Norberto Bobbio
Giuliano Pontara
Salvatore Veca
Crisi della democrazia e neocontrattualismo
A cura del Centro Mario
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Norberto Bobbio
Giuliano Pontara
Salvatore Veca
Crisi della democrazia e neocontrattualismo
A cura del Centro Mario
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Rossi per gli studi
filosofici, Siena
Editori Riuniti
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Indice
Presentazione
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La crisi delIa democrazia e la lezione dei classici di N. Bobbio
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Ragione e rivoluzione
di S. Veca
Neocontrattualismo, socialismo e giustizia internazionale di G. Pontara Vi sono diritti fondamentali? N. Bobbio
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di G. Pontara e 105
I edizione: settembre 1984 Copyright by E
©
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Presentazione
It dibattito e persino 10 scontro politico che si svolge in Italia, dopo un effimero tentativo di sgomberare il proprio terre no e il proprio retroterra da ogni sorta di «ideologismi » 0 di presupposti dottrinari affrontando { problemi del presente con stile pragmatico, torna ora suo malgrado all'uso 0 all'abuso di categorie mutuate dalla teoria, di formule cons aerate da un qualche indirizzo di pensiero filosofico, sociologico, politologico. La contesa politica sembra in tal modo nuovamente disporsi ad accettare che da un retroterra teorico prouengano strumenti per la conoscenza - ed anche suggerimenti per la soluzione - dei problemi con i quali la decisione politica, a sua volta, sia chiamata a misurarsi. A Norberto Bobbio dobbiamo riconoscere, tra gli altri suoi meriti, quello di avere riproposto criticamente alcuni insegnamenti « perenni » del grande magistero classico. Nella crisi attuale delle istituzioni democratiche, dilaniate tra una [rammentazione di spinte sociali neocorporatiue e una riaggregazione statuale surrogata da centri di potere invisibili, la lezione dei classici non e condizione - e dotazione - sufficiente a scoprire e sciogliere i nodi del nostro tempo, ma certo conditione necessaria per poter cogliere 10 scarto diijerenziale dalle altre crisi emblematiche, a partire da quella - tutta ipotetica -- che nel modello hobbe-
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siano avrebbe segnato l'ingresso consensuale dei primi contraenti in un ordine societario garantito dalla concentrazione assolutistica del potere. Salvatore Veca ripensa l'« archeologia» del termine e del concetto di rivoluzione e scorge nelle sue ascendenze semantiche « conseroatrici » il rovescio speculare del logoramento che il termine subisce al giorno d' oggi, con la perdita delle virtu «taumaturgiche» che le diagnosi marxiste della crisi gli avrebbero, fino a ieri, attribuito. In sua uece, noto che Veca propene di recuperate un razionalismo etico riformatore su basi teoriche neocontrattualistiche. Al neocontrattualismo del pia noto e piu discusso _ teorico americano vivente rivolge la sua riflessione critica Giuliano Pontara, deU'Universita di Stoccolma. Su due questioni cruciali, a suo parere, fallisce il metodo di J. Rawls: reputando sufficiente cbe, nei paesi liberi e prosperi, it tenore di vita degli infimi si accresca in assoluto, trascura quelle disuguaglianze sociali relative che potrebbero (superata una certa soglia) risultare limitatrici anche del bene maggiore della liberta; e trascura gli analogbi ma ben piu drammatici - dilemmi di una giustizia internazionale tra paesi ricchi e poveri. I saggi di Bobbio e di Veca sono rielaborazioni di relazioni tenute, rispettivamente, nel primo (1980) e net secondo (1982) dei CoUoqui promossi dal Centro Mario Rossi per gli studi filosofici, nella suggestiva Certosa senese di Pontignano. It saggio di Pontara e la rielaborazione di scritti pubblicati tra il 1977 e il 1981 (in Biblioteca della liberta e Rivista di filosofia), ma rimeditati in occasione di lezioni e di seminari svolti a Siena (1983-84), presso la [acolta di lettere e filosofia, e di altri incontri organizzati dal Centro Mario Rossi.
Norberto Bobbio I ,:\ crisi della democrazia
e la lezione dei classici
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1. II mio discorso prende Ie mosse da una £rase che si legge alla fine dell a Iettera programmatica con cui xrato convocato il convegno su « La politica fra soggetti c istituzioni »: «Nello spazio delIa politica sembrano .mnodarsi, in sostanza, tutte le questioni aperte (in termini anche internazionali), Diventa allora inevitabile chiedersi se non stiano cambiando i suoi connotati, le sue leggi di movimento e il suo modo di prodursi ». No, non sono d'accordo. Anzi, rni chiedo se in questi giorni, di fronte alI'esplosione della violenza terroristica all'interno del nostro stato e al modo con cui risponde il governo limitando le liberta costituzionali, da un lato, e di £ronte all'invasione dell'A£ghal1istan da parte dell'Unione Sovietica, e al modo con cui risponde I'altra grande potenza minacciando sanzioni economiche e misure militari sulla scena internazionale, dall'altro, la politica non mostri pili che mai, 1a sua reale, immutabile, profonda natura. Alla domanda se non stiano earnbiando « i connotati » e « Ie Ieggi di movimento » della politica sono tentato di rispondere, se pure a guisa -di provocazione: Nil sub sole novi. E di ripetere con Ma- -. chiave11i: «Sogliono dire gli uomini prudenti, e non
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svolgono i rapporti di dominio, inteso il dominio nella sua espressione piii intensa, come il potere che e in grado di ricorrere, per raggiungere i propri fini, se pure in ultima istanza, 0 extrema ratio, alla forza fisica, Detto altrimenti, l'uso dell a forza fisica, se pure in ultima istanza, se pure come extrema ratio, il carattere specifico del potere politico. Lo stato puo essere definite come il detentore del potere politico, e quindi come mezzo e fine dell'azione politica degli 'individui e dei gruppi in' conflitto fra loro, in quanta e l'insieme delle istituzioni che in un determinate territorio dispongono, e sono in grado di valersi al momento opportuno, della forza fisica per risolvere i conflitti fra gli individui e fra i gruppi. E puo disporre, ed e in grado di va1ersi, della forza fisica in quanta ne possiede il monopolio. L'abc dell a teoria dello stato, prescindendo dalla qua1e non si riuscira mai a capire perche esista 10 stato e non comprendendolo si fantastica di una .sua possibile estinzione, e 1'ipotesi hobbesiana che puo essere enunciata brevemente COS1: la necessita dello stato nasce dalla convinzione razionale degli individui secondo cui 1'uso indiscriminato delle forze private in libera concorrenza fra loro genera uno stato autodistruttivo di guerra di tutti contro tutti, e dalla conseguente rinuncia da parte di ognuno all'uso privato della forza in favore del sovrano che dal momento di questa rinuncia diventa 1'unico titolare del diritto di disporne. L'espressione « monopolio dell a forza », che deriva da una evidente e corretta analogia fra l'eliminazione del libero mercato e I'eliminazione della libera guerra, non e di Hobbes, ma di Max Weber, che adoperandola non si e dimenticato di essere prima di tutto un economista. Ma serve perfetta-
a caso ne immeritatamente, che chi vuole vedere quello che ha a essere, consideri quello che e stato: perche tutte le cose del mondo in ogni tempo hanno il proprio riscontro con gli antichi tempi. 11 che nasce perche essendo quelle operate dagli uomini, che hanno ed ebbono sempre Ie medesime passioni, conviene di necessita che le sortischino il medesimo effetto » I. Non ho citato Machiavelli a caso. Per non Iasciarsi ingannare dalle apparenze e non essere indotti a credere che ogni dieci anni [a storia ricominci da capo, bisogna avere molt a pazienza e sapere riascoltare la lezione dei classici. Una lezione che Marx aveva bene appreso e che i marxisti e i neomarxisti, i quali disdegnano troppo spes so di andare oltre Marx, hanno quasi sempre dimenticato. Fra l'altro io credo che oggi il marxismo stia attraversando una delle sue crisi ricorrenti, e, se non m'inganno, una delle maggiori, e che l'unico modo serio di ridare a Marx il posto che gli spetta nella storia del pensiero politico (non mi riferisco alla storia del pensiero economico e aHa storia della filosofia che sono fuori dal nostro dibattito ma presumo che il discorso non dovrebbe essere tanto diverso) sia quello di considerarlo uno dei classici la cui lezione merita di essere continuamente ascoltata e approfondita, anche se non si e disposti a credere che la verita cominci da lui e finisca con lui. Secondo la lezione dei classici, che si suole far cominciare per comodita da Machiavelli unicamente perche il pensiero di Machiavelli accompagna la formazione dello stato moderno, ma si potrebbe far comindare molto piu addietro, una lezione, si badi, che e anche quella di Marx, la politic a e la sfera dove si
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mente a rappresentare l'ipotesi hobbesiana dello stato che nasce dalla necessita in cui si trovano gli individui razionali di sostituire alla pluralita dei poteri dei singoli individui ['unita del « potere comune » (questa espressione, S1, e di Hobbes) 2. Non divers a e la concezione che ha dello stato Marx, con la differenza che egli spiega in modo ben pili realistico la nascita delle stato non da una ipotetica guerra di tutti contro tutti avvenuta in uno stato di natura costruito razionalmente, ma da una storica lotta di classe derivata a sua volta dalla divisione del lavoro , con la conseguenza che questa «violenza concentrata e organizzata della societa » che e, secondo Marx, 10 stato viene considerata non pili come il « potere comune », ma come il potere delIa classe dominante e quindi come i1 potere di una parte della societa sull'altra. Non sarebbe i1 caso d'insistere sulla validita mai venuta meno dell'ipotesi hobbesiana se non fosse per l'ingiustificata fortuna di una interpretazione del pensiero di Hobbes, secondo cui 10 stato di natura, che Hobbes definisce ripetutamente come «guerra di tutti contro tutti », e stato inteso non come la raHigurazione portata alle sue estreme conseguenze della guerra civile, oppure dello stato di guerra perrnanente se pure spes so latente fra gli stati sovrani, ma come una prefigurazione della societa di mercato 3. Di un'interpretazione di questa genete si puo dire che, invece di cercare di capire il pensiero politico di Marx attraverso quello di Hobbes, ha cercato ill. cap ire i1 pensiero politico di Hobbes attraverso quello di Marx, co1 risultato di falsare i1 primo e di rendere meno comprensibile il secondo. Qllalsiasi Iettore attento delle opere di Hobbes sa I)
quanti e di qual peso siano i passi in cui questi identifica 10 stato di natura con 10 state di guerra e in particolare con 10 stato di guerra civile, e pertanto con l'anti-stato, e quanta pochi e insignificanti siano quelli che si possono addurre sollecitando e stiracchiando i testi per trovare nella descrizione dello state di natura la prefigurazione della societa di mercato. Ma anche prescindendo dall'esame dei testi, la societa di mercato c nella interpretazione storica corrente esattamente l'opposto dello stato di natura hobbesiano: mentre questa e 1a sfera in cui si scatenano Ie passioni umane, quali l'avidita di guadagno, la diffidenza reciproca e Ia van agloria, quella viene concepita sin dai primordi dell a scienza economica come il campo in cui fanno la loro apparizione e vengono messi alla prova gli interessi ben calcolati e in cui l'uomo esercita quel calcolo degli interessi che, secondo 1a definizione hobbesiana delIa ragione come calcolo, e la pili element ate espressione della razionalita umana. Poiche un calcolo razionale cio che induce l'uomo ad uscire dallo stato di natura e a istituire la societa civile, questa si contrappone pet l'appunto come stato dell'uomo di ragione allo state di natura inteso come stato dell'uomo di passione. In altre parole, mentre 10 stato di natura hobbesiano e 10 stato in cui gli uomini continuerebbero a vivere se non fossero anche esseri razionali, capaci cioe di fare il calcolo dei propri interessi, la societa di mercato e una delle pili singolari espressioni, come il linguaggio, delIa razionalita spontanea, in quanta consiste in una rete di rapporti la cui armonia non dipende da una imposizione, com'e quella appunto che viene esercitata dallo state per dominare le passioni, ma deriva da una
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composizrone naturale, cioe inerente alla stessa natura degli interessi in gioco (la cosiddetta «mano invisibiIe »). Come tale, il mercato non e da £uggire e da sopprimere ma da riscoprire e da liberare da tutti gli ostacoli che ne impediscono il libero movimento, provenienti proprio da quel potere politico che secondo Hobbes rappresenta invece il trion£o dell a ragione sulla non ragione, della razionalita imposta (perche la razionalita per Hobbes non puo che essere imposta come la liberta per Rousseau) sulla spontaneita che e di per se stessa irrazionale e finisce per condurre l'uomo natura/iter passionale alla propria perdizione. Che i primi critici dell'economia borghese, fra i quali Marx, abbiano visto nella societa di mercato, anziche il prodotto di una razionalita spontanea, la fonte di una permanente anarchia, di una hobbesiana guerra di tutti contro tutti, non e una buona ragione per retrodatare una critica di questo genere a Hobbes, per il quale la dissoluzione dello stato che riporta gli uomini allo stato di natura non dipende tanto da cause economiche quanto dal diffondersi attraverso i demagoghi e i falsi profeti di teorie sediziose. Se e vero che Marx ha rimesso l'uomo sui piedi rispetto a Hegel, a maggior ragione e vero rispetto a Hobbes. Ammesso dunque che vi sia uno stato quando su un determinato territorio si compiuto il processo di monopolizzazione della forza fisica, ne segue che 10 stato o la «forma stato », come si dice oggi, cessa di esistere quando in determinate situazioni di accentuata e irriducibile conflittualita il monopolio dell a forza fisica viene meno oppure, come accade nei rapporti intern azionali, non e mai esistito. Prova ne sia che 10 stato
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I.II() acconsentire alla demonopolizzazione del potere ",-onomico, come e accaduto nel periodo aureo dell a lormazione (e pili ancora della ideologia) dello stato III .rghese, concepito come puro strumento di regolamenI .izione dei conflitti economici che sorgono nella so,ida civile, dello stato non interventista, 0 neutrale. 1'110 acconsentire alla demonopolizzazione del potere J( Ieologico , come avviene tuttora negli stati non conlcssionali (nel senso pili ampio dell a parola), in cui non ,'siste una religione 0, che e 10 stesso, una dottrina 0 una ideologia ufficiale, e vengono riconosciuti i diritti .Ii liberta di religione e di opinione politica. Non puo .rcconsentire alla demonopolizzazione dell'uso della forza fisica senza cessare di essere uno stato. Che Hoblcs ritenesse necessario oltre al monopolio dell a forza Iisica anche il monopolio del potere ideologico (ma non quello del pot ere economico), non toglie che la conditio sine qua non dell'esistenza dello stato fosse per [ui non il secondo ma ilprimo, tanto vero che egli combatte come «teorie sediziose », da proibire, tutte quelle teorie che in un modo 0 in un altro mettono in questione la necessita dello stato appunto come unico legittimo detentore del potere coattivo. Che vi sia uno stato quando su un determinate territorio esiste un centro di potere che detiene il monopolio della forza non vuol dire che questa immenso cd esclusivo potere costituito dal posses so del monopolio della forza venga esercitato in tutti gli stati nello stesso modo. Lo stato che esercita il potere coattivo «senza leggi ne freni », come avrebbe detto Montesquieu, e 10 stato dispotico, 10 stato nella sua essenza, 0, se si vuole, 10 stato al momento dell a sua origine
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ideale dal disordine, dal caos, dalI'anarchia dello stato di natura. Ma 10 stato dispotico non s'identifica con 10 stato tout court. Nei grandi stati dell'occidente 1a storia ideale dello stato puo essere raffigurata come percorrente altre due tappe: quella dello stato di diritto e quell a dello stato che, oltre ad essere di diritto, e anche democratico. Lo stato di diritto, inteso il diritto kelsenianamente come l'insieme delle norme che rego1ano l'uso delIa forza, puo essere definite come 10 stato in cui i1 potere coattivo non e esercitato da1 sovrano a suo arbitrio ma vi sono norme generali ed astratte, e quindi non valevoli caso per caso, che stabiliscono chi autorizzato a esercitare la forza, quando, cioe in quali circostanze, come, cioe attraverso quali procedure (il che vuo1 dire che salvo il caso di forza maggiore il potere esecutivo puo usare 1a forza di cui dispone soltanto dopo regolare processo), e in quale misura, il che ha per conseguenza che vi deve essere una certa proporzione, stabilita una volta per sempre, fra colpa e castigo. A differenza di quel che accade nello stato dispotico, nello stato di diritto e possibile distinguere non solo la forza legittima da quella illegittima (considerando 1egittima ogni azione che proviene dal sovrano, cioe da colui che possiede il potere effettivo), bensi la forza legale da quella illega1e, cioe 1a forza usata in base a leggi prestabilite e 1a £orza usata contro le leggi. La lotta per l'instaurazione e il progressivo perfezionamento dello stato di diritto 1a lotta per 10 stabilimento e l'allargamento dei limiti delI'uso dell a forza. Considero :11 I n.rrante battaglie per 10 stato di diritto, rigoro:;;lIll<'nIC inteso come 10 stato in cui l'uso della for-
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viene via via regolato e limitato, Ie battaglie per il delle condizioni di vita nei manicomi e uclle carceri. Cio che viene in questione in queste batI .iglie 1a limitazione dell'uso delIa £orza in base alIa .Iistinzione tra uso lecito e uso illecito, e attraverso la rcstrizione dell'uso lecito e l'allargamento di quello illccito. Una legge che stabilisse che i genitori non possono picchiare i loro figli, e gli insegnanti i loro scolari, rientrerebbe perfettamente nel disegno genera le dello staro di diritto, cioe in un tipo di stato in cui ogni forma di esercizio delIa forza fisica regolata da norme che consentono di distinguere l'uso legale dall'uso illegale. Il ricorso alIa forza e il mezzo tradiziona1e e pili dficace (tradizionale proprio per la sua grande efficacia) di riso1vere i conflitti sociali. Non basta regolarlo per limitarlo e tanto menD per eliminarlo. Uno dei maggiori problemi di ogni convivenza civile e quello di create delle istituzioni che permettano di risolvere i conflitti, se non tutti i conflitti che possono sorgere in una societa almeno la maggior parte, senza che sia necessario ricorrere alIa forza, se pure alIa forza legittima, perche esercitata dal sovrano, e legale, perche esercitata nell'ambito delle leggi che 1a regolano. L'insieme delle istituzioni che rendono possibile la soluzione di conflitti senza il ricorso alIa forza costituiscono, oltre 10 stato di diritto, 10 stato democratico, vale a dire 10 stato in cui vige la regola fondamentale che in ogni con£litto vinci tote e non gia colui che ha pili forza fisica ma colui che ha pili forza persuasiva, cioe colui che con la £orza delIa persuasione (0 dell' abile propaganda o anche della subdola manipolazione) e riuscito a con/.:1
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quistare la maggioranza dei voti. In linguaggio funzionalistico si puo dire che il metodo democratico i1 '.surrogato funzionale alI'uso dell a forza per Ia soluzione dei conflitti sociali, Un surrogato non esclusivo ma del quale non si puo disconoscere l'enorme importanza per ridurre l'ambito del puro dominio: il dibattito al posto dello scontro fisico, e dopo i1 dibattito il voto al posto dell'eliminazione fisica delI'avversario. Mentre la istituzione dello stato di diritto influisce sull'uso delIa forza regolandola, l'istituzione dello state democratico vi influisce riducendone 10 spazio di applicazione. La distinzione di questi tre momenti nella formazione dello stato moderno - 10 state come pura potenza, 10 stato di diritto e 10 stato democratico uno schema concettuale che vale quel che vale. Vale come tutti gli schemi per mettere un po' d'ordine nella discussione. In particolare, a me serve per avviare un dibattito sulla crisi attuale delle istituzioni nel nostro paese. Invertendo l'ordine dei tre momenti, la gravita delIa crisi istituzionale del nostro paese consiste nel fatto che prima di tutto in crisi 10 stato democratico (suI quale desidero in modo particolare soffermarmi nella second a parte del mio discorso); in crisi 10 stato di diritto, nel senso che stanno venendo me no alcune garanzie circa l'uso delIa forza legittima; in crisi 10 stato stesso in quanta tale, in quanta pura potenza, come diventa ogni giorno pili evidente dall'estendersi delIa violenza privata e dalla incredibile capacita che essa ha di resistere efficacemente alla offen siva della violenza pubblica. Si tratta di tre crisi diverse,' che si pongono a tre diversi livelli della formazione dello stato
ma che sono strettamente connesse. La inefdella nostra democrazia induce gruppi rivoluloIlL"; cd eV~rsivi a tentare di risolvere con la forza , I'" ,I,lemi che il metodo democratico male usato non "':.1(' a risolvere, il che mette in questione 10 stesso .1.1111 come l'unico detentore della forza legittirna: la I. 1I,1('lll:aa risolvere i conflitti con la forza porta alla !".I1II1:t!e sospensione di alcune norme caratteristiche ,I. !In state di diritto; il logoramento dello stato di diI III I aggrava la crisi delIa democrazia dando luogo a "" vera e proprio circolo vizioso. rr
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,I, Mi soHe.rmo in modo particolare sulla crisi della ,I'"I()crazia sia perche l'oggetto principale del dibatI II politico non solo in I talia sia perche, almeno per d nostro .paese-, e la crisi principale che trascina dietro li sc Ie altre due. Continuo COs!e completo quel para1'.1:'(0 di uno scritro precedente in cui avevo presentato '!,':lttro paradossi dell a democrazia derivanti: a) dal ml,lrasto fra democrazia, considerata tradizionalmente (()ll1e il regime adatto alle piccole comunita, e Ie grandi "ganizzazioni; b) dal contrasto tra l'efficacia del conI rollo democtluico e l'aumento spropositato proprio in 1()llseguenza delle sviluppo democratico dell'apparato hurocratico dello stato; c) dal contrasto tra I'incornpeICI1Zadel cittadino messo di fronte a problemi sempre pili complessi e l'esigenza di soluzioni tecniche accessibili solo a specialisti; d) dal contrasto infine fra il presupposto etico dell a democrazia, l'autonomia delI'individuo, e la societa di massa, caratterizzata dall'individuo eterodiretto 4. Per definire con una espressione il nuovo tema si tratta non tanto della contraddizione
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in cui versa ogni regime democratico quanto dei suoi effetti perversi: perversi nel senso che nel seno stesso delle democrazie si sviluppano situazioni che la contraddicono e minacciano di capovolgerla. Prendo in considerazione tre problemi: a) l'ingovernabilita: b) la privatizzazione del pubblico; c) il potere invisibile. SuI primo problema, quello dell'ingovernabilita, scorro velocemente, perche c'e gia, se pur non in Italia, una . vasta letteratura sull'argomento. Naturalmente qui non si tratta dell'ingovernabilita all'italiana, nel senso cioe di crescente difficolta di formare coalizioni stabili di governo, come ben dimostrano le tre fini premature gia avvenute, e la quarta incombente 5, delle legislature. Si tratta dell'ingovernabilita intesa come conseguenza dell a sproporzione fra domande che salgono sempre piii numerose dalla societa civile e Ia capacita che ha il sistema politico di rispondervi. Si costretti a constatare ogni giorno di piu che la macchina statale, anche la piii perfetta, e diventata troppo debole e troppo lenta per soddisfare tutte Ie richieste che i cittadini e i gruppi le rivolgono. Questo inconveniente e strettamente connesso con la democrazia di cui puo essere considerato un effetto perverso, perche il regime democratico per l'appunto quello che piu di ogni altro facilita e in un certo senso sollecita la presentazione di domande da parte del cittadini e dei gruppi. Non si puo paragooare la quantita di domande che poteva pone allo s I ato un contadino analfabeta del secolo scorso, che non 1)( '1' -va neppure votare, quando ancora non esistevano ·.11)( Lwali ed esistevano soltanto partiti di elites, con 'III'!!" dIe e in grado di porre un operaio sindacaliz-
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zato e politicamente militante di oggi. Quel contadino cmigrava 0 moriva di fame. L'operaio sindacalizzato e militante di oggi lotta ogni giorno per migliorare le proprie condizioni di vita e il governo, se vuol sopravvivere, non 10 puo ignorare. Le istituzioni che permettono la presentazione delle domande sono Ie istituzioni tipiche dello stato democratico, a cominciare dal suffragio universale, per passare attraverso la libera formazione .lci sindacati e dei partiti, Ie varie liberta, fra cui fon.lamentali la liberta di stampa, di riunione e di associazione. Non c'e da meravigliarsi che una delle piu clamorose conseguenze dell'emancipazione politica sia state il potenziamento dei servizi pubblici e quindi del!'apparato statale, sino allimite di quel « sovraccarico » .lalla constatazione del quale e sorto in questi anni ed (. subito dilagato il dibattito sull'ingovernabilita. Posto i1 problema dell'ingovernabilita come probleilia di divario fra domanda e risposta, si capisce che lc soluzioni estreme possibili sono sostanzialmente due: ,. la diminuzione forzata delle domande, che la soluvione autoritaria; oppure il rafforzamento e il miglior.unento dello stato dei servizi, che e la soluzione so«ialdemocratica. Non per nulla la dove la soluzione so«ialdemocratica, in parole povere, 10 stato assistenziale, ';cgna il passo, fa la sua apparizione la soluzione autori[aria. Rispetto al problema delIa ingovernabilita un rq~ime autoritario puo essere reinterpretato come i1 re!,.illle che risolve il problema non aumentando la capa,i la dello stato di provvedere aIle aspettative crescenti, Ilia comprimendo la capacita dei cittadini e dei gruppi ,Ii proporre sempre nuove domande mediante la sopI,rcssione di tutte quelle istituzioni, dal suffragio uni-
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versale alle liberta di stampa 0 di associazione, che caratrerizzano la cittadinanza attiva. Allo stesso modo, uno stato socialdemocratico puo essere reinterpretato come quello stato che cerca di risolvere il problema delle aspettative crescenti non - bloccando la domanda ma accettando la sfida posta dallo sviluppo della democrazia attraverso la sempre piii efficiente organizzazione dello stato cosiddetto sociale 0 dei servizi. Che questo stato, detto spregiativamente, a torto, « assistenziale », sia in crisi, non vuol dire che per riso1vere il problema della governabilita non vi sia altra alternativa che quelIa dello strozzamento della democrazia 0 del ritorno alIo stato minimo della tradizione liberale, come viene au spica to dai neoliberisti. Dal pun to di vista delIa « lezione dei classici» il problema della ingovernabilita offre qualche interessante spunto di riflessione. Uno dei temi ricorrenti della storia politica e sempre stato quello delI'abuso di potere: 1a distinzione capitale fra buon governo e mal governo viene stabilita in base al criterio del buon uso e del cattivo uso del potere, dove per cattivo uso si intende un potere esercitato al di la dei limiti posti dalIe leggi, e quindi esorbitante. II problema della ingovernabilita solleva il problema contrario, non dell'eccesso ma del difetto di potere, non del pot ere esorbitante ma del potere manchevole, inetto, incapace, non tanto del cattivo uso del potere quanto del non uso. Uno dei pochi autori che abbia trattato il problema col solito acume (anche Hobbes merita il titolo di acutissimus che Spinoza aveva attribuito a Machiavelli) stato l'autore del Leviatano, per il quale irrilevante il problema classico delI'eccesso di potere che permetteva di distingue-
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il buon sovrano dal cattivo sovrano (come potrebbe .xcedere nelI'esercizio del suo potere il sovrano il cui potere per definizione e senza limiti?), mentre non e irrilevante il problema del sovrano che non riesce 0 per debolezza 0 per altri motivi d'incapacita a esercitare il potere che il popolo sottomettendosi gli ha attribuito. Tanto poco irrilevante che la ragione principale per cui i sudditi possono considerarsi scioIti dalI'obbligo di obbedienza al sovrano e, secondo Hobbes, la sua inettitudine al comando e di conseguenza l'incapacita di assolvere al dovere fonda men tale che e quel10 di proteggerli dai danni che ognuno puo procurare all' altro e da quello che possono proven ire dagli altri statio Hobbes si limita a par1are di protezione perche nella sua concezione il fine principale dello stato e l'ordine interno ed esterno. Oggi il cittadino non chiede allo stato soItanto 1a protezione ma ben altro. 11 problema pero non cambia. Anzi, se mai e aggravato. Lo stato e in crisi quando non ha il potere sufficiente per svolgere i suoi compiti. II problema delIa ingovernabilita la versione contemporanea del problema dello stato che pecca non per eccesso ma per difetto di potere (s'intende del potere volto alla soIuzione dei problerni d'interesse collettivo, al perseguimento del «bene comune »). Se si osserva quel che e avvenuto in Italia in questi trent'anni ci si trova di fronte a un esempio clamoroso di divario crescente fra domanda sociale e risposta politica. Si pensi soltanto a tutte le riforme proposte, continuamente rinviate 0 lasciate cadere, aIle montagne di parole che producono fatti grandi come topolini, al ritardo con cui gli organi decisionali dello stato 23 It'
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di questa immensa transazione e assai piu l'accordo informale fra le diverse parti che compongono la societa civile che non l'istituto £ormale, e minuziosamente regolato dalla costituzione, dalla legge. A ben guardare, la funzione principale dello stato, ma sarebbe meglio dire del governo, che e l'organo centrale di direzione e di soluzione degli aHari pubblici, e quella di media tore e tutt'al piii di gar ante di accordi che avvengono fra le grandi organizzazioni (sindacati, imprese, partiti) in conflitto fra loro, quando non e esso stesso una parte in causa, una controparte. Le grandi organizzazioni agiscono come enti quasi sovrani, come grandi potentati, che hanno fra di loro rapporti destinati a concludersi con accordi molto piu simili ai trattati internazionali, sottoposti alla clausola rebus sic stantibus, che non a una legge, che deve essere ubbidita senza condizioni (l'obbligo di ubbidire aIle leggi e l'obbligo primario di tutti i cittadini, come e del resto previsto dall'art. 54 dell a Costituzione). La miglior prova dell'esistenza di questi potentati semisovrani e la tesi dei grandi sindacati relativi all'autoregolamentazione del diritto di sciopero. Non c'e bisogno di essere molto versati in diritto pubblico per sapere che l'autoregolamentazione e la preragativa dell'ente che si considera sovrano, intesa la sovranita proprio come il potere di autodeterminarsi 0 di autolimitarsi, di determinare senza essere alIa loro volta determinati, di limitare senza essere alIa loro volta limitati. Una delle manifestazioni piu macroscopiche dell a privatizzazione del pubb1ico e il rapporto di clientela, rapporto tipicamente privato, che prende in molti casi i1 posto .del rapporto pubb1ico fra rappresentante e rap-
rispondono alle richieste che in una societa comp1essa e articolata premono per essere soddis£atte, e a1 ritardo ancora piu grande con cui organi esecutivi mettono in pratica le decisioni £aticosamente prese. Cose troppo note perche ci sia bisogno di richiamarle ancora una volta all'attenzione del pubblico ma che rappresentano la prova palm are di una democrazia malgovernata. Per « privatizzazione del pubblico» in tendo il processo inverso a quello che e stato chiamato di «pubblicizzazione del privato » ed e stato sinor a considerato da scrittori politici e da giuristi il processo naturale di sviluppo dello stato moderno, da ravvisarsi nel graduale assorbimento della societa civile nello stato. Quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi puo essere interpretato come 1a dis£atta della idea dello stato come punto di convergenza e di soluzione dei conflitti sociali, come sintesi, come un punto a1 di sopra delle parti, insomma delIa concezione sistematica dello stato, cara ai po1itologi contemporanei, come il sistema dei sistemi. Se si identifies nella legge la mani£estazione piii alta dell a volonta colletti va, e la prova cruciale dell'esistenza di una s£era pubblica superiore alIa sfera privata, una serie di £enomeni cui assistiamo nella societa contemporanea possono essere definiti come rivincita del contratto, cioe della tipica manifestazione giuridica delIa s£era privata. Piii che la manifestazione di una volonta colIettiva 10 stato contemporaneo si presenta, per riprendere una £elice espressione di Carlo Cattaneo, che non si era lasciato incantare dalIe definizione meta£isiche di questo ente supremo che si erge imperioso sulIa volonta dei singoli, come « un'immensa transazione » fra interessi divers!' Lo strumento tipico
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presentato. II rapporto politico e un rapporto tra chi da protezione per ricevere consenso (e attraverso il consenso la propria legittimazione) e chi offre il proprio consenso in cambio di protezione (magari anche di altri beni 0 risorse di cui il potere pubblico dispone). Questo rapporto si puo dire pubblico quando non avviene fra Tizio, uomo pubblico, e Caio, privato cittadino, ma tra la categoria dei rappresentanti nel suo complesso e questo 0 quel gruppo di cittadini che hanno posto ai rappresentanti richieste attraverso quei canali costituzionalmente legittimati a trasmettere la domanda che sono i partiti, insomma quando si tratta non di un rapporto diretto, da persona a persona, ma di un rapporto, impersonale e indiretto, fra l'organo incaricato di dare risposte aIle domande dei cittadini e questo 0 quel gruppo politico organizzato per la trasmissione dell a domanda. Com'e nota (ma spesso i fautori dell a democrazia diretta 10 dimenticano), la ragione del divieto di mandato imperativo sta proprio nell'esigenza di trasformare iI rapporto politico privato, inteso come rapporto di scambio tra persone, caratteristico della societa feudale, in rapporto politico pubblico caratteristico dello stato legale e nazionale secondo l'interpretazione weberiana. Questo stesso rapporto politico si trasforma in un rapporto privato quando accade, come accade nel rapporto patrono-cIiente, ormai ampiamente studiato tanto nelle societa antiche quanta come degenerazione dello stato rappresentativo nelle societa contemporanee, che colui che dispone di risorse pubblicbe, sia egli un deputato, un amministratore locale 0 un funzionario statale, le adopera come risorse private in favore di questo 0 quel cittadino, il quale a sua volta
offre il proprio voto 0 la propria preferenza in cambio di qualche favore, ovvero di un qualche vantaggio economico 0 di un qualsiasi altro beneficio, che l'uomo politico 0 l'amministratore 0 il funzionario sottraggono all'uso pubblico 6. SuI terzo ed ultimo tern a del potere invisibile mi limho a qualche osservazione 7. 11 punto di partenza mi e stato offer to da un passo di Kant, contenuto nell'appendice al trattatello della Pace perpetua, intitolato Dell' accordo della politica con la morale secondo il concetto trascendentale del diritto pubblico. Kant considera la « pubblicita » come condizione necessaria della giustizia di un'azione, ponendo come formula trascendentale del diritto pubblico i1 seguente principio: « Tutte Ie azioni relative al diritto di altri uomini, la cui massima non e suscettibile di pubblicita, sono ingiuste ». Che una massima non sia suscettibile di diventare pubblica vuol dire che, se mai fosse res a pubblica, susciterebbe una tale reazione che riuscirebbe difficile, se non addirittura impossibile, attuarla. Kant applica il principio, nel diritto interno, al preteso diritto di resistenza 0 d'insurrezione al sovrano, argomentando che «l'ingiustizia della ribellione si rende chiara da questa: che la massima di essa, qualora fosse pubblicamente conosciuta, renderebbe impossibile il proprio scopo. Percio dovrebbe essere tenuta necessariamente segreta »; e nel diritto internazionale, al diritto del sovrano di infrangere i patti stabiliti con altri sovrani, argomentando che se nell'atto stesso di stabilire un patto con un altro stato 10 stato contraente dichiarasse pubblicamente di non sentirsi vincolato al patto stabilito, «accadrebbe natural mente che ognuno 10 fuggi-
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rebbe oppure £arebbe lega con altri stati per resist ere alle sue pretese », con la conseguenza che «la politica con tutte Ie sue astuzie verrebbe meno al suo scopo, ragion per cui quella massima deve considerarsi ingiusta » 8. Mi pare indubbio che la pubblicita sia uno dei caratted salienti dello stato democratico, che e appunto 10 stato in cui dovrebbero essere apprestati tutti i mezzi per far sf che Ie azioni di chi detiene il potere siano controllate dal pubblico, siano in una parola « visibili ». Lo stato democratico 10 stato dove dovrebbe avere un peso decisivo per la £ormazione e il controllo delle decisioni politiche l'opinione pubblica, dove stabilito per principio che Ie sedute del parlamento sono pubbliche, tutto cia che viene detto durante i dibattiti in assemblea viene integralmente pubblicato in modo che chiunque possa prenderne notizia, e non solo coloro che sono presenti alle sedute, i giornali sono Iiberi di mani£estare pro 0 contro l'azione del governo. In una parola, una delle molte possibili interpretazioni dello stato democratico quell a che 10 raHigura come una casa di vetro in cui non sono pili ammessi e neppure possibili gli arcana imperii propri dello stato autocratico, di quello stato in cui vale la massima «ch'i segreti de' regni al folle volga / ben commessi non sono »9. II politico democratico uno che parla in pubblico e al pubblico, e quindi deve essere in ogni istante visibile (di una visibilita che con la diffusione dei mezzi di comunicazione dell'immagine a distanza non neppur pili una meta£ora). Al contrario, l'autocrate deve poter vedere tutto senza essere vista. II suo potere £atto a immagine e somiglianza di quello
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di Dio che l'onniveggente invisibile, ed tanto phi potente in quanto tutti sono visti da lui ed egli non e vista da nessuno (ricordo che quando era in voga una battuta scherzosa sulla propaganda elettorale del partito democristiano: «Vota pure liberamente perche Dio ti vede e Stalin no », mi era accaduto di ribattere che in uno stato ateo, che ha £atto delI'inesistenza di Dio un dogma di governo, e insieme £ondato su una polizia capillarmente pervasiva, secondo l'immagine di Orwell, valeva la massima opposta: «Bada come voti, perche Dio non ti vede, Stalin S1»). Intendiamoci, quando parlo delI'autocrate invisibi1e non mi rife risco a1 suo aspetto esteriore. II potere quanto pili autocratico tanto pili deve apparire all'esterno con segni incon£ondibili della sua potenza: 1a reggia in mezzo alIa citra, la corona e 10 scettro, la magnificenza delle vesti, il corteggio dei nobili, la diffusione di simboli in sensa proprio « vistosi ». Ma deve essere subito notato che a questa visibilita puramente esteriore non corrisponde una egual visibilita dell a sede, il « gabinetto segreto », in cui vengono prese Ie decisioni politiche. Alla visibilita dell'attore a degli attori, necessaria per in£ondere il sentimento di rispetto 0 di timor reverenziale per chi e padrone della vita e della morte dei propri sudditi, £a riscontro [invisibilita dell'azione necessaria per garantirne, insieme con l'incontrollabilita, la pili assoluta discrezionalita. Considero rilevante il problema del potere invisibile, perche uno degli aspetti preoccupanti dell a nostra democrazia e che la pubblicita, la trasparenza, 1a visibilira del potere non hanno retto in questi anni alIa prova. Mi stupisce quanto poco si sia riflettuto da par29
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te degli scrittori politici sull'importanza che ha assunto nella nostra vita di tutti i giorni il potere occulto, sia da parte dello stato sia da parte dell'antistato. Servizi segreti da un lato e gruppi terroristici clandestini dall'altro sono sempre stati due facce dello stesso fenomeno, cioe del pot ere che si nasconde per essere pili . invulnerabile. Non ho bisogno di sottolineare quanta grande sia stata l'influenza sulla vita politica del nostro paese dell'azione politica invisibile, dalla strage di piazza Fontana al terrorismo dei nostri giorni. Cio che invece mi preme sottolineare che il tema del potere occulto, olim degli arcana imperii, 0 che e 10 stesso, degli arcana seditionis, stato completamente bandito dai trattati di scienza politic a e di diritto 'pubblico come se non avesse pili alcun interesse, come se, con l'avvento degli stati costituzionali moderni e con la formazione dell'opinione pubblica, il fenomeno fosse completamente scomparso. Si pensi per contrasto allo spazio che al tema delle congiure da Machiavelli che vi dedica uno dei capitoli pili densi dei Discorsi. Sara bene che d'ora innanzi uno spazio non meno ampio vi sia dedicato nei nostri prossimi studio Al tema dell a visibilita e invisibilita del potere si .ricollegano altri due temi: quello dell'ideologia come nascondimento e quello dell' accresciuta capacita di conoscere i comportamenti dei cittadini, e quindi di « vederli », attraverso l'organizzazione pubblica di centri d'informazione sempre pili perfezionati e sempre pili dficaci mediante l'uso degli elaboratori elettronici. Una delle funzioni dell'ideologia quella di occuli.rrc la verita a scopo di dominio: l'interesse di una ,I:tssc Iatto passare per l'interesse collettivo, la liberta
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di po chi fatta passare per la liberta senz'altra limit azione, l'eguaglianza puramente formale fatta passare per l'eguaglianza sostanziale 0 delle opportunita, e via discorrendo. II potere dunque tende non solo a nascondersi, a non far sapere chi e e' dov'e, ma anche a nascondere Ie sue vere intenzioni nel momenta in cui Ie sue decisioni diventano pubbliche, a fare apparire quel10 che non (0 della simulazione) e a non far apparire quello che :(0 della dissimulazione). Chi abbia qualche familiarita con la letteratura dell a ragion di stato sa quanta grande sia il posto che vi occupa il tema della simulazione e della dissimulazione: un buon motivo anche questa per riprendere in mana i classici del pensiero politico. L'unico antidoto a questa tendenza di chi detiene il potere la critica pubblica, la quale dovrebbe proporsi il compito del « disoccultamento », 0, con una parola abusata ma calzante, della « demistificazione », Inutile aggiungere che solo uno stato democratico, dove una delle regole fondamentali del gioco e la Iiceita del dissenso, questo compito delIa libera critica puo trovare Ie condizioni indispensabili per il proprio svolgimento. Circa il reale potenziamento dei mezzi che ha il potere di vedere quello che succede nella societa su cui si espande, occorre dire che non e possibile confrontarne I'intensita e l'estensione, propria di uno stato moderno che abbia il monopolio dei mezzi d'informazione o per 10 meno di un certo tipo di mezzi d'informazione, con quelle di uno stato, anche il pili assoluto e dispotico, dei tempi passati. Chi legga oggi Ie narrazioni storiche sempre pili frequenti e pili minute delle ".A'iW11£~, contadine che scoppiavano improvvisamente
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to saltuariamente durante il dominio delle monarchie assolute si rende conto quanta poco riuscisse a «vedere » il monarca con il suo apparato di hmzionari, come le rivolte scoppiassero senza che il potere fosse in grado di prevenirle, sebbene non andasse poi tanto per il sottile nel reprimerle. Si tratta anche in questa caso di un fenomeno che va in senso inverso all'allargamento e al rafforzamento dell a democrazia. Via via che aumenta la capacita dello stato di controllare i cittadini dovrebbe aumentare la capacita dei cittadini di controllare 10 stato. Ma questa crescita parallela e ben lungi dal verificarsi. T ra Ie varie forme di abuso del potere c'e oggi la possibilita da parte dello stato di abusare del potere d'informazione, diverso dall'abuso del potere classico che veniva individuato essenzialmente nell'abuso della forza. Si tratta di un abuso di potere tanto diver so e nuovo che occorrerebbe escogitare e praticare nuove regole sui limiti del potere dello stato, il che siamo ancora ben lungi dall'aver fatto. Ma basti per ora aver accennato al problema che meriterebbe un discorso a parte e ben pili documentato e ponderato di quel che io sia in grado di svolgere in questa sede. Ingovernabilita, privatizzazione del pubblico, potere invisibile sono tre aspetti delIa crisi delIa democrazia, che si fa sentire un po' dappertutto ma e particolarmente grave in Italia. Nel nostro paese poi la crisi delIa democrazia aggravata anche dalla crisi dello state di diritto, come mostrano ogni giorno gli scandali derivanti dal fatto che al di sotto del governo costituzionale opera attivamente un altro governo (chiamato giustarnente «sottogoverno») « senza leggi ne freni », e
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dalla crisi dello stato tout court, come mostra 10 seatenamento della forza privata, che la forza pubblica non riesce a dominare. Mi sono soffermato particolarmente sulla situazione di pericolo in cui versa il sistema democratico anche perche ritengo che il risanamento e il rinvigorimento di questa crisi sia la condizione per la soluzione delle altre due.
N. Machiavelli, Discorsi, III, 43. T. Hobbes, Leviathan, ediz. M. Oakeshott, Oxford, Blackwell, p. 82 (trad, it., di G. Micheli, Firenze, 1976, p. 120). 3 Mi riferisco allibro di C. B. Macpherson, The Political Theory of Possessive Individualism, Oxford, Clarendon Press, 1962 (trad. it., Liberia e proprieta aile origini del pensiero borgbese, Milano, 1973). 4 N. Bobbio, Quale socialismo?, Torino, 1976, pp. 45·52. 5 Tanto incombente, quando scrivevo queste pagine (gennaio 1981), da essersi puntualmente avverata, se pure due anni dopo. 6 Su questo tern a mi sono soHermato pili a lungo, in due articoli successivi: Liberalismo vecchio e nuouo, in Mondoperaio, n. 11, 1981, pp. 86-94; e Percbe torna di moda il contrattualismo, in Mondoperaio, n. 11, 1982, pp. 84-92. 7 Per un pili ampio svolgimento rinvio al mio articolo La democrazia e il potere inuisibile, in Rivista italiana di scienza politica, X, 1980, pp. 189-203. 8 Kant, Scriui politici, Torino, 1956, pp. 329-333. 9 Tasso, Torrismondo, vv. 408-9. 1
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Salvatore Veca Ragione
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Questa relazione e articolata in tre parti. In ciascuna di esse si present a e discute una versione dei rapporti fra ragione e rivoluzione. Nella prima metto a fuoco alcuni problemi di teoria dell a rivoluzione e presento argomenti a favore di una prospettiva storicocomparata di ascendenza - grosso modo - weberiana. Nella second a parte, in una prospettiva prevalente di storia delle idee, sostengo una tesi intorno al tipo particolare di teoria della rivoluzione che e rintracciabile nel programma di Marx e delineo la sua versione del rapporto fra ragione e rivoluzione. Per contrasto, pongo l'accento nella terza parte sugli aspetti originali presenti nella teoria delIa rivoluzione di Lenin, considerata come il nucleo delIa maggiore tradizione rivoluzionaria nel nostro secolo. Alcune osservazioni conclusive slittano infine dall'ambito esplicativo 0 positivo a quello normativo, nella prospettiva dell a filosofia politica (0, almeno, di una sua possibile accezione). 1. La prima parte della mia relazione riguarda alcune questioni di tipo sociologico sostanziale; questioni, cioe, che interessano direttamente gli scienziati so35
ciali. Essa concerne 10 stato delle teorie dell a rivoluzione e della sua ragione, nel senso della massima di razionalita degli attori. Utilizzero per questa scopo due suggerimenti di Max Weber. II primo e un abbozzo di una tipologia delle rivoluzioni, meno nota dell a celebre tipologia dell a legittimita, ma a essa apparentata. In Economia e societe Weber parla di rivoluzioni tradizionaliste, rivoluzioni carismatiche e rivoluzione della ratio. Le prime fondano 1a loro ragione sull'imperativo di ripristinare, restaurare, re-istituire un ordine originario tradito, degradato, corrotto. (Cia puo richiamare l' attenzione sulla storia semantic a del termine astronomico revolutio con l'accento sul re.) Le seconde sospendono 1a validita del tempo, dell'ordinarieta, fissandola in un presente assoluto, fuori del tempo dell a tradizione (rivoluzione «dall'interno », conversioni, metanoia). Le terze, 0 meg1io la terza e un meccanismo a mano invisibile che muta « dall'esterno » valori, principi, istituzioni, poteri, relazioni sociali. E facile vedere come questa tipologia sia associata a quella della legittirnita del potere. Quello che mi interessa e che un approfondimento di questa indicazione di Weber finisce per mettere in luce il fatto che Ie rivoluzioni, eventi rari e propri della storia modern a e contemporanea, sono associate in modi diversi a processi di modernizzazione. Naturalmente, non tutte le modernizzazioni hanno luogo via rivoluzione (il Giappone delIa restaurazione Meiji 0 la Germania di Bismarck insegnano), ma tutte le rivoluzioni generano modcmizzazione 0 devono comunque soddisfarne l'impn;lIivo (dalla Glorious Revolution a quella francese, :ilL. rivoluzione russa 0 messicana). !"I
Questo suggerisce un'altra considerazione: gli eventi o i processi rivoluzionari hanno ache vedere con strutture sociali e conflitti agrari 0 contadini. Sappiamo quanta cia sia importante soprattutto per gli sviluppi che hanno quanta aIle istituzioni (dittatura, democrazia), Come hanno mostrato i lavori ormai classici di B. Moore e E. Wolf, 1a rivoluzione e uno dei processi di fuoriuscita dal mondo agrario e da economie in stato reintegrativo 0 stagnante e da particolari forme tradizionali di coazione alla produzione di sovrappiii (e di estrazione dello stesso). Osserviamo che cia ha un senso particolare se disponiamo storicamente in serie Ie rivoIuzioni dot ate di effetti, quelle cioe che hanno vinto, secondo l'indicazione di B. Moore e Th. Skocpol: gli effetti delIa grande ribellione inglese sono quelli di distruggere I' assetto cornunitario delle campagne, avviando la commercializzazione e 1a rnobilita necessaria alla rivoluzione industriale: un parlamento di signori della terra pilota la prima industrializzazione. La notte del 4 agosto 1789 i contadini francesi sono impegnati nell'abolizione dei vincoIi feudali sulla terra. Le rivoluzioni del XX secolo, sia dell'Ottobre, sia della guerra di 1iberazione cinese, sia delIa 1iberazione coloniale vietnamita, ecc. danno luogo, in modi diversi, a processi di crescita economic a 0 di allontanamento dalla scarsita. Ora, questo imperativo della modernizzazione 0 questo semplice fatto - che sembra uno dei pochi elementi transculturali e in qualche modo universali appartiene alla rivoluzione dell a ratio di cui parla Weber: un processo a mana invisibile, che nessuno progetta, un risultato 0 effetto non atteso che genera il 37
fine vincolante della crescita e, per dir CaS!, l'idea di progresso, legata alla razionalizzazione, all'homo faber, al prometeismo, all'artificialismo della macchina, infine, alla scienza modern a e alla impresa tecnologica (rnanipolabilita dell'ambiente e controllo ex ante degli ef£etti desiderati); tutto questa e un individuo storico, il complesso culturale moderno (Germani) che si genera, in una congiuntura del tutto particolare, per una serie di condizioni del tutto contingenti, in occidente. Solo in occidente, come ripetutamente af£erma Weber. Ora, questa congiuntura, su cui Weber si e interrogato a lungo, ha avuto ef£etti pervasivi, diffusivi, emulativi: ha consentito il din ami sma europeo e generato reazioni a resistenze a esso. Vedremo nella seconda parte delIa relazione come importanti elementi dell a tradizione rivoluzionaria del XIX e del XX secolo si possand interpret are anche e in parte come una famiglia di reazioni alla modernizzazione europea. II primo suggerimento di Weber ci porta quindi a considerare 1) il .nesso fra rivoluzione e modernizzazione; 2) il carattere in sensa lata contadino e agrario di eventi a processi rivoluzionari, del tipo di quelli cui ci riferiamo parlando di rivoluzioni vittoriose, che hanna mutato pili livelli dell a societa; 3) il nesso fra rivoluzione e mutamento di legittimita tradizionali, nel sensa tecnico di Weber (gli Stuart, i Borboni, gli zar, il mandata del cielo, ecc.); 4) il carattere di meccanismo a mana invisibile a di insieme di ef£etti non ati csi dell'azione sociale, proprio della rivoluzione della r.tl io, della combinazione « scienza, individuo a persoILl, mcrcato ». Su questa punta, naturalmente, resta 1011( l.unentale il contributo di Carl Polanyi sulla Gran-
de trasformazione in cui viene studiata, in Europa, la latta contra la modernizzazione (e la sua parziale sconfitta). Considerando Ie case in questa prospettiva, possiamo percio parlare di una famiglia di eventi a processi-rivoluzione, associati in vari modi a societa agrarie, al collasso di legittimita tradizionali e in qualche rapporto - malta differenziato - can gli imperativi dell a modernizzazione (questa semplicemente per via del nota problema dei primi e dei secondi venuti). Sviluppiamo ora l'indicazione di Weber daI punta di vista degli attori che e il punta di vista complementare a quello strutturale sinor a assunto. Possiamo dire che ogni « immagine » a prospetto di rivoluzione incorpora 1) una determinata concettualizzazione del tempo (cicIo, cicloide, linea, passato-presente-Iuturo, attesa, speranza, promessa, ecc.); 2) una « teoria » dell a modalita (societa possibile, azione possibile, obiettivo possibile, societa bene ordinata contra societa disordinata, ecc.); 3) una massima di razionalita intesa come insieme di obiettivi e calcolo dei mezzi a costi (una teoria del comportamento razionale si propane di spiegare, in termini di bilancio costi-benefici attesi, quando attori intraprendono a favoriscono a si oppongono alle rivoluzioni e quando non Ie fanno). Naturalmente, questa riguarda la logica degli attori. Ma occorre fare malta attenzione all'ipotesi, propria delle teorie socio-psicologiche dell a rivoluzione come violenza (T. Gurr), delle teorie del conflitto alla Ch. Tilly e di quelle marxiste, come vedremo, di una interpretazione « intenzionale» dei processi a eventi rivoluzionari. Sembra di pater dire: le rivoluzioni avvengono, non si fanno.
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Go suggerisce che dobbiamo concettualizzare l' azione collettiva in termini di ambiente-congiuntura e di conseguenze non attese, nonche di pre-condizioni di lungo periodo che generano il contesto in cui ha luogo il derapage del processo rivoluzionario (Furet). Questa osservazione ci porta a consider are il secondo suggerimento di Weber. Esso e relativo al fatto che le rivoluzioni moderne e con tempo ranee generano stato (nel senso che esse generano apparati centra li di controllo e amministrazione pili forti e legittimita pili corroborate). In tal modo introduciamo un elemento che e assente dalle prospettive in termini di attori e, per altri motivi, dalle prospettive marxiste. Siamo portati a considerate la rilevanza che hanno alcune proprieta delle istituzioni politiche in termini di stato 0 apparato centrale di controllo, repressione, sanzione e prevenzione, monopolio di forza e fonte di consenso. Il termine « stato » e usato qui in senso approssimativamente weberiano, in rapporto a110 spazio, al territorio, alIa popolazione, alla nazione (tradizionale per altro nel sistema continentale degli stati europei). Al termine modernizzazione dobbiamo ora accostare quello di stato-nazione. Abbiamo in tal modo un insicrne 0 una mappa di coordinate per la teoria socioI'lgica de11a rivoluzione. Come insiste Th. Skocpol, e dil"licilc non tener con to delle relazioni transnazionali • 101 1111;1 parte, e delle relazioni domestiche fra stato, .q'I,.ll:lii di controllo, proprietari e contadini dall'altro, I"' )'..-11:11" luce (descrittiva 0 esplicativa) sulla natura ,I, II. Iivoluzioni. (Un'osservazione a margine: quello • I" , .' 11.1,· i usoddislacenti gli impieghi della versione \\.1" 11.111:1,1..110 stato e l'idea a essi soggiacente che 10 111
stato stesso sia concettualizzabile come un soggetto dotato di fini e vincolato, nell'uso dei mezzi, dalla lealta e dall'efficienza delle macchine disciplinari e amministrative 0 degli apparati. In realta, siamo piuttosto anche qui in presenza di effetti non attesi e di una complessa rete di interazione fra pili attori, nessuno dei quali puo controllare sinotticamente le conseguenze, i fini e i mezzi. Non sembra il caso, infatti, di dare a un soggetto come 10 stato tutto quello che la teoria marxista gli toglie. La teoria marxista da analiticamente troppo poco allo stato. La teoria weberiana puo dargli troppo. Lo stesso vale per gli attori sociali, le identita collettive, i gruppi, le classi, Ie organizzazioni, i partiti. Ciascuno di questi attori e pili opportunamente concettualizzabile come impegnato in un gioco misto di coalizione, conflitto, cooperazione con partners. ) In ogni caso, la tradizione dell'analisi storico-comparata sembra la pili adatta a fornire l'ambiente 0 I'insieme di vincoli per gli attori. Le teorie socio-psicologiche tendono a trattare la rivoluzione come un caso di azione collettiva violenta; ma non tutti i casi di azione coUettiva violent a sono propria mente rivoluzioni. QueUe del conflitto, nei termini di giochi tra attori politici dotati di obiettivi totalmente divergenti; ma non tutti i casi di questa tipo sono casi di rivoluzione . Quelle del consenso, nei termini di collasso di legittimita di valori non pili condivisi 0 integranti; ma questo non e necessariamente vero nel senso che non sembra fornire una spiegazione vera e propria quanta piuttosto indicare una condizione di sfondo. Quelle marxiste, infine, nei termini certamente di condizioni strut41
turali, ma 0 senza attori 0 con la sola logica intenzionale degli stessi, come vedremo successivamente. Possiamo quindi concludere questa primo punto: le rare rivoluzioni che hanno avuto effetti sono associate a processi di modernizzazione 0 a reazioni alla stessa. E, in modi diversi, vincolate dall'imperativo della erescita e delIa razionalizzazione. Questo, in societa agrarie (del resto, « liberta, eguaglianza e fraternita » sono all'origine parole d'ordine contadine). In£ine, esse hanno genera to stati-nazione piu forti sia internamente, sia sul piano delle relazioni internazionali. Cio rende piuttosto singolare l'idea di Marx dell'anarchia altruistica (estinzione dello stato), associata per giunta a una previsione di rivoluzione in societa industriali. La second a parte della mia relazione si puo dire cerchi appunto di rispondere alla domanda: come mai e perche in Marx c'e questa idea, cOS! singolare e cost carica di conseguenze non attese? 2. La tesi che sostengo in questa second a partee che la teoria di Marx della rivoluzione e un mosaico di elementi pre-moderni e moderni, generato dallo sfondo dell a prima modernizzazione (inglese), associata in modo del tutto singolare alla rivoluzione per eccellenza (quella francese). In altre parole, Marx pensa l'evento rivoluzione in termini « agrari », entro una societa industriale nascente. Per sostenere questa tesi, e utile ritarsi alla teoria della rivoluzione come teoria del mutamento sociale. Esaminiamo quindi l'effetto congiunto delle due classi di processi, influenti sul programma
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striale. II caso Inglese per Marx l'esempio standard (come sappiamo esso e un caso assolutamente eccezionale, ma il prima). II rifiuto marxiano di riconoscere rilevanza analitica alIa politica, aIle istituzioni, allo stato dipende esattamente dall'en£asi posta sugli effetti del mercato. L'osservazione di processi di crescita e allontanamento dalIa scarsita nel settore mani£atturiero; 10 studio delIa £ormazione di una nuova classe urbana; la percezione deU'intensi£icarsi del conflitto, delIa coazione e delIa violenza nei meccanismi delle nascenti relazioni industriali; l' analisi (comune aIle reazioni alIa modernita) delI'insieme degli effetti del mercato (rot'tura delle legature e della guaina solidaristica, dei sistemi di signi£icato contadini), delI'effetto individualismo, l'erosione delIa comunita e organicita a £avore dell'individualismo (e, naturalmente, i benefici associati a questi costi): e, ancora, I'analisi delIa centralita del conflitto £ra Ie classi proprietarie e quelle salariate entro il settore locale delle relazioni industriali: tutto questa insieme di elementi motiva la direzione della ricerca di Marx sulle proprieta oggettive che il trend del mercato puo esibire. Si tratta delle note « leggi di movimento ». L'analisi verte in realta sullo svincolamento dell'agire economico dalla coucbe contadina. La teoria dell a dinamica del capitalismo (con la dimostrazione della sua impermanenza) genera anche il modello di societa bene ordinata che deve incorporare solo i benefici delIa modernizzazione, senza i costi, consentendo in£atti una cooperazione altruistica senza conflitto. Non solo: come sappiamo, questa societa per£etta latente nel gran disordine del presente. Essa ha anche dalIa sua parte un at tore che e. razionale che la
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raggiunga: gli operai salariati dell'industria. (La razionalita dipende qui dal rapporto tra un costa zero e un beneficio atteso comunque superiore a zero: i salariati hanno da perdere solo Ie catene. Si tratta di una decisione razionale in condizioni di certezza perche disponiamo di una teoria di come e 10 stato alternativo a quello presente. Questo e un modo - forse un po' strano per dire come si coniugano «ragione» e « rivoIuzione » in Marx.) Gli attori rivoluzionari sono infatti prodotti dalle leggi di movimento oggettive del modo di produzione capitalistico. Marx attribuisce loro una funzione «generale» e cio sembra dipendere dal fatto che uno dei principali effetti del mercato (nella previsione di Marx) e la progressiva semplijicazione delIa stratificazione sociaIe: il mercato e pensato «ingoiare », « risucchiare » la societa, Marx ha cioe pensato che il mercato fosse l'unico principio di organizzazione sociale. Per questa il conflitto fra le classi proprie del mercato da locale diventa globale. Si tratta di un gioco a somma zero a due persone: c'e qui una particolare concettualizzazione de1la societa come uno schema di conflitto puro. Marx opera in tal modo una estensione analogica del risultato dell' analisi del « mercato nascente ». Egli estrapola da processi Iocali e condizionati, circoscritti a una lase delIa storia delle societa industriali (di una sociela industriale), proprieta globali e incondizionate, defillite come proprieta di ogni industrializzazione. 11 fiII:tliSI1l0 della sua filosofia delIa storia (il XIX secolo e lit I() di questi dispositivi) si combina con la reazione .11 h ro It II ra del moderno. 11 mito dell a rivoluzione si ,"llill,",:1 COil il mito della crescita: vi quindi una ani-
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ma tradizionale e pre-modern a (come vedremo, di matrice comunitaria, organica) e un'anima modernizzante che enfatizza l'elemento delIa crescita e dello sviluppo (senza costi). Possiamo percio concludere, per questa primo elemento, che la ricezione dell'effetto anomico e disgregante del mercato produce in Marx l'idea: 1) che Ia teoria dell a rivoluzione coincida con la teoria dello sviIuppo (leggi di movimento); 2) che la rivoluzione generi una societa come schema di cooperazione senza costi e solo con benefici; 3) che la particolare mas sima di razionalita per gli attori sia identificabile grazie a una teoria (ragione) del mutamento (rivoluzione). Vediamo ora le cose, a partire dal secondo elemento, l'effetto della rivoIuzione francese. Come ho detto, Marx ha combinato in una sequenz a causale o comunque in una rete di interdipendenza, due eventi, la prima rivoluzione industriale e Ia rivoluzione politica moderna per eccellenza, quella francese, l'unica che abbia prodotto il suo mito e che abbia inventato il termine stesso «rivoIuzionario ». R. Dahrendorf ha osservato come tra questi due processi non vi sia alcun rapporto; almeno nel senso di Marx. Sappiamo comunque quanta Ia Iettura degli storici dell a rivoluzione francese abbia influenza to Marx. Ora, si puo sostenere - da questo punto di vista - che la funzione dell'attore rivoluzionario sia affine a quella (alla Sieyes) di uno stato, di un ordine che e la nazione, senza che cio gli sia riconosciuto. Quanto contano i produttori? Nulla. Quanto essi « contribuiscono» al modo di produzione capitalistico? Quanto essi «sono» in questa modo di produ45
zione? Tutto. La classe sembra in realta per Marx il sostituto funzionale della nazione, L'identita generata dal conflitto con gli altri, gli stranieri che vantano il diritto di conquista sulle risorse (prima comuni). II modello dello sfruttamento {indipendentemente dalla sua formulazione in valore) e quello del prelievo fisico di sovrappiu familiare delle scene rurali (per questa, forse, Marx riabilita i fisiocratici). II gioco a somma zero fra capitalisti e salariati e i meccanismi che regolano il salario sulla linea di sussistenza sono gli elementi che conferiscono alla classe operaia una rigidita «contadina ». La rivolta contadina (che tende alla redistribuzione delle risorse in un quadro di economia reintegrativa) si traveste nella rivoluzione dei salariati industriali in un quadro di economia can sovrappiu. COS1,possiamo dire, la classe nazione; essa deve espropriare gli espropriatori e ripristinare, attraverso una redistribuzione proprietaria, l'assetto della proprieta comune delle risorse. Queste osservazioni consentono di get tare luce sull'intreccio fra elementi pre-moderni e moderni, propri della teoria inespressa della rivoluzione di Marx, quella del mutamento sociale. Ai noti e per altro ovvi infIussi che ha la filosofia della storia giudaico-cristiana, dell a teodicea, ecc. suggerisco di accostare ragioni derivanti dall'appartenenza dell a teoria di Marx alla famiglia di reazioni alla modernizzazione. In questa, Fedele al suo maestro Hegel, Marx si interroga sull'enigma di societa in cui il nucleo prescrittivo lacerata e eroso dal principio dell'individualismo e dello scambio. Come puo tenersi assieme una societa di quesin genere? (Per questo Hegel pensa aIla Sittlichkeit.)
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Noi sappiamo quale importante ruolo svolga Ia «nazione» in questi processi (Habermas). Dal canto suo Marx pensa al ripristino di uno schema di cooperazione senza coercizione (con benefici e senza costi). La ragione della rivoluzione e la soluzione del problema aperto dalla rottura del moderno, in quest'angolo di mondo. Essa coincide con la nozione modello di societa perfetta. Ora, questa «ragione» e espressa dalla teoria «scientifica» del mutamento sociale. Quest'ultima incorpora l'assunto di una razionalita sinottica e I'ipotesi che l'azione umana possa disporre di una teoria migliore in sensa assoluto, cap ace di ridurre a zero i costi della scelta di fronte ai benefici attesi e eliminando gli effetti imprevisti 0 Ie conseguenze non attese. (Come vedremo nelle battute conclusive, in realta, le scelte umane non avvengono quasi mai nella privilegiata situazione in cui si dispone in quel sensa delIa teoria migliore. Esse hanno luogo per 10 piu in un ambiente di incertezza e rischio. A una nozione di razionalita sinottica conviene piii appropriatamente sostituire una nozione di razionalita limitata e introdurre un postulato di ignoranza. E, soprattutto, non disponendo di teoria del mutamento 0 di fila sofie della storia a sbocco predeterminato, conviene rimpiazzare la nozione modello di societe perfetta con quella, piu sobria, di societe migliore.) 3. La .terza parte delIa relazione muove proprio da uno dei piii macroscopici effetti imprevisti da Marx: il fatto che il formarsi di organizzazioni di rappresentanza degli interessi e delle domande politiche e so47
ciali dei lavoratori (i partiti di massa da cui prendono forma gli altri) avrebbe alterato Ie regole del gioco nelIe societa industriali 0 in via di industrializzazione. Naturalmente, l'immagine di rivoluzione muta progressivamente la sua forma classica sino ad assumere, nelle pratiche se non prima 0 poi nelle rappresentazioni simboliche, un valore metaforico, di memoria, simbolo 0 identita collettiva 0 appartenenza. Le immagini del rovesciamento, dell'inversione dell'alto e del basso, della verita e dell 'errore, delIa luce e delle tenebre, degli ultimi che sostituiscono i primi, del sopra che va sotto, ecc., hanno senso solo in un universo stagnante, non caratterizzato da mutamenti e innovazioni, nel quadro di economie reintegrative e, soprattutto, nella ottica della diversita degli esclusi. Rovesciare qualcosa ha senso per chi non e situato nel sistema da rib altare: ma l'obiettivo primo dei movimenti operai e esattamente l'inverso, quello della incorporazione. (Piu precisamente, si potrebbe sostenere che quello dell 'incorporazione non e tanto un obiettivo quanta piuttosto un esito 0 un effetto in presenza di obiettivi divergenti. E plausibile che la teoria marxista delIa lotta di classe nelle societa industriali non sia soddisfacente; ma limiti forti sembra presentare anche la teoria liberale dell'incorporazione.) In ogni caso per le moderne classi lavoratrici, laddove esse hanno forzato l'accesso all'arena politica e hanno ottenuto diritti di cittadinanza sociale con maggiore 0 minore dignita di riconoscimento, il problema centrale diventa quello del conflitto non per il rovesciamento, ma per l'equita sociale nella distribuzione dei costi e benefici della cooper a/,jollc e nella formazione delle decisioni collettive. CoIx
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vedere, muta la concettualizzazione della societa sottostante: essa non e identificabile con uno schema di conflitto puro (perche 10 scambio sociale e vantaggioso rispetto all'isolamento); e piuttosto rappresentabile come uno schema non mutuamente incompatibile di cooperazione e conflitto (perche i gruppi sociali avanzano pretese confliggenti sulla distribuzione dei « valori» sociali). Questo e 10 schema proprio delle societa industriali. Allo stesso modo, possiamo aggiungere, il conflitto fra le due coalizioni proprie del mercato e uno soltanto dei possibili giochi di conflitto. Gli attori sono molteplici, le identita stesse multiple e altrettanto molteplici Ie poste. Questo e proprio di societa a scarsita moderata in cui e pensabile una molteplicita di conflitti e divergenze, COS1 come una molteplicita di convergenze e identita tra attori diversi. E difficile dimenticare che una figura nuova, rispetto alla storia narrata a proposito di ragione e rivoluzione in Marx, esattamente quell a dell'organizzazione politica come partito, un nuovo attore dotato di interessi proprio Questa osservazione ci consente di affront are il problema centrale dell a terza parte dell a relazione. Esso riguarda aleuni aspetti dell a versione data da Lenin del rapporto tra ragione e rivoluzione. Sembra infatti che sarebbe quanta rneno futile occuparsi del nostro tema senza tener conto della maggiore tradizione rivoluzionaria di questa secolo che e quella leninista. Se Stato e riuoluzione sconta l'utopia ottocentesca della socializzazione dell a politica 0 dell'estinzione del10 stato e l'analisi dello sviluppo del capitalismo in Russia incorpora l'originaria lezione di Marx sulle leggi di movimento della storia, il vero testa nuovo cui
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riferirsi a proposito di Lenin resta il Che fare? E qui che Lenin aggiunge al corpo del materialismo storieo e del naturalismo marxiano una vera e propria teoria della rivoluzione come organizzazione. Gli at tori della scena dell'89 non avevano nulla che £osse simile a un programma rivoluzionario. II primo caso che appunta diverra esemplare per la scena ormai planetaria del nostro secolo - di programma rivoluzionario che coincide con l'organizzazione-partito e quello del gruppo bolscevieo della socialdemocrazia russa. La percezione di Lenin della rilevanza contemporanea dell' 01'ganizzazione come valore in se e l'elemento propriamente innovativo rispetto alIa teoria del mutamento sociale di Marx. Come e stato osservato, se il marxismo una teoria della storia, il leninismo una teoria dello sviluppo politico. L'organizzazione e d'altra parte il tema occidentale delle socialdemocrazie. In questo Lenin, com'e noto, guarda e guarders alla Germania, sia nella £ormazione del programma sia - per altri motivi - una volta occupato il vuoto del potere al culmine delIa crisi rivoluzionaria. Al tempo stesso, la scena russa sostanzialmente contadina, come 10 sara quella cinese. I contadini £anno la rivoluzione e la pagano; i bolsceviehi la dirigono. E chi dirige 0 organizza, vince. Di qui la sua ragione e la £onte della nuova legittimita. II problema moderno dell a legittimazione e dell'autorita (da cui siamo partiti nella prima parte delIa relazione) rieeve una risposta inedita. E il partito che deve tarsi stato 0 istituzione: il mandato di governare va al partito. La £onte dell a Iegittimita rivoluzionaria non pUO che £ondarsi sul monopolio delIa forza dell'organizzazione, sulla sua dittatura sovrana.
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II modello leninista sembra in tal modo divenire paradigmatico da un lato come tecniea, programma e organizzazione; dall'altro come nuova istituzione (si pensi al caso esemplare del partito rivoluzionario istituzionale nel Messieo contemporaneo). II punto che occorre riflettere sull'input di istituzione e di razionalita istituzionale che le rivoluzioni con tempo ranee immettono in societa tradizionali. II tratto distintivo sembra quello della contemporaneita dell'imperativo dell'organizzazione. E una prova e data dalle diverse esperienze di modernizzazione e dai vincoli che le industrializzazioni dall'alto pongono ai partiti rivoluzionari. E per questa che l'Ottobre sovietico ha costituito il paradigma in questa secolo per la scena contadina mondiale, in cui grandi paesi e masse vincolate alla legitmid tradizionale, alla scarsita, al prelievo coloniale e alla stagnazione hanno lottato e lottano per l'identita, per assumere il ruolo di attori nella storia. La rivoluzione come organizzazione sembra cost svolgere il ruo10 del moderno Leviatano: essa gioca la carta dello sviluppo politico via partito per innescare la fuoriuscita dal sottosviluppo economico. La teoria della supremazia del partito la controparte nel nostro secolo dell a teoria dell a monarchia assoluta del XVII secolo. «I modernizzatori del XVII secolo canonizzarono il re, quelli del XX secolo il partito » (Huntington). B. Moore ha osservato che gli eHetti di liberta delle rivoluzioni passate « hanno richiesto parecchio tempo per manifestarsi ». Perche questa osservazione? Perche non interrogarsi piuttosto sulla base degli eHetti di e££icienza? Un commento a questa osservazione puo suggerirci alcune considerazioni conclusive.
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4. Nelle tre parti delia relazione ho cercato di idcn tificare aIeune questioni, a livelli e in contesti discipli nari differenti. Ho anche cercato di mostrare aIeune COSl' che e import ante capire 0 spiegare se ci si pone le que stioni che mi sono posto. Considero questo, di capire II spiegare, un ovvio dovere intellettuale. Tuttavia, consi dero anche un dovere intellettuale argomentare intorn. alla ragionevolezza, se non alIa razionalita, di scelte (. preferenze. A questa proposito, le ragioni per cui il no stro tema e stato propos to alIa discussione dai promotori del convegno, non mi sembrano da eludere. Che cosa t' giusto fare, alla luce delI'informazione dei vincoli che Ie nostre precedenti analisi hanno messo in luce? Prendiamo il primo termine: ragione. Ho sostenuto una versione limitata delIa razionalita e ho espresso diffidenza verso I'elogio enfatico delIa ragione che i: proprio di aIeune filosofie delIa storia. La stessa diF fidenza riguarda naturalmente la nozione modello di societa perfetta. Dobbiamo percio concludere che Lt percezione del non esservi un senso «razionale» in corpora to nella storia coincide con il non senso, COli Ia non giustificabilita delle nostre scelte? Non 10 credo. E proprio vero che non vi sia aIeuna nozione accettabile e plausibile di progresso? Non 10 credo; tanto vero che noi non solo esprimiamo continuamentepreferenze ma, se richiesti, ci impegnamo anchc seriamente a sostenerle con argomenti. II punto che la dissoluzione dell'idea univoca di progresso non riduce la nostra fatica razionale, quanta piuttosto genera l'onere di definire da quale punta di vista, sotto quale parametro valutare quaIeosa come migliore e progressivo a eticamente preferibile a qual-
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d'altro. Questo i1 problema che una visione lie sobria della razionalita deve costantemente "f rontare: trovare un criterio alIa luce del quale valui .uc10 stato delle cose; nel nostro caso, l'assetto 0 il ,I':;("gno di una societa, AIeuni obiettano che cio imI" I~;sibile. Ma se come avrebbe detto Kant - deve ,·.:;cre possibile, allora occorre trovare quaIeosa come II cri su cui basare i nostri giudizi di valore. Un ec"·sso di razionalismo chiederebbe di identificare criI <"Ii di questa tipo validi per ogni mondo possibile. ( :.»iviene essere pili sobri e riconoscere che i nostri , IiI cri valgono entro costellazioni di vincoli deterrni'1:1k, entro tradizioni. Non per questo, valgono meno ". se e il caso, vanno rneno ten acemente difesi. Noi , .mtinuiamo a aver bisogno di una teoria del « valore politico », oltre che, naturalmente, di una teoria del .( possibile politico ». Mi chiedo allora: quali vincoli la nostra principale uadizione genera per un'accettabile e praticabile nozione modelIo di societa migliore? Quale filtro per le uostre utopie (Nozick)? 10 credo che il vincolo fon.l.unentale sia quello costituito dal primo dei principi ,ldl'89: la liberta dell'individuo come persona moraIc (Ia Iiberta come condizione base per individui autonorni ). La nostra tradizione, in quest'angolo di mondo, ha come suo tratto distintivo la genesi e il consolidamento della nozione di individuo. Anche questo t~ un pezzo di quella storia contingente dell'individualismo, di cui Weber diceva: solo in occidente. La rivoluzione dell'89 (0 i1 suo mito, non importa) ha formulato i nostri problemi: essa ha genera to l'idea di un progetto moderno in politica. Non c'era aIeuna
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ragione per cui Ie cose non potessero andare diversamente; ma e un fatta che esse sono andate COS1. E questa e un vincolo per Ie nostre concettualizzazioni di una societa migliore. Esso puo essere definito come la priorita delle liberta, in societa a tradizione democratica 0 poliarchica e a scarsita moderata (Rawls). Cio vuol dire che non possiamo giustificare alcun assetto delle istituzioni che non sia coerente con la priorita delle liberta. L'idea che la liberta non fosse in tensione con l'eguaglianza e la fraternita stata propria delle tradizioni socialiste e comuniste che hanno reagito alla lacerazione individualistica. Noi sappiamo che cio non e vera. In realta, una societa concettualizzata come schema di cooperazione e conflitto per individui e gruppi differenti, dotati di interessi e concezioni del bene differenti e divergenti, non puo che considerare come un bene pubblico 0 collettivo l'eguale valore delle liberta per i differenti gruppi. Essa 10 ritiene una condizione per l'autonomia degli individui. L'eguaglianza va quindi interpretata a partire dalla liberta. Di fatto, sembra di poter dire che la combinazione fra le due la posta in gioco per una societa migliore, in cui siano generate e protette le basi sociali per una vita che sia degna di essere vissuta, quale che siail significato per cui cio e vero per individui uomini e donne - in societa, Sembrano COS1 tornare, a tanti anni di distanza, aI consumarsi forse di un ciclo, i termini e la loro combinazione - di liberta e eguaglianza (questioni di giustizia, quindi) per cui mi e caro ricordare il progetto di un giovane intellettuale che parecchio tempo fa ha studiato in questa antica universita, Carlo Rosselli.
Giuliano Pontara N eocon tra ttualismo, socialismo e giustizia internazionale
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Nel presente scritto riunisco - apportandovi alcune modifiche - due saggi, gia precedentemente pubblicati " sulla teoria neocontrattualista della giustizia proposta da John Rawls nel suo ormai celebre (e secondo taluni anche troppo sopravalutato) trattato A Theory of Justice 2. Accettando, ma soltanto per amore dell'argomento, la validita delIa concezione rawlsiana dell a «giustizia come equita » e della dottrina contrattualista su cui il filosofo americano cerca di fondarla, discuto due problemi. II primo, che tratto nella sezione II, quello .lclla validita delIa tesi rawlsiana, per cui la concezione dclla giustizia come equita sarebbe in via di principio «ompatibile, tanto con un assetto democratico in cui vige la proprieta privata dei mezzi di produzione e .Iistribuzione, tanto con un assetto democratico in cui i mezzi di produzione e distribuzione sono sotto il «ontrollo democratico della societa, n secondo problema, che discuto nella sezione III, riguarda invece Ie implicazioni dell a teoria rawIsiana I'('r quanto concerne la giustizia internazionale, con parI icolare riguardo al problema di quali siano le esigen-
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ze delIa giustizia relativamente ai rapporti tra paesi ricchi e paesi poveri. Anche se si puo orrnai presupporre una larga conoscenza della teoria elaborata da Rawls, puo tuttavia essere opportuno ricordarne per sommi capi Ie linee essenziali.
I. Neocontrattualismo e concezione della giustizia come equita La teoria neocontrattualista di Rawls, che storicamente riprende la grande tradizione di pensiero contrattualista che va da Hobbes e Locke a Rousseau e Kant, si coIloca oggi, in seno alIa filosofiaanalitica, neIl'ambito di queIla corrente la quale, contro Ie posizioni soggettivistiche edemotivistiche proprie del pili radicale empirismo logico, tende a ribadire la razionalita dell'etica (Hare, Baier, Toulmin, Brandt, Frankena, Urmson, Chisholm, ecc.). Un modo di intendere la teoria contrattualista di Rawls e infatti appunto quello di vedere in essa una proposta di fondazione razionale dei valori, 0 meglio di certi valori, vale a dire una proposta di quali siano da consider are buone ragioni per dare la propria adesione a certi principi (di giustizia) piuttosto che ad altri. Come e noto, I'idea fondamentale di Rawls e la seguente. Si immagina che dei soggetti razionali siano chiamati a decidere liberamente e imparzialmente _ ossia in condizioni paritetiche di potere e dietro un « velo di ignoranza» che preclude in modo uguale a ciascuno ogni conoscenza particolare delle proprie fu56
lure preferenze, dei propri scopi, valori e piani di vita - su quali principi generali dovranno essere modellate Ie istituzioni fondamentali delIa societa in cui poi essi ed i lora discendenti dovranno vivere. Orbene, la proposta di Rawls e che siano considerati principi accettabili di giustizia (delle istituzioni) quei prindpi sui quali si accorderanno all'unanimita Ie parti in siffatta situazione contrattuale originaria; ossia, il fatto che degli esseri razionali, in una situazione contrattuale del tipo accennato, accettino all'unanimita certi principi (di giustizia) piuttosto che altri, e da considerarsi, secondo Rawls, una buona ragione (0 forse anche una ragione conclusiva) per ritenere quei principi, piuttosto che altri, validi, ragionevoli 0 accettabili. Va pero notato che, per Rawls, le condizioni che caratterizzano la situazione origin aria sono soggette a quelle modifiche che possono essere richieste affinche dai prindpi in essa accettati siano deducibili quei giudizi di giustizia sulle istituzioni fondamentali delIa societa che ci si presentano come forniti di «grande certezza intuitiva ». L'idea e insomma che, attraverso successive [ormulazioni delle condizioni caratterizzanti la situ azione contrattuale originaria alla luce dei nostri «pili ponderati » giudizi di giustizia, si perverra alia fine ud una caratterizzazione della situazione originaria tale I) da esprimere condizioni di accettabilita dei principi di giustizia che e ragionevole richiedere, e 2) da [ornirci principi di giustizia compatibili in via generale con Ie nostre pili «ponderate intuizioni » in merito. Ad un siffatto stato di cose Rawls si riferisce come ad uno stato di «equilibrio riflessivo » 3. Non mi addentra nella descrizione e discussione del57
le condizioni che, secondo Rawls, caratterizzano la situazione originaria in stato di equilibrio riflessivo. Mi limito ad accennare a quattro di esse. La prima concerne la razionalita dei soggetti contraenti: essi sono intesi come esseri razionali nel senso che ciascuno persegue esclusivamente i1 proprio tornaconto a lungo termine, al di la di ogni invidia e di ogni interesse benevolo per la fortuna 0 la sfortuna altrui. La seconda condizione concerne I'imparzialita dei soggetti contraenti: essa e assicurata dal « velo di ignoranza » dietro il quale si trovano a dover decidere e che preclude appunto a ciascuno di avvantaggiarsi rispetto agli altrio La terza condizione e costituita dalI'assunto di una moderata scarsezza di beni, per cui le parti contraenti sanno che nella societa in cui vivranno vi saranno inevitabilmente conflitti di interessi. Secondo Rawls, Ia prima e la terza condizione sono appunto le condizioni che danno Iuogo a problemi di giustizia, in quanta in una societa di altruisti 0 in una societa caratterizzata da sovrabbondanza di beni non si avrebbero conflitti di interessi, 0 comunque conflitti tali da sollevare problemi di giustizia. La quarta e ultima condizione consiste nelI'assunto di stretta osservanza, per cui Ie parti contraenti possono contare che una volta accordatesi su quali principi modellare Ie istituzioni fondamentali dell a societa in cui dovranno vivere, quei principi saranno poi Iargamente applicati e rispettati da tutti, 0 comunque da quasi tutti. Rawls e perfettamente cosciente che quest'ultimo assunto non e un assunto realistico e che Ia concezione delIa giustizia avanzata sulla base di esso e pertanto una concezione ideale. Sin qui l'idea neocontrattualista di Rawls. Per quan58
to ora riguarda la concezione delIa giustizia da essa derivabile, basta qui ricordare, senza entrare nel merito degli argomenti addotti da Rawls, come egli sostenga che le parti contraenti, poste di fronte alIa scelta tra tutta una serie di principi tra di loro incompatibili, si accorderanno all'unanimita di foggiare Ie istituzioni fondamentali della societa in cui dovranno vivere in base ai due seguenti principi: Primo principio: ciascuna persona deve avere un uguale diritto al pili esteso sistema di uguali Iiberta £ondamentali compatibile con un simile sistema di liberta per tutti (principia di liberta). Secondo principio: le disuguaglianze sociali ed economiche debbono essere regolate in modo tale da a) torn are a massimo beneficio del meno avvantaggiato ... (principia di differenza) e b) essere connesse a cariche e posizioni aperte a tutti in condizioni di equa uguaglianza di opportunita (prin-
cipio di uguale appartunita)
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Una societa giusta e dunque, secondo Rawls, una societa le cui istituzioni fondamentali sono strutturate e funzionano con forme mente a questi due principi, ed una particolare distribuzione di beni, oneri e benefici sara essa stessa giusta se, e soltanto se, e il risultato di un assetto istituzionale conforme ad essi. La concezione delIa giustizia elaborata da Rawls si rivela COS1 essere una concezione « puramente procedurale ». E import ante ricordare che tra i due principi teste riportati sussiste, secondo Rawls, un «ordine Iessicale », il che signifies che il primo principio ha precedenza sul secondo in ogni caso di conflitto fra di essi;·--;: ossiache le istanze poste dal secondo divengono ope59
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rative soltanto ove quelle poste dal primo siano state soddisfatte. Cio comporta che nessuna delle Iiberta fondamentali puo essere legittimamente sacrificata allo scopo di aumentare il benessere sociale 0 economico di alcun gruppo, nemmeno del gruppo che sta peggio. Rawls chiama siffatta concezione la concezione speciale delta giustizia e sottolinea che essa vale soltanto in situazioni in cui a ciascuno e garantito un minimo tenore di vita accettabile, ossia in cui i bisogni basilari (the basic wants) dell'individuo possono essere soddisfatti 5. Rawls argomenta infatti che, ove siano sicure di godere di un certo minimo di benessere socio-economico, Ie parti contraenti non saranno disposte a scambiare Ie proprie Iiberta fondamentali con un qualsiasi aumento di tale benessere 6. Per contro, in situazioni in cui un minimo di benessere non e garantito a tutti vale per Rawls quella che egli chiama la concezione generale della giustizia, secondo Ia quale qualsiasi bene puo essere scambiato con altri, ed in particolar modo la restrizione 0 anche il sacrificio di una 0 pili liberta fondamentali sono permessi ove cio sia necessario ad assicurare a ciascuno quel minimo di benessere materiale al di sotto del quale non comunque possibile fruire in alcun grado delle liberta fondamentali. Rawls non si sofferma che di sfuggita su questa concezione generale. La sua attenzione e tutta rivolta alla elaborazione della concezione speciale nonche alla questione del tipo di istituzioni fondamentali che essa richiede nell'ambito di una societa nazionale. Secondo Rawls, infatti, questa concezione vale soltanto a livello intrastatale mentre a livello interstatale varrebbe una concezione in parte diversa. Come si vedra pili addentro
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nella terza parte di questo scritto un siffatto dualismo non e pero sostenibile nell' ambito delIa dottrina contrattualista che sta alla base dell'intero edificio normativo costruito da Rawls. Nelle pagine che seguono prescindo tuttavia da questa critica e prendo in considerazione la concezione speciale delIa giustizia in quanta applicata esclusivamente nell' ambito nazionale. Prescindo anche dal fatto che molte societa nazionali esistenti nel mondo odierno non si trovano in quella fase di post-industrialismo in cui e lecito supporre esservi risorse sufficienti per garantire a ciascuno quel minimo di benessere materiale che e il presupposto dell'applicabilita di siffatta concezione. Accetto cioe per amore deI1'argomento illivello di astrazione sul quale si muove Rawls mantenendo quindi la discussione su quel piano di « teoria ideale della giustizia » su cui 10 stesso Rawls l'ha posta.
II. Neocontrattualismo
e socialismo
Chiarite cost le linee essenziali delIa teoria rawlsiana e i presupposti della discussione che intendo condurre, vengo ora al primo dei due problemi che intendo discutere, il quale puo essere precisato nel modo seguente: assumendo la validita delIa concezione speciale delIa giustizia, vi e ragione di credere che in base ad cssa una societa socialista preferibile ad una societa capitalista, oppure e vero il contrario? Va subito notato che non discutero ne di « socialismo reale » ne di « stato capitalistico delle multinazionali ». II problema viene trattato esclusivamente a li-
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vello teorico-ideale: dal momenta che, come poco fa ho rilevato, la teoria da cui .qui si muove e una teoria ideale, il nostro problema si configura come problema se in base ad essa vi sia un modello ideale di state socialista preferibile ad un modello ideale di state capitalista, oppure no. Non si puo pero ragionevolmente negare che la risposta che si da a questa problema teorico ha implicazioni pratiche, di natura politica. II problema va affrontato in due momenti. II primo momento consiste nel rispondere alla seguente domanda: e anzitutto pensabile una societa socialista (ideale) che sia compatibile con l'esigenza di liberta posta dal primo principio della giustizia? Soltanto se la risposta a questa domanda come sosterro in senso affermativo, si potra passare al secondo momento, cioe alia questione se la piena realizzazione delle istanze poste dai due principi delia giustizia richieda la costituzione di una societa socialista, oppure vi sia un ideale di stato capitalista in tutto e per tutto giusto. Per rispondere alle due domande or ora formulate e necessario chiarire: a) quali siano il senso e la portata precisi del principio di liberta, e b) che cosa si debba precisamente intendere per capitalismo e socialismo, ossia quali modelli ideali si pongano a paragone allorche si chiede se in base aHa concezione speciale della giustizia sia preferibile un modello ide ale di societa capitalista oppure un modello ideale di societa socialista.
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1. Capitalismo e socialismo. Comincio col secondo punto , suI quale Rawls stesso espressamente si sof(1,)
ferma. Egli tratteggia infatti a grandi linee un modello ideale di state costituzionale e democratico caratterizzato dalla proprieta privata, peraltro assai diffusa, dei mezzi di produzione ossia « del capitale e delle risorse naturali », come dice Rawls, e da un mercato perfettamente concorrenziale. Rawls si riferisce ad un siffatto sistema con il termine di «democrazia a proprieta privata» e sostiene che esso pienamente compatibile con le esigenze di liberta, di uguale opportunita e di un minimo accettabile di benessere sociale ed economico implicate dalla concezione speciale delIa giustizia 7. Altrettanto vale per il modello socialista alternativo, ossia per quell'ideale di state costituzionale e democratico, ma caratterizzato dalla proprieta collettiva dei mezzi di produzione (amministrati 0 direttamente da consigli operai 0 indirettamente da rappresentanti dei produttori nominati dallo stato), cui Rawls siriferisce con il termine di «socialismo liberale» B. Qui va notato che per Rawls uno state socialista non enecessariamente caratterizzato, oltre che dalla proprieta collettiva dei mezzi di produzione, anche da una economia largamente pianificata: per lui perfettamente possibile parlare di un sistema socialista in cui vige uri'economia di mercato - il cosiddetto « market socialism» 9 ragion per cui il fatto che egli argomenti in favore di un mercato libero e contro un'economia largamente pianificata 10 non deve affatto essere preso come una critica contro ogni forma di sistema socialista. II problema che qui ci interessa, del resto, non e se gli argomenti di Rawls addotti contro un'economia pianificata siano validi, bensi se la collettivizzazione dei mezzi di produzione sia affatto compatibile
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con il principio di liberta. Ebbene Rawls stesso af£erma . espressamente che COS1 e, che tanto il modelio capitalista quanta quello socialista soddis£ano aIle esigenze £ondamentali di liberta e di uguaglianza ill opportunita poste dai suoi due principi della giustizia 11. 11 che significa che il diritto di proprieta privata che Rawls include, come si vedra tra poco, tra le liberta fondamentali, non puo ragionevolmente essere interpretato come implicante un diritto di proprieta privata sui mezzi di produzione. Ora, dal mom en to che per Rawls si danno, in via teorica, tanto un modello capitalista quanta un model10 socialista compatibili sia con il principio dell a liberta sia con il principio di uguaglianza di opportunita, il problema di quale dei due modelli sia preferibile parrebbe ridursi a quello di quale dei due modelli soddisfi alla esigenza posta dal principio di differenza, ossia al problema di quale dei due sistemi massimizzi il reddito totale del gruppo economicamente meno avvantaggiato. Quantunque la risposta a questa domanda non sia per Rawls una di quelle che possono essere date nella situazione origin aria - in quanta tale risposta dipende in parte daIle circostanze storiche in cui una determinata societa si trova (e di £atti contingenti del genere aIle parti contraenti e preclusa ogni conoscenza) 12 tuttavia egli sembra propenso a credere - come si vedra meglio in seguito - che il modello capitalista sia preferibile a quello socialista. Intendo porre in dubbio questa tesi rawlsiana faccnclo valere che non vi .e alcun modelIo capitalistico COIIlP:llihilc ne con il principio di liberta ne con quel10 di 11)',II:lglianz,l di opportunita, e che pertanto gia 1,·1
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nella situazione originaria 1e parti contraenti opterebbero per una societa in cui i mezzi di produzione sono sotto il controllo delia cornunita, ossia per una societa socialista. 2. Liberia, capitalismo e socialismo. Comincio ad avanzare i miei dubbi circa la compatibilita di uno stato capitalista con la concezione speciale della giustizia, prendendo in esame il primo dei due principi in cui questa concezione si articola, cioe il principio ill liberta, II quale, occorre sottolineare, nella £ormulazione definitiva proposta da Rawls e sopra riportata, non richiede gia, genericamente, la massima ed uguale liberta per tutti, bensi, pili speci£icamente, « il pili esteso sistema di uguali liberta £ondamentali ». 11 problema e dunque di sapere quali siano queste liberta £ondamentali. Rawls non si addentra in un'articolata discussione di questa problema COS1 importante per la sua teoria, bensi si accontenta di enumerare, brevemente, le seguenti [iberta come £ondamentali: a) la liberta politica (intesa come diritto di candidatura e di partecipazione attraverso il voto e sulla base del principio di maggioranza alIa conduzione di quelli che egli chiama gli « af£ari politici »): b) la liberta di parola e di assemblea; c) la liberia di coscienza e di pensiero ;d) la liberta personale assieme al diritto di pro prieta Cpersonale), e) la liberta dall'arresto e dal sequestro arbitrari, come sono definiti dalla nozione di stato di diritto 13. Sif£atte liberta parrebbero essere, secondo Rawls, £ondamentali nel senso che esse sarebbero quelIe sulle quali Ie parti contraenti si accorderebbero in quanto 65
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zione originaria effettivamente opterebbero, come sostiene Rawls, per una siffatta soluzione del conflitto fra Iiberta civili e [iberta politica. Assumo, per amore dell'argomento che sia cosi, e procedo a fare alcune considerazioni sul suo concetto di liberta. Sulla scia del pensiero liberale tradizionale, Rawls definisce il concetto di liberta come una relazione triadica sussistente tra un certo soggetto, una certa azione e certe restrizioni: un soggetto (persona 0 associazione) e libero di fare, 0 non fare, una certa azione se, e soltanto se, esso non sottoposto ad alcuna restrizione rispetto al fare, 0 non fare, queIl'azione. Un problema che subito sorge e quello di stabilire quali interventi vadano considerati restrizioni e quali no. Per Rawls, come per G. S. Mill, sono da considerarsi restrizioni della liberta, tanto i doveri e Ie proibizioni di natura giuridica, quanto Ie « influenze coercitive » dovute all'opinione pubblicae alIa pressione sociale 17. In realta, tuttavia, Rawls si interessa pressoche esclusivamente dell a Iiberta come definita nell' ambito di un sistema giuridico. Cosi, ad esempio, si did che in una certa societa S vige una massima ed uguale liberta di coscienza e di pensiero se, e soltanto se, in quella societa esiste un efficace sistema giuridico, G, tale che: 1) G in S non obbliga alcuno a seguire certi indirizzi scientifici, religiosi, morali, artistici e simili, piuttosto che altri, e 2) G in S proibisce a ciascuno di « interferire » con il perseguimento di quale che sia
necessarie al perseguimento del massimo soddisfacimento delle proprie preferenze, 0 delIa massima realizzazione dei propri scopi 0 piani di vita, in una situ azione in cui esse nulla sanno circa la natura 0 il contenuto di tali preferenze, scopi 0 pi ani 14. Secondo Rawls il primo principio richiede che tutte queste liberta siano uguali in quanta «i cittadini di una societa giusta devono avere gli stessi diritti fondamentali » 15. II problema pero che tra le Iiberta fondamentali elencate si possono verificare casi di incompatibilita, onde si riattualizza, nell'ambito delIa concezione rawlsiana, il conflitto tra quella che Constant chiamava la liberta degli antichi e la liberta dei moderni, ossia tra la liberta politica e le [iberta civili. Non e del tutto chiaro come per Rawls siffatto conflitto vada risolto. Diverse sue affermazioni indicano tuttavia una propensione verso la posizione assunta dallo stesso Constant, il quale, come noto, sosteneva il primato delle liberta civili su quell a politica. Cosi, ad esempio, Rawls in un luogo afferma esplicitamente che un sistema politico non fonda to su di una costituzione democratic a che «incorpori» e «protegga» tanto le [iberta civili quanto i diritti politici non costituirebbe una « procedura politica giusta »16. Ma sostenere che Ie [iberta civili vanno protette al pari di quella politica comport a appunto sostenere il primato delle prime sulla seconda, nel senso che viene definita e giustificata una sfera del privato in cui le decisioni vanno lasciate ai singoli individui, e non prese dalla comunita in base al principio di maggioranza, come appunto richiederebbe la Iiberta politica. Non mi sof.fermo qui a discutere se Ie parti contraenti nella posi-
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quali omissioni) siano da considerare come interferenze limitatrici delIa liberta e quindi, come tali, da proibire giuridicamente. Su di un punta egli e tuttavia esplicito: i fattori economici non sono da considerarsi come fattori in grado di restringere la liberta bensi, cio che per Rawls e assai diverso, come fattori restrittivi della capacita di fruire della liberta, ossia, nella terminologia di Rawls, come fattori che « influiscono sul valore della liberta » (affecting the worth of liberty) 19. Dal momenta che questa distinzione tra « liberta » (liberty) e «valore della Iiberta » (worth of liberty) e di notevole importanza relativamente al problema che sto trattando, mi sembra opportuno riportare per esteso il passo in cui Rawls la introduce. « L'incapacita di trarre vantaggio dai propri diritti e dalle proprie opportunita, risultante dalla poverta e dalI'ignoranza e da una generale mancanza di mezzi, viene spes so ca1colata tra i vincoli decisivi delIa liberta. 10 non intendo tuttavia sostenere cio e desidero invece considerate queste cose come influenti sul valore della liberta, i1 valore che hanna per gli individui i diritti definiti dal primo principio ... La liberta e il valore della liberta sonoquindi distinti nel seguente modo: la [iberta e rappresentata dal sistema glob ale delIa liberta di eguale cittadinanza, mentre il valore della liberta per Ie persone e i gruppi e proporzionale alla Ioro capacita di promuovere i propri fini all'interno delIa struttura definita dal sistema. La liberta in quanto eguale liberta e la stessa per tutti; non si puo dare nulla in cambio di una liberta minore di quella eguale. Ma il valore delIa liberta non e 10 stesso per tutti. A1cuni hanna maggiore autorita e ricchezza 68
e quindi maggiori mezzi per raggiungere i loro scopi. Tuttavia, si puo dare qua1cosa in cambio di un minor valore della liberta, poiche 1a capacita che i membri meno fortunati delIa societa hanna di raggiungere i propri fini sarebbe ancora minore se non accettassero Ie ineguaglianze esistenti, in tutti i casi in cui sia soddisfatto il principia di differenza. Ma il dare qua1cosa in cambio di un minor valore della Iiberta non va confuso col consider are buona una Iiberta ineguale. Considerando i principi insieme, la struttura fondamentale deve massimizzare il valore che ha per i meno avvantaggiati 10 schema globale dell a eguale liberta condivisa da tutti. » 20 Sulla base di questa passo il principio della liberta si configura in realta come principio che pone due esigenze, vale a dire: a) l' esigenza di una massima ed uguale liberta per tutti, nel senso che a ciascuno deve essere formalmente riconosciuto un diritto al pili ampio e uguale sistema di liberta fondamentali; e, ferma restando questa esigenza, b) l'esigenza di massimizzare la liberta materiale, nel senso di massimizzare la possibilita effettiva di fruire di detto diritto da parte del gruppo meno avvantaggiato sotto questa aspetto. Ora, come ho precedentemente rilevato, Rawls stesso sottolinea che la collettivizzazione dei mezzi di produzione e di per se compatibile con la prima esigenza dell a liberta, in quanto tra le liberta fondamentali (che debbono essere ugualmente protette) non figura il diritto di proprieta privata di tali mezzi. II problema che si tratta pertanto di affrontare ese, ammesso per i1 69
momenta che Ia proprieta privata dei mezzi di produzione sia uguaimente compatibile can la prima esigenza della liberta, essa 10 sia anche can la seconda, a se invece vi siano buone ragioni di ritenere che la collettivizzazione di essi massimizzi la possibilita di fruizione delle liberta fonda men tali da parte del gruppo meno avvantaggiato sotto questa aspetto. Ritengo che le seguenti considerazioni possano costituire una buona ragione per negare che Ia proprieta privata dei mezzi di produzione sia compatibile con la seconda esigenza posta dal principio dell a liberta. II capitalismo, anche quello esistente nell'ideaIe di «democrazia a proprieta privata» tratteggiato da Rawls, e pur sempre caratterizzato da notevoli disuguaglianze .economiche (e sociali). Assumiamo, per amore dell'argomento, che - come viene spes so sostenuto e come pare pensare anche Rawls siffatte disuguaglianze siano giustificabili in base al principio di differenza, ossia tornino a vantaggio del gruppo meno fortunato, nel senso che una diminuzione di tali disuguaglianze tra i gruppi dell a societa (cosa che richiederebbe I' abbandana del capitalismo) comporterebbe un effettivo peggioramento delle prospettive economiche del gruppo che sta peggio. Questa assunto non e pero sufficiente per stabilire Ia tesi che vi e un assetto capitalista (ideale) compatibile can la seconda esigenza della liberta. A tal fine, infatti, e anche necessaria far valere l'ulteriore assunto per cui il miglioramento delle prospettive economiche del gruppo economicamente meno fortunato, connesso con Ie disuguaglianze sancite dal principio di differenza, comporta per questa gruppo anche un incremento delle possibilita di fruire delle 70
liberta £ormalmente riconosciute a tutti; ossia che data una societa che riconosce formaimente a ciascuno un uguale diritto ai piii esteso sistema di liberta £ondamentali - la possibilita effettiva di £ruire al massimo di tale diritto sia una £unzione semplice dei mezzi economici a disposizione, Ed infatti, nel passo su citato Rawls si rifa espressamente a questa assunto: rilevando come anche nell' ambito del suo ideale di « democrazia a proprieta privata» vi sia una notevoie disuguaglianza fra il gruppo piu ricco e quello piii povera pel' quanta riguarda Ia capacita di £ruire delIa Iiberta, egli afferma che una tale disuguaglianza e tuttavia giustificata in quanta Ie possibilita dei membri meno Iortunati della societa di £ruire delle liberta £ondamentali sarebbero ancora minori se essi non accettassero Ie disuguaglianze economiche sancite dal principia di differenza. Vi e ragione di dubitare delIa validita di questa assunto: la capacita di £ruire delIa liberta non sembra affatto essere una £unzione semplice dei mezzi economici a disposizione del singolo, in quanta essa parrebbe essere severamente lirnitata dalle disuguaglianze economiche (e sociali) in quanta tali. Illustro questa atfermazione· con qualche esempio. Anche nel modello ideaIe di stato capitalista-liberale delineato da Rawls vigera ovviamente, pur se diffusa, Ia proprieta privata dei mass-media, l'accesso ai quali e cruciale pel' fruire effettivamente delle liberta di paroIa, di informazione e di pensiero. Ma il gruppo piii ricco, quello doe che detiene la proprieta dei mezzi di produzione, avra ovviamente malta maggiore accesso ai mass-media che non il gruppo pili. povero; potra 71
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Ma vi di pili. II modello socialista parrebbe anche essere l'unico compatibile con la prima esigenza posta dal principio della liberta, quella di gar an tire a ciascuno un uguale e massimo diritto alle liberta fondamentali. Se cia vero, esso viene a sconvolgere una delle tesi fondamentali di Rawls: ossia che in via di principio la scelta tra capitalismo e socialismo non e possibile nella situazione originaria. Come ho gia sopra rilevato, tra siffatte liberta £1gura la liberta politic a definita come diritto di partecipazione democratica a tutte quelle decisioni che riguardano il bene comune 0 gli interessi dell a collettivita. Ora, nessuno vorra certo negare che le decisioni connesse con il controllo dei mezzi di produzione siano tra quelle che di regola investono siffatti interessi. Ne segue che la Iiberta politic a sancita dal primo principio delIa giustizia richiede che i mezzi di produzione siano posti sotto il controllo democratico dell a cornunita. Ma dal momento che tra le liberta civili sancite dallo stesso principio non figura, come ho gia pili volte sottolineato, il diritto alla proprieta privata dei mezzi di produzione, non si verifica qui alcun conflitto tra liberta politica e liberta civili. La conc1usione che se ne deve trarre che il modello capitalista incornpatibile anche con la prima esigenza posta dal principio di liberta, in quanto la proprieta privata dei mezzi di produzione costituisce una indebita limitazione della liberta politica. II principio della liberta presiede, secondo Rawls, alIa scelta delIa costituzione che dovra reggere la societa in cui le parti contraenti si troveranno a vivere 21. Rawls sostiene che le parti contraenti nella posizione
comperare piu ore alla radio e alIa televisione, metter su un maggior numero di giornali e stazioni radio-televisive, mediante i quali potra far valere in modo assai pes ante i propri interessi, spargere la propria propaganda, indottrinare, assopire Ie coscienze con programmi idioti, ecc., e COS1 limit are in vari modi le possibilita del gruppo economicamente meno avvantaggiato di fruire delle suddette liberta, Per non parlare delle possibilita del gruppo pili ricco di far valere i propri interessi di fronte alla legge affidando Ie proprie cause ad abili e costosi avvocati. Insomma: le notevoli disuguaglianze economiche connesse anche con « il sistema ideale di proprieta privata », pur essendo eventualmente sancite dal principio di differenza, risultano pero incompatibili con I'esigenza di rnassimizzare la capacita di fruire dell a liberta per il gruppo meno avvantaggiato posta dal primo principio della giustizia. E poiche, come si e sopra rilevato, nella concezione rawlsiana della giustizia questo principio e sovraordinato a quello di differenza, siffatte disuguaglianze risultano ingiuste e come tali del tutto intollerabili. Cia significa che, anche se in un sistema socialista (ideale) Ie prospettive economiche del gruppo meno avvantaggiato sono inferiori rispetto a quelle di cui esso godrebbe in un sistema capitalista (ideale), il sistema socialista e preferibile in quanta la maggiore uguaglianza economica che 10 caratterizza parrebbe garantire al gruppo meno avvantaggiato una possibilita di fruire delle Iiberta fondamentali maggiore di quella di cui godrebbe nel sistema capitalista alternativo, in cui starebbe economicamente meglio ma in cui vi sarebbero notevoli disuguaglianze economiche.
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originaria opterebbero per una costituzione democratic a che salvaguardi le liberta fondamentali, ma lascerebbero del tutto aperta la questione concernente la scelta tra sistema capitalista e sistema socialista, in quanta tale scelta va fatta in base al secondo principio dell a giustizia. Ma se Ie considerazioni che son venuto svolgendo sono corrette, allora Rawls sbaglia: dal momento che il sistema capitalista e incompatibile con il principio dell a liberta, Ie parti contraenti opteranno, oltre che per una costituzione democratica, anche per il modello socialista, visto che una societa in cui i mezzidi produzione sono collettivizzati aumenta la loro liberta politica, e di per se compatibile con la protezione costituzionale delle liberta civili elencate da Rawls e massimizza la possibilita di fruire di esse da parte del gruppo meno avvantaggiato. Vi e ragione di credere che una societa del genere sarebbe la realizzazione di un ideale di socialismo consiliare. 3. Uguaglianza di opportunita, capitalismo e socialismo. Supponiamo ora che - ferma restando la compatibilita logica della collettivizzazione dei mezzi di produzione con il principio della liberta - tutto quanto son sin qui venuto asserendo circa l'incompatibilita della proprieta privata di tali mezzi con questa principio sia errato. Supponiamo cioe che, come appunto sembra pensare Rawls, la scelta tra modelIo capitalista e modello socialista, in base alIa concezione speciale della giustizia, riguardi in tutto e per tutto il secondo dei due principi in cui tale concezione si articola. Orbene, intendo sostenere che anche in base a questa secondo principio, e contrariamente a quanta parrebbe 74
pensare Rawls, il modello socialista
e preferibile
a quel-
10 capitalista. Come si ricordera, il secondo principio della giustizia e composto in realta da due parti, ossia dal principio di differenza e dal principio di ugual opportunita. E importante ripetere che tra questi due principi sussiste, secondo Rawls, un ulteriore « ordine lessicale », onde l'esigenza posta dal primo diventa operante soltanto ove quell a posta dal secondo sia stata soddisfatta 22. La mia tesi, pili precisamente, che non si da alcun assetto capitalista compatibile con le esigenze poste dal principio di uguale opportunita, ragion per cui, anche se un tale assetto e sancito dal principio di differenza come preferibile ad un assetto socialista, esso risulta comunque ingiusto in forza dell'« ordine lessicale » sussistente tra i due principi. Cominciamo col vedere quali siano, pili precisamente, Ie esigenze poste dal principio di equa opportunita. Secondo quella che Rawls chiama 1'« interpretazione liberale », questa principio richiede non soltanto che qualsiasi carica e posizione sociale sia formalmente accessibile a tutti, bensi anche che ciascuno abbia una equa opportunita di accesso ad esse nel senso che « coloro che possiedono abilita e inclinazioni simili dovrebbero avere le medesime possibilita di vita. Pili precisamente, supponendo che esista una distribuzione delle doti naturali, quelli che hanno 10 stesso grado di abilita e talento e la medesima intenzione di servirsene, dovrebbero avere le stesse prospettive di riuscita, indipendentemente dal loro punto di partenza all'interno del sistema sociale, cioe indipendentemente dalla classe di reddito in cui sono nati.» 23
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Preso per se, come unico criterio di giustizia, questo principio non e, secondo Rawls, del tutto accettabile. Una ragione di cio e che esso sancisce una distribuzione delIa ricchezza e del reddito in base alIa distribuzione naturale delle capacita e dei talenti, cosa questa che da un punta di vista morale appare del tutto gratuita. Un'altra ragione delIa sua inaccettabilira, dice Rawls, che Ie differenze di abilita, attitudine, talento e motivazione sono, almeno in parte, il risultato del tipo di ambiente sociale - specie £amiliare - in cui si cresciuti, ragion per cui, almeno sintantoche esiste l'istituzione della famiglia, l'idea di uguale opportunita non puo essere pienamente realizzata 24. La via di uscita da queste difficolta costituita, per Rawls, da quella che egli chiama 1'« interpretazione democratica », la quale consiste nelI'abbinare il principio di equa opportunita, interpretato alla maniera sopra detta, col principio di differenza ed istituendo quindi tra di essi un « ordine lessicale », come appunto stabilito dal secondo principio delIa giustizia 25. Nell'ambito di siffatta interpretazione (e ricordando che la concezione delIa giustizia proposta da Rawls e una concezione puramente procedurale) il principio di equa opportunita presiede alIa costituzione di quell'assetto istituzionale che il presupposto necessario delIa realizzazione di tale uguaglianza. II principio di diHerenza entra in vigore soltanto sullo sfondo di una siffatta struttura istituzionale ed opera, secondo Rawls, in modo tale da ovviare appunto alle due difficolta su menzionate. Esso ovvierebbe alIa prima, in quanta appunto regola la distribuzione del reddito e della ricchezza in base ad un criterio che da un punto di vista 76
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morale e, secondo Rawls, piu accettabile che non quel-
1,1 della «lotteria
naturale»
connesso con il principio
(Ii uguaglianza di opportunita nella interpretazione lihcrale sopra accennata. Lo stesso principio di differen-
opererebbe ulteriormente in modo tale da ovviare .inche alIa seconda delle due difficolta sopra rilevate, in quanto, data una societa in cui esiste la struttura istituzionale richiesta dal principio di equa uguaglianza cli opportunita, la sua applicazione condurrebbe alla massimizzazione delle eHettive opportunita di vita del gruppo meno fortunato sotto questo aspetto, rendendo cOSI anche me no impellente la necessita di abolire I'istituzione della £amiglia 26. Rawls descrive a grandi linee la struttura istituzionale che caratterizza il suo modello capitalistico, ossia la «democrazia a proprieta privata» definita come «uno stato democratico adeguatamente organizzato, che consent a la proprieta privata' del capitale e delle risorse naturali » 27. In tale stato la eccessiva accumulazione di capitale nelle mani di pochi - cosa che Rawls giudica esiziale per le istituzioni necessarie a salvaguardare una equa eguaglianza di opportunita 28 viene prevenuta attraverso tutta una serie di leggi antimonopolio, imposte di successione e tasse sulle donazioni 29. Per gar antire ulteriormente una equa uguaglianza di opportunita il governo pone inoltre in atto una trip lice serie di misure. In primo luogo, « cerca di assicurare uguali opportunita di educazione e formazione a persone similmente dotate e motivate 0 tramite il finanziamento di scuole private, 0 con l'istituzione di un sistema scolastico pubblico ». In secondo luogo, ,c~ir:~,", di garantire una uguaglianza di opportunita in ,,~~1~--":::~
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ne alia scelta delle attivita economiche e dells professione « per mezzo delIa sorveglianza sulla condatta delle aziende e delle associazioni private e grazie alIa prevenzione deIl'instaurarsi di restrizioni e barriere monopoIistiche nei posti pili ambiti ». In terzo luogo, « garantisce un minimo sociale, a per mezzo di ~ssegni familiari e contribun speciali per malattia e dlSOCC~pazione, 0 in modo pili sistematico grazie a meccarusmi come indennira per i redditi pili bassi» 30. Quantunque, a parere di Rawls un siffatto modello di sociera capitaIista ottemperi sia al principio di Iiberta sia aUa esigenza di «apertura delIe posizioni » posta daI principio di equa opportunira tuttavia, co~e Rawls stesso precede a sottolineare, esso e carattenzzato da maggiori disuguagIianze economiche e sociali di quelle connesse con l'alternativo modelIo di « socialismo Iiberale ». Come si e gia rilevato, tali disuguaglianze saranno, secondo Rawls, giustificate _ e qui?d! il modeUo capitaIista sara da preferire a quello socialista - se, e soltanto se, vi sono buone ragioni di ritenere che esse sono sancite daI principio di differenza. Cia e comprovato daI seguente passo in cui Rawls iIlustra l'argomento che, in base al principio di differenza, ~ermette di giustificare Ie disuguagIianze nelIe prospettive di vita tra i membri delle varie classi sociali che compongono la societe democratica in cui vige Ia proprieta privata dei mezzi di produzione. « Supponiamo che i vari gruppi di reddito corrispondano agli individui rappresentativi in riferirnento alle cui aspettative possibile giudicare la distribuzione [del reddito]. Ora, coloro che iniziano come membri delIa classe imprenditoriale, in una democrazia basata sulla
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proprieta [privata] hanno probabilmente prospettive migliori di quelli che iniziano daIIa classe dei lavoratori non qualificati. E probabile che cia sara vero anche quando saranno superate tutte Ie attuali ingiustizie sociali. Dunque, che cosa sarebbe in grado di giustificare questa iniziale disuguaglianza dei prospetti di vita? Secondo il principio di differenza essa e giustificabile soltanto se la diHerenza tra Ie aspettative va a vantaggio delI'individuo rappresentativo che sta peggio, in questo caso il Iavoratore non qualificato rappresentativo. La disuguaglianza delle aspettative ammissibile solo se una sua diminuzione non peggiorerebbe la condizione delIa classe operaia. Probabilmente, data la clausola del secondo principio che riguarda l'accessibilita delle posizioni e il principio delIa liberta in generale, le maggiori aspettative concesse agli imprenditori li spingerebbero ad azioni in grado di migliorare le prospettive a lungo termine delIa classe lavoratrice. Le loro migliori prospettive agiscono come incentivi per una maggior eHicienza del sistema economico, per un pili rapido sviluppo delle innovazioni e COS1via. » 31 Rawls non dice che queste ultime aHermazioni siano vere. Dice soltanto che tali debbono essere affinche Ie disuguaglianze economiche e sociali connesse con Ia sua «democrazia a proprieta privata» possano venir giustificate dal principio di differenza. Ora, a parte il fatto che molto lascia credere che Rawls in eHetti sia propenso a ritenere valido l'argomento delineato in questo passo (altrimenti perche mai tutto il suo interesse sarebbe rivolto a descrivere il modello di « demccrazia a proprieta privata»?), cia su cui qui importa richiamare l'attenzione e un certo assunto su cui questa
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argomento si regge. Appare infatti dal passo teste citato che, come nel caso del principia della liberal Rawls assume che la capacita di fruire di essa vari in proporzione diretta ai mezzi economici di cui uno dispone, COS1 nel caso del principio di equa opportunita egli assume parimenti che, date certe istituzioni fondamentali ritenute necessarie alla realizzazione dell'esigenza di apertura delle posizioni, le effettive opportunita di accedere alle posizioni pili ambite della societa varina in proporzione diretta al benessere economico di cui uno gode. In effetti tutti e due questi assunti sono necessari al fine di rendere compatibile l'applicazione del principia di differenza (da cui dipende per Rawls la possibilita di giustificare la scelta del modello capitalista piuttosto che di quello socialista) can le esigenzeposte dai due principi di liberta e di equa uguaglianza di opportunita, vista l'ordine lessicale che sussiste tra questi due ultimi principi e il primo. Ma come nel precedente paragrafo ho argomentato che il primo di questi due assunti e invalido; COS1 intendo ora far valere, can argomenti simili, che tale e anche il secondo. Come Rawls stesso espressamente riconosce, anche nell'ambito del mod ella di societa democratica e capitalista da lui delineato, i figli della c1asse imprenditoriale sono sistematicamente avvantaggiati rispetto a quelli del ceto operaio non qualificato per quanta riguard a le possibilita di sviluppo delle proprie dati naturali. I maggiori mezzi economici di cui la c1asse imprenditoriale dispone da ad essa, infatti, notevole possibilita di curare in modo maggiore l'educazione dei propri figli, pagando costosi insegnanti privati, dando ad essi la possibilita di fare costosi viaggi all'estero, di fre80
quentare ivi costose scuole private, ecc. Tutto cia aumenta ovviamente Ie possibilita di castoro di accedere aIle posizioni pili ambite della societa rispetto aIle possibilita di cui godono i figli del ceto operaio pili povera. Ne si puo esc1udere che Ia c1asse imprenditoriale cerchi ulteriormente di aumentare le effettive possibilita di accesso per i propri membri a siffatte posizioni, usando parte delle ricchezze di cui dispone per indottrinare in vari modi (attraverso i mass-media, la scuola, ece.) i Iigli dei ceti pili poveri, ostacolando cosi, invece di favorire, Ie loro possibilita di sviluppo. Case, queste, che parrebbero assai pili difficilmente verificabili nell' ambito del modello socialista alternativo in cui non esistono, per ipotesi, Ie disuguaglianze economiche che caratterizzano il modello capitalista e tanto i massmedia quanta le scuole sono sotto il controllo democratico della comunita, e l'intero sistema educativo volta a favorire in modo sistematico una massima ed uguale possibilita di sviluppo per ciascuno. Occorre a questa punto notare, a scanso di equivoci, che anche se l'assetto socialista caratterizzato, come parrebbe pensare Rawls, da un'economia rneno efficiente dell'alternativo assetto capitalista, esso tuttavia si trova in uno stato di economia notevolmente sviluppata, quale e richiesta affinche si possa costituire una effettiva alternativa all'assetto capitalista. Cia significa, che nell'ambito del modello socialista vi saranno risorse sufficienti S1 da permettere di sviluppare notevolmente il settore dell'educazione collettiva. Ora, potra ben darsi che nell'ambito di siffatto assetto nessuno abbia Ie stesse possibilita di sviluppo di cui, nell'assetto capitalista alternativo, godono i figli delIa c1asse imprendito-
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riale; parrebbe pero che in esso ciascuno goda di maggiori possibilita di sviluppo di quelle che nell'assetto capitalista hanno i figli del ceto operaio non qualificato. Supponendo per il momento che ambedue i modelli posti a confronto otternperino all'esigenza di apertura delle posizioni, cia vuol dire che il modello socialista massimizza Ie possibilita di accesso aIle posizioni piu ambite per i1 gruppo meno avvantaggiato. Esso risulta pertanto preferibile al modello capitalista, anche se nell' ambito di quest'ultimo il ceto operaio non specializzatogode di una situazione economic a migliore di quella di cui non goda nell' ambito del modello socialista. Cia segue in forza dell'ordine lessicale, che sussiste tra il principio di uguale opportunita e quello di differenza. II modeIlo capitalista parrebbe pero anche incompatibile con l'esigenza di apertura delle posizioni. I figli della classe imprenditoriale parrebbero infatti essere sisternaticarnente avvantaggiati, rispetto a quelli del ceto operaio non qualificato, per quanta riguarda le possibilita di scelta delle attivita economiche: che, nonostante Ie leggi antimonopolio e il sistema di imposte che caratterizza 1a «democrazia a proprieta privata », la classe che detiene la proprieta dei mezzi di produzione potra pur sempre ammassare notevoli ricchezze e mettere COS! a disposizione dei propri figli quel capitale, che pur sempre necessario, in qualsiasi assetto capitalista, per darsi con prospettive di successo all'attivita imprenditoriale. Ne segue, che un figlio del ceto operaio non qualificato che sia ugualmente dotato e motivato quanta il figlio del ceto imprenditoriale, ha tuttavia assai minori opportunita di quest'ultimo di
accedere alIa attivita imprenditoriale, in quanta del tutto sfornito del capitale necessario per darsi a tale attivita. E cia viola appunto l'esigenza di apertura delle posizioni, secondo cui persone ugualmente dotate e motivate deb bono avere uguali opportunita di accedere a queUe posizioni, l'accesso alle quali sia ragionevole pensare debba essere condizionato dal posses so delle doti in questione. Per contro, nell'ambito del modello socialista alternativo, in cui i mezzi di produzione sono socializzati e quindi le attivita connesse ad essi non sono espletate da una classe di imprenditori privati forniti di capitale e tendenti al proprio profitto, bensi da cittadini eletti 0 nominati democraticamente dalla comunita, ciascuno ugualmente dotato e motivato parrebbe effettivamente avere una uguale opportunita di dedicarsi a siffatte attivita. 4. Dall'ideale al reale. La conclusione cui sono giunto nel corso della discussione svolta nei precedenti paragrafi dunque che non vi modello di assetto capitalista compatibile con la concezione speciale della giustizia elaborata da Rawls; ossia che vi sono buone ragioni di ritenere che, una volta che si siano accordate sui principi costitutivi di tale concezione, le parti contraenti, nella situazione contrattuale originaria immaginata da Rawls, opterebbero per una societa in cui i mezzi di produzione siano posti sotto il controllo democratico della comunita. Questa conclusione di per se abbastanza interessante, visto che essa avanzata sulla base di una concezione della giustizia che si ispira alla grande tradi-
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zione del pensiero liberale e ne stata addirlttura considerata la maggiore espressione ai nostri giorni. Come si ricordera, si tratta di una concezione ideaIe, in quanto fondata su due assunti che nella realta effettuale non sono affatto verificati: vale a dire, l'assunto che a ciascuno e garantito un minimo accettabile di benessere materiale, e l'assunto di stretta e totale, o quasi totale, osservanza dei princfpi in cui essa si articola. Infatti se ora, per chiudere, abbassiamo 10 sguardo dalla sfera dell'ideale e guardiamo al mondo in cui viviamo, constatiamo che quel poco di giustizia che c'e (anche se misurato col metro proposto da Rawls) fondato pili sulla forza che non su di un volontario e stretto rispetto di principi accettati da tutti, e che pili di mezzo miliardo di esserl umani vive in condizioni di poverta assoluta (ossia, come il termine e definito dalla Banca mondiale, al di sotto di un reddito annuo di 250 dollari!) Se, sollevando in parte il « velo di ignoranza» che caratterizza la situazione originaria immaginata da Rawls, si concede aIle parti contraenti Ia conoscenza di siffatta realta, vi ogni ragione di credere - come Rawls stesso del resto riconosce - che esse non opterebbero affatto per la concezione speciale delIa giustizia. Sapendo infatti di dover vivere in un mondo nel quale, se non vengono realizzati determinati cambiamenti radicali, il peggio che puo loro succedere di vivere nella miseria Wili abbietta, esse, da esseri razionali quali sono, cercheranno anzitutto di assicurarsi un minima di benessere materiale. A tal fine esse si accorderanno, eventualmente, sulla concezione generate della giustizia, la quale, come ho sopra rilevato, permette la limitazione 84
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o anche il sacrificio (temporaneo) di una 0 pili liberta fondamentali (apprezzate e godute in ogni caso soltanto da coloro che si trovano a vivere al di sopra di un livello minimo di sussistenza), se cio e necessario a prevenire che esseri umani continuino a vivere nella miseria pili nera. Come si vedra pili da vicino nella prossima sezione, vi sono anche buone ragioni di credere che, sapendo che il mondo attuale diviso in stati nazionali, alcuni dei quali sono poveri 0 comunque si trovano in una situazione di sottosviluppo, le parti contraenti concorderanno nell'accettare la concezione generale delIa giustizia in una interpretazione globale. Sulla base di essa si accorderanno quindi su tutta una serie di misure che sembra ragionevole ritenere necessario realizzare per far sf che al mezzo e pili miliardo di esseri umani che attualmente vivono in condizioni di poverta assoluta e alle 10tO generazioni future - possa essere almeno garantito quel minimo di benessere materiale senza il quale la liberta non e altro che liberta di morire di fame. Vi sono ragioni di credere ma richiederebbe troppo spazio entrare qui nel merito di esse che tra le misure che le parti si accorderebbero nell'adottare figurano la costituzione di una federazione mondiale retta da un solido governo centrale, e la realizzazione di un assetto caratterizzato dalla socializzazione (almeno) dei grandi mezzi di produzione nonche dalla pianificazioneglobale dello sfruttamento delle risorse naturali del pianeta. Cosi, tanto la concezione speciale quanta la concezione generale dell a giustizia avanzata da Rawls parrebbeto richiedere la costituzione di un assetto socialista.
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III.
Neocontrattualismo
e giustizia internazionale
II secondo problema di cui intendo occuparmi e quello del rapporto, nell'ambito della teoria rawlsiana, fra giustizia locale 0 a livello nazionale e giustizia globale 0 a livello internazionale. Tale problema puo essere introdotto nel modo seguente. Supponiamo che all'interno di una societa industriale opulenta, 0, coincidente con un certo stato nazionale (per esempio la Svezia) viga uno stato di cose che si avvicina alI'ideale rawlsiano: ciascun membra di essa gode in uguale e massimo grado di tutte le liberta fondamentali, ha uguali opportunita di accesso a qualsiasi posizione e carica e le prospettive economico-sociali del gruppo di cittadini meno avvantaggiati sono massimizzate (nel senso che ogni altro ordinamento alternativo politic amente possibile di quella societa comporterebbe che Ie prospettive economico-sociali di tale gruppo sarebbero peggiori). Supponiamo, ulteriormente, che sia possibiIe far passare la societa 0 ad una situazione di minore opulenza in cui ciascun gruppo, pur continuando a godere di un uguale grado di liberta e opportunita, tuttavia goda di esse in misura minore che non nella situazione precedente (in quanta esse sono ora meno estese), e similmente in cui le prospettive economicosociali del gruppo meno avvantaggiato siano peggiori di quanta non erano prima. Supponiamo, da ultimo, che il passaggio della societa 0 dalIa situazione di maggiore a quelIa di minore opulenza, comporti attraverso il trasferimento di risorse che qui si suppone avvenuto un notevole aumento di effettiva liberta e opportunita per i membri di un'altra societe 86
povera, P, essa pure coincidente con un certo stato nazionale (ad esempio uno dei tanti paesi poveri del Terzo mondo), nonche un significative incremento delle prospettive economico-sociali del suo gruppo meno avvantaggiato (prospettive che pero assumiamo non essere migliori di quelle del gruppo meno avvantaggiato dell a societa 0). Orbene, i problemi che mi interessa trattare si aggirano attorno aIle due seguenti domande: 1) Richiede, secondo Rawls, l'esigenza della giustizia che, nelle condizioni su accennate, la societa 0 trasferisca parte delle sue risorse alla societa Pecos! passi dalIa situazione di maggiore opulenza a quella di minore opulenza? Dal mom en to che la risposta che daro a questa domanda in senso negativo, la second a questione che si ponee la seguente: 2) Richiede la teoria contrattualista delta giustizia proposta da Rawls il trasferimento di parte delle risorse della societa 0 alIa societa P? Delle due questioni formulate, la prima di carattere esegetico, in quanta riguarda cia che sostiene un dato autore, le conclusioni cui egli, in base aIle premesse da cui parte, perviene. La seconda questione e, invece, una questione di carattere teorico, in quanta riguarda la natura di una certa concezione, quali siano Ie sue implicazioni in merito al problema in esame, e da ultimo, se essa sia una concezione accettabile. La tesi che sosterro che, mentre la risposta alla prima domanda come gia accennato, in senso negativo, 1:1 'risposta aHa seconda e invece in senso positivo. Sc ql H' sta tesi e corretta, cio vuol dire che nell'ambiro ,I.-ILt
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teoria contrattualista di Rawls si possono trarre conseguenze assai pin radicali di quelle che non tragga egli stesso. 1. Rawls e it primate delta giustizia a livello nazionale. Sin dall'inizio del suo lavoro, Rawls tende a precisare che non prendera «in considerazione, se non di sfuggita, la giustizia internazionale e i rapporti tra stati », in quanto « Ie condizioni del diritto internazionale possono richiedere principi diversi, ottenuti con procedure differenti », e che, comunque, cio che primariamente gli interessa «e di formulare una concezione ragionevole della giustizia per Ia struttura fondamentale della societa considerata, per il momento, come un sistema chiuso isola to dalle altre societa » 32. E nel paragrafo 22, ove tratta delle circostanze della giustizia, Rawls postula che «in primo Iuogo vi sono le circostanze obiettive che rendono possibile e necessaria la cooperazione umana », annoverando tra di esse la coesistenza di un certo numero di persone «in un territorio geografico definito» 33. Di nuovo, al paragrafo 25, ove vengono elencati riassuntivamente i tratti essenziali della posizione contrattuale originaria, sotto la voce « oggetto della giustizia » (che riguarda I' estensione dei prindpi di giustizia su cui Ie parti contraenti sono chiamate a decidere) Rawls ribadisce che si tratta della « struttura fondamentale dell a societa », in quanto distinta sia dalle « regole per Ie associazioni di diritto» (corporate associations), sia dal « diritto internazionale » (law of nations) 34. COS1 Rawls discute capitolo dopo capitolo quali siano i principi di una societa giusta, senza prendere in considerazione i modi 88
in cui una societa, per essere in tutto e per tutto giusta, deve rapportarsi ad altre societa, L'unica eccezione, in tutto il libro, e costituita dal paragrafo 58 in cui Rawls discute il problema della giustizia tra stati, condottovi pero indirettamente dalla sua discussione della giustificabilita dell'obiezione di coscienza di una societa « quasi giusta ». Scrive infatti: «Nell'esaminare la giustificazione delIa disobbedienza civile, ho assunto che Ie leggi e Ie politiche contestate riguardassero gli affari interni. E naturale chiedersi in che modo la teoria del dovere politico si applica alla politica estera, Per far cia, e necessario estendere la teoria della giustizia al diritto internazionale ... 11 nostro problema e quindi quello di mettere in relazione i principi politici giusti che regolano Ia condotta degli stati con la dottrina contrattualistica, e spiegare da questa punto di vista Ie basi morali del diritto internazionale » 35. La proposta di Rawls e quindi che si assuma «di aver gia derivato i principi di giustizia in quanta si applicano alle societe come unita singole e alla struttura fondamentale. Immaginiamo anche che siano stati adottati i vari principi di dovere e obbligo naturali che si applicano agli individui. In questa modo, le persone nella posizione origin aria hanno accettato i principi di diritto nella forma in cui essi si applicano alla loro societe e a loro stessi come membri di essa. A questa punta si puo estendere l'interpretazione della posizione originaria, e considerate le parti come rappresentanti di nazioni differenti che devono scegliere insieme i principi fondamentali per regolare le pretese conflittuali tra stati » 36. 89
Bisogna qui sottolineare l'importanza che questo paragrafo assume nel contesto della teoria rawlsiana della giustizia. Senza di esso questa teoria sarebbe infatti risultata di ben poca rilevanza in un mondo, come e appunto il nostro, in cui vi sono stati (pili 0 meno) indipendenti, tra i quali intercorrono tanto rapporti cooperativi quanta rapporti conflittuali; ragion per cui, se a meno una societa sia giusta dipendera, ovviamente, non soltanto da come essa e internamente strutturata, bensi anche da quale sia la sua politica nei confronti delle altre societa esistenti. Ora, cio che colpisce e il fatto che Rawls, sempre al paragrafo 58, daUe sue premesse contrattualistiche deduce, per quanta riguarda i rapporti tra stati, prindpi di giustizia in parte diversi da quelli che ha precedentemente dedotto per quanta riguarda la giustizia a livella nazionale. Rawls premette che, per quanto riguarda questa deduzione, non ci sono da aspettarsi sorprese. E infatti le poche case che dice su questo argomento sono tra le considerazioni pili trite di quante egli fa nella sua opera. II principia fondamentale della giustizia tra stati cui le parti contraenti ora immaginate come rappresentanti degli interessi particolari di altrettante nazioni - perverrebbero e, secondo Rawls, un principio di uguaglianza per cui «popoli indipendenti, organizzati in stati, possiedono certi uguali diritti fondamentali» 37. Da questa principia fondamentale, considerato da Rawls stesso come l'analogo di quello che sancisce uguali diritti fra tutti i cittadini in un regime costituzionale, vengono dedotti i tradizionali prindpi di autodeterminazione a non ingerenza, di legittima dife90
sa contra attacchi esterni (ivi compreso il diritto di form are alleanze a scopi difensivi), nonche il principia che pacta sunt servanda. Tali principi presiedono per Rawls alIa distinzione tra guerre giuste e guerre ingiuste (tra Ie seconde annovera le guerre fatte a scopo di ottenere vantaggi economici 0 di conquistare nuovi territori), mentre l'interesse nazionale porta i rappresentanti nella posizione origin aria a imporre dei limiti ai tipi di atti bellici permessi anche in una guerra giusta 38. Si noti che in nessun modo e qui .fatta menzione del principia di differenza (ne di queUo di equa opportunita ). Si e sopra notato, come uno degli assunti fondamentali su cui poggia la concezione speciale dell a giustizia sia quello di una stretta osservanza, da parte di tutti i cittadini, dei principi cui le parti contraenti pervengono neUa posizione originaria, e come Rawls proceda dando questa assunto per scontato. L'unico luogo in cui egli, a livello nazionale, si scosta da esso e quello in cui discute il problema della giustificabilita della disobbedienza civile (cioe, secondo la caratterizzazione dello stesso Rawls, della disobbedienza pubblica e non violenta, da parte di cittadini, di leggi o linee politiche ingiuste riguardanti gli aHari interni del proprio paese). Qui ci troviamo eHettivamente di fronte ad un caso in cui non si ha totale e stretta osservanza e in cui pertanto vi sana delle ingiustizie da rettificare. Va pero sottolineato che questa diversione dalla teoria ideale e minima, giacche egli presuppone pur sempre una societa « ben ordinata » e « quasi giusta », cioe una societa in cui la maggior parte dei cittadini dotata di un senso di giustizia assai svilup-
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pato, ha cioe un forte desiderio di applicare e seguire i prindpi di giustizia propri delIa concezione speciale. In una siffatta societa Ie ingiustizie che si verificano vengono quindi pur sempre combattute in modo nonviolento e il problema di altre forme di lotta, come il ricorso alIa contestazione armata 0 alIa rivoluzione violenta, non si pone nemmeno, ragion per cui una teoria delIa rivoluzione 0 del diritto di resistenza non fa parte delIa concezione speciale delIa giustizia e in nessun luogo della sua opera Rawls ne tenta un abbozzo. II quadro pero muta in modo notevole allorche Rawls sposta il suo interesse (anche se soltanto momentaneamente) dal piano intrastatale a quello interstatale e consider a il problema della giustizia fra statio Qui infatti l'assunto di uno sviluppato senso dell a giustizia viene abbandonato, in quanta egli contempla la possibilita del ricorso alIa guerra ed accenna ad una teoria della guerra giusta. Ma allora si pone il seguente problema: in base a quali ragioni si assume uno sviluppato senso di giustizia a livello nazionale ma 10 si nega a livello internazionale? Ora, l'assunto in questione puo essere fatto in quanto cio che ci interessa maggiormente di addivenire ad una teoria idea Ie 0 quasi ideale dell a giustizia, cioe ad un idea le di societa giusta 0 quasi giusta, indipendentemente da quello che e 10 stato di cose effettivo nel mondo in cui viviamo, nonche dalle possibilita che in esso vi sono di realizzare un tale idea1e. Ho gia rilevato sopra come Rawls non nasconda che appunto a cio e rivolto il suo maggiore interesse. Ma se COS!, allora non si vede perche mai egli dovrebbe abbandonare l'assunto in questione a livello internazionale. Giacche se cio cui si mira e una
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completa teoria ideale 0 quasi ideale dell a giustizia, non vi e ragione di fermarsi a livello nazionale, ma occorre procedere ad indicare quali sarebbero i prindpi su cui i contraenti nella posizione origin aria intesi ora come rapptesentanti di altrettanti stati giusti 0 pressoche giusti - si accorderebbero per quanta riguarda i rapporti fra i rispettivi stati, presupponendo, se non una stretta e totale osservanza, almeno un'alta osservanza da parte di ogni stato dei prindpi riconosciuti. (Ritornero in breve su questo problema alIa fine di questa scritto.) Ma forse e per ragioni di realismo che Rawls abbandon a l'assunto di uno sviluppato senso delIa giustizia a livello interstatale, in quanta cioe un siffatto assunto sarebbe troppo incompatibile con la realta della lotta fra stati, ciascuno mosso dal proprio interesse nazionale egoistico? Ma allora non avrebbe egli dovuto, per Ie stesse ragioni di realismo, abbandonare tale assunto anche a livello intrastatale in quanta del tutto incompatibilecon la realta delIa lotta di classe? Postulate uno sviluppato senso delIa giustizia a livelIo di societa nazionale comporta in£atti negare che all' interno di essa si possano verificare cosiddetti conflitti antagonistici. Ora, puo ben darsi che in certe societa in determinate condizioni conflitti di tal genere non si verifichino. Ma e realistico assumere che questa sia la norma? .E chiaro che per rispondere a questa domanda in modo soddisfacente occorre affrontare e discutere a fondo tutta una vasta serie di problemi di natura sia teorica sia empirica. Ma in nessun luogo dell a sua opera Rawls affronta seriamente tali problemi. Che egli abbia davvero una visione tanto idilliaca 93
delia societa nazionale da non fargli nemmeno contemplare la possibilita che si verifichino all'interno di essa conflitti antagonistici? La conclusione che segue dalle considerazioni sin qui fatte e che la concezione rawlsiana, in quanta comprendente sia una teoria della giustizia nazionale sia una teoria della giustizia internazionale, e viziata da un dualismo difficilmente giustificabile. Accanto a questa dualismo, e non necessariamente fonda to su di esso, parrebbe esservi nella concezione rawlsiana un ulteriore dualismo, di natura normativa: Rawls parrebbe infatti voler sostenere che le esigenze della giustizia a Iivello nazionale sono diverse dalIe esigenze della giustizia a livello internazionale, nel senso che, mentre a livello di societa nazionale varrebbe la concezione speciale della giustizia articolantesi nei suoi due princlpi di liberta e di differenza ordinati in modo lessicale (0 in certe situazioni la concezione generale), a livello internazionale varrebbe invece soltanto il principio di [iberta, nella forma di un principio che sancisce un uguale diritto di ogni popolo indipendente a forgiare il proprio destino senza ingerenze da parte di altri statio Supponiamo cioe che ad un certo momento il sistema internazionale pre senti le due seguenti caratteristiche: 1) i singoli stati che 10 compongono sono al [oro interno ordinati in base a principi di giustizia (speciale 0 generale che sia ); 2) i singoli stati nei loro rapporti reciproci rispettano il principio di autodeterminazione, astenendosi da ogni politica bellica volta ad aumentare i propri vantaggi economici 0 il proprio territorio. Un tale sistema parrebbe essere, secondo Rawls, un sistema in tutto e per . 94
tutto giusto 39, anche se, date' Ie grandi diversita di risorse naturali, certi paesi siano talmente poveri che le aspettative economico-sociali del gruppo pili povero all'interno di essi sono di gran lunga inferiori a quelle del gruppo meno favorito all'interno dei paesi ricchi, e potrebbero essere notevolmente migliorate facendo passare parte delle ricchezze dai secondi ai primi. Pare insomma che Rawls si faccia assertore di una specie di dualismo normativo, per cui i rapporti all'interno delIa societa nazionale vengono misurati con un nietro morale diverso da quello con cui vengono misurati i rapporti a livello internazionale. In base a tale interpretazione, i membri di una societa nazionale avrebbero doveri 1'un verso l'altro quelli implicati dal principio di differenza - che non hanno (0 che comunque sono meno stringenti) nei confronti di membri di altre societa nazionali (appunto perche il principio di differenza applicabile soltanto a livello nazionale). Questa interpretazione - che parrebbe quella pili consona con quanto Rawls scrive al par. 58 - conduce alla conclusione che la risposta ana prima delle due domande formulate all'inizio di questa articolo e in senso negativo. Mostrero ora come la risposta alla seconda di quelle domande sia invece in senso positivo.
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2. Il primato delta giustizia internazionale. Si assurna qui, per amore dell'argomento, l'interpretazione dell a dottrina contrattualista per cui i principi di giustizia internazionale accettabili sarebbero quelli scelti nella posizione originaria opportunamente modificata . 95
nazionale, e non puo quindi escludere che, anche assumendo soddisfatti i due principi della concezione speciale a livello nazionale, Ie aspettative economico-sociali del gruppo rneno avvantaggiato dell a societa meno fortunata siano peggiori di quelle del gruppo meno avvantaggiato nella societa pili £ortunata. Si noti ulteriormente che, in base agli assunti 3) e 4), ciascuno dovra con tempI are la possibilita, che il peggio che gli puo toccare appunto di appartenere al gruppo meno avvantaggiato della societa rneno £ortunata, cioe, in pratica, di vivere ad un livello di vita non molto superiore al minimo accettabile. In tale situazione di estrema incertezza il criterio di sceIta che razionale adottare e, secondo Rawls, il criterio del maximum e quindi, oltre che voler garantirsi al massimo da ogni ingerenza altrui nella stem delle proprie liberta Iondamentali, ciascuna parte vorra anche garantire un assetto internazionale tale da massimizzare le aspettative economico-sociali del gruppo meno avvantaggiato delIa societa meno £ortunata. Non si vede infatti come per Rawls un individuo razionale, che persegue al massimo il proprio tornaconto, contemplando la possibiIita di appartenere al gruppo meno avvantaggiato della societa in cui vive, si accontenterebbe di quell a posizione in quanto non ulteriormente migliorabile mediante alcun riassestamento delIa propria societe, se essa e migliorabile mediante un riassestamento del sistema internazionale. Insomma e difficile vedere come in base ai quattro assunti sopra fatti Ie parti contraenti possano giungere ad altra conclusione che a quell a di privilegiare una applicazione glob ale dell a concezione speciale della giustizia per cui i due prindpi di liberta
E si assumano, pure per amore delI'argomento,
Ie modi£icazioni introdotte da Rawls. Gli assunti sono cioe i seguenti: 1) Ie parti contraenti sanno di appartenere a societa nazionali diverse; 2) le parti sanno che ciascuna nazione si trova « nelle normali circostanze della vita umana»; 3) ciascuna delle parti ignora « Ie particolari circostanze dell a propria societa, la sua potenza e £orza paragonata a quella delle altre nazioni»; 4) ciascuna delle parti nulla sa circa la posizione che occupa all'interno della propria societa 40. Tra questi assunti, il secondo e di particolare imp ortanza e ritornero su di esso tra breve. E possibile che sia proprio in base ad esso che Rawls pervenga all'idea che il principio £ondamentale della giustizia internazionale un principio di [iberta che sancisce un uguale diritto di autodeterminazione per ogni popolo. Giacche, sapendo che la propria societa si trova in condizioni di vita «normali », si potrebbe pensare che ciascun contraente si accontenti di assicurarsi questo livello di vita ed assieme ad esso le liberta £ondamentali. A tal fine per l'appunto necessario garantirsi dalla ingerenza di altre nazioni, il che infatti avviene accordandosi sul principio di uguale liberta a livello internazionale. Questo ragionamento tuttavia non tiene. Si noti in£atti, per cominciare, che ciascuna parte, pur potendo contare, in forza dell'assunto 2) (interpretato in un certo modo) di vivere in una societa che assicura a tutti un tenore minimo di vita accettabile, non puo tuttavia escludere, in £orza dell'assunto 3) che vi siano grosse sperequazioni econorniche e sociali Era le varie societa che compongono il sistema inter-
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~ di differenza entrano in vigore a livello nazionale soltanto dopo che essi sono stati soddisfatti a livello globale. Supponiamo ora che Ie parti assumano ulteriorrnente I'esistenza di uno sviluppato senso della giustizia anche a livello interstatale, per cui esse possono contare su di una stretta 0 comunque alta osservanza degli accordi cui pervengono. Quali istituzioni basilari creerebbero in virtu della concezione glob ale cui sono pervenute? Posso qui fare soltanto un paio di cenni di natura del tutto speculativa. Anzitutto, contando su di un'alta osservanza degli accordi raggiunti, Ie parti non contempleranno il ricorso alla violenza e quindi non spenderanno tempo a discutere i principi di una guerra giusta (analogamente a quanta avviene, come si e visto sopra, riguardo alI'impiego deHa violenza a livello nazionale ). Esse piuttosto contempleranno, come minimo, un ordinamento internazionale che permetta la libera emigrazione dai paesi menu favoriti a quelli pili favoriti e garantisca il trattamento degli immigrati alIa stessa stregua degli altri cittadini. Esse potranno anche contemplare l'istituzione di un sistema di tassazione internazionale progressiva (per cui ogni statu paga una quota proporzionale al proprio prodotto nazionale lordo) alIo scopo di trasferire risorse dai paesi pili ricchi a quelli pili poveri (altro che 10 0,7 % del prodotto nazionale lordo proposto dalI'Onu!). 0 forse, i contraenti alIa fine perverrebbero all'accordo di costituire un'unica federazione a livelIo mondiale, retta a governo democratico, in cui i maggiori mezzi di produzione siano socializzati e ogni comunita nazionale goda di un alto e uguale grado di autonomia? 98
Non e affatto escluso. Solo che per poter stabilire cio bisognerebbe fare un lungo discorso. Fin qui ho ragionato dando per scontato sia I'assunto di uno sviluppato senso di giustizia a livello internazionale sia l'assunto che ciascuna nazione si trova « nelle normali circostanze delIa vita umana ». Ambedue sono assunti assai controversi. Vediamo quindi da ultimo quali conseguenze seguono se abbandoniamo il primo assunto e precisiamo il secondo. Esso e infatti passibile di due interpretazioni assai diverse. Nella prima interpretazione, assumere che ciascuna nazione si trovi « nelle normali circostanze delIa vita umana» equivale ad assumere che il sistema mondiale si trova in uno stato di moderata scarsita, per cui le risorse globali, indipendentemente dal modo in cui in effetti sono distribuite, di per se bastano (basterebbero) ad assicurare ad ogni popolo un minimo tenore di vita accettabile. Interpretato in questa senso, l'assunto in esame non sembra oggi irrealistico, anche se il forte tasso di incremento della popolazione mondiale e il costante diminuire di certe risorse puo gettare ombre assai sinistre sul mondo di domani. In una seconda interpretazione, l'assunto in questione equivale invece all'assunto che le risorse globali sono distribuite in modo tale che in nessuna nazione il gruppo pili povero si trova al di sotto di un minimo tenore di vita accettabile. In questa interpretazione, l'assunto e oggi patentemente falso e non vi sono purtroppo ragioni di credere che la situazione mondiale nel prossimo futuro cambi in modo tale da rendere tale assunto vero. Orbene, chiamare Ie parti contraenti a deliberare su principi di giustizia, in base all'assunto di circostanze nor99
mali in questa seconda interpretazione, significherebbe condizionarle ad accordarsi su principi e istituzioni destinati a rimanere lettera mort a nel mondo in cui esse poi devono vivere. D'altra parte, concedere loro soltanto la conoscenza di quanto stabilito dall'assunto in questione nella prima interpretazione non basta, giacche le parti contraenti non si accontenteranno di sapere che Ie risorse globali sono di per se sufficienti a garantire ad ogni nazione un tenore minimo di vita accettabile, ma vorranno anche sap ere almena come esse sono distribuite geograficamente. E una volta ottenuta questa informazione (che non si vede perche dovrebbe essere loro negata) esse, da esseri razionali e realisti che sono (si ricordi che ora esse non assumono un senso della giustizia £ra stati ), non potranno che giungere alla conclusione che il peggio che puo loro succedere di appartenere al gruppo pili povero di una societa estremamente povera, cioe in realta di vivere nella miseria pili nera. Ma in vista di tale prospettiva (che e poi quella che offre i1 mondo in cui viviamo ) non opteranno Ie parti per la concezione generale della giustizia, piuttosto che per quella speciale? Non abbandoneranno cioe l'idea di una precedenza del principio di liberta su quello di differenza e non si accorderanno COS1 che a livello globale, che e quello chee di primaria importanza, vale i1 principio per cui anche la sovranita di uno state e la liberta di cui godono i suoi cittadini possono essere limitate, ove cia sia necessario ad aIleviare la miseria di un gruppo che si trova al di sotto di un minimo tenore di vita accettabile? Se, come pare, le parti contraenti nella situazione accennata giungeranno a questa conclusione, assai di-
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versa da quella cui esse giungono secondo i1 parere di Rawls, c'e ulteriormente da chiedersi se esse di conseguenza non perverranno anche ad una concezione della guerra giusta assai divers a da quella cui accenna Rawls. Mi pare che si possa avanzare Ia seguente ipotesi come abbastanza ragionevole: cioe che, contempiando Ia possibilita che Ia sorte li faccia vivere in un paese estremamente povero, in cui Ia maggioranza della popolazione vive nella miseria pili nera, Ie parti si accorderanno su di una concezione assai pili lata di guerra giusta per cui il ricorso alla violenza militare da parte di uno state 0 di una lega di stati contra un altro e giustificato, non soltanto ove esso necessario a respingere una aggressione violenta £atta a scopi di rapina di risorse, ma anche ove questo il solo mezzo efficace con cui uno stato povero 0 una lega di stati poveri puo costringere uno state ricco a cedere quella parte delle sue risorse che e necessaria per permettere al gruppo meno avvantaggiato all'interno di essi di pervenire almeno ad un minimo tenore di vita accettabile. D'altra parte tutt'altro che escluso che i contraenti, 1) sapendo che Ie possibilita che un paese estremamente povero ha di imporsi con la forza ad uno ricco sono minime, e 2) ponendosi nella posizione del vinto (e, dopo una guerra modern a, anche del vincitore) non si accordino al fine di band ire totalmente ii ricorso alla violenza militare e di Iasciare aperta soltanto la strada del negoziato, della soIuzione di conflitti di interessi tra stati da parte di organi internazionali forniti di sufficienti poteri, delle varie forme di lotta non militare e non violenta. Che e, per I'appunto, la strada dettata dalla ragione nella realta e£fettiva in cui viviamo.
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Nota bibliografica: La letteratura sorta attorno al trattato di Rawls ormai estremamente vasta. Tra i lavori maggiormente rilevanti in relazione ai temi centrali trattati nel presente scritto vanno menzionati: N. Daniels, Equal Liberty and Unequal Worth of Liberty, in Reading Rawls, a cura di U. Daniels, Oxford 1975, pp. 253-81; R. W. Miller, Rawls and Marxism, in Reading Rawls cit., pp. 20630; C. R. Bietz, Justice in International Relations, in Philosophy & Public Affairs, 4, 1975, pp. 360-89. Per una presentazione eritica dell'intera dottrina rawlsiana si veda B. Barry, The Liberal Theory of Justice, Oxford 1973, e la serie di saggi di vari autori stampata in Le ragioni delta giustizia, n. 65-66, 1977 della rivista Biblioteca delta liberta interamente dedieata alia presentazione e diseussione del pensiero di Rawls. Si veda 'anehe G. Giadrossi, Giustificazione e realta nella teoria delta giustizia di Rawls, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, LVI, 1979, pp. 348-78.
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Uno, dal titolo Neocontrattualismo e socialismo, in Rivista di jilosofia, n. 19, febbraio 1981, pp. 138-158; l'altro, da! titolo Giustizia locale e giustizia globale, in Biblioteca delta liberta, n. 65-66, aprile-settembre 1977, pp. 254-67. 2 Oxford University Press, 1972, tr. it., Una teoria delta giustizia, Milano, 1982. 3 J. Rawls, op, cit., pp. 34-35 e pili in generale i §§ 3, 4, 43 e 87. 4 Ivi, p. 255. 5 Ivi, p. 137 e p. 142. 6 Ivi, pp. 61 sgg. 7 Ivi, pp. 234 sgg. 8 Ivi, p. 238. 9 lvi, pp. 231-232. 10 lvi, p. 231. 11 Ivi, p. 221. 12 lvi, p. 233. 13 Ivi, p. 66 14 Cfr. per esempio quanto Rawls dice sulla liberta di coseienza, ivi, pp. 179 e sgg. 15 Ivi, p. 66. 16 Ivi, p. 173. 17 lvi, pp. 176-177. 18 Ivi, p. 177. 19 lvi, p. 178. 20 lvi, pp. 178-179. 1
Ivi, p. 174. Ivi, p. 255. Ivi, p. 75. Ivi, p. 76. lvi, pp. 77 sgg. Ivi, pp. 47-48. Ivi, p. 234. Ivi, p. 236... Ibidem. Ivi, p. 234. Ivi, p. 79. lvi, p. 25. , lvi, p. 118. Ivi, p. 132. Ivi, p. 313. Ibidem, il corsivo Ivi, p. 314. Ibidem. lvi, pp. 314-315. lvi, p. 313.
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Giuliano Pontara e Norberto Vi sono diritti
Bobbio
fondamentali?
Nel saggio che porta come titolo SuI fondamento dei diritti dell'uomo, pubblicato insieme con altri saggi di analogo argomento nel volume Il problema delta guerra e le vie della pace (Bologna 1979), Bobbio denuncia ripetutamente «l'illusione », propria dei giusnaturalisti e pili in generale dei fautori del razionalismo etico, che vi sia un fondamento assoluto dei diritti dell'uomo, ossia «T'illusione » che vi sia un argomento « irresistibile », cui nessuna persona razionale potra rifiutare di dare la propria adesione in favore della tesi che fa valere certi diritti come fondamentali. Bobbio non chiarisce, nell' ambito del saggio accennato, quale sia la natura di un siffatto argomento « irresistibile » che sarebbe vano cercare, e nulla dice delia forza probante che un siffatto argo men to dovrebbe avere per poter essere considerate «irresistibile ». Tuttavia,all'inizio del saggio seguente, che porta il titolo Presente e avvenire dei diritti dell'uomo, egli fa alcuni accenni in merito. I vi infatti distingue fra « tre metodi di fondare i valori », e doe «il dedurli da un dato obiettivo costante, per esempio la natura umana; il considerarli come verita per se stesse evidenti; e in 105
fine 10 scoprire che in un dato periodo storieo essi sono generalmente acconsentiti »(p. 132). Ma come va intesa in modo pili preciso siffatta affermazione? E che cosa vuol dire « fondare i valori »? Per quanta mi e dato di capire quest'ultima espressione signifiea poter dare delle buone ragioni per accettare piuttosto che rifiutare certi giudizi di valore. I «tre modi di fondare i valori » accennati da Bobbio si identificano COS1 con tre diverse ragioni adducibili in favore delIa accettabilita di certi giudizi di valore. La prima ragione e quella per cui certi giudizi di valore sarebbero logicamente deducibili da certi giudizi descrittivi della natura umana, 0 meglio di certe caratteristiehe costanti della natura umana. Se siffatta deduzione fosse possibile avremmo qui l'argomento «irresistibile » per eccellenza, dato che chi affermasse i giudizi sulla natura umana ma negasse quelli di valore da essi deducibili si invo1gerebbe in una contraddizione. Ma siffatta deduzione non e possibile. E non 10 e, oltre che per 1a ragione accennata da Bobbio (p. 132), e cioe che non esiste qualcosa come una natura umana costante e immodificabile, anche perche siffatta deduzione contravviene al principio, largamente accettato, anche se non indiscusso, per cui non e possibile alcuna deduzione logiea di un giudizio di val ore da un giudizio di fatto. Il secondo modo di fondare i valori accennato da Bobbio si identifiea con la seconda ragione che si puo addurre in favore della accettabilita di un certo giudizio di valore, ossia con l'affermazione che esso resistc ad ogni nostro dubbio, ossia ci appare del tutto cviclcnre. E 1a strada comunemente battuta dai cosid-
detti intuizionisti, tra cui spicca in modo particolare Moore. Ma neanche per questa strada si giunge per Bobbio all'argomento « irresistibile », dato che 10 stesso giudizio di valore che appare indubitabile ad una certa persona 0 gruppo di persone appare tutt'altro che indubitabile ad altri. Rimane COS1 il terzo modo di fondare i valori ossia la terza ragione che si puo addurre in favore delIa accettabilita di certi giudizi di valore, la quale cons iste nel mostrare che siffatti giudizi di valore sono generalmente accettati in un certo periodo storieo. E quell a che Bobbio chiama la prova del consenso per cui un giudizio di val ore sarebbe tanto pili accettabile (in una certa epoca) quanta maggiore il numero di persone che effettivamente (in quella epoca) 10 accettano. Bobbio pare ritenere siffatto argomento in favore della accettabilita di certi giudizi di valore l'unieo che sia valido; ma proprio in forza delIa relativita ad esso connessa esso non e, appunto, « irresistibile ». A me sembra tuttavia che i tre modi di «fondare i valori » accennati da Bobbio e teste passati in rassegna non esauriscano tutte le possibilita. Ritengo vi sia una quarta possibilita che parrebbe appunto fornirci quell' argomento «irresistibile» di cui Bobbio sembra considerate illusoria ogni ricerca. Grosso modo si puo ragionare nella seguente maniera. Indipendentemente da quali siano i nostri desideri, Ie nostre preferenze, le nostre aspirazioni, i nostri scopi e i nostri valori particolari, vi sono alcune prejerenze fondamentali, nel senso che ciascuno deve ragionevolmente averle in quanto il loro soddisfacimento e condizione necessaria per poter perseguire il sod-
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disfacimento di qualsiasi altra preferenza 0 la realizzazione di qualsiasi aspirazione, scopo e valore che ci accade di avere. Queste preferenze fondamentali parrebbero essere tre e cioe: 1. la preferenza di essere in vita piuttosto che non essere in vita (tranne che in situazioni in cui la morte e chiaramente inevitabile, nelle quali preferire di non morire non razionale); 2. la preferenza di non essere sottoposto, piuttosto che essere sottoposto, a gravi sofferenze gratuite, ossia di trovarsi piuttosto che non trovarsi in uno stato di soddisfacimento di quelli che sono generalmente riconosciuti come i nostri bisogni basilari (ivi com pre so il bisogno di una certa liberta di movimento ); 3. la preferenza di poter formare le proprie particolari preferenze in modo autonomo e di perseguire il loro soddisfacimento senza essere sottoposti a minacce di frustrazione di queste tre preferenze fondamentali, vale a dire senza minacce alla propria vita, alla propria salute e alla propria autonomia. Queste tre preferenze fondamentali corrispondono bene ai tre tradizionali diritti fondamentali alla vita, alla salute e alIa propria autonomia. L'argomento «irresistibile » in favore di tali diritti fondamentali, ossia l'argomento cui nessuna persona razionale, in quanto razionale, potra rifiutare di dare il proprio assenso e il seguente: che non si vede come ogni persona razionale possa non avere queste tre preferenze e quindi, avendole, possa negare che esse siano fondamentali, ed essendo razionale voglia garantire il loro soddisfacimento soltanto a se stesso e non anche a ciascun altro in uguale misura. II che comporta appunto dover ri-
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conoscere ad esse 10 status di diritti fondamentali dell'uomo. L'argomento « irresistibile » in favore del giudizio che pone il diritto alIa vita, alIa salute e alIa propria autonomia come diritti fondamentali, consiste dunque in cio: che negare questa giudizio e contrario a ragione, ossia e irrazionale. (Noto per inciso che il diritto alla vita, alIa salute e alIa propria autonomia non esc1udono che in certe situazioni una persona possa liberamente rinunciare a ciascuno di questi beni ad esempio rinunciare alla propria vita 0 alla propria salute per salvare la vita di un altro. Ma affinche questa particolare preferenza sia libera e razionale occorre appunto che i tre diritti accennati vengano prima riconosciuti come tali.) Si tratta ora di vedere se l'argomento « irresistibile » sopra delineato sia immune dalIe quattro obiezioni che Bobbio nel su citato saggio muove contro l'illusione che esista «il fondamento assoluto » dei diritti dell'uomo. a) La prima obiezione mossa da Bobbio e quella delIa indeterminabilita (pp. 121-23): non e possibile fornire alcun fondamento assoluto dei diritti dell'uomo per la semplice ragione che non e possibile dare una nozione precisa di essi, ossia determinare in modo univoco quali essi siano. Ma in base alI'argomento sopra delineato essi risultano univocamente determinabili come diritto alla vita, alla salute e alIa propria autononua. b) La second a obiezione sollevata da Bobbio contro l'illusione del fondamento assoluto dei diritti umani e quell a relativistica (pp. 123-24): non e possibile dare un fondamento assoluto ai diritti dell'uomo per la sem109
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plice ragione che essi sono storicamente relativi, come sta a dimostrare il fat to che l'elenco di essi varia da epoca a epoca, sie continuamente modificato e va continuamente modificandosi. Per Bobbio, la constatazione di un siffatto relativismo storico «prova che non vi sono diritti per loro natura fondamentali » (p. 123). Questo argomento mi pare si possa ritorcere in tre modi. In primo luogo, si puo iniziare notando che il giudizio che vi sono certi diritti fondamentali ovviamente, un giudizio di valore, mentre il giudizio che non vi un accordo generale su quali siano questi diritti un giudizio di fatto. In forza del principio sopra ricordato, da quest'ultimo giudizio non segue logicamente alcun giudizio di valore e quindi nemmeno quello che non vi sono diritti fondamentali, il quale, in quanta negazione di un giudizio di valore, e esso stesso presurnibilmente un giudizio di valore. Se dunque per « prova » si intende argomento logicamente cogente, l'affermazione che non vi e accordo generale nemmeno nel consider are i tre diritti alla vita, alla salute e alla propria autonomia come fondamentali diritti dell'uomo (ammesso poi che sia vera), non «prova » affatto che siffatti diritti non siano fondamentali (come il fat to che vi sia un accordo generale su di essi non «prova» che essi effettivamente siano fondamentali). Ma presurnibile che Bobbio usi il termine «prova» in senso piii deb ole di quello teste accennato. Ma allora, e in secondo luogo, mi pare si possa far valere che l'argomento che ho sopra delineato in favore dei tre diritti fondamentali «prova» che siffatti diritti sono fondamentali con maggior forza di quell a con cui l' argomento relativistico addotto da
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Bobbio contro l'esistenza di diritti fondamentali «prova» che non vi sono siffatti diritti. In terzo luogo, si puo controbattere che il variare dei diritti e dei valori che di epoca in epoca vengono considerati fondamentali puo essere visto in altro modo che non come espressione di un relativismo storico. Puo infatti essere interpretato come l'espressione di un difficile e complesso processo di « evoluzione etica » che procede, attraverso « scoperte morali », verso « verita morali » sernpre piu ben fondate. c) La terza obiezione mossa da Bobbio contro I'illusione di un fondamento assoluto dei diritti dell'uomo e quella dell a eterogeneita (pp. 124-26): i diritti generalmente riconosciuti come fondamentali sono talmente eterogenei, coinvolgono cioe pretese tra di loro talmente diverse, che non possibile trovare un Iondamento assoluto comune a tutti, ossia un argomento « irresistibile » che valga ugualmente per tutti. Ma I'argomento che ho sopra delineato si pone appunto come argomento « irresistibile » per tutti e tre i diritti fondamentali alla vita, alla salute e alla propria autonomia. d) La quart a e ultima obiezione sollevata da Bobbio contro l'illusione del fondamento assoluto quella delle antinomie (pp. 126-27): non appena i diritti postulati come fondamentali sono piii di uno, si possono verificare conflitti tra di essi, S1 che l'attuazione dell'uno risulta incompatibile con quell a dell 'altro , ragion per cui non vi puo essere un fondamento assoluto per tutti, un fondamento cioe che Ii rend a tutti « inconfutabili e irresistibili ». A dire il vero Bobbio avanza questa obiezione in relazione ai conflitti che si possono verificare tra quei diritti che egli chiama liberta
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(in quanta implicano obblighi negativi da parte di altri di non fare certe azioni) e quei diritti che egli chiama poteri (in quanta implicano degli obblighi positivi da parte di altri di fare certe azioni). Ma si puo pensare che oltre che tra siffatti diritti, conflitti si possano verificare anche fra i tre diritti sopra fatti valere come fondamentali, se pure interpretati soltanto come delle liberta (ad esempio la situazione in cui la sola scelta e quella tra uccidere una 0 pili persone). Per rispondere in modo soddisfacente aHa obiezione in esame bisogna mostrare che fra i tre diritti sopra fatti valere come fondamentali non si puo verificare, strettamente, alcun conflitto; oppure che, pur potendosi verificare dei conflitti, vi un principio plausibile in base al quale ogni conflitto tra di essi puo, almeno teoricamente, essere risolto. II primo modo di risolvere il problema consiste nel far notare che i diritti accennati, pur essendo fondamentali, non sono inalienabili, ossia possono essere perduti, ragion per cui nelle situazioni in cui parrebbe verificarsi un conflitto tra di essi in realta non si da alcun conflitto in quanto, a ben guardare, vi e sempre una parte - l'aggressore - che in forza della sua aggressione ha perdu to siffatti diritti. Per questa via si giunge al principio per cui deve essere riconosciuto a ciascuno un uguale diritto alIa vita, alIa salute e alIa propria autonomia - a rneno che nel perseguimento dei propri scopi, 0 del soddisfacimento delle proprie preferenze, qualcuno non violi, 0 minacci la violazione di siffatti diritti fondarnentali, ossia attend (intenzionalmente 0 no) alla vita, alIa salute 0 alla autonornia di terzi. II secondo modo di risolvere il problema accennato
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consiste nel far valere che i tre diritti in esame, ancorche fondamentali, non sono assoluti bensi relativi, ragion per cui, in situazioni in cui l'attuazione delI'uno si dimostra incompatibile con quella degli altri.: questa 0 quello puo essere legittimamente sacrificato in conformita al principio che prescrive la massima attuazione possibile di siffatti diritti. Personalmente sono incline a credere che questa sia la strada da battere in quanto il principio accennato ci permette di risolvere, almeno teoricamente, ogni tipo di antinomie fra quelle menzionate da Bobbio. La mia conclusione e pertanto che un argomento « irresistibile» in favore di certi diritti fondamentali dell'uomo potrebbe in effetti esserci e che dunque la ricerca di esso non e illusoria. [G. P.]
Sono grato a Giuliano Pontara delle sue obiezioni perche mi permettono di chiarire meglio il mio punto di vista. In due saggi scritti a qualche anno di distanza, SuI fondamento dei diritti dell'uomo (1965) e Presente e avvenire dei diritti dell'uomo (1968), avevo sostenuto principalmente due tesi: a) non e possibile troyare un fondamento assoluto, 0 irresistibile, all'affermazione di questo 0 quel diritto dell'uomo, e comunque l'importante non e gia fondarli ma proteggerli; b) una prova sufficiente dell a Ioro importanza nella societa di oggi riposa sul fatto che non pili soltanto questa 0 quello stato, com'era accaduto nel passato, ma tutti gli stati esistenti abbiano dichiarato di comune accordo, a cominciare dalla Dichiarazione universale dei diritti dell 'uomo (1948) e via via in altre nume113
rose dichiarazioni che si sono susseguite e continuano a susseguirsi, che vi sono diritti fondamentali, e ne abbiamo propos to un lungo elenco. Premetto ancora che avevo sostenuto la prima tesi in un convegno filosofico dedicato al tema del « fondamento » dei diritti dell'uomo, la second a in un convegno dedicato al commento della Dichiarazione universale nel ventesimo anniversario della sua proc1amazione. Ora Pontara .trova insufficiente la second a tesi e insufficientemente motivata la prima. Sostiene in sostanza che sia possibile trovare un fondamento assoluto all'affermazione dei diritti dell'uomo, 0 per meglio dire sostiene che vi sono diritti dell'uomo che possono essere fondati su argomenti irresistibili. E trae l'argomento principale dalla constatazione che vi sono «preferenze fondamentali» in ogni uomo, fondamentali nel senso che « ciascuno deve ragionevolmente averle in quanta il loro soddisfacimento condizione necessaria per poter perseguire i1 soddisfacimento di qualsiasi altra preferenza, ecc. ». Mi riesce difficile comprendere in che cosa consista la maggior forza dell'argomento addotto da Pontara rispetto al mio (sub b). Si tratta pur sempre di un argomento come il mio tratto dalla constatazione di un fatto, del fatto cioe che tutti gli uomini hanno alcune preferenze. Ora che tutti gli uomini abbiano alcune preferenze si present a come l'affermazione di un fatto non meno dell'affermazione relativa alI'accordo di tutti gli stati, accordo che rivela le loro preferenze. Se c'e una differenza fra Ie due prove e, mi pare, a tutto vantaggio delIa credibilita delle preferenze di tutti gli stati espressi in un accordo, in una sort a di nuovo contratto sociale, in paragone aHa credibilita delle preferenze
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elencate da Pontara che sono dedotte da una pretesa natura razionale delI'uomo. E infatti per dar forza al suo elenco di preferenze fondamentaii egli sostiene trattarsi delle preferenze delI'uomo razionaie. A parte la considerazione che Ia razionalita del comportamento umano una pura ipotesi razionaie che non ha il conforto di alcuna prova storica, come invece ce I'ha l' accordo storicamente avvenuto con Ie dichiarazioni internazionali ricordate, osservo che se si parte dall'ipotesi dell'uomo razionale si presuppone cio che si voleva dimostrare, perche se l'uomo e dato come razionaie non c'e piu da dubitare delIa razionalita delle sue preferenze. Ma ammettiamo pure che queste preferenze siano universali. Resta pur sempre che non c'e alcun passaggio obbligato dalla constatazione dell'universalita di una preferenza al suo riconoscimento come diritto fondamentale. Ipotesi per ipotesi si puo concepire che siano universali preferenze che una societa regoiata non potrebbe mai acconsentire a riconoscere come diritti: si pensi, per fare unesempio, alIa emancipazione dai cosiddetti tabu sessuali. Ma sono poi davvero universali le preferenze additate da Pontara? E lecito dubitarne considerando per esempio Ia terza preferenza, quell a di poter formare le proprie particoiari preferenze in modo autonomo, giacche bisogna per 10 meno prendere atto dell a cosiddetta « paura delIa liberta » che c'induce in molte circostanze delIa nostra vita a preferire di essere esonerati dalla responsabilita di una scelta, il che spiega fra l'altro perche in ogni societa Ia liberta sia altrettanto giustificata quanta l'autorita. Dopo aver affermato che vi sono diritti fondamen-
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tali a prova di qualsiasi obiezione Pontara confuta gli argomenti da me addotti per sostenere il contrario, cioe gli argomenti della indeterminatezza dei pretesi diritti fondamentali, quello relativo all'evo1uzione storica, quelli riguardanti I'eterogeneita e 1a reciproca incompatibilita. SuI primo punto, I'indeterminatezza, il miglior esempio ce 10 oHre il primo dei diritti elencati, quasi un esempio di scuo1a, i1 diritto alla vita. Che cosa s'intenda per vita sembra chiaro ma non e. Basta porsi la domanda che cosa s'intenda per vita nell'espressione «diritto alIa vita» per trovarsi immediatamente nel groviglio delle discussioni intorno alla liceita dell'aborto. Subito dopo viene il problema se I'individuo abbia diritto alla vita in genera1e 0 a una certa vita, in altre parole 1a domanda « Quale vita? » Appena posta questa domanda ci vengono incontro il problema dell'eutanasia e problemi ancora pili delicati e tormentosi, come quello se si debbano salvare con operazioni d'incerto esito vite non destinate a godere di tutti gli attributi che di solito colleghiamo a un essere considerate vitale 01 caso delle operazioni dei nati con spina bifida). E poi e proprio vero che ogni individuo ha diritto alIa vita? I principali argomenti in favore dell' abolizione delIa pena di morte non sono fondati sul riconoscimento del diritto alIa vita, ma sulla sua inefficacia deterrente, sulla eventualita di un errore giudiziario che con la condanna a morte diventerebbe irreparabile, sulla possibilita di ravvedimento del colpevole. Quante alla relativita storica, e tanto evidente che 10 stesso Pontara e disposto ad ammetterla, salvo a IIG
sostenere che l' affermazione di alcuni diritti fondamen tali in epoche successive dipende dalla evoluzione delIa coscienza etica che procede alIa scoperta di nuove verita morali. Se vero che nuove verita morali oscurano 0 addirittura cancellano Ie vecchie, non vedo perche non si possa prevedere Ia scoperta di altre verita morali in futuro e concludere, come ho concluso io, che gli argomenti con cui vengono di volta in volta difesi i diritti fondamentali sono argomenti storicamente condizionati e quindi dipendenti da mutamenti storicamente rilevanti, tra cui non escludo aHatto quell a che si puo chiamare I'evoluzione etica dell'umanita (peraltro puramente ipotetica), Forse il problema pili interessante sollevato da Pontara quello che riguarda Ia eterogeneita e la incompatibilita dei diritti fondamentali (due argomenti che si possono trattare insierne). Pontara non ha alcuna obiezione da avanzare contro questa argomento ma sostiene che se conflitti ci sono fra diritti riconosciuti come fondamentali, questi conflitti sono risolubili. Non ho detto nulla in contrario. Ho semplicemente sostenuto che il fatto stesso del possibile conflitto dimostra 1a cornplessita del problema. Se mai posso aggiungere in risposta agli argomenti addotti da Pontara circa Ie possibili soluzioni di questi conflitti che Ia diHicolta e I'incertezza delle soluzioni conforta pili il mio assunto che il suo. Prescindo dalla considerazione che io avevo fatto una distinzione che nella risposta non trovo., avevo distinto due diversi casi di conflitto, que]10 fra diversi diritti riconosciuti come fondamentali da soggetti contrapposti, per esempio fra il diritto alIa liberta di stampa e i1 diritto alIa verita delIa inform a-
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zione, e quello fra diritti ritenuti fondamentali dallo stesso soggetto, per esempio fra il diritto alla istruzione gratuita e il diritto alla scelta delIa scuola. Non solo Pontara non sembra aver tenuto conto di questa di-· stinzione ma la dove propone il primo modo di risolvere i conflitti fra diritti fondamentali si riferisce non al conflitto fra diritti ma al conflitto che sorge quando si tratta di attuare 10 stesso diritto fra due persone diverse: problema che e qui assolutamente fuori questione e non tocca il tema che stiamo discutendo. Mi soffermo sul secondo modo che Pontara propone per risolvere il conflitto perche soltanto questa riguarda il problema delIa incornpatibilita fra diritti fondamentali. Si stabilisca una gerarchia di questi diritti, egli suggerisce, e in caso di conflitto prevalga quello che occupa nella gerarchia i1 primo posto. Niente da eccepire. Senonche a questa punto non ci sono pili tanti diritti fondamentali ma ce n'e uno solo, quello che viene ad occupare il primo posto nellagerarchia e che come tale sta a fonda men to di tutti gli altri. Domando: qual e questo diritto? Se la risposta, come pare, e la seguente: e il diritto che permette la massima attuazione degli altri diritti, bisogna concludere che e proprio vera essere 1a indeterminatezza una delle caratteristiche dei diritti fondamentali. E il circolo si chiude. [N.' B.]
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Merleau-Ponty Elogio della filosofia Bobbio-Pontara- Veca Crisi della democrazia e neocontrattualismo De Mauro Ai margini del linguaggio
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