio. Il terzo momento, speculativo o positivo razionale, è il momento dell'unità di quelle determinazioni finite, astratte, di cui abbiamo parlato, ma nella loro opposizione : " ed è ciò che vi ha di affermativo nella loro soluzione e nel loro trapasso " (§ 82). Qui H egel vuoi dire una cosa molto semplice : da una parte abbiamo le determinazioni finite, astratte, separate le une dalle altre, rigide neHe loro differenze, senza connessioni; talmente astratte c talmente sconnesse che equivalgono, dall'altra parte, al loro opposto nel senso che passano, si trasformano nel loro opposto - e il risultato di questo movimento sono le cose che ci stanno sotto gli occhi e gli avvenimenti dei quali possiamo parlare, _cioè le cose determinate, ma determinate come unità dell'uni-
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Il " mondo rovesciato " dell'uomo comune
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tà e della differenza: l'unità del loro esser poste per se stesse, nella loro separazione, e la differenza del loro essere in relazione, del loro non poter essere e non poter essere considerate come entità separate. L'unità, il positivo del risultato ·è una unità che c'è già, ma non dispiegata, non presente appunto come risultato. H egei dice nella Scienza della logica:." Su questo elemento dialettico... nel comprendere l'opposto nella sua unità, ossia il positivo nel negativo, consiste lo speculativo " 23 • Quindi, in· questa configurazione della dialettica emerge anche il concetto del '.' negativo del negativo " come caratteristica sua propria, e lo afferma esplicitamente Hegel in un'altra pagina della stessa opera, che vale anche come commento: " ... il negativo del negativo, al quale siamo giunti, è quel togliere della contraddizione; ma neppure esso, non meglio che la contraddizione, è l'opera di una riflessione esteriore, essendo anzi l'intimo, più oggettivo momento della vita e dello spirito ... " 24•
7.6. Il "mondo rovesciato" dell'uomo comune Hegel stesso cl spiega la formulazione del terzo momento nel commento al ~ 82. Egli -sottolinea il risultato positivo della dialettica, " perché essa ha un contenuto determinato o perché il suo verace risultato... è la negazione di certe determinazioni ". E aggiunge ancora, sul filo del ragionamento e degli esempi che abbiamo fin qui illustrato, una ulteri01.:e caratterizzazione di questo " razionale ", " positivo ", di questo " risultato ", che è poi la dialettica stessa: " Questo razionale è perciò, quantunque sia un qualcosa di pensato e di astratto, insieme qualcosa di concreto, perché non è unità semplice c formale, ma unità di determinazioni diverse ". Il testo non potrebbe essere più chiaro. Rovesciando il ragionamento hegeliano, ma, crediamo, nello spirito del suo filosofare, si potrebbe dire: la realtà è qualcosa in quanto viene pensata, e questo significa, ripetiamolo, il suo essere portata su quel piano dell'universalità che sola permette il linguaggio, la comunicazione e la comprensione. Certo, questa comprensione della realtà nel pensiero e come pensiero, può anche essere o apparire qualcosa di astratto. Questo avviene, però, quando si ha di mira il particolare, le cose o gruppi di cose considerate al di fuori " Scienza della logica, cit., vol. I, p. 39. " Scienza della logica, cit., vol. 11, p. 948.
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Da Kant a Begel
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delle loro connessioni: ed è, di fatto, il pensiero presente nelle operazioni delle scienze che procedono per astrazioni; ma è anche il pensiero dell'uomo comune, che compie, senza averne coscienza, tutta una serie di generalizzazioni e presenta quindi dci ragionamenti, astratti, che sono proprio il contrario del ragionamento filosofico che considera la realtà come unità e totalità. Hegel lo spiega molto bene in un piccolo saggio intitolato: Chi pensa in astratto? 25 Egli fa l'esempio di una serie di classificazionì, appunto astratte, tipiche dell'uomo comune o dello specialista che non hanno nulla di filosofico o meglio che rappresentano una filosofia rovesciata: un uomo che commette un delitto è per l'uomo comune, per l'avvocato, per il giudice che non tengono conto e non vogliono tener conto dell'intero contesto nel quale quell'avvenimento si è prodotto c della sua complessa genesi, un "assassino", non già quell'uomo particolare che ha commesso quel tal delitto. È, quindi, estremamente indicativo il nuovo significato che i termini -astratti e concreti assumono nella sua problcmatica. La coscienza comune tende a caricare di valore gli " astratti ", umanità per esempio, mentre considera poco nobili le determinazioni concrete o almeno prive di valore particolare. Hegcl fa proprio questo linguaggio e gli astratti sono numerosi nella sua pagina, ma egli capovolge questa scala di valori: l'astratto è per lui la vuota rappresentazione, l'assolutamente indeterminato, la forma concettuale " non sviluppata "; concreto è, invece, ciò che si è dispiegato fino a determinazioni singole, particolari, cioè il vero universale nella singolarità c della singolarità. L'essere, questo concetto antico, solenne, è astratto, è il concetto più povero, più vuoto; concrete sono le cose, la realtà, la storia. Concreto, reale è il razionale; l'astratto una semplice elaborazione dell'intelletto (della scienza o dell'uomo comune). "Ai non iniziati " egli scrive a Voss, il traduttore d'Omero, nel 1805 - cd è chiaro che intende riferirsi a coloro che non vogliono fare lo sforzo di avvicinarsi alla filosofia, alla ragione, alla comprensione razionale delle cose, c scambiano per filosofia i contenuti, i riassunti dci manuali, " ai non iniziati quel mondo deve, per il suo contenuto, inevitabilmente apparire come un mondo capovolto, perché in contraddizione con tutti i concetti a cui sono abituati e con quanto appariva ad essi come valido secondo il cosiddetto buon senso ". Invece, " capovolto " è il mondo delle loro astrazioni, non quello della filosofia che vuoi soltanto comprendere le cose come sono c come sono divenute. Insomma, Hcgel 25
Trad. it. in «Rinascita»,
XIV,
1957, n. 1-2, a cura di P. Togliatti.
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Il " mondo rovesciato " dell'uomo comune
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rovescia una lunga tradizione, o meglio l'interpretazione che è stata data della tradizione : l'uomo comune ritiene di pensare (o si ritiene che pensi), sia pure ingenuamente, le cose in modo concreto, per quello che sono; la scienza e a maggior ragione il filosofo compiono delle astrazioni e quindi ci presentano un mondo inventato, immaginario, che non sarebbe quello che noi abbiamo sotto gli occhi. " Nella vita ordinaria si chiama a casaccio realtà ogni capriccio, l'errore, e ciò che è su questa linea, come pure ogni qualsiasi difettiva c passeggera esistenza " (~. 6). Hegel dimostra che questo è un modo inadeguato di considerare la realtà e le cose; anzi, egli ritiene che proprio il mondo dell"uomo comune e dello scienziato è un mondo rovesciato; un mondo astrat.: to nel senso che è formato di cose particolari, separate le une dalle altre, immobili, cioè senza quelle relazioni reciproche che di fatto hanno, se sono cose c se possiamo parlarnc. Il problema non è se le cose stanno così o diversamente: che le cose stiano come dice Hegel lo dimostra semplicemente il fatto che ci sono c ne parliamo, e quindi hanno in sé. qualcosa di razionale. Il problema è che lo scienziato e l'uòmo comune non lo sanno e non possono sapcrlo. Solo la filosnfia, cioè la comprensione della realtà nella sua unità e totalità può comprenderlo; rovesciando il punto di vista particolare dello scienziato c dell'uomo comune, e rimettendo, quindi, il mondo sui piedi. A ben guardare, infatti, " anche per l'ordinario metodo di pensare un'esistenza accidentale non meriterà l'enfatico nome di reale: - l'accidcn.tale è un'esistenza che non ha altro maggior valore di un possibile che può non essere allo stesso modo che è " (ivi). Marx applicherà ad Hegel la stessa critica che Hegcl fa all'uomo comune: c sarà giusto, perché, come abbiamo accennato e come vedremo in seguito, per poter andare oltre Hegcl egli abbandona la filosofia di Hegcl, cioè la filosofia, c inizia dai bisogni degli uomini, dalla loro lotta per l'esistenza e dalla loro organizzazione nel lavoro. Ma questo è un altro discorso. Ora, sia chiaro: il concreto di cui parla Hegel, non è, dunque, neppure il punto di vista della filosofia e del filosofo, che sarebbe ancora una volta una "unità semplice e formale", cioè un'astrazione, il punto di vista di una scienza particolare, ma è quell'" unità di detenÙinazioni diverse ", quel risultino di un movimento interno al pensiero e alle cose, come abbiamo visto, che partendo dal loro semplice essere, attraverso una serie di negazioni e di fatto contraddizioni, ci consente di comprendere le cose per quello che sono, qualcosa di concreto e unitario, che è e non è, diviene quello che è e continuame.nte si trasforma. Questa è la realtà -
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o, che è lo stesso, la filosofia. Allora questa è la sola realtà che la filosofia (se è filosofia e non una qualsiasi scienza particolare) può e deve comprendere. Questa è la dialettica.
7. 7. Il razionale è reale, il reale razionale. " La dialettica non è semplice vanità o smania soggettiva " Ancora poche osservazioni sulla presentazione che abbiamo sin qui seguito, sulla pagina di Hegel, del suo concetto di dialettica. In primo luogo riteniamo di non aver più bisogno di spiegare, a questo punto, quale sia il vero significato dell'affermazione hegeliana " ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale " 26 • Ne sono state date, e ancora se ne leggono, interpretazioni tra le più fantastiche e arbitrarie. Non è questa la sede per discuterle. Se lo vorrà, il lettore che avrà scorso le nostre pagine può confrontare una qualsiasi monografia hegeliana o un manuale di storia della filosofia. Possiamo solo aggiungere che se al posto di razionale usiamo la parola ragionevole, che traduce meglio la parola tedesca verniinftig, ogni difficoltà o perplessità dovrebbero scomparire e il senso del nostro discorso dovrebbe essere chiaro: ragionevole è ciò che può e deve avere un senso, ciò che può e deve essere compreso, totalmente compreso, come unità delle e nelle sue contraddizioni. Razionale è, invece, più adeguato come traduzione di verstlindig, che indica invece un punto di vista più limitato, quelle operazioni della scienza che classificano e catalogano. Ora sappiamo che non è questa la realtà o la filosofia di cui · Hegel intende parlare: è una realtà, questa, non dialettica, senza dialettica. Ed ora comprendiamo anche che cosa Hegel potesse pensare delle costruzioni " dialettiche " di coloro che lo avevano preceduto, una concezione sostanzialmente scettica che manteneva distinte realtà e filosofia, cose c ragione. " Ordinariamente si prende la dialettica come un procedimento estrinseco c negativo, che non appartenga alla cosa stessa, ma abbia la sua radice nella semplice vanità, come smania soggettiva di dare il crollo e 26 Nella " Prefazione " ai Lineamenti di Filosofia del diritto, trad. it. a cura di Messineo, Bari 1954, p. 15. Cfr. Enciclopedia, cit., § 6, nota. Per comprendere il senso di " ragionevole " al posto di " razionale " si leggano gli scritti citati di ERIC WEIL, in particolare Filosofia e politica, cit., p. 35.
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Il razionale è reale, il reale razionale
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di distruggere tutto ciò che v'ha di stabile e vero " 27• Lo stabile e il vero è la realtà nel suo intero, ogni " effettuale " considerato come intero: la realtà che nel suo movimento si evolve c talvolta distrugge le forme, le culture, le istituzioni nelle quali si è manifestata. Hegel stesso aveva sentito, come hanno dimostrato i migliori interpreti contemporanei, la fine di un mondo, della·" vecchia vita", come soleva esprimersi, e l'incalzare di un'età nuova. Lo dice chiaramente in una delle ultime pagine delle Lezioni sulla storia della filosofia: " Sembra talvolta che lo spirito abbia dimenticato se stesso, si sia smarrito. Ma al suo interno, in opposizione con se stesso, esso è progresso interiore - come Amleto dice dello spirito di suo padre: Ben fatto, brava talpa! - fino a che, avendo acquistato forza in se stesso, solleva, per farla crollare, la crosta terrestre che lo separava dal suo sole, dal suo concetto. In tali epoche ha calzato gli stivali delle sette leghe; la crosta, un edificio senz'anima, roso dai tarli, crolla c lo spirito assume la forma di una nuova giovinezza " 28• Prima di Hegel, dunque, la dialettica come metodo che si applica dall'esterno alle cose. Solo con Kant prende forma quel nuovo concetto della dialettica che appartiene alla preistoria della dialettica hegeliana (cfr. sopra 7.1 e nota 3): "È da ritenersi per un passo infinitamente importante che la dialettica sia stata di nuovo riconosciuta come necessaria alla ragione, benché da ciò s'abbia a ricavare il risultato opposto a quello che ne venne fuori ... " 29 • Hcgcl intende qui riconoscere in Kant la necessità della contraddizione come appartenente alla natura e del pensiero e della realtà, una necessità che in Kant, come è noto, era soltanto formale, una caratteristica non delle cose, ma dei discorsi della ragione sulle cose (e, quindi, il motivo dei " limiti " della ragione). A questo proposito abbiamo analizzato con Hegel il movimento della ragione interno alla cosa, cioè il movimento della cosa come il suo essere stesso. Resta da aggiungere qualche parola sul termine tecnico che Hegel usa per indicarlo: il verbo aufheben e il sostantivo die Aufhebung: sopprimere, superare, ma ad un tempo mantenere c conservare ciò che è stato messo da parte o soppresso. In italiano si è consolidato l'uso del verbo togliere: " la parola togliere ha nella lingua il doppio senso, per cui val quanto conservare, ritenere, e nello stesso tempo .quanto far cessare, metter fine"; " Il conservare stesso racchiu" Scienza della logica, cit., vol. r, p. 38. 23 Lezioni sulla storia della filosofia, cit., vol. m, parte n, pp. 2 e 411. " Scienza della logica, cit., vol. n, pp. 943-45.
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de già in sé il negativo, che qualcosa è elevato nella sua immediatezza "; " Il tolto è insieme un conservato, il quale ha perduto soltanto la sua immediatezza, ma non perciò è annullato " >o. Anche queste postille mostrano l'unità c la totalità del cosiddetto movimento dialettico. Un movimento che si manifesta nelle singole cose o avvenimenti, ma che è presente altresì nella storia, nella successione delle sue tappe, ma che in ogni momento è, sempre, la storia nel suo intero. Solo così possiamo comprenderla, a mezzo della filosofia, comprendere l'universalità dei suoi momenti particolari e la particolarità di quella totalità o universalità che è in ogni momento, anzi che è ogni momento stesso. · Se questo è il senso della dialettica hegeliana e il suo concetto, il nostro compito può considerarsi esaurito. Non è il caso di riassumere qui i grandi affreschi storici, "dialettici ", che Hegel dedicò, nelle sue lezioni berlinesi, all'arte, alla religione, alla storia della filosofia e alla filosofia della storia 31 • È sempre la storia del mondo considerata come totalità e unità di totalità. Lungi dal cristallizzarsi in formule, il suo sistema a Berlino si arricchì e si rinnovò, si dispiegò in una dimensione storica che la filosofia non conobbe più. Il risultato fu una tensione nella ricerca e una problematicità quale le sue pagine non avevano ancora conosciuto. Egli ripeteva se stesso, cioè il suo sistema, la Fenomenologia dello spirito e l'Enciclopedia delle scienze filosofiche, ma come la storia del mondo, non come il punto di vista del signor professor Hegel. Anche per questo egli non parlava di sé, per sé o per i suoi contemporanei, ma per i posteri. Come disse Marx - lo vedremo subito - Hcgel era la filosofia. Ed ora lo sappiamo, se abbiamo capito il fondamento della sua comprensione della realtà, della storia - e della filosofia.
"' Scienza della logica, cit., vol. I, p. l 00. Oltre alle. Lezioni sulla storia della filosofia e sulla Filosofia della storia, già citate, sono tradotte in italiano l'Estetica, Torino, 1967 e La filosofia della religione, in corso di stampa presso Zanichelli, Bologna. 31
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8. Marx e Engels. La dialettica realizzata e la fine deJia dialettica
8.1. Il rapporto Hegel-Marx e :la dialettica: uno pseudo-
problema filosofico Leggendo i classici del marxismo, dagli scritti giovanili rimasti a lungo inediti fino alle grandi opere della maturità 1, studiando (quanto è possibile a ciascuno di noi farlo) una storiografia e tma letteratura sterminate (non soltanto, ovviamente, per motivi filosofici), ci troviamo in una situazione paradossale. Marx ed Engels si sono espressi chiaramente più volte c in momenti diversi della loro attività speculativa sia su Hegel, cioè sul rapporto che si veniva costruendo tra la filosofia classica tedesca (da Kant a Feuerbach), la filosofia hcgeliana in particolare c la loro dottrina, sia sul concetto di dialettica. Oggi, poi, disponiamo anche di quelle opere rimaste inedite (Manoscritti economico-fìlosofìci, Ideologia tedesca) 2, che i contemporanei non. conoscevano, ma che gli autori dovevano continuamente presupporre. Tuttavia ciò che essi venivano pubblicando doveva essere abbastanza chiaro, se quel fatto non fu mai per loro un problema. Basta leggere ciò che dice Marx nel 1859 nella " Prefazione " a Per la critica dell'economia politica ed En.gels nel 1888 nella prefazione e nel testo del Ludovico Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca, per non citare, qui, che i testi più significativi (ne discuteremo in seguito altri) 3 • Ciò che essi pensano di Hegel è chiaro, che cosa ' Per motivi di spazio e per non tradire il fìlo conduttore che abbiamo seguito fin qui - presentare, di questa storia, i grandi momenti e le fi. gure fondamentali - lascjamo da parte le vicende interne della scuola hegeliana, importanti certo, ma sostanzialmente riassunte, presenti e operanti nell'interpretazione di Marx, sulla quale appunto ci soffermeremo. 2 Buone traduzioni italiane presso Einaudi e gli Editori Riuniti (le citeremo avanti). Queste opere sono anteriori al Manifesto, 1848. 1 Rispettivamente Roma 1957 a cura di E. Cantimori Mezzomonti e
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Marx e Engels
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rappresenti la dialettica dopo Hegel - come vedremo subito - è ancora più chiaro: tuttavia storici e interpreti, marxisti e non marxisti, i marxisti più dei non marxisti, hanno ritenuto, ritengono e probabilmente sosterranno ancora per qualche genetazionc che questi sono i due punti più oscuri della dottrina. Era inevitabile. Ogni grande dottrina non può non generare o diventare (anche) una scolastica. Ogni scolastica ha le sue diatribe. La diatriba del marxismo è il rapporto Hegel-Marx e il connesso problema della dialettica. Di qui le variazioni nella diatriba: se la dialettica sia un metodo o il sistema (questione già risolta da Hegel); se la dialettica (idealistica) possa essere accolta in una concezione materialistica (questione risolta subito dai due classici); che cosa Marx ed Engcls debbono a Hegel e il valore e limiti della influenza di questi; se Marx cd Engels, accettando in parte Hegel, ne hanno compreso gli errori e se, rifiutandolo o confutandolo, lo hanno rifiutato e confutato in tutto o in parte - insomma, come chiedersi se Marx ed Engels abbiano capito Hcgcl e se stessi. Come se i testi non ci fossero c non parlassero da sé. In queste condizioni, data l'ampiezza della problematica, il nostro compito sarà di una banalità desolante: cercare di mostrare da una parte che questo problema in· Marx ed Engels non esiste e dall'altra che, se è presente nella storiografia, lo è per motivi non filosofici e che non dipendono né da Hegcl né da Marx né da Engels. Ciò che distingue Marx e coloro che da Marx discendono, Engels compreso 4 , è la configurazione della dialettica come metodo. Non possiamo, e non intendiamo farlo, citare i numerosi passi che possono dimostrare questa tesi (il lettore li troverà facilmente nei manuali, sui testi, nella saggistica). Basterà ricordare il celeberrimo Poscritto alla II edizione del 1 volume del Capitale (1873) 5 dove Marx definisce "il mio metodo dialettico", distinin Marx-Engels, Opere scelte, a cura di L. Gruppi, Roma 1971. ' Torneremo subito sulla collaborazione di Engels e Marx. Sulla funzione di Engels nella storia del marxismo è nata, per una serie di motivi che potremo solo accennare, una storiografia del tutto fantastica, smentita, ma inutilmente, da due testi (fra i moltissimi) fondamentali dei due autori e amici: cfr. di MARX la " Prefazione" a Per la critica dell'economia politica, cit., pp. 12-13 (del 1859!) e di ENGELS la nota all'inizio del cap. lV del L. Feuerbaclz e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca (del 1888!). Stato della questione, indicazioni bibliografiche e una prima guida interpretativa in S. TIMPANARO, Sul materialismo, Pisa, 1970, in partic. cap. m: Engc/s, materialismo, " libero arbitrio ". 5 Roma 1955', a cura di D. Cantimori, vol. 1, l, pp. 27-28. Tra i molti passi che si potrebbero citare ricordiamo almeno la lettera a Engels del
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guendolo da quello hegeliano, che ne è" direttamente l'opposto". Leggiamo questa pagina di Marx e lasciamo da parte ogni commento: " Per H egei il processo del pensiero, che egli trasforma addirittura in soggetto indipendente col nome di Idea, è il demiurgo del reale, che costituisce a sua volta solo il fenomeno esterno dell'idea o processo del pensiero. Per me, viceversa, l'elemento ideale non è altro che l'elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini. Ho criticato il lato mistificatore della dialettica hegeliana quasi trent'anni fa, quando era ancora la moda del giorno. Ma proprio mentre elaboravo il primo volume del Capitale, i molesti, presuntuosi e mediocri epigoni che ora dominano nella Germania colta si compiacevano di trattare Hegel come ai tempi di Lcssing il bravo Moses Mendelssohn trattava lo Spinoza: come un 'cane morto'. Perciò mi sono professato apertamente scolaro di quel grande pensatore, e ho perfino civettato qua e là, nel capitolo sulla teoria del valore, col modo di esprimersi che gli era peculiare. La mistificazione alla quale soggiace la dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo che_ egli sia stato il primo ad esporre ampiamente c consapevolmente le forme generali del movimento della dialettica stessa. In lui essa è capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale entro il guscio mistico. Nella sua forma mistificata, la dialettica divenne una moda tedesca, perché sembrava trasfigurare lo stato di cose esistente. Nella sua forma razionale, la dialettica è scandalo e orrore per la borghesia e pei suoi corifei dottrinari, perché nella comprensione positiva dello stato di cose esistente include simultaneamente anche la comprensione della negazione di esso, la comprensione del suo necessario tramonto, perché concepisce ogni forma divenuta nel fluire del movimento, quindi anche dal suo lato transeunte, perché nulla la può intimidire ed essa è critica c rivoluzionaria per essenza ". Dobbiamo supporre che nel 1873, quanto al metodo, Marx sapesse quello che scriveva. Il metodo è o almeno si annuncia qui sia come quello, diciamo pure, del movimento degli opposti sia 14 gennaio 1858 (in Carteggio, Roma 1972, vol. m): " Quanto al metodo del lavoro [=la teoria del profitto] mi ha reso un grandissimo servizio il fatto che per puro caso ... mi ero riveduto la Logica di Hegel. Se tornerà mai il tempo per lavori del genere [e questo non si verificò: di qui il saggio su Feuerbach di Engels c la sua esplicita dichiarazione nella nota sopra citata], avrei una gran voglia di rendere accessibile all'intelletto dell'uomo comune in poche pagine, quanto vi è di razionale nel metodo che Hegel ha scoperto ma nello stesso tempo mistificato".
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come quello della relazione o contrapposiZione di clementi che fra loro interagiscono. Non c'è dubbio alcun.o che Marx schematizza, cioè presenta concettualmente i risultati delle sue ricerche, e qhindi troviamo il riferimento più preciso nello stesso Marx, in quella Prefazione all'opera già citata del 1859, dove è configurata la cosiddetta dialettica struttura-sovrastruttura. Leggiamo anche questo testo: " Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale delIa loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica c alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, c le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistenttl tra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia
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società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione " 6• Di Engels ricordiamo subito i due grandi testi sulla Dialettica della natura e I'Antidiihring (un capitolo di quest'ultimo è di Marx, e la cosa non va sottovalutata) 7 , dove egli si studiò di applicare la metodologia dialettica elaborata da c con Marx alle scienze naturali. Ne nacque un dibattito che non è ancora finito: si pretenderebbe di vedere in Engels un metafisica del materialismo, quindi un traditore di Marx, che avrebbe preservato il materialismo storico da pericolose contaminazioni positivistiche (quindi metafisiche, ma questo resta da dimostrare) con la scienza in genere e con le scienze naturali in particolare. Il che è falso, perché Marx era perfettamente al corrente delle ricerche di Engels e le condivideva: tra i due c'era stata una specie di divisione del lavoro che corrispondeva alle loro attitudini e ai loro interessi. D'altra parte Engels si era espresso chiaramente su questo punto nel Ludovico Feuerbach: perfetta identità di vedute con Marx relativamente al rovesciamento della dialettica hegeliana. Engels sottolinea " l'aspetto rivoluzionario " della filosofia hegeliana, cioè il metodo dialettico, riprende il testo marxiano che abbiamo riportato e conclude con un'altra famosa immagine: " .. .la dialettica di Hegel fu posta con la testa in alto, o, più precisamente, capovolta, perché si reggeva sulla testa, e fu quindi dmessa di nuovo con i piedi in terra "; indica poi le possibilità, anzi necessità di applicazione di questo metodo alle scienze naturali, se si vuoi tener conto delle tre grandi scoperte scientifiche che hanno dominato, c capovolto, la scienza: la scoperta della cellula, la scoperta della trasformazione dell'energia c quella dell'evoluzione della specie. Mondo storico-sociale, il mondo delle ' Per la critica ... , cit., pp. 10-11 (e si ricordi che la citazione continua con la pagina sulla collaborazione con Engels: cfr. sopra nota 4). 7 Rispettivamente Roma 19551 (a cura di L. Lombardo Radice) e 19682 (a cura di V. Gerratana). Importanti, per quanto è detto nella nota 4, i capitoli sulla dialettica: nell'A ntidiihring (1878) Engcls fa anche il punto su come Marx ha inteso la dialettica hegeliana e sul senso della sua appliziottc; nella Dialettica della natura (inedita fino al 1925) presenta e discute le tre leggi della dialettica hcgcl-marxiana, ricavate dal mondo naturale e dal mondo storico-umano, e ad essi applicabili: conversione della quantità in qualità e viceversa; compenetrazione degli opposti e negazione della negazione.
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scienze umane, e mondo naturale, oggetto della scienza, si unificano o almeno non presentano soluzione di continuità e sono suscettibili di essere trattati con lo stesso metodo 8 • Nel presente contesto si può, allora, anche sostenere che, sostanzialmente, questa metodologia non abbia più nulla a che vedere con la dialettica hegeliana. Si è parlato di astrazione determinata, di circolo concreto-astratto-concreto per indicare il metodo (dialettico) storico, cioè quel procedimento che dall'analisi di una situazione di fatto, concreta, storica, perviene all'individuazione di una legge o di una categoria, astratta, ma altrettanto storica quanto alla sua genesi, che viene infine applicata alla situazione di fatto, alle vicende storiche, per comprenderle. Possiamo accettare questa formulazione. Ma il suo presupposto non può e non deve essere trovato in un presunto errore di Hegel (non esi. stono errori di filosofi, ma problemi o difficoltà da capire) e neppure in pretese contraddizioni fra Marx filosofo e Marx scienziato, fra scritti di Marx pubblicati e altri lasciati inediti (un testo non pubblicato non può mai essere usato per confutarne uno pubblicato) 9• La filosofia hegeliana, a causa o grazie al suo metodo, non poteva che essere rovesciata, e la storia lo ha dimostrato di fatto. La concezione dialettica della filosofia, cioè il risultato della filosofia hcgcliana, la storia e il mondo come dialettica, ha soppresso (aufheben, cioè soppresso, sublimato e conservato) la filosofia (hegeliana), e la dialettica stessa. Questo è il senso della ben nota (ma non sempre pienamente compresa) affermazione di Engels: " Il movimento operaio tedesco è l'erede della filosofia classica tedesca" (ultima frase del saggio su Feuerbach). Riassumiamo : " Ciò che distingue Marx, c coloro che da Marx discendono, è proprio l'accettazione della dialettica come metodo. Tuttavia, per Marx come per Engels, la dialettica hegeliana è idealistica, la qual cosa significa che procede dal pensiero, da un pensiero che preesiste alla storia e che la dirige, diciamo così, dal' Ci atteniamo qui al cap. rv (" Il materialismo dialettico ") del saggio su Feuerbach, cit., al quale rinviamo. Per una più ampia discussione della questione rinviamo al libro di Timpanaro, citato nota 4. Poi vedi testo e nota 9. 9 È l'interpretazione di Galvano della Volpe e della sua scuola: vedi Saggio sulla dialellica, in La libertà comunista, Milano 1963 2 e Clzia~·e della dialettica storica, Roma 1964, ma in complesso Logica come scienza storica, nuova edizione Roma 1969; L. CoLLETTI, li marxismo e Her.:el, ora in LENIN, Quaderni fìlosofìci, Milano 1969'. Su Engels, in negativo, oltre a Colletti v. L. ALTHUSSER, Per Marx, trad. it. Roma 1967. In generale v. N. BADALONI, l/ marxismo italiano de!?li anni sessanta, Roma 1971.
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l'esterno. (Non c'è dubbio che alcune espressioni di Hcgcl si prestano a questa interpretazione, soprattutto quando se ne assumono i termini in un senso estraneo al pensiero hegeliano). Si tratta quindi di riportare la filosofia sui propri piedi oppure - cd è la stessa co~a - superarla rcalizzandola. La dialettica di Marx è allora quella della lotta dell'uomo con le condizioni esterne della sua esistenza, create dall'uomo stesso, ma che gli appaiono come entità indipendenti. L'uomo è alienato e deve uscire da questa alienazione: ne uscirà trasformando la realtà storica alienante, a condizione, dunque, di trovarsi infelice in questa realtà; egli se ne libererà, quindi, (c libererà l'umanità) con tanta maggior certezza quanto più è alienato. L'uomo assolutamente alienato è il proletario, colui che per vivere deve trasformarsi in merce, vendendo alle condizioni del mercato quella sua forza di lavoro che lo costituisce in quanto membro della società. La dialettica della storia si manifesta così come lotta di classe c la liberazione dell'uomo si realizzerà quando una classe, che non ha interessi particolari da difendere, sopprimendo il sistema stesso delle classi, restituirà l'uomo a se stesso in un mondo divenuto umano. Il mezzo per raggiungere questo fìne è l'azione rivoluzionaria, un mezzo che, nel presente immediato, contiene la propria giustificazione: ciò che serve la rivoluzione serve allo scopo della rivoluzione. Il risultato di queste tesi fu abbastanza dialettico nel senso che questo appello alla dialettica condusse alla sua soppressione. In realtà, le condizioni del lavoro (i rapporti di produzione) determinano il pensiero di un'epoca, la situazione sociale determina il pensiero delle classi, la situazione oggettiva nell'ambito dell'economia e della tecnica offre o esclude la possibilità della rivoluzione: la realtà economica si trasforma così in causa c il pensiero diviene l'effetto di questa causa. Attribuire queste conclusioni ai fondatori della scuola sarebbe storicamente falso (vedi per es. le lettere di Engels a Bloch, C. Schtnidt, ecc., in Engels, Feuerbach, trad. Brackc, Paris, 1952): furono hegeliani abbastanza fedeli da non prendere il rapporto causa-effetto per un rapporto di entità indipendenti. Ma furono anche, quali che siano stati i loro risultati, hegeliani abbastanza fedeli da voler realizzare la filosofia (di Hegel) e da non occuparsi di problemi dialettici come problemi filosofici. Volendo far questo, si limitarono ai problemi dell'azione, e la loro teoria politico-sociale, applicazione della dialettica, non rimetteva in questione, esplicitamente, ciò che applicava e implicava. Le interpretazioni causali, meccanicistiche, deterministiche della storia, combattute da Engels come errori di avversari malevoli o incapaci di comprendere, fuùrono ben presto col domina-
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re il pensiero della scuola - e questo avvenne tanto più facilmente in quanto le riflessioni metodologiche e filosofiche del giòvane Marx, fonti della sua teoria, restarono nascoste al pubblico " 10•
8.2. Eric Weil: Marx e la Filosofia del diritto
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Sulle fonti del pensiero di Marx riteniamo, allora, che metta conto spendere ancora una volta qualche parola. E questo non è in contraddizione con quanto abbiamo detto all'inizio. Intendiamo mostrare come e perché il problema del rapporto Hegel-Marx sia sorto come tale, costituisca ancora gran parte del dibattito della filosofia contemporanea e ne rappresenti, anzi, la parte migliore. Abbiamo deciso di non aggiungere su questo punto una nostra personale opinione, ma di lasciar parlare un interprete non comune, che ha avuto il merito, a nostro avviso, d'investire il problema senza voler dare spiegazioni, ma cercando di capirlo, senza voler dare risposte o inventare soluzioni "filosofiche", ma ponendo domande, il che resta il compito della grande tradizione della filosofia, se ancora di filosofia possiamo parlare. È caratteristico del nostro tempo, è solito dire l'autore delle pagine che sotto riportiamo, essere capaci di rispondere a qualsiasi cosa, di trovare soluzioni, ma non sappiamo più porre domande, interrogare i testi e la realtà. l?, una buona norma metodologica: in questo caso dovrebbe ancora poter dare i suoi frutti. 10 E. WmL, Pemiero dialettico e politica, in Filosofia e politica. Firenze 1965, pp. 37-38. Come uno dei fili conduttori interpretativi di questo capitolo si veda anche A. MAssoLo. Marx e il fondamento della filosofia, in Lo~?ica hegeliana e (iloso{ia contemporanea, nuova edizione Fi-· renze 1967, che incise, più profondamente di quanto non appaia, nei dibattiti sul marxismo e Hegel in Italia (vedi bibliografia). Questi testi - e lo stesso modesto tentativo della nostra esposizione - dovrebbero dimostrare che non è sostenibile la tesi di Timpanaro (con il quale per altro concordiamo praticamente su tutto) della " intrinseca idealisticità della dialettica " (sic!: non della dialettica hcgcliana): cfr. Sul materialismo, cit., p. 74. a Riportiamo qui, per motivi che non vanno più dichiarati perché fanno parte della costruzione di tutta la nostra esposizione, la traduzione italiana di Marx et la Philosophie du droit, appendice a Hegel et l'Eta! di Eric Weil, Paris 1950, non compresa nella traduzione italiana dell'opera in Filosofia e politica cit. (nella collana " Socrates " del compianto Massolo). Dopo il primo capoverso il testo fra asterischi corrisponde alle pp. 1417 (trad it. pp. 112-115) del saggio su Hegel e lo Stato: ci è parso necessario inserirlo. Ringraziamo l'autore per il suo gentile consenso.
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Eric Wcil: Marx e la filosofia del diritto
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Leggiamo il testo : Sebbene la letteratura sui rapporti di Marx con Hegel sia di un'importanza numericamente enorme, a nostra conoscenza e nelle lingue che ci sono accessibili (cioè, soprattutto, escludendo il russo) presenta pochi lavori particolari e poche ricerche condotte senza preconcetti. Una ricerca di questo genere incontra subito grosse difficoltà: Marx ed Engels, vivendo in un'atmosfera hegcliana, riprendendo continuamente la lettura delle opere hcgeliane e considerando Hegel come l'ultimo filosofo, presuppongono sempre una conoscenza di Hegel che non si trovava già più all'epoca dell'acme della loro influenza. Le critiche da loro rivolte a Hegel sono dunque rapidamente divenute incomprensibili e, con poche eccezioni (Plekanov o Lenin), i marxisti si sono limitati a ripcterle senza domandarsi quale ne fosse la portata, che cosa lasciassero in piedi del sistema hegcliano, persino che cosa stabilissero come principio di ogni critica che potesse pretendere di essere "all'altezza". Il caso Liebknecht costituisce una buona testimonianza.
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Rivedendo ciò che è stato scritto su Hegel nella seconda metà del secolo xrx ho trovato un solo testo, anzi non un testo, ma alcuni frammenti di lettere, che lo difendono dalla classica accus;1 che gli vien mossa di essere il filosofo della reazione 12 • Per il resto son tutti d'accordo: guardiamo a quel. vecchio liberale che è 12 Per essere esatti bisognerebbe citare altre apologie come quella di Rosenkranz: Apologie llegels gegen Dr. R. Haym, 1858. Ma a parte il fatto che lo scritto è debole, nonostante molte osservazioni giuste e pertinenti, l'autore (come E. Gans) appartiene alla scuola hegeliana che è stata ben presto obbligata a tenersi sulla difensiva e non ha avuto influenza a partire dalla metà del secolo XIX. La storia della scuola hegeliana è ancora da scrivere. Il miglior compendio si trova in J.E. ERDMANN, Grundriss der Geschichte der Plzilosophie, 3" ed. (la quarta, fatta da Benno Erdmann, è inutilizzabile), Berlino 1878, §.§ 331 sgg. Come giudichi Hegel la tradizione della Grande Germania del nostro secolo appare chiaramente dall'apologia che ne fa F. Meinecke: " Pensa tori conservatori, liberali e radicali, storici c dottrinari, nazionali e cosmopoliti potevano andare alla scuola di questo sistema ... Hegel è in primo piano tra i gnmdi pensatori del secolo XIX che hanno diffuso in generale il senso dello Stato, la convinzione della necessità, della grandezza e della dignità morale dello Stato" in WeltbiirRertum und Nationa!staat, Miinchen-Berlin 191 P, p. 272. [Cfr.. trad. it. Cosmopolitismo e stato nazionale, Firenze 1930]. In altre parole, Hegel non è così antiprussiano come è stato detto, benché sia ancora universalista (lo dice Meinecke, op. cit., pp. 278 sgg.). Il nazionalista Meinecke è d'accordo con il liberale Haym.
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Haym 13 - senza parlare di spiriti di minor apertura, ma non di minore influenza, come Welcker o Rotteck, esponenti del partito costituzionale della Grande Germania -, guardiamo all'estrema sinistra con i Bauer e il loro gruppo: il verdetto è unanime 14 • Volgiamoci alla destra, a Schelling, agli credi del romanticismo, alla scuola storica di Savigny; se per essi Hcgel non è dalla loro parte 15 è perché non ha camminato con il tempo - la " destra "·è, infatti, sempre composta di gente che crede di aver finalmente compreso la verità eterna -, non ha colto le aspirazioni di un'epoca rinnovata, purificata dai miasmi del secolo XVIII: anche per loro Hcgel è rimasto indietro. Dunque, un solo testo fa eccezione. Ecco di che si tratta: qualcuno ha pubblicato un articolo in cui si parla di Hegel; l'articolo appare in una rivista, e, poiché siamo nel 1870 ed Hcgel è dimenticato in Germania, l'editore crede di far bene ad aggiungere una nota, per dire che Hegcl è conosciuto dal grosso pubblico come colui che ha scoperto e glorificato l'idea " regio-prussiana " dello Stato. Quest'ultima espressione suscita la collera dell'autore dell'articolo, che scrive ad un amico comune: " Quest'animale si permette di stampare, in calce al mio articolo, note che sono delle vere c proprie scemenze, senza citarne l'autore. Avevo già protestato, ma adesso la stupidaggine è così crassa che la cosa non può continuare ... Quest'animale che per anni è stato a cavallo sulla ridicola antitesi fra diritto e potere senza sapere come cavarsela, come un fante messo su un cavallo bizzarro e chiuso in un galoppatoio, quest'ignorante ha la sfrontatezza di voler liquidare un tipo come Hegcl con la parola prussiano. Ne ho abbastanza ... Val meglio non essere pubblicato che·csscre presentato ... comc un asino ··. Al che il corrispondente risponde a giro dì posta: " Gli ho scritto che farebbe meglio a tener chiusa la bocca invece eli ripetere quelle vecchie bestialità di Rotteck e di Wclcker. .. È un individuo davvero troppo stupido " 16 • Il povero editore è ,. Tra gli avversari di Hegel dì gran lunga il più importante è Haym per la qualità del suo libro che per la sua in1luenza. Hegel und seine Zeir è stato scritto sotto l'impressione della politica reazionaria seguita al fallimento della rì voluzione del 1848. Una seconda edizione (Lipsia 1927), a cura di H. Rosenberg, contiene in appendice indicazioni utili sull'evoluzione di Haym e sulla storia dell'hegelismo. " Ma cfr. sopra nota 12, e subito qui avanti per la critica del giovane Marx. 15 N umerosc informazioni (senza alcuna comprensione dei problemi filosofici) in I\1. LEI"Z, Geschichte der Universitiit Berlin, Halle 1910-1918. Si seguirà qui facilmente l'evoluzione della politica ministeriale e. delropinione universitaria. " Engels a Marx, 8 maggio 1870; Marx a Engels, 10 maggio 1870 ~ia
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Wilhelm Liebknecht, uno dei dirigenti della socialdemocrazia tedesca, l'autore della prima lettera è Engels, la risposta viene da Marx. Ecco una cosa sorprendente : Marx ed Engels non vogliono ammettere che Hegel abbia glorificato l'idea " regio-prussiana " dello Stato, Marx ed Engels danno dell'animale a chi annovera Hcgel tra i reazionari- ecco due difensori della reputazione politica di Hcgel, che passano tradizionalmente per i suoi critici più severi. Come si spiega?È evidente che una opinione, anche se dettata da due buoni conoscitori di Hegel quali furono Marx ed Engels, non può fare autorità. Tuttavia, essa viene proprio a confermare il nostro sospetto: in realtà, sarebbe naturalissimo veder riprese le accuse di conformismo, di prussianesimo, di conservatorismo, da parte di coloro che si proclamano i pensatori della rivoluzione·. Se quelli che affermano di aver superato Hegel, disdegnano di servirsi di tale accusa, come non domandarci se possiamo continuare a sostenerla? Se non è possibile, dunque, considerarla evidente, l'immagine tradizionale di Hegel non sarà soltanto errata in qualche particolare: ogni correzione sarà impossibile c bisognerà sostituirla con un 'altra.
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Non ò possibile in questa sede chiarire problemi di questo genere tanto importanti quanto ingarbugliati. Tuttavia, è necessario chiedersi in che cosa il pensiero di Marx sia differente da quel(Icllen.: n. 1359 c n. 1370, ed. Mosca, vol. IV, 1939, pp. 38 sgg. [trad it. Carteggio Marx-t:ngels, a cura dì E. Cantimori Mezzomonti, vol. VI, Roma 1972]. L'interesse del testo è duplice. Da una parte esso mostra la differenza tra i fondatori del marxismo e i loro successori: Liebknecht ha avuto la meglio su Marx ed Engels e attualmente i "rivoluzionari" sono d'accordo con i .. reazionari " nel vedere in Hegel l'apologista dello Stato prussiano. Anche l'ultima opera della scuola, G. LuKÀcs, Der junge Begel. Ueber die Bezielumgen. von Dialektik und Oekonomie (Ztirich-Wien 1948) [cfr. trad. ìt. a cura di R. Solmi, Il giovane Hegel, Torino 1960], afferma che Hegel, essendo idealista, non poteva non riconciliarsi con la cattiva realtà della sua epoca. È vero che nelle sue analisi l'autore non va oltre la Fenomenologia dello spirito e non si crede in dovere di provare mediante la interpretazione dei testi ciò che propone in modo deduttivo. D'altra parte il testo permette di capire le ragioni dell'alleanza così curiosa tra " liberali " e " nazionalisti " tedeschi: gli uni difendono la società contro lo Stato, gli altri lo Stato contro la società, cd entrambi si rifiutano di pensare la società nello Stato, mentre Marx ed Engels, che si pongono precisamente il problema dell'unità e dell'uno e dell'altra, riconoscono l'autenticità filosofica della analisi hegeliana e protestano contro il tentativo di svalutarla partendo da una posizione dogmatica e servendosi di giudizi di valore di ordine politico.
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lo di Hcgel: storicamente Hegel agisce attraverso Marx e nella coscienza della nostra epoca Hegel è il precursore di Marx e non già Marx il discepolo di Hegel; se il cadetto è comprensibile solo a mezzo del primogenito, è il secondo che direttamente o indirettamente fonda tutto il vivo interesse che oggi è rivolto al primo. Com'è noto, e lo si è ripetuto a sazietà, la differenza fondamentale fra i due è quella tra l'idealismo dell'uno e il materialismo dell'altro. Questa opposizione acquista tin senso preciso quando nei due casi si aggiunga l'aggettivo storico: si può e si deve contrapporre una dottrina della storia e dell'azione storica che insegna l'onnipotenza dell'idea e una teoria che vede nelle condizioni esterne dell'esistenza degli uomini la molla di ogni cambiamento e di ogni progresso. Ma sul piano filosofico quella contrapposizione smarrisce ogni significato preciso sia per la metafisica tradizionale che distingue il realismo dall'idealismo e lo spiritualismo dal materialismo 17 sia, e a maggior ragione, per una filosofia dialettica, nella quale una delle astrazioni tradizionali c predialcttiche si trasforma nell'altra. Nel senso della scuola Hegcl e Marx non sono stati né idealisti né materialisti e sono stati insieme l'una c l'altra cosa. È diverso quando si tratta di azione politica: qui divergono le strade di Hegel c di Marx. Hegel crede che la semplice comprensione sia sufficiente per realizzare lo Stato della conciliazione totale, nel senso che l'azione ponderata delle autorità dello Stato esistente, cioè dell'amministrazione, farà tutto il necessario per prevenire una rottura fra la realtà sociale e la forma dello Stato imponendo una forma del lavoro che darà ad ogni cìttadino famiglia, onore, coscienza-di-sé e possibilità di partecipare allo Stato, in altre parole imponendo la mediazione totale. Marx è convinto che solo l'azione rivoluzionaria potrà realizzare una società veramente umana in uno Stato veramente umano. Dopo ciò che abbiamo detto della filosofia politica di Hegel e considerata la funzione decisiva che svolge in Marx la presa di coscienza è evidente che questa contrapposizione è estremamente schematica. Hegel insegna che le condizioni reali obbligano lo 17 " Aus der Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie " (qui abbreviato Critica), in Marx-Engels Gesamtausgabe, vol. 1, l, Francoforte 1927, per es. p. 455: .. Le corporazioni sono il materialismo della burocrazia e la burocrazia è lo spiritualismo delle corporazioni " oppure p. 507: .. Lo spiritualismo astratto è materialismo astratto: il materialismo astratto è lo spiritualismo astratto della materia". [Cfr. trad. it. in K. MARX, Opere filosofiche giovanili, a cura di G. Della Volpe, Roma 1969' oppure in MARX e ENGELs, Opere scelte, a cura di L. Gruppi, Roma 1971].
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Stato (l'amministrazione) ad agire; Marx sa c dice che l'azione violenta pura c semplice, senza un sapere chiaro dello scopo, senza una scienza, è il contrario di un'azione progressiva: questa è la pura conseguenza del fatto che né l'uno né l'altro aderiscono ad un'astratta filosofia della riflessione, ma ad una filosofia dialettica. Si potrebbe aggiungere: per entrambi l'azione non consapc~ vole o, più precisamente, il semplice sentimento della non-soddisfazione è all'origine di ogni grande avvenimento storico; la presa di coscienza può effettuarsi soltanto quando l'azione sia intrapresa e sarà completa solo quando l'azione sarà condotta a termine. Tutti e due, poi, sanno - Marx lo dice più apertamente di Hegel 18 - che la completa presa di coscienza di una situazione storica indica che questa situazione deve essere e sarà superata così come tutt'e due vedono l'impossibilità di elaborare un'immagine precisa dello stato da realizzare, poiché solo il senso dell'opposizione all'esistente è determinato, ma non la nuova forma risultato dell'azione. Tuttavia, è altrettanto vero, l'uno pone· l'ac~ cento sulla funzione delle masse (o delle classi - i due termini si trovano in Hcgel e nel senso in cui li impiegherà Marx), l'altro sul~ l'azione del governo. Hegel non ha visto, quindi, uno dci problc~ mi scottanti del mondo contemporaneo, cioè la possibilità data all'amministrazione di fare causa comune con una delle classi sociali in conflitto. Hegel ha visto il conflitto in sé; non gli ha attribuito l'importanza che, con la lotta per lo Stato (non soltanto: nello Stato), doveva rapidissimamcnte prendere. È evidente la ragione di questo errore di valutazione (ed anche le sue cause: esperienza vissuta di una rivoluzione fallita, differenze oggettive nella situazione economica delle due epoche - Marx ha tredici anni quando Hegcl muore, tre quando esce la Filosofia del diritto): Hegel è un teorico, un teoretico; non è c non vuol essere un uomo politico. Ciò che gli interessa è la storia nel suo senso c nella sua direzione, prendendo i due termini nella loro totalità, e non il problema tecnico del successivo passo del progresso. Gli importa poco che la liberazione dell'uomo avvenga ora o fra qualche secolo, che si verifichi qui o altrove, in questo modo o in quest'altro; a Hegel basta sapere che cosa è (per il suo contenuto - è impossibile, infatti, per Hegel come per Marx, anticiparne la forma concreta) una società libera. Marx (e neppure qui insiste~ remo sul mutamento delle condizioni: la Prussia di Federico Gu" Cfr., sotto, la teoria della realizzazione della filosofia e della sua soppressione come anche la teoria della coscienza. di classe del proletariato nel Afanifesro del parli/o comunista.
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glielmo lV e quella di Federico Guglielmo III, l'economia europea del 1840 e quella del 1820 ccc.) non crede alla buona volontà dell'amministrazione né alla sua intelligenza: dove Hegel aveva visto un problema per l'amministrazione, Marx vede una lotta tra l'amministrazione in carica e la classe oppressa (termine tanto hegcliano quanto marxista); dove Hegcl ·si riferisce all'interesse ben compreso dello Stato, Marx ha fiducia soltanto nella rivolta di coloro che non hanno più né famiglia né morale né onore né patria. Bisogna i.1otare che Marx, come Hegcl, non pensa alla violenza pura c semplice; anche Marx pretende una direzione consapevole, che si chiamerà l'élite rivoluzionaria, i dirigenti, il partito, la testa del proletariato; ma questa nuova amministrazione, destinata a conciliare l'uomo con se stesso in una nuova organizzazione - poco importa che la si chiami Stato o altro, tanto più che Marx non ha mai elaborato una teoria dello Stato - si formerà contro l'amministrazione ufficiale invece di derivare da questa mediante una impercettibile trasformazione della costituzione 19 • Si aggiunga: per Hegel il motore della storia è la guerra; uno Stato sviluppa la sua nuova fonna di organizzazione ragionevole della libertà c vince gli altri Stati mediante la lotta, e questo avviene per la ragione filosofica che esso è il veicolo dell'idea c per la ragione materiale di poter contare sul patriottismo di tutti i cittadini 20 • Per Marx il problema della guerra non è fondamentale (e per il marxismo lo sarà solo con la teoria dell'imperialismo abbozzata da Lcnin); lo è invece la rivoluzione all'interno degli Stati che renderà superflua la lotta tra le nazioni 21 • Infatti, elaborando il concetto della lotta di classe, Marx trasforma in concetto scientifico fondamentale ciò che per Hegel re19 Filosofia del diritto, § 298: " Il potere legislativo è, anche, una parte della costituzione, la quale gli è presupposta, e pertanto, in sé c per sé. si trova fuori della determinazione diretta di esso, ma consegue il suo ulteriore sviluppo nel continuo progresso delle leggi e nel carattere progressivo degli affari generali del governo " [trad. it. a cura di Messineo-Plebc, Bari 1954]. 2° Filosofia del dirillo, § 289: " Questo è il segreto del patriottismo dei cittadini visto secondo l'aspetto delle corporazioni, cioè che essi conoscono Io Stato come loro sostanza, poiché esso mantiene le loro sfere tJarticolari, il loro diritto e autorità come il loro benessere ". Questo patriottismo manca, dunque, alla p!ehaulia. 21 " Con l'opposizione delle classi all'interno della nazione scompare l'atteggiamento ostile delle lwzioni tra loro··: Manifesto del partito comunista, in Marx-Enge/s Gesamtausgahe, cit., vol. VI, p. 543 [cfr. trad. it. commentata a cura di E. Cantimori Mezzomonti, Torino 1962, p. 155]. Anche per Hegel l'insufficienza della ricchezza sociale, dunque la crisi (inevitabile), conduce alla politica espansionistica.
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sta un concetto filosofico, un concetto, inoltre, al limite della filosofia: la passione. Per Hcgel la passione è proprio la forza che muove la storia; per usare il linguaggio della Fenomenologia dello spirito (che più tardi non sarà più usato) la passione è la negativilà come appare all'uomo nella sua storia ( = per sé) e allo storico-filosofo nell'uomo storico ( = in sé). Per Marx la passione è determi.p.ata in ogni momento della storia, quindi anche nella situazione storica presente. Per Hegel solo la passione che si è realizzata e che si è così compresa determinandosi è scientificamente conoscibile e, secondo l'autore della Filosofia del diritto, la passione del proprio presente non è che un residuo, un avanzo assimilabile da parte della coscienza di sé della realtà storico-morale dello Stato moderno (reale nell'amministrazione). Per Marx questo Stato è Stato dell'alienazione e la passione non è soltanto necessaria per realizzare la libertà, ma essa è determinata nella sua tendenza dalla forza concreta della realtà nella e contro la quale si scatena: le lince di forza secondo le quali la passione deve attaccare, se vuole restare passione della libertà concreta, possono essere scientificamente conosciute. D'un tratto il soggetto c l'oggetto dell'azione da politici che erano divengono sociali (sebbene per Marx si collochino nel quadro dello Stato hegeliano) e fondano sulla filosofia politica una scienza sociale. Potremo dire, dunque, che tutti gli elementi del pensiero-azione di Marx sono presenti in Hegel. Essi divengono concetti scientifici e fattori rivoluzionari a partire dal momento in cui Marx applica il concetto della negatività, sviluppato dalla Fenomenologia, ai dati strutturali elaborati nella Filosofia del diritto. Le due tesi o più precisamente i due atteggiamenti derivano dalla stessa tesi c da una medesima esigenza: la soddisfazione dell'uomo nel c a mezzo del riconoscimento di tutti c di ciascuno da parte di tutti e di ciascuno 22 ; ancora oggi esse sono attuali e non sapremmo dire se gli avvenimenti hanno deciso per l'una o per l'altra, pur restando confermato ciò che costituisce la loro comune base: la necessità della liberazione dell'uomo - necessità condizionale, necessità se devono sussistere la civiltà, l'organizzazione c la libertà positiva. Il problema dell'alienazione dell'uomo, quello della ricchezza (no: della proprietà, in senso hegcliano), " Aver fatto dci concetti di riconoscimento e soddisfazione il centro dell'interpretazione del pensiero hcgeliano è il grande merito del libro di A. Ko!F.vE, lntroduction à la /ec·tw·e de l!egel, Par!s 1947 [trad. it. non completa col titolo La dialettica e l'idea della morte in Hegel, Torino 1948].
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dunque del capitale, sono visti sia da Hegcl che da Marx e da allora suno riconosciuti come fondamentali da parte di ogni teoria e di ogni pratica politica consapevoli. Che la loro soluzione sia il compito del presente come lo era al tempo di Hcgcl e di Marx, è da gran tempo communis opinio; ma non ci sono ancora neppure i primi abbozzi di una teoria della politica che tenga conto delle nuove forme. di Stato manifcstatesi nel frattempo: gli apologisti dell'evoluzione· tranquilla, quelli della rivoluzione c della dittatura e i loro critici si sono tutti, in generale, limitati a dar prova di molta passione, di molta pcnetrazione anche nella difesa delle loro personali opinioni contro quelle dei loro avversari, ma non hanno quasi mai voluto pesa~e le conseguenze inerenti ai loro propri principi. Si sa benissimo come provocare o domare una rivoluzione, come mettere in piedi o sostenere una dittatura rivoluzionaria o controrivoluzionaria: non ci si è quasi mai chiesti quali sono i punti forti c deboli dei sistemi dittatoriali e quelli aperti alla discussione in rapporto al fine che si vuoi raggiungere, ancora meno quali sono le funzioni della costituzione e della morale concreta di una certa nazione (i due-termini, soprattutto il primo, presi in senso hegeliano) in rapporto alla possibilità dì utilizzare l'uno o l'altro procedimento. L'accordo sui termini, l'omaggio reso da tutti a parole come libertà, democrazia, autorità, legge, uguaglianza ecc. dimostrano soltanto mancanza di chiarezza nella discussione. Per porvi rimedio bisognerebbe cominciare col problema della coesistenza (consapevole) della rivoluzione, dell'evoluzione e della reazione all'interno dello stesso mondo; e poi continuare con la ricerca del senso concreto dei tem1ìni formale c reale, i quali servono l'uno di giustificazione e l'altro come insulto e che, tuttavia, indicano entrambi o delle realtà o momenti pure astratti di realtà. Le considerazioni precedenti hanno il solo scopo di mostrare le difficoltà di un confronto fra Hegel c Marx; esse non mirano affatto a chiarire il problema abbozzato e neppure a tracciar(;' la strada che bisognerebbe seguire per giungervi. Ma erano necessarie per poter parlare molto brevemente della Critica della filosofia del diritto che il giovane Marx ha redatto tra il marzo e l'agosto 1843 23 • Non è nostra intenzione analizzare questo testo nei particolari. In tal caso dovremmo fare un confronto tra questa critica c la 23 Per la data cfr. la prefazione di D. Rjazanov al vol. sg. delle. opere compfete citare,
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teoria hcgcliana e, visto come lavora Marx, dovremmo riprendere l'interpretazione della Filosofia del diritto paragrafo per paragrafo. Avremmo allora occasione di notare certe obiezioni particolannente brillanti e giuste 2\ altre invece che contengono errori nella comprensione delle parole e delle tesi discusse 25 • Lasceremo · questo lavoro agli specialisti che vorranno seguire l'evoluzione del pensiero di Marx. Nel presente contesto vedremo soltanto le grandi linee e i principi di questa critica. Ben diversamente dall'Introduzione alla cntlca della filosofia del diritto di Hegel, uscita a Parigi nel 1844, la Critica non ha fatto rumore: il manoscritto è stato pubblicato per la prima volta nel primo volume dell'edizione critica dell'Istituto Marx-Engels di Mosca nel 1927 e non ha attirato molto l'attenzione del pubblico, anche di quello ristretto, interessato a tali problemi 26 • Si può capire questa accoglienza: infatti, il testo è incompleto, pesante e di lettura difficile perché è dedicato per la maggior parte ad una critica diretta senza indugi interprctativi, c questo presuppone da parte del pubblico una conoscenza di Hegel immaginabile probabilmente nel 1843, non già oggi. Si deve aggiungere che il pensiero è, per così dire, premarxista, se chiamiamo marxista l'enunciazione dci principi nel Manifesto del partito comunista, elaborati da Marx e Engels per tutto il resto della loro vita. Infine, il manoscritto è incompleto, non soltanto perché è andato perduto il primo foglio, ma perché in molti luoghi Marx ha lasciato delle pagine bianche che intendeva scrivere più tardi notando qua e là ciò che bisognava precisare o aggiungere. ,., Per es. la critic
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Ma questo non è l'essenziale. Questa critica discute soltanto e doveva essere così 27 - il diritto interno dello Stato, la Costituzione: manca, dunque, quello che sarebbe della massima importanza per il Jèttore contemporaneo, cioè una presa di posizione di fronte alla teoria della società da una parte, della filosofia della storia dall'altra. Marx ha in animo, è vero, di affrontare la teoria della società, ma non l'ha certamente fatto in questo manoscritto: in questo momento egli ha creduto che una critica efficace del pensiero hegeliano fosse possibile sul piano puramente politico. E su questo piano la sua critica è negativa, sebbene spesso giustificata; non soltanto egli non sviluppa nessuna teoria positiva dello Stato, non fornisce neppure indicazioni che permettano di arrivare ad una conclusione sulle sue opinioni non espresse. Certo, egli parla della preponderanza della proprietà (Eigentum) in questo Stato, dell'opposizione dell'uomo e del cittadino, di quella faglia mal celata che attraversa lo Stato e non consente la riconciliazione dell'uomo con lo Stato; insiste sull'appropriazione dello Stato da parte dell'amministrazione, sul disprezzo di Hegel verso la democrazia (che Marx condivide nella misura in cui tale democrazia è formale), critica, e giustamente, la deduzione hegeliana della monarchia ereditaria; ma tutto questo non giunge mai alla profondità dei punti di vista successivi che cominciano ad annunciarsi nella Introduzione (pubblicata) a questa Critica (non pubblicata). Non vi compaiono tutti i concetti fondamentali: l'alienazione reale dell'uomo, la classe privata di ogni partecipazione alla comunità storica, il concetto stesso di capitale. Il linguaggio storico è quello di Feuerbach, il termine "la critica", tipico dell'influenza del gruppo di Bauer, è frequente 28 e l'atteggiamento fondamentale è quello che, un. po' più tardi, Marx criticherà parlando della " confutazione " della religione da parte di Feuerbach: "Feucrbach dissolve l'essenza religiosa nell'essenza umana. Ma l'essenza umana non è un abstractum che sta dentro all'individuo singolo. Nella sua realtà è l'insieme dei rapporti sociali " 29• Per avere la caratteristica di questa Critica basta sostituire nella 21 Cfr. Critica, ci t., p. 497: " Noi non dovremo svilupparla in questa sede, ma nella critica dell'esposizione hegeliana della società civile " e, p. 499: "Il resto deve essere sviluppato nella sezione società civile". 28 Cfr. per es. Critica, cit., pp. 443, 446, 450, dove Marx rimprovera a Hegel la sua mancanza di critica. 2 ~ Marx-Enge/s Gesamtausgabe, cit., vol. v, p. 535, Tesi su Feuerbach, n. 6 [queste pagine di Marx furono pubblicate da Engels in appendice al suo Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, 1888: le tesi di Marx e il saggio di Engels si leggono in trad. it. nelle citate Opere ,\'celte].
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citazione il nome di Feuerbach con quello di Marx e la parola religiosa con la parola politica. L'importanza dottrinale del manoscritto è, dunque, limitata; alla fine riguarda soltanto il biografo di Marx e lo storico dell'hegelismo. Ben diverso il peso dell'Introduzione alla Critica. Qui la critica è più particolare, ma vi è anche il riconoscimento pieno che Hegel è il filosofo, la coscienza dello Stato moderno. Non si tratta più di correggere una certa tesi o di confutare una particolare deduzione: anzi: " noi tedeschi, siamo i contemporanei filosofici del presente, senza esserne i contemporanei storici ... La filosofia tedesca del diritto e dello Stato è la sola storia tedesca che stia alla pari con il moderno presente ufficiale " 30• " In politica i tedeschi hanno pensato ciò che gli altri popoli hanno fatto ... La rivoluzione comincia nella testa del filosofo" ·11 • Questo omaggio a Regel, è vero, non compare qui per la prima volta: il manoscritto della Critica è ricco di espressioni che riconoscono in Hegel il filosofo che interpreta correttamente una realtà mistificata 32 ; ma, mentre il manoscritto presenta spesso delle esitazioni, l'Introduzione è giunta ad una posizione netta: " Voi non potete aufheben (sopprimere, sublimare e conservare) la filosofia senza realizzarla", tesi completata da quest'altra, rivolta alla critica teorica Bauer, Feuerbach: '· La critica credeva di poter realizzare la filosofia senza sopprimer/a, sublimarla e conservarla (aufhehen: cfr. sopra) " 33 • E subito ecco la considerazione decisiva per l'intera evoluzione del pensiero di Marx: .. le rivoluzioni hanno bisogno di un elemento passivo, di una base materiale " 3\ la rivoluzione sarà realizzata come opera di liberazione totale dell'uomo unicamente a mezzo della " formazione di una classe che porta catene 30 Zur Krilik der He~e/.vchen Rechtophilooophie. Einleitung (qui abbrevialo Introduzione). in Marx-Engels Gesamtausgabe, cit. vol. I, l. p. 612 (cfr. trad. it. in Marx e Engels, Opere scelte, cit., oppure in Annali franco tedeschi, Milano 1965). " Introduzione, p. 614 sg. " Cfr. Critica, per es. p. 458: ·· lo Stato prussiano o moderno "; p. 487: " Hegel parte dalla separazione della società civile e dello Stato politico ... Questa separazione, è vero, esiste nello Stato moderno"; p. 492, dove Hegel è criticato per essersi voluto limitare all'apparenza della riconciliazione, ma dopo aver visto la contraddizione; p. 502: " lo Stato moderno, del quale H egei è l'interprete "; p. 529; " Hegel è stato spesso attaccato a causa della sua elaborazione della morale. Egli non ha fatto altro che sviluppare la morale dello Stato moderno e del diritto privato moderno"; p. 538: "la mancanza dello sviluppo di Hegel e delle condizioni moderne reali ". " Introduzione, cit., p. 613. " Introduzione, cit.; p. 615 sg.
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radicali..., la quale, in una parola, rappresenta la perdita totale dell'uomo e non può, dunque, riguadagnarsi se non riguadagnando l'uomo totalmente. Questa dissoluzione della società come ( = dissoluzione stabilita in) stato particolare (Stand) è il proletariato " 35• Il seguito è noto: l'ehiborazione di una teoria tecnica della rivoluzione, il richiamo alla passione, l'organizzazione della passione, l'abbandono di ogni teoria teoretica, la costruzione delle categorie economiche a partire dall'uomo storico e in rapporto ad esso, la fusione del politico e dell'economico, l'introduzione di un indice storico in ogni categoria morale, economica, politica: tutto questò perché la tesi hegeliana è ora accolta nella sua totalità, perché la storia ha un senso preciso, quello di liberare l'uomo nella realtà e non soltanto nel pensiero, perché questa liberazione e la conciliazione totale non sono ancora realizzate, i rapporti umani dipendono ancora dalla passione, dall'arbitrio, dal caso, dalla violenza, la mediazione non è compiuta, la lotta continua ancora, la vita non è ancora ragionevole. Non è questo il luogo di chiedersi dove, come e in che misura Marx, accettando la filosofia hegeliana con tutto il suo contenuto, la superi, in particolare di intcrrogarsi sul significato della celebre espressione " rimettere sui piedi ( = rimettere in piedi ciò che stava rovesciato, sulla testa) ". Quanto all'essenziale, si tratta di trarre da una filosofia una scienza e una tecnica, di optare per la realizzazione di ciò che la filosofia enuncia come pura necessità ipotetica e di cercarne i mezzi concettuali e politici disponibili e indispensabili, di tradurre l'idealismo della filosofia (e di ogni scienza teoretica) in materialismo storico e politico. È legittimo questo passaggio dalla filosofia alla scienza c alla tecnica? È legittimo secondo i principi di quella filosofia che deve dare a questa scienza la validità c la giustificazione indispensabili? Oppure, al contrario: questa trasposizionc non introduce forse una contraddizione non riconciliata e non riconciliabile tra principi e conseguenze? Se questa scienza tecnica può essere elaborata (non sembra che sia stato fatto, almeno completamente), si può e si deve trame delle conclusioni sulla natura del sistema che vi soggiace? O, se si tratta di comprendere, non bisogna piuttosto giudicare le pretese di questa scienza secondo l'insegnamento della filosofia alla quale si richiama? La scienza può voler prendere il posto della filosofia? La filosofia può, sul piano dell'azione storica, evitare di " Introduzione, cit., pp. 619 sg.
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essere trasposta nella scienza o di servire come mezzo di razionalizzazionc della passione? Non dobbiamo rispondere a queste domande. Resta il fatto che i problemi ai quali Marx risponde non si oppongono alle tesi di Hcgel, ma partono da queste. I fondamenti della scienza della liberazione dell'uomo alienato si incontrano al completo in Hegel. È probabile che, per dirla con Kant, noi vediamo tanto chiaramente le scoperte. (di Hegel) solo perché ci è stato detto (da Marx) ciò che bisognava cercare 36 • Ma questo non impedisce che quelle scoperte si trovino in Hegel. E se ci è concesso di formulare un'ipotesi, sembra molto probabile che Marx stesso ve le abbia trovate : in effetti, se vi è una differenza essenziale tra il punto di vista della Critica e quello dell'Introduzione, la causa non sarà da trovare nello studio della teoria della società nella Filosofia del diritto ben più che nei contatti che Marx ha a Parigi con gli ambienti operai? E non sarà forse per questa influenza che Marx oppone la propria teoria dialettica al comunismo francese dell'epoca che egli considera "un'astrazione dommatica " 37 ? Resta comunque il fatto che Marx, nella Critica, annuncia la sua intenzione di affrontare la teoria hegeliana della società dopo aver chiarito quella della costituzione. Questa ipotesi, qualunque valore essa abbia, nulla toglie all'" originalità " di Marx (ne abbiamo parlato più sopra) e non coinvolge la " responsabilità " di H egei: probabilmente Hegel non avrebbe approvato la scienza di Marx - che tuttavia è stata nella storia una delle traduzioni della filosofia di Hcgel. Abbiamo avanzato queste osservazioni perché crediamo che esse possano servire alla comprensione dei due autori, a quella comprensione oggettiva, la quale soltanto può.. consentire di prendere una posizione che sia altro dall'espressione di una fedeltà o di un odio, di una preferenza istintiva o di un'avversione insormontabile - qualcosa d'altro e ben più importante di una questione di gusto.
,. KANT, Ueber eine Entdeckung ... , in Werke, ed. Cassirer, vol. VI. Berli n 1923, p. l [: " .. .interpreti malaccorti vedono ora, del tutto chiaramente negli antichi, una quantità di scoperte ritenute nuove, dopoché è stato loro mostrato che cosa vi dovessero vedere '']. " Marx-Engels Gesamtausgahe, cit. vol. 1, l, p. 573.
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8.3. Intermezzo dialettico con Marx e contro Marx Se possiamo trarre un. risultato dalle considerazioni svolte nei due paragrafi precedenti, dobbiamo dire che la storia della filosofia dell'800 c i problemi della filosofia contemporanea non possono essere capiti e neppure semplicemente affrontati, se si prescinde da un loro confronto con la filosofia hegeliana da una parte c con l'interpretazione che Marx, ed Engels, ne diedero, dall'altra, come problema interno alla filosofia hegeliana e al marxismo e per ciò stesso alla storia della cultura del XIX e xx secolo. Il rapporto Hegel-Marx diventa, dunque, paradigmatico, un nodo e il motore della storia della filosofia. Si pensi, tanto per fare gli esempi più noti e più celebri, che il lettore vorrà approfondire da sé, al destino degli epigoni delle diverse scuole filosofiche: alla rinascita di Kant presso i neokantiani e prima ancora in Herbart o Schopenhauer, ripreso poi da Nietzsehe; all'esistenzialismo, che fu fatto risalire a Kicrkegaard, il quale rifiutò Hegel e la dialettica e rivendicò i valori dell'individuo particolare e della soggettività; allo strutturalismo, nato dalle esperienze della linguistica e generalizzato, in polemica con la dialettica, come teoria generale delle scienze umane 38• È la storia della filosofia dell'800, è la cronaca dei nostri giorni: qui non può essere neppure semplicemente tratteggiata. Resta il fatto che l'interesse per questi autori e per queste problematiche si risvegliò e si sviluppò in funzione del dibattito politico, dci contrasti ideali tra i diversi settori del socialismo c quindi ogni volta provocò un ritorno ai classici del marxismo, a un nuovo studio dei loro testi, c ad una nuova ma non inquietante proposta del rapporto Hegei-Marx. L'esemplarità di quel rapporto impone una nuova concezione della storia, in particolare della storia della filosofia: il rapporto dialettico e la sua operatività nel e accanto al rapporto storico~ il conflitto tra il sistema (il sapere), che riconosce il reale ponendo la filosofia come storicità, e il nuovo sistema che comprende, e giustifica, il reale c se stesso come storia c ideologia (sovrastruttura). Tuttavia: " Il rapporto dialettico fatto valere assolutamente e illimitatamente provoca lo smarrimento della dimensione storica, e ci pone nel rischio di cadere nel più pericoloso e astratto scolasticismo ". Vediamo allora l'indicazione metodi" Non certo sine ira ha tracciato una storia della filosofia dell'Ottocento relativa a questi problemi G. LuKÀCS, La distruzione della ragione, Torino 1959. Su marxismo e strutturalismo v. il volume dallo stesso titolo ùi M. Godelier-L. Sève, Torino 1970 e, meglio, il cap.: " Lo strutturalismo e i suoi successori" in S. TIMPANARO, Sul materialismo, cit.
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ca, che a noi pare fondamentale, presente in questo avvertimento: " Come prima osservazione avanzo l'esigenza di distinguere il rapporto dialettico da quello storico. Il primo è più facile da cogliere, perché è dato dalla diretta critica di Marx, dalle sue stesse parole. Non si presta a possibili arbitri interpretativl; esso contiene, sia pure soltanto in parte, la giustificazione del perché Marx sia il costruttore di un nuovo sistema qualitativamentc altro, c del perché non si dia passaggio logico da Hegel a Marx. Debbo aggiungere che questa mancanza di passaggio non si ha qui per la prima volta, anche se ne riesce difficile la motivazione. Quel perché si trova altrove. Credere di trovare nel sistema che sopravviene la interpretazione storicamente valida del precedente, è cadere nell'equivoco secondo cui la filosofia farebbe storia con se stessa, c che porta di conseguenza o ad esaurire lo studio di Platone nella critica aristotelica o all'affermazione assurda che i grandi filosofi sono cattivi storici della filosofia. Il sistema che precede, si presenta nel nuovo in una figura che non è più l'originaria, e questo perché è stato sottoposto a questioni, dalle quali non è stato condizionato e alle quali non sa rispondere. Questo suo non sapere è la giustificazione del nuovo " 39• Se è vero che il rapporto storico comprende entro di sé la negazione, la rottura, e non può comprenderla se non come rapporto dialettico, come l'in sé del conflitto, allora il rapporto storico è il per noi, è l'oggi, le sue figure e le sue deduzioni coincideranno con le nostre ragioni e con i nostri interessi. Dell'ideale contraddizione fra i sistemi, immanenti alla natura stessa dell'azione filosofica, la storia della filosofia rappresenta la mediazione: essa fa proprio e lascia agire quel non sapere (la rottura), il negativo, che nel confronto fra i sistemi e le culture è un fatto e, riconducendolo alle sue fonti, lo pone come problema, il problema di ... , il nostro problema. Insomma, " ... dal punto di vista di Marx non una parola di H cgel si salva; Marx,- nell'intero movimento della sua ricerca, non riprende il problema di H egei. Ma, detto questo, non si deve giungere a riconoscere che altro sono le idee di Marx su Hegel, altro quelle che possono valere per noi, oggi, pervenuti a questa stagione della ricerca storico-filosofica? Il rapporto Hegel-Marx, come rapporto storico, comprende entro di sé la rottura, ma la comprende appunto come rapporto dialettico, valida cioè per quel Marx che non è mai stato hegeliano, non per noi" 40 • " A. MASSOLO, Del rapporlo Hege/-Marx, in La sluria come problema, nuova edizione Firenze 1967, pp. 193-194 un dibattito fra filosofi marxisti svoltosi in « Rinascita », "" L. RICCI GAROTTI, Marx non è 1111 tribunale della
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della filosofia (è il testo di 1962). filosofia, ora
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A questa collocazione nella storia della filosofia, che è da intendere ora, si badi, e dovrebbe essere chiaro, come storia della cultura, della scienza e della società, si è sottratta gran parte della filosofia dell' '800 e della problcrnatica contemporanea, quella parte che non ha riconosciuto il risultato hegeliano, la presenza in esso del rnarxismo. Ci rendiamo conto che è tutta una storia da riscrivere, in particolare quella del positivismo e dei vari interventi e reazioni idealistiche che lo sollecitarono e ne furono provocate. Si pensi soltanto, nell'evoluzione di questa storia, alla scarsa influenza di Engels, un avvenimento sul quale oggi si va meditando 41 • Abbiamo rapidamente fatto qualche cenno alla posizione " dialettica " di Engels, ma non dobbiamo dimenticare che essa rimase a lungo inoperante: essa proveniva dall'interno deJia scienza, ma tentava di agire dall'interno di quel rapporto che i tempi c la cultura si rifiutavano di riconoscere. Non dimentichiamo che Hcgcl, e la dialettica, era un " cane morto ", i classici del marxismo considerati degli utopisti, delle " tarantole ", l'espressione dello " spirito della vendetta " (Nietzschc) 42 • Sulla dialettica, in opposizione al marxismo, nacque e si sviluppò una nuova scolastica. Non ci interessa la sua genesi nei particolari. Ci limiteremo ai fcnomenj più macroscopici che oggi possiamo guardare sine ira. t un capitolo della nostra storia che merita di essere ricordato: l'età d'oro della dialettica, gli anni venti. Essi vedono maturare e svilupparsi varie correnti di pensiero, sorte soprattutto in Germania, ma anche in Italia, prima e dopo il primo conflitto mondiale. Rinascita hegeliana, storicismo, filosofia dci valori, filosofia della vita costituiscono nel mondo della filosofia l'equivalente di analoghi tentativi che si erano svolti e che si stavano verificando in altri campi, dalla pittura all'architettura, dalla lirica alle nuove forme del romanzo e del teatro. I vari filosofi erano d'accordo solo nel diagnosticare una crisi della filosofia che corrispondeva all'universale rclativismo e al generale crollo dei valori. Come in tutte le epoche di decadenza politica e sociale, di fronte ad una realtà in movimento, i filosofi, pallidi epigoni, rispondevano concentrandosi nella filosofia. Alla crisi della filosofia si opponeva la filosofia della crisi, alle sue profonde in Heidegger "contra" H egei, Urbino 1965 (il testo è apparso nella rivista sopra citata). 41 Oltre al citato volume di Timpanaro, passim, si veda Sul marxismo e le scienze, in « Critica Marxista », Quaderni, n. 6, Roma 1972 e << AutAut», nn. 129-130, maggio-agosto 1972 (Dialettica della natura e materialismo). ·" A. MASSOLO, La storia della filosofia e il suo signifìcato. in La storia della filosofia ... , cit., pp. 41-42.
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ragioni storiche e sociali veniva contrapposto l'alibi dell'oggettività. Inutile fare nomi, italiani o stranieri. L'epoca è molto complessa. Talvolta due anime si nascondòno e si dibattono, contemporaneamente o in momenti successivi, nella stessa persona. Accanto agli astratti furori dialettici, al delirio metafisico, che travolse l'epoca dopo averla nutrita, troviamo anche forme diverse di razionalismo che tentarono di comprendere la realtà: si pensi a Cassirer; ai grandi storici come Webcr, Troeltsch e Sombart; si pensi, in casa nostra, a Martinetti prima, a Banfi poi, l'uno e l'altro, vedi caso, dialettici e antidialettici. Ad ogni modo la filosofia " ufficiale " del tempo, quella delle accademie, può ben essere illustrata da una espressione di Hegel, parafrasata da Marx - un'immagine valida ancora: " la forma particolare della cattiva coscienza che si appalesa in quella specie di eloquenza di cui si pavoneggia la superficialità liberale, può farsi sentire, e in modo precipuo, nel fatto che essa, allorché è assolutamente priva di ogni contenuto spirituale, maggiormente parla dello spirito, e allorché è più morta c più stecchita ha in bocca la parola vita ... " 43 • Anche la cattiva coscienza degli anni venti ebbe la sua eloquenza, superficiale e liberale come quella della Sacra famiglia - la dialettica. Dialettica fu ciò che la " cri tic a ", la " coscienza critica ", il "punto di vista critico " fu ai tempi dei giovani hegeliani, oggetto dello scherno di Marx e di Engels: è sorprendente notare l'attualità, storica e speculativa, del celebre testo marxiano-engelsiano, l'oggettività della sua ironia, che porta sul piano della storia, innalza al valore di categoria intcrprctativa (della storia della filosofia), i termini di un dibattito legato alla cronaca del giorno. Chi oggi legga la Sacra famiglia, e non si curi dei nomi, vi riconoscerà gli ultimi quarant'anni di problematica filosofica. Infiniti nomi possiamo sostituire a quello di Bauer nella frase della Prefazione: " Ciò che noi combattiamo nella critica baueriana è precisamente la speculazione che si riproduce in forma di caricatura". E non dimentichiamo di correggere critica con dialettica. Si veda, per parlar di noi, una delle cosiddette " riforme " della dialettica hegeliana. Già l'enuncìazione del tema denuncia tutta l'astoricità o meglio l'antistoricità del tentativo. Astratta dal sistema hcgcliano, nel quale dobbiamo leggere un'interpretazione della storia, la dialettica, preteso metodo, sembra contenere un errore, un residuo di logica tradizionale, scolastica (la logica del " La sacra famiglia on·ero critka della critica critica contro Bauer e soci, Roma 1954, p. 94.
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pensiero, del fatto), in contraddizione con il principio: il pensare come spirito, il fare - e si presume di poter ricostruire un sistema che trovi il suo fondamento sulla correzione di quell'errore, sull'approfondimento di quel principio. Alla dialettica delle categorie come fatti compresi dal pensiero, alla dialettica della storia come manifestazione della storia dello spirito umano, come fatto, dunque, della storia dell'uomo, va sostituita una dialettica dell'atto del pensare, creativo, la quale " non conosce mondo che già sia " 44 • Il che significa sottrarre alla dialettica hcgcliana quel terreno della storia che l'aveva resa possibile. Ancora una volta una forma di mistificazione della realtà, di teologia. Una posizione analoga troviamo in Kroner, che è poi la fonte dei cosiddetti sistemi dialettici del Liebert e del Marck. Dice il Kroner: " La differenza tra pensare cd essere, tra filosofia e non filosofia, ltra speculazione e vita] è anche una differenza nel pensiero stesso. Mentre il pensiero si pensa scopre questa differenza in sé", La categoria fondamentale, commenta il Marck, è un'intuizione: il pensiero come presupposto del sistema hegeliano non può più mostrarsi dall'esterno. Non c'è dunque posto per la dialettica dell'alienazione e della conciliazione, delle differenze e della totalità (o delle differenze nella totalità), che aveva sorretto la configurazione della storia in Hegel 45 • Tuttavia, in questi testi troviamo solo una risposta vaga alla domanda: che cos'è.la dialettica? Liebert risponde: " Dialettica è in generale problema ", ma un problema che non nasce dalla storia c ad essa non si riferisce; un ethos lo genera, cioè la vita stessa. Vita e dialettica sono termini correlativi; la libertà, lo humor, lo spirito critico sono manifestazioni dirette c indirette del loro conllitto. La dialettica platonica (e la filosofia di Platone) è la dialettica eterna. Marck ritiene, invece, che ci sia correlazione fra realtà e dialettica, fra dialettica e situazione storica. Dialettica è quel punto di vista critico che permette di mantenere aperte e vive le contraddizioni, non conciliati gli opposti. Egli parla, infatti, di dialettiche, di filosofie, al plurale, onde porre l'accento sulla pluridimensionalità del mondo storico e del mondo dei valori, sulriforma della dialettica hegeliana, Messina 1913. Dell'uso e del significato di dialettica in Italia, in «Rassegna di filosofia», 7. 1958, n. 2 e F. VALENTINI, La controriforma della dialettica, Roma 1966. ,; R. KRONER, Von Krmt bis Hegel, Ti.ibingen 1920-1924, vol. II, p. 66. Cfr. S. MARCK, Die Dialektik in der Philosophie der Gegenwart, 2 voll. Tlibingcn 1929-1931 e A. LIEBERT, G'eist und Welt der Dialektik. vol. l: Gnmdle[!ung der Dialektik, Berlin 1929. "
Cfr.
G. GENTILE, La G. GIANNANTONI,
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la tensione non risolvibilc fra i soggetti e il mondo. Per questo egli ritiene, paradossalmente (ma c'è una coerenza con c nella sua epoca), di dover rifiutare Hegel, la sua (pretesa) assolutizzazione della dialettica c la sua (cosiddetta) chiusura nel sistema della storia del mondo. Ma la chiusura hegeliana (Hegel avrebbe posto il proprio sistema come fine della storia), l'assolutizzazione della dialettica che gli si obietta, ha pur rappresentato storicamente il tentativo più alto, lo sforzo più coerente per togliere la dialettica da una posizione di sudditanza rispetto alla logica e alla filosofia: la dialettica non è più logica minor c come risultato del tutto nuovo Hegel perviene a calare la filosofia c la logica delia tradizione nella storia, a intendere la filosofia come l'espressione di un'epoca, il tempo stesso nella sua più compiuta manifestazione (coscienza concettuale). 11 filosofo abbandona per sempre la forma della prima persona. Dopo Hcgel filosofia (dialettica), considerata in sé e a sé, è locuzione priva di significato: il filosofare trova il suo senso e il proprio fondamento (dialettico) solo presentandosi e costruendosi come filosofia della storia c della scienza. Ora, che questi autori agiscano all'interno della problematica hegeliana è un fatto, ma è un fatto ben diverso dal " ritorno " a Hegel che-si verificò in Francia negli anni trenta e in Italia nel secondo dopoguerra attraverso la mediazione di Marx. Ciò che caratterizza i filosofi di cui abbiamo parlato e la filosofia tra il 1919 c il 1939 è l'esercitarsi sulla forma c sul metodo della filosofia hegcliana come se nulla fosse successo dopo Hegel. Da filosofi riflettono sulla filosofia, col classico comportamento degli accademici e degli epigoni, sempre e comunque indifferenti al mondo storico. Questa astrazione ritengono libertà e credono in essa come in una situazione storica oggettiva, e pertanto ritengono di poter essi soli parlare di una crisi della filosofia, ma in realtà manifestano soltanto la crisi della propria astrazione, di una vicenda personale posta come assoluta.
8.4.
Stori~,
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Abbiamo inevitabilmente parlato di noi e del nostro tempo, e questo, crediamo, è proprio lo spirito della dialettica. I nostri idealisti hcgeliani, e quindi antihegeliani, hanno coerentemente rifiutato o meglio mistificato l'esperienza marxiana per una serie di motivi che in parte abbiamo esposto. Della cosiddetta circolazio-
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ne della filosofia italiana nella cultura europea, una riscoperta dell'idealismo nostrano, è rimasta soltanto la tradizione idealistica della filosofia italiana 46 - disiecta membra. Abbiamo ritrovato, questi sì veramente da riscoprire, i veicoli di quel filosofare, e ricordiamo solo Vico c Dc Sanctis 47 • Non per caso, dunque, ancora una volta, e per motivi largamente discussi, abbiamo attaccato nel secondo dopoguerra Marx - e H egel attraverso Marx: mediatori la lotta politica, nuove ideologie culturali e in particolare il pensiero di Gramsci: nei Quaderni dal carcere abbiamo veramente ritrovato una casa o almeno le sue prime indispensabili strutture. È solo da rammentare che su di esse si sia riflettuto troppo poco. Ma proprio per questo non ci sembra inutile, alla fine di una storia della figura e del concetto di dialettica, che, eliminandosi come filosofia, ha ritrovato se stessa, non ci sembra inutile soffermarci sui problemi della filosofia e della tradizione filosofica in Gramsci, non per co"ncludere, ma per porre qualche domanda c non sarà rultima - al nostro tema e alla nostra realtà. Leggeremo il testo gramsciano, in particolare la meditazione di Gramsci su Hegel e Marx, sollecitati da una libertà non soggettiva. C'è una premessa, infatti, di carattere metodico, che riteniamo necessaria: " .. .l'importanza filosofica del p'ensiero di Gramsci... è piuttosto da riccrcarsi nel livello in cui le diverse questioni si incontrano e tendono ad articolarsi, nell'indirizzo e contenuto d'insieme e nel metodo del suo pensiero" 48 • Un'affermazione da intendersi all'interno di questo schema interpretativo : "Non a caso Gramsci si proponeva proprio il problema di chi voglia ricostruire la genesi e la struttura di una ' concezione del mondo' che l'autore non abbia mai 'esposto sistematicamente', e quindi non sia rintracciabile ' in ogni singolo scritto e serie di " B. SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue relazioni con la fìloso{ìa europea, Bari 19261 (a cura di G. Gentile) e G. GENTILE, Storia della filosofia italiana, Firenze 1969 (una raccolta sistematica di tutti gli scritti gentiliani di storia della filosofia a cura di E. Garin). Cfr. invece E. GARIN, Storia della filosofia italiana, 3 voli., Torino, 1966 e per la filosofia, i dibattiti contemporanei Cronache della filosofia italiana, Bari 1955 e La cultura italiana tra '800 e '900, Bari, 1962. " Sollecitato (anche) dalla pubblicazione delle opere di Gramsci nel dopoguerra si svolse un ampio dibattito sul rapporto De Sanctis-Croce e De Sanctis-Gramsci: oltre alle opere di Garin, citate, il lettore può ricostruirlo sulle riviste, in particolare « Belfagor » e «Società». Si riaccese l'interesse per Vico e si intraprese per la prima volta una edizione completa, storico-critica delle opere di De Sanctis presso Laterza e Einaudi. " C. LUPORINI, La metodologia filosofica del marxismo nel pensiero di A. Gramsci, in «Studi Gramsciani», Roma 1958, p. 37.
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scritti, ma nell'intiero sviluppo del lavoro intellettuale vario in cui gli elementi della concezione sono impliciti ' " 49 • Nel testo gramsciano, dunque, almeno come lo leggiamo ora, e prescindendo dalla quasi impossibile configurazione dell'evoluzione, si deve tener presente e lasciare agire in tutta la sua apertura la coincidenza tra frammento e problema, tra probl_ema c sistema, che vi si manifesta in sé, allo stato possiamo dire puro, con tutte le difficoltà che ne derivano. Ma c'è una premessa poi di carattere più interno, che riteniamo altrettanto necessaria: la nostra storiografia filosofica, è noto, ha presentato e presenta in alcune sue figure una determinazione del rapporto Hegel-Marx, idealismo classico tedesco-marxismo, del tutto originale, storicamente giustificata dall'evoluzione marxiana e riconducibile, in alcuni suoi nessi, alle individuazioni positivo-negative che di Hegcl si leggono nel Nachlass di Lenin ~0 • Non ha qui importanza né interesse alcuno fare nomi. Vorrei soltanto ricordare il giudizio di uno di questi interpreti sull'evoluzione di un filosofo non più tra noi, la cui grandezza solo ora cominciamo a misurare. Massolo ha detto di Banfi: Egli manifesta la coscienza piena che il marxismo viene da lontano. Questo giudizio è un omaggio a Gramsci, e lasceremo che esso ci guidi nell'esplorazione degli incontri di Gramsci con Hegel e Marx, nella determinazione di quel rapporto storico e dialettico che Gramsci configura tra la filosofia della prassi e Hegel, fra il marxismo e la filosofia della prassi, cioè: fra il testo marxiano e l'interpretazione che esso sollecita. La meditazione di Gramsci su Hcgel non è nella sua discontinua continuità un fatto gratuito e neppure marginale. Agli occhi del lettore appaiono subito i due momenti opposti dell'accettazione e del rifiuto; dovremo considerarli sempre come operanti, libere componenti della riflessione gramsciana: " Hegel rappresenta, nella storia del pensiero filosofico, una parte a sé, pòiché, nel suo sistema, in un modo o nell'altro, pur nella forma di romanzo filosofico, si riesce a comprendere cos'è la realtà, cioè si ha, in un solo sistema e in un solo filosofo, quella coscienza delle contraddizioni che prima risultava dall'insieme dei sistemi, dall'insieme dei filosofi, in polemica tra loro, in contraddizione tra loro " (p. 93) 51 ; ma d'altra parte: " ... gli elementi di spinozismo, di feuerba" E. GtRIN, A. Gramsci nella cultura italiana, i b., p. 4 (cfr. p. 395). 50 Si tratta dei Quaderni filosofici (cit.); estratti, riassunti, commenti, note in margine,. un lavoro fatto quasi interamente su opere di Hegel. 51 Salvo indicazione contraria l'indicazione delle pagine si riferisce a Il materialismo storico e la filosofia di B. Croce, Torino 1948.
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chismo, di hegelismo, di materialismo francese ccc., non sono per nulla parti essenziali della filosofia della prassi né questa si riduce a quelli, ma ciò che più interessa è appunto il superamcnto delle vecchie filosofie, la nuova sintesi o gli elementi di una nuova sintesi, il nuovo modo di concepire la filosofia ... È certo che l'hcgelismo è il più importante (relativamente) dei motivi al filosofare del nostro autore... " (pp. 158-159). Ritenere tali posizioni libere articolazioni di una riflessione che ha per oggetto del proprio esercizio solo la pagina sulla quale procede esercitandosi, significa non già assolutizzarle, ma porre a noi stessi il dovere di ricostruire la loro mediazione. Essa è subito evidente come ricerca di una tradizione possibile della filosofia della prassi, di un intero storico-ideologico che abbia costituito e costituisca il presupposto, il tempo di quella filosofia, e insieme esprima la ragione di una comprensione, storica, e speculativa. Ci accompagni il contrappunto: "La filosofia della prassi è stata un momento della cultura moderna; in una certa misura ne ha determinato o fecondato alcune correnti" (p. 81) e " (l'hegclismo) ebbe certo un'importanza eccezionale e rappresenta un momento storico-mondiale della ricerca filosofica " (p. 159). " La filosofia della prassi presuppone tutto questo passato culturale, la Rinascita e la Riforma, la filosofia tedesca e la Rivoluzione francese, il calvinismo e l'economia classica inglese, il liberalismo laico e lo storicismo che è alla base di tutta la concezione moderna della vita. La filosofia della prassi è il coronamento di tLttto questo movimento di riforma intellettuale e morale, dialcttizzato nel contrasto tra cultura popolare e alta cultura " (p. 86). Tradizione, dunque, come tradizione umanistica; c si sa quanto valga questo termine in Gramsci, che meriterebbe un'intera trattazione. Interessa qui notare direttamente: il nuovo momento del mondo è " umancsimo assoluto " (p. 105), " un umanesimo assoluto della storia " (p. 159). Ma c'è anche un elemento di rinnovamento della tradizione, di irriducibilità, che ci riconduce al tema del secondo momento, della novità storica della filosofia della prassi: " Corrisponde al nesso Riforma protestante più Rivoluzione francese: è una filosofia che è anche una politica e una politica che è anche una filosofia " (p. 87, cfr. pp. 217 -218). Segue subito una ulteriore determinazione, un passaggio dal rilievo sociologico alla comprensione storica, quasi una aggettivazione (storicizzazione) della filosofia della prassi, posta come oggetto della coscienza del filosofo: " Attraversa ancora la sua fase popolaresca: suscitare un gruppo di intellettuali indipendenti non è cosa facile, domanda un lungo processo, con azion.i e reazioni... è la con-
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cezione di un gruppo sociale subalterno, senza iniziativa storica, che si amplia continuamente, ma disorganicamente, e senza poter oltrepassare un certo grado qualitativo che è sempre al di qua del possesso dello Stato, dell'esercizio reale dell'egemonia su l'intera società che solo permette un cetio equilibrio organico nello sviluppo del gruppo intellettuale" (p. 87). Questo punto, autenticamente e. tematicamente gramsciano, sembra il risultato (o la condizione?) di un fattivo incontro, di una intelligente lettura di Hegel. Così, infatti, si esprimerà più tardi: " ... enorme importanza la posizione assegnata da Hegel agli intellettuali ... Con Hcgcl si comincia a non pensare più secondo le classi o gli stati, ma secondo lo Stato, la cui aristocrazia sono appunto gli intellettuali. La concezione patrimoniale dello Stato (che è il modo di pensare per caste) è immediatamente la concezione che Hegel deve distruggere (polemiche sprezzanti e sarcastiche contro von Haller). Senza questa valorizzazione degli intellettuali fatta da Hcgcl non si comprende nulla (storicamente) dell'idealismo moderno c delle sue radici sociali " 52 • Nell'avverbio storicamente - è inutile sottolinearlo - è la chiave della citazione, e dell'intera pagina che stiamo analizzando. Proseguiamo: " La filosofia della prassi è diventata anch'essa pregiudizio e superstizione: così com'è, è l'aspetto popolare dello storicismo moderno ma contiene in sé un principio di superamento di questo storicismo " (p. 87). La formulazione è ora diversa. Il piano sociologico e quello storico della ricerca sono avvicinati e ne risulta un concetto della filosofia della prassi come di una filosofia della storia: infatti, subito dopo, si parla dell'antitesi materialismo c spiritualismo come antitesi di classe popolare e classi tradizionali che si genera ad ogni fase di rivolgimento - e Gramsci fa propria la filosofia della storia hegeliana: " Hegel, a cavallo della Rivoluzione francese e della Restaurazione, ha dialettizzato i due momenti della vita del pensiero, materialismo e spiritualismo, ma la sintesi fu un uomo che cammina :çulla testa" (p. 87). Questa interpretazione ritorna in Gramsci ancora, e non sembra del tutto mediata da Marx (cfr. pp. 70-71). Per finire con questo testo, consideriamo il non comune parallelismo istituito da Gramsci tra la filosofia della prassi e la filosofia hcgcliana: " I continuatori di H egei hanno distrutto questa unità e si è ritornati ai sistemi materialistici da una parte e a quelli spiritualistici dall'altra. La filosofia della prassi., nel suo fondato" Gli intellettuali e /"organizzazione della cultura, Torino 1949, pp. 46-47.
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re, ha rivissuto tutta questa esperienza, di hegclismo, feuerbachismo, materialismo francese, per ricostruire la sintesi dell'unità dialettica: l'uomo che cammina sulle gambe. Il laceramento avvenuto per l'hegclismo si è ripetuto per la filosofia della prassi, cioè dall'unità dialettica si è ritornati da una parte al materialismo filosofico, mentre l'alta cultura moderna idealistica ha cercato di incorporare ciò che della filosofia della prassi le era indispensabile per trovare qualche nuovo elisir" (p. 87; cfr. pp. 104-105). Hegel è qui pienamente restituito alla storia. E con Hegcl, Marx. E non si tratta di semplice restituzione alla storia, bensì del riconoscimento, nella storia della filosofia della prassi, delle ragioni dell'idealismo tedesco o speculativo, della filosofia come storicità. Torneremo subito su una valutazione di quest'ultimo termine, ma teniamo ferma l'affermazione di Engels, già citata: " Il proletariato è l'crede della filosofia-classica tedesca". Gramsci, leggendo Marx, restituisce Hcgcl alla storia, e questo riconoscendone la lezione più alta, il suo aver accolto nella filosofia il mondo storico e l'aver posto quindi la filosofia come ideologia: " Si può vedere con maggiore esattezza e precisione il significato che la filosofia della prassi ha dato alla tesi hcgcliana che la filosofia si converte nella storia della filosofia, cioè della storicità della filosofia. Ciò porta alla conseguenza che occorre negare la filosofia assoluta o astratta e speculativa, cioè la filosofia che nasce dalla precedente filosofia c ne eredita i problemi supremi così detti, o anche solo il problema filosofico, che diventa pertanto un problema di storia, di come nascono e si sviluppano i determinati problemi della filosofia" (p. 233). E in polemica diretta con Croce, che era il suo Hegel, afferma: " Questa proposizione del Croce della identità di storia e filosofia è la più ricca di conseguenze critiche: I) essa è mutila se non giunge anche alla identità di storia e di politica (e dovrà intendersi politica quella che si realizza e non solo i tentativi diversi e ripetuti ... ) c, 2) quindi, anche alla identità di politica e di filosofia. Ma se è necessario ammettere questa identità, come è possibile distinguere le ideologie (uguali, secondo Croce, a strumenti di azione politica) dalla filosofia? Cioè la distinzione sarà possibile, ma solo per gradi (quantitativa) e non qualitativamente. Le ideologie ... saranno l'aspetto di massa di ogni concezione filosofica, che n.cl filosofo acquista caratteri di universalità astratta, fuori del tempo e dello spazio, caratteri peculiari di origine letteraria e antistorica " (p. 217).
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Se teniamo presente il brano riportato all'inizio (" Hegcl rappresenta, nella storia del pensiero filosofico, una parte a sé... nel suo sistema... si riesce a co_mprendere cos'è la realtà "), c le righe che immediatamente lo precedono (la determinazione del radicarsi della filosofia nelle contraddizioni della società, ma come antitesi al sapere, alla mera coscienza ideale di queste contraddizioni nel sistema: infatti, " Ogni filosofo è e non può non essere - convinto di esprimere l'unità dello spirito umano... se una tale convinzione non fosse, gli uomini non opererebbero, non creerebbero nuova storia, cioè le filosofie non potrebbero diventare ideologie ") (p. 93), non deve apparire violenza o comunque sollecitazione del testo l'individuata comprensione della filosofia hegeliana, anzi il riferimento ad un testo ben preciso, alla Prefazione alla Filosofia del diritto, che stabilisce il compito della filosofia nella " comprensione del presente e del reale", un <:ompito da vedersi assolutamente in una contingenza: non è possibile, infatti, alla filosofia " ringiovanire le figure della vita ", ma soltanto " riconoscerle ". Insomma, certamente alcuni fra quei testi nei quali Marx aveva trovato gli clementi della critica "che sorpassano di molto il punto di vista hegeliano ". La scoperta del passato della filosofia della prassi, la restituzione di una tradizione, il riconoscimento dell'importanza della presenza di Hegelnella tradizione della filosofia come ideologia, riappaiono indirettamente in un tema marx-engelsiano molto caro a Gramsci: " Può disgiungersi l'idea di progresso da quella di divenire? Non pare. Esse sono insieme, come politica (in Francia), come filosofia (in Germania, poi sviluppata in Italia) " (p. 33). Siamo qui ad un nodo della filosofia della prassi in Gramsci, al concetto di blocco storico, del condizionarsi in esso di struttura e ideologia, all'interno, dunque, del rapporto fra il politico (storico in generale) e lo speculativo (filosofico-ideologico). Un altro passo precisa: "Nel brano sul materialismo francese nel secolo XV /Il (Sacra famiglia) è abbastanza bene c chiaramente accennata la genesi della filosofia della prassi: essa è il materialismo perfezionato dal lavoro della stessa filosofia speculativa e fusosi con l'umanismo" (p. 43). Sino a che punto questa formulazione è per Gramsci problematica? Egli si pone, è vero, una domanda: " ... l'elemento speculativo è proprio di ogni filosofia, è la forma stessa, che deve assumere ogni costruzione teorica in quanto tale, cioè speculazione è sinonimo di filosofia e di teoria? " (ib.); ma dimostra anche (indirettamente e a partire da un problema diverso) come fosse esatto il nostro primo rilievo sulla presenza della filosofia hegeliana in Gramsci: " Occorre dimostrare che la conce-
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zione soggettivistica, dopo aver servito a criticare la filosofia della trascendenza da una parte e la metafisica ingenua del senso comune e del materialismo filosofico, può trovare il suo invcramento c la sua interpretazione storicistica solo nella concezione delle superstrutture mentre nella sua forma speculativa non è altro che un mero romanzo filosofico" (p. 141). Il tema ora accennato diventa problema nei brani sulla cosiddetta " Traducibilità dei linguaggi scientifici e filosofici ": rapporto fra il linguaggio politico francese e il linguaggio della filosofia classica tedesca, fra Hegel e la Rivoluzione francese ecc. 53 • Il marxismo può mostrarsi come coscienza dello storicismo, a sua volta come storicità (pp. 22, 93-94). Lo stesso circolo potrebbe essere percorso a partire da un altro testo, dall'esame, per esempio, degli appunti schematici raccolti sotto il titolo " Egemonia della cultura occidentale su tutta la cultura mondiale " : è sempre centrale il motivo cultura europea e il suo processo di unificazione in Hegel, decomposizione dell'hegelismo, filosofia della prassi come risultato storico. Ripcrcorriamo rapidamente i testi studiati e cerchiamo di individuare alcuni nodi della dottrina, gli interventi dì Gramsci sul e nel marxismo stesso : l) La filosofia come storicità e ideologia, formulazione teorica della espressione : la filosofia non comincia con la filosofia, la filosofia non fa storia con se stessa, ma con e a partire da altro. In questa posizione è veramente da vedere un'eredità della prima speculazione greca: essa si presenta a noi, nei pochi documenti rimasti, o come mito o come scienza, e il filosofo nella figura o del poeta o dd politico, come ha detto bene Gìgon, e quindi nei due aspetti del dominatore e dell'uomo paradossale, isolato, " perché l'uno e l'altro rappresentano una reazione provocata dall'evidente indifferenza dell'uomo comune" 54 • Nell'uomo comune sta la ragione dell'interrogazione, di quel "perché? " che egli non 53 Pp. 63 sgg. Gramsci si intrattiene sul famoso verso carducciano: " Decapitaro Emmanuel Kant iddio, Massimiliano Robespierre il re ": cfr. D. CANTIMORI, Un parallelo letterario fra Kant e Robespierre, in «Studi di storia», Torino 1969 e S. LANDUCCI, Di un celebre paragone fra la Rivoluzione francese e la filosofia classica tedesca, in « Bclfagor », 18, 1963, n. l. Si veda poi Passato e presente, Torino 1951, p. 58 e Il materia· lismo storico ... , p. 145, dove Gramsci rinvia all'interpretazione engelsiana della proposizione di Hegel sull'identità di reale e razionale. 54 O. GrGON, Grundprobleme der antiken Philosophie, Bern 1959, p. 19.
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si pone, c poi della risposta a quel " perché? ", che egli non sa dare. Questa noi sembra la sola interpretazione plausibile della antica tesi intorno alla genesi della filosofia dallo stupore, dalla meraviglia, quando si ponga mente che lo stupore è sollecitato da altro, da qualcosa che desta appunto meraviglia, e il discorso che trova qui il suo inizio è un discorso a partire da questo qualcosa, su e per esso. Se questa interpretazione è giusta, si dovrà anche ammettere che la natura del discorso filosofico, il suo porsi come discorso ·universale (univcrsalmentecomunicabile), come totalità (cioè come çliscorso uno e coerente), il suo esaurire quindi la realtà o comunque il suo mirare ad una completa risoluzione (sapere, sistema) non contraddice la genesi storica della filosofia, il concetto della filosofia come storicità 55 • In altri termini possiamo dire: il filosofare è un atto condizionato quanto alla sua genesi e al suo contenuto, incondizionato quanto alla sua forma - ma sempre, assolutamente contingente, perché esso si realizza a mezzo di una decisione libera. La filosofia non ha a che fare col necessario, ma con ciò cb e è: di qui la sua natura ideologica, astratta.
a
2) Il concetto di blocco storico è alla base delle considerazioni sopra svolte. Infatti, la natura e la struttura ideologica, astratta del filosofare non vale in assoluto, ma va configurata come tale in funzione di ciò di cui essa è l'espressione ideologica, ideologia di un determinato momento storico, di una certa situazione, diciamo pure di un certo contenuto. Assumiamo questa definizione: " ... blocco storico, in cui appunto le forze materiali sono il contenuto e le ideologie la forma, distinzione di forma e contenuto meramente didascalica, perché le foi·ze materiali non sarebbero concepibili storicamente senza forma e le ideologie sarebbero ghiribizzi individuali senza le forze materiali " (p. 49). Certo non è la sola definizione in Gramsci; potrebbe essere studiata comparativamente o nell'evoluzione e nella sua genesi nei classici del marxismo, ma non è questo il luogo. È metodicamente utile osservare: la sua importanza sta nella sua articolazione de facto, all'interno delle singole ricerche. E. decisiva, inoltre, la sua connessione con il concetto di dialettica: " La struttura e le superstrutture " Sulla natura e sulle figure (strnthtra, si direbbe oggi) del discorso filosofico, sulla sua inevitabile dialettica, rinviamo a E. WmL, Logique de la philosophie, Paris 1950, in particolare al capitolo introduttivo "Philosophie et violence ". Il meglio a nostra conoscenza. Una nuova formulazione delle riflessioni di Weil sulla storia della dialettica in Dialettica oggettiva, in «Il pensiero», 15, 1970 (numero unico dedicato a Hegel).
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formano un blocco storico, cioè l'insieme complesso contraddittorio delle soprastrutturc è il riflesso dell'insieme dci rapporti sociali di produzione. Se ne trae: - che solo un sistema di ideologie totalitario riflette razionalmente la contraddizione della struttura c rappresenta l'esistenza delle condizioni oggettive per il rovesciamento della prassi " (pp. 39-40). " Si può dire ", commenta un interprete, " che per blocco storico Gramsci intenda il risultato, in una certa situazione storica, del rappmio dialettico di struttura e superstruttura. In un celebre passo, dove egli dice che la struttura e le superstrutture formano un blocco storico, e spiega quali sono le condizioni storiche necessarie perché l'ideologia trasformi la realtà, ciò che esprime, in termini hegeliani, dicendo che il razionale si fa reale, conclude: il ragionamento si basa sulla reciprocità necessaria tra struttura e superstrutture (reciprocità che è appunto il processo dialettico reale) " 56 • Il concetto è, dunque, abbastanza esteso e comprensivo per consentire quell'articolazione di cui si è detto, e Gramsci ne ha dato più di un esempio, troppo poco seguiti, in verità, perfezionati o ampliati. Non daremo qui uno schema delle varie possibilità per non essere immediatamente accusati di meccanicismo, sociologismo ecc. (purtroppo siamo ancora a questo punto!). Diremo soltanto: " forze materiali " c " ideologie " come rapporto di contenuto c fonna è soltanto una relazione base, sulla quale si svolge almeno una doppia dialettica, quella interna alle forze materiali e quella interna ulle ideologie. In una certa situazione storica, dato il blocco storico come risultato del rapporto fra strutture e supcrstrutturc, si dovranno studiare le condizioni perché l'ideologia trasformi (o non trasformi o trasformi parzialmente) la realtà c come la realtà agisca c reagisca a queste sollecitazioni. In altre parole : il concetto di blocco storico può essere assunto come il positivo, il negativo essendo le componenti che lo attuano, lo pongono in crisi e lo rovesciano. 3) Le forze materiali, le ideologie e la loro dialettica sono i termini della presentazione di un problema che ha un valore meramcntc didascalico. Accertata la connessione di dialettica e blocco storico, non ha senso, se non metaforico, parlare di dialettica di ... : la filosofia come storicità e ideologia e il concetto di blocco storico non sono un punto di vista, ma un risultato storico, e il concetto di dialettica, che ne è la mediazione, si identifica con Ja 56 N. Bonmo, Nota sulla dialeflica in Gramsci, in « Studi Gramsciani», cit., p. 78: cfr. Il materialismo storico ... , cit., pp. 39-40.
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Storia, " bl<:>cco storico " e ideoiogia .in Gramsci
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realtà storica quando sia intesa come e nella pienezza di contraddizioni. Questa tes.i andrebbe lungamente discussa. Ora, però, non possiamo che rimandare al precedente discorso su Hcgcl, Marx c Gramsci che la illustra e a quella problcmatica contemporanea che l'ha accolta e sostenuta pur senza identificarsi senz'altro con le posizioni del marxismo; Diciamo con Bobbio, che cita Gramsci, almeno questo: ·· .. .il rapporto tra filosofia e consapevolezza delle contraddizioni è sempre presente nel pensiero di Gramsci, nel quale il marxismo è, in quanto filosofia, superiore alle filosofie precedenti, e quindi anche allo. hegelismo, solo nella misura in cui ha acquistato più piena consapevolezza delle contraddizioni, e si pone, anzi, da se stesso come un elemento della contraddittorietà della storia": "In un ·certo senso, pertanto, la filosofia della prassi è una riforma e uno sviluppo dello hegelismo, è una filosofia liberata (o che cerca di liberarsi} da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico, è la coscienza piena delle contraddizioni, in· cui lo stesso filosofo, inteso individualmente o inteso come intiero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenza e quindi di azione" sì. Se ancora qualcosa possiamo aggiungere rileggiamo il noto, troppo noto, testo hegeliano: " Per dire ancora una parola su questo modo di prescrivere come il mondo deve essere, la filosofia in ogni caso arriva sempre troppo tardi. Pensiero del mondo, essa appare soltanto nell'epoca in cui la realtà effettuale ha compiuto il processo ddla sua formazione cd è esaurita ... Quando la filosofia dipinge il suo grigio sul grigio una forma della vita è invecchiata c non si lascia ringiovanire con del grigio.; essa si lascia soltanto riconoscere ". Certo, possiamo spezzarla, dobbiamo trasformarla (XI tesi su Feuerbach) - ma questo, risultato della dialettica, non è più il compito della filosofia.
·" N. BoBBIO, art. cit., p. 79: cfr. Il materialismo storico ... , cit., pp. 93-94. Sul negativo fondamentale il passo a p. 22.
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Agli inizi del secolo, quando la Società francese di filosofia discusse c redasse la voce " dialettica ", per un dizionario filosofico rimasto· giustamente celebre 1, preferì evitare qualsiasi definizione e si limitò, dando prova di una pmdenza forse eccessiva, ad indicare i vari significati storici del termine; ritenne inoltre di dover aggiungere la seguente nota critica, quasi un ammonimento: "Questo termine ha assunto accezioni tanto diverse da non poter essere utilizzato se non indicandone con precisione di volta in volta il senso. Anche con questa limitazione c'è pur sempre il pericolo di rendere possibili associazioni improprie che è bene considerare con sospetto". Correvano gli anni intorno al 1905. In una successiva edizione, quaranta anni dopo, è stata aggiunta la seguente osservazione: " in un senso ancor più largo diaJettica indica ogni connessione di pensieri ordinati logicamente, dipendenti l'uno dall'altro ". Un tentativo di definizione estremamente generico, un'aggiunta molto significativa. Mezzo secolo di evoluzione del pensiero scientifico e filosofico non ha permesso di giungere ad un risultato tanto modesto come la definizione di un termine, di un concetto, da parte di chi professa discipline che in quel termine trovano una delle ragioni e sollecitazioni più profonde e di quel concetto si servono nei modi più vari. La persona intelligente, l'intellettuale di professione ha come sempre una risposta, una spiegazione pronta: ma è chiaro, dirà, ciò dipende dalla natura stessa del filosofare, che è essenzialmente dialettico; filosofare è riproporre sempre gli stessi problemi ed esercitarsi continuamente sulle risposte che si debbono alle iden1 Com'è noto il Vocabulaire technique et critique de la philosoplzie (ora nella trad. it. Dizionario critico di Filosofia, con prefazione di M. Dal Pra, Milano 1971) è opera collettiva pubblicata da A. Lalandc. Cito secondo la 5" ed. ampliata, Paris 1947. La nota è a p. 218 e l'aggiunta a p. 217, sotto F.
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tiche domande, e non mancherà di aggiungere che la storia della filosofia è la dimostrazione più evidente di questo fatto. Anche se non spiega assolutamente nulla, e dimentica che proprio del filosofare è il porre questioni, domande, sempre diverse, il capire, non semplicemente spiegare, la risposta è fino ad un certo punto accettabile, almeno per colui che vive una certa situazione, ma ha in sé il vizio di dare per risolte questioni che la storia della filosofia e la problematica contemporanea hanno lasciato del tutto aperte, e si manifesta da ultimo come l'intervento della coscienza comune, che opera e vive tra i fatti e le contraddizioni che dai fatti si generano, ma non sa nulla di esse. Cerchiamo di spiegare questo intervento della coscienza comune, la tendenza, in essa manifesta, ad identificare dialettica e filosofia. l?. una risposta viziata, si è detto, e potremmo soggiungere difettosa, sotto due diversi aspetti. Innanzi tutto assume come fatto un dato piuttosto problematico, in sé e storicamente. La storia della filosofia non dimostra affatto che la filosofia è la risposta ai massimi e perciò eterni e identici problemi dell'uomo. Affermarlo significa ritenere che la filosofia comincia con la filosofia, che la filosofia si nutre di filosofia e a filosofare si impara filosofando. Certo, così si è insegnato, e questo si è lasciato credere, ma autori ne furono dotti e archivisti che redassero quelle storie della filosofia, che Hegcl ai suoi tempi chiamò " raccolte di opinioni". Anche oggi lo si sostiene, come dimostrano scuole, storie, sistemi fìlosofiei. Ma dopo Hcgcl una simile prospettiva è un non senso : proprio gli appunti e gli scritti del lungo periodo della formazione hegcliana consegnano a noi la figura del filosofo nuovo, del moderno uomo di cultura, che si occupa di politica, di economia, di letteratura, c che si infastidisce (come testimonia un contemporaneo) quando la conversazione cade su argomenti astrattamente filosofici. E tutta la storia della filosofia in generale, la storia della dialettica nei suoi momenti fondamentali dimostra che la filosofia è l'interrogazione che il filosofo rivolge al suo tempo, ai problemi che la sua epoca gli impone, e conferma d'altra parte che alla filosofia - ricordiamo gli educandi platonici! - si giunge solo tardi, solo ad un certo punto, quando il ciclo delle esperienze personali e storiche rende possibile una risposta, una comprensione concettuale (ripetiamo, non una spiegazione), una interpretazione della realtà non immediata, non più direttamente condizionata dagli eventi. Vediamo il secondo aspetto della risposta della coscienza comune, la pretesa essenza dialettica del filosofare, origine e risultato della lunga e celebre tradizione platonica. l?. un tema noto, opi-
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nio recepta. In realtà, si tratta di un luogo comune che dice ben poco; se mai esso ci impone di riflettere sull'ammonizione del Lalande e ne giustifica una volta di più le preoccupazioni c la prudenza. Il luogo presuppone, è chiaro, un'identità possibile o reale di dialettica e filosofia, quindi anche di storia della dialettica c di storia della filosofia. Ma una tale identità va di volta in volta rimessa in discussione, non già semplicemente accettata sulla autorità della tradizione platonica o di una presunta tradizione hegeliana - per altro ampiamente confutata nelle pagine precedenti. Caratteristico l'unico manuale di storia della dialettica in lingua italiana: " A stretto rigore una storia della dialettica dovrebbe comprendere l'intera storia della filosofia, in quanto processo di momenti spirituali, che vengono ad essere via via superati. Ma stimo opportuno circoscrivere la trattazione in limiti più modesti: allo studio della forma logica in cui gradatamente s'adagia il concetto di divenire " 2• Rimane così in parentesi il problema del senso, cioè del significato che assume in questo caso il termine dialettica. Carica di una storia bimillenaria, ricca di una eccezionale forza di evocazione e di suggestione, la parola " dialettica ", al di là e nonostante le sue determinazioni storiche può apparire equivoca, ambigua, pericolosa per l'uso e l'abuso che se ne fa nella lingua parlata, nella pratica giornalistica 3• Indipendentemente da come viene registrata nei dizionari, non sappiamo neppure - e lo si è visto - se si è fissata come sostantivo o come aggettivo. L'accezione medioevale, che può ancora avere un senso (" l'insieme dei metodi e dei procedimenti che pongono come problema l'oggetto del sapere ", sostanzialmente di origine aristotelica), è andata perduta. D'altra parte il suo uso e il suo significato, riconosciuto in un luogo di un sistema filosofico o come " sezione " di un sistema, ha un valore del tutto particolare (per es. Dialettica trasçen' M. LosACCO, Storia della dialettica. l: Periodo greco (unico volume pubblicato), Firenze 1922, p. IX. 3 Interessante e istruttivo un inventario delle locuzioni cui il tennine ha dato vita e un esame dei lemmi di enciclopedie· e dizionari italiani o stranieri. Bisogna distinguere l'uso corretto (per es. in B. Brecht: cfr. Teatro, Torino 19562, vol. 11, p. 625) dall'abuso sul quale insiste N. Abbagnano nel suo DiZionario di filosofia, Torino 1961, p. 223: questo deriverebbe - e non sono d'accordo: ho cercato di mostrarne il perché in queste pagine - dall'accezione hegeliana di dialettica come sintesi degli opposti. Respinge· di fatto que~ta tesi Devoto-Oli, Dizionario della lingua italiana, Firenze 1971. alle voci "dialettica .. e "dialettico··, a mio avviso perfette. Per altro vedi s.v., BATrAGLIA, Dizionario della lingua italiana.
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dentale nella partizione della Critica della ragion pura), per altro non racchiuso e definito in se stesso, ma a sua volta motore di una nuova realtà, storica e speculativa. Infatti, dopo Kant, Hegel, e dopo Marx, dialettica è una parola che continua ad animare la nostra coscienza storica, che fa parte addirittura del nostro abito mentale. È comunemente e indifferentemente accettata nei più disparati campi del dialogo contemporaneo per indicare e caratterizzare ciò che è e deve ritenersi in movimento, in formazione, ciò che non può e non deve essere staticamen.te configurato; ma definisce anche, in una accezione più nobile, l'atteggiamento critico del pensiero non intellettualistico, ·della riflessione concreta, realistica - del pensiero, appunto, alle prese con le cose, con le loro contraddizioni, che cerca di comporle per poterle comprendere. D'altra pane l'immediatezza, la corrispondenza quotidiana col pubblico, che è propria del littérateur presenta a sua volta una particolare struttura dialettica 4• Non dimentichiamo in ogni caso che questa nostra coscienza storica, o meglio questa nostra attività speculativa e interpretativa, è nata e ha assunto forme e figure determinate, ben individuabili nel dibattito dci nostri giorni proprio in rapporto a ciò che viene detto l'evoluzione " dialettica " del filosofare, il " dialettizzarsi ", il " farsi dialettica " della filosofia . .B vero: facciamo così nostro un luogo comune, facciamo nostra l'interpretazione della coscienza comune e ci serviamo di un'espressione mctaforica per risolvere un passaggio che dovremmo invece spiegare. Ma è proprio la metafora in sé che ci interessa - dialcttizzarsi, farsi dialettica - come registrazione di una formula del linguaggio filosofico c non soltanto filosofico. La formula ha un'ascendenza perfettamente chiara, ed ora lo sappiamo. Da una parte la tradizione marxiana e socialista, con i suoi testi teorici, dove viene fissata la polemica anti-Hegel (accettazione della dialettica come "metodo "), nella sua evoluzione speculativa e pratico-politica. Qui il concetto assume significati c sfumature diversi, passati poi nella dottrina e nelle varie forme del linguaggio: dialettica e dialettico sono sinonimi di scienza e scientifico, di reale, realismo, realistico, termini con i quali si intende caratterizzare il divenire storico e il suo procedere per conflitti (lotta o dialettica di classe), indicando ad un tempo (nella stessa espressione " lotta di classé ") la formazione dei contrasti, il costituirsi dell'opposizione nei suoi vari mo• Non posso che rinviare all'immagine di Sainte-Beuve, " lettore eterno", alla sua "lettura totale", continuamente presente e operante in C. Do, Della lettura (1942), Firenze 1953.
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menti (struttura c ideologie, economia e cultura ccc.), la loro tensione c soluzione. Dall'altra parte troviamo la tradizione che risale a Kierkegaard. Egli ci ha consegnato un'immagine della dialettica che ha avuto fortuna più di mezzo secolo dopo nelle cosiddette filosofie dell'esistenza. Anche Kierkcgaard polemizzò contro Hegel, c ritenne di dover attribuire la dialettica dell'essere (logica) e la dialettica della storia (che seconçlo certi interpreti, già attivi fra i contemporanei di Kierkcgaard e Hcgcl, si identificherebbero) alla sfera individuale. Le categorie dialettiche (hegcliane) dell'essere e del nulla, le grandi categorie della storia e quelle della filosofia (coscienza c coscienza di sé) sono rimaste, ma hanno subito nella nuova sfera una profonda trasformazione. Sono divenuti centrali il rapporto uomo-Dio e la dialettica, nell'uomo, di vita e fede. " Kierkegaard non è stato dunque un dialettico, anzi, ma poiché egli conosceva la dialettica e la rifiutò per insistere sul mistero e sullo scandalo della fede c della salvezza dell'individuo, si creò questa situazione: la dialettica oggettiva hcgcliana divenne un estremo di quell'opposizione, nella quale l'individuo e la sua irriducibile soggettività costituiva l'altro estremo " 5• Heidegger e Jaspcrs, i più celebri " esistenzialisti ", ripropongono lo stesso dilemma in una forma che è ancora sostanzialmente teologica, comunque metafisica. Nello " Schcitern" (lo scacco, il naufragio) la dialettica " ritorna alla sua vera essenza, che è quella di celebrare con pietà gli dei": così l'heidcggeriano W. Brocker nella sua breve storia della dialettica 6• La dialettica come " Umweg zur Wahrhcit tibcr den Irrtum " (il lungo giro o deviazione verso la verità attraverso l'errore), cioè come soluzione di aporie e progetto continuo (Platone); essa si nientifica.quando viene oggettivata (Hegel), ma anche di questa morte vive, come abbiamo ricordato. Gli anni venti rappresentano l'apoteosi di queste immagini e tradizioni - c ne abbiamo detto il perché, abbiamo tentato di capirlo (cfr. sopra cap. 8.3). · La formula, nelle sue complesse ascendenze c direzioni (il dialettizzarsi della filosofia, la filosofia come dialettica), vuole indicare oggi - oggi, si badi - il riconoscimento del mondo storico da parte della filosofia, la discesa verso la caverna, celebrata da Platone e che la storia ha sempre riproposto: il filosofo ne pre5 E. WEIL, Pe11siero dialettico e politica, in Filosofia e politica, Firenze 1965, p. 44. 6 Dialektik, Positivismus, Mythologie, Frankfurt 1948, pp. 21, 41.
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se coscienza, giUstificandola e comprendendola nel sistema, solo fra Kant e Marx. Vorremmo sottolineare: riconoscimento del mondo storico non significa annullamento della storia, vittoria dell'astratto concetto, ma piuttosto che alla realtà storica debbono ricondursi le domande e le risposte della filosofia, e non ha senso al di là della storia l'operare del filosofo. È il risultato della nostra storia. Lo abbiamo visto: il filosofo si ripresenta - non può non ripresentarsi - secondo l'immagine del presocratico, uomo politico c scienziato, re e filosofo. Proprio l'immagine platonica del re-filosofo, dell'uomo di cultura che riconosce se stesso e la sua azione nel mondo e per il mondo, uomo tra gli altri nella violenza della città, racchiude, se interpretata adeguatamente, tutto il significato di dialettica. Se la parola non viene deliberatamente limitata all'accezione formale, logica, consacrata dalla tradizione aristotelico-medioevale, oggi dialettica nient'altro indica che la realtà in quanto ha un senso per l'uomo. Coscienza del reale, quindi, nelle antitesi della coscienza comune c nell'unità della coscienza del filosofo, astratta e sempre rimessa in discussione. Non si dia a questa definizione un valore metafisica. Realtà è la totalità del mondo nel quale viviamo: natura, società umana, cultura. L'uomo fa parte di questo intero, è questa totalità stessa, distingue una cosa dall'altra, indica ciò che è ed esclude pertanto ciò che non è, egli parla, semplicemente; nomina le cose, e introduce così il tempo, la contraddizione e la storia. Ciò che è in un determinato momento, è qualcosa che è stato altro, e non è ancora ciò che sarà successivamente. L'azione c la parola dell'uomo, all'interno della totalità nella quale l'uomo è immerso, manifestano l'infinita vicenda delle contraddizioni che formano e animano il tessuto della realtà. L'affermazione e la negazione, il tempo e quindi la storia, che il linguaggio rende possibili, costituiscono già un primo .senso della realtà, il suo stesso essere dialettica. Come l'uomo perviene alla coscienza della situazione, quando e se possa pervenirvi, è il grosso problema dcll'individuazione delle · forme della coscienza comune e della sua distinzione dal sapere del filosofo. È il problema, insomma, della storia della dialettica. È il suo risultato. In altre parole: " L'uomo non ha immediatamente accesso alla totalità nella sua unità, egli la scopre soltanto nel movimento del suo discorso che è azione, della sua azione che è pensiero, a passo a passo, punto per punto, e nessun passo è l'ultimo, nessun punto è il privilegiato. La verità è nel discorso, verità come essere, essere che si manifesta: ma la negazione copdiziona il discorso nel suo inizio e nel suo movimento, e soltanto la totalità del discorso, la totalità delle contraddizioni è non con-
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traddizionc ... La dialettica non è dunque altro che il movimento incessante tra il discorso che è azione e la rivelazione ddla realtà in questo discorso e in questa azione. La dialettica è questo movimento, non una costruzione dello spirito. Proprio per ciò la dialettica finisce per sapere che essa è totalità non contraddittoria delle contraddizioni " 7• Quella forma astratta del ragionamento, che il passato ha tramandato col nome di dialettica, si è a poco a poco trasformata in analisi della storia e poi nella storia stessa. Arte dell'interrogare e del rispondere nelle sue più remote origini (Sofisti, Socrate, Platone), argomentazione che procede sul fondamento di ciò che è solo probabile (Aristotele), logica formale in genere nel sistema delle " arti" medioevali, logica dell'apparenza con Kant (cioè, motore della conoscenza prima, conoscenza logica poi o nel suo intero o nel suo fondamento), dialettica è oggi sinonimo di realtà storica, ma in quanto l'uomo prende coscienza della realtà c agisce in vista di una sua continua trasformazione. Ma se dialettica è la realtà umana, la storia, si può obiettare: se tutto è dialettica, allora nulla è dialettica! I momenti della storia che abbiamo tracciato hanno risposto a questa domanda. Come tutte le domande, però, è ancora giustificata. Ma ricordiamo il nostro risultato: tutto è dialettica e nulla è dialettica, c questo dipende dalla coscienza o meno che l'uomo come uomo comune o come filosofo ha della sua politicità, cioè del suo volere c potere partecipare o meno alla storia degli uomini. " Dialettica c politica sono strettamente connesse fin dalle origini o quasi. Se non è possibile parlare di un interesse di Parmenide per i problemi della Città, un interesse simile è invece ben individuabile in Eraclito ... influenza i Sofisti e diviene centrale in Socrate e Platone. La dialettica è chiamata a fondare l'unione dei cittadini sulla comunità dei concetti e in particolare dei concetti morali e giuridici " 8• In principio, dunque, era la dialettica. E dialettico è il senso della sua stessa fine - come crediamo di aver dimostrato. Ma siamo veramente pervenuti a un risultato o non siamo tornati piuttosto al punto di partenza? :B vera l'una e l'altra cosa - e non è una contraddizione, come ora dobbiamo sapere. Le ragioni della inadeguatezza della definizione di " dialettica " nel Lalandc o in altro manuale, della varietà e del contrapporsi delle rispo7 E. WEIL, Hegel, trad. it. con alcune pagine inedite, nella coli. « Differenze », Urbino 1962, pp. 23, 25. • E. WEIL, Pensiero dialettico e politica, cit., p. 18.
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ste e delle configurazioni, lo stesso punto di arrivo, non sono da vedersi e da ricercarsi all'interno della filosofia o di un filosofare. La filosofia non ha di queste responsabilità. La filosofia trova di fronte a sé un mondo estremamente complesso, già elaborato: una lunga storia la precede ed è storia di lotte e conquiste umane. Il filosofo si trova ad operare quando è già sopravvenuta la vecchiezza dell'uomo e del tempo, Alla storia degli uomini, al divenire delle loro società c costituzioni, all'interno dei complessi rapporti che intercorrono fra quelle vicende e il mondo della cultura vanno ricondotte le interrogazioni e le risposte del filosofo per essere capite, cioè vanno ricollocate in quel solco che ha dato loro vita e nutrimento, ancorate alla Città, che le ha sollecitate. Da Socrate a Brecht gli alberi non hanno mai destato la curiosità del filosofo. A Fedro, che l'aveva condotto fuori le mura, lungo l'Ilisso, Socrate dice: " Non la campagna c gli alberi, ma gli uomini nella città possono inscgnarmi qualcosa" (Fedro, 230-231). Di Brecht ricordiamo almeno la strofa: " In me combattono l l'entusiasmo per il melo in fiore l e l'orrore per i discorsi dell'imbianchino [Hitler]. l Ma solo il secondo l mi spinge al tavolo di lavoro". Allora, proprio per il motivo ora esposto, la situazione nella quale ci troviamo a lavorare e dalla quale non possiamo fare astrazione, agisce in noi, e inevitabilmente sul lettore, in modo tale da porre di continuo come presupposta una determinata considerazione della dialettica, un certo movimento della sua storia e del suo concetto. Le grandi risposte della storia condizionano per sempre ogni nostro discorso. È sempre utile studiarle, ripcrcorrernc le tappe. Se ci siamo subito chiesti: che cos'è la dialettica, e se abbiamo ritrovato alla fine quei problemi del nostro tempo con i quali abbiamo investito la ricerca stessa sulla dialettica nelle sue origini, questo avviene perché non abbiamo voluto sottrarci alla storia, perché crediamo nella storia- quindi nella dialettica. Non abbiamo, dunque, percorso una falsa pista, non ci siamo smarriti in un circolo vizioso, non siamo giunti ad un risultato arbitrario. La via della ricerca, storica o filosofica, se vuol farci comprendere, come è suo compito, le vicende degli uomini, è sempre indiretta. La filosofia, se di filosofia si tratta, non conosce vie reali, non è un cammino, diceva Hegel, che si possa percorrere in maniche di camicia. Segucndone l'evoluzione abbiamo colto la parte migliore, reale, della dialettica - la nostra impos~ibilità di fare a meno della mediazione, di andare al di là e della storia e del nostro tempo.
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Guida bibliografica
La seguente bibliografia è essenziale in due sensi: in primo luogo perché riporta, anche se non esclusivamente, i libri citati nel testo; in secondo luogo perché intende rigorosamente attenersi alla voce e al concetto di " dialettica " secondo la presentazione che ne è stata data qui sostanzialmente: momento o dimensione o anche " sezione " del filosofare (parte della filosofia, dovremmo dire) nella sua autonomia rispetto e alla filosofia e alla logica. A parte le convinzioni di chi scrive e l'efficacia delle sue argomentazioni, se si prescinde da questa limitazione una guida bibliografica diventa praticamente impossibile. Insomma, per dirla franca, sono raccolti qui i testi essenziali in positivo e in negativo, cioè quelli che non possono non essere conosciuti e quelli che debbono essere confutati. Gli altri sono indifferenti c qui superflui; deciderà il lettore come collocarli nelle sue riflessioni. L'indicazione bibliografica completa è data solo nella Bibliografia generale, posta alla fine della parte ragionata della presente Guida bibliografica. Le note contengono altre indicazioni bibliografiche non necessariamente riportate nell'elenco. Quando un testo contiene a sua volta indicazioni bibliografiche, ne è data notizia. Non citiamo i vari dizionari di filosofia di uno o più autori, italiani o stranieri, perché, per non usare metafore. non ne vale la pena (lo stesso discorso vale per le enciclopedie filosofiche): fanno eccezione, da una parte, il Dizionario critico di filoso(ìa a cura di LALANDE e il Dictionnairc dc la langue philosophique, di P. FovLQUIÉ, 1962 e, dall'altra (cioè da un altro fronte, afilosofico, e c'era da aspettarselo!), il DEVOTO-OLI, Dizionario della lingua italiana, 1971.
Premessa La citazione e le altre espressioni tra virgolette (anche la frase sia di Nietzsche sia di Heidegger) sono tratte da A. MASSOLO, La storia della filosofia e il suo sixnificato, prolusione letta il l o marzo 1961 a Pisa; il tema è sostanzialmente quello da noi seguito: la connessione di dialettica e politica o, meglio, la connessione di filosofia e politica a mezzo della dialettica, cioè a mezzo di quel momento interno al filosofare che è andato determinandosi storicamente come dialettica. Massolo ha sviluppato questo tema in tutte le sue opere di storia della filosofia, che citeremo in seguito; qui .ricordiamo solo: La storia della filosofia come problema (1955), Per
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Guida bibliografica
una lettura della "Filosofia della storia" di Hegel (1959), Del rapporto f/egel-Marx (1962) e soprattutto in Marx e il fondamento della filosofia (1949), dove si dimostra come la dialettica della ragione, risultato, in Kant, dell'alienazione dell'uomo posta come fatto assoluto, si rovescia, cioè diviene situazione storica (dialettica), in Marx, attraverso la storia dell'idealismo tedesco, Questa linea interpretativa è molto vicina a quella sostenuta, del tutto indipendentemente, da Eric Weil: " ., tra i filosofi solo quelli che hanno subito la sollecitazione della dialettica (di una delle diverse forme del pensiero dialettico) investono con un interesse positivo la politica e la realtà sociale", in Pensiero dialettico e politica (1955), che contiene anche le idee e la traccia per una storia della dialettica - un testo che è stato da noi ampiamente riportato. Come contrappunto ricordiamo una diversa posizione, che pure più avanti discuteremo (cap. 8): l'interpretazione dichiaratamente " marxista" di Della Volpe e della sua scuola, di Luporini e Badaloni, che però dissentono e non su punti marginali dal Della Volpe, secondo il quale non c'è rapporto ma soluzione totale di continuità tra Marx e Hegel, e quindi una storia, " vera ", della dialettica è possibile solo a partire da Marx - posizione opposta a quella che noi sosteniamo (tuttavia gli autori citati non si sono occupati della storia c delle figure della dialettica prima di H egei). Si veda: G. DELLA VOLPE, Sulla dialettica (1962) e Chiave della dialettica storica (1964); su Della Volpe cfr. C. LuPORIN!, Il circolo concreto-astratto-concreto (1962) e L. CoLLETTI, Il marxismo e Hegel (1969, ma risalente in parte al 1958); in generale si tenga presente N. BADALONI, M arxismo come storicismo ( 1962) e Il marxismo italiano degli anni sessanta (1971) e ancora Il problema della dialettica (1971). Su Badaloni cfr. il nostro Marxismo come storicismo, in « Belfagor », 17, 1962, n. 4. ora in Per una storiografia filosofica, Urbino 1970 (Pubblicazioni dell'Università, " Serie Lettere e Filosofia", xxvn/1-2). In questo quadro ricordiamo, infine, S. TIMPANARO. Engels, materialismo, "libero arbitrio·· (1969), che sostiene con molta intelligenza e dottrina una tesi opposta alla nostra, cioè !'intrinseca idealisticità della dialettica: alla confutazione di questa tesi sono dedicate le pagine di questa storia, una tesi che mi pare dipenda, almeno in parte e, per altro, per giustificati motivi (penso al livello del dibattito filosofico e politico in Italia, da sempre) da un pregiudizio (Timpanaro scuserà) e " filosofico " e " politico ". ·
l. Dialettica,
Ili parola e la cosa: etimologia e preistoria
1.1. Mette conto riportare per ésteso lo scambio di battute, al quale abbiamo fatto allusione nel testo, fra Goethe e Hegel, che di dialettica senza dubbio si intendevano. Si tratta di una delle Conversazioni con Goethe, riferite da ECKERMANN, 18 ottobre 1827: " La conversazione cadde sulla dialettica. 'T n fondo - disse Hcgel - la dialettica non è altro che lo spirito di contraddizione, regolato e metodicamente coltivato, insito in ogni uomo; uno spirito che celebra la sua grandezza nella distinzione del vero dal falso'. 'Purché- intervenne Goethe - questa capacità e queste arti dello spirito non siano così spesso male impiegate e utilizzate per rendere vero il falso e falso il vero'. ' Certo - ribatté Hegcl - questo succede, ma soltanto ad uomini che hanno lo spirito malato' .. _ Abbiamo riportato il testo per la sua profondità, a conferma inoltre del fatto che ci siamo studiati in tutto il corso della nostra trattazione di non prendere in considerazione
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le definizioni generiche, diciamo così " letterarie " di dialettica (su alcune delle quali ritorneremo nell'"' Epilogo ··, come quella, qui citata, di. R. SCHAERER, L'homme antique et la s/mcture du 1iumde imérieur, (1958). Potrebbe anche risultare una ricerca interessante: ma un n raccolta lessicografica di questo genere, considerato l'uso e l'abuso del terri1ine nel mondo contemporaneo (dopo il marxismo, gli hegelismi e le esperienze del pensiero socialista), impresa vastissima, e disperata, è destinata presumibilmente ad un fallimento perché verrebbe inevitabilmente presupposto un determinato concetto della dialettica. Il caso tipico, all'interno della storia della filosofia, e per giustificare quella essenzialità di cui abbiamo parlato introducendo questa bibliografia, è ovviamente quello di Hegel; dalle sue Lezioni sulla storia della filosofia, dove storia della filosofia è uguale a storia della dialettica, è nata una scolastica: per es., [C. L. MICHELET]-G.L. HARING, Historisclz-kritiscl!e Darstel/ung der dialektischen Methode Hegcls (1888) continuato da A. DORR, Zum Pmblem der hegelschen Dialektik und ihrer Formen (1938). Inutile soggiungere che questi testi, per parlar metaforicamente, sono di limitata utilità. Vi sono voci su " dialettica" nell'Enciclopedia italiana, di M. LOSACCO, Xli. 19 31 (pessima), in N. ABBAGNANO, Dizionario di Filosofia (196 I), AA. VV., Dizionario di Filosofia, Milano, Comunità, 1957 e nell'Enciclopedia filosofica, Firenze, Sansoni, 1961; una definizione a nostro avviso perfetta nel Dizionario della lingua italiana di DEVOTO-OLI, 1971 e una buona raccolta di esempi dalla letteratura e dalla filosofia nel Grande dizionario della lingua italiana, di S. BATI'AGLIA, Torino, Utet, 1961 sgg. Buona la voce di S.N. FINDLAY, in Encyclopaedia Britannica, VII, 19 59. Infine, come strumento di consultazione per la parte antica (non mi risulta che ci sia un testo equivalente per la parte moderna e contemporanea), preciso nel riferimento ai testi e al problema, cfr E. ZELLER, Die Phìlosoplzie der Griechen: un indice dei nomi e delle cose è stato compilato solo per la l' ed., Tiibingen 1844-Uì52, e per la 3" ed., 1869-188 l (qui il Register, 1882, è un volumetto separato). Indici, bibliografia, excursus specifici nella monumentale traduzione italiana ampliata di quest'opera, a cura di Rodolfo MONDOLFO (e altri autori) presso la Nuova Italia di Firenz.e (per ora non completa). L2. A nostra conoscenza (ma potremmo sbagliarci, considerata l'enorme produzione di lavoro nel campo della filologia classica) questo è il primo tentativo di raccogliere con qualche sistcmaticità e con un minimo di completezza esempi non filosofici di quel ~~a).ÉjEa&at, antefatto di (hciì.oyoç e 1i~aA.sx-nx6ç (aggettivo) che ricorrono soltanto a partire da Platone. È un fenomeno curioso: l'esemplificazione addotta in questo e nei successivi paragrafi presenta una sua vivacità c non è senza interesse per la storia di dialettica in Platone e dopo Platone. Abbiamo cercato di completare il saggio di W. MORI, Das Wort Dialektik bei Plato (1944), ben più utile dei classici manuali di TEICHMi.iLLER, Neue Studien zur Geschiclue der Begriffe, vol. r, (1876) e di EucKr..N, Geschichte der philosophischen Terminologie (1879). W. Schadewaldt aveva iniziato a Ttibìngen nel semestre estivo del' 1960 un corso (al quale chi scrive ebbe la ventura di assistere) continuato nei semestri successivi sulla terminologia filosofica greca come introduzione ad una storia della filosofia presocratica, rimasto per ora inedito. Il meglio si legge ancora nell'introduzione e nel commento di G. CALOGERO al Protagora di Platone (1948). Naturalmente come guida per intendere la struttura del verbo abbiamo seguito i noti manuali (citati nelle note) di MEILLET-VENDRYES, SCHWYZER-DEBRliNNER, FOURNIER, ai quali
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si deve aggiungere K. von FRITZ, Die ARCHAI in der griechischen Mathematik (1955). 1.3. Per Àoyoç; la bibliografia è viceversa sterminata. Per l'aspetto etimologico-linguistico rinviamo ai testi sopra citati (ai quali si può aggiungere FRISK, Griechisches Etymologisches Wiirterbuch, Lief. 11. 1961); per l'aspetto filologico-concettuale (o linguistico-filosofico) si tenga presente che accanto a ricerche filologiche e filosofiche si sono sviluppate (e sono le più interessanti: ci limiteremo ad alcune di queste) le ricerche storiche, che investono più specialità, o se ne lasciano investire, sull'origine della formazione dei concetti nel mondo greco: J. STENZEL, Studien zur Entwick!ung der plaronischen Dialektik von Sokrc1tes zu A ristoteles (1917); Zur Enrn•icklung des Geistbegriffes in der griechischen Philosophie, in Kleine Schriften zur griechisd1en Philosophie (1956); Zur Entstehung des wissensclwftlichen Begriffe.\' in der griechisclren Phi!osophie (1934); Ueber den Einfluss der griechischen Sprache auf die philosophische Begrif!sbildung (nelle citate Kleine Schriften): E. HoFrMANN, Die Sprache und die archaische Logik (1925); G. CALOGERO, l primordi della lof.:ica antica (1935), ma ora cfr. Storia della logica antica, vol. I: L'età arcaica, 1967; B. SNELL Di e Ausdriick.- fiir den Be{?rifJ des Wissens in der vorplatonischen Philosopllie, Berlin 1924, poi Die Entdeckung des Geistes, Hamburg 19553 (cfr. nell'elenco la trad. it.); A. PAGLIARO, Eraclito e il logos (19 53); 'buona esposizione dello stato della questione in A. CAPIZZI, Protagora (1955); in generale: J. STENZEL, Sinn Bedeutung Begriff Defùzition (1958Y; K. von FRTTZ, Philosophie und sprachlicher Ausdruc:k hei Demokrit, P/alo und Aristoleles (193!!) e, di grande valore metodologico anche se in margine alla nostra ricerca, G. PASQUALI, La scoperte dei concetti etici nella Grecia antichissima (1935). Siamo qui sempre tuttavia nell'ambito della lìlologia. intesa sia pure come scienza storica, e della storia della filosofia. Recenti " studi di psicologia storica " (è il sottotitolo di uno di questi libri. aggirantisi attorno alle " strutture " (lo " spazio ", la famiglia, il diritto, le tecniche del lavoro, la " regalità " ecc.), sono o dovrebbero essere i motori di una nuova storiografia: cfr J .P. VERNANT, Les origines de la pensée grecque, Paris, P.U.F., 1962; trad. ìt. Mito e pensiero presso i Greci, Torino, Einaudi, 1969, c gli studi del suo maestro, L GERNET, raccolti in Anthropologie de la Grèce antique, Paris, Maspero, 1968 (tutti, però, relativi ad un periodo !nteriore a quello da noi studiato).
1.4. Il passo di Senofonte è citato naturalmente da tutti gli storici: si veda ancora il celebre H. MAIER, Sokrates (1913), tr. it. vol. I, pp. 60-62; ciò che ha posto in rilievo MUti, e che a noi è parso di dover sviluppare, è la possibile "interpretazione" senofontea. del òLctHyew- òwHysa&ctL come prima determinazione di " dialettica ", l'aver scoperto o individuate, o intuito il destino filosofico di quel verbo di uso corrente. Un punto sul quale il grande P'asquali avrebbe avuto certamente qualcosa da dirci. 1.5. Sull'esemplicazione raccolta in questo paragrafo non abbiamo, come si è fatto cenno, una bibliografia specifica da citare (non è il caso di ricordare i lessici dei singoli autori classici). Sul verso omerico: E.R. Dooos, I Greci e l'irrazionale, tr. it. Firenze, La Nuova Italia, 1959~ pp. 26-28 c note; J. Bi:iHME, Die Seele und das lc/z im omerischen Epos, Leipzig-Berlin 1929, pp. 77 sgg.; U. von WILAMOWITZ-MOELLENDORF, Die lleimkelzr des Odysseus, Berlin 1927, pp. 196 sgg., Chr. VOIGT, Ueberlcgung und Entscheidwzg, Berlin 1934, p. ~7; W. Kuu MANN, Das TVirkm der Giitter in der
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llias, Berlin 1956, pp. 106 sgg.; in generale: M. GIGANTE, · Nonzos basileus, Napoli, Ricciardi, 1956-, cap. 1 e A.W.H. ADKINS, Merit and Respon· sability, Oxford 1960. Tutti questi autori, tuttavia, più che sul 1l~ccUysoii-M pongono attenzione al ~~i)p.o;. Su 1l~ccHjsoil-a;~ • ,'J.u116~ cfr. B. GENTILI, Alceo POxy. 2165, col. l, v. 21 (1947). Sulla tragedia, ma soprattutto sulla sua tecnica (" struttura ") e sulla sua connessione con il concetto di dialogo-dialettica vedi almeno; Thyco von WILAMOWIT7-MOELLENDORF, Die dramatische Tecfmik des Sophokles. Berlin 1917; R. SCHAERER, La question piatonicienne, Paris-Neuchatel l938, cap. IX, "Dialogo e tragedia", che present
2. Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socratc Qui e altrove, comunque in generale, i frammenti dei filosofi presocratici sono citati con la sigla FV oppure DK seguita da un numero, una lettera e un numero: è un rinvio, universalmente accettato, all'opera del Dmr.s-.KRA.Nz, Die Fragmen.te der Vorsokratiker, da pilt di mezzo secolo aggiornata e ristampata: il primo numero indica il capitolo corrispondente all'autore antico; la lettera (A, B, C) indica la testimonianza, il frammento o l'imitazione; il secondo numero la posizione del frammento ecc. C'è nn'edizione italiana, ampliata; con commento e traduzione., presso la Nuova Italia, non ancora completa (sono qui comparsi l Sofisti di UNTERSTEI· NER); solo traduzione. e sobrio commento filologico in due volumi a cura di. vari autori presso Laterza: l presocraticì, a cura di G. GrANNANTONI, 1969 (che ha rinnito così, in una nuova veste e presentazione, i singoli volumi usciti e da tempo esaurili nella nota " Collezione Filosofi antichi c medioevali "). 2.1. Che la cultura e l'educazione fossero un privilegio - nonostante le ben note esaltazioni della democrazia ateniese che hanno la loro fonte nel celebre Epitaffio di Pericle nella Storia della guerra del Peloponneso di TuciDIDE (n, 40) - afferma anche PLATONE in Protag. 362C sgg, Ma definire la questione nel senso da noi indicato è difficile e resta controversa: per es. non se la pongono grandi storici come G. DE SANCTIS, G. GLOTZ (le loro storie dei greci sono pubblicate rispettivamente presso La Nuova Italia e Einaudi) e gli autori della Cambridge Ancient History (tr. it. presso Il Saggiatore); per un'interpretazione tradizionale, diciamo tucididea, si veda J. Bl!RCKHARDT, Storia della cultura greca. lr. iL Firenze, Sansoni,
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1955, vol. I, p. 104; W.W. JAEGER, Paideia, vol. I (1934), p. 157; V. EHRENBERG, L'Atene di Aristofane, tr. it. Firenze, La Nuova Italia, 1957, pp. 404 sgg.; H.D.F. KITTO, l Greci, tr. it. Firenze, Sansoni, 1958, pp. 293 sgg.; G. CHILDE, Il progresso nel mondo antico, tr. it. Torino, Einaudi, 1949, ora ristampato PBE, p. 242, che cita le osservazioni sulla libertà di pensiero di B. F ARRINGTON, che si trova sull'altro versante, sociologicomarxista: cfr. Scienza e politica nel mondo antico, tr. i t. Milano, Feltrinelli, 1960. Sulle contraddizioni della democrazia ateniese c sulle loro conseguenze pongono l'accento: G. TIIOMSON, Eschilo e Atene, tr. it. Torino, Einaudi, 1949, pp. 283 sgg. e The First Philosophers, London, 1955, pp. 228 sgg. (una tr. it. di quest'opera è apparsa nel 1973 presso Vallecchi di Firenze) e M. UNTERSTEINER, Le origini sociali della sofistica (1950). Le citazioni sulla funzione e le forme della retorica nel mondo greco classico potrebbero moltiplicarsi all'infinito. Sulla presenza dci Sofisti nell'attuale contesto le indicazioni storico·bibliografiche fondamentali sono date alla nota 2. Si aggiunga che grazie a DupréeL uno studioso di formazione sociologica, e a Untcrstcincr, un filologo classico all'antica ma di salde convinzioni marxiste, l'interesse per i Sofisti si è completamente rinnovato, e con esso anche l'interesse per Socrate (citeremo qui sotto le loro opere). Ricordiamo solo due risultati notevoti: P. F.r.THFN, Les Soplristes et P/a ton (1960), una ricerca gramsciana sui Sotìsti, come intellettuali, che meriterebbe di essere approfondita: ·' ... nei dialoghi platonici la polemica contro i Sofisti è nettamente diversa dalla critica degli altri filosofi come Parmcnide o Eraclito. È una polemica, infatti. contro i mediatori, contro gli spiriti cioè che vengono a trovarsi a mezzo cammino tra la coscienza ingenua e la coscienza filosofica, e sono sprovvisti di dottrina pur dichiarandosi sapicnti " (p. 6): sarà la polemica di Rousseau con gli Enciclopedisti, di Marx con gli ideologi, di Nietzsche con i professori, di Heidegger con gli umanis1i; V. DE MAGALHÀEs-VILHE~;A. /.e problème de Socmte e SoCI·ate et la /égende platmzicienne (1952), dove il problema di Socrate appare rovesciato: non ci si pone più la questione del Socrate "storicQ ", "vero", ma della storicità dei testimoni e delle loro grandi testimonianze (Senofonte, Platone, Aristofane, Aristotele). Alle spalle di queste nuove ricerche sta l'opera sempre utile di H. GOMI'ERZ, Svphistik tmd Rhetorik (1912), l'ultimo degli studiosi, forse, che presenta il fenomeno .. sofistica" come un intero prescindendo dalle singole figure dei sofìsti nei loro rapporti con Socratc c Platone. In generale; cfr. M. RuccELLATO, Rassegna di studi sofìstici, in «Rassegna di filosofia», 1953. Siamo così nel vivo anche del problema Socrate, per cui vedi le indicazioni fondamentali alla nota 3. 2.2.J Questo momento della nostra ricerca sulla storia della dialettica ha un senso se si tiene ferma una certa unità (fin dove possibile) o meglio se si mantiene sempre operante il rapporto fra i solisti, Socrate e Platone. Per questo riteniamo fondamentali le opere di E. DUPRÉEL, La lét?ende soC/·atique et /es sources de Platon (1922) e Les Sophistes (1948-1949) e di M. UNTERSTEINER, l Sofìsti (1949, nuova ed. ampliata 1967) e la sua edizione dei frammenti e delle testimonianze (presso La Nuova Italia). Per altra via e del tutto indipendentemente Untersteiner è giunto a risultati analoghi a quelli del Dupréel, filo conduttore del presente capitolo. Le ricerche del Dupréel, condotte secondo un criterio " intuitiw>-filosofico ", come ha scritto UNTERSTEINER (ree. in « Rivista critica di storia della filosofia», 1950), non sono state in generale accettate favorevolmente: cfr. MANSION, in « Rev)Je néoscolastique de philosophie », 1924; Dr:s PLACES, in « L'anliquité classique », 1950: A. DIÈs, Autour de Platon. 1, Paris 1927. Per
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quanto riguarda Socrate fondamentali le opere sopra citate di V. DE MAGALHÀEs-VILHENA, pure accolte con riserve: cfr. P. Rossi, in «Rivista critica di storia della filosofia», 1953 (Rossi è autore di Per una storia della storiografia socratica, in Problemi di storiografìa filosofica, a cura di A. BANFI, Milano, Bocca, 1951, molto utile in particolare per il periodo posteriore a Hegel); G. BIANCHI, in «Società», 1953; J. TROUILLARD, « Revue philosophique de Louvain », 1954 e Ph. MERLAN, in « Philosophische Rundschau », 1956. Ma vediamo nella storiografia moderna lo stato di quel problema Socrate che noi ci siamo studiati di mostrare come già presente e operante nell'antichità: per Schleiermacher e Croiset il problema non si pone perché questi autori si fondano sulle sole testimonianze di Platone e Senofonte; segue la ricostruzione dello Zeller, ripresa da Zuccante, che è detta" eclettica" perché si serve anche.delle testimonianze di Aristotele, oggi riproposta dal Calogero - per noi la pil1 interessante perché direttamente sollecitata dalla problematica del i;caHyscrlku: cfr. ree. al Socrate di A.E. TAYLOR (tr. it. Firenze, La Nuova Italia, 1952), in «Giornale critico della filosofia italiana», 1934; Socrate, in «Enciclopedia Italiana», vol. XXXI, 1936 e Socrate, in «Nuova antologia>>, novembre 1955. Solo col Jocl e con Th. Gomperz la testimonianza aristotelica assume valore privilegiato come quella che ci consente di distinguere ciò che è storico in Platone e in Senofonte, come conferma, quindi, sia di Platone e Senofonte sia di Platone o Senofonte. Questa soluzione non si impose affatto. La tesi di Taylor e Burnet (Aristotele non avrebbe potuto o voluto disporre di fonti di informazione originali rispetto a Platone e pertanto la sua testimonianza è inessenziale: il Socrate storico è il Socrate di Platone) fu poi seguita da notevoli studiosi, dal Wilamowitz al Cornford. RoniN, che l'aveva suggerita quasi agli inizi del secolo, la considerò ben presto un'impasse (recensione al Taylor, in « Revue des études grecques », 1916 e Les fins de la culture grecque, in « Critique », n. 15-16, 1947): il Socrate platonico non rappresenta verosimilmente per Aristotele il Socrate storico, ma solamente lo stesso Platone. E con questo siamo alle posizioni di Gigon, Dupréel (e in parte di Untersteiner, per quanto riguarda i Sofisti) citate alla nota 3 (testi, bibliografia e date in Le problème de Socrate, pp. 231-234). Per quanto riguarda Aristotele e il suo intervento sulla retorica dei Sofisti rinvio il lettore al testo e alla bibliografia relativa ai paragrafi 4.2-3. 2.3-4. Abbiamo già dichiarato le fonti della nostra interpretazione, in positivo e in negativo. (Altri problemi possono sorgere se la problematica viene posta all'interno della filosofia platonica intesa nella evoluzione, nella storia della sua formazione. Ma per questo rinviamo al capitolo su Platone). Qui ricordiamo: M. BuccELLATO, La retorica sofìstica negli scritti di Platone (1953) e Linguaggio e società alle origini del pensiero greco (1960); A. CAPIZZI, Pra/agora (1955) e G. GIANNANTONI, Il frammento l di Protagora in ww nuova testimonianza platonica, in « Rivista critica di storia della filosofia>>, 1960; J. LucciONI, Xénophon et le socratisme, Paris, P.U.F., 1953; M. DE CoRTE, Parménide et la Sophistique, in Autour d'Aristole, Louvain-Paris, Ed. Universit~.iies, 1955; A. PLEBE, Breve storia detla retorica antica, Mitano, Nuova Accademia, 1961; C.A. VIANO, La dialettica stoica (19 58), i primi due paragrafi sui rapporti eleatismo, sofistica, socratismo. Sul conflitto che scuote Atene fra l'ideale scientifico-materialistico, jonico, democratico e l'ideale filosofico-religioso, dorico, aristocratico, oltre agli autori citati alla nota 12, si tenga presente la cosiddetta interpretazione spiritualistica (accanto, appunto, a quella di ispirazione sociologica):
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J. STENZEL, Metaphysik des Altertums, Miinchen, Oldenburg, 1931 e Plato der Erzieher, Hamburg, Meiner, 1961' (tr. it. ùella l" ed., Bari, Laterza. 1936 - ma non si è tradotta l'Introduzione, molto importante, sulla preistoria della filosofia platonica, e quindi il cap. "Atene e l'Attica", che ha un corrispondente nell'opera citata sopra del 1931) e W. NEsTLE, Griechische Geistesge.~chichte, Stuttgart, Frommann, 1944', il cap. vn: "La filosofia jonica nell'Attica". Per altro, cfr. J.N. FINDLAY, "Dialectic ", in Encyclopaedia Britannica.
2.5. Alle indicazioni date sopra (2.2) aggiungiamo: A. LABRIOLA, Socrate, Bari, Laterza, 1909 (nuova ed. nelle Opere complete a 'cura di L. DAL PANE, Milano, Feltrinelli, 1961), un Socrate riformatore sociale, un'immagine sanamente positivistica; WINSPEAR-SILVERBERG, Wlw was Soe~·ates!. New York 1960' (tr. it. col titolo Realtà di Socrate, Urbino, Argalia, 1965), una demitizzazione del filosofo, fondata praticamente su Aristofane e Policrate, un criptodemocratico al servizio degli interessi dell'aristocrazia; R. MoNDOLFO, Moralisti greci, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, la leggenda di Socrate negli studi più recenti; I. BRUNs, Das literarische Portriit der Griechen, (1896), rist. Hildesheim, Olms, 1961, sulle vicende delle prime interpretazioni antiche di Socrate e sulla tecnica biografica dei greci; G. MisCH, Geschichte der A utobiographie, Frankfurt/Main, t 949', vol. I, t. I; infine per l'intreccio di problemi di dossografia. storia e ideologia, il nostro Problemi di dossograjia aristotelica. Socrate in Aristotele, in Storicità della dialettic-a antica, Padova, Marsilio, 1965.
3. Dialogo, dialettica e filosofia in Platone 3.1. Gli scritti di Platone furono anticamente ordinati dal grammatico alessandrino Aristofane di Bisanzio (m sec. a.C.) in trilogie. DIOGENE LAERZIO, Vite dei filosofi (tr. it. Bari, Laterza, 1962, m, pp.61 sgg.) ci ha tramandato questo ordinamento come anche quello di Trasillo (forse un matematico vissuto sotto Augusto e Tiberio), in tetralogie, rimasto tradizionale (accolto ancora nell'edizione critica del testo greco - la migliore di Oxford, a cura di BuRNET, coll. " OCT Oxford Classica! Texts ''): 36 dialoghi, le Definizioni (un'opera della scuola), alcuni dialoghi spuri, 13 lettere sulla cui autenticità si sono elevati seri dubbi, 33 epigrammi, alcuni dei quali, di ispirazione erotica, bellissimi (in Antologia Palatina, testo, traduzione, introduzione e commento presso Les Belles Lettres, Paris). ARISTOTELE (De Generatione et cormptione, n, 2) cita anche le Divisioni, non un'opera, ma probabilmente una nomenclatura ad uso didattico, e (Fisic-a, IV, 2) le "cosiddette dottrine non scritte", senza dubbio lezioni orali, alle quali Aristotele deve aver assistito prendendo appunti, che conservava. Una di tali lezioni può essere la celebre Sul bene O'idea centrale della Repubblica e della l~ettera VII), che ci è stata tramandata come scritto aristotelico (forse Aristotele ha diretto seminari su questo tema) nel corpo dei frammenti aristotelici (su queste dottrine è fondamentale: L. RoBIN, La théorie platonicienne des idées et des nombres cfaprès Aristate, 1908, rist. Hildesheim, Olms, 1963). I dialoghi di Platone (dobbiamo lasciar càdere questioni di autenticità e storia del testo, che si possono leggere nell'esemplare schema di G. CALOGERO, Platone, in Enciclopedia Italiana, xxvn, 1935) sono citati universalmente con un numero e una lettera: è l'impaginazione dell'edizione curata a Parigi nel 1578 da Henri EsTIENNE, in tre tomi, rispettivamente di pp. 542, 992, 416 (le lettere da
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A a E indicano la divisione della pagina in colonne). Una buona edizione moderna (oltre alla citata di Oxford) è quella a cura di vari autori presso I.es Belies Lettres, Paris (coli. "Universités de France, Fondation G. Budé "): i dialoghi sono ordinati cronologicamente, con ampia introduzione, traduzione francese, commento (filologico e filosofico); un lessico in due volumi completa l'edizione (altro noto lessico è quello di Fr. AsT, Lexicon platonicum, 3 voli., Leipzig 1835-38, rist. Darmstadt 1956). La traduzione italiana pill nota è quella a cura di vari autori apparsa presso Laterza, ora (1966) in due volumi, a cura di G. GrANNANTONI: sommari introduttivi ed un indice abbastanza utile non sostituiscono la mancanza di un commento. Impossibile indicare persino le linee di una bibliografia platonica. Si veda, F. ADORNO, l.a filosofia antica, vol. I, Milano, Feltrinelli. 1961, pp. 564 sgg.; A. CAPIZZI, Studi su Platone dal 1940 a oggi, in « Rassegna di filosofia», 1953, e, meglio, le "Note bibliografiche" premesse da F. ADORNO alla sua edizione di Platone, Opere politiche, Torino, UTET, 1953-58. 3.2. Per i motivi piit volte esposti ci limitiamo a presentare opere direttamente consultate e fatti ve nella nostra ricerca. Ci limiteremo, inoltre, a quelle strettamente connesse, di volta in volta, al tema. Diamo per presupposte le grandi monografie del WTLAMOWITZ e del FRIEDLANDER, del ROBIN, del Rnrm, del TAYLOR e dello JAEGER (questi ultimi due tradotti in italiano presso La Nuova Italia; di Platone si tratta nel n e 111 vol. di Paideia). L'intelligibilità dell'espo&izione del tema " dialogo e dialettica " riposa anche sulle già citate opere di MURI, STENZEL, CALOGERO e MAIER, alle quali si aggiungano i lavori socratico-platonici di TAYLOR e RoaiNSO~. qui citati alla nota 2 ed ora G. GIANNANTONI, Il problema della genesi della dialettica platonica, 1966. Inoltre, in generale: J. ANDIOEU, Le dia/opue antique. Structure et présentation, (1954); P. MAZON, Sur une /ettre de Platon, in Mélanges de philosophie wecque offerts à Mgr. Diès, Paris 1956; più in particolare: E. PACI, La dialettica in Platone (1958), a nostro avviso una delle esposizioni più acute e sollecitanti, proprio per essere l'autore riuscito a individuare alcune figure della dialettica platonica pur investendo i temi nodali, classici del platonismo; J. STENZEL, Literarische Form und philosophischer Gehalt des platmzischen Dialoges (1916), che rappresenta il presupposto indispensabile del nostro lavoro; A. KoYRÉ, Introduzione alla lettura di Platone (1944): un libretto aureo, che dopo secoli di storiagrafia c filologia agguerrite riesce a dare una risposta al problema dei dialoghi aporetici (quelli privi di una conclusione) e quindi a scoprire il senso filosofico del dialogo platonico: un dialogo che veniva letto, di fronte ad un uditorio che conosceva molto bene le questioni e sapeva quindi da par suo trame le conseguenze, e le conclusioni (ottima anche la parte sulla Repubblica, sulle connessioni in Platone di filosofia e politica, un fatto per· Platone, non dimentichiamolo - ma contivuiamo a dimenticarlo - che diventa un problema per noi); infine M. BUCCELLATO, Studi sul dialogo platonico, 1963, sulla tecnica dialogica in relazione alla tradizione e all'ambiente sociale. Ovviamente si ricordi Hirzel, e altri citati 1.5. 3.3-4. Siamo al centro della costruzione del problema e quindi anche per noi si pone inevitabilmente il problema dell'evoluzione, della formazione del pensiero platonico, del rapporto cJn Socrate e della sua interpretazione come problema dell'evoluzione del platonismo. Data la situazione di fatto è una via senza uscita. L'interpretazione presuppone un'idea dell'evoluzione, l'idea dell'evoluzione presuppone l'interpretazione. Le due tesi, di-
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scontinuità c continuità nel pensiero di Platone, sono da sempre presenti e appaiono difficilmente conciliabili perché questioni di cronologia e di interpretazione si intrecciano e si condizionano a vicenda .. E il problema Socrate, che ne è l'anima, resta una specie di enimma (cfr. sopra 2.2 e 2.5). La nostra è soltanto un'ipotesi di lavoro, diciamo così, forse vaga: continuità e discontinuità insieme, ma per strati, per problematiche che si presentano, scompaiono, riaffiorano, si intrecciano, si confondono. La Repubblica, come crediamo di aver mostrato (3.4), rappresenta un momento di equilibrio e, dal nostro punto di vista, di crisi. È di qualche utilità notare qui che il problema si è posto da sempre, anche a partire, ovviamente, e a fortiori, dalla filologia platonica in senso stretto, la quale si basa su queste tre opere, ne discende, e in esse di continuo si ritrova: K.Fr. HERMANN, Geschichte und System der platonischen Philosophie, Heidelberg 1839; F.D. ScHI.EIERMACHER, Platons Werke, Berlin 1804-1810 con introduzione e traduzione tedesca rimasta esemplare (oggi l'opera circola fra gli studenti in un'edizione tascabile); W. LUTOSLAWSKJ, The origin and growth of Plato's style ami of the cronology of his writings, London 1897, 1907', che riprese e discusse precedenti lavori di L CAMPBELL (autore della voce " Platone " nell'Enciclopedia Britannica) e di BLASS e DnTEM!lERG. Lo Hermann ebbe il merito di introdurre per primo la considerazione evolutiva del pensiero platonico (in sé già presente agli antichi editori, e a Platone stesso; si pensi alla successione Parmenide, Teeteto, Sofista, Politico: cfr. H. ALLINE, Histoire du text de Platon, Paris 1915, "Bibliothèque Ecole Hautes Etudes ", fase. 218). ma abbandonando l'idea che vi fosse. un sistema di Platone, da costruirsi nella pretesa coerenza dei vari dialoghi. Lo ScHLEIERMACHER, precedentemente, nell'" Introduzione " citata, aveva sostenuto il criterio opposto: all'interno del pensiero di Platone cogliere quel piano o schema in armonia col quale comprendere, giudicare e cronologicamente disporre i vari dialoghi. Questo piano egli individuò nel Fedro (264C e 265C scgg.): il doppio processo della sinossi dell'oggetto e della sua definizione e l'esercizio dialettico della divisione nelle singole specie. Il Lutoslawski adottò, invece, tutt'altro criterio: l'esame linguistico o, come si dice, di statistica linguistica. Si tratta di esaminare gli usi linguistico-sintattici e la fraseologia tecnico-filosofica di un autore in un momento sicuramente databile della sua evoluzione (in PLATONE, Le lexJ:i, per es.) e rapportare a questo periodo le opere che presentano identità di usi, a un periodo anteriore quelle che presentano diversità e ad un periodo intermedio le altre. Questo criterio, che permette ovviamente di espungere certe opere " attribuite " caratterizzate da usi e strutture impossibili a determinarsi, non è però la panacea .della filologia: si può usare, e, se usato come mezzo relativo a questioni particolari c soprattutto come un mezzo fra gli altri, può dare risultati soddisfacenti. Oggi la storia della filosofia antica e la filologia sono ritornate al punto di partenza: V. GoLDSCHMIIJT, Les dia/ogues de Platon e Le paradigme dans la dialectique platonicienne, Paris, P.U.F., 1947 (il secondo è molto utile: mostra come, in realtà, le varie forme [paradigmi] della dialettica [dialogo, divisione, sintesi, sinossi] possano variamente implicarsi) riprende con maggior libertà la tesi di Schleiermacher; gli editori dei dialoghi presso Les Belles Lcttres ripropongono con prudenza ma con convinzione la tesi di Hermann; tuttì accettano l'ipotesi di Lutoslawski. Stato della que~tione in P.-M. SCHUHL, Etudes sur la fabulation platonicienne, Paris, P.U.F., 1947; L'1euvre de Platon, Paris, Flammarion, 1954; Etudes platoniciennes, Paris, P.U.F., 1960 e la bibliografia ragionata di E.M. MANASSE, Biiche1· iiber Platon, in « Philosophische Rundschau » 19 57 e 1961 (fascicoli speciali).
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3.5. Sulla Repubblica e sull'evoluzione della dialettica dopo la Repubblica si veda: l'edizione del testo in tre volumi a cura di B. JowETT-L. CAMPBELL,· Oxford 1896 c l'edizione, pure in tre volumi, a cura di A. DIÈs, Pac ris, Les Belles Lettres, 1947; P. KucHARSKI, Les chemins du savoir dans les derniers dialogues de 1'/aton, 1949; B. LIEBRUCKS, Platons Entwicklung zur Dialeklik. 1949. Sulla Le fiera V Il sono fondamentali il libro di PASQUALI e la lunga discussione con Pasquali e con la storiografia di A. MADDALENA, citati nota 7, che presuppongono due notevoli saggi di STENZEL in Kleine Schriften zur griechischen Phi/osopllie (1956); H.-G. GADAMER, Dialektik und Sophistik im Vll. platon. Brief, 1964. Ma sulla Repubblica, sulle connessioni di dialettica, filosofia e politica, uno dei testi più sollecitanti rimane il capitolo " Platone " delle Lezioni sulla storia della filosofia di Hegel (tr. it. presso La Nuova Italia): per esso ci sia consentito rinviare ai nostri saggi Antropologia e dialettica nella filosofia di Platone e Letture di Platone nella "Storia della filosofia" di Il epel, in Storicità della dia/eUica antica (cit. sopra: 2.5). Infine, sul tema Hegcl e la filosofia greca (in particolare Platone e Aristotele), si legga di J. STENZEL, Hegel e la filosofia greca, in Hegeliana, "Differenze", n. 5, Urbino, 1965; sul tema Filosofia c saggezza (Hegel e Platone) - cioè il problema del rapporto coscienza comune-filos(')fia e filosofia come sapere (concetto, totalità)-mondo storico (in sostanza la domanda filosofica che al mondo politico posero Hegel e Platone) .- si legga il saggio, che reca quel titolo, di A. KoJÈVE, in Hegeliana, cit. (un capitolo della sua lntroduction à la lecture de Hegel, J>aris, Gallimard, 1947, non compreso nella tr. it.).
4. Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele 4.1 ~2. Di Arh>totelc possediamo circa 50 opere, scritti di filosofia, trattati scientifici, raccolte di materiali. piani di lavoro (opere come le Etiche e la Politica, che Aristotele chiamava ;tpo:y:.w:c~i c, pare fossero elaborate in comune, e rimaste incompiute, con gli scolari sulla base di uno schema di Ari&totele), non tutti aristotelici e non sempre nella f0rma e composizione originaria, poiché di queste opere per un paio di secoli non si seppe quasi nulla fino a quando furono pubblicate a Roma da Andronico di Rodi. pare, nel r sec. a.C. l contemporanei e l'antichità conobbero i lavori letterari, pubblicati, destinati al pubblico, quindi, (opere essoteriche), per lo più dialoghi, ma non drammatici alla maniera platonica: Eudemo, Sulla filosofia, Protreptico ecc., dei quali ci sono rimasti pochi frammenti. Il Corpus aristotelicum giunto a noi contiene, invece, le opere esoteriche o acroamatiche, cioè per gli scolari, testo o risultato di lezioni. A partire da questo fatto nasce un problema estremamente complesso che riguarda l'ordinamento, la datazione, la composizione - e ovviamente, come per Platone, l'interpretazione - e dell'intero sistema e delle singole opere: ne è nata una filologia aristotelica talmente specializzata che è stato trascurato il fondamentale compito della pubblicazione delle opere complete del filosofo: infatti, non abbiamo, oggi, un'edizione aristotelica moderna, critica, completa come quelle indicate per Platone (abbiamo citato alla nota 6 l'edizione del testo-greco presso l'Accademia delle Scienze di Berlino - che si è dovuta recentemente ristampare - a cura di BEKKER, BRANDIS, BoNnz: 2 voli. di opere - la cui impaginazione è stata universalmente· accolta: accanto al numero romano o alla lettera indicante il libro dell'opera e àl numero indicante il capitolo, dopo un punto, si fa se~ guire nelle citazioni la pagina, la colonna, a oppure b, e la riga; un volume
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di traduzioni latine, un volwne di scoli, un volume di supplemento con altri scoli, i frammenti - più volte, come le altre opere, aggiornati e tipubblicati autonomamente - e I'Index aristotelicus di BoNITZ di enorme utilità). In italiano buone traduzioni con breve commento delle principali opere aristoteliche presso Laterza, Bari, e tra esse la Metafisica a cura di A. CARLINI (1928, ma recentemente ristampata); ricordiamo inoltre: l'Organon, a cura di G. COLLI, Torino, Einaudi, 1955 e Politica e Costituzione degli Ateniesi, a cura di C.A. VIANO, Torino, UTET, 1955; ancora, la Metafisica e gli Analitici, primi volumi di una grossa edizione commentata del corpo aristotelico, a cura di G. REALE, in corso di realizzazione presso Loffredo, Napoli, 1"968 sgg. Buona la traduzione francese c il commento di tutte le principali opere a cura di J. TRICOT, presso Vrin, Paris. Per quanto riguarda l'evoluzione del pensiero aristotelico, si tenga presente: Aristotle and l'lato in the Mid-Fourlh Century, in «Studia graeca et latina Gothoburghensia », 11, 1960. Inutile tentare una bibliografia. Le vicende delle opere aristoteliche sono raccontate da SmABONE (xiii, l, 54) nella sua Gèo/.lrafia, ma si sono scoperte altre fonti studiate dagli specialisti: rinviamo per Lulli a A. MANSION, Les listes anciennes des ouvrages d'Aristole, Louvain, Ed. Unìversitaires, 1951; W.W. JAEGER, Aristotele. Prime linee di una storia della sua evoluzione (1923), il fondatore della moderna interpretazione evolutiva; G. VARET, Manuel de bibliof?raphie phi/osophique, Paris, P.U.F., 1956, vol. 1, pp. 120 sgg. (bibliografia dell'Aristotele perduto e dell'interpretazone evolutiva); in generale, F. ADORNO, La filosofia antica, cit. sopra 3.1., pp. 267 sgg., 572 sgg. Per quanto riguarda la presente ricerca seguiamo le ipotesi c i risultati di E. WEIL nei due saggi sulla Logica c sulla Metafisica, citali note .1 c 7, dove è brevemente indicato anche lo stato della questione. Per comprendere questi primi due paragrafi - cioè la situazione della filosofia aristotelica, soggettiva e oggettiva, la nuova dimensione storica e " dialettica " della sua ricerca, che trova la sua origine, giustificazione e il suo obiettivo nella coscienza dell'uomo comune - è necessario tenere presente: Aristotele è senza dubbio e senza paragoni il filosofo più completo, una personalità ecçezionalc, la più importante dell'intera storia della filosofia e della cultura. " Maestro dì color che sanno " per Dante, tutto di lui è caduto con la scienza nuova - ma la filosofia e le scienze, nelle loro parti c totalità, nei fondamenti e. nel loro compito, sono creazione aristotelica e costituiscono ancora oggi il contenuto del nostro patrimonio filosofico e culturale; anche la forma, in gran parte, perché creazione aristotelica è il vocabolario c il linguaggio filosofici. Greco di ascendenza (Stagira era colonia jonica) Aristotele vede crollare la Città-Stato (polis) e assiste agli inizi della ellenizzazione del mondo mediterraneo, ma egli aveva appreso dalla vita della poli~> la sua ragione più alta, cioè il senso della politicità e della storicità del sapere. Come precettore egli ha certamente trasmesso ad Alessandro l'idea che tuili gli uomini possono diventare cittadini di un solo stato in quanto essi hanno una sola e medesima essenza e, d'altra parte, che l'impero deve poter essere l'espressione non di una casta o popolo, ma di una civilrà (fondata sulla scienza, sul logo, sulla cultura). Come fondatore del Liceo Aristotele ha dimostrato di fatto e per sempre che la ricerca specializzata (fisica, storica, naturalistica), cioè il lavoro dello scienziato, deve radicarsi nell'universalità dell'idea e della filosofia, cioè nella visione che hwmo ha di sé e del mondo in cui vive. Come filosofo in senso stretto Aristotele è il primo pensatore che ha fondato la sua filosofia c nello stesso tempo l'inquadramento storico e della sua ricerca e della propria personalità speculati-
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va (come ha giustamente detto, c dimostrerà, 1AEGER, Aristotele, p. 1). Ogni filosofo è un uomo del proprio tempo, ma Aristotele sa di esserlo e quindi presenta consapevolmente il proprio sistema all'interno di un'evoluzione culturale (cfr. i libri introduttivi alla Metaftsica, Fisica, De anima, sul primo dei quali, soprattutto, avremo occasione di ritornare). Oggettivamente, tenuto conto delle vicende delle sue opere nel mondo arabo e cristiano, Aristotele è il mediatore fra la cultura del mondo greco classico e il pensiero medioevale e moderno. Come si vedrà, questo fatto ha una sua dimensione " politica ": è stato notato che c'è un''' ~la destra " della storiografìa ottocentesca " che considerava il platonismo come il culmine del pensiero antico, condannava nel modo pill aspro gli atomisti e i Sofisti, considerava Aristotele troppo empirista ... c'era una tendenza meno estrema che ammetteva la validità della critica di Aristotele alla dottrina delle idee e riconosceva alla sofistica almeno una funzione di stimolo critico " (S. TIMPANARO, Th. Gomperz, in « Critica storica», 1963, n. 1). Insomma, Hegel e Zellcr contro Schleiermancher c Wolf (una storia che si sarebbe ripetuta in questo dopoguerra, riflettendo sui pericoli del platonismo di JAECiER e della sua Paideia). Comunque, sul tema sopra delineato in queste righe vedi la traduzione italiana dei saggi di KOJÈVE e KELSEN citati alla nota 2. Poi: A HEuss, A lexander der Grosse un d di e poli lische Ideologie des Altertums, in « Antike und Abendland », IV, 1954; R. WEIL, Aristote et le fédéralisme, in « Actes du Congrès Budé >>, Lyon 1958, Paris, Les Belles Lettres, 1960. Il problema può essere studiato come storia della genesi e ricorso dell'ideale filosofico (privato) e politico della vita (ed ebbe un suo momento rilevan{e presso le filosofie della cultura): W. W. JAEGER, Genesi e ricorso deli'ilh·ule filosofico della vita, in app. alla tr. it. cit. di Aristate/,,; A. GRILLI, Il problema della vita contemplativa nel mondo greco-romano, Milano, Bocca, 1953. Non sembrino paradossali (e neppure semplici curiosità erudite) due citazioni .di saggi-romanzi, 'che ci danno l'idea della forza suggestiva che ancora esercita la figura di Aristotele nel quadro da noi sopra tracciato: R. ALLENDY, Aristate ou le complexe de trahison, Genève, ed. du Mont Blanc (Coll. "Action el Pcnsée ", 9), s.d. (ma primi anni del secondo dopoguerra) c Klaus l\1ANN, (figlio di Thomas), A lexandre. Roman de l'uropie, Paris, Stock, 1931 (il lettore sa, è noto, che proprio per la sua posizione filosofica e culturale, Aristotele fu accusato o comunque sospettato di tradimento da Alessandro, dagli Ateniesi e da alcuni amici). Infine: sulla storia e sulla storiografia in Aristotele c'è pure una bibliografia notevole, soprattutto tedesca, secondo la quale Aristotele avrebbe sistematicamente deformato (non fosse che per la sua forza speculativa) il pensiero degli autori di cui riporta continuamente notizie e frammenti e nei casi più favorevoli avrebbe classificato autori e dottrine in funzione del proprio sistema posto come ultimo e definitivo (cfr. esposizione del problema e stato della questione in La storiografia filosofica antica di DAL PRA, 1950). I saggi di WmL sulla logica aristotelica e sulla storia della dialettica (1950 e 1955: citati alle note 3 e 4) hanno completamente rinnovato la quèstione, rovesciandola, all'interno stesso del pensiero aristotelico: dossografia (storia) e dialettica (implicante un'ontologia) fanno in Aristotele tutt'uno, sono due aspetti della stessa ricerca. È la tesi che abbiamo seguito c ritenuto di sviluppare in queste pagine: approfondendola si dimostra sempre più ricca di conseguenze. Per una bibliografia specifica su questo tema ci si consenta di rinviare ai nostri lavori su Aristotele in Storicità della dialettica antica, ci t.. c A ristote/ica, Urbino 1961 (Pubblicazione dell'Università, "Serie Lettere e Filosofia", xn), con una raccolta di testi aristotelici commentati.
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4;3-4. Qui' si fa agire una i11.terprctazione della Metafisica che riposa sulla definizione che ne dà Aristotele stesso: la scienza oggetto della ricerca (m, 1), che presenta due figure o stratificazioni fondamentali in rapporto alla particolarità o all'universalità dell'essere, suo oggetto: la scienza dell'essere comune a tutte le cose (IV, 3) e la scienza più eminente che ha per oggetto il .;çenere più eminente (vi, 1). Accettano questa configurazione AuBENQUE e WETL, citati, che a loro volta accettano, con diverse riserve e motivazioni, l'interpretazione evolutiva di Jaeger. Sostiene rigorosamente un'interpretazione unitaria G. REALE, l/ concetto di filosofia prima e l'unità della Metafisica di Aristotele, Milano 1961 (Pubbl. Università S. Cuore). Ancora: V. DÉCARJE, L'objet de la Métaphysique se/on Aristate, ParisMohtréal I 961; A. MANSION, Philosophie première, pllilosophie seconde et métapllysique chez Aristate, in « Revue philosophique de Louvain », 1958: U. D'HONDT, Science wprème et antologie chez Aristote, in c.s., 1961 (e la recensione all'opera di Aubenque, in e.s., 1963); L. ELDERs, Aristate et /'ohjet de la Métapilysique, in c.s., 1962; AA. VV., Aristotele nella critica e negli studi collfemporanei, Milano 1957 (Pubbl. Università S. Cuore) e Aristate et le.v problèmes de la métlwde, Paris-Louvain, Ed. Universitaires, 1961. Sono anche da ricordare due lunghi studi, in tedesco, sulle origini del nome "metafisica" e sulle sue connessioni con la biblioteconomia, di H. REINER, in « Zeitschrift fiir philos. Forschung », 1954 e 1955. (Una bibliografia specifica sulla Metafisica aristotelica si legge, oltre che in AuBbNQUE, in J. OwENS, The doctrìn of Being in the Aristotelian Metaphysics. Toronto, (Pontificai Institut of Medieval Studies), 1957'. Più particolarmente il rapporto retorica-dialettica (in relazione o non con la Metafisica) è studiato dai seguenti autori: Ch. THUROT, Etudes sur Aristate. Politique, dialectique, rhhorique, Paris 1860, un'opera preziosa, praticamente sconosciuta, ricordata da Aubcnque, che è all'origine della nostra impostazione del problema; W. KROLL. l'articolo " Rhetorik ", Real-Encyclopiidie (PAUtY-WISSOWA), Suppl.-Rd. VII, 1940: C.A. VIANO, La logica di 'Aristotele (1955) c La dialettica in Aristotele (1958); A. MICIIEL, Rhétorique et philosophie clzez Cicéron (1960); L. LtrGARTNI, Dia/elfica e filosofia in Aristotele, 1959; e ancora, oltre agli autori citati sopra c nelle note, la traduzione c il commento al testo dci Topici, a cura di J. BRUNSCHWIO presso Les Belles Lettres. vol. 1 (I-IV), t 967 e gli Atti del nr Simposio aristotelico: Aristotle 011 Dialectic: T/re" Topics ", a cura di G.E.L. OwnN,- Oxford U.P., 1968. 4.5. L'autonomia del libro 1 del De partibus animalium, di natura metodologica, dimostrata fin dai primi dell'Ottocento da Fr. N. TITZE, Aristate/es iiber die wissenschaftliche Behandlungsart der Naturktmde iiberhaupt, Leipzig 1823', ma erroneamente valutata come introduzione al libro sulla Storia degli animali (cfr. Traité des partie.1· des animaux et de la marche des animaux, tr. fr. a cura di J. BA.RTHÉLEMY-SAINT-HII.ATRE, 2 voli., Paris 1885, "Introduzione"), è stata recentemente rivendicata da Fr. NuYENS, L'évolution de la psyc/iologie d'Aristate, Louvain-Paris, Ed. Universitaires, 1948 e in particolare da J.M. LE BLOND, Aristate. Philosophie de la vie ... (1945, cfr. nota 20). I n fine si veda la recente edizione di questo testo presso Les Belles l.cttres, 1956, a cura çli P. Lou1s. Sui rapporti moralepolitica vedi E. WEIL, L'anthropologie d'Aristate (1946), P. AUDENQUE, La prudence chez Aristate, e gli autori-editori citati alla nota 19. Tutti questi autori notano, ovviamente, la concordanza dell'inizio dell'Etica nicomachea e della Politica. Anche su questo argomel)to la bibliografia è sterminata. Ricordiamo soltanto J. BuRNET, 1'he Ethics of Aristotle, testo, introduzio-
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ne, e commento, London 1900, che dichiara (pp. v-vi) di intendere gli scritti etici aristotelici come dialettici, non scientifici, o meglio come, sollecitati da un punto di vista dialettico. Un a tesi recentemente confutata da GAuTHIER-JouF (1958-59), vol. 1, p. 88, vol. n, p. 9 - alla quale la storiografia è ritornata. crediamo con qualche successo, quando si sia meglio inteso che cosa Aristotele intenda per dialettica. ,
5. Morte e trasfigurazione della dialettica. Dagli Stoici all'età moderna 5.1. I problemi esposti in questa premessa sono ora ripresi da E. WEIL. De la dialectique objective (1970), un saggio che rappresenta la conclusione di una lunga meditazione sulla dialettica e sulla sua storia: egli dimostra come la distinzione di dialettica soggettiva e oggettiva non sussista; come essa sia una e una sola dialettica: intenderla significa comprendere quel discorso che vuole comprendere coerentemente, sistematicamente, la realtà - e, quindi, a loro volta, dialettica, discorso, realtà formano un intero. 5.2. l frammenti degli Stoici sono raccolti nei quattro volumi di H. V<m ARNIM, Stoicorum veterum fragmenta, Leipzig 1903-1924. La traduzione italiana è .indicata alla nota 6. Il lettore tenga presente un'esposizione generale della storia e della cultura dell'età alessandrina: indico E. VACHEROT, Histoire critique de l'Eco/e d'A lexandrie, 3 voll., Paris 1846-1851 (recentemente ristampata), un'opera di grande respiro, che è stata lasciata in margine da una storiografìa (soprattutto filosofica) che si è ritenuta più preparata c fondata (penso alle varie ispirazioni storicistiche, antipositivistiche e in polemica con la concezione primo ottocentesca della scienza). Sugli Stoici è fondamentale M. POHLENZ, Die Stoa, Giittingen 19592 (tr. it. Firenze, La Nuova Italia, 1967, 2 voli. a cura di Vittorio Enzo Alfieri) e, più in generale, T:uoma greco, tr. it. La Nuova Italia, Firenze, 1967', due opere, che, pur dovute ad un grande studioso e pur disponibili in italiano, non ci sentiremmo di raccomandare se non invitando alla prudenza: la visione della grecità qui operante è talmente letteraria e astorica (quindi antistorica) che manifesta persino tracce di razzismo (il che non è inconsueto presso certa storiografia tedesca fra le due guerre). Sulla dialettica stoica la migliore e più recente monografia italiana è quella di C.A. VIANO, citata nota 4. Spieghiamo nel testo i motivi per i quali dissentiamo dal Viano, soprattutto nell'interpretazione della tradizione che confluisce negli Stoici. Egli poi sostanzialmente identifica dialettica e logica, una problematica che noi, anche qui, abbiamo cercato, sia pur sommariamente, di tenere distinta o di individuare nel momento della differenza. Alla nota 45, p. 89 del saggio di Viano si legge anche una adeguata bibliografia. La si -integri con la bibliografia,relativa agli Stoici nella già citata Filosofia antica di F. ADoRNO, pp. 587 sgg. Nel volume, citato, di A. MICHEL, Rhétorique et phi/osophie clzez Cicéron, si vedano i passaggi su aristotelismo, platonismo e stoicismo nel mondo romano, che ci sono stati molto utili. Qualche buona indicazione in W.C. c M. KNEALE, Storia della logica, tr. it. Torino, Einaudi, 1972. Inutilizzabili, come al solito, la nota breve Storia della logica di H. SCHOLZ, citata, cap. 6, nota 4 c la Storia della dialettica di LosAcco. 5.3. Di Plotino, oltre alla tr. it. a cura di V. CILENTO, con commento, citata alla nota 13, si tenga presente l'edizione commentata del testo greco,
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con tr. fr. e introduzione a cura di E. BRÉHIER, 7. voli., Paris, Les Belles Lettres, 1924-19 38. A nostra conoscenza non è possibile ricostruire una bibliografia speciale sulla dialettica plotiniana. Si veda; GuRWITCH, I 962: e V. VERRA, Dia/euica e fìlomfia in Plotino, Trieste 1963; il lettore consulti inoltre B. MARIEN, Bibliografìa critica degli studi plotiniani con rassegna delle loro recensioni, riveduta e curata da V. Cilento, vol. m, parte n (1949) della sua traduzione. Dopo il 1949 cfr. F. ADORNO, Filosofia antica, vol. n, Milano, Feltrinelli, 1965, pp. 857 sgg., tenendo presente, dagli Stoici ai Padri della Chiesa, BARWICK, Probleme der stoischen Sprachlehre und Rhet~Jrik, 1957 .. 5.4. È superfluo far notare che la bibliografia sulla filosofia medioevale è vastissima. Anche se ci si limita al campo dei nostri interessi - quando si tenga conto che la dialettica medioevale ha un'autonomia molto relativa, che in realtà essa oscilla continuamente fra la logica e la retorica, con le quali tende a unificarsi, c che, trattandosi di un'epoca nella quale il sistema, la sua architettonica, da un lato, la sua discussione in pubblico, messa in problema, dall'altro, hanno un'estrema importanza, essa finisce per coprire tutte le manifestazioni della filosofia e della scienza. Ci limiteremo pertanto ad indicare le opere più importanti, di preferenza italiane, senza dimenticare peraltro di E. GILSON, Lo spirito della filosofia medievale (19322), Brescia, La Morcelliana. 1969, per l'apertura, la curiosità intellettuale e la singolare trattazione della storia della filosofia e dei suoi problemi; C. VAsou, La filosofia medioevale, Milano, Feltrinelli, 1961: è da ritenersi, a nostra conoscenza, una delle migliori storie della filosofia del Medioevo, attenta alle diverse implicazioni, storiche, sociali, civili di una cultura complessa, dinamica, policentrica (un'ampia bibliografia, generale e particolare, per testi, materia e autori rende il volume uno strumento indispensabile di lavoro); per la caratteristica ora accennata della cultura medioevale non, si dimentichi la vecchia opera di F. PICAVET, Esquisse d'une histoire des philo.mpl!ies médiévales, Paris, Alcan, 1907 (recente ristampa Frankfurt 1967) e le due celebri monografic di Martin GRABMANN, citate nota 15, fondamentali: quasi interamente fondate su materiale d'archivio, manoscritto, vivacissime nell'esposizione, acute nell'individuare le sfumature più diverse del rapporto dialettica-filosofia da una parte e dialettica come tecnica della disputa dall'altra, gioco, anzi sport (come ha dimostrato tanto bene Weil nel suo saggio, citato, sulla logica aristotelica); altro lavoro di base è C. PRANTL, Storia della logica in occidente, tr. it. del voL n, parte r; " L'età medioevale fino al XII secolo"; R. Mc KEON, Dia/ectic and Politica/ Thought and Action, 1954; D. HAYDEN, Notes on aristotelian Dialectic in theo/ogical Metlzod, 1957; E. GARIN, La dialettica dal secolo XII ai principi dell'età modema, 1958, il lavoro più completo - pur nei limiti di un saggio - che possediamo su questo specifico argomento: abbiamo addotto le ragioni della nostra adesione alle tesi qui sostenute nel nostro testo (5.6; cfr. nota 26 e all'inizio di 5.8). Garin presenta, in una nota iniziale, una breve bibliografia speciale (a lui dobbiamo la citazione di Heydenreich, particolarmente sollecitante, non soltanto perché ci ha consentito di redigere il par. 5.5) e segue, discutendola, la storiografia nelle varie note; G. PRETI, Dialettica terministica e probabilismo nel pensiero medioevale, 1953; G. PRETI, Studi sulla logica formale nel Medioevo, 1953; M. DAL PRA, Studi sul problema logico del linguaggio nella filosofia medioevale, 1954; M. DAL PRA, Fede e ragione nell'interpretazione della filosofia medioevale, 1955; G. PRETI, La dottrina della "vox significativa" nella semantica terministica classica, 1955. Due altri
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lavori specifici sono citati alle note 29 e 30. Sulla persistenza di questi temi, sulle successive articolazioni del nostro problema, che abbiamo per altro lasciato cadere, ritornandovi brevissimamente nella Premessa a Kant, cfr. C. VASOLI, La dialettica e la retorica dei/'Unumesimo. "Invenzione" e "metodo" nella cultura del XV e XVI secolo, 1968.
6. Kant. La finitezza dell'uomo e l'inevitabile dialettica della ragione 6.1. Per questa premessa mi limito a rinviare ai lavori di TONELLI, citati nota l, che contengono altri riferimenti bibliografici. Tuttavia, in generale, anche per certe nostre affermazioni sulla filosofia kantiana in rapporto allo spirito deli'JIIuminismo (cfr. 6.3 e 6.4), ollre a quanto abbiamo esposto e alle opere citate nel paragrafo 5.8, si tenga presente la fondamentale, non ancora superata opera di E. CASSIRhR, La filosofia dell'Illuminismo, tr. it. Firenze, La Nuova Italia, 19702• - Abbiamo indicato alla nota 5 l'edizione tedesca delle opere di Kant. È utile sapere che c'è una buona edizione economica delle opere di Kant presso la Wisscnschaftliche Buchgesellschaft di Darmstadt e Insel-Verlag, Frankftlrt, a cura di W. WEISCHEDEL, Kant. Studienausgabe, in 6 voli. più un volume di tavole di raffronto fra le varie edizioni delle opere kantiane e il Kant-Lexikon di K. Ch. E. ScuMID, 1798', che già ai suoi tempi era un efficace strumento di lavoro. A R. ErsLER dobbiamo un più moderno Kant-Lexikon, 1930, rist. Hildesheim, Olms, 1961. Ci sono buone, talvolta ottime, traduzioni italiane (le tre Critiche c le più importanti opere prccritiche presso Laterza; una raccolta di scritti politici presso UTET di Torino). A noi interessa direttamente la Critica della ragion pura: cfr. la citata traduzione di Gentile-Lombardo Radice presso Laterza, di G. Colli presso Einaudi e la recente di P. Chiodi presso UTET, tutte disponibili. Una buona antologia dci Pro/egomeni, Fondazione della metafisica dei costumi e Critica del giudizio, con due ottime introduzioni, generale a Kant e speciale alla Critica del giudizio (attente alla funzione della dialettica), si trova in A. BANFI, Esegesi e letlure kantiane, vol. r a cura di N. DE SANCTIS c vol. II (studi critici su Kant e il kantismo) a cura dì L. Rossi, Urbino, Argalia, 1969. 6.2-5. Non possiamo qui dividere la bibliografia in paragrafi corrispondenti al testo: la nostra presentazione, interamente fondata sulla Critica della ragion pum, con ampie citazioni, si aggira intorno al solo problema della dialettica e costituisce t:n'unità. La letteratura kantiana è sterminata, in particolare sulla Critica, paragonabile solo alla letteratura su Aristotele e inferiore solo a quella su Marx, per sollecitare la quale hanno agito, come è noto, le più diverse motivazioni politiche. Kant è l'autore più studiato del XIX e xx secolo. Esiste una Kant-Gesel!schaft, che promuove congressi e pubblicazioni, e unà rivista « Kant-Studien » (alla quale è annessa una collezione di opere autonome), attive dagli inizi del secolo, quasi interamente rivolte allo studio di Kant. Inoltre, storiografia e bibliografia coincidono, almeno per un cinquantennio, con il dibattito filosofico stesso: la filosofia da Pichte a Hegel (come in parte abbiamo mostrato nel cap. 7.1-2) e· al vecchio Schelling, dai postkantiani ai neofichtiani e agli stessi neohegeliani contiene già una storiografia, che è ppi la più interessante e decisiva. Il neokantismo della seconda metà dell'Ottocento (Cohen, Vaihinger, Cantoni, Rickert, Windclband ecc.) è in fondo una scolastica, una filosofia di epigoni, che studiano Kant con Kant, ne discutono ed aggiornano il siste-
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ma come .se nulla dopo Kant fosse successo. TI Kant di Fichle, Schelling, Hegel (ne abbiamo dato i punti di riferimento fondamentali nel capitolo sopra citato), e dello stesso Schopcnhauer, è una realtà culturale, politica viva ed operante, è lo spirito del tempo che si pone in questione interrogando Kant. Il lettore che voglia avere una idea di come, quando e quanto c in quale direzione storici e filosofi hanno lavorato su Kant, consulti G. VARET, Manuel de bibliographie philosophique, Paris, P.U.F., 1956, vol.r, il cap. "Kant et la philosopbie kantienne ", che contiene una rara cronobibliografia con brevissimi commenti e indicazioni di recensioni, riviste, ecc. Riportiamo l'indice del capitolo: 1) Cronobibliografia del kantismo europeo: Kant fino al 1784; Il movimento filosofico dal 1784 al 1804; Le scuole kantiane tedesche dal 1804 al 1870. n) Le interpretazioni del kantismo: Schelling, Herbart, Fries, Schopenhauer; Hegel postumo; Kant postumo: la nuova. filologia kantiana; le interpretazioni filosofiche neokantiane; i temi kantiani. m) Le filosofie francesi all'epoca kantiana. Ricordiamo per Lulli: X. L{;ON, Fie h te et san temps, 3 voli., Paris, Colin, 1922-1927, un'ampia, affascinante storia della cultura non soltanto filosofica di questa stagione aurea della filosofia, ricchissima di documentazione (in qualche caso ancora inedita); J. VUILLEMIN, L'héritage kantien et la révolution c:opemicienne, 1954, che ha studiato proprio le tre correnti filosofiche contemporanee che si sono rispettivamente ispirate all'Estetica, all'Analitica e alla Dialettica trascendentale della Critica, ritenendo ciascuna di queste parti il fondamento dell'intera opera; P. SALVUCCI, Grandi interpreti di Kant. Fichte e Scftelling, Urbino 1958 (Pubbl. Università di Urbino, "Serie Lettere c Filosofia ", rx), che contiene anche una recensione di Vuillemin, e L'uomo di Kant, particolarmente importante per la dottrina dello schematismo (ricostruzione storica e teorica) e per le sue implicazioni con l'intendimento della dialettica (citato nota 8, dove sono citati anche i lavori di DE VLEESCIIAUWER, fondamentale per la storia interna del testo della Critica e per l'evoluzione del criticismo, M ASSOLO, la cui interpretazione è stata qui seguita, CHIODI); F. BARONE, Logica formale e logica trascendentale, vol. I, Torino, Ed. Filosofia, 1957: L. GoLDMANN, Introduzione a Kant. La comunità umana e l'universo (1945), Milano, Sugar, 1972, una delle opere più originali sul pensiero kantiano e sulla sua evoluzione incentrata sul concetto di " totalità " e quindi indirettamente importante per intendere la posizione della Dialettica trascendentale (ispirata al pensiero del primo Lukacs, fino a Storia e coscienza di classe per intenderei, ha svolto una certa influenza sulle interpretazioni esistenzialistiche e marxistiche di Kant, sullo stesso Massolo). Oltre a queste opere si ricordi ancora MAssoLo, Marx e il fondamento della filosofia (1949), citato nella bibliografia alla Premessa iniziale, dove spieghiamo come questo saggio abbia operato per una storia della dialettica (e della filosofia contemporanea) che trovi il suo punto di volta in Kant. In particolare, sulla Dialettica trascendentale kantiana, la migliore esposizione complessiva si deve a P. CHIODI, La dialettica di Kant, 1958, che presenta, discute e interpreta con singolare equilibrio i fondamentali significati di " dialettica " nella Critica e nelle altre opere kantiane. Siamo sostanzialmente d'accordo col Chiodi, che per altro presenta uno studio più ampio e documentato del nostro. Riteniamo, tuttavia, che anche all'interno della sua interpretazione sia possibile individuare e giustificare il ruolo fondante della Dialettica trascendentale, il suo essere, nella costruzione della Critica e nella rappresentazione della finitezza dell'uomo, a partire dalla quale il mondo è subìto e si rivela come contraddizione, il presupposto della Critica stessa. A nostro avviso - per schematizzare - non la distinzione delle cose in fenomeni e noumeni (ri-
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sultato della Analitica e determinazione del senso della realtà a mezzo della scienza) dà luogo alla dialettica della .-agione - ma: dacché l'uomo è finito, dacché pe.- questo -fatto è esposto all'illusione dell'infinito, è necessaria quella ricerca critica (della Critica) che mette capo alla distinzione delle cose in fenomeni e noumeni. Ma, forse, questo risultato è implicito nella ricerca del Chiodi ed egli stesso lo condivide. Che è poi la sostanza delle argomentazioni di Jacobi e di Hegel, diversamente motivate (cfr. cap. 7.1 e 7.7), il punto intorno al quale si articola, dal quale si diparte e si divide l'intera storiografia kantiana. Cfr. gli studi, tra i tanti, classici, su questo tema: H. VAIHINGER, Beitrage zum Verstiindnis der Analitik und Dialektik ·in der Kritik der rei n e n Vermmft, 1903; L. BRUNSCHWICG, La technique des antinomies kantiennes, 1928; M. GUEROULT, Le jugement de flegel sw· /'antithétique de la raison pure, 1931 e GuRWITCH, capitolo kantiano di Dia/ectique et sociologie, ciL
7. Da Kant a Hegel: ragione, storia, dialettica 7 .1-2. ln generale cfr. quanto è stato detto e citato nella bibliografia rela-
tiva al paragrafo precedente. I testi di cui ci siamo serviti e le traduzioni italiane sono tutti citati nelle note. Qui aggiungiamo: SCHELLING, Lettere fì!osofìclle sul dommatismo e criticismo, a cura di G. SEMERARI, Firenze, Sansoni, 1958 (la VI lettera è su Kant e l'interpretazione è presentata nel testo); per la storiografia, stato della questione c critica, A. BANFI, In/onzo al problema di una storia dell'idealismo (1931), ora in Incontro con Hegel. 1965: Banfi discute e confuta la storiografia cosiddetta neohegeliana, idea· listica e ne mostra l'unilateralità e la parzialità: proprio questa storiografia nega la· funzione fondante della dialettica kantiana, vi identifica il problema dei limiti della .-agione come problema J?noseo/ogico e quindi traccia una storia della filosofia dopo Kant come la storia del superamento di Kant e dell'esigenza della liquidazione della dialettica, ma come esigenza "filosofica". Quanto è poi avvenuto, oggettivamente, storicamente, non è la manifestazione di tale esigenza, ma appartiene alle esigenze della storia, ai bisogni degli uomini di cui parlò Hcgel, come crediamo di aver dimostrato - e quindi la dialettica è stata liquidata per le ragioni opposte a quelle sostenute per es. da Croce e Gentile, pe.- restare tra noi: non la realtà si è trasformata in spirito o ha dimostrato di poter essere risolta (risolubile. conoscibile) nell"' atto" dello spirito, ma la realtà si è imposta allo spirito, cioè alla ragione, finita, dell'uomo, che può soltanto riconoscer/a, e come attività pratica trasformarla. A questo proposito cfr. i lavori di GENTILE. GIANNANTONI, VALENTINI citati cap. 8 nota 44; si aggiunga: B. CROCE, Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel (1904), in Saggio sullo flegel, 1948 e R. FRANCHINI, Croce interprete di Hegel, Napoli, Giannini, 1958 e soprattutto Le origini della dialellica, 1961, una storia della dialettica " vera ", cioè quella crociana, dalle origini a Croce (ma, è bene tenerlo presente, Croce parlava di dialettica degli opposti e di nesso dei " distinti "; cioè, nel suo sano buon senso, si accorgeva che la realtà, per lui il divenire dei distinti (le forme dello spirito: arte, economia, pratica e filosofia), è già in sé dialettica: dialetticò, stricto sensu, è solo il tipo del movimento, per opposti). Ancora F. VALENTINI, Diritti e torti della dialettica, in << Società», 1959 (recensione del volume, Studi sulla dialettica, 1958). 7.3-7. Data l'importanza, in assoluto, della filosofia hegeliana, il peso della presenza· di H e gel nel dibattito filosofico contemporaneo, lo spazio che noi
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stessi abbiamo creduto di dover dedicare a questo filosofo (non soltanto nel presente capitolo; questi fattL come per Marx, ma a differenza di Kant, - lo ~i è già fatto notare - trovano motivazioni anche, e forse soprattutto, non strettamente filosofiche), la natura del suo stesso filosofare, nel quale, come in Platone, filosofia, dialettiça e sistema sembrano intrecciarsi. anzi sono un intero e ad un tempo una differenza (è il tema della nostra esposizione), ci consigliano di presentare una bibliografia particolare, più analitica per ciò che riguarda le opere. Bibliografie.; B. CROCE, Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel (1904); K. GRUNDER, Bibliographie zur politischen Theorie Hegels. in J. RITTER, Hegel und die franzi>sische Revolution, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1965 (tr. it. Napoli, Guida. 1970); una buona bibliografia, con elenco delle singole opere hegeliane, pubblicate e postume. con l'indice dei volumi delle edizioni complete, in F. WIEDMANN, Hegel, Hamburg, Rowohlts Bildmonographien, 1965; aggiornamenti bibliografici, bibliografie ragionate. nuovi testi e lettere hegeliani, nelle riviste « Hegel-Jahrbuch », 1961 (Dobbeck Verlag, Monaco), 1964 sgg. (A. Hain, Meisenheim a. G.) e « Hegel-Studien » 1961 sgg. (Bouvier, Bonn), organi delle· due associazioni hegeliane. rispettivamente la « Hegel-Gesellschaft » e la « Hegel-Vereinigung ». Edizioni fondmnentali delle opere hege/iane: l) Werke Vollstiindige Ausgabe durch einen Verein von Freunden des Verewigten: Ph. Marheineke, J. Schulzè, E. Gans, L. v. Henning, H.G. Hotho, K.L. Miche/et, F. Fi.irster: 18 voli. (in 21), 1" ed. 1832-1845 e 2• ed. 1840-1847. Come supplemento a questa edizione è stato pubblicato il fondamentale Hegels Leben di K. RosENKRANZ, 1844, con un'appendice di scritti giovanili e jenesi allora inediti (ora cfr. tr. it. Vita di Hegel, a cura di R. BoDEI presso Vallecchi, 1966, senza l'appendice). Le due edizioni di questa raccolta delle opere differiscono fra di loro, soprattutto circa il testo delle Lezioni berlinesi. Questa edizione dell'Enciclopedia è la sola che contenga le cosiddette " Aggiunte" (= Zusiitze) e .. Chiarificazioni ·· (= Erliiuterungen), raccolte da appunti hegeliani c da quaderni di scolari compilati durante le lezioni: occupa 3 voli. ed è nota come Grande Enciclopedia; 2) Siimtliche Werke. Jubiliiumsausgabe a cura di H. GLOCKNER, 26 voli., Stuttgart, F. Frommann, 1949, 1959 3 : è una riproduzione delle due precedenti; notevole è la ristampa della Enciclopedia. 1817, l" ed.; coh1e supplemento lo Hegei-Lexikon in 4 voli. e la monografia hegeliana del GLOcKNER, 2 voli. (che ha buoni capitoli sulla dialettica vista nella direzione dell'idealismo e storicismo tedeschi, cioè non mediata da Marx); 3) Siimtliche Werke: a cura di G. LASSON, Leipzig, Meiner, 1911 sgg. È il primo tentativo di un'edizione critica completa delle opere hegeliane. Rimase incompiuta, in 21 voli. Importanti sono i volumi: Erste Druckschrijten (vol. r), Schrijten zur Politik und Rechtsphilosophie (vu). Philosophie der Weltgeschichte (vm-Ix: un testo molto più ampio di quello fino allora noto, su questa edizone si fonda la traduzione italiana, v. sotto), Vorlesungen iiber di e Geschichte der Philosophie, I (xva: è la sola Introduzione, in una redazione critica, ampliata e datata, a cura di l. HoFFMÉISTER); 4) Siinitliche Werke. Neue kritische Ausgabe: a cura di J. HOFFMEISTER, Hamburg, Meiner, 1952 sgg. L'editore. che già aveva collaborato all'edizione Lasson, lo sostituì e progettò a sua volta, alla morte del Lasson (1932}, un nuovo piano che rimase incompiuto. Importanti sono: la raccolta degli scritti vari degli anni berlinesi, la nuova· redazione dell'introduzione alla Philosophie der Weltgeschichte e i 4 voli. di Brieje von und an H egei (con commento, aggiunte, documenti e indici), 1952-1960, ai quali si è aggiunto il volume fondamentale Hegel in Berichten seiner Zeitgenos.çen, a cura di G. NICOI.IN (cfr. nostra recensione in « Il pensiero» 1970). Dopo la morte
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di Hoffmeister (1955) si è pensato ad un grande lavoro collegiale, afTitìaw allo « Hegel-Arehiv » (presso la Bochum-Universitlit) sotto gli auspici della Deutsche Forschungsgemeinsclwft; si tratterà di una edizione completa. storico-critica, delle opere, delle lezioni c delle lettere. Sono per ora usciti solo due volumi di scritti a stampa e inediti del periodo di Jena: un;• edizione, in grande formato, di altissimo livello scientifico (sempre presso Meiner di Hamburg, 1968 c 1971). Infine: presso Suhrkamp, Frankfurl. 1971 è uscita un'edizione economica. tascabile delle opere, che riproduce la prima qui citata. Opere posll/me: Hegefs Theplogische Jugendschriften. a cura di H. NoHL, Tiibingen, Mohr, 1907: contiene gli scritti del periodo giovanile della formazione hegelìana; Die Verjassung Delllschlands e System der Sittlichkeit: scritti molto importanti della fine del periodo giovanile e dei primi anni di Jena, ora pubblicati da LASSON, in Schriften zur Politik ... , cit.; Jenenser Logik, Metapilysik une/ Nalllrphilosophie, a cura di LASSON, 1923 e Jenenser Realplzilosophie, a cura di J. HoFFMEI S'I l'R. 1931: sono i cosiddetti sistemi di Jena. il testo delle lezioni tenute da Hegel fra il 1802 e il 1806 (nasce e si sviluppa in tutte queste opere la dialettica della scissione e riunifi,·azione, dell'alienazione e appropriazione, dell'unità e differenza, sulla base di analisi storiche del mondo antico e della Germania contemporanea. che si completeranno nella Fenomenologia 'con la dialettica del signore e del servo); Dokumente zu Hege/.1' Entwic,klung, a cura di J. Hoffmeister, Stuttgart, Frommann, 1936: nuovi inediti, dal periodo ginnasiale fino agli anni di Jena; è un complemento fondamentale del Nohl. Traduzioni italiane: Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, tr. B. Croce, Bari, Laterza, 1907, 1963'; Lineamenti di filosofia del diritto, t r. F. Messìneo, ivi 1913; nuova edizione 1954 con le Note manoscritte di Hegel, tr. A. Plebe; Lezioni sulla storia della filosofia. tr. G. Sanna e E. Codignola, Firenze, La Nuova Italia, 4 voli. .1930 sgg .. 1964' (testo della seconda edizione 1\1 ichelet); La fenomenologia dello spirito, tr. E. De Negri. 2 volL ivi. 1933. 1964'; l-ezioni sulla filosofia della storia, tr. G. Calogero e C. Fatta. 4 voli., ivi 1941 (r), 1947 (ul e 1963 (I-IV) (testo del Lasson); l principi di Hegel (Frammenti giovanili. Sc.:rittì del periodo jenese. Introduzione alla Fenomenologia), introduzione. tr. e commento di E. De Negri, ivi. 1949. 19622 (cfr. ora la traduzione degli Scritti teologici giomni/i raccolti da Nohl. a cura di E. MIRRI, Napoli. Guida, 1972); Propedeutica fìlosofiw. tr_ Radetti, Firenze, Sansoni, 1951 (testo delle lezioni dedicate agli studenti del Ginnasio Liceo di Norimberga); Sulla religione nazionale (frammento di TuhinRll), in appendice al volume di C. LACORTE, l/ prinw Hegi!l. c.s. 1959; Scrilli politici a cura di C. Cesa, Einaudi, 1972; Scritti di fìlosvfia del diritto ( 1802-3), tr. A. Negri. Laterza, 1962 (contiene Le maniere di trattare scimtificamente il dirillo naturale e Il sistema dell'Eticità); Estetica. tr. N. Merker e N. Vaccaro. Torino, Einaudi, 1967; Rapporto dello scetticismo con la filomfia, I X02, e Le prcJI'e dell'esistenza di Dio, presso Laterza 1970; Lo spirito del cristiane.,imo e il suo destino. a cura di E. MIRRI. L'Aquila. Japadre, 1970; Vita di Gesù, a cura di A. NEGRI, Laterza 197 J; Primi scritti critici (Fede e sapere, Differenza dei sistemi di Fichte e di Scflel/ingl, a cura di R. BOD!òl, Milano, Mursia, 1971 e infine le Lettere. a cura di E. GARIN, presso Laterza, 1972 (un'antologia; c'è una tr. fr., Gallimard, l'aris. 1962 sgg. del carteggio completo in 3 voli.: è in corso di stampa presso Zanichelli di Bologna Lezioni sulla filosofia deÌ/a religione). Sono inoltre da ricordare le due antologie: Introduzione alla .1·toria della filosofia, a cura di L. PAREYSON e A. PLEHE, Bari, Laterza, 1956' (secondo il testo Hoffmeister) e Il si.ltema filosofico. introduzione (fondamentale), tr. e note di A.
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Banfi, Firenze, La Nuova Italia. 1966 (dall'Enciclopedia e dalla Filosofia del dirillo). Ricerche su Hegel (indichiamo solo le opere fondamentali): R. HAYM, lleKei und seine Lei!. Berlin 1857, Leipzig 1927' (ampliata. con introduzione importante di H. RosENDERG): F. RosENZWEIG. lle!(el und der Staat, 2 voli., Miinchen-Berlin 1920. Aalen 1962; R. KRONER, Vm1 Kan1 bis Hegel, 2 voli., Tiibingen 1921-24. 1961': E. DE NEGRI. lnterprelazionc di l/ef?e/, Firenze. Sansoni. 1943, 1969': H. MARCUSE, Reason ami Rei'Olution. Ilege/ and t/w Rise of social Throry, London-New York 1941. 19542 (tr. it. Bologna. Il Mulino. 1966): G. LuKÀCS, Der junge Hege/. Zi.irich-Wien 1948, Aerlin 1954 (tr. it. Torino. Einaudi, 1960): E. WEIL Hegel et l'état, Paris 1950 (tr. it. in Filosofia e politica. Firenze, Vallecchi. 1965); E. BLOCH, Subjekt-Objckt. Erliiulenmgen ZII Hegel, B~rlin 1951. Frankfurt a.M. 1962 (tr. it. parziale, con altri saggi hegeliani, in Dialettica e speranza. Firenze, Vallecchi, 1967 e ora K. Marx. Bologna, Il Mulino. (importante in particolare Marx e la dialettica idealistica); E. WEIL, Hegel. Urbino, « Quaderni di Differenze », 1962 (brevissima, fondamentale introduzione al pensiero di Hegell: A. BANfl, Incontro con lfe!(el. Urbino, 1965 (raccoglie tutti i saggi di Banfi su Hegel): si raççomanda anche L. MITTNER·. Storia della letteratura tedesca, Torino. Einaudi, 1964, vol. 11, §§ 447-49. Importanti gli studi generali e speciali apparsi in queste riviste in occasione del centenario: « Logos », vol. xx, TUbingen 1932; « Revue de Métaphysiquc et de Morale :<>, vol. XL, Paris 1931; « Rivista di filosofia neoscolastica », vol. XXIII. Suppl., Milano 1932; « Il Pensiero ». VII, 1962, n. I -2: AA.VV., Incidenza di Hegel. a cura di F. Tessitore. Napoli 1970; AA.VV .. L'opera e l'eredità di 1-le;<e/, a cura di V. VERRA, Bari. Laterza, 1972 (con· tiene una bibliografia delle riviste e delle raccolte ai studi per il 11 ccnte· nario della nascita). Sulle opere giot·cmili di He;:e/: W. DILTHEY, Die Jugendgeschichte l/egc/s. Berlin 1905 (di qui inizia la leggenda di Hegel ro· mantico e mistico); Th. HAERINn, HeRel. Sein Wollen und sein Werk, 2 voli., Lcipz.ig-Berlin 1929-193l.l. Aalen 1963'; A. MASSOLO. Prime ricercht· di Hegel, Urbino, 1959, ora in La storia della filosofia come problema. nuova ed., Firenze, Vallecchi; i 967: C. LACORTE, Il primo l/e;:el, Firenze. Sansoni, 1959 (sulla formazione hegeliana al Ginnasio e a Tiibingen). Sulla Fenomenologia dello spirito: J. WAHL, Le malheur de la conscience dans lu phi/osophie de Hegel, Paris, P.U.F., 1929, 1951': di qui inizia la cosiddetta interpretazione esistenzialistica (tr. it. presso l'I.L.T.. Milano, 1971): J. HYPPOLITE, Genèse et structure de la Ph. d. l'E., Paris, Aubier 1946 (tr.· it. Firenze. La Nuova Italia, 1972); A. KOJÈVE, lntroduction à la tec ture de lleRel, Paris. Gallimard, 1962': tr. it. parziale in La dia/elfica e l'idea della morte in Hegel, Einaudi, 1948: un'opera fondamentale, forse la più importante - anche se. molto discutibile - sulla dialettica hegeliana, che esercitò un'influenza enorme. Diffusione della filosofia he~:eliana: manc(l ancora un lavoro esauriente c aggiornato: si veda J .E. ERDMANN, Darstellung der deutsclzen Philosophie sei t H egels T od, l R96, rit. Stuttgart t 964 a çura di Liibbe; W. MooG, l/egei und die Hegelsche Schule. Miinchen 1930: K. Lowrm, Von He)<el zu Nietzsche, Ziirich-Wien 1941 (tr. it. Da Hegc/ a Nietzsche, Torino, Einaudi, 1949, 1959'). Sul senso della filosofia hegeliana dopo Hegel cfr. ERIC WEIL, Pensiero dialertico e politica, in Filosofia e politica, ci t.: A. MASSOLO, Marx e il fondamento della filosofia. in Ricerche sulla logica hegdiww e altri saggi, cit.; L. MARINO, A. M ii/la. Dialettica e controrivoluzione, in "Rivista dì filosofia", 1968, e per gli studi contemporanei: L RICCI GAROTfl, Interpreti italiani di l/egei del dopoguerra, in Heidegger contra l/egei, Urbino 1965. in particolare, sulla genesi del materialismo storico, si veda, nell'immensa bibliografia, oltre alle
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opere filosofiche giovanili di Marx (tr. Della Volpe, Roma, Editori Riuniti, 19694 ; tr. Bobbio, Torino, Einaudi, 1949 ·(ristampa nella NUE); tr. Firpo, Torino, Einaudi, 1950) e alle altre opere di Marx e di Engels per le quali vedi bibliografia cap. 8, il UiWITH, cit., e M. Rossr, Marx e la dialettica hegeliana, 2 voli., Roma, Ed. Riuniti, 1960-63. (cfr. Da H egei a Marx, Milano, Feltri nel! i, 1970): un lavoro che sostiene tesi esattamente opposte alle nostre su tutti i punti che riguardano Hegel, il rapporto Hegel-Marx e Marx, troppo facilmente confutabili, tuttavia ricco di dottrina e di informazione (cfr. avanti cap. 8.1 e nota 9). Infine, per ciò che riguarda il tema della dialettica, si leggano alcune relazioni presentate al Seminario di Heildelberg sulla Filosofia politica di Hegel a cura deli'Institut lnternational de Philosophie politique (non ancora pubblicate): W. KAUFMANN. L'alienazione inevitabile; N. BOBBIO, L'idea di costituzione; L.W. BECK, La Riforma. la Rivoluzione. la Restaurazione nella politica di Hege/; E. WEIL. Il concetto di rivoluzione irr Hegel. Due parole: l'analisi di Weil è come sempre cauta: Hegel non tematizza la rivoluzione; per lui è l'espressione di una malattia dello Stato e questa malattia è ciò che gli interessa, e può esprimersi in modo completamente diverso; di qui una serie di analisi storico-filosofiche, che ci aiuteranno a comprendere anche il rapporto-nonrapporto Hegel-Marx. Sullo stesso tema O. PoGGELER, Filosofia e ri~·o luzione nel giovane H egei (1972): nonostante la buona informazione circa il complesso tessuto culturale nel quale si muove il giovane Hegel, non ci convince la tesi che Hegel proprio per comprendere il fenomeno storico avrebbe inteso la rivoluzione come un'opera di trasformazione spirituale. Convinzioni opposte ·a quelle di Weil e insieme di Poggeler, mostra di avere J. D'HONDT, L'appréciation de la guerre révolutionnaire par Hegel, in De Hegel à Marx, 1972. Un altro testo di Weil sulla dialettica hegeliana è citato alla nota 22 (cfr. Bibliografia generale): svolge il tema. che ci trova del tutto consenzienti (il supporto stesso del· cap. 7.5 in particolare): della dialettica hegeliana, se si vuol comprenderla con H e geL non sì può parlare, bisogna seguirla o rifiutarla. Su questo tema, seguendo . i passi dell'Enciclopedia c della Scienza della logica, si veda anche J.N. FINDLAY, Hegel oggi. Milano, I.L.l. 1972. Come il lettore avrà visto, per le ragioni ampiamente addotte nel testo, non c'è una bibliografia specifica sulla dialettica hegeliana come non t:è una sezione del filosofare, una parte del .sistema hegeliano intitolato " dialettica ". Una esauriente breve monografia sulle varie figure nelle quali si presenta quella che si è convenuto comunque di chiamare la dialettica hcgeliana, in Pietro Rossr, La dialettica hegeliana ( 19 58), che segue l'intera evoluzione del filosofo da Tiibingen e Berna a Berlino.
8. Marx e Engels. La dialettica realizzata e la fine della dialettica 8.1-2. Le opere complete di Marx e di Engels cominciarono ad essere pubblicate in una grande edizione storico-critica nel 1927 a Francoforte: è la cosiddetta MEGA (Marx-Engels Gesamtausgabe) che restò incompiuta. Ora disponiamo di una grande edizione a cura dell'Istituto per il marximo-leninismo del PC della RDT e dell'analogo Istituto di Mosca, pubblicata, e in corso di completamento, presso Dietz Verlag di Berlino: 39 volumi di opere e lettere, 2 volumi di appendici, 2 volumi di cataloghi e indici (Marx-Engels Verzeichnis). Purtroppo non esiste, ch'io sappia, una bibliografia marx-engelsiana. Mi sono noti: E. DR AH N, Marx-Bihliographie. Ein Lebensbild K.M. in biographischen und bibliographischen Daten, Ber-
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in un momento in cui Lukàcs polemizzava con il cosiddetto mcccanicismo e positivismo di Engels. Certo all'interno degli Anni venti si deve tener conto del dibattito che si accese sul "marxismo" di E. Bloch, K. Korsch e Lukàcs, un marxismo teorico, acutissimo, che aveva il vizio di non essere maturato a sufficienza a contatto con le lotte della classe operaia, di non aver scontato la propria origine borghese: questa l'accusa degli ortodossi, i quali però non scrissero un rigo degno di attenzione. Ma, a nostra conoscenza, questo dibattito, per ciò che concerne la dialettica. inftul maggiormente nel secondo dopoguerra: un'eco in « Arguments ». n. 7, 195!ì. ma si pensi a L. Goldmann e allo stesso Sartre e alla ripresa ·· strutturalista" (cfr. nota 38). Cfr. ora C. LUPORINI. Marx secondo Marx; 1972, che mi pare prenda le distanze da Althusser, finalmente, accentuando il tema storia, il momento dell'analisi storica operante all'interno della problematica del Capitale. Sul tema Sartrc-marxismo-strutturalismo un buon punto di riferimento resta il confronto Sartre-Lévi-Strauss, per cui cfr. il cap." Histoire et dialectique " di La pensée sauvage, 1962. Sul tema marxismo-esistcnzialismo si veda Marxisme et existentialisme. Controverse sur la dia/ectique, 1962 e di A. MAssoLO, Frammento etico-politico, 1958, in particolare la postilla su Sartre. Ma si deve sottolineare che ora non è più o non è soltanto la dialettica che viene posta in questione, ma è l'intera filosofia contemporanea, il senso stesso del suo intervento. Due sociologie. per esempio, positivistico-scientifica l'una e di ispirazione umanistica l'altra si confrontano nel nome della dialettica, rivendicando due parziali concetti della scienza, sostanzialmente astorici e quindi antidialettici: si vedano gli interventi di K. POPPER, Th.W. ADORNO, ] . HABERMAS e altri, in Dialettica e positivismo in .wciologia (1972: il dibattito si svolse nel '61). Ma lo stesso fenomeno si verifica all'interno dell'esistenzialismo, come dimostrano W. BROCKER, Diah-ktik. Positivismus, Myt/wlogie, 1958, e M. MERLEAU-PONTY, Existence et dialectique, 1956 (ma anche Les (n•entures de la dialectique, 1955) e all'interno del neopositivismo, per cui cfr. C. CASES, Marxismo e neopositivismo, 1958. Allora si comprende, evidentemente, perché la letteratura sia sterminata e qualsiasi scelta arbitraria. I testi che abbiamo indicato qui e nelle note stanno ad indicare, in positivo e in negativo, che dialettica ha un senso solo per quella filosofia che accetta di fare i conti col marxismo oppure. ciò che per noi è lo stesso, con il risultato del marxismo, c cioè che la realtà, l'essere sociale dell'uomo è il primo. e che questo fatto è la dialettica stessa, il nostro essere nella città e il nostro volerei comprendere in essa nel suo continuo modificarsi ad opera nostra. Al di fuori di questo fatto - siamo andati dimostrandolo adducendo qualche ragione - c'è la letteratura, l'accademia, la scolastica, le parrocchie - contrarie c uguali.
8.4. Le opere di GRAMSCI, non soltanto i Quaderni dal carcere, sono state pubblicate da Einaudi, Torino, 1948 (il volume Passato e presente contiene un indice per materie). Una buona raccolta è ~tata pubblicata presso Il Saggiatore, Milano 1964, col titolo Duemila pagine di Gramsci. Su Gramsci la letteratura è piuttosto scarsa: una prova, a nostro avviso, della modestia (per tacer d'altro) dell'elaborazione teorica del marxismo italiano (si tenga, tuttavia, presente, N. BADALONI, Il marxismo italiano degli anni sessanta, 1971 c Per il comunisnw, 1972 c G. VACCA, Politica e teoria nel marxi.wno italiano 1959-1969. Bari, De Donato, 1972). L'interesse per Gramsci è piit attivo su altri fronti come possono testimoniare gli atti dei due convegni gramsciani ora pubblicati: Studi gramsciani, Roma, Ed. Riuniti, 1958 e Gramsci e la cultura contemporanea, Roma, Editori Riu-
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niti, 1969, 2 voli. Sulla dialettica in Gramsci. il ~olo contributo di N. BOBBIO, citato nota 56. e ripreso nel nostm testo. Ricordiamo P. SALVUCCI. Gramsci e la storia della filosofia, in Studi Gram.1·ciani. dt., ora in Saggi, Urbino, Argalia, 1963 e il contributo di A. PIZZORNO, Sul metodo di Gramsci: dalla sloriografìa alla scienza politica. in Gramsci e la cultura conlempm·anea, cit., che dimostrano ancora una volta. ed è necessario sottolinearlo. come una riflessione m/fa dialettica non ha piì1 necessariamente ad oggetto la dialettica - se hanno un senso le pagine e le annotazioni che siamo venuti redigendo in questo libretto.
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Dialettica di L. Sichirollo
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Mito
5 ·Logica
di F. Jesi di M.L. Dalla Chiara Scabhi
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di
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Materia
di A. Pacchi
!SEDI
c.
Napoleoni
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