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MARY JANE CLARK DANZANDO NEL BUIO (Dancing In The Dark, 2005) Ancora una volta, a Elizabeth e David. E a tutti coloro che si confrontano con la disabilità mentale, nell'attesa che si trovi una terapia o una cura per la sindrome da X fragile. PROLOGO GIOVEDÌ SERA, 18 AGOSTO Adesso non vedeva e gli altri suoi sensi si erano intensificati. Era in piedi al buio e non distingueva niente, però udiva il rombo continuo dell'oceano Atlantico in lontananza e un morbido frullare d'ali proprio sopra la sua testa. L'odore di muffa e di marcio le irritava le narici. Sentiva il suolo umido e freddo sotto i piedi nudi: le sue dita raggrinzirono, toccando il terriccio sabbioso, bagnato. Qualcosa le sfiorò una caviglia: sperò che fosse un topo, non un ratto. Tre giorni in quell'ambiente malsano erano sufficienti. Se fosse stata costretta a restarci più a lungo, sarebbe impazzita. Eppure, quando l'avessero trovata, come fantasticava che sarebbe successo, gli agenti avrebbero voluto sapere tutto. Per farcela, avrebbe dovuto essere in grado di raccontare l'accaduto fin nei minimi dettagli. Avrebbe riferito alla polizia che lui la lasciava sola per periodi che parevano di ore; che le metteva un bavaglio, quando andava via, in modo che nessuno potesse udire le sue grida e che glielo toglieva solo per premere la bocca contro la sua, quando ritornava. La polizia avrebbe voluto sapere che cosa le aveva detto, ma lei avrebbe confessato che dopo il secondo giorno di prigionia aveva smesso di fargli domande, perché lui non rispondeva mai. Comunicava quello che voleva toccandola. Avrebbe descritto come la carezzava e la sollevava, come muoveva il corpo contro il suo e come lei aveva capito che doveva seguire la sua guida. Mentre continuava a organizzare mentalmente le informazioni che la polizia sicuramente le avrebbe richiesto, sentì un familiare brontolio proveniente dal suo stomaco. Aveva mangiato ben poco delle scarse provviste,
ma non era preoccupata per quello. La fame era una sua compagna abituale. La capacità di sopravvivere con una minima quantità di cibo era una delle sue doti più eccezionali, benché, naturalmente, i suoi genitori non la pensassero così. E nemmeno i suoi ex amici, gli insegnanti o i medici che tanto avevano faticato per cercare di farle cambiare strada. Tutti loro non vedevano ciò che per lei era ovvio: la capacità di non mangiare garantiva il massimo del controllo. Ascoltando un piccione che tubava sulla grondaia sopra di lei, pensò ai suoi genitori. Dovevano essere fuori di sé per la preoccupazione. Immaginò sua madre che piangeva e suo padre che camminava avanti e indietro facendo schioccare ripetutamente le nocche delle dita, una fastidiosa abitudine di quando era sconvolto. E in città, la stavano cercando tutti? Pregò che fosse così. Sperò che chiunque mai le avesse fatto un torto, l'avesse snobbata, o l'avesse ferita, adesso fosse in ansia per lei. Il rombo sommesso delle onde andava e veniva, e lei cominciò a oscillare seguendone il ritmo, cercando di calmarsi. Tutto si sarebbe risolto per il meglio. Doveva andare così. Avrebbe raccontato alla polizia che cosa era successo: come lui, in silenzio, l'avesse costretta ad alzarsi in piedi e, sempre senza parlare, le avesse indicato che cosa voleva che facesse, premendo il corpo contro il suo. Aveva danzato nel buio per lui. Danzato ancora e ancora, cercando disperatamente di soddisfarlo. Danzato per salvarsi la vita. Quattro ore più tardi, Ocean Grove, New jersey La guardia giurata alzò il braccio e si puntò la torcia elettrica verso il polso. Mancava un'ora alla fine del turno. Aveva il tempo di fare un ultimo giro di perlustrazione. Passeggiando per i sentieri deserti, George Croft estrasse il fazzoletto dalla tasca dell'uniforme e si asciugò la fronte e la nuca. A parte il caldo eccessivo, era una notte come tante altre, nella tranquilla cittadina sulla riva dell'oceano. Di tanto in tanto, dalle tende accanto a cui passava, proveniva un roco russare. Le regole dell'Associazione non permettevano di parlare a voce alta dopo le dieci di sera, così per le undici la maggior parte delle luci era già spenta. La combinazione di sole, caldo e aria salmastra predisponeva i residenti estivi a una bella notte di sonno. Giunto alla fine di Mt. Carmel Way, tagliò attraverso il prato e si fermò a controllare per l'ultima volta la porta del Bishop Jane's Tabernacle e
quella del Great Auditorium. Le massicce strutture di legno in stile vittoriano erano ben serrate. La croce illuminata che risplendeva in cima all'auditorium, e che serviva da punto di riferimento per le navi di passaggio, brillava nella notte segnalando che tutto andava bene. George era contento che fosse tutto in ordine, ma aveva ancora quindici minuti, prima di staccare. Dio non volesse che capitasse qualcosa prima delle due del mattino e lui non fosse sul posto. Lo avrebbero licenziato. Inoltre, benché non vivesse nella zona da lui sorvegliata, ancora non c'erano tracce di quella giovane scomparsa. Se un qualche pazzo disturbato aveva intenzione di rapire un'altra ragazza di Ocean Grove, certo non gli avrebbe permesso di farlo durante il suo turno. Cielo, faceva caldo. Voleva bere un po' d'acqua fresca, così puntò la torcia in direzione del gazebo di legno che proteggeva il Beersheba Well. Sapeva che il primo pozzo scavato a Ocean Grove aveva preso il nome da un pozzo dell'Antico Testamento. Le acque di Beersheba avevano soddisfatto gli israeliti di allora, e anche i padri fondatori della sua città, ma lui preferiva la roba in bottiglia. Comunque, il gazebo era un luogo come un altro, dove aspettare la fine del turno. Dall'oceano non soffiava la minima brezza e l'aria notturna era particolarmente ferma. Puntò la luce giallastra sul prato davanti a sé e procedette lentamente, cercando di ammazzare il tempo. Notò di avere una scarpa slacciata, così posò la torcia sull'erba e si chinò ad allacciarla. Fu allora che udì un lieve raspare. Gli si rizzarono i peletti sulla nuca sudaticcia. Rivolse la torcia in direzione del rumore. Socchiuse gli occhi, cercando di identificare quello che aveva davanti. Una forma scura giaceva alla base del gazebo, immobile, per quanto riusciva a vedere. Si avvicinò di qualche passo. Il rumore si ripeté e lui individuò un minimo movimento della sagoma. Pianissimo, si accostò ulteriormente, finché la luce della torcia non si rifletté sulla pelle pallida di un volto femminile, bendato e imbavagliato. VENERDÌ, 19 AGOSTO Capitolo 1 Mentre si affrettava lungo Columbus Avenue, Diane sentiva il calore del marciapiede filtrare attraverso le suole delle scarpe. Gocce di sudore le co-
lavano lungo i fianchi. Con un unico gesto, si asciugò l'umidità che le si era concentrata sulle sopracciglia, vanificando i venti minuti trascorsi davanti allo specchio del bagno con asciugacapelli, spazzola e spuma fissante. La sua camicetta di cotone, fresca di bucato, le si era appiccicata alla schiena e il colletto inamidato cominciava ad afflosciarsi. La giornata non era nemmeno cominciata e lei era già tutta in disordine. Come al solito, era in ansia perché non voleva arrivare in ritardo e desiderò di non avere promesso a se stessa di recarsi al lavoro a piedi. D'altro canto la camminata di venti isolati era l'unico esercizio fisico certo che riuscisse a fare in quei giorni, e ne aveva bisogno. Aveva lasciato scadere l'abbonamento in palestra, poiché aveva realizzato che non era in grado di andarci regolarmente. In quel periodo non ne aveva proprio più il tempo, se voleva trascorrere con i ragazzi le ore che riteneva necessarie. Avvertendo l'odore disgustoso della spazzatura che si cuoceva nel sole mattutino in attesa di essere raccolta dal marciapiede, Diane si sentì sollevata all'idea che la sua vacanza di due settimane stesse per cominciare. Sarebbe stato magnifico andare via dalla città, allontanarsi dal calore opprimente, dal rumore, dal trambusto e dalla tensione. Per tutti loro, gli ultimi mesi erano stati duri, anzi tremendi. A volte, non sembrava possibile che tutto ciò potesse essere accaduto. Invece, la realtà era assolutamente lampante, quando notava Michelle che si rosicchiava le unghie o Anthony che curvava le spalle fissando la foto incorniciata di suo padre posata sul pianoforte, oppure quando lei stessa allungava il braccio verso la parte vuota del suo letto matrimoniale, nel colmo della notte. Tagliò attraverso il cortile del Lincoln Center, fermandosi un attimo presso la grande fontana. Sperava di catturare uno spruzzo d'acqua nebulizzata, ma non c'era alcuna brezza che la spingesse verso di lei. Aggiustandosi la borsa sulla spalla, Diane continuò a camminare. Non aveva importanza, pensò. Presto lei e i ragazzi sarebbero stati in un luogo dove l'aria non puzzava e l'acqua scorreva limpida e fresca. Forse non come avevano originariamente progettato, forse non come avrebbero preferito, ma avrebbero fatto quella vacanza. Se la meritavano. Ne avevano bisogno, dopo tutto quello che avevano passato. La vita, anche senza Philip, doveva andare avanti. Spingendo la pesante porta girevole che conduceva nell'atrio d'ingresso, Diane accolse con gioia la ventata di aria fresca. Sorrise alle guardie di sicurezza in uniforme, mentre frugava nella borsa alla ricerca della catenella metallica infilata nel suo tesserino di riconoscimento. Una volta trovatala,
fece scorrere la tessera attraverso l'apparecchio elettronico, che emise un bip per indicare che poteva accedere al Broadcast Center di KEY News. Molti giornalisti trovavano irritante dover esibire il proprio tesserino. Ritenevano che i loro volti ben noti dovessero essere sufficienti a garantire loro l'accesso; a Diane, invece, non importava. Gli addetti alla sicurezza svolgevano un lavoro che diventava sempre più difficile e per lei era facile estrarre il tesserino. Non arrivava, tuttavia, a tenerlo appeso al collo tutto il giorno. Non era una dichiarazione di stile che le interessasse. Acquistò un tè e una banana dal carrello dei rinfreschi, poi percorse la lunga e ampia rampa che portava agli ascensori, passando davanti alle grandi foto illuminate dei conduttori e dei corrispondenti di KEY News, raggruppate per trasmissione. Eliza Blake sorrideva raggiante dal manifesto di KEY Evening Headlines. Constance Young e Harry Granger ridevano sotto il logo del programma mattutino KEY to America. La foto di Hourglass, scattata più di un anno prima, mostrava Cassie Sheridan circondata dai reporter che contribuivano al rotocalco televisivo. Diane non si fermò a studiare il proprio viso, con gli occhi grigio-azzurri e il naso che lei avrebbe desiderato essere un attimo più dritto, che sorrideva dalla parete insieme a quelli dei suoi colleghi. Non aveva bisogno di promemoria. La preoccupazione e l'esasperazione dei mesi passati erano evidenti. Le linee sottili agli angoli degli occhi si erano approfondite e se n'erano formate di nuove intorno alla bocca, riflesso di involontari corrugamenti del volto. Di recente, aveva notato che, per mascherare le borse scure che le erano apparse sotto gli occhi, era costretta ad applicare il correttore diverse volte al giorno. Un'altra buona ragione per concedersi una vacanza, pensò premendo il pulsante dell'ascensore. Se avesse potuto allontanarsi e rilassarsi per un po', il suo aspetto se ne sarebbe giovato. Tutte le reporter donna erano profondamente consapevoli del fatto che la loro immagine giocava un ruolo importante nel loro successo. Era una realtà, nell'ambiente dei notiziari televisivi. Naturalmente anche gli uomini facevano attenzione al proprio aspetto, però potevano permettersi capelli grigi, qualche ruga o qualche chilo in più e passarla ancora liscia. Le donne, invece, no. Si lamentavano con le loro amiche, ma sapevano che le cose non sarebbero mai cambiate: per le giornaliste che andavano in onda, l'esperienza contava, però giovinezza e bellezza venivano idolatrate. Il campanello dell'ascensore trillò e le porte si aprirono. Diane attraversò l'atrio del sesto piano e s'infilò nel bagno delle signore. Prese dei fazzolet-
tini di carta dal distributore a parete e si picchiettò il viso, cercando di non togliersi il trucco nel ripulire il mascara che le era colato agli angoli degli occhi. Mentre tentava di ridare una qualche forma alla propria pettinatura, sentì il clic della serratura di una delle toilette che si apriva alle sue spalle. «Ciao, Susannah», disse, rivolgendosi alla giovane donna che zoppicò fino al lavandino accanto al suo e si servì di sapone liquido. «Ehi, Diane. Cosa dici, fa abbastanza caldo?» Guardando lo specchio, Susannah fece il suo tipico sorrisetto obliquo, che si riflesse verso Diane. Diane stava per cominciare a lamentarsi dei propri capelli che si erano appiattiti e di quanto aveva sudato recandosi al lavoro a piedi, ma si trattenne, consapevole che sarebbe stato indelicato. Con ogni probabilità Susannah avrebbe dato qualsiasi cosa per essere in grado di fare quella passeggiata che lei considerava scontata. «Grazie al cielo c'è l'aria condizionata», rispose Diane, togliendo alcuni capelli biondo cenere dalla spazzola, prima di riporla nella borsa. Poi, ci rovistò dentro e ne estrasse un flaconcino di lacca per capelli. «E domani vado in vacanza con i miei figli, Farà anche caldo al Grand Canyon, ma non sarà afoso quanto qui.» «Fantastico», replicò Susannah con entusiasmo. «Hai tutte le informazioni che possono servirti prima di partire? Potrei metterti insieme un dossier di informazioni turistiche.» Questo era uno dei grandi pregi di Susannah, pensò Diane, agitando il flacone e togliendo il tappo. Era sempre allegra e disponibile. Aveva un sacco di motivi per essere abbattuta, eppure non faceva la vittima. Forse sapeva che l'atteggiamento da povera-me, dopo qualche tempo, veniva a noia. «Oh, sei un tesoro, Susannah, ma non ho bisogno di niente. Mi limiterò a riposarmi e lasciare che le guide del tour facciano il loro lavoro. Non vedo l'ora di godermi una vacanza in cui non devo leggere carte geografiche, o prendere decisioni, ma solo scegliere quali pantaloncini indossare al mattino. Voglio rilassarmi con i miei figli per due settimane e lasciare che qualcun altro si preoccupi di quello che faremo durante il giorno.» Diane attese che l'archivista raggiungesse l'uscita, prima di premere il pulsante e spruzzare la lacca. L'odore dei vapori del prodotto aveva appena raggiunto le sue narici, quando Susannah chiamò dalla porta. «Diane, credo di doverti avvertire. Joel ti sta cercando.» «Sai perché?» chiese Diane, rimettendo il tappo al flacone, ma Susannah era già sparita.
Capitolo 2 L'ispettore era ai piedi del letto, nel piccolo reparto dell'ospedale. Con volto impassibile annotava minuziosamente le risposte di Leslie Patterson. «Quante volte lo devo ripetere?» La giovane alzò la voce per la frustrazione. «Non l'ho mai visto in volto. Sto dicendo la verità. Non l'ho mai visto.» Osservò il poliziotto, sperando in una sua reazione, ma l'espressione dell'uomo non rivelava nulla. Tuttavia, dal modo in cui riformulava di continuo le stesse domande capiva che non le credeva. «Rivediamo i fatti, signorina Patterson. A mezzanotte, lei era sul lungomare e faceva una passeggiata?» L'agente enfatizzò l'ora, segnalando il suo scetticismo. «Lei va spesso fuori da sola a notte così tarda?» chiese. «Gliel'ho detto. Avevo litigato con il mio ragazzo e volevo starmene da sola per riflettere su svariate cose. Ho pensato che una passeggiata mi avrebbe schiarito le idee e che forse mi sarei stancata abbastanza da riuscire a dormire.» «Il suo ragazzo sarebbe Shawn Ostrander, giusto?» «Sì, le ho già detto anche questo.» Prese il cucchiaio dal vassoio della colazione e lo lasciò ricadere. Una qualche infermiera aveva pensato di farle un piacere, portandole un pasto mentre aspettava di essere dimessa. Come se io mangiassi questa roba, pensò Leslie. Sospirò, allontanando il carrello con il cibo intatto. «E Shawn ha detto che non voleva più vederla, giusto, Leslie?» L'agente usava un tono gentile per indurla a proseguire. «Sì, e che aveva incontrato un'altra.» Leslie studiò i segni rossi che le manette di plastica le avevano lasciato sui polsi, poi tirò su le lenzuola. Sotto la coperta dell'ospedale, dove l'agente non poteva vedere, si pizzicò la parte alta della coscia. Poiché non aveva una spilla di sicurezza o una lametta, una ferita inflitta manualmente avrebbe dovuto bastare. Un pizzicotto forte, cattivo, inteso a farla stare meglio. Nonostante il dolore pulsante, l'espressione del suo volto non mutò. «Deve averle fatto male», disse l'agente. Leslie sbatté le palpebre, credendo per un attimo che l'uomo in qualche modo sapesse che si stava pizzicando, ma poi capì che si riferiva al dolore di sapere che Shawn aveva trovato un'altra. «Sì, amo Shawn.» Leslie si afferrò di nuovo la carne di nascosto e pre-
mette forte. Questa volta gli occhi le si riempirono di lacrime. Non per via del dolore fisico, ma perché non riusciva a sopportare l'idea di perdere Shawn. Non capiva che nessuno l'avrebbe mai amato quanto l'amava lei? «Voleva che Shawn si preoccupasse per lei, Leslie? Sperava che riconsiderasse la sua decisione di rompere, quando si fosse reso conto di sentire la sua mancanza? Sperava che scomparendo per un paio di giorni gli avrebbe fatto cambiare idea?» Leslie rifletté sulla risposta. Sì, voleva che Shawn si preoccupasse per lei e sì, mentre giaceva in quel posto buio e umido per tre giorni e tre notti, si era aggrappata alla speranza che sentisse la sua mancanza. Aveva sperato che l'orrore che doveva affrontare servisse a qualcosa: che, al pensiero di perderla per sempre, Shawn capisse che l'amava quanto lei amava lui. Tuttavia, se lo avesse rivelato all'agente, non avrebbe fatto altro che confermare quello che lui già sospettava, cioè che aveva inscenato il rapimento per attirare l'attenzione. Non voleva che lo pensasse. «Senta, agente, qualcuno mi ha rapita, bendata, imbavagliata, legata e tenuta da qualche parte per tre giorni. Ho la sensazione che lei accusi me, mentre dovrebbe essere là fuori a cercare il vero criminale.» «Lo stiamo facendo, Leslie, mi creda, lo stiamo facendo. Non sono l'unico che lavora a questo caso. Più della metà del Neptune Police Department è coinvolta. Arriveremo in fondo alla faccenda. Ci può contare.» Qualcosa nel tono del poliziotto fece sembrare le sue parole più minacciose che rassicuranti. La porta della stanza si aprì. Il medico che l'aveva visitata al pronto soccorso entrò e si accostò al letto. Prima di parlare esaminò la cartella e lanciò un'occhiata al poliziotto. Nell'ambito di un'indagine criminale, sia la polizia che il paziente avevano il diritto di conoscere i risultati degli esami. «Il kit stupro è risultato negativo. Dunque abbiamo motivo di essere sollevati. Benché tu non abbia dichiarato di essere stata violentata, è stato un bene aver fatto il test. Non si può mai essere sicuri in una situazione del genere: avresti potuto essere stata drogata, o tramortita, e non essertene nemmeno resa conto.» Il dottore sorrise con fare rassicurante e le mise una mano sulla spalla. «Quindi, fisicamente sei a posto. Quei graffi sui polsi e sulle gambe guariranno in pochi giorni, e anche i tagli agli angoli della bocca. Puoi andare a casa, Leslie. Dovrai parlare con qualcuno, però. Esprimere i tuoi sentimenti. Vuoi che ti consigli un terapeuta? Ne abbiamo di ottimi, nel nostro staff.» «Grazie, ma ho già un terapeuta.» Leslie annuì, sapendo che non avreb-
be avuto senso opporsi. Certo, sarebbe tornata in terapia e avrebbe preso in giro il dottor Messinger nello stesso modo in cui stava prendendo in giro il medico del pronto soccorso in quel preciso momento. Quell'uomo non aveva idea che sotto il lenzuolo bianco dell'ospedale lei si stesse pizzicando, più e più volte. Capitolo 3 In agosto, gli altri produttori esecutivi di notiziari TV si godevano delle partite a golf agli Hamptons, oppure si rilassavano nel Sud della Francia; invece, quando Diane bussò alla porta aperta del suo ufficio, Joel Malcolm era seduto alla sua scrivania, intento a cliccare sul telecomando puntato verso una mezza dozzina di monitor montati alla parete. «Ah, bene. Sei qui», disse facendole cenno di entrare. Joel indicò col capo uno degli schermi televisivi. La scritta identificativa alla base dello schermo diceva: OCEAN GROVE, NEW JERSEY. Un cronista stava facendo uno stand-up da una spiaggia, con l'oceano sullo sfondo. Aveva il viso arrossato e il colletto della camicia sbottonato, i capelli erano immobili. Se la brezza non arruffava i capelli di quel tizio, pensò Diane, doveva fare un caldo terribile, perfino sulla costa. «Hai sentito di questa ragazza che è scomparsa sulla costa del New Jersey?» Joel indicò la televisione. «Non ho prestato molta attenzione alla notizia», rispose Diane, accomodandosi sul divano in pelle, «ma scommetto che mi racconterai tutto di lei.» Se Joel captò un certo sarcasmo, lo ignorò. «Be', è sparita tre giorni fa, ma è riapparsa ieri notte. Matthew ha saputo, in via ufficiosa, che ritengono che si sia inventata tutto, che abbia inscenato il proprio rapimento. A quanto pare è una vera e propria squilibrata.» Diane sentì accelerare il battito del proprio cuore. Ci siamo, pensò. Con i corrispondenti di Hourglass già impegnati in due storie simili, Joel aveva sperato di trovarne un'altra. Nel Michigan, una studentessa di college era scomparsa per sei giorni, raccontando in seguito alla polizia di essere stata rapita da qualcuno che le aveva puntato un coltello alla gola. Nell'Oregon, una madre aveva denunciato la sparizione di due sorelle adolescenti, dopo aver trovato lenzuola sporche di sangue e una finestra rotta in camera loro. Erano seguite ricerche frenetiche, ma la polizia era convinta che le giovani non fossero state rapite, bensì avessero inscenato il tutto.
Per quanto perverso fosse, Diane era certa che Joel desiderasse un'altra anima sbandata, un'altra giovane con una storia contorta. Una novità che arrivasse a proposito per far decollare l'episodio di apertura della stagione, il prossimo settembre. «È perfetto per noi, Diane: una terza ragazza che grida al lupo. Voglio che faccia tu il pezzo.» «Domani parto per le vacanze, Joel», rispose lei accavallando le gambe, cercando di restare calma e sperando che lui si fosse semplicemente dimenticato che sarebbe stata in ferie per le due settimane seguenti. Eppure, già sapeva che non era così. Joel non scordava mai niente. «È una cosa importante, Diane. Le tue vacanze possono aspettare, non è vero?» «No, non possono aspettare, Joel. Sono mesi che programmiamo questo viaggio.» «Hai l'assicurazione?» Diane fu tentata di mentire, ma pensò che era meglio di no. Una bugia tira l'altra e poi, alla fine, la verità viene fuori. Erano state proprio le menzogne a mettere Philip nei guai. «A dire il vero sì», disse. «Ma l'ho fatta nel caso uno dei ragazzi si ammalasse, o roba del genere, non per cancellare il nostro viaggio all'Ovest per poter lavorare di più.» Joel aggrottò la fronte nel modo che aveva intimidito un infinito numero di reporter e produttori, prima di Diane. Il creatore e produttore esecutivo del premiato settimanale d'attualità era una leggenda della televisione. Con quarant'anni di esperienza al suo attivo nel campo del giornalismo televisivo, era arrivato fin là in virtù della sua mente pronta, del suo acuto senso dell'immagine e della sua determinazione a non arrendersi o cedere, mai. Fin dai suoi primi giorni nell'industria televisiva, quando per la produzione dei notiziari si utilizzavano le pellicole, non i nastri magnetici; fin dall'epoca in cui le notizie raggiungevano il pubblico con ore, e talvolta giorni, di ritardo, perché erano gli orari delle linee aeree a decidere i tempi d'arrivo dei filmati dei cinegiornali a New York, da dove poi venivano trasmessi in tutta la nazione; fin da quei tempi più semplici, precedenti l'arrivo di satelliti, telefoni cellulari e computer che ora erano su ogni scrivania del Broadcast Center, Joel era stato un maniaco del controllo, anche se allora c'era molto meno da controllare. Per tutta la sua carriera, aveva voluto che le cose venissero fatte a modo suo ed era abituato a ottenere sempre ciò che voleva.
«Cambiando argomento per un secondo, Diane...» Prese una penna e cominciò a scarabocchiare sul blocco per appunti giallo che aveva sulla scrivania. «Il tuo contratto scade fra pochi mesi, giusto?» «In gennaio», replicò lei, serrando le labbra. Il bastardo manipolatore. Questo era giocare sporco: Joel conosceva la sua situazione e la sfruttava a proprio vantaggio. Tutti alla KEY News sapevano che cosa era capitato a Philip. Era venuto fuori su tutti i giornali newyorkesi, su Internet e perfino nei notiziari televisivi e radiofonici del loro network. Il fatto che Joel approfittasse delle sue sfortune per ottenere quello che voleva non avrebbe dovuto sorprenderla, eppure la sua audacia la lasciò a bocca aperta. Joel sapeva che adesso era lei il capofamiglia, sapeva che il suo stipendio era necessario per nutrire, vestire e dare un tetto alla sua famiglia. Visto che Philip non c'era più, Diane non aveva altro reddito a cui fare ricorso. Benché non lo dicesse espressamente, era chiaro che Joel stava cercando di collegare la certezza del rinnovo del suo contratto, e dunque la sicurezza finanziaria della sua famiglia, al fatto che accettasse o meno l'incarico. Diane provò un profondo risentimento nei suoi confronti. «Be', sai come vanno queste cose, Diane. I dirigenti di prima linea verranno da me. Chiederanno la mia opinione, prima di rispondere a quel tuo agente, che indubbiamente starà tentando di ottenere un cospicuo aumento di stipendio per la sua cliente star.» Joel lasciò cadere la penna sul blocco. «Naturalmente voglio poter dire loro quanto sei preziosa per KEY News, quanto sia importante per il rating di Hourglass avere quel tuo bel viso sullo schermo, avere te che racconti le nostre storie. Voglio che sappiano che una delle ragioni per cui dobbiamo tenerti è che sei una gran giocatrice di squadra.» Diane si protese in avanti sul divano. «Senti, Joel, cerca di capire. Sai che i miei figli e io ne abbiamo passate tante nei mesi scorsi. Abbiamo tutti bisogno di un po' di svago.» Il produttore esecutivo si appoggiò allo schienale della poltrona e fissò il soffitto dell'ufficio. Per un attimo, Diane credette che stesse realmente considerando la sua richiesta. «Ascolta», disse, infine. «Se vuoi portare i tuoi ragazzi con te, per me va bene. Anzi, troverò persino il modo di farlo rientrare nel nostro budget.» «Joel, stai scherzando? Michelle e Anthony contavano su questo viaggio. È l'unica cosa per la quale abbiano mostrato un qualche entusiasmo da quando è successo il tutto. E poi, Ocean Grove non sarà una vacanza, quantomeno non per me. Dovrò lavorare preoccupandomi in continuazione
di ritornare dai ragazzi.» Joel inclinò la testa verso il basso e la fissò dritto negli occhi. «No, non sto scherzando, Diane. Questa è la mia ultima offerta. Posso fartela solo perché Hourglass è andato così bene la stagione scorsa che l'amministrazione non si opporrà se prenoto qualche stanza extra. Per quanto riguarda te, sono certo che la qualità del tuo lavoro non ne soffrirà. Sei una professionista. Puoi cavartela su entrambi i fronti, se vuoi.» Sapeva che Joel era assolutamente consapevole del fatto che lei non voleva, ma era chiaro che non gli importava. Voleva quello che voleva... un record di ascolti. Un'altra edizione di Hourglass che avesse uno share di pubblico tale da giustificare i prezzi per la pubblicità che il network chiedeva. Per lui non c'era altro. Il suo ego esigeva che la sua trasmissione restasse il primo rotocalco televisivo della nazione. Per soddisfare quell'ego, non era impensabile che facesse il prepotente, quando lo riteneva necessario. Diane si alzò dal divano, certa di avere perso. Allontanò dalla mente il pensiero di comunicarlo ai suoi figli. Avrebbero semplicemente dovuto accettarlo. Desiderò che non avessero dovuto scontrarsi così presto con le difficoltà della vita, ma era inevitabile, proprio come lo erano le altre dure lezioni che avevano imparato di recente. La cancellazione del loro viaggio all'Ovest avrebbe costituito un altro colpo, ma nel più ampio schema delle cose, era una sciocchezza. Aveva letto da qualche parte che i bambini che vivono un'infanzia tumultuosa possono con la stessa facilità diventare degli adulti sani, resi più forti dalle loro esperienze, oppure trasformarsi in disadattati. Diane pregava ogni sera che si avverasse la prima possibilità. Pregava affinché Michelle e Anthony traessero beneficio dall'avere imparato così presto che la vita va avanti, nonostante le delusioni. Pregava che fossero forti e riuscissero a vedere il meglio delle cose. Pregava che ricavassero un insegnamento prezioso dall'esempio di una madre che cercava di tenere insieme la famiglia e faceva quello che doveva per provvedere a essa. Non aveva altra scelta. Con il padre in prigione, non avevano che lei. Capitolo 4 Helen Richey stava spazzando via la sabbia dalle assi della veranda anteriore. Il fruscio della scopa era confortante. Le ricordava le estati della sua giovinezza, quando i suoi genitori portavano lei e le sue tre sorelle a tra-
scorrere le vacanze lì, a Ocean Grove. Dal fine settimana in cui finiva la scuola fino al Labor Day, Helen e la sua famiglia vivevano in una delle tende erette sul terreno della Ocean Grove Camp Meeting Association. Ogni struttura era costituita da una veranda di legno, una tenda di circa tre metri per quattro e un bungalow sul retro. Ogni tenda era fornita di elettricità, acqua corrente, una cucina minuscola, ma completa, un gabinetto e una doccia. Spettava agli occupanti provvedere a tutto il resto: mobili, tappeti, biancheria, stoviglie, oggetti da appendere alle pareti, perfino i condizionatori d'aria. Alcuni si portavano anche radio e apparecchi televisivi. Però i genitori di Helen no. Volevano che le loro ragazze d'estate si disintossicassero, come diceva suo padre, dalla televisione. Di mattina i bambini frequentavano delle lezioni sulla Bibbia; poi, dopo avere pranzato presto nella tenda, percorrevano i due isolati che li separavano dall'oceano Atlantico con asciugamani e giocattoli di plastica a rimorchio. La mamma sistemava una sedia a sdraio sulla sabbia, infilava un ombrellone portatile nell'apposito incavo di alluminio e si accomodava a leggere riviste e libri in edizione economica, interrompendosi di tanto in tanto per gridare ammonimenti alle figlie che giocavano in acqua. In certi giorni c'erano molte onde; in altri il mare era relativamente calmo. Inoltre si divertivano sempre a scavare nella sabbia, costruire castelli e fossati, e scegliere tra un ghiacciolo e una coppetta dall'omino dei gelati. Era quello il tipo di estate che Helen desiderava per Sarah e Hannah. Settimane semplici, idilliache, trascorse giocando al sole, godendosi l'aria buona e la bellezza gloriosa dell'oceano Atlantico, ma anche imparando alcune lezioni su Dio e su che cosa significhi essere un buon membro di una comunità. Era convinta che le estati d'infanzia trascorse all'Ocean Grove Camp Meeting fossero tempo ben speso. Contribuivano a porre solide basi per la vita adulta. Avrebbe desiderato riuscire a farlo capire a Jonathan. Suo marito detestava Ocean Grove - o «Ocean Grave», tomba sull'oceano, come l'aveva soprannominata - perché, se volevi trovare un po' di movimento, dovevi andare altrove. Tuttavia, Helen sapeva che in realtà non odiava il luogo in sé, bensì la vita in tenda. Diceva che quelle condizioni primitive e claustrofobiche lo facevano rabbrividire. Sognava una casa o un appartamento in un'altra zona della città, un posto che non fosse associato con la comunità religiosa delle tende. Per tutta l'estate era venuto da Paramus, dove abitavano, unicamente nei fine settimana, ma oggi sarebbe uscito presto dal lavoro e avrebbe sfidato il traffico del venerdì sulla Garden State Parkway per trascorrere un'intera
settimana con la moglie e le due figlie nella loro tenda di Bath Avenue. Per quanto Helen non vedesse l'ora che fossero tutti insieme, provava anche una certa apprensione. Le tende erano talmente vicine le une alle altre che talvolta, se uno starnutiva, un vicino rispondeva: «Salute». Le tende avevano orecchie. Se Jonathan si arrabbiava ed esprimeva la sua opinione in un qualsiasi tono che fosse poco più di un sussurro, gli altri occupanti avrebbero saputo tutto del suo scontento. Più di una volta erano stati costretti a chiudersi in auto per dar voce al proprio disaccordo. Terminato di spazzare, Helen scese dalla veranda per controllare i fiori che aveva piantato con cura in giugno, quando lei e le ragazze erano arrivate. Gerani rossi, impatient bianchi e agerato violaceo formavano una bordura patriottica intorno alla base su cui sorgeva la tenda. Facevano pendant con la bandiera americana appesa al palo di legno che sosteneva il tendone a strisce che copriva la veranda. Il caldo stava devastando gli impatient: i fiorellini bianchi erano avvizziti e chiusi. Helen stava per andare a riempire l'annaffiatoio al lavello della cucina, quando sentì cigolare la porta a rete della tenda vicina. «Ciao, cara», la salutò una fragile vecchietta a pochi metri da lei. «Buongiorno, signora Wilcox. Come sta oggi?» «Oh, abbastanza bene.» La voce acuta si fece stridula. «Un po' irrigidita, ma a parte questo sto bene.» «Ha dormito?» chiese Helen, raccogliendo i capelli color miele e attorcigliandoseli dietro al collo. «Non molto. C'era troppo caldo.» «Quando metterà un condizionatore, signora Wilcox?» Helen non aspettò una risposta. «Jonathan arriverà più tardi. Potrebbe comprargliene uno e installarlo questo fine settimana.» Nel preciso momento in cui lo propose, si preoccupò di come suo marito avrebbe potuto reagire. «Non so, cara. Ho sempre disapprovato l'idea di avere l'aria condizionata, quaggiù. La brezza dell'oceano è sempre stata sufficiente per Herbert e me. Però quest'anno è diverso. Vengo qui da trentanove anni e questa è l'estate più calda che ricordi.» Accennò all'interno della tenda. «Anzi, adesso Herbert è dentro che cerca di schiacciare un pisolino. Anche lui non è riuscito a dormire, così si è alzato presto ed è andato a prendere il giornale sulla Main Avenue. Ha detto che da Nagle's tutti parlavano della giovane Patterson.» Alle parole dell'anziana signora, Helen ebbe un brutto presentimento.
Anche se temeva il peggio, riuscì a chiedere: «L'hanno trovata? Sta bene?» La signora Wilcox scosse la testa argentea. «Sta bene, ma la polizia ritiene che non sia stata affatto rapita. Pensano che abbia inscenato il tutto per attirare l'attenzione.» «Oh, è terribile, signora Wilcox. Terribile e molto triste.» Tutti in città avevano seguito le vicende della giovane scomparsa, una residente di Ocean Grove, che viveva lì tutto l'anno. Leslie Patterson abitava con i genitori in Webb Avenue e, proprio la sera prima, Helen vi si era recata a piedi con le bambine e aveva acceso una candela davanti alla graziosa casa vittoriana. Dopo averla aggiunta alle molte altre che c'erano già sul marciapiede, aveva colto l'occasione per ricordare alle sue figlie quanto fosse pericoloso parlare con gli estranei. Nonostante il caldo soffocante, Helen provò un brivido sulle braccia nude. Pur avendo avuto la fortuna di crescere in una città che Helen considerava un paradiso in terra, Leslie Patterson era una ragazza disturbata. L'idea la spaventò. Pensò alle sue figlie di cinque e sei anni che in quel momento stavano probabilmente cantando Jesus Wants Me for a Rainbow durante l'ora di religione. Per quanto alleviamo i nostri figli con attenzione, per quanto cerchiamo di prenderci cura di loro e di proteggerli dai pericoli, talvolta semplicemente non crescono nel modo giusto. Capitolo 5 Cercando di mantenere un'espressione impassibile, Diane uscì a testa alta dall'ufficio del produttore esecutivo. Ma, dentro di sé, era furibonda. Detestava l'idea di essere costretta ad accettare l'incarico a Ocean Grove, detestava il fatto che Joel avesse il potere di decidere il suo destino. Un altro corrispondente avrebbe potuto dirgli di andare al diavolo, ma lei non era così coraggiosa, né così stupida. Aveva bisogno che il suo contratto venisse rinnovato. Con un'economia debole e un'industria sempre più tecnologizzata, i posti disponibili, a ogni livello, diventavano sempre meno. Era necessario un numero sempre minore di persone per mettere in onda una trasmissione. Ormai erano passati i tempi in cui un corrispondente di notiziario televisivo con esperienza poteva chiedere ciò che voleva e saltare da un network all'altro. Sarebbe stato bello avere la sicurezza economica che aveva avuto in passato. Con un marito che portava a casa un salario importante, il reddito leggermente inferiore di Diane era la ciliegina sulla torta. La famiglia Ma-
yfield si era goduta la vita: uno spazioso appartamento a Manhattan, un cottage ad Amagansett, più piccolo, ma in buona posizione, le scuole private per i figli. Però questo era prima che Philip fosse incriminato, prima che il mondo crollasse loro addosso. Talvolta ancora non sembrava possibile che le cose fossero cambiate così in fretta. Erano passati solo quattro anni da quando Philip aveva ottenuto il lavoro dei suoi sogni come direttore finanziario della BeamStar, con il progetto di quotare in borsa quell'azienda all'avanguardia nel settore delle telecomunicazioni. Diane era ancora furiosa per la stupidità di suo marito, e aveva il cuore spezzato per la sua disonestà. Aveva gonfiato gli utili della compagnia nei documenti depositati in rapporto all'offerta pubblica. Che l'avesse fatto per soddisfare le insistenze dei suoi capi non faceva che irritarla ulteriormente. Quando la BeamStar andò a picco, gli investitori s'infuriarono. Il governo indagò e Philip fu punito insieme ai suoi avidi capi. Benché avesse cooperato con l'indagine, fu condannato a un anno e un giorno di prigione. Con la buona condotta avrebbe potuto uscire già in ottobre. Mentre suo marito scontava la sua condanna nel carcere federale di Fort Dix, Diane aveva venduto il loro cottage al mare, gravato di mutuo, e aveva utilizzato i profitti per pagare alcune delle multe che avevano accompagnato la sentenza. Riusciva a coprire le rate per l'appartamento e le rette scolastiche, ma restavano pochi preziosi avanzi. Era continuamente stupita da quanto il costo della vita a Manhattan esaurisse in fretta quello che la maggior parte della gente nel resto della nazione avrebbero considerato uno stipendio di serie A. Entrando nel suo ufficio, Diane pensò che forse doveva vedere il lato positivo della cosa. Forse era meglio che fosse stata costretta a cancellare la vacanza all'Ovest: costava più di quanto potessero permettersi, ma Philip aveva insistito affinché andassero anche senza di lui. Era convinto che lei e i ragazzi dovessero fare il viaggio di famiglia di cui parlavano da anni, per celebrare il decimo compleanno di Anthony. Diane aveva resistito per un po', ma alla fine con riluttanza aveva accettato, quando Emily, sua sorella minore, aveva annunciato di voler trascorrere l'estate con loro, dopo essersi diplomata al Providence College. La presenza di sua sorella, mentre visitavano quei luoghi, avrebbe in qualche modo reso il viaggio meno triste. Anche se era più vicina di età a Michelle e Anthony che a Diane, Emily era una buona compagnia, un altro adulto per colmare il vuoto lasciato da Philip.
Diane sollevò la cornetta del telefono sulla scrivania. Avrebbe portato Emily dalla sua parte, prima di comunicare la notizia ai ragazzi. Magari avrebbe perfino chiesto a lei di dirglielo. Diane non voleva dare loro la notizia per telefono, ma sarebbero trascorse ore prima che tornasse a casa. Invece che scarponi da trekking e zainetti, dovevano mettere in valigia costumi da bagno e teli da spiaggia, e in fretta. Joel voleva che fosse a Ocean Grove già il mattino seguente. «Toc, toc.» Matthew Voigt si stagliò nel vano della porta. «Non riesco a crederci», gemette Diane. «Vieni dentro e chiudi, per favore.» Matthew avanzò di alcuni passi, chiudendosi la porta alle spalle. «Ne deduco che hai parlato con Joel.» I suoi intensi occhi scuri scintillavano maliziosi, sotto le sopracciglia scure. «Già. Me l'ha detto.» «Mi dispiace per la tua vacanza, Diane», disse sistemandosi sulla sedia di fronte alla scrivania di lei. «Non è colpa tua. Il nostro impavido leader è un tiranno senza scrupoli.» «Comunque, è un boccone amaro, no?» «Ne ho mandati giù di peggiori.» Sulla bocca di Matthew si formò un sorriso ironico. «Già, immagino di sì.» Diane sospirò profondamente, accettando l'inevitabile, e rivolse la sua attenzione al compito da svolgere. «Almeno ho te come produttore. Questo è positivo.» «Grazie, signora.» Matthew chinò la testa e si portò la mano alla fronte, come per toccare un immaginario cappello. Diane prese una Sharpie dal portapenne che aveva sulla scrivania. «Che cosa hai saputo finora?» chiese tenendo la penna pronta sopra il blocco da giornalista. Matthew si protese in avanti e le passò un foglio di carta. «In questa sintesi trovi la maggior parte dei dettagli fino a questo momento. Ho parlato con la polizia di Neptune: a quando pare questa ragazza ha problemi psichiatrici ed è già scappata di casa, quando era alle superiori. Hanno scoperto che si era nascosta in un ripostiglio vicino alla palestra della scuola. Con questa fioritura di falsi rapimenti in giro per la nazione, la polizia ritiene che si tratti solo di emulazione.» Matthew attese mentre Diane, appoggiandosi allo schienale della poltro-
na, leggeva le informazioni. Leslie Patterson aveva ventidue anni. I genitori ne avevano denunciato la scomparsa quando avevano scoperto che il suo letto era intatto, martedì mattina. La polizia e i cittadini di Ocean Grove avevano setacciato la città per tre giorni. Finalmente, tre notti dopo la sua scomparsa, una guardia di sicurezza l'aveva trovata, bendata, legata e imbavagliata, sul terreno di proprietà della Ocean Grove Camp Meeting Association. «Che cos'è la Ocean Grove Camp Meeting Association?» chiese Diane continuando a tenere gli occhi puntati sul foglio. «È una specie di ritiro religioso. Ho svolto qualche ricerca su Internet e sembra che l'abbiano fondato i metodisti dopo la guerra civile, come luogo di culto in riva al mare. Oggi non è più necessario che tu sia metodista per essere ammesso, ma devi osservare le regole dell'Associazione. E, senti questa: la gente vive in tenda.» Diane alzò lo sguardo. «Vuoi dire come in un camping?» «Sì, sono centoquattordici. C'è una lista d'attesa di dieci anni e più per ottenerne una, e il diritto di affittarle può essere tramandato di generazione in generazione.» «Leslie abita in una tenda?» domandò Diane, mordicchiando l'estremità della penna. «No. In una casa. È una residente fissa. La gente che occupa le tende sta lì solo d'estate.» Diane finì di leggere il resoconto della Associated Press. Una fonte anonima della polizia aveva detto al reporter della AP che l'indagine aveva rivelato che Leslie era stata ripetutamente in cura per anoressia, autolesionismo e altri comportamenti impulsivi. La stessa fonte aveva dichiarato che la polizia era convinta che avesse inscenato il proprio rapimento come grido d'aiuto. «Poveretta, eh?» osservò Matthew, mentre Diane posava il foglio. «E poveri genitori.» Diane si strinse nelle spalle ed esagerò un brivido. «Anoressia e lesioni. Due dei peggiori incubi di un genitore.» «Già», convenne Matthew. «Ma, orribile o no, è una storia perfetta per Hourglass.» Capitolo 6 Non appena Matthew uscì dal suo ufficio, Diane sollevò la cornetta e compose il numero di casa
Al quarto squillo rispose sua sorella. «Pronto?» Emily pareva senza fiato. «Ciao, sono io. Che cosa stai facendo?» «I miei addominali.» «Brava ragazza.» Diane si figurò la sorella in piedi, scalza, in pantaloncini e maglietta, che parlava dal telefono della cucina. Con i corti capelli castani arruffati e l'onnipresente bottiglia d'acqua in mano. «Come va?» «Ho brutte notizie, Em.» «Cioè...?» «Il nostro viaggio è saltato. Devo lavorare.» «Stai scherzando? I ragazzi daranno i numeri.» «Magari scherzassi.» Diane le riferì la sua conversazione con Joel Malcolm e la sua proposta che Michelle e Anthony andassero con lei a Ocean Grove, mentre lei lavorava al servizio per Hourglass. «Ma non era realmente una proposta, Em. Più che altro si trattava di un ordine.» «Cielo, Diane, i ragazzi saranno così delusi.» «Come se non lo sapessi. Tremo all'idea di dirglielo.» «Vuoi che lo faccia io?» propose Emily. «Speravo che ti offrissi.» «Ok, glielo dirò quando si alzano.» Diane diede un'occhiata all'orologio: erano le undici passate. Invidiava la capacità che avevano i suoi figli di dormire così profondamente e così a lungo. Sarebbe stato un tale sollievo non svegliarsi nel mezzo della notte e fissare l'oscurità nella sua stanza da letto, godere di ore di sonno profondo senza rigirarsi di continuo. Forse era la natura a provvedere così: sapendo che le ore di veglia durante l'adolescenza possono essere molto difficili, aveva fatto in modo che i ragazzi potessero riposare a lungo per recuperare le forze. Peccato che agli adulti non fosse stata concessa la stessa licenza. «Grazie, Em. Non sai quanto l'apprezzo.» «Ne ho una vaga idea.» Diane immaginò il sorrisetto furbo sul volto di sua sorella. Emily era nata adulta, era solita dire la loro madre. Anche da piccola, sembrava più matura dei suoi anni. Diane pensava che ci fosse qualcosa di magico nella sua sorellina di diciassette anni più giovane. Dal giorno in cui aveva cominciato a parlare, Emily riusciva a capire la gente e le situazioni in modo prodigioso. Forse era perché, da bambina, aveva trascorso molto tempo con gli adulti.
Le sorelle discussero ancora per qualche minuto riguardo a che cosa fosse necessario fare. Telefonare all'agente di viaggio per cancellare le prenotazioni del volo e del tour, decidere che cosa mettere in valigia per la nuova destinazione. Quando riappese, Diane si sentì confortata all'idea che Emily sarebbe andata con lei a Ocean Grove. Sarebbe stata in grado di lavorare con una certa tranquillità mentale, con la consapevolezza che i suoi figli non erano trascurati. A dire il vero, in quel periodo Michelle e Anthony si divertivano più con la zia che con lei. Capitolo 7 Al Nagle's Apothecary Café, Shawn Ostrander si accomodò su una sedia girevole davanti al bancone di formica e chiese alla sorridente cameriera due tazze di caffè da portare via. Il ventilatore a soffitto ronzava tranquillamente, creando un'atmosfera inizio secolo e muovendo l'aria nella vecchia farmacia trasformata in gelateria e panineria. Benché l'aria condizionata fosse al massimo, l'eccessivo calore esterno faceva irruzione all'interno ogni volta che la porta d'entrata veniva aperta. Mentre aspettava la sua ordinazione, Shawn fissò le rosette di ceramica nera sul pavimento di piastrelle bianche, cercando di concentrarsi sul compito successivo. Nonostante ciò che Leslie aveva passato, quella mattina doveva lavorare. Doveva concentrarsi sui suoi studi, ma prima voleva chiedere a Carly Neath di andare a trovarlo quella sera nel locale in cui lavorava come barista, ad Asbury Park. Mentre la cameriera sistemava i coperchi di plastica sui bicchieri di carta col caffè, Shawn fece la sua proposta. «Stasera c'è il Guitarbecue allo Stone Pony, Carly. Chitarra e barbecue. Vuoi venire?» Carly infilò i contenitori in un sacchetto di carta e glielo porse. «Sembra divertente, ma questa sera sono impegnata a fare la baby-sitter.» «Per chi?» chiese Shawn. «Per i Richey. Abitano in una delle tende.» «A che ora ritornano?» «Non molto tardi.» La giovane si strinse nelle spalle. «Verso le undici, immagino.» «Potresti venire dopo», propose lui. Carly abbassò gli occhi verso il bancone. «Sono un po' sorpresa che tu voglia anche solo essere visto con una ragazza questa sera, Shawn», disse a bassa voce.
«Intendi... per via di Leslie?» La coda di cavallo bionda di Carly rimbalzò, quando lei annuì. «Senti, Carly», replicò lui soppesando le parole. «Mi dispiace per Leslie. Davvero. Ma non posso più aiutarla. Devo andare avanti con la mia vita e non posso neanche preoccuparmi di quello che potrebbe pensare la gente.» Carly provò pena per Shawn, notando l'espressione abbattuta del suo viso. Le aveva parlato un po' della sua ex ragazza, che non sembrava un tipo molto stabile. Però, se era vero che Leslie aveva inscenato il proprio rapimento per attirare l'attenzione di lui, come dicevano i pettegolezzi del mattino, Carly si sentiva in parte responsabile. Sapeva che Shawn le aveva detto che voleva uscire con un'altra, subito prima che scomparisse. «Okay», disse. «Potremmo incontrarci là.» Si sentì meglio, quando vide il volto di Shawn illuminarsi. «Ottimo!» Le rivolse un ampio sorriso. «Ci vediamo stasera, allora, allo Stone Pony. Adesso vado a cercare Arthur.» Carly guardò l'orologio. «Oh, vorrei poter venire con te, ma stacco solo tra un paio d'ore.» «Non ti preoccupare. Gli dirò che hai chiesto di lui.» Carly sorrise. «Sono stata davvero contenta di conoscerlo l'altro giorno, Shawn. Ti ammiro perché vuoi aiutarlo.» Shawn ignorò il complimento. «Non è una gran cosa e talvolta penso che sia più utile a me che a lui.» Pagò il caffè e uscì dal locale, svoltando a sinistra in Main Avenue. Socchiuse gli occhi per il sole abbagliante e, tenendo lo sguardo puntato sull'oceano, percorse i due lunghi isolati che lo separavano dal lungomare. Mentre arrancava nel caldo, si ritrovò involontariamente a pensare a Leslie. Shawn si sentiva colpevole per avere rotto con lei, pur sapendo che aveva così tanto bisogno d'aiuto. Si vergognava di non essersi unito alle squadre di ricerca che avevano setacciato la città per cercarla. Era dispiaciuto che non gli importasse maggiormente di cosa le fosse capitato e di sentirsi tanto sollevato per avere finalmente tagliato con lei. Se il giorno in cui l'aveva incontrata, quando era andato alla Surfside Realty per cercare un nuovo appartamento, qualcuno gli avesse detto che quella giovane secca come un'acciuga seduta alla reception sarebbe stata la fonte di così tanti problemi, probabilmente Shawn avrebbe comunque ignorato l'avvertimento. Leslie Patterson l'aveva conquistato immediatamente. Non era particolarmente bella, non quanto Carly, ma i suoi occhi castano scuro l'avevano attratto come magneti. C'era una particolare in-
quietudine in lei, come se stesse aspettando che qualcuno venisse a salvarla. Una volta raggiunta Ocean Avenue, Shawn si fermò per lasciar passare le auto, poi attraversò la strada e imboccò la passeggiata del lungomare, dicendo a se stesso che Leslie non era più un problema suo. Per pietà e per senso di responsabilità, era stato con lei fin troppo a lungo. Aveva creduto di poterla aiutare, curare, rimettere in sesto. Aveva pensato di poterla convincere a voler migliorare; era sicuro che pazienza, attenzione e affetto l'avrebbero guarita. Aveva proprio un ego colossale! Alla fine aveva capito che né lui, né nessun altro poteva far stare meglio Leslie Patterson. I suoi problemi erano troppo profondi. Molto più profondi dei tagli che si faceva con spille di sicurezza e vetri rotti dietro le ginocchia e all'interno delle cosce. Capitolo 8 La conversazione con la polizia lo aveva profondamente scosso. Owen Messinger sospirò profondamente, mentre riponeva il ricevitore sulla sua base. Tutte le ore di terapia degli ultimi anni non avevano guarito Leslie Patterson. La polizia credeva che avesse inscenato il suo rapimento, un chiaro grido d'aiuto. Leslie continuava a essere una giovane molto malata. Owen si alzò dalla scrivania, si avvicinò alla biblioteca ed estrasse un raccoglitore giallo brillante dallo scaffale. Giallo era il colore di Leslie. Gli altri raccoglitori, verde, rosso, azzurro, arancione e porpora, contenevano le cartelle delle altre giovani che aveva in cura per disordini alimentari, lesioni autoinflitte e altri comportamenti impulsivi. Ognuno di essi conteneva pagine e pagine di annotazioni del terapeuta sia sulla malattia che sulla terapia delle sue pazienti. Dopo essersi accomodato sul divano su cui Leslie si era seduta così tante volte, Owen aprì il raccoglitore giallo e cominciò a sfogliare le pagine. Le annotazioni coprivano un periodo di otto anni. Leslie frequentava il secondo anno della scuola superiore, quando la madre aveva notato per la prima volta i segni di rasoio sulle sue gambe. Non i taglietti che poteva farsi un'adolescente inesperta radendosi le gambe, bensì delle ferite rabbiose inflitte con il filo della lama. Nella sua particolare stenografia, Owen aveva annotato le sue impres-
sioni: - DISTURBO ALIMENTARE DI L.P. = ECCESSIVA PERDITA DI PESO - L.P. DICE DI MANGIARE 3 VOLTE AL GIORNO. A UN'ANALISI PIÙ DETTAGLIATA RISULTA CHE LA QUANTITÀ DI CIBO REALMENTE ASSUNTA È MOLTO LIMITATA. - L.P. FA ECCESSIVO ESERCIZIO FISICO AL FINE DI CONTROLLARE IL PESO. - L.P. SI PREOCCUPA DI CONTINUO DEL SUO ASPETTO FISICO. SI VEDE SOVRAPPESO. - L.P. NEGA DI VEDERSI EMACIATA, BENCHÉ SIA MOLTO AL DI SOTTO DEI LIVELLI DI PESO CONSIGLIATI. - L.P. STA CERCANDO DI ALLEVIARE LO STRESS TAGLIANDOSI. RABBIA INESPRESSA O IRRISOLTA. Owen si rese conto che le annotazioni di allora non erano molto diverse da quelle che avrebbe scritto oggi sulla sua paziente. Con la differenza che adesso sapeva per certo che Leslie aveva ampliato il suo arsenale di strumenti da taglio, dalle lame di rasoio alle spille di sicurezza e ai pezzi di vetro, e che non rispondeva affatto alla nuova terapia. L'interfono squillò e dal ricevitore giunse la voce della sua assistente. «È arrivata Anna Caprie, dottor Messinger.» «Bene, Christine. Dammi un minuto.» Richiuse il raccoglitore giallo e lo infilò al suo posto sullo scaffale. Estraendo quello verde di Anna Caprie, esitò per un attimo, chiedendosi se fosse il caso di continuare con la sua terapia innovativa. Tuttavia, allontanò rapidamente il pensiero, ritornò alla sua scrivania e tirò fuori dal cassetto una confezione di lamette. Capitolo 9 «Non ho fame.» Leslie scosse la testa, mentre sua madre posava il piatto sul tavolino. «Perché mi costringi sempre a mangiare, quando non voglio?» «Non ti costringo, Leslie. Ti offro un po' di cibo. Devi mangiare qualcosa, tesoro.»
Audrey Patterson cercò di non tradire la propria frustrazione col tono della voce. Negli ultimi tre giorni aveva fatto una serie di patti con Dio. Se sua figlia fosse stata restituita loro, se Leslie fosse tornata a casa sana e salva, sarebbe stata più paziente con lei. Non l'avrebbe assillata; avrebbe tentato di essere una madre e un'amica migliore per la sua unica figlia. Tuttavia, l'iniziale sollievo di riavere Leslie diminuiva a mano a mano che si ristabilivano gli schemi consueti. Tre giorni trascorsi lontano, Dio solo sa dove, non avevano cambiato le cose. Leslie era tornata ai suoi vecchi comportamenti. «Guarda, tesoro.» Audrey sollevò l'angolo della fetta di pane integrale. «È tacchino, carne bianca. Bella magra.» «Ti prego, mamma. Lascialo là, va bene? Ne mangerò un po' più tardi.» Leslie puntò il telecomando verso la televisione. Con ansia, Audrey si sedette sul divano accanto alla figlia, mentre iniziava il notiziario di mezzogiorno della WCBS. La conduttrice Cindy Hsu diede il benvenuto agli ascoltatori ed elencò i titoli delle notizie. Un caldo record soffocava il Nordest. Gli ospedali riportavano un numero crescente di malori correlati alle alte temperature. La gente sveniva nella metropolitana di New York, l'asfalto si scioglieva sulle strade della città, i responsabili delle aziende distributrici di energia elettrica avvertivano che avrebbero potuto verificarsi dei blackout, se i consumatori avessero continuato a tenere l'aria condizionata al massimo, e i vigili del fuoco ammonivano che in caso d'incendio ci sarebbe stata una catastrofe, se gli idranti continuavano a essere aperti da chi cercava sollievo dal caldo opprimente. Con la coda dell'occhio Audrey guardò sua figlia che si copriva le gambe magre con la copertina all'uncinetto. Benché fuori il caldo fosse insopportabile, in casa la temperatura era gradevole. Certo non c'era bisogno di una coperta, ma Leslie aveva sempre freddo. Non c'era da stupirsi, pensò sua madre: non c'era carne su quelle ossa. Come Audrey aveva temuto, la notizia che fece seguito alla prima pausa pubblicitaria riguardava sua figlia, la ragazza che secondo le autorità aveva inscenato il proprio rapimento costringendo l'intera cittadina costiera a tre giorni di frenetiche ricerche. Leslie mormorò, rivolta allo schermo televisivo: «Non tutta la città. Shawn Ostrander non si è affatto preoccupato di cercarmi». Audrey fece per prenderle la mano, ma lei la ritrasse. «Non ti preoccupare, mamma. Non puoi sistemare tutto. Lasciami in pace.» Guardarono insieme il resto del notiziario locale, in silenzio. Mentre i
conduttori ringraziavano il pubblico e si accomiatavano, squillò il telefono. Audrey aggrottò la fronte preoccupata, guardando la figlia. «Probabilmente è un altro di quei reporter.» Sospirò. «Perché non ci lasciano in pace?» «Rispondo io», disse Leslie e fece per alzarsi dal divano. Con un po' troppa impazienza, pensò Audrey. «No», replicò Audrey velocemente, spingendola con delicatezza a sedere. «È meglio che me ne occupi io.» Quando sollevò il ricevitore, udì una voce femminile. «Salve, sono Diane Mayfield della KEY News. Parlo con la signora Patterson?» «Sì.» Audrey si trattenne dal mettere in atto il suo piano originale di rifiutare immediatamente qualsiasi richiesta di dichiarazioni. Non si trattava di un giornalista locale, bensì del notiziario nazionale. Guardava regolarmente Hourglass e ammirava Diane Mayfield. Aveva un modo di fare piacevole, otteneva le informazioni che voleva convincendo pazientemente i suoi intervistati ad aprirsi, invece che martellarli con insistenza. Non era come certi reporter che piombavano sulla preda come pescecani. Capitolo 10 Matthew Voigt sedeva nell'ufficio di Diane, ascoltava la sua metà della conversazione e occasionalmente le dava dei suggerimenti, muovendo solo le labbra. Quando Diane riattaccò il ricevitore, si protese in avanti. «Allora? Che cosa ha detto?» Diane si strinse nelle spalle. «Almeno non ha rifiutato. Ha detto che ci penserà.» «E...?» «Mi ha visto in Hourglass e dice che le piace come lavoro.» «Bene. Questo dovrebbe giocare a nostro vantaggio.» Matthew si appoggiò allo schienale. «Puoi scommettere che non siamo gli unici a voler intervistare Leslie Patterson. Il fatto che la madre ti apprezzi, aumenta le nostre probabilità di riuscire a parlare con la figlia.» «Okay», disse Diane alzandosi e mettendosi davanti alla scrivania. «Questo è tutto quello che possiamo fare da qui. Quando parti per Ocean Grove?» «Passo da casa, metto dei vestiti in una sacca e vado», rispose Matthew. «Arriverò oggi pomeriggio sul tardi e cercherò di mettere insieme un po' di
elementi. Ci vediamo là domani mattina.» Diane annuì. «Chi c'è nella troupe?» chiese. «Gates e Bing.» Diane alzò gli occhi al cielo. «Grandioso. Proprio grandioso.» «Credimi, dispiace anche a me, Diane. Ho provato con Cohen e Doyle, ma sono in vacanza. Siamo incastrati con Sammy.» «Dio, Matthew. L'ultima volta che Sammy Gates ha ripreso un mio stand-up, sembravo una befana. Non si è preoccupato di dirmi che i capelli mi stavano ritti sulla nuca e pareva che avesse addirittura cercato deliberatamente di ingrandire le mie occhiaie. Quel tipo non prova nemmeno a sistemare le luci nel modo giusto.» Matthew annuì. «Lo so, ma prometto che gli starò sotto, Diane. Mi accerterò che Sammy ti faccia apparire bella.» Sapeva che Matthew avrebbe tenuto fede alla sua parola. Di tutti i produttori di talento che lavoravano per Hourglass, Matthew era il suo preferito. Era meticoloso nella ricerca e nella pianificazione, ma anche capace di usare il proprio cervello, se l'occasione lo richiedeva. Un servizio non era mai prevedibile e Matthew Voigt era abile nel capire che cosa fosse necessario fare in situazioni mutevoli. Ognuno dei corrispondenti di Hourglass aveva una lista dei produttori con i quali preferiva lavorare: Matthew era sulla lista di tutti. «Okay, se lo dici tu. Conto su di te.» Diane diede un'occhiata all'orologio. «Dunque, vado giù a prendere qualcosa da mangiare in ufficio e poi sistemo un po' delle scartoffie di cui avevo intenzione di occuparmi prima di partire per le vacanze che non farò. Quindi vado a casa a preparare la valigia e affrontare il plotone d'esecuzione.» Capitolo 11 Shawn fece per mettersi gli occhiali da sole, ma ci ripensò. L'esperienza gli aveva insegnato che Arthur non si fidava di nessuno che si coprisse gli occhi. Il suo lavoro come barista allo Stone Pony gli permetteva di pagare i conti, ma per tutta l'estate la cosa che lo aveva veramente interessato era stato l'inserimento dei malati di mente nella comunità. Stava preparando la sua tesi di master e Ocean Grove era un'ottima zona di ricerca, poiché a un certo punto era diventata una specie di discarica dei pazienti dimessi dagli ospedali psichiatrici del New Jersey, in seguito al loro ridimensionamento.
I vecchi alberghi e le pensioni in legno della città erano luoghi ideali dove parcheggiare i malati di mente. Ocean Grove era così diventata famosa non solo per le sue case vittoriane, ma anche perché aveva una delle più ampie concentrazioni di pazienti psichiatrici dimessi di tutti gli Stati Uniti. Shawn era cresciuto guardando quelle povere anime che percorrevano senza meta il lungomare, fumando sigarette e bevendo caffè. Tutti si lamentavano che i provvedimenti presi dallo Stato per assisterli nel mondo esterno erano scarsi. Non era stata aperta nessuna clinica per pazienti esterni, non era stato previsto un centro diurno o un programma di formazione professionale. Pochi sforzi erano stati compiuti per garantire che i malati prendessero le loro medicine. Lo Stato aveva prestato poca attenzione alle persone dimesse e nessuna alla qualità della vita dei cittadini che vivevano intorno a loro. Benché Ocean Grove avesse una lunga tradizione di tolleranza e assistenza per i meno fortunati, i residenti si erano infuriati a causa dei furti nei negozi e degli episodi di oltraggio al pudore che turbavano la loro graziosa enclave in riva al mare. I proprietari di alberghi e bed & breakfast avevano visto gli affari declinare e il valore delle proprietà a Ocean Grove era diminuito bruscamente. Alla fine gli abitanti si erano organizzati e avevano fatto approvare una legge che limitava il numero delle pensioni che potevano ospitare pazienti psichiatrici dimessi. Quelli già residenti erano stati trasferiti in altre comunità del New Jersey con la promessa che questa volta sarebbero stati offerti loro migliori servizi e riabilitazione. Mentre cercava Arthur, Shawn ricordò il giorno che aveva influenzato il resto della sua vita, il giorno in cui aveva visto un ex paziente psichiatrico suicidarsi lanciandosi dal tetto di un albergo nel centro della città. Per un ragazzino di dieci anni, era stata una scena sconvolgente, affascinante e formativa. Aveva spinto un bambino impressionabile a interrogarsi su questioni che non aveva mai realmente considerato prima d'allora. Perché alcune persone erano pazze e altre no? Si poteva fare qualcosa per aiutare coloro che erano così ingiustamente afflitti da tale malattia? Era sua responsabilità tentare? Quando Shawn aveva comunicato ai suoi genitori di voler diventare un assistente sociale, suo padre non ne era stato entusiasta, ma sua madre aveva affermato di essere orgogliosa di avere allevato un figlio che voleva aiutare gli altri e contribuire a rendere il mondo migliore. Shawn si era laureato in servizio sociale alla Monmouth University. Il mese successivo sa-
rebbe ritornato al campus di New Brunswick della Rutgers University per continuare a lavorare sulla sua tesi di master. Oggi cercava Arthur Tomkins, dimesso dall'ospedale per veterani di guerra, tormentato dai ricordi della guerra del Golfo, residente a Ocean Grove. Shawn scrutò la passeggiata lungomare verso nord e scorse vere e proprie ondate di caldo che si libravano sopra le assi di legno. Il percorso, che costeggiava il margine della spiaggia, arrivava fino ai confini della città, dove si ergeva il vecchio Casino di Asbury Park, un cavernoso edificio art déco, misteriosamente bello e praticamente in rovina. Il Casino, che un tempo ospitava una pista di pattinaggio e una giostra con cavalli intagliati a mano, allegramente dipinti, ora non era che un ricordo della passata grandezza della cittadina confinante con Ocean Grove. Arthur non si vedeva da nessuna parte. Shawn cominciò a camminare in direzione del Casino, non riuscendo a evitare di fissare l'oceano. L'azzurro scuro lo attirava, tentandolo a dimenticare la sua ricerca e correre tra le onde rinfrescanti. La sua coscienza lo costrinse a continuare. Sapeva che Arthur era arrivato a gradire il tempo che loro due trascorrevano insieme, ma quando aveva portato con sé Leslie e, due giorni prima, gli aveva presentato Carly, il poveretto era parso incerto tra entusiasmo e tristezza. Shawn capiva che era contento di incontrare giovani donne, ma vi erano stati momenti, durante la conversazione, in cui si era rinchiuso in se stesso, fissando l'oceano. Shawn conosceva abbastanza il suo passato da sospettare che stesse pensando alla sua ex ragazza, che lo aveva piantato mentre era militare. Stava per lasciar perdere, quando vide Arthur con la sua tuta mimetica sbucare da dietro il fianco del Casino e dirigersi verso la più vicina panca sul lungomare. Ne fece tre volte il giro, prima di sedersi. Shawn accelerò il passo, raggiunse la panchina e si sedette accanto a lui. Notò che l'uomo aveva bisogno di farsi la barba e magari anche di tagliarsi i capelli. «Ehi, amico. Dove sei stato?» chiese Shawn. «Oh, sai, Shawn. Qui e là.» «Hai preso le tue medicine, Arthur?» Shawn gli mise una mano sulla spalla. «Certo, Shawn.» Arthur annuì tre volte. «Sai che faccio sempre quello che mi dici.» Capitolo 12
Mentre riaccompagnava all'auto la coppia con il bimbo, Larry Belcaro non poté evitare di provare pena per loro. Come potevano permettersi i giovani un posto vicino alla spiaggia? I prezzi erano andati alle stelle. Benché fosse un fatto positivo per la Surfside Realty, e dunque per lui, Larry riteneva che non fosse vantaggioso per la zona in generale. La Jersey Shore era intesa come un posto in cui le famiglie potevano venire a godersi l'oceano e la reciproca compagnia. Secondo lui, questi semplici piaceri avrebbero dovuto essere alla portata di tutti, non solo di chi aveva un reddito cospicuo. Mentre svoltava in Webb Avenue con la sua berlina beige, un ricordo gli attraversò la mente all'improvviso: una bambina con scuri capelli ricci seduta sotto un cielo azzurro brillante, intenta a scavare nella sabbia. Un nasino minuto e morbide spalle bianche arrossate dal forte sole estivo. Un sorriso soddisfatto si diffondeva sul viso del suo angelo, mentre lo chiamava perché ammirasse il suo castello. Larry si fermò davanti all'edificio vittoriano color salmone, ornato di torrette, e scosse il capo, cercando di allontanare quelle immagini dalla sua mente. Non ci si era mai abituato. Talvolta i ricordi lo sommergevano cogliendolo totalmente impreparato, come adesso, dopo che era stato con una giovane famiglia felice, proprio come un tempo era la sua. A volte, invece, erano prevedibili. Lo assalivano quando sentiva qualcuno parlare di un ragazzo che si era diplomato al college; oppure a un matrimonio, quando il padre della sposa danzava con sua figlia; o alla festa di battesimo di un nipote. Ogniqualvolta le circostanze evocavano un fatto di vita che Larry non aveva avuto la possibilità di vivere con Jenna, i ricordi lo perseguitavano. Perché era andato tutto così terribilmente storto? Costringendosi a smontare dall'auto, Larry si chiese per quale motivo si facesse ancora quella domanda. Erano trascorsi quasi due anni da quando Jenna era morta e un anno da quando sua madre l'aveva seguita. Ci aveva pensato e ripensato, un giorno doloroso dopo l'altro, una notte insonne dopo l'altra. Arrivava sempre alla stessa conclusione: era colpa sua. Avrebbe dovuto fare di più per Jenna, trovarle un aiuto migliore. Non avrebbe dovuto essere così fiducioso nei confronti di quello spregevole ciarlatano che si autodefiniva un terapeuta. Avrebbe dovuto insistere affinché sua figlia smettesse di vedere quell'impostore, quando non avevano notato miglioramenti, anzi era parso che peggiorasse. Invece, Jenna aveva
pregato di poter continuare le sue sedute con Owen Messinger. Era convinta di avere bisogno di lui per poter guarire. Alla fine entrambi i genitori avevano ceduto, non sapendo che altro fare. Non era una scusa valida, Larry ora lo capiva. Certo, desideravano disperatamente che qualcuno aiutasse Jenna, ma avrebbero dovuto seguire il loro istinto. Avevano intuito che Owen Messinger la feriva, invece che aiutarla. Avrebbero dovuto muovere mari e monti per fermarlo. Avrebbero potuto smettere di pagare i suoi conti, oppure trasferirsi, o addirittura rinchiudere Jenna, per il suo stesso bene. Qualsiasi cosa pur di proteggerla da quell'uomo malvagio. Invece, erano diventati complici della sua morte. Due volte alla settimana Larry e sua moglie avevano accompagnato la figlia alle sedute. Non si sarebbe mai perdonato di averlo fatto. Anche la madre di Jenna era divorata dal senso di colpa ed era stato proprio questo, insieme al cuore spezzato, che l'aveva portata di fatto a suicidarsi. Dopo che Jenna si era tagliata i polsi, Marie aveva cominciato a bere davvero troppo. Alla fine, una notte, in stato di ebbrezza, si era schiantata con l'auto contro un palo del telefono. Adesso era rimasto solo lui. Notò i gerani bianchi e rosa che traboccavano dalle cassette per i fiori appese alla ringhiera che delimitava la veranda anteriore della casa. Larry si rendeva perfettamente conto di non poter in alcun modo cambiare ciò che era accaduto, però era deciso ad aiutare altre persone che vivevano la stessa tortura che la sua famiglia aveva dovuto affrontare. Nel periodo di Pasqua aveva mosso il primo passo: aveva seguito una giovane magra, quando era uscita dallo studio di Owen Messinger, e l'aveva pedinata proprio fino alla casa davanti alla quale si trovava in quel momento. Per settimane, era passato ripetutamente in auto vicino alla casa, avvistando Leslie di tanto in tanto, quando entrava o, ancora meglio, quando usciva. L'aveva sorvegliata e, al momento giusto, vedendola entrare al Lavender & Lace, l'aveva seguita all'interno, fingendosi un cliente. Si era messo a conversare con lei e con sua madre e aveva accennato al fatto che stava cercando un'assistente per l'ufficio. Ora Leslie lavorava per lui, così poteva tenerla d'occhio. Audrey Patterson aprì la porta. «È molto gentile da parte tua essere venuto, Larry. Sei un principale meraviglioso per Leslie, e anche un buon amico.» Dopo avere accompagnato Larry in salotto da sua figlia, Audrey andò in
cucina a preparare della limonata. Larry si rivolse alla giovane e le parlò con dolcezza. «Sono così felice che tu stia bene, Leslie», disse. C'era sincerità nei suoi occhi, come nella sua voce. «Ma nessuno mi crede, Larry», disse Leslie. «Qualcuno mi ha rapita e trattenuta contro la mia volontà. Perché nessuno mi crede?» «Non conta quello che credono, Leslie. Conta solo che tu ti prenda cura di te stessa e guarisca. Non c'è niente di più importante.» Gli occhi castani di Leslie si riempirono di lacrime e a Larry tornò di nuovo in mente sua figlia. Era tenacemente deciso a fare ammenda. «Tu mi credi, Larry?» chiese Leslie, tirando su col naso. «Ti prego, dimmi che mi credi.» «Credo che tu abbia affrontato una prova terribile, Leslie. Credo anche che probabilmente la cosa migliore che tu possa fare per te stessa sia tornare al lavoro. Distogliere la mente da tutto. Riposati nel fine settimana, ma sappi che il tuo lavoro ti aspetta. Per favore, torna in ufficio lunedì mattina. L'esperienza mi ha sempre insegnato che il lavoro è la cura migliore.» Capitolo 13 Avrebbe dovuto impiegarci poco più di un'ora, invece ce n'erano volute due e mezzo col traffico del venerdì pomeriggio sulla Garden State Parkway. Quando finalmente era arrivato a Ocean Grove, aveva dovuto cercare parcheggio per un'altra mezz'ora. Ora che l'aveva trovato, aveva scaricato i bagagli e percorso i sei caldi isolati che lo separavano dalla sua tenda, Jonathan fumava, sia fisicamente che mentalmente. Quando aprì la porta a rete, realizzò che all'interno della tenda non c'era nessuno. Non sapeva se esserne infastidito o sollevato. Era troppo chiedere che, dopo essere rimasto seduto tanto a lungo in mezzo a quell'ignobile traffico, la sua famiglia fosse là ad aspettarlo per dargli il benvenuto? Con aria disgustata percorse i pochi passi fino alla parte bungalow della loro minuscola casetta estiva e lanciò la sacca da viaggio sul letto matrimoniale meticolosamente preparato. Peraltro, era piacevole godersi un po' di tempo per conto suo, perché sapeva che per tutta la settimana non avrebbe avuto quasi nessuna privacy. Lui, Helen e le bambine sarebbero inciampati l'uno nell'altro e con ogni probabilità avrebbe dovuto scordarsi di poter trascorrere un qualche momento intimo con sua moglie. Helen sarebbe stata preoccupata che le bam-
bine o i vicini potessero sentire qualsiasi rumore. Ecco un'altra delle ragioni per cui Jonathan odiava la vita in tenda. Però, Helen la adorava e le ragazze sembravano sempre così felici e sane quaggiù. Che razza di marito e padre sarebbe stato, se avesse privato la sua famiglia di estati da fiaba come queste? Pochi altri passi lo portarono nella minuscola area cucina. Andò al piccolo frigorifero, prese una lattina di Coca-Cola e la trangugiò. Non era la birra ghiacciata che desiderava, ma avrebbe dovuto accontentarsi. A Ocean Grove non si vendevano bevande alcoliche e Jonathan sapeva bene che non era il caso di portarsene una cassetta: Helen non l'avrebbe mai fatta entrare nella tenda. Così stavano le cose. Almeno era riuscito a convincerla a prendere una babysitter e a uscire quella sera. L'anno prima avevano trovato un locale da ballo in cui servivano alcolici a Bradley Beach. Il loro decimo anniversario stava per arrivare e sarebbe stato bello uscire una sera loro due da soli. Avevano bisogno di ritrovarsi e lui aveva bisogno di sfogarsi un po'. C'erano molte ragazze graziose con corpi magri e giovani che lavoravano nel suo ufficio, e quell'estate si era ritrovato ad ammirarle un po' troppo. Capitolo 14 A casa Mayfield, durante la cena, Diane ed Emily cercarono di mostrarsi allegre riguardo al cambiamento di piani per le vacanze, mentre Anthony esprimeva rumorosamente il suo scontento e Michelle sedeva silenziosa e imbronciata, intenta a spingere gli spaghetti da una parte all'altra del piatto. «Sentite, non è che vi chiediamo di andare in un campo reclute o roba del genere», disse Diane. «Avete idea di quanti ragazzi darebbero qualsiasi cosa per una vacanza in spiaggia?» «Ah, mamma, falla finita, eh?» Anthony scosse la testa. «La spiaggia va bene, ma siamo andati ad Amagansett per un sacco di estati. Niente di nuovo. Ho detto ai miei amici che sarei andato al Grand Canyon, adesso sembrerò un vero scemo. Secondo me, la Jersey Shore non si avvicina nemmeno lontanamente al Grand Canyon.» La pazienza di Diane stava per esaurirsi. «Sai cosa, Anthony? Mi dispiace che non si faccia il viaggio che avevamo progettato. Mi dispiace davvero, tesoro. Ma, se voglio conservare il mio lavoro alla KEY News, devo accettare questo incarico. Ecco tutto. Devi capirlo.» S'interruppe, temendo che quello che voleva dire potesse ferirlo, però decise di continuare. Che il
padre fosse in prigione o meno, suo figlio doveva comprendere come stavano le cose. «E a dire la verità, Anthony, ti comporti come un ragazzino viziato.» Anthony si unì alla sorella nel fissare il proprio piatto in silenzio. «Qualcuno vuole ancora bruschetta all'aglio?» chiese Emily, cercando di allentare la tensione. Il cestino del pane fece il giro del tavolo e Diane notò che sua figlia non se ne servì, mentre loro tre ne presero un'altra fetta ciascuno. «Michelle, la bruschetta di Emily è squisita.» Diane le porse il cestino. «Perché non ne prendi un po', tesoro?» «Perché ne ho già prese due fette, mamma.» Michelle non si sforzò di mascherare l'esasperazione nel tono della sua voce. Diane stava per rimproverarla per la risposta brusca, ma sapeva che, se fosse stata troppo dura, la ragazza se ne sarebbe andata infuriata e non avrebbe mangiato neanche il resto della cena. Ultimamente sembrava quasi che sua figlia quattordicenne cercasse una ragione per arrabbiarsi. Diane l'aveva ritenuta una reazione allo stress e all'imbarazzo causati dal fatto che il padre era in prigione, combinata a una prevedibile dose di ribellione adolescenziale. Tuttavia, nonostante le molte conversazioni che aveva avuto con lei, le cose non parevano migliorare. Decise di ignorare il commento di Michelle e proseguì imperterrita, descrivendo i vantaggi della loro nuovo destinazione. «Sentite, c'è la spiaggia e la sera possiamo andare al cinema o giocare a minigolf. Da qualche parte sul lungomare dev'esserci un Luna Park, così si può andare anche lì. Magari ci sarà un concerto al quale voi ragazzi vorrete andare. Anthony, dopo cena, perché non vedi un po' che cosa riesci a trovare su Internet?» A questo punto, Anthony sollevò la sua macchina fotografica digitale, la tenne ferma con entrambe le mani, inquadrò sua madre e scattò. Diane fu accecata dal flash. «Anthony!» gridò esasperata. «Ti ho detto un milione di volte di non portare a tavola quell'aggeggio. Tuo padre e io volevamo ti interessassi a qualcosa, ma stai diventando così fastidioso nell'usarla! Se la porti a tavola un'altra volta, puoi scattare la foto di me mentre ti uccido!» Per il resto della cena Diane ed Emily si consultarono su ciò che era necessario fare prima che la famiglia partisse per Ocean Grove il mattino seguente. «Posso alzarmi, per favore?» chiese Michelle. Diane provò un attimo di sollievo. Le tracce di cortesia non erano scomparse del tutto. C'era ancora
speranza. «Sì, vai pure.» «Anch'io?» «Sì, Anthony. Anche tu.» I fratelli portarono i loro piatti in cucina. Michelle vuotò il suo nella spazzatura, mentre Anthony lo lasciò sul ripiano, vicino al lavello. «Hai cucinato tu, Emily. Mi occupo io di ripulire», si offrì Diane. «Nessuna obiezione.» Emily sorrise. «Corro in farmacia a prendere crema da sole e burro di cacao. Ti serve qualcosa?» «Una grossa confezione di antidolorifico, sarebbe un'idea!» «Okay.» Diane sentì chiudersi la porta d'ingresso dell'appartamento, mentre prendeva il piatto e il tovagliolo di Anthony dal ripiano e premeva col piede il pedale del bidone della spazzatura. Stava per scrostare via i resti di pasta dal piatto, quando lo sguardo le cadde sul contenuto della pattumiera. Due fette intatte di bruschetta giacevano sopra al tovagliolo di carta di Michelle. Capitolo 15 «Lou, Diane Mayfield della KEY News ha telefonato oggi. Vuole intervistare Leslie.» Leslie era in piedi accanto alla porta, con la schiena appoggiata alla parete della sala da pranzo, e cercava di sentire la conversazione a bassa voce che si stava svolgendo tra i suoi genitori dall'altra parte del muro. Audrey e Lou Patterson erano seduti al tavolo della cucina, sorseggiavano un tè deteinato e cercavano di decidere che cosa fare per risolvere i guai della loro figlia. «Non credo che dovremmo impegnarci, di qualsiasi cosa si tratti, Audrey. Almeno finché non ingaggiamo un avvocato che ci dica che cosa dovrà affrontare Leslie, se la polizia decide che può provare di aver inscenato tutto quanto.» Era la voce profonda di suo padre. «Ho alcuni nomi. Uno è del posto, altri due sono pezzi grossi della Hudson County. Come credi che dovremmo muoverci, Aud? Dobbiamo scegliere il tizio che conosce la zona e la polizia di Neptune, oppure la migliore difesa che il denaro possa comprare?» «Io voglio entrambi.» Era la voce di sua madre. «Possiamo averli entrambi?»
«Vuoi dire assumere sia l'avvocato locale che uno dei due del Nord?» Leslie immaginò che sua madre avesse annuito, perché parlò di nuovo suo padre. «No, a meno che non vinciamo improvvisamente la lotteria, Aud. Non abbiamo tutti quei soldi, lo sai, tesoro.» Quando sentì sua madre piangere, Leslie si figurò suo padre che si protendeva verso di lei per prenderle il braccio, cercando di rassicurarla. «Andrà tutto bene, Aud. Te lo prometto.» «No, non andrà tutto bene, Lou.» La voce di sua madre si era fatta più forte. «Non va bene da anni e non andrà di colpo bene adesso. Tutto quello che so è che non permetterò che la mia unica figlia venga punita perché non sta bene. Alla fin fine è così. Leslie è mentalmente instabile ed è per questo che ha commesso una bravata del genere. Qualsiasi avvocato competente dovrebbe essere in grado di provarlo. Possiamo dimostrare che sono anni che passa da una terapia all'altra.» «Temo che la polizia non la consideri una semplice bravata, Audrey. E lo stesso vale per la gente della città. Alcuni forse provano pena per Leslie, ma non vogliono creare un precedente, permettendo che se la cavi con una tiratina d'orecchi. Tutte quelle ricerche sono costate una fortuna e le persone non amano che il loro tempo e il denaro delle loro tasse vengano sprecati. Non vogliono ritrovarsi a pagare il conto per la prossima ragazza che grida al lupo per attirare l'attenzione. Intendono dare l'esempio a spese di nostra figlia.» Leslie sentì il proprio battito che accelerava, mentre le guance le diventavano di fuoco. Aveva intuito che la polizia non credeva alla sua storia, ma non le era neanche passato per la mente che pure i suoi genitori non le credessero, o che avrebbe potuto finire in prigione. Aveva sentito raccontare un sacco di storie su quello che accadeva in carcere e l'idea la terrorizzava. Non riuscì a controllare il profondo singhiozzo che le fuoriuscì dalla gola. «Leslie? Sei tu, tesoro?» Audrey si alzò dalla tavola, oltrepassò la porta e trovò sua figlia accovacciata per terra che si abbracciava le ginocchia nella sala da pranzo buia. «Oh, Leslie. Vieni qui, cara.» Audrey la avvolse con le sue braccia e la costrinse ad alzarsi. «Andrà tutto bene, Leslie, vedrai. Vieni dentro con papà e me che ne parliamo.» «Non voglio parlare», gemette Leslie. «Non voglio andare in prigione. Non ho fatto niente di male, mamma. Lo giuro.» «Sst, Leslie. Va tutto bene. Non andrai in prigione, tesoro.» Audrey
strinse la figlia singhiozzante, mentre Lou entrava nella sala da pranzo e accendeva la luce. «Lou, di' a Leslie che si risolverà tutto.» «Assumeremo il migliore avvocato, Leslie. Non ti preoccupare», rispose il padre, incapace di confermare qualcosa di cui non aveva la certezza. «Lui saprà come gestire la cosa. Riuscirà a chiarire tutto.» Leslie era inconsolabile. Continuò a singhiozzare, in parte per la punizione che poteva esserle inflitta e in parte per sfogare la tensione e il dolore che aveva provato per tutto il giorno. Shawn non solo non l'aveva cercata durante la sua sparizione; non si era nemmeno preoccupato di venirla a trovare oggi, per dirle che era contento che fosse viva. Capitolo 16 Grazie al cielo Helen aveva accettato di allontanarsi da Ocean Grove e andare a sud, fino a Bradley Beach, dove potevano lasciarsi andare un po'. Dopo una bella cena a base di aragosta e un paio di birre Jonathan si sentiva molto meglio. Più tardi, mentre ballava con Helen sulle note del rhythm & blues anni '60, si rese conto che si stava davvero divertendo. Così avrebbero dovuto essere le cose. Questa era una normale vita da adulti al mare. Qualche bicchiere, un po' di musica ad alto volume e un po' di divertimento. Non bevande analcoliche e un silenzio che ti inebetisce dopo le dieci di sera, oppure la lettura di brani della Bibbia prima di spegnere la luce... giorno dopo giorno. La gioia di Jonathan svanì, quando vide la moglie lanciare un'occhiata all'orologio. «Dai, Helen, è presto», gemette. «Sono quasi le dieci e mezzo. Ora che arriviamo a casa saranno le undici.» «Stai scherzando?» «La bambine si alzeranno presto domani mattina, Jonathan.» «E allora? Possono guardare i cartoni animati, mentre noi dormiamo un po' più a lungo.» «Non abbiamo la televisione, quaggiù, ricordi?» Jonathan fece un sorrisetto malizioso. «Ne ho con me una portatile. È nel bagagliaio.» Helen sapeva che non era il caso di discutere con lui. Aveva imparato a scegliere le sue battaglie e a vincere la guerra. Acconsentì a ballare un altro po', consapevole che un televisore sarebbe entrato nella loro tenda solo passando sul suo cadavere.
Capitolo 17 Mentre percorreva il corridoio preparandosi ad andare a letto, Diane sentì la doccia che scrosciava. Michelle aveva lasciato socchiusa la porta della sua camera, così Diane entrò. Una sacca da viaggio giaceva sul pavimento, con dentro vestiti sufficienti per un'intera estate. Il minilettore DVD che Michelle aveva implorato di ricevere come regalo di Natale e una pila di film erano accatastati accanto alla sacca. Un'altra borsa di tela era stata riempita con stereo portatile, walkman e CD. Non valeva la pena chiedere alla figlia adolescente di fare le valigie con maggior giudizio, Diane lo sapeva. Le altre madri con cui scambiava opinioni riferivano esattamente la stessa cosa. Sarebbe arrivato il giorno in cui Michelle avrebbe voluto semplificare e portare con sé in viaggio il meno possibile, ma mancava ancora molto tempo. Adesso riteneva di dover avere a disposizione tutto quello di cui avrebbe potuto sentire la necessità o il desiderio. Diane raccolse la rivista per adolescenti che giaceva aperta sul letto di Michelle e cominciò a sfogliarne le pagine. In mezzo agli articoli sui ragazzi e sull'acne c'erano pubblicità di jeans, scarpe, borse e prodotti per il trucco. Poiché le scarpe e i jeans erano indossati magnificamente, era impossibile ignorarli. Ogni modella utilizzata dalle aziende per vendere i loro prodotti era magra, in alcuni casi estremamente magra. Diane alzò gli occhi e vide sua figlia in piedi nel vano della porta. Aveva un asciugamano bianco attorcigliato sul capo e uno più grande e più lungo avvolto intorno al corpo. Stava immaginandoselo o le spalle di Michelle erano più ossute dell'ultima volta che le aveva viste? Diane tentò di ripensare ai mesi passati. Non erano andate in spiaggia o in piscina insieme per tutta l'estate. Quando Diane rientrava dal lavoro, la sera, Michelle di solito indossava una maglietta di cotone. A pensarci bene, usava quelle con le maniche lunghe, protestando di continuo che nell'appartamento faceva troppo freddo per via dell'aria condizionata. Diane non ci aveva fatto caso, fino ad allora. Capitolo 18 Era una vera scocciatura il fatto che i Richey non avessero la televisione, ma visto che non era la prima volta che faceva la baby-sitter per loro,
Carly si era portata il walkman e qualche rivista. Hannah e Sarah erano sfinite dal caldo e dalla lunga giornata in spiaggia, tanto che erano crollate solo un'ora dopo che i loro genitori erano usciti. Adesso erano profondamente addormentate nei loro letti a castello, accostati alla parete di tela. Carly si alzò dalla sedia di vimini e andò in cucina, fermandosi per regolare l'aria condizionata. Se i Richey non l'avessero avuta, non si sarebbe neanche sognata di accettare quel lavoro, in una serata così. Poteva resistere senza televisione per un paio d'ore, ma non amava sudare. Tuttavia, anche al massimo, il condizionatore stava perdendo la sua battaglia contro l'ondata di caldo che non accennava ad attenuarsi. Carly aprì il frigo e vi frugò dentro. Notò alcuni ghiaccioli appoggiati sopra il vassoietto portaghiaccio nel minuscolo scompartimento freezer e ne scelse uno arancione. Un ottimo rapporto gusto-calorie, pensò scartandolo. Era tutta acqua, niente che la gonfiasse. Si diede un colpetto sulla pancia per assicurarsi che fosse ancora piatta come l'ultima volta che aveva controllato, circa un'ora prima. Voleva essere in gran forma, quando più tardi avrebbe raggiunto Shawn allo Stone Pony. Non era il più bel ragazzo con cui fosse uscita, ma aveva qualcosa che l'attraeva davvero. Era estremamente dolce e l'ascoltava quando parlava. Non come gli altri che si preoccupavano più di ciò che loro avevano da dire che di quello che aveva in mente lei. A Carly piaceva veramente Shawn e intuiva che lui provava lo stesso per lei. Un'altra ragione per cui lo apprezzava era che non la faceva sentire a disagio. Non la guardava con concupiscenza, mettendola in imbarazzo, come aveva fatto il signor Richey quella sera, quando era arrivata. L'unica cosa che la disturbava era il fatto che non aveva partecipato alle ricerche di Leslie Patterson. Okay, avevano rotto, ma ciò non significava che non dovesse essere preoccupato per lei. Ritornata nella parte anteriore della tenda, Carly si accoccolò sulla sedia di vimini e aprì il nuovo numero di InStyle. Era immersa nelle foto delle gambe snelle di Cameron Diaz, quando sentì cigolare la porta a rete. «Sono io, Carly», bisbigliò Helen Richey mentre entrava nella tenda, camminando in punta di piedi. «Siamo tornati.» Andò direttamente a controllare le figlie che dormivano. «Come sono state?» chiese a bassa voce, mentre toglieva delicatamente il pollice dalla bocca della minore. «Tutto bene. Sono state bravissime, signora Richey. Abbiamo fatto un paio di giri a Candy Land e poi mi hanno addirittura chiesto loro di andare
a letto.» Carly guardò di nuovo la porta a rete. «Dov'è il signor Richey?» «Sta cercando parcheggio. Mi ha fatto scendere.» Helen continuò a rimboccare le coperte di cotone sui letti a castello. Carly cominciò a raccogliere le sue cose. «Okay, signora Richey. Io vado. Mi chiami di nuovo, quando ha bisogno di me.» «Oh, no, Carly.» Helen si raddrizzò e andò ad aprire la borsa. «Devi aspettare Jonathan. Voglio che ti accompagni a casa.» Premette le banconote ripiegate nella mano della ragazza. «Mille grazie», disse. Carly rabbrividì al pensiero di camminare da sola con il signor Richey. «Non importa, signora Richey. Davvero. È un percorso così breve. Posso cavarmela.» Prima che Helen Richey potesse proferir parola, la babysitter schizzò fuori dalla tenda. Jonathan trovò parcheggio proprio dietro l'angolo, ma se la prese comoda prima di scendere dall'auto. Non aveva fretta. Il pensiero di ritornare nella tenda lo rendeva claustrofobico. Guardò fuori dal parabrezza, cercando di decidersi. Lo avrebbe detto a Helen il giorno dopo. Questa sarebbe stata l'ultima estate in assoluto che avrebbe trascorso nella tenda. Se sua moglie voleva che stessero tutti insieme l'anno seguente, durante la settimana avrebbero dovuto cercare una vera casa da quelle parti. Aprì la portiera dell'auto e scese, ma decise di non prendere la TV portatile dal bagagliaio. Ci sarebbe stato tempo l'indomani per litigare. Non aveva senso bisticciare quella sera. Comunque non era possibile, considerato come vivevano tutti a stretto contatto, in quelle dannate tende. Stava per raggiungere l'angolo e svoltare in Bath Avenue, quando vide una figura esile che attraversava di corsa la strada alla luce della luna. Era Carly, i capelli biondi che fluttuavano dietro di lei. Aveva scordato che doveva accompagnarla a casa. Sarebbe stato bello godersi una piccola, innocua fantasia, poter trascorrere qualche minuto solo con lei. Jonathan stava per chiamarla, ma ci ripensò limitandosi a seguirla. Capitolo 19 Il bagno non servì, e neanche la tisana. Diane semplicemente non riusciva ad addormentarsi. Giaceva sola nel buio e desiderava, più di qualsiasi altra notte da quando se n'era andato, che Philip fosse disteso accanto a lei.
Si girò sul fianco, attirò a sé il cuscino di lui e lo tenne stretto. Una serie di immagini le frullavano nella mente, cose alle quali non aveva fatto molto caso, quando le aveva notate. La recente ossessione di Michelle con l'esercizio fisico, la sua ostinazione a fare la sua corsa quotidiana, oltre che a seguire alla lettera le istruzioni di quel video di ginnastica che pareva guardare in continuazione. Diane aveva ritenuto che fossero i sintomi di una ragazza adolescente che prende coscienza del proprio corpo. La confezione di gelato che giaceva intatta nel freezer, da mesi: era Chunky Monkey della Ben & Jerry, il gusto preferito di Michelle. Per anni lo aveva richiesto ogni volta che Diane andava al supermercato. Anche per questo non si era preoccupata, consapevole che ciò che si ama da bambini non corrisponde sempre a quello che piace da adolescenti. Diane strinse ancora di più il cuscino, pensando alla bruschetta di Michelle nella spazzatura e cercando di ricordare le recenti abitudini alimentari di sua figlia. Non c'erano stati abbastanza pranzi di famiglia, da quando Philip era in prigione. Molte sere, quando lei rientrava dal lavoro, Emily e i ragazzi dicevano di avere già mangiato. A dire il vero, Diane lo ammise con un certo senso di colpa, molte di quelle sere si era sentita sollevata. Era più facile prepararsi una scodella di cereali o un paio di uova strapazzate e mangiare da sola leggendosi una rivista, senza consumare energia nella conversazione. Lo stress di avere il marito lontano e in tale disgrazia, unito alle pressioni dell'ufficio, la lasciavano esausta. Benché si fosse imposta di evitare impegni, cene e qualsiasi altra cosa che le impedisse di tornare a casa dai ragazzi la sera, Diane si sentiva in colpa. Il fatto che fosse presente fisicamente, non significava che lo fosse sempre anche emotivamente. Si rese conto che forse era stata così immersa nelle proprie angosce e preoccupazioni da non dedicare sufficiente attenzione a sua figlia. Avrebbe fatto bene a cominciare a dedicargliene ora, però. Diane diede un pugno risoluto al cuscino. Se questo era l'inizio di un disturbo alimentare, bisognava affrontarlo subito e con decisione. Avrebbe influito sulla salute di Michelle e avrebbe potuto condurre a comportamenti ancora più deleteri. Guarda Leslie Patterson. Era paradossale che proprio quella mattina avesse provato pietà per la famiglia Patterson, quando forse si trovava a dover affrontare lo stesso problema. Grazie al cielo, Michelle non si tagliava, o quantomeno Diane riteneva che non lo facesse. Il suo cuore accelerò a quel pensiero. Si chiese che cosa fosse venuto prima per Leslie. I tagli avevano fatto seguito all'anoressia,
o viceversa? Questi due comportamenti autodistruttivi andavano di pari passo? Diane serrò le palpebre e si concentrò. Signore, ti prego, aiutami a stroncare il problema sul nascere. Si sentì un po' più tranquilla, mentre pregava in silenzio, ma nel profondo della mente sapeva che chiedere aiuto a Dio costituiva solo parte della soluzione. Diane avrebbe dovuto occuparsene di persona. Capitolo 20 Carly perlustrò la stanza immersa nella penombra, finché non scorse Shawn dietro il banco del bar. La snella biondina si fece strada tra la folla e si accomodò su uno sgabello libero. Il viso di Shawn si illuminò, quando la vide. «Pensavo che non arrivassi più.» Si protese sul banco e le urlò nell'orecchio per farsi sentire al di sopra della band che suonava. «Anch'io», urlò Carly di rimando. «Che cosa prendi?» chiese lui. «Una Coca-Cola, direi», rispose cupa. «A meno che tu non voglia sorprendermi.» Shawn non commentò. Sapeva che Carly non aveva l'età consentita per bere alcolici. Era abbastanza grande per guidare l'auto, votare e perfino servire nelle forze armate, ma nel New Jersey non le era legalmente permesso di bere una bevanda alcolica. La cosa non aveva molto senso. Riempì in parte il bicchiere di Coca-Cola e velocemente ci aggiunse una spruzzata di rum. Se il suo capo avesse scoperto che stava preparando un drink alcolico per una persona che non aveva l'età per berlo, l'avrebbe licenziato in tronco. Però, in quel momento non era nei paraggi, e a Carly non avrebbero fatto male un paio di drink. «Non dovresti andarci un po' più piano, Carly?» chiese Shawn, guardandola succhiare il contenuto del secondo bicchiere con la cannuccia. «Almeno, sorseggialo.» «Non ti preoccupare per me, Shawn», rispose lei con un sorriso. «Reggo bene l'alcol. Ehi, fai mai una pausa? Credi che potremmo ballare un po'?» Anche nel locale affollato, la si nota. È carina e vivace, e sembra felice. E come balla! Piroetta al ritmo della musica, come se non facesse altro nella vita. È evidente che si sta divertendo. È una fortuna che sia così minuta. Renderà le cose molto più facili.
La musica s'interruppe. Carly e Shawn ritornarono al bar, mentre il complesso faceva una pausa. «Com'è andato il baby-sitting?» chiese lui con voce normale, visto che non erano più costretti a urlare per sentirsi. «Oh, bene. Le bambine sono davvero graziose e la signora Richey paga bene. Ma il signor Richey...» «Cosa?» Shawn la incoraggiò a continuare. «Non so. Non sembra essere il tipo 'da tenda'. Voglio dire, non pare tanto contento di vivere là.» Carly decise di non accennare al modo in cui il signor Richey l'aveva guardata: non sapeva ancora se Shawn fosse geloso. Decise di cambiare argomento. «Hai sentito qualcos'altro su Leslie?» chiese. «Oh, cielo, Carly. Non roviniamo la serata parlando di Leslie», gemette lui. «Credevo che tenessi di più a lei, Shawn. Siete usciti insieme per molto tempo.» Carly cercò di soffocare un singulto. «Senti, Carly. È finita con Leslie. Andata. Finita. Non voglio parlarne. Pensavo che l'avessi capito.» Adesso il liquore stava facendo effetto. A Carly non piaceva il tono insofferente nella voce di Shawn e non aveva intenzione di lasciar correre. «Be', vorrei sperare che un giorno, se fossimo usciti insieme a lungo e io scomparissi, ti importerebbe», ribatté corrucciata. «Be', io vorrei sperare che non fossi tanto pazza da scappare, nasconderti e fingere di essere stata rapita», replicò Shawn e si girò per prendere un'ordinazione urlata dall'altro capo del bancone. Guai in paradiso. Non pare più tanto felice. Solo un'ora fa, chi poteva sapere come sarebbero andate le cose? Un piano così semplice: trovare una ragazza con cui ballare... e tenerla nascosta, finché sarebbe servita allo scopo. Adesso che lei se ne sta andando, diretta all'uscita, è necessario cambiare piano. Carly udì il rombo sommesso dell'oceano, mentre attraversava la strada. Svoltò a destra, dirigendosi a sud, verso Ocean Grove. Dallo Stone Pony poteva raggiungere casa sua, a piedi, in meno di dieci minuti. L'aria notturna era calda, ma frizzante e salata, e in qualche modo fece passare l'effetto dell'alcol. Come era potuto andare tutto così storto con
Shawn, proprio adesso? Aveva reagito in modo esagerato? Era davvero uno stronzo? Non era il ragazzo perbene che aveva creduto che fosse? Camminò lungo il bordo della strada, facendo attenzione a evitare eventuali pezzi di vetro che potessero penetrare attraverso le suole sottili dei suoi sandali. Le strade di Asbury Park non erano pulite come quelle di Ocean Grove. Niente ad Asbury Park era come a Ocean Grove. La vista sull'oceano era l'unica cosa che condividevano. Avvicinandosi al confine tra le due cittadine, scorse il vecchio Casino di mattoni che si stagliava contro il cielo notturno. L'edificio un tempo grandioso era ormai abbandonato da anni. Grazie alla luce proiettata da un lampione solitario, Carly riusciva a leggere il cartello PERICOLO: NON ENTRARE. Si fermò un attimo, incerta su come procedere. Poteva camminare tutt'intorno al Wesley Lake, oppure prendere l'angusto sentiero che aggirava il Casino e tagliare attraverso i pochi metri di sabbia che la separavano dall'inizio della passeggiata sul lungomare di Ocean Grove. Casa sua distava solo un paio di isolati da lì. Benché fosse buio e si sentisse un po' traballante sulle gambe, optò per il sentiero che conosceva bene e dove aveva giocato così tante volte da ragazzina. Tese il braccio sinistro, toccando con la mano la parete esterna del Casino, e seguì il profilo arrotondato dell'edificio. Fu proprio quando stava per saltare giù sulla sabbia che una mano guantata la colpì sulla testa con un vecchio mattone. SABATO, 20 AGOSTO Capitolo 21 Il sorgere del sole si annunciava all'orizzonte, sull'oceano. La luce, con estrema lentezza, sfumava il cielo da nero inchiostro a grigio scuro. Quando mise piede sul lungomare, Arthur sapeva che quel grigio sarebbe gradualmente diventato meno intenso finché i raggi gialli e arancioni del sole non avessero preso il sopravvento, illuminando finalmente la volta azzurra sopra il mare blu scuro. Ogni giorno accadeva più o meno lo stesso. Arthur lo sapeva perché non era mai riuscito a dormire bene. Di solito era fuori sulla passeggiata già alle quattro del mattino. Era la sua ora del giorno preferita, prima che arrivasse la gente a fare jogging e che i pescatori gettassero la lenza nell'ac-
qua. In quell'ora preziosa aveva il lungomare tutto per sé. Da quando era venuto a vivere a Ocean Grove, dopo essere stato dimesso dall'ospedale per veterani di guerra, non era passata mattina, o passeggiata sul lungomare, in cui Arthur non avesse pensato a Bonnie. Ogni giorno, non appena vedeva l'acqua, sentiva lo stridio mattutino di un gabbiano e ascoltava l'incessante brontolio dell'oceano, pensava a lei. Oggi non era diverso. Una piacevole brezza soffiava dall'oceano, gonfiando la camicia mimetica da deserto, a tre colori, che Arthur indossava parzialmente sbottonata. Le folate, ultimamente un dono raro, erano gradevoli contro il viso e il petto. Arthur le apprezzava, temendo il calore implacabile che sarebbe ritornato, più tardi. Una Dodge Durango blu e bianca si fermò e accostò alla sua altezza. «Come va, Art?» chiese l'agente in servizio notturno, restando al di là della striscia d'erba che li separava. «Tutto bene. E tu?» rispose Arthur con cordialità, nascondendo il suo disappunto per il fatto che, nonostante avesse ripetutamente chiesto loro di chiamarlo Arthur, i poliziotti continuassero a usare «Art». «Bene, Art. Grazie per l'interessamento», replicò il poliziotto. «Sei qui fuori da molto?» «No, sono appena arrivato.» «Hai visto niente di strano?» domandò il poliziotto. «Di che genere?» «Abbiamo ricevuto una telefonata dai genitori di una delle ragazze del posto. Dicono che non è tornata a casa dopo essere andata a fare la babysitter, ieri sera.» Arthur provò un'ansia crescente. «Be', non ho visto nessuna ragazza», rispose rapidamente, prima di tossire tre volte. «Nessuno dice che tu l'abbia vista, Art. Però, se ti capita di notare qualcosa, faccelo sapere, d'accordo? Cerchiamo una ragazza bionda, alta un metro e cinquantacinque, magra, graziosa. Anzi, fa la cameriera da Nagle's, Carly Neath. La conosci?» In preda all'agitazione, Arthur cercò di decidere che cosa rispondere. Sì, la conosceva. Shawn l'aveva portata con sé una volta, quando era venuto sul lungomare a parlare con lui, ma Arthur aveva paura di riferirlo al poliziotto. Se la polizia avesse saputo che conosceva Carly, potevano pensare che c'entrasse col fatto che non era rientrata a casa la sera prima. Le persone come lui erano sempre tra le prime a essere sospettate, quando qualcosa
non andava per il verso giusto. «No, non la conosco.» Arthur riprese a camminare sulla passeggiata di legno che dominava la spiaggia. L'auto della polizia lo seguì lentamente per un tratto, poi si allontanò. Arthur pensò alla ragazza graziosa che gli aveva sorriso così radiosamente, quando Shawn gliel'aveva presentata. Gli aveva ricordato molto Bonnie. Raggiunta la sua panchina preferita, le girò intorno tre volte prima di sedersi. Senza che potesse opporvisi, la sua mente scivolò dal pensiero della ragazza di Shawn a Bonnie, rievocando ricordi ancora sorprendentemente nitidi, nonostante il tempo passato e la cura intesa a smorzare il dolore. La medicina, quando la prendeva, in qualche modo funzionava. Però, anche se non si agitava più come una volta, pensando a lei, niente poteva cancellarla dalla sua mente. Benché nutrisse ancora una certa rabbia nei suoi confronti per quello che aveva fatto a lui, a loro, non per questo voleva dimenticarla. Era stata il suo primo e unico amore. Arthur sapeva che non avrebbe mai potuto amare di nuovo nel modo in cui aveva amato Bonnie. Sapeva anche che una persona come Bonnie non l'avrebbe mai amato. Non così com'era adesso. Chi avrebbe mai voluto un disoccupato, un uomo che viveva del sussidio governativo? Chi avrebbe mai desiderato un uomo che trascorreva le notti su un materasso sformato in una pensione e le giornate bevendo caffè e gironzolando per la città? Estrasse un pacchetto dal taschino e ne fece uscire una sigaretta. L'accese con un fiammifero e aspirò profondamente, guardando verso l'estremità della passeggiata, dove il vecchio Casino si stagliava contro il cielo ormai grigio tortora. Emise una lunga voluta di fumo dalle narici e permise alla sua mente di addentrarsi ulteriormente per la via della tortura. Che bei momenti avevano trascorso insieme. Immaginò la sua figura minuta che roteava sulla pista da ballo, il suo viso grazioso che gli sorrideva. Ricordò il modo in cui ridevano agli spettacoli comici ai quali amava andare, come avevano esultato e si erano abbracciati alle partite degli Yankees. Rammentava ancora quanto si erano divertiti a scegliere i nomi dei bambini che un giorno avrebbero avuto, dopo essersi sposati, quando lui avesse completato il suo servizio nell'esercito. Arthur si alzò dalla panchina e, con un gesto irato, lanciò la sigaretta giù sulla spiaggia. Bonnie aveva promesso di aspettarlo fino al suo ritorno da Desert Storm. Bonnie aveva mentito.
Capitolo 22 «Mamma», frignò Anthony, mentre aspettavano in piedi nella piccola hall del Dancing Dunes Inn. «Stai scherzando.» Guardandosi intorno, Diane provò un certo sconforto. Un gatto dormiva raggomitolato su una panca dalle gambe filiformi, l'unico mobile presente nella stanza. La carta da parati, che raffigurava gabbiani e piovanelli, pareva sbiadita dal tempo, da azzurra era diventata quasi bianca. Le tende di cotone beige alle finestre erano state lavate molte volte, al punto da essere quasi trasparenti. La pittura grigia sul pavimento di legno era completamente consunta in diversi punti. La hall era priva di colore, ma almeno, si consolò Diane, pareva pulita. «Va bene, non è il Ritz», sussurrò a suo figlio. «Ma smetti subito di lamentarti. Dico sul serio, Anthony.» Diane rivolse uno sguardo a Emily, che alzò gli occhi al cielo. «Posso aiutarvi?» Un uomo attraente di origine latinoamericana era apparso dietro il minuscolo banco della reception. Indossava una camicia Oxford verde pallido con le maniche accuratamente rimboccate, che mettevano in mostra avambracci abbronzati e tonici. Diane lo giudicò sui trent'anni. «Sì, grazie. Sono Diane Mayfield. Abbiamo prenotato alcune stanze.» «Ah, sì, certo.» L'uomo sorrise mostrando una serie di denti regolari di un bianco abbagliante. «È con KEY News, giusto?» Diane annuì. «Mi dispiace di non essere stato qui ad accogliervi. Ero sul retro al computer, a preparare i dépliant per l'albergo. E spero che scusiate l'arredamento o, meglio, la sua assenza», aggiunse, con un ampio gesto, mentre Diane notava la fede d'oro che portava alla mano sinistra. «Il mio amico e io abbiamo appena comprato questo posto e abbiamo grandi progetti. Ma i lavori di ristrutturazione cominceranno solo alla fine della stagione estiva.» Diane cercò di pensare qualcosa di carino da dire, mentre si guardava intorno nella hall spoglia. «Be', sono sicura che diventerà molto gradevole.» «So che non è quello a cui lei deve essere abituata, signora Mayfield, ma se possiamo fare qualcosa per rendere più confortevole la permanenza sua e della sua famiglia, mi creda, saremo felici di accontentarla. Mi chiamo Carlos. Carlos Hernandez.» Tese il braccio sopra il bancone per stringerle la mano. «Piacere di conoscerla, Carlos. Questa è mia sorella, Emily Abbott, e
questo è mio figlio, Anthony. Mia figlia, Michelle, sta scaricando le sue cose dall'auto.» Carlos salutò gli ospiti, poi si voltò verso il tabellone dietro il banco. «Tre stanze, giusto?» chiese, prendendo le chiavi che pendevano dai ganci. «A dire il vero, dovrebbero essere quattro.» Carlos aggrottò la fronte, mentre controllava il registro. «Be', abbiamo quattro stanze prenotate per KEY News qui, ma una è già stata occupata dal signor Gates.» «Sammy Gates?» domandò Diane. «Sì. Samuel Gates.» «C'è anche Matthew Voigt?» Carlos consultò di nuovo l'elenco. «No, solo il signor Gates.» Diane fece spallucce. «Be', questo comunque non spiega perché non ci sia una quarta stanza per noi.» «Cielo, mi dispiace, signora Mayfield. Magari l'avessimo, ma purtroppo non ce ne sono altre libere. È tutto prenotato in questo periodo dell'anno. Anzi, abbiamo riaperto l'ultimo piano apposta per voi. Ci stiamo lavorando, per avere delle camere davvero carine pronte per l'autunno.» Diane lo guardò allarmata. «Non si preoccupi», la rassicurò lui. «Non è zona disastrata. Kip e io abbiamo lavorato tutta la notte per sistemare le cose per voi. Speriamo di attirare gente dalla città e questa è una grossa opportunità. Vogliamo che siate soddisfatti.» Entrando nella prima stanza, Diane restò incantata. Le pareti erano dipinte di un giallo limone chiaro e una vernice bianco brillante ravvivava il battiscopa e il telaio della finestra. La coppia di letti singoli di ottone era ben lucidata e ricoperta da copriletti bianchi puliti, fatti all'uncinetto. Un tappeto annodato azzurro, decorato con ghirlande di fiori estivi gialli e bianchi, ricopriva il centro del pavimento di pino tirato a cera. Una serie di stampe botaniche con passepartout azzurro e cornice bianca erano state appese ad arte. C'erano delle candele sul cassettone di quercia in stile vittoriano e una piccola pila di libri e riviste sullo scaffale inferiore del comodino che separava i letti. «Questa sì che è una stanza.» Diane si voltò verso Michelle, che era sulla porta. Cercò di tenere gli occhi puntati sul viso della figlia, piuttosto che sul suo corpo. «Qualcuno dovrà condividere la camera, tesoro.»
«Non io. Dai, mamma, voglio una stanza mia.» Michelle si avvicinò alla finestra e scostò la tendina traforata. «Guarda, questa ha una splendida vista sulla spiaggia.» C'era più entusiasmo nella voce di sua figlia di quanto ne avesse sentito da lungo tempo. Diane guardò Emily, mentre considerava mentalmente come si sarebbero sistemati. Anthony doveva avere una stanza per sé. Questo lasciava due camere per le tre donne. Ma non sarebbe stato meglio che Michelle non rimanesse da sola? «Che cosa ne pensi, Em?» «Non ho problemi a condividere, se per te va bene.» «Okay», decise Diane. «In ogni caso non passeremo molto tempo in camera. Michelle, puoi prenderti questa.» Carlos fece loro cenno di seguirlo lungo il corridoio. «Bene, così è deciso a chi andranno le altre stanze. C'è un letto matrimoniale nella Nautical Room e due singoli nella Shell Room. Dunque, Anthony, questa è la tua camera.» Di nuovo, Diane fu soddisfatta. Pareti azzurro chiaro, finiture bianche, un fresco copriletto blu sul letto di pino grezzo. Le stampe raffiguravano dei velieri e il pavimento era ricoperto da una stuoia. Anthony annuì controvoglia, ma acconsentì dopo aver provato il materasso. «Non male.» «Bene, allora. Procediamo verso la Shell Room.» Carlos fece loro strada lungo il corridoio, fermandosi davanti a una piccola porta. «Qui c'è il bagno.» «Il bagno? Cioè l'unico bagno?» chiese Michelle allarmata. Carlos annuì. «Non è la fine del mondo, Michelle, se dobbiamo condividere il bagno», disse Diane, cercando di non far trapelare la sua irritazione nel tono di voce. «Mi dispiace, ma c'è un solo bagno quassù», si scusò Carlos. «Abbiamo in programma di farne un altro, ma per ora ci sono asciugamani puliti in abbondanza, e li sostituiremo ogni giorno.» «Nessun problema, Carlos», disse Diane, sforzandosi di non rivolgere a Michelle l'occhiata fulminante che riteneva meritasse. «Questo bagno andrà benissimo.» Pochi minuti più tardi, Diane ed Emily stavano dividendosi i cassetti e sistemando le proprie cose. «Annusa questo sacchettino», disse Diane porgendo alla sorella la borsina di seta che aveva estratto dal cassetto. «Hanno
pensato proprio a tutto, eh?» Emily scoppiò a ridere. «Che cosa ti aspettavi, Di?» «Cosa vuoi dire?» «Sveglia! Carlos e il suo amico sono gay.» Diane si strinse nelle spalle riponendo il sacchettino. «Be', certo sanno come dare un certo fascino a un albergo.» Capitolo 23 Helen aveva finito di rifare i letti e si trovava in cucina intenta ad accatastare i piatti della colazione nel lavello, quando udì tre colpi sul telaio della porta d'entrata. Prese un canovaccio dal gancio e si asciugò le mani, chiedendosi se Jonathan e le bambine fossero già ritornati dalla loro passeggiata in città per comprare il giornale. Perché non erano entrati? Aprendo la porta di legno, fu accolta da una ventata di aria calda e trovò due agenti di polizia in uniforme, in piedi nell'angusta veranda. «La signora Richey?» «Sì, qualcosa non va?» «Vorremmo rivolgerle alcune domande, signora.» Helen notò il sudore che imperlava la loro fronte. «Volete entrare? Dentro è più fresco», propose. «Grazie, signora. Volentieri.» Uno degli uomini era dieci, quindici centimetri più alto dell'altro, ma tutti e due avevano spalle larghe e corporatura robusta. La loro presenza gigantesca affollava il vano anteriore della tenda. «Accomodatevi.» Helen indicò le sedie di vimini. «Gradite qualcosa da bere? Ho della limonata pronta.» «No, grazie, signora», rispose quello alto. Helen di sedette sull'orlo del letto a castello inferiore e guardò gli agenti dall'altra parte della stanza. «Bene, dunque. Come posso aiutarvi?» «Signora Richey, ha avuto una baby-sitter qui, ieri sera?» chiese il più basso dei due, mentre il suo compagno estraeva un blocchetto dal taschino della camicia. «Sì, Carly. Carly Neath. Perché?» Loro ignorarono la sua domanda e continuarono con le proprie. «La madre afferma che Carly ha lavorato per lei in precedenza. È corretto?» «Sì, Carly è stata qui diverse volte quest'estate. Le mie bambine l'adorano.»
«A che ora è arrivata?» «Alle sette, ed è rimasta fino a quando siamo rientrati, verso le undici. Anzi, erano circa le undici e mezzo.» Helen stava giocherellando distrattamente con le frange del canovaccio da cucina, quando la porta d'ingresso si aprì e suo marito entrò nella tenda insieme alle bambine. Jonathan si fermò di colpo alla vista dei poliziotti, ma velocemente si presentò e strinse loro la mano. «Perché voi ragazze non andate fuori a innaffiare i fiori, mentre la mamma e io parliamo con questi bravi agenti?» suggerì. Non appena le bambine non furono più a portata d'orecchio, Helen gli spiegò che cosa stava succedendo. «La polizia vuole sapere di Carly. Stavo proprio dicendo loro che siamo rientrati intorno alle undici e mezzo.» «Dunque siete tornati verso le undici e mezzo», ripeté a voce alta l'agente che prendeva nota, con fare meditabondo. «E poi che cosa è successo?» «Mi sono offerto di accompagnarla a casa, ma Carly ha insistito per andare da sola. L'abbiamo pagata ed è corsa via prima che potessimo fermarla», rispose Jonathan. Helen si morse il labbro inferiore e non contraddisse suo marito. «Vi prego, ditemi: è successo qualcosa a Carly?» chiese. Gli agenti si alzarono dalle sedie. «Speriamo di no, signora. Ma i genitori dicono che non è rientrata ieri sera. Non è necessariamente un motivo per preoccuparsi. I ragazzi lo fanno in continuazione. Normalmente aspetteremmo, per vedere se torna a casa oggi più tardi, oppure domani. Però, visto quello che è accaduto questa settimana con la ragazza Patterson, dobbiamo intervenire subito.» «Credevo che Leslie Patterson avesse simulato il proprio rapimento. Così ho sentito dire», replicò Helen. «Non possiamo fare commenti su un'indagine in corso, signora.» «No, certo che no. Capisco, ma se è successo qualcosa a Carly, se è stata rapita o roba del genere, forse c'è veramente un pazzo, là fuori.» L'agente non rispose, ma Jonathan le mise un braccio intorno alle spalle. «Non ti preoccupare, tesoro», disse. Mentre osservava gli agenti che scendevano i gradini, Helen riandò con la mente agli eventi della sera prima. La babysitter era corsa via prima che Jonathan ritornasse dall'aver parcheggiato la macchina. Anzi, era trascorsa una buona mezz'ora, dopo che Carly se n'era andata, prima che Jonathan rientrasse. Helen aveva pensato che suo marito avesse avuto difficoltà a trovare parcheggio. A essere onesta con se stessa, aveva sperato che ci
mettesse il maggior tempo possibile: era decisa a evitare di fare il suo dovere di moglie, ma non voleva litigare con lui al riguardo. Temeva l'intimità matrimoniale nello spazio ristretto della tenda. Le ragazze dormivano accanto a loro e i vicini sentivano anche il minimo rumore. Quando aveva udito il cigolio della porta a rete che si apriva, aveva finto di essere già addormentata, sapendo che Jonathan avrebbe presto cercato di richiamare la sua attenzione. Invece, non lo aveva fatto: si era spogliato, si era infilato tra le lenzuola di cotone e si era addormentato senza nemmeno toccarla. La sera prima ne era stata sollevata. Questa mattina, invece, quella mezz'ora che le aveva dato sollievo era tempo ingiustificato, tempo in cui non sapeva che cosa suo marito avesse fatto. E proprio ora, Jonathan aveva deliberatamente sviato la polizia, lasciando intendere di essere stato nella tenda per tutto il tempo. Attese che Sarah e Hannah andassero a mettersi il costume da bagno e fece cenno a Jonathan di seguirla in cucina. «Perché hai detto loro che volevi accompagnare a casa Carly? Che noi l'abbiamo pagata? Non eri nemmeno qui, Jonathan. Perché hai mentito?» Il viso pulito e fresco di Helen era solenne e preoccupato, mentre bisbigliava quelle parole. «Sarebbe stato meglio dire che non c'ero, Helen?» ribatté lui. «Proprio adesso, in città, ho sentito dire che Carly è scomparsa. Non voglio che i poliziotti sospettino di me. E tu?» Capitolo 24 «Ciao, sono Matthew. Sono giù nella hall.» «Okay, scendo subito.» Diane chiuse il cellulare e, rivolgendosi alla sorella, disse: «Mi dispiace, Em, ma devo andare. Ti prego, ripetimi che tutto questo per te non è un problema». Emily fece scivolare la valigia vuota sotto il letto e si raddrizzò. «Vuoi smetterla di preoccuparti, Diane? Andrà tutto bene. I ragazzi e io troveremo un sacco di cose da fare. Prima di tutto ci cambiamo e corriamo in spiaggia.» «Che cosa farei senza di te, Em?» «Non ti preoccupare, mi ripagherai quando avrò dei bambini, se non sa-
rai troppo vecchia per farcela!» «Divertente, Emily. Molto divertente.» Diane afferrò un flacone di crema solare, gettò gli occhiali da sole e il cellulare nella sua borsa di tela. Tirò fuori il portafoglio, contò diversi biglietti da venti dollari e li porse a Emily. Poi, dopo essere passata rapidamente da Michelle e da Anthony per salutarli, corse giù per le scale di legno. Matthew l'aspettava ai piedi delle scale; indossava una maglietta KEY News rossa, bermuda color cachi e sandali marroni. «Fortunato bastardo. Vorrei potermi vestire come te.» «Ecco perché è magnifico lavorare dietro la telecamera.» Matthew sorrise, accennando alla porta sul lato della hall. «Vuoi andare a sederti là dentro? Così ci organizziamo, prima di uscire.» Nell'antiquato salottino non c'era nessuno, ma una brocca di tè freddo e dei bicchieri scintillanti facevano bella mostra di sé su un lucente vassoio d'argento, posato sul tavolo da refettorio appoggiato a una delle pareti della stanza. Un cesto colmo di margherite era sistemato sulla mensola del camino. Erano tocchi gradevoli in uno spazio altrimenti obsoleto. Diane si guardò intorno, notando l'elaborata cornice che delimitava l'alto soffitto, la pietra intagliata che incorniciava il caminetto, l'opaco lampadario di bronzo. Quella stanza era stata trascurata per anni, ma aveva un certo potenziale. Con un po' di buongusto e attenzioni, avrebbe potuto diventare un ottimo esempio di stile vittoriano. Si versarono del tè freddo e si sedettero alle due estremità del divano. Matthew cominciò a spiegare il suo piano d'azione. «Prima di tutto, naturalmente, dobbiamo convincere Leslie Patterson. Un'intervista con lei è assolutamente necessaria per il nostro servizio.» Diane annuì. «Ci penso io. Chiamerò sua madre non appena finiamo qui.» Matthew estrasse dal suo zainetto un taccuino e sfogliò alcune pagine all'indietro. «Sì, puoi fare così, ma forse sarebbe meglio andare da lei di persona.» Diane non era entusiasta del suggerimento. «Vuoi dire presentarmi a casa sua e bussare alla porta? Detesto farlo.» «A dire il vero pensavo che potresti cercarla nel suo negozio.» Consultò i suoi appunti. «La signora Patterson gestisce un negozio di articoli da regalo chiamato Lavender & Lace. È stato utilizzato come base per i volontari impegnati nelle ricerche di Leslie.»
«Sì, potrei fare così», mormorò Diane tra sé e sé, bevendo una sorsata di tè. «Ma ci andrò da sola, senza la troupe e nemmeno te. Non voglio che a quella povera donna sembri un'imboscata. Sei sicuro che ci sarà?» «Be', dovrebbe esserci. Mi ci sono fermato quando sono arrivato, ieri pomeriggio tardi, e sulla porta c'era una lettera attaccata col nastro adesivo. Ringraziava la comunità per la sua partecipazione alla vicenda di Leslie e diceva che il negozio avrebbe riaperto questo fine settimana.» Diane prese nota dell'indirizzo in Main Avenue sul proprio block-notes. «Che altro?» chiese. «La polizia ha fissato una conferenza stampa per mezzogiorno.» «Sulle accuse mosse contro Leslie?» «Ne dubito. Quelle probabilmente verranno annunciate dall'ufficio del procuratore distrettuale. No, non so con certezza che cosa vogliano comunicare i poliziotti, ma ci vado io con la troupe.» «A proposito», disse Diane. «Com'è che Sammy Gates usa una delle mie stanze, qui?» «Oh, cielo», gemette Matthew. «Mi dispiace, Diane, ma quando Sammy ha visto la sua camera nel nostro motel, ha minacciato di tornarsene a New York. Ho dovuto calmarlo. Vorrei solo che non fosse stato a spese tue.» Diane era scettica. «Vuoi dirmi che il posto in cui state voi è peggio di questo?» Matthew emise una risata sommessa. «In confronto alla topaia in cui stiamo noi il Dancing Dunes Inn è un vero palazzo. Sono i migliori alloggi che sia riuscito a trovare con così poco preavviso. Gli alberghi sulla costa sono prenotati con mesi d'anticipo.» «Allora, tu e Gary Bing siete finiti in un tugurio. Mi dispiace, Matthew.» «Ah, non importa. Non ci trascorreremo molto tempo.» Matthew diede un'occhiata all'orologio. «È meglio che vada. Ho detto a Gates e Bing che ci saremmo incontrati alla stazione di polizia. Vuoi che ti lasci giù al negozio di Audrey Patterson?» «Sì, grazie. Prima lo faccio, meglio è.» Capitolo 25 Una campanella tintinnò, quando Diane aprì la porta d'ingresso del Lavender & Lace. L'aria fresca del negozio profumava di pot-pourri e candele agli aromi. Biancheria ricamata, eleganti merletti e saponi fatti a mano erano in bella mostra sugli scaffali bianchi disposti lungo le pareti color la-
vanda. Antichi spilloni per cappelli erano raccolti in alti contenitori di porcellana; scatole di carta da lettere decorata e biglietti d'auguri affollavano i banconi. C'erano dei parasole allegramente colorati infilati in alcune ombrelliere, una vetrinetta piena di guanti fantasia e ventagli di piume, e dozzine di borse da sera di perline appese a minuscoli ganci sparsi per tutto il negozio. Mentre esaminava l'ambiente Diane si chiese come quel posto avesse potuto fungere da quartier generale per le ricerche. Non c'era spazio neanche per un'altro fermacravatta, figuriamoci per un piccolo esercito di volontari. Si soffermò a guardare la collezione di orsacchiotte di pezza sistemate sui gradini di una vecchia scala di legno. Ognuna indossava una gonnellina di taffettà color lavanda e un cappellino a tesa larga intonato, con una finitura in merletto. Avevano fili di perle false drappeggiati intorno al collo e reggevano un ventaglio di piume in una delle zampe. Una slanciata signora di mezza età sbucò da dietro la tenda di perline che nascondeva la porta sul retro del negozio. Riuscì a sorridere debolmente, mentre procedeva lungo lo stretto passaggio, in direzione di Diane. «Posso aiutarla?» chiese automaticamente, raccogliendosi alcune ciocche di capelli striati di grigio dietro l'orecchio. «Questi sono deliziosi», esclamò Diane, prendendo in mano uno dei peluche. «Grazie. Li vendo da anni, da quando mia figlia si è innamorata del suo.» Diane lo ripose sul gradino della scala. «Lei è la signora Patterson?» «Sì.» Si avvertiva una certa circospezione nella voce della donna. La giornalista si tolse gli occhiali da sole e le porse la mano. «Sono Diane Mayfield.» «Oh.» Audrey Patterson entrò in agitazione. «Mi perdoni, non l'avevo riconosciuta. Mi dispiace tanto. Ho troppe cose per la testa.» «La prego, non c'è alcun motivo di scusarsi. Non avrei dovuto tenere addosso gli occhiali.» Diane intuiva che Audrey stava esaminando il suo viso. Sta cercando ogni ruga e ogni grinza, pensò, come fa la maggior parte della gente quando incontra qualcuno che ha visto solo alla televisione. Vorrà raccontare ai suoi amici che la celebrità di KEY News è più carina, semplice, magra, grassa, vecchia, giovane nella realtà di quanto non appaia sullo schermo. «Speravo che potessimo parlare un po'», disse, arrivando al punto. «Riguardo alla partecipazione di Leslie alla vostra trasmissione, giu-
sto?» «Sì, sulla possibilità di intervistarla.» La campanella della porta d'entrata tintinnò, quando un paio di signore più anziane entrarono. «Andiamo nel retro», suggerì Audrey. «Posso aspettare, se vuole occuparsi delle sue clienti», propose Diane. «No, non si preoccupi.» Audrey abbassò la voce a un sussurro. «Quelle due sono sempre qui. Danno un'occhiata, non comprano mai.» Oltrepassarono la tenda di perline e si trovarono in un ampio locale adibito a magazzino. Gli scatoloni di cartone erano stati impilati lungo le pareti, per far posto a tavoli su cavalletti, ora ingombri di bicchieri da caffè di carta usati e scatole di ciambelle vuote. Una mappa di Ocean Grove e delle cittadine circostanti era montata su un cavalletto gigante. Vi erano state tracciate delle griglie a matita rossa, per organizzare le aree di ricerca. «Vuole sedersi?» Audrey indicò una sedia pieghevole di metallo. «Grazie.» La madre di Leslie si appoggiò all'angolo di un tavolo. «Ne ho parlato con mio marito ieri sera. Secondo lui è meglio aspettare finché non assumiamo un avvocato e sentiamo se ritiene che sia il caso che lei parli con Leslie o meno.» «Quando pensa che sarà, signora Patterson?» «Oggi Lou farà altre telefonate. Ma, sa, Leslie non è ancora stata ufficialmente accusata di nulla.» «E speriamo che non lo sia», commentò Diane con sincerità. «Sarebbe una prova terribile per una giovane donna. Anch'io ho una figlia e posso immaginare quanto lei sia preoccupata.» Gli occhi scuri di Audrey si riempirono di lacrime. «Quanti anni ha sua figlia?» «Quattordici.» «Quattordici», ripeté Audrey. «Quella è l'età in cui Leslie cominciò ad avere problemi.» Diane provò una fitta d'ansia, pensando a Michelle. L'idea che sua figlia seguisse il percorso di Leslie Patterson era più che angosciosa. Però, la giornalista che era in lei riconobbe un'opportunità. Audrey Patterson si stava aprendo e Diane doveva incoraggiarla a continuare. «Che tipo di problemi?» chiese con gentilezza. «Problemi con il cibo.» Audrey abbassò la testa, come se si vergognasse. «Iniziò a dimagrire sempre di più e a fare ginnastica in continuazione. Sul-
le prime non ci feci caso. Lo rimpiango sempre. Quando mi resi conto che qualcosa non andava e la portai da un medico, le fu diagnosticata l'anoressia.» «Il dottore riuscì ad aiutarla?» Diane tifava per una risposta positiva. «Dio solo sa, se non ha provato.» Audrey scosse la testa. «Owen Messinger è un santo, per quanto mi riguarda. Ha curato Leslie in tutti questi anni ed è sempre stato paziente con lei, mentre io...» La voce della donna si affievolì e una lacrima le rigò la guancia. «Perché le madri danno sempre la colpa a se stesse?» chiese Diane con gentilezza. Ma la vera domanda a cui cercava risposta era: se Owen Messinger era un terapeuta così bravo, perché dopo otto anni Leslie non era ancora guarita? Capitolo 26 Matthew e la troupe delimitarono le loro posizioni davanti all'edificio di cemento giallo in Central Avenue. Gary Bing collegò un microfono al podio di legno che si trovava accanto all'ingresso del distaccamento di Ocean Grove del Neptune Township Police Department. Sammy Gates scelse un punto conveniente dove sistemare la sua telecamera. Sistematosi sotto un albero per proteggersi dal sole cocente, Matthew si rilassò mentre esaminava la concorrenza e attendeva l'inizio della conferenza stampa. Non era presente nessun altro network televisivo nazionale, benché il New Jersey Network fosse rappresentato, e anche la WCBS. Un paio di reporter per la stampa, col blocchetto degli appunti pronto, stavano in piedi sul bordo della strada. Tutto sommato, la presenza dei media era inferiore alle aspettative, eppure Matthew non ne era del tutto sorpreso. Vista la sempre minore durata dell'interesse del pubblico e le limitate risorse disponibili per coprire gli eventi, le redazioni avevano scelto di non inviare nessuna delle poche troupe televisive che avevano a disposizione per il fine settimana, a seguire la vicenda di Leslie Patterson... una vicenda che poteva essere considerata già vecchia nel tipico ciclo di ventiquattr'ore delle notizie. Leslie Patterson era scomparsa, Leslie Patterson era stata ritrovata e la polizia riteneva che avesse inscenato tutto quanto. I caporedattori ipotizzavano che a questa conferenza stampa non sarebbe stato annunciato niente che non potesse essere facilmente riferito in venti secondi dal conduttore durante il telegiornale della sera. Se era presente un reporter della Associated Press, le emittenti televisive erano coperte. Potevano ot-
tenere le informazioni di cui avevano bisogno dall'agenzia di stampa. L'unico motivo per cui KEY News aveva inviato una troupe era che Joel Malcolm voleva a tutti i costi questa storia per Hourglass. La porta d'ingresso della stazione di polizia si aprì. Un agente uscì e prese posto sul podio. «Mi sentite tutti?» chiese. I tecnici del suono controllarono i loro strumenti di misurazione. «Vada avanti», gridò uno di loro. «Sono il commissario capo Jared Albert del Neptune Township Police Department.» «Come si scrive?» urlò il reporter della AP. «J-A-R-E-D. A-L-B-E-R-T.» Il commissario fece una pausa, aspettando che i giornalisti alzassero gli occhi dai loro taccuini, prima di leggere la dichiarazione che aveva già preparato. «Alle prime ore di questa mattina, i genitori di una ventenne, residente a Ocean Grove, hanno denunciato al Neptune Township Police Department che ieri sera la loro figlia non è rincasata, dopo aver lavorato come babysitter. Poiché questo fatto segue a ruota la scomparsa di un'altra residente di Ocean Grove, avvenuta all'inizio della settimana, il Neptune Township Police Department ha deciso di indagare immediatamente sulla vicenda e chiede aiuto al pubblico e alla stampa.» Matthew raddrizzò le spalle dalla sua posizione sotto i rami ombrosi dell'albero e si avvicinò al podio, dove il commissario Albert stava mostrando la foto di un viso giovane e sorridente. La graziosa biondina non era Leslie Patterson. Che cosa stava succedendo? «Questa è Carly Rachel Neath. È alta un metro e cinquantacinque e pesa circa quarantacinque chili. È bionda, ha gli occhi azzurri e una voglia sulla parte interna del polso sinistro. L'ultima volta che è stata vista indossava dei pantaloni bianchi a vita bassa, un top legato dietro il collo a strisce azzurre e bianche, e dei sandali di pelle bianchi. Chiunque sia in possesso di informazioni che possano aiutare a ritrovare Carly Neath è pregato di informare immediatamente il Neptune Township Police Department.» Matthew girò di scatto lo sguardo verso Sammy Gates. Il cameraman aveva l'obiettivo della telecamera puntato sulla lucida fotografia. Mentre Albert completava la sua dichiarazione, il produttore gridò le prime domande. «E Leslie Patterson? Significa che non credete più che abbia inscenato il suo rapimento? Ritenete che la stessa persona che ha rapito Les-
lie, adesso abbia preso Carly Neath? Saranno ancora formulate accuse contro Leslie?» L'ufficiale di polizia si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della mano, prima di rispondere. «Stiamo vagliando tutte le possibilità. Finora, non sono state formulate accuse contro Leslie Patterson.» Capitolo 27 Carly aprì gli occhi, ma non riuscì a vedere niente. Si rese conto di essere bendata. La testa le martellava provocandole un dolore tale che si sentiva quasi grata per l'oscurità. Dov'era? Il sommesso ma continuo sgocciolio d'acqua pareva più vicino del rombo dell'oceano che sentiva in lontananza. Quel frullio d'ali era provocato da uccelli che svolazzavano sopra di lei? Il tubare era quello di un piccione o di una colomba? Tremante di paura, si distese sul suolo umido e cercò di ricordare che cosa fosse successo. Stava camminando verso casa, ecco. Aveva lasciato Shawn allo Stone Pony e si dirigeva verso casa. Adesso ricordava. Si era infuriata con lui e se n'era andata. E poi? Carly si concentrò, nonostante il mal di testa che la spingeva a sperare nel sollievo del sonno. Gradualmente, cominciò a tornarle la memoria. Era uscita dal club e aveva attraversato la strada. Aveva dovuto decidere che via prendere per rientrare a casa. Aveva scelto la scorciatoia intorno al vecchio Casino, poi era stata colpita alle spalle e doveva essere svenuta. Le fitte lancinanti alla testa erano la conseguenza del colpo, oppure si trattava di una delle sue solite emicranie? Quale ne fosse la causa, era il peggior dolore che avesse mai provato. Doveva uscire di là. Carly si sforzò di alzarsi, ma ricadde a terra, rendendosi conto di avere le mani e i piedi legati. Quando cercò di gridare aiuto, il bavaglio le penetrò negli angoli della bocca. Capitolo 28 Una volta uscita dal Lavender & Lace, Diane si sedette su una panchina sotto un albero in Main Avenue e tirò fuori il cellulare per chiamare il servizio informazioni e ottenere il numero del dottor Owen Messinger. Stava per provare a telefonargli, pur sapendo che era improbabile trovarlo nel
suo studio di sabato, quando il cellulare squillò. Prima di accostare l'apparecchio all'orecchio, diede un'occhiata al minuscolo schermo. «Ciao, Matthew.» «Diane.» La voce di lui tradiva una certa urgenza. «Un'altra ragazza è scomparsa.» «Cosa?» «Un'altra giovane. Carly Neath. Pressappoco coetanea di Leslie Patterson. Ieri sera non è tornata dopo aver fatto la baby-sitter.» «E la polizia ritiene che ci sia un nesso?» chiese Diane. «Non sono arrivati a dirlo, ma hanno cominciato a indagare prima di quanto avrebbero fatto in altre circostanze. E dicono che non muovono accuse contro Leslie.» «Aspetta che lo sappia Joel. Gli verrà un colpo», pronosticò Diane, pensando che il suo capo potesse essere turbato dagli ultimi sviluppi. Se un'altra giovane era sparita, Leslie Patterson stava dicendo la verità? Il non avere gridato al lupo, l'avrebbe esclusa come soggetto per Hourglass? Comunque, che Joel decidesse di includere Leslie Patterson o meno, il fatto che un'altra giovane fosse stata rapita era una notizia di livello nazionale. Le seguenti parole di Matthew non la sorpresero. «Weekend Evening Headlines vuole un pezzo sulla vicenda, per stasera», disse. «Fammi indovinare: la corrispondente sono io.» «Sì. La redazione non ha nessuno al Northeast Bureau da mandare quaggiù. Fatta eccezione per il corrispondente del Broadcast Center, che è di turno per il notiziario, sono tutti in vacanza.» «Proprio come dovremmo essere noi», commentò Diane prima di passare a pianificare. «Sto morendo di fame. Mangiamo un boccone e decidiamo come procedere. Oh, e... Matthew? Non ho ancora avuto l'autorizzazione per l'intervista a Leslie Patterson. Non so se a Joel interesserà ancora per Hourglass, comunque mi piacerebbe registrare la sua reazione alla scomparsa di Carly Neath per il pezzo di Evening Headlines.» Dieci minuti dopo Diane e Matthew furono accompagnati a un tavolo nel cortile all'aperto dello Starving Artist. «Per caso, non avreste un tavolo all'interno?» chiese Matthew al gestore. «Mi dispiace. È pieno. Tutti vogliono l'aria condizionata.» Ordinarono subito due tè freddi ed esaminarono le proposte del ristorante.
«Ci sono un sacco di cose che mi piacciono in questo menu, ma sono troppo accaldata per mangiarle», disse Diane. «Credo che prenderò l'insalata di tonno.» «Per me, un doppio hot dog all'italiana e patatine fritte.» Matthew chiuse il menu. «Non ho mai troppo caldo per mangiare.» Dopo avere ordinato, ricapitolò quello che avevano fino ad allora. «Okay, abbiamo la conferenza stampa della polizia e una foto della seconda ragazza scomparsa. Abbiamo anche immagini di Leslie Patterson e delle sue ricerche all'inizio della settimana.» «Come le hai ottenute?» chiese Diane. «Non eravamo qui.» «Be', non le ho proprio in mano, ma ho chiamato l'ufficio locale di WKEY. Duplicheranno quello che hanno e lo porteranno allo studio di Weekend Evening Headlines. Poiché non abbiamo con noi l'attrezzatura per l'editing, trasmetteremo il nostro materiale al Broadcast Center, Si occuperanno loro del montaggio.» «Quando arriverà il furgone con l'attrezzatura satellitare?» chiese Diane. «Intorno alle quattro. Vogliamo trasmettere alle cinque.» Lei guardò l'orologio. «Okay, allora abbiamo circa quattro ore per vedere quali altri elementi riusciamo a mettere insieme e scrivere il pezzo.» Continuò: «Naturalmente, la cosa migliore sarebbe riuscire a intervistare Leslie Patterson». «Sua madre non ha abboccato, eh?» «No, ma era prima della scomparsa di Carly Neath. I nuovi sviluppi cambiano notevolmente le cose. Ora è possibile che Leslie Patterson stia dicendo la verità.» Capitolo 29 Shawn entrò da Nagle's e si sedette al suo solito posto al banco. Era troppo tardi per la colazione, così ordinò qualcosa di simile, come primo pasto della giornata. «Uova in insalata con pane di segale tostato e una tazza di caffè», disse alla cameriera magra coi capelli castani dietro il banco. Shawn conosceva Anna perché, insieme a Carly, le aveva dato un passaggio per recarsi a un appuntamento dal medico, una sera della settimana precedente, quando la sua vecchia auto era a riparare. Adesso lei lo fissava come se volesse dirgli qualcosa. Shawn la guardò, in attesa. «Hai saputo di Carly?»
«Saputo cosa?» chiese Shawn. «Carly non è tornata a casa ieri sera. I suoi genitori sono sconvolti e la polizia la sta cercando.» Anna lo fissò con una certa compassione. «Doveva rincasare dopo il suo lavoro di baby-sitter, ma non l'ha fatto. Nessuno sa dove sia. Dovrò fare il doppio turno e coprire il suo.» Shawn scivolò giù dallo sgabello. «Puoi annullare la mia ordinazione, Anna.» Uscì fuori, ma non sentì né i brucianti raggi del sole, né l'aria calda e immobile. I pensieri gli galoppavano nella mente. Doveva andare dalla polizia, prima che la polizia venisse da lui. Era solo questione di tempo: gli agenti avrebbero scoperto che la sera prima era stato con Carly allo Stone Pony. Se la cameriera di Nagle's lo riconosceva come il ragazzo di Carly, anche altri l'avrebbero fatto. Se avesse detto la verità alla polizia, sarebbe stato nei guai. Aveva litigato con Carly, proprio come aveva litigato con Leslie subito prima che scomparisse. Shawn era l'ovvio comune denominatore tra le due donne. In base all'interrogatorio che aveva subito quando Leslie era scomparsa sapeva che la polizia lo aveva considerato uno dei principali sospetti. Sapeva anche, dal corso che aveva frequentato sulla violenza domestica, che le donne spesso non vengono aggredite da estranei, bensì da persone che conoscono, primi fra tutti ragazzi o mariti contrariati. In preda alla disperazione chiuse gli occhi e si fece scorrere tra i capelli le dita dalle unghie rosicchiate. Doveva trovare una soluzione. La polizia l'avrebbe ritenuto responsabile della scomparsa di Carly e l'avrebbe accusato anche di quella di Leslie. Capitolo 30 «Mi credi, adesso?» Audrey sobbalzò, udendo la voce della figlia alle proprie spalle. «Non avvicinarti di soppiatto in questo modo, Leslie. Mi hai spaventato a morte.» Si voltò, continuando però a rovistare in una scatola di candele profumate. «Non ho sentito tintinnare la campanella della porta d'ingresso, quando sei entrata. Devo avere la mente altrove.» Notando l'espressione rassegnata sul volto di sua madre, Leslie chiese: «Non l'hai ancora saputo, vero?» «Cosa?» «È scomparsa un'altra ragazza.» Gli occhi castani di Leslie brillavano
per l'eccitazione. Audrey posò la scatola di candele sul ripiano e si appoggiò contro il bordo. «Mamma? Mi hai sentito? È scomparsa un'altra ragazza. Adesso la polizia mi crederà. Tutti mi crederanno.» «Leslie!» sibilò Audrey. «Vuoi abbassare la voce, per favore?» Il volto magro di Leslie si rabbuiò. «Be', pensavo che saresti stata felice per me, mamma. Non capisci? Questo prova che dicevo la verità.» «Certo, sono sollevata di sentire che la tua versione è stata confermata, cara.» Audrey allungò la mano per accarezzare i bei capelli castani della figlia, notando che avevano perso parte della loro lucentezza. «Ma, davvero, è difficile essere felici a spese di un'altra poveretta. Di chi si tratta? La conosco?» «Ne dubito, ma fa la cameriera da Nagle's. È quella con cui usciva Shawn.» «Santo cielo», esclamò Audrey. «Un'altra ragazza di Shawn è scomparsa? La polizia deve indagare al riguardo. Be', che Dio aiuti lei e la sua famiglia», aggiunse sommessamente, pensando a quello che lei e suo marito avevano appena passato. «Dovremmo fare qualcosa per aiutarli, Leslie. Forse potremmo offrire di nuovo il nostro magazzino ai volontari, come base per le ricerche.» Prima che rispondesse, Audrey riuscì quasi a vedere le rotelline che giravano nel cervello di sua figlia. «Sì, credo che andrebbe bene, e io potrei aiutarli. Voglio che tutti quelli che hanno dubitato di me abbiano la possibilità di chiedermi scusa.» Capitolo 31 Mentre arrancava lungo Main Avenue, Sammy Gates brontolava trasportando sulle spalle la pesante attrezzatura per le riprese. «Gesù, fa caldo. Ricordami di nuovo per quale motivo lo stiamo facendo.» «Perché se non riusciamo a parlare con Leslie Patterson, almeno potremmo ottenere qualche commento da sua madre.» Diane cercò di usare un tono paziente, ma dentro di sé non era in vena di ascoltare le lamentele di Sammy. Era il suo lavoro, per Dio. «Se accetta, e siamo pronti a riprenderla, non avrà il tempo di cambiare idea.» «Secondo me non funzionerà.» Sammy sogghignò, rivolgendosi al proprio collega. «Che cosa ne pensi, Gary?»
«Non m'importa.» Gary si strinse nelle spalle. «Sono loro che mi pagano e qualsiasi cosa vogliano a me va bene, purché saldino il conto.» Gary Bing era dolce e piacevole quanto Sammy Gates irascibile e polemico. Diane lo considerava un santo per riuscire a lavorare con Sammy. La maggior parte del personale di KEY News evitava quello scorbutico il più possibile, invece il povero Gary era bloccato con lui giorno dopo giorno. Sammy non raccolse il commento del partner e continuò la sua litania di lamentele. «E poi l'alloggio lascia molto a desiderare. Mi piace avere la televisione in camera, ma non amo né i tappeti all'uncinetto, né condividere un bagno in fondo al corridoio.» «Matthew mi ha detto che il Dancing Dunes Inn è molto meglio del posto dove originariamente avresti dovuto alloggiare», commentò Diane, ancora un po' irritata per il fatto che la sua famiglia fosse stata costretta a rinunciare a una delle sue stanze per far contento Sammy. «È vecchiotto, ma è pulito e ha un certo fascino.» «Ma quale fascino, è una topaia. Molto meglio un Marriott. Servizio in camera e minibar, ecco cosa mi piace.» Diane alzò la mano, interrompendo le sue rimostranze. «Guardate. Mi pare che quella sia Leslie Patterson.» Dall'altra parte della strada, una figura molto esile stava scendendo dal marciapiede davanti al Lavender & Lace. «Preparatevi, ragazzi», ordinò, mentre si precipitava tra le auto che percorrevano la strada principale. «Leslie? Leslie Patterson?» gridò in direzione della giovane, che indietreggiò risalendo sul marciapiede. Avvicinandosi, Diane inspirò a fondo. Benché sapesse che Leslie aveva otto anni più di sua figlia, la ragazza non li dimostrava. Era come se si fosse fermata all'adolescenza. Le gambe che spuntavano dagli shorts di jeans non possedevano alcuna delle curve femminili associate con l'essere un po' in carne e non aveva praticamente seno. «So chi è lei», disse Leslie con orgoglio. «Lei è Diane Mayfield di KEY News.» Diane le tese la mano. «Piacere di conoscerti, Leslie.» «Mia madre mi ha detto che ieri ha telefonato per intervistarmi.» «Giusto», replicò Diane. «E capisco bene perché non fosse d'accordo ieri, o anche questa mattina, quando sono venuta a trovarla. Però, adesso che è scomparsa l'altra ragazza, speravo che tu e tua madre poteste ripensarci.» «Non ho bisogno del permesso di mia madre, Diane», disse Leslie. «Sono maggiorenne.»
«È vero», convenne Diane. «Ma viste le circostanze, forse è meglio consultarla.» Sapeva che era la madre dentro di lei a dare questo suggerimento. Sperò che se, Dio non volesse, Michelle si fosse mai trovata in una situazione simile a quella di Leslie, sua figlia si sarebbe rivolta a lei per un consiglio materno. «Non è necessario che ne parli a mia madre», ribatté Leslie, fissando la troupe televisiva alle spalle di Diane. Che cosa fare? Insistere affinché ottenesse l'approvazione della madre? Leslie era legalmente maggiorenne. Se acconsentiva, Diane sarebbe stata una pazza a non intervistarla. «Va bene», disse, rivolgendosi a Gary. «Mettile il microfono. Possiamo riprenderla proprio qui, sul marciapiede.» Leslie era a un passo da lei e, come Diane capì, era estremamente furba per quanto riguardava i media. «Perché non andiamo al Beersheba Well, dove la guardia giurata mi ha trovato? È solo a un paio di isolati da qui. Potremmo fare là l'intervista.» Sammy sistemò il suo treppiedi. Gary fermò con una clip un microfono al colletto della camicetta senza maniche di Leslie e le porse una piccola batteria nera. «Ecco. Fatti passare il filo sotto la blusa e attaccati la batteria sul retro dei pantaloncini.» Leslie ubbidì. «Niente truccatrice, o simili?» Diane sorrise. «Mi dispiace. Se fossimo in studio a New York, sì. Ma qui, sul campo, dobbiamo arrangiarci.» Estrasse dalla borsa una trousse per il trucco e uno specchietto. «Vuoi un po' di fard?» Leslie annuì. Diane scelse i colori più giovanili tra la serie di prodotti che portava sempre con sé. Un rossetto e un fard color pesca, insieme a un mascara marrone scuro sarebbero stati adatti alla carnagione di Leslie. Mentre le applicava il rossetto, le incipriava il viso, le spazzolava i capelli e le spruzzava un po' di lacca, Diane conversò con lei, chiedendole che cosa intendeva fare, adesso che era di nuovo libera. «Riprenderò a lavorare lunedì, ma tutta questa storia mi ha fatto capire che voglio di più dalla vita. Spero di poter andare oltre il lavoro d'ufficio che ho alla Surfside Realty.» «Quali sono le tue mansioni, adesso?» chiese Diane cortesemente. «Sa... rispondere al telefono e inviare fax, suddividere la posta, ordinare cose per l'ufficio.»
Diane vide che la troupe era pronta. «Leslie, perché io e te non ci mettiamo qui vicino al gazebo?» suggerì. Con una certa esitazione, Leslie si sistemò accanto a Diane. «È strano essere di nuovo qui, dove mi hanno trovata solo due sere fa.» Diane le diede un colpetto sul braccio. «Non ti preoccupare. Andrà tutto bene.» Si rivolse alla troupe. «Tutto a posto, ragazzi?» «Vai», rispose Sammy. «Tutto okay, Leslie?» chiese Diane. «Ah-hah.» Diane si girò verso di lei e cominciò. «Siamo qui, sedute insieme nel punto in cui sei stata trovata venerdì mattina molto presto, dopo essere scomparsa per tre giorni. Leslie, raccontami che cosa ti è successo.» La giovane sospirò profondamente prima di rispondere. «Lunedì sera tardi stavo camminando sul lungomare, quando qualcuno mi si è avvicinato alle spalle e mi ha messo KO. Quando sono rinvenuta, ero bendata e legata, e avevo una specie di bavaglio sulla bocca, così non potevo chiamare aiuto. Non sapevo dov'ero.» Si strofinò le braccia nude, come se cercasse di riscaldarsi. «Dev'essere stato spaventoso.» Leslie annuì, ma non disse nulla. «E poi che cosa è accaduto?» incalzò Diane. «Be', lui - suppongo che fosse un 'lui' perché chiunque fosse non mi ha mai parlato - mi ha semplicemente lasciata là, qualunque luogo fosse. Ritornava ogni tanto per portarmi qualcosa da mangiare, ma io ho mangiato molto poco. Ogni volta che tornava, mi tirava su e mi costringeva a danzare con lui.» «A danzare con lui? Non capisco», disse Diane. «Non c'era musica o niente del genere, ma credo che si possa definire danzare. Mi sollevava e premeva il suo corpo contro il mio, dondolandosi avanti e indietro, quasi al ritmo delle onde. Dovevamo essere vicini all'oceano. Riuscivo a sentirlo.» Ogni parola che Leslie pronunciava, convinceva Diane che il pezzo che tra poche ore avrebbe fornito a Weekend Evening Headlines sarebbe stato coinvolgente. «È stato terribile. Spaventoso. Ce l'ho fatta solo perché facevo finta di ballare con il mio ragazzo, Shawn.» La voce di Leslie si fece lamentosa. «Ma la cosa peggiore è che nessuno mi ha creduto.» «Un'altra giovane è scomparsa, Leslie. Pensi che la gente ti crederà, a-
desso?» «Lo spero», rispose la ragazza sommessamente, mentre gli occhi castani le si riempivano di lacrime. «E mi dispiace per lei.» Capitolo 32 Benché il padre di Carly Neath gli avesse detto che lui e sua moglie non avevano niente da dichiarare alla stampa, Matthew pensò che sarebbe stata comunque una buona idea recarsi a casa loro. Le persone dicevano facilmente no al telefono, ma quando si trovavano faccia a faccia con un altro essere umano, talvolta cambiavano idea. Senza la presenza intimidatoria di una troupe televisiva, Matthew pensò di avere maggiori speranze di convincere i Neath a parlare con lui. Individuò la casa nel mezzo di un isolato di Surf Avenue. L'edificio coloniale non aveva imposte o fioriere. Benché ora fosse una costruzione priva di interesse, Matthew sospettò che sotto i consunti pannelli bianchi del rivestimento vi fossero le assi di legno e le elaborate modanature dell'originale struttura vittoriana. Qualcuno aveva applicato il suo concetto di progresso, privando la casa di qualsiasi fascino. Bussò alla porta d'ingresso, attese e bussò di nuovo. Matthew non era certo che i Neath fossero all'interno. Premette le mani a coppa contro la finestra e cercò di vedere attraverso il vetro. «Sono là dentro.» Matthew si voltò in direzione della voce. Un uomo molto anziano era in piedi sulla veranda della casa accanto. «So che sono dentro, nel caso chiami quella loro figlia. E non vogliono perdersi nemmeno un'eventuale telefonata della polizia, magari con qualche notizia.» Matthew si allontanò dalla porta d'ingresso dei Neath, con la sensazione che quel vecchio, con le spalle e le braccia ossute che sporgevano dalla canottiera, potesse essere una buona fonte d'informazioni. Si avvicinò a lui e cominciò a chiacchierare. «Dunque, immagino che lei conosca Carly.» «Già. La conosco da quando era bambina. Si metteva sempre nei pasticci, quella. Sembra che questa volta le sia capitato qualcosa di brutto.» «Ha qualche idea di cosa possa esserle accaduto?» chiese Matthew. Il vecchio si strinse nelle spalle. «Ho i miei sospetti.» Matthew attese che l'uomo continuasse.
«Sai, è dura invecchiare. Tu non ci pensi nemmeno, adesso, vero, figliolo?» «Non molto spesso», convenne Matthew, notando la pelle screpolata sulle tempie dell'uomo. Gli mancavano un paio di denti dalla gengiva inferiore ed emanava un vago odore di marcio. «Anch'io non ci pensavo, quando avevo la tua età. Invece, la vecchiaia arriva prima che tu te l'aspetti e porta con sé ogni sorta di miserie. Per me la cosa peggiore è non dormire. Non so neanche dirti quando è stata l'ultima volta che ho dormito tutta la notte.» «Mi dispiace», disse Matthew, sperando che il vecchio strambo arrivasse al punto. L'uomo si sedette sulla sedia a dondolo sulla veranda. «Faceva così caldo la notte scorsa. Cielo, era caldo. Non ho l'aria condizionata. Di solito qui non ne ho bisogno, nemmeno d'estate. E costa soldi far funzionare quella roba, e di quelli non ne ho abbastanza.» Matthew stava diventando impaziente. Doveva trattenersi dal battere il piede sul pavimento, ma annuì in segno di assenso, come se capisse i problemi del vecchio. «Così sono venuto qui fuori a sedermi sulla mia sedia a dondolo, perché pensavo che sarebbe stato più fresco. Però, non era così. Più o meno, credo che fosse caldo quanto dentro.» Matthew intuì la direzione che stava prendendo la conversazione e decise di sveltire le cose. «Allora, ieri sera ha visto qualcosa da qui, sotto la veranda?» L'uomo si dondolò. «Già.» «Che cosa ha visto?» Il vecchio pareva divertirsi a prolungare la cosa. «Ho visto Carly che risaliva la strada. Quei suoi capelli gialli riflettevano la luce della luna.» «Che ora era?» chiese Matthew. «Circa le undici e mezzo, mezzanotte meno un quarto.» «Le ha detto qualcosa, oppure Carly le ha parlato?» «Non mi ha nemmeno visto e io non avevo niente da dirle.» L'anziano si interruppe, godendosi il suo potere. Dopo essersi dondolato per un minuto, continuò. «Be', posso anche dirti quello che ho detto ai poliziotti oggi, quando sono venuti a fare tutte le loro domande. Non mi ha sorpreso neanche un po'. Questi ragazzi di oggi, vanno e vengono a tutte le ore del giorno e della notte. Perfino le ragazze. Ai miei tempi, nessuna figliola che si rispettasse sarebbe uscita da sola di notte in quel modo. Nemmeno qui, a Ocean Grove.»
«Che cosa ha visto?» lo incalzò Matthew. «L'ho vista passare davanti a casa sua e proseguire.» Il vecchio scosse la testa. «Già. Ha continuato a camminare. Verso l'oceano. A quell'ora di notte. È una vergogna quello che fanno le ragazze, al giorno d'oggi.» «Dunque, lei dice che ha i suoi sospetti riguardo a ciò che è accaduto a Carly.» Matthew tentò di distrarre l'uomo dai costumi dei giovani d'oggi. «Che cosa ritiene che sia successo?» Si protese in avanti per sentire. «Come ho detto alla polizia. Credo che quel tipo l'abbia presa.» «Tipo? Quale tipo?» «Quello che la seguiva. Lei non l'ha visto, ma lui certo la puntava.» Capitolo 33 Una piccola folla di curiosi si era radunata sul prato che circondava il gazebo rosso che proteggeva il Beersheba Well per guardare la troupe televisiva intenta a riprendere l'intervista. Diane era abituata agli sguardi e alle occhiate, ma Leslie no. Gradiva l'attenzione, ma si sentiva a disagio a parlare di sé di fronte a gente che non conosceva. In qualche modo, un anonimo pubblico televisivo non la innervosiva neanche lontanamente quanto i veri esseri umani che cercavano di sentire quello che stava dicendo a Diane Mayfield. «Credo che sia tutto quello che ho da dire per ora.» Leslie diede uno strattone al microfono. Diane sapeva che non era il caso di insistere. Voleva avere l'opportunità di intervistare Leslie una seconda volta, più a lungo, per Hourglass, se Joel decideva di procedere. Adesso aveva materiale in abbondanza per il pezzo relativamente breve che doveva preparare per Evening Headlines. Inoltre, a livello più personale, non voleva forzare la figlia di qualcun altro a fare qualcosa contro la sua volontà. «A che ora andrà in onda?» chiese Leslie alzandosi. «Non so come sarà la scaletta, ma la trasmissione comincia alle sei e mezzo», rispose Diane. «Grazie mille per averlo fatto, Leslie. Lo apprezziamo davvero.» Diane la osservò farsi strada tra i curiosi, attraversare il prato e dirigersi verso il centro della città. Mentre Sammy e Gary riponevano l'attrezzatura, si sedette nuovamente sul gradino del pozzo ed estrasse un taccuino dalla borsa. Stava cominciando ad abbozzare un testo, quando il suo cellulare squillò.
«Questa telefonata proviene da una prigione federale», annunciò la voce registrata. Diane conosceva la procedura. Quando le fu richiesto, premette cinque per accettare la telefonata. «Sono io.» Nonostante tutto la sua voce non mancava mai di emozionarla. Fin dalla prima volta che le aveva parlato, durante quel corso di psicologia, l'ultimo anno di college, aveva avuto un debole per la sua morbida pronuncia del West Virginia. Diane si alzò, si girò e si allontanò dalla troupe. «Ciao, sono io», rispose sottovoce. «Be'? Come va? Com'è stato il volo? Ti sei già unita al tour?» Un fuoco di fila di domande. Diane si morsicò l'interno delle guance. «Diane? Ci sei?» «Sì, Philip. Ci sono.» «Allora? Come va? I ragazzi sono eccitati? Raccontami che cosa succede.» C'era un tale entusiasmo nella sua voce che Diane detestava l'idea di deluderlo. Sapeva che desiderava qualche bella notizia; aveva bisogno di qualcosa di piacevole a cui pensare, allo spegnersi delle luci, quando non riusciva ad addormentarsi. «A dire il vero, Philip, c'è stato un cambiamento di programma.» «Questa telefonata proviene da una prigione federale.» Di nuovo la voce registrata, che interrompeva la conversazione per ricordare loro qualcosa che non dimenticavano mai. «Che tipo di cambiamento di programma?» La voce di Philip si fece guardinga. «È successo qualcosa? Qualcosa non va? I ragazzi si sono ammalati?» Adesso, era subentrato il panico. «No, Michelle e Anthony stanno bene», lo rassicurò lei rapidamente. Diane non aveva certo intenzione di parlargli dei suoi timori riguardo a Michelle e a un suo possibile disturbo alimentare. Philip non poteva farci niente e non c'era motivo di farlo preoccupare. «Tu stai bene, tesoro?» chiese lui. A quell'espressione affettuosa, Diane provò una fitta al cuore. In ricchezza e in povertà, in salute e in malattia... Nonostante la delusione per quello che Philip aveva fatto professionalmente e la rabbia per quello che le sue azioni avevano comportato per la loro famiglia, Diane sperava ancora di riuscire a perdonarlo, col tempo. Quello che avevano avuto insieme era stato così bello. Anche se Philip aveva commesso un terribile errore,
lei non aveva smesso - non poteva smettere - di amarlo. Condividevano troppo passato. Avevano due bambini e la loro intesa emotiva e fisica era sempre stata forte. Desiderava da morire essere di nuovo con Philip. Ma non in una grande sala con sedie pieghevoli, guardie carcerarie e telecamere che li controllavano, e sapere che, alla fine della visita, lui sarebbe stato costretto ad affrontare l'oltraggio di una perquisizione personale. Santo cielo, rivoleva la loro vecchia vita, con tutta quell'intimità che tanto avevano dato per scontata. «Sto bene, Philip. Davvero. Ma ho dovuto annullare la vacanza. Joel Malcolm ha insistito perché coprissi io una storia.» «Ah, Di', stai scherzando.» La delusione nella sua voce era palpabile. «Vorrei, credimi, ma non è così. Sono a Ocean Grove, nel New Jersey, sto facendo un servizio su due giovani scomparse.» «E dove sono i ragazzi? Devono esserci rimasti malissimo.» «Questo è dire poco, specialmente Anthony. Però, Joel mi ha permesso di portarli con me. Devono essere in spiaggia con Emily, in questo preciso momento.» «Questa telefonata proviene da una prigione federale.» Di nuovo la maledetta voce registrata. «Devo ritornare in cella per l'appello delle quattro, Di.» La sua voce suonò triste. Il pensiero di Philip in piedi che veniva esaminato come un criminale dagli agenti carcerari la nauseava. Anzi, tutto quello che sapeva di ciò che era costretto a sopportare nella prigione federale le faceva rivoltare lo stomaco. Le cose, poi, che sospettava che non le raccontasse, la terrorizzavano davvero. Peraltro, Philip aveva commesso un crimine e, se c'era una possibilità che lui o loro potessero buttarsi tutto alle spalle e vivere una vita onesta, doveva pagare per ciò che aveva fatto. Capitolo 34 L'operatore del furgone con l'attrezzatura satellitare di KEY News parcheggiò nel punto d'incontro stabilito, il cul-de-sac in fondo a Ocean Avenue. Lasciando il motore acceso, Scott Huffman si sedette ad aspettare Diane Mayfield, Matthew Voigt e la loro troupe, quale essa fosse per questo incarico per Weekend Evening Headlines. La vista fuori dal finestrino
gli ricordava che era un fine settimana d'estate e che, ancora una volta, stava lavorando. Gente in pantaloncini corti e costume da bagno passeggiava sul lungomare. Alcuni sfilavano attraverso una grande struttura di legno che portava alla spiaggia. Altri facevano la coda davanti allo stand dei rinfreschi. Lo stomaco di Scott brontolò, rammentandogli che non aveva mangiato nulla dopo la focaccina e il caffè del mattino. Quando aprì la portiera del furgone, la ventata di aria calda che lo colpì quasi lo convinse a restarsene tranquillo nella fresca e gradevole cabina, ma alla fine la fame trionfò sul comfort. Smontò dal furgone, lo chiuse a chiave e si unì alle persone che attendevano in fila. Acquistò due hot dog completi, patatine fritte e una root beer. Non voleva impuzzolentire il furgone, così portò il vassoietto di cartone con il cibo fino a una panchina un po' più avanti sul lungomare e divorò il suo pranzo tardivo, fissando l'oceano tra un boccone e l'altro. Mentre masticava, pensò a se stesso. Doveva cambiare vita. Certo, gli straordinari erano ottimi, ma in tutta l'estate non aveva trascorso un fine settimana intero a casa. Il mese prima era stato via per oltre una settimana quando KEY to America aveva trasmesso da Newport, nel Rhode Island. Non era giusto nei confronti di sua moglie e dei suoi figli, e neanche di se stesso. Non voleva diventare uno di quei tizi che si perdono le cose importanti della vita solo per avere un gruzzolo più grosso in banca. Doveva cominciare a dire di no agli incarichi durante il fine settimana. C'erano altri che sapevano usare l'attrezzatura satellitare per inviare audio e video al Broadcast Center. Che si facessero loro gli straordinari. Scott gettò i resti del pranzo in un bidone della spazzatura. Ritornando indietro lungo la passeggiata, incrociò un tizio, che avrebbe potuto essere suo coetaneo, che camminava nella direzione opposta. Nonostante il caldo opprimente, l'uomo indossava i pantaloni e una camicia mimetica militare con le maniche lunghe. Parlava tra sé e sé. Scott non poté evitare di guardarlo: era chiaro che gli mancava qualche venerdì. Ecco un'anima afflitta che è stata davvero fregata dalla lotteria della vita, pensò, ma quando scorse Diane Mayfield accanto al furgone, che gli faceva cenno, dimenticò rapidamente il patetico estraneo. Capitolo 35 Diane era nel furgone, intenta a dare gli ultimi ritocchi al suo testo,
quando squillò il cellulare. Matthew le riferì quello che il vicino di casa di Carly Neath gli aveva raccontato di avere visto la notte precedente. «Uau», esclamò Diane. «Credi che dovremmo aggiungere qualcosa sul fatto che Carly era seguita?» «Mi sentirei più tranquillo se avessimo la dichiarazione della polizia in proposito», rispose Matthew, «ma non ho notizie da parte loro.» «Vorrei che avessi con te la troupe, Matthew. Pensi che il tuo testimone ripeterebbe tutto di nuovo, davanti alla telecamera? Se avessimo una ripresa in cui dice di aver visto qualcuno che seguiva Carly, il pezzo sarebbe più solido.» «Vale la pena di tentare. Mandami Sammy e Gary. Cercherò di convincerlo.» «Indovina un po'», disse Diane dopo aver annotato l'indirizzo. «Leslie Patterson ha parlato con noi.» «Stai scherzando. Fantastico! È roba buona?» «Abbastanza. Penso che siamo a posto per il pezzo di stasera. Ma vorrò intervistarla di nuovo in seguito, per Hourglass. Quando sapremo che cosa succede con Carly Neath, avremo bisogno di altri commenti da parte di Leslie.» Dopo aver dato disposizione alla troupe di recarsi in Surf Avenue, Diane rivide il suo testo ed effettuò i cambiamenti necessari per inserire un breve estratto della testimonianza del vicino di Carly. Scrisse anche una frase alternativa, spiegando che cosa aveva visto il testimone, nel caso Matthew non riuscisse a farlo parlare di nuovo. La narrazione supplementare avrebbe potuto essere inserita all'ultimo momento, se necessario. Contenta del fatto che il testo sarebbe stato letto dal produttore esecutivo al Broadcast Center, Diane cliccò sull'icona INVIO del computer e rimase in attesa della sua approvazione. Capitolo 36 Poco dopo l'inizio dell'interrogatorio, Shawn capì che avrebbe dovuto portare con sé un avvocato. Così attese altre due ore, finché il difensore d'ufficio non arrivò alla stazione di polizia. Il tizio indossava una camicia da golf e dei bermuda, come se fosse stato chiamato nel mezzo di una partita di golf o di un barbecue familiare. Dopo essersi informato sulla versione dei fatti di Shawn, l'avvocato segnalò che gli agenti potevano ritornare nell'angusta area riservata agli interrogatori.
«Il mio cliente è venuto qui di sua spontanea volontà», attaccò l'avvocato. «Vi ha detto che ieri sera era con Carly Neath, che lei l'ha lasciato allo Stone Pony e che quella è stata l'ultima volta che l'ha vista. A meno che non abbiate qualcosa con cui incriminarlo, noi ce ne andiamo.» «Dunque è solo una coincidenza che anche la giovane che è stata rapita all'inizio della settimana fosse stata la sua ragazza?» chiese un agente. «Sembra proprio di sì», rispose l'avvocato, con volto impassibile. L'altro agente scosse la testa, sapendo che, per il momento, avevano le mani legate. Dovevano trovare qualche prova solida contro quel tizio. «Bene, Ostrander», ringhiò. «Vattene pure. Ma rimani reperibile.» Capitolo 37 «Il vecchio non vuole più parlare, Diane. Non avremo le immagini per il pezzo.» «Va bene. Seguiremo il Piano B. Grazie, Matthew.» Diane chiuse il telefono e sollevò il microfono. Tenendolo vicino alla bocca, cominciò a registrare il testo approvato. «Per la seconda volta in meno di una settimana, una giovane donna è scomparsa in una idilliaca cittadina sulla costa del New Jersey. Ieri notte, la ventiquattrenne Carly Neath non è rientrata a casa, dopo aver terminato il suo lavoro di baby-sitter nella tranquilla e pittoresca Ocean Grove.» Si interruppe per dare istruzioni su come inserire un estratto della conferenza stampa della polizia. «Usate le immagini che vi inviamo dopo la traccia. Parla il commissario capo Jared Albert, J-A-R-E-D. A-L-B-E-R-T, del Neptune Township Police Department. L'estratto dice: 'Poiché questo fatto segue a ruota la scomparsa di un'altra residente di Ocean Grove, avvenuta all'inizio della settimana, il Neptune Township Police Department ha deciso di indagare immediatamente sulla vicenda e chiede aiuto al pubblico e alla stampa'.» Diane si schiarì la voce. «Traccia due: polizia e volontari stanno perlustrando la cittadina, nota come 'Il piccolo campo di Dio', una comunità di poco più di due chilometri quadrati a un'ora da New York, proprio come hanno fatto pochi giorni fa per la ventiduenne Leslie Patterson. Dopo una ricerca di tre giorni, la giovane è stata trovata, legata e imbavagliata, sulla proprietà della Ocean Grove Camp Meeting Association. Era stata avanzata l'ipotesi che Leslie avesse simulato il proprio rapimento per attirare l'attenzione, ma questa seconda sparizione cambia le cose. Oggi Leslie ha par-
lato in esclusiva con KEY News nel luogo in cui è stata ritrovata, venerdì mattina presto.» Diane s'interruppe per consultare i suoi appunti sull'intervista a Leslie. «Bene. L'estratto è: 'Lunedì sera tardi stavo camminando sul lungomare, quando qualcuno mi si è avvicinato alle spalle e mi ha messo KO. Quando sono rinvenuta, ero bendata e legata, e avevo una specie di bavaglio sulla bocca, così non potevo chiamare aiuto. Non sapevo dov'ero'.» Ritornando al testo, Diane continuò. «Traccia tre. Proseguono le ricerche di Carly Neath. «Estratto: di nuovo il commissario Albert. 'È alta un metro e cinquantacinque e pesa circa quarantacinque chili. È bionda, ha gli occhi azzurri e una voglia sulla parte interna del polso sinistro. L'ultima volta che è stata vista indossava dei pantaloni bianchi a vita bassa, un top legato dietro il collo a strisce azzurre e bianche, e dei sandali di pelle bianchi. Chiunque sia in possesso di informazioni che possano aiutare a ritrovare Carly Neath è pregato di informare immediatamente il Neptune Township Police Department.'» Questo era il punto in cui le sarebbe piaciuto inserire le immagini col vicino di Carly. Al loro posto, Diane registrò le frasi alternative che aveva scritto. «KEY News ha saputo che un testimone si è fatto avanti con informazioni che potrebbero fornire una pista. Ieri sera un uomo è stato visto seguire Carly Neath, mentre camminava nei pressi di casa sua. Non è chiaro se questa persona abbia qualcosa a che fare con la sua scomparsa. Leslie Patterson dice che le dispiace per Carly e per quello che potrebbe trovarsi ad affrontare. «Okay, prendete un estratto nel mezzo della frase di Leslie. Comincia con: 'chiunque fosse non mi ha mai parlato', e poi continua: 'mi ha semplicemente lasciata là, qualunque luogo fosse. Ritornava ogni tanto per portarmi qualcosa da mangiare, ma io ho mangiato molto poco. Ogni volta che tornava, mi tirava su e mi costringeva a danzare con lui'. «Ultima traccia. Una danza morbosa che famiglia e amici pregano Carly Neath non sia obbligata a compiere proprio in questo momento. Diane Mayfield, KEY News, Ocean Grove, New Jersey.» Capitolo 38 Non appena oltrepassò la porta, Larry si sciolse la cravatta e scalciò via le scarpe. Era stata una giornata lunga, ma ne era valsa la pena. Quella
domenica non era diversa da qualsiasi altra di quell'estate. Aveva concluso una vendita. Toccando ferro. Larry sapeva per dolorosa esperienza che non era mai davvero finita fino alla stipula. Quando tutti i documenti erano firmati e il denaro era passato di mano, allora, e solo allora, l'agente immobiliare riceveva la sua commissione. Però Larry aveva la sensazione che questo affare fosse sicuro. I compratori erano prequalificati per il mutuo e avevano già perso altre due case in quel mercato surriscaldato. Non avrebbero creato problemi su qualsiasi cosa potesse saltare fuori durante l'ispezione della proprietà. Volevano solo assicurarsi il loro posticino sulla costa. Larry stappò una birra, attraversò il salotto per accendere la televisione e si sistemò sul divano. Desiderò che ci fosse qualcuno con cui parlare della giornata e celebrare il suo successo. Erano questi i momenti in cui gli mancavano di più sua moglie e sua figlia. Era già abbastanza deprimente recarsi al lavoro al mattino uscendo da una casa vuota, ma rincasare la sera e affrontare un'altra cena da solo era ancora peggio. Starsene seduto là, sera dopo sera, a guardare la televisione, gli lasciava troppo tempo per pensare. Appoggiati i piedi sul tavolino, puntò il telecomando verso la TV e cliccò. Su KEY, stava finendo il golf e stava per cominciare il telegiornale. Il primo servizio riguardava la guerra in Iraq, il secondo la giornata del presidente. Larry si alzò e andò di nuovo al frigorifero. Mentre stappava un'altra birra, udì le parole «Ocean Grove» e ritornò di corsa in salotto. Guardò il pezzo con le belle immagini di Ocean Grove e una sorridente Carly Neath, e ascoltò la narrazione di Diane Mayfield. Però era particolarmente interessato a quello che diceva Leslie. «Ritornava ogni tanto per portarmi qualcosa da mangiare, ma io ho mangiato molto poco.» Quelle parole, nonché la vista della mascella affilata e delle braccia sottili di Leslie, rinvigorirono in Larry il dolore che non era mai scomparso. Il ricordo di Jenna e di tutte le volte che aveva tentato inutilmente di convincerla a nutrirsi. Larry aveva trascorso infinite ore arrovellandosi su quali bocconcini potessero tentare sua figlia, e poi portandoglieli. Tuttavia, non c'era stato niente da fare: da magra Jenna era diventata smunta, poi emaciata e infine macilenta. Per certi versi, Leslie gli dava la possibilità di riparare agli errori che aveva fatto con sua figlia. Doveva aiutarla, farle capire che il disturbo di cui soffriva, benché fosse estremamente serio, era curabile e che la soluzione
era dentro di lei. Non in quel terapeuta da strapazzo. Owen Messinger aveva rovinato Jenna e adesso stava distruggendo anche Leslie. Ruttò, spegnendo il televisore. Larry si chiese perché Leslie non capisse che cosa stava facendo a se stessa. Doveva rendersi conto che c'erano problemi molto più importanti là fuori, problemi per i quali la gente non poteva davvero fare niente. Essere trattenuti contro la propria volontà costituiva certo un buon esempio. Se questo non spaventava una ragazzina, facendola ritornare in sé, che cos'altro l'avrebbe fatto? Larry sperò che Leslie avesse imparato qualcosa dalla sua terribile esperienza e che ciò provocasse un cambiamento reale nel suo comportamento autodistruttivo e nella sua visione della vita. Non vedeva l'ora che fosse lunedì: sarebbe tornata al lavoro e lui avrebbe potuto tenerla d'occhio. Capitolo 39 Owen Messinger continuò a fissare il televisore per lungo tempo, dopo che Weekend Evening Headlines era terminato, su KEY. Era rimasto stupefatto nel vedere Leslie Patterson che parlava nel servizio. Solo ieri sua madre gli aveva detto che la giovane non voleva uscire di casa. Owen immaginò che, con la scomparsa di Carly Neath, Leslie si fosse sentita sollevata dalle accuse e volesse farlo sapere. Forse tutto questo orrore avrebbe finito per avere un effetto positivo su di lei. Avrebbe potuto, in qualche bizzarro modo, farla sentire meglio riguardo a se stessa. Se la comunità capiva che l'aveva mal giudicata e che aveva detto la verità, le avrebbe rivolto la sua simpatia e Leslie avrebbe ottenuto molta attenzione positiva. Ne aveva bisogno. Dio gli era testimone, non stava approdando a nulla con lei. Nonostante gli anni trascorsi, Leslie era ancora angosciata nei confronti del cibo e continuava a tagliarsi. Sulle lesioni, la terapia non funzionava affatto, con lei. Era preoccupato. Owen andò al mobile-bar nella sala da pranzo e si versò un doppio scotch. Studiò il liquido color ambra nel bicchiere, incerto sul da farsi. Aveva lavorato sul suo innovativo approccio terapeutico con sufficiente successo, tanto che era quasi pronto a pubblicarlo, ma Leslie rovinava tutto. I risultati ottenuti con lei influenzavano negativamente l'esito del suo studio. «Qui, Cleo», chiamò. «Dove sei, piccola?» Owen si avvicinò alla scrivania e aspettò di vedere se il gatto sarebbe comparso. Si sedette, deciso a sbrigare il cumulo di posta che si era ammonticchiato per tutta la settima-
na. Innanzitutto ne estrasse i cataloghi e li gettò nel cestino per la carta straccia. Già quel gesto gli diede l'impressione di un bel progresso. Poi separò i conti. Con questo restarono un paio di riviste e una busta. Il felino bianco e nero gli saltò in grembo, mentre lui prendeva il tagliacarte e apriva la busta. Accarezzò il pelo del gatto, mentre leggeva il messaggio che vi era contenuto. LEI È UN CIARLATANO. QUELLA SUA TERAPIA HA GIÀ CAUSATO TROPPE VITTIME. SE LA POLIZIA O LA COMUNITÀ MEDICA SCOPRISSERO QUELLO CHE FA A QUESTE POVERE DONNE, PERDEREBBE LA POSSIBILITÀ DI ESERCITARE. MA SE DECIDE DI RIVOLGERSI ALLE AUTORITÀ, ECCO IL MIO BIGLIETTO DA VISITA. NON VEDO L'ORA DI RACCONTARE TUTTO SU DI LEI ALLA POLIZIA. OPPURE, SE VUOLE PRENDERSELA CON ME, SARÒ FELICE DI AFFRONTARLA DI PERSONA. VENGA A TROVARMI. SI CONSIDERI AVVERTITO. LA SMETTA E LASCI PERDERE PRIMA DI DISTRUGGERE UN'ALTRA VITA. Owen raccolse il biglietto da visita bianco che era caduto fluttuando sulla moquette. Vi era scritto «Surfside Realty» e vi si leggeva il nome di Larry Belcaro. Capitolo 40 Quando Diane ritornò al Dancing Dunes, trovò Anthony ed Emily che giocavano a Scarabeo nel salottino. «Ah, ecco che cosa avete fatto oggi!» Scoppiò a ridere. I volti di suo figlio e di sua sorella tradivano il tempo trascorso al sole. «Fa male?» «Smettila di preoccuparti, mamma, eh? Abbiamo messo la crema protettiva.» «Dov'è Michelle?» chiese Diane, guardando in giro per la stanza e lanciando un'occhiata oltre l'ingresso della sala da pranzo. «È di sopra.» Emily non distolse lo sguardo dalla scacchiera dello Scarabeo. «Quadro. Q-U-A-D-R-O, e la Q vale dieci», disse trionfante.
Il volto di Anthony si rabbuiò: il distacco tra lui e la zia era ormai quasi insormontabile. «Ho una fame da lupo», disse. «Quando si mangia?» «Che cosa ti va?» chiese Diane, benché uscire a cena fosse l'ultima cosa al mondo che volesse fare, dopo quella calda e lunga giornata. Rilassarsi a letto, nella sua stanza con aria condizionata, dopo un bel bagno rinfrescante, era infinitamente più invitante. Però, questa era la loro prima sera laggiù e sapeva che i ragazzi ed Em l'avevano aspettata. «Pizza?» suggerì Anthony. «Em?» «Per me va bene.» «Ottimo», replicò Diane, contenta di non doversi sedere da qualche parte per una cena completa di due ore. «Anthony, corri su a chiamare tua sorella, per favore.» Mentre aspettava che i suoi figli scendessero, Diane estrasse il cellulare e finalmente chiamò lo studio del dottor Owen Messinger. Lasciò un messaggio dicendo che avrebbe voluto intervistarlo per Hourglass su questioni riguardanti la salute della donna. «La prego di richiamarmi non appena le è possibile», concluse. «Naturalmente so che non può parlare specificamente di Leslie Patterson, ma ho alcune domande di natura generale che sarebbero interessanti per i nostri spettatori.» Quando gli chiesero la sua opinione, Carlos disse che avrebbero dovuto andare ad Asbury Park, nella sua pizzeria preferita. «Non è un granché come atmosfera, ma ha le migliori pizze che abbia mai mangiato.» Quindici minuti più tardi erano seduti nel ristorantino con vetrina a fronte strada. Ordinarono due pizze, una con pomodoro e formaggio, l'altra con l'aggiunta di salame piccante. Anthony ci si lanciò con avidità, spazzando via quattro fette in rapida successione. Emily e Diane si rimproverarono entrambe per averne mangiata una terza, ma Michelle ne prese solo una, la sbocconcellò e lasciò tutta la crosta sul piatto. Diane detestava il fatto che ora si ritrovava a guardare e valutare ogni boccone inghiottito da sua figlia. Capitolo 41 Adesso che era buio, era più sicuro che in qualsiasi altro momento. La luce della luna rendeva rischioso andare al Casino, ma non poteva fare
diversamente. Doveva agire stanotte. Tenersi vicino al muro esterno dolcemente arrotondato del Casino diminuiva le probabilità di essere notati. Dopo la curva, ecco finalmente la brezza dall'oceano. Soffiava contro il gigantesco cavalluccio marino di rame appeso a fili di metallo che era sul punto di staccarsi dal tetto del trascurato edificio art déco. Una staccionata fatiscente bloccava l'entrata. Lettere iridescenti dicevano: PERICOLO: NON ENTRARE. PROPRIETÀ PRIVATA. VIETATO L'ACCESSO. Non era difficile scivolare attraverso le aperture della recinzione. Una volta dentro poteva accendere la torcia elettrica. Il fascio di luce giallastra colpì un pavimento di cemento bagnato, disseminato di escrementi d'uccelli, conchiglie spezzate e penne di gabbiano. Frammenti di vetro scricchiolavano sotto i piedi. Nel muro, sotto il vecchio cartello che identificava quell'ambiente cavernoso come Casino Skating Palace, c'era un buco, più piccolo di quello della recinzione esterna. Non era stato facile trascinare il corpo di Carly a peso morto attraverso quell'apertura, la notte precedente, ma adesso, da solo, ci voleva un attimo a entrare. C'erano altre deiezioni di animali e detriti dovuti all'acqua sulle tavole di legno, sparsi per il pavimento trascurato. La sala era dominata da un palcoscenico abbandonato, dove nei giorni gloriosi di Asbury Park erano stati rappresentati spettacoli molto popolari. Adesso era cosparso di rovi e ricoperto da uno strato di catrame. Le lunghe panche, dove un tempo il pubblico sedeva e applaudiva l'intrattenimento estivo, erano rivestite di muschio. Lampadari di metallo arrugginiti, simili a ruote di carro, pendevano dalle travi di metallo. Una sottile lama di luce filtrava da un buco nel soffitto. Strano. Sembrava quasi indicare il vecchio bancone dei rinfreschi, il posto che era diventato l'inferno di Carly. Era essenziale che tutto si svolgesse proprio così. Carly doveva subire la routine. Erano trascorse quasi ventiquattr'ore da quando era stata rapita e imprigionata. Era giunto il momento di tagliare le manette di plastica flessibile che le legavano le caviglie. Era giunto il momento della sua prima danza. Capitolo 42 Carly non riusciva a vedere niente, ma sentiva bene. Troppo bene. Ascoltò la creatura avvicinarsi, facendosi strada tra i detriti. I rumori si fece-
ro più prossimi, ma Carly non riusciva a capire se erano causati da un animale o da un essere umano. Non sapeva quale cosa fosse peggio. Il cuore le batteva forte nel petto, reagendo all'adrenalina che le schizzava per il corpo. La testa le martellava ancora, i polsi erano dolenti e scorticati per via dei lacci che li legavano. Cercò di concentrarsi sul proprio respiro, poteva inspirare aria solo attraverso il naso, perché il bavaglio le tappava la bocca. I passi si fermarono proprio accanto a lei. Un raggio di luce la raggiunse attraverso la sottile apertura della benda verso il basso. Doveva trattarsi di una persona: aveva acceso le luci. Carly si sentì strattonare le caviglie e capì che i legacci venivano sciolti. Poi fu presa gentilmente per un braccio e costretta ad alzarsi. Forse l'avrebbe lasciata andare. Si sforzò di mettersi in piedi, sentendosi girare la testa e faticando a mantenere l'equilibrio. Non potendo emettere suoni e non sapendo cos'altro fare, Carly restò in piedi ad aspettare il seguito. Alla speranza si sostituì il terrore, quando cominciarono le carezze. Non sapeva con certezza quanto fosse durato. Un minuto? Dieci? Mezz'ora? Le parve un'eternità. Qualcosa di liscio si strofinò avanti e indietro sulle sue guance e su e giù sulle sue braccia nude. Era pelle? Una mano guantata? Poi un corpo si premette contro il suo costringendola a muoversi. Aveva ancora le mani legate, ma sentì delle braccia ricoperte di stoffa che si avvolgevano intorno alle sue, che erano nude. Udì un fruscio sommesso. Era nylon che sfregava contro nylon? Il rumore che fanno le gambe dei pantaloni da sci, strusciando l'una contro l'altra, quando si cammina sulla neve? Il corpo del suo aguzzino cominciò a dondolare al ritmo delle onde, vibrando avanti e indietro, il suo ne seguì automaticamente la guida, ma lei lasciò che la sua mente si rifugiasse altrove, cercando di ricordare com'era stato andare sullo slittino e fare pupazzi di neve. DOMENICA, 21 AGOSTO Capitolo 43 Aprì gli occhi e allungò il braccio per prendere l'orologio dal comodino. Diane fu sorpresa quando scoprì che erano quasi le dieci: aveva dormito
profondamente per tutta la notte. L'accordo era che Matthew avrebbe controllato con la polizia al mattino e poi l'avrebbe chiamata intorno a mezzogiorno per fare il piano della giornata. Se ci fosse stato qualcosa da filmare prima di allora, ci avrebbe pensato lui insieme alla troupe. Così lei avrebbe avuto due ore a disposizione da trascorrere con i ragazzi. Girandosi, Diane osservò sua sorella, ancora addormentata nel letto accanto al suo. Ringraziò di nuovo Dio per il fatto che Em era con loro quella settimana. Cercando di fare meno rumore possibile, scese dal letto e indossò la sua leggera vestaglia estiva. Frugando nella valigia, trovò un paio di ciabattine di spugna e se le infilò. Attraversò la stanza in punta di piedi e aprì la porta sul corridoio. Sulla via del bagno, notò che la porta della camera di Michelle era socchiusa. Bussò leggermente e infilò dentro la testa. «Michelle?» chiamò dolcemente. La stanza era vuota, ma sembrava che vi fosse passato un tornado. Una valigia giaceva aperta sul pavimento, il suo contenuto mezzo dentro e mezzo fuori. C'erano vestiti sparsi per terra e il letto era disfatto. I flaconi di shampoo, balsamo e creme di Michelle erano sparpagliati sul cassettone, i suoi CD e DVD giacevano alla rinfusa sul comodino. Diane scosse la testa e sospirò. Come era riuscita sua figlia a creare un simile caos in così poco tempo? E dov'era? Sperando di non incontrare nessuno, ma decisa comunque a proseguire, Diane cominciò a scendere le scale. La hall e il salotto erano deserti, ma Carlos e un altro uomo erano in sala da pranzo intenti a disporre cibo e fiori sul buffet. «Scusatemi», disse Diane. I due uomini si voltarono e Carlos le rivolse un ampio sorriso. «Buongiorno, signora Mayfield.» «Diane, per favore.» «Okay, Diane.» Carlos si girò in direzione dell'altro uomo. «Diane, questo è il mio compagno, Kip.» «Piacere di conoscerla», disse Diane, stringendosi la vestaglia. «In genere non mi aggiro così in luoghi pubblici, ma sto cercando mia figlia.» «Non l'ho ancora vista questa mattina», disse Carlos. «Ha circa tredici o quattordici anni, capelli castani, molto magra?» chie-
se Kip. Diane annuì, trasalendo dentro di sé all'ultima parte della descrizione. «Allora l'ho vista uscire circa mezz'ora fa. Indossava pantaloncini e scarpe da ginnastica e aveva con sé un walkman. Ho pensato che andasse a correre.» Diane ritornò al piano di sopra, si fece la doccia e si lavò i denti. Quando rientrò in camera a vestirsi, Emily era sveglia. «Buongiorno, dormigliona.» Sua sorella si stiracchiò nel letto e sospirò. «Oh, che meraviglia! Se è un'anticipazione di come si dorme quaggiù, sono felice di essere venuta.» Diane s'infilò una maglietta nera di Donna Karan. «Vuoi venire giù con me a fare colazione? Ho sentito un profumino...» «I ragazzi sono già svegli?» Emily non accennò ad alzarsi. «Anthony dorme ancora, ma Michelle è già uscita. Credo sia andata a correre.» Chiudendo la cerniera dei suoi pantaloni bianchi, aggiunse: «Em, posso chiederti una cosa?» «Cosa?» «Riguarda Michelle.» Diane deglutì. «Pensi che potrebbe avere un disturbo alimentare?» Emily spostò i cuscini e si mise a sedere. «Cielo, Diane. Non ci ho realmente pensato.» Diane le riferì le proprie osservazioni: la bruschetta avanzata, la pizza appena toccata, la perdita di interesse per quelli che un tempo erano i suoi cibi preferiti. «Inoltre, fa ginnastica in continuazione e a me sembra che abbia perso peso.» Emily rimase in silenzio per un momento, riflettendo sulle parole della sorella. Quando finalmente rispose, Diane si sentì un po' meglio. «Sì, tutto questo potrebbe essere vero», disse Emily. «Ma ti ricordi, quando tu avevi quell'età? Tutto lo sforzo per essere la più carina e per avere un corpo perfetto? Diamine, queste cose non cambiano mai. Secondo me Michelle sta solo reagendo alla pressione di essere donna nella nostra società. Significa che ha un disturbo alimentare? Ne dubito, Diane.» «Dio, spero che tu abbia ragione, Em. Spero proprio che tu abbia ragione.» Capitolo 44
Matthew voleva conoscere la versione locale dei fatti, così si fermò alla Ocean Grove Stationery in Main Avenue per comprare una copia dell'Asbury Park Press. In particolare, intendeva scoprire dove Carly Neath avesse fatto la baby-sitter la notte della sua scomparsa. Era un elemento che non avevano avuto il tempo di esplorare per il pezzo della sera prima, però ne avevano decisamente bisogno per il servizio per Hourglass. La polizia si era rifiutata di fornire tale informazione, durante la conferenza stampa, ma i reporter locali avevano le loro fonti - fonti che un giornalista appena arrivato in città non poteva in alcun modo eguagliare. Matthew sperava che il reporter dell'Asbury Park Press avesse fatto un po' di lavoro per lui. Rimase in piedi sul marciapiede davanti al negozio di caramelle e lesse l'articolo in prima pagina. Ecco, rivelava che Carly aveva fatto la babysitter per i Richey, residenti estivi che vivevano in una delle tende di Bath Avenue. Matthew ne fu entusiasta: sapeva che le tende erano belle a vedersi, inoltre la loro storia avrebbe costituito un'appendice interessante. Continuando a leggere, scoprì che Carly lavorava anche come cameriera al Nagle's Apothecary Café. Era il locale all'angolo della Main, non lontano dalla spiaggia: lo aveva notato il giorno prima, ritornando al motel. Adesso poteva andarci a piedi. Valeva la pena tentare, magari sarebbe riuscito a parlare con qualcuno che conosceva Carly. Pochi minuti più tardi, Matthew raggiunse il bar. C'erano dei tavolini disposti sul marciapiede, ma preferì l'aria condizionata all'interno. Esaminando il locale, vide che tutti i tavoli erano occupati, però c'era un posto libero in fondo al bancone. Si accomodò sullo sgabello, accanto a un uomo di mezza età, leggermente calvo. «Che cosa le porto?» chiese la cameriera. «Del caffè, per cominciare, Anna», rispose Matthew, leggendo il nome sulla targhetta. «Nero, senza zucchero. Poi vorrei un paio di uova all'occhio di bue e un toast di pane integrale.» «Pancetta?» «Perché no? La vita è breve.» L'uomo di mezza età si voltò a guardarlo, dandogli la sensazione di avere detto qualcosa che non andava. Matthew sorrise incerto. «Come sta?» chiese all'uomo. «Bene.» L'uomo bevve un sorso di succo d'arancia. «È qui in vacanza?» «No, ma vorrei esserlo. È bello da queste parti.» L'uomo annuì, infilò la mano in tasca, ne estrasse un biglietto da visita e lo porse a Matthew. «Sono Larry Belcaro, Surfside Realty. Se mai dovesse
cercare una casa a Ocean Grove o Asbury Park, sono il suo uomo.» «Grazie, Larry», replicò Matthew, infilandosi il biglietto da visita in tasca e cogliendo l'opportunità di parlare a un locale. «Dunque, immagino che lei viva da queste parti.» «Già. Abito a Ocean Grove da più di vent'anni.» «Famiglia?» Larry fissò il bancone e Matthew si pentì immediatamente di avere posto la domanda. «Non più», rispose sommessamente. Le uova col bacon di Matthew arrivarono, alleviando l'imbarazzo del momento. Matthew addentò il suo toast, ripiegò il giornale e lo posò sul bancone. «Questa sì che è una notizia, vero?» chiese, accennando con la forchetta al quotidiano. Larry annuì. «Sì, è difficile credere che tutto questo stia succedendo nella nostra cittadina. Di solito, la vita è piacevole e tranquilla, da queste parti. Non deve pensare che ci sia un alto tasso di criminalità o roba del genere.» Matthew scosse la testa, rendendosi conto che l'agente voleva che Ocean Grove fosse vista nella migliore luce possibile. «No, non l'avevo pensato affatto.» La cameriera ritornò, rabboccò le loro tazze di caffè e lasciò i rispettivi conti sul banco. Mentre Larry prendeva il suo, Matthew gli parlò. «L'articolo dice che la ragazza scomparsa lavora qui. La conosce?» Larry annuì. «Era una creaturina graziosa. Sempre allegra e vivace, quando mi serviva. Ero solito prenderla in giro, dicendole che doveva mangiare qualcosa anche lei. A mio parere era troppo magra, proprio come Anna, qui.» Larry fece un cenno in direzione della cameriera, mentre posava la mancia sul banco e scendeva dallo sgabello. «Be', devo andare, ma ricordi: se mai volesse acquistare una proprietà immobiliare, mi chiami.» «Lo farò.» Matthew sorrise e guardò Larry uscire dalla porta d'ingresso, notando che si era sempre riferito a Carly Neath al passato. Capitolo 45 Scendendo le scale, Diane incontrò Michelle che saliva. Il viso di sua figlia era rosso fuoco; alcuni ciuffi dei suoi capelli castani erano sfuggiti dall'elastico di spugna che li fermava in una coda di cavallo. «Hai fatto una bella corsa?» «Sì, bella.»
«Dove sei andata?» «Su e giù per la passeggiata lungomare, un paio di volte.» Diane annuì. «Sto andando giù a mangiare qualcosa. Vieni con me?» «No, grazie. Vado a farmi una doccia.» Il volto di Diane si rabbuiò. «Che cosa c'è adesso, mamma?» «Senti, tesoro. Voglio riuscire a trascorrere un po' di tempo con te. Devo andare al lavoro tra circa un'ora e non so quando sarò di ritorno. Speravo che potessimo sederci insieme per un pochino.» Michelle sospirò profondamente. «Va bene.» Diane ignorò il tono svogliato nella voce della figlia. Quando entrarono in sala da pranzo, Diane notò Sammy Gates seduto a un tavolo accanto alla finestra. In un altro momento si sarebbe costretta a invitarlo a unirsi a loro, ma quella mattina si limitò a fargli un cenno e a salutarlo a voce alta; poi si diresse verso un tavolo d'angolo sul lato opposto della stanza. Carlos fu subito da loro, prese gli ordini per le bevande e indicò il buffet. «Prendete quello che volete», disse. «Se preferite del pane tostato, ditemelo che ve lo preparo. Però, dovete provare le focaccine glassate. Le fa Kip e sono assolutamente divine.» «Andiamo?» chiese Diane alla figlia. Il tavolo del buffet era carico di piatti scaldavivande d'argento che contenevano uova strapazzate, salsicce e patatine fritte fatte in casa. Un cestino di vimini rivestito da un tovagliolo traboccava di muffin al mirtillo e mini bagel. C'era una coppa di cristallo piena di cereali pronti a essere versati in ciotoline a fiori e un grazioso bricco di latte. Le focaccine speciali erano disposte su un ampio vassoio rotondo. Il loro profumo era inebriante. «Uau, sembra tutto delizioso», esclamò Diane. Non sapendo quando avrebbe avuto l'occasione di mangiare di nuovo, cominciò a servirsi di ogni cosa. «Prendi solo quello?» chiese, fissando il grumo di uova strapazzate e la bagel solitaria sul piatto di Michelle. «È tutto quello che mi va adesso, mamma.» «Ma dai, tesoro, devi mangiare anche qualcos'altro», insistette Diane. «No, mamma, voglio solo questo.» Ritornarono al tavolo e Carlos portò la Coca-Cola light di Michelle e il tè freddo di Diane.
«Non fa tanto bene bere bibite gassate così presto nella giornata, tesoro.» Michelle alzò gli occhi al cielo. «Vuoi smetterla di tormentarmi, mamma?» Diane salò le sue uova. «Non ti sto tormentando. Sono solo un po' preoccupata per te, ecco tutto.» Michelle bevve una sorsata di Coca-Cola, prima di rispondere. «Non devi preoccuparti per me. Sto bene.» «Davvero, Michelle? Stai davvero bene?» Diane scrutò il viso della figlia. «Vuoi dire riguardo a papà?» «In parte», rispose Diane sommessamente. «E l'altra parte qual è?» Diane inspirò a fondo e sputò il rospo. «Sono preoccupata per il modo in cui mangi, Michelle. Ho notato che tocchi a malapena il cibo e mi pare che tu abbia perso peso.» Il volto della ragazza si illuminò. «Ti sembro dimagrita? Magnifico.» «Tesoro, non avevi bisogno di perdere neanche un grammo. Hai un aspetto fantastico.» «Tu sei mia madre, è normale che dica così.» Diane posò la forchetta. «No, parlo sul serio, Michelle. Stai benissimo, anzi penso che ti gioverebbe prendere un paio di chili.» «Neanche per idea.» Michelle aggrottò la fronte. «Non sto dicendo che devi riprendere il peso che hai perso, ma credo davvero che non dovresti cercare di calare ancora.» «Non capisci, mamma.» «Sì che capisco, ma so che non dovremmo concentrarci sul nostro peso. Non è la cosa più importante.» Michelle si appoggiò allo schienale. «Stai prendendomi in giro? Ti ho vista mentre ti studi nello specchio della tua camera da letto. Tu ti preoccupi del peso in continuazione.» Diane si sentì schiaffeggiata. Aveva contribuito all'ossessione di sua figlia? «Lo faccio solo perché la telecamera ingrossa. Se non dovessi comparire in televisione così spesso, ti assicuro che non dedicherei tanta attenzione al mio aspetto.» «Sì, certo.» Michelle fece un sorrisetto ironico. «Vuoi dirmi che, se non fossi in televisione, non ti tingeresti i capelli di biondo, non ti faresti fare le unghie e non ti compreresti dei bei vestiti?» «Non ti seguo.»
«Fai tutte quelle cose perché vuoi essere attraente, mamma. Non ha niente a che vedere con la televisione. Vuoi essere bella.» Diane rifletté sulle parole di sua figlia. «Sì, ma devo essere bella, per guadagnarmi da vivere.» «E io devo essere magra, per essere popolare a scuola, per far parte dell'élite, per piacere ai ragazzi. Hai introdotto tu l'argomento, quindi te lo dico chiaramente, mamma. Così stanno le cose.» Michelle incrociò le braccia sul petto. Diane non intendeva permettere che quelle fossero le sue ultime parole. Si protese sopra il tavolo e le afferrò un braccio. «Oh, Michelle, tesoro. Non capisci? Non è l'esteriorità che conta. Certo, è piacevole essere attraenti. Non c'è assolutamente niente di sbagliato in questo, ma non è sano farsi ossessionare dal proprio peso e dal proprio aspetto. Ci sono tante altre cose più importanti nella vita. Il tuo carattere ha valore, il contenuto della tua mente e la bontà del tuo cuore. Non le cose esteriori.» Michelle fissava il vuoto e Diane capì che sua figlia non l'aveva bevuta. Capitolo 46 Arthur non proiettava alcuna ombra, in piedi alla fine del lungomare. Il sole era perpendicolare sopra la sua testa e picchiava impietoso. Osservò tutta quella gente che si rosolava sulla sabbia, facendosi venire le bolle e rischiando un colpo di calore. E pensare che chiamavano lui pazzo. Saltò giù sulla sabbia e avanzò con fatica verso l'acqua, pienamente consapevole degli sguardi. Le persone lo osservavano sempre, considerandolo strano, felici di non essere lui. Ci si era abituato. Svoltò verso nord, lasciandosi alle spalle la spiaggia affollata di Ocean Grove a favore del trascurato litorale di Asbury Park. Non c'erano barriere di separazione, ma le bottiglie di birra e le lattine vuote, nonché le cartacce di cui era disseminata, distinguevano la spiaggia di Asbury Park da quella ben curata di Ocean Grove, a pochi metri di distanza. Le grida e le risate dei bambini che giocavano tra la spuma delle onde si fecero sempre più deboli, man mano che Arthur si allontanava dagli adoratori del sole. Si girò a guardarli: ormai non badavano più a lui. Cercò di dare l'impressione di passeggiare senza una meta precisa, mentre arrancava nella sabbia dirigendosi verso il vecchio Casino. Al momento giusto, doveva agire come un fulmine, farlo in un lampo. Nel punto in cui il Casino sporgeva in direzione dell'oceano, c'era uno spazio di circa 60
centimetri tra la sabbia e la gigantesca piastra di cemento su cui si ergeva l'edificio. Tagliò in diagonale sulla sabbia rovente, poi si mise a quattro zampe e strisciò sulla pancia nell'oscurità, sotto l'enorme lastra di cemento. Gli ci vollero tre secondi in tutto. Arthur era ragionevolmente sicuro che nessuno l'avesse notato. Nessuno lo vedeva mai. L'interno era buio e fresco, un sollievo dalla luce accecante e dal calore della spiaggia. Come gli era stato insegnato per combattere in Desert Storm, Arthur avanzò di corsa, come un granchio, immergendosi nell'oscurità. Capitolo 47 La troupe televisiva attese sul marciapiede davanti al Lavender & Lace, mentre Diane e Matthew entravano nel negozio per chiedere il permesso di riprendere l'improvvisato quartier generale delle ricerche. Una volta ottenuto il consenso, Sammy e Gary portarono dentro la loro attrezzatura, facendo attenzione a non urtare la merce che affollava il negozio. Il magazzino ferveva di attività. I volontari erano radunati intorno a una gigantesca carta geografica della zona; bevevano caffè, mentre ricevevano istruzioni su dove cercare. La fotocopiatrice ronzava, stampando volantini con il volto sorridente di Carly Neath. Seduto davanti a un lungo tavolo su cavalletti, un uomo di mezza età teneva il ricevitore di un telefono accostato all'orecchio. «Era la polizia», annunciò riappendendo. «Dicono che manderanno l'unità cinofila. È più di quanto abbiano fatto per Leslie.» Audrey Patterson si portò un dito alle labbra e scosse la testa. «Lou, ti prego. Non è il momento.» Diane udì la conversazione e capì che l'uomo doveva essere il padre di Leslie. Stava per presentarsi, quando lui si alzò dalla sedia e si diresse a grandi passi verso la porta andando incontro a un giovane appena arrivato. «Salve, signor Patterson», disse il ragazzo a bassa voce. «Che cosa ci fai qui?» chiese il padre di Leslie in tono brusco. «Sono venuto a vedere come posso essere d'aiuto.» «Ah, capisco. Non ti sei mai fatto vedere, quando cercavamo Leslie, ma vuoi trovare Carly. Sei gentile, Shawn. Non ti pare di avere già fatto abbastanza?» «La prego, signor Patterson. La prego di capire. Mi dispiace per Leslie. Solo che non potevo venire.» «Non potevi o non volevi?» Lou Patterson non attese la risposta. «Hai
un bel coraggio a farti vedere da queste parti, ragazzo. Prima scarichi mia figlia e, quando lei scompare, non ti si trova da nessuna parte. Adesso, tutto d'un tratto, vuoi aiutare a cercare un'altra ragazza che ha avuto la sfortuna di avere una storia con te. So che la polizia ti controlla, Shawn. E tu sei qui a fare l'amichetto preoccupato? Molto divertente.» «Non è vero, signor Patterson.» «Non dirmi che non è vero.» Il volto del padre di Leslie si fece paonazzo. «Non inganni né me, né la polizia. Vorrei solo che non avessi ingannato Leslie. E ora, vattene di qui.» Capitolo 48 L'odore pervase l'aria, diffondendosi nelle narici di Arthur. Era un puzzo riconoscibile, caratteristico, provocato da nausea, disgusto, o paura. Lui li aveva conosciuti tutti. Arthur non era certo di voler indagare oltre. Era entrato là dentro solo per staccare un po', per starsene in un posto buio, fresco e tranquillo. Si sedette sulle vecchie tribune e guardò in su verso il buco nel tetto dell'auditorium, cercando di decidere che cosa fare. Poteva ignorare l'odore e andarsene, oppure poteva seguirlo e scoprire dove portava. Si alzò, pensando che era meglio andarsene. Vetro e sassi scricchiolavano sotto le sue scarpe da pallacanestro, mentre camminava lungo le gradinate, dirigendosi verso il passaggio che l'avrebbe riportato in spiaggia. Però il puzzo si fece più forte e Arthur sentì la necessità di seguirlo. Scese giù fino al pavimento dell'auditorium e andò al vecchio banco dei rinfreschi. L'odore lo attirava. Arthur sporse la testa dietro il bancone e, nella debole luce che proveniva dall'apertura del tetto, scorse una sagoma umana distesa per terra. Si fermò e aspettò per vedere se si muoveva. Non lo fece. Schiarendosi nervosamente la gola tre volte, Arthur si avvicinò. Poi, scorgendo i lunghi capelli chiari, scordò la propria riluttanza. Si chinò sul corpo e lo fece ruotare su se stesso. Quando tolse la benda che copriva gli occhi, rimase senza fiato. Era quella graziosa Carly Neath, l'amica di Shawn. Mentre slegava il bavaglio che le tappava la bocca, Arthur capì che la puzza proveniva dal vomito che impregnava il tessuto e ricopriva le guance della giovane. La ragazza non si muoveva. Arthur la scosse per le spalle. Cercò di pulirle la bocca e praticare la rianimazione che aveva imparato tanto tempo
prima, ma non riuscì a farla respirare per conto suo. Doveva portarla fuori di là. Doveva cercare aiuto per lei. Freneticamente tirò le robuste strisce di plastica che legavano le caviglie di Carly e le tenevano uniti i polsi. Tastò la voglia nella parte interna del suo polso floscio, tentando invano di sentire un battito. Capitolo 49 Mentre Matthew e la troupe restavano a riprendere le immagini e i suoni del quartier generale dei volontari, Diane seguì il giovane al quale il padre di Leslie Patterson aveva intimato di andarsene dal magazzino del Lavender & Lace. «Shawn. Shawn», lo chiamò, correndogli dietro. Lui si girò e la guardò con occhi iniettati di sangue. «Sì?» disse con circospezione. «Shawn, sono Diane Mayfield di KEY News.» Gli tese la mano destra e, mentre lui automaticamente protendeva la sua per stringergliela, aggiunse: «Sarebbe disposto a parlare con me?» Shawn ritrasse la mano e se la fece scorrere tra i capelli rossicci. Diane notò che le sue unghie erano rosicchiate fino alla carne viva. «Non credo che sia una buona idea», rispose. «Non qui, quantomeno.» Si guardò intorno a disagio. «Forse è meglio uscire.» Sul marciapiede, Diane parlò per prima. «È stata piuttosto dura per te là dentro, vero?» Shawn annuì, socchiudendo gli occhi per via del sole violento. «Sì. Non dovrei aspettarmi che il signor Patterson capisca quanto sono dispiaciuto per quello che è successo a Leslie. Però, non ho potuto partecipare alle sue ricerche. Semplicemente non ho potuto.» «Perché no?» chiese Diane con gentilezza. «Senta, non dovrei davvero parlare con lei. La polizia pensa che sia coinvolto nella scomparsa di Leslie e di Carly. Non credono che sia una coincidenza che sia uscito con entrambe.» «In effetti, non suona molto bene», convenne Diane. «Forse sarebbe una buona idea far sapere la tua versione della storia, Shawn.» «No», replicò lui, scuotendo la testa. «Credo sia meglio che non dica niente davanti a una telecamera, almeno fino a quando non avrò parlato con il mio avvocato.» Si portò la punta dell'indice alla bocca e strappò un pezzetto dall'unghia già smangiucchiata.
«Bene, capisco», replicò Diane. «Ma cosa ne diresti se parlassimo in via non ufficiale? Puoi raccontarmi la tua versione dei fatti. Per riferire questa storia in modo corretto, ho bisogno di sapere da che parte stai.» «'In via non ufficiale' significa che non può riferire a nessuno quello che le dico?» «Sì, a meno che tu non decida di darmi il permesso.» Diane lo vide ancora incerto. «Senti, cominciamo con cose semplici, come compitarmi il tuo cognome.» Lui ubbidì e lei lo annotò nel suo taccuino. «Di che cosa ti occupi, Shawn?» «Sono uno studente universitario e alcune sere lavoro come barista allo Stone Pony, per guadagnare qualcosa.» «Che cosa studi?» «Mi sto preparando per un MSS.» «Master in servizio sociale?» Shawn annuì. «Ammirevole», commentò Diane. «E che cosa vuoi fare una volta laureato?» «Lavorare con i malati di mente.» Le rotelline nel cervello di Diane accelerarono. «È per questo che eri attratto da Leslie Patterson, Shawn? Perché è disturbata?» Lui fissò il marciapiede. «Forse», borbottò. «Credo di non essermene nemmeno accorto, sulle prime.» «Leslie aveva bisogno di parecchio aiuto, eh?» «Questo è l'understatement del secolo.» Shawn sospirò profondamente. «A prescindere da quanta attenzione le rivolgevo, non era mai abbastanza. Credevo di poterla aiutare, invece non era così. Pensavo che se l'avessi fatta sentire al sicuro, avrebbe apprezzato di più se stessa e avrebbe cominciato a mangiare meglio. Con tutti gli studi che ho fatto avrei dovuto sapere come stanno le cose. Io non potevo guarire Leslie. Doveva farlo da sola.» «Pensavo che fosse in terapia», disse Diane. «Lo era, ma non so quanto bene le facesse. Quel suo terapeuta, però, aveva davanti un lavoraccio. L'anoressia non era il suo unico problema.» Diane attese. «Leslie si faceva dei tagli. Quando l'ho scoperto, non ce l'ho fatta più.» «Allora hai rotto con lei?» «Sì. Non ne vado fiero, ma l'ho fatto. Dovevo troncare la relazione. Non era sano. Però mi sono sentito in colpa per la rottura, mi creda. Inoltre,
quando Leslie è scomparsa, non ho pensato affatto che fosse stata rapita. Ero convinto che stesse nascondendosi da qualche parte, per attirare l'attenzione. La mia attenzione. Ecco perché non ho partecipato alle ricerche. Non volevo alimentare la sua malattia.» «E adesso che cosa pensi, Shawn? Ora che anche Carly Neath è scomparsa?» Gli occhi di Diane scrutarono il volto del giovane. «Credi ancora che Leslie abbia finto?» Shawn rifletté sulla domanda. «No, penso di no. Carly è una delle ragazze più equilibrate e serene che abbia mai incontrato. Sono certo che Carly non sta fingendo, dunque, forse neanche Leslie l'ha fatto.» Capitolo 50 Larry non si preoccupava più di andare in chiesa: era tanto arrabbiato con Dio, quanto con se stesso. Questo, però, non significava che non avesse un rito domenicale. Ogni settimana, dopo avere fatto colazione da Nagle's, guidava per otto chilometri, fino al cimitero di St. Anne. Parcheggiava l'auto, smontava e tagliava attraverso l'erba secca, ingiallita, facendo attenzione a non calpestare le aree in cui riteneva fossero sepolti dei corpi. Lapidi di granito, erose dal tempo, segnavano la dimora finale di centinaia di esseri umani, tutte persone amate da qualcuno. Mariti, mogli, figli, figlie. Ettari ed ettari di tristezza e dolore. Le lapidi di Jenna e di sua moglie si distinguevano dalle altre che le circondavano, erano ancora lucide e pulite: non erano esposte alle intemperie da molto tempo. Benché Larry fosse in qualche modo confortato dal pensiero che le due persone che amava giacessero laggiù, fianco a fianco, la rabbia che provava al pensiero dell'ingiustizia della loro morte superava ogni altra emozione. Si chinò posando a terra un ginocchio e istintivamente si fece il segno della croce, pur sapendo che era sbagliato nascondersi dietro i rituali religiosi, quando aveva così tanta rabbia nel cuore. Si rendeva conto che avrebbe dovuto scordarsi il suo odio per Owen Messinger, ma non ci riusciva, e non ci si doveva aspettare che lo facesse. Quell'uomo aveva rovinato le loro vite. Larry accarezzò la lapide di granito con la mano, poi con un dito seguì il nome inciso di Jenna, mormorando: «Te lo prometto, tesoro. Lo giuro. Mi assicurerò che Owen Messinger non possa fare ad altre ragazze quello che ha fatto a te. Adesso, gli ho dato un avvertimento e, se non smette da solo,
lo fermerò io». Capitolo 51 Leslie trascorse la mattinata facendo esercizi per gli addominali e per le gambe; si lavò i capelli, si fece la doccia e si vestì, ammazzando il tempo prima di uscire per recarsi al Lavender & Lace. Quando fosse arrivata al quartier generale delle ricerche, era disposta a fare qualsiasi cosa le fosse richiesta pur di aiutare a trovare Carly Neath, anche se Carly le aveva rubato Shawn. Si infilò un paio di pantaloni alla pescatora di cotone, notando che erano un po' più larghi dell'ultima volta che li aveva indossati. Sembrava essere passato tanto tempo, ma in realtà era stato solo due settimane prima. Shawn l'aveva portata a giocare a minigolf e a lei era parso che si divertissero un sacco. Però, quando erano andati a mangiare un boccone, dopo la partita, avevano litigato di nuovo. Shawn aveva insistito affinché lei mangiasse, ma lei non voleva. La volta seguente che erano usciti, lui le aveva detto che non voleva più vederla. Anche se era sconvolta dal fatto che avesse rotto con lei, adesso provava quasi pena per Shawn. La sera prima aveva sentito i suoi genitori parlare di lui e di come la polizia lo sospettasse per la scomparsa sia sua che di Carly. Suo padre era particolarmente arrabbiato e aveva definito Shawn un figlio di puttana e un poco di buono. Sua madre lo aveva calmato, dicendogli che doveva solo essere contento di sapere che la loro figlia aveva sempre detto la verità. Leslie scese da basso e si fermò in cucina, aprì il frigorifero e ne estrasse un paio di gambi di sedano. Stava cercando le sue infradito, quando squillò il telefono. «Leslie? Sono il dottor Messinger. Come stai?» Leslie chiuse gli occhi. «Bene.» Seguì una pausa nella conversazione. Il tipo di pausa a cui Leslie era abituata, durante le loro sedute. La pausa che significava che il dottor Messinger aspettava che lei continuasse a parlare. Be', questa volta non ci sarebbe cascata. Messinger cedette. «Volevo solo ricordarti del gruppo, domani.» «Non credo che ce la farò a venire, dottor Messinger. Sa, domani ritorno al lavoro, eccetera, eccetera. È meglio che salti per questa volta.» «Non penso che sia saggio.» La sua voce era calma e paziente. «È im-
portante che tu partecipi. Hai appena superato un'esperienza molto traumatica. Vieni e lascia che il gruppo si congratuli con te per avercela fatta.» «A dire la verità, dottor Messinger, sono stufa marcia della terapia. Credo non mi faccia alcun bene. Voglio provare a modo mio.» «Possiamo parlarne quando vieni, Leslie. Domani alle quattro. E ricorda: porta il tuo animale di peluche.» «Va bene», acconsentì Leslie, odiando subito se stessa per aver ceduto. «Ma questa è l'ultima volta.» Era come se gli dei non volessero che si recasse al Lavender & Lace per contribuire alle ricerche di Carly. Leslie era già sulla veranda, intenta a chiudere a chiave la porta, quando sopraggiunse un'auto della polizia. Il commissario Jared Albert in persona, accompagnato da un altro poliziotto, scese dal veicolo e risalì a grandi passi il marciapiede. Leslie fu compiaciuta di vederlo togliersi il cappello in segno di rispetto, quando la raggiunse. «Leslie, abbiamo qualche domanda da farti», disse. «Le tue risposte potrebbero aiutarci a trovare Carly Neath.» «Volete entrare in casa?» chiese. «Fa così caldo qua fuori.» Albert guardò la porta d'ingresso. «I tuoi genitori sono in casa?» chiese. «No, sono al negozio con i volontari.» «Allora possiamo parlare anche qui, sulla veranda», disse. Poteva credere alla versione di Leslie Patterson, ora che anche Carly Neath era scomparsa, ma continuava ad avere dei dubbi sul suo equilibrio mentale. Non voleva correre rischi con una giovane che poteva falsamente accusare la polizia di comportamento scorretto. No, era meglio restare là fuori, sotto gli occhi di tutti. Leslie si accomodò sulla sedia a dondolo, mentre Albert e il giovane agente sedettero uno accanto all'altro, sul divano di vimini. «Abbiamo bisogno di ulteriori dettagli riguardo a quello che è successo durante il tuo rapimento, Leslie», disse il commissario. «Vi ho già riferito tutto quello che ricordo, quando ero all'ospedale», rispose lei. «Che cos'altro volete sapere?» «Vorremmo sapere qualcosa di più su questo danzare che ci hai descritto. Non c'era musica?» «No, solo il rumore dell'oceano.» «Hai detto che eri bendata, ma hai potuto cogliere qualcosa?» Leslie chiuse gli occhi e tentò di crearsi un'immagine mentale. «Ho capi-
to che l'uomo indossava una giacca di nylon di qualche genere. La sentivo frusciare, quando muoveva le braccia.» «Qualcos'altro?» «Sono abbastanza certa che indossasse anche dei guanti.» «Credi che fossero di lattice, del genere che usano i dentisti?» chiese Albert. «No, penso che fossero di pelle. Ne ho sentito l'odore.» «Grazie per la tua collaborazione, Leslie.» «Nessun problema», rispose lei. «Voglio fare tutto quello che posso per aiutare. Sto proprio andando al quartier generale dei volontari.» «Possiamo darti un passaggio?» offrì il commissario Albert. «No, grazie. Vado a piedi.» Rimase sulla veranda e osservò gli agenti risalire nella loro auto. Leslie emise un sospiro di sollievo: finalmente la polizia le credeva. Capitolo 52 Decisero di ritornare allo Starving Artist per pranzo. Dopo un'attesa di dieci minuti, furono fatti accomodare a un tavolo per quattro. Diane, Matthew e Gary ordinarono dei club sandwich, mentre Sammy, che era sempre felice di sfruttare il conto spese della KEY News, scelse le polpette di granchio più costose, una porzione di anelli di cipolla fritti e una fetta di cheesecake. «Che cosa fai, cerchi di farti venire un colpo?» commentò Matthew. «Non ti preoccupare per me. Ho buoni geni», si vantò Sammy. «Niente mal di cuore in famiglia.» «Hai mai sentito dire che non bisogna sfidare la sorte?» chiese Matthew, al che Sammy si limitò a sorridere compiaciuto. Mentre attendevano le ordinazioni, Diane raccontò loro della conversazione che aveva avuto con Shawn Ostrander, riferendo la spiegazione che il giovane le aveva dato del suo rapporto con Leslie Patterson e del perché aveva dovuto rompere con lei. «Non so», disse, mescolando il suo tè freddo. «Semplicemente non me lo vedo rapire delle donne. Sembra così serio e sincero.» «Quelli sono i più pericolosi», sogghignò Sammy. Diane ignorò il commento. «E Carly, allora?» chiese Matthew. «Shawn deve sapere che non gioca a suo favore il fatto che entrambe le donne scomparse siano state sue ragaz-
ze.» Normalmente silenzioso, Gary parlò. «Io certo non vorrei trovarmi nelle sue scarpe.» «Neanch'io», convenne Sammy. Quando ebbero terminato di mangiare, mentre attendevano che Sammy divorasse il suo dessert, Matthew tirò fuori il giornale e mostrò a Diane l'articolo in cui si riferiva che Carly aveva fatto la baby-sitter per la famiglia Richey, che viveva in una tenda in Bath Avenue. «Come prossima mossa, penso che dovremmo andare là», disse. «Scattare qualche foto della tenda, vedere se qualcuno parla con noi.» «Sono una più graziosa dell'altra. Davvero incantevoli!» esclamò Diane, mentre percorrevano Bath Avenue. Le tende, con i loro allegri tessuti a strisce e i cesti appesi, pieni di fiori estivi, creavano una visione da altro mondo. Un mondo semplice e sicuro, in cui le giovani donne non dovevano preoccuparsi di essere rapite in piena notte. Sammy e Gary andarono in giro riprendendo la strada e le varie tende. Sapevano quanto fosse importante che il montatore avesse la maggiore scelta possibile per mettere insieme il pezzo al Broadcast Center. Nel frattempo, Diane e Matthew cercavano di trovare qualcuno che indicasse loro qual era la tenda dei Richey. Tuttavia, le verande erano deserte: il caldo pomeridiano aveva spinto all'interno, oppure altrove, i loro residenti abituali. «Credo che dovremo metterci a bussare», disse Diane. Alle prime due tende che provarono non ottennero risposta. In quella successiva, una bambina bionda aprì la zanzariera. «Ciao. La mamma o il papà sono in casa?» chiese Diane. «Mio papà è fuori, ma la mamma c'è.» La piccola continuò a fissare Diane. «Posso parlare con lei, per favore?» La bimba lasciò andare la zanzariera e si girò. «Mamma», gridò, rivolgendosi verso l'interno della tenda. «C'è qualcuno qui.» «Chi è?» «Non so.» Diane stava per dire alla bambina chi era, quando arrivò la madre. Diane ebbe l'impressione che la donna trasalisse leggermente, quando presentò Matthew e se stessa. «Stiamo cercando la tenda della famiglia Richey.» «È questa. Sono Helen Richey. Posso aiutarvi?»
«Oh, ottimo», disse Diane. «Immagino che indovini perché siamo qui, signora Richey. L'articolo dell'Asbury Park Press diceva che Carly Neath ha lavorato da voi la notte che è scomparsa.» Helen Richey si girò e gridò verso l'interno della tenda. «Ragazze, sono fuori sulla veranda.» Chiudendosi la porta alle spalle, fece cenno a Diane e Matthew di accomodarsi sulle sedie di vimini. «Non voglio che le bambine sentano niente», disse. «Certo», convenne Diane. «Speravamo che potesse raccontarci che cosa è successo l'altra sera», disse Matthew, guardando alle spalle di Helen per vedere se riusciva a scorgere la troupe e segnalare loro di avvicinarsi. «Abbiamo riferito tutto alla polizia», disse Helen, rigirandosi la sottile fede d'oro intorno al dito e decidendo di confermare la versione di suo marito. «Carly ha fatto la baby-sitter per le ragazze per circa quattro ore. Noi siamo rientrati dopo le undici. L'abbiamo pagata e lei se n'è andata. È stata una sera come tante altre in cui ha lavorato per noi.» «Dunque Carly è tornata a casa da sola?» chiese Diane. «Nessuno l'ha accompagnata?» Cercò di evitare che il suo tono suonasse accusatorio, ma percepì una certa tensione nella voce con cui Helen Richey rispose. «Carly vive a pochi isolati di distanza. Ha insistito per andarsene da sola. Mio marito e io abbiamo pensato che fosse abbastanza sicuro.» Si morsicò il labbro inferiore, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. «Abbiamo sbagliato a lasciarla tornare a casa da sola e, se le fosse accaduto qualcosa di terribile, non ce lo perdoneremmo mai.» Capitolo 53 Il dorso dei suoi piedi era rosso, notò Anthony, mentre sguazzava nell'acqua salata che lambiva la sabbia. Avrebbe dovuto ritornare indietro e spalmarsi addosso un'altra dose della crema protettiva che si trovava nella borsa di zia Emily, ma non voleva. Non aveva nessuna voglia di stare con sua zia e sua sorella. Preferiva starsene da solo. Era ancora depresso per aver perso l'opportunità di andare al Grand Canyon. Questa noiosa vacanza in spiaggia lo lasciava indifferente. Scattò una foto a un castello di sabbia abbandonato dai suoi architetti, prima di abbatterlo con un calcio. Poi si chinò a raccogliere un pezzo di vetro eroso dal mare e continuò a camminare lungo la spiaggia. Osservò i ragazzini sulle tavolette da surf che cavalcavano le onde e decise che a-
vrebbe convinto sua madre a comprargliene una. Un surfista unito con un cavo a una barca a motore scivolava in aria, alto sull'oceano. Magari sarebbe riuscito a convincere sua madre a fargli provare anche quello. Era in debito con lui. Sapeva, nel profondo del suo cuore, che sua madre stava facendo tutto il possibile per far felici lui e Michelle, e capiva che avrebbe dovuto apprezzarlo e smettere di darle grattacapi, tuttavia era incavolato. Si era vantato con tutti i suoi amici del viaggio figo che avrebbe fatto quell'estate e adesso, quando sarebbe iniziata la scuola e avrebbero scoperto che non ci era andato, gli avrebbero dato dello sbruffone. Dopo che suo padre era finito in galera, non poteva permettersi che qualcos'altro lo mettesse in cattiva luce. Forse avrebbe trovato il modo di vivacizzare un po' la situazione. Ma che cosa avrebbe mai potuto accadere a Ocean Grove che riuscisse a impressionare i suoi amici? Sua madre lo avrebbe ucciso, se avesse cercato di immischiarsi nelle ricerche di quella ragazza. Però sarebbe stato bello, se fosse stato lui a trovarla. Proprio fico. Probabilmente sarebbe apparso al telegiornale. «Anthony. Annnnthonyyyy.» Si girò. Emily era in fondo alla spiaggia e agitava le braccia chiamandolo, come se fosse un bambino piccolo. Rassegnato, cominciò a ritornare indietro lentamente, camminando nell'acqua. Non aveva percorso molta strada, quando notò un tizio che indossava un'uniforme da lavoro sgusciare da dietro il cemento che circondava il grande edificio circolare di mattoni. Anthony rimase a osservarlo mentre l'uomo si lasciava cadere sulla sabbia, rannicchiandosi in posizione fetale. Scattò una foto, prima di correre via lungo la spiaggia. Capitolo 54 Che Dio la perdonasse! Aveva dato l'impressione che Jonathan fosse con lei, quando Carly era stata pagata quella sera; che fosse nella tenda con sua moglie, quando la ragazza aveva insistito per ritornare a casa a piedi da sola. Aveva sviato Diane Mayfield e il produttore di KEY News, così come non era intervenuta quando Jonathan aveva mentito alla polizia il giorno prima. Pregò che Dio la perdonasse. Perché venisse perdonata, Helen sapeva che doveva essere davvero pentita. Dio poteva leggerle nel cuore, dunque sapeva che era veramente dispiaciuta, ma doveva anche vedere che non sapeva che altro fare. Jonathan
era suo marito, il padre delle sue figlie e lei non avrebbe mai puntato il dito contro di lui. Ritornò all'interno della tenda e ammirò le opere delle sue bambine che stavano disegnando sul tavolo della cucina. «È bellissimo, Hannah. Credo che dovremmo appenderlo. Anche il tuo, Sarah.» Con del nastro adesivo, attaccò al frigorifero i paesaggi marini colorati. Sapeva che Jonathan sarebbe presto ritornato dalla sua corsa sulla spiaggia. Spinta da sospetto e paura, andò in camera da letto a cercare il portafoglio del marito. Dentro vi trovò circa duecento dollari in contanti, che sarebbero bastati per la settimana, una Visa e una Master Card, una delle nuove patenti di guida high-tech dello Stato del New Jersey e un biglietto da visita bianco. SURFSIDE REALTY vi era stampato in caratteri blu. Helen lo girò e lesse l'annotazione scritta a mano sul retro. «Giovedì, 18 agosto. Ore 16.» Non aveva senso. Jonathan non poteva avere avuto un appuntamento per visitare proprietà immobiliari, giovedì. Era arrivato sulla costa solo venerdì. Capitolo 55 «Amerò sempre questa città», disse Carlos, prendendo la mano del suo compagno, mentre insieme all'agente immobiliare percorrevano il lungomare quasi deserto. «Asbury Park ha rilasciato la nostra licenza matrimoniale.» «Be', tu e Kip fareste bene a comprare qualcosa da queste parti, appena potete», consigliò Larry, slacciandosi la cravatta per il caldo. «I prezzi sono già aumentati vertiginosamente e adesso che quel progetto da un miliardo di dollari è stato approvato, potete stare certi che non faranno altro che crescere.» «Già», convenne Kip. «Una volta che una cifra del genere viene investita per sviluppare tutto questo spazio inutilizzato sul lungomare, Asbury Park dovrebbe davvero rivitalizzarsi.» «Prego Dio che non rovinino tutto abbattendo i posti storici interessanti.» Carlos si accigliò. «Sono ancora disgustato per il Palace. Chi avrebbe mai pensato che una palla da demolizione avrebbe sventrato il più antico parco dei divertimenti al coperto della nazione? E dire che era sul Registro nazionale dei luoghi storici e tutto il resto. Non capirò mai quello che viene fatto passare per progresso.»
Rallentarono avvicinandosi al vecchio Casino in rovina, con le sue finiture in filigrana di rame sfregiate dal vento. «Per caso, non hai sentito dire che vogliano abbattere questo posto, vero, Larry?» chiese Kip. «Potrei morirne. È il mio edificio preferito ad Asbury Park.» «Be', so che alcune associazioni che si battono per la conservazione dei beni culturali dicono che non permetteranno mai che lo buttino giù», rispose Larry. «Ma immagino che non si possa mai dire mai.» I tre uomini rimasero a guardare l'oceano e a discutere del fatto che gay e lesbiche avevano trovato una comunità tollerante ad Asbury Park, una comunità grata per l'aiuto che questi nuovi arrivati davano alla sua rinascita. «Asbury Park è quello che era South Beach, in Florida, vent'anni fa», commentò Carlos. «Vogliamo partecipare alla sua rinascita.» Kip si dichiarò d'accordo. «Sì, ci piace il modo in cui siamo stati accolti a Ocean Grove e siamo entusiasti del nostro albergo. Abbiamo già prenotazioni per la prossima stagione, ma entro la fine dell'anno avremo completato il rinnovamento del Dancing Dunes e saremo pronti per un altro progetto.» «Bene, volete che cominciamo a vedere che cosa è disponibile adesso?» chiese Larry. «Anche se ritenete di non essere pronti a comprare, potete cominciare a farvi un'idea del mercato di Asbury Park. Ho sottomano un paio di proprietà che con qualche amorevole cura potrebbero diventare dei favolosi bed & breakfast.» «Mi sembra una buona idea», disse Kip. «E, Larry, prima che me lo dimentichi. Puoi darmi un po' dei tuoi biglietti da visita? Ho alcuni amici che sono interessati a trovare qualcosa ad Asbury Park.» Mentre Larry estraeva il portafoglio e porgeva i biglietti a Kip, una volante della polizia si fermò in derapata davanti al Casino. Capitolo 56 Una piccola folla si radunò davanti al vecchio Casino, mentre la polizia conduceva l'uomo dalla spiaggia. «Andrà tutto bene, amico», disse uno degli agenti. «Ti faremo aiutare.» L'uomo inciampava nella sabbia, affiancato da due poliziotti, che faticavano per farlo procedere. La sua camicia mimetica era sbottonata, i capelli scompigliati. Fissava dritto davanti a sé, con sguardo vitreo. Arthur non disse una parola.
Capitolo 57 Cercarono fino a quando ci fu luce, bussarono alle porte, guardarono sotto la passeggiata sul lungomare e percorsero le strade avanti e indietro. Poiché si trattava di proprietà della Chiesa, la Ocean Grove Camp Meeting Association diede il permesso alle squadre di volontari di ispezionare ogni tenda sul suo terreno. Gli stessi occupanti delle tende aprirono spontaneamente le porte, certi che Carly Neath non sarebbe stata trovata nelle loro minuscole case di tela. Erano da poco passate le nove quando tutti ritornarono al Lavender & Lace e sospesero le ricerche per la giornata, senza sapere dove avrebbero potuto cercare l'indomani. Capitolo 58 Si era fatto buio da qualche ora ed era giunto il momento della seconda danza, Carly non aveva più la benda e neanche il bavaglio, ma le sue mani e i suoi piedi erano ancora legati. Dietro il banco dei rinfreschi abbandonato, all'interno del Casino, il raggio della torcia illuminò il volto senza vita della giovane. Aveva la bocca spalancata. Sottili vene azzurre erano visibili sotto la pelle traslucida delle palpebre. Le sue guance e i suoi bei capelli dorati erano imbrattati di vomito. Non era così che doveva andare. Doveva finire proprio come l'altra volta. La luce gialla perlustrò il terreno sporco, trovando la benda e il bavaglio abbandonati. Gli stracci furono legati al loro posto, proprio come l'altra volta, ma adesso sarebbe stato diverso: questa volta la guardia avrebbe trovato una giovane donna morta. Non aveva senso trattenerla per tre giornate intere. Probabilmente la polizia avrebbe scoperto che non era sopravvissuta neanche a due giorni di prigionia. LUNEDI, 22 AGOSTO Capitolo 59 Diane fu svegliata dal suo cellulare. A tentoni cercò l'orologio sul como-
dino. Nella luce del primo mattino, riuscì a malapena a vedere che erano solo le sei. «Pronto», rispose intontita. «Diane, sono Matthew. Devi alzarti.» «Cosa?» Si strofinò gli occhi. «Ci vediamo alla stazione di polizia. Un furgone con l'attrezzatura satellitare sta arrivando e hai un servizio in diretta alle sette e venti per KEY to America.» Diane si mise a sedere, cercando di concentrarsi mentre Matthew continuava a parlare. «Carly Neath è stata ritrovata, Diane. È morta.» Quando Diane giunse alla stazione di polizia, Matthew aveva già preparato il testo per lei. Gary Bing registrò la sua lettura e corse con il nastro al furgone con l'attrezzatura satellitare che era appena arrivato da New York. L'audio fu trasmesso al Broadcast Center per essere montato con vari elementi video che erano già stati inviati per il pezzo che Diane aveva fatto per Evening Headlines, nonché con immagini riprese il giorno prima al Lavender & Lace e con altre delle tende di Bath Avenue. Nel frattempo, Sammy Gates preparava l'attrezzatura per filmare la conferenza stampa della polizia e la parte in diretta del servizio di Diane. «La polizia ha annunciato che ci sarà una conferenza stampa alle sette in punto», disse Matthew, guardando l'orologio. «Sono le sette e cinque. È meglio che decidiamo che cosa dirai, se non comincia in tempo.» Diane abbassò lo sguardo, come se studiasse il terreno, mentre cercava di comporre le frasi che avrebbe pronunciato quando Harry Granger le avrebbe dato il segnale dallo studio di New York. I minuti passavano e ancora non compariva alcun portavoce della polizia che parlasse ai media riunitisi precipitosamente. Gary tornò dal furgone e fornì a Diane un microfono senza fili e un minuscolo auricolare di plastica. Una volta inserito l'auricolare, lei poteva sentire le istruzioni dalla regia e qualsiasi cosa le chiedesse Harry Granger dallo studio di KEY to America. «Cinque minuti, Diane», arrivò il preavviso. Lei diede l'okay all'obiettivo della telecamera di Sammy, sapendo che la sua immagine scorreva verso i ricevitori del Broadcast Center. Mise il suo cellulare sulla funzione di vibrazione, in modo che non squillasse durante la diretta.
«Facciamo una prova microfono, Diane, per favore.» «Prova. Uno, due, tre, quattro, cinque. Cinque, quattro, tre, due, uno.» Si voltò per controllare il podio deserto sul marciapiede davanti alla stazione di polizia. «Due minuti, Diane.» Estrasse uno specchietto dalla borsa, si rimise il rossetto e si aggiustò i capelli. «Un minuto.» Sentiva che la notizia prima del suo servizio stava per concludersi. Poi udì la voce profonda di Harry Granger che la annunciava. Diane deglutì mentre attendeva che le passasse la linea. «La corrispondente di KEY News, Diane Mayfield, si trova a Ocean Grove, nel New Jersey. Diane?» «Buongiorno, Harry», attaccò con volto cupo. «Già stretta nella morsa di un'ondata di caldo record, questa piccola comunità della costa è ora attanagliata dal terrore e dalla paura, paura che un assassino si aggiri per le sue strade. Questa mattina presto, il corpo della ventenne Carly Neath è stato rinvenuto sul terreno della Ocean Grove Camp Meeting Association, lo stesso luogo in cui un'altra giovane donna era stata ritrovata venerdì mattina, dopo essere scomparsa per tre giorni. Leslie Patterson era viva; Carly Neath, che non è rientrata a casa dopo aver fatto la baby-sitter venerdì sera, non è stata altrettanto fortunata.» A quel punto la regia mandò in onda il video montato. Per il minuto e mezzo che seguì, Diane ascoltò attraverso l'auricolare la propria voce che narrava la storia che veniva diffusa a tutto il network della KEY. Il testo di Matthew copriva tutti gli elementi base: apriva con la scomparsa di Carly dopo aver fatto la baby-sitter in una delle tende e parlava delle ricerche estese a tutta la città che avevano fatto seguito a quelle effettuate per Leslie Patterson solo pochi giorni prima. Il resoconto precisava che, benché sulle prime la polizia locale avesse sospettato che Leslie Patterson avesse inscenato il proprio rapimento, con la scomparsa di una seconda vittima, ora trovata morta, l'indagine aveva preso un altro corso. Diane sapeva che il video stava per concludersi. La telecamera sarebbe ritornata a lei. Attese di sentire le ultime parole che aveva registrato. «La battuta d'uscita è 'pericolo mortale che si aggira per Ocean Grove'», l'avvertì la voce nell'orecchio. Udì le parole di chiusura, attese un attimo e cominciò a parlare alla telecamera. «Un portavoce della polizia dovrebbe uscire da un momento all'al-
tro, Harry, per darci ulteriori dettagli sulla situazione. Le autorità sono sommerse di lavoro qui. Siamo all'apice della stagione turistica e questa cittadina ospita quasi il doppio della popolazione che vi risiede nei mesi invernali. Ciò significa un sacco di gente spaventata, Harry, che vuole sentirsi di nuovo al sicuro.» «E che cosa mi dici di Leslie Patterson, la giovane che si pensava avesse simulato il proprio rapimento?» domandò il conduttore. «Deve essere in parte sollevata per il fatto che adesso la gente le crede.» «Abbiamo parlato con Leslie nel fine settimana, Harry. Naturalmente è stato prima che Carly Neath fosse ritrovata, però ha dichiarato che questa era la parte peggiore del calvario che ha dovuto affrontare. È stata trattenuta contro la sua volontà per tre giorni e tre notti, è stata costretta a danzare, bendata, con il suo rapitore, ma la cosa più amara, ci ha detto, era il fatto che la gente pensava che avesse mentito.» Aveva concluso da pochi attimi, quando il suo cellulare vibrò. «Bel pezzo.» Diane riconobbe la voce e s'irrigidì. «Solo assicurati di ottenere le esclusive per noi. Non voglio che i programmi quotidiani derubino Hourglass della sua storia.» «Non ti preoccupare, Joel. C'è un sacco di sofferenza di cui parlare, da queste parti.» Diane scosse la testa e alzò gli occhi al cielo, girandosi verso Matthew. «Però questa non è la storia che credevamo, Joel. Mi hai spedito qui per coprire la vicenda di una ragazza che si sarebbe inventata tutto. Invece, pare che abbiamo una giovane che dice la verità e un killer a piede libero.» «Nessun problema.» La voce del produttore esecutivo aveva un tono perverso. «Potrebbe funzionare ancora meglio per noi, potrebbe dare al nostro Hourglass una nuova dimensione.» «Intendi...» «Intendo dire che», la interruppe Joel, «abbiamo già le storie delle ragazze che hanno davvero gridato al lupo. La tua può concentrarsi su che cosa si provi a dire la verità e non essere creduti.» Capitolo 60 Owen Messinger s'infilò in bocca una cucchiaiata di cornflakes, mentre guardava Diane Mayfield sullo schermo televisivo. Tutto ciò gli avrebbe
facilitato il lavoro con Leslie, quando oggi fosse venuta alla terapia di gruppo, se fosse venuta. Già si era ritenuta ingiustamente perseguitata da chiunque non le avesse creduto, il fatto che la sua vicenda ricevesse attenzione a livello nazionale le avrebbe solo creato ulteriori problemi psicologici. Se mai Leslie aveva desiderato attenzione, certo ora l'aveva ottenuta. Owen ripose la scodella dei cereali nel lavello della cucina, prese una lattina di cibo per gatti dalla dispensa e ne svuotò il contenuto nella ciotola di alluminio che c'era sul pavimento. «Okay, Cleo, ti lascio fuori il cibo, piccola», chiamò. «Papà ritornerà tardi, stasera.» Uscì dalla porta della cucina, scordandosi di avere lasciato il cellulare in carica sul ripiano. Salì a bordo della sua Volvo e mise l'aria condizionata al massimo. Si preannunciava un'altra giornata torrida. Il percorso fino allo studio era breve. Quando Owen raggiunse il parcheggio, notò due autopattuglie della polizia parcheggiate accanto all'entrata dello stabile. Parcheggiò la vettura nel suo spazio riservato, entrò direttamente nell'edificio e prese l'ascensore fino al terzo piano. La porta del suo ufficio era spalancata. «Che cosa succede, qui?» chiese, osservando i mobili rovesciati nella sala d'aspetto. «Oh, dottor Messinger», esclamò Christine con sollievo. «Ho tentato di raggiungerla, ma non rispondeva al cellulare. Questo è quello che ho trovato, quando sono arrivata.» La sua assistente accennò alla confusione con un ampio gesto. Owen guardò alle spalle della donna, oltre il vano della porta del suo studio. Gli agenti di polizia stavano valutando il caos che regnava nella stanza. «Può dirci se manca qualcosa?» domandò uno di loro. Owen estrasse il portachiavi dalla tasca, aprì i cassetti della scrivania e li controllò uno per uno. «Qui non è stato toccato niente, grazie al cielo», disse. «E altrove? Manca qualcosa?» Owen guardò la libreria e notò uno spazio vuoto dove prima c'erano le cartelle dei suoi pazienti. Tutti gli appunti sulle terapie erano spariti. Capitolo 61 «Leslie, se vuoi andare al lavoro oggi, devi muoverti.» Sentendo la voce stridula di sua madre che la chiamava dal piano di sot-
to, Leslie gemette e si rigirò nel letto. Era ancora stanca e non voleva alzarsi. «Non sto scherzando, Leslie. Se non fai presto, non avrai tempo per la colazione.» Per me va bene, pensò Leslie strofinandosi gli occhi. Restò distesa sulla schiena, fissando il soffitto e le stelle di plastica fosforescenti che vi aveva attaccato più di dieci anni prima. Non c'era da sorprendersi che fosse depressa: questa era la camera di una ragazzina, non di una donna. Però, se voleva avere qualche speranza di sfuggire ai suoi genitori che l'assillavano e la trattavano come una bambina, doveva avere un reddito proprio. Si costrinse ad alzarsi dal letto e i suoi piedi nudi atterrarono su uno dei tappeti all'uncinetto che sua madre era così orgogliosa di saper fare. Rosette rosa pallido sparse su uno sfondo color crema. Leslie spostò lo sguardo dal tappeto alle pareti, anch'esse rosa, e ai mobili bianchi decorati con mazzi di minuscoli fiorellini dipinti, e fece un voto: quando avrebbe avuto un posto tutto suo, non ci avrebbe messo nessuna roba leziosa, da ragazzine, come questa. Si tolse la maglietta e i pantaloncini da ginnastica con cui aveva dormito e andò davanti allo specchio. Mentre si voltava da una parte e dall'altra, esaminando il proprio corpo da prospettive diverse, Leslie promise a se stessa che quel giorno avrebbe mangiato il meno possibile. Non sarebbe stata un'impresa facile con sua madre e Larry Belcaro che la controllavano come falchi. Sotto la doccia, gli aghi d'acqua calda punsero la sua pelle tirata. L'asciugamano le parve ruvido contro la schiena, mentre si asciugava. Quando si puliva i denti con lo spazzolino, le piaceva il modo in cui la pasta dentifricia bianca li faceva sembrare più brillanti. Per il suo primo giorno in ufficio, scelse di mettersi una gonna corta di cotone marrone e una camicetta color pesca, in parte per far piacere a Larry. Le faceva sempre i complimenti, quando indossava il color pesca. Diceva che faceva risaltare i suoi occhi castani, rendendoli particolarmente caldi e graziosi. «Leslie. Quando ti deciderai a scendere?» «Vengo subito, mamma.» Fece un'altra piroetta davanti allo specchio, risucchiando dentro ventre e guance. Leslie non era soddisfatta del suo aspetto, ma non poteva fare niente più di ciò che già si riprometteva di non fare.
Audrey Patterson depose una grossa cucchiaiata di uova strapazzate sul piatto della figlia, insieme a tre fette di bacon e un muffin all'inglese imburrato. «Succo d'arancia o di pompelmo, Leslie?» «Arancia, per favore.» Non appena la madre le girò la schiena per andare al frigorifero, Leslie staccò un pezzo di muffin e afferrò una fetta di bacon dal piatto, poi li lasciò cadere nella borsa di tela che la sera prima aveva accuratamente foderato di carta cerata e ora aveva posizionato sul pavimento, accanto alla propria sedia. Leslie notò che gli occhi di Audrey analizzavano il suo piatto, mentre le versava il succo nel bicchiere. Allora, fece scivolare la forchetta sotto le uova strapazzate e se ne mise in bocca un po'. «Smettila di guardarmi mentre mangio, eh, mamma. Quante volte ti ho detto che detesto quando lo fai?» Audrey si morsicò il labbro inferiore. «Mi dispiace, tesoro. Non me ne rendo nemmeno conto. Voglio solo assicurarmi che mangi.» «Be', non fai che peggiorare le cose. Mi rendi nervosa.» Leslie depose la forchetta e si appoggiò allo schienale della sedia. «Okay, okay, smetterò di guardarti.» Audrey andò al lavello, ci spruzzò dentro del detersivo liquido e aprì il rubinetto. Rivolgendo la schiena alla figlia, strofinò la padella per friggere, mentre Leslie depositava il resto del bacon e metà del muffin nella borsa. Sapeva benissimo che, se dal suo piatto fosse scomparsa ogni cosa, sua madre non avrebbe mai creduto che lei avesse mangiato tutto. Smuovendo un po' le uova e lasciando un pezzetto di muffin, poteva convincerla di avere mangiato abbastanza per colazione, mentre in realtà aveva inghiottito solo un boccone di uova strapazzate e alcune sorsate di succo d'arancia. «Bene, ho finito.» Leslie allontanò il piatto. «Non riesco a mangiare altro. Devo andare.» Sua madre si voltò dal lavello, i suoi occhi esaminarono il piatto della figlia e poi scrutarono il suo viso. «Leslie, devo dirti una cosa, prima che tu vada.» «Cosa?» chiese Leslie cautamente. «L'ho saputo prima che scendessi per colazione, tesoro, ma non volevo dirtelo prima che mangiassi.» «Dirmi cosa?» Audrey si sedette dall'altra parte del tavolo e allungò il braccio per prendere la mano della figlia. «Carly Neath è stata trovata al Beersheba Well,
questa mattina presto.» «Bene», esclamò Leslie. Il suo volto si illuminò. «Adesso tutti mi crederanno pienamente.» Audrey abbassò lo sguardo. «Non intendevo dire che era la cosa più importante, mamma», aggiunse frettolosamente. «Sono contenta che abbiano trovato Carly.» Audrey alzò di nuovo gli occhi: erano pieni di lacrime. «Cosa, mamma? Che cosa c'è?» «Carly è morta, tesoro.» Leslie rimase in silenzio. «Leslie, cara, ti senti bene?» «Sì, sto bene. Solo, non so che cosa dire... Eccetto che avrei potuto essere io. Mi rendo conto di quanto sono fortunata, mamma.» Prese la borsa e s'incamminò verso la porta, ma si fermò. «Ho scordato Lee Lee», disse. «Ne ho bisogno per il gruppo, oggi. Il dottor Messinger vuole che portiamo l'animale di peluche che preferivamo da piccole.» Corse in camera sua e tirò giù la malridotta orsacchiotta dal suo posto sulla libreria. Sollevò con cautela la carta cerata dalla borsa, impacchettò bene i resti della colazione e rimise il tutto dentro per gettarlo via in seguito. Quindi, ci sistemò sopra l'amata Lee Lee. Capitolo 62 Perché non aveva il numero del cercapersone di quell'avvocato, o qualcosa del genere? Quando riagganciò il ricevitore, Shawn aveva il cuore che batteva all'impazzata e le guance in fiamme. La notizia, diffusa da tutti i canali nazionali, che il corpo di Carly era stato trovato, lo aveva lasciato in preda al panico. Leslie era sparita, ma Carly era morta. Entrambe erano state sue ragazze e la polizia sospettava di lui. Prima, era per rapimento; adesso, avrebbe potuto essere per omicidio. Inoltre si vergognava. La paura che arrivasse la polizia e lo trascinasse via superava qualsiasi emozione provasse per la morte di Carly. Alla fin fine, era come tanti altri, giusto? Si preoccupava soprattutto di se stesso. Shawn camminava avanti e indietro nel piccolo salotto del suo appartamento. Doveva calmarsi, doveva cercare di pensare razionalmente. Il difensore d'ufficio gli avrebbe telefonato e gli avrebbe suggerito che cosa fare. Lo squillo del telefono ruppe il silenzio. Grazie al cielo, l'avvocato lo
stava già richiamando. Shawn corse all'apparecchio. «Pronto?» «Shawn Ostrander, per favore.» «Sono io.» Doveva essere una sua assistente, oppure la segretaria della reception. Sicuramente l'avvocato sarebbe subentrato in linea tra un attimo. «Questo è il Medical Center della Jersey Shore University. Abbiamo un paziente, un certo Arthur Tomkins, ricoverato qui. Nel portafoglio abbiamo trovato il suo nome, come persona da informare.» «Arthur sta bene?» chiese Shawn istintivamente. «Le sue condizioni sono stabili, ma dovrà parlare con il suo medico curante, per avere ulteriori informazioni.» Shawn s'irrigidì. Non voleva occuparsi di Arthur in quel momento. Aveva bisogno di concentrarsi su quello che avrebbe fatto per tirarsi fuori dall'incubo in cui si trovava. «Signor Ostrander?» Che razza di persona era? Se Arthur aveva bisogno di lui, doveva andare da quel poveraccio. Doveva fare la cosa giusta. Inoltre, la polizia probabilmente lo sorvegliava. Era meglio che continuasse a vivere la sua vita come se niente fosse. In un attimo, Shawn prese l'impegno. «La prego, dica al signor Tomkins che sto arrivando.» Capitolo 63 Il commissario capo Albert uscì a scusarsi e comunicò che la conferenza stampa era posticipata alle dieci. Poi, alle dieci, promise che avrebbe avuto qualcosa per i giornalisti alle undici e trenta. Finalmente a mezzogiorno emerse dalla minuscola stazione di polizia e si sistemò dietro il podio di legno, pronto a fare l'annuncio. Il furgone con l'attrezzatura satellitare della KEY trasmise video e audio al Broadcast Center, perché fossero utilizzati nei notiziari locali dell'ora di pranzo. «Vista l'emergenza, è già stata effettuata l'autopsia sul corpo della ventenne Carly Neath. Il medico legale della contea ha stabilito che la signorina Neath è morta per asfissia.» «È stata soffocata?» gridò Diane. Prima di rispondere, Albert consultò i propri appunti. «Si è soffocata nel suo vomito.» «Dunque non è stata uccisa?» chiese il reporter dell'Asbury Park Press. «Non lo sappiamo», rispose il poliziotto. «Le indagini sono tuttora in
corso. Però, posso dire che, secondo la legge del New Jersey, quando una persona viene rapita e muore durante il rapimento, il rapitore viene considerato responsabile.» «Significa che ritenete che ci sia qualcuno là fuori responsabile della morte di Carly?» incalzò un altro giornalista. «Non ho detto questo.» C'era irritazione nella voce del commissario. «Posso assicurarvi che stiamo vagliando tutte le possibilità.» Albert lanciò di nuovo un'occhiata in direzione di Diane. «Commissario, naturalmente la polizia si rende conto che la comunità è molto in ansia riguardo a questo caso.» Diane parlò in tono misurato. «La gente è terrorizzata all'idea che ci sia un killer a piede libero a Ocean Grove. Che cosa può dirci per alleviare tali paure?» «Dico che la polizia ha la situazione sotto controllo. Per ora è tutto. È possibile che ci sia qualcos'altro per voi più tardi, in giornata.» Con ciò, il commissario Albert girò sui tacchi e rientrò nella stazione di polizia. Capitolo 64 Con il sole così forte che le bambine non potevano uscire e tutta la tensione e l'ansia in città, Helen Richey aveva finalmente permesso che nella tenda entrasse un televisore. Aveva chiesto a Jonathan di uscire a comprarne uno, ma lui le aveva ricordato che l'avevano già nel bagagliaio dell'auto e l'aveva allegramente installato. Mentre le figlie mangiavano i loro panini al tonno al tavolo della cucina, Helen sedeva nella parte anteriore della tenda e guardava il filmato della conferenza stampa della polizia trasmesso dal notiziario di mezzogiorno di WKEY. Teneva il volume bassissimo, in modo che le bambine non potessero sentire. Vide Diane Mayfield e ascoltò la sua domanda su che cosa si potesse fare per alleviare le paure della gente. Quando il commissario Albert rispose che la polizia aveva la situazione sotto controllo e che avrebbero potuto esserci ulteriori informazioni più tardi in giornata, Helen rabbrividì, nonostante all'interno della tenda l'aria fosse calda. Carly Neath, quella dolce ragazza, era morta. E se Jonathan fosse stato coinvolto? Se suo marito avesse seguito la giovane, mentre ritornava a casa, venerdì sera? Se avesse avuto a che fare anche con la scomparsa di Leslie Patterson, la settimana prima? Helen spense il televisore, si accomodò di nuovo sulla sedia di vimini e cercò di concentrarsi. Il biglietto da visita della Surfside Realty che aveva
trovato nel suo portafoglio indicava che aveva avuto un appuntamento a Ocean Grove giovedì pomeriggio. Se era vero, perché non glielo aveva detto? Inoltre, se Jonathan era in città, giovedì, avrebbe potuto essere stato lui a lasciare Leslie Patterson legata vicino al gazebo del Beersheba Well, in piena notte. Adesso dov'era? si chiese. Si alzò e andò ad aprire la porta a rete. Diede un'occhiata lungo la strada, per vedere se stava ritornando dalla sua passeggiata fino al negozio di ferramenta. Faceva in continuazione dei lavoretti e, in cuor suo, Helen sospettava che cercasse delle scuse per uscire dalla tenda e allontanarsi da lei e dalle bambine. I pensieri le turbinavano nella mente. E se, in qualche modo, Jonathan fosse crollato sotto la pressione delle sue richieste di vivere in un modo che detestava? Ciò l'avrebbe resa in parte responsabile per quello che era accaduto a Carly e a Leslie Patterson. Non poteva vivere con quel pensiero. Helen rientrò. «Avete finito di mangiare, ragazze?» chiese ad alta voce, mentre s'incamminava a passi decisi verso il retro della tenda. Non appena Jonathan fosse ritornato, lo avrebbe convinto a tirare fuori il grande ombrellone e a portare le bambine in spiaggia, così lei sarebbe stata libera di fare ciò che doveva. Capitolo 65 Larry insistette per mettere la segreteria telefonica, chiudere l'ufficio e portare Leslie fuori a pranzo. Decise di non andare da Neagle's o allo Starving Artist, sapendo che la gente del luogo avrebbe spettegolato sulla tragedia di Carly Neath e fissato Leslie. Invece, guidò intorno al Wesley Lake fino ad Asbury Park e al ristorante italiano che era stato il preferito di Jenna, prima che sviluppasse un'ossessione per ogni pezzettino di cibo che si metteva in bocca. Trascorse un'ora dolorosa guardando Leslie che toccava appena la sua insalata. Sapeva bene che non era il caso di fare commenti. Almeno questo l'aveva imparato, quando si era trovato ad affrontare il problema con Jenna. «Sono così contento che tu sia ritornata al lavoro, Leslie», disse, mentre aspettavano il conto. «È la cosa migliore da fare. È bene che tu ti tenga occupata.» Leslie annuì e aggiunse a bassa voce: «Sai, Larry, quei tre giorni sono
stati davvero terribili. Non ho mai avuto tanta paura in vita mia. Però, mentre ero là legata, tutta sola, mi sono ritrovata a pensare a quanto è incasinata la mia vita». Larry si protese in avanti e ascoltò con maggiore attenzione. «Adesso ho un'altra possibilità e ho pensato di conseguire la mia licenza di agente immobiliare.» «Sarebbe fantastico, Leslie.» Il suo volto segnato s'illuminò. «Sai che ti aiuterò in ogni modo possibile.» «Lo so», disse lei. Rientrarono in ufficio chiacchierando su dove Leslie avrebbe potuto seguire il corso per ottenere la licenza e su quanto difficile fosse l'esame. Mentre Larry parcheggiava nel suo spazio riservato, notarono una donna che attendeva davanti alla porta d'entrata. Larry le corse incontro, scusandosi che fosse stata costretta ad aspettare là fuori, al caldo. «Nessun problema», replicò la donna dai capelli color miele. «Sono appena arrivata.» «Sono Larry Belcaro.» Si presentò tendendole la mano. «E questa è la mia assistente, Leslie Patterson.» La donna strinse la mano di Larry, ma i suoi occhi fissarono Leslie. «Helen Richey», disse. Leslie si accomodò al suo posto dietro la scrivania accanto alla porta e prese una rivista, mentre Larry accompagnava la donna nel proprio ufficio. «Che cosa sta cercando?» le chiese. «Vuole affittare o comprare?» «Be', a dire il vero, nessuna delle due cose», rispose Helen. «Oh, lei ha un immobile da vendere.» Tolse il cappuccio alla sua penna. «È qui a Ocean Grove?» «No, non è nemmeno questo.» Helen parve a disagio, mentre apriva la cerniera della borsa e ne estraeva un biglietto da visita. «Sto cercando di ottenere informazioni su questo.» Gli porse il cartoncino bianco al di sopra della scrivania. «Vede, l'ho trovato tra le cose di mio marito e volevo sapere se aveva un appuntamento con lei, la settimana scorsa.» Larry esaminò il biglietto da entrambe le parti. «Vediamo», disse meditabondo. «Giovedì scorso alle quattro. Non credo.» Aprì l'agenda che aveva sulla scrivania. «No, giusto. Giovedì scorso avevo la firma di un contratto. Non ho mostrato alcuna proprietà, quel pomeriggio.» Capitolo 66
«Dio, adesso Evening Headlines vuole un pezzo per stasera.» Matthew chiuse di colpo il cellulare. «Ho cercato di convincerli a mandare qui uno dei loro produttori e un altro corrispondente, ma vogliono te.» «Ne sarei lusingata, se non sapessi quanto sono a corto di personale in agosto. Vogliono me in mancanza d'altro», commentò Diane. «Joel lo sa?» «Sì», rispose Matthew. «Range Bullock gli ha parlato da produttore esecutivo a produttore esecutivo.» Diane sorrise. «Posso immaginare la conversazione: Joel che ricorda di continuo a Range quanto gli è in debito per questo.» «Già, e noi siamo la moneta», dichiarò Matthew, togliendo il cappuccio alla penna e aprendo il notes. «Tanto vale che ci mettiamo al lavoro. L'unico video nuovo che abbiamo è quello della conferenza stampa della polizia di oggi a mezzogiorno.» «E possiamo solo sperare che facciano qualche altra dichiarazione, prima che si vada in onda», aggiunse Diane. «Range vorrebbe che cercassimo di comunicare il carattere della città, che facessimo vedere e sentire Ocean Grove agli spettatori, che riprendessimo le reazioni della gente per strada. Vuoi andare da Nagle's, dove lavorava Carly? Magari riusciamo a ottenere la testimonianza di qualche persona che la conosceva?» propose Matthew. «Mi sembra una buona idea», convenne Diane. Capitolo 67 Detestava l'odore degli ospedali. Shawn cercò di non inspirare, ascoltando il cigolio delle proprie scarpe da tennis sul pavimento di linoleum. Che sciocca cosa su cui concentrarsi, pensò mentre percorreva il lungo corridoio. Potresti essere accusato di rapimento e omicidio... e invece storci il naso per la puzza di disinfettante. Però si sentiva un po' meglio, da quando il difensore d'ufficio l'aveva richiamato. L'avvocato gli aveva detto che la polizia lo avrebbe già arrestato, se avesse avuto prove sufficienti per collegarlo ai rapimenti di Leslie e Carly. Gli aveva assicurato che, a meno che non trovassero prove fisiche o un testimone che lo associassero alla scomparsa delle giovani, era molto improbabile che potessero accusarlo di qualcosa. Il semplice fatto che fosse uscito con due donne che erano poi scomparse non lo rendeva un rapitore o un assassino. Shawn si aggrappava a quelle parole. La porta della stanza era aperta. Si trattava di una camera doppia, ma il
letto accanto all'entrata era libero. Shawn si avvicinò senza far rumore al letto dall'altra parte della tenda divisoria. «Arthur?» sussurrò. Arthur aprì gli occhi e si voltò verso Shawn. Sfregando sul cuscino, i suoi capelli si arruffarono ancora di più. La pelle di solito abbronzata di Arthur pareva quasi terrea, contro il cotone sbiadito del camice da ospedale. «Come stai, amico?» chiese Shawn. Arthur non rispose. «Qual è il problema, Arthur? A me puoi dirlo», lo esortò Shawn. «Non ha pronunciato una parola da quando l'hanno portato qui.» Shawn sobbalzò all'udire la voce femminile. «Scusi, non intendevo spaventarla. Sono la dottoressa Varga», si presentò la donna, aggirando il letto e prendendo il polso di Arthur. «Shawn Ostrander.» «Un parente?» «No, un amico.» Non c'era motivo di raccontare la lunga storia di come il suo legame con quell'uomo malato di mente fosse iniziato come progetto di ricerca. Arthur era diventato molto di più. «I suoi parenti non hanno più rapporti con lui.» La dottoressa annuì. «Che cos'ha?» chiese Shawn. «Niente di fisico, però non parla. Quando gli agenti l'hanno condotto qui, ci hanno informato del suo stato mentale.» «Sì, Arthur è piuttosto conosciuto in città.» Shawn fece un sorriso tirato. Il medico scribacchiò qualcosa sulla cartella. «Fortunatamente aveva le sue medicine nella tasca della giacca. Non possiamo sapere con certezza se le avesse prese prima di arrivare qui, ma certo le prende ora.» «Quando lo dimetterete?» chiese Shawn. «Dipende», rispose la dottoressa Varga. «Ma sospetto che non ci sia fretta, giusto?» Shawn scosse la testa, pensando alla triste stanzetta nella vecchia pensione che Arthur chiamava casa. «No, non c'è alcuna fretta», replicò. Il medico diede un colpetto sul braccio del paziente, prima di uscire dalla stanza. Shawn si sedette e attaccò un monologo sul caldo e su quanto fosse affollata Ocean Grove con tutti i visitatori estivi. Non menzionò la massa di curiosi che stava accorrendo in città per la storia di Carly. «Okay, amico», disse, alzandosi dalla sedia che aveva avvicinato al letto
una mezz'ora prima. «Adesso vado, ma chiamerò le infermiere più tardi, per sapere come stai.» Posò una mano sulla sua spalla. «Adesso riposati, Arthur. Non ti preoccupare, ragazzo. Andrà tutto bene. Pensa solo a riposarti, mi hai sentito?» Gli occhi acquosi di Arthur fissarono quelli di Shawn, mentre pronunciava le prime parole che diceva da quando era stato ricoverato all'ospedale. «Okay, Shawn. Faccio sempre quello che mi dici.» Capitolo 68 Diane, Matthew e la troupe erano in piedi sul marciapiede e chiedevano ai clienti che uscivano da Nagle's dopo aver pranzato che cosa pensavano della situazione a Ocean Grove. Le persone disposte a parlare non mancavano e i loro sentimenti erano più o meno simili. «Mi sembra spaventoso che in una graziosa cittadina come questa possa accadere una cosa tanto terribile. Che Dio aiuti i genitori di quella povera ragazza!» «Sono terrorizzata. Ho dei bambini e non ho intenzione di perderli di vista nemmeno per un attimo. Inoltre, come faccio a spiegare loro un fatto del genere?» «È orribile. Siamo qui in vacanza, ma stiamo pensando di tornarcene a casa in anticipo. Questo non è ciò che avevamo in mente come tranquilla settimana in spiaggia.» Nel giro di mezz'ora avevano raccolto commenti sufficienti per il servizio per Evening Headlines. Tuttavia, nessuna delle persone intervistate conosceva Carly Neath. «Forse dovremmo entrare: magari qualcuno che ha lavorato con Carly accetta di parlare con noi», suggerì Diane. «Vado a vedere se qualcuno è disponibile e cerco di ottenere il permesso di girare anche all'interno.» Il ristorante con aria condizionata offrì un gradevole sollievo dal calore esterno. Diane si avvicinò al banco e si presentò all'uomo che lavorava alla cassa. «Stiamo facendo un pezzo su Carly Neath e ci piacerebbe parlare con qualcuno che la conosceva. Permetterebbe alla nostra troupe di entrare?» «Preferirei di no», rispose l'uomo. «La gente è già sottosopra. Non c'è bisogno che le ricordiamo questa tragedia anche mentre pranza.» «Certo, capisco», replicò Diane delusa. «Però, mi permetterebbe di chiedere ad alcuni colleghi di Carly se sono disposti a farsi intervistare? Po-
trebbero uscire per qualche minuto e potremmo riprenderli là fuori.» «Oh, va bene.» Sospirò l'uomo. «È un paese libero.» «Allora comincio da lei, signore. Vorrebbe parlare di Carly?» «No», tagliò corto lui. Diane aveva da tempo imparato a non prendere le risposte sul piano personale. Se una persona non voleva parlare, non voleva parlare. A parte qualche rara eccezione, non serviva a niente cercare di convincerla. Guardò lungo il banco. «E lei?» chiese, indicando una brunetta che stava versando del tè freddo in un alto bicchiere. «Conosceva Carly?» «Fanno entrambe i turni della colazione e del pranzo», rispose lui. «Voglio dire, facevano.» «Crede che sia disposta a parlare con me?» domandò Diane. L'uomo alzò le spalle. «Glielo chieda lei.» L'esile giovane donna uscì sul marciapiede, raccogliendosi gli opachi capelli castani dietro le orecchie. «Grazie per avere accettato, ci vorranno solo pochi minuti.» «Non c'è problema», replicò la cameriera con voce dolce. «Il mio turno è finito. Ho solo un appuntamento medico, ma più tardi.» Diane sorrise, mentre Sammy faceva cenno che la telecamera stava riprendendo. «Okay, prima di tutto puoi dirmi il tuo nome e compitarlo per me?» «Anna Caprie. A-N-N-A C-A-P-R-I-E.» «E dove abiti, Anna?» chiese Diane. «A Ocean Grove.» «Lavori proprio qui da Nagle's, il ristorante dove lavorava Carly Neath?» Anna annuì. «M-mm. Carly e io lavoravamo insieme qualche volta, ma non sempre. Talvolta lei era di turno e io no. Oppure lo ero io e lei no.» «Quando è stata l'ultima volta che l'hai vista?» domandò Diane. «L'ho vista venerdì mattina e quella è stata l'ultima volta.» «È il giorno in cui è scomparsa.» «Sì, esatto.» Anna abbassò lo sguardo al suolo. «Hai parlato molto con Carly, quel giorno?» chiese Diane. «No, non molto. Il ristorante è abbastanza pieno d'estate. Di solito non c'è tempo per chiacchierare.» «Ricordi qualcosa di particolare riguardo a quel giorno, Anna? Qualcosa di diverso o inusuale?»
Anna alzò gli occhi e Diane non poté dire con certezza se il rosa che andava evidenziandosi sul suo volto fosse causato dal sole o dal fatto che stesse arrossendo. In ogni caso, le donava. Era troppo pallida. Troppo pallida e troppo magra, pensò Diane. «Be'...» Anna esitò. «Non proprio. Il nuovo ragazzo di Carly è venuto a parlarle, ma era già stato qui, prima d'allora.» «Shawn Ostrander?» domandò Diane. «M-mm. Carly mi disse che le piaceva davvero, ma...» la voce di Anna si spense. «Ma cosa, Anna?» incalzò Diane gentilmente. «Non so se dovrei dirlo, visto che Shawn è stato così carino con me la settimana scorsa, quando la mia auto era in panne. Lui e Carly mi hanno accompagnata al mio appuntamento medico e mi hanno persino aspettata per riportarmi a casa, dopo», replicò Anna, attorcigliandosi una ciocca di capelli scialbi tra le dita. «Non voglio dire qualcosa che potrebbe nuocere a una persona così gentile.» «Capisco, Anna. Certo, ma questa è una situazione seria e se ritieni di sapere qualcosa che potrebbe in qualche modo aiutare a scoprire che cosa sia successo a Carly, devi dirlo. Se non a me, almeno alla polizia.» Anna deglutì con decisione. «È solo che a Carly non piaceva il fatto che Shawn non avesse partecipato alle ricerche di Leslie Patterson, durante la sua scomparsa. E mi ha confidato che gliel'avrebbe fatto notare quella sera, quando lo avrebbe visto.» Capitolo 69 «Larry, so che è il mio primo giorno eccetera, ma devo uscire presto.» L'agente immobiliare alzò lo sguardo dalla scrivania e scorse Leslie nel vano della porta. Era sempre penoso per lui vedere il suo corpo magrissimo. «Va bene, cara.» Le sorrise con gentilezza. «Devi essere stanca. Hai lavorato parecchio, oggi.» «Sei così buono con me, Larry. Non ho fatto un granché e lo sai.» «Hai fatto molto e ci saranno un sacco di altre cose ad aspettarti domani, non ti preoccupare. Adesso, vai a casa, fatti una bella cena e riposati.» Leslie ritornò alla scrivania e prese la sua borsa di tela dal pavimento. Stava cercando le chiavi dell'auto, quando Larry uscì dal suo ufficio con una pratica in mano. «Intendevo lasciartelo sulla scrivania per domani», spiegò. I suoi occhi
notarono l'orsacchiotto di peluche che spuntava dalla borsa. «Leslie, non stai andando a casa, vero?» «No», ammise lei. «Ho un appuntamento con il terapeuta. Non volevo dirtelo, perché so come la pensi sulla terapia.» Larry si tolse gli occhiali, si strofinò gli occhi ed emise un profondo sospiro. «Oh, Leslie, Leslie, Leslie. Non so più cosa dire. Non è che sia contrario alla terapia, niente affatto. Però, penso che tu debba assicurarti che ti curi la persona giusta.» Capitolo 70 Diane, seduta sul sedile anteriore del furgone con l'attrezzatura satellitare, lasciava che l'aria fredda che usciva dal bocchettone del condizionatore le soffiasse direttamente in volto. Stava limando il suo testo, quando squillò il cellulare. Era la segretaria di Owen Messinger che telefonava per informarla che il terapeuta avrebbe potuto parlare con lei alle cinque. «Cielo, non credo di farcela», esclamò Diane, dando un'occhiata all'orologio. «Non potrebbe infilarmi a una qualche ora, domani?» «No, la sua agenda è assolutamente piena nei prossimi giorni.» «Bene, allora», accettò Diane con riluttanza. «Ci saremo.» Si rivolse a Matthew che stava visionando il video girato davanti a Nagle's, annotando i timecode degli estratti che Diane voleva utilizzare per il servizio. «Abbiamo bisogno di quest'intervista con Messinger per Hourglass e, se non la facciamo oggi, potremmo non riuscire a farla affatto. Il testo per Evening Headlines è pronto. Se riusciamo a ottenere un'approvazione anticipata da Range Bullock, io registro e ti lascio l'audio da trasmettere a New York. Intanto, vado con la troupe all'ufficio di Messinger. Se è puntuale, dovrei finire per le cinque e mezzo ed essere di ritorno qui per le sei. Se venisse fuori qualcosa di nuovo, posso aggiornare allora il pezzo per la trasmissione delle sei e mezzo.» Matthew emise un fischio. «Gesù, questo sì che significa fare le cose al pelo, Diane. Detesto correre un rischio del genere.» «Ma dai, Matthew. Hai fatto anche di peggio.» «Va bene», accettò lui con riluttanza. «Abbiamo bisogno del punto di vista professionale di Messinger e, se questo è l'unico modo per ottenerlo, non abbiamo altra scelta.» Capitolo 71
Ognuna delle giovani, che sedevano in circolo nella stanza della terapia, teneva in grembo una bambola o un animale di peluche. Cupe in volto e magrissime, tutte e sei si tagliavano. Il dottor Messinger iniziò la seduta. «Dall'ultima volta che ci siamo riuniti, sono accaduti diversi fatti dolorosi. Leslie è stata rapita ed è scomparsa per tre giorni, poi un'altra giovane è stata sequestrata. Il suo corpo è stato ritrovato ieri notte.» «Io la conoscevo», intervenne una voce infantile. «Era Carly Neath. Lavoravo con lei.» Owen spostò rapidamente lo sguardo da Anna a Leslie, che stava già rispondendo nel modo che lui poteva prevedere. «Terra chiama Anna. Tu puoi anche aver conosciuto Carly Neath, ma io sono seduta qui, di fronte a te. Quello che devo affrontare oggi mi pare sia un po' più importante di ciò che hai da dire tu, in questo preciso momento.» Anna afflosciò le spalle e accarezzò il suo coniglio nero di peluche, mentre il viso le diventava rosa come il naso dell'animale. «Come pensi che si senta Anna, adesso, dopo che le hai detto che le tue esperienze sono più importanti delle sue?» chiese Owen. Rimproverata, Leslie pizzicò l'orecchio della sua orsacchiotta. «Non troppo bene, immagino. Scusami, Anna.» «Vuoi parlare di quello che è successo, Leslie?» Owen Messinger ascoltò la storia di Leslie, cercando di osservare le reazioni delle altre pazienti a quella che era, da ogni punto di vista, una vicenda scioccante. Si assicurò che ognuna delle giovani si sentisse libera di porre domande a Leslie e di offrirle il suo appoggio. Anna Caprie confessò che, quando aveva saputo della scomparsa di Leslie, si era chiusa a chiave nella sua camera. Avrebbe voluto unirsi alle ricerche, ma era troppo sconvolta. «Ho preso uno spillo dal nécessaire da cucito di mia mamma e mi sono bucata un sacco di volte.» A questo punto il terapeuta aveva una buona opportunità per educare un po' le sue pazienti. Alcune di loro erano in terapia da anni, ma non parevano trarre beneficio dalle tecniche terapeutiche più «accreditate». Rifiutavano ancora di mangiare e, ogniqualvolta si sentivano impotenti oppure prive di controllo, trovavano un oggetto abbastanza affilato e si infliggevano delle lesioni che, inspiegabilmente, davano loro sollievo. Aveva la sensa-
zione che qualcosa di più drastico, di più drammatico, avrebbe convinto queste giovani del fatto che tagliarsi poteva anche concedere loro un sollievo temporaneo, ma che alla lunga era un modo inutile e, alla fin fine, molto pericoloso di affrontare il problema. Come aveva fatto ogni settimana negli ultimi tre mesi, Owen distribuì le lamette. All'inizio dell'estate, aveva istruito le ragazze a far scorrere le dita lungo il filo della lama, senza tagliarsi, e a parlare apertamente di come il fatto che fosse affilato le facesse sentire. Con il passare delle settimane aveva cercato di portarle a «demistificare» le lamette, a spogliarle di qualsiasi capacità di aiutarle. Adesso era giunto il momento della lezione più importante di tutte. «Anna, perché non cominci tu?» suggerì Owen, indicando l'animale di peluche che la giovane aveva in grembo. «Non potrei mai fare del male a Mr. Velvet. Non posso.» Gli occhi di Anna si riempirono di lacrime. «Perché no, Anna?» chiese Owen. «Hai tagliato te stessa. Perché non vuoi tagliare un po' di stoffa e imbottitura?» «Perché Mr. Velvet è tutto per me. Non potrei mai ferirlo», gemette Anna. «Però, ferisci te stessa con grande facilità, Anna. Non sei importante almeno quanto il tuo coniglio di peluche? Non sei degna di altrettanto amore?» Ormai le lacrime scorrevano liberamente sulle guance di Anna. «Non lo sei?» incalzò lui. «Anna non ritiene di esserlo», affermò Leslie. «Pensa di non valere niente.» Tutti gli occhi, eccettuati quelli del terapeuta, si voltarono verso Leslie. Lo sguardo di Owen, invece, rimase puntato su Anna. «Come ti fa sentire ciò che Leslie ha appena detto, Anna?» Senza pronunciare una parola, Anna prese la lametta e tagliò la gola a Mr. Velvet. Capitolo 72 Le ragazze che uscivano dallo stabile adibito a uffici apparivano sotto choc ed esauste. Se la terapia doveva farle stare meglio, non avrebbero dovuto emanare un'energia più positiva? Se si erano liberate da un fardello, perché sembrava che reggessero sulle spalle il peso del mondo intero?
Larry si ritrasse nel sedile, in modo che Leslie non lo vedesse. Aveva parcheggiato accanto a un'altra berlina beige all'estremità del parcheggio, sperando che lei non notasse la sua auto. La osservò avvicinarsi alla propria vettura con un'espressione tetra sul volto. Stringeva l'orsacchiotta di peluche per una zampa, lasciandola penzolare. Leslie si allontanò, ma lui attese, per vedere meglio le altre. Quella piccolina, Anna, la cameriera di Nagle's, pareva particolarmente sconvolta, mentre saliva a bordo dell'auto che l'aspettava. Larry ipotizzò che l'uomo di mezza età che si trovava al volante fosse suo padre. Poveretto. Si protese per dare un bacio sulla guancia alla figlia e Larry immaginò le parole che le stava dicendo. Le chiedeva com'era andata, se si sentiva meglio, proprio come lui aveva spesso domandato alla sua cara Jenna. Sentì emergere la rabbia che gli ribolliva dentro, così strinse il volante finché le nocche non gli diventarono bianche. Avrebbe voluto strangolare quel dannato terapeuta. Finalmente tutte le giovani se ne andarono, con mezzi propri oppure insieme a qualcuno che era venuto a prenderle. Larry stava per girare la chiavetta d'accensione, quando notò una donna e due uomini con una telecamera che si dirigevano verso l'entrata dell'edificio. Si protese in avanti per vedere meglio. Gli parve di riconoscere la donna. Sì, era Diane Mayfield. Era in città con il resto dell'armata di giornalisti che li aveva invasi. D'impulso, aprì la portiera dell'auto e scese. «Salve», esclamò ad alta voce. Le tre teste si girarono verso di lui. «La signora Mayfield?» «Sì?» «Salve. Sono Larry Belcaro. Ho un'agenzia immobiliare a Ocean Grove.» Diane strinse la mano che lui le porgeva. Era abituata al fatto che le persone le si avvicinassero e si presentassero. Quando compari in televisione, la gente ha l'impressione di conoscerti. Si faceva sempre un dovere di essere gentile. «Felice di conoscerla», replicò. «Ma temo di non potermi trattenere. Ho un appuntamento alle cinque per un'intervista con un medico ed entrambi abbiamo tempi molto stretti.» «Non si tratterà del dottor Messinger, vero?» chiese Larry. Diane lo guardò incuriosita. «Per la verità, sì.» «Vuole parlargli di quello che sta accadendo a Ocean Grove, immagino.»
«Giusto.» «Be', la vera storia, la storia che dovrebbe essere resa pubblica, è che quell'uomo è un ciarlatano. Dovrebbe essere in prigione per tutti i danni che ha provocato, tutte le vite che ha rovinato, compresa quella di mia figlia, Jenna.» «Signor Belcaro, vorrei davvero poter parlare con lei adesso, ma non mi è possibile. Mi dà un numero dove raggiungerla, così magari ne riparliamo?» Larry si rese conto che Diane lo stava scaricando. Lasciando cadere le spalle, le porse il suo biglietto da visita. «Ho scritto il mio numero privato sul retro», disse, ma nutriva poche speranze che lei gli telefonasse davvero. Capitolo 73 Sua sorella era distesa sull'asciugamano con gli occhi chiusi e sua zia era andata a fare una passeggiata lungo la spiaggia, così Anthony colse l'occasione per incamminarsi nella direzione opposta. Afferrò la sua macchina fotografica e si diresse a nord, verso Asbury Park e il vecchio Casino. Da quando, il giorno prima, aveva visto l'uomo sgattaiolare sotto l'edificio, non era riuscito a pensare quasi a nient'altro. Il tizio era sparito, nel nulla. Dove era andato? Che cosa c'era là dentro? Si fermò a scattare una foto della grande struttura di mattoni, attento a centrarla nel mirino. Man mano che il Casino incombeva sempre più vicino, cominciò a ripensare al suo piano di esplorarne l'interno. E se ci viveva una banda di prepotenti, o roba del genere? E se fossero stati cattivi e violenti? Se la sarebbero presa con lui, perché aveva violato il loro territorio? E se sua madre avesse scoperto che aveva corso un simile rischio? Aspetta un momento! Che cos'era? Un pappamolla? Una volta raggiunta la base della costruzione, si fermò e si diede un'occhiata intorno. Nessuno sembrava prestargli attenzione. Contò fino a tre, inspirò profondamente e s'infilò nello spazio tra la lastra di cemento e la sabbia. Sulle prime, i raggi luminosi del sole che filtravano dall'apertura gli rischiararono il percorso; tuttavia, man mano che procedette, la luce si affievolì. Mentre i suoi occhi si adattavano alla penombra, avanzò cautamente a tentoni per gli ultimi metri. Poi si arrampicò passando attraverso un varco. Di nuovo, il sole gli fu amico: i suoi raggi cercavano di illuminare l'ambiente penetrando da un buco nel soffitto, alto sopra la sua testa. Si guardò
intorno, cercando di capire esattamente che cosa vedeva. Gradinate ricoperte di muschio e un palcoscenico vuoto, lampadari arrugginiti e un banco dei rinfreschi abbandonato. Poteva immaginare come doveva essere stato un tempo quel posto, pieno di spettatori allegri che applaudivano gli spettacoli messi in scena. Era straordinario pensare che adesso quell'auditorium fosse pieno dei loro fantasmi. Cominciò a scattare foto, fissando il mondo segreto che aveva scoperto. A un tratto si fermò per controllare il minuscolo display sul retro della macchina fotografica, voleva vedere se le foto venivano bene. Il flash aveva fatto il suo dovere: le immagini erano nitide. Facendosi strada tra detriti e vetri rotti, Anthony si arrampicò sulle tribune per scattare una foto panoramica dell'ambiente. Da quella posizione elevata, notò un oggetto che non riusciva a identificare che sporgeva dall'angolo del banco dei rinfreschi. Cautamente, scese giù per indagare. Sbirciò dietro il banco. Ciò che aveva visto dall'alto era l'estremità di un contenitore termico di polistirolo. Accanto c'era una coperta gialla sudicia, distesa per terra. Qualcuno vive qui, pensò. Forse il tizio in tenuta militare che aveva visto ieri. Sopra la coperta, accanto a una rivista stracciata, giaceva una giacca da sci color marrone rossiccio. Di notte, fa davvero freddo qui dentro? Si chiese stupito. Altrimenti, perché quella giacca si trovava là nel mezzo di una tale ondata di caldo? Raccolse l'indumento e infilò le mani nelle tasche, ma vi trovò solo un bigliettino bianco. I suoi occhi, ormai abituati alla penombra, vi lessero SURFSIDE REALTY in caratteri scuri, poi lo rinfilò nella tasca. Anthony scattò foto del mini-accampamento da diverse angolature, poi si fece coraggio e aprì il contenitore termico. All'interno trovò due lattine di bibite dietetiche, un'arancia e una confezione di cracker salati in un sacchetto di plastica a chiusura ermetica. C'era anche un altro pacchetto. Allungò il braccio verso quest'ultimo, lo tirò fuori e lo aprì, elettrizzato alla vista delle robuste strisce di plastica che caddero al suolo ai suoi piedi. Capitolo 74 Mentre venivano sistemati microfoni e luci, Diane chiacchierò a telecamera spenta con Owen Messinger. «Grazie per aver trovato il tempo per noi, dottore», disse. «Sono felice che siamo riusciti a sistemare la cosa.» Owen sorrise, mo-
strando un po' troppi denti, per i gusti di Diane. «La giornata è cominciata con un furto qui da noi e da allora non c'è stato un momento di pausa.» «Oh, mi dispiace», commentò Diane. «Spero che non sia stato preso niente di valore.» «A dire il vero, non potrei mai attribuire un valore monetario a quello che è stato rubato.» Indicò la libreria con un cenno del capo. «Tutti gli appunti sui pazienti che avevo conservato per uno studio clinico a cui sto lavorando.» Diane emise un mormorio. «Che sfortuna! Riuscirà a ricostruire cosa vi era scritto?» Owen aggrottò la fronte. «Non ne sono sicuro.» Passando all'intervista, Diane spiegò di che cosa avrebbero parlato, «Come le ho anticipato nel mio messaggio telefonico, dottor Messinger, Hourglass sta preparando un servizio sulle 'giovani che gridano al lupo', cioè donne che scompaiono per alcuni giorni, solo per poi ricomparire affermando falsamente di essere state rapite. In origine, ero stata inviata qui per coprire la storia di Leslie Patterson e, benché il rapimento e la morte di Carly Neath abbiano cambiato la situazione, vorremmo ancora che lei rispondesse alle stesse domande per i nostri spettatori.» «Okay», accettò il dottore, lisciandosi i capelli all'indietro. «Farò del mio meglio.» Diane guardò la troupe. «Pronti, ragazzi?» «Si gira», confermò Sammy. Diane si schiarì la voce. «Innanzitutto, dottor Messinger, gli studi sull'argomento mostrano che, benché i rapimenti in sé paiano essere in declino, i falsi rapimenti sono diventati più comuni di quanto si potrebbe sospettare. Nella maggior parte dei casi, montature di questo genere sono inscenate da donne. Che cosa sta accadendo?» «Lei ha ragione, Diane. Nonostante tutta la pubblicità e l'isterismo, il numero dei rapimenti a opera di estranei è da anni in diminuzione. Statisticamente, un bambino ha più probabilità di morire per un attacco di cuore che di essere rapito o ucciso da uno sconosciuto.» «E che cosa mi dice delle giovani che li simulano? Perché una donna fa una cosa del genere?» «Molte volte si tratta di un grido d'aiuto. Implorano attenzione. La donna può sentirsi non amata o trascurata. Invisibile, se vogliamo.» Owen prese il suo bicchiere d'acqua e bevve un sorso prima di continuare. «Sfortunatamente, quando una persona fa una denuncia falsa, danneggia la credibilità
delle vere vittime, senza aggiungere che spreca i fondi della sicurezza e spaventa il pubblico.» Diane sapeva di avere già ottenuto alcuni ottimi commenti. Accavallò le gambe e continuò. «Qui a Ocean Grove, Leslie Patterson, la prima giovane che è scomparsa, è stata sospettata di aver gridato al lupo, finché anche Carly Neath non è stata rapita. Che cosa prova una persona che sta dicendo la verità, quando la gente non le crede?» «Be', non posso fare commenti sul caso specifico di Leslie, ma può immaginare come si sentirebbe lei, Diane, non è vero? Accentuato senso di frustrazione e perfino rabbia. A ciò si aggiunge una sensazione di grande solitudine. Sai che stai dicendo la verità, eppure nessuno ti crede. Ti senti totalmente isolata e vuoi che qualcuno ti ascolti.» Dopo queste parole, il dottore fissò intensamente Diane negli occhi e lei provò un crescente disagio. Owen Messinger pareva nato per la telecamera. Le sue risposte erano succinte e interessanti, eppure c'era qualcosa in lui, qualcosa che non riusciva a identificare con precisione, ma che la infastidiva. Le ritornò in mente l'uomo di mezza età che aveva implorato la sua attenzione nel parcheggio. Larry Belcaro non aveva una gran bella opinione del dottor Messinger. Improvvisamente, Diane volle sapere perché. «Dottor Messinger, mentre eravamo giù nel parcheggio, non abbiamo potuto fare a meno di notare un gruppo di giovani donne che era appena uscito da questo edificio. Leslie Patterson era tra loro. Erano tutte sue pazienti?» «Non posso proprio dirglielo.» «Certo che no», replicò Diane. «Bene, mettiamola in un altro modo: in genere, le sue pazienti vanno via piangendo?» «Una terapia può essere dolorosa, signora Mayfield.» Capitolo 75 «Niente di nuovo dalla polizia?» chiese Diane, ritornata al furgone. Matthew emise un profondo sospiro, sollevato nel vederla. Non amava ammetterlo, ma si preoccupava per lei e anche per tutto il resto. Quello era il lavoro del produttore. Aveva corso un rischio permettendole di correre a intervistare quel terapeuta, ma non aveva voluto sembrare eccessivamente cauto. Durante l'ultima ora era rimasto là seduto con un nodo allo stomaco, pregando che non ci fossero sviluppi nel caso di Carly Neath, prima che lei tornasse. Aveva avuto la sua parte di storie «da panico», quelle in cui i det-
tagli arrivano al volo fino all'ultimo momento, quelle in cui hai poco tempo prezioso per mettere tutte le tue cartucce in fila. Non gradiva più la scarica di adrenalina. Per questo gli piaceva lavorare per Hourglass. Aveva il tempo di pianificare e rifinire i suoi servizi; al contrario, chi lavorava ai pezzi che andavano in onda il giorno stesso era sottoposto a un'incredibile pressione per via delle scadenze. Scosse la testa. «No, Diane. Adesso la polizia dice che non farà altri annunci fino a domani.» «Be', questo ci facilita le cose, giusto?» osservò lei. «Visto che non ci sono nuove informazioni, non dovremo aggiornare il pezzo. Quando andiamo in onda?» «Dopo la prima pausa pubblicitaria.» Diane guardò l'orologio. «Ottimo, abbiamo ancora una ventina di minuti.» Estrasse la sua trousse dalla borsa e cominciò a mettersi il fondotinda. «Dove concludiamo lo stand-up?» chiese. Quindici minuti dopo Diane si trovava in piedi nell'erba davanti al Beersheba Well. Il gazebo era delimitato dal nastro giallo della polizia. Non era sola. Anche i giornalisti di altri canali avevano pensato che fosse il posto ideale per concludere i loro servizi in diretta. Tutt'intorno si erano radunati gruppetti di curiosi. All'estremità opposta del prato le volontarie della Ocean Grove Camp Meeting Association avevano preparato una cena a base di fish & chips nel padiglione dell'auditorium. Helen Richey sorrideva e conversava, mentre aiutava a servire il cibo casalingo. I suoi occhi, però, continuavano a cercare Jonathan e le bambine tra i presenti. Da quando Larry Belcaro le aveva detto che non aveva incontrato Jonathan giovedì pomeriggio, Helen era un po' sollevata. Forse, dopotutto, suo marito non avrebbe potuto depositare Leslie Patterson al Beersheba Well. Tuttavia, la domanda continuava a tormentarla: che cosa significava quell'annotazione sul biglietto da visita? Jonathan inghiottì l'ultimo boccone di pesce e si pulì la bocca con un tovagliolino di carta. Detestava mangiare così presto, quando era in vacanza. Preferiva di gran lunga farsi un paio di drink o di birre fredde e poi uscire a mangiare un boccone intorno alle otto o alle nove. Sapeva, peraltro, che sarebbe stato inutile protestare con sua moglie per il fish & chips alle cinque e mezzo.
Dopo nove anni di matrimonio e tre anni insieme prima di sposarsi, Jonathan sapeva d'istinto quando Helen aveva qualcosa per la mente. Certo, era turbata perché lui aveva sviato la polizia. Eppure, cos'altro avrebbe potuto fare? Se avesse detto loro che quella notte aveva seguito Carly, senza dubbio lo avrebbero collegato alla sua scomparsa e adesso avrebbero cercato di addossargli anche la sua morte. Raccolse piatti e tovagliolini di carta e li gettò nella spazzatura. «Forza, ragazze», disse. «La mamma deve lavorare ancora per un po'. Andiamo a fare una passeggiata.» «Ci compri un gelato, papà?» chiese Sarah. «Certo», rispose Jonathan. «Mi sembra una buona idea, tesoro.» Sarah e Hannah corsero avanti, sicure della direzione in cui volevano andare. La loro gelateria preferita era il Day's Ice Cream Parlor, subito fuori dal terreno dell'associazione, sul lato opposto del Beersheba Well. «Bambine», chiamò Jonathan. «Tornate qui.» C'erano troppe persone intorno al pozzo ed Helen gli rammentava sempre quanto fosse facile che una delle loro figlie si perdesse tra la folla o fosse rapita da un estraneo. Ricordava ancora vividamente quando aveva perso Hannah al Paramus Park Mall. Quei dieci minuti passati perlustrando le corsie di Sears erano stati tra i più spaventosi della sua vita. Tenendo Sarah e Hannah saldamente per mano, si avvicinò al pozzo. «Che cosa stanno facendo, papà?» chiese Hannah, indicando le persone con telecamere e microfoni. «Servizi per i notiziari, piccola. Per la televisione», spiegò Jonathan. «Fermiamoci a dare un'occhiata, vi va?» Le sue figlie furono felici di guardare per qualche minuto, ma la promessa di un cono al cioccolato o alla fragola era per loro più importante dell'ansia di Ocean Grove amplificata dai microfoni dei giornalisti. Cominciarono a tirare il padre per le braccia, impazienti di raggiungere la gelateria. Comunque, Jonathan aveva ascoltato tutto ciò che gli interessava sentire. Capitolo 76 Dopo che lo studio di New York ebbe augurato loro la buonanotte, Diane invitò tutti a cena fuori. Tuttavia, Sammy disse che era stanco e Gary che avrebbe fatto una corsa su per la Garden State Parkway per vedere la moglie e i figli per qualche ora e sarebbe ritornato il mattino presto.
«Assicurati di essere qui per le cinque», lo avvertì Matthew. «Se salta fuori qualcosa e KTA vuole un servizio mattutino, avremo bisogno di te.» «Non ti preoccupare, Matthew. Ci sarò.» Diane e Matthew lasciarono la troupe a riporre l'attrezzatura. «Dove vuoi andare?» chiese lei, mentre svoltavano in Main Avenue. «Abbiamo mangiato italiano per due sere di fila, quindi qualcosa di diverso.» «Che ne dici della cosa più ovvia?» propose Matthew. «Pesce.» «Ottimo», convenne Diane. «Vado in albergo a rinfrescarmi e a prendere i ragazzi ed Emily. Scegli il posto e poi chiamami al cellulare, così ci vediamo là.» Calamari fritti, capesante grigliate, gamberi ripieni al forno e filetto di sogliola furono serviti fumanti e divorati avidamente. Diane notò che perfino Michelle aveva finito quasi tutto quello che aveva nel piatto. «Avevo una fame da lupo», disse Anthony, infilandosi in bocca l'ultimo pezzo di pane al mais imburrato. «L'aria di mare stimola l'appetito», osservò Diane. «O almeno, così dicono.» Gli adulti ordinarono un caffè. Michelle non volle il dolce. Anthony scattò una foto del gruppo e propose una partita a minigolf seguita da un gelato. «Ho visto un minigolf vicino al mio motel», suggerì Matthew. Tutti e cinque uscirono nel parcheggio. «Io vado con Matthew», annunciò Anthony. «Sono stufo di stare sempre con voi donne.» Quando raggiunsero il campo di gioco, Anthony suggerì che si dividessero. «Ragazzi da una parte e ragazze dall'altra», disse. «E poi i maschi dovrebbero partire prima. È sessista che comincino sempre le donne.» Diane fece del suo meglio per ignorare la fitta al cuore provata. Era evidente che Anthony voleva stare con Matthew. Quelli erano anni importanti nella vita di un ragazzo e Diane sapeva che suo figlio aveva bisogno di una presenza maschile. Era certa che Anthony sentisse disperatamente la mancanza di suo padre. Guardandolo cominciare la partita con Matthew, desiderò ardentemente che Philip fosse là con loro. Dopo la nona buca, Matthew e Anthony sedettero su una panca in attesa che il gruppo davanti a loro finisse. «Allora, ti stai divertendo quaggiù?» chiese Matthew. Anthony si strinse nelle spalle. «È okay.»
«Ma non è il Grand Canyon, eh?» «Proprio no.» Matthew lanciò in aria la sua palla da golf verde e la afferrò al volo. «Tua madre era veramente dispiaciuta di aver dovuto annullare il viaggio. Non ha potuto fare diversamente, sai. Il nostro capo l'ha costretta.» «Lo so», replicò Anthony a denti stretti. «È solo che...» «È solo che cosa?» «Niente.» Anthony si alzò dalla panca e sistemò la sua palla da golf sul tappetino di gomma. Più tardi, mentre attendevano alla fine della pista che le donne terminassero di giocare, Anthony desiderò condividere con Matthew qualcosa di diverso dai suoi sentimenti. Tirò fuori alcune strisce di plastica dalla tasca. «Guarda che cos'ho.» «Uau.» Matthew ne prese una dal palmo teso del ragazzo. «Dove le hai trovate?» «Sono manette flessibili. Manette di plastica. Ho visto i poliziotti usarle alla televisione.» «So che cosa sono, Anthony. Ti ho chiesto dove le hai prese.» Anthony tacque, incerto su cosa rispondere. Matthew era amico di sua madre e avrebbe potuto dirglielo. Era sicuro che sua madre non avrebbe approvato che lui si aggirasse per il Casino in rovina, ma fino a quel momento il Casino era la cosa migliore della vacanza. Non voleva rinunciarci e avrebbe dovuto farlo, se lei gli avesse proibito di andarci di nuovo. «Il papà di un mio amico è un poliziotto», mentì. «Ce le ha date lui.» MARTEDÌ, 23 AGOSTO Capitolo 77 OCEAN GROVE, ORA OCEAN GRAVE In attesa che iniziasse la conferenza stampa, ogni giornalista accampato davanti alla stazione di polizia leggeva il titolone dell'Asbury Park Press e l'articolo che lo accompagnava. Era passato da poco mezzogiorno, quando il commissario capo Jared Albert uscì a fare il suo annuncio, giusto in tempo per i notiziari locali. «La polizia di Neptune ha arrestato il quarantunenne Arthur Roy Tomkins in relazione alla morte di Carly Neath. Il signor Tomkins risiede in
una pensione, qui a Ocean Grove, ed è un veterano della guerra del Golfo. Si trova attualmente in stato di arresto alla Monmouth County Jail di Freehold. Domani sarà formalmente incriminato per detenzione illegale, rapimento e omicidio volontario premeditato. Ora risponderò ad alcune delle vostre domande.» Quando sentì menzionare la pensione, il giornalista dell'Asbury Park Press rizzò le orecchie. «Si tratta di una delle pensioni per malati di mente?» chiese. «Sì», rispose Albert. «Allora si sospetta che l'uomo soffra di disturbi psichici?» «Il signor Tomkins è stato curato per malattia mentale, sì.» «Quali prove collegano Tomkins alla morte di Carly Neath?» chiese Diane. «Impronte digitali.» «Può dirci di più, commissario? Dove sono state rilevate le impronte?» «No, per ora questo è tutto quello che intendo dire su tale prova.» Albert guardò in un'altra direzione. Il reporter successivo urlò. «Tomkins conosceva Carly Neath? Che legame c'era tra loro?» «Non lo sappiamo. Stiamo indagando sulla questione.» Diane pose la domanda seguente. «Pensate che Tomkins fosse coinvolto anche nel rapimento di Leslie Patterson?» «Sembrerebbe esserci un collegamento tra i due casi, ma a questo punto non siamo in grado di provarlo. Vi dirò questo», dichiarò, «oggi i cittadini di Ocean Grove e i villeggianti che sono qui con noi possono sentirsi molto più sicuri.» Capitolo 78 Com'era possibile che le cose fossero andate così storte? Era stato attentissimo nell'assicurarsi che non vi fossero impronte, ma la polizia diceva di averne. Doveva essere stato Arthur a togliere la benda e il bavaglio a Carly. Che stupido, da parte di quel poveraccio, lasciarsi delle impronte alle spalle. Non era affatto così che doveva andare. Arthur Tomkins era innocente, ma era sempre comodo addossare la colpa a un malato di mente.
Capitolo 79 «Credo che sia il caso di intervistare di nuovo Leslie», disse Diane a Matthew, quando la conferenza stampa si concluse. «Per avere i suoi commenti su tutto questo.» «Ho la sensazione che accetterà di parlare con te», replicò Matthew. «Dev'essere una bella soddisfazione per lei.» «Sai che altro dovremmo fare?» chiese Diane. «Cosa?» «Cerchiamo Arthur Tomkins su Google e vediamo se troviamo qualcosa su di lui in Internet.» Quando digitarono «Arthur Tomkins» e «Ocean Grove» sul portatile di Matthew, ottennero più di trenta risultati, ma solo uno era pertinente. Due anni prima l'Asbury Park Press aveva pubblicato una serie di articoli su ex pazienti di istituti psichiatrici residenti a Ocean Grove e Asbury Park. Arthur Tomkins era stato intervistato. Diane lesse a voce alta dallo schermo del computer. «Senza lavoro e con niente da fare tutto il giorno, il trentottenne Arthur Tomkins vaga per il lungomare fin dal mattino presto. Originario di Spring Lake, Tomkins ebbe un esaurimento nervoso al suo ritorno dalla guerra del Golfo, quando lo stress della guerra fu aggravato dal rifiuto della sua fidanzata. Dopo aver trascorso tre mesi nel reparto psichiatrico del Veteran Administration Hospital di Lyons, nel New Jersey, tornò a casa dalla sua famiglia a Spring Lake e trovò lavoro. Purtroppo sei mesi dopo fu ricoverato di nuovo in ospedale, dopo aver perso il controllo durante una messa alla St. Catherine's Roman Catholic Church e aver colpito al volto uno degli uscieri.» Diane guardò Matthew. «È una storia molto triste», commentò. Arthur era citato alla fine dell'articolo e Diane lesse le sue parole a voce alta. «Quando sono uscito dall'ospedale per veterani, questa volta, i miei genitori non hanno voluto che ritornassi a Spring Lake. In realtà, non credo di biasimarli.» Matthew prese il cellulare. «Lasciami controllare con New York per capire che cosa vogliono.» Il produttore esecutivo aveva deciso che non gli interessava un altro servizio completo sulla storia di Ocean Grove per Evening Headlines quella
sera. Poiché non c'erano video nuovi, a eccezione della conferenza stampa della polizia, lo sviluppo dell'arresto di Arthur Tomkins sarebbe stato semplicemente annunciato dalla conduttrice Eliza Blake. «Dunque siamo liberi di fare quello che vogliamo», disse Matthew, chiudendo di scatto il telefono. Diane telefonò a casa Patterson e lasciò il suo numero di cellulare, chiedendo a Leslie di richiamarla. «Chissà se e quando mi richiamerà», disse. «Che cosa ne diresti di andare in auto fino a Spring Lake? Potremmo girare qualche immagine della città che, secondo la polizia, ha partorito un assassino.» Capitolo 80 Con Sammy che puntava la telecamera fuori dal finestrino e Gary al volante, percorsero avanti e indietro i tre chilometri della Ocean Avenue di Spring Lake. All'andata, Sammy immortalò la parte non commerciale della passeggiata sul lungomare e la spiaggia immacolata. Al ritorno, l'altro lato del viale, punteggiato di ville vittoriane di forma irregolare, avvolte da verande e vasti prati. «È bellissimo qui», esclamò Diane dal sedile posteriore. L'auto svoltò a ovest e perlustrò in su e in giù le strade ben curate. Le case erano una più lussuosa e incantevole dell'altra. Nel centro della città, alcuni cigni nuotavano in un vasto lago bordato da aggraziati salici piangenti e alimentato da una sorgente. In cima alla salita, in posizione dominante sul lago, si ergeva una chiesa che somigliava in modo sorprendente alla basilica di San Pietro a Roma. «Quella è St. Catherine», disse Matthew con entusiasmo. «Il posto in cui Arthur ha steso l'usciere. Assicurati di riprenderla bene, Sammy. Poi fermiamoci da qualche parte a bere qualcosa.» Gary trovò parcheggio in centro, davanti al Deli Who's on Third. I tre uomini entrarono a comprare delle bibite, mentre Diane rimase in auto e chiamò il servizio informazioni con il cellulare. L'operatrice disse che c'era un Tomkins a Spring Lake, ne fornì il numero di telefono, ma non l'indirizzo. Diane riappese, poi chiamò la redazione di Hourglass e si fece passare Susannah. «Come va laggiù?» domandò l'archivista. «Abbastanza bene, abbastanza bene», rispose Diane. «Ma devo chiederti
un favore.» «Spara.» «Annotati questo numero e cerca a chi corrisponde», disse Diane. «Ho bisogno dell'indirizzo.» Capitolo 81 Al Medical Center della Jersey Shore University tutti i pettegolezzi riguardavano il paziente che era stato arrestato, perché ritenuto colpevole di rapimento e omicidio. La dottoressa Caroline Varga, che in genere era una donna decisa e sicura di sé, si trovava ad affrontare un dilemma: doveva riferire alla polizia quello che Arthur Tomkins aveva detto al giovane che era venuto a fargli visita, il giorno prima? Oppure quelle parole, in realtà, non significavano niente? «Okay, Shawn. Faccio sempre quello che mi dici.» Caroline aveva sentito Arthur dire quella frase, quando era ritornata nella stanza, credendo di avervi lasciato la sua penna buona. Proprio nel momento in cui si rendeva conto di averla infilata nella tasca dei pantaloni, invece che in quella del camice, e stava girandosi per andarsene, aveva udito le parole pronunciate oltre la tenda tirata. «Okay, Shawn. Faccio sempre quello che mi dici.» Sul momento, era stata felice che Arthur avesse finalmente parlato, ma adesso si chiedeva se la frase potesse avere un qualche significato importante. Era possibile che quell'uomo malato di mente prendesse ordini dal suo giovane amico? Era possibile che Shawn fosse il cervello del rapimento di due donne e della morte di una di loro? Che Arthur fosse solo una sciocca pedina che aveva eseguito le micidiali istruzioni che gli erano state date? Erano accadute cose anche più strane. O forse stava facendo di una mosca un elefante. Capitolo 82 «Che cosa dite?» chiese Diane. «Telefoniamo prima, oppure andiamo direttamente?» Matthew bevve una lunga sorsata della sua Dr. Pepper alla ciliegia. «In questo caso, voto per andare direttamente. Il figlio è accusato di omicidio, dubito che i Tomkins ci invitino, se prima chiamiamo. Se ci presentiamo
alla loro porta, non avranno il tempo di pensare. Potrebbe giocare a nostro vantaggio.» «Sì, mi pare che abbia senso», disse Diane. «Ma questo è l'aspetto del mio lavoro che meno mi piace. Mi fa sentire un avvoltoio.» Le case in mattoni e assi di legno di Washington Avenue erano graziose e ben tenute. Folti prati verdi e arbusti maturi davano l'impressione che quegli edifici si trovassero nell'entroterra, invece che a pochi isolati dalla spiaggia. L'abitazione dei Tomkins era un grande edificio vittoriano grigio con i balconi bianchi e la porta d'ingresso nera. Si ergeva su un terreno d'angolo. Tende a righe bianche e grigie coronavano le finestre. Petunie rosse e bianche fiorivano rigogliose nelle fioriere sistemate sui davanzali e nei vasi sulla veranda che circondava la costruzione. «Voglio questo posto», commentò Diane mentre l'auto accostava al marciapiede. «È una bellezza. Voglio sedermi su una di quelle sedie a dondolo di vimini e trascorrere le giornate cullandomi.» «L'apparenza inganna, giusto?» osservò Matthew. «Guardando questa casa, non ti aspetteresti proprio che il ragazzo che vi è cresciuto sia impazzito e abbia ucciso qualcuno.» La troupe smontò dall'auto. Sammy rimase in piedi sulla strada e riprese l'edificio. Diane notò che la tenda di una delle finestre al pianoterra si era mossa. «Be', sanno che siamo qui», disse. «Sarebbe bello se venissero fuori a chiacchierare con noi!» «Non sperarci», replicò Matthew. «Okay, ho abbastanza video della casa. Adesso?» Matthew considerò per un attimo la domanda di Sammy. «Perché non facciamo fare a Diane un ponte che si possa usare da qualche parte nel servizio? Diane, puoi camminare lungo il marciapiede, fermarti davanti alla casa e dire qualcosa di sufficientemente generico da poter essere inserito in seguito?» «Capito.» Annuì. «Mettimi il microfono, Gary, e dammi un paio di minuti per pensare qualche frase.» Si allontanò di mezzo isolato, componendo il testo mentalmente, poi si voltò verso Matthew e la troupe, che erano in attesa sul marciapiede poco oltre la casa dei Tomkins. «Pronti?» chiese ad alta voce. «Vai», gridò Sammy. Diane cominciò a camminare lentamente verso la telecamera e iniziò a
parlare. «Molti considerano Spring Lake la cittadina più graziosa della Jersey Shore. È anche una delle più ricche. Si respira un'aria di benessere in queste belle stradine punteggiate di grandi ville, ben tenute. Molte persone sognerebbero di crescere i propri figli in questo luogo, dove sembra non possa accadere niente di male.» Raggiungendo la residenza dei Tomkins, rallentò. «Invece, per Arthur Tomkins, che è cresciuto in questa casa in questa zona benestante, la bella Spring Lake è solo un lontano ricordo.» Diane s'interruppe. «Che cosa ne pensi?» chiese a Matthew. Lui alzò il pollice. «Controlliamo, ma credo che tu abbia fatto centro alla prima ripresa.» «Vuoi che lo faccia io?» chiese Matthew. «No», rispose Diane. «È meglio che vada io.» Salì i gradini in mattoni e suonò il campanello. Dopo un minuto, suonò ancora, poi sentì che qualcuno si avvicinava alla porta. Un uomo anziano, con una testa di capelli bianchi, vestito con pantaloni cachi accuratamente stirati e una camicia Oxford rosa a maniche corte, venne ad aprire. L'espressione sul suo volto le disse che non era benvenuta. «Il signor Tomkins?» «Sì.» «Sono Diane Mayfield di KEY News.» L'uomo la fissò con occhi blu acciaio, ma non replicò. «Mi dispiace, se la sto disturbando, signor Tomkins, ma mi chiedevo se sarebbe disposto a parlarci di suo figlio, Arthur.» «Be', signorina, lei mi sta disturbando e io non ho nulla da dirle. Adesso, per favore, se ne vada.» Diane sussultò, quando la porta le fu sbattuta in faccia. Dopo che la troupe ebbe riposto l'attrezzatura nel bagagliaio, i quattro risalirono in auto. «Pazienza», commentò Matthew, «non è la fine del mondo, se non abbiamo la testimonianza dei genitori di Arthur. Valeva comunque la pena venire quaggiù a riprendere le bellezze di Spring Lake.» Quando l'auto svoltò l'angolo, scorsero una donna in piedi sul margine del marciapiede che faceva loro cenno. Sammy fermò la vettura e Diane abbassò il finestrino posteriore. «Possiamo esserle d'aiuto?» chiese. La donna si diede un'occhiata alle spalle, in direzione di casa Tomkins, prima di protendersi verso il finestrino dell'auto. «Sono Barbara Tomkins»,
disse a bassa voce. «La sorella di Arthur.» Diane fece per aprire la portiera. «Non scenda», avvertì subito la donna. «Non ho molto tempo. Non voglio che i miei genitori sappiano che sto parlando con voi.» «Va bene», disse Diane, togliendo la mano dalla maniglia dello sportello. «I miei genitori cercano di far finta che Arthur non esista. Dicono che, se ho qualcosa a che fare con lui, posso scordarmi di vivere con loro, o perfino di vederli.» «Mi dispiace», disse Diane. «Anche a me», replicò Barbara. «Questa vicenda mi mette nella peggiore situazione possibile. I miei genitori sono anziani e non vivranno ancora per molto tempo. Senza Arthur, non hanno che me. Però, non posso abbandonare del tutto mio fratello.» Da sopra la spalla, Barbara lanciò di nuovo un'occhiata alla casa grigia, prima di continuare. «Di tanto in tanto vado di nascosto a Ocean Grove per vedere Arthur. Non spesso quanto dovrei, ma di più non oso. Gli do dei soldi e gli porto qualche vestito, ma non vuole indossare nient'altro che quella roba militare. La sua vita ha cominciato ad andare a rotoli da quando ha combattuto nella guerra del Golfo. Dio solo sa perché voglia ricordarsene in continuazione.» «Signorina Tomkins, che cosa ha pensato, quando ha saputo che suo fratello è stato arrestato per aver ucciso qualcuno?» le domandò Diane, consapevole che il tempo stringeva. «Ho pensato che avessero commesso un errore. Sono convinta che Arthur non ucciderebbe mai qualcuno. Mai. In parte, è questa la ragione per cui ha avuto l'esaurimento nervoso.» «Arthur ha ucciso durante la guerra?» chiese Diane. «Be', con me non lo ha mai ammesso, ma sospetto di sì. E, anche se non l'ha fatto, ha visto altri che uccidevano e venivano uccisi. Sarebbe sufficiente a far impazzire chiunque.» Diane annuì. «Adesso è meglio che vada», disse Barbara, allontanandosi dal finestrino ed estraendo una piccola busta dalla tasca. «Ho un favore da chiederle. Arthur là ha un amico che si prende cura di lui. Non conosco il suo indirizzo e non sono riuscita a raggiungerlo per telefono, ma qui c'è un assegno perché aiuti mio fratello in ogni modo possibile. Non oso andare a Ocean Grove e farmi coinvolgere di persona. Voi lavorate per la TV. In qualche
modo, potete rintracciarlo e consegnargli questa busta?» Diane stava per rifiutare, temendo che tale responsabilità potesse trasformarsi in un vero problema, ma poi vide il nome scritto sulla busta. Non dovrebbe essere difficile trovare Shawn Ostrander, pensò. Inoltre, recapitare la busta le avrebbe dato un'altra opportunità di interrogare il giovane. Capitolo 83 Due neri non fanno un bianco. Anche se non avrebbe dovuto succedere, Carly era morta. Era un fatto terribile. Però, se un uomo innocente avesse pagato per questo, le cose si sarebbero solo aggravate ulteriormente. Che cosa fare? Che cosa fare? Come far sapere alla polizia che Arthur Tomkins era innocente? Capitolo 84 Anna riuscì a portare a termine il turno del pranzo, benché avesse rovesciato del caffè freddo addosso a un cliente e avesse confuso le ordinazioni di altri tre. Quando arrivò la cameriera dell'altro turno, andò subito nel bagno delle signore a cambiarsi. Aprì la sacca da ginnastica di nylon e ne estrasse dei jeans e una maglietta di cotone con le maniche lunghe. Faceva troppo caldo per indossare indumenti del genere, ma lei li aveva scelti apposta. Il pomeriggio precedente, dopo la seduta di gruppo dal dottor Messinger, era andata a casa e aveva usato le forbici contro la parte interna delle proprie cosce. Lo aveva rifatto quella mattina, prima di uscire per recarsi al lavoro, e sapeva che probabilmente avrebbe dovuto farlo di nuovo anche quel pomeriggio. Ma non poteva tagliarsi ancora l'interno delle gambe, e per questo aveva portato la maglietta a maniche lunghe. Sul fondo della sacca, trovò i cerotti e le graffette che vi aveva buttato dentro prima di uscire da casa. Prese una graffetta di metallo e la raddrizzò. Con una delle estremità cominciò a graffiarsi la parte interna dell'avambraccio. Tagliarsi l'aiutava a liberarsi delle emozioni dolorose, dei sentimenti difficili da esprimere che erano bloccati dentro di lei. Tuttavia, doveva far male per funzionare. Anna premette più forte contro la propria pelle bianca e liscia.
Come aveva potuto farlo a Mr. Velvet? Per quanto cattiva fosse Leslie, lei non avrebbe dovuto sfogarsi sul suo amato coniglio. Si odiava per ciò che aveva fatto. L'estremità della graffetta scavò più a fondo nella carne, facendone uscire il sangue. Anna continuò a raschiare, finché non si sentì più calma e padrona di sé. Trasalì, udendo dei colpi alla porta. «Esco subito», disse ad alta voce. Il più velocemente possibile, applicò i cerotti ai tagli, s'infilò jeans e maglietta e gettò la graffetta nella spazzatura. Avrebbe avuto un sacco di cose da confessare al dottor Messinger durante la sua seduta di terapia individuale, quella sera. Capitolo 85 Mentre ritornavano a Ocean Grove, Diane riprese in mano la busta che la sorella di Arthur Tomkins le aveva dato e fissò il nome che vi era scritto. «Shawn Ostrander», rifletté ad alta voce. «È stato il ragazzo di Leslie Patterson, è uscito con Carly Neath e adesso scopriamo che ha un legame con Arthur Tomkins. Due vittime e il presunto colpevole.» «Un triplo comune denominatore», osservò Matthew. Diane annuì. «Agire da corrieri della sorella di Arthur ci darà una buona scusa per parlargli di nuovo.» Al servizio informazioni risultava un unico Shawn Ostrander. Poiché quando telefonò nessuno rispose, Diane lasciò un messaggio. «Sono Diane Mayfield, Shawn. Mi è stato chiesto di recapitarti una cosa. Per favore richiamami così fissiamo un orario che vada bene a entrambi.» Mentre Diane lasciava il suo messaggio, Matthew chiamava New York. I piani non erano cambiati: non dovevano preparare un pezzo per la trasmissione della sera, ma naturalmente potevano sempre girare qualcos'altro per Hourglass. «Sono le tre», disse Matthew. «Cosa ne dite di separarci per un po' e ritrovarci più tardi? Alle otto c'è un concerto estivo al Great Auditorium. Possiamo fare qualche ripresa d'ambiente, magari anche ottenere qualche commento all'arresto di Arthur Tomkins da parte dei presenti.» Diane restò in silenzio. «Naturalmente, potrei andarci da solo e farlo con la troupe. Non sei obbligata a venire, Diane.»
«No, va bene, Matthew. Non è un problema. Mi chiedevo solo se ai ragazzi e a Emily farebbe piacere venire. Non trascorro abbastanza tempo con loro.» Prima che Matthew potesse rispondere, il cellulare di Diane squillò. Era Leslie Patterson che chiamava dicendo che sarebbe stata disposta a parlare con loro, il più presto possibile. Leslie aspettava seduta su una panchina vicino all'ufficio tesserini e informazioni della spiaggia, quando il gruppetto di KEY News arrivò. Diane aveva suggerito di incontrarsi sul lungomare, sapendo che la troupe avrebbe voluto dei campi lunghi di loro due che camminavano chiacchierando, immagini che avrebbero potuto coprire l'audio nel pezzo montato. Durante la passeggiata, la conversazione tra Leslie e Diane sarebbe stata registrata mediante microfoni, nel caso in cui qualche domanda o risposta potesse risultare utile al servizio. «Cosa ne dici di fare quattro passi sul lungomare, verso Asbury Park, mentre parliamo?» suggerì Diane, quando i microfoni furono in posizione. Procedendo all'indietro, la troupe riprendeva le due donne che avanzavano. Diane avviò la conversazione. «Sai, Leslie, quello di cui non abbiamo avuto occasione di parlare l'altra volta, sabato, al gazebo dove ti hanno ritrovato, è ciò che ricordi della notte in cui sei stata liberata. Come sei arrivata fino al gazebo?» Leslie continuò a camminare, fissando il Casino che si stagliava in lontananza. «Be', ricordo che avevo mal di testa, proprio come immagino debba avere avuto Carly, se il suo assassino l'ha colpita alla testa, come ha fatto con me. Avevo le mani e i piedi ancora legati, ma lui mi ha sollevata prendendomi sotto le ascelle e mi ha trascinata via di là, qualunque posto fosse.» «Hai opposto resistenza?» chiese Diane. Leslie abbassò il capo. «No, vorrei poter dire di averlo fatto, ma no. Avevo talmente tanta paura che mi uccidesse che non ho lottato.» «Dunque, trascinava un peso morto?» «Praticamente», confermò Leslie. «Poi che cosa è successo?» Diane fissò le assi della passeggiata sul lungomare, mentre ascoltava la risposta di Leslie. «Una volta fuori da quel posto, il rumore dell'oceano si fece più forte. Ricordo che ebbi l'impressione che l'aria avesse un odore più fresco. Ma fu solo per un minuto o due, perché lui mi tirò su e mi caricò nel bagagliaio.»
«Della sua auto?» «Immagino di sì. Ero bendata, ho dovuto raggomitolarmi per starci dentro e ho sentito il portellone che si chiudeva di colpo sopra di me. Dio, è stato spaventoso.» Nonostante il caldo pomeridiano, Leslie si strofinò le braccia nude. «Posso solo immaginarlo», commentò Diane. «E poi che cosa è successo?» La giovane inspirò a fondo e continuò. «Ho capito che venivo trasportata. Sentivo che ci stavamo muovendo, però non sapevo in quale direzione.» «Per quanto tempo avete viaggiato?» «Non ne sono realmente sicura. Mi è parsa un'eternità, anche se ogni minuto di prigionia mi è sembrato lungo. Forse non è affatto passato molto tempo, prima che l'auto si fermasse e io sentissi che il bagagliaio veniva aperto.» «E poi?» Le donne avevano ormai raggiunto la fine del lungomare, il vecchio Casino era proprio di fronte a loro. Si fermarono e si appoggiarono alla ringhiera, guardando verso l'oceano, mentre la troupe scendeva per riprenderle dalla spiaggia. «Poi mi ha tirato fuori, mi ha trascinato sull'erba e mi ha depositato accanto al gazebo. Immagino che lo stesso sia capitato a Carly», rifletté Leslie. «Solo che lei non è stata altrettanto fortunata. Era già morta, quando lui l'ha lasciata là.» «Sediamoci su quella panchina per il resto dell'intervista, vuoi?» suggerì Diane. Interruppero la conversazione, mentre si accomodavano, permettendo così alla troupe di risalire dalla spiaggia e rimettersi in posizione. «Leslie, l'ultima volta che abbiamo parlato mi hai detto che chi ti ha tenuta prigioniera ti ha costretta a danzare.» «Sì?» Leslie si torse le mani in grembo. «Puoi dirmi qualcos'altro in proposito?» Leslie sospirò profondamente. «È stato orribile. Non sapere chi mi stringeva in quel modo. Ho sempre avuto sensazioni molto positive riguardo al ballo. Ricordo mio padre che danzava con me, quando ero piccola, appoggiandomi sulle sue scarpe, mentre piroettavamo per il salotto. Rammento anche quanto era bello ballare con Shawn.» La telecamera riprese Leslie mentre rabbrividiva. «Non credo che mi sentirò mai più a mio agio, ballando con un uomo.»
Diane cercò nella propria mente le domande conclusive. «È veramente terribile, Leslie, che Carly sia morta, ma questo evento ha fatto sì che la polizia ti creda; ha fatto capire a tutti che la tua storia non era inventata. Ti senti sollevata, giusto?» «Sì», mormorò Leslie a bassa voce. «Adesso mi sento meglio.» «Che cosa si prova quanto tutti pensano che tu stia gridando al lupo?» «È tremendo, semplicemente tremendo.» Gli occhi di Leslie si riempirono di lacrime. «Ma vorrei che nessuno avesse dovuto morire, perché la gente mi credesse.» Capitolo 86 Quel pomeriggio sua zia lo aveva controllato meno del solito. Da quando aveva saputo che qualcuno era stato arrestato per il rapimento di quelle donne, zia Emily sembrava molto più rilassata. Gli aveva perfino permesso di fare una passeggiata sulla spiaggia, senza chiedergli dove stesse andando. Era riuscito a raggiungere di nuovo il Casino senza alcun problema. All'interno di quell'ambiente umido e cavernoso, il minicampeggio era esattamente come l'aveva lasciato il giorno prima. Questa volta, però, Anthony si accomodò sulla sudicia coperta gialla e prese una delle bibite dal contenitore termico. Mentre beveva, lasciò vagare la fantasia, cercando di immaginare di chi fosse la coperta e chi indossasse la giacca da sci. Forse era là che quel tizio in abiti militari trascorreva il suo tempo, quando voleva starsene per conto suo. Magari, addirittura, viveva là. Anthony voleva sapere, ma aveva la sensazione che non sarebbe riuscito a scoprire niente durante il giorno. Doveva ritornare col buio. Allora avrebbe potuto vedere se qualcuno dormiva là, di notte. Anthony sgattaiolò fuori da sotto la lastra di cemento e i suoi occhi si riabituarono alla luce del giorno. Tornò indietro lungo la spiaggia, fermandosi diverse volte per raschiare la sabbia con l'alluce, sperando di trovare un granchietto o qualche altra cosa sotto la superficie. Avvicinandosi al familiare ombrellone, scorse sua madre seduta con Michelle e zia Emily, e coprì di corsa il breve tratto che lo separava da loro. «Ehi, mamma! Che ci fai qui?» chiese. «Ho una piccola pausa e ho pensato di trascorrere un po' di tempo con voi, ragazzi.» Anthony non voleva ammetterlo, ma era contento. Guardò in su verso la
passeggiata sul lungomare. «Dov'è Matthew?» chiese. «È andato al motel, ma lo vedrai di nuovo questa sera, se vuoi.» «Bene. Cenerà con noi?» «No, ci incontriamo dopo. C'è un concerto estivo. Ho pensato che sarebbe divertente, se ci andassimo tutti», disse Diane. Michelle si rigirò sull'asciugamano e si mise la mano sopra gli occhi, socchiudendo le palpebre per via del sole ancora forte. «Ooooh! Il concerto di Dave Matthews all'Arts Center?» esclamò con più entusiasmo di quanto Diane avesse notato in lei da parecchio tempo. «Ho visto un paio di volantini qui in giro e volevo proprio andarci.» «No, tesoro.» Diane si fece forza. «Pensavo alla Ocean Grove Summer Band al Great Auditorium.» Anthony non prestò alcuna attenzione alle proteste indignate di sua sorella: si stava chiedendo se il suo piano di ritornare di nascosto al Casino fosse ancora attuabile. Capitolo 87 Osservando la gente che passeggiava nel terreno della Camp Meeting Association, a Diane venne in mente Il segreto di Pollyanna, il vecchio film di Walt Disney. Benché le persone fossero vestite secondo la moda estiva del nuovo millennio, a vederle percorrere lentamente i sentieri punteggiati di strutture vittoriane si respirava un'atmosfera d'altri tempi. Nella luce della serata estiva, tutto pareva tranquillo e sicuro. Solamente il nastro giallo della polizia che ancora delimitava il gazebo denunciava il trauma che la città aveva subito. «Sono contenta che abbiano preso il responsabile», disse il primo uomo che Diane intervistò. «Ma mi dispiace che sia un malato di mente. Ciò rende la cosa ancora più triste.» «Non ho mai potuto staccare gli occhi dai miei figli. Almeno, adesso possiamo rilassarci e goderci il resto della vacanza», dichiarò una donna. «Mi dispiace dirlo, però, perché i genitori di quella povera ragazza devono essere distrutti. Non si godranno mai più una vacanza totalmente felice.» Dopo aver raccolto diversi altri commenti, Matthew istruì la troupe affinché riprendesse delle immagini panoramiche. «Quando le avete, potete andare. Vi chiamerò domani mattina, se viene fuori che dobbiamo preparare qualcosa per KEY to America.» «Allora, non dobbiamo girare, durante il concerto?» chiese Sammy.
«No, non c'è bisogno di altro materiale video», rispose Matthew. «Però, potete assistere allo spettacolo, se volete.» «No, grazie», risposero Sammy e Gary quasi all'unisono. «Perché noi dobbiamo andarci e loro no?» domandò Michelle, osservandoli mentre si allontanavano. «Perché è una cosa diversa che possiamo fare tutti insieme, come una famiglia», rispose Diane. «Non ci farà male provare.» La banda cominciò a suonare il suo repertorio di musica da villeggiatura al mare. Dopo poche battute di By the sea, by the sea, by the beautiful sea, Michelle sibilò a Diane: «Portami via di qua». «Non badare alla musica, se non ti piace», bisbigliò Diane. «Rilassati e guarda questo posto. È stupefacente.» Mastodontico era l'unica parola adatta a descriverlo. L'edificio più straordinario di Ocean Grove era grande quasi quanto un campo da football. Circa settemila persone potevano sedere sotto la sua volta di legno a incastro. L'enorme organo Hope-Jones, con le sue diecimila canne, alcune piccole come un dito umano, era installato sullo sfondo dell'ampio palcoscenico. L'acustica era perfetta. Mentre osservava il magnifico ambiente che la circondava, Diane notò uno degli uscieri presso la porta più vicina a loro. La donna che gli stava accanto, aggrappandosi al braccio della sua giacca, le parve familiare. Le ci volle un minuto per riconoscerla: era Helen Richey e non sembrava affatto contenta. Diane si girò a guardare il palco. Quando voltò di nuovo la testa verso la porta, la coppia se n'era andata. Capitolo 88 «Non sei mai contenta, vero, Helen?» sibilò Jonathan, sforzandosi di tenere bassa la voce. Avrebbe voluto gridare a pieni polmoni. Che sentissero pure tutti, che ne aveva avuto abbastanza della Ocean Grove Camp Meeting Association, che non sopportava di vivere in una tenda e che non aveva alcun desiderio di essere assolutamente sobrio tutto il giorno e tutti i giorni. «Sono qui che adempio al mio dovere nei confronti dell'associazione, mi offro volontario come usciere a uno dei loro concerti, quando ci sono almeno un centinaio di altre cose che preferirei fare, e tu non sei soddisfatta. Io ci rinuncio a renderti felice, Helen.»
Helen era lieta che fosse già abbastanza buio e che Jonathan non potesse vedere che gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime. Lo seguì, mentre percorreva a grandi passi Pilgrim Pathway, ma lo chiamò, chiedendogli di fermarsi, prima che svoltasse in Bath Avenue. Una volta arrivati alla loro strada, i vicini avrebbero potuto sentire ogni parola che dicevano. Jonathan girò sui tacchi e aspettò che lei lo raggiungesse. Helen tentò di prendergli il braccio, ma lui lo ritrasse. «Ok, adesso ti dico perché sono stata così fastidiosa e assillante.» Non riusciva a vedere l'espressione del suo volto, ma sapeva che guardava in giù verso di lei, in attesa. «È perché ho dovuto sopportare un incredibile stress.» «Quale stress?» chiese Jonathan. «Trascorri la tua estate proprio nel modo che vuoi, giusto? Se qualcuno è sotto stress, quello sono io, Helen.» «So che non ti piace qui, Jonathan», replicò lei con dolcezza. «E forse ho sbagliato a insistere che ci venissimo ogni estate. Non mi perdonerò mai, se ti ho reso così infelice da spingerti a fare una qualche pazzia.» «Di che cosa stai parlando?» Helen non resistette più. «Eri a Ocean Grove, giovedì scorso? Ho guardato nel tuo portafoglio e ho trovato il biglietto da visita di un agente immobiliare con un'annotazione sul retro che dice 'Giovedì, ore 16'.» «Perché diavolo hai frugato nel mio portafoglio, Helen?» C'era rabbia nella sua voce. «Jonathan, credimi, non ho mai, assolutamente mai, guardato nel tuo portafoglio prima d'ora. È solo che ti ho sentito mentire alla polizia dicendo che eri presente quando Carly se n'è andata, l'altra notte. E poi ho peggiorato la cosa mentendo io stessa ai giornalisti. Mi sta rodendo dentro, Jonathan.» «Allora hai frugato nel mio portafoglio?» «Non sapevo che cosa stavo cercando», balbettò. «Probabilmente solo qualcosa che mi rassicurasse, che mi confermasse che tutto era a posto.» Abbassò gli occhi. «Mi vergogno di quello che ho fatto», ammise, «ma questa è la verità.» Quando rialzò lo sguardo, la testa di Jonathan si stagliava contro il cielo notturno. Se aveva sperato che le sue scuse potessero indurlo a spiegare la presenza di quel biglietto da visita nel suo portafoglio, si era sbagliata. «Helen, non c'è bisogno che tu sappia tutto quello che faccio. Vado a fare una passeggiata», annunciò. «Devo riflettere su alcune cose.» Mentre il marito si allontanava con passo deciso lungo la strada, Helen
non aveva idea di come si sarebbe comportata in futuro. Però, sapeva che adesso doveva tornare alla tenda e dare il cambio alla signora Wilcox, che stava guardando le bambine. Jonathan poteva anche andarsene, lei no. Capitolo 89 «Tutte le lesioni autoinflitte, che siano tagli, bruciature, lividi o altro, nascono da un tentativo di alleviare il dolore», spiegò il dottor Messinger, sedendosi accanto alla libreria del suo ufficio. «Ma non ha alcun senso», disse Anna. «Farsi del male per smettere di soffrire.» Era andata a casa a cambiarsi e aveva indossato una morbida camicia di cotone che era sicura coprisse tutte le ferite. «No, non ne ha, vero? Inoltre, tagliarsi è un palliativo, Anna. Non risolve nulla.» Il dottor Messinger lanciò un'occhiata all'orologio appeso alla parete. «Fermiamoci, per ora. Ci vediamo la settimana prossima.» Anna si alzò ubbidiente. Non sapeva se essere arrabbiata o contenta. Non le piaceva il modo brusco in cui il dottor Messinger concludeva le loro sedute. Ancora una volta, proprio quando aveva la sensazione di cominciare a capire qualcosa del proprio comportamento, lui aveva annunciato che il tempo era scaduto. D'altro canto, Anna si sentiva sempre sollevata, quando le sedute terminavano. Si rendeva conto che parte della sua sanità mentale dipendeva dalla sua capacità di farsi valere. Martedì sera alle nove era troppo tardi. Voleva che il terapeuta le fissasse gli appuntamenti a un'altra ora, ma finora era stata troppo timida per dirlo. «Dottor Messinger?» «Sì, Anna?» «Volevo chiederle se avrebbe un'ora diversa per me. Vorrei venire prima.» Messinger si concentrò sui suoi appunti e non sollevò la testa. «Ne possiamo parlare la settimana prossima, Anna.» Lei incassò la sua freddezza, ma prima di uscire, indicò la libreria. «Dove sono i raccoglitori colorati?» domandò. «Ho notato che oggi ne ha adoperato uno nuovo per me, con una diversa sfumatura di verde.» «Non voglio che ti spaventi, Anna, ma qualcuno si è introdotto nel mio ufficio, durante il fine settimana. I raccoglitori sono stati rubati.» Osservò l'espressione di lei. «Vuole dire che qualcuno è in possesso di tutti gli appunti che lei ha scritto su di me?» chiese inorridita. «Un qualche
estraneo sa tutte le cose private che le ho detto?» «Anna, ti prego, cerca di non agitarti. Le mie note sono scritte in un mio particolare tipo di stenografia. Dubito che qualcuno sia in grado di decifrarle, a parte me.» Mentre camminava in direzione del parcheggio, Anna si chiese se sarebbe mai guarita. Ormai andava dal dottor Messinger da più di due anni e, benché lui dicesse che faceva progressi, lei non aveva visto alcun miglioramento per quanto riguardava i tagli o l'ossessivo controllo del cibo che mangiava. Inoltre, si sentiva terribilmente a disagio con quella terapia della lametta che lui insisteva a usare durante le sedute di gruppo. Aveva osservato che prendeva un sacco di appunti durante quegli incontri e ciò le dava sempre la sensazione di essere studiata, invece che curata. Adesso, poi, i suoi appunti su di lei erano spariti. Si sentiva violata. Era forse un segno di qualche tipo? Doveva cominciare da capo con qualcun altro? Immersa nei suoi pensieri, gettò la borsa all'altra estremità del sedile accanto al suo della vecchia Crown Victoria blu di suo padre. Poi si allacciò la cintura e con attenzione tirò fuori l'enorme auto dal parcheggio. Era essenziale concedere un certo distacco a quel rottame mangiabenzina, in modo che Anna non sospettasse di essere seguita. I dettagli del piano non erano più precisi di quanto lo fossero stati per Carly, venerdì sera. Esattamente dove e quando si sarebbe presentata l'opportunità di rapire Anna non era chiaro, ma la sua destinazione finale, quella sera, era certa. Anna si ricordò che il McDonald's più vicino era in Main Street a Asbury Park, così guidò in quella direzione. Si avviò al Mac Drive, lesse tutte le proposte elencate nel colorato tabellone del menu e fece una smorfia di disgusto alla vista di così tante scelte ad alto valore calorico. Il cliente dietro di lei suonò il clacson. Ci stava mettendo troppo. Ansiosa e tesa, allontanò l'auto dalla fila senza fare l'ordinazione e andò a parcheggiare. Cercò di ricomporsi. Se voleva guarire, doveva cercare di seguire le istruzioni del terapeuta. Come poteva incolpare il dottor Messinger per la sua mancanza di progressi, se non provava davvero a seguire le sue indicazioni? Doveva entrare là dentro, comprare un Big Mac e cercare di mangiarne un po'. Risoluta, Anna scese dall'auto e attraversò il parcheggio.
Da fuori, vedeva Anna attraverso la vetrina di cristallo. Poveretta. Nella luce vivida del locale, appariva così angosciata; aveva gli angoli della bocca rivolti all'ingiù in un espressione preoccupata, mentre faceva la fila guardando in alto, verso il tabellone del menu. Il parcheggio era quasi pieno, ma la maggior parte dei veicoli era vuota. I pochi clienti che avevano scelto di mangiare in auto erano concentrati sullo scartare e consumare le proprie scelte. Fu piuttosto semplice avvicinarsi alla vecchia vettura blu, aprire la portiera che non era chiusa a chiave e sistemarsi sul sedile posteriore. Capitolo 90 «From sea to shining sea.» Il pubblico cantò l'ultima canzone del concerto insieme alla banda, poi cominciò a uscire ordinatamente dall'edificio. «Bello, no?» chiese Diane al suo gruppo, una volta fuori. «Be', certamente salubre», commentò Matthew. «Come una cosa d'altri tempi», disse Emily, mentre Michelle e Anthony alzavano gli occhi al cielo. Diane estrasse il cellulare dalla borsa e controllò se c'erano messaggi. «Ancora niente da Shawn Ostrander», disse. «Sento che dovremmo veramente recapitargli quella busta da parte della sorella di Arthur Tomkins. Chissà che decisioni stanno prendendo sul patrocinio legale di Arthur. Shawn dovrebbe sapere che ha le risorse necessarie per la sua difesa.» «Sai cosa potrei fare?» disse Matthew. «Prima di ritornare al motel, potrei recarmi in auto allo Stone Pony e vedere se stasera Shawn lavora al bar. Gli consegno il denaro e sento che cosa ha da dire su tutto quello che è successo.» «Sì, se non ti dispiace. Sarebbe perfetto», disse Diane. «Vedi se lo convinci a farsi intervistare domani.» Anthony s'intromise. «Mamma, posso andare con Matthew?» «Non credo che sia una buona idea, Anthony.» «Perché no? Non ho nient'altro da fare. È sempre meglio che ritornare in quel vecchio posto dove stiamo.» «Lo Stone Pony è un bar, Anthony. Non è un posto per ragazzini.» «Aspetterò in auto. Con le portiere bloccate. Lo prometto, mamma. Matthew non ci metterà molto, giusto, Matthew?» Diane guardò il suo produttore. «Che cosa ne pensi?» chiese.
«Per me non è un problema, Diane, se per te è okay.» «Va bene, Anthony, ma non infastidire Matthew. E vieni a salutarmi, quando ritorni in albergo.» Capitolo 91 Anna scivolò di nuovo sul sedile del guidatore. Trattenne il fiato, mentre apriva il sacchetto di carta e scartava il Big Mac. Puoi farcela, pensò. Si guardò intorno, per controllare se qualcuno la osservava dalle auto parcheggiate, ma nessuno sembrava prestarle attenzione. Cercò di evitare che l'odore la dissuadesse dal portare il Big Mac alle labbra. Si costrinse a non pensare al proprio corpo e a che cosa potesse fargli un cibo del genere. Aveva appena trovato il coraggio di dare il primo temuto morso, quando un braccio si levò dal sedile posteriore e le sbatté qualcosa di duro e pesante su un lato della testa. Capitolo 92 «Questa sera non è venuto», gridò il barista per farsi sentire al di sopra della musica. «Mi ha chiamato, chiedendomi di coprire il turno per lui. Deve aiutare quel tizio malato di mente con cui sta sempre insieme.» Matthew fu tentato di lasciare la busta al barista, ma ci ripensò. Doveva essere consegnata direttamente a Shawn. Inoltre, così avrebbero avuto un'altra scusa per mettersi in contatto con lui, l'indomani. Magari sarebbe stato più propenso a concedere loro un'intervista, se avevano appena fatto un favore a lui e ad Arthur Tomkins. Ascoltando il gruppo che suonava, Matthew desiderò potersi fermare a bere una birra, ma con Anthony che aspettava fuori era impossibile. Uscì dal locale e andò direttamente all'auto. Anthony, come promesso, si era chiuso dentro. L'auto accostò al marciapiede, davanti al Dancing Dunes Inn. Anthony, che teneva un cono gelato al butter pecan parzialmente mangiato in una mano, aprì la portiera del passeggero con l'altra. «Grazie, Matthew. È stato più divertente che starmene con mia madre, mia sorella e mia zia.» «Nessun problema, Anthony. Ci vediamo domani. Magari ci facciamo un altro giro a minigolf, domani sera.»
«Fantastico.» Anthony salì i gradini di legno che conducevano alla veranda dell'albergo, poi si voltò e rimase a osservare Matthew che si allontanava in auto. Quando i fanalini di coda rossi scomparvero dietro l'angolo, gettò il cono a terra, ridiscese gli scalini, attraversò la strada e corse giù per la passeggiata sul lungomare. Capitolo 93 La testa le martellava. Anna cercò di aprire gli occhi, ma qualcosa vi era premuto stretto contro. Tentò di raddrizzarsi e sollevare il capo, ma ricadde contro il sedile dell'auto. Dov'era? Che cosa era successo? Cercò di concentrarsi: il Big Mac, l'auto nel parcheggio, il primo boccone, poi un dolore lancinante. Intuiva che si trovava in un veicolo, diretto da qualche parte. Al di sopra del sommesso ronzio dell'aria condizionata, sentiva altre vetture che sfrecciavano loro accanto. Era nell'auto di suo padre, realizzò: riconosceva il battito in testa del motore e sentiva ancora l'odore del Big Mac. Anna volle gridare aiuto, ma qualcosa le tagliava gli angoli della bocca, rendendole impossibile urlare. Il veicolo si fermò. Udì il rumore della chiavetta che veniva estratta dall'accensione. La portiera del guidatore si aprì e si richiuse. Uggiolò dietro il bavaglio, quando avvertì lo scatto dello sportello accanto a lei che si spalancava. Due mani la presero da sotto le ascelle, la sollevarono dalla sua posizione afflosciata e la trascinarono fuori dall'auto. Capitolo 94 Pensando che Anthony potesse essere tornato ed essersi dimenticato di andarla a salutare, Diane attraversò il corridoio e bussò alla porta della sua stanza. Non ottenendo risposta bussò un po' più forte. Ancora niente. Provò a girare la maniglia e si rese conto che la porta era chiusa a chiave. Ritornò in camera sua. «Non è ancora tornato», disse a Emily. «Probabilmente sono andati a mangiare una pizza o roba del genere.» Emily ansimò, mentre faceva i suoi addominali. «Dai, smettila di preoccuparti.»
Capitolo 95 Anthony cominciava a essere stanco. Sapeva anche che non poteva restare ancora a lungo: sua madre l'avrebbe ucciso, se avesse scoperto che era entrato là dentro. Se il proprietario della coperta e del contenitore termico non fosse arrivato presto, avrebbe dovuto andarsene. Sperava di riuscire a raggiungere la sua stanza, spogliarsi e mettersi a letto prima che sua madre se ne accorgesse. Avrebbe dovuto cercare di svignarsela di nuovo l'indomani sera. Ancora cinque minuti, pensò seduto sul pavimento con le ginocchia al petto, intento ad ascoltare l'oceano dall'altro lato del muro del Casino. Un fruscio interruppe il rombo sommesso dell'acqua, ma Anthony non riuscì a capire che cosa l'avesse causato o da dove venisse. Fu grato al raggio di luna, unica fonte d'illuminazione, che penetrava dal tetto danneggiato. Si alzò, deciso a rinunciare per quella notte, quando scorse una luce che avanzava a scatti verso di lui. Anthony, dal suo nascondiglio, cercò di vedere chi reggesse quella torcia. MERCOLEDÌ, 24 AGOSTO Capitolo 96 «Non dovrebbero metterci così tanto.» «Rilassati, Diane. Non c'è niente di cui preoccuparsi», disse Emily, ripiegando il copriletto. «Be', è mezzanotte passata. Ormai dovrebbero essere ritornati. Faranno bene a darmi una spiegazione», replicò Diane risoluta. «Chiamo Matthew al cellulare.» «Anthony non gradirà che lo controlli», commentò Emily, sprimacciando il cuscino. «Penserà che lo tratti come un bambino. Lo metterai in imbarazzo.» «Peccato!» Diane trovò il cellulare nella borsa e digitò il numero. Il telefono squillò cinque volte, poi udì la voce di Matthew. «Salve, sono Matthew Voigt. Lasciate un messaggio e vi richiamerò.» «Matthew, sono Diane. Solo per sapere come va con Anthony. Forse siete usciti a mangiare qualcosa. Probabilmente adesso siete sulla via del ritorno, in ogni caso richiamami.»
Allo Stone Pony, Matthew sorseggiava una Rolling Rock e batteva il piede al ritmo della musica. Il chiasso della band che suonava a tutto volume coprì lo squillo del cellulare. Capitolo 97 Nascosto dietro le tribune, Anthony guardava affascinato, senza capire precisamente che cosa stesse vedendo. La più massiccia delle due figure aveva posato la torcia sulla coperta e, poiché la luce giallastra risplendeva vicino al suolo, Anthony distingueva la parte inferiore dei corpi più chiaramente di quella superiore. Le caviglie più magre che avesse mai visto erano sopra la coperta. Che appartenessero a un bambino? Accanto ai nudi polpacci da uccellino c'era un altro paio di gambe coperto da pantaloni larghi. Anthony trattenne il respiro, quando le gambe coperte si avvicinarono a quelle nude. Poi entrambe cominciarono a oscillare da un lato all'altro all'unisono. Avanti e indietro, da destra a sinistra, i corpi si muovevano ritmicamente. Ipnotizzato, anche Anthony cominciò a dondolare dolcemente, ma poi capì: tutti e tre i corpi nel Casino immerso nella penombra si muovevano al ritmo del flusso e riflusso delle onde dell'oceano. L'oceano. Era a pochi metri di distanza, oltre il muro, ma avrebbe anche potuto essere all'altro capo del mondo. L'eccitazione di Anthony si stava trasformando in ansia. Quella danza, se così si poteva definire, gli stava facendo venire la pelle d'oca. Voleva uscire di là e ripercorrere il più velocemente possibile la passeggiata lungomare. L'albergo di cui si era lagnato un paio di ore prima, di colpo gli pareva il posto più piacevole della terra. Il suo letto, le lenzuola pulite, una doccia calda, sua madre. Capitolo 98 La band completò il suo set. Matthew estrasse dal portafoglio un paio di banconote e le posò sul banco. Buttò giù le ultime sorsate della sua terza birra e uscì dallo Stone Pony. L'aria della notte era mite, un sollievo dal calore impietoso del giorno. Matthew aveva un mezzo sorriso sulle labbra, si sentiva bene. Era soddisfatto della sua giornata e del lavoro che stava facendo, anche se gli dispiaceva che quella che per lui era una storia così buona spezzasse il cuore
a tante altre persone. Attraversò la strada e camminò verso sud, lungo l'oceano, dirigendosi alla sua auto che scorgeva vicino a quel vecchio Casino. Inciampò su una bottiglia vuota che giaceva per terra, ma riuscì a mantenere l'equilibrio e proseguì. Quando raggiunse l'auto, gli caddero le chiavi, le raccolse e trafficò per aprire la serratura. Finalmente aprì la portiera e salì, notando a malapena la Crown Victoria blu scura parcheggiata proprio dietro di lui. Capitolo 99 Alla luce della torcia, le due sagome rallentarono e alla fine il loro movimento ritmico s'interruppe. Una delle due si inginocchiò davanti all'altra, e Anthony vide che le braccia rivestite da una giacca da sci si protendevano verso le fragili caviglie nude e vi avvolgevano intorno qualcosa. Manette flessibili, capì Anthony, mentre il suo cuore accelerava. Adesso, con mani e piedi legati, la minuscola figura si ripiegò su se stessa, come una bambola di pezza, e alla fine giacque immobile sulla coperta. Alla scarsa luce che la torcia emanava all'altezza del suolo, Anthony riuscì a vedere per la prima volta la testa della ragazza. Un nasino spuntava tra la benda e il bavaglio. Sentì in bocca il sapore del suo gelato al butter pecan: il contenuto del suo stomaco sottosopra cercava con violenza di uscire. Questo non era uno scherzo. Doveva andarsene di là. Doveva cercare aiuto. Capitolo 100 Matthew stava entrando nel parcheggio del motel, quando sentì squillare il cellulare. «Grazie al cielo», disse Diane. «Ti ho chiamato un sacco di volte. Dove siete, ragazzi?» Ragazzi? Matthew pensò di aver sentito male. «Sono appena ritornato al motel.» «E Anthony?» Se Matthew era su di giri, la domanda di Diane lo fece ritornare immediatamente in sé. «Dovrebbe essere in albergo con te.» «Be', non c'è.» «Diane, te lo giuro, l'ho lasciato là poco dopo le undici. Hai controllato
in camera sua?» «Certo», tagliò corto lei. «Non c'è.» «Arrivo subito», disse Matthew, riportando in strada l'auto. Capitolo 101 «Michelle.» Diane scosse la figlia per le spalle. «Michelle, svegliati.» «Cosa?» Le palpebre di Michelle si socchiusero appena. «Sai dove sia andato Anthony?» «Immagino che sia in camera sua.» Richiuse gli occhi. «Michelle, per favore. Svegliati e ascoltami.» Michelle si appoggiò a un gomito. «Va bene, sono sveglia», disse strofinandosi gli occhi. «Matthew dice di aver lasciato qui Anthony un'ora fa, ma non è nella sua stanza. Hai idea di dove sia?» «No, ma non mi preoccuperei, mamma. Sai che razza di sciocchino sia.» «Be', è il mio sciocchino e sono preoccupata, Michelle», ribatté Diane. «Non credo che tu ti renda conto di quanto potrebbe essere seria la faccenda.» Diane ed Emily erano nella hall che parlavano con Carlos, quando arrivò Matthew con un'espressione tetra in volto. «Carlos dice di non aver mai visto entrare Anthony», gli riferì Diane. «Sì, sono stato qui la maggior parte della serata a sbrigare delle carte», spiegò. Matthew si avvicinò a Diane. «Non voglio allarmarti inutilmente», disse, «ma penso che, visto tutto quello che è successo in questa città, dovremmo chiamare la polizia.» «L'ho già fatto», replicò lei. Capitolo 102 La polizia aveva due auto di pattuglia ed erano state entrambe assegnate. Una era a casa di Anna Caprie, dove gli agenti stavano raccogliendo le dichiarazioni dei suoi sconvolti genitori, e l'altra stava recandosi all'ufficio del suo terapeuta. Nel caso saltasse fuori che l'edificio o il parcheggio erano la scena del delitto, era importante arrivarci al più presto. Le telefonate a casa e all'ufficio di Owen Messinger non avevano ottenu-
to risposta. Secondo Bill e Angela Caprie, la figlia si era recata al suo appuntamento serale settimanale per la terapia. L'ultima volta che l'avevano vista era stato alle otto, quando era uscita di casa. Per timore che potesse trattarsi di un seguito dell'incubo che aveva scosso Ocean Grove, il commissario capo Albert fu informato a casa. Non appena arrivò alla centrale, giunse la telefonata di Diane Mayfield. Consapevole dell'importanza del rapporto con i media, il capo della polizia decise di parlarle di persona. Con voce calma le assicurò che avrebbe inviato una pattuglia al Dancing Dunes Inn non appena possibile, ma evitò di comunicarle che un'altra donna di Ocean Grove era scomparsa... una donna che non poteva essere stata rapita da Arthur Tomkins, il quale si trovava in prigione. Capitolo 103 E se nessuno gli avesse creduto? Se nell'arco di tempo che avrebbe impiegato a uscire dal Casino e correre all'albergo, se prima che fosse riuscito a chiamare aiuto, la persona che indossava i guanti e la giacca da sci col cappuccio se ne fosse andata, portandosi dietro la ragazza legata e imbavagliata? Per sicurezza, Anthony decise di procurarsi una prova. Calcolò la distanza che separava il suo nascondiglio dal passaggio che gli avrebbe permesso la fuga. Non era lontano e lui era veloce. Poteva scattare una foto e correre, riuscendo a scappare prima di essere preso. Fece scivolare la macchina fotografica fuori dalla tasca e se la mise davanti agli occhi. Inquadrò il soggetto nello schermo LCD meglio che poteva, vista la scarsa luce. L'immagine era sgranata, ma sapeva che quando fosse scattato il flash le due figure sarebbero risultate nitidissime. Anthony voleva immortalare il volto. Consapevole di avere solo una possibilità, aspettò che la persona con la giacca da sci si voltasse verso di lui. Capitolo 104 Gli agenti di pattuglia trovarono deserto il parcheggio presso l'ufficio del dottor Messinger. L'edificio stesso era chiuso e tutte le finestre erano buie. Alla centrale, il commissario capo Albert ascoltò il rapporto del suo uomo attraverso la radio. Era certo che Arthur Tomkins non aveva rapito
questa vittima e adesso si chiedeva se non fossero errati anche i suoi precedenti sospetti su Shawn Ostrander. Forse le statistiche che dicevano che ex mariti e fidanzati erano spesso i colpevoli lo avevano convinto a tal punto che aveva automaticamente guardato in direzione di Shawn. Però, non poteva sentirsi troppo in colpa: la cosa aveva senso, soprattutto visto che non una bensì due vittime erano uscite con quel ragazzo. Sia Leslie Patterson che Anna Caprie erano pazienti di Owen Messinger. Poteva essere stato il terapeuta a rapirle? Ma Carly Neath come s'inseriva in tale scenario? Il commissario capo Albert non aveva risposte alle domande che gli turbinavano per la mente, ma ne aveva bisogno e in fretta, prima che morisse un'altra ragazza. Sia dal punto di vista psicologico che economico, Ocean Grove non poteva sopportare un'altra tragedia. Dovevano entrare in casa di Messinger. Se il buon dottore non avesse permesso loro di dare un'occhiata, avrebbero dovuto svegliare un giudice per ottenere un mandato. Capitolo 105 Mentre guardava le sue figlie che dormivano, Helen ebbe la sensazione che il mondo le stesse crollando addosso. Jonathan non era ancora rientrato. Ogni minuto che passava era sempre più terrorizzata, convinta che avesse qualcosa a che fare con la scomparsa di Leslie Patterson e di Carly, e la successiva morte di quest'ultima. Ciò avrebbe reso l'uomo che credeva di conoscere così bene, l'uomo con il quale aveva avuto due figlie, l'uomo al quale aveva promesso di essere fedele «finché morte non ci separi»... un assassino. Non sapeva nemmeno con certezza se voleva che ritornasse o meno. Non sapeva di che cosa sarebbe stato capace, se lo avesse affrontato. Avrebbe potuto fare del male a lei, oppure ancora peggio alle bambine? D'altro canto, non riusciva nemmeno a convincersi a chiamare la polizia. Che Dio la perdonasse, lo amava ancora e non voleva essere lei ad accusarlo. Il pollice di Hannah s'infilò nella sua piccola bocca e Helen automaticamente lo tirò fuori, poi coprì le gambe grassottelle di Sarah con il lenzuolo di cotone. Questi preziosi angeli erano così giovani, così innocenti. Come avrebbe spiegato loro quello che il loro padre aveva fatto?
Capitolo 106 La persona con la giacca da sci aprì il contenitore termico di polistirolo, ne prese una lattina, tolse il bavaglio alla ragazza e la costrinse lentamente a mandar giù la bibita dietetica. Anthony la sentiva tossire, soffocandosi con il liquido. Tenendo ferma la macchina fotografica, aspettò l'occasione, ma la figura non alzò mai lo sguardo. Invece, teneva il capo piegato, come se studiasse l'interno del contenitore. Anthony trattenne il respiro, maledicendo se stesso: sapeva di averne spostato il contenuto. La persona se n'era accorta? Il coperchio del contenitore si chiuse di scatto e la testa guardò in su, scrutando proprio in direzione di Anthony. Capitolo 107 «Carlos, potresti per favore usare la tua chiave per aprirci la stanza di Anthony?» chiese Matthew. «Magari troviamo qualcosa che ci potrebbe aiutare a capire dove è andato.» «Perché non ci ho pensato?» chiese Diane. «Perché in questo momento sei una madre e non una giornalista che fa indagini, Di. Non essere troppo dura con te stessa», le rispose Emily. Diane, Matthew, Emily e Carlos affollarono la stanza decorata alla marinara; Diane sospirò alla vista del letto intatto. La camera era abbastanza ordinata, risultato delle pulizie fatte durante il giorno dalla cameriera dell'albergo. Il costume da bagno di Anthony giaceva sul pavimento, dove l'aveva lasciato cadere, quando era ritornato dalla spiaggia quel pomeriggio. Diane lo raccolse. Era ancora umido. Matthew si avvicinò al cassettone. Sul ripiano c'era un beauty di pelle con impresse le iniziali di Anthony; conteneva spazzolino, dentifricio e una piccola confezione di deodorante. Diane ricordò la gioia di suo figlio quando due anni prima aveva ricevuto quel kit Dopp come regalo di compleanno. Era così orgoglioso di averne uno identico a quello di suo padre. Philip. Oh, Dio, perché Philip non può essere qui, adesso? Aveva bisogno di lui, ma con decisione allontanò il pensiero del marito dalla propria mente. Non c'era niente che potesse fare dal posto in cui si trovava. Spettava a lei mantenere la testa sulle spalle e trovare loro figlio. «Posso?» chiese Matthew afferrando le maniglie del cassetto superiore. «Fa' pure.» Annuì Diane.
All'interno c'erano della biancheria intima e due paia di calzini. Il cassetto sottostante era pieno di magliette e pantaloncini; quello più in basso conteneva un Game Boy e un mare di cartucce. «Qui non sembra esserci niente che possa servirci», disse Matthew, mentre rovistava. Diane si sentì cadere le braccia. «Aspetta un attimo.» Matthew prese una cartuccia, diversa dalle altre. «Questa non è per il Game Boy. È una compact flashcard.» Diane lo fissò con occhio assente. «È per la macchina fotografica digitale. Memorizza le fotografie. Con la macchina fotografica di Anthony possiamo vedere che cosa c'è dentro.» Matthew cercò più in fondo nel cassetto. «Non è qui», disse Diane con voce tetra. «L'aveva con sé questa sera, al concerto.» «Va bene», disse Matthew. «Non ti preoccupare. Questa card entra in una delle slot del mio portatile.» S'incamminò verso la porta. «È al mio motel. Vado a prenderlo.» «Aspettate un attimo», intervenne Carlos. «Non ce n'è bisogno. Il mio portatile è giù da basso. Andiamo a infilarci dentro questa signorina. Con pochi clic del mouse, vedremo tutte le foto che Anthony vi ha memorizzato.» Capitolo 108 Anthony sapeva che quando sarebbe scattato il flash, avrebbe dovuto mettersi a correre come un razzo. Costringendosi a restare calmo, premette il pulsante a metà per definire la messa a fuoco e l'esposizione. Quindi inspirò e lo premette fino in fondo per scattare la foto. Ecco il flash. Con un unico movimento fluido, Anthony si girò e scattò via, tenendosi stretta la macchina fotografica. Sapeva di essere inseguito, ma sapeva anche di avere il vantaggio della sorpresa e la velocità della gioventù dalla sua parte. Aveva quasi raggiunto l'apertura che l'avrebbe condotto fuori in spiaggia, quando inciampò su una lattina arrugginita. Capitolo 109 Al Dancing Dunes, il gruppo era riunito intorno al banco della reception. Carlos stava infilando la memory card in una slot del suo portatile, quando
Kip entrò di slancio dalla porta d'ingresso. «Uau, questa sera saltava perfino il locale, al Club Paradise», disse senza fiato. «Carlos, avrei dovuto insistere perché venissi con me ad Asbury Park, invece che startene qui a occuparti di quelle deprimenti scartoffie.» Kip si interruppe di colpo notando le espressioni preoccupate dei loro volti. «Che cosa c'è? Cosa è successo?» Carlos gli spiegò che Anthony era sparito. «Santo cielo, no.» Kip si fece subito serio. «Cosa sta accadendo in questa città? Ritornando a casa mi sono fermato al 7-Eleven per comprare un quarto di panna per la colazione di domani e ho sentito dire che questa sera è scomparsa un'altra ragazza.» Capitolo 110 Quando cadde in avanti, la macchina fotografica gli scivolò di mano. Cercò freneticamente di rialzarsi, mentre scrutava l'area immersa nel buio. Eccola là. Ecco il blocchetto di metallo lucente che conteneva la prova di ciò a cui aveva appena assistito. Impiegò solo un secondo per piegarsi a raccoglierla, ma fu sufficiente perché la persona con la giacca da sci lo raggiungesse e lo afferrasse per la caviglia. Capitolo 111 Quando la polizia arrivò a casa di Owen Messinger, non c'erano luci accese alle finestre. Dopo che gli agenti ebbero suonato il campanello e bussato ripetutamente, la luce della veranda anteriore si accese e il terapeuta venne alla porta. «Sì?» chiese, stringendosi la cintura della vestaglia e sbattendo le palpebre, mentre i suoi occhi si abituavano alla luce. «Che cosa c'è?» «Il dottor Messinger? Il dottor Owen Messinger?» «Sì.» «Ci risulta che una giovane di nome Anna Caprie è vostra paziente.» «È corretto.» «E che aveva un appuntamento con lei, questa sera.» «Sì», rispose Owen. «Che cosa c'è? È successo qualcosa?» «La signorina Caprie non è ritornata a casa e i suoi genitori sono preoccupati. Non le dispiace se entriamo a dare un'occhiata, vero, dottor Mes-
singer?» «Questo è ridicolo, ma certo, entrate pure, perché no? Non ho niente da nascondere.» Owen si fece da parte lasciando passare i poliziotti. Perquisirono le stanze, di sopra e da basso, aprendo le porte degli sgabuzzini, controllando dietro la tenda del bagno e sotto i letti, poi ritornarono nell'ingresso. «Soddisfatti?» domandò il dottore con tono sarcastico. Mai si sarebbe aspettato che gli chiedessero di accompagnarli all'esterno e di aprire il bagagliaio della sua auto. Capitolo 112 «Chi sa che sei qui?» Anthony si fece piccolo per la paura, cogliendo la disperazione nella voce della persona che lo aveva catturato. Non sapeva se dire la verità, cioè che nessuno sapeva dov'era, avrebbe migliorato o peggiorato la sua situazione, così non rispose. «A chi hai detto di questo posto?» Di nuovo, Anthony non aprì bocca. «Okay, ragazzino, fa' come vuoi.» Fissando l'affilato pezzo di metallo scintillante che gli si avvicinava, Anthony ritrovò di colpo la voce. Capitolo 113 Con pochi clic Carlos fece apparire sullo schermo la prima delle foto. La memory card conteneva immagini scattate prima che la famiglia si recasse a Ocean Grove e altre di amici di Anthony, alcuni scorci immediatamente riconoscibili di Central Park, nonché un paio di foto di un barbone che talvolta si accampava sulla Settantaquattresima Strada, finché la polizia non l'aveva costretto a sloggiare. Diane riconobbe se stessa nella foto che Anthony aveva scattato la sera prima che partissero. Trasalì al ricordo di averlo rimproverato, seccata per il fatto che avesse portato l'apparecchio fotografico a cena. «Perché non saltiamo direttamente a quelle che ha fatto qui a Ocean Grove?» suggerì Matthew. Anthony si era tenuto occupato, immortalando i ragazzini in spiaggia che cavalcavano le tavole da surf, facevano volare gli aquiloni e costruiva-
no castelli di sabbia. C'erano primi piani di minuscoli granchi e di un pesce sventrato. Diane sorrise contro la sua volontà, vedendo l'immagine di una ragazza adolescente a cui si era slacciato il reggiseno del costume da bagno a causa di un'onda violenta. «Un momento», disse, quando Carlos fece apparire la foto successiva. «Che cos'è quello?» Un uomo rannicchiato sulla sabbia riempiva lo schermo. «Puoi zoomare, in modo che vediamo meglio?» chiese Matthew. Pochi altri clic permisero di distinguere chiaramente il profilo dell'uomo, e la giacca militare lo identificò. «Quello è Arthur Tomkins», commentò Diane. «Lo riconosco dalla foto che c'era sull'articolo dell'Asbury Park Press. Che cosa stava facendo Anthony? Dove ha scattato questa foto?» Emily intervenne. «Ha fatto delle passeggiate lungo la spiaggia. So che voleva allontanarsi da noi ragazze, così l'ho lasciato andare per un po'. Deve avere fatto la foto durante uno dei suoi giri.» Seguirono altre immagini della spiaggia e poi la panoramica di un edificio di mattoni abbandonato e fatiscente. «Quello è il Casino», disse Carlos, prima di continuare a cliccare. Immagini di un mondo spettrale si susseguirono sullo schermo. Un palcoscenico vuoto, tribune ricoperte di muschio e lampadari arrugginiti. Poi una foto del banco dei rinfreschi abbandonato. «Anthony deve essere entrato nel Casino», osservò Kip. «Ricordi quella volta che ci siamo introdotti là dentro di nascosto per vedere com'era, Carlos?» «Sì, è proprio là, giusto.» Carlos passò allo scatto successivo. Sullo schermo apparve una coperta gialla, con sopra una rivista stracciata e una giacca da sci rosso scuro, accanto a un contenitore termico di polistirolo. «Foto dopo», richiese Matthew. Il contenitore era aperto: dentro c'erano un paio di bibite, un'arancia e una scatola di cracker. C'era anche un pacchetto. «Puoi zoomare su quello, Carlos?» Matthew emise un fischio sommesso. «Ecco dove le ha prese», esclamò. «Preso cosa?» chiese Diane bruscamente. «L'altra sera, quando stavamo giocando a minigolf, Anthony mi ha mostrato un set di manette flessibili: mi ha detto di averle avute dal padre di un suo amico, che fa il poliziotto.» Diane scosse il capo. «Non ha amici con padri poliziotti.»
«Okay, dunque adesso sappiamo che Anthony è stato all'interno del Casino. Ma chi ha lasciato là quelle manette flessibili?» rifletté Matthew a voce alta. Per Diane, qualcosa non quadrava. «Non riesco a ricordare», disse. «La polizia ha detto che Leslie e Carly sono state legate con manette flessibili?» Matthew aggrottò la fronte, ripensando alla conferenza stampa. «No, non ricordo di averlo sentito, ma ciò non significa che non sia così. La polizia potrebbe aver preferito non rendere pubblico un simile dettaglio.» «Eppure», commentò Diane, «la cosa non mi piace.» Studiò di nuovo lo schermo del computer, prima di avanzare un'altra richiesta. «Puoi ritornare alla foto precedente, quella della coperta con sopra la giacca da sci e la rivista?» Carlos eseguì. «Adesso puoi zoomare sulla rivista? Vedi se puoi avvicinarti abbastanza da leggere l'indirizzo sull'etichetta.» Capitolo 114 «Non riesco a trovare le mie chiavi.» Owen finse di cercare, ritardando il più possibile e cercando di pensare a come evitare di aprire il bagagliaio della sua auto alla polizia. «Be', se lei non riesce a trovare le chiavi, abbiamo i nostri metodi per aprirlo», disse l'agente. Owen emise un profondo sospiro. Non c'era modo di evitare la cosa. Doveva aprire il bagagliaio e sperare per il meglio. Con un po' di fortuna i poliziotti non avrebbero riconosciuto ciò che avrebbero visto. «Trovate», esclamò e fece strada lungo il vialetto d'accesso. Owen puntò il telecomando in direzione del veicolo, udì il consueto bip e osservò il bagagliaio della Volvo aprirsi automaticamente. Si tenne in disparte mentre la polizia guardava i raccoglitori colorati con gli appunti sui pazienti dei quali aveva denunciato il furto. Perché non me ne sono sbarazzato, quando ne avevo la possibilità? pensò mestamente. Almeno avrei dovuto distruggere quello di Leslie. Capitolo 115 Diane si avvicinò allo schermo del computer e vide che i caratteri sull'e-
tichetta della rivista erano sorprendentemente nitidi. L. Belcaro Surfside Realty Main Avenue Ocean Grove, NJ 07756 Era l'agente immobiliare che l'aveva avvicinata nel parcheggio del dottor Messinger, quello che riteneva che il terapeuta dovesse essere in prigione a causa delle vite che aveva rovinato. Benché non ne avesse ancora avuto l'occasione, Diane aveva in mente di chiamarlo per sentire la sua storia e sapeva di avere ancora il suo biglietto da visita in borsa. Perché la sua rivista era là? Si trattava del suo piccolo accampamento? Anche Matthew stava guardando l'indirizzo. «Belcaro. È il tizio che ho incontrato da Nagle's l'altra mattina. Si riferiva a Carly Neath usando il passato, prima ancora che il suo corpo fosse rinvenuto.» Diane prese una decisione. «Vado al Casino a cercare Anthony.» «Vengo con te», disse Matthew. Mentre schizzavano fuori dall'albergo, Diane gridò da sopra la spalla. «Telefonate alla polizia e dite loro di venire là.» Il Casino non era lontano, ma decisero di prendere l'auto e risalire Ocean Avenue, con Matthew al volante. Diane accese la luce all'interno dell'abitacolo e frugò nella borsa, cercando il biglietto da visita. «Ottimo, eccolo qui.» Estrasse il cellulare e compose il numero che Larry Belcaro aveva scritto sul retro. Nessuna risposta. Avevano raggiunto la fine della passeggiata sul lungomare e, proprio quando stava per mettere giù, Diane udì la voce assonnata dell'uomo. Capitolo 116 Non sapevano dove fosse questo ragazzino curioso. Non aveva riferito a nessuno di questo posto. Però, il fatto che fosse il figlio di Diane Mayfield era davvero spaventoso. Quando sarebbe stata denunciata la scomparsa del figlio della giornalista, tutti lo avrebbero cercato. Peggio, Anthony Mayfield non era bendato: avrebbe riferito che cosa, e chi, aveva visto.
Non glielo poteva permettere. Per il momento, gli mise un bavaglio sulla bocca. Capitolo 117 «Niente a casa di Messinger, capo», l'agente chiamò alla radio, dopo essere ritornato all'autopattuglia insieme al suo collega. «Ricevuto», rispose il commissario Albert dalla centrale. «E il garage?» chiese, aspettandosi che gli dicesse di non aver trovato prove incriminanti neppure là. «No, capo. Niente nel garage né nel bagagliaio dell'auto, eccettuata una pila di raccoglitori colorati.» «Raccoglitori, dici?» chiese Albert, ricordando, nel caos della settimana, il rapporto degli uomini del turno di giorno che parlava di un furto nell'ufficio del dottor Messinger, denunciato lunedì. «Sì, dei raccoglitori colorati.» «Torna là e confiscali a quel figlio di puttana. Ha inscenato il furto nel suo ufficio.» Capitolo 118 «Signor Belcaro, sono Diane Mayfield. Mi dispiace telefonarle così tardi.» «Oh, salve, signora Mayfield», rispose lui con entusiasmo. «Nessun problema. Non stavo realmente dormendo, però non riuscivo a trovare il mio cellulare. Sono così felice che mi abbia chiamato. Ci speravo da quando ci siamo incontrati nel parcheggio.» «Voglio ancora parlare con lei a proposito del dottor Messinger, signor Belcaro, ma è successa un'altra cosa e spero che lei possa aiutarmi.» «Oh.» Percepì la delusione nel tono della sua voce. «Di che cosa si tratta?» Diane non voleva rivelare troppo. «Mio figlio è un fotografo dilettante e ha fotografato quasi tutto quello che ha visto a Ocean Grove. Sembra essersi imbattuto in una specie di accampamento e in uno dei suoi scatti c'è una rivista che ha il suo nome sull'etichetta. Mi chiedevo, signor Belcaro, la sua rivista come può essere finita laggiù?» «Dov'è laggiù, signora Mayfield?» «Pensiamo che sia nel vecchio Casino in fondo al lungomare.»
«Sono davvero spiacente, ma come può immaginare, non ho la minima idea di come possa esservi finita.» «Va bene, signor Belcaro. Grazie per il suo tempo e, di nuovo, mi scusi per averla disturbata a casa.» Tuttavia, richiudendo di scatto il telefono, Diane si rese conto che non aveva alcuna garanzia che Belcaro le avesse parlato da casa. Aveva detto di parlare dal cellulare: avrebbe potuto trovarsi ovunque. Davanti a loro il Casino si stagliava grande e minaccioso contro il cielo notturno. «Sei pronta a entrare?» chiese Matthew, estraendo una torcia elettrica dal vano portaoggetti della vettura. «Sì», rispose Diane. «Ti prego, Signore, fa' che sia là dentro.» Aprì la portiera dell'auto e smontò. Insieme, girarono intorno all'edificio, cercando un modo per entrare. Non prestarono alcuna attenzione ai cartelli con scritto PERICOLO e VIETATO L'ACCESSO posti sulla fatiscente recinzione che bloccava l'entrata. Una volta all'interno del cavernoso auditorium, il fascio di luce gialla della torcia illuminò il pavimento di cemento, disseminato di pozze d'acqua piovana stagnante. Matthew diresse la luce verso il tabellone che informava che si trovavano in quello che era stato il Casino Skating Palace. «Anthony», gridò Diane. «Anthony, sei qui?» Dall'altra parte del muro, Anthony sentì sua madre che lo chiamava, ma il bavaglio che aveva sulla bocca gli impedì di risponderle. Capitolo 119 «Anthony», urlò di nuovo Diane. «Rassegnamoci, Diane, qui non c'è nessuno», disse Matthew, perlustrando l'ambiente con la luce della torcia. «Forse ci sbagliamo, magari non è questo il posto in cui Anthony ha scattato quelle fotografie.» «Probabilmente hai ragione», convenne Diane, attraversando il pavimento cosparso di detriti in direzione dell'uscita. «Ma dov'è Anthony? Mi dispiace, Matthew, non m'importa se questa sera è scomparsa un'altra giovane. La polizia dovrebbe cercare mio figlio. Perché gli agenti non sono ancora arrivati?» «Non lo so, Diane. Una volta fuori, li chiamerò di nuovo.»
Mentre Matthew tirava fuori il cellulare, Diane s'incamminò verso l'oceano e guardò le onde che s'infrangevano sulla battigia. La sua mente andava in posti dove lei non voleva che andasse: Anthony non sarebbe mai venuto in spiaggia da solo per fare una nuotata, vero? Non era possibile che fosse là fuori sott'acqua da qualche parte, giusto? Smettila, si disse. Non serve a niente. Piantala di pensare come una madre sconvolta e comincia a riflettere su dove potrebbe essere Anthony. Tuttavia, per quanto si sforzasse, i pensieri continuavano a turbinarle nel cervello. Diane pensò ai genitori della ragazza scomparsa quella sera e a quanto dovessero essere sconvolti. Pensò ai genitori della povera Carly e al dolore che stavano affrontando. Infine, pensò a Audrey Patterson e a quanto doveva avere desiderato che sua figlia ritornasse a casa sana e salva. Impose a se stessa di non farsi prendere dal panico. Le cose si erano risolte per il meglio per i Patterson. Leslie era stata rilasciata, incolume. Domani, si disse, sarebbe stata seduta accanto ad Anthony, proprio come si era seduta a parlare con Leslie Patterson il giorno dopo la sua liberazione. Quel pomeriggio le pareva così distante. Diane ricordò di aver notato con sorpresa quanto potessero essere forti gli esseri umani: un giorno sei in pericolo di morte e quello seguente pianifichi come dare una svolta alla tua carriera. Leslie Patterson aveva detto che avrebbe studiato per ottenere la licenza di agente immobiliare. Voleva fare qualcosa di più che archiviare, rispondere al telefono e ordinare forniture per l'ufficio. Di colpo, Diane capì: la rivista nella foto di Anthony aveva l'indirizzo dell'ufficio di Larry Belcaro sull'etichetta, non di casa. Poteva essere Leslie Patterson a ordinare le riviste che arrivavano all'ufficio della Surfside Realty. Girò sui tacchi e afferrò il braccio di Matthew, interrompendo la sua conversazione telefonica. «Matthew», disse, «trova il numero dei Patterson e vedi se Leslie è a casa.» Diane afferrò la torcia e corse di nuovo dentro al Casino: doveva trovare il posto che Anthony aveva immortalato nelle sue fotografie. Doveva cercare meglio. Avevano già perlustrato l'enorme ambiente dall'alto soffitto e Diane era persuasa che là non ci fosse nessuno, ma dall'esterno il Casino sembrava essere molto più vasto. Andò alla parete più vicina all'oceano, realizzando che al di là doveva esserci un altro locale dell'edificio. Puntò la torcia sulla
superficie del muro, cercando un modo per arrivare dall'altra parte. Percorrendo la sala in lunghezza, s'imbatté in un'asse di legno appoggiata alla parete. Attirandola a sé scoprì che nascondeva un'apertura. Fece un passo avanti e il suo piede urtò qualcosa di morbido. Il battito del suo cuore le pulsò nelle orecchie, quando la luce della torcia colpì una consunta orsacchiotta marrone vestita di taffetà e perle, una versione più vecchia e logora degli orsetti che Diane ricordava di avere visto al Lavender & Lace. Audrey Patterson le aveva detto che sua figlia ne aveva uno da anni. Diane si sporse attraverso quel buco buio. «Anthony, se sei qui dentro, rispondimi.» Poi urlò ancora più forte: «Leslie, sei qua?» Le rispose solo il rombo dell'oceano. «Leslie? Leslie, sono Diane Mayfield. Per favore, non fare del male al mio bambino.» «Non si avvicini» fu la risposta soffocata che giunse dall'altro lato. Diane sobbalzò, quando una mano le si posò sulla spalla, ma emise un sospiro di sollievo rendendosi conto che si trattava di Matthew. «Leslie? Leslie Patterson è là dentro?» sussurrò lui. Diane annuì, mettendosi un dito sulle labbra. Quindi gridò di nuovo. «Leslie, ti prego», implorò. Cercava un modo per convincerla a parlare: sperava di distrarla spingendola a conversare, così non avrebbe fatto del male ad Anthony. «Ti prego, Leslie. Anthony è là con te?» «Non si avvicini.» C'era disperazione nella voce che proveniva dall'altra parte della parete. Matthew mormorò: «Forse dovremmo aspettare che arrivi la polizia». «Chissà quanto ci vorrà», mormorò Diane. «Se c'è anche solo una possibilità che mio figlio sia là dentro, non ho intenzione di perdere tempo ad aspettare.» Capitolo 120 Jonathan aveva camminato lungo la passeggiata sul lungomare fino a Bradley Beach, dove aveva trovato un locale in cui bere una birra, e poi un'altra, e un'altra ancora. Non riusciva a credere che Helen avesse realmente pensato che lui potesse essere implicato nella scomparsa e nella morte' di Carly Neath. Com'era possibile che sua moglie lo credesse un tale mostro? Sì, quella sera aveva seguito Carly, ma era stata una cosa del tutto inno-
cente. L'aveva seguita fino a casa sua, ma quando aveva notato quel vecchio nascosto nella veranda della casa accanto, si era spaventato. Una volta raggiunto il lungomare, lei aveva svoltato verso Asbury Park e Jonathan aveva deciso di ritornare. Era rientrato a casa per un'altra strada, proprio per evitare quel vecchio bislacco appostato nell'ombra. Vero, quando il mattino seguente gli agenti di polizia erano venuti alla tenda per chiedere di Carly, aveva fatto loro credere di essere stato con Helen, quando la baby-sitter se n'era andata. Ma se avesse raccontato la verità, che aveva seguito Carly, certo la polizia avrebbe sospettato di lui. Ritornando a piedi verso casa, Jonathan emise un rutto e svoltò in Bath Avenue. Dannazione. Avrebbe dovuto raccontare tutto a Helen. Capitolo 121 «Spengo la torcia», bisbigliò Diane. «Così non capisce che stiamo avvicinandoci.» Si accucciarono per oltrepassare l'apertura. Trovare la strada al buio era quasi impossibile. Matthew, che era davanti, inciampò su un pezzo di cemento fuori posto e cadde. «Vi sento», gridò Leslie. «Non avvicinatevi ancora, o... o io... faccio del male a qualcuno.» «Leslie, Anthony è lì con te? Mio figlio è con te?» «Fermatevi dove siete.» La voce della giovane aveva un tono disperato. «Per favore, fermatevi.» Matthew si rialzò e continuò a procedere a tentoni insieme a Diane. Presto furono guidati dal bagliore della torcia di Leslie. Quando sbirciarono da dietro un massiccio supporto di cemento, la scena che videro li fece fermare di colpo. Leslie era inginocchiata sul pavimento, seduta sulle caviglie. Un'altra figura era distesa davanti a lei con mani e piedi legati, era bendata e aveva un bavaglio sulla bocca. Leslie ne abbracciava la testa e le spalle con il braccio sinistro: l'effetto generale era quello di una versione degenere della Pietà di Michelangelo. Nonostante il caldo, la giovane indossava una giacca da sci e dei guanti di pelle, e con la mano destra teneva qualcosa vicino al collo della sua prigioniera. Diane era convinta che anche suo figlio fosse là, da qualche parte. Riaccese la torcia. «Al diavolo la segretezza», mormorò tra sé e sé. Mentre la luce si diffondeva per l'ambiente, era terrorizzata dall'idea di scoprire la
verità, ma doveva sapere. «Dov'è mio figlio, Leslie? Gli hai fatto qualcosa?» Prima che la giovane avesse la possibilità di rispondere, Diane gridò: «Oh, mio Dio». Il fascio di luce della torcia individuò una seconda figura che giaceva a pochi metri di distanza, legata e imbavagliata allo stesso modo dell'altra. Diane riconobbe le scarpe da ginnastica che Anthony l'aveva implorata di comprargli. «Anthony!» Si slanciò in avanti. «Non un altro passo», ringhiò Leslie, «o faccio del male ad Anna. Lo giuro. Le taglierò la gola proprio come lei ha tagliato quella del suo prezioso Mr. Velvet.» Diane provò una fitta al cuore. Desiderava correre da suo figlio, ma non voleva spingere la ragazza a compiere un qualche atto infame. «Come ha capito che ero io?» chiese Leslie, cambiando argomento. «Come sapeva che ero qui?» Diane cercò di mantenere un tono di voce calmo. «C'è una rivista là vicino, Leslie», rispose indicando il contenitore termico e la coperta. «La vedi?» «Sì, e allora?» «Ha il nome del tuo capo sull'etichetta, ma non è stato Larry a ordinarla. Sei stata tu, giusto?» «L'ha capito così?» «No, ma mi sono insospettita», replicò Diane, mentre cercava di avanzare impercettibilmente. «C'era anche qualcos'altro che non quadrava. Quando abbiamo parlato sul lungomare, hai detto che Carly era già morta, quando è stata trascinata al gazebo. Solo l'assassino avrebbe potuto saperlo per certo. Se la polizia l'aveva scoperto dall'autopsia, certo non ha reso pubblica tale informazione.» Diane attese, ma poiché non vi fu alcuna reazione, continuò. «È stato un errore, non è vero, Leslie? Volevi che sembrasse che Carly era stata trattata come te, solo che tu sei sopravvissuta e lei no.» «Anche se odiavo il fatto che mi avesse portato via Shawn, non volevo che morisse», gemette Leslie. «Nessuno doveva morire. Volevo trattenerla per tre giorni, proprio come ero scomparsa io per tre giorni, per convincere la polizia a credermi. Mi sono messa questa giacca da sci per sembrare più grossa, in modo che non capisse quanto ero magra, e questi guanti perché non sentisse le mie dita ossute. Avevo inventato la storia della danza, così dovevo assicurarmi che Carly dicesse la stessa cosa, una volta liberata. Ma
quando sono ritornata al Casino per ballare di nuovo con lei, non si muoveva più.» «Non credevi che qualcuno avrebbe scoperto il tuo nascondiglio segreto, vero?» chiese Diane, cercando di farla continuare a parlare. «No. Andava già male perché nessuno mi credeva, ma le cose sono peggiorate ulteriormente, quando Arthur Tomkins è stato arrestato.» La voce di Leslie cominciò a tremare. «Quel poveretto deve avere trovato Carly prima che io tornassi e ha lasciato delle impronte. Sapevo che sarebbe stato condannato per questo: ero stata estremamente attenta a non lasciare tracce da nessuna parte, mi ero perfino esercitata a chiudere le manette flessibili con i denti, in modo che non avessero sopra impronte, quando mi avrebbero trovata. La polizia non avrebbe rinvenuto altre impronte e Arthur avrebbe pagato per qualcosa che non aveva fatto.» «Così hai rapito un'altra ragazza per dimostrare che il rapitore non poteva essere lui?» Diane era ormai vicina alla coperta. «Sì, ho preso Anna. Ho pensato che la scomparsa di un'altra persona avrebbe dimostrato alla polizia che aveva arrestato l'uomo sbagliato.» «Allora, Leslie, tu hai gridato al lupo. Ma perché?» La voce di Leslie suonò più forte, quando rispose. «Perché volevo che Shawn capisse che avrebbe dovuto prendersi maggior cura di me, che non sono spazzatura da gettare via, quando si è stufi. Ho letto tutte le storie e ho visto i servizi in televisione su quelle donne che hanno inscenato la propria sparizione. Ma loro hanno commesso degli errori, stupidaggini che hanno rivelato a tutti che non dicevano la verità.» E tu hai fatto lo stesso, pensò Diane. Però, non lo disse a voce alta: non c'era motivo di rimproverare Leslie, la cosa importante era convincerla a liberare i due ostaggi. «Leslie, sono Matthew Voigt.» La giovane raddrizzò la schiena, spaventata dalla nuova voce. «Sono il produttore di Diane. Ricordi? Ci siamo visti sul lungomare.» Nessuna risposta. «Possiamo aiutarti, Leslie. Possiamo far capire a tutti che non avevi programmato che le cose andassero così.» «No. È andato tutto storto, non c'è via d'uscita.» Di nuovo si percepiva disperazione nella voce della ragazza. Diane teneva la torcia puntata su Anthony, che cercava invano di liberarsi le mani. «Leslie», disse con voce tranquillizzante, «nessuno penserà che tu volessi che succedesse tutto questo, ma solo se lasci andare mio fi-
glio e Anna. È già morta una donna innocente, non far del male a qualcun altro.» «Ma come posso andare avanti?» rispose Leslie con voce roca. «Tutti sapranno quello che ho fatto. I miei genitori. Shawn. Mi respingeranno tutti. Mi sono sentita respinta fin da quando riesco a ricordare. Non ero mai abbastanza buona, o abbastanza intelligente, o abbastanza carina.» «Leslie», replicò Diane col tono più calmo che le riuscì, «tutti capiranno. Credimi. Solo lasciali andare.» Fece un passo avanti e poi un altro. Leslie urlò: «Ferma! Le ho detto di non avvicinarsi». Tolse il braccio da sotto le spalle di Anna lasciando cadere a terra il suo corpo. Guardando Diane dritta negli occhi, si portò la lama di rasoio alla gola e si tagliò il collo sottile. Epilogo Il sole sorgeva sull'oceano Atlantico e Diane era in piedi sulla spiaggia con il Casino alle spalle. Anthony era ritornato in albergo e ormai dormiva profondamente, o almeno così lei sperava. Emily e Michelle le avevano promesso di non perderlo di vista, qualora fosse uscito dalla sua stanza. Aveva già il microfono ed era pronta a registrare la sua conclusione in diretta. Diane sorrise a Sammy e Gary che stavano completando i preparativi per la ripresa. Sammy era stranamente silenzioso, quasi per rispetto a quello che Diane aveva dovuto affrontare. Ocean Grove era la notizia d'apertura di KEY to America, quel mattino. Cinque minuti prima della diretta, Matthew ritornò al fianco di Diane per aggiornarla su quello che aveva appena saputo dalla polizia. «Adesso siamo in ottimi rapporti con i poliziotti!» esclamò sorridendo. «All'improvviso mi dicono tutto quello che voglio sapere. Per prima cosa, Leslie sta bene. Ha mancato la vena giugulare ed è ricoverata in condizioni stazionarie al Medical Center della Jersey Shore University.» «Grazie a Dio la polizia è arrivata subito dopo che si era tagliata», disse Diane a bassa voce. «Altrimenti, chissà che cosa sarebbe successo.» «Be', la sopravvivenza fisica sembra essere il minore dei suoi problemi. L'aspetta un incubo legale e necessita di cure psicologiche di prima classe.» Diane annuì. «Immagino che sarà processata e la testimonianza di uno psichiatra sarà ammessa in sua difesa. A mio parere, però, Owen Messinger dovrebbe ricevere il benservito. Leslie ha bisogno di un aiuto ben di-
verso da quello che lui è stato in grado di offrirle.» «Hai ragione, farebbe bene a liberarsi di lui», convenne Matthew. «A questo proposito, ecco un particolare interessante: la polizia mi ha detto che pare che Messinger abbia inscenato un'effrazione nel proprio ufficio. Ha finto che fossero stati rubati i suoi appunti sui pazienti. A quanto pare non gli piacevano i risultati che aveva ottenuto con una nuova terapia, o qualcosa di simile, a cui stava lavorando. Aveva intenzione di liberarsi dei fascicoli con esito negativo, in modo che non potessero essere inseriti nello studio che sperava di pubblicare. In tal modo, sarebbero rimasti solo quelli positivi.» Diane ricordò che il terapeuta aveva accennato al furto, quando lo aveva intervistato nel suo ufficio. Ciò le fece venire in mente Larry Belcaro: il poveretto aveva cercato di parlarle dei suoi timori riguardo a Messinger, ma nella fretta lei lo aveva ignorato, non solo allora, ma anche un paio d'ore prima al telefono. Quell'uomo meritava un trattamento migliore. «E, Diane?» continuò Matthew. «Anna Caprie sta bene ed è a casa, e Arthur Tomkins è già stato rilasciato. Ricordati di menzionare anche questo nel tuo stand-up.» Diane si staccò il microfono ed era pronta per ritornare al Dancing Dunes per una doccia e un sonnellino, quando sentì vibrare il cellulare. «Questa telefonata proviene da una prigione federale.» Philip sparò una serie ininterrotta di domande. «Diane, tesoro, stai bene? Come sta Anthony? Ti ho appena visto alla televisione. Come hanno potuto farti uscire là fuori a raccontare la storia, dopo tutto quello che hai appena passato?» «Amore, non c'era nessun altro che potessero mandare qui in tempo per il servizio, ma il fatto che fossi coinvolta, ha reso il pezzo ancora migliore.» Rispose alle altre sue domande, rassicurandolo sul fatto che la sua famiglia era sana e salva. «Questa telefonata proviene da una prigione federale.» «Avrei dovuto essere là, Diane. Detesto non poter essere vicino a te, a proteggerti.» Diane si trattenne dal mormorare, Anch'io. Invece, rispose: «Stiamo bene, Philip, davvero». «Se mai succedesse qualcosa a te, o a uno dei ragazzi, non so che cosa farei. Ti ho già ferito così tanto. Ma se me ne darai la possibilità, Diane, mi farò perdonare. Te lo prometto.» «Presto sarai fuori, Philip. E, quando ritornerai a casa, faremo un passo
alla volta. È tutto quello che possiamo fare. Però, io ti amo, Philip, e so che tu ami me.» «Sei pronta, che ti do un passaggio, così schiacci un pisolino?» chiese Matthew. «Puoi dormire un paio d'ore, prima di metterti al lavoro per il pezzo di Evening Headlines.» «Sì, ottimo.» Diane sorrise. Matthew diede istruzioni alla troupe su dove si sarebbero incontrati più tardi, poi insieme a Diane attraversò la spiaggia, risalì la barriera frangiflutti e oltrepassò la passeggiata sul lungomare, raggiungendo l'auto. «Potremmo fare una sosta, prima che tu mi depositi all'albergo?» domandò Diane. «Certo», rispose Matthew. «Dove?» Quando arrivarono, la Surfside Realty era ancora chiusa. «Prendiamo una tazza di caffè, aspettando che apra?» propose Matthew. «Okay, purché sia decaffeinato. Voglio riuscire a dormire, dopo.» Camminarono lungo la Main Avenue in direzione di Nagle's. Mentre si avvicinavano ai pochi tavolini sistemati davanti all'edificio, Matthew esclamò: «Quello non è Shawn Ostrander? E la persona con lui non è Arthur Tomkins?» Raggiunsero il tavolo dove sedevano i due uomini. Diane parlò per prima. «Sono così felice che la verità sia venuta a galla, signor Tomkins. Sono davvero contenta che lei sia stato scagionato.» Arthur sorrise con la sua aria mite, mentre batteva tre volte il cucchiaio contro il fianco della sua tazza di caffè. «Da quello che ho sentito», disse Shawn, «dobbiamo ringraziare voi.» «Siamo solo contenti che tutto sia andato per il meglio.» Diane si rivolse a Matthew. «A proposito, hai ancora quella busta da consegnare a Shawn da parte della sorella di Arthur, giusto?» «Oh, cielo, sì», disse Matthew, infilando la mano nella tasca dei pantaloni. «Me la porto in giro da quando sono andato allo Stone Pony, ieri sera. Ti ho cercato là, ma il barista mi ha detto che non saresti venuto.» Shawn annuì. «Ero andato a Spring Lake a parlare con la famiglia di Arthur.» Mise il braccio intorno alle spalle dell'amico. «Abbiamo discusso del fatto che è giunto il momento che la famiglia si riconcili e ritorni unita. Li andremo a trovare oggi, più tardi, o forse domani, giusto, Arthur?» Arthur annuì tre volte. «Se lo dici tu, Shawn. Faccio sempre quello che
mi dici.» Larry Belcaro stava aprendo la porta d'ingresso della Surfside Realty, quando Diane e Matthew ritornarono. L'agente immobiliare parve sorpreso di vederli. «Ho visto il suo servizio nel notiziario del mattino, signora Mayfield. Dopo la notte che ha avuto, che cosa ci fa proprio qui?» «Volevo scusarmi, signor Belcaro», rispose Diane. «Per cosa?» «Per non averle dedicato abbastanza tempo l'altro giorno nel parcheggio e per averla chiamata così tardi ieri sera.» «Be', ho capito quella telefonata solo quando ho visto le notizie di questa mattina. Povera, povera, Leslie.» Larry scosse la testa. «Owen Messinger l'ha rovinata, proprio come ha fatto con la mia Jenna. E quel ciarlatano la farà franca, è questo che mi fa infuriare.» «Se può farla sentire meglio», replicò Matthew, «il dottor Messinger ha dimostrato di essere un falso e un bugiardo.» Continuò raccontando del furto simulato e dei fascicoli scomparsi. «Quando la cosa apparirà sui giornali, credo che la clientela di Owen Messinger diminuirà in modo drastico. Forse non andrà in prigione e non verrà neppure multato, ma certo perderà credibilità nella comunità professionale a cui appartiene. Questa sarà la sua punizione.» «Bene, queste sì che sono buone notizie», commentò Larry illuminandosi in volto. «Ho pregato affinché Messinger venisse fermato. Immagino che il buon Dio abbia finalmente risposto alle mie preghiere.» L'agente immobiliare diede un'occhiata all'orologio. «Ho un tizio che arriverà tra pochi minuti e devo trascrivere un elenco di proprietà disponibili per lui. Stiamo lavorandoci da settimane. Ho persino dovuto mentire a sua moglie, che aveva trovato uno dei miei biglietti da visita tra le sue cose. Quando viene quaggiù vive in una delle tende, ma vuole trovare una casa a Ocean Grove e farle una sorpresa.» Diane salì i gradini che conducevano alla veranda del Dancing Dunes Inn, stanca, ma contenta. Stava per andare di sopra in camera sua, quando Carlos la informò che sua figlia era in sala da pranzo. Entrò e trovò Michelle seduta a uno dei tavoli. Davanti a sé aveva un piatto di uova strapazzate, salsiccia e un intero toast integrale. Diane si sedette e ordinò lo stesso.
«Stai bene, mamma?» «Sì, tesoro. E tu?» Michelle bevve una sorsata di succo d'arancia. «Sì, anch'io. Ho pensato a tutta la faccenda, mamma. Emily e io ci siamo alzate per guardare il tuo servizio questa mattina. Quella Leslie Patterson è ben incasinata.» «Sì, lo è.» «Mi chiedo come si sia ridotta così», continuò Michelle, prima di dare un altro morso al suo toast. «È difficile a dirsi, tesoro. Immagino che non ci sia un'unica causa.» Michelle guardò sua madre con occhi sbarrati. «Non voglio finire così, mamma», mormorò. «Non è un fatto inevitabile, Michelle. Non lo è. Tu, tutti noi, dobbiamo concentrarci sulle cose giuste della vita. Va bene preoccuparsi del proprio aspetto, ma è sbagliato esserne ossessionati. Ci sono tante altre cose importanti, oltre alla misura dei tuoi jeans, tesoro.» Quando madre e figlia terminarono la loro conversazione e si alzarono da tavola, sui loro piatti non era rimasto nulla. Ringraziamenti Fin dal primo momento in cui ho visto le tende, con i loro allegri tessuti a strisce che riflettevano il sole estivo, Ocean Grove mi ha totalmente incantato. Poi, quando sono venuta a conoscenza della singolare storia di questa cittadina sulla costa del New Jersey, ne sono rimasta affascinata. Era un luogo unico nel suo genere e io volevo scrivere una storia che vi fosse ambientata. Potevo immaginare i miei personaggi che vivevano... e morivano... in questo bizzarro e delizioso paesino che occupa poco più di due chilometri quadrati e trabocca di fascino vittoriano. Però, avere lo scenario non significa necessariamente avere la storia. Solo quando Jen Enderlin, la mia editor, ha suggerito il tema delle «ragazze che gridano al lupo», le cose hanno cominciato a prendere forma. Jen è la più devota, positiva e ottimista degli editor, ed è un vero piacere collaborare con lei. Ringrazio Jen e tutta la squadra della St. Martin's Press che lavora con tale impegno: Sally Richardson, Matthew Shear, Ed Gabrielli, John Karle, John Murphy, Kim Cardascia. Inoltre, ancora una volta ho avuto la fortuna di beneficiare dell'ottima revisione di Susan M.S. Brown. La buona sorte mi è venuta incontro anche sotto forma della mia preziosa amica Elisabeth Demarest. Quando le confidai che stavo scrivendo una
storia ambientata a Ocean Grove, mi disse che alcuni suoi parenti trascorrevano l'estate in una delle tende e immediatamente si offrì di accompagnarmi laggiù a far loro visita. Una serena mattina d'agosto Helen e Mil Thatcher mi aprirono la loro casetta di tela e trascorsero la giornata mostrandomi la zona e condividendo con me una conoscenza accumulata in decine di estati trascorse in quella cittadina sulla costa dell'oceano Atlantico. Grazie a Elisabeth, Helen e Mil ho potuto scrivere questo libro: a loro va la mia più sincera gratitudine. Al momento di descrivere le adolescenti e le giovani di questa storia, mi sono rivolta a Elizabeth, mia figlia, affinché mi desse dei suggerimenti... e lei lo ha fatto di buon grado e con grande inventiva. Katharine Hayden ha indossato il suo cappello da pensatrice e ha ideato un contesto legale plausibile per far finire uno dei personaggi in una prigione federale. Benché sia estremamente impegnata, Katharine ha trovato tempo per me, come ha sempre fatto. Ancora una volta, il mio amico della CBS News Rob Shafer ha condiviso con me la sua perizia tecnica. Rob, sei così generoso! Non esisterebbe un maryjaneclark.com senza Colleen Kenny. Colleen continua a offrire la sua creatività e devozione, non solo al web, ma anche a me, e io gliene sono grata. Laura Dail, la mia instancabile agente letteraria, si occupa della mia carriera di scrittrice con affettuosa attenzione. Mi incoraggia, mi offre feedback, sogni e speranze, e... trama con me. Grazie, L.D., per tutto. Inoltre, a proposito di trame, il contributo dell'editor indipendente, padre Paul Holmes è stato inestimabile. Non smetto mai di stupirmi di quale benedizione egli sia per me. Mi ha fornito idee, sostegno morale ed entusiasmo a ogni passo del percorso, proprio come ha sempre fatto. Mi rende felice sapere che Danzando nel buio è il suo preferito, fino a ora. Dunque, adesso è terminato. Alla mia indulgente famiglia e agli amici più cari, grazie per avere avuto pazienza. Ora posso uscire dal buio e danzare nella luce. FINE