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Collana di testi filosofici diretta da Pietro Prini l 2
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Aristotele
De lnterpretatione a cura di Dario Antiseri
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Tutti i diritti riservati MINERVA ITALICA Bergamo - Milano - Bari - Firenze - Messina - Napoli - Roma - Padova Settembre 1970
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Introduzione
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l.
Perché si torna alle opere logico-linguistiche di Aristotele
È indubbio come nella svolta analitica, che permea di sé l'intero arco del pensiero contemporaneo, gli studi di logica simbolica, piu specificamente, c di filosofia del linguaggio, piu ampiamente, occupino una posizione di rilevante importanza. Convinti che non ci sia nulla che noi pos· siamo pensare, sentire, ricordare, progettare, inventare, immaginare, ecc., e che non possa trovare la sua formulazione linguistica e persuasi, inoltre, sia della sconcertante complessità della macchina linguistica, sia, conseguentemente, della facilità con cui il linguaggio ci trae in inganno popolando il nostro cervello di entità fittizie e di ectoplasmi verbali, convinti e persuasi di ciò, dunque, l'intero linguaggio umano è stato preso d'assalto su una pluralità di fronti nella preoccupazione di capirlo nel suo funzionamento, di perfezionarlo, di ricostruirlo: la logica simbolica ha dato luogo ad una potente azione di raggi "X" mirante a porre in evidenza le nervature sintattiche dei nostri discorsi in uso e per di piu ci ha maggiormente scaltriti nella manipolazione dei linguaggi costruendone degli artificiali e mostrando potenza e limiti dei sistemi formali assiomatizzati; l'offensiva neopositivistica del Circolo di Vi enna e del primo Wittgcnstein alla metafisica in base al criterio di verificazione (principio giustificativo delle scienze empiriche) ha avuto due benèfici effetti, in quanto, da una parte i metafisici, provocati nel vivo dalla accusa di insensatezza lanciata contro ogni metafisica, si sono sentiti in dovere di esibire tutto un corredo di regole semantiche, sintattiche e pragmatiche e criteri giustificativi (se mai ve ne possano essere) del discorso metafisica, dall'altra la fiducia nella scienza e la concentra-
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INTRODUZIONE
zione dell'attenzione sul linguaggio scientifico hanno condotto a tutta una serie di rif1essioni metodologiche di immenso valore e soprattutto hanno fatto s1 che la filosofia della scienza si presentasse in tutto il prestigio della sua autonomia; il movimento analitico di Cambridge ed Ox/ord (specialmente sotto l'impulso del cosiddetto secondo Wittgenstein), svincolandosi dalle strettoie scientistiche del Wiener Kreis, ha portato avanti e porta avanti un tipo di approccio al linguaggio non piu basato su pretese riduttivistiche, ma su modelli operativi, i quali permettono di capire il linguaggio umano, per quello che è e non per quello che sarebbe piaciuto che fosse, cosicché - stabilito appunto il fatto che il linguaggio umano non può venir compresso nella gabbia di quello scientifico - anche il linguaggio ordinario, quello etico, quello estetico e, da ultimo, quello religioso sono stati presi in esame nella preoccupazione di capirne la diversa funzione e i differenti principi giustificativi; in America poi, allorché si è avuto il trapianto delle dottrine neopositivistiche europee, si è assistito alla fecondazione di tali dottrine con il pragmatismo che laggiu era di casa, e Ch. Morris ha studiato le implicazioni pragmatiche (psicologico-sociali) dei segni, mentre A. Korzybski, seguito da H. Hayakawa, J. I. Lee, Rapoport, etc., con la sua semantica generale ha inteso innescare i principi della semantica e la mole dei risultati delle indagini sul linguaggio in tutta una gamma di applica?:ioni, allo scopo di eliminare i crampi mentali che intossicano sia i nostri telai concettuali individuali, sia la nostra comunicazione intersoggettiva; dal canto suo la linguistica strutturale, come ha scritto L. Hjelmslev, ha affrontato il linguaggio basandosi "sulla ipotesi secondo cui è scientificamente legittimo descrivere il linguaggio come una entità essenzialmente autonoma di dipendenze interne, e, in una parola, una struttura... L'analisi di gueste entità permette di enucleare costantemente delle parti che si condizionano reciprocamente, di cui ciascuna dipende da certe altre e non sarebbe concepibile né definibile senza di queste. Essa riduce il suo oggetto a una rete di dipendenze, considerando i fatti linguistici uno in ragione d eli' altro"'; e ci so n poi la teoria dell'informazione e la cibernetica a proporre codificazioni opportune per certi fini e a costruire nuovi linguaggi artificiali. Ebbene, queste direzioni di ricerca, questi metodi e modelli operativi d hanno condotto ad una indubbia padronanza dell'umano linguaggio nelle sue strutture, stratificazioni, funzioni e usi. Per di piu, mentre essi per un verso vengono usati quali strumenti di indagine nell'esame di dottrine e teorie sia attuali sia proposte nel passato, per altro verso hanno stimolato una serie di ricerche storiche miranti a stabilire e come mai unicamente ai nostri giorni si sia focalizzata l'atten1
L.
HJELMSLEV,
in "Acta linguistica", IV, fase. 3 (1944), pag. V.
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zione sul linguaggio con furia quasi aggressiva, e quali altri pensatori abbiano percorso vie analogh~ a quelle odierne. Ciò al fine di constatare quanta strada si è fatta fino ai nostri giorni, per vedere quali indicazioni si possano eventualmente trarre dalle riflessioni di chi ci ha preceduto, e, infine, perché noi possiamo guardare l'intero fenomeno "indagine critica sul linguaggio" in tutta la sua vastità, nell'ampiezza dei tentativi intrapresi, dei progetti falliti, dei risultati ottenuti. È esattamente nello spirito di queste esigenze che si legittima un ritorno alle opere logico-linguistiche di Aristotele. E questo ritorno è tanto piu giustificato - come testimoniano i numerosi scritti apparsi a questo proposito in questi ultimi decenni - se si pensa che, a) nell'arco di tempo che copre la vita di Aristotele, la logica ha fatto piu progressi che in qualsiasi altra epoca, b) che la logica aristotelica è la prima logica formale, c) che tale logica è stata stesa - proprio nello spirito di quello che noi oggi chiamiamo il metodo assiomatico - almeno in tre diverse maniere, d) che alcune parti della sua logica, Aristotele le elaborò in modo perfetto, e) che Aristotele, considerando il linguaggio come un fatto umano di cui bisogna determinare forme corrette e forme scorrette, abbandonò in breve l'idea di una validità cosmica della parola cosi riconosciuta dalla mitologia vedanta e dal pensiero dei presocratici', f) che la logica dell'Organon ha influenzato la storia della logica per oltre duemila anni in modo cosi decisivo che Kant poteva affermare che la logica con Aristotele era nata, cresciuta e si era chiusa. Inoltre Aristotele acquista oggi una non indifferente rilevanza per le sue analisi sui discorsi differenti da quello apofantico o indicativo. Infatti nella Poetica e nella Retorica egli ci ha proposto l'analisi del linguaggio poetico e di quello persuasivo. Puntando lo sguardo sulla Retorica c'è da dire che ai nostri giorni, dopo che il pensiero occidentale, per secoli malato del mito cartesiano della ragione costrittiva, si è rivolto a livelli di esperienza e di linguaggio diversi da quello della scienza, la rilettura della Retorica, nell'orizzonte propostod dalla teoria dell'argomentazione, diventa addirittura una necessità. Pertanto, se si torna a leggere un classico della logica e della analisi del linguaggio, quale Aristotele, non è che questo si faccia per celebrare le funzioni dei defunti, ma unicamente si fa storia in vista di una teoria, o meglio di una pluralità di modelli operativi che ci consentano di capire com'è, come funziona, come possiamo manipolare ed usare il linguaggio, senza paura di cadere nei troppo frequenti tranelli linguistici'. ' Cfr. E. RIVERSo, Introduzione alla logica e all'analisi del lin.~uaggio, Napoli, 1960, cap. I. ' Nota bibliografica. - Per una prima approssimazione ai problemi della lo[!.ica simbolica cfr.: E. AGAZZI, a) La logica simbolica, Brescia, 1964; b) Introdu-
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2.
INTRODUZIONB
Le opere logico-linguistiche di Aristotele
Il Corpus Aristotelicum fu sistemato da Andronico di Rodi nel I sec. a.C. e le opere logiche sono ordinate nel cosiddetto Organon (termine di origine posteriore) in questa maniera: a) Categorie; b) De Interpretatione; c) Primi Analitici (due libri); d) Secondi Analitici (due libri); e) Topici (otto libri); f) Confutazioni sofistiche. zione ai problemi dell'assiomatica, Milano, 1961; A. PASQUINELLI, Introduzione alla logica simbolica, Torino, 1957; P. F. STRAWSON, Introduzione alla teo1'ia logica, trad. it., Torino, 1961; I. CoPI, Introduzione alla logica, trad. it., Bologna, 1964; piu tecnici sono invece E. CASARI, Lineamenti di logica matematica, Milano, 1959; W. V. O. QurNE, Manuale di logica, trad. it., Milano, 1960; R. CARNAP, Fondamenti di logica e matematica, trad. lt., Torino, 1956. Sul Circolo di Vienna e, in generale, sul neopositivismo si possono consultare: F. BARONE, Il Neopositivismo logico, Torino, (rist. an.) 1964; L. WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, trad. it., Milano-Roma, 1954; J. R. WEINBERG, Introduzione al positivismo logico, trad. it., Torino, 1950; R. CARNAP, a) La costruzione logica del mondo, trad. it., Milano, 1967; b) Sintassi logica del linguaggio, trad. it., Milano, 1961; A. J. AYER, Linguaggio, verità e logica, trad. it., Milano, 1961; J. HARTNACK, Wittgenstein e la filosofia moderna, trad. it., Milano, 1967; J. ]OERGENSEN, Origini e sviluppi dell'empirismo logico, in Neopositivismo e unità della scienza, trad. it., Milano, 1958; E. ANSCOMBE, Introduzione al Tractatus di Wittgenstein, trad. it., Milano; E. RIVERSo, Il pensiero di L Wittgenstein, Napoli, 1965; O. NEURATH, La scienza unificata come integrazione enciclopedica, in Neopositivismo e unità della scienza, cit.; J. O. URMSON, L'analisi filosofica, trad. i t., Milano, 1966; B. RussELL, a) Logica e conoscenza, trad. it., Milano, 1961; b) Significato e verità, trad. it., Milano, 1963; D. ANTISERI, Dal neopositivismo alla filosofia analitica, Roma, 1966. A proposito della filosofia analitica si vedano: L. WrTTGENSTEIN, Ricerche filosofiche, trad. it., Torino, 1967; G. RYLE, Lo spirito come comportamento, trad. it., Torino, 1955; G. E. MOORE, Principia ethica, trad. it., Milano, 1963; C. L. STEVENSON, Etica e linguaggio, trad. it., Milano, 1962; B. WILLIAMS-A. MoNTEFIORE, Filosofia analitica inglese, trad. it., Roma, 1967; U. ScARPELLI, Filosofia analitica, norme e valori, Milano, 1962; F. Rossr-LANDI, Significato, comunicazione e parlare comune, Padova, 1961; R. PIOVESAN, Analisi filosofica e fenomenologia linguistica, Padova, 1961; A. J. AYER, a) Il concetto di persona, trad. it., Milano, 1966; b) Saggi filosofici, trad. it., Padova, 1967; A. G. GARGANI, Linguaggio ed esperienza in Ludwig \'Vittgenstein, Firenze, 1966; D. PARISI, Liltguaggio comune e lin[!.uaggio regolato, in "Rivista di Filosofia", 3, 1962; D. ANTISERI, Dopo Wittgenstein, dove va la filosofia analitica, Roma, 1967. Per un approccio ai problemi della filosofia della scienza, cfr.: L. GEYMONAT, Filosofia e filosofia della scienza, Milano, 1961; R. B. BRAITHWAITE, La spiegazione scientifica, trad. it., Milano, 1966; A. PASQUINELLI, Nuovi principi di epistemolo[!.ia, Milano, 1964; C. G. HEMPEL, La formazione dei concetti e delle teorie della scienza empirica, trad. it., Milano, 1962; P. W. BRIDGMAN, a) La logica della fisica moderna, trad. it., Torino, 1961; b) La natura della teoria fisica, trad. it., Firenze, 1965; E. NAGEL, La struttura della scienza, trad. it., Milano, 1968; G. PRETI, Linguaggio comune e linguaggi scientifici, Roma-Milano, 1953; H. REICHEN-
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INTRODUZIONE
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La prima trattazione si occupa, in sostanza, di quelle classi di oggetti (o concetti), che in una proposizione possono fungere da soggetti e da predicati. A questa analisi, che costituisce una teoria dei termini, segue nel De Interpretatione una teoria della proposizione. Vengono successivamente gli Analitici primi, dove Aristotele si occupa della teoria della deduzione sviluppando la sua sillogistica. Negli Analitici secondi si indagano le condizioni che debbono essere soddisfatte dalle proposizioni iniziali delle dimostrazioni perché si dia vera scienza; in essi, dunque, Aristotele ci offre la teoria della scienza c per di piu prospetta il metodo assiomatico. I Topici, da parte loro, danno schemi tipici di dimostrazioni e raccolte di regole pratiche al fine di manipolare i procedimenti fondamentali per la soluzione dei problemi di una certa disciplina. "Il fine che questo trattato si propone - scrive Aristotele - è c.U trovate un metodo, onde poter costruire, attorno ad ogni formulazione proposta di una ricerca, dei sillogismi che partano da elementi fondati sull'opinione, e onde non dir nulla di contraddittorio rispetto alla tesi che noi stessi difendiamo" (Top. A, l, 100, a 18-21). Le Con/uta:doni sofistiche, infine, le possiamo considerare una specie di appendice ai BACH, a) La nascita della filosofia scientifica, trad. i t., Bologna, 1961; b) La nuova filosofia della scienza, trad. it., Milano, 1968; P. FILIASI·CARCANO, La metodologia nel rinnovarsi del pensiero contemporaneo, Napoli, 1957; \Yl. HEISEMBERG, Afutamenti nelle basi della scienza, trad. it., Torino, 1944; A. PAP, ilztroduzione alla filosofia della scienza, trad. it., Bologna, 1967. Sulla semiotica di Ch. MoRRIS; si vedano dello stesso Ch. Morris, a) Lineamenti di una teoria dei segni, trad. it., Torino, 1954; b) Segni, linguaggio e comportamento, trad. it., Milano, 1949; e su MoRRIS dr. la bella monografia di F. Rossr-LANDI, Charles .Morris, Milano-Roma, 1953. Per la teoria dell'argomentazione si veda: Ch. P!lRJ:;LMAN c L. OLBRECHTS· TYTECA, Trattato dell'argomentazione, trad. it., Torino, 1966; G. PRETI, Retorica e logica, Torino, 1968; S. E. TouLMIN, The Uses of Argument, Cambridge 1958; H. \Yl. JoHNSTONE, Philosophy and Argument, The Pennsylvania State Uni· versity Press, 1959. Per uno sguardo ai problemi della linguistica strutturale si vedano: G. C. LEPSCHY, La linguistica strutturale, Torino, 1966; A. MARTINET, Elementi di lin· guistica generale, trad. it., Bari, 1966; R. }AKOBSON, Saggi di linguistica struttu· rale, trad. it., Milano, 1966; E. BENVENISTE, «Struttura» in linguistica, in Usi e significati del termine struttura, di Autori vari, a cura di R. Bastide, trad. it., Milano, 1965; F. DE SAUSSURE, Corso di linguistica generale, trad. it., Bari, 1967; L. HJELMSLEV, I fondamenti della teoria del linguaggio, trad. it., Torino, 1968; presso l'editore Silva, Milano, 1966, sono uscite Le Tesi del '29 del Circolo lin-
guistico di Praga. Per m1a informazione sulla semantica generale si veda: S. CHASE, a) Studio sull'umanità, trad. it., Milano, 1952; b) Il potere delle parole, trad. it., Milano, 1966; F. BARONE, La semantica generale, in Semantica, di Autori vari («Archivio di Filosofia>>), Roma, 1955, pp. 407-418; M. BLACK, Linguaggio e filosofia, trad. it., Milano-Roma, 1953.
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INTRODUZIONE
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Topici. In esse Aristotele presenta, per cosf dire, l'arte di scoprire le false sottigliezze dei ragionamenti. E ciò perché "come alcuni uomini possiedono una buona costituzione fisica, altri invece sembrano possederla, gonfiandosi, quasi fossero delle vittime offerte in sacrificio dalle tribu, o cercando di riassettare il loro corpo; e come, alcuni sono belli per la loro bellezza, altri invece sembrano esserlo, acconciandosi e truccandosi... allo stesso modo, sillogismo e confutazione possono o sussistere veramente, oppure non sussistere, ma apparire tali per l'inesperienza di qualcuno " (Soph. El. 164 a 25 e segg.). Questi, per summa capita, sono i trattati logici di Aristotele'; comunque il libro IV della Metafisica è dedicato a problemi logici ed anche altri scritti, come ad es. la Retorica e la Poetica, toccano qua e là questioni di logica. D'altro canto, nella Poetica viene preso in considerazione il linguaggio della poesia. Scrive Aristotele: "Della poetica in sé e dei suoi generi, e qual funzione abbia ciascuno di essi; come debbano essere costituite le favole se si vuole che l'opera del poeta riesca perfetta; inoltre, di quante e di quali parti ogni singolo genere si compone; e similmente di tutti gli altri problemi che rientrano in questo medesimo campo di ricerca, ecco gli argomenti di cui voglio trattare nella Poetica" (Poet. 1447 a 8-13). La Retorica, come si accennava nel precedente paragrafo, analizza, da parte sua, il linguaggio della persuasione. Per Aristotele, la Retorica è "la facoltà di considerare in ogni caso i mezzi disponibili di persuasione" (Rhet. 1, 2, 1355 b 26). E mentre - sempre secondo Aristotele - ogni altra arte può persuadere o istruire unicamente intorno ai propri oggetti, la retorica invece non si limita ad una determinata sfera di competenza, ma considera i mezzi di persuasione che si riferiscono a tutti gli oggetti possibili.
1 Il titolo Organon non proviene _da Aristotele. Per quanto, invece, riguarda i titoli delle singole opere, c'è da dire che due soli sono di sicura derivazione aristotelica, vale a dire gli « Analitici» e i « Topici ». Per gli altri l'origine è incerta. L. Minio-Paluello è dell'opinione che i titoli Categorie c « Perì hermenéias » siano stati attribuiti da un editore piu antico di Andronico, mentre il Waitz pensa che il termine « Categorie » sia un titolo di origine aristotelica. Riguardo al titolo « Perì ton sofisticòn elenc6n », la provenienza aristotelica può essere quasi sicuramente esclusa.
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Il contenuto e la fortuna del "De Interpretatione"
Il contenuto Il De Interpretatione è un trattato concernente la propostztone o enunciazione. Aristotele, in breve, si occupa in questo scritto di quel "discorso" di cui si può predicare la verità o falsità. E il vero o il falso sono appunto predicabili della proposizione, sia essa affermativa che negativa. Ebbene, i primi tre capitoli dell'opera ne costituiscono una specie di introduzione; in essi, difatti, vengono presi in considerazione quei pezzi linguistici di cui si ha necessità per costruire una proposizione. Tali pezzi linguistici sono rappresentati dalle parole, le quali sono simboli scritti o fonetici delle affe7.ioni che han luogo nell'anima, che, a loro volta, sono immagini delle cose. E, mentre sia le cose sia le affezioni dell'anima sono - per Aristotele - uguali per tutti gli uomini, si hanno invece differenti linguaggi (suoni della voce) e diversi tipi di scrittura (segni scritti) (cap. l.). Ma perché si dia una proposizione, occorre che si sia in presenza dell'unione di un nome e di un verbo. Il nome è una parola che non ha il suo significato per natura, ma per convenzione, vale a dire che il nome è tale allorquando esso venga assunto come simbolo di qualche cosa (cap. Il). Il verbo, da parte sua, aggiunge al suo significato anche la determinazione temporale, che, secondo Aristotele perché si possa dire verbo - , è quella presente (il futuro e il passato vengono considerati flessioni del verbo); per di piu il verbo è sempre segno di ciò che viene detto di altro o che sussiste in altro (cap. III). L'unione dei nomi e dei verbi dà luogo ai discorsi e tra questi la proposizione enunciativa è quel discorso di cui è proprio esprimere il vero o il falso; e qui incontriamo la celebre distinzione tra discorso semantico e discorso apofantico (cap. IV). Il discorso enunciativo, poi, può essere uno o molteplice: è uno se con esso si esprime una sola cosa o se risulta unito ad opera di congiunzioni; è molteplice quando dice piu cose o è privo di congiunzioni. Può essere inoltre semplice o composto: è semplice se con esso noi affermiamo o neghiamo una sola cosa di qualche altra cosa; composto se è formato di enunciazioni semplici (cap. V). Nel capitolo VI si definiscono l'affermazione e la negazione, e nel VII viene presentato il tradizionale quadrato dell'opposizione, dove si esaminano le reciproche relazioni delle proposizioni categoriche. Si pone conseguentemente il problema dell'unità di una enunciazione, vale a dire ci si domanda quando è che si possa dire che un discorso enunciativo - affermativo o negativo che sia - è "uno solo" www.scribd.com/Baruch_2013
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(cap. VIII). Il Capitolo IX è un'analisi delle propostzwni enunciative a soggetto singolare in tempo futuro, le quali si comportano in maniera differente da quelle sul passato e sul presente poiché, facendo delle affermazioni sul futuro, noi dobbiamo mettere nei conti il grado di indeterminatezza e di probabilità offerto dal futuro. Una interessante distinzione tra il verbo 'essere' usato in senso esistenziale e il verbo 'essere' in senso copulativo ci è data nel cap. X; mentre nel capitolo seguente si sollevano alcune questioni concernenti il problema della definizion~, in quanto non si possono indiscriminatamente operare delle unioni tra soggetti e predicati, ma bisogna badare che ciò che si predica per accidente non costituisce una cosa unica, mentre ciò che si predica essenzialmente di qualche cosa forma con essa una unità. Nc:i capitoli XII-XIII si cercano le rela;doni esistenti tra le affermazioni (o le negazioni) modali, cioè tra proposizioni del tipo: 'è possibile che .. .', 'è necessario che .. .', 'è contingente che .. .', 'non è possibile che .. .', ecc. L'ultimo capitolo, il XIV, si occupa dell'autentico tipo di contrarietà: sono contrarie le due enunciazioni 'ogni uomo è giusto' 'nessun uomo è giusto', ovvero 'ogni uomo è giusto' - 'ogni uomo è ingiusto'? Come si può notare anche da questa rapida esposizione del contenuto del De I nterpretatione, i problemi sollevati da Aristotele in questo breve scritto sulla proposizione, rivestono la massima importanza per la comprensione del modo di funzionare di alcune parti dei nostri discorsi. E l'importanza e la validità dci problemi del De Interpretazione è confermata dal fatto che filosofi del linguaggio quali Russell, Wittgenstein, Tarski, Quine, ecc., sono tornati con strumenti di indagine, sicuramente piu potenti di quelli creati da Aristotele, sulle medesime questioni, che, però, Aristotele aveva cercato, con mentalità profondissimamente analitica, d'impostare e risolvere. E per convincersi di ciò, basterà brevemente ed incompiutamente elencare alcuni di questi problemi che si incontrano nella lettura del De Interpretatione: la questione della convenzionalità del linguaggio; la distinzione tra discorsi apofantici e discorsi semantici; il problema della definizione del concetto di verità; le distinzioni fra proposizioni atomiche (semplici) e quelle molecolari (composte); la differenziazione tra aspetto semantico e aspetto sintattico del linguaggio, tra senso e significato dci termini e delle espressioni; la prospettazione (anche se abbastanza elementare) della teoria della quantificazione; un primo abbozzo della logica modale; l'analisi delle deduzioni immediate cosi come si possono avere da un'indagine sul quadrato d'opposizione delle proposizioni categoriche; l'esame delle diversità di significato del termine 'essere'; le assurdità a cui si va incontro se le proposizioni che riguardano il www.scribd.com/Baruch_2013
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l ;.;TRODUZIONE
futuro vcngo;10 interpretate similmente a quelle sul passato o sul presente; l'esposizione di alcune difficoltà concernenti la teoria della definizione. Ed è su questi problemi che verrà richiamata l'attenzione nel corso del commento al testo aristotelico.
La fortuna del "De I nterpretatione" La fortuna deii'Organon è, in ultima analisi, quella di Aristotele e quella del De Interpretatione' è quella stessa dell'Organon. Non è qui, evidentemente, il caso di parlare dell'ipoteca aristotelica sull'intero pensiero occidentale, però è ovvio che il discorso sulla fortuna del De I nterpretatione sarà opportuno svolgerlo tenendo conto degli altri trattati dell'Organon 2• Ebbene, dall'antica scuola peripatetica sino ai nostri giorni, l'Organon è stato uno dci testi filosofici piu considerati e studiati. Tra i commentari greci spiccano quelli di Alessandro di Afrodisia ai Primi Analitid e soprattutto ai T opici'; e risulta tuttora di enorme utilità il commento di Ammonio al De Interpretatione'. Nel Medioevo l'esegesi e il commento dell'Organon vengono condotti avanti. Basterà ricordare il commento di Averroé', i commenti di S. Tommaso d'Aquino al De Interpretatione e ai Secondi Analitici" e le Quaestiones di Duns Scoto sempre sul De Interpretatione c sui Pl'imi e Secondi Analitici'. 1
Cfr.
J. JsAAc, Le perì Iiermeneias en Occident de Buèce à Saint Thomas,
Paris, 1953. 2 Per questo anche quando nel prossimo paragraio si tratterà della autenticità e della cronologia del De l nterpretatione, tali questioni verranno prospct· tate nel contesto dell'intero Organon. 3 ALEXANDI':R AFRODISIENsrs, In Aristotelis Analyticurum Primorum Li· brum I Commentarium, ed. M. Wallies, Bcrolini, 1883. 4 ALEXANDER AFRODISIENSIS, In Aristotelis Topicorum Libros octo com· mentaria, cd. M. WALLIEs, Berolini, 1891. 5 AMMONIUS, In Aristotelis De Interpretatione Commentarium, ed. A. BusSE, Berolini 1897. E sempre dello stesso autore abbiamo, 11) In Aristotelis Ca· tegorias Commentarium, ed. A. BussE, I3erolini, 1895; b) l n llristotelis Analyticorum Primorum Ubrum l Commentarium, cd. M. WAJ.Lit::S, Bcrolini, 1899. Tra i commentari greci ci sarebbero da nominare, tra gli altri, quelli Ji FrLO· PONO alle Categorie, ai Primi e ai Secondi Analitici, editi a Berlino, il primo da A. BussE nel 1898 e gli altri due da M. WALLms rispettivamente nel 1899 e nel 1909; c quello di SIMPLICIO alle Categorie, edito da C. KALHFLEISCII sempre a llerlino nel 1907. • AVERROES, Aristotelis Stagiritae Organon: Avarois Cordubensis in hoc ipsum commentario, Venetiis, 1574. ' SANCTUS THOMAS AQUINAS, Commentario in Aristotelis libros Pt!YÌ Tlermeneias et Posteriorum Analyticorum (in "Opera Omma": Tomus primus), Ro·
mae, 1882. • ScoTus, Quaestiones utiles Doctoris ]obannis Scoti mper Libros priorum Eiusdem quaestiof'es super libros posteriorum, Venctiis, 1512. 2
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Nel Rinascimento si hanno due pregevoli commenti: quello dello Zabarella ai Secondi Analitid e quello del Pacio all'intero Organon', e, sottacendo di altri commentari dell'epoca, dobbiamo tuttavia ricordare quello di Silvestro Mauro3 • Avviandoci ai nostri giorni, troviamo del secolo scorso il commentario all'Organon di Th. Waitz', opera di grande impegno e tutt'oggi di apprezzabile utilità. Il Bonitz poi ci ha offerto un Index Aristotelicus', "dove ha distinto ciò che sino allora era stato confuso, ha stabilito per primo sfumature sottili ed essenziali, ha definito i vari significati di ogni termine tecnico, ha precisato le affinità e le divergenze tra termini tecnici ... , talché il suo lavoro si pone decisamente al di là della semplice erudizione. O. Apelt ha studiato, successivamente, le Categorie', Maier la sillogistica\ Becker i sillogismi modali', Gohlke ha prospettato sulla scia del metodo di W. Jaeger, ma senza il successo di quest'ultimo, lo sviluppo del pensiero logico di Aristotele'". Del 1949 è il commentario di W. D. Ross agli Analitici Primi e Secondi" e nel 1951 J. Lukasiewicz ha tradotto in termini logistici la logica di Aristotele, rivendicandone la validità scientifica, pur mettendone in evidenza la limitatezza di fronte alla logica attuale12 • 1 ZABARELLA, Jacobi Zabarellae Patavini in duos Aristotelis libros posteriores analyticos commentarii, Venetiis, 1582. 2 PAciUs, /. Pacii in Porphyri Isagogen et Aristotelis Organum, Commentarius analyticus, Aureliae, 1605. 3 MAURUS, Aristotelis Opera, quae extant omnia, brevi paraphrasi, ac litterae perpetuo inhaerente explanatione illustrata, a P. Sylvestro Mauro, Tomus Primus, Romae, 1668. ' TH. WAITZ, Organon, Leipzig, 1844-45. 5 H. BONITZ, Index Aristotelicus, vol. V dell'Opera Omnia, ed. dell'Accademia borussica, Berlino, 1870. 6 Cfr. G. CoLLI, Introduzione all'Organon (tra.d. introduzione c commento di G. Colli), Torino, 1955, pp. XXI-XXII. 7 O. APELT, Die Kategorienlehre d es Aristoteles, in "Beitrage zur Geschichte der griecischen Philosophie", Leipzig, 1891, pp. 101-216. 8 H. MArER, Die Syllogi:.-tik des Aristate/es, I, 1, Tiibingen, 1896; II, 1-2, Tiibingen, 1900. 9 BECKER, Die Aristotelische Theorie der Moglichkeitsschlusse, Berlin, 1933. 10 P. GOHLKE, Die Entstehung der aristotelischen Logik, Berlin, 1936. 11 W. D. Ross, Aristotle's Prior and Posterior Analytics, Oxford, 1949. 12 J. LUKASIEwrcz, Aristotle's Syllogistic from the Standpoint of Modern Formai Logic, Oxford, 1951. Il libro di J. Lukasiewicz, nella sua prima edizione del 1951, era limitato alla sola logica assertoria, mentre nella seconda edizione, del 1957, si parla pure della logica modale. Per il Lukasiewicz bisogna che si noti che in Aristotele esiste, insieme ad una logica dei termini, pure una logica proposizionale piu basilare della prima. E ciò in quanto il sillogismo sarebbe una proposizione, composta di un funtore d'implicazione (''se ... allora") che la separa in un antecedente e in un conseguente, e di un funtore di congiunzione ("e") che congiunge due funzioni proposizionali che costituiscono l'antecedente,
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L'elenco degli studi sulla logica di Aristotele - vertano essi sull'intero Organon o sui singoli trattati di questo - potrebbe ancora prolungarsi per alcune pagine; qui si è accennato finora solo ad alcuni tra i piu importanti studi in lingue straniere. Per quanto riguarda gli studiosi italiani che si sono occupati della logica aristotelica ricordiamo: C. A. Viano', G. Colli', G. Calogero', A. Plebe', E. Riondato5 e D. Pesce•. Per quello che, infine, concerne il De Interpretatione, oltre ai commentari dedicati all'interno Organon - su cui ci si è sopra brevemente soffermati - dobbiamo ulteriormente ricordare il commento di Boezio', quello dello Stephanus", di J. Tricot•, quello brevissimo di L. Minio-Paluello'0 , e, infine, quetli un po' invecchiati di A. Textor" e di Th. Waitz".
mentre il conseguente è formato da una funzione proposizionale le cui variabili· termini erano già presenti nell'antecedente. Es.: "Se tutti gli uomini sono buoni e tutti i peruviani sono uomini, allora tutti i peruviani sono buoni". P. F. STRAWSON, in Introduzione alla teoria logica, trad. it., Torino, 1961, pp. 195-250, riprende anche lui in esame la logica aristotelica dal punto di vista della logica attuale. Per l'illustre maestro di Oxford non è !Jossibile una inter· !Jtetazione degli Analitici in chiave di logica delle classi; ciò che invece, a suo avviso, sarebbe possibile, è una intcprctazione degli stessi come una logica dci giudizi soggetto-predicato. Cfr. pure G. PATZIG, Die aristotelische Syllogistik, Gottingen, 1959. 1 C. A. VrANO, La logica di Aristotele, Torino, 1955.
G. Cou.r, op. cit. G. CALOGERO, I fondamenti della logica aristotelica, Firenze, 1927. 4 A. PLEBE, Introduzione alla logica formale, attraverso una lettura logistica di kistotele, Bari, 1964. 5 E. RIONDATO, La teoria aristotelica dell'enzmcia:done, Padova, 1957. • D. PESCE, Aristotele: Categorie, Padova, 1966. ' BOETIUS, Commentarii in Libl'um Aristotelis Perì Hermeneias, ree. C. 2
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MEISER, Leipzig, 1877-1880. a STEPHANUS, In librum Aristotelis de interpretatione commentarium, ed. M. HAYDUCK, Comm. in Arist. Gr., vol. XVIII, pars III, Berolini, 1885. 9 ]. TRICOT, Aristate, Or['.anon: Catégories, De l'interprétation, trad. et notes !Jar J. Tricot, Paris, 1946. 10 L. Mrnro-PALUELLO, Arìstotelis Categoriae et Liber De Interpretatione, recognovit brcvique adnotatione critica instruxit L. Minio-Paluello, Oxonii, 1949. 11 A. TExToR, De Hermeneiae Aristotelis capitibus I-XI, Berolini, 1870. 12 TH. WAITZ, De Hermeneiae Aristotelis capitibus I-X, Magdeburgi, 1844.
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4.
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"De Interpretatione": autenticità e cronologia.
Autenticità Nel passato spesso si è dubitato dell'autenticità delle opere logiche di Aristotele. Oggi, tuttavia, a prescindere da alcuni singoli passi e forse da alcuni capitoli, possono essere messe in dubbio soltanto le Categorie'. La tesi di J. Ziircher, secondo cui tutto ciò che nell'Organon c'è di logico-formale non è opera di Aristotele, ma del suo discepolo Teofrasto, non può venire presa in considerazione2 • Anche i dubbi avanzati riguardo al De lnterpretatione sembrano non essere convincenti, dopoché H. Maier ha provato che gli argomenti adottati per sostenere la non-autenticità dell'opera sono criticamente insostenibili'. Soprattutto il Maier ha mostrato che il cap. 20 della Poetica, che parafrasa passi del De Interpretatione eliminando la tesi della convenzionalità, è una interpolazione tendenziosa'.
1 Riguardo alle Categorie c'è da dire che la S. MANSION nel saggio La doctrine aristotélicienne de la substance et le traitf: des Catégories, in "Proceedings of the tenth International C01tgress of Philosophy", I, 2, pp. 1097-1100, ritiene che questo scritto sia inautentico ed appartenga ad un allievo di Aristotele; C. L. GILLEPSIE, in 1'he Aristotelian Categories, "The Classica[ Quarterly", 19, 1925, ritiene le Categorie un prodotto delle discussioni che si tenevano nell'Accademia, ma è dell'opinione che la formulazione definitiva della dottrina sia posteriore; L. M. DE RIJK, a) The Place of the Categories of Being in Aristostle's Philosophy, Assen, 19.52; b) The Autenticity of Aristotle's Categories, "Mnemosyne", S. IV, 4, 1951, pp. 129-159, vede nelle Categorie un'opera del primo Aristotele. Non diversamente la pensa L. LUGARINI, Il problema delle categorie in Aristotele, Milano, 1955. I. HUSIK, The Autenticity of Aristotle's Categories, in "The foumal of Philosophy", 36, 1939, pp. 427-431 c W. D. Ross, The Autenticity of Aristotle's Categories, in "The ]ournal of Philosophy", 36, 1939, pp. 431-433, mettono invece in dubbio l'autenticità delle Categorie. Cosa questa già affermata da A. DUPRÉEL nel suo articolo Aristate et le Traité d es Catégories, in "Arcbiv /iir Geschichte der Philosopbie", 12, 1809, pp. 230351, e da A. GERCKE, Ursprung der aristotelischen Kategorienlehre, in "Arehiv /iir Geschichte der Philosophie", 4, 1891, pp. 424-441. Riguardo "l'infelice querelte sull'autenticità delle Categorie", cfr. V. SAINATI, Storia dell'"Organon" aristotelico, I, Firenze, 1968, p. 146 e segg. ' Cfr. a proposito J. M. BociiENSKI, Formale Logik, Priburg-Munchen, 1962, p. 48. Si veda di J. ZiiRCHER, Aristoteles Werk und Geist, Paderbom, 1952. 3 Cfr. H. MAIER, Die Echtheit der aristotelischen Hermeneutik, in "Are hiv fiir Geschichte der Philosopbie", vol. XIII, fase. l, 1900, pp. 23-72. 4 H. MAIER, Die Echtheit der aristotelischelt Hermeneutik, cit. pp. 44-50. Per una panoramica delle questioni sull'autenticità del De Interpreta/ione, cfr. V. SAINATI, op. cit., p. 200 e segg.
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Cronologia L'Organon cosi come ci è stato tramandato è costruito secondo un principio sistematico: le Categorie trattano dei termini, il De l nterpretatione della proposizione e gli altri tre trattati analizzano la deduzione sillogistica, laddove nei Primi Analitici si parla del sillogismo in generale, nei Secondi Analitici di quc1lo apodittico o scientifico, nei T apici del sillogismo dialettico e, infine, nelle Confutazioni Solistiche di quello sofistico. Andronico di Rodi - che, come si disse, ordinò gli scritti Aristotelici - trovò con certezza nello stesso testo dell'Organon dci passi sui quali basare la sua sistemazione. Cosi, ad esempio, all'inizio dei Primi Analitici si dice che il sillogismo è costituito di proposizioni e che queste son formate di termini. Una uguale suddivisione delle parti costituenti del sillogismo la ritroviamo nei Topi ci'. Ed inoltre, alla fine delle Confutazioni Sofistiche, si legge che questo scritto costituirebbe l'ultima parte dell'intera opera di Aristotele1 • Non è poi improbabile, come ci ricorda il Bochenski, che lo stesso Aristotele alla fine della sua vita progettasse la sistemazione delle sue opere logiche nell'ordine propostoci da Andronico.' Tuttavia, questo ordine sistematico di epoca posteriore noi sappiamo che ha poco a che fare con lo sviluppo genetico di questi scritti logici. E qui c'è subito da dire che la questione della collocazione cronologica dei trattati dell'Organon è davvero complicata. Dapprima l'affrontò il Brandis' il quale sostenne la precedenza dei Topici rispetto alle altre opere logiche aristoteliche. Piu tardi A. Gercke5 trattò il problema della genesi e della paternità delle Categorie che, a suo avviso, come si è affermato, non sarebbero autentiche e che, insieme ai Topici, andrebbero poste prima della morte di Platone. Pochi anni dopo comparve la monumentale opera di H. Maier6 Top. A l, 100 a 25 e segg.; cfr. ancora An. Pr. A l, 24 a 28 e segg. Soph. El 34, 183 b 17-23 c 34-36. ' J. M. BoCHENSKI, Formale Logik, cit., p. 48. • H. BRANDIS, Ueber die Reihenfol?,e der Biicher des aristotelischen Organons, in "!Jbbandlungen der K. !Jkademie der Wissenscbaften :r.u Berlin", 1833. 5 A. GcRCKE, Ursprung der aristotelischen Kategorienlehre, cit. • H. MATF.R, Die Syllogistik des Aristoteles, 3 voli., Tiibingcn, 1896-1900 (rist. Leipzig, 1936). E. HAMBRUCH col suo libro Logische Regeln der plato· nischen Schule in der aristotelischen Topik, in "Wiss. Beil. :r.ur Jahresb. d. Askan. Gymn. ", Bcrlin, 1804, riprende la tesi del Gercke dell'appartenenza dei Topici al primo periodo Ji Aristotele. Cosa questa sostenuta anche da H. von ARNIM in Das Ethische in Aristoteles Topik, "Sitzungsber. d. !Jk. d. Wissensch. in Wien", Philos. -hist. Kl. Bd. 205, 4 Abh., 1927, dove in base a certe affi. nità tra le parti etiche dei Topici e i Magna Moralia si sostiene che entrambe 1
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per il quale varrebbe la seguente sistemazione cronologica dell'Organon: l) la parte che va dal libro II (compreso) al secondo capitolo del libro settimo dei Topici, 2) i libri I, VII, 3, 5 e VIII dei Topici e le Confutazioni Sofistiche, 3) i Primi Analitici, 4) i Secondi Analitici. Il De Interpretatione sarebbe posteriore. Intanto il lavoro del Maier veniva portato avanti da Solmsen' che, applicando all"Organon il metodo genetico che il suo maestro W. Jaeger' aveva usato per la metafisica, prospettava una nuova sistemazione degli scritti logici di Aristotele: riprendeva la tesi del Maier per i Topici e faceva precedere i Secondi ai Primi Analitici. Non d'accordo col Solmsen si mostrò W. D. Ross nel suo scritto The Discovery of the Syllogism 3 • F. Solmsen replicò al Ross', e questi puntualizzò di nuovo le proprie idee nella introduzione alla sua edizione degli Analitici': il Ross ritiene col Solmsen che i Topici e le Confutazioni Sofistiche siano anteriori agli Analitici, però, contrariamente al Solmsen, sostiene che la composizione dei Primi analitici abbia preceduto quella dei Secondi Analitici. A tal punto, senza proseguire ancora nella rassegna di coloro che si sono occupati dell'ordinamento cronologico dei trattati dell'Organon•, le opere appartenessero al primo Aristotele. Per quanto poi, più specificamente, concerne la posizione del De Interpretatione nel contesto storico dell'Organon, si veda V. SAINATI, op. cit., p. 203 e segg. 1 F. SOLMSEN, Die E11twicklung der aristotelischen Logik, Berlin, 1929. Alla tesi del Solmsen aderi J. L. STOCKS con l'articolo The Composition of Aristotle's Logical W'orks, in "Classica! Quarterly", 27, 1933, pp. 115-124. ' W. ]AEGER, Aristoteles. Grundlegung einer Geschichte seiner Entwicklung, Berlin, 1923, trad. it. di G. Calogero, Firenze, 1935. Sostanzialmente contrario alla prospettiva jaegeriana nei confronti della logica aristotelica è il volume di G. CALOGERO, I fondamenti della logica aristotelica, Firenze, 1927. Per il Calogero l'intem produzione logica di Aristotele sarebbe rimasta, in fondo, antiplatonica. Sempre avversi alla prospettiva jaegeriana furono due studi sul principio di contraddizione ad opera, rispettivamente, di E. HoFFMANN, Der historische Ursprung des Satzes vom Widerspruch, in "Socrates, Zeitscbri/t fiir das Gymnasialwesen", II, 1923, pp. 1-23, e di R. RANULF, Der eleatische Satz vom \Viderspruch, Kohnhavn, 1924. Anche a P. SnoREY il metodo di W. ]AEGER non parve molto soddisfacente e a conferma si vedano i suoi due scritti: a) The Origin of the S}•llogism, in "Classica/ Philology", XIX, 1924, pp. 1-29; b) Note on the "Evolution of Aristotele" and Calogero's "I fondamenti della logica aristotelica", in "Classica! Philology", 22, 1927, pp. 420-423. 3 W. D. Ross, The Discovery of the Syllogism, in "The Philosophical Review", 48, 1939, pp. 251-271. • F. SoLMSEN, The Discovery of the Syllogism, in "Tbe Philosophical Review", 50, 1941, pp. 410·421. ' W. D. Ross, Arùtotle's Prior and Posterior Analytics, Oxford, 1949. • Cfr. tra gli altri: P. GoHLKE, a) Untersuchungen zur Topik des Aristoteles, in "Hermes", 63, 1928, pp. 457-479; b) Die Entstehung der aristotelischen Logik, Berlin, 1936. Stando a quest'ultin1o scritto si avrebbe la seguente disposizio-
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dobbiamo notare che, al fine di stabilire tale ordinamento, non si hanno a disposizione dei criteri esterni; si potrà unicamente usufruire di criteri interni, vale a dire che, basandoci sul solo contenuto degli scritti logici ci sarà, in qualche modo, possibile fissare l'ordine di stesura dei trattati logici aristotelici. E tale fatto contribuisce a che la vexata . quaestio della cronologia dell'Organon risulti piu che mai vexata. Ebbene, in base appunto a questi criteri interni, I. M. Bo. chensH ha ideato un metodo abbastanza originale per la determinazione della cronologia degli scritti dell'Organon. Esso si fonda sulla progressiva scoperta aristotelica delle variabili, per cui si dovrebbero ritenere i Topici e le Confutazioni Sofistiche come gli scritti piu antichi, dato che essi offrirebbero non troppo rigore scientifico; seguirebbe il De Interpretatione; verrebbe poi il secondo libro degli Analitici posteriori, e successivamente il primo libro degli Analitici posteriori e il libliO primo degli Analitici primi ad eccezione dei capitoli 3 e 8-22. Infine si dovrebbero porre i capitoli 3 e 8-22 del primo libro e il secondo libro degli Analitici primi. Piu recentemente lo stesso Bochenski nella sua Formale Logik2 ha puntualizzato i possibili criteri per determinare la cronologia dell'Organon. Tali criteri, ad avviso del Bochenski, sono cinque: a) Un primo criterio si ricava dal fatto che del sillogismo nel senso in cui esso ci viene presentato nei Primi Analitici (An. Pr. A. l, 24 b, 18-26) non se ne parla in parecchie parti dell'Organon. Ma è indubbio, d'altra parte, che il sillogismo è una delle scoperte piu significative di Aristotele ed è quasi impensabile che Aristotele, dopo averlo scoperto, non se ne sia servito o non l'abbia menzionato. E pertanto si può considerevolmente supporre che quegli scritti, dove non figura il sillogismo analitico, siano antecedenti a quello in cui esso figura. b) Analogamente accade per le variabili (lettere come A,B,C, ecc., usate nel simbolizzare termini ed espressioni). Tali variabili, nello ambito della logica, rappresentano dei risultati da pioniere. Quindi ne cronologica: l) Categorie (autentiche per il Gohlkc); 2) De Interpretatione e la parte piu antica dei Topici; 3) Prima stesura degli Analitici; 4) Seconda stesura degli Analitici; P. Lours, Sur la chronologie des oeuvres d'Aristate, in "Bulletin de l'Association G. Budé", 5, 1948, pp. 91-95; A. MANSION, La genèse dc l'oeuvre d'Aristate d'après !es travaux récents, in "Revue Néoscolastique de Philosopbie", 29, 1927, pp. 307-341 c 423-466; Th. CAsE, On the devclopment of Aristotele, in "Mind", 34, 1925, pp. 80-86. Contributi per la cronologia dell'Organon li troviamo in BECKER, op. cit., e in ]. LuKASIEWrcz, op. cit. Il TmLSCHER, nel lavoro Die relative Chronologie der erhaltenen Schriften des Aristoteles, in "Philologus", 1948, accetta e conferma l'ordine del Maier. 1 I. M. BOCHENSKI, Ancient Fomwl Logic, Amsterdam, 1951. ' I. M. BOCHENSKI, Formale Logik, Freiburg-Mtinchen, 1956, pp. 49-51.
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IN'l'RODUZIONE
gli scritti, in cui Aristotele non ne fa uso, sono da considerarsi come stesi prima degli altri in cui ne fa uso. c) Il terzo criterio è dato dal fatto che un logico abbastanza esercitato può riconoscere se un testo è posteriore o no ad un altro, basandosi sul padroneggiamento o meno da parte di Aristotele di tecniche formali d'analisi e di dimostrazione. Per cui si accetta il criterio che: quanto piu elevate e tanto piu formali sono le tecniche di dimostrazione e di analisi, tanto piu recente è il testo che le contiene. cl) La logica moda le (vale a dire la logica delle proposizioni modali come "è possibile che ... ", "è contingente che ... ", "è necessario che ... ") sembra corrispondere alla filosofia della maturità aristotelica - dove la dottrina dell'atto e potenza occupa una posizione di essenziale rilcvam:a meglio che la logica puramente assertoria dove non si parla della differenza fra atto e potenza. Ma, d'altra parte, la logica assertoria è bene inquadrabile nell'ambito del platonismo a cui Aristotele aderi in giovinezza. E ciò legittima l'avanzamento dell'ipotesi che i trattati o i capitoli dove figura la logica modale siano piu recenti di quelli in cui essa non compare. e) All'interno dello stesso uso aristotelico delle lettere come simboli logici, va distinto un periodo anteriore in cui le lettere si usano come semplici abbreviazioni al posto delle parole e un periodo posteriore piu recente in cui esse vengono usate come autentiche variabili. Ebbene, l'applicazione dei criteri ora esposti (senza stare qui a considerare eventuali loro affinamenti e perfezionamenti) permette di stabilire con relativa sicurezza il seguente ordine cronologico: A) i Topici e le Categorie (nel caso che queste siano autentiche) appartengono senza dubbio all'inizio della speculazione aristotelica. In essi non ci son tracce del sillogismo analitico, non si trovano variabili, nessuna logica modale c il livello tecnico del procedere è abbastanza primitivo. Le Confutazioni Sofistiche sono un po' una specie di appendice ai Topici, ma paiono essere piu recenti di questi. A questo periodo appartiene probabilmente anche il libro IV della Metafisica. I Topici e le Confutazioni Sofistiche costituiscono quindi la prima logica di Aristotele. B) Il De I nterpretatione e, forse, il libro B dci Secondi Analitici formano un periodo di passaggio dove noi troviamo i primi sviluppi della sillogistica. Nel De I nterpretatione non si parla di sillogismi né troviamo variabili, cose, invece, che figurano nel libro B dei Secondi Analitici, anche se ad un livello non troppo tecnico. Ci troviamo, comunque, già al di sopra dei Topici. Il De Interpretatione offre una logica modale che, tuttavia, è abbastanza primitiva a paragone di quella dei Primi Analitici. www.scribd.com/Baruch_2013
1:-l'I'RODUZIONE
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C) Viene poi il libro A dei Primi Analitici che, con eccezione dei capitoli 8-22, contiene la seconda logica di Aristotele. Siamo qui in presenza di una molto ben congegnata sillogistica; l'Autore ha già chiaro il concetto di sillogismo analitico, usa le variabili con sicurezza e si muove ad un livello tecnico relativamente alto. Mancano tuttavia e la logica modalc e le riflessioni metateoriche sul sistema della sillogistica. Con buone probabilità può venir incluso in questo periodo pure il libro A dei Secondi Analitici, fatto questo non ammesso dal Solmscn, ma accettato da W. D. Ross il quale è della opinione che anche il libro B sia stato scritto dopo i Primi Analitici. D) Infine, si hanno i capitoli 8-22 del libro A, che contengono la sillogistica modale, e il libro B dei Primi Analitici. Si può, in un certo senso, affermare di essere di fronte alla terza logica di Aristotele. Non che la diversità tra questa e quella che noi abbiamo chiamato la seconda logica sia eccessiva, ma sta che in questa terza logica troviamo una elaborata logica modale, penetranti considerazioni meta-teoriche (meta-logiche) sul sistema della sillogistica, e l'uso delle variabili proposizionali. Naturalmente, non è che per la cronologia ora presentata si possa parlare di una assoluta sicurezza. E certo però che i Topici e le Confutazioni Sofistiche rappresentano uno stadio della logica aristotelica da anteporsi cronologicamente a quella degli Analitici e che il De Interpretatione si deve considerare come un periodo di passaggio nell'evoluzione del pensiero logico di Aristotele. Tutto l'altro che si è detto sono unicamente ipotesi, anche se ipotesi abbastanza plausibili.
Il "De Interpretatione": edizioni critiche e tradu-
5.
Ziom
Edizioni critiche Il testo dell'Organon venne stampato per la prima volta a Venezia nel 1495 per opera di Aldo Manuzio, ma la prima edizione critica si ebbe a Berlino nel 1831 e fu approntata dal Bekker'. Dopo quella bekkeriana si è avuta l'edizione del Waitz' il quale, prendendo sottomano i codici già collazionati dal Bekker ed altri codici recentiores, ci ha dato una edizione dell'Organon sicuramente piu accurata di quella del suo predecessore. Tuttavia non è da credere che nel periodo di tempo ' BEKKER, l
Aristotelis Opera, ed. Academia Borussica, voll. 1-2, Rerolini, 1831.
TH. WAI'rz, Organon, Lipsiac, 1844-46.
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INTRODUZIONE
che corre dall'edizione aldina a quella del Bekker non ce ne sia stata piu nessuna; ce ne sono state molte, basti pensare a quella di Erasmo ( 1531 ), di Casaubonus ( 1605), ecc., ma, ad eccezione di quella del Pacius', sta il fatto che esse non sono di notevole rilevanza. Comunque sia, dopo i grossi lavori di Bekker e Waitz, troviamo solo edizioni dei singoli trattati dell'Organon. Strache e Wallies hanno curato quella dei Topici e delle Confutazioni Sofistiche', Cooke quella delle Categorie e del De Interpreta/ione', Poste quella delle Confutazioni Sofistiche', Ross ci ha dato un'edizione degli Analitici Primi e Secondl e Minio-Paluello delle Categorie e del De Interpreta/ione• sulla quale verrà condotta la versione del De Interpreta/ione che seguirà.
Traduzioni Dell'Organon, a cominciare dal IV sec. d.C., si sono avute traduzioni in svariate lingue. E, naturalmente, le prime traduzioni arabe, armene, siriache e latine rivestono una enorme importanza per la ricostruzione critica e la comprensione del testo aristotelico. Molto numerose sono le traduzioni latine dell'Organon, sebbene nel Rinascimento, con la diffusione della conoscenza del greco, non si sia piu sentita l'esigenza della traduzione latina. E ciò spiega anche il motivo per cui la traduzione del Pacio diventò quasi classica. Le versioni moderne, a differenza di quelle antecedenti che in linea di massima si preoccupano di tradurre il testo aristotelico parola per parola, fissano la loro attenzione sull'esatto intendimento del testo e soprattutto sulla chiarezza della traduzione. In francese abbiamo due versioni dell'Organon a oltre cento anni di distanza l'una dall'altra, vale a dire quella di Barthélemy-SaintHilaire del 1843-447 e l'altra di J. Tricot del 1946-501 : ambedue queste traduzioni (e specialmente la seconda) sono chiare e ben informate sugli studi condotti sino alle rispettive epoche e sui commentari ad Aristotele. Parecchie sono poi le traduzioni in lingua tedesca, non tutte, cerPACIUS, Aristotclis Organon, ed. tertia, Aureliae, 1605. STRACHE-M. WALLIES, Aristotelis Topica, cum libro de Sophisticis Elenchis, Lipsiae, 1923. 3 IL CooKE, The Categories, On the Interpretation, Lonùon and Cambridge Mass., 1938. • Po:sTE, Sophistici Ele1tchi, London, 1866. 5 W. D. Ross, Arìstotle's Prior and Posterior Analytics, Oxford, 1949. 6 L. MrNIO·PALUELLO, Aristotelis Categoriae et liber De Interprctatione, O· xonii, 1949. 7 BARTHÉLEMY-SAINT·HILAIRE, Logique d'Aristote, voli. 4, Paris, 1843-44. 8 J. TRIC01', Aristote: Organon, Paris, 1946-50. 1 ].
2 ].
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INTRODUZIONE
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tamente a buon livello. Sono, comunque, da prendere in considerazione quelle di Kirchmann', del Rolfes 2 e quella del Gohlcke' pubblicata tra il 1951 e il 1953. Gli studiosi di lingua inglese avevano a disposizione, fin dal 1877, la versione, sicuramente apprezzabile, di C. F. Owen', ma oggi essi possono usufruire della traduzione di Oxford, opera collettiva di Edghill, Jenkinson, Mure, Pickard-Cambridge5 • Tale versione di Oxford è decisamente la migliore di quelle sinora pubblicate, in essa infatti si intrecciano i due pregi migliori di ogni traduzione, vale a dire la fedeltà e la chiarezza6 • In Italia abbiamo la citata traduzione dell'Organon di G. Colli, la antologia di A. Carlinf e quella di C. A. Viano', la versione del De Interpretatione di E. Riondato? e quella delle Categorie di D. Pesce'0 •
6.
Una lettura logico-analitica del "De Interpreta. " tlone
Premessa metodologica È un fatto che nel corso dci secoli i filosofi si sono posti certe domande, hanno impostato determinati problemi, tentando di risolverli elaborando e percorrendo metodi specifici. Alcuni di questi problemi si sono rilevati poi pseudo-problemi, altri nuovi ne sono affiorati e altri ancora sono rimasti piu o meno costanti, mentre molti sono scivolati definitivamente nel regno delle scienze empiriche o della religione, ed alcuni rimbalzano dalla filosofia, alla scienza, alla religione e viceversa
' J. KrRCHMANN, Aristoteles Kategorien, Hermeneutik, Erste Analytik; Zweite Analytik, Topik, Sophistische Widerlegungen, Leipzig, 1876-83. 2 RoLFES, Aristate/es Organon, Leipzig, 1922. 3 GonLCKE, Aristoteles Kategorien und Hermeneutik (1951) Erste Analytik (195.3), Zweite Anlllytik (1953), Topik (1952), Paderbom. • C. F. OwEN, The Organon, or Logical treatises, of Aristotle, voll. 2, London, 1877. 5 a) E. M. EDGIDLL, Categoriae and De Interpretatione, 1928; h) A_ J. ]ENKINSON, Analytica priora, 1928; c) G. MURE, Analytica Posteriora, 1928; W. A. PrcKARD-CAMBRIDGE, Topica and Dc Sophisticis Elmchis, 1928; voll. pubblicati tutti in Oxford. ' Per quanto riguarda la traduzione di singoli trattati dell'Organon, cfr. la bibliografia in J. M. BocrmNSKI, Formale Logik, Freiburg-Mi.inchcn, 1962. 7 A. CARLINI, Aristotele: Principi di logica, III, ed. Bari, 1947. • C. A. VIANO, Aristotele: Logica, Torino, 1952. Tale raccolta è sicuramente migliore di quella del Carlini. 9 E. RTONDATO, Aristotele: De Interpretatione, Padova, 1957. 10 D. PESCE, Aristotele: Categorie. Padova, 1966. www.scribd.com/Baruch_2013
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in un giuoco complicato di rimandi. Non è mia intenzione di parlare qui del destino a cui pare soggetta ai nostri giorni la filosofia, la quale si vede strappare da parte ddle scienze e della religione, in un processo che sembra ormai inesorabile, anche gli ultimi lembi del suo reame. Come ripeto, dunque, sta il fatto che nd corso dei secoli i filosofi hanno quasi sempre assunto nei confronti dell'umanità una funzione, per cosi dire, arcontica, offrendo delle visioni-del-mondo, negando o affermando Dio, l'al-di-là, l'anima, prospettando "città del sole", facendosi assertori o negatori del diritto naturale, della libertà e indicando agli altri uomini il destino dell'umanità intera e il senso della storia. Ora appunto, dato per scontato questo fatto, noi possiamo avvicinarci a questa immensa realtà speculativa da diverse prospettive e con i diversi intenti che vengono a caratterizzare vari "tipi di mestiere intetlettuale". C'è in primo luogo il mestiere del filologo, il quale, operando con tutti i suoi strumenti, tenterà di approntare il suo lavoro, offrendo agli altri i testi dei filosofi cosi come presumibilmente costoro li avevano stesi. D'altra parte, ci può essere chi si preoccupi unicamente dell'analisi contenutistica degli sforzi dei filosofi, al fine di capire come una certa questione (ad es. il problema di Dio, dell'anima o del diritto naturale) sia stata impostata e risolta in diversi Autori e in successive epoche, ovvero al fme di entrare al di là di un singolo problema, nell'intero mondo di problemi di un filosofo o di un movimento filosofico, e, sia nel primo che nel secondo caso, questa analisi- che con formula platonica va dalle idee alle idee attraverso le idee - viene condotta per stabilire la validità dei risultati ottenuti e l'efficacia dei metodi proposti. Questo è il mestiere del "filoso/o teoretico". Ma noi possiamo inoltre gettare sulla storia della Glosofia delle diverse reti, dei diversi modelli operativi elaborati da discipline differenti dalla filosofia, come la sociolog,ia, la psicanalisi, l'analisi linguistica, allo scopo di porre in evidenza gli svariati condizionamenti a cui sottostà la produzione speculativa di un filosofo o anche di un intero movimento filosofico. Cosi, con il sociologo della conoscenza ci domanderemo quali rapporti sussistano tra certi tipi di metafisica e certe società strutturate su ben precise stratificmdoni sociali, andremo a vedere come mai, secondo quali leggi, alcune tematiche abbiano potuto fiorire in certe epoche c non in altre, c'interesseremo delle "leggi di struttura" che legano tra di loro religione, filosofia, economia, scienza e tecnica', ecc. 1 Cfr. per uno sguardo complessivo su questa problematica, M. Sociologia del sapere, ed. Abete, Roma, 1966.
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SCHELER,
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Lo psicanalista poi metterà a nudo i condizionamenti psicologici di una data costruzione filosofica. Come mai quel filosofo è tornato con tenacia veramente ostinata su quel determinato problema, lasciando sullo sfondo tante altre questioni ritenute per tradizione piu importanti? Quali sono le compensazioni psicologiche che un certo filosofo trova nella sua costruzione teorica? In breve, quali relazioni esistono tra la psicologia di un filosofo c la scelta e lo sviluppo del suo sistema? Gli studi sul linguaggio, infine, portati avanti su una molteplicità di fronti che vam1o dalla linguistica strutturale alla semantica generale americana, all'analisi linguistica di Oxford, alla psicotecnica del linguaggio, ci hanno messo in mano gli strumenti necessari per affrontare la storia deila filosofia dalla prospettiva dei suoi condizionamenti linguistici. Si è ormai consapevoli di quella che può essere chiamata "la ,·elatività linguistica" delle difierenti culture, ed è una vera ingenuità credere che esistano delle leggi di pensiero valide per tutti gli uomini, sotto tutti i cieli e in tutti i tempi. Le tavole delle categorie del pensiero variano da cultura a cultura e in una cultura in tempi diversi. Cosf, "la mente di un uomo - scriveva già agli inizi del secolo G. Vailati - non differisce da quella di un uomo di altri tempi, dotato di corrispondenti facoltà intellettuali, solo per la maggior quantità o la miglior qualità delle suppellettili dì cognizioni di cui la prima è fornita, e per cosi dire. ammobiliata. Ben pili importanti e caratteristiche sono le differenze che corrispondono all'acquisto ed alla fissazione di nuovi abiti mentali, al diverso vigore rispettivo delle varie facoltà intellettuali, al diverso orientamento della curiosità, dell'ammirazione e del dubbio, alla diversa capacità a rimanere soddisfatti dalle spiegazioni di un tipo piuttosto che da quelle di un altro, o alla maggiore o minore facilità a prestare assenso alle varie specie di prova o di ragionamenti e a fare un diverso apprezzamento della loro rispettiva validità; le differenze infine che si riferiscono a un diverso senso dell'evidenza, a una maggiore o minore preponderanza di quelle che i fisiologi chiamerebbero le funzioni inibitorie sugli spontanei impulsi della mente, e a una diversa fiducia nei vari criteri di accertamento e nei vari processi di investigazione. È soprattutto in questo genere di differenze e di contrasti che si manifesta la corrispondenza tra le varie fasi attraverso le quali passa successivamente l'intelligenza d'un singolo individuo nel corso del suo svolgimento, e i caratteri che presentano i successivi stadi di sviluppo di quella che si potrebbe chiamare l'intelligenza collettiva, rappresentata dallo stato delle varie scienze c dal livello generale della cultura in ogni da t a epoca del progresso umano"'. ' G. VAILA'L'l, Il metodo della filosofia; saggi di critica del linguaggio, a cura di P. Rosst-LANDI, Il ed., Bari, 1967, p. 49.
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Ai nostri giorni tali affermazioni del Vailati potranno forse sconcertare solo qualche metafisica ostinato, ma ormai i risultati di ricerche antropologiche e linguistiche, come quelle condotte da B. L. Whorf', ci hanno piu che persuaso della "relatività linguistico-categoriale" delle diverse culture. E, di conseguenza, nell'esame della nostra tradizione filosofica noi non possiamo piu fare a meno di queste scoperte e non guardare le teorie filosofiche sotto il cono di luci (e di ombre) prospettato su di loro dalla struttura, dalle distinzioni piu o meno raffinate, dalle categorie sintattiche, dalla ricchezza dei giuochi linguistici, dai telai concettuali piu o meno elaborati, in breve dalla potenza e dai limiti espressivi del linguaggio usato dal filosofo che si vuole esaminare. Ebbene, il lavoro che il sociologo, lo psicanalista, e l'analista del linguaggio conducono (o, meglio, dovrebbero condurre in équipe) sulla filosofia è il lavoro tipico dello storico della filosofia. Ed è solo in questo modo che il mestiere degli storici della filosofia può farsi serio.
Una lettura logico-analitica del "De Interpretatione" Fissate, in maniera telegrafica, queste brevi premesse metodologiche, proponiamo ora il tipo di lettura del "De Interpretatione" che ci accingiamo a compiere assieme, specificando ciò che invece non faremo. Non faremo, in primo luogo, un lavoro di filologia, o almeno dato che in un certo senso non possiamo fare a meno della filologia in quanto dobbiamo pur sempre avere un testo il piu possibile attendibile di Aristotele - non faremo soprattutto questo. Parimenti non ci preoccuperemo di vedere i legami che agganciano la tematica del De I nterpretatione all'intera opera di Aristotele e principalmente alla metafisica. E dò anche se, come è facilmente intuibile, e come giustamente ha scritto il Viano, "le dottrine logiche (aristoteliche) si vengono precisando via via con il precisarsi delle dottrine metafisiche e presuppongono posizioni metafisiche dalle quali sono indisgiungibili"'. E non andremo nemmeno a vedere i condizionamenti sociali e psicologici3 del brève trattato aristotelico in esame, visto magari nel quadro piu ampio dell'intera logica aristotelica. La nostra sarà, piuttosto, un'indagine di tipo contenutistico, e tale indagine verrà condotta - nella scia del lavoro di Lukasiewicz sulla sillogistica - da una prospettiva logico-analitica. Vale a dire che nel corso della lettura del De I nterpretatione ci soffermeremo su problemi Cfr. B. L. WHORF, Language, Thought and Reality, Cambridge (Mass.), 1956. C. A. VIANO, La logica di Aristotele, cit., pp. 11-12. 3 Cfr. a proposito della psicanalisi della logica il saggio di P. Fu.IASI·CARCANO, in Analisi e logica, di Autori vari (Archivio di filosofia), Roma, 1966. 1
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di logica e di analisi del linguaggio sollevati nel testo e che la logica matematica e l'analisi del linguaggio hanno, ai nostri giorni, ripreso tra le mani e portato avanti, nella maggior parte dei casi, con grande pulizia, con tecniche piu raffinate, e, di conseguenza, con miglior copia di risultati attendibili. Un lavoro del genere dovrà portare - spero - al raggiungimento di tre fini, sicurame!':lte non indifferenti sia per chi desidera avere una conoscenza, anche abbastanza sommaria, di alcuni filoni della ricerca filosofica contemporanea, sia per il cultore di filosofia antica, il quale non potrà non constatare gli effetti chiarificativi di un'analisi di tipo piuttosto tecnico, esercitata nel suo specifico campo di lavoro. Bene, il primo scopo a cui si mira è quello di far entrare lo studente nell'atmosfera da una parte della logica simbolica e dall'altra dell'analisi filosofica. In secondo luogo potremo toccare quasi con mano la ricchezza potenziale di un classico della logica e dell'analisi linguistica come Aristotele. E, da ultimo, infine, ci dovremmo rendere conto, anche se molto sommariamente, del cammino che in queste ricerche si è fatto. Come ripeto, nonostante l'apparenza, mi pare che questi tre fini propostici siano abbastanza ambiziosi. Penso comunque che si sarà fatto molto, moltissimo, se attraverso questo tipo di lettura logico-analitica di un testo logico-analitico, apprenderemo ad essere piu cauti nell'uso del nostro linguaggio, se apprenderemo un certo atteggiamento di "pudore" nel nostro modo di pensare, parlare e scrivere e, soprattutto, se saremo capaci di soccombere alla benefica tentazione di "dubitare metodicamente" del discorso dei filosofi.
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De Interpretatione
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Parole, pensieri e cose. Il vero e il falso
I. - In primo luogo bisogna stabilire che cosa sia il nome e che cosa sia il verbo, e poi che cosa sia la negazione, l'affermazione, la proposizione e H discorso. Ora dunque, i suoni emessi con la voce sono simboli delle passioni che sono nell'anima, ed i segni scritti sono simboli dei suoni emessi con la voce'. E come le lettere non sono uguali per tutti, cosi non lo sono nemmeno i suoni'; mentre invece le passioni dell'anima, di cui suoni e lettere sono appunto segni, sono le medesime per tutti come lo sono anche le cose delle quali esse sono immagini'. Ma di questi argomenti si è parlato nei libri sull'anima; 1 "In primo luogo ... dei suoni emessi co11 la voce": la lingua scritta t: la traduzione grafica della lingua parlata o fonica. E questa esprime "le passioni dell'anima", dove per passioni (7ta.lh'uux:ta.) s'ha da intendere tutto ciò che in un certo senso è avvertito dall'anima: sensazioni, immagini, sentimenti, stati d'animo, concetti, percezioni, congetture, ecc. ' "E come le lettere ... nemmeno i suo1ti": si allude al fatto della molteplicità delle scritture e dci linguaggi parlati. ' "mentrlò invece ... esse sono immagini": diverse son dunque le scritture e le lingue parlate; ma restano uguali per tutti le "passioni dell'anima" che sono "immagini" delle cose e degli avvenimenti anch'essi uguali per tutti. Evidentemente Aristotele palesa qui la sua conce<:ione metafisica dell'uomo che avrebbe una determinata natura fissata per tutti una volta per sempre. L'anima, per Aristotele, è la sostanza del corpo. Essa è "l'atto finale (entelechia) di un corpo che ha la vita in potenza", è la realizzazione e la capacità propria di un corpo organico. L'anima, in altre parole, sarebbe l'atto o attività dell'organismo che quale stru· mento ha la funzione di vivere e di pensare; e l'atto di questa funzione è l'anima (De An. II, l, 410 a 10). Per questo l'anima non è separabile dal corpo, almeno in quelle sue parti che sono attività delle parti del corpo; comunque dell'anima sono separabili - sempre secondo Aristotele - quelle parti che non sono attività del corpo (De An. II, l, 413 a 4 segg.). E con questa restrizione, Aristotele parh1
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appartengono infatti ad un'altra trattazione4 • E allo stesso modo che nell'anima, cos1 anche nella voce, un pensiero talora non è né vero né falso, talaltra invece ad esso spetta di essere, necessariamente, vero o falsd; in effetti il vero e il falso concernono l'unione e la separazione•. I nomi dunque di per sé ed i verbi sono simili ad un pensiero senza unione e separazione, come, per esemdella parte intellettiva dell'anima che è la sola separabile dal corpo (De An. II, 2, 413 b 26). Non è qui il luogo di parlare dell'ipoteca aristotelica di questo concetto sulla filosofia occidentale, e nemmeno della ttavagliata vicenda del concetto di anima a partire dalla filosofia dci presocratici per arrivare sino alle piu recenti teorie analitico-linguistiche (cfr. a proposito G. R~LE, Lo spirito come comportamento, ttad. it., Torino, 1955). Comunque sia, è indubbio che l'etnologia, l'antropologia, la teoria evoluzionistica, la sociologia della conoscenza e un certo tipo di linguistica (dr., ad es.: L. B. WHORF, Language, Thought and Reality, Cambridge, Mass., 1956, spcc. cap. V) abbiano oggi messo decisamente in questione ogni concezione metafisica della natura dell'uomo e della sua anima. È proprio vero che l'uomo ha una natura stabilita una volta per tutte? Possiamo affermare sic et simpliciter che tra il troglodita e lo scienziato dei nostri giorni non c'è ditferen:r.a alcuna? Sarebbe inoltre giusto dire che l'uomo "mirico" e l'uomo "scientifico" hanno le medesime passioni dell'anima cioè avvertono e vedono le medesime cose? 4 "Ma di questi argomenti ... ad un'altra trattazione": in effetti nel De anima non si ritrova un passo che corrisponda a questa citazione. Ciò sin dall'antichità ha permesso che sorgessero dei dubbi sull'autenticità del De Interpreta/ione. Oggi, comunque, dopo il lavoro del MAI!'.R, come si è detto nell'introduzione, l'autenticità del trattato non è piu messa seriamente in questione. E si pensa che il rimando ai libri sull'anima costituisca unicamente un rimando generico, quando con il Wl AtTZ non si pensi al De An, III, 6 o come vuole il MAIER al De An, III, 3-8. 5 "È allo stesso modo ... necessariamente vero o falso": come nell'anima cosi 'anche nel linguaggio, che è immagine delle passioni dell'anima, può capitare che talvolta una cosa pensata, un concetto (VOTJIJ.a, una cosa pensata; da distinguere da v6·rv:ns che è l'atto del pensare) è tale che di esso non si può dire che è vero o falso, mentre talaltra è tale da essere necessariamente vero o falso. Cosi, ad es., se noi diciamo 'casa', 'lampada', ccc., ebbene non avrebbero senso alcuno affermazioni quali 'la casa è falsa' o 'la lampada è vera', mentre se noi esprimiamo concetti o cose pensare. come 'la, casa è ariosa' o 'la lampa~~ è acces~', a~or~, h:!. certamente un senso d1re che 'e vero - o falso - che la casa e artosa o 'è vero - o falso - che la "lampada è accesa"'. 6 "in effetti il vero e il falso concernono l'unione e la separazione": la verità e la falsità concernono quelle cose pensate che linguisticamente danno luogo a determinate unioni o separazioni. Aristotele paderà piu avanti, precisamente dal capitolo VI in poi, di quali unioni o separazioni siano legittime. In breve, queste sono le proposizioni in cui un soggetto viene unito o separato con o da un predicato per mezzo delle espressioni linguistiche 'è' o 'non è': 'Kant è un filosofo'; 'Einstein non è un poeta'. Talché si viene in questo modo a chiarificare che il concetto di verità (e di falsità) è un concetto meta linguistico nel preciso senso che esso non è predicabile delle cose - a meno che non lo si faccia in senso traslato - , ma del linguaggio. Non avrebbe infatti senso dire ad esempio che 'la strada è vera' o che 'il palazzo comunale è falso'; mentre ha senso affermare che una certa proposizione è vera o falsa, a meno che non sia in-
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PAROLE, PENSIERI E COSE. IL VERO E IL FALSO
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pio, 'uomo' o 'bianco', quando non si aggiunge qualcosa ; infatti non sono ancora né veri né falsi'. E ciò lo possiamo constatare dal fatto che anche 'ircoccrvo' significa qualcosa, ma non è ancora vero o falso, se non si sia aggiunto l'essere o il non essere, o semplicemente o coniugato secondo un tempo". sensata come ad es. 'Cesare è un numero primo' o 'l'assoluto è verde'. Cfr. sul concetto di verità la uota 4 al cap. IV. 7 "I nomi dunque di per sé... non sono ancora né veri né falsi": tra le cose pensate, i nomi e i verbi, non sono né veri né falsi; Io saranno qualora vengano opportunamente uniti o separati. • "E ciò lo possiamo ... o coniugato secondo un tempo": si specifica che il verbo 'essere' o 'non essere' può essere assunto semplicemente o coniugato secondo un tempo. Vale a dire che tali verbi talora noi li assumiamo senza alcuna determinazione temporale, cioè in quel presente che indica non tanto tempo quanto necessità (come ad es. nelle proposizioni della matematica, della geometria, nelle leggi scientifiche o nei proverbi: 'in ogni triangolo la somma degli angoli interni è di 180"'), c talora invece con una determinazione temporale che può essere presente, passata o futura. In questo primo capitolo si aSJiste all'affiorare di importantissiflti co;;cc:tti come quello dell'anima o quello della verità (su cui si tornerà fra poco). Comunque sia, la cosa veramente centrale, per il nostro tipo di lettura, è che in esso Aristotele ha posto in chiara evidenza una determinata concezione della natura del linguaggio. Si tratta della concezione secondo cui la lingua viene vista come un repertorio di elementi riflettenti punto per punto gli elementi della realtà. L'idea del parallelismo tra struttura della frase e struttura del processo della realtà era già presente in Eraclito, sebbene in questo filosofo fosse frammista alla "mentalità primitiva" che ammette che il nome sia una qualità inerente alta cosa. (cfr. A. PAGLIARO, Saggi di critica semantica, Messina-Firenze, Il ed., 1961, pp. 131-157). Il sentiero per arrivare ad .Aristotele fu segnato dalla polemica mztieraclitea degli Eleati che liberarono la concezione greca del linguaggio dai residui primitivi. Se infatti l'Essere è unico, immobile e atemporale, e le parole sono molteplici, con molteplici significati c distinzioni e si riferiscono a molteplici realtà che mutano, è chiaro che la via per mettere d'accordo t'idea dell'Essere e quella del linguaggio era quella di vedere gli elementi linguistici come "non veritieri" ed "imposti per convenzione" (PARM., B 8 Diels). È cosi che si fa largo il concetto di parallelismo tra realtà e linguaggio, che è una realtà creata dagli uomini. Nel Cratilo di Platone il parallelismo realtà-linguaggio sfuma a tutto favore dell'idea che le parole sono prodotti umani e non un dato di natura (cfr. nota 3, cap. II). Ma a Platone la parola, che è un opya';o';, cioè uno strumento, non sta troppo a cuore: a lui interessano le cose, le idee e non tanto gli strumenti verbali che servono per evocarle. Aristotele invece, da parte sua, è CO/It>'into che l'attenzione al linguaggio, nella sua funzione di fedele messaggero "delle passioni dell'anima", rivesta una importanza decisiva sia nella costruzione della scienza sia nella formazione di una città ben ordinata, perché è proprio sul campo del linguaggio che si può sconfiggere lo scetticismo che tenta di minare e la scie1tza e i fondamenti della morale. Il modello aristotelico riguardo la natura del linguaggio è stato di una tenacia quasi ossessiva, ma a cominciare dal Rinascimento la sua crisi si fa sempre
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piu allarmante. Già Guglielmo d'Okham nel tardo Medioevo aveva opposto al verbalismo aristotelico il nominalisfl!O, secondo cui i termini universali sono unicamente forme lin[!.uistiche per mezzo delle quali la mente costruisce una serie di rapporti di portata esclusivamente logica. Ma intanto al verbalismo aristotelico veniva inflitto, a partire dal XVII sec., un colpo mortale dalla scienza e in special modo dalla fisica e dalle classificazioni delle scienze zaolo[!.iche. Basta ricordare, al riguardo, le testimonianze di Galileo (Opere, VI, pag. 232) e di Linneo, per rendersi conto di come la fisica e le scienze naturali stessero creando nuovi linguaggi. Tuttavia, a prescindere dall'attacco della scienza, occorre notare che a partire dal Rinascimento "è tutta la nuova cultura che scende in campo contro il verbalismo e il lo[!.icismo, e si avvale sempre piu spesso del richiamo alla peculiarità storica delle lingue, scalzando con ciò dalle menti l'idea che la lingua sia il semplice, immediato, passivo riflesso d'un mondo di concetti e di cose già dato" (T. DE MAURO, Introduzione alla semantica, Bari, 1965, pag. 50; e G. PRETI, Retorica e logica, Torino, 1968, pag. 63 e segg_). E Bacone, Locke, Vico e Leibniz presentano nelle loro opere il precipitato dell'atteggiamento che nei confronti della lingua la nuova cultura veniva ad assumere. Bacone proponeva nel suo De dignitatc et augmentis scicntiarum lo studio di una "grammatica filosofica" che prendesse in considerazione le differenze delle diverse lingue, differenze riguardanti non tanto la esterna forma fonica, quanto piuttosto i processi di formazione delle parole e la strutturazione della pwposizione. J. Locke nel terzo libro del Saggio sull'intelletto umano mostrò non solo che l'apprendimento e l't1so di certi termini condizionano, !imitandola o potenziandola, la nostra formazione mentale, ma soprattutto mostrò che se si paragonano le diverse lingue noi scorgiamo in esse profonde divergenze specialm~11te per quel che concerne proprio le idee generali. Sulla scia di Locke si posero Berkeley e Hume, e rovinava cosi la concezione del linguaggio proposta da Aristotele, mentre Vico si irritava al pensiero che si potesse avere l'illusione che "i popoli che si ritruovaron le lingue avessero prima dovuto andare a scuola da Aristotele" (G. B. V1co, Scienza nuova seconda, parag. 455 ed. Nicolini). Vico sostenne che è UIJ grave errore guardare alle lingue con gli occhi degli aristotelici e dei razionalisti, perché la lingua è nata in un tempo in cui l'uomo era domit
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PAROLE, PENSIERI E COSE. IL VERO E IL FALSO
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corre notare cb,• la teoria aristotelica ha sempre rappresentato e rappresenta una continua tentazione, probabilmente per la sua estrema semplicità e per la primaria funzione che nel linguaggio ha il processo di denotazione. Nella piu recente filosofia del linguaggio è stato proprio il cosiddetto primo Wittgenstein, quello del Tractatus logico-philosophicus, che ba proposto una J!.eniale ri/ormulazione della teoria del parallelismo linguaggio-realtà. Wittgenstein scrive nel Tractatus: "Il mondo è tutto ciò che accade" (prop. 1.1); "Il mondo è la totalità dei fatti, non dette cose" (prop. 2); "Il fatto atomico è una comhin.azione di oggetti (entità, cose)" (prop. 2.01): "Gli oggetti costituiscono la sostanza del mondo. Perciò non possono essere composti" (fJrop. 2.021). Il mondo dunque è la totalità dei fatti scomponibili in fatti atomici e questi sono a loro volta costituiti da oggetti semplici che sono la sostanza del mondo. Siamo co11 ciò in pieno atomismo logico (e/r. B. RussRJ.L, La fìi<Jsofia dell'atomismo logico, in Logica e conoscenza, trad. it., Milano, 1961; e sempre sull'atomismo logico si veda]. O. URMSON, L'analisi filosofica, trad. it., Milano, 1966, pagJ?.. 17-152). Tutto ciò per quanto riguarda la realtà. Dall'altra parte c'è il linguaggio. Questo, per Wittge11stcin, è una raffigurazione dei fatti. "Noi ci facciamo delle raffigurazioni dei fatti" (pro p. 2.1); "La raffigurazione è un modello delta realtà" (pmp. 2.12); "Vi deve essere qualcosa di identico nella raffigurazione e nel raffigurato, affinché l'una possa eSJ"ere raffigurazione dell'altro" (prop. 2.161). "E cib che la raffigurazione deve avere in comune con la realtà per poter/a raffigurare - esattamente o falsamente - secondo la propria maniera, è la forma di raffigurazione" ( ptop. 2.17). A questo punto, ad evitare gli attacchi che si potrebbero addurre ad un realismo ingenuo, Wittgenstein introduce il concetto di proiezione, di raffigurazione proicttiva. "A prima vista non sembra che la proiezione - cosi come ad es. sta stampata sulla carta - sia una raffigurazione della realtà di cui ttatta. Ma anche la notazione musicale 11011 sembra a prima vista una raffigurazione della musica, né la nostra scrittura fonetica (o lettere) pare una raffigurazione del nostro linguaggio parlato. E p pure questi simboli si dimostrano, anche nel senso ordinario del termine, raffigurazioni di ciò che rappresentano" (pro p. 4.011). "Il disco fonogt·afico, il pensiero musicale, la notazione, le onde sonore, stanno tutti tra di loro in quell'interno 1·apporto raffiguralivo che intercorre tra lingua e mondo. A tutte queste cose è comune la struttura logica (come nella favola di due giovani, i loro due cavalli, e i loro gigli. Essi sono tutti in un certo senso, una sola cosa)" (prop. 4.014). Il rapporto intimo tra queste cose risiede nel fatto cbe c'è una regola che permette di passare dall'una all'altra, mantenendo, come si dice in geometria, le proprietà proiettive. Ed è questa regola di proiezione che fa evitare a Wittgenstein le difficoltà di un ·realismo ingenuo. Tale è, in breve, la teoria del linguaggio nel primo W'ittgenstein. Essa, influenzando il Circolo di Vienna, avrà una portata ùtcalcolabile sullo sviluppo del positivismo logico. Da simile teoria dipenderanno: l) L'ammissione del criterio di verificazione, per cui il linguaggio - a prescindere dalle tautologie delta logica e della matematica - avrà significato solo c solo se sarà verificabile; 2) l'interesse esclush·o per l'indagine del linguaggio scientifico, da cui sorgerà la filosofia della scienza come disciplina autonoma; 3) l'eliminazione di ogni metafisica in quanto complesso di pseudo-concetti e pseudo-proposizioni inverificabili (cfr. a proposito D. ANTISERI, Dopo Wittgenstein, dove va la filosofia analitica, Roma 1967, capp. II, III). Tuttavia, nonostante i benéfici effetti provocatori e ripulitori, la teoria della raffigurazione 11on resse. E non resse perché essa pretendeva di estendersi all'intero linguaggio, assolutizzando quello che era il modello di funzionamento di una picco!; parte di esso. "Noi eravamo pri!?,ionieri di uno schema", scrisse Wittgestein nelle Philosophische Untersuchungcn, cit., pag. 343, par. 115. E la liberazione
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da questo schema ossessivo costituirà il traguardo filosofico del cosiddetto secondo Wittgenstein e della Oxford-Philosophy, tutta tesa alla chiarificazione degli usi, ddle stratificazioni, delle funzioni, dei criteri giustificativi, delta semantica, della sin! attica e della pragmatica dei diversi tipi di linguaggio. (Mi permetto di rimandare per questi problemi ai capitoli IV-VIII del mio volume sopra citato; mentre per i rapporti tra teoria aristotelica del linguaggio e quella del Tractatus di Wittgenstein, cfr. T. DE MAuRo, Introduzione alla scmantica, cit., pagg. 30-83, e E. K. SPECHT, Die sprachphilosophischen und ontologischen Grundlagen im Spatwerk Ludwig Wittgensteins, Koln, 1963, pagg. 30·38).
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Il nome: nomi semplici, nomi composti e casi del nome
II. - Il nome è cosi voce significante per convenzione, prescinde dal tempo e nessuna sua parte è significante se presa separatamente1. Difatti nel nome 'biancospino', 'spino' preso di per sé, non ha un significato come nell'espressione 'biancospino'. Tuttavia quello che si dà per i nomi semplici non si verifica per i nomi composti. Nei primi, infatti, la parte non è significante in alcun modo, nei secondi invece vuoi significare qualcosa, ma non esprime nulla se considerata separatamente come ad esempio 'scafo' in 'piroscafo,. Si è detto inoltre per convenzione, nel senso che nessun nome è tale per natura, ma quando esso diventa simbolo; dal momento che anche i suoni inarticolati, ad esempio delle bestie, nessuno dei quali è nome, manifestano certamente qualcosa'. 1 "Il nome è cosi... se presa separatamente": il nome, cioè, è quell'entità lin· guistica che significa per convenzione (cfr. nota 3) c quello che esprime pres-cinde dal tempo, nel senso che se si ha, ad es., il concetto di triangolo, ciò non implica nessuna determinazione temporale. Si precisa anche che una parte del nome, presa sc~ paratamente, non ha significato; il fatto è evidente, almeno per i nomi semplici. z Difatti nel nome... 'scafo' in 'piroscafo': Aristotele però aggiunge che neanche la parte di un nome composto è significante se noi la separiamo dal resto del nome. Con questo si intende dire che, mentre la parte del nome semplice non può significare nulla, la parte del nome composto si, vuoi significare qualcosa, poiché essa prima di entrare a far parte del nome composto significava già qualcosa di per sé, ma, per il fatto che essa è entrata nel nome composto, ha assunto un nuovo significato che perde quando la consideriamo separata. 3 "Si è detto inoltre... manifestano certamente qualcosa": il nome non è tale per natura (cpvc:r~~ ), ma solo per convenzione (xa"tà C~Jvti)x1Jv ). Questo vuol dire che un fatto, come un insieme di lettere o come un suono o insieme di suoni, di per sé non è già un nome, ma lo diventa invece quando esso sia stato convenzionato
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CAPITOLO SECONDO
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'Non-uomo' peraltro non è nome, non solo, ma non vi è neppure un nome col quale chiamarlo, in realtà non è né un discorso né una negazione. Lo consideriamo piuttosto come un nome indefinito•. 'Di Filone', o 'a Filone', cd espressioni simili, non sono nomi, ma casi del nome. La definizione del caso del nome è, del resto, la medesima del nome'; la differenza sta nel fatto che il caso del nome unito ad 'è' o 'fu' o 'sarà', non significa alcunché di veto o di falso, mentre il nome (unito ad 'è', 'fu' o 'sarà') è sempre vero o falso - cosi ad esempio, 'di Filone è' o "di Filone non è': infatti nessuna di queste espressioni è ancora vera o falsa. quale simbolo per qualcosa. Ciò si può comprendere se pensiamo che anche i suoni inarticolati delle bestie manifestano certamente qualcosa (oTJì..oikL yÉ 'tt), ma non li possiamo dire tuttavia nomL 4 '"Non-uomo' peraltro non è nome un nome indefinito": iL nome indefinito non viene da Aristotele considerato come un nome, anche se esso, come si vedrà nel cap. X, "significa in qualche modo una sola cosa". Per esprimerci nei termini della logica delle classi si può dire che il nome indefinito è la classe complemento. Mi spiego: una classe è la collezione di tutti gli oggetti av<::nti una certa proprietà comune alla quale ci riferiamo come alla caratteristica definitoria della classe. La classe complemento invece è la collezione di tutte le cose che no11 appartengono alla classe originaria. Cosf, se la classe 'uomo' è la classe di tutti gli enti che sono al contempo animali e ragionevoli, la classe complemento sarà 'non-uomo' che contiene tutti quegli enti (cavalli, libri, lampade, ecc.) che non hanno la proprietà di essere animali ragionevoli. Cfr. I. CoPr, Introduzione alla logica, trad. it., Bologna, 1964, pagg. 174-176. s "La definizione del caso ... la medesima del nome,": si distingue in primo luogo tra ttonte e caso del nome; e si aggiunge poi che la definh.ione del nome e del caso è la medesima, volendosi con questo affermare che, se il nome significa una certa cosa, o un aspetto di una tale cosa, ovvero un certo fatto, il caso del nome non è che aggiunga al nome altri significati. La questione grossa sollevata da Aristotele in questo secondo capitolo (ma cfr. anche Poct., 20, 1457 a 10) è quella della convenzionalità dei termini linguistici e della natura del nome. La cot1venzionalità o meno de/linguaggio era un problema noto nella filosofia greca. Platone nel Cratilo espone e discute a proposito tre alternative fondamentali: l) la tesi difesa dagli Eleati, dai Megarici, dai Sofisti e da Democrito (/r. 26, Dù:ls) secondo cui il linguaggio è pura convenzione, vale a dire un prodotto esclusivo della libera iniziativa degli uomini; 2) la tesi pro pugnala da Cratilo .e che era tipica di Eraclito (fr. 23 e, 114, Diels) e dei Cinici che credevano che il linguaggio fosse un naturale prodotto dell'azione causale delle cpse; 3) la tesi difesa dallo stesso Platone per il quale il linguaggio è la scelta intelligente dello strumento che avvicina l'uomo aJla conoscenza delle cose. Platone, in breve, è d'accordo con i convenzionalisti nel dire che il linguaggio è una produzione dell'uomo, ma contemporaneamente afferma che tale produzione non è arbitraria, ma è diretta, in qualità di strumento, alla conoscenza delle cose. E come ogni strumento, dato un determinato fine, può essere buono o cattivo, adatto o disadatto, usato in modo appropriato o meno, cosi il linguaggio può essere piu o
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IL NOME: NOMI SEMPLICI, NOMI COMPOSTI E CASI DEL NOME
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meno esatto, o addirittura sbagliato, cosicché è possibile dire anche il falso. Cosa questa che non era possibile nelle altre due concezioni; infatti per esse non avrebbe senso dire che il linguaggio non è esatto poiché, da una parte, si avrebbe che una convenzione vale l'altra, e dall'altra si avrebbe un linguaggio sempre a tJosto poiché sarebbe la natura stessa della cosa ad imporcelo come tale. Ai nostri giorni la tesi della convenzionalità dei linguaggi è stata esposta con estrema decisione da R. CARNAP: "Non è nostro compito stabilire delle proibizioni, ma soltanto giunge1·e a convenzioni ... in logica non vi sono morali. Ognuno è libew di costruire la propria logica, cioè la propria forma del linguaggio nel modo che vuole. Tutto quello che si esige da lui, se egli intende dar ragione del proprio metodo, è che lo stabilisca chiaramente e suggerisca regole sintattiche invece di argomenti filosofici" (R. CARNAP, Sintassi logica del linguaggio, trad. it., Milano, 1961, pJl. 88-89). Riguardo poi, piu specificamente, al nome, Platone sempre nel Cratilo lo definisce come "lo strumento adatto ad insegnare e a farci discernere l'essenza, nel modo in cui la spola è adatta a tessere la tela" (Crat., 388 b). D'altra parte Aristotele, come abbiamo visto, ne dà la seguente definizione: '"'Ovo1~o: 1-'ÈV cùv étr<:~
'P' "'"Tt
urn~o:v-.:cxn xa-.:èt ovv&i)X'lW livEu xo6vou, ijç Jl"!JiìÈv 11tc-o~ Écr·d
questo per il fatto che era apparsa, a proposito del nome, una celebre antinomia formulata poi da R.ussell. Infatti, se due nomi sono sinonimi, vale a dire se hanno lo stesso significato, allora appare logico che essi possono sostituirsi uno all'altro senza che.muti nulla nel contesto. Ora, 'Sir Walter Scott' e 'l'autore del W averley' sono sinonimi e perciò sostituihili. Ma se nella frase 'Giorgio IV domandò una volta se Scott fosse t'autore del W averley' sostituiamo ad 'autore del W averley' il nome 'Sco! t', vediamo che la proposizione 'Giorgio IV domandò una volta se Scott fosse Scott' è falsa. La soluzione di questa antinomia - oltre la soluzione data da R.ussell in On dcnoting - fu proposta da Frege. Essa consiste nel distinguere nel nome un significato ( denotaziom, estensione, Bcdeutung) e un senso (connotazione, intensione, Sinn) per cui si ha che 'Scott' e 'l'autore del W averley' hanno lo stesso significato, ma senso diverso. E allora, dato che noi possiamo capire il senso di un nome ('ippogrifo' ad es.) senza vederne la denotazione, una domanda come quella di Giorgio IV significa che si richiede una informazione riguardo l'idelttità delle due denotazioni. Per un approfondimento dei concetti di estensione e intensione, cfr. A. PASQUINELLI, Introduzione alla logica simbolica, Torino, 1957.
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Il verbo
III. - Verbo è quello che consignifica inoltre una determinazione temporale, nessuna delle sue parti ha significato se presa separatamente, ed è sempre segno di ciò che si dice di altro. Dico che consignifica una determinazione temporale in questo senso: 'corsa', ad esempio, è nome, 'corre' è verbo ed al suo significato unisce quello del sussistere presentemente. E sempre il verbo è segno di ciò che si dice di qualcos'altro, vale a dire di ciò che si dice di un soggetto o che è in un soggetto'. 'Non corre' e 'non lavora' non li chiamo verbi; sf., consignifìcano il tempo e si relazionano sempre a qualcosa, ma per la differenza che presentano non c'è nome. Li possiamo chiamare verbi indefiniti, poiché si relazionano indifferentemente a qualsiasi cosa, sia esistente sia non esistente'. Similmente poi 'correrà' o 'correva' non sono verbi, quanto piuttosto flessioni del verbo. Essi differi1 "Verbo è quello ... o cix è in un soggetto": il verbo è quell'entità linguistica che al suo significato aggiunge una determinazione temporale, nel senso che mentre il nome prescinde, come si è visto, dal tempo, il verbo per sua natura esprime il tempo. Cosf, ad es., 'corre', oltre l'idea del correre, implica pure il concetto del correre ora. (Cfr. sulla definizione del verbo, anche Poet., 20, 1457 a 14). Per di piu il verbo si predica di qualcosa diverso da sé: non avrebbe infatti senso dire 'mangiare mangia', ma ha senso invece affermare 'lo scrittore scrive'. ' '"Non corre' e 'non lavora' non ... sia non esistente": analogamente a quanto si è detto per il nome, cosi anche entità linguistiche quali 'non corre' e 'non lavora' vengono considerate da Aristotele verbi indefiniti. Anche essi consignificano il tempo e si relazionano a qualcosa, ma questo qualcosa è una cosa qualsiasi non definita. Ciò vuoi dire che, se diciamo 'non corre', con questo non vogliamo significare 'sta fermo', quanto piuttosto indicare tutte le illimitate possibilità ad eccezione di quella che viene negata. Cfr. anche nota 4 del cap. II.
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CAPITOLO TERZO
scono dal verbo per il fatto che il verbo unisce al suo significato il tempo presente, mentre le flessioni uniscono al loro significato i tempi fuori del presente'. I verbi, in quanto tali, sono nomi e significano qualcosa - infatti chi li pronuncia arresta il suo animo e chi li ascolta acquieta il proprio - , ma non significano ancora se questo qualcosa è o non è; difatti l'' essere' o 'non-essere' non è segno della cosa, nemmeno quando tu dica 'è', semplicemente. E ciò poiché 'è', per se stesso, non è nulla, ma consignifica una certa composizione che senza le parti componenti non è possibile pensare•.
' "Similmente poi 'correrà' ... i tempi fuori del presente": secondo Aristotele dunque, il verbo è quello che aggiunge al significato quello del tempo presente. I verbi che non esprimono il tempo presente, sono detti flessioni del verbo. Ciò in analogia a quanto si è detto per i casi del nome. Cfr. nota 5 del cap. II. 4 "I verbi, in quanto tali, ... le parti compmtenti non è possibile pe11sare": i verbi, se noi li prendiamo di per sé, prescindendo dal fatto che si relazionano a qualcos'altro, sono nomi, in quanto significano qualcosa. Infatti se noi diciamo 'scrivere', 'passeggiare', ecc., sappiamo benissimo cosa intendiamo, e sapendo cosa intendiamo non ci poniamo, al riguardo, ulteriori domande. E pure se capiamo cosa diciamo con un verbo, è chiaro che con ciò non abbiamo ancora detto se quanto il verbo esprime esista o meno. Inoltre 'è' e 'non è' da soli non significano nulla, poiché come condizione per avere significato debbono essere in opportuna composizione con altri nomi. Ciò vale per tutti i verbi, e in particolar modo per il verbo 'essete', specie se noi Io prendiamo nella sua funzione copulativa. Per una ulteriore chiarificazione da parte dello stesso Aristotele si veda il cap. X. Comunque sia, il passo è certamente un po' oscuro;· cfr. l'interessante nota di G. COLLI, op. cit., pagg. 758·i74.
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Il discorso
IV. - Il discorso, d'altra parte, ~ voce significante, di cui una qualsiasi delle parti, considerata separatamente, è significante come locuzione e non come affermazione (o negazioner. Voglio dire con ciò che 'uomo', per esempio, significa qualcosa, ma non che è o non è; ci sarà affermazione o negazione se si aggiunga qualcosa; tuttavia una sillaba di 'uomo' non significa nulla: neppure in 'topo' infatti, la sillaba 'po' è significante, ma è unicamente suono della voce. Nei nomi composti la parte è si significante, ma non per sé, come è stato detto'. Ogni discorso, dunque, è significante non come strumento, ma, come già si è detto, per convenzione'. Tuttavia non ogni discorso ' "Il discorso, d'altra parte, ... affermazione (o negazione)": si introduce il concetto di discorso basandosi sulla diversità che esso presenta nei confronti del nome e del verbo. Mentre, come si è vi~to, le parti del nome e del verbo, prese separatamente, non significano nulla, le parti del discorso, considerate di per sé, significano qualcosa. Tuttavia, nonostante tale precisazione, in questo passo, il termine 'discorso' ha ancora un significato generico; Aristotele lo qualifica infatti come locu?.ione (q>ci.
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CAPITOLO QUARTO
è dichiarativo, ma quello cui appartiene il vero o il falso'; e ciò non appartiene a tuttl 1 discorsi: la preghiera, per esempio, è discorso, ma non è né vero né falso. Lasciamo da parte, pertanto, a punto dalla natura per significare. Esso, come il nome c il verbo, significa per convenzione. Si vedano su ciò le note 3 e 5 del cap. II. 4 "Tuttavia non ogni discorso ... cui appartiene il vero o il falso": tra i diversi tipi di discorso, dichiarativo è quello per il quale si può dire che è vero o falso. Difatti, come si vedrà meglio subito dopo, non tutti i discorsi sono veri o falsi, cosi è della preghiera, del comando, della esclamazione, dell'interrogazione, ecc. Dichiarativo è invece il discorso di cui possiamo appunto predicare le categorie della verità o della falsità. Se io, ad es., affermo che 'il vestito della signorina lngrid è giallo', ebbene, di tale discorso dichiarativo, o proposizione, sarà giusto dire che è vero o falso a seconda che, osservando il vestito di lngrid, noi vediamo che esso è giallo o di un altro colore. Mentre se diciamo 'chiudi la porta!', ovvero 'Dio mio, aiutami!', è palese che non ha senso dire che questi discorsi sono veri o falsi. Il primo, che è un comando, sarà, a seconda dei casi, giusto o ingiusto, valido o invalido, efficace o non efficace; il secondo, che è una preghiera, sarà, invece, piu o meno sentita, piu o meno interessata, piu o meno sincera. Ebbene, è proprio qui (cfr. pure Cat., 2 a, 4-10, e Met., E, 4, 1027 b, 20-23) che Aristotele traccia la distinzione tra discorsi apofantici (dichiarativi, indicativi) e discorsi semantid (espressivi), distinzione che è stata un modello per l'intero sviluppo della filosofia occidentale. Si è, in effetti, forgiata con Aristotele una accezione del concetto di verità che, piu o meno discussa o particolarizzata, è arrivata, c a buona ragione, sino ai nostri giomi. Già Platone, prima di Aristotele, aveva scritto nel Cratilo che "vero è il discorso che dice le cose come sono, falso quello che le dice come non sono" (Crat., 385 b), ed Epicurei e Stoici non si allontanarono dalla definizione aristO· tclica. Piu tardi S. Tommaso definirà la verità come "l'adeguazione dell'intelletto e della cosa" (De Ver., q. l, a. l). Hobbcs e Locke parleranno della verità come di un attributo delle proposizioni, e per Leibniz essa è solo "la corrispondenza delle proposi;doni che sono nello ~pirito, con le cose di cui si parla". Attraverso filosofi realisti come Bolzano e Meinong si è giunti poi ai Circolisti del ìViener Kreis per i quali la verità equivale alla verificabilità: è vera ogni proposizione che si puù sperimentalmente, fattualmente verificare. Wittgcnstein aveva scritto che "comprendere una proposi:done vuoi dire sapere come stiano le cose nel caso che sia vera" (L. WITTG!!NSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, cit., prop. 4.024) e Schlick ribadisce che "il significato di una proposizione è il metodo della sua verifica" (M. SCHLICK, Meaning and Verification, in Gesammelte Aufsiitze, Wlen, 1938, pag. 340). B. Russell è, tuttora, sostanzialmente d'accordo sull'equazione vel'ità-verifìcabilità (cfr. B. RussELL, Significato e verità, trad. ìt., Milano, 1963), mentre i logici con A. Tarski hanno rielaborato la nozione Ji verità nel senso che per es. "l'enunciato 'la neve è bianca' è vero se, e solo se, la neve è bianca", per cui possiamo generalizzare e dire che "X è vero se, e solo se, p" (cfr. TARSKI, Der BegrifJ der Wahrheit in den formalisierten Sprachen, in "Studia philosophica", 1935). Tuttavia, a prescindere da questo significato di corrispondenza linguaggiorealtà, che ha tenuto stretti filosofi del piu diverso orientamento, la nozione di verità ha assunto da filosofo a filosofo, da movimento a movimento, da ambito di ricerca nd ambito di ricerca, le configurazioni piu disparate. Cosf si è parlato
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IL DISCORSO
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gli altri discorsi, poiché l'indagine su di essi e propria della retorica e della poetica; il discorso dichiarativo appartiene invece alla presente ricerca 5 • di verità come coerenza tra le ptopOS12l01U di un certo linguaggio, come ad es. di quello matematico; di verità come manifestazione o non-nascondimento (&.:kr)llna) o svdamento dell'essere, basti pensare a M. Heidegger; di verità come utilità, teoria questa ultima difesa da certi pragmatisti, come, ad es., William James. Quello che comunque bisogna qui notare è che si è ormai fondamentalmente convinti che la 'verità' è un concetto metalinguistico, che cioè si predica del linguaggio, e che tale concetto si scinde in una plurivalenza di significati. Quello di 'verità' non è un concetto, ma una famiglia di concetti. 5 "e ciò non appartùme a tutti i discorsi _.. invece alla presente ricerca": tra i discorsi, dunque, di non tutti si può dire che sono veri o falsi. La preghiera, ad es., è un discorso che ha pure un senso, tuttavia non può dirsi vero o falso. E ciò vale pure per le norme, l'invocazione, la lode, lo scongiuro, l'invito, l'interrogazione, ecc. Ora, Aristotele fa oggetto dell'indagine del De Interpreta/ione il discorso dichiarativo o apofantico, dato che la tratta.<:ione dci discorsi semantici o espressivi è oggetto della Retorica e della Poetica. Nella Poetica Aristotele definisce il bello come ordine e simmetria (Poet., 7, 1450 b 35 e segg.) e t'arte come imitazione, imitazione che può avvenire per mezzo di colori o di forme come si ha nella pittura, per me:ao della voce come avviene nella poesia, o per mezzo del suono come nella musica. Ma, prescindendo da questo concetto generale di imitazione, la Poetica, nella parte che ci è giunta, contiene unicamente la teoria della tragedia che è "imitazione di un'azione seria e compiuta in se stessa, che abbia una certa ampiezza, un linguaggio ornato in proporzione diversa a seconda delle diverse parti, si svolga a mezzo di personaggi che agiscono sulla scena, e non che narrino, e infine produca, mediante i casi di pietà e di terrore, le purificazioni di tali passioni" (Poet., 6, 1449 b). La retorica è, invece, per Aristotele, in stretta connessione con la dialettica ed è come la controparte di questa (Rhet., I, l, 1354 a 1). Essa è "la facoltà di considerare in ogni caso i mezzi disponibili di persuasione" (Ibidem, I, 2, 1355 b 26)_ La retorica, in breve, si propone di scoprire quali siano, intorno a qualsiasi argomento dato, i mezzi adatti ad indurre la persuasione. E siccome si tratta di persuadere e non di dimostrare, è evidente che, in primo luogo, l'oggetto delta retorica è il "verosimile", e non il "necessario" come per la scienza (Ibidem, I, 2, 135 7 a), e che, di conseguenza, essa non si effettuerà attraverso sillogismi irrefutabili, bensi attraverso dei tali sillogismi che siano convincenti, ma tuttavia confutabili, e a questi sillogismi Aristotele dà il nome di entimemi, ovvero di siltogismi retorici. E poicbé i tre fattori fondame11tali di ogni discorso sono: l) colui che parla, 2) l'argomento intorno a cui si parla, 3) la persona a cui si parla e, siccome il terzo di questi elementi è il piu importante dato che determina la struttura del discorso retorico, si avranno: l) discorsi retorici deliberativi se l'ascoltatore è il giudice che decide su cose future, 2) discorsi retorici giudiziari, dol)e l'ascoltatore è il giudice che decide su cose passate, 3) discorsi retorici epidittici, dove l'ascoltatore è lo spettatore che giudica il talento dell'oratore. Tale triplice distinzione si riflette poi sulle categorie valutative dei tre tipi di discorso: i discorsi deliberativi, dol)endo consigliare o dissuadere, si impernieranno sulle categorie dell'utile e del nocivo; quelli giudi-
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CAPITOLO QUARTO
ztart, che accusano o difendono, avranno di mira le categorie del giusto e dell'ingiusto, del buono e del turpe,- i discorsi epidittici, infine, si baseranno sulle categorie del bello e del brutto. Il problema della retorica in Aristotele è complesso, distingueltdosi tre momenti nello sviluppo del pensiero retorico aristotelico: l) il periodo platonico (an/iretorico) del Grillo; 2) il periodo essenzialmente tecnico rappresentato dal primo libro della Retorica, eccettuato il cap. II,- 3) il periodo della retorica non apodittica, rappresentato dai libri II, III, e dal cap. II del I libro della Retorica, dove la retorica della persuasione psicagogica si inserisce entro quella della persuasione dimostrativa,- infatti "poiché la retorica sorge in vista di un giudizio (e in effetti si giudicano i consigli e il tribunale è un giudizio), è necessario non solo mirare al discorso, che sia apodittico e convincente, ma anche mostrare se stessi in un dato atteggiammto e disporre analogamente il giudice" (Rhet., II, l, 1377 b). Sicuramente la retorica di Aristotele rappresenta nel pensiero retorico antico, dai pitagorici e dai sofisti a Platone, dagli stoici ad Ermagora di Tenno, giu fino a Cicerone e all'anonimo "Dd Sublime", il momento piu sistematico e completo (cfr. A. PLEBE, Breve storia della retorica antica, Milano, 1961). Nell'Umanesimo la retorica fu riportata in auge, ma Cartt'sio ne fu l'iconoclasta. Proprio nella prima parte del Discorso sul metodo egli ebbe a dire di tenere "quasi per falso ttttto ciò che fosse soltanto verosimile". E dopo Cartesio la cultura occidentale ha identificato il dominio della ragione con quello delle prove dimostrative ed ha cosi confinato l'etica, ed i valori in genere, nell'ambito delle passioni e del! e forze irrazionali. Per Cartesio dire ragione significa dire verità e dire verità equivale a dire evidenza: evidenza che dagli assiomi si trasferiva poi a tutti i teoremi. Ma, ci dicono Perelman e L. Olbrechts-Tyteca, che "questa ragione, di cui Descartes sperava che avrebbe permesso, almeno in via di principio, di risolvere tutti i problemi che si pongono all'uomo e dei quali la mente divina possiede già la soluzione, ha visto ridursi sempre piu il campo della propria competenza, di modo che quanto sfugge a una riduzione al formale presenta per essa difficoltà insormontabili" (PERELMAN e L. 0LBRI!CH'l'S-TY'fECA, Trattato dell'argomentazione, trad. it., Torino, 1966, p. 4). Ed è stato proprio il Perelman, insieme a L. Olbrechts-Tyteca, a riproporci, col Trattato dell'argomentazione ora citato, l'intera problematico della retorica antica. "Perelman insiste molto in tutte le sue opere su questo punto, che lo scopo e il valore della f{etorica è quello di costituire, di fronte alla Logica, l'lipy(l.vov di un tal tipo di discorso umanistico" (cfr. G. PRE'CI, Retorica e Logica, Torino, 1968, pag. 154). Infatti "oggi, che abbiamo perduto le illusioni del razionalismo e del positivismo, e ci rendiamo conto dell'esistenza di nozioni confuse e dell'importanza dei giudizi di valore, la Retorica deve ridiventare uno studio vivo, una tecnica nelle faccende umane e una logica dei giudizi di valore" (PERELMAN e L. 0LBRECHTS-TYTECA, Rhétoriquc et Philosophic, Paris, 1952, pag. 41). Logica dei giudizi di valore che "differisce dalla logica per il fatto che essa si occupa non di verità astratta, categorica o ipotetica, ma di adesione. Il suo scopo è di produrre o di accrescere l'adesione di un uditorio determinato a certe tesi" (Ibidem, pag. 18). In breve, la teoria dell'argomentazione si presenta come "un tentativo di recuperare l'etica al dominio della ragione, seppure di una ragione pratica distinta dalla ragione pura o, se si vuole, come la scoperta (o riscoperta) di una terra rimasta per troppo tempo inesplorato dopo il trionfo del razionalismo matematizzante tra quelle occupate dalla forza invincibile della ragione e, oppostamente, dalla ragione invincibile della forza. Questa terra è vastissima: occupa il campo di ogni discorso persuasivo, dalla predica all'arringa, dalla orazione alla wncione, ovunque la ragiom', intesa come facoltà di escogi-
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IL DISCORSO
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tare argomenti pro o contro una tesi, è adoperata per sostenere una causa, per ottenere un consenso, per guidare una scelta, per giustificare o determilzare una decisione" (N. BOBBIO, Prefazione al Trattato dell'argomentazione di PERELMAN e L. OLBRECHTs-TYTECA, trad. it. cit., pag. XIII). La teoria dell'argomentazione è, insomma, la logica dei discorsi non dimostrativi, dove alla categoria del "razionale", si sostituisce quella del "ragionevole"; e nel suo insieme essa si inquadra nel piu ampio arco della contemporanea filosofia del linguaggio (cfr. nota 8 del cap. I e il paragrafo 1 dell'Introduzione), che in tutte le sue direzioni sta conducendo un'appassionata fight for clarity, una battaglia per la chiarezza che, nelle sue linee di forza piu serie, è un rifiuto di qualsiasi riduzionismo che pretenda di eliminare un linguaggio a favore di un altro, ed è insieme una metodologia chiarificatrice, una fenomenologia linguistica delle funzioni, delle categorie, degli usi, dei criteri giustificativi dei diversi tipi di linguaggio, talché, morta la Filosofia, sono sorte le diverse filosofie: filoso/iii della scie1tza, dell'etica, della matematica, delle scienze umane, dell'arte, della storia (intesa come metodologia storiografica), ecc. (cfr. D. ANTISERI, Dopo Wittgcnstein, dove va la filosofia analitica, cit., cap. VII e cap. VIII). Ciò per parlare dell'aspetto mctodologico della filosofia del linguaggio, aspetto che certamente ne riassume la caratteristica piu importattte e piu carica di futuro, anche se in qualcbe filosofo, come ad es. in L. \Vitt?.enstein o G. Ryle, l'aspetto della terapia linguistica di discorsi che "vanno in vacanza" e "girano a vuoto" prende il sopravvento. "Il filosofo - dirà \Vittgenstein - tratta una questione come una malattia" (L. WrTTGENSTF.IN, Philosophische Untersuchungcn, cit., parag. 255). E sarà sempre di 1Vittgenstein l'idea cbe "la filosofia è la battaglia contro lo stregamento lin,~uistico ddl'intdletto" (Ibidem, parag. 109).
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Proposizioni semplici e proposizioni composte
V. - Il primo discorso dichiararivo unitario è l'affermazione, poi vier.~e la negazione, gli altri sono unitari per congiunzone'. È necessario del resto che ogni discorso dichiarativo dipenda da un verbo o da una flessione del verbo; in effetti l'espressione 'uo. mo ,, qual ora non venga aggmnto ne e , ne sara , ne 'fu , o qual cosa di simile, non risulta ancora un discorso dichiarativd. Perché allora è qualcosa di unitario, e non di molteplice, 'animale-bipedeterrestre'? Non risulterà difatti uno, poiché è stato detto di seguito. Parlare di ciò spetta tuttavia ad una diversa trattazione'. l'
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' "Il primo discorso ... unitari per congiunzione": tra i discorsi dichiarativi
il primo discorso ad essere uno, cioè. unitario, è l'allerma:c:ione. Vale a dire che l'affermazione è la piu piccola tra le entità linguistiche di cui si possa predicare il vero e il falso. Poi si ha la negazione; questa infatti è una entità linguistica già piu complessa dell'affermazione, per l'aggiunta della particella - o, in termini di logica attuale, del funtore di negazione - 'non'. (Per funtore s'intende il nome di una funzione, come la nega:lione, l'uguaglianza, l'implicazione, ecc.). Gli altri discorsi sono unitari quando sono uniti mediante le congiunzioni suddette, che i logici chiamano connettivi. Dire che un discorso "è uno mediante congiunzione", significa çhc esso è un'entità unitaria, in quanto nel suo complesso può venir considerata vera o falsa. Verso la fine del capitolo tali concetti verranno ulteriormente precisati con la distinzione tra discorsi semplici e discorsi composti (Cfr. a propcsito, An. Post., I, 25, 86 b 33; e De Coelo, II, 3, 286 a 25). z "È necessario del resto ... ancora un discorso dichiarativo": si richiama di nuovo l'attenzione sul fatto che per costituire una proposizione, la quale sia una unità linguistica dal punto di vista della predicazione della verità o della falsità, ci vuole almeno un nome e un verbo. 3 "Perché allora è qualcosa ... ad una diversa trattazione": anche l'espressione 'animale-bipede-terrestre' è una unità, tuttavia non è un discorso quanto piuttosto una definizione, la quale costituisce una unità non perché i suoi termini
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CAPITOLO QUINTO
Il discorso dichiarativo è comunque unitario o se esprime una sola cosa o se è uno per congiunzione; sono molteplici quelli che esprimono piu cose e non una sola cosa o quelli senza congiunzione•. Dunque, il nome e il verbo li diciamo soltanto locuzioni, perché non è possibile dire che faccia una dichiarazione chi rivela in questo modo qualcosa con la voce, sia che una persona lo interroghi, sia che ciò non avvenga ed egli stesso decida spontaneamente di parlare. 5 Fra i discorsi dichiarativi poi distinguiamo la proposizione semplice, come, per esempio, si ha affermando· qualcosa di qualcosa o negando qualcosa di qualcosa, e quella composta di queste semplici, come nel caso di un discorso già composto. La proposizione semplice, pertanto, è voce significante che qualcosa sussiste o non sussiste in qualche altra cosa secondo la divisione dei tempi'. son detti di seguito uno dopo l'altro, ma perché essa è strutturata per genus proximum et differentiam specificam. La diversa tratta:r.ionc poi, in cui si parla della definizione, sono gli Analitici secondi. Per la teoria deUa definizione cfr. la nota 11 del capitolo XI; si veda anche Met., ll., 6; Z, 12; H, 6. 4 "Il discorso dichiarativo è ... o quelli senza congiunzione": in questo passo Aristotele distingue quattro tipi di discorso dichiarativo: a) il discorso dichiarativo unitario esprimente una sola cosa, es., 'la penna è nera'; b) il discorso dichiarativo unitario per congiun:r.ione, es., 'se piove, allora prenderò l'ombrello'; c) il discorso dichiarativo molteplice perché esprime non una sola cosa, ma piu cose, es., 'il merlo è in alto'; 'merlo' infatti può significare sia il merlo di un castello medioevale, sia un uccello; d) il discorso dichiarativo molteplice privo di congiunzione, es., 'la poesia è triste, il romanzo è çom. movente, il termosifone è spento'. Cfr. pure Poct., 20, 1457 a 28; c An. Post., II, 10, 93 b 35. ' "Dunque, il nome e il verbo ... decida spontaneamente di parlare": viene ulteriormente ribadito che il nome e il verbo da soli sono soltanto locuzioni e non proposizioni. E si specifica che anche se si desse il caso che uno chiedesse, per es., 'scrivi la lettera?', c si rispondesse 'scrivo', ovvero se alla domanda 'chi scrive?' si rispondesse 'Pietro', ebbene anche in questi casi le parole 'scrivo' e 'Pietro' non sarebbero affatto proposizioni, e ciò per il fatto che, affinché si dia una proposizione o discorso dichiarativo, c'è bisogno almeno di un verbo e di un nome. La medesima cosa vale quando "uno decida spontaneamente di parlare", come quando, per esemplificare, un autista vedendo un poliziotto avvicinarsi alla sua macchina posta in wna vietata, e vedendo il poliziotto dileguarsi senza staccare la contravvenzione, dice, 'se ne va'. 6 "Fra i discorsi dichiarativi ... secondo la divisione dei tempi": si parla in questo paragrafo, della distinzione tra proposizioni semplici e proposizioni composte. Cfr., a proposito, la nota l di questo capitolo. Ora, i logici odierni, a partire soprattutto dal Wittgenstein del Tractatus logico-philosophicus, riprendendo in mano tali questioni, hanno parlato di pro·
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PROPOSIZIONI SEMPLICI E PROPOSIZIONI COMPOSTE
posizioni atomiche per quelle semplici e di proposizioni molecolari per quelle composte, ed hanno ideato il metodo delle matrici (o tabelle) di verità per il controllo delle formule pro posizionati (cioè dei discorsi composti, presentati nelle formuù: della logica delle proposizioni), controllo mirante a stabilire se una data formula è una tautologia, una contraddizione o una proposizione empirica. Siano p, q, r, ecc. variabili proposìzionali, cioè variabili ( simboleggimtti e sostituenti proposizioni atomiche) che sono suscettibili di assumere uno dei due valori di verità, vn·o ( == l) o falso ( == O). Assumiamo poi come costanti logiche (costanti, perché rappresentano le parti costanti della struttura della proposizione) i cinque connettivi:
A V
co1·rispondente corrispondente corrispondente corrispondente corrispondente
~ <->
l
a "e"
a a a a
"oppure" "se ... allora" "se e solo se" "non".
A tal punto noi possiamo considerare e definire tali connettivi come funzioni di verità, vale a dire che essi connettono variabili pro posizionati (corrispettive dei discorsi semplici o proposizioni atomiche) in maniera tale che il valore di. verità della formula risultante (corrispettiva del discorso composto o protJoszzzone molecolare) è in funzione o dipende dal valore di verità assunto dalle variabili. Per cui abbiamo: p
l l
o
q
p
A q
l
1 l
l
o l
o o
l
o o o o l o o o
Ciò significa, come si vede dalla colonna posta sotto al connettivo 'A', che la
formula 'p A q' è vera solo nel caso che siano contemporaneamente vere sia p sia q. Es. "la lampada è accesa ed io scrivo": tale proposizione molecolare, nel suo complesso, è infatti vera solo se sono vere le due proposizioni che la compongono. Definendo successivamente gli altri comtettivi, cioè l'alternativa, l'implicazione, l'identità e la negazione, si ha: · p
q
p
v
p ~q
q
·-·
l l
l
o o l o o
l l
1 l
o o 1 l o o o 1
l l
1 l
o o o 1 l o l o
l
p
....
q
l
l
l
o o o o l o 1 o l
p
l
l
o
o
l
p l
o
Evidentemente queste non sono tutte le definizioni dei possibili connettivi. Ma ciò, come ci ha insegnato Wittgenstein, lo possiamo raggiungere con un semplice calcolo combinatorio, se pensiamo che date n proposizioni atomiche (2 nel nostro caso), negando o affermando le loro possibilità di verità, si hanno 21" funzioni di verità, come mostra la seguente tabella:
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CAPITOLO QUINTO
l
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11
12 13 14
15 16
l o.
p
t
q
O'
O'
t o.
l l
---o
1
~0-
l
o
o
11~ (-~i
f-i
l
l
l l l _______
-1--1- o
o o 1 o
o
l
1
o o o o o o 1 ·-c--o- o o o o o-·-c 0----0-1 1 o o --;;0--;-1- o o l o o l o ...
o o
l o o ----0 1 l
Si può vedere dalla tabella che la congiunzione è il n. 8, l'alternativa il n. 2, ecc. La negazione non compare perché è una funzione monoargomentale. A questo punto accenniamo alla costruzione dell'ormai classico calcolo proposizionale. Esso, nella sua forma semplificata, consta di: l) Segni elementari (variabili pro posizionati e costanti, come ne abbiamo parlato sopra) 2) Regole di Formazione delle Formule Bene Formate, a partire dai segni elementari. T ali regole sono: RF 1 Ogni variabile è una formula bene formata (FBF). RF 2 Se P è una FBF anche l P è una FBF. RF 3 Se P e Q sono FBF, anche PVQ è una FBF. RF 4 Niente altro è una FBF. 3) Regole di Trasformazione: RT 1 In ogni formula del calcolo, ogni variabile può essere sostituita con qualunque FBF, purché la sostituzione avvenga tutte le volte che quella variabile compare nella formula. Tale nuova formula apparterrà pure al calcolo. Questa regola sì chiama regola di sostituzione uniforme. RT 2 Se P è una formula del calcolo ed anche P~ Q lo è, allora anche Q è una formula del calcolo. Regola di separazione che in simboli si esprime cosf:
p P~
Q
Q 4) Assiomi opportunamente scelti tra le FBF.
A A A A
l. 2.
l
(p V q) V p
l
p V (p V q)
3.
l
(pVq)V(qVp)
4.
l (l
qVr)V(-l (pVq)V(pVr))
Da tali assiomi, per mezzo dell'applicazione delle regole di trasformazione, si deduce giu il calcolo proposizionale, che si propone di formaliz7.are, cioè di esplicitare tutti gli elementi del discorso ed i passaggi deduttivi, e le formule in esso
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PROPOSIZIONI SEMPLICI E PROPOSIZIONI COMPOSTE
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derivabili sono tutte leggi logiche le quali costituiscono la nervatura dei discorso a livello pro posiziona/e. Ora appunto le matrici di verità costituiscono un metodo di decisione nel senso che, con la sua applicazione, noi possiamo vedere se una qualsiasi FBF è derivabile dagli assiomi, cioè se è una legge logica, vale a dire una tautologia sempre soddisfatta per qualsiasi valore di verità che si attribuisca alle variabili. Ovvero vedremo se tale formula è una contraddizione (mai soddisfatta), o se è una proposizione empirica (o come si dice contingente o anfotera) che non sempre è soddisfatta da certi valori. Es., vogliamo sapere se queste due formule sono contraddizioni, tautologie o proposizioni anfotere: (p--? q) A (p A l q) e (p V q)--? p. Ebbene, dovremo procedere risolvendo prima i connettivi all'interno delle parentesi e poi i valori che assume il connettivo principale. A)
p
q
(p --? q) A (p A
l
q)
11- _1_1-·r··of- o o 1 l o l o o o l l l o o l o l l o o o o l 00
01000010
l
3 2 8 4 7 6 5
l e 2 sono i valori rispettivamente di 'p' e 'q'; 3 è la matrice del funtore '--?'; 4 e 5 sono di nuovo i valori di 'p' e 'q' . .Ma quest'ultima è negata, per cui
prenderà i valori di 6; ora sulla base di 4 e 6 calcoliamo i valori assunti dal funtore 'A' riportati in 7; da ultimo calcoliamo il funtore centrale 'A' sulla base di 3 e 7 ed abbiamo i valori di 8. Vediamo cosf che la formula è una contraddizione. B)
_e__q_ (p
v
q)
l l
l l l
l
l
3 2
l l
l
o o l o o
~
l l
p l l
o o o o l o o o l o -5 4
l e 2 sono i valori di 'p' e 'q'; 3 è la matrice del funtore 'V'; 4 sono i valori di 'p'; 5 è la matrice dì '--?' calcolata in base a 3 e 4. La formula è una
proposizione anfotera o contingente.
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L'affermazione, la negazione e la loro opposizione VI. - L'affermazione è discorso dichiarativo di qualcosa attribuito a qualcosa, la negazione è discorso dichiarativo di qualcosa sottratto a qualcosa. D'altra parte poiché si può dichiarare sia che ciò che appartiene a qualcosa non vi appartiene, sia che ciò che non appartiene a qualcosa vi appartiene, sia che ciò che appartiene a qualcosa vi appartiene, sia che ciò che non appartiene a qualcosa non vi appartiene e, poiché lo stesso si può dire anche nei tempi diversi dal presente, qualcuno potrebbe anche negare tutto ciò che ha affermato ed affermare ciò che ha negato, talché è evidente che ad ogni affermazione si oppone una negazione e ad ogni negazione una affermazione'. E la contraddizione la chiamiamo una affermazione ed una negazione opposte; dico 'essere opposto' l'affermazione e la negazione della stessa cosa intorno alla stessa cosa tuttavia non equivocamente e con tutte le altre precisazioni adatte ad evitare le capziosità sofìstiche2• 1 "L'affermazione è discorso ... e ad ogni negazione una affermazione": si definiscono l'afferma?.ione e la negazione. E si aggiunge che dato che si può dichiarare 1) che ciò che appartiene a qualcosa non vi appartiene, es. 'Roma non è la capitale d'Italia'; 2) che ciò che non appartiene a qualcosa vi appartiene, es. 'il cane è una formica'; 3) che ciò che appartiene a qualcosa vi appartiene, es. 'Milano è in Lombardia'; 4) che ciò che non appartiene a qualcosa non vi appartiene, es. 'la penna non è una lampada', ebbene, ammesse queste possibilità, ap· pare evidente che dal punto di vista linguistico-formale possiamo negare tutto ciò che affermiamo e viceversa, talché risulta che ad ogni negazione si oppone una afferma?.ione e viceversa. Cfr. An. Post., I, 2, 72 a 12; e Met., I, 4, 1055 b 4. 2 "E la contraddizione .. . le capziosità sofistiche": per contraddizione Aristotele intende "una affermazione ed una negazione opposte", dove il termine 'opposto' significa affermare e negare la stessa cosa della stessa cosa, escludendo però i casi in cui l'equivocità - sulla quale giocavano i discorsi dei solisti non permette piu che si predichi o si neghi la stessa cosa della stessa cosa. Il concetto di contraddizione verrà meglio chiarificato nel capitolo seguente.
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L'universale e il singolare. L'opposizione delle proposizioni: contraddizione e contrarietà
V II. - Poiché ci sono cose universali e cose singolari - chiamo universale ciò che per natura può essere predicato di molti e singolare ciò che non lo può: 'uomo' per esempio fa parte degli universali, mentre 'Callia' fa parte dei singolari - , è necessario dichiarare che qualcosa appartiene, o non appartiene, ora in qualcosa di universale, ora in qualcosa di singolare'. Se qualcuno, dunque, dichiara che qualcosa appartiene e non appartiene ad Ull universale, presentato in forma universale, ebbene queste proposizioni risulteranno contrarie. E quando dico di dichiarare l'appartenenza e la non appartenenza a qualcosa di universale presentato in forma universale, intendo ad esempio 'ogni uomo è bianco', 'nessun uomo è bianco'. Quando si dichiara invece l'appartenenza e la non appartenenza alle cose universali non presentate però in forma universale, non si hanno proposizioni contrarie; tuttavia è possibile che le cose espresse siano contrarie. E quando dico di dichiarare l'appartenenza e la non appartenenza agli universali non presentati in forma universale, intendo ad esempio: 'uomo è bianco', 'uomo non è bianco)l. 'Uomo', pur essendo 1 "Poiché ci sono cose ... ora in qualcosa di singolare": si definiscono l'universale e il singolare. Il primo è un concetto che si predica di molte cose, come ad es. 'uomo', il secondo di una sola cosa, come ad es. 'Callia'. Tale distinzione fa comprendere l'ulteriore distinzione tra proposizioni a soggetto universale e proposi~ioni a soggetto singolare. 2 "Se qualcuno, dunque, ... : 'uomo è bianco', 'uomo non è bianco"': in questo brano Aristotele traccia altre importanti distinzioni. Cosi si distingue tra l'universale assunto senza determinazione alcuna ('uomo') c l'universale preso
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CAPITOLO SETTIMO
infatti un universale, non è usato come universale nella proposizione, perché 'ogni' non significa l'universale, ma che il nome è assunto universalmente. Per altro verso, predicare un predicato universale, presentato in forma universale, non costituisce una proposizione vera: non ci sarà, infatti, nessuna affermazione in cui del predicato venga predicato universalmente l'universale, per esempio 'ogni uomo è ogni animale". Dico dunque che un'affermazione si oppone contraddittoriamente ad una negazione, quando una di esse esprime una cosa in forma universale e l'altra esprime la stessa cosa in forma non universale, come ad esempio: 'ogni uomo è bianco'- 'non-ogni uomo è bianco'; 'nessun uomo è biancon specilìche determinazioni ('ogni uomo', 'nessun uomo', 'non ogni uomo', 'qualche uomo'). Ora se noi consideriamo le determinazioni 'ogni' e 'nessuno' avremo allora l'universale quantifìcato universalmente; se invece consideriamo i quantifìcatori 'non ogni' e 'qualche', l'universale sarà quantificato particolarmente; se, infine, l'universale viene assunto senza alcuna determina?.ione, l'universale sarà allora indeGnitamente quantifìcato. Fissati tali concetti, si dice che due proposizioni SO· no contrarie (Évcx.v·t{a;L) quando, pur avendo entrambe un soggetto universale ('uomo') universalmente quantificato, il quantifìcatore dell'una è positivo ('ogni uomo') e quello della seconda è negativo ('nessun uomo'), cosicché sono contrarie due propo· sizioni come 'ogni uomo è giusto', 'nessun uomo è giusto'. Però, non risulteranno contrarie due proposi?.ioni in cui il soggetto universale non è quantifìcato, ad es. 'uomo è bianco', 'uomo non è bianco'. Aristotele ci dice che tali proposizioni non si chiameranno contrarie, ma non ne fissa, peraltro, nessun altro nome con cui chiamarle. Riguardo al passo "tuttavia è possibile che le cose espresse siano contrarie", occorre notare che è poco chiaro c pertanto discusso. Comunque sia, Alessandro di Afrodisia ne dene la seguente spiegazione: l'universale indefinito potrebbe estrapolarsi e come un universale WJiversalmente quantifìcato ('uomo è razionale' 'ogni uomo è razionale', perché infatti ogni uomo è razionale) c come un universale particolarmente quantificato ('uomo i:: giusto'= 'qualche uomo è giusto', perché infatti qualche uomo è giusto); e allora, restando al primo caso ('uomo è razionale' = 'ogni uomo è razionale' 'uomo non è razionale' = 'nessun uomo è razionale'), possiamo dire che le "cose espresse sono contrarie" sebbene le due proposizioni non siano formalmente contrari~:. Il tutto non è certamente limpido. 3 '"Uomo', pur essendo infatti ... 'ogni uomo è ogni animale"': i quantifì.catori 'ogni' e 'nessuno' non significano l'universale, ma che l'universale è preso uni· versalmente. Comunque, essi, aggiunge Aristotele, non possono essere applicati ai predicati, infatti non avrebbe senso l'affermazione 'ogni uomo i:: ogni animale'. La quantifìcazione dei predicati è tuttavia possibile negli odierni calcoli logici puri formalizzati. Per il problema della quantificazione in Aristotele, cfr. A. PLEBE, Introduzione alla logica formale, cit., pag. 161 e segg.; J. LUKASIEWICZ, Aristotle's Syllogistic from the Standpoint of the Modern Formal Logic, cit., pag. 83 e segg.; si veda anche C. A. VIANO, La logica di Aristotele, cit., pag . .30 e segg. 4 "Dico dunque ... 'qualche uomo è bianco"': due proposizioni si oppongono contraddittoriamente ( av-t~tpa;.,;~xw~) quando siano di qualità e quantità opposte.
=
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L'UNIVERSALE E IL SINGOLARE
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co'- 'qualche uomo è bianco". Dico invece che un'affermazione si oppone in modo contrario ad una negazione, quando sia l'affermazione sia la negazione presentano la cosa in forma universale, come ad esempio: 'Ogni uomo è giusto'- 'nessun uomo è giusto'. È perciò impossibile che tali proposizioni contrarie siano vere contemporaneamente, mentre è possibile che siano allo stesso tempo vere quelle rispettivamente opposte ad esse e concernenti la medesima cosa, come per esempio: 'qualche uomo non è bianco' - 'qualche uomo è bianco'. In tutte le proposizioni contraddittorie, peraltro, riferentesi ad un universale, è necessario che l'una sia vera o falsa e cosf anche di tutte quelle che si riferiscono ad un singolare, ad esempio: 'Socrate è bianco' - 'Socrate non è bianco''. In tutte le contraddizioni, poi, che si riferiscono ad un universale, considerato non universalmente però, non sempre l'una è vera e l'altra falsa. In realtà, è insieme vero dire che 'uomo è bianco' e che 'uomo non è bianco', come pure dire che 'uomo è bello' e che 'uomo non è bello'. Poiché infatti se è brutto si dirà anche che non è bello; e, se diviene qualcosa, non è ancora questa cosa. Ciò di primo acchito sembrerebbe assurdo perché la proposizione 'uomo non è bianco' parrebbe significare al medesimo tempo che 'nessun uomo è bianco'; eppure le due pwposizioni non hanno lo stesso significato, né vanno neces• • 6 sar1amente congmnte. Cosi ad es. 'ogni uomo è bianco' - 'qualche uomo non è bianco' (questa è infatti l'equivalente a 'non ogni uomo è bianco'), e 'nessun uomo è bianco' 'qualche uomo è bianco', sono due coppie di proposi~ioni contraddittorie. In effetti, i due membri di ciascuna coppia sono qualitativamcnte (positivo-negativo) e quantitativamente (universale-particolare) differenti. ' "Dico invece ... 'Socrate non è bianco'": definite in tal modo le proposizioni contrarie e quelle contraddittorie, esse vengono esaminate nelle loro reciproche relazioni per quanto concerne la verità e la falsità. Le propoJi;;;ioni contrarie non possono essere entrambe vere, ma possono essere entrambe false: cosi, ad es., se è vero che 'ogni uomo è bianco', sarà falso che 'nessun uomo è bianco'; tuttavia, come in questo caso, possono essere entrambe false, mentre possono essere entrambe vere le proposi~ioni "rispettivamente opposte ad esse", vale a dire le cosiddette sub-contraric: 'qualche uomo non è bianco' - 'qualche uomo è bianco', particolari ma di qualità diversa. Le proposizioni contraddittorie sono, ci dice poi Aristotele, una vera e l'altra falsa; e cosi sembrerebbe che esse non si distinguano dalle contrarie che - come si è visto poco sopra - non possono essere insieme vere; ma c'è da badare che, in tale caso, queste potevano appunto essere entrambe false. • "In tutte le contraddizioni ... vanno necessariamente congiunte": per quanto invece concerne le proposizioni opposte con soggetto universale indefinito, occorre dire che esse non sono necessariamente vera l'una e l'altra falsa. SI, può, in effetti, parere che esse siano proposizioni con soggetto universale assunte universalmente,
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CAPITOLO SETTIMO
È evidente poi che vi è una sola negazione di una sola affermazione: bisogna che in tal caso la negazione neghi la stessa cosa affermata dall'affermazione, ed è necessario che la neghi riguardo la stessa cosa, sia singolare, sia universale, assunta in questo ultimo caso universalmente o non universalmente. Ecco un esempio di quanto intendo dire: 'Socrate è bianco' - 'Socrate non è bianco'. Se, peraltro, viene affermata o negata qualche altra cosa, oppure la stessa cosa ma riguardo ad un altro soggetto, non si avrà la proposizione opposta, ma si avrà una proposizione diversa da quella. Alla proposizione 'ogni uomo è bianco' si oppone 'non ogni uomo è bianco'; a quella 'qualche uomo è bianco', quella 'nessun uomo è bianco'; a quella infine 'uomo è bianco', quella 'uomo non è bianco>7. Si è detto cosi che una sola affermazione si oppone contraddittoriamente ad una sola negazione; e quali siano queste; si è detto che le proposizioni contrarie sono diverse da queste, precisando quali siano; ~che non ogni proposizione contraddittoria è vera o falsa, e perché e quando è vera o falsa 8 •
c in questo caso si darebbe che esse sarebbero una vem e l'altra falsa; ma esse possono pure corrispondere a proposizioni con soggetto universale particolarmente quantifìcato, ed allora non sarebbe piu necessario per esse essere l'una vera c l'altra falsa, potrebbero infatti essere entrambe vere. 7 "È evidente poi ... quella 'uomo non è bianco'": si fa attenzione a che in queste proposizioni opposte le predica:doni concernano sempre certe cose di certe altre cose, perché se non fosse cosi, si verificherebbe che, ad es., una negazione non negherebbe quello che prima si è affermato pokhé nella affermazione non si è aiiermata una soh cosa. 8 "Si è detto, che ... e perché e quando è vera o falsa": in tale capitolo Aristotele ha abbozzato due importanti fatti logici: il primo è la teoria della quantifì.cazione il secondo è il celebre quadrato dell'opposizione. Per teoria della quantificazione si intende la teorizzazione, o sistemazione teorica, di quelle entità linguistiche come 'ogni' o 'qualche', chiamati appunto quantificatori, in quanto si riferiscono alla estensione di un termine determinandone la quantità. I quantifica/ori sono termini sincategorematici, termini cioè che per aver significato si devono appoggiare a qualcos'altro, a differenza di quelli categorematici che significano di per sé, quali i nomi e i verbi. Ebbene, in vista del quadrato dell'opposizione, servono da quantificatori, quello universale 'ogni' e qurdlo particolare 'qualche', che, trascritti in simboli, si scrivono, rispettivamente (x) e (:~ x). Ora dunque, Aristotele, in questo capitolo, ha enucleato quattro tipi di proposizioni, chiamate categoriche, che si considerano asserzioni intorno a classi con cui si afferma o St nega che una classe sia inclusa del turto o in parte in un'alttu. Le forme normali delle proposizioni categoriche sono le seguenti: l) Tutti gli uomini sono giusti 2) Nessun uomo è giusto
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L'UNIVERSALE E IL SINGOLARE
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3) Qualche uomo è giusto 4) Qualche uomo non è giusto. La loro traduzione in termini simbolici è: che si legge: per ogni x, se x è x-> c)Jx)
Le quattro lettere A, E, I, O, sono i nomi che i logici medioevali han convenzionato per le proposizioni categoriche (E, O, da nEgO e A, I da Adfh·mo) per cui, disponendo opportunamente le forme normali delle proposizioni categoriche, si olliene il clas.rico quadrato dell'opposizione:
dotJC appunto il, E sono una vera c l'altra falsa, non fuw;mlo essere entrambe vere, ma possono essere emrambe false; A, O ed E, I sono sempre l'tma vera e l'altra falsa e non possono essere né entrambe vere né entrambe false; I, O sono una vera e l'altra falsa, ma posso110 essere entrambe vere; I e O sono implicate rispettivame11te da A e B. Ora, occorre notare che tale quadrato non è stato concepito comi! un elegante gioco, ma si è ritenuto che le relazioni logiche illustrate con il presente diagramma fornissero una base logica per garantire la validità di certe elementari forme di ragionamento, e queste sono quelle che concernono le inferen7.e:: immediate, dove per inferenza immediata s'ha da intendere una inferenza in cui la conclusione scaturisce dalle premesse immediatamente, vale a dire senza la mediazione di una seconda premessa. Cosi un siltogismo è una inferenza mediata, mentre l'inferenza: 'tutti gli uomini sono pjusti, perciò qualche uomo è giusto' è immediata. E il tradizionale quadrato ci offri! la base logica per rm considerevole numero di simili inferem:.e immediate che possono essere cosi elencate: l) 2) .3) 4) 5) 6) 7) 8)
A è vera: E è falsa, I è vera, O E è vera: A è falsa, I è falsa, O I è vera: E è falsa, A e O sono O è vera: A è falsa, E e I sono A è falsa: O è vera, E e I sono S,• E è falsa: I è vera, A e O sono Se I è falsa: A è falsa, E è vera, O Se O è falsa: A è vera, E è falsa, I Se Se Se Se Se
è falsa è vera indeterminate indeterminate indeterminate indeterminate è vera è vera.
Altri tipi di inferenze immediate so1zo quelli che si ottengotto per conver. sione, per obversionc l! per contrapposizione. La conversione si ha per me:r.zo dello scambio ddle posizioni rispettive dei termini del soggetto e del predicato di una proposizione. Questa è la conversio simplex e vale per E ed I; O non ha conversa ed A l'ha, come si dice, per accidens, nel senso che oltre a cambiare la posizione dei termini occorre cambiare anche la quantità della proposizione da universale a particolare, es. 'tutti i cani sono a11imali', ha per conversa 'alcuni
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CAPITOLO SETTIMO
animati sono cani'. Si ha obversione quando il termine-soggetto rimane immutato, e, immutata rimane anche la quantità della proposizione da obvertire, ma si scambia la qualità, si sostituisce il termine-predicato con il suo complemento (cfr. per il concetto di classe complemento nota 4 del cap. II). L'oh versione vale per tutte e quattro te proposizioni categoriche. Si ha contrapposizione se in una proposizione categorica si sostituisce il suo termine-soggetto con il complemento del suo termine-predicato e insieme il suo termine-predicato con il complemento del suo termine-soggetto. L'obversione vale per A e per O, I non ba obversa, O solo per acddens. Riassumiamo questi tipi di inferenze immediate con il seguente prospetto: CoNVERSIONE
Conversa
Convertcnda
A: Ogni S c\ P,
I: Qualche S è P
E: Nessun S è P, I: Qualche S è P, 0: Qualche S non è P,
E: Nessun P è S I: Qualche P è S
(per accidens) Non c'è conversa OllVF.RSIONE
A: E: I: 0:
Obvertenda Ogni S è P, Nessun S è P, Qualche S è P, Qualche S .non è P,
Obversa E: Nessun S è non-P A: Ogni S è non-P O: Qualche 5 non è non-P
I: Qualche 5 è non-P CONTRAPPOSIZIONE
Premessa A: Ogni S è P, E: Nessun S è P, l: Qualche S è P, 0: Qualche S non è P,
Contrapposta A: Ogni non-P è non-5 0: Qualche non-P non è non-S (per limitazione) Non c'è contrapposta 0: Qualche non-P non è non-S
Per la traduzione delle proposizioni categoriche nell'algebra di Boole e nei diagrammi di Venn, cfr. L CoPI, Introduzione alla logica, cit., pp. 187-196.
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L'unità e la pluralità delle proposizioni. Le proposizioni equivoche e loro opposizione
VIII. - È una l'affermazione o la negazione che significano una sola cosa di una sola cosa, sia che ci sia un universale assunto universalmente, sia che non sia cosf. Diamo i seguenti esempi: 'ogni uomo è bianco'- 'ogni uomo non è bianco', 'uomo è bianco' - 'uomo non è bianco', 'nessun uomo è bianco' - 'qualche uomo è bianco', a condizione che 'bianco' significhi una sola cosa'. Se invece un unico nome si dà a due cose, che non sono la stessa cosa, allora non vi è una sola affermazione; come per esempio se qualcuno ponesse il nome 'vestito' a cavallo e a uomo, la proposizione 'vestito è bianco' non risulterà una sola affermazione - né questa avrà una sola negazione. Tale proposi:done infatti non è differente dal .lire 'cavallo e uomo sono bianchi', e ciò equivale a dire: 'cavallo è bianco' e 'uomo è bianco''. Se, pertanto, tali proposizioni significano molte cose e sono molte, è evidente allora che anche la prima proposizione o significa molte ' "È una l'affermazione ... significbi una sola cosa": ci si pone la questione di quando una proposizione, affermativa o negativa che sia, possa dirsi "una", c il quesito vien risolto nel senso che la proposizione è una se "significa una sola cosa di una sola cosa", come si vede dagli esempi addotti. 2 "Se invece un unico ... 'cavallo è bianco' e 'uomo è bianco"': non si ha un'unica proposizione se s'impone un sol nome a due cose diverse. Cosi, esemplifica Aristotele, se il nome 'vestito', vicn posto a uomo c cavallo, la proposizione 'vestito è bianco' non costituirà una affermazione unica. In essa si celeranno, piuttosto, due affermazioni, poiché essa equivale a dire 'cavallo e uomo sono bianchi' che, a sua volta, equivale alle due affermazioni: 'uomo è bianco' c 'cavallo è bianco'.
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CAPITOLO OTTAVO
cose o non significa nulla - , infatti non vi è un uomo-cavallo' Conseguentemente in queste proposizioni non è neppure necessario che l'una proposizione contraddittoria sia vera e che l'altra sia falsa•.
' "Se, pertanto, tali proposizioni ... , infatti non vi è un uomo-cavallo": pertanto la proposizione 'vestito è bianco' non è una sola, perché 'vestito' ha due significati; se inoltre si desse - supponiamolo per assurdo - che 'vestito' non avesse un duplice significato, cosa questa che è stata già ammessa, rimarrebbe allora da dire che tale termine "non significa nulla". E non significa nulla perché dovrebbe avere luogo che le due cose significate da un unico nome fossero una sola cosa, ma questo è impossibile per il semplice fatto che non esiste una cosa che è uomo-cavallo. 4 "Coltsegucntementc in queste ... e cbc l'altra sia falsa": di conseguenza si ha che in proposizioni quale 'vestito è bianco', dove 'vestito' non ha un significato univoco, non è necessario "che l'una proposizione contraddittoria sia vera e che l'altra sia falsa". E ciò è evidente nella negazione dove, ad es., noi potremmo negare qualcosa di diverso da quanto abbiamo inteso affermare.
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L'opposizione dei futuri contingenti
IX. - Riguardo alle cose che sono e a quelle che sono state, è necessario dunque che tra l'affermazione e la negazione una risulti vera e l'altra falsa; e sempre delle affermazioni e negazioni degli universali assunti universalmente l'una è vera e l'altra è falsa, e anche delle affermazioni dei singolari l'una è vera e l'altra è falsa, come si è già detto. Mentre non è necessario sia vera l'una e falsa l'altra di quelle dette di un universale preso però non universalmente e anche di questo abbiamo già parlato'. Tuttavia, per quanto riguatda le proposizioni singolari in tempo futuro le cose non stanno cosi'. Infatti se ogni affermazione o negazione è veta o falsa, è anche necessario che ogni cosa realmente sussista o non sussista; di conseguenza quando uno dice che qualcosa sarà ed un altro invece negherà questa stessa cosa, risulta allora evidente che necessariamente dice la verità uno di essi, dato che ogni af-
fermazione è vera o falsa. Affermazione e negazione, infatti, non ineriranno insieme a queste cose. In effetti, se è vero dire che una cosa è bianca oppure che non è bianca, allora essa satà necessariamente bianca, oppure non satà bianca, e d'altra parte se una cosa è bianca, oppure non è bianca, allora era vero affermare o negare. Ugualmente se il bianco o il non bianco non si dà, 1 "Riguardo alle cose cbe ... , e ancbe di questo abbiamo già parlato": viene riassunto quanto finora si è detto sulla verità c falsità delle proposizioni col verbo al presente e al passato e con soggetto universale o singolare. 2 "Tuttavia, per quanto ... le cose non stanno cosi": a questo punto, tuttavia, Aristotele si pone il problema se le proposizioni in tempo futuro e con soggetto singolare si comportino, riguardo alla verità e alla falsità, come le alrre. L'indagine su questo tipo di proposizioni viene condotta avanti, da una parte, facendo vedere come dovrebbero funzionare le proposizioni al futuro c con soggetto singolare se venissero incasellate nel modello delle altre, e rilevando poi, in un secondo mo· mento, le assurdità cui andrebbe incontro un simile incasellamento.
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CAPITOLO NONO
allora si dice il falso, se è detto il falso allora non si dà. Talché è necessario che sia vera o l'affermazione o la negazione'. Ed allora nulla è né diviene per caso o secondo due possibilità indifferenti, e nulla potrà essere o non essere; e tutte le cose risultano determinate per necessità e non indeterminatamente - difatti dice la verità colui che afferma o colui che nega -poiché altrimenti qualcosa potrebbe indifferentemente prodursi o non prodursi; infatti l'indeterminazione non consiste o consisterà che nell'essere in un modo o in un altro•. Inoltre se una cosa ora è bianca, era vero dire prima che sarebbe stata bianca, cosicché di qualunque cosa di quelle che divengono era sempre vero dire che sarebbe stata; e se era sempre vero dire che è o sarebbe stata, non è possibile che questa cosa non fosse c neppure che non fosse stata. Ma ciò che non è possibile che non si dia, è impossibile che non avvenga; e ciò che è impossibile che non avvenga, è necessario che avvenga: perciò tutte le cose che sarebbero state è necessario che siano avvenute. E quindi niente sarà indeterminatamente o fortuitamente; infatti se qualcosa avvenisse per caso, non sarebbe piu determinato per necessità5 • Ma neppure è possibile dire che nes' "Infatti se ogni affermazione o negazione ... è necessario che sia vera o l'affermazione o la negazione": si formula con tale passo una prima ipotesi che chiameremo di incasellamento. Difatti perché una affermazione o negazione possano essere vere o false, occorre, di necessità, che ciò che viene affermato o negato esista o non esista nella realtà. Ciò appunto, se l'ipotesi di incasellamento valesse, farebbe si che delle due proposizioni opposte e in tempo futuro una sarebbe vera e l'altra falsa, c questo perché è impossibile che nella realtà si dia c non si dia la stessa cosa che viene affermata e negata. Se è vera l'affermazione, allora è falsa la negazione, se la negazione è vera l'affermazione è falsa. • "E allora nulla è ... consisterà che nell'essere in un modo o in un altro": si dà in questo passo la prima confutazione della ipotesi-incasellamento. Se ogni proposizione a soggetto singolare in tempo futuro è vera o falsa, allora ciò che essa dice dovrà necessariamente accadere o non accadere. In altre parole, se l'affermazione è vera avrà luogo ciò che essa afferma, se, invece, è vera la nega7.ionc allora avrà luogo quello che essa nega. Ma affinché tutto questo sia valido, noi dobbiamo eliminare l'idea che qualcosa possa avvenire fortuitamente, vale a dire che tale qualcosa possa aver luogo o non aver luogo. Ma che nessuna cosa possa avvenire indeterminatamente è palesen1ente assurdo. Per cui occorre concludere che, per quel che concerne la verità e la falsità, le proposizioni a soggetto singolare in tempo futuro non si comportano come le altre proposizioni. ' "Inoltre se una cosa ora è bianca ... se qualcosa avvenisse per caso, non sarebbe pitl determinato 11er necessità": Aristotele d presenta con questo brano la seconda confutazione sempre della prima ipotesi. Se noi accettiamo che le proposizioni a soggetto singolare in tempo futuro, riguardo alla verità o falsità, si comportano come le altre, dobbiamo dire allora che la necessità è la legge suprema dell'intera realtà. Infatti, se una cosa ora è bianca, doveva dirsi che era bianca
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L'OPPOSIZIONE DEI FUTURI CONTINGENTI
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suna delle due proposizioni (opposte, singolari, e al fu turo) sia vera, per esempio che né sarà né non sarà•. E questo perché, anzitutto, risulterebbe che, essendo l'affermazione falsa, la negazione non è vera e che, se questa è falsa, l'affermazione non è vera7 • E poi, se è vero dire che una cosa è bianca e grande, bisogna allora che entrambi (il bianco e il grande) sussistano realmente e, se è vero dire che sussisteranno domani, domani sussisteranno. Se invece è vero dire chè qualcosa né sarà né non sarà domani, non ci sarebbe allora ciò che è indeterminato, come ad esempio una battaglia navale: bisognerebbe infatti dire che una battaglia navale né si verifica né non si verifica'. Queste ed altre simili sono le assurdità che si incontrano se è necessario che fra ogni affermazione e negazione- sia di cose universali prese universalmente, sia di cose singolari - l'una sia vera e l'altra falsa, e che nessuna cosa di ciò che avviene sia indeterminata, ma che tutte le cose siano e divengano per necessità•. In questa maniera non occorrerebbe che noi prendessimo delle decisioni né che ci impegnassimo in qualche cosa, come se facendo questo, questo accadesse e non facendolo, non avvenisse. Nulla vieta infatti che uno predka anche diecimila anni prima che una cosa accadrà e che un già prima che lo fosse. Talché se era vero dire che una cosa era bianca anche prima che lo fosse, era allora necessario che fosse bianca, vale a dire che non era possibile che non fosse bianca. E cosi tutto avverrebbe per necessità e nessuna cosa avrebbe luogo indeterminatamente. Ma questo è assurdo. Per cui vale di nuovo la conclusione che le proposizioni a soggetto singolare in tempo futuro non si comportano come le altre. 6 "Ma nepfJure è possibile ... che m! sarà né non sarà": siamo alla seconda ipotesi interpretativa del funzionamento delle proposizioni a soggetto singolare e in tempo futuro. Vien posta la questione se di due tali proposizioni, opposte, nessuna delle due sia vera, per cui si avrebbe che quello che esse dicono né accadrà né non accadrà. Sempre con due confutazioni Aristotele afferma che questa seconda ipotesi è assurda. 7 "E questo perché ... r: che, se questa falsa, l'affermaziom: non è vera": abbiamo in questo passo la prima con/utazione della seconda ipotesi. Infatti, ammessa tale ipotesi, si avrebbe che una affermazione e una negazione concernente la stessa cosa non sarebbero opposte. L'affermazione sarebbe falsa e la negazione non vera. E questo è palesemente assurdo. 8 "E poi ... né si verifica né non si verifica": è questa la seconda confutazione della seconda ipotesi. Se, in effetti, si accetta la seconda ipotesi sopra considerata, si dovrà in tal caso trarre la conseguenza che la realtà non debba necessariamente avvenire in alcun modo, cosicché si eliminerebbe pure l'indeterminato. Per esemplificare: considerando una battaglia navale proiettata nel futuro, domani per es., si avrebbe che essa né avrebbe luogo né non avrebbe luogo. E questo è, ancora, assurdo. • "Queste ed altre simili ... siano e divengano per necessità": si conclude che, date le due ipotesi, si cade nelle assurdità ora esposte.
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CAPITOLO NONO
altro neghi cto, dal momento che necessariamente avverrà quella delle due cose che era vero dire allora'•. E neppure ha importanza che certuni abbiano espresso o meno delle proposizioni contradditto· rie. In realtà, è evidente che le cose sono quelle che sono anche se un uomo non ha affermato qualcosa ed un altro non l'ha negato; infatti qualcosa sarà o non sarà non per il fatto che è stato affermato o negato, anche se ciò si verificherà fra diecimila anni piuttosto che in qualsiasi altro momento di tempo. Conseguentemente se in ogni tempo si è dato che l'una delle due proposizioni (affermazione o negazione) fosse vera, era necessario che questa si realizzasse, e che tutto ciò che avveniva sia sempre tale da avvenire per necessità. Infatti ciò che qualcuno disse con verità che sarebbe avvenuto, non era possibile che non avvenisse, come, d'altronde, era sempre vero dire che sarebbe stato ciò che è accaduto". Fuori di dubbio tutte queste conseguenze sono impossibili. Ed infatti vediamo che le cose future prendono ptincipio dalle delibe· razioni e dalle azioni e che, generalmente, nelle cose che non sono sempre in atto vi è la potenza di essere e non essere e che in esse c'è una duplice possibilità di essere e di non essere e quindi anche di divenire e di non divenire. E molte cose ci appaiono evidentemente in questo stato. Cosi, per esempio, per questo vestito c'è la possibilità che venga tagliato in due, oppure non sarà tagliato, ma si logorerà prima. Ugualmente per tale vestito esiste la possibilità che non sia tagliato in due, infatti non sarebbe possibile che esso prima si logorasse se non fosse possibile che non venisse tagliato. Di consèguenza ciò si dirà pure per tutti gli altri tipi di divenire che hanno una simile potenza. È pertanto palese che non tutte le cose sono o divengono per necessità; si dirà piuttosto che alcune cose possono accadere indifferentemente in due modi, e allora l'affermazione non è niente affatto piu vera della negazione, e che per quanto concerne " "In questa maniera ... cose che era vero dire ai/ora": ma non basta, perché le assurdità cui si pervt:rrebbe accettando le due ipotesi sopra esposte, sarebbero ll!lcora di piu. Infatti se la legge della realtà fosse la necessità, verrebbe eliminata la possibilità delle decisioni umane, pcrch~ noi con lt: nostre decisioni non po· trcmmo cambiare nulla. " "E neppure ha importanza ... era sempre vero dire che sarebbe stato ciò che è accaduto": si espone qui un'ulteriore assurdità. Non ha, infatti, importam:a che si esprimano o meno delle proposizioni contraddittorie, perché la verità o la falsità di quanto si afferma o si nega dipende esclusivamente dal fatto che necessariamente accadranno certe cose in certi determinati modi, c questo a prescindere dal fatto che ciò sia stato espresso o meno.
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L'OPPOSIZIONE DEI FUTURI CONTINGENTI
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altri oggetti una delle due possibilità è preminente e si verifica con maggior frequenza, sebbene possa capitare che si verifichi anche la seconda possibilità, talché, allora, non si verificherà piu la prima". È necessario dunque che ciò che è sia, quando è, e che ciò che non è non sia, quando non è; non è però necessario che tutto ciò che è sia c che tutto ciò che non è non sia. In effetti l'essere per necessità di tutto ciò che è, quando è, non è lo stesso che l'essere per necessità, assolutamente". La medesima cosa vale anche per ciò che non è. E pure per la contraddizione vale lo stesso discorso: è necessario che ogni cosa sia o non sia, come anche che sarà o non sarà, ma tuttavia non è possibile dire quale delle due cose sia necessaria, se le prendiamo separatamente. Con ciò, per esempio, intendo affermare che 'necessariamente domani avrà luogo ovvero non avrà luogo una battaglia navale' ma 'non è necessario che domani abbia luogo una battaglia navale', né d'altronde 'è necessario che domani tale battaglia non abbia luogo', piuttosto 'è necessario che essa avvenga o non avvenga' 14 • Cosicché, dato che i discorsi sono " "Fuori di dubbio ... allora, non si verificherà pitl la prima": è chiaro dunque;, che le conseguenze sopra tratte sono impossibili, e lo sono perché o;) alcune delle cose future dipendono indubbiamente dalle nostre decisioni e ~) perché le cose che non sono sempre in atto possono essere c non essere c pertanto divenire e non divenire. Cosi, per c=sempio, se abbiamo un vestito noi vediamo che per esso esiste una duplice possibilità o di essere tagliato in due oppure che si logori prima che venga tagliato. Di conseguenza si dovrà ammettere che non tutte le cose avvengono secondo la legge della necessità, che per esse è possibile divenire in un modo piuttosto che nell'altro; e ciò vale pure per quelle cose che accadono con piu frequenza in un certo modo piuttosto che in un altro, perché infatti non è impossibile che accadano in quest'altro modo. E perciò l'afferma?.ione o nega?.ionc in tempo futuro non sarà necessariamente vera o falsa, per il semplice fatto che potrà accadere pure il contrario di quanto è stato affermato o negato. 13 "È necessario dunque ... per necessità, assolutamente": qua giunti, vediamo che "è necessario ... che ciò che è sia, quando è, c che ciò che non è non sia, quandG non è", vale a dire che quando una cosa è accaduta dobbiamo necessariamente dire che è accaduta; tuttavia "non è però necessario che tutto ciò che è ~ia e che tutto dò che non è non sia", nel senso che proiettandoci nel tempo al di là di alcune cose prima che queste accadessero, potre=o dire che non era necessario che queste accadessero. E questo perché la necessità che si riscontra post factum non è la stessa cosa che la necessità assoluta attanagliante tutte le cose. 14 "La medesima cosa ... che essa avvenga o non avvenga": da quanto si è venuto esponendo si deduce che la veri-tà della necessità di una proposi?.ione a soggetto singolare in tempo futuro sta nell'alternativa presa nella sua interezza. Vale a dire che è vero, per est!mpio, affermare che 'è necessario che domani avrà luogo o non avrà luogo una battaglia navale'. Tale alternativa è necessariamente vera, ma le sue parti, prese separatamcnte, hanno la medesima possibilità di esse-
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CAPITOLO NONO
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veri in conformità alle cose, è evidente che di tutte le cose, tali da accadere, indifferentemente, in due modi, secondo possibilità contrarie, è necessario che sia ugualmente possibile anche la proposizione contraddittoria. E questo si dà per le cose che non sono sempre o per quelle cose che non sempre non sono. In tali casi è infatti necessario che una delle due parti della contraddizione sia vera e l'altra invece falsa, ma non è comunque necessario che una determinata parte sia vera o falsa; c'è piuttosto indifferenza riguardo alle due possibilità; e anche se una delle due risulti piu vera, la verità e la falsità non è già data". Risulta chiaro, pertanto, che di ogni affermazione o negazione opposte, non necessariamente l'una sarà vera e l'altra falsa; infatti quanto vale per le cose che sono, non vale allo stesso modo per quelle che non sono, che invece hanno la possibilità di essere o di non essere. Le cose piuttosto stanno come si è detto'•. re vere o false. E questo perché "è necessario che ogni cosa sia o non sia, come anche che sarà o non sarà, ma tuttavia non è possibile dire quale delle due cose sia necessaria, se la prendiamo separatamc11te ". 15 "Cosicché, dato che ... la verità e la falsità non è già data": si ritorna alla conclusione di cui alla nota 14, con riferimento, questa volta, alla realtà significata dalle proposizioni. In breve, si afferma che se la realtà espressa da una proposizione a soggetto singolare in tempo futuro è indeterminata, sarà allora indeterminata pure tale proposizione, cioè essa non potl'à esse1·e necessariamente vera o falsa. 16 "Risulta chiaro, pertanto ... stanno come si è detto": il capitolo si conclude con la risposta all'interrogativo posto all'inizio del capitolo stesso, in cui si chiedeva se le proposizioni a soggetto singolare in tempo fu turo si comportassero, per quanto concerne la verità e la falsità, come le altre proposizioni. E la risposta, appunto, è che - date le assurdità a cui conducono le ipotesi tendenti ad assimilare tali proposizioni alle altre - le proposi:doni con soggetto singolare c al futuro risultano essere indeterminate per quel che concerne la loro verità e falsità. Sul problema delle proposizioni con tempo futuro e a soggetto singolare, cfr. C. A. VIANO, La logica di Aristotele, Torino, 1955, p. 33 e segg.,- e E. RrONDA'l'O, La teoria aristotelica dell'enunciazione, Padova, 1957, p. 86 e segg. Su tutto questo capitolo, la cui ,-eda:r.ione è, con molta probabilità, posteriore al resto del trattato, si potrà, inoltre, consultare l'opera ormai classica di J. ÙiEVALIER, La Notion du Nécessaire chez Aristate et chez ses prédéccsscurs, Paris, 1915, pag. 115 e segg., e soprattutto pp. 272-274. La teoria aristotelica dei "futuri contingenti" pare essere stata costruita come risposta ai Megarici, e specificatamente a Diodoro Crono e a Filone, che deducevano dal principio di contraddizione un fatalismo assoluto. Si vedano, a proposito, Mctaph., e, 3; CICERONE, De Fato, 17; o. HAMELIN, Le Système d'Aristate, Paris, 1920, p. 167,- J. MARITAIN, Petitc logiquc, 6' éd., Paris, 1923, p. 166; si può anche vedere il vecchio A. RONDELET, Théorie logiquc cles Propositions modales, Paris, 1861, p. 18 e segg. Su tale argomento c'è, ormai, una letteratura immensa. Ma sull'intera problematica dell'argomento in questione, cfr. V. SAINATI, op. cit., pp. 240-261.
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lO
Le opposizioni nelle proposizioni de secundo adjacente, e nelle proposizioni de tertio adjacente, a soggetto definito o indefinito X. - Poiché l'affermazione significa qualcosa intorno a qualche altra cosa, e questa è un nome o qualcosa che non è nome, e poiché nell'affermazione è necessario che vi sia una sola cosa attribuita ad una sola cosa - si è già detto prima cosa sia il nome e ciò che non è nome: non chiamo nome, infatti, 'non-uomo', ma nome indefinito; in realtà l'indefinito significa in qualche modo una sola cosa; come pure 'non corre' non è verbo, ma verbo indefmito- ogni affermazione sarà allora formata o da un nome e da un verbo, oppure c.Ia un nome indefinito e da un verbo. Senza verbo non vi è alcuna affermazione né negazione; 'è' o 'sarà' o 'era' o 'diviene' o altri simili verbi sono verbi secondo quanto si è detto in precedenza, dato che
consignificano una determinazione temporale'. Di conseguenza la prima affermazione e negazione sono: 'uomo è', 'uomo non è'; quindi 'non-uomo è', 'non-uomo non è'; ed inoltre: 'ogni uomo è', 'ogni uomo non è'; 'ogni non-uomo è', 'ogni non-uomo non è'. Lo stesso discorso vale poi per i tempi fuori del presente'. D'altra parte, quan1 "Poiché l'affermazione significa ... una determinazione temporale": vengono richiamate le rillessioni condotte nei capitoli precedenti sul nome, sul verbo, sui nomi indefiniti, sui verbi indefiniti, e si fissa l'attenzione sul fatto che per avere una affermazione c'è bisogno di un nome e di un verbo, oppure di un nome indefinito e di un verbo, e che senza la presenza di un verbo non c'è alcuna affermazione né alcuna negazione. 2 "Di conseguenza la prima ... per i tempi fuori del presente": se si prende un soggetto, assunto secondo le diverse possibili determinazioni (cfr. cap. VII), e lo si congiunge con il verbo 'essere' nei suoi diversi tempi, si ha il primo tipo di proposizioni, che possiamo chiamare esistenziali, o, come dicevano i Medioevali, proposizioni de secundo adiacente.
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CAPITOLO DECIMO
do 'è' viene predicato aggiuntivamente come terzo termine, allora le varie antitesi si formuleranno in duplice maniet·a. Sto parlando di proposizioni come 'uomo è giusto' e dico che 'è' -sia esso considerato nome o verbo - costituisce il terzo termine della proposizione'. E cosi per tale motivo, queste proposizioni saranno quattro, due delle quali si comporteranno nei riguardi dell'affermazione e della negazione, per quel che concerne l'ordine, come le privazioni, e due no. Voglio dire con ciò che il termine 'è' si aggiungerà a 'giusto' o a 'non-giusto' e cosi anche per la negazione. Si avtanno dunque quattro proposizioni. Chiarifichiamo con la seguente esemplificazione: 'Uomo è giusto', negazione di tale proposizione sarà 'uomo non è giusto'; 'uomo è non-giusto', la cui negazione sarà 'uomo non è non-giusto'. In tali casi 'è' e 'non è' si aggiungono a 'giusto' e a 'non-giusto'. Queste proposizioni si ordinano dunque in questo modo, come si dice negli Analitici. Similmente stanno le cose se si affermi con il nome assunto universalmente, come per esempio: 'ogni uomo è giusto', 'non-ogni uomo è giusto'; 'ogni uomo è non-giusto', 'non ogni uomo è non-giusto''. Senonché, le proposizioni diametralmente opposte non possono dirsi vere al medesimo tempo, ciò è possibile soltanto qualche volta'. Queste dunque sono due coppie ·' "D'altra parte, quando 'è' ... terzo termine della proposizione": quando si hanno un soggetto e un predicato uniti dalla copula 'è', che cosi "costituisce il terzo termine delle proposizioni", si avrà allora una proposizione copulativa. 4 "E cosi per tale motivo ... 'non ogni uomo è non-giusto"'; le antitesi dciJc proposi?:ioni copulative saranno quattro perché, da una parte, possiamo con 'è' unire il soggetto al predicato e con 'non è' separarli, e, d'altra parte, 'è' o 'non è' possono congiungere il soggetto al predicato negato {talché due proposizioni si comporteranno "per quanto concerne l'ordine come le privru:ioni"). Si avranno pertanto le seguenti quattro proposizioni: 'uomo è giusto' - 'uomo non è giusto', 'uomo è non-giusto' - 'uomo non è non-giusto'. La medesima cosa vale nel caso in cui il soggetto 'uomo' sia assunto universalmente, particolarmente e indefinitamente {cfr. per le proposizioni a soggetto indefinito la nota n. 6). Il passo degli Analitici richiamato è: An. Pr., I, 46, 51 b 36-52 a 17. 5 "Senonché, le proposizioni diametralmente oppnste non possono dirsi vere al medesimo tempo, ciò è possibile soltanto qualche volta": tale passo presenta delle evidenti difficoltà che tuttavia paiono essere state chiarite dalle riflessioni di Ammonio e, in tempi piu recenti, del WAITZ. Per capire, dunque, cosa Aristotele voglia dire con 'diametralmente', occorre schematizzare le opposizioni esposte nel presente capitolo (cfr. nota 4 e nota 6) nel modo seguente:
2 - 'Uomo non è giusto' 3 - 'Uomo è non-giusto'
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LE OPPOSIZIONI NELLE PROPOSIZIONI
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di proposizioni opposte, ma si hanno poi altre due coppie quando qualcosa venga aggiunto a 'non-uomo' come soggetto: 'non-uomo è giusto', 'non-uomo non è giusto'; 'non-uomo è non-giusto', 'nonuomo non è non-giusto'. Non sarà possibile ottenere un numero superiore di antitesi. Le ultime di cui si è fatto menzione però sono per sé, separate dalle altre, poiché usano come nome l'indefinito 'non-uomo''. Nei casi in cui 'è' non appare, come in 'stare in salute' e 'camminare', tali verbi assolvono la stessa funzione che se fosse applicato 'è'. Ad esempio 'ogni uomo sta in salute', 'ogni uomo non sta in salute'; 'ogni non-uomo sta in salute', 'ogni non-uomo non sta in salute' 7 • In effetti non si deve dire 'non ogni uomo', ma la negazione 'non' si deve porre davanti a 'uomo'; l''ogni' infatti non significa l'universale, ma che la cosa è assunta universalmente. E ciò risulta evidente da questo: 'uomo sta in salute' -'uomo non sta in salute'; 'non-uomo sta in salute' - 'non-uomo non sta in salute'; tali proposizioni infatti si diversificano da quelle per il fatto che non sono assunte universalmente. L'' ogni' e il 'nessuno', conseguentemente, aggiungono al significato soltanto che l'affermazione e la ~----------------------
l, - 'Ogni uomo è giusto'
2, - 'Non-ogni uomo è giusto'
4, - 'Non-ogni uomo è non-giusto'
3, - 'Ogni uomo è non-giusto'
b - 'Non-uomo è giusto'
2, - 'Non-uomo non è giusto'
4, - 'Non-uomo non è non-giusto' 3, - 'Non-uomo è non-giusto' -'--------------- ------- .. Ebbene "le proposi:doni diametralmente opposte" sono: l c 3, 2 c 4; 1, c 3,, 2, e 4, ecc., dove vediamo che le proposizioni l c 3 e 2 e 4 possono essere vere, a condizione che il soggetto non sia assunto universalmente, mentre 1t e 3, non possono essere entrambe vere, ma lo possono essere 2, c 4, (cfr. per i quadri esposti, G. COLI.T, op. cit., pp. 778-779). • "Queste dunque sono ... come nome l'indefinito 'non-uomo"': vengono esplicitate le rimanenti due coppie di proposizioni in cui una classe complemento funge da soggetto; proposizioni esposte alla nota 5 come terzo gruppo del quadro. Si aggiunge che, le antitesi di cui si è parlato sopra, esauriscono le possibilità di opposizioni delle proposizioni esaminate. 7 "Nei casi in cui 'è' non appare ... 'ogni non-uomo lton sta in salute"': in quelle proposizioni in cui il verbo è diverso da una voce del verbo •essere', quest'altro verbo svolge la medesima funzione del verbo 'essere'. Infatti dire 'Luigi cammina' è come dire 'Luigi è camminante'. Tali proposizioni i Medioevali le chiamarono de secundo adjacente ex verbo adiectivo, o, semplicemente, ex verbo adiectivo, e si comportano come quelle esistenziali.
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CAPI'l'OLO DECIMO
negazione del nome sono prese universalmente. Le altre parti della proposizione debbono invece essere aggiunte identicamente'. Poiché all'affermazione 'ogni animale è giusto' risulta contraria la negazione 'nessun animale è giusto', è evidente che queste non saranno mai vere entrambe né contemporaneamente né riguardo la stessa cosa; mentre le opposte a queste talvolta lo saranno, come per esempio: 'non ogni animale è giusto' e 'qualche animale è giusto'•. Queste proposizioni conseguono l'una dall'altra: ad 'ogni uomo è non-giusto' consegue 'nessun uomo è giusto'; a 'qualche uomo è giusto' consegue l'opposta 'ogni uomo non è non-giusto': è necessario infatti che qualcuno sia giusto••. È inoltre chiaro che, riguardo alle cose singolari, se risulta vero rispondere ad una domanda con una negazione, sarà allora anche vera una risposta in forma affermativa; per esempio 'Socrate è sapiente?' 'No'. 'Socrate è dunque non-sapiente'. Riguardo agli universali, d'altra parte, l'affermazione detta in simile modo non è vera, è vera invece la negazione. Esemplifichiamo: 'Ogni uomo è sapiente?' 'No'. 'Ogni uomo è dunque non sapiente'. Tale affermazione è infatti falsa. Sarà vero dire piuttosto 'non ogni uomo è sapiente'; questa ultima però è l'opposta; quella invece è la proposizione contraria 11 • Le espressioni negative composte di nomi e di verbi indefiniti, come 'non-uomo' e 'non-giusto' potrebbero sembrare negazioni senza nome e verbo; ma non è cosL Infatti è necessario che sempre 1a negazione sia ' "In effetti non si deve ... invece essere aggiunte identicamente": Aristotele chiarifica qui che la nega<:ione 'non' non bisogna porla avanti al quantifìcatore, bensi avanti al soggetto, "infatti 'ogni' non significa l'universale, ma che la cosa è assunta universalmente". • "Poiché all'affermazione 'ogni animale è giusto' ... e 'qualche animale è ?,iusto"': si precisa ancora una volta quanto si era già detto al capitolo VII. Si tratta delle relazioni di verità tra le due proposizioni contrarie e le relazioni tra le proposizioni subcontrarie. 10 "Queste proposizioni ... è necessario infatti che qualcuno sia giusto": date le proposizioni contrarie e quelle subcontrarie, si indaga come alcune di queste proposizioni conseguano da altre di queste proposizioni, cioè siano tra di loro logicamente equipollenti; cosi ad es. 'ogni uomo è non-giusto' è equipollente con 'nessun uomo è giusto', e 'qualche uomo è giusto' con 'ogni uomo non è non· giusto'. 11 "È inoltre chiaro che .. . è la proposizione contraria": si hanno proposizioni equipollenti pure se queste sono a soggetto singolare, es.: 'Socrate non è sapiente' è equipollente alla proposizione 'Socrate è non sapiente'. Per le proposizioni a soggetto universale universalmente quantificato si ha che 'ogni uomo non è sapiente' non è equipollente a 'ogni uomo è non-sapiente', ma a 'non ogni uomo è sapiente'.
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LE OPPOSIZIONI NELLE PROPOSIZION!
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vera o falsa e chi dirà 'non-uomo' non dice niente di piu che con 'uomo', anzi avrà detto la verità o la falsità meno ancora, se non vi si aggiunge qualcosa". Inoltre 'ogni non-uomo è giusto' non significa la stessa cosa di nessuna delle proposizioni precedenti, e lo stesso avviene per l'opposta ad essa 'ogni non-uomo non è giusto'; piuttosto 'ogni non-uomo è non-giusto' significa la stessa cosa di 'nessun non-uomo è giusto'". I nomi e i verbi, anche se permutati, significano la stessa cosa, per esempio 'bianco è uomo', 'uomo è bianco'_ Se infatti non fosse cosi, vi sarebbero piu negazioni della stessa proposizione; ma è stato invece dimostrato che vi è una sola negazione di una sola affermazione. Difatti 'bianco è uomo' ha come negazione 'bianco non è uomo'; e se la negaz!o.ne di 'uomo è bianco' non è la stessa di quella di 'bianco è uomo', essa sarà o 'non-uomo non è bianco' ovvero 'uomo non è bianco'. Senonché, la prima è negazione di 'non-uomo è bianco', l'altra di 'bianco è uomo'. Di conseguenza, una sola affermazione avrebbe due negazioni. È pertanto chiaro cbe permutando il nome con il verbo, l'affermazione e la ne· gazione risulteranno le stesse".
" "Le espressioni negative composte ... se non vt sz aggiunge qualcosa": si potrebbe essere indotti a pensare, ci avverte Aristotele, che espressioni come 'non-uomo' o 'non-giusto' siano dei tipi di negazioni senza nome e senza verbo, ma in effetti, ci dice subito Aristotele, le cose non stanno cosi perché tali espressioni non è possibile che siano vere o false, e ciò perché - come è stato detto verso gli inizi di questo capitolo - "senza verbo non vi è alcuna affermazione né negazione". " "Inoltre 'ogni non-uomo è giusto' ... la stessa cosa di 'nessun non-uomo è giusto"': le proposizioni che hanno il soggetto indefinito, universalmente quantificato, come per es. 'ogni non-uomo è giusto', non possono conseguire da quelle con soggetto universale, universalmente quantificato, e questo per il fatto che quando a un nome si prepon~ la negazione 'non', esso diventa indefinito, o, per esprimerci più tecnicamente, diventa una classe complemento, cambiando del tutto significato. 14 "I nomi c i verbi ... l'af!erma.r.ione e la negazione risulteranno le stessen: vien posto il problema se, cambiando, in una proposizione, il posto ai nomi e ai verbi, la proposizione muti significato c si aggiunge che appunto la proposizione non muta significato; dr., a proposito, la not~l 8 del cap. VII per quanto riguarda la permutazione.
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Proposizioni composte
XI. - Affermare o negare una sola cosa di molte cose, oppure molte cose di una sola cosa, non costituisce un'unica affermazione o un'unica negazione, a meno che ciò che è composto di parecchie cose non formi una certa unità. E non dico che una cosa è una nei casi in cui un solo nome viene detto di molte cose, senza che queste formino una effettiva unità. 'Uomo', ad esempio, è ugualmente 'animale', 'bipede' e 'mansueto', ma da queste determinazioni si costituisce, inoltre, un qualcosa che è uno. Dal 'bianco', dall''uomo' e dal 'camminare', per contro, non si costituisce un qualcosa che sia uno. E di conseguenza, neppure se qualcuno affermasse intorno a tali cose una sola cosa, si avrebbe un'unica affermazione, quanto piuttosto un unico suono di voce e parecchie affermazioni; ugualmente, se qualcuno affermasse queste cose intorno ad una sola cosa, non si otterrebbe un'unica affermazione, ma si darebbero molte affermazioni'. Cosi, se l'interrogazione dia1 "Affermare o negare un.t sola ... ma si darebbero molte affermazioni"; già nel cap. VIII si è parlato delle proposizioni che sono semplici, solo in apparenza però, mentre in realtà sono composte poiché o il soggetto o il predicato hanno piti che un significato. Nel presente capitolo si precisano questi concetti e si aggiunge che ci sono dci nomi che posti insieme significano una stessa cosa, e, infatti, se essi si predic1~no di tal cosa, si ha una sola affermazione o una sola negazione, cosf ad es. è una l'affermazione 'uomo è animale, bipede e mansueto'. Al contrario poi ci sono dei nomi che posti insieme paiono, in analogia con i precedenti, significare una sola cosa, ma in realtà le cose non stanno in queste modo, cosi ad es.: 'bianco', 'uomo', e 'camminare' non costituiscono ttna sola cosa, per cui, se si afferma che 'Socrate è uomo, bianco e camminante', non si ha una sola affermazione, sh•mo invece in presema di tre affermazioni.
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CAPITOLO UNDICESIMO
lettièa è domanda di una risposta o alla protasi o ad una delle due parti della contraddizione (e la protasi stessa è parte di una contraddizione) - allora non potrà esservi un'unica risposta all'interrogazione concernente molte cose, dal momento che la domanda non è unica, neppure se la risposta fosse vera. Di ciò si è parlato nei Topict. Al medesimo tempo è evidente che non è dialettica la domanda su ciò che una cosa è; infatti occorre che attraverso la domanda si conceda a chi risponde la scelta di dichiarare l'una o l'altra parte della contraddizione. Ma bisogna che chi interroga abbia precisato ad esempio se l'uomo ha una determinata natura oppure no3 • Poiché tra le cose che si predicano separatamente alcune si possono predicare congiunte, in modo che l'intera predicazione costituisce una unità, mentre altre non lo possono, ebbene quale sarà mai la differenza tra i due casi? In realtà, di 'uomo' è vero dire separatamente sia 'animale' sia 'bipede', e si possono altresi predicare congiuntamente in una unità; cosi pure è vero dire separatamente 'uomo' e 'bianco', e questi stessi come fossero una cosa sola. Ma, al contrario, se qualcuno è 'calzolaio' e 'buono', non è vero 2 "Cosi, se l'interrogazione dialettica ... Di ciò si è parlato nei Topici": se si ha una affermazione o una negazione che non sono una sola affermazione o negazione, allora, rispettivamente, si avrà una interrogazione dialettica che, pertanto, non sarà una sola poiché essa avrà una risposta che non è una sola (Cfr. An. Post., I, 2, 72 a 9; I, 12, 77 a 36, ecc.). L'interrogazione 'Socrate è uomo?' è una sola, anche se l'altra parte di essa è sottintesa: 'Socrate è uomo o non è uomo?' La prima interrogazione era solo la protasi (si domanda se Socrate è uomo) che è "patte di contraddizione", la seconda è l'interrogazione completa composta di due interrogazioni contraddittorie. Se poi si domanda 'Socrate è uomo, bianco e camminante?' evidente che anche in questo caso è sottintesa l'altra parte della contraddizione, (Socrate è uomo, bianco e camminante o non è uomo, bianco e camminante?), ma comunque la risposta non è una anche se essa fosse vera (vale a dire anche se fosse vero rispondere che 'Socrate è uomo, bianco e camminante'), e ciò perché la domanda non è una, infatti essa è composta da tre domande: 'Socrate è uomo o non è uomo?', 'Socrate è bianco o non è bianco?', 'Socrate è camminante o non camminante?'. Cfr. Top., VIII, 7. Ed anche Soph. Elench., 6, 169 a 6; 17, 175 b 39 e segg.; 30, 181 a 36 e scgg. 3 "Ai medesimo tempo ... ha una determinata natura oppure no": non si ha una domanda dialettica quando non si dà la possibilità di risposta all'una o all'altra parte della contraddizione. Abbiamo tale domanda non dialettica se, una volta definita l'essenza di una cosa, si chieda poi cosa essa sia. Cosf, se definiamo l'uomo come anìmale ragionevole, la domanda 'cos'è l'uomo?' non è dialettica; non si ha, infatti, in questo caso la possibilità di una domada composta di una contraddizione. Per cui, in breve, c'è domanda dialettica o quando
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PROPOSIZIONI COMPOSTE
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dire congiuntamente anche 'calzolaio buono'. In effetti, se fosse necessario che risulti vera la predicazione congiunta sulla base del fatto che ciascuno dei due predicati è vero, si presenterebbero molte assurdità. Difatti è vero predicare di 'uomo' sia 'uomo' sia 'bianco' e di conseguenza anche tutto questo insieme; quindi di 'uomo' se si predica 'bianco' si predicherà anche tutto, cosicché si avrà 'uomo bianco bianco' e questo all'infinito. Ed inoltre si può dire di 'uomo' che è 'musica', 'bianco', 'camminante' e tutto ciò connesso in molti modi. Per di piu, se 'Socrate è Socrate ed uomo', sarà pure 'Socrate-uomo' e, se 'è uomo e bipede', sarà anche 'uomo-bipede'. È allora evidente che se qualcuno afferma che possono darsi delle connessioni, ma senza porre alcuna restrizione, questi andrà incontro a molte cose assurde•. Diciamo ora iri che modo si debbano porre tali connessioni. Delle cose predicate e di quelle di cui si predica non formeranno una unità quelle che si dicono per accidente o della stessa cosa o l'una dell'altra. 'Uomo è bianco e musica', ad esempio, ma 'bianco' e 'musica' non costituiscono un'unica cosa, dal momento che sono accidenti della medesima cosa. E nemmeno se risultasse vero che 'bianco è musica', 'musica è bianco' non sono tuttavia un'unità; infatti per accidente il bianco è musica e, di conseguenza, 'bianco' e 'musica' non costituiranno una unità. Per questa ragione neppure il'calzolaio' sarà assolutamente 'buono', ma sarà piuttosto 'animale bipede', ciò infatti non lo sarà per accidente5 • Inoltre, non formano una unità le cose che sono comprese l'una nell'altra, per cui 'bianco' non potrà essere ripetuto piu volte, né dell''uomo' non si ha la definizione dell'essenza della cosa o quando si è in presenza di un attributo accidentale, es.: 'Socrate è calvo o non è calvo?'. 4 "Poiché tra le cose ... questi andrà incontro a molte cose assurde": dato che certe cose vengono predicate congiuntamente ed esprimono una sola cosa, mentre altri predicati, sf, sono congiunti, ma non esprimono una sola cosa, Aristotele si pone il problema di quale sia mai la differenza tra questi due tipi di congiunzioni. E per mezzo di una evidente esemplificazione conclude che "se qualcuno aiierma che possono darsi delle connessioni, ma senza porre alcun!l restrizione, questi andrà incontro a molte cose assurde". Cfr. anche Sopb. Elench., 20, 177 b 14. s Diciamo ora in che modo ... ciò infatti non lo sarà per accidente": visto che occorre porre delle restrizioni nelle connessioni, perché queste possano esprimere una sola cosa, Aristotele dice che non costituiscono unità quei predicati che o si predicano di una cosa, ma non secondo la sua essenza, quanto piuttosto per accidente, ovvero che si predicano, tra di loro, accidentalmente.
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CAPITOLO UNDICESIMO
potrà essere detto che è 'uomo-animale' o 'uomo bipede': infatti 'animale' e 'bipede' sono compresi in 'uomo". È vero dire peraltro di una singola cosa, assolutamente, qualcosa; cosi, ad esempio, si può dite che un 'determinato uomo è uomo', oppure che un 'determinato uomo bianco è bianco". Non sempre però la cosa sarà possibile: ma quando in ciò che viene aggiunto sia compresa qualcuna di quelle cose opposte da cui consegue la contraddizione, allora non è vero ma falso, come, ad esempio, dire che 'l'uomo morto è uomo'. Però se l'elemento contrapposto non è in ciò che viene aggiunto, allora la predicazione sarà vera'. Piuttosto quando una tale cosa è compresa, la predicazione è sempre non vera, quando non è compresa, sarà non sempre vera. Cosi, si può dire: 'Omero è qualcosa', per esempio, 'poeta', dunque anche 'è' oppure no? L''è', in effetti si predica per accidente di Omero: poiché 1'' è', infatti, si predica di 'Omero' perché è poeta ma non per sé". Conseguentemente, in quelle predicazioni nelle quali non c'è contrarietà, se al posto dei nomi si sostituiscono le definizioni, e vengono predicate per sé e non per accidente, in questi casi sarà vero attribuire le predicazioni congiuntamente, anche assolutamente'". Quanto poi a ciò che ' "Inoltre non formano una unità ... sono compresi in 'uomo"': non si hanno connessioni che possono dirsi une quando si predicano cose: che sono comprese l'una nell'altra, cosi 'bianco' non può essere ripetuto piu volte, né avrà senso dire 'uomo-animale' o 'uomo-bipede' per il fatto che 'animale' e 'bipede' sono compresi nel concetto di 'uomo'. Non avrebbe senso perché non si avrebbero altro che to\utologic, c queste, come ci ha insegnato Wittgenstein (cfr. Tractatus logico-philosophicus), sono soltanto regole per l'uso dei segni e sono prive di contenuto conoscitivo dato che ripetono nel predicato quanto si è detto nel soggetto. 7 "È vero dire peraltro ... 'un determinato uomo bianco è bianco'": si specifica che se ciò a cui si aggiunge qualcosa è singolare, allora le perplessità cui si accennava nelle precedenti note svaniscono, infatti dire 'uomo' di 'quel determinato uomo' non costituisce cert?.mente una tautologia. ' "Non sempre fJerò ... allora la predicazione sarà vera": è necessario che tra le cose o concetti che vengono congiunti non ci debba esse1·e contraddizione. Infatti, se di un determinato uomo si dirà che è un uomo morto, avremo allora fatto un'affermazione falsa, perché nel concetto di 'uomo' è implicito quello di 'vivente'. • "Piuttosto quando una tale cosa ... perché è poeta, ma non per sé": quando nel predicato non c'è nulla di contraddittorio non bisogna pensare che esso venga predicato sempre secondo l'essenza, perché infatti può essere predicato anche accidentalmente. Se, per esempio, diciamo che 'Omero è poeta' vediamo che il predicato si predica di Omero solo accidentalmente. '" "Conseguentemente ... anche assolutamente": vengono riassunte le conclusioni cui si è precedentemente arrivati, secondo le quali un predicato può essere predicato assolutamente 1) se non c'è contraddizione in ciò che esso esprime della cosa, 2) se il predicato non viene predicato per accidente.
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PROPOSIZIONI COMPOSTE
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non è, non sarà vero dirlo qualcosa che è per il fatto che è oggetto di opinione; in effetti l'opinione che Io riguarda non consiste nel ri· tenere che è, bensi nel ritenere che non è11 • " "Quanto poi a ciò ... bensi nel ritenere che non i:": si confuta il sofisma che il non-essere è qualcosa, e ciò in base al semplice fatto che l'opinione riguardante il non·essere ci dice non che esso è, ma che non è. Il problema della definizione era già stato toccato nel capitolo V, ma in questo capitolo Aristotele ci torna sopra con maggiore insistenza, ancbe se la trattazione specifica di tale questione la dobbiamo ritrovare negli Analitici posteriori, dove egli afferma cbe la definizione conceme l'essenza e la sostanza (An. Post., Il, 3, 90b 30). E dove piu oltre dirà che "la definizione può essere, in un primo çenso, la dichiarazione non dimostrabile dell'essenza; in un secondo senso, può essere la deduzione dell'essenza e differisce dalla dimostrazione solo per la disposizione delle parole; in un terzo semo, può essere la conclusione della dimostrazione dell'essenza" (Ibidem, II, 10, 94 a 11). Nel primo caso la defini:l;ione concerne oggetti che sono sostanze, nel secondo e nel terzo caso concerne og_getti che sono fatti e non sostanze, dei quali affermare l'essenza significa indicarne la causa (Ibidem, II, 10, 940, l e segg.). In ogni caso, comunque, definire una cosa vuol dire dichiararne l'essenza sostanziale, infatti "l'essenza sostanziale appartiene alle cose di cui c'è definizione" (M et., VII, 4, 1030 a 6). E tale definizione avviene per genere prossimo e differenza specifica (Top., 1, 8, 1036 h 15), ed i: la definizione che si dice essenziale o reale, la quale è rimasta classica nella storia della filosofia. D'altra parte Aristotele parla pure di un altro tipo di definizione, cioè della definizione nominale che è "la didichiarazione di ciò che il nome significa" (An. Post., II, 10, 93 b 28). Ora, non è qui il luogo di dilungarci in un excursus storico, riguardante le vicende del problema della definizione, tuttavia dobbiamo notare che nella logica contemporanea la definizione costituisce uno degli argomenti piu in vista, tanto che si parla oggi di una teoria della definizione. Ebbene, il primo interrogativo da risolvere nell'ambito di una simile teoria i: quello di vedere a quali scopi servano le definizimzi. T ali scopi (i principali) solto: 1) arricchire il vocabolario; 2) eliminare l'ambiguità; 3) eliminare le vaghezze; 4) esplicare teoretieamente i concetti; 5) influenzare gli atteggi amenti. I n base a questi scopi si distinguono i seguenti tipi di definizioni: 1) dcfìni?:ioni stipulativc (per fatti nuovi, per abbreviare espressioni troppo lunghe, ad es. nelle scienze o nella matematica, ovvero per scongiurare il pericolo delle valutazioni nelle scienze); 2) definizioni lessicali (quelle del vocabolario, dove si definiscono termini non nuovi e già in uso); 3) definizioni precisanti o ridefinizioni (quando un termine - pur definito stipulativamente e lessicalmente - è cosi 1;ago da ammettere dei casi-limite tali per cui si è nella impossibilità di applicarlo o meno; es., possiamo dire che la vite è un arhusto?); 4) definizioni teoretiche (quando una scienz.a prendendo a prestito termini dal linguaggio ordinario li assume nel suo universo di discorso e in esso li ridefinisce; cosi, ad es., accade in fisica per termini come 'forza', 'massa', 'energia', ecc., o in matematica per termini quali 'funzione', 'limite', 'derivata', ecc.); definizioni persuasive (quando con una definizione si ha in mente di influenzare il comportamento; es., il bene è ciò che tutti debbono fare). Inoltre, altri importanti tipi di definizione sono quella ostensiva, per mezzo della quale, al limite della catena delle definizioni verbali, si
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indica l'oggetto che si vuol significare, e quella operativa mediante cui un termine si definisce ad opera delle rispettive operazioni, come avviene ad es. per i concetti fisici di 'lunghezza', 'spazio', 'tempo', ecc. (cfr. a proposito P. W. BRIDGMANN, La logica della fisica moderna, trad. it., ci t., pag. 23 e segg.). Le regole per mettere in atto una buona definizione variano da tipo a tipo di definizione; comunque sia, ci si limita qui ad esporre quelle tradizionali le pid conosciute - che valgono sostanzialmente per le definizioni lessicali. Tali regole sono: l) una definizione dovrebbe dichiarare gli attributi essenziali della specie (sarebbe però da discutere cosa s'intenda con questi attributi essenziali!); 2) una definizione non deve essere circolare; 3) una de{inizi011e non deve essere né troppo larga né troppo stretta; 4) una definizione non deve essere espressa in un linguaggio ambiguo, oscuro o figurato; 5) Ufia definizione non deve essere negativa quando può essere positiva. Chi voglia approfondire il problema della definizione veda: C. G. HEMPEL, La formazione dei concetti e delle teorie della scienza empirica, trad. it., Milano, 1961, capp. I, II; I. CoPI, Introduzione alla logica, trad. it., Bologna, 1964; A. PASQUINHLI, Nuovi principi di epistemologia, Milano, 1964, pp. 139-151; W. DUBISLAV, Dic Defmition, Leipzig, 1931; R. RomNSON, Definition, Oxford, 1950; H. S. LEoNARD, Principles of right reason, New York, 1957, cap. IV.
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L'opposizione delle proposizioni modali
XII. - Determinate una buona volta queste cose, bisogna indagare come si rapportino reciprocamente le affermazioni e le negazioni secondo cui 'è possibile essere' e 'non possibile', 'contingente' e 'non contingente' e quelle intorno all''impossibile' e il 'necessario'; ci sono infatti alcune difficoltà1 • In realtà c'è da ammettere che tra le espressioni congiunte, le proposizioni contraddittorie, tra loro contrapposte, si ordinano secondo il verbo 'essere' e 'non essere'. Per esemplificare: di 'essere uomo' è negazione 'non essere uomo', e di 'essere uomo bianco', 'non essere uomo bianco', ma non 'essere uomo non-bianco'. In effetti, dato che di ogni cosa è vera o l'affermazione o la negazione, risulterebbe vero dire che il 'legno è uomo non-bianco'; e se è cosi, anche quando non venga aggiunto il verbo 'essere', si avrà il medesimo risultato ad opera di ciò che lo sostituisce. Ad esempio, di 'uomo cammina' non è negazione 'non-uomo cammina', ma 'uomo non cammina'. Non vi è infatti differenza alcuna tra il dire 'uomo cammina' e il dire 'uomo è camminante'. Se dunque è cosi 1 "Determinate una buona volta... ci sono infatti alcune difficoltà": in questo capitolo Aristotele introduce il discorso sulle proposizioni modali, sulle proposizioni cioè che esprimono il modo in cui il soggetto e il predicato sono uniti o separati. I modi che vengono considerati sono: 'possibile', 'non-possibile', 'contingente', 'non-contingente', 'impossibile', 'necessario', e il problema che, riguardo ad essi, si pone è quello di vedere quali siano i rapporti tra tali modi. Vale a dire ci si chiede cosa avvenga se nelle proposizioni mod ali (es.: 'è possibile che ci sarà una guerra', 'è necessario che ci sarà una guerra') si lascia immutato ciò che vien detto, ma si cambia il modo.
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CAPITOLO DODICESIMO
in ogni caso, anche la negazione di 'è possibile essere' sarà 'è possibile non essere' e non 'non è possibile essere". Pare comunque che una medesima cosa possa sia essere che non essere: infatti tutto ciò che può essete tagliato o camminare, è possibile pure che non cammini o non sia tagliato. La ragione è che tutto ciò che è possibile in questo modo non sempre è in atto, sicché sarà propria di esso anche la negazione; in effetti, ciò che è capace di camminare può anche non camminare e ciò che è visibile può anche non essere visto. Ma è certamente impossibile che dicano la verità intorno alla stessa cosa l'affermazione e la negazione contrapposte. Da ciò consegue infatti o che si afferma e si nega insieme la stessa cosa riguardo la stessa cosa, oppure che le affermazioni e le negazioni non sorgono dall'aggiunta di 'essere' e 'non-essere'. E allora, se la prima cosa è impossibile, si dovrà scegliere la seconda. Quindi la negazione di 'è possibile essere' è 'non è possibile essere'. Lo stesso discorso vale anche per 'è contingente essere': e infatti la negazione di questa è 'non è contingente essere'. Anche per le altre proposizioni, ossia per !''impossibile' e il 'necessario', le cose stanno allo stesso modo'. In realtà, come in quelle proposizioni (prima con: "In realtà c'è da ammettere ... e non 'non è possibile essere'": si pone innanzi tutto il problema della negazione di una proposizione modale, nel senso che bisogna indagare se la nega?:ione 'non' deve essere posta avanti a ciò che viene detto o avanti al modo. Cosf, per esempio, data la proposizione modale 'è possibile essere', occorre vedere se la sua negazione è 'è possibile non essere' o 'non è possibile essere'. Ora, dato che si ha contraddizione quando si ha opposizione tra il verbo 'essere' e 'non essere' sembrerebbe, in analogia con le proposizioni assertorie, che la negazione della proposizione moda le fosse 'è possibile non essere'. Si è detto in analogia con le proposizioni assertorie perché in queste, come si è visto in precedenza, il 'non' si pone innanzi al verbo essere, infatti la negazione di 'essere uomo' è 'non essere uomo' e non 'essere non-uomo', e di 'essere uomo bianco' è 'non essere uomo bianco' e non 'essere uomo non bianco'. E se non fosse cosf, se cioè si potesse porre il 'non' anche in posti diversi da davanti al verbo (e non ha importan7.a se il verbo sia il verbo 'essere' o un verbo diverso da questo, come 'camminare', poicht! dire 'Paolo cammina' equivale a dire 'Paolo è camminante', dr. cap. X), si avrebbe che dovremmo considerare come negazione sensata 'legno è uomo non bianco'. Ma questo è assurdo. Per ricapitolare quanto Aristotele ha voluto dire in questo brano si ha che egli suppone che la negazione di una proposi;done modale, in analogia con la negazione di quelle assertorie, dovrebbe essere 'è possibile nott essere'. ' "Pare, comunque... le cose stanno allo stesso modo": a prima vista la SO· luzione proposta nel precedente passo - per cui la negazione della proposizione modale si deve porre davanti a ciò che viene detto e non davanti al modo potrebbe sembrare giusta, anche perché cosi funzionano le negazioni delle proposizioni assertorie. Ma - aggiunge Aristotele - se si dice 'è possibile essere' è
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L'OPPOSIZIONE DELLE PROPOSIZIONI MODALI
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siderate) 'essere' e 'non essere' sono delle aggiunte e le cose-soggetto sono 'bianco' e 'uomo', cosi qui i termini 'essere' e 'non essere' fanno da soggetto, mentre 'possibile' e 'contingente' sono le aggiunte, aggiunte che determinano la possibilità o la non-possibilità di una cosa, analogamente a quanto, per quel che concerne il vero e il falso, facevano nei casi precedenti 'essere' e 'non essere'4 • D'altro canto, la negazione di 'è possibile non essere' è· 'non è possibile non essere'. Perciò si avrà pure che 'è possibile essere' e 'è possibile non essere' conseguono reciprocamente l'una dall'altra: per la stessa cosa infatti è 'possibile essere' e 'possibile non essere', tali proposizioni difatti non sono contraddittorie l'una rispetto all'altra. Mentre invece 'è possibile essere' e 'non è possibile essere' non sono mai insieme vere della medesima cosa, poiché si contrappongono. E neppure 'è possibile non essere' e 'non è possibile non essere' saranno mai insieme vere della medesima cosa. Analogamente poi, la negazione di 'è necessario essere' non è 'è necessario non essere', quanto piuttosto 'non è necessario essere'; e di 'è necessario non essere' è 'non è necessario non logico che di ciò che 'è possibile essere' si possa dire pure che 'è possibile non essere': "in effetti, ciò che è capace di camminare può anche non camminare e ciò che è visibile, può anche non essere visto". E questo si basa sul fatto che ciò che è possibile essere, non è sempre in atto, cioè è in potenza, cioè, ancora, ha la possibilità di attuarsi in un modo o in un altro. Ma allora, siccome se si hanno una affermazione e una negazione della stessa cosa intorno alla stessa cosa, deve essere vera una delle due, non essendo possibile che siano ambedue vere e, dato che la precedente conclusione ci pone dinanzi una affermazione ed una negazione ('è possibile essere', 'è possibile non essere') che significano la stessa cosa, si deve concludere che "è certamente impossibile che dicano la verità intorno alla stessa cosa l'affermazione e la negazione contrapposte", per cui c'è da concludere che la negazione della proposizione modalc non consiste nel porre il 'non' davanti a ciò che viene detto ma davanti al modo, cosicché le proposizioni opposte saranno: 'è possibile essere' - 'non è possibile essere'. La medesima cosa vale anche per gli altri modi: 'contingente', 'necessario', 'impossibile'. • "In realtà, come ... nei casi precedenti 'essere' e 'non essere"': l'indagine sulla negazione delle proposizioni modali ci porta pertanto a vedere che 'essere' e 'non essere' funzionano in esse come soggetti, ed 'è possibile', 'è contingente', c gli altri modi come i verbi. Infatti Aristotele usa per 'essere possibile' il verbo 'M..,cta-&o:~· (potere) c per 'essere contingente' il verbo 'i...,oi.xEcrila:•'. In breve, come nelle proposizioni assertorie il 'non' si pone innanzi al verbo, cosf nelle proposizioni modali deve venir negato il modo che in esse, appunto, funziona da verbo. E come nelle proposizioni assertorie ciò che viene aggiunto al soggetto determina il vero e il falso, cosi in quelle modali ciò che viene aggiunto al soggetto ('essere', e 'non essere') determina l"cssere possibile', e il 'non essere possibile', !"essere contingente' e il 'non essere contingente', ecc.
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CAPITOLO DODICESIMO
essere '. E di 'è impossibile essere' non è 'è impossibile non essere', ma 'non è impossibile essere'; ed inoltre di 'è impossibile non essere' la negazione è 'non è impossibile non essere'. Insomma, per esprimere in universale, come già si è detto, bisogna considerare 'essere' e 'non essere' come le cose-soggetto, e aggiungere ad 'essere' e 'non-essere' ciò che li rende affermazione e negazione. E occorre considerare per proposizioni contrapposte le seguenti: 'possibile''non possibile'; 'contingente'-'non contingente'; 'impossibile'-'non impossibile'; 'necessario'-'non necessario'; 'vero'-'non vero".
5 "D'altro canto, la negazione ... 'necessario' -'non necessario'; 'vero' 'non vero"': vengono riassunti, in questo ultimo passo, i risultati dell'indagine, condotta nel presente capitolo, sulla negazione delle proposi:doni modali, e si dà un piccolo cenno sulla loro consecuzione l'una dall'altra. Ma ciò sarà l'argomento del prossimo capitolo.
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Le consecuzwm delle modali
XIII. - D'altra parte anche le derivazioni delle proposlZloni, quando le proposizioni siano state disposte cosi, si sviluppano secondo una ragione. In effetti da 'è possibile essere' consegue 'è contingente essere', e questa proposizione si converte con la prima; come pure si dà per 'non è impossibile essere' e 'non è necessario essere'. E da 'è possibile non essere' e 'è contingente non essere' conseguono e 'non è necessario non essere' e 'non è impossibile non essere'; a 'non è possibile essere' e a 'non è contingente essere' conseguono 'è necessario non essere' e 'è impossibile essere'. Infine da 'non è possibile non essere' e 'non è contingente non essere' conseguono 'è necessario essere' e 'è impossibile non essere". Dal seguente prospetto si veda cosa intendiamo dire: I. è possibile essere è contingente essere non è impossibile essere non è necessario essere
II. è possibile non essere è contingente non essere non è impossibile non essere non è necessario non essere
1 D'altra parte anche ... conseguono 'è necessario essere' e 'è impossibile non essere"'; dandoci il prospetto delle derivazioni delle proposizioni modali, Aristotele ci dice che esse "si sviluppano secondo una ragione," vale a dire secondo precise regole logiche. Infatti se per qualcosa 'è possibile essere', ciò vuol dire che per questo qualcosa 'è contingente essere', e ciò, a sua volta, significa che per esso 'non è impossibile essere', cosa questa ultima che equivale ad affermare che per questo qualcosa 'non è necessario essere'. Tale processo di derivazione è reversibile ("e questa proposizione si converte con la prima") nel senso che 'non è necessario essere' significa che 'non è impossibile essere', che equivale a di re 'è contingente essere', cosa questa che, a sua volta, significa che 'è possibile essere'_
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CAPITOLO TREDICESIMO
III. non è possibile essere non è contingente essere è impossibile essere è necessario non essere
IV. non è possibile non essere non è contingente non essere è impossibile non essere è necessario essere
'Impossibile' e 'non impossibile' conseguono a 'contingente' e 'possibile' e a 'non contingente' e 'non possibile', mantenendo la forma contraddittoria, ma per inversione: infatti a 'è possibile essere' consegue la negazione di 'è impossibile essere', mentre dalla negazione consegue l'affermazione, poiché da 'non è possibile essere' consegue 'è impossibile essere', infatti 'è impossibile essere' è affermazione, mentre 'non è impossibile essere' è negazione2 • Bisogna ora vedere come si comporta il 'necessario'. È fuor di dubbio che qui le cose stanno diversamente e che le proposizioni che conseguono sono quelle contrarie, mentre le contraddittorie risultano separate. In realtà di 'è necessario non essere' non è negazione 'non è necessario essere'. Può, in effetti, darsi che queste due proposizioni siano vere entrambe della stessa cosa: infatti ciò che 'è necessario non essere' 'non è necessario essere'. Che 'necessario' non consegua in maniera uguale agli altri, ha come causa il fatto che 'impossibile' viene espresso in modo contrario a 'necessario' pur avendo lo stesso significato: se infatti per qualcosa 'è impossibile essere', per essa 'sarà necessario, non già essere, bensi non essere'; e se per essa 'è impossibile non essere', allora 'sarà neces· sario essere'. Conseguentemente se il 'non impossibile' e l''impos·
sibile' conseguono dal 'possibile' e dal 'non possibile' nella stessa forma, allora il 'necessario' e il 'non necessario' conseguono da proposizioni contrarie, poiché 'necessario' e 'impossibile' significano la stessa cosa, ma come si è detto, vanno intese inversamente'. O è forse impossibile che le proposizioni contraddittorie del'ne2 '"Impossibile' e 'non impossibile' conseguono a.. mentre 'non è impossibi· le essere' è negazione": fissato il prospetto delle derivazioni si vede che 'impossibile' consegue da 'possibile' e 'non impossibile' da 'non-possibile' e ciò avviene "contraddittoriamente" nel senso che 'impossibile' e 'non impossibile', c 'possibile' e 'non possibile' sono, rispettivamente, contraddittorie tra di loro (si trovano nei quadri 1 e 3 del prospetto}; "per inversione" vuoi dire che all'affermazione 'è possibile essere' consegue la negazione 'non è impossibile essere' c alla negazione 'non è possibile essere' consegue l'a!Iermazione 'è impossibile essere". ' "Bisogna ora vedere ... ma come si è detto, vanno intese inversamente": sempre avendo presente il prospetto delle consecuzioni, si fa notare che le consecuzioni di 'necessario' e 'non necessario' non funzionano come quelle di 'impossi-
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LE CONSECUZIONI DELLE MODALI
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cessario' siano disposte in questo modo? Infatti, per una cosa per cui 'è necessario essere', 'è possibile essere'. Se in realtà non fosse cosi, conseguirebbe la negazione, poiché è necessario o affermare o negare, cosicché se 'è necessario essere' fosse 'non possibile essere', sarebbe 'possibile essere' : ma allora sarebbe 'impossibile essere' ciò che 'è necessario essere', e questo è assurdo. Senonché da 'è possibile essere' consegue 'non è impossibile essere', e da questo 'non è necessario essere': sicché si dà che ciò per cui 'è necessario essere', 'non è necessario essere', il che è assurdo•. D'altronde da 'è possibile essere' non consegue certamente né 'è necessario essere' né 'è necessario non essere'. Al 'possibile', infatti, possono convenire congiuntamente l''essere' e il 'non essere'; mentre la verità di una qualsiasi delle due suddette proposizioni escluderà che sia vera quella duplice possibilità. 'È, infatti, possibile essere e non essere' allo stesso tempo, ma se 'è necessario o essere ovvero non essere' non saranno piu possibili entrambe le cose•. Rimane dunque che 'non è necessario non essere' consegue a 'è possibile essere', poiché questa proposizione (vale a dire: 'non è necessario non essere') è vera se anche è detta bile' e 'non possibile'. Difatti a 'è possibile essere' e 'non è possibile essere' conseguono 'non è necessario essere' ed 'è necessario non essere', le quali non sono contraddittorie, ma contrarie. Che le "proposizioni contraddittorie risultino separate" significa che tali proposi7.ioni (riguardanti appunto il 'necessario' c 'non necessario') si trovano in tabelle non parcllclc. E il motivo di ciò è da trovarsi, ad avviso di Aristotele, nel fatto che le proposizioni modali concernenti il 'necessario' conseguono direttamente a quelle concernenti !"impossibile', e questi due modi,
vale a dire il 'necessario' e !"impossibile', hanno "lo stesso valore", cioè "significano la stessa cosa," ma ciascun modo viene assunto in modo inverso, infatti dò per cui 'è impossibile essere' 'è necessario non essere' e non 'è necessario es. sere', ccc. • "O è forse impossibile che le fJroposi:r.ioni ... il che è assurdo": 'è necessario essere' non può conseguire a 'non è possibile essere' (cfr. quadro 3 ). E se fosse cosi, si cadrebbe nell'assurdo che 'è necessario essere' sarebbe equivalente a 'è impossibile essere', mentre per ciò che 'è necessario essere', 'è impossibile non essere'. Per cui si dovrebbe ammettere che 'è necessario essere' consegua a 'è possibile essere'. Ma d'altra parte 'è necessario essere' non può neanche conseguire a 'è possibile essere', perché infatti 'è possibile essere' è equivalente a 'non è impossibile essere' cui consegue 'non è necessario essere'; talché si avrebbe che 'è possibile essere' è corrispondente a 'è necessario essere'. E questo è assurdo. 5 "D'altronde da 'è possibile essere' ... possibili entratnbe le cose": da 'è possibile essere' non consegue né 'è necessario essere' né 'è necessario non essere'. E ciò perché 'è possibile essere' implica contemporaneamente sia 'è necessario essere' sia 'è necessario non essere', e se si desse che fosse vera una di queste due ultime possibilità, non varrebbe però l'alternativa nel suo insieme. E questo sarebbe di nuovo assurdo.
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CAPITOLO TREDICESIMO
di una cosa per cui 'è necessario essere'. Inoltre, 'non è necessario non essere' ristùta contraddittoria di quella proposizione che segue a 'non è possibile essere'. Infatti, da quest'ultima conseguono 'è impossibile essere' e 'è necessario non essere', la cui negazione è 'non è necessario non essere'. Anche queste proposizioni contraddittorie conseguono dunque nel modo suddetto, ed una siffatta loro disposizione non va incontro a nulla di assurdo•. A qualcuno tuttavia potrebbe rimanere il dubbio se a 'è necessario essere' consegua 'è possibile essere'. E, difatti, se non consegue tale proposizione, conseguirà la contraddittoria, cioè 'non è possibile essere'; e se qualcuno affermasse che non è questa la contraddittoria, sarebbe necessario dire che la contraddittoria è 'è possibile non essere': le quali sono entrambe ('non è possibile essere' ed 'è possibile non essere') false se attribuite appunto ad una cosa per cui 'è necessario essere''. D'altra parte tuttavia, sembra che sia possibile per la stessa cosa esser tagliata e non esser tagliata, essere e non essere, cosicché ad una cosa per cui 'è necessario essere' potrà accadere di 'non essere', e questo è falso. È chiaro invece che non tutto ciò che ha la possibilità o di essere o di camminare, abbia anche le possibilità contrapposte, ma vi sono delie cose per le quali questo non è vero. Anzitutto ciò non è vero per le cose che sono possibili a prescindere dalia ragione, co' "Rimane dunque che... non va incontro a nulla di assurdo": la derivazione del 'necessario' dal 'possibile' si avrà unicamente se noi la poniamo nella seguente forma: 'non è necessario non essere'. Ciò per cui si può dire 'non è necessario non essere' per esso è possibile pure dire 'è necessario essere'. E se poniamo questo modo del necessario quale conseguente a 'è possibile essere', otteniamo al posto di 'non è necessario essere' del quadro I la contraddittoria di 'è necessario non essere' del quadro III, c cioè 'non è necessario non essere'. In tal maniera Aristotele ha portato delle correzioni al prospetto delle consecuzioni modali, per quanto riguarda il modo del 'necessario'. Il modo del quadro II ('non è necessario non essere') va al posto di qucllo del quadro I ('non è necessario essere') c viceversa. Per di piu il nuovo tipo di derivazioni funziona per le modali del 'necessario' come le altre, vale a dire che le modali con lo stesso modo e che stanno in quadri paralleli sono contraddittorie. 7 "A qualcuno tuttavia potrebbe ... per cui 'è necessario essere'": ci si domanda, in questo passo, se a 'è necessario essere' consegue 'è possibile essere'. Ora, se non consegue 'è possibile essere' dovrà conseguire la sua contraddittoria. Ma a 'è possibile essere' è contraddittoria 'non è possibile essere' o 'è possibile non essere'? Tale problema è stato indagato nel cap. XII; comunque sia, e 'non è possibile essere' e 'è possibile non essere' "sono entrambe false se attribuite appunto ad una cosa per cui 'è necessario essere"'; e ciò perché, se 'è necessario essere', allora non potremo dire che 'è possibile non essere' né che 'non è possibile essere'.
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LE CONSECUZIONI DELLE MODALI
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me per esempio il fuoco che ha potere di riscaldare ed una capacità at·azionale'. Orbene, le capacità razionali lo sono di una molteplicità di possibilità contrarie, mentre non è cosi per tutte le potenze arazionali; il fuoco, come si è detto, non è possibile che riscaldi e non riscaldi, e lo stesso vale per tutte le altre cose che sono sempre in atto. Tuttavia anche talune delle cose, che risultano fornite di capacità arazionali, hanno al contempo la possibilità di essere determinate in modi contrapposti. Ma ciò che abbiamo detto, peraltro, è perché non tutte le capacità riguardano le possibilità contrapposte c ché non le riguardano neppure tutte quelle possibilità intese secondo la stessa specie di possibile9 • T alune capacità sono invece omonime: infatti 'possibile' non si dice in senso assoluto, ma o perché è realmente in quanto è in atto (per esempio: 'è possibile che qualcuno cammini' perché cammina, e in generale è possibile essere perché è già in atto ciò che è detto sia possibile essere), o perché potrebbe essere in atto (per esempio: 'un uomo è possibile che cammini' perché potrebbe camminare). Questa seconda specie di potenza si ha solo nelle cose mutevoli, mentre la prima si presenta pure in quelle immutabili. Per entrambi i casi è poi vero dire 'non è impossibile essere', cioè essere oppure camminare, sia per ciò che cammina ed è in atto, sia per ciò che è capace di camminare'". Ebbene, ciò che 'è dunque possibile' cosi, • "D'altra parte tuttavia .. ed una catJacità arazionale": pare che il 'possibile' indichi l'alternativa di essere sia nel senso di 'essete' sia nel senso del 'non essere'; ma in questo caso la consecuzione del 'possibile' dal 'necessario' sarebbe assurda. E questo è falso relativamente a certe determinate realtà, che hanno si una possibilità, ma non hanno però la possibilità contrapposta. Cosf, per es., il fuoco ha il potere di scaldare, ma non ha la capacità ad essa contrapposta. Tale fenomeno si verifica "per le cose che sono possibili a prescindere dalla ragione", per le cose cioè che hanno una capacità arazionale. Per il significato dell'espressione 'capacità arazionale' si veda la nota seguente. ~ "Orbene, le capacità razionali .. stessa specie di possibile"': Aristotele ci dice che le capacità razionali hanno una molteplicità di possibilità contrarie, proprio perché sono razionali, cosf, ad esempio, lo scrittore ha la possibilità di scrivere un romanzo, ma tale possibilità implica pure l'altra per cui lo scrittore può non scrivere il romanzo. Il fuoco, invece, che, da parte sua, è una potenza arazionalc, non può non riscaldare. Ciononostante anche tra le potenze arazionali cc ne sono alcune che hanno due possibilità contrarie, cosf una certa cosa può essere tagliata o non tagliata. Ebbene, queste ultime sono potenze passive, le prime invece sono potenze attive. 10 "Talune capacità sono ... che è capace di camminare": per qualcosa si può dire che 'è possibile essere' in un duplice senso: l) 'qualcosa è possibile' perché questo qualcosa è già in atto, come, per esempio 'è possibile che qualcuno cammini' perché cammina; 2) 'qualcosa è possibile' perché potrehhe essere in atto, come.
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CAPITOJ.O TREDICESIMO
non è vero attribuirlo a ciò che 'è necçssario' in modo assoluto, è vero invece attribuire l'altro. E cosi, poiché al particolare consegue l'univetsale, da ciò che è per necessità conseguirà il po_ter essere, ma non tutto. E forse 'è necessario essere o non essere' e 'non è necessario essere o non essere' sono proprio il principio di tutte le altre proposizioni, talché bisognerà considerare le altre proposizioni come derivanti da queste". Da quanto si è detto, è manifesto dunque che ciò che è per necessità è in atto. Di conseguenza, se le cose eterne sono anteriori, anche l'atto sarà anteriore alla potenza. E alcune cose sono atti senza potenza, come per esempio le sostanze prime; altre sono atti con potenza, risultando anteriori a questa per natura e posteriori nel tempo; altre cose infine non sono mai atti, ma soltanto potem>:e". per esempio 'è possibile che qualcuno cmnmini' perché potrebbe camminare. La prima possibilità riguarda le cose mutevoli c quelle immutabili, la seconda solo quelle mutevoli. In tutti c due i casi 'possibile' equivale a 'non impossibile'. 11 "Ebbene, ciò che 'è dunque possibile' ... come derivanti da queste": ciò che 'è possibile' non in quanto sia in atto, ma in quanto potrebbe essere in atto, non può dirsi di un qualcosa che è assolutamente necessario. Infatti se per qualcosa è possibile diventare in atto, ciò vuoi d.~~e che per tale cosa è anche possibile non tramutarsi in atto, cosa questa ultima che è contraria al 'necessario'. Per cui s'ha da ammettere che è vero attribuire il tipo di 'possibile' che è già in atto, e che, per questo motivo, è necessario. Da quanto si è detto si vede che 'possibile' ha una estensione mag~oh, che quella di 'necessario', per il fatto che il 'possibile' ingloba la potenza e l'atto, mentre i! 'necessario' abbraccia solo l'atto. Per cui, se 'possibile' consegue da 'neces sario', ne consegue non in maniera assoluta, ma unicamente in parte. Talché è ormai chiara l'espressione che 'da ciò che è per necessità conseguirà il poter essere, mn non tutto'. u "Da quanto si è detto ... mai atti, ma soltanto potenze": siccolll<- "che ciò che è per necessità è in atto" c dato che ciò che è assolutamente in allo ~ ciò che è eterno, e che pertanto, precede ogni potenza, è chiaro che ciò che è necessarie in modo assoluto precede ciò che è possibile. Inoltre, dato l) che vi "sono atti senza potenza", come le cose eterne, l'at· to puro; 2) che vi sono cose che sono "atti con patema", come gli individui che sono in atto per quel che sono e in potenza per quel che, nel loro processo, tcn· dono a divenire; 3) che vi sono cose che "non sono mai atti, ma soltanto potenze", ebbene, dato ciò, si ha che ci possono essere proposizioni modali: l) che enunciano in modo assoluto le cose che sono atti senza potenza; 2) che enunciano in modo assoluto le cose che sono atti con potenza, per quello però che in esso c'è di necessario ed attuale; 3) che non enunciano mai in modo assolutamente valido !e cose che non sono mai atti, ma 3olo potenze. È quindi possibile enunciare un terzo tipo di consecuzione delle modali e cioè quello che fa partire l'ordine delle conseguen;,:e da 'è necessario essere'.
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LE CONSECUZIONI
DELLE
MODALI
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Volendo, da ultimo, schematizzare in forma simbolica (i simboli 'P', 'C, 'N', 'l', sono le rispettive abbreviazioni di 'possibile', 'contingente', 'necessario' e 'impossibile' e il simbolo '=' è il simbolo dell'equivalenza) le relazioni di deducibilità (rixoì..ov~:mç) intercorrenti tra le proposizioni modali - c questo per avere davanti agli occhi tali relazioni in maniera piu chiara ed evidente tavole I e II:
avn•mo le
Tav. I (l) p 'p' = C'p' (2) P 'p' -:.l I 'p' (3) P'p'--:.1 N'p'
(4) P'lp' =C'lp'
( 5) P' l (6)
p'__,. i P'l p'-'> i
I ' l p' N'l p'
E, tenendo poi conto di quanto sulla opposizione delle proposizioni modali si è detto nel cap. XII, si avrà la: Tav. II (l') l p 'l,'= -l C'p' (2') IP'p'-'>I'p' (3') l P' p'__,. N ' l p'
( 4') l p t -1 p' = l C' l (5') l P' l p' __,. I ' l p' (6') IP'Ip'-:.N'p'
p'
Tali tavole funzionano se prescindiamo dall'anomalia presentata dal modo del 'necessario' (cfr. nota 3 e segg.). Anomalia co1tsistente nel fatto che, mentre i conseguenti di (1'), (2'), (4') e (5') sono rispettivamente contraddittori dei conseguenti di (l), (2), (4) e (5), la stessa relazione di contraddittorietà non si dà tra i conseguenti di (3') e (3) e di ( 6') e ( 6). Cfr. per una buona discussione a riguardo, V. SAINATI, op. dt., pp. 266-273. Con i capitoli XII e XIII Aristotele dunque ci ha dato un abbozzo di logica modale, sezione delta logica che certamente è stata a lungo trascurata dagli studiosi di logica. Nel Medioevo se ne occuparono tra gli altri Abelardo e Pietro Ispano. Recentemente essa è stata ripresa in considerazione, e a conferma basterà qui ricordare di B. RussELL, La filosofia dell'atomismo logico, in Logica e conoscenza, cit.; C. I. LEwrs, A Survey of Symbolic Logic, Berkeley, 1918; O. BECKER, Einfi.ihrung in die Logistik, vorzuglich in den Modalkalkiil, Meisenhcim, 1950; R. CARNAP, Meaning and Necessity, Chicago, 1956; in italiano si t•eda A. PLEBE, Introduzione alla logica formale, Bari, 1964, pp. 217-249. Tuttavia, nonostante questi significativi t~nta tivi, ancora ai nostri giorni la logica moda/e non è gim1ta ad un sufficiente grado di elaborazione e di chiarezza, e ciò per il fatto che la logica contemporanea si modella sulle matematiche che ignorano, o possono ignorare, l'uso della modalità. Cfr. inoltre per quel che concerne le proposizioni e la consecuzione delle proposizioni modali E. RroNDATo, La teoria aristotelica dell'enunciazione, Padova, 1957, pp. 103 e segg.; C. A. VrANO, La logica di Aristotele, cit., pag. 42 e segg.; J. LmcASIEWICZ, Aristotle's Syllogistic from the Standpoint of Modem Formai Logk, cit., capp. VI, VII, VIII.
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La contrarietà delle proposizioni
XIV. - Si deve, d'altra parte, dire che l'alfermazione è contraria alla negazione o l'affermazione è contraria all'affermazione? Cosi, il discorso che dice che 'ogni uomo è giusto' è contrario al discorso 'nessun uomo è giusto' o quello che dice che 'ogni uomo è giusto' a quello che dice 'ogni uomo è ingiusto'? Ad esempio, date queste tre proposizioni: 'Callia è giusto', 'Callia non è giusto', 'Callia è ingiusto', quali di queste ultime due sarà contraria alla prima'? Se infatti le voci conseguono a ciò che vi è nella mente, e nella mente è contraria l'opinione del contrario (per esempio: 'ogni uomo è giusto' è contraria all'opinione 'ogni uomo è ingiusto'), è necessario allora che le cose stiano allo stesso modo anche per le affermazioni espresse con la voce. Se però nella mente non risulta affatto contraria l'opinione del contrario, non l'affermazione sarà contraria all'affermazione, ma ad essa sarà contraria la negazione detta2 • E cosi, si deve considerare quale opinione ' "Si deve, d'altra parte ... sarà contraria alla prima?": dato che vi possono essere due tipi di contrarietà, uno dei quali costituito da una affermazione e una negazione, ed un altro costituito da due affermazioni, ci si chiede quale mai sia il vero tipo di contrarietà. Cosi, se si danno la coppia formata dall'affermazione 'ogni uomo è giusto' e dalla negazione 'nessun uomo è giusto' e la coppia formata dalle due affermazioni 'ogni uomo è giusto e 'ogni uomo è ingiusto', quale di queste due coppie presenta il vero e autentico tipo di contrarietà? Ad esempio, se noi abbiamo la proposizione 'Callia è giusto', ebbene è contraria ad essa 'Callia è ingiusto' o 'Callia non è giusto'?. ' "Se infatti le voci... contraria la negazione detta": per risolvere il problema ora accennato, Aristotele riprende in mano alcune considerazioni proposteci nel primo capitolo. Infatti, siccome le proposizioni sono unicamente la tradu-
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CAPITOLO QUATTORDICESIMO
vera sia contraria ad un'opinione falsa, se è quella della negazione oppure quella che stabilisce essere il contrario. Intendo ciò in questo modo: a proposito del buono, c'è un'opinione vera che dice che 'il buono è buono' e un'altra falsa per cui 'il buono non è buono', ed un'altra ancora per la quale 'il buono è cattivo'; ebbene, quale di queste ultime due è contraria a quella vera? E se poi non c'è che una sola contraria, su quale delle due si fonderà l'opinione contraria'? È, senza dubbio, falso credere che le opinioni contrarie siano definite dal fatto di concernere cose contrarie; infatti l'opinione del 'buono che è buono' e del 'cattivo che è cattivo' è forse la stessa ed è vera, sia che si tratti di parecchie opinioni, sia che si tratti di una sola; e queste cose sono contrarie; ma le opinioni non sono contrarie per essere di cose contrarie, ma piuttosto perché si presentano in forma contraria•. Se dunque, riguardo al buono vi è un'opinione del 'buono che è buono' ed una del 'buono che non è buono', cc n'è una del 'buono che è qualche altra cosa' la quale non sussiste e neppure è possibile che sussista in buono - tuttavia, accanto alle due nominate non bisogna ammettere altre opinioni né quelle per cui appartiene alla cosa un qualcosa che non vi appartiene, né quelle secondo cui non appartiene alla cosa ciò che vi appartiene (le opinioni di questi due tipi sono infatti infinite, sia quelle secondo cui appartiene alla cosa ciò che non vi appartiene, sia quelle per cui non appartiene alla cosa ciò che vi appartiene), zionc fonica (o grafica, a seconda dei casi) di "dò che vi è nell'anima", per condurre a soluzione il problema di cui alla nota l, bisognerà indagare se "nella mente è contraria l'opinione del contrario" ovvero no. Nel primo caso, si avrebbe che la contrarietà sarebbe costituita da due affermazioni: 'ogni uomo è giusto', 'ogni uomo è ingiusto' ('ingiusto' è l'opinione del contrario di 'giusto'), nel secondo caso invece da una affermazione e da una negazione: 'ogni uomo è giusto', 'nessun uomo è giusto'. 3 "E cosi, si deve considerare ... si fmzderà l'opinione contraria?": si ripropone il problema per mezzo di un ulteriore esempio, vale a dire ci si domanda se data l'opinione vera che afferma che 'il buono t: buono', e un'altra opinione secondo cui 'il buono non è buono', ed un'altra ancora per la quale 'il buono è cattivo', ebbene, date queste tre opinioni, ci si chiede appunto quale delle ultime due sia contraria alla prima. • "E, senza dubbio, falso ... si presentano in forma contraria": non si dovranno considerare contrarie le opinioni concernenti cose contrarie. Cosf, ad esempio, non sono contrarie le due opinioni: 'il buono t: buono', e 'il cattivo è cattivo'. Queste due proposizioni sono entrambe vere, sebbene i contenuti da loro espress! swno contrari. Dal che si deduce che "le opinioni non sono contrarie per essere di cose contrarie, ma piuttosto perché si presentano in forma contraria".
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LA CONTRARIETÀ DELLE PROPOSIZIONI
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a meno che non si tratti di quelle op1mom m cui c'è l'errore. E queste stesse sono quelle dalle quali provengono le generazioni e le generazioni derivano dalle cose contrapposte, cosicché anche gli errori derivano dai contrapposti'. Se allora è vero dire riguardo al 'buono' sia che 'è buono' sia che 'è non cattivo', cd è 'buono' per sé, e 'non cattivo' per accidente - dato che ad esso capita per caso di essere non cattivo - e se, inoltre, per ogni cosa, è piu vera l'opinione che riferisce una determinazione per sé, sarà allora altres! piu falsa l'opinione che riferisce una determinazione per sé, dato che lo stesso avviene per l'opinione vera. Ora dunque l'opinione che 'il buono non è buono' è falsa in relazione a ciò che sussiste per sé, mentre l'opinione per cui 'buono è cattivo' è falsa in relazione a ciò che sussiste per accidente. Riguardo al 'buono', di conseguenza, l'opinione che si esprime nella negazione risulterà piu falsa di quella che riferisce la determinazione contraria. Però erra in piu grande misura, intorno ad ogni cosa, colui che ha l'opinione contraria; infatti i contrati sono fra le cose maggiormente differenti intorno alla stessa cosa. Ed allora, quando tra due opinioni una è contraria all'opinione vera, e la seconda, che si dà nella negazione, è contraria in misura maggiore, sarà evidente che quest'ultima risulterà davvero la contraria. D'altra parte l'opinione secondo la quale 'il buono è cattivo' s "Se dunque, riguardo al buono ... anche gli errori derivano dai contrapposti": alla affermazione 'buono è buono', paiono contrari due tipi di opinioni: 1) 'buono non è buono', e 2) 'buono è qualche altra cosa', c questa qualche altra cosa "non sussiste e neppure è possibile che sussista in buono". E riguardo alla 2, per la quale 'buono è qualche altra cosa', si può avere ancora una sottodistinzione nel senso che è possibile l'opinione a) che questa qualche altra cosa che non appartiene a 'buono' vi appartenga (es. 'buono è cattivo') ed è possibile l'opinione h) che sempre questa qualche altra cos>t che appartiene a 'buono' non vi appartenga (es.: 'buono non è raccomandabilc'). Ebbene le opinioni del tipo a) c b) non le possiamo dire contrarie poiché sono infinite. Detto questo, Aristotele avrebbe dovuto considerare l'altra contraria, doè la 1 ), invece egli svia l'indagine verso la ricerca di un metro per mezzo del quale poter dire quand'è che una opinione è contraria ad un'altra. Ebbene, tale criterio consiste nel dire che sono contrarie "quelle opinioni in cui c'è l'errore", nel senso che ad una opinione vera affermativa è contraria una opinione falsa negativa, e non un'altra affermazione. Aristotele prova questo ad opera di una analogia; infatti, egli dice, come alla generazione di una cosa non è contraria la generazione di un'altra cosa, ma la corruzione della stessa, cosf anche all'affermazione di una cosa non è contraria l'affermazione di un'altra cosa, ma la negazione della stessa. In altre parole, come nel processo naturale si oppongono generazione e conu:'.ione, cosf nel processo intellettuale si oppongono l'opinione vera c quella falsa.
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CAPITOLO QUATTORDICESIMO
è un'opinione composta, per il fatto che forse è necessario che chi la dice dovrà pensare anche che 'il buono non è buono'6 • Inoltre, se anche per gli altri casi bisogna che le cose siano cosi, si può allora pensare che la nostra soluzione sia stata ben posta; in effetti, l'opinione che si esprime nella negazione dovrà essere quella contraria in ogni caso, oppure non lo sarà in nessuno. Bene, riguardo a tutte le cose che non hanno un contrario, l'opinione falsa è quella contrapposta alla vera, per esempio chi crede che l'uomo non sia uomo, sbaglia. Ed allora, se tali opinioni sono contrarie, risulteranno contrarie pure le altre che si esprimono in una negazione7 • Inoltre l'opinione che 'il buono è buono' e quella per cui 'il non buono non è buono' si equivalgono, come pure l'opinione secondo cui 'il buono non è buono' equivale all'opinione per cui 'il non buono è buono'. Ebbene, all'opinione, che è vera, secondo cui 'il non buono non è buono' quale opinione è contraria? Non certamente l'opinione che 'il non buono è cattivo': infatti potrebbero essere vere allo stesso tempo, mentre un'opinione vera non sarà mai contraria ad un'opinione vera. Vi è qualcosa che non è buono e che è cattivo, cosicché si dà che queste opinioni siano allo stesso tempo vere. E d'altra parte neppure sarà contraria l'opinione secondo cui 'il non buono non è cattivo', poiché anch'essa potrebbe essere vera, infatti anche queste potrebbero essere simultaneamente vere. Non rimane dunque che all'opinione che 'il non buono non è buono' sia contraria l'opinione che 'il non buono è buono', la 6 "Se allora è vero dire ... dovrà pensare anche che 'il bumzo 11011 è buono"': giunti a questo punto, Aristotele prosegue l'indagine sulla autentica contrarietà affermando che noi anziché dire 'buono' potremmo dire 'non cattivo'. Ma sta che mentre di 'buono' noi possiamo predicare il 'buono' di per sé, di esso noi pou·emmo predicare 'non cattivo' solo per accidente; e pertanto riguardo al 'buono' sarà piu vera l'opinione che lo dichiara 'buono' dato che il buono è buono di per sé, e sarà meno vera quella che Io dichiara 'non cattivo' dato che il buono è non cattivo per accidente. Di conseguenza sarà piu falsa, sempre riguardo al buono, la opinione che lo dice 'non buono', poiché questa opinione nega ciò che esso è per sé, mentre l'opinione che dice che è 'cattivo' nega ciò che esso è per accidente. E cosi, concludendo, fra le opinioni, quella che esprime l'autentica contrarietà è l'opinione del tipo l (Cfr. nota 5): all'opinione 'buono è buono' non è contraria 'buono è cattivo', ma l'opinione 'buono non è buono'. 7 "Inoltre, se anche per ... si esprimono in una negazione": stabilito il metro Jella vera contrarietà, Aristotele vede che esso è applicabile anche a quelle 'cose che non hanno un contrario'. Simili cose che non hanno un contrario sono, per Aristotele, le sostanze. Infatti mentre a 'bello' si può opporre il contrario 'brutto', 'uomo' non ha un contrario; c l'opinione contraria di 'uomo è uomo' è 'uomo non è uomo'.
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LA CONTRARIETÀ DELLE PROPOSIZIONI
10.3
quale è falsa, infatti è vera l'altra. Talché anche l'opinione che 'il buono non è buono' è contraria all'opinione che 'il buono è buono'•. È evidente che non vi sarà alcuna differenza anche nel caso che poniamo l'affermazione universalmente, poiché sarà contraria la negazione in universale; per esempio all'opinione che 'ogni buono è buono' sarà contraria l'opinione che 'nessuno dei buoni è buono'. In realtà, l'opinione secondo cui 'il buono è buono', se il 'buono' lo si assume universalmente è la stessa che l'opinione per cui 'ciò che è buono è buono'; e questa non differisce per niente dall'opinione che 'tutto ciò che è buono è buono'. Similmente si dica anche per 'il non buono'•. Sicché, se le cose stanno cosi per l'opinione, e le affermazioni e le negazioni della voce sono simboli di ciò che vi è nell'anima, è chiaro che all'affermazione sarà contraria la negazione concernente la stessa cosa, presa universalmente; per esempio all'affermazione 'ogni buono è buono' oppure 'ogni uomo è buono' sono contrarie 'nessun buono è buono' o 'nessun uomo è buono', e saranno contraddittorie le negazioni 'non ogni buono è buono' o 'non ogni uomo è buono'. È poi evidente che né un'opinione vera né una affermazione o negazione vera possono essere contrarie ad una opinione vera, e ad una affermazione e negazione vere; infatti sono contrarie le proposizioni che riguardano i contrapposti, intorno ai quali è possibile che il medesimo individuo dica la verità; e insieme non è possibile che i contrari sussistano nella stessa cosa.
' "Inoltre l'opinione che ___ è contraria all'opinione che 'il buono è buono"': si fissano dapprima alcune equivalenze, e poi si cerca di vedere quale sia - in base al criterio di vera contrarietà ormai stabilito - la contraria dell'opinione 'il non buono non è buono'. Ebbene, a questa opinione non è contraria l'altra 'il non buono è cattivo', perché ambedue potrebbero essere contemporaneamente vere. E nemmeno è contraria l'opinione 'il non buono non è cattivo' per la medesima ragione. Non rimane dunque che all'opinione 'il non buono non è buono' sia contraria l'opinione che 'il non buono è buono', la quale è falsa mentre è vera l'ultra". 9 "È evidente che non vi sarà .. si dica anche per il 'non buono"': con questo passo Aristotele e~t~nde il criterio della vera contrarietà alle opinioni universalmente quantHicate. Sulla questione della "mediazione dell'opinione" nella soluzione del problema della autentica contrarietà, cfr. E. RIONDATO, La teoria aristotelica rlell'emmciazione, cit., pag. 74 c scgg.
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Indice Introduzione l. Perché si torna alle opere logico-linguistiche di Aristotele pag.
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2. Le opere logico-linguistiche di Aristotele .
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3. Il contenuto e la fortuna del "Dc Interpretatione" Il contenuto La fortuna del "De Interpretatione" .
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4. "De Interpreta tione": autenticità e cronologia Autenticità Cronologia
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20 21
5. Il "De Interpretatione": edizioni critiche c traduzioni Edizioni critiche Traduzioni
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6. Una lettura logico-analitica del "De lnterpretatione" Premessa metodologica Una lettura logico-analitica del "De Interpreta tione"
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27 30
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35
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Capitolo primo Parole, pensieri e cose. Il vero e il falso .
Capitolo secondo Il nome: nomi semplici, nomi composti c casi del nome
Capitolo terzo Il verbo
Capitolo quarto Il discorso www.scribd.com/Baruch_2013
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INDICE
Capitolo quinto
Proposizioni semplici e proposizioni composte
pag.
53
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59
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61
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67
Capitolo sesto
L'affermazione, la negazione e la loro opposizione . Capitolo settimo
L'universale c il singolare. L'opposizione delle proposizioni: contraddizione e contrarietà . Capitolo ottavo
L'unità e la pluralità delle proposlZloni. Le proposizioni equivoche e loro opposizione Capitolo nono
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L'opposizione dei futuri contingenti . Capitolo decimo
Le opposizioni nelle proposizioni de secundo adjacente, c nelle proposizioni de tertio adjacente, a soggetto definito o indefinito .
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75
))
81
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87
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91
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Capitolo undicesimo
Proposizioni composte
Capitolo dodicesimo L'opposizione delle proposizioni modali Capitolo tredicesimo
Le consecuzioni delle modali Capitolo quattordicesimo
La contrarietà delle proposizioni .
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Finito di stampare nel mese di settembre 1970 da «La Tipografica Varese» per conto della MINERVA IT ALICA Bergamo - Via Maglio del Rame, 6
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